Endecasillabo

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EndecasillaboDa Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Secondo la metrica italiana, l'endecasillabo è il verso nel quale l'accento principale si trova sulla decima sillaba metrica.

Tra i versi della poesia italiana, è quello in cui le sedi degli accenti sono più varie. Tuttavia di norma gli endecasillabi presentano

un accento fisso o sulla quarta o sulla sesta sede (qui evidenziate in arancione e in giallo). Per questa sua duttilità l'endecasillabo

è stato a lungo il verso prediletto dei poeti italiani, nonché il più utilizzato. È il metro principale della poesia italiana e si trova in

tutte le formazioni più importanti, come la ballata, la canzone, il sonetto, l'ottava.

Le origini

Non è escluso, come già ipotizzava Pietro Bembo, che all'origine dell'endecasillabo ci siano influenze provenzali e, come trova il

critico Francesco D'Ovidio[1] esistono «affinità con il décasyllabe, una derivazione dall'endecasillabo saffico attraverso la poesia

mediolatina con la mediazione del trimetro giambico».

Endecasillabi comuni (piani, tronchi e sdruccioli)

Contrariamente a quanto si potrebbe dedurre dal nome, è bene chiarire subito che la nota distintiva dell'endecasillabo non è il

numero effettivo di sillabe, bensì il fatto che in tutti i casi l'accento dell'ultima parola del verso cada sempre sulla decima sillaba

(da qui in poi segnata in verde).

È errore comune dunque pensare che tutti gli endecasillabi debbano avere sempre e comunque undici sillabe. Ciò, se pure nella

maggior parte dei casi è vero, non costituisce una regola. L'avere undici sillabe non è altro che la diretta conseguenza del fatto

che la lingua italiana sia formata prevalentemente da parole piane, cioè che hanno l'accento sulla penultima sillaba.

Per chiarire il concetto ecco alcuni esempi:

Come già detto, nella sua più comune uscita piana esso è costituito da undici sillabe metriche:

« Mi ritrovai per una selva oscura »

Sill 1 Sill 2 Sill 3 Sill 4 Sill 5 Sill 6 Sill 7 Sill 8 Sill 9 Sill 10 Sill 11 (Sill 12)

mi ri tro vai per u na sel va os cu ra .

Nella sua uscita tronca sarà però formato da dieci sillabe metriche:

« Ciò che 'n grembo a Benaco star non può »

(Dante, Inferno, XX 74)

Sill 1 Sill 2 Sill 3 Sill 4 Sill 5 Sill 6 Sill 7 Sill 8 Sill 9 Sill 10 Sill 11 (Sill 12)

Ciò che'n grem bo a Be na co star non può . .

In quella sdrucciola invece da dodici sillabe metriche.

« Ergasto mio, perché solingo e tacito »

(Sannazaro, Arcadia: 1)

Sill 1 Sill 2 Sill 3 Sill 4 Sill 5 Sill 6 Sill 7 Sill 8 Sill 9 Sill 10 Sill 11 (Sill 12)

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Er gas to mio per ché so lin go e ta ci to

Come appare chiaro da questi esempi, pur mutando il numero complessivo di sillabe e la posizione degli accenti interni al verso,

l'accento sulla decima sede rimane fisso in ogni caso.

Endecasillabi "estremi"

Lungo tutta la storia della letteratura italiana i casi di endecasillabi maggiori di dodici sillabe sono assai rari e costituiti in

prevalenza da parole a cui sono state aggiunte una o più particelle àtone come ad esempio i pronomi clitici (mi, ci, ne, si, lo). Data

la loro artificiosità, la produzione di tali versi si limita in genere allo sperimentalismo della poesia burlesco/parodistica.

la forma bisdrucciola sarebbe composta da tredici sillabe.

Un endecasillabo bisdrucciolo suonerebbe così:

« Se cadrò combattendo amico, vendicami! »

Sill 1 Sill 2 Sill 3 Sill 4 Sill 5 Sill 6 Sill 7 Sill 8 Sill 9 Sill 10 Sill 11 (Sill 12) (Sill 13)

se ca dro com bat te ndo a mi co ven di ca mi

Un verso in cui l'accento cada sulla sestultima sillaba risulterà averne quindici.

« Ottima è l'acqua; ma le piante abbeverinosene »

(Villani)

Sill 1 Sill 2 Sill 3 Sill 4 Sill 5 Sill 6 Sill 7 Sill 8 Sill 9 Sill 10 Sill 11 (Sill 12) (Sill 13) (Sill 14) (Sill 15)

ot ti ma è l'ac qua ma le pian te ab be ve ri no se ne

Nel caso limite in cui l'accento cada sulla settultima ne avrà sedici.

« Sotto la penna, ovvero stalagmitificanomisi. »

(Boito)

Sill 1 Sill 2 Sill 3 Sill 4 Sill 5 Sill 6 Sill 7 Sill 8 Sill 9 Sill 10 Sill 11 (Sill 12) (Sill 13) (Sill 14) (Sill 15) (Sill 16)

sot to la pen na ov ve ro sta lag mi ti fi ca no mi si

Ecco a titolo esemplificativo l' intera celebre quartina da cui è stato tratto l'esempio precedente, formata esclusivamente

da endecasillabi con più di quindici sillabe:

« Sì crudo è il gelo che le rime sdrucciolanosene

Tremando, e in fondo al verso rincantucciolanosene;

Le gocciole d'inchiostro stalattitificanomisi

Sotto la penna, ovvero stalagmitificanomisi. »(Boito)

Il caso dell'endecasillabo con accento sulla settultima (di sedici sillabe) è comunemente considerato il caso limite.

Endecasillabi "a maiore" e "a minore"

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Per motivi legati alla sua genesi (l' endecasillabo nasce infatti dalla fusione di un Quinario e di un Settenario) e formalizzati già

da Pietro Bembo, l'endecasillabo "canonico" prevede un accento secondario sulla quarta o sulla sesta sede; nel primo caso

l'endecasillabo si definisce a minore (ed il primo emistichio equivale ad un quinario), nel secondo caso si definisce a maiore (ed il

primo emistichio equivale ad unsettenario).

La definizione degli accenti di un verso è spesso un concetto soggettivo; un verso può anche avere più accentazioni diverse a

seconda della lettura che si vuol dare; di regola si tende a considerare atone le particelle più piccole come

i pronomi, preposizioni, articoli e congiunzioni, quando non siano in posizione evidentemente marcata.

Pietro Bembo, uno dei primi teorici della metrica italiana in un ritratto di Tiziano.

L'endecasillabo a maiore è generalmente considerato più solenne:

« Nel mezzo del cammin di nostra vita »

( Dante - inferno I - v 1 )

Sill 1 Sill 2 Sill 3 Sill 4 Sill 5 Sill 6 Sill 7 Sill 8 Sill 9 Sill 10 Sill 11 (Sill 12)

Nel mez zo del cam min di nos tra vi ta

Mentre l'endecasillabo a minore è più calmo pacato ed intimista:

« Mi ritrovai per una selva oscura »

( Dante - Inferno I - v 2 )

Sill 1 Sill 2 Sill 3 Sill 4 Sill 5 Sill 6 Sill 7 Sill 8 Sill 9 Sill 10 Sill 11 (Sill 12)

mi ri tro vai per u na sel va os[2] cu ra

Questa versatilità rende l'endecasillabo uno dei versi principe della metrica italiana.

Tipi di endecasillabi "a maiore"

Nell’endecasillabo "a maiore" generalmente è tonica almeno una sillaba prima della sesta, (tipicamente la 1a, la 2a o la 3a).

Molto più raro il caso in cui non ci siano accenti rilevanti prima della sesta sillaba come in questo caso:

« de la trasfigurata mia persona . »

(Petrarca, Canzoniere, XXIII, 42)

Più raro ancora il caso in cui da un accento sulla prima si va subito all'accento sulla sesta:

« Sgombrimisi del petto ogni altra voglia.  »

(Bembo, "Perché ‘l piacer", Asolani, 3 VIII, 4)

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Tipi di endecasillabi "a minore"

L'endecasillabo a minore ha principalmente due tipi di accentazione rilevanti:

L'endecasillabo con accento sull'ottava, più comune:

« Non perciò d'ira al flagellar rovente  »

(Alfieri, Due fere donne, anzi due furie atroci)

Schema: 4a-8a-10a

« che 'l gran sepolcro liberò di Cristo »

(Tasso, Gerusalemme Liberata, I, 2)

Schema: 4a-8a-10a

L'endecasillabo a minore "di settima" risulta essere più raro rispetto agli altri versi "a minore", poiché il suo ritmo in

passato era considerato poco "sonoro" e perciò adatto, secondo i poeti petrarchisti, a riprodurre la prosodia del parlato:

« ch’io mi sia tardi al soccorso levata, »

( Dante, Inferno, II , 65)

Schema:4a-7a-10a

«  l’aiuta sì ch’i’ ne sia consolata. »

(Dante, Inferno, II, 69)

Schema:4a-7a-10a

Accenti e ritmo

Giambico, dattilico e anapestico

Come in una composizione musicale, il ritmo è una delle componenti fondamentali da cui deriva l'armonia musicale che

caratterizza il verso. Data la ricchezza ritmica non esiste una classificazione universalmente riconosciuta che riesca a

categorizzare tutti i tipi di ritmi che si possono dare ad un endecasillabo. Tuttavia, prendendo a prestito una terminologia

proveniente dalla metrica classica, è possibile evidenziare alcuni tipi di versi a seconda del loro attacco

definendoli giambici, dattilici e anapestici.

Si definiscono dal ritmo

Giambico quegli endecasillabi con accento sulla 2a, 4a e 6a sede:

« Al cor gentil rempaira sempre amore »

(Guido Guinizzelli, Al cor gentil rempaira sempre amore)

Sill 1 Sill 2 Sill 3 Sill 4 Sill 5 Sill 6 Sill 7 Sill 8 Sill 9 Sill 10 Sill 11 (Sill 12)

al cor gen til rem pai ra sem pre_a mo re

Un endecasillabo così costruito ha entrambe le sedi principali toniche (4a e 6a sillaba), anche per questo motivo è il ritmo più

semplice e più comune nella poesia italiana. L'andamento giambico (àtona-tònica-àtona-tònica...) fornisce al verso un ritmo

cantilenante e monotono. Questo ritmo era particolarmente adatto a componimenti che dovevano essere accompagnati da

musica.

Tra i versi a minore si riconoscono quelli dal ritmo:

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Dattilico con accento sulla 1a 4a 7a 10a o più raramente 1a 4a 7a 9a 10a  :

« fatta di gioco in figura d'amore »

(Guido Cavalcanti, Rime, XXX, v. 21)

Sill 1 Sill 2 Sill 3 Sill 4 Sill 5 Sill 6 Sill 7 Sill 8 Sill 9 Sill 10 Sill 11 (Sill 12)

fat ta di gio co_in fi gu ra d'a mo re

I poeti delle origini utilizzavano questo ritmo lento e discendente (tònica-àtona-àtona-tònica...)per dare al lettore una senzazione di

solennità, o per riprodurre la prosdia del parlato.

Tra i versi a maiore è possibile identificare quelli dal ritmo:

Anapestico: Con accento sulla 3a 6a 10a:

« Se Mercé fosse amica a' miei disiri »

(Guido Cavalcanti, Rime, XV)

Sill 1 Sill 2 Sill 3 Sill 4 Sill 5 Sill 6 Sill 7 Sill 8 Sill 9 Sill 10 Sill 11 (Sill 12)

se mer cé fos se_a mi ca_ai miei de si ri

Il ritmo anapestico (àtona-àtona-tònica...) è ascendente e da un senso di maggiore "scorrevolezza" e velocità al verso.

L'uso del ritmo e la poesia

Volendo trovare una regola generale potremmo dire che il ritmo del verso si fa più incalzante quanto più sono numerosi e

ravvicinati e gli accenti tra loro; lo sfruttare abilmente gli accenti di un verso è parte fondamentale della sensibilità artistica di un

autore. Ecco alcuni esempi che mostrano quanto il ritmo sia importante per dare "colore" al componimento poetico:

In questo esempio i primi accenti a disposizione dattilica, e l'accostamento di due versi con accentazione simile contribuiscono a

dare un andamento da ninna-nanna e una sensazione di pace:

Lenta la neve fiocca, fiocca, fiocca. (schema:1,4,6,8,10)

Senti: una zana dondola pian piano. (Schema: 1,4,6,10)

(G. Pascoli, Orfano)

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Vittorio Alfieri, tragediografo italiano. È con la tragedia in "Sciolti" che il ritmo assume grande valore per dare "colore" ai versi.

In quest'altro esempio invece gli accenti sono disposti per riprodurre un ritmo calmo e meditativo.

Vaghe stelle dell’Orsa, io non credea (Schema:1-3-6-10)

tornare ancor per uso a contemplarvi (schema:2-4-6-10)

(G. Leopardi, Le ricordanze)

Oppure possono dare un ritmo solenne alla composizione:

O che tra faggi e abeti erma su i campi (schema: 4-6-10)

smeraldini la fredda orma si stampi (schema: 3-6-10)

(G. Carducci, Il comune rustico)

La cesura

Il punto che separa i due emistichi si definisce cesura (dal latino caedo = taglio). Se la cesura è particolarmente forte spezza il

verso in due parti, ma mai una parola a metà.

Tutti gli endecasillabi hanno una cesura, che può venire o meno sottolineata durante la declamazione del verso. Esistono vari tipi

di cesura:

Si ha una "cesura maschile" quando cade dopo un verso tronco:

« Le donne i cavalier, l'arme gli amori »

( Ariosto - Orlando Furioso - I - 1,1)

Sill 1 Sill 2 Sill 3 Sill 4 Sill 5 Sill 6 . Sill 7 Sill 8 Sill 9 Sill 10 Sill 11 (Sill 12)

Le don ne i ca va lier . l'ar me gli a mo ri

Secondo la metrica canonica infatti (ma non è una regola ferrea), l'incontro di due accenti consecutivi (cavalièr àrme) è infatti

possibile soltanto nel punto in cui il verso presenta una cesura, poiché l' incontro di due accenti rende obbligatoria una breve

pausa per una corretta lettura.

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Ecco un altro caso di cesura dopo una parola che abbia subito un troncamento (mar da mare):

(Da notare inoltre come in questo e nel caso successivo, la cesura metrica sia funzionale a marcare una pausa di tipo sintattico.')

« Molti i figli del mar. Tu sempre tremi, »

( Cesarotti - Poesie d'Ossian - I - 11)

Sill 1 Sill 2 Sill 3 Sill 4 Sill 5 Sill 6 . Sill 7 Sill 8 Sill 9 Sill 10 Sill 11 (Sill 12)

Mol ti i fi gli del mar . tu sem pre tre mi

Oppure può cadere dopo una parola che sia già tronca (come ad esempio un passato remoto, un futuro)

« Disfrondato lasciò: nascente luna  »

( Cesarotti - Poesie d'Ossian - I - 21)

Sill 1 Sill 2 Sill 3 Sill 4 Sill 5 Sill 6 . Sill 7 Sill 8 Sill 9 Sill 10 Sill 11 (Sill 12)

Dis fron da to la sciò . na scen te lu na

La "cesura femminile" o "italiana" si verifica nel caso in cui l'accento cada su una parola piana. Dato che la

cesura non tronca mai una parola, viene spostata alla fine della parola stessa:

« fu stabilita per lo loco santo »

( Dante - inf II - v. 22 )

Sill 1 Sill 2 Sill 3 Sill 4 Sill 5 - Sill 6 Sill 7 Sill 8 Sill 9 Sill 10 Sill 11 (Sill 12)

fu sta bi li ta - per lo lo co san to

La "cesura lirica" si ha quando la terza sillaba è tonica e la quarta atona:

« che nel lago del cor m'era durata »

( Dante - Inferno)

Sill 1 Sill 2 Sill 3 Sill 4 . Sill 5 Sill 6 Sill 7 Sill 8 Sill 9 Sill 10 Sill 11 (Sill 12)

che nel la go . del cor m'e ra du ra ta

Tuttavia in italiano la cesura non è una regola matematica. È però buona norma sottolineare tale pausa metrica quando è in

corrispondenza delle pause sintattiche (identificate dai segni di interpunzione), e quando è utilizzata volutamente ad hoc per

creare un qualche tipo di effetto metrico.

Endecasillabi non comuni

Esistono una serie di endecasillabi "insoliti" che sono considerati canonici pur essendone al limite.

Endecasillabo epico

La cesura epica

Un tipo di cesura molto particolare è la cesura epica reintrodotta da Giovanni Pascoli per i suoi endecasillabi epici nell'800 sul

calco del decasillabo francese.

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Giovanni Pascoli reintrodusse la cesura epica per la sua traduzione della Chanson de Roland.

Tale verso, benché rientri in questa categoria, non è propriamente un endecasillabo. La sua forte cesura non permette in nessun

caso la sinalefe, ed è caratterizzato da una forte pausa tra il primo e secondo emistichio.

Contrariamente a quanto succede nell'endecasillabo canonico, le ultime sillabe atone del primo emistichio non si contano nel

computo del secondo indipendentemente se sia tronco, piano o addirittura sdrucciolo.

Esempio:

« ché pur a retro sempre il guida il suo remo  »

(Monte Andrea, VI, 96)

Sill 1 Sill 2 Sill 3 Sill 4 ... ... . Sill 5 Sill 6 Sill 7 Sill 8 Sill 9 Sill 10 Sill 11 (Sill 12)

ché pur a re tro . sem preil gui dail suo re mo

Di fatto perciò l'endecasillabo epico equivale alla semplice giustapposizione di un quinario e un settenario.

Endecasillabo crescente

Un ultimo tipo di endecasillabo a metà tra il canonico e il non canonico è quello detto "crescente". Questo tipo di metrica, già

presente in epoca precedente, è stata resa famosa da Pascoli che ne fa uso in diversi casi e non solo usando

l'endecasillabo. Grazie a questo espediente il verso riesce in qualche modo a rientrare nella categoria dei "canonici" pur

essendone al limite, come si può vedere in questo caso:

« E non vedeva che a sé stesso il fiato

cerulo, ognuno, e s'ascoltava il gemito

arido, nel silenzio inabitato.

A pini e cerri i pionieri estremi

davan la scure per la lor capanna

e i nuovi aratri, e per la nave e i remi. »(Pascoli, Gli emigranti della luna, III, 10-13)

Nonostante il secondo verso sdrucciolo dell'esempio (gemito) sembri apparentemente una rima ipermetra, in fase di lettura

diviene una rima perfetta con gli altri due (estremi e Remi) perché l'ultima sillaba "-to" di “gemito” è assorbito per episinalefe dalla

a- di “arido” nel verso dopo.

Un altro caso è quello in cui la sillaba atona del verso precedente va a colmare la sillaba mancante nel verso ipometro seguente:

questa tecnica è stata ripresa dai crepuscolari.

Endecasillabi non canonici

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Esistono poi una serie di endecasillabi considerati "errati" dai teorici. Non sono ammessi nella poesia classica tutti quei tipi di versi

dove non è possibile riconoscere i due emistichi principali del quinario e del settenario; che abbiano cioè sia la quarta che la sesta

sede atone. Gli endecasillabi di Dante sono quasi tutti canonici. Quelli di Petrarca e dei petrarchisti lo sono tutti. Endecasillabi non

canonici si possono trovare nei primi esperimenti di poesia italiana (più di un caso nella Divina Commedia) e in alcuni poeti

successivi volutamente "stravaganti" (Pietro Aretino ad esempio), ma ne viene generalmente deprecato l'uso.

Un esempio di endecasillabo con la quarta e la sesta atone, accentato sulla seconda e sull'ottava:

« la vipera che Melanesi accampa, »

(Dante - Purgatorio VIII - 80)

Sill 1 Sill 2 Sill 3 Sill 4 Sill 5 Sill 6 Sill 7 Sill 8 Sill 9 Sill 10 Sill 11 (Sill 12)

la vi pe ra che Me la ne si ac cam pa

Endecasillabi di quinta

Tra gli endecasillabi non canonici, i più comuni sono i cosiddetti "endecasillabi di quinta", che presentano appunto la quinta sillaba

tonica e sia la quarta che la sesta atone.

Ecco un esempio di endecasillabo di quinta in Dante

« vestito di novo d'un drappo nero »

(Dante - Rime 25 - 9)

Sill 1 Sill 2 Sill 3 Sill 4 Sill 5 Sill 6 Sill 7 Sill 8 Sill 9 Sill 10 Sill 11 (Sill 12)

ve sti to di no vo d'un drap po ne ro

Endecasillabo rolliano

Nel Settecento Paolo Rolli tentò di traspondere l'endecasillabo falecio dalla metrica classica.

Ne uscì un quinario doppio, con uscita sdrucciola nel primo emistichio, e piana nel secondo:

« E ella, veggendolo cotanto saggio. »

(Anonimo - Il Bel Gherardino - Cantare II - v. 157)

Questo tipo di endecasillabo non è considerato canonico, benché abbia l'accento sulla quarta sillaba, ed è detto endecasillabo

rolliano.

Forme poetiche in versi endecasillabi

La maggior parte della poesia classica italiana è formata da endecasillabi.

In genere i versi sono riuniti in gruppi (strofe) di un numero pari di versi variamente rimati. L'unica strofa italiana dispari è

la Terzina (schema: ABA); per questo motivo in genere ne vengono accoppiate due, come nelsonetto, o si ricorre all'uso di un

verso isolato o "rilevato" per porre fine alla concatenazione di rime che altrimenti sarebbe infinita, come nel caso della Commedia

dantesca. Oltre alla Terzina sono degni di menzione:

Il distico formato da due versi a rima baciata (AA)

La quartina formato da quattro versi variamente rimati (AABB, ABAB, ABBA)

La sestina formato da sei versi variamente rimati (comunemente: ABABAB, ABABCC)

L'ottava formato da otto versi variamente rimati (comunemente ABABABAB detta "ottava a siciliana"

oppure ABABABCC detta "ottava toscana")

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Sporadici sono i casi di strofe diverse da quelle qui elencate: in alcuni casi è possibile trovare anche stanze con un numero dispari

di versi, tuttavia queste forme sono molto rare nella poesia italiana.

Metrica classica

Nella metrica classica esistono alcune varietà di endecasillabo:

Alcaico

Saffico

Falecio o Catulliano