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Elena Gritti Proclo Dialettica Anima Esegesi

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Elena Gritti

ProcloDialettica Anima Esegesi

Gritta-fronte-385-9 9-09-2008 16:00 Pagina 1

Gritti E.
Proclo. Dialettica Anima Esegesi
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1 Cfr. Dam. In Phd. I, 172, 1-3 (per cui vd. infra, pp. 334-335); vd. Praechter, Richtungen. Sulla fine della scuola di Atene, vd. Cameron, Fin e Last days; vd. anche Watts, Where.

INTRODUZIONE

Fîj ™sti toà lÒgou ¹ nÒhsij,

telesiourgÕj oâsa kaˆ ¢nagwgÕj aÙtoà

kaˆ ¢polamprÚnousa t¾n ™n aÙtù gnwstik¾n dÚnamin.

Luce della ragione è l’intellezione, che la perfeziona e la eleva

e fa risplendere il potere conoscitivo che è in lei.(Procl. In Ti. I, p. 255, 7-9)

Quando il pensiero greco si approssimava all’evento in seguito assunto a contrassegnarne la fine, cioè alla chiusura della scuola di Atene per volere delle autorità imperiali nel 529 d.C., i suoi ultimi rappresentanti, maestri di esegesi filosofica nelle scuole di Atene e di Alessandria, subivano, per vari tramiti, l’influenza di Proclo di Costantinopoli. Seguendo le orme del maestro Siriano, egli nel V secolo impresse nuovo vigore alla tradizione platonica, adottando tecniche interpretative ed elaborando dottrine desti-nate, le une e le altre, ad avere fortuna in non pochi momenti del pensiero successivo. A loro volta, Siriano e Proclo sarebbero da collocare nella scia di Giamblico, il cui insegnamento determinò una svolta in senso mistico-ieratico rispetto al razionalismo dominante fino a Plotino. Ma forse questo schema storiografico, peraltro già attestato in Damascio 1, non rende piena-mente ragione del significato dell’opera procliana nella storia del pensiero tardo-antico. L’intento di Proclo non era, infatti, unicamente quello di rileggere i dialoghi di Platone in chiave misterico-teologica; bisogna piut-tosto chiedersi quanto contasse per lui lo sforzo di fondare razionalmente, cioè platonicamente e dialetticamente, il sistema teologico ricavato dalle molteplici fonti della religione greca.

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10 INTRODUZIONE

Di Proclo sono noti per lo più il lavoro di commentatore e quello di sistematizzatore e collettore di una tradizione arricchitasi, nel corso del suo secolare sviluppo, grazie a contributi concettuali, dottrinali e lessicali recepiti da aree filosofiche e culturali eterogenee. Nel suo pensiero la confluenza di componenti tanto varie e talvolta, almeno in apparenza, inconciliabili, dà origine a un ‘amalgama’ che si rivela organico e compatto solo quando lo si valuta dall’interno, indagandone i presupposti, non sempre esplici-tamente dichiarati ma operanti come forma mentis. Perciò ogni punto di vista unilaterale rischia di essere fuorviante. È pur vero che hanno sortito grande utilità i diversi approcci sperimentati da studiosi quali André-Jean Festugière, con l’interpretazione del pensiero procliano come mustagwg…a, Werner Beierwaltes, che ha mostrato quanto sia pervasiva la dottrina della causalità, Henri Dominique Saffrey e Pierre Hadot, che fra l’altro hanno chiarito l’importanza del progetto della sumfwn…a fra le tradizioni religiose elleniche e l’esegesi neoplatonica come esercizio spirituale; i loro contributi sono divenuti dei ‘classici’ negli studi procliani. Nel secolo scorso, il paziente lavoro di edizione e traduzione delle opere del neoplatonico 2 ha favorito una rinnovata fioritura di interesse per l’autore. La mole dei suoi scritti ha indotto soprattutto a indagare questioni specifiche, nel migliore dei casi con consapevolezza filologica e con l’attenzione concettuale dovuta a testi che rappresentano l’ultima fase in cui il platonismo antico mostra vitalità e originalità. Ma, forti dei risultati sinora raggiunti e senza indulgere a prese di posizione unilaterali, sembra venuto il tempo di tornare a interrogarsi sul significato complessivo del ‘sistema’ procliano 3. La comprensione della to-talità si impone come criterio per valutare sia il ruolo del filosofo nella storia del pensiero sia il significato complessivo della sua produzione. Assumendo il senso pregnante di totalità che esiste prima e indipendentemente dalla somma delle parti e a queste dà valore, tale criterio coincide con il motivo che percorre e orienta i molti aspetti del pensiero dell’autore e i suoi scritti, unificandoli ciascuno in rapporto a sé e agli altri da sé, secondo il modello della dialettica del Parmenide. Precisamente questo è il filo conduttore che si cercherà di far emergere nel corso del presente studio.

2 Su tutte, quelle degli Elementi di teologia a cura di E.R. Dodds e della Teologia platonica a cura di H.D. Saffrey e L.G. Westerink. Per una rassegna vd. Casaglia - Lin-guiti, TP, pp. 59-61; cui però sono già da aggiungere ulteriori edizioni e/o traduzioni e commenti (di C. Luna e A.-Ph. Segonds sull’In Prm., di B. Duvick e soprattutto di R.M. Van den Berg sull’In Cra., di A. Lernould, di R. Baltzly e H. Tarrant sull’In Ti., di J. Opsomer e C. Steel sul De mal. subs.). Sulle tendenze recenti degli studi neoplatonici, vd. Linguiti, Studi e Helmig - Steel, Neue Forschungen. 3 È auspicabile che a ciò ci si dedichi valendosi ora anche dello stimolo dell’attesa riedizione critica del commentario al Parmenide (vd. infra, p. 22, nelle Avvertenze).

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11INTRODUZIONE

Capita però che più che agli storici della filosofia antica il nome di Proclo sia familiare a chi indaga le fonti della filosofia medievale o rinasci-mentale in virtù della sua influenza su figure quali Dionigi Areopagita, che forse fu suo allievo, Marsilio Ficino e Niccolò Cusano; oppure in quanto sistematizzatore del metodo di dimostrazione more geometrico, praticato negli Elementi di teologia, che costituirono la principale fonte per il Liber de causis. Il neoplatonico si pose quale crocevia che favorì il passaggio del suo platonismo sia al mondo di cultura araba, sia al Medioevo e al Rinasci-mento occidentali e cristiani 4. Oppure, Proclo è conosciuto dagli storici della matematica quale commentatore di Euclide, sebbene dal punto di vista matematico in senso stretto il suo apporto non sia stato innovativo né particolarmente acuto. Per capire il rilievo che egli assume nello sviluppo della matematica antica, un altro tipo di indagine deve aggiungersi alla valutazione delle sue competenze in materia. Anche il commentario agli Elementi va infatti inserito nel contesto dei rapporti che l’autore riscon-trava fra discipline matematiche e metafisica; il che porta direttamente a interrogarsi sul valore che aritmetica e geometria possiedono in relazione alla conoscenza dei principi dell’essere. Dalla lettura del solo commentario a Euclide, inoltre, uno storico della matematica non può cogliere, e forse nemmeno è interessato a cogliere, un altro fattore essenziale del pensiero procliano: accanto al razionalismo aristotelico-euclideo vi è l’inclinazione alla teurgia e a un certo misticismo. Il vero problema, per comprendere la figura di questo filosofo tardo-antico, diventa indagare come quest’altra prospettiva si concili con l’orizzonte che egli dichiaratamente adotta: quel-lo della ragione platonica. Lo stesso razionalismo aristotelico-euclideo si fonda, a suo dire, su un presupposto di matrice platonica; occorre capire dove Proclo lo individua, e vedremo trattarsi della dialettica, rivisitata alla luce della sillogistica aristotelica.

La produzione procliana 5, oltremodo ingente se nel calcolo si annovera anche quanto è andato perduto, contiene una fitta rete di richiami che, superando la diversità formale in cui gli scritti sono composti, corrono dall’uno all’altro, da quelli sistematici a quelli esegetici e viceversa. Ciascuno ha la sua specificità: per gli Elementi di teologia essa consiste nell’enun-ciare con ordine e in modo logicamente rigoroso le leggi che dominano nel mondo metafisico e le sue principali articolazioni, per la Teologia pla-tonica sta nel ricostruire il sistema teologico di Platone, raccogliendo le indicazioni sparse nei dialoghi e presentandole finalmente in una sintesi ordinata. Oltre alle monografie su temi specifici, vengono i commentari:

4 Per una sintesi della fortuna di Proclo, vd. Casaglia - Linguiti, TP, intr. pp. 45-55. 5 Per cui rinvio alle rassegne in TP, intr. pp. LV-LX, e a Beutler, Proklos.

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12 INTRODUZIONE

in essi risiede l’origine delle dottrine e delle interpretazioni esposte negli scritti sistematici. Questi ultimi presentano la filosofia procliana secondo un ordine determinato dall’intento che di volta in volta funziona come un filtro attraverso il quale viene fissato il dinamismo del pensiero: rigore logico e tecnicismo metafisico per gli Elementi di teologia, esegesi allegori-co-teologica per la Teologia platonica. Ma è nei commentari e nei richiami dalle pagine dell’uno a quelle dell’altro che va osservato il dinamismo con cui quel pensiero dà vita all’intero sistema. L’origine di un certo sviluppo dottrinale risiede spesso in un lemma platonico; Proclo trova affinità tra questo e altri lemmi che ribadiscono il medesimo concetto, oppure trova il lemma richiamato in altri contesti grazie alla forza che egli attribuisce ai nessi etimologici. Così si forma, nella sua mente, quello che dai suoi scritti sistematici appare come un sistema ‘monolitico’ e che in realtà nasce da un intricato insieme di rilievi esegetici che si intersecano fra loro e con l’impianto del pensiero neoplatonico.

Quindi, da un lato i commentari non devono essere utilizzati esclusi-vamente per capire qualcosa in più del Platone storico (sebbene offrano spunti anche in tal senso, soprattutto grazie alla sensibilità, talora perfino eccessiva, con cui l’autore coglie echi lessicali ed etimologici all’interno di un dialogo o tra dialoghi diversi); dall’altro, nemmeno li si deve subor-dinare alle opere maggiori, nelle quali in genere si ritiene di riscontrare la presentazione più efficace del pensiero di Proclo. Meritano, invece, di vedersi riconosciuto un valore autonomo, forse perfino prioritario e fon-dativo rispetto a quello degli scritti sistematici. Occorre far interagire gli uni con gli altri: nei commentari si trova l’origine di quanto esposto negli scritti sistematici, per converso l’ordine di questi si riverbera sull’esegesi del testo platonico. L’apparenza di sterile rigidità che si avverte quando ci troviamo di fronte all’attitudine classificatoria cede il posto al dinamismo, senz’altro più stimolante, che va riguadagnato attraverso la lettura dei commentari. È emblematico il caso della Teologia platonica. L’ordinamento minuzioso delle classi divine e degli attributi che, desunti dai dialoghi di Platone, a esse vengono pazientemente ricondotti, come se necessitassero di essere collocati ciascuno nella casella appropriata all’interno di un quadro prestabilito, viene meglio compreso se guardiamo all’origine esegetica: l’interpretazione dell’esercizio dialettico del Parmenide. Se il contenuto teologico, nella sua fissità, non appare filosoficamente fecondo, tale è invece il modo in cui l’autore mostra la necessità di quel contenuto. In altre parole, per conquistare il risvolto dinamico, e più interessante, dell’articolazione procliana del mondo divino, di per sé ‘statica’, occorre rivolgersi alla sua fonte, che coincide con un particolare modo di procedere del pensiero. Così non solo il sistema nel suo complesso, ma perfino tutta la produzione procliana si rivela in un certo senso dialettica: c’è in essa un’unità di fondo

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13INTRODUZIONE

cui vanno ricondotte la molteplicità e la varietà nelle quali la stessa unità si manifesta. Nei propositi dell’autore, ogni apparente divergenza dovrebbe dissolversi in nome di un vero inteso come una totalità anteriore alle parti, non composta da queste, bensì costitutiva del valore di ciascuna.

Se poi cercassimo di definire in che cosa consista l’unità di fondo che guida il pensiero di Proclo, nelle molte forme in cui si esplica, si potrebbe dire che si tratta dell’accentuazione della visione metafisica; ma se voles-simo dare una risposta più specifica, scopriremmo che identificarla con un certo contenuto è insufficiente. Piuttosto, ciò che emerge di continuo è un’istanza epistemologica, che da un lato orienta quasi ossessivamente l’esegesi e dall’altro trova il suo fondamento nella struttura metafisica del reale. Da un lato, infatti, Proclo è costantemente preoccupato di mostrare la coerenza dell’insegnamento platonico, soprattutto quando un lemma sembra in contraddizione con altri. Dall’altro, il metodo che egli segue, per fornire una conoscenza salda e ‘scientifica’ (una ™pist»mh in senso forte), deve riprodurre in sé le dinamiche vigenti nel dominio dell’essere. Poiché queste sono innanzi tutto le dinamiche della causalità, occorre chiedersi da quale tipo di ragionamento siano riflesse in maggior grado: questo costituirà, allora, l’essenza del metodo procliano, ciò che dà fiducia alle capacità conoscitive dell’anima e – nella chiave di lettura che propongo nel volume – sancisce l’originalità dell’epistemologia del filosofo-commentatore. In effetti, sia quando espone il sistema teologico-ontologico sia quando interpreta il testo platonico, è costante in Proclo il tentativo di stabilire con la ragione il fondamento causale del molteplice e dell’alterità in cui il pensiero rischia di disperdersi. Un tipo di ragionamento che trova nella concatenazione sillogistica teorizzata da Aristotele una garanzia di veridicità. Tuttavia, poiché attribuisce ad Aristotele una tecnica argomentativa vuota di contenuti, è muovendo contro lo Stagirita che Proclo sancisce che la logica non ha autonomia dalla metafisica e che la validità epistemologica di ogni inferenza deriva dal grado in cui riproduce il nesso della causalità ontologica.

In altre parole, non c’è metodo senza contenuto; ma nella misura in cui porta già in sé il suo contenuto, il metodo diventa esso stesso ‘reale’. Per converso, il contenuto senza metodo non è accessibile al soggetto conoscitivo per eccellenza: l’anima umana. Anche per Proclo, come per Plotino, pur con le debite differenze, l’anima acquisisce centralità nel sistema. Le sue potenzialità conoscitive restano inferiori a quelle dell’Intelletto, perché da questo essa rimane ontologicamente separata; ciò tuttavia non le preclude la conoscenza dei principi dell’essere. Lo strumento che le garantisce la possibilità della ricerca è la dialettica. Il procedimento che maggiormente riflette il dinamismo causale dell’essere sarà allora il cardine della dialet-tica, e lo diventerà anche del pensiero e del metodo procliani. Ebbene,

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14 INTRODUZIONE

vedremo che la dimostrazione avrà la meglio perfino sull’analisi, poiché se quest’ultima segna la risalita dall’inferiore al superiore, assurgendo a em-blema della conoscenza euristico-inferenziale che va da ciò che è più noto per noi a ciò che è prioritario per natura, al contrario la prima ripercorre i legami causali secondo lo stesso orientamento della causalità ontologica. Soprattutto grazie alla dimostrazione la ragione ottiene il massimo rigore concesso alla discorsività, base sia della coerenza cercata da Proclo con ostinazione sia dell’aspirazione a cogliere la conformità del pensiero del-l’anima alle leggi dell’essere.

Nella prospettiva individuata dalla dialettica dimostrativa si vuole affrontare, nel presente studio, la teoria procliana del pensiero psichico. A tal fine, non si potrà fare a meno di valutare la concezione dell’esegesi e dell’anima, entrambe strettamente legate alla dialettica, l’una in quanto riflette in sé alcune leggi ontologiche e gnoseologiche, l’altra poiché, ol-tre a costituire il soggetto dialettico vero e proprio, rappresenta l’ambito problematico in cui la ragione mira a valicare i propri stessi limiti, senza riuscirvi ma senza nemmeno dover rinunciare alle ambizioni dell’™pist»mh. Alla fine il percorso ci metterà di fronte a un problema cruciale: Proclo assegna la priorità agli Oracoli caldaici o al Parmenide? Prevale l’inclinazione alla visione misterica e teurgica oppure, anche dopo la svolta in tal senso impressa da Giamblico, c’è ancora spazio per un razionalismo dialettico sul modello platonico, ma rinnovato, arricchito e attualizzato grazie all’apporto aristotelico? Per rispondere a tali quesiti occorrerebbe un’indagine impostata secondo criteri differenti e complementari a quelli che orientano l’iter qui proposto, attraverso il quale si vuole approfondire il risvolto dialettico, lasciando a margine quello mistico. Tuttavia, in un’indagine sull’esegesi, sulla psicologia e sull’epistemologia di Proclo, intesa a far luce sulla sua figura di pensatore oltre che di commentatore, il problema è inevitabile. Ma si capirà che, forse, la domanda stessa è mal posta; invece di un conflitto insanabile o di una subordinazione di una prospettiva all’altra, emergerà un’interazione fra le due. Anche l’ipotesi di una complementarità appare insufficiente; si dovrebbe parlare, piuttosto, di naturale convergenza, di so-stegno reciproco all’interno di un sistema che, in gran parte nato dall’esegesi e dalla ricerca di coerenza interna che la guida, nonché retto da un metodo in cui si vorrebbero trasposte le leggi metafisiche, tende a presentarsi come l’ennesimo esempio di conciliazione in unità di ogni alterità e molteplicità. Nonostante le dichiarazioni programmatiche, che collocano l’ispirazione divina al di sopra della ricerca dialettica, vedremo con quanta tenacia Proclo non voglia cedere alla debolezza della ragione psichica. Si tratta, quindi, di capire come egli si collochi fra gnoseologia platonica, logica aristotelica, esperienza plotiniana e innovazione giamblichea, e come possa conseguire, in un simile intreccio di influenze, una propria originalità.

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15INTRODUZIONE

Vediamo ora in sintesi il percorso che seguiremo, a cominciare dal-l’esperienza vissuta da Proclo come l’impegno più totalizzante della sua stessa esistenza, nonché fondamento delle sue opinioni filosofiche: la lettura dei dialoghi di Platone. Prima di valutare l’esito cui conduce la pratica dell’interpretazione, occorre comprendere il significato attribuito all’esegesi. Questa diviene oggetto di riflessione teorica allorché Proclo distingue le forme in cui si presenta il discorso sul divino, con riferimento sia all’argomento teologico sia a presupposti filosofici ed epistemologici. La medesima classificazione consente di capire quanto sia insufficiente l’etichetta di ‘spiegazione allegorica’, genericamente usata per definire la tecnica interpretativa dei neoplatonici. Dietro all’allegoria si celano que-stioni che escono dall’ambito puramente espressivo: i molteplici modi in cui essa opera dipendono da altrettanti approcci gnoseologici. E poiché la classificazione delle tipologie di insegnamento sul divino corrisponde anche al succedersi delle principali autorità teologiche, allora essa proietta nella storiografia filosofico-teologica. Ma soprattutto rivela il criterio metafisico che secondo Proclo ha regolato il succedersi delle tradizioni teologiche stesse, manifestazioni di un’unica verità secondo un piano metafisico di cui l’esegeta si sente partecipe in prima persona: costui si colloca nel momento di conversione (™pistrof») verso un vero che si mantiene in sé immutato (ecco la mon»), pur comunicandosi in molteplici forme (ecco la prÒodoj). Se poi si valutano i quattro modi del discorso teologico non come indipen-denti l’uno dall’altro, emerge tra loro un dinamismo che automaticamente si riverbera sulla ricostruzione storiografica; ciò avviene non solo in quanto delineano uno sviluppo progressivo nel tempo, implicitamente orientato da un moto triadico di natura metafisica, ma soprattutto perché reciprocamente si intersecano. E le intersezioni sono possibili se essi richiamano l’ambito della gnoseologia, non solamente quello della forma espressiva. Dunque, la nozione di ‘esegesi’ interferisce con la ricostruzione della storia del pensiero ed entrambe cadono sotto il dominio della riflessione filosofica, poiché in entrambe si esprime il processo metafisico di permanenza-processione-ri-torno, ed entrambe rinviano a diverse modalità di conoscenza. L’insegna-mento sul divino, in qualunque forma venga trasmesso, per chi lo riceve non deve consistere in un mero apprendere nozioni; occorre soprattutto un metodo in grado di fare interagire queste nozioni in modo tale che l’anima scopra e verifichi in sé il vero a cui aspira. Il valore metafisico dell’esegesi la rende un’attività meritevole di dedizione assoluta, poiché diviene non solo un esercizio ‘spirituale’, ma un modo che permette all’individuo di essere parte attiva del moto universale di ™pistrof». A questo punto, il discorso si sposta sul terreno della gnoseologia e dell’epistemologia; ma prima di affrontarlo occorre chiarire la posizione procliana circa la natura e le potenzialità dell’anima.

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16 INTRODUZIONE

Il termine di riferimento obbligato è la soluzione data da Plotino al problema della conoscenza psichica. Per lui l’anima, allontanatasi dalla sua causa intellettiva per un’ansia di autonomia che la sospinge verso il corporeo, in realtà non è mai distaccata dall’Intelletto, perché una parte di lei rimane fissa nell’intelligibile. Per superare il dramma della dispersione nel sensibile, l’anima deve riacquisire la coscienza di appartenere alla natura superiore e affine al divino, e di possedere in sé le Idee e l’intellezione sempre in atto, anche quando tale consapevolezza non giunge al suo ‘io’ dianoetico. Per chi nega il legame, immediato ed essenziale, dell’anima con l’Intelletto viene meno l’ottimismo gnoseologico: la conoscenza del vero diventa un miraggio lontano e si impone la necessità di affidarsi a intermediari che colmino il divario ontologico. Ma allora la verità diventa rivelazione di contenuti estranei all’anima. Come per Plotino, anche per Proclo occorre indagare la natura dell’anima e le opinioni trasmesse dai dialoghi platonici a questo proposito, in particolare dalla descrizione della genesi dell’anima nel Timeo, per capire se per lei sia accessibile una forma di conoscenza intellettiva e quale rapporto abbia con questa il procedimento dialettico. Spesso la psicologia procliana soffre del confronto con quella plotiniana, poiché si tende a collocare Proclo univocamente sulla scia delle critiche di Giamblico all’anima non discesa di Plotino. Che la dottrina plotiniana resti un unicum nel pensiero antico, per originalità e intensità speculativa, è incontestabile; tuttavia, non sarebbe giusto considerare ciò che venne dopo (cioè, detto in modo sommario, la rinuncia al ‘pensiero forte’ dell’anima in nome dell’esigenza di una rivelazione) come mera degenerazione, e nemmeno sarebbe consono a criteri di obiettività storica ritenere che tut-to ciò che venne dopo sia riconducibile al versante opposto a Plotino. È vero che Proclo condivide, per esplicita dichiarazione, le obiezioni contro l’anima non discesa; sembra però che le alternative che gli si presentavano dinanzi non lo soddisfacessero completamente. Vedremo che, nonostante l’influenza dell’avversione di Giamblico a Plotino, Proclo approda a una soluzione diversa sia dall’uno sia dall’altro. Rifiutata l’identità tra iposta-si intellettiva e ipostasi psichica, d’altra parte riemergono certe istanze plotiniane; appunto queste garantiscono un’adesione non pedissequa alle opinioni di Giamblico. Ciò significa che, nonostante l’indubbia influenza della prospettiva misterico-giamblichea, resta ancora spazio per un’incli-nazione filosofico-razionalistica in senso forte.

Al centro di questa sono due questioni: il problema, già squisitamente platonico, di definire i rapporti fra intelletto e pensiero discorsivo, fra nÒhsij e di£noia, e il compito della dialettica. Il primo viene risolto affermando la natura discorsiva dell’intelletto psichico, ma – è quanto più conta – senza che ciò impedisca all’anima di conseguire una conoscenza valida dell’essere, del divino, dei principi, dell’ordine e delle leggi che li governano, ancorché

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17INTRODUZIONE

inferiore alla visione immediata che ne avrebbe l’Intelletto. Del resto, la moltiplicazione dei livelli metafisici interni a ogni ipostasi fallisce doppia-mente lo scopo per cui era stata introdotta: sviluppata con inverosimile minuzia per annullare qualsiasi salto ontologico, deve però scontrarsi con l’impossibilità di eliminare la distinzione a qualsiasi livello; inoltre – e ci interessa più direttamente –, il permanere del divario tra un grado ontologico e l’altro spezza, a qualsiasi livello, sia l’assunto parmenideo dell’identità fra essere e pensiero, sia l’istanza aristotelica dell’identità fra soggetto e oggetto dell’attività conoscitiva. Ora, se è possibile precisare la nozione di ‘pensiero forte’ associandola all’ideale platonico della conoscenza diretta delle Idee e all’assunto aristotelico per cui vi è realmente conoscenza quando il soggetto si identifica con l’oggetto, allora mentre Plotino risolve ottimisticamente la questione instaurando un perenne contatto fra ogni anima individuale e l’Intelletto, Proclo segue una via diversa: non solo all’anima, ma perfino all’Intelletto è preclusa la conoscenza di ciò che sono realmente gli Intelligi-bili. Questi godono dell’anteriorità dell’essere rispetto al pensiero (caratte-ristica già ravvisabile in Plotino), sono ‘efficaci’, cioè produttivi di immagini grazie alle quali risultano immanenti ai livelli ipostatici inferiori, ma non esercitano ancora l’attività di pensiero; aderendo a quanto insegna Platone nella Settima lettera, Proclo sostiene che gli Intelligibili in sé si sottraggono al pensiero. Ciò implica che perfino l’Intelletto abbia un ‘pensiero debole’, perché non coglie perfettamente le Idee nella loro essenza e ha in sé quelli che sono già riflessi degli Intelligibili. Ma poiché altrove, come nel noto passo della Repubblica su di£noia e nÒhsij, si parla di conoscenza delle Idee da parte dell’anima, per non compromettere la coerenza interna al corpus platonico il commentatore deve motivare anche una possibilità di questo genere. In base alla dottrina per cui si ha conoscenza solo quando soggetto e oggetto sono ontologicamente collocati su piani coordinati, ossia quando sono sÚstoica, Proclo ammette che l’anima abbia conoscenza delle idee presenti in lei, esistenti yucikîj quali immagini delle Idee esistenti in se stesse nohtikîj. Sorge l’obiezione che si tratti, appunto, della conoscenza di immagini, non del contenuto di verità che di queste costituisce l’archetipo; la risposta sembra da individuare nel valore predominante che Proclo assegna alla somiglianza (ÐmoiÒthj) rispetto all’alterità (˜terÒthj) con cui l’effetto procede dalla causa. Una seconda obiezione riguarda la natura del pensiero intellettivo dell’anima: l’anima non è Intelletto, ma ha un intelletto. Poiché l’anima costitutivamente non può fare a meno del moto del pensiero, anche il suo intelletto sarà discorsivo. L’intelletto, per l’anima procliana, coincide con il vertice della ragione dianoetica, nella misura in cui questa si esprime in massimo grado nella dialettica, e in quest’ultima risiede la possibilità di ottenere una conoscenza adeguata dell’essere e del divino. A onor del vero, queste risposte alle possibili obiezioni non risultano del tutto convincenti,

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e forse lo sono anche meno di alcune aporie plotiniane; la prima suona come un compromesso, la seconda non è esente da incoerenze e oscurità. Restano apprezzabili il tentativo di risolvere all’interno del razionalismo di stampo platonico i problemi introdotti dal rifiuto della dottrina dell’anima non discesa e, se non altro, la percezione (forse inconscia, comunque non dichiarata) della forza epistemologica insita nella soluzione plotiniana.

Poiché trova la dialettica applicata nella seconda parte del Parmenide, quindi al culmine dell’insegnamento platonico, Proclo tratta della sua natura e delle sue funzioni in forma teorica; poi egli stesso la esercita in prima persona, commentando appunto il Parmenide e costruendo di conseguenza il piano della Teologia platonica. Qui il nesso fra dialettica ed esegesi emerge prepotentemente, con la sovrapposizione e perfino la compenetrazione fra metafisica, percorso logico-conoscitivo e modalità espressiva. L’esegesi teologica delle ipotesi del Parmenide si fonde con il rafforzamento del pensiero discorsivo, ottenuto grazie alla struttura del sillogismo di matrice peripatetica e stoica. Così si spiega il valore della ‘scienza teologica’, infe-riore, sì, al modo in cui l’Intelletto si volge al Principio, tuttavia anch’essa conforme alla vera realtà proprio in virtù della garanzia di verità data dal fondamento causale.

Il significato che ha per Proclo la dialettica si misura anche attraverso un confronto con il ruolo che le assegna Plotino. Entrambi elaborano una forma di epistemologia ottimistica: Plotino punta sul legame indissolubile dell’anima con l’Intelletto, facendo passare in secondo piano la necessità dell’argomentazione dialettica; Proclo rinuncia a questo legame ma riva-luta le potenzialità della ragione, scoprendone la forza nella possibilità di sviluppare le sue potenzialità fino (paradossalmente) a esprimere con esse e in esse qualcosa che di per sé si sottrae. La logica del pensiero psichico si fa riflesso dell’ordine dell’essere. Dispiega, per così dire, quella conoscenza precomprensiva alla quale non occorre dimostrazione, perché questa è implicita nell’asserzione semplice come nella causa è precompreso l’effetto prima che questo venga a essere; quella conoscenza, cioè, che spetta solo all’Intelletto. L’anima si deve accontentare del dispiegamento di quella conoscenza; dispiegamento che è però già di per sé ‘scientificamente’ valido e, in aggiunta, si carica di un valore metafisico ulteriore rispetto alla mera comunicazione di dati conoscitivi. In altre parole, il metodo dialettico porta nella propria struttura il contenuto, prima ancora di esprimerlo verbalmente. Nella dialettica, dunque, sta lo spazio che Proclo ancora concede all’esercizio ‘forte’ della ragione filosofica, l’ultimo baluardo che gli consente di non cedere alle opzioni che si affacciano in seguito al rifiuto della dottrina dell’anima non discesa: scetticismo o pensiero debole da una parte, dipendenza da forme di rivelazione dall’altra. Per l’anima plotiniana la scoperta della propria essenza coincide con la riconquista della coscienza

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19INTRODUZIONE

della propria origine intellettiva. Quella procliana è consapevole, grazie anche alla riflessione esegetica sui testi platonici, dei propri limiti costi-tutivi; sapendo di non poterli valicare, perché altrimenti verrebbe meno la distinzione ipostatica, è sul piano epistemologico che deve cercare la capacità di conformarsi al vero.

Il procedere della dialettica dipende da quattro procedimenti (defini-zione, divisione, dimostrazione, analisi) che Proclo riceve dalla tradizione platonica, non senza introdurre modifiche emblematiche della sua personale concezione. L’indagine condotta su di essi mostra come interagiscano e come possano essere gerarchicamente ordinati; a questo proposito, Proclo è piuttosto chiaro già in sede teorica. Espresso in maniera meno esplicita è invece il fatto che il fondamento di tutti e quattro i procedimenti risiede nei contenuti psichici. Questi non sono meri concetti mentali, elaborati a partire dalle realtà empiriche, bensì lÒgoi oÙsièdeij, principi razionali che costituiscono l’essenza stessa dell’anima. Non sterili, bensì dotati di effica-cia produttiva, attivandosi garantiscono alla scienza dianoetica la certezza epistemologica, consentendo sia la conoscenza degli intelligibili sia quella dei sensibili, la cui forma essenziale è proiezione dei lÒgoi psichici. Su tale fondamento di validità ontologica, Proclo elabora una dottrina della cono-scenza in cui il risveglio degli intelligibili nell’anima non avviene soltanto per anamnesi a partire dal sensibile. Ciò comporterebbe l’avvicinamento a una dottrina sensistica della conoscenza, di stampo aristotelico. Ma c’è dell’altro. È impossibile non avvertire quanto, pur nelle differenze, la funzione delle idee nell’anima ricordi la dottrina plotiniana: esse sono al contempo immagini degli Intelligibili primi e di quelli riprodotti al livello dell’Intelletto, ma anche produttive dei sensibili nella catena discendente delle cause. Appare imprescindibile, insomma, l’esigenza di porre nell’In-telletto e negli Intelligibili primi il fondamento di ogni conoscenza psichica, nonché la garanzia di esattezza per la dialettica. Ciò avviene grazie a imma-gini che, in questo caso, non separano ma uniscono, non distinguono ma assimilano ed elevano l’inferiore al superiore. Plotino invece, forse proprio perché accentuava l’alterità dell’immagine rispetto all’originale, non avrebbe potuto fondare alcuna conoscenza salda se non collocando il cosmo noetico realmente nell’anima, in perenne contatto con l’Intelletto.

Oltre ad accentuare il ruolo positivo dell’immagine, già si è detto che Proclo ripristina la validità e la funzionalità della logica, nella misura in cui porta in se stessa, prima che in ciò che espressamente comunica, il riflesso del reale. Si è anche accennato al fatto che il procedimento di analisi appare predominante perché favorisce l’ascesa dal causato alla causa e, al contrario, la dimostrazione ripercorre dall’alto, a partire dal Principio, il venire all’es-sere di tutto il reale esattamente nell’ordine in cui è avvenuta la processione. La dinamica metafisico-dianoetica così descritta trova un parallelismo nella

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20 INTRODUZIONE

vicenda dell’anima: il passaggio inferenziale sembra corrispondere al mo-mento, certo decisivo, dell’ascesa dialettica e intellettiva alla visione mistica del Principio, ma per l’anima l’esperienza conoscitiva non si conclude qui, anzi il momento più consono alla sua natura è quello successivo. Come il filosofo che, dopo aver contemplato il Bene, ha il compito di ‘rientrare nella caverna’, così l’anima procliana, dopo aver cantato l’inno intellettivo all’Uno, ha il compito di elaborare la scienza. Si tratta, ora, di una scienza arricchita di valenza metafisica, perché la sua struttura logica fondamentale, il sillogismo, dispiega il modo fondamentale della causalità, che potremmo definire causalità kruf…wj, con un termine che evoca il lessico degli Oracoli caldaici, ma che si lascia inserire in un sistema razionale, soprattutto se lo mettiamo a confronto con la tesi plotiniana per cui ogni potenza resterebbe «totalmente nascosta e per così dire invisibile» (krufqe‹san ¨n p£nth kaˆ

oŒon ¢fanisqe‹san) senza un atto che la manifesti 6. Il che ci rammenta sia la priorità che in certi contesti Plotino assegna, antiaristotelicamente, alla dÚnamij sia, con uno sguardo più ampio, la dottrina dell’attività ad extra che manifesta quella dell’essenza. Con il principio della causalità kruf…wj, invece, Proclo teorizza la superiorità della pre-contenenza dell’effetto nella causa rispetto all’attualizzazione del potere causante nel venire all’essere dell’effetto: la causa ha già in sé l’effetto «in maniera nascosta», in un’esi-stenza progettuale anteriore alla realizzazione e comprensiva di tutte le caratteristiche che si danno a vedere nell’effetto realizzato 7.

Se quindi torniamo ai metodi dell’insegnamento sul divino e prendiamo in esame quello che fa da pendant alla modalità dialettico-dimostrativa, ossia l’insegnamento per ispirazione, anche per questo notiamo che si tratta del retaggio di una tradizione che può esser fatta risalire a Platone, salvo poi essere accentuata in particolare da Giamblico in senso misterico. Al con-trario di quanto forse ci aspetteremmo, Proclo la accoglie in maniera non pedissequa. Il modo ispirato dice le cose come sono, in maniera assertoria, senza argomentazione. Lo stesso accade quando si anticipa la conclusione di un sillogismo, come secondo Proclo accade spesso nel Parmenide. In ciò potremmo scorgere un riflesso della visione intellettiva, diretta, im-mediata, comunicabile nella forma dello Óti œsti, ma insufficiente per la

6 Cfr. Plot. IV 8 [6], 5, 33-35, e il commento ad loc. in D’Ancona, Plot. IV 8, p. 188. 7 Cfr. ET 35 e 65; vd. infra, p. 39 nota 44. Il principio della pre-contenenza causale è già asserito da Giamblico (cfr. per es. De myst. III 1, 44-50), ma Proclo, sulla scia di Siriano (per cui cfr. per es. In Metaph., p. 3, 20-24 su intelletto e sapienza, p. 10, 8-9 sui principi del numero e delle forme intelligibili e intellettive, p. 95, 36 sull’anima che pre-contiene per essenza le ragioni di tutte le cose), lo teorizza e applica in maniera sistematica.

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21INTRODUZIONE

comprensione dell’anima, che necessita del lÒgon didÒnai. Un’asserzione ispirata porta con sé una sorta di comprensività metafisica, poiché include implicitamente in sé la dimostrazione, le è anteriore e dà fondamento alla sua verità, come – di nuovo – la causa precontiene in sé l’effetto. Il pen-siero psichico non può fare a meno, per sua stessa natura, di dispiegare (¢nel…ttein) ciò che è concentrato nell’asserzione.

In questa prospettiva l’insegnamento ispirato risulta superiore a quello dialettico. Tuttavia, il loro rapporto, in genere inteso come superiorità della rivelazione sull’indagine razionale, può altresì trovare chiarimento nell’ambito della gnoseologia dell’anima, operante fra intellezione imme-diata e metodo dialettico. Posto che vi sia una rivelazione da parte di un dio, il vero problema diventa capire come l’anima la recepisca. Nel caso di un’accettazione dogmatica emergerebbe un valore ‘debole’ dell’asserzione, se il suo contenuto deve essere accolto senza argomentazione; il che appare insufficiente a fronte del razionalismo greco. Oppure l’anima in qualche modo avvertirebbe la densità dialettica dell’asserzione, comprensiva di tutte le dimostrazioni che si potrebbero addurre a suo sostegno o che, secondo il procedere deduttivo della conoscenza umana, dovrebbero condurre a scoprire il contenuto stesso dell’asserzione. In questo secondo caso, l’anima percepirebbe la pregnanza metafisica con cui l’asserzione riproduce le leggi della causalità, caricandosi di una verità fondativa di ogni dimostrazione e non guadagnata a posteriori. Tutto il contenuto, esplicito e soprattutto implicito, dell’asserzione risulterebbe perfettamente chiaro soltanto a una visione intellettiva, che sappiamo preclusa all’anima. Questa, però, sembra poterne cogliere una traccia: se l’intellezione, in quanto indivisa, non è ac-cessibile all’anima, in qualche modo lo diventa in via subordinata, attraverso i concetti di precomprensione causale e dispiegamento nella ragione.

Per chiudere il cerchio, occorre tornare al problema dell’interpre-tazione generale di un autore come Proclo, che si colloca sul crinale tra razionalismo platonico-aristotelico e misticismo fondato su una rivelazione divina; non è facile capire quale versante egli prediligesse, ma sembra cer-to che non sentisse contraddizione fra le due attitudini. Per capire come ciò fosse possibile, forse proprio il doppio valore dell’asserzione ispirata potrebbe fornire uno spunto. Quando, stando al racconto di Marino 8, Proclo espresse l’opinione che fosse opportuno far circolare solo il Timeo e gli Oracoli caldaici, l’uno summa di fisica, l’altro di teologia, egli non intendeva sancire la subordinazione del Parmenide agli Oracoli; piuttosto, dobbiamo desumere che il Parmenide fosse a suo avviso troppo complesso

8 Cfr. Mar. V. Procl. 38, 16-20.

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22 INTRODUZIONE

per poter essere lasciato indiscriminatamente nelle mani di chiunque. In risposta all’esigenza di salvaguardare la corretta diffusione del vero, e in ciò verosimilmente memore dei rischi che Platone attribuiva, nel Fedro, a ogni libro scritto, Proclo avrebbe privilegiato il valore ‘debole’ dell’as-serzione ispirata: comunicando le cose come stanno, secondo la formula dello Óti œsti, di essa i più si accontenterebbero, non essendo in grado di affrontare in maniera adeguata la difficoltà dei ragionamenti dialettici. Ma al filosofo esperto la mera asserzione non basta. Forte della certezza logica data dal sillogismo, egli non solo si avventura a esaminare l’intricata trama dei nessi causali, ma comprende altresì che nel metodo dialettico si trova l’indizio che svela la pregnanza metafisica del modo espositivo adottato negli Oracoli. Il senso intellettivo dell’asserzione trascende le capacità del pensiero psichico, cui il ragionamento dialettico offre tracce per intuire la superiore verità dell’intellezione. Se, dunque, assimiliamo gli Oracoli al momento intellettivo, che non necessita di spiegazioni e trascende le facoltà dell’anima, e il Parmenide al momento dialettico-dimostrativo, allora i primi saranno idealmente migliori, secondo il valore ‘forte’ dell’asserzione (e pa-radossalmente al contempo utili ai non dialettici grazie al valore ‘debole’), ma il secondo sarà di fatto il massimo raggiungibile per l’anima. Se non possiamo parlare di superiorità del Parmenide, tuttavia in questa prospettiva il dialogo riguadagna un ruolo centrale, perché la pregnanza metafisica della dimostrazione sillogistica apre uno spiraglio su quella dell’asserzione comprensiva e fondativa della dimostrazione stessa.

AVVERTENZE

Per le citazioni da Procl. In Prm. si fa riferimento all’edizione di V. Cousin (1864), a oggi l’unica completa dei sette libri del commentario; fra paren-tesi sono indicate le corrispondenze con l’edizione approntata sotto la direzione di C. Steel, disponibile per In Prm. I-III (Oxford, Clarendon Press, 2007) e provvista di un testo migliore, ragion per cui lo adotto nelle citazioni. Quando il presente volume era in corso di stampa, sono stati pubblicati anche i libri IV e V. L’edizione di In Prm. I a cura di C. Luna e A.-Ph. Segonds (Paris, Les Belles Lettres, 2007, con un ampio volume introduttivo sulla storia della tradizione manoscritta) riproduce con minori differenze l’impaginazione di Cousin; poiché è stata pubblicata quando il presente studio era concluso, confronti e rinvii sono stati qui aggiunti a posteriori, ove possibile.

La rassegna completa degli studi condotti su molteplici motivi, attinenti all’opera e al pensiero procliani, che si incontreranno lungo il percorso, non

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23INTRODUZIONE

può essere fornita in questa sede; per essi si rinvia ai repertori bibliografici di Scotti Muth, Proclo per gli anni 1949-1992, che prosegue quello incluso in Rosán, Philosophy, e in Steel (dir.), Proclus per gli anni 1990-2004, con progressivi aggiornamenti sul sito http://www.hiw.kuleuven.be/dwmc/plato/proclus/probiblio.htm.

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1 Cfr. In Prm. I, coll. 617, 1-618, 10 (= 617, 1-618, 13 S.) e vd. Luna - Segonds, p. 165 nota 3 ad p. 1. 2 Cfr. TP I 1, pp. 7, 17-8, 15. Un’analoga invocazione affinché gli dèi agevolino la spiegazione dell’insegnamento di Platone si legge all’inizio del libro sulle enadi (III 1, p. 6, 4-7).

I

RAZIONALISMO, ESEGESI E DISCORSO SUL DIVINO

1. «ACCENDERE NELL’ANIMA LA LUCE DEL VERO»

Il commentario di Proclo al Parmenide si apre con l’invocazione a tutte le classi divine che, nell’interpretazione procliana, corrispondono ai livelli dell’essere passati in rassegna nell’esercizio dialettico che occupa la seconda parte del dialogo 1. Tutti gli dèi, facendo desistere il pensiero dall’errare nella falsità delle opinioni, predisponendo l’anima ad accogliere l’insegna-mento della verità e guidando l’intelletto dell’uomo, possono contribuire a far raggiungere la meta di ogni percorso conoscitivo ed esegetico. Per il medesimo scopo sono invocati anche all’inizio della Teologia platonica: «accendere nelle nostre anime la luce del vero» (tÁj ¢lhqe…aj fîj ¢n£ptein

¹mîn ta‹j yuca‹j) 2. L’uso di una simile espressione sembra non lasciare dubbi sul carattere che domina negli scritti e nell’attività del nostro autore, posti sotto l’egida di una valenza religiosa che prelude all’esegesi allegori-co-teologica. Però, questa è solo una faccia della medaglia, quella che ha maggior visibilità pur essendo filosoficamente meno feconda. Per trovare il risvolto più ricco dal punto di vista concettuale bisogna andare al di là delle apparenze; esso si cela, infatti, dietro a espressioni che in prima istanza rinviano ad altro. Insomma, occorre applicare al lessico di Proclo lo stesso metodo esegetico che egli applica quando legge Platone: indivi-duare espressioni pregnanti, suscettibili di assumere molteplici significati

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26 RAZIONALISMO, ESEGESI E DISCORSO SUL DIVINO

3 Cfr. anche Pl. Ep. VII 341c7-d2, sulla conoscenza che si accende all’improvviso nell’anima come una scintilla: oŒon ¢pÕ purÕj phd»santoj ™xafqþn fîj. Sulla iunctura tÕ

tÁj ¢lhqe…aj fîj, attestata nel tardo neoplatonismo e ampiamente in autori cristiani, vd. TP III, p. 106 nota 3 ad III 1, p. 6, 6-7. Cfr. Alc. Didasc. 164, 38-40: il primo dio è «verità, poiché è principio di ogni verità, come il sole lo è di ogni luce» (¢l»qeia dš, diÒti p£shj

¢lhqe…aj ¢rc¾ Øp£rcei, æj Ð ¼lioj pantÕj fwtÒj). Sulle problematiche neoplatoniche evocate nella metafora del sole, cfr. Ferrari, Motivi. 4 Cfr. In Prm. VI, col. 1061, 23-31 e VII, col. 1226, 26-30. 5 Cfr. TP I 7, p. 32, 1-2. L’espressione compare anche in De mal. subs. 1, 13-14, dove si legge che il problema della natura e dell’origine del male è stato variamente spiegato

che non si escludono reciprocamente, anzi concorrono a costituire una densità semantica inusuale e una serie di richiami da una pagina all’altra. Le si assume a emblema di un’attitudine concettuale in cui – a quanto pare – sull’unilateralità prevale una sorta di interazione che mira a tra-scendere le potenziali contraddizioni in una superiore unità di senso, che rivela perfino una portata ‘metafisica’. Partendo da simili espressioni, quali indizi di una profondità semantica non subito manifesta, si giunge a capire che l’orizzonte più immediato si rivela come la punta di un iceberg sorretto da una massa sommersa; è quest’ultima che bisogna sondare. La metafora vale a esprimere il rapporto fra un’accezione dominante e le altre che im-plicitamente concorrono alla pregnanza del termine; tale polisemia mira a conciliare le divergenze in un’unità che, sola, fonda il reale e complesso valore semantico. Funziona anche nel tentativo di comprendere il legame che esiste, nel pensiero procliano, fra prospettiva teologica e misterica da un lato, apparato razionalistico e filosofico dall’altro. È l’importanza di quest’ultimo che importa chiarire.

La iunctura fîj ¢n£ptein, prima che testimonianza del risvolto ‘mi-sterico’ del pensiero procliano, deve essere riconosciuta come citazione di Timeo 39b4, dove è descritto l’atto con cui il demiurgo «accese una luce», il sole, a fungere da mštron ™nargšj, parametro visibile per misurare la velocità reciproca delle orbite planetarie. Alle orecchie di un platoni-co l’accostamento fra sole e verità ovviamente rinviava all’analogia nella Repubblica 3. Nell’uso che Proclo fa dell’espressione, talvolta alcuni indizi suggeriscono che il valore metaforico non esaurisce la portata semantica. Si impongono allora due domande: a chi spetta la capacità di «accendere nell’anima la luce della verità»? E: di quale verità si tratta? Le risposte ci proiettano nella gnoseologia procliana.

Innanzi tutto, la conoscenza del vero si consegue grazie agli scritti platonici. Ai fini della loro corretta comprensione Proclo ora invoca gli dèi, ora esprime il suo debito nei confronti della spiegazione teologica del maestro Siriano 4, ora trova nel Parmenide il testo capace di «accendere la luce intera e perfetta della scienza teologica negli amanti di Platone» 5. Il

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primo passo sta dunque nell’insegnamento dell’autorità filosofica per ec-cellenza e nell’esegesi; così si attiva un processo che diventa, nella migliore tradizione platonica e – aggiungerei – plotiniana, un’esperienza di indagine nell’interiorità dell’anima. Emblematica la conclusione del primo capitolo della Teologia platonica: non si può comprendere il divino né comunicare insegnamenti su di esso senza lasciarsi guidare dagli dèi e ricevere la loro illuminazione, ma una volta giunti al termine del percorso, cioè al culmine dell’insegnamento platonico, allora si accoglierà tutta la verità, come esito del travaglio interiore di chi non solo segue l’insegnamento altrui, ma so-prattutto mette alla prova se stesso 6. A commento del lemma di Alcibiade I 106d4-e2, da cui ricava la distinzione fra m£qhsij ed eÛresij, Proclo nota che apprendimento, da altri uomini o da esseri divini, e scoperta individuale sono indispensabili perché l’uomo, a differenza dei generi superiori, non è sempre a diretto contatto con gli oggetti di conoscenza a lui più consoni 7. Due precisazioni: il venir meno del presupposto, aristotelico e plotiniano, della necessaria identità fra soggetto e oggetto non preclude la conoscenza, perché l’anima ha pur sempre in sé lÒgoi di ciò che mira a conoscere. Inoltre, l’illuminazione dall’alto non è riducibile alla trasmissione di contenuti di verità, come accade in una rivelazione; piuttosto, consiste nel predispor-re l’anima ad accogliere il vero. Questo viene effettivamente conseguito quando l’attitudine conferita o perfezionata dalle cause superiori incontra un’attività che ha origine dal basso, quale sviluppo delle capacità dell’uomo stesso. Anche nel passo del commentario all’Alcibiade cui si è fatto cenno Proclo specifica che la m£qhsij serve all’anima per «risvegliare le proprie intellezioni» (†na … ¢nakin»sV t¦j ˜autÁj no»seij), la eÛresij per «trovare se stessa e la pienezza delle ragioni che sono in lei» (†na … ˜aut¾n eÛrV

kaˆ tÕ pl»rwma tîn ™n ˜autÍ lÒgwn); entrambe sono doni divini grazie

(il riferimento è soprattutto a Plot. I 8 [51]), ma la soluzione viene dalla concezione platonica, quale luce che illumina la ricerca: velut lumen accendentes nobis hiis que inde questionibus. 6 Cfr. TP I 1, p. 8, 10-15: … kaˆ par’ ¥llwn punqanÒmenoi kaˆ ˜autoÝj e„j dÚnamin

basan…zontej.

7 Cfr. In Alc. 187, 7-188, 15, con un’espressione affine a quella che stiamo conside-rando: toÝj pursoÝj ¢n£ptousai toÝj ¢nagwgoÚj, detto delle visioni e delle spiegazioni divine (cfr. Or. Chald. fr. 126 e il contesto da cui è tratto, TP III 1, p. 5, 6-16). Cfr. Hymn. III 1 (merÒpwn ¢nagègion Ømnšomen fîj) e IV 2 (o‰ yuc¦j merÒpwn ¢nagègion ¡y£menoi

pàr), con il commento di Van den Berg ad loc. (p. 230). Su eÛresij e m£qhsij come uniche vie per l’uomo verso l’™pist»mh, l’una come ricerca compiuta rivolgendosi all’interiorità individuale e ai lÒgoi posseduti dall’anima, l’altra come comunicazione di perfezione da parte di chi insegna, esseri superiori o uomini, alle anime più deboli, che necessitano di aiuto, cfr. anche In Alc. 176, 18-178, 24; in In Alc. 225, 11-226, 7 le si mette in relazione con la natura dell’anima, intermedia fra aÙtokinhs…a e ˜terokinhs…a, in 236, 10-14 con la distinzione dei dialoghi in didaskaliko… e zhthtiko….

«ACCENDERE NELL’ANIMA LA LUCE DEL VERO»

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28 RAZIONALISMO, ESEGESI E DISCORSO SUL DIVINO

ai quali l’anima può tornare alla vita intellettiva da cui è decaduta 8. Per l’individuo, la conoscenza appare come un processo ‘bidirezionale’ che si realizza nel momento della convergenza 9.

Secondo Proclo, l’espressione fîj ¢n£ptein si adatta a entrambe le pro-spettive, quella dell’influsso divino e quella dello sforzo umano. Due motivi stabiliscono la comunanza: quello dell’elevazione dell’anima e quello della natura intellettiva della conoscenza. Il legame con l’attività che il superiore esercita sull’inferiore è di per sé insito nella spiegazione che Proclo dà del riferimento platonico 10: il demiurgo, superiore agli altri dèi, illumina per effetto spontaneo della sua essenza e comunicando alle realtà subordinate un riflesso della natura intellettiva 11. Il sole, in virtù della doppia creazio-ne da parte del demiurgo, che dapprima ne costituisce il corpo e poi ne accende la luce, acquisisce natura al contempo mondana, in quanto astro, e sovramondana, giacché condivide la funzione elevatrice, prerogativa degli dèi ipercosmici e in particolare di quelli intellettivi 12. Come il Bene è sovrano dell’intelligibile, così il sole lo è sul mondo visibile; mentre nella Repubblica si tratta di un’analogia di funzioni, per Proclo si tratta della comunicazione di proprietà da un grado divino all’altro: il dio Sole irraggia la luce divina, dando alle anime il potere di elevarsi 13.

8 Cfr. In Alc. 187, 16-20. Per ¢nak…nhsij cfr. Pl. Lg. 722d5 (i proemi delle leggi sono scedÕn oŒÒn tinej ¢nakin»seij), ma il sostantivo è di uso raro, per lo più neoplatonico e cristiano; cfr. per es. Porph. De abst. I 27, 25 e I 41, 20 Nauck. In Proclo è frequente. Cfr. per es. In Alc. 150, 19-23: le anime che aspirano all’assimilazione agli dèi (æmo…wsij

qeù di Pl. Tht. 176b1-2) hanno occupazioni ancora legate alla sterilità dell’apparenza e perseguite senza scienza (cwrˆj ™pist»mhj), perché prodotte da oblio e ignoranza; invece, i loro pensieri nobili e conformi alla loro natura risvegliano i travagli connaturati a tali anime (aƒ dþ tîn aÙtofuîn çd…nwn ¢nakin»seij). Cfr. In Alc. 225, 4-8: la paide…a prevede dapprima la correttezza della condotta etica, poi discorsi didascalici, e infine l’anam-nesi, per far emergere, nella loro purezza, i lÒgoi e la conoscenza esistenti nell’anima. Interessante è In Eucl., p. 21, 14-17: «a chi è di natura filosofo donde e per quali mezzi vengono il risveglio della conoscenza intellettiva (¹ ¢nak…nhsij tÁj noer©j gnèsewj) e il destarsi (œgersij) a ciò che è realmente e alla verità?». Cfr. inoltre Plu. Plat. quaest. I, 1000d7-e9. 9 Sull’armonia fra apprendimento, scoperta e rivelazione, vd. O’Meara, Pythagoras, pp. 152-155. 10 Cfr. In Ti. III, p. 325, 6-8, dove la metafora indica l’azione vivificatrice dell’anima sul corpo. 11 Cfr. TP V 20, p. 74, 7-9. 12 Cfr. In Ti. III, pp. 82, 4-83, 17. Sulla venerazione di Proclo per il Sole vd. Saffrey, Dévotion e cfr. Hymn. I (E„j “Hlion) 1: il Sole è invocato come «re del fuoco intellettivo» (klàqi, purÕj noeroà basileà). Sul dono della capacità di elevarsi (dÚnamij ¢nagwgÒj), specifico degli dèi intellettivi rispetto a quelli di tutte le altre classi divine, cfr. In Prm. I, col. 617, 13-15 (= 10-11 S.) e V, col. 990, 5-7 sulla dialettica come dÚnamij ¢nagwgÒj. 13 Cfr. In Ti. III, p. 82, 9-12. Sul Sole come dio in Numenio, vd. Bonazzi, Lettore.

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Altrove, la capacità anagogica è attribuita ad Atena, per la quale Pro-clo nutriva una speciale dedizione 14. Trattando del significato allegorico della scelta platonica di ambientare le discussioni della Repubblica nel corso delle feste Bendidie e Panatenaiche, Proclo spiega che entrambe le divinità celebrate sono apportatrici di luce (fwsfÒroi), con la differenza che Bendis ha il ruolo di portare alla luce i principi razionali invisibili (lÒgoi ¢fane‹j) della natura, mentre Atena «accende nelle anime la luce intellettiva» (tÕ noerÕn ¢n£ptousa fîj ta‹j yuca‹j), dissipando la caligine che impedisce all’anima di distinguere il divino e l’umano; l’una presiede al mondo diveniente, l’altra eleva le anime e dona intelletto e vera saggezza 15. L’epiteto fwsfÒroj è attribuito ad Atena in quanto dispensatrice di luce intellettiva (æj tÕ noerÕn p£nth diate…nousa fîj), con l’aggiunta dell’ap-pellativo «salvatrice» (sèteira), perché fa sì che ogni intelletto particolare sia insediato nelle intellezioni universali del padre Zeus, cioè dell’Intelletto demiurgico 16. Il legame di Atena con il dominio intellettivo è amplificato anche dall’influenza dell’aritmologia neo-pitagorica, che Proclo arricchisce di valori metafisici, non puramente simbolici: anche questa aritmologia trova il suo significato nell’esegesi praticata sul testo platonico, quale summa di tutte le tradizioni elleniche, e per converso spinge l’esegesi stessa fino alla conseguenza estrema dell’inverosimiglianza.

Un esempio è il commento a Parmenide 129c1-d2, dove Socrate contesta a Zenone che l’attribuzione di predicati opposti vale per le cose empiriche, ma non per le realtà in sé, e a tal fine adduce l’esempio dell’individuo, che può essere al contempo ‘molti’ per le determinazioni spaziali (destra e si-nistra, davanti e dietro, alto e basso), ‘uno’ se considerato all’interno di un gruppo, nella fattispecie fra i sette personaggi presenti alla discussione 17. Da qui Proclo trae spunto per il riferimento all’identità di uno e molti nella «comunanza tra le idee» (koinwn…a tîn e„dîn) e per disquisire sul valore aritmologico-metafisico di esade e ebdomade: la prima atta a indicare il molteplice (prÕj t¾n toà pl»qouj œndeixin), per la sua natura di numero pari e perfetto, in quanto non può essere imperfetto ciò che partecipa dell’Uno; il 7 invece implica un rinvio privilegiato all’Uno, perché dispari

14 Cfr. Mar. V. Procl. 30, 1-11. Vd. ora Luna - Segonds, p. 215 nota 2 ad p. 35 e p. 240 nota 3 ad p. 57. 15 Cfr. In Remp. I, pp. 18, 18-19, 2 e In Cra. 185, 1-6. Con ¢fa…rousa t¾n ¢clÚn Proclo riecheggia [Pl.] Alc. II 150d6-e3, dove si fa riferimento all’immagine omerica della dea che ‘toglie la nebbia’ dagli occhi di Diomede (Hom. Il. V 127-128); questa è l’origine della fortunata metafora gnoseologica (per es. in Plot. V 9 [5], 1, 16-21). Cfr. anche Hymn. I 41 e il commento di Van den Berg ad loc. (p. 182). 16 Cfr. In Ti. I, p. 168, 27-30. 17 Cfr. In Prm. II, coll. 767, 28-768, 12 (= 767, 21-768, 9 S.).

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e prodotto solo dall’unità (mÒnhj mon£doj gegonÒj), non da moltiplicazione o da fattori distinti e a loro volta già derivati 18. Nel cosmo noetico il 6 rap-presenta la causa della distinzione e il 7 quella della comunanza, accordata agli intelligibili e a tutti gli esseri 19; il primo è consacrato dai pitagorici ad Afrodite, il secondo appartiene ad Atena. Così vengono spiegate, in sequenza, l’affinità numerica tra 1 e 7, la relazione metafisica tra Uno e cosmo intellettivo, con la compresenza di comunanza e distinzione nel mondo delle idee, come voleva Platone, e ancora la corrispondenza con le divinità tradizionali. In questo approccio la priorità non va né all’inten-to esegetico né alla numerologia, bensì ai rapporti fra ordini metafisici; questi danno valore a esegesi, numerologia e devozione religiosa. Ecco la ragione per la quale la struttura con cui in TP V 2 viene configurata la classe degli dèi intellettivi è ebdomadica: due triadi, ciascuna con carattere monadico, e una settima monade, con carattere triadico. In tal modo, la classe intellettiva imita la struttura enneadica di quella intelligibile, rima-nendone distinta, secondo il principio della somiglianza nella differenza che connota il derivato rispetto alla causa. Stando all’aritmologia metafisica di Proclo, il 9 esprime l’™pistrof» della triade su se stessa, ma il 7 sancisce una «familiarità» (o„keiÒthj) non mediata con l’unità prima. Inoltre il 6, nascendo dalla moltiplicazione di diade e triade, indicanti rispettivamente la differenza e la perfezione conseguite tramite ritorno all’origine, esprime la ¢nagwg» dei molti all’Uno, possibile grazie alla koinwn…a, che è condicio sine qua non dell’ascesa favorita dall’ebdomade. Quindi, la classe degli dèi intellettivi funge da mediatrice nella struttura (numerica) del divino: da un lato imita i livelli superiori, dall’altro dà origine alla comunicazione dell’unitarietà ai livelli inferiori, che non la possiedono per essenza. Pre-cisamente la manifestazione dell’unità è la funzione essenziale della luce intellettiva (tÕ g¦r ˜nia‹on, oá tÕ fîj dhlwtikÒn), la cui associazione con il numero 7 è anch’essa ascritta da Proclo ai pitagorici 20.

Per Proclo, trarre da tutto ciò la seguente conclusione sul piano della gnoseologia non sarebbe stato difficile: se il soggetto conoscente è escluso dalla possibilità di rivolgersi solo a sé (qui il valore del 9), il suo percorso

18 Il 9 è perfetto perché nasce dalla triplicazione della triade, già in sé perfetta; ma 7 e 1 sono entrambi primi, di qui l’affinità alla monade; cfr. TP V 2, p. 14, 10-12. 19 In [Iamb.] Theol. arithm., nella sezione dedicata al 7, si trova l’associazione con Atena, l’uno e l’altra ¢m»twr kaˆ parqšnoj (cfr. p. 54, 11) perché il 7 è numero primo, non derivando da moltiplicazione né da un pari né da un dispari, ma solo dall’unità, né genera, cioè non dà origine, per moltiplicazione, ad alcun numero all’interno della decade (cfr. anche p. 71, 4-10). Però, non vi è alcuna menzione della koinwn…a; forse Proclo ricavò la corrispondenza proprio dall’esegesi del citato passo del Parmenide. 20 Cfr. TP V 2, p. 14, 12-17.

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conoscitivo può anche partire dal molteplice che governa il sensibile e procedere per ¢nagwg» (6), forse anche via anamnesi, ma senza l’azione efficace dell’unità intellettiva (7) lo sforzo sarebbe vano. Ciò significa am-mettere l’anteriorità dell’essere rispetto al pensiero (il 9 superiore al 7, come l’intelligibile all’intellettivo); ma il pensiero può riconseguire un rapporto privilegiato con l’Uno. Se ciò non dipende dalla mediazione del contenuto intelligibile, allora avviene grazie al metodo con cui il pensiero procede e alla capacità di riprodurre il contenuto prima ancora di esprimerlo.

Se gnoseologia ed epistemologia restano sempre presenti sullo sfondo delle corrispondenze allegoriche, teologiche, numerologiche e metafisiche, allora diventa rilevante che l’espressione fîj ¢n£ptein talvolta non indichi l’illuminazione dall’alto, per efficacia dell’ipostasi Intelletto o intercessione di un dio, ma sia collegata alle operazioni del pensiero umano. È usata per le anime prese da amore, delle quali si dice che elevano le più imperfette dal bello sensibile al divino e alla fonte di ogni bellezza, oppure di Socrate che si avvale perfino delle proprie attitudini mentali ed emotive quali sfiducia, capacità di congetturare un senso nascosto, speranza, come di mezzi per ‘accendere il fuoco’ della conoscenza vera, grazie alla fissità, alla continuità e all’intensità con cui l’anima mira all’intelligibile 21. Ancora, l’espressione ricorre a proposito del metodo che, tracciando un percorso attraverso le idee grazie allo sviluppo di ipotesi e ragionamenti dialettici, appare come uno stadio preliminare alla totale visione del vero da parte dell’anima 22. Al metodo elaborato dal pensiero psichico spetta, dunque, il compito di aprire la via alla comprensione delle realtà più elevate.

A favore dell’ipotesi che in questi casi non ci si trovi di fronte a un uso ‘debole’ della metafora consideriamo altri due luoghi procliani, utili a capire come Proclo avrebbe ragionato. In De decem dub. 54, 3-10 leggiamo che per l’uomo nulla è migliore dell’imitazione delle capacità divine; per mostrare tale somiglianza Proclo mette in relazione i passi del Timeo in cui Platone afferma che il demiurgo accese una luce nella seconda orbita dalla Terra (39b4-5) e diede all’uomo «occhi luminosi» 23, per osservare i moti degli astri, ricavare la nozione del numero e così conformare i moti dell’anima a quelli divini (47b5-c4). Sembra possibile instaurare un pa-rallelismo con la conoscenza noetica. Il fulcro consisterebbe nella doppia azione del principio superiore, che fornisce un parametro e, nel produrre

21 Cfr. rispettivamente In Alc. 33, 11-16 e In Prm. II, col. 770, 27-36 (= 18-24 S.), in particolare: … oŒon ™k pure…wn [Pl. Resp. 435a1-2] ¢n£yaj ˜autù fîj di¦ tÁj prÕj tÕ

pr©gma ™naten…sewj kaˆ tÁj prÕj aÙt¦ t¦ e‡dh sunecoàj ¢nat£sewj. 22 Cfr. In Prm. V, col. 994, 8-24. 23 Gli oculi luminifori della versione latina in cui è tràdito il testo sono i fwsfÒra

Ômmata di Pl. Ti. 45b2-3.

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l’inferiore, gli dà la capacità di volgersi al parametro; a questo punto, l’effettivo moto verso il parametro spetterebbe all’inferiore. Il demiurgo fa il sole e, nell’organismo umano, occhi che a loro volta emettono luce e grazie a essa vedono; perciò possono rivolgersi al parametro dato. Nel caso del pensiero, da un lato viene ‘accesa’ la luce intellettiva, forse tramite il riflesso degli intelligibili nell’anima o forse grazie al potere efficace che gli intelligibili stessi possiedono; dall’altro, il metodo discorsivo ha già in sé, in quanto fondato nell’Intelletto, parte di quella luce intellettiva e, per così dire, la proietta su quella accesa dall’alto 24. In altre parole, l’illuminazione dall’alto si combina con un riflesso di luce che viene dal basso, senza che ciò comporti un’esperienza mistica o una rivelazione da parte del divino. Le facoltà umane, infatti, non vengono annullate in maniera gratuita, né sfociano nel silenzio; sono, piuttosto, trascese ‘dall’interno’, grazie al loro stesso potenziamento, la cui possibilità è insita nel legame con l’origine intellettiva. Il potere anagogico degli dèi, non a caso associato soprattut-to alla classe intellettiva, opera appunto su questo duplice orientamento gnoseologico.

Consideriamo il secondo passo: In Alc. 181, 11-182, 15. Il bene è pre-sente in grado e modi diversi in tutti gli ordini ontologici: negli esseri veri, nelle anime divine, nei generi superiori, nelle anime umane, poi anche negli animali e nelle piante, e perfino nei corpi e nella materia informe. Le realtà più vicine al Principio lo possiedono in maniera conforme all’essenza unitaria, quelle più lontane lo condividono «nella distanza e nella divisione» e nessuna è autosufficiente; perciò devono colmare la debolezza della loro natura con la comunanza di ispirazione. Questo ragionamento serve a Proclo per fondare la validità delle assemblee in cui gli uomini, individualmente deboli, si trovano a deliberare insieme, «raccogliendo l’intelletto diviso e per così dire solleciti ad accendere un’unica luce da molte scintille» (tÕn

diVrhmšnon ¢qro…zontej noàn kaˆ oŒon ™k spinq»rwn pollîn ÿn fîj ¢n£yai

speÚdontej) e mettendo la misura di bene di cui ciascuno è partecipe al servizio dell’agire comune 25. Una simile interpretazione dell’onnipresen-za del bene, volta a spiegare le ragioni della convivenza sociale e perfino dell’attività politico-assembleare, appare riduttiva. Diventa più pregnante

24 Cfr. Plot. V 3 [49], 8, dove con la metafora della luce Plotino esprime sia la natura dell’Intelletto, quale luce che vede luce, sia il suo rapporto con l’anima: la perfetta co-noscenza di sé dell’Intelletto illumina l’anima producendo in lei la ragione discorsiva e l’anima, esercitando questa, ritrova il proprio stato originario nella vita intellettiva. Forse proprio per la stretta relazione fra Intelletto e ragione discorsiva, che si manifesta talvolta nella difficoltà di distinguerli e nell’identificare l’io dell’individuo ora con l’Intelletto ora con la di£noia, echi del trattato V 3, in cui il tema emerge con grande efficacia, sembrano molto presenti in Proclo. 25 Si noti l’affinità con alcuni luoghi della Politica aristotelica.

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se notiamo che un’analoga operazione di ‘raccoglimento’ dalla dispersione avviene nell’anima di ogni individuo, quando mira a conseguire l’unità della visione intellettiva, perduta, attraverso i passaggi molteplici della ragione discorsiva, che pur nell’Intelletto è fondata. Una simile posizione ricorda chiaramente quella di Plotino; ma Proclo se ne differenzia per almeno due ragioni – che in seguito approfondiremo –: se Plotino attribuisce la necessità soprattutto all’immediatezza del pensiero intellettivo 26, Proclo la ascrive anche al pensiero discorsivo dell’anima, quando è articolato sulla certezza del sillogismo. Inoltre, se la necessità intellettiva per Plotino coincide con l’identità di soggetto e oggetto, per Proclo la polarità che si risolve in unità è soprattutto quella della presenza attuale dell’oggetto nel metodo.

Insomma, di primo acchito l’espressione «accendere nell’anima la luce del vero», emblematicamente assunta a principio della presente indagine, rischia di suonare fastidiosa alle orecchie di lettori convinti della priorità della componente razionale nel neoplatonismo, poiché evoca uno scenario vicino a una certa religiosità misterica; però, dopo l’esame delle occorrenze emerge un ‘retroterra’ legato a una questione centrale nell’epistemologia di Proclo. L’eco del fuoco intellettivo e degli dèi con funzione elevatrice degli Oracoli caldaici si insinua nell’esegesi del Timeo, ma non a tal punto da trascinarla del tutto nella prospettiva misterica. Il rinvio alla fonte platonica continua a sostenere le istanze razionali che devono orientare il processo conoscitivo; il che induce a dubitare che in Proclo prevalga l’unilateralità del retaggio giamblicheo e suggerisce, piuttosto, un riavvicinamento a Plotino, fermo restando il differente esito delle rispettive gnoseologie. Per Proclo l’anima mira a elevarsi alla visione intellettiva tramite la dialettica che unifica la molteplicità dispersa, facendosi scienza sillogistica e così rico-struendo il sistema dei diversi gradi di inclusione causale vigenti nell’ordine dell’essere. In quanto tale – vedremo – la sua struttura articola in forma ‘discensiva’ l’unitarietà di ciò che l’Intelletto coglie senza distinzione. Che nella fuga dal sensibile verso ciò che è ‘più bello’ consistano la saggezza e il fine dell’anima e che la dimostrazione stessa di ciò sia un mezzo per elevarsi (¢nagwg» tij) sono convinzioni già plotiniane 27. Proclo accentua l’importanza della dimostrazione (¢pÒdeixij), in quanto riceve validità dal legame con l’intelletto, riproducendo nella sua struttura logica il vero e per questo elevando l’anima a esso, «poiché luce della ragione è l’intellezione, che la perfeziona e la eleva e fa risplendere il potere conoscitivo che è in lei» 28.

26 Così per es. in Plot. V 3 [49], 6, 10: ¹ mþn ¢n£gkh ™n nù, ¹ dþ peiqë ™n yucÍ. 27 Cfr. rispettivamente Plot. I 6 [1], 6, 12-18 e I 3 [20], 1, 2-5. 28 In Ti. I, p. 255, 7-9: Óti fîj ™sti toà lÒgou ¹ nÒhsij, telesiourgÕj oâsa kaˆ ¢nagwgÒj

aÙtoà kaˆ ¢polamprÚnousa t¾n ™n aÙtù gnwstik¾n dÚnamin.

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34 RAZIONALISMO, ESEGESI E DISCORSO SUL DIVINO

Delle implicazioni di tutto ciò avremo modo di discutere, ma intanto anche solo la breve ricognizione sull’espressione fîj ¢n£ptein ha suggerito non poco del metodo procliano: l’abitudine di seminare nelle innumerevoli pagine dei richiami, fondati sul ricorrere del medesimo lessico, l’attenzione all’interferenza fra tradizioni molteplici, tutte poste sotto l’egida dell’autorità di Platone, l’attitudine a intendere certi termini o iuncturae come tracce che conducono a scenari insospettati o come il momento di conciliazione fra prospettive in apparente contrasto.

Elena Gritti
Proclo. Dialettica Anima Esegesi
SEGUE
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1 Per cui vd. infra, p. 208.

IV

I PROCEDIMENTI DIALETTICI: DIVISIONE, DEFINIZIONE, DIMOSTRAZIONE, ANALISI

Stando a quanto detto finora, Proclo attribuisce alla dialettica il compito di fornire la struttura logico-argomentativa della scienza teologica, a sua volta fondata sull’articolazione di quelle realtà che fungono da oggetto del «dispiegamento» (¢nšlixij) dianoetico-dimostrativo. Di essa possiamo riassumere gli aspetti salienti. Innanzi tutto l’oggetto proprio dell’indagine: t¦ kur…wj pr£gmata, le realtà metafisiche e divine, precisamente le enadi e gli esseri che colmano il mondo noetico, dotati di una superiorità derivante dal potere causale che essenzialmente li connota, in quanto origine delle serie in cui si realizzano le processioni delle realtà inferiori e delle loro molteplici proprietà. Poi la terminologia, dominata da un ‘tecnicismo’ che non sempre viene riconosciuto e tanto meno apprezzato in quanto tale: il metodo dialettico è basato sull’ambivalenza linguistica che ‘dice e non dice’, trasmettendo una completezza di senso non manifesta a una lettura superficiale; sulla polivalenza semantica di una parola i cui referenti sono molteplici ed esistono con funzione analoga in differenti ordini del reale; e sul ricorso a coppie di termini opposti, con i quali vengono designati appunto dialektikîj gli dèi che, secondo Proclo, anche Platone designa sumbolikîj, con i nomi della religione più genuinamente greca, nata con Omero ed Esiodo. Si instaura così un gioco di bipolarità antitetica, che a livello linguistico è favorito dall’uso di omonimia e polisemia, mentre sul piano del metodo si manifesta per esempio sovrapponendo contraddizione in senso aristotelico (cioè ¢nt…fasij) 1 e dicotomia del Sofista e contrapponendo affermazione e negazione (¢pÒfasij e kat£fasij), con il duplice valore

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190 I PROCEDIMENTI DIALETTICI

2 Per un esempio di sottigliezza logico-linguistica, abbinata al ricorso ai concetti di contrarietà e contraddizione, cfr. In Prm. VI, coll. 1091, 24-1092, 15 e VII, coll. 1241, 15-1242, 33, dove si discute l’aporia circa il perché la prima negazione della prima ipotesi del Parmenide concerna i molti e non l’essere. Il vero ¢ntike…menon dell’Uno è l’essere, ma risulta più facile pensare che sia il molteplice. Il fatto che si cominci con la negazione di questo dipende sia dall’intento didattico sotteso all’esercizio dialettico, sia da una ragione ‘logica’: se all’inizio si opponesse la negazione dell’essere all’Uno, questa produrrebbe ¢nt…fasij con l’ipotesi dell’esistenza stessa dell’Uno, il che bloccherebbe subito il ra-gionamento. Alla fine, dopo aver negato tutti gli attributi che partecipano dell’essere, la negazione dell’essere costituisce come un ritorno al principio, poiché essa è implicita già nella negazione dei molti e dal punto di vista dell’ordine ontologico la precede. 3 Per esempio, nella triplice alternativa di «segue», «segue e non segue», «non segue» che serve a vagliare, con ordine e completezza, le conseguenze di un’ipotesi, riscontriamo l’intento e quasi l’ansia neoplatonica di trovare sempre una mediazione; si potrebbe parlare di un’estensione del principio della necessità della mediazione (oÙk ¢mšswj), per cui non vi è continuità ontologica se mancano gradi intermedi. Si pensi anche al dinamismo triadico configurato dalla successione di protasi, dimostrazione e conclusione, quale riflesso del moto triadico costitutivo della realtà: permanenza, processione (rappresentata, nel metodo, da divisione e dimostrazione) e ritorno (con la conclusione che torna all’ipotesi). 4 Vd. supra, p. 39 e nota 44.

della negazione, ora privativa ora produttiva 2. Mentre sul piano linguistico l’antitesi si presenta fra due termini, nella struttura argomentativa diventa sviluppo di tre alternative: data la necessità di garantire completezza e continuità, serve un terzo termine che realizzi la mediazione tra gli opposti e attui, per così dire, un passaggio dalla staticità semantica al dinamismo del pensiero che svolge il metodo 3.

Nello svolgimento argomentativo, la consequenzialità logica organizza la t£xij dialettica in modo tale che essa rispecchi la «continuità» (sunšceia) ontologica, a sua volta determinata dal processo di causalità kruf…wj, per cui una causa superiore pre-contiene, «in maniera nascosta», i propri effetti ma anche quelli delle cause inferiori che da essa procedono 4. Vedremo come questo principio sia riprodotto attraverso la concatenazione delle dimostra-zioni dialettiche, sul modello dei sistemi deduttivi costruiti in geometria, e attraverso la pre-contenenza della dimostrazione nella premessa. Con tali presupposti, l’ordine gerarchico si riscontra a tre livelli, corrispondenti ai gradi dell’esegesi: il primo si limita al riscontro della consequenzialità logica necessaria (¢kolouq…a e ¢n£gkh); il secondo, filosofico e intellettivo, con-sidera la connessione e la continuità (sunšceia e prosecšj), nel dispiegarsi dell’Uno per causalità kruf…wj; il terzo, teologico, si richiama all’immagine della ‘catena aurea’, quale espressione dell’illuminazione che emana dal Principio e della conseguente comparsa (œmfasij) degli ordini divini.

Tutti gli aspetti ora brevemente considerati concorrono a realizzare l’intento di ricostruire in modo sistematico l’ordinamento dell’essere e del divino, conseguendo un’esattezza garantita non solo dall’esaustività della

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5 In Prm. I, col. 655, 14-16 (= 12-16 S.): … aÙt¾n metaceir…zetai t¾n prwt…sthn ™nšrgeian

kaˆ aÙtÕ tÕ ¢lhqþj e„likrinîj ™kfa…nousan tÁj dialektikÁj. Con e„likrinšj Plotino con-nota l’assoluta purezza del Bene, somma unità che esclude perfino la più nobile attività conoscitiva, sullo sfondo del rifiuto di identificare l’Uno con il dio aristotelico; cfr. per es. Plot. I 6 [1], 7, 8-10 e VI 7 [38], 40, 41-43. 6 Cfr. In Cra. 135, 6-10 per il contrasto tra conoscenza psichica e intellettiva: «ma se gli oggetti di intellezione sono nell’anima in modo non coordinato all’intelletto, bensì al modo di immagini e in un grado più basso (e„ dþ m¾ susto…cwj tù nù e„sin ™n tÍ yucÍ t¦

no»mata, ¢ll’ e„konikîj kaˆ ™n Øfšsei), di gran lunga a maggior ragione l’anima avrà le vertigini („lliggi£sei) nell’esercitare limpidamente il pensiero (noe‹n e„likrinîj) riguardo agli dèi, e solo in modo iconico può acquisire nozione dell’essenza del dio e della sua denominazione». Per descrivere questo stato dell’anima, Proclo ricorre al verbo „liggi©n, che Platone riferisce al turbamento e al ‘vagabondaggio’ (come Proclo definisce anche la dialettica) in cui l’anima è coinvolta quando si lascia trascinare dal sensibile, affidan-dosi incautamente alla sensazione; cfr. per es. Phd. 79c6-8: plan©tai kaˆ tar£ttetai kaˆ

e„liggi´.

trattazione, ma soprattutto dalla concatenazione di tutte quante le compo-nenti dell’insieme e dalla reciprocità dei loro rapporti. Il fine è dispiegare la verità circa i mondi divini, per renderne accessibile la conoscenza alla ragione psichica. Ecco il compito che l’anima svolge attraverso la dialettica discensiva, che diventa espositiva in quanto metodo scientifico e perciò posteriore al viaggio contemplativo che, tramite la dialettica ascensiva e conoscitiva, culmina nell’inno dell’intelletto al Principio.

Dopo averli già menzionati in più occasioni, è ora giunto il momento di discutere i quattro procedimenti di cui si avvale la dialettica, per compren-dere quale valore Proclo attribuisca loro e come, in virtù di tale valore, essi operino singolarmente e interagiscano in vista della conoscenza del vero. La comprensione unitaria e simultanea, complessiva e ‘sinottica’ rimane appannaggio dell’Intelletto. Ciò non toglie che la verità possa manifestarsi, nella sua purezza (e„likrinîj), anche al livello della conoscenza scientifica, che alla natura discorsiva unisce il sostegno dato dalla prossimità del suo grado più elevato alla dimensione intellettiva, pur non identificandosi con essa. Quando il filosofo non si trova a fronteggiare degli avversari né ha più bisogno di esercitarsi nella tecnica delle argomentazioni logiche, allora «ha a che fare con l’attività assolutamente prima della dialettica e che limpidamente manifesta il vero in sé» 5. In questo momento l’anima mira a trascendere i propri limiti costitutivi, senza potersi ancora identificare tout court con l’In-telletto. In tal caso la pura intellezione del divino le spetterebbe per natura, invece si trova ad ‘avere le vertigini’ perché cerca di acquisire una forma di conoscenza che non le è coordinata 6. Si tratta ora di capire, in base alla descrizione e alle indicazioni teoriche sul metodo e sulla sua applicazione esegetica, in che modo gli strumenti logici, rivalutati in chiave metafisico-causale, favoriscano la conoscenza e la comunicazione del vero.

I PROCEDIMENTI DIALETTICI

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192 I PROCEDIMENTI DIALETTICI

1. IL CONFRONTO CON LA TRADIZIONE E IL FONDAMENTO METAFISICO

Nel V secolo d.C. a divisione, definizione, dimostrazione e analisi viene ormai riconosciuto un ruolo fondamentale nell’argomentare dialettico. Proclo si adegua alla tradizione, ma in maniera per nulla pedissequa, pronto invece a rafforzare e perfino a rinnovare il significato di uno schematismo già divenuto canonico. Per mostrare che le cose, ancora una volta, non sono lineari come potrebbero sembrare e nella fattispecie per misurare l’originalità di Proclo rispetto alla tradizione è sufficiente ripercorrere, in breve e a titolo di confronto preliminare, il resoconto che dei quattro metodi presenta il Didascalicus di Alcinoo 7. Il carattere manualistico dell’opera comporta un’esposizione piuttosto schematica, che sacrifica la profondità concettuale delle problematiche e fa trasparire sia tendenze aristoteliz-zanti, accanto all’impegno di rendere conto della teoria platonica, sia la convinta adesione al concordismo platonico-aristotelico. Tale adesione si spinge fino a riscontrare esempi di sillogismi categorici e ipotetici in vari dialoghi di Platone, utilizzando criteri di lettura che nei commentari di Proclo diventano costanti e applicati sistematicamente. La posizione pro-cliana riguardo al problema della dialettica, la cui complessità, già dovuta all’argomento in sé, viene accentuata dall’interferenza di diverse correnti di pensiero, rispetto al precedente medioplatonico presenta divergenze ed elementi di continuità.

Una prima differenza emerge a livello generale. Nel capitolo III Alci-noo definisce la dialettica come «la conoscenza riguardo al ragionamento» (¹ dþ perˆ tÕn lÒgon [scil. gnîsij]), subordinandola alla contemplazione degli esseri, di pertinenza della conoscenza teoretica: facendo confluire in una simile concezione della dialettica elementi della logica e della retorica di Aristotele, il manuale ne fa uno studio preliminare e indispensabile per il filosofo 8. Per il commentatore neoplatonico la dialettica, nella sua funzione ‘manifestativa’ del vero, è invece platonicamente utile ai fini della contemplazione dell’essere, sebbene non si identifichi con la visione intellettiva. Un’ulteriore discrepanza risulta dall’enumerazione e dalla descrizione che l’autore medioplatonico propone dei metodi con i quali la dialettica assolve al compito di esaminare l’essenza di ciascuna cosa e i suoi attributi accidentali (perˆ tîn sumbebhkÒtwn). Le operazioni necessarie per cogliere la oÙs…a pantÕj Ðtouoàn sono suddivise secondo la ‘direzione’

7 Cfr. Alc. Didasc. 156, 24-160, 41. 8 Cfr. Alc. Didasc. 153, 29-38. L’espressione qša tîn Ôntwn, derivata da Pl. Resp. 525a1, 582c7-8 e Phdr. 248b4, anche se nei passi platonici il genitivo compare al singolare, e associata da Alcinoo alle discipline teoretiche, è di uso tipicamente neoplatonico (vd. gli esempi citati in Alc. Didasc., p. 3 nota 29 ad loc.).

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che ciascuna imprime al pensiero 9: divisione e definizione, che figurano come complementari, procedono «dall’alto» (¥nwqen), l’analisi invece «dal basso» (k£twqen). I principi della classificazione appaiono diversi riguardo all’indagine sugli accidenti, che avviene o tramite induzione a partire da-gli individuali (definiti periecÒmena), o tramite sillogismo partendo dagli universali (perišconta) 10.

TÁj dialektikÁj dþ stoiceiwdšstaton ¹ge‹tai prîton mþn tÕ t¾n oÙs…an

™piblšpein pantÕj Ðtouoàn, œpeita perˆ tîn sumbebhkÒtwn: ™piskope‹ dþ

aÙtÕ mþn Ó ™stin ›kaston À ¥nwqen diairetikîj kaˆ Ðristikîj À k£twqen

¢nalutikîj, t¦ dþ sumbebhkÒta kaˆ Øp£rconta ta‹j oÙs…aij À ™k tîn

periecomšnwn di’ ™pagwgÁj À ™k tîn periecÒntwn di¦ sullogismoà: æj

kat¦ lÒgon e!nai tÁj dialektikÁj tÕ mþn diairetikÒn, tÕ dþ ÐristikÒn,

tÕ dþ ¢nalutikÒn, kaˆ prosšti ™pagwgikÒn te kaˆ sullogistikÒn. (Alc. Didasc. 156, 24-33)

[scil. Platone] ritiene che compito elementare della dialettica sia innanzi tutto quello di considerare l’essenza di ogni cosa, qualunque essa sia, poi gli accidenti; esamina ciò che ciascuna cosa è o [procedendo] dall’alto con divisione e definizione, o dal basso con l’analisi, mentre gli accidenti che appartengono alle essenze [li esamina] o a partire dagli individuali tramite induzione o dagli universali tramite sillogismo. In corrispondenza, sono parti della dialettica quelle che concernono la divisione, la definizione, l’analisi, e inoltre l’induzione e il sillogismo.

Ogni procedimento viene poi suddiviso, cosicché assume molteplici forme. Cinque sono quelle della divisione 11: vi è dia…resij di un genere nelle sue specie, di un intero nelle sue parti, di una parola nei suoi significati, di un accidente rispetto ai soggetti in cui può manifestarsi e inversamente dei soggetti rispetto agli accidenti che possono assumere. Ci interessa notare che già Alcinoo menziona le due tipologie diffuse nel neoplatonismo: di-visione di un genere in specie e di un intero in parti. Inoltre, egli instaura delle relazioni tra i vari procedimenti della dialettica: la definizione deriva dalla divisione (Ð dþ Óroj ™k diairšsewj genn©tai). Per definire una cosa, bisogna prima individuare il genere a cui appartiene, poi ‘scendere’ dal genere alle specie, sezionando progressivamente le differenze consecutive in forma di alternative dicotomiche (kat¦ t¦j prosece‹j diafor©j katiÒn-

9 La classificazione è anticipata in Alc. Didasc. 153, 29-38, dove compaiono anche l’induzione (tÕ ™pagwgikÒn) e la dimostrazione (tÕ ¢podeiktikÒn), che riguarda il sillogismo necessario ed è detta far parte della sillogistica (tÕ sullogistikÒn), insieme al ragionamento sulle opinioni e premesse condivise (tÕ ™piceirhmatikÒn) e alla retorica (tÕ ·htorikÒn), che riguarda entimema e sofisma. 10 Per la terminologia Whittaker rinvia ad Arist. APr I 27, 43b22-30 e a Metaph. D 26, 1023b26-32 (vd. Alc. Didasc., p. 87 nota 71 ad 156, 30). 11 La divisione è trattata in Alc. Didasc. 156, 34-157, 4.

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taj mšcri tîn e„dîn) e poi, dopo aver di volta in volta escluso l’alternativa non pertinente alla cosa cercata, ricomponendo le differenze stesse in una formula proposizionale a partire «dall’alto», ovvero dalla più generale (éste e„ sunteqe‹en aƒ prosece‹j diaforaˆ tù gšnei tù ™x aÙtîn, Óron … g…nesqai) 12. Il concetto aristotelico di definizione viene ampliato in modo tale da includere tutte le differenze contigue, enunciandole a cominciare dalle più generali e maggiormente inclusive fino alle più specifiche, in nome di un’esigenza di completezza suggerita dal metodo dicotomico illustrato nel Sofista; è assai verosimile che questo avesse in mente Alcinoo, sebbene la scala delle predicazioni, cui sembra fare riferimento l’idea del percorso ¥nwqen, ricordi l’ordine interno delle colonne in cui sono distribuite le categorie aristoteliche.

Nel manuale incontriamo poi il concetto di sÚnqesij abbinato alla prospettiva ‘discendente’ e in implicita, ma comunque chiara opposizione rispetto al metodo di analisi, nelle cui tre specie resta sempre in primo piano l’idea che si tratti di un percorso ascensivo (¥nodoj): l’analisi va dai sensibili agli intelligibili, da ciò che è dimostrabile a ciò che non lo è e che non necessita di mediazioni, da ipotesi a principi anipotetici 13. Al primo tipo è ricondotto il percorso che Platone delinea nel Simposio: dalla bellezza visibile nei corpi a quella delle anime, da questa a quella che connota le occupazioni, poi le leggi e, attraverso «il grande mare del bello», fino al bello in sé. Descrivendo la seconda tipologia di analisi, però, la via non è più solo verso l’alto; l’autore di nuovo ricorre al duplice percorso di ascesa e discesa. Posto un oggetto di ricerca (Øpot…qesqai de‹ tÕ zhtoÚmenon), con l’intento di provare l’appartenenza di un predicato a un soggetto (per esempio ‘se l’anima è immortale’), bisogna dimostrare il possesso da parte del soggetto delle predicazioni più generali, che precedono e includono quella che si sta indagando; nell’esempio, se l’anima è ¢eik…nhtoj, poi se ciò che è tale è aÙtok…nhton, poi ancora se questo funge da principio di movimento. Attraverso la mediazione delle molteplici predicazioni si risalga fino a conseguire l’accordo su una proposizione prima; nell’esempio, ‘che il principio di movimento è ingenerato e quindi anche incorruttibile’. A partire dal principio su cui ci si è accordati e che perciò risulta evidente, occorre poi compiere il percorso inverso fino a tornare all’oggetto inizial-mente posto, seguendo il modo della composizione (tù sunqetikù trÒpJ) per costruire una dimostrazione che, in forma sillogistica, da molte premesse concatenate deduce la verità della predicazione inizialmente posta 14.

12 Cfr. Alc. Didasc. 157, 4-10. 13 Cfr. Alc. Didasc. 157, 11-43. 14 La descrizione del metodo e l’esempio, evidentemente tratto dal Fedro, sono in Alc. Didasc. 157, 21-36. Vd. in part. le righe 33-34: ¢f’ oá [scil. dal prîton kaˆ ÐmologoÚmenon] ¢rx£menoj ™nargoàj Ôntoj sunq»sw toiaÚthn ¢pÒdeixin.

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In questo consiste il procedimento volto a sondare, in base a rapporti di inclusione fra predicati, l’appartenenza di una certa prerogativa a un soggetto. Vi è poi un’altra analisi, quella che procede attraverso le ipotesi fino al principio anipotetico 15, corrispondente al metodo descritto nel Fedone (101d3-e1) e allo scopo indicato dalla Repubblica (510b6-7). Chi intraprende un’indagine pone il suo oggetto in forma di ipotesi (Øpot…qetai

aÙtÕ ™ke‹no) e ne esamina le conseguenze (t… ¢kolouqe‹). Dopo di che, se è necessario «rendere ragione dell’ipotesi» (lÒgon didÒnai tÁj Øpoqšsewj), cercando un principio esplicativo-causale, pone un’altra ipotesi e indaga se la prima consegue (se è ¢kÒlouqon) 16 a questa seconda ipotesi. In sostanza, l’analisi comporta un’applicazione a ritroso del criterio della conseguenza, che in genere segue un moto ‘discendente’ (si pone un’ipotesi e si valuta che cosa ne deriva). Tra l’ipotesi posta in un secondo momento e quella di partenza può esistere un nesso logicamente identico a quello che esiste fra l’ipotesi di partenza e le sue conseguenze: quel nesso di ¢kolouq…a che la dimostrazione percorre nella stessa direzione discendente. Procedendo in questo modo, a un certo punto si arriva a un’ipotesi che a sua volta non deriva da alcuna altra ipotesi: si è così giunti al principio anipotetico.

Prima di arrivare alla spiegazione e alla classificazione del sillogismo, nel manuale compare, intrecciando la propria funzione a quella dell’ana-lisi, quello che poi sarebbe diventato il quarto procedimento dialettico: la ¢pÒdeixij. In parallelo con la definizione, che nasce dalla divisione per un processo di composizione (sÚnqesij), la dimostrazione ha origine dagli esiti dell’analisi per un processo analogo sia in quanto anch’esso compositivo sia in quanto procede dall’alto, dalla proposizione più generale. La diffe-renza consiste nel fatto che, mentre per divisione e definizione la maggior generalità assume i caratteri di un’inclusione del tipo genere-specie, con la mediazione delle differenze contigue, nel caso di analisi e dimostrazio-ne la validità delle inclusioni dipende da rapporti causali e da proprietà connesse all’essenza.

Fra i procedimenti finalizzati alla conoscenza della oÙs…a (tre enunciati espressamente, ma si rivelano già quattro) emergono rapporti di com-plementarità: tra divisione e definizione, tra analisi e dimostrazione. Da simili rapporti si lasciano desumere sia la netta opposizione tra dia…resij e

¢n£lusij, con il loro procedere secondo orientamenti contrari, rispettiva-mente «dall’alto» e «dal basso», e con l’aggiunta di una terza classe com-prendente ÐrismÒj e ¢pÒdeixij, che avvengono entrambi per composizione, sia la posizione ‘isolata’ dell’analisi, unica a procedere k£twqen, mentre gli

15 Cfr. Alc. Didasc. 157, 34-43. 16 Debole e troppo generica la traduzione di ¢kÒlouqon con «s’accorde», scelta da Louis.

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altri tre metodi seguono tutti un ordine ¥nwqen. Nel corso del pensiero tardo-antico questi procedimenti, insieme alla questione dei loro rapporti di affinità/contrarietà e della loro interazione, entrano a pieno titolo nel seno della tradizione platonica 17; e anche i due procedimenti che Alcinoo ritiene volti alla conoscenza degli accidenti e che sembrano mantenere un legame più stretto con l’origine aristotelica, ossia induzione e sillogismo, subiscono tentativi di assimilazione entro la prospettiva platonica.

Accanto all’analisi ‘filosofica’, Proclo conobbe anche l’analisi mate-matico-geometrica, per la quale occorre fare riferimento alle Collezioni matematiche di Pappo, matematico alessandrino di III-IV secolo d.C. L’aspetto che ci interessa è che anche per Pappo l’opposto orientamento, ascendente e discendente, caratterizza analisi e sintesi 18. In generale, l’analisi consiste nell’assumere l’oggetto di indagine come già dato o concordemente ammesso attraverso le sue conseguenze (æj gegonÒj o æj ÐmologoÚmenon

di¦ tîn ™xÁj ¢koloÚqwn) e, quindi, nel procedere da questo all’indagine di ciò da cui esso risulta, e ancora, procedendo a ritroso, verso ciò che funge a sua volta da antecedente di quello già trovato, fino a incontrare qualcosa di già noto o dotato del valore di principio (e‡j ti tîn ½dh gnwrizomšnwn À

t£xin ¢rcÁj ™cÒntwn). Per converso, la sintesi consiste nell’assumere come già dato e concordemente accolto quello che nell’analisi funge da punto di arrivo, per poi disporre secondo l’ordine naturale come conseguenze quelli che nell’analisi sono antecedenti 19. Pur non potendo qui scendere nei dettagli, è utile individuare alcuni elementi di affinità e divergenza ri-spetto allo sviluppo neoplatonico dei concetti di analisi e sintesi. In primo luogo, l’analisi teoretica, presentata da Pappo come quella che tende alla ricerca del vero (zhthtikÕn t¢lhqoàj), non ha di per sé un vero e proprio valore euristico, perché mira a raggiungere qualcosa di già noto, che funga da principio e garantisca la verità del dato di partenza: questo rimane pur sempre l’oggetto intorno al quale ruota l’indagine, per il quale l’analisi cerca

17 Cfr. Syrian. In Metaph., pp. 53, 38-56, 4; Dam. In Phlb. 52-56 e note ad loc.; Olymp. In Gorg., p. 23, 7-23 e, per luoghi paralleli, vd. Jackson et al., Olymp. In Grg., p. 77 nota 98. 18 Cfr. Papp. Coll. 634, 1-636, 25 Hultsch, cit. in Hintikka - Remes, Method, pp. 8-10; a p. 11 gli studiosi notano che nell’analisi geometrica (su cui vd. la bibliografia raccolta a p. 20 nota 4) la direzione è solo un aspetto superficiale, ma poi adducono a confronto l’uso medievale di caratterizzare analisi e sintesi come moto ascendente e discendente, in parallelo con il movimento dell’inferenza logica, a mostrare solo «a pale reflection» della pregnanza che il carattere direzionale assumeva in origine nel concetto. Tra il significato originale e l’esito medievale è passata la mediazione di una teoria geometrica che risente dell’applicazione dell’inferenza logica nel quadro delle relazioni causali date in metafisica. Sull’analisi in matematica e in geometria, vd. anche Schmitz, Euklids Geometrie, pp. 108-126. 19 Sulla terminologia di Pappo, vd. Hintikka - Remes, Method, pp. 70-82.

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prove se si tratta di un teorema, costruzioni se si tratta di un problema. Nell’analisi filosofica dei neoplatonici, invece, il valore euristico consiste nella possibilità di risalire dai caratteri dell’effetto a quelli della causa, sia pur quale metodo inferiore a quello che procede dalla causa e ne desume l’effetto 20. Viceversa, la sintesi ha lo scopo di mettere in ordine secondo natura, ricostruendo, dal principio conseguito fino all’oggetto dell’indagi-ne, la progressione di inferenza preliminarmente individuata dall’analisi. In questo secondo momento sembra, dunque, situato il valore euristico del metodo applicato in geometria, nonché il passo complementare del-l’analisi, senza il quale questa non avrebbe ragion d’essere: così, infatti, si perviene alla corretta costruzione della figura con cui bisogna risolvere il problema o alla dimostrazione del teorema. La sintesi dei neoplatonici, corrispondente alla catena dimostrativa, condivide l’esigenza di seguire l’ordine naturale delle connessioni causali, riflesso in quello delle inferen-ze deduttive; quest’ultimo dal punto di vista logico pare avere uno scopo prevalentemente classificatorio, mentre – come sappiamo – dal punto di vista del riflesso metafisico riproduce con verità l’ordine del reale e così acquista esso stesso valore pragmateièdhj. Come per Pappo, anche per i neoplatonici la dimostrazione in un certo senso rappresenta il converso (¢nt…strofon) dell’analisi, ma questa per varie ragioni – come vedremo – si contrappone a tutti gli altri tre procedimenti dialettici 21. Mentre per i matematici, dunque, la direzionalità appare come un modo metaforico, o perfino artificioso, per esprimere l’orientamento del metodo di ricerca, per i neoplatonici essa assume un più alto rilievo, conferito dal legame con le leggi della causalità.

Dopo questo rapido confronto, veniamo agli sviluppi attestati in Proclo, riscontrando subito che tra le quattro operazioni egli instaura un dinamismo affine a quello di cui fa cenno il Didascalicus 22. Tale dinamismo acquisisce,

20 Cfr. Plot. III 7 [45], 1, 16-24 (per cui vd. infra, p. 258 e nota 12). 21 Per la nozione di ¢ntistrof» cfr. In Eucl., p. 252, 5-10 e pp. 294, 20-295, 3: in geometria, un teorema è il converso di un altro quando dimostra ciò che nell’altro funge da ipotesi a partire da ciò che nell’altro funge da conclusione, facendo di ciò che nell’altro è dato il proprio oggetto di indagine (tÕ to…nun ™n ™ke…nJ dedomšnon ™n toÚtJ zhte‹tai). Quest’accezione è più specifica di quella aristotelica, per cui vd. Bonitz, Index Arist., s.v. ¢ntistršfein: indica la relazione fra due termini «inter quos ea intercedit ratio, ut alter in alterius locum substitui possit vel substituatur» e la possibilità di «affirmantem propositionem convertere in negantem et contra». Sull’opposizione dell’analisi agli altri procedimenti dialettici nei termini della convertibilità matematico-geometrico, cfr. In Prm. V, col. 982, 19-30, dove i concetti di causa e causato sostituiscono quelli di ipotesi e conclusione. Cfr. Iamb. De comm. math. 20, 1-9, per la definizione come ¢nt…strofoj della divisione, poiché raccoglie in unità le differenze che la seconda ha ottenuto distinguendo per generi e specie. 22 Sui metodi scientifico-dialettici in Alcinoo e Iamb. De comm. math., vd. Bechtle, Iamblichus, pp. 61-90.

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però, un’importanza maggiore almeno per due ragioni: innanzi tutto per l’assorbimento della logica aristotelica, pur sempre considerata preliminare allo studio del pensiero platonico, entro il più prestigioso contesto della dialettica che mira a comunicare l’intelligibile dispiegandolo (¢nel…ttein

tÕ nohtÒn); inoltre, per la ferma convinzione dell’accordo tra leggi causali dell’essere e meccanismi del pensiero psichico, che di quelle rappresentano un analogo gnoseologico, sia perché da esse derivano sia perché grazie a esse possiedono in sé la legittimazione a conoscerle. Diventano allora determinanti il concetto di ‘bidirezionalità’ e la reinterpretazione della terminologia tecnica della logica nella prospettiva della ‘comprensività’ causale dell’essere 23.

Per illustrare questi aspetti, consideriamo alcuni passi procliani, dalla Teologia platonica e dal commentario al Cratilo, e uno dal commentario di Damascio al Filebo. In TP I 9, l’autore conclude la confutazione di chi assimila la dialettica del Parmenide, superiore perfino alle scienze più esatte, al ragionamento aristotelicamente fondato sulle opinioni; questo è, infatti, inferiore all’apodittica e superiore soltanto all’eristica, perché non vanta lÒgoi inconfutabili e guarda solo al fainÒmenon e al plausibile, non a ciò che realmente è 24.

=H dþ par’ ¹m‹n dialektik¾ t¦ mþn poll¦ diairšsesi crÁtai kaˆ ¢nalÚ-

sesin æj prwtourgo‹j ™pist»maij kaˆ mimoumšnaij t¾n tîn Ôntwn prÒodon

™k toà ˜nÕj kaˆ prÕj aÙtÕ p£lin ™pistrof»n, crÁtai dš pote kaˆ Ðrismo‹j

kaˆ ¢pode…xesin e„j t¾n toà Ôntoj q»ran. (TP I 9, p. 40, 5-10)

La nostra dialettica, invece, per lo più si avvale di divisioni e di analisi come di procedimenti scientifici primari e che imitano la processione degli esseri dall’Uno e, al contrario, il loro ritorno a esso, ma talora si avvale anche di definizioni e di dimostrazioni ai fini della ‘caccia del-l’essere’. [Pl. Phd. 66c2]

Ritroviamo qui l’opposizione tra divisione e analisi, fondata sul diverso orientamento che ciascuna imprime alla ricerca. La ragione della validità epistemologica di entrambe, in vista della conoscenza dell’essere, consiste nella loro natura imitativa nei confronti dei due momenti complementari, delle due ‘direzioni’ appunto, della causalità metafisica: la processione di

23 Un esempio su tutti: nell’uso procliano perišcein (per cui cfr. Alc. Didasc. 156, 24-33), quasi sinonimo di sunaire‹n, sta a significare lo status della causa e la sua ‘inclusione’ degli effetti. Il participio medio-passivo ricorre anche in un luogo di grande importanza nella riflessione neoplatonica sulla dialettica: Pl. Sph. 253d8. 24 TP I 9, p. 40, 1-3: polloà ¥ra de»somen ¹me‹j t¾n prÕ tîn ¢kribest£twn tîn ™pi-

sthmîn ƒdrumšnhn kaqšlkein e„j t¾n œndoxon ™pice…rhsin. Cfr. anche le righe 12-18. La fonte aristotelica è Top. I 1, 100a27-101a4, con la distinzione tra sillogismo dimostrativo ™x ¢lhqîn kaˆ prètwn, dialettico ™x ™ndÒxwn ed eristico ™k fainomšnwn ™ndÒxwn.

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tutti gli esseri dal Principio, con la conseguente produzione di alterità e molteplicità sempre maggiori, ma senza che ciò metta a rischio la continuità del tutto, e, dall’altra parte, la conversione dei causati alla causa prima, modello di unità e perfezione 25. Poiché entrambi i moti avvengono in virtù della ÐmoiÒthj, questa funge da garanzia di «collegamento» e di «comunan-za» (sÚndesij e koinwn…a) tra gli esseri e nel contempo da condizione di possibilità della loro conoscenza da parte del pensiero discorsivo, a patto che quest’ultimo sia provvisto di strumenti logici in grado di riprodurre la connessione metafisica e i modi del suo esplicarsi: trattasi, appunto, dei legami necessari e inconfutabili che la scienza consegue tramite i procedi-menti dialettici, e con i quali esprime i rapporti di inclusione e di derivazione causale che conferiscono ordine alla tensione tra somiglianza e alterità nei molteplici livelli dell’essere.

Ritroviamo, inoltre, definizione e dimostrazione con un ruolo che sembra subordinato a quello dei due metodi detti primari. Sulla loro cor-rispondenza con il reale forniscono chiarimenti le annotazioni al Cratilo, dove si aggiunge che la conformità dei metodi dialettici ai processi metafisici deriva dall’attività produttrice della dialettica che spetta all’intelletto:

“Oti noàj ™stin Ð tÁj dialektikÁj proboleÚj. ’Af’ ˜autoà Ólou Ólhn aÙt¾n

¢pogennîn: kaˆ kat¦ mþn t¾n ¢f’ ˜nÕj p£ntwn prÒodon t¾n diairetik¾n

Øf…sthsi, kat¦ dþ t¾n sunagwg¾n ˜k£stou prÕj m…an „diÒthtoj per…lhyin

t¾n Ðristik¾n Øf…sthsi: kat¦ dþ t¾n ™p’ ¥llhla parous…an tîn e„dîn,

di’ ¿n kaˆ œstin Ó ™stin ›kaston kaˆ metšcei tîn loipîn e„dîn, t¾n

¢podeiktik»n: kat¦ dþ t¾n ™pistrof¾n p£ntwn e„j tÕ ÿn kaˆ t¦j o„ke…aj

¢rc¦j t¾n ¢nalutik¾n genn´. (In Cra. 3, 1-8)

È Intelletto il produttore della dialettica, giacché la genera nella sua totali-tà da se stesso nella propria totalità; e in conformità con la processione di tutti gli esseri dall’Uno dà sussistenza alla tecnica della divisione, mentre in conformità con il raccoglimento di ciascuna cosa nella comprensività di un’unica proprietà caratteristica 26 dà sussistenza a quella della definizione; poi, in conformità con la presenza delle idee l’una nell’altra, per la quale sia ciascuna è ciò che è sia partecipa delle restanti idee, a quella della dimostrazione; e in conformità con il ritorno di tutti gli esseri all’Uno e ai propri principi genera quella dell’analisi. 27

25 Vd. soprattutto Lloyd, Procession. 26 Letteralmente: «in un’unica comprensione di proprietà caratteristica». 27 Appare curioso che in Phlp. In APo, p. 335, 33-34, si precisi che il termine ¢n£lusij è stato mutuato, in accezione metaforica, dal lessico del ritorno in patria dall’esilio: ¹ e„j

t¦ o„ke‹a g¦r ¢pÕ tîn xšnwn ™p£nodoj ¢n£lusij lšgetai. Si ricordi, del resto, l’interpreta-zione allegorica delle peregrinazioni di Odisseo come il faticoso viaggio dell’anima che torna alla sua patria intelligibile. Per l’estensione del concetto di ¢nastrof» al metodo

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200 I PROCEDIMENTI DIALETTICI

Colpisce, leggendo queste righe, l’enfasi data dal termine proboleÚj, che nella teologia cristiana indica il modo in cui viene prodotta la terza persona della Trinità, a opera della prima attraverso la mediazione della seconda, generata direttamente 28; proprio questo valore specifico ben si adatta al modo di produzione dell’Intelletto nella metafisica neoplatonica, in cui tutte le cose derivano dall’Uno ma, a eccezione dell’Intelletto, non ¢mšswj. Si aggiunga, poi, il lessico della generazione (¢pogennîn) misto a quello del venire all’essere (Øf…sthsi), combinazione usuale in riferimento alla produ-zione dei gradi ontologici a partire dal Principio; ma qui Proclo la usa per descrivere l’origine del metodo impiegato nell’argomentazione scientifica, sebbene non vi sia ragione di pensare che esso tragga esistenza nello stes-so modo in cui, per esempio, in dipendenza dall’Intelletto esiste l’anima. Scegliendo questo tipo di espressione, Proclo suggerisce che la dialettica è componente essenziale dell’essenza cognitiva dell’anima. A questa la prima fornisce le direttive dell’attività di pensiero più elevata cui può aspirare senza dover trascendere la propria natura, che si spinge – sappiamo – fino all’™pist»mh; infatti, del modo di operare dell’anima la dialettica condivide la maggior molteplicità rispetto alla vita intellettiva, atemporale e indivisa, e il dispiegamento dell’intuizione semplice e immediata. È press’a poco il medesimo rapporto che intercorre fra la totalità dell’eterno e quella che si manifesta nella scansione cronologica, non più concentrata nell’istante atemporale, ma soggetta all’estensione discorsiva 29.

Ciò che soprattutto si trasmette dall’Intelletto alla dialettica e che sancisce il loro legame è la totalità, pur riprodotta dalla ragione con cri-

della geometria euclidea, cfr. In Eucl., p. 69, 17-19: l’analisi è utilizzata ™n ta‹j ¢pÕ tîn

zhtoumšnwn ™pˆ t¦j ¢rc¦j ¢nastrofa‹j. Se si tiene presente questo sfondo, anche l’ag-gettivo o„ke‹oj assume un valore tutt’altro che usuale o scontato: i «propri principi» non sarebbero da intendere soltanto come i principi specifici delle cose, del loro insieme e di ciascuna, nel senso di ‘quelli e non altri’, ma soprattutto come la causa a cui ogni cosa aspira a tornare, nel senso che solo nella causa si riconosce la vera natura dell’effetto. 28 Cfr. per es. Greg. Naz. De filio (Or. XXIX) 2, 12-16 Barbel: il Padre è detto genn»twr

kaˆ proboleÚj, ma ¢paqîj kaˆ ¢crÒnwj kaˆ ¢swm£twj, il figlio gšnnhma e lo Spirito prÒblhma. Vd. inoltre Jo. Damasc. Exp. fidei 12b40-46 Kotter: «Quando considero la relazione delle realtà esistenti l’una rispetto all’altra, allora so che il Padre è un sole al di là dell’essenza (ØperoÚsioj ¼lioj), fonte di bontà, abisso di essenza, di ragione, di sapienza, di potenza, di luce, di divinità, fonte generatrice e produttrice del bene che in lei è nascosto (phg¾

gennhtik¾ kaˆ problhtik¾ toà ™n aÙtÍ kruf…ou ¢gaqoà). Egli, dunque, è intelletto, abisso di ragione, genitore di ragione e per mezzo della ragione produttore di spirito rivelatore, per non dilungarmi: per il Padre non c’è ragione, sapienza, potenza, volontà se non c’è il Figlio, il quale è la sola potenza del Padre che predispone la creazione di tutte le cose». È palese l’affinità con il lessico neoplatonico e con quello degli Oracoli caldaici (vd. per es. phg», ¥bussoj, krÚfioj), adattati alle esigenze del Cristianesimo. 29 Ricordiamo la definizione che Proclo dà del tempo, quale totalità che dispiega la superiore totalità dell’eterno; cfr. In Ti. III, p. 92, 20-23.

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teri che alla totalità intellettiva sono estranei. La totalità cognitiva appare duplice: da un lato riguarda i contenuti, nella misura in cui la dialettica si rivolge a tutto l’intelligibile, come l’Intelletto, ma può farlo solo grazie a immagini degli intelligibili, esse sole presenti nell’anima; dall’altro riguarda i procedimenti con cui l’anima dianoetica svolge l’intuizione compatta del-l’intelletto. Totalità duplice anche perché ÐlÒthj assume significati diversi quando riguarda il modello e quando riguarda l’immagine. Proprio questa polivalenza concettuale costituisce lo sfondo (e il fine) del poliptoto in chia-smo che Proclo utilizza non per puro vezzo retorico, ma come strumento stilistico utile a far concentrare l’attenzione su un’espressione (¢f’ ˜autoà

Ólou Ólhn aÙt¾n ¢pogennîn) il cui valore altrimenti rischierebbe di cadere nell’ovvietà. Vi è una totalità perfettamente unitaria che dà origine a una totalità che va ri-conseguita attraverso la varietà dei ragionamenti e l’ordine dei loro nessi. Tutto ciò resta sotteso, per esempio, alle parole con cui Proclo, commentando la definizione della dialettica quale «coronamento» di tutte le discipline (qrigcÕj tîn maqhm£twn, da Repubblica 534e2-3), spiega che alla ragione discorsiva i principi dell’operare sono elargiti dall’Intelletto, che la sovrasta e la porta a perfezione 30; analogamente la dialettica, parte più elevata della filosofia, possiede un grado di unificazione superiore a quello delle discipline matematiche, delle quali «abbraccia l’intero dispie-gamento» (prosecîj Øper»plwtai tîn maqhm£twn kaˆ perišcei t¾n Ólhn

aÙtîn ¢nšlixin). Sebbene in questo luogo la componente della ÐlÒthj non abbia esplicito rilievo, l’analogia di rapporti tra intelletto e ragione da un lato e tra dialettica e matematica dall’altro (entrambe queste ulti-me afferenti alla di£noia) inducono a notare che la dialettica, operando secondo gli stessi procedimenti che trasmette alla matematica, lo fa pur sempre nella differenziazione, ma con un grado di unità tale da conferire efficacia ‘dall’alto’ anche all’applicazione matematica di quei metodi. La totalità del dispiegamento dei procedimenti matematici è compresa nella dialettica, e a sua volta differisce dalla totalità con cui la dialettica dispiega l’intuizione intellettiva.

Insomma, del brano tratto dalle note al Cratilo bisogna cogliere alcuni presupposti, tutt’altro che trascurabili: (1) il diverso valore che una qualità assume se riferita a differenti livelli ontologici (in un certo senso potrem-mo dire, parafrasando Proclo e i commentatori aristotelici suoi colleghi e successori, che Óloj pollacîj lšgetai); (2) la valenza quasi-ontologica della dialettica, che sembra assurgere a componente determinante nella costituzione dell’essenza dell’anima e non soltanto a essa connaturata; (3) il

30 Cfr. In Eucl., pp. 42, 9-43, 21, in particolare: Ð noàj Øper…drutai tÁj diano…aj kaˆ

corhge‹ t¦j ¢rc¦j ¥nwqen aÙtÍ kaˆ teleio‹ t¾n di£noian ¢f’ ˜autoà.

TRADIZIONE E FONDAMENTO METAFISICO

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202 I PROCEDIMENTI DIALETTICI

legame che si instaura fra origine intellettiva del metodo e derivazione ipo-statica dell’anima dall’Intelletto (e, mediatamente, dall’Uno) e, quindi, tra gnoseologia e ontologia-metafisica. Quando la struttura del ragionamento è orientata dai procedimenti dialettici, le potenzialità conoscitive dell’anima dispiegano l’intuizione immediata e nel contempo ne riflettono i contenuti reali e il dinamismo che solo l’Intelletto conosce in assenza di divisione.

In aggiunta a quanto detto in TP I 9 a proposito della garanzia epi-stemologica di divisione e analisi, quali riflessi della processione di tutti gli esseri dall’Uno e del ritorno di tutti al Principio, nello scolio al Cratilo Proclo spiega il fondamento metafisico anche di definizione e dimostra-zione; il rapporto intrinseco con le leggi della causalità rappresenta, infatti, l’aspetto comune a tutti i quattro metodi. A fare da pendant alla divisione, come nel Fedro, la sunagwg» attuata dalla definizione consisterebbe nel ricondurre ogni cosa alla proprietà caratteristica („diÒthj) che determina il suo posto nella molteplicità differenziata derivante dalla causa prima; quella proprietà fornisce un principio di individuazione nella misura in cui concentra in sé la varietà di altre qualità a essa subordinate o conseguenti, comunque non decisive nel determinare l’essenza. La dimostrazione, invece, imita l’individualità di ogni idea e la partecipazione di ciascuna alle altre, in virtù della loro reciproca presenza.

Di nuovo si desume il maggior rilievo di divisione e analisi, in quanto imitano il movimento causale di tutti gli esseri, mentre a esse definizione e dimostrazione si oppongono in quanto concernono realtà considerate singo-larmente, anche se non isolatamente: le prime sono volte all’universalità degli esseri e dei loro rapporti con il Principio, da cui iniziano e in cui terminano i loro moti causali; le altre, invece, mirano all’individualità essenziale, sia a quella di ciascun essere, in quanto provvisto di una molteplicità di attributi inessenziali che trovano unità in una caratteristica peculiare, sia di ogni idea, pur nel quadro dell’intreccio delle idee (sumplok¾ e„dîn) del Sofista. Mentre divisione e analisi imitano i momenti causali che coinvolgono il molteplice nel suo duplice moto di derivazione e di ritorno alla causa, con definizione e dimostrazione sembra emergere, al contrario, l’unità individuale e nel contempo relazionale; a suggerire, forse, il momento della permanenza dell’essenza nell’unità, riguadagnata ora grazie alla sunagwg» dei molti nell’uno, ora tramite la connessione causale dei molti tra loro e con la causa prima, in virtù delle necessarie sunšceia e sun£rthsij.

La questione del fondamento metafisico di tutti i quattro metodi dia-lettici, e non solo di divisione e analisi, per le quali l’affinità con prÒodoj ed ™pistrof» appare come un dato di fatto, trova riscontro in Damascio, il cui commentario al Filebo rivela una forte influenza dell’insegnamento procliano. Egli attribuisce a definizione e dimostrazione una somiglianza con la realtà sussistente delle cose, ora considerata quale essenza in sé sta-

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bile, forse a indicare il momento della mon», ora come forma di esistenza in dipendenza da una causa, forse a evocare la connessione causale del tutto 31. Questa, perciò, si unirebbe alla triade di permanenza-processione-ritorno, quasi a costituirne il fondamento e la condizione di possibilità del suo movimento ciclico. Se così fosse, definizione e dimostrazione dovrebbero acquisire priorità rispetto alle altre due operazioni.

Tuttavia, sia il passo della Teologia platonica, sia le poche righe delle note al Cratilo, sia la testimonianza indiretta di Damascio presentano, nella loro chiara schematicità, solo la sintesi di una concezione che appare assai meno univoca e lineare, non immune da qualche incoerenza. Basterebbe ri-cordare l’oscillazione per cui la dialettica viene caratterizzata ora soprattutto per il suo aspetto di dia…resij, ora per quello di ¢pÒdeixij 32. Forse proprio l’imitazione dei processi che avvengono nella atemporalità metafisica fa sì che, da un lato, appaia legittima la ricerca di una progressione cronologica (e derivativa) tra i quattro metodi, ma che, dall’altro, né tale ordine né altri criteri impongano la priorità assiologica di un procedimento sugli altri, poiché essi offrono differenti punti di vista sulla medesima realtà, tutti di pari valore. Del resto, in TP I 9 compare in forma esplicita la gerarchia di divisione, definizione e dimostrazione (l’analisi è esclusa e implicitamente contrapposta alle tre operazioni citate), conformemente all’ordine in cui le utilizza il pensiero che procede secondo il tempo, e non in maniera simul-tanea come l’intelletto o al modo dei processi della causalità metafisica 33. Che tale ordine rifletta dei rapporti di genesi di un metodo dall’altro 34, come si è visto nel Didascalicus, risulta soprattutto dalla trattazione che Proclo ne fa nel commentario al Parmenide. A questo dobbiamo volgerci per comprendere con quali intenti e presupposti concettuali egli affronti l’intera questione, inserendola in un quadro esegetico di due tipi: dappri-ma partendo da un problema di interpretazione dei dialoghi platonici e poi assumendo a tema la condizione di possibilità della conoscenza del divino, che si configura come una forma di esegesi diretta nei confronti della realtà, senza più la mediazione di un’autorità che a sua volta richiede l’opera di un esegeta.

31 Vd. Dam. In Phlb. 54, 1-4: «il procedimento di divisione è connaturato alla pro-cessione degli esseri, quello di analisi alla conversione, mentre gli altri, intermedi, sono somiglianti all’essenza stessa delle realtà; ma il procedimento di definizione lo è a quella stabile per se stessa, quello di dimostrazione a quella dipendente da una causa» (Óti ¹ mþn

diairetik¾ sumpšfuke tÍ proÒdJ tîn Ôntwn, ¹ dþ ¢nalutik¾ tÍ ™pistrofÍ, mšsai dþ aƒ ¥llai

tÍ Øpost£sei aÙtÍ tîn pragm£twn ™oiku‹ai: ¢ll’ ¹ mþn Ðristik¾ tÍ ™f’ ˜autÁj ˜stèsV, ¹

dþ ¢podeiktikÍ tÍ ¢pÕ a„t…aj ™xhrthmšnV). 32 Vd. infra, p. 348 e note 22-23. 33 TP I 9, p. 40, 10-12: la dialettica crÁtai ta‹j ¢pode…xesi kaˆ prÕ toÚtwn tÍ ÐristikÍ

meqÒdJ kaˆ tÍ diairetikÍ prÕ taÚthj. 34 Vd. già Steel, Procl. et arguments, pp. 10-17.

TRADIZIONE E FONDAMENTO METAFISICO

Elena Gritti
Proclo. Dialettica Anima Esegesi
SEGUE
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1 Per il commento cfr. In Prm. I, coll. 703, 6-706, 18 (= 703, 6-706, 13 S.). 2 In Prm. I, col. 703, 7-12 (= 7-10 S.): p©n g¦r tÕ met¦ tÕ ÿn eÙqÝj œcei pl»qouj

œmfasin, ¢ll’ Ópou mþn krÚfiÒn ™sti kaˆ ˜noeidšj, Ópou dþ ™kfa‹non ˜autÕ plÁqoj, Ópou dþ

½dh proelhluqÒj, kaˆ ¹ prÒodoj ¥llwj p£lin kaˆ ¥llwj, kaˆ oÙc Ð aÙtÕj p©si trÒpoj tÁj

diakr…sewj.

V

FONDAMENTO INTELLETTIVO DELLA DIALETTICA E VALORE METAFISICO DEL SILLOGISMO

1. LA GARANZIA INTELLETTIVA DEL METODO ‘SCIENTIFICO’

Prospettive ontologiche e gnoseologiche si sovrappongono nell’ambito e nel modo in cui opera la dialettica, fino al punto che questa diviene ‘realmente’ parte del loro intreccio, determinando, con i suoi contenuti e i suoi metodi, l’essenza del pensiero psichico. Nel capitolo precedente, la questione è stata considerata con specifico riguardo per i procedimenti di cui la dialettica si avvale e per le idee psichiche che ne costituiscono i presupposti, conforme-mente ad alcuni capisaldi della concezione procliana dell’anima, tracciati nel capitolo II. Valutiamo ora il fondamento metafisico dell’attività scientifica della ragione nel suo complesso, per poi comprendere come la sua influenza agisca fin dalla struttura fondamentale del metodo stesso: il sillogismo.

Un utile punto di partenza per questo sviluppo è fornito dalla duplicità della dialettica, che Proclo adduce nel corso del commento alla battuta di Parmenide 128a8-b6; qui Socrate osserva che, nonostante l’apparente diversità, identico è il contenuto del poema parmenideo (con l’afferma-zione che il tutto è uno) e dei discorsi di Zenone (con la negazione dei molti) 1. Dopo aver spiegato che tutto ciò che viene dopo l’unica monade di tutti gli esseri possiede un «riflesso di molteplicità», che si manifesta per gradi nel progressivo allontanamento dall’unità originaria e in diffe-renti modi di distinzione 2, Proclo interpreta la negazione del molteplice

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256 FONDAMENTO DELLA DIALETTICA E VALORE DEL SILLOGISMO

3 Cfr. In Prm. I, col. 704, 21-26 (= 14-18 S.). 4 Cfr. In Prm. I, col. 704, 28-39 (= 704, 20-705, 1 S.). Tutta la spiegazione, secondo Proclo, è implicita nell’avvertimento lasciato da Platone in Prm. 128b5: scedÒn ti lšgontaj

taÙt£, a suggerire il perfetto accordo del contenuto (taÙt£) oltre il velo della differente forma espositiva (scedÒn). 5 Per questo cfr. In Prm. V, col. 986, 24-36. 6 Merita notare l’affinità con il fine dell’esegeta, che delle precedenti interpretazioni deve conservare quelle a suo avviso corrette, ancorché parziali, e, associandole e facendole interagire, quasi per ‘composizione’ mira a una comprensione coerente e sistematica della fonte (vd. quanto detto sull’interpretazione dello skopÒj del dialogo e delle ipotesi, supra, pp. 155-165). Il passo rivela un altro potenziale risvolto esegetico: Proclo dichiara che «anche il loro [scil. di Parmenide e Zenone] modo d’insegnamento, essendo differente, era velo dell’interno accordo e unificazione (parapštasma tÁj œndon Ðmofwn…aj kaˆ ˜nèsewj), e questo di nuovo è immagine delle realtà divine» (In Prm. I, col. 705, 33-36 = 23-25 S.). Di nuovo incontriamo l’idea dell’accordo al di là della varietà apparente e in nome del-l’unica verità d’origine, che ci rammenta la sumfwn…a fra le tradizioni teologiche elleniche. E di nuovo viene enunciato il legame che le tipologie espressive possiedono rispetto alle realtà divine che ne costituiscono l’oggetto: un accordo essenziale, fondato sul rapporto tra modello e immagine.

esposta da Zenone come una sorta di «iniziazione preliminare» (protšleia) all’insegnamento del maestro, senza voler né porre direttamente l’Uno-che-è, né addurre dimostrazioni (oÙ m¾ aÙtÒqen ™t…qeto tÕ ÿn Ôn, oÙdþ

toàto prohgoumšnwj ¢pede…knu di¦ tîn gramm£twn) 3. Il nostro distingue, a questo punto, tra due forme di dialettica 4. (1) La prima, precedente e di valore più alto, «che discorre degli esseri con intuizioni semplici» (kat¦

t¾n prèthn dialektik¾n t¾n ta‹j ¡pla‹j ™pibola‹j t¦ Ônta dialšgousan), sarebbe la forma applicata dal Parmenide storico nel suo poema, dove il filosofo affronta direttamente e in modo intellettivo l’argomento proposto, poiché al solo intelletto appartiene la contemplazione immediata dell’es-sere, oggetto intelligibile del primo Intelletto. Tuttavia, anche la dialettica può contemplare le realtà prime facendo uso di intuizioni semplici e di «metodi multiformi», e guardando alle loro immagini produce divisioni di entità di per sé indivise e definizioni di entità incomposte (diairšseij tîn

¢mer…stwn, À Ðrismoˆ kur…wj tîn ¢sunqštwn) 5. (2) Zenone, invece, pratica una dialettica di rango inferiore, subordinata alla prima e perciò costretta ad accontentarsi della via dei ragionamenti nati da composizione. A questa seconda tipologia, che è «scienza» e non più ‘inno intellettivo’, spetta il compito di valutare gli opposti, distinguendo quanto vi è in essi di vero e respingendo il falso (t¦ ¢ntike…mena qewre‹n, kaˆ tÕ mþn ¢lhqþj ™gkr…nein,

tÕ dþ yeudþj ¢podokim£zein) 6.Ciò che qui interessa porre in rilievo è che, facendo espresso riferimento

ai trÒpoi didaskaliko… enumerati in TP I 2 e I 4, Proclo nega a Zenone sia la tipologia assertoria (evocata nel testo da aÙtÒqen) sia quella scientifico-

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7 Cfr. In Prm. I, col. 704, 21-23 (= 14-16 S.). 8 In Prm. I, col. 705, 9-12 (= 7-9 S.): prÒeisi g¦r e„j t¦j ¢nel…xeij tîn lÒgwn kaˆ t¦j

sunqšseij kaˆ t¦j diairšseij, ¢naplîn kaˆ ¢naptÚsswn t¾n ˜noeidÁ kaˆ sunVrhmšnhn toà

kaqhgemÒnoj ™pibol»n. 9 Come il filosofo della Repubblica platonica: liberatosi dalle tenebre della caverna, contempla il sole, ma deve poi a malincuore e faticosamente tornare indietro e ‘scendere’. Si ricordi anche la vicenda di ascesa e discesa dell’anima, per cui vd. supra, pp. 150-154. 10 Cfr. TP I 9, p. 40, 5-10, cit. supra, p. 198. 11 In Prm. I, col. 704, 22-23 (= 15-16 S.): oÙdþ toàto prohgoumšnwj ¢pede…knu di¦ tîn

gramm£twn.

dialettica (caratterizzata dalla dimostrazione, richiamata da ¢pede…knu) 7. Il discepolo eleate sviluppa in dispiegamenti, composizioni e divisioni l’in-tuizione «uniforme e concentrata» del maestro 8, affinché il proprio lavoro costituisca un ausilio preliminare per chi intende accedere all’insegnamento di Parmenide, diretto sull’essere. Nella seconda parte del dialogo è Parme-nide stesso a percorrere, attraverso le ipotesi, la strada dello svolgimento dianoetico della contemplazione intellettiva. A una lettura superficiale, si direbbe che sorprendentemente i due pratichino la medesima dialettica; il che è vero solo in parte. Entrambi non comunicano direttamente la verità, adeguandosi al pensiero dell’anima, ma ciò che nel dialogo conferisce mag-gior valore all’esposizione di Parmenide è, oltre al fatto di trattare dell’Uno al di là dell’essere, la garanzia della visione intellettiva, da lui già conseguita: dopo aver raggiunto il culmine dell’ascesa conoscitiva (e quindi del percoso di ¢n£lusij verso la scoperta del vero riguardo alle cause dell’essere), cioè la qewr…a di cui è soggetto il solo intelletto, a beneficio dei suoi uditori egli ‘ridiscende’ al livello della di£noia, con la quale distingue i gradi del molteplice (ecco il momento della dia…resij) alla luce di una sunagwg» già compiuta 9. L’analisi dà voce all’aspirazione dei causati alla conversione e al ritorno alla causa prima, mentre la divisione permette di ripercorrere con ordine le tappe della processione di tutte le cose dal Principio 10. Dunque, il metodo messo in opera da Zenone, pur essendo coinvolto nella varietà dei lÒgoi, come quello delle ipotesi di Parmenide, a differenza di questo rimane fermo a un livello preliminare rispetto alla visione unitaria dell’intelletto; il che significa che non ne è esplicativo in senso forte, poiché sviluppa un insegnamento appreso da altri, per m£qhsij, e non vissuto in un’esperienza psichica personale, per eÛresij. Ciò, tuttavia, ancora non dice qual è il reale motivo della differenza, quello che coincide con l’aspetto veramente essen-ziale e caratterizzante del metodo ascritto a Platone, quello che in maggior misura gli conferisce portata ontologica e quindi anche epistemologica. Se agli scritti di Zenone manca la componente dimostrativa quale intento principale 11, ebbene proprio nella consequenzialità logica del metodo di

LA GARANZIA INTELLETTIVA DEL METODO ‘SCIENTIFICO’

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258 FONDAMENTO DELLA DIALETTICA E VALORE DEL SILLOGISMO

Parmenide va riscontrata l’essenza del procedere per ipotesi: questo è il legame necessario che traspone la gerarchia causale dell’ordine dell’essere nella catena delle conclusioni, che si succedono in maniera rigorosamente consequenziale e senza dispersione.

In questa prospettiva ‘esegetica’, oltre che in quella ‘psicologica’ di cui si è detto nel capitolo precedente, secondo Proclo la dimostrazione finisce per risultare metodologicamente più forte e più fondata dell’analisi, che procede inferendo il superiore dall’inferiore, sebbene egli espressamente accolga anche l’opinione tradizionale, che vuole l’analisi in posizione as-siologica preminente, in quanto eleva il pensiero verso i principi causali. Così essa corrisponderebbe, sia pur in senso lato, alle vie delineate da Platone sia con la scala verso le idee nel Simposio sia con il metodo per ipotesi che ascendono all’anipotetico e l’immagine della salita del filosofo per uscire dalla caverna nella Repubblica. Ma va altresì ricordato che con questa mossa Proclo sviluppa un suggerimento che gli viene da un noto passo plotiniano: III 7 [45], 1, 16-24 12. Vi si legge che conoscere il modello, nella fattispecie l’eternità, garantisce una conoscenza certa (safšj) di ciò che concerne l’immagine, nella fattispecie del tempo; se ciò non avviene, si può nondimeno praticare il metodo inverso, partendo dall’immagine per risalire al modello attraverso la reminiscenza (kat¦ ¢n£mnhsin). Il primo metodo è conforme all’orientamento ‘dall’alto’, tipico della processione metafisica: dalla causa si genera il causato, dall’unità il molteplice, dal semplice il composto. Il secondo metodo, che possiamo definire ‘euri-stico’ 13, è più adatto all’anima che ancora non possiede una conoscenza chiara del par£deigma ma, poiché trae avvio da una forma di conoscenza non fondata sulla certezza intellettiva (come indica il verbo fant£zesqai), deve accontentarsi di ciò che ha a disposizione (prÒceiron) 14 o, in termini aristotelici, partire da ciò che è primo per noi, al fine di conoscere ciò che è lontano e primo per natura. Insomma, il valore ontologico del rapporto iconico rende più forte il pensiero che ‘discende’ dalla conoscenza del modello a quella dell’immagine.

12 «Infatti, conosciuta (gnwsqšntoj) [scil. l’eternità] stabile dal punto di vista del mo-dello, forse diventerebbe chiara la natura della sua immagine, che appunto dicono essere tempo. Ma se uno, prima di aver contemplato l’eternità, si rappresentasse (fantasqe…h) quello che è il tempo, anche per questa via sarebbe possibile, per chi sia salito da qui a lassù per anamnesi, contemplare ciò a cui il tempo assomigli, se appunto questo avesse somiglianza rispetto a quello». Sul brano vd. Beierwaltes, Plot. III 7, p. 158 nota ad loc., e Chiaradonna, Tempo, pp. 222-226. 13 Si noti che in In Ti. I, pp. 300, 30-301, 3, Proclo attribuisce valore euristico a entrambe le vie, distinguendo una eÛresij che procede ‘dall’alto’ per scienza e una ‘dal basso’ per anamnesi. 14 L’uso di prÒceiron dipende verosimilmente da Pl. Tht. 198d1-8.

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Anche per Proclo, dunque, alla conoscenza dell’anima la garanzia di certezza proviene ‘dall’alto’. Lungi dall’essere inconciliabile – come invece si potrebbe pensare – con la dottrina dell’anamnesi e della coordinazione degli oggetti ai rispettivi soggetti di conoscenza, la certezza conoscitiva dipende dall’ordine ‘generativo’ che si instaura tra i procedimenti dialettici e dal loro fondamento nelle ragioni essenziali dell’anima. E si esprime nelle qualità che la dialettica discorsiva deve possedere, per avanzare ambizioni di scientificità: esattezza e inconfutabilità (¢kr…beia e tÕ ¢nšlegkton), che secondo Proclo connotano non solo il lÒgoj, ma anche gli oggetti a cui il discorso si riferisce e perfino il soggetto che lo elabora. Di tali qualità dobbiamo ora occuparci.

LA GARANZIA INTELLETTIVA DEL METODO ‘SCIENTIFICO’

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