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EDIZIONI GIURIDICHE E IMON S Gruppo Editoriale Esselibri - Simone ® POLITICHE SOCIALI 213/6 COLLANA TIMONE ESAMI e CONCORSI ELEMENTI di • Storia, nozioni e tipologie • Le politiche pensionistiche • Le politiche sanitarie • Le politiche del lavoro • Le politiche di assistenza sociale Estratto della pubblicazione

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EDIZIONI GIURIDICHEEIMONSGruppo Editoriale Esselibri - Simone

®

POLITICHESOCIALI

213/6COLLANA TIMONE

ESAMI e CONCORSI

ELEMENTI di

• Storia, nozioni e tipologie• Le politiche pensionistiche• Le politiche sanitarie• Le politiche del lavoro• Le politiche di assistenza sociale

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Di particolare interesse per i lettori di questo volume segnaliamo:

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MC11 (cat. Ellissi) - La comunicazione

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Testo a cura di Chiara FabbriziLa revisione e l’editing sono a cura di Carmen Del Core

Finito di stampare nel mese di febbraio 2009dalla «Officina Grafica Iride» - Via Prov.le Arzano-Casandrino, VII Trav., 24 - Arzano (NA)

per conto della Esselibri S.p.A. - Via F. Russo, 33/D - 80123 - (Na)

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PREMESSA

Questa sintesi è dedicata agli studenti delle facoltà giuridiche e politico-economiche (Scienze politiche, Giurisprudenza, Economia e Commercio,Sociologia).

Sotto il titolo di «politiche sociali» si pongono tutti quegli interventi dilegislazione e di redistribuzione delle risorse che attua lo Stato, congiunta-mente ad altri attori (come regioni, comuni, famiglie e soggetti terzi), con ilfine di assicurare ai cittadini un livello minimo di «benessere».

Il concetto chiave delle politiche sociali, ovvero il benessere, è legato adeterminati bisogni ed è soggetto a rischi che possono a loro volta generaredegli ulteriori bisogni.

L’oggetto delle politiche sociali è dunque l’insieme di norme, standarde regole rispetto alla distribuzione delle risorse e alle opportunità che loStato deve garantire ai cittadini relativamente ad alcuni bisogni fondamen-tali che consentono il raggiungimento del benessere. Questo insieme vieneriassunto con l’espressione «cittadinanza sociale».

I motivi per sottolineare l’importanza delle politiche sociali, indicateanche con le espressioni «welfare state» (cioè: «stato del benessere») o«stato sociale», sono prevalentemente tre:

— nei paesi maggiormente sviluppati la spesa per le politiche sociali è quellache pesa di più sul bilancio pubblico nazionale;

— le scelte nel campo del welfare state riflettono la natura stessa di unoStato, i principi che fondano una società e una specifica concezione dicittadinanza sociale;

— lo sviluppo e il mutamento delle politiche sociali nel tempo riflettonoaltrettanti cambiamenti nello sviluppo economico, nei rapporti di gene-re nel lavoro, nella demografia, nelle aspettative rispetto alle prestazionistatali, nelle caratteristiche della concezione dello Stato, ecc.

I campi fondamentali delle politiche sociali sono: le politiche pensioni-stiche, le politiche sanitarie, le politiche del lavoro e le politiche di assi-stenza sociale.

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Alla luce delle precedenti considerazioni, le principali sfide che lo statosociale italiano deve affrontare sono:

— ottenere una giusta mediazione tra contenimento della spesa e manteni-mento di buoni standard qualitativi;

— riequilibrare le voci di spesa del welfare rispetto ai diversi settori (i 2/3delle risorse sono assorbite dalle politiche pensionistiche) e rispetto allediverse componenti della società (per esempio anziani e giovani, o co-munque tra categorie attualmente ipergarantite e categorie sottogaranti-te), anche in ragione dei mutamenti della struttura sociale che comportanuovi rischi e nuovi bisogni;

— migliorare le capacità istituzionali, ovvero risanare i guasti di efficienzaed efficacia che dipendono dai rapporti tra gestione delle risorse e logicapolitica.

Completano il lavoro alcuni significativi richiami di prospettiva com-parata anche in considerazione della politica globalizzata. Chiude il volu-me un breve glossario.

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CAPITOLO PRIMO

LE POLITICHE SOCIALI

Sommario: 1. Concetti fondamentali. - 2. Le politiche di protezione. - 3. Quadrostorico. - 4. Tipologie. - 5. Le politiche sociali in Italia.

La politica pubblica può orientarsi per l’azione o per l’inazione di frontealle questioni che premono nell’amministrazione della collettività. Se l’orien-tamento è per l’azione è necessario indagare come, perché e con qualieffetti un sistema politico agisce. Questa indagine costituisce l’analisi dellepolitiche pubbliche. All’interno di tale analisi, se si restringe il campo aiproblemi e agli obiettivi che riguardano il benessere (in inglese: welfare)dei cittadini, si ha l’indagine delle politiche sociali.

1. CONCETTI FONDAMENTALI

Le politiche sociali riguardano le condizioni di vita degli individui nellevari fasi e relativamente a vari aspetti della loro esistenza. La cittadinanzasociale stabilisce norme, standard e regole rispetto alla distribuzione dellerisorse e alle opportunità che lo Stato deve garantire ai cittadini. Oltre aidiritti civili e politici, quindi, ogni cittadino ha anche dei diritti-spettanzerelativi alla previdenza, alla sanità e al lavoro. Lo Stato può distribuire di-rettamente tali servizi e garanzie, ma anche regolare indirettamente le ope-razioni di simile valenza sociale erogate da privati (per esempio la famigliao i datori di lavoro). Il fine fondamentale delle politiche sociali è garantire epromuovere la coesione sociale, ovvero l’inclusione di tutti i cittadini inuno standard comune di risorse e opportunità. Le politiche sociali possonoessere caratterizzate attraverso tre nozioni fondamentali: benessere, rischioe bisogno. Il benessere dei cittadini è il fine a cui tendono, il rischio e ilbisogno sono i problemi a cui devono far fronte. Gli strumenti di cui si servelo Stato sono le risorse connesse al mercato, alla famiglia e alle associa-zioni intermedie (per esempio il volontariato). Questi quattro soggetti con-

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Capitolo Primo6

corrono al benessere dei cittadini e offrono protezione sociale rispetto arischi e bisogni; le relazioni formali e informali tra questi quattro soggetticostituiscono il «regime di welfare» e lo Stato svolge tra essi un ruolopredominante in quanto contenitore e regolatore di tutti i processi. La figurache si ottiene unendo i quattro poli viene detta «diamante del welfare»:

Stato

Mercato BENESSERE Famiglia

Associazioniintermedie

Il compito dello Stato sociale è fornire servizi e garantire diritti consi-derati essenziali per un tenore di vita accettabile. Rientrano tra questi servi-zi/diritti l’assistenza sanitaria e della vecchiaia, l’istruzione pubblica, il la-voro, la cultura, la difesa dell’ambiente, la garanzia abitativa e così via. Cioccuperemo qui delle quattro principali politiche sociali in ordine di pesoeconomico decrescente:

— le politiche pensionistiche (come garanzia di sicurezza economica dopol’uscita dal lavoro);

— le politiche sanitarie (rispetto ai rischi e ai bisogni connessi alla malat-tia);

— le politiche del lavoro (contrasto della disoccupazione);— le politiche di assistenza sociale (riguardo un insieme di possibili rischi

e bisogni a tutela di cittadini deboli o in situazioni precarie).

Rientrano nell’ambito delle politiche sociali anche le politiche per lacasa e le politiche educative, riconducibili agli ambiti delle politiche sullavoro e di assistenza sociale. Nei paesi dell’OCSE («Organizzazione perla cooperazione e lo sviluppo economico», costituita nel 1961 con lo scopodi promuovere politiche volte a realizzare una sana crescita economica eun’espansione del commercio su base multilaterale, comprende attualmen-te 30 paesi membri che si confrontano in numerosi comitati e gruppi dilavoro) la spesa per le politiche sociali è la più rilevante nel bilancio pubbli-co nazionale. Spesso, l’insieme delle politiche sociali è indicato con le espres-sioni «welfare state» (stato del benessere) o «stato sociale».

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7Le politiche sociali

Che cosa è il welfare state?Si indica con tale espressione un insieme di politiche pubbliche regolate dallo Stato volte albenessere dei cittadini e a fornire protezione rispetto ai rischi e ai bisogni attraverso l’assisten-za, l’assicurazione e la sicurezza sociale. Esso è causa ed effetto di cambiamenti sociali: causain quanto è connesso al processo di modernizzazione delle politiche economiche, sociali epolitico-istituzionali; effetto in quanto ha interessato i paesi europei dal XIX secolo comerisposta al cambiamento dei modelli politici e sociali. Il welfare state stabilisce diritti sociali(come fine) e doveri di contribuzione finanziaria (che forniscono il mezzo).

2. LE POLITICHE DI PROTEZIONE

I tre principali modelli di protezione sociale, attuati dallo Stato per farfronte a rischi e bisogni dei cittadini, sono: l’assistenza, l’assicurazione ela sicurezza sociale. Per ognuno di questi modelli bisogna stabilire il tipo dicopertura (cioè a quali e quanti cittadini è rivolta), il tipo di prestazioniofferte, e la fonte finanziaria che fornisce allo Stato le risorse per attuarequella determinata politica di protezione.

A) L’assistenza

Di assistenza statale si inizia a parlare già nel XVII secolo, con le leggisui poveri (Poor Laws) emanate in Inghilterra. Queste prime leggi, per laverità, avevano un carattere repressivo, che è andato poi diminuendo pro-gressivamente. Ciò che si intende con assistenza pubblica o sociale è l’in-sieme di interventi di sostegno mirati in risposta a determinati bisogniindividuali o a categorie determinate e circoscritte di bisognosi. Questomodello di protezione, che comprende le politiche per la famiglia e l’abita-zione, rappresenta un settore importante del welfare state e rispetto alle al-tre politiche di protezione (assicurazione e sicurezza sociale) è caratterizza-to da una maggiore discrezionalità, poiché la valutazione del bisogno e deldisagio in questo caso avviene spesso rispetto al singolo caso (microvaluta-zione). Si tratta dunque di una forma di protezione selettiva, e i diritti so-ciali vengono definiti in questo ambito «diritti sociali individualizzati». Ilmezzo per effettuare la valutazione e selezione dei casi in cui intervenire èla prova dei mezzi (means-test), ovvero una verifica del bisogno effettivoindividuale (rispetto all’abitazione, all’autosufficienza personale, ecc.) e del-l’insufficienza delle risorse individuali o familiari per affrontarlo (pertantol’assistenza è una forma di protezione residuale). Un filtro per la valuta-zione è l’assunzione di una soglia di reddito minimo: lo Stato si impegna a

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garantire a tutti i cittadini che si trovano al di sotto di questa soglia un red-dito minimo garantito che permetta al singolo di affrontare autonoma-mente i bisogni quotidiani di base. Quindi, nel caso dell’assistenza, la co-pertura è universale ma selettiva, le prestazioni sono collegate alla valuta-zione della situazione di bisogno e la fonte finanziaria a cui attinge lo Statoper garantire questo tipo di politiche è la fiscalità generale.

B) L’assicurazione

L’assicurazione sociale obbligatoria è un intervento pubblico di prote-zione sociale che, attraverso un controllo centralizzato, fornisce prestazionistandardizzate tendenzialmente automatiche e imparziali, correlate a un in-sieme di diritti/doveri individuali (ad esempio tramite il versamento di contri-buti da parte dei datori di lavoro, lo Stato ha i mezzi per ridistribuire le risorsea chi esce dall’età lavorativa, attraverso il sistema pensionistico). Si ha dun-que un obbligo contributivo che assicura una fruizione di benefici nel mo-mento del bisogno. Pertanto, la copertura è occupazionale, le prestazioni sonocontributive e retributive e le fonti di finanziamento sono contributi dedicati aquesto specifico tipo di politiche sociali. L’origine dell’assicurazione socialeobbligatoria risale alla fine del XIX secolo ed è successiva all’introduzione diforme di assicurazione private. Inizialmente aveva un’impostazione attuarialeche si è poi affievolita. Una categoria più o meno omogenea di lavoratoricondivideva dei rischi: il datore di lavoro versava obbligatoriamente dei con-tributi sociali (in percentuale alla retribuzione) su un conto personale perogni lavoratore e a queste risorse si attingeva in caso di uno dei bisogni previ-sti (come malattia o vecchiaia) per offrire al lavoratore una prestazione, com-misurata alla quantità dei contributi versati. L’obbligatorietà (che distingueval’assicurazione sociale dalle precedenti assicurazioni private) contrastava:

— l’irresponsabilità e quindi garantiva la presenza di risorse per far fronteai bisogni;

— ripartiva i rischi all’interno di un gruppo sociale più o meno ampio con-sentendo di mantenere bassi gli importi contributivi;

— garantiva una omogenea possibilità di assicurazioni (il settore assicu-rativo privato può rifiutare di assicurare lavori pericolosi).

Lo strumento finanziario di cui si servono le assicurazioni private, ov-vero il premio, non è commisurato al reddito ma al profilo di rischio del-l’assicurato. I contributi sociali, invece, prescindono dai profili di rischio

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e sono commisurati al reddito e permettono di far fronte anche a rischi,come la disoccupazione, che non verrebbero coperti dalle assicurazioniprivate. L’assicurazione sociale obbligatoria è dunque uno dei mezzi piùpotenti attraverso i quali lo Stato può garantire la distribuzione equa dirisorse e opportunità. I principali mutamenti storici relativi all’assicura-zione sono:

— l’affievolimento dell’impostazione attuariale, che ha comportato l’in-troduzione di salvaguardie minime di prestazione e un cambiamento dallaformula contributiva (in cui la prestazione è commisurata ai contributiversati) a una formula retributiva (in cui la prestazione è commisurataalle retribuzioni percepite);

— il passaggio da un sistema di accantonamento dei contributi versati a unsistema di ripartizione, secondo il quale le somme che versano gli ele-menti attivi del sistema servono per il pagamento degli elementi inattivi(per esempio nel mondo del lavoro, i contributi pensionistici versati dailavoratori vengono usati per le persone uscite dal mondo del lavoro).

C) La sicurezza sociale

A differenza dell’assicurazione e dell’assistenza, la sicurezza socialeè meno univocamente definibile. Il termine è coniato negli Stati Uniti doveindica le prime forme di assicurazione obbligatoria (per esempio per vec-chiaia o invalidità) di contro all’assistenza pubblica non contributiva. Suc-cessivamente assunse in Nuova Zelanda un nuovo significato in riferi-mento al sistema sanitario nazionale finanziato dalla fiscalità generale erivolto a tutta la popolazione residente. Questa formula rinnovata venneassunta ed estesa in Europa dal governo britannico durante la Secondaguerra mondiale (Rapporto Beveridge); la sicurezza sociale rappresenta-va una forma di protezione in vari campi: nel campo dei redditi dava dellegaranzie a tutta la popolazione attiva, nella sanità garantiva a tutti i citta-dini la stessa assistenza, e più in generale forniva prestazioni uniformi inmodo che tutti potessero arrivare a una dignità di vita corrispondente alminimo nazionale, senza distinzione della capacità contributiva. Un suc-cessivo accrescimento al quadro delle politiche per la sicurezza socialeviene dalla Svezia (presto seguita dagli altri paesi nordici), il primo paesein cui fu istituita una pensione popolare fissa per tutti i cittadini con piùdi 65 anni, non basata sui contributi, senza verifica dei mezzi e senza rap-porto con la precedente posizione lavorativa. Con queste innovazioni, la

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sicurezza sociale viene a caratterizzarsi principalmente come una formadi politica di protezione che rispetto alla copertura è universale (è rivoltaindistintamente a tutti i cittadini), rispetto alle prestazioni è a somma fis-sa (ovvero è ugualmente universale), e come fonte di finanziamento attin-ge alla fiscalità generale.

Che cosa è il Rapporto Beveridge?Prende il nome da W.H. Beveridge (1879-1963), l’economista inglese che lo presentò nel 1942e che viene considerato per questo il «padre del welfare state contemporaneo». Beveridge, chefu anche direttore della London School of Economics, si era occupato di problemi connessialla sicurezza sociale e con il Rapporto del 1942 propose una serie di misure che avevano ilfine di proteggere l’individuo dalla miseria e dai rischi connessi alle condizioni di vita moder-na. Il Rapporto proponeva assistenza sociale all’intera popolazione; copertura minima di tuttii bisogni legati al sociale con l’innalzamento dei benefici per istruzione, sanità, disoccupazio-ne, vecchiaia, infortunio; contributi collegati alla disponibilità di reddito; sostegno all’occupa-zione. Era in corso la seconda Guerra Mondiale pertanto le misure proposte dal Rapportointendevano anche evitare gli eccessi di povertà postbellica, e nell’immediato spuntare un’ar-ma di persuasione di massa del nazismo: il vantaggio nell’assistenza sociale (che dipendeva inlarga misura dall’eredità delle riforme di Bismarck). Il Rapporto stabilisce che mercato e de-mocrazia devono coniugarsi con giustizia redistributiva ed equità nell’utilizzo delle risorse. Lademocrazia sociale diviene parte della democrazia formale. Si ha una limitazione dell’indivi-dualismo in favore del solidarismo, la spesa pubblica viene indirizzata verso ragioni sociali(investendo su obiettivi di sicurezza collettiva e benessere, somme che altrimenti erano storica-mente destinate allo Stato stesso, per esempio alla sicurezza militare).

3. QUADRO STORICO

Per ricostruire una breve panoramica storica delle politiche sociali bi-sogna sottolineare quali siano le premesse iniziali, le successive trasfor-mazioni e gli obbiettivi ovvero le sfide attuali che il welfare state deveaffrontare. L’analisi può essere condotta su determinati parametri come losviluppo economico, i rapporti di genere nel lavoro, la demografia, le aspet-tative rispetto alle prestazioni statali, le caratteristiche della concezionedello Stato.

A) Le premesse

Le premesse fondamentali del welfare state sono la rapida crescita del-l’economia con la società industriale (che fornisce le risorse economiche),la stabilità familiare, la divisione di genere del lavoro, l’equilibrio delle strut-ture demografiche, un tipo di aspettative stabili e morigerate, la solidità e

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centralità dello Stato-nazione (che vede un rinnovamento e una razionaliz-zazione nei propri apparati fiscali). Le tappe fondamentali che portano al-l’instaurazione del welfare state sono:

— XVII sec.: Inghilterra, Poor Laws (assistenza sociale per i poveri a ca-rattere assistenziale-repressivo, si accompagna all’emarginazione poli-tica e civile dei destinatari, spesso è elargita su base locale);

— XIX sec.: crisi del paternalismo assistenziale, prime forme di assicura-zioni inizialmente private e volontarie, poi obbligatorie (fine del XIXsec.). L’introduzione dell’assicurazione obbligatoria (il primo paesefu la Germania di Bismarck nel 1883 contro le malattie, nel 1884 con-tro gli infortuni, nel 1889 per vecchiaia e invalidità) segna un vero puntodi svolta: le prestazioni sono standardizzate, su base nazionale e secon-do diritti stabiliti;

— l’esempio delle Germania venne gradualmente seguito dagli altri paesieuropei con la precedenza per l’assicurazione contro gli infortuni (poi-ché l’industrializzazione aveva portato a un forte aumento degli infortu-ni) e in seguito per la malattia. L’Austria introdusse l’assicurazioneobbligatoria nel 1887 (infortuni) e nel 1888 (malattie); la Norvegia nel1894 (infortuni); la Finlandia nel 1895 (infortuni, ma solo nel 1953 permalattia); l’Italia nel 1898 (infortuni);

— rispetto all’assicurazione per la vecchiaia e invalidità, il processo fuancora più lento: in Italia nel 1898 si istituisce una Cassa pubblica (vo-lontaria) per la vecchiaia e solo nel 1919 si passa all’assicurazione ob-bligatoria;

— ancora più tarda (agli inizi del XX sec.) è l’introduzione di assicura-zione obbligatoria contro la disoccupazione, che rappresentò un ulte-riore punto di svolta e rottura rispetto alla tradizione conservatrice (se-condo la quale la disoccupazione è un effetto di scarse capacità indivi-duali): si riconosce così la disoccupazione come un rischio connessoal mercato e alla struttura della società. La Gran Bretagna fu il primopaese ad introdurla nel 1911, seguita dell’Italia nel 1919 e dall’Austrianel 1920.

I motivi che portano all’instaurazione del welfare state sono: il processodi modernizzazione (necessità di garantire l’integrazione sociale delle mas-se lavoratrici e disponibilità di risorse), la mobilitazione operaia e i movi-menti socialisti.

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Capitolo Primo12

Chi è Bismarck?Otto von Bismarck (1815-1898) è un uomo politico tedesco. Il motivo per cui il suo nome è fonda-mentale nella storia delle politiche sociali è legato alle riforme che attuò per far fronte ai conflittisociali, sempre più rilevanti con l’industrializzazione del paese (assicurazione di lavoratori in casodi malattia o incidente, politica pensionistica). La politica sociale di Bismarck avanzò particolar-mente nell’Europa dell’epoca e si formò in diretta e forte opposizione ai socialisti (tuttavia non riuscìa impedire i progressi dei socialisti che tra il 1790 e il 1887 raddoppiarono il proprio elettorato).

La spinta fondamentale che porta all’instaurazione del welfare state è lamobilitazione operaia, che però produce effetti diversi relativamente alcontesto politico-istituzionale in cui si trova ad agire:

— nei regimi monarchico-autoritari (Germania, Austria, Finlandia, Sve-zia e in parte in Italia) la mobilitazione operaia spinge le élite conserva-trici al governo a concessioni per fini di controllo sociale e di auto-legit-timazione; dunque, l’assicurazione obbligatoria viene introdotta in mo-menti relativamente precoci del processo di industrializzazione, primadella democratizzazione del suffragio;

— nei regimi parlamentari (Francia, Inghilterra, Belgio e Olanda), invece,si deve aspettare che i partiti socialisti includano nel loro programmapolitico l’assicurazione obbligatoria (ci fu infatti una iniziale diffidenzaverso l’intervento pubblico in questa materia) e che guadagnino suffi-ciente peso politico in parlamento (il che avviene generalmente dopo lademocratizzazione del suffragio).

Che cosa è il movimento operaio?La mobilitazione operaia si sviluppa storicamente a partire dal XIX secolo in Europa e negliStati Uniti, a seguito della rivoluzione industriale e dello sviluppo del capitalismo e della nuo-va borghesia imprenditoriale, con la nascita di associazioni e organizzazioni di operai (primale società di mutuo soccorso, le leghe operaie e le leghe contadine, poi i sindacati) prima nelmondo anglosassone (con le Trade Unions, 1824), poi in Francia (1864) e in Germania (1869).Dall’unione dei movimenti operai nacquero le prime grandi formazioni sindacali (come laConfederazione Generale del Lavoro in Italia nel 1906, ovvero l’attuale CGIL, Confederazio-ne Generale Italiana del Lavoro). Il fine della mobilitazione operaia è la conquista, attraversole lotte sociali e le riforme, di miglioramenti nelle condizioni di lavoro, per quanto riguarda isalari e in generale le condizioni di vita (riduzione dell’orario lavorativo, tutela del lavorominorile e femminile). Il movimento operaio si affianca e segue la nascita e lo sviluppo delsocialismo scientifico (dottrina elaborata da Karl Marx e Friedrich Engels), e nei principalipaesi europei e negli Stati Uniti dà la spinta alla costituzione di movimenti politici e partiti diispirazione popolare e operaia di diversa matrice.

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13Le politiche sociali

La fase dell’instaurazione del welfare state dura fino alla prima GuerraMondiale e il processo di consolidamento avviene tra le due Guerre. Sipossono indicare alcuni punti fondamentali rispetto al consolidamento:

— il passaggio dalla nozione più ristretta di «assicurazione dei lavorato-ri» a quella più ampia di «assicurazione sociale», con una nozione piùestesa di rischi e di beneficiari (per esempio si introducono gli assegnifamiliari). Gradualmente non si parla più solamente di offrire i risarci-menti in base ai contributi ma anche di garantire una protezione minimain base ai bisogni;

— nei paesi scandinavi, con l’avvento al potere dei partiti socialdemocrati-ci, questa fase segna anche il collegamento tra politica sociale e politi-ca economica, con l’estensione dell’intervento dello Stato in settori piùampi dell’economia, dall’edilizia al mercato del lavoro, nel quadro diobiettivi anticiclici keynesiani.

L’espansione del welfare state avviene negli anni che vanno dalla finedella seconda Guerra Mondiale fino alla metà degli anni Settanta del Nove-cento, in contemporanea allo sviluppo e alla crescita economica. La coper-tura diventa particolarmente estesa (fino a comprendere la totalità della po-polazione) e ne segue l’abbandono delle forme di assistenza locali. Bisognadistinguere due modelli fondamentali:

— nei paesi anglo-scandinavi l’espansione è verticale (dall’applicazioneai bisognosi fino a coprire tutta la popolazione): si consolida il modellouniversalistico («beveridgeano», cioè ispirato al Rapporto Beveridge)di welfare, caratterizzato da copertura universale, prestazioni relativa-mente generose ed egualitarie, prevalentemente finanziate con fiscalitàgenerale;

— nei paesi continentali, con un processo più tortuoso, l’espansione è oriz-zontale (cioè gradualmente copre le falle della vecchia assicurazionesociale): si consolida il modello occupazionale («bismarckiano», lega-to alle riforme del cancelliere Bismark) di welfare, caratterizzato da unapluralità di schemi professionali, con regole e formule differenziate, pre-valentemente finanziato tramite contributi sociali.

B) Le trasformazioni

Dalla metà degli anni Settanta, si assiste infatti a una crisi del welfare state(sia del modello universalistico, sia quello occupazionale) rispetto alle condi-

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Capitolo Primo14

zioni socio-economiche e politico-istituzionali che ne avevano accompagnato ilconsolidamento e l’espansione. Queste sono le trasformazioni che avvengono:

— la forte crescita economica, legata alla nascita del welfare state, si riduce e idividendi fiscali della crescita si trasformano in deficit e debiti pubblici;

— dal paradigma fordista (produzione e consumo di massa, occupazionemaschile nelle grandi fabbriche) delle società industriali si passa a un’eco-nomia e a una società post-industriale;

— la fissità della famiglia (uomini lavoratori e donne dedite a casa e figli) ela divisione del lavoro tra i generi (uomini coperti da assicurazione e don-ne «a carico») vengono ridefinite grazie all’affermazione dei diritti delladonna, e con il venire meno della stabilità dei matrimoni e delle famiglie;

— la precedente crescita demografica e stabilità dei flussi migratori lasciail posto a un declino della fertilità, al conseguente invecchiamento dellapopolazione e a un cambiamento nei flussi migratori;

— sul piano socio-culturale, la stabilità delle aspettative (morigerate) muta conuna crescita delle aspettative e delle richieste rispetto alle provvidenze pub-bliche, nonostante gli sforzi di austerità imposti dalla crisi economica;

— infine, sul piano politico, la solidità e centralità dello Stato-nazione (ri-spetto alla giurisdizione e alla distribuzione) muta con la crescente inte-grazione economica e istituzionale su un piano internazionale e sovra-nazionale (Unione Europea).

Queste trasformazioni costituiscono una spinta a una riforma del welfa-re state.

Cos’è il paradigma fordista?Il termine «fordismo» deriva dall’industria automobilistica Ford, che a partire dal 1913, conl’introduzione della catena di montaggio, avviò una produzione standardizzata dei suoi pro-dotti, a cominciare dal primo rivolto a un consumo di massa (il Model T).Si indica comunemente con esso la fase industriale che introduce, nel XX secolo, la produzio-ne in serie, determinando una profonda riorganizzazione del sistema di fabbrica.Il paradigma fordista non riguarda solo l’organizzazione del lavoro interna all’impresa, poichéha coinvolto l’intera società: la diminuzione del costo unitario dei prodotti (ottenuta attraversoun forte aumento della produttività), porta infatti a un aumento della retribuzione e del consu-mo (che diventa di massa), e quindi della domanda e di nuova produzione. Con il fordismo laproduzione in serie (o di massa, grazie al progresso tecnologico) si riflette dunque sul consumodi massa, e i lavoratori non sono considerati solamente un fattore di produzione, ma i consuma-tori dei prodotti finali a cui la produzione è rivolta. In poco tempo il modello fordista si estesea tutta l’industria manifatturiera statunitense e occidentale.

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15Le politiche sociali

C) Gli obiettivi e le sfide attuali

La crisi sociale, politica ed economica diventò insostenibile negli anniOttanta, quindi negli anni Novanta in quasi tutti i paesi europei si diffuse unprocesso di riforma del welfare state nel quale:

— inizialmente prevalgono le accezioni negative (tagli, ridimensionamento,ecc.) per far fronte alla crisi;

— successivamente si provvede ad una riconfigurazione, modernizzazio-ne, ristrutturazione e razionalizzazione dello Stato sociale.

Gli obiettivi e le sfide che l’attuale welfare state si trova a dover affron-tare sono:

— il contenimento dei costi rispetto all’economia generale (in particolareper le pensioni e la sanità);

— la redistribuzione delle protezioni sociali in virtù del mutamento nellasocietà e nel mondo del lavoro che riguarda, ad esempio, la flessibilità(dato l’aumento dell’incidenza dei contratti a tempo determinato e part-time sull’occupazione totale) e l’introduzione di ammortizzatori sociali(anche per gli immigrati), con un bilanciamento distributivo tra le cate-gorie ipergarantite (per esempio i dipendenti pubblici) e quelle sottoga-rantite (le persone in cerca di occupazione);

— bilanciare le funzioni di protezione alla luce dei nuovi rischi (per esempiocontenere la tutela della vecchiaia e promuovere l’assistenza all’infanzia);

— la conciliazione tra vita professionale e riproduzione sociale (per esem-pio rispetto al contrasto tra carriera lavorativa e maternità);

— la ridefinizione degli standard delle prestazioni (fornendo le argomen-tazioni a favore della trasformazione dello stato attuale in quanto iniquoe inefficiente);

— una apertura complementare all’apertura della politica globalizzata.

Tutti i sistemi di welfare europei si trovano a dover affrontare questesfide, tuttavia esse hanno un impatto differente nei vari paesi. Inoltre alcunimodelli di welfare per la loro stessa impostazione hanno una maggiore ca-pacità di risposta alle esigenze che emergono da un’economia e da una so-cietà post-industriale.

D) Il rapporto con la logica politica

Per comprendere meglio quali problemi può incontrare lo sviluppo e lariforma dello Stato sociale e di conseguenza cosa renda difficile offrire una

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Capitolo Primo16

risposta alle nuove sfide che si presentano, bisogna considerare le politichesociali nel quadro più ampio della logica della politica nazionale. Rispettoallo Stato liberale ottocentesco, il welfare state è un nuovo sistema di pote-re che vede come protagonisti da una parte l’élite che detiene il potere e habisogno del consenso, dall’altra una clientela sociale che vuole ottenerediritti-spettanze e che può fornire il consenso. L’élite, dunque, ha comefine il consenso e come mezzo l’elargizione di diritti-spettanze; la clientelasociale ha come fine i diritti-spettanze e come mezzo il consenso. Le politi-che sociali sono uno strumento nelle mani dello Stato, ma allo stesso tempolo Stato può mutare per le pressioni che subisce rispetto alle politiche socia-li, che risultano pertanto fortemente connesse con la logica politica (nonsempre con effetti positivi). Durante la fase di espansione del welfare state,anche la società subisce dei cambiamenti, col passaggio da una strutturapiramidale (con un vertice di pochi ricchi e una ampia base di poveri) a unacaratterizzata da una maggioranza della popolazione situata nella fascia ametà tra ricchezza e povertà. Questa fascia media è diventata la principalebeneficiaria e contribuente rispetto allo Stato sociale assumendo una posi-zione da protagonista. Senza escludere programmi basati sulla prova deimezzi, la maggior parte delle politiche sociali hanno mutato la loro naturaredistributiva in una distributiva, caratterizzata da una minore chiarezza dibilanciamento (a causa dell’asimmetria tra benefici e costi per cui è chia-ro chi ottiene un beneficio ed è meno chiara la modalità di copertura delcosto). Le principali cause dello scivolamento distributivo nella concezionedelle politiche sociali, fondato essenzialmente sull’occultamento dei costi,sono:

— l’iniziale alto tasso di sviluppo economico che, in virtù delle maggiorientrate nell’erario statale (legate alla crescita economica generale), ren-deva possibile estendere i benefici senza avere problemi per la copertu-ra finanziaria;

— la progressiva assunzione di una sistema di spesa pubblica non copertada entrate tributarie ma resa possibile dall’emissione di titoli di debitopubblico (in inglese: deficit spending);

— l’assunzione di tecniche finanziarie capaci di nascondere i costi imme-diati delle politiche pubbliche (comprese le politiche sociali). L’esem-pio maggiore riguarda le politiche previdenziali: a pagare le pensionidella generazione uscita dal lavoro è la generazione attualmente attiva,

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17Le politiche sociali

alla quale si prospetta un medesimo trattamento futuro, scaricando sullegenerazioni future (politicamente irrilevanti dal punto di vista del con-senso) gli oneri di possibili squilibri (per esempio nella tendenza demo-grafica con il complessivo invecchiamento della popolazione);

— la frantumazione della società in numerose categorie (commercianti,dipendenti pubblici, cassintegrati, ferrovieri, infermieri, ecc.) che sonodiventate gruppi di interesse speciale che richiedono privilegi particola-ri (ovvero in competizione l’uno con l’altro e a scapito della collettività)e rappresentano un bacino di consenso;

— il passaggio da una politica di classe (fondata su una lealtà ideologica) auna politica in cui è molto pesante l’uso della distribuzione di beneficipubblici come strumento per ottenere consenso.

A seguito di questo scivolamento, a causa della crisi della finanze pub-bliche e con la spinta offerta dall’integrazione europea (e dalla globalizza-zione), il risanamento del welfare state è diventato un’esigenza. Tuttavia lariforma necessaria è politicamente molto difficile e causa risposte moltoturbolente da parte della società (restia a perdere i vantaggi acquisiti). Lariforma infatti prevede l’imposizione di sacrifici e da una politica distributi-va si passa a una politica sottrattiva che ha come fine il risanamento. Lariforma può essere presentata con uno stile avversativo (come è stato inInghilterra con il governo Thatcher dal 1979 al 1990) o concertativo, con lacontrattazione tra governo e rappresentanti degli interessi (e quindi dellecategorie) coinvolti. In ogni caso difficilmente la riforma del welfare stateporta consenso, mentre spesso è causa di perdite di consenso. La necessitàdel risanamento e la non convenienza politica della sua attuazione creanoun contrasto molto forte all’interno del quale i governi operano con marginidi manovra stretti. Ne è conseguenza la scelta di una linea (che risulta piùaccettabile e limita le perdite di consenso) che si occupa dei margini senzaproporre riforme strutturali, che utilizza tattiche di offuscamento sui tagli esi serve di strategie di compensazione (per esempio proponendo transizionimorbide).

4. TIPOLOGIE

Le politiche sociali dei diversi stati hanno sempre mostrato numerosedifferenze: sostanzialmente ogni Stato è un caso a sé. Tuttavia è possibileindividuare dei modelli di welfare state ai quali far risalire le numerose va-

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Capitolo Primo18

rianti come evoluzioni e differenziazioni degli stessi. Innanzitutto abbiamogià riscontrato storicamente due modelli fondamentali rispetto alla copertu-ra (un parametro fondamentale in quanto definisce i confini interni del wel-fare state e il raggio di applicazione):

— il modello universalistico, tipico dei paesi anglo-scandinavi, caratte-rizzato da copertura universale e un bacino unico di solidarietà e ridistri-buzione;

— il modello occupazionale, tipico dei paesi continentali, in cui gli sche-mi di protezione sociale riguardano i lavoratori. In questo caso alimen-tano le demarcazioni tra i settori produttivi e le gerarchie occupazionali,frammentando la ridistribuzione. Conseguentemente la questione rispettoa chi includere nei sistemi di protezione diventa predominante rispettoal come e quanto proteggere.

La scelta iniziale per l’uno o per l’altro modello influenza il percorsoevolutivo dello Stato sociale di una nazione. Con l’evoluzione si creanoulteriori differenziazioni (e quindi modelli di riferimento) rispetto alle qualiè possibile catalogare i tipi di welfare state. Il dibattito degli studiosi suquesto punto è sempre acceso e i nuovi scenari politici creano continua-mente ulteriori prospettive: si pensi ai paesi ex comunisti dell’Europa del-l’est che entrano a far parte dell’Unione europea, o allo sviluppo di alcuneregioni del mondo come l’Asia orientale (che ha portato al confronto tramodello europeo, modello statunitense e modello asiatico). Una delle piùaffermate caratterizzazioni, basata su un ampio campione di paesi OCSE tracui l’Italia, è quella data da Esping-Andersen (The Three Worlds of Welfa-re Capitalism, 1990) che considera il regime di welfare, ovvero quel siste-ma che è dato da:

— il contenuto delle politiche sociali dello Stato;— la loro relazione con il mercato del lavoro;— la loro relazione con la famiglia.

Che cosa è il regime di welfare?Il regime di welfare è un sistema di interazione tra i quattro agenti che hanno come fine ilbenessere dei cittadini: stato, mercato, famiglie, associazioni intermedie e mercato. Questiagenti operano in un quadro complesso di aspetti legali e organizzativi e in base a differentilogiche di stratificazione e integrazione sociale. Lo scopo del regime di welfare è offrire unaprotezione sociale.

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19Le politiche sociali

Le domande fondamentali che, secondo Esping-Andersen fondano l’ana-lisi di uno Stato sociale, riguardano:

— la demercificazione: ovvero diminuzione della necessità di passare at-traverso il mercato per soddisfare i propri bisogni;

— la destratificazione: ovvero attenuazione dei differenziali di status oc-cupazionale e di classe sociale.

Sulla base di questi parametri si possono identificare e valutare tre prin-cipali regimi di welfare, che devono il loro nome e la loro natura alle dina-miche socio-politiche che caratterizzano la loro insorgenza:

— regime liberale (fondato su dottrine liberiste ed espressione dell’ege-monia della borghesia capitalista);

— regime conservatore-corporativo (caratterizzato da forti tradizioni cor-porative, egemonia di partiti moderati o conservatori, predominanza delceto medio, influenza della dottrina sociale della Chiesa);

— regime socialdemocratico (risultato di un forte movimento operaio e carat-terizzato da una notevole influenza dei sindacati e dei partiti di sinistra).

Per i paesi dell’Europa meridionale, che presentano una situazione ibri-da, Naldini (The Family in the Mediterranean Welfare States, 2003) ha pro-posto un ulteriore regime di welfare:

— il regime delle solidarietà familiari e parentali (fondato su forti relazioniintergenerazionali familiari e risultato da corporativismo, ingerenze da par-te della Chiesa cattolica nella politica, aspra divisione tra destra e sinistra).

Si tenga presente che pur mantenendo una certa validità, la divisioneproposta da Esping-Andersen non può tenere conto di numerosi fattori evo-lutivi interni ai regimi di welfare e differenti da nazione a nazione: un casoemblematico è rappresentato dai risultati delle lotte femministe rispetto allaconsiderazione del fattore «famiglia» (ad esempio si può avere, come inFrancia, il riconoscimento e la difesa del ruolo di lavoratrice e madre, oppu-re un maggiore coinvolgimento degli uomini nello svolgimento dei ruolinon retribuiti storicamente attribuiti alle donne, come in Svezia).

A) Il regime liberale

Le caratteristiche fondamentali del regime liberale (tipico di Stati Uniti,Canada, Australia, Regno Unito) sono:

— assicurazione sociale circoscritta e con prestazioni poco generose;

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Capitolo Primo20

— misure di assistenza in maggior parte basate alla prova dei mezzi;— destinatari principali: bisognosi, poveri, lavoratori a basso reddito;— incoraggiamento del ricorso al mercato: in modo passivo (scarsa re-

golamentazione del mercato, soprattutto sul mercato del lavoro) o inmodo attivo (incentivazione del ricorso a schemi assicurativi non sta-tali).

Rispetto alla capacità di modificare le opportunità offerte dal lavoro edalla famiglia, in questo regime si ha:

— demercificazione (degli individui) bassa: forte dipendenza dal mercato(con scarsa interferenza statale);

— destratificazione (delle classi sociali) bassa: dualismo tra «welfare deiricchi» e «welfare dei poveri».

B) Il regime conservatore-corporativo

Le caratteristiche fondamentali del regime conservatore-corporativo (ti-pico di Germania, Austria, Francia, Olanda) sono:

— schemi assicurativi in maggioranza pubblici collegati alla posizioneoccupazionale (modello bismarckiano);

— computo in base ai contributi e alle retribuzioni;— destinatari principali: i lavoratori adulti maschi capofamiglia (male

breadwinners);— enfasi sulla residualità dell’intervento statale rispetto alla capacità di

risposta individuale, familiare o di associazioni intermedie.

Rispetto alla capacità di modificare le opportunità offerte dal lavoro edalla famiglia, in questo regime si ha:

— demercificazione (degli individui) media: la dipendenza dal mercato èsolo attenuata;

— destratificazione (delle classi sociali) medio-bassa: tendenza a mante-nere le differenze di status e classe e la segregazione di genere.

C) Il regime socialdemocratico

Le caratteristiche fondamentali del regime socialdemocratico (tipico diSvezia, Danimarca, Norvegia) sono:

— schemi di sicurezza sociale in maggior parte universalistici (modellobeveridgeano);

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21Le politiche sociali

— prestazioni generose ma prevalentemente a somma fissa, con finanzia-mento tramite il sistema fiscale (progressivo);

— destinatari: tutti i cittadini.

Rispetto alla capacità di modificare le opportunità offerte dal lavoro edalla famiglia, in questo regime si ha:

— demercificazione (degli individui) alta: marginalizzazione del mercatocome fonte di risposta ai bisogni e ai rischi sociali;

— destratificazione (delle classi sociali) alta: data l’universalità e la gene-rosità delle prestazioni.

D) Il regime delle solidarietà familiari e parentali dell’Europa meri-dionale

Ai tre tipi di regime di welfare individuati da Esping-Andersen è oppor-tuno affiancare una quarta tipologia ibrida caratteristica dell’Europa meri-dionale (Italia, Spagna, Portogallo, Grecia). Le caratteristiche fondamentalidi questo ulteriore regime di welfare sono:

— iniziale pluralità di schemi assicurativi occupazionali (modello bi-smarckiano) e successiva (durante la fase di espansione) introduzione diprestazioni molto generose solo per alcune categorie centrali del mondodel lavoro (per esempio dipendenti pubblici o delle grandi imprese) conla creazione di una differenza tra insiders (titolari di spettanze forti) eoutsiders (titolari di spettanze deboli o privi di spettanze, per esempiolavoratori precari o dipendenti di piccole imprese);

— mancanza (o limitatezza) di una rete statale di sicurezza di base (ulte-riore a quella familiare che funziona come ammortizzatore sociale) con-tro il rischio di povertà; presenza di una vasta economia sommersa; bas-so grado di statualità, ovvero caratterizzato da uno Stato con scarsa indi-pendenza da altre istituzioni organizzate (partiti politici o gruppi di inte-resse) e con scarsa assunzione di responsabilità diretta delle istituzioninelle protezioni sociali;

— elevato particolarismo nelle erogazioni (frodi e clientelismo) e nelfinanziamento (evasione fiscale tollerata e oggetto di saltuari condo-ni fiscali); compresenza di picchi di generosità e lacune di copertura(si va da sistemi sanitari frammentati su base occupazionale a Servi-zi Sanitari Nazionali a vocazione universale basati sulla cittadinan-za).

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Capitolo Primo22

Rispetto alla capacità di modificare le opportunità offerte dal lavoro edalla famiglia, in questo regime si ha:

— demercificazione (degli individui) sbilanciata: molto elevata per alcu-ne categorie di individui, molto bassa per altre;

— destratificazione (delle classi sociali) bassa: creazione di nuove dif-ferenziazioni trasversali (insiders/outsiders) rispetto alla struttura diclasse.

Questo regime è essenzialmente una variante del regime conservato-re-corporativo che presenta però delle caratteristiche proprie:

— la famiglia rappresenta un importante ammortizzatore economico (dacui il nome di questo regime);

— si ha una protezione contro il mercato per i lavoratori occupati nei set-tori centrali dell’economia (piuttosto che protezione nel mercato); unagrande rilevanza del settore informale (economia sommersa); un pesonotevole del clientelismo; una stratificazione tra settori iper-tutelati esettori sotto-tutelati.

5. LE POLITICHE SOCIALI IN ITALIA

L’Italia rientra tra gli stati che hanno un regime di welfare di tipo con-servatore-corporativo (secondo la divisione di Esping-Andersen), o meglioancora tra quelli che vanno catalogati come stati con un regime delle solida-rietà familiari e parentali (secondo l’aggiunta proposta da Naldini). Laquota del prodotto interno lordo (PIL) che l’Italia dedica alla protezionesociale è più bassa rispetto alla media dell’Unione europea (UE), tuttavianon è troppo dissimile dagli altri Stati europei. La differenza è maggiore sesi considera la composizione interna della spesa.

Che cosa è il prodotto interno lordo (PIL)?Il Prodotto Interno Lordo (PIL) è una misura basilare usata in macroeconomia corrispondenteal valore complessivo dei beni e servizi prodotti all’interno di un Paese in un anno. Sulla basedel PIL è definibile il reddito pro-capite, dato dal rapporto tra il PIL e il numero dei cittadini.Il PIL è detto interno perché comprende il valore dei beni e servizi prodotti all’interno di unpaese (indipendentemente dalla nazionalità di chi li produce), cioè da parte di operatori resi-denti (che abbiano in Italia il centro dei loro interessi), o nel territorio economico italiano, checoincide con il territorio politico-amministrativo. Il PIL è detto lordo perché è al lordo degliammortamenti.

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23Le politiche sociali

Confrontando l’Italia con gli altri paesi europei si osservano due note-voli distorsioni proprie del welfare italiano rispetto alla composizione inter-na della spesa:

a) una distorsione funzionale rispetto alla composizione della spesa:

— più della metà della spesa (61,7% secondo i dati raccolti nel 2003) èlegata al sistema pensionistico, che nel resto della UE è di poco infe-riore alla metà (45,7%);

— per contro, le spese per famiglia (4,1%), disoccupazione (1,8%) epolitiche abitative (0,3%) sono sottodimensionate (nella UE: fami-glia 8%, disoccupazione 6,6%, politiche abitative 3,5%).

b) una distorsione distributiva tra le diverse categorie occupazionali (ov-vero una opposizione tra insiders e outsiders), rispetto alla possibilità diaccedere alle prestazioni e alla generosità delle prestazioni. Questa di-storsione, se in qualche misura è propria di numerosi modelli di welfare,è particolarmente forte in Italia, anche se si limita il paragone ai regimisud-europei. Fa eccezione il servizio sanitario che è nazionale dal 1978.Il risultato di questa doppia distorsione è la presenza di tre differentigruppi sociali rispetto alle garanzie:

— il gruppo dei garantiti: lavoratori dipendenti delle amministrazionipubbliche e delle grandi imprese, con elevata protezione rispetto allavecchiaia e protezioni simili agli standard europei per gli altri rischi;

— il gruppo dei semigarantiti: vari lavoratori dipendenti (di piccoleimprese, di settori come l’agricoltura e l’edilizia), lavoratori autono-mi (piccoli commercianti e artigiani), lavoratori atipici (con contrat-to a tempo determinato e part-time) con protezione «al minimo» ri-spetto alla vecchiaia (pensione minima) e tutele scarse o assenti (ri-spetto agli importi e alla durata) per gli altri rischi;

— il gruppo dei non garantiti: lavoratori dell’economia sommersa(molto diffusa in Italia, in particolare a sud), con una protezione dibase (assegno sociale) rispetto alla vecchiaia, basata sulla prova deimezzi e inferiore alla pensione minima, e nessuna tutela rispetto aglialtri rischi.

Le cause di questa duplice distorsione sono varie e sostanzialmente le-gate alla logica politica della «Prima repubblica» (dal 1948 al 1992 circa),nella quale il governo è imperniato sui partiti con debole statualità e forte

Estratto della pubblicazione

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Capitolo Primo24

opposizione tra destra e sinistra. Si è assistito in Italia a una partitocraziadistributiva che ha fatto delle politiche sociali uno strumento per ottenereil consenso. Gli effetti della duplice distorsione del welfare italiano sono:

— una progressiva diminuzione di efficienza, efficacia ed equità (si assi-ste alla crescita del divario tra categorie e tra generazioni);

— l’instaurazione di circoli viziosi che rendono particolarmente difficile lariforma;

— accentuazione dei fattori di crisi storica che ha colpito tutti i sistemi diwelfare (per esempio notevole deficit pubblico e invecchiamento dellapopolazione).

Il familismo, ovvero la presenza della famiglia come ammortizzatoresociale (tipico dei regimi del sud dell’Europa) in Italia è particolarmenteforte (a causa della scarsa o assente offerta di risorse e opportunità offerte aigiovani dal welfare state) e genera conseguenze negative su più piani:

— sul piano economico (per l’assenza di aiuti-risorse e/o opportunità perentrare nel mondo del lavoro): i giovani sono trattenuti rispetto allamobilità;

— sul piano sociale (per l’assenza di aiuti e risorse per acquisire autonomia eformare nuove famiglie): sono rallentati i processi di riproduzione sociale;

— sul piano politico: è frenata la formazione di una domanda politica afavore del cambiamento (i giovani visualizzano le garanzie dei loro ge-nitori e aspirano alle stesse garanzie, per esempio un posto fisso e unapensione generosa).

La necessità di una riforma del welfare è pertanto particolarmente ur-gente in Italia, e tuttavia la politica nazionale a tal fine si è mostrata larga-mente inefficace fino all’inizio degli anni Novanta, quando si è cominciatoad assistere a una serie di riforme volte a rivedere gli squilibri funzionali(tra politiche pensionistiche e assistenziali), distributivi (tra ipergarantiti esottogarantiti) e normativi (progetto di un nuovo welfare più orientato allapromozione delle opportunità). Come gli squilibri erano legati alla logicapolitica della Prima repubblica, l’inizio di una riforma avviene grazie almutamento del quadro istituzionale a partire dal 1992 che porta a una «Se-conda repubblica»:

— cambiamento interno con lotta (resa possibile dalle indagini della ma-gistratura rispetto alla politica, e nota come «Mani Pulite») alle frodi

Estratto della pubblicazione