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ESEMPI DI ARCHITETTURA Spazi di riflessione 15

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esempi di architettura

Spazi di riflessione

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DirettoreOlimpia NiglioKyoto University, Japan

Comitato scientificoTaisuke KurodaKanto Gakuin University, Yokohama, Japan

Rubén Hernández MolinaUniversidad Nacional, Bogotá, Colombia

Alberto ParducciUniversità degli Studi di Perugia

Enzo SivieroUniversità IUAV di Venezia, Venezia

Alberto SpositoUniversità degli Studi di Palermo

Karin TemplinUniversity of Cambridge, Cambridge, UK

Comitato di redazioneGiuseppe De GiovanniUniversità degli Studi di Palermo

Marzia MarandolaSapienza Università di Roma

Mabel Matamoros TumaInstituto Superior Politécnico José a. Echeverría, La Habana, Cuba

Alessio PipinatoUniversità degli Studi di Padova

Bruno PeluccaUniversità degli Studi di Firenze

Chiara VisentinUniversità degli Studi di Pisa

ESEMPI DI ARCHITETTURA

La collana editoriale Esempi di Architettura nasce per divulgare pubblicazioni scientifiche edite dal mondo universitario e dai centri di ricerca, che focalizzino l’attenzione sulla lettura critica dei proget ti. Si vuole così creare un luogo per un dibattito culturale su argomenti interdisciplinari con la finalità di approfondire tematiche attinenti a differenti ambiti di studio che vadano dalla storia, al restauro, alla progettazione architettonica e strutturale, all’analisi tecnologica, al paesaggio e alla città. Le finalità scientifiche e culturali del progetto EDA trovano le ragioni nel pensiero di Werner Heisenberg Premio Nobel per la Fisica nel 1932.

È probabilmente vero, in linea di massima, che nella storia del pensiero umano gli sviluppi più fruttuosi si verificano spesso nei punti d’interferenza tra diverse linee di pensiero. Queste linee possono avere le loro radici in parti assolutamente diverse della cultura umana, in diversi tempi ed in ambienti culturali diversi o di diverse tradizioni religiose; perciò, se esse veramente si incontrano, cioè, se vengono a trovarsi in rapporti sufficientemente stretti da dare origine ad un’effettiva interazione, si può allora sperare che possano seguire nuovi ed interessanti sviluppi.

Stefano Lo Piccolo

L’architettura popolare nei centri minori della Sicilia occidentale

Tipologie edilizie, materiali, tecniche costruttive e ipotesi di recupero

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Non sono assolutamente consentite le fotocopiesenza il permesso scritto dell’Editore.

I edizione: luglio 2014

A nonna Susanna

In copertina: Vista panoramica del Comune di Petralia Soprana (Palermo)

Questo volume è una rielaborazione del lavoro di ricerca svolto presso il Dipartimento di Progetto e Costruzione Edilizia dell'Università degli Studi di Palermo, all'interno del Dottorato di ricerca in Ingegneria Edile: Tradizione e Innovazione - XX ciclo con una tesi dal titolo: Caratteri dell'Architettura tradizionale nell'area montana della Sicilia occidentale, sotto la guida del Professore G. Fatta.

RingraziamentiSi ringrazia per il contributo alla tesi di dottorato: Prof. G. Fatta, Ing. T. Campisi, Ing. C. Vinci, Ing. G. Costa.

Progetto grafico e impaginazione: Giusi OliveriFoto e tavole grafiche a cura dell'autoreTavole grafiche a pagg. 84, 85, 120, 122 a cura di T. CampisiFigure 1 e 2 tratte da: Le mappe del Catasto Borbonico di Sicilia, Territori comunali e centri urbani nell'archivio cartografico Mortillaro di Villarena (1837-1853) a cura di Enrico Caruso e Alessandra Nobili, ed. Regione Sicilia 2001Figure 3 e 4 tratte da Google earth Figure 5, 6 e 12: cartoline illustrative tratte dalla collezione "Di Benedetto" presso Biblioteca Comunale di Palermo

“[…] L’uomo non ha cessato, neanche nei tempi storici, di favoleggiare sulla Sicilia, che è la terra stessa del mito:

qualsiasi seme vi cada, invece della pianta che se ne aspetta, diviene favola, nasce una favola […]

Cesare Brandi, Sicilia mia, Palermo 2003.

INDICE

Premessa pag. 09

1. La manualistica del settore pag. 111.1. Architettura di base in area italiana: gli studi tipologici condotti da S. Muratore, G. Caniggia e G. L. Maffei pag. 121.2. Tipi edilizi ed aspetti costruttivi: dalla manualistica ai codici di pratica pag. 141.3. I codici di pratica siciliani pag. 171.4. Le esperienze nei paesi del bacino del Mediterraneo: un patrimonio edilizio comune raccolto dal progetto MEDA CORPUS pag. 19

2. Il tessuto storico e le tecniche costruttive pag. 202.1. Il contesto geografico e cenni storici pag. 212.1.1. Il territorio pag. 222.1.2. Cenni storici: I Ventimiglia conti di Geraci ed i centri abitati nella descrizione dei viaggiatori pag. 252.2. Il tessuto storico dei centri urbani e dei borghi pag. 292.2.1. L’edilizia spontanea e i suoi rapporti con la morfologia del centro urbano pag. 302.2.2. Sistemi e caratteri delle aggregazioni pag. 312.3. I caratteri tipologici pag. 392.3.1. La tipologia edilizia pag. 402.3.2. Arredi interni ed esterni pag. 462.4. Materiali, lavorazioni e tecniche costruttive pag. 752.4.1. Chiusure verticali: materiali e sistemi costruttivi pag. 76

2.4.1.1. Murature pag. 762.4.1.2. Aperture esterne pag. 862.4.1.3. Vani finestra pag. 872.4.1.4. Sistemi di protezione sismica pag. 97

2.4.2. Chiusure orizzontali: materiali e sistemi costruttivi pag. 1062.4.2.1. Solai piani e coperture pag. 1062.4.2.2. Volte pag. 109

2.4.3. Partizioni interne pag. 1172.4.3.1. Scale interne pag. 1172.4.3.2. Divisori pag. 1192.4.3.3. Controsoffitti pag. 121

2.4.4. Partizioni esterne pag. 1232.4.4.1. Balconi pag. 1232.4.4.2. Ferrate pag. 131

2.4.5. Sistemi di protezione dalle acque meteoriche pag. 1342.4.5.1. Cornicioni pag. 1342.4.5.2. Altri sistemi di protezione pag. 135

2.4.6. Arredo urbano pag. 1422.4.6.1. Pavimentazioni stradali pag. 142

3. Il progetto di recupero pag. 150 3.1. Recupero dell’edilizia popolare pag. 150

3.2. Il quadro legislativo nazionale e regionale pag. 1503.3. Prospettive pag. 1523.4. Proposte di intervento pag. 154

Bibliografia pag. 158

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Premessa

Sul tema dell’architettura popolare o tradizionale, spesso da altri autori definita di base, spontanea ed anche minore; sia in ambito nazionale che internazionale, da diversi anni si è ormai aperto un dibattito che ha favorito l’attuazione di specifici studi di settore, coinvolgendo sia la comunità scientifica che le istituzioni di governo, ma soprattutto le popolazioni di centri urbani interessati, minori e non. Appare forte il riconoscimento del patrimonio architettonico tradizionale quale testimonianza di un “saper costruire” capace di tener conto dei caratteri del luogo di origine, dei costumi e dei modi del vivere e del risiedere della popolazione, della cultura materiale e costruttiva, spesso arricchiti da un complesso sistema di relazioni che intercorrono fra il territorio, le città e la società. Esistono alcune definizioni di carattere generale reperite nei testi bibliografici locali e/o internazionali, infatti, spesso si trovano i termini “popolare” e "vernacolare” a sottendere il carattere locale di una architettura che, come quella dell'area oggetto di studio, fa uso delle risorse locali e segua poche ma buone regole del “buon costruire”, per lo più tramandate oralmente. È stata indagata l’architettura popolare, ritenuta, a differenza dell’edilizia aulica (favorita da condizioni spesso irripetibili per committenza, risorse economiche disponibili, tecnici e progettisti di fama impegnati nell’ideazione e costruzione) “caratterizzante” per i suoi connotati ripetuti, derivanti dall’applicazione di una prassi costruttiva radicata nella memoria tecnica ed iterata in una varietà limitata di casistiche: è possibile, infatti, in essa riconoscere il corretto e sapiente uso delle risorse locali e l’applicazione di regole dell’arte semplici, tramandate nei secoli da intere categorie di maestranze e spesso ricondotte ad un “saper fare” spontaneo, che applica al costruire un buon senso che le necessità hanno via via reso evoluto. L'indagine condotta nei centri minori ricadenti in una porzione omogenea del territorio siciliano, circoscritta a quello montano, ha riscontrato la permanenza di invarianti omogenee legati all’ambiente naturale (condizioni climatiche, sistema orografico) ed a fattori antropici (tecnologie e sistemi costruttivi applicati), utili per analizzare e comprendere - in quelle parti ancora leggibili e riconoscibili - il linguaggio costruttivo del patrimonio edilizio “minore”. Un attento esame della produzione bibliografica esistente sul tema dell’architettura tradizionale, sia in ambito locale e nazionale che internazionale, è stato utile per comprendere l’approccio metodologico messo in atto in altri contesti, ed indirizzare lo studio secondo percorsi assai prossimi con quelli già rintracciati dalla comunità scientifica, e dalla letteratura di settore. A tal fine, sono stati particolarmente utili le indagini preliminari sugli studi condotti da alcuni studiosi sulla tipologia edilizia e sul significato di “tipo”; accanto alla manualistica storica e soprattutto sui codici di pratica e/o manuali di recupero ed, infine, su esperienze di ricerca in corso che coinvolgono molti Paesi del bacino del Mediterraneo. Lo studio, inizia da una capillare campagna di sopralluoghi completati di rassegne fotografiche nei centri urbani monori ricadenti nell’area montana della Sicilia occidentale; in qualche caso, l’attenzione si è rivolta anche ai borghi o ai nuclei di case sparse che, per la vicinanza con i centri abitati, si ritengono utili a rintracciare i caratteri tipologici, la consistenza dei materiali e le tecniche costruttive ormai perduti nei centri urbani. I dati sono stati raccolti in apposite schede, in cui si mostrano da un lato i criteri aggregativi

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più ricorrenti e maggiormente diffusi -anche in relazione alle condizioni orografiche del territorio- dall’altro le tipologie più passibili di trasformazione, determinate in relazione alle dimensioni planimetriche ed altimetriche degli edifici e degli spazi funzionali o nel numero di aperture.

Le indagini sono proseguite, in una seconda fase, con l’esame dei materiali (locali e non) impiegati nella costruzione dei manufatti, dai lapidei naturali al legno, dal laterizio al ferro, con attenzione rivolta anche ad alcune specificità locali assai utili quali il sughero e la canna palustre, il gesso, etc.; nel cantiere edilizio tradizionale, si sono inoltre rintracciati i sistemi di lavorazione e confezionamento, le modalità di messa in opera, i sistemi costruttivi e le tecnologie adottate.

In questa fase, un’attenta analisi è stata dedicata agli elementi tecnici che compongono l’edificio; a tal fine si è “decomposto” ogni manufatto oggetto di studio in classi di elementi tecnologici: strutture murarie, solai e coperture, volte, controsoffitti e divisori, sistemi di collegamento verticale, finiture interne ed esterne, elementi di pregio architettonico quali portali, balconi, cornicioni. Il campo di indagine ha interessato anche gli elementi di arredo urbano quali: pavimentazioni stradali, cappelle votive e sedili.

Gli elementi diffusi e spesso originali dell’area montana siciliana, dei dettagli architettonico-costruttivi, funzionali e formali della costruzione antica, sono stati classificati in schede analitiche.

Conclusasi la fase di conoscenza dell’architettura popolare in area montana, in perfetta sintonia con quanto negli ultimi anni è stato proposto dai manuali di recupero (in cui è esplicita la volontà di sperimentare materiali e tecniche costruttive capaci di dialogare con il linguaggio antico, attraverso proposte di interventi di restauro o recupero del patrimonio edilizio monumentale ed elencale), la parte finale ha inteso fornire una valutazione del grado di trasformabilità/adattabilità che può subire l’edilizia popolare e, sulla scorta del quadro normativo nazionale e regionale connesso agli interventi sul patrimonio edilizio esistente, sono stati proposte ipotesi di recupero.

L’obiettivo prefisso con il presente lavoro - forse per alcuni aspetti ambizioso - è stato quello di individuare gli elementi di base utili a costituire un atlante dell’architettura popolare dei centri minori della Sicilia occidentale, che potrebbe anche essere ampliato ed esteso a buona parte del territorio regionale, attraverso il quale riconoscere i caratteri della tradizione costruttiva riconducibili a modelli “autoctoni”, al fine di suggerire spunti di riflessione ed uno strumento pratico ed operativo per progetti di trasformazione compatibili con l’esistente, in grado di mitigare il continuo processo di cancellazione dei caratteri peculiari dell’architettura storica diffusa.

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1. La manualistica del settore

L’attuale ruolo della ricerca rivolta all’architettura tradizionale malgrado esista tutta una serie di studi e di indagini che attengono agli aspetti tipologici, funzionali e materico-costruttivi, l’argomento a torto viene ritenuto il più delle volte di caratura “minore”, un settore di ricerca poco stimolante ed utilizzabile nell’ottica di un possibile progetto di recupero che riqualifichi ed attualizzi i modi dell’abitare che tale architettura rappresenta.

L’analisi preliminare effettuata sul tema, condotta anche all’interno della letteratura tecnica di settore nazionale ed internazionale, si è resa ancora più utile per avviare un corretto percorso formativo della ricerca, grazie al quale fosse possibile capire quali siano state le metodiche messe in atto per affrontare e sistematizzare una materia così vasta e per identificare quali obiettivi e risultati sia stato possibile ottenere, anche in rapporto alle problematiche riscontrate.

In ogni caso, è emerso quanto largo appaia il riconoscimento per il patrimonio architettonico tradizionale inteso quale testimonianza di un “saper costruire” che tenga conto dei caratteri del luogo di origine, della cultura materiale e costruttiva, dei costumi, dei modi del vivere e dell’abitare della popolazione; elementi, questi, spesso arricchiti da un complesso sistema di relazioni che da sempre intercorrono fra territorio, ambiente costruito (urbano e suburbano) e la società che trasforma il primo e genera il secondo.

In una prima sezione si riprendono ed attualizzano i concetti e gli studi condotti da S. Muratori¹

ed approfonditi successivamente da G. Caniggia2 e G. L. Maffei³ sulla tipologia edilizia, evidenziando il significato di “tipo” e la definizione delle varie categorie ascrivibili ai “tipi diffusi”, introducendo tutte le possibili varianti ed invarianti riscontrabili nell’evoluzione del “tipo base”. Ad una seconda sezione viene affidato l’esame della manualistica storica quale “mezzo di progettazione” rapportato ai codici di pratica e/o manuali di recupero, testi tecnici utili sia per la fase di analisi condotta che di intervento ipotizzata. Infine, l’ultima parte del presente capitolo intende illustrare l’esperienza di cooperazione in corso di studio e progetto che coinvolge molti dei Paesi che si affacciano sul Bacino del Mediterraneo.

Va precisato, infatti, come a partire dagli anni Ottanta siano stati pubblicati in Italia molteplici “Manuali del Recupero”, volti a costituire utili approfondimenti costruttivi sull’edilizia storica: essi si avvalgono della conoscenza puntigliosa ed approfondita del modello costruttivo, poi graficizzato e riconosciuto nei particolari attraverso l’elaborazione di tavole tematiche, abachi e schede; in molti casi la parte testuale a corredo degli elaborati grafici prevede anche appositi glossari della terminologia edilizia locale. Questa fase di analisi, condotta dal manuale, si accompagna spesso alla volontà di sperimentare materiali e tecniche costruttive capaci di dialogare con il linguaggio antico, attraverso proposte analitiche di interventi di recupero del patrimonio edilizio monumentale ed elencale oggetto di studio.

Sulla scia del manuale di Roma, pubblicato nel 1989 e precursore ed antesignano di altre opere simili, si divulgarono in seguito il Manuale di recupero di Città di Castello⁴ il Manuale di recupero del

La manualistica del settore

1S. Muratori (Modena 1910-Roma 1973): architetto-storico e docente presso l'Università di Roma.2G. Caniggia (Roma 1933-1987): architetto e docente universitario, fu allievo ed assistente di S. Muratori.3G.L. Maffei: professore associato di Composizione architettonica e urbana presso la Facoltà di Architettura di Firenze.4Giovanetti F.,“Manuale di recupero Città di Castello”, Roma 1992.

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centro storico di Palermo⁵ , il Manuale di recupero delle antiche tecniche costruttive napoletane⁶, senza dimenticare poi i “codici di pratica” di Castelvetere sul Calore (AV), Siracusa⁷ e Matera dedicati invece più ad aspetti costruttivi, quello avente in oggetto gli insediamenti montani dell’Alto Adige; ancora gli studi condotti in area napoletana e senese, i repertori sull’arte del costruire bolognese e sugli infissi di Saluzzo (CN), le importanti pubblicazioni dedicate ai manufatti lignei umbri e laziali.

L’esito degli studi fin qui citati rimane del tutto fedele al principio “codificatorio” dell’architettura, quello cioè concepito dai conoscitori dell’edilizia tradizionale per gli addetti ai lavori con l’intento di fornire un repertorio, e che nei casi meglio riusciti vede come punto di forza anche il fortunato reperimento di antichi capitolati dei lavori edilizi, reso possibile a seguito di apposite ricerche storico-archivistiche, nonché di descrizioni tecniche storiche, ricettari, contratti ed altri documenti contabili. Tali ricerche sono state sempre più riconosciute di grande utilità in quanto forniscono fonti primarie di conoscenza del cantiere antico, in termini di accordi fra i protagonisti, materiali e tecniche costruttive impiegate.

In molti casi, il manuale di recupero o il codice di pratica viene fornito come strumento di conoscenza del patrimonio edilizio storico, per poi essere usato dall’utente alla stregua di guida per un intervento rispettoso e compatibile.

Questo intento – come già anticipato – è fortemente presente anche in molti Paesi del Bacino del Mediterraneo: si richiama, come caso di studio, il progetto “Meda Corpus”, frutto di una stretta collaborazione di 17 Nazioni rivierasche, avviato sotto l’esperta guida spagnola (in particolare della scuola di Barcellona). Questa iniziativa mostra e valorizza la ricchezza del patrimonio tradizionale calato in una varietà di scenari urbani che – attraverso lo studio dei modi di costruire adottati nei diversi ambiti geografici - trae quei principi utili alla conoscenza e all’intervento sull’edilizia storica da parte degli operatori del settore, imprescindibili per la conservazione e la valorizzazione dell’architettura tradizionale. L’analisi del progetto di cooperazione promosso da Meda Corpus ha rilevato quanto l’esperienza costruttiva siciliana possa per certi versi a pieno titolo riallacciarsi a quella di ambito vasto, perché parte di una cultura comune che unifica ed arricchisce, pur nella specificità dei contesti naturali e sociali.

1.1. Architettura di base in area italiana: gli studi tipologici condotti da S. Muratori, G. Caniggia e G. L. Maffei

Appare interessante sintetizzare gli studi svolti durante il corso tenuto da S. Muratori sui caratteri distributivi degli edifici, che avevano per oggetto l’edilizia storica di vari quartieri di Venezia.

Dalle stesse parole dell’autore desumiamo come l’intento dell’indagine fosse quello «[…] di riscattare la concretezza sempre individua delle forme tipiche di organismo, struttura e concezione statica e decorativa di materiale che la concezione positivistica considerava solo in via estrinseca per mezzo di classificazione, e che la concezione idealistica degradava a meri schemi arbitrari, a posteriori, mettendo a fuoco una metodologia, essenzialmente critica, atta a enucleare la loro intrinseca originalità della struttura-spaziale (identità di interno - esterno, di organismo edilizio e tessuto

L'architettura popolare nei centri minori della Sicilia occidentale

5Marconi P., “Manuale di recupero del centro storico di Palermo”, Palermo 1997.6AA.VV., “Manuale di recupero delle antiche tecniche costruttive napoletane”, Napoli 1993.7Giuffrè, A., “Sicurezza e conservazione dei centri storici: il caso di Ortigia”, Bari 1993.

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urbano e di ricostruire il processo storico come sviluppo strutturale, che inserisce l’individualità delle forme nuove nel vivo e nell’ambito delle forme precedenti, intese come matrice e condizione delle forme successive, le quali dunque non vengono a sovrapporsi e a distruggere il passato, ma anzi a perpetuarlo sviluppandolo, differenziandolo ed arricchendolo […]⁸».

I primi esperimenti furono condotti su due zone della città di Venezia: la prima quella del Campo di S. Maria mater Domini, in quanto essa costituiva un complesso limitato, ma fortemente caratterizzato, vario nei suoi elementi e relativamente autonomo, utile per saggiare valori diffusi su tutta l’edilizia veneziana; mentre la seconda fu quella del tessuto urbano di Colle S. Lio, la cui evidente “tipicità” prometteva una proficua indagine circa i caratteri del tipo edilizio, inteso come fattore costitutivo dell’aggregato urbano.

Vari risultarono gli spunti di indagine da portare avanti dopo la prima fase sperimentale: la raccolta di dati riguardanti il numero dei piani, la destinazione originaria e la presumibile età d’origine di ciascun edificio. Gli approfondimenti miravano ad un esame comparato della tipologia edilizia e urbanistica, ed in seconda battuta erano volti a riprendere il motivo conduttore dei percorsi d’acqua e pedonali. Gli studi condotti nella prima fase avevano fornito una conoscenza del tessuto urbano di calli affiancate a quella di S. Lio, tipico della struttura edilizia di Venezia; poiché la struttura a calli rappresentava una caratteristica urbana limitata ad un preciso arco temporale della città, risultava necessario il confronto con tessuti urbani di epoca anteriore, strettamente legati a fasi più tipicamente “canalizie”, originarie e fondamentali per lo sviluppo storico della città. Al di là dell’aspetto tipologico-aggregativo, si eseguì anche un’analisi strutturale delle murature e degli organismi edilizi esistenti, ai fini di vagliarne gli elementi autentici e quelli sovrapposti, per una più chiara lettura del linguaggio architettonico originario. Un risultato interessante che vogliamo sottolineare, ottenuto da questo tipo di analisi, fu quello di evidenziare come lo sviluppo urbano procedette non per sostituzione radicale di un tessuto antico con uno di nuova concezione, ma piuttosto tramite affiancamento di elementi recenti a quelli originari; questa circostanza rappresenta, infatti, una costante ed una ricorrenza anche per i piccoli centri dell’area oggetto del nostro studio. Lo studio tipologico approfondito da G. Caniggia e G. L. Maffei affronta il processo tipologico attraverso la lettura delle strutture edilizie, riordinando ciò che può apparire casuale in un sistema di oggetti eterogenei correlati da specifiche funzioni. Si cerca di capire come è stato realizzato il manufatto, da cosa è stato derivato e come si è trasformato, anche considerando la possibilità di leggere ciascun edificio secondo una gamma di relazioni con e tra i componenti: ad esempio, considerando gli elementi costruttivi ripetuti ovvero quelli individuati per posizione e forma. Gli autori propongono come prima operazione elementare, dopo avere eseguito un attento rilievo planimetrico di un comparto urbano (per le città di Firenze, Roma e Genova), di isolare le unità edilizie definendone i confini: vengono eliminati gli edifici di maggiore ingombro e complessità (edifici specialistici) e la restante - costituita da residenze per una o piu famiglie (edilizia di base) - veniva classificata in sottocategorie determinate in funzione – ad esempio – della larghezza della fronte su strada, per ricostruire il processo tipologico fino all’individuazione della matrice elementare. Gli schemi grafici elaborati per le città di Firenze, Roma e Genova sintetizzano le principali mutazioni diacroniche del tipo-base, mentre le schedature proposte

La manualistica del settore

8Cfr. in Muratori S., “Studi per una operante storia urbana di Venezia”, Roma 1959, vedasi pag. 15.

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per la città di Pienza aggiungono alle varianti diacroniche quelle sincroniche, legate quest’ultime all’aggregazioni di più cellule elementari. Ancora, la lettura tipologica può avvenire considerando i rapporti che intercorrono tra l’intero tessuto, tra lo spazio costruito e lo spazio urbano, sottolineando secondo quali assi si sia sviluppata la crescita, ovvero attraverso una lettura delle aggregazioni in relazione ai tipi di percorso o ad altri fattori che mutano progressivamente il tessuto già edificato. La metodologia messa in atto dagli studiosi citati (Muratori compreso), ha indirizzato la nostra ricerca dei “tipi” dei comuni montani siciliani, contesto geografico lontano dalle grandi città e ristretto ad una comunità costituita da piccoli e medi centri; tale operazione, e come sarà meglio esplicitato nei capitoli che seguono, ha indirizzato una prima fase di analisi, volta ad individuare la matrice elementare ricorrente e diffusa, per coglierne la sua evoluzione nel tempo e nello spazio e definirne le varianti ed invarianti rispetto al “tipo-matrice”.

1.2. Tipi edilizi ed aspetti costruttivi: dalla manualistica ai codici di pratica

Per definire al meglio la parte di studi relativa alla trattazione dell’architettura spontanea della Sicilia occidentale nei suoi aspetti materico-costruttivi e formali, è sembrato utile consultare la manualistica tra il XVII e XX secolo ed i codici di pratica diffusi alla fine del XXI secolo in modo da trarre spunti e suggerimenti.

L’intento dei manuali redatti fino alla metà del Novecento era soprattutto quello di fornire uno strumento pratico-operativo di facile consultazione; si dava spazio ai materiali e alle tecniche costruttive affinché fosse possibile evincere regole pratiche di immediata riproducibilità; ricordiamo ad esempio come Breymann, riferendosi alle strutture murarie, precisava che «[…] il muro consta sempre di parti prettamente omogenee incombustibili, una parete per contro consta od ancora di materiali omogenei, ma combustibili (pareti di tavole, pareti a blinde) oppure di parti eterogenee, alcune combustibili ed altre incombustibili ed altre incombustibili (pareti intelaiate, pareti di argilla e paglia) […]» e circa le modalità di messa in opera scriveva che «[…] i singoli mattoni di un muro, per dar luogo ad un regolare collegamento, devono ricevere rispettivamente a se stessi e al muro diverse posizioni, secondo le quali prendono diversi nomi […]».⁹

In altri casi il manuale, alla stregua dell’esempio di Donghi (in “materiali, elementi costruttivi e finimenti esterni delle fabbriche”), forniva indicazioni sulle soluzioni tecnologiche piu adoperate e le modalità di messa in opera, definendo - per limitarci alle sole opere di carpenteria - i principali lavori che nelle costruzioni civili vengono affidate al carpentiere (pareti intelaiate, intavolati, assiti, impalcature per solai, tetti e tettoie, cornici per tetti, scale, tavolati per pavimenti e coperture dei tetti, ponti di servizio, centine) oltre ad un elenco dettagliato dei tipi di legnami da costruzione (legni duri, resinosi, bianchi, teneri e fini) nonché le principali qualità fisiche, difetti, e quali potessero essere le denominazioni commerciali di ogni specie arborea.

Dalla lettura del manuale si evince altresì che i sistemi costruttivi rivolti ad un’edilizia specialistica, spesso erano applicati nell’edilizia corrente con materiali e lavorazioni assai differenti; a testimonianza di ciò si riporta la descrizione delle pareti intelaiate: «[…] tali pareti sono molto economiche e

L'architettura popolare nei centri minori della Sicilia occidentale

9Cfr. G.A. Breymann, traduzione italiana di C. Valentini, “Da trattato generale di costruzioni civili con cenni speciali intorno alle costruzioni grandiose, guida all’insegnamento ed allo studio di Milano” 1885, vedasi vol. I pag 4.