Emilio Sergio - Aracne editrice - · I princìpi matematici della filosofia naturale p. 345 7.4.1....

428

Transcript of Emilio Sergio - Aracne editrice - · I princìpi matematici della filosofia naturale p. 345 7.4.1....

A11154

VOLUME PUBBL ICATO CON IL CONTR IBUTO

DELLUN IVERS IT DELLA CALABR IA(FONDI D I ATENEO 2006)

Verit matematichee forme della naturada Galileo a Newton

Emilio Sergio

Copyright MMVIARACNE editrice S.r.l.

[email protected]

via Raffaele Garofalo, 133 a/b00173 Roma

(06) 93781065

ISBN 8854806269

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,di riproduzione e di adattamento anche parziale,

con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.

Non sono assolutamente consentite le fotocopiesenza il permesso scritto dellEditore.

I edizione: maggio 2006I ristampa: luglio 2006

Indice

Premessa p. 7 Gli antefatti: la questione della certezza delle matematiche (Quaestio de cer-titudine mathematicarum) e la mathesis universalis nel XVI secolo p. 11

0.1. Alessandro Piccolomini (15081578) p. 14 0.2. Francesco Barozzi (15371604) p. 24 0.3. Pietro Ramo (15151572) p. 30 0.4. Giacomo Zabarella (15331589) p. 34 0.5. Benito Pereyra (15351610) p. 36 0.6. Adriaan van Roomen (15611615) p. 41 0.7. Giuseppe Biancani (15661624) p. 43 Appendice p. 50

La Quaestio de certitudine mathematicarum e la formazione della filosofia naturale nel XVII secolo p. 51 Cap. 1. Galileo Galilei (15641642) p. 53

1.1. Introduzione p. 53 1.2. La ricezione galileiana della Quaestio de certitudine mathematicarum p. 60 1.3. La legge di caduta dei corpi p. 78 1.4. Galileo, Euclide e la nuova fisica p. 91

Cap. 2. Tommaso Campanella (15681639) p. 97

2.1. Le origini della riforma delle scienze: Philosophia sensibus demon-strata (1591) p. 97 2.2. Il pansensismo come fondamento della filosofia naturale: il De sensu rerum et magia (1620) e la Metaphysica (1638) p. 103 2.3. La ricezione campanelliana della Quaestio de certitudine mathemati-carum: la Metaphysica p. 113 2.4. Alcune differenze con Hobbes e Galileo p. 135

Cap. 3. Francis Bacon (15611626) p. 141

3.1. Storia di un divorzio annunciato: la critica baconiana delle matematiche p. 141 3.2. Bacon e la riorganizzazione delle artes liberales p. 142 3.3. Bacon e la via experimenti: un matrimonio celebrato nella mente p. 150 3.4. La costruzione delloggetto scientifico p. 159 3.5. Alcune differenze con Campanella p. 164

Cap. 4. Ren Descartes (15921650) p. 167 4.1. Presentazione del problema e ipotesi di lavoro p. 167 4.2. Descartes e la mathesis universalis: Genesi del problema p. 170

5

6

4.3. Le Regulae ad directionem ingenii (1629) p. 178 4.4. Compassi, proporzioni e simboli: dalla scienza al metodo p. 187 4.5. Il ruolo dellordine p. 191

4.6. Verit eterne, quantit e materia: le Meditationes de prima philosophia (1641) p. 199

Cap. 5. Thomas Hobbes (15881679) p. 207

5.1. Introduzione p. 207 5.2. Hobbes e la naturalizzazione della geometria p. 211 5.3. Il problema del continuo p. 229 5.4. La logica come calcolo. Perceptio sive computatio e ragione geometrica p. 242

5.5. Percezione, calcolo, discorso p. 252 Cap. 6. Robert Boyle (16271691) p. 255

6.1. Introduzione p. 255 6.2. Wilkins, la Royal Society e la nascita dellEnglish scientific prosestyle p. 256 6.3. Il ragionamento matematico nella filosofia naturale p. 266 6.4. The Usefulness of experimental natural philosophy. The Second Tome (1671) p. 277 6.5. La via chimica p. 294 Appendice. La legge di Boyle p. 298

Cap. 7. Isaac Newton (16421727) p. 299 7.1. Introduzione p. 299 7.2. Newton e la tradizione: la lezione dei moderni p. 301 7.2.1. Isaac Barrow p. 305 7.2.2. Ren Descartes p. 309 7.2.3. Frans van Schooten p. 315 7.2.4. John Wallis p. 319 7.3. La geometria classica e la nuova mathesis p. 323 7.3.1. Gli scritti del 167880 p. 323 7.3.2. N Barrow, n Wallis p. 337

7.4. I princpi matematici della filosofia naturale p. 345 7.4.1. La matematizzazione della realt naturale p. 356 7.4.2. Newton e il libro della natura p. 371 Abbreviazioni p. 387 Bibliografia p. 389 Indice dei nomi p. 417

Premessa Il riconoscimento alla matematica di una peculiare certezza anti-

co, eppure la scienza moderna nasce attorno ad una rinnovata discus-sione sulla natura e il ruolo del ragionamento quantitativo nellinda-gine della natura. La definizione dello status epistemologico delle di-scipline matematiche nellenciclopedia delle scienze una delle gran-di questioni di cui si sono occupati filosofi e scienziati del Cinque-cento e del Seicento in Europa. Lungi dal costituire il tema specifico di una ristretta cerchia di intellettuali e studiosi, il problema della cer-tezza delle matematiche coinvolge gran parte dei dibattiti dellepoca, attraversando saperi come la metafisica e la teologia. Il presente studio intende osservare levoluzione moderna della scienza lungo larco del XVII secolo seguendo il filo conduttore della Quaestio de certitudine mathematicarum e della ricerca di una mathesis universalis, due temi che germinano nella riflessione filosofica e matematica del Cinque-cento. I casi considerati nei due secoli in questione non esauriscono una ricognizione sullargomento, ma vogliono aprire un orizzonte di ricerca e seguire alcuni percorsi specifici.

Nel XVI secolo, il principale terreno di discussione costituito dal-la reinterpretazione di ci che Platone e Aristotele avevano detto sui rapporti tra logica, matematica e ontologia, tra le matematiche pure (aritmetica e geometria) e le loro applicazioni (astronomia, musica, ottica, meccanica). Il dibattito scientifico si arrichisce al contempo di nuove interpretazioni e traduzioni della matematica degli antichi (Eu-clide, Archimede, Pappo, Proclo, Apollonio), che permettono di porre in maniera pi rigorosa il confronto critico delle nuove generazioni di filosofi (recentiores) con i testimoni del sapere antico (veteres). Que-sta situazione si riverbera inevitabilmente nel XVII secolo, in cui il problema del rapporto fra la scienza degli antichi e quella dei moderni non mai trascurato, soprattutto in quei casi in cui le discontinuit rispetto al passato sembrano pi forti ed evidenti.

In alcuni casi (Descartes il pi esemplare di tutti) il rapporto con la tradizione sintreccia con fattori di novit tali che il tentativo di riu-nire le diverse branche della scienza attraverso lidea di una mathesis

7

8

universalis finisce col configurare pi di unaccezione della mathesis. Questo accade perch i problemi posti dalla tradizione (la certezza delle matematiche, il senso della dimostrazione, luniversalit dei me-todi), pur continuando a costituire un tema centrale nella fondazione dellenciclopedia delle scienze, cominciano a subire una trasformazio-ne sul piano linguistico e metodologico. Il risultato pi evidente di tale evoluzione consiste nellemancipazione della geometria dal paradigma aristotelico, e nella configurazione di un nuovo rapporto fra matema-tica e filosofia naturale, in cui la matematica, per rivendicare il proprio status di scienza, non deve pi fare i conti con il ruolo di scienza me-dia della tripartizione aristotelica (fisicamatematicametafisica) del-le scienze dellente; mentre la fisica, per imporsi come scienza, non ha pi bisogno di presentarsi come una conoscenza delle cause reali o ne-cessarie di una certa classe di fenomeni, ma sar sufficiente presentare le sue scoperte sotto forma di ipotesi. Nel caso di Newton, alla fisica baster derivare le sue leggi dalle osservazioni, dai calcoli e dagli esperimenti sotto forma di regolarit matematiche generalizzate dal-linduzione. Poco importa, ai fini della certezza matematica delle leg-gi della meccanica razionale, che lo scienziato non disponga di un sa-pere intorno alla causa di quelle leggi.

In questo percorso di ricerca, lidea di esaminare autori anche me-no coinvolti nella Quaestio de certitudine mathematicarum o nella ri-cerca di una mathesis universalis (come Bacon e Boyle) risponde al duplice scopo di ricostruire il quadro della filosofia della scienza del Seicento tenendo conto della variet delle posizioni emergenti. Nella loro eterogeneit, i principali destinatari moderni delle questioni aper-te nel XVI secolo restano un riferimento indispensabile per la com-prensione delle complessit culturali che presiedono alla costruzione dellidea moderna di scienza, che continua ad arricchirsi di nuovi si-gnificati, grazie allintrecciarsi fecondo della filosofia e delle scienze nella storia delle idee.

Galileo apre il nuovo secolo con i suoi studi sul moto, dando alla fisica moderna quello spessore geometrico che le permetter di fare i successivi progressi, celebrando la superiore dignit delle matemati-che con la nota metafora del libro della natura, scritto in caratteri ma-tematici. Campanella e Bacon emergono nel primo quarto del secolo con due diverse concezioni della natura, ma nella comune esigenza di conquistare un sapere meno astratto, pi libero da schemi apriorici e quantitativi, e pi vicino alla natura delle cose. Descartes irrompe in

9

questa scena come il grande innovatore nel campo delle matematiche, della fisica e dellontologia, contribuendo ad alimentare il dibattito sulla mathesis universalis attraverso la ricerca di quei semi naturali del metodo che presiedono al costituirsi del valore di verit di ogni scienza. Hobbes condivide la fiducia galileiana nel potere descrittivo delle matematiche, eleggendo la geometria a modello di scientificit, perch le cause sono create dalluomo e non da Dio. Boyle appartiene ad una nuova generazione di filosofi e scienziati: concede uno spazio notevole alla ricerca sperimentale, dalla meccanica alla chimica, rico-noscendo nellindagine della natura lutilit e la fecondit di una co-operazione interdisciplinare fra lapproccio quantitativo e quello qua-litativo, in un senso pi ampio di quello che aveva pensato Bacon. Newton rappresenta un punto di sintesi delle tendenze scientifiche del XVII secolo: i progressi raggiunti nel campo della meccanica raziona-le con i Philosophiae Naturalis Principia mathematica (1687) confer-mano i meriti dellapproccio galileiano, ma non impediscono a New-ton di continuare a credere, insieme a Boyle, che il grande libro della natura fosse scritto in un linguaggio pi complesso di quello matema-tico.

Ogni protagonista della rivoluzione scientifica del XVII secolo esprime la propria concezione del mondo, attraverso le matematiche e la filosofia naturale, in un modo e con una variet di contenuti che non sempre facile riunirli nellalveo di percorsi intellettuali unitari. Nel-lintento di dare al presente volume un respiro anche didattico, ma senza perdere le specificit conseguite nel lavoro di ricerca, ho tentato dovera possibile di stabilire delle linee di continuit, tessendo dei fili che intrecciano i differenti percorsi affrontati dagli autori.

La composizione di questo libro, la cui redazione cominciata al-cuni anni fa, stata resa possibile grazie allaiuto e al sostegno di di-versi studiosi, colleghi e amici, a cui ho sottoposto le diverse parti e i differenti problemi della mia ricerca. Per la redazione del capitolo su Galileo ho tratto beneficio dagli studi di Paolo Galluzzi; e lo stesso devo dire degli studi di Germana Ernst per il capitolo su Campanella, e di Niccol Guicciardini per Newton. Il lungo capitolo introduttivo sul XVI secolo non avrebbe raggiunto lattuale rigore senza laiuto di Luigi Maier. Daniele Gambarara stato un prezioso interlocutore nellanalisi degli aspetti linguistici degli autori trattati nei capitoli 5 e 6. Da Francesca Bonicalzi ho tratto consigli per la redazione dei capitoli su Galileo e Descartes. I capitoli su Bacon e Boyle hanno rag-

10

giunto una maggiore profondit grazie alle critiche e ai suggerimenti di Ferdinando Abbri. Giuliana Mocchi stata invece generosa dispen-satrice di consigli e osservazioni nella comprensione di alcuni aspetti cruciali del pensiero di Newton e di Descartes; a lei sono infinitamente grato per lattenta e minuziosa lettura della versione finale del lavoro. Non posso dimenticare la disponibilit di Luca Lupo, collega e fedele amico, per i consigli ricevuti nella traduzione dei testi latini. Ma un ringraziamento speciale va a Franco Crispini, il cui insegnamento filo-sofico e storiografico stato una guida costante nei miei lunghi mesi di studio.

Gli antefatti: la questione della certezza delle matematiche (Quaestio de certitudine mathematicarum) e la

mathesis universalis nel XVI secolo Gli studiosi del periodo che da circa cinquantanni riconosciuto

con il nome di rivoluzione scientifica (HALL 1954) sono pressoch concordi nel considerare il Rinascimento di importanza cruciale per la comprensione dei dibattiti che animarono la filosofia e la scienza del XVII secolo. Con particolare riferimento alla storia delle matematiche e alla Quaestio de certitudine mathematicarum, MANCOSU (1992: 243) ha affermato che gran parte della riflessione epistemologica, e pi generalmente filosofica, sulle matematiche nel XVII secolo non pu essere compresa senza riferisi ai dibattiti rinascimentali sulla Quaestio. E qualche anno prima N. JARDINE (1988: 707) scriveva che molte delle idee matematiche rinascimentali ricorrenti nei pro-grammi del XVII secolo per lavanzamento del sapere erano costituite non solo dallo sviluppo di nuovi artefatti e da migliori metodi di cal-colo e predizione ma anche da un progresso a livello teorico. In que-sto senso, corretto parlare di una rivoluzione scientifica rinasci-mentale, terreno da cui germinarono le ramificazioni principali della scienza moderna, che si espresse in primo luogo nellopera di tradu-zione e di riedizione delle fonti grecolatine e arabe1.

Dietro la generale insoddisfazione verso il sapere ereditato dalla cultura scolastica, gli intellettuali del 500 europeo iniziarono una ri-scoperta del passato che divent un propulsore per la diffusione delle idee e la formazione di nuovi stili culturali2. Il lavoro di riedizione e traduzione della filosofia e della scienza dei testi antichi contribu in buona parte alla nascita di una tradizione culturale che non si limit soltanto alla retta interpretazione delle idee di questo o di questaltro autore. La messe di interpretazioni rinascimentali provenienti da quei testi dellantichit che si ritenevano ispirati alla ricerca del metodo, o

1 Basti pensare allattenzione dedicata nel XVI secolo agli Elementi di Euclide. 2 Cfr. HOOYKAAS (1958); GILBERT (1960); VASOLI (1968); SCHMITT (1982: 297

336; 1983); CRESCINI (1972); GALLUZZI (1973: 6579); ROSE (1975); LOHR (1974: 228289; 19751980, 1982: 164256); L. JARDINE (1982: 797807); COPENHAUER (1988: 77110); LATTIS (1994); ROSSI (1997). Sulle radici umanistiche della scienza moderna, GARIN (1954, 1957, 1961) ha ricordato il ruolo rivestito dalle generazioni di non filosofi nella trasformazione dei quadri del sapere tradizionale.

11

Gli antefatti 12

di una mathesis universalis come gli Analitici posteriori di Aristo-tele, gli Elementi di Euclide, il Commento di Proclo al I libro degli Elementi rifletteva implicitamente lesigenza di discutere anche di questioni su cui i testi di Aristotele, di Euclide e di Proclo potevano non dare un adeguato contributo. La traduzione e il commento dei testi classici della letteratura matematica, logica e metafisica contribu in alcuni casi alla nascita o alla pi netta delineazione di nuove questioni, e alla ricerca di nuove risposte3.

Nel ripensamento dei propri fondamenti, il corpo di discipline che andava sotto il nome di mathesis universa espressione ricorrente nel XVI secolo per significare non una scienza particolare, ma tutte le discipline matematiche nel loro insieme (CRAPULLI 1969: 8) ebbe un ruolo primario, sia per la collocazione allinterno della tradi-zionale suddivisione delle artes liberales4, sia per la posizione inter-media occupata nella tripartizione aristotelica della filosofia teoreti-ca o contemplativa5. Per il filosofo rinascimentale, la riproposizio-ne di temi e problemi della matematica antica diventava unoccasione per confrontarsi con questioni epistemologiche gi aperte in passato. Il Commentarium de certitudine mathematicarum (1547) di Piccolomini nasceva in tali circostanze, facendo emergere nodi teorici finora tra-scurati, come lidea di una scientia mathematica generalis. A riguar-do, CRAPULLI ha scritto che agli occhi dei commentatori cinquecen-

3 Il XVI secolo pu essere considerato un periodo in cui si compie una maggiore trasmissione delle idee attraverso lopera di traduzione (MAIER 1996: 7). Il feno-meno di progressiva emancipazione dallaristotelismo invest lintera enciclopedia delle scienze. Con speciale riferimento allastronomia e alla cosmografia, SCHMITT (1984: 311312) ricorda che molti manuali della seconda met del XVI secolo, par-tendo da unorganizzazione aristotelica delle scienze, [...] arricchirono rapidamente la sezione sulle matematiche in un senso che andava oltre Aristotele.

4 Sotto lespressione di matematiche pure (aritmetica e geometria) e miste (astronomia e musica) sono comprese le discipline del quadrivium. Cfr. RAJNA (1928: 436); WEISHEIPL (1965: 5490); KRISTELLER (1980).

5 In Metafisica VI 1 1026a Aristotele suddivide le scienze teoretiche in 1) fisi-ca, 2) matematica e 3) teologia o metafisica. Alle matematiche spetta la defini-zione di scienze medie, in quanto comprese tra le discipline aventi come oggetto di studio gli enti sussistenti per s, e riguardanti rispettivamente (nella fisica) gli enti sensibili e in movimento e (nella metafisica) quelli soprasensibili ed eterni. Per rafforzare questa tripartizione, Aristotele dice che se gli oggetti di cui tratta [la geometria] hanno per accidente la caratteristica di essere sensibili, essa non li consi-dera tuttavia in quanto sensibili. Cos le scienze matematiche non saranno scienze di cose sensibili, ma non saranno neppure scienze di altri oggetti separati dai sensibili (Metafisica, XIII 3 1078a).

La Quaestio de certitudine mathematicarum nel XVI secolo 13

teschi nessuno dei testi classici sopra menzionati offriva elementi espliciti e inequivocabili per la definizione della mathesis univer-salis. Nel nuovo interesse culturale secondato dalla diffusione a stampa di testi classici, il tema della mathesis universalis germin quasi spontaneamente dal nucleo di questioni poste dalla tradizione, stimolando la consapevolezza di principi e propriet comuni che at-tenevano alle varie discipline dallessere partecipi di una medesima natura (1969: 13).

Il ruolo dato da Aristotele alle matematiche di scienze medie poste tra la scienza dellente sensibile (la fisica) e la scienza dellente soprasensibile (la metafisica), insieme al ruolo conferito da Platone, di disciplina propedeutica per lo studio della metafisica o della teologia, metteva in gioco una serie di domande sul loro status conoscitivo. Nel formulare le domande che impegnarono i commentatori cinquecen-teschi sul tema della mathesis universalis, CRAPULLI (1969: 25) ha detto:

il riferimento dei teoremi comuni matematici alla scienza dellente esclu-sivo e immediato, o si verifica tramite una disciplina intermedia che consi-deri tali teoremi come suo oggetto proprio, da cui venga caratterizzata? vi una scienza matematica comune o mathesis universalis che si interponga tra la scienza dellente e le scienze specifiche matematiche e che abbia come og-getto i teoremi sulla natura ad esse comune?6

Beninteso, prima di rispondere a tali interrogativi, era necessario

interrogarsi sullo statuto di certezza delle discipline matematiche e sulla loro posizione allinterno dellenciclopedia delle scienze. Prima di cominciare a riflettere sulla possibilit di una scientia mathematica communis, occorreva stabilire la natura dimostrativa (le condizioni di certezza) delle discipline storicamente incluse nel regno delle arti libe-rali come le scienze specifiche matematiche, e i rapporti esistenti con le scienze dellente della tripartizione aristotelica. Gli autori esaminati nei paragrafi seguenti saranno i principali animatori di que-sto dibattito.

6 Si noti che lo stesso Aristotele, nei libri della Metafisica dedicati alla polemica

contro il matematismo ontologico di Platone e di Pitagora, non nascondeva la dif-ficolt della questione: se [la matematica] sia scienza di esseri immobili e separati, per ora ci resta oscuro (Metafisica, VI 1 1026a 10).

Gli antefatti 14

0.1. Alessandro Piccolomini (15081578) Lo sfondo della Quaestio proveniva dal commento di Averro al

passo della Metafisica di Aristotele (II 3 995a 1415), secondo cui le dimostrazioni matematiche occupavano il primo grado della certezza (demonstrationes [...] mathematicae sunt in primo ordine certitudi-nis)7. Il commento di Averro indicava una tendenza interpretativa (che sar costituita dai testi di Alberto Magno, Tommaso dAquino, Egidio Romano, Agostino Nifo) che riconosceva ai ragionamenti ma-tematici lattributo di dimostrazioni semplici (simpliciter) e migliori (potissimae). Il Commentarium de certitudine mathematicarum (1547) di Piccolomini pubblicato in appendice allIn Mechanicas Quaestiones Aristotelis Paraphrasis si concentrava sulla presunta validit di tale tendenza. Rispetto al testo di Averro, loggetto della contestazione di Piccolomini verteva sulla pretesa che le dimostrazioni matematiche meritavano lo status di demonstratio potissima. Secon-do Piccolomini, le dimostrazioni matematiche non avevano tali carat-teristiche, n il testo della Metafisica di Aristotele offriva elementi per sostenere una tesi del genere8.

La tesi di Piccolomini era dettata dallesigenza di separare Aristo-tele dai commentatori medievali, ed Euclide dallo stesso Aristotele. Questa specificazione importante, in quanto permette di compren-dere perch lipotesi (formulata da MANCOSU 1992) che Piccolomini avrebbe destituito le discipline matematiche dal ruolo di scienza sia debitrice di una serie di circostanze relative alla fortuna del Commen-tarium, pi che della lettera del Commentarium stesso9.

Secondo i quadri epistemologici ereditati dalla tradizione aristoteli-ca, la migliore dimostrazione (demonstratio potissima) consisteva in una deduzione talmente perfetta da far coincidere la conoscenza no-

7 AVERRO, Aristotelis Stagiritae Omnia quae extant Opera Commentarii, Ve-netiis, 1552, vol. VIII, f. 18v. Il passo della Metafisica recita: non bisogna poi esi-gere in tutto il rigore matematico, ma solo in quelle cose che non hanno materia; per questo, il metodo della matematica non si adatta alla fisica.

8 Il passo sopra citato (n. 5) della Metafisica XIII 3 1078a dovrebbe fugare ogni dubbio sullidea che Piccolomini avrebbe riservato alla matematica la definizione di scienza anche se con uno statuto speciale, subordinato alle scienze teoretiche aven-ti come oggetto gli enti sussistenti per s, e con unarticolazione logica meno per-fetta di scienze qualitative come la fisica o la metafisica.

9 Sulla discussione di questo punto, v. infra, 0.7. A riguardo, MAIER (1991: XIX n. 13) riconosce che la posizione di Piccolomini direttamente opposta a quella degli aristotelici averroisti, e solo indirettamente opposta a quella dei matematici.

La Quaestio de certitudine mathematicarum nel XVI secolo 15

tiora nobis, ossia di ci che anteriore e pi noto a noi (e ha valore di evidenza e di premessa nel discorso) con la conoscenza notiora natu-ra, ossia di ci che anteriore e pi noto secondo natura (e ha valore non solo di evidenza e di premessa del discorso, ma anche di principio o di causa). Nel libro I degli Analitici posteriori, Aristotele aveva as-serito che la forma pi perfetta di dimostrazione coincideva con il sil-logismo affermativo di prima figura, le cui premesse sono universali e immediate cio apodittiche, indimostrabili , necessarie identi-ficabili con la definizione dellente considerato e pi note della conclusione, s da legarsi a questa come la causa alleffetto10. La no-zione di causa era importante, poich serviva a provare nella conclu-sione la presenza o la produzione di una verit che non figurava nelle premesse. La demonstratio potissima comprendeva sia la causa che leffetto, in quanto rendeva note sia le propriet inerenti ad un oggetto, cio il quia (indicante la conoscenza degli effetti), sia la vera causa di quellinerenza, ossia il propter quid secondo il lessico di Aristotele, sia il che (to ti) che il perch (to doti)11. Negli Analitici posteriori (I.13, 78a 3078b) erano citati esempi di demonstratio quia (dora in poi dq) e di demonstratio propter quid (dora in poi dpq):

DQ DPQ

I pianeti[C] non sfavillano[B] (C B) Ci che non sfavilla[B] vicino alla terra[A] (B A)I pianeti[C] sono vicini alla terra[A] (C A)

Ci che vicino alla terra[A] non sfa-villa[B] (A B) I pianeti[C] sono vicini alla terra[A] (C A) I pianeti[C] non sfavillano[B] (C B)

Poich le due pi comuni forme di dimostrazione (dq e dpq) proce-

devano rispettivamente secundum nos (da elementi a noi noti) e secun-

10 Cfr. ARISTOTELE, Analitici posteriori, I 14 79a 1625: Fra tutte le figure, inol-tre, la pi scientifica la prima. attraverso di essa, infatti, che tutte le scienze ma-tematiche conducono le loro dimostrazioni; tale il caso dellaritmetica, della geo-metria, dellottica, e si pu quasi dire che lo stesso avvenga per tutte le scienze che indagano il perch. In effetti, il sillogismo che mostra il perch qualcosa sia si svi-luppa attraverso questa figura, o sempre, o in prevalenza, nella massima parte dei ca-si. Anche per questa ragione, dunque, tale figura risulter la pi scientifica di tutte: il considerare il perch costituisce infatti la pi peculiare tra le determinazioni del sape-re. In seguito, bisogner tener presente che solo attraverso questa figura si pu tentare di raggiungere la conoscenza dellessenza.

11 ARISTOTELE, Analitici posteriori, I 13 78a 21, 78b 3233. Cfr. PICCOLOMINI, Commentarium, Praefatio, ff. 69rv; cap. V, ff. 81v82v, 84v. Come Aristotele, Pic-colomini precisava che se le premesse avessero contenuto a loro volta un medio, si sarebbe caduti nellassurdo di una catena dimostrativa infinita (cap. VI, f. 87r).

Gli antefatti 16

dum natura (da elementi noti alla natura), lindividuazione della de-monstratio potissima (dora in poi dp) verteva sulla possibilit che il sapere notiora natura richiesto avesse lo stesso grado di evidenza delle nozioni notiora nobis, pur mantenendo la forma dimostrativa della dpq. Volendo fare qualche esempio dagli Elementi di Euclide, dalla prop. 5/I (Nei triangoli isosceli gli angoli alla base sono uguali fra loro)12 potremmo ottenere una forma logica come la seguente:

Gli angoli B e C dei triangoli ACF e ABG[A] sono uguali[B]Gli angoli alla base del triangolo isoscele ABC[C] sono (sezioni degli) angoli B e C dei triangoli ACF e ABG[A]Gli angoli alla base del triangolo isoscele ABC[C] sono uguali[B]

A B

C A C B

Analogamente, dalla prop. 32/I:

Langolo esterno ACD adiacente alla base del triangolo[A] < 180[B]La somma dei due angoli interni non adiacenti del triangolo[C] uguale allangolo esterno ACD[A]La somma dei due angoli interni ... del triangolo[C] < 180[B]

A B C A

C B

12 Non qui il luogo per entrare nei dettagli della costruzione euclidea. Tuttavia, dalla figura considerata nella prop. 5/I si pu capire che la propriet ottenibile col prolungamento dei lati AB e AC (in BD e CE), considerando le rette congiungenti FC e GB, consiste nelluguaglianza dei due triangoli ACF e ABG, accertabile a sua volta attraverso la proposizione 4/I (Due triangoli sono uguali se hanno due lati rispet-tivamente uguali a due lati ed hanno gli angoli compresi fra i lati uguali).

La Quaestio de certitudine mathematicarum nel XVI secolo 17

Come si pu notare, da un punto di vista formale la dimostrazione della prop. 5/I identica allo schema dpq sopra indicato, anche se il medio A della prop. 5/I non ha la stessa funzione del medio A della dpq, ma tende a rassomigliare alla premessa maggiore della dq13. Il fatto che dimostrazioni come questa conservino la forma della dpq e gli elementi tipici della conoscenza (e delle dimostrazioni) quia pu aver spinto Averro a sostenere che le dimostrazioni geometriche meritavano lappellativo di dp. In questo senso, loperazione di Pic-colomini consisteva nel soffermarsi sulle anomalie delle dimostra-zioni geometriche rispetto agli schemi formali della logica aristoteli-ca. Se si confrontano pi attentamente le tre forme di dimostrazione, si noter che mentre nellesempio sopra citato di dpq lequivalente quia (dq) resta valida sotto la condizione che nella premessa minore (B A) il soggetto e il predicato siano termini convertibili, nei due esempi di dimostrazione geometrica (dp avente la forma della dpq) lequiva-lente quia non ha senso, mentre logicamente possibile la dimostra-zione inversa14. Un risultato analogo si ottiene se, pure usando la stessa forma logica degli ultimi due esempi di dimostrazione geome-trica, il medio A fosse sostituito con una locuzione universale come il triangolo e il primo termine della premessa minore fosse uno degli elementi contenuti nellinsieme triangolo. Per intenderci, conside-rando il sillogismo:

Il triangolo ha la somma degli angoli interni uguale a due retti Lisoscele un triangolo Lisoscele ha la somma degli angoli interni uguale a due retti

A B C A C B

Avremmo un ragionamento analogo ad espressioni sillogistiche del tipo:

Tutti gli uomini sono mortali (A B) Socrate un uomo (C A) Socrate mortale (C B)

13 Nota bene: nella dq la premessa maggiore consiste in un dato osservativo, mentre nella dp si di fronte ad una inventio o constructio. 14 Nella dp considerata, linversa corrisponde al sillogismo: C B (La somma dei due angoli interni... di un triangolo < 180), A C (Langolo esterno adiacente alla base del triangolo uguale alla somma dei due angoli interni... del triangolo), A B (Langolo esterno adiacente... < 180). Essa non ha un vero valore dimostra-tivo (al contrario dellesempio di dq suindicato), ma ha solo la funzione di stabilire una relazione di equivalenza fra la propriet di una costruzione esterna e la tesi di una dimostrazione precedente che viene data come gi dimostrata, non da dimostrare.

Gli antefatti 18

Lobiezione di Piccolomini consisteva innanzitutto nel negare che in matematica esistessero dimostrazioni di questo genere15. Inoltre, le-sempio tratto da Elementi 5/I consisteva non nella deduzione di una presunta essenza del triangolo, bens nella dimostrazione dellesisten-za di una propriet comune ai termini C e B a partire dalla costruzione di una figura che aveva la funzione del termine medio A.

Il cuore della contestazione del Commentarium verteva sulla con-vinzione che le dimostrazioni matematiche non implicassero, per la loro speciale natura, lintervento del piano causale come nelle scienze fisiche e metafisiche (concernenti, nella prospettiva aristotelica, quat-tro distinti livelli causali). La dimostrazione reclamante lo status di dp riguardava la definizione di propriet che potevano essere dimostrate in relazione alle realt oggettive poste nella dimostrazione, ma non in una definizione univoca delle propriet del definito. Piccolomini am-metteva che il medio di una dimostrazione potesse coincidere con una delle quattro cause (suddivise in cause intrinseche formale e ma-teriale ed estrinseche efficiente e finale) anche quando il me-dio consisteva in una definizione16. Ma il pieno rispetto dei canoni della logica aristotelica richiedeva che il medio consistesse nella defi-nizione univoca della propriet considerata. Diversamente, la dimo-strazione geometrica non poteva pretendere di possedere i requisiti della dp. La non unicit del medio impediva che la dimostrazione geometrica si definisse una dp. La logica aristotelica non si adattava dunque se non a certe condizioni alla dimostrazione matematica, in quanto dal medio considerato nelle dimostrazioni matematiche non derivava di necessit una e una sola conseguenza17.

15 Di fronte alle ipoteche metafisiche individuate nella forma di dpq dellinterpre-

tazione dAverro, che la dimostrazione matematica in quanto dp avrebbe dovuto soddisfare, la strategia del Commentarium consisteva nel concedere che la dimostra-zione matematica avrebbe soddisfatto le esigenze della dp, se la considerazione delle matematiche pure come risultato dellinvenzione umana (o della phantasia) non fos-se stata in conflitto con la concezione aristotelica dellente. Non a caso Piccolomini distingueva la certezza delloggetto (certitudine de materia subiecta) dalla certezza della dimostrazione (certitudine causarum). Le dimostrazioni matematiche consiste-vano non nellesplicitare nelle conclusioni ci che gi era contenuto nel soggetto, ma nel produrre, attraverso la concatenazione delle premesse e del termine medio, una conclusione che non era inclusa nelle premesse. Picccolomini non individuava negli esempi di dimostrazione sopra elencati la soddisfazione dei requisiti di scientificit che competono abitualmente ai ragionamenti geometrici.

16 PICCOLOMINI, Commentarium, cap. V, f. 84v. 17 PICCOLOMINI, Commentarium, cap. VI, ff. 89v90r e 91rv. Secondo lo schema

La Quaestio de certitudine mathematicarum nel XVI secolo 19

Secondo Piccolomini, le dimostrazioni matematiche non erano le sole in cui il quia non coincideva con il propter quid (ut non so-lum demonstrationes geometrarum reliquorumque mathematicorum non esse illas potissimas, sed ne vix ad alias accedere existimave-rim). Daltra parte, non tutte le dimostrazioni matematiche avevano lo stesso status logico. I casi di dimostrazione reciproca, o in cui nelle premesse erano assunte le conseguenze di una precedente dimostra-zione rivelavano che la conclusione della dimostrazione non procede-va da cause effettive; analogamente, il fatto che nei testi dei geometri si trovassero casi di dp non significava che le matematiche appartenes-sero al regno della dp, o che costituissero il modello di altre scienze. Daltronde, se la dp si definiva per mezzo di criteri attinti dalla logica aristotelica e il sillogismo dimostrativo era quello che meglio la rappresentava , le dimostrazioni matematiche dovevano essere tra-ducibili in calcoli sillogistici; in caso contrario si poteva attribuire loro una dignit scientifica, ma non una perfetta scientificit nel senso dei criteri della logica aristotelica. Le dimostrazioni matematiche non avevano le caratteristiche di una dimostrazione perfetta, traendo la lo-ro certezza non dalla dimostrazione delle cause, ma dalla natura astrat-ta dei loro oggetti18.

La tesi piccolominiana che le dimostrazioni matematiche non ade-rivano allo schema logico degli Analitici posteriori rinviava ad un te-ma pi generale, in cui le figure geometriche erano considerate come enti non esistenti in rerum natura:

le matematiche pure [...] come sono la geometria, et laritmetica, hanno per loro oggetto il pi imperfetto accidente, [...] che la quantit: et questa non considerano in materia sensibile, ma fondata nella imaginatione non come

degli Analitici priori (I 4 25b 3239, 26a 21), nel sillogismo di prima figura Ogni B A (Ogni mortale qualcosa); Ogni A C (Ogni qualcosa esiste); Ogni B C (Ogni mortale esiste), il medio A include B ed incluso in C, definisce una propriet del soggetto ( predicato di B come differenza specifica (diafor) ed cau-sa della conclusione (Ogni B C). Come si pu notare, la premessa minore (Ogni A C) comprende il termine medio, e lessere C condizione necessaria di A. Nel sillogismo in questione si suppone che il medio predichi una propriet essenziale del soggetto, tale cio che i predicati possano dirsi convertibili. Nella definizione piccolo-miniana di dp solo a tali condizioni (di necessit e univocit del rapporto mediosoggetto) che il quia poteva coincidere col propter quid.

18 Come Piccolomini premetteva nella Paraphrasis, alle matematiche conveniva una demonstratio qua re, incapace di esprimere connessioni univoche e realmente necessarie fra il soggetto e le sue propriet (PICCOLOMINI, Paraphrasis, f. 5r).

Gli antefatti 20

cosa in tutto finta, et chimerica, ma come cosa; la cui radice finalmente ha qualche congiungimento con la natura19.

La natura astratta delle matematiche non impediva di raggiungere

un alto grado di certezza quanto al soggetto della dimostrazione, ma diventava problematica circa la natura (causale) della dimostrazione stessa. Questo aspetto eterodosso della riflessione di Piccolomini aveva come effetto quello di svincolare la struttura epistemologica della matematica dal contesto ontologico della logica aristotelica, con-ferendo alla matematica (almeno in linea di principio, trattandosi di una partita giocata allinterno della tradizione aristotelica) una carat-terizzazione non univoca e possibilista (pi emancipata rispetto alla prospettiva averroistica delle scienze dellente), poich in essa si pote-vano avere dimostrazioni diverse aventi lo stesso grado di validit. Lidea che la struttura epistemologica delle dimostrazioni matemati-che poteva implicare la possibilit di aprirsi nuove strade di ricerca era attestata dalla stessa autorit dei geometri antichi e dei loro commen-tatori20.

Dopo aver affermato che nelle dimostrazioni matematiche la causa efficiente stava nella mente (mens) e pi specificamente nella fan-tasia (phantasia) , non in una presunta realt extramentale (materia sensibilis), Piccolomini tornava sulla natura media della matema-tica, confermandole il ruolo di philosophia contemplatrix, a met tra la filosofia naturale e la metafisica, il cui oggetto era la quantit (quantitas). Ovviamente, per il fatto stesso di dover esporre alla sen-sibilit attraverso la dimostrazione le propriet considerate secondo laccidente della quantit, le discipline matematiche avevano una radice ultima nella natura. La materia delle matematiche era la quantit, accidente (o sensibile comune) prodotto dalla fantasia (da cui lespressione quantum phantasiatum)21, la cui natura autorizzava a definire le res mathematicae come fondate nella sensibilit22. Scienza

19 PICCOLOMINI, De la sfera del mondo (1548), lib. I, p. 2. 20 PICCOLOMINI, Commentarium, cap. XI, f. 103r: Et quod hoc sit verum, vide-

mus quod Mathematici easdem passiones de eisdem subiectis, variis sumptis mediis, demonstrant: aliter enim triangulum habere tres ostendit Theon, vel Eucl., aliter Cam-panus, et aliter etiam Proclus, qui hoc ipsum quod dico animadvertit.

21 PICCOLOMINI, Commentarium, cap. VII, f. 95r: Materia ergo harum scientia-rum erita quantum ipsum, hoc modo, ut ita dicam, phantasiatum.

22 PICCOLOMINI, Commentarium, cap. VII, f. 95r: nec omnino in subiecto, sensi-biles [...], nec penitus ab ipso liberatae, sed in ipsa phantasia [...], habita tamen oc-casione a quantitatibus in materia sensibili repertis.

La Quaestio de certitudine mathematicarum nel XVI secolo 21

media tra le cose sensibili e le cose astratte, la matematica conservava il primo grado della certezza non in virt delle sue dimostrazioni, che restavano imperfette, ma per il suo oggetto23. Lo scarto tra cause e ragioni rendeva le discipline della mathesis universa meno complesse (faciles cognitu, certae, manifestae) di scienze come la fisica o la teologia, impedendo di definirle migliori (potissimae).

Dal punto di vista della natura della causa (che ispirava la ricerca piccolominiana del rigore), il Commentarium sanciva uno scarto tra la considerazione cognitiva dellente matematico (donde la natura astrat-ta, anche se non totalmente fittizia, delle matematiche) e la dimostra-zione sotto il profilo della conoscenza dellente (in cui, secondo il mo-nito di Metafisica 995a 1415, ragioni e cause dovevano essere con-giunte). Nella dimostrazione matematica non intervenivano i livelli causali inerenti alla scienza dellente. La questione era cruciale, poi-ch la natura astratta delloggetto matematico faceva s che le dimo-strazioni vertessero su catene logiche con un alto grado di astrazione, in cui per loggetto causale, privo di una dimostrazione universale, restava esterno alla catena sillogistica24.

Il Commentarium supponeva che Aristotele non facesse mistero della particolare natura delle matematiche. Il passo della Metafisica 995a 1415 confermava che nella fisica e nella metafisica, pi che nel-la matematica, il metodo si adeguava alloggetto; una distinzione, que-sta, che garantiva alla fisica e alla metafisica la candidatura a scienze potissimae.

Lo stabilimento del ruolo delle matematiche nellenciclopedia delle scienze non impediva la ricerca di un fondamento comune alle disci-pline della mathesis universa. Nel considerare le matematiche come meno perfette (data limperfezione del loro accidente), ma non fittizie o senza qualche fondamento nella natura, Piccolomini apriva la via ad unanalisi sulla natura astratta della matematica che implicava la

23 PICCOLOMINI, Commentarium, cap. XII, f. 107v: Mathematicas disciplinas es-

se certas, non vi demonstrationis, sed ex subiecti ipsius ratione. Sul tema, CRAPULLI (1969: 3334) dice che la lettura del Commento di Proclo persuase Piccolomini ad ammettere che le dimostrazioni matematiche sono in primo grado certitudinis, ma non ratione demonstrationum potissimarum, concernenti la quantit ad nullam materiam in actu determinantur (Commentarium, capp. XI e XII, ff. 105r, 108v).

24 Nella prospettiva aristotelica, supponendo che nelle dimostrazioni matemati-che il medio predicasse non una propriet essenziale del soggetto (dafor), ma una propriet accidentale (sumbebhkj), il soggetto era esterno alla catena sillogistica.

Gli antefatti 22

ricerca di un genere comune alle diverse specie di grandezze25. Una volta negata agli enti matematici la forma di enti per se, la definizione della quantit come materia communis per la ricerca della mathesis universalis correva distinta dalla Quaestio de certitudine mathemati-carum. Laccenno ad una scientia communis alle discipline della mathesis universa permetteva di escludere che, dietro la negazione dello status di scienza potissima, Piccolomini intendesse promuovere uno snaturamento della dignit epistemica delle discipline della ma-thesis universa26. significativo che nel cap. VII Piccolomini mettes-se in relazione la teoria delle proporzioni del libro V degli Elementi di Euclide e il cap. 5 del libro I degli Analitici posteriori, riproponendo uno dei temi cruciali del rapporto tra logica aristotelica e geometria euclidea27. In questo senso, Piccolomini rimetteva in gioco la possibi-lit della matematica come scienza sotto le condizioni logiche della ri-cerca di una scientia communis, ma senza attribuire agli oggetti della matematica il valore di enti per se, o con una dignit ontologica tale da legittimare (come faranno, secondo modalit diverse, Francesco Barozzi, Johann Kepler, Iacopo Mazzoni, Galileo Galilei) lidea di una struttura matematica del cosmo fisico.

Nel cap. IX (ff. 97v98r) Piccolomini prendeva in esame la prop.

25 Uno dei riferimenti aristotelici pu essere il passo di Metafisica VI 1 1026a 25,

in cui dopo aver affermato che geometria e astronomia hanno una natura teoretica, Aristotele concedeva che la geometria e lastronomia riguardano una determinata realt, mentre la matematica generale comune a tutte. Cfr. Metafisica XI 7 1064b 78: ciascuna delle scienze matematiche tratta di un genere unico e determinato, ma c anche una matematica generale che comune a tutti questi generi.

26 PICCOLOMINI, Commentarium, cap. IX, ff. 97rv. 27 Il riferimento alla mathesis universalis emergeva nello specifico della separa-

zione tra la sfera delle cause e quella delle ragioni matematiche. Dopo aver indivi-duato la phantasia come causa efficiente, Piccolomini sosteneva che la materia su-biecta delle matematiche meritava il rango di facolt comune: (Quod cum quantum phantasiatum ostenderimus esse mathematicorum materiam sive subiectum, hoc qui-dem Geometriae, vel Arithmeticae, quae duae sunt Mathematicae prima genera, su-biectum esse dicitur, sed cuiusdam facultatis communis ad Geometriam, et Arithmeti-cam, cap. VII, f. 95v). La ricerca piccolominiana della scientia communis nasceva come unesigenza legata al rifiuto della matematica come modello universale di di-mostrazione. Un caso inverso ma significativamente opposto era quello di Giuseppe Biancani, nella cui Dissertatio (1615), oltre a non condividere le tesi di Piccolomini, rivelava (in sintonia con Zabarella) di non aver mai incontrato nei testi di matematica una dimostrazione universale corrispondente al passo aristotelico degli Analitici po-steriori sulla propriet permutativa (vedi infra, 0.7.), opponendosi cos alla possibi-lit stessa di una mathesis universalis.

La Quaestio de certitudine mathematicarum nel XVI secolo 23

32/I degli Elementi di Euclide, secondo le sei parti della dimostrazione indicate dal Commento di Proclo (propositio, expositio, determinatio, constructio, ostensio, conclusio). Piccolomini asseriva che dal medio non derivava una e una sola conseguenza (conclusio). Secondo lo schema di Proclo, la prop. 32/I poteva essere cos distribuita:

[Propositio] In ogni triangolo, se si prolunga uno dei lati, langolo esterno uguale alla somma dei due angoli interni ed opposti, e la somma dei tre an-goli interni del triangolo uguale a due retti. [Expositio] Sia ABC un triangolo, ed un suo lato BC sia prolungato oltre C sino a D; [Determinatio] dico che langolo esterno ACD uguale alla somma dei due angoli interni ed opposti CAB, ABC, e che la somma dei tre angoli in-terni del triangolo, ABC, BCA, CAB, uguale a due retti. [Constructio] Infatti, per il punto C si conduca la parallela CE alla retta AB (31/I). [Ostensio] E poich AB parallela a CE, e su esse cade AC, gli angoli alterni BAC, ACE sono uguali fra loro (29.I). Di nuovo, poich AB parallela a CE, e su esse cade la retta BD, langolo esterno ECD uguale allangolo interno ed opposto ABC (29/I). Ma fu dimostrato che pure gli angoli ACE, BAC sono uguali; quindi tutto quanto langolo ACD uguale alla somma dei due angoli interni ed opposti BAC, ABC (noz. com. II). Si aggiunga in comune langolo ACB; la somma degli angoli ACD, ACB perci uguale alla somma dei tre angoli ABC, BCA, CAB (noz. com. II). Ma la somma degli angoli ACD, ACB uguale a due retti (13/I); quindi anche la somma degli angoli ACB, CBA, CAB uguale a due retti (noz. com. I). [Conclusio] Dunque, in ogni triangolo [].

Nel cap. X Piccolomini riprendeva il problema 1/I degli Elementi secondo le modalit logiche dellanalisi (resolutio) e della sintesi (compositio). Lobiettivo di Piccolomini si faceva pi netto: sottopo-nendo il problema 1/I alla computazione sillogistica, egli osservava che il ragionamento euclideo era innegabilmente una dimostrazione, in quanto rispondeva agli schemi dellanalisi e della sintesi (su cui v. infra, 0.2.), ma non ai criteri logicometafisici della dp. Nel proble-

Gli antefatti 24

ma 1/I la costruzione dei cerchi non definiva la propriet specifica del triangolo equilatero, mentre nella prop. 32/I, langolo esterno citato nella ostensio non poteva essere considerato un termine medio, non essendo la definizione univoca di una propriet o di una affezione del triangolo (v. infra, 0.7.).

Piccolomini non sar il solo a sottoporre le dimostrazioni euclidee agli schemi della sillogistica aristotelica per verificarne le capacit di interazione con il testo degli Analitici posteriori. Sia pure con intenti ed esiti differenti, nel corso dei decenni successivi la via della sillogiz-zazione delle dimostrazioni euclidee fu intrapresa da diversi autori, come Pietro Catena (15011576), Francesco Patrizi (15291597), Conrad Dasypodius (15321600), Cristophorus Clavius (15371612), Giuseppe Biancani (15661624), Marino Ghetaldi (15681626).

0.2. Francesco Barozzi (15371604) Nella riflessione sulla certezza delle dimostrazioni matematiche,

Francesco Barozzi tenter di ricomporre la separazione piccolomi-niana fra cause e ragioni. Nel trattato De certitudine, pubblicato in appendice allOpusculum (1560), riprendendo la tesi del Commenta-rium in cui era emerso lo scarto tra la certezza causale (certitudine causarum) e la certezza oggettiva (certitudine de subiecta materia) delle dimostrazioni matematiche, Barozzi diceva che queste ultime, anche se non possedevano tutte le modalit della causa aristotelica (materiale, formale, efficiente e finale), meritavano comunque lat-tributo di demonstratio potissima, in quanto procedevano dalla cau-sa formale e da quella materiale28. Il riconoscimento di una causalit formale e materiale alle dimostrazioni matematiche era rafforzato richiamandosi al Commento di Proclo. Secondo Barozzi, nella conce-zione aristotelica dellente e della sostanza, la forma implicava sempre un certo legame con la materia. La reintroduzione della causalit formale e materiale avveniva in due modi: 1) la materia intelligibile una forma che sta per la materia; 2) le parti della definizione che intervengono come causa della dimostrazione sono forme qualitative e quantitative, e partecipano sia della forma che della materia sensibi-

28 BAROZZI, De certitudine, ff. 7r8r.

La Quaestio de certitudine mathematicarum nel XVI secolo 25

le29. In questo senso, non cera ragione di negare alla matematica lo status di dp. Barozzi citava per loccasione30 la prop. 31/III degli Elementi, consistente nella dimostrazione delle propriet dei diversi angoli dei segmenti inscritti in un cerchio:

Sia ABCD un cerchio, siano BC un suo diametro ed E il suo centro, e si trac-cino le congiungenti BA, AC, AD, DC; dico che langolo alla circonferenza BAC, iscritto nel semicerchio BAC, retto, mentre langolo alla circonferen-za ABC, iscritto nel segmento circolare ABC maggiore del semicerchio, mi-nore di un retto, e langolo alla circonferenza ADC, invece, iscritto nel seg-mento circolare ADC minore del semicerchio, maggiore di un retto. Si tracci la congiungente AE, e si prolunghi BA oltre A sino a F. Ora, poich BE uguale ad EA, anche langolo ABE uguale allangolo BAE. Di nuovo, poich CE uguale ad EA, pure langolo ACE uguale allangolo CAE; quindi tutto quanto langolo BAC uguale alla somma dei due angoli ABC, ACB. Ma nel triangolo ABC pure langolo esterno FAC uguale alla somma dei due angoli ABC, ACB, per cui anche gli angoli BAC, FAC sono uguali fra loro; ciascuno dei due quindi retto; dunque langolo alla circonferenza BAC, iscritto nel semicerchio BAC, retto.

La dimostrazione della rettilinearit dellangolo BAC era assunta rinviando alla prop. 32/I, in cui luguaglianza degli angoli interni di un triangolo era accertata attraverso la costruzione dellangolo esterno (calcolato nel valore di 90). Le diverse propriet degli angoli dei seg-menti inscritti dipendevano dallindividuazione dellangolo retto, che assumeva in questo caso la funzione di termine noto del rapporto. Se-condo Barozzi, la prop. 31/III forniva un chiaro esempio dellinerenza alle dimostrazioni matematiche di una causalit sia formale che mate-

29 BAROZZI, De certitudine, f. 21r. 30 BAROZZI, De certitudine, f. 22r.

Gli antefatti 26

riale. Mentre la costruzione del problema forniva la causa materiale (la materia) della dimostrazione, la dimostrazione del teorema, verifi-cante la verit delle premesse attraverso lutilizzo di una definizione (identificabile nella premessa minore), introduceva lordine della cau-salit formale. In questo senso, le dimostrazioni matematiche non potevano non appartenere al genere della dp, essendo in grado di for-nire il quia e il propter quid delloggetto31.

Barozzi non si opponeva allidea che la conoscenza delle matema-tiche fosse meno certa di quella teologica32, n pretendeva che tutte le dimostrazioni matematiche fossero potissimae33. Ci non implicava per che le matematiche non conservassero il primo grado della cer-tezza quanto alloggetto e alla dimostrazione. Il fatto stesso che le di-mostrazioni matematiche affidassero la loro origine causale alle facol-t razionali dellanima, confermava lo statuto di certezza della dimo-strazione, oltre che la natura astratta del suo oggetto34.

Come molti altri commentatori cinquecenteschi, Barozzi aveva presente la prospettiva platonica di unessenza matematica del mondo.

31 BAROZZI, De certitudine, f. 24r: quum itaque non satis ostendatur a Recentiore mathematicas demonstrationes per causam formalem fieri non posse, nos autem op-positum iam ostenderimus, et non solum per causam formalem, verumetiam per mate-rialem Mathematicos demonstrare declaverimus, concludendum est mathematicas demonstrationes posse a causa fieri. Unde manifestum est posse eas etiam potissimas esse, cum enim ex definitionibus mediis causam rei declarantibus conclusionem in-ferant, dubio procul et esse rei simul, et propter quid eas nobis dare necesse est.

32 BAROZZI, De certitudine, f. 13r. 33 Barozzi escludeva ad es. che la prova per contraddizione rientrava nella dp (De

certitudine, ff. 28r, 29r30r; De medietate, f. 37v). Lesistenza di diversi gradi della dimostrazione derivava dal Commento di Proclo: i ragionamenti logici posseggono in ogni caso la necessit logica derivante dalla materia a loro soggetta, ma non in ogni caso si concludono mediante procedimenti dimostrativi (Commento, p. 176).

34 BAROZZI, De certitudine, ff. 31v32r: Ad hanc itaque dubitationem dicimus quod divina scientia ratione quidem sui certissima omnium est, quippe cum veris in rebus et semper eodem modo sese habentibus et clarissimi atque immutabilibus iuxta essentiam, viem et actionem, versetur, easque certiori quam per demonstrationem acquisita scientia cognoscat; rationi vero nostri minus certa est quam mathematica scientia, quoniam cum simus corporeis assueti, non possumus ea quae penitus corpore carent ac domum clarissimum illum rerum divinarum splendorem intueri, ni prius in rebus mathematicis versemur, quae partim cum corpore, partim a corpore separatae sunt. Quapropter mathematicae scientiae, ratione quidem nostri, tum propter su-biectam sibi materiam, tum propter suarum demonstrationum certitudinem, in primo certitudinis ordine esse dicuntur; divina vero scientia, ratione sui, tum propter su-biectorum suorum stabilitatem, tum propter indemonstrabilis suae cognitionis, certi-tudinem iure primum sibi locus vendicavit.

La Quaestio de certitudine mathematicarum nel XVI secolo 27

Tracce moderate ma tangibili di tale tendenza emergevano nella tesi, mutuata da Proclo, di unessenza matematica dellanima, contenuta nel Commento al primo libro degli Elementi35.

Barozzi tentava di riabilitare la causalit nelle dimostrazioni mate-matiche anche attraverso la nozione di analisi contenuta nel libro VII delle Mathematicae Collectiones di Pappo. Lopera che meglio rivela-va linfluenza pappiana era lAdmirandum Illud Geometricum Proble-ma (1586), apparsa due anni prima delledizione pisana di Federico Commandino delle Collectiones. Come ha detto MAIER (2000: 293), prendendo spunto da un problema classico circa il reciproco compor-tamento di uniperbole rispetto ad un suo asintoto, lAdmirandum per-seguiva il fine di richiamare lattenzione del lettore sul senso della dimostrazione matematica e sulle vie attraverso cui essa poteva es-sere ottenuta. In questo senso, lAdmirandum costituiva per Barozzi lultima espressione e la pi concreta nel rivendicare alla matematica il suo procedere per causas. La tesi che era possibile ottenere diverse dimostrazioni di una stessa tesi (sia pure usando differenti definizioni di soggetti e di propriet, ossia medi diversi), del resto, era stata an-nunciata nel De certitudine (1560)36.

Seguendo la lezione di Pappo, Barozzi riteneva che il metodo del-lanalisi soddisfacesse le condizioni di causalit poste dalla Quaestio de certitudine mathematicarum anche perch, a differenza del metodo sintetico, nellanalisi la cosa cercata (da dimostrare o da costruire) si assumeva come gi concessa e ottenuta, s da ricavarne le conseguen-ze possibili, sia antecedenti (propter quid ex quia) che conseguenti (quia ex propter quid). Ecco un brano della pagina di Pappo:

35 BAROZZI, In Primum Euclidis Elementorum librum Commentariorum (1560), in

CRAPULLI (1969: 59 n. 41): nunc [...] reliquum est ut te pro viribus meis ad harter est mathematicam velis philosophiam, quam Proclus noster elegantissime tradit libenter ab eo suscipere, diligere, exercere, atque persiscere: si animam tuam, et temetipsum cognoscere cupis. Anima namque nostra (ut docet sapientissimus Plato) mathemati-cam sortita est essentiam. Unde sane mathematica quoque a Proclo vocitatur. Una tesi analoga era sostenuta nel De certitudine (ff. 16r18v), negando la tesi di Simplicio e di Temistio, secondo cui la scienza dellanima era superiore alle altre scienze. Sul-linfluenza esercitata dal Commento di Proclo, cfr. BAROZZI, Lectiones in Procli Com-mentarios (1559), in DE PACE (1993a: 349430).

36 BAROZZI, De certitudine, f. 26r: dico quod non aut Proclus neque Plato plures in mathematicis aeque perfectas posse fieri demonstrationes eandem passionem de eo-dem subiecto demonstrantes, sed aeque modo per diversa media, sive eiusdem scili-cet, sive diversae coordinationis media illa sint easdem passiones de eisdem subiecti demonstrari. Sulla ricezione barozziana di Pappo, cfr. PASSALAQUA (1994: 91156).

Gli antefatti 28

Risoluzione quel metodo e calcolo per mezzo del quale, a partire da un qualcosa di concesso, attraverso gli elementi che conseguono siamo condotti a ci che ammesso nella composizione. Infatti, nella risoluzione, dando per acquisito ci che viene cercato, prendiamo in considerazione ci da cui que-sto segue e nuovamente, ci che lo aveva preceduto, finch, procedendo cos a ritroso ci imbattiamo in qualcosa di gi conosciuto o che si disponeva nel novero dei princpi, e chiamiamo siffatto calcolo nlusin [analisi] perch la soluzione a ritroso37. Pappo aggiungeva che due sono i generi della resolutio, il primo

dei quali era detto qewrhtikn sive speculativum, mentre il secondo aveva lo scopo di inventare ed era detto problhmatikn. Nel ge-nere speculativo si stabiliva prima di tutto ci che si doveva cercare, poi per mezzo di ci che (1) nellordine segue (deinceps consequ-untur), (2) ritenuto vero ed (3) confermato dalle ipotesi (per hy-pothesim firmata), si procedeva verso qualcosa di concesso (ad ali-quid concessum progredimur). Analogamente, nel genere problema-tico, poich si considerava come concesso ci che si era proposto, si procedeva ad aliquid concessum, e se ci che si era concesso poteva essere fatto (si fieri et suppeditari possit), secondo ci che i mate-matici chiamano dati, ci che si era proposto nella risoluzione poteva essere raggiunto. Secondo Barozzi, dal punto di vista dellanalisi di Pappo era possibile contemplare sotto la nozione di conseguenza necessaria tutte le possibili tesi che attraverso il medio si potevano dimostrare. Questo perch, partendo da tesi date come concesse, non si ottenevano catene deduttive univoche. In questo senso, il nesso qewrhtiknproblhmatikn della distinzione pappiana spiegava per-ch la nozione di analisi soddisfacesse il carattere di necessit della dp e lesigenza di creare nessi razionali e causali non gi esistenti in rerum natura, ma posti dal quantum phantasiatum. Attraverso la via analitica proposta da Pappo, nellAdmirandum Barozzi tentava di di-mostrare che i ragionamenti matematici implicavano una complessit di livelli costruttivocausali per limpiego di grandezze ausiliari (che grazie alla resolutio diventavano res, cossae, radices), aprendo la stra-da allidea (con cui i matematici del XVII secolo cominceranno a fare

37 Resolutio igitur est ea via ac ratio, qua a quaesito tamquam concesso per ea quae deinceps consequuntur perducimur ad id quod compositione conceditur. Nam in resolutione, id quod quaeritur tamquam factum supponentes, illud unde hoc contingit et rursus, quid illi antecesserit, consideramus, donec ita regredientes in aliquid, quod iam cognitum sit vel in numero principiorum habeatur, incidimus, atque eiusmodi rationem, quoniam veluti retro sit solutio, nlusin vocamus (PAPPUS, Collectiones, lib. VII).

La Quaestio de certitudine mathematicarum nel XVI secolo 29

sempre pi i conti) che esistevano pi modi in cui un problema poteva essere risolto38.

Reintroducendo la causa formale nella dimostrazione matematica, e riconducendo apparentemente la riflessione entro i parametri tradizio-nali, Barozzi poneva considerazioni di natura squisitamente matemati-ca, mettendo a punto una nozione di dimostrazione diversa da quella di Piccolomini, arricchendo largomento con implicazioni derivanti dalla distinzione pappiana (sullimportanza dei problemi come mezzo per la costruzione di teoremi), dal Commento di Proclo e dalla geo-metria dellAdmirandum, in cui erano proposte fino a tredici diverse soluzioni di uno stesso problema. Di fronte al ruolo da affidare al testo degli Analitici posteriori rispetto al tema della dimostrazione matema-tica come dp, ci che diventava cruciale agli occhi dei matematici e dei filosofi posteriori era la considerazione degli aspetti costruttivi delle scienze matematiche, rispetto ai quali i modi in cui un problema poteva essere risolto diventavano potenzialmente infiniti una consi-derazione che la pagina pappiana sulla nozione di analisi aveva gi colto. Il fatto che un autore come Barozzi arricchisse la Quaestio con elementi che andavano oltre il dettato aristotelico confermava in una certa misura che gli autori finora considerati non avevano una conce-zione univoca della dp39. Ci nondimeno, i rispettivi approcci di Pic-colomini e Barozzi finivano quasi per convergere nel comune risultato di emancipare il ragionamento matematico dai vincoli metafisici della filosofia aristotelica.

38 Che la distinzione tra teoremi e problemi fosse decisiva per la comprensione di Euclide era riscontrabile anche in PROCLO: Ogni scienza presenta due aspetti: da un lato si occupa delle premesse immediate, dallaltro rivolge il suo studio alle cose di-mostrate o costruite da quelle premesse, e in genere alle cose conseguenti ai principii. A sua volta questa seconda parte nei ragionamenti geometrici divide la sua attivit in soluzione di problemi e scoperta di teoremi; chiamando problemi quelli nei quali si propone di procurare, portare alla luce e costruire ci che non esiste; teoremi invece, quelli nei quali si stabilisce il vedere, riconoscere e dimostrare ci che si verifica o no. I problemi ci chiedono di escogitare formazioni di figure, e posizioni, e applica-zioni, e iscrizioni, e circoscrizioni, e sovrapposizioni, e contatti e quantaltre cose del genere, mentre i teoremi si sforzano di afferrare le propriet e gli attributi inerenti per se stessi agli oggetti della geometria e di avvincerli mediante le dimostrazioni (Com-mento, p. 172).

39 Sostenere che le dimostrazioni matematiche argomentavano a partire da pro-priet ausiliari, e concedere come faceva Piccolomini che la dp fosse possibile solo in una scienza dellente fatta di relazioni causali fondate, cio univoche, presumeva una distinta accezione della dp.

Gli antefatti 30

0.3. Pietro Ramo (15151572) La Paraphrasis di Piccolomini conobbe una certa fortuna anche al

di fuori delle universit italiane, com attestato dallopera di Ramo, che ricordava con un certo favore larcivescovo di Patrasso nelle sue Scholae mathematicae40. Dalla cattedra delluniversit parigina Ramo stava conducendo una battaglia contro la filosofia aristotelica di pro-porzioni ben maggiori della piccola rivoluzione intrapresa da Pic-colomini, nellalveo della tradizione aristotelica, con la pubblicazione dellIn Mechanicas Quaestiones Aristotelis Paraphrasis.

Nellopera di Ramo non emergevano tracce di uninfluenza diretta della Quaestio de certitudine mathematicarum: nellanno in cui Pic-colomini stampava il Commentarium, Ramo aveva gi maturato le sue convinzioni epistemologiche. A differenza del Commentarium, le idee di Ramo erano state gi incorporate allinterno di un pi ampio pro-getto di riforma (e critica) dellaristotelismo scolastico. Nellopera di Ramo erano rintracciabili argomenti affini alle questioni aperte da Piccolomini, in specie (come nota CRAPULLI 1969: 6667) sul pro-blema della mathesis universalis. Su questo punto, per, le rispettive posizioni divergevano: a differenza di Piccolomini, che aveva tentato di riflettere intorno alla pensabilit della quantitas come genus com-munis, Ramo negava che la quantit potesse considerarsi un genere univoco. Ramo si richiamava al testo degli Analitici posteriori e dei libri II, V e X degli Elementi di Euclide, in cui potevano essere repe-riti i riferimenti ad una sorta di genere comune alle diverse specie di grandezze (come la figura, il tempo, il moto, il numero)41.

Per quanto riguarda il libro V, lanalisi eudossea delle proporzioni fra grandezze poneva diversi ordini di problemi, tra cui emergevano la definizione di quantit e i criteri di omogeneit in base ai quali gli enti matematici potevano essere definiti come oggetti della stessa specie. Un particolare rilievo avevano le prime definizioni, come la def. 5, consistente nella dichiarazione duguaglianza tra grandezze che sono a due a due nello stesso rapporto:

40 RAMO, Scholarum mathematicarum (1569), p. 106. 41 Come recita il testo della seconda delle Mathematicae Praefationes (1544):

Arithmeticae multa praecepta, ut de ratione libro secundo, & de Proportione libro quinto, de symmetria libro decimo, nomine magnitudinis traduntur id non est homo-geneum: Geometricum praeceptum in numerus est iqmon: Arithmeticum in linea-mentis est gewmtron (in RAMO e TALARUS, Collectaneae Praefationes, 1599, p. 123).

La Quaestio de certitudine mathematicarum nel XVI secolo 31

Si dicono nello stesso rapporto delle grandezze, la prima alla seconda e la terza alla quarta, quando gli equimultipli della prima e della terza, rispetto agli equimultipli della seconda e della quarta, secondo una qualsiasi molti-plicazione, o sono insieme maggiori, o sono insieme uguali, o sono insieme minori.

Le grandezze considerate nella def. 5 dovevano soddisfare sia il re-

quisito di omogeneit della def. 3 (Rapporto una certa relazione tra due grandezze omogenee, per quanto attiene alla quantit), sia il re-quisito delle relazioni fra grandezze (o postulato della continuit) previsto nella def. 4: due grandezze hanno rapporto quando si pu tro-vare un multiplo della grandezza minore che superi la maggiore, e un sottomultiplo della maggiore che sia minore della grandezza minore (Si dice che due grandezze hanno rapporto luna allaltra, quando moltiplicate si possono superare). Per intenderci, che si trattasse di multipli (di grandezze sempre pi grandi) o di sottomultipli (di gran-dezze sempre pi piccole), la def. 4 tendeva ad obbedire sempre a ordini finiti di rapporti fra grandezze. Nellimpostazione di Ramo, ci implicava che se una data grandezza fosse di una specie diversa da quella con cui era in rapporto, si sarebbe potuta moltiplicare quante volte si vuole, senza riuscire mai ad eccedere la grandezza con cui era in rapporto. Commentando nella sua Arithmetica le deff. 3 e 4 del lib. V degli Elementi, Ramo riconosceva che una somma di linee, per quanto estesa, non poteva mai corrispondere ad una superficie data, posta la non omogeneit o discontinuit tra le specie considerate42.

In aperta polemica con Aristotele (e perci anche con il riferimento piccolominiano ad una scientia communis), nelle Animadversiones aristotelicae (1556) Ramo sosteneva che la categoria della quantit (quantitas) non era stata adeguatamente fondata sul genere dellugua-glianza (aequalitas)43. Il riferimento aristotelico ad una duplice ac-

42 RAMO, Arithmetica, lib. II, p. 40: [3.] Ratio, est duarum magnitudinum homo-genearum secundum quantitatem inter se quaedam habitudo. Ut lineae cum linea, superficiei cum superficie, corporis cum corpore: non autem lineae cum superficie, nec superficiei cum corpore: quia homogenea haec non essent [...] [4.] Ratione habere inter se magnitudines dicutur, que possunt multiplicate mutuo, excedere. [...] Haec autem definitio rationis altera, ad habita est ad excludendam comparatione he-terogeneorum: nec enim linea quatumlibet multiplicata, fieri potest maior superficie: nec superficies corpore.

43 RAMO, Animadversionum aristotelicorum (1556), lib. IV, p. 132: non quate-nus numeri aut quatenus magnitudines habent eiusmodi analogiam [...] ecquodnam igitur, inquies, genus illud analogicum, et cuius tandem disciplinae, si non est arith-meticum, si non est geometricum?. Rispetto al testo della Metafisica XIII 3, Ramo

Gli antefatti 32

cezione della quantit finita (continua e discreta) non alludeva di per s alla fondazione di un genere comune o univoco. Lobiezione di Ramo stabiliva che un genere pi ampio di un altro non poteva spe-cificare ci che si predica del genere (omne ens sit aequale vel inae-quale: non autem sola haec categorica quantitas).

Secondo Ramo, spazio, tempo e corpo erano categorie a s, pi ampie del genere quantit; incapaci di esprimere lessenza della quan-tit. Questa considerazione rientrava nel progetto generale di riforma della logica aristotelica, che intendeva la nuova logica come methodus o dialectica (nellaccezione riformata di dialettica, dialgesqai), strumento razionale, organo funzionale allordinamento delle singole disciplinae et artes. In questo senso, ci che vera di comune nelle due uniche discipline matematiche (laritmetica e la geometria) si sot-traeva ad un esame nellambito del quantitativo. La quantit diven-tava un genere predicamentale inconsistente. Ramo riteneva che negli Analitici posteriori non fosse espresso n dimostrato il genus su-biectum comune alla scienza dei numeri (laritmetica) e delle gran-dezze (la geometria)44.

Anche se nelle Scholae mathematicae (1569) non era esclusa del tutto la possibilit di una natura universale posta nelle definizioni del libro V degli Elementi, si trattava di una universalit che competeva alla logica e non alla matematica45. Ci che apparteneva al continuo (spazi, tempi, corpi) non erano quantit in senso stretto, ma categorie a s, appartenenti ad un ordine superiore a quello del genere quantit. In questo senso, laritmetica e la geometria richiedevano un ordine pi generale che non sidentificava con le diverse accezioni della quantit, bens con la logica naturalis46. riteneva infondato appellarsi alle relazioni di uguaglianza e di disuguaglianza (pro-porzione, composizione, divisione, inversione e permutazione) tra presunti omogenei (numeri, grandezze, moti) per la definizione di un genus communis.

44 RAMO, Animadversionum aristotelicorum, lib. IV, p. 111. 45 RAMO, Scholarum mathematicarum, p. 218: totum librum [quinto] hunc esse

communem arithmeticae et geometriae, et quidem, multis partibus logicus est. Un riferimento negativo sullidea di una mathesis universalis emerge anche nella nar-razione del celebre discorso tra Euclide e re Tolomeo sulla possibilit di una via re-gia per larte geometrica: nullam methodi melioris intelligentiam indicavit, cm re-spondit, regiam ad has artes viam non esse, tanquam elementa mathematica neces-sari sic obscura essent, ideque regium iter, id est, planum & omnibus pervium ha-bere nullo modo possent (RAMO e TALARUS, Collectaneae Praefationes, p. 125).

46 RAMO, Scholarum mathematicarum, lib. III, Proemium mathematicum, p. 78: ars illa docendae artis logica singularis et unica est, [...] sic doctrina contra catho-

La Quaestio de certitudine mathematicarum nel XVI secolo 33

Aritmetica e geometria verificavano le conclusioni della quantit ab omni motu materiaque abstracta consideratur, e da questo punto di vista la purezza e la perfezione della scienza della quantit si misu-ravano quanto pi astratto era il loro oggetto. Per tale ragione, Ramo definiva laritmetica come una scienza pi pura della geometria: nu-merus natura priori est magnitudine47.

A differenza di posizioni pi vicine ai quadri della metafisica ari-stotelica, la posizione di Ramo sulla mathesis universalis si avvicina-va alla logica (o dialettica) come metodo universale pi che alla meta-fisica come scientia communis. Le ragioni di tale proponimento stava-no nellidea di sostituire la metafisica con la logica nel ruolo di scien-zaguida48. Questo atteggiamento antimetafisico, cui si univa unat-tenzione per la filosofia naturale e per gli aspetti applicativi delle ma-tematiche, susciter linteresse di non pochi filosofi posteriori. Lat-tribuzione di una superiore dignit alle discipline della filosofia natu-rale (che implicava, nel quadro generale del progetto ramista, la ridu-zione delle discipline della mathesis universa allaritmetica e alla geo-metria) ricorreva nelle Scholae mathematicae: la matematica pertanto aritmetica in relazione al numero, la geometria in relazione alla gran-dezza, ma la musica, lastrologia e le altre arti [pi fisiche] non sono arti matematiche49.

Nei capitoli De quantitate, Ramo confutava sia la classificazione procliana della quadripartita distributio mathematum (risalente ai pitagorici), sia la tradizionale divisione di Platone e Gemino ratione intelligibilium et sensibilium. Questa rottura della tradizionale unit delle discipline del quadrivio diventer uno degli argomenti chiave della riforma baconiana delle scienze (v. infra, cap. 3). licas logicae leges informata, logica haberi nullo modo possit [...]. Mathesis legitima complectitur mathemata necessaria, homogenea, propria, ordineque a natura prioribus disposita.

47 RAMO, Arithmeticae libri tres (1549), 1557, f. aaiij. Sullargomento, cfr. RO-BINET (1996: 153154); CRAPULLI (1969: 71); OLDRINI (1991: 249276).

48 RAMO, Animadversionum aristotelicorum: logica inventio, logica dispositio tota communis est, tota generalis, tota universalis est. Nec considerat suis praceptis ullum genus rerum: caelum, terram, ignem, aquam, sed generaliter et communiter omnia, id est, t n n, ens quatenus ens est (p. 151). Il rigetto della metafisica come scienza (metaphysicam [...] nullam esse scientia, ibidem) diventava decisivo per la riabilitazione della matematica come scienza.

49 RAMO, Scholarum mathematicarum, lib. IV, p. 114: Mathematica igitur est arithmetica in numero, geometria in magnitudine, musica autem, astrologia, ceteraque illa fusiktera [magis physica] non sunt artes mathematicae.

Gli antefatti 34

0.4. Giacomo Zabarella (15331589) In adesione al dettato aristotelico della Metafisica 995a, Zabarella

riteneva che il prototipo dimostrativo delle scienze teoretiche fosse il metodo nascente non dalla geometria ma dallindagine fisica e meta-fisica. In questa demarcazione lepistemologia di Zabarella contraeva un debito nei confronti della geometria, ma non tale da elevare le di-mostrazioni geometriche a modello universale di ragionamento scien-tifico. La filiazione zabarelliana di elementi logici derivanti dal ragio-namento matematico, del resto, era quasi sempre mediata dal commen-to di Aristotele. Lidea di una presunta non univocit della quantit come genere rafforzava la convinzione che il brano aristotelico degli Analitici posteriori non conteneva elementi sufficienti per decidere in-torno alla questione (Che poi la quantit sia un genere oppure no, dalle parole di Aristotele non si riesce ad evincere). Secondo Zaba-rella, le due espressioni della quantit, il continuo e il discreto, erano gi una prova sufficiente dellinesistenza di un genere comune. La quantit non era un genere univoco, in quanto non era attribuito al continuo e al discreto per la stessa ragione, cos come n la propor-zione commutata, n luguaglianza, n molte altre relazioni che sem-bravano essere comuni potevano esserlo. Tali propriet erano comuni non per lunivocit del riferimento (e dunque del genere), ma soltanto in quanto nomi: di fatto, essi significavano cose diverse, nel discreto e nel continuo50.

Attraverso il filtro offerto dagli schemi aristotelici, Zabarella rica-vava dal regno delle dimostrazioni geometriche la nozione di indu-zione intuitiva (gi presente in Metafisica XI 1068a, e ricorrente negli Analitici posteriori 71a 1721), con cui si conoscevano le propriet universali (ad es. di una figura piana) una volta che si fosse conside-rato un solo caso particolare (senza cio lausilio di una enumeratio perfecta): si conosceva infatti per via apagogica (ma pagmenoj) che il triangolo incluso in un semicerchio conteneva un angolo retto

50 ZABARELLA, In duos Aristotelis libros posteriorum analyticorum commentarii

(1582), cap. V, in Opera logica (1597), p. 727DF: quantum non esse genus univo-cum, dicere possent, quod sicuti nomen Quanti commune continuo, & discreto non est eiusdem rationis, ita nec commutata proportio, nec aequalitas, nec aliae multae af-fectiones, quae communes esse videntur: non sunt enim communes univoc, sed no-mina tantum communia: quia aliud significant in discreto, aliud in continuo. Qud igitur quantum sit genus, vel non sit, ex Aristotelis verbis colligi non potest; de hoc disputare est praesentis contemplationis.

La Quaestio de certitudine mathematicarum nel XVI secolo 35

propriet questa volta derivante dal teorema sulla uguaglianza, in ogni triangolo, della somma degli angoli interni a due retti51.

Lidea che la nozione zabarelliana di analisi (resolutio) non coinci-desse con gli elementi tipici dellanalisi geometrica era una conferma indiretta della superiorit del metodo della fisica. Nel trattato De re-gressu, che metteva a frutto il risultato delle ricerche della scuola padovana sulla filosofia naturale, Zabarella distingueva due fonda-mentali forme di resolutio:

1. linduzione dimostrativa (demonstratio quia o syllogismus a si-gno, cio una forma di conoscenza notiora a signo) che, per il fatto stesso di costituire una conoscenza diversa dal sapere notiora natura o notiora nobis, poteva essere considerata una specie di resolutio pi vi-cina alla geometria dal punto di vista dimostrativo52.

2. la dimostrazione a posteriori (o demonstratio quia). Il modello esemplare di demonstratio quia era tradizionalmente rappresentato dallastronomia.

Secondo tale suddivisione, la demonstratio potissima (che Zabarel-la identificava con la demonstratio a priori) non presupponeva pi la geometria come ambito specifico, che veniva occupato dalla fisica, e pi in generale dalla scienza dellente53. A differenza della geometria,

51 Cfr. ARISTOTELE, Analitici posteriori, I 1 71a 1721: inoltre possibile riu-

scire a conoscere qualcosa sulla base di taluni elementi gi conosciuti in precedenza, e di altri elementi, la cui conoscenza si coglie nel tempo stesso in cui si giunge al ri-sultato. Elementi di questo secondo tipo sono, ad esempio, tutti quegli oggetti che si trovano subordinati alla nozione universale, di cui si possiede conoscenza. In effetti, che in ogni triangolo la somma degli angoli sia eguale a due retti, per qualcuno pu essere gi risaputo. Tuttavia, che una certa figura inscritta in un semicerchio sia un triangolo, costui ne viene a conoscenza nel tempo stesso in cui sviluppa linduzione.

52 ZABARELLA, De regressu, lib. III, in Opera logica, p. 230EF: duae igitur scientificae methodi oriuntur, non plures, nec pauciores, altera per excellentiam de-monstrativa methodus dicitur, quam Graeci curwj pdeixin, vel pdeixin to diti vocant; nostri, potissimam demonstrationem propter quid appellare consueve-runt: altera, quae ab effecta ad causam progreditur, resolutiva nominatur: huiusmodi enim progressus resolutio est, sicuti causa ad effectum dicitur compositio. Metho-dum hanc vocant Graeci sullogismn to ti, vel T shmewn, nostri demonstra-tionem quia, vel syllogismus signo, vel secundi gradus demonstrationem. Fedele alle fonti scolastiche, Zabarella faceva risalire questa forma di resolutio a Tommaso dAquino: cum [...] effectus aliquis nobis est manifestior quam sia causa, per ef-fectum procedimus ad cognitionem causae (S. TOMMASO, Summa theologica, I, q. 2, art. 2). Cfr. TOMMASO, Commentaria in libros Aristoteles de caelo et mundo, lib. I, lect. 17.

53 ZABARELLA, De regressu, cap. X, in Opera logica, p. 295F.

Gli antefatti 36

la filosofia naturale era una scienza in cui ogni dimostrazione seguiva lordine naturale (ordo naturae), trattandosi di conoscenze secondo natura. A riguardo, Zabarella credeva di poter guadagnare la cono-scenza delle cause attuali e degli effetti necessari attraverso una deci-sione (negotiatio) contestuale alla demonstratio quia, consistente nel-linduzione dimostrativa.

Alla base di questa separazione fra le matematiche pure e le scien-ze dellente cera non solo la negazione della quantit come genere univoco, ma anche la distinzione fra lindividuazione del soggetto per mezzo della conoscenza di un attributo o accidente, e per mezzo della conoscenza dellessere o della causa (il t sti).

0.5. Benito Pereyra (15351610) La Quaestio de certitudine mathematicarum divent un tema do-

minante della filosofia matematica cinqueseicentesca grazie al fatto di rimettere in questione alcuni capisaldi teorici della matematica antica. Per il loro carattere esemplare (da una parte) e la particolare complessit (dallaltra), molti problemi della geometria antica diven-tarono terreno di discussione perch riproponevano il problema della causalit delle dimostrazioni matematiche. In tale scenario, come si visto, gli Elementi di Euclide erano al centro degli interessi della Quaestio.

Un caso affine a quello di Piccolomini era quello di Pereyra. Lopera in cui Pereyra presentava le sue tesi era il De communibus omnium rerum naturalium principijs et affectionibus (1576); un testo che ebbe diverse riedizioni (1579, 1585, 1589) e larga diffusione sia nella seconda met del XVI secolo che nella prima met del XVII. Nel libro I (De philosophia), Pereyra subalternava la matematica alla fisica e alla metafisica, escludendo che, secondo natura, la matematica po-tesse definirsi una scienza54. Nei ripetuti riferimenti del libro X (De quantitate) ad una scientia mathematica communis, tuttavia, il ge-suita non lasciava dubbi circa la possibilit di una scienza inerente alle matematiche55. Ci permetteva di marcare una differenza rispetto alla tesi di Piccolomini: le matematiche avevano innanzitutto una priorit per se et secundum nos56. Inoltre, sulla scorta delle indicazioni con-

54 PEREYRA, De communibus (1579), lib. I, cap. XVII, pp. 5758. 55 PEREYRA, De communibus (1579), lib. X, pp. 546601. 56 CRAPULLI (1969: 9495) ricorda che Pereyra sosteneva questa tesi contro le in-

La Quaestio de certitudine mathematicarum nel XVI secolo 37

tenute nel lib. VII della Repubblica e nel Commento di Proclo, si po-teva parlare di una scientia mathematica communis, fondamento co-mune delle matematiche, scienza dellente al pari della metafisica e della filosofia naturale; coeva in qualche modo alla philosophia pri-ma57.

La quantit era loggetto (materia subiecta) della mathesis univer-salis, dato che si considerava in diversi modi; e, sulla base del signi-ficato metafisico della quantit, si poteva parlare di una mathesis uni-versalis e dei fondamenti delle discipline che con la categoria della quantit avevano a che fare. A riprova dellidea che la quantit era considerata in molti modi, c un passo del libro X (che ha ricevuto lattenzione di MAIER 1999: 54) secondo cui la quantit, primo tra gli accidenti della sostanza naturale, era non solo coeva alla materia prima, essendo per s n generabile n corruttibile, ma anche congiun-ta fermamente ad essa. La quantit poteva essere considerata secondo tre modalit: 1) metafisica, in cui le questioni trattate appartengono al-la quantit sia che questultima sia una cosa diversa dalla sostanza, e linee, punti e superfici siano enti reali positivi, realmente distinti tra di loro e dallo stesso corpo; sia che il continuo si componga di indivi-sibili, e sia tale secondo la divisione e laddizione; 2) matematica, in cui la discussione sulla quantit viene dallastrazione matematica dalla sostanza (come nel caso della quadratura del cerchio); 3) fisica, in cui la quantit spiegata dai filosofi latini e scolastici fino alla celebre questione del massimo e del minimo58.

terpretazioni scotiste dei passi della Metafisica VI 1 1026a 1832 e VII 11 1037a 1017. Quanto alla priorit tra discipline matematiche e fisica (in cui le prime secun-dum nos precedono la fisica), CRAPULLI (1969: 94) nota che la matematica pi che ogni altra scienza verifica il concetto di anamnesi e come tale rivendica per prima la denominazione di mqhsij.

57 PEREYRA, De communibus (1579), lib. I, cap. XVII, pp. 5758. Il carattere pro-pedeuticodidattico era improntato agli schemi della filosofia platonica, in cui il pro-blema della mathesis come paideia era un elemento cruciale per la stessa conce-zione della dialettica grazie alla dottrina dellanamnesi.

58 PEREYRA, De communibus (1579), lib. X, cap. I, pp. 546547: non solum quia coaeva est materiae primae, per se nec generabilis nec corruptibilis, sed etiam qud proxim in haeret materiae, quae nisi affecta sit quantitate, caeterorum accidentium nullum poterit accipere [...]. quantitatis triplex est consideratio, una Metaphysica, secundum quam has de quantitate quaestiones tractabimus; An quantitas sit res diver-sa substantia: An linea, superficies, & puncta, sint entia realia positiva, & inter se & ab ipso corpore realiter distincta: An sit actu aliquid infinitum; An infinitum possit effici Deo: An continuum componatur ex indivisibilibus: & de infinitate continui se-

Gli antefatti 38

La considerazione metafisica della quantit, rendendo le matema-tiche scienze meno perfette, dipendeva non dal fatto che aritmetica e geometria derivassero per privazione dagli oggetti concreti dellespe-rienza (corpi e sostanze)59, bens da una sorta di derivazione della scienza dellente (la philosophia prima), in cui la quantit era inclusa come categoria o determinazione positiva, realiter. Pi che astrazione privativa dalla materia sensibile, si trattava di una regressione rispetto alla natura positiva dellente matematico. La natura imperfetta, non propriamente scientifica delle matematiche dipendeva non solo dal-lastrazione razionale dalla materia sensibile (che spiegava la consi-deratio altera, cio Mathematica, della quantit), ma anche dalla dignit ontologica del fondamento comune (la quantit Metaphy-sica), ovvero dagli enti matematici considerati come sono in natura (quae sunt in rerum natura)60.

Con la triplice considerazione della quantit, Pereyra forniva un eloquente anello di congiunzione tra le discipline matematiche e la philosophia prima. La classificazione di Pereyra poteva essere consi-derata come la conseguenza ineluttabile di una pi ambiziosa fonda-zione delle matematiche sulla metafisica. Rivendicando una continuit storica con la tradizione classica, Pereyra situava in un quadro sostan-zialmente unitario la Metafisica di Aristotele, il libro V