I MATERIALI LAPIDEI ORNAMENTALI NEGLI ALTARI DELLE CHIESE DELLA DIOCESI DI PIAZZA ARMERINA

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ISTITUTO UNIVERSITARIO DI ARCHITETTURA DI VENEZIA Corso di Laurea in Storia e Conservazione dei beni architettonici ed ambientali SALVATORE SCEBBA I MATERIALI LAPIDEI ORNAMENTALI NEGLI ALTARI DELLE CHIESE DELLA DIOCESI DI PIAZZA ARMERINA REALIZZATI TRA IL XVI ED IL XVIII SECOLO TESI DI LAUREA Relatore : LORENZO LAZZARINI ANNO ACCADEMICO 2002-2003

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Tesi di Laurea di Salvatore Scebba Relatore Prof. Lorenzo Lazzarini

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ISTITUTO UNIVERSITARIO DI ARCHITETTURA DI VENEZIA Corso di Laurea in Storia e Conservazione dei beni architettonici ed ambientali

SALVATORE SCEBBA

I MATERIALI LAPIDEI ORNAMENTALI NEGLI ALTARI DELLE CHIESE DELLA DIOCESI DI PIAZZA ARMERINA REALIZZATI TRA IL XVI

ED IL XVIII SECOLO

TESI DI LAUREA

Relatore :

LORENZO LAZZARINI

ANNO ACCADEMICO 2002-2003

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INDICE

CAPITOLO 1:

1.1 Confini e territorio della Diocesi …………………………………………………… p. 7 1.2 Fondazione e storia del Vescovato ………………………………………………… p. 11

CAPITOLO 2:

2.1 La Sicilia nel Seicento e nel Settecento…………………………………………… p. 18 2.2 Il Barocco in Sicilia: motivi, protagonisti ed opere principali………………… p. 28 2.3 Tendenze artistiche nelle città dell’entroterra siciliano………………………… p. 39

CAPITOLO 3:

Le

3.1 Marmi e Diaspri. Litotipi principali e località di cava…………………………… p. 49 3.2 Utilizzo delle pietre ornamentali negli interni delle chiese: principali tecniche e motivi decorativi…………………………………………………………

p. 58

3.3 Architetti, marmorari e maestranze specializzate………………………………… p. 63

- Premessa alle schede di analisi degli edifici religiosi - Indice degli edifici esaminati - Schede di analisi degli edifici religiosi esaminati

- Indice delle schede di identificazione dei marmi - Schede di identificazione dei marmi siciliani - Schede di identificazione dei marmi dell’Italia peninsulare - Schede di identificazione dei marmi esteri - Schede dei marmi non identificati

Premessa……………………………………………………………………………………… p. 1

La Diocesi di Piazza Armerina. Geografia e vicende storiche ……………………

p. 6

Tra Occidente ed Oriente. Sviluppi artistici ed architettura barocca nelle città della Sicilia centrale dalla fine del XVI secolo al XVIII secolo ……………………

p. 17

Le pietre ornamentali nell’architettura barocca……………………………………… p. 48

Schede di analisi……………………………………………………………………………… p. 67

Conclusioni…………………………………………………………………………………… p. 254

Bibliografia…………………………………………………………………………………… p. 263

Catalogo dei litotipi rilevati………………………………………………………………… p. 273

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Premessa L’avvento della Controriforma, nella prima metà del secolo XVI, e la

contemporanea diffusione in Sicilia dei motivi del Rinascimento e del

Manierismo romano segnano l’inizio per l’isola di una nuova fase

artistica, il principio di un cammino, durato più di due secoli, nel corso

del quale intere città hanno cambiato volto, rimodellando il loro aspetto

medioevale in funzione del mutato modo di intendere l’arte, e più in

generale la vita, aiutate purtroppo in questa loro metamorfosi anche da

tremende ed imprevedibili calamità naturali, su tutte il terremoto del

gennaio del 1693 che devastò gran parte della Sicilia Orientale,

provocando migliaia di vittime tra la popolazione1.

Si tratta dell’inizio di un processo di trasformazione del gusto estetico

che porterà ben presto la Sicilia entro i confini della nuova arte barocca,

che da Roma si irradierà in quasi tutta Europa a partire dalla fine del

secolo XVI, rielaborata però in chiave locale dagli artisti dell’isola, alla

luce della ancora viva tradizione artistica gotico – catalana e prima

ancora delle esperienze bizantina, araba e normanna.

Forse è proprio a questa commistione di esperienze, tra loro anche molto

differenti, che avevano profondamente inciso nell’animo del popolo

siciliano determinando mutazioni etniche e stratificazioni culturali, che si

deve imputare l’assimilazione tardiva e condizionata dei temi e dei

motivi figurativi del Rinascimento, e che ha portato nel giro di pochi

decenni a raggiungere esiti artistici originali ed imprevedibili.

Non bisogna poi dimenticare l’importante ruolo giocato in questo

processo di definizione e diffusione della nuova arte barocca dalla

particolare situazione politica, sociale ed economica che caratterizzava in

quegli anni la Sicilia, con la radicata presenza Spagnola nell’isola, una

pesante crisi economica, un ambiente entusiasticamente inserito entro

1 S. BOSCARINO, Sicilia Barocca. Architetture e città 1610-1760, Roma, 1991, pp. 20-88

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l’ortodossia cattolica, ed i numerosi Baroni, Conti, Marchesi e Principi,

che di fatto detenevano il potere entro i propri feudi, atteggiandosi a veri

e propri sovrani.

Nella terra che aveva accolto l’arte dei primi coloni greci e dei romani il

classicismo rinascimentale, con il rigorismo delle sue strutture e i suoi

principi di ordine, simmetria e solidità, si insinuerà con fatica e verrà ben

presto superato da una concezione dinamica dell’arte, intesa come

meraviglia, invenzione, creatività pura, movimento continuo e

ornamento2. Il barocco siciliano in ciò si differenzierà anche da quello

romano, ben più famoso e di cui in fondo è una derivazione, traendo da

questo i motivi fondamentali della nuova concezione artistica, ma

lasciando più spazio alla materialità, alla esuberanza delle decorazioni ed

all’estro degli artisti.

Una tale visione dell’arte non poteva limitarsi solamente alla produzione

architettonica, in sé notevole nel periodo che va dalla fine del ‘500 in

avanti3, ma investirà ogni campo delle arti ornamentali e decorative

dando luogo ad una molteplicità di fatti artistici, diversi tra loro, spesso

però fusi insieme per offrire composizioni ancora più sfarzose.

È questo il caso dei ricchi rivestimenti parietali realizzati all’interno delle

chiese secondo la tecnica dell’intarsio marmoreo (decorazione “a

mischio”), utilizzando pietre colorate dai toni vivaci per creare motivi

ornamentali di ispirazione naturalistica, caratterizzati dalla complessità

delle linee, con continui intrecci e volute4.

Architettura, pittura e scultura si uniscono tra loro per dare vita ad una

composizione che suscita così sentimenti di meraviglia e stupore,

impressionando con la sua fastosità l’osservatore.

Nell’ambito della produzione artistica barocca uno spazio importante

meritano quindi le creazioni legate alla lavorazione delle pietre 2 G.B. COMANDE’, Idee estetiche ed architettura nel barocco siciliano, Palermo, 1965, pp. 9-10 3 S. BOSCARINO, op. cit., pp. 89-229 4 S. PIAZZA, I marmi mischi nelle chiese di Palermo, Palermo, 1992

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ornamentali colorate, impiegate oltre che nei rivestimenti parietali anche

nella realizzazione e decorazione degli altari marmorei, che arredano gli

interni di gran parte delle chiese realizzate o rinnovate in questi anni.

Si tratta di vere e proprie architetture in miniatura nelle quali gli artisti

possono con più libertà, ed in maniera più radicale, applicare quei

principi di dinamismo, complessità delle forme e ricchezza della

decorazione che caratterizzano l’arte di questi anni, a cui prima già si

accennava.

Nel periodo che va dalla fine del XVI a tutto il XVIII secolo vengono

eseguiti un po’ ovunque nell’isola un gran numero di questi altari, in

forme e dimensioni sempre tra loro differenti.

Sono opera di maestranze specializzate che molto spesso si spostano di

città in città alla ricerca di commissioni, chiamate dalle municipalità, dal

clero, dagli ordini religiosi, oppure dai numerosi Signori feudali, sempre

più desiderosi di manifestare, attraverso la ricchezza di tali composizioni,

la loro magnificenza.

Questo studio guarda proprio a tale particolare ambito della produzione

artistica siciliana, da un punto di vista tuttavia inusuale, perché

concentrato sulla città di Piazza Armerina e sui paesi ad essa vicini che

fanno parte della sua diocesi.

Fino ad oggi infatti tutte le analisi sul barocco della Sicilia hanno

riguardato esclusivamente i centri più importanti dell’isola, ovvero le

grandi città portuali, quali Palermo, Messina, Siracusa e Catania,

sicuramente le più ricche, in quanto importanti poli mercantili, e tra le

prime ad accogliere e sviluppare le innovazioni artistiche provenienti dal

continente. Grande rilevanza è stata inoltre data ai centri della Sicilia

Orientale devastati dal terremoto del 1693, proprio per l’eccezionalità del

fenomeno e l’originalità di una ricostruzione, cui si assistette negli anni

immediatamente successivi alla calamità, durante la quale intere città

furono rifondate, talvolta in differenti siti, secondo i criteri rispondenti al

nuovo gusto architettonico, applicati al costruito in maniera uniforme,

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tanto da produrre veri e propri apparati scenografici, ancora oggi

suggestivi e sfarzosi.

Di contro ben poco ci si è occupati di quei centri dell’entroterra siciliano,

che da sempre hanno avuto grande importanza strategica e militare per il

controllo dell’isola, ma che allo stesso tempo sono stati spesso trascurati

dagli storici dell’arte, oppure analizzati in maniera superficiale in quanto

centri minori, caratterizzati da singole emergenze architettoniche ed

isolati fatti artistici, liquidati troppo frettolosamente come episodi

secondari all’interno del panorama artistico generale siciliano.

È proprio in questi centri che si ha la conferma di come invece l’arte

barocca sia stata il frutto di una sensibilità artistica diffusasi in maniera

uniforme nel territorio, che ha raggiunto anche le località più isolate. Ciò

soprattutto grazie alla presenza di una ricca aristocrazia feudale,

desiderosa di esprimere attraverso precise iniziative artistiche nei luoghi

da essa controllati la propria nobiltà ed il proprio potere, e di un clero,

che assieme agli ordini religiosi, era fortemente radicato sul territorio e

detentore di un grande patrimonio economico.

Molto spesso ritroviamo alcuni tra i più importanti artisti del barocco

siciliano impegnati presso i centri minori dell’entroterra siculo in

realizzazioni di grande importanza storica ed artistica, ed i contatti con le

città maggiori di Palermo, Catania e Messina sono costanti e ben

documentati, sia per quel che riguarda l’ambito architettonico, che per

quanto concerne la scultura e la pittura.

Allo stesso modo, mentre ci si è a lungo, e giustamente, soffermati

nell’analisi degli impianti cittadini, soprattutto dei centri di nuova

fondazione, nello studio delle facciate e degli interni di edifici religiosi e

civili, e nella descrizione dei temi figurativi degli apparati scultorei e

pittorici, la presenza di opere altamente significative e caratteristiche

della sensibilità artistica del periodo barocco, quali gli altari marmorei,

decorati da pietre ornamentali colorate, è spesso passata in secondo

piano, oppure è stata addirittura ignorata.

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Attraverso la presente ricerca si vuole quindi riportare l’attenzione su di

uno degli aspetti più peculiari della produzione artistica barocca, ed allo

stesso tempo, grazie a questo, sottolineare l’importante ruolo svolto dalle

città dell’entroterra, nell’ambito del panorama artistico isolano, e la

presenza in questi luoghi di un ricco patrimonio architettonico, e più in

generale artistico, il più delle volte abbandonato a se stesso, scarsamente

conosciuto e valorizzato, e spesso a rischio di sopravvivenza.

Nel caso specifico degli altari marmorei lo studio si è concentrato sulla

identificazione ed analisi dei litotipi utilizzati per la loro realizzazione,

condotto esclusivamente sulla base di un esame visivo diretto delle

caratteristiche macroscopiche delle pietre, senza trascurare il contesto

sociale, politico ed artistico, di cui sono il prodotto, né l’edificio nel quale

fisicamente si trovano.

Si vuole così fornire un contributo concreto relativamente alla

individuazione ed alla conoscenza di queste opere, che funga quale punto

di partenza per successive e più approfondite ricerche. Solo attraverso

una indagine diretta e profonda di queste realizzazioni è infatti possibile

pensare alla loro conservazione e valorizzazione, dal momento che

nessuna attività di restauro può prescindere da una analisi dettagliata

della materia del manufatto su cui si interviene.

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CAPITOLO 1

La Diocesi di Piazza Armerina. Geografia e vicende

storiche.

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Confini e territorio della Diocesi La Diocesi di Piazza Armerina costituisce il preciso ambito geografico

entro il quale è stato condotto il presente studio, finalizzato ad indagare

uno dei tanti temi che hanno caratterizzato la produzione artistica

siciliana nel periodo che va dalla fine del secolo XVI all’intero secolo

XVIII, e che comunemente viene identificato dagli storici dell’arte come

età “barocca”, ovvero gli altari marmorei decorati da pietre ornamentali

colorate, messe in opera secondo la tecnica dell’intarsio.

Si tratta di un’area non molto vasta, situata nel cuore dell’isola,

comprendente dodici comuni, dei quali sette (Enna, Piazza Armerina,

Valguarnera, Villarosa, Pietraperzia, Barrafranca, Aidone) appartengono

alla Provincia di Enna, mentre i rimanenti cinque (Gela, Butera,

Mazzarino, Riesi, Niscemi) fanno parte della Provincia di Caltanissetta.

Tuttavia, al momento della sua creazione, avvenuta nel 18171, la Diocesi

aveva un assetto ben differente da quello attuale appena descritto,

essendo nata esclusivamente dallo smembramento della Diocesi di

Catania. Comprendeva infatti al suo interno i centri di Assoro, Agira,

Leonforte, Mirabella e Nissoria in luogo di quelli di Gela, Butera,

Mazzarino, Niscemi e Riesi, che invece appartenevano dal 1817 alla

Diocesi di Caltagirone e prima di questa data a quella di Siracusa.

Solo nel 1844, in occasione di una riorganizzazione dell’assetto delle

circoscrizioni religiose siciliane promosso dalla Santa Sede, con

l’istituzione dei nuovi vescovati di Noto, Caltanissetta, Acireale e

Trapani, la Diocesi di Piazza Armerina assunse la conformazione attuale

cedendo alcuni dei comuni della zona centrale dell’isola ed acquisendone

degli altri nell’area a sud della città Vescovile.

1 E. FRANCHINO, La Diocesi di Piazza Armerina. Ragioni storiche della sua erezione, Piazza Armerina (EN), 1929

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Nei suoi confini quindi oggi la Diocesi ricalca in parte il territorio

dell’antica Comarca di Piazza Armerina2, comprendendo paesi dal

passato in parte comune, un tempo casali o feudi più o meno estesi,

spesso proprietà di famiglie nobiliari tra loro imparentate, e due città

demaniali (Enna e Piazza Armerina), dalla notevole importanza strategica

e militare in ambito isolano, le quali, proprio perché situate nel cuore

della Sicilia, sono state spesso protagoniste della storia dell’isola, al pari

delle ben più grandi e famose città di Palermo, Messina e Catania.

Quest’area vide fiorire le antiche civiltà dei Siculi e dei Sicani, di cui

ancora oggi rimangono numerosi resti archeologici disseminati un po’

ovunque nel territorio. A segnare il confine tra i due popoli era il fiume

Himera, oggi Salso, che scorre proprio lungo la parte centrale dell’isola,

vicinissimo ai paesi di nostro interesse.

Tutti i comuni della Diocesi possono vantare all’interno dei propri

confini insediamenti riconducibili a queste popolazioni3. Le fonti ci

hanno tramandato i nomi di alcune importanti città sicule tra cui Ibla

Geleate (o Erea), la minore delle tre ible presenti in Sicilia, Maktorion,

citata da Erodoto, Morgantina, Omphakè ed Herbita. Per tutti questi

centri, che si conosce essere sicuramente esistiti in quest’area, vengono

solo avanzate delle ipotesi sulla loro esatta ubicazione fatte sulla base dei

notevoli resti archeologici individuati. Tra questi in particolare

ricordiamo i siti rinvenuti nei pressi di Enna (Capodarso), Piazza

Armerina (Montagna di Marzo, Monte Navone, Monte Manganelli),

Butera (Desusino, Desueri), Aidone (Morgantina) e Mazzarino

(Bubbonia).

Tra le testimonianze archeologiche presenti nel territorio della Diocesi

inoltre una menzione particolare meritano il sito di Gela, importante polis 2 Il territorio siciliano nel 1583 dall’amministrazione spagnola era stato suddiviso in 44 Comarche per rendere più efficiente la gestione burocratica, soprattutto nell’accentramento e nella riscossione delle imposte. La Comarca abbracciava più comuni contigui, sia demaniali che feudali, superando quindi l’antica ripartizione, molto più vasta, in tre Valli, risalente al periodo arabo. 3 V. AMICO, Dizionario topografico della Sicilia, Palermo, 1855

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greca fondata nel VII sec. a.C. da coloni rodio – cretesi4, e soprattutto la

ricca residenza patrizia nota come Villa del Casale, sorta probabilmente

nel II sec. d.C. ma rinnovata ed ampliata nel IV sec. d.C.5

I romani infatti si insediarono stabilmente in questi luoghi, che divennero

per la Capitale dell’impero una delle principali fonti di

approvvigionamento di frumento, e fortificarono la zona con strutture

difensive quali torri e castelli, poi ristrutturati ed utilizzati in età

medievale, ed ancora oggi ancora visibili. I notabili della classe

senatoriale intanto amavano risiedere presso le loro tenute siciliane,

dedicandosi alla gestione delle loro aziende agricole ed al loro otium.

La villa, secondo alcuni addirittura nata come residenza di uno dei

Tetrarchi, Massimiano Erculeo, è giunta sino ai nostri giorni e costituisce

uno dei più begli esempi di villa rurale romana, con la sua estensione, i

suoi grandi ed articolati ambienti e la sua ricchissima decorazione

musiva, che ricopre interamente i pavimenti di tutti i vani che

costituiscono il complesso residenziale.

È con l’arrivo dei Normanni nell’isola, guidati dal Gran Conte Ruggero,

che la Sicilia venne strappata alla dominazione araba ed ebbe iniziò lo

stanziamento di genti lombarde che ha in maniera decisiva segnato la

cultura di molti dei centri dell’entroterra siculo ed in particolare

all’interno della Diocesi soprattutto dei comuni di Aidone, Piazza

Armerina ed Enna, lasciando tracce indelebili in particolare nell’idioma

locale, definito dai linguisti moderni “Gallo – italico”.

Da questo momento in poi, a causa della diffusione del sistema feudale,

sarà un fiorire di principati, marchesati e contee e la storia di questi centri

coinciderà sempre più con quella delle potenti famiglie feudali che, per

concessione regia, ne detenevano il possesso; ed anche nelle città

demaniali sarà una ristretta cerchia di famiglie aristocratiche, assieme al

clero, a governare e ad indirizzare politicamente la comunità cittadina.

4 N. VICINO, Gela nella sua storia, Modica (RG), 1981 5 B. PACE, I mosaici di Piazza Armerina, Roma, 1955

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In particolare nei tre secoli della dominazione spagnola in Sicilia nei

territori dell’entroterra, e quindi in molti dei comuni che oggi

costituiscono il territorio della Diocesi di Piazza Armerina, si rafforzerà

la presenza di poche potenti famiglie aristocratiche, le quali

accumuleranno titoli, venduti in alcuni periodi dalla stessa Corona

spagnola per aumentare le proprie entrate, e ricchezze, soprattutto

attraverso lo sfruttamento agricolo del territorio6.

Tra le più importanti famiglie feudali, che per tutto il periodo della

dominazione spagnola controlleranno il territorio della Sicilia centrale,

legandosi spesso tra loro attraverso matrimoni incrociati in modo da

unificare e quindi accrescere i loro già ingenti possedimenti, ricordiamo

la potente famiglia dei Branciforti, residente a Mazzarino e che tra i

propri titoli poteva vantare quello di Principi di Butera, primo titolo del

regno, quella dei Barrese di Pietraperzia, dei Moncada di Caltanissetta,

dei Santapau di Butera, dei Trigona di Piazza Armerina e dei

Chiaramonte.

6 S. CORRENTI, Storia di Sicilia come storia del popolo siciliano, S.G. La Punta (CT), 1995

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Fondazione e storia del Vescovato La diocesi di Piazza Armerina nasce nel 1817, dallo smembramento delle

Diocesi di Catania e di Siracusa, ed è pertanto relativamente recente, dal

momento che conta meno di duecento anni di storia7.

In Sicilia fino a questa data esistevano solamente sei Vescovati e due

Arcivescovati, per cui, già intorno alla metà del secolo XVIII, ci si era

resi conto della necessità di ridefinire l’assetto delle diocesi,

aumentandole di numero e creandone quindi delle nuove, soprattutto

nella zona centrale dell’isola.

Il processo che portò alla creazione della Diocesi di Piazza Armerina fu

lungo e complesso, caratterizzato soprattutto da aspri scontri con altre

municipalità vicine che rivendicavano per sé la Cattedra Vescovile.

È nel 1778 che per la prima volta, durante un Parlamento Generale del

Regno, viene sottolineata l’insufficienza delle diocesi esistenti,

avanzando istanza al Re Ferdinando IV di Borbone affinché,

smembrando i vasti Vescovati esistenti, ne erigesse di nuovi.

Il Re tuttavia in quella occasione prese tempo, in attesa che gli venisse

sottoposto un piano specifico, relativo alla nuova distribuzione

territoriale.

Solo nel 1802 però venne presentata al Sovrano una dettagliata relazione

contenente tale piano di smembramento, il quale prevedeva la creazione

di tre nuove Diocesi presso le sedi municipali di Caltagirone, Piazza

Armerina e Nicosia, stabilendo con esattezza quali comuni avrebbero

fatto parte delle nuove circoscrizioni religiose.

Il documento fu esaminato l’anno successivo in occasione del Parlamento

Generale del Regno, durante il quale furono anche vagliati i ricorsi

presentati dalle altre città, alcune delle quali erano state in antico a capo

di diocesi ormai non più esistenti, che si proponevano quali sedi vescovili

7 E. FRANCHINO, op. cit.

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alternative a quelle proposte (tra queste Enna – Castrogiovanni, Troina,

Cerami, Randazzo, ecc.).

La Deputazione del Regno, vagliati tutti i documenti, reputò idonee le tre

città, respingendo tutti i ricorsi e le querele. La scelta fu motivata non dal

fatto che così venivano ripristinate antiche sedi vescovili, ormai

scomparse, ma per la centralità e accessibilità dei siti, nonché per il

numero della popolazione, per le dimensioni del centro abitato, per

l’idoneità delle infrastrutture e per la nobiltà e le tradizioni storiche che

tali centri potevano vantare.

Si chiudeva così la fase preliminare e politica relativa alla creazione dei

nuovi Vescovati. Nel 1805 venne quindi avanzata dal Re delle Due

Sicilie, Ferdinando IV di Borbone, istanza al Sommo Pontefice Pio VII

affinché venissero erette le tre nuove diocesi, e tra queste quella di Piazza

Armerina.

Con decreto del 1807 il Papa nominò l’Arcivescovo di Palermo, Mons.

Raffaele Mormile, Delegato Apostolico per verificare la necessità e

l’utilità di un nuovo Vescovato presso Piazza Armerina, smembrandolo

da Catania. Furono quindi interpellati tutti i soggetti in causa, per

conoscerne l’opinione, e fu verificata l’esistenza di tutte le condizioni

tecniche per l’erezione della nuova diocesi. Alla morte di Mons. Mormile

il procedimento fu sospeso fino al 1814.

In quell’anno fu infatti ripreso dal Vicario Capitolare di Palermo, Mons.

Bernardo Serio, Vescovo titolare di Ermopoli. Morto anche Mons. Serio

suo successore fu nominato Mons. Gabriele Maria Gravina, Vescovo

titolare di Flaviopoli.

Nel frattempo la città aveva provveduto a costituire una ricca dote per la

Cattedrale e per il novello Vescovo. Erano stati realizzati inoltre il

Palazzo Vescovile, il Seminario per i chierici ed il Monte di Pietà,

necessari per ottenere la diocesi.

La nuova circoscrizione religiosa doveva essere costituita dai seguenti

paesi: Aidone, Assoro, Barrafranca, Valguarnera, Enna – Castrogiovanni,

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San Filippo, Mirabella Imbaccari, Leonforte, Nissoria, Pietraperzia,

Villarosa, Piazza Armerina.

L’inizio del processo canonico per la creazione della nuova diocesi trovò

larga eco presso i comuni coinvolti nella vicenda. Tutte le persone

interpellate (rappresentanti del clero e rappresentanti del Senato dei vari

comuni) avevano espresso parere positivo, dal momento che la nuova

situazione avrebbe portato loro diversi vantaggi, legati soprattutto alla

vicinanza con la nuova sede vescovile. Forti opposizioni erano invece

venute dalla Diocesi di Catania, che non intendeva cedere parte del suo

territorio, e da Enna – Castrogiovanni, che aspirava ad ottenere per sé il

Vescovato.

Il 10 Maggio del 1815 il Delegato Apostolico comunica le sue

conclusioni e dà parere positivo alla creazione della Diocesi di Piazza

Armerina. Al termine di questa fase del processo canonico quindi Piazza

Armerina veniva ritenuta degna Sede Vescovile.

A questo punto il processo prendeva la strada di Roma. Qui ancora

Catania ed Enna – Castrogiovanni tentarono di opporsi alla creazione

della diocesi di Piazza senza però riuscirvi.

Il 27 Marzo del 1817 infatti Piazza Armerina ottenne la Cattedra

Vescovile ed alcuni mesi dopo, il 3 Luglio del 1817, la Bolla Pontificia di

erezione della nuova diocesi fu finalmente pronta. Per curare l’esecuzione

del decreto papale viene incaricato Mons. Filippo Maria Trigona,

Vescovo di Siracusa.

Nel 1844 la Santa Sede decise di ritoccare nuovamente l’assetto delle

circoscrizioni religiose dell’isola, istituendo i nuovi Vescovati di Noto,

Caltanissetta, Acireale e Trapani. Alcune delle vecchie diocesi furono

così nuovamente modificate nei loro confini e, nel nostro caso specifico,

la Diocesi di Piazza Armerina perdette i cinque comuni di Assoro, Agira,

Leonforte, Mirabella e Nissoria, acquistando però quelli di Gela –

Terranova, Butera, Mazzarino, Niscemi e Riesi.

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I MATERIALI LAPIDEI ORNAMENTALI NEGLI ALTARI DELLE CHIESE DELLA DIOCESI DI PIAZZA ARMERINA REALIZZATI TRA IL XVI ED IL XVIII SECOLO

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Riassumendo in breve quindi, prima della creazione della nuova sede

diocesana presso Piazza Armerina, i comuni che oggi ne fanno parte

ricadevano alcuni nell’ambito della Diocesi di Catania (Enna–

Castrogiovanni, Piazza Armerina, Aidone, Barrafranca, Pietraperzia,

Villarosa, Valguarnera), mentre gli altri entro la Diocesi di Siracusa

(Butera, Gela - Terranova, Niscemi, Riesi, Mazzarino, ). I cinque comuni

della Diocesi di Siracusa, quando questa fu smembrata, agli inizi del

secolo XIX, per un breve periodo appartennero alla Diocesi di

Caltagirone, entrando a fare parte di quella di Piazza Armerina solo

successivamente, quando nuovamente fu ridefinito l’assetto delle diocesi

siciliane.

I Vescovi che hanno occupato la Cattedra di Piazza Armerina nel corso

dei suoi 186 anni di storia sono stati undici, mentre sette sono stati gli

Amministratori Diocesani che hanno retto il Vescovato nei periodi,

talvolta anche lunghi, durante i quali la sede è rimasta vacante, in attesa

della nomina del nuovo Vescovo8.

Primo Vescovo di Piazza Armerina fu Mons. Girolamo Aprile Benzo, a

partire dal 1819, dopo due anni dalla fondazione della nuova diocesi,

durante i quali era stato Mons. Gaetano Trigona a svolgere il compito di

Amministratore Diocesano.

Mons. Benzo, nativo di Caltagirone, morì ad Enna nel 1836 e da questa

data, fino al 1838, la sede Vescovile rimase vacante, retta dal secondo

Amministratore Diocesano Mons. Vincenzo Velardita.

A partire dal 1838 la Cattedra Vescovile di Piazza fu occupata dal

piazzese Mons. Pietro Naselli, secondo Vescovo, dei Principi di Aragona.

Questi tenne l’ufficio pastorale per due anni, ovvero fino al 1840, quando

vi rinunciò per rivestire la carica di Cappellano Maggiore di corte a

Napoli, al servizio del Re Ferdinando II delle due Sicilie, che lo aveva

conosciuto durante una sua visita nella città di Piazza Armerina.

8 L. VILLARI, Storia ecclesiastica della città di Piazza Armerina, Messina, 1988

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Mons. Vincenzo Velardita tornò quindi a ricoprire la carica di

Amministratore diocesano per ben quattro anni, fino al 1844.

In questa data fu nominato terzo Vescovo di Piazza Armerina Mons. Pier

Francesco Brunaccini, messinese, appartenente alla famiglia dei Principi

di San Teodoro. L’anno successivo fu però trasferito alla sede

Arcivescovile di Monreale. Fu durante la sua brevissima presenza a

Piazza che vennero ritoccati i confini della diocesi, che perse cinque

comuni acquisendone però ulteriori cinque, in occasione della creazione

nell’isola di quattro nuove diocesi.

Il terzo Amministratore Diocesano, Mons. Giuseppe Felice Lattuca, resse

la sede Vescovile fino al 1846. L’agrigentino Mons. Cesare Agostino

Sajeva infatti in quell’anno divenne il quarto Vescovo della Diocesi,

rimanendo in carica per lungo tempo, in un periodo burrascoso per la

Chiesa e per l’Italia intera, interessata dalle guerre di Indipendenza che

porteranno alla nascita dello Stato Italiano, sotto la guida della Monarchia

Sabauda. Morì nel marzo del 1867 e fu sepolto nella Cattedrale di Piazza,

in un luogo ancora oggi sconosciuto.

Seguì un nuovo e lungo periodo di vacanza della sede vescovile, la cui

reggenza era stata provvisoriamente affidata al Mons. Benedetto Maria

Trigona della Floresta, in qualità di quarto Amministratore Diocesano.

Finalmente nel 1872 giunse la nomina a quinto Vescovo di Piazza

Armerina per Mons. Francesco Saverio Gerbino. Questi governò la

Diocesi per quindici anni, fino al 1887, anno in cui fu trasferito presso la

sede Episcopale di Caltagirone, sua città natale. Venne in tempi

brevissimi nominato Mons. Mariano Palermo, proveniente dalla sede

Vescovile di Lipari, quale sesto Vescovo della Diocesi di Piazza

Armerina, insediatosi nell’anno stesso del trasferimento del suo

predecessore. Rimase in carica per lungo tempo, fino alla sua morte

avvenuta nel 1903.

Entro lo stesso anno fu nominato settimo Vescovo di Piazza Mons.

Mario Sturzo, nativo di Caltagirone, fratello e guida spirituale del famoso

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Luigi, fondatore del Partito Popolare, poi divenuto Democrazia Cristiana.

Questi resse la diocesi fino al 1941, coprendo un lungo arco di tempo, nel

quale, oltre alla Prima Guerra Mondiale, dovette fronteggiare gli anni di

miseria del dopoguerra e l’ascesa del Fascismo, cui sempre, assieme al

fratello, si oppose. Si tratta del Vescovo che per più tempo ha occupato la

sede Episcopale di Piazza Armerina, legatissimo a questa città, che

considerava la sua seconda patria, tanto da desiderare di essere alla sua

morte sepolto presso la chiesa Cattedrale, dove ancora oggi riposa.

Alla morte di Mons. Sturzo fu incaricato della gestione della diocesi il

piazzese Mons. Giuseppe La Vaccara, quale sesto Amministratore

Diocesano. Rimase in carica per un anno, fino a quando si insediò il

nuovo e ottavo Vescovo della Diocesi di Piazza Armerina, Mons.

Antonino Catarella, nativo di Cammarata (AG). Raggiunta nel 1970 l’età

di ottanta anni chiese ed ottenne di essere esonerato dal governo della

diocesi, quindi si dimise per raggiunti limiti di età. Morì solo due anni

dopo e fu anche egli sepolto nella chiesa Cattedrale di Piazza Armerina.

Intanto gli era succeduto alla guida della diocesi quale nono Vescovo

Mons. Sebastiano Rosso, nato a Chiaramente Gulfi (SR). Questi si

insediò ufficialmente nel febbraio del 1971 rimanendo in carica fino al

1986. Nel gennaio di quell’anno infatti chiese alla Santa Sede di essere

esonerato dall’incarico per motivi di salute e Papa Giovanni Paolo II

accolse la richiesta, nominando quale suo successore Mons. Vincenzo

Cirrincione, nativo di Vicari (PA), decimo Vescovo della Diocesi di

Piazza Armerina, fino al febbraio 2002, data della sua morte.

Con Mons. Michele Pennisi, nato presso Licodia Eubea (CT), undicesimo

ed attuale Vescovo di Piazza Armerina, giungiamo infine ai giorni nostri.

Dopo alcuni mesi affidati alla reggenza di Mons. Salvatore Zagarella, in

qualità di settimo Amministratore Diocesano. Il nuovo Vescovo infatti si

è ufficialmente insediato il 3 Luglio del 2002 iniziando così il suo

Ministero Episcopale.

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CAPITOLO 2

Tra Occidente ed Oriente. Sviluppi artistici ed

architettura barocca nelle città della Sicilia centrale

dalla fine del XVI al XVIII secolo

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La Sicilia nel Seicento e nel Settecento L’espressione di “secolo niente felice” è stata usata per la prima volta per

descrivere il secolo XVII dallo studioso ottocentesco V. Di Giovanni nel

suo testo intitolato Storia della filosofia in Sicilia1.

La stessa espressione è stata ripresa in tempi più recenti dallo storico

siciliano S. Correnti, nel suo libro dedicato alla Sicilia del Seicento,

sempre per definire un secolo che di fatto fu assai duro per l’isola2.

Nell’arco di cento anni infatti fu un susseguirsi continuo di carestie,

epidemie, tremende calamità naturali e sanguinose sommosse popolari,

causate soprattutto dal cattivo governo dell’amministrazione spagnola,

che vessava la Sicilia con tasse e tributi e manteneva ed incentivava una

istituzione crudele come quella del Tribunale dell’Inquisizione, lasciando

invece che miseria e brigantaggio proliferassero tra la popolazione,

mentre i membri della classe aristocratica, dall’alto dei loro privilegi e

chiusi nei loro lussuosi palazzi, continuavano a vagheggiare un governo

autonomo per la Sicilia.

Era infatti tra la nobiltà siciliana diffusa la convinzione che la Sicilia non

era stata conquistata dagli spagnoli, ma si era data ad essi per spontanea

volontà, per cui i siciliani non erano sudditi della corona spagnola bensì

di quella siciliana. In realtà dal 1412, da quando cioè si insediò nell’isola

il primo Viceré, non vi furono più monarchi residenti in Sicilia. In un

primo momento i nobili avevano ottenuto che il Viceré fosse almeno di

sangue regale, tuttavia ben presto tale vincolo non fu più tenuto in

considerazione dalla Corona spagnola, tanto che molti dei viceré furono

addirittura scelti all’interno dell’aristocrazia siciliana3. Nel corso del

secolo tuttavia furono ordite dai baroni numerose congiure contro la

Corona con l’obiettivo di eleggere un re di Sicilia tra i membri della

1 V. DI GIOVANNI, Storia della filosofia in Sicilia, Palermo, 1873, p. 245 2 S. CORRENTI, La Sicilia del Seicento, Milano, 1976, p. 17 3 Ibidem, pp. 8-9

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nobiltà locale. Tutte queste congiure furono però scoperte ed i loro

protagonisti severamente puniti dall’autorità spagnola4.

Assieme alle cospirazioni dei nobili si verificarono inoltre delle rivolte

popolari contro il governo spagnolo in varie città dell’isola. Queste

tuttavia furono sempre sedate dal potere centrale, grazie anche all’aiuto

dei baroni, ma spesso con difficoltà e, talvolta, spargimento di sangue.

Tra le rivolte meritano di essere menzionate per le dimensioni che

assunsero l’insurrezione di Palermo del 1647, guidata dall’orefice

Giuseppe D’alesi5, e quella della città di Messina, avvenuta invece negli

anni che vanno dal 1674 al 1678, e ben più grave della prima per le

ripercussioni internazionali che provocò nell’ambito della guerra tra le

due superpotenze spagnola e francese6.

È indubbio come la classe sociale più potente nella Sicilia del Seicento fu

la nobiltà, mentre la cultura e l’istruzione erano saldamente nelle mani

del clero e degli ordini religiosi, soprattutto di quello dei gesuiti.

Abbiamo prima accennato al fatto che la classe nobile, al di là di qualche

misero tentativo di ribellione, peraltro sempre fallito, in realtà vivesse

quasi inoperosa, immersa nel fasto e noncurante dei tristi destini

dell’isola, preoccupata solo di mantenere i propri privilegi.

In questi anni l’amministrazione spagnola inoltre perseguì una politica

economica che mirava a recuperare fondi attraverso la vendita di titoli

nobiliari, concessioni e privilegi. Fu quindi un proliferare di Principi,

Baroni, Conti e Marchesi, desiderosi di aumentare il loro prestigio

comperando dalla Corona tali titoli, ma in realtà sempre più sulla strada

di una lenta ed inesorabile decadenza.

Assieme ai titoli gli spagnoli vendevano anche le cosiddette “licentiae

populandi”, ovvero la prerogativa di fondare entro i propri feudi delle

nuove città. Ebbe inizio così un vasto fenomeno di colonizzazione,

4 S. CORRENTI, Storia di Sicilia, cit., pp. 157-158 5 S. CORRENTI, La Sicilia del Seicento, cit., pp. 21-22 6 Ibidem, pp. 26-30

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proseguito anche nel secolo successivo, che interessò soprattutto l’interno

della Sicilia, dove nacquero più di 150 nuovi centri, per opera non solo

dei baroni, ma anche per spontanea iniziativa dei cittadini delle stesse

comunità7. Di contro si ebbe il contemporaneo spopolamento delle città

demaniali, sulle quali maggiore era la pressione fiscale

dell’amministrazione centrale. I contadini infatti accorrevano volentieri

nei nuovi borghi, attirati dalla promessa di una terra da coltivare e da

migliori condizioni fiscali (questi centri infatti godevano per un periodo

di circa dieci anni della completa esenzione delle tasse da versare alla

Corona). I baroni attraverso questa loro iniziativa ottenevano di potere

riscuotere le tasse, riservandosi anche l’amministrazione della giustizia

civile e criminale, accrescendo il loro peso all’interno del Parlamento del

regno. Ad essi si deve generalmente la realizzazione della chiesa madre

del paese e del palazzo baronale, che per primi contribuivano alla

definizione del nuovo impianto urbano, dal momento che attorno a queste

emergenze architettoniche venivano realizzate poi le abitazioni dei

cittadini, sicuramente in forme più modeste.

Tra i comuni sorti in questi anni abbiamo Barrafranca, ad opera del

marchese Matteo III Barresi, che la chiamò così proprio per indicare le

franchigie e le esenzioni fiscali di cui questa città godeva8.

Nel 1626 fu il turno di Niscemi, per cui il Conte Giuseppe Branciforti di

Mazzarino, proprietario del feudo, ottenne il titolo di Principe, fondata

nei pressi del luogo in cui alcuni anni prima era stata rinvenuta da un

pastore una immagine della Madonna ritenuta dal popolo miracolosa ed

ancora oggi patrona di questo comune9.

7 S. BOSCARINO, Sicilia Barocca, cit., pp. 57-65 8 S. LICATA - C. OROFINO, Un paese dell’entroterra siciliano: Barrafranca. Storia, tradizioni, cultura, Caltanissetta, 1984, p. 21 9 A. MARSIANO, Geografia antropica, Caltanissetta, 1995, pp. 19-26

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Il paese di Valguarnera Caropepe fu fondato dal conte Giovanni

Valguarnera, che aveva ottenuto la “licentia aedificandi” nel 1549

dall’imperatore Carlo V10.

Nel 1647 Riesi sorge sul sito di un precedente piccolo borgo rurale,

abitato da contadini, per volontà della famiglia feudale spagnola degli

Altariva, sotto la guida amministrativa del loro procuratore in Sicilia Don

Cristoforo Benenati11.

Ultimo centro oggi facente parte della Diocesi di Piazza Armerina ad

essere stato edificato fu il paese di Villarosa nel secolo XVIII. Questo fu

fondato quindi solo molti anni dopo la prima ondata di colonizzazione

dell’interno, durante la quale erano sorti i paesi precedentemente

menzionati, quando nel 1761 il Duca Placido Notarbartolo ottenne la

“licentia populandi”12.

Il secolo XVII si chiuse in maniera drammatica con il terribile terremoto

che nel gennaio del 1693 devastò la Sicilia orientale, distruggendo intere

città e causando migliaia di vittime tra la popolazione13.

I maggiori danni alle cose ed alle persone conseguenti a tale cataclisma

furono registrati presso le città della parte più orientale dell’isola.

Catania, Noto, Avola, per ricordare solo le più famose, furono quasi

interamente abbattute dal terremoto ed intrapresero negli anni successivi

una intensa attività di ricostruzione.

Nel caso di Avola e di Noto addirittura si decise di ricostruire la città in

un sito differente dal precedente, realizzando in pochi decenni quei

capolavori dell’architettura barocca che ancora oggi possiamo

ammirare14.

10 G. GIULIANA, La Diocesi di Piazza Armerina, Caltagirone (CT), 1967, p. 257 11 G. TESTA, Riesi nella storia, Palermo, 1981 12 G. GIULIANA, op. cit., p. 269 13 S. CORRENTI, op. cit., p. 30 14 S. BOSCARINO, op. cit., pp. 52-56; p. 79

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Il terremoto raggiunse in parte anche alcune delle località della Sicilia

centrale, provocando danni molto più lievi e soprattutto nessuna vittima

tra la popolazione.

I comuni di Niscemi, Aidone, Barrafranca, Enna e Piazza Armerina

furono quelli più danneggiati dal sisma e necessitarono negli anni

seguenti di lavori di restauro di alcune delle loro chiese e dei loro palazzi.

In particolare a Niscemi quasi tutte le chiese esistenti furono ricostruite in

forme ancora più grandiose dopo il sisma e la stessa cosa grossomodo

avvenne nella cittadina di Aidone, dove i maggiori danni furono riportati

dalla chiesa madre di San Lorenzo la cui facciata fu danneggiata e poi

interamente ricostruita, e dove ancora oggi è possibile scorgere nei ruderi

del vecchio castello medievale i segni della violenza del terremoto.

I rimanenti comuni superarono pressoché indenni la sciagura e si

prodigarono nell’aiuto dei centri più danneggiati.

Il Principe di Butera Carlo Maria Carafa, signore colto ed erudito tra i più

potenti di Sicilia che risiedeva presso Mazzarino, in occasione di questo

drammatico evento dovette registrare entro i suoi possedimenti danni

consistenti oltre che in alcune delle città prima menzionate, facenti parte

dei suoi numerosi feudi, anche nella cittadina di Occhiolà, maggiormente

vicina all’epicentro del sisma, e praticamente rasa interamente al suolo.

Egli stesso immediatamente si prodigò per soccorrere la popolazione in

difficoltà inviando aiuti consistenti e si occupò personalmente della

ricostruzione del paese in un sito differente dal precedente, con il nuovo

nome di Grammichele, disegnandone il particolare impianto esagonale

con piazza al centro della città, su cui si affacciano tutti gli edifici

principali (chiesa madre, il municipio ed il palazzo del Principe), e da cui

si dipartono poi sei strade rettilinee, poste su ciascuno degli assi dei lati

dell’esagono, famoso e spesso studiato dagli urbanisti proprio per la sua

originalità15.

15 S. BOSCARINO, op. cit., pp. 82-83

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Il secolo XVIII fu invece dal punto di vista politico determinante per la

Sicilia che da regno indipendente, anche se unito ad un regno forestiero

nella persona del re, divenne subordinata ad un altro Stato, dal momento

che nel 1735 l’isola entrò di fatto a fare parte del regno dei Borboni di

Napoli, conservando solo nominalmente, per ancora alcuni decenni, la

sua prerogativa di regno indipendente16.

Ma il Settecento si era aperto con la grave crisi dinastica che aveva

interessato la Spagna alla morte di Carlo II, passata alla storia come

“guerra di successione spagnola”, culminata con il trattato di Utrecht del

1713, che sancì definitivamente la fine della dominazione spagnola

sull’isola. Da questo momento in poi infatti la Sicilia, in seguito ai nuovi

equilibri politici stabiliti dalle potenze europee, da tempo in lotta tra loro

per la supremazia sul continente, divenne proprietà del duca Vittorio

Amedeo II di Savoia, che quindi assunse il titolo di Re di Sicilia.

Egli giunse a Palermo nello stesso anno ed il 24 dicembre del 1713 venne

solennemente incoronato re nel duomo di Palermo17.

I siciliani inizialmente accolsero con entusiasmo il nuovo re credendo che

questo si sarebbe stabilito a Palermo, realizzando finalmente l’eterno e

mai concretizzato sogno di un regno di Sicilia indipendente, quale era

stato al tempo dei normanni.

Tuttavia furono ben presto delusi da Vittorio Amedeo che dopo circa un

anno di permanenza nell’isola tornò in Piemonte, nominando un viceré

che si occupasse del governo della Sicilia. Alle più alte cariche dello

Stato furono inoltre chiamati solo funzionari piemontesi, mentre le

iniziative politiche ed in materia economica e fiscale del nuovo sovrano

finirono per scontentare tutte le componenti della popolazione siciliana,

soprattutto l’aristocrazia, ancora fortemente filospagnola18.

16 S. CORRENTI, La Sicilia del Settecento, Catania, 1985, pp. 18-19 17 S. CORRENTI, Storia di Sicilia, cit., p. 174 18 S. CORRENTI, La Sicilia del Settecento, cit., pp. 28-29

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Approfittando quindi del crescente malumore contro i piemontesi della

Sicilia, la Spagna tentò di rientrarne in possesso inviando una spedizione

militare, ma fu bloccata nel suo progetto dall’intervento degli austriaci,

che a loro volta si impadronirono dell’isola.

Il governo austriaco in Sicilia fu breve e mai accettato dai siciliani. Dopo

soli quindici anni infatti il re Carlo di Borbone, sconfitti gli austriaci nella

battaglia di Bitonto nel 1734, venne a prendere possesso dell’isola,

accolto favorevolmente dalla popolazione.

Carlo venne proclamato re a Palermo nel 1735, e fu l’ultimo re ad essere

incoronato in questo luogo, assumendo il titolo di III re di Sicilia e IV re

di Napoli, mantenendo una separazione, almeno nominale, tra i due stati.

Inizia così per la Sicilia una nuova fase politica, sotto il controllo dei

Borboni di Napoli, durante la quale il nuovo re provvide a riformare lo

Stato siciliano, smantellando gradualmente il sistema feudale, che per

tutto il medioevo era stato alla base dell’organizzazione statale isolana.

Condusse con saggezza ed astuzia inoltre una lotta contro gli abusi

baronali, mentre furono mitigati i tributi, destinati da questo momento

quasi esclusivamente ai bisogni dell’isola19.

A Carlo di Borbone, divenuto nuovo re di Spagna nel 1759, successe il

figlio Ferdinando che nel 1816 divenne primo “Re delle Due Sicilie”

eliminando il doppio titolo di “Re di Sicilia” e “Re di Napoli” rimasto in

vigore fino a quel momento20.

Il Secolo XVIII si chiuse con la presenza al governo dell’isola di due

grandi viceré: il marchese Domenico Caracciolo di Villamaina ed il

principe Francesco D’Aquino di Caramaico. Entrambi questi personaggi

svolsero in Sicilia una politica riformatrice e di lotta contro una nobiltà

ormai allo sfascio e piena di debiti, riducendone i privilegi. Il Caracciolo

soppresse nel 1782 il tribunale del Sant’Uffizio, destinandone le cospicue

19 S. CORRENTI, op. cit., pp. 34-35 20 S. CORRENTI, Storia di Sicilia, cit., p. 192

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rendite alla creazione di istituti culturali, mentre il principe di Caramaico,

tra le tante sue iniziative, abolì le “angherie”, residuo del vecchio sistema

feudale di tipo medievale21.

Come abbiamo visto quindi il Settecento fu inizialmente un secolo di

incertezza politica, in seguito ai vari avvicendamenti al governo

dell’isola, e di trasformazione dell’assetto dello Stato, a partire dalla

seconda metà del secolo, ponendo fine a quella che era stata

l’organizzazione medievale del regno, a favore della creazione di uno

Stato moderno, secondo le nuove idee illuministe dell’epoca, che sempre

più prendevano piede in tutta Europa.

In tutto questo il ruolo del popolo siciliano, con le sue diverse

componenti, fu secondario e per lo più passivo. Mai infatti questo ebbe

modo di decidere le proprie sorti ed il proprio governo, mentre sempre fu

costretto ad adeguarsi alle situazioni di volta in volta predisposte da

soggetti esterni all’isola stessa, nell’ambito di superiori interessi ed

equilibri internazionali.

Soprattutto la nobiltà sembrò sempre in maniera accondiscendente

accettare i vari governi succedutisi in questi pochi anni, in cambio della

promessa del mantenimento dei propri privilegi e dei propri titoli,

illudendosi che da questi potesse nascere una forte monarchia siciliana,

finalmente indipendente, con un sovrano residente nell’isola.

Si trattava sempre della classe sociale più importante della Sicilia,

accresciutasi nel frattempo di numero e proprietaria, assieme agli

ecclesiastici, della quasi totalità delle terre che costituivano il patrimonio

terriero dell’isola; tuttavia questa aveva ormai imboccato la strada

inesorabile del declino, in seguito soprattutto alla incapacità di molti suoi

rappresentanti nell’amministrare i propri patrimoni ed alla politica

riformatrice dei nuovi dominatori Borboni, a cui prima si accennava,

tendente a diminuirne i privilegi ed a contrastarne i soprusi.

21 S. CORRENTI, La Sicilia del Settecento, cit., pp. 37-39

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I ricchi signori feudali infatti molto presto sperperarono le loro fortune

vivendo nel lusso e nello sfarzo, ritrovandosi pieni di debiti, mentre i loro

poteri in Parlamento erano ormai molto limitati22.

Le città dell’entroterra in questi anni seguiranno i destini dell’intera isola,

adeguandosi continuamente alla mutata situazione politica.

I signori feudali, proprietari di questi centri, continueranno a governare i

propri possedimenti, dedicandosi allo sfruttamento agricolo del territorio

ed impegnandosi di tanto in tanto in imprese architettoniche più o meno

rilevanti, attraverso cui manifestare la loro ricchezza ed il loro potere.

I paesi che sul finire del secolo precedente avevano subito danni ai propri

edifici in occasione del sisma del 1693 per tutto il secolo provvidero alla

loro ricostruzione, grazie ai fondi messi a disposizione dal signore

feudale, dalla nobiltà locale, oppure in seguito a mobilitazioni popolari

che portavano all’accumulo delle somme necessarie.

Molto spesso la ricostruzione, soprattutto degli edifici religiosi, avveniva

secondo programmi architettonici impegnativi, tanto da richiedere lunghi

periodi di realizzazione ed ingenti somme di denaro.

Abbiamo già detto del caso di Niscemi, dove tutte le chiese esistenti nella

cittadina, realizzate nel corso della seconda metà del secolo XVII, quando

la città era stata fondata, furono danneggiate pesantemente dal terremoto

tanto da essere ricostruite tutte nel corso del Settecento, sullo stesso sito

delle chiese preesistenti, ma in forme più grandiose e riccamente

decorate, secondo i motivi ornamentali tipici della architettura barocca.

Nel frattempo le altre città fondate nel secolo precedente, dopo la

concessione della licenza di edificazione da parte del sovrano, vedevano

la loro popolazione crescere ininterrottamente di numero, assumendo

gradualmente, da piccoli borghi quali inizialmente erano, l’aspetto e le

dimensioni di veri e propri paesi.

22 S. CORRENTI, op. cit., pp. 211-216

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Ai centri di Riesi, Niscemi, Valguarnera e Barrafranca, sorti nel corso del

secolo XVII, si aggiunse inoltre nel 1761 Villarosa, l’ultimo dei paesi

oggi facenti parte della Diocesi di Piazza Armerina ad essere stato

fondato per concessione regia della “licentia populandi”, come ricordato

in precedenza.

Anche le città demaniali di Enna e di Piazza Armerina nel corso di questo

secolo aumentarono la loro popolazione, assumendo sempre più il ruolo

di città guida attorno a cui graviteranno gli altri centri vicini,

impegnandosi inoltre in importanti realizzazioni architettoniche, quale

quella del Duomo di Piazza Armerina, ultimato intorno alla metà del

secolo XVIII, dopo lunghe e complesse vicende costruttive, iniziate nel

secolo precedente.

Piazza Armerina inoltre venne indicata dal Parlamento del regno come

possibile sede di una delle nuove diocesi che si era deciso di erigere

nell’entroterra siculo, provvedendo così ad una profonda riorganizzazione

delle circoscrizioni religiose dell’isola.

La città, nonostante la strenua opposizione di Enna, da sempre sua rivale,

diventerà sede Vescovile all’inizio del secolo successivo, al termine di un

lungo iter burocratico, condotto secondo quella che è la procedura

indicata dal diritto canonico in queste circostanze, descritto nel capitolo

precedente23.

23 E. FRANCHINO, op. cit.

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Il Barocco in Sicilia: motivi, protagonisti ed opere principali È ormai stata definitivamente abbandonata dagli studiosi di storia

dell’arte la tendenza a connotare negativamente la produzione artistica

siciliana dei secoli XVII e XVIII, considerandola di secondario interesse,

nell’ambito del panorama artistico nazionale, ed espressione della

decadenza e della corruzione dei principi dell’arte classica, che erano

stati alla base del Rinascimento italiano.

Si riteneva infatti, in maniera forse troppo superficiale, che la Sicilia

fosse rimasta estranea a quel movimento di rinnovamento artistico,

sviluppatosi intorno alla fine del Quattrocento, che aveva portato i centri

principali della penisola, e soprattutto Roma e Firenze, al superamento

dell’arte medievale, attraverso la riscoperta e la riproposizione dei motivi

tipici della classicità greca e romana, con la realizzazione di meravigliose

opere d’arte, frutto dell’ingegno di alcuni tra i più grandi artisti che la

storia abbia mai conosciuto.

Solo in un secondo momento invece, sempre secondo questa visione

semplificata e distorta della storia dell’arte siciliana, nell’isola sarebbero

stati introdotti i temi del barocco romano, passivamente imitati e

riproposti dagli artisti isolani nelle loro realizzazioni.

In realtà nell’isola la penetrazione dei temi e dei motivi del classicismo

rinascimentale romano era avvenuta, se pur in ritardo e non senza

resistenze, alla fine del secolo XVI, soprattutto in seguito all’arrivo nelle

grandi città portuali di Messina e Palermo di alcuni dei maggiori

esponenti del manierismo romano, sia nel campo dell’architettura che in

quello della scultura e della pittura, e di maestranze specializzate,

formatesi presso i principali cantieri romani, in stretto contatto con gli

architetti e gli artisti più famosi ed alla moda nella città papale in quegli

anni di grandi realizzazioni edilizie24.

24 G. GANGI, Il Barocco della Sicilia Orientale, Roma, 1964, pp. 10-14

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Successivamente invece gli artefici del nuovo linguaggio barocco

saranno quasi esclusivamente siciliani, per lo più appartenenti ad ordini

religiosi, formatisi anche attraverso viaggi a Roma e nelle principali città

europee, dove più facilmente avevano modo di aggiornarsi relativamente

alle nuove tecniche e tendenze artistiche25.

Tali nuovi temi e motivi figurativi tuttavia non furono mai passivamente

assimilati dagli artisti dell’isola, bensì accolti e rielaborati alla luce delle

precedenti esperienze artistiche siciliane, frutto a loro volta di una

situazione politica, sociale ed economica complessa, derivata dal fatto

che in Sicilia per secoli si era avuta la presenza di dominazioni straniere,

tra loro differenti, che al loro passaggio avevano lasciato profonde tracce

nella cultura della popolazione locale26.

Erano infatti ancora fortemente radicati nell’isola motivi artistici di chiara

matrice medievale normanna ed addirittura araba, riproposti assieme ai

ricchi e complessi temi ornamentali dell’arte gotico–catalana, di

derivazione spagnola, che hanno nelle torri difensive, nelle finestre e nei

ricchi portali trecenteschi e quattrocenteschi i loro esempi principali27.

È proprio grazie a questa commistione di esperienze differenti che nella

Sicilia del Seicento si ha non una fase di decadenza dell’arte bensì un

periodo di sviluppo di una nuova sensibilità artistica che si propone quale

superamento dell’arte rinascimentale stessa, considerata dagli artisti

troppo statica ed imbrigliata entro eccessive regole, ma della quale

vengono apprezzati ed accolti i principi fondamentali di ordine e rigore

della composizione, governata dalla matematica e dalla geometria, ed in

particolare, in ambito architettonico, dagli ordini di derivazione classica.

Nasce così un’arte che ha nel dinamismo la sua caratteristica principale, e

nella grandiosità delle forme, nel senso di meraviglia, nell’audacia dei

25 S. BOSCARINO, op. cit., pp. 13-14 26 G. B. COMANDE’, op. cit., p. 25 27 Ibidem, pp. 18-19

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temi proposti e nell’ornamento le sue peculiarità, che la rendono unica ed

originale nel panorama artistico italiano28.

La derivazione dal barocco romano è innegabile, soprattutto perché

dovuta alla attività di promozione di questa tendenza artistica operata

dagli ordini religiosi, profondamente radicati in un ambiente, quale era

quello siciliano, fortemente ispirato al cattolicesimo ortodosso29.

Questi, detentori di immense ricchezze, del controllo della cultura e della

istruzione, e tra i principali committenti di opere d’arte del periodo in

esame assieme all’aristocrazia feudale, erano desiderosi di riproporre in

una provincia religiosa lontana l’immagine della propria casa generalizia.

Gli artisti siciliani hanno così dato vita ad un’arte originale e dinamica,

riflesso delle complesse condizioni politiche economiche e sociali

dell’epoca, e tuttavia caratterizzata dall’equilibrio delle forme e da un

ornato fantasioso, ma sempre composto ed in armonia con la

realizzazione artistica, dove, così come in ogni altro aspetto della vita di

tutti i giorni in questo periodo, il sembrare è più importante che

l’essere30.

In ambito architettonico in particolare questi principi si esprimeranno

attraverso forme movimentate ed articolate ed attraverso la tendenza

degli artisti a prediligere quale motivo principale quello della facciata, la

cui composizione è sempre fortemente caratterizzata dal punto di vista

geometrico e volumetrico da ben proporzionati ordini architettonici,

rispetto a quello dell’interno31.

La decorazione degli esterni e degli interni, ad uso pubblico, è ricca e

fastosa, talvolta eccessiva, ma sempre regolata e ricondotta entro i limiti

precisi e le proporzioni fissate dall’ordine, in maniera tale che il tutto

risulti sempre armonioso e gradevole all’osservatore, ma allo stesso

28 Ibidem, pp. 9-12 29 S. BOSCARINO, op. cit., p. 10 30 G. B. COMANDE’, op. cit., p. 33 31 S. BOSCARINO, op. cit., p. 30

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tempo di grande effetto estetico e capace di destare in questo sentimenti

di meraviglia e di ammirazione.

Una tale concezione artistica inoltre non poteva manifestarsi soltanto

attraverso le realizzazioni architettoniche ma investiva tutti i campi

dell’arte, raggiungendo in modo particolare i suoi livelli più elevati

nell’oreficeria, nell’intarsio marmoreo ed in tutte le arti ornamentali e

decorative in genere.

Nell’arco dei circa due secoli da noi presi in considerazione verranno

realizzate in Sicilia alcune delle più belle opere del barocco europeo, e

l’isola subirà un processo generale di rinnovamento delle proprie città,

con la realizzazione di nuovi impianti viari ed edifici, che non ha avuto

precedenti nella sua storia, e che la porterà rapidamente ad assumere un

aspetto molto vicino a quello attuale.

I grandi centri portuali della costa infatti intraprenderanno un processo di

rinnovamento urbanistico, iniziato in alcuni casi già intorno alla seconda

metà del Quattrocento secondo i nuovi principi di ordine e di decoro,

creando ampie strade, piazze e lunghi assi viari rettilinei in modo da

organizzare e gerarchizzare il sistema di strade ed i quartieri delle città

stesse. Venivano valorizzati così i centri produttivi e del potere con il fine

di garantire sia un migliore svolgimento delle attività economiche

cittadine, che la presenza di luoghi fortemente scenografici che

esaltassero il fasto e la ricchezza della città, soprattutto in occasione di

festività religiose e celebrazioni politiche32.

A Palermo infatti si provvide verso la fine del ‘500 all’ingrandimento ed

al prolungamento del Cassaro (l’odierno corso Vittorio Emanuele), che

collega la cattedrale al palazzo reale, ed inoltre fu realizzata a partire dal

1609 la monumentale piazza di forma ottagonale comunemente nota

come “Quattro Canti”, opera di Giulio Lasso33.

32 G. BELLAFIORE, Architettura in Sicilia, Palermo, 1984, pp. 24-32 33 S. BOSCARINO, op. cit., pp. 22-25

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Anche a Messina negli stessi anni ci si dedicò alla creazione di moderni

assi viari, come la via d’Austria, che si sostituirono alle tortuose strade

medievali, ed alla realizzazione della “Palazzata”, opera dell’ingegnere

regio Simone Gullì, ovvero una scenografica successione di palazzi

nobiliari, situati a ridosso della zona portuale, che impressionava per la

sua eccezionale bellezza chiunque giungesse in città dal mare, ma che

purtroppo a causa dei terremoti che hanno colpito più volte Messina, in

particolare quello del 1908, non è pervenuta sino ai nostri giorni34.

Le città della Sicilia sud orientale furono purtroppo favorite in questo

processo di rinnovamento urbanistico degli impianti cittadini dal

terremoto che sconvolse questa parte dell’isola nel gennaio del 1693.

A causa dei danni ingentissimi riportati infatti molte città dovettero

provvedere alla ricostruzione di gran parte del loro centro abitato, come

nel caso della città di Catania, dove il tutto fu ricostruito sulla base di

rigide norme urbanistiche per evitare il ripetersi di tali sciagure. Si

realizzarono infatti strade più larghe e rettilinee, si crearono nuove piazze

ed edifici la cui altezza fosse proporzionata alla strada stessa.

Le città di nuova fondazione colpiscono invece per i loro originali

impianti, organizzati secondo tracciati geometrici regolari, caratterizzati

dalla presenza di ampie piazze dalla forma quadrata su cui si affacciano

le architetture più importanti, dalle magnifiche e scenografiche facciate,

realizzate secondo i principi della nuova arte barocca. In particolare i

centri nati nel corso del Seicento prediligevano impianti a maglia

ortogonale, soprattutto lo schema a scacchiera, e non sono mai delle città

chiuse da mura, caratterizzate dalla presenza di un castello medievale di

difesa, bensì città aperte, con al centro la piazza, dotata di chiesa, palazzo

baronale e municipio, ed attorno a questa le abitazioni del popolo35.

Sicuramente però le realizzazioni più cospicue per numero ed originalità

della composizione sono quelle relative all’architettura religiosa, con le

34 Ibidem, pp. 26-29 35 Ibidem, p. 58

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numerose chiese, collegi e monasteri costruiti ovunque nell’isola nel giro

di pochi decenni, in forme e dimensioni considerevoli e ricche.

A favorire la costruzione di tali opere contribuiranno soprattutto i

numerosi e ricchi ordini religiosi, in modo particolare quello dei Gesuiti,

che in questi decenni realizzerà proprie case in tutte le principali città ed

anche in alcuni dei centri minori dell’isola, ma anche quelli dei

Domenicani, dei Teatini, dei Carmelitani, solo per citare i più noti ed

attivi nel campo dell’edilizia religiosa.

Si tratta di un tipo di architettura che ha ormai fatto propri i temi ed i

motivi artistici della Controriforma, importati dal continente,

caratterizzata da impianti planimetrici poco innovativi, generalmente

longitudinali, ad una oppure a tre navate, mentre più rari sono gli edifici a

pianta centrale, o le combinazioni tra questi diversi schemi36.

La particolarità di tali realizzazioni generalmente risiede nelle articolate e

decoratissime facciate, il cui sviluppo è sempre misurato dagli ordini

architettonici, che costituiscono il telaio e la cornice entro cui poi trova

libera espressione un ricco apparato scultoreo ed ornamentale.

Mentre quindi per quel che riguarda gli impianti planimetrici delle chiese

abbiamo pochi e semplici tipi sempre ricorrenti, poco innovativi ed

ispirati alla tradizione, il tema della facciata invece presenta innumerevoli

esempi e varianti, esibendo volute ed originali soluzioni architettoniche,

alternando schemi con andamento retto e squadrato a schemi di tipo

ondeggiante sinusoidale, oppure uno o due campanili laterali, affiancati

alla composizione, alla facciata con torre-campanile centrale37.

Le maestranze che materialmente hanno costruito questi edifici hanno

una origine prevalentemente cantieristica ed artigianale38; si tratta di

uomini che hanno operato sempre all’ombra degli architetti, anche se

spesso, dopo lunghi anni di apprendistato, qualcuno di essi è riuscito ad 36 F. MINISSI, Aspetti dell’architettura religiosa del ‘700 in Sicilia, Roma, 1958, pp. 19-20 37 S. BOSCARINO, op. cit., pp. 92-94 38 Ibidem, p. 14

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elevarsi fino a raggiungere addirittura la carica di architetto o di

ingegnere, non senza essere prima passato per i gradini di apprendista e

poi di responsabile della realizzazione.

Sarebbe lungo citare tutti i protagonisti che in qualche modo hanno

contribuito alla ideazione e realizzazione dei numerosi edifici religiosi,

innalzati nel corso dell’età barocca. Ci si limita quindi qui a ricordare, in

una rapida carrellata, solo i principali esponenti dell’architettura siciliana

e gli edifici religiosi più importanti e significativi del panorama

architettonico isolano legati ai loro nomi.

In ordine cronologico il primo architetto che incontriamo, a cavallo tra il

secolo XVI ed il secolo XVII, è il gesuita Natale Masuccio, attivo presso

diversi importanti centri siciliani, autore del progetto di trasformazione

della famosa chiesa di Casa Professa di Palermo. A lui, tra le tante opere,

sono anche attribuiti i progetti per la chiesa ed il Collegio dei Gesuiti di

Trapani e per il Collegio primario di Messina, oggi non più esistente39.

Di Simone Gullì invece abbiamo già accennato per il fatto che egli

realizzò a Messina, nei primi anni del secolo XVII, una delle opere più

significative della sensibilità artistica barocca, purtroppo non più

esistente, ovvero la “Palazzata”40.

Ritornando a Palermo dobbiamo accennare a Mariano Smiriglio, autore

del duomo della cittadina di Salemi e della chiesa del Carmine a Palermo,

ma soprattutto ideatore della prima opera architettonica palermitana

interamente decorata da intarsi in marmi policromi. Si tratta della

cappella di Santa Rosalia, nel duomo di Palermo, oggi non più esistente

perché distrutta in occasione di alcuni restauri ed ammodernamenti

Settecenteschi, nella quale quindi per la prima volta si realizza quella

fusione tra pittura, scultura ed architettura, attraverso l’uso della tecnica

decorativa detta “a mischio”, che tanta fortuna avrà soprattutto a Palermo

39 Ibidem, pp. 95-99 40 Ibidem, pp. 166-168

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in questi anni, trovando la sua massima espressione negli interni della

chiesa gesuitica di casa Professa41.

Proseguendo nella nostra rapida esposizione arriviamo quindi a trattare di

uno degli architetti più famosi del Seicento siciliano, attivo nella seconda

metà del secolo, ovvero Angelo Italia, anche egli gesuita, nativo di

Licata. Il suo nome è legato alla realizzazione della chiesa palermitana di

S. Francesco Saverio, a pianta centrale, alla chiesa madre di Palma di

Montechiaro, ad impianto basilicale, ed alla chiesa di Sant’Angelo a

Licata, sua prima opera. Ebbe modo di partecipare anche al cantiere della

chiesa di Casa Professa, a Palermo, che in quegli anni era ormai in fase di

ultimazione, realizzando la cupola, oggi non più esistente perché

ricostruita secondo un altro disegno nel 1945. Nella Sicilia Orientale,

immediatamente dopo l’evento sismico del 1693, partecipò alle attività di

ricostruzione sia come architetto, ma anche in qualità di urbanista. A lui

si deve infatti l’ideazione dell’impianto cittadino di Avola, mentre incerta

è l’attribuzione all’Italia dello schema di Noto. L’ultima opera legata al

suo nome è la chiesa madre di Alcamo, progettata alla fine del secolo in

collaborazione con Giuseppe Diamante42.

Il Secolo XVII si chiude invece con la presenza a Palermo di due

importanti architetti, attivi anche nei primi anni del secolo successivo:

Paolo Amato e Giacomo Amato, entrambi religiosi, appartenenti il primo

all’ordine degli Infermi, mentre il secondo a quello dei Crociferi.

A Paolo Amato sono attribuite molte opere, non solo architettoniche, ma

anche decorative. Il suo nome è legato soprattutto alla chiesa del SS.

Salvatore, a Palermo, ed a quella di San Giovanni Battista, a Ciminna.

Per quanto riguarda invece gli apparati decorativi, famose sono le sue

realizzazioni in marmi policromi per la chiesa di San Carlo a Palermo,

eseguiti in collaborazione con Giacomo Amato, e quelle a mischio presso

la chiesa di S. Maria di Valverde, sempre a Palermo, questa volta

41 S. PIAZZA, op. cit., pp. 22-23 42 S. BOSCARINO, op. cit., pp. 114-122

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coadiuvato da Andrea Palma, autore della monumentale facciata barocca

del duomo di Siracusa43.

Giacomo Amato invece realizza la sua opera più importante nella chiesa

di Santa Teresa alla Kalsa, ad impianto longitudinale, con navata unica ed

altari laterali incassati nelle pareti. A lui si deve anche la facciata

dell’edificio, scandita da due ordini sovrapposti di lesene44.

Spostandoci nella parte orientale dell’isola invece incontriamo a Catania

nella prima metà del Settecento Giovan Battista Vaccarini, formatosi a

Roma alla scuola di Carlo Fontana, autore della facciata del duomo della

città etnea e di alcune chiese a pianta centrale, come quella della Badia di

Sant’Agata e di San Giuliano, sempre nella stessa città. Nominato

architetto della città di Palermo dalla Deputazione del Regno si trasferirà

in questa città partecipando ai lavori di restauro e di ammodernamento

della chiesa Cattedrale45.

Tuttavia la figura più emblematica ed originale del barocco nella parte

sud orientale dell’isola è quella del siracusano Rosario Gagliardi, il quale,

formatosi come maestro artigiano, esperto nella lavorazione del legno,

operò soprattutto a Noto negli anni della ricostruzione successiva al

sisma del 1693 della città. La sua prima opera netina fu la chiesa del SS.

Crocifisso, dalla pianta basilicale a tre navate ed incompleta nel prospetto

esterno. Sempre a Noto progettò anche la chiesa ed il convento di Santa

Chiara, la cui particolarità risiede nell’impianto di forma ovale allungata

della chiesa. Nella chiesa di San Domenico infine operò una sintesi tra i

due schemi longitudinale e a pianta centrale, realizzando una facciata

fortemente convessa, con ordini sovrapposti costituiti da colonne libere

collocate nei punti di inversione della curvatura. Di lui inoltre rimangono

numerosi progetti di edifici non realizzati, che sicuramente circolarono in

43 Ibidem, pp. 123-125 44 G. B. COMANDE’, op. cit., pp. 41-42 45 G. POLICASTRO, Catania nel ‘700. Architettura, scultura, pittura, musica e teatri, Catania, 2000

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quegli anni tra gli architetti suoi seguaci, costituendo un sicuro ed

importante punto di riferimento nelle loro realizzazioni46.

Per quanto riguarda invece l’architettura civile il tema che principalmente

verrà sviluppato dagli architetti in età barocca è quello della residenza

aristocratica, ed in particolare quello della abitazione di campagna della

nobiltà, ovvero la villa47.

Ovviamente la maggior parte dei palazzi aristocratici realizzati in questo

periodo si trova a Palermo, capitale e quindi sede e centro del potere che

governava la Sicilia. Qui risiedevano quindi gran parte degli esponenti

della aristocrazia isolana, che vedevano nel palazzo un mezzo di

espressione della loro ricchezza e del loro stato di superiorità.

Tali edifici tuttavia non presentano particolari caratteri innovativi per

quel che riguarda le forme architettoniche e gli schemi planimetrici

adottati, mentre si caratterizzano per la presenza del balcone, che diventa

spesso l’elemento decorativo principale dell’intera composizione,

assieme al portale.

Le ville più belle furono invece edificate nella città di Bagheria,

vicinissima a Palermo, secondo fastosi e complessi programmi

architettonici e circondate da immensi giardini. Tra queste ricordiamo

Villa Palagonia e Villa Valguarnera, realizzate dall’architetto Tommaso

Maria Napoli48.

L’inventiva degli artisti in questi anni non si espresse esclusivamente

nelle realizzazioni di tipo architettonico, rivelandosi anche nell’ambito

delle arti pittoriche e scultoree.

Per quel che riguarda la pittura dobbiamo registrare la venuta in Sicilia di

famosi artisti provenienti dalla penisola oppure stranieri che, giunti

nell’isola intorno ai primi anni del Seicento indirizzeranno gli artisti

locali verso le nuove tendenze artistiche italiane ed europee. 46 G. GANGI, op. cit., pp. 41-47 47 S. BOSCARINO, op. cit., pp. 195-198 48 P. GIANSIRACUSA, Il Barocco siciliano: Architetti, urbanistica, scenografia, Roma, 1984, pp. 29-30

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La presenza in Sicilia di Michelangelo da Caravaggio negli anni 1609 e

1610, del pittore fiorentino Filippo Paladini, intorno ai primi anni del

secolo XVII, così come quella successiva dei pittori fiamminghi Van

Dyck e Borremans oppure del caravaggesco Mattia Preti, proveniente da

Napoli, influenzeranno in maniera decisiva infatti l’attività dei principali

artisti dell’isola di quel periodo49.

Tra i pittori siciliani più famosi ricordiamo solamente il monrealese

Pietro Novelli, vissuto nella prima metà del ‘600 ed attivo soprattutto a

Palermo, autore di numerosissime opere, sparse in tutta l’isola, iniziatore

di una vera e propria scuola, cui appartennero anche i suoi figli50.

L’attività di scultura invece in Sicilia si segnalò per una tendenza tutta

locale che prediligeva alle sculture vere e proprie sfarzosi apparati

decorativi realizzati a stucco. Questo tipo di decorazione, più economica

delle tarsie marmoree, diffusissima in tutta la Sicilia ancora alla fine del

secolo XIX, permetteva di ottenere composizioni plastiche stupefacenti

per la ricchezza e la complessità dei motivi che venivano rappresentati.

Esistevano vere e proprie famiglie specializzate in questo tipo di

decorazione che per generazioni si sono tramandate tali tecniche,

riempiendo delle loro opere la maggior parte delle chiese e dei palazzi

siciliani. Esponente supremo di questa arte in Sicilia fu il palermitano

Giacomo Serpotta51.

49 S. CORRENTI, La Sicilia del Seicento, cit., pp. 210-212 50 Ibidem, pp. 196-197 51 D. GARSTANG, G. Serpotta e gli stuccatori di Palermo, Palermo, 1990

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Tendenze artistiche nelle città dell’entroterra siciliano Nel paragrafo precedente abbiamo visto quindi quali siano stati i temi, i

protagonisti, ed alcune delle opere principali della stagione barocca

siciliana; tuttavia essi costituiscono solo una parte, anche se sicuramente

quella più conosciuta, della vicenda artistica svoltasi nell’isola nel

periodo che va dalla fine del Cinquecento a tutto il Settecento.

Accanto alle realizzazioni dei grandi centri di Palermo, Messina, Catania,

Trapani, Siracusa e Noto, esistono infatti una miriade di ulteriori esempi

di quella che è stata la sensibilità artistica barocca, disseminati presso i

piccoli centri e le città minori dell’entroterra siculo.

Il più delle volte questi episodi sono passati in secondo piano rispetto a

quelli delle più importanti città portuali, oppure sono stati addirittura

ignorati. Tuttavia rivestono anche essi grande importanza nell’ambito del

panorama artistico dell’isola, soprattutto perché ci permettono di

comprendere quali fossero i meccanismi e le modalità di diffusione dei

temi dell’arte barocca, e quindi più in generale quali fossero i rapporti

culturali che intercorrevano tra i centri del potere politico ed economico

della costa e le cittadine dell’interno.

L’area che oggi rientra nei confini della Diocesi di Piazza Armerina è

situata infatti esattamente al centro dell’isola, equidistante dai principali

centri di potere prima citati. Questa sua peculiarità di carattere geografico

ha fatto si che essa sia stata in qualche modo soggetta nel corso dei secoli

all’influenza di ciascuno di questi, mantenendo stretti contatti, di tipo

economico ma anche culturale ed artistico, tanto con la parte occidentale

dell’isola, la cui città principale è Palermo, quanto con quella orientale,

dove possiamo individuare Catania, Siracusa e Messina quali città

egemoni, e quindi punti di riferimento artistico per i paesi minori.

Tra le varie città della diocesi quindi possiamo notare come i centri

demaniali di Piazza Armerina ed Enna, che erano anche quelli più

popolati e ricchi, gravitassero prevalentemente nell’orbita di Catania,

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soprattutto perché facenti parte di quella diocesi fino ai primi anni

dell’Ottocento, ma grazie anche alla loro vicinanza con la città di

Caltagirone, dove ancora più forti erano gli influssi che giungevano dalla

città etnea e da tutta la Sicilia sud orientale.

Di contro gli altri paesi di tipo feudale, essendo proprietà dei ricchi

signori aristocratici, oltre a subire l’influenza delle vicine città demaniali,

e quindi indirettamente delle grandi città della parte orientale, erano

soggetti anche a quella di Palermo, dove si trovavano le sedi del potere

politico siciliano e dove quindi risiedevano spesso i nobili in occasione

delle riunioni del Parlamento del Regno, di cui facevano parte.

I temi ed i motivi del barocco visti in precedenza, che inizialmente erano

stati accolti dalle città portuali della costa, in poco tempo, grazie ai

frequenti contatti con l’entroterra, raggiungeranno quindi anche i paesi

oggetto di questo studio.

Essi troveranno soprattutto applicazione in ambito architettonico, dal

momento che in quegli stessi anni alcuni di questi paesi erano alle prese

con la ricostruzione successiva al terremoto del 1693, mentre altri erano

addirittura appena stati fondati in seguito all’acquisto da parte di alcuni

nobili della “licentia populandi”, per cui si stava provvedendo a dotarli di

chiese, monasteri, collegi e palazzi, ispirati alla nuova sensibilità artistica.

È alla committenza dell’aristocrazia feudale, unitamente a quella

ecclesiastica, che si deve la diffusione delle tematiche artistiche barocche

e quindi la maggior parte della produzione artistica dell’area in esame.

Erano soprattutto questi infatti che commissionavano le opere agli artisti,

rivolgendosi a quelli più in voga nell’isola e non solo, oppure

promuovevano sontuosi programmi edilizi, notevoli sia per le dimensioni

che per la qualità degli architetti chiamati ad idearli e delle maestranze

esecutrici.

Tra i committenti più importanti, appartenenti alla classe aristocratica,

ricordiamo le famiglie Branciforti e Barresi. Si tratta di due delle famiglie

più ricche e più titolate della zona; in particolare i Branciforti si

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I MATERIALI LAPIDEI ORNAMENTALI NEGLI ALTARI DELLE CHIESE DELLA DIOCESI DI PIAZZA ARMERINA REALIZZATI TRA IL XVI ED IL XVIII SECOLO

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fregiavano del prestigioso titolo di principi di Butera che gli garantiva un

posto di preminenza in parlamento, in quanto primo titolo del regno.

Il nome dei Branciforti è legato prevalentemente alle più importanti

realizzazioni di questo periodo nei centri di Mazzarino, Butera e Niscemi.

Nell’ambito di questa famiglia si distinse in modo particolare quale

committente e mecenate, oltre che studioso, letterato ed architetto, il

principe Carlo Maria Carafa52. Questi, possessore di un ingente

patrimonio e dotato di grande cultura, carisma e prestigio, promosse

presso la sua corte tutte le arti, contribuendo anche alla costruzione

oppure al restauro di molte delle chiese dei centri soggetti al suo

controllo.

A lui si deve l’ideazione del particolarissimo impianto di forma

esagonale della città di Grammichele, che rientrava tra i suoi numerosi

possedimenti, ricostruita in un nuovo sito, dopo che il terremoto del 1693

aveva raso al suolo la città precedente.

Commissionò inoltre la realizzazione della chiesa madre di Mazzarino e

di quella di Butera, nonché di numerose altre chiese minori, che durante

il suo principato furono completamente rinnovate ed abbellite. Promosse

la venuta sempre a Mazzarino dei Gesuiti, che vi aprirono uno dei loro

collegi nei primi anni del secolo XVIII, insediandosi in una struttura

conventuale di nuova realizzazione, con annessa una chiesa, voluta dallo

stesso Carafa, che fu anche progettista del complesso, e contigua al suo

magnifico palazzo, a sua volta da lui dotato di un piccolo teatro.

Nell’ambito della pittura invece si distinse quale committente del famoso

pittore Mattia Preti, seguace del Caravaggio ed attivo a Napoli alla fine

del Seicento, che realizzò per lui un dipinto raffigurante il Martirio di

Santo Stefano, collocato poi quale pala dell’altare nella chiesa del

Carmine di Mazzarino, mausoleo personale della famiglia Branciforti, e

purtroppo trafugato da ignoti nel 1982 e non ancora recuperato.

52 P. DI MARTINO, Carlo Maria Carafa. Vita ed Opere, Mazzarino (CL), 1982

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Alla famiglia Barresi, imparentatasi ben presto con i Branciforti, si

devono invece le più importanti realizzazioni dei centri di Barrafranca e

di Pietraperzia. Le chiese madri di entrambi questi paesi sono legate alla

committenza di questa famiglia ed in particolare quella di Pietraperzia ne

divenne il mausoleo ospitando le tombe di alcuni dei suoi esponenti,

realizzate in forme monumentali con marmi pregiati e sculture dal gusto

classicheggiante, opera dei più rinomati artisti del periodo53.

La stessa cosa accadeva in tutti gli altri centri vicini, dove erano le

famiglie più ricche, esponenti della aristocrazia locale, che investivano

parte dei loro denari in commissioni artistiche, in modo da accrescere il

loro prestigio e da esprimere la loro ricchezza e magnificenza, secondo

un modo di fare molto diffuso presso la nobiltà di questo periodo.

Anche presso le città demaniali le maggiori imprese artistiche vedranno

impegnati in prima fila esponenti della nobiltà cittadina quali promotori e

finanziatori delle stesse. Basti pensare alla famiglia Trigona di Piazza

Armerina grazie ai cui fondi nella città venne realizzata, nei decenni a

cavallo tra il secolo XVII e XVIII, la chiesa madre, divenuta poi chiesa

cattedrale, con il titolo di Maria SS. delle Vittorie54.

Il clero e gli ordini religiosi non furono da meno, negli stessi anni, in

questa opera di promozione e finanziamento di imprese artistiche, sia per

quel che riguarda l’architettura che nell’ambito delle altre arti, soprattutto

della pittura, della scultura e dell’oreficeria.

Gli ordini religiosi in particolare sempre più andavano radicandosi sul

territorio, invitati spesso dalle municipalità oppure dagli stessi signori

feudali, realizzando proprie case in vari centri dell’isola.

Saranno in particolare gli ordini dei Gesuiti, dei Domenicani, dei

Francescani, dei Teatini e dei Carmelitani a promuovere in questi anni la

realizzazione delle loro sedi e conventi nei paesi oggi appartenenti alla

53 L. GUARNACCIA, La chiesa Matrice di Pietraperzia, Pietraperzia (EN), s.i.d. 54 A. RAGONA, Il Santuario di Maria SS. delle Vittorie a Piazza, Piazza Armerina (EN), s.i.d.

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I MATERIALI LAPIDEI ORNAMENTALI NEGLI ALTARI DELLE CHIESE DELLA DIOCESI DI PIAZZA ARMERINA REALIZZATI TRA IL XVI ED IL XVIII SECOLO

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Diocesi di Piazza Armerina. Principalmente si stanzieranno presso le città

demaniali, che quindi oggi risultano essere le più ricche di strutture

monastiche, di dimensioni talvolta considerevoli, ma ben presto

giungeranno anche presso i centri più piccoli. I collegi dei gesuiti, per

fare un esempio, sorgeranno dapprima a Piazza Armerina e ad Enna,

mentre solo successivamente una loro casa verrà aperta anche a

Mazzarino, grazie all’interessamento del principe Carafa55.

Non vanno dimenticate nell’ambito della committenza religiosa le

numerose Confraternite e Congregazioni a carattere religioso, a cui

appartenevano gran parte della popolazione della città ed anche molti

esponenti dell’aristocrazia. A Niscemi infatti la chiesa dell’Addolorata,

che sorge presso la piazza principale della città, fu interamente ricostruita

in forme più ricche nella prima metà del Settecento per volontà della

confraternita del SS. Crocifisso e della congregazione di Maria SS.

Addolorata, che avevano la loro sede presso la chiesa stessa56.

Sempre a Niscemi, negli anni successivi al terremoto del 1693, le chiese

del paese, che erano tutte state danneggiate dal sisma, furono interamente

ricostruite grazie alle offerte raccolte presso la popolazione locale, che

quindi può essere considerata di fatto la committente di tutti gli edifici a

carattere religioso della città57.

La produzione artistica di questa area, data la vasta committenza, è quindi

molto numerosa e ricca, caratterizzata prevalentemente da opere di artisti

locali, ma anche dalla presenza di molte opere di assoluto valore,

realizzate da artisti di livello superiore provenienti generalmente da

Palermo, Catania o Messina. Non mancano inoltre opere di artisti famosi

oltre i confini dell’isola, provenienti dai più famosi centri artistici d’Italia

ed anche dai paesi dell’Europa del nord.

55 A. I. LIMA, Architetti ed urbanistica della Compagnia di Gesù: fonti e documenti inediti. Secoli 16-18, Palermo, 2001 56 S. PEPI, La Basilica dell’Addolorata di Niscemi, Niscemi (CL), 1996 57 A. MARSIANO, op. cit.

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I MATERIALI LAPIDEI ORNAMENTALI NEGLI ALTARI DELLE CHIESE DELLA DIOCESI DI PIAZZA ARMERINA REALIZZATI TRA IL XVI ED IL XVIII SECOLO

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Nell’ambito della scultura le opere più importanti presenti nel territorio

da noi studiato provengono dalla bottega dei Gagini, una famiglia di

scultori e costruttori attiva soprattutto a Palermo e nella parte occidentale

della Sicilia. Il capostipite Domenico Gagini, proveniente da Bissone, in

Lombardia, ed allievo del Bramante, si era stabilito a Palermo alla fine

del secolo XV, importando così nell’isola i motivi della nuova arte

rinascimentale58. I suoi successori continueranno la sua opera nei due

secoli successivi ricevendo commissioni da ogni parte dell’isola; in

particolare grande successo avrà Antonello Gagini, figlio di Domenico, il

quale lavorerà presso la cattedrale di Palermo e realizzerà anche alcune

opere presso la chiesa madre di Pietraperzia, quali i portali marmorei

della chiesa ed il monumento raffigurante a rilievo una Madonna con

Bambino, commissionatigli dal marchese Matteo Barresi nella prima

metà del Cinquecento. Giandomenico Gagini, altro esponente di questa

importante famiglia di scultori, nel corso del secolo XVI sarà impegnato

nei restauri del Duomo di Enna, ed a lui si devono le basi ed i capitelli di

alcuni dei piloni della navata della chiesa59. Numerose opere dei Gagini,

o comunque attribuite alla loro bottega, si trovano inoltre presso tutti i

centri della Diocesi di Piazza Armerina. Si tratta per lo più di fonti

battesimali, acquasantiere e monumenti funebri in marmo, sempre

caratterizzati da forme eleganti ispirate chiaramente ai principi di

imitazione dell’arte classica tipici dell’età rinascimentale.

Tra queste opere ricordiamo l’arco marmoreo, realizzato da Antonio

Gagini, situato all’ingresso della Cattedrale di Piazza Armerina60, ed il

monumento funebre di Giovanni Branciforti, collocato nel chiostro

dell’attuale municipio di Mazzarino, ex convento dei Padri Carmelitani61.

Numerose sono anche le statue lignee che si trovano all’interno di gran

parte delle chiese della diocesi, rappresentanti principalmente figure di 58 G. GANGI, op. cit., pp. 12-13 59 A. RAGONA, Arte ed artisti nel Duomo di Enna, Caltagirone (CT), 1976, p. 8 60 A. RAGONA, Il Santuario di Maria SS. delle Vittorie a Piazza, cit. 61 A. D’ALEO, Mazzarino e la sua storia, San Cataldo (CL), 1991, p. 58

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Santi e della Madonna. Le opere di questo genere più belle e suggestive

sono tuttavia i Crocifissi in legno scolpito e dipinto, realizzati a

grandezza naturale con grande realismo, carichi di pathos e di grande

tensione emotiva. In questo particolare tipo di realizzazioni si distinse

nell’area di Piazza Armerina Frate Umile Pintorno da Petralia, vissuto a

cavallo tra il XVI ed il XVIII secolo62, autore del Crocifisso conservato

presso la chiesa di Sant’Anna ad Aidone e probabilmente anche di quello

della chiesa di Santa Maria di Gesù a Pietraperzia, oltre che di numerose

altre opere simili, custodite però in paesi che non ricadono all’interno

della circoscrizione religiosa oggetto del presente studio.

Le chiese della diocesi possiedono inoltre moltissimi dipinti su tela, per

lo più di discreta fattura, realizzati generalmente da artisti locali. Assieme

a questi tuttavia troviamo anche tele di buona ed eccellente fattura, opera

di pittori più rinomati.

Era Palermo il centro di riferimento in ambito pittorico per la ricca

committenza nobiliare dell’entroterra, per cui la maggior parte delle

opere è stata commissionata ad artisti attivi in area palermitana.

Importante fu poi la presenza nella zona nei primi anni del Seicento del

pittore Filippo Paladini, famoso esponente del manierismo italiano,

proveniente dalla toscana, trasferitosi in Sicilia e rimasto nell’isola fino

alla sua morte. Egli, si stabilì ed operò proprio in questa area lasciandoci

numerosi dipinti a soggetto religioso. Tra i quadri da lui realizzati

ricordiamo il ciclo di cinque tele, raffiguranti le storie della Madonna,

collocate nell’abside principale del Duomo di Enna, ed il quadro

raffigurante l’Assunta, presente nella Cattedrale di Piazza Armerina.

Altre sue opere si trovano presso i centri di Barrafranca, Pietraperzia e

Mazzarino, paese nel quale anche risiedeva63.

62 S. CORRENTI, op. cit., p. 198 63 Ibidem, p. 211

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Abbiamo già accennato in precedenza alla presenza a Mazzarino di un

dipinto del pittore caravaggesco Mattia Preti, raffigurante il Martirio di

Santo Stefano, commissionatogli intorno alla fine del secolo XVII.

Altro grande esponente della pittura siciliana di età barocca, attivo anche

in alcuni dei centri della diocesi di Piazza Armerina, fu poi il pittore

fiammingo Guglielmo Borremans, stabilitosi a Palermo nei primi anni del

Settecento, autore di importanti cicli di affreschi e di numerosi dipinti.

Egli è l’autore degli affreschi che decorano interamente l’interno della

chiesa di San Giovanni Evangelista a Piazza Armerina e di alcuni dei

dipinti conservati nel Duomo di Enna. Alla sua scuola sono poi attribuite

numerose altre opere presenti in alcune delle chiese della zona64.

Giungendo infine alle realizzazioni architettoniche va precisato che la

maggior parte di queste sono state realizzate da costruttori il più delle

volte anonimi e da maestranze locali. Si tratta di capomastri e maestri

muratori che generalmente si formavano presso i cantieri di alcune delle

città maggiori, e che quindi in virtù della loro esperienza sul campo

venivano chiamati a loro volta a realizzare degli edifici.

I progetti per le costruzioni più importanti invece venivano affidati ad

architetti ben più esperti e famosi. Così sappiamo che a Piazza Armerina,

per la realizzazione della nuova chiesa madre della città, vennero

convocati alla fine del secolo XVI a redigere un primo progetto

l’architetto napoletano Francesco Zaccarella e il fiorentino Giulio Lasso,

autore dei famosi “Quattro Canti” a Palermo. Tale progetto tuttavia non

ebbe seguito ed alcuni anni dopo un nuovo progetto fu ideato in

collaborazione dagli architetti Natale Masuccio, gesuita proveniente da

Trapani, Simone Gullì, di Messina ed ideatore della “Palazzata”, e

Giovanni Maffei, toscano. Anche in questo caso il loro progetto fu

abbandonato e solo parecchi anni dopo venne sostituito da una nuova

64 G. DI MARZO, Guglielmo Borremans di Anversa. Pittore fiammingo in Sicilia, Gela (CL), 1982

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idea progettuale opera dell’architetto romano Orazio Torriani, allievo di

Domenico Fontana65.

Non del tutto certa è inoltre la partecipazione alla stesura del progetto per

la chiesa madre di Mazzarino dell’architetto gesuita Angelo Italia66, tra i

più famosi del barocco siciliano, attivo nella seconda metà del Settecento

a Palermo ma anche nella sicilia orientale, durante i primi anni della

ricostruzione successiva al terremoto.

Forti furono anche le influenze dell’architetto siracusano Rosario

Gagliardi su alcuni dei centri più vicini alla città di Caltagirone.

Il Gagliardi infatti, famoso per le sue originali creazioni architettoniche

presso i centri di Noto e Ragusa Ibla, che sono tra le più belle ed originali

dell’architettura barocca siciliana, ci ha lasciato in questa città importanti

edifici di tipo religioso, ed è molto probabile che alla sua scuola si siano

formati capomastri come Silvestro Gugliara, attivo a Niscemi ed ideatore

della chiesa dell’Addolorata e probabilmente anche di quella della

Madonna del Bosco, ispirate sicuramente ai disegni del Gagliardi, tanto

da essere per lungo tempo erroneamente attribuite a questi67.

65 A. RAGONA, op. cit. 66 P. DI MARTINO, op. cit., p. 44 67 G. B. COMANDE’, op. cit., pp. 81-82

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CAPITOLO 3

Le pietre ornamentali nell’architettura barocca

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Marmi e Diaspri. Litotipi principali e loro località di cava Con il termine marmo in ambito petrografico si indica un particolare tipo

di roccia metamorfica generatasi in seguito al metamorfismo di

preesistenti rocce sedimentarie di tipo calcareo e/o dolomitico, ovvero di

rocce costituite in prevalenza da carbonato di calcio (CaCO3), oppure da

carbonato di calcio e magnesio [CaMg(Co3)2], e da percentuali di

impurità, variabili dallo 0 al 15 %, che ne determinano di fatto il colore.

Tuttavia, nonostante la sua definizione sia così precisa, il termine viene

correntemente usato in una accezione molto più ampia, derivatagli sin

dalla antichità romana dall’ambito commerciale, che non tiene conto di

quella che è la classificazione delle rocce messa a punto dai geologi, per

indicare tutte le pietre, ma soprattutto i materiali calcarei in grado di

acquistare lucentezza attraverso la levigatura e la lucidatura.

Anche nel presente lavoro il termine, in maniera generica, viene utilizzato

per indicare anche litotipi che, da un punto di vista prettamente

geologico, non sono affatto dei marmi.

In realtà infatti tra i litotipi individuati negli altari di età barocca delle

chiese della Diocesi di Piazza Armerina sono pochissimi i marmi

propriamente detti, mentre più generalmente si tratta di calcari compatti a

grana fine, di brecce policrome, o di altro ancora, tutti sempre

caratterizzati da pigmentazioni molto vivaci, dovute alle impurità che

sono presenti nella roccia stessa, in quantità di volta in volta differenti.

È proprio a questa variabilità nella composizione delle pietre che si deve

la grande diversità cromatica dei litotipi, molto apprezzata dagli artisti,

ma tale da renderne spesso l’identificazione molto difficoltosa,

soprattutto se basata solamente su di un esame superficiale di tipo

macroscopico del campione lapideo.

Possiamo affermare quindi che il colore è la proprietà principale di un

marmo, soprattutto se utilizzato a scopo ornamentale, poichè è quella che

immediatamente balza allo sguardo dell’osservatore, determinandone il

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più delle volte l’apprezzamento e quindi la fortuna commerciale e di

utilizzo1. Grande importanza riveste poi la tessitura della pietra, dal

momento che anche questa, assieme al colore, ne accresce la valenza

decorativa, rendendola originale ed unica grazie al disegno che la Natura,

in maniera spontanea, ha creato2.

È ovvio quindi che in un periodo come quello barocco, in cui in ambito

artistico si prediligeva tutto ciò che è vivacità e colore, meraviglia e

sfarzo, dinamismo ed esuberanza di forme, tali materiali non potessero

venire ignorati dai committenti, e tanto meno dagli artisti.

I marmi policromi già nel corso del Rinascimento, divennero infatti i

materiali prediletti per la decorazione degli interni degli edifici,

rispolverando tecniche ornamentali che hanno avuto origine in età

romana3, e che in età barocca vengono riproposte con la creazione di

finissime composizioni ad intarsio, caratterizzate sempre da un disegno

articolato e complesso.

Ad essere maggiormente apprezzate in questa fase artistica sono quindi le

pietre dai colori più vivaci e dalle tessiture più originali e strane, e

soprattutto le brecce policrome, perché maggiormente rispondenti al

gusto estetico che nei secoli XVII e XVIII si era ormai diffuso in tutta

Italia, ed anche in Europa, ed è con tali materiali quindi che vengono

rivestite interamente in questi anni le pareti di gran parte degli edifici più

importanti, soprattutto di quelli a carattere religioso4.

Dicevamo prima che l’utilizzo delle pietre a scopo ornamentale risale

all’epoca romana. Fu infatti in questo periodo storico che ai marmi venne

attribuita grande importanza artistica, ma anche elevato valore

economico, il quale cresceva tanto più quanto la pietra era apprezzata dal

1 F. CALVINO, Lezioni di litologia applicata, Padova, 1967, pp. 92-98 2 P. MATTIAS, Minerali e rocce, Roma, 1991, p. 114 3 A. BONANNI, Interraso Marmore: esempi della tecnica decorativa a intarsio in età romana, in “Marmi antichi II, cave e tecnica di lavorazione, provenienze e distribuzione”, a cura di P. Pensabene, “ studi Miscellanei, 31, 1998, pp. 259-292 4 S. PIAZZA, op. cit., pp. 17-20

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punto di vista estetico, secondo il gusto del tempo, e quanto più questa

era rara oppure difficile da reperire.

Così vennero cavate in grande quantità pietre ornamentali in tutto

l’impero romano, soprattutto in Egitto, Asia Minore e Grecia.

Da questi luoghi infatti provenivano i porfidi ed i graniti più belli, i

marmi colorati e le brecce, ed i marmi bianchi utilizzati nella statuaria.

Importanti cave esistevano in età romana anche in Italia, e tra queste

meritano una particolare menzione quelle di Luni, una località nei pressi

di Carrara, nelle quali si estraeva il marmo detto appunto lunense, molto

diffuso a partire dalla età imperiale a Roma e riscoperto ed utilizzato in

grandi quantità in epoca rinascimentale e moderna5.

Tutte le pietre cavate, dalle lontane province dell’impero, giungevano

quindi nella capitale dove venivano utilizzate per la realizzazione degli

edifici pubblici più importanti, oppure venivano acquistate dai personaggi

più ricchi per le loro residenze private.

Il marmo infatti divenne ben presto uno status symbol nella società

romana, di cui fare sfoggio per esprimere il proprio prestigio e la propria

ricchezza, mantenendo questa sua valenza anche nei secoli successivi.

Tra le pietre più apprezzate in età romana, oltre al marmo lunense,

ricordiamo anche il porfido rosso egiziano, il porfido serpentino greco, il

granito rosso, sempre proveniente dall’Egitto, e quello violetto, estratto

invece in Turchia, il marmo luculleo, o Africano, anche questo cavato

nella penisola turca, il verde antico ed il marmo rosso tenario, importati

entrambi dalla Grecia, così come il bianco pentelico, utilizzato nella

statuaria e nella costruzione dei templi,oppure i marmi bianchi di Taso e

di Paro, provenienti dalle omonime isole situate nell’Egeo, solo per

citare alcuni dei più importanti e conosciuti a Roma6.

Caduto l’impero romano molte cave furono abbandonate, mentre altre

continuarono la loro produzione in età bizantina, quando addirittura ne

5 AA. VV., Marmi antichi, Roma, 1989, p. 248 6 R. GNOLI, Marmora romana, Roma, 1988

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furono aperte di nuove. In età medievale tuttavia l’attività estrattiva si

fermò del tutto ed i monumenti dell’antichità classica divennero loro

malgrado delle immense cave da cui ricavare materiale per la costruzione

di nuovi edifici. I marmi, e le pietre ornamentali in genere, continuarono

ad essere apprezzate dagli artisti e dai sovrani, ma non furono più cavate,

ricorrendo alla più comoda pratica del reimpiego di materiali romani e

bizantini per le loro nuove realizzazioni.

Tale tendenza fu mantenuta fino a tutto il Rinascimento, ed in particolare

la città di Roma, sotto la spinta della committenza papale, vide nascere in

questo periodo alcuni dei suoi più importanti e grandiosi edifici dalla

spoliazione sistematica degli antichi monumenti di età romana imperiale.

Fig. 1 Ubicazione delle principali cave dell’area mediterranea in età romana e rinascimentale – barocca. 1. Verde Alpi; 2. Verde di Calabria; 3. Alabastro di Palombara; 4. Portoro; 5. Rosso e Verde di Levanto; 6. Breccia di Seravezza; 7. Breccia Medicea; 8. Marmo di Carrara; 9. Pavonazzetto di Siena; 10. Giallo di Siena; 11. Nero Assoluto; 12. Alabastro a Pecorella; 13. Alabastro orientale egiziano; 14. Porfido Verde Antico (Serpentino); 15. Rosso di Francia; 16. Marmo Chio; 17. Verde Antico; 18. Broccatello di Spagna; 19. Giallo Antico; 20. Breccia Corallina; 21. Marmo Troadense; 22. Cipollino Rosso (Iassense); 23. Marmo Luculleo; 24. Graniti e Porfidi egiziani; 25. Marmo Tenario (Rosso Antico); 26. Marmo Pario.

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I MATERIALI LAPIDEI ORNAMENTALI NEGLI ALTARI DELLE CHIESE DELLA DIOCESI DI PIAZZA ARMERINA REALIZZATI TRA IL XVI ED IL XVIII SECOLO

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Con l’avvento della nuova sensibilità artistica barocca la grande richiesta

di materiale lapideo per scopi ornamentali fece sì che si rendesse

necessario provvedere all’individuazione ed allo sfruttamento di nuove

cave nell’ambito stesso della penisola italiana, ricercando possibilmente

pietre che fossero “barocche”, meglio se simili nell’aspetto ai più famosi

litotipi di età romana, non più direttamente reperibili ma ancora famosi e

ricercati.

Non venne abbandonata inoltre la diffusissima pratica del reimpiego del

materiale antico, rinvenuto in occasione di scavi presso siti di età romana,

mentre si importarono anche pietre estere, provenienti soprattutto dalla

Francia, dal Belgio e dalla Spagna.

Tra queste le maggiormente utilizzate in Italia durante il periodo barocco

furono il Rosso di Francia, detto anche rosso Linguadoca, il Broccatello

di Spagna7, cavato presso Tortosa e conosciuto anche dai romani, e le

pietre nere provenienti dal Belgio.

In particolare fu la potente e ricca famiglia fiorentina de’ Medici a

dedicarsi nel Cinquecento alla cavatura, al commercio ed alla lavorazione

delle pietre ornamentali, rimettendo in funzione nell’area apuana vecchie

cave di età romana oppure aprendone delle nuove.

Sono infatti molto famose, ed anche molto utilizzate dagli artisti di tutta

Italia in questi anni, le brecce medicee ed i marmi, per lo più gialli,

provenienti dalla montagnola senese. Altre cave furono invece attivate in

territorio ligure, in Valle D’Aosta, in Calabria ed anche in Sicilia.

Tra le pietre più utilizzate in questo periodo dagli artisti, assieme a quelle

già citate di importazione, alla breccia medicea ed al marmo giallo

senese, abbiamo i verdi aostani e calabresi, molto simili al verde antico

proveniente dalla Grecia usato dai romani, il marmo nero portoro e quelli

7 R. FALCONE – L. LAZZARINI, Note storico – scientifiche sul Broccatello di Spagna, in “Marmi antichi II”, cit. in nota 4, pp. 87-97

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rossi e verdi di Levanto, tutti cavati in Liguria, ed il libeccio, molto

famoso in età barocca, proveniente dalla Sicilia8.

In particolare in Sicilia, oltre al libeccio, conosciuto anche con il nome di

diaspro tenero di Sicilia e cavato a Custonaci, nei pressi di Trapani, che,

come già detto, ebbe larga diffusione a Roma ed in tutta Italia in età

barocca per la sua particolare e vivace cromia, furono cavate anche pietre

di ogni genere e colore, soprattutto nella parte occidentale dell’isola,

presso il trapanese ed il palermitano, mentre nella parte orientale gli unici

marmi ad avere una buona diffusione tra i marmorari dell’epoca furono

quelli rossi, grigi e neri dell’area di Taormina, conosciuti già in età

romana con il nome di marmora taumeritama9.

Fig. 2 Ubicazione delle principali cave siciliane in età barocca

8 R. LA DUCA, Ricerca, criteri e metodi per lo studio dei monumenti storici in relazione all’impiego dei marmi e delle pietre, in “Marmo Tecnica Architettura”, VI, 1965, pp. 5-24 9 G. MONTANA – V. GAGLIARDO BRIUCCIA, I marmi e i diaspri del Barocco siciliano, Palermo, 1998, pp. 54-70

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Tra i litotipi siciliani più diffusi nell’isola ricordiamo quindi, insieme a

quelli già menzionati, anche il giallo di Castronovo, che riscaldato

assume delle sfumature tendenti al rosso - arancio, il rosso di San Vito Lo

Capo, il giallo di Segesta, il marmo grigio di Billiemi, il nero di Erice.

Si tratta ovviamente dei marmi che maggiormente trovarono impiego

nelle fastose decorazioni realizzate in Sicilia dagli artisti in questo

periodo, assieme a quelli di reimpiego ed a quelli importati dalla penisola

italiana, soprattutto dalla Liguria e dalla Toscana10, oppure dall’estero;

tuttavia ne circolavano in Sicilia anche molti altri, sempre cavati

nell’isola, che però hanno trovato un impiego assai più limitato e per lo

più relativo alle aree più prossime alle località in cui questi stessi

venivano estratti.

Le pietre ornamentali più belle ed apprezzate dagli artisti in età barocca

furono però i diaspri propriamente detti, ovvero pietre dure caratterizzate

da originali tessiture e cromie, e da un elevato valore economico, tanto da

essere considerati dei materiali semipreziosi, utilizzati soprattutto per la

realizzazione di oggetti ornamentali di dimensioni contenute.

Si tratta in realtà di rocce piuttosto comuni in natura, corrispondenti dal

punto di vista geologico a selci più o meno stratificate, contenenti

impurità varie (ossidi di Ferro, Manganese, ecc.), disperse nella massa

lapidea, che ne determinano la colorazione, e quindi il particolare aspetto

esteriore, rendendole di fatto preziose e differenziandole notevolmente

dalle più comuni selci11.

Si formano dalla precipitazione marina della silice di origine chimica, per

saturazione del contenuto in acido silicico (H4SiO4), oppure di origine

biologica, per sedimentazione di scheletri silicei di micro organismi.

10 Ibidem, pp. 71-74 11 L. LAZZARINI – P. EVANGELISTA, La Collezione ex Kircheriana di Diaspri siciliani del Museo di Mineralogia alla <<Sapienza>>, in “Marmi antichi II” cit. in nota 4, pp. 393-394

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Proprio a causa di questa loro composizione mineralogica sono

caratterizzate, oltre che da una particolare bellezza, anche da una

notevole durezza superficiale, ragione per cui vengono denominate

“pietre dure” e la loro lavorazione risulta particolarmente difficoltosa e

tale da richiedere grande sforzo ed abilità, oltre che perizia.

I diaspri in area mediterranea ebbero largo utilizzo già presso i

Mesopotamici e successivamente anche presso gli Egizi, i Minoici ed i

Micenei. Furono apprezzati ed utilizzati dai Greci, ed anche in età

romana ebbero una larga diffusione.

Si continuò ad utilizzarli in età Bizantina e poi Medievale, anche se in

quantità e per opere più modeste, ma fu nel Rinascimento che si ebbe una

ripresa su vasta scala della ricerca e della lavorazione dei diaspri.

Ciò avvenne soprattutto grazie all’interesse manifestato per le pietre dure

da parte di Lorenzo de’ Medici, il quale fece pervenire a Firenze da ogni

parte del mondo alcune tra le più belle pietre allora in circolazione.

Il Magnifico incrementò così la propria collezione di oggetti realizzati in

pietre dure, favorendo anche la nascita di laboratori specializzati nella

loro lavorazione, gettando così le basi per la creazione nel 1588

dell’Opificio delle Pietre Dure, presso la stessa città di Firenze12.

Molti dei diaspri più apprezzati nel Rinascimento e poi in età barocca

provenivano proprio dalla Sicilia e furono utilizzati in grande quantità in

tutta la penisola italiana ma soprattutto a Firenze, dove gli intagliatori li

impiegavano per la realizzazione dei piani dei tavoli a commesso,

riducendoli in lastre sottilissime che andavano a costituire ricche

composizioni ad intarsio, caratterizzate da ricchi intrecci di tipo

geometrico, floreale e zoomorfo13.

In Sicilia furono largamente utilizzati dai marmorari nella realizzazione

degli altari in pietre ornamentali colorate, soprattutto a Palermo,

impiegandoli in particolare per il rivestimento della zona del tabernacolo,

12 Ibidem, pp. 392-393 13 Ibidem, p. 393

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attribuendo così al materiale una valenza simbolica e quindi il compito di

sottolineare con la sua preziosità l’importanza del contenuto presente

all’interno del tabernacolo stesso.

Anche in questo caso le principali località di provenienza delle pietre

dure di Sicilia sono situate nella parte nord - occidentale dell’isola; in

particolare famosi in tutta Italia sono i diaspri gialli, rossi e verdi

provenienti da Giuliana, nel palermitano14.

Tra i diaspri più conosciuti ed utilizzati negli altari delle chiese

ricordiamo anche quelli di Monreale, Santa Cristina Gela, Piana degli

Albanesi, Caccamo, Cammarata, Termini Imerese, Collesano, Cefalù e

Prizzi, sempre in area palermitana, mentre nella parte orientale della

Sicilia le varietà più belle, generalmente screziate, sono state rinvenute

nei pressi di Taormina15.

14 G. MONTANA – V. GAGLIARDO BRIUCCIA, op. cit., pp. 76-78 15 Ibidem, p. 81

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Utilizzo delle pietre ornamentali all’interno delle chiese: principali tecniche e motivi decorativi L’abbondanza delle pietre ornamentali, di ogni colore e varietà, che come

abbiamo visto caratterizzava la Sicilia, e gli stretti rapporti commerciali

che già nel Cinquecento esistevano soprattutto con la Toscana16, i quali

favorivano l’approvvigionamento di marmi apuani e liguri, ma anche la

diffusione di temi e motivi decorativi relativi alle nuove concezioni

artistiche rinascimentali, fecero si che nell’isola rapidamente si creassero

i presupposti necessari allo sviluppo di attività artistiche e decorative

connesse alla tecnica dell’intarsio marmoreo.

In Sicilia inoltre esistevano condizioni politiche, sociali, economiche e

culturali particolarmente favorevoli alla diffusione di tale fenomeno

artistico, tanto che questo diventerà l’elemento caratterizzante del

barocco siciliano, soprattutto a partire dai primi anni del secolo XVII,

quando verranno realizzati i programmi decorativi più imponenti e

sfarzosi, relativi soprattutto ad edifici a carattere religioso17.

Le tecniche della tarsia e del commesso marmoreo erano già state

ampiamente utilizzate nelle decorazioni dei monumenti normanni, per cui

si può affermare che queste costituissero un elemento della tradizione

artistica siciliana, ancora vivo e presente nella memoria degli artisti,

soprattutto perché legato ad un periodo di splendore per la Sicilia, che

ancora nel Seicento rimpiangeva tale glorioso passato18.

Gli ordini religiosi e le più alte cariche ecclesiastiche inoltre disponevano

in questo periodo di immensi patrimoni finanziari, accumulati grazie alle

cospicue donazioni che costantemente ricevevano e , nel caso degli ordini

religiosi, grazie alle ricche doti dei figli cadetti delle famiglie

16 S. BOSCARINO, La Sicilia ed i marmorari toscani, in “Catalogo della Mostra <<Firenze e la Toscana dei Medici nell’Europa del ‘500: il potere e lo spazio. La scena del Principe>>, Firenze, 1980 17 S. PIAZZA, op. cit., pp. 17-18 18 G. MONTANA – V. GAGLIARDO BRIUCCIA, op. cit., p. 14

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aristocratiche, le quali, per non smembrare il loro patrimonio, li

spingevano ad abbracciare la vita religiosa.

Questa grande quantità di denaro veniva il più delle volte quindi investita

nella realizzazione di sontuosi programmi architettonici che riguardavano

la ristrutturazione delle vecchie chiese, non più adatte alle esigenze del

tempo, e la costruzione di nuovi ed imponenti edifici per il culto,

generalmente annessi a grandi monasteri.

La Spagna inoltre, a quel tempo detentrice del governo dell’isola, aveva

fatto del cattolicesimo il proprio instrumentum regni, incoraggiando così

gli aristocratici, laici o anche ecclesiastici, a fare sfoggio della propria

religiosità, prestigio e ricchezza commissionando agli artisti sfarzose

opere in marmo a cui legare il proprio nome e quello del proprio casato19.

La tecnica della decorazione ad intarsio, pur presente come abbiamo visto

nella tradizione artistica siciliana, si sviluppò in Sicilia grazie alla

presenza nell’isola di artisti provenienti dal continente, soprattutto da

Firenze e da Roma, centri guida per l’arte italiana di questi anni, e quindi

sotto l’influenza delle nuove tendenze artistiche che caratterizzarono il

rinascimento fiorentino e romano, e successivamente il periodo barocco.

Si manifestò inizialmente in forme molto semplici nella decorazione dei

sarcofagi e delle targhe celebrative, realizzata appunto con tessere

marmoree policrome. Solo successivamente tale tecnica raggiunse i suoi

livelli più elevati con la realizzazione di complessi motivi decorativi

negli interni delle chiese, dove a partire dalla seconda metà del ‘600 si ha

il proliferare di rilievi e tarsie in marmi policromi, eseguiti secondo la

tecnica detta “a marmi mischi e tramischi”20.

La Sicilia in questo particolare ambito si distinse nettamente dalle

analoghe vicende artistiche della penisola per l’esuberanza e la ricchezza

delle composizioni che furono realizzate in questi anni, caratterizzate

soprattutto da vivaci cromie e da un ininterrotto alternarsi di figure

19 S. PIAZZA, op. cit., pp. 17-18 20 G. MONTANA – V. GAGLIARDO BRIUCCIA, op. cit., p. 14

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vegetali, animali, umane e zoomorfe, imponendosi quindi come qualche

cosa di fortemente originale e prettamente siciliano, nell’ambito del

panorama artistico generale italiano21.

Saranno soprattutto i centri di Messina e di Palermo ad accogliere e

sviluppare in maniera originalissima tale tipo di composizione tanto che,

in particolare nella città capitale, non esiste chiesa di una certa

importanza, realizzata e decorata in questo periodo, che non presenti il

suo interno completamente ricoperto da questo genere di ornamento.

Il primo esempio di decorazione realizzata in marmi policromi a Palermo

era stato quello relativo alla Cappella di Santa Rosalia, presso la chiesa

Cattedrale della città, opera dell’architetto Mariano Smiriglio dei primi

anni del secolo XVII22, oggi non più esistente perché la cappella venne

eliminata durante dei lavori di risistemazione e restauro del Duomo,

realizzati nel corso del Settecento sotto la guida del Fuga, famoso

architetto napoletano23.

Il caso più famoso ed eclatante a Palermo, ed in tutta l’isola, di

decorazione a mischio è tuttavia quello della chiesa del Gesù di Casa

Professa, appartenente all’ordine dei gesuiti, il più ricco e potente in

questo periodo, terminata nella prima metà del Seicento ed interamente

rivestita di tarsie in marmi colorati, intrecci floreali, volute, figure umane

ed animali, tali da suscitare profondo stupore e meraviglia in chiunque si

ritrovi ad ammirarla24.

Altri importanti esempi realizzati sempre a Palermo negli stessi anni sono

quelli della chiesa del SS. Salvatore, di S. Caterina, di S. Maria in

Valverde, della cappella del Rosario, presso la chiesa di Santa Cita e di

quella dell’Immacolata, nella chiesa di San Francesco d’Assisi25.

21 S. PIAZZA, op. cit., p. 20 22 S. BOSCARINO, Sicilia Barocca, cit., p. 109 23 Ibidem, pp. 146-147 24 S. PIAZZA, op. cit., p. 37 25 G. TAMBURELLO, La grande decorazione in marmi a colore delle chiese di Palermo nel XVI e XVII secolo, in “Pamormus”, I, 3-4, 1920

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Così come a Palermo anche a Trapani ed a Monreale, e più in generale

nella Sicilia nord-occidentale, troviamo esempi di decorazioni a mischio

simili per sfarzo, complessità ed estensione tale da ricoprire intere pareti

di cappelle, o addirittura la totalità degli interni delle chiese.

Di contro nella parte orientale dell’isola la diffusione di questa pratica

decorativa risulta molto più contenuta e limitata a casi sporadici,

prediligendo invece i committenti e gli artisti la costruzione di eleganti ed

altrettanto sfarzosi altari marmorei, realizzati in grande quantità ed in

svariate forme e dimensioni, sempre secondo la tecnica dell’intarsio.

Dal punto di vista tecnico la decorazione a tarsia marmorea trae origine e

si richiama direttamente a quella tipicamente romana dell’opus sectile

utilizzata per il rivestimento dei pavimenti e delle pareti. Tuttavia non va

confusa completamente con questa dal momento che mentre nel caso

dell’opera sectilia le lastre marmoree sono collocate una accanto all’altra

su di un sottofondo di calce, nell’intarsio invece queste sono posizionate

all’interno di incavi precedentemente realizzati su di una lastra marmorea

che funge quindi da supporto per la composizione. Anche questa tecnica

era conosciuta presso i romani con il nome di interraso marmore, ma

venne applicata su ampia scala solo a partire dal tardo Quattrocento e nel

Rinascimento dai marmorari romani e fiorentini26.

Abbiamo già detto che in Sicilia le opere decorative ad intarsio marmoreo

sono meglio conosciute come “opere mischie” oppure “tramischie”. Nel

primo caso si tratta di tarsie bidimensionali, mentre nel secondo di opere

caratterizzate da parti a rilievo, talvolta dal notevole valore plastico tanto

da costituire un vero e proprio apparato scultoreo27.

Per la loro esecuzione veniva utilizzata quindi una lastra di base,

generalmente in marmo cristallino bianco, dello spessore variabile dai 4

agli 8 cm, nella quale venivano realizzati con grande precisione degli

26 L. LAZZARINI, recensione al testo “I marmi e i diaspri del barocco siciliano”, in “Recupero e Conservazione”, Anno V, 27, Aprile – Maggio 1999, pp. 10-11 27 G. MONTANA – V. GAGLIARDO BRIUCCIA, op. cit., p. 13

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incavi della profondità variabile dai 6 ai 10 mm, mentre le parti che

dovevano rimanere bianche venivano lasciate a rilievo .

Negli incavi venivano poi inserite ad incastro, e fissate con un collante, le

lastre lapidee policrome, opportunamente sagomate.

Al termine dell’inserimento delle pietre colorate l’opera veniva rifinita

con l’applicazione di particolari stucchi colorati per riempire gli eventuali

vuoti generatisi da una non perfetta rispondenza tra le lastre e gli incavi

che devono contenerle, oppure le linee appositamente realizzate mediante

un incavo a sezione triangolare, aventi scopo puramente ornamentale. Il

tutto veniva infine accuratamente levigato e lucidato ed applicato alla

parete attraverso l’utilizzo di zanche metalliche inserite nella muratura28.

Per l’esecuzione dei tramischi venivano impiegate invece lastre di base di

marmo di spessore tale da consentire che venissero ricavate, mediante

scalpellamento, tutte le parti in aggetto, oltre agli incavi destinati ad

accogliere i marmi colorati, che di solito in questi casi erano eseguiti con

maggiore profondità nella lastra29.

Lo stesso procedimento veniva utilizzato per la decorazione, oltre che

delle pareti, anche degli altari, oppure delle balaustre, dei fonti

battesimali, dei sarcofagi e delle acquasantiere, di cui numerosi esempi

sono stati individuati nelle chiese della Diocesi di Piazza Armerina.

Nel caso degli altari marmorei in particolare va sottolineato come molto

spesso si tratta di vere e proprie architetture in miniatura, nelle quali con

più libertà gli artisti-architetti di età barocca potevano dare libero sfogo

alla loro creatività attraverso l’invenzione di complesse ed articolate

forme e di tabernacoli simili ai prospetti degli edifici religiosi realizzati in

questi anni, con colonnine libere, volute ed aggetti, che sono poi la

caratteristica principale, assieme alle tarsie dei paliotti ed ai rivestimenti

in marmi policromi, di queste composizioni, così diffuse anche nei centri

minori dell’isola.

28 R. LA DUCA, op. cit., p. 17 29 Ibidem, p. 21

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Architetti, marmorari e maestranze specializzate Il processo che portava alla realizzazione degli splendidi apparati

decorativi realizzati in marmi policromi in età barocca era alquanto

complesso e vedeva coinvolte nei diversi momenti della realizzazione

varie figure a partire dai committenti, che finanziavano il progetto

dettando le linee guida ed i contenuti principali che l’opera doveva

soddisfare, ai teologi, che si occupavano di fornire agli artisti precise

indicazioni su quali storie o figure bibliche rappresentare, sulla sequenza

iconografica da rispettare e sui fini morali e devozionali da seguire30, agli

architetti-artisti, che invece eseguivano i disegni ed i modelli, fino ad

arrivare alle maestranze specializzate nell’intaglio della pietra, ovvero i

marmorari, o lapidum incisores31, i quali materialmente eseguivano

l’opera, seguendo le precise indicazioni fornite dagli artisti.

Oggi conosciamo i nomi di molti degli artisti che a partire dal secolo

XVII idearono gran parte delle decorazioni a mischio eseguite nella città

di Palermo, che costituisce il luogo in cui principalmente questa

particolare forma d’arte si espresse raggiungendo i suoi livelli più elevati.

Si trattava generalmente di architetti appartenenti ad ordini religiosi di

vario genere, detentori di un vero e proprio monopolio sulla cultura e

sull’istruzione in questa epoca. Oltre agli architetti in alcuni casi, anche

se rari, troviamo dei pittori chiamati a dare forma ai programmi

iconografici e decorativi messi a punto dai teologi.

Tra gli architetti ricordiamo Mariano Smiriglio, attivo anche come

pittore, a cui viene attribuita la prima cappella interamente decorata da

tarsie marmoree presso il Duomo di Palermo; il gesuita Angelo Italia,

autore del disegno della decorazione della cappella del Crocifisso del

Duomo di Monreale; Andrea Palma, progettista di una parte della

decorazione della chiesa di Santa Caterina; Nicolò Palma, attivo presso la 30 S. PIAZZA, op. cit., p. 21 31 G. CHIELLO, I materiali lapidei ornamentali negli interni delle chiese barocche di Catania, Tesi di Laurea, rel. Prof. L. Lazzarini, IUAV, a.a. 1995-96, pp. 31-32

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chiesa di Santa Chiara; Giacomo Amato, autore assieme al più famoso

Paolo Amato delle decorazioni marmoree della chiesa di San Carlo alla

Fieravecchia; Natale Masuccio, trapanese ed anche lui appartenente alla

Compagnia di Gesù, autore del complesso (chiesa + Collegio) dei gesuiti

a Trapani e delle decorazioni degli interni32.

Tuttavia il più grande protagonista della decorazione barocca a Palermo

fu l’architetto Paolo Amato, ideatore degli apparati decorativi delle chiese

più importanti della città. Il suo nome è rimasto maggiormente legato alla

chiesa palermitana del SS. Salvatore, che egli progettò dalle fondamenta,

dirigendone i lavori di costruzione e disegnandone infine le decorazioni

dell’interno realizzate appunto in marmi policromi. Lavorò inoltre presso

il cantiere di casa Professa, dove si dedicò alla realizzazione del

rivestimento marmoreo della cappella dell’Immacolata. Figura anche

quale progettista delle strutture murarie e degli apparati decorativi della

chiesa di Santa Chiara, oggi non più esistenti33.

Tra i pittori attivi sempre a Palermo negli stessi anni, coinvolti nella

decorazione marmorea degli interni degli edifici religiosi, non vanno

dimenticati Vincenzo Marchesi e Antonio Vasquez, autori dei disegni di

parte della decorazione degli interni di Casa Professa34.

Anche nella parte orientale dell’isola in questi stessi anni si procedeva

alla realizzazione di simili opere di decorazione, anche se si trattava per

lo più di esempi sporadici, nei quali mai furono raggiunti i livelli di

eccellenza visti nella città di Palermo.

I centri che videro sorgere le principali realizzazioni in questo ambito

artistico furono quelli di Messina e di Catania, che ricoprirono anche il

ruolo di centri guida per le città ed i centri minori che gravitavano nella

loro sfera di influenza politica, economica e culturale.

32 S. PIAZZA, op. cit., pp. 22-23 33 Ibidem, pp. 23-24 34 Ibidem, p. 28

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Anche qui troviamo attivi, quali ideatori dei complessi disegni e dei

motivi iconografici delle decorazioni marmoree, soprattutto gli architetti.

Da Messina in particolare proveniva la famiglia di esperti intagliatori ed

edificatori degli Amato, attiva a Catania nella ricostruzione della città

intrapresa dopo che il terremoto del 1693 la aveva rasa al suolo35.

A questa famiglia apparteneva Antonio Amato, presente quale architetto

agli inizi del Settecento presso il grande cantiere del monastero dei

benedettini. A lui successe alla guida della fabbrica il figlio Andrea,

protagonista del panorama architettonico catanese nella prima metà del

secolo XVIII, assieme agli architetti Francesco ed Antonino Battaglia e

Stefano Ittar36. Egli, oltre che architetto anche stuccatore e scultore, è

l’autore nel 1737 del progetto per la decorazione marmorea della cappella

della Madonna della Visitazione, presso il Duomo di Enna, interamente

rivestita da tarsie marmoree e da un ricco apparato scultoreo37.

Mentre i nomi dei committenti e quelli degli architetti ed artisti coinvolti

nella realizzazione delle decorazioni marmoree ad intarsio sono spesso

noti, quelli delle maestranze esecutrici sono per lo più sconosciuti,

eccetto nei casi in cui la presenza dei contratti stipulati per l’attuazione di

tali lavori non ne hanno rivelato i nomi, fornendoci così qualche

frammentaria notizia su di esse.

L’apparato decorativo, dopo essere stato concepito e disegnato dagli

artisti,e successivamente approvato dalla committenza, veniva realizzato

da una numerosa schiera di artisti e maestranze specializzate di cui

facevano parte scultori, pittori, stuccatori, intagliatori, marmorari,

muratori, indoratori, fabbri e maestri d’ascia38.

Tra questi gli unici a godere di una certa libertà creativa nella

realizzazione dell’opera erano gli scultori, dal momento che spesso gli

35 L. SARULLO, Dizionario degli artisti siciliani (Architettura, scultura, pittura), Palermo, 1993, vedi alla voce Amato 36 G. POLICASTRO, op. cit. 37 A. RAGONA, Arte ed artisti nel Duomo di Enna, cit., pp. 28-29 38 S. PIAZZA, op. cit., p. 29

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I MATERIALI LAPIDEI ORNAMENTALI NEGLI ALTARI DELLE CHIESE DELLA DIOCESI DI PIAZZA ARMERINA REALIZZATI TRA IL XVI ED IL XVIII SECOLO

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architetti fornivano loro gli ingombri principali lasciandogli una certa

libertà nella definizione finale della creazione. Tutti gli altri invece

dovevano attenersi rigorosamente alle indicazioni degli artisti, ed in

particolare ai marmorari, che di fatto erano coloro che eseguivano le

tarsie marmoree, veniva richiesta una grande capacità tecnica ma nessun

contributo creativo o interpretativo39.

Questi appartenevano generalmente a vere e proprie famiglie che per

generazioni si tramandavano di padre in figlio l’arte della tarsia

marmorea. Erano organizzati in botteghe, e più in generale si associavano

tra loro in corporazioni di mestiere e confraternite, regolate da statuti40.

Oggi, attraverso i contratti stipulati con la committenza, conosciamo i

nomi di alcune di queste famiglie di marmorari e scultori, autori oltre che

delle decorazioni parietali anche degli altari marmorei che arredano quasi

tutte le chiese realizzate in questo periodo.

In particolare a Catania ricordiamo, tra le tante famiglie di marmorari e

scultori esistenti ed attive in questi anni, quella dei Marino, la cui bottega

risulta presente anche in diverse realizzazioni nei centri dell’entroterra

siciliano, tra cui anche la stessa Piazza Armerina41.

Nel caso degli altari marmorei in particolare erano gli stessi marmorari il

più delle volte, e soprattutto in occasione di commissioni di secondaria

importanza, ad ideare e realizzare interamente la composizione,

concependone il disegno architettonico ed occupandosi personalmente

della fase decorativa, e quindi della scelta, della lavorazione e della

messa in opera dei marmi.

39 Ibidem, p. 31 40 M. R. NOBILE, Un altro Rinascimento: architetti, maestranze e cantieri in Sicilia, Benevento, 2002 41 DEMETRA società cooperativa a.r.l. (a cura di), Monumenti di Piazza Armerina, Vol. I, Piazza Armerina, 1989

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I MATERIALI LAPIDEI ORNAMENTALI NEGLI ALTARI DELLE CHIESE DELLA DIOCESI DI PIAZZA ARMERINA REALIZZATI TRA IL XVI ED IL XVIII SECOLO

IUAV - Istituto Universitario di Architettura di Venezia Corso di Laurea in Storia e Conservazione dei beni architettonici ed ambientali

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SCHEDE DI ANALISI

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I MATERIALI LAPIDEI ORNAMENTALI NEGLI ALTARI DELLE CHIESE DELLA DIOCESI DI PIAZZA ARMERINA REALIZZATI TRA IL XVI ED IL XVIII SECOLO

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Premessa alle schede di analisi degli edifici religiosi studiati Nell’ambito della Diocesi di Piazza Armerina è stata effettuata una

accurata ricognizione con il fine di individuare tutti gli altari marmorei

realizzati tra la fine del secolo XVI e la fine del secolo XVIII, decorati da

pietre ornamentali colorate, presenti all’interno delle chiese dei comuni

facenti parte di questa circoscrizione religiosa.

Grazie alla disponibilità dei parroci della diocesi, custodi di questo ricco

patrimonio artistico, è stato possibile così individuare 45 altari marmorei,

rispondenti per le loro caratteristiche alla tipologia oggetto del presente

studio, localizzati entro 26 edifici religiosi differenti. Solo le chiese di tre

dei dodici comuni appartenenti alla Diocesi di Piazza Armerina (Butera,

Villarosa, Valguarnera) sono risultate completamente prive di tali opere.

Per ciascuno di questi altari l’indagine sui litotipi è stata eseguita

esclusivamente sulla base di un esame visivo diretto, prendendo in

considerazione le caratteristiche macroscopiche delle pietre (colore,

struttura, tessitura, ecc.) e confrontando queste con i campioni di certa

identificazione, presenti sui manuali e nelle litoteche, senza l’ausilio di

analisi di laboratorio. Attraverso tale metodologia tuttavia non sempre si

riesce a pervenire ad una identificazione certa del materiale lapideo a

causa della grande varietà tessiturale e cromatica di alcuni litotipi. Solo

indagini più approfondite, basate su ricerche archivistiche ed analisi

microscopiche dei campioni marmorei, potranno sciogliere i dubbi

lasciati in sospeso dal presente lavoro, come l’esatta identificazione degli

alabastri calcarei presenti in alcuni degli altari esaminati, per i quali è

stata fornita solo una identificazione petrografica generica, oppure quello

relativo ai due differenti marmi di colore verde (Verde Alpi e Verde di

Calabria), molto simili tra loro e quindi difficilmente distinguibili a vista.

Nel caso di alcune pietre ornamentali inoltre non si è riusciti a pervenire

ad una soddisfacente identificazione per cui queste sono state indicate

nelle mappature con la sigla n.i. (marmo non identificato).

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I MATERIALI LAPIDEI ORNAMENTALI NEGLI ALTARI DELLE CHIESE DELLA DIOCESI DI PIAZZA ARMERINA REALIZZATI TRA IL XVI ED IL XVIII SECOLO

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Tutti i dati sono stati organizzati all’interno di schede di analisi, suddivise

per paesi, riguardanti ognuna di volta in volta uno degli edifici esaminati.

Per ciascuna chiesa sono state quindi fornite brevi notizie sulle sue

vicende storiche, tratte dalla bibliografia relativa all’edificio o alla

località in questione, ed una sommaria descrizione delle sue

caratteristiche principali (impianto, prospetto esterno, caratteristiche

dell’interno, presenza di ulteriori opere d’arte degne di menzione).

All’interno della scheda stessa sono infine riportati gli altari marmorei

presenti nell’edificio in questione, con la mappatura dei litotipi utilizzati,

una semplice descrizione architettonica dell’opera, e le principali notizie

riguardanti il periodo di realizzazione, la committenza e gli artisti, o le

maestranze, che li hanno eseguiti, qualora tali informazioni fossero note

attraverso la semplice consultazione della bibliografia specifica.

In appendice al lavoro è riportato inoltre un catalogo dei litotipi

individuati, composto da schede monografiche relative ad ogni singola

pietra ornamentale presente negli altari esaminati, contenenti le principali

notizie storiche e scientifiche sul materiale, correlate da illustrazioni che

ne documentano le particolari pigmentazioni.

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INDICE DEGLI EDIFICI ESAMINATI • Aidone

1. Chiesa di San Lorenzo 2. Chiesa di Sant’Anna

• Barrafranca

3. Chiesa di San Francesco

• Enna

4. Chiesa di Santa Maria della Visitazione (Duomo) 5. Chiesa Santuario di San Giuseppe 6. Chiesa di San Marco Le Vergini

• Gela

7. Chiesa di San Giuseppe (PP. Agostiniani) 8. Chiesa del SS. Salvatore e Rosario

• Mazzarino

9. Chiesa di Maria SS. della Neve (Chiesa Madre) 10. Chiesa di Maria SS. del Carmelo (Carmine) 11. Chiesa del SS. Crocifisso dell’Olmo 12. Chiesa di San Francesco di Paola

• Niscemi

13. Chiesa di Santa Maria dell’Itria (Chiesa Madre) 14. Chiesa dell’Addolorata 15. Chiesa della Madonna delle Grazie 16. Chiesa di San Francesco17. Chiesa Santuario della Madonna del Bosco 18. Chiesa di San Giuseppe

• Piazza Armerina

19. Cattedrale di Santa Maria delle Vittorie 20. Chiesa di San Rocco (Fundrò) 21. Chiesa di Santo Stefano 22. Chiesa di San Giovanni Evangelista

• Pietraperzia

23. Chiesa di Santa Maria Maggiore (Chiesa Madre) 24. Chiesa del SS. Rosario 25. Chiesa di Santa Maria di Gesù

• Riesi

26. Chiesa Santuario di Maria SS. della Catena (Chiesa Madre)

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AIDONE

1. Chiesa di San Lorenzo (chiesa madre)

2. Chiesa di Sant’Anna

Chiese con altari in marmi policromi

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Fig. 1 Prospetto Principale

UBICAZIONE :

DATAZIONE :

COMMITTENZA:

AUTORE :

BIBLIOGRAFIA :

L’edificio sorge lungo la via Roma, nelle immediatevicinanze del Castello di Aidone, nella parte piùantica della città

Data di edificazione incerta (intorno all’anno Mille)Fine del XVII secolo (ricostruzione)

Ignota

Ignoto

Mazzola G., 1913, pp. 41-42

Giuliana G., 1967, pp. 158-159Nicotra F., pp. 165-166

Chiesa di San Lorenzo(Chiesa Madre)

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Breve cenno storico:

Il culto di San Lorenzo fu portato adAidone dalla nobile famigliaromana dei Colonna Gioieni chedetenne per lungo tempo il dominiofeudale sulla cittadina. Nellaseconda metà del Seicento infattiIsabella Gioieni, che aveva ricevutoin dote Aidone avendo sposatoAntonio Colonna di Palliano,promise al Santo che lo avrebbefatto eleggere patrono di Aidone incambio della sua intercessione perla nascita del figlio. La chiesapossiede inoltre una reliquia delSanto la cui autenticità è attestata dauna pergamenta miniata del 1531recante la firma di PapaAdriano III.L’edificio sorge nel punto piùelevato della città, nei pressi delvecchio Castello di Aidone, oggiridotto ad un cumulo di rovine, ecostituiva un tempo assieme aquesto l’originario nucleo cittadino.Si tratta secondo la tradizione dellapiù antica chiesa diAidone ; tuttaviaancora incerta è la data di fondazione dell’edificio che alcuni storici collocano inepoca anteriore all’Anno Mille, anche se dai resti architettonici più antichi presentinell’edificio, quali il portale sul prospetto principale, sembra molto più probabileuna datazione intorno al secolo XIII.La struttura attuale risale invece ai primi decenni del Settecento quando in seguitoagli ingenti danni provocati dal terremoto del 1693 si rese necessaria laricostruzione quasi totale dell’edificio. In quella occasione, pur mantenendoinvariato il sito, si pensò di edificare un tempio di dimensioni maggiori. Così alprecedente impianto rettangolare furono aggiunte lungo i lati delle cappellerettangolari e si iniziò la costruzione di un campanile che però non è stato maiultimato.La facciata venne ricostruita ricollocando a caso il materiale antico a conci regolari,per cui oggi, oltre al bel portale ad arco acuto testimonianza della originaria chiesa,si notano anche in disordine delle lettere scolpite sui vari bolognini cheoriginariamente costituivano una iscrizione latina.

Fig. 2 Portale ad arco acuto realizzato in conci dipietra intagliata

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Descrizione edificio:

La chiesa così come oggi noi la vediamo è il risultato della ricostruzione effettuatain seguito al terribile terremoto del 1693 che la aveva pesantemente danneggiata.L’impianto dell’edificio, orientato con l’ingresso ad occidente e l’altare maggioread oriente, che era originariamente rettangolare fu così modificato e ridisegnatograzie alla aggiunta lungo le pareti laterali di sei cappelle laterali, tre per lato, e di uncampanile, rimasto però incompiuto.La riedificazione fu realizzata riutilizzando il materiale dell’edificio precedente edin particolare nella facciata i conci di pietra squadrata furono ricollocati anche se inmodo casuale. Le rimanenti porzionimurarie realizzate ex novo sonoinvece facilmente riconoscibili dalmomento che presentano unadifferente tessitura in conci irregolarie laterizi.La facciata risulta semplice edisadorna, impreziosita però dalportale ad arco acuto incassato in untimpano triangolare, testimonianzadella struttura precedente.L’interno, ad unica navata e copertoda una volta a botte con unghiature, èscandito da paraste aggettanti cheinquadrano le cappelle laterali e chesostengono gli arconi della volta ed èdecorato da stucchi.L’altare maggiore è della fine del ‘600e realizzato in marmi policromimentre tra le cappelle laterali una èdedicata a San Lorenzo e contiene unatela della fine del ’700 raffigurante il

Fig. 3 Vista dell’interno

Santo con gli attributi classici simboli del martirio: palma, libro, aureola, graticola,dalmatica. Tra le opere d’arte contenute nella chiesa troviamo anche un crocifissodel ‘600 nella Cappella del Sacramento, sistemato su di un altare proveniente dalMonastero di Santa Caterina o dalla Chiesa di San Domenico, e numerosesuppellettili, arredi sacri, antichi paramenti, statue e tele anche questi in parteprovenienti dalla Chiesa di Santa Caterina. Preziosissimo è il reliquiario in argentoa forma di braccio contenente la reliquia di San Lorenzo, la cui autenticità èattestata da un certificato pontificio del 1531 di Papa Adriano III su pergamenaminiata a colori..Nelle vicinanze dell’ingresso sono inoltre collocati due monumenti funebrimarmorei: uno risale al secolo XVI ed è dedicato ad un Vescovo imparentato con lafamiglia Colonna Gioeni, che per un lungo periodo detenne il dominio feudale dellacittadina; l’altro è invece dedicato ad un aidonese illustre del secolo XIX.

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L’altare è posizionato al centro dello spazio del presbiterio, sopraelevato rispettoalla quota del pavimento da due gradini marmorei, di colore bianco.Di grandi dimensioni, risale alla fine del secolo XVII e reca sul retro una lapide coniscrizione latina che ricorda le vittime del terribile terremoto del gennaio del 1693 el’anno di ultimazione dei lavori di ricostruzione della chiesa (1709).Nella parte bassa è costituito da una mensa, leggermente avanzata, con pilastrini ailati ed affiancata da corpi laterali, decorati con mensole e volute conclusive. Alcentro della mensa, inserito dentro una cornice circolare, troviamo un medaglione,circondato da foglie e volute, con all’interno intarsiata la graticola, simbolo di SanLorenzo, a cui è dedicato l’edificio ed uno degli altari delle cappelle laterali.La parte superiore presenta invece quatto gradini porta candela digradanti,inquadrati da volute ai lati, caratterizzati da leggeri aggetti e rientranze, asottolineare il disegno architettonico. Al centro poi è situato, su di un basamento, ilricco tabernacolo marmoreo a forma di tempio, con colonnine libere e volute ai latiche inquadrano lo sportello centrale e sostengono la trabeazione conclusiva.Due statue raffiguranti angeli sono inoltre oggi collocate sulle mensole dei corpilaterali della parte bassa della struttura.L’altare, dalle forme semplici ma tipicamente barocche, è realizzato in marmobianco di Carrara. Questo costituisce la struttura dell’opera ed il supporto su cuisono state eseguite le tarsie in marmi policromi che ravvivano la composizione.

Altare Maggiore

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L’altare occupa la seconda cappella del lato destro, rispetto all’ingresso principale.É posizionato nella parete di fondo del vano rettangolare, rialzato dalla quota delpavimento da un gradino in pietra, ed è

Ha dimensioni modeste ed è inserito all’interno di una struttura architettonica concolonne tortili a sostegno della trabeazione rettilinea e ricche decorazioni in stucco,dal sapore tipicamente barocco. La presenza di infiltrazioni d’acqua nella strutturaha però reso umido l’ambiente provocando così il deterioramento soprattutto degliapparati decorativi in stucco.É costituito da una mensa, leggermente avanzata rispetto alle basi che sostengonole colonne tortili della struttura superiore, con paliotto intarsiato affiancato dapilastrini, decorati in alto da teste di angeli, e da volute, che costituisconoorizzontalmente l’elemento conclusivo della composizione. Il paliotto è decorato,oltre che dai marmi policromi, anche da rilievi in bronzo, applicati alle lastremarmoree, dal motivo di ispirazione naturalistica e floreale. Tra questi troviamo ilmedaglione centrale, ovale ed incorniciato da volute, con all’interno intarsiata lagraticola, simbolo di San Lorenzo. La parte superiore presenta tre gradini portacandele ed al centro il tabernacolo, a forma di tempietto, con paraste e volutelaterali a sostegno della trabeazione e del coronamento conclusivo con volute.L’altare è arricchito anche da una tela della fine del ‘700 raffigurante San Lorenzo.

possibile che originariamente fossecollocato in un’altra chiesa (San Domenico oppure Monastero di S. Caterina).

Altare di San Lorenzo

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L’altare si trova nella terza cappella della navata di sinistra, rispetto all’ingressoprincipale, collocato sulla parete di fondo del vano, dalla forma rettangolare, erialzato dalla quota del pavimento da uno scalino.É molto simile a quello dedicato a San Lorenzo, situato nella cappella di fronte, edifferisce da questo solo per alcuni dettagli. É possibile ipotizzare quindi cheentrambi siano stati realizzati dalle medesime maestranze e nello stesso periodo.Come quello di San Lorenzo inoltre questo altare fu realizzato per un edificiodifferente e solo successivamente, dopo la realizzazione delle cappelle nella chiesanei primi anni del secolo XVIII, fu sistemato nella posizione in cui noi oggi lovediamo. L’edificio dal quale provenivano era la vicina chiesa di San Domenico,oppure il monastero di Santa Caterina.Anche in questo caso l’opera è inserita all’interno di una composizionearchitettonica complessa, dalle forme barocche, con colonne tortili su piedistallo,trabeazione e ricche decorazioni a stucco, identica a quella dell’altare precedente,che inquadra un Crocifisso del secolo XVII.L’altare come già detto è identico nelle forme a quello precedentemente decritto.Ha quindi paliotto rettangolare, volute ai lati, tre gradini e tabernacolo centrale. Inquesto caso però il paliotto è ornato da rilievi in marmo bianco ad inquadrare lelastre in marmi policromi e la tarsia centrale, simbolo della Crocifissione. Possiedeinoltre due elementi sporgenti, collocati ai bordi del primo gradino sopra la mensa.

Altare di Santissimo Sacramento

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Altare della Sacra Famiglia

L’altare è posizionato sulla parete di fondo della prima cappella lungo la parete disinistra, rispetto all’ingresso principale del tempio. Ha dimensioni modeste ed èsopraelevato dalla quota del pavimento da un gradino marmoreo.Non abbiamo notizie storiche precise su questo altare per cui non ne conosciamo nèla datazione nè le maestranze che lo eseguirono. É differente nelle forme dagli altaripresenti sempre nella chiesa di San Lorenzo, e precedentemente descritti. Sembraessere più antico rispetto a questi ultimi e databile al secolo XVII, ed anche il suostato di conservazione risulta peggiore, a causa della mancanza o sconnessione dialcuni degli elementi marmorei, e dell’umidità che interessa il vano.É costituito da una mensa con paliotto rettangolare riccamente intarsiato. Nelmarmo bianco sono infatti ricavate a rilievo figure di tipo floreale e naturalistico evolute, che inquadrano le tarsie marmoree, realizzate con pietre ornamentalicolorate. Al centro troviamo un medaglione, con sopra la corona imperiale, al cuiinterno è scolpita una croce. Il paliotto era inquadrato da due paraste marmoree,oggi non più in situ, con ai lati delle volute conclusive, leggermente arretraterispetto alla mensa. Nella parte superiore si trovano due gradini porta candeledecorati da tarsie in marmi policromi dal motivo geometrico. Precedentementedoveva esistere anche un tabernacolo marmoreo, dal momento che in un angolodella cappella stessa sono conservati vari frammenti marmorei di piccole paraste etrabeazione. Sopra l’altare è custodito il Fercolo di San Lorenzo risalente al ‘600.

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Fig. 1 Prospetto Principale

UBICAZIONE :

DATAZIONE :

COMMITTENZA:

AUTORE :

BIBLIOGRAFIA :

Si affaccia sul piano omonimo nella periferia delpaese, accanto al convento dei Padri Riformati dicui oggi rimangono alcuni resti

Seconda metà del XVI secolo

Ignota

Ignoto

Mazzola G., 1913, pp. 40-41

Giuliana G., 1967, p. 158-159Nicotra F., p. 166

Chiesa di Sant’Anna

Page 87: I MATERIALI LAPIDEI ORNAMENTALI NEGLI ALTARI DELLE CHIESE DELLA DIOCESI DI PIAZZA ARMERINA

Breve cenno storico:

Le notizie sulla Chiesa di Sant’Anna sono scarse, frammentarie e difficilmenteverificabili.Quello che però appare certo è che anche nel caso di questo edificio ci si trova difronte ad una struttura molto antica e che nel corso dei secoli è stata più volterimaneggiata e destinata ad usi differenti.Prima che sorgesse l’edificio cristiano che noi oggi ammiriamo infatti nello stessoluogo si trovava una moschea, retaggio della dominazione araba, di cui ancorarimangono alcuni frammenti murari.Questa moschea sorgeva nei pressi di un fortilizio arabo (fortilizio del Casinello)ma, una volta scacciati questi ad opera dei Normanni del Conte Ruggero, venneabbandonata e riutilizzata alcuni secoli dopo come tempio cristiano al quale venneanche annesso un monastero occupato dai Padri Riformati.Il convento di Santa Maria di Gesù degli Osservanti di San Francesco D’Assisi fufondato nel 1623 ed era convinzione diffusa che la chiesa contigua fosse sortacontemporaneamente a questo. Da una data incisa attorno ad una nicchia a sinistradell’entrata si desume invece che la chiesa sia preesistente al convento e sia statacostruita forse nel 1530.Nel 1640 il convento passò ai Padri Riformati di Palermo che dedicarono la chiesa aSanta Rosalia. Solo successivamente il Tempio riprese la denominazione diSant’Anna.

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Descrizione edificio:

La chiesa si presenta semplice e disadornacon forme architettoniche lineari chedenunciano chiaramente lo spirito“francescano” che animò l’artista.Il prospetto esterno infatti risultacaratterizzato da pochi e semplicielementi architettonici in pietra squadratainseriti entro una struttura muraria inconci irregolari: il portale, posto altermine di una ripida scalinata, la finestrarettangolare, collocata in asse con ilportale, ed il cantonale, che chiude da unlato la facciata. La copertura a duespioventi poi costituisce il coronamentotriangolare della facciata nella parte alta.Contigui alla facciata sono inoltre i restidel convento dei Padri Riformati di cuiormai non rimane che un lato del chiostro(quello adiacente alla chiesa) con arcate dimattoni in cotto e colonne doriche inpietra arenaria.L’interno è a navata unica, con unacornice continua che definisce l’impostadella copertura e delle paraste asottolineare la zona del presbiterio.Spiccano all’interno di questa sempliceconformazione architettonica le opered’arte che la chiesa possiede. Inparticolare i due altari marmoreicaratterizzati da una complessa strutturaarchitettonica con colonne corinzie supiedistallo e timpano spezzato ed ornatianche da intarsi in marmo bianco su fondoin pietra nera. Sull’altare maggiore inoltreè collocato un Crocifisso ligneo di rarabellezza, realismo e suggestione,realizzato nel 1600 da Frate UmilePintorno da Petralia.Degni di menzione sono anche i dipintiraffiguranti uno Maria Assunta in Cielo el’altro Sant’Anna che porge della frutta alBambino Gesù in braccio alla Madonna, el’armadio seicentesco a palchetti in legnointarsiato conservato nella sacrestia.

Fig. 2 Vista dell’interno

Fig. 3 Crocifisso ligneo opera di Fra’ Umileda Petralia

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L’altare è oggi collocato al centro del presbiterio e funge da mensa durante lecelebrazioni eucaristiche. Non si tratta di una intera struttura in marmo, ma di unpaliotto rettangolare, che con molta probabilità faceva in origine parte di un altare.È solo da poco tempo che occupa questa posizione, essendovi stato sistematorecentemente, nel corso di una risistemazione dell’area presbiteriale. Prima sitrovava lungo la navata laterale, fissato con dei supporti ad una delle pareti.Non si hanno notizie precise relativamente all’epoca di realizzazione dell’opera edalle maestranze che la eseguirono. Non si conoscono nemmeno le vicende chehanno interessato l’altare ed il motivo per cui ne sia rimasto solo un frammento, sepur consistente. Il paliotto rettangolare è inserito oggi entro una semplice cornicelignea, di recente realizzazione, che funge da supporto per la lastra marmorea.Questa è realizzata in marmo bianco arricchito da intarsi in marmi policromi esculture a rilievo dalle forme movimentate ed ispirate a motivi naturalistici, qualifoglie e volute. Al centro della composizione troviamo l’artistico medaglionescolpito dalle forme rotondeggianti, con al centro in rilievo una particolareraffigurazione della croce. Fa da sfondo alla mensa una struttura architettonica, coneleganti colonne su piedistallo a sostegno del timpano curvo e spezzato, checontiene entro una nicchia rettangolare il bellissimo crocifisso ligneo, opera di Fra’Umile da Petralia. La particolarità di questa struttura risiede soprattutto nei ricchiintarsi, a motivo floreale, realizzati in marmo bianco su di uno sfondo in pietra nera.

Altare Maggiore

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Altare di MariaAssunta in Cielo

L’altare è il secondo della navata di sinistra, rispetto all’ingresso principale.Si tratta in realtà di una serie di frammenti marmorei, originariamente assemblatiinsieme a costituire una vera e proprio altare (forse l’altare maggiore della chiesa),oggi collocati con dei supporti metallici alla parete, nel tentativo di ricomporre inqualche modo quello che doveva essere inizialmente l’aspetto dell’opera.È stato così posizionato al centro il paliotto della mensa, riccamente ornato dasculture, quali figure di putti, volute e medaglione allungato contenente il simbolodella croce.Ai lati sono stati posti i frammenti di due paraste, di forma rettangolare, decorate daeleganti rilievi scultorei e dagli intarsi in marmo Rosso di Francia.Nella parte superiore invece troviamo il bel tabernacolo, a forma di tempietto, conparaste e volute a sostegno della trabeazione rettilinea, affiancato da un gradinoporta candele, intarsiato con motivi di tipo floreale e naturalistico.Anche nel caso di questa opera non si conoscono l’epoca di realizzazione e lemaestranze che la hanno eseguita. Probabilmente si tratta di un altare del secoloXVII, la cui originaria conformazione e collocazione però rimangono ignote.L’altare è inserito all’interno di una nicchia ed è sormontato da un dipinto di buonafattura raffigurante la Madonna, collocato entro una ricca cornice lignea.In un angolo della chiesa sono conservati anche altri frammenti marmorei cheoriginariamente facevano parte di altari.

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BARRAFRANCA

1. Chiesa di San Francesco

Chiese con altari in marmi policromi

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Fig. 1 Prospetto Principale

UBICAZIONE :

DATAZIONE :

COMMITTENZA:

AUTORE :

BIBLIOGRAFIA :

La chiesa prospetta sulla Piazza Regina Margherita,accanto al palazzo del Comune (ex conventofrancescano cui la chiesa era annessa)

1 settembre 1694 (fondazione)

Carlo Maria Carafa, Marchese di Barrafranca ePrincipe di Butera

Michelangelo da Caltagirone, architetto

Giunta L., 1928, pp. 131-135

Orofino C.- Licata S., 1984, pp. 30-31Vicari G., 1984, pp. 41-50

Orofino C.- Licata S., 1990, p. 129

Chiesa di San Francesco

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Breve cenno storico:

Nel 1923, mentre venivano eseguiti alcuni lavori di restauro dell’edificio,casualmente fu rinvenuta una pietra recante incisa una iscrizione.Tale ritrovamento risulta molto importante per la conoscenza della storia dellachiesa dal momento che si tratta della pietra di fondazione del tempio e chel’iscrizione fornisce notizie riguardo la data di fondazione, la committenza,l’autore del progetto e le personalità presenti al momento dell’atto di fondazioneufficiale.Così sappiamo con certezza che la posa della prima pietra avvenne il giorno 1settembre dell’anno 1694, durante il marchesato di Carlo Maria Carafa, Principe diButera oltre che Marchese di Barrafranca, e che l’architetto che curò il progetto e larealizzazione dell’opera fu un certo Michelangelo da Caltagirone.Tra i nomi delle personalità presenti alla cerimonia troviamo,subito dopo quello dell’architetto di Caltagirone, anche quello di “Michael aFerula” che potrebbe corrispondere a Michele La Ferla, frate dei Minori Osservantied “esimio architetto e maestro”, che in quel periodo era impegnato nellaesecuzione del progetto dello stesso Principe Carafa per la città di Occhiolà,distrutta dal terremoto del 1693 e ricostruita in un differente sito con il nome diGrammichele. Se tale ipotesi è vera si potrebbe anche pensare ad unapartecipazione attiva di questo architetto alla definizione del progetto per la chiesadi San Francesco di Barrafranca.Accanto alla chiesa i Frati Minori Francescani realizzarono nel periodo che va dal1694 al 1697 il loro nuovo convento avendo deciso di abbandonare quello vecchioperchè situato in un’area malsana (il vecchio convento era stato fondato da MatteoIII Barresi nel 1530 in contrada Musciolino su un preesistente chiostro del 1524).Nel 1866 parte del convento è stata acquistata dall’Amministrazione comunale chelo ha adibito a sede Municipale e successivamente, abbandonato il convento daifrati, altri locali sono stati ceduti.Si ha notizia di ripetuti restauri eseguiti sull’edificio ed in particolarericordiamo quello del 1923, quando fu rinvenuta la famosa pietra, precedentementemenzionata, e fu realizzata la facciata attuale, e quelli eseguiti dal 1946 al 1950,quando fu sopraelevato il soffitto, riparata la volta, rifatti alcuni altari e rinnovato ilpavimento. Completati questi lavori la chiesa fu riconsacrata solennemente dalVescovo di PiazzaArmerina Monsignor Catarella.Oggi la chiesa è chiusa al culto, perchè in non perfetto stato di conservazione, enecessita di urgenti lavori di restauro delle strutture e degli apparati decorativi che,qualora perdurasse tale stato di abbandono, potrebbero andare irrimediabilmenteperduti.

incisi sulla pietra

inoltre

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Descrizione edificio:

La chiesa di San Francesco è l’unica traquelle di Barrafranca a godere di unaposizione invidiabile dal momento che siaffaccia su una ampia piazza e che è benvisibile dalla strada che le si apre di fronte.La facciata presenta nella parte centraleun portale in pietra, con paraste lateraliche sostengono la trabeazione, posto altermine di una ripida scalinata esormontato da una finestra rettangolarecon stipiti ed architrave, sempre in pietrasquadrata. Il portale fu realizzato nel 1713dallo scalpellino Filippo la Pergola everosimilmente ha ispirato l’artista SantoScarpulla che nel 1923 ha realizzato ilprogetto per il prospetto attuale,mantenendo il portale settecentesco, conparaste angolari su di un alto piedistallo afungere da cantonale e a sostenere latrabeazione, che a sua volta sostiene il

Fig. 2 Vista dell’interno

campanile terminale, caratterizzato da una bifora affiancata da delle volute, tipichedei prospetti delle chiese di questo periodo.La chiesa è ad una sola navata con le pareti e la volta interamente decorate dastucchi ed affreschi dai motivi architettonici e floreali, realizzati in un arco di tempomolto lungo e più volte rinnovati e restaurati. Tra gli affreschi spicca quello posto alcentro della volta raffigurante San Francesco che riceve le stigmate, restauratonegli anni ‘50 da un artista locale.Le pareti della navata sono inoltre ornate da quattro altari, due per lato, contenentimarmi, tele e statue di pregevole fattura, come quella lignea dell’Immacolataoppure del Crocifisso posta su di uno sfondo in cartapesta e stucco. Tra le tanteopere d’arte contenute nella chiesa abbiamo inoltre l’altare Maggiore, in legnoscolpito ed in parte intarsiato e dalla architettura complessa, di cui si sconoscel’autore, ed una Via Crucis dipinta da Francesco e Giuseppe Vaccaro, artistioriginari di Caltagirone, nel secolo XIX.Merita una menzione particolare quello che viene considerato il quadro più famosodi Barrafranca e che è custodito presso il Convento di San Francesco ovvero la teladi “Santa Maria degli Angeli”, che la tradizione vorrebbe fare risalire al 1244 e cheraffigura la Madonna circondata da angeli e da frati, tra i quali spicca la figura diSan Francesco. In realtà i dubbi su questa opera sono parecchi e, dal momento che sitratta di un dipinto ad olio, è impossibile che sia tanto antica. Più probabile èl’ipotesi per cui questo quadro sarebbe una copia settecentesca, realizzata ad olio,di un dipinto su tavola ben più antico, prima di proprietà del convento diBarrafranca e poi pervenuto in seguito a varie vicissitudini presso il Collegio diMaria di Caltanissetta.

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L’altare si trova entro una nicchia ad arco, lungo la parete di sinistra della navata,rispetto all’ingresso principale. É il secondo altare, dopo quello di Sant’Antonio.La parte superiore della composizione è costituita da uno sfondo, con il grandeCrocifisso, in cartapesta e stucco. Ai piedi della croce si trovano poi due statue ingesso, raffiguranti la Madonna e San Giovanni, donate al convento nel 1952.L’altare marmoreo vero e proprio si trova nella parte bassa della parete. Non se neconosce la data di realizzazione nè l’autore, tuttavia è probabile che si tratti diun’opera del tardo XVIII secolo, modificata però nelcorso del tempo con aggiunte,quali il tabernacolo in marmo bianco a forma di tempio con paraste e timpanotriangolare, palesemente più recenti.Ha forme semplici e che si richiamano a modelli presenti in area palermitana, percui potrebbe essere stato realizzato da maestranze provenienti da questa località.La mensa ha forma rettangolare, con paraste ai lati e piccoli corpi rettangolari inpietra gialla brecciata ai fianchi. Al centro troviamo il paliotto, ornato da lastre dimarmi policromi, con medaglione ovale e riquadri, definiti dal marmo giallo.Sopra la mensa sono poi due gradini porta candele, con piccole volute conclusive ailati e decorati da intarsi realizzati secondo la tecnica a marmi mischi. Sul supportodi marmo bianco, che costituisce l’intero altare, sono ricavati infatti gli incavi checontengono le piccole lastre di pietra colorata e gli stucchi attraverso i quali sonostati creati motivi di ispirazione geometrica e naturalistica.

Altare del Crocifisso

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ENNA

1. Chiesa di Maria SS. Della Visitazione

2. Chiesa Santuario di San Giuseppe

3. Chiesa di San Marco le Vergini

Chiese con altari in marmi policromi

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Fig. 1 Prospetto Principale

UBICAZIONE :

DATAZIONE :

COMMITTENZA:

AUTORE :

BIBLIOGRAFIA :

L’ingresso principale prospetta su di una piazzettaaperta da un lato sulla Via Roma, l’antica stradamaggiore

Inizio del secolo XIV (fondazione primo edificio)Secolo XVI (ricostruzione)

Regina Eleonora D’Aragona, moglie di FedericoII D’Aragona

Jacopino Salemi, capo mastro di Messina(sistemazione cinquecentesca)

Sinicropi E., 1963, pp. 115-128Giuliana G., 1967, pp. 88-94Rosso Di Cerami M., 1945Ragona A., 1976Ragona A., 1988Guarneri B., 1999, pp. 64-70Candura G., pp. 175-187

Chiesa di Santa Maria della Visitazione(Chiesa Madre)

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Breve cenno storico:

Il Duomo di Enna fu fondato nel 1307 per volontà della Regina Eleonora, moglie diFederico II D’Aragona. Sorse molto probabilmente sul luogo di una precedentechiesetta a sua volta, come racconta la tradizione, elevata sui resti dell’anticotempio pagano dedicato a Proserpina.L’edificio romanico nel 1446 fu quasi interamente distrutto da un terribile incendioche risparmiò solamente la zona del presbiterio; così da quel momento cominciò unlungo periodo di ricostruzione, abbellimento ed aggiornamento del tempio che difatto si è concluso solo nel XVIII secolo e che ha lentamente portato la chiesa al suoaspetto attuale.In un primo tempo si erano sottovalutate le conseguenze dell’incendio sullastruttura per cui si era provveduto ad accomodare le parti danneggiate senzaprendere però provvedimenti radicali.Adistanza di alcuni decenni invece gli effettidel fuoco soprattutto sui pilastri della navata si resero evidenti dal momento che siverificò il crollo nel 1549 di uno dei pilieri, immediatamente ricostruito dal maestroscalpellino fiorentino Raffaele Rosso e completato nel 1551.Dopo il primo allarme di crollo canonici e procuratori si interessarono alacrementeper il rinnovo di tutti i pilieri che davano segni di scarsa stabilità e deterioramento.Furono così rifatti anche nel 1559 il quinto piliere, dall’intagliatore e scalpellinoAntonino Catrini da Ficarra, e nel 1560 i due secondi pilieri, da GiandomenicoGagini, figlio diAntonello, che li ultimò nel 1562.Ormai però si richiedeva il rinnovo completo di tutti i pilieri, compresi i due grossipilastri dell’arcata maggiore. Per tali lavori era necessario interpellare un architettoe quindi ci si rivolse a Jacopino Salemi, capo mastro della città di Messina, il qualeprovvide a montare tutti i nuovi pilastri. A lui si deve la sistemazionecinquecentesca dell’edificio.Rifatti i pilieri si pensò a realizzare un elegante portale sul fianco meridionale deltempio ed a realizzare un tetto ligneo nella navata principale. Del primo lavoro fuincaricato lo stesso Salemi che disegnò e scolpì il portale ultimandolo nel 1574. Iltetto ligneo fu invece realizzato dal “magister lignaius”Andrea Russo da Collesanoche lo ultimò intorno al 1586..Questi diresse anche tutti i lavori murari ancora occorrenti nella chiesa, fornendodisegni ai maestri stuccatori e scalpellini per la realizzazione di cornici ed elementidecorativi nell’abside e nella porta di tramontana.Altri lavori negli anni successivi interessarono l’abside dell’edificio che fudecorato con stucchi, eseguiti dallo stuccatore e scultore Cesare Puzzo, sotto laguida del capo mastro Andrea Russo, e con un coro ligneo riccamente intagliatoopera dello scultore napoletano Scipione di Guido.Completati i lavori dell’abside si passò a decorare con stucchi la cappella dellaMadonna, affidando l’incarico nel 1595 allo stuccatore Paolo Pellegrino da Chiusa,autore anche degli stucchi dei pilastri del coro e della cappella del battistero.Contemporaneamente al Pellegrino operò nel Duomo il lo stuccatore bolognesePietro Rosso, attivo a Palermo.Gli stucchi del Pellegrino e del Rosso furono decorati dai pittori Agostino di Cara eDamiano Basile e dall’indoratore Leonardo Lupo.

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crollava nuovamente, probabilmente a causa dell’enorme peso della guglia. I lavoriper la seconda ricostruzione ebbero inizio solo nel 1681, dopo che furonoapprontati i disegni della ricostruito nuova costruzione dall’artista locale ClementeBruno.Nel 1659 fu realizzato da maestranze catanesi, sotto la guida del capo mastroGiovan Battista Caruso, il tetto ligneo del transetto, che quindi è posteriore di circaun secolo rispetto a quello della navata.Sono successivi al predetto soffitto gli stucchi del transetto ed i dipinti dei tabelloni.La decorazione in stucco fu ideata nel 1660 dal maestro Francesco Puzzo daCatania ed eseguita nel giro di quattro anni dal maestro Giovan Calogero Calamaroda Nicosia su disegni del pittore e doratore ennese Vincenzo Trimoglie.Nei quattro tabelloni in stucco del transetto furono collocati quattro dipinti delpittore napoletano Giovanni Piccinelli, eseguiti nel 1663. Nei dodici tabelloni dellanavata furono poste altrettante tele del pittore Vincenzo Ruggeri da Caltanissetta.Con il nuovo secolo altre opere arricchirono la chiesa. Tra queste ricordiamo lecinque tele realizzate dal pittore fiammingo Guglielmo Borremans.L’ultima imponente opera in ordine di tempo è la realizzazione della cappellamarmorea della Madonna della Visitazione. L’incarico fu dato all’architetto escultore catanese Andrea Amato che la iniziò nel 1737 ma che non riuscì a vederlaultimata dal momento che morì ad Enna nel 1742. I lavori proseguirono sotto lasupervisione del maestro catanese Domenico Bevilacqua, allievo e nipotedell’Amato, fino alla loro ultimazione nel 1753.Contemporaneamente all’abbellimento dell’edificio inoltre si era provveduto adarricchire il Tesoro del Tempio con oggetti di argenteria ed oreficeria di ottimafattura tra cui ostensori, calici, paliotti, ricchi paramenti e ricami, ecc.

Fig. 2 Vista di una delle colonne dellanavata

Frattanto la chiesa continuava adarricchirsi di opere d’arte quali il pulpitomarmoreo, il palco dei cantori in legno,ma soprattutto i cinque dipinti del pittorefiorentino Filippo Paladini, eseguiti fra il1612 ed il 1613.Oltre ai continui restauri eseguiti nellachiesa nel corso del XVI secolomenzionati nei documenti dell’archiviodel Duomo, e di cui abbiamo fino ad oraparlato, ulteriori lavori furono eseguitisulla torre campanaria, danneggiataanch’essa dall’incendio del 1446.Per circa due secoli il campanile fuoggetto di lavori di accomodamento dipiccola entità fino a quando nel 1619improvvisamente crollò. La ricostruzioneebbe inizio nel 1625 sotto la guida delmaestro Oriano Calì e fu completata nel1633. Tuttavia nel 1676 il campanile,ricostruito appena quarant’anni prima,

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Descrizione edificio:

Come raccontato precedentemente, ilTempio di Santa Maria della Visitazione,nelle sue forme attuali, è il risultato di unlungo processo di ricostruzione edecorazione durato circa tre secoli esuccessivo all’incendio del 1446 cheinteressò gran parte dell’edificiotrecentesco.Di quest’ultimo ci rimane oggi solamentel’impostazione dell’impianto, di tipobasilicale, e a tre navate, e le strutturedella zona absidale, risparmiatedall’incendio.La facciata, della seconda metà del secoloXVII, ricalca lo schema delle costruzionia torre. Una struttura a tre fornici, posta altermine di una ripida scalinata, dà accessoal Tempio e sostiene la torre campanaria,raccordata alla parte inferiore da volute. Iltutto è caratterizzato da una composizione Fig. 3 Vista dell’interno

architettonica semplice e ben definita con gli ordini sovrapposti di paraste supiedistallo che si susseguono nei vari livelli.L’interno è riccamente decorato da stucchi, pregevoli dipinti e sculture. Le navatesono divise da colonne marmoree, dagli ornatissimi capitelli e con le basi decorateda putti e grifi, che sostengono delle arcate ogivali. Due di queste colonne sonoopera di Giandomenico Gagini, realizzate intorno al 1560.Elegantissimo e di pregevole fattura è il soffitto ligneo a cassettoni realizzato daAndrea Russo alla fine del secolo XVI. Quello del transetto fu eseguito invece damaestranze catanesi circa un secolo dopo.La navata maggiore, il transetto e la zona dell’abside sono ricche di decorazioni astucco eseguite a più riprese nel corso della ricostruzione dell’edificio da valentistuccatori tra cui Cesare Puzzo, Paolo Pellegrino da Chiusa, Pietro Rosso ed infineGiovan Calogero Calamaro da Nicosia.Tra le opere pittoriche ricordiamo invece i cinque dipinti del fiorentino Paladini,realizzati nel 1612-13, tutti dedicati alla Vergine Maria e posti nell’absidemaggiore. Il Nisseno Vincenzo Ruggieri è invece l’autore delle dodici pittureraffiguranti santi ennesi e monaci basiliani, collocate tra le finestre della navatacentrale. Le quattro tele dei tabelloni in stucco del transetto sono opera del pittorenapoletano Giovanni Piccinelli, mentre agli inizi del XVIII secolo si data lacommissione al fiammingo Guglielmo Borremans di ulteriori cinque splendidetele.Degna di nota è la magnifica cappella, con decorazioni in marmi policromi,dedicata alla Madonna della Visitazione, realizzata intorno alla metà del secoloXVIII dal cataneseAndreaAmato.

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L’altare occupa la parete di fondo della cappella del SS. Sacramento, sulla destradell’abside maggiore. La cappella, nata assieme all’originario impianto romanicodella chiesa, fu nel corso dei secoli modificata, soprattutto per quel che riguarda ilsuo apparato decorativo. In particolare fu arricchita da stucchi, opera del maestrostuccatore Pietro Rosso, nei primi anni del secolo XVII. Nel corso di recenti lavoridi restauro tuttavia si è ritenuto opportuno eliminare l’intero apparato decorativoseicentesco, riportando così il vano al suo aspetto romanico iniziale, spoglio edisadorno, scandito dalla presenza delle sole colonnine filiformi, che confluisconoin alto nei costoloni della copertura, e del ricco altare in marmi policromi.Questo fu realizzato nel secolo XVIII dalle stesse maestranze catanesi cui si deve ilrivestimento marmoreo della cappella della Madonna della Visitazione, sul latosinistro dell’abside maggiore. Più precisamente l’altare del SS. Sacramento fueseguito dal maestro Domenico Bevilacqua e portato a termine nel 1753,contemporaneamente ai lavori della cappella della Madonna.Si tratta di un’opera complessa, riccamente decorata da intarsi in marmi policromi,caratterizzata soprattutto da una superba architettura, entro cui è collocato iltabernacolo, con colonne libere su due livelli, aggetti e volute, molto simile alprospetto di un tempio di età barocca. Alla base troviamo una mensa rettangolare,con paliotto decorato da semplici figure geometriche e da un medaglione centralequadrilobato, ed inquadrata ai fianchi da piccoli corpi laterali leggermente arretrati.

Altare del SS. Sacramento

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Cappella della Madonna della Visitazione

La cappella nasce come coronamento dell’impianto della chiesa trecentesca,assieme all’abside maggiore ed alla cappella del SS. Sacramento. Inizialmentedalle forme semplici e completamente disadorna, fu alla fine del ‘500 ricoperta daeleganti stucchi, con ricche dorature e pitture. Tuttavia ben presto le acque piovanedanneggiarono queste opere, tanto che si decise di intervenire rivestendointeramente la cappella con marmi, senza porre limitazione preventiva di spesa.Dell’antica decorazione cinquecentesca in stucco è rimasta solo quella dellacopertura del vano. L’incarico fu dato nel 1736 al rinomato architetto e scultorecatanese Andrea Amato. Questi tuttavia morì prima che i lavori fossero ultimati,così l’opera fu portata a termine dal suo allievo e nipote Domenico Bevilacqua(autore anche dell’altare del SS. Sacramento, nella medesima chiesa), il quale siavvalse della collaborazione di altri capaci marmorari catanesi, tra cui F. Battaglia,V. Bonaventura,A. Bevilacqua, F. Torrisi, P. Fichera, T. Viola, G.Anastasio. Questestesse maestranze, ultimata la cappella, realizzeranno il pavimento marmoreo dellachiesa ed altre opere marmoree presso Castrogiovanni. La cappella si caratterizzaper la sfarzosità architettonica e scultorea, per l’accurata lavorazione a mischio eper la profusione di marmi di vario colore. L’altare, dalla mensa rettangolare, sicompone di due possenti colonne tortili con intarsi, che sostengono la trabeazioneed il ricco coronamento. Allo stesso modo le pareti sono scandite da paraste edarricchite da figure di putti, rilievi, cornici, cartigli e fastosi medaglioni marmorei.

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Fig. 1 Prospetto Principale

UBICAZIONE :

DATAZIONE :

COMMITTENZA:

AUTORE :

BIBLIOGRAFIA :

L’ingresso principale prospetta su di una piazzettaaperta da un lato sulla Via Roma, l’antica stradamaggiore

Secolo XVII (edificio attuale)

Nicolò Colletorto

Ignoto

Sinicropi E., 1963, p. 134Giuliana G., 1967, pp. 88-94Guarneri B., 1999, pp. 98-99

Chiesa di San Giuseppe

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Breve cenno storico:

Le notizie reperite sulla Chiesa di San Giuseppe sono pochissime e tali da nonconsentire una approfondita conoscenza dell’edificio relativamente alle suevicende storiche e costruttive.La chiesa, così come oggi la vediamo, assieme all’annesso monastero, furealizzata nel XVII secolo quando Nicolò Colletorto donava il suo palazzo ed altrisuoi beni per la fondazione del complesso.

Il Monastero era destinato ad ospitare le suore benedettine e così anche la chiesainizialmente assunse la dedica a San Benedetto.Il Tempio cambiò il suo nome in San Giuseppe solo nel 1926 quando vi si trasferì lacomunità della dirimpettaia chiesetta in origine dedicata al Santo.

Probabilmente l’edificio sorse sul luogo di una precedente chiesa, per cui piuttostoche di nuova edificazione si trattò di una riedificazione.

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Descrizione edificio:

Il tempio è a navata unica coperta da unavolta ribassata.L’esterno della chiesa è forse l’elementodi maggiore interesse dell’edificio grazieall’impostazione a torre della facciata,motivo presente in molte delle chiese diEnna.Il prospetto, in pietra squadrata, ha formaallungata e si compone di due strutturesovrapposte. La parte inferiore, checostituisce il prospetto vero e proprio, ècaratterizzata da slanciate paraste supiedistallo che sostengono la trabeazione.Su questa imposta il campanile ornato daun ordine di lesene che inquadrano treaperture ad arco con balaustre in pietra.Di particolare interesse è il portale inpietra, posto al termine di una ripidascalinata, costituito da colonne binate supiedistallo, ornate da rilievi nella parte

Fig. 2 Vista dell’interno

bassa , che sostengono una complessa trabeazione con aggetti e cornici curve.Al disopra del portale si trova la finestra rettangolare che illumina l’interno.L’interno, rinnovato grazie ad un recente restauro, presenta superfici riccamenteornate da stucchi. La navata è ritmata da un ordine di paraste che inquadrano learcate, entro cui sono collocati gli altari laterali, e che sostengono la trabeazionecon cornicione aggettante.Al di sopra della cornice si sviluppa una sorta di attico ornato da un ulteriore ordinedi paraste, che stavolta inquadrano le aperture rettangolari della navata.L’accesso al presbiterio è sottolineato da un grande arco trionfale a tutto sesto supilastri. Attraverso questo si accede all’abside poligonale che chiude la struttura eche contiene l’altare maggiore in marmi policromi.Sopra l’altare maggiore sono collocate delle sculture raffiguranti la Sacra Famiglia,realizzate nel XVII secolo da un artista locale.Il catino absidale è caratterizzato in alto da affreschi entro cornici in stucco e nellaparte bassa da medaglioni con rilievi in stucco che rappresentano figure di Santi amezzobusto.La chiesa possiede, oltre a dei quadri di notevole interesse artistico, un pregevole ericco paliotto d’altare in argento che risale all’origine della chiesa e che è oggicollocato in una delle nicchie ad arco della navata.

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L’altare si trova al centro della zona del presbiterio, notevolmente sopraelevatorispetto alla quota del pavimento da tre scalini in marmo bianco, di recente fattura(l’intera pavimentazione della chiesa è stata rifatta molto di recente).Si tratta di una struttura in marmo bianco, decorata da tarsie in pietre ornamentalicolorate, di cui non si hanno precise notizie storiche, relative soprattutto alla suadatazione ed alle maestranze che la hanno realizzata.Ha forme lineari e si presenta costituita da una mensa rettangolare, chiusa ai bordida paraste con mensole, al centro della quale si trova una sorta di urna aggettante,con volute, che contiene all’interno un medaglione, ornato da volute ecaratterizzato dal simbolo delle croce, a rilievo.Ai fianchi della mensa si trovano dei corpi laterali, leggermente arretrati, decoratida paraste con tarsie in marmi policromi, dalle semplici forme geometriche.Nella parte superiore l’altare ha tre gradini porta candele, digradanti, arricchiti datarsie a motivo geometrico realizzate in marmi policromi. Al centro c’è il riccotabernacolo a forma di tempietto, con quattro colonne libere corinzie chesostengono la trabeazione aggettante, ed inquadrano lo sportellino dorato. Ai lati iltabernacolo è chiuso da volute, mentre in alto il coronamento è costituito da teste diangeli. Al di sopra dell’ultimo gradino è stato posizionato un ulteriore ed altogradino in finto marmo, che riprende il motivo ornamentale della tarsia dell’altarestesso. Questo fa da base alle statue del secolo XVII raffiguranti la Sacra Famiglia.

Altare della Sacra Famiglia (Altare Maggiore)

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Fig. 1 Prospetto Principale

UBICAZIONE :

DATAZIONE :

COMMITTENZA:

AUTORE :

BIBLIOGRAFIA :

Il fianco della chiesa si affaccia sulla Piazza 6Dicembre, mentre la facciata prospetta sul corsoprincipale (Via Roma)

Secolo XVI (edificio originario)1643 (riedificazione nelle forme attuali)

Suor Angelica Petroso (riedificazione)

Giovan Battista Vitale, mastro lapicida(riedificazione)

Lombardo R., 1999Candura G., pp. 138-139Giuliana G., 1967, pp. 88-94Guarneri B., 1999, pp. 98-99

Chiesa di San Marco Le Vergini

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Breve cenno storico:

La tradizione vuole che la Chiesa di San Marco sia stata edificata sul luogo in cuiprecedentemente sorgeva la sinagoga, luogo di culto della folta comunità ebraicache risiedeva presso Castrogiovanni.L’edificazione del nuovo edificio religioso sarebbe avvenuta,contemporaneamente al monastero, subito dopo l’espulsione dalla città degli ebrei,in seguito all’editto emanato dal Re Ferdinando nel 1492.La chiesa ed il monastero ospitano una comunità di suore appartenenti all’ordinedelle Carmelitane che in questo luogo da secoli conduce la propria vita claustrale,fatta eccezione per il periodo successivo al 1871 quando, in esecuzione delle leggieversive, anche ad Enna i monasteri furono soppressi ed i loro beni confiscati. Soloalcuni anni dopo, nel 1931, il monastero fu riaperto ed ancora oggi accoglie lacomunità di religiose.Della chiesa fondata agli inizi del secolo XVI non sappiamo quasi nulla, mentresappiamo che l’edificio assunse l’apetto attuale nel 1643, in seguito all’opera dirinnovamento ed aggiornamento delle strutture promossa dall’abbadessa suorAngelica Petroso.Questa commissionò tutte le opere murarie al “mastro lapicida” Giovan BattistaVitale, il quale si avvalse anche della collaborazione del figlio e di MarianoMancuso.Da questo momento in poi le abbadesse che si avvicenderanno alla guida delmonastero, favorite dalla cospicuità delle rendite, degli introiti del monastero edalla ricchezza delle doti portate dalle religiose, realizzeranno nel tempo unprogramma di abbellimento del tempio secondo il gusto barocco dell’epoca,caratterizzato dal fasto e dalla teatralità degli apparati decorativi.Così gli stucchi dell’interno furono commissionati nel 1705 dall’abbadessa suorAurora Carnazza a Gabriele De Blanco, che apparteneva ad una numerosa famigliadi artisti stuccatori nativi di Licodia ed attivi nel XVIII secolo nella Val di Noto.Portata a termine la vasta opera di decorazione a stucco, nel 1708 l’abbadessa suorCaterina Maria Mazzola progetta di dotare il tempio di una custodia ligneadestinata a sovrastare l’altare maggiore ed a diventare l’opera più appariscente esontuosa di tutta la chiesa.La commissione fu affidata nello stesso anno al trapanese Antonino Rallo il qualeavrebbe dovuto eseguire la custodia secondo il disegno di Agatino Daidone diCalscibetta, abile cartografo, stimato architetto ed illustre matematico, che ad Ennaebbe occasione di lavorare anche per la Chiesa Madre.Nel 1781 invece furono commissionati ai maestri catanesi Vincenzo Bonaventura eBenedetto Giuffrida, che avevano appena ultimato il pavimento marmoreo delduomo cittadino, i quattro altari marmorei della navata.La chiesa si andava inoltre arricchendo di ulteriori opere d’arte quali le tele deglialtari laterali e gli affreschi delle pareti laterali, della volta e del catino dell’absidedivenendo uno dei più ricchi ed ornati edifici religiosi della città di Castrogiovanni.

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Descrizione edificio:

La chiesa realizzata nel 1643 dal Vitale è anavata unica, sovrastata da una coperturaa botte, e priva di transetto, capace diconsentire ai numerosi fedeli un facilesvolgimento delle preghiere comunitarie,ma pure idonea a permettere alle suore diassistere alle funzioni da dei balconcinioppure dalla cantoria, posta sopra ilvestibolo di ingresso, senza contravvenireall’obbligo della clausura.La facciata del tempio si presenta severa elineare nelle forme, priva di vistosielementi scultorei e caratterizzatasolamente da due eleganti paraste su altipiedistalli sormontate da capitelli corinzi.Queste, fiancheggiate da due semplicivolute, sostengono la trabeazione ed ilc o r n i c i o n e c h e c o n c l u d o n o l acomposizione ed inquadrano il portale e lasoprastante finestra di forma rettangolare.

Fig. 2 Vista dell’interno

L’interno, così ricco di stucchi, rivestimenti marmorei, dipinti ed affreschi,contrasta invece con l’elegante semplicità del prospetto appena descritto.Superato il vestibolo infatti la navata si presenta scandita da paraste appenaaggettanti, che fiancheggiano le nicchie ad arco contenenti gli altari laterali el’ingresso laterale.Il presbiterio è delimitato da un arco sostenuto da pilastri e si conclude con’ unabside poligonale.Tutto lo spazio interno è riccamente decorato da stucchi realizzati nel secolo XVIIIda Gabriele de Blanco il quale, senza eccedere nello sfarzo, distribuisce conparsimonia leggiadre ghirlande, conchiglie, putti, festoni, foglie carnose e fiori,modellandoli con fantasia ma anche con realismo.Gli affreschi, realizzati sulle pareti laterali, sulla volta che copre la navata e nelcatino absidale, si distinguono per la vivacità dei colori e sono stati da alcuniattribuiti alla scuola del pittore fiammingo Borremans e più precisamente al figlioLuigi, autore degli affreschi della chiesa delleAnime Sante ad Enna.Tra le opere custodite nella chiesa ricordiamo le quattro tele collocate sugli altarilaterali e raffiguranti la , la , l’ e

e la splendida custodia in legno dorato che sovrasta l’altare maggiore eche costituisce l’elemento di maggiore interesse della chiesa.Questa fu eseguita dal trapanese Antonino Rallo su disegno dell’artista AgatinoDaidone nel 1708. Nelle sue forme richiama il prospetto di un edificio sacro di etàbarocca con paraste nella parte inferiore che sostengono un timpano triangolare.Nelle nicchie sono contenute delle statue e tra queste, nella nicchia centrale piùavanzata, si trova la statua lignea di San Marco seduto, con al suo fianco il leone.

Crocifissione Madonna del Carmelo ImmacolataSan Marco,

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Si tratta dei quattro altari laterali della navata della chiesa, posizionati, due per lato,entro nicchie ad arco ornate da stucchi. Gli altari sono identici nella forma, nelledimensioni e nel tipo di pietre ornamentali colorate utilizzate e differiscono solo peril fatto che due, quelli più vicini al presbiterio, sono dotati di tabernacolomarmoreo, mentre gli altri due ne sono privi. Sono ornati da tele di buona fatturache danno il nome agli altari stessi. Partendo dal vestibolo abbiamo sulla sinistra laCrocifissione e la Madonna del Carmelo, mentre sulla destra l’Immacolata e SanMarco. Dai documenti d’archivio sappiamo che gli altari furono tutticommissionati da suor Rosane Petroso ai maestri catanesi Vincenzo Bonaventura eBenedetto Giuffrida. Questi, che nel duomo cittadino avevano lavorato allarealizzazione della cappella della Madonna, sotto la guida di Andrea Amato, e viavevano da poco ultimato il pavimento marmoreo, realizzarono i disegni e lieseguirono intorno al 1781. Ricevettero come pagamento 32 onze ciascuno, per glialtari con tabernacolo, e 30 onze per quelli privi di tabernacolo.Gli altari hanno la mensa affiancata da piccole volute e sormontata da un alto attico,con al centro il tabernacolo (anche se non sempre), ed hanno forme lineari e sobrie,caratterizzate dalle semplici figure geometriche del quadrato, del rettangolo e delcerchio. In alto troviamo collocate ai bordi dell’attico marmoreo due voluteornamentali, sempre in marmo. Oltre che dai marmi policromi sono impreziositidalla presenza di decorazioni bronzee, raffiguranti dei festoni dal motivo floreale.

Altari laterali

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GELA

1. Chiesa di San Giuseppe (PP. Agostiniani)

2. Chiesa del SS. Salvatore e Rosario

Chiese con altari in marmi policromi

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Fig. 1 Prospetto Principale

UBICAZIONE :

DATAZIONE :

COMMITTENZA:

AUTORE :

BIBLIOGRAFIA :

Assieme al contiguo convento dei PP.Agostiniani siaffaccia sulla Piazza Salandra (fino al 1915 PiazzaS.Agostino)

Edificio originario del 1439 (datazione incerta)Facciata del 1783

Ignota

Ignoto

Damaggio Navarra S., pp. 3-11

Giuliana G., 1967, p. 143Mulè N., 1981, pp. 63-64; pp. 139-159

Chiesa degli Agostiniani(Chiesa di San Giuseppe)

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Breve cenno storico:

La chiesa degli Agostiniani, intitolata anche a San Giuseppe, è un delle più antichedi Gela.Tuttavia ancora oggi si sconosce la data precisa di fondazione dell’edificio, cui èannesso anche il convento, e quelle che si avanzano sono solo ipotesi sulla suanascita, prive però di prove certe.Tra gli studiosi è predominante la convinzione che l’edificio sia sorto nella metà delXV secolo e precisamente negli anni intorno al 1456. Esistono però prove che lacomunità degli Agostiniani esistesse già precedentemente a questa data, dalmomento che uno dei Padri (Padre Antonio Macali, priore) stipulava nel 1439 unatto presso uno dei notai della città.Alcuni studiosi inoltre rivendicano per la chiesa ben più remote origini, sostenendola sua presenza al momento della fondazione della città medievale di Terranovaavvenuta nel 1233 per volontà dell’Imperatore Federico II di Svevia. Taleaffermazione sarebbe supportata dal fatto che la piazza su cui prospetta il Tempioesisteva già a quel tempo.Nel 1613 fu realizzata nella chiesa per volontà della famiglia Mugnos, unacappella. La famiglia deteneva il titolo di Baroni di Bulgarano e decise diintervenire nella chiesa con la creazione di questa struttura collegata alla navataattraverso un arcone monumentale in pietra bianca e decorata da uno splendidoaltare costituito da colonne tortili, ricca trabeazione decorata, pala d’altare ed altarein marmi colorati.Successivamente, intorno al 1656, sempre per volontà e grazie ai mezzi messi adisposizione dalla famiglia Mugnos, si iniziarono dei lavori di ristrutturazione edecorazione generale della chiesa che assunse un nuovo aspetto. Furono realizzatigli altari laterali e quello Maggiore, gli stucchi dorati e alcuni dei quadri chedecorano la chiesa, recanti lo stemma della famiglia Mugnos.I lavori di ricostruzione del’esterno invece sono successivi e solo alla fine del XVIIIsecolo si giunse ad ultimare il campanile e la facciata, databile al 1783.Nel 1857 si ha notizia dell’esecuzione di lavori di ristrutturazione della strutturamirati a renderla più alta.Nel 1866, con la soppressione della comunità religiosa, la chiesa passò in mano alComune, assieme al convento. Parte del convento inoltre fu sfruttata proprio inquesti anni quale edificio scolastico.Nel 1913 la chiesa degli Agostiniani, completamente ristrutturata all’interno, furiaperta al culto. In questa occasione furono restaurate le mura cadenti, fu costruitoil soffitto del Sancta Sanctorum, furono eretti due nuovi altari e rifatte ledecorazioni a stucco.Abbiamo notizia di ulteriori lavori di restauro riguardanti la copertura realizzatinegli anni ‘50 del Novecento. In questa occasione i cassettoni del soffitto ligneo,degradati e cadenti, furono asportati e sostituiti con pannelli di gesso.

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Descrizione edificio:

La chiesa di S. Agostino, attigua alconvento degli agostiniani, prospetta,come detto precedentemente, su unaampia piazza che fino al 1915 venivadenominata Piazza S. Agostino, mentreoggi prende il nome di Piazza Salandra.É a navata unica con cella campanariacompresa nella stessa facciata.Il prospetto attuale, terminato nel 1783, èrealizzato in pietra squadrata e si presentadal complesso disegno architettonico.Due coppie di paraste su alto piedistalloinfatti inquadrano il portale e l’aperturacentrali e sostengono la trabeazione sullaquale poi imposta la cella campanaria.Questa è costituita da tre aperture ad arco,contenenti le campane, inserite all’internodi un telaio architettonico con paraste,balaustre e trabeazione conclusiva, al disopra della quale si erge il frontone

Fig. 2 Vista dell’interno

triangolare che chiude la struttura.Anche il portale, ad arco, è inserito all’interno diun disegno architettonico comprendente delle paraste su piedistallo e latrabeazione.Sopra il portale vi è una nicchia a fondo semicircolare contenente una statua di SanGiuseppe, opera dell’artista locale Matteo Peritore.L’interno è ben illuminato grazie alla presenza di sei finestre sui suoi lati. La navataè ritmata dalla presenza di nicchie ad arco, contenenti gli altari laterali (costituitiormai dai soli dipinti). Le arcate poggiano su delle paraste e sono sormontate da uncornicione aggettante che marca orizzontalmente l’intero perimetro della chiesa,tranne che sul lato del presbiterio. Qui sorge infatti il grande arcone trionfalesostenuto da pilastri corinzi che dà accesso all’altare Maggiore.Il ritmo delle nicchie delle pareti laterali è interrotto dalla presenza dell’arco diingresso alla Cappella Mugnos, sul lato sinistro della navata.Questa cappella costituisce l’elemento di maggiore interesse dal punto di vistaartistico grazie alle decorazioni a rilievo delle paraste che ne sottolineanol’ingresso, alla struttura dell’altare, costituita da colonne tortili ornate da rilievi esormontate da una trabeazione con timpano spezzato, e all’altare in marmipolicromi al di sopra del quale è collocato un bellissimo Crocifisso ligneo.La Chiesa possiede inoltre una acquasantiera in marmo finemente lavorato enumerosi dipinti, collocati nelle nicchie della navata.L’altare Maggiore è invece piuttosto recente, opera di un marmista di Canicattìrealizzata nel 1967.Il convento contiguo, recentemente ristrutturato, conserva diversi dipinti epossiede una ricca biblioteca i cui libri risalgono in buona parte al 1700.

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L’altare si trova sulla parete di fondo della Cappella Mugnos, situata nei pressi delpresbiterio, lungo la navata di sinistra (rispetto all’ingresso principale), alla quale siaccede attraverso un arcone trionfale in marmo bianco, riccamente decorato darilievi. La cappella fu realizzata per volontà della nobile ed antica famigliaterranovese dei Mugnos, Baroni di Bulgarano, nel 1613.L’altare è probabilmente un’opera del secolo XVII, realizzata nell’ambito delfastoso programma di abbellimento della cappella stessa, promosso dalla famigliache la aveva commissionata. Tuttavia è evidente come nel corso degli anni abbiasubito modifiche e risistemazioni cui si deve l’aspetto attuale.É inserito all’interno di una elegante struttura architettonica in marmo cristallinobianco, caratterizzata da due colonne tortili su piedistallo che sostengono latrabeazione ed il timpano spezzato, e ornata da sculture e rilievi dal motivo diispirazione naturalistica. Nella parte alta, al centro della composizione e nel luogoin cui precedentemente era collocata la pala d’altare, troviamo un drammaticoCrocifisso ligneo. L’altare ha forme semplici ed è costituito da una struttura inmarmo bianco entro cui sono inserite le tarsie in marmi policromi che lo decorano.Il paliotto, con medaglione al centro, è inquadrato ai fianchi da volute. La partesuperiore invece prevede due gradini marmorei, di cui il secondo più alto del primo,con al centro il tabernacolo a forma di tempietto. É chiaramente visibile come moltidegli elementi marmorei dell’altare siano stati recentemente sostituiti e rinnovati.

Altare del Crocifisso (Cappella Mugnos)

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Fig. 1 Prospetto Principale

UBICAZIONE :

DATAZIONE :

COMMITTENZA:

AUTORE :

BIBLIOGRAFIA :

Sorge lungo il Corso Vittorio Emanuele (corsoprincipale), nei pressi della Chiesa Madre

Fine del XVI secolo (edificio originario)Fine del XVIII secolo (edificio attuale)

Ignota

Ignoto

Damaggio Navarra S., pp. 10-11

Giuliana G., 1967, p. 144Mulè N., 1981, pp. 85-86; pp. 103-109

Chiesa del SS. Salvatore e Rosario

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Breve cenno storico:

Sulla Chiesa del SS. Salvatore e Rosario esistono poche e frammentarie notizie.Sappiamo che il Tempio esisteva, con la sola dedica al SS. Salvatore, in un sitodifferente da quello attuale, al di fuori delle mura di cinta della città.Solo alla fine del XVI secolo fu abbandonata la chiesa originaria, utilizzata daquesto momento in poi come cava per le riparazioni delle brecce delle mura, e sidecise di realizzare una nuova struttura nei pressi della Chiesa Madre.Alcuni secoli dopo nello stesso sito della originaria chiesa del SS. Salvatore sorseun nuovo edificio religioso dedicato a S. Martino o anche a S. Maria delle Grazie.Una iscrizione all’interno della chiesa attuale ci dice che la nuova costruzione furealizzata nel 1585.La chiesa ricevette poi il privilegio del Rosario il 9 giugno del 1600 e da quella datavi ha sede la Confraternita del Santo Rosario.L’edificio così come oggi noi lo vediamo risale invece alla fine del XVIII secolo. Fuin questo periodo infatti che il Tempio fu completamente rinnovato, all’interno edall’estreno, ed assunse la conformazione attuale. I lavori ebbero inizio nel 1796 eterminarono nel 1838.Non si conosce il nome dell’artefice della costruzione anche se sugli spioventi delfrontone triangolare sud della sommità del campanile esiste incisa una iscrizioneche riporta il nome di Antonino da Noto, architetto, quale realizzatore dellastruttura.Sempre l’iscrizione posta al di sopra dell’ingresso principale ci dà notizia della datadi inaugurazione solenne del rinnovato edificio avvenuta nel 1842.Nel 1971 furono eseguiti dei restauri e la chiesa, che evidentemente prima di alloraera inutilizzata, fu riaperta al culto. Tutto ciò fu possibile grazie alla generosità dellaSignoraAnna Concetta Cannizzo e all’intervento dei fedeli.Gli ultimi lavori nell’edificio sono stati realizzati nel 1987 quando è stato rifatto ilpavimento. In questa occasione sono venute alla luce diverse sepolture gentilizie,ovvero dei loculi e delle cripte tra loro intercomunicanti.

Page 127: I MATERIALI LAPIDEI ORNAMENTALI NEGLI ALTARI DELLE CHIESE DELLA DIOCESI DI PIAZZA ARMERINA

Descrizione edificio:

La chiesa del SS. Salvatore e Rosario, anavata unica, si affaccia sul corsoprincipale di Gela, Corso VittorioEmanuele, a brevissima distanza dallaChiesa Madre.Il prospetto si presenta completamentespoglio, privo di qualsiasi elementodecorativo e costituito dalla sola muraturain conci irregolari all’interno di cui sitrovano il portale di ingresso, posto altermine di una ripida scalinata a duerampe, ed una grande f ines t rarettangolare.L’interno invece è riccamente decorato emolto ben illuminato grazie alla presenzadi ampie aperture nelle navate laterali,oltre quella del prospetto.Le pareti ed il soffitto sono ornate dastucchi dorati. Dal punto di vistaarchitettonico invece nella navata

Fig. 2 Vista dell’interno

esistono ad intervalli regolari dei pilastri leggermente aggettanti con capitellicorinzi.Le paraste inquadrano delle nicchie ad arco che contengono gli altari laterali, tre perlato, e sostengono il cornicione su cui impostano gli arconi della volta, decorata daquattro affreschi dipinti nel 1841 da Filippo Casabene. Questi raffigurano scenedella vita di Gesù.Un grande arcone trionfale segna il passaggio dalla navata al presbitero il cui absidepresenta sei colonne, emergenti per tre quarti, con capitelli corinzi e basi a forma diplinto, che sorreggono il cornicione semicircolare su cui poggiano sei grossi vasi. Iltutto è chiuso in alto dal catino absidale a lacunari al cui centro si trova una raggeracon angioletti.L’altare Maggiore, in stile Neoclassico, è realizzato in marmi colorati e dedicatoalla Madonna del Rosario e contenente anche la statua della Madonna.Gli altari laterali, all’interno delle nicchie, sono costituiti invece da mense in marmipolicromi di età barocca al di sopra dei quali sono poste delle tele di buona fattura odelle statue. Tra queste ricordiamo le statue di e di e lepale raffiguranti la , la e la

La chiesa possiede anche una acquasantiera in marmo, in prossimità della bussoladi ingresso, nella parte destra, ed un pulpito ligneo intarsiato, nella parte sinistra.

S. Eligio S. Vincenzo FerreriTrasfigurazione Madonna del Rosario Madonna, San

Gregorio e le anime del Purgatorio.

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É il primo altare della navata di destra, rispetto all’ingresso principale, posto entrouna nicchia ad arco, sostenuto da pilastri, e rialzato rispetto alla quota delpavimento da due scalini marmorei.Nella chiesa esistono cinque di questi altari, lungo la navata, identici tra loro nellaforma, ma uguali a due a due per quel che riguarda la disposizione ed il tipo dimarmo colorato utilizzato.L’altare in questione originariamente doveva essere interamente marmoreo,identico a quelli che si trovano nelle altre nicchie della navata, tuttavia oggi nerimane solo l’originario paliotto rettangolare intarsiato, inserito entro una semplicecornice in legno. Attorno alla mensa troviamo poi, come negli altri altari, dei corpilaterali ed una struttura ad attico soprastante, sempre in legno.Si tratta di un’opera realizzata secondo la tecnica a marmi mischi, caratterizzata daun supporto in marmo bianco su cui sono state eseguite le ricche e movimentatedecorazioni a rilievo che fanno da cornice alle lastre in marmi policromi.Al centro troviamo il medaglione dalle forme tipicamente barocche che inquadraun rilievo raffigurante un cane, incorniciato da un motivo floreale intarsiato.Proprio queste figure dentro al medaglione centrale, sempre diverse tra loro,costituiscono uno degli elementi di distinzione tra i vari altari.É l’unico tra gli altari laterali a non avere un altare gemello nella nicchia di fronte.Nella parte superiore della nicchia, al posto della pala, è collocato un Crocifisso.

Altare del Crocifisso

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Altare della Madonna

Si tratta del secondo altare della navata di sinistra (rispetto all’ingresso principale),collocato anche questo all’interno di una nicchia ad arco e sopraelevato dalla quotadel pavimento della navata da due scalini in marmo.Non abbiamo notizie sulla data di realizzazione di questo come degli altri altari, esulle maestranze che li hanno eseguiti.Uguale nel disegno agli altri altari presenti nella navata della chiesa, si differenziaper la presenza di una pietra violacea brecciata nelle paraste che chiudono ai lati lacomposizione, oltre che per il simbolo raffigurato all’interno del medaglionecentrale (due figure umane a mezzo busto entro una nuvola).Solo l’altare dedicato a San Vincenzo Ferreri, situato nella nicchia di fronte, èperfettamente uguale a questo.La mensa marmorea, rettangolare, ha forme semplici ma riccamente ornate. Leparaste inquadrano il paliotto decorato da rilievi scultorei di ispirazionenaturalistica, con foglie e volute, entro cui sono inserite le lastre in marmipolicromi, dai vivaci colori, della decorazione a mischio.Nella attuale sistemazione la mensa è stata affiancata da semplici corpi laterali inlegno, e sormontata da un attico con tabernacolo centrale a forma di tempio, conparaste e timpano triangolare, sempre in legno.Nella parte alta della nicchia troviamo una pala d’altrare di buona fatturaraffigurante la Madonna con San Gregorio Magno e le anime del Purgatorio.

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Altare della Trasfigurazione

L’altare è posizionato nella terza nicchia della navata di sinistra (rispettoall’ingresso principale), sopraelevato dalla quota del pavimento della navata da duescalini in marmo.La mensa è identica a quelle degli altri altari della navata per il disegnoarchitettonico, ma si differenzia per la presenza di una delle pietre ornamentalisiciliane più famosa ed utilizzata in età barocca, ovvero il Libeccio di trapani. Quilo ritroviamo inserito nelle paraste che inquadrano il paliotto rettangolare eall’interno del medaglione ornamentale centrale.Il paliotto presenta una decorazione scultorea a rilievo identica nel disegno a quelleviste in precedenza per gli altri altari.Nel medaglione centrale è raffigurata a rilievo una Madonna con in braccio GesùBambino, posti al di sopra di una nuvola.La mensa è anche in questo caso circondata ai lati e nella parte superiore da unasemplice struttura lignea, leggermente arretrata rispetto alla mensa stessa.In questo caso l’altare non possiede il tabernacolo ed è chiuso in alto dal solo atticoligneo, decorato in modo tale da sembrare in marmo.L’altare possiede in alto una pala raffigurante la Trasfigurazione di Cristo, diispirazione raffaellesca.Nella nicchia di fronte si trova un altare dedicato alla Madonna del Rosario, dotatodi pala d’altare di buona fattura, identico a quello appena descritto.

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MAZZARINO

1. Chiesa di Maria SS. Della Neve (chiesa madre)

2. Chiesa di Maria SS. Del Carmelo (Carmine)

3. Chiesa del SS. Crocifisso dell’Olmo

4. Chiesa di San Francesco di Paola

Chiese con altari in marmi policromi

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Fig. 1 Prospetto Principale

UBICAZIONE :

DATAZIONE :

COMMITTENZA:

AUTORE :

BIBLIOGRAFIA :

Prospetta sulla Piazza Monterosso, adiacente alCorso Vittorio Emanuele

Fine del XVII secolo

Carlo Maria Carafa, Principe di Butera e Conte diMazzarino

Angelo Italia, architetto (progetto originario)Giuseppe Ferrara, architetto (nuovo impianto edultimazione dei lavori)

Di Giorgio Ingala P., 1900, pp. 335-341D’Aleo A., 1991, pp. 45-47Giuliana G., 1967, p. 192Di Martino P., 1982, pp. 43-44

Chiesa di Santa Maria della Neve(Chiesa Madre)

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Breve cenno storico:

documentata presenza in questa area in quegli anni sembrerebbero confermarla.Il progetto originario dell’Italia per la chiesa prevedeva la realizzazione di unedificio ad una sola navata coperta da una volta a botte. Tuttavia, in seguito allamorte del Principe Carafa e dello stesso architetto gesuita, i lavori, proseguiti fino aiprimi decenni del 1700, furono interrotti sia per la mancanza dei fondi necessari cheper l’incapacità dei costruttori nel portare avanti un progetto ambizioso dal punto divista strutturale, essendo venuto a mancare il suo ideatore.Tale situazione di stallo durò a lungo e solo più di un secolo dopo, nei primi decennidel XIX secolo, grazie all’opera del sacerdote Andrea Bartolotta e alle offerte delpopolo, la chiesa fu completata.Il progetto originario però fu fortemente modificato e ridimensionato lasciandoincompleta la maestosa facciata, la cui realizzazione era arrivata fino al secondoordine, e realizzando un impianto basilicale a tre navate, meno impegnativo dalpunto di vista economico e strutturale.L’architetto che diresse questi lavori di completamento della chiesa fu GiuseppeFerrara, mazzarinese, coadiuvato dal capo mastro Matteo Buccola, anche eglinativo di Mazzarino.Gli ultimi lavori di muratura documentati risalgono al 1844, mentre le opere didecorazione ed arredamento degli interni presero avvio negli anniimmediatamente successivi e prosegiurono fino alla fine del secolo XIX..La chiesa di Santa Maria della Neve è Parrocchia dal 1763.

L’edificio odierno, dedicato a Maria SS.Della Neve, fu realizzato alla fine del XVIIsecolo nel luogo in cui precedentementesorgeva una chiesetta del XV secolo di cuiil nuovo tempio conserva il titolo.Fu realizzato per volontà del PrincipeCarlo Maria Carafa, Conte di Mazzarino enobile tra i più potenti di Sicilia.Questi, desideroso di fornire alla città nellaquale risiedeva un maestoso tempio, diedeavvio ai lavori e dispose anche nel suotestamento che il suo erede fornisse i mezzinecessari per ultimare la fabbrica.L’incarico progettuale sarebbe statoaffidato all’ architetto gesuita AngeloItalia, nativo di Licata, ma attivo a Palermoe nei più importanti centri della Siciliaorientale devastati dal terribile sisma del1693. Tale ipotesi purtroppo non èsuffragata da documenti che testimonino ilreale coinvolgimento del famoso architettonella realizzazione dell’opera, anche se lagrandiosità e le forme della facciata e la sua

Fig. 2 Planimetria dell’edificio

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La chiesa Madre di Mazzarino sorge nel cuore del centro storico, in quello che neiprogetti del Principe Carafa doveva essere il luogo di rappresentanza piùimportante della cittadina per la presenza, oltre che della chiesa, del palazzo dellostesso Principe e del Teatro.La facciata rimasta incompleta testimonia la magnificenza del progetto previstodall’Italia. Questa imposta su di un alto basamento al di sopra di cui si innalza ungrandioso ordine di lesene, semplici ed abbinate, con al centro delle semicolonne

Descrizione edificio:

L’interno, a croce latina, è a tre navate definite da robusti pilastri compositicollegati da arcate cui corrispondono, nello spessore dei muri perimetrali, dellecappelle absidate aperte sulle navate laterali. Anche il presbiterio e le testate deltransetto terminano con delle absidi.Nell’abside maggiore è collocato un grande altare marmoreo realizzato, a spese delparroco Sac. Nazareno Faraci, dal marmista catanese Antonino Piazza nel 1881 econsacrato nel 1896 dal Vescovo di Mazzara Mons. Gaetano Quattrocchi.La navata centrale è coperta da una volta a botte decorata da stucchi ed affreschirealizzati dal pittore palermitano Tasca. Questi realizzò anche gli affreschi presentinei transetti e le figure dei quattro Evangelisti nei pennacchi della cupola.Le navate laterali presentano invece una successione di cupolette, corrispondentialle campate che definiscono le navate.Del 1872 è lo stallo dei canonici (coro ligneo), opera dell’artista mazzarinese SantoLuigi Rigani. Nelle 36 spalliere delle sedie canonicali sono rappresentati inbassorilievo i principali racconti del Vecchio e Nuovo Testamento.La chiesa possiede inoltre numerose tele sei-settecentesche ed ottocentesche ediverse opere di oreficeria.Tra le tele ricordiamo la pala dell’altare Maggiore raffigurante la

, l’ , la , l’ ela , opere di G. Tinnirello.Tra le opere di oreficeria i busti di San Benedetto e Santa Scolastica, calici, pissidi,ostensori ed incensieri.

Madonna dellaNeve Adorazione dei Magi Consegna delle chiavi a San Pietro Ascensione

Natività

che affiancano il portale ad arcoinquadrato da paraste e ravvivato davolute e maschere. In asse con questotroviamo una finestra rettangolare contimpano curvo. Il secondo ordine èquello rimasto incompleto ed oltre alleappena iniziate lesene doppie supiedistallo prevede al centro un ampiaapertura rettangolare.Tale finestra è significativa di quellache doveva essere la reale altezza dellanavata nel progetto iniziale, dalmomento che la copertura attualedovuta al secondo progetto è più bassa.

Fig. 3 Vista dell’interno

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Si tratta del terzo altare della navata di destra , postoall’altezza della quarta campata

(rispetto all’ingresso).

Originariamente era collocato nella chiesa di Sant’Antonino, dove fungeva daaltare maggiore. La chiesetta, situata nei presi della chiesa Madre, dopo anni diabbandono, fu abbattuta nel primo dopoguerra e l’altare in questione smontato ericollocato in questa posizione.Per forma, disegno architettonico e tipo di marmi utilizzati sembra databile alla finedel XVII secolo, ma di ciò non esistono conferme dirette.Simile per certi versi all’altare della chiesa del Carmine di Mazzarino, è rispetto aquesto più piccolo e semplice. Tuttavia sempre rispondente al gusto barocco per ildinamismo delle forme e la decoratività.É caratterizzato da un telaio architettonico in marmo bianco di Carrara che fa dacornice alle lastre di marmi policromi dai vivaci colori. In basso ha un andamentoleggermente rientrante nella parte centrale dove, in leggero aggetto, troviamo unasorta di urna dalle forme arrotondate e con stemma riccamente ornato da rilieviscultorei a motivo floreale. Il paliotto ai lati è inquadrato da mensole inclinate convolute, arricchite dalla presenza di teste di angeli, scolpite nel marmo bianco.La parte superiore è costituita da tre gradini porta candele con al centro iltabernacolo a forma di tempietto, con paraste e volute a sostegno della trabeazionee dell’elemento di coronamento della composizione in marmo giallo.

Altare di Sant’Antonio

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Fig. 1 Prospetto Principale

UBICAZIONE :

DATAZIONE :

COMMITTENZA:

AUTORE :

BIBLIOGRAFIA :

Si affaccia sulla piazza Vittorio Emanuele, lungo ilcorso principale, affiancando l’attuale palazzo delComune (ex convento carmelitano)

Metà del XVII secolo

Giuseppe Branciforti, Conte di Mazzarino ePrincipe di Butera

Ignoto

Di Giorgio Ingala P., 1900, pp. 391-398

D’Aleo A., 1991, pp. 57-58Giuliana G., 1967, p. 198Di Martino P., 1982, pp. 16-18Correnti S., 1995, p. 158

Russo Ferruggia S., 1857, pp. 83-90

Chiesa di S.Maria del Carmelo(Carmine)

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Breve cenno storico:

Secondo quanto riferisce l’Ingala una lapide, posta all’interno dell’edificio nel1877 in occasione di lavori di restauro della facciata, riporta l’anno 1605 quale datadell’edificazione della chiesa ad opera del Principe Giuseppe Branciforti.Tale data probabilmente, come precisa lo stesso Ingala, è da ritenersi inesatta dalmomento che il Principe nacque solamente nel 1619, per cui la data di fondazionedell’edificio va posticipata intorno alla metà del secolo.Accanto alla Chiesa, sempre per opera del Branciforti, si iniziò a costruire unmonastero (oggi sede del palazzo del Comune).Tuttavia, forse per motivi politici, il Principe non potè ultimarlo e decise divenderlo al Padre Marco Ferranti, nativo di Piazza Armerina e Priore del conventodei PP. Carmelitani di Mazzarino, con l’obbligo che questi lo completasse al fine diinsediarvi gli stessi PP. Carmelitani, il cui convento allora versava in pessimecondizioni. Il nuovo convento fu ultimato nel 1673.Assieme al convento il Principe vendette al Ferranti anche la contigua Chiesa, cheallora terminava dove ora è il primo arcone a sostegno della cupola.Le tre cappelle maggiori e la cupola infatti furono aggiunte solo successivamente,sempre per volontà del Branciforti per sciogliere il voto fatto a S. StefanoProtomartire per averlo fatto scampare alla pena di morte che gli era stata inflitta acausa della congiura, ordita dai baroni siciliani nel 1649 contro la CoronaSpagnola, nella quale era rimasto coinvolto. Fece quindi riccamente decorare la trecappelle con pregevoli affreschi, attribuiti alla scuola del Borremans, pitture,balaustre di marmo intarsiato, ed uno stupendo altare maggiore in marmipolicromi, e vi fece collocare le spoglie dei suoi avi.Alla sua morte inoltre volle costituire la Cappella di S. Stefano erede universale delsuo vastissimo patrimonio, come si evince dal suo testamento nel quale ancheordinava che il suo erede e successore facesse realizzare da un “valente dipintore”un quadro raffigurante S. Stefano da collocare sull’altare maggiore.Il dipinto, che raffigura il martirio del Santo, fu commissionato al pittorenapoletano Mattia Preti, tra i più famosi di quel periodo e seguace del Caravaggio, ecollocato come da disposizioni testamentarie nella Cappella Maggiore; tuttavia èstato trafugato da ignoti nel 1982 e non ancora recuperato.Nel 1877 la Chiesa ha subito il restauro della facciata a spese del Municipio e dellaCongregazione di Carità che ha sede nella Chiesa stessa e sempre nel corso dellaseconda metà del XIX secolo l’interno è stato arricchito da finissimi stucchi,realizzati dai fratelli Fantauzzo provenienti dalla vicina Barrafranca, da dipinti esculture.Nel 1857 in seguito all’abbassamento del piano stradale la chiesa, fino ad allora apian terreno, si trovò rialzata di quasi tre metri per cui fu realizzata la scalinata inpietra a due rampe.Un nuovo restauro ha interessato l’edificio nel corso degli anni ’70 del Novecento.

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Descrizione edificio:

All’interno la navata, in stile barocco, è scandita da lesene, che sostengono unacornice in stucco su cui imposta la volta di copertura, ed è riccamente decorata datele e sculture di buona fattura, stucchi e da due altari, con colonne aggettanti, suciascuna delle pareti.La cappella sulla destra al termine della navata e dedicata alla Vergine del Carmine,oltre ad una grande tela di autore sconosciuto ed agli affreschi che ne decorano lavolta, presenta al suo interno un sarcofago marmoreo contenente le spoglie del

La chiesa è ad unica navata, a forma di croce latina, grazie alle due cappelle lateralie all’abside.All’incrocio tra i due bracci della croce sorge la cupola, decorata al suo interno dafinissimi stucchi, realizzati dai fratelli Fantauzzo nel XIX secolo, e i cui peduccisono affrescati con i quattro Profeti maggiori (Davide, Geremia, Isaia, Daniele)opera della scuola del Borremans. La cupola termina con un proporzionatolanternino sormontato da una palla di rame sulla quale si erge la bandiera sorrettadal leone, simbolo di Casa Branciforti.Il prospetto dell’edificio si presentadalle linee semplici, con un cantonalein pietra squadrata sull’angolo destroe torre campanaria, sempre in pietra, asinistra, contigua al convento.E’ coronato da un fregio dorico conmetope e triglifi sormontato da uncornicione conclusivo. Al centro dellafacciata l’ingresso principale èsottolineato da due colonne in pietra icui piedistalli sono ornati da motivivegetali a rilievo. Il portale èsormontato da una finestra ad arco.

Fig. 2 Vista dell’interno

Principe Giovanni IV Branciforti. Ilsarcofago, in marmo rosso di SanMarco D’Alunzio, ha la forma di unagrande arca sorretta alle testate da duecoppie di leoni congiunti alle terga econ le code tra loro attorcigliate,simile a quelli in porfido rosso dellaCattedrale di Palermo contenenti lespoglie di Enrico IV, l’ImperatriceCostanza e Federico II. Fu fattorealizzare dopo la morte del PrincipeGiovanni dal figlio Fabrizio nel 1621e fatto collocare in questa chiesa solosuccessivamente per volontà diGiuseppe Branciforti.

Fig. 3 Sarcofago marmoreo di Giovanni IVBranciforti

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La Cappella Maggiore dedicata a S.Stefano è caratterizzata lungo laparete di fondo dallo splendido altaremaggiore in marmi policromi e da unatarsia a motivi geometrico - floreali,sempre in marmi colorati, posizionataal centro del pavimento dell'abside.Di particolare rilievo sono le balaustreche chiudono le tre cappelle realizzatein finissimo marmo bianco e decorateda intarsi in marmi policromi acarattere geometrico e raffiguranti lostemma della famiglia Branciforti conil leone rampante che sostiene unabandiera. Tra le pietre colorate quiutilizzate troviamo il Giallo diCastronovo, il Libeccio di Trapani, ilGrigio di Billiemi, il Verde di Calabriaed il Rosso di San Vito.

Fig. 4 Tarsia in marmi policromi posta al centrodel pavimento della Cappella Maggiore

Furono realizzate assieme alle cappelle stesse per volontà del Principe GiuseppeBranciforti.

Fig. 5 Balaustra marmorea

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L’altare è posizionato sulla parete di fondo della maggiore delle tre cappelle fatteerigere dal Principe Giuseppe Branciforti quale voto al Santo per averlo salvatodalla pena di morte, inflittagli dopo la congiura dei baroni siciliani contro la CoronaSpagnola, alla quale aveva preso parte. Fu realizzato alla fine del XVII secolo e,dopo la morte del Principe, arricchito da una tela raffigurante il Martirio di SantoStefano, opera del pittore napoletano Mattia Preti, trafugata da ignoti nel 1982.É di grandi dimensioni (occupa infatti quasi l’intera parete), rialzato da quattrogradini e realizzato in marmo bianco di Carrara, riccamente scolpito, con intarsi inmarmi policromi. Si compone di due parti: l’altare vero e proprio, in basso, e lastruttura della cornice, per contenere la pala d’altare, in alto.Ha una mensa leggermente avanzata, con paliotto decorato da elementi scultorei arilievo, soprattutto nella parte centrale aggettante, raffiguranti putti e fogliame.Agli angoli presenta delle mensole inclinate con volute.Sopra la mensa, al centro dei due gradini porta candele, è collocato il tabernacolo,dalle forme arrotondate, ed ancora più in alto troviamo una struttura, a forma ditempio, con colonne libere in marmo grigio, affiancate da volute di raccordo, chesostengono la trabeazione, che chiude in alto la composizione.Il ricchissimo apparato scultoreo prevede due figure marmoree di Serafini, sedutisu grandi volute che fuoriescono inclinate dagli angoli dell’altare. Nella parte altainvece le due statue presenti raffigurano le allegorie della Fede e della Speranza.

Altare di Santo Stefano (Altare Maggiore)

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Fig. 1 Prospetto Principale

UBICAZIONE :

DATAZIONE :

COMMITTENZA:

AUTORE :

BIBLIOGRAFIA :

Si affaccia su una piazzetta che costeggia la ViaGallo

Secolo XI (edificio originario)Prima metà del secolo XVIII (rifondazione)

Marchese Filippo Bivona (rifondazione)

Ignoto

Di Giorgio Ingala P., 1900, pp. 329-332D’Aleo A., 1991, pp. 52-55

Chiesa del SS. Crocifisso dell’Olmo

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Breve cenno storico:

La storia di questo edificio è legata ad una leggenda che ci racconta di alcuni ladriche volevano rubare il Prezioso Crocifisso ligneo custodito nella chiesa.Uno dei ladri, avendo con se un grosso bastone di olmo, lo piantò nel terrenodavanti la chiesa per avere le mani libere. Dopo avere preso il Crocifisso i ladriuscirono dal Tempio ma, con loro grande meraviglia, al posto del bastone trovaronoun grande albero di olmo, cresciuto miracolosamente. Spaventati per il prodigiolasciarono la refurtiva scappando via e così il Crocifisso fu salvo. Sarebbe a causadi questo avvenimento miracoloso che la Chiesa avrebbe assunto la denominazioneattuale di SS. Crocifisso dell’Olmo, in luogo di quella precedente di Santa Mariadell’Itria.Non sappiamo quanto di vero ci sia nel racconto ma questo ci aiuta a spiegare ilcambio di denominazione del Tempio e la nascita della particolare devozione delpopolo mazzarinese verso questo Crocifisso miracoloso, Patrono della città fino al1814 e, dopo quella data, Compatrono insieme alla Madonna del Mazzaro.Dell’edificio sappiamo invece che è molto antico ed assieme alle chiese di S.Francesco di Paola, di San Antonio Abate, di Sant’Agata (oggi SS. Crocifisso deiMiracoli) è tra i più antichi della città, sorto in quello che era allora il cuore delborgo medievale, nei pressi del castello e della originaria Chiesa Madre.La sua fondazione con il titolo di Santa Maria dell’Itria sarebbe opera dei Normannie risalirebbe al secolo XI.La struttura originaria, in stile normanno, aveva aperture a sesto acuto e soffittoligneo con travi istoriate.Il terremoto del 1693 distrusse la chiesa normanna e solo parecchi anni dopo, nel1756, questa fu ricostruita dalle fondamenta, nelle forme attuali, grazie alladevozione del Marchese Filippo Bivona, come ci testimonia una lapide postaall’interno dell’edificio.Questi, oltre ad erigerla, la dotò di arredi e paramenti, fece costruire e decorare glialtari e commissionò anche alcuni dei dipinti che li impreziosiscono.Al Marchese Bivona, che si fece poi seppellire nella stessa chiesa dove ancora oggipossiamo ammirare il suo mausoleo marmoreo, si deve anche la realizzazione delcampanile annesso alla struttura, che fu colpito nel 1874 da un fulmine e rovinò inbuona parte. Fu restaurato nel 1881.A Mons. Gaetano Quattrocchi, mazzarinese, rettore del Tempio e poi divenutoVescovo di Mazzara, si devono inoltre le opere di decorazione a stucco degli interninel 1886.Nel 1881 fu anche fondata la “Confraternita della Bara”, formata da più di centouomini che in occasione della Festa del Crocifisso dell’Olmo (la prima domenica diMaggio) portano il fercolo, in ferro battuto e dal notevole peso, contenente ilCrocifisso in processione per le vie del paese. Tale tradizione si sviluppò negli anniimmediatamente successivi al terremoto quale voto della popolazione per loscampato pericolo. Mazzarino infatti aveva subito danni relativamente modesti, seconfrontati con quelli di altri centri della parte sud orientale dell’isolacompletamente rasi al suolo, e non vi erano state vittime tra la popolazione.

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La chiesa, realizzata dalle fondamenta dal Marchese Bivona nel 1756, ha tre navatedivise da quattro colonne cilindriche che sostengono delle arcate a tutto sesto.L’impianto longitudinalmente si chiude con l’abside centrale affiancato da duecappelle a destra e a sinistra.Il prospetto esterno si affaccia su di una piazzetta che costeggia la strada ed èsemplice e spoglio.Si caratterizza soltanto per gli elementi architettonici principali, realizzati in pietra

Descrizione edificio:

stucchi, fatti realizzare nel 1886 dal rettore del Tempio Mons. Gaetano Quattrocchi,divenuto poi Vescovo di Mazzara. Furono eseguiti dai Fratelli Fantauzzo diBarrafranca, artisti e stuccatori attivi in questa area ed impegnati nella decorazionedegli edifici più importanti della Diocesi di PiazzaArmerina, e di altri centri vicini.Sono presenti sette altari, compreso quello Maggiore, tutti con le mense in marmicolorati (decorazione a mischio). Negli altari sono collocati dei dipinti di buonafattura e tra questi uno di autore ignoto raffigurante la Madonna dell’Itria, cui lachiesa era prima intitolata, quello della Maddalena, commissionato dal MarcheseBivona nel 1755 al pittore palermitano Pietro Spinosa, una tela con la sacrafamiglia del XVI secolo e l’Arcangelo Michele di autore ignoto.La chiesa come detto conserva un prezioso crocifisso ligneo scolpito (Crocifissodell’Olmo o delle Grazie), di epoca cinquecentesca e Compatrono della città.La scultura lignea del Crocifisso, alterata nell’aspetto da pesanti ridipinture, non èomogenea al supporto. Quest’ultimo è caratterizzato da dipinti nei capicroce delrecto raffiguranti la Madonna e San Giovanni dolenti, ai lati del Crocifisso, e DioPadre Benedicente in alto. Il verso, oltre ai capicroce dipinti presenta anche lungol’asse verticale le figure del Redentore Benedicente, del Cristo Risorto e dellaMadonna con il Bambino.Nell’edificio è collocata anche una pila dell’acqua santa, forse appartenenteall’antica chiesa distrutta dal terremoto, realizzata in marmo bianco ed opera forsedel Gagini.

squadrata, quali il portale, le duefinestre delle navate laterali ad arcoribassato, la finestra finestra dellanavata principale, rettangolare ed inasse con il portale, ed infine icantonali.La parte terminale segue il profilodella copertura a due spioventi dellanavata centrale assumendo la forma didi un timpano triangolare cui siappoggiano le falde inclinate dellecoperture delle navate laterali,leggermente più basse.L’interno è interamente decorato da

Fig. 2 Vista dell’interno

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Gli altari in marmi policromi che ornano la chiesa sono sette e tutti identici nellaforma, nel tipo di pietra ornamentale colorata utilizzata e nella posizione di questaall’interno della composizione.

ono dedicati alla Maddalena, alla Madonna dell’Itriaed alla Sacra Famiglia, mentre quelli di sinistra all’Arcangelo Michele, allaMadonna del Monserrato e alla Madonna delle Grazie. L’altare maggiore è invecededicato al SS. Crocifisso dell’olmo e contiene nella nicchia in alto lo stessoCrocifisso miracoloso, in legno scolpito, che dà il nome alla chiesa.Tutti furono realizzati intorno alla metà del secolo XVIII (dopo il 1756) per volontàdel Marchese Filippo Bivona, promotore e finanziatore della edificazione dellanuova chiesa, che così volle abbellire ed arricchire l’edificio.Si tratta di altari dalle forme semplici e dalle piccole dimensioni ma riccamentedecorati da tarsie marmoree e rilievi scultorei. Una struttura rettangolare in marmobianco di Carrara, caratterizzata ai bordi da due paraste con volute che sostengonola cornice conclusiva, inquadra il ricco paliotto centrale.Qui i marmi colorati sono inseriti entro movimentate riquadri le cui corniciscultoree, in leggero rilievo, richiamano motivi floreali. Al centro dell’interodisegno troviamo uno stemma dalle forme rotondeggianti, sempre ispirate a motivinaturalistici. Ciascuno degli altari è arricchito inoltre nella parte alta dalla presenzadi dipinti di buona fattura, realizzati per lo più nei secoli XVII e XVIII.

Quelli della navata di destra s

Altare Maggiore -Altari Cappelle -Altari laterali

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Fig. 1 Prospetto Principale

UBICAZIONE :

DATAZIONE :

COMMITTENZA:

AUTORE :

BIBLIOGRAFIA :

Sorge nella periferia cittadina, ai piedi del castellomedievale (“Cannuni”) e vicino alla chiesa del SS.Crocifisso dei Miracoli (ex Chiesa Madre)

Secolo XIII

Famiglia Branciforti, Signori di Mazzarino

Ignoto

Di Giorgio Ingala P., 1900, pp. 385-389D’Aleo A., 1991, p. 69

Chiesa di S. Francesco di Paola

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Breve cenno storico:

La chiesa di San Francesco di Paola è tra le più antiche di Mazzarino e la suafondazione è legata alla potente famiglia dei Branciforti, detentrice del feudo, chedimorava presso il vicinissimo castello, ed i cui simboli sono visibili negli elementicircolari in pietra su cui confluiscono i costoloni della volta che copre il vano.Si tratta di una piccola struttura, utilizzata dai signori feudali quale cappella privata,annessa ad un Eremo di frati Carmelitani. Probabilmente la chiesetta fu fondata nelsecolo XIII e dalla sua origine, fino al 1673 fu occupata dai frati.Questi però in quell’anno si trasferirono in un nuovo convento all’interno dellacittà, acquistato e ultimato dal Padre Marco Ferranti, Priore del Convento, dalPrincipe Giuseppe Branciforti, e così il vecchio ed isolato monastero, le cuistrutture erano ormai fatiscenti, fu abbandonato.Da questo momento fino all’inizio del secolo XIX l’ex convento dei Carmelitani, aipiedi del castello, e l’annessa chiesetta furono utilizzati come ricovero di eremitisotto il titolo di S. Corrado. Solo successivamente l’edificio religioso assunse ladedica a San Francesco di Paola.In seguito alla emanazione nel 1866 delle leggi sulla soppressione degli ordinireligiosi sia il convento che la chiesa vennero incamerati all’interno del patrimoniodel Demanio e vi rimasero fino al 1881. In quell’anno infatti la chiesa fu compratadal Padre Carmelo Nicolosi, che la riaprì al culto, ed il convento invece fuacquistato dal Sig. Giuseppe Vitali, di Licata, che lo restaurò trasformandolo nellasua residenza privata. Tale stato di cose tuttavia permanne per brevissimo tempo,infatti già nel 1885 i PP. Riformati, acquistato il convento, vi si stabilirono,officiando nella chiesa contigua.Nel XX secolo il complesso ha cambiato più volte proprietà, subendo diversetrasformazioni ed ammodernamenti fino ad assumere l’aspetto attuale. Negli anni‘50 è pervenuto ad una comunità di suore Figlie della Carità di Giacomo Cusmano,le quali hanno dato vita all’opera “Boccone del Povero” - Casa del Fanciullo, edancora oggi vi risiedono gestendo una casa di accoglienza per anziani.

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Descrizione edificio:

Sorge ai piedi del castello feudale,residenza fino al secolo XVII dei Signoridi Mazzarino. Si tratta di un edificio dallepiccole dimensioni ma molto antico,avente impianto originario a croce greca,trasformato nel corso dei secoli in crocelatina con abside centrale maggiore, inasse con l’ingresso, e absidi laterali,sporgenti e visibili dall’esterno.La chiesa è stata recentemente interessatada un profondo intervento di restauro, siadelle strutture esterne che dell’interno,che ne ha in parte stravolto la formatramandataci dal tempo, frutto di continuetrasformazioni e cambiamenti di gusto.Oggi quindi si presenta con un aspettomedievale (suo aspetto originario),austero e più vicino ad un’opera difortificazione che ad un edificio religioso,destinato ad ospitare delle celebrazioni.

Fig. 2 Vista dell’interno

Il prospetto principale esterno infatti è costituito da una muratura in conci irregolaridi pietra arenaria locale. Ha forma rettangolare ed è chiuso in alto, lungo tutto il suoperimetro, da una merlatura. Unici elementi presenti nella facciata sono la porta diingresso rettangolare, piccola ed essenziale nelle forme, con stipiti ed architrave inpietra squadrata, e l’apertura circolare, situata in asse con la porta stessa. Sempreall’esterno, sulle pareti laterali sulle murature delle absidi laterali , troviamo dellesottili aperture ad arco strombate, simili a delle feritoie.L’interno è completamente rinnovato e quasi del tutto spoglio. Il pavimento è statorealizzato da breve tempo, le pareti sono state intonacate e così anche le volte dicopertura della piccola navata, e delle absidi. Le volte presentano ancora icostoloni, realizzati in laterizio, che convergono su di un elemento circolare, chefunge da chiave di volta, su cui sono rappresentati simboli riconducibili alla nobilefamiglia dei Branciforti.L’unico elemento decorativo all’interno dell’edificio è l’altare maggiore, dedicatoa San Francesco di Paola, caratterizzato da una mensa in marmi policromi e da unaricca decorazione in stucco colorato, con motivi di ispirazione naturalistica efloreale, di gusto tipicamente barocco.La nicchia contenente la statua del Santo infatti è inquadrata da una struttura conparaste laterali, aggettanti e dalla originale forma curva, che sostengono latrabeazione curvilinea. In alto, sempre in stucco, la composizione si chiude con unasorta di grande medaglione, sormontato da una corona e con figure di putti cheinquadrano una iscrizione inneggiante alla Carità.Le absidi laterali, oggi spoglie, contengono ancora i dipinti che prima ornavano glialtari qui collocati, dedicati a San Corrado ed alla Beata Vergine del Carmelo.

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L’altare è collocato entro l’abside maggiore, proprio di fronte all’ingressoprincipale, inserito all’interno di una ricca composizione, ornata da stucchi e davivaci colori, realizzata in età barocca nella chiesetta di aspetto invece medievale.L’opera infatti è l’unico elemento decorativo dell’edificio ed ha nel disegnoarchitettonico complessivo e nelle paraste curve, che sostengono il coronamentosoprastante, un elemento di originalità dal notevole interesse artistico ed utile percomprendere le peculiarità dell’arte e dell’architettura barocca. Il tutto è infatticaratterizzato dal dinamismo e dalla complessità delle forme, oltre che da una riccadecorazione di ispirazione naturalistica realizzata in stucco, a sua volta arricchitoda vivaci colorazioni. Al centro troviamo poi la nicchia contenente la statua delSanto, ed ancora più in alto il grande medaglione conclusivo con figure di angeli ediscrizione inneggiante alla carità. La mensa, nella parte bassa, è costituita da marmobianco di Carrara, decorato da tarsie in marmi policromi. Il paliotto, inquadrato ailati da piccole volute, presenta al centro una sorta di urna aggettante, dalle formerotondeggianti, con fastoso medaglione centrale. Nella parte alta invece vi sono tregradini porta candele ed al centro il tabernacolo marmoreo, a forma di tempiettocon paraste e volute a sostegno della trabeazione. Per il disegno architettonico e peril tipo di pietre ornamentali colorate utilizzate somiglia molto all’altare diSant’Antonio, presente sempre a Mazzarino nella Chiesa Madre. É probabile che idue altari siano coevi e che siano stati realizzati dalle medesime maestranze.

Altare di S. Francesco di Paola (Altare Maggiore)

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NISCEMI

1. Chiesa di Maria SS. Dell’Itria (chiesa madre)

2. Chiesa di Maria SS. Addolorata (Carmine)

3. Chiesa della Madonna delle Grazie

4.

5. Chiesa Santuario di Maria SS. Del Bosco

6. Chiesa di San Giuseppe

Chiesa di San Francesco

Chiese con altari in marmi policromi

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Fig. 1 Prospetto Principale

UBICAZIONE :

DATAZIONE :

COMMITTENZA:

AUTORE :

BIBLIOGRAFIA :

Si affaccia sulla Piazza Vittorio Emanuele III, piazzaprincipale di Niscemi, di fronte alla chiesadell’Addolorata

Secolo XVII (1° edificio)Prima metà del secolo XVIII (edificio attuale)

Giuseppe Branciforti (1° edificio)Devozione popolare (edificio attuale)

Giuseppe La Rosa, architetto (edificio attuale)

Giuliana G., 1967, p. 210Conti E., 1977, pp. 81-86Marsiano A., 1989, pp. 10-11Marsiano A., 1995, p. 33; p. 88; pp. 90-97

Chiesa di Santa Maria d’Itria(Chiesa Madre)

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Breve cenno storico:

La chiesa di Santa Maria d’Itria fu realizzata nelle forme attuali nel corso dellaprima metà del secolo XVIII, sul luogo in cui si trovava la primitiva Chiesa Madre,recante sempre lo stesso titolo.Della chiesa iniziale sappiamo ben poco. Sicuramente fu realizzata nei decenniimmediatamente successivi alla fondazione della città di Niscemi, avvenuta nel1626. Non si è certi inoltre del fatto che sia stata fabbricata a spese del PrincipeGiuseppe Branciforti oppure per contribuzione volontaria di tutto il popolo.Da alcune realzioni relative a visite pastorali, effettuate dai Vescovi nella chiesa neiprimi anni del secolo XVIII, siamo venuti a conoscenza della presenza nel tempioseicentesco di una cappella dedicata al Purgatorio e di un’altra al Rosario, di altaridedicati a Sant’Anna, alla Sacra Famiglia, ai Santi Pietro e Paolo e al SS.Crocifisso.Sicuramente l’edificio venne seriamente danneggiato dal terremoto del 1693 ecosì, dopo avere per alcuni anni provveduto a piccole e provvisorie riparazionidelle strutture, si diede inizio alla riedificazione della chiesa, in forme piùmaestose, finanziata esclusivamente dal popolo.Dopo il disastroso terremoto infatti il popolo da solo, senza alcun aiuto finanziariodi personalità esterne, ricostruì nel breve periodo che va dal 1710 al 1780 quasi tuttele chiese attualmente esistenti nella città, seriamente danneggiate in occasionedella calamità.I lavori per la costruzione della nuova chiesa ebbero inizio nel 1742 secondo ilprogetto redatto dall’architetto messinese Giuseppe La Rosa, attivo in quegli anni aPiazza Armerina. La costruzione continuò ininterrottamente fino al 1751. Inquell’anno infatti il nuovo parroco decise di sospendere in via provvisoria i lavori acausa della mancanza dei fondi necessari. Negli anni successivi, però, a causa deicattivi raccolti e in considerazione del fatto che l’attenzione e il concorso popolaresi erano ormai rivolti verso la costruzione della nuova chiesa dell’Addolorata, nonsi ebbe più cura di portare a termine la Chiesa Madre che rimase incompleta. Lafacciata rimase priva del suo coronamento, mentre l’interno fu lasciato rustico,privo di intonaco, stucchi e decorazioni. Solo in seguito si provvide ad intonacare lepareti e a pavimentare la chiesa in modo che questa potesse essere inaugurata edutilizzata per le sacre celebrazioni.Due anni dopo così, il 15 luglio 1753, il tempio venne solennemente consacrato allapresenza del Vescovo di Siracusa, Mons. Francesco Testa.Nel 1858 furono stanziati dal decurionato trecento ducati per la decorazione dellachiesa Madre, secondo il progetto redatto dall’architetto Francesco Cultrera diVizzini. Negli anni 1863 e 1864 furono effettivamente eseguiti i lavori diabbellimento di tutto l’edificio da un gruppo di pittori decoratori provenienti daAvola, sotto la guida del pittore Gregorio Scalia.Nel 1906 fu messo in opera il nuovo pavimento in marmo bianco e bardiglio.Nel 1982, ad opera del parroco donAntonino Russo, tutta la chiesa è stata restaurataed affrescata dal pittore e decoratore Giacomo Cinnirella di Caltagirone.Restauri delle strutture murarie esterne, di quelle di copertura e degli infissi sonostati eseguiti invece nel 1991 grazie ad un finanziamento della Regione Siciliana.

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Descrizione edificio:

La chiesa ha pianta basilicale, a tre navate,di cui quella maggiore coperta da unavolta a botte lunettata, con abside centralemolto profondo, affiancato da duecappelle, e cupola, posta all’incrocio deltransetto con la navata.La facciata è costituita da tre ordini, di cuil’ultimo rimasto incompleto. Le duelesene centrali dividono la superficie diciascun livello in tre rettangoli, di cui i duelaterali rientrano con leggera concavitàconferendo movimento, snellezza edeleganza a tutta la composizione. Alcentro spicca il bel portale in pietra condue fasci di tre colonne libere subasamento che sostengono un fastosocoronamento dalle forme curve. In assecon il portale, in corrispondenza delsecondo livello, troviamo la finestrarettangolare racchiusa entro una riccacornice con colonne piatte in leggero aggetto, complete di trabeazione. Il terzoordine, rimasto incompiuto perchè privo della trabeazione, è caratterizzato da trecelle campanarie con archi a tutto sesto inquadrati da delle paraste.Le quattro superfici laterali concave sono decorate ciascuna con una nicchiacontenente una statua. Vi sono così raffigurati i due Evangelisti Marco e Giovannied i SantiApostoli Pietro e Paolo.L’interno è diviso in tre navate da cinque pilastri per lato. Delle paraste corinziesostengono la trabeazione con cornice aggettante su cui imposta la volta. Leaperture della navata sono collocate entro le lunette della copertura.Le decorazioni a stucco furono realizzate negli anni 1863-1864 da maestranzeprovenienti da Avola guidate dal pittore decoratore Gregorio Scalia. Queste, suprogetto dell’architetto Francesco Cultrera di Vizzini, decorarono la cupola, il coro,la volta della navata principale e quelle delle navate laterali.Tra le tele possedute dalla chiesa ricordiamo due opere dei fratelli Vaccaro diCaltagirone, una raffigurante la e realizzata nel 1837, mentre l’altra,con la , datata al 1860.Gli altari laterali e quello maggiore sono tutti realizzati in marmi policromi edimpreziositi dalla presenza di dipinti e statue di buona fattura.Il presbiterio è separato dalla navata da una balaustra in marmo con intarsi in pietrecolorate, tra cui il marmo Rosso di Francia ed il Libeccio di Trapani.Nella chiesa si trovano altre opere realizzate in marmo ed impreziosite dallapresenza di pietre ornamentali colorate quali diverse acquasantiere, il fontebattesimale, in legno lavorato e decorato nella parte superiore, ed un paliotto dialtare, in marmi mischi, collocato sul muro lungo la navata di sinistra.

CrocifissioneMadonna del Suffragio

Fig. 2 Vista dell’interno

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Altare della Sacra Famiglia

Si tratta del primo altare, posto lungo la navata laterale di destra, rispettoall’ingresso principale, subito dopo il fonte battesimale in legno e marmo.L’altare si compone di un paliotto seicentesco, inquadrato da due paraste ai bordi,appartenente ad un altare marmoreo della originaria chiesa Madre, realizzata agliinizi del secolo XVII. Questo, dopo l’edificazione del nuovo tempio e dopo la suadecorazione, è stato risistemato alla fine dell’800 all’interno di una composizione,con corpi laterali e gradini nella parte alta, dal gusto neoclassico, tipicamente tardoottocentesco. Mentre infatti nella mensa, in marmo bianco con intarsi in pietreornamentali colorate, prevale la tendenza alla decorazione ed alla vivacità delleforme e dei colori, nel resto della struttura troviamo invece forme lineari,decorazioni a carattere geometrico, ispirate alle figura del rettangolo, e pietrecolorate dai toni severi. La mappatura dei litotipi presenti è stata quindi eseguitasolo sulla parte di altare più antica, ovvero solo relativamente al paliotto marmoreo.L’opera seicentesca ricalca modelli e temi decorativi molto diffusi nelle chiese diNiscemi. Paliotti simili sono infatti presenti, oltre che nella stessa chiesa Madre,anche presso la chiesa di San Giuseppe, della Madonna del Bosco e della Madonnadelle Grazie, mentre altri, realizzati in paese successivamente, sono chiaramenteispirati a questi. Si tratta di una composizione di ispirazione naturalistica, ricca divolute e linee curve che inquadrano le lastre in marmi policromi della decorazione amischio, inserita entro lo spazio rettangolare definito dalle paraste ai bordi.

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Altare del SS. Sacramento

L’altare occupa la parete di fondo di una delle cappelle che affiancano l’absidemaggiore della chiesa. Si tratta della cappella dedicata al SS. Sacramento situata altermine della navata laterale di destra, rispetto all’ingresso principale.Una cappella con la stessa dedica esisteva già nella primitiva chiesa Madre,realizzata agli inizi del secolo XVII. É probabile che questa fosse già allora dotatadi un altare marmoreo e che alcuni frammenti dello stesso altare (tabernacolo etempietto con colonne libere) fossero stati riutilizzati in occasione dellarealizzazione dell’altare attualmente visibile. Questo, sopraelevato da due scalinimarmorei, è inserito all’interno di una struttura architettonica con colonne libere subasamento che sostengono un coronamento con architrave, fregio, cornice etimpano triangolare. Due figure di angeli, realizzati in stucco, con in mano unostensorio contenente il SS. Sacramento .L’altare ha forme semplici ed ormai di gusto neoclassico. Si compone nella partebassa di una mensa in marmo bianco con paliotto decorato da una grande lastrarettangolare di Libeccio di Trapani. Al centro del paliotto troviamo il simbolo dellacroce, mentre ai fianchi due corpi laterali, di forma rettangolare e leggermentearretrati, fungono da basamento per le colonne della struttura superiore.Nella parte alta dell’altare è collocato il tabernacolo marmoreo. Sopra questo lacomposizione si chiude con una struttura a forma di tempio circolare con colonnelibere a sostegno della trabeazione e del coronamento con volute conclusivo.

occupano lo spazio centrale

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Altare Maggiore

L’altare è posizionato in fondo all’abside maggiore della chiesa, notevolmenterialzato rispetto alla quota del pavimento da cinque scalini in marmo bianco.Abbiamo pochissime notizie storiche relativamente a quest’opera probabilmenteeseguita alla fine del secolo XVIII oppure degli inizi del secolo XIX, e realizzatanel momento in cui alla ricchezza e complessità delle forme, tipiche dell’etàbarocca si cominciarono a preferire la sobrietà e compostezza delle composizionidi tipo neoclassico, sempre più diffuse anche a Niscemi.L’altare ha grandi dimensioni e si compone di una lunga mensa rettangolare, inmarmo bianco, con paliotto riccamente decorato da marmi policromi e rilieviscultorei, dalle forme rotondeggianti, che inquadrano il medaglione al centro,contenente il simbolo della croce.Il paliotto è inquadrato ai bordi da paraste, ornate da intarsi dal motivo naturalistico,mentre ai fianchi della mensa due corpi laterali, leggermente arretrati, chiudonoorizzontalmente la composizione.Nella parte alta invece, sopraelevato da un gradino, si trova l’alto attico, concornice conclusiva, decorato da lastre in marmi policromi, di forma rettangolare equadrata, tagliate a specchio in modo da ottenere un particolare effetto decorativo.Al centro è collocato il tabernacolo a forma di tempietto, avente la stessa altezzadell’attico ed ornato da paraste con intarsi in marmi policromi, che inquadrano losportellino centrale dorato e sostengono la trabeazione con cornice conclusiva.

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Altare del SS. Crocifisso

L’altare si trova all’interno della cappella del SS. Crocifisso, situata al termine dellanavata di sinistra ed aperta sul transetto. Occupa la parete di fondo del vanorettangolare, sopraelevato rispetto alla quota del pavimento da due scalinimarmorei. É inserito entro una struttura con colonne a sostegno della trabeazionecurvilinea, che inquadra il grande Crocifisso e gli stucchi, che costituiscono ilmotivo ornamentale della composizione.

L’altare è abbastanza antico e sicuramente presente già nella primitiva chiesaMadre, realizzata nel secolo XVII e sostituita dal nuovo tempio nel secolosuccessivo. Era probabilmente già allora collocato in una cappella dedicata al SS.Crocifisso e fu rimontato in questa posizione dopo l’edificazione e decorazionedella nuova chiesa.L’altare ha piccole dimensioni ed è realizzato in un marmo bianco, probabilmentelocale, caratterizzato da sottili venature di colore grigio. É interamente decorato datarsie in marmi policromi dalle forme tipicamente barocche, ma allo stesso temposemplici ed ispirate a motivi geometrici.La mensa presenta un paliotto rettangolare, ornato da tarsie marmoree edinquadrato da paraste ai lati. In alto invece troviamo due gradini porta candele ed alcentro del secondo gradino il tabernacolo in legno dorato a forma di tempietto.

La cappella è coperta da una volta divisain otto vele, affrescata e con angeli in gesso, a rilievo, mentre nel medaglionecentrale è stato dipinto Gesù Risorto con la croce.

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Altare della Madonna del Carmine

É il secondo altare della navata laterale di sinistra, rispetto all’ingresso principale,sopraelevato dalla quota del pavimento da uno scalino in marmo Rosso di San Vito.Non abbiamo notizie precise su quest’opera, tuttavia è probabile che si tratti di unacomposizione ottocentesca, realizzata contemporaneamente alle decorazioni instucco della chiesa, dalle forme lineari e semplici, di gusto neoclassico, ma dallaricca profusione di marmi policromi, soprattutto brecciati, retaggio della culturafigurativa di periodo barocco.Sopra l’altare, entro una nicchia ad arco affiancata da decorazioni a stucco, si trovaconservata una statua della Madonna con in braccio Gesù Bambino.L’altare è interamente rivestito di marmi policromi e decorato da motivi diispirazione geometrica quali lastre di forma rettangolare inserite entro semplicicornici lineari. La mensa presenta un paliotto rettangolare, inquadrato da paraste aibordi ornate da teste di angeli, con al centro un ottagono contenente un rilievoscultoreo raffigurante la Madonna.Ai fianchi della mensa troviamo due corpi laterali arretrati, mentre nella parte altadue gradini chiudono la composizione. Il primo gradino, rivestito da una marmobrecciato dal fondo violaceo, sostiene il secondo gradino, notevolmente più alto etale da costituire un vero e propio attico. Questo è decorato da lastre marmoree diforma rettangolare e presenta in alto, lungo l’asse di simmetria verticale dell’altare,un piccolo elemento di coronamento con volute ed intarsi in marmi policromi.

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Fig. 1 Prospetto Principale

UBICAZIONE :

DATAZIONE :

COMMITTENZA:

AUTORE :

BIBLIOGRAFIA :

Si affaccia sulla Piazza Vittorio Emanuele III, piazzaprincipale di Niscemi, di fronte alla Chiesa Madre enei pressi del Palazzo Comunale

Primo decennio del secolo XVII (1° chiesetta)Metà del secolo XVIII (edificio attuale)

Fratelli Calcagno, procuratori della riedificazionedella chiesa di Maria SS. Addolorata (edificio attuale)

Silvestro Gugliara, architetto (edificio attuale)

Giuliana G., 1967, p. 212Cincotta R.-Pepi C., 1980, pp. 64-71Marsiano A., 1989, pp. 11-19Marsiano A., 1995, p. 33; p. 88; pp. 97-101Pepi S., 1996

Chiesa di Maria SS. Addolorata

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Breve cenno storico:

Anche la attuale chiesa dedicata a Maria SS. Addolorata è stata edificata nel XVIIIsecolo sul luogo di un precedente edificio religioso, gravemente danneggiatodurante il terremoto del 1693.Esisteva infatti in questo sito, già prima che venisse fondato il paese di Niscemi,una “rusticana aedicula”, ovvero una piccola chiesetta-oratorio, che serviva persoddisfare i bisogni religiosi dei pastori e degli agricoltori che lavoravano nel feudodi Niscemi.Quando nel 1660 fu fondata la Confraternita del SS. Crocifisso, composta da tuttele classi sociali, che osservava scrupolosamente un regolamento di vita spiritualecompilato da padre Luigi La Nuza, fu scelta proprio questa chiesetta per svolgervile quotidiane pratiche religiose.L’edicola fu pesantemente danneggiata dal terremoto del gennaio del 1693 e caddedefinitivamente intorno al 1748.A spese della confraternita del SS. Crocifisso e della Congregazione di Maria SS.Addolorata, e grazie alle generose offerte della popolazione, fu possibile negli annisuccessivi costruire un nuovo edificio, ben più maestoso e ricco del precedente.Sotto la guida del superiore della confraternita, don Gioacchino Calcagno, aiutatoed incoraggiato dai fratelli sacerdoti Giuseppe e Gaetano e dall’altro fratelloGiacomo, fu infatti ricostruito non più un semplice oratorio ma una chiesa moltoampia e dalle forme aggiornate, secondo il gusto del tempo.Acquistate le case circostanti ed ottenuta dal Vescovo di Siracusa la licenza diriedificare la chiesa, si conferì l’incarico di redigere il progetto all’espertocapomastro Silvestro Gugliara, nativo di Caltagirone, seguace della manieraarchitettonica del famoso architetto Rosario Gagliardi, cui per lungo tempo ederroneamente era stata attribuita la paternità della chiesa dell’Addolorata diNiscemi (è probabile che il Gugliara abbia tratto ispirazione dai progetti delGagliardi, che conosceva ed aveva visto all’opera a Caltagirone).I lavori iniziarono nel 1753, con lo scavo delle fondazioni, e si conclusero nel 1764,quando la chiesa venne consacrata dal Vescovo di Siracusa, Mons. Antonio deRequesens, e dedicata alla VergineAddolorata e a Gesù Crocifisso.Nel 1972 un grave incendio danneggiò l’edificio ed in particolare le pitture e gliaffreschi in esso conservati. Per questo motivo il procuratore Salvatore Benintendeed il rettore parroco don Antonino Russo si fecero promotori dei lavori di restaurodelle decorazioni, realizzati nel 1982. Fu il pittore e restauratore GiacomoCinnirella, di Caltagirone, a rimettere a nuovo i quadri e gli affreschi settecenteschi.L’usura del tempo aveva però apportato anche consistenti danni alle murature edalla copertura della chiesa, per cui si resero necessarie nuove operazioni di restauro,riguardanti questa volta la struttura, e non gli apparati decorativi.Nel 1989 la Soprindendenza ai beni culturali ed ambientali fece eseguire i restaurisecondo il progetto redatto e diretto dall’architetto Salvatore Scuto, che riportò lafacciata all’originario aspetto, consolidò la struttura muraria, rifece il tetto ormaipericolante, irrobustì la struttura del campanile e riordinò la cripta e gli elementidecorativi, quali gli altari.

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Descrizione edificio:

La chiesa è una pregevole opera diarchitettura barocca, dalla insolita piantaottagonale allungata, quasi ellittica, ecaratterizzata da una elegante facciata,convessa nella parte centrale.All’esterno il prospetto principaleprevede un ordine gigante di quattrolesene in pietra, su basamento, che lodivide in tre parti, mettendo così in risaltoil movimento della superficie, convessa alcentro e concava ai lati.Al centro l’artistico portale di ingresso èdecorato da paraste che sostengono untimpano spezzato e ricurvo. Sopra ilportale, ed in asse con questo, è collocatala finestra, rettangolare e riccamenteornata, che dà luce all’interno.L’ordine di lesene sostiene unatrabeazione concavo-convessa su cuiimposta la struttura della cellacampanaria, con paraste ad inquadrare le tre arcate con le campane, ed affiancata davolute, che chiude la composizione.L’interno, a pianta centrale, è coperto da una volta a crociera composta, costituita daun sapiente intrecciarsi di curve su cui si innestano le lesene interne.L’illuminazione, oltre che dalla finestra della facciata, è garantita anche dallapresenza di occhi che si aprono sotto la volta.Le decorazioni della chiesa furono realizzate nel 1760 da Francesco Sajola diCatania, mentre il pittore Gasperino Vizzini affrescò il grande quadro centrale dellavolta, racchiuso entro una cornice in stucco, raffigurante Gesù Cristo, la Madonna eSan Giovanni Evangelista.Gli altari in marmi policromi furono messi in opera nel 1764 da Domenico Viola diCatania. Quello Maggiore è dedicato al SS. Crocifisso ed alla VergineAddolorata efu completato ed abbellito nel 1797 con l’aggiunta della struttura superiore concolonne e frontone. Gli altari laterali, sempre in marmi policromi, sono dedicati alMaria SS. Della Mercede e a San Filippo Neri.Il pavimento della chiesa era originariamente in mattoni di ceramica stagnata diCaltagirone, eseguito nel 1762. Questo venne sostituito nel 1850 con un altro astrisce di pietra nera e bianca e nel 1931 con uno in mattoni di cemento a mosaico.La chiesa possiede alcune tele di autore ignoto quali i quadri raffiguranti la

, , l’ ed il .Nel 1761 venne collocata la porta della chiesa costruita da Andrea Militello edecorata con pitture del Tinnirello. Nella cappella dell’altare Maggiore si conservainoltre un pregevole Crocifisso ligneo, opera dello scultore Antonio La Verde diLicata, eseguito nel 1760 e donato alla chiesa da don Carmelo La Iacona.

Madonna della Mercede San Filippo Neri Addolorata Cristo Morto

Fig. 2 Vista dell’interno

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Altare del SS. Crocifisso e della VergineAddolorata(Altare Maggiore)

Si tratta di un grande altare posizionato nell’abside maggiore della chiesa, di fronteall’ingresso principale. Occupa la parete di fondo della zona del presbiterio,separata dal resto del vano da una balaustra in marmi policromi, rialzato rispettoalla quota del pavimento da tre gradini in marmo grigio scuro.Grazie alla esistenza del contratto stipulato dai procuratori, prepostiall’edificazione del tempio, per l’esecuzione dell’opera oggi ne conosciamoesattamente la data di realizzazione ed i nomi degli artisti che la eseguirono.Fu infatti Domenico Viola, proveniente da Catania, a realizzarla nel 1764. Allostesso artista si devono anche i due altari marmorei che occupano gli spazi laterali.L’altare fu però completato ed arricchito nel 1797 quando lo scultore GiuseppeOrlando, sempre di Catania, vi inserì le due colonne corinzie in marmo policromo,che sostengono l’architrave, il fregio ed il coronamento che conclude in alto lacomposizione.L’altare ha forme lineari e semplici ma vivaci colori dovuti ai vari litotipi presenti,per lo più brecciati. É caratterizzato da una mensa rettangolare il cui paliotto,inquadrato da due artistiche mensole sporgenti, ha al centro un rilievo in marmobianco raffigurante l’agnello, simbolo di Cristo, entro una cornice circolare.Ai fianchi della mensa troviamo le basi che sostengono le grandi colonne in marmo,mentre nella parte superiore il tabernacolo, a forma di tempio con paraste, colonnelibere e ricco coronamento triangolare, occupa lo spazio al centro dell’alto attico.

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Fig. 1 Prospetto Principale

UBICAZIONE :

DATAZIONE :

COMMITTENZA:

AUTORE :

BIBLIOGRAFIA :

Sorge nelle immediate vicinanze della piazzaprincipale della città, nel cuore del centro storico

Fine del secolo XVI (1° chiesetta)Prima metà del secolo XVIII (edificio attuale)

Famiglia La Iacona

Lucio Iacona, ingegnere (facciata novecentesca)

Marsiano A., 1995, p. 88; pp. 108-112Pepi S., 1996

Chiesa di Maria SS. delle Grazie

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Breve cenno storico:

La chiesa dedicata a Maria SS. delle Grazie è stata con molta probabilità il primoedificio religioso di Niscemi, esistente ancora prima che il paese stesso venissefondato, nello stesso luogo del tempio attuale. Una piccola chiesetta acevaparte, già negli ultimi anni del secolo XVI, del caseggiato della masseria dell’exfeudo di Niscemi, svolgendo le mansioni di chiesa parrocchiale e costituendo, conla sua antistante piazza il cuore del vecchio centro abitato.

Solo con l’incremento della popolazione e la costruzione della Chiesa Madre, con lanuova e più grande piazza davanti a questa, intorno al 1640, il nucleo della città sispostò più a nord-est, a discapito della chiesa della Madonna delle Grazie.Questa infatti rimase per poco tempo ancora aperta al culto, ma successivamentevenne chiusa e trascurata, tanto che già intorno al 1720 presentava evidenti segni difatiscenza, minacciando di rovinare al suolo.La nobile e ricca famiglia La Iacona, in occasione della ordinazione sacerdotale didon Antonio, membro della famiglia, pensò di ricostruirla e di dotarla della renditanecessaria al mantenimento del culto. Si rivolse allora al Principe Ercole MicheleBranciforti, nel 1733, per ottenere l’autorizzazione ad iniziare i lavori e laconcessione del diritto di patronato laicale sull’edificio (tale diritto fu richiestoanche al Vescovo di Siracusa, Mons. Matteo Trigona, che lo concesse nel 1734).L’autorizzazione fu concessa dal Principe il 29 novembre dello stesso anno e cosìdon Antonino La Iacona, con l’aiuto finanziario dei fratelli, del popolo e con unapiccola donazione del Principe, iniziò lo stesso anno la ricostruzione della struttura.Dopo brevissimo tempo i lavori furono portati a compimento e la chiesa divennel’orgoglio della famiglia La Iacona, che nel corso degli anni la dotò di un cospicuopatrimonio ed abbellì con sontuosi arredi e pregevoli opere d’arte.Nella chiesa si esercitavano regolarmente le funzioni religiose e questa fu tenutabene e continuò ad arricchirsi fino a quando non furono emanate le leggi eversivedei beni ecclesiastici nel 1866 e nel 1870. In seguito a queste leggi infatti i beni dellaChiesa venivano incamerati dallo Stato ed anche la chiesa della Madonna delleGrazie subì la stessa sorte. La famiglia La Iacona si ribellò a questo stato dicose, rivendicando per se la proprietà dell’edificio. Iniziò così un lungo periodo diliti e di battaglie legali tra la famiglia Iacona ed il Comune e tra gli stessi eredi, perla spartizione del patrimonio, che si conclusero soltanto molti anni dopo.L’ultima sentenza della Corte di appello di Palermo è del 1939. Fu nominato inquesta occasione un amministratore giudiziario con il mandato di provvedere, oltreche alla riscossione delle rendite, anche al restauro della edificio, che in tutto questotempo era stata trascurato ed abbandonato, per cui versava in pessime condizioni.Furono così eseguiti i lavori di restauro delle strutture e degli apparati decorativi,ultimati i quali si provvide a riaprire al culto la chiesa, consacrata solennemente dalVescovo di PiazzaArmerina Mons.Antonino Catarella, nel 1947.Oggi la chiesa, nuovamente chiusa al culto, necessita di ulteriori lavori di restauro.

infatti f

Fu proprio in questa chiesetta che inizialmente si conservò la sacra immagine dellaMadonna del Bosco, rinvenuta dal pastore Andrea Armao nel 1599, fino a quandonon fu pronto il nuovo edificio appositamente realizzato per custodirla (primachiesa della Madonna del Bosco).

tuttavia

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Descrizione edificio:

La chiesa, di piccole dimensioni, è ad unasola navata con pianta rettangolare.La facciata attuale è relativamente recentee realizzata su progetto dell’ingegnereLucio Iacona in pietra bianca di Comiso.Fu materialmente eseguita dallo scultoreBiagio Pulichino.La composizione, elegante ed armoniosa,è divisa dagli ordini sovrapposti in trelivelli. Il portale, posto al termine dellascalinata ed inquadrato da due paraste supiedistallo, occupa lo spazio centrale delprimo livello. In asse con il portale sitrova, in corrispondenza del secondolivello, una nicchia a forma di edicola, conlesene ioniche reggenti il timpano curvo,che contiene al suo interno la statua di SanGaetano. Il terzo livello è costituito invecedal campanile con tre celle campanarie adarco inquadrate da paraste corinzie, binateagli angoli, che sostengono la trabeazione con timpano spezzato e piccola strutturacentrale con volute, che funge da coronamento della composizione.All’interno il piccolo vano è ben illuminato e coperto da una volta a botte lunettata.É interamente decorato da stucchi e da affreschi, raffiguranti finte architetture,medaglioni, festoni e cornici, ed è impreziosito dalla presenza di 5 altari marmorei,compreso quello maggiore, in marmi policromi, dedicato a Maria SS. delle Grazie.Troviamo in questo altare inoltre un quadro con l’immagine della Madonna con inbraccio Gesù Bambino, racchiuso entro una cornice in marmo e stucco.Gli altari di destra sono dedicati a San Luigi Gonzaga,prima dedicato a San Filippo,e a San Gaetano da Thiene, arricchiti da statue collocate entro delle nicchie.Sulla sinistra invece troviamo l’altare dedicato alla Sacra Famiglia, con dipinto delVaccaro di Caltagirone collocato qui nel 1902 in sostituzione di un altra telaraffigurante la Madonna degliAngeli, e quello dedicato a Santa Lucia.Al centro della volta, in un grande ovale, è stato dipinto un affresco raffigurante laMadonna in gloria, incoronata da Gesù e da San Giuseppe, mentre lo spirito Santoscende sul suo capo in forma di colomba.La chiesa originariamente possedeva un coro semicircolare, con le pareti affrescate,ed un campanile di forma quadrangolare e termionante con una cupola, addossato allato destro del coro.Questi furono demoliti nel 1889 per sgombrare una delle vie adiacenti (Via Tondo),dopo una aspra controversia tra la famiglia Iacona ed il Comune.Il campanile fu però ricostruito sul lato sinistro della facciata, alquanto sporgentedalla linea della fabbrica, per cui dovette essere demolito nuovamente dal Comuneper sgombrare e sistemare la piazzetta antistante la chiesa.

Fig. 2 Vista dell’interno

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Altare di Maria SS. delle Grazie (Altare Maggiore)

L’altare sorge, rialzato rispetto alla quota del pavimento da quattro scalinimarmorei, sulla parete di fondo della chiesa, all’interno della zona del presbiterio,separata dalla navata da una balaustra in ferro battuto. È dedicato a Maria SS. DelleGrazie ed in alto è sormontato da un piccolo quadro, di forma quadrata, conl’immagine della Madonna che tiene in braccio Gesù Bambino, racchiuso entro unaricca cornice barocca in marmo policromo e stucco. Non possediamo notiziestoriche precise su questa opera, ma è probabile che l’altare esistesse già all’internodella primitiva chiesa dedicata alla Madonna delle Grazie, situata sempre in questoluogo. Successivamente, costruito il nuovo tempio fu rimontato nella posizione incui noi oggi lo ammiriamo. Si tratta di una struttura in marmo bianco, di dimensionicontenute, dalle forme semplici e lineari, ma allo stesso tempo dal ricco apparatodecorativo, realizzato con intarsi in marmi policromi, eleganti rilievi scultorei edorature. L’altare è costituito da una mensa con paliotto rettangolare, affiancato ailati da paraste. Al centro troviamo il medaglione dorato, incorniciato da volute e dauna corona, con all’interno, raffigurata a rilievo, la Madonna con Gesù Bambino.Due corpi laterali, leggermente arretrati e con volute, chiudono orizzontalmente lacomposizione. La parte alta è invece caratterizzata da due gradini porta candele, dicui il secondo notevolmente più alto, tanto da costituire un vero e proprio attico,chiuso da una cornice. Al centro è collocato invece il ricco tabernacolo, a forma ditempietto, con paraste a sostegno della trabeazione e del coronamento con volute.

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Altare di San Gaetano da Thiene

Si tratta del primo altare della parete di sinistra della navata, rispetto all’ingressoprincipale, collocato entro una nicchia ad arco e sormontato da una ulteriore nicchiacontenente la statua del Santo, ornata tutto intorno da stucchi, pitture e da unacornice lignea.É leggermente sopraelevato rispetto alla quota del pavimento ed ha piccoledimensioni. Non conosciamo nè la datazione, nè le maestranze che lo eseguirono.Tuttavia è probabile che anche questo, come l’altare maggiore, fosse presente giànella primitiva chiesa della Madonna delle Grazie e sia stato rimontato in questaposizione una volta ultimato il nuovo edificio. Ha forme tipicamente barocche epotrebbe essere datato intorno alla fine del secolo XVII.L’altare si compone di una semplice mensa in marmo bianco con intarsi in marmipolicromi e paliotto rettangolare, inquadrato ai lati da paraste. La mensa è affiancatada piccoli corpi laterali arretrati a forma di voluta. In alto invece il tabernacolo aforma di tempietto, con paraste, volute e trabeazione curvilinea, è inserito al centrodi una sorta di semplice attico, costituito da due gradini, di cui il secondonotevolmente più alto e chiuso da una cornice. L’intera opera è riccamente decoratada tarsie in marmi colorati dalla forma geometrica.Tuttavia è soprattutto il paliotto a presentare un complesso motivo decorativo arilievo con la figura del Santo inserita entro una articolata composizione con volute,motivi di ispirazione floreale e la testa di un angelo al centro.

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Fig. 1 Prospetto Principale

UBICAZIONE :

DATAZIONE :

COMMITTENZA:

AUTORE :

BIBLIOGRAFIA :

Sorge nella periferia della città sul piano detto della Torre,nei pressi della chiesa della Madonna del Bosco edell’ospedale cittadino

Prima metà del secolo XVII (1° chiesa e convento)Prima metà del secolo XVIII (edificio attuale)

F.Aprile e C.Aprile, dei Frati Conventuali di S. Francescod’Assisi (1° edificazione)Padre Antonino da Barrafranca, dei Frati Minori Riformati(riedificazione)

Un frate francescano ideò il progetto di riedificazione delcomplesso nel secolo XVIII

Marsiano A., 1995, pp. 87-88; pp. 105-107

Chiesa di San Francesco

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Breve cenno storico:

La chiesa di San Francesco faceva parte di un vasto complesso edilizio,comprendente anche un convento con chiostro, situato nei pressi della chiesa dellaMadonna del Bosco, Patrona di Niscemi, ed appartenente ai frati minori francescaniriformati.Il primo nucleo di questa struttura risale al secolo XVII. Fu infatti nel 1639 che donFrancesco Aprile, ex religioso dei padri conventuali di San Francesco, e CarloAprile, procuratore della provincia, realizzarono nello stesso sito delle struttureattuali una chiesetta ed un dormitorio. Tuttavia oratorio e chiesa furono abbandonatidopo poco tempo e così rimasero per circa ottanta anni.Quando nel 1731 giunse a Niscemi il celebre predicatore padre Antonino daBarrafranca, ex provinciale dei frati riformati della Val di Noto, si diffuse un grandefervore attorno alla figura del frate, che godeva della stima di tutte le classi sociali.Padre Antonino pensò di approfittare del fatto che la popolazione si stavapreparando a costruire una nuova chiesa per conservare la sacra immagine dellaMadonna del Bosco, per cui era stata raccolta una buona quantità di materiale edile,dell’esistenza di una chiesetta con annesso un dormitorio e dell’entusiasmopopolare per realizzare a Niscemi un nuovo convento di francescani, in cuicustodire la sacra immagine ed i beni della primitiva chiesetta della Patrona.La popolazione ne appoggiò il progetto e quindi il frate, recatosi a Palermo, nel1732 ottenne l’autorizzazione per la costruzione del nuovo convento e della chiesadal Principe don Ercole Michele Branciforti.L’11 novembre del 1732 fu redatto formalmente l’atto di fondazione del complessoe si diede inizio ai lavori.Il progetto della nuova struttura fu ideato da un abile e competente fratefrancescano.La fabbrica fu ultimata rapidamente nel 1737 e nel 1740 vi si installarono dodicifrati francescani riformati dell’ordine di San Francesco.La sacra immagine della Madonna del Bosco tuttavia vi rimase custodita, assieme aibeni ad essa legati, solo per pochi anni, dal momento che ben presto fu realizzato,vicinissimo al complesso francescano, un tempio appositamente destinato acustodire l’effige.In seguito all’entrata in vigore delle leggi eversive dei beni ecclesiastici e degliordini religiosi la chiesa, il convento e i tutti i beni dei frati furono incamerati dalComune.La chiesa è stata abbandonata e trascurata e lentamente è andata in rovina, mentre ilconvento venne inizialmente adibito in parte a carcere ed in parte ad ospedale. Unavolta sgombrato il carcere tutto l’edificio è stato destinato ad ospedale.Oggi la chiesa è ancora chiusa al culto ed utilizzata come magazzino. La fabbrica, inprecario stato di conservazione e fatiscente, necessita ormai di un radicale restauro,sia delle strutture esterne ed interne, che degli apparati decorativi.

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Descrizione edificio:

La chiesa, ad una sola navata, ha piantarettangolare allungata.L’esterno, secondo lo stile francescano, haforme semplici e si caratterizza per pochi esignificativi elementi in pietra squadratainseriti in una struttura muraria in conciirregolari ed intonacata.Lo schema proposto è quello, moltodiffuso in quest’area, con robusti cantonalia forma di parasta, su alto basamento, chesostengono il coronamento triangolare.Al centro spicca il portale in pietra e lafinestra rettangolare soprastante, in assecon questo. Il portale, posto al termine diuna ripida scalinata, è inquadrato da lesenesu piedistallo che sostengono un timpanospezzato.Oggi il tempio presenta evidentissima unasovrastruttura provvisoria di copertura adoppia falda inclinata.La chiesa all’interno si presenta in pessimo stato di conservazione, gravementesegnata da lunghi anni di abbandono e da un utilizzo improprio quale magazzino.Tuttavia, tra il materiale accatastato, sono ancora ben evidenti, e perfettamenterecuperabili, gli apparati decorativi in stucco.Le pareti della navata sono ritmate da un appena accennato ordine di paraste, cheinquadrano le nicchie ad arco contenenti gli altari laterali, e sostengono la corniceche segna l’imposta della volta a botte lunettata, che copre lo spazio destinato aifedeli.L’area del presbiterio è separata dalla navata da una balaustra marmorea ed ha nellaparete di fondo un grande altare in marmi policromi, che ha sostituito un precedentealtare in legno scolpito.Nella navata troviamo due altari per lato. A destra sono collocati l’altare dedicato aSant’Anna, con dipinto della santa che insegna la lettura a Maria Bambina, e quellodedicato a San Pasquale di Bajlon.Sulla sinistra invece sono gli altari di San Francesco d’Assisi e del SantissimoCrocifisso.La chiesa conserva due pregevoli statue in legno scolpito, una raffigurantel’Immacolata, realizzata a Napoli dallo scultore Arcangelo Testa nel 1855, e l’altraraffigurante San Francesco.

Fig. 2 Vista dell’interno

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Altare di Maria SS. Del Bosco (Altare Maggiore)

L’altare, di grandi dimensioni, è posizionato al centro della zona del presbiterio,sopraelevato rispetto alla quota del pavimento da quattro scalini in marmo Rosso diSan Vito Lo Capo. É dedicato alla Vergine Maria SS. Del Bosco e sostituì unprecedente altare in legno scolpito.Si tratta di un opera del tardo secolo XVIII che, per le forme semplici e lineari, per lamancanza di una ricca ed articolata decorazione scultorea e per la prevalenza dimotivi ornamentali ispirati alle forme del cerchio, del quadrato e del rettangolo,testimonia del cambiamento di gusto che in quegli anni stava portando ad unabbandono dei motivi barocchi a favore di forme più sobrie e di ispirazione classica.L’altare, in marmo bianco con intarsi in pietre ornamentali colorate, è costituitonella parte bassa da una mensa leggermente sporgente, con ai bordi delle paraste aforma di mensola che inquadrano il tondo centrale con il simbolo della croce.Ai fianchi della mensa troviamo due semplici corpi laterali, ornati da lastrerettangolari in marmo colorato.Nella parte alta invece abbiamo un alto attico, posto al di sopra di un gradino, con alcentro il tabernacolo a forma di tempietto, con paraste e timpano triangolare,impreziosito dalla presenza del diaspro di Cammarata, quale pietra decorativa.Sopra l’altare è collocata una tela ovale, di discreta fattura, inserita all’interno diuna cornice in marmo nero, ornata anche, nella parte alta, da motivi scultorei di tipofloreale e naturalistico, e da un medaglione con all’interno una iscrizione, in basso.

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Fig. 1 Prospetto Principale

UBICAZIONE :

DATAZIONE :

COMMITTENZA:

AUTORE :

BIBLIOGRAFIA :

Sorge isolata nella periferia del paese, nei pressi dellachiesa di San Francesco e dell’ospedale, ex conventofrancescano

Inizio del secolo XVII (1° chiesetta)Metà del secolo XVIII (edificio attuale)

Devozione popolare

Silvestro Gugliara, architetto (edificio attuale)

Giuliana G., 1967, pp. 207-209Conti E., 1977, pp. 32-35; p. 45; pp. 82-84Cincotta R.-Pepi C., 1980, pp. 73-76Marsiano A., 1989, p. 28Marsiano A., 1995, p. 88; pp. 101-105Disca R., 1999Arcadipane G., 1999Giugno G., 2002

Santuario di Maria SS. Del Bosco

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Breve cenno storico:

La costruzione della chiesa di Maria SS. Del Bosco, Patrona di Niscemi, èstrettamente legata al ritrovamento del quadro della Madonna, avvenuto nel 1599in una zona boschiva del feudo, a nord-ovest del centro abitato.Sarebbe stato un pastore, Andrea Armao, a rinvenire la sacra immagine, mentrepascolava dei buoi nei pressi di una sorgente d’acqua. Il quadro fu subitotrasportato nella chiesetta della masseria del feudo di Niscemi e qui rimasecustodito fino a quando lo stesso pastore non raccolse, mediante elemosine, lasomma sufficiente per la costruzione di una chiesetta sul luogo del ritrovamento,destinata a custodire l’immagine della Madonna.Anche questa, come quasi tutte le altre chiese della città, fu danneggiata dalterremoto del gennaio del 1693, tuttavia, riparata per quanto possibile, fu riaperta alpubblico e così rimase fino al 1741. Ma la sua struttura era ormai troppo malandatae quindi era facile per i ladri introdursi nel tempio e rubare gli oggetti preziosicustoditi all’interno quale voto alla Madonna da parte dei fedeli.Si era ormai deciso di riedificare la chiesa quando i frati francescani si proposerocome custodi del quadro e dei beni della chiesa, che così furono collocati nel nuovotempio che questi si erano da poco costruiti.Ma dopo appena dieci anni, a causa dell’egoismo e dell’arroganza dei frati, sidecise di riappropriarsi del quadro e dei beni della chiesetta e di realizzare un nuovoSantuario dedicato esclusivamente alla Patrona, cui il popolo era molto legato esinceramente devoto.La chiesa fu costruita, sullo stesso sito della primitiva chiesetta, tra il 1749 ed il1758, con il contributo della popolazione e secondo il progetto redatto moltoprobabilmente dal capomastro Silvestro Gugliara, nativo di Caltagirone ed autoreanche del progetto per la Chiesa dell’Addolorata di Niscemi.Questi nel suo stile si ispirava alle architetture di Rosario Gagliardi, tanto che da piùparti è stata avanzata l’attribuzione al ben più famoso architetto Siracusano.In epoca recente la chiesa è stata notevolmente trascurata tanto da necessitare di unradicale intervento di restauro delle strutture, soprattutto della volta, dellacopertura e delle strutture murarie.Così, con un finanziamento dell’Assessorato regionale ai lavori pubblici e sotto lasorveglianza della Soprintendenza ai beni culturali ed ambientali, sono statieseguiti opportuni lavori di rifacimento del tetto, di riparazione del portaleprincipale e della finestra soprastante e di consolidamento delle murature.É stato inoltre realizzato un sistema di drenaggio nel lato orientale per preservare lefondamenta dall’umidità.All’interno sono stati restaurati gli stucchi e le pitture che decorano la chiesa. Nellacripta sono stati inoltre restaurati il pozzo e l’altare, rifatto l’intonaco e sostituito ilpavimento.Dopo questa serie di lavori, protrattisi per alcuni anni, la chiesa è stata riaperta alculto il 27 marzo 1991 dal Vescovo di Piazza Armerina, Mons. VincenzoCirrincione, continuando così ad essere meta di ininterrotti pellegrinaggi da partedei fedeli di Niscemi, particolarmente devoti alla Madonna.

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Descrizione edificio:

La chiesa è ad una sola navata di formaellittica, leggermente allungata.Si tratta di una struttura che, per la periziae l’abilità tecnica con cui fu realizzatasuperando la forte irregolarità del terrenoe convogliando le vene d’acqua, chealtrimenti avrebbero potuto minare lastabilità della fabbrica, può definirsi uncapolavoro di idraulica e di statica.Il complesso architettonico appare moltoelegante perchè completamente isolato.La facciata, in stile barocco, è realizzatainteramente in pietra squadrata e presentauna coppia di lesene composite, subasamento, lungo gli angoli. Questesostengono la trabeazione soprastante edinquadrano il portale in pietra e la finestra,con l’icona della Madonna, riccamentedecorati da paraste, trabeazione e volute.Sopra l’ordine gigante di lesene impostala struttura del campanile, su attico e affiancata da volute, che costituisce in alto ilcoronamento del prospetto.All’interno la chiesa è dotata di tre altari, in marmi policromi, dedicati allaMadonna del Bosco, quello maggiore, a San Giovanni Neupomaceno, quello didestra, e a San Benedetto, quello di sinistra. Gli altari laterali sono arricchiti dallapresenza di quadri ad olio di discreta fattura.Le decorazioni pittoriche del tempio, in finto marmo, furono eseguite dal pittore diCaltagirone Giuseppe Barone nel 1927. Questi, su incarico del procuratore LuigiMalerba, eseguì anche le quattro grandi pitture che raffigurano la guarigione di unbambino moribondo, una processione implorante la pioggia, una scena diterremoto, la desolazione e le preghiere in tempo di siccità.L’artistico lavoro del pittore di Caltagirone però è stato cancellato dai recenti lavoridi restauro dell’edificio ed al loro posto oggi si trovano dipinti di fattura grossolana.Sulla volta venne dipinto invece un grande affresco raffigurante il trionfo di Marianella Gloria del cielo.La cripta sottostante è invece costituita da una sola stanza coperta da una volta aquattro vele. Conserva al suo interno il pozzetto con la vena d’acqua in cui venneritrovato il sacro velo con l’immagine della Madonna. Vi si trova anche un altare inmarmi policromi sopra il quale è stato affrescato un dipinto raffigurante laMadonna che tiene in braccio Gesù Bambino, con nella mano sinistra una sfera cherappresenta il mondo. Sulla volta della cripta sono state dipinte figure di dottoridella chiesa ed altri disegni ornamentali. Nel locale adiacente alla chiesa vienecustodito il trono portatile, tutto in oro zecchino, fatto costruire a Napoli nel 1830,con il quale ogni annosi porta in processione la sacra immagine della Madonna.

Fig. 2 Vista dell’interno

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Altare della Madonna del Bosco (Altare Maggiore)

L’altare si trova entro il maggiore delle tre absidi che definiscono il particolareimpianto della chiesa, rialzato rispetto alla quota del pavimento da tre gradini con ibordi in marmo Rosso di San Vito Lo Capo.In alto è sormontato da un dipinto ad olio, inserito in una nicchia ad arco,raffigurante il velo con la sacra effige della Madonna, con in braccio GesùBambino, tra figure di angeli.Al di sotto della tela, sempre all’interno della nicchia,si trova una specie di armadio in legno con sportelli dove si conserva il sacro velocon l’immagine della Madonna. L’altare ha forme tipicamente barocche.La mensa ha andamento concavo, con ai bordi elementi aggettanti a forma divolute, riccamente decorati da sculture a rilievo e tarsie in marmi policromi. Ancheil paliotto è decorato da tarsie in marmi policromi, mentre cornici dalle formecomplesse e fastosamente ornate da foglie e volute, realizzate a rilievo nel marmobianco, inquadrano il motivo centrale, simile ad una sorta di urna sporgente, configure di angeli ed articolato disegno di ispirazione naturalistica. All’interno diquesto motivo ornamentale troviamo un medaglione ovale con una pregevole tarsiamarmorea ispirata alla leggenda del ritrovamento della sacra immagine,raffigurante il velo con la Madonna, il pastore inginocchiato ed il bue, che secondola leggenda rinvenne il velo. Nella parte alta invece il tabernacolo, simile ad untempietto, con originali paraste a forma di esse e trabeazione curvilinea, è inserito alcentro di tre gradini digradanti, decorati da semplici tarsie in marmi colorati.

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Altari di San Giovanni Neupomaceno e di San Benedetto

Si tratta di due altari identici nelle forme, nelle dimensioni e nel tipo di pietreornamentali colorate utilizzate. Sono collocati nelle absidi laterali, sopraelevati dadue gradini in marmo Rosso di San Vito Lo Capo, e differiscono tra loro solamenteper la figura del Santo realizzata a rilievo entro il medaglione centrale del paliotto.Non abbiamo notizie storiche precise relativamente alla data di realizzazione deglialtari ed alle maestranze che li eseguirono, ma probabilmente si tratta di opererealizzate nel secolo XVIII.Quello di destra è consacrato a San Giovanni Neupomaceno, mentre quello disinistra è dedicato a San Benedetto.Sopra entrambi gli altari sono presenti dei dipinti ad olio

, inseriti dentro nicchie ad arco con cornici in stucco.Gli altari sono realizzati in marmo bianco, con vivaci tarsie in marmi policromi, esono costituiti in basso da una mensa sporgente, con ai bordi delle paraste cheinquadrano il paliotto. Ai fianchi della mensa piccoli elementi a forma di volutachiudono orizzontalmente la composizione.

di modesta fattura eraffiguranti sempre i due Santi

Si caratterizzano per le ricche decorazioni a rilievo del paliotto rettangolare, di tipobarocco, ispirate a motivi naturalistici, con volute, foglie e movimentate formeconcavo-convesse, che inquadrano l’articolato medaglione centrale.Nella parte alta invece troviamo tre gradini porta candele marmorei e digradanti,decorati da intarsi in pietre ornamentali colorate dalla forma rettangolare allungata.

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Altare della Madonna

L’altare è collocato nella cripta, situata al di sotto della chiesa della Madonna delBosco, nel luogo in cui ancora oggi si conserva il pozzetto con la vena d’acqua incui venne ritrovato il sacro velo con l’immagine della Madonna.Proprio di fronte alla cupoletta marmorea che custodisce l’acqua del pozzetto,ritenuta miracolosa, fu realizzato un altare dalle forme barocche, con mensamarmorea in basso e ricca decorazione in stucco, con paraste, volute e cornicecurvilinea nella parte alta. Al centro della composizione si trova un dipintoraffigurante la Madonna con in braccio Gesù Bambino, che regge nella manosinistra una sfera rappresentante il mondo.L’altare ha piccole dimensioni ed è costituito da una mensa in marmo bianco conpaliotto rettangolare, inquadrato ai lati da paraste. Sopra la mensa si trovano tresemplici gradini porta candele, privi di tabernacolo.L’intera opera è decorata da tarsie in marmi policromi di tipo geometrico e dacomplessi rilievi scultorei il cui motivo ornamentale si ispira a quello di altri paliottisimili, presenti a Niscemi nella Chiesa Madre e nella Chiesa di San Giuseppe.É probabile quindi che tutti questi altari siano stati realizzati dalle medesimemaestranze e nello stesso arco di tempo.Al centro del paliotto è stato realizzato un medaglione, dalle forme rotondeggianti,con all’interno la figura della Madonna con Gesù Bambino, realizzata a rilievo.Tutto intorno il rilievo marmoreo si caratterizza per la presenza di volute e di foglie.

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Fig. 1 Prospetto Principale

UBICAZIONE :

DATAZIONE :

COMMITTENZA:

AUTORE :

BIBLIOGRAFIA :

Sorge nei pressi della piazza principale del paese, invia V. Crescimone

Secolo XVIII (1° chiesetta - edicola votiva)Inizio del secolo XIX (edificio attuale)

Devozione popolare

Ignoto

Giuliana G., 1967, p. 214Marsiano A., 1995, p. 89; pp. 122-123Pepi S., 1996

Chiesa di San Giuseppe

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Breve cenno storico:

La chiesa di San Giuseppe è tra le più recenti di Niscemi e tra le poche a non essere ilfrutto della ricostruzione post - terremoto, che riguardò gran parte dell’ediliziareligiosa cittadina nel secolo XVIII.La sua realizzazione nelle forme attuali sarebbe avvenuta intorno agli anni 1815-1818, grazie al contributo del popolo, non lontano dalla piazza principale del paese(Piazza Vittorio Emanuele III), e quindi dalla Chiesa Madre e dal PalazzoComunale.Altre ipotesi storiche tendono invece a retrodatare l’edificio, collocandone lacostruzione intorno agli ultimi decenni del secolo XVIII.Da alcuni documenti del secolo XVIII si desume comunque che il quartiere in cuioggi sorge la chiesa veniva già allora denominato San Giuseppe, ed inoltre una viaera sicuramente dedicata al Santo.É probabile quindi che, pur non esistendo ancora la chiesa, in questo luogo sitrovasse già nel XVIII secolo una cappella, o edicola, o tabernacolo, dedicato alSanto, e che successivamente sia sorta la chiesa in luogo della precedente cappellavotiva.Il 14 ottobre 1908 la chiesa di San Giuseppe fu eretta parrocchia succursale dellaMatrice, dal momento che questa da sola era insufficiente a soddisfare i bisognireligiosi di una popolazione notevolmente accresciuta di numero.Nell’ottobre del 1919 divenne parrocchia autonoma ed il 1° dicembre del 1948ottenne il riconoscimento civile.Abbiamo notizia del fatto che nel 1932 venne effettuata una decorazione moltosemplice di tutto l’intereno, mentre i locali della sacrestia furono rimodernati,allargati ed utilizzati per la costruzione della casa canonica.Nei decenni successivi la chiesa rimase a lungo trascurata per cui, a causa deldeterioramento delle strutture e degli apparati decorativi, si rese necessario unampio lavoro di ristrutturazione dell’edificio.I lavori di restauro furono iniziati nel 1986 grazie all’attività del parroco donGiuseppe Giugno, il quale raccolse presso i fedeli la somma necessaria. Furono cosìrealizzati il consolidamento delle strutture murarie e i restauri dell’interno, con undiscutibile intervento di risistemazione degli altari, del pavimento e delledecorazioni.

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Descrizione edificio:

Si tratta di una piccola chiesa a navataunica, con impianto rettangolare e copertada una volta a botte con vele sulle finestre.La facciata, molto semplice, ha un ordinegigante di paraste binate, su altob a s a m e n t o , c h e s o s t e n g o n o i lcoronamento, costituito dalla trabeazione,su cui impostano la torre con il campanilee quella con l’orologio, entrambe ornateda lesene.La composizione si chiude con una sorta ditimpano triangolare che imposta sulle duetorrette, congiungendole tra loro.Il motivo centrale del prospetto ècostituito dall’artistico portale, conparaste e timpano triangolare, e dallafinestra ad arco, posta in asse con il portalestesso.L’interno è illuminato da cinque finestre,di cui due sul lato destro e tre su quellosinistro. É caratterizzato da un ordine di lesene composite che sostengono unatrabeazione, con cornice sporgente, che percorre tutto il perimetro della chiesa. Lacornice, in forte aggetto, è addirittura percorribile, grazie anche alla presenza di unaringhiera in ferro.Lo spazio del presbiterio, di forma rettangolare e leggermente sopraelevato rispettoalla navata, è sottolineato da due setti murari sporgenti e coperto da una volta apadiglione con vele decorate da lacunari.Le lesene, nelle pareti della navata, inquadrano le nicchie ad arco che contengonogli altari laterali marmorei.Vi sono nel tempio cinque altari, compreso quello maggiore dedicato a SanGiuseppe. Il loro aspetto odierno è tuttavia il frutto di una recente risistemazione,eseguita nel corso dei lavori di restauro dell’edificio del 1986.In questa occasione fu rifatto anche il pavimento e rinnovate tutte le decorazioni,per cui l’interno oggi ci appare fortemente differente da quello che doveva essere inorigine.Gli altari della parete di destra, in marmi policromi, sono dedicati a San GiovanniMaria Vianney, prima dedicato a San Sebastiano Martire, e all’Annunziata.Quelli lungo la parete di sinistra, sempre in marmi policromi, sono invece dedicatialla Madonna di Fatima, prima intitolato a San Giacomo, ed al Cuore di Gesù.Un soppalco dietro la porta di ingresso della chiesa sostiene un piccolo organo.Al centro del soffitto inoltre troviamo affrescato un dipinto raffigurante la SacraFamiglia con San Giuseppe, la Madonna e Gesù Bambino in una bottega dafalegname.

Fig. 2 Vista dell’interno

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Altare di San Giuseppe (Altare Maggiore)

Si tratta in realtà di un paliotto rettangolare originariamente facente parte di unaltare marmoreo completo, probabilmente del secolo XVII, collocato all’internodella stessa chiesa di San Giuseppe, oppure proveniente da un altro edificioreligioso.Oggi il paliotto è inserito all’interno di una cornice in marmo bianco di recenterealizzazione, e funge da mensa per le celebrazioni eucaristiche che si svolgono neltempio. Fu collocato in questa posizione in occasione dei lavori di restauro dellestrutture e di risistemazione degli interni della chiesa, eseguiti nel 1986.La cornice marmorea è caratterizzata da piccole e semplici volute laterali a sostegnodella mensa soprastante. Il paliotto invece, dalle forme tipicamente barocche,presenta una ricca decorazione eseguita, secondo la tecnica a mischio, inserendo lelastre in marmi policromi entro incavi ricavati nella pietra bianca.Al centro il simbolo della croce, in pietra gialla, è circondato da un complessodisegno di ispirazione naturalistica, simmetrico, con volute, foglie e formeconcavo-convesse.Le pietre ornamentali che decorano la lastra rettangolare si caratterizzano per lavivacità dei colori. Si tratta in questo caso di alcuni tra i marmi colorati più diffusi inetà barocca e più utilizzati in questo genere di opere, ovvero il Libeccio di Trapani, ilRosso di Francia, il Giallo di Castronovo ed il Nero Portoro.

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Altare dedicato al Cuore di Gesù

L’altare è il secondo della parete di destra della navata, rispetto all’ingressoprincipale, posizionato all’interno di una nicchia ad arco.Probabilmente in origine costituiva l’altare maggiore della chiesa, collocato sullaparete di fondo del presbiterio, dove oggi si trova un altare marmoreo direcentissima fattura.L’aspetto attuale dell’altare risale al 1986, quando furono eseguiti i lavori direstauro della chiesa e di risistemazione di tutti gli altari dell’edificio.In quella occasione alcuni antichi elementi in marmo, che costituivanooriginariamente un altare del secolo XVIII, sono stati inseriti entro un nuovodisegno architettonico, con l’aggiunta di nuovi elementi marmorei.Possiamo dividere così l’altare in due parti. La parte inferiore è costituita da unaantica mensa con paliotto, decorato da intarsi in marmi policromi, e paraste aibordi, che faceva parte di un precedente altare. La parte superiore, con iltabernacolo, è invece quella di recente realizzazione, dalle forme semplificate elineari. La mappatura dei litotipi presenti è stata eseguita solo sulla parte più antica.Come detto precedentemente il paliotto è ornato da una decorazione a mischio nellaquale sono prevalentemente usate pietre rosse e verdi.Il medaglione centrale contiene all’interno il simbolo della croce, mentrecomplesse cornici in leggero rilievo, con volute e linee concave alternate a lineeconvesse, costituiscono il motivo decorativo del paliotto.

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PIAZZA ARMERINA

1. Cattedrale di Maria SS. Delle Vittorie

2. Chiesa di San Rocco (Fundrò)

3. Chiesa di Santo Stefano

4. Chiesa di San Giovanni Evangelista

Chiese con altari in marmi policromi

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Fig. 1 Prospetto Principale

UBICAZIONE :

DATAZIONE :

COMMITTENZA:

AUTORE :

BIBLIOGRAFIA :

Prospetta su di una piazza, detta Piazza Duomo, sucui si affacciano anche il Palazzo Vescovile e ilPalazzo Trigona della Floresta

Metà del secolo XIV (primo edificio)Secolo XVII-XVIII (edificio attuale)

Barone Marco Trigona e la moglie Laura deAssoro (edificio attuale)

Orazio Torriani, architetto (progetto originario)A. Buonamici, L. De Luca, A. Di Benedetto, G. La Rosa(realizzazione progetto del Torriani)F. Conti, G. Serafini, F. Battaglia (cupola)

Ragona A.Giuliana G., 1967, pp. 56-59Contrafatto A., 2000, pp. 39-50

Chiesa di Maria SS. delle Vittorie(Chiesa Cattedrale)

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Breve cenno storico:

L’attuale Chiesa Cattedrale di Piazza Armerina sorge sul luogo in cuiprecedentemente si trovava l’originaria Chiesa Madre della città, realizzata nelXIV secolo e sempre dedicata a Maria SS. Delle Vittorie.Il precedente tempio, con impianto basilicale a tre navate, era stato innalzato dopo ilmiracoloso rinvenimento dell’immagine sacra della Madonna delle Vittorie,avvenuto in occasione della tremenda peste del 1348.Dell’edificio trecentesco non rimane più nulla, tranne la maestosa torrecampanaria, realizzata in due riprese nel 1517 (parte inferiore) e nel 1578 (partesuperiore), e l’arco della Cappella Trigona, scolpito da Antonio Gagini nel 1594 erimontato nella nuova costruzione a decorazione del battistero.La prima Chiesa Madre fu infatti demolita per fare posto all’edificio odierno, inmodo da adempiere alle volontà del Barone Marco Trigona e della moglie Laura deAssoro, i quali avevano elargito alla loro morte una rilevante somma perl’edificazione di un più sontuoso tempio, nel quale anche essere sepolti.Nel testamento si nominava la Chiesa Madre erede universale del patrimonio delBarone e veniva dato incarico a dei Fidecommissari di eseguire l’incaricotestamentario.Come voleva il testatore nell’anno stesso della sua morte (1598) i Fidecommissariinvitarono alcuni famosi architetti a fornire dei progetti per la nuova chiesa.Tra i primi ad esprimersi sulla nuova costruzione abbiamo Francesco Zaccarella eGiulio Lasso, quest’ultimo architetto regio di Palermo ed autore dei Quattro Canti.Entrambi gli architetti avrebbero fornito, in occasione delle loro visite a Piazza, deiprogetti ai quali però non fu dato seguito, anche a causa della lentezza edincompetenza dei Fidecommissari.Fu lo stesso Vicerè, informato di ciò, ad inviare un uomo di fiducia, Cataldo Fimia,giudice della Gran Corte, affinchè sovraintendesse all’attività dei Fidecommissari.Lo stesso Fimia fece venire da Messina i valenti architetti Natale Masucci,Giovanni Maffei e Simone Gullì. Questi approntarono un loro progetto che, unavolta approvato dal Fimia e dai nobili locali, si iniziò ad eseguire nel 1605,affidando la direzione dei lavori al Maffei.La pianta della nuova costruzione era basilicale, ampia e spaziosa e si estendevaattorno alla vecchia chiesa lasciandola all’interno. Il nuovo tempio aveva unorientamento opposto rispetto a quello oggi esistente. I lavori però si fermarono benpresto, nel 1609, quando erano ancora state solo realizzate le fondazioni di tre lati.Ripresi nel 1621, dietro i suggerimenti dell’architetto gesuita Tommaso Blandini diMineo, e secondo il progetto Maffei-Masucci-Gullì, i lavori furono nuovamenteinterrotti fino al 1627, quando venne incaricato della direzione della fabbrical’architetto romano Orazio Torriani, allievo di Domenico Fontana, chiamato dalnuovo Vescovo di Catania Mons. Innocenzo Massimi, anche egli romano.Il Torriani ridisegnò la pianta ristabilendo il vecchio orientamento con il prospettoprincipale rivolto ad occidente. Il nuovo progetto prevedeva la realizzazione di unedificio di tipo basilicale, ad una sola navata e con cappelle laterali tra lorocomunicanti. La direzione dei lavori, secondo il progetto dell’architetto romano,fu affidata a Gian Maria Cappelletti, che rimarrà in carica fino al 1632, ed al

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revisionati dall’architetto catanese Alonzo Di Benedetto, incaricato dal Vescovo diCatania Mons.Andrea Riggio.La costruzione del prospetto della chiesa nel 1719 era giunto all’altezza dove ora sitrova l’epigrafe. A dirigere i lavori di intaglio e di muratura troviamo il maestromessinese Giuseppe La Rosa, che li portò a compimento nel 1740.Nei due anni successivi furono realizzati i lavori di decorazione dell’interno e il 22ottobre 1742 il Vescovo di Siracusa Don Matteo Trigona consacrò il tempio.Rimaneva però ancora da realizzare la cupola. Fu dato incarico nel 1758 dipreparare i disegni esecutivi sui progetti del Torriani e del Buonamici all’ingegnereDon Francesco Conti. I lavori iniziarono nel 1760 sotto la guida dell’architettocatanese Giuseppe Serafino. La nuova costruzione però si fermò al tamburo.Ad ultimare l’opera provvide qualche tempo dopo l’architetto catanese FrancescoBattaglia che modificò il progetto iniziale della cupola innalzando ulteriormente iltamburo. Lo stesso Battaglia diresse i lavori portandoli a compimento nel 1768.Ultima opera architettonica realizzata nella chiesa è stata nel 1881 l’inserimentodelle scalinate, che danno accesso al portale di ingresso, su progetto dell’architettolocale Giuseppe Giunta Bartoli.

Fig. 2 Vista del portale di ingresso

messinese Giovan Giacomo Costa.Morto il Cappelletti, i Fidecommissarichiamarono a dirigere i lavori l’architettolucchese Francesco Buonamici. Questiguidò la fabbrica per ventitre anni,lasciando l’incarico nel 1657.Il Buonamici, pur adeguandosi alla piantaprogettata dal Torriani, modificò ildisegno iniziale trasformandolo nellelinee attuali.Suo successore fu il capo maestro localeLeonardo de Luca, abile scalpellino, cui sideve anche la scultura del portaleprincipale del nuovo tempio con colonnetortili riccamente ornate.Il De Luca diresse i lavori del Duomo diPiazza fino al 1666, anno in cui, permancanza di fondi, la costruzione fusospesa. Si riprese a costruire solo nel1705, seguendo i disegni del Buonamici,

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Descrizione edificio:

L’edif icio, con il prospettoprincipale rivolto ad occidente, haimpianto basilicale a tre navate,divise da pilastri, e profondotransetto. Le navate ed il transettosono coperte da volte a botte mentreuna imponente cupola su pennacchisferici si innalza in corrispondenzadell’incrocio della navata con iltransetto.All’esterno la facciata si articola sudue livelli, raccordati da volute,caratterizzati dalla presenza di dueordini di paraste in pietra squadrata, Fig. 3 Vista dell’interno

dalle linee semplici ed aderenti al linguaggio aulico del manierismo architettonicoromano della fine del ‘500.La composizione è impreziosita dalla presenza di un portale in pietra, concolonnine tortili riccamente decorate, opera dello scultore locale Leonardo deLuca, e di una grande finestra rettangolare posta in asse con il portale. Su un fiancodel prospetto, ed in parte inglobato in questo, troviamo il maestoso campanile atorre, retaggio dell’edificio precedente, dalle forme gotico-catalane nella partebassa e cinquecentesche nei due livelli più alti.All’interno coppie di paraste corinzie inquadrano le arcate, che separano le navate,e sostengono la trabeazione e la cornice al di sopra della quale si trovano le aperture,che illuminano lo spazio centrale, e la volta a botte lunettata di copertura.Le pareti sono ornate da stucchi realizzati dal maestro siracusano GaetanoSignorelli nel 1870, in sostituzione delle decorazioni preesistenti.Sulla destra dell’ingresso, appena entrati si può ammirare l’arco in alabastro cheinquadra il fonte battesimale, opera di Antonuzzo Gagini della fine delCinquecento. L’opera faceva parte della cappella Trigona, presente nella vecchiaMatrice e fu ricollocata in questo luogo dopo la costruzione del nuovo tempio.Tra i numerosi dipinti che la chiesa possiede ricordiamo la pala dell’realizzata dal pittore fiorentino Filippo Paladini nel 1612, e la tela raffigurante il

, attribuito al pittore veronese Jacopo Ligozzi che lo avrebberealizzato nei primi anni del secolo XVII.Di grande interesse artistico è la croce lignea dipinta, opera della fine del XV secoloed attribuita all’artista convenzionalmente noto come “Maestro della Croce diPiazzaArmerina”.L’altare Maggiore, in pietre dure, fu eseguito dal maestro palermitano FilippoPinistri su disegno dell’architetto Giuseppe Venanzio Marvuglia, purepalermitano. Altri altari in marmi policromi di età barocca decorano gli altarilaterali.Il Tesoro del tempio possiede inoltre numerose e preziosissime opere di oreficeriaed argenteria tra cui la custodia argentea della Madonna del Vessillo, datata al 1627.

Assunta,

Martirio di Sant’Agata

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L’altare è posizionato nella navata di destra (rispetto all’ingresso) ed è il secondo diquesto lato, immediatamente prima dell’ingresso laterale e del transetto.Si tratta di una intera parete rivestita da marmi policromi dai colori vivaci erealizzata nella seconda metà del secolo XVIII per volontà della Famiglia Trigona.É dedicato a San Bartolomeo Abate e costituito da una mensa centrale, sovrastatada una grande pala raffigurante il Santo, con cornice in marmo nero Portoro ebianco, inquadrata da una struttura architettonica, con semicolonne su basamento,che sostengono la trabeazione conclusiva.Al centro della trabeazione troviamo inoltre un grande stemma con sottol’iscrizione relativa alla dedica ed alla committenza dell’opera.L’altare vero e proprio, sopraelevato da un gradino con i bordi in marmo rosso diSan Vito Lo Capo, ha mensole inclinate con volute che inquadrano la parte centrale,caratterizzata da un elemento scultoreo in aggetto, dalle forme rotondeggianti edecorato da rilievi scultorei a motivo floreale. Le pietre ornamentali colorate sonoinserite entro un telaio in marmo bianco di Carrara.I due gradini sopra la mensa invece contengono una serie di reliquie di Santi,custodite dentro piccole nicchie chiuse da vetri.Proprio per sottolineare la presenza di tali tesori i gradini sono stati rivestiti conpietre dure e diaspri, riservate sempre alle parti più rilevanti della composizione,perchè considerate più preziose e di maggiore pregio artistico.

Altare di San Bartolomeo (Altare Famiglia Trigona)

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Altare dell’Assunta

L’altare occupa la parete del transetto di destra, rispetto all’altare maggiore, ed ècollocato, sopraelevato dalla quota del pavimento della chiesa da quattro gradini,

.É sovrastato dalla grande pala raffigurante la Madonna Assunta, opera del famosopittore fiorentino Filippo Paladini, che la dipinse nei primi anni del secolo XVII.Alla base dell’altare è incisa una iscrizione contenente probabilmente informazionisull’esecutore dell’opera, sul committente e sulla sua datazione. Tuttavia taleiscrizione è di difficile decifrazione ed inoltre incompleta in seguito ad un nonperfetto rimontaggio dei vari elementi marmorei che costituiscono la struttura.L’altare infatti non era originariamente situato in questo luogo, ma vi fu collocatosolo in seguito, quando la chiesa Madre fu finalmente ultimata nel secolo XVIII.L’opera è costituita, secondo quella che è la tecnica a marmi mischi, da un supportoin marmo bianco di Carrara inciso, per accogliere le lastre di marmi policromi, ericcamente scolpito.Ha grandi dimensioni ed una originale forma convessa entro cui si innesta nellaparte centrale la mensa, con ricco paliotto rettangolare decorato da rilievi scultorei.Nella parte superiore troviamo tre gradini con al centro il tabernacolo affiancato davolute. Ancora più in alto poi, quale elemento di chiusura della composizione, ècollocata una elegante struttura, simile ad un tempio ad impianto circolare, concolonne libere che sostengono la trabeazione ed il baldacchino conclusivo.

entro un ampio recinto costituito da una balaustra marmorea

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Altari:S.Antonio,Annunciazione, Signore della Pietà, S. Filppo

Si tratta di quattro altari posizionati lungo le navate laterali. Tre si trovano nellanavata di sinistra (Annunciazione, Signore della Pietà, S. Filippo) ed uno invece inquella di destra (S.Antonio), rispetto alla porta di ingresso principale.Sono tra loro identici nelle forme e dimensioni, differendo solo in alcuni piccolidettagli, e tutti arricchiti dalla presenza in alto di dipinti settecenteschi di buonafattura, posti entro cornici in marmo nero Portoro. Pur non conoscendone la data direalizzazione è probabile che siano databili al secolo XVII. Altrettanto probabile èche siano appartenuti ad altri edifici religiosi, oppure alla precedente chiesa Madretrecentesca, e ricollocati in questo luogo solo in seguito all’ultimazione della nuovachiesa Madre. Sono costituiti in da una struttura in marmo bianco di Carrara incisaper fare posto alle lastre in marmi policromi che impreziosiscono e ravvivano lacomposizione (in alcuni casi si tratta di marmi antichi di reimpiego provenientidalla Villa del Casale). La parte centrale della mensa è in aggetto, caratterizzata daforme rotondeggianti, dovute all’andamento concavo - convesso dellacomposizione, e da uno stemma o medaglione centrale rotondo, dalla ricca cornice.Ai fianchi troviamo mensole inclinate ornate da volute. Sopra la mensasi trovano due gradini porta candele originariamente inquadrati da due piccoli vasimarmorei, oggi presenti solo in uno degli altari e mancanti negli altri.Solo uno degli altari è dotato di un piccolo tabernacolo ligneo, mentre un altropresenta una sovrastruttura in legno contenente l’effige del Signore della Pietà

dell’altare

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Fig. 1 Prospetto Principale

UBICAZIONE :

DATAZIONE :

COMMITTENZA:

AUTORE :

BIBLIOGRAFIA :

La chiesa prospetta sulla Piazza Garibaldi, annessaall’edificio che oggi ospita il Palazzo Comunale (exconvento dei frati benedettini)

Prima metà del secolo XVII

Ignota

Ignoto

Contrafatto A., 1999, pp. 106-108Pirri R., 1733, pp. 1217-1224

Chiesa di San Rocco(Fundrò)

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Breve cenno storico:

Le notizie relative alle vicende storiche e costruttive della chiesa di San Rocco sonopochissime e tali da consentire solo un breve profilo cronologicodell’edificio.La chiesa è stata realizzata a partire dal 1613 ai piedi della salita che conduce allaCattedrale, nel cuore politico e religioso della città vecchia. Qui infatti si trova ilvecchio Palazzo Comunale, oggi sede museale, ed il nuovo Palazzo Comunale, neilocali dell’ex convento dei Padri Benedettini, mentre sempre nelle vicinanzetroviamo il collegio dei gesuiti, con la chiesa di Sant’Ignazio, ed il convento deiDomenicani, oggi sede del seminario diocesano.Fu nel 1622 che la chiesa venne affidata ai Padri Benedettini, provenienti dallaabbazia di Fundrò, i quali ottennero di stanziarsi in questo luogo per costruire il loronuovo convento.Il convento che prima occupavano, situato nel feudo di Fundrò, tra PiazzaArmerinaed Enna, e più volte oggetto di contesa tra le due città, era infatti andato distrutto inseguito ad un incendio. I frati allora, abbandonato l’antichissimo monastero, citatoanche dallo storico netino Rocco Pirri nella sua “ ” con il nome di SantaMaria di Fundrò, decisero di stabilirsi in città.La chiesa, dedicata a San Rocco, proprio perchè affidata ai frati dell’abbazia diFundrò, cominciò ad essere chiamata dalla popolazione “Fundrò” e tutt’oggiconserva questa denominazione presso i fedeli.

di tracciare

Sicilia Sacra

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Descrizione edificio:

La chiesa è ad una sola navata copertada una volta a botte.Il prospetto principale si presentadalle linee tipicamente barocche,caratterizzato da una muratura inlaterizio contenuta entro due possenticantonali in pietra squadrata a formadi lesene su alto basamento, e chiusada un semplice timpano triangolare.Su un fianco della facciata sorgeinoltre la torre campanaria, adiacenteal monastero, con aperture ad arco insommità. L’elemento di maggiore

paraste leggermente aggettanti cheinquadrano le nicchie ad arco,contenenti i quattro altari marmoreidella navata laterale tra loro identici.L’ordine architettonico si chiude conuna pesante trabeazione, concornicione aggettante, su cui impostala volta a botte di copertura dellanavata. La zona del presbiterio,sopraelevata rispetto alla navata, èseparata da questa da pilastrisporgenti, che sostengono l’arcotrionfale, e da una balaustramarmorea. L’abside che concludel’impianto del tempio , così come tuttala chiesa, è decorato da stucchi econtiene l’altare maggiore in marmipolicromi. La chiesa custodisceinoltre alcuni buoni dipinti del 1600e d u n a m a d o n n a m a r m o r e aproveniente probabilmente dall'anticasede dei frati Benedettini. Fig. 3 Vista del portale di ingresso

interesse della composizione è costituito però dal monumentale portale in pietra,posto al termine di una ripida scalinata e sormontato da una finestra rettangolare,collocata in asse con esso. La porta di ingresso ad arco infatti è affiancata da coppiedi paraste su basamento dalla forma inusuale e dalle ricche decorazioni a rilievo.Decorazioni a rilievo sono presenti anche sugli stipiti della finestra soprastante,caratterizzata dalla continuità strutturale con il portale a cui è collegata da unacornice rettangolare, fiancheggiata da volute e guglie. Quello che maggiormentecolpisce è l’evidente sproporzione sia dimensionale che formale tra il portale e glialtri elementi della facciata. L’interno è scandito dalla presenza di un ordine di

Fig. 2 Vista dell’interno

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L’altare, di grandi dimensioni, occupa la parete principale dell’abside maggiore,posto alla base della nicchia, decorata da una ricca cornice in stucco con dorature,contenente una statua della Madonna con in braccio Gesù Bambino.É sopraelevato rispetto al pavimento dell’abside da tre gradini in marmo rosso diSan Vito Lo Capo ed ha andamento leggermente concavo.É realizzato interamente con uno tra i più decorativi e marmi sicilianiutilizzati in età barocca, ovvero il Libeccio di Trapani. Il basamento e le cornici chemarcano i vari livelli della composizione sono invece realizzati in un marmo gialloproveniente da Castronovo di Sicilia.L’altare ha una mensa dall’andamento concavo, con ai lati mensole con volute eduna urna aggettante nella parte centrale, dalla forma rotondeggiante. Qui troviamoanche un elemento scultoreo in marmo bianco, raffigurante delle teste di angeliavvolte da una nube, ed un tondo ornato da un frammento di marmo Verde antico, direimpiego e probabilmente proveniente dalla Villa Romana del Casale.Ai fianchi della mensa due corpi laterali chiudono la composizioneorizzontalmente e sostengono assieme a questa la struttura soprastante, costituitada tre gradini, di cui quello centrale notevolmente più alto degli altri due.Al centro, nella parte alta, è posto poi il tabernacolo a forma di tempietto, conparaste a sostegno della trabeazione e dell’elemento concavo che funge dacoronamento dell’altare lungo il suo asse verticale.

famosi

di simmetria

Altare Maggiore

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Fig. 1 Prospetto Principale

UBICAZIONE :

DATAZIONE :

COMMITTENZA:

AUTORE :

BIBLIOGRAFIA :

La chiesa prospetta sulla Piazza Umberto I, di frontealla Commenda dei Cavalieri di Malta ed al TeatroGaribaldi.

Seconda metà del XVI secolo

Ignota

Ignoto

Giuliana G., 1967, p. 64Contrafatto A., 1999, pp. 97-101

Chiesa di Santo Stefano

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Breve cenno storico:

La chiesa di Santo Stefano sorge nei pressi della antica porta orientale della città,detta porta di San Giovanni, di fronte alla duecentesca Commenda dei Cavalieri diMalta.Il culto del Santo fu introdotto a Piazza Armerina alla fine del secolo XVI e proprionelle vicinanze della odierna chiesa sorgeva a quel tempo un oratorio dedicato alProtomartire Stefano.La costruzione dell’edificio attuale fu iniziata negli ultimi anni del Cinquecento eportata a termine entro il primo decennio del secolo successivo.Tuttavia già cinquant’anni più tardi, intorno al 1660, la struttura era interessata danuovi lavori di ampliamento ma anche di abbellimento dell’interno, grazie allarealizzazione di affreschi e stucchi dorati.Sempre in questo periodo la chiesa si arricchì del prospetto attuale, ultimato pocodopo con la realizzazione della struttura del campanile, in pietra intagliata.Nel 1742 così il rinnovato edificio fu inaugurato solennemente alla presenzadell’Arcivescovo Matteo Trigona.Nei primi anni del XVIII secolo due facoltose famiglie, appartenenti alla nobiltàlocale, promossero la costruzione di due altari nella chiesa, collocati nella navata,dedicati a San Gregorio Magno e al Crocifisso. Il primo fu voluto dalla famigliaBarabba, mentre il secondo dalla famiglia Solonia.Nuovi lavori interessarono l’edificio e le sue immediate vicinanze nel 1854. Inquella occasione infatti fu ricostruito il prospetto nord della chiesa e fu demolita laporzione di muro, appartenente alla cinta difensiva della città medievale, chefaceva ad angolo con la porta di San Giovanni.Per colmare il notevole dislivello esistente tra l’ingresso principale del tempio ed ilpiano stradale fu realizzata nel 1880 l’imponente scalinata in pietra arenaria.Sempre in quell’anno la facciata si arricchì di un nuovo portale in pietra edell’orologio comunale, posto sopra il portale ed in asse con questo.La chiesa fu dichiarata parrocchia nel 1951. Dopo questa data abbiamo inoltrenotizia di alcuni restauri, avvenuti nel 1954, che interessarono in piccola partel’edificio religioso ma soprattutto gli adiacenti locali parrocchiali.

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Descrizione edificio:

La chiesa è ad una sola navata coperta dauna volta a botte lunettata.Il prospetto principale si presentasemplice nelle linee e caratterizzato dauna muratura in laterizio contenuta entrodue cantonali in pietra squadrata a formadi lesene su alto basamento. Questisostengono la trabeazione su cui si innalzala struttura del campanile, in pietraintagliata, costituita da tre aperture adarco, inquadrate da paraste ed affiancateda volute di raccordo con la facciata, edabbellita da guglie e pinnacoli.Al termine della ripida scalinata si trovapoi l’elegante portale in pietra, checosti tuisce l’ingresso principaleall’edificio, con paraste corinzie chesostengono una cornice dalla formaarcuata. Sopra il portale è stato collocatonel 1880 l’orologio comunale.

Fig. 2 Vista dell’interno

All’interno l’edificio colpisce per la ricca decorazione a stucco, che ricopre ognispazio delle pareti e della volta, ed i vivaci colori pastello che assieme alle doratureimpreziosiscono la composizione secondo un gusto tipicamente barocco.La navata è ritmata dalla presenza di un ordine di paraste corinzie leggermenteaggettanti che sostengono la trabeazione ed inquadrano delle nicchie ad arco entrocui sono collocati glia altari laterali.Sopra la cornice imposta poi la volta di copertura, con lunette, per ospitare leaperture, ed unghiature. Questa è riccamente decorata da affreschi e stucchiraffiguranti soprattutto motivi floreali.Lo spazio del presbiterio, separato dalla navata da una balaustra marmorea eleggermente sopraelevato rispetto alla navata stessa, è definito da quattro pilastriangolari su cui impostano gli arconi della cupola su pennacchi sferici.Sulla parete di fondo del presbiterio si trova inoltre collocato il ricco altaremaggiore in marmi policromi.Sul lato opposto risalta invece una imponente porta lignea, ornata da pitture erilievi, di chiara matrice barocca.Nella navata si trovano anche, contenuti entro le nicchie arcuate, i quattro altarilaterali dedicati a Santo Stefano, San Gregorio Magno, San Biagio e al Crocifisso.

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L’altare, di grandi dimensioni, è collocato sulla parete di fondo del presbiterio,sopraelevato rispetto alla quota del pavimento della chiesa da tre scalini in pietragrigia.La sua realizzazione, avvenuta probabilmente nel secolo XVII, è legata allacommittenza della ricca e nobile famiglia Trigona, come ci testimonia una breveiscrizione incisa nel marmo, sul lato sinistro dell’altare.Realizzato in marmo bianco di Carrara, secondo la tecnica a marmi mischi, èarricchito da pietre ornamentali colorate dai vivaci colori, ed ha forme tipicamentebarocche, per il dinamismo, il movimento e la ricchezza decorativa che lecontraddistingue.La composizione infatti è caratterizza dall’andamento curvilineo dei suoi elementi,dall’alternarsi continuo di forme concave e convesse, di sporgenze e rientranze.La mensa è affiancata da due corpi laterali convessi, con mensoloni sporgenti, ed èsormontata da un piccolo tabernacolo, con volute laterali e timpano triangolare, edai tre gradini porta candele.In alto l’altare si chiude con una struttura a forma di tempio, con impianto circolare,caratterizzata dalla presenza di colonnine libere in marmo policromo chesostengono la trabeazione e le volute conclusive.Tale coronamento però non è oggi visibile in quanto nascosto dalla struttura lignea,in finto marmo, che costituisce la nicchia che contiene la statua di Gesù.

Altare Maggiore

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Altare di Santo Stefano

Si tratta del secondo altare della parete di destra della navata, rispetto all’ingressoprincipale.Non conosciamo la data di realizzazione dell’opera, nè quali furono le maestranze ol’artista che lo eseguì, tuttavia possiamo pensare che l’altare risalga al secoloXVIII, realizzato nel corso dei lavori di abbellimento dell’interno della chiesa,contemporaneamente agli altri altari laterali, commissionati dalle nobili famigliepiazzesi dei Barabba e dei Solonia.Ha un disegno architettonico complesso, dal momento che occupa l’intera paretedella nicchia ad arco che lo contiene. Al di sopra dell’altare vero e proprio infattitroviamo una nicchia, contenente la statua del Santo, inquadrata da paraste chesostengono un frontone curvo. Il tutto è riccamente rivestito da marmi policromi,per lo più brecciati, ed ornato da dorature.Nella parte bassa l’altare ha forme semplici. É realizzato in marmo bianco diCarrara con intarsi in pietre colorate, dalle tonalità prevalentemente violacee, ebrecciate. La mensa è sporgente e presenta ai bordi due mensole inclinate convolute, che inquadrano il tondo centrale.Ai fianchi della mensa troviamo due piccoli corpi laterali di forma quadrata, mentrein alto i due gradini, di cui il secondo notevolmente più alto, costituiscono una sortadi attico, chiuso da un semplice coronamento dalle forme arrotondate, posto alcentro della composizione, lungo il suo asse di simmetria verticale.

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Fig. 1 Prospetto Principale

UBICAZIONE :

DATAZIONE :

COMMITTENZA:

AUTORE :

BIBLIOGRAFIA :

Si affaccia sul largo omonimo, nei pressi dellachiesa dei Teatini (San Lorenzo) e della Torre delPadre Santo

Seconda metà del XIV secolo (monastero e primooratorio dedicato a San Giovanni)Seconda metà del XVI secolo (edificio attuale)

Florenzia Caldarera, nobile piazzese (monastero edoratorio)Fulgentia Li Gregni, abadessa (edificio attuale)

Ignoto

Giuliana G., 1967, pp. 65-66Contrafatto A., 1999, pp. 83-86

Chiesa di San Giovanni Evangelista

Page 227: I MATERIALI LAPIDEI ORNAMENTALI NEGLI ALTARI DELLE CHIESE DELLA DIOCESI DI PIAZZA ARMERINA

Breve cenno storico:

La chiesa di San Giovanni Evangelista sorge presso un complesso che, oltre allachiesa, comprende anche un monastero (oggi ostello della gioventù), fondato nel1361 per volontà della nobildonna Florentia Caldarera.Questa trasformò la sua casa in monastero di suore benedettine con annesso unoratorio dedicato già allora a San Giovanni.Dopo circa due secoli, l’abadessa Fulgenzia Li Gregni fece trasformare l’oratorioin refettorio, avendo deciso di erigere ex novo una chiesa da dedicare sempre alSanto.I lavori iniziarono nel 1550 e si protrassero a lungo durando fino al 1615, quando,essendo abadessa suor Ottavilla Torricella, furono ultimati e la chiesa aperta alculto.Nel 1721 suor Angelica Cremona fece decorare l’interno dell’edificio con unsontuoso ciclo di affreschi, un nuovo pavimento e delle dorature, inoltre fececostruire all’esterno un campanile.Per gli affreschi ci si rivolse al pittore fiammingo Guglielmo Borremans, il quale vilavorò, assieme ai suoi allievi, ricoprendo interamente le pareti e le strutture dicopertura con pregevoli dipinti raffiguranti scene di vita di santi benedettini.Nel 1785 dobbiamo registrare un avvenimento traumatico per l’edificio. Inquell’anno infatti si verificò un incendio che distrusse diverse tele, che alloradecoravano la chiesa, e l’altare Maggiore.Quest’ultimo fu ricostruito, in forme più ricche e sontuose, nel 1792 da maestranzecatanesi.Nel 1902, avendo il Vescovo M. Palermo ricevuto in eredità dalla BaronessaCarmela Trigona Geraci una somma di denaro da destinare per il bene morale dellefanciulle della città, fece aprire nel monastero una casa delle figlie di MariaAusiliatrice. Furono così avviate la scuola materna, le scuole elementari, l’oratoriofestivo e la scuola di ricamo.Da alcuni anni la struttura, completamente rinnovata, ospita invece l’ostello dellagioventù.

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Descrizione edificio:

sormontata da una cupola affrescata. Le pareti della navata sono caratterizzate dallapresenza di nicchie ad arco che contengono sul lato nord gli altari laterali, mentre suquello sud gli ingressi sulla piazza. Il tutto è inserito entro una finta strutturaarchitettonica con paraste corinzie dipinte a sostegno della trabeazione con corniceaggettante. Al di sopra della cornice troviamo l’imposta della volta con le aperture,che illuminano la sala, inserite entro le lunette della copertura.Ogni angolo dell’interno è ricoperto da pregevoli affreschi attribuiti a GuglielmoBorremans ed ai suoi allievi, rappresentanti scene relative alla vita monastica dei

La chiesa sorge sul piano del PadreSanto, sul quale si affaccia con dueportali laterali, realizzati nel secoloXVIII, che guardano a sud.Proprio il fianco sud della chiesacostituisce il prospetto esternoprincipale dell’edificio, dal momentoche questo sugli altri lati è chiuso dallestrutture del monastero e dal tessutoedilizio circostante.All’esterno quindi i due portali inpietra rappresentano l’unico elementodecorativo di una facciata altrimentianonima e che contrasta fortementecon il ricchissimo ed ornatissimointerno dal gusto tipicamente barocco.L’edificio all’interno è a navata unica,coperta da una volta a botte lunettatacon la zona del presbiterio, alla qualesi accede attraverso un arco trionfale atutto sesto, staccata dalla navata permezzo di pilastri aggettanti e

Fig. 2 Vista dell’interno

Santi Benedettini. Nella cupola èdipinto il mistero dell'Eucarestia,nelle pareti laterali dell'altaremaggiore è rappresentata la asinistra e l' a destra. Nellavolta è rappresentata al centrol' , mentre le lunette e ipiloni della cupola presentano figuredi donne che simboleggiano le virtù.La parete di fronte il grande altaremaggiore, in marmi policromi e constatue in marmo bianco di Carrara, èinteramente occupata da una riccacantoria in ferro battuto dorato.

NativitàEpifania

Immacolata

Fig. 3 Vista dell’affresco centrale della voltaopera di G. Borremans

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L’altare, imponente per le dimensioni e per il disegno architettonico, occupa quasiinteramente la parete di fondo del presbiterio, sopraelevato rispetto alla quota delpavimento da tre gradini in marmo grigio.Fu realizzato tra il 1792 ed il 1793 dai fratelli Marino, artisti provenienti da Catania,dopo che, a causa di un incendio avvenuto nel 1785, il precedente altare maggioreera andato distrutto.Ha forme sontuose, ma semplici e lineari. É costituito prevalentemente da marmipolicromi dai toni verdi e gialli, e caratterizzato da un ricco apparato scultoreo inmarmo bianco di Carrara.Pregevoli sono infatti le due statue marmoree, sedute sulle volute sporgenti ai lati,che rappresentano le allegorie della Fede, a sinistra, e della Innocenza, a destra.La composizione si articola in tre livelli, con andamento piramidale: la parte bassa,con al centro la mensa di forma rettangolare affiancata ai lati da semplici corpilaterali, che sostengono le volute sporgenti su cui siedono le sculture; il pianocontenente il tabernacolo, con timpano curvo ed affiancato da volute, chiusoorizzontalmente dalle due sculture e caratterizzato da un alto attico; il grandetempio curvo su basamento, con colonne, timpano curvo spezzato e cupolaconclusiva, che inquadra la statua del Cristo, posta entro una nicchia.La zona del tabernacolo è impreziosita dalla presenza di intarsi realizzati con pietreornamentali di maggiore pregio, quali diaspri ed alabastri.

Altare Maggiore

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PIETRAPERZIA

1. Chiesa di Santa Maria Maggiore(chiesa madre)

2. Chiesa del SS. Rosario

3. Chiesa di Santa Maria di Gesù

Chiese con altari in marmi policromi

Page 232: I MATERIALI LAPIDEI ORNAMENTALI NEGLI ALTARI DELLE CHIESE DELLA DIOCESI DI PIAZZA ARMERINA

Fig. 1 Prospetto Principale

UBICAZIONE :

DATAZIONE :

COMMITTENZA:

AUTORE :

BIBLIOGRAFIA :

Sorge lungo la salita che porta al Castello diPietraperzia, sulla via Tortorici

Secolo XIV (1° Chiesa Madre)Prima metà del secolo XVI (riedificazione)Fine del secolo XVIII (seconda riedificazione)

Giovanni Antonio Barrese, Signore di Piatraperzia(1° Chiesa Madre)Matteo Barrese, Marchese di Pietraperzia(1° riedificazione)

Pietro Trombetta, architetto (2° riedificazione)

Padre Dionigi, 1776, pp. 244-250

Guarnaccia L., 1978Guarnaccia - Viola, 1993, pp. 113-125Marotta F., 1999, vol I, pp. 93-98Marotta F., 1999, vol II, pp. 83-106

Giuliana G.., 1967, p. 228

Chiesa di S.Maria Maggiore(Chiesa Madre)

Page 233: I MATERIALI LAPIDEI ORNAMENTALI NEGLI ALTARI DELLE CHIESE DELLA DIOCESI DI PIAZZA ARMERINA

Breve cenno storico:

Le vicende storiche della Chiesa Madre di Pietraperzia sono alquanto complesse ecaratterizzate da continue ricostruzioni ed ampliamenti della struttura iniziale.Possiamo infatti affermare che quello attuale è il terzo edificio realizzato sul sito inquestione, nei pressi del castello feudale, o addirittura il quarto se è vero che laprima chiesa sorse al posto di un tempio che alcuni storici farebbero risalire all’etàbizantina.Le prime, frammentarie, notizie ci parlano di una chiesa realizzata all’inizio delsecolo XIV, su di una precedente moschea o chiesa di età bizantina, e voluta dalbarone Giovanni Antonio Barrese, Signore di Pietrapezia. Di questa chiesa rimaneoggi la struttura al di sotto della zona presbiteriale, attuale chiesa della Cateva.Quando, agli inizi del XVI secolo, il tempio trecentesco cominciò a minacciarerovina, il Marchese Matteo Barrese si impegnò nella realizzazione di un nuovo epiù grande edificio, sempre nel medesimo sito e secondo lo stesso orientamento.Intorno al 1539 così sorse una nuova struttura, sopraelevata rispetto alla precedenteche diveniva adesso cripta, al di sotto del presbiterio.Il nuovo tempio nei progetti del Marchese doveva fungere da mausoleo di famiglia,e fu per questo che fece collocare qui (nella zona del presbiterio) alcune dellesepolture dei suoi avi e la propria (mausoleo marmoreo realizzato nel 1523 daAntonello Gagini ).Negli anni successivi la chiesa si arricchì di pregevoli opere d’arte di scultura epittura come i portali di ingresso all’edificio in marmo bianco, realizzati daAntonello Gagini sempre nei primi decenni del 1500, e la pala d’altare raffigurantel’ , opera del famoso pittore fiorentino Filippo Paladinidei primi anni del 1600.Dopo quasi tre secoli dalla costruzione della chiesa cinquecentesca, a causa dinuovi cedimenti strutturali e per soddisfare le esigenze di una popolazione divenutasempre più numerosa, si decise di intraprendere la realizzazione di un ulteriore epiù grande edificio.L’idea di costruire un tempio più grande e maestoso è degli ultimi anni del secoloXVIII. I lavori infatti cominceranno intorno al 1792, anche se solo a partire dal1800 procederanno in maniera spedita.La nuova struttura venne terminata intorno alla metà del XIX secolo e fu realizzatagrazie al sostegno economico di numerosi cittadini di Pietraperzia.L’incarico progettuale, attraverso un concorso, fu affidato a Pietro Trombetta,architetto di Caltanissetta ed allievo del Marvuglia; mentre della esecuzione dellestrutture fu incaricato il maestro muratore Paolo Varrica, nativo di Palermo.Il Trombetta pensò ad un maestoso tempio ad impianto basilicale, orientato inmaniera differente dal precedente, con cupola e prospetto esterno, in stileneoclassico, dotato di pronao e torre campanaria. Tuttavia l’esterno è rimastoincompleto dal momento che non furono mai realizzati il pronao ed il campanile.Gran parte delle opere d’arte contenute nel tempio cinquecentesco furonoricollocate nella nuova chiesa, che si era a sua volta arricchita di stucchi, pitture edorature; ma, molto andò anchedistrutto ed irrimediabilmente perduto.

Incoronazione della Vergine

con la demolizione della struttura preesistente

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Descrizione edificio:

disegnata dallo stesso Trombetta e realizzata in conci di pietra arenaria. Écaratterizzata da tre ingressi, di cui quello centrale maggiore, posti al termine di unascalinata che costituisce il sagrato.La partizione architettonica è semplice e lineare con delle paraste, appenaaccennate, ad organizzare lo spazio e sostenere la trabeazione del primo livello el’attico soprastante. Su questo imposta poi la struttura a tempietto con paraste,finestra semicircolare e timpano triangolare che chiude la composizione.Tuttavia il prospetto non fu ultimato dal momento che il progetto originarioprevedeva anche un pronao con colonne e timpano triangolare davanti l’ingresso

Il tempio che noi oggi ammiriamo è ilrisultato dell’ultima riedificazione edampliamento dell’edificio avvenutinei primi decenni del secolo XIX suprogetto dell’architetto nisseno PietroTrombetta.La chiesa odierna è di tipo basilicale, atre navate e con cupola all’incrociodei bracci dell’impianto a croce latina.Le sue tre navate sono coperte da dellevolte a botte, ornate da lacunari,poggianti su pilastri. La navatacentrale si caratterizza perchèsopraelevata rispetto alle laterali, inmodo da ricevere direttamente la lucedalle aperture che possiede.Un abside, di forma rettangolare,costituisce la terminazione dell’edificio, affiancato ai lati da duecappelle con altari.La facciata in stile Neoclassico fu Fig. 2 Vista dell’interno

principale, ed una torre campanariasul fianco della chiesa.Dell’interno si è già accennato inprecedenza per quel che riguarda lesue caratteristiche principali. Lenavate sono tra loro diviselongitudinalmente da cinque pilastriper lato collegati tra loro da archi apieno sesto sopra cui corre ilcornicione.Ancora più in alto sono collocate leaperture, di forma rettangolare, cheilluminano la navata centrale.

Fig. 3 Sarcofago marmoreo di Dorotea Barresidella fine del XVI secolo

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Ai pilastri che sostengono i pennacchidella cupola sono poggiate inoltredelle colonne in stile corinzio (quattroper pilastro) sormontate dallatrabeazione e poi dalla cupola.Tutti gli stucchi che decoranol’interno furono realizzati prima dellametà del secolo XIX da GiuseppeGianforme di Catania ed AntonioDell’Orto di Palermo, su disegnod e l l ’ a r c h i t e t t o L o P i a n o d iCaltanissetta.Entrando dalla porta centrale, a destrae a sinistra, si vedono due splendidimausolei marmorei. Uno è opera diAntonello Gagini e realizzato nel1523 per contenere le spoglie delMarchese Matteo Barrese. L’altroinvece, di autore ignoto, fu realizzatonel 1582 per contenere le spoglie diP i e t ro Ba r r e se , P r inc ipe d iPietraperzia.Nella navata di sinistra, appena

Fig. 4 Monumento funebre di Pietro Barrese,Principe di Pietraperzia, del 1582

entrati, si scorge invece, addossato alla parete, il sarcofago di Dorotea Barrese, inmarmo Rosso di Levanto. Fu fatto realizzare dal figlio Fabrizio Branciforti,Principe di Butera, così come aveva fatto per il padre Giovanni IV Branciforti,sepolto in un sarcofago molto simile nella chiesa del Carmine di Mazzarino.Tra le opere scultoree presenti nella chiesa meritano di essere ricordati i tre portalimarmorei opera di Antonello Gagini che costituivano gli ingressi dell’edificiocinquecentesco.Questi, demolito il vecchio edificio per fare posto alla nuova struttura nel XIXsecolo, furono smontati e ricollocati nel nuovo Tempio. Uno è collocato nei pressidell’ingresso sulla destra ed inquadra il fonte battesimale. Gli altri due invece sitrovano all’interno di una delle cappelle che affiancano l’abside maggiore.Numerosi sono anche i dipinti posseduti dalla chiesa che impreziosiscono i varialtari. Tra questi particolarmente importante è la pala situata dietro l’altareMaggiore raffigurante l’ , opera del pittore manieristafiorentino Filippo Paladini. Questi in quegli anni era attivo in questa area al serviziodi Fabrizio Branciforti ed ottenne la commissione della tela per la Chiesa Madre diPietraperzia dalla moglie di Fabrizio, Caterina, nei primi anni del 1600(il dipinto fuprobabilmente realizzato nel 1604).

Incoronazione della Vergine

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Si tratta del terzo altare della navata laterale destra, rispetto alla porta di ingressoprincipale, impreziosito da una tela raffiguranti il Santo.Oggi è in precarie condizioni di conservazione e mancante di alcuni frammentidelle lastre in marmi policromi che lo decorano, tanto da lasciare intravedere lastruttura in arenaria sottostante che costituisce l’ossatura dell’altare.É probabile che questo altare sia tra quelli citati nei documenti relativi al contrattoper la realizzazione di tre altari in marmi policromi nella chiesa Madre, stipulati nel1792, quando si intraprese la realizzazione del nuovo tempio.L’altare risalirebbe quindi agli ultimi anni del XVIII secolo, opera dei maestrimarmorari catanesi Tommaso e Rosario Privitera, rispettivamente padre e figlio.Nel contratto sono citati anche i nomi dei marmi da utilizzare e le caratteristiche edimensioni degli altari. Si dice inoltre che questi verranno realizzati secondo ildisegno fornito da Domenico Carbonaro, catanese.Le forme dell’altare sono lineari e rivelano il già avvenuto mutamento di gustoartistico verso composizioni sobrie e caratterizzate da figure geometriche semplici.É costituito da una mensa leggermente avanzata di forma rettangolare, conpilastrini agli angoli a forma di paraste. Questi inquadrano il motivo centrale delmedaglione scolpito, in marmo bianco e giallo. Al di sopra della mensa troviamo idue gradini, con la parte centrale leggermente aggettante, di cui il secondo ènotevolmente più alto del primo, tanto da costituire un vero e proprio attico.

e da una statua lignea

Altare di San Francesco di Paola

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Altare dell’Addolorata

L’altare è posizionato nella parete di fondo del transetto di destra, rispettoall’ingresso principale, ed è molto simile, per la forma, il tipo di marmi policromiutilizzati e la loro disposizione all’interno della composizione, all’altare di SanFrancesco di Paola, presente lungo lo stesso lato della chiesa.Sarebbe anche questo opera dei marmorari catanesi Tommaso e Rosario Privitera,realizzato alla fine del secolo XVIII, e citato nel contratto stipulato nel 1792,quando fu innalzata nelle forme odierne la nuova chiesa Madre.L’altare quindi è caratterizzato dalla semplicità e linearità delle forme, privo didecorazioni sovrabbondanti e costituito dalla mensa rettangolare sporgente, conpiccole paraste ai lati e medaglione scolpito al centro, sormontata dall’attico,costituito da due gradini, di cui il secondo notevolmente più alto.Rispetto all’altare di San Francesco di Paola però abbiamo in questo caso untabernacolo marmoreo, avente la stessa altezza dell’attico.Posto in posizione centrale, lungo l’asse di simmetria verticale della composizione,ha la forma di un tempietto con paraste affiancate da volute, a sostegno dellatrabeazione, che ne costituisce il coronamento.Sopra il tabernacolo è stata collocata una statua raffigurante la MadonnaAddolorata, mentre la parete è anche arricchita dalla presenza di un dipinto didiscreta fattura.L’altare oggi è in non perfetto stato di conservazione, soprattutto nella parte bassa.

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Fig. 1 Prospetto Principale

UBICAZIONE :

DATAZIONE :

COMMITTENZA:

AUTORE :

BIBLIOGRAFIA :

Si affaccia su una piazzetta, Piazza G. Matteotti (exPiazza del Rosario), che costeggia la via Tortorici,che sale verso la Chiesa Madre ed il Castello

Edificio esistente già nei primi anni del secolo XVI

Ignota

Ignoto

Padre Dionigi, 1776, pp. 252-255Giuliana G.., 1967, p. 230-31Guarnaccia - Viola, 1993, pp. 77-79

Chiesa del Rosario

Page 241: I MATERIALI LAPIDEI ORNAMENTALI NEGLI ALTARI DELLE CHIESE DELLA DIOCESI DI PIAZZA ARMERINA

Breve cenno storico:

Pochissime e frammentarie sono le notizie sulla Chiesa del Rosario. Risultapertanto difficile risalire a date certe cui legare le vicende costruttive dell’edificio.Padre Dionigi da Pietraperzia, nel suo testo di storia locale, riferisce che la chiesa inquestione avrebbe sostituito un precedente edificio intitolato alla SS.AnnunciataLa chiesa della SS. Annunciata, secondo lo storico pietrino, sarebbe tra le piùantiche del paese, assieme alla Chiesa Madre, e a sua volta sarebbe sorta insostituzione di un’altra chiesa, ancora più antica, detta dell’Annunciata Vecchia.Tuttavia di questo edificio, preesistente alla odierna chiesa del Rosario, nonsappiamo niente altro.Sappiamo invece che nei primi anni del secolo XVI il Marchese Matteo Barreseprese la chiesa sotto la sua tutela, favorendola con abbondanti donazioni al fine distanziarvi i Padri Domenicani.Nel 1521 infatti questi prendono possesso della chiesa e vi fondano accanto ilproprio convento (oggi sede comunale).É probabile che il Marchese in questa occasione, oltre a favorire la venuta dei Padri,abbia anche ristrutturato il tempio. Di questo però non abbiamo alcuna conferma,anche se in alcuni testi di storia locale si dice che il Marchese nel 1521 fece erigerela chiesa affidandola ai Padri Domenicani.Negli anni successivi la chiesa continuò a godere del favore e della generosità dellafamiglia Barrese. I successori di Matteo infatti più volte effettuarono donazioni insuo favore.L’edificio divenne inoltre il luogo preferito dalla nobiltà e dalla borghesia localeper collocarvi le proprie sepolture.Anche se non esistono notizie di ciò è probabile che la struttura abbia subito untotale rinnovamento nel secolo XVIII assumendo l’aspetto attuale. Il prospettoesterno e l’interno infatti rispecchiano schemi e motivi tipici di quel periodo.Oggi la chiesa, chiusa al culto, è pericolante ed in attesa di un restauro che neconservi le strutture e gli apparati decorativi.

Page 242: I MATERIALI LAPIDEI ORNAMENTALI NEGLI ALTARI DELLE CHIESE DELLA DIOCESI DI PIAZZA ARMERINA

Descrizione edificio:

La particolarità della chiesa risiedeprincipalmente nel suo impianto a crocegreca.L’edificio infatti presenta una piantacentrale con tre absidi semicircolari eingresso lungo gli assi principali. L’absideposto davanti all’ingresso è quelloprincipale e contiene l’altare Maggiore, inmarmi policromi, dedicato alla Madonnadel Rosario; i due absidi laterali, invece,contengono due splendidi altari in stuccodalla complessa struttura architettonica,caratterizzata dalla presenza di colonnetortili.Lo spazio centrale è definito dai quattropilastri che sostengono la struttura dellacupola su pennacchi sferici decorata dastucchi che riproducono il tipico disegno acassettoni digradanti.La facciata, a differenza dell’interno, èsemplice e caratterizzata da pochielementi di rilievo in pietra squadratainseriti in una muratura in conci irregolari.I cantonali in pietra sostengono il timpanotriangolare, mentre lo spazio centrale èoccupato dal portale e più in alto dallafinestra rettangolare.Nel suo disegno ricorda molto quella dellachiesa di Santa Maria di Gesù, sempre aPietraperzia, e molte altre presentinell’area e realizzate intorno ai secoliXVII e XVIII.L’interno, oggi in cattivo stato diconservazione, è interamente decorato dastucchi e pitture a motivi floreali su unfondo azzurro.Nonostante molte opere pregevoli sianoscomparse la chiesa possiede ancoraalcune tele ottocentesche di autore ignotoe degli affreschi, raffiguranti la

e , ormai in rovina.Meritano di essere menzionate anche lestatue lignee della Madonna del Rosario,del ‘600, e di S. Vincenzo Ferreri.

Vittoria diS. Pio V Santa Caterina

Fig. 2 Vista dell’interno (abside destro)

Fig. 3 Particolare della struttura dellacupola

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L’altare si trova all’interno dell’abside maggiore dell’edificio, a pianta centrale acroce greca, proprio di fronte all’ingresso principale.É notevolmente sopraelevato rispetto alla quota del pavimento dell’edificio, postoin cima a cinque scalini in marmo rosso di San Vito Lo Capo.Non si hanno notizie precise su quest’opera, di discrete dimensioni, che però etipicamente barocca nelle forme e databile al secolo XVII.In alto l’altare è sormontato da una nicchia riccamente ornata da stucchi raffigurantiun tendaggio.Altre due nicchie, più piccole, sono simmetricamente collocate ai latidella nicchia centrale, in posizione leggermente più bassa.L’altare vero e proprio ha una struttura in marmo bianco di Carrara, decorata dallapresenza di marmi policromi. Ha forme concavo - convesse ed è quindicaratterizzata da continui aggetti, sporgenze e rientranze.La mensa ha agli angoli delle mensole inclinate a forma di voluta che inquadrano ilmotivo scultoreo centrale, leggermente aggettante, dalle forme rotondeggianti, edalla decorazione di ispirazione naturalistica. É affiancata da corpi lateraliterminanti con volute e decorati da paraste leggermente sporgenti. Nella parte altatroviamo quattro gradini porta candele, digradanti verso l’alto e ornati da intarsi inmarmi policromi, con al centro un tabernacolo riccamente decorato edall’articolato motivo architettonico. Questo infatti ha la forma di un tempietto conparaste, affiancate da volute, che sorreggono la trabeazione ed il timpano curvo.

Altare della Signora del Rosario (Altare Maggiore)

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Fig. 1 Prospetto Principale

UBICAZIONE :

DATAZIONE :

COMMITTENZA:

AUTORE :

BIBLIOGRAFIA :

Si affaccia sulla Piazza Vittorio Emanuele

Seconda metà del XVII secolo (edificio attuale)

Ignota

Luca Valera, maestro muratore

Padre Dionigi, 1776, pp. 255-261Giuliana G.., 1967, p. 232Guarnaccia - Viola, 1993, pp. 65-69Marotta F., 1999, vol I, pp. 83-89Parr. di S. Maria di Gesù, 2001, pp. 7-44

Chiesa di Santa Maria di Gesù

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Breve cenno storico:

La chiesa di Santa Maria di Gesù fu edificata nello stesso luogo in cui sorgevaprecedentemente la chiesa di Maria SS. Delle Grazie, che Fra’ Dionigi, storicolocale, dice essere stata molto antica e tra le prime realizzate a Pietraperzia, ma dicui non si sa niente altro.La storia di questo edificio è legata alla presenza a Pietraperzia dei Frati MinoriRiformati a partire dalla prima metà del secolo XVII. Questi infatti, giunti in città,ottennero di stanziarsi presso la chiesa di Maria SS. Delle Grazie e di fondare qui illoro convento.Le notizie relative a questi avvenimenti sono più precise ed attendibili, per cuisappiamo che i frati, giunti in paese su richiesta del clero pietrino, eper interessamento di Margherita D’Austria, detentrice del feudo, usufruirono giànel 1636 di una cospicua donazione a loro favore per la realizzazione del loroconvento.Donna Francesca Santigliano e Maria Santigliano, sorelle e nobili di originepalermitana ma residenti a Pietraperzia, infatti lasciarono la somma di tremila eseicento ducati al fine di realizzare il convento dei Frati Francescani Riformati, iquali avrebbero così potuto occuparsi della cura delle anime edell’amministrazione dei sacramenti.Nel 1637 troviamo i frati già intenti nella realizzazione della nuova struttura, dotataanche di selva.Ultimato il convento si passò al rinnovamento della chiesa e così l’edificio furiedificato nelle forme attuali intorno alla fine del secolo XVII. L’opera fumaterialmente realizzata dal maestro muratore Luca Valera.Fu in occasione di questo rinnovamento della struttura che questa assunse la nuovadenominazione di Santa Maria di Gesù.Alcune fonti tuttavia farebbero risalire la riedificazione dell’edificio nelle formeattuali al 1772.Il convento, nel corso della sua storia ospitò personaggi illustri come Fra’Giuseppeda Avola, le cui spoglie sono custodite presso la chiesa stessa e morto nel 1647 infama di santità, Fra’Giuseppe Giappano, anche egli famoso per miracoli e profezie,e lo storico Fra’Dionigi da Pietraperzia, autore di uno dei più importanti ed antichitesti di storia locale alla fine del secolo XVIII.I frati rimasero operanti fino alla emanazione del decreto di soppressione dei beniecclesiastici nel 1866. Alcuni frati comunque continuarono ad occuparsi dellachiesa e della cura dei fedeli.Quando nel 1929 si pensò di erigere a Pietraperzia una nuova parrocchia, dalmomento che la sola Chiesa Madre non era più sufficiente, si decise che questasarebbe dovuta nascere presso la chiesa di Santa Maria di Gesù. L’edificio peròversava allora in pessime condizioni per cui era prima necessario restaurarlo.Iniziarono così una serie di opere di risistemazione e rinnovamento delle strutture,nonchè di abbellimento del tempio, che si conclusero nei primi anni ‘50 delNovecento.Nel luglio del 1951 la chiesa viene finalmente riaperta al culto ed il 7 ottobre dellostesso anno viene proclamata parrocchia.

intorno al 1635

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Descrizione edificio:

La chiesa di Santa Maria di Gesù è anavata unica coperta da una volta a botte.Il prospetto esterno si presenta semplice ereal izzato secondo uno schemaarchitettonico molto diffuso in questaarea.La struttura muraria in conci irregolari ècontenuta tra due cantonali in pietrasquadrata aventi l’aspetto di paraste sup i e d i s t a l l o . Q u e s t i s o s t e n g o n odirettamente il timpano triangolare chechiude in alto la facciata. Risaltano inoltreil portale e la finestra centrale, posizionataal di sopra del portale, quali unici elementidi preziosità della composizione,realizzati anche questi con conci squadratie, nel caso del portale, caratterizzati daelementi decorativi come le paraste e lalapide marmorea su cui è riportata unaiscrizione.Anche l’interno è molto semplice. Il suoaspetto attuale deriva dai lavori direstauro realizzati nel corso delNovecento.Questi hanno sostanzialmente modificatol’originaria conformazione della navatadal momento che il pavimento è statorinnovato, il cornicione della voltaabbassato, demolito il coro dei frati,rimossi i 4 altari laterali marmorei erisistemato l’altare Maggiore.Quest’ultimo oggi si presenta tra duecolonne corinzie che sostengono unfrontone triangolare e che fanno dacornice alla statua della MadonnaImmacolata del secolo XVIII, postadentro una nicchia.L’altare è in marmi policromi, anchequesto risalente al secolo XVIII e, primadi essere posizionato in questa posizione,collocato in una delle cappelle laterali.La chiesa possiede inoltre alcuni quadridel XVIII e XIX secolo di discreto valore,tra cui due dipinti del Vaccaro.

Fig. 2 Vista dell’interno

Fig. 3 Crocifisso ligneo forse opera dida Petralia

Fra’Umile

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L’altare occupa la parete di fondo del presbiterio, posto alla base della decorazionea stucco che contiene la statua settecentesca della Madonna Immacolata.É racchiuso ai lati entro le due colonne che sostengono il frontone triangolare dellastruttura ornamentale a forma di tempio.É inoltre leggermente rialzato rispetto alla quota della pavimentazione delpresbiterio da due gradini marmorei di recente realizzazione.L’altare era inizialmente collocato lungo la navata laterale, assieme ad altri quattro,probabilmente dello stesso tipo. Questi furono smontati durante uno dei numerosirestauri che hanno interessato l’edificio in tempi recenti. Fu nel intorno al 1950 chel’altare marmoreo venne sistemato al centro del presbiterio, dove oggi lo vediamo,ed in quella occasione fu interessato anche da aggiunte, modifiche e sostituzioni.É un opera realizzata nel secolo XVIII, affine per il disegno architettonico e ledecorazioni del paliotto ad altari dello stesso genere realizzati nella Sicilia orientalein quel periodo.L’altare ha una mensa rettangolare, affiancata ai lati da semplici volute, ed unastruttura superiore, sempre rettangolare, decorata da lastre in marmi policromi didue differenti colori che si alternano tra loro, con al centro il tabernacolo a forma dipiccolo tempietto. Spiccano all’interno della composizione, realizzata in marmobianco di Carrara, il ricco paliotto a marmi mischi, con decorazione scultorea inleggero rilievo, di ispirazione naturalistica, e pietre ornamentali dai vivaci colori.

Altare del Crocifisso (Altare Maggiore)

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RIESI

1. Chiesa Santuario di Santa Maria SS. DellaCatena (chiesa madre)

Chiese con altari in marmi policromi

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Fig. 1 Prospetto Principale

UBICAZIONE :

DATAZIONE :

COMMITTENZA:

AUTORE :

BIBLIOGRAFIA :

Si affaccia sulla Piazza Garibaldi, al termine delCorso Vittorio Emanuele

Prima metà del secolo XVIII

Bartolomeo de Moncajo, Marchese di Coscoquela;Don Clemente e Don Biagio Vignuales, Procuratorigenerali

Giuseppe La Rossa, architetto (progetto originario)Francesco Alajmo (prospetto esterno e decorazionedell’interno)

Testa G., 1981, pp. 187-252; p. 377

Santuario di Maria SS. Della Catena(Chiesa Madre)

Page 252: I MATERIALI LAPIDEI ORNAMENTALI NEGLI ALTARI DELLE CHIESE DELLA DIOCESI DI PIAZZA ARMERINA

Breve cenno storico:

La Basilica Santuario di Maria SS. Della Catena è senza dubbio la chiesa piùimportante di Riesi, per la grande devozione dei cittadini nei confronti dellaMadonna della Catena, Patrona della città (il cui culto sarebbe stato introdotto dallafamiglia Ventimiglia, proprietaria un tempo del feudo), e perchè rilevante dalpunto di vista architettonico ed artistico.Abbiamo notizia però che la prima chiesa avente tale titolo fu realizzata nel 1629,prima ancora che sorgesse il paese, in un luogo differente da quello attuale. Se purmolto piccola e dalle forme povere era sufficiente a soddisfare le esigenze religiosedei pochissimi contadini che vi risiedevano intorno.Con la fondazione nel 1647 della città per volontà del Barone Pietro Altariva,possessore del feudo, la chiesetta, divenuta chiesa Madre, fu sicuramenteristrutturata ed abbellita. Tuttavia ben presto risultò insufficiente per unapopolazione che era in continuo e rapido aumento. Il centro del nuovo paese inoltreandava sempre più spostandosi dall’originario nucleo di case dal quale aveva avutoorigine e dove si trovava la chiesa per cui si decise di realizzarne una nuova, piùgrande, in un differente sito, trasferendovi il titolo e le prerogative di chiesa Madree Parrocchiale. Il nuovo edificio sorge così intorno al 1678 e, sempre modesto nelleforme e nelle dimensioni, era dotato di campanile e all’interno di quattro altari, oltrequello maggiore.Solo agli inizi del secolo XVIII e per volontà del Marchese Don Bartolomeo deMoncajo si inizia la costruzione dell’edificio che oggi ammiriamo, sorto in un sitoancora differente dai precedenti e secondo programmi ben più ambiziosi.Il primo progetto di basilica a tre navate fu avviato nel 1720 e si deve all’architettomessinese, ma risiedente ed attivo a Piazza Armerina, Giuseppe La Rossa. Nel1722 tuttavia si verificò un primo crollo che mandò in rovina le strutture fino adallora realizzate. Furono avviati così i lavori di ricostruzione, sempre affidati al LaRossa a cui però furono affiancati due religiosi catanesi: fratello Pasquale,igegnere, e fratelloAntonio, capo mastro.I nuovi lavori procedevano comunque a rilento ed inoltre nel 1731 i nuovi feudatari,Antonio Pignatelli e Maria Francesca de Moncajo, decisero di abbandonare ilprogetto a tre navate.Ma il 16 ottobre 1731 si verifica un nuovo crollo. Il la Rossa viene nuovamenteinterpellato e redige una perizia del danno con il preventivo di spesa per lariparazione dell’edificio e la sua ultimazione. Recuperata la somma necessaria ilavori riprendono spediti e nel 1732 il Tempio, non ancora ultimato viene aperto alculto. Una lapide all’interno della chiesa ci racconta di un ulteriore ed improvvisocrollo avvenuto nel 1734 che avrebbe reso necessari nuovi lavori di ricostruzionesotto la supervisione di Don Clemente e Don Biagio Vignuales, Procuratorigenerali per conto dei feudatari, e con l’apporto di un nuovo architetto palermitanodi nome Francesco Alajmo. Finalmente nel 1747 l’edificio è ultimato ed allapresenza del Vescovo di Siracusa, Mons. Matteo Trigona, il 9 Maggio la chiesaviene solennemente consacrata ed innalzata a Basilica, consacrandola anche ai dueSanti Martiri San Clemente Papa e Santa Sabina. Le opere di decorazione degliinterni furono realizzate negli anni immediatamente successivi.

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Nonostante il progetto originario prevedesse la realizzazione di una basilica a trenavate l’edificio attuale si presenta a navata unica con impianto a croce latinacaratterizzato da un ampio transetto su cui si affacciano le due cappelle e l’absideche chiudono la costruzione.La facciata principale, che prospetta sulla piazza principale del paese (su cui sorgeanche il palazzo del signore feudale), fu costruita su disegno di FrancescoAlajmo.Si tratta di una struttura semplice e sobria priva di decorazioni appariscenti, ma

Descrizione edificio:

rettangolari e semplici feritoie per la luce, dotata di un orologio a doppio quadrante.L’interno aggi ci appare fortemente alterato nelle sue cromie originali a causa di unrecentissimo intervento di ridipintura delle pareti e delle volte.L’opera di decorazione degli interni fu affidata nel 1751 allo stesso FrancescoAlajmo, artista eclettico, oltre che architetto, e abile stuccatore il quale realizzòtutte le opere in stucco e le sculture presenti nell’edificio, come le statue di SantaSabina e di San Clemente oppure i medaglioni dei dodici Apostoli del soffitto ed ibassorilievi ai lati della cupola raffiguranti i quattro Evangelisti.La chiesa inoltre si riempì di affreschi e quadri. Anche questi risalgono al 1751 esono tutti opera dello stesso artista: il palermitanoAgostino Gambino.Inizialmente si pensò solo alla decorazione della volta centrale e laterale. Furonorealizzati così gli affreschi aventi come tema guida le tra cui la

e la Successivamente allo stessopittore palermitano vengono commissionati otto dipinti ad olio da collocare neglialtari della navata, ricavati all’interno degli archi presenti tra un pilastro e l’altro.Tra questi ricordiamo la , la ,la , ,

.Di pregevolissima fattura sono poi gli altari in marmi mischi collocati nell’absidemaggiore e nella cappella del SS. Sacramento, realizzati da maestranze palermitaneintorno al 1747, ed il seicentesco Crocifisso situato nella cappella dedicata alricordo dei caduti in guerra e sul lavoro.

Storie della VergineNatività di Maria SS. Presentazione di Maria.

Madonna della Provvidenza Madonna del PurgatorioMadonna del Carmine S. Eligio S. Rosalia che intercede per la peste di

Palermo

armonica. Il portale, incorniciato daparaste su piedistallo che sostengonola trabeazione, è sormontato dalloscudo con le armi dei baroni feudatariche costituisce l’unico elemento dipreziosità della facciata. Ancora più inalto si trova poi una larga finestrarettangolare ed appena sopra ilcornicione ed il timpano triangolareche chiude il tutto e che trova sostegnoagli angoli su delle doppie lesene diordine dorico. Accanto alla facciata,leggermente arretrata rispetto a questa,sorge la torre campanaria con pilastri

Fig. 2 Vista dell’interno

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Altare del SS. Sacramento

L’altare è posizionato sulla parete di fondo della cappella del SS. Sacramento,situata sulla sinistra del presbiterio.É sopraelevato rispetto alla quota del pavimento da due gradini in marmo bianco, direcente realizzazione, e si presenta sormontato da una complessa struttura lignea,avente la forma di un tipico prospetto di chiesa barocca, dall’andamento concavo econ colonne libere a sostegno del fastoso coronamento.Simile all’altare maggiore, anche se di dimensioni minori, fu realizzato anchequesto da maestranze palermitane intorno al 1747.Si tratta sempre di una pregevole opera a marmi mischi e tramischi, dal ricchissimoapparato scultoreo, eseguita su un supporto in marmo bianco di Carrara entro cuisono state realizzate le complesse tarsie in pietre ornamentali colorate.La mensa sorge su di una sorta di basamento interamente intarsiato con motivinaturalistici. É inquadrata da due grandi mensole leggermente inclinate a forma divolute e ornate da teste di angeli. La parte centrale invece è tripartita e caratterizzatada tre medaglioni scultorei dalle sinuose forme di ispirazione naturalistica, conovale al centro decorato da una pietra di colore azzurro.La parte superiore, costituita da due semplici gradini in marmo rosso, e i fianchiarretrati dell’altare sono delle aggiunte recenti alla composizione, frutto di unarisistemazione dell’opera, eseguita sicuramente durante gli ultimi anni inoccasione dei lavori di restauro che hanno interessato l’intero edificio religioso.

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I MATERIALI LAPIDEI ORNAMENTALI NEGLI ALTARI DELLE CHIESE DELLA DIOCESI DI PIAZZA ARMERINA REALIZZATI TRA IL XVI ED IL XVIII SECOLO

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CONCLUSIONI

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Come abbiamo avuto modo di vedere in precedenza, i contatti e gli

scambi culturali tra le grandi città della costa, molto ricche e fortemente

ricettive nei confronti delle nuove tendenze artistiche provenienti dal

continente, ed i centri dell’entroterra erano frequenti ed hanno portato ad

una diffusione capillare dei temi e dei motivi tipici dell’arte barocca,

anche nei paesi apparentemente più isolati e di secondaria importanza;

tanto che anche in questi troviamo spesso presenti opere ed artisti di

primo piano all’interno del panorama artistico siciliano.

Le grandi città di Palermo e Trapani, per quel che riguarda la Sicilia

Occidentale, di Messina, Catania e Siracusa, per la parte Orientale,

fungevano quindi da poli di riferimento culturale ed artistico presso i

quali attingevano tutte le cittadine ed i paesi che gravitavano nell’ambito

geografico dell’una o dell’altra città, oppure che avevano con queste

rapporti di tipo economico o politico.

Nel caso dei centri della Diocesi di Piazza Armerina la maggiore

vicinanza geografica con l’area sud-orientale dell’isola ha fatto sì che più

forti fossero i contatti con le città di Catania e Siracusa, grazie anche alla

appartenenza, fino ai primi anni dell’Ottocento, dei paesi oggi facenti

parte della circoscrizione religiosa piazzese alle Diocesi appunto di

Siracusa e di Catania, e grazie anche alla vicinanza con la città demaniale

di Caltagirone, completamente sotto la sfera di influenza della città etnea.

La maggior parte delle opere d’arte prodotte nella diocesi di Piazza

Armerina in età barocca sono quindi riconducibili all’ambiente artistico

catanese, dal momento che da questo ambito il più delle volte

provenivano gli artisti e le maestranze esecutrici.

Ciò è vero soprattutto per quel che riguarda la produzione legata

all’utilizzo di pietre ornamentali colorate. Nella diocesi infatti, come in

tutta la Sicilia orientale, non ebbe grande diffusione la decorazione a

mischio, estesa alle intere pareti degli edifici religiosi, tipica invece della

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città di Palermo, ed anche di quella Trapani, dove gli esempi di questo

tipo di composizione ornamentale sono numerosissimi1.

Il tema della decorazione con pietre colorate, in forme complesse e

sfarzose, fu tuttavia recepito anche dagli artisti della parte orientale

dell’isola, se pur in maniera più sobria e contenuta.

Si preferì infatti realizzare altari marmorei, di ogni forma e dimensioni,

piuttosto che rivestire intere pareti con complicate tarsie.

L’esistenza di alcuni documenti d’archivio relativi alla stipula dei

contratti di realizzazione di tali altari tra la committenza ed i marmorari ci

ha permesso di osservare come molto spesso questi ultimi siano catanesi,

chiamati con le loro botteghe ad operare anche nei centri dell’entroterra

per soddisfare una ricca committenza, costituita quasi esclusivamente

dalla potente aristocrazia feudale e dagli ecclesiastici.

Abbiamo notizia quindi della presenza della bottega dei Marino, famosa

famiglia catanese di marmorari, presso la città di Piazza Armerina per la

realizzazione del grande altare maggiore della chiesa di San Giovanni

Evangelista, commissionato nella seconda metà del Settecento2.

Il famoso architetto catanese Andrea Amato è inoltre il progettista della

cappella marmorea della Madonna della Visitazione, nel Duomo di Enna,

unico caso nella diocesi di struttura architettonica le cui pareti sono

interamente rivestite da una ricca decorazione a marmi mischi3.

Catanese è anche Domenico Viola, maestro marmoraro autore dei tre

altari della chiesa dell’Addolorata presso Niscemi4; e sempre da Catania

giungono Vincenzo Bonaventura e Benedetto Giuffrida, allievi di Andrea

Amato, e suoi collaboratori nel corso dei lavori di realizzazione della

cappella della Madonna del Duomo di Enna, che eseguirono alla fine del

1 S. PIAZZA, op. cit 2 DEMETRA società cooperativa a.r.l. (a cura di), op. cit. 3 A. RAGONA, op. cit., pp. 28-29 4 P. R. CINCOTTA – C. PEPI, Niscemi, Tesi di Laurea, rel. Prof. E. Guidoni, Università degli Studi di Palermo, a.a. 1979-80, p. 65

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secolo XVIII il pavimento marmoreo del Duomo stesso della città e gli

altari della chiesa di San Marco Le Vergini, sempre ad Enna5.

Ricordiamo infine i fabri marmorarrii catanesi Tommaso e Rosario

Privitera, autori di tre altari marmorei della chiesa Madre di Pietraperzia6.

Anche nel caso di molti altri altari, soprattutto delle città di Niscemi,

Enna, Mazzarino e Gela, nonostante non esistano testimonianze

documentarie, sembra certa la loro realizzazione da parte di maestranze

dell’aera etnea, data l’affinità stilistica delle composizioni con simili

opere situate in ambito catanese e siracusano.

Generalmente si tratta di altari dalle dimensioni contenute, aventi forma

semplice di tipo rettangolare, ma caratterizzati da ricchi paliotti, con al

centro medaglioni o stemmi, ornati da fini tarsie in marmi policromi e da

rilievi scultorei a motivo floreale.

Non mancano tuttavia esempi di altari di dimensioni maggiori e

caratterizzati da forme complesse ed articolate, con aggetti, linee curve,

concave e convesse, volute sporgenti e tabernacoli a forma di tempietto.

Abbiamo già accennato inoltre alla presenza di una intera cappella nel

Duomo di Enna sfarzosamente rivestita da marmi policromi e da rilievi

scultorei in marmo bianco di grande valore plastico, opera di uno degli

architetti più importanti del barocco catanese.

Tuttavia, dal momento che il potere politico e di governo di questi

territori era nelle mani della nobiltà feudale, e poiché questa spesso

risiedeva ed aveva contatti con la città di Palermo, capitale dell’isola e

sede del Parlamento del Regno, di cui molti dei nobili stessi facevano

parte, nei centri dell’entroterra siciliano facenti parte della Diocesi di

Piazza Armerina giungevano anche influssi artistici provenienti dalla

parte occidentale dell’isola.

5 R. LOMBARDO, La chiesa ed il monastero di San Marco le Vergini di Enna, tra storia, arte, devozione, Assoro (EN), 1999, pp. 71-72 6 F. MAROTTA (a cura di), Saggi e documenti riguardanti la storia di Pietraperzia, Vol. I, Enna, 1999, pp. 93-98

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Queste influenze riguardarono quasi esclusivamente l’ambito pittorico,

tanto che la maggior parte delle tele delle chiese della diocesi

commissionate in questo periodo provengono da botteghe di artisti

palermitani, il più delle volte seguaci della maniera di Pietro Novelli,

famoso pittore palermitano, oppure della scuola del Borremans, pittore

fiammingo attivo nei primi anni del Settecento a Palermo, ma anche in

molti centri dell’entroterra, tra cui Enna e Piazza Armerina7.

Per quel che riguarda gli altari sappiamo che quelli della chiesa Madre di

Riesi furono realizzati da maestranze palermitane, ed infatti si

caratterizzano per una esuberante decorazione a mischio con motivi ed

intrecci a carattere floreale, medaglioni, volute e putti, unici per le loro

forme nell’ambito del territorio della diocesi di Piazza Armerina.

Venendo invece a trattare dei litotipi con i quali gli altari della diocesi

sono stati decorati dobbiamo rilevare in generale la presenza di pochi tipi

di marmi colorati, sempre ricorrenti in quasi tutti gli altari rilevati

probabilmente perché utilizzati da maestranze itineranti e che si

passavano i materiali.

Sul supporto di base in marmo bianco di Carrara infatti ritroviamo quasi

sempre marmi di importazione quali il Rosso di Francia, il Verde di

Calabria (oppure Verde Alpi) ed il Nero Portoro. Frequente è anche, se

pur in maniera minore rispetto ai marmi precedentemente citati, l’utilizzo

di altre pietre di importazione come il Broccatello di Spagna, le Brecce

Medicee, il Rosso ed il Verde di Levanto, il Giallo ed il Pavonazzetto di

Siena, a testimonianza degli intensi rapporti commerciali esistenti tra le

città portuali siciliane e la penisola italiana, soprattutto la toscana, ma

anche i maggiori porti europei. La presenza di tali pietre negli altari delle

chiese dell’entroterra siciliano è indice inoltre della abbondante quantità

di queste che fu importata e della loro grande diffusione in tutta l’isola.

7 G. DI MARZO, op. cit.

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ENTE

ROSSO DI LEVANTO

VERDE DI LEVANTO

VERDE DI CALABRIA

VERDE ALPI

GIALLO DI SIENA

PAVONAZZETTO DI SIENA

BRECCIA DI SERAVEZZA

BRECCIA MEDICEA

ALABASTRO DI PALOMBARA

NERO PORTORO

NERO ASSOLUTO

Figura 1 Diagramma di utilizzo dei marmi provenienti dall’Italia peninsulare.

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LITOTIPI

N° D

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LITO

TIPO

E' P

RES

ENTE

ROSSO DI FRANCIA

FIOR DI PESCO

IASSENSE

VERDE ANTICO

BRECCIA DI SCIRO

BROCCATELLO DI SPAGNA

LAPISLAZZULO

Figura 2 Diagramma di utilizzo dei marmi provenienti da località estere.

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Tra i marmi siciliani invece grande utilizzo fu fatto del Libeccio di

Trapani e del Giallo di Castronovo per la realizzazione dei rivestimenti e

delle tarsie che decorano gli gran parte degli altari, mentre in piccole

quantità furono adoperati anche gli alabastri calcarei, probabilmente

provenienti dall’area palermitana.

In pochi casi sono stati adoperati dei diaspri, che sono tra le pietre

ornamentali più preziose, colorate ed originali che siano state estratte in

Sicilia, e solamente in piccole lastre, collocate generalmente nei pressi

dei tabernacoli degli altari, a sottolineare così con la loro preziosità

l’importanza del contenuto del tabernacolo stesso.

Tra quelli individuati abbiamo i Diaspri Rosso e Giallo di Giuliana ed il

Diaspro di Santa Cristina Gela, presso Piazza Armerina, mentre il

Diaspro di Cammarata è stato rinvenuto a Niscemi.

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LITOTIPI

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LITO

TIPO

E' P

RES

ENTE

LIBECCIO DI TRAPANI

ROSSO DI SAN VITO LO CAPO

ROSSO FIORITO DI SANMARCO D'ALUNZIOGIALLO DI CASTRONOVO

GRIGIO DI BILLIEMI

ROSSO MONTECITORIO

ALABASTRO CALCAREO

DIASPRO GIALLO DI GIULIANA

DIASPRO ROSSO DI GIULIANA

DIASPRO DI SANTA CRISTINAGELADIASPRO DI CAMMARATA

Figura 3 Diagramma di utilizzo dei marmi provenienti da cave siciliane.

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I MATERIALI LAPIDEI ORNAMENTALI NEGLI ALTARI DELLE CHIESE DELLA DIOCESI DI PIAZZA ARMERINA REALIZZATI TRA IL XVI ED IL XVIII SECOLO

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I marmi rossi di San Vito Lo Capo e Taormina ed il Grigio di Billiemi

hanno trovato invece maggiore applicazione per la realizzazione di

pavimentazioni, scalini e basamenti degli altari, balaustre e sarcofagi.

Per quanto riguarda i sarcofagi in particolare, oltre a numerose

realizzazioni tardo- cinquecentesche in marmo bianco, con frammenti di

marmi policromi di forma geometrica inseriti in incavi ricavati sulla loro

superficie, ne esistono tre esempi nella diocesi eseguiti interamente

utilizzando una unica varietà di pietra ornamentale colorata, uno in

marmo Rosso di San Marco D’Alunzio, a Mazzarino (Chiesa del

Carmine), un altro in marmo Verde di Levanto, a Pietraperzia (Chiesa

Madre), ed infine uno in marmo Nero Portoro, presso Piazza Armerina

(Cattedrale); imponenti per le dimensioni e di grande effetto cromatico

grazie alle loro originali ed uniformi colorazioni.

La presenza nel territorio della diocesi della Villa del Casale, importante

monumento di età romana venuto alla luce presso Piazza Armerina,

riccamente decorata da marmi policromi e da pavimenti a mosaico, ha

reso possibile nei secoli scorsi la pratica del riuso dei materiali della villa

stessa, ed in particolare delle pietre ornamentali, i cui frammenti sono

stati in parte utilizzati per la decorazione dei sarcofagi cinquecenteschi, di

cui prima si parlava, e degli altari marmorei dei secoli XVII e XVIII8.

In particolare nella città di Piazza Armerina, presso la chiesa Cattedrale,

sono stati individuati in alcuni degli altari laterali frammenti di Fior di

Pesco, e di Verde Antico, ovvero marmi di età romana riutilizzati dai

marmorari in età barocca.

Altri esempi di questo genere riguardano Enna, dove nella cappella della

Madonna del Duomo ritroviamo il Verde Antico ed il marmo Iassense

Brecciato; Pietraperzia, con piccoli frammenti di Breccia di Sciro

nell’altare Maggiore della chiesa di Santa Maria di Gesù; ed infine ancora

8 B. PACE, op. cit., p. 24

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Piazza Armerina, con frammenti di Verde Antico usati nell’altare

maggiore della chiesa di San Giovanni Evangelista.

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BIBLIOGRAFIA

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BIBLIOGRAFIA

a) Opere generali relative alla storia ed alle arti in Sicilia

Amari M.(a cura di), Edrisi, in “Biblioteca arabo – sicula”, Torino, 1808 Amico V., Dizionario topografico della Sicilia, Palermo, 1855 Amico V., Siciliae Historia , Catania, 1758 Antonietta Iolanda Lima, Architetti e urbanistica della compagnia di Gesù: fonti e documenti inediti. Secoli 16-18, Palermo, 2001 Bellafiore G., Architettura in Sicilia, Palermo, 1984 Bellafiore G., La civiltà artistica della Sicilia, Firenze, s.i.d. Blunt A., “Barocco siciliano”, Milano, 1968 Blunt A.–De Seta C.,“Architettura e città barocca”, Napoli, 1978 Boscarino S., “Sicilia Barocca”. Architettura e città 1610-1760. Roma 1991 Comandè G.B., Idee estetiche ed architettura nel barocco siciliano, Palermo, 1965 Correnti S., La Sicilia del’600 , Milano, 1976 Correnti S., La Sicilia del’700 , Catania, 1985 Correnti S., Storia di Sicilia come storia del popolo siciliano, S.G. La Punta (CT), 1995 Di Marzo G., Guglielmo Borremans di Anversa. Pittore fiammingo in Sicilia, Gela (CL), 1990 Dipinti e sculture tra ‘400 e ‘500 nella Sicilia Occidentale, Palermo, 1982 Fagiolo M. e Trigilia L., “Il Barocco in Sicilia tra conoscenza e conservazione”, Siracusa, 1987 Gangi G., “Il Barocco della Sicilia Occidentale”, Roma, 1968 Gangi G., “Il Barocco della Sicilia Orientale”, Roma, 1964 Gangi M.-Bordi M., Le devianze del Barocco, Palermo, 1985

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I MATERIALI LAPIDEI ORNAMENTALI NEGLI ALTARI DELLE CHIESE DELLA DIOCESI DI PIAZZA ARMERINA REALIZZATI TRA IL XVI ED IL XVIII SECOLO

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265

Garstang D., G. Serpotta e gli stuccatori di Palermo, Palermo, 1990 Giansiracusa P., Il Barocco minore: documentazione di immagini per una ricerca sul territorio e sull’architettura dell’altopiano Ibleo, Noto (SR), 1990 Giansiracusa P., Il Barocco Siciliano: Architetti, urbanistica, scenografia, Roma, 1984 Giuffré M., “L’architettura del ‘700 in Sicilia”, Palermo, 1997 Giuliana G., La Diocesi di Piazza Armerina. Note di religione, storia, arte e folklore su: Piazza Armerina, Enna, Gela, Aidone, Barrafranca, Butera, Mazzarino, Niscemi, Pietraperzia, Riesi, Valguarnera, Villarosa, Scuola Tipografica <<Città dei Ragazzi>>, Caltagirone, 1967 Le arti decorative del ‘400 in Sicilia, Messina, 1982 Librando V., Aspetti dell’architettura barocca nella Sicilia Occidentale, Catania, 1977 Menichella A., Sicilia Barocca, Milano, 2002 Minissi F., Aspetti dell’architettura religiosa del Settecento in Sicilia, Roma, 1958 Nobile M.R., Un altro Rinascimento: architetti, maestranze e cantieri in Sicilia, Benevento, 2002 Pirri R., Sicilia Sacra, I, Palermo, 1733 Policastro G., Catania nel ‘700. Architettura, scultura, pittura, musica e teatri, Catania, 2000 Regione Siciliana, Le arti in Sicilia nel ‘700, Palermo, 1991 Sarullo L., Dizionario degli artisti Siciliani, (Architettura,Pittura, Scultura), Palermo, 1993 Wittkover R., Arte ed architettura in Italia 1600-1750, Torino 1972

b) Opere specifiche relative ai singoli paesi della Diocesi di Piazza Armerina

• AIDONE

Aidone, opuscolo a cura del Comune di Aidone, s.i.d. Aidone, opuscolo a cura di F.Nicotra, s.i.d.

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266

Kalos – luoghi di Sicilia. Aidone - Morgantina, Collana monografica a cura di Guido Valdini, supplemento al n°3 (anno 9), Maggio - Giugno 1997 Mazzola G., Storia di Aidone, Catania, 1913 Raffiotta S., Guida alla città di Aidone ed agli scavi di Morgantina, Aidone (EN), s.i.d.

• BARRAFRANCA

Sac. Giunta L., Brevi cenni storici su Barrafranca, Caltanissetta, 1928 Licata S.-Orofino C., Barrafranca. Storia, tradizioni, cultura popolare, Enna, 1990 Licata S.-Orofino C., Un paese dell’entroterra siciliano: Storia, tradizioni, cultura, Caltanissetta, 1984

Vicari G., Guida alle principali chiese di Barrafranca ed ai loro tesori nascosti, Caltanissetta, 1984

• ENNA

Azienda Autonoma di Soggiorno e Turismo di Enna, Henna tra storia ed arte, Palermo, 1985 Candura G., Storia di Sicilia. Enna-Castrogiovanni Urbs Inespugnabilis, Enna, s.i.d. Candura G., Le 42 città demaniali nella storia di Sicilia, Catania – Roma, 1973 Di Dino M., Monumenti Medievali in Enna, Tesi di Laurea, Università degli studi di Catania, Facoltà di Lettere, A.A. 1945-46, Relat. Prof. S. Bottari Guarneri B., Architetture in Castrogiovanni, Tesi di Laurea, Università degli studi della Calabria, Facoltà di Lettere e Filosofia, A.A. 1998-99, Relat. Prof.ssa M.P. Di Dario Guida Lombardo R., Guglielmo Borremans ad Enna (1720-1722), Enna, 1991 Lombardo R., La chiesa ed il monastero di San Marco le Vergini di Enna, tra storia, arte, devozione, Assoro (EN), 1999 Ragona A., Il Duomo di Enna, Publiscuola editrice, 1988 Ragona A., Arte ed artisti nel Duomo di Enna, Caltagirone (CT), 1976

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Rosso Di Cerami M., Il Tempio di Santa Maria Maggiore in Enna, Tesi di Laurea, Università degli studi di Catania, Facoltà di Lettere, A.A. 1944-45, Relat. Prof. S. Bottari Severino C., Enna: la città al centro, Roma, 1996 Sinicropi E., Enna nella storia,nell’arte,nella vita, Palermo, 1963 Vetri P., Storia di Enna, Palermo, 1981 • GELA

Dufour L. – Nigrelli I., Terranova. Il destino della città federiciana, Caltanissetta, 1997 Kalos – luoghi di Sicilia. Gela, Collana monografica a cura di Guido Valdini, supplemento al n°1 (anno 11), Maggio - Febbraio 1999 Mulè N., Appunti su Terranova di Sicilia, Catania, s.i.d. Mulè N., La Chiesa Madre di Gela e il culto di Maria SS. d’Alemanna, Gela (CL), 1985 Opere di Salvatore Damaggio Navarra, riproduzione in ciclostile a cura del distretto scolastico n°10, Gela (CL), s.i.d. Vicino N., Gela nella sua storia, Modica (RG),1981

• MAZZARINO

D’Aleo A., Mazzarino e la sua storia, San Cataldo (CL), 1991 Di Giorgio-Ingala P., Mazzarino. Ricerche e considerazioni storiche, Palermo, 1996 Di Martino P., Carlo Maria Carafa. Vita ed Opere, quaderni di storia mazzarinese, Mazzarino (CL), 1982 Di Martino P., Mazzarinu: paisi di monachi e parrini, quaderni di storia mazzarinese, Mazzarino (CL), 1990 Distretto scolastico n°11, I luoghi della memoria. Conoscenza e valorizzazione dei centri storici di Mazzarino, Riesi, Sommatino, Caltanissetta, 1999 Kalos – luoghi di Sicilia. Mazzarino, Collana monografica a cura di Guido Valdini, supplemento al n°5 (anno 8), Settembre - Ottobre 1996 Russo-Ferruggia S., Memorie istoriche dello antichissimo comune di Mazzarino, Trapani,1857

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• NISCEMI

Arcadipane G., Nel quarto centenario del ritrovamento della Sacra Immagine (1599-1999), Niscemi (CL), 1999 Asta F. – Ravalli S., Niscemi il recupero della memoria. Studi e progetti per una nuova identità urbana, pubblicazione a cura del Comune di Niscemi, del Lions Club di Niscemi, dell’Università degli Studi di Palermo e della Soprintendenza ai BB.CC.AA. di Caltanissetta, Febbraio 2002 Cincotta P.R. – Pepi C., Niscemi, Tesi di laurea Università degli Studi di Palermo, Facoltà di Architettura, A.A. 1979-80, Relat. Prof. E. Guidoni Conti E., La Contea di Garsiliato nella Sicilia medievale – Niscemi nel ‘700 e la crisi di fine secolo, Palermo, 1996 Conti E., Niscemi. Origini e fondazione, Caltanissetta, 1977 Sac. Disca R., Maria SS. del Bosco Patrona di Niscemi, Niscemi (CL), 1999 Kalos – luoghi di Sicilia. Niscemi, Collana monografica a cura di Guido Valdini, supplemento al n°4 (anno 12), Ottobre - Dicembre 2000 Maria SS. del Bosco di Niscemi, opuscolo a cura del sacerdote G. Giugno, Niscemi (CL), 2002 Marsiano A., Niscemi. Profilo culturale, Niscemi (CL), 1989 Marsiano A., Geografia antropica, Caltanissetta, 1995 Opuscoli a cura del Sac. Salvatore Pepi: 1) La Chiesa di San Giuseppe a Niscemi 2) La Basilica dell’Addolorata di Niscemi 3) La chiesa di Maria SS. delle Grazie in Niscemi 4) Squarci di vita nel ‘700 a Niscemi 5) 400° anno dal ritrovamento del quadro di Maria SS. del Bosco di

Niscemi

• PIAZZA ARMERINA

Cagni Di Pietra M.C. – Salariano Z.D., Piazza Armerina nelle alterne vicende della storia di SIcilia, Barrafranca (EN), 1989 Chiarandà G.P., Piazza Città di Sicilia, Messina, 1654 Contraffatto A., Architettura religiosa a Piazza Armerina, Catania, 2000

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DEMETRA società cooperativa a.r.l. (a cura di), Monumenti di Piazza Armerina, Vol. I, Piazza Armerina (EN), 1989

Diocesi di Piazza Armerina, Evento Giubileo. Itinerari, Caltagirone (CT), 2000 Franchino E., La Diocesi di Piazza Armerina. Ragioni storiche della sua erezione, Piazza Armerina (EN), 1929 Pace B., I mosaici di Piazza Armerina, Roma, 1955

Lions Club, La Cattedrale di Piazza Armerina. Arte e tesori, ediz. speciale in occasione della Consacrazione e dell’insediamento di Mons. Michele Pennisi, Undicesimo Vescovo della Diocesi di Piazza Armerina, Piazza Armerina (EN), 2002 Messina E., Quattro passi a Piazza Armerina, Enna, 1991 Villari L., Storia di Piazza Armerina, Città di Castello (CT), 1995 Nigrelli I., Piazza Armerina Medievale: note di vita sociale, artistica e culturale dal 12° al 15° secolo, Milano, 1983 Parisi S. (a cura di), Archivio Trigona di Canicarao. Piazza e la sua nobiltà fra XVI e XVIII sec., Enna, 1986 Villari L., Storia della città di Piazza Armerina capitale dei Lombardi di Sicilia, dalle origini ai giorni nostri, Piacenza, 1987 Villari L., Storia ecclesiastica della città di Piazza Armerina, , Messina, 1988 Ragona A., Il Santuario di Maria SS. delle Vittorie a Piazza, Piazza Armerina (EN), s.i.d. Roccella., Chiese e conventi della città di Piazza, rif. da L. Villari “Storia ecclesiastica di Piazza Armerina”, Messina, 1988 • PIETRAPERZIA

Autori Vari (a cura del Sac. Filippo Marotta), Saggi e documenti riguardanti la storia di Pietraperzia, Enna, 1999 Ciulla M., Rinasce la Matrice. Disegni e vicende storiche sulla Matrice di Pietraperzia, edizione a cura del Comitato Parrocchiale per le migliorie della Matrice, Pietraperzia, s.i.d. Fra’ Dionigi, Storia di Pietraperzia, a cura del Comitato Culturale di Pietraperzia, Caltanissetta, 1979

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Guarnaccia L., La Chiesa Matrice di Pietraperzia, Pietraperzia, s.i.d. Guarnaccia L.-Sac. Viola S., Guida ai monumenti ed ai luoghi storici di Pietraperzia, Pietraperzia, 1993 Santa Maria di Gesù. Storia di una parrocchia in cammino, opuscolo realizzato in occasione del 50° anniversario dell’istituzione della parrocchia, Pietraperzia, 2001

• RIESI

Butera L., Uomini, fatti e aneddoti nella storia di Riesi, Caltanissetta, 1983 Ferro S., Storia di Riesi, Caltanissetta, 1930 Distretto scolastico n° 11, I luoghi della memoria. Conoscenza e valorizzazione dei centri storici di Mazzarino, Riesi, Sommatino, Caltanissetta, 1999 Testa G., Riesi nella storia, Palermo, 1981

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BIBLIOGRAFIA GENERALE SUI MARMI

AA.VV., Marmi antichi, Roma, 1989 Bellanca A., Marmi di Sicilia, Palermo, 1969 Blanco G., Le pietre ornamentali in Architettura, Roma, 1993 Blanco G., Pavimenti e rivestimenti lapidei: selezione , posa in opera e restauro delle pietre ornamentali, Roma, 1991 Boscarino S., La Sicilia ed i marmorari toscani, in Catalogo della Mostra <<Firenze e la Toscana dei Medici nell’Europa del Cinquecento: Il potere e lo Spazio. La scena del Principe, Firenze, 1980 Calvino F., Lezioni di litologia applicata, Padova, 1967 Chiello G., I materiali lapidei ornamentali negli interni delle chiese barocche di Catania, Tesi di Laurea, Istituto Universitario di Architettura di Venezia, A.A. 1995-96, Relat. Prof. L. Lazzarini Gnoli R., Marmora romana, Roma, 1988 La Duca R., Ricerca, criteri e metodi per lo studio dei monumenti storici in relazione all’impiego dei marmi e delle pietre, in “Marmo Tecnica Architettura”, VI, 1965, pp. 5-24 Lazzarini L.- Evangelista P., La Collezione ex Kircheriana di diaspri siciliani del Museo di Mineralogia alla <<Sapienza>>, su “Marmi antichi II” in “Studi Miscellanei” n°31, Roma, 1996 Mattias P., Minerali e rocce, Roma, 1991 Montana G.-Gagliardo Briuccia V., I marmi e i diaspri del Barocco Siciliano: Rassegna dei materiali lapidei di pregio utilizzati per la decorazione ad intarsio, Palermo, 1998 Pensabene P., Marmi antichi : problemi di impiego, di restauro e di identificazione, Roma, 1985 Pensabene P., Marmi antichi2 : Cava e tecnica di lavorazione, provenienze e distribuzione, “Studi Miscellanei”, n°36, Roma, 1998 Piazza S., I marmi mischi delle chiese di Palermo, Palermo, 1992 Pieri M., I marmi d’Italia, Graniti e pietre ornamentali, Milano, 1964

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Pieri M., I marmi esteri, Milano, 1952 Pieri M., Marmologia, Dizionario di marmi e graniti italiani ed esteri, Milano, 1966 Pieri M., Pigmentazioni e tonalità cromatiche nei marmi, Milano, 1957 Pirrello A., La decorazione a mischio in Palermo nei secoli XVII e XVIII, Palermo, 1935 Rockwell P., Lavorare la pietra. Manuale per l’archeologo, lo storico dell’arte e il restauratore, Roma, 1989 Rodolico F., Le pietre delle città d’Italia, Firenze, 1953 Tamburello G., La grande decorazione in marmi a colore delle chiese di Palermo nel XVI e XVII secolo, in Pamormus, I, 3-4, 1920

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CATALOGO DEI LITOTIPI RILEVATI

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INDICE DELLE SCHEDE DI ANALISI DEI MARMI

Marmi siciliani

Marmi Esteri

Scheda 1 – Libeccio di trapani

Scheda 25 – Rosso di Francia

Scheda 2 – Rosso di San Vito Lo Capo

Scheda 26 – Fior di Pesco

Scheda 3 – Rosso di San Marco D’Alunzio

Scheda 27 – Iassense

Scheda 4 – Rosso di Taormina

Scheda 28 – Verde Antico

Scheda 5 – Giallo di Castronovo

Scheda 29 – Breccia di Sciro

Scheda 6 – Grigio di Billiemi

Scheda 30 – Broccatello di Spagna

Scheda 7 – Rosso Montecitorio

Scheda 31 – Lapislazzulo

Scheda 8 – Alabastro Calcareo

Marmi non identificati (n.i.)

Scheda 9 – Diaspro Giallo di Giuliana

Scheda 32 – n.i 1 / n.i. 2

Scheda 10 – Diaspro Rosso di Giuliana

Scheda 33 – n.i. 3 / n.i. 4

Scheda 11 – Diaspro di Cammarata

Scheda 34 – n.i. 5 / n.i. 6

Scheda 12 – Diaspro di Santa Cristina Gela

Marmi dell’Italia Peninsulare

Scheda 13 – Rosso di Levanto

Scheda 14 – Verde di Levanto

Scheda 15 – Verde di Calabria

Scheda 16 – Verde Alpi

Scheda 17 – Giallo di Siena

Scheda 18 – Pavonazzetto di Siena

Scheda 19 – Breccia di Serravezza

Scheda 20 – Breccia Medicea

Scheda 21 – Alabastro di Palombara

Scheda 22 – Nero Portoro

Scheda 23 – Nero Assoluto

Scheda 24 – Marmo di Carrara lunense

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LIBECCIO DI TRAPANI Scheda n° 1

CODICE MARMO : LT

NOME PIU’ USATO : Libeccio antico di Trapani

SINONIMI : Diaspro tenero di Sicilia

CLAS.NE PETROGRAFICA : Calcare varicolore a struttura pseudo - brecciata

DESCRIZIONE : Roccia brecciata costituita da elementi angolosi o porzioni di colore variabile da bianco - giallognolo a rosaceo, circondati da una matrice rossastro - bruna a causa della presenza di ossidi di ferro e alluminio

LOCALITA’ DI CAVA : Custonaci - Trapani

EPOCA D’USO : Dal Rinascimento in poi; soprattutto in età Barocca

TIPOLOGIA D’USO : Colonne, pavimentazioni, gradini, balaustre, lastre parietali, decorazioni ad intarsio

BIBLIOGRAFIA : Bellanca A., 1969, p. 19 Pieri M., 1966, p. 343 Montana G.- Gagliardo Briuccia V., 1998, p. 67 Chiello G., 1996

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ROSSO DI SAN VITO LO CAPO Scheda n° 2

CODICE MARMO : RSV

NOME PIU’ USATO : Rosso di San Vito lo Capo

SINONIMI : Rosso Fiorito di San Vito, Rosso San Vito, Rosso di Contorrana

CLAS.NE PETROGRAFICA : Calcare compatto

DESCRIZIONE : Fondo rosso scuro a pigmentazione ematitica con venature e chiazze bianche di calcite

LOCALITA’ DI CAVA : San Vito Lo Capo – Trapani

EPOCA D’USO : Dal Rinascimento in poi

TIPOLOGIA D’USO : Pavimentazioni, lastre di rivestimento

BIBLIOGRAFIA : Pieri M., 1966, p. 522 Bellanca A., 1969, pp. 25-26; p. 3 Montana G.- Gagliardo Briuccia V., 1998, p. 57 Chiello G., 1996

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ROSSO DI SAN MARCO D’ALUNZIO Scheda n° 3

CODICE MARMO : RSM

NOME PIU’ USATO : Rosso Fiorito di San Marco D’Alunzio

SINONIMI : Rosso Fiorito, Pietra di S. Marco D’Alunzio

CLAS.NE PETROGRAFICA : Calcare

DESCRIZIONE : Pietra rosso scura attraversata da una fitta rete di venature bianche di calcite spatica. Presenta talvolta struttura brecciata con elementi di colore rosso cupo e grigio

LOCALITA’ DI CAVA : San Marco D’Alunzio – Messina

EPOCA D’USO : Dal Rinascimento in poi

TIPOLOGIA D’USO : Pavimenti, lastre di rivestimento, decorazioni ad intarsio, balaustre

BIBLIOGRAFIA : Pieri M., 1966, p. 527; p. 545 Bellanca A., 1969, p. 134 Montana G.- Gagliardo Briuccia V., 1998, p. 58 Chiello G., 1996

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ROSSO DI TAORMINA Scheda n° 4

CODICE MARMO : RT

NOME PIU’ USATO : Rosso di Taormina

SINONIMI : Marmor Tauromenitanum (varietà rossa)

CLAS.NE PETROGRAFICA : Calcare cristallino

DESCRIZIONE : Colore di fondo rosso scuro attraversato da vene bianche di calcite spatica. Talvolta presenta una struttura pseudo-brecciata con elementi di colore rosso chiaro, rosso scuro, grigio e giallo

LOCALITA’ DI CAVA : Taormina – Messina

EPOCA D’USO : Conosciuto dai romani. Nuovo utilizzo a partire dal Rinascimento e soprattutto in età Barocca

TIPOLOGIA D’USO : Pavimentazioni, lastre di rivestimento

BIBLIOGRAFIA : Pieri M., 1966, p. 141; p. 521 Bellanca A., 1969, p. 156 Lazzarini L., 1986, p. 97 Montana G.- Gagliardo Briuccia V., 1998, p. 58 Chiello G., 1996

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GIALLO DI CASTRONOVO Scheda n° 5

CODICE MARMO : GC

NOME PIU’ USATO : Giallo di Castronovo

SINONIMI : /

CLAS.NE PETROGRAFICA : Calcare compatto

DESCRIZIONE : Pietra il cui colore va dal giallo oro al giallo chiaro con plaghe rosa pallido. È sovente attraversata da sottili venature e macchie bianche di calcite spatica

LOCALITA’ DI CAVA : Castronovo di Sicilia - Palermo

EPOCA D’USO : Dal secolo XVI in poi

TIPOLOGIA D’USO : Balaustre, pavimenti, cornici, decorazioni ad intarsio BIBLIOGRAFIA : Bellanca A., 1969, pp. 98 - 100 Pieri M., 1966, p. 214 Montana G.- Gagliardo Briuccia V. , 1998, p. 59 Chiello G., 1996

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GRIGIO DI BILLIEMI Scheda n° 6

CODICE MARMO : GB

NOME PIU’ USATO : Grigio di Billiemi

SINONIMI : Pietra di Billiemi, Marmo di Bellolampo

CLAS.NE PETROGRAFICA : Calcare fossilifero

DESCRIZIONE : Fondo grigio scuro con plaghe di materiale fine di colore nero o giallastro. Presenta anche venature e concrezioni biancastre costituite da calcite spatica

LOCALITA’ DI CAVA : Billiemi, Bellolampo – Palermo

EPOCA D’USO : Dal Rinascimento in poi

TIPOLOGIA D’USO : Pavimentazioni, colonne, scalinate, architravi, stipiti e sculture in genere

BIBLIOGRAFIA : Pieri M., 1966, p. 63 Bellanca A., 1969, pp. 111-114 Montana G.- Gagliardo Briuccia V., 1998, pp. 60-61 Chiello G., 1996

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ROSSO MONTECITORIO Scheda n° 7

CODICE MARMO : RM

NOME PIU’ USATO : Rosso Montecitorio

SINONIMI : Rosso Kumeta, Brecciato Kumeta, Pietra di Piana dei Greci

CLAS.NE PETROGRAFICA : Calcare fossilifero compatto

DESCRIZIONE : Pietra dal colore di insieme rosso scuro, con macrostruttura nodulare e ricco di diverse varietà di fossili. Viene cavata anche una varietà a struttura brecciata

LOCALITA’ DI CAVA : Piana degli Albanesi – Palermo

EPOCA D’USO : Dal XVII secolo in poi

TIPOLOGIA D’USO : Colonne, pavimentazioni, rivestimenti parietali

BIBLIOGRAFIA : Bellanca A., 1969 Montana G.- Gagliardo Briuccia V., 1998, p. 55

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ALABASTRO CALCAREO Scheda n° 8 CODICE MARMO : AC NOME PIU’ USATO : Alabastro calcareo SINONIMI : / CLAS.NE PETROGRAFICA : Alabastro calcareo DESCRIZIONE : Pietra semitrasparente a bande stratificate di differente colore, dal bianco-giallastro al marrone, più o meno scuro LOCALITA’ DI CAVA : Marettimo – Trapani; Monte Pellegrino, N’Serra – Palermo EPOCA D’USO : Molto utilizzato nel corso del secolo XVII TIPOLOGIA D’USO : Lastre di rivestimento degli altari, piccoli oggetti ornamentali, piccole colonnine BIBLIOGRAFIA : Bellanca A., 1969 Chiello G., 1996 Montana G.- Gagliardo Briuccia V., 1998, pp. 70-71

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DIASPRO GIALLO DI GIULIANA Scheda n° 9 CODICE MARMO : DiGg NOME PIU’ USATO : Diaspro giallo di Giuliana SINONIMI : Diaspro fiorito di Giuliana CLAS.NE PETROGRAFICA : Diaspro p. d. DESCRIZIONE : Diaspro giallo a struttura radicellare con venature bianco-grigiastre LOCALITA’ DI CAVA : Giuliana - Palermo EPOCA D’USO : Dal Rinascimento in poi, soprattutto in età barocca TIPOLOGIA D’USO : Decorazioni dei paliotti e dei tabernacoli degli altari BIBLIOGRAFIA : Evangelista P.- Lazzarini L., 1915 Montana G.- Gagliardo Briuccia V., 1998, p. 78

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DIASPRO ROSSO DI GIULIANA Scheda n° 10 CODICE MARMO : DiGr NOME PIU’ USATO : Diaspro Rosso di Giuliana SINONIMI : Diaspro fiorito di Giuliana CLAS.NE PETROGRAFICA : Diaspro p.d. DESCRIZIONE : Diaspro rosso a struttura radicellare con venature bianco-grigiastre LOCALITA’ DI CAVA : Giuliana - Palermo EPOCA D’USO : Dal Rinascimento in poi; soprattutto in età Barocca TIPOLOGIA D’USO : Decorazioni dei paliotti e dei tabernacoli degli altari BIBLIOGRAFIA : Evangelista P.- Lazzarini L., 1915 Montana G.- Gagliardo Briuccia V., 1998, p. 78 Chiello G., 1996

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DIASPRO DI CAMMARATA Scheda n° 11 CODICE MARMO : DiC NOME PIU’ USATO : Diaspro di Cammarata SINONIMI : / CLAS.NE PETROGRAFICA : Diaspro p.d. DESCRIZIONE : Diaspro dal fondo rosso cupo a struttura radicellare con venature e plaghe dal colore bianco – azzurro LOCALITA’ DI CAVA : Cammarata - Agrigento EPOCA D’USO : Dal Rinascimento in poi; soprattutto in età Barocca TIPOLOGIA D’USO : Decorazioni dei paliotti e dei tabernacoli degli altari BIBLIOGRAFIA : Evangelista P.- Lazzarini L., 1915 Montana G.- Gagliardo Briuccia V., 1998, pp. 78-79

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DIASPRO DI SANTA CRISTINA GELA Scheda n° 12 CODICE MARMO : DiSc NOME PIU’ USATO : Diaspro di Santa Cristina Gela SINONIMI : / CLAS.NE PETROGRAFICA : Diaspro p.d. DESCRIZIONE : Diaspro avente struttura radicellare o radicellare- agatata con colorazione di insieme rosso cupo e/o giallastra, talvolta con sfumature verdi LOCALITA’ DI CAVA : Santa Cristina Gela - Palermo EPOCA D’USO : Dal Rinascimento in poi; soprattutto in età Barocca TIPOLOGIA D’USO : Decorazioni dei paliotti e dei tabernacoli degli altari BIBLIOGRAFIA : Evangelista P.- Lazzarini L., 1915 Montana G.- Gagliardo Briuccia V., 1998, pp. 78-79

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ROSSO DI LEVANTO Scheda n° 13

CODICE MARMO : RL

NOME PIU’ USATO : Rosso di Levanto

SINONIMI : Rosso Levanto Antico, Rosso Deiva

CLAS.NE PETROGRAFICA : Oficalce

DESCRIZIONE : Fondo rosso cupo sanguigno tendente al violaceo con plaghe di colore verde scuro-nerastro e venature bianco-giallastre di calcite fittamente ramificate

LOCALITA’ DI CAVA : Chiavari, Levanto, Deiva – La Spezia

EPOCA D’USO : Dal XVII secolo in poi

TIPOLOGIA D’USO : Piccole lastre, rivestimenti parietali e pavimentali, specchi di altare, decorazioni ad intarsio

BIBLIOGRAFIA : Pieri M., 1966, p. 523 Lazzarini L., 1986, p. 97 Montana G.- Gagliardo Briuccia V., 1998, p. 72 Chiello G., 1996

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VERDE DI LEVANTO Scheda n° 14

CODICE MARMO : VL

NOME PIU’ USATO : Verde di Levanto

SINONIMI : Verde Framura, Verde Deiva

CLAS.NE PETROGRAFICA : Oficalce

DESCRIZIONE : Fondo verde cupo con plaghe di colore rosso scuro- nerastre, scarsamente accennate, e venature bianco- giallastre di calcite fittamente ramificate

LOCALITA’ DI CAVA : Chiavari, Levanto, Deiva – La Spezia

EPOCA D’USO : Dal XVII secolo in poi

TIPOLOGIA D’USO : Piccole lastre, rivestimenti parietali e pavimentali, specchi di altare, decorazioni ad intarsio

BIBLIOGRAFIA : Pieri M., 1966, p. 523 Lazzarini L., 1986, p. 97 Montana G.- Gagliardo Briuccia V., 1998, p. 72

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VERDE DI CALABRIA Scheda n° 15

CODICE MARMO : VC

NOME PIU’ USATO : Verde di Calabria

SINONIMI : Verde di Gimigliano

CLAS.NE PETROGRAFICA : Oficalce serpentinoso

DESCRIZIONE : Pietra dal colore d’insieme verde scuro e plaghe verde pallido e venature bianco-giallastre fittamente ramificate costituite da calcite spatica

LOCALITA’ DI CAVA : Amantea, S. Mango D’Aquino – Cosenza Gimigliano - Catanzaro

EPOCA D’USO : Dal Rinascimento in poi

TIPOLOGIA D’USO : Colonne, rivestimenti parietali e pavimentali, specchi d’altare e balaustre, decorazioni ad intarsio

BIBLIOGRAFIA : Pieri M., 1966, p. 630 Montana G.- Gagliardo Briuccia V., 1998, pp.73- 74 Chiello G., 1996

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VERDE ALPI Scheda n° 16

CODICE MARMO : VA

NOME PIU’ USATO : Verde Alpi

SINONIMI : Verde Issogne, Verde Chatillon, Verde S. Maria, Verde Champdepraz

CLAS.NE PETROGRAFICA : Oficalce serpentinoso

DESCRIZIONE : Colore d’insieme verde cupo tendente al bluastro con plaghe di colore verde scuro e bianco-giallastro

LOCALITA’ DI CAVA : Issogne, Chatillon, Champdepraz – Val D’Aosta

EPOCA D’USO : Dal Rinascimento in poi

TIPOLOGIA D’USO : Colonne, rivestimenti parietali e pavimentali, specchi d’altare e balaustre, decorazioni ad intarsio

BIBLIOGRAFIA : Pieri M., 1966, p. 626 Lazzarini L. , 1986, p. 100 Montana G.- Gagliardo Briuccia V., 1998, p. 74 Chiello G., 1996

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GIALLO DI SIENA Scheda n° 17

CODICE MARMO : GS

NOME PIU’ USATO : Giallo di Siena

SINONIMI : /

CLAS.NE PETROGRAFICA : Calcare compatto a grana fine

DESCRIZIONE : Pietra dal colore d’insieme giallo ocra caldo, con sfumature giallo cupo e giallo pallido e macchie grigio biancastre

LOCALITA’ DI CAVA : Montagnola Senese – Siena

EPOCA D’USO : Poco usato in età romana. Cavato nuovamente a partire dal Rinascimento

TIPOLOGIA D’USO : Pavimentazioni, rivestimenti parietali, modanature

BIBLIOGRAFIA : Pieri M., 1966, pp. 346-347 Montana G.- Gagliardo Briuccia V., 1998, p. 73 Chiello G., 1996

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PAVONAZZETTO DI SIENA Scheda n° 18

CODICE MARMO : PS

NOME PIU’ USATO : Pavonazzetto di Siena

SINONIMI : Broccatello di Siena

CLAS.NE PETROGRAFICA : Calcare compatto a grana fine

DESCRIZIONE : Fondo colore giallo dorato con macchie e venature a reticolo scuro violaceo fittamente ramificato

LOCALITA’ DI CAVA : Montagnola Senese – Siena

EPOCA D’USO : Dal Rinascimento in poi

TIPOLOGIA D’USO : Lastre di rivestimento, modanature, balaustre

BIBLIOGRAFIA : Pieri M., 1966, pp. 346-347; p. 215 Montana G.- Gagliardo Briuccia V., 1998, p. 73 Chiello G., 1996

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BRECCIA DI SERAVEZZA Scheda n° 19

CODICE MARMO : BrS

NOME PIU’ USATO : Breccia di Seravezza

SINONIMI : Breccia di Seravezza antica

CLAS.NE PETROGRAFICA : Metabreccia

DESCRIZIONE : Cemento viola scuro con clasti bianchi, rossi, rosati, verde pallido o gialli. Si differenzia da quella Medicea perché maggiormente brecciata e per la minore presenza di cemento viola scuro

LOCALITA’ DI CAVA : Seravezza – Lucca (Alpi Apuane)

EPOCA D’USO : Conosciuta dai romani. Fu cavata diffusamente dal XVI secolo in poi.

TIPOLOGIA D’USO : Colonne, rivestimenti parietali e pavimentali, specchi d’altare e balaustre, decorazioni ad intarsio

BIBLIOGRAFIA : Pieri M., 1966, p. 70 Gnoli R., 1988, pp. 240–241 Lazzarini L. , 1986, p. 98 Chiello G., 1996

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BRECCIA MEDICEA Scheda n° 20

CODICE MARMO : BrM

NOME PIU’ USATO : Breccia Medicea

SINONIMI : Breccia di Stazzema

CLAS.NE PETROGRAFICA : Breccia metamorfica (metabreccia)

DESCRIZIONE : Cemento viola chiaro con clasti bianchi, rossi, rosati, verde pallido o gialli. Si differenzia da quella di Serravezza per la minore presenza di cemento viola scuro

LOCALITA’ DI CAVA : Monte Corchia, Stazzema – Lucca (Alpi Apuane)

EPOCA D’USO : Conosciuta dai romani. Fu cavata diffusamente dal XVI secolo in poi.

TIPOLOGIA D’USO : Colonne, rivestimenti parietali e pavimentali, specchi d’altare e balaustre, decorazioni ad intarsio

BIBLIOGRAFIA : Pieri M., 1966, p. 73 Lazzarini L., 1986, p. 98 Chiello G., 1996

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ALABASTRO DI PALOMBARA Scheda n° 21 CODICE MARMO : AC

NOME PIU’ USATO : Alabastro di Palombara

SINONIMI : Alabastro di Palombara antico

CLAS.NE PETROGRAFICA : Alabastro calcareo

DESCRIZIONE : Pietra avente tessitura stratificata con fondo bianco oppure giallo e macchie variabili sia per la forma che per i colori

LOCALITA’ DI CAVA : Jano di Montaione - Firenze

EPOCA D’USO : Dal Rinascimento in poi

TIPOLOGIA D’USO : Paliotti e rivestimenti degli altari, pavimentazioni di lusso, scultura

BIBLIOGRAFIA : Gnoli R., 1988, pp. 225–226 Pieri M., 1966, p. 7 Chiello G., 1996

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PORTORO Scheda n° 22

CODICE MARMO : NP

NOME PIU’ USATO : Portoro

SINONIMI : Nero di Portovenere

CLAS.NE PETROGRAFICA : Calcare carbonioso con venature limonitiche

DESCRIZIONE : Fondo nero assoluto con vene e noduli di colore giallo oro o rossicci più o meno brecciato

LOCALITA’ DI CAVA : Portovenere, Monte Castellana – La Spezia

EPOCA D’USO : Dal tardo Rinascimento in poi; soprattutto in età Barocca

TIPOLOGIA D’USO : Specchiature d’altare, modanature, decorazioni ad intarsio

BIBLIOGRAFIA : Pieri M., 1966, pp. 473 - 474 Lazzarini L., 1986, p. 94 Montana G.- Gagliardo Briuccia V., 1998, p. 74 Chiello G., 1996

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NERO ASSOLUTO Scheda n° 23 CODICE MARMO : NA NOME PIU’ USATO : Nero Assoluto SINONIMI : / CLAS.NE PETROGRAFICA : Calcare carbonioso e bituminoso DESCRIZIONE : Pietra dal fondo nero uniforme LOCALITA’ DI CAVA : Varie località del veronese EPOCA D’USO : Usato a partire dalla seconda metà del ‘400 in poi TIPOLOGIA D’USO : Zoccoli degli altari, rivestimenti di balaustre, lastre ed intarsi pavimentali, modanature BIBLIOGRAFIA : Lazzarini L., 1986, pp. 93–94 Pieri M., 1966, pp. 15–16 Chiello G., 1996

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MARMO DI CARRARA LUNENSE Scheda n° 24

CODICE MARMO : MCL

NOME PIU’ USATO : Marmo di Carrara

SINONIMI : Marmo Lunense

CLAS.NE PETROGRAFICA : Marmo p.d.

DESCRIZIONE : Marmo cristallino a struttura saccaroide dal colore bianco candido

LOCALITA’ DI CAVA : Massa Carrara – varie località delle Alpi Apuane

EPOCA D’USO : In epoca romana a partire dal I sec. a.C. Nuovamente usato dal Rinascimento in poi

TIPOLOGIA D’USO : Pavimentazioni, mense, predelle, telai di contenimento dei marmi mischi, statuaria

BIBLIOGRAFIA : Pieri M., 1966, p. 359 Pieri M., 1957, p. 82 Gnoli R., 1988 Lazzarini L., 1986, p. 93 Chiello G., 1996

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ROSSO DI FRANCIA Scheda n° 25

CODICE MARMO : RF

NOME PIU’ USATO : Rosso di Francia

SINONIMI : Rosso Linguadoca

CLAS.NE PETROGRAFICA : Calcare compatto a pigmentazione ematitica

DESCRIZIONE : Fondo rosso acceso vivace, un po’ tendente al sanguigno su cui spiccano macchie e fioriture di calcite dal colore bianco

LOCALITA’ DI CAVA : Aude - Francia

EPOCA D’USO : Periodo romanico (Francia) Periodo Barocco (Italia e resto d’Europa)

TIPOLOGIA D’USO : Balaustre, pavimenti, decorazioni parietali, decorazioni ad intarsio, colonne

BIBLIOGRAFIA : Pieri M., 1952, p. 60 Pieri M., 1966, p. 532 Lazzarini L., 1986, p. 97 Chiello G., 1996

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FIOR DI PESCO Scheda n° 26

CODICE MARMO : FP

NOME PIU’ USATO : Fior di Pesco

SINONIMI : Marmor Chalcidicum

CLAS.NE PETROGRAFICA : Calcare cataclastico

DESCRIZIONE : Toni pavonazzi con vene e frammenti tra loro intrecciati e sovrapposti dal colore talvolta bianco o bianco grigiastro ma più spesso rosa chiaro, rossi o violetti

LOCALITA’ DI CAVA : Eretria (Calcide) – Grecia

EPOCA D’USO : Largamente utilizzato dai romani. Nuovo utilizzo quale materiale di reimpiego in età Barocca

TIPOLOGIA D’USO : Colonne, pavimentazioni, rivestimenti parietali, specchiature, tarsie marmoree

BIBLIOGRAFIA : Pieri M., 1966, pp. 184-186 Gnoli R., 1988, pp. 232-235 Lazzarini L., 1986, pp. 97-98

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IASSENSE Scheda n° 27

CODICE MARMO : IA

NOME PIU’ USATO : Marmo Iassense

SINONIMI : Marmo Cario, Cipollino Rosso

CLAS.NE PETROGRAFICA : Calcescisto a pigmentazione ematitica, talora passante a breccia metamorfica

DESCRIZIONE : Fondo rosso sangue o pavonazzo a struttura microcristallina con macchie piccole ed oblunghe generalmente di colore bianco

LOCALITA’ DI CAVA : Iaso - Turchia

EPOCA D’USO : Utilizzato dai romani sicuramente a partire dal III sec. d.C. ; fu tra le pietre favorite dai bizantini Successivamente lo troviamo usato solo come materiale di reimpiego

TIPOLOGIA D’USO : Lastre di rivestimento parietale, sarcofagi, tessere musive, piccole colonne

BIBLIOGRAFIA : Lazzarini L., 1986, p. 97 Pieri M., 1966, p. 370 Marmi Antichi (AA.VV.), 1989, p. 289

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VERDE ANTICO Scheda n° 28

CODICE MARMO : VAN

NOME PIU’ USATO : Verde Antico

SINONIMI : Marmor Thessalicum, Marmor Atracium

CLAS.NE PETROGRAFICA : Oficalce del Cretacico

DESCRIZIONE : Pietra compatta a grana fine dal colore verde vivace e caratterizzata da macchie di colore verde scuro, nero e bianco

LOCALITA’ DI CAVA : Larissa (Tessaglia) – Grecia

EPOCA D’USO : Usato a partire dalla Tarda età Imperiale (Imperatore Adriano) e cavato in grande quantità in età bizantina

TIPOLOGIA D’USO : Colonne, pavimentazioni, rivestimenti parietali, modanature

BIBLIOGRAFIA : Pieri M., 1966, pp. 626-627 Gnoli R., 1988, pp. 165-166 Lazzarini L., 1986, p. 99 Chiello G., 1996

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BRECCIA DI SCIRO Scheda n° 29

CODICE MARMO : BrSc

NOME PIU’ USATO : Breccia di Sciro

SINONIMI : Breccia di Settebasi, Marmor Scyrium

CLAS.NE PETROGRAFICA : Breccia fortemente metamorfosata

DESCRIZIONE : Fondo pavonazzo con numerosissime macchie di forma allungata e di dimensione variabile per lo più di colore bianco, ma anche rosso e giallo

LOCALITA’ DI CAVA : Skyros– Grecia

EPOCA D’USO : Importata gia nel primo secolo a.C. dai romani, fu largamente utilizzata fino all’epoca tardoantica. Nuovo utilizzo quale materiale di reimpiego in età Barocca

TIPOLOGIA D’USO : Colonne, pavimentazioni, rivestimenti parietali, specchiature, tarsie marmoree

BIBLIOGRAFIA : Pieri M., 1966, pp. 564-565 Gnoli R., 1988, pp. 232-235 Lazzarini L., 1986, p. 98

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BROCCATELLO DI SPAGNA Scheda n° 30

CODICE MARMO : BS

NOME PIU’ USATO : Broccatello di Spagna

SINONIMI : /

CLAS.NE PETROGRAFICA : Calcare fossilifero a Rudiste del Cretacico

DESCRIZIONE : Fondo picchiettato di piccolissime lumachelle. La sua tonalità è giallo dorata con cemento calcareo giallo bruno e rosso vinoso piuttosto vivace.

LOCALITA’ DI CAVA : Tortosa – Spagna

EPOCA D’USO : Tarda età Imperiale. Cavato nuovamente a partire dalla fine del XVI secolo, soprattutto in età Barocca

TIPOLOGIA D’USO : Cornici, rivestimenti parietali e pavimentali, decorazioni ad intarsio

BIBLIOGRAFIA : Pieri M., 1966, p. 79 Lazzarini L., 1986, p. 98 Gnoli R., 1988, pp. 210-211 Pensabene P., 1998 Montana G.- Gagliardo Briuccia V., 1998, pp. 72-73

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LAPISLAZZULO Scheda n° 31 CODICE MARMO : LA NOME PIU’ USATO : Lapislazzulo SINONIMI : / CLAS.NE PETROGRAFICA : Lazurite impura DESCRIZIONE : Pietra lucida dal colore blu intenso ed uniforme LOCALITA’ DI CAVA : Afganistan EPOCA D’USO : Dal IV millennio a.C. fino ai nostri giorni TIPOLOGIA D’USO : Lastrine di rivestimento, tessere pavimentali, decorazione dei paliotti BIBLIOGRAFIA : Lazzarini L., 1986, p. 98 Chiello G., 1996

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MARMI NON IDENTIFICATI Scheda n° 32 Gela – Chiesa di San Giuseppe (PP. Agostiniani) - Altare del Crocifisso Barrafranca – Chiesa di San Francesco - Altare del Crocifisso CODICE MARMO : n.i. 1 DESCRIZIONE : Pietra brecciata dal colore di fondo giallo dorato con elementi di varia forma e dimensioni di colore bianco Enna – Chiesa Santuario di San Giuseppe - Altare Maggiore CODICE MARMO : n.i. 2 DESCRIZIONE : Pietra brecciata dal colore di fondo viola chiaro, con elementi di varia dimensione e forma di colore bianco giallognolo e con inserti di calcite bianca

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MARMI NON IDENTIFICATI Scheda n° 33 Niscemi – Chiesa Santuario della Madonna del Bosco - Altari laterali CODICE MARMO : n.i. 3 DESCRIZIONE : Pietra violacea con striature generalmente di colore bianco oppure viola scuro fra loro parallele CODICE MARMO : n.i. 4 DESCRIZIONE : Pietra dal colore di insieme rosso violaceo con venature ramificate di colore bianco oppure bianco grigiastro

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MARMI NON IDENTIFICATI Scheda n° 34 Niscemi – Chiesa di Santa Maria dell’Itria - Altare della Madonna del Carmelo CODICE MARMO : n.i. 5 DESCRIZIONE : Pietra brecciata dal colore di fondo rosso cupo con elementi di varia dimensione e dalla forma per lo più rotondeggiante di colore bianco CODICE MARMO : n.i. 6 DESCRIZIONE : Pietra brecciata dal colore di fondo rosso – arancio con elementi generalmente di piccole dimensioni di colore bianco