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I MATERIALI LAPIDEI ORNAMENTALI NEGLI ALTARI DELLE CHIESE DELLA DIOCESI DI PIAZZA ARMERINA
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ISTITUTO UNIVERSITARIO DI ARCHITETTURA DI VENEZIA Corso di Laurea in Storia e Conservazione dei beni architettonici ed ambientali
SALVATORE SCEBBA
I MATERIALI LAPIDEI ORNAMENTALI NEGLI ALTARI DELLE CHIESE DELLA DIOCESI DI PIAZZA ARMERINA REALIZZATI TRA IL XVI
ED IL XVIII SECOLO
TESI DI LAUREA
Relatore :
LORENZO LAZZARINI
ANNO ACCADEMICO 2002-2003
INDICE
CAPITOLO 1:
1.1 Confini e territorio della Diocesi …………………………………………………… p. 7 1.2 Fondazione e storia del Vescovato ………………………………………………… p. 11
CAPITOLO 2:
2.1 La Sicilia nel Seicento e nel Settecento…………………………………………… p. 18 2.2 Il Barocco in Sicilia: motivi, protagonisti ed opere principali………………… p. 28 2.3 Tendenze artistiche nelle città dell’entroterra siciliano………………………… p. 39
CAPITOLO 3:
Le
3.1 Marmi e Diaspri. Litotipi principali e località di cava…………………………… p. 49 3.2 Utilizzo delle pietre ornamentali negli interni delle chiese: principali tecniche e motivi decorativi…………………………………………………………
p. 58
3.3 Architetti, marmorari e maestranze specializzate………………………………… p. 63
- Premessa alle schede di analisi degli edifici religiosi - Indice degli edifici esaminati - Schede di analisi degli edifici religiosi esaminati
- Indice delle schede di identificazione dei marmi - Schede di identificazione dei marmi siciliani - Schede di identificazione dei marmi dell’Italia peninsulare - Schede di identificazione dei marmi esteri - Schede dei marmi non identificati
Premessa……………………………………………………………………………………… p. 1
La Diocesi di Piazza Armerina. Geografia e vicende storiche ……………………
p. 6
Tra Occidente ed Oriente. Sviluppi artistici ed architettura barocca nelle città della Sicilia centrale dalla fine del XVI secolo al XVIII secolo ……………………
p. 17
Le pietre ornamentali nell’architettura barocca……………………………………… p. 48
Schede di analisi……………………………………………………………………………… p. 67
Conclusioni…………………………………………………………………………………… p. 254
Bibliografia…………………………………………………………………………………… p. 263
Catalogo dei litotipi rilevati………………………………………………………………… p. 273
I MATERIALI LAPIDEI ORNAMENTALI NEGLI ALTARI DELLE CHIESE DELLA DIOCESI DI PIAZZA ARMERINA REALIZZATI TRA IL XVI ED IL XVIII SECOLO
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Premessa L’avvento della Controriforma, nella prima metà del secolo XVI, e la
contemporanea diffusione in Sicilia dei motivi del Rinascimento e del
Manierismo romano segnano l’inizio per l’isola di una nuova fase
artistica, il principio di un cammino, durato più di due secoli, nel corso
del quale intere città hanno cambiato volto, rimodellando il loro aspetto
medioevale in funzione del mutato modo di intendere l’arte, e più in
generale la vita, aiutate purtroppo in questa loro metamorfosi anche da
tremende ed imprevedibili calamità naturali, su tutte il terremoto del
gennaio del 1693 che devastò gran parte della Sicilia Orientale,
provocando migliaia di vittime tra la popolazione1.
Si tratta dell’inizio di un processo di trasformazione del gusto estetico
che porterà ben presto la Sicilia entro i confini della nuova arte barocca,
che da Roma si irradierà in quasi tutta Europa a partire dalla fine del
secolo XVI, rielaborata però in chiave locale dagli artisti dell’isola, alla
luce della ancora viva tradizione artistica gotico – catalana e prima
ancora delle esperienze bizantina, araba e normanna.
Forse è proprio a questa commistione di esperienze, tra loro anche molto
differenti, che avevano profondamente inciso nell’animo del popolo
siciliano determinando mutazioni etniche e stratificazioni culturali, che si
deve imputare l’assimilazione tardiva e condizionata dei temi e dei
motivi figurativi del Rinascimento, e che ha portato nel giro di pochi
decenni a raggiungere esiti artistici originali ed imprevedibili.
Non bisogna poi dimenticare l’importante ruolo giocato in questo
processo di definizione e diffusione della nuova arte barocca dalla
particolare situazione politica, sociale ed economica che caratterizzava in
quegli anni la Sicilia, con la radicata presenza Spagnola nell’isola, una
pesante crisi economica, un ambiente entusiasticamente inserito entro
1 S. BOSCARINO, Sicilia Barocca. Architetture e città 1610-1760, Roma, 1991, pp. 20-88
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l’ortodossia cattolica, ed i numerosi Baroni, Conti, Marchesi e Principi,
che di fatto detenevano il potere entro i propri feudi, atteggiandosi a veri
e propri sovrani.
Nella terra che aveva accolto l’arte dei primi coloni greci e dei romani il
classicismo rinascimentale, con il rigorismo delle sue strutture e i suoi
principi di ordine, simmetria e solidità, si insinuerà con fatica e verrà ben
presto superato da una concezione dinamica dell’arte, intesa come
meraviglia, invenzione, creatività pura, movimento continuo e
ornamento2. Il barocco siciliano in ciò si differenzierà anche da quello
romano, ben più famoso e di cui in fondo è una derivazione, traendo da
questo i motivi fondamentali della nuova concezione artistica, ma
lasciando più spazio alla materialità, alla esuberanza delle decorazioni ed
all’estro degli artisti.
Una tale visione dell’arte non poteva limitarsi solamente alla produzione
architettonica, in sé notevole nel periodo che va dalla fine del ‘500 in
avanti3, ma investirà ogni campo delle arti ornamentali e decorative
dando luogo ad una molteplicità di fatti artistici, diversi tra loro, spesso
però fusi insieme per offrire composizioni ancora più sfarzose.
È questo il caso dei ricchi rivestimenti parietali realizzati all’interno delle
chiese secondo la tecnica dell’intarsio marmoreo (decorazione “a
mischio”), utilizzando pietre colorate dai toni vivaci per creare motivi
ornamentali di ispirazione naturalistica, caratterizzati dalla complessità
delle linee, con continui intrecci e volute4.
Architettura, pittura e scultura si uniscono tra loro per dare vita ad una
composizione che suscita così sentimenti di meraviglia e stupore,
impressionando con la sua fastosità l’osservatore.
Nell’ambito della produzione artistica barocca uno spazio importante
meritano quindi le creazioni legate alla lavorazione delle pietre 2 G.B. COMANDE’, Idee estetiche ed architettura nel barocco siciliano, Palermo, 1965, pp. 9-10 3 S. BOSCARINO, op. cit., pp. 89-229 4 S. PIAZZA, I marmi mischi nelle chiese di Palermo, Palermo, 1992
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ornamentali colorate, impiegate oltre che nei rivestimenti parietali anche
nella realizzazione e decorazione degli altari marmorei, che arredano gli
interni di gran parte delle chiese realizzate o rinnovate in questi anni.
Si tratta di vere e proprie architetture in miniatura nelle quali gli artisti
possono con più libertà, ed in maniera più radicale, applicare quei
principi di dinamismo, complessità delle forme e ricchezza della
decorazione che caratterizzano l’arte di questi anni, a cui prima già si
accennava.
Nel periodo che va dalla fine del XVI a tutto il XVIII secolo vengono
eseguiti un po’ ovunque nell’isola un gran numero di questi altari, in
forme e dimensioni sempre tra loro differenti.
Sono opera di maestranze specializzate che molto spesso si spostano di
città in città alla ricerca di commissioni, chiamate dalle municipalità, dal
clero, dagli ordini religiosi, oppure dai numerosi Signori feudali, sempre
più desiderosi di manifestare, attraverso la ricchezza di tali composizioni,
la loro magnificenza.
Questo studio guarda proprio a tale particolare ambito della produzione
artistica siciliana, da un punto di vista tuttavia inusuale, perché
concentrato sulla città di Piazza Armerina e sui paesi ad essa vicini che
fanno parte della sua diocesi.
Fino ad oggi infatti tutte le analisi sul barocco della Sicilia hanno
riguardato esclusivamente i centri più importanti dell’isola, ovvero le
grandi città portuali, quali Palermo, Messina, Siracusa e Catania,
sicuramente le più ricche, in quanto importanti poli mercantili, e tra le
prime ad accogliere e sviluppare le innovazioni artistiche provenienti dal
continente. Grande rilevanza è stata inoltre data ai centri della Sicilia
Orientale devastati dal terremoto del 1693, proprio per l’eccezionalità del
fenomeno e l’originalità di una ricostruzione, cui si assistette negli anni
immediatamente successivi alla calamità, durante la quale intere città
furono rifondate, talvolta in differenti siti, secondo i criteri rispondenti al
nuovo gusto architettonico, applicati al costruito in maniera uniforme,
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tanto da produrre veri e propri apparati scenografici, ancora oggi
suggestivi e sfarzosi.
Di contro ben poco ci si è occupati di quei centri dell’entroterra siciliano,
che da sempre hanno avuto grande importanza strategica e militare per il
controllo dell’isola, ma che allo stesso tempo sono stati spesso trascurati
dagli storici dell’arte, oppure analizzati in maniera superficiale in quanto
centri minori, caratterizzati da singole emergenze architettoniche ed
isolati fatti artistici, liquidati troppo frettolosamente come episodi
secondari all’interno del panorama artistico generale siciliano.
È proprio in questi centri che si ha la conferma di come invece l’arte
barocca sia stata il frutto di una sensibilità artistica diffusasi in maniera
uniforme nel territorio, che ha raggiunto anche le località più isolate. Ciò
soprattutto grazie alla presenza di una ricca aristocrazia feudale,
desiderosa di esprimere attraverso precise iniziative artistiche nei luoghi
da essa controllati la propria nobiltà ed il proprio potere, e di un clero,
che assieme agli ordini religiosi, era fortemente radicato sul territorio e
detentore di un grande patrimonio economico.
Molto spesso ritroviamo alcuni tra i più importanti artisti del barocco
siciliano impegnati presso i centri minori dell’entroterra siculo in
realizzazioni di grande importanza storica ed artistica, ed i contatti con le
città maggiori di Palermo, Catania e Messina sono costanti e ben
documentati, sia per quel che riguarda l’ambito architettonico, che per
quanto concerne la scultura e la pittura.
Allo stesso modo, mentre ci si è a lungo, e giustamente, soffermati
nell’analisi degli impianti cittadini, soprattutto dei centri di nuova
fondazione, nello studio delle facciate e degli interni di edifici religiosi e
civili, e nella descrizione dei temi figurativi degli apparati scultorei e
pittorici, la presenza di opere altamente significative e caratteristiche
della sensibilità artistica del periodo barocco, quali gli altari marmorei,
decorati da pietre ornamentali colorate, è spesso passata in secondo
piano, oppure è stata addirittura ignorata.
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Attraverso la presente ricerca si vuole quindi riportare l’attenzione su di
uno degli aspetti più peculiari della produzione artistica barocca, ed allo
stesso tempo, grazie a questo, sottolineare l’importante ruolo svolto dalle
città dell’entroterra, nell’ambito del panorama artistico isolano, e la
presenza in questi luoghi di un ricco patrimonio architettonico, e più in
generale artistico, il più delle volte abbandonato a se stesso, scarsamente
conosciuto e valorizzato, e spesso a rischio di sopravvivenza.
Nel caso specifico degli altari marmorei lo studio si è concentrato sulla
identificazione ed analisi dei litotipi utilizzati per la loro realizzazione,
condotto esclusivamente sulla base di un esame visivo diretto delle
caratteristiche macroscopiche delle pietre, senza trascurare il contesto
sociale, politico ed artistico, di cui sono il prodotto, né l’edificio nel quale
fisicamente si trovano.
Si vuole così fornire un contributo concreto relativamente alla
individuazione ed alla conoscenza di queste opere, che funga quale punto
di partenza per successive e più approfondite ricerche. Solo attraverso
una indagine diretta e profonda di queste realizzazioni è infatti possibile
pensare alla loro conservazione e valorizzazione, dal momento che
nessuna attività di restauro può prescindere da una analisi dettagliata
della materia del manufatto su cui si interviene.
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CAPITOLO 1
La Diocesi di Piazza Armerina. Geografia e vicende
storiche.
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Confini e territorio della Diocesi La Diocesi di Piazza Armerina costituisce il preciso ambito geografico
entro il quale è stato condotto il presente studio, finalizzato ad indagare
uno dei tanti temi che hanno caratterizzato la produzione artistica
siciliana nel periodo che va dalla fine del secolo XVI all’intero secolo
XVIII, e che comunemente viene identificato dagli storici dell’arte come
età “barocca”, ovvero gli altari marmorei decorati da pietre ornamentali
colorate, messe in opera secondo la tecnica dell’intarsio.
Si tratta di un’area non molto vasta, situata nel cuore dell’isola,
comprendente dodici comuni, dei quali sette (Enna, Piazza Armerina,
Valguarnera, Villarosa, Pietraperzia, Barrafranca, Aidone) appartengono
alla Provincia di Enna, mentre i rimanenti cinque (Gela, Butera,
Mazzarino, Riesi, Niscemi) fanno parte della Provincia di Caltanissetta.
Tuttavia, al momento della sua creazione, avvenuta nel 18171, la Diocesi
aveva un assetto ben differente da quello attuale appena descritto,
essendo nata esclusivamente dallo smembramento della Diocesi di
Catania. Comprendeva infatti al suo interno i centri di Assoro, Agira,
Leonforte, Mirabella e Nissoria in luogo di quelli di Gela, Butera,
Mazzarino, Niscemi e Riesi, che invece appartenevano dal 1817 alla
Diocesi di Caltagirone e prima di questa data a quella di Siracusa.
Solo nel 1844, in occasione di una riorganizzazione dell’assetto delle
circoscrizioni religiose siciliane promosso dalla Santa Sede, con
l’istituzione dei nuovi vescovati di Noto, Caltanissetta, Acireale e
Trapani, la Diocesi di Piazza Armerina assunse la conformazione attuale
cedendo alcuni dei comuni della zona centrale dell’isola ed acquisendone
degli altri nell’area a sud della città Vescovile.
1 E. FRANCHINO, La Diocesi di Piazza Armerina. Ragioni storiche della sua erezione, Piazza Armerina (EN), 1929
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Nei suoi confini quindi oggi la Diocesi ricalca in parte il territorio
dell’antica Comarca di Piazza Armerina2, comprendendo paesi dal
passato in parte comune, un tempo casali o feudi più o meno estesi,
spesso proprietà di famiglie nobiliari tra loro imparentate, e due città
demaniali (Enna e Piazza Armerina), dalla notevole importanza strategica
e militare in ambito isolano, le quali, proprio perché situate nel cuore
della Sicilia, sono state spesso protagoniste della storia dell’isola, al pari
delle ben più grandi e famose città di Palermo, Messina e Catania.
Quest’area vide fiorire le antiche civiltà dei Siculi e dei Sicani, di cui
ancora oggi rimangono numerosi resti archeologici disseminati un po’
ovunque nel territorio. A segnare il confine tra i due popoli era il fiume
Himera, oggi Salso, che scorre proprio lungo la parte centrale dell’isola,
vicinissimo ai paesi di nostro interesse.
Tutti i comuni della Diocesi possono vantare all’interno dei propri
confini insediamenti riconducibili a queste popolazioni3. Le fonti ci
hanno tramandato i nomi di alcune importanti città sicule tra cui Ibla
Geleate (o Erea), la minore delle tre ible presenti in Sicilia, Maktorion,
citata da Erodoto, Morgantina, Omphakè ed Herbita. Per tutti questi
centri, che si conosce essere sicuramente esistiti in quest’area, vengono
solo avanzate delle ipotesi sulla loro esatta ubicazione fatte sulla base dei
notevoli resti archeologici individuati. Tra questi in particolare
ricordiamo i siti rinvenuti nei pressi di Enna (Capodarso), Piazza
Armerina (Montagna di Marzo, Monte Navone, Monte Manganelli),
Butera (Desusino, Desueri), Aidone (Morgantina) e Mazzarino
(Bubbonia).
Tra le testimonianze archeologiche presenti nel territorio della Diocesi
inoltre una menzione particolare meritano il sito di Gela, importante polis 2 Il territorio siciliano nel 1583 dall’amministrazione spagnola era stato suddiviso in 44 Comarche per rendere più efficiente la gestione burocratica, soprattutto nell’accentramento e nella riscossione delle imposte. La Comarca abbracciava più comuni contigui, sia demaniali che feudali, superando quindi l’antica ripartizione, molto più vasta, in tre Valli, risalente al periodo arabo. 3 V. AMICO, Dizionario topografico della Sicilia, Palermo, 1855
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greca fondata nel VII sec. a.C. da coloni rodio – cretesi4, e soprattutto la
ricca residenza patrizia nota come Villa del Casale, sorta probabilmente
nel II sec. d.C. ma rinnovata ed ampliata nel IV sec. d.C.5
I romani infatti si insediarono stabilmente in questi luoghi, che divennero
per la Capitale dell’impero una delle principali fonti di
approvvigionamento di frumento, e fortificarono la zona con strutture
difensive quali torri e castelli, poi ristrutturati ed utilizzati in età
medievale, ed ancora oggi ancora visibili. I notabili della classe
senatoriale intanto amavano risiedere presso le loro tenute siciliane,
dedicandosi alla gestione delle loro aziende agricole ed al loro otium.
La villa, secondo alcuni addirittura nata come residenza di uno dei
Tetrarchi, Massimiano Erculeo, è giunta sino ai nostri giorni e costituisce
uno dei più begli esempi di villa rurale romana, con la sua estensione, i
suoi grandi ed articolati ambienti e la sua ricchissima decorazione
musiva, che ricopre interamente i pavimenti di tutti i vani che
costituiscono il complesso residenziale.
È con l’arrivo dei Normanni nell’isola, guidati dal Gran Conte Ruggero,
che la Sicilia venne strappata alla dominazione araba ed ebbe iniziò lo
stanziamento di genti lombarde che ha in maniera decisiva segnato la
cultura di molti dei centri dell’entroterra siculo ed in particolare
all’interno della Diocesi soprattutto dei comuni di Aidone, Piazza
Armerina ed Enna, lasciando tracce indelebili in particolare nell’idioma
locale, definito dai linguisti moderni “Gallo – italico”.
Da questo momento in poi, a causa della diffusione del sistema feudale,
sarà un fiorire di principati, marchesati e contee e la storia di questi centri
coinciderà sempre più con quella delle potenti famiglie feudali che, per
concessione regia, ne detenevano il possesso; ed anche nelle città
demaniali sarà una ristretta cerchia di famiglie aristocratiche, assieme al
clero, a governare e ad indirizzare politicamente la comunità cittadina.
4 N. VICINO, Gela nella sua storia, Modica (RG), 1981 5 B. PACE, I mosaici di Piazza Armerina, Roma, 1955
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In particolare nei tre secoli della dominazione spagnola in Sicilia nei
territori dell’entroterra, e quindi in molti dei comuni che oggi
costituiscono il territorio della Diocesi di Piazza Armerina, si rafforzerà
la presenza di poche potenti famiglie aristocratiche, le quali
accumuleranno titoli, venduti in alcuni periodi dalla stessa Corona
spagnola per aumentare le proprie entrate, e ricchezze, soprattutto
attraverso lo sfruttamento agricolo del territorio6.
Tra le più importanti famiglie feudali, che per tutto il periodo della
dominazione spagnola controlleranno il territorio della Sicilia centrale,
legandosi spesso tra loro attraverso matrimoni incrociati in modo da
unificare e quindi accrescere i loro già ingenti possedimenti, ricordiamo
la potente famiglia dei Branciforti, residente a Mazzarino e che tra i
propri titoli poteva vantare quello di Principi di Butera, primo titolo del
regno, quella dei Barrese di Pietraperzia, dei Moncada di Caltanissetta,
dei Santapau di Butera, dei Trigona di Piazza Armerina e dei
Chiaramonte.
6 S. CORRENTI, Storia di Sicilia come storia del popolo siciliano, S.G. La Punta (CT), 1995
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Fondazione e storia del Vescovato La diocesi di Piazza Armerina nasce nel 1817, dallo smembramento delle
Diocesi di Catania e di Siracusa, ed è pertanto relativamente recente, dal
momento che conta meno di duecento anni di storia7.
In Sicilia fino a questa data esistevano solamente sei Vescovati e due
Arcivescovati, per cui, già intorno alla metà del secolo XVIII, ci si era
resi conto della necessità di ridefinire l’assetto delle diocesi,
aumentandole di numero e creandone quindi delle nuove, soprattutto
nella zona centrale dell’isola.
Il processo che portò alla creazione della Diocesi di Piazza Armerina fu
lungo e complesso, caratterizzato soprattutto da aspri scontri con altre
municipalità vicine che rivendicavano per sé la Cattedra Vescovile.
È nel 1778 che per la prima volta, durante un Parlamento Generale del
Regno, viene sottolineata l’insufficienza delle diocesi esistenti,
avanzando istanza al Re Ferdinando IV di Borbone affinché,
smembrando i vasti Vescovati esistenti, ne erigesse di nuovi.
Il Re tuttavia in quella occasione prese tempo, in attesa che gli venisse
sottoposto un piano specifico, relativo alla nuova distribuzione
territoriale.
Solo nel 1802 però venne presentata al Sovrano una dettagliata relazione
contenente tale piano di smembramento, il quale prevedeva la creazione
di tre nuove Diocesi presso le sedi municipali di Caltagirone, Piazza
Armerina e Nicosia, stabilendo con esattezza quali comuni avrebbero
fatto parte delle nuove circoscrizioni religiose.
Il documento fu esaminato l’anno successivo in occasione del Parlamento
Generale del Regno, durante il quale furono anche vagliati i ricorsi
presentati dalle altre città, alcune delle quali erano state in antico a capo
di diocesi ormai non più esistenti, che si proponevano quali sedi vescovili
7 E. FRANCHINO, op. cit.
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alternative a quelle proposte (tra queste Enna – Castrogiovanni, Troina,
Cerami, Randazzo, ecc.).
La Deputazione del Regno, vagliati tutti i documenti, reputò idonee le tre
città, respingendo tutti i ricorsi e le querele. La scelta fu motivata non dal
fatto che così venivano ripristinate antiche sedi vescovili, ormai
scomparse, ma per la centralità e accessibilità dei siti, nonché per il
numero della popolazione, per le dimensioni del centro abitato, per
l’idoneità delle infrastrutture e per la nobiltà e le tradizioni storiche che
tali centri potevano vantare.
Si chiudeva così la fase preliminare e politica relativa alla creazione dei
nuovi Vescovati. Nel 1805 venne quindi avanzata dal Re delle Due
Sicilie, Ferdinando IV di Borbone, istanza al Sommo Pontefice Pio VII
affinché venissero erette le tre nuove diocesi, e tra queste quella di Piazza
Armerina.
Con decreto del 1807 il Papa nominò l’Arcivescovo di Palermo, Mons.
Raffaele Mormile, Delegato Apostolico per verificare la necessità e
l’utilità di un nuovo Vescovato presso Piazza Armerina, smembrandolo
da Catania. Furono quindi interpellati tutti i soggetti in causa, per
conoscerne l’opinione, e fu verificata l’esistenza di tutte le condizioni
tecniche per l’erezione della nuova diocesi. Alla morte di Mons. Mormile
il procedimento fu sospeso fino al 1814.
In quell’anno fu infatti ripreso dal Vicario Capitolare di Palermo, Mons.
Bernardo Serio, Vescovo titolare di Ermopoli. Morto anche Mons. Serio
suo successore fu nominato Mons. Gabriele Maria Gravina, Vescovo
titolare di Flaviopoli.
Nel frattempo la città aveva provveduto a costituire una ricca dote per la
Cattedrale e per il novello Vescovo. Erano stati realizzati inoltre il
Palazzo Vescovile, il Seminario per i chierici ed il Monte di Pietà,
necessari per ottenere la diocesi.
La nuova circoscrizione religiosa doveva essere costituita dai seguenti
paesi: Aidone, Assoro, Barrafranca, Valguarnera, Enna – Castrogiovanni,
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San Filippo, Mirabella Imbaccari, Leonforte, Nissoria, Pietraperzia,
Villarosa, Piazza Armerina.
L’inizio del processo canonico per la creazione della nuova diocesi trovò
larga eco presso i comuni coinvolti nella vicenda. Tutte le persone
interpellate (rappresentanti del clero e rappresentanti del Senato dei vari
comuni) avevano espresso parere positivo, dal momento che la nuova
situazione avrebbe portato loro diversi vantaggi, legati soprattutto alla
vicinanza con la nuova sede vescovile. Forti opposizioni erano invece
venute dalla Diocesi di Catania, che non intendeva cedere parte del suo
territorio, e da Enna – Castrogiovanni, che aspirava ad ottenere per sé il
Vescovato.
Il 10 Maggio del 1815 il Delegato Apostolico comunica le sue
conclusioni e dà parere positivo alla creazione della Diocesi di Piazza
Armerina. Al termine di questa fase del processo canonico quindi Piazza
Armerina veniva ritenuta degna Sede Vescovile.
A questo punto il processo prendeva la strada di Roma. Qui ancora
Catania ed Enna – Castrogiovanni tentarono di opporsi alla creazione
della diocesi di Piazza senza però riuscirvi.
Il 27 Marzo del 1817 infatti Piazza Armerina ottenne la Cattedra
Vescovile ed alcuni mesi dopo, il 3 Luglio del 1817, la Bolla Pontificia di
erezione della nuova diocesi fu finalmente pronta. Per curare l’esecuzione
del decreto papale viene incaricato Mons. Filippo Maria Trigona,
Vescovo di Siracusa.
Nel 1844 la Santa Sede decise di ritoccare nuovamente l’assetto delle
circoscrizioni religiose dell’isola, istituendo i nuovi Vescovati di Noto,
Caltanissetta, Acireale e Trapani. Alcune delle vecchie diocesi furono
così nuovamente modificate nei loro confini e, nel nostro caso specifico,
la Diocesi di Piazza Armerina perdette i cinque comuni di Assoro, Agira,
Leonforte, Mirabella e Nissoria, acquistando però quelli di Gela –
Terranova, Butera, Mazzarino, Niscemi e Riesi.
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Riassumendo in breve quindi, prima della creazione della nuova sede
diocesana presso Piazza Armerina, i comuni che oggi ne fanno parte
ricadevano alcuni nell’ambito della Diocesi di Catania (Enna–
Castrogiovanni, Piazza Armerina, Aidone, Barrafranca, Pietraperzia,
Villarosa, Valguarnera), mentre gli altri entro la Diocesi di Siracusa
(Butera, Gela - Terranova, Niscemi, Riesi, Mazzarino, ). I cinque comuni
della Diocesi di Siracusa, quando questa fu smembrata, agli inizi del
secolo XIX, per un breve periodo appartennero alla Diocesi di
Caltagirone, entrando a fare parte di quella di Piazza Armerina solo
successivamente, quando nuovamente fu ridefinito l’assetto delle diocesi
siciliane.
I Vescovi che hanno occupato la Cattedra di Piazza Armerina nel corso
dei suoi 186 anni di storia sono stati undici, mentre sette sono stati gli
Amministratori Diocesani che hanno retto il Vescovato nei periodi,
talvolta anche lunghi, durante i quali la sede è rimasta vacante, in attesa
della nomina del nuovo Vescovo8.
Primo Vescovo di Piazza Armerina fu Mons. Girolamo Aprile Benzo, a
partire dal 1819, dopo due anni dalla fondazione della nuova diocesi,
durante i quali era stato Mons. Gaetano Trigona a svolgere il compito di
Amministratore Diocesano.
Mons. Benzo, nativo di Caltagirone, morì ad Enna nel 1836 e da questa
data, fino al 1838, la sede Vescovile rimase vacante, retta dal secondo
Amministratore Diocesano Mons. Vincenzo Velardita.
A partire dal 1838 la Cattedra Vescovile di Piazza fu occupata dal
piazzese Mons. Pietro Naselli, secondo Vescovo, dei Principi di Aragona.
Questi tenne l’ufficio pastorale per due anni, ovvero fino al 1840, quando
vi rinunciò per rivestire la carica di Cappellano Maggiore di corte a
Napoli, al servizio del Re Ferdinando II delle due Sicilie, che lo aveva
conosciuto durante una sua visita nella città di Piazza Armerina.
8 L. VILLARI, Storia ecclesiastica della città di Piazza Armerina, Messina, 1988
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Mons. Vincenzo Velardita tornò quindi a ricoprire la carica di
Amministratore diocesano per ben quattro anni, fino al 1844.
In questa data fu nominato terzo Vescovo di Piazza Armerina Mons. Pier
Francesco Brunaccini, messinese, appartenente alla famiglia dei Principi
di San Teodoro. L’anno successivo fu però trasferito alla sede
Arcivescovile di Monreale. Fu durante la sua brevissima presenza a
Piazza che vennero ritoccati i confini della diocesi, che perse cinque
comuni acquisendone però ulteriori cinque, in occasione della creazione
nell’isola di quattro nuove diocesi.
Il terzo Amministratore Diocesano, Mons. Giuseppe Felice Lattuca, resse
la sede Vescovile fino al 1846. L’agrigentino Mons. Cesare Agostino
Sajeva infatti in quell’anno divenne il quarto Vescovo della Diocesi,
rimanendo in carica per lungo tempo, in un periodo burrascoso per la
Chiesa e per l’Italia intera, interessata dalle guerre di Indipendenza che
porteranno alla nascita dello Stato Italiano, sotto la guida della Monarchia
Sabauda. Morì nel marzo del 1867 e fu sepolto nella Cattedrale di Piazza,
in un luogo ancora oggi sconosciuto.
Seguì un nuovo e lungo periodo di vacanza della sede vescovile, la cui
reggenza era stata provvisoriamente affidata al Mons. Benedetto Maria
Trigona della Floresta, in qualità di quarto Amministratore Diocesano.
Finalmente nel 1872 giunse la nomina a quinto Vescovo di Piazza
Armerina per Mons. Francesco Saverio Gerbino. Questi governò la
Diocesi per quindici anni, fino al 1887, anno in cui fu trasferito presso la
sede Episcopale di Caltagirone, sua città natale. Venne in tempi
brevissimi nominato Mons. Mariano Palermo, proveniente dalla sede
Vescovile di Lipari, quale sesto Vescovo della Diocesi di Piazza
Armerina, insediatosi nell’anno stesso del trasferimento del suo
predecessore. Rimase in carica per lungo tempo, fino alla sua morte
avvenuta nel 1903.
Entro lo stesso anno fu nominato settimo Vescovo di Piazza Mons.
Mario Sturzo, nativo di Caltagirone, fratello e guida spirituale del famoso
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Luigi, fondatore del Partito Popolare, poi divenuto Democrazia Cristiana.
Questi resse la diocesi fino al 1941, coprendo un lungo arco di tempo, nel
quale, oltre alla Prima Guerra Mondiale, dovette fronteggiare gli anni di
miseria del dopoguerra e l’ascesa del Fascismo, cui sempre, assieme al
fratello, si oppose. Si tratta del Vescovo che per più tempo ha occupato la
sede Episcopale di Piazza Armerina, legatissimo a questa città, che
considerava la sua seconda patria, tanto da desiderare di essere alla sua
morte sepolto presso la chiesa Cattedrale, dove ancora oggi riposa.
Alla morte di Mons. Sturzo fu incaricato della gestione della diocesi il
piazzese Mons. Giuseppe La Vaccara, quale sesto Amministratore
Diocesano. Rimase in carica per un anno, fino a quando si insediò il
nuovo e ottavo Vescovo della Diocesi di Piazza Armerina, Mons.
Antonino Catarella, nativo di Cammarata (AG). Raggiunta nel 1970 l’età
di ottanta anni chiese ed ottenne di essere esonerato dal governo della
diocesi, quindi si dimise per raggiunti limiti di età. Morì solo due anni
dopo e fu anche egli sepolto nella chiesa Cattedrale di Piazza Armerina.
Intanto gli era succeduto alla guida della diocesi quale nono Vescovo
Mons. Sebastiano Rosso, nato a Chiaramente Gulfi (SR). Questi si
insediò ufficialmente nel febbraio del 1971 rimanendo in carica fino al
1986. Nel gennaio di quell’anno infatti chiese alla Santa Sede di essere
esonerato dall’incarico per motivi di salute e Papa Giovanni Paolo II
accolse la richiesta, nominando quale suo successore Mons. Vincenzo
Cirrincione, nativo di Vicari (PA), decimo Vescovo della Diocesi di
Piazza Armerina, fino al febbraio 2002, data della sua morte.
Con Mons. Michele Pennisi, nato presso Licodia Eubea (CT), undicesimo
ed attuale Vescovo di Piazza Armerina, giungiamo infine ai giorni nostri.
Dopo alcuni mesi affidati alla reggenza di Mons. Salvatore Zagarella, in
qualità di settimo Amministratore Diocesano. Il nuovo Vescovo infatti si
è ufficialmente insediato il 3 Luglio del 2002 iniziando così il suo
Ministero Episcopale.
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CAPITOLO 2
Tra Occidente ed Oriente. Sviluppi artistici ed
architettura barocca nelle città della Sicilia centrale
dalla fine del XVI al XVIII secolo
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La Sicilia nel Seicento e nel Settecento L’espressione di “secolo niente felice” è stata usata per la prima volta per
descrivere il secolo XVII dallo studioso ottocentesco V. Di Giovanni nel
suo testo intitolato Storia della filosofia in Sicilia1.
La stessa espressione è stata ripresa in tempi più recenti dallo storico
siciliano S. Correnti, nel suo libro dedicato alla Sicilia del Seicento,
sempre per definire un secolo che di fatto fu assai duro per l’isola2.
Nell’arco di cento anni infatti fu un susseguirsi continuo di carestie,
epidemie, tremende calamità naturali e sanguinose sommosse popolari,
causate soprattutto dal cattivo governo dell’amministrazione spagnola,
che vessava la Sicilia con tasse e tributi e manteneva ed incentivava una
istituzione crudele come quella del Tribunale dell’Inquisizione, lasciando
invece che miseria e brigantaggio proliferassero tra la popolazione,
mentre i membri della classe aristocratica, dall’alto dei loro privilegi e
chiusi nei loro lussuosi palazzi, continuavano a vagheggiare un governo
autonomo per la Sicilia.
Era infatti tra la nobiltà siciliana diffusa la convinzione che la Sicilia non
era stata conquistata dagli spagnoli, ma si era data ad essi per spontanea
volontà, per cui i siciliani non erano sudditi della corona spagnola bensì
di quella siciliana. In realtà dal 1412, da quando cioè si insediò nell’isola
il primo Viceré, non vi furono più monarchi residenti in Sicilia. In un
primo momento i nobili avevano ottenuto che il Viceré fosse almeno di
sangue regale, tuttavia ben presto tale vincolo non fu più tenuto in
considerazione dalla Corona spagnola, tanto che molti dei viceré furono
addirittura scelti all’interno dell’aristocrazia siciliana3. Nel corso del
secolo tuttavia furono ordite dai baroni numerose congiure contro la
Corona con l’obiettivo di eleggere un re di Sicilia tra i membri della
1 V. DI GIOVANNI, Storia della filosofia in Sicilia, Palermo, 1873, p. 245 2 S. CORRENTI, La Sicilia del Seicento, Milano, 1976, p. 17 3 Ibidem, pp. 8-9
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nobiltà locale. Tutte queste congiure furono però scoperte ed i loro
protagonisti severamente puniti dall’autorità spagnola4.
Assieme alle cospirazioni dei nobili si verificarono inoltre delle rivolte
popolari contro il governo spagnolo in varie città dell’isola. Queste
tuttavia furono sempre sedate dal potere centrale, grazie anche all’aiuto
dei baroni, ma spesso con difficoltà e, talvolta, spargimento di sangue.
Tra le rivolte meritano di essere menzionate per le dimensioni che
assunsero l’insurrezione di Palermo del 1647, guidata dall’orefice
Giuseppe D’alesi5, e quella della città di Messina, avvenuta invece negli
anni che vanno dal 1674 al 1678, e ben più grave della prima per le
ripercussioni internazionali che provocò nell’ambito della guerra tra le
due superpotenze spagnola e francese6.
È indubbio come la classe sociale più potente nella Sicilia del Seicento fu
la nobiltà, mentre la cultura e l’istruzione erano saldamente nelle mani
del clero e degli ordini religiosi, soprattutto di quello dei gesuiti.
Abbiamo prima accennato al fatto che la classe nobile, al di là di qualche
misero tentativo di ribellione, peraltro sempre fallito, in realtà vivesse
quasi inoperosa, immersa nel fasto e noncurante dei tristi destini
dell’isola, preoccupata solo di mantenere i propri privilegi.
In questi anni l’amministrazione spagnola inoltre perseguì una politica
economica che mirava a recuperare fondi attraverso la vendita di titoli
nobiliari, concessioni e privilegi. Fu quindi un proliferare di Principi,
Baroni, Conti e Marchesi, desiderosi di aumentare il loro prestigio
comperando dalla Corona tali titoli, ma in realtà sempre più sulla strada
di una lenta ed inesorabile decadenza.
Assieme ai titoli gli spagnoli vendevano anche le cosiddette “licentiae
populandi”, ovvero la prerogativa di fondare entro i propri feudi delle
nuove città. Ebbe inizio così un vasto fenomeno di colonizzazione,
4 S. CORRENTI, Storia di Sicilia, cit., pp. 157-158 5 S. CORRENTI, La Sicilia del Seicento, cit., pp. 21-22 6 Ibidem, pp. 26-30
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proseguito anche nel secolo successivo, che interessò soprattutto l’interno
della Sicilia, dove nacquero più di 150 nuovi centri, per opera non solo
dei baroni, ma anche per spontanea iniziativa dei cittadini delle stesse
comunità7. Di contro si ebbe il contemporaneo spopolamento delle città
demaniali, sulle quali maggiore era la pressione fiscale
dell’amministrazione centrale. I contadini infatti accorrevano volentieri
nei nuovi borghi, attirati dalla promessa di una terra da coltivare e da
migliori condizioni fiscali (questi centri infatti godevano per un periodo
di circa dieci anni della completa esenzione delle tasse da versare alla
Corona). I baroni attraverso questa loro iniziativa ottenevano di potere
riscuotere le tasse, riservandosi anche l’amministrazione della giustizia
civile e criminale, accrescendo il loro peso all’interno del Parlamento del
regno. Ad essi si deve generalmente la realizzazione della chiesa madre
del paese e del palazzo baronale, che per primi contribuivano alla
definizione del nuovo impianto urbano, dal momento che attorno a queste
emergenze architettoniche venivano realizzate poi le abitazioni dei
cittadini, sicuramente in forme più modeste.
Tra i comuni sorti in questi anni abbiamo Barrafranca, ad opera del
marchese Matteo III Barresi, che la chiamò così proprio per indicare le
franchigie e le esenzioni fiscali di cui questa città godeva8.
Nel 1626 fu il turno di Niscemi, per cui il Conte Giuseppe Branciforti di
Mazzarino, proprietario del feudo, ottenne il titolo di Principe, fondata
nei pressi del luogo in cui alcuni anni prima era stata rinvenuta da un
pastore una immagine della Madonna ritenuta dal popolo miracolosa ed
ancora oggi patrona di questo comune9.
7 S. BOSCARINO, Sicilia Barocca, cit., pp. 57-65 8 S. LICATA - C. OROFINO, Un paese dell’entroterra siciliano: Barrafranca. Storia, tradizioni, cultura, Caltanissetta, 1984, p. 21 9 A. MARSIANO, Geografia antropica, Caltanissetta, 1995, pp. 19-26
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Il paese di Valguarnera Caropepe fu fondato dal conte Giovanni
Valguarnera, che aveva ottenuto la “licentia aedificandi” nel 1549
dall’imperatore Carlo V10.
Nel 1647 Riesi sorge sul sito di un precedente piccolo borgo rurale,
abitato da contadini, per volontà della famiglia feudale spagnola degli
Altariva, sotto la guida amministrativa del loro procuratore in Sicilia Don
Cristoforo Benenati11.
Ultimo centro oggi facente parte della Diocesi di Piazza Armerina ad
essere stato edificato fu il paese di Villarosa nel secolo XVIII. Questo fu
fondato quindi solo molti anni dopo la prima ondata di colonizzazione
dell’interno, durante la quale erano sorti i paesi precedentemente
menzionati, quando nel 1761 il Duca Placido Notarbartolo ottenne la
“licentia populandi”12.
Il secolo XVII si chiuse in maniera drammatica con il terribile terremoto
che nel gennaio del 1693 devastò la Sicilia orientale, distruggendo intere
città e causando migliaia di vittime tra la popolazione13.
I maggiori danni alle cose ed alle persone conseguenti a tale cataclisma
furono registrati presso le città della parte più orientale dell’isola.
Catania, Noto, Avola, per ricordare solo le più famose, furono quasi
interamente abbattute dal terremoto ed intrapresero negli anni successivi
una intensa attività di ricostruzione.
Nel caso di Avola e di Noto addirittura si decise di ricostruire la città in
un sito differente dal precedente, realizzando in pochi decenni quei
capolavori dell’architettura barocca che ancora oggi possiamo
ammirare14.
10 G. GIULIANA, La Diocesi di Piazza Armerina, Caltagirone (CT), 1967, p. 257 11 G. TESTA, Riesi nella storia, Palermo, 1981 12 G. GIULIANA, op. cit., p. 269 13 S. CORRENTI, op. cit., p. 30 14 S. BOSCARINO, op. cit., pp. 52-56; p. 79
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Il terremoto raggiunse in parte anche alcune delle località della Sicilia
centrale, provocando danni molto più lievi e soprattutto nessuna vittima
tra la popolazione.
I comuni di Niscemi, Aidone, Barrafranca, Enna e Piazza Armerina
furono quelli più danneggiati dal sisma e necessitarono negli anni
seguenti di lavori di restauro di alcune delle loro chiese e dei loro palazzi.
In particolare a Niscemi quasi tutte le chiese esistenti furono ricostruite in
forme ancora più grandiose dopo il sisma e la stessa cosa grossomodo
avvenne nella cittadina di Aidone, dove i maggiori danni furono riportati
dalla chiesa madre di San Lorenzo la cui facciata fu danneggiata e poi
interamente ricostruita, e dove ancora oggi è possibile scorgere nei ruderi
del vecchio castello medievale i segni della violenza del terremoto.
I rimanenti comuni superarono pressoché indenni la sciagura e si
prodigarono nell’aiuto dei centri più danneggiati.
Il Principe di Butera Carlo Maria Carafa, signore colto ed erudito tra i più
potenti di Sicilia che risiedeva presso Mazzarino, in occasione di questo
drammatico evento dovette registrare entro i suoi possedimenti danni
consistenti oltre che in alcune delle città prima menzionate, facenti parte
dei suoi numerosi feudi, anche nella cittadina di Occhiolà, maggiormente
vicina all’epicentro del sisma, e praticamente rasa interamente al suolo.
Egli stesso immediatamente si prodigò per soccorrere la popolazione in
difficoltà inviando aiuti consistenti e si occupò personalmente della
ricostruzione del paese in un sito differente dal precedente, con il nuovo
nome di Grammichele, disegnandone il particolare impianto esagonale
con piazza al centro della città, su cui si affacciano tutti gli edifici
principali (chiesa madre, il municipio ed il palazzo del Principe), e da cui
si dipartono poi sei strade rettilinee, poste su ciascuno degli assi dei lati
dell’esagono, famoso e spesso studiato dagli urbanisti proprio per la sua
originalità15.
15 S. BOSCARINO, op. cit., pp. 82-83
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Il secolo XVIII fu invece dal punto di vista politico determinante per la
Sicilia che da regno indipendente, anche se unito ad un regno forestiero
nella persona del re, divenne subordinata ad un altro Stato, dal momento
che nel 1735 l’isola entrò di fatto a fare parte del regno dei Borboni di
Napoli, conservando solo nominalmente, per ancora alcuni decenni, la
sua prerogativa di regno indipendente16.
Ma il Settecento si era aperto con la grave crisi dinastica che aveva
interessato la Spagna alla morte di Carlo II, passata alla storia come
“guerra di successione spagnola”, culminata con il trattato di Utrecht del
1713, che sancì definitivamente la fine della dominazione spagnola
sull’isola. Da questo momento in poi infatti la Sicilia, in seguito ai nuovi
equilibri politici stabiliti dalle potenze europee, da tempo in lotta tra loro
per la supremazia sul continente, divenne proprietà del duca Vittorio
Amedeo II di Savoia, che quindi assunse il titolo di Re di Sicilia.
Egli giunse a Palermo nello stesso anno ed il 24 dicembre del 1713 venne
solennemente incoronato re nel duomo di Palermo17.
I siciliani inizialmente accolsero con entusiasmo il nuovo re credendo che
questo si sarebbe stabilito a Palermo, realizzando finalmente l’eterno e
mai concretizzato sogno di un regno di Sicilia indipendente, quale era
stato al tempo dei normanni.
Tuttavia furono ben presto delusi da Vittorio Amedeo che dopo circa un
anno di permanenza nell’isola tornò in Piemonte, nominando un viceré
che si occupasse del governo della Sicilia. Alle più alte cariche dello
Stato furono inoltre chiamati solo funzionari piemontesi, mentre le
iniziative politiche ed in materia economica e fiscale del nuovo sovrano
finirono per scontentare tutte le componenti della popolazione siciliana,
soprattutto l’aristocrazia, ancora fortemente filospagnola18.
16 S. CORRENTI, La Sicilia del Settecento, Catania, 1985, pp. 18-19 17 S. CORRENTI, Storia di Sicilia, cit., p. 174 18 S. CORRENTI, La Sicilia del Settecento, cit., pp. 28-29
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Approfittando quindi del crescente malumore contro i piemontesi della
Sicilia, la Spagna tentò di rientrarne in possesso inviando una spedizione
militare, ma fu bloccata nel suo progetto dall’intervento degli austriaci,
che a loro volta si impadronirono dell’isola.
Il governo austriaco in Sicilia fu breve e mai accettato dai siciliani. Dopo
soli quindici anni infatti il re Carlo di Borbone, sconfitti gli austriaci nella
battaglia di Bitonto nel 1734, venne a prendere possesso dell’isola,
accolto favorevolmente dalla popolazione.
Carlo venne proclamato re a Palermo nel 1735, e fu l’ultimo re ad essere
incoronato in questo luogo, assumendo il titolo di III re di Sicilia e IV re
di Napoli, mantenendo una separazione, almeno nominale, tra i due stati.
Inizia così per la Sicilia una nuova fase politica, sotto il controllo dei
Borboni di Napoli, durante la quale il nuovo re provvide a riformare lo
Stato siciliano, smantellando gradualmente il sistema feudale, che per
tutto il medioevo era stato alla base dell’organizzazione statale isolana.
Condusse con saggezza ed astuzia inoltre una lotta contro gli abusi
baronali, mentre furono mitigati i tributi, destinati da questo momento
quasi esclusivamente ai bisogni dell’isola19.
A Carlo di Borbone, divenuto nuovo re di Spagna nel 1759, successe il
figlio Ferdinando che nel 1816 divenne primo “Re delle Due Sicilie”
eliminando il doppio titolo di “Re di Sicilia” e “Re di Napoli” rimasto in
vigore fino a quel momento20.
Il Secolo XVIII si chiuse con la presenza al governo dell’isola di due
grandi viceré: il marchese Domenico Caracciolo di Villamaina ed il
principe Francesco D’Aquino di Caramaico. Entrambi questi personaggi
svolsero in Sicilia una politica riformatrice e di lotta contro una nobiltà
ormai allo sfascio e piena di debiti, riducendone i privilegi. Il Caracciolo
soppresse nel 1782 il tribunale del Sant’Uffizio, destinandone le cospicue
19 S. CORRENTI, op. cit., pp. 34-35 20 S. CORRENTI, Storia di Sicilia, cit., p. 192
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rendite alla creazione di istituti culturali, mentre il principe di Caramaico,
tra le tante sue iniziative, abolì le “angherie”, residuo del vecchio sistema
feudale di tipo medievale21.
Come abbiamo visto quindi il Settecento fu inizialmente un secolo di
incertezza politica, in seguito ai vari avvicendamenti al governo
dell’isola, e di trasformazione dell’assetto dello Stato, a partire dalla
seconda metà del secolo, ponendo fine a quella che era stata
l’organizzazione medievale del regno, a favore della creazione di uno
Stato moderno, secondo le nuove idee illuministe dell’epoca, che sempre
più prendevano piede in tutta Europa.
In tutto questo il ruolo del popolo siciliano, con le sue diverse
componenti, fu secondario e per lo più passivo. Mai infatti questo ebbe
modo di decidere le proprie sorti ed il proprio governo, mentre sempre fu
costretto ad adeguarsi alle situazioni di volta in volta predisposte da
soggetti esterni all’isola stessa, nell’ambito di superiori interessi ed
equilibri internazionali.
Soprattutto la nobiltà sembrò sempre in maniera accondiscendente
accettare i vari governi succedutisi in questi pochi anni, in cambio della
promessa del mantenimento dei propri privilegi e dei propri titoli,
illudendosi che da questi potesse nascere una forte monarchia siciliana,
finalmente indipendente, con un sovrano residente nell’isola.
Si trattava sempre della classe sociale più importante della Sicilia,
accresciutasi nel frattempo di numero e proprietaria, assieme agli
ecclesiastici, della quasi totalità delle terre che costituivano il patrimonio
terriero dell’isola; tuttavia questa aveva ormai imboccato la strada
inesorabile del declino, in seguito soprattutto alla incapacità di molti suoi
rappresentanti nell’amministrare i propri patrimoni ed alla politica
riformatrice dei nuovi dominatori Borboni, a cui prima si accennava,
tendente a diminuirne i privilegi ed a contrastarne i soprusi.
21 S. CORRENTI, La Sicilia del Settecento, cit., pp. 37-39
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I ricchi signori feudali infatti molto presto sperperarono le loro fortune
vivendo nel lusso e nello sfarzo, ritrovandosi pieni di debiti, mentre i loro
poteri in Parlamento erano ormai molto limitati22.
Le città dell’entroterra in questi anni seguiranno i destini dell’intera isola,
adeguandosi continuamente alla mutata situazione politica.
I signori feudali, proprietari di questi centri, continueranno a governare i
propri possedimenti, dedicandosi allo sfruttamento agricolo del territorio
ed impegnandosi di tanto in tanto in imprese architettoniche più o meno
rilevanti, attraverso cui manifestare la loro ricchezza ed il loro potere.
I paesi che sul finire del secolo precedente avevano subito danni ai propri
edifici in occasione del sisma del 1693 per tutto il secolo provvidero alla
loro ricostruzione, grazie ai fondi messi a disposizione dal signore
feudale, dalla nobiltà locale, oppure in seguito a mobilitazioni popolari
che portavano all’accumulo delle somme necessarie.
Molto spesso la ricostruzione, soprattutto degli edifici religiosi, avveniva
secondo programmi architettonici impegnativi, tanto da richiedere lunghi
periodi di realizzazione ed ingenti somme di denaro.
Abbiamo già detto del caso di Niscemi, dove tutte le chiese esistenti nella
cittadina, realizzate nel corso della seconda metà del secolo XVII, quando
la città era stata fondata, furono danneggiate pesantemente dal terremoto
tanto da essere ricostruite tutte nel corso del Settecento, sullo stesso sito
delle chiese preesistenti, ma in forme più grandiose e riccamente
decorate, secondo i motivi ornamentali tipici della architettura barocca.
Nel frattempo le altre città fondate nel secolo precedente, dopo la
concessione della licenza di edificazione da parte del sovrano, vedevano
la loro popolazione crescere ininterrottamente di numero, assumendo
gradualmente, da piccoli borghi quali inizialmente erano, l’aspetto e le
dimensioni di veri e propri paesi.
22 S. CORRENTI, op. cit., pp. 211-216
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Ai centri di Riesi, Niscemi, Valguarnera e Barrafranca, sorti nel corso del
secolo XVII, si aggiunse inoltre nel 1761 Villarosa, l’ultimo dei paesi
oggi facenti parte della Diocesi di Piazza Armerina ad essere stato
fondato per concessione regia della “licentia populandi”, come ricordato
in precedenza.
Anche le città demaniali di Enna e di Piazza Armerina nel corso di questo
secolo aumentarono la loro popolazione, assumendo sempre più il ruolo
di città guida attorno a cui graviteranno gli altri centri vicini,
impegnandosi inoltre in importanti realizzazioni architettoniche, quale
quella del Duomo di Piazza Armerina, ultimato intorno alla metà del
secolo XVIII, dopo lunghe e complesse vicende costruttive, iniziate nel
secolo precedente.
Piazza Armerina inoltre venne indicata dal Parlamento del regno come
possibile sede di una delle nuove diocesi che si era deciso di erigere
nell’entroterra siculo, provvedendo così ad una profonda riorganizzazione
delle circoscrizioni religiose dell’isola.
La città, nonostante la strenua opposizione di Enna, da sempre sua rivale,
diventerà sede Vescovile all’inizio del secolo successivo, al termine di un
lungo iter burocratico, condotto secondo quella che è la procedura
indicata dal diritto canonico in queste circostanze, descritto nel capitolo
precedente23.
23 E. FRANCHINO, op. cit.
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Il Barocco in Sicilia: motivi, protagonisti ed opere principali È ormai stata definitivamente abbandonata dagli studiosi di storia
dell’arte la tendenza a connotare negativamente la produzione artistica
siciliana dei secoli XVII e XVIII, considerandola di secondario interesse,
nell’ambito del panorama artistico nazionale, ed espressione della
decadenza e della corruzione dei principi dell’arte classica, che erano
stati alla base del Rinascimento italiano.
Si riteneva infatti, in maniera forse troppo superficiale, che la Sicilia
fosse rimasta estranea a quel movimento di rinnovamento artistico,
sviluppatosi intorno alla fine del Quattrocento, che aveva portato i centri
principali della penisola, e soprattutto Roma e Firenze, al superamento
dell’arte medievale, attraverso la riscoperta e la riproposizione dei motivi
tipici della classicità greca e romana, con la realizzazione di meravigliose
opere d’arte, frutto dell’ingegno di alcuni tra i più grandi artisti che la
storia abbia mai conosciuto.
Solo in un secondo momento invece, sempre secondo questa visione
semplificata e distorta della storia dell’arte siciliana, nell’isola sarebbero
stati introdotti i temi del barocco romano, passivamente imitati e
riproposti dagli artisti isolani nelle loro realizzazioni.
In realtà nell’isola la penetrazione dei temi e dei motivi del classicismo
rinascimentale romano era avvenuta, se pur in ritardo e non senza
resistenze, alla fine del secolo XVI, soprattutto in seguito all’arrivo nelle
grandi città portuali di Messina e Palermo di alcuni dei maggiori
esponenti del manierismo romano, sia nel campo dell’architettura che in
quello della scultura e della pittura, e di maestranze specializzate,
formatesi presso i principali cantieri romani, in stretto contatto con gli
architetti e gli artisti più famosi ed alla moda nella città papale in quegli
anni di grandi realizzazioni edilizie24.
24 G. GANGI, Il Barocco della Sicilia Orientale, Roma, 1964, pp. 10-14
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Successivamente invece gli artefici del nuovo linguaggio barocco
saranno quasi esclusivamente siciliani, per lo più appartenenti ad ordini
religiosi, formatisi anche attraverso viaggi a Roma e nelle principali città
europee, dove più facilmente avevano modo di aggiornarsi relativamente
alle nuove tecniche e tendenze artistiche25.
Tali nuovi temi e motivi figurativi tuttavia non furono mai passivamente
assimilati dagli artisti dell’isola, bensì accolti e rielaborati alla luce delle
precedenti esperienze artistiche siciliane, frutto a loro volta di una
situazione politica, sociale ed economica complessa, derivata dal fatto
che in Sicilia per secoli si era avuta la presenza di dominazioni straniere,
tra loro differenti, che al loro passaggio avevano lasciato profonde tracce
nella cultura della popolazione locale26.
Erano infatti ancora fortemente radicati nell’isola motivi artistici di chiara
matrice medievale normanna ed addirittura araba, riproposti assieme ai
ricchi e complessi temi ornamentali dell’arte gotico–catalana, di
derivazione spagnola, che hanno nelle torri difensive, nelle finestre e nei
ricchi portali trecenteschi e quattrocenteschi i loro esempi principali27.
È proprio grazie a questa commistione di esperienze differenti che nella
Sicilia del Seicento si ha non una fase di decadenza dell’arte bensì un
periodo di sviluppo di una nuova sensibilità artistica che si propone quale
superamento dell’arte rinascimentale stessa, considerata dagli artisti
troppo statica ed imbrigliata entro eccessive regole, ma della quale
vengono apprezzati ed accolti i principi fondamentali di ordine e rigore
della composizione, governata dalla matematica e dalla geometria, ed in
particolare, in ambito architettonico, dagli ordini di derivazione classica.
Nasce così un’arte che ha nel dinamismo la sua caratteristica principale, e
nella grandiosità delle forme, nel senso di meraviglia, nell’audacia dei
25 S. BOSCARINO, op. cit., pp. 13-14 26 G. B. COMANDE’, op. cit., p. 25 27 Ibidem, pp. 18-19
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temi proposti e nell’ornamento le sue peculiarità, che la rendono unica ed
originale nel panorama artistico italiano28.
La derivazione dal barocco romano è innegabile, soprattutto perché
dovuta alla attività di promozione di questa tendenza artistica operata
dagli ordini religiosi, profondamente radicati in un ambiente, quale era
quello siciliano, fortemente ispirato al cattolicesimo ortodosso29.
Questi, detentori di immense ricchezze, del controllo della cultura e della
istruzione, e tra i principali committenti di opere d’arte del periodo in
esame assieme all’aristocrazia feudale, erano desiderosi di riproporre in
una provincia religiosa lontana l’immagine della propria casa generalizia.
Gli artisti siciliani hanno così dato vita ad un’arte originale e dinamica,
riflesso delle complesse condizioni politiche economiche e sociali
dell’epoca, e tuttavia caratterizzata dall’equilibrio delle forme e da un
ornato fantasioso, ma sempre composto ed in armonia con la
realizzazione artistica, dove, così come in ogni altro aspetto della vita di
tutti i giorni in questo periodo, il sembrare è più importante che
l’essere30.
In ambito architettonico in particolare questi principi si esprimeranno
attraverso forme movimentate ed articolate ed attraverso la tendenza
degli artisti a prediligere quale motivo principale quello della facciata, la
cui composizione è sempre fortemente caratterizzata dal punto di vista
geometrico e volumetrico da ben proporzionati ordini architettonici,
rispetto a quello dell’interno31.
La decorazione degli esterni e degli interni, ad uso pubblico, è ricca e
fastosa, talvolta eccessiva, ma sempre regolata e ricondotta entro i limiti
precisi e le proporzioni fissate dall’ordine, in maniera tale che il tutto
risulti sempre armonioso e gradevole all’osservatore, ma allo stesso
28 Ibidem, pp. 9-12 29 S. BOSCARINO, op. cit., p. 10 30 G. B. COMANDE’, op. cit., p. 33 31 S. BOSCARINO, op. cit., p. 30
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tempo di grande effetto estetico e capace di destare in questo sentimenti
di meraviglia e di ammirazione.
Una tale concezione artistica inoltre non poteva manifestarsi soltanto
attraverso le realizzazioni architettoniche ma investiva tutti i campi
dell’arte, raggiungendo in modo particolare i suoi livelli più elevati
nell’oreficeria, nell’intarsio marmoreo ed in tutte le arti ornamentali e
decorative in genere.
Nell’arco dei circa due secoli da noi presi in considerazione verranno
realizzate in Sicilia alcune delle più belle opere del barocco europeo, e
l’isola subirà un processo generale di rinnovamento delle proprie città,
con la realizzazione di nuovi impianti viari ed edifici, che non ha avuto
precedenti nella sua storia, e che la porterà rapidamente ad assumere un
aspetto molto vicino a quello attuale.
I grandi centri portuali della costa infatti intraprenderanno un processo di
rinnovamento urbanistico, iniziato in alcuni casi già intorno alla seconda
metà del Quattrocento secondo i nuovi principi di ordine e di decoro,
creando ampie strade, piazze e lunghi assi viari rettilinei in modo da
organizzare e gerarchizzare il sistema di strade ed i quartieri delle città
stesse. Venivano valorizzati così i centri produttivi e del potere con il fine
di garantire sia un migliore svolgimento delle attività economiche
cittadine, che la presenza di luoghi fortemente scenografici che
esaltassero il fasto e la ricchezza della città, soprattutto in occasione di
festività religiose e celebrazioni politiche32.
A Palermo infatti si provvide verso la fine del ‘500 all’ingrandimento ed
al prolungamento del Cassaro (l’odierno corso Vittorio Emanuele), che
collega la cattedrale al palazzo reale, ed inoltre fu realizzata a partire dal
1609 la monumentale piazza di forma ottagonale comunemente nota
come “Quattro Canti”, opera di Giulio Lasso33.
32 G. BELLAFIORE, Architettura in Sicilia, Palermo, 1984, pp. 24-32 33 S. BOSCARINO, op. cit., pp. 22-25
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Anche a Messina negli stessi anni ci si dedicò alla creazione di moderni
assi viari, come la via d’Austria, che si sostituirono alle tortuose strade
medievali, ed alla realizzazione della “Palazzata”, opera dell’ingegnere
regio Simone Gullì, ovvero una scenografica successione di palazzi
nobiliari, situati a ridosso della zona portuale, che impressionava per la
sua eccezionale bellezza chiunque giungesse in città dal mare, ma che
purtroppo a causa dei terremoti che hanno colpito più volte Messina, in
particolare quello del 1908, non è pervenuta sino ai nostri giorni34.
Le città della Sicilia sud orientale furono purtroppo favorite in questo
processo di rinnovamento urbanistico degli impianti cittadini dal
terremoto che sconvolse questa parte dell’isola nel gennaio del 1693.
A causa dei danni ingentissimi riportati infatti molte città dovettero
provvedere alla ricostruzione di gran parte del loro centro abitato, come
nel caso della città di Catania, dove il tutto fu ricostruito sulla base di
rigide norme urbanistiche per evitare il ripetersi di tali sciagure. Si
realizzarono infatti strade più larghe e rettilinee, si crearono nuove piazze
ed edifici la cui altezza fosse proporzionata alla strada stessa.
Le città di nuova fondazione colpiscono invece per i loro originali
impianti, organizzati secondo tracciati geometrici regolari, caratterizzati
dalla presenza di ampie piazze dalla forma quadrata su cui si affacciano
le architetture più importanti, dalle magnifiche e scenografiche facciate,
realizzate secondo i principi della nuova arte barocca. In particolare i
centri nati nel corso del Seicento prediligevano impianti a maglia
ortogonale, soprattutto lo schema a scacchiera, e non sono mai delle città
chiuse da mura, caratterizzate dalla presenza di un castello medievale di
difesa, bensì città aperte, con al centro la piazza, dotata di chiesa, palazzo
baronale e municipio, ed attorno a questa le abitazioni del popolo35.
Sicuramente però le realizzazioni più cospicue per numero ed originalità
della composizione sono quelle relative all’architettura religiosa, con le
34 Ibidem, pp. 26-29 35 Ibidem, p. 58
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numerose chiese, collegi e monasteri costruiti ovunque nell’isola nel giro
di pochi decenni, in forme e dimensioni considerevoli e ricche.
A favorire la costruzione di tali opere contribuiranno soprattutto i
numerosi e ricchi ordini religiosi, in modo particolare quello dei Gesuiti,
che in questi decenni realizzerà proprie case in tutte le principali città ed
anche in alcuni dei centri minori dell’isola, ma anche quelli dei
Domenicani, dei Teatini, dei Carmelitani, solo per citare i più noti ed
attivi nel campo dell’edilizia religiosa.
Si tratta di un tipo di architettura che ha ormai fatto propri i temi ed i
motivi artistici della Controriforma, importati dal continente,
caratterizzata da impianti planimetrici poco innovativi, generalmente
longitudinali, ad una oppure a tre navate, mentre più rari sono gli edifici a
pianta centrale, o le combinazioni tra questi diversi schemi36.
La particolarità di tali realizzazioni generalmente risiede nelle articolate e
decoratissime facciate, il cui sviluppo è sempre misurato dagli ordini
architettonici, che costituiscono il telaio e la cornice entro cui poi trova
libera espressione un ricco apparato scultoreo ed ornamentale.
Mentre quindi per quel che riguarda gli impianti planimetrici delle chiese
abbiamo pochi e semplici tipi sempre ricorrenti, poco innovativi ed
ispirati alla tradizione, il tema della facciata invece presenta innumerevoli
esempi e varianti, esibendo volute ed originali soluzioni architettoniche,
alternando schemi con andamento retto e squadrato a schemi di tipo
ondeggiante sinusoidale, oppure uno o due campanili laterali, affiancati
alla composizione, alla facciata con torre-campanile centrale37.
Le maestranze che materialmente hanno costruito questi edifici hanno
una origine prevalentemente cantieristica ed artigianale38; si tratta di
uomini che hanno operato sempre all’ombra degli architetti, anche se
spesso, dopo lunghi anni di apprendistato, qualcuno di essi è riuscito ad 36 F. MINISSI, Aspetti dell’architettura religiosa del ‘700 in Sicilia, Roma, 1958, pp. 19-20 37 S. BOSCARINO, op. cit., pp. 92-94 38 Ibidem, p. 14
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elevarsi fino a raggiungere addirittura la carica di architetto o di
ingegnere, non senza essere prima passato per i gradini di apprendista e
poi di responsabile della realizzazione.
Sarebbe lungo citare tutti i protagonisti che in qualche modo hanno
contribuito alla ideazione e realizzazione dei numerosi edifici religiosi,
innalzati nel corso dell’età barocca. Ci si limita quindi qui a ricordare, in
una rapida carrellata, solo i principali esponenti dell’architettura siciliana
e gli edifici religiosi più importanti e significativi del panorama
architettonico isolano legati ai loro nomi.
In ordine cronologico il primo architetto che incontriamo, a cavallo tra il
secolo XVI ed il secolo XVII, è il gesuita Natale Masuccio, attivo presso
diversi importanti centri siciliani, autore del progetto di trasformazione
della famosa chiesa di Casa Professa di Palermo. A lui, tra le tante opere,
sono anche attribuiti i progetti per la chiesa ed il Collegio dei Gesuiti di
Trapani e per il Collegio primario di Messina, oggi non più esistente39.
Di Simone Gullì invece abbiamo già accennato per il fatto che egli
realizzò a Messina, nei primi anni del secolo XVII, una delle opere più
significative della sensibilità artistica barocca, purtroppo non più
esistente, ovvero la “Palazzata”40.
Ritornando a Palermo dobbiamo accennare a Mariano Smiriglio, autore
del duomo della cittadina di Salemi e della chiesa del Carmine a Palermo,
ma soprattutto ideatore della prima opera architettonica palermitana
interamente decorata da intarsi in marmi policromi. Si tratta della
cappella di Santa Rosalia, nel duomo di Palermo, oggi non più esistente
perché distrutta in occasione di alcuni restauri ed ammodernamenti
Settecenteschi, nella quale quindi per la prima volta si realizza quella
fusione tra pittura, scultura ed architettura, attraverso l’uso della tecnica
decorativa detta “a mischio”, che tanta fortuna avrà soprattutto a Palermo
39 Ibidem, pp. 95-99 40 Ibidem, pp. 166-168
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in questi anni, trovando la sua massima espressione negli interni della
chiesa gesuitica di casa Professa41.
Proseguendo nella nostra rapida esposizione arriviamo quindi a trattare di
uno degli architetti più famosi del Seicento siciliano, attivo nella seconda
metà del secolo, ovvero Angelo Italia, anche egli gesuita, nativo di
Licata. Il suo nome è legato alla realizzazione della chiesa palermitana di
S. Francesco Saverio, a pianta centrale, alla chiesa madre di Palma di
Montechiaro, ad impianto basilicale, ed alla chiesa di Sant’Angelo a
Licata, sua prima opera. Ebbe modo di partecipare anche al cantiere della
chiesa di Casa Professa, a Palermo, che in quegli anni era ormai in fase di
ultimazione, realizzando la cupola, oggi non più esistente perché
ricostruita secondo un altro disegno nel 1945. Nella Sicilia Orientale,
immediatamente dopo l’evento sismico del 1693, partecipò alle attività di
ricostruzione sia come architetto, ma anche in qualità di urbanista. A lui
si deve infatti l’ideazione dell’impianto cittadino di Avola, mentre incerta
è l’attribuzione all’Italia dello schema di Noto. L’ultima opera legata al
suo nome è la chiesa madre di Alcamo, progettata alla fine del secolo in
collaborazione con Giuseppe Diamante42.
Il Secolo XVII si chiude invece con la presenza a Palermo di due
importanti architetti, attivi anche nei primi anni del secolo successivo:
Paolo Amato e Giacomo Amato, entrambi religiosi, appartenenti il primo
all’ordine degli Infermi, mentre il secondo a quello dei Crociferi.
A Paolo Amato sono attribuite molte opere, non solo architettoniche, ma
anche decorative. Il suo nome è legato soprattutto alla chiesa del SS.
Salvatore, a Palermo, ed a quella di San Giovanni Battista, a Ciminna.
Per quanto riguarda invece gli apparati decorativi, famose sono le sue
realizzazioni in marmi policromi per la chiesa di San Carlo a Palermo,
eseguiti in collaborazione con Giacomo Amato, e quelle a mischio presso
la chiesa di S. Maria di Valverde, sempre a Palermo, questa volta
41 S. PIAZZA, op. cit., pp. 22-23 42 S. BOSCARINO, op. cit., pp. 114-122
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coadiuvato da Andrea Palma, autore della monumentale facciata barocca
del duomo di Siracusa43.
Giacomo Amato invece realizza la sua opera più importante nella chiesa
di Santa Teresa alla Kalsa, ad impianto longitudinale, con navata unica ed
altari laterali incassati nelle pareti. A lui si deve anche la facciata
dell’edificio, scandita da due ordini sovrapposti di lesene44.
Spostandoci nella parte orientale dell’isola invece incontriamo a Catania
nella prima metà del Settecento Giovan Battista Vaccarini, formatosi a
Roma alla scuola di Carlo Fontana, autore della facciata del duomo della
città etnea e di alcune chiese a pianta centrale, come quella della Badia di
Sant’Agata e di San Giuliano, sempre nella stessa città. Nominato
architetto della città di Palermo dalla Deputazione del Regno si trasferirà
in questa città partecipando ai lavori di restauro e di ammodernamento
della chiesa Cattedrale45.
Tuttavia la figura più emblematica ed originale del barocco nella parte
sud orientale dell’isola è quella del siracusano Rosario Gagliardi, il quale,
formatosi come maestro artigiano, esperto nella lavorazione del legno,
operò soprattutto a Noto negli anni della ricostruzione successiva al
sisma del 1693 della città. La sua prima opera netina fu la chiesa del SS.
Crocifisso, dalla pianta basilicale a tre navate ed incompleta nel prospetto
esterno. Sempre a Noto progettò anche la chiesa ed il convento di Santa
Chiara, la cui particolarità risiede nell’impianto di forma ovale allungata
della chiesa. Nella chiesa di San Domenico infine operò una sintesi tra i
due schemi longitudinale e a pianta centrale, realizzando una facciata
fortemente convessa, con ordini sovrapposti costituiti da colonne libere
collocate nei punti di inversione della curvatura. Di lui inoltre rimangono
numerosi progetti di edifici non realizzati, che sicuramente circolarono in
43 Ibidem, pp. 123-125 44 G. B. COMANDE’, op. cit., pp. 41-42 45 G. POLICASTRO, Catania nel ‘700. Architettura, scultura, pittura, musica e teatri, Catania, 2000
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quegli anni tra gli architetti suoi seguaci, costituendo un sicuro ed
importante punto di riferimento nelle loro realizzazioni46.
Per quanto riguarda invece l’architettura civile il tema che principalmente
verrà sviluppato dagli architetti in età barocca è quello della residenza
aristocratica, ed in particolare quello della abitazione di campagna della
nobiltà, ovvero la villa47.
Ovviamente la maggior parte dei palazzi aristocratici realizzati in questo
periodo si trova a Palermo, capitale e quindi sede e centro del potere che
governava la Sicilia. Qui risiedevano quindi gran parte degli esponenti
della aristocrazia isolana, che vedevano nel palazzo un mezzo di
espressione della loro ricchezza e del loro stato di superiorità.
Tali edifici tuttavia non presentano particolari caratteri innovativi per
quel che riguarda le forme architettoniche e gli schemi planimetrici
adottati, mentre si caratterizzano per la presenza del balcone, che diventa
spesso l’elemento decorativo principale dell’intera composizione,
assieme al portale.
Le ville più belle furono invece edificate nella città di Bagheria,
vicinissima a Palermo, secondo fastosi e complessi programmi
architettonici e circondate da immensi giardini. Tra queste ricordiamo
Villa Palagonia e Villa Valguarnera, realizzate dall’architetto Tommaso
Maria Napoli48.
L’inventiva degli artisti in questi anni non si espresse esclusivamente
nelle realizzazioni di tipo architettonico, rivelandosi anche nell’ambito
delle arti pittoriche e scultoree.
Per quel che riguarda la pittura dobbiamo registrare la venuta in Sicilia di
famosi artisti provenienti dalla penisola oppure stranieri che, giunti
nell’isola intorno ai primi anni del Seicento indirizzeranno gli artisti
locali verso le nuove tendenze artistiche italiane ed europee. 46 G. GANGI, op. cit., pp. 41-47 47 S. BOSCARINO, op. cit., pp. 195-198 48 P. GIANSIRACUSA, Il Barocco siciliano: Architetti, urbanistica, scenografia, Roma, 1984, pp. 29-30
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La presenza in Sicilia di Michelangelo da Caravaggio negli anni 1609 e
1610, del pittore fiorentino Filippo Paladini, intorno ai primi anni del
secolo XVII, così come quella successiva dei pittori fiamminghi Van
Dyck e Borremans oppure del caravaggesco Mattia Preti, proveniente da
Napoli, influenzeranno in maniera decisiva infatti l’attività dei principali
artisti dell’isola di quel periodo49.
Tra i pittori siciliani più famosi ricordiamo solamente il monrealese
Pietro Novelli, vissuto nella prima metà del ‘600 ed attivo soprattutto a
Palermo, autore di numerosissime opere, sparse in tutta l’isola, iniziatore
di una vera e propria scuola, cui appartennero anche i suoi figli50.
L’attività di scultura invece in Sicilia si segnalò per una tendenza tutta
locale che prediligeva alle sculture vere e proprie sfarzosi apparati
decorativi realizzati a stucco. Questo tipo di decorazione, più economica
delle tarsie marmoree, diffusissima in tutta la Sicilia ancora alla fine del
secolo XIX, permetteva di ottenere composizioni plastiche stupefacenti
per la ricchezza e la complessità dei motivi che venivano rappresentati.
Esistevano vere e proprie famiglie specializzate in questo tipo di
decorazione che per generazioni si sono tramandate tali tecniche,
riempiendo delle loro opere la maggior parte delle chiese e dei palazzi
siciliani. Esponente supremo di questa arte in Sicilia fu il palermitano
Giacomo Serpotta51.
49 S. CORRENTI, La Sicilia del Seicento, cit., pp. 210-212 50 Ibidem, pp. 196-197 51 D. GARSTANG, G. Serpotta e gli stuccatori di Palermo, Palermo, 1990
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Tendenze artistiche nelle città dell’entroterra siciliano Nel paragrafo precedente abbiamo visto quindi quali siano stati i temi, i
protagonisti, ed alcune delle opere principali della stagione barocca
siciliana; tuttavia essi costituiscono solo una parte, anche se sicuramente
quella più conosciuta, della vicenda artistica svoltasi nell’isola nel
periodo che va dalla fine del Cinquecento a tutto il Settecento.
Accanto alle realizzazioni dei grandi centri di Palermo, Messina, Catania,
Trapani, Siracusa e Noto, esistono infatti una miriade di ulteriori esempi
di quella che è stata la sensibilità artistica barocca, disseminati presso i
piccoli centri e le città minori dell’entroterra siculo.
Il più delle volte questi episodi sono passati in secondo piano rispetto a
quelli delle più importanti città portuali, oppure sono stati addirittura
ignorati. Tuttavia rivestono anche essi grande importanza nell’ambito del
panorama artistico dell’isola, soprattutto perché ci permettono di
comprendere quali fossero i meccanismi e le modalità di diffusione dei
temi dell’arte barocca, e quindi più in generale quali fossero i rapporti
culturali che intercorrevano tra i centri del potere politico ed economico
della costa e le cittadine dell’interno.
L’area che oggi rientra nei confini della Diocesi di Piazza Armerina è
situata infatti esattamente al centro dell’isola, equidistante dai principali
centri di potere prima citati. Questa sua peculiarità di carattere geografico
ha fatto si che essa sia stata in qualche modo soggetta nel corso dei secoli
all’influenza di ciascuno di questi, mantenendo stretti contatti, di tipo
economico ma anche culturale ed artistico, tanto con la parte occidentale
dell’isola, la cui città principale è Palermo, quanto con quella orientale,
dove possiamo individuare Catania, Siracusa e Messina quali città
egemoni, e quindi punti di riferimento artistico per i paesi minori.
Tra le varie città della diocesi quindi possiamo notare come i centri
demaniali di Piazza Armerina ed Enna, che erano anche quelli più
popolati e ricchi, gravitassero prevalentemente nell’orbita di Catania,
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soprattutto perché facenti parte di quella diocesi fino ai primi anni
dell’Ottocento, ma grazie anche alla loro vicinanza con la città di
Caltagirone, dove ancora più forti erano gli influssi che giungevano dalla
città etnea e da tutta la Sicilia sud orientale.
Di contro gli altri paesi di tipo feudale, essendo proprietà dei ricchi
signori aristocratici, oltre a subire l’influenza delle vicine città demaniali,
e quindi indirettamente delle grandi città della parte orientale, erano
soggetti anche a quella di Palermo, dove si trovavano le sedi del potere
politico siciliano e dove quindi risiedevano spesso i nobili in occasione
delle riunioni del Parlamento del Regno, di cui facevano parte.
I temi ed i motivi del barocco visti in precedenza, che inizialmente erano
stati accolti dalle città portuali della costa, in poco tempo, grazie ai
frequenti contatti con l’entroterra, raggiungeranno quindi anche i paesi
oggetto di questo studio.
Essi troveranno soprattutto applicazione in ambito architettonico, dal
momento che in quegli stessi anni alcuni di questi paesi erano alle prese
con la ricostruzione successiva al terremoto del 1693, mentre altri erano
addirittura appena stati fondati in seguito all’acquisto da parte di alcuni
nobili della “licentia populandi”, per cui si stava provvedendo a dotarli di
chiese, monasteri, collegi e palazzi, ispirati alla nuova sensibilità artistica.
È alla committenza dell’aristocrazia feudale, unitamente a quella
ecclesiastica, che si deve la diffusione delle tematiche artistiche barocche
e quindi la maggior parte della produzione artistica dell’area in esame.
Erano soprattutto questi infatti che commissionavano le opere agli artisti,
rivolgendosi a quelli più in voga nell’isola e non solo, oppure
promuovevano sontuosi programmi edilizi, notevoli sia per le dimensioni
che per la qualità degli architetti chiamati ad idearli e delle maestranze
esecutrici.
Tra i committenti più importanti, appartenenti alla classe aristocratica,
ricordiamo le famiglie Branciforti e Barresi. Si tratta di due delle famiglie
più ricche e più titolate della zona; in particolare i Branciforti si
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fregiavano del prestigioso titolo di principi di Butera che gli garantiva un
posto di preminenza in parlamento, in quanto primo titolo del regno.
Il nome dei Branciforti è legato prevalentemente alle più importanti
realizzazioni di questo periodo nei centri di Mazzarino, Butera e Niscemi.
Nell’ambito di questa famiglia si distinse in modo particolare quale
committente e mecenate, oltre che studioso, letterato ed architetto, il
principe Carlo Maria Carafa52. Questi, possessore di un ingente
patrimonio e dotato di grande cultura, carisma e prestigio, promosse
presso la sua corte tutte le arti, contribuendo anche alla costruzione
oppure al restauro di molte delle chiese dei centri soggetti al suo
controllo.
A lui si deve l’ideazione del particolarissimo impianto di forma
esagonale della città di Grammichele, che rientrava tra i suoi numerosi
possedimenti, ricostruita in un nuovo sito, dopo che il terremoto del 1693
aveva raso al suolo la città precedente.
Commissionò inoltre la realizzazione della chiesa madre di Mazzarino e
di quella di Butera, nonché di numerose altre chiese minori, che durante
il suo principato furono completamente rinnovate ed abbellite. Promosse
la venuta sempre a Mazzarino dei Gesuiti, che vi aprirono uno dei loro
collegi nei primi anni del secolo XVIII, insediandosi in una struttura
conventuale di nuova realizzazione, con annessa una chiesa, voluta dallo
stesso Carafa, che fu anche progettista del complesso, e contigua al suo
magnifico palazzo, a sua volta da lui dotato di un piccolo teatro.
Nell’ambito della pittura invece si distinse quale committente del famoso
pittore Mattia Preti, seguace del Caravaggio ed attivo a Napoli alla fine
del Seicento, che realizzò per lui un dipinto raffigurante il Martirio di
Santo Stefano, collocato poi quale pala dell’altare nella chiesa del
Carmine di Mazzarino, mausoleo personale della famiglia Branciforti, e
purtroppo trafugato da ignoti nel 1982 e non ancora recuperato.
52 P. DI MARTINO, Carlo Maria Carafa. Vita ed Opere, Mazzarino (CL), 1982
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Alla famiglia Barresi, imparentatasi ben presto con i Branciforti, si
devono invece le più importanti realizzazioni dei centri di Barrafranca e
di Pietraperzia. Le chiese madri di entrambi questi paesi sono legate alla
committenza di questa famiglia ed in particolare quella di Pietraperzia ne
divenne il mausoleo ospitando le tombe di alcuni dei suoi esponenti,
realizzate in forme monumentali con marmi pregiati e sculture dal gusto
classicheggiante, opera dei più rinomati artisti del periodo53.
La stessa cosa accadeva in tutti gli altri centri vicini, dove erano le
famiglie più ricche, esponenti della aristocrazia locale, che investivano
parte dei loro denari in commissioni artistiche, in modo da accrescere il
loro prestigio e da esprimere la loro ricchezza e magnificenza, secondo
un modo di fare molto diffuso presso la nobiltà di questo periodo.
Anche presso le città demaniali le maggiori imprese artistiche vedranno
impegnati in prima fila esponenti della nobiltà cittadina quali promotori e
finanziatori delle stesse. Basti pensare alla famiglia Trigona di Piazza
Armerina grazie ai cui fondi nella città venne realizzata, nei decenni a
cavallo tra il secolo XVII e XVIII, la chiesa madre, divenuta poi chiesa
cattedrale, con il titolo di Maria SS. delle Vittorie54.
Il clero e gli ordini religiosi non furono da meno, negli stessi anni, in
questa opera di promozione e finanziamento di imprese artistiche, sia per
quel che riguarda l’architettura che nell’ambito delle altre arti, soprattutto
della pittura, della scultura e dell’oreficeria.
Gli ordini religiosi in particolare sempre più andavano radicandosi sul
territorio, invitati spesso dalle municipalità oppure dagli stessi signori
feudali, realizzando proprie case in vari centri dell’isola.
Saranno in particolare gli ordini dei Gesuiti, dei Domenicani, dei
Francescani, dei Teatini e dei Carmelitani a promuovere in questi anni la
realizzazione delle loro sedi e conventi nei paesi oggi appartenenti alla
53 L. GUARNACCIA, La chiesa Matrice di Pietraperzia, Pietraperzia (EN), s.i.d. 54 A. RAGONA, Il Santuario di Maria SS. delle Vittorie a Piazza, Piazza Armerina (EN), s.i.d.
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Diocesi di Piazza Armerina. Principalmente si stanzieranno presso le città
demaniali, che quindi oggi risultano essere le più ricche di strutture
monastiche, di dimensioni talvolta considerevoli, ma ben presto
giungeranno anche presso i centri più piccoli. I collegi dei gesuiti, per
fare un esempio, sorgeranno dapprima a Piazza Armerina e ad Enna,
mentre solo successivamente una loro casa verrà aperta anche a
Mazzarino, grazie all’interessamento del principe Carafa55.
Non vanno dimenticate nell’ambito della committenza religiosa le
numerose Confraternite e Congregazioni a carattere religioso, a cui
appartenevano gran parte della popolazione della città ed anche molti
esponenti dell’aristocrazia. A Niscemi infatti la chiesa dell’Addolorata,
che sorge presso la piazza principale della città, fu interamente ricostruita
in forme più ricche nella prima metà del Settecento per volontà della
confraternita del SS. Crocifisso e della congregazione di Maria SS.
Addolorata, che avevano la loro sede presso la chiesa stessa56.
Sempre a Niscemi, negli anni successivi al terremoto del 1693, le chiese
del paese, che erano tutte state danneggiate dal sisma, furono interamente
ricostruite grazie alle offerte raccolte presso la popolazione locale, che
quindi può essere considerata di fatto la committente di tutti gli edifici a
carattere religioso della città57.
La produzione artistica di questa area, data la vasta committenza, è quindi
molto numerosa e ricca, caratterizzata prevalentemente da opere di artisti
locali, ma anche dalla presenza di molte opere di assoluto valore,
realizzate da artisti di livello superiore provenienti generalmente da
Palermo, Catania o Messina. Non mancano inoltre opere di artisti famosi
oltre i confini dell’isola, provenienti dai più famosi centri artistici d’Italia
ed anche dai paesi dell’Europa del nord.
55 A. I. LIMA, Architetti ed urbanistica della Compagnia di Gesù: fonti e documenti inediti. Secoli 16-18, Palermo, 2001 56 S. PEPI, La Basilica dell’Addolorata di Niscemi, Niscemi (CL), 1996 57 A. MARSIANO, op. cit.
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Nell’ambito della scultura le opere più importanti presenti nel territorio
da noi studiato provengono dalla bottega dei Gagini, una famiglia di
scultori e costruttori attiva soprattutto a Palermo e nella parte occidentale
della Sicilia. Il capostipite Domenico Gagini, proveniente da Bissone, in
Lombardia, ed allievo del Bramante, si era stabilito a Palermo alla fine
del secolo XV, importando così nell’isola i motivi della nuova arte
rinascimentale58. I suoi successori continueranno la sua opera nei due
secoli successivi ricevendo commissioni da ogni parte dell’isola; in
particolare grande successo avrà Antonello Gagini, figlio di Domenico, il
quale lavorerà presso la cattedrale di Palermo e realizzerà anche alcune
opere presso la chiesa madre di Pietraperzia, quali i portali marmorei
della chiesa ed il monumento raffigurante a rilievo una Madonna con
Bambino, commissionatigli dal marchese Matteo Barresi nella prima
metà del Cinquecento. Giandomenico Gagini, altro esponente di questa
importante famiglia di scultori, nel corso del secolo XVI sarà impegnato
nei restauri del Duomo di Enna, ed a lui si devono le basi ed i capitelli di
alcuni dei piloni della navata della chiesa59. Numerose opere dei Gagini,
o comunque attribuite alla loro bottega, si trovano inoltre presso tutti i
centri della Diocesi di Piazza Armerina. Si tratta per lo più di fonti
battesimali, acquasantiere e monumenti funebri in marmo, sempre
caratterizzati da forme eleganti ispirate chiaramente ai principi di
imitazione dell’arte classica tipici dell’età rinascimentale.
Tra queste opere ricordiamo l’arco marmoreo, realizzato da Antonio
Gagini, situato all’ingresso della Cattedrale di Piazza Armerina60, ed il
monumento funebre di Giovanni Branciforti, collocato nel chiostro
dell’attuale municipio di Mazzarino, ex convento dei Padri Carmelitani61.
Numerose sono anche le statue lignee che si trovano all’interno di gran
parte delle chiese della diocesi, rappresentanti principalmente figure di 58 G. GANGI, op. cit., pp. 12-13 59 A. RAGONA, Arte ed artisti nel Duomo di Enna, Caltagirone (CT), 1976, p. 8 60 A. RAGONA, Il Santuario di Maria SS. delle Vittorie a Piazza, cit. 61 A. D’ALEO, Mazzarino e la sua storia, San Cataldo (CL), 1991, p. 58
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Santi e della Madonna. Le opere di questo genere più belle e suggestive
sono tuttavia i Crocifissi in legno scolpito e dipinto, realizzati a
grandezza naturale con grande realismo, carichi di pathos e di grande
tensione emotiva. In questo particolare tipo di realizzazioni si distinse
nell’area di Piazza Armerina Frate Umile Pintorno da Petralia, vissuto a
cavallo tra il XVI ed il XVIII secolo62, autore del Crocifisso conservato
presso la chiesa di Sant’Anna ad Aidone e probabilmente anche di quello
della chiesa di Santa Maria di Gesù a Pietraperzia, oltre che di numerose
altre opere simili, custodite però in paesi che non ricadono all’interno
della circoscrizione religiosa oggetto del presente studio.
Le chiese della diocesi possiedono inoltre moltissimi dipinti su tela, per
lo più di discreta fattura, realizzati generalmente da artisti locali. Assieme
a questi tuttavia troviamo anche tele di buona ed eccellente fattura, opera
di pittori più rinomati.
Era Palermo il centro di riferimento in ambito pittorico per la ricca
committenza nobiliare dell’entroterra, per cui la maggior parte delle
opere è stata commissionata ad artisti attivi in area palermitana.
Importante fu poi la presenza nella zona nei primi anni del Seicento del
pittore Filippo Paladini, famoso esponente del manierismo italiano,
proveniente dalla toscana, trasferitosi in Sicilia e rimasto nell’isola fino
alla sua morte. Egli, si stabilì ed operò proprio in questa area lasciandoci
numerosi dipinti a soggetto religioso. Tra i quadri da lui realizzati
ricordiamo il ciclo di cinque tele, raffiguranti le storie della Madonna,
collocate nell’abside principale del Duomo di Enna, ed il quadro
raffigurante l’Assunta, presente nella Cattedrale di Piazza Armerina.
Altre sue opere si trovano presso i centri di Barrafranca, Pietraperzia e
Mazzarino, paese nel quale anche risiedeva63.
62 S. CORRENTI, op. cit., p. 198 63 Ibidem, p. 211
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Abbiamo già accennato in precedenza alla presenza a Mazzarino di un
dipinto del pittore caravaggesco Mattia Preti, raffigurante il Martirio di
Santo Stefano, commissionatogli intorno alla fine del secolo XVII.
Altro grande esponente della pittura siciliana di età barocca, attivo anche
in alcuni dei centri della diocesi di Piazza Armerina, fu poi il pittore
fiammingo Guglielmo Borremans, stabilitosi a Palermo nei primi anni del
Settecento, autore di importanti cicli di affreschi e di numerosi dipinti.
Egli è l’autore degli affreschi che decorano interamente l’interno della
chiesa di San Giovanni Evangelista a Piazza Armerina e di alcuni dei
dipinti conservati nel Duomo di Enna. Alla sua scuola sono poi attribuite
numerose altre opere presenti in alcune delle chiese della zona64.
Giungendo infine alle realizzazioni architettoniche va precisato che la
maggior parte di queste sono state realizzate da costruttori il più delle
volte anonimi e da maestranze locali. Si tratta di capomastri e maestri
muratori che generalmente si formavano presso i cantieri di alcune delle
città maggiori, e che quindi in virtù della loro esperienza sul campo
venivano chiamati a loro volta a realizzare degli edifici.
I progetti per le costruzioni più importanti invece venivano affidati ad
architetti ben più esperti e famosi. Così sappiamo che a Piazza Armerina,
per la realizzazione della nuova chiesa madre della città, vennero
convocati alla fine del secolo XVI a redigere un primo progetto
l’architetto napoletano Francesco Zaccarella e il fiorentino Giulio Lasso,
autore dei famosi “Quattro Canti” a Palermo. Tale progetto tuttavia non
ebbe seguito ed alcuni anni dopo un nuovo progetto fu ideato in
collaborazione dagli architetti Natale Masuccio, gesuita proveniente da
Trapani, Simone Gullì, di Messina ed ideatore della “Palazzata”, e
Giovanni Maffei, toscano. Anche in questo caso il loro progetto fu
abbandonato e solo parecchi anni dopo venne sostituito da una nuova
64 G. DI MARZO, Guglielmo Borremans di Anversa. Pittore fiammingo in Sicilia, Gela (CL), 1982
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idea progettuale opera dell’architetto romano Orazio Torriani, allievo di
Domenico Fontana65.
Non del tutto certa è inoltre la partecipazione alla stesura del progetto per
la chiesa madre di Mazzarino dell’architetto gesuita Angelo Italia66, tra i
più famosi del barocco siciliano, attivo nella seconda metà del Settecento
a Palermo ma anche nella sicilia orientale, durante i primi anni della
ricostruzione successiva al terremoto.
Forti furono anche le influenze dell’architetto siracusano Rosario
Gagliardi su alcuni dei centri più vicini alla città di Caltagirone.
Il Gagliardi infatti, famoso per le sue originali creazioni architettoniche
presso i centri di Noto e Ragusa Ibla, che sono tra le più belle ed originali
dell’architettura barocca siciliana, ci ha lasciato in questa città importanti
edifici di tipo religioso, ed è molto probabile che alla sua scuola si siano
formati capomastri come Silvestro Gugliara, attivo a Niscemi ed ideatore
della chiesa dell’Addolorata e probabilmente anche di quella della
Madonna del Bosco, ispirate sicuramente ai disegni del Gagliardi, tanto
da essere per lungo tempo erroneamente attribuite a questi67.
65 A. RAGONA, op. cit. 66 P. DI MARTINO, op. cit., p. 44 67 G. B. COMANDE’, op. cit., pp. 81-82
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CAPITOLO 3
Le pietre ornamentali nell’architettura barocca
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Marmi e Diaspri. Litotipi principali e loro località di cava Con il termine marmo in ambito petrografico si indica un particolare tipo
di roccia metamorfica generatasi in seguito al metamorfismo di
preesistenti rocce sedimentarie di tipo calcareo e/o dolomitico, ovvero di
rocce costituite in prevalenza da carbonato di calcio (CaCO3), oppure da
carbonato di calcio e magnesio [CaMg(Co3)2], e da percentuali di
impurità, variabili dallo 0 al 15 %, che ne determinano di fatto il colore.
Tuttavia, nonostante la sua definizione sia così precisa, il termine viene
correntemente usato in una accezione molto più ampia, derivatagli sin
dalla antichità romana dall’ambito commerciale, che non tiene conto di
quella che è la classificazione delle rocce messa a punto dai geologi, per
indicare tutte le pietre, ma soprattutto i materiali calcarei in grado di
acquistare lucentezza attraverso la levigatura e la lucidatura.
Anche nel presente lavoro il termine, in maniera generica, viene utilizzato
per indicare anche litotipi che, da un punto di vista prettamente
geologico, non sono affatto dei marmi.
In realtà infatti tra i litotipi individuati negli altari di età barocca delle
chiese della Diocesi di Piazza Armerina sono pochissimi i marmi
propriamente detti, mentre più generalmente si tratta di calcari compatti a
grana fine, di brecce policrome, o di altro ancora, tutti sempre
caratterizzati da pigmentazioni molto vivaci, dovute alle impurità che
sono presenti nella roccia stessa, in quantità di volta in volta differenti.
È proprio a questa variabilità nella composizione delle pietre che si deve
la grande diversità cromatica dei litotipi, molto apprezzata dagli artisti,
ma tale da renderne spesso l’identificazione molto difficoltosa,
soprattutto se basata solamente su di un esame superficiale di tipo
macroscopico del campione lapideo.
Possiamo affermare quindi che il colore è la proprietà principale di un
marmo, soprattutto se utilizzato a scopo ornamentale, poichè è quella che
immediatamente balza allo sguardo dell’osservatore, determinandone il
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più delle volte l’apprezzamento e quindi la fortuna commerciale e di
utilizzo1. Grande importanza riveste poi la tessitura della pietra, dal
momento che anche questa, assieme al colore, ne accresce la valenza
decorativa, rendendola originale ed unica grazie al disegno che la Natura,
in maniera spontanea, ha creato2.
È ovvio quindi che in un periodo come quello barocco, in cui in ambito
artistico si prediligeva tutto ciò che è vivacità e colore, meraviglia e
sfarzo, dinamismo ed esuberanza di forme, tali materiali non potessero
venire ignorati dai committenti, e tanto meno dagli artisti.
I marmi policromi già nel corso del Rinascimento, divennero infatti i
materiali prediletti per la decorazione degli interni degli edifici,
rispolverando tecniche ornamentali che hanno avuto origine in età
romana3, e che in età barocca vengono riproposte con la creazione di
finissime composizioni ad intarsio, caratterizzate sempre da un disegno
articolato e complesso.
Ad essere maggiormente apprezzate in questa fase artistica sono quindi le
pietre dai colori più vivaci e dalle tessiture più originali e strane, e
soprattutto le brecce policrome, perché maggiormente rispondenti al
gusto estetico che nei secoli XVII e XVIII si era ormai diffuso in tutta
Italia, ed anche in Europa, ed è con tali materiali quindi che vengono
rivestite interamente in questi anni le pareti di gran parte degli edifici più
importanti, soprattutto di quelli a carattere religioso4.
Dicevamo prima che l’utilizzo delle pietre a scopo ornamentale risale
all’epoca romana. Fu infatti in questo periodo storico che ai marmi venne
attribuita grande importanza artistica, ma anche elevato valore
economico, il quale cresceva tanto più quanto la pietra era apprezzata dal
1 F. CALVINO, Lezioni di litologia applicata, Padova, 1967, pp. 92-98 2 P. MATTIAS, Minerali e rocce, Roma, 1991, p. 114 3 A. BONANNI, Interraso Marmore: esempi della tecnica decorativa a intarsio in età romana, in “Marmi antichi II, cave e tecnica di lavorazione, provenienze e distribuzione”, a cura di P. Pensabene, “ studi Miscellanei, 31, 1998, pp. 259-292 4 S. PIAZZA, op. cit., pp. 17-20
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punto di vista estetico, secondo il gusto del tempo, e quanto più questa
era rara oppure difficile da reperire.
Così vennero cavate in grande quantità pietre ornamentali in tutto
l’impero romano, soprattutto in Egitto, Asia Minore e Grecia.
Da questi luoghi infatti provenivano i porfidi ed i graniti più belli, i
marmi colorati e le brecce, ed i marmi bianchi utilizzati nella statuaria.
Importanti cave esistevano in età romana anche in Italia, e tra queste
meritano una particolare menzione quelle di Luni, una località nei pressi
di Carrara, nelle quali si estraeva il marmo detto appunto lunense, molto
diffuso a partire dalla età imperiale a Roma e riscoperto ed utilizzato in
grandi quantità in epoca rinascimentale e moderna5.
Tutte le pietre cavate, dalle lontane province dell’impero, giungevano
quindi nella capitale dove venivano utilizzate per la realizzazione degli
edifici pubblici più importanti, oppure venivano acquistate dai personaggi
più ricchi per le loro residenze private.
Il marmo infatti divenne ben presto uno status symbol nella società
romana, di cui fare sfoggio per esprimere il proprio prestigio e la propria
ricchezza, mantenendo questa sua valenza anche nei secoli successivi.
Tra le pietre più apprezzate in età romana, oltre al marmo lunense,
ricordiamo anche il porfido rosso egiziano, il porfido serpentino greco, il
granito rosso, sempre proveniente dall’Egitto, e quello violetto, estratto
invece in Turchia, il marmo luculleo, o Africano, anche questo cavato
nella penisola turca, il verde antico ed il marmo rosso tenario, importati
entrambi dalla Grecia, così come il bianco pentelico, utilizzato nella
statuaria e nella costruzione dei templi,oppure i marmi bianchi di Taso e
di Paro, provenienti dalle omonime isole situate nell’Egeo, solo per
citare alcuni dei più importanti e conosciuti a Roma6.
Caduto l’impero romano molte cave furono abbandonate, mentre altre
continuarono la loro produzione in età bizantina, quando addirittura ne
5 AA. VV., Marmi antichi, Roma, 1989, p. 248 6 R. GNOLI, Marmora romana, Roma, 1988
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furono aperte di nuove. In età medievale tuttavia l’attività estrattiva si
fermò del tutto ed i monumenti dell’antichità classica divennero loro
malgrado delle immense cave da cui ricavare materiale per la costruzione
di nuovi edifici. I marmi, e le pietre ornamentali in genere, continuarono
ad essere apprezzate dagli artisti e dai sovrani, ma non furono più cavate,
ricorrendo alla più comoda pratica del reimpiego di materiali romani e
bizantini per le loro nuove realizzazioni.
Tale tendenza fu mantenuta fino a tutto il Rinascimento, ed in particolare
la città di Roma, sotto la spinta della committenza papale, vide nascere in
questo periodo alcuni dei suoi più importanti e grandiosi edifici dalla
spoliazione sistematica degli antichi monumenti di età romana imperiale.
Fig. 1 Ubicazione delle principali cave dell’area mediterranea in età romana e rinascimentale – barocca. 1. Verde Alpi; 2. Verde di Calabria; 3. Alabastro di Palombara; 4. Portoro; 5. Rosso e Verde di Levanto; 6. Breccia di Seravezza; 7. Breccia Medicea; 8. Marmo di Carrara; 9. Pavonazzetto di Siena; 10. Giallo di Siena; 11. Nero Assoluto; 12. Alabastro a Pecorella; 13. Alabastro orientale egiziano; 14. Porfido Verde Antico (Serpentino); 15. Rosso di Francia; 16. Marmo Chio; 17. Verde Antico; 18. Broccatello di Spagna; 19. Giallo Antico; 20. Breccia Corallina; 21. Marmo Troadense; 22. Cipollino Rosso (Iassense); 23. Marmo Luculleo; 24. Graniti e Porfidi egiziani; 25. Marmo Tenario (Rosso Antico); 26. Marmo Pario.
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Con l’avvento della nuova sensibilità artistica barocca la grande richiesta
di materiale lapideo per scopi ornamentali fece sì che si rendesse
necessario provvedere all’individuazione ed allo sfruttamento di nuove
cave nell’ambito stesso della penisola italiana, ricercando possibilmente
pietre che fossero “barocche”, meglio se simili nell’aspetto ai più famosi
litotipi di età romana, non più direttamente reperibili ma ancora famosi e
ricercati.
Non venne abbandonata inoltre la diffusissima pratica del reimpiego del
materiale antico, rinvenuto in occasione di scavi presso siti di età romana,
mentre si importarono anche pietre estere, provenienti soprattutto dalla
Francia, dal Belgio e dalla Spagna.
Tra queste le maggiormente utilizzate in Italia durante il periodo barocco
furono il Rosso di Francia, detto anche rosso Linguadoca, il Broccatello
di Spagna7, cavato presso Tortosa e conosciuto anche dai romani, e le
pietre nere provenienti dal Belgio.
In particolare fu la potente e ricca famiglia fiorentina de’ Medici a
dedicarsi nel Cinquecento alla cavatura, al commercio ed alla lavorazione
delle pietre ornamentali, rimettendo in funzione nell’area apuana vecchie
cave di età romana oppure aprendone delle nuove.
Sono infatti molto famose, ed anche molto utilizzate dagli artisti di tutta
Italia in questi anni, le brecce medicee ed i marmi, per lo più gialli,
provenienti dalla montagnola senese. Altre cave furono invece attivate in
territorio ligure, in Valle D’Aosta, in Calabria ed anche in Sicilia.
Tra le pietre più utilizzate in questo periodo dagli artisti, assieme a quelle
già citate di importazione, alla breccia medicea ed al marmo giallo
senese, abbiamo i verdi aostani e calabresi, molto simili al verde antico
proveniente dalla Grecia usato dai romani, il marmo nero portoro e quelli
7 R. FALCONE – L. LAZZARINI, Note storico – scientifiche sul Broccatello di Spagna, in “Marmi antichi II”, cit. in nota 4, pp. 87-97
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rossi e verdi di Levanto, tutti cavati in Liguria, ed il libeccio, molto
famoso in età barocca, proveniente dalla Sicilia8.
In particolare in Sicilia, oltre al libeccio, conosciuto anche con il nome di
diaspro tenero di Sicilia e cavato a Custonaci, nei pressi di Trapani, che,
come già detto, ebbe larga diffusione a Roma ed in tutta Italia in età
barocca per la sua particolare e vivace cromia, furono cavate anche pietre
di ogni genere e colore, soprattutto nella parte occidentale dell’isola,
presso il trapanese ed il palermitano, mentre nella parte orientale gli unici
marmi ad avere una buona diffusione tra i marmorari dell’epoca furono
quelli rossi, grigi e neri dell’area di Taormina, conosciuti già in età
romana con il nome di marmora taumeritama9.
Fig. 2 Ubicazione delle principali cave siciliane in età barocca
8 R. LA DUCA, Ricerca, criteri e metodi per lo studio dei monumenti storici in relazione all’impiego dei marmi e delle pietre, in “Marmo Tecnica Architettura”, VI, 1965, pp. 5-24 9 G. MONTANA – V. GAGLIARDO BRIUCCIA, I marmi e i diaspri del Barocco siciliano, Palermo, 1998, pp. 54-70
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Tra i litotipi siciliani più diffusi nell’isola ricordiamo quindi, insieme a
quelli già menzionati, anche il giallo di Castronovo, che riscaldato
assume delle sfumature tendenti al rosso - arancio, il rosso di San Vito Lo
Capo, il giallo di Segesta, il marmo grigio di Billiemi, il nero di Erice.
Si tratta ovviamente dei marmi che maggiormente trovarono impiego
nelle fastose decorazioni realizzate in Sicilia dagli artisti in questo
periodo, assieme a quelli di reimpiego ed a quelli importati dalla penisola
italiana, soprattutto dalla Liguria e dalla Toscana10, oppure dall’estero;
tuttavia ne circolavano in Sicilia anche molti altri, sempre cavati
nell’isola, che però hanno trovato un impiego assai più limitato e per lo
più relativo alle aree più prossime alle località in cui questi stessi
venivano estratti.
Le pietre ornamentali più belle ed apprezzate dagli artisti in età barocca
furono però i diaspri propriamente detti, ovvero pietre dure caratterizzate
da originali tessiture e cromie, e da un elevato valore economico, tanto da
essere considerati dei materiali semipreziosi, utilizzati soprattutto per la
realizzazione di oggetti ornamentali di dimensioni contenute.
Si tratta in realtà di rocce piuttosto comuni in natura, corrispondenti dal
punto di vista geologico a selci più o meno stratificate, contenenti
impurità varie (ossidi di Ferro, Manganese, ecc.), disperse nella massa
lapidea, che ne determinano la colorazione, e quindi il particolare aspetto
esteriore, rendendole di fatto preziose e differenziandole notevolmente
dalle più comuni selci11.
Si formano dalla precipitazione marina della silice di origine chimica, per
saturazione del contenuto in acido silicico (H4SiO4), oppure di origine
biologica, per sedimentazione di scheletri silicei di micro organismi.
10 Ibidem, pp. 71-74 11 L. LAZZARINI – P. EVANGELISTA, La Collezione ex Kircheriana di Diaspri siciliani del Museo di Mineralogia alla <<Sapienza>>, in “Marmi antichi II” cit. in nota 4, pp. 393-394
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Proprio a causa di questa loro composizione mineralogica sono
caratterizzate, oltre che da una particolare bellezza, anche da una
notevole durezza superficiale, ragione per cui vengono denominate
“pietre dure” e la loro lavorazione risulta particolarmente difficoltosa e
tale da richiedere grande sforzo ed abilità, oltre che perizia.
I diaspri in area mediterranea ebbero largo utilizzo già presso i
Mesopotamici e successivamente anche presso gli Egizi, i Minoici ed i
Micenei. Furono apprezzati ed utilizzati dai Greci, ed anche in età
romana ebbero una larga diffusione.
Si continuò ad utilizzarli in età Bizantina e poi Medievale, anche se in
quantità e per opere più modeste, ma fu nel Rinascimento che si ebbe una
ripresa su vasta scala della ricerca e della lavorazione dei diaspri.
Ciò avvenne soprattutto grazie all’interesse manifestato per le pietre dure
da parte di Lorenzo de’ Medici, il quale fece pervenire a Firenze da ogni
parte del mondo alcune tra le più belle pietre allora in circolazione.
Il Magnifico incrementò così la propria collezione di oggetti realizzati in
pietre dure, favorendo anche la nascita di laboratori specializzati nella
loro lavorazione, gettando così le basi per la creazione nel 1588
dell’Opificio delle Pietre Dure, presso la stessa città di Firenze12.
Molti dei diaspri più apprezzati nel Rinascimento e poi in età barocca
provenivano proprio dalla Sicilia e furono utilizzati in grande quantità in
tutta la penisola italiana ma soprattutto a Firenze, dove gli intagliatori li
impiegavano per la realizzazione dei piani dei tavoli a commesso,
riducendoli in lastre sottilissime che andavano a costituire ricche
composizioni ad intarsio, caratterizzate da ricchi intrecci di tipo
geometrico, floreale e zoomorfo13.
In Sicilia furono largamente utilizzati dai marmorari nella realizzazione
degli altari in pietre ornamentali colorate, soprattutto a Palermo,
impiegandoli in particolare per il rivestimento della zona del tabernacolo,
12 Ibidem, pp. 392-393 13 Ibidem, p. 393
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attribuendo così al materiale una valenza simbolica e quindi il compito di
sottolineare con la sua preziosità l’importanza del contenuto presente
all’interno del tabernacolo stesso.
Anche in questo caso le principali località di provenienza delle pietre
dure di Sicilia sono situate nella parte nord - occidentale dell’isola; in
particolare famosi in tutta Italia sono i diaspri gialli, rossi e verdi
provenienti da Giuliana, nel palermitano14.
Tra i diaspri più conosciuti ed utilizzati negli altari delle chiese
ricordiamo anche quelli di Monreale, Santa Cristina Gela, Piana degli
Albanesi, Caccamo, Cammarata, Termini Imerese, Collesano, Cefalù e
Prizzi, sempre in area palermitana, mentre nella parte orientale della
Sicilia le varietà più belle, generalmente screziate, sono state rinvenute
nei pressi di Taormina15.
14 G. MONTANA – V. GAGLIARDO BRIUCCIA, op. cit., pp. 76-78 15 Ibidem, p. 81
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Utilizzo delle pietre ornamentali all’interno delle chiese: principali tecniche e motivi decorativi L’abbondanza delle pietre ornamentali, di ogni colore e varietà, che come
abbiamo visto caratterizzava la Sicilia, e gli stretti rapporti commerciali
che già nel Cinquecento esistevano soprattutto con la Toscana16, i quali
favorivano l’approvvigionamento di marmi apuani e liguri, ma anche la
diffusione di temi e motivi decorativi relativi alle nuove concezioni
artistiche rinascimentali, fecero si che nell’isola rapidamente si creassero
i presupposti necessari allo sviluppo di attività artistiche e decorative
connesse alla tecnica dell’intarsio marmoreo.
In Sicilia inoltre esistevano condizioni politiche, sociali, economiche e
culturali particolarmente favorevoli alla diffusione di tale fenomeno
artistico, tanto che questo diventerà l’elemento caratterizzante del
barocco siciliano, soprattutto a partire dai primi anni del secolo XVII,
quando verranno realizzati i programmi decorativi più imponenti e
sfarzosi, relativi soprattutto ad edifici a carattere religioso17.
Le tecniche della tarsia e del commesso marmoreo erano già state
ampiamente utilizzate nelle decorazioni dei monumenti normanni, per cui
si può affermare che queste costituissero un elemento della tradizione
artistica siciliana, ancora vivo e presente nella memoria degli artisti,
soprattutto perché legato ad un periodo di splendore per la Sicilia, che
ancora nel Seicento rimpiangeva tale glorioso passato18.
Gli ordini religiosi e le più alte cariche ecclesiastiche inoltre disponevano
in questo periodo di immensi patrimoni finanziari, accumulati grazie alle
cospicue donazioni che costantemente ricevevano e , nel caso degli ordini
religiosi, grazie alle ricche doti dei figli cadetti delle famiglie
16 S. BOSCARINO, La Sicilia ed i marmorari toscani, in “Catalogo della Mostra <<Firenze e la Toscana dei Medici nell’Europa del ‘500: il potere e lo spazio. La scena del Principe>>, Firenze, 1980 17 S. PIAZZA, op. cit., pp. 17-18 18 G. MONTANA – V. GAGLIARDO BRIUCCIA, op. cit., p. 14
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aristocratiche, le quali, per non smembrare il loro patrimonio, li
spingevano ad abbracciare la vita religiosa.
Questa grande quantità di denaro veniva il più delle volte quindi investita
nella realizzazione di sontuosi programmi architettonici che riguardavano
la ristrutturazione delle vecchie chiese, non più adatte alle esigenze del
tempo, e la costruzione di nuovi ed imponenti edifici per il culto,
generalmente annessi a grandi monasteri.
La Spagna inoltre, a quel tempo detentrice del governo dell’isola, aveva
fatto del cattolicesimo il proprio instrumentum regni, incoraggiando così
gli aristocratici, laici o anche ecclesiastici, a fare sfoggio della propria
religiosità, prestigio e ricchezza commissionando agli artisti sfarzose
opere in marmo a cui legare il proprio nome e quello del proprio casato19.
La tecnica della decorazione ad intarsio, pur presente come abbiamo visto
nella tradizione artistica siciliana, si sviluppò in Sicilia grazie alla
presenza nell’isola di artisti provenienti dal continente, soprattutto da
Firenze e da Roma, centri guida per l’arte italiana di questi anni, e quindi
sotto l’influenza delle nuove tendenze artistiche che caratterizzarono il
rinascimento fiorentino e romano, e successivamente il periodo barocco.
Si manifestò inizialmente in forme molto semplici nella decorazione dei
sarcofagi e delle targhe celebrative, realizzata appunto con tessere
marmoree policrome. Solo successivamente tale tecnica raggiunse i suoi
livelli più elevati con la realizzazione di complessi motivi decorativi
negli interni delle chiese, dove a partire dalla seconda metà del ‘600 si ha
il proliferare di rilievi e tarsie in marmi policromi, eseguiti secondo la
tecnica detta “a marmi mischi e tramischi”20.
La Sicilia in questo particolare ambito si distinse nettamente dalle
analoghe vicende artistiche della penisola per l’esuberanza e la ricchezza
delle composizioni che furono realizzate in questi anni, caratterizzate
soprattutto da vivaci cromie e da un ininterrotto alternarsi di figure
19 S. PIAZZA, op. cit., pp. 17-18 20 G. MONTANA – V. GAGLIARDO BRIUCCIA, op. cit., p. 14
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vegetali, animali, umane e zoomorfe, imponendosi quindi come qualche
cosa di fortemente originale e prettamente siciliano, nell’ambito del
panorama artistico generale italiano21.
Saranno soprattutto i centri di Messina e di Palermo ad accogliere e
sviluppare in maniera originalissima tale tipo di composizione tanto che,
in particolare nella città capitale, non esiste chiesa di una certa
importanza, realizzata e decorata in questo periodo, che non presenti il
suo interno completamente ricoperto da questo genere di ornamento.
Il primo esempio di decorazione realizzata in marmi policromi a Palermo
era stato quello relativo alla Cappella di Santa Rosalia, presso la chiesa
Cattedrale della città, opera dell’architetto Mariano Smiriglio dei primi
anni del secolo XVII22, oggi non più esistente perché la cappella venne
eliminata durante dei lavori di risistemazione e restauro del Duomo,
realizzati nel corso del Settecento sotto la guida del Fuga, famoso
architetto napoletano23.
Il caso più famoso ed eclatante a Palermo, ed in tutta l’isola, di
decorazione a mischio è tuttavia quello della chiesa del Gesù di Casa
Professa, appartenente all’ordine dei gesuiti, il più ricco e potente in
questo periodo, terminata nella prima metà del Seicento ed interamente
rivestita di tarsie in marmi colorati, intrecci floreali, volute, figure umane
ed animali, tali da suscitare profondo stupore e meraviglia in chiunque si
ritrovi ad ammirarla24.
Altri importanti esempi realizzati sempre a Palermo negli stessi anni sono
quelli della chiesa del SS. Salvatore, di S. Caterina, di S. Maria in
Valverde, della cappella del Rosario, presso la chiesa di Santa Cita e di
quella dell’Immacolata, nella chiesa di San Francesco d’Assisi25.
21 S. PIAZZA, op. cit., p. 20 22 S. BOSCARINO, Sicilia Barocca, cit., p. 109 23 Ibidem, pp. 146-147 24 S. PIAZZA, op. cit., p. 37 25 G. TAMBURELLO, La grande decorazione in marmi a colore delle chiese di Palermo nel XVI e XVII secolo, in “Pamormus”, I, 3-4, 1920
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Così come a Palermo anche a Trapani ed a Monreale, e più in generale
nella Sicilia nord-occidentale, troviamo esempi di decorazioni a mischio
simili per sfarzo, complessità ed estensione tale da ricoprire intere pareti
di cappelle, o addirittura la totalità degli interni delle chiese.
Di contro nella parte orientale dell’isola la diffusione di questa pratica
decorativa risulta molto più contenuta e limitata a casi sporadici,
prediligendo invece i committenti e gli artisti la costruzione di eleganti ed
altrettanto sfarzosi altari marmorei, realizzati in grande quantità ed in
svariate forme e dimensioni, sempre secondo la tecnica dell’intarsio.
Dal punto di vista tecnico la decorazione a tarsia marmorea trae origine e
si richiama direttamente a quella tipicamente romana dell’opus sectile
utilizzata per il rivestimento dei pavimenti e delle pareti. Tuttavia non va
confusa completamente con questa dal momento che mentre nel caso
dell’opera sectilia le lastre marmoree sono collocate una accanto all’altra
su di un sottofondo di calce, nell’intarsio invece queste sono posizionate
all’interno di incavi precedentemente realizzati su di una lastra marmorea
che funge quindi da supporto per la composizione. Anche questa tecnica
era conosciuta presso i romani con il nome di interraso marmore, ma
venne applicata su ampia scala solo a partire dal tardo Quattrocento e nel
Rinascimento dai marmorari romani e fiorentini26.
Abbiamo già detto che in Sicilia le opere decorative ad intarsio marmoreo
sono meglio conosciute come “opere mischie” oppure “tramischie”. Nel
primo caso si tratta di tarsie bidimensionali, mentre nel secondo di opere
caratterizzate da parti a rilievo, talvolta dal notevole valore plastico tanto
da costituire un vero e proprio apparato scultoreo27.
Per la loro esecuzione veniva utilizzata quindi una lastra di base,
generalmente in marmo cristallino bianco, dello spessore variabile dai 4
agli 8 cm, nella quale venivano realizzati con grande precisione degli
26 L. LAZZARINI, recensione al testo “I marmi e i diaspri del barocco siciliano”, in “Recupero e Conservazione”, Anno V, 27, Aprile – Maggio 1999, pp. 10-11 27 G. MONTANA – V. GAGLIARDO BRIUCCIA, op. cit., p. 13
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incavi della profondità variabile dai 6 ai 10 mm, mentre le parti che
dovevano rimanere bianche venivano lasciate a rilievo .
Negli incavi venivano poi inserite ad incastro, e fissate con un collante, le
lastre lapidee policrome, opportunamente sagomate.
Al termine dell’inserimento delle pietre colorate l’opera veniva rifinita
con l’applicazione di particolari stucchi colorati per riempire gli eventuali
vuoti generatisi da una non perfetta rispondenza tra le lastre e gli incavi
che devono contenerle, oppure le linee appositamente realizzate mediante
un incavo a sezione triangolare, aventi scopo puramente ornamentale. Il
tutto veniva infine accuratamente levigato e lucidato ed applicato alla
parete attraverso l’utilizzo di zanche metalliche inserite nella muratura28.
Per l’esecuzione dei tramischi venivano impiegate invece lastre di base di
marmo di spessore tale da consentire che venissero ricavate, mediante
scalpellamento, tutte le parti in aggetto, oltre agli incavi destinati ad
accogliere i marmi colorati, che di solito in questi casi erano eseguiti con
maggiore profondità nella lastra29.
Lo stesso procedimento veniva utilizzato per la decorazione, oltre che
delle pareti, anche degli altari, oppure delle balaustre, dei fonti
battesimali, dei sarcofagi e delle acquasantiere, di cui numerosi esempi
sono stati individuati nelle chiese della Diocesi di Piazza Armerina.
Nel caso degli altari marmorei in particolare va sottolineato come molto
spesso si tratta di vere e proprie architetture in miniatura, nelle quali con
più libertà gli artisti-architetti di età barocca potevano dare libero sfogo
alla loro creatività attraverso l’invenzione di complesse ed articolate
forme e di tabernacoli simili ai prospetti degli edifici religiosi realizzati in
questi anni, con colonnine libere, volute ed aggetti, che sono poi la
caratteristica principale, assieme alle tarsie dei paliotti ed ai rivestimenti
in marmi policromi, di queste composizioni, così diffuse anche nei centri
minori dell’isola.
28 R. LA DUCA, op. cit., p. 17 29 Ibidem, p. 21
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Architetti, marmorari e maestranze specializzate Il processo che portava alla realizzazione degli splendidi apparati
decorativi realizzati in marmi policromi in età barocca era alquanto
complesso e vedeva coinvolte nei diversi momenti della realizzazione
varie figure a partire dai committenti, che finanziavano il progetto
dettando le linee guida ed i contenuti principali che l’opera doveva
soddisfare, ai teologi, che si occupavano di fornire agli artisti precise
indicazioni su quali storie o figure bibliche rappresentare, sulla sequenza
iconografica da rispettare e sui fini morali e devozionali da seguire30, agli
architetti-artisti, che invece eseguivano i disegni ed i modelli, fino ad
arrivare alle maestranze specializzate nell’intaglio della pietra, ovvero i
marmorari, o lapidum incisores31, i quali materialmente eseguivano
l’opera, seguendo le precise indicazioni fornite dagli artisti.
Oggi conosciamo i nomi di molti degli artisti che a partire dal secolo
XVII idearono gran parte delle decorazioni a mischio eseguite nella città
di Palermo, che costituisce il luogo in cui principalmente questa
particolare forma d’arte si espresse raggiungendo i suoi livelli più elevati.
Si trattava generalmente di architetti appartenenti ad ordini religiosi di
vario genere, detentori di un vero e proprio monopolio sulla cultura e
sull’istruzione in questa epoca. Oltre agli architetti in alcuni casi, anche
se rari, troviamo dei pittori chiamati a dare forma ai programmi
iconografici e decorativi messi a punto dai teologi.
Tra gli architetti ricordiamo Mariano Smiriglio, attivo anche come
pittore, a cui viene attribuita la prima cappella interamente decorata da
tarsie marmoree presso il Duomo di Palermo; il gesuita Angelo Italia,
autore del disegno della decorazione della cappella del Crocifisso del
Duomo di Monreale; Andrea Palma, progettista di una parte della
decorazione della chiesa di Santa Caterina; Nicolò Palma, attivo presso la 30 S. PIAZZA, op. cit., p. 21 31 G. CHIELLO, I materiali lapidei ornamentali negli interni delle chiese barocche di Catania, Tesi di Laurea, rel. Prof. L. Lazzarini, IUAV, a.a. 1995-96, pp. 31-32
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chiesa di Santa Chiara; Giacomo Amato, autore assieme al più famoso
Paolo Amato delle decorazioni marmoree della chiesa di San Carlo alla
Fieravecchia; Natale Masuccio, trapanese ed anche lui appartenente alla
Compagnia di Gesù, autore del complesso (chiesa + Collegio) dei gesuiti
a Trapani e delle decorazioni degli interni32.
Tuttavia il più grande protagonista della decorazione barocca a Palermo
fu l’architetto Paolo Amato, ideatore degli apparati decorativi delle chiese
più importanti della città. Il suo nome è rimasto maggiormente legato alla
chiesa palermitana del SS. Salvatore, che egli progettò dalle fondamenta,
dirigendone i lavori di costruzione e disegnandone infine le decorazioni
dell’interno realizzate appunto in marmi policromi. Lavorò inoltre presso
il cantiere di casa Professa, dove si dedicò alla realizzazione del
rivestimento marmoreo della cappella dell’Immacolata. Figura anche
quale progettista delle strutture murarie e degli apparati decorativi della
chiesa di Santa Chiara, oggi non più esistenti33.
Tra i pittori attivi sempre a Palermo negli stessi anni, coinvolti nella
decorazione marmorea degli interni degli edifici religiosi, non vanno
dimenticati Vincenzo Marchesi e Antonio Vasquez, autori dei disegni di
parte della decorazione degli interni di Casa Professa34.
Anche nella parte orientale dell’isola in questi stessi anni si procedeva
alla realizzazione di simili opere di decorazione, anche se si trattava per
lo più di esempi sporadici, nei quali mai furono raggiunti i livelli di
eccellenza visti nella città di Palermo.
I centri che videro sorgere le principali realizzazioni in questo ambito
artistico furono quelli di Messina e di Catania, che ricoprirono anche il
ruolo di centri guida per le città ed i centri minori che gravitavano nella
loro sfera di influenza politica, economica e culturale.
32 S. PIAZZA, op. cit., pp. 22-23 33 Ibidem, pp. 23-24 34 Ibidem, p. 28
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Anche qui troviamo attivi, quali ideatori dei complessi disegni e dei
motivi iconografici delle decorazioni marmoree, soprattutto gli architetti.
Da Messina in particolare proveniva la famiglia di esperti intagliatori ed
edificatori degli Amato, attiva a Catania nella ricostruzione della città
intrapresa dopo che il terremoto del 1693 la aveva rasa al suolo35.
A questa famiglia apparteneva Antonio Amato, presente quale architetto
agli inizi del Settecento presso il grande cantiere del monastero dei
benedettini. A lui successe alla guida della fabbrica il figlio Andrea,
protagonista del panorama architettonico catanese nella prima metà del
secolo XVIII, assieme agli architetti Francesco ed Antonino Battaglia e
Stefano Ittar36. Egli, oltre che architetto anche stuccatore e scultore, è
l’autore nel 1737 del progetto per la decorazione marmorea della cappella
della Madonna della Visitazione, presso il Duomo di Enna, interamente
rivestita da tarsie marmoree e da un ricco apparato scultoreo37.
Mentre i nomi dei committenti e quelli degli architetti ed artisti coinvolti
nella realizzazione delle decorazioni marmoree ad intarsio sono spesso
noti, quelli delle maestranze esecutrici sono per lo più sconosciuti,
eccetto nei casi in cui la presenza dei contratti stipulati per l’attuazione di
tali lavori non ne hanno rivelato i nomi, fornendoci così qualche
frammentaria notizia su di esse.
L’apparato decorativo, dopo essere stato concepito e disegnato dagli
artisti,e successivamente approvato dalla committenza, veniva realizzato
da una numerosa schiera di artisti e maestranze specializzate di cui
facevano parte scultori, pittori, stuccatori, intagliatori, marmorari,
muratori, indoratori, fabbri e maestri d’ascia38.
Tra questi gli unici a godere di una certa libertà creativa nella
realizzazione dell’opera erano gli scultori, dal momento che spesso gli
35 L. SARULLO, Dizionario degli artisti siciliani (Architettura, scultura, pittura), Palermo, 1993, vedi alla voce Amato 36 G. POLICASTRO, op. cit. 37 A. RAGONA, Arte ed artisti nel Duomo di Enna, cit., pp. 28-29 38 S. PIAZZA, op. cit., p. 29
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architetti fornivano loro gli ingombri principali lasciandogli una certa
libertà nella definizione finale della creazione. Tutti gli altri invece
dovevano attenersi rigorosamente alle indicazioni degli artisti, ed in
particolare ai marmorari, che di fatto erano coloro che eseguivano le
tarsie marmoree, veniva richiesta una grande capacità tecnica ma nessun
contributo creativo o interpretativo39.
Questi appartenevano generalmente a vere e proprie famiglie che per
generazioni si tramandavano di padre in figlio l’arte della tarsia
marmorea. Erano organizzati in botteghe, e più in generale si associavano
tra loro in corporazioni di mestiere e confraternite, regolate da statuti40.
Oggi, attraverso i contratti stipulati con la committenza, conosciamo i
nomi di alcune di queste famiglie di marmorari e scultori, autori oltre che
delle decorazioni parietali anche degli altari marmorei che arredano quasi
tutte le chiese realizzate in questo periodo.
In particolare a Catania ricordiamo, tra le tante famiglie di marmorari e
scultori esistenti ed attive in questi anni, quella dei Marino, la cui bottega
risulta presente anche in diverse realizzazioni nei centri dell’entroterra
siciliano, tra cui anche la stessa Piazza Armerina41.
Nel caso degli altari marmorei in particolare erano gli stessi marmorari il
più delle volte, e soprattutto in occasione di commissioni di secondaria
importanza, ad ideare e realizzare interamente la composizione,
concependone il disegno architettonico ed occupandosi personalmente
della fase decorativa, e quindi della scelta, della lavorazione e della
messa in opera dei marmi.
39 Ibidem, p. 31 40 M. R. NOBILE, Un altro Rinascimento: architetti, maestranze e cantieri in Sicilia, Benevento, 2002 41 DEMETRA società cooperativa a.r.l. (a cura di), Monumenti di Piazza Armerina, Vol. I, Piazza Armerina, 1989
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SCHEDE DI ANALISI
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Premessa alle schede di analisi degli edifici religiosi studiati Nell’ambito della Diocesi di Piazza Armerina è stata effettuata una
accurata ricognizione con il fine di individuare tutti gli altari marmorei
realizzati tra la fine del secolo XVI e la fine del secolo XVIII, decorati da
pietre ornamentali colorate, presenti all’interno delle chiese dei comuni
facenti parte di questa circoscrizione religiosa.
Grazie alla disponibilità dei parroci della diocesi, custodi di questo ricco
patrimonio artistico, è stato possibile così individuare 45 altari marmorei,
rispondenti per le loro caratteristiche alla tipologia oggetto del presente
studio, localizzati entro 26 edifici religiosi differenti. Solo le chiese di tre
dei dodici comuni appartenenti alla Diocesi di Piazza Armerina (Butera,
Villarosa, Valguarnera) sono risultate completamente prive di tali opere.
Per ciascuno di questi altari l’indagine sui litotipi è stata eseguita
esclusivamente sulla base di un esame visivo diretto, prendendo in
considerazione le caratteristiche macroscopiche delle pietre (colore,
struttura, tessitura, ecc.) e confrontando queste con i campioni di certa
identificazione, presenti sui manuali e nelle litoteche, senza l’ausilio di
analisi di laboratorio. Attraverso tale metodologia tuttavia non sempre si
riesce a pervenire ad una identificazione certa del materiale lapideo a
causa della grande varietà tessiturale e cromatica di alcuni litotipi. Solo
indagini più approfondite, basate su ricerche archivistiche ed analisi
microscopiche dei campioni marmorei, potranno sciogliere i dubbi
lasciati in sospeso dal presente lavoro, come l’esatta identificazione degli
alabastri calcarei presenti in alcuni degli altari esaminati, per i quali è
stata fornita solo una identificazione petrografica generica, oppure quello
relativo ai due differenti marmi di colore verde (Verde Alpi e Verde di
Calabria), molto simili tra loro e quindi difficilmente distinguibili a vista.
Nel caso di alcune pietre ornamentali inoltre non si è riusciti a pervenire
ad una soddisfacente identificazione per cui queste sono state indicate
nelle mappature con la sigla n.i. (marmo non identificato).
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Tutti i dati sono stati organizzati all’interno di schede di analisi, suddivise
per paesi, riguardanti ognuna di volta in volta uno degli edifici esaminati.
Per ciascuna chiesa sono state quindi fornite brevi notizie sulle sue
vicende storiche, tratte dalla bibliografia relativa all’edificio o alla
località in questione, ed una sommaria descrizione delle sue
caratteristiche principali (impianto, prospetto esterno, caratteristiche
dell’interno, presenza di ulteriori opere d’arte degne di menzione).
All’interno della scheda stessa sono infine riportati gli altari marmorei
presenti nell’edificio in questione, con la mappatura dei litotipi utilizzati,
una semplice descrizione architettonica dell’opera, e le principali notizie
riguardanti il periodo di realizzazione, la committenza e gli artisti, o le
maestranze, che li hanno eseguiti, qualora tali informazioni fossero note
attraverso la semplice consultazione della bibliografia specifica.
In appendice al lavoro è riportato inoltre un catalogo dei litotipi
individuati, composto da schede monografiche relative ad ogni singola
pietra ornamentale presente negli altari esaminati, contenenti le principali
notizie storiche e scientifiche sul materiale, correlate da illustrazioni che
ne documentano le particolari pigmentazioni.
INDICE DEGLI EDIFICI ESAMINATI • Aidone
1. Chiesa di San Lorenzo 2. Chiesa di Sant’Anna
• Barrafranca
3. Chiesa di San Francesco
• Enna
4. Chiesa di Santa Maria della Visitazione (Duomo) 5. Chiesa Santuario di San Giuseppe 6. Chiesa di San Marco Le Vergini
• Gela
7. Chiesa di San Giuseppe (PP. Agostiniani) 8. Chiesa del SS. Salvatore e Rosario
• Mazzarino
9. Chiesa di Maria SS. della Neve (Chiesa Madre) 10. Chiesa di Maria SS. del Carmelo (Carmine) 11. Chiesa del SS. Crocifisso dell’Olmo 12. Chiesa di San Francesco di Paola
• Niscemi
13. Chiesa di Santa Maria dell’Itria (Chiesa Madre) 14. Chiesa dell’Addolorata 15. Chiesa della Madonna delle Grazie 16. Chiesa di San Francesco17. Chiesa Santuario della Madonna del Bosco 18. Chiesa di San Giuseppe
• Piazza Armerina
19. Cattedrale di Santa Maria delle Vittorie 20. Chiesa di San Rocco (Fundrò) 21. Chiesa di Santo Stefano 22. Chiesa di San Giovanni Evangelista
• Pietraperzia
23. Chiesa di Santa Maria Maggiore (Chiesa Madre) 24. Chiesa del SS. Rosario 25. Chiesa di Santa Maria di Gesù
• Riesi
26. Chiesa Santuario di Maria SS. della Catena (Chiesa Madre)
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AIDONE
1. Chiesa di San Lorenzo (chiesa madre)
2. Chiesa di Sant’Anna
Chiese con altari in marmi policromi
Fig. 1 Prospetto Principale
UBICAZIONE :
DATAZIONE :
COMMITTENZA:
AUTORE :
BIBLIOGRAFIA :
L’edificio sorge lungo la via Roma, nelle immediatevicinanze del Castello di Aidone, nella parte piùantica della città
Data di edificazione incerta (intorno all’anno Mille)Fine del XVII secolo (ricostruzione)
Ignota
Ignoto
Mazzola G., 1913, pp. 41-42
Giuliana G., 1967, pp. 158-159Nicotra F., pp. 165-166
Chiesa di San Lorenzo(Chiesa Madre)
Breve cenno storico:
Il culto di San Lorenzo fu portato adAidone dalla nobile famigliaromana dei Colonna Gioieni chedetenne per lungo tempo il dominiofeudale sulla cittadina. Nellaseconda metà del Seicento infattiIsabella Gioieni, che aveva ricevutoin dote Aidone avendo sposatoAntonio Colonna di Palliano,promise al Santo che lo avrebbefatto eleggere patrono di Aidone incambio della sua intercessione perla nascita del figlio. La chiesapossiede inoltre una reliquia delSanto la cui autenticità è attestata dauna pergamenta miniata del 1531recante la firma di PapaAdriano III.L’edificio sorge nel punto piùelevato della città, nei pressi delvecchio Castello di Aidone, oggiridotto ad un cumulo di rovine, ecostituiva un tempo assieme aquesto l’originario nucleo cittadino.Si tratta secondo la tradizione dellapiù antica chiesa diAidone ; tuttaviaancora incerta è la data di fondazione dell’edificio che alcuni storici collocano inepoca anteriore all’Anno Mille, anche se dai resti architettonici più antichi presentinell’edificio, quali il portale sul prospetto principale, sembra molto più probabileuna datazione intorno al secolo XIII.La struttura attuale risale invece ai primi decenni del Settecento quando in seguitoagli ingenti danni provocati dal terremoto del 1693 si rese necessaria laricostruzione quasi totale dell’edificio. In quella occasione, pur mantenendoinvariato il sito, si pensò di edificare un tempio di dimensioni maggiori. Così alprecedente impianto rettangolare furono aggiunte lungo i lati delle cappellerettangolari e si iniziò la costruzione di un campanile che però non è stato maiultimato.La facciata venne ricostruita ricollocando a caso il materiale antico a conci regolari,per cui oggi, oltre al bel portale ad arco acuto testimonianza della originaria chiesa,si notano anche in disordine delle lettere scolpite sui vari bolognini cheoriginariamente costituivano una iscrizione latina.
Fig. 2 Portale ad arco acuto realizzato in conci dipietra intagliata
Descrizione edificio:
La chiesa così come oggi noi la vediamo è il risultato della ricostruzione effettuatain seguito al terribile terremoto del 1693 che la aveva pesantemente danneggiata.L’impianto dell’edificio, orientato con l’ingresso ad occidente e l’altare maggioread oriente, che era originariamente rettangolare fu così modificato e ridisegnatograzie alla aggiunta lungo le pareti laterali di sei cappelle laterali, tre per lato, e di uncampanile, rimasto però incompiuto.La riedificazione fu realizzata riutilizzando il materiale dell’edificio precedente edin particolare nella facciata i conci di pietra squadrata furono ricollocati anche se inmodo casuale. Le rimanenti porzionimurarie realizzate ex novo sonoinvece facilmente riconoscibili dalmomento che presentano unadifferente tessitura in conci irregolarie laterizi.La facciata risulta semplice edisadorna, impreziosita però dalportale ad arco acuto incassato in untimpano triangolare, testimonianzadella struttura precedente.L’interno, ad unica navata e copertoda una volta a botte con unghiature, èscandito da paraste aggettanti cheinquadrano le cappelle laterali e chesostengono gli arconi della volta ed èdecorato da stucchi.L’altare maggiore è della fine del ‘600e realizzato in marmi policromimentre tra le cappelle laterali una èdedicata a San Lorenzo e contiene unatela della fine del ’700 raffigurante il
Fig. 3 Vista dell’interno
Santo con gli attributi classici simboli del martirio: palma, libro, aureola, graticola,dalmatica. Tra le opere d’arte contenute nella chiesa troviamo anche un crocifissodel ‘600 nella Cappella del Sacramento, sistemato su di un altare proveniente dalMonastero di Santa Caterina o dalla Chiesa di San Domenico, e numerosesuppellettili, arredi sacri, antichi paramenti, statue e tele anche questi in parteprovenienti dalla Chiesa di Santa Caterina. Preziosissimo è il reliquiario in argentoa forma di braccio contenente la reliquia di San Lorenzo, la cui autenticità èattestata da un certificato pontificio del 1531 di Papa Adriano III su pergamenaminiata a colori..Nelle vicinanze dell’ingresso sono inoltre collocati due monumenti funebrimarmorei: uno risale al secolo XVI ed è dedicato ad un Vescovo imparentato con lafamiglia Colonna Gioeni, che per un lungo periodo detenne il dominio feudale dellacittadina; l’altro è invece dedicato ad un aidonese illustre del secolo XIX.
L’altare è posizionato al centro dello spazio del presbiterio, sopraelevato rispettoalla quota del pavimento da due gradini marmorei, di colore bianco.Di grandi dimensioni, risale alla fine del secolo XVII e reca sul retro una lapide coniscrizione latina che ricorda le vittime del terribile terremoto del gennaio del 1693 el’anno di ultimazione dei lavori di ricostruzione della chiesa (1709).Nella parte bassa è costituito da una mensa, leggermente avanzata, con pilastrini ailati ed affiancata da corpi laterali, decorati con mensole e volute conclusive. Alcentro della mensa, inserito dentro una cornice circolare, troviamo un medaglione,circondato da foglie e volute, con all’interno intarsiata la graticola, simbolo di SanLorenzo, a cui è dedicato l’edificio ed uno degli altari delle cappelle laterali.La parte superiore presenta invece quatto gradini porta candela digradanti,inquadrati da volute ai lati, caratterizzati da leggeri aggetti e rientranze, asottolineare il disegno architettonico. Al centro poi è situato, su di un basamento, ilricco tabernacolo marmoreo a forma di tempio, con colonnine libere e volute ai latiche inquadrano lo sportello centrale e sostengono la trabeazione conclusiva.Due statue raffiguranti angeli sono inoltre oggi collocate sulle mensole dei corpilaterali della parte bassa della struttura.L’altare, dalle forme semplici ma tipicamente barocche, è realizzato in marmobianco di Carrara. Questo costituisce la struttura dell’opera ed il supporto su cuisono state eseguite le tarsie in marmi policromi che ravvivano la composizione.
Altare Maggiore
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L’altare occupa la seconda cappella del lato destro, rispetto all’ingresso principale.É posizionato nella parete di fondo del vano rettangolare, rialzato dalla quota delpavimento da un gradino in pietra, ed è
Ha dimensioni modeste ed è inserito all’interno di una struttura architettonica concolonne tortili a sostegno della trabeazione rettilinea e ricche decorazioni in stucco,dal sapore tipicamente barocco. La presenza di infiltrazioni d’acqua nella strutturaha però reso umido l’ambiente provocando così il deterioramento soprattutto degliapparati decorativi in stucco.É costituito da una mensa, leggermente avanzata rispetto alle basi che sostengonole colonne tortili della struttura superiore, con paliotto intarsiato affiancato dapilastrini, decorati in alto da teste di angeli, e da volute, che costituisconoorizzontalmente l’elemento conclusivo della composizione. Il paliotto è decorato,oltre che dai marmi policromi, anche da rilievi in bronzo, applicati alle lastremarmoree, dal motivo di ispirazione naturalistica e floreale. Tra questi troviamo ilmedaglione centrale, ovale ed incorniciato da volute, con all’interno intarsiata lagraticola, simbolo di San Lorenzo. La parte superiore presenta tre gradini portacandele ed al centro il tabernacolo, a forma di tempietto, con paraste e volutelaterali a sostegno della trabeazione e del coronamento conclusivo con volute.L’altare è arricchito anche da una tela della fine del ‘700 raffigurante San Lorenzo.
possibile che originariamente fossecollocato in un’altra chiesa (San Domenico oppure Monastero di S. Caterina).
Altare di San Lorenzo
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L’altare si trova nella terza cappella della navata di sinistra, rispetto all’ingressoprincipale, collocato sulla parete di fondo del vano, dalla forma rettangolare, erialzato dalla quota del pavimento da uno scalino.É molto simile a quello dedicato a San Lorenzo, situato nella cappella di fronte, edifferisce da questo solo per alcuni dettagli. É possibile ipotizzare quindi cheentrambi siano stati realizzati dalle medesime maestranze e nello stesso periodo.Come quello di San Lorenzo inoltre questo altare fu realizzato per un edificiodifferente e solo successivamente, dopo la realizzazione delle cappelle nella chiesanei primi anni del secolo XVIII, fu sistemato nella posizione in cui noi oggi lovediamo. L’edificio dal quale provenivano era la vicina chiesa di San Domenico,oppure il monastero di Santa Caterina.Anche in questo caso l’opera è inserita all’interno di una composizionearchitettonica complessa, dalle forme barocche, con colonne tortili su piedistallo,trabeazione e ricche decorazioni a stucco, identica a quella dell’altare precedente,che inquadra un Crocifisso del secolo XVII.L’altare come già detto è identico nelle forme a quello precedentemente decritto.Ha quindi paliotto rettangolare, volute ai lati, tre gradini e tabernacolo centrale. Inquesto caso però il paliotto è ornato da rilievi in marmo bianco ad inquadrare lelastre in marmi policromi e la tarsia centrale, simbolo della Crocifissione. Possiedeinoltre due elementi sporgenti, collocati ai bordi del primo gradino sopra la mensa.
Altare di Santissimo Sacramento
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Altare della Sacra Famiglia
L’altare è posizionato sulla parete di fondo della prima cappella lungo la parete disinistra, rispetto all’ingresso principale del tempio. Ha dimensioni modeste ed èsopraelevato dalla quota del pavimento da un gradino marmoreo.Non abbiamo notizie storiche precise su questo altare per cui non ne conosciamo nèla datazione nè le maestranze che lo eseguirono. É differente nelle forme dagli altaripresenti sempre nella chiesa di San Lorenzo, e precedentemente descritti. Sembraessere più antico rispetto a questi ultimi e databile al secolo XVII, ed anche il suostato di conservazione risulta peggiore, a causa della mancanza o sconnessione dialcuni degli elementi marmorei, e dell’umidità che interessa il vano.É costituito da una mensa con paliotto rettangolare riccamente intarsiato. Nelmarmo bianco sono infatti ricavate a rilievo figure di tipo floreale e naturalistico evolute, che inquadrano le tarsie marmoree, realizzate con pietre ornamentalicolorate. Al centro troviamo un medaglione, con sopra la corona imperiale, al cuiinterno è scolpita una croce. Il paliotto era inquadrato da due paraste marmoree,oggi non più in situ, con ai lati delle volute conclusive, leggermente arretraterispetto alla mensa. Nella parte superiore si trovano due gradini porta candeledecorati da tarsie in marmi policromi dal motivo geometrico. Precedentementedoveva esistere anche un tabernacolo marmoreo, dal momento che in un angolodella cappella stessa sono conservati vari frammenti marmorei di piccole paraste etrabeazione. Sopra l’altare è custodito il Fercolo di San Lorenzo risalente al ‘600.
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Fig. 1 Prospetto Principale
UBICAZIONE :
DATAZIONE :
COMMITTENZA:
AUTORE :
BIBLIOGRAFIA :
Si affaccia sul piano omonimo nella periferia delpaese, accanto al convento dei Padri Riformati dicui oggi rimangono alcuni resti
Seconda metà del XVI secolo
Ignota
Ignoto
Mazzola G., 1913, pp. 40-41
Giuliana G., 1967, p. 158-159Nicotra F., p. 166
Chiesa di Sant’Anna
Breve cenno storico:
Le notizie sulla Chiesa di Sant’Anna sono scarse, frammentarie e difficilmenteverificabili.Quello che però appare certo è che anche nel caso di questo edificio ci si trova difronte ad una struttura molto antica e che nel corso dei secoli è stata più volterimaneggiata e destinata ad usi differenti.Prima che sorgesse l’edificio cristiano che noi oggi ammiriamo infatti nello stessoluogo si trovava una moschea, retaggio della dominazione araba, di cui ancorarimangono alcuni frammenti murari.Questa moschea sorgeva nei pressi di un fortilizio arabo (fortilizio del Casinello)ma, una volta scacciati questi ad opera dei Normanni del Conte Ruggero, venneabbandonata e riutilizzata alcuni secoli dopo come tempio cristiano al quale venneanche annesso un monastero occupato dai Padri Riformati.Il convento di Santa Maria di Gesù degli Osservanti di San Francesco D’Assisi fufondato nel 1623 ed era convinzione diffusa che la chiesa contigua fosse sortacontemporaneamente a questo. Da una data incisa attorno ad una nicchia a sinistradell’entrata si desume invece che la chiesa sia preesistente al convento e sia statacostruita forse nel 1530.Nel 1640 il convento passò ai Padri Riformati di Palermo che dedicarono la chiesa aSanta Rosalia. Solo successivamente il Tempio riprese la denominazione diSant’Anna.
Descrizione edificio:
La chiesa si presenta semplice e disadornacon forme architettoniche lineari chedenunciano chiaramente lo spirito“francescano” che animò l’artista.Il prospetto esterno infatti risultacaratterizzato da pochi e semplicielementi architettonici in pietra squadratainseriti entro una struttura muraria inconci irregolari: il portale, posto altermine di una ripida scalinata, la finestrarettangolare, collocata in asse con ilportale, ed il cantonale, che chiude da unlato la facciata. La copertura a duespioventi poi costituisce il coronamentotriangolare della facciata nella parte alta.Contigui alla facciata sono inoltre i restidel convento dei Padri Riformati di cuiormai non rimane che un lato del chiostro(quello adiacente alla chiesa) con arcate dimattoni in cotto e colonne doriche inpietra arenaria.L’interno è a navata unica, con unacornice continua che definisce l’impostadella copertura e delle paraste asottolineare la zona del presbiterio.Spiccano all’interno di questa sempliceconformazione architettonica le opered’arte che la chiesa possiede. Inparticolare i due altari marmoreicaratterizzati da una complessa strutturaarchitettonica con colonne corinzie supiedistallo e timpano spezzato ed ornatianche da intarsi in marmo bianco su fondoin pietra nera. Sull’altare maggiore inoltreè collocato un Crocifisso ligneo di rarabellezza, realismo e suggestione,realizzato nel 1600 da Frate UmilePintorno da Petralia.Degni di menzione sono anche i dipintiraffiguranti uno Maria Assunta in Cielo el’altro Sant’Anna che porge della frutta alBambino Gesù in braccio alla Madonna, el’armadio seicentesco a palchetti in legnointarsiato conservato nella sacrestia.
Fig. 2 Vista dell’interno
Fig. 3 Crocifisso ligneo opera di Fra’ Umileda Petralia
L’altare è oggi collocato al centro del presbiterio e funge da mensa durante lecelebrazioni eucaristiche. Non si tratta di una intera struttura in marmo, ma di unpaliotto rettangolare, che con molta probabilità faceva in origine parte di un altare.È solo da poco tempo che occupa questa posizione, essendovi stato sistematorecentemente, nel corso di una risistemazione dell’area presbiteriale. Prima sitrovava lungo la navata laterale, fissato con dei supporti ad una delle pareti.Non si hanno notizie precise relativamente all’epoca di realizzazione dell’opera edalle maestranze che la eseguirono. Non si conoscono nemmeno le vicende chehanno interessato l’altare ed il motivo per cui ne sia rimasto solo un frammento, sepur consistente. Il paliotto rettangolare è inserito oggi entro una semplice cornicelignea, di recente realizzazione, che funge da supporto per la lastra marmorea.Questa è realizzata in marmo bianco arricchito da intarsi in marmi policromi esculture a rilievo dalle forme movimentate ed ispirate a motivi naturalistici, qualifoglie e volute. Al centro della composizione troviamo l’artistico medaglionescolpito dalle forme rotondeggianti, con al centro in rilievo una particolareraffigurazione della croce. Fa da sfondo alla mensa una struttura architettonica, coneleganti colonne su piedistallo a sostegno del timpano curvo e spezzato, checontiene entro una nicchia rettangolare il bellissimo crocifisso ligneo, opera di Fra’Umile da Petralia. La particolarità di questa struttura risiede soprattutto nei ricchiintarsi, a motivo floreale, realizzati in marmo bianco su di uno sfondo in pietra nera.
Altare Maggiore
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Altare di MariaAssunta in Cielo
L’altare è il secondo della navata di sinistra, rispetto all’ingresso principale.Si tratta in realtà di una serie di frammenti marmorei, originariamente assemblatiinsieme a costituire una vera e proprio altare (forse l’altare maggiore della chiesa),oggi collocati con dei supporti metallici alla parete, nel tentativo di ricomporre inqualche modo quello che doveva essere inizialmente l’aspetto dell’opera.È stato così posizionato al centro il paliotto della mensa, riccamente ornato dasculture, quali figure di putti, volute e medaglione allungato contenente il simbolodella croce.Ai lati sono stati posti i frammenti di due paraste, di forma rettangolare, decorate daeleganti rilievi scultorei e dagli intarsi in marmo Rosso di Francia.Nella parte superiore invece troviamo il bel tabernacolo, a forma di tempietto, conparaste e volute a sostegno della trabeazione rettilinea, affiancato da un gradinoporta candele, intarsiato con motivi di tipo floreale e naturalistico.Anche nel caso di questa opera non si conoscono l’epoca di realizzazione e lemaestranze che la hanno eseguita. Probabilmente si tratta di un altare del secoloXVII, la cui originaria conformazione e collocazione però rimangono ignote.L’altare è inserito all’interno di una nicchia ed è sormontato da un dipinto di buonafattura raffigurante la Madonna, collocato entro una ricca cornice lignea.In un angolo della chiesa sono conservati anche altri frammenti marmorei cheoriginariamente facevano parte di altari.
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BARRAFRANCA
1. Chiesa di San Francesco
Chiese con altari in marmi policromi
Fig. 1 Prospetto Principale
UBICAZIONE :
DATAZIONE :
COMMITTENZA:
AUTORE :
BIBLIOGRAFIA :
La chiesa prospetta sulla Piazza Regina Margherita,accanto al palazzo del Comune (ex conventofrancescano cui la chiesa era annessa)
1 settembre 1694 (fondazione)
Carlo Maria Carafa, Marchese di Barrafranca ePrincipe di Butera
Michelangelo da Caltagirone, architetto
Giunta L., 1928, pp. 131-135
Orofino C.- Licata S., 1984, pp. 30-31Vicari G., 1984, pp. 41-50
Orofino C.- Licata S., 1990, p. 129
Chiesa di San Francesco
Breve cenno storico:
Nel 1923, mentre venivano eseguiti alcuni lavori di restauro dell’edificio,casualmente fu rinvenuta una pietra recante incisa una iscrizione.Tale ritrovamento risulta molto importante per la conoscenza della storia dellachiesa dal momento che si tratta della pietra di fondazione del tempio e chel’iscrizione fornisce notizie riguardo la data di fondazione, la committenza,l’autore del progetto e le personalità presenti al momento dell’atto di fondazioneufficiale.Così sappiamo con certezza che la posa della prima pietra avvenne il giorno 1settembre dell’anno 1694, durante il marchesato di Carlo Maria Carafa, Principe diButera oltre che Marchese di Barrafranca, e che l’architetto che curò il progetto e larealizzazione dell’opera fu un certo Michelangelo da Caltagirone.Tra i nomi delle personalità presenti alla cerimonia troviamo,subito dopo quello dell’architetto di Caltagirone, anche quello di “Michael aFerula” che potrebbe corrispondere a Michele La Ferla, frate dei Minori Osservantied “esimio architetto e maestro”, che in quel periodo era impegnato nellaesecuzione del progetto dello stesso Principe Carafa per la città di Occhiolà,distrutta dal terremoto del 1693 e ricostruita in un differente sito con il nome diGrammichele. Se tale ipotesi è vera si potrebbe anche pensare ad unapartecipazione attiva di questo architetto alla definizione del progetto per la chiesadi San Francesco di Barrafranca.Accanto alla chiesa i Frati Minori Francescani realizzarono nel periodo che va dal1694 al 1697 il loro nuovo convento avendo deciso di abbandonare quello vecchioperchè situato in un’area malsana (il vecchio convento era stato fondato da MatteoIII Barresi nel 1530 in contrada Musciolino su un preesistente chiostro del 1524).Nel 1866 parte del convento è stata acquistata dall’Amministrazione comunale chelo ha adibito a sede Municipale e successivamente, abbandonato il convento daifrati, altri locali sono stati ceduti.Si ha notizia di ripetuti restauri eseguiti sull’edificio ed in particolarericordiamo quello del 1923, quando fu rinvenuta la famosa pietra, precedentementemenzionata, e fu realizzata la facciata attuale, e quelli eseguiti dal 1946 al 1950,quando fu sopraelevato il soffitto, riparata la volta, rifatti alcuni altari e rinnovato ilpavimento. Completati questi lavori la chiesa fu riconsacrata solennemente dalVescovo di PiazzaArmerina Monsignor Catarella.Oggi la chiesa è chiusa al culto, perchè in non perfetto stato di conservazione, enecessita di urgenti lavori di restauro delle strutture e degli apparati decorativi che,qualora perdurasse tale stato di abbandono, potrebbero andare irrimediabilmenteperduti.
incisi sulla pietra
inoltre
Descrizione edificio:
La chiesa di San Francesco è l’unica traquelle di Barrafranca a godere di unaposizione invidiabile dal momento che siaffaccia su una ampia piazza e che è benvisibile dalla strada che le si apre di fronte.La facciata presenta nella parte centraleun portale in pietra, con paraste lateraliche sostengono la trabeazione, posto altermine di una ripida scalinata esormontato da una finestra rettangolarecon stipiti ed architrave, sempre in pietrasquadrata. Il portale fu realizzato nel 1713dallo scalpellino Filippo la Pergola everosimilmente ha ispirato l’artista SantoScarpulla che nel 1923 ha realizzato ilprogetto per il prospetto attuale,mantenendo il portale settecentesco, conparaste angolari su di un alto piedistallo afungere da cantonale e a sostenere latrabeazione, che a sua volta sostiene il
Fig. 2 Vista dell’interno
campanile terminale, caratterizzato da una bifora affiancata da delle volute, tipichedei prospetti delle chiese di questo periodo.La chiesa è ad una sola navata con le pareti e la volta interamente decorate dastucchi ed affreschi dai motivi architettonici e floreali, realizzati in un arco di tempomolto lungo e più volte rinnovati e restaurati. Tra gli affreschi spicca quello posto alcentro della volta raffigurante San Francesco che riceve le stigmate, restauratonegli anni ‘50 da un artista locale.Le pareti della navata sono inoltre ornate da quattro altari, due per lato, contenentimarmi, tele e statue di pregevole fattura, come quella lignea dell’Immacolataoppure del Crocifisso posta su di uno sfondo in cartapesta e stucco. Tra le tanteopere d’arte contenute nella chiesa abbiamo inoltre l’altare Maggiore, in legnoscolpito ed in parte intarsiato e dalla architettura complessa, di cui si sconoscel’autore, ed una Via Crucis dipinta da Francesco e Giuseppe Vaccaro, artistioriginari di Caltagirone, nel secolo XIX.Merita una menzione particolare quello che viene considerato il quadro più famosodi Barrafranca e che è custodito presso il Convento di San Francesco ovvero la teladi “Santa Maria degli Angeli”, che la tradizione vorrebbe fare risalire al 1244 e cheraffigura la Madonna circondata da angeli e da frati, tra i quali spicca la figura diSan Francesco. In realtà i dubbi su questa opera sono parecchi e, dal momento che sitratta di un dipinto ad olio, è impossibile che sia tanto antica. Più probabile èl’ipotesi per cui questo quadro sarebbe una copia settecentesca, realizzata ad olio,di un dipinto su tavola ben più antico, prima di proprietà del convento diBarrafranca e poi pervenuto in seguito a varie vicissitudini presso il Collegio diMaria di Caltanissetta.
L’altare si trova entro una nicchia ad arco, lungo la parete di sinistra della navata,rispetto all’ingresso principale. É il secondo altare, dopo quello di Sant’Antonio.La parte superiore della composizione è costituita da uno sfondo, con il grandeCrocifisso, in cartapesta e stucco. Ai piedi della croce si trovano poi due statue ingesso, raffiguranti la Madonna e San Giovanni, donate al convento nel 1952.L’altare marmoreo vero e proprio si trova nella parte bassa della parete. Non se neconosce la data di realizzazione nè l’autore, tuttavia è probabile che si tratti diun’opera del tardo XVIII secolo, modificata però nelcorso del tempo con aggiunte,quali il tabernacolo in marmo bianco a forma di tempio con paraste e timpanotriangolare, palesemente più recenti.Ha forme semplici e che si richiamano a modelli presenti in area palermitana, percui potrebbe essere stato realizzato da maestranze provenienti da questa località.La mensa ha forma rettangolare, con paraste ai lati e piccoli corpi rettangolari inpietra gialla brecciata ai fianchi. Al centro troviamo il paliotto, ornato da lastre dimarmi policromi, con medaglione ovale e riquadri, definiti dal marmo giallo.Sopra la mensa sono poi due gradini porta candele, con piccole volute conclusive ailati e decorati da intarsi realizzati secondo la tecnica a marmi mischi. Sul supportodi marmo bianco, che costituisce l’intero altare, sono ricavati infatti gli incavi checontengono le piccole lastre di pietra colorata e gli stucchi attraverso i quali sonostati creati motivi di ispirazione geometrica e naturalistica.
Altare del Crocifisso
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ENNA
1. Chiesa di Maria SS. Della Visitazione
2. Chiesa Santuario di San Giuseppe
3. Chiesa di San Marco le Vergini
Chiese con altari in marmi policromi
Fig. 1 Prospetto Principale
UBICAZIONE :
DATAZIONE :
COMMITTENZA:
AUTORE :
BIBLIOGRAFIA :
L’ingresso principale prospetta su di una piazzettaaperta da un lato sulla Via Roma, l’antica stradamaggiore
Inizio del secolo XIV (fondazione primo edificio)Secolo XVI (ricostruzione)
Regina Eleonora D’Aragona, moglie di FedericoII D’Aragona
Jacopino Salemi, capo mastro di Messina(sistemazione cinquecentesca)
Sinicropi E., 1963, pp. 115-128Giuliana G., 1967, pp. 88-94Rosso Di Cerami M., 1945Ragona A., 1976Ragona A., 1988Guarneri B., 1999, pp. 64-70Candura G., pp. 175-187
Chiesa di Santa Maria della Visitazione(Chiesa Madre)
Breve cenno storico:
Il Duomo di Enna fu fondato nel 1307 per volontà della Regina Eleonora, moglie diFederico II D’Aragona. Sorse molto probabilmente sul luogo di una precedentechiesetta a sua volta, come racconta la tradizione, elevata sui resti dell’anticotempio pagano dedicato a Proserpina.L’edificio romanico nel 1446 fu quasi interamente distrutto da un terribile incendioche risparmiò solamente la zona del presbiterio; così da quel momento cominciò unlungo periodo di ricostruzione, abbellimento ed aggiornamento del tempio che difatto si è concluso solo nel XVIII secolo e che ha lentamente portato la chiesa al suoaspetto attuale.In un primo tempo si erano sottovalutate le conseguenze dell’incendio sullastruttura per cui si era provveduto ad accomodare le parti danneggiate senzaprendere però provvedimenti radicali.Adistanza di alcuni decenni invece gli effettidel fuoco soprattutto sui pilastri della navata si resero evidenti dal momento che siverificò il crollo nel 1549 di uno dei pilieri, immediatamente ricostruito dal maestroscalpellino fiorentino Raffaele Rosso e completato nel 1551.Dopo il primo allarme di crollo canonici e procuratori si interessarono alacrementeper il rinnovo di tutti i pilieri che davano segni di scarsa stabilità e deterioramento.Furono così rifatti anche nel 1559 il quinto piliere, dall’intagliatore e scalpellinoAntonino Catrini da Ficarra, e nel 1560 i due secondi pilieri, da GiandomenicoGagini, figlio diAntonello, che li ultimò nel 1562.Ormai però si richiedeva il rinnovo completo di tutti i pilieri, compresi i due grossipilastri dell’arcata maggiore. Per tali lavori era necessario interpellare un architettoe quindi ci si rivolse a Jacopino Salemi, capo mastro della città di Messina, il qualeprovvide a montare tutti i nuovi pilastri. A lui si deve la sistemazionecinquecentesca dell’edificio.Rifatti i pilieri si pensò a realizzare un elegante portale sul fianco meridionale deltempio ed a realizzare un tetto ligneo nella navata principale. Del primo lavoro fuincaricato lo stesso Salemi che disegnò e scolpì il portale ultimandolo nel 1574. Iltetto ligneo fu invece realizzato dal “magister lignaius”Andrea Russo da Collesanoche lo ultimò intorno al 1586..Questi diresse anche tutti i lavori murari ancora occorrenti nella chiesa, fornendodisegni ai maestri stuccatori e scalpellini per la realizzazione di cornici ed elementidecorativi nell’abside e nella porta di tramontana.Altri lavori negli anni successivi interessarono l’abside dell’edificio che fudecorato con stucchi, eseguiti dallo stuccatore e scultore Cesare Puzzo, sotto laguida del capo mastro Andrea Russo, e con un coro ligneo riccamente intagliatoopera dello scultore napoletano Scipione di Guido.Completati i lavori dell’abside si passò a decorare con stucchi la cappella dellaMadonna, affidando l’incarico nel 1595 allo stuccatore Paolo Pellegrino da Chiusa,autore anche degli stucchi dei pilastri del coro e della cappella del battistero.Contemporaneamente al Pellegrino operò nel Duomo il lo stuccatore bolognesePietro Rosso, attivo a Palermo.Gli stucchi del Pellegrino e del Rosso furono decorati dai pittori Agostino di Cara eDamiano Basile e dall’indoratore Leonardo Lupo.
crollava nuovamente, probabilmente a causa dell’enorme peso della guglia. I lavoriper la seconda ricostruzione ebbero inizio solo nel 1681, dopo che furonoapprontati i disegni della ricostruito nuova costruzione dall’artista locale ClementeBruno.Nel 1659 fu realizzato da maestranze catanesi, sotto la guida del capo mastroGiovan Battista Caruso, il tetto ligneo del transetto, che quindi è posteriore di circaun secolo rispetto a quello della navata.Sono successivi al predetto soffitto gli stucchi del transetto ed i dipinti dei tabelloni.La decorazione in stucco fu ideata nel 1660 dal maestro Francesco Puzzo daCatania ed eseguita nel giro di quattro anni dal maestro Giovan Calogero Calamaroda Nicosia su disegni del pittore e doratore ennese Vincenzo Trimoglie.Nei quattro tabelloni in stucco del transetto furono collocati quattro dipinti delpittore napoletano Giovanni Piccinelli, eseguiti nel 1663. Nei dodici tabelloni dellanavata furono poste altrettante tele del pittore Vincenzo Ruggeri da Caltanissetta.Con il nuovo secolo altre opere arricchirono la chiesa. Tra queste ricordiamo lecinque tele realizzate dal pittore fiammingo Guglielmo Borremans.L’ultima imponente opera in ordine di tempo è la realizzazione della cappellamarmorea della Madonna della Visitazione. L’incarico fu dato all’architetto escultore catanese Andrea Amato che la iniziò nel 1737 ma che non riuscì a vederlaultimata dal momento che morì ad Enna nel 1742. I lavori proseguirono sotto lasupervisione del maestro catanese Domenico Bevilacqua, allievo e nipotedell’Amato, fino alla loro ultimazione nel 1753.Contemporaneamente all’abbellimento dell’edificio inoltre si era provveduto adarricchire il Tesoro del Tempio con oggetti di argenteria ed oreficeria di ottimafattura tra cui ostensori, calici, paliotti, ricchi paramenti e ricami, ecc.
Fig. 2 Vista di una delle colonne dellanavata
Frattanto la chiesa continuava adarricchirsi di opere d’arte quali il pulpitomarmoreo, il palco dei cantori in legno,ma soprattutto i cinque dipinti del pittorefiorentino Filippo Paladini, eseguiti fra il1612 ed il 1613.Oltre ai continui restauri eseguiti nellachiesa nel corso del XVI secolomenzionati nei documenti dell’archiviodel Duomo, e di cui abbiamo fino ad oraparlato, ulteriori lavori furono eseguitisulla torre campanaria, danneggiataanch’essa dall’incendio del 1446.Per circa due secoli il campanile fuoggetto di lavori di accomodamento dipiccola entità fino a quando nel 1619improvvisamente crollò. La ricostruzioneebbe inizio nel 1625 sotto la guida delmaestro Oriano Calì e fu completata nel1633. Tuttavia nel 1676 il campanile,ricostruito appena quarant’anni prima,
Descrizione edificio:
Come raccontato precedentemente, ilTempio di Santa Maria della Visitazione,nelle sue forme attuali, è il risultato di unlungo processo di ricostruzione edecorazione durato circa tre secoli esuccessivo all’incendio del 1446 cheinteressò gran parte dell’edificiotrecentesco.Di quest’ultimo ci rimane oggi solamentel’impostazione dell’impianto, di tipobasilicale, e a tre navate, e le strutturedella zona absidale, risparmiatedall’incendio.La facciata, della seconda metà del secoloXVII, ricalca lo schema delle costruzionia torre. Una struttura a tre fornici, posta altermine di una ripida scalinata, dà accessoal Tempio e sostiene la torre campanaria,raccordata alla parte inferiore da volute. Iltutto è caratterizzato da una composizione Fig. 3 Vista dell’interno
architettonica semplice e ben definita con gli ordini sovrapposti di paraste supiedistallo che si susseguono nei vari livelli.L’interno è riccamente decorato da stucchi, pregevoli dipinti e sculture. Le navatesono divise da colonne marmoree, dagli ornatissimi capitelli e con le basi decorateda putti e grifi, che sostengono delle arcate ogivali. Due di queste colonne sonoopera di Giandomenico Gagini, realizzate intorno al 1560.Elegantissimo e di pregevole fattura è il soffitto ligneo a cassettoni realizzato daAndrea Russo alla fine del secolo XVI. Quello del transetto fu eseguito invece damaestranze catanesi circa un secolo dopo.La navata maggiore, il transetto e la zona dell’abside sono ricche di decorazioni astucco eseguite a più riprese nel corso della ricostruzione dell’edificio da valentistuccatori tra cui Cesare Puzzo, Paolo Pellegrino da Chiusa, Pietro Rosso ed infineGiovan Calogero Calamaro da Nicosia.Tra le opere pittoriche ricordiamo invece i cinque dipinti del fiorentino Paladini,realizzati nel 1612-13, tutti dedicati alla Vergine Maria e posti nell’absidemaggiore. Il Nisseno Vincenzo Ruggieri è invece l’autore delle dodici pittureraffiguranti santi ennesi e monaci basiliani, collocate tra le finestre della navatacentrale. Le quattro tele dei tabelloni in stucco del transetto sono opera del pittorenapoletano Giovanni Piccinelli, mentre agli inizi del XVIII secolo si data lacommissione al fiammingo Guglielmo Borremans di ulteriori cinque splendidetele.Degna di nota è la magnifica cappella, con decorazioni in marmi policromi,dedicata alla Madonna della Visitazione, realizzata intorno alla metà del secoloXVIII dal cataneseAndreaAmato.
L’altare occupa la parete di fondo della cappella del SS. Sacramento, sulla destradell’abside maggiore. La cappella, nata assieme all’originario impianto romanicodella chiesa, fu nel corso dei secoli modificata, soprattutto per quel che riguarda ilsuo apparato decorativo. In particolare fu arricchita da stucchi, opera del maestrostuccatore Pietro Rosso, nei primi anni del secolo XVII. Nel corso di recenti lavoridi restauro tuttavia si è ritenuto opportuno eliminare l’intero apparato decorativoseicentesco, riportando così il vano al suo aspetto romanico iniziale, spoglio edisadorno, scandito dalla presenza delle sole colonnine filiformi, che confluisconoin alto nei costoloni della copertura, e del ricco altare in marmi policromi.Questo fu realizzato nel secolo XVIII dalle stesse maestranze catanesi cui si deve ilrivestimento marmoreo della cappella della Madonna della Visitazione, sul latosinistro dell’abside maggiore. Più precisamente l’altare del SS. Sacramento fueseguito dal maestro Domenico Bevilacqua e portato a termine nel 1753,contemporaneamente ai lavori della cappella della Madonna.Si tratta di un’opera complessa, riccamente decorata da intarsi in marmi policromi,caratterizzata soprattutto da una superba architettura, entro cui è collocato iltabernacolo, con colonne libere su due livelli, aggetti e volute, molto simile alprospetto di un tempio di età barocca. Alla base troviamo una mensa rettangolare,con paliotto decorato da semplici figure geometriche e da un medaglione centralequadrilobato, ed inquadrata ai fianchi da piccoli corpi laterali leggermente arretrati.
Altare del SS. Sacramento
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Cappella della Madonna della Visitazione
La cappella nasce come coronamento dell’impianto della chiesa trecentesca,assieme all’abside maggiore ed alla cappella del SS. Sacramento. Inizialmentedalle forme semplici e completamente disadorna, fu alla fine del ‘500 ricoperta daeleganti stucchi, con ricche dorature e pitture. Tuttavia ben presto le acque piovanedanneggiarono queste opere, tanto che si decise di intervenire rivestendointeramente la cappella con marmi, senza porre limitazione preventiva di spesa.Dell’antica decorazione cinquecentesca in stucco è rimasta solo quella dellacopertura del vano. L’incarico fu dato nel 1736 al rinomato architetto e scultorecatanese Andrea Amato. Questi tuttavia morì prima che i lavori fossero ultimati,così l’opera fu portata a termine dal suo allievo e nipote Domenico Bevilacqua(autore anche dell’altare del SS. Sacramento, nella medesima chiesa), il quale siavvalse della collaborazione di altri capaci marmorari catanesi, tra cui F. Battaglia,V. Bonaventura,A. Bevilacqua, F. Torrisi, P. Fichera, T. Viola, G.Anastasio. Questestesse maestranze, ultimata la cappella, realizzeranno il pavimento marmoreo dellachiesa ed altre opere marmoree presso Castrogiovanni. La cappella si caratterizzaper la sfarzosità architettonica e scultorea, per l’accurata lavorazione a mischio eper la profusione di marmi di vario colore. L’altare, dalla mensa rettangolare, sicompone di due possenti colonne tortili con intarsi, che sostengono la trabeazioneed il ricco coronamento. Allo stesso modo le pareti sono scandite da paraste edarricchite da figure di putti, rilievi, cornici, cartigli e fastosi medaglioni marmorei.
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Fig. 1 Prospetto Principale
UBICAZIONE :
DATAZIONE :
COMMITTENZA:
AUTORE :
BIBLIOGRAFIA :
L’ingresso principale prospetta su di una piazzettaaperta da un lato sulla Via Roma, l’antica stradamaggiore
Secolo XVII (edificio attuale)
Nicolò Colletorto
Ignoto
Sinicropi E., 1963, p. 134Giuliana G., 1967, pp. 88-94Guarneri B., 1999, pp. 98-99
Chiesa di San Giuseppe
Breve cenno storico:
Le notizie reperite sulla Chiesa di San Giuseppe sono pochissime e tali da nonconsentire una approfondita conoscenza dell’edificio relativamente alle suevicende storiche e costruttive.La chiesa, così come oggi la vediamo, assieme all’annesso monastero, furealizzata nel XVII secolo quando Nicolò Colletorto donava il suo palazzo ed altrisuoi beni per la fondazione del complesso.
Il Monastero era destinato ad ospitare le suore benedettine e così anche la chiesainizialmente assunse la dedica a San Benedetto.Il Tempio cambiò il suo nome in San Giuseppe solo nel 1926 quando vi si trasferì lacomunità della dirimpettaia chiesetta in origine dedicata al Santo.
Probabilmente l’edificio sorse sul luogo di una precedente chiesa, per cui piuttostoche di nuova edificazione si trattò di una riedificazione.
Descrizione edificio:
Il tempio è a navata unica coperta da unavolta ribassata.L’esterno della chiesa è forse l’elementodi maggiore interesse dell’edificio grazieall’impostazione a torre della facciata,motivo presente in molte delle chiese diEnna.Il prospetto, in pietra squadrata, ha formaallungata e si compone di due strutturesovrapposte. La parte inferiore, checostituisce il prospetto vero e proprio, ècaratterizzata da slanciate paraste supiedistallo che sostengono la trabeazione.Su questa imposta il campanile ornato daun ordine di lesene che inquadrano treaperture ad arco con balaustre in pietra.Di particolare interesse è il portale inpietra, posto al termine di una ripidascalinata, costituito da colonne binate supiedistallo, ornate da rilievi nella parte
Fig. 2 Vista dell’interno
bassa , che sostengono una complessa trabeazione con aggetti e cornici curve.Al disopra del portale si trova la finestra rettangolare che illumina l’interno.L’interno, rinnovato grazie ad un recente restauro, presenta superfici riccamenteornate da stucchi. La navata è ritmata da un ordine di paraste che inquadrano learcate, entro cui sono collocati gli altari laterali, e che sostengono la trabeazionecon cornicione aggettante.Al di sopra della cornice si sviluppa una sorta di attico ornato da un ulteriore ordinedi paraste, che stavolta inquadrano le aperture rettangolari della navata.L’accesso al presbiterio è sottolineato da un grande arco trionfale a tutto sesto supilastri. Attraverso questo si accede all’abside poligonale che chiude la struttura eche contiene l’altare maggiore in marmi policromi.Sopra l’altare maggiore sono collocate delle sculture raffiguranti la Sacra Famiglia,realizzate nel XVII secolo da un artista locale.Il catino absidale è caratterizzato in alto da affreschi entro cornici in stucco e nellaparte bassa da medaglioni con rilievi in stucco che rappresentano figure di Santi amezzobusto.La chiesa possiede, oltre a dei quadri di notevole interesse artistico, un pregevole ericco paliotto d’altare in argento che risale all’origine della chiesa e che è oggicollocato in una delle nicchie ad arco della navata.
L’altare si trova al centro della zona del presbiterio, notevolmente sopraelevatorispetto alla quota del pavimento da tre scalini in marmo bianco, di recente fattura(l’intera pavimentazione della chiesa è stata rifatta molto di recente).Si tratta di una struttura in marmo bianco, decorata da tarsie in pietre ornamentalicolorate, di cui non si hanno precise notizie storiche, relative soprattutto alla suadatazione ed alle maestranze che la hanno realizzata.Ha forme lineari e si presenta costituita da una mensa rettangolare, chiusa ai bordida paraste con mensole, al centro della quale si trova una sorta di urna aggettante,con volute, che contiene all’interno un medaglione, ornato da volute ecaratterizzato dal simbolo delle croce, a rilievo.Ai fianchi della mensa si trovano dei corpi laterali, leggermente arretrati, decoratida paraste con tarsie in marmi policromi, dalle semplici forme geometriche.Nella parte superiore l’altare ha tre gradini porta candele, digradanti, arricchiti datarsie a motivo geometrico realizzate in marmi policromi. Al centro c’è il riccotabernacolo a forma di tempietto, con quattro colonne libere corinzie chesostengono la trabeazione aggettante, ed inquadrano lo sportellino dorato. Ai lati iltabernacolo è chiuso da volute, mentre in alto il coronamento è costituito da teste diangeli. Al di sopra dell’ultimo gradino è stato posizionato un ulteriore ed altogradino in finto marmo, che riprende il motivo ornamentale della tarsia dell’altarestesso. Questo fa da base alle statue del secolo XVII raffiguranti la Sacra Famiglia.
Altare della Sacra Famiglia (Altare Maggiore)
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Fig. 1 Prospetto Principale
UBICAZIONE :
DATAZIONE :
COMMITTENZA:
AUTORE :
BIBLIOGRAFIA :
Il fianco della chiesa si affaccia sulla Piazza 6Dicembre, mentre la facciata prospetta sul corsoprincipale (Via Roma)
Secolo XVI (edificio originario)1643 (riedificazione nelle forme attuali)
Suor Angelica Petroso (riedificazione)
Giovan Battista Vitale, mastro lapicida(riedificazione)
Lombardo R., 1999Candura G., pp. 138-139Giuliana G., 1967, pp. 88-94Guarneri B., 1999, pp. 98-99
Chiesa di San Marco Le Vergini
Breve cenno storico:
La tradizione vuole che la Chiesa di San Marco sia stata edificata sul luogo in cuiprecedentemente sorgeva la sinagoga, luogo di culto della folta comunità ebraicache risiedeva presso Castrogiovanni.L’edificazione del nuovo edificio religioso sarebbe avvenuta,contemporaneamente al monastero, subito dopo l’espulsione dalla città degli ebrei,in seguito all’editto emanato dal Re Ferdinando nel 1492.La chiesa ed il monastero ospitano una comunità di suore appartenenti all’ordinedelle Carmelitane che in questo luogo da secoli conduce la propria vita claustrale,fatta eccezione per il periodo successivo al 1871 quando, in esecuzione delle leggieversive, anche ad Enna i monasteri furono soppressi ed i loro beni confiscati. Soloalcuni anni dopo, nel 1931, il monastero fu riaperto ed ancora oggi accoglie lacomunità di religiose.Della chiesa fondata agli inizi del secolo XVI non sappiamo quasi nulla, mentresappiamo che l’edificio assunse l’apetto attuale nel 1643, in seguito all’opera dirinnovamento ed aggiornamento delle strutture promossa dall’abbadessa suorAngelica Petroso.Questa commissionò tutte le opere murarie al “mastro lapicida” Giovan BattistaVitale, il quale si avvalse anche della collaborazione del figlio e di MarianoMancuso.Da questo momento in poi le abbadesse che si avvicenderanno alla guida delmonastero, favorite dalla cospicuità delle rendite, degli introiti del monastero edalla ricchezza delle doti portate dalle religiose, realizzeranno nel tempo unprogramma di abbellimento del tempio secondo il gusto barocco dell’epoca,caratterizzato dal fasto e dalla teatralità degli apparati decorativi.Così gli stucchi dell’interno furono commissionati nel 1705 dall’abbadessa suorAurora Carnazza a Gabriele De Blanco, che apparteneva ad una numerosa famigliadi artisti stuccatori nativi di Licodia ed attivi nel XVIII secolo nella Val di Noto.Portata a termine la vasta opera di decorazione a stucco, nel 1708 l’abbadessa suorCaterina Maria Mazzola progetta di dotare il tempio di una custodia ligneadestinata a sovrastare l’altare maggiore ed a diventare l’opera più appariscente esontuosa di tutta la chiesa.La commissione fu affidata nello stesso anno al trapanese Antonino Rallo il qualeavrebbe dovuto eseguire la custodia secondo il disegno di Agatino Daidone diCalscibetta, abile cartografo, stimato architetto ed illustre matematico, che ad Ennaebbe occasione di lavorare anche per la Chiesa Madre.Nel 1781 invece furono commissionati ai maestri catanesi Vincenzo Bonaventura eBenedetto Giuffrida, che avevano appena ultimato il pavimento marmoreo delduomo cittadino, i quattro altari marmorei della navata.La chiesa si andava inoltre arricchendo di ulteriori opere d’arte quali le tele deglialtari laterali e gli affreschi delle pareti laterali, della volta e del catino dell’absidedivenendo uno dei più ricchi ed ornati edifici religiosi della città di Castrogiovanni.
Descrizione edificio:
La chiesa realizzata nel 1643 dal Vitale è anavata unica, sovrastata da una coperturaa botte, e priva di transetto, capace diconsentire ai numerosi fedeli un facilesvolgimento delle preghiere comunitarie,ma pure idonea a permettere alle suore diassistere alle funzioni da dei balconcinioppure dalla cantoria, posta sopra ilvestibolo di ingresso, senza contravvenireall’obbligo della clausura.La facciata del tempio si presenta severa elineare nelle forme, priva di vistosielementi scultorei e caratterizzatasolamente da due eleganti paraste su altipiedistalli sormontate da capitelli corinzi.Queste, fiancheggiate da due semplicivolute, sostengono la trabeazione ed ilc o r n i c i o n e c h e c o n c l u d o n o l acomposizione ed inquadrano il portale e lasoprastante finestra di forma rettangolare.
Fig. 2 Vista dell’interno
L’interno, così ricco di stucchi, rivestimenti marmorei, dipinti ed affreschi,contrasta invece con l’elegante semplicità del prospetto appena descritto.Superato il vestibolo infatti la navata si presenta scandita da paraste appenaaggettanti, che fiancheggiano le nicchie ad arco contenenti gli altari laterali el’ingresso laterale.Il presbiterio è delimitato da un arco sostenuto da pilastri e si conclude con’ unabside poligonale.Tutto lo spazio interno è riccamente decorato da stucchi realizzati nel secolo XVIIIda Gabriele de Blanco il quale, senza eccedere nello sfarzo, distribuisce conparsimonia leggiadre ghirlande, conchiglie, putti, festoni, foglie carnose e fiori,modellandoli con fantasia ma anche con realismo.Gli affreschi, realizzati sulle pareti laterali, sulla volta che copre la navata e nelcatino absidale, si distinguono per la vivacità dei colori e sono stati da alcuniattribuiti alla scuola del pittore fiammingo Borremans e più precisamente al figlioLuigi, autore degli affreschi della chiesa delleAnime Sante ad Enna.Tra le opere custodite nella chiesa ricordiamo le quattro tele collocate sugli altarilaterali e raffiguranti la , la , l’ e
e la splendida custodia in legno dorato che sovrasta l’altare maggiore eche costituisce l’elemento di maggiore interesse della chiesa.Questa fu eseguita dal trapanese Antonino Rallo su disegno dell’artista AgatinoDaidone nel 1708. Nelle sue forme richiama il prospetto di un edificio sacro di etàbarocca con paraste nella parte inferiore che sostengono un timpano triangolare.Nelle nicchie sono contenute delle statue e tra queste, nella nicchia centrale piùavanzata, si trova la statua lignea di San Marco seduto, con al suo fianco il leone.
Crocifissione Madonna del Carmelo ImmacolataSan Marco,
Si tratta dei quattro altari laterali della navata della chiesa, posizionati, due per lato,entro nicchie ad arco ornate da stucchi. Gli altari sono identici nella forma, nelledimensioni e nel tipo di pietre ornamentali colorate utilizzate e differiscono solo peril fatto che due, quelli più vicini al presbiterio, sono dotati di tabernacolomarmoreo, mentre gli altri due ne sono privi. Sono ornati da tele di buona fatturache danno il nome agli altari stessi. Partendo dal vestibolo abbiamo sulla sinistra laCrocifissione e la Madonna del Carmelo, mentre sulla destra l’Immacolata e SanMarco. Dai documenti d’archivio sappiamo che gli altari furono tutticommissionati da suor Rosane Petroso ai maestri catanesi Vincenzo Bonaventura eBenedetto Giuffrida. Questi, che nel duomo cittadino avevano lavorato allarealizzazione della cappella della Madonna, sotto la guida di Andrea Amato, e viavevano da poco ultimato il pavimento marmoreo, realizzarono i disegni e lieseguirono intorno al 1781. Ricevettero come pagamento 32 onze ciascuno, per glialtari con tabernacolo, e 30 onze per quelli privi di tabernacolo.Gli altari hanno la mensa affiancata da piccole volute e sormontata da un alto attico,con al centro il tabernacolo (anche se non sempre), ed hanno forme lineari e sobrie,caratterizzate dalle semplici figure geometriche del quadrato, del rettangolo e delcerchio. In alto troviamo collocate ai bordi dell’attico marmoreo due voluteornamentali, sempre in marmo. Oltre che dai marmi policromi sono impreziositidalla presenza di decorazioni bronzee, raffiguranti dei festoni dal motivo floreale.
Altari laterali
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GELA
1. Chiesa di San Giuseppe (PP. Agostiniani)
2. Chiesa del SS. Salvatore e Rosario
Chiese con altari in marmi policromi
Fig. 1 Prospetto Principale
UBICAZIONE :
DATAZIONE :
COMMITTENZA:
AUTORE :
BIBLIOGRAFIA :
Assieme al contiguo convento dei PP.Agostiniani siaffaccia sulla Piazza Salandra (fino al 1915 PiazzaS.Agostino)
Edificio originario del 1439 (datazione incerta)Facciata del 1783
Ignota
Ignoto
Damaggio Navarra S., pp. 3-11
Giuliana G., 1967, p. 143Mulè N., 1981, pp. 63-64; pp. 139-159
Chiesa degli Agostiniani(Chiesa di San Giuseppe)
Breve cenno storico:
La chiesa degli Agostiniani, intitolata anche a San Giuseppe, è un delle più antichedi Gela.Tuttavia ancora oggi si sconosce la data precisa di fondazione dell’edificio, cui èannesso anche il convento, e quelle che si avanzano sono solo ipotesi sulla suanascita, prive però di prove certe.Tra gli studiosi è predominante la convinzione che l’edificio sia sorto nella metà delXV secolo e precisamente negli anni intorno al 1456. Esistono però prove che lacomunità degli Agostiniani esistesse già precedentemente a questa data, dalmomento che uno dei Padri (Padre Antonio Macali, priore) stipulava nel 1439 unatto presso uno dei notai della città.Alcuni studiosi inoltre rivendicano per la chiesa ben più remote origini, sostenendola sua presenza al momento della fondazione della città medievale di Terranovaavvenuta nel 1233 per volontà dell’Imperatore Federico II di Svevia. Taleaffermazione sarebbe supportata dal fatto che la piazza su cui prospetta il Tempioesisteva già a quel tempo.Nel 1613 fu realizzata nella chiesa per volontà della famiglia Mugnos, unacappella. La famiglia deteneva il titolo di Baroni di Bulgarano e decise diintervenire nella chiesa con la creazione di questa struttura collegata alla navataattraverso un arcone monumentale in pietra bianca e decorata da uno splendidoaltare costituito da colonne tortili, ricca trabeazione decorata, pala d’altare ed altarein marmi colorati.Successivamente, intorno al 1656, sempre per volontà e grazie ai mezzi messi adisposizione dalla famiglia Mugnos, si iniziarono dei lavori di ristrutturazione edecorazione generale della chiesa che assunse un nuovo aspetto. Furono realizzatigli altari laterali e quello Maggiore, gli stucchi dorati e alcuni dei quadri chedecorano la chiesa, recanti lo stemma della famiglia Mugnos.I lavori di ricostruzione del’esterno invece sono successivi e solo alla fine del XVIIIsecolo si giunse ad ultimare il campanile e la facciata, databile al 1783.Nel 1857 si ha notizia dell’esecuzione di lavori di ristrutturazione della strutturamirati a renderla più alta.Nel 1866, con la soppressione della comunità religiosa, la chiesa passò in mano alComune, assieme al convento. Parte del convento inoltre fu sfruttata proprio inquesti anni quale edificio scolastico.Nel 1913 la chiesa degli Agostiniani, completamente ristrutturata all’interno, furiaperta al culto. In questa occasione furono restaurate le mura cadenti, fu costruitoil soffitto del Sancta Sanctorum, furono eretti due nuovi altari e rifatte ledecorazioni a stucco.Abbiamo notizia di ulteriori lavori di restauro riguardanti la copertura realizzatinegli anni ‘50 del Novecento. In questa occasione i cassettoni del soffitto ligneo,degradati e cadenti, furono asportati e sostituiti con pannelli di gesso.
Descrizione edificio:
La chiesa di S. Agostino, attigua alconvento degli agostiniani, prospetta,come detto precedentemente, su unaampia piazza che fino al 1915 venivadenominata Piazza S. Agostino, mentreoggi prende il nome di Piazza Salandra.É a navata unica con cella campanariacompresa nella stessa facciata.Il prospetto attuale, terminato nel 1783, èrealizzato in pietra squadrata e si presentadal complesso disegno architettonico.Due coppie di paraste su alto piedistalloinfatti inquadrano il portale e l’aperturacentrali e sostengono la trabeazione sullaquale poi imposta la cella campanaria.Questa è costituita da tre aperture ad arco,contenenti le campane, inserite all’internodi un telaio architettonico con paraste,balaustre e trabeazione conclusiva, al disopra della quale si erge il frontone
Fig. 2 Vista dell’interno
triangolare che chiude la struttura.Anche il portale, ad arco, è inserito all’interno diun disegno architettonico comprendente delle paraste su piedistallo e latrabeazione.Sopra il portale vi è una nicchia a fondo semicircolare contenente una statua di SanGiuseppe, opera dell’artista locale Matteo Peritore.L’interno è ben illuminato grazie alla presenza di sei finestre sui suoi lati. La navataè ritmata dalla presenza di nicchie ad arco, contenenti gli altari laterali (costituitiormai dai soli dipinti). Le arcate poggiano su delle paraste e sono sormontate da uncornicione aggettante che marca orizzontalmente l’intero perimetro della chiesa,tranne che sul lato del presbiterio. Qui sorge infatti il grande arcone trionfalesostenuto da pilastri corinzi che dà accesso all’altare Maggiore.Il ritmo delle nicchie delle pareti laterali è interrotto dalla presenza dell’arco diingresso alla Cappella Mugnos, sul lato sinistro della navata.Questa cappella costituisce l’elemento di maggiore interesse dal punto di vistaartistico grazie alle decorazioni a rilievo delle paraste che ne sottolineanol’ingresso, alla struttura dell’altare, costituita da colonne tortili ornate da rilievi esormontate da una trabeazione con timpano spezzato, e all’altare in marmipolicromi al di sopra del quale è collocato un bellissimo Crocifisso ligneo.La Chiesa possiede inoltre una acquasantiera in marmo finemente lavorato enumerosi dipinti, collocati nelle nicchie della navata.L’altare Maggiore è invece piuttosto recente, opera di un marmista di Canicattìrealizzata nel 1967.Il convento contiguo, recentemente ristrutturato, conserva diversi dipinti epossiede una ricca biblioteca i cui libri risalgono in buona parte al 1700.
L’altare si trova sulla parete di fondo della Cappella Mugnos, situata nei pressi delpresbiterio, lungo la navata di sinistra (rispetto all’ingresso principale), alla quale siaccede attraverso un arcone trionfale in marmo bianco, riccamente decorato darilievi. La cappella fu realizzata per volontà della nobile ed antica famigliaterranovese dei Mugnos, Baroni di Bulgarano, nel 1613.L’altare è probabilmente un’opera del secolo XVII, realizzata nell’ambito delfastoso programma di abbellimento della cappella stessa, promosso dalla famigliache la aveva commissionata. Tuttavia è evidente come nel corso degli anni abbiasubito modifiche e risistemazioni cui si deve l’aspetto attuale.É inserito all’interno di una elegante struttura architettonica in marmo cristallinobianco, caratterizzata da due colonne tortili su piedistallo che sostengono latrabeazione ed il timpano spezzato, e ornata da sculture e rilievi dal motivo diispirazione naturalistica. Nella parte alta, al centro della composizione e nel luogoin cui precedentemente era collocata la pala d’altare, troviamo un drammaticoCrocifisso ligneo. L’altare ha forme semplici ed è costituito da una struttura inmarmo bianco entro cui sono inserite le tarsie in marmi policromi che lo decorano.Il paliotto, con medaglione al centro, è inquadrato ai fianchi da volute. La partesuperiore invece prevede due gradini marmorei, di cui il secondo più alto del primo,con al centro il tabernacolo a forma di tempietto. É chiaramente visibile come moltidegli elementi marmorei dell’altare siano stati recentemente sostituiti e rinnovati.
Altare del Crocifisso (Cappella Mugnos)
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Fig. 1 Prospetto Principale
UBICAZIONE :
DATAZIONE :
COMMITTENZA:
AUTORE :
BIBLIOGRAFIA :
Sorge lungo il Corso Vittorio Emanuele (corsoprincipale), nei pressi della Chiesa Madre
Fine del XVI secolo (edificio originario)Fine del XVIII secolo (edificio attuale)
Ignota
Ignoto
Damaggio Navarra S., pp. 10-11
Giuliana G., 1967, p. 144Mulè N., 1981, pp. 85-86; pp. 103-109
Chiesa del SS. Salvatore e Rosario
Breve cenno storico:
Sulla Chiesa del SS. Salvatore e Rosario esistono poche e frammentarie notizie.Sappiamo che il Tempio esisteva, con la sola dedica al SS. Salvatore, in un sitodifferente da quello attuale, al di fuori delle mura di cinta della città.Solo alla fine del XVI secolo fu abbandonata la chiesa originaria, utilizzata daquesto momento in poi come cava per le riparazioni delle brecce delle mura, e sidecise di realizzare una nuova struttura nei pressi della Chiesa Madre.Alcuni secoli dopo nello stesso sito della originaria chiesa del SS. Salvatore sorseun nuovo edificio religioso dedicato a S. Martino o anche a S. Maria delle Grazie.Una iscrizione all’interno della chiesa attuale ci dice che la nuova costruzione furealizzata nel 1585.La chiesa ricevette poi il privilegio del Rosario il 9 giugno del 1600 e da quella datavi ha sede la Confraternita del Santo Rosario.L’edificio così come oggi noi lo vediamo risale invece alla fine del XVIII secolo. Fuin questo periodo infatti che il Tempio fu completamente rinnovato, all’interno edall’estreno, ed assunse la conformazione attuale. I lavori ebbero inizio nel 1796 eterminarono nel 1838.Non si conosce il nome dell’artefice della costruzione anche se sugli spioventi delfrontone triangolare sud della sommità del campanile esiste incisa una iscrizioneche riporta il nome di Antonino da Noto, architetto, quale realizzatore dellastruttura.Sempre l’iscrizione posta al di sopra dell’ingresso principale ci dà notizia della datadi inaugurazione solenne del rinnovato edificio avvenuta nel 1842.Nel 1971 furono eseguiti dei restauri e la chiesa, che evidentemente prima di alloraera inutilizzata, fu riaperta al culto. Tutto ciò fu possibile grazie alla generosità dellaSignoraAnna Concetta Cannizzo e all’intervento dei fedeli.Gli ultimi lavori nell’edificio sono stati realizzati nel 1987 quando è stato rifatto ilpavimento. In questa occasione sono venute alla luce diverse sepolture gentilizie,ovvero dei loculi e delle cripte tra loro intercomunicanti.
Descrizione edificio:
La chiesa del SS. Salvatore e Rosario, anavata unica, si affaccia sul corsoprincipale di Gela, Corso VittorioEmanuele, a brevissima distanza dallaChiesa Madre.Il prospetto si presenta completamentespoglio, privo di qualsiasi elementodecorativo e costituito dalla sola muraturain conci irregolari all’interno di cui sitrovano il portale di ingresso, posto altermine di una ripida scalinata a duerampe, ed una grande f ines t rarettangolare.L’interno invece è riccamente decorato emolto ben illuminato grazie alla presenzadi ampie aperture nelle navate laterali,oltre quella del prospetto.Le pareti ed il soffitto sono ornate dastucchi dorati. Dal punto di vistaarchitettonico invece nella navata
Fig. 2 Vista dell’interno
esistono ad intervalli regolari dei pilastri leggermente aggettanti con capitellicorinzi.Le paraste inquadrano delle nicchie ad arco che contengono gli altari laterali, tre perlato, e sostengono il cornicione su cui impostano gli arconi della volta, decorata daquattro affreschi dipinti nel 1841 da Filippo Casabene. Questi raffigurano scenedella vita di Gesù.Un grande arcone trionfale segna il passaggio dalla navata al presbitero il cui absidepresenta sei colonne, emergenti per tre quarti, con capitelli corinzi e basi a forma diplinto, che sorreggono il cornicione semicircolare su cui poggiano sei grossi vasi. Iltutto è chiuso in alto dal catino absidale a lacunari al cui centro si trova una raggeracon angioletti.L’altare Maggiore, in stile Neoclassico, è realizzato in marmi colorati e dedicatoalla Madonna del Rosario e contenente anche la statua della Madonna.Gli altari laterali, all’interno delle nicchie, sono costituiti invece da mense in marmipolicromi di età barocca al di sopra dei quali sono poste delle tele di buona fattura odelle statue. Tra queste ricordiamo le statue di e di e lepale raffiguranti la , la e la
La chiesa possiede anche una acquasantiera in marmo, in prossimità della bussoladi ingresso, nella parte destra, ed un pulpito ligneo intarsiato, nella parte sinistra.
S. Eligio S. Vincenzo FerreriTrasfigurazione Madonna del Rosario Madonna, San
Gregorio e le anime del Purgatorio.
É il primo altare della navata di destra, rispetto all’ingresso principale, posto entrouna nicchia ad arco, sostenuto da pilastri, e rialzato rispetto alla quota delpavimento da due scalini marmorei.Nella chiesa esistono cinque di questi altari, lungo la navata, identici tra loro nellaforma, ma uguali a due a due per quel che riguarda la disposizione ed il tipo dimarmo colorato utilizzato.L’altare in questione originariamente doveva essere interamente marmoreo,identico a quelli che si trovano nelle altre nicchie della navata, tuttavia oggi nerimane solo l’originario paliotto rettangolare intarsiato, inserito entro una semplicecornice in legno. Attorno alla mensa troviamo poi, come negli altri altari, dei corpilaterali ed una struttura ad attico soprastante, sempre in legno.Si tratta di un’opera realizzata secondo la tecnica a marmi mischi, caratterizzata daun supporto in marmo bianco su cui sono state eseguite le ricche e movimentatedecorazioni a rilievo che fanno da cornice alle lastre in marmi policromi.Al centro troviamo il medaglione dalle forme tipicamente barocche che inquadraun rilievo raffigurante un cane, incorniciato da un motivo floreale intarsiato.Proprio queste figure dentro al medaglione centrale, sempre diverse tra loro,costituiscono uno degli elementi di distinzione tra i vari altari.É l’unico tra gli altari laterali a non avere un altare gemello nella nicchia di fronte.Nella parte superiore della nicchia, al posto della pala, è collocato un Crocifisso.
Altare del Crocifisso
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Altare della Madonna
Si tratta del secondo altare della navata di sinistra (rispetto all’ingresso principale),collocato anche questo all’interno di una nicchia ad arco e sopraelevato dalla quotadel pavimento della navata da due scalini in marmo.Non abbiamo notizie sulla data di realizzazione di questo come degli altri altari, esulle maestranze che li hanno eseguiti.Uguale nel disegno agli altri altari presenti nella navata della chiesa, si differenziaper la presenza di una pietra violacea brecciata nelle paraste che chiudono ai lati lacomposizione, oltre che per il simbolo raffigurato all’interno del medaglionecentrale (due figure umane a mezzo busto entro una nuvola).Solo l’altare dedicato a San Vincenzo Ferreri, situato nella nicchia di fronte, èperfettamente uguale a questo.La mensa marmorea, rettangolare, ha forme semplici ma riccamente ornate. Leparaste inquadrano il paliotto decorato da rilievi scultorei di ispirazionenaturalistica, con foglie e volute, entro cui sono inserite le lastre in marmipolicromi, dai vivaci colori, della decorazione a mischio.Nella attuale sistemazione la mensa è stata affiancata da semplici corpi laterali inlegno, e sormontata da un attico con tabernacolo centrale a forma di tempio, conparaste e timpano triangolare, sempre in legno.Nella parte alta della nicchia troviamo una pala d’altrare di buona fatturaraffigurante la Madonna con San Gregorio Magno e le anime del Purgatorio.
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Altare della Trasfigurazione
L’altare è posizionato nella terza nicchia della navata di sinistra (rispettoall’ingresso principale), sopraelevato dalla quota del pavimento della navata da duescalini in marmo.La mensa è identica a quelle degli altri altari della navata per il disegnoarchitettonico, ma si differenzia per la presenza di una delle pietre ornamentalisiciliane più famosa ed utilizzata in età barocca, ovvero il Libeccio di trapani. Quilo ritroviamo inserito nelle paraste che inquadrano il paliotto rettangolare eall’interno del medaglione ornamentale centrale.Il paliotto presenta una decorazione scultorea a rilievo identica nel disegno a quelleviste in precedenza per gli altri altari.Nel medaglione centrale è raffigurata a rilievo una Madonna con in braccio GesùBambino, posti al di sopra di una nuvola.La mensa è anche in questo caso circondata ai lati e nella parte superiore da unasemplice struttura lignea, leggermente arretrata rispetto alla mensa stessa.In questo caso l’altare non possiede il tabernacolo ed è chiuso in alto dal solo atticoligneo, decorato in modo tale da sembrare in marmo.L’altare possiede in alto una pala raffigurante la Trasfigurazione di Cristo, diispirazione raffaellesca.Nella nicchia di fronte si trova un altare dedicato alla Madonna del Rosario, dotatodi pala d’altare di buona fattura, identico a quello appena descritto.
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MAZZARINO
1. Chiesa di Maria SS. Della Neve (chiesa madre)
2. Chiesa di Maria SS. Del Carmelo (Carmine)
3. Chiesa del SS. Crocifisso dell’Olmo
4. Chiesa di San Francesco di Paola
Chiese con altari in marmi policromi
Fig. 1 Prospetto Principale
UBICAZIONE :
DATAZIONE :
COMMITTENZA:
AUTORE :
BIBLIOGRAFIA :
Prospetta sulla Piazza Monterosso, adiacente alCorso Vittorio Emanuele
Fine del XVII secolo
Carlo Maria Carafa, Principe di Butera e Conte diMazzarino
Angelo Italia, architetto (progetto originario)Giuseppe Ferrara, architetto (nuovo impianto edultimazione dei lavori)
Di Giorgio Ingala P., 1900, pp. 335-341D’Aleo A., 1991, pp. 45-47Giuliana G., 1967, p. 192Di Martino P., 1982, pp. 43-44
Chiesa di Santa Maria della Neve(Chiesa Madre)
Breve cenno storico:
documentata presenza in questa area in quegli anni sembrerebbero confermarla.Il progetto originario dell’Italia per la chiesa prevedeva la realizzazione di unedificio ad una sola navata coperta da una volta a botte. Tuttavia, in seguito allamorte del Principe Carafa e dello stesso architetto gesuita, i lavori, proseguiti fino aiprimi decenni del 1700, furono interrotti sia per la mancanza dei fondi necessari cheper l’incapacità dei costruttori nel portare avanti un progetto ambizioso dal punto divista strutturale, essendo venuto a mancare il suo ideatore.Tale situazione di stallo durò a lungo e solo più di un secolo dopo, nei primi decennidel XIX secolo, grazie all’opera del sacerdote Andrea Bartolotta e alle offerte delpopolo, la chiesa fu completata.Il progetto originario però fu fortemente modificato e ridimensionato lasciandoincompleta la maestosa facciata, la cui realizzazione era arrivata fino al secondoordine, e realizzando un impianto basilicale a tre navate, meno impegnativo dalpunto di vista economico e strutturale.L’architetto che diresse questi lavori di completamento della chiesa fu GiuseppeFerrara, mazzarinese, coadiuvato dal capo mastro Matteo Buccola, anche eglinativo di Mazzarino.Gli ultimi lavori di muratura documentati risalgono al 1844, mentre le opere didecorazione ed arredamento degli interni presero avvio negli anniimmediatamente successivi e prosegiurono fino alla fine del secolo XIX..La chiesa di Santa Maria della Neve è Parrocchia dal 1763.
L’edificio odierno, dedicato a Maria SS.Della Neve, fu realizzato alla fine del XVIIsecolo nel luogo in cui precedentementesorgeva una chiesetta del XV secolo di cuiil nuovo tempio conserva il titolo.Fu realizzato per volontà del PrincipeCarlo Maria Carafa, Conte di Mazzarino enobile tra i più potenti di Sicilia.Questi, desideroso di fornire alla città nellaquale risiedeva un maestoso tempio, diedeavvio ai lavori e dispose anche nel suotestamento che il suo erede fornisse i mezzinecessari per ultimare la fabbrica.L’incarico progettuale sarebbe statoaffidato all’ architetto gesuita AngeloItalia, nativo di Licata, ma attivo a Palermoe nei più importanti centri della Siciliaorientale devastati dal terribile sisma del1693. Tale ipotesi purtroppo non èsuffragata da documenti che testimonino ilreale coinvolgimento del famoso architettonella realizzazione dell’opera, anche se lagrandiosità e le forme della facciata e la sua
Fig. 2 Planimetria dell’edificio
La chiesa Madre di Mazzarino sorge nel cuore del centro storico, in quello che neiprogetti del Principe Carafa doveva essere il luogo di rappresentanza piùimportante della cittadina per la presenza, oltre che della chiesa, del palazzo dellostesso Principe e del Teatro.La facciata rimasta incompleta testimonia la magnificenza del progetto previstodall’Italia. Questa imposta su di un alto basamento al di sopra di cui si innalza ungrandioso ordine di lesene, semplici ed abbinate, con al centro delle semicolonne
Descrizione edificio:
L’interno, a croce latina, è a tre navate definite da robusti pilastri compositicollegati da arcate cui corrispondono, nello spessore dei muri perimetrali, dellecappelle absidate aperte sulle navate laterali. Anche il presbiterio e le testate deltransetto terminano con delle absidi.Nell’abside maggiore è collocato un grande altare marmoreo realizzato, a spese delparroco Sac. Nazareno Faraci, dal marmista catanese Antonino Piazza nel 1881 econsacrato nel 1896 dal Vescovo di Mazzara Mons. Gaetano Quattrocchi.La navata centrale è coperta da una volta a botte decorata da stucchi ed affreschirealizzati dal pittore palermitano Tasca. Questi realizzò anche gli affreschi presentinei transetti e le figure dei quattro Evangelisti nei pennacchi della cupola.Le navate laterali presentano invece una successione di cupolette, corrispondentialle campate che definiscono le navate.Del 1872 è lo stallo dei canonici (coro ligneo), opera dell’artista mazzarinese SantoLuigi Rigani. Nelle 36 spalliere delle sedie canonicali sono rappresentati inbassorilievo i principali racconti del Vecchio e Nuovo Testamento.La chiesa possiede inoltre numerose tele sei-settecentesche ed ottocentesche ediverse opere di oreficeria.Tra le tele ricordiamo la pala dell’altare Maggiore raffigurante la
, l’ , la , l’ ela , opere di G. Tinnirello.Tra le opere di oreficeria i busti di San Benedetto e Santa Scolastica, calici, pissidi,ostensori ed incensieri.
Madonna dellaNeve Adorazione dei Magi Consegna delle chiavi a San Pietro Ascensione
Natività
che affiancano il portale ad arcoinquadrato da paraste e ravvivato davolute e maschere. In asse con questotroviamo una finestra rettangolare contimpano curvo. Il secondo ordine èquello rimasto incompleto ed oltre alleappena iniziate lesene doppie supiedistallo prevede al centro un ampiaapertura rettangolare.Tale finestra è significativa di quellache doveva essere la reale altezza dellanavata nel progetto iniziale, dalmomento che la copertura attualedovuta al secondo progetto è più bassa.
Fig. 3 Vista dell’interno
Si tratta del terzo altare della navata di destra , postoall’altezza della quarta campata
(rispetto all’ingresso).
Originariamente era collocato nella chiesa di Sant’Antonino, dove fungeva daaltare maggiore. La chiesetta, situata nei presi della chiesa Madre, dopo anni diabbandono, fu abbattuta nel primo dopoguerra e l’altare in questione smontato ericollocato in questa posizione.Per forma, disegno architettonico e tipo di marmi utilizzati sembra databile alla finedel XVII secolo, ma di ciò non esistono conferme dirette.Simile per certi versi all’altare della chiesa del Carmine di Mazzarino, è rispetto aquesto più piccolo e semplice. Tuttavia sempre rispondente al gusto barocco per ildinamismo delle forme e la decoratività.É caratterizzato da un telaio architettonico in marmo bianco di Carrara che fa dacornice alle lastre di marmi policromi dai vivaci colori. In basso ha un andamentoleggermente rientrante nella parte centrale dove, in leggero aggetto, troviamo unasorta di urna dalle forme arrotondate e con stemma riccamente ornato da rilieviscultorei a motivo floreale. Il paliotto ai lati è inquadrato da mensole inclinate convolute, arricchite dalla presenza di teste di angeli, scolpite nel marmo bianco.La parte superiore è costituita da tre gradini porta candele con al centro iltabernacolo a forma di tempietto, con paraste e volute a sostegno della trabeazionee dell’elemento di coronamento della composizione in marmo giallo.
Altare di Sant’Antonio
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Fig. 1 Prospetto Principale
UBICAZIONE :
DATAZIONE :
COMMITTENZA:
AUTORE :
BIBLIOGRAFIA :
Si affaccia sulla piazza Vittorio Emanuele, lungo ilcorso principale, affiancando l’attuale palazzo delComune (ex convento carmelitano)
Metà del XVII secolo
Giuseppe Branciforti, Conte di Mazzarino ePrincipe di Butera
Ignoto
Di Giorgio Ingala P., 1900, pp. 391-398
D’Aleo A., 1991, pp. 57-58Giuliana G., 1967, p. 198Di Martino P., 1982, pp. 16-18Correnti S., 1995, p. 158
Russo Ferruggia S., 1857, pp. 83-90
Chiesa di S.Maria del Carmelo(Carmine)
Breve cenno storico:
Secondo quanto riferisce l’Ingala una lapide, posta all’interno dell’edificio nel1877 in occasione di lavori di restauro della facciata, riporta l’anno 1605 quale datadell’edificazione della chiesa ad opera del Principe Giuseppe Branciforti.Tale data probabilmente, come precisa lo stesso Ingala, è da ritenersi inesatta dalmomento che il Principe nacque solamente nel 1619, per cui la data di fondazionedell’edificio va posticipata intorno alla metà del secolo.Accanto alla Chiesa, sempre per opera del Branciforti, si iniziò a costruire unmonastero (oggi sede del palazzo del Comune).Tuttavia, forse per motivi politici, il Principe non potè ultimarlo e decise divenderlo al Padre Marco Ferranti, nativo di Piazza Armerina e Priore del conventodei PP. Carmelitani di Mazzarino, con l’obbligo che questi lo completasse al fine diinsediarvi gli stessi PP. Carmelitani, il cui convento allora versava in pessimecondizioni. Il nuovo convento fu ultimato nel 1673.Assieme al convento il Principe vendette al Ferranti anche la contigua Chiesa, cheallora terminava dove ora è il primo arcone a sostegno della cupola.Le tre cappelle maggiori e la cupola infatti furono aggiunte solo successivamente,sempre per volontà del Branciforti per sciogliere il voto fatto a S. StefanoProtomartire per averlo fatto scampare alla pena di morte che gli era stata inflitta acausa della congiura, ordita dai baroni siciliani nel 1649 contro la CoronaSpagnola, nella quale era rimasto coinvolto. Fece quindi riccamente decorare la trecappelle con pregevoli affreschi, attribuiti alla scuola del Borremans, pitture,balaustre di marmo intarsiato, ed uno stupendo altare maggiore in marmipolicromi, e vi fece collocare le spoglie dei suoi avi.Alla sua morte inoltre volle costituire la Cappella di S. Stefano erede universale delsuo vastissimo patrimonio, come si evince dal suo testamento nel quale ancheordinava che il suo erede e successore facesse realizzare da un “valente dipintore”un quadro raffigurante S. Stefano da collocare sull’altare maggiore.Il dipinto, che raffigura il martirio del Santo, fu commissionato al pittorenapoletano Mattia Preti, tra i più famosi di quel periodo e seguace del Caravaggio, ecollocato come da disposizioni testamentarie nella Cappella Maggiore; tuttavia èstato trafugato da ignoti nel 1982 e non ancora recuperato.Nel 1877 la Chiesa ha subito il restauro della facciata a spese del Municipio e dellaCongregazione di Carità che ha sede nella Chiesa stessa e sempre nel corso dellaseconda metà del XIX secolo l’interno è stato arricchito da finissimi stucchi,realizzati dai fratelli Fantauzzo provenienti dalla vicina Barrafranca, da dipinti esculture.Nel 1857 in seguito all’abbassamento del piano stradale la chiesa, fino ad allora apian terreno, si trovò rialzata di quasi tre metri per cui fu realizzata la scalinata inpietra a due rampe.Un nuovo restauro ha interessato l’edificio nel corso degli anni ’70 del Novecento.
Descrizione edificio:
All’interno la navata, in stile barocco, è scandita da lesene, che sostengono unacornice in stucco su cui imposta la volta di copertura, ed è riccamente decorata datele e sculture di buona fattura, stucchi e da due altari, con colonne aggettanti, suciascuna delle pareti.La cappella sulla destra al termine della navata e dedicata alla Vergine del Carmine,oltre ad una grande tela di autore sconosciuto ed agli affreschi che ne decorano lavolta, presenta al suo interno un sarcofago marmoreo contenente le spoglie del
La chiesa è ad unica navata, a forma di croce latina, grazie alle due cappelle lateralie all’abside.All’incrocio tra i due bracci della croce sorge la cupola, decorata al suo interno dafinissimi stucchi, realizzati dai fratelli Fantauzzo nel XIX secolo, e i cui peduccisono affrescati con i quattro Profeti maggiori (Davide, Geremia, Isaia, Daniele)opera della scuola del Borremans. La cupola termina con un proporzionatolanternino sormontato da una palla di rame sulla quale si erge la bandiera sorrettadal leone, simbolo di Casa Branciforti.Il prospetto dell’edificio si presentadalle linee semplici, con un cantonalein pietra squadrata sull’angolo destroe torre campanaria, sempre in pietra, asinistra, contigua al convento.E’ coronato da un fregio dorico conmetope e triglifi sormontato da uncornicione conclusivo. Al centro dellafacciata l’ingresso principale èsottolineato da due colonne in pietra icui piedistalli sono ornati da motivivegetali a rilievo. Il portale èsormontato da una finestra ad arco.
Fig. 2 Vista dell’interno
Principe Giovanni IV Branciforti. Ilsarcofago, in marmo rosso di SanMarco D’Alunzio, ha la forma di unagrande arca sorretta alle testate da duecoppie di leoni congiunti alle terga econ le code tra loro attorcigliate,simile a quelli in porfido rosso dellaCattedrale di Palermo contenenti lespoglie di Enrico IV, l’ImperatriceCostanza e Federico II. Fu fattorealizzare dopo la morte del PrincipeGiovanni dal figlio Fabrizio nel 1621e fatto collocare in questa chiesa solosuccessivamente per volontà diGiuseppe Branciforti.
Fig. 3 Sarcofago marmoreo di Giovanni IVBranciforti
La Cappella Maggiore dedicata a S.Stefano è caratterizzata lungo laparete di fondo dallo splendido altaremaggiore in marmi policromi e da unatarsia a motivi geometrico - floreali,sempre in marmi colorati, posizionataal centro del pavimento dell'abside.Di particolare rilievo sono le balaustreche chiudono le tre cappelle realizzatein finissimo marmo bianco e decorateda intarsi in marmi policromi acarattere geometrico e raffiguranti lostemma della famiglia Branciforti conil leone rampante che sostiene unabandiera. Tra le pietre colorate quiutilizzate troviamo il Giallo diCastronovo, il Libeccio di Trapani, ilGrigio di Billiemi, il Verde di Calabriaed il Rosso di San Vito.
Fig. 4 Tarsia in marmi policromi posta al centrodel pavimento della Cappella Maggiore
Furono realizzate assieme alle cappelle stesse per volontà del Principe GiuseppeBranciforti.
Fig. 5 Balaustra marmorea
L’altare è posizionato sulla parete di fondo della maggiore delle tre cappelle fatteerigere dal Principe Giuseppe Branciforti quale voto al Santo per averlo salvatodalla pena di morte, inflittagli dopo la congiura dei baroni siciliani contro la CoronaSpagnola, alla quale aveva preso parte. Fu realizzato alla fine del XVII secolo e,dopo la morte del Principe, arricchito da una tela raffigurante il Martirio di SantoStefano, opera del pittore napoletano Mattia Preti, trafugata da ignoti nel 1982.É di grandi dimensioni (occupa infatti quasi l’intera parete), rialzato da quattrogradini e realizzato in marmo bianco di Carrara, riccamente scolpito, con intarsi inmarmi policromi. Si compone di due parti: l’altare vero e proprio, in basso, e lastruttura della cornice, per contenere la pala d’altare, in alto.Ha una mensa leggermente avanzata, con paliotto decorato da elementi scultorei arilievo, soprattutto nella parte centrale aggettante, raffiguranti putti e fogliame.Agli angoli presenta delle mensole inclinate con volute.Sopra la mensa, al centro dei due gradini porta candele, è collocato il tabernacolo,dalle forme arrotondate, ed ancora più in alto troviamo una struttura, a forma ditempio, con colonne libere in marmo grigio, affiancate da volute di raccordo, chesostengono la trabeazione, che chiude in alto la composizione.Il ricchissimo apparato scultoreo prevede due figure marmoree di Serafini, sedutisu grandi volute che fuoriescono inclinate dagli angoli dell’altare. Nella parte altainvece le due statue presenti raffigurano le allegorie della Fede e della Speranza.
Altare di Santo Stefano (Altare Maggiore)
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Fig. 1 Prospetto Principale
UBICAZIONE :
DATAZIONE :
COMMITTENZA:
AUTORE :
BIBLIOGRAFIA :
Si affaccia su una piazzetta che costeggia la ViaGallo
Secolo XI (edificio originario)Prima metà del secolo XVIII (rifondazione)
Marchese Filippo Bivona (rifondazione)
Ignoto
Di Giorgio Ingala P., 1900, pp. 329-332D’Aleo A., 1991, pp. 52-55
Chiesa del SS. Crocifisso dell’Olmo
Breve cenno storico:
La storia di questo edificio è legata ad una leggenda che ci racconta di alcuni ladriche volevano rubare il Prezioso Crocifisso ligneo custodito nella chiesa.Uno dei ladri, avendo con se un grosso bastone di olmo, lo piantò nel terrenodavanti la chiesa per avere le mani libere. Dopo avere preso il Crocifisso i ladriuscirono dal Tempio ma, con loro grande meraviglia, al posto del bastone trovaronoun grande albero di olmo, cresciuto miracolosamente. Spaventati per il prodigiolasciarono la refurtiva scappando via e così il Crocifisso fu salvo. Sarebbe a causadi questo avvenimento miracoloso che la Chiesa avrebbe assunto la denominazioneattuale di SS. Crocifisso dell’Olmo, in luogo di quella precedente di Santa Mariadell’Itria.Non sappiamo quanto di vero ci sia nel racconto ma questo ci aiuta a spiegare ilcambio di denominazione del Tempio e la nascita della particolare devozione delpopolo mazzarinese verso questo Crocifisso miracoloso, Patrono della città fino al1814 e, dopo quella data, Compatrono insieme alla Madonna del Mazzaro.Dell’edificio sappiamo invece che è molto antico ed assieme alle chiese di S.Francesco di Paola, di San Antonio Abate, di Sant’Agata (oggi SS. Crocifisso deiMiracoli) è tra i più antichi della città, sorto in quello che era allora il cuore delborgo medievale, nei pressi del castello e della originaria Chiesa Madre.La sua fondazione con il titolo di Santa Maria dell’Itria sarebbe opera dei Normannie risalirebbe al secolo XI.La struttura originaria, in stile normanno, aveva aperture a sesto acuto e soffittoligneo con travi istoriate.Il terremoto del 1693 distrusse la chiesa normanna e solo parecchi anni dopo, nel1756, questa fu ricostruita dalle fondamenta, nelle forme attuali, grazie alladevozione del Marchese Filippo Bivona, come ci testimonia una lapide postaall’interno dell’edificio.Questi, oltre ad erigerla, la dotò di arredi e paramenti, fece costruire e decorare glialtari e commissionò anche alcuni dei dipinti che li impreziosiscono.Al Marchese Bivona, che si fece poi seppellire nella stessa chiesa dove ancora oggipossiamo ammirare il suo mausoleo marmoreo, si deve anche la realizzazione delcampanile annesso alla struttura, che fu colpito nel 1874 da un fulmine e rovinò inbuona parte. Fu restaurato nel 1881.A Mons. Gaetano Quattrocchi, mazzarinese, rettore del Tempio e poi divenutoVescovo di Mazzara, si devono inoltre le opere di decorazione a stucco degli interninel 1886.Nel 1881 fu anche fondata la “Confraternita della Bara”, formata da più di centouomini che in occasione della Festa del Crocifisso dell’Olmo (la prima domenica diMaggio) portano il fercolo, in ferro battuto e dal notevole peso, contenente ilCrocifisso in processione per le vie del paese. Tale tradizione si sviluppò negli anniimmediatamente successivi al terremoto quale voto della popolazione per loscampato pericolo. Mazzarino infatti aveva subito danni relativamente modesti, seconfrontati con quelli di altri centri della parte sud orientale dell’isolacompletamente rasi al suolo, e non vi erano state vittime tra la popolazione.
La chiesa, realizzata dalle fondamenta dal Marchese Bivona nel 1756, ha tre navatedivise da quattro colonne cilindriche che sostengono delle arcate a tutto sesto.L’impianto longitudinalmente si chiude con l’abside centrale affiancato da duecappelle a destra e a sinistra.Il prospetto esterno si affaccia su di una piazzetta che costeggia la strada ed èsemplice e spoglio.Si caratterizza soltanto per gli elementi architettonici principali, realizzati in pietra
Descrizione edificio:
stucchi, fatti realizzare nel 1886 dal rettore del Tempio Mons. Gaetano Quattrocchi,divenuto poi Vescovo di Mazzara. Furono eseguiti dai Fratelli Fantauzzo diBarrafranca, artisti e stuccatori attivi in questa area ed impegnati nella decorazionedegli edifici più importanti della Diocesi di PiazzaArmerina, e di altri centri vicini.Sono presenti sette altari, compreso quello Maggiore, tutti con le mense in marmicolorati (decorazione a mischio). Negli altari sono collocati dei dipinti di buonafattura e tra questi uno di autore ignoto raffigurante la Madonna dell’Itria, cui lachiesa era prima intitolata, quello della Maddalena, commissionato dal MarcheseBivona nel 1755 al pittore palermitano Pietro Spinosa, una tela con la sacrafamiglia del XVI secolo e l’Arcangelo Michele di autore ignoto.La chiesa come detto conserva un prezioso crocifisso ligneo scolpito (Crocifissodell’Olmo o delle Grazie), di epoca cinquecentesca e Compatrono della città.La scultura lignea del Crocifisso, alterata nell’aspetto da pesanti ridipinture, non èomogenea al supporto. Quest’ultimo è caratterizzato da dipinti nei capicroce delrecto raffiguranti la Madonna e San Giovanni dolenti, ai lati del Crocifisso, e DioPadre Benedicente in alto. Il verso, oltre ai capicroce dipinti presenta anche lungol’asse verticale le figure del Redentore Benedicente, del Cristo Risorto e dellaMadonna con il Bambino.Nell’edificio è collocata anche una pila dell’acqua santa, forse appartenenteall’antica chiesa distrutta dal terremoto, realizzata in marmo bianco ed opera forsedel Gagini.
squadrata, quali il portale, le duefinestre delle navate laterali ad arcoribassato, la finestra finestra dellanavata principale, rettangolare ed inasse con il portale, ed infine icantonali.La parte terminale segue il profilodella copertura a due spioventi dellanavata centrale assumendo la forma didi un timpano triangolare cui siappoggiano le falde inclinate dellecoperture delle navate laterali,leggermente più basse.L’interno è interamente decorato da
Fig. 2 Vista dell’interno
Gli altari in marmi policromi che ornano la chiesa sono sette e tutti identici nellaforma, nel tipo di pietra ornamentale colorata utilizzata e nella posizione di questaall’interno della composizione.
ono dedicati alla Maddalena, alla Madonna dell’Itriaed alla Sacra Famiglia, mentre quelli di sinistra all’Arcangelo Michele, allaMadonna del Monserrato e alla Madonna delle Grazie. L’altare maggiore è invecededicato al SS. Crocifisso dell’olmo e contiene nella nicchia in alto lo stessoCrocifisso miracoloso, in legno scolpito, che dà il nome alla chiesa.Tutti furono realizzati intorno alla metà del secolo XVIII (dopo il 1756) per volontàdel Marchese Filippo Bivona, promotore e finanziatore della edificazione dellanuova chiesa, che così volle abbellire ed arricchire l’edificio.Si tratta di altari dalle forme semplici e dalle piccole dimensioni ma riccamentedecorati da tarsie marmoree e rilievi scultorei. Una struttura rettangolare in marmobianco di Carrara, caratterizzata ai bordi da due paraste con volute che sostengonola cornice conclusiva, inquadra il ricco paliotto centrale.Qui i marmi colorati sono inseriti entro movimentate riquadri le cui corniciscultoree, in leggero rilievo, richiamano motivi floreali. Al centro dell’interodisegno troviamo uno stemma dalle forme rotondeggianti, sempre ispirate a motivinaturalistici. Ciascuno degli altari è arricchito inoltre nella parte alta dalla presenzadi dipinti di buona fattura, realizzati per lo più nei secoli XVII e XVIII.
Quelli della navata di destra s
Altare Maggiore -Altari Cappelle -Altari laterali
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Fig. 1 Prospetto Principale
UBICAZIONE :
DATAZIONE :
COMMITTENZA:
AUTORE :
BIBLIOGRAFIA :
Sorge nella periferia cittadina, ai piedi del castellomedievale (“Cannuni”) e vicino alla chiesa del SS.Crocifisso dei Miracoli (ex Chiesa Madre)
Secolo XIII
Famiglia Branciforti, Signori di Mazzarino
Ignoto
Di Giorgio Ingala P., 1900, pp. 385-389D’Aleo A., 1991, p. 69
Chiesa di S. Francesco di Paola
Breve cenno storico:
La chiesa di San Francesco di Paola è tra le più antiche di Mazzarino e la suafondazione è legata alla potente famiglia dei Branciforti, detentrice del feudo, chedimorava presso il vicinissimo castello, ed i cui simboli sono visibili negli elementicircolari in pietra su cui confluiscono i costoloni della volta che copre il vano.Si tratta di una piccola struttura, utilizzata dai signori feudali quale cappella privata,annessa ad un Eremo di frati Carmelitani. Probabilmente la chiesetta fu fondata nelsecolo XIII e dalla sua origine, fino al 1673 fu occupata dai frati.Questi però in quell’anno si trasferirono in un nuovo convento all’interno dellacittà, acquistato e ultimato dal Padre Marco Ferranti, Priore del Convento, dalPrincipe Giuseppe Branciforti, e così il vecchio ed isolato monastero, le cuistrutture erano ormai fatiscenti, fu abbandonato.Da questo momento fino all’inizio del secolo XIX l’ex convento dei Carmelitani, aipiedi del castello, e l’annessa chiesetta furono utilizzati come ricovero di eremitisotto il titolo di S. Corrado. Solo successivamente l’edificio religioso assunse ladedica a San Francesco di Paola.In seguito alla emanazione nel 1866 delle leggi sulla soppressione degli ordinireligiosi sia il convento che la chiesa vennero incamerati all’interno del patrimoniodel Demanio e vi rimasero fino al 1881. In quell’anno infatti la chiesa fu compratadal Padre Carmelo Nicolosi, che la riaprì al culto, ed il convento invece fuacquistato dal Sig. Giuseppe Vitali, di Licata, che lo restaurò trasformandolo nellasua residenza privata. Tale stato di cose tuttavia permanne per brevissimo tempo,infatti già nel 1885 i PP. Riformati, acquistato il convento, vi si stabilirono,officiando nella chiesa contigua.Nel XX secolo il complesso ha cambiato più volte proprietà, subendo diversetrasformazioni ed ammodernamenti fino ad assumere l’aspetto attuale. Negli anni‘50 è pervenuto ad una comunità di suore Figlie della Carità di Giacomo Cusmano,le quali hanno dato vita all’opera “Boccone del Povero” - Casa del Fanciullo, edancora oggi vi risiedono gestendo una casa di accoglienza per anziani.
Descrizione edificio:
Sorge ai piedi del castello feudale,residenza fino al secolo XVII dei Signoridi Mazzarino. Si tratta di un edificio dallepiccole dimensioni ma molto antico,avente impianto originario a croce greca,trasformato nel corso dei secoli in crocelatina con abside centrale maggiore, inasse con l’ingresso, e absidi laterali,sporgenti e visibili dall’esterno.La chiesa è stata recentemente interessatada un profondo intervento di restauro, siadelle strutture esterne che dell’interno,che ne ha in parte stravolto la formatramandataci dal tempo, frutto di continuetrasformazioni e cambiamenti di gusto.Oggi quindi si presenta con un aspettomedievale (suo aspetto originario),austero e più vicino ad un’opera difortificazione che ad un edificio religioso,destinato ad ospitare delle celebrazioni.
Fig. 2 Vista dell’interno
Il prospetto principale esterno infatti è costituito da una muratura in conci irregolaridi pietra arenaria locale. Ha forma rettangolare ed è chiuso in alto, lungo tutto il suoperimetro, da una merlatura. Unici elementi presenti nella facciata sono la porta diingresso rettangolare, piccola ed essenziale nelle forme, con stipiti ed architrave inpietra squadrata, e l’apertura circolare, situata in asse con la porta stessa. Sempreall’esterno, sulle pareti laterali sulle murature delle absidi laterali , troviamo dellesottili aperture ad arco strombate, simili a delle feritoie.L’interno è completamente rinnovato e quasi del tutto spoglio. Il pavimento è statorealizzato da breve tempo, le pareti sono state intonacate e così anche le volte dicopertura della piccola navata, e delle absidi. Le volte presentano ancora icostoloni, realizzati in laterizio, che convergono su di un elemento circolare, chefunge da chiave di volta, su cui sono rappresentati simboli riconducibili alla nobilefamiglia dei Branciforti.L’unico elemento decorativo all’interno dell’edificio è l’altare maggiore, dedicatoa San Francesco di Paola, caratterizzato da una mensa in marmi policromi e da unaricca decorazione in stucco colorato, con motivi di ispirazione naturalistica efloreale, di gusto tipicamente barocco.La nicchia contenente la statua del Santo infatti è inquadrata da una struttura conparaste laterali, aggettanti e dalla originale forma curva, che sostengono latrabeazione curvilinea. In alto, sempre in stucco, la composizione si chiude con unasorta di grande medaglione, sormontato da una corona e con figure di putti cheinquadrano una iscrizione inneggiante alla Carità.Le absidi laterali, oggi spoglie, contengono ancora i dipinti che prima ornavano glialtari qui collocati, dedicati a San Corrado ed alla Beata Vergine del Carmelo.
L’altare è collocato entro l’abside maggiore, proprio di fronte all’ingressoprincipale, inserito all’interno di una ricca composizione, ornata da stucchi e davivaci colori, realizzata in età barocca nella chiesetta di aspetto invece medievale.L’opera infatti è l’unico elemento decorativo dell’edificio ed ha nel disegnoarchitettonico complessivo e nelle paraste curve, che sostengono il coronamentosoprastante, un elemento di originalità dal notevole interesse artistico ed utile percomprendere le peculiarità dell’arte e dell’architettura barocca. Il tutto è infatticaratterizzato dal dinamismo e dalla complessità delle forme, oltre che da una riccadecorazione di ispirazione naturalistica realizzata in stucco, a sua volta arricchitoda vivaci colorazioni. Al centro troviamo poi la nicchia contenente la statua delSanto, ed ancora più in alto il grande medaglione conclusivo con figure di angeli ediscrizione inneggiante alla carità. La mensa, nella parte bassa, è costituita da marmobianco di Carrara, decorato da tarsie in marmi policromi. Il paliotto, inquadrato ailati da piccole volute, presenta al centro una sorta di urna aggettante, dalle formerotondeggianti, con fastoso medaglione centrale. Nella parte alta invece vi sono tregradini porta candele ed al centro il tabernacolo marmoreo, a forma di tempiettocon paraste e volute a sostegno della trabeazione. Per il disegno architettonico e peril tipo di pietre ornamentali colorate utilizzate somiglia molto all’altare diSant’Antonio, presente sempre a Mazzarino nella Chiesa Madre. É probabile che idue altari siano coevi e che siano stati realizzati dalle medesime maestranze.
Altare di S. Francesco di Paola (Altare Maggiore)
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NISCEMI
1. Chiesa di Maria SS. Dell’Itria (chiesa madre)
2. Chiesa di Maria SS. Addolorata (Carmine)
3. Chiesa della Madonna delle Grazie
4.
5. Chiesa Santuario di Maria SS. Del Bosco
6. Chiesa di San Giuseppe
Chiesa di San Francesco
Chiese con altari in marmi policromi
Fig. 1 Prospetto Principale
UBICAZIONE :
DATAZIONE :
COMMITTENZA:
AUTORE :
BIBLIOGRAFIA :
Si affaccia sulla Piazza Vittorio Emanuele III, piazzaprincipale di Niscemi, di fronte alla chiesadell’Addolorata
Secolo XVII (1° edificio)Prima metà del secolo XVIII (edificio attuale)
Giuseppe Branciforti (1° edificio)Devozione popolare (edificio attuale)
Giuseppe La Rosa, architetto (edificio attuale)
Giuliana G., 1967, p. 210Conti E., 1977, pp. 81-86Marsiano A., 1989, pp. 10-11Marsiano A., 1995, p. 33; p. 88; pp. 90-97
Chiesa di Santa Maria d’Itria(Chiesa Madre)
Breve cenno storico:
La chiesa di Santa Maria d’Itria fu realizzata nelle forme attuali nel corso dellaprima metà del secolo XVIII, sul luogo in cui si trovava la primitiva Chiesa Madre,recante sempre lo stesso titolo.Della chiesa iniziale sappiamo ben poco. Sicuramente fu realizzata nei decenniimmediatamente successivi alla fondazione della città di Niscemi, avvenuta nel1626. Non si è certi inoltre del fatto che sia stata fabbricata a spese del PrincipeGiuseppe Branciforti oppure per contribuzione volontaria di tutto il popolo.Da alcune realzioni relative a visite pastorali, effettuate dai Vescovi nella chiesa neiprimi anni del secolo XVIII, siamo venuti a conoscenza della presenza nel tempioseicentesco di una cappella dedicata al Purgatorio e di un’altra al Rosario, di altaridedicati a Sant’Anna, alla Sacra Famiglia, ai Santi Pietro e Paolo e al SS.Crocifisso.Sicuramente l’edificio venne seriamente danneggiato dal terremoto del 1693 ecosì, dopo avere per alcuni anni provveduto a piccole e provvisorie riparazionidelle strutture, si diede inizio alla riedificazione della chiesa, in forme piùmaestose, finanziata esclusivamente dal popolo.Dopo il disastroso terremoto infatti il popolo da solo, senza alcun aiuto finanziariodi personalità esterne, ricostruì nel breve periodo che va dal 1710 al 1780 quasi tuttele chiese attualmente esistenti nella città, seriamente danneggiate in occasionedella calamità.I lavori per la costruzione della nuova chiesa ebbero inizio nel 1742 secondo ilprogetto redatto dall’architetto messinese Giuseppe La Rosa, attivo in quegli anni aPiazza Armerina. La costruzione continuò ininterrottamente fino al 1751. Inquell’anno infatti il nuovo parroco decise di sospendere in via provvisoria i lavori acausa della mancanza dei fondi necessari. Negli anni successivi, però, a causa deicattivi raccolti e in considerazione del fatto che l’attenzione e il concorso popolaresi erano ormai rivolti verso la costruzione della nuova chiesa dell’Addolorata, nonsi ebbe più cura di portare a termine la Chiesa Madre che rimase incompleta. Lafacciata rimase priva del suo coronamento, mentre l’interno fu lasciato rustico,privo di intonaco, stucchi e decorazioni. Solo in seguito si provvide ad intonacare lepareti e a pavimentare la chiesa in modo che questa potesse essere inaugurata edutilizzata per le sacre celebrazioni.Due anni dopo così, il 15 luglio 1753, il tempio venne solennemente consacrato allapresenza del Vescovo di Siracusa, Mons. Francesco Testa.Nel 1858 furono stanziati dal decurionato trecento ducati per la decorazione dellachiesa Madre, secondo il progetto redatto dall’architetto Francesco Cultrera diVizzini. Negli anni 1863 e 1864 furono effettivamente eseguiti i lavori diabbellimento di tutto l’edificio da un gruppo di pittori decoratori provenienti daAvola, sotto la guida del pittore Gregorio Scalia.Nel 1906 fu messo in opera il nuovo pavimento in marmo bianco e bardiglio.Nel 1982, ad opera del parroco donAntonino Russo, tutta la chiesa è stata restaurataed affrescata dal pittore e decoratore Giacomo Cinnirella di Caltagirone.Restauri delle strutture murarie esterne, di quelle di copertura e degli infissi sonostati eseguiti invece nel 1991 grazie ad un finanziamento della Regione Siciliana.
Descrizione edificio:
La chiesa ha pianta basilicale, a tre navate,di cui quella maggiore coperta da unavolta a botte lunettata, con abside centralemolto profondo, affiancato da duecappelle, e cupola, posta all’incrocio deltransetto con la navata.La facciata è costituita da tre ordini, di cuil’ultimo rimasto incompleto. Le duelesene centrali dividono la superficie diciascun livello in tre rettangoli, di cui i duelaterali rientrano con leggera concavitàconferendo movimento, snellezza edeleganza a tutta la composizione. Alcentro spicca il bel portale in pietra condue fasci di tre colonne libere subasamento che sostengono un fastosocoronamento dalle forme curve. In assecon il portale, in corrispondenza delsecondo livello, troviamo la finestrarettangolare racchiusa entro una riccacornice con colonne piatte in leggero aggetto, complete di trabeazione. Il terzoordine, rimasto incompiuto perchè privo della trabeazione, è caratterizzato da trecelle campanarie con archi a tutto sesto inquadrati da delle paraste.Le quattro superfici laterali concave sono decorate ciascuna con una nicchiacontenente una statua. Vi sono così raffigurati i due Evangelisti Marco e Giovannied i SantiApostoli Pietro e Paolo.L’interno è diviso in tre navate da cinque pilastri per lato. Delle paraste corinziesostengono la trabeazione con cornice aggettante su cui imposta la volta. Leaperture della navata sono collocate entro le lunette della copertura.Le decorazioni a stucco furono realizzate negli anni 1863-1864 da maestranzeprovenienti da Avola guidate dal pittore decoratore Gregorio Scalia. Queste, suprogetto dell’architetto Francesco Cultrera di Vizzini, decorarono la cupola, il coro,la volta della navata principale e quelle delle navate laterali.Tra le tele possedute dalla chiesa ricordiamo due opere dei fratelli Vaccaro diCaltagirone, una raffigurante la e realizzata nel 1837, mentre l’altra,con la , datata al 1860.Gli altari laterali e quello maggiore sono tutti realizzati in marmi policromi edimpreziositi dalla presenza di dipinti e statue di buona fattura.Il presbiterio è separato dalla navata da una balaustra in marmo con intarsi in pietrecolorate, tra cui il marmo Rosso di Francia ed il Libeccio di Trapani.Nella chiesa si trovano altre opere realizzate in marmo ed impreziosite dallapresenza di pietre ornamentali colorate quali diverse acquasantiere, il fontebattesimale, in legno lavorato e decorato nella parte superiore, ed un paliotto dialtare, in marmi mischi, collocato sul muro lungo la navata di sinistra.
CrocifissioneMadonna del Suffragio
Fig. 2 Vista dell’interno
Altare della Sacra Famiglia
Si tratta del primo altare, posto lungo la navata laterale di destra, rispettoall’ingresso principale, subito dopo il fonte battesimale in legno e marmo.L’altare si compone di un paliotto seicentesco, inquadrato da due paraste ai bordi,appartenente ad un altare marmoreo della originaria chiesa Madre, realizzata agliinizi del secolo XVII. Questo, dopo l’edificazione del nuovo tempio e dopo la suadecorazione, è stato risistemato alla fine dell’800 all’interno di una composizione,con corpi laterali e gradini nella parte alta, dal gusto neoclassico, tipicamente tardoottocentesco. Mentre infatti nella mensa, in marmo bianco con intarsi in pietreornamentali colorate, prevale la tendenza alla decorazione ed alla vivacità delleforme e dei colori, nel resto della struttura troviamo invece forme lineari,decorazioni a carattere geometrico, ispirate alle figura del rettangolo, e pietrecolorate dai toni severi. La mappatura dei litotipi presenti è stata quindi eseguitasolo sulla parte di altare più antica, ovvero solo relativamente al paliotto marmoreo.L’opera seicentesca ricalca modelli e temi decorativi molto diffusi nelle chiese diNiscemi. Paliotti simili sono infatti presenti, oltre che nella stessa chiesa Madre,anche presso la chiesa di San Giuseppe, della Madonna del Bosco e della Madonnadelle Grazie, mentre altri, realizzati in paese successivamente, sono chiaramenteispirati a questi. Si tratta di una composizione di ispirazione naturalistica, ricca divolute e linee curve che inquadrano le lastre in marmi policromi della decorazione amischio, inserita entro lo spazio rettangolare definito dalle paraste ai bordi.
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Altare del SS. Sacramento
L’altare occupa la parete di fondo di una delle cappelle che affiancano l’absidemaggiore della chiesa. Si tratta della cappella dedicata al SS. Sacramento situata altermine della navata laterale di destra, rispetto all’ingresso principale.Una cappella con la stessa dedica esisteva già nella primitiva chiesa Madre,realizzata agli inizi del secolo XVII. É probabile che questa fosse già allora dotatadi un altare marmoreo e che alcuni frammenti dello stesso altare (tabernacolo etempietto con colonne libere) fossero stati riutilizzati in occasione dellarealizzazione dell’altare attualmente visibile. Questo, sopraelevato da due scalinimarmorei, è inserito all’interno di una struttura architettonica con colonne libere subasamento che sostengono un coronamento con architrave, fregio, cornice etimpano triangolare. Due figure di angeli, realizzati in stucco, con in mano unostensorio contenente il SS. Sacramento .L’altare ha forme semplici ed ormai di gusto neoclassico. Si compone nella partebassa di una mensa in marmo bianco con paliotto decorato da una grande lastrarettangolare di Libeccio di Trapani. Al centro del paliotto troviamo il simbolo dellacroce, mentre ai fianchi due corpi laterali, di forma rettangolare e leggermentearretrati, fungono da basamento per le colonne della struttura superiore.Nella parte alta dell’altare è collocato il tabernacolo marmoreo. Sopra questo lacomposizione si chiude con una struttura a forma di tempio circolare con colonnelibere a sostegno della trabeazione e del coronamento con volute conclusivo.
occupano lo spazio centrale
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Altare Maggiore
L’altare è posizionato in fondo all’abside maggiore della chiesa, notevolmenterialzato rispetto alla quota del pavimento da cinque scalini in marmo bianco.Abbiamo pochissime notizie storiche relativamente a quest’opera probabilmenteeseguita alla fine del secolo XVIII oppure degli inizi del secolo XIX, e realizzatanel momento in cui alla ricchezza e complessità delle forme, tipiche dell’etàbarocca si cominciarono a preferire la sobrietà e compostezza delle composizionidi tipo neoclassico, sempre più diffuse anche a Niscemi.L’altare ha grandi dimensioni e si compone di una lunga mensa rettangolare, inmarmo bianco, con paliotto riccamente decorato da marmi policromi e rilieviscultorei, dalle forme rotondeggianti, che inquadrano il medaglione al centro,contenente il simbolo della croce.Il paliotto è inquadrato ai bordi da paraste, ornate da intarsi dal motivo naturalistico,mentre ai fianchi della mensa due corpi laterali, leggermente arretrati, chiudonoorizzontalmente la composizione.Nella parte alta invece, sopraelevato da un gradino, si trova l’alto attico, concornice conclusiva, decorato da lastre in marmi policromi, di forma rettangolare equadrata, tagliate a specchio in modo da ottenere un particolare effetto decorativo.Al centro è collocato il tabernacolo a forma di tempietto, avente la stessa altezzadell’attico ed ornato da paraste con intarsi in marmi policromi, che inquadrano losportellino centrale dorato e sostengono la trabeazione con cornice conclusiva.
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Altare del SS. Crocifisso
L’altare si trova all’interno della cappella del SS. Crocifisso, situata al termine dellanavata di sinistra ed aperta sul transetto. Occupa la parete di fondo del vanorettangolare, sopraelevato rispetto alla quota del pavimento da due scalinimarmorei. É inserito entro una struttura con colonne a sostegno della trabeazionecurvilinea, che inquadra il grande Crocifisso e gli stucchi, che costituiscono ilmotivo ornamentale della composizione.
L’altare è abbastanza antico e sicuramente presente già nella primitiva chiesaMadre, realizzata nel secolo XVII e sostituita dal nuovo tempio nel secolosuccessivo. Era probabilmente già allora collocato in una cappella dedicata al SS.Crocifisso e fu rimontato in questa posizione dopo l’edificazione e decorazionedella nuova chiesa.L’altare ha piccole dimensioni ed è realizzato in un marmo bianco, probabilmentelocale, caratterizzato da sottili venature di colore grigio. É interamente decorato datarsie in marmi policromi dalle forme tipicamente barocche, ma allo stesso temposemplici ed ispirate a motivi geometrici.La mensa presenta un paliotto rettangolare, ornato da tarsie marmoree edinquadrato da paraste ai lati. In alto invece troviamo due gradini porta candele ed alcentro del secondo gradino il tabernacolo in legno dorato a forma di tempietto.
La cappella è coperta da una volta divisain otto vele, affrescata e con angeli in gesso, a rilievo, mentre nel medaglionecentrale è stato dipinto Gesù Risorto con la croce.
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Altare della Madonna del Carmine
É il secondo altare della navata laterale di sinistra, rispetto all’ingresso principale,sopraelevato dalla quota del pavimento da uno scalino in marmo Rosso di San Vito.Non abbiamo notizie precise su quest’opera, tuttavia è probabile che si tratti di unacomposizione ottocentesca, realizzata contemporaneamente alle decorazioni instucco della chiesa, dalle forme lineari e semplici, di gusto neoclassico, ma dallaricca profusione di marmi policromi, soprattutto brecciati, retaggio della culturafigurativa di periodo barocco.Sopra l’altare, entro una nicchia ad arco affiancata da decorazioni a stucco, si trovaconservata una statua della Madonna con in braccio Gesù Bambino.L’altare è interamente rivestito di marmi policromi e decorato da motivi diispirazione geometrica quali lastre di forma rettangolare inserite entro semplicicornici lineari. La mensa presenta un paliotto rettangolare, inquadrato da paraste aibordi ornate da teste di angeli, con al centro un ottagono contenente un rilievoscultoreo raffigurante la Madonna.Ai fianchi della mensa troviamo due corpi laterali arretrati, mentre nella parte altadue gradini chiudono la composizione. Il primo gradino, rivestito da una marmobrecciato dal fondo violaceo, sostiene il secondo gradino, notevolmente più alto etale da costituire un vero e propio attico. Questo è decorato da lastre marmoree diforma rettangolare e presenta in alto, lungo l’asse di simmetria verticale dell’altare,un piccolo elemento di coronamento con volute ed intarsi in marmi policromi.
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Fig. 1 Prospetto Principale
UBICAZIONE :
DATAZIONE :
COMMITTENZA:
AUTORE :
BIBLIOGRAFIA :
Si affaccia sulla Piazza Vittorio Emanuele III, piazzaprincipale di Niscemi, di fronte alla Chiesa Madre enei pressi del Palazzo Comunale
Primo decennio del secolo XVII (1° chiesetta)Metà del secolo XVIII (edificio attuale)
Fratelli Calcagno, procuratori della riedificazionedella chiesa di Maria SS. Addolorata (edificio attuale)
Silvestro Gugliara, architetto (edificio attuale)
Giuliana G., 1967, p. 212Cincotta R.-Pepi C., 1980, pp. 64-71Marsiano A., 1989, pp. 11-19Marsiano A., 1995, p. 33; p. 88; pp. 97-101Pepi S., 1996
Chiesa di Maria SS. Addolorata
Breve cenno storico:
Anche la attuale chiesa dedicata a Maria SS. Addolorata è stata edificata nel XVIIIsecolo sul luogo di un precedente edificio religioso, gravemente danneggiatodurante il terremoto del 1693.Esisteva infatti in questo sito, già prima che venisse fondato il paese di Niscemi,una “rusticana aedicula”, ovvero una piccola chiesetta-oratorio, che serviva persoddisfare i bisogni religiosi dei pastori e degli agricoltori che lavoravano nel feudodi Niscemi.Quando nel 1660 fu fondata la Confraternita del SS. Crocifisso, composta da tuttele classi sociali, che osservava scrupolosamente un regolamento di vita spiritualecompilato da padre Luigi La Nuza, fu scelta proprio questa chiesetta per svolgervile quotidiane pratiche religiose.L’edicola fu pesantemente danneggiata dal terremoto del gennaio del 1693 e caddedefinitivamente intorno al 1748.A spese della confraternita del SS. Crocifisso e della Congregazione di Maria SS.Addolorata, e grazie alle generose offerte della popolazione, fu possibile negli annisuccessivi costruire un nuovo edificio, ben più maestoso e ricco del precedente.Sotto la guida del superiore della confraternita, don Gioacchino Calcagno, aiutatoed incoraggiato dai fratelli sacerdoti Giuseppe e Gaetano e dall’altro fratelloGiacomo, fu infatti ricostruito non più un semplice oratorio ma una chiesa moltoampia e dalle forme aggiornate, secondo il gusto del tempo.Acquistate le case circostanti ed ottenuta dal Vescovo di Siracusa la licenza diriedificare la chiesa, si conferì l’incarico di redigere il progetto all’espertocapomastro Silvestro Gugliara, nativo di Caltagirone, seguace della manieraarchitettonica del famoso architetto Rosario Gagliardi, cui per lungo tempo ederroneamente era stata attribuita la paternità della chiesa dell’Addolorata diNiscemi (è probabile che il Gugliara abbia tratto ispirazione dai progetti delGagliardi, che conosceva ed aveva visto all’opera a Caltagirone).I lavori iniziarono nel 1753, con lo scavo delle fondazioni, e si conclusero nel 1764,quando la chiesa venne consacrata dal Vescovo di Siracusa, Mons. Antonio deRequesens, e dedicata alla VergineAddolorata e a Gesù Crocifisso.Nel 1972 un grave incendio danneggiò l’edificio ed in particolare le pitture e gliaffreschi in esso conservati. Per questo motivo il procuratore Salvatore Benintendeed il rettore parroco don Antonino Russo si fecero promotori dei lavori di restaurodelle decorazioni, realizzati nel 1982. Fu il pittore e restauratore GiacomoCinnirella, di Caltagirone, a rimettere a nuovo i quadri e gli affreschi settecenteschi.L’usura del tempo aveva però apportato anche consistenti danni alle murature edalla copertura della chiesa, per cui si resero necessarie nuove operazioni di restauro,riguardanti questa volta la struttura, e non gli apparati decorativi.Nel 1989 la Soprindendenza ai beni culturali ed ambientali fece eseguire i restaurisecondo il progetto redatto e diretto dall’architetto Salvatore Scuto, che riportò lafacciata all’originario aspetto, consolidò la struttura muraria, rifece il tetto ormaipericolante, irrobustì la struttura del campanile e riordinò la cripta e gli elementidecorativi, quali gli altari.
Descrizione edificio:
La chiesa è una pregevole opera diarchitettura barocca, dalla insolita piantaottagonale allungata, quasi ellittica, ecaratterizzata da una elegante facciata,convessa nella parte centrale.All’esterno il prospetto principaleprevede un ordine gigante di quattrolesene in pietra, su basamento, che lodivide in tre parti, mettendo così in risaltoil movimento della superficie, convessa alcentro e concava ai lati.Al centro l’artistico portale di ingresso èdecorato da paraste che sostengono untimpano spezzato e ricurvo. Sopra ilportale, ed in asse con questo, è collocatala finestra, rettangolare e riccamenteornata, che dà luce all’interno.L’ordine di lesene sostiene unatrabeazione concavo-convessa su cuiimposta la struttura della cellacampanaria, con paraste ad inquadrare le tre arcate con le campane, ed affiancata davolute, che chiude la composizione.L’interno, a pianta centrale, è coperto da una volta a crociera composta, costituita daun sapiente intrecciarsi di curve su cui si innestano le lesene interne.L’illuminazione, oltre che dalla finestra della facciata, è garantita anche dallapresenza di occhi che si aprono sotto la volta.Le decorazioni della chiesa furono realizzate nel 1760 da Francesco Sajola diCatania, mentre il pittore Gasperino Vizzini affrescò il grande quadro centrale dellavolta, racchiuso entro una cornice in stucco, raffigurante Gesù Cristo, la Madonna eSan Giovanni Evangelista.Gli altari in marmi policromi furono messi in opera nel 1764 da Domenico Viola diCatania. Quello Maggiore è dedicato al SS. Crocifisso ed alla VergineAddolorata efu completato ed abbellito nel 1797 con l’aggiunta della struttura superiore concolonne e frontone. Gli altari laterali, sempre in marmi policromi, sono dedicati alMaria SS. Della Mercede e a San Filippo Neri.Il pavimento della chiesa era originariamente in mattoni di ceramica stagnata diCaltagirone, eseguito nel 1762. Questo venne sostituito nel 1850 con un altro astrisce di pietra nera e bianca e nel 1931 con uno in mattoni di cemento a mosaico.La chiesa possiede alcune tele di autore ignoto quali i quadri raffiguranti la
, , l’ ed il .Nel 1761 venne collocata la porta della chiesa costruita da Andrea Militello edecorata con pitture del Tinnirello. Nella cappella dell’altare Maggiore si conservainoltre un pregevole Crocifisso ligneo, opera dello scultore Antonio La Verde diLicata, eseguito nel 1760 e donato alla chiesa da don Carmelo La Iacona.
Madonna della Mercede San Filippo Neri Addolorata Cristo Morto
Fig. 2 Vista dell’interno
Altare del SS. Crocifisso e della VergineAddolorata(Altare Maggiore)
Si tratta di un grande altare posizionato nell’abside maggiore della chiesa, di fronteall’ingresso principale. Occupa la parete di fondo della zona del presbiterio,separata dal resto del vano da una balaustra in marmi policromi, rialzato rispettoalla quota del pavimento da tre gradini in marmo grigio scuro.Grazie alla esistenza del contratto stipulato dai procuratori, prepostiall’edificazione del tempio, per l’esecuzione dell’opera oggi ne conosciamoesattamente la data di realizzazione ed i nomi degli artisti che la eseguirono.Fu infatti Domenico Viola, proveniente da Catania, a realizzarla nel 1764. Allostesso artista si devono anche i due altari marmorei che occupano gli spazi laterali.L’altare fu però completato ed arricchito nel 1797 quando lo scultore GiuseppeOrlando, sempre di Catania, vi inserì le due colonne corinzie in marmo policromo,che sostengono l’architrave, il fregio ed il coronamento che conclude in alto lacomposizione.L’altare ha forme lineari e semplici ma vivaci colori dovuti ai vari litotipi presenti,per lo più brecciati. É caratterizzato da una mensa rettangolare il cui paliotto,inquadrato da due artistiche mensole sporgenti, ha al centro un rilievo in marmobianco raffigurante l’agnello, simbolo di Cristo, entro una cornice circolare.Ai fianchi della mensa troviamo le basi che sostengono le grandi colonne in marmo,mentre nella parte superiore il tabernacolo, a forma di tempio con paraste, colonnelibere e ricco coronamento triangolare, occupa lo spazio al centro dell’alto attico.
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Fig. 1 Prospetto Principale
UBICAZIONE :
DATAZIONE :
COMMITTENZA:
AUTORE :
BIBLIOGRAFIA :
Sorge nelle immediate vicinanze della piazzaprincipale della città, nel cuore del centro storico
Fine del secolo XVI (1° chiesetta)Prima metà del secolo XVIII (edificio attuale)
Famiglia La Iacona
Lucio Iacona, ingegnere (facciata novecentesca)
Marsiano A., 1995, p. 88; pp. 108-112Pepi S., 1996
Chiesa di Maria SS. delle Grazie
Breve cenno storico:
La chiesa dedicata a Maria SS. delle Grazie è stata con molta probabilità il primoedificio religioso di Niscemi, esistente ancora prima che il paese stesso venissefondato, nello stesso luogo del tempio attuale. Una piccola chiesetta acevaparte, già negli ultimi anni del secolo XVI, del caseggiato della masseria dell’exfeudo di Niscemi, svolgendo le mansioni di chiesa parrocchiale e costituendo, conla sua antistante piazza il cuore del vecchio centro abitato.
Solo con l’incremento della popolazione e la costruzione della Chiesa Madre, con lanuova e più grande piazza davanti a questa, intorno al 1640, il nucleo della città sispostò più a nord-est, a discapito della chiesa della Madonna delle Grazie.Questa infatti rimase per poco tempo ancora aperta al culto, ma successivamentevenne chiusa e trascurata, tanto che già intorno al 1720 presentava evidenti segni difatiscenza, minacciando di rovinare al suolo.La nobile e ricca famiglia La Iacona, in occasione della ordinazione sacerdotale didon Antonio, membro della famiglia, pensò di ricostruirla e di dotarla della renditanecessaria al mantenimento del culto. Si rivolse allora al Principe Ercole MicheleBranciforti, nel 1733, per ottenere l’autorizzazione ad iniziare i lavori e laconcessione del diritto di patronato laicale sull’edificio (tale diritto fu richiestoanche al Vescovo di Siracusa, Mons. Matteo Trigona, che lo concesse nel 1734).L’autorizzazione fu concessa dal Principe il 29 novembre dello stesso anno e cosìdon Antonino La Iacona, con l’aiuto finanziario dei fratelli, del popolo e con unapiccola donazione del Principe, iniziò lo stesso anno la ricostruzione della struttura.Dopo brevissimo tempo i lavori furono portati a compimento e la chiesa divennel’orgoglio della famiglia La Iacona, che nel corso degli anni la dotò di un cospicuopatrimonio ed abbellì con sontuosi arredi e pregevoli opere d’arte.Nella chiesa si esercitavano regolarmente le funzioni religiose e questa fu tenutabene e continuò ad arricchirsi fino a quando non furono emanate le leggi eversivedei beni ecclesiastici nel 1866 e nel 1870. In seguito a queste leggi infatti i beni dellaChiesa venivano incamerati dallo Stato ed anche la chiesa della Madonna delleGrazie subì la stessa sorte. La famiglia La Iacona si ribellò a questo stato dicose, rivendicando per se la proprietà dell’edificio. Iniziò così un lungo periodo diliti e di battaglie legali tra la famiglia Iacona ed il Comune e tra gli stessi eredi, perla spartizione del patrimonio, che si conclusero soltanto molti anni dopo.L’ultima sentenza della Corte di appello di Palermo è del 1939. Fu nominato inquesta occasione un amministratore giudiziario con il mandato di provvedere, oltreche alla riscossione delle rendite, anche al restauro della edificio, che in tutto questotempo era stata trascurato ed abbandonato, per cui versava in pessime condizioni.Furono così eseguiti i lavori di restauro delle strutture e degli apparati decorativi,ultimati i quali si provvide a riaprire al culto la chiesa, consacrata solennemente dalVescovo di PiazzaArmerina Mons.Antonino Catarella, nel 1947.Oggi la chiesa, nuovamente chiusa al culto, necessita di ulteriori lavori di restauro.
infatti f
Fu proprio in questa chiesetta che inizialmente si conservò la sacra immagine dellaMadonna del Bosco, rinvenuta dal pastore Andrea Armao nel 1599, fino a quandonon fu pronto il nuovo edificio appositamente realizzato per custodirla (primachiesa della Madonna del Bosco).
tuttavia
Descrizione edificio:
La chiesa, di piccole dimensioni, è ad unasola navata con pianta rettangolare.La facciata attuale è relativamente recentee realizzata su progetto dell’ingegnereLucio Iacona in pietra bianca di Comiso.Fu materialmente eseguita dallo scultoreBiagio Pulichino.La composizione, elegante ed armoniosa,è divisa dagli ordini sovrapposti in trelivelli. Il portale, posto al termine dellascalinata ed inquadrato da due paraste supiedistallo, occupa lo spazio centrale delprimo livello. In asse con il portale sitrova, in corrispondenza del secondolivello, una nicchia a forma di edicola, conlesene ioniche reggenti il timpano curvo,che contiene al suo interno la statua di SanGaetano. Il terzo livello è costituito invecedal campanile con tre celle campanarie adarco inquadrate da paraste corinzie, binateagli angoli, che sostengono la trabeazione con timpano spezzato e piccola strutturacentrale con volute, che funge da coronamento della composizione.All’interno il piccolo vano è ben illuminato e coperto da una volta a botte lunettata.É interamente decorato da stucchi e da affreschi, raffiguranti finte architetture,medaglioni, festoni e cornici, ed è impreziosito dalla presenza di 5 altari marmorei,compreso quello maggiore, in marmi policromi, dedicato a Maria SS. delle Grazie.Troviamo in questo altare inoltre un quadro con l’immagine della Madonna con inbraccio Gesù Bambino, racchiuso entro una cornice in marmo e stucco.Gli altari di destra sono dedicati a San Luigi Gonzaga,prima dedicato a San Filippo,e a San Gaetano da Thiene, arricchiti da statue collocate entro delle nicchie.Sulla sinistra invece troviamo l’altare dedicato alla Sacra Famiglia, con dipinto delVaccaro di Caltagirone collocato qui nel 1902 in sostituzione di un altra telaraffigurante la Madonna degliAngeli, e quello dedicato a Santa Lucia.Al centro della volta, in un grande ovale, è stato dipinto un affresco raffigurante laMadonna in gloria, incoronata da Gesù e da San Giuseppe, mentre lo spirito Santoscende sul suo capo in forma di colomba.La chiesa originariamente possedeva un coro semicircolare, con le pareti affrescate,ed un campanile di forma quadrangolare e termionante con una cupola, addossato allato destro del coro.Questi furono demoliti nel 1889 per sgombrare una delle vie adiacenti (Via Tondo),dopo una aspra controversia tra la famiglia Iacona ed il Comune.Il campanile fu però ricostruito sul lato sinistro della facciata, alquanto sporgentedalla linea della fabbrica, per cui dovette essere demolito nuovamente dal Comuneper sgombrare e sistemare la piazzetta antistante la chiesa.
Fig. 2 Vista dell’interno
Altare di Maria SS. delle Grazie (Altare Maggiore)
L’altare sorge, rialzato rispetto alla quota del pavimento da quattro scalinimarmorei, sulla parete di fondo della chiesa, all’interno della zona del presbiterio,separata dalla navata da una balaustra in ferro battuto. È dedicato a Maria SS. DelleGrazie ed in alto è sormontato da un piccolo quadro, di forma quadrata, conl’immagine della Madonna che tiene in braccio Gesù Bambino, racchiuso entro unaricca cornice barocca in marmo policromo e stucco. Non possediamo notiziestoriche precise su questa opera, ma è probabile che l’altare esistesse già all’internodella primitiva chiesa dedicata alla Madonna delle Grazie, situata sempre in questoluogo. Successivamente, costruito il nuovo tempio fu rimontato nella posizione incui noi oggi lo ammiriamo. Si tratta di una struttura in marmo bianco, di dimensionicontenute, dalle forme semplici e lineari, ma allo stesso tempo dal ricco apparatodecorativo, realizzato con intarsi in marmi policromi, eleganti rilievi scultorei edorature. L’altare è costituito da una mensa con paliotto rettangolare, affiancato ailati da paraste. Al centro troviamo il medaglione dorato, incorniciato da volute e dauna corona, con all’interno, raffigurata a rilievo, la Madonna con Gesù Bambino.Due corpi laterali, leggermente arretrati e con volute, chiudono orizzontalmente lacomposizione. La parte alta è invece caratterizzata da due gradini porta candele, dicui il secondo notevolmente più alto, tanto da costituire un vero e proprio attico,chiuso da una cornice. Al centro è collocato invece il ricco tabernacolo, a forma ditempietto, con paraste a sostegno della trabeazione e del coronamento con volute.
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Altare di San Gaetano da Thiene
Si tratta del primo altare della parete di sinistra della navata, rispetto all’ingressoprincipale, collocato entro una nicchia ad arco e sormontato da una ulteriore nicchiacontenente la statua del Santo, ornata tutto intorno da stucchi, pitture e da unacornice lignea.É leggermente sopraelevato rispetto alla quota del pavimento ed ha piccoledimensioni. Non conosciamo nè la datazione, nè le maestranze che lo eseguirono.Tuttavia è probabile che anche questo, come l’altare maggiore, fosse presente giànella primitiva chiesa della Madonna delle Grazie e sia stato rimontato in questaposizione una volta ultimato il nuovo edificio. Ha forme tipicamente barocche epotrebbe essere datato intorno alla fine del secolo XVII.L’altare si compone di una semplice mensa in marmo bianco con intarsi in marmipolicromi e paliotto rettangolare, inquadrato ai lati da paraste. La mensa è affiancatada piccoli corpi laterali arretrati a forma di voluta. In alto invece il tabernacolo aforma di tempietto, con paraste, volute e trabeazione curvilinea, è inserito al centrodi una sorta di semplice attico, costituito da due gradini, di cui il secondonotevolmente più alto e chiuso da una cornice. L’intera opera è riccamente decoratada tarsie in marmi colorati dalla forma geometrica.Tuttavia è soprattutto il paliotto a presentare un complesso motivo decorativo arilievo con la figura del Santo inserita entro una articolata composizione con volute,motivi di ispirazione floreale e la testa di un angelo al centro.
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Fig. 1 Prospetto Principale
UBICAZIONE :
DATAZIONE :
COMMITTENZA:
AUTORE :
BIBLIOGRAFIA :
Sorge nella periferia della città sul piano detto della Torre,nei pressi della chiesa della Madonna del Bosco edell’ospedale cittadino
Prima metà del secolo XVII (1° chiesa e convento)Prima metà del secolo XVIII (edificio attuale)
F.Aprile e C.Aprile, dei Frati Conventuali di S. Francescod’Assisi (1° edificazione)Padre Antonino da Barrafranca, dei Frati Minori Riformati(riedificazione)
Un frate francescano ideò il progetto di riedificazione delcomplesso nel secolo XVIII
Marsiano A., 1995, pp. 87-88; pp. 105-107
Chiesa di San Francesco
Breve cenno storico:
La chiesa di San Francesco faceva parte di un vasto complesso edilizio,comprendente anche un convento con chiostro, situato nei pressi della chiesa dellaMadonna del Bosco, Patrona di Niscemi, ed appartenente ai frati minori francescaniriformati.Il primo nucleo di questa struttura risale al secolo XVII. Fu infatti nel 1639 che donFrancesco Aprile, ex religioso dei padri conventuali di San Francesco, e CarloAprile, procuratore della provincia, realizzarono nello stesso sito delle struttureattuali una chiesetta ed un dormitorio. Tuttavia oratorio e chiesa furono abbandonatidopo poco tempo e così rimasero per circa ottanta anni.Quando nel 1731 giunse a Niscemi il celebre predicatore padre Antonino daBarrafranca, ex provinciale dei frati riformati della Val di Noto, si diffuse un grandefervore attorno alla figura del frate, che godeva della stima di tutte le classi sociali.Padre Antonino pensò di approfittare del fatto che la popolazione si stavapreparando a costruire una nuova chiesa per conservare la sacra immagine dellaMadonna del Bosco, per cui era stata raccolta una buona quantità di materiale edile,dell’esistenza di una chiesetta con annesso un dormitorio e dell’entusiasmopopolare per realizzare a Niscemi un nuovo convento di francescani, in cuicustodire la sacra immagine ed i beni della primitiva chiesetta della Patrona.La popolazione ne appoggiò il progetto e quindi il frate, recatosi a Palermo, nel1732 ottenne l’autorizzazione per la costruzione del nuovo convento e della chiesadal Principe don Ercole Michele Branciforti.L’11 novembre del 1732 fu redatto formalmente l’atto di fondazione del complessoe si diede inizio ai lavori.Il progetto della nuova struttura fu ideato da un abile e competente fratefrancescano.La fabbrica fu ultimata rapidamente nel 1737 e nel 1740 vi si installarono dodicifrati francescani riformati dell’ordine di San Francesco.La sacra immagine della Madonna del Bosco tuttavia vi rimase custodita, assieme aibeni ad essa legati, solo per pochi anni, dal momento che ben presto fu realizzato,vicinissimo al complesso francescano, un tempio appositamente destinato acustodire l’effige.In seguito all’entrata in vigore delle leggi eversive dei beni ecclesiastici e degliordini religiosi la chiesa, il convento e i tutti i beni dei frati furono incamerati dalComune.La chiesa è stata abbandonata e trascurata e lentamente è andata in rovina, mentre ilconvento venne inizialmente adibito in parte a carcere ed in parte ad ospedale. Unavolta sgombrato il carcere tutto l’edificio è stato destinato ad ospedale.Oggi la chiesa è ancora chiusa al culto ed utilizzata come magazzino. La fabbrica, inprecario stato di conservazione e fatiscente, necessita ormai di un radicale restauro,sia delle strutture esterne ed interne, che degli apparati decorativi.
Descrizione edificio:
La chiesa, ad una sola navata, ha piantarettangolare allungata.L’esterno, secondo lo stile francescano, haforme semplici e si caratterizza per pochi esignificativi elementi in pietra squadratainseriti in una struttura muraria in conciirregolari ed intonacata.Lo schema proposto è quello, moltodiffuso in quest’area, con robusti cantonalia forma di parasta, su alto basamento, chesostengono il coronamento triangolare.Al centro spicca il portale in pietra e lafinestra rettangolare soprastante, in assecon questo. Il portale, posto al termine diuna ripida scalinata, è inquadrato da lesenesu piedistallo che sostengono un timpanospezzato.Oggi il tempio presenta evidentissima unasovrastruttura provvisoria di copertura adoppia falda inclinata.La chiesa all’interno si presenta in pessimo stato di conservazione, gravementesegnata da lunghi anni di abbandono e da un utilizzo improprio quale magazzino.Tuttavia, tra il materiale accatastato, sono ancora ben evidenti, e perfettamenterecuperabili, gli apparati decorativi in stucco.Le pareti della navata sono ritmate da un appena accennato ordine di paraste, cheinquadrano le nicchie ad arco contenenti gli altari laterali, e sostengono la corniceche segna l’imposta della volta a botte lunettata, che copre lo spazio destinato aifedeli.L’area del presbiterio è separata dalla navata da una balaustra marmorea ed ha nellaparete di fondo un grande altare in marmi policromi, che ha sostituito un precedentealtare in legno scolpito.Nella navata troviamo due altari per lato. A destra sono collocati l’altare dedicato aSant’Anna, con dipinto della santa che insegna la lettura a Maria Bambina, e quellodedicato a San Pasquale di Bajlon.Sulla sinistra invece sono gli altari di San Francesco d’Assisi e del SantissimoCrocifisso.La chiesa conserva due pregevoli statue in legno scolpito, una raffigurantel’Immacolata, realizzata a Napoli dallo scultore Arcangelo Testa nel 1855, e l’altraraffigurante San Francesco.
Fig. 2 Vista dell’interno
Altare di Maria SS. Del Bosco (Altare Maggiore)
L’altare, di grandi dimensioni, è posizionato al centro della zona del presbiterio,sopraelevato rispetto alla quota del pavimento da quattro scalini in marmo Rosso diSan Vito Lo Capo. É dedicato alla Vergine Maria SS. Del Bosco e sostituì unprecedente altare in legno scolpito.Si tratta di un opera del tardo secolo XVIII che, per le forme semplici e lineari, per lamancanza di una ricca ed articolata decorazione scultorea e per la prevalenza dimotivi ornamentali ispirati alle forme del cerchio, del quadrato e del rettangolo,testimonia del cambiamento di gusto che in quegli anni stava portando ad unabbandono dei motivi barocchi a favore di forme più sobrie e di ispirazione classica.L’altare, in marmo bianco con intarsi in pietre ornamentali colorate, è costituitonella parte bassa da una mensa leggermente sporgente, con ai bordi delle paraste aforma di mensola che inquadrano il tondo centrale con il simbolo della croce.Ai fianchi della mensa troviamo due semplici corpi laterali, ornati da lastrerettangolari in marmo colorato.Nella parte alta invece abbiamo un alto attico, posto al di sopra di un gradino, con alcentro il tabernacolo a forma di tempietto, con paraste e timpano triangolare,impreziosito dalla presenza del diaspro di Cammarata, quale pietra decorativa.Sopra l’altare è collocata una tela ovale, di discreta fattura, inserita all’interno diuna cornice in marmo nero, ornata anche, nella parte alta, da motivi scultorei di tipofloreale e naturalistico, e da un medaglione con all’interno una iscrizione, in basso.
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Fig. 1 Prospetto Principale
UBICAZIONE :
DATAZIONE :
COMMITTENZA:
AUTORE :
BIBLIOGRAFIA :
Sorge isolata nella periferia del paese, nei pressi dellachiesa di San Francesco e dell’ospedale, ex conventofrancescano
Inizio del secolo XVII (1° chiesetta)Metà del secolo XVIII (edificio attuale)
Devozione popolare
Silvestro Gugliara, architetto (edificio attuale)
Giuliana G., 1967, pp. 207-209Conti E., 1977, pp. 32-35; p. 45; pp. 82-84Cincotta R.-Pepi C., 1980, pp. 73-76Marsiano A., 1989, p. 28Marsiano A., 1995, p. 88; pp. 101-105Disca R., 1999Arcadipane G., 1999Giugno G., 2002
Santuario di Maria SS. Del Bosco
Breve cenno storico:
La costruzione della chiesa di Maria SS. Del Bosco, Patrona di Niscemi, èstrettamente legata al ritrovamento del quadro della Madonna, avvenuto nel 1599in una zona boschiva del feudo, a nord-ovest del centro abitato.Sarebbe stato un pastore, Andrea Armao, a rinvenire la sacra immagine, mentrepascolava dei buoi nei pressi di una sorgente d’acqua. Il quadro fu subitotrasportato nella chiesetta della masseria del feudo di Niscemi e qui rimasecustodito fino a quando lo stesso pastore non raccolse, mediante elemosine, lasomma sufficiente per la costruzione di una chiesetta sul luogo del ritrovamento,destinata a custodire l’immagine della Madonna.Anche questa, come quasi tutte le altre chiese della città, fu danneggiata dalterremoto del gennaio del 1693, tuttavia, riparata per quanto possibile, fu riaperta alpubblico e così rimase fino al 1741. Ma la sua struttura era ormai troppo malandatae quindi era facile per i ladri introdursi nel tempio e rubare gli oggetti preziosicustoditi all’interno quale voto alla Madonna da parte dei fedeli.Si era ormai deciso di riedificare la chiesa quando i frati francescani si proposerocome custodi del quadro e dei beni della chiesa, che così furono collocati nel nuovotempio che questi si erano da poco costruiti.Ma dopo appena dieci anni, a causa dell’egoismo e dell’arroganza dei frati, sidecise di riappropriarsi del quadro e dei beni della chiesetta e di realizzare un nuovoSantuario dedicato esclusivamente alla Patrona, cui il popolo era molto legato esinceramente devoto.La chiesa fu costruita, sullo stesso sito della primitiva chiesetta, tra il 1749 ed il1758, con il contributo della popolazione e secondo il progetto redatto moltoprobabilmente dal capomastro Silvestro Gugliara, nativo di Caltagirone ed autoreanche del progetto per la Chiesa dell’Addolorata di Niscemi.Questi nel suo stile si ispirava alle architetture di Rosario Gagliardi, tanto che da piùparti è stata avanzata l’attribuzione al ben più famoso architetto Siracusano.In epoca recente la chiesa è stata notevolmente trascurata tanto da necessitare di unradicale intervento di restauro delle strutture, soprattutto della volta, dellacopertura e delle strutture murarie.Così, con un finanziamento dell’Assessorato regionale ai lavori pubblici e sotto lasorveglianza della Soprintendenza ai beni culturali ed ambientali, sono statieseguiti opportuni lavori di rifacimento del tetto, di riparazione del portaleprincipale e della finestra soprastante e di consolidamento delle murature.É stato inoltre realizzato un sistema di drenaggio nel lato orientale per preservare lefondamenta dall’umidità.All’interno sono stati restaurati gli stucchi e le pitture che decorano la chiesa. Nellacripta sono stati inoltre restaurati il pozzo e l’altare, rifatto l’intonaco e sostituito ilpavimento.Dopo questa serie di lavori, protrattisi per alcuni anni, la chiesa è stata riaperta alculto il 27 marzo 1991 dal Vescovo di Piazza Armerina, Mons. VincenzoCirrincione, continuando così ad essere meta di ininterrotti pellegrinaggi da partedei fedeli di Niscemi, particolarmente devoti alla Madonna.
Descrizione edificio:
La chiesa è ad una sola navata di formaellittica, leggermente allungata.Si tratta di una struttura che, per la periziae l’abilità tecnica con cui fu realizzatasuperando la forte irregolarità del terrenoe convogliando le vene d’acqua, chealtrimenti avrebbero potuto minare lastabilità della fabbrica, può definirsi uncapolavoro di idraulica e di statica.Il complesso architettonico appare moltoelegante perchè completamente isolato.La facciata, in stile barocco, è realizzatainteramente in pietra squadrata e presentauna coppia di lesene composite, subasamento, lungo gli angoli. Questesostengono la trabeazione soprastante edinquadrano il portale in pietra e la finestra,con l’icona della Madonna, riccamentedecorati da paraste, trabeazione e volute.Sopra l’ordine gigante di lesene impostala struttura del campanile, su attico e affiancata da volute, che costituisce in alto ilcoronamento del prospetto.All’interno la chiesa è dotata di tre altari, in marmi policromi, dedicati allaMadonna del Bosco, quello maggiore, a San Giovanni Neupomaceno, quello didestra, e a San Benedetto, quello di sinistra. Gli altari laterali sono arricchiti dallapresenza di quadri ad olio di discreta fattura.Le decorazioni pittoriche del tempio, in finto marmo, furono eseguite dal pittore diCaltagirone Giuseppe Barone nel 1927. Questi, su incarico del procuratore LuigiMalerba, eseguì anche le quattro grandi pitture che raffigurano la guarigione di unbambino moribondo, una processione implorante la pioggia, una scena diterremoto, la desolazione e le preghiere in tempo di siccità.L’artistico lavoro del pittore di Caltagirone però è stato cancellato dai recenti lavoridi restauro dell’edificio ed al loro posto oggi si trovano dipinti di fattura grossolana.Sulla volta venne dipinto invece un grande affresco raffigurante il trionfo di Marianella Gloria del cielo.La cripta sottostante è invece costituita da una sola stanza coperta da una volta aquattro vele. Conserva al suo interno il pozzetto con la vena d’acqua in cui venneritrovato il sacro velo con l’immagine della Madonna. Vi si trova anche un altare inmarmi policromi sopra il quale è stato affrescato un dipinto raffigurante laMadonna che tiene in braccio Gesù Bambino, con nella mano sinistra una sfera cherappresenta il mondo. Sulla volta della cripta sono state dipinte figure di dottoridella chiesa ed altri disegni ornamentali. Nel locale adiacente alla chiesa vienecustodito il trono portatile, tutto in oro zecchino, fatto costruire a Napoli nel 1830,con il quale ogni annosi porta in processione la sacra immagine della Madonna.
Fig. 2 Vista dell’interno
Altare della Madonna del Bosco (Altare Maggiore)
L’altare si trova entro il maggiore delle tre absidi che definiscono il particolareimpianto della chiesa, rialzato rispetto alla quota del pavimento da tre gradini con ibordi in marmo Rosso di San Vito Lo Capo.In alto è sormontato da un dipinto ad olio, inserito in una nicchia ad arco,raffigurante il velo con la sacra effige della Madonna, con in braccio GesùBambino, tra figure di angeli.Al di sotto della tela, sempre all’interno della nicchia,si trova una specie di armadio in legno con sportelli dove si conserva il sacro velocon l’immagine della Madonna. L’altare ha forme tipicamente barocche.La mensa ha andamento concavo, con ai bordi elementi aggettanti a forma divolute, riccamente decorati da sculture a rilievo e tarsie in marmi policromi. Ancheil paliotto è decorato da tarsie in marmi policromi, mentre cornici dalle formecomplesse e fastosamente ornate da foglie e volute, realizzate a rilievo nel marmobianco, inquadrano il motivo centrale, simile ad una sorta di urna sporgente, configure di angeli ed articolato disegno di ispirazione naturalistica. All’interno diquesto motivo ornamentale troviamo un medaglione ovale con una pregevole tarsiamarmorea ispirata alla leggenda del ritrovamento della sacra immagine,raffigurante il velo con la Madonna, il pastore inginocchiato ed il bue, che secondola leggenda rinvenne il velo. Nella parte alta invece il tabernacolo, simile ad untempietto, con originali paraste a forma di esse e trabeazione curvilinea, è inserito alcentro di tre gradini digradanti, decorati da semplici tarsie in marmi colorati.
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Altari di San Giovanni Neupomaceno e di San Benedetto
Si tratta di due altari identici nelle forme, nelle dimensioni e nel tipo di pietreornamentali colorate utilizzate. Sono collocati nelle absidi laterali, sopraelevati dadue gradini in marmo Rosso di San Vito Lo Capo, e differiscono tra loro solamenteper la figura del Santo realizzata a rilievo entro il medaglione centrale del paliotto.Non abbiamo notizie storiche precise relativamente alla data di realizzazione deglialtari ed alle maestranze che li eseguirono, ma probabilmente si tratta di opererealizzate nel secolo XVIII.Quello di destra è consacrato a San Giovanni Neupomaceno, mentre quello disinistra è dedicato a San Benedetto.Sopra entrambi gli altari sono presenti dei dipinti ad olio
, inseriti dentro nicchie ad arco con cornici in stucco.Gli altari sono realizzati in marmo bianco, con vivaci tarsie in marmi policromi, esono costituiti in basso da una mensa sporgente, con ai bordi delle paraste cheinquadrano il paliotto. Ai fianchi della mensa piccoli elementi a forma di volutachiudono orizzontalmente la composizione.
di modesta fattura eraffiguranti sempre i due Santi
Si caratterizzano per le ricche decorazioni a rilievo del paliotto rettangolare, di tipobarocco, ispirate a motivi naturalistici, con volute, foglie e movimentate formeconcavo-convesse, che inquadrano l’articolato medaglione centrale.Nella parte alta invece troviamo tre gradini porta candele marmorei e digradanti,decorati da intarsi in pietre ornamentali colorate dalla forma rettangolare allungata.
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Altare della Madonna
L’altare è collocato nella cripta, situata al di sotto della chiesa della Madonna delBosco, nel luogo in cui ancora oggi si conserva il pozzetto con la vena d’acqua incui venne ritrovato il sacro velo con l’immagine della Madonna.Proprio di fronte alla cupoletta marmorea che custodisce l’acqua del pozzetto,ritenuta miracolosa, fu realizzato un altare dalle forme barocche, con mensamarmorea in basso e ricca decorazione in stucco, con paraste, volute e cornicecurvilinea nella parte alta. Al centro della composizione si trova un dipintoraffigurante la Madonna con in braccio Gesù Bambino, che regge nella manosinistra una sfera rappresentante il mondo.L’altare ha piccole dimensioni ed è costituito da una mensa in marmo bianco conpaliotto rettangolare, inquadrato ai lati da paraste. Sopra la mensa si trovano tresemplici gradini porta candele, privi di tabernacolo.L’intera opera è decorata da tarsie in marmi policromi di tipo geometrico e dacomplessi rilievi scultorei il cui motivo ornamentale si ispira a quello di altri paliottisimili, presenti a Niscemi nella Chiesa Madre e nella Chiesa di San Giuseppe.É probabile quindi che tutti questi altari siano stati realizzati dalle medesimemaestranze e nello stesso arco di tempo.Al centro del paliotto è stato realizzato un medaglione, dalle forme rotondeggianti,con all’interno la figura della Madonna con Gesù Bambino, realizzata a rilievo.Tutto intorno il rilievo marmoreo si caratterizza per la presenza di volute e di foglie.
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Fig. 1 Prospetto Principale
UBICAZIONE :
DATAZIONE :
COMMITTENZA:
AUTORE :
BIBLIOGRAFIA :
Sorge nei pressi della piazza principale del paese, invia V. Crescimone
Secolo XVIII (1° chiesetta - edicola votiva)Inizio del secolo XIX (edificio attuale)
Devozione popolare
Ignoto
Giuliana G., 1967, p. 214Marsiano A., 1995, p. 89; pp. 122-123Pepi S., 1996
Chiesa di San Giuseppe
Breve cenno storico:
La chiesa di San Giuseppe è tra le più recenti di Niscemi e tra le poche a non essere ilfrutto della ricostruzione post - terremoto, che riguardò gran parte dell’ediliziareligiosa cittadina nel secolo XVIII.La sua realizzazione nelle forme attuali sarebbe avvenuta intorno agli anni 1815-1818, grazie al contributo del popolo, non lontano dalla piazza principale del paese(Piazza Vittorio Emanuele III), e quindi dalla Chiesa Madre e dal PalazzoComunale.Altre ipotesi storiche tendono invece a retrodatare l’edificio, collocandone lacostruzione intorno agli ultimi decenni del secolo XVIII.Da alcuni documenti del secolo XVIII si desume comunque che il quartiere in cuioggi sorge la chiesa veniva già allora denominato San Giuseppe, ed inoltre una viaera sicuramente dedicata al Santo.É probabile quindi che, pur non esistendo ancora la chiesa, in questo luogo sitrovasse già nel XVIII secolo una cappella, o edicola, o tabernacolo, dedicato alSanto, e che successivamente sia sorta la chiesa in luogo della precedente cappellavotiva.Il 14 ottobre 1908 la chiesa di San Giuseppe fu eretta parrocchia succursale dellaMatrice, dal momento che questa da sola era insufficiente a soddisfare i bisognireligiosi di una popolazione notevolmente accresciuta di numero.Nell’ottobre del 1919 divenne parrocchia autonoma ed il 1° dicembre del 1948ottenne il riconoscimento civile.Abbiamo notizia del fatto che nel 1932 venne effettuata una decorazione moltosemplice di tutto l’intereno, mentre i locali della sacrestia furono rimodernati,allargati ed utilizzati per la costruzione della casa canonica.Nei decenni successivi la chiesa rimase a lungo trascurata per cui, a causa deldeterioramento delle strutture e degli apparati decorativi, si rese necessario unampio lavoro di ristrutturazione dell’edificio.I lavori di restauro furono iniziati nel 1986 grazie all’attività del parroco donGiuseppe Giugno, il quale raccolse presso i fedeli la somma necessaria. Furono cosìrealizzati il consolidamento delle strutture murarie e i restauri dell’interno, con undiscutibile intervento di risistemazione degli altari, del pavimento e delledecorazioni.
Descrizione edificio:
Si tratta di una piccola chiesa a navataunica, con impianto rettangolare e copertada una volta a botte con vele sulle finestre.La facciata, molto semplice, ha un ordinegigante di paraste binate, su altob a s a m e n t o , c h e s o s t e n g o n o i lcoronamento, costituito dalla trabeazione,su cui impostano la torre con il campanilee quella con l’orologio, entrambe ornateda lesene.La composizione si chiude con una sorta ditimpano triangolare che imposta sulle duetorrette, congiungendole tra loro.Il motivo centrale del prospetto ècostituito dall’artistico portale, conparaste e timpano triangolare, e dallafinestra ad arco, posta in asse con il portalestesso.L’interno è illuminato da cinque finestre,di cui due sul lato destro e tre su quellosinistro. É caratterizzato da un ordine di lesene composite che sostengono unatrabeazione, con cornice sporgente, che percorre tutto il perimetro della chiesa. Lacornice, in forte aggetto, è addirittura percorribile, grazie anche alla presenza di unaringhiera in ferro.Lo spazio del presbiterio, di forma rettangolare e leggermente sopraelevato rispettoalla navata, è sottolineato da due setti murari sporgenti e coperto da una volta apadiglione con vele decorate da lacunari.Le lesene, nelle pareti della navata, inquadrano le nicchie ad arco che contengonogli altari laterali marmorei.Vi sono nel tempio cinque altari, compreso quello maggiore dedicato a SanGiuseppe. Il loro aspetto odierno è tuttavia il frutto di una recente risistemazione,eseguita nel corso dei lavori di restauro dell’edificio del 1986.In questa occasione fu rifatto anche il pavimento e rinnovate tutte le decorazioni,per cui l’interno oggi ci appare fortemente differente da quello che doveva essere inorigine.Gli altari della parete di destra, in marmi policromi, sono dedicati a San GiovanniMaria Vianney, prima dedicato a San Sebastiano Martire, e all’Annunziata.Quelli lungo la parete di sinistra, sempre in marmi policromi, sono invece dedicatialla Madonna di Fatima, prima intitolato a San Giacomo, ed al Cuore di Gesù.Un soppalco dietro la porta di ingresso della chiesa sostiene un piccolo organo.Al centro del soffitto inoltre troviamo affrescato un dipinto raffigurante la SacraFamiglia con San Giuseppe, la Madonna e Gesù Bambino in una bottega dafalegname.
Fig. 2 Vista dell’interno
Altare di San Giuseppe (Altare Maggiore)
Si tratta in realtà di un paliotto rettangolare originariamente facente parte di unaltare marmoreo completo, probabilmente del secolo XVII, collocato all’internodella stessa chiesa di San Giuseppe, oppure proveniente da un altro edificioreligioso.Oggi il paliotto è inserito all’interno di una cornice in marmo bianco di recenterealizzazione, e funge da mensa per le celebrazioni eucaristiche che si svolgono neltempio. Fu collocato in questa posizione in occasione dei lavori di restauro dellestrutture e di risistemazione degli interni della chiesa, eseguiti nel 1986.La cornice marmorea è caratterizzata da piccole e semplici volute laterali a sostegnodella mensa soprastante. Il paliotto invece, dalle forme tipicamente barocche,presenta una ricca decorazione eseguita, secondo la tecnica a mischio, inserendo lelastre in marmi policromi entro incavi ricavati nella pietra bianca.Al centro il simbolo della croce, in pietra gialla, è circondato da un complessodisegno di ispirazione naturalistica, simmetrico, con volute, foglie e formeconcavo-convesse.Le pietre ornamentali che decorano la lastra rettangolare si caratterizzano per lavivacità dei colori. Si tratta in questo caso di alcuni tra i marmi colorati più diffusi inetà barocca e più utilizzati in questo genere di opere, ovvero il Libeccio di Trapani, ilRosso di Francia, il Giallo di Castronovo ed il Nero Portoro.
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Altare dedicato al Cuore di Gesù
L’altare è il secondo della parete di destra della navata, rispetto all’ingressoprincipale, posizionato all’interno di una nicchia ad arco.Probabilmente in origine costituiva l’altare maggiore della chiesa, collocato sullaparete di fondo del presbiterio, dove oggi si trova un altare marmoreo direcentissima fattura.L’aspetto attuale dell’altare risale al 1986, quando furono eseguiti i lavori direstauro della chiesa e di risistemazione di tutti gli altari dell’edificio.In quella occasione alcuni antichi elementi in marmo, che costituivanooriginariamente un altare del secolo XVIII, sono stati inseriti entro un nuovodisegno architettonico, con l’aggiunta di nuovi elementi marmorei.Possiamo dividere così l’altare in due parti. La parte inferiore è costituita da unaantica mensa con paliotto, decorato da intarsi in marmi policromi, e paraste aibordi, che faceva parte di un precedente altare. La parte superiore, con iltabernacolo, è invece quella di recente realizzazione, dalle forme semplificate elineari. La mappatura dei litotipi presenti è stata eseguita solo sulla parte più antica.Come detto precedentemente il paliotto è ornato da una decorazione a mischio nellaquale sono prevalentemente usate pietre rosse e verdi.Il medaglione centrale contiene all’interno il simbolo della croce, mentrecomplesse cornici in leggero rilievo, con volute e linee concave alternate a lineeconvesse, costituiscono il motivo decorativo del paliotto.
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PIAZZA ARMERINA
1. Cattedrale di Maria SS. Delle Vittorie
2. Chiesa di San Rocco (Fundrò)
3. Chiesa di Santo Stefano
4. Chiesa di San Giovanni Evangelista
Chiese con altari in marmi policromi
Fig. 1 Prospetto Principale
UBICAZIONE :
DATAZIONE :
COMMITTENZA:
AUTORE :
BIBLIOGRAFIA :
Prospetta su di una piazza, detta Piazza Duomo, sucui si affacciano anche il Palazzo Vescovile e ilPalazzo Trigona della Floresta
Metà del secolo XIV (primo edificio)Secolo XVII-XVIII (edificio attuale)
Barone Marco Trigona e la moglie Laura deAssoro (edificio attuale)
Orazio Torriani, architetto (progetto originario)A. Buonamici, L. De Luca, A. Di Benedetto, G. La Rosa(realizzazione progetto del Torriani)F. Conti, G. Serafini, F. Battaglia (cupola)
Ragona A.Giuliana G., 1967, pp. 56-59Contrafatto A., 2000, pp. 39-50
Chiesa di Maria SS. delle Vittorie(Chiesa Cattedrale)
Breve cenno storico:
L’attuale Chiesa Cattedrale di Piazza Armerina sorge sul luogo in cuiprecedentemente si trovava l’originaria Chiesa Madre della città, realizzata nelXIV secolo e sempre dedicata a Maria SS. Delle Vittorie.Il precedente tempio, con impianto basilicale a tre navate, era stato innalzato dopo ilmiracoloso rinvenimento dell’immagine sacra della Madonna delle Vittorie,avvenuto in occasione della tremenda peste del 1348.Dell’edificio trecentesco non rimane più nulla, tranne la maestosa torrecampanaria, realizzata in due riprese nel 1517 (parte inferiore) e nel 1578 (partesuperiore), e l’arco della Cappella Trigona, scolpito da Antonio Gagini nel 1594 erimontato nella nuova costruzione a decorazione del battistero.La prima Chiesa Madre fu infatti demolita per fare posto all’edificio odierno, inmodo da adempiere alle volontà del Barone Marco Trigona e della moglie Laura deAssoro, i quali avevano elargito alla loro morte una rilevante somma perl’edificazione di un più sontuoso tempio, nel quale anche essere sepolti.Nel testamento si nominava la Chiesa Madre erede universale del patrimonio delBarone e veniva dato incarico a dei Fidecommissari di eseguire l’incaricotestamentario.Come voleva il testatore nell’anno stesso della sua morte (1598) i Fidecommissariinvitarono alcuni famosi architetti a fornire dei progetti per la nuova chiesa.Tra i primi ad esprimersi sulla nuova costruzione abbiamo Francesco Zaccarella eGiulio Lasso, quest’ultimo architetto regio di Palermo ed autore dei Quattro Canti.Entrambi gli architetti avrebbero fornito, in occasione delle loro visite a Piazza, deiprogetti ai quali però non fu dato seguito, anche a causa della lentezza edincompetenza dei Fidecommissari.Fu lo stesso Vicerè, informato di ciò, ad inviare un uomo di fiducia, Cataldo Fimia,giudice della Gran Corte, affinchè sovraintendesse all’attività dei Fidecommissari.Lo stesso Fimia fece venire da Messina i valenti architetti Natale Masucci,Giovanni Maffei e Simone Gullì. Questi approntarono un loro progetto che, unavolta approvato dal Fimia e dai nobili locali, si iniziò ad eseguire nel 1605,affidando la direzione dei lavori al Maffei.La pianta della nuova costruzione era basilicale, ampia e spaziosa e si estendevaattorno alla vecchia chiesa lasciandola all’interno. Il nuovo tempio aveva unorientamento opposto rispetto a quello oggi esistente. I lavori però si fermarono benpresto, nel 1609, quando erano ancora state solo realizzate le fondazioni di tre lati.Ripresi nel 1621, dietro i suggerimenti dell’architetto gesuita Tommaso Blandini diMineo, e secondo il progetto Maffei-Masucci-Gullì, i lavori furono nuovamenteinterrotti fino al 1627, quando venne incaricato della direzione della fabbrical’architetto romano Orazio Torriani, allievo di Domenico Fontana, chiamato dalnuovo Vescovo di Catania Mons. Innocenzo Massimi, anche egli romano.Il Torriani ridisegnò la pianta ristabilendo il vecchio orientamento con il prospettoprincipale rivolto ad occidente. Il nuovo progetto prevedeva la realizzazione di unedificio di tipo basilicale, ad una sola navata e con cappelle laterali tra lorocomunicanti. La direzione dei lavori, secondo il progetto dell’architetto romano,fu affidata a Gian Maria Cappelletti, che rimarrà in carica fino al 1632, ed al
revisionati dall’architetto catanese Alonzo Di Benedetto, incaricato dal Vescovo diCatania Mons.Andrea Riggio.La costruzione del prospetto della chiesa nel 1719 era giunto all’altezza dove ora sitrova l’epigrafe. A dirigere i lavori di intaglio e di muratura troviamo il maestromessinese Giuseppe La Rosa, che li portò a compimento nel 1740.Nei due anni successivi furono realizzati i lavori di decorazione dell’interno e il 22ottobre 1742 il Vescovo di Siracusa Don Matteo Trigona consacrò il tempio.Rimaneva però ancora da realizzare la cupola. Fu dato incarico nel 1758 dipreparare i disegni esecutivi sui progetti del Torriani e del Buonamici all’ingegnereDon Francesco Conti. I lavori iniziarono nel 1760 sotto la guida dell’architettocatanese Giuseppe Serafino. La nuova costruzione però si fermò al tamburo.Ad ultimare l’opera provvide qualche tempo dopo l’architetto catanese FrancescoBattaglia che modificò il progetto iniziale della cupola innalzando ulteriormente iltamburo. Lo stesso Battaglia diresse i lavori portandoli a compimento nel 1768.Ultima opera architettonica realizzata nella chiesa è stata nel 1881 l’inserimentodelle scalinate, che danno accesso al portale di ingresso, su progetto dell’architettolocale Giuseppe Giunta Bartoli.
Fig. 2 Vista del portale di ingresso
messinese Giovan Giacomo Costa.Morto il Cappelletti, i Fidecommissarichiamarono a dirigere i lavori l’architettolucchese Francesco Buonamici. Questiguidò la fabbrica per ventitre anni,lasciando l’incarico nel 1657.Il Buonamici, pur adeguandosi alla piantaprogettata dal Torriani, modificò ildisegno iniziale trasformandolo nellelinee attuali.Suo successore fu il capo maestro localeLeonardo de Luca, abile scalpellino, cui sideve anche la scultura del portaleprincipale del nuovo tempio con colonnetortili riccamente ornate.Il De Luca diresse i lavori del Duomo diPiazza fino al 1666, anno in cui, permancanza di fondi, la costruzione fusospesa. Si riprese a costruire solo nel1705, seguendo i disegni del Buonamici,
Descrizione edificio:
L’edif icio, con il prospettoprincipale rivolto ad occidente, haimpianto basilicale a tre navate,divise da pilastri, e profondotransetto. Le navate ed il transettosono coperte da volte a botte mentreuna imponente cupola su pennacchisferici si innalza in corrispondenzadell’incrocio della navata con iltransetto.All’esterno la facciata si articola sudue livelli, raccordati da volute,caratterizzati dalla presenza di dueordini di paraste in pietra squadrata, Fig. 3 Vista dell’interno
dalle linee semplici ed aderenti al linguaggio aulico del manierismo architettonicoromano della fine del ‘500.La composizione è impreziosita dalla presenza di un portale in pietra, concolonnine tortili riccamente decorate, opera dello scultore locale Leonardo deLuca, e di una grande finestra rettangolare posta in asse con il portale. Su un fiancodel prospetto, ed in parte inglobato in questo, troviamo il maestoso campanile atorre, retaggio dell’edificio precedente, dalle forme gotico-catalane nella partebassa e cinquecentesche nei due livelli più alti.All’interno coppie di paraste corinzie inquadrano le arcate, che separano le navate,e sostengono la trabeazione e la cornice al di sopra della quale si trovano le aperture,che illuminano lo spazio centrale, e la volta a botte lunettata di copertura.Le pareti sono ornate da stucchi realizzati dal maestro siracusano GaetanoSignorelli nel 1870, in sostituzione delle decorazioni preesistenti.Sulla destra dell’ingresso, appena entrati si può ammirare l’arco in alabastro cheinquadra il fonte battesimale, opera di Antonuzzo Gagini della fine delCinquecento. L’opera faceva parte della cappella Trigona, presente nella vecchiaMatrice e fu ricollocata in questo luogo dopo la costruzione del nuovo tempio.Tra i numerosi dipinti che la chiesa possiede ricordiamo la pala dell’realizzata dal pittore fiorentino Filippo Paladini nel 1612, e la tela raffigurante il
, attribuito al pittore veronese Jacopo Ligozzi che lo avrebberealizzato nei primi anni del secolo XVII.Di grande interesse artistico è la croce lignea dipinta, opera della fine del XV secoloed attribuita all’artista convenzionalmente noto come “Maestro della Croce diPiazzaArmerina”.L’altare Maggiore, in pietre dure, fu eseguito dal maestro palermitano FilippoPinistri su disegno dell’architetto Giuseppe Venanzio Marvuglia, purepalermitano. Altri altari in marmi policromi di età barocca decorano gli altarilaterali.Il Tesoro del tempio possiede inoltre numerose e preziosissime opere di oreficeriaed argenteria tra cui la custodia argentea della Madonna del Vessillo, datata al 1627.
Assunta,
Martirio di Sant’Agata
L’altare è posizionato nella navata di destra (rispetto all’ingresso) ed è il secondo diquesto lato, immediatamente prima dell’ingresso laterale e del transetto.Si tratta di una intera parete rivestita da marmi policromi dai colori vivaci erealizzata nella seconda metà del secolo XVIII per volontà della Famiglia Trigona.É dedicato a San Bartolomeo Abate e costituito da una mensa centrale, sovrastatada una grande pala raffigurante il Santo, con cornice in marmo nero Portoro ebianco, inquadrata da una struttura architettonica, con semicolonne su basamento,che sostengono la trabeazione conclusiva.Al centro della trabeazione troviamo inoltre un grande stemma con sottol’iscrizione relativa alla dedica ed alla committenza dell’opera.L’altare vero e proprio, sopraelevato da un gradino con i bordi in marmo rosso diSan Vito Lo Capo, ha mensole inclinate con volute che inquadrano la parte centrale,caratterizzata da un elemento scultoreo in aggetto, dalle forme rotondeggianti edecorato da rilievi scultorei a motivo floreale. Le pietre ornamentali colorate sonoinserite entro un telaio in marmo bianco di Carrara.I due gradini sopra la mensa invece contengono una serie di reliquie di Santi,custodite dentro piccole nicchie chiuse da vetri.Proprio per sottolineare la presenza di tali tesori i gradini sono stati rivestiti conpietre dure e diaspri, riservate sempre alle parti più rilevanti della composizione,perchè considerate più preziose e di maggiore pregio artistico.
Altare di San Bartolomeo (Altare Famiglia Trigona)
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Altare dell’Assunta
L’altare occupa la parete del transetto di destra, rispetto all’altare maggiore, ed ècollocato, sopraelevato dalla quota del pavimento della chiesa da quattro gradini,
.É sovrastato dalla grande pala raffigurante la Madonna Assunta, opera del famosopittore fiorentino Filippo Paladini, che la dipinse nei primi anni del secolo XVII.Alla base dell’altare è incisa una iscrizione contenente probabilmente informazionisull’esecutore dell’opera, sul committente e sulla sua datazione. Tuttavia taleiscrizione è di difficile decifrazione ed inoltre incompleta in seguito ad un nonperfetto rimontaggio dei vari elementi marmorei che costituiscono la struttura.L’altare infatti non era originariamente situato in questo luogo, ma vi fu collocatosolo in seguito, quando la chiesa Madre fu finalmente ultimata nel secolo XVIII.L’opera è costituita, secondo quella che è la tecnica a marmi mischi, da un supportoin marmo bianco di Carrara inciso, per accogliere le lastre di marmi policromi, ericcamente scolpito.Ha grandi dimensioni ed una originale forma convessa entro cui si innesta nellaparte centrale la mensa, con ricco paliotto rettangolare decorato da rilievi scultorei.Nella parte superiore troviamo tre gradini con al centro il tabernacolo affiancato davolute. Ancora più in alto poi, quale elemento di chiusura della composizione, ècollocata una elegante struttura, simile ad un tempio ad impianto circolare, concolonne libere che sostengono la trabeazione ed il baldacchino conclusivo.
entro un ampio recinto costituito da una balaustra marmorea
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Altari:S.Antonio,Annunciazione, Signore della Pietà, S. Filppo
Si tratta di quattro altari posizionati lungo le navate laterali. Tre si trovano nellanavata di sinistra (Annunciazione, Signore della Pietà, S. Filippo) ed uno invece inquella di destra (S.Antonio), rispetto alla porta di ingresso principale.Sono tra loro identici nelle forme e dimensioni, differendo solo in alcuni piccolidettagli, e tutti arricchiti dalla presenza in alto di dipinti settecenteschi di buonafattura, posti entro cornici in marmo nero Portoro. Pur non conoscendone la data direalizzazione è probabile che siano databili al secolo XVII. Altrettanto probabile èche siano appartenuti ad altri edifici religiosi, oppure alla precedente chiesa Madretrecentesca, e ricollocati in questo luogo solo in seguito all’ultimazione della nuovachiesa Madre. Sono costituiti in da una struttura in marmo bianco di Carrara incisaper fare posto alle lastre in marmi policromi che impreziosiscono e ravvivano lacomposizione (in alcuni casi si tratta di marmi antichi di reimpiego provenientidalla Villa del Casale). La parte centrale della mensa è in aggetto, caratterizzata daforme rotondeggianti, dovute all’andamento concavo - convesso dellacomposizione, e da uno stemma o medaglione centrale rotondo, dalla ricca cornice.Ai fianchi troviamo mensole inclinate ornate da volute. Sopra la mensasi trovano due gradini porta candele originariamente inquadrati da due piccoli vasimarmorei, oggi presenti solo in uno degli altari e mancanti negli altri.Solo uno degli altari è dotato di un piccolo tabernacolo ligneo, mentre un altropresenta una sovrastruttura in legno contenente l’effige del Signore della Pietà
dell’altare
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Fig. 1 Prospetto Principale
UBICAZIONE :
DATAZIONE :
COMMITTENZA:
AUTORE :
BIBLIOGRAFIA :
La chiesa prospetta sulla Piazza Garibaldi, annessaall’edificio che oggi ospita il Palazzo Comunale (exconvento dei frati benedettini)
Prima metà del secolo XVII
Ignota
Ignoto
Contrafatto A., 1999, pp. 106-108Pirri R., 1733, pp. 1217-1224
Chiesa di San Rocco(Fundrò)
Breve cenno storico:
Le notizie relative alle vicende storiche e costruttive della chiesa di San Rocco sonopochissime e tali da consentire solo un breve profilo cronologicodell’edificio.La chiesa è stata realizzata a partire dal 1613 ai piedi della salita che conduce allaCattedrale, nel cuore politico e religioso della città vecchia. Qui infatti si trova ilvecchio Palazzo Comunale, oggi sede museale, ed il nuovo Palazzo Comunale, neilocali dell’ex convento dei Padri Benedettini, mentre sempre nelle vicinanzetroviamo il collegio dei gesuiti, con la chiesa di Sant’Ignazio, ed il convento deiDomenicani, oggi sede del seminario diocesano.Fu nel 1622 che la chiesa venne affidata ai Padri Benedettini, provenienti dallaabbazia di Fundrò, i quali ottennero di stanziarsi in questo luogo per costruire il loronuovo convento.Il convento che prima occupavano, situato nel feudo di Fundrò, tra PiazzaArmerinaed Enna, e più volte oggetto di contesa tra le due città, era infatti andato distrutto inseguito ad un incendio. I frati allora, abbandonato l’antichissimo monastero, citatoanche dallo storico netino Rocco Pirri nella sua “ ” con il nome di SantaMaria di Fundrò, decisero di stabilirsi in città.La chiesa, dedicata a San Rocco, proprio perchè affidata ai frati dell’abbazia diFundrò, cominciò ad essere chiamata dalla popolazione “Fundrò” e tutt’oggiconserva questa denominazione presso i fedeli.
di tracciare
Sicilia Sacra
Descrizione edificio:
La chiesa è ad una sola navata copertada una volta a botte.Il prospetto principale si presentadalle linee tipicamente barocche,caratterizzato da una muratura inlaterizio contenuta entro due possenticantonali in pietra squadrata a formadi lesene su alto basamento, e chiusada un semplice timpano triangolare.Su un fianco della facciata sorgeinoltre la torre campanaria, adiacenteal monastero, con aperture ad arco insommità. L’elemento di maggiore
paraste leggermente aggettanti cheinquadrano le nicchie ad arco,contenenti i quattro altari marmoreidella navata laterale tra loro identici.L’ordine architettonico si chiude conuna pesante trabeazione, concornicione aggettante, su cui impostala volta a botte di copertura dellanavata. La zona del presbiterio,sopraelevata rispetto alla navata, èseparata da questa da pilastrisporgenti, che sostengono l’arcotrionfale, e da una balaustramarmorea. L’abside che concludel’impianto del tempio , così come tuttala chiesa, è decorato da stucchi econtiene l’altare maggiore in marmipolicromi. La chiesa custodisceinoltre alcuni buoni dipinti del 1600e d u n a m a d o n n a m a r m o r e aproveniente probabilmente dall'anticasede dei frati Benedettini. Fig. 3 Vista del portale di ingresso
interesse della composizione è costituito però dal monumentale portale in pietra,posto al termine di una ripida scalinata e sormontato da una finestra rettangolare,collocata in asse con esso. La porta di ingresso ad arco infatti è affiancata da coppiedi paraste su basamento dalla forma inusuale e dalle ricche decorazioni a rilievo.Decorazioni a rilievo sono presenti anche sugli stipiti della finestra soprastante,caratterizzata dalla continuità strutturale con il portale a cui è collegata da unacornice rettangolare, fiancheggiata da volute e guglie. Quello che maggiormentecolpisce è l’evidente sproporzione sia dimensionale che formale tra il portale e glialtri elementi della facciata. L’interno è scandito dalla presenza di un ordine di
Fig. 2 Vista dell’interno
L’altare, di grandi dimensioni, occupa la parete principale dell’abside maggiore,posto alla base della nicchia, decorata da una ricca cornice in stucco con dorature,contenente una statua della Madonna con in braccio Gesù Bambino.É sopraelevato rispetto al pavimento dell’abside da tre gradini in marmo rosso diSan Vito Lo Capo ed ha andamento leggermente concavo.É realizzato interamente con uno tra i più decorativi e marmi sicilianiutilizzati in età barocca, ovvero il Libeccio di Trapani. Il basamento e le cornici chemarcano i vari livelli della composizione sono invece realizzati in un marmo gialloproveniente da Castronovo di Sicilia.L’altare ha una mensa dall’andamento concavo, con ai lati mensole con volute eduna urna aggettante nella parte centrale, dalla forma rotondeggiante. Qui troviamoanche un elemento scultoreo in marmo bianco, raffigurante delle teste di angeliavvolte da una nube, ed un tondo ornato da un frammento di marmo Verde antico, direimpiego e probabilmente proveniente dalla Villa Romana del Casale.Ai fianchi della mensa due corpi laterali chiudono la composizioneorizzontalmente e sostengono assieme a questa la struttura soprastante, costituitada tre gradini, di cui quello centrale notevolmente più alto degli altri due.Al centro, nella parte alta, è posto poi il tabernacolo a forma di tempietto, conparaste a sostegno della trabeazione e dell’elemento concavo che funge dacoronamento dell’altare lungo il suo asse verticale.
famosi
di simmetria
Altare Maggiore
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Fig. 1 Prospetto Principale
UBICAZIONE :
DATAZIONE :
COMMITTENZA:
AUTORE :
BIBLIOGRAFIA :
La chiesa prospetta sulla Piazza Umberto I, di frontealla Commenda dei Cavalieri di Malta ed al TeatroGaribaldi.
Seconda metà del XVI secolo
Ignota
Ignoto
Giuliana G., 1967, p. 64Contrafatto A., 1999, pp. 97-101
Chiesa di Santo Stefano
Breve cenno storico:
La chiesa di Santo Stefano sorge nei pressi della antica porta orientale della città,detta porta di San Giovanni, di fronte alla duecentesca Commenda dei Cavalieri diMalta.Il culto del Santo fu introdotto a Piazza Armerina alla fine del secolo XVI e proprionelle vicinanze della odierna chiesa sorgeva a quel tempo un oratorio dedicato alProtomartire Stefano.La costruzione dell’edificio attuale fu iniziata negli ultimi anni del Cinquecento eportata a termine entro il primo decennio del secolo successivo.Tuttavia già cinquant’anni più tardi, intorno al 1660, la struttura era interessata danuovi lavori di ampliamento ma anche di abbellimento dell’interno, grazie allarealizzazione di affreschi e stucchi dorati.Sempre in questo periodo la chiesa si arricchì del prospetto attuale, ultimato pocodopo con la realizzazione della struttura del campanile, in pietra intagliata.Nel 1742 così il rinnovato edificio fu inaugurato solennemente alla presenzadell’Arcivescovo Matteo Trigona.Nei primi anni del XVIII secolo due facoltose famiglie, appartenenti alla nobiltàlocale, promossero la costruzione di due altari nella chiesa, collocati nella navata,dedicati a San Gregorio Magno e al Crocifisso. Il primo fu voluto dalla famigliaBarabba, mentre il secondo dalla famiglia Solonia.Nuovi lavori interessarono l’edificio e le sue immediate vicinanze nel 1854. Inquella occasione infatti fu ricostruito il prospetto nord della chiesa e fu demolita laporzione di muro, appartenente alla cinta difensiva della città medievale, chefaceva ad angolo con la porta di San Giovanni.Per colmare il notevole dislivello esistente tra l’ingresso principale del tempio ed ilpiano stradale fu realizzata nel 1880 l’imponente scalinata in pietra arenaria.Sempre in quell’anno la facciata si arricchì di un nuovo portale in pietra edell’orologio comunale, posto sopra il portale ed in asse con questo.La chiesa fu dichiarata parrocchia nel 1951. Dopo questa data abbiamo inoltrenotizia di alcuni restauri, avvenuti nel 1954, che interessarono in piccola partel’edificio religioso ma soprattutto gli adiacenti locali parrocchiali.
Descrizione edificio:
La chiesa è ad una sola navata coperta dauna volta a botte lunettata.Il prospetto principale si presentasemplice nelle linee e caratterizzato dauna muratura in laterizio contenuta entrodue cantonali in pietra squadrata a formadi lesene su alto basamento. Questisostengono la trabeazione su cui si innalzala struttura del campanile, in pietraintagliata, costituita da tre aperture adarco, inquadrate da paraste ed affiancateda volute di raccordo con la facciata, edabbellita da guglie e pinnacoli.Al termine della ripida scalinata si trovapoi l’elegante portale in pietra, checosti tuisce l’ingresso principaleall’edificio, con paraste corinzie chesostengono una cornice dalla formaarcuata. Sopra il portale è stato collocatonel 1880 l’orologio comunale.
Fig. 2 Vista dell’interno
All’interno l’edificio colpisce per la ricca decorazione a stucco, che ricopre ognispazio delle pareti e della volta, ed i vivaci colori pastello che assieme alle doratureimpreziosiscono la composizione secondo un gusto tipicamente barocco.La navata è ritmata dalla presenza di un ordine di paraste corinzie leggermenteaggettanti che sostengono la trabeazione ed inquadrano delle nicchie ad arco entrocui sono collocati glia altari laterali.Sopra la cornice imposta poi la volta di copertura, con lunette, per ospitare leaperture, ed unghiature. Questa è riccamente decorata da affreschi e stucchiraffiguranti soprattutto motivi floreali.Lo spazio del presbiterio, separato dalla navata da una balaustra marmorea eleggermente sopraelevato rispetto alla navata stessa, è definito da quattro pilastriangolari su cui impostano gli arconi della cupola su pennacchi sferici.Sulla parete di fondo del presbiterio si trova inoltre collocato il ricco altaremaggiore in marmi policromi.Sul lato opposto risalta invece una imponente porta lignea, ornata da pitture erilievi, di chiara matrice barocca.Nella navata si trovano anche, contenuti entro le nicchie arcuate, i quattro altarilaterali dedicati a Santo Stefano, San Gregorio Magno, San Biagio e al Crocifisso.
L’altare, di grandi dimensioni, è collocato sulla parete di fondo del presbiterio,sopraelevato rispetto alla quota del pavimento della chiesa da tre scalini in pietragrigia.La sua realizzazione, avvenuta probabilmente nel secolo XVII, è legata allacommittenza della ricca e nobile famiglia Trigona, come ci testimonia una breveiscrizione incisa nel marmo, sul lato sinistro dell’altare.Realizzato in marmo bianco di Carrara, secondo la tecnica a marmi mischi, èarricchito da pietre ornamentali colorate dai vivaci colori, ed ha forme tipicamentebarocche, per il dinamismo, il movimento e la ricchezza decorativa che lecontraddistingue.La composizione infatti è caratterizza dall’andamento curvilineo dei suoi elementi,dall’alternarsi continuo di forme concave e convesse, di sporgenze e rientranze.La mensa è affiancata da due corpi laterali convessi, con mensoloni sporgenti, ed èsormontata da un piccolo tabernacolo, con volute laterali e timpano triangolare, edai tre gradini porta candele.In alto l’altare si chiude con una struttura a forma di tempio, con impianto circolare,caratterizzata dalla presenza di colonnine libere in marmo policromo chesostengono la trabeazione e le volute conclusive.Tale coronamento però non è oggi visibile in quanto nascosto dalla struttura lignea,in finto marmo, che costituisce la nicchia che contiene la statua di Gesù.
Altare Maggiore
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Altare di Santo Stefano
Si tratta del secondo altare della parete di destra della navata, rispetto all’ingressoprincipale.Non conosciamo la data di realizzazione dell’opera, nè quali furono le maestranze ol’artista che lo eseguì, tuttavia possiamo pensare che l’altare risalga al secoloXVIII, realizzato nel corso dei lavori di abbellimento dell’interno della chiesa,contemporaneamente agli altri altari laterali, commissionati dalle nobili famigliepiazzesi dei Barabba e dei Solonia.Ha un disegno architettonico complesso, dal momento che occupa l’intera paretedella nicchia ad arco che lo contiene. Al di sopra dell’altare vero e proprio infattitroviamo una nicchia, contenente la statua del Santo, inquadrata da paraste chesostengono un frontone curvo. Il tutto è riccamente rivestito da marmi policromi,per lo più brecciati, ed ornato da dorature.Nella parte bassa l’altare ha forme semplici. É realizzato in marmo bianco diCarrara con intarsi in pietre colorate, dalle tonalità prevalentemente violacee, ebrecciate. La mensa è sporgente e presenta ai bordi due mensole inclinate convolute, che inquadrano il tondo centrale.Ai fianchi della mensa troviamo due piccoli corpi laterali di forma quadrata, mentrein alto i due gradini, di cui il secondo notevolmente più alto, costituiscono una sortadi attico, chiuso da un semplice coronamento dalle forme arrotondate, posto alcentro della composizione, lungo il suo asse di simmetria verticale.
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Fig. 1 Prospetto Principale
UBICAZIONE :
DATAZIONE :
COMMITTENZA:
AUTORE :
BIBLIOGRAFIA :
Si affaccia sul largo omonimo, nei pressi dellachiesa dei Teatini (San Lorenzo) e della Torre delPadre Santo
Seconda metà del XIV secolo (monastero e primooratorio dedicato a San Giovanni)Seconda metà del XVI secolo (edificio attuale)
Florenzia Caldarera, nobile piazzese (monastero edoratorio)Fulgentia Li Gregni, abadessa (edificio attuale)
Ignoto
Giuliana G., 1967, pp. 65-66Contrafatto A., 1999, pp. 83-86
Chiesa di San Giovanni Evangelista
Breve cenno storico:
La chiesa di San Giovanni Evangelista sorge presso un complesso che, oltre allachiesa, comprende anche un monastero (oggi ostello della gioventù), fondato nel1361 per volontà della nobildonna Florentia Caldarera.Questa trasformò la sua casa in monastero di suore benedettine con annesso unoratorio dedicato già allora a San Giovanni.Dopo circa due secoli, l’abadessa Fulgenzia Li Gregni fece trasformare l’oratorioin refettorio, avendo deciso di erigere ex novo una chiesa da dedicare sempre alSanto.I lavori iniziarono nel 1550 e si protrassero a lungo durando fino al 1615, quando,essendo abadessa suor Ottavilla Torricella, furono ultimati e la chiesa aperta alculto.Nel 1721 suor Angelica Cremona fece decorare l’interno dell’edificio con unsontuoso ciclo di affreschi, un nuovo pavimento e delle dorature, inoltre fececostruire all’esterno un campanile.Per gli affreschi ci si rivolse al pittore fiammingo Guglielmo Borremans, il quale vilavorò, assieme ai suoi allievi, ricoprendo interamente le pareti e le strutture dicopertura con pregevoli dipinti raffiguranti scene di vita di santi benedettini.Nel 1785 dobbiamo registrare un avvenimento traumatico per l’edificio. Inquell’anno infatti si verificò un incendio che distrusse diverse tele, che alloradecoravano la chiesa, e l’altare Maggiore.Quest’ultimo fu ricostruito, in forme più ricche e sontuose, nel 1792 da maestranzecatanesi.Nel 1902, avendo il Vescovo M. Palermo ricevuto in eredità dalla BaronessaCarmela Trigona Geraci una somma di denaro da destinare per il bene morale dellefanciulle della città, fece aprire nel monastero una casa delle figlie di MariaAusiliatrice. Furono così avviate la scuola materna, le scuole elementari, l’oratoriofestivo e la scuola di ricamo.Da alcuni anni la struttura, completamente rinnovata, ospita invece l’ostello dellagioventù.
Descrizione edificio:
sormontata da una cupola affrescata. Le pareti della navata sono caratterizzate dallapresenza di nicchie ad arco che contengono sul lato nord gli altari laterali, mentre suquello sud gli ingressi sulla piazza. Il tutto è inserito entro una finta strutturaarchitettonica con paraste corinzie dipinte a sostegno della trabeazione con corniceaggettante. Al di sopra della cornice troviamo l’imposta della volta con le aperture,che illuminano la sala, inserite entro le lunette della copertura.Ogni angolo dell’interno è ricoperto da pregevoli affreschi attribuiti a GuglielmoBorremans ed ai suoi allievi, rappresentanti scene relative alla vita monastica dei
La chiesa sorge sul piano del PadreSanto, sul quale si affaccia con dueportali laterali, realizzati nel secoloXVIII, che guardano a sud.Proprio il fianco sud della chiesacostituisce il prospetto esternoprincipale dell’edificio, dal momentoche questo sugli altri lati è chiuso dallestrutture del monastero e dal tessutoedilizio circostante.All’esterno quindi i due portali inpietra rappresentano l’unico elementodecorativo di una facciata altrimentianonima e che contrasta fortementecon il ricchissimo ed ornatissimointerno dal gusto tipicamente barocco.L’edificio all’interno è a navata unica,coperta da una volta a botte lunettatacon la zona del presbiterio, alla qualesi accede attraverso un arco trionfale atutto sesto, staccata dalla navata permezzo di pilastri aggettanti e
Fig. 2 Vista dell’interno
Santi Benedettini. Nella cupola èdipinto il mistero dell'Eucarestia,nelle pareti laterali dell'altaremaggiore è rappresentata la asinistra e l' a destra. Nellavolta è rappresentata al centrol' , mentre le lunette e ipiloni della cupola presentano figuredi donne che simboleggiano le virtù.La parete di fronte il grande altaremaggiore, in marmi policromi e constatue in marmo bianco di Carrara, èinteramente occupata da una riccacantoria in ferro battuto dorato.
NativitàEpifania
Immacolata
Fig. 3 Vista dell’affresco centrale della voltaopera di G. Borremans
L’altare, imponente per le dimensioni e per il disegno architettonico, occupa quasiinteramente la parete di fondo del presbiterio, sopraelevato rispetto alla quota delpavimento da tre gradini in marmo grigio.Fu realizzato tra il 1792 ed il 1793 dai fratelli Marino, artisti provenienti da Catania,dopo che, a causa di un incendio avvenuto nel 1785, il precedente altare maggioreera andato distrutto.Ha forme sontuose, ma semplici e lineari. É costituito prevalentemente da marmipolicromi dai toni verdi e gialli, e caratterizzato da un ricco apparato scultoreo inmarmo bianco di Carrara.Pregevoli sono infatti le due statue marmoree, sedute sulle volute sporgenti ai lati,che rappresentano le allegorie della Fede, a sinistra, e della Innocenza, a destra.La composizione si articola in tre livelli, con andamento piramidale: la parte bassa,con al centro la mensa di forma rettangolare affiancata ai lati da semplici corpilaterali, che sostengono le volute sporgenti su cui siedono le sculture; il pianocontenente il tabernacolo, con timpano curvo ed affiancato da volute, chiusoorizzontalmente dalle due sculture e caratterizzato da un alto attico; il grandetempio curvo su basamento, con colonne, timpano curvo spezzato e cupolaconclusiva, che inquadra la statua del Cristo, posta entro una nicchia.La zona del tabernacolo è impreziosita dalla presenza di intarsi realizzati con pietreornamentali di maggiore pregio, quali diaspri ed alabastri.
Altare Maggiore
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PIETRAPERZIA
1. Chiesa di Santa Maria Maggiore(chiesa madre)
2. Chiesa del SS. Rosario
3. Chiesa di Santa Maria di Gesù
Chiese con altari in marmi policromi
Fig. 1 Prospetto Principale
UBICAZIONE :
DATAZIONE :
COMMITTENZA:
AUTORE :
BIBLIOGRAFIA :
Sorge lungo la salita che porta al Castello diPietraperzia, sulla via Tortorici
Secolo XIV (1° Chiesa Madre)Prima metà del secolo XVI (riedificazione)Fine del secolo XVIII (seconda riedificazione)
Giovanni Antonio Barrese, Signore di Piatraperzia(1° Chiesa Madre)Matteo Barrese, Marchese di Pietraperzia(1° riedificazione)
Pietro Trombetta, architetto (2° riedificazione)
Padre Dionigi, 1776, pp. 244-250
Guarnaccia L., 1978Guarnaccia - Viola, 1993, pp. 113-125Marotta F., 1999, vol I, pp. 93-98Marotta F., 1999, vol II, pp. 83-106
Giuliana G.., 1967, p. 228
Chiesa di S.Maria Maggiore(Chiesa Madre)
Breve cenno storico:
Le vicende storiche della Chiesa Madre di Pietraperzia sono alquanto complesse ecaratterizzate da continue ricostruzioni ed ampliamenti della struttura iniziale.Possiamo infatti affermare che quello attuale è il terzo edificio realizzato sul sito inquestione, nei pressi del castello feudale, o addirittura il quarto se è vero che laprima chiesa sorse al posto di un tempio che alcuni storici farebbero risalire all’etàbizantina.Le prime, frammentarie, notizie ci parlano di una chiesa realizzata all’inizio delsecolo XIV, su di una precedente moschea o chiesa di età bizantina, e voluta dalbarone Giovanni Antonio Barrese, Signore di Pietrapezia. Di questa chiesa rimaneoggi la struttura al di sotto della zona presbiteriale, attuale chiesa della Cateva.Quando, agli inizi del XVI secolo, il tempio trecentesco cominciò a minacciarerovina, il Marchese Matteo Barrese si impegnò nella realizzazione di un nuovo epiù grande edificio, sempre nel medesimo sito e secondo lo stesso orientamento.Intorno al 1539 così sorse una nuova struttura, sopraelevata rispetto alla precedenteche diveniva adesso cripta, al di sotto del presbiterio.Il nuovo tempio nei progetti del Marchese doveva fungere da mausoleo di famiglia,e fu per questo che fece collocare qui (nella zona del presbiterio) alcune dellesepolture dei suoi avi e la propria (mausoleo marmoreo realizzato nel 1523 daAntonello Gagini ).Negli anni successivi la chiesa si arricchì di pregevoli opere d’arte di scultura epittura come i portali di ingresso all’edificio in marmo bianco, realizzati daAntonello Gagini sempre nei primi decenni del 1500, e la pala d’altare raffigurantel’ , opera del famoso pittore fiorentino Filippo Paladinidei primi anni del 1600.Dopo quasi tre secoli dalla costruzione della chiesa cinquecentesca, a causa dinuovi cedimenti strutturali e per soddisfare le esigenze di una popolazione divenutasempre più numerosa, si decise di intraprendere la realizzazione di un ulteriore epiù grande edificio.L’idea di costruire un tempio più grande e maestoso è degli ultimi anni del secoloXVIII. I lavori infatti cominceranno intorno al 1792, anche se solo a partire dal1800 procederanno in maniera spedita.La nuova struttura venne terminata intorno alla metà del XIX secolo e fu realizzatagrazie al sostegno economico di numerosi cittadini di Pietraperzia.L’incarico progettuale, attraverso un concorso, fu affidato a Pietro Trombetta,architetto di Caltanissetta ed allievo del Marvuglia; mentre della esecuzione dellestrutture fu incaricato il maestro muratore Paolo Varrica, nativo di Palermo.Il Trombetta pensò ad un maestoso tempio ad impianto basilicale, orientato inmaniera differente dal precedente, con cupola e prospetto esterno, in stileneoclassico, dotato di pronao e torre campanaria. Tuttavia l’esterno è rimastoincompleto dal momento che non furono mai realizzati il pronao ed il campanile.Gran parte delle opere d’arte contenute nel tempio cinquecentesco furonoricollocate nella nuova chiesa, che si era a sua volta arricchita di stucchi, pitture edorature; ma, molto andò anchedistrutto ed irrimediabilmente perduto.
Incoronazione della Vergine
con la demolizione della struttura preesistente
Descrizione edificio:
disegnata dallo stesso Trombetta e realizzata in conci di pietra arenaria. Écaratterizzata da tre ingressi, di cui quello centrale maggiore, posti al termine di unascalinata che costituisce il sagrato.La partizione architettonica è semplice e lineare con delle paraste, appenaaccennate, ad organizzare lo spazio e sostenere la trabeazione del primo livello el’attico soprastante. Su questo imposta poi la struttura a tempietto con paraste,finestra semicircolare e timpano triangolare che chiude la composizione.Tuttavia il prospetto non fu ultimato dal momento che il progetto originarioprevedeva anche un pronao con colonne e timpano triangolare davanti l’ingresso
Il tempio che noi oggi ammiriamo è ilrisultato dell’ultima riedificazione edampliamento dell’edificio avvenutinei primi decenni del secolo XIX suprogetto dell’architetto nisseno PietroTrombetta.La chiesa odierna è di tipo basilicale, atre navate e con cupola all’incrociodei bracci dell’impianto a croce latina.Le sue tre navate sono coperte da dellevolte a botte, ornate da lacunari,poggianti su pilastri. La navatacentrale si caratterizza perchèsopraelevata rispetto alle laterali, inmodo da ricevere direttamente la lucedalle aperture che possiede.Un abside, di forma rettangolare,costituisce la terminazione dell’edificio, affiancato ai lati da duecappelle con altari.La facciata in stile Neoclassico fu Fig. 2 Vista dell’interno
principale, ed una torre campanariasul fianco della chiesa.Dell’interno si è già accennato inprecedenza per quel che riguarda lesue caratteristiche principali. Lenavate sono tra loro diviselongitudinalmente da cinque pilastriper lato collegati tra loro da archi apieno sesto sopra cui corre ilcornicione.Ancora più in alto sono collocate leaperture, di forma rettangolare, cheilluminano la navata centrale.
Fig. 3 Sarcofago marmoreo di Dorotea Barresidella fine del XVI secolo
Ai pilastri che sostengono i pennacchidella cupola sono poggiate inoltredelle colonne in stile corinzio (quattroper pilastro) sormontate dallatrabeazione e poi dalla cupola.Tutti gli stucchi che decoranol’interno furono realizzati prima dellametà del secolo XIX da GiuseppeGianforme di Catania ed AntonioDell’Orto di Palermo, su disegnod e l l ’ a r c h i t e t t o L o P i a n o d iCaltanissetta.Entrando dalla porta centrale, a destrae a sinistra, si vedono due splendidimausolei marmorei. Uno è opera diAntonello Gagini e realizzato nel1523 per contenere le spoglie delMarchese Matteo Barrese. L’altroinvece, di autore ignoto, fu realizzatonel 1582 per contenere le spoglie diP i e t ro Ba r r e se , P r inc ipe d iPietraperzia.Nella navata di sinistra, appena
Fig. 4 Monumento funebre di Pietro Barrese,Principe di Pietraperzia, del 1582
entrati, si scorge invece, addossato alla parete, il sarcofago di Dorotea Barrese, inmarmo Rosso di Levanto. Fu fatto realizzare dal figlio Fabrizio Branciforti,Principe di Butera, così come aveva fatto per il padre Giovanni IV Branciforti,sepolto in un sarcofago molto simile nella chiesa del Carmine di Mazzarino.Tra le opere scultoree presenti nella chiesa meritano di essere ricordati i tre portalimarmorei opera di Antonello Gagini che costituivano gli ingressi dell’edificiocinquecentesco.Questi, demolito il vecchio edificio per fare posto alla nuova struttura nel XIXsecolo, furono smontati e ricollocati nel nuovo Tempio. Uno è collocato nei pressidell’ingresso sulla destra ed inquadra il fonte battesimale. Gli altri due invece sitrovano all’interno di una delle cappelle che affiancano l’abside maggiore.Numerosi sono anche i dipinti posseduti dalla chiesa che impreziosiscono i varialtari. Tra questi particolarmente importante è la pala situata dietro l’altareMaggiore raffigurante l’ , opera del pittore manieristafiorentino Filippo Paladini. Questi in quegli anni era attivo in questa area al serviziodi Fabrizio Branciforti ed ottenne la commissione della tela per la Chiesa Madre diPietraperzia dalla moglie di Fabrizio, Caterina, nei primi anni del 1600(il dipinto fuprobabilmente realizzato nel 1604).
Incoronazione della Vergine
Si tratta del terzo altare della navata laterale destra, rispetto alla porta di ingressoprincipale, impreziosito da una tela raffiguranti il Santo.Oggi è in precarie condizioni di conservazione e mancante di alcuni frammentidelle lastre in marmi policromi che lo decorano, tanto da lasciare intravedere lastruttura in arenaria sottostante che costituisce l’ossatura dell’altare.É probabile che questo altare sia tra quelli citati nei documenti relativi al contrattoper la realizzazione di tre altari in marmi policromi nella chiesa Madre, stipulati nel1792, quando si intraprese la realizzazione del nuovo tempio.L’altare risalirebbe quindi agli ultimi anni del XVIII secolo, opera dei maestrimarmorari catanesi Tommaso e Rosario Privitera, rispettivamente padre e figlio.Nel contratto sono citati anche i nomi dei marmi da utilizzare e le caratteristiche edimensioni degli altari. Si dice inoltre che questi verranno realizzati secondo ildisegno fornito da Domenico Carbonaro, catanese.Le forme dell’altare sono lineari e rivelano il già avvenuto mutamento di gustoartistico verso composizioni sobrie e caratterizzate da figure geometriche semplici.É costituito da una mensa leggermente avanzata di forma rettangolare, conpilastrini agli angoli a forma di paraste. Questi inquadrano il motivo centrale delmedaglione scolpito, in marmo bianco e giallo. Al di sopra della mensa troviamo idue gradini, con la parte centrale leggermente aggettante, di cui il secondo ènotevolmente più alto del primo, tanto da costituire un vero e proprio attico.
e da una statua lignea
Altare di San Francesco di Paola
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Altare dell’Addolorata
L’altare è posizionato nella parete di fondo del transetto di destra, rispettoall’ingresso principale, ed è molto simile, per la forma, il tipo di marmi policromiutilizzati e la loro disposizione all’interno della composizione, all’altare di SanFrancesco di Paola, presente lungo lo stesso lato della chiesa.Sarebbe anche questo opera dei marmorari catanesi Tommaso e Rosario Privitera,realizzato alla fine del secolo XVIII, e citato nel contratto stipulato nel 1792,quando fu innalzata nelle forme odierne la nuova chiesa Madre.L’altare quindi è caratterizzato dalla semplicità e linearità delle forme, privo didecorazioni sovrabbondanti e costituito dalla mensa rettangolare sporgente, conpiccole paraste ai lati e medaglione scolpito al centro, sormontata dall’attico,costituito da due gradini, di cui il secondo notevolmente più alto.Rispetto all’altare di San Francesco di Paola però abbiamo in questo caso untabernacolo marmoreo, avente la stessa altezza dell’attico.Posto in posizione centrale, lungo l’asse di simmetria verticale della composizione,ha la forma di un tempietto con paraste affiancate da volute, a sostegno dellatrabeazione, che ne costituisce il coronamento.Sopra il tabernacolo è stata collocata una statua raffigurante la MadonnaAddolorata, mentre la parete è anche arricchita dalla presenza di un dipinto didiscreta fattura.L’altare oggi è in non perfetto stato di conservazione, soprattutto nella parte bassa.
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Fig. 1 Prospetto Principale
UBICAZIONE :
DATAZIONE :
COMMITTENZA:
AUTORE :
BIBLIOGRAFIA :
Si affaccia su una piazzetta, Piazza G. Matteotti (exPiazza del Rosario), che costeggia la via Tortorici,che sale verso la Chiesa Madre ed il Castello
Edificio esistente già nei primi anni del secolo XVI
Ignota
Ignoto
Padre Dionigi, 1776, pp. 252-255Giuliana G.., 1967, p. 230-31Guarnaccia - Viola, 1993, pp. 77-79
Chiesa del Rosario
Breve cenno storico:
Pochissime e frammentarie sono le notizie sulla Chiesa del Rosario. Risultapertanto difficile risalire a date certe cui legare le vicende costruttive dell’edificio.Padre Dionigi da Pietraperzia, nel suo testo di storia locale, riferisce che la chiesa inquestione avrebbe sostituito un precedente edificio intitolato alla SS.AnnunciataLa chiesa della SS. Annunciata, secondo lo storico pietrino, sarebbe tra le piùantiche del paese, assieme alla Chiesa Madre, e a sua volta sarebbe sorta insostituzione di un’altra chiesa, ancora più antica, detta dell’Annunciata Vecchia.Tuttavia di questo edificio, preesistente alla odierna chiesa del Rosario, nonsappiamo niente altro.Sappiamo invece che nei primi anni del secolo XVI il Marchese Matteo Barreseprese la chiesa sotto la sua tutela, favorendola con abbondanti donazioni al fine distanziarvi i Padri Domenicani.Nel 1521 infatti questi prendono possesso della chiesa e vi fondano accanto ilproprio convento (oggi sede comunale).É probabile che il Marchese in questa occasione, oltre a favorire la venuta dei Padri,abbia anche ristrutturato il tempio. Di questo però non abbiamo alcuna conferma,anche se in alcuni testi di storia locale si dice che il Marchese nel 1521 fece erigerela chiesa affidandola ai Padri Domenicani.Negli anni successivi la chiesa continuò a godere del favore e della generosità dellafamiglia Barrese. I successori di Matteo infatti più volte effettuarono donazioni insuo favore.L’edificio divenne inoltre il luogo preferito dalla nobiltà e dalla borghesia localeper collocarvi le proprie sepolture.Anche se non esistono notizie di ciò è probabile che la struttura abbia subito untotale rinnovamento nel secolo XVIII assumendo l’aspetto attuale. Il prospettoesterno e l’interno infatti rispecchiano schemi e motivi tipici di quel periodo.Oggi la chiesa, chiusa al culto, è pericolante ed in attesa di un restauro che neconservi le strutture e gli apparati decorativi.
Descrizione edificio:
La particolarità della chiesa risiedeprincipalmente nel suo impianto a crocegreca.L’edificio infatti presenta una piantacentrale con tre absidi semicircolari eingresso lungo gli assi principali. L’absideposto davanti all’ingresso è quelloprincipale e contiene l’altare Maggiore, inmarmi policromi, dedicato alla Madonnadel Rosario; i due absidi laterali, invece,contengono due splendidi altari in stuccodalla complessa struttura architettonica,caratterizzata dalla presenza di colonnetortili.Lo spazio centrale è definito dai quattropilastri che sostengono la struttura dellacupola su pennacchi sferici decorata dastucchi che riproducono il tipico disegno acassettoni digradanti.La facciata, a differenza dell’interno, èsemplice e caratterizzata da pochielementi di rilievo in pietra squadratainseriti in una muratura in conci irregolari.I cantonali in pietra sostengono il timpanotriangolare, mentre lo spazio centrale èoccupato dal portale e più in alto dallafinestra rettangolare.Nel suo disegno ricorda molto quella dellachiesa di Santa Maria di Gesù, sempre aPietraperzia, e molte altre presentinell’area e realizzate intorno ai secoliXVII e XVIII.L’interno, oggi in cattivo stato diconservazione, è interamente decorato dastucchi e pitture a motivi floreali su unfondo azzurro.Nonostante molte opere pregevoli sianoscomparse la chiesa possiede ancoraalcune tele ottocentesche di autore ignotoe degli affreschi, raffiguranti la
e , ormai in rovina.Meritano di essere menzionate anche lestatue lignee della Madonna del Rosario,del ‘600, e di S. Vincenzo Ferreri.
Vittoria diS. Pio V Santa Caterina
Fig. 2 Vista dell’interno (abside destro)
Fig. 3 Particolare della struttura dellacupola
L’altare si trova all’interno dell’abside maggiore dell’edificio, a pianta centrale acroce greca, proprio di fronte all’ingresso principale.É notevolmente sopraelevato rispetto alla quota del pavimento dell’edificio, postoin cima a cinque scalini in marmo rosso di San Vito Lo Capo.Non si hanno notizie precise su quest’opera, di discrete dimensioni, che però etipicamente barocca nelle forme e databile al secolo XVII.In alto l’altare è sormontato da una nicchia riccamente ornata da stucchi raffigurantiun tendaggio.Altre due nicchie, più piccole, sono simmetricamente collocate ai latidella nicchia centrale, in posizione leggermente più bassa.L’altare vero e proprio ha una struttura in marmo bianco di Carrara, decorata dallapresenza di marmi policromi. Ha forme concavo - convesse ed è quindicaratterizzata da continui aggetti, sporgenze e rientranze.La mensa ha agli angoli delle mensole inclinate a forma di voluta che inquadrano ilmotivo scultoreo centrale, leggermente aggettante, dalle forme rotondeggianti, edalla decorazione di ispirazione naturalistica. É affiancata da corpi lateraliterminanti con volute e decorati da paraste leggermente sporgenti. Nella parte altatroviamo quattro gradini porta candele, digradanti verso l’alto e ornati da intarsi inmarmi policromi, con al centro un tabernacolo riccamente decorato edall’articolato motivo architettonico. Questo infatti ha la forma di un tempietto conparaste, affiancate da volute, che sorreggono la trabeazione ed il timpano curvo.
Altare della Signora del Rosario (Altare Maggiore)
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Fig. 1 Prospetto Principale
UBICAZIONE :
DATAZIONE :
COMMITTENZA:
AUTORE :
BIBLIOGRAFIA :
Si affaccia sulla Piazza Vittorio Emanuele
Seconda metà del XVII secolo (edificio attuale)
Ignota
Luca Valera, maestro muratore
Padre Dionigi, 1776, pp. 255-261Giuliana G.., 1967, p. 232Guarnaccia - Viola, 1993, pp. 65-69Marotta F., 1999, vol I, pp. 83-89Parr. di S. Maria di Gesù, 2001, pp. 7-44
Chiesa di Santa Maria di Gesù
Breve cenno storico:
La chiesa di Santa Maria di Gesù fu edificata nello stesso luogo in cui sorgevaprecedentemente la chiesa di Maria SS. Delle Grazie, che Fra’ Dionigi, storicolocale, dice essere stata molto antica e tra le prime realizzate a Pietraperzia, ma dicui non si sa niente altro.La storia di questo edificio è legata alla presenza a Pietraperzia dei Frati MinoriRiformati a partire dalla prima metà del secolo XVII. Questi infatti, giunti in città,ottennero di stanziarsi presso la chiesa di Maria SS. Delle Grazie e di fondare qui illoro convento.Le notizie relative a questi avvenimenti sono più precise ed attendibili, per cuisappiamo che i frati, giunti in paese su richiesta del clero pietrino, eper interessamento di Margherita D’Austria, detentrice del feudo, usufruirono giànel 1636 di una cospicua donazione a loro favore per la realizzazione del loroconvento.Donna Francesca Santigliano e Maria Santigliano, sorelle e nobili di originepalermitana ma residenti a Pietraperzia, infatti lasciarono la somma di tremila eseicento ducati al fine di realizzare il convento dei Frati Francescani Riformati, iquali avrebbero così potuto occuparsi della cura delle anime edell’amministrazione dei sacramenti.Nel 1637 troviamo i frati già intenti nella realizzazione della nuova struttura, dotataanche di selva.Ultimato il convento si passò al rinnovamento della chiesa e così l’edificio furiedificato nelle forme attuali intorno alla fine del secolo XVII. L’opera fumaterialmente realizzata dal maestro muratore Luca Valera.Fu in occasione di questo rinnovamento della struttura che questa assunse la nuovadenominazione di Santa Maria di Gesù.Alcune fonti tuttavia farebbero risalire la riedificazione dell’edificio nelle formeattuali al 1772.Il convento, nel corso della sua storia ospitò personaggi illustri come Fra’Giuseppeda Avola, le cui spoglie sono custodite presso la chiesa stessa e morto nel 1647 infama di santità, Fra’Giuseppe Giappano, anche egli famoso per miracoli e profezie,e lo storico Fra’Dionigi da Pietraperzia, autore di uno dei più importanti ed antichitesti di storia locale alla fine del secolo XVIII.I frati rimasero operanti fino alla emanazione del decreto di soppressione dei beniecclesiastici nel 1866. Alcuni frati comunque continuarono ad occuparsi dellachiesa e della cura dei fedeli.Quando nel 1929 si pensò di erigere a Pietraperzia una nuova parrocchia, dalmomento che la sola Chiesa Madre non era più sufficiente, si decise che questasarebbe dovuta nascere presso la chiesa di Santa Maria di Gesù. L’edificio peròversava allora in pessime condizioni per cui era prima necessario restaurarlo.Iniziarono così una serie di opere di risistemazione e rinnovamento delle strutture,nonchè di abbellimento del tempio, che si conclusero nei primi anni ‘50 delNovecento.Nel luglio del 1951 la chiesa viene finalmente riaperta al culto ed il 7 ottobre dellostesso anno viene proclamata parrocchia.
intorno al 1635
Descrizione edificio:
La chiesa di Santa Maria di Gesù è anavata unica coperta da una volta a botte.Il prospetto esterno si presenta semplice ereal izzato secondo uno schemaarchitettonico molto diffuso in questaarea.La struttura muraria in conci irregolari ècontenuta tra due cantonali in pietrasquadrata aventi l’aspetto di paraste sup i e d i s t a l l o . Q u e s t i s o s t e n g o n odirettamente il timpano triangolare chechiude in alto la facciata. Risaltano inoltreil portale e la finestra centrale, posizionataal di sopra del portale, quali unici elementidi preziosità della composizione,realizzati anche questi con conci squadratie, nel caso del portale, caratterizzati daelementi decorativi come le paraste e lalapide marmorea su cui è riportata unaiscrizione.Anche l’interno è molto semplice. Il suoaspetto attuale deriva dai lavori direstauro realizzati nel corso delNovecento.Questi hanno sostanzialmente modificatol’originaria conformazione della navatadal momento che il pavimento è statorinnovato, il cornicione della voltaabbassato, demolito il coro dei frati,rimossi i 4 altari laterali marmorei erisistemato l’altare Maggiore.Quest’ultimo oggi si presenta tra duecolonne corinzie che sostengono unfrontone triangolare e che fanno dacornice alla statua della MadonnaImmacolata del secolo XVIII, postadentro una nicchia.L’altare è in marmi policromi, anchequesto risalente al secolo XVIII e, primadi essere posizionato in questa posizione,collocato in una delle cappelle laterali.La chiesa possiede inoltre alcuni quadridel XVIII e XIX secolo di discreto valore,tra cui due dipinti del Vaccaro.
Fig. 2 Vista dell’interno
Fig. 3 Crocifisso ligneo forse opera dida Petralia
Fra’Umile
L’altare occupa la parete di fondo del presbiterio, posto alla base della decorazionea stucco che contiene la statua settecentesca della Madonna Immacolata.É racchiuso ai lati entro le due colonne che sostengono il frontone triangolare dellastruttura ornamentale a forma di tempio.É inoltre leggermente rialzato rispetto alla quota della pavimentazione delpresbiterio da due gradini marmorei di recente realizzazione.L’altare era inizialmente collocato lungo la navata laterale, assieme ad altri quattro,probabilmente dello stesso tipo. Questi furono smontati durante uno dei numerosirestauri che hanno interessato l’edificio in tempi recenti. Fu nel intorno al 1950 chel’altare marmoreo venne sistemato al centro del presbiterio, dove oggi lo vediamo,ed in quella occasione fu interessato anche da aggiunte, modifiche e sostituzioni.É un opera realizzata nel secolo XVIII, affine per il disegno architettonico e ledecorazioni del paliotto ad altari dello stesso genere realizzati nella Sicilia orientalein quel periodo.L’altare ha una mensa rettangolare, affiancata ai lati da semplici volute, ed unastruttura superiore, sempre rettangolare, decorata da lastre in marmi policromi didue differenti colori che si alternano tra loro, con al centro il tabernacolo a forma dipiccolo tempietto. Spiccano all’interno della composizione, realizzata in marmobianco di Carrara, il ricco paliotto a marmi mischi, con decorazione scultorea inleggero rilievo, di ispirazione naturalistica, e pietre ornamentali dai vivaci colori.
Altare del Crocifisso (Altare Maggiore)
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RIESI
1. Chiesa Santuario di Santa Maria SS. DellaCatena (chiesa madre)
Chiese con altari in marmi policromi
Fig. 1 Prospetto Principale
UBICAZIONE :
DATAZIONE :
COMMITTENZA:
AUTORE :
BIBLIOGRAFIA :
Si affaccia sulla Piazza Garibaldi, al termine delCorso Vittorio Emanuele
Prima metà del secolo XVIII
Bartolomeo de Moncajo, Marchese di Coscoquela;Don Clemente e Don Biagio Vignuales, Procuratorigenerali
Giuseppe La Rossa, architetto (progetto originario)Francesco Alajmo (prospetto esterno e decorazionedell’interno)
Testa G., 1981, pp. 187-252; p. 377
Santuario di Maria SS. Della Catena(Chiesa Madre)
Breve cenno storico:
La Basilica Santuario di Maria SS. Della Catena è senza dubbio la chiesa piùimportante di Riesi, per la grande devozione dei cittadini nei confronti dellaMadonna della Catena, Patrona della città (il cui culto sarebbe stato introdotto dallafamiglia Ventimiglia, proprietaria un tempo del feudo), e perchè rilevante dalpunto di vista architettonico ed artistico.Abbiamo notizia però che la prima chiesa avente tale titolo fu realizzata nel 1629,prima ancora che sorgesse il paese, in un luogo differente da quello attuale. Se purmolto piccola e dalle forme povere era sufficiente a soddisfare le esigenze religiosedei pochissimi contadini che vi risiedevano intorno.Con la fondazione nel 1647 della città per volontà del Barone Pietro Altariva,possessore del feudo, la chiesetta, divenuta chiesa Madre, fu sicuramenteristrutturata ed abbellita. Tuttavia ben presto risultò insufficiente per unapopolazione che era in continuo e rapido aumento. Il centro del nuovo paese inoltreandava sempre più spostandosi dall’originario nucleo di case dal quale aveva avutoorigine e dove si trovava la chiesa per cui si decise di realizzarne una nuova, piùgrande, in un differente sito, trasferendovi il titolo e le prerogative di chiesa Madree Parrocchiale. Il nuovo edificio sorge così intorno al 1678 e, sempre modesto nelleforme e nelle dimensioni, era dotato di campanile e all’interno di quattro altari, oltrequello maggiore.Solo agli inizi del secolo XVIII e per volontà del Marchese Don Bartolomeo deMoncajo si inizia la costruzione dell’edificio che oggi ammiriamo, sorto in un sitoancora differente dai precedenti e secondo programmi ben più ambiziosi.Il primo progetto di basilica a tre navate fu avviato nel 1720 e si deve all’architettomessinese, ma risiedente ed attivo a Piazza Armerina, Giuseppe La Rossa. Nel1722 tuttavia si verificò un primo crollo che mandò in rovina le strutture fino adallora realizzate. Furono avviati così i lavori di ricostruzione, sempre affidati al LaRossa a cui però furono affiancati due religiosi catanesi: fratello Pasquale,igegnere, e fratelloAntonio, capo mastro.I nuovi lavori procedevano comunque a rilento ed inoltre nel 1731 i nuovi feudatari,Antonio Pignatelli e Maria Francesca de Moncajo, decisero di abbandonare ilprogetto a tre navate.Ma il 16 ottobre 1731 si verifica un nuovo crollo. Il la Rossa viene nuovamenteinterpellato e redige una perizia del danno con il preventivo di spesa per lariparazione dell’edificio e la sua ultimazione. Recuperata la somma necessaria ilavori riprendono spediti e nel 1732 il Tempio, non ancora ultimato viene aperto alculto. Una lapide all’interno della chiesa ci racconta di un ulteriore ed improvvisocrollo avvenuto nel 1734 che avrebbe reso necessari nuovi lavori di ricostruzionesotto la supervisione di Don Clemente e Don Biagio Vignuales, Procuratorigenerali per conto dei feudatari, e con l’apporto di un nuovo architetto palermitanodi nome Francesco Alajmo. Finalmente nel 1747 l’edificio è ultimato ed allapresenza del Vescovo di Siracusa, Mons. Matteo Trigona, il 9 Maggio la chiesaviene solennemente consacrata ed innalzata a Basilica, consacrandola anche ai dueSanti Martiri San Clemente Papa e Santa Sabina. Le opere di decorazione degliinterni furono realizzate negli anni immediatamente successivi.
Nonostante il progetto originario prevedesse la realizzazione di una basilica a trenavate l’edificio attuale si presenta a navata unica con impianto a croce latinacaratterizzato da un ampio transetto su cui si affacciano le due cappelle e l’absideche chiudono la costruzione.La facciata principale, che prospetta sulla piazza principale del paese (su cui sorgeanche il palazzo del signore feudale), fu costruita su disegno di FrancescoAlajmo.Si tratta di una struttura semplice e sobria priva di decorazioni appariscenti, ma
Descrizione edificio:
rettangolari e semplici feritoie per la luce, dotata di un orologio a doppio quadrante.L’interno aggi ci appare fortemente alterato nelle sue cromie originali a causa di unrecentissimo intervento di ridipintura delle pareti e delle volte.L’opera di decorazione degli interni fu affidata nel 1751 allo stesso FrancescoAlajmo, artista eclettico, oltre che architetto, e abile stuccatore il quale realizzòtutte le opere in stucco e le sculture presenti nell’edificio, come le statue di SantaSabina e di San Clemente oppure i medaglioni dei dodici Apostoli del soffitto ed ibassorilievi ai lati della cupola raffiguranti i quattro Evangelisti.La chiesa inoltre si riempì di affreschi e quadri. Anche questi risalgono al 1751 esono tutti opera dello stesso artista: il palermitanoAgostino Gambino.Inizialmente si pensò solo alla decorazione della volta centrale e laterale. Furonorealizzati così gli affreschi aventi come tema guida le tra cui la
e la Successivamente allo stessopittore palermitano vengono commissionati otto dipinti ad olio da collocare neglialtari della navata, ricavati all’interno degli archi presenti tra un pilastro e l’altro.Tra questi ricordiamo la , la ,la , ,
.Di pregevolissima fattura sono poi gli altari in marmi mischi collocati nell’absidemaggiore e nella cappella del SS. Sacramento, realizzati da maestranze palermitaneintorno al 1747, ed il seicentesco Crocifisso situato nella cappella dedicata alricordo dei caduti in guerra e sul lavoro.
Storie della VergineNatività di Maria SS. Presentazione di Maria.
Madonna della Provvidenza Madonna del PurgatorioMadonna del Carmine S. Eligio S. Rosalia che intercede per la peste di
Palermo
armonica. Il portale, incorniciato daparaste su piedistallo che sostengonola trabeazione, è sormontato dalloscudo con le armi dei baroni feudatariche costituisce l’unico elemento dipreziosità della facciata. Ancora più inalto si trova poi una larga finestrarettangolare ed appena sopra ilcornicione ed il timpano triangolareche chiude il tutto e che trova sostegnoagli angoli su delle doppie lesene diordine dorico. Accanto alla facciata,leggermente arretrata rispetto a questa,sorge la torre campanaria con pilastri
Fig. 2 Vista dell’interno
Altare del SS. Sacramento
L’altare è posizionato sulla parete di fondo della cappella del SS. Sacramento,situata sulla sinistra del presbiterio.É sopraelevato rispetto alla quota del pavimento da due gradini in marmo bianco, direcente realizzazione, e si presenta sormontato da una complessa struttura lignea,avente la forma di un tipico prospetto di chiesa barocca, dall’andamento concavo econ colonne libere a sostegno del fastoso coronamento.Simile all’altare maggiore, anche se di dimensioni minori, fu realizzato anchequesto da maestranze palermitane intorno al 1747.Si tratta sempre di una pregevole opera a marmi mischi e tramischi, dal ricchissimoapparato scultoreo, eseguita su un supporto in marmo bianco di Carrara entro cuisono state realizzate le complesse tarsie in pietre ornamentali colorate.La mensa sorge su di una sorta di basamento interamente intarsiato con motivinaturalistici. É inquadrata da due grandi mensole leggermente inclinate a forma divolute e ornate da teste di angeli. La parte centrale invece è tripartita e caratterizzatada tre medaglioni scultorei dalle sinuose forme di ispirazione naturalistica, conovale al centro decorato da una pietra di colore azzurro.La parte superiore, costituita da due semplici gradini in marmo rosso, e i fianchiarretrati dell’altare sono delle aggiunte recenti alla composizione, frutto di unarisistemazione dell’opera, eseguita sicuramente durante gli ultimi anni inoccasione dei lavori di restauro che hanno interessato l’intero edificio religioso.
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CONCLUSIONI
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Come abbiamo avuto modo di vedere in precedenza, i contatti e gli
scambi culturali tra le grandi città della costa, molto ricche e fortemente
ricettive nei confronti delle nuove tendenze artistiche provenienti dal
continente, ed i centri dell’entroterra erano frequenti ed hanno portato ad
una diffusione capillare dei temi e dei motivi tipici dell’arte barocca,
anche nei paesi apparentemente più isolati e di secondaria importanza;
tanto che anche in questi troviamo spesso presenti opere ed artisti di
primo piano all’interno del panorama artistico siciliano.
Le grandi città di Palermo e Trapani, per quel che riguarda la Sicilia
Occidentale, di Messina, Catania e Siracusa, per la parte Orientale,
fungevano quindi da poli di riferimento culturale ed artistico presso i
quali attingevano tutte le cittadine ed i paesi che gravitavano nell’ambito
geografico dell’una o dell’altra città, oppure che avevano con queste
rapporti di tipo economico o politico.
Nel caso dei centri della Diocesi di Piazza Armerina la maggiore
vicinanza geografica con l’area sud-orientale dell’isola ha fatto sì che più
forti fossero i contatti con le città di Catania e Siracusa, grazie anche alla
appartenenza, fino ai primi anni dell’Ottocento, dei paesi oggi facenti
parte della circoscrizione religiosa piazzese alle Diocesi appunto di
Siracusa e di Catania, e grazie anche alla vicinanza con la città demaniale
di Caltagirone, completamente sotto la sfera di influenza della città etnea.
La maggior parte delle opere d’arte prodotte nella diocesi di Piazza
Armerina in età barocca sono quindi riconducibili all’ambiente artistico
catanese, dal momento che da questo ambito il più delle volte
provenivano gli artisti e le maestranze esecutrici.
Ciò è vero soprattutto per quel che riguarda la produzione legata
all’utilizzo di pietre ornamentali colorate. Nella diocesi infatti, come in
tutta la Sicilia orientale, non ebbe grande diffusione la decorazione a
mischio, estesa alle intere pareti degli edifici religiosi, tipica invece della
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città di Palermo, ed anche di quella Trapani, dove gli esempi di questo
tipo di composizione ornamentale sono numerosissimi1.
Il tema della decorazione con pietre colorate, in forme complesse e
sfarzose, fu tuttavia recepito anche dagli artisti della parte orientale
dell’isola, se pur in maniera più sobria e contenuta.
Si preferì infatti realizzare altari marmorei, di ogni forma e dimensioni,
piuttosto che rivestire intere pareti con complicate tarsie.
L’esistenza di alcuni documenti d’archivio relativi alla stipula dei
contratti di realizzazione di tali altari tra la committenza ed i marmorari ci
ha permesso di osservare come molto spesso questi ultimi siano catanesi,
chiamati con le loro botteghe ad operare anche nei centri dell’entroterra
per soddisfare una ricca committenza, costituita quasi esclusivamente
dalla potente aristocrazia feudale e dagli ecclesiastici.
Abbiamo notizia quindi della presenza della bottega dei Marino, famosa
famiglia catanese di marmorari, presso la città di Piazza Armerina per la
realizzazione del grande altare maggiore della chiesa di San Giovanni
Evangelista, commissionato nella seconda metà del Settecento2.
Il famoso architetto catanese Andrea Amato è inoltre il progettista della
cappella marmorea della Madonna della Visitazione, nel Duomo di Enna,
unico caso nella diocesi di struttura architettonica le cui pareti sono
interamente rivestite da una ricca decorazione a marmi mischi3.
Catanese è anche Domenico Viola, maestro marmoraro autore dei tre
altari della chiesa dell’Addolorata presso Niscemi4; e sempre da Catania
giungono Vincenzo Bonaventura e Benedetto Giuffrida, allievi di Andrea
Amato, e suoi collaboratori nel corso dei lavori di realizzazione della
cappella della Madonna del Duomo di Enna, che eseguirono alla fine del
1 S. PIAZZA, op. cit 2 DEMETRA società cooperativa a.r.l. (a cura di), op. cit. 3 A. RAGONA, op. cit., pp. 28-29 4 P. R. CINCOTTA – C. PEPI, Niscemi, Tesi di Laurea, rel. Prof. E. Guidoni, Università degli Studi di Palermo, a.a. 1979-80, p. 65
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secolo XVIII il pavimento marmoreo del Duomo stesso della città e gli
altari della chiesa di San Marco Le Vergini, sempre ad Enna5.
Ricordiamo infine i fabri marmorarrii catanesi Tommaso e Rosario
Privitera, autori di tre altari marmorei della chiesa Madre di Pietraperzia6.
Anche nel caso di molti altri altari, soprattutto delle città di Niscemi,
Enna, Mazzarino e Gela, nonostante non esistano testimonianze
documentarie, sembra certa la loro realizzazione da parte di maestranze
dell’aera etnea, data l’affinità stilistica delle composizioni con simili
opere situate in ambito catanese e siracusano.
Generalmente si tratta di altari dalle dimensioni contenute, aventi forma
semplice di tipo rettangolare, ma caratterizzati da ricchi paliotti, con al
centro medaglioni o stemmi, ornati da fini tarsie in marmi policromi e da
rilievi scultorei a motivo floreale.
Non mancano tuttavia esempi di altari di dimensioni maggiori e
caratterizzati da forme complesse ed articolate, con aggetti, linee curve,
concave e convesse, volute sporgenti e tabernacoli a forma di tempietto.
Abbiamo già accennato inoltre alla presenza di una intera cappella nel
Duomo di Enna sfarzosamente rivestita da marmi policromi e da rilievi
scultorei in marmo bianco di grande valore plastico, opera di uno degli
architetti più importanti del barocco catanese.
Tuttavia, dal momento che il potere politico e di governo di questi
territori era nelle mani della nobiltà feudale, e poiché questa spesso
risiedeva ed aveva contatti con la città di Palermo, capitale dell’isola e
sede del Parlamento del Regno, di cui molti dei nobili stessi facevano
parte, nei centri dell’entroterra siciliano facenti parte della Diocesi di
Piazza Armerina giungevano anche influssi artistici provenienti dalla
parte occidentale dell’isola.
5 R. LOMBARDO, La chiesa ed il monastero di San Marco le Vergini di Enna, tra storia, arte, devozione, Assoro (EN), 1999, pp. 71-72 6 F. MAROTTA (a cura di), Saggi e documenti riguardanti la storia di Pietraperzia, Vol. I, Enna, 1999, pp. 93-98
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Queste influenze riguardarono quasi esclusivamente l’ambito pittorico,
tanto che la maggior parte delle tele delle chiese della diocesi
commissionate in questo periodo provengono da botteghe di artisti
palermitani, il più delle volte seguaci della maniera di Pietro Novelli,
famoso pittore palermitano, oppure della scuola del Borremans, pittore
fiammingo attivo nei primi anni del Settecento a Palermo, ma anche in
molti centri dell’entroterra, tra cui Enna e Piazza Armerina7.
Per quel che riguarda gli altari sappiamo che quelli della chiesa Madre di
Riesi furono realizzati da maestranze palermitane, ed infatti si
caratterizzano per una esuberante decorazione a mischio con motivi ed
intrecci a carattere floreale, medaglioni, volute e putti, unici per le loro
forme nell’ambito del territorio della diocesi di Piazza Armerina.
Venendo invece a trattare dei litotipi con i quali gli altari della diocesi
sono stati decorati dobbiamo rilevare in generale la presenza di pochi tipi
di marmi colorati, sempre ricorrenti in quasi tutti gli altari rilevati
probabilmente perché utilizzati da maestranze itineranti e che si
passavano i materiali.
Sul supporto di base in marmo bianco di Carrara infatti ritroviamo quasi
sempre marmi di importazione quali il Rosso di Francia, il Verde di
Calabria (oppure Verde Alpi) ed il Nero Portoro. Frequente è anche, se
pur in maniera minore rispetto ai marmi precedentemente citati, l’utilizzo
di altre pietre di importazione come il Broccatello di Spagna, le Brecce
Medicee, il Rosso ed il Verde di Levanto, il Giallo ed il Pavonazzetto di
Siena, a testimonianza degli intensi rapporti commerciali esistenti tra le
città portuali siciliane e la penisola italiana, soprattutto la toscana, ma
anche i maggiori porti europei. La presenza di tali pietre negli altari delle
chiese dell’entroterra siciliano è indice inoltre della abbondante quantità
di queste che fu importata e della loro grande diffusione in tutta l’isola.
7 G. DI MARZO, op. cit.
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ROSSO DI LEVANTO
VERDE DI LEVANTO
VERDE DI CALABRIA
VERDE ALPI
GIALLO DI SIENA
PAVONAZZETTO DI SIENA
BRECCIA DI SERAVEZZA
BRECCIA MEDICEA
ALABASTRO DI PALOMBARA
NERO PORTORO
NERO ASSOLUTO
Figura 1 Diagramma di utilizzo dei marmi provenienti dall’Italia peninsulare.
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TIPO
E' P
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ENTE
ROSSO DI FRANCIA
FIOR DI PESCO
IASSENSE
VERDE ANTICO
BRECCIA DI SCIRO
BROCCATELLO DI SPAGNA
LAPISLAZZULO
Figura 2 Diagramma di utilizzo dei marmi provenienti da località estere.
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Tra i marmi siciliani invece grande utilizzo fu fatto del Libeccio di
Trapani e del Giallo di Castronovo per la realizzazione dei rivestimenti e
delle tarsie che decorano gli gran parte degli altari, mentre in piccole
quantità furono adoperati anche gli alabastri calcarei, probabilmente
provenienti dall’area palermitana.
In pochi casi sono stati adoperati dei diaspri, che sono tra le pietre
ornamentali più preziose, colorate ed originali che siano state estratte in
Sicilia, e solamente in piccole lastre, collocate generalmente nei pressi
dei tabernacoli degli altari, a sottolineare così con la loro preziosità
l’importanza del contenuto del tabernacolo stesso.
Tra quelli individuati abbiamo i Diaspri Rosso e Giallo di Giuliana ed il
Diaspro di Santa Cristina Gela, presso Piazza Armerina, mentre il
Diaspro di Cammarata è stato rinvenuto a Niscemi.
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LITO
TIPO
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ENTE
LIBECCIO DI TRAPANI
ROSSO DI SAN VITO LO CAPO
ROSSO FIORITO DI SANMARCO D'ALUNZIOGIALLO DI CASTRONOVO
GRIGIO DI BILLIEMI
ROSSO MONTECITORIO
ALABASTRO CALCAREO
DIASPRO GIALLO DI GIULIANA
DIASPRO ROSSO DI GIULIANA
DIASPRO DI SANTA CRISTINAGELADIASPRO DI CAMMARATA
Figura 3 Diagramma di utilizzo dei marmi provenienti da cave siciliane.
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I marmi rossi di San Vito Lo Capo e Taormina ed il Grigio di Billiemi
hanno trovato invece maggiore applicazione per la realizzazione di
pavimentazioni, scalini e basamenti degli altari, balaustre e sarcofagi.
Per quanto riguarda i sarcofagi in particolare, oltre a numerose
realizzazioni tardo- cinquecentesche in marmo bianco, con frammenti di
marmi policromi di forma geometrica inseriti in incavi ricavati sulla loro
superficie, ne esistono tre esempi nella diocesi eseguiti interamente
utilizzando una unica varietà di pietra ornamentale colorata, uno in
marmo Rosso di San Marco D’Alunzio, a Mazzarino (Chiesa del
Carmine), un altro in marmo Verde di Levanto, a Pietraperzia (Chiesa
Madre), ed infine uno in marmo Nero Portoro, presso Piazza Armerina
(Cattedrale); imponenti per le dimensioni e di grande effetto cromatico
grazie alle loro originali ed uniformi colorazioni.
La presenza nel territorio della diocesi della Villa del Casale, importante
monumento di età romana venuto alla luce presso Piazza Armerina,
riccamente decorata da marmi policromi e da pavimenti a mosaico, ha
reso possibile nei secoli scorsi la pratica del riuso dei materiali della villa
stessa, ed in particolare delle pietre ornamentali, i cui frammenti sono
stati in parte utilizzati per la decorazione dei sarcofagi cinquecenteschi, di
cui prima si parlava, e degli altari marmorei dei secoli XVII e XVIII8.
In particolare nella città di Piazza Armerina, presso la chiesa Cattedrale,
sono stati individuati in alcuni degli altari laterali frammenti di Fior di
Pesco, e di Verde Antico, ovvero marmi di età romana riutilizzati dai
marmorari in età barocca.
Altri esempi di questo genere riguardano Enna, dove nella cappella della
Madonna del Duomo ritroviamo il Verde Antico ed il marmo Iassense
Brecciato; Pietraperzia, con piccoli frammenti di Breccia di Sciro
nell’altare Maggiore della chiesa di Santa Maria di Gesù; ed infine ancora
8 B. PACE, op. cit., p. 24
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Piazza Armerina, con frammenti di Verde Antico usati nell’altare
maggiore della chiesa di San Giovanni Evangelista.
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BIBLIOGRAFIA
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Garstang D., G. Serpotta e gli stuccatori di Palermo, Palermo, 1990 Giansiracusa P., Il Barocco minore: documentazione di immagini per una ricerca sul territorio e sull’architettura dell’altopiano Ibleo, Noto (SR), 1990 Giansiracusa P., Il Barocco Siciliano: Architetti, urbanistica, scenografia, Roma, 1984 Giuffré M., “L’architettura del ‘700 in Sicilia”, Palermo, 1997 Giuliana G., La Diocesi di Piazza Armerina. Note di religione, storia, arte e folklore su: Piazza Armerina, Enna, Gela, Aidone, Barrafranca, Butera, Mazzarino, Niscemi, Pietraperzia, Riesi, Valguarnera, Villarosa, Scuola Tipografica <<Città dei Ragazzi>>, Caltagirone, 1967 Le arti decorative del ‘400 in Sicilia, Messina, 1982 Librando V., Aspetti dell’architettura barocca nella Sicilia Occidentale, Catania, 1977 Menichella A., Sicilia Barocca, Milano, 2002 Minissi F., Aspetti dell’architettura religiosa del Settecento in Sicilia, Roma, 1958 Nobile M.R., Un altro Rinascimento: architetti, maestranze e cantieri in Sicilia, Benevento, 2002 Pirri R., Sicilia Sacra, I, Palermo, 1733 Policastro G., Catania nel ‘700. Architettura, scultura, pittura, musica e teatri, Catania, 2000 Regione Siciliana, Le arti in Sicilia nel ‘700, Palermo, 1991 Sarullo L., Dizionario degli artisti Siciliani, (Architettura,Pittura, Scultura), Palermo, 1993 Wittkover R., Arte ed architettura in Italia 1600-1750, Torino 1972
b) Opere specifiche relative ai singoli paesi della Diocesi di Piazza Armerina
• AIDONE
Aidone, opuscolo a cura del Comune di Aidone, s.i.d. Aidone, opuscolo a cura di F.Nicotra, s.i.d.
I MATERIALI LAPIDEI ORNAMENTALI NEGLI ALTARI DELLE CHIESE DELLA DIOCESI DI PIAZZA ARMERINA REALIZZATI TRA IL XVI ED IL XVIII SECOLO
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Kalos – luoghi di Sicilia. Aidone - Morgantina, Collana monografica a cura di Guido Valdini, supplemento al n°3 (anno 9), Maggio - Giugno 1997 Mazzola G., Storia di Aidone, Catania, 1913 Raffiotta S., Guida alla città di Aidone ed agli scavi di Morgantina, Aidone (EN), s.i.d.
• BARRAFRANCA
Sac. Giunta L., Brevi cenni storici su Barrafranca, Caltanissetta, 1928 Licata S.-Orofino C., Barrafranca. Storia, tradizioni, cultura popolare, Enna, 1990 Licata S.-Orofino C., Un paese dell’entroterra siciliano: Storia, tradizioni, cultura, Caltanissetta, 1984
Vicari G., Guida alle principali chiese di Barrafranca ed ai loro tesori nascosti, Caltanissetta, 1984
• ENNA
Azienda Autonoma di Soggiorno e Turismo di Enna, Henna tra storia ed arte, Palermo, 1985 Candura G., Storia di Sicilia. Enna-Castrogiovanni Urbs Inespugnabilis, Enna, s.i.d. Candura G., Le 42 città demaniali nella storia di Sicilia, Catania – Roma, 1973 Di Dino M., Monumenti Medievali in Enna, Tesi di Laurea, Università degli studi di Catania, Facoltà di Lettere, A.A. 1945-46, Relat. Prof. S. Bottari Guarneri B., Architetture in Castrogiovanni, Tesi di Laurea, Università degli studi della Calabria, Facoltà di Lettere e Filosofia, A.A. 1998-99, Relat. Prof.ssa M.P. Di Dario Guida Lombardo R., Guglielmo Borremans ad Enna (1720-1722), Enna, 1991 Lombardo R., La chiesa ed il monastero di San Marco le Vergini di Enna, tra storia, arte, devozione, Assoro (EN), 1999 Ragona A., Il Duomo di Enna, Publiscuola editrice, 1988 Ragona A., Arte ed artisti nel Duomo di Enna, Caltagirone (CT), 1976
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Rosso Di Cerami M., Il Tempio di Santa Maria Maggiore in Enna, Tesi di Laurea, Università degli studi di Catania, Facoltà di Lettere, A.A. 1944-45, Relat. Prof. S. Bottari Severino C., Enna: la città al centro, Roma, 1996 Sinicropi E., Enna nella storia,nell’arte,nella vita, Palermo, 1963 Vetri P., Storia di Enna, Palermo, 1981 • GELA
Dufour L. – Nigrelli I., Terranova. Il destino della città federiciana, Caltanissetta, 1997 Kalos – luoghi di Sicilia. Gela, Collana monografica a cura di Guido Valdini, supplemento al n°1 (anno 11), Maggio - Febbraio 1999 Mulè N., Appunti su Terranova di Sicilia, Catania, s.i.d. Mulè N., La Chiesa Madre di Gela e il culto di Maria SS. d’Alemanna, Gela (CL), 1985 Opere di Salvatore Damaggio Navarra, riproduzione in ciclostile a cura del distretto scolastico n°10, Gela (CL), s.i.d. Vicino N., Gela nella sua storia, Modica (RG),1981
• MAZZARINO
D’Aleo A., Mazzarino e la sua storia, San Cataldo (CL), 1991 Di Giorgio-Ingala P., Mazzarino. Ricerche e considerazioni storiche, Palermo, 1996 Di Martino P., Carlo Maria Carafa. Vita ed Opere, quaderni di storia mazzarinese, Mazzarino (CL), 1982 Di Martino P., Mazzarinu: paisi di monachi e parrini, quaderni di storia mazzarinese, Mazzarino (CL), 1990 Distretto scolastico n°11, I luoghi della memoria. Conoscenza e valorizzazione dei centri storici di Mazzarino, Riesi, Sommatino, Caltanissetta, 1999 Kalos – luoghi di Sicilia. Mazzarino, Collana monografica a cura di Guido Valdini, supplemento al n°5 (anno 8), Settembre - Ottobre 1996 Russo-Ferruggia S., Memorie istoriche dello antichissimo comune di Mazzarino, Trapani,1857
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• NISCEMI
Arcadipane G., Nel quarto centenario del ritrovamento della Sacra Immagine (1599-1999), Niscemi (CL), 1999 Asta F. – Ravalli S., Niscemi il recupero della memoria. Studi e progetti per una nuova identità urbana, pubblicazione a cura del Comune di Niscemi, del Lions Club di Niscemi, dell’Università degli Studi di Palermo e della Soprintendenza ai BB.CC.AA. di Caltanissetta, Febbraio 2002 Cincotta P.R. – Pepi C., Niscemi, Tesi di laurea Università degli Studi di Palermo, Facoltà di Architettura, A.A. 1979-80, Relat. Prof. E. Guidoni Conti E., La Contea di Garsiliato nella Sicilia medievale – Niscemi nel ‘700 e la crisi di fine secolo, Palermo, 1996 Conti E., Niscemi. Origini e fondazione, Caltanissetta, 1977 Sac. Disca R., Maria SS. del Bosco Patrona di Niscemi, Niscemi (CL), 1999 Kalos – luoghi di Sicilia. Niscemi, Collana monografica a cura di Guido Valdini, supplemento al n°4 (anno 12), Ottobre - Dicembre 2000 Maria SS. del Bosco di Niscemi, opuscolo a cura del sacerdote G. Giugno, Niscemi (CL), 2002 Marsiano A., Niscemi. Profilo culturale, Niscemi (CL), 1989 Marsiano A., Geografia antropica, Caltanissetta, 1995 Opuscoli a cura del Sac. Salvatore Pepi: 1) La Chiesa di San Giuseppe a Niscemi 2) La Basilica dell’Addolorata di Niscemi 3) La chiesa di Maria SS. delle Grazie in Niscemi 4) Squarci di vita nel ‘700 a Niscemi 5) 400° anno dal ritrovamento del quadro di Maria SS. del Bosco di
Niscemi
• PIAZZA ARMERINA
Cagni Di Pietra M.C. – Salariano Z.D., Piazza Armerina nelle alterne vicende della storia di SIcilia, Barrafranca (EN), 1989 Chiarandà G.P., Piazza Città di Sicilia, Messina, 1654 Contraffatto A., Architettura religiosa a Piazza Armerina, Catania, 2000
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DEMETRA società cooperativa a.r.l. (a cura di), Monumenti di Piazza Armerina, Vol. I, Piazza Armerina (EN), 1989
Diocesi di Piazza Armerina, Evento Giubileo. Itinerari, Caltagirone (CT), 2000 Franchino E., La Diocesi di Piazza Armerina. Ragioni storiche della sua erezione, Piazza Armerina (EN), 1929 Pace B., I mosaici di Piazza Armerina, Roma, 1955
Lions Club, La Cattedrale di Piazza Armerina. Arte e tesori, ediz. speciale in occasione della Consacrazione e dell’insediamento di Mons. Michele Pennisi, Undicesimo Vescovo della Diocesi di Piazza Armerina, Piazza Armerina (EN), 2002 Messina E., Quattro passi a Piazza Armerina, Enna, 1991 Villari L., Storia di Piazza Armerina, Città di Castello (CT), 1995 Nigrelli I., Piazza Armerina Medievale: note di vita sociale, artistica e culturale dal 12° al 15° secolo, Milano, 1983 Parisi S. (a cura di), Archivio Trigona di Canicarao. Piazza e la sua nobiltà fra XVI e XVIII sec., Enna, 1986 Villari L., Storia della città di Piazza Armerina capitale dei Lombardi di Sicilia, dalle origini ai giorni nostri, Piacenza, 1987 Villari L., Storia ecclesiastica della città di Piazza Armerina, , Messina, 1988 Ragona A., Il Santuario di Maria SS. delle Vittorie a Piazza, Piazza Armerina (EN), s.i.d. Roccella., Chiese e conventi della città di Piazza, rif. da L. Villari “Storia ecclesiastica di Piazza Armerina”, Messina, 1988 • PIETRAPERZIA
Autori Vari (a cura del Sac. Filippo Marotta), Saggi e documenti riguardanti la storia di Pietraperzia, Enna, 1999 Ciulla M., Rinasce la Matrice. Disegni e vicende storiche sulla Matrice di Pietraperzia, edizione a cura del Comitato Parrocchiale per le migliorie della Matrice, Pietraperzia, s.i.d. Fra’ Dionigi, Storia di Pietraperzia, a cura del Comitato Culturale di Pietraperzia, Caltanissetta, 1979
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Guarnaccia L., La Chiesa Matrice di Pietraperzia, Pietraperzia, s.i.d. Guarnaccia L.-Sac. Viola S., Guida ai monumenti ed ai luoghi storici di Pietraperzia, Pietraperzia, 1993 Santa Maria di Gesù. Storia di una parrocchia in cammino, opuscolo realizzato in occasione del 50° anniversario dell’istituzione della parrocchia, Pietraperzia, 2001
• RIESI
Butera L., Uomini, fatti e aneddoti nella storia di Riesi, Caltanissetta, 1983 Ferro S., Storia di Riesi, Caltanissetta, 1930 Distretto scolastico n° 11, I luoghi della memoria. Conoscenza e valorizzazione dei centri storici di Mazzarino, Riesi, Sommatino, Caltanissetta, 1999 Testa G., Riesi nella storia, Palermo, 1981
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BIBLIOGRAFIA GENERALE SUI MARMI
AA.VV., Marmi antichi, Roma, 1989 Bellanca A., Marmi di Sicilia, Palermo, 1969 Blanco G., Le pietre ornamentali in Architettura, Roma, 1993 Blanco G., Pavimenti e rivestimenti lapidei: selezione , posa in opera e restauro delle pietre ornamentali, Roma, 1991 Boscarino S., La Sicilia ed i marmorari toscani, in Catalogo della Mostra <<Firenze e la Toscana dei Medici nell’Europa del Cinquecento: Il potere e lo Spazio. La scena del Principe, Firenze, 1980 Calvino F., Lezioni di litologia applicata, Padova, 1967 Chiello G., I materiali lapidei ornamentali negli interni delle chiese barocche di Catania, Tesi di Laurea, Istituto Universitario di Architettura di Venezia, A.A. 1995-96, Relat. Prof. L. Lazzarini Gnoli R., Marmora romana, Roma, 1988 La Duca R., Ricerca, criteri e metodi per lo studio dei monumenti storici in relazione all’impiego dei marmi e delle pietre, in “Marmo Tecnica Architettura”, VI, 1965, pp. 5-24 Lazzarini L.- Evangelista P., La Collezione ex Kircheriana di diaspri siciliani del Museo di Mineralogia alla <<Sapienza>>, su “Marmi antichi II” in “Studi Miscellanei” n°31, Roma, 1996 Mattias P., Minerali e rocce, Roma, 1991 Montana G.-Gagliardo Briuccia V., I marmi e i diaspri del Barocco Siciliano: Rassegna dei materiali lapidei di pregio utilizzati per la decorazione ad intarsio, Palermo, 1998 Pensabene P., Marmi antichi : problemi di impiego, di restauro e di identificazione, Roma, 1985 Pensabene P., Marmi antichi2 : Cava e tecnica di lavorazione, provenienze e distribuzione, “Studi Miscellanei”, n°36, Roma, 1998 Piazza S., I marmi mischi delle chiese di Palermo, Palermo, 1992 Pieri M., I marmi d’Italia, Graniti e pietre ornamentali, Milano, 1964
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Pieri M., I marmi esteri, Milano, 1952 Pieri M., Marmologia, Dizionario di marmi e graniti italiani ed esteri, Milano, 1966 Pieri M., Pigmentazioni e tonalità cromatiche nei marmi, Milano, 1957 Pirrello A., La decorazione a mischio in Palermo nei secoli XVII e XVIII, Palermo, 1935 Rockwell P., Lavorare la pietra. Manuale per l’archeologo, lo storico dell’arte e il restauratore, Roma, 1989 Rodolico F., Le pietre delle città d’Italia, Firenze, 1953 Tamburello G., La grande decorazione in marmi a colore delle chiese di Palermo nel XVI e XVII secolo, in Pamormus, I, 3-4, 1920
CATALOGO DEI LITOTIPI RILEVATI
INDICE DELLE SCHEDE DI ANALISI DEI MARMI
Marmi siciliani
Marmi Esteri
Scheda 1 – Libeccio di trapani
Scheda 25 – Rosso di Francia
Scheda 2 – Rosso di San Vito Lo Capo
Scheda 26 – Fior di Pesco
Scheda 3 – Rosso di San Marco D’Alunzio
Scheda 27 – Iassense
Scheda 4 – Rosso di Taormina
Scheda 28 – Verde Antico
Scheda 5 – Giallo di Castronovo
Scheda 29 – Breccia di Sciro
Scheda 6 – Grigio di Billiemi
Scheda 30 – Broccatello di Spagna
Scheda 7 – Rosso Montecitorio
Scheda 31 – Lapislazzulo
Scheda 8 – Alabastro Calcareo
Marmi non identificati (n.i.)
Scheda 9 – Diaspro Giallo di Giuliana
Scheda 32 – n.i 1 / n.i. 2
Scheda 10 – Diaspro Rosso di Giuliana
Scheda 33 – n.i. 3 / n.i. 4
Scheda 11 – Diaspro di Cammarata
Scheda 34 – n.i. 5 / n.i. 6
Scheda 12 – Diaspro di Santa Cristina Gela
Marmi dell’Italia Peninsulare
Scheda 13 – Rosso di Levanto
Scheda 14 – Verde di Levanto
Scheda 15 – Verde di Calabria
Scheda 16 – Verde Alpi
Scheda 17 – Giallo di Siena
Scheda 18 – Pavonazzetto di Siena
Scheda 19 – Breccia di Serravezza
Scheda 20 – Breccia Medicea
Scheda 21 – Alabastro di Palombara
Scheda 22 – Nero Portoro
Scheda 23 – Nero Assoluto
Scheda 24 – Marmo di Carrara lunense
LIBECCIO DI TRAPANI Scheda n° 1
CODICE MARMO : LT
NOME PIU’ USATO : Libeccio antico di Trapani
SINONIMI : Diaspro tenero di Sicilia
CLAS.NE PETROGRAFICA : Calcare varicolore a struttura pseudo - brecciata
DESCRIZIONE : Roccia brecciata costituita da elementi angolosi o porzioni di colore variabile da bianco - giallognolo a rosaceo, circondati da una matrice rossastro - bruna a causa della presenza di ossidi di ferro e alluminio
LOCALITA’ DI CAVA : Custonaci - Trapani
EPOCA D’USO : Dal Rinascimento in poi; soprattutto in età Barocca
TIPOLOGIA D’USO : Colonne, pavimentazioni, gradini, balaustre, lastre parietali, decorazioni ad intarsio
BIBLIOGRAFIA : Bellanca A., 1969, p. 19 Pieri M., 1966, p. 343 Montana G.- Gagliardo Briuccia V., 1998, p. 67 Chiello G., 1996
ROSSO DI SAN VITO LO CAPO Scheda n° 2
CODICE MARMO : RSV
NOME PIU’ USATO : Rosso di San Vito lo Capo
SINONIMI : Rosso Fiorito di San Vito, Rosso San Vito, Rosso di Contorrana
CLAS.NE PETROGRAFICA : Calcare compatto
DESCRIZIONE : Fondo rosso scuro a pigmentazione ematitica con venature e chiazze bianche di calcite
LOCALITA’ DI CAVA : San Vito Lo Capo – Trapani
EPOCA D’USO : Dal Rinascimento in poi
TIPOLOGIA D’USO : Pavimentazioni, lastre di rivestimento
BIBLIOGRAFIA : Pieri M., 1966, p. 522 Bellanca A., 1969, pp. 25-26; p. 3 Montana G.- Gagliardo Briuccia V., 1998, p. 57 Chiello G., 1996
ROSSO DI SAN MARCO D’ALUNZIO Scheda n° 3
CODICE MARMO : RSM
NOME PIU’ USATO : Rosso Fiorito di San Marco D’Alunzio
SINONIMI : Rosso Fiorito, Pietra di S. Marco D’Alunzio
CLAS.NE PETROGRAFICA : Calcare
DESCRIZIONE : Pietra rosso scura attraversata da una fitta rete di venature bianche di calcite spatica. Presenta talvolta struttura brecciata con elementi di colore rosso cupo e grigio
LOCALITA’ DI CAVA : San Marco D’Alunzio – Messina
EPOCA D’USO : Dal Rinascimento in poi
TIPOLOGIA D’USO : Pavimenti, lastre di rivestimento, decorazioni ad intarsio, balaustre
BIBLIOGRAFIA : Pieri M., 1966, p. 527; p. 545 Bellanca A., 1969, p. 134 Montana G.- Gagliardo Briuccia V., 1998, p. 58 Chiello G., 1996
ROSSO DI TAORMINA Scheda n° 4
CODICE MARMO : RT
NOME PIU’ USATO : Rosso di Taormina
SINONIMI : Marmor Tauromenitanum (varietà rossa)
CLAS.NE PETROGRAFICA : Calcare cristallino
DESCRIZIONE : Colore di fondo rosso scuro attraversato da vene bianche di calcite spatica. Talvolta presenta una struttura pseudo-brecciata con elementi di colore rosso chiaro, rosso scuro, grigio e giallo
LOCALITA’ DI CAVA : Taormina – Messina
EPOCA D’USO : Conosciuto dai romani. Nuovo utilizzo a partire dal Rinascimento e soprattutto in età Barocca
TIPOLOGIA D’USO : Pavimentazioni, lastre di rivestimento
BIBLIOGRAFIA : Pieri M., 1966, p. 141; p. 521 Bellanca A., 1969, p. 156 Lazzarini L., 1986, p. 97 Montana G.- Gagliardo Briuccia V., 1998, p. 58 Chiello G., 1996
GIALLO DI CASTRONOVO Scheda n° 5
CODICE MARMO : GC
NOME PIU’ USATO : Giallo di Castronovo
SINONIMI : /
CLAS.NE PETROGRAFICA : Calcare compatto
DESCRIZIONE : Pietra il cui colore va dal giallo oro al giallo chiaro con plaghe rosa pallido. È sovente attraversata da sottili venature e macchie bianche di calcite spatica
LOCALITA’ DI CAVA : Castronovo di Sicilia - Palermo
EPOCA D’USO : Dal secolo XVI in poi
TIPOLOGIA D’USO : Balaustre, pavimenti, cornici, decorazioni ad intarsio BIBLIOGRAFIA : Bellanca A., 1969, pp. 98 - 100 Pieri M., 1966, p. 214 Montana G.- Gagliardo Briuccia V. , 1998, p. 59 Chiello G., 1996
GRIGIO DI BILLIEMI Scheda n° 6
CODICE MARMO : GB
NOME PIU’ USATO : Grigio di Billiemi
SINONIMI : Pietra di Billiemi, Marmo di Bellolampo
CLAS.NE PETROGRAFICA : Calcare fossilifero
DESCRIZIONE : Fondo grigio scuro con plaghe di materiale fine di colore nero o giallastro. Presenta anche venature e concrezioni biancastre costituite da calcite spatica
LOCALITA’ DI CAVA : Billiemi, Bellolampo – Palermo
EPOCA D’USO : Dal Rinascimento in poi
TIPOLOGIA D’USO : Pavimentazioni, colonne, scalinate, architravi, stipiti e sculture in genere
BIBLIOGRAFIA : Pieri M., 1966, p. 63 Bellanca A., 1969, pp. 111-114 Montana G.- Gagliardo Briuccia V., 1998, pp. 60-61 Chiello G., 1996
ROSSO MONTECITORIO Scheda n° 7
CODICE MARMO : RM
NOME PIU’ USATO : Rosso Montecitorio
SINONIMI : Rosso Kumeta, Brecciato Kumeta, Pietra di Piana dei Greci
CLAS.NE PETROGRAFICA : Calcare fossilifero compatto
DESCRIZIONE : Pietra dal colore di insieme rosso scuro, con macrostruttura nodulare e ricco di diverse varietà di fossili. Viene cavata anche una varietà a struttura brecciata
LOCALITA’ DI CAVA : Piana degli Albanesi – Palermo
EPOCA D’USO : Dal XVII secolo in poi
TIPOLOGIA D’USO : Colonne, pavimentazioni, rivestimenti parietali
BIBLIOGRAFIA : Bellanca A., 1969 Montana G.- Gagliardo Briuccia V., 1998, p. 55
ALABASTRO CALCAREO Scheda n° 8 CODICE MARMO : AC NOME PIU’ USATO : Alabastro calcareo SINONIMI : / CLAS.NE PETROGRAFICA : Alabastro calcareo DESCRIZIONE : Pietra semitrasparente a bande stratificate di differente colore, dal bianco-giallastro al marrone, più o meno scuro LOCALITA’ DI CAVA : Marettimo – Trapani; Monte Pellegrino, N’Serra – Palermo EPOCA D’USO : Molto utilizzato nel corso del secolo XVII TIPOLOGIA D’USO : Lastre di rivestimento degli altari, piccoli oggetti ornamentali, piccole colonnine BIBLIOGRAFIA : Bellanca A., 1969 Chiello G., 1996 Montana G.- Gagliardo Briuccia V., 1998, pp. 70-71
DIASPRO GIALLO DI GIULIANA Scheda n° 9 CODICE MARMO : DiGg NOME PIU’ USATO : Diaspro giallo di Giuliana SINONIMI : Diaspro fiorito di Giuliana CLAS.NE PETROGRAFICA : Diaspro p. d. DESCRIZIONE : Diaspro giallo a struttura radicellare con venature bianco-grigiastre LOCALITA’ DI CAVA : Giuliana - Palermo EPOCA D’USO : Dal Rinascimento in poi, soprattutto in età barocca TIPOLOGIA D’USO : Decorazioni dei paliotti e dei tabernacoli degli altari BIBLIOGRAFIA : Evangelista P.- Lazzarini L., 1915 Montana G.- Gagliardo Briuccia V., 1998, p. 78
DIASPRO ROSSO DI GIULIANA Scheda n° 10 CODICE MARMO : DiGr NOME PIU’ USATO : Diaspro Rosso di Giuliana SINONIMI : Diaspro fiorito di Giuliana CLAS.NE PETROGRAFICA : Diaspro p.d. DESCRIZIONE : Diaspro rosso a struttura radicellare con venature bianco-grigiastre LOCALITA’ DI CAVA : Giuliana - Palermo EPOCA D’USO : Dal Rinascimento in poi; soprattutto in età Barocca TIPOLOGIA D’USO : Decorazioni dei paliotti e dei tabernacoli degli altari BIBLIOGRAFIA : Evangelista P.- Lazzarini L., 1915 Montana G.- Gagliardo Briuccia V., 1998, p. 78 Chiello G., 1996
DIASPRO DI CAMMARATA Scheda n° 11 CODICE MARMO : DiC NOME PIU’ USATO : Diaspro di Cammarata SINONIMI : / CLAS.NE PETROGRAFICA : Diaspro p.d. DESCRIZIONE : Diaspro dal fondo rosso cupo a struttura radicellare con venature e plaghe dal colore bianco – azzurro LOCALITA’ DI CAVA : Cammarata - Agrigento EPOCA D’USO : Dal Rinascimento in poi; soprattutto in età Barocca TIPOLOGIA D’USO : Decorazioni dei paliotti e dei tabernacoli degli altari BIBLIOGRAFIA : Evangelista P.- Lazzarini L., 1915 Montana G.- Gagliardo Briuccia V., 1998, pp. 78-79
DIASPRO DI SANTA CRISTINA GELA Scheda n° 12 CODICE MARMO : DiSc NOME PIU’ USATO : Diaspro di Santa Cristina Gela SINONIMI : / CLAS.NE PETROGRAFICA : Diaspro p.d. DESCRIZIONE : Diaspro avente struttura radicellare o radicellare- agatata con colorazione di insieme rosso cupo e/o giallastra, talvolta con sfumature verdi LOCALITA’ DI CAVA : Santa Cristina Gela - Palermo EPOCA D’USO : Dal Rinascimento in poi; soprattutto in età Barocca TIPOLOGIA D’USO : Decorazioni dei paliotti e dei tabernacoli degli altari BIBLIOGRAFIA : Evangelista P.- Lazzarini L., 1915 Montana G.- Gagliardo Briuccia V., 1998, pp. 78-79
ROSSO DI LEVANTO Scheda n° 13
CODICE MARMO : RL
NOME PIU’ USATO : Rosso di Levanto
SINONIMI : Rosso Levanto Antico, Rosso Deiva
CLAS.NE PETROGRAFICA : Oficalce
DESCRIZIONE : Fondo rosso cupo sanguigno tendente al violaceo con plaghe di colore verde scuro-nerastro e venature bianco-giallastre di calcite fittamente ramificate
LOCALITA’ DI CAVA : Chiavari, Levanto, Deiva – La Spezia
EPOCA D’USO : Dal XVII secolo in poi
TIPOLOGIA D’USO : Piccole lastre, rivestimenti parietali e pavimentali, specchi di altare, decorazioni ad intarsio
BIBLIOGRAFIA : Pieri M., 1966, p. 523 Lazzarini L., 1986, p. 97 Montana G.- Gagliardo Briuccia V., 1998, p. 72 Chiello G., 1996
VERDE DI LEVANTO Scheda n° 14
CODICE MARMO : VL
NOME PIU’ USATO : Verde di Levanto
SINONIMI : Verde Framura, Verde Deiva
CLAS.NE PETROGRAFICA : Oficalce
DESCRIZIONE : Fondo verde cupo con plaghe di colore rosso scuro- nerastre, scarsamente accennate, e venature bianco- giallastre di calcite fittamente ramificate
LOCALITA’ DI CAVA : Chiavari, Levanto, Deiva – La Spezia
EPOCA D’USO : Dal XVII secolo in poi
TIPOLOGIA D’USO : Piccole lastre, rivestimenti parietali e pavimentali, specchi di altare, decorazioni ad intarsio
BIBLIOGRAFIA : Pieri M., 1966, p. 523 Lazzarini L., 1986, p. 97 Montana G.- Gagliardo Briuccia V., 1998, p. 72
VERDE DI CALABRIA Scheda n° 15
CODICE MARMO : VC
NOME PIU’ USATO : Verde di Calabria
SINONIMI : Verde di Gimigliano
CLAS.NE PETROGRAFICA : Oficalce serpentinoso
DESCRIZIONE : Pietra dal colore d’insieme verde scuro e plaghe verde pallido e venature bianco-giallastre fittamente ramificate costituite da calcite spatica
LOCALITA’ DI CAVA : Amantea, S. Mango D’Aquino – Cosenza Gimigliano - Catanzaro
EPOCA D’USO : Dal Rinascimento in poi
TIPOLOGIA D’USO : Colonne, rivestimenti parietali e pavimentali, specchi d’altare e balaustre, decorazioni ad intarsio
BIBLIOGRAFIA : Pieri M., 1966, p. 630 Montana G.- Gagliardo Briuccia V., 1998, pp.73- 74 Chiello G., 1996
VERDE ALPI Scheda n° 16
CODICE MARMO : VA
NOME PIU’ USATO : Verde Alpi
SINONIMI : Verde Issogne, Verde Chatillon, Verde S. Maria, Verde Champdepraz
CLAS.NE PETROGRAFICA : Oficalce serpentinoso
DESCRIZIONE : Colore d’insieme verde cupo tendente al bluastro con plaghe di colore verde scuro e bianco-giallastro
LOCALITA’ DI CAVA : Issogne, Chatillon, Champdepraz – Val D’Aosta
EPOCA D’USO : Dal Rinascimento in poi
TIPOLOGIA D’USO : Colonne, rivestimenti parietali e pavimentali, specchi d’altare e balaustre, decorazioni ad intarsio
BIBLIOGRAFIA : Pieri M., 1966, p. 626 Lazzarini L. , 1986, p. 100 Montana G.- Gagliardo Briuccia V., 1998, p. 74 Chiello G., 1996
GIALLO DI SIENA Scheda n° 17
CODICE MARMO : GS
NOME PIU’ USATO : Giallo di Siena
SINONIMI : /
CLAS.NE PETROGRAFICA : Calcare compatto a grana fine
DESCRIZIONE : Pietra dal colore d’insieme giallo ocra caldo, con sfumature giallo cupo e giallo pallido e macchie grigio biancastre
LOCALITA’ DI CAVA : Montagnola Senese – Siena
EPOCA D’USO : Poco usato in età romana. Cavato nuovamente a partire dal Rinascimento
TIPOLOGIA D’USO : Pavimentazioni, rivestimenti parietali, modanature
BIBLIOGRAFIA : Pieri M., 1966, pp. 346-347 Montana G.- Gagliardo Briuccia V., 1998, p. 73 Chiello G., 1996
PAVONAZZETTO DI SIENA Scheda n° 18
CODICE MARMO : PS
NOME PIU’ USATO : Pavonazzetto di Siena
SINONIMI : Broccatello di Siena
CLAS.NE PETROGRAFICA : Calcare compatto a grana fine
DESCRIZIONE : Fondo colore giallo dorato con macchie e venature a reticolo scuro violaceo fittamente ramificato
LOCALITA’ DI CAVA : Montagnola Senese – Siena
EPOCA D’USO : Dal Rinascimento in poi
TIPOLOGIA D’USO : Lastre di rivestimento, modanature, balaustre
BIBLIOGRAFIA : Pieri M., 1966, pp. 346-347; p. 215 Montana G.- Gagliardo Briuccia V., 1998, p. 73 Chiello G., 1996
BRECCIA DI SERAVEZZA Scheda n° 19
CODICE MARMO : BrS
NOME PIU’ USATO : Breccia di Seravezza
SINONIMI : Breccia di Seravezza antica
CLAS.NE PETROGRAFICA : Metabreccia
DESCRIZIONE : Cemento viola scuro con clasti bianchi, rossi, rosati, verde pallido o gialli. Si differenzia da quella Medicea perché maggiormente brecciata e per la minore presenza di cemento viola scuro
LOCALITA’ DI CAVA : Seravezza – Lucca (Alpi Apuane)
EPOCA D’USO : Conosciuta dai romani. Fu cavata diffusamente dal XVI secolo in poi.
TIPOLOGIA D’USO : Colonne, rivestimenti parietali e pavimentali, specchi d’altare e balaustre, decorazioni ad intarsio
BIBLIOGRAFIA : Pieri M., 1966, p. 70 Gnoli R., 1988, pp. 240–241 Lazzarini L. , 1986, p. 98 Chiello G., 1996
BRECCIA MEDICEA Scheda n° 20
CODICE MARMO : BrM
NOME PIU’ USATO : Breccia Medicea
SINONIMI : Breccia di Stazzema
CLAS.NE PETROGRAFICA : Breccia metamorfica (metabreccia)
DESCRIZIONE : Cemento viola chiaro con clasti bianchi, rossi, rosati, verde pallido o gialli. Si differenzia da quella di Serravezza per la minore presenza di cemento viola scuro
LOCALITA’ DI CAVA : Monte Corchia, Stazzema – Lucca (Alpi Apuane)
EPOCA D’USO : Conosciuta dai romani. Fu cavata diffusamente dal XVI secolo in poi.
TIPOLOGIA D’USO : Colonne, rivestimenti parietali e pavimentali, specchi d’altare e balaustre, decorazioni ad intarsio
BIBLIOGRAFIA : Pieri M., 1966, p. 73 Lazzarini L., 1986, p. 98 Chiello G., 1996
ALABASTRO DI PALOMBARA Scheda n° 21 CODICE MARMO : AC
NOME PIU’ USATO : Alabastro di Palombara
SINONIMI : Alabastro di Palombara antico
CLAS.NE PETROGRAFICA : Alabastro calcareo
DESCRIZIONE : Pietra avente tessitura stratificata con fondo bianco oppure giallo e macchie variabili sia per la forma che per i colori
LOCALITA’ DI CAVA : Jano di Montaione - Firenze
EPOCA D’USO : Dal Rinascimento in poi
TIPOLOGIA D’USO : Paliotti e rivestimenti degli altari, pavimentazioni di lusso, scultura
BIBLIOGRAFIA : Gnoli R., 1988, pp. 225–226 Pieri M., 1966, p. 7 Chiello G., 1996
PORTORO Scheda n° 22
CODICE MARMO : NP
NOME PIU’ USATO : Portoro
SINONIMI : Nero di Portovenere
CLAS.NE PETROGRAFICA : Calcare carbonioso con venature limonitiche
DESCRIZIONE : Fondo nero assoluto con vene e noduli di colore giallo oro o rossicci più o meno brecciato
LOCALITA’ DI CAVA : Portovenere, Monte Castellana – La Spezia
EPOCA D’USO : Dal tardo Rinascimento in poi; soprattutto in età Barocca
TIPOLOGIA D’USO : Specchiature d’altare, modanature, decorazioni ad intarsio
BIBLIOGRAFIA : Pieri M., 1966, pp. 473 - 474 Lazzarini L., 1986, p. 94 Montana G.- Gagliardo Briuccia V., 1998, p. 74 Chiello G., 1996
NERO ASSOLUTO Scheda n° 23 CODICE MARMO : NA NOME PIU’ USATO : Nero Assoluto SINONIMI : / CLAS.NE PETROGRAFICA : Calcare carbonioso e bituminoso DESCRIZIONE : Pietra dal fondo nero uniforme LOCALITA’ DI CAVA : Varie località del veronese EPOCA D’USO : Usato a partire dalla seconda metà del ‘400 in poi TIPOLOGIA D’USO : Zoccoli degli altari, rivestimenti di balaustre, lastre ed intarsi pavimentali, modanature BIBLIOGRAFIA : Lazzarini L., 1986, pp. 93–94 Pieri M., 1966, pp. 15–16 Chiello G., 1996
MARMO DI CARRARA LUNENSE Scheda n° 24
CODICE MARMO : MCL
NOME PIU’ USATO : Marmo di Carrara
SINONIMI : Marmo Lunense
CLAS.NE PETROGRAFICA : Marmo p.d.
DESCRIZIONE : Marmo cristallino a struttura saccaroide dal colore bianco candido
LOCALITA’ DI CAVA : Massa Carrara – varie località delle Alpi Apuane
EPOCA D’USO : In epoca romana a partire dal I sec. a.C. Nuovamente usato dal Rinascimento in poi
TIPOLOGIA D’USO : Pavimentazioni, mense, predelle, telai di contenimento dei marmi mischi, statuaria
BIBLIOGRAFIA : Pieri M., 1966, p. 359 Pieri M., 1957, p. 82 Gnoli R., 1988 Lazzarini L., 1986, p. 93 Chiello G., 1996
ROSSO DI FRANCIA Scheda n° 25
CODICE MARMO : RF
NOME PIU’ USATO : Rosso di Francia
SINONIMI : Rosso Linguadoca
CLAS.NE PETROGRAFICA : Calcare compatto a pigmentazione ematitica
DESCRIZIONE : Fondo rosso acceso vivace, un po’ tendente al sanguigno su cui spiccano macchie e fioriture di calcite dal colore bianco
LOCALITA’ DI CAVA : Aude - Francia
EPOCA D’USO : Periodo romanico (Francia) Periodo Barocco (Italia e resto d’Europa)
TIPOLOGIA D’USO : Balaustre, pavimenti, decorazioni parietali, decorazioni ad intarsio, colonne
BIBLIOGRAFIA : Pieri M., 1952, p. 60 Pieri M., 1966, p. 532 Lazzarini L., 1986, p. 97 Chiello G., 1996
FIOR DI PESCO Scheda n° 26
CODICE MARMO : FP
NOME PIU’ USATO : Fior di Pesco
SINONIMI : Marmor Chalcidicum
CLAS.NE PETROGRAFICA : Calcare cataclastico
DESCRIZIONE : Toni pavonazzi con vene e frammenti tra loro intrecciati e sovrapposti dal colore talvolta bianco o bianco grigiastro ma più spesso rosa chiaro, rossi o violetti
LOCALITA’ DI CAVA : Eretria (Calcide) – Grecia
EPOCA D’USO : Largamente utilizzato dai romani. Nuovo utilizzo quale materiale di reimpiego in età Barocca
TIPOLOGIA D’USO : Colonne, pavimentazioni, rivestimenti parietali, specchiature, tarsie marmoree
BIBLIOGRAFIA : Pieri M., 1966, pp. 184-186 Gnoli R., 1988, pp. 232-235 Lazzarini L., 1986, pp. 97-98
IASSENSE Scheda n° 27
CODICE MARMO : IA
NOME PIU’ USATO : Marmo Iassense
SINONIMI : Marmo Cario, Cipollino Rosso
CLAS.NE PETROGRAFICA : Calcescisto a pigmentazione ematitica, talora passante a breccia metamorfica
DESCRIZIONE : Fondo rosso sangue o pavonazzo a struttura microcristallina con macchie piccole ed oblunghe generalmente di colore bianco
LOCALITA’ DI CAVA : Iaso - Turchia
EPOCA D’USO : Utilizzato dai romani sicuramente a partire dal III sec. d.C. ; fu tra le pietre favorite dai bizantini Successivamente lo troviamo usato solo come materiale di reimpiego
TIPOLOGIA D’USO : Lastre di rivestimento parietale, sarcofagi, tessere musive, piccole colonne
BIBLIOGRAFIA : Lazzarini L., 1986, p. 97 Pieri M., 1966, p. 370 Marmi Antichi (AA.VV.), 1989, p. 289
VERDE ANTICO Scheda n° 28
CODICE MARMO : VAN
NOME PIU’ USATO : Verde Antico
SINONIMI : Marmor Thessalicum, Marmor Atracium
CLAS.NE PETROGRAFICA : Oficalce del Cretacico
DESCRIZIONE : Pietra compatta a grana fine dal colore verde vivace e caratterizzata da macchie di colore verde scuro, nero e bianco
LOCALITA’ DI CAVA : Larissa (Tessaglia) – Grecia
EPOCA D’USO : Usato a partire dalla Tarda età Imperiale (Imperatore Adriano) e cavato in grande quantità in età bizantina
TIPOLOGIA D’USO : Colonne, pavimentazioni, rivestimenti parietali, modanature
BIBLIOGRAFIA : Pieri M., 1966, pp. 626-627 Gnoli R., 1988, pp. 165-166 Lazzarini L., 1986, p. 99 Chiello G., 1996
BRECCIA DI SCIRO Scheda n° 29
CODICE MARMO : BrSc
NOME PIU’ USATO : Breccia di Sciro
SINONIMI : Breccia di Settebasi, Marmor Scyrium
CLAS.NE PETROGRAFICA : Breccia fortemente metamorfosata
DESCRIZIONE : Fondo pavonazzo con numerosissime macchie di forma allungata e di dimensione variabile per lo più di colore bianco, ma anche rosso e giallo
LOCALITA’ DI CAVA : Skyros– Grecia
EPOCA D’USO : Importata gia nel primo secolo a.C. dai romani, fu largamente utilizzata fino all’epoca tardoantica. Nuovo utilizzo quale materiale di reimpiego in età Barocca
TIPOLOGIA D’USO : Colonne, pavimentazioni, rivestimenti parietali, specchiature, tarsie marmoree
BIBLIOGRAFIA : Pieri M., 1966, pp. 564-565 Gnoli R., 1988, pp. 232-235 Lazzarini L., 1986, p. 98
BROCCATELLO DI SPAGNA Scheda n° 30
CODICE MARMO : BS
NOME PIU’ USATO : Broccatello di Spagna
SINONIMI : /
CLAS.NE PETROGRAFICA : Calcare fossilifero a Rudiste del Cretacico
DESCRIZIONE : Fondo picchiettato di piccolissime lumachelle. La sua tonalità è giallo dorata con cemento calcareo giallo bruno e rosso vinoso piuttosto vivace.
LOCALITA’ DI CAVA : Tortosa – Spagna
EPOCA D’USO : Tarda età Imperiale. Cavato nuovamente a partire dalla fine del XVI secolo, soprattutto in età Barocca
TIPOLOGIA D’USO : Cornici, rivestimenti parietali e pavimentali, decorazioni ad intarsio
BIBLIOGRAFIA : Pieri M., 1966, p. 79 Lazzarini L., 1986, p. 98 Gnoli R., 1988, pp. 210-211 Pensabene P., 1998 Montana G.- Gagliardo Briuccia V., 1998, pp. 72-73
LAPISLAZZULO Scheda n° 31 CODICE MARMO : LA NOME PIU’ USATO : Lapislazzulo SINONIMI : / CLAS.NE PETROGRAFICA : Lazurite impura DESCRIZIONE : Pietra lucida dal colore blu intenso ed uniforme LOCALITA’ DI CAVA : Afganistan EPOCA D’USO : Dal IV millennio a.C. fino ai nostri giorni TIPOLOGIA D’USO : Lastrine di rivestimento, tessere pavimentali, decorazione dei paliotti BIBLIOGRAFIA : Lazzarini L., 1986, p. 98 Chiello G., 1996
MARMI NON IDENTIFICATI Scheda n° 32 Gela – Chiesa di San Giuseppe (PP. Agostiniani) - Altare del Crocifisso Barrafranca – Chiesa di San Francesco - Altare del Crocifisso CODICE MARMO : n.i. 1 DESCRIZIONE : Pietra brecciata dal colore di fondo giallo dorato con elementi di varia forma e dimensioni di colore bianco Enna – Chiesa Santuario di San Giuseppe - Altare Maggiore CODICE MARMO : n.i. 2 DESCRIZIONE : Pietra brecciata dal colore di fondo viola chiaro, con elementi di varia dimensione e forma di colore bianco giallognolo e con inserti di calcite bianca
MARMI NON IDENTIFICATI Scheda n° 33 Niscemi – Chiesa Santuario della Madonna del Bosco - Altari laterali CODICE MARMO : n.i. 3 DESCRIZIONE : Pietra violacea con striature generalmente di colore bianco oppure viola scuro fra loro parallele CODICE MARMO : n.i. 4 DESCRIZIONE : Pietra dal colore di insieme rosso violaceo con venature ramificate di colore bianco oppure bianco grigiastro
MARMI NON IDENTIFICATI Scheda n° 34 Niscemi – Chiesa di Santa Maria dell’Itria - Altare della Madonna del Carmelo CODICE MARMO : n.i. 5 DESCRIZIONE : Pietra brecciata dal colore di fondo rosso cupo con elementi di varia dimensione e dalla forma per lo più rotondeggiante di colore bianco CODICE MARMO : n.i. 6 DESCRIZIONE : Pietra brecciata dal colore di fondo rosso – arancio con elementi generalmente di piccole dimensioni di colore bianco