Ermeneutica Dei Testi e Del Lessico Di Bonaventura in Riferimento Alla Dimensione Politica

35
Andrea Di Maio «Secundum dictamen legum politicarum…, sicut philosophus loquendo» Ermeneutica dei testi e del lessico di Bonaventura da Bagnoregio sulla comprensione della dimensione politica fra eredità classica, innovazione cristiana e peculiarità francescana 1. INTRODUZIONE 1.1 Il problema: la sorprendente proposta politica bonaventuriana Nella sua trattazione delle nove scienze filosofiche all’interno delle Colla- tiones in Hexaëmeron del 1273, Bonaventura in un passaggio breve ma significati- vo [Hex 5.14; HexD 1.2.14] introduceva la «politica» con una serie di affermazioni abbastanza sorprendenti: tale scienza (che è la terza diramazione della filosofia mo- rale, che a sua volta è la terza diramazione della luce della verità naturale) sarebbe infatti finalizzata alla realizzazione delle «giustizie morali» (al plurale) e consiste- rebbe nella comprensione del retto dettame delle leggi politiche dal punto di vista non teologico o canonistico, ma filosofico; tuttavia tale scienza non sarebbe stata esaurientemente trattata da alcuno dei filosofi precedenti, e pertanto solo sintetiz- zando in maniera nuova gli apporti dell’eredità del passato si sarebbe potuto fonda- re filosoficamente la vita politica su quattro «funzioni» progressivamente implican- tisi, ossia il culto monoteistico, la derivazione delle leggi politiche (positive) dalla legge naturale, la delimitazione dell’esercizio del potere di governare, e la misura dell’attuazione di quello di giudicare.

description

Medioevo

Transcript of Ermeneutica Dei Testi e Del Lessico Di Bonaventura in Riferimento Alla Dimensione Politica

Page 1: Ermeneutica Dei Testi e Del Lessico Di Bonaventura in Riferimento Alla Dimensione Politica

Andrea Di Maio

«Secundum dictamen legum politicarum…, sicut philosophus loquendo» Ermeneutica dei testi e del lessico

di Bonaventura da Bagnoregio sulla comprensione della dimensione politica fra eredità classica,

innovazione cristiana e peculiarità francescana

1. INTRODUZIONE

1.1 Il problema: la sorprendente proposta politica bonaventuriana Nella sua trattazione delle nove scienze filosofiche all’interno delle Colla-

tiones in Hexaëmeron del 1273, Bonaventura in un passaggio breve ma significati-vo [Hex 5.14; HexD 1.2.14] introduceva la «politica» con una serie di affermazioni abbastanza sorprendenti: tale scienza (che è la terza diramazione della filosofia mo-rale, che a sua volta è la terza diramazione della luce della verità naturale) sarebbe infatti finalizzata alla realizzazione delle «giustizie morali» (al plurale) e consiste-rebbe nella comprensione del retto dettame delle leggi politiche dal punto di vista non teologico o canonistico, ma filosofico; tuttavia tale scienza non sarebbe stata esaurientemente trattata da alcuno dei filosofi precedenti, e pertanto solo sintetiz-zando in maniera nuova gli apporti dell’eredità del passato si sarebbe potuto fonda-re filosoficamente la vita politica su quattro «funzioni» progressivamente implican-tisi, ossia il culto monoteistico, la derivazione delle leggi politiche (positive) dalla legge naturale, la delimitazione dell’esercizio del potere di governare, e la misura dell’attuazione di quello di giudicare.

Page 2: Ermeneutica Dei Testi e Del Lessico Di Bonaventura in Riferimento Alla Dimensione Politica

Andrea Di Maio

308

Il carattere prettamente filosofico (nel senso di «laico») di tale impostazione già a suo tempo era stato messo in luce da Francesco Corvino;1 il nostro scopo, in questo contributo, sarà di verificare nei testi l’intento programmatico bonaventu-riano di «parlar della politica da filosofo, oltre gli antichi filosofi»: si cercherà in particolare di ricostruire, attraverso l’ermeneutica testuale e l’analisi del lessico a-doperato da Bonaventura per la sfera politica, l’interazione tra eredità classica, in-novazione cristiana e peculiarità francescana nella elaborazione delle sue idee poli-tiche.

1.2 Il campo: la divisione bonaventuriana delle scienze In precedenza avevamo esaminato la divisione bonaventuriana delle scienze

(pur già abbondantemente studiata2) sia attraverso l’analisi lessicografica che attra-verso l’ermeneutica testuale.3 Qui dobbiamo brevemente richiamare alcuni elemen-ti che da tali indagini avevamo acquisito.

Fra le divisioni medievali della filosofia, quella proposta da Bonaventura di Bagnoregio 4 riveste un interesse tutto particolare, sia perché intende sintetizzare le

1 Cfr. F. CORVINO, Bonaventura da Bagnoregio francescano e pensatore, Bari 1980. 2 Cfr. solo per il problema della divisione bonaventuriana delle scienze: C. WENIN, Les classi-

fications bonaventuriennes des sciences philosophiques, in Scritti in onore di G. Giacon, Padova 1972, pp. 189-216; B. HINWOOD, The Principles underlying St. Bonaventure’s Division of Human Knowledge, in J.-G. BOUGEROL (Ed.), S. Bonaventura 1274-1974, Grottaferrata 1973, v. 3, pp. 463-504; H. M. STIEBING, Bonaventuras Einteilung der Wissenschaften als Beleg für universalkategoria-les Vorgehen in der Wissenschaftstheorie des Mittelalters. Eine semiotische Analyse, in Sprache und Erkenntnis im Mittelalter, Berlin 1982* («Miscellanea Mediaevalia» 13), vol. 2, pp. 602-608; A. SPEER, Triplex Veritas. Wahrheitsverständis und philosophische Denkform Bonaventuras, Werl 1987; C. DEL ZOTTO, La sistematizzazione della filosofia e teologia del cuore di S. Bonaventura, in G. BE-SCHIN (Ed.), Antonio Rosmini, filosofo del cuore? Philosophia e theologia cordis nella cultura occi-dentale (Atti del Convegno tenuto a Rovereto il 6-7 ottobre 1993), Trento-Brescia 1995, pp. 113-46. Per problemi connessi cfr. anche C. BÉRUBÉ, De la Philosophie à la Sagesse chez Saint Bonaventure et Roger Bacon, Roma 1976; R. RUSSO, La metodologia del sapere nel sermone di san Bonaventura «Unus est Magister vester Christus». Con nuova edizione critica e traduzione italiana, «Spicilegium Bonaventurianum» 22, Grottaferrata 1982; P. MARANESI, Formazione e sviluppo del concetto di «Verbum Inspiratum» in San Bonaventura, in «Collectanea Franciscana» 64 (1994), pp. 5-87; E. CUTTINI, Scienza e teologia nel «De reductione artium ad theologiam» di Bonaventura da Bagnore-gio, in «Miscellanea francescana» 95 (1995), pp. 395-466; K. OBENAUER, Summa actualitas. Zum Verhältnis von Einheit und Verschiedenheit in der Dreieinigkeitslehre des heiligen Bonaventura, Europäische Hochschulschriften. XXIII. Theologie 559, Frankfurt a. M. 1996.

3 La divisione bonaventuriana delle scienze. Un’applicazione della lessicografia all’ermeneu-tica testuale. [I] In Sincronia; [II] In Diacronia - Confronto con Tommaso, in «Gregorianum» 2000 (81), pp. 101-136 e 331-351; Lettura di Bonaventura, «Collationes in Hexaëmeron» 3.2, in G. D’ONOFRIO (Ed.), Divisio philosophiae, «Schola Salernitana» 2001.

4 Sancti BONAVENTURAE Opera omnia, Ad Claras Aquas (Quaracchi) 1882-1902 (in 10 volu-mi). Breviloquium e sermoni teologici sono citati dall’editio minor: Opera theologica selecta, vol. 5, Ad Claras Aquas 1964. Le collazioni in Hexaëmeron sono citati per la prima recensione dalla editio

Page 3: Ermeneutica Dei Testi e Del Lessico Di Bonaventura in Riferimento Alla Dimensione Politica

Ermeneutica dei testi e del lessico di Bonaventura da Bagnoregio...

309

diverse divisioni ereditate dal passato, sia perché sottintende una visione abbastan-za originale del sapere e della realtà, enfatizzando e reinterpretando il principio ari-stotelico che «scientiae secantur quemadmodum et res»;5 sia perché, paradossal-mente, pur essendo uno degli autori medievali che più si è interessato alla divisione del sapere in generale e della filosofia in particolare, tuttavia non ha scritto alcuna opera filosofica: tutte le divisioni, anche quelle molto articolate, sono in contesto teologico.

Le principali sistematizzazioni del sapere da lui ereditate sono: la divisione accade-mica, stoica ed agostiniana della filosofia in Fisica (o, per i latini, filosofia naturale), Logi-ca (o filosofia razionale), Etica (o filosofia morale); la divisione aristotelica del sapere in «logica» e in filosofia teoretica (Fisica, Matematica e Filosofia prima – detta anche Teolo-gia o Sapienza, o dai posteri Metafisica), pratica (Etica, Economia, Politica) e poietica (Poetica e Retorica); l’articolazione didattica tardo-antica e altomedievale delle arti liberali (in opposizione a quelle meccaniche o servili) del Trivio (Grammatica, Retorica e Dialetti-ca – o Logica), e del Quadrivio (Aritmetica, Geometria, Musica e Astronomia); la distin-zione ebraica ma soprattutto cristiana tra conoscenza naturale accessibile a tutti gli uomini e conoscenza rivelata ai soli credenti (secondo quello che chiamiamo «schema del doppio»).

La lessicografia trova nelle «divisioni delle scienze» un’applicazione parti-colarmente brillante. Sul piano linguistico, infatti, la divisione delle scienze consi-ste in una tassonimia di tipo funzionale, i cui elementi sullo stesso livello gerarchi-co si determinano reciprocamente per antonimia (od opposizione verbale).6

La tassonimia è la struttura logica ad albero che ordina le parole (o meglio, i loro si-gnificati) secondo rapporti di implicazione. Per tipo di ordinazione, la tassonimia può esse-re classificatoria (in generi e specie, come nell’albero di Porfirio: ad esempio, ‘casa’ si di-vide in ‘palazzo’, ‘appartamento’…), componenziale (in intero e parti integranti: ad esem-pio, ‘casa’ si divide in ‘fondamenta’, ‘mura’, ‘tetto’…) e funzionale (in totalità potestativa e in parti potenziali). Nella tassonimia classificatoria l’iperonimo generale si predica univer-salmente dell’iponimo speciale ma non viceversa (ogni appartamento è una casa, ma non ogni casa è un appartamento); nella tassonimia componenziale né gli iponimi integranti si predicano dell’iperonimo integrale né l’iperonimo integrale si predica dei singoli iponimi integranti, ma semmai della loro somma completa (né la casa è parete, né la parete è casa, ma la casa è le pareti, più le fondamenta, più il tetto, più i piani…); nella tassonimia fun-

maior; per la seconda recensione da Sancti BONAVENTURAE Collationes in Hexaëmeron et bonaventu-riana quaedam selecta, edidit Ferdinand DELORME, Ad Claras Aquas 1934. Gli altri testi bonaventu-riani citati sono desunti dal CETEDOC Library of Christian Latin Texts - CLCLT-3, Lovanii Novi -Turnhout 1997 [ossia Breviloquium, Itinerarium, De reductione, De scientia Christi, Legenda maior e minor, Sermones dominicales, De donis, In Hexaëmeron (Delorme)]. Si tengano presenti le seguenti abbreviazioni: Brev (Breviloquium), Don (De donis), Hex (In Hexaëmeron, prima recensione), HexD (In Hexaëmeron, recensione edita da Delorme), Itin (Itinerarium mentis in Deum), Red (De reductio-ne artium ad theologiam), Sent (In Sententiarum libros). Tutte le evidenziazioni tipografiche nei testi citati sono nostre.

5 Sent 3.35 ad db 1; cfr. ARISTOTELE, De Anima 3.8. 6 Cfr. i paragrafi 1, 15-39, 61, 72, 85-86, 95 e 115 del mio Il concetto di Comunicazione. Sag-

gio di lessicografia filosofica e teologica sul tema di ‘communicare’ in Tommaso d’Aquino, Roma 1998.

Page 4: Ermeneutica Dei Testi e Del Lessico Di Bonaventura in Riferimento Alla Dimensione Politica

Andrea Di Maio

310

zionale – media tra le prime due – l’iperonimo potestativo si predica dell’iponimo, ma in modo imperfetto, perché consiste nella somma completa degli iponimi. Il sistema delle scienze filosofiche è appunto una tassonimia di questo tipo. In Bonaventura tale tassonimia è sviluppata e analizzata nelle Collationes in Hexaëmeron: predicate a Parigi (davanti ai frati minori dell’Università) tra Pasqua e Pentecoste del 1273, e interrotte, come sappiamo, dalla nomina di Bonaventura a Cardinale Vescovo di Albano, esse ci sono giunte in due re-censioni, frutto di reportatio: la prima recensione (più lunga) è nell’editio maior di Quarac-chi; l’altra (più breve, ma che il reportator asserisce essere stata rivista e corretta dallo stes-so Bonaventura) è stata edita successivamente dal padre Delorme:7 sebbene quest’ultima abbia goduto di un certo credito (è stata indicizzata nelle concordanze elettroniche delle o-pere di Bonaventura), essa presenta alcune incongruenze così grossolane8 da consigliare di non prenderla come base di lettura, ma solo come complemento all’altra.

1.3 Il concetto: usi e significati del lemma ‘politicus’ in Bonaventura Il lemma ‘politicus’ non compare né negli indici dell’edizione di Quaracchi,

né nel Lexicon bonaventurianum o nel più recente Lexique Saint Bonaventure; tut-tavia, nella concordanza elettronica degli opuscoli bonaventuriani all’interno della terza edizione del CETEDOC Library of Christian Latin Texts, su un totale di 66 in tutto il corpus di testi medievali censiti dalla concordanza ricorre ben 19 volte (os-sia, molto per un autore che non si è mai occupato ex professo di scienza politica).9 Alla luce del suo uso ‘politicus’ significa in generale «relativo alla convivenza civi-le» (ossia alla «civitas» terrena e naturale; ma indirettamente anche a quella «eccle-siale», in quanto operante nella respublica Christiana); di conseguenza, denota le leggi o le virtù ad essa connesse; in un uso specialistico e con riferimento a Macro-bio, indica la prima fase (quella cioè dell’esercizio attivo, «nel mondo») delle virtù cardinali; per traslato (e perlopiù come aggettivo sostantivato) indica la scienza po-litica (perlopiù sottintendendo ‘scientia’) e lo scienziato (o filosofo) politico (sem-pre sottintendendo ‘philosophus’); non indica però il «politico» (ossia l’uomo poli-tico) nel senso odierno, anche se a volte può comprendere il princeps, in quanto e-gli deve possedere almeno l’arte, se non proprio la scienza, politica.10 Non sembra

7 Cfr. supra. La recensione Delorme è raggruppa le collationes in cinque sezioni (il prologo, che abbiamo numerato come 0, e le quattro visiones trattate); la numerazione dei paragrafi segue in parallelo quella dell’edizione di Quaracchi.

8 Ad esempio nella elencazione dei sette medi [in HexD 0.1.11] (rispetto al buon senso e alla loro trattazione effettiva) e alcune incongruenze minori (ad esempio sull’approccio da »decretista», prima negato e poi attuato, come si vedrà anche nel nostro studio).

9 Cfr. ANTONIO MARIA DA VICENZA (Ed.), Lexicon Bonaventurianum philosophico-theolo-gicum, Venezia 1880; J.-G. BOUGEROL (Ed.), Lexique saint Bonaventure, Paris 1969; CLCLT, cit.

10 In De reductione, 4; Itinerarium, 3.6; e De donis, 4.10 per indicare la scienza politica in op-posizione a quella economica ed etica del singolo (o «monastica»); in Hex 1.11 e 1.39 in riferimento alla scienza e allo scienziato politico, visto in connessione con il giurista; in Hex 5.1 e 5.14, in riferi-mento alle leggi e alle virtù di quella che potremmo chiamare la comunità civile; in Hex 1.33; 6.24; 6.26; 7.3-4 in riferimento al grado iniziale delle virtù cardinali; in Sermones domenicales, 44.5, in ri-

Page 5: Ermeneutica Dei Testi e Del Lessico Di Bonaventura in Riferimento Alla Dimensione Politica

Ermeneutica dei testi e del lessico di Bonaventura da Bagnoregio...

311

invece attestato in Bonaventura il senso di ‘politicus’ che Agostino aveva traman-dato in riferimento alla «teologia civile» (o «politica») di Varrone.

Il vocabolario politico è comunque più ampio ed è ricavabile da tutti i sinonimi e tassonimi di ‘politicus’: in Bonaventura tale vocabolario comprende ad esempio ‘lex’ (ma al plurale; perché al singolare indica più la manifestazione di Dio in una religione), ‘ius’, ‘dictamen’, ‘norma’: e tutti questi o da soli o in combinazione con ‘naturale’ o ‘naturae’; inoltre, ‘forma vivendi’ (o ‘convivendi’), ‘censura’, ‘iudicium’, ‘iurista’, e così via.

1.4 I testi nel contesto: le «Collationes in Hexaëmeron»

Siccome le occorrenze bonaventuriane di ‘politicus’ si concentrano nelle col-lationes in Hexaëmeron, cercheremo di proporre una lectura lessicale e testuale dei testi in cui occorrono. Come prima cosa, dobbiamo però delinearne in generale il contesto.

Secondo la dottrina bonaventuriana, i doni dello Spirito Santo sono infusi simultane-amente nell’uomo giustificato, il quale però deve imparare progressivamente ad esercitarli e a stabilizzarli, cominciando dal più «basso» (cioè il timore) e arrivando progressivamente (attraverso l’esercizio di pietà, scienza, fortezza, consiglio) ad esercitare i doni di intelli-genza e sapienza. Le Collazioni in Hexaëmeron vogliono appunto guidare gli ascoltatori, che sono tutti cristiani «impegnati», ad esercitare questi due ultimi doni, e in particolare a sviluppare in sei stadi o «visioni» l’intellezione del Verbo ispirato (‘intellectus’ qui non è la facoltà, ma il suo abito (ovvero la sua attività abituale, di sottofondo), una intuizione non immediata e non momentanea; il «Verbo ispirato» è il Cristo «secondo lo Spirito», e che fonda ogni virtù e ‘gnôsis’ cristiana: tale concezione d’origine biblica ovviamente si intrec-cia con la dottrina aristotelica dell’intelletto come abito dianoetico dei primi princìpi). L’opera, fortemente strutturata e quindi a sua volta tassonimica, «collaziona» dunque testi e temi nella cornice delle sei «visioni» di Dio nell’opera di creazione secondo il primo capi-tolo della Genesi (quando cioè si dice che «Dio vide» – ossia, secondo l’interpretazione a-gostiniana comunemente accettata, «fece vedere» per illuminazione intellettuale – che la realtà creata «era cosa buona» e «buona assai»). La prima di queste visioni conterrà (para-dossalmente) la filosofia [cfr. Hex 3.2 + 3.22-24].

All’inizio della quarta collatio, la «prima visione» dell’intelligenza, ossia la filosofia, viene introdotta da una tassonimia rigorosa e completa, che fonda filoso-ficamente la struttura stessa della filosofia: «Philosophi dederunt novem scientias et polliciti sunt dare decimam, scilicet contemplationem» [Hex 4.1]. Paragonata al-la luce creata il primo giorno nel senario della Genesi, la verità s’irradia in tre rag-gi: la verità delle cose, oggetto della filosofia naturale, la verità dei segni, oggetto della filosofia razionale, e la verità delle azioni (veritas morum), oggetto della filo-sofia morale. Ciascuna di queste irradiazioni si distingue in tre raggi, corrisponden-ti ciascuno ad una scienza filosofica: la politica sarà il «terzo raggio del terzo rag- ferimento alle virtù cardinali in generale. In alcuni dei testi citati ‘politicus’ ricorre più volte, per un totale di 19 occorrenze.

Page 6: Ermeneutica Dei Testi e Del Lessico Di Bonaventura in Riferimento Alla Dimensione Politica

Andrea Di Maio

312

gio». Alle nove scienze farà seguito una decima scienza, che non sarà propriamente una scienza (ossia «considerazione di oggetti»), ma vera e propria sapienza (per ri-flessione su sé, speculazione nelle intelligenze, contuizione del Principio fontale).

2. LA POLITICA COME ULTIMA SCIENZA FILOSOFICA [Ermeneutica testuale e lessicale di Hex 5.14-21]

Leggiamo innanzitutto il testo, che è piuttosto lungo, nella sua interezza.

[5.14] Tertius radius veritatis illustrat ad morales iustitias secundum dictamen legum politicarum.

Hic non debeo loqui sicut theologus nec sicut iurista, sed sicut philosophus loquitur. Haec comprehensio est circa quatuor. Nullus autem philosophorum dedit hanc, sed si fuerit collecta ex multis, aliquid proveniet.

Attenditur autem quantum ad ritum colendi, quantum ad formam convivendi, quantum ad normam praesidendi, quantum ad censuram iudicandi. Ad censuram iudi-candi non pervenitur nisi per norma praesidendi; nec ad normam praesidendi nisi per formam convivendi; nec ad istam nisi per primam.

[15] Omnes veri philosophi unum Deum coluerunt. Unde etiam Socrates, quia pro-hibebat, sacrificium fieri Apollini, interfectus fuit, cum coleret unum Deum. Verum est, quod Plato suasit sibi fugam. «Absit, inquit Socrates, ut negem veritatem, quam asse-rui»; et ideo Plato non interfuit morti eius, erubescens, quod suasisset sibi fugam.

Cultus Dei pietas est fidei. Unde dicit Tullius, quod pietas consistit in cultu deorum. Non placet, quod dicit deorum. Scriptura nunquam vocat Angelos deos, ne venerentur sicut dii, sed homines dicuntur dii […]. Cultus autem Dei consistit in laude et sacrificio. […]

[17] Sacrificium autem laudis in corde naturale iudicatorium dictat, et est de dictamine naturae; et in hoc consenserunt omnes veri philosophi. Unde dicit ille, quod «qui dubitat, utrum parentes honorandi sint, et Deus venerandus, poena dignus est».

[18] Secundum modus est forma convivendi, ut «Quod tibi non vis fieri, ne facias alteri».

Hoc in corde scriptum est per legem aeternam. Ex hac naturali lege emanant leges et canones, pullulationes pulcrae.

Sed quid? Tu non vis suspendi, et latronem suspendis? Dicendum, quod latro prius debet suspendi, quam ut respublica laedatur; Ionas contra se dedit sententiam, ut proii-ceretur in mare.

[19] Tertia est norma praesidendi, ide est qualiter princeps ad populum debet se ha-bere, et e converso. Et haec emanat a veritate prima: quia populus debet assistere pu-nienti e vindicanti; princeps non debet suam utilitatem quaerere, sed rei publicae. Philo-sophus dicit, quod differt tyrannus et princeps: tyrannus quaerit propriam utilitatem, si-cut Herodes, qui, timens privari regno suo, saevit in pueros; princeps autem communem utilitatem intendit.

Tamen hodie magna abominatio est in his qui praesunt, quia in navi non ponitur rec-tor, nisi habeat artem gubernandi; quomodo ergo in republica ponitur ille qui nescit re-gere? Unde quando per successionem praesunt, male regitur respublica. David fuit san-ctissimus; Salomon, etsi lubricissimus, tamen sapiens; Roboam stultus, quia divisit re-

Page 7: Ermeneutica Dei Testi e Del Lessico Di Bonaventura in Riferimento Alla Dimensione Politica

Ermeneutica dei testi e del lessico di Bonaventura da Bagnoregio...

313

gnum. Romani per artem diaboli elegerunt Diocletianum. Debebant eligere comedentem super mensam ferream et invenerunt comedentem illum super vomerem; qui postmo-dum multa mala fecit. Unde quamdiu Romani illos qui praeessent, elegerunt, sapientis-simos elegerunt; et tunc bene gubernata est republica; sed postquam ad successionem venerunt, totum fuit destructum.

[20] Ultimum est censura iudicandi, ut homo sciat quid de quacumque re sit iudi-candun, quod spectat ad personas, ad res, ad modum agendi. Haec omnia manant a veri-tate prima.

[21] Sed in his omnibus luxuriata est ratio […]. Ars moralis non ita luxuriata est, quia non in sola speculatione stat; sed scientia iuris multum luxuriatur propter lucrum; et causae, quae deberent terminari per ius, modo per allegationem et subtilitatem iuris fiunt immortales, cum tamen intentio iuris sit causas rescindere.

Provvediamo ora a rileggere e commentare pezzo dopo pezzo il testo. 2.1 Il posto della politica nel sistema delle scienze

2.1.1 «Tertius tertii»: la politica nella divisione bonaventuriana delle scienze

[5.14] Tertius radius veritatis illustrat ad morales iustitias secundum dictamen legum politicarum.

Per capire meglio il testo, dobbiamo leggerlo alla luce della tassonimia com-pleta delle scienze che Bonaventura così ricapitolava:

«Haec sunt novem lumina illustrantia animam, scilicet veritas rerum, vocum, mo-rum. […]. Veritas morum tripliciter: quantum ad modestias, industrias, iustitias: mode-stias, quantum ad exercitationes consuetudinales; industrias, quantum ad speculationes intellectuales; iustitias, quantum ad leges politicas. Prima virtus consuetudinalis, se-cunda virtus intellectualis, tertia virtus iustitialis» [Hex 5.22].

Proviamo a rileggere schematicamente il testo nella seguente tabella.

Page 8: Ermeneutica Dei Testi e Del Lessico Di Bonaventura in Riferimento Alla Dimensione Politica

Andrea Di Maio

314

Schema preliminare: disposizione tassonimica del riepilogo della divisione delle scienze in Hex 5.22

Sono questi i lumi che rischiarano l’anima, cioè la <triplice> verità <a sua volta tripartita> [A] delle cose, [B] dei segni, [C] delle azioni. […]. <A sua volta> la verità delle azioni <è> di tre tipi: quanto [C1] alle moderazioni, [C2] alle attività <immanenti> e [C3] alle relazioni giuste. [C1] Le moderazioni <delle passioni> <consistono in> comportamenti etici; [C2] le attività <immanenti> <consistono in> speculazioni intellettuali <ovvero in abiti

dianoetici>; [C3] le relazioni giuste <consistono in> leggi della convivenza civile. <La conoscenza di questi tre tipi di verità costituisce rispettivamente> [C1] la virtù comportamentale <o etica>; [C2] la virtù intellettuale <o dianoetica>; [C3] la virtù relazionale <o politica>.

Si noti che tutti gli oggetti di scienza sono al plurale, il che suona abbastanza inconsueto nel latino scolastico e rimarca una costante stilistica bonaventuriana: la scienza è infatti considerazione di oggetti, e tale considerazione è possibile solo differenziando, ossia riconducendo la molteplicità a differenti unità; i plurali po-trebbero non limitarsi ad indicare semplicemente la gradazione delle essenze, ma anche le differenze singolari (secondo un uso concretivo).

La divisione della filosofia morale adottata in queste collationes è almeno in parte nuova per Bonaventura: precedentemente in tre o quattro testi 11 egli aveva adottato la tripartizione in Monastica, Economica e Politica, che però era funziona-le a formare un ternario piuttosto che rispondente a una reale distinzione; la Mona-stica, poi, indicava, in opposizione a quella della «domus» e della «civitas», l’etica filosofica individuale, ma riletta attraverso la disciplina monastica ovvero all’ascesi dei monaci cristiani, secondo il topos del monachesimo come filosofia.12

L’Economia, ossia il trattato sulla amministrazione della casa, era comunemente (anche se erroneamente) attribuita ad Aristotele; la scienza corrispondente costituiva così la seconda disciplina della filosofia pratica, tra l’Etica e la Politica, secondo uno schema logi-co di successione che avrà fortuna nella formazione del liberalismo moderno (si pensi al ruolo della «famiglia» e della «società civile» tra l’individuo e lo Stato in Hegel).

11 In Red 4; Itin 3.6; De modo inveniendi Christum 8; e De septem donis 4.10, che cita la

terna. 12 Cfr. Hex 2.3 (che cita Eth. Nic. 2.4), in cui si oppongono ‘disciplina scholastica’ e ‘discipli-

na monastica sive morum’, pur essendo entrambe necessarie a conseguire la sapienza. Cfr. anche R. QUINTO, «Scholastica». Contributo alla storia di un concetto. I - Sino al secolo XIII, in «Medioevo» 17 (1991), pp. 1-82; successivamente riedito in volume.

Page 9: Ermeneutica Dei Testi e Del Lessico Di Bonaventura in Riferimento Alla Dimensione Politica

Ermeneutica dei testi e del lessico di Bonaventura da Bagnoregio...

315

L’innovazione che notiamo nel nostro testo risente dell’acceso dibattito del tempo intorno all’etica aristotelica. La terminologia adottata da Bonaventura ri-chiama infatti immediatamente l’Etica Nicomachea. Così, il sintagma ‘virtus con-suetudinalis’ traduce la ‘aretè ethiké’ di Aristotele, ossia l’insieme (e l’iperonimo) di tutte quelle virtù morali – come la temperanza, la fortezza, la liberalità eccetera – che si acquisiscono per buona consuetudine e che regolano secondo il giusto mezzo le diverse passioni; la loro trattazione copre i libri terzo e quarto dell’Etica Nico-machea. Il sintagma ‘virtus intellectualis’ traduce a sua volta la ‘aretè diano-etiké’, ossia l’insieme (e l’iperonimo) delle virtù dianoetiche (o abiti di pensiero: pruden-za, scienza, arte, intelligenza, sapienza);13 la loro trattazione occupa il libro sesto dell’Etica. Il sintagma ‘virtus iustitialis’ corrisponde alla ‘dikaiosýne’ aristotelica (ma comprende anche la ‘philía’), la cui trattazione copre non solo i libri quinto, ot-tavo e nono dell’Etica, ma in qualche modo anche la Politica, comprendendo quin-di oltre alla giustizia commutativa e distributiva anche l’amicizia.

Nella sua ultima sistematizzazione della filosofia morale, dunque, Bonaven-tura da una parte elimina l’economia e riduce la politica alla parte dell’etica che studia la giustizia e le virtù relazionali (come l’amicizia), e dall’altra rilegge l’etica, cogliendone tre parti: l’etica delle passioni (ossia dell’affetto), l’etica del pensiero (ossia dell’intelletto), l’etica delle azioni esterne (ossia dell’effetto), in base ad una tripartizione di tutta la materia morale comune anche a Tommaso.14

Un’ultima considerazione: a differenza delle sue prime tripartizioni della filosofia morale in tre scienze particolari (monastica, economica e politica), qui Bonaventura divide la filosofia morale in tre tipi di virtù, rompendo la simmetria (solitamente a lui fin troppo cara) con le divisioni delle altre due parti della filosofia. Non si tratta, probabilmente, di un fatto casuale (ne ritroviamo tracce nella trattazione della morale in entrambe le reportatio-nes), ma frutto di una ulteriore comprensione della morale come non soltanto scienza, ma azione: «ars moralis […] non in sola speculatione stat», enfatizzando l’esempio aristotelico del malato che non guarisce perché capisce la prescrizione del medico, ma perché la mette in pratica.15 Insomma, la comprensione della verità morale non sta in una pura scienza mo-rale, ma nella virtù stessa.

Riassumiamo la collocazione della politica in Bonaventura, evidenziando il passaggio dalla prima schematizzazione (attestata fino al 1268), alla seconda (del 1273).

13 Cfr. Eth. Nic. 1.13 (1103a). Gli abiti dianoetici (da non confondere con le virtù e i doni so-

vrannaturali omonimi e simili) sono innanzitutto – circa necessaria – la sapienza (circa causas altis-simas: principi dell’essere), l’intelligenza (circa principia: principi del sapere), la scienza (circa con-clusiones: contenuti del sapere), e poi – circa contingentia – la prudenza (per gli agibilia) ed arte (per i factibilia) [HexD 1.2.12].

14 Cfr. TOMMASO, In tertium Sententiarum, 33.2.1d co; 34.3.2a co. 15 Hex 5.21; cfr. anche 19.3 e 2.3 (che cita Eth. Nic. 2.4).

Page 10: Ermeneutica Dei Testi e Del Lessico Di Bonaventura in Riferimento Alla Dimensione Politica

Andrea Di Maio

316

Primo schema: le opere «aristoteliche» di filosofia pratica rilette secondo la tradizione mo-nastica

PHILOSOPHIA NATURALIS: Physica Mathematica Metaphysica RATIONALIS: Grammatica Logica Rethorica MORALIS Monastica [!] Œconomica Politica

Secondo schema: le tre «parti» dell’Etica a Nicomaco

PHILOSOPHIA NATURALIS: Veritas rerum RATIONALIS: Veritas vocum MORALIS: Veritas morum – quantum ad modestias: exercitationes consuetudinales: virtus consuetudinalis industrias: speculationes intellectuales: virtus intellectualis iustitias: leges politicas: virtus iustitialis – quantum ad ritum colendi formam (con)vivendi normam praesidendi censuram iudicandi

Ma poiché la scienza politica è la terza diramazione della filosofia morale,

che ha come oggetto la «veritas morum», occorre spiegare che cosa si intenda per verità morale. Altrove [in De regno Dei 43], Bonaventura aveva definito l’unità come indivisione dell’ente, la verità come indivisione dell’ente e dell’essere (rie-cheggiando la celebre definizione aristotelica, secondo cui vero è dire essere ciò che è e non essere ciò che non è), e la bontà come indivisione dell’ente, dell’essere e dell’agire. Ma esiste una triplice dimensione veritativa: quella reale (a cui si ap-plica immediatamente la precedente definizione), quella logica (che a motivo della sua intenzionalità è definita come adeguatezza dell’espressione al pensiero, ossia come correttezza) e quella morale (che a motivo della sua prescrittività è definita come rettitudine del vivere, ossia come normalità). In altre parole, una proposizio-ne è detta vera in filosofia naturale se attribuisce ad un soggetto un predicato che esso effettivamente possiede; in filosofia razionale se è grammaticalmente, logica-

Page 11: Ermeneutica Dei Testi e Del Lessico Di Bonaventura in Riferimento Alla Dimensione Politica

Ermeneutica dei testi e del lessico di Bonaventura da Bagnoregio...

317

mente o retoricamente corretta; in filosofia morale se è eticamente corretta. Aprendo una parentesi, possiamo fare un passo indietro nella lettura del testo. Le

prime tre collazioni in Hexaëmeron costituiscono una formulazione generale d’intenti e la determinazione rispettivamente del centro e mezzo dell’itinerario (Cristo), della sua meta (il dono di sapienza) e del punto di esercizio a cui gli uditori dovrebbero essere già arrivati (il dono d’intelletto). Così, già all’inizio Bonaventura ha modo di illustrare il suo proposito nel contesto concreto dei suoi uditori (frati studenti e professori all’Università) con l’efficace e paradossale affermazione del cristocentrismo di tutte le scienze.

«Propositum igitur nostrum est ostendere, quod in Christo «sunt omnes thesauri sa-pientiae et scientiae Dei absconditi» [Col 2,3] et ipse est medium omnium scientiarum. Est autem septiforme medium, scilicet [1] essentiae, [2] naturae, [3] distantiae, [4] doc-trinae, [5] modestiae, [6] iustitiae, [7] concordiae.

[1] Primum est de consideratione metaphysici, [2] secundum physici, [3] tertium mathematici, [4] quartum logici, [5] quintum ethici, [6] sextum politici seu iuristarum, [7] septimum theologi» [Hex 1.11]

Nel prosieguo del testo, si dice che Cristo diviene centro di ciascuna scienza in un particolare mistero cristologico; inoltre la metafisica, la fisica e la politica vengono trattate con una materia più ampia di quella consueta.

Senza addentrarci nella problematica cristologica, ci basti notare qualche importante variante nella tassonimia delle scienze. La necessità di associare le scienze ai misteri cristo-logici, convenzionalmente ma felicemente distinti in sette, obbliga Bonaventura ad accorpa-re diverse scienze, ma il criterio di accorpamento ci dice qualcosa di più su come veniva al tempo percepita la concreta articolazione dell’Università di Parigi. La prima disciplina (la Metafisica), una parte della seconda (la Fisica), la terza (la Matematica), la quarta (la Logi-ca), la quinta (l’Etica), una parte della sesta (la Politica) costituiscono l’insegnamento della Facoltà delle Arti; la grammatica e la retorica non compaiono, in quanto probabilmente non separate dalle competenze del Logico. Nella seconda e nella sesta scienza sono poi compre-si anche gli insegnamenti delle Facoltà (rispettivamente) di Medicina e di Diritto (significa-tivamente connessi con le scienze filosofiche corrispondenti). Invece la settima scienza, che costituisce l’insegnamento della Facoltà di Teologia, è del tutto autonoma rispetto alla filo-sofia e corona la successione delle scienze. Nel complesso, emerge forse anche una novità d’impostazione: anticipando una consapevolezza odierna, le scienze non solo si dividono «in res», ma anche «in scientes», ossia si articolano secondo le divisioni funzionali della comunità scientifica.

2.1.2 L’asserita filosoficità dell’approccio politico bonaventuriano

Hic non debeo loqui sicut theologus nec sicut iurista, sed sicut philosophus loquitur.

La recensione Delorme ha una variante interessante, che è quella su cui ha posto l’attenzione Corvino, nel suo studio precedentemente citato:

Nec sicut theologus vel decretista, sed sicut philosophus loquor.

L’asserzione, pur brevissima, pone due problemi interpretativi (di cui il pri-mo riguarda l’identità del giurista, l’altro quella del filosofo). Vi riscontriamo infat-ti una plurima antonimia, che può essere intesa o come un trinomio o come un bi-nomio in cui uno degli elementi si biforca in un ulteriore binomio: nel primo caso

Page 12: Ermeneutica Dei Testi e Del Lessico Di Bonaventura in Riferimento Alla Dimensione Politica

Andrea Di Maio

318

‘philosophus’ sarebbe opposto tanto a ‘theologus’ quanto a ‘iurista’ (o ‘decretista’); nel secondo caso ‘philosophus’ sarebbe opposto complessivamente al gruppo degli altri due, all’interno del quale c’è una ulteriore opposizione tra ‘theologus’ e ‘iuri-sta’. Fermo restando che il ‘decretista’ è il canonista (ossia l’esperto di diritto ec-clesiale), cosa vuol dire Bonaventura?

In una prima interpretazione, prendendo le tre figure di «filosofo», «giurista» e «teologo» come un trinomio, le possiamo riferire alle tre facoltà universitarie che a quel tempo si occupano della «lex» (ossia la facoltà delle arti, quella teologia e quella di diritto); quasi a prevenire un conflitto delle facoltà ante litteram, Bona-ventura avrebbe delimitato i campi dell’una e delle altre. In tal caso sembrerebbe opporre l’approccio sistematico tipico del filosofo (anche morale) e l’approccio po-sitivo tipico del giurista, ma condiviso anche dal teologo.

In una seconda interpretazione invece (quella adottata da Corvino), conside-rando i tre termini in una opposizione binomiale (da una parte il teologo e il cano-nista, e dall’altra il filosofo, ossia il politico, ma anche il giurista), si oppone l’approccio «naturale» (che oggi preferiremmo intendere come aconfessionale, o meglio preconfessionale), tipico del filosofo e quello «sovrannaturale» (che oggi preferiremmo intendere come confessionale), tipico del teologo e del canonista (anche se il diritto canonico si presenta come sovrannaturale solo quanto ai conte-nuti, ma come scienza giuridica quanto al metodo).

Pur ritenendo fondamentalmente buona l’interpretazione di Corvino, occorre notare che le ambiguità però non mancano. Da una parte Bonaventura sembra iden-tificare la scienza politica (filosofica) con la scienza del diritto: così ad esempio Bonaventura aveva detto che il «medio di giustizia» è oggetto di considerazione per chi è «iurista sive politicus» [Hex 1.34]; inoltre della filosofia morale dirà che in quanto scienza pratica si è corrotta meno delle altre scienze, ma quanto alla «scientia iuris» ha peccato «propter lucrum» [Hex 5.21]. Dall’altra parte, Bonaven-tura stesso a volte assimila il diritto canonico alle leggi della società [cfr. Hex 16.15] e il diritto (civile) alla costituzione della Chiesa [cfr. Hex 22.9]; ed anzi, quando va a trattare la «forma del convivere» attraverso la legislazione, fa scaturire dalla legge naturale non solo le leggi civili, ma addirittura i canoni ecclesiastici [Hex 5.18 e HexD 1.2.18]; e nella trattazione della «norma del presiedere» accanto al «princeps» laico troviamo il «praelatus» ecclesiastico [HexD 1.2.19]. Questo pe-rò è dovuto in parte alla non particolare precisione di questo secondo recensore, in parte alla sostanziale ambiguità, in cui la distinzione tra ambito secolare o naturale e quello ecclesiale è assorbita nel comune corpo della Respublica Christiana, ma forse anche all’approccio che Bonaventura adotta al riguardo, come vedremo fra poco.

Il secondo problema da affrontare è come vada intesa l’affermazione bona-venturiana di parlare «sicut philosophus»: ‘philosophus’ è detto in senso proprio o per antonomasia, ossia intendendo Aristotele? E l’espressione va tradotta «da filo-

Page 13: Ermeneutica Dei Testi e Del Lessico Di Bonaventura in Riferimento Alla Dimensione Politica

Ermeneutica dei testi e del lessico di Bonaventura da Bagnoregio...

319

sofo» o «come il Filosofo»? È possibile che l’espressione sia volutamente ambiva-lente. Certamente però non si riduce alla menzione di Aristotele. In effetti, abbiamo da una parte l’antonimia con teologo e decretista, che non sono intesi in senso an-tonomastico, ma generale.

Inoltre nella frase successiva Bonaventura dirà che nessuno dei filosofi ha dato questa comprensione. In altre parole, Bonaventura si fa paladino della filoso-fia simpliciter, svincolata dalla tradizione aristotelica, ma ad essa comunque legata. In un testo che esamineremo più in là [Hex 7.4], Bonaventura ribadirà che il di-scorso sulle virtù è fatto dai filosofi principali, che furono illuminati, «tamen sine fide», ossia naturalmente (per le facoltà naturali).

Perciò, se Bonaventura in questa sede parlerà anche dei canoni e dei prelati, lo farà in quanto vede la portata filosofica di tale potere; in altre parole, lungi dall’assorbire la filosofia nella teologia, darà in questa collatio uno sguardo filo-sofico e giuridico alle realtà teologiche (un po’ come oggi si fa sociologia della Chiesa).

2.1.3 L’asserita novità dell’approccio politico bonaventuriano

Haec comprehensio est circa quatuor. Nullus autem philosophorum dedit hanc, sed si fuerit collecta ex multis, aliquid proveniet.

La recensione Delorme rinvia la quadripartizione a dopo e dice semplicemente:

«Hanc nullus philosophorum plene tradidit, quia haec consideratio ex pluribus considerationibus provenit» [HexD 1.2.14].

Dal confronto tra le due recensioni emerge che l’intenzione di Bonaventura è di limitare la portata dell’affermazione eclatante sulla totale novità di questa impo-stazione: secondo la prima recensione, sarebbe la quadruplice comprensione che era finora mancata in filosofia, anche se non sono mancati contributi parziali; se-condo la recensione Delorme, nessun filosofo l’avrebbe ancora data «plene».

A quali ‘philosophi’ si riferiva Bonaventura? Certamente soprattutto a quelli pagani, ma non solo: nella precedente trattazione delle altre otto scienze filosofiche aveva infatti citato tranquillamente anche autori cristiani come Agostino e Boezio.

E cosa aveva letto Bonaventura dei testi politici della tradizione filosofica? Dall’analisi delle sue fonti fatta da Bougerol, non sembra abbia mai citato la Politi-ca di Aristotele.16 Tutt’al più cita qua e là Cicerone, ad esempio dal De officiis. Questo potrebbe farci pensare che l’affermazione di Bonaventura sulla non esisten-za di una trattazione politica organica fosse dovuta al fatto che non ne conoscesse i testi. Ma non è tanto o soltanto questo. È infatti altrettanto sorprendente che Bona-ventura non menzioni qui nemmeno l’amato Agostino (ispiratore con il De civitate

16 Cfr. J.-G. BOUGEROL, Introduzione generale, volume preliminare alla edizione delle Opere

di San Bonaventura, Roma 1990, p. 39.

Page 14: Ermeneutica Dei Testi e Del Lessico Di Bonaventura in Riferimento Alla Dimensione Politica

Andrea Di Maio

320

Dei dell’idea di respublica Christiana medievale, e di cui egli aveva detto nel De tribus quaestionibus [12] che «nulla o quasi è stato insegnato dai maestri che non si trovi già nelle sue opere»).

Dunque, l’affermazione perentoria di Bonaventura risponde a una precisa in-tenzione: è la politica che aveva in mente lui a non aver ancora avuto un’adeguata fondazione.

Possiamo innanzitutto ipotizzare, alla luce di un altro testo, che Bonaventura ambisse a una fondazione di una politica che pur essendo pienamente filosofica, considerasse il contributo del cristianesimo. Infatti, nella collatio introduttiva Bo-naventura aveva enfatizzato tre contributi cristiani alla filosofia, ossia la «nostra» filosofia: la «nostra metafisica» [Hex 1.17], ossia la metafisica creazionista della creazione, della esemplarità e del compimento, nel Verbo increato per mezzo del quale tutto fu fatto, la «nostra logica» [Hex 1.30], ossia quella della croce, che poi, secolarizzata sarà la «dialettica», dell’affermazione, della negazione e del supera-mento, e il «nostro giudizio» [Hex 1.36], che si preoccupa non di vincere le cause, ma di giudicare se stessi. Ma questa interpretazione non sembra del tutto rispon-dente al caso: la «nostra» filosofia è più il senso cristiano delle scienze che una scienza specifica, come bene spiega la recensione Delorme: «in omni ergo scientia sine Christo evanescit sciens» [Hex D 0.1.39].

Allora dobbiamo considerare un altro fatto. Bonaventura non è stato solo fi-losofo e teologo e mistico: è stato lui a curare, da «giurista», la compilazione nel 1260 delle Costituzioni dette di Narbona per l’Ordine dei Frati Minori: questo non potrebbe averlo spinto a una riflessione anche filosofica sul diritto? E poi c’è la ca-rica profondamente socio-politica del francescanesimo, con i suoi richiami all’eguaglianza, alla pace (benché mistica, tuttavia riflessa nella sfera terrena), alla povertà e ridistribuzione dei beni…

2.1.4 Le quattro funzioni della vita politica in connessione sequenziale

Attenditur autem quantum ad ritum colendi, quantum ad formam convivendi, quantum ad normam praesidendi, quantum ad censuram iudicandi. Ad censuram iudi-candi non pervenitur nisi per norma praesidendi; nec ad normam praesidendi nisi per formam convivendi; nec ad istam nisi per primam.

Del quadrinomio citato, eccettuata la ‘norma praesidendi’ che viene aggiunta per l’occasione, il trinomio costituito dai sintagmi ‘ritus colendi’, ‘forma’ (o ‘nor-ma’) ‘vivendi’ (o ‘convivendi’) e ‘censura iudicandi’ era familiare a Bonaventura, che lo cita anche altrove [cfr. Don 4.12 e Hex 16.14-20]. I singoli sintagmi, poi, ri-corrono da soli diverse volte in Bonaventura, ma appartengono al linguaggio della tradizione ecclesiale: in particolare, la ‘forma vivendi’ sembra alludere spesso al «vivere secondo la forma del santo vangelo» tipica del francescanesimo.17

17 Possiamo provare a indicare come possibili fonti bonaventuriane (citate dal CLCLT-3) AM-

Page 15: Ermeneutica Dei Testi e Del Lessico Di Bonaventura in Riferimento Alla Dimensione Politica

Ermeneutica dei testi e del lessico di Bonaventura da Bagnoregio...

321

Ma cosa sono le quattro funzioni della dimensione politica enumerate da Bonaventura? Un tentativo di trasposizione nella cultura contemporanea può aiuta-re a cogliere, per contrasto, lo specifico storico.

Le quattro sfere della convivenza civile sono quella dei valori di coscienza, quella delle leggi (con la conseguente funzione legislativa), quella di governo, quella di giudicare. A differenza dell’impostazione che facciamo discendere da Montesquieu, non si tratta di poteri distinti, ma di funzioni connesse secondo un «diagramma di flusso».

Il fatto che il diagramma di flusso si debba concludare con il giudizio per-mette di capire meglio perché all’inizio [Hex 1.36] Bonaventura aveva detto che mentre i giuristi si preoccupano del giudizio altrui, noi dovremmo preoccuparci del «giudizio nostro»; come pure capiamo perché la critica che Bonaventura farà alla filosofia morale è che i giuristi che dovrebbero terminare le cause, le rendono eter-ne [cfr. Hex 5.21].

2.2 Il «rito del culto», ossia la sfera dell’ethos fondante condiviso

2.2.1 Il monoteismo creazionista come fondamento della fraternità universale

[15] Omnes veri philosophi unum Deum coluerunt. Unde etiam Socrates, quia pro-hibebat, sacrificium fieri Apollini, interfectus fuit, cum coleret unum Deum.18 Verum est, quod Plato suasit sibi fugam. «Absit, inquit Socrates, ut negem veritatem, quam as-serui»; et ideo Plato non interfuit morti eius, erubescens, quod suasisset sibi fugam.

Cultus Dei pietas est fidei. Unde dicit Tullius, quod pietas consistit in cultu deorum.19 Non placet, quod dicit deorum. Scriptura nunquam vocat Angelos deos, ne venerentur sicut dii, sed homines dicuntur dii 20 […]. Cultus autem Dei consistit in laude

BROGIO, De fuga saeculi, 2.9 («ad imaginem eius forma uiuendi»); AGOSTINO, De moribus ecclesiae catholicae et Manichaeorum, 1, col. 1336 («nam Christianis haec data est forma uiuendi, ut diligamus Dominum Deum nostrum ex toto corde, et ex tota anima, et ex tota mente, deinde proximum nostrum tanquam nosmetipsos»); De doctrina christiana, 4.29 («si autem ne hoc quidem potest, ita conuerse-tur, ut non solum sibi praemium comparet, sed et praebeat aliis exemplum et sit eius quasi copia di-cendi forma uiuendi»); Vulgata, Ex (nella traduzione della Vulgata), 18,20 («ostendas que populo caerimonias et ritum colendi viam que per quam ingredi debeant et opus quod facere»); BEDA, Home-liarum evangelii libri II, 1.13 («perfectam uiuendi formam sumeret ubi per summos christi apostolos totius ecclesiae caput eminet eximium»). Ma in particolare la »forma vivendi» rimanda al »vivere se-condo la forma del Santo Vangelo» di Francesco d’Assisi, nelle sue Regole e nel suo Testamento, a cui Bonaventura si riferisce in più passi [Legenda maior 3.9; 4.6; 4.11; Legenda minor 2.1; 2.3; 2.6 e 6.9; inoltre, con un riferimento più generale alla vita cristiana e religiosa, cfr. De donis 4.12 e 7.19].

18 La fonte non è chiara: c’è una confusione tra l’oracolo di Apollo e l’accusa di introdurre dèi stranieri e tra Platone e Critone. Delorme segnala come possibili fonti indirette CICERONE, De divina-tione, 1,54; GIUSTINO, Cohortatio ad Graecos, 36 e Apologia II, 10; AGOSTINO, De civitate Dei, 8.3. Possiamo aggiungere TERTULLIANO, Ad nationes, 1.4; e Apologeticum, 46: l’oracolo di Apollo consi-dera sapientissimo Socrate che diceva che gli dèi non esistevano.

19 Delorme segnala come fonte Cicerone, De natura deorum, 1.41-44; De officiis, 2.3. 20 Il riferimento è al Ps 81,1, ma nell’interpretazione stessa data da Gesù in Io 10,34.

Page 16: Ermeneutica Dei Testi e Del Lessico Di Bonaventura in Riferimento Alla Dimensione Politica

Andrea Di Maio

322

et sacrificio. […].21

Volendo trattare il primo punto, di carattere religioso, in contesto filosofico, Bonaventura si appella ai filosofi precristiani, introducendo la nozione di «veri fi-losofi»: si tratta di una precisazione logicamente poco stringente: gli eventuali filo-sofi non d’accordo sarebbero infatti considerati «non veri». Vedremo che però l’ipotesi di un retto «rito del culto» puramente filosofico è considerata da Bonaven-tura fittizia.

La pietas (in cui la virtù romana, nota a Bonaventura tramite Cicerone e pro-babilmente Virgilio, è riletta alla luce della virtù cristiana, tratteggiata nelle lettere «paoline» a Timoteo) è per Bonaventura l’atteggiamento filiale verso Dio [cfr. Don 3], da cui sgorga di conseguenza verso gli altri l’atteggiamento di innocentia («non far male a nessuno») e di benevolentia («far bene a qualcuno», secondo l’ordine di giustizia) [cfr. Praec 5 e 7.8]: in termini moderni la «pietas» è la fraternità univer-sale che si fonda sul sentimento di comune figliolanza degli uomini nei confronti di Dio creatore e Padre: senza tale fondamento, come accadrà alla fraternité della Ri-voluzione Francese, è inefficace.22

Comunque sia, il monoteismo creazionista è qui inteso come il fondamento dell’ethos condiviso. Qui si vede da una parte il carattere medievale (ossia storicamente contingente) della teoria bonaventuriana (legato cioè al paradigma, così problematico, della respublica Christiana), e dall’altra il suo carattere «moderno» (ossia teoricamente anticipa-tore): a fondamento dello stato e della convivenza civile ci devono essere valori fondamen-tali condivisi e tali valori appartengono alla sfera della coscienza personale, che le leggi de-vono rispettare; e se oggi metteremmo alla base della convivenza il rispetto della libertà di coscienza, il pluralismo e la secolarità dello stato, dobbiamo ammettere che in fondo la na-scita degli Stati Uniti d’America è legata a una concezione teistica (o perlomeno deistica) alla base della politica.

Il paragrafo è infine molto interessante per capire i rapporti di Bonaventura con la fi-losofia antica: Socrate e Platone sono conosciuti di seconda o terza mano e in veste cristia-nizzata. Analogamente, Cicerone è riletto con preoccupazione cristiana.

2.2.2 La sfera dei valori morali di coscienza

[17] Sacrificium autem laudis in corde naturale iudicatorium dictat, et est de dictamine naturae; et in hoc consenserunt omnes veri philosophi. Unde dicit ille, quod «qui dubitat, utrum parentes honorandi sint, et Deus venerandus, poena dignus est».23

Il sacrificio di lode è sì, come indicano gli editori di Quaracchi, citazione salmica [Ps 49,14 e 23; cfr. Heb 13,15], ma va collegato anche alla dottrina paolina [cfr. Rom 12,1-2], mutuata dalla filosofia ellenistica, del «sacrificio razionale», che consiste nel retto comportamento. Tant’è che esso è ricondotto al «naturale iudica-torium», ossia alla ragione naturale che nella coscienza morale mostra il dettame

21 Il paragrafo 16 tratteggia una storia del sacrificio e di come sarebbe nato quello idolatrico. 22 Cfr. A. M. BAGGIO, Il principio rimosso, in via di pubblicazione. 23 ARISTOTELE, Top. 1.11.

Page 17: Ermeneutica Dei Testi e Del Lessico Di Bonaventura in Riferimento Alla Dimensione Politica

Ermeneutica dei testi e del lessico di Bonaventura da Bagnoregio...

323

della legge di natura, su cui sarebbero d’accordo tutti i veri filosofi. Come esempio di tale consenso, è citata la celebre massima di Aristotele, che quindi Bonaventura riconosce come «vero filosofo»…

Si badi che Bonaventura non dice che il rito del culto sia efficacemente at-tuato nella respublica, ma che deve essere efficace perché il «diagramma di flusso» prosegua.

2.3 La «forma del convivere», ossia la funzione legislativa 2.3.1 La derivazione dalla legge naturale delle leggi positive

[18] Secundum modus est forma convivendi, ut «Quod tibi non vis fieri, ne facias al-teri». Hoc in corde scriptum est per legem aeternam. Ex hac naturali lege emanant leges et canones, pullulationes pulcrae.

La forma di convivenza è la regula aurea, che con molte varianti è presente in diverse culture, ma che in questa forma è enunciata per la prima volta nel libro deuterocanonico di Tobia [Tob 4,16], ed è assunta da Gesù stesso secondo i vangeli [Mt 7,12 e Lc 6,31]. Kant stesso, nella Fondazione, riconoscerà in essa una certa primitiva formulazione dell’imperativo categorico.

La legge naturale scritta nel cuore dell’uomo mediante la legge eterna (ossia di Dio) richiama la dottrina paolina [in Rom 1-2] per cui tutti gli uomini (e non so-lo i giudei) hanno ricevuto nel cuore, mediante la coscienza, ciò che chiede la legge mosaica. Bonaventura ne tratta spesso, riconducendo la legge positiva a quella na-turale, questa alla regula aurea, e quest’ultima, come s’è detto, alla pietas [cfr. Praec 1.22-23; 5.3; 7.8].

Le leggi che dalla legge naturale promanano sono quelle «civili» (non in op-posizione a «penali», ma in opposizione ad «ecclesiali»), ossia quelle politiche vere e proprie; i canoni sono le leggi ecclesiali, qui considerate come operanti nella re-spublica christiana. Sia le leggi civili che quelle ecclesastiche (canoni) sono leggi positive, dette ‘pullulationes’, in quanto derivanti dalla legge eterna tramite la leg-ge naturale. Siamo in un giusnaturalismo ante litteram. Il limite della impostazione bonaventuriana è che non dice né come né da chi debba esser fatta questa deriva-zione.

Le leggi positive sono anche dette ‘pulcrae’ in riferimento al «giusto centro» di pertinenza del giurista e politico, ossia al «medium iustitiae» [Hex 1.34] che «abbellisce tutto il mondo» e su cui dovremo tornare.

Nella recensione Delorme, abbiamo una elencazione della legislazione «u-triusque iuris»: canonica, raccolta nelle Decretales da Raimondo di Peñafort e nel Corpus decretorum da Graziano; e civile, a partire dal Corpus iuris civilis giusti-nianeo.

Page 18: Ermeneutica Dei Testi e Del Lessico Di Bonaventura in Riferimento Alla Dimensione Politica

Andrea Di Maio

324

2.3.2 L’aporia fondamentale della convivenza civile

Sed quid? Tu non vis suspendi, et latronem suspendis? Dicendum, quod latro prius debet suspendi, quam ut respublica laedatur; Ionas contra se dedit sententiam, ut proii-ceretur in mare.

La regula aurea presenta un’aporia fondamentale: nessuno vuol essere puni-to, eppure la legge deve punire i rei. L’aporia è risolta da Bonaventura in una ma-niera in parte brillante e in parte sconcertante.

La soluzione (più chiara nella recensione Delorme) si rifà ad Agostino24 e consiste nel dire che la valutazione va fatta «pro statu rei publicae», ossia (direm-mo oggi) del nostro «io» collettivo e del nostro «io» trascendentale. Il riferimento a Giona [cfr. Ion 1,12] non costituisce una auctoritas biblica (qui si parla da filosofi), ma un exemplum ragionevole: la condanna del reo non va contro la regola aurea, in quanto lo stesso reo, se si esprimesse secondo ragione, chiederebbe di essere con-dannato.

La recensione Delorme aggiunge un altro esempio, chiaramente fittizio (e da non i-mitare): un giudice romano che avendo inavvertitamente infranto un ordine da lui stesso impartito si sarebbe punito suicidandosi.

D’altra parte la crudezza dell’affermazione di Bonaventura («il ladro dev’essere impiccato prima che la cosa pubblica venga lesa») ci fa pensare che lui stesso abbia trascurato la più autentica lezione agostiniana (che aveva criticato la tortura e la pena di morte proprio a motivo del fine espiatorio e rieducativo della pena), ma soprattutto abbia più o meno inconsapevolmente rimosso l’esempio di Francesco.25

2.4 La «norma del presiedere», ossia la funzione di governo 2.4.1 La funzione di presidente

[19] Tertia est norma praesidendi, ide est qualiter princeps ad populum debet se habe-re, et e converso. Et haec emanat a veritate prima: quia populus debet assistere punienti e vindicanti; princeps non debet suam utilitatem quaerere, sed rei publicae. Philosophus dicit, quod differt tyrannus et princeps: tyrannus quaerit propriam utilitatem, sicut He-rodes, qui, timens privari regno suo, saevit in pueros; princeps autem communem utili-tatem intendit.

La norma del presiedere non è altro che la struttura del governo (e del relati-vo esercizio di potere), che lega governanti e governati; si noti che, coerentemente con una visione ancora medievale, il popolo non sia concepito come il tutto della

24 Cfr. AGOSTINO, De libero arbitrio, 1.6.14-15. 25 Cfr. AGOSTINO, Sermo 13.8 («Non arrivare alla condanna a morte: puniresti la colpa, ma fa-

resti perire l’uomo») e De civitate Dei, 19.6; FRANCESCO D’ASSISI, Admonitiones, 9 (sull’amare i ne-mici), 18 (sulla compassione: «Come ciascuno vorrebbe essere sostenuto in un caso simile»).

Page 19: Ermeneutica Dei Testi e Del Lessico Di Bonaventura in Riferimento Alla Dimensione Politica

Ermeneutica dei testi e del lessico di Bonaventura da Bagnoregio...

325

vita politica, ma come l’insieme dei soli governati. C’è una sorta di alleanza fra i due: ma il riferimento al ruolo di punitore e vindice è un piccolo accenno alla teoria della naturale eguaglianza fra gli uomini; la sobordinazione è conseguenza e rime-dio del peccato.

Nella recensione Delorme, fra i presidenti oltre al ‘princeps’ si considera anche il ‘praelatus’, ossia il vescovo o chi ne fa le funzioni [HexD 1.2.19], in quanto portatore di un potere.

La funzione di governo viene terza: averla posposta nel «diagramma di flus-so» delle funzioni politiche non solo al rito del culto, ma anche alla forma del con-vivere è quindi gravido di conseguenze e costituisce una germinale affermazione del principio di delimitazione della sovranità: il potere scende sì dall’alto, «dalla verità prima», ovvero da Dio: «manat exemplariter a primo Praesidente» [HexD 1.2.19]: ma appunto esemplarmente, e non direttamente da Dio al sovrano (magari con l’intermediazione del papa), ma da Dio tramite i valori etici fondanti e la forma del convivere. Troppo poco per costruire una concreta teoria politica, ma abbastan-za per fondarla.

Dire poi che la sovranità emana esemplarmente da Dio, per partecipazione metafisica e non per diretta investitura comporta che sia il sovrano a dover imitare la sovranità di Dio; in un certo senso Bonaventura opera così una desacralizzazione del potere, che si manifesterà anche nella teorizzazione dell’elettività di tutti i go-vernanti.

Insomma, la funzione di governo viene definita (e delimitata) in funzione al-la nozione (accennata in maniera peraltro vaga) di «utilità comune», intesa non come vantaggio di tutti o della maggior parte, ma della «res publica» in quanto tale, intesa alla luce della forma del convivere precedentemente menzionata. Pertanto, tale «utilità comune» offre il discrimine tra autorità legittimamente costituita e au-torità di fatto.

La classica citazione aristotelica26 sulla differenza tra principe e tiranno ha perfino modificato la semantica dei termini: ‘tyrannos’, che indicava solo chi si era impadronito del potere (in opposizione al ‘basileus’ che lo aveva ereditato), da allora è passato a indicare l’usurpatore, privo quindi di legittimità. Ma, questo alla luce della dottrina paolina sulle au-torità costituite da Dio [Rm 13], a cui si deve obbedienza non solo per timore della pena o dello scandalo, ma soprattutto per ragioni di coscienza, fa derivare che chi avesse un potere e lo esercitasse al di fuori di una forma del convivere, non avrebbe quello status di autorità costituita da Dio.

Per capire bene il testo dobbiamo andare all’articolo secondo e terzo della distinzione 44 del commento di Bonaventura al secondo libro delle Sentenze, ri-spettivamente sulla «potestas praesidendi» e sulla «necessitas subiacendi» ad essa. Con una argomentazione molto attenta agli equilibri, Bonaventura distingue una triplice «presidenza»: una insita nella natura, una propria di quella istituita in statu

26 ARISTOTELE, Eth. Nic. 8.10.

Page 20: Ermeneutica Dei Testi e Del Lessico Di Bonaventura in Riferimento Alla Dimensione Politica

Andrea Di Maio

326

viae e quella relativa alla natura corrotta dalla colpa. Le auctoritates addotte enfa-tizzano la naturale eguaglianza fra gli uomini. I sudditi devono obbedienza, ma en-tro certi limiti, e mai contro la legge di Dio: non viene teorizzata, come faranno te-ologi successivi, la liceità del tirannicidio, ma, pur con una certa prudenza, l’ideale francescano è proposto anche in politica. Analogamente (anzi, più esplicitamente) Bonaventura si esprime nelle questioni sulla perfezione evangelica.27 Si può forse dire che per elaborare questa sua idea che la potestas dominativa nella costruzione della comunità civile è non costitutiva, ma dovuta allo stato di natura corrotta, Bo-naventura abbia riletto alcuni aspetti dell’insegnamento di Francesco,28 ma alla luce

27 Ad esempio, in De perfectione evangelica, 3.1 (in traduzione nostra): «Si dice che uno è

superiore a un altro o quanto all’origine di natura, o quanto al dominio di potenza e prepotenza, o quanto alla reggenza provvidente. La prima <forma di> superiorità compete alla natura stessa di per sé […]; la seconda <forma compete> invece <ad essa> per vizio, giacché, come dice Ambrogio, la schiavitù è pena del peccato; la terza <forma>, infine, compete <ad essa> per rimedio […]. A chi è superiore nel primo modo si deve obbedienza filiale; a chi lo è nel secondo, servile; a chi lo è invece nel terzo, giurisdizionale, che riguarda la dignità di prelazione. Ne consegue dunque che l’obbedienza filiale è dettata dalla legge naturale, sia secondo lo stato di natura decaduta, sia secondo lo stato di na-tura istituita. L’obbedienza servile, invece, non è dettata <dalla legge naturale> in maniera assoluta, ma <solo> nello stato di natura decaduta, a punizione del peccato, secondo il dettame del diritto delle genti, che promana dalla ragione e dall’istinto naturale. L’obbedienza giurisdizionale, infine, è dettata <dalla legge naturale> secondo lo stato di natura riparabile o riparata, e questo, <comunque, solo> in stato di via […]. Essendoci perciò tre modi di prestar obbedienza, conformi alle tre diverse forme di superiorità, il primo è dettato dalla natura in maniera assoluta, in quanto <lo è> esplicitamente e senza eccezioni e secondo ogni stato; il secondo e il terzo, invece, <lo sono> implicitamente e secondo un determinato stato. E per questa ragione, ciascuna delle suddette <forme di> obbedienza è consona alla legge di natura: e non alla legge di natura soltanto, ma anche alla legge di grazia e alla legge scritta. In quanto, infatti, la legge di grazia considera origine, caduta e rimedio della natura, è perciò proprio di essa approvare i tre diversi modi della suddetta obbedienza. Approva infatti l’obbedienza filiale […] e servile […]; loda anche l’obbedienza giurisdizionale […]. Viceversa, la legge scritta [mosaica], in quanto era legge di rigore, non soltanto approva queste tre forme di obbedienza, ma ne punisce anche i trasgressori. […]. Da quanto s’è detto, si conclude chiaramente che l’obbedienza dell’uomo all’uomo è consona sia alla legge di grazia, sia alla legge scritta, sia alla legge di natura».

28 Cfr. Regula non bullata, 5, nella edizione di Esser: «Similiter omnes fratres non habeant in hoc potestatem vel dominationem maxime inter se. Sicut enim dicit Dominus in evangelio: «Principes gentium dominantur eorum, et qui maiores sunt potestatem exercent in eos» [Mt 20,25], non sic erit inter fratres [cfr. Mt 20,26a]. Et quicumque voluerit inter eos maior fieri, sit eorum minister [cfr. Mt 20,26b] et servus. Et qui maior est inter eos fiat sicut minor [cfr. Lc 22,26]». Si noti anche, ibidem nel capitolo 23, l’egualitarismo della fraternità francescana e l’inserimento di tutte le virtù nella legge evangelica dell’amore: «Et Domino Deo universos intra sanctam ecclesiam catholicam et apostolicam servire volentes et omnes sequentes ordines: sacerdotes, diaconos, subdiaconos, acolythos, exorcistas, lectores, ostiarios et omnes clericos, universos religiosos et religiosas, omnes conversos et parvulos, pauperes et egenos, reges et principes, laboratores et agricolas, servos et dominos, omnes virgines et continentes et maritatas, laicos, masculos et feminas, omnes infantes, adolescentes, iuvenes et senes, sanos et infirmos, omnes pusillos et magnos, et omnes populos, gentes, tribus et linguas, omnes nationes et omnes homines ubicumque terrarum, qui sunt et erunt, humiliter rogamus et supplicamus nos omnes fratres minores, servi inutiles, ut omnes in vera fide et poenitentia perseveremus, quia ali-ter nullus salvari potest. Omnes diligamus ex toto corde, ex tota anima, ex tota mente, ex tota virtute et fortitudine, ex toto intellectu, ex omnibus viribus, toto nisu, toto affectu, totis visceribus, totis desideriis et voluntatibus Dominum Deum, qui totum corpus, totam animam et totam vitam dedit et

Page 21: Ermeneutica Dei Testi e Del Lessico Di Bonaventura in Riferimento Alla Dimensione Politica

Ermeneutica dei testi e del lessico di Bonaventura da Bagnoregio...

327

della dottrina (perlopiù agostiniana) della natura corrotta: il che forse gli ha impedi-to di trarre tutte le conseguenze dalla sua intuizione, che rimane nell’ambito utopi-co del Paradiso terrestre perduto: «Infatti, se l’uomo non avesse peccato, non vi sa-rebbe stata alcuna divisione di campi, ma tutte le cose sarebbero state comuni» [Hex 18.7].

2.4.2 La questione della selezione di chi presiede e l’elettività

Tamen hodie magna abominatio est in his qui praesunt, quia in navi non ponitur rector, nisi habeat artem gubernandi; quomodo ergo in republica ponitur ille qui nescit regere? Unde quando per successionem praesunt, male regitur respublica.

David fuit sanctissimus; Salomon, etsi lubricissimus, tamen sapiens; Roboam stul-tus, quia divisit regnum. Romani per artem diaboli elegerunt Diocletianum. Debebant eligere comedentem super mensam ferream et invenerunt comedentem illum super vo-merem; qui postmodum multa mala fecit.

Unde quamdiu Romani illos qui praeessent, elegerunt, sapientissimos elegerunt; et tunc bene gubernata est republica; sed postquam ad successionem venerunt, totum fuit destructum.

Definita la funzione di governo, occorre stabilire il modo di selezione dei governanti, al fine di porre i più adatti al governo. Devono essere i migliori quanto alla «scientia regendi»: se per il Socrate platonico tutti i cittadini erano competenti sulla vita della città, per Bonaventura (ma nel De regimine principum Tommaso aveva un’idea analoga) è bene che a governare sia il più competente.

Due erano le vie di selezione legittima (esclusa quindi l’usurpazione tiranni-ca): l’elezione e la successione ereditaria; quest’ultima poi era ammissibile nella sfera civile ma non in quella ecclesiastica; inoltre ‘electio’ in latino (a differenza di ‘elezione’ in italiano) poteva indicare sia una nomina «dall’alto», sia un’elezione «dal basso».

Gli esempi addotti fanno capire il senso del discorso: non importa la loro sto-ricità o autorevolezza; sono exempla palesemente ficta, ma che servono a delineare fattispecie. Dei due esempi addotti, uno è ad evidente sostegno della sua tesi; l’altro, apparentemente in contrario, serve a dire che l’eccezione non contraddice la regola: mentre la successione ereditaria è alla fine sicuramente perniciosa, l’elezione è invece solo rischiosa (e il rischio, se si sta attenti, è tutto sommato evi-tabile).

Il climax delle tre figure di sovrani ebraici è significativo: solo Davide è santo (ma s’intende che fosse anche sapiente); Salomone non era santo ma era il sapiente per eccel-lenza; Roboamo non era né santo né sapiente. Secondo un assioma diffuso nella vita reli-giosa, per governare non è necessario, anche se utile, essere santi, ma è indispensabile esse-re prudenti. Si tratta di uno spunto interessante dal punto di vista teorico moderno: la politi-ca è sì connessa con la sfera morale, ma gode di una certa autonomia. L’aneddoto, pura-

dat omnibus nobis, qui nos creavit, redemit et sua sola misericordia salvabit, qui nobis miserabilibus et miseris, putridis et foetidis, ingratis et malis omnia bona fecit et facit».

Page 22: Ermeneutica Dei Testi e Del Lessico Di Bonaventura in Riferimento Alla Dimensione Politica

Andrea Di Maio

328

mente leggendario, su Diocleziano è ricondotto da Delorme alla Chronica Imperatorum di Tommaso di Papia.

Nella sua invettiva contro il passaggio dall’elezione alla successione eredita-ria a cosa si riferiva realmente Bonaventura? Non pare avesse sufficienti conoscen-ze di storia romana; d’altra parte potrebbe aver attinto dalla letteratura latina la cri-tica al principato. Ma forse siamo fuori strada e dovremmo piuttosto chiederci se Bonaventura intendesse parlare di fatti a lui contemporanei (del resto l’«impero» si chiamava ancora «romano»).

Qual era allora la situazione dei principati e dell’istituto dell’elezione? Erano eletti sia il papa sia l’imperatore; questi veniva eletto dai grandi feudatari prima come Re dei Romani, poi come Re di Germania, e doveva infine ricevere la consacrazione e incorona-zione come Imperatore da parte del papa; molti imperatori però riuscivano a far eleggere già in vita i propri figli come Re dei Romani, instaurando così una sorta di successione ere-ditaria. D’altra parte, per i feudatari l’elezione (in questo caso «dall’alto») era stata sostitui-ta dalla successione ereditaria fin dall’877 per i feudi maggiori e dal 1037 per tutti gli altri.

L’istituto dell’elezione non sembrava godere di particolare salute nel papato e nell’impero: quanto al primo, dal 1271 era papa Gregorio X, ma la sua era stata una delle elezioni papali più travagliate, dopo due anni di sede vacante, a Viterbo, sbloccatasi solo dopo che i viterbesi ebbero rinchiuso a chiave («cum clave») i cardinali nel palazzo papale fino a che non avessero proceduto all’elezione; quanto all’impero, dal 1273 era re di Ger-mania e dei Romani Rodolfo di Asburgo (che non venne mai a ricevere a Roma l’incoronazione imperiale) dopo il grande interregno seguito alla morte di Federico II nel 1250.

Non migliore era la situazione delle successione ereditaria nelle grandi monarchie europee. Bonaventura parlava a Parigi: allora era re di Francia Filippo III di Valois, detto l’Ardito, succeduto nel 1270 al padre, Luigi IX il Santo; ma rispetto a tale padre, la sua per-sonalità era debole e il suo regno deludente: si riferiva a lui Bonaventura? Oppure a Carlo d’Angiò, fratello di Luigi IX, che (forse incautamente) il papa Clemente IV aveva nel 1266 infeudato come Re di Sicilia e che ora con la sua politica espansionistica verso oriente met-teva in difficoltà i progetti di riunificazione coi Greci del papa Gregorio X? Oppure Bona-ventura, che in quanto italiano e come Generale dell’ordine doveva conoscere bene la situa-zione politica delle «periferie» europee si riferiva da una parte alla decadenza delle famiglie feudali e dall’altra alla tendenza dei comuni dell’Italia settentrionale a trasformarsi in si-gnorie ereditarie?

Quanto alla positiva valutazione della designazione per elezione, è probabile l’influsso di varie esperienze: quella comunale italiana, ma soprattutto quella eccle-siastica in genere, e soprattutto quella minoritica dei capitoli, a cui proprio Bona-ventura in qualità di ministro generale dell’Ordine dei Frati minori aveva dedicato tanta attenzione nella stesura nel 1260 delle Costituzioni dette Narbonensi, le quali «ratificarono questa superiorità del capitolo generale» e introdussero «il sistema elettivo […] a tutti i livelli dell’organizzazione», che così veniva ad assomigliare alla legislazione domenicana.29

29 A. FLICHE et al., Storia della Chiesa dalle origini ai giorni nostri, vol. 10, trad. it. di Maria-no da Alatri, Torino 1968, p. 358. Le Constitutiones Narbonenses trattano nella rubrica nona delle

Page 23: Ermeneutica Dei Testi e Del Lessico Di Bonaventura in Riferimento Alla Dimensione Politica

Ermeneutica dei testi e del lessico di Bonaventura da Bagnoregio...

329

Con tale disposizione da una parte si stemperavano le tensioni nell’ordine, e dall’altra si limitava la forza di pressione costituita dagli spirituali, che avevano a volte co-stretto i ministri a dimettersi.

Un altro possibile scenario, difficile da provare ma suggestivo, è il seguente. Il 31 marzo 1272, ossia poco più di un anno prima che Bonaventura pronunciasse questa collatio, il papa Gregorio X aveva convocato un Concilio, da tenere a Lione nel 1274, per deliberare su tre temi: crociata per la terra santa, riunificazione con la Chiesa greca, riforma della Chiesa; e aveva successivamente chiesto su quest’ultimo punto suggerimenti a tutto il po-polo cristiano; nel maggio 1273, il papa creò cardinale Bonaventura, perché lo assistesse nel Concilio, cosa che fece, morendo due giorni prima della conclusione. È interessante no-tare che più della metà delle disposizioni del concilio riguarda le elezioni ecclesiastiche,30 in primis quella papale (per cui si prescrive il «conclave»), dal cui retto svolgimento si fa dipendere tutto il buon esito della riforma della Chiesa e il benessere del popolo di Dio: che Bonaventura vi abbia contribuito con le sue idee «politiche» e la sua esperienza di Ministro generale?

Insomma, siamo ancora lontani dalla teorizzazione del suffragio popolare (a fortiori se universale), ma il principio della convenienza della elezione (almeno da parte di grandi elettori) è chiaramente enunciato. 2.5 La «censura del giudicare», ossia la funzione giudiziaria

[20] Ultimum est censura iudicandi, ut homo sciat quid de quacumque re sit iudi-candun, quod spectat ad personas, ad res, ad modum agendi. Haec omnia manant a veri-tate prima.

La «censura iudicandi» è il potere giudiziario (in senso ampio, comprenden-do tutti i giurisperiti e non solo i giudici): esso giudica riguardo alle persone, ai be-ni materiali («res»), e alle procedure ed azioni. Sebbene in base al diagramma di flusso precedentemente enunciato tale potere derivi dalla norma del presiedere (in effetti i giudici venivano nominati dai governanti) e la forma del convivere, tuttavia una certa indipendenza del potere giudiziario dagli altri è germinalmente enunciata col dire che anch’esso come gli altri emana dalla verità prima, cioè da Dio; pertan-to il giudice deve essere vincolato solo alla verità. Bonaventura qui non dice altro, ma nella successiva analisi della corruzione delle scienze se la prenderà proprio con la professione del «giurista», che nelle «cause» giudiziarie tradisce spesso la verità per il lucro.

elezioni dei ministri dell’Ordine francescano. Va ricordato che Bonaventura aveva introdotto un’analoga trasformazione dell’ordine in senso «domenicano» quanto agli studi, come attesta il ser-mone di Bonaventura in onore di san Domenico, preso a modello di contemplazione e predicazione (era consuetudine che nelle feste dei due fondatori mendicanti, l’elogio dell’uno venisse fatto da un frate dell’ordine dell’altro; ed è per questo che nel Paradiso Dante fa pronunciare l’elogio di France-sco proprio a Bonaventura).

30 Cfr. Conciliorum Oecumenicorum Decreta (a cura di G. ALBERIGO, G. DOSSETTI et al.), edizione bilingue, Bologna 19912; p. 303-331; si tratta delle constitutiones (nel senso antico di «disposizioni») 2-18 (ossia 17 su un totale di 31). Tenendo conto che la prima costituzione è una pro-fessione di fede nella Trinità, la sezione sulle elezioni costituisce il fondamento di tutta la serie di riforme.

Page 24: Ermeneutica Dei Testi e Del Lessico Di Bonaventura in Riferimento Alla Dimensione Politica

Andrea Di Maio

330

La recensione Delorme amplia l’argomento e aggiunge un exemplum fictum, maca-bro, di giudice ingiusto crudelmente punito.

2.6 La corruzione della scienza politica e giuridica

[21] Sed in his omnibus luxuriata est ratio […]. Ars moralis non ita luxuriata est, quia non in sola speculatione stat; sed scientia iuris multum luxuriatur propter lucrum; et causae, quae deberent terminari per ius, modo per allegationem et subtilitatem iuris fiunt immortales, cum tamen intentio iuris sit causas rescindere.

A conclusione della trattazione delle nove scienze, Bonaventura ne enumera i difetti (dovuti all’errore colpevole dei rispettivi «scienziati»).

Nel riportarne il testo, abbiamo omesso la parte relativa alle prime sei scienze: la metafisica ha posto l’eternità del mondo, ritenendo che questi dovesse essere durevole co-me la sua prima causa; la matematica è scaduta nella numerologia ed astrologia; la fisica nell’alchimia; la grammatica (ossia la letteratura) nella mitologia; la logica nella sofistica; la retorica nella vacuità (è interessante che nel testo Bonaventura alluda in realtà alla retori-ca sacra, che rischia di ridurre il regno di Dio al solo colore del discorso; per lui, confor-memente alla tradizione francescana, la predicazione dev’essere nei fatti).

La scienza morale delle virtù etiche e dianoetiche è salvata da Bonaventura con una motivazione interessante: non sono solo teoretiche. Della teologia Bona-ventura aveva detto, nelle questioni sul prologo delle Sentenze, che era scienza pra-tica, in quanto finalizzata a che «diventiamo buoni» («ut boni fiamus»). Similmen-te, della morale aveva citato l’esempio aristotelico che «mai malato fosse stato gua-rito dall’aver compreso le prescrizioni del medico, ma solo dall’averle messe in pratica» [Hex 2.3; cfr. Eth. Nic. 2.4]. C’è quindi un sostanziale ottimismo sulle ca-pacità umane di cogliere il bene; viceversa l’errore insidia irrimediabilmente la co-noscenza.

Ma la scienza del diritto, che corrisponde in parte a quella politica, ha pecca-to: siamo a un secolo dalla rinascita degli studi giuridici; ebbene, proprio questo studio, ha portato ai molti cavilli, con cui il principio della «certezza del diritto» è insidiato per la lunghezza delle cause: problema che, a distanza di secoli, temiamo essere irresolubile.

3. LA POLITICA COME PRIMA FASE DI SVILUPPO DELLE VIRTÙ NEL CONSEGUIMEN-TO DELLA «SAPIENZA FILOSOFICA»

[Ermeneutica testuale e lessicale di brani di Hex 6] 3.1 La sapienza filosofica

Bonaventura, dopo aver detto che «erano stati gli antichi filosofi a fornire

le nove scienze filosofiche», e che in questo «erano stati rischiarati» (in base alla

Page 25: Ermeneutica Dei Testi e Del Lessico Di Bonaventura in Riferimento Alla Dimensione Politica

Ermeneutica dei testi e del lessico di Bonaventura da Bagnoregio...

331

citazione paolina per cui «proprio Dio lo avrebbe loro rivelato»), aggiunge che do-po «vollero giungere alla sapienza stessa, tratti dalla verità, e la promisero ai loro discepoli» [Hex 5.22]: ma dal prosieguo del ragionamento comprendiamo che tale legittima promessa e pretesa di passare dalla filo-sofia alla sofia non possa essere mantenuta.

La distinzione, qui formalmente compiuta da Bonaventura, della sapienza dalla metafisica (intesa come ontologia) è un fatto filosoficamente rilevantissimo: se già tutta la tradizione neoplatonica distingueva henologia e ontologia, tuttavia qui abbiamo una impostazione diversa: la sapienza, secondo un canone che unisce tradizione greca e cristiana (biblica e monastica) e che può essere definito «socrati-smo cristiano», è conoscenza di sé, delle intelligenze, di Dio.31 L’uomo conosce le cose (e il mondo artificiale del linguaggio e delle istituzioni) come oggetti, per scienza, che va verso il basso; mentre conosce se stesso come soggetto per rifles-sione, le intelligenze per speculazione, Dio, quale fonte di tutto, per ragionamento, esperienza e contuizione [cfr. Hex 6].

Per Bonaventura [cfr. Hex 6.6], gli errori verificatisi di fatto nelle scienze sono evitabili, e in particolare sono stati evitati da quanti, come i «nobili filosofi antichi» (categoria in cui Bonaventura include Socrate, Platone e Plotino, o meglio i loro simulacri cristianizzati divulgati dalla tradizione patristica), hanno impostato la loro ricerca filosofica sui due capisaldi delle cause esemplari e delle virtù, o – più precisamente – sulla tesi fondamentale della esemplarità della virtù (sostenendo cioè che Dio stesso possiede in massimo grado le virtù, e ne è quindi la fonte). D’altra parte, neanche i filosofi nobili poterono conseguire la vera sapienza.

Dagli artistae parigini del tempo, Bonaventura desumeva l’idea di una meta-fisica di portata sapienziale e beatificante: egli (pur condannandolo in nome della fede cristiana) non sottovalutava affatto l’ideale neoaristotelico della beatitudine dell’intelletto compiuto, o «intellectus adeptus» [Hex 5.22 e 33]: ne fa anzi una struttura portante della sua dottrina del desiderio naturale del sovrannaturale, desi-derio che però secondo lui entra necessariamente nello scacco (dovendo desiderare l’impossibile), e aprendosi così alla nuova possibilità della grazia: è questa la di-namica sottesa anche al canto XXVI dell’Inferno di Dante: Ulisse in forza della sua umana «semenza», doveva «seguir virtute e canoscenza» fino ad aspirare alla per-fetta felicità; ma non poteva conseguirla con le sue sole forze: il «dovere impossi-bile» richiama infatti la gratuità del dono.

31 Cfr. É. GILSON, L’ésprit de la philosophie médiévale [Gifford Lectures], Paris 19322; trad.

it., Lo spirito della filosofia medioevale, Brescia 1947, 19882, capitolo 2.1 (sulla conoscenza di sé e sul «socratismo cristiano»); P. COURCELLE, Connais-toi toi-même. De Socrate à Saint Bernard, Paris 1974; trad. it., Conosci te stesso, Milano 2001.

Page 26: Ermeneutica Dei Testi e Del Lessico Di Bonaventura in Riferimento Alla Dimensione Politica

Andrea Di Maio

332

3.2 Le virtù politiche o civili come «vita activa» virtuosa Dopo aver sviluppato in chiave teoretica la sapienza come conoscenza di sé

per riflessione, delle altre intelligenze per speculazione e di Dio per ragione, espe-rienza negativa e contuizione, Bonaventura affronta la necessità delle virtù in que-sto progresso e in particolare delle virtù dette cardinali, che furono già platoniche e che il libro deuterocanonico della Sapienza aveva assimilato nella Bibbia.32

[6.23] Hae virtutes fluunt a luce aeterna in hemisphaerium nostrae mentis et redu-cunt animam in suam originem, sicut radius perpendicularis sive directus eadem via re-vertitur, qua incessit. Et haec est beatitudo. Unde primo sunt politicae, secundo purga-toriae, tertio animi iam purgati. Politicae sunt in actione, purgatoriae in contemplatio-ne, animi iam purgati in luce visione.

[24] Et de his agit Salomon, ut dicit Origenes, de politicis in Proverbiis, de purgatoribus in Ecclesiaste, de animis iam purgatis in Cantico Canticorum. Et in notitiam istarum pervenerunt nobiles philosophi. Unde Macrobius, narrans sententiam Plotini, dicit sic:

«Qui aestimant nullis nisi philosophantibus inesse virtutes, nullos praeter philosophos beatos esse pronuntiant. […].

[27] Sed Plotinus, inter philosophiae professores cum Platone princeps, in libro De virtutibus gradus earum vera et naturali divisionis ratione compositos per ordinem digerit. Quatuor sunt, inquit quaternarum genera virtutum. Ex his primae politicae vocantur, secundae prugatoriae, tertiae animi iam purgati, quartae exemplares.

[28] Et sunt politicae hominis, quia sociale animal est. His boni viri reipublicae consulunt, urbes tuentur; his parentes venerantur, liberos amant, proximos diligunt; his civium salutem gubernant» […].

Cominciamo con l’identificare le fonti del testo. Innanzitutto si notino la reductio neoplatonica e la metaforica della luce, che Bonaventura avrà potuto co-noscere anche dalla tradizione francescana oxoniense che si rifaceva a Grossatesta; e tramite Ruggero Bacone, di cui però non condivideva il progetto.33

La scansione poi dei «tre libri» di Salomone, proposta da Origene nel prolo-go al suo commento al Cantico, era universalmente nota nel Medioevo, anche se le opere di Origene non erano lette. Che le virtù politiche siano ricondotte al libro dei Proverbi ci fa capire che esse consistono nel «buon comportamento» umano.

Macrobio, erudito latino pagano del quinto secolo, è una delle fonti principa-

32 «Et [Sapiens] loquitur quodam modo ut philosophus quia amator sapientiae, unde dicit:

«Hanc amavi et non solum propter se, sed quia ex illa fiunt in me proprietates consimiles». Unde sequitur: «Sobrietatem enim et sapientiam docet et iustitiam et virtutem quibus utilius nihil est in vita hominibus» [Sap. 8 7]. Per sobrietatem intelligitur sinceritas temperantiae, per sapientiam serenitas prudentiae, per fortitudinem stabilitas constantiae intelligitur, per virtutem suavitas iustitiae. De iis virtutibus loquitur Sacra Scriptura. Et dicuntur cardinales quia per eas est ingressus ad omnes virtutes vel quia principales ex quibus integratur omnis virtus vel quia per eas tamquam per regulam habet di-rigi vita humana quantum ad activam et contemplativam et tamquam per cardines» [HexD 1.3.8; cfr. anche Sermones dominicales, 25.12].

33 Cfr. BERUBÉ, cit.

Page 27: Ermeneutica Dei Testi e Del Lessico Di Bonaventura in Riferimento Alla Dimensione Politica

Ermeneutica dei testi e del lessico di Bonaventura da Bagnoregio...

333

li per la conoscenza medievale del neoplatonismo. Qui è citato alla lettera (con un testo quasi identico a quello criticamente edito) il commentario al Somnium Scipio-nis di Cicerone, in particolare 1.8.3-11, che dopo una introduzione cerca di riassu-mere la dottrina del trattato plotiniano sulle virtù attraverso il testo di Porfirio.34

In Porfirio però le quattro modalità delle virtù appartengono rispettivamente alle va-rie ipostasi plotiniane che seguono l’Uno: le virtù paradigmatiche o esemplari sono proprie dell’Intelligenza; quelle teoretiche o contemplative sono proprie dell’Anima universale; quelle catartiche o purificatrici e quelle politiche o civili sono proprie delle anime umane, rispettivamente nell’esercizio della vita contemplativa e attiva. Bonaventura, ignorando la complessità del sistema neoplatonico, pone le virtù esemplari in Dio, e le altre in tre gradi di sviluppo dell’anima umana.

Macrobio trattava le virtù politiche con più dovizia di particolari rispetto alle stesse virtù dei gradi superiori; distingueva così una prudenza politica (che fa volere e fare solo ciò che è retto), una temperanza e fortezza politica (non desiderare nulla di cui vergognarsi, ma temerlo e sopportare ogni cosa); una giustizia politica (dare a ciascuno il suo), da cui derivano non solo l’innocenza (non far male ad alcuno), ma anche l’amicizia, la concordia, la pietà, la religione, l’affetto, l’umanità [6.29].

Le quadruplici quattro virtù sono le cosiddette cardinali, di origine platonica ma fatte proprie dal libro deuterocanonico della Sapienza [8,7], come esplicitato da Bonaventura [Hex 5.8-10] 35: i loro gradi (ossia le fasi della loro acquisizione) sono quelle della vita di azione, di contemplazione, di visione, secondo una commistione tra impostazione platonica, aristotelica e monastica.

Possiamo riassumere in un ulteriore schema questo apporto «platonizzante», che si va ad aggiungere a quelli «aristotelizzanti» precedentemente mostrati.

Terzo schema: «plotiniano» (da Macrobio e dalla tradizione patristica)

Gradus virtutum

politicae - in actione cfr. Proverbia purgatoriae - in contemplatione cfr. Ecclesiasticus animi iam purgati - in lucis visione | emissione cfr. Cantica Canticorum

exemplares

L’uomo è considerato come «animal sociale» più che «rationale» (Tommaso

34 MACROBIO, In somnium scipionis, 1.8.5-11; in MACROBE, Commentaire au songe de Sci-

pion. Livre I, texte établi, traduit et commenté par Mireille ARMISEN-MARCHETTI, Paris 2001; cfr. in particolare pp. 50-54 (per il testo) e 157-159 per le importanti note complementari. Secondo la cura-trice, il commentario sarebbe stato scritto intorno al 420-430; Macrobio doveva conciliare la dottrina di Cicerone, che riteneva le virtù politiche beatificanti dopo la morte e quella di Plotino (in cui Ma-crobio si riconosceva), che le riteneva solo preliminari; la lunga citazione che Macrobio riferisce al trattato di PLOTINO sulle virtù [ossia Enneades, 1.2], fonte dottrinaria, dal punto di vista letterale è in realtà tratta da PORFIRIO [Sententiae ad intelligibilia, 32].

35 Cfr. Platone, Repubblica; mediato da Cicerone, Rhetorica, 2.54-55.

Page 28: Ermeneutica Dei Testi e Del Lessico Di Bonaventura in Riferimento Alla Dimensione Politica

Andrea Di Maio

334

nel De regimine principum era riuscito a fondere i due aspetti nella celebre defini-zione di «animal communicativum»): ma la sua societas si sviluppa da quella provvisoria terrena (civile o politica) a quella definitiva e celeste nelle tre fasi suc-cessive della vita attiva, della vita contemplativa e di quella che possiamo chiamare vita unitiva: e la societas si costruisce interiormente tramite le virtù cardinali, su cui girano tutte le altre: la prudenza insegna all’intelletto (o capacità di intendere) come intendere per sapere, la temperanza e la fortezza insegnano all’affetto (o ca-pacità di desiderare) come desiderare, la giustizia insegna all’effetto (o capacità di fare) come fare [cfr. Hex 6.10-24]. Di fronte allo scacco, tali virtù risulteranno in-sufficienti e bisognose di altre, ossia la fede, la speranza e la carità teologali, che insegnino cosa è rispettivamente necessario sapere, desiderare e fare [cfr. Hex 6.13-22].

L’idea che l’uomo è sociale in quanto fatto per la comunione e che la societas si debba costruire interioremente tramite le virtù è sì alla lontana un’idea platonica, ma qui è soprattutto un’idea cristiana: l’uomo, creato ad immagine di Dio, deve tendere alla somi-glianza con lui; ma è anche un’idea specificamente francescana: Francesco aveva intrapreso una ricostruzione della Chiesa tramite le virtù (a cui aveva dedicato alcune famose «laudi»); aveva addirittura definito Maria come la «Vergine fatta Chiesa»; da qui probabilmente, ol-tre che dallo Pseudo-Dionigi, Bonaventura aveva attinto la sua dottrina dell’uomo gerar-chizzato, ossia messo in comunione con Dio e con gli altri.36

In questa luce, la dimensione politica è svincolata dalle istituzioni civili, ma è la socialità interpersonale (e per così dire cosmopolitica) a monte di ogni istitu-zione e coincide con l’actio umana in quanto tale. Rispetto alla scienza politica (in-tesa come nona scienza filosofica), che è solo di alcuni e si riferisce ad oggetti (i mores, e in particolare le istituzioni), il grado politico delle virtù deve essere assi-milato da tutti gli uomini e si riferisce al loro stesso modo di essere.

Ma è interessante raffrontare la recensione Delorme. Qui la terza collatio della prima visione si apre con la considerazione che dopo aver trattato della «consideratio scientialis», adesso si tratta di passare alla «contemplatio sapientialis»: nel linguaggio bonaventuriano significa che si passa dalla conoscenza di oggetti (cose materiali), alla conoscenza del sog-getto e della Fonte (ossia di sé, ma anche degli altri, in particolare della società delle intelli-genze, e di Dio); a tutto questo si estende l’«intelligentia per naturam indita» [HexD 1.3.1-2]. Ci sono quattro gradi di tali virtù, o meglio (dato che uno dei quattri è quello fontale di Dio) «tres gradus» [HexD 1.3.24-25], per cui le virtù politiche devono progredire in purga-torie e dell’animo purgato: le prime aiutano a vivere nel mondo, le seconde separano dal mondo, le terze uniscono a quelle esemplari; altrove però Bonaventura usa ‘virtutes politi-cae’ per indicare le virtù cardinali in quanto tali.37 Bonaventura ci tiene a precisare: «et hoc

36 Ho trattato l’argomento nel contributo: San Bonaventura e la teologia francescana, in G.

OCCHIPINTI (Ed.), Storia della Teologia. 2. Da Pietro Abelardo a Roberto Bellarmino, Roma - Bolo-gna 1996, p. 59-104.

37 Cfr. Sermones dominicales, 44.5 (a commento dell’inno alla carità di 1Cor 13): «Apostolus discurrendo per omnes virtutes tam politicas quam theologicas concludit tum ratione remotionis tum ratione positionis quia caritas habet maioritatem».

Page 29: Ermeneutica Dei Testi e Del Lessico Di Bonaventura in Riferimento Alla Dimensione Politica

Ermeneutica dei testi e del lessico di Bonaventura da Bagnoregio...

335

totum adhuc est philosophiae, non fidei». Il che deve far riflettere quelli che pertinacemente insistono nel negare che in Bonaventura ci sia una filosofia.

Nella recensione Delorme, la citazione di Macrobio è appena accennata (una frase, anziché i molti paragrafi dell’altra recensione) e per di più citata a senso e significativamen-te modificata: ««Qui solum aestimant philosophis inesse virtutes, nonnisi philosophantes aestimant esse beatos»». Ne possiamo ipotizzare che Bonaventura avesse citato a senso e che l’altro recensore abbia successivamente copiato il testo di Macrobio? Comunque lo scambio tra philosophi e philosophantes potrebbe non essere casuale: ‘philosophantes’ nell’ultimo Bonaventura ha una connotazione negativa:38 indica quelli che vogliono tornare alla filosofia precristiana. Quindi se solo i filosofi hanno le virtù, solo i filosofanti, ossia gli aristotelici radicali, comunemente detti averroisti, saranno beati, come del resto essi stessi dicevano, nell’ampia letteratura parigina sulla beatitudine (ad esempio, Boezio di Dacia e Giacomo da Pistoia39).

Infine, la recensione Delorme presenta una variante: le virtù dell’animo purificato non consistono «in lucis visione», ma «in lucis emissione». È possibile che ci sia stato un errore di comprensione acustica; tuttavia l’ambivalenza pure è interessante: essa riflette molto bene la spiritualità minoritica bonaventuriana, che proprio nelle Collazioni in Hexa-emeron dirà che francescani e domenicani sono contemplativi di tipo speculativo: essi cioè non solo pregano ma speculano (e quindi riflettono) la luce; Francesco addirittura fu sursu-mattivo [Hex 22.21-22]. La vita unitiva è sia «visiva» che «comunicativa». In questo, le ra-gioni dell’ascetica e quelle della metafisica coincidono: il massimo dell’acquisizione coin-cide con la diffusione.

E poi la recensione Delorme abbina i tre gradi ai tre libri sapienziali di Salomone: Proverbi, Ecclesiaste, Cantico, senza nominare Origene, ma associandoli alla triplice vita animale, intellettuale e divina, ossia ad una tripartizione antropologica in parte platonizzan-te, in parte paolina [cfr. 1Ts 5,23].

38 Come già abbiamo notato altrove, per Bonaventura i ‘philosophi’ sono ‘veri’ quando sono

‘amatores sapientiae’; poiché la filosofia è una «via», se vogliono tornare indietro alla filosofia pre-cristiana o se vogliono «fermarsi» nelle scienze senza proseguire per la sapienza non sarebbero veri filosofi, ma ‘philosophantes’ [Itin 1.9; De Tribus Quaestionibus 12; HexD 1.15-16.], come gli artistae eterodossi, e probabilmente anche il confratello Ruggero Bacone, tanto dedito alle scienze sperimen-tali [cfr. Don 4.12; Hex 17.25; 19.12; Hex 1.9; per la polemica, cfr. BÉRUBÉ, cit.]. Il participio ‘philo-sophans’, inizialmente neutro, viene successivamente in Bonaventura connotato negativamente [cfr. P. MICHAUD-QUANTIN, Études sur le vocabulaire philosophique du moyen âge, Roma 1970], proba-bilmente per analogia con ‘iudazans’ (indicante il giudeo convertito al cristianesimo che però conti-nuava segretamente a praticare la legge mosaica). Ciò nonostante, per Bonaventura «ci sono, nella Chiesa, […] <diversi ordini di persone, fra cui> i maestri, ossia quanti insegnano o la filosofia, o il di-ritto, o la teologia, o qualcunque altra buona scienza, per mezzo di cui venga fatta progredire la Chie-sa»; gli stessi filosofi sono da lui accomunati agli angeli e ai profeti nella percezione del vero [cfr. Hex 22.9 e 1.13].

39 Cfr. F. BOTTIN, Introduzione a BOEZIO DI DACIA - GIACOMO DA PISTOIA, Il sommo bene, Fi-renze 1989, pp. 7-41; sulla reazione di Bonaventura, cfr. in particolare pp. 26-29.

Page 30: Ermeneutica Dei Testi e Del Lessico Di Bonaventura in Riferimento Alla Dimensione Politica

Andrea Di Maio

336

4. LA POLITICA IN PROSPETTIVA TEOLOGICA [Ermeneutica testuale e lessicale di brani di Hex 7, 16 e 1] 4.1 I limiti della filosofia e l’apertura a una teologia

In ogni caso, però, alla fine della sua riflessione [Hex 7.1-12] sulla «visione

dell’intelligenza inserita per natura», Bonaventura conclude che nella creazione «Dio ci fece vedere che la <sua> luce <intellettuale> era buona» attraverso la «considerazione scienziale» (secondo la triplice verità di cose, parole e azioni, e cioè nelle nove scienze), e attraverso la «contemplazione sapienziale» di tale luce nella propria anima, nelle Intelligenze, e nella sua Sorgente divina; ma mentre la considerazione scienziale, pur insidiata da molti errori, è sempre possibile all’uomo, invece la contemplazione sapienziale è de iure impossibile da raggiunge-re pienamente senza la fede: neanche i «filosofi nobili» possono infatti arrivare a conoscere da soli il reale stato dell’uomo (ossia la sua non corrispondenza al pro-getto originario di Dio).

«Illi autem praecipui philosophi posuerunt, sicut etiam illuminati, tamen sine fide, per defluxum in nostram cognitionem virtutes cardinales. Quae

[1] primo dicuntur politicae, in quantum docent conversationem in mundo; [2] secondo, purgatoriae quantum ad solitariam contemplationem; [3] tertio, purgati animi, ut animam quietari faciant in exemplari. Dixerunt ergo, per has virtutes animam [1a] modificari, [2a] purgari et [3a] reformari» [Hex 7.4].

Ma nonostante ciò furono nelle tenebre, perché non ebbero la grazia: si tro-varono alle prese con lo scacco di un dovere e di un desiderio impossibile (come l’Ulisse dantesco, che intraprese un volo che non era «empio», bensì «folle»: ma lui non poteva saperlo). Il deflusso delle virtù umane da quelle divine o esemplari avviene infatti non per infusione sovrannaturale, ma per naturale partecipazione.

La recensione Delorme dice che nella terza fase di sviluppo delle virtù l’anima si «deiforma» e non semplicemente si «riforma». Ma questo non basta, come Bonaventura spiega nel prosieguo del testo.

Nella predicazione universitaria tenuta da Bonaventura sempre a Parigi nel 1268, Bonaventura aveva, a proposito della «scientia», trattato un tema simile al nostro, ma evidenziandone l’esito nello scacco:

«Certum est etiam, quod secundum scientiam moralem non potest homo scire, quid utile, quid damnosum, nisi ex additione ultra scientiam moralem secundum quod scien-tia moralis est ritus colendi, norma vivendi et censura iudicandi. Quis potest scire ritum colendi per philosophiam naturalem? […]. Est impossibile, quin cadat in errorem, nisi sit adiutus lumine fidei. […]. Ultra scientiam philosophicam dedit nobis Deus scientiam theologicam, quae est veritatis credibilis notitia pia» [De septem donis 4.12].

Insomma, il «rito del culto», premessa del diagramma di flusso della politi-

Page 31: Ermeneutica Dei Testi e Del Lessico Di Bonaventura in Riferimento Alla Dimensione Politica

Ermeneutica dei testi e del lessico di Bonaventura da Bagnoregio...

337

ca, non è sufficiente naturalmente; di conseguenza la «censura iudicandi» civile si limita a giudicare gli altri ma non se stessi; è necessaria una riparazione interiore della «casa» e della città, analoga a quella intrapresa da Francesco; probabilmente a questo topos del francescanesimo Bonaventura ispira la sua dottrina della gerar-chizzazione interiore, che sarà oggetto della quarta visione delle collazioni sui sei giorni.

Per compiere il rito del culto ci vuole (e questo è un caposaldo della teologia bonaventuriana) l’atteggiamento della pietas, intesa paolinamente come accogli-mento del mistero dell’amore di Dio e come spirito di orazione che fa scoprire la figliolanza verso Dio,40 ma anche francescanamente come come filialità e fraternità [cfr. Legenda Maior 8.1 e 6 e 11]. Non stupisce quindi che Bonaventura di France-sco citi proprio il detto sulla vera generosità che è possibile solo al povero [Hex 5.5] (in palese contrasto con la tesi aristotelica per cui solo il ricco può essere mu-nifico); e l’esempio del libro del Nuovo Testamento che Francesco, perché tutti i frati potessero leggerlo, aveva diviso in fascicoli [De tribus quaestionibus, 8], e-xemplum di una soluzione solidaristica geniale.

Ma senza la pietas, sembra dire Bonaventura, anche il progetto politico ri-mane a metà: l’egualitarismo e la condivisione dei beni che erano nel progetto della natura istituita, in una realtà segnata dalla corruzione del peccato rimangono un i-deale che tutt’al più si può realizzare nella vita evangelica (come quella francesca-na), ma non si può tradurre a livello politico.41 Questo spiega la costante tensione tra utopia e realismo della teoria politica non solo bonaventuriana, ma anche dei pensatori francescani successivi.

4.2 Lo sviluppo della dimensione politica nella storia sacra

Un ultimo schema di collocazione della sfera politica lo possiamo ritrovare

solo grazie all’indagine lessicografica su tutte le occorrenze di ‘politicus’ nella concordanza elettronica bonaventuriana: ebbene, nella collatio sedicesima, dove meno ce l’aspetteremmo, ossia nella trattazione della terza visione (ossia la medita-zione della Scrittura): Bonaventura fa una divagazione sul settenario come simbolo del «decorso del tempo», quasi come algoritmo della storia.

Accanto a un triplice settenario che potremmo definire ontologico (quello archetipi-co in Dio, quello microcosmico e quello macrocosmico), Bonaventura introduce il settena-rio storico, in cui sette età si ripetono in ciascuno dei tre tratti della storia sacra che sono la genesi del mondo (i sette giorni della creazione), l’Antico Testamento (le sette età della sto-ria di Israele) e il Nuovo Testamento (le sette età della storia della Chiesa). Con un gusto

40 «Exerce temet ipsum ad pietatem. Nam corporalis exercitatio ad modicum utilis est pietas

autem ad omnia ualet promissionem habens uitae quae nunc est et futurae» [1Tm 4,8; citato in De septem donis 3.1 (De dono pietatis) et passim in 3; poi in 7.17 e LeMa 8.1].

41 Cfr. De perfectione evangelica, 1; 2.1; 4.1 e passim.

Page 32: Ermeneutica Dei Testi e Del Lessico Di Bonaventura in Riferimento Alla Dimensione Politica

Andrea Di Maio

338

delle corrispondenze che ci lascia oggi un po’ freddi, Bonaventura dice istituisce accosta-menti tra le tre storie. Fermiamoci a considerare lo sviluppo della Chiesa: età evangelica, età dei martiri, età della «norma cattolica» (post-costantiniana), età della legge di giustizia (ossia della «Respublica Christiana», corrispondente all’età veterotestamentaria della Leg-ge), età della cattedra sublime (ossia dell’affermazione del primato romano, corrispondente all’età veterotestamentaria dei Re), età della chiara dottrina (ossia, come si dirà, da papa Adriano I, che chiamò i Franchi, e corrispondente all’età veterotestamentaria dei Profeti), età della pace ultima [Hex 16.14-20].

Tutta la collatio risente indirettamente dell’influsso gioachimita degli spiri-tuali, ai quali il Generale Bonaventura tenta di offrire una alternativa istituzionale.42 Si annuncia una nuova era nella vita della Chiesa che corrisponda al giorno in cui fu creato l’uomo e all’età della profezia: int ale tempo deve venire un ordine reli-gioso profetico simile all’ordine di Gesù Cristo, il cui capo fosse l’angelo che sali-va da oriente col sigillo del Dio altissimo. E secondo il recensore Bonaventura a-vrebbe detto che era già venuto: chiaro riferimento a Francesco e all’ordine minori-tico [16.16]; inoltre si invoca la venuta di un principe pieno di zelo per la Chiesa: di lui invece non si sa se sia già sorto o se debba ancora sorgere [16.29].

Ma nel mettere in parallelo l’età della Legge mosaica e quella della legge cristiana, si dice che è una legge «canonica, politica, monastica» [Hex 16.15 e 16.28] e che la legge fu distinta secondo il rito del culto, la censura del giudicare e la forma del vivere, ovvero secondo norme morali, giudiziali e cerimoniali, ossia i canoni, le leggi del corpus giustinianeo (in cui le leggi dei pagani divennero leggi anche dei cristiani), e infine le regole monastiche a partire da Benedetto. Ritrovia-mo così il rito del culto, la censura del giudicare, la forma del vivere (la norma del presiedere è omessa perché sarà oggetto del tempo seguente: dei re per Israele e dei papi per la Chiesa; la censura del giudicare è anteposta alla forma del vivere proba-bilmente per far «tornare i conti» con la storia della Chiesa). A differenza che nella quinta collatio, in qui le funzioni politiche erano considerate in chiave filosofica, qui sono viste come momenti di sviluppo della storia sacra, che si concretizzano nei precetti morali, giudiziali e cerimoniali dell’Antico Testamento e nei canoni, nelle leggi politiche e nelle regole monastiche del Nuovo (ossia della storia della Chiesa), in base al seguente schema.

42 Cfr. J. RATZINGER, San Bonaventura. La teologia della Storia, Firenze 1991 (or. 1959), e

STANISLAO DA CAMPAGNOLA, L’angelo del sesto sigillo e l’«Alter Christus», Roma 1971.

Page 33: Ermeneutica Dei Testi e Del Lessico Di Bonaventura in Riferimento Alla Dimensione Politica

Ermeneutica dei testi e del lessico di Bonaventura da Bagnoregio...

339

Quarto schema: di tipo gioachimita [morale come interiorizzazione della politica]

Rito del culto: norme morali nell’Antico Testamento canoni nel «Nuovo Testamento» (comprendente la Storia della Chiesa) Censura del giudicare: norme giudiziali nell’AT leggi politiche nel «Nuovo Testamento» (comprendente la Storia della Chiesa) Forma del vivere: norme cerimoniali nell’«AT» regole religiose nel «Nuovo Testamento» (comprendente la Storia della Chiesa)

La corrispondenza tra gli elementi dello schema non è chiarissima; la recensione De-

lorme [cfr. 3.4.15] associa «moralia» e «canonica» (questi quanto al rito del culto, che quindi si conferma essere di natura morale), «iudicialia» e «politica» (questi quanto alla censura del giudicare) e «caerimonialia» e «monastica» (questi quanto alla forma del vive-re, anche se l’associazione è un po’ forzata).

C’è però un quid non detto: in base alla legge di sviluppo indicata nella col-latio, coerentemente con lo spirito gioachimita di cui almeno in parte risente Bona-ventura, la forma del vivere, ossia le regole religiose, ma in particolare la france-scana «vita secondo la forma del santo vangelo» diviene la forma più elevata di po-litica, in cui la sfera morale e spirituale interiore supera (e non precede, come per Aristotele) quella giuridica e istituzionale. Si tratta di un implicito riferimento alla valenza politica del messaggio francescano? Del resto così era stato nei decenni precedenti.43 4.3 Il compimento escatologico della politica come «arte del bello»

La ricapitolazione finale della politica, come di ogni altra scienza umana, in

Cristo è trattata da Bonaventura all’inizio delle Collationes sui sei giorni:

[1.34] Sextum medium est iustitiae iudiciali recompensatione perpulcrum seu prae-celsum. Quod medium erit Christus in iudicio. Hoc considerat iurista sive politicus, ut fiat retributio secundum merita. Hoc totum mundum pulcrificat, quia deforma facit pul-cra, pulcra pulcriora et pulcriora pulcherrima. Unde Augustinus dicit, quod damnati pul-cherrime locantur in inferno.44 […].

[36] Agant ergo iuristae de iudiciis pecuniarum, nos agamus de iudicio nostro. Unde

43 Si pensi al cosiddetto «tempo dell’Alleluia», nel 1233, e di altri movimenti analoghi, di cui

parla SALIMBENE DI ADAM nella sua Chronica (citata in Fonti francescane, Padova 19803, pp. 2134-39).

44 Gli editori di Quaracchi indicano come fonti in AGOSTINO, De vera religione, 41.77; De li-bero arbitrio, 3.9.26-27; De natura boni, 7-9.

Page 34: Ermeneutica Dei Testi e Del Lessico Di Bonaventura in Riferimento Alla Dimensione Politica

Andrea Di Maio

340

«ante iudicium para iustitiam tibi» [cfr. Eccli 18,19].

Abbiamo già accennato a più riprese a questo «giusto centro» o «medium iu-stitiae» [Hex 1.34] di pertinenza del «politico e giurista»: tale centro o medio è quello che fa sì che il giudizio sia imparziale (non a caso la giustizia umana è rap-presentata allegoricamente dalla bilancia a stadera, da tenere in equilibrio al «cen-tro»).

Ebbene, tale centro «abbellisce tutto il mondo» (in quanto «fa bello il brutto e più bello il bello»). Il legame tra giustizia giudiziaria e politica e bellezza era già dottrina platonica (si pensi alla chiusa del discorso di Diotima nel Simposio), ma qui si tratta di qualcosa di nuovo, come acutamente nella sua monumentale rico-struzione dell’estetica teologica aveva notato Balthasar,45 pur criticando l’assun-zione acritica, da parte di Bonaventura, della tesi agostiniana sulla bellezza della punizione dei dannati.

Come nell’architettura gotica la raffigurazione dei mostri come elementi de-corativi nelle cattedrali aveva la funzione di includere nella bellezza complessiva anche gli elementi di per sé deformi, così la giustizia non elimina o non impedisce del tutto le brutture delle ingiustizie, ma punendole le integra nell’armonia di in-sieme. Questo è il senso estetico-politico della giustizia, non solo intesa come «da-re a ciascuno il suo», ma come «giustezza», perfezione e «bellezza».

Insomma la bellezza è armonia, e per Bonaventura non vi è armonia maggio-re che una comunione interpersonale pienamente rettificata, che però non si potrà realizzare se non in Cristo, quando verrà a giudicare vivi e morti alla fine dei tem-pi. In questo troviamo un misto di ottimismo e pessimismo: da una parte, la giusti-zia umana non potrà mai rettificare del tutto le ingiustizie per realizzare una politi-ca «bella»; dall’altra, tale «pulcrificatio» avverrà alla fine per intervento divino, così che «di là», mediante l’ultimo medio, quello di concordia, ci sia francescana-mente la «pace» [Hex 1.37].

Nel frattempo, è possibile curare ciascuno il giudizio su di sé, mediante un comportamento «bello» e virtuoso e possibilmente anticipatore di quello finale.

5. CONCLUSIONI A conclusione di questa analisi testuale e lessicale, possiamo tirare alcune

conclusioni per riassumere la dottrina politica bonaventuriana. Innanzitutto, si deve dire che la politica per Bonaventura è una dimensione

fondamentale: è oggetto dell’ultima scienza filosofica e costituisce il primo grado delle virtù cardinali richieste dalla sapienza filosofica. La struttura della dimensio-

45 Cfr. H. URS VON BALTHASAR, Gloria. Una estetica teologica, vol. 2 (Stili ecclesiastici), Mi-

lano 1978 (or. 1961): il capitolo dedicato a Bonaventura commenta proprio questo passo.

Page 35: Ermeneutica Dei Testi e Del Lessico Di Bonaventura in Riferimento Alla Dimensione Politica

Ermeneutica dei testi e del lessico di Bonaventura da Bagnoregio...

341

ne politica risulta paradossale: da una parte occorre sforzarsi di fondare una città dell’uomo armoniosa e felice, ma questo è in ultima analisi impossibile per il difetto intrinseco alle virtù filosofiche (a cui manca la dimensione della gratuità del dono).

Nella visione politica di Bonaventura molto è dovuta alla eredità classica, genericamente aristotelica, ma soprattutto «platonica» (mediata da Macrobio), con qualche elemento di romanità ciceroniana; un po’ ha influito la conoscenza indiret-ta degli elementi più vistosi del diritto romano giustinianeo; ma questa eredità non basta, in quanto la prospettiva adottata da Bonaventura, che pure vuole essere pie-namente filosofica, è «nuova» rispetto al passato; in essa gioca molto l’innovazione cristiana, quanto alla formazione del concetto di sapienza e di pietas, ossia di fra-ternità universale in dipendenza al Primo Presidente e Padre di tutti; troviamo inol-tre una sintesi di agostinismo e francescanesimo nell’idea della comunità (anche civile) come bellezza; quanto poi alla peculiarità francescana, Bonaventura ne as-sume la «forma vivendi», ma anche alcuni elementi caratteristici, come il senso della solidarietà (esemplificata dall’episodio francescano del libro fatto a pezzi per-ché tutti possano leggerlo); c’è una assunzione parziale, come per l’eguali-tarismo e la povertà, che rimangono ideali; c’è però anche una certa rimozione della radica-lità francescana, ad esempio nel caso della pena di morte, ammessa senza alcun problema da Bonaventura.

Questa tensione tra ideale e reale, e una certa ambiguità di fondo, la ritrove-remo anche nel successivo pensiero politico francescano: si pensi alle contrapposte posizioni che assumeranno rispetto al Papa e all’Imperatore Matteo d’Acquasparta e Guglielmo di Ockham: segno, forse, che il messaggio di Francesco di Assisi su-pera di gran lunga i tentativi di riformulazione da parte dei filosofi e teologi france-scani...