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ELEMENTI DI LESSICOGRAFIA ANDREA DI MAIO ELEMENTI DI LESSICOGRAFIA FILOSOFICO-TEOLOGICA PER LO STUDIO DEI “LEMMATA CHRISTIANORUM” [2009]

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ELEMENTI DI LESSICOGRAFIA

ANDREA DI MAIO

ELEMENTIDI LESSICOGRAFIA

FILOSOFICO-TEOLOGICAPER LO STUDIO

DEI “LEMMATA CHRISTIANORUM”

[2009]

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1. IL CONCETTO E LA PAROLAIN GENERALE E NEL TESTO

• Per concetto determinato secondo un autore si intende prioritariamente il conte-nuto significativo delle parole di un tema linguistico nell’uso fattone dall’autorenell’intera sua opera.

Questa esposizione intende spiegare (attraverso l’esempio costante diuna indagine concretamente effettuata sul concetto tommasiano di Comuni-cazione 1) come impostare una ricerca che abbia come oggetto generale unconcetto a partire dal vocabolario e per finire con la dottrina che vi stannodietro (ad esempio nell’ambito più ampio dei lemmata Christianorum ossiadella terminologia intellettuale del cristianesimo), adoperando strumentiadeguati 2 e il metodo lessicografico, al fine di contribuire alla realizzazio-ne di un ideale Lessico intellettuale.

Ad esempio, per concetto tommasiano di Comunicazione si intende:– in generale, il significato (o meglio, l’insieme ordinato di significati,

a partire da un primo) che i lemmi della “famiglia linguistica” del verbo‘communicare’ (ossia il tema caratterizzato dal segmento linguistico ‘-com-munic-’), insieme anche ai rispettivi sinonimi, antonimi e tassonimi, hannoin Tommaso o in altri autori latini: e tale è il concetto linguistico, ossia se-condo la Lessicografia;

– in speciale, il corrispondente contenuto intellettivo, adoperato in unaqualche forma di pensiero (come la filosofia o la teologia) e veicolato nonsolo dai vocaboli precedenti, ma anche dai sinonimi e dai corrispettivi inaltre lingue e culture (come ad esempio ‘comunicare’ e ‘comunicazione’oggi): e tale è il concetto secondo la Storia dei Concetti;

1 Il concetto di Comunicazione. Saggio di lessicografia filosofica e teologica sul

tema di ‘communicare’ in Tommaso d’Aquino, Roma, Gregoriana 1998.2 Il prototipo è l’Index Thomisticus: Roberto BUSA, Index Thomisticus: Sancti

Thomae Aquinatis operum omnium Indices et Concordantiae, Stuttgart, Frommann-Holzboog 1974-1980, 56 vol. (compresi i volumi dell’opera omnia); ID., Sancti Tho-mae Aquinatis opera omnia cum hypertextibus in CD-ROM, Milano, Editel 1992; 21996;i presupposti metodologici dell’Index sono ricostruiti in Andrea DI MAIO, L’“infor-matica linguistica” di padre Roberto Busa come metodo investigativo e come approc-cio al Medioevo, in «Medioevo» 1989, p. 325-362. Le citazioni e ubicazioni dei passitommasiani sono secondo il testo e l’uso dell’Index Thomisticus.

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– per estensione, l’insieme ordinato delle dottrine che impiegano,trattano o regolano tale concetto in Tommaso o in altri autori: e tale è ilconcetto (inteso come “teoria”) secondo la Storia del Pensiero, in partico-lare filosofico e teologico;

– infine, la nozione metafisica e originaria di comunicazione, che stasotto a tutto questo e che essendo originaria può essere descritta, ma pro-priamente non definita.

La lessicologia è la scienza generale del lessico di una lingua o di unautore (Tommaso, nel caso nostro) da un punto di vista sia morfologico, siasintattico, sia semantico; la lessicografia è invece l’arte di descrivere indut-tivamente (a partire dall’uso che se ne fa in concreto) le parole di tale les-sico, definendole semanticamente in un Lessico o Dizionario. Ma la lessi-cografia applicata alla terminologia intellettuale, ossia al vocabolario delpensiero (a monte delle distinzioni disciplinari tra filosofia e teologia), puòben essere chiamata logografia (arte di descrivere le ragioni del pensiero edelle cose, per “dar nome” ad esse) e, per il suo risultato, logonomastica(conoscenza – strutturata e sistematica – dei “nomi” di tali ragioni e idee inun determinato ambito culturale e disciplinare).

Il nostro modo di parlare riflette e condiziona il nostro modo di pensare,che a sua volta riflette e condiziona il nostro modo d’essere. Pertanto, metterein ordine le nostre parole significa chiarire il nostro rapporto con la realtà.

Ambito e metodo di questa indagine sono dati dalla lessicografia, laquale (come più in generale l’ermeneutica, e più in particolare quella cheabbiamo chiamato logografia) non è propriamente una “scienza”, maun’“arte”: essa dunque richiede sì “competenza” (in base a una previa co-noscenza), ma soprattutto “talento” e “esperienza” (in funzione di un’ulte-riore conoscenza).

La lessicografia richiede infatti una competenza interdisciplinare, ossiatratta da varie “scienze”: essa, infatti, per il metodo adoperato presuppone unaconoscenza almeno operativa di nozioni e acquisizioni di filosofia del linguag-gio, semiotica, ermeneutica, linguistica, grammatica e filologia, informaticalinguistica, statistica testuale, critica storica e letteraria…; ma, in particolare,caso per caso (per il tipo di corpus verbale e testuale a cui si applica) presup-pone un’appropriata conoscenza storica e sistematica della lingua (ad esempio,quella latina), della filosofia e della teologia (ad esempio, quella di Tommasoe del suo tempo). Quanto poi agli esiti, la lessicografia è funzionale ad altreforme di conoscenza: la lessicologia, la storia del pensiero, l’ontologia equella che abbiamo chiamato logonomastica.

Il carattere operativo (non solo “tecnico”, ma propriamente “artistico”)della lessicografia – e più in generale dell’ermeneutica – comporta la ne-

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cessità di adoperare procedure metodiche, ma anche l’impossibilità di sta-bilire a priori un’unica procedura per ogni indagine (quasi cioè una ma-cro-istruzione, che applicata ai testi ne ricavi automaticamente l’interpreta-zione).

L’interprete dovrà quindi saper trarre, dalla cassetta dei suoi attrezzi,quello volta per volta più adatto alla bisogna, proporzionando sempre l’uso deimezzi al fine, ossia alla migliore intelligenza dei testi.

Inoltre, il carattere interdisciplinare della lessicografia comporta cer-tamente il rischio della genericità o della rapsodicità (in cui la ricerca può,ma non necessariamente deve, cadere), ma d’altro canto consente una plu-ralità di approcci metodologici spogliati di eventuali rivestimenti“ideologici” e utilizzati in maniera convergente.

L’interdisciplinarità è uno strano passaporto: tutti lo invocano per sé, pervarcare impunemente, da turisti o da apolidi, i confini delle discipline altrui;ma lo rifiutano all’estraneo che volesse per un po’ lavorare onestamente entro iconfini della disciplina loro; e magari lo concedono a chi vi fosse entrato inve-ce di contrabbando: un po’ come (a detta d’un critico 3, peraltro criticabile) sa-rebbe capitato a Proudhon, a cui gli economisti – tenendolo per buon filosofo –perdonavano d’essere un cattivo economista, e viceversa i filosofi – tenendoloper buon economista – perdonavano d’essere un cattivo filosofo. Così, “chipassa troppo tempo a viaggiare, finisce col diventare straniero nella propriapatria” 4, senza però riuscire ad acquisire la cittadinanza altrui.

• Il metodo ermeneutico e lessicografico aiuta a colmare la distanza linguistica eculturale tra autore e lettore, e lo strumento informatico vi contribuisce conferendoesaustività e intertestualità all’interpretazione.

Il pensiero di un autore è accessibile a noi mediante la sua opera. An-che se (filosoficamente e teologicamente) ci interessa principalmente comepensatore, ma è vero anche che possiamo conoscerlo solo in quanto è auto-re: e non solo per quello che a suo tempo ha inteso dire nei suoi scritti – os-sia per l’intentio auctoris (che in parte possiamo congetturalmente rico-struire) – ma per quello che comunque tali scritti ci dicono ancora – ossiaper l’intentio textus: tale senso del testo non va cercato in un Ipertesto, al difuori e al di sopra del testo (come in una sorta di platonismo ermeneutico),ma nemmeno identificato con la materialità del testo stesso; di conseguenzal’interpretazione deve non semplicemente dire sul testo, ma soprattutto cer-care di ridire il testo.

3 Karl MARX, nella premessa alla Miseria della Filosofia.4 Cf CARTESIO, Discorso sul metodo, 1.

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Uno degli ostacoli che rendono oggi difficoltosa la lettura ogni autorepassato è la distanza linguistica e culturale che ci separa dalla sua opera eche favorisce fraintendimenti o sovrapposizioni del nostro pensiero al suo.

Questa ricerca intende pertanto innanzitutto contribuire a superare (il chenon significa pretendere di annullare) tale ostacolo, mediante l’analisi lessico-grafica del suo vocabolario comunicazionale e avvicinando così il lettoreall’autore e l’autore al lettore.

Se è pur vero che «non […] potes noscere verba Pauli nisi habeas spi-ritum Pauli» 5, è però anche vero l’inverso, che cioè non puoi comprenderelo spirito di un autore se non studiandone le parole. Il metodo della“simpatia” nei confronti dell’autore non può pertanto essere il solo, perchétroppo soggettivo, ma deve essere affiancato dal metodo lessicograficodell’interrogazione del testo e dal metodo storico-critico di ricostruzionediacronica della sua tradizione.

In questo modo, l’imperativo della ricerca sarà – secondo i dettamidella fenomenologia – di “andare ai testi”: a tutti i testi di Tommaso, senzapreclusioni od esclusioni, senza prevenzioni e mettendo “fra parentesi” (perquanto è possibile) le “precomprensioni”, calandoci invece nel linguaggio enel pensiero che vi si trovano.

Il “presupposto” (d’ispirazione ignaziana) che soggiace a questa erme-neutica è che ogni buon interprete “deve disporsi a giustificare ogni affer-mazione altrui più che a condannarla; e che per giudicarla deve prima cer-car di capire quale sia il significato che l’altro le dà; e se scoprisse che se-condo il suo proprio significato quell’affermazione fosse ingiustificabile, lacorregga amabilmente; e, se ciò non bastasse, cerchi tutti i mezzi adattiperché, dandole il significato giusto, quell’affermazione sia giustificata” 6.

In tal modo, l’interpretazione sarà volta a «diffondere la sana dottrina [...]degli autori [...], dando ordine all’esercizio» 7, con una lettura metodologica-mente corretta e criticamente aggiornata, che legga non solo “multa” (i moltitesti in cui occorrono le parole cercate), ma “multum” (ossia molto a fondo), cosìda poter cogliere “il tutto nel frammento” 8.

5 BONAVENTURA, In Hexaëmeron, 22.21.6 Cf IGNAZIO DI LOYOLA, Esercizi spirituali, «praesupponendum» (liberamente

tradotto e adattato).7 In base al compito, affidato da IGNAZIO DI LOYOLA, all’intero Collegio Romano,

secondo la lettera a Carlo Borgia, il 6 novembre 1553 [MI Epp. V 676-679].8 Rispettivamente secondo la seconda nota preliminare agli Esercizi spirituali di

Ignazio di Loyola e il felice titolo dell’opera di Hans Urs von Balthasar sulla teologia

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Se il metodo che adottiamo per facilitare l’interpretazione è quellodell’analisi lessicografica (che avremo modo di considerare nella secondaparte), il mezzo che però ci consente di praticarlo efficacemente è la con-cordanza elettronica delle sue opere. La cultura materiale condiziona quellaspirituale (e viceversa): l’uso di una concordanza elettronica e del suo si-stema di ipertesti modifica il modo di ricercare e di esporre per iscritto laricerca.

L’applicazione dell’informatica allo studio di un testo migliora la fi-lologia, consentendole o, meglio, imponendole un salto non solo quan-titativo, ma qualitativo.

Lo strumento informatico infatti conferisce all’ermeneutica le seguenticaratteristiche: la velocità (il computer rende possibile nella pratica ciò chesenza il computer sarebbe possibile solo teoricamente); l’esaustività (si proce-de non più per campionature o per intuizioni “rapsodiche”, ma con l’esplora-zione sistematica di tutte le parole del testo); la verificabilità (l’adozione dimetodi induttivi per l’analisi testuale sottopone le interpretazioni a una co-stante verifica); l’attenzione all’oggettività (la mediazione dello strumento ciaiuta a spogliarci delle nostre precomprensioni linguistiche e culturali e diesplicitare tutto il non-detto che il contesto aggiunge ad ogni parola del testo);l’atomicità (l’adozione della logica cartesiana dell’informatica ci obbliga asminuzzare i grandi procedimenti logici e linguistici in operazioni micro-lo-giche elementari), fermo restando che l’interpretazione rimane pur sempreopera di intuizione globale.

D’altro canto, gli strumenti informatizzati, come le concordanze elet-troniche, hanno i loro rischi: potrebbero infatti indurre il mestierante profa-no e pigro ad un uso frettoloso e superficiale; ma potrebbero viceversa in-durre il ricercatore accorto e serio alla sindrome del collezionista, per cuiogni parola dell’autore, ogni contesto in cui occorre, appare importante eimperdibile.

E però, sebbene “non si possa conoscere perfettamente qualcosa se non siconosce anche tutto il resto” 9, d’altra parte “rinunciare a sapere e dire tutto è ilprezzo da pagare per poter sapere e dire qualcosa: ed è un prezzo ragionevo-le” 10. Tommaso stesso ci insegna a chiudere il discorso “sub certis limitibus”,insegnando non tutto il possibile, ma solo “quae sunt utilia” 11.

della storia; l’interpretazione così intesa costituisce lo scopo della Scuola di Lessico-grafia ed Ermeneutica della Pontificia Università Gregoriana.

9 Cf Immanuel KANT, Critica della ragion pura, 1.2.3.2.3.2.10 L’espressione è di Carlo Huber.11 Cf ST1 1 pr; REM 22.2 /105 e RSR 1.1.

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L’uso di una concordanza elettronica ha in particolare reso possibilequella che possiamo chiamare intertestualità: la lettura di un testo si svolgenon solo secondo il cosiddetto asse sintagmatico ovvero mediante la letturasequenziale, ma anche (e per i testi filosofico-teologici) forse soprattuttosecondo il cosiddetto asse paradigmatico, che collega ad ogni parola edespressione una similare. Così, un passo si riferisce a mille altri e millepassi si riferiscono ad un passo solo 12. Una forma particolare di interte-stualità (facilitata dagli strumenti informatizzati) è il confronto con testi si-milari di altri autori coevi: questo ci consente di trattare ogni autore noncome un’isola, ma come profondamente inserito nel suo contesto.

La concordanza lessicale permette insomma una lettura trasversaledell’opera dell’autore, e una rilettura in forma nuova pur nella fedeltà alsuo linguaggio.

Grazie ai nuovi strumenti di ricerca è possibile oggi un nuovo approccio(storico e sistematico) al pensiero di autori che si occupano sia di filosofia chedi teologia: nell’analisi del loro vocabolario si coglie la distinzione senza sepa-razione e l’unione senza confusione tra filosofia e teologia, alla luce della sua“spiritualità”.

Tre sono gli atteggiamenti che si oppongono ad un costruttivo accosta-mento al pensiero di un autore: quello entusiastico di quanti, isolandolo dalcontesto storico, ne fanno un monumento, quello visceralmente critico diquanti non interpretano benevolmente le sue affermazioni nell’appropriatoorizzonte semantico, e – in polemica coi precedenti – quello asettico di quantiintendono solo accertare affermazioni e derivazioni dottrinali, rinunciando averificarne il senso. Mentre i primi e i secondi (entrambi evidentemente viziatida pregiudizi ideologici) non possiedono affatto la “chiave” (filologica e stori-ca) d’accesso al pensiero dell’autore, invece i terzi, che pure avrebbero tale“chiave”, “non solo non v’entrano, ma non permettono nemmeno agli altri dientrare”, inficiati dall’occulto pregiudizio ideologico secondo cui non bisognapensare, e quindi riducono la filosofia a storia della filosofia e a filologia: intutti e tre i casi, insomma, lo studioso ricade in quello “stato di minorità di cuilui stesso è responsabile” 13.

Ebbene, la ricerca lessicografica ha potuto beneficiare di vari fattori dirinnovamento: innanzitutto la disponibilità di nuovi strumenti (edizioni criti-che e concordanze); di conseguenza, la possibilità di un rapporto più completoe oggettivo e quindi anche più sereno ed equilibrato (né apologetico, né pole-

12 Cf BONAVENTURA, In Hexaëmeron, 19.7.13 Cf rispettivamente Lc 11,52 e Immanuel KANT, Risposta alla domanda: Che

cos’è Illuminismo?

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mico; né solo teoretico, né solo storico); infine, il coinvolgimento della piùampia comunità scientifica ed accademica.

In particolare, l’approccio lessicografico (in virtù del principio secon-do cui c’è una logica – o piuttosto un’ontologia – exercita nell’uso stessodel linguaggio e che analizzando l’uso delle parole tracciamo anche la geo-grafia dei nostri concetti) consente di studiare il pensiero di un autoreunendo via storica e via sistematica (o filologia e filosofia), considerandonel’opera come un tutt’uno, che non va smembrato, ma ricondotto per quantopossibile all’unità dello spirito in cui ogni sua parte fu scritta.

Ad esempio, per alcuni la filosofia di Tommaso andrebbe cercata solo neicommentari aristotelici e negli opuscoli filosofici, e per altri (convinti che lavera filosofia del medioevo sia la teologia) andrebbe cercata invece soprattuttonelle grandi opere teologiche (escludendone perciò le affermazioni o addirittu-ra le parti dogmatiche, come i trattati su Trinità, incarnazione, sacramenti eresurrezione) 14: ebbene, proprio l’approccio lessicografico consente, quasicome terza via, di leggere trasversalmente tutta l’opera di Tommaso rica-vandone la filosofia implicita nell’uso del linguaggio, e quindi nell’uso di ca-tegorie che, quand’anche fossero usate in teologia, avrebbero pur sempre unvalore filosofico. Ma è il valore dato all’auctoritas che fa la teologia; se invecesi esaminano i testi, anche teologici o spirituali, dando ad essi solo il valoreche deriva ad essi dalla ratio, si ricava una filosofia che, pur non essendo sepa-rabile, è però distinta dalla teologia.

Per “carisma” di un pensatore intendiamo più precisamente il patrimonioesistenziale, riflettendo sul quale egli ricava il suo contributo dottrinale ori-ginale alla storia del pensiero, e quasi il suo “punto di vista” sulla realtà, da cuisi spiega la sua prospettiva filosofica o teologica. La riflessione (filosofica oteologica che sia) è infatti perlopiù riflessione sulla propria esperienza perso-nale. Per “spiritualità” intendiamo invece il comune sentire e operare di unacomunità, arricchito dall’autocoscienza collettiva condivisa dallo stesso autore.Da qui deriva la necessità di cogliere la connessione di spiritualità e teologia 15

e filosofia (e in particolare metafisica) nel suo pensiero. Del resto, la spiritua-lità non è la pia mescolanza di buoni sentimenti e considerazioni psi-co-socio-religiose, ma è, soprattutto nel suo aspetto mistico, la percezione (purmediata e strutturata) del rapporto tra infinito e finito, tra Tutto (che è Dio) etutti (che non sono Dio).

14 Cf Étienne GILSON, La philosophie au moyen âge, Paris, Payot 1952; trad. it.,

La filosofia nel Medioevo. Dalle origini patristiche alla fine del XIV secolo, Firenze,La Nuova Italia, 1978, p. 632-635 e 903-913.

15 Come magistralmente ha fatto Jean-Pierre TORRELL, Saint Thomas d’Aquin,maître spirituel, Fribourg - Paris, Presses Universitaires - Cerf 1996.

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• Per ‘filosofia cristiana’ si intende progressivamente: la fenomenologia storicadella filosofia dei cristiani; la filosofia della religione cristiana; l’ermeneutica e si-stematica razionale delle intra-strutture filosofiche del Cristianesimo; e infine ilsenso cristiano della filosofia.

Intendiamo ‘filosofia cristiana’ in più sensi, analogicamente (per priuset posterius) connessi 16.

1. Innanzitutto, per ‘filosofia cristiana’ si intende in senso lato e im-mediato (cioè storico e fenomenologico) la philosophia Christianorum (colgenitivo soggettivo), ossia la filosofia elaborata da quanti per fede o percultura sono cristiani o perlomeno “non possono non dirsi” tali.

La “filosofia cristiana” così intesa non solo è data come fenomeno stori-co, ma possiede anche una sua giustificazione teoretica. Infatti, poiché “primasi vive, e solo poi si filosofa”, non si dà filosofia a prescindere dalle condizionivitali della conoscenza; pertanto, poiché la fede è – per i cristiani filosofi –motivo d’ispirazione e riflessione (dal punto di vista psicologico), legamed’interazione e tradizione (dal punto di vista sociologico), ma soprattutto“nuovo orizzonte di senso” 17 (dal punto di vista esistenziale), non può nonesistere una “filosofia dei cristiani”, riscontrabile nella storia e nella fenome-nologia dell’influsso esercitato dal cristianesimo sul filosofare. In questo sensosi può anche individuare una specificità cattolica o protestante, latina o orien-tale, francescana o domenicana… del pensare.

Alla philosophia Christianorum può essere parzialmente assimilata la fi-losofia di quanti, pur non essendo propriamente credenti in Cristo o appar-tenenti alla Chiesa, risentono tuttavia del suo messaggio, al punto da ammet-tere loro stessi di “non potersi non dire cristiani” 18.

16 Questa distinzione cerca di sistematizzare diversi contributi alla discussione

sulla filosofia cristiana. Per lo “status quaestionis” cf Emerich CORETH e altri (ED.),Christliche Philosophie im katholischen Denken des 19. und 20. Jahrhunderts, 3 vol.,Graz - Wien - Köln, Styria 1987-1990; ed. it. a cura di Gaspare Mura e Giorgio Penzo,La filosofia cristiana nei secoli XIX e XX, 3 vol., Roma, Città Nuova 1993-1995; inparticolare i contributi introduttivi di Heinrich SCHMIDINGER (secondo l’edizione ita-liana): Sulla storia del concetto di “filosofia cristiana”, vol. 1, p. 33-52; La disputasulla filosofia cristiana considerata nel proprio contesto, vol. 3, p. 49-76.

17 Cf Peter HENRICI, Aufbrüche christlichen Denkens, Einsiedeln, Johannes Verlag1978, p. 24. In questa direzione va Carlo HUBER [nel suo volume sulla costruzionedella realtà, in via di pubblicazione], interpretando la «nuova creatura» [2Cor 5,17](costituita da chi è «in Cristo») come la ricostruzione della realtà nel nuovo orizzontedella fede.

18 Secondo l’espressione con cui Benedetto CROCE ha intitolato un suo celebreopuscolo.

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In tale prospettiva, la filosofia cristiana (come del resto il cristianesi-mo stesso) è trasversale alle diverse epoche storiche e non si può ridurre aquella particolare forma (per quanto emblematica) che fu la filosofia me-dievale (patristica e scolastica).

Nella storia si sono susseguite finora quattro differenti posizioni del cri-stianesimo rispetto al “mondo”: il “regime di dispersione” a mo’ di lievitonella pasta, proprio del cristianesimo primitivo; il “regime di cristianità”, in cuiil cristianesimo è venuto a coincidere con la società formando la respublicaChristiana post-costantiniana e medievale; il “regime di modernità”, in cui lariscoperta di una legittima laicità e secolarità si è spesso attuata in polemicacontro la Chiesa e la trascendenza; e infine la situazione della società attuale,definita post-moderna, che pur non essendo più cristiana, però pone ai cristianile sfide della secolarità, del senso della vita e della comunicazione. Ogni epocainfatti pone alcune sfide caratteristiche, a cui si possono pure dare risposte di-verse e contrarie; ma poiché “i contrari sono nel medesimo genere”, la diver-sità delle risposte sarà sempre all’interno di un medesimo orizzonte culturale,quello appunto offerto dalla stessa sfida. È in questo senso che non possiamomai non essere contemporanei, perché anche se non condividessimo le risposteche i più rinomati alfieri della contemporaneità hanno dato alle sfide odierne,nondimeno queste ultime resterebbero anche le nostre sfide. La posizione dellafilosofia cristiana nei confronti della modernità e della post-modernità non èpertanto di opposizione alternativa, ma di mutua implicazione: non si tratta in-fatti di scegliere tra cristianesimo e modernità (o post-modernità), ma semmaidi declinare il cristianesimo nella modernità (o post-modernità).

2. Parallelamente, per “filosofia cristiana” si intende in senso lato mamediato (cioè sistematico) la philosophia Christianismi (col genitivo og-gettivo), scilicet de Christianismo, ossia la filosofia che ha come oggetto ilcristianesimo.

Si tratta dunque di una filosofia “seconda” o “al genitivo”: la “filosofiadella “religione cristiana”, ossia quella parte della “filosofia della religione”che riflette sui problemi posti alla filosofia dal cristianesimo (filosoficamentecompreso come “religione”, senza cioè pronunciarsi sulla sua pretesa di essere“la via” – rivelata da Dio – di salvezza). La filosofia, che per sua natura vuolecomprendere tutto, non può omettere di “esplorare i suoi propri confini”, nélasciare fuori di sé il cristianesimo e la sua teologia.

Il cristianesimo “fa pensare” per il suo peculiare rapporto di originalitàsenza interruzione e di continuità senza riduzione con il contesto storico, reli-gioso e culturale non cristiano (rispetto a cui risulta totalmente nuovo, ma nonsolamente nuovo); in particolare, il centro del cristianesimo (che è il Cristo) dàalla filosofia l’idea chiave di un “universale concreto” in cui si realizza l’“u-nione senza confusione” di infinito e finito, Dio e Uomo. Pertanto la filosofiadella religione cristiana si presenta non solo come riflessione filosofica sui

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singoli aspetti del cristianesimo (il suo linguaggio, la sua logica, le sue formeculturali e rituali, la sua teologia…), ma soprattutto come “cristologia filoso-fica” 19, o più in generale “cristianologia” filosofica: riflessione che può esserecondotta egualmente da filosofi credenti e non credenti in Cristo.

La “filosofia (della religione) cristiana” e la “teologia (cristiana) fonda-mentale” studiano entrambe il messaggio cristiano (con la sua “pretesa”d’essere rivelato), indagandone però rispettivamente le condizioni di pensabi-lità (e possibilità) e le condizioni di credibilità, e costituendo cosìl’“interfaccia” 20 tra la filosofia simpliciter e la teologia cristiana; questo ri-chiede l’uso non soltanto di “ragioni dimostrative” (a partire da primi principicondivisi da tutti), ma anche di “ragioni solo probabili” 21 (a partire da principidi fatto non condivisi e dall’esperienza di fede, assolutamente personale e spe-cificamente comunitaria).

3. Poi, per ‘filosofia cristiana’ si intende in senso stretto e proprio laphilosophia Christianismi (col genitivo possessivo o soggettivo), scilicet inChristianismo exercita, ossia la filosofia che è implicita nel cristianesimostesso e di cui il cristianesimo è latore.

La filosofia è infatti presente nel cristianesimo non solo in quanto impor-tata dall’esterno, o come infra-struttura (assunta e fatta propria dal messaggiocristiano 22), oppure come sovra-struttura (applicata al messaggio cristiano co-sì da costruire la “teologia come scienza”), ma anche in quanto generata dalsuo interno, ovvero come intra-struttura 23. Ebbene, queste strutture interne alcristianesimo possono “far pensare” il filosofo; di converso, la riflessione delfilosofo su di esse può far pensare più a fondo il teologo 24.

19 Cf Xavier TILLIETTE, Le Christ des philosophes. Du Maître de sagesse au divinTémoin, Namur, Culture et Verité 1993; per una presentazione concisa del tema, cfSergio PISA, Filosofia e cristologia. Una lettura del pensiero di Xavier Tilliette, in«Filosofia» 1997, p. 133-153.

20 Secondo una espressione adoperata oralmente da Xavier Tilliette; per il rap-porto con la teologia fondamentale cf Karl RAHNER (con il contributo di Johann Bap-tist Metz), Hörer des Wortes, München, Kösel 21963; trad. it., Uditori della parola,Roma, Borla 1988.

21 Secondo l’espressione di TOMMASO in SCG 1.9.5-6.22 Così, ad esempio, il “culto razionale” di cui parla PAOLO [in At 17,22-29 e Rm

12,1-2] richiama e riadatta dottrine filosofiche previe.23 Questa considerazione rielabora una suggestione di Henri BOUILLARD, Logique

de la foi, Paris, Aubier 1964, p. 121 (in nostra traduzione): la teologia naturale è«l’intrastruttura (e non propriamente l’infrastruttura) razionale della teologia cristia-na».

24 Cf Peter HENRICI, La dramatique entre l’esthétique et la logique, in Pierre Phi-lippe DRUET (ED.), Pour une philosophie chrétienne. Philosophie et Théologie, Paris -

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La “filosofia cristiana” in senso stretto consiste insomma nell’insiemedelle “intra-strutture filosofiche” del cristianesimo e nella loro razionaleinterpretazione e sistemazione.

Tali strutture sono implicite nel cristianesimo e nei suoi testi fondamen-tali non nel senso che vi siano sottintese (quasi vi fossero dette sottovoce o incifra), ma in quanto vi sono concretamente (e non sempre consapevolmente)esercitate.

Più precisamente possiamo distinguere una filosofia cristiana implicita(philosophia Christiana exercita) nel cristianesimo in quanto tale (vissuto epensato); e poi una esplicita “filosofia cristiana” in esercizio (philosophiaChristiana professa in actu exercito) nella filosofia dei “cristiani filosofi”;e infine una filosofia cristiana tematizzata e riflessa (philosophia Christia-na professa in actu signato), che all’interno delle precedenti riconosce e di-scute le intra-strutture filosofiche, elaborandone una ermeneutica e siste-matica razionale; inoltre, all’interno di essa, si colloca infine la riflessioneseconda sopra l’identità e la funzione della filosofia cristiana stessa (philo-sophia Christiana professa ex professo).

La filosofia dei cristiani si presenta ordinariamente (ossia nel comune di-battito all’interno della più vasta comunità filosofica) al secondo dei gradi ap-pena elencati, ossia come una filosofia cristiana in esercizio, che pur essendocristiana nell’intimo non si presenta formalmente e segnatamente come tale,ma rinvia tale comprensione alla “filosofia cristiana” riflessa, intesa come par-ticolare indirizzo di riflessione filosofica.

L’interpretazione e sistemazione di tali strutture, pur riguardando inpieno la teologia, nondimeno è pienamente filosofica, in quanto non si fon-da sull’auctoritas (che è l’autorevolezza e autenticità di una rivelazione),ma sulla sola ratio. E per questo, anche la “filosofia cristiana” intesa inquesto senso stretto può pretendere di essere universale, come ogni filoso-fia, e può essere in tutto o in parte condivisa anche da non cristiani.

Le intra-strutture filosofiche del cristianesimo vanno interpretate soprat-tutto a partire dai testi religiosi fondamentali della tradizione cristiana, e inparticolare dalla Scrittura: infatti essa è Biblia, ossia “Libro fatto di libri”, cia-scuno dei quali col suo autore e i suoi destinatari, e tuttavia rilegato insieme a

Namur, Lethellieux - Culture et Verité 1984 (in nostra traduzione; il testo originaletrattavia in particolare della struttura della trilogia balthasariana): «la struttura stessa<della teologia> […], dettata da ragioni d’ordine strettamente teologico, “dà da pensa-re” (o può dar da pensare) alla filosofia; e forse, allora, all’inverso, le […] riflessionidi un filosofo […] potranno “dar da pensare” ai teologi stessi». Si noti che la funzionedi “dar da pensare” (secondo la celebre formula di Ricoeur) viene trasposta dalla me-tafora letteraria alla struttura della teologia.

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tutti gli altri così da formare un nuovo testo, che non è più la semplice sommadei suoi componenti; tale Meta-Testo rinvia dunque almeno idealmente ad unMeta-Autore, ad un Meta-Messaggio e ad un Meta-Destinatario, ed è quindiparticolarmente suscettibile di letture e interpretazioni sempre nuove e perfinoindipendenti dal testo stesso (purché coerenti ad esso), anche da parte del filo-sofo. Inoltre, tale Scrittura – essendo stata da tutta una tradizione riconosciutacome Sacra – dev’essere un testo eminentemente metaforico (in quanto intendedire l’indicibile) e mistico (in quanto intende presentare il mistero), e proprioper questo particolarmente interessante anche per il filosofo.

Il filosofo può dunque rileggere filosoficamente la Scrittura, prescinden-do dalla sua eventuale “auctoritas” e giudicando solo in base alla propria“ratio”: in tal modo la Scrittura, in quanto metaforica, “fa pensare” il filosofo,ma non ne determina normativamente il giudizio; e, in quanto mistica, non gliinteressa per spiegare «come il mondo è», ma per “sentire” con meraviglia«che esso è» 25. Il filosofo cristiano cioè (a differenza del teologo) nons’appella alla Scrittura, ma l’interpella, e si lascia interpellare su di essa e daessa; come del resto molti altri filosofi interpellano e commentano i miti o ipoeti, o addirittura parlano essi stessi mitologicamente o poeticamente, senzaper questo confondere la filosofia con il mito o la poesia.

In altre parole, tanto la filosofia cristiana in senso stretto, quanto la teolo-gia speculativa (cristiana) studiano le strutture di pensiero del cristianesimo:però, la prima lo fa dal punto di vista metafisico (previo alla divisione discipli-nare), la seconda invece dal punto di vista propriamente teologico.

4. Infine, per ‘filosofia cristiana’ si intende in senso forte o“enfatico” 26 la philosophia essentialiter Christiana (con l’aggettivo speci-ficativo), che è data solo condizionatamente, e cioè “supposita veritate re-velationis”, ma che rimane filosoficamente pensabile, nello spazio dialetti-co dell’argomentazione probabile 27.

La specificazione di “cristiana” può infatti convenire alla filosofia daldi dentro (senza snaturarla) solo se si ammette la duplice manifestazione –naturale e sovrannaturale – di Dio mediante l’unico suo Verbo che però è(rispettivamente) concreatore e incarnato.

25 Cf Ludwig WITTGENSTEIN, Tractatus logico-philosophicus, 6.44.26 Secondo una espressione cara a Xavier TILLIETTE.27 In base alla dottrina dei Topici e della Retorica di ARISTOTELE, già applicata da

Tommaso in OCG [1 e passim] e SCG [1.9 e passim], e oggi riattualizzata da ChaïmPERELMAN nel Trattato dell’argomentazione: la nuova retorica.

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Se infatti Cristo è veramente il Verbo “che illumina ogni uomo”, allora inogni sistema filosofico si nasconde una philosophia naturaliter Christiana 28,di cui i filosofi, in quanto filosofi, non possono accorgersi, se non presuppo-nendo la fede; in questo senso la filosofia non cristiana può essere “svelata a sestessa” 29 come “preparazione al Vangelo” 30. Così tutta la filosofia può esserericompresa teologicamente all’interno della teologia della creazione (ossiadella manifestazione naturale di Dio a tutti gli uomini), e all’inverso tutta lateologia può essere ricompresa filosoficamente all’interno della sapienza filo-sofica.

Se poi Cristo incarnandosi è veramente divenuto il “centro di ricapitola-zione di ogni cosa”, “in cui sono nascosti tutti i patrimoni della sapienza edella scienza” 31, allora si dà anche una philosophia supernaturaliter Chri-stiana, ossia un filosofare all’interno della fede e un rileggere cristianamente lafilosofia, e, in generale, tutta la umana cultura e scienza (che è detta cristianain quanto si dà un senso cristiano di essa 32). In questo consiste la filosofia cri-stiana in senso più pieno; essa si fonda su una «certezza che non può essere<filosoficamente> comunicata, perché nasce unicamente dall’intimo dell’a-zione perfettamente personale» 33 e che perciò rimane filosofica solo in sensoparadossale.

• Per ‘lemmata Christianorum’ si intende la terminologia (come quella tomma-siana di ‘-communic-’) coniata o semanticamente modificata dal cristianesimo, ilcui uso – specifico e aspecifico – riflette e manifesta le intra-strutture filosofiche delcristianesimo.

In base ai quattro sensi di filosofia cristiana, deriva l’ammissibilità, ri-conoscibilità ed eventuale classificabilità di “concetti” e “vocaboli” cristia-ni (i lemmata Christianorum) come “categorie” del cristianesimo.

28 Cf rispettivamente Gv 1,9 e TERTULLIANO, Apologeticum, 17: «O testimonium

animae naturaliter christianae!» [testo tratto dal CLCLT-2].29 Secondo la suggestione di Hans Urs VON BALTHASAR [in Apokalypse der deut-

schen Seele. Studien zu einer Lehre von letzen Haltungen, 3 vol., Salzburg 1937-39].30 Secondo il titolo dell’opera di EUSEBIO DI CESAREA.31 Cf Ef 1,10 e Col 2,3; cf anche Col 1,15-20 e 2,1-10.32 Così ad esempio un brillante esempio di rilettura cristiana (e cristocentrica) non

solo della filosofia, ma di tutto il sapere e di tutta la cultura (compresa la tecnologia) èquello offerto da BONAVENTURA in De reductione artium ad theologiam e in Collatioin Hexaëmeron, 1.

33 Maurice BLONDEL, L’Action (1893), conclusione.

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Già Aristotele, nel libro Delta della Metafisica, aveva ricavato dall’analisidegli usi linguistici di alcune parole d’uso comune le nozioni comuni a tutte lescienze. E Agostino, soprattutto nelle Confessioni [11] e nel De Trinitate [9.1],aveva individuato nozioni (come quelle di tempo, ricerca) che tutti abbiamoimplicitamente e usiamo spontaneamente, ma che se tematizzate diventanoproblematiche (“Se non me lo domandi, so cos’è, ma se me lo domandi, non loso più”). Vico aveva individuato una antiquissima sapientia implicita nell’usodella lingua. Gramsci, nei Quaderni dal Carcere [11.12] ha riconosciuto una“filosofia spontanea” contenuta nel linguaggio quale insieme di nozioni e diconcetti determinati. Husserl nella Crisi delle scienze europee aveva rinviatoalle certezze precategoriali del mondo della vita. Wittgenstein, nelle Ricerchefilosofiche, aveva proposto l’analisi dei giochi linguistici del linguaggio ordi-nario, come una terapia del linguaggio stesso. Heidegger (in Letterasull’Umanismo e in Che cos’è la filosofia) aveva riconosciuto nel linguaggiola casa dell’essere, in cui il suo appello è percepibile: il Lógos è l’espressionedel légein (raccogliere, e quindi anche dire); dicendo “essere”, essere“raccoglie tutto ciò che è”). Il linguaggio è la casa dell’essere: ossia esso èatematico fino a quando non viene ad essere espresso dal linguaggio (umano):parlando, noi non solo diamo nomi alle cose, ma soprattutto esprimiamo senzaperlopiù rendercene conto l’essere dell’essente (in questo senso, per Heideg-ger, “la filosofia parla greco”; ma anche, possiamo aggiungere, la filosofia cri-stiana latina parla latino). Gilson [in Linguistique et philosophie: essai sur lescostantes philosophiques du langage, Vrin, Paris 1969] ha riproposto un itine-rario metafisico dalla grammatica speculativa.

1. Per lemmata Christianorum intendiamo il lessico proprio del cri-stianesimo in quanto o morfotematicamente coniato o almeno semanti-camente modificato dai cristiani, a motivo del nuovo orizzonte di senso co-stituito dalla loro fede.

2. Lo studio lessicografico e logografico di tali lemmi rientra nella fi-losofia del linguaggio cristiano, il cui impianto lessicale e concettuale è perun verso a-specifico (ossia in rapporto di continuità e comunanza rispetto alcontesto non cristiano), ma per l’altro verso specifico (ossia in condizionedi discontinuità e originalità).

I lemmata Christianorum hanno la duplice funzione di esprimere tanto ilsermo de Deo quanto il sermo cum Deo, e anzi, questo prima di quello (in con-formità anche a quello che era ed è lo spirito domenicano): la lex orandi per lateologia è lex credendi; per la filosofia, invece, è lex cogitandi (non cogno-scendi), in quanto appunto “dà da pensare” al filosofo, pur non bastando a de-terminarne il giudizio.

3. Poiché in generale l’uso del lessico manifesta la philosophia exer-cita del locutore, allora il sistema concettuale insito nell’uso dei lemmata

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Christianorum costituisce una delle più rilevanti intra-strutture filosofichedel cristianesimo.

Tali lemmi, che esprimono quei concetti utilizzati per pensare l’essen-za del cristianesimo, sono paragonabili in parte agli otri nuovi fatti percontenere il vino nuovo; e in parte agli otri vecchi che devono essere riem-piti fino all’orlo per contenere l’acqua trasformata in vino, e per poi esplo-dere 34: per un verso, infatti, i concetti precristiani (o comunque non cri-stiani) vengono assunti, affinati ed estesi, per poter “pensare” e contenere ilmessaggio cristiano, fino ad “esplodere” nell’analogicità; per l’altro verso,le categorie in cui è originariamente espresso il messaggio cristiano e lecategorie in cui è stato successivamente riversato possono essere svuotatedel loro contenuto teologico, ed essere consegnate o restituite (affinate edestese) al pensiero umano come categorie filosoficamente significative an-che al di fuori del cristianesimo.

Così, secondo il primo movimento, categorie filosofiche e religiose noncristiane possono essere riformulate per esprimere più adeguatamente il“nuovo” e possono perfino essere restituite “speculativamente più raffinate”alla filosofia: come ad esempio hanno fatto i Padri e gli Scolastici con le cate-gorie di natura, persona, essere, e così via.

Invece, secondo l’altro movimento, categorie bibliche o in generale cri-stiane possono essere secolarizzate e utilizzate filosoficamente; e questo in tremodi diversi: o per riduzione a concetti speculativi (come ad esempio ha fattoHegel con la categoria di spogliazione…); o per assunzione dialettica comeprogetti o ipotesi (come ad esempio ha fatto Kierkegaard con le categorie diparadosso, scandalo, momento…); o per riconduzione al loro fondamento na-turale e preconfessionale (come ad esempio ha fatto Marcel con le categorie dimistero, fede, speranza, amore…) 35.

34 Secondo una interpretazione metaforica incrociata di Mt 9,17 e Gv 2,3-10. Per

la metafora dell’acqua della filosofia mutata nel vino nuovo della teologia, cf BONA-VENTURA, In Hexaëmeron, 19 e André HAYEN, “Aqua totaliter in vinum conversa”.Philosophie et Révélation chez Saint Bonaventure et Saint Thomas, in: Metaphysik imMittelalter: ihr Ursprung und ihre Bedeutung (Miscellanea Mediaevalia 2), Berlin, DeGruyter 1963, p. 317-324.

35 Cf di DIONIGI, De divinis nominibus; di BOEZIO, De duabus naturis; diTOMMASO, CMP 5 (e OEE); di Georg Wilhelm Friedrich HEGEL, Fede e Sapere, Con-clusione, ed Enciclopedia, § 564-577; di Søren KIERKEGAARD, Il concettodell’angoscia, 1; Esercizio del Cristianesimo, numero II (“una esposizione biblica edefinizione cristiana dei concetti”), e in particolare la parte relativa alle “categorieconcettuali”; di Gabriel MARCEL, Il Mistero dell’essere, 1.1 e 1.10.

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In una circolarità di movimenti, possiamo trovare nozioni come quelle diricerca e di comunicazione (e comunione), o di sapienza e affini, presenti inmodo diverso tanto nel messaggio biblico quanto nella tradizione culturale el-lenica, dal cui incrocio sono state potenziate e perfezionate, offrendo un esem-pio significativo di interazione tra cristianesimo e filosofia e di contributo ori-ginale (ma non dirompente) del cristianesimo alla storia del pensiero.

4. Ammessa la verità della rivelazione cristiana, la logografia di taliparole, esprimenti i lógoi (ossia parole e idee) comuni alla filosofia e allateologia porta a scoprire che in tali lógoi la filosofia cerca il Lógos origina-rio e originante (interpretando umanamente il parlare proprio di Dio che èl’essere da lui creato); la teologia invece lo fa coincidere con il Lógos gene-rato e incarnato (interpretando il parlare umano della Scrittura, che si pre-senta come ispirato da Dio).

• Un “problema” acquista rilevanza di “concetto” quando è focalizzato intornoad alcuni punti speculativi, ma è riconoscibile come tale solo quando la sua“figura” risalta per contrasto rispetto allo “sfondo”.

Perché un problema divenga un concetto speculativo della filosofia odella teologia, esso deve essere riflesso e articolato nella storia del pensie-ro.

Ad esempio, il comunicare acquista rilevanza di concetto in età sco-lastica, attorno ai “fuochi” della comunicazione diffusiva (neoplatonica) e ami-cale (aristotelica), rilette alla luce della comunione cristiana. Quello che pernoi è il problema del comunicare, per gli antichi era piuttosto il problema delcomune e del proprio, o della somiglianza e della differenza, o dell’Uno e deiMolti, e semmai di come da quello provengano questi 36: L’uomo, collocando-si armonicamente all’interno del cosmo, non avvertiva come oggi la proble-maticità del comunicare col mondo e con gli altri. Di fatti, il vocabolario corri-spondente in greco a quello comunicazionale latino non ha supportato un con-cetto organico di Comunicazione, ma è stato impiegato per esprimere due dot-trine, emblematiche di istanze opposte: quella aristotelica dell’amicizia equella neoplatonica della diffusione e partecipazione del bene. Ebbene, la co-municazione, intesa come connessione originaria e irriducibile di comunanza epeculiarità, permette la compenetrazione e il superamento delle due diverseistanze. Tale è il contributo apportato dal cristianesimo, parlando di trinità,

36 Cf PLATONE, Filebo, 14c; PLOTINO, Enneadi 5.1.6 e 6.8. Per la discussione sto-

riografica e sistematica recente sui diversi apporti alla impostazione del problema cfVirgilio MELCHIORRE (ED.), L’Uno e i Molti, Milano, Vita e Pensiero 1990: in partico-lare, per l’apporto platonico e aristotelico, cf rispettivamente i contributi di GiovaniREALE [p. 113-153] ed Enrico BERTI [p. 155-180].

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creazione, incarnazione e comunione ecclesiale. Ma per diventar Concetto, talecontributo ha dovuto aspettare secoli e confrontarsi criticamente con le dueopposte istanze greche. Tuttavia, solo alla luce della riflessione moderna econtemporanea sul comunicare siamo in grado di distinguere la “figura” delconcetto di Comunicazione dallo “sfondo”. Oggi che la cultura ha giustamenteenfatizzato la dignità della differenza, rispetto alla banalità della ripetizione 37,la comunicazione non ha solo una valenza epistemologica, ma soprattutto esi-stenziale. Per l’impostazione globale, l’odierna concezione del comunicare equella scolastica sono sorprendentemente simili, ma a partire da posizioni ini-ziali rovesciate. Infatti, per gli Scolastici la comunicazione era intesa come no-zione generalissima di atto, applicabile tanto a Dio, quanto ai fenomeni natu-rali, quanto anche al linguaggio e ai rapporti umani; oggi, invece, la comunica-zione è intesa a partire dal linguaggio, e solo di conseguenza è stata generaliz-zata ed estesa anche ad altri ambiti. Ad esempio, oggi noi descriviamo i pro-cessi genetici per analogia a quelli linguistici (parliamo infatti di codice gene-tico…); allora invece si descrivevano i processi linguistici per analogia a quelligenetici (l’insegnamento veniva assimilato alla generazione).

• Il metodo lessicografico cerca il concetto mediante la parola, inserita nel sistemadi segni che è il linguaggio.

1. Se avessimo dovuto impostare la ricerca sul concetto tommasiano diComunicazione in maniera tradizionale, ci saremmo dovuti prima chiederedove Tommaso presumibilmente avrebbe potuto trattare tale problema, esolo poi, con l’ausilio di indici concettuali e dei passi paralleli, avremmoraccolto i testi di Tommaso a nostro avviso pertinenti (secondo quindi lenostre odierne precomprensioni), e da tale silloge (soggettiva e incompleta)avremmo ricavato la nostra ricostruzione: nel nostro caso, poiché comuni-cazione evoca in noi l’idea di linguaggio, informazione, insegnamento, ilprimo testo a venirci in mente sarebbe stato sicuramente la celebre questio-ne De Magistro 38, quella appunto che tratta dell’insegnamento, ridiscuten-do la soluzione data in precedenza da Agostino. Se non che, proprio in talequestione ci accorgiamo che mai Tommaso adopera termini come‘communico’ o ‘communicatio’ (anche se lo farà, incidentalmente, nel pas-so parallelo della Summa 39).

Secondo il metodo lessicografico, invece, l’attenzione della ricerca,pur finalizzata al Concetto, si concentra sulla Parola: in questo senso non si

37 Cf Gilles DELEUZE, Différence et répétition, Paris, PUF 1968, 71993; trad. it.,Differenza e ripetizione, Bologna, Il Mulino 1972; in particolare la conclusione.

38 Ovvero QDV 11.39 Cf ST1 117.1 co.

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fa filosofia senza filologia. Nel contesto della lingua, e più particolarmentedel discorso effettivamente costruito, l’attenzione alla parola si traduce inattenzione alle parole, in quanto la parola è significativa solo in relazionead altre.

2. Nel segno linguistico troviamo infatti uniti il significante e il signi-ficato, la parola e il concetto, ovvero (nel caso di un intero corpus lin-guistico scritto) il testo e il pensiero dell’autore, in un legame convenzio-nale ma non arbitrario.

Nel linguaggio umano, significato e significante sono distinti ma non se-parabili. Si pensa parlando (magari con linguaggi non verbali) e si parla pen-sando. Così l’analisi linguistica (per chiarezza e precisione) separa e astrae ciòche in realtà è unito e concreto.

Il segno linguistico è un “sistema di sistemi”: ogni parola adoperabilenella lingua e concretamente adoperata nel discorso è ordinata alle altre nelsistema morfologico e nel sistema semantico, mediante il sistema sintattico.

La struttura del segno linguistico

SIGNIFICANTE: parola testo LIVELLO MORFOLOGICO

SEGNO { SIGNIFICATO: concetto pensiero LIVELLO SEMANTICO

LIVELLO SINTATTICO [trasversale]

Il segno linguistico unisce in comunicazione due locutori (oppure unosolo – ma sdoppiato nel soliloquio –, oppure molti – ma ciascuno in rela-zione duale con gli altri), ciascuno comunicante e ricevente, in un dupliceprocesso comunicativo inverso: l’espressione (o codifica di un significatoin un significante) e l’interpretazione (o decodifica di un significato da unsignificante).

Il significante non si riduce alla materialità (ad esempio, fonica o grafica)adottata nel segno, ma è già strutturato da “forme simboliche”: perciò, primaancora di interpretarne il significato, davanti ad una produzione espressiva ilricevente deve riconoscere che vi sia (e quale sia) il significante. Il riconosci-mento fonico e grafico è comunque più semplice dell’interpretazione vera epropria, ed è attualmente possibile (sia pure con un certo margine di errore)eseguirlo automaticamente a macchina.

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La struttura della comunicazione linguistica

COMUNICANTE RICEVENTE(e a sua volta ricevente) (e a sua volta comunicante)

Livello dei significati

codifica decodifica SEGNO

Espressione Interpretazione

Livello dei significanti

3. La struttura interna dei significanti è la morfologia, in base a un si-stema generativo verbale (che sovrintende sia alla formazione delle paroleda parte del locutore o scrittore, sia al loro riconoscimento da parte dell’a-scoltatore o lettore, secondo quello che viene definito asse paradigmatico);la struttura relazionale fra significanti costruiti nel discorso è la sintassi inbase ad un sistema generativo trasformazionale (che sovrintende alla for-mulazione grammaticale delle frasi nel discorso, secondo quello che vienedefinito asse sintagmatico); la struttura relazionale dei significati è la se-mantica, in base ad un sistema generativo concettuale (che organizza le pa-role e i concetti corrispondenti in generi e specie e in integri e parti inte-granti, secondo quello che possiamo definire l’asse – o meglio, il piano –gerarchico).

Il sistema linguistico si sviluppa secondo i suoi assi, paradigmatico, sin-tagmatico e gerarchico: secondo l’asse paradigmatico, ogni parola è associata,in virtù della sua interna struttura morfologica e lessicale, a numerose altre pa-role in base ai diversi segmenti di fonemi o grafemi che ha in comune con es-se; secondo l’asse sintagmatico, ogni parola si trova associata, o meglio co-struita, mediante correlazioni grammaticali elementari dirette, per subordina-zione o coordinazione, ad altre parole nel discorso; secondo l’asse gerarchico(tenendo conto che non è riducibile ad un sistema lineare), ogni parola (o me-glio, ogni concetto espresso da parole) si trova disposta in relazione semanticadi equivalenza (o mutua implicazione), implicazione semplice, compatibilitàod esclusione rispetto alle altre. Nella struttura del segno linguistico, però, talilivelli, pur essendo distinti, interagiscono continuamente e non sono mai sepa-rabili; se li tratteremo separatamente è dunque solo per motivi pedagogici.

Il testo è come un tessuto (textus quasi textus) in cui i fili della tramasemantica e dell’ordito morfologico s’incrociano nella sintassi, rimanendochiusi e fissati dalla cimosa della scrittura.

Il piano sintattico può essere visto sul versante dei significati, comerelazione grammaticale tra le parole, o sul versante dei significanti, come

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relazione statistica di prossimità e di frequenza tra le parole, secondo leleggi della statistica testuale.

4. La scienza generale del lessico di una lingua o di un autore si distin-gue in lessicologia morfologica e in lessicologia semantica: la prima studiail sistema dei significanti dall’esterno (prescindendo dal loro significato,quasi studiasse una lingua ignota), come puro sistema formale(considerando le parole sia in isolamento, sia distribuite secondo leggi“sintattiche” di tipo statistico in un discorso o testo); la seconda studia ilsistema dei significati dall’interno, a partire dal loro uso concreto(considerando le parole in costruzione secondo leggi sintattiche di tipogrammaticale in un discorso o testo).

Il significato (all’interno del sistema generativo concettuale) è nel si-gnificante come la forma nella materia, ossia secondo la struttura che lasingola parola ha tanto in sé (per la morfologia e il sistema generativo ver-bale) quanto nella costruzione con le altre parole nel discorso (per la sintas-si). Il sistema (in quanto strutturato e formale) contiene molte più informa-zioni che la semplice somma dei suoi elementi.

5. L’attenzione al concetto mediante la parola è resa possibile solo dauna profonda attenzione alla lingua dell’autore.

Ad esempio, il latino medievale 40 di Tommaso si trova ancorata a quellalatina tardoantica ecclesiastica: in Tommaso, infatti, a parte ovviamente lo stile(tipicamente scolastico) della maggior parte delle sue opere, è ancora fonda-mentalmente classico il lessico, dal momento che che conta appena poche cen-tinaia di lemmi nuovi (ossia non censiti dal dizionario del Forcellini), di cui,oltre tutto, solo pochissimi sono di radice germanica, o comunque non greca olatina; e fondamentalmente classica è anche la grammatica, con due sole ecce-zioni di rilievo: la costruzione delle proposizioni soggettive e oggettive col‘quod’ piuttosto che con l’infinito, e l’uso anche non riflessivo dei lemmi‘suus’ (come del resto in italiano) e ‘se’.

6. Ma a livello ancor più profondo, il discorso dell’autore risulta dallacombinazione di elementi e strutture (sempre aperte) basilari, così comeogni quadro risulta da un’unica tavolozza di colori: il linguaggio è generatoinfatti da una logica (simile alla “grammatica generativa” di cui parlaChomsky), che però a sua volta rispecchia la realtà: l’ontologia generativadel linguaggio; essa è esercitata da tutti i locutori, anche se non da tutti è

40 Cf Frank A. C. MANTELLO - A. G. RIGG, Medieval Latin: an Introduction and

Bibliographical Guide, Washington, The Catholic University of America 1996;«Medioevo Latino» (repertorio bibliografico annuale della Società Internazionale perlo Studio del Medioevo Latino [SISMEL]).

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riflessamente e coerentemente professata: così, «ogni filosofo esercita, inmodo riflesso e analitico, la logica attiva con cui produce ossia ri-generainnanzitutto (nella sua stessa mente) il sistema delle formule della veritàcon cui è strutturata la natura; e di conseguenza <produce> quel sistema disegni, chiamato discorso, con cui comunica tali formule agli altri» 41. Taleattività è quella che chiamiamo spirito dell’uomo.

7. Per ricostruire il pensiero di un autore del passato occorre prima ri-uscire a capire il significato del suo vocabolario: ma questo significa tra-sportarlo nel linguaggio e nella mentalità di oggi; in altre parole, per poterc’è bisogno di un «lessico biculturale, piuttosto che bilingue» 42. Ma perpoter fare una seria opera lessicografica, bisogna poter esaminare tutte leoccorrenze della parola nell’universo testuale studiato; il che esige di di-sporre di un indice e una concordanza (elaborati elettronicamente) che ab-biano ben descritto il sistema lessicologico del testo.

Nei prossimi capitoli svolgeremo dunque alcune generali considera-zioni sul vocabolario comunicazionale, prima a livello dei significanti, epoi, attraverso la mediazione della sintassi, a livello dei significati, fornen-do di volta in volta le principali nozioni di teoria e di metodo, ma semprecon intento pratico: il lessicografo non deve fare il “meccanico” della filo-sofia o della teologia, ma cercar di capire il testo filosofico e teologico dalsuo interno.

Sorprende infatti che la teoria della comunicazione risulti troppo spes-so non comunicativa o che l’ermeneutica spesso non si lasci interpretare; eche a forza di parlare del parlare, non ci si capisca più.

41 Cf Roberto BUSA, Inquisitiones lexicologicae in Indicem Thomisticum, Galla-

rate - Milano, CAEL 21994 [testo latino con traduzione inglese a fronte], p. 42.42 Ibid., p. 14.

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2. IL LIVELLO MORFOLOGICO DEI SIGNIFICANTI

2.1 IL SISTEMA GENERATIVO VERBALE

• Grazie alla loro struttura morfologica, le parole (cifre, nomi propri e parolecomuni, distinte in nomi, verbi e inflessibili) sono capaci di portare un significatonella costruzione sintattica.

1. La struttura di ogni parola la associa, secondo l’asse paradigmatico,ad altre parole. In particolare, la struttura flessiva (verbale o nominale, conle desinenze e le eventuali modifiche tematiche) della singola parolal’associa ad altre con la stessa funzione grammaticale, mentre il tema ri-manente le associa come forme diverse all’interno dello stesso lemma. In-vece, la struttura morfotematica del lemma (a prescindere dalla sua fles-sione nelle diverse forme) lo associa a numerosi altri lemmi con cui con-divide uno o più segmenti morfotematici.

Intendiamo per ‘parola’ in senso lato ogni segno (o sistema di segni)dell’espressione linguistica; in senso stretto, il segno nel suo aspetto morfoles-sicale di significante (con particolare riferimento al lemma); in senso ristretto einformatico (volendone cioè fornire un immediato criterio di identificazione enon una definizione), una sequenza di grafemi separata da spazi o segni dipunteggiatura.

2. Si può vedere che è proprio la struttura (o forma) del significante,inteso come fatto fonetico o grafico (e quindi materiale), a renderlo capacedi supportare un significato (concettuale e dunque spirituale).

Di conseguenza, per comprendere la significatività linguistica del lessicodi una lingua, occorre previamente studiarne (da un punto di vista materiale –fonetico o grafico – e statistico) l’economia dei segni, in maniera analoga acome si studiano fisicamente i segnali.

3. La caratteristica della lettura umana è di leggere (per così dire), iltesto prima che le singole parole, ovvero il tutto prima delle parti: infattiabbiamo una precomprensione del testo (se non altro per le nostre aspet-tative su di esso) e sciogliamo le eventuali ambiguità d’interpretazionedella singola parola in base al contesto. Insomma, il testo (in quanto siste-ma) contiene molte più informazioni che non la semplice somma delle in-formazioni contenute nelle parole singolarmente prese.

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Fuori dal contesto, una parola come (in italiano) ‘detti’ è ambigua sia sulpiano morfologico e lessicale (può essere passato remoto di ‘dare’ o participiopassato di ‘dire’ o seconda parte di una forma composta sempre di ‘dire’), siasul piano funzionale (nel caso fosse participio di ‘dire’ potrebbe avere la fun-zione di verbo, come nella frase ‘detti questi nomi, partì’, o quella di aggettivo,come nell’espressione ‘ordini detti a voce’, o quella di un sostantivo, come ‘idetti’); ma anche definendo la sua morfologia, tale parola fuori del contestoresta ambigua da un punto di vista semantico (ammesso che sia il participiosostantivato di ‘dire’, si colorirà di diverse sfumature semantiche a secondadelle parole con cui si costruisce e di quelle a cui si oppone, come si vede nelleespressioni ‘i detti del Signore’, ‘detti e fatti dei padri del deserto’, ‘i detti nonscritti’, ‘proverbi e detti popolari’).

A motivo della spontaneità e globalità della comprensione linguistica,siamo spesso erroneamente portati ad attribuire alla singola parola (ossiaalla morfologia) le informazioni che invece ci vengono dal contesto (ossiaalla sintassi). È in realtà la sintassi a “vestire” non solo di significati, maanche di valenze funzionali, le singole parole.

4. In base alla morfologia è possibile distinguere tre fondamentali ca-tegorie di parole in latino: innanzitutto ci sono i nomi, o meglio, le parole aflessione nominale (ad una, o due o tre uscite per le distinzioni di generemaschile, femminile, o neutro; ed eventualmente con i gradi del comparati-vo e del superlativo; e questo mediante la composizione con le terminazio-ni di una delle cinque declinazioni regolari oppure di una declinazione irre-golare); poi ci sono i verbi, o meglio, le parole a flessione anche verbale(mediante la composizione con le terminazioni di una delle quattro coniu-gazioni regolari o di una coniugazione irregolare, oltre che secondo le de-clinazioni precedentemente menzionate: i verbi infatti hanno anche delleforme nominali, come il participio, il gerundio e il gerundivo); infine, leparole inflessibili, o meglio, non soggette a flessione nominale e verbale.

Bisogna distinguere parole inflessibili e parole invarianti: ci sono infattiparole che pur essendo inflessibili sono varianti (come ‘ac’ ed ‘atque’), e pa-role che sono flesse pur apparendo invarianti a motivo del fenomeno (di cuiparleremo poi) dell’omonimia di tutte le loro forme (come in italiano il lemma‘specie’, in cui la forma del singolare e quella del plurale sono omonime).

Viceversa, la distinzione fra sostantivo, aggettivo e verbo (come pre-dicato verbale) comunemente ritenuta morfologica è invece perlopiù dinatura sintattica (a livello morfologico l’aggettivo dispone ordinariamentedei gradi comparativo e superlativo e di alcune peculiarità di flessione).

Tuttavia per comodità chiameremo morfologicamente ‘aggettivi’ inomi a una, due o tre uscite (per il maschile, il femminile e il neutro) e conforme ulteriori per il comparativo e il superlativo.

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Ad esempio, ‘povero’ è sostantivo in frasi come ‘il povero chiede l’ele-mosina’, ma è aggettivo in frasi come ‘questo è un villaggio povero’; ‘fare’ èun verbo, ma ‘il fare’ è un sostantivo. Se si obiettasse che ‘povero’ è aggettivoperché ha sempre una terminazione maschile e una femminile, si deve rispon-dere che allora questo dovrebbe valere anche per ‘maestro’ e ‘maestra’, tradi-zionalmente considerati sostantivi. In realtà, ‘maestro’ è aggettivo quando sidice ‘albero maestro’; e ‘maestra’ è aggettivo quando si dice ‘strada maestra’.Diremo dunque che tanto ‘povero’ quanto ‘maestro’ sono lemmi a flessionenominale con due terminazioni (‘povero’ e ‘povera’; ‘maestro’ e ‘maestra’) eche la loro funzione sostantiva o aggettiva è determinata dalla sintassi delcontesto. Comunque anche le categorie morfologiche di una parola sono rica-vabili spesso solo dalla sua costruzione in sintassi: non sapremmo mai, adesempio, che in latino ‘pirus’, ‘methodus’ e ‘synodus’ (tutti della seconda de-clinazione) sono femminili, se non li vedessimo costruiti con aggettivi al fem-minile.

Una particolare categoria di parole a flessione nominale è quella deiprononimi, ossia “nomi al posto di nomi” (come ‘ego’, ‘hic’, ‘qui’…), chepossono dunque esercitare una funzione sintattica di vicarianza nei con-fronti di altre parole.

5. In base tanto alla struttura morfotematica quanto soprattutto all’usoeffettivo, le parole possono essere classificate secondo diversi gradi di se-manticità, ossia di relazione fra significante e significato, e di referen-zialità, ossia di riferimento alla realtà.

A parte le cifre e le sigle (che hanno una funzione operativa, comenumeri, simboli e simili, e che non designano particolari entità esistenti innatura), dobbiamo distinguere per referenzialità: i nomi propri (o paroleetichetta), che di per sé (salvo cioè il frequente ed inevitabile fenomenodell’omonimia) designano stabilmente uno – ed un solo – ente singolare (operlomeno considerato come tale); a tali nomi propri possono essere percerti versi assimilate le parole deittiche; e le parole comuni (nomi, verbi oinflessibili), ossia la gran parte delle parole del lessico, che esprimono entilogici ed universali, riferiti a loro volta ad una qualche entità comune innatura; tali parole comuni possono essere ulteriormente distinte secondodiversi gradi di semanticità: le parole sostantive, le parole aggettive o atti-ve, e le parole correlative (o correlanti).

Le parole deittiche (come ‘ego’, ‘tu’, ‘hic’, ‘ille’, ‘iste’, ‘is’) sono prono-nimi che esprimono una realtà singolare, ma non in maniera univoca (come inomi propri), ma in maniera comune e in relazione a chi parla, mediante ladeissi, ossia l’indicazione di qualcosa (quasi lo “zoom” su di essa): pertantonon esprimono un contenuto essenziale, ma una presenza attuale.

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Le parole comuni del primo grado, o sostantive, possono esprimere cose(in quanto “sostanze seconde”), loro parti o loro insiemi, ovvero (in grado de-crescente) o una natura comune concretiva, cioè un possibile individuo, consi-derato però in quanto rispondente a caratteristiche comuni; o una natura co-stitutiva, intesa come possibile principio intrinseco comune a più individui; ouna natura collettiva. come la classe determinata dalla precedente. Secondoquesti tre gradi, ad esempio, ‘uomo’ può esprimere sia “quest’uomo concreto”,sia l’“esser-umano” di ogni uomo, sia il “genere umano” come classe. Altreparole comuni sostantive possono indicare parti o gruppi di individui.

Le parole comuni di secondo grado, ossia quelle aggettive e attive, pos-sono esprimere aspetti o attività delle cose (ossia gli accidenti propriamenteinerenti ad esse), ed hanno la capacità morfologica di assumere la funzionesintattica – rispettivamente – di aggettivi e verbi.

Le parole comuni di terzo grado, ossia quelle correlative, sono perlopiùinflessibili ed esprimono relazioni logiche o reali, e hanno la capacità morfo-logica di fungere da correlanti nelle correlazioni sintattiche (come si dirà).

6. Se la struttura morfotematica di una parola la dispone ad un certogrado di semanticità e referenzialità, sarà tuttavia solo l’uso concreto (insintassi) a determinarlo effettivamente; di tale uso è condizione previa lasupposizione in cui la parola può essere adoperata, e che possiamo così di-stinguere: la supposizione materiale (in cui la parola indica se stessa comesignificante), la supposizione formale (in cui indica se stessa quanto al pro-prio significato) e la supposizione reale (in cui si riferisce ad altro);quest’ultima corrisponde al comune uso linguistico, mentre le prime duecorrispondono ad un uso metalinguistico delle parole.

Così, ad esempio, in italiano ‘comunicare’ è morfotematicamente dispo-sto a significare un atto in esercizio; tuttavia, dicendo ‘il comunicare’ sostanti-viamo il verbo, così da significare un atto signate, e infine dicendo ‘il comuni-cato’ possiamo addirittura significare un oggetto concreto (un foglio di cartacon un messaggio ufficiale); inoltre, quando usiamo ‘comunicare’ in supposi-zione materiale (dicendo: “‘comunicare’ ha cinque sillabe”) o formale(dicendo: “‘comunicare’ è a volte sinonimo di ‘partecipare’”) ne modifichiamocompletamente la semanticità e referenzialità.

• Per composizione e flessione, l’espressione verbale genera successivamente il te-ma, il lemma, la forma e l’occorrenza; per lemmatizzazione e tematizzazione,l’interpretazione li riconosce con un cammino inverso, nonostante l’eventuale omo-nimia.

1. Il sistema verbale generativo è quello che sovrintende alla forma-zione e all’uso dei significanti. Il locutore (e lo scrittore) procede in questo

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sistema attraverso la formazione di lemmi, la flessione di essi in forme, e lacostruzione di queste nel discorso concreto. L’ascoltatore (e il lettore) pro-cede invece in senso inverso, riconducendo le occorrenze di parole nelcontesto a determinate forme linguistiche, appartenenti ad un lemma, ri-conducibile a sua volta ad uno o più temi e famiglie linguistiche. Questaoperazione di lemmatizzazione, di tematizzazione e di segmentazione èspontanea e quasi sempre inconsapevole.

Il sistema verbale generativo infatti produce in successione quattroentità linguistiche che noi scopriamo (nell’ordine inverso a quello in cuisono state prodotte) ogni qual volta consultiamo un dizionario e quindisiamo costretti a risalire dal discorso concreto e dai fatti linguistici parti-colari alle categorie linguistiche universali.

La prima entità che incontriamo (e l’unica concretamente data) è l’oc-correnza, ossia la parola costruita nel discorso concreto (per esempio‘communicationis’).

La seconda entità è la forma, ossia il tipo morfologico a cui va ricon-dotta un’occorrenza insieme a tutte le altre ad essa isomorfe (l’occorrenza‘communicationis’ va quindi ricondotta a ‘communicationis’, che è la for-ma del genitivo singolare).

La terza entità (quella linguisticamente più importante) è il lemma, cheè l’unità lessicale di base delle varie forme che hanno lo stesso nucleo se-mantico (e quindi la forma ‘communicationis’ va ricondotta al lemma‘communicatio’).

Il lemma si chiama così perché è designato tramite la sua prima forma,che fa da “titolo” a tutte le altre (in latino, quella del nominativo singolare perle parole a flessione nominale o quella della prima persona dell’indicativo pre-sente per la parole a flessione verbale).

Infine, una peculiare entità reticolare è il tema, che costituisce la fami-glia lessicale di tutti i lemmi derivati da un medesimo segmento lessicale,impropriamente detto radice (il lemma ‘excommunicatio’ può essere ri-condotto al tema del segmento ‘-communic-’, che lo apparenta a‘communico’; ma anche al tema del segmento ‘-io(n)-’, che lo apparenta a‘quaestio’ o ‘dilectio’; e infine al tema del segmento ‘-ex-’, che lo appa-renta a ‘exitus’ e così via).

Mentre ogni occorrenza è riconducibile a una sola forma e ogni forma èriconducibile a un solo lemma, il lemma può essere ricondotto a più temi e ap-partenere a più famiglie lessicali.

2. Il processo generativo verbale (in direzione opposta al precedenteprocesso di riconoscimento) si articola dunque in tre fasi: la formazione, apartire dai temi, dei singoli lemmi (dal segmento tematico ‘-commun-’ si

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formano i lemmi ‘communis’, ‘communico’, ‘excommunico’, e così via);la flessione dei lemmi secondo le loro forme (il lemma ‘communicatio’ siflette nelle forme ‘communicatio’, ‘communicationis’, ‘communicationi’ ecosì via); la costruzione delle singole forme nel discorso concreto.

Ad esempio, nessuno di noi andrebbe a cercare sul vocabolario la parola‘communicavit’ così com’è: tutti sappiamo infatti che essa è una forma (e pre-cisamente la forma della terza persona singolare del perfetto indicativo attivo)di una articolata unità lessicale che viene solitamente ricondotta sotto il lemma(o titolo) di ‘communico’, o (più raramente) di ‘communicare’: infatti conven-zionalmente in latino la forma della prima persona singolare del presente indi-cativo attivo (o, più raramente, la forma dell’infinito presente attivo) funge an-che da “titolo” per indicare tutto il complesso delle forme del verbo stesso.Analogamente intuiamo subito, dalla sua stessa struttura morfotematica, che‘incommunicabilis’ (che consta della serie di segmenti ‘in-’, ‘-communic-’,‘-a-’, ‘-bil-’, a cui si aggiungono le desinenze degli aggettivi di seconda classea due uscite) vada ricondotto a ‘communico’, in quanto membro della famiglialessicale determinata dal tema ‘-communic-’, e più precisamente come l’agget-tivo che indica ciò che non può essere soggetto passivo del verbo ‘com-munico’.

3. In molti casi può essere comodo esaminare i lemmi raggruppandonele forme omogenee sotto una unità lessicale intermedia che potremmochiamare sublemma (per esempio, le forme plurali e singolari all’interno diun lemma a flessione nominale o le forme attive e passive all’interno di unlemma a flessione verbale transitiva).

Esempi tipici nell’Index Thomisticus di sublemmi delle parole a flessioneaggettivale sono le forme del comparativo e del superlativo del medesimo ag-gettivo e gli avverbi corrispondenti, considerati come casi dell’aggettivo.

4. A volte l’unità lessicale non coincide con una singola parola, macon una sequenza di parole (tali sequenze sono dette anche ‘espressioni po-lirematiche’). In particolare è possibile distinguere due tipi di sequenzepolirematiche.

Le forme composte sono più parole che costituiscono una forma unica(ad esempio, l’espressione ‘communicatum est’ non è l’insieme di dueforme, ma un’unica forma composta); per praticità l’Index non adotta que-sto tipo di lemmatizzazione complessa, ma considera le forme compostecome perifrasi (con il verbo ‘sum’) delle forme participiali del verbo.

I lemmi composti o sintagmi sono invece associazioni ricorrenti di dueo più parole, tali da assumere un significato peculiare che va al di là dellasemplice “somma” dei significati delle stesse parole singolarmente prese, eche pertanto possono essere trattate come se formassero un unico lemmacomposto (ad esempio possono essere considerate sintagmi espressioni

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quali ‘philosophia moralis’); a questi sintagmi possono essere accostate lelocuzioni stereotipate (come ‘respondeo dicendum quod’) e gli adagi, omotti, o assiomi (come ‘bonum est communicativum sui’).

5. Adoperando una metafora, la lingua è come un organismo vivente,di cui ogni frase compiuta è una cellula viva, le cui singole parole sono mo-lecole perlopiù diverse, che però possiamo ancora scomporre in atomi ele-mentari. E siccome il linguaggio esprime il pensiero, individuare questiatomi lessicali, o segmenti elementari del lessico, equivale a scoprire in uncerto senso le nostre nozioni più originarie.

Lemmatizzando e segmentando tutte le parole presenti nel corpus te-stuale dell’Index Thomisticus si può scalare la cosiddetta “piramide del lin-guaggio”: da una base di dieci milioni e mezzo di parole, riconducibili acirca centocinquantamila forme diverse, è possibile risalire a soli ventimilalemmi, che a loro volta si riducono a poche centinaia di segmenti elementa-ri ed originari, che costituiscono il vertice della piramide 1.

Alla luce di queste premesse comprendiamo che il senso dell’Index nonsta nella gran quantità di testi elaborati, ma nella modalità di questa elabora-zione, tale da fornire al computer quelle informazioni linguistiche (come lalemmatizzazione) che noi nella lettura dei testi presupponiamo.

6. In latino la distinzione di prefissi, temi e suffissi è inadeguata, inquanto non stabile (molti segmenti infatti occupano spesso posizioni inter-cambiabili) e non universale (la tripartizione non è applicabile infatti a tuttele parole); inoltre «la quasi totalità delle parole del […] corpo dei testi latinimedievali <censiti dall’Index> si compone e risulta dalla combinazione di2800 serie di caratteri (ossia 1940 <segmenti tematici più frequenti> più860 <forme graficamente diverse di terminazione>); questo numero po-trebbe diminuire di molto quando le serie più lunghe di caratteri fossero ri-solte in quelle più brevi»; insomma, in una lingua vige una fondamentale«legge di economia nella scelta dei segni» 2, così che mediante la com-binazione di pochi elementi si possa ottenere la più grande varietà diespressione.

7. La segmentazione si dice morfotematica in quanto (almeno in latinoe nelle lingue derivate) ha una duplice funzione, morfologica (ossia modi-ficare per flessione un lemma nelle sue forme per costruirlo nella sintassidel discorso) e tematica (coniare per derivazione e composizione nuovilemmi a partire da quelli già esistenti).

1 Cf Roberto BUSA, Inquisitiones lexicologicae in Indicem Thomisticum, Gallarate

- Milano, CAEL 21994, p. 94 e 199.2 Cf ibid., p. 92.

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Sono eponimi i lemmi che “danno il nome” ad altri lemmi, ossia dacui provengono (per derivazione lessicale) altre parole, dette invece paro-nimi (nel senso dato da Aristotele al principio delle Categorie); secondouna celebre definizione, una lingua è viva quando “le parole figliano paro-le” 3, ossia quando ci sono sempre nuovi eponimi e paronimi.

Così, lo studio delle terminazioni (ossia dei segmenti che hanno la fun-zione morfologica di declinare i nomi e di coniugare i verbi) è necessario peroperare la lemmatizzazione delle parole; invece la segmentazione è il primopasso per arrivare alla tematizzazione, ovvero alla riconduzione di ogni lemmaad una famiglia linguistica caratterizzata da un “tema” linguistico in senso la-to: ad esempio, ‘incommunicabilitas’ e ‘communicatio’ fanno parte della fa-miglia lessicale caratterizzata dal tema ‘-communic-’; ma assieme a‘communis’ fanno parte della più vasta famiglia lessicale caratterizzata dal te-ma ‘-commun-’. Se il significato effettivo di una parola è determinato dal suoconcreto uso e costrutto nel discorso, secondo l’asse sintagmatico, d’altra partela significatività della stessa parola è condizionata per associazione ad altre pa-role tematicamente affini secondo l’asse paradigmatico (così percepiamo unaaffinità lessicale fra parole come ‘appartamento’, ‘riscaldamento’ e ‘tradimen-to’, o come ‘azione’, ‘comunicazione’, ‘visione’).

8. La lemmatizzazione e la tematizzazione delle parole comportano ladisambiguazione degli omonimi eterologhi (ossia omofoni od omografi, madi diversa appartenenza lessicale) e la riunificazione degli eteronimi omo-loghi (ossia appartenenti alla medesima unità lessicale).

L’omonimia è il fenomeno linguistico per cui più entità linguistichediverse (e, di conseguenza, più entità mentali o reali) si presentano – sulpiano dei significanti – identiche foneticamente (per omofonia), o grafica-mente (per omografia), o in entrambi i modi. Gli omonimi sono insommacome sosia linguistici.

Esiste innanzitutto una omonimia tra forme dello stesso lemma dovutaalla omografia e omofonia tra terminazioni: ad esempio, ‘-ae’ (nella flessionedella prima declinazione) segnala ambiguamente sia il genitivo singolare, sia ildativo singolare, sia il nominativo plurale, sia il vocativo plurale; perciò‘rosae’ potrà avere tutti questi valori morfosintattici.

Esiste poi una omonimia tra forme di lemmi diversi: ad esempio, ‘com-municantia’ può essere la forma del nominativo singolare del lemma‘communicantia’, ma anche la forma del participio presente nominativo neutroplurale di ‘communico’).

3 La metafora – del poeta Ignazio BUTTITA – è illustrata da Francesco SABATINI,

La comunicazione e gli usi della lingua. Pratica, analisi e storia della lingua italiana,Torino, Loerscher 1984, p. 487.

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Esiste anche una omonimia tra lemmi diversi che si estende a tutte le loroforme: ad esempio, c’è omografia ed omofonia tra il lemma ‘tempus’ (il “tem-po”) e il lemma ‘tempus’ (la “tempia”), o fra i tre lemmi ‘conditio’ (“ipotesi”,da ‘condico’), ‘conditio’ (“fondazione”, da ‘condo’ - ‘condere’) e ‘conditio’(“condimento”, da ‘condio’ - ‘condire’).

Esiste infine una omonimia tra temi, dagli imprevedibili effetti semantici:ad esempio, il tema ‘in-’ (da ‘in’, “dentro”) è omografo e omofono con il tema‘in-’ (da ‘non’), il che crea qualche confusione per la comprensione di parolericonducibili al primo o al secondo, come ‘innatus’ e ‘innaturalis’; similmente,‘cord-’ (di ‘corda’) è omografo e omofono con il tema ‘cord-’ (di ‘cor’), il chepermetterà delle interessanti interferenze semantiche, come nella comprensio-ne del lemma italiano ‘accordare’ (che si riallaccia ad entrambi i temi).

L’omologia è il fenomeno esattamente inverso, per cui la stessa entitàlinguistica può essere legittimamente pronunciata o scritta in maniere di-verse.

Esiste innanzitutto una omologia tra varianti foniche o grafiche dellastessa entità linguistica (forma, lemma o tema): ad esempio, in latino gli etero-grafi ‘communicatio’ e ‘communicacio’ (che però si pronunciano allo stessomodo: sono cioè omofoni) sono due varianti grafiche dello stesso lemma, cosìcome gli eterografi (anch’essi omofoni) ‘rose’ e ‘rosae’ sono varianti grafichedella stessa forma; similmente, in italiano il lemma ‘colonna’ ha due variantifoniche, a seconda che si pronunci la seconda |o| aperta o chiusa.

Esiste poi una importantissima omologia tra variazioni del segmento ra-dicale di un lemma o di un tema; tale variazione può avvenire o per trasforma-zione (metatesi o apofonia) dello stesso segmento o addirittura per sostituzionecon un altro: ad esempio, in latino, c’è omologia per trasformazione tra ‘ag-’,‘eg-’ ‘act-’ (segmenti radicali rispettivamente del presente, del perfetto e delsupino di ‘ago’), e c’è omologia per sostituzione tra ‘fer-’, ‘tul-’ ‘lat-’(segmenti radicali rispettivamente del presente, del perfetto e del supino di‘fero’).

L’omonimia è la base linguistica dell’equivocità tra concetti, che si haquando i diversi lemmi che li esprimono sono omografi od omofoni; un fe-nomeno simile, ma diverso, è quello dell’ambiguità semantica vera e pro-pria, che si ha invece quando lo stesso lemma possiede due o più significatipiù o meno connessi (e questa è la base linguistica dell’analogia tra con-cetti).

Ad esempio, ‘conditio’ è lessicalmente equivoco in quanto può apparte-nere a tre lemmi diversi, rispettivamente da ‘condico’, ‘condo’ e ‘condio’; in-vece il lemma ‘conditio’ da ‘condo’ è semanticamente ambiguo, perché ac-canto al significato principale di “fondazione”, ha assunto anche il significatotraslato di “creazione” (da parte di Dio) e il significato secondario di

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“caratteristica costitutiva” di una cosa, ossia derivante dalla sua fondazione ocreazione.

Ebbene, proprio a motivo dell’omografia e della omologia, la tematiz-zazione dei lemmi deve affrontare problemi ancor maggiori di quelli dellalemmatizzazione delle forme.

Alcuni problemi della tematizzazione li abbiamo già incontrati. Il primo èquello dell’omografia tra segmenti eterologhi (come quella tra il segmento‘-in-’ con valore negativo e con valore locale); il secondo è quello inversodell’omologia tra segmenti eterografi variati per trasformazione o sostituzione(come quella tra ‘-fer-’ e ‘-tul-’; o tra ‘-esse-’ ‘-fu-’ e ‘-stat-’). Un terzo e mag-giore problema è quello del rapporto fra tematizzazione lessicale viva (operatapiù o meno inconsapevolmente dai locutori) ed etimologia: ad esempio, nel la-tino tardoantico ma soprattutto medievale i verbi ‘quaero’ (scritto anche‘quero’) e ‘queror’ si confondono pur avendo etimologie diverse; similmente‘conditio’ (da ‘condo’) e ‘conditio’ (da ‘condico’); così, in italiano, ‘burattino’e ‘burocrazia’ avrebbero in comune lo stesso segmento ‘-bur-’ (indicante il“panno”), ma non sono più ricondotti allo stesso tema, mentre ‘comunione’ e‘unione’ non hanno in realtà alcun segmento in comune, ma intuitivamente (ederroneamente) chi parla ne associa tematicamente i lemmi.

2.2 IL RICONOSCIMENTO FONO-GRAFICO E MORFOLESSICALE

• Il riconoscimento del significante in quanto significante avviene attraverso il ri-conoscimento previo delle sue strutture fonetiche e grafiche, e poi attraverso il suocollocamento nell’asse paradigmatico per derivazione e flessione.

Dopo aver considerato in astratto come si genera il sistema verbalenell’espressione, dobbiamo adesso esaminare in concreto come le parolecosì generate vengano dall’interprete riconosciute in quanto significanti,ricondotte al sistema e analizzate, nella fase iniziale (non ancora semantica)dell’interpretazione.

In particolare, volendo noi studiare il concetto legato a ‘communica-tio’, dobbiamo innanzitutto determinare il processo della sua formazione, lasua struttura morfolessicale e l’entità della sua famiglia linguistica. Conl’uso complementare dell’indice alfabetico e di quello retrogrado dei lemmidell’Index Thomisticus (o, ancor più facilmente, con la ricerca della stringa‘communic’ nel lemmario elettronico) siamo in grado di raccogliere tutti ilemmi che abbiano in comune lo stesso segmento tematico.

Il vocabolario comunicazionale di Tommaso è rappresentato da ungruppo di tredici lemmi (che costituiscono la famiglia di ‘-communic-’ in

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senso stretto), a cui possiamo aggiungere anche altri quattro lemmi (cherientrano nella sua famiglia allargata), come ci mostra la seguente tabella.

Segmentazione morfotematica

COM+MUN + is , e …COM+MUN + IO(N) + - , is …

POST+ COM+MUN + IO(N) + - , is …COM+MUN + ITA(T) + -(s) , is …

COM+MUN + IC + (A) + o , s …COM+MUN + IC + A + BIL + is , e …COM+MUN + IC + A + BIL + ITA(T) + -(s) , is …COM+MUN + IC + A + NT + I + a , ae …COM+MUN + IC + A + T + IO(N) + - , is …COM+MUN + IC + A + T + IV + us , a …COM+MUN + IC + A + T + OR + - , is …

EX + COM+MUN + IC + (A) + o , s …EX + COM+MUN + IC + A + T + IO(N) + - , is …EX + COM+MUN + IC + A + T + OR + - , is …

IN + COM+MUN + IC + A + BIL + is , e …IN + COM+MUN + IC + A + BIL + ITA(T) + -(s) , is …IN + COM+MUN + IC + A + T + us , a …

La famiglia lessicale che esprime la nozione di Comunicazione inTommaso è l’insieme dei tredici lemmi caratterizzati dal segmento morfo-tematico ‘-communic-’. Tale segmento risulta però formato dalla fusionedei due segmenti ‘-commun-’ (tema del lemma ‘communis’) ed ‘-ic-’.

Il lontano capostipite eponimo di tutta la famiglia allargata è pertanto‘communis’ (che, come vedremo tra poco, risulta etimologicamente for-mato dalla fusione di due segmenti ancora più originari); invece l’eponimoimmediato della famiglia è ‘communico’.

Ogni altro segmento modifica il significato fondamentale del seg-mento ‘-commun-’, associando la parola (sempre nell’asse paradigmatico)ad altre, al cui uso e significato tendenzialmente si conforma.

Così il segmento ‘-ic-’ associa ‘communico’ (da ‘communis’) a ‘clau-dico’ (da ‘claudus’) e ad altri verbi deaggettivali.

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Diversi segmenti deverbali si aggiungono al tema ‘-communic-’, conqualche ampliamento dovuto alla flessione: si aggiungono infatti a volte altema dell’infinito del verbo (‘communic+a-’), a volte a quello del suo parti-cipio presente (‘communic+a+nt-’), a volte a quello del suo participio pas-sato (‘communic+a+t-’). Il segmento ‘-bil-’ (aggiunto al tema dell’infinitodel verbo) è il contrassegno del soggetto potenziale del passivo del verbo.Il segmento ‘-or-’ (aggiunto al tema del supino del verbo) è il contrassegnodel soggetto abituale dell’azione espressa dal verbo. Il segmento ‘-ita(t)-’indica la forma o natura astratta o principio per cui qualcosa è come è. Ilsegmento ‘-io(n)-’ concettualizza un attributo o un verbo. I segmenti ‘in-’ed ‘ex-’, premessi al tema del verbo, indicano rispettivamente negazione eseparazione rispetto all’atto del verbo stesso.

L’etimologia ci porta a scomporre ulteriormente le parole e a ri-condurle ad altre, con un procedimento non intuitivo e di cui il locutore(anche quando ne venisse a conoscenza) non è cosciente nell’uso abitualedel linguaggio. Viceversa il locutore può ritenere consapevolmente validauna etimologia completamente erronea: essa, però, risulta soggettivamentevera e per lo studioso estremamente significativa, in base al noto assuntoche la storia degli errori non è meno interessante che quella delle teorie ve-re. L’etimo così inteso è insomma un eponimo congetturale e nascosto.

La struttura lessicale non coincide con quella etimologica. ‘Slavo’,‘schiavo’ e ‘ciao’ hanno lo stesso etimo, ma nessuno mai direbbe che fannoparte della stessa famiglia linguistica, perché nel corso del tempo si è persoil collegamento paradigmatico fra l’uno e l’altro lemma.

Ebbene, nel caso del concetto di Comunicazione, l’etimologia (sia quellavera che quella presunta) mostra che la nozione di relazione di “comunanza” èoriginaria e che è stata valorizzata e articolata nei “lemmata Christianorum”.Infatti, ‘communis’ (che pur non è escluso possa essere voce originaria) sem-bra probabilmente derivare dalla fusione dei segmenti ‘-cum-’ e ‘-mun-’: ma diquesto il locutore per l’appunto non è consapevole.

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Derivazioni etimologiche

-MEI-

migro-MUN-

munus munis [cf munificus]

+ cum- + in-

communis immunis

Così, che il segmento ‘-commun-’ vada ricondotto ai segmenti ‘-cum-’e ‘-mun-’ e che quindi ‘communico’ e ‘munus’ abbiano lo stesso etimo,non influisce nella determinazione delle condizioni di possibilità del lorosignificato, anche se può darci spunti molto interessanti sulla genesi storicadelle nozioni. In particolare, ‘communis’ e ‘immunis’ (che ne è quasil’antonimo lessicale, interno cioè alla famiglia) derivano entrambi dal lem-ma ‘munis’ (“cortese”), non attestato in Tommaso.

Sebbene in maniera inconsapevole, l’uso del linguaggio dimostra però laparentela fra ‘munis’, ‘communis’ (e derivati) e ‘immunis’. Ad esempio, so-prattutto nel latino patristico (e in quello della Vulgata) ‘communicare’ a voltesignifica ‘contaminare’ (“comune” si oppone infatti a “immune”); inoltre levirtù di cortesia (fra cui la ‘munificentia’) consistono nel saper comunicare oricambiare i favori e come mai il dono è inteso come uno scambio 4.

Viceversa, un’etimologia erronea, ma intuitivamente sentita dai locu-tori, può dirci molto sul significato assunto dalle parole in una lingua.

In latino ‘communio’ sembra derivare da ‘unio cum’ (così come in ita-liano ‘comunione’ da ‘unione con’ e ‘comunità’ da ‘unità con’); in realtàtale etimologia è del tutto fantastica, ma rispecchia il significato che talilemmi hanno finito per assumere, ed è stata fatta propria anche da Tomma-so, con riferimento alla comunione eucaristica 5.

4 Cf rispettivamente Mc 7,19 e Mt 15,11; 3SN 34.1.2 co e RIL 1.5.13-16.5 Cf 4SN 13.1.1c ag 3; 8.1.1c co.

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Etimologie intuitive ma erronee

UN-

CUM unio

communio [= unio cum]

Tale erronea etimologia è significativa, perché svela l’avvenuto appa-rentamento fra l’area semantica dell’uno e l’area semantica dello scambio edel dono.

A questo apparentamento linguistico va probabilmente associato un appa-rentamento dottrinale, attestato pure in Tommaso: lo sviluppo cioè di una me-tafisica “comunicazionale” in cui si fondono la metafisica dell’uno e del bene(elaborata dai filosofi greci) e la metafisica implicita nella rivelazione biblica.Un segno di tale nesso linguistico e dottrinale è (come vedremo) l’ambivalenzastessa del concetto di Comunicazione: a volte esprime la moltiplicazione, avolte invece l’unificazione.

Il processo di derivazione etimologica dei diversi lemmi della famigliaha attraversato diverse fasi, in cui non solo sono nati nuovi lemmi, ma ivecchi si sono arricchiti di nuovi e più profondi significati.

La seguente tabella, elaborata in base ai dati lessicali forniti dall’IndexThomisticus e dal dizionario del Forcellini, ci presenta sinteticamente que-sta evoluzione previa a Tommaso.

Parole nuove (ossia estranee alla latinità classica e patristica, così co-me è censita dal dizionario del Forcellini) sono ‘communicabilitas’, ‘com-municantia’, e ‘incommunicabilitas’, oltre a ‘postcommunio’. Parole inve-ce come ‘excommunico’ ed ‘excommunicatio’ sono coniate nel latino pa-tristico; ‘communicatio’ e ‘communicatio’ hanno chiaramente cambiatoconnotazione nel latino cristiano.

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Innovazioni lessicali e semantiche nella famiglia

• Parole del latino classico rimaste senza sostanziali modifiche semantiche:communis

• Parole già attestate nel latino classico, cui il linguaggio cristiano ha aggiunto sfumature se-mantiche particolari:communio *°

communitas *°communico *°communicatio *°communicator

• Neologismi dell’età patristica:communicativus *°communicabilis *°incommunicabilis *°incommunicatusexcommunico *excommunicator *excommunicatio *

• Neologismi medievali:communicantia °communicabilitas *incommunicabilitas *postcommunio *

* = Parole appartenenti alla terminologia teologica° = Parole appartenenti alla terminologia filosofica

La parola ‘communicatio’ e le altre del vocabolario comunicazionale (in-sieme ad altre come natura, quaestio, via, eccetera) vanno così annoverate tra ilemmata Christianorum, in quanto parole cariche di valenze filosofiche e bi-bliche, le cui nozioni nella patristica latina e poi nella scolastica furono affi-nate e rielaborate e costituiscono un rilevante contributo del cristianesimo allosviluppo del pensiero.

• La struttura morfolessicale di un tema linguistico ne dà le condizioni di possi-bilità del significato a priori dell’uso.

Dal punto di vista della referenzialità e della semanticità, a parte illemma ‘postcommunio’, che è una parola etichetta (essendo nome propriodell’orazione finale della Messa, considerata a mo’ di individuo), tutti glialtri lemmi di ‘-communic-’ sono parole comuni, applicabili cioè a molterealtà, che possiamo classificare secondo le categorie dell’ontologia scola-stica.

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La seguente tabella mostra come tali lemmi siano tendenzialmente di-sposti ad esprimere sostanze seconde, forme astratte, attributi (predicabili)e atti.

Tipi di referenzialità dei lemmi di ‘-communic-’

nomi propri postcommunio

SOSTANZE communicator (excommunicator)

FORME ASTRATTEconcretive (communio), communicatio, (excommunicatio)precisive (communitas), communicantia, communicabilitas

incommunicabilitas

ATTRIBUTI (communis)communicabilis, incommunicabilisincommunicatus

ATTI communico (excommunico)

Il concetto di Comunicazione è in Tommaso espresso perlopiù comeatto: non si tratta quindi di un concetto solo astratto, ma di un atto concreto,coerentemente con la metafisica dell’atto d’essere che impregna tutto ilpensiero tommasiano.

La segmentazione morfotematica e la tipologia lessicale dei lemmi cidànno anche le condizioni lessicologiche di possibilità del significato deimedesimi. Parliamo di condizioni di possibilità del significato e non di si-gnificato, perché il significato dipende dall’uso delle parole in concreto enon dalla semplice struttura delle parole stesse.

Se è vero che verba sunt significativa ad placitum, non è però vero che losiano ad arbitrio; ogni lingua possiede delle regole, perlopiù implicite ed ela-stiche, per la derivazione di nuove parole da altre più originarie. Può capitareperò che una parola, che in base alla sua struttura era stata formata per signifi-care una cosa, finisca, con l’uso, a significarne un’altra; come pure può capita-re (soprattutto nelle lingue moderne, più soggette all’abuso linguistico) cheuna parola venga formata scorrettamente: si pensi ai neologismi italiani‘paninoteca’ o ‘discoteca’ (quest’ultimo nel senso di locale per ballare). Il lin-guaggio è parlato e dunque il significato deriva dall’uso. Pertanto, l’analisi

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morfologica ci dà solo ipotesi di lavoro, da verificare in sede lessicografica,mediante l’analisi dell’uso effettivo nel contesto.

La seguente tabella ci mostra le condizioni lessicologiche di possibi-lità del significato dei lemmi della grande famiglia comunicazionale.

Condizioni lessicologiche del significato

communis

communitas communio [postcommunio]

communico

excommunico

communicatio excommunicatio excommunicator

incommunicatus communicativus communicabilis incommunicabilis

communicantia communicator

communicabilitas incommunicabilitas

Da ‘communis’ (cioè ‘comune’) derivano ‘communitas’ (che, comevedremo, corrisponde in italiano a ‘comunanza’, piuttosto che a‘comunità’) e ‘communio’ (che del tutto inadeguatamente corrisponde alnostro ‘comunione’). Da ‘communis’ deriva come verbo deaggettivale‘communico’, che esprimerà dunque in generale l’atto del comune.

In funzione di ‘communico’ si definiscono tutti gli altri lemmi. ‘Com-municatio’ varrà “il comunicare” (come nozione o come atto); ‘communi-cabilis’ – “che può essere comunicato”; ‘communicativus’ – “che può co-municare”; ‘communicator’ – “che comunica abitualmente”; ‘incommuni-cabilis’ – “che non può essere comunicato”; ‘communicabilitas’ e ‘incom-municabilitas’ – “ciò (qualità o principio) per cui qualcosa può” o “non puòessere comunicato”. ‘Excommunico’ può invece significare “escludere dalcomunicare”, ovvero dalla comunicazione o comunione (ecclesiale o sa-

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cramentale); ‘excommunicatio’ ed ‘excommunicator’ varranno di conse-guenza.

Tuttavia (come emergerà dall’analisi semantica di questi lemmi), ‘com-munio’ finisce perlopiù per coincidere semanticamente con ‘communicatio’;similmente ‘communicabilitas’ e ‘communitas’: del resto si tratta di lemmi ca-ratterizzati dagli stessi segmenti ‘-itat-’ e ‘-ion-’. Curiosa (per via della loroeterogeneità lessicale) è la sovrapposizione semantica fra ‘communitas’ e‘communicatio’. Infine ‘communis’ è adoperato spesso in antonimia con ‘in-communicabilis’, il che si spiega per il fatto che non ha un antonimo lessicale(ossia un ipotetico ‘incommunis’).

• Le relazioni di corrispondenza lessicale fra una lingua e l’altra (sia per comuneorigine, sia per importazione ed esportazione del vocabolario, sia per la tradizionedelle traduzioni) rivelano le diverse modalità che ogni lingua ha di “ritagliare” ilreale e (mediante l’uso di xenonimi) forniscono ad una lingua nuove potenzialità.

Le somiglianze e le differenze strutturali tra il tema ‘-communic-’ e i cor-rispondenti lemmi greci mostrano che il concetto latino di Comunicazione ècentrato sull’atto.

La tradizione scolastica latina del tredicesimo secolo costituisce unasintesi originale delle tradizioni biblica, filosofica, patristica, anche graziealle traduzioni latine dal greco, dall’ebraico e dall’arabo dei testi fon-damentali di queste tradizioni.

Questo vale anche per il vocabolario comunicazionale scolastico (fattoproprio da Tommaso), che traduce un corrispondente vocabolario greco 6,come si può notare dalla seguente tabella.

6 Cf Henry George LIDDEL - Robert SCOTT, Intermediate Greek-English Lexicon,

Oxford, University Press; edizione italiana a cura di Quintino Cataudella - M. Man-fredi - F. Di Benedetto, Dizionario illustrato Greco-Italiano, Firenze, Le Monnier1975, p. 720-721.

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Tabella delle corrispondenze lessicali fra greco e latino

GRECO LATINO

koinós communis [= -cum- + -mun- + -is…]

koinóo koinótes communio koinonós communicatio / communicantia

koinonía communitas

koinonéo communico

anáthema excommunicatio

anathematízo excommunico

La configurazione lessicale delle due famiglie nelle due lingue(sebbene in entrambi i casi centrata sull’aggettivo, ‘koinós’ o ‘communis’),è per due ragioni notevolmente diversa: innanzitutto, mentre in greco‘koinós’ è probabilmente voce originaria, invece in latino ‘communis’ po-trebbe essere ricondotto ai segmenti ‘-cum-’ e ‘-mun-’; inoltre, e soprat-tutto, contrariamente a quanto accade in greco, in latino la famiglia lessi-cale si sviluppa attorno al verbo deaggettivale ‘communico’.

È interessante verificare come i traduttori latini di testi greci (in particola-re per quanto riguarda il Nuovo Testamento ed Aristotele) abbiano in partetrovato e in parte stabilito corrispondenze lessicali tra una lingua e l’altra. Talicorrispondenze sono facilmente riscontrabili anche attraverso tutti i testi diTommaso (e non solo dai commenti ad opere tradotte dal greco) 7.

Apprendiamo così che ‘communis’ corrisponde a ‘koinós’; ‘com-munio’ a ‘koinonía’; ‘communitas’ a ‘koinótes’ (ma a volte anche a ‘koi-nonía’); ‘communico’ corrisponde invece tanto a ‘koinóo’ (di valore tran-sitivo) quanto a ‘koinonéo’ (di valore perlopiù intransitivo).

Si noti che in greco i nomi ‘koinonía’ e ‘anáthema’ sono eponimi di verbi(generando ‘koinonéo’ e ‘anathematízo’), mentre in latino i corrispettivi‘communicatio’ ed ‘excommunicatio’ ne sono invece paronimi (derivando da

7 Cf 4SN 8.1.1c co; ST4 73.4 ag 2.

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‘communico’ ed ‘excommunico’): segno che nel concetto latino di comunica-zione vige un primato dell’actus exercitus sulla sua concettualizzazione.

Con criteri che perlopiù ci sfuggono, il lemma greco ‘koinonía’ è reso inlatino dai traduttori non solo con ‘communio’ (che ne è il calco lessicale, datal’equivalenza lessicale di ‘koinós’ e ‘communis’) o con ‘communitas’, ma an-che con ‘communicatio’, e a volte con ‘communicantia’, passando cioè tramiteil verbo ‘communico’: ulteriore sintomo di come, per i latini, la comunanza piùche un concetto astratto sia un atto.

Il latino (lingua pratica) insomma valorizza meglio il verbo, rispetto algreco (lingua concettuale); questo probabilmente ha aiutato Tommaso adelaborare, a differenza dei filosofi greci, una metafisica del comunicare enon solo una metafisica della comunanza. In particolare, secondo quanto sidirà, Tommaso ha concepito la comunanza come atto piuttosto che solocome relazione. Il latino ha infine ricondotto sotto la sfera di ‘communico’anche il concetto di scomunica, in greco espresso da parole di tutt’altro te-ma (il che ci fa presagire la profonda eterogeneità linguistica dei lemmi deltema ‘excommunic-’ rispetto agli altri del tema ‘-communic-’).

L’importazione di vocaboli da una linga all’altra porta ad una appa-rente confusione terminologica nella storia concettuale e translinguisticache però è chiaramente risolvibile grazie al principio della specializzazionedegli xenonimi, per cui quando in una lingua vengono importati nomi daun’altra, rispetto al loro equivalente lessicale nella lingua stessa il nomeimportato tende ad acquisire un significato ristretto e tecnico, e non piùquello generale.

Prendiamo le tre coppie di lemmi indicanti le scienze (di cui uno lati-no verace e l’altro latino importato dal greco, ossia xenonimo): ‘naturalis’ e‘physicus’, ‘rationalis’ e ‘logicus’, ‘moralis’ ed ‘ethicus’. Entrambi glielementi di ciascuna coppia esprimerebbero dal punto di vista meramentemorfolessicale lo stesso concetto: ma per il fenomeno della specializzazio-ne degli xenonimi, finiscono non solo per differenziarsi, ma per collocarsi adue livelli tassonimici diversi.

Bisogna premettere che i suddetti lemmi di origine greca erano stati im-portati dal linguaggio tecnico della filosofia, che li adoperava inizialmentecome aggettivi femminili singolari (‘physiké’, ‘loghiké’, ‘ethiké’) del lemmasostantivo ‘philosophía’ (espresso o perlopiù sottinteso), oppure al neutro plu-rale (‘tà physiká’, ‘tà metà tà physiká’, ‘tà ethiká’, e così via), per indicarne itrattati, specialmente aristotelici. Importati nel latino, in cui la terminazione delnominativo femminile singolare e del nominativo neutro plurale degli aggettividi prima classe è omonima, i lemmi ‘logicus’, ‘physicus’, ‘ethicus’, il neologi-smo ‘metaphysicus’ (ed altri simili) per catacresi si sono trasformati da sem-plici lemmi aggettivali in plessi di tre sublemmi sostantivi ciascuno: i sostanti-

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vi maschili ‘logicus’, ‘physicus’, ‘ethicus’, ‘metaphysicus’ (eccetera), per in-dicare gli studiosi delle rispettive discipline; i sostantivi femminili ‘logica’,‘physica’ (eccetera) per indicare le discipline stesse; i neutri plurali sostantivati(come ‘physica’ - ‘physicorum’) per indicare i corrispettivi trattati aristotelici(quest’ultimo fenomeno linguistico è certamente connesso con l’attitudinescolastica di studiare una disciplina studiandone i testi di riferimento). Quindi,non comportandosi più da aggettivi, e caratterizzandosi immediatamente comevocaboli di un linguaggio tecnico e non più di quello comune, e riferendosi adambiti disciplinari molto precisi, gli xenonimi ‘logica’, ‘physica’, ‘ethica’ nonsono più semanticamente equivalenti a (rispettivamente) ‘rationalis’, ‘natu-ralis’ e ‘moralis’, ma finiscono per costituirne gli iponimi (assieme agli altrixenonimi simili, come ‘grammatica’, ‘rhetorica’, ‘metaphysica’, ‘politica’…).

Per quanto riguarda la polisemia di termini medievali come ‘scientia’,‘intellectus’ e ‘sapientia’, vale (per la composizione delle rispettive etero-genee fonti) un principio di composizione degli omonimi eterologhi e xe-nologhi: il fatto che concetti diversi, estranei ad una lingua, venganoespressi (a motivo delle traduzioni) con un medesimo termine interno allalingua, da una parte riflette una certa affinità semantica percepita dai tra-duttori, e dall’altra costringe i locutori (e in particolare filosofi e teologi) adarmonizzare intorno ad un nucleo significativo (il cosiddetto vertice del co-no semantico) tutti i significati ereditati dalla tradizione.

Sappiamo infine come Hegel abbia fatto uso degli xenonimi peresprimere il lato peggiorativo di un concetto (ad esempio lo xenonimo‘Realität’ rispetto al termine tutto tedesco di ‘Wirklichkeit’).

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ELEMENTI DI LESSICOGRAFIA

3. LA MEDIAZIONE SINTATTICA

3.1 IL SISTEMA GENERATIVO COMBINATORIO

• La mutua ordinazione tra parole sul piano dei significanti (morfotassi) è re-golata da leggi lessicali e statistiche ed è mostrata dal censimento dei gradi dellaloro presenza e assenza nel testo.

1. Per passare dalle condizioni di possibilità del significato al signifi-cato effettivo che le parole hanno, occorre esaminarle non più soltanto se-condo l’asse paradigmatico, ma soprattutto secondo l’asse sintagmatico,ovvero nella costruzione concreta che hanno nelle proposizioni di sensocompiuto all’interno di un corpus linguistico, nel nostro caso testuale.L’esame della mediazione sintattica si presenta dunque come lo studio direlazioni. Ma poiché ogni relazione ha senso solo a partire dal punto di ri-ferimento prescelto, dobbiamo ora introdurre la nozione di parola chiave:si tratta della parola (generalmente il lemma) presa come oggetto di indagi-ne particolare. Di tale parola chiave si raccolgono sistematicamente (e, perquanto possibile, esaustivamente) i contesti in cui occorre nel corpus esa-minato (mediante una concordanza) e si misurano le frequenze d’uso ri-spetto alle altre parole del testo (mediante indici lessicali e statistici); quin-di si fa il censimento delle parole con cui la parola chiave è (volta per vol-ta) grammaticalmente correlata; e si passa infine a considerarne la geogra-fia semantica.

2. Il primo aspetto dunque della mediazione sintattica è l’ordinamentoreciproco delle parole nel loro livello di significanti (morfotassi) all’internodi un corpus linguistico, secondo le leggi della statistica linguistica e te-stuale 1.

La legge di Zipf stabilisce un primo fondamentale legame di ordinamentoreciproco delle parole in un corpus, notando la tendenziale costanza del pro-dotto tra la frequenza assoluta (o numero d’occorrenze) di una parola e il suorango (ossia il posto nella serie decrescente per frequenza delle parole del cor-pus).

1 Sull’uso della statistica in lessicologia e stilometria, cf [LESSICO INTELLETTUALE

EUROPEO], L’analisi delle frequenze. Problemi di lessicologia, Ateneo, Roma 1982.

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La statistica testuale (con l’ausilio dell’informatica, e in particolare diquelle branche che vanno sotto il nome di linguistica computazionale e in-gegneria del linguaggio) ha fatto progressi soprendenti in questi ultimi an-ni 2, mettendo a disposizione di tutti gli studiosi del linguaggio potenti pro-grammi informatici di elaborazione linguistica e statistica di testi 3.

L’Index non riporta il rango di tutti i lemmi (che tuttavia si può ricavarerielaborando il lemmario incluso), e computa (di forme e lemmi) solo le fre-quenze assoluta e percentuale.

Pertanto, in questa sezione cercheremo soltanto di mostrare allo stu-dioso non avvezzo ai numeri qualche indicazione (approssimativa)sull’utilità dell’approccio statistico allo studio dei testi. Del resto, già Fran-cesco Bacone aveva mostrato l’importanza di stilare una tabula praesenti-ae, absentiae in proximo et graduum dei diversi fenomeni.

3. Dall’analisi statistica della presenza e distribuzione di quei partico-lari fenomeni che sono le parole (e in particolare i lemmi) nei diversi con-testi e messaggi, emerge la funzionalità delle parole, ossia il ruolo giocatoda ciascuna di esse nel discorso.

Ci sono parole specifiche di un determinato messaggio, che compaio-no cioè soltanto in determinati contesti e che appartengono perciò solo aparticolari giochi linguistici, e parole generali che invece sono comuni adogni gioco linguistico e ad ogni tipo di messaggio, dai trattati di fisica allefilastrocche dei bambini.

Sarà ben difficile, ad esempio, trovare parole come ‘postcommunio’ in untrattato di metafisica, o parole come ‘hypostasis’ in una favola; ma parole co-me le preposizioni, le congiunzioni, i pronomi, gli ausiliari ed altre ancora letroviamo dappertutto.

Fra le parole generali possiamo distinguere le parole tematiche (chehanno un proprio particolare contenuto semantico) e le parole gramma-ticali (il cui contenuto semantico è una particolare funzione, come nel casodi ausiliari, preposizioni, congiunzioni e pronomi).

2 Cf L. LEBART - A. SALEM, Statistique textuelle, Paris, Dunod 1995; una visione

panoramica e aggiornata della statistica testuale è data dagli atti (a cura di SergioBOLASCO) di JADT 1995 (3rd International Conference on Statistical Analysis ofTextual Data [Rome, 11-13 December, 1995]), Roma 1995.

3 Fra cui SPAD, Sphynx, DBT. Questi ultimi due dispongono di funzioni di indiciz-zazione; il secondo anche di lemmatizzazione semiautomatica per il francese el’inglese. Vari centri di ricerca (il CNR di Pisa, l’Università di Salerno, Eulogos aRoma) dispongono di programmi per la lemmatizzazione semiautomatica dell’italiano.

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Le parole più importanti per un filosofo e teologo sono quelle che ri-corrono di più non tanto in termini assoluti, quanto diffusivamente, nei più di-versi giochi linguistici: tali parole infatti esprimono le nozioni prime e comuniall’interno delle certezze precategoriali e vissute che costituiscono quella che ilBusa chiama la philosophia exercita di chi parla o scrive (di cui la philosophiaprofessa dei filosofi non è altro che la consapevolezza critica e riflessa).

D’altra parte, quanto più il lessico adoperato per dire qualcosa saràgenerico e limitato (poche parole ma note a tutti), tanto più vago e lungo(perché perifrastico) dovrà essere il discorso; viceversa, quanto più il lessi-co adoperato sarà ampio e specialistico, tanto più preciso e breve potrà es-sere il discorso: e la chiarezza espressiva sta nel giusto mezzo fra brevitàdel discorso e comprensibilità delle singole parole.

Un discorso troppo lungo e verboso, ancorché espresso con parole comu-ni e ben note, risulta oscuro; similmente è oscuro un discorso breve, maespresso con parole troppo tecniche, che richiedono un tempo di interpre-tazione tutt’altro che breve (in questo senso Kant diceva che molti libri sareb-bero stati più brevi se non avessero voluto essere così brevi).

4. Di una parola si può analizzare i gradi di presenza e assenza rispettonon solo all’intero corpus testuale e alle sue parti, ma anche rispetto adogni parola del lessico di quel corpus. La compresenza ravvicinata di dueparole chiavi in un testo si chiama cooccorrenza (che si misura in duemodi: o alla distanza massima di tante parole interposte; oppurenell’ambito della stessa frase completa – da punto fermo a punto fermo – odi tante frasi limitrofe). Chiamiamo invece aponimia la lontananza conti-nuata (oltre l’aspettativa statistica) di parole.

Due parole abitualmente cooccorrenti a contatto potrebbero formareun sintagma. Due parole abitualmente cooccorrenti in contesto mostrano diappartenere allo stesso orizzonte semantico (anche se magari con significaticontrapposti). Due parole tendenti a non cooccorrere saranno invece se-manticamente indifferenti ed estranee – il che è ben diverso dall’essere op-poste –, quasi si respingessero: le chiamiamo perciò aponimi.

La statistica testuale, mediante l’analisi discriminante, riesce a descrivere(e rappresentare graficamente su un piano cartesiano) i rapporti di prossimitàstatistica (ma quindi anche semantica) tra parole diverse di un corpo testuale:due parole saranno rappresentate più vicine quanto più tendono a cooccorrerein prossimità (quasi si attraessero), o più lontane quanto meno tendono a cooc-correre (quasi si respingessero). Tale tecnica è usata per l’analisi qualitativanei sondaggi di opinione.

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• La mutua ordinazione tra parole sul piano dei significati (semantassi) è rego-lata da leggi grammaticali e logiche ed è mostrata dal censimento delle loro corre-lazioni grammaticali nel testo.

1. La sintassi delle parole in quanto portatrici di un significato (sin-tassi in senso stretto o semantassi) è il loro l’ordinamento logico e gram-maticale; tale ordinamento è osservabile lessicograficamente nelle correla-zioni grammaticali tra parole o loro raggruppamenti funzionali.

In virtù del “principio d’uso” 4, l’analisi lessicografica trova infatti nelladescrizione della sintassi (e quindi delle correlazioni grammaticali) il mezzoper risalire, attraverso l’asse sintagmatico, al piano del significato delle parole.

La ricerca lessicografica dovrà quindi fondarsi in particolare sul cen-simento esaustivo ed intelligente delle correlazioni grammaticali elementaridirette che ogni occorrenza della singola parola chiave (da noi esaminata)ha nel contesto.

Si tratta di correlazioni elementari, in quanto all’interno di una proposi-zione, e dirette, in quanto non mediate da altri elementi sintattici ad eccezionedi quelli che hanno una funzione connettiva o di vicarianza (come la copula o ipronomi, specialmente relativi).

2. Le correlazioni grammaticali si distinguono in subordinative(quando fra i due elementi sussiste un rapporto di dipendenza sintattica inun senso o in un altro, come per esempio fra attributo e nome, fra soggettoe predicato, fra predicato e complementi…) e coordinative (come nelleelencazioni, o nelle contrapposizioni mediante ‘non […], sed’).

Dal punto di vista sintattico distinguiamo pertanto parole correlanti (osincategoremi) e correlabili (o categoremi). Queste ultime hanno un conte-nuto significativo determinato; le prime hanno piuttosto una funzionegrammaticale formale (e tuttavia, quando sono usate in supposizione mate-riale o formale, possiedono un loro contenuto determinato: come ad esem-pio quando si dice ‘il perché’, intendendo la “causa”).

I correlati sono o reciprocamente coordinati (da congiunzioni come‘et’ o ‘vel’ o simili) oppure l’uno subordinante (o reggente) e l’altro subor-dinato (o retto).

3. Le parole coordinate (per elencazione o contrapposizione o esplica-zione) formano un’associazione sintattica; oltre a queste, a volte si riscon-

4 Cf Ludwig WITTGENSTEIN, Ricerche filosofiche, 43 e 138. Dobbiamo però preci-

sare che il significato d’una parola non è semplicemente il suo uso linguistico, ma ciòche rende possibile un tale uso.

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trano evidenti associazioni semantiche tra parole vicine, che di per sé nonsono sintatticamente coordinate.

Le correlazioni coordinative (a cui vanno aggiunte tutte le associazionisemantiche con parole vicine nel testo) ci manifestano il sistema generativoconcettuale, ossia l’ordine che per il locutore hanno i concetti significatidalle parole, secondo rapporti di sinonimia, antonimia, tassonimia, meto-nimia (come si dirà nel seguente capitolo).

Ad esempio, la correlazione esplicativa ‘communicatio vel diffusio’ ci ri-vela che ‘diffusio’ è sinonimo di ‘communicatio’; la correlazione oppositiva‘non dat, sed communicat’ ci rivela che ‘dare’ è antonimo di ‘communicare’;la correlazione elencativa ‘circa difficilia, delectabilia et communicabilia’ cirivela una tassonimia.

4. Le correlazioni subordinative ci manifestano la struttura logica diuna parola, e quindi la sua peculiare valenza o capacità di entrare in com-posizione sintagmatica con altre parole e, di conseguenza, lo spettro com-pleto dei suoi correlabili.

Le parole a flessione nominale possono essere rette in due modi: o inmaniera aggettiva (ossia come predicato nominale o come attributo), con-cordandosi grammaticalmente alla parola a cui aderiscono (come ad esem-pio ‘communicativum’ nell’espressione ‘bonum communicativum’); oppu-re in maniera sostantiva (come ad esempio ‘sui’ nell’espressione‘communicativum sui’), secondo i vari tipi di complementi nominali.

Le parole a flessione verbale e adoperate come predicati verbali sonorette dal soggetto logico (al nominativo se il verbo è di senso attivo, oall’ablativo se il verbo è transitivo attivo) e reggono i diversi tipi di com-plementi verbali.

Di tali correlazioni va tenuto presente che occorre raccoglierle in ma-niera logicamente omogenea.

Così, ad esempio, i soggetti grammaticali di un verbo transitivo passivone sono in realtà logicamente gli oggetti e vanno catalogati (pur nella distin-zione) assieme agli oggetti dello stesso verbo transitivo attivo (ad esempio,‘bonitas communicatur’ e ‘communicat bonitatem’ sono correlazioni omoge-nee).

Convenzionalmente, dunque, le correlazioni sintattiche di un verbotransitivo passivo verranno catalogate volgendo il verbo all’attivo.

5. I correlanti (che servono a correlare due elementi della frase) sonoinnanzitutto le particelle sintattiche (non soggette a flessione) o all’internodella stessa frase (come preposizioni) o tra frasi o loro parti (nominale overbale) connesse (ossia come congiunzioni); poi anche anche quelle locu-

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zioni di vario genere adoperate per identificare e collegare stilisticamentepartizioni del discorso e del testo (ossia come discorso connettivo o vas-soio: come ‘ergo’, ‘autem’, ‘sed contra’, ‘primo’…); infine consideriamocome correlanti anche il verbo ‘sum’ adoperato come copula (ma anche lelocuzioni definitorie, come ‘dicitur’) e, per un certo verso, anche i prono-nimi.

Come già si è accennato, prononimi sono in generale le parole (a flessio-ne nominale e di uso sostantivo o aggettivo) che per vicarianza prendono ilposto di altre parole nel discorso, come ad esempio quelli personali, possessi-vi, dimostrativi, relativi. I pronomini, pur essendo dal punto di vista sintatticoparole correlate, tuttavia per la loro funzione vicaria devono esser consideraticorrelanti dal punto di vista semantico (ossia le parole che risultassero sintatti-camente correlate con prononimi andrebbero semanticamente riferite alle pa-role che i prononimi sostituiscono).

Deittici sono quei prononimi (in pratica tutti, tranne i relativi) che indica-no (in relazione a chi parla) una realtà singolare ed esprimono non un conte-nuto essenziale, ma una presenza attuale (come ‘ego’, ‘hic’…).

Le correlazioni grammaticali vanno esaminate sempre in riferimentoad una parola chiave, ossia al preciso lemma di cui si sta indagando l’uso.

In altre parole, censire le correlazioni di un lemma significa in-dividuare, in ogni sua occorrenza, tutte le parole (o locuzioni) che sianocoordinate ad esso, o che siano rette da esso, o che lo reggano; inoltre biso-gna distinguere per ciascuno di questi tre le modalità sintattiche della cor-relazione (ossia il tipo di funzione sintattica esercitata dalla parola correlatanei confronti della parola chiave).

3.2 L’ANALISI STATISTICA E IL RICONOSCIMENTO SINTATTICO

• La distribuzione delle occorrenze di una parola chiave in un discorso o in untesto ne mostra l’appartenenza a determinati giochi linguistici e contesti dottrinali,e quindi la diversa funzionalità, suscitando ipotesi sul suo valore semantico.

La diversa funzionalità dei lemmi derivanti da ‘communis’ può essererappresentata dalla seguente tabella, che di ognuno segnala la frequenzaglobale in Tommaso, col numero di opere in cui è attestato.

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Tipi di funzionalità

I lemmi sono disposti in ordine decrescente per numero di opere di Tommaso in cui sonoattestati. Le percentuali hanno l’ultimo decimale arrotondato.

Opere di Tommaso(118, con le dubbie)

Occorrenze Frequenza

‘Communis’ 106 7.127 0,0812 %‘Communico’ 83 1.625 0,0185 %‘Communicatio’ 55 522 0,0059 %‘Communio’ 53 308 0,0035 %‘Communitas’ 43 499 0,0056 %‘Communicabilis’ 21 101‘Excommunico’ 19 275‘Excommunicatio’ 18 223‘Communicativus’ 18 28‘Incommunicabilis’ 17 74‘Communicantia’ 6 6‘Incommunicabilitas’ 5 13‘Communicabilitas’ 5 5‘Communicator’ 2 3‘Incommunicatus’ 1 2‘Excommunicator’ 1 1‘Postcommunio’ 1 1

––––––– –––––––––

TOTALE di ‘-commun-’ 10.813 0,1234 %

• SUBTOTALE di‘-communic-’

2.878 0,033 %

• SUBTOTALE di‘excommunic-’

499 0,0006 %

• SUBTOTALE di ‘communic-’+ ‘incommunic-’

2.379 0,0271 %

Complessivamente, il vocabolario comunicazionale di Tommaso conta(nell’insieme dei suoi tredici lemmi) un totale di 2878 occorrenze nell’in-tero corpus tomistico, pari a una frequenza di 0,033% (circa una parola sutremila). Se però consideriamo tutto il gruppo di lemmi derivato da ‘com-munis’, otteniamo un totale di più di diecimila parole, con una frequenza dipiù di una parola su mille, il che è un valore altissimo per un tema a conte-nuto semantico determinato.

Secondo il Systema quantitatum, ‘communis’ (con 7127 occorrenze e unafrequenza dello 0,08%) occupa il rango 178 (155 nella Summa), tra i lemmipiù frequenti in Tommaso (il più frequente in assoluto, cioè ‘sum’, conta peròquasi mezzo milione di occorrenze e una percentuale di frequenza del 5,3%).

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Il vocabolario comunicazionale ampliato (caratterizzato dal tema‘-commun-’) esprime dunque una delle nozioni tommasiane più rilevanti emetafisiche. I lemmi di tale gruppo possono essere distinti però in diversigruppi, a seconda del rispettivo grado di funzionalità.

Un primo gruppo è costituito dai lemmi presenti in ogni tipo di conte-sto, come ‘communis’ (praticamente ubiquo) e (a qualche distanza) ‘com-munico’: si tratta di termini comunissimi, le cui nozioni a buon titolo ap-partengono alla metafisica vissuta o philosophia exercita. Pur non essendoparola grammaticale, ‘communis’ è (fra gli altri della famiglia) il lemmache ha il contenuto semantico più formale.

‘Communis’ risulta assente solo in quattro opuscoli con meno di mille pa-role 5, in due opuscoli con meno di duemila parole 6 e (fatto più significativo)nelle prediche sul Simbolo 7, che contano quindicimila parole, oltre che in al-cuni brevissimi opuscoli dubbi o spuri 8.

Un secondo gruppo è costituito dai lemmi ‘communicatio’, ‘com-munio’, ‘communitas’: si tratta di parole metafisiche sì, ma riflesse, che te-matizzano ed esprimono signate quanto ‘communico’ e ‘communis’ espri-mono più exercite.

Un terzo gruppo è costituito dalle parole tecniche proprie solo di al-cune discipline filosofiche e teologiche, nel cui ambito possono anche es-sere abbondantemente adoperati: così ‘communicabilis’, ‘communicati-vus’, ‘incommunicabilis’ (termini di metafisica e ontologia trinitaria), ‘ex-communico’ ed ‘excommunicatio’ (termini tecnici in teologia sacramen-taria e morale e in diritto canonico): si tratta di parole tecniche, proprie dialcuni settori del sapere, ma comunque abbastanza diffuse.

Un quarto gruppo è costituito da lemmi poco frequenti e rilevanti operché estremamente tecnici (come ‘incommunicabilitas’ e ‘communica-bilitas’, termini di ontologia trinitaria e cristologica, e ‘postcommunio’,termine liturgico) o anche perché inconsueti in latino (come ‘commu-nicantia’, ‘communicator’, ‘incommunicatus’ ed ‘excommunicator’).

Possiamo provare a considerare più da vicino la funzionalità delle pa-role, esaminandone comparativamente le percentuali di frequenza opera peropera (e quindi per tipi di contesto), come nella seguente tabella, che con-

5 OTE, OS5, OS6, DTX [De secreto].6 OPC e OTD; in quest’ultimo abbiamo però la più alta frequenza di ‘commu-

nico’.7 RSV; in cui sono attestate però alte frequenze di ‘communio’ e di ‘communico’.8 DAS [De modo studendi], DSP, DOA [Utrum in creaturis sit ordo agendi], DTI,

DPP [De propositionibus modalibus].

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tiene però solo i dati relativi ai cinque principali lemmi del tema ‘-com-munic-’ (per gli altri si rimanda alle tabelle della Singillata distributiolemmatum dell’Index Thomisticus).

Distribuzione delle frequenze dei principali lemmi nelle principali opereI valori sono in percentuale.

SN1 SN2 SN3 SN4 SCG ST1 ST2 ST3 ST4

@abilis 0,0059 0,0026 0,0017 0,0008 0,0009 0,0060 0,0002 0,0001 0,0008

@atio 0,0096 0,0013 0,0227 0,0093 0,0030 0,0041 0,0039 0,0101 0,0011

@o 0,0334 0,0192 0,0421 0,0265 0,0190 0,0249 0,0086 0,0108 0,0282

ex@atio 0 0 0 0,0269 0 0 0 0,0042 0,0023

ex@o 0 0 0 0,0284 0 0 0 0,0035 0,0050

QDV QDP QDM QDS QDA QDI QDW

@abilis 0,0022 0,0065 0 0 0,0016 0,0097 0

@atio 0,0029 0,0108 0,0022 0,0028 0,0033 0,0293 0,0087

@o 0,0203 0,0637 0,0105 0,0170 0,0216 0,0195 0,0149

ex@atio 0,0002 0 0 0 0 0 0

ex@o 0 0 0 0 0 0 0

OTD CTC CMP CDN

@abilis 0 0 0,0003 0,0010

@atio 0,0786 0,0410 0,0007 0,0082

@o 0,0472 0,0210 0,0130 0,0558

ex@atio 0 0 0 0,0010

ex@o 0 0 0 0,0020

Si vede chiaramente il ruolo egemone del verbo ‘communico’ all’in-terno della famiglia ‘-communic-’: gli altri lemmi ne seguono perlopiùl’andamento statistico, ad eccezione di quelli caratterizzati dal tema ‘ex-communic-’, che seguono un andamento autonomo: compaiono anche mas-sicciamente in alcune opere o parti di opere (in contesto sacramentario ecanonistico), ma poi scompaiono completamente altrove.

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SN1

SN2

SN3

SN4

SCG

ST1

ST2

ST3

ST4

QDV

QDP

QDM

QDS

QDA

QDI

QDW

OTD

CTC

CMP

CDN

ex@atioex@o

@atio@o0

0,01

0,02

0,03

0,04

0,05

0,06

0,07

0,08

Da queste considerazioni emerge chiaramente che la piccola famigliadi ‘excommunico’ si è emancipata anche semanticamente dal resto dellafamiglia di ‘communico’, e perciò va studiata a parte.

Pertanto, d’ora in poi, parlando di vocabolario comunicazionale intende-remo più precisamente i lemmi dei temi ‘communic-’ e ‘incommunic-’, ad e-sclusione quindi di quelli del tema ‘excommunic-’.

Dopo aver appurato la diversa funzionalità dei lemmi della nostra fa-miglia, dobbiamo anticipare qualcosa sulla loro attestazione nei diversi tipidi contesti dottrinali.

Anche se ‘communico’ e ‘communicatio’ sono parole del linguaggio co-mune e ordinario, d’altro canto poiché Aristotele, Dionigi, Damasceno, Avi-cenna (o meglio, i loro traduttori latini) e Riccardo di San Vittore si erano ser-viti di queste parole ciascuno per introdurre nuovi concetti e nuove dottrine infilosofia o in teologia, e poiché tutti questi nuovi concetti (con le rispettivedottrine) erano divenuti canonici nella filosofia e nella teologia della secondametà del tredicesimo secolo, ecco che tali parole non solo hanno assunto, in al-cuni contesti, un ruolo tecnico, ma in generale sono sovraccariche di significatie implicazioni dottrinali abbastanza eterogenei fra loro.

Come si vedrà nella quarta parte, la dottrina tommasiana sulla Comu-nicazione attraversa tutti gli ambiti della filosofia e della teologia, tanto daabbracciare l’insegnamento, il linguaggio, la generazione e ogni trasfor-

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mazione, l’amore e l’amicizia, le processioni trinitarie, la creazione, la rive-lazione, l’incarnazione, la giustificazione o redenzione, la glorificazione, eaddirittura l’appartenenza di due soggetti alla stessa classe logica e onto-logica (genere o specie) e la relazione interpersonale.

Paradossalmente, però, nonostante la loro utilizzazione in tutti i prin-cipali contesti dottrinali e il loro carattere precategoriale (o forse proprioper questo), i concetti di ‘communico’ e ‘communicatio’ non sono quasimai stati oggetto di indagine tecnica da parte di Tommaso, come dimostrauna ulteriore tabula praesentiae.

Cercando infatti in cooccorrenza con i sintagmi ‘quaestio [est] de’ (e va-rianti) e ‘quaeritur utrum’, con cui si introduce l’oggetto di una “questione” insenso tecnico (o perlomeno di un interrogativo), otteniamo solo magri risultati,presentati dalla seguente tabella.

Cooccorrenze di ‘communico’ o ‘communicatio’ con ‘quaestio de’ e ‘quaeritur utrum’ (e va-rianti)

QUAESTIO

• de communicatione scientiae angelicae [QDV 9]

• sicut communicatur [Christo] omnis scientia, quare non omnipotentia [REM 28.0].

• utrum sit quotidie communicandum vel raro [RIL 3.11.34; cita la Glossa].

QUAERITUR utrum

• omnipotentia dei possit communicari creaturae [1SN 43.1.2 tt].

• quotidie communicandum sit [4SN 12.1.0 pr].

• liceat excommunicato communicare in pure corporalibus [4SN 18.2.4 tt].

• sit eis [=cum infidelibus] communicandum [ST3 10.0].

• autem cum idololatris sit communicandum, dictum est supra [ST3 94.0].

• potestatem <instituendi sacramenta Christus> potuerit aliis communicare [ST4 64.0].

• deus possit alicui creaturae communicare quod per se in esse conservetur absque deo [QDP5.0 pr 2 + 2 tt].

• haereticis sit communicandum [QDL 10.7.0 pr 1 + 1 tt].

• omnes cives debeant communicare in omnibus, aut in nullo; aut in quibusdam, et quibusdamnon [CPO 2.1.5].

Insomma, Tommaso non si interroga mai esplicitamente e tecnica-mente sulla comunicazione in generale (che dunque evidentemente non fa-ceva problema alla filosofia e teologia del suo tempo), ma solo su alcunisuoi aspetti secondari, inaspettati per noi.

Innanzitutto, Tommaso riporta e commenta la questione (posta da Ari-stotele in polemica con Platone) di quali debbano essere i limiti della co-

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municazione tra concittadini. Poi, affrontando alcune questioni obbligate inmateria teologica, Tommaso spiega se e in che misura i fedeli della Chiesapossano “comunicare” con gli “altri” (infedeli o scomunicati); e quantospesso ci si possa “comunicare” (sacramentalmente). Invece, tra le questio-ni vive e dibattute, Tommaso affronta con particolare impegno quella dicome gli angeli (che non usano segni, essendo del tutto spirituali) possanocomunicarsi l’un l’altro la conoscenza di Dio: e qui emerge l’importanzaanche filosofica dell’angelologia, in quanto elaborazione di un modellopensabile di vita intellettiva pura. Ma soprattutto Tommaso affronta ripe-tutamente un problema molto discusso a Parigi al suo tempo (ed effettiva-mente – di tutti quelli qui menzionati – l’unico veramente rilevante, e sucui torneremo): e cioè se alcune prerogative divine possano essere comuni-cate ad altri.

Nella precedente tabella non troviamo menzione del Breve Principium,nonostante sia l’opera tommasiana a più alta concentrazione del vocabolariocomunicazionale, e l’unica dedicata interamente al tema della “comunicazionedella sapienza”; anzi, non troviamo menzione nemmeno di quest’ultima: que-sto è un segno per un verso della originalità e della vitalità dell’apporto diTommaso, e per un altro del limite del suo approccio (che è appunto irriflesso).Egli infatti ha sviluppato in exercitio e trattato ex professo il tema della comu-nicazione senza che fosse argomento di discussione scolastica; inoltre ha trat-tato “il” comunicare, senza però trattare “del” comunicare (facendone un filo-sofumeno o teologumeno).

Un’ulteriore tabula praesentiae et graduum ci permette poi di consi-derare se e quanto il genere letterario o il grado di proprietà del linguaggiodell’autore condizioni l’uso del vocabolario comunicazionale.

L’Index Thomisticus distingue infatti (a seconda di questi due para-metri) le opere di Tommaso in diverse categorie: il Commento alle Senten-ze, le due Summae, gli opuscoli, che (pur nella diversità di stile e di impo-stazione) contengono in massimo grado il linguaggio proprio di Tommaso;e così anche le questioni, ad eccezione delle lunghe serie di argomenti, ela-borati invece dai baccellieri; invece possiedono un minor grado di proprietàtommasiana del linguaggio i commentari (il cui lessico e contenuto dipen-dono fondamentalmente dal testo commentato) e le reportationes(trascrizioni di lezioni, questioni o sermoni oralmente pronunciati daTommaso).

Ebbene, calcolando la frequenza media in questi gruppi di opere dellemma ‘communico’, otteniamo i seguenti risultati.

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Frequenze del lemma ‘communico’ per categorie di opere

In Sententiarum libros 0,0298 %Summae [escluso ADL] 0,0176 %Quaestiones 0,0108 %Opuscula 0,0183 %Commentarii 0,0112 %Reportationes 0,0145 %

Integrando però questi dati con quelli relativi alle singole opere (se-condo i dati parziali poco fa presentati e quelli integrali della Singillata di-stributio lemmatum dell’Index Thomisticus), ci accorgiamo che all’internodei diversi gruppi la tendenza non è costante.

In altre parole, si può escludere con certezza che la variazione di fre-quenza sia dovuta al diverso grado di proprietà del linguaggio, come pureche sia dovuta al genere letterario (e per il lessicografo è molto importanteanche arrivare a smentire una ipotesi, senza riuscire ancora a formularneun’altra).

Il Commento alle Sentenze infatti è assimilabile alle Summae (per il con-tenuto; non però per la struttura, che segue l’esposizione delle Sententiae delLombardo); ebbene, il Commento alle Sentenze è senz’altro l’opera a più altocontenuto comunicazionale; ma questo primato andrà interpretato [nel capitolo* 7.1], in sede di osservazione diacronica.

L’Index di ogni parola distingue poi accuratamente se occorre in una cita-zione alla lettera, o in una citazione a senso, o in una ubicazione, o nel cosid-detto discorso proprio dell’autore (che però andrebbe ulteriormente distinto indiscorso condiviso dall’autore e discorso da lui solamente riportato, come nelcaso delle obiezioni). In seguito [nel capitolo * 7.2] esamineremo più precisa-mente l’incidenza delle fonti nell’uso del vocabolario di comunicazione.

A conclusione di questo excursus statistico, anche se la documenta-zione dell’Index non consente una analisi di tipo discriminante, possiamotuttavia provare a formulare qualche osservazione sulle relazioni di‘-communic-’ con le altre parole.

In particolare, possiamo cercare di identificare empiricamente alcunidei principali aponimi di ‘communico’, ossia di quei lemmi che tendono anon cooccorrere in sua prossimità e che quindi mostrano una certa estra-neità semantica nei suoi confronti.

Abbiamo selezionato un centinaio di lemmi (perlopiù verbi) nella partealta della seconda fascia dei più frequenti in Tommaso, ossia dal rango 134(che corrisponde alla prima frequenza ripetuta: 9831 occorrenze), fino al rango

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700; poi ne abbiamo cercato le cooccorrenze con ‘communico’, alla distanzamassima di nove parole interposte; e quindi abbiamo registrato solo quei lem-mi che davano come risultato zero.

Risultano dunque assenti in prossimità (entro le nove parole) di ‘com-munico’ almeno i seguenti lemmi (in ordine di rango): ‘poenitentia’,‘gravis’, ‘ira’, ‘dimitto’, ‘scribo’, ‘albus’, ‘voveo’, ‘timeo’, ‘resurgo’, ‘do-lor’ (questo risulta aponimo anche alla centesima parola di distanza), ‘mu-to’, ‘gaudium’, ‘confiteor’, ‘sto’, ‘salvo’, ‘exeo’, ‘occido’.

Significativamente, alcune di queste parole esprimono passioni o sen-timenti dell’anima, che per l’appunto sono esperienze in quanto tali inco-municabili: posso comunicare a un altro che provo un dolore, ma non possocomunicare a lui il mio dolore. Risulta invece abbastanza sorprendente perla nostra mentalità che proprio ‘scribo’ e ‘confiteor’ non siano accostati alcomunicare: di analoghe precomprensioni deluse dovremo trattare nel pros-simo capitolo.

• Le correlazioni subordinative e coordinative di una parola chiave ne mostranola struttura o valenza logica e lo spettro semantico.

Poiché le correlazioni grammaticali vanno censite lemma per lemma,solo nella terza parte ci addentreremo in questo tipo di esplorazione, checostituisce il cuore dell’analisi lessicografica.

Tuttavia, per dare fin d’ora un’idea dell’analisi sintattica nel processolessicografico, proviamo ad anticipare in alcune tabelle la struttura logica elo spettro dei correlati di alcune parole chiavi del vocabolario co-municazionale.

Per quanto riguarda l’eponimo della grande famiglia, il censimentodelle correlazioni grammaticali subordinative rivela che ‘communis’ puòesser retto come aggettivo da nomi sostantivi, può reggere nomi sostantivi,e può anche esser retto da verbi in due possibili costruzioni tipiche. Classi-ficando e generalizzando tali correlati, ricaviamo la seguente struttura logi-ca, in cui la sfera del comune è l’intersezione tra le caratteristiche posse-dute da due soggetti.

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Principali costruzioni sintattiche di ‘communis’

X Y

Z

0. hoc Z, COMMUNE omnibus, vel aliquibus

1. iste X habet COMMUNE hoc Z cum illo Yille Y habet COMMUNE hoc Z cum isto X

2. hoc Z est COMMUNE isti X et illi Y [=dativo]hoc Z est COMMUNE ad omnes X et Y

Per quanto riguarda invece l’eponimo della famiglia ristretta, il censi-mento delle correlazioni subordinative rivela che ‘communico’ (come moltialtri verbi) ha una sintassi molto più complessa.

Possiamo riscontrare un uso transitivo vettoriale (con oggetto e termine) ebidirezionale, un uso semitransitivo (con oggetto, ma non con termine) o se-mintransitivo (dato che tale oggetto non è frutto di un azione), un uso riflessi-vo (con oggetto riflessivo e con termine), un uso semiriflessivo (senza oggetto,ma con termine riflessivo), e infine un uso intransitivo assoluto (senza oggettoné termine). Per quel che riguarda lo “spettro” dei correlati delle subordinazio-ni, si tenga presente che, tanto per ‘communis’, quanto per ‘communico’ e‘communicatio’, gli elementi che abbamo contrassegnato con “X” ed “Y” sonoperlopiù persone o cose (o anche entità astratte, ma considerate come cose),mentre gli elementi che abbiamo contrassegnato con “Z” sono perlopiù qualitàcaratteristiche, attività, beni o perfezioni in generale.

Classificando e generalizzando i correlati di ‘communico’ (e in paral-lelo di ‘communicatio’), ricaviamo una struttura logica analoga alla prece-dente.

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Principali costruzioni sintattiche di ‘communico’ e ‘communicatio’

{A} COSTRUZIONI TRIADICHE

X o Y = soggetti perlopiù sussistenti e propri; Z = oggetto formale, potenzialmente comune

1. COSTRUZIONE TRANSITIVA DIREZIONALE (O VETTORIALE)iste X COMMUNICAT hoc Z [=accusativo] illi Y [=dativo]hoc Z COMMUNICATUR ab isto X illi Y+ COMMUNICATIO huius Z [=genitivo]

2. COSTRUZIONE SEMITRANSITIVA (NON VETTORIALE)iste X et ille Y COMMUNICANT in hoc Z [=ablativo]iste X COMMUNICAT hoc Z cum illo Yhoc Z COMMUNICATUR omnibus X et Y [= dativo, non di termine]+ COMMUNICATIO huius Z cum illo Y, vel inter X et Y

3. COSTRUZIONE RIFLESSIVA (VETTORIALE)iste X COMMUNICAT se illi Y+ COMMUNICATIO sui illi Y

COSTRUZIONE INTERMEDIA TRA {A} E {B}X ed Y = soggetti (nature, o sostanze materiali o spirituali); Z (al plurale) = beni o proprietà

4. COSTRUZIONE TRANSITIVA BIDIREZIONALEiste X et ille Y COMMUNICANT sibi haec Z= iste X COMMUNICAT hoc Z’ illi Y, et ille Y COMMUNICAT hoc Z’’ isti X(haec Z’ et Z’’ COMMUNICANTUR inter X et Y) [non attestata in Tommaso]+ COMMUNICATIO idiomatum (vel proprietatum) istius X et illius Y

{B} COSTRUZIONI DIADICHE O MONADICHE

X ed Y = soggetti spirituali (nella costruzione 6: cristiani); senza Z (nemmeno implicito)

5. COSTRUZIONE SEMIRIFLESSIVA (direzionale senza complemento oggetto)5a. Unidirezionale

iste X COMMUNICAT cum illo Y [in senso simile al bidirezionale]+ COMMUNICATIO ad alios Y, vel cum aliis Y

5b. Bidirezionaleiste X et ille Y COMMUNICANT sibi ad invicem+ COMMUNICATIO ad invicem, vel inter X et Y

6. COSTRUZIONE INTRANSITIVA ASSOLUTAiste X COMMUNICAT [senza ulteriori complementi diretti]+ COMMUNICATIO [senza ulteriori complementi]

Per quel che riguarda infine lo “spettro” dei correlati per coordinazio-ne, si considerino – a titolo di esempio – tutte quelle di ‘communico’ me-

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diate da ‘vel’, che hanno perlopiù valore di sinonimia, o a volte di antoni-mia o di tassonimia (secondo quanto si dirà nel seguente capitolo).

Correlazioni coordinative di ‘communico’ mediante ‘vel’Il grassetto segnala la parola chiave (il lemma ‘communico’).Il sottolineato segnala la parola correlante (il lemma ‘vel’).Il corsivo segnala la parola di volta in volta correlata.

• si unum multiplicatur vel communicatur, et reliquum [1SN 2.1.4 ag 2].

• aliquis in distribuendo vel communicando, mensuram aequalitatis justitiae servat [1SN 19.5.1ra 4].

• dicitur Deus homines dilexisse secundum propositum communicandi vel concedendi homini-bus suam visionem [3SN 19.1.5a ra 2]

• homines alienis peccatis communicant: vel expresse consentiendo, aut per adulationem lau-dando, vel saltem dissimulando [SCG# 3.132.21].

• in hoc quod est accipere vel communicare naturam divinam, non attenditur differentia nisisolum secundum relationes [QDP 9.9 ra 16].

• spiritualia bona non sunt retinenda, sed communicanda; non tamen est idem modus habendiaut communicandi ea, sicut habentur vel communicantur possessiones [QDM 13.1 ra 8].

• est tamen essentia per generationem accepta vel communicata [OS4 11].

• homo non potest auxilium daemonis vel alteri gratis communicare vel etiam vendere [CIO#40].

E ora, con le aspettative suscitate da tutte queste considerazioni, pos-siamo passare ad esaminare il piano dei significati.

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4. IL LIVELLO SEMANTICO DEI SIGNIFICATI

4.1 IL SISTEMA GENERATIVO CONCETTUALE

• Le parole hanno un significato primo, che poi si può allargare nel “cono se-mantico” e articolare sul “piano gerarchico”.

1. La lessicografia è l’arte di descrivere semanticamente l’uso del les-sico di una lingua (come il latino scolastico) o di un autore (come Tom-maso), interpretandone cioè le parole, ed eventualmente tradurle nella lin-gua e nella cultura di qui ed ora.

La lessicologia semantica è la sistemazione organica dei significatidelle parole del lessico. Un presupposto fondamentale della lessicologiacosì intesa è che ogni parola ha sempre un significato primo da cui even-tualmente discendono progressivamente, allargandosi a cerchi concentrici,altri significati secondari, quasi come in un «cono semantico» 1.

Il linguaggio naturale in genere, e quello filosofico in specie, sono ca-ratterizzati dalla pluralità di significati che una parola può assumere, plu-ralità che però in filosofia tende ad assumere il carattere di analogia, in rife-rimento ad un significato primo (quasi princeps analogatum). Le parole sidicono infatti per prius e per posterius.

L’equivoco può nascere in generale per l’ambiguità (a volte eliminabile, avolte ineliminabile) morfologica, o sintattica, o semantica del discorso. L’equi-vocità verbale consiste nella omonimia (per omografia o per omofonia, e quin-di solo sul piano morfologico) tra forme di lemmi diversi. L’univocità verbaleè la caratteristica delle parole che hanno un solo significato preciso (sono ov-viamente sempre univoci i nomi propri e le cifre; tendono ad essere sempreunivoci i termini “tecnici”, specialmente quelli delle scienze esatte).L’analogia verbale è la caratteristica della maggior parte delle parole, e inparticolare di quelle comuni e universali, che esprimono le nozioni precatego-riali.

1 Roberto BUSA, Inquisitiones lexicologicae in Indicem Thomisticum, Gallarate -

Milano, CAEL 21994 [testo latino con traduzione inglese a fronte], p. 56. Questa tesi,di chiara derivazione aristotelica [si pensi al primo capitolo del libro Γ e a tutto il libroΔ della Metafisica], è attualmente condivisa anche da semiologi come Umberto Eco.

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La ricerca di questo significato primo e di tutti i significati conse-guenti è lo scopo del lessicografo, che per questo ne analizza la strutturalogica e la geografia semantica.

2. La struttura logica del significato di una parola è testimoniata dallasua valenza sintagmatica e dallo spettro dei significati delle parole che conessa si costruiscono (in base alle correlazioni grammaticali subordinative).

Ad esempio, dai possibili costrutti di ‘comune’ (“Tizio ha in comune conCaio la passione per il calcio”, oppure “la passione per il calcio è comune a Ti-zio e Caio”) ricaviamo che la struttura logica del suo significato è diadica: in-dica una relazione tra un un oggetto (o caratteristica) e due soggetti distinti.

3. La geografia del significato di una parola è invece testimoniatadalle relazioni logiche di equivalenza, esclusione ed implicazione tra talesignificato e i significati di altre parole gerarchicamente connesse; perciòuna nozione (come quella di comunicazione) non è espressa da una solafamiglia di lemmi (come quella di ‘-communic-’), ma indirettamente ancheda tutti i loro sinonimi, antonimi e tassonimi, che costituiscono comples-sivamente il sistema generativo concettuale.

Tale geografia non è solo necessaria per penetrare nel significato delleparole, ma anche per raccogliere e concordare tutti i contesti in cui è espressoun certo contenuto semantico: ad esempio, se si volessero raccogliere tutti i te-sti in cui Tommaso parla esplicitamente di Aristotele occorrerà non solo cerca-re ogni occorrenza di ‘Aristoteles’, ma anche di ‘Philosophus’, e addiritturaanche di ogni titolo delle sue opere; e se si vuole cercare tutto ciò che Tomma-so ha detto sull’eucaristia, non basterà cercare ‘eucharistia’, ma occorrerà cer-care anche ‘sacramentum altaris’ (suo sinonimo), come pure‘transubstantiatio’, ‘consecratio’, ‘sacrificium’, ‘communio’ (che possono es-sere suoi tassonimi); e se si volesse cercare la dottrina tommasiana su quellache noi oggi chiamiamo infallibilità del magistero ecclesiastico, dovremmoprima cercar di capire quali parole esprimessero allora tale concetto.

4. Il significato di una parola si determina (e quindi si delimita) graziealla relazione, inversamente proporzionale, tra l’estensione e l’intenzione 2:un significato più intenso si potrà riferire a meno cose.

2 Un tentativo di formalizzare ed informatizzare questa classica legge (detta im-

propriamente di Port Royal) nella “organizzazione delle conoscenze” è la recente teo-ria dei reticoli concettuali (“Concept Lattices”), che intende come concetto formalel’unione di oggetti (estensioni) ed intersezione di proprietà (intenzioni), le quali sonoconsiderate (pragmaticamente e atomicamente) come il darsi o il non darsi di una de-terminata condizione.

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Per l’interpretazione metafisica di questa legge possiamo richiamare ledue diverse istanze “platonizzante” e “aristotelizzante”: la prima, avendo comeideale la comunanza, ritiene più perfetta la caratteristica più estesa (quindiprima l’unità, poi l’essere, il vivere, il pensare); la seconda istanza, invece,avendo come ideale la peculiarità, ritiene al contrario più perfetta la caratteri-stica più intensa (cioè il pensiero). La comunicazione, in quanto connessioneirriducibile di comunanza e peculiarità, è la struttura originaria che permette lacompenetrazione e il superamento delle due diverse istanze. Del resto le no-zioni trascendentali come quella d’essere (essendo – in senso tommasiano –analoghe) hanno il massimo d’estensione e implicitamente anche il massimod’intenzione.

• La sinonimia consiste nella equivalenza semantica (mai totale) tra parole.1. La sinonimia è il rapporto di equivalenza semantica tra lemmi o

sintagmi. Si dicono dunque sinonimi due lemmi intercambiabili nell’uso;una tale intercambiabilità è sempre però limitata ad alcuni ambiti ed usi.

Ad esempio, ‘capo’e ‘testa’ sono in italiano sinonimi e, quindi, ordina-riamente intercambiabili; nondimeno il ‘capo dello Stato’ non è la ‘testa delloStato’, e Cristo è detto ‘capo’ – e non ‘testa’ – ‘della Chiesa’; si marcia ‘allatesta del corteo’, ma si è ‘a capo di un’organizzazione’; per una forte emozionesi può ‘perder la testa’, e scrivendo si può ‘andare a capo’; e così via.

2. Infatti, per una fondamentale legge di economia, che chiamiamolegge degli indiscernibili linguistici, due lemmi assolutamente e sempre si-nonimi sarebbero in realtà lo stesso lemma. Per la legge inversa, che pos-siamo chiamare legge di discernimento linguistico, due lemmi che inizial-mente avessero la stessa denotazione, per il fatto d’essere lessicalmente di-versi finirebbero per esprimerne una diversa connotazione.

In italiano ‘causa’ e ‘cosa’ erano originariamente due varianti fonetiche egrafiche dello stesso lemma (il latino ‘causa’), ma proprio questa diversità hafatto sì che differenziassero la propria eredità semantica. Oppure, ‘destra’ e‘diritta’ sono decisamente sinonimi, ma il primo è d’uso ordinario, il secondoinvece suona arcaico e ricercato.

A motivo della legge di discernimento linguistico, i lemmi che risul-tano sinonimi in un uso, possono per altri usi essere almeno debolmenteantonimi.

Così ad esempio ‘communicare’ e ‘dare’ sono sinonimi per indicare ladonazione, ma sono antonimi quando si tratta di specificare se il donatore con-serva quanto ha donato (e allora comunica) o no (e allora non comunica, madà).

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Ne consegue che la padronanza di una lingua consiste nella capacità diapprezzarne e distinguerne i sinonimi e gli antonimi 3. E poiché scientiaesecantur in res, e in generale i campi semantici di un lessico si ritaglianosulle possibili differenti percezioni della complessità della realtà, la lorolessicografia è una forma di logografia.

3. Ai sinonimi possono essere accostati due altri fenomeni semantici:la definizione è la locuzione che identifica il significato di una parola (e chenel discorso è attribuita ad essa mediante ‘est’ o ‘dicitur’); le caratteristi-che semantiche sono le locuzioni che esprimono la differenza specifica o leproprietà del significato della parola in questione.

• L’antonimia consiste nella relazione di opposizione semantica (contraria o re-lativa) tra parole, che le determina.

1. L’antonimia è la relazione di opposizione semantica (dall’esclusio-ne alla semplice differenziazione) tra due lemmi o loro sintagmi. Si diconodunque antonimi i lemmi logicamente opposti, secondo vari tipi di opposi-zione logica e semantica.

Se gli antonimi indicano le due estremità o direzioni di un segmentosemantico, allora sono contrari mediati; se indicano le due sole possibilipartizioni di un campo semantico determinato, allora sono contrari imme-diati o complementari in quel genere; se invece invece indicano le due solepartizioni dell’intero universo semantico, allora sono assolutamente contra-ri, o contraddittori (ovviamente immediati). La contrarietà mediata è sem-pre graduabile con valori intermedi tra i due antonimi; checché se ne dica,anche la contrarietà immediata è a volte graduabile, ma all’interno di unodei campi antonimi 4.

3 Per la lingua italiana cf il classico (e in gran parte insuperato) Dizionario dei si-

nonimi della lingua italiana di Niccolò TOMMASEO.4 Per la recente discussione linguistica e semiotica delle opposizioni semantiche

(segnalate convenzionalmente da ‘vs’, cioè ‘versus’) cf John LYONS, Introduction toTheoretical Linguistics, London, Cambridge University Press 1968; trad. it. di ElenaMannucci e Francesco Antinucci, Introduzione alla linguistica teorica, Bari, Laterza1981, 3 vol. [cf in particolare il capitolo 10 sulla semantica (la sezione 10.4 trattadell’antonimia, intesa come opposizione graduata, separandola però da quella com-plementare, oltre che da quella inversa)]; Umberto ECO, Trattato di semiotica gene-rale, Milano, Bompiani 1975, 151995 [cf in particolare i capitoli 2.8 (sul sistema se-mantico e le antonimie), 2.9-13 (sempre sulla semantica) e 3.8 (su metonimia e meta-fora)]. Comunque, la trattazione delle opposizioni nel decimo capitolo (d’origine, operlomeno d’ispirazione, aristotelica) delle Categorie rimane tuttora valida e fon-damentale.

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Ad esempio, sono contrari non complementari ‘vicino’ e ‘lontano’ (fra icui estremi, il ‘meno vicino’ corrisponde al ‘più lontano’); sono contrari com-plementari ‘laico’ e ‘chierico’, o ‘celibe’ e ‘sposato’; sono contraddittori ‘ente’e ‘nulla’, o ‘morale’ e ‘amorale’ (che indica tutto ciò che non è morale, anchefuori della sfera pratica). Sebbene tra ‘ente’ e ‘niente’ ci sia la massima oppo-sizione immediata, nondimeno si dà una gradazione nell’essere e nel non esse-re; similmente, ci sono diverse gradazioni semantiche di ‘celibe’: infatti,all’interno del comune significato di “non sposato”, occorrerà distinguere trachi è fidanzato, chi è in ricerca, chi è celibe di fatto e chi è celibe per scelta oper vocazione; infine, i ‘chierici’ dovranno essere distinti secondo i tre gradidell’ordine sacro.

Se gli antonimi sono sullo stesso piano, sono paritetici; se invece nonsono sullo stesso piano, ma sono sbilanciati, allora uno è semanticamenteoriginario (in quanto significativo di per sé, e non è propriamente antonimodell’altro) e l’altro derivato, ad esempio per privazione (come antonimoprivativo).

Sono antonimi paritetici ‘destra’ e ‘sinistra’, ‘vicino’ e ‘lontano’, ‘supe-riore’ e ‘inferiore’ (infatti non potrebbe esserci l’uno senza l’altro). Sono anto-nimi privativi (oltre al classico ‘cieco’ rispetto a ‘vedente’) anche – in unacerta visione metafisica – ‘niente’, ‘falso’, ‘cattivo’, ‘brutto’ (rispetto a ‘ente’,‘vero’, ‘buono’, ‘bello’).

2. Sebbene tutte le precedenti antonimie (tra parti dello stesso seg-mento o campo semantico) implichino già una relazione, tuttavia si diceantonimia relativa quella che esprime l’opposizione tra concetti apparte-nenti a campi diversi e connessi propriamente soltanto mediante una rela-zione.

Ad esempio, sebbene ‘vicino’ e ‘lontano’ siano termini relativi, perchénon può esserci l’uno senza l’altro, tuttavia essi esprimono in maniera assolutadue direzioni e due estremità del medesimo segmento semantico, ossia della“distanza rispetto a un punto di riferimento”; per ipotesi paradossale, si po-trebbe decidere di abolire ‘vicino’ e di sostituirlo con ‘non lontano’ (come delresto nella neolingua descritta in 1984 da Orwell, ‘cattivo’ era sostituito da‘sbuono’). Invece, ‘scienza’ e ‘scibile’, o ‘moglie’ e ‘marito’, o ‘genitore’ e‘figlio’ non sono parti dello stesso campo semantico, e quindi gli uni non sonosostituibili semplicemente con una negazione degli altri, ma ciascuno è signifi-cativo solo in relazione all’altro.

Anche gli antonimi relativi sono o paritetici, o sbilanciati. Ai primipossiamo assimilare gli antonimi inversivi, ossia quelli che esprimono lostesso atto da diversi punti di vista.

Sono relativi in maniera sbilanciata ‘genitore’ e ‘figlio’, o ‘creatore’ e‘creatura’ (sebbene infatti uno sia detto ‘genitore’ perché ha generato un figlio,

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e Dio sia detto ‘creatore’ perché ha creato le creature, tuttavia la loro esistenzanon dipenderebbe da questo). Sono invece relativi paritetici (inversivi) ‘com-prare’ e ‘vendere’, o in latino ‘communicare’ e ‘accipere’ (o ‘participare’).

3. Per la lessicografia e logografia, l’antonimia è un fenomeno impor-tantissimo, perché ogni concetto (e quindi il significato di ogni parola) sidetermina in relazione e in opposizione ad altri: in senso linguistico (nonquindi necessariamente ontologico), omnis determinatio est negatio. Dun-que, all’interno della terminologia filosofica o teologica (logonomastica) –che non è mai del tutto univoca, ma sempre analoga, e fluttuante, il che ge-nera non poco sconcerto nel principiante –, per capire bene il significato diun termine, occorre prima precisare in opposizione a quale antonimo.

Ad esempio, la parola ‘natura’ significherà cose diverse se la opponiamoa ‘persona’, o a ‘voluntas’, o ad ‘ars’, o a ‘gratia’: nel primo caso (dicendo adesempio che in Dio c’è un’unica natura in tre persone), ‘natura’ significherà“comunanza ontologica” o “essenza”; nel secondo caso, ‘natura’ indicherà ilcampo di ciò che è condizionato ontologicamente o fisicamente, in opposizio-ne al campo della libertà; nel terzo caso, ‘natura’ indicherà (all’interno delcampo di tutto ciò che è condizionato fisicamente) l’insieme degli esseri vi-venti e non viventi che si producono e riproducono da sé, in opposizione alcampo della produzione umana; infine, nel quarto caso, ‘natura’ indicherà ilfondamento che l’uomo ha per creazione, ‘gratia’ invece ciò che è“superadditum”, e quindi non dovuto nell’ordine di creazione. Il significatoquindi di una parola cambia a seconda dell’antonimo.

• La tassonimia (classificatoria, componenziale o funzionale) è la relazione com-plessa di implicazione semantica tra parole (distinte come iperonimi, iponimi, pe-rionimi).

1. La tassonimia è la struttura logica ad albero che ordina le parole (omeglio, i loro significati) secondo rapporti di implicazione.

A partire dalla diairesis platonica e dalla classificazione aristotelica, at-traverso l’albero di Porfirio e la disputa sugli universali, fino ad oggi, la tasso-nimia ha fatto discutere i filosofi, oltre che i linguisti 5. Una potente teoria filo-sofica e linguistica della tassonimia può essere desunta dalla dottrina tomma-siana della triplice divisione gerarchica, come «divisio» cioè «totius integralis

5 Cf Umberto ECO, L’antiporfirio, in Gianni VATTIMO (ED.), Il pensiero debole,

Milano 1983, p. 52-80; per una aggiornata presentazione dell’Isagoge porfiriana (e delcosiddetto “paradigma onto-henologico”), cf Giuseppe GIRGENTI, Introduzione e ap-parati a PORFIRIO, Isagoge, testo greco a fronte, Milano, Rusconi 1995.

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in partes», oppure «generis in species», oppure «totius potestativi in partespotentiales» 6.

Quando la tassonimia è giustificata e completa, ossia tale che dalla suastessa articolazione si capisca che “è così e non può essere altrimenti”, essaesprime un’idea di sistema, la cui funzione è molto importante per la lessi-cografia filosofica e teologica.

Ad esempio, censire la tassonimia completa delle passioni o delle virtù, oquella delle scienze in un autore come Tommaso ci può manifestare il suo si-stema etico e la sua visione del mondo. Poiché accade che le tassonimie com-plete fornite di volta in volta da un autore spesso non coincidano, si tratterà distabilire se le variazioni siano una evoluzione diacronica del rispettivo sistema,oppure siano semplicemente varianti omologhe o perlomeno reciprocamentecompatibili. In tal caso, si potrà procedere ad integrare tutte le tassonimie va-rianti compatibili, fino ad ottenere una tassonimia completa globale, chel’autore non ha mai tracciato nella sua interezza, ma che tuttavia è sua. Talemetodo risulta molto fecondo nello studio delle classificazioni delle scienzedegli autori medievali (particolarmente felice è il caso di Bonaventura).

2. Si dicono tassonimi i lemmi o sintagmi gerarchicamente disposti: sidistinguono sia per il grado gerarchico sia per il tipo di gerarchia.

Per il grado si distinguono in iperonimi, iponimi, e quelli che chia-miamo perionimi. Data una parola chiave, la parola che le è gerarchica-mente superiore ne è l’iperonimo; le parole che le sono gerarchicamenteinferiori ne sono gli iponimi; le parole che le sono gerarchicamente affian-cate (così da avere tutte lo stesso iperonimo) ne sono perionimi, e quindi –o propriamente, o impropriamente – antonimi.

Per tipo di ordinazione, distinguiamo le tassonimie in classificatorie,componenziali e funzionali.

3. La tassonimia classificatoria, che divide una totalità generale inparti speciali, è il corrispettivo linguistico dell’albero di Porfirio: data unaparola chiave (comune), l’iperonimo generale ne indica il genered’appartenenza; i perionimi congeniali le altre specie del genere; gli iponi-

6 2SN 9.1.3 ag 1 (a proposito della gerarchia angelica). Cf anche ra 1 (che ripren-

diamo nella trattazione): «universale enim est secundum essentiam et completam vir-tutem in qualibet sua parte, unde de omnibus aequaliter praedicatur; sed integrale necest secundum essentiam nec secundum virtutem totam in unaquaque suarum partium,et ideo nullo modo de parte praedicatur; sed totum potentiale adest quidem secundumessentiam cuilibet parti, sed secundum completam virtutem est in parte suprema, quiasemper superior potentia habet in se completius ea quae sunt inferioris». Tommaso faampio uso dei tre tipi di divisione [soprattutto in ST2-3] per classificare passioni e di-sposizioni dell’anima.

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mi speciali, le specie in cui si suddivide ulteriormente, fino all’eventualeiponimo infimo, che è nome proprio di individuo.

Ad esempio, ‘gatto’ ha come iperonimo generale ‘felino’ (di cui è ovvia-mente iponimo speciale), mentre a sua volta ha come iponimi speciali‘soriano’ o ‘siamese’, e così via, e può avere come iponimo infimo ‘Felix’.Similmente ‘villa’ e ‘condominio’ sono iponimi speciali di ‘edificio’.

La tassonimia classificatoria

A Edificio

B1 Condominio B2 Villa B3 Palazzo …

C Palazzo Barberini

A è iperonimo generale rispetto a tutti i B, che a loro volta sono tutti iponimi speciali di A.

B1, B2 e B3 sono fra loro perionimi congeniali.

C è iponimo infimo o singolare di B3.

La caratteristica di tale tassonimia è che l’iperonimo generale (il cuisignificato è sempre meno intenso e più esteso) si predica universalmentedell’iponimo speciale (il cui significato, essendovi incluso, ne è più intensoe meno esteso); viceversa, l’iponimo si può predicare dell’iperonimo soloin particolare.

Ad esempio, ogni uomo è animale; ma solo qualche animale è uomo.La specificazione dell’iperonimo può avvenire in due modi: il primo, è

la “decisione” dall’alto e a risposta chiusa tra avere o non avere una datacaratteristica (come nella diairesis platonica, o in un “diagramma di flus-so”); il secondo è l’inventario dal basso di gruppi omogenei di differenze(come perlopiù nella classificazione aristotelica 7).

Nel primo caso, i perionimi sono tra loro propriamente antonimi com-plementari (e viceversa, gli antonimi complementari possono essere conside-

7 ARISTOTELE [cf De partibus animalium, 2-3] a volte critica, a volte però adopera

la diairesis di tipo platonico [proposta nel Sofista].

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rati perionimi congeniali); nel secondo caso, invece, sono tra loro solo debol-mente e impropriamente antonimi.

La classificazione è di tipo logico e convenzionale e non presupponenecessariamente un ordinamento ontologico tra le realtà.

Che infatti ci sia una implicazione logica non comporta che ci sia ancheuna implicazione ontologica (causalità): anche l’effetto implica logicamente lacausa, ma non la implica certo ontologicamente.

4. Il secondo tipo di tassonimia è quella componenziale, che divideuna totalità intera (espressa da un iperonimo che chiamiamo integrale) inparti integranti (espresse da iponimi che chiamiamo integranti e che tra lo-ro sono perionimi connessi).

Così ‘gatto’ ha come iponimi integranti ‘coda’, ‘zampa’, ‘muso’ e cosìvia; mentre ‘edificio’ ha ‘tetto’, ‘piano’, ‘pareti’ e così via.

La tassonimia componenziale

A Edificio

B1 Fondamenta B2 Mura B3 Tetto …

A è l’iperonimo integrale di tutti i B, che a loro volta sono tutti iponimi integranti di A.

B1, B2 e B3 sono reciprocamente perionimi connessi tra loro.

La caratteristica di questa divisione è che l’iperonimo integrale (e lasua definizione) non si predica dei singoli iponimi integranti (ma semmaidella loro somma completa), né viceversa.

Ad esempio, né la casa è parete, né la parete è casa, ma la casa è le pareti,più le fondamenta, più il tetto, più i piani…

Spesso le elencazioni di oggetti contigui (localmente o metaforica-mente) possono essere considerate come una tassonimia componenziale.

Ad esempio dicendo che “su questo tavolo ci sono penne, carte e matite”,‘penne’, ‘carte’ e ‘matite’ sono perionimi connessi di un supposto iperonimosottinteso, indicante l’insieme integrale di tutti gli oggetti che sono sul tavolo.

5. Il terzo tipo di tassonimia è quella funzionale, che si applica non acose, ma a funzioni, dividendo (o meglio articolando) una funzione gene-rale (o totalità potestativa) in funzioni particolari (o parti potenziali). Ca-

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ratteristica di tale tassonimia – media tra le prime due – è che l’iperonimofunzionale si predica dell’iponimo, ma in modo imperfetto, perché consistenella somma completa degli iponimi.

La tassonimia funzionale

A Edificio

B1 Primo fabbricato B2 Secondo fabbricato …

A è l’iperonimo funzionale di tutti i B, che a loro volta sono tutti iponimi integranti di A.

B1 e B2 sono reciprocamente perionimi funzionali tra loro.

Un esempio poco appropriato di tassonimia componenziale (perché rife-rito ad oggetti materiali, sebbene presi nella loro funzionalità), ma utile al con-fronto con gli esempi dati per i precedenti tipi, è quello di un edificio comples-so, in cui ogni fabbricato che lo compone è edificio, ma non è tutto l’edificio.Un esempio invece molto più rilevante è quella del sistema delle scienze, e inparticolare di quelle filosofiche. Da una parte, infatti, la filosofia è (secondo ladivisione accademica, fatta propria da Agostino) o naturale, o razionale, o mo-rale; oppure (secondo la divisione aristotelica) è o teoretica, o pratica, artico-landosi quindi quasi per specie (come già faceva notare Boezio); d’altra parte,però, la filosofia è la totalità integrale delle sue parti.

La tassonimia componenziale è particolarmente adatta ad articolare con-cetti ed “oggetti” filosofici e teologici: ad esempio, l’anima, che è in ciascunadelle sue facoltà, ma che è la totalità di esse; o la Chiesa (nella sua dimensioneuniversale e particolare): ogni Chiesa particolare è infatti totalmente Chiesa,ma non è tutta la Chiesa.

• La sineddoche e la metonimia sono i tropi che modificano la tassonimia, ri-spettivamente in linea retta o in linea obliqua, mentre la metafora interrompe lacontinuità gerarchica tra campi semantici.

1. La sineddoche è il tropo (o procedimento retorico) che stringe o al-larga la tassonimia, adoperando l’iperonimo per l’iponimo o viceversa.

Ad esempio, si verifica una sineddoche adoperando l’iperonimo generaleper l’iponimo speciale (come dire ‘mortali’ per intendere i soli ‘uomini’) ol’iponimo speciale per intendere l’iperonimo generale (come dire ‘pane’ per

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intendere il ‘cibo’ in generale); oppure adoperando l’iperonimo integrale perl’iponimo parziale (come dire che si è rotta l’‘automobile’, per dire che si èrotto il ‘motore’) o l’iponimo parziale per l’iperonimo integrale (come dire chesi è senza ‘tetto’ per intendere che si è senza ‘casa’).

2. La sineddoche tra un iperonimo generale (che è sempre un nomecomune) e l’iponimo infimo (che è invece un nome proprio, ossia incomu-nicabile) è l’antonomasia: quella discendente usa il nome comune come sefosse proprio; quella ascendente usa il nome proprio come se fosse comune(il che lascia supporre che geneticamente né il nome proprio sia il restrin-gimento del nome comune, né il nome comune sia l’allargamento del nomeproprio, ma che proprietà e comunanza siano cooriginarie anche nella co-municazione linguistica).

Ad esempio, nell’uso corrente di Tommaso è antonomasia discendente di-re ‘Philosophus’ per indicare Aristotele, o ‘Commentator’ per indicare Aver-roè, o ‘Apostolus’ per indicare Paolo, o ‘Sapiens’ per indicare Salomone; èantonomasia ascendente dire ‘Socrates’ e ‘Plato’ per indicare un uomo qua-lunque. Un’antonomasia discendente che è dottrinalmente interessante per ilconcetto di Comunicazione è l’uso del nome ‘deus’ (che essendo nomen natu-rae sarebbe di per sé comunicabile, anche se poi è incomunicabile perché esi-ste un solo soggetto di tale natura).

3. Mentre la sineddoche allarga o restringe il significato di una parolasalendo o scendendo di grado in una medesima tassonimia (ossia in linearetta), invece la metonimia modifica il significato di una parola, facendolo“passare” a quello di un’altra, detta metonimo (saltando, per così dire, inlinea obliqua dal ramo di un albero semantico al ramo di un altro), in virtùdi una relazione di contiguità o connessione semantica tra le due: ad esem-pio, scambiando la causa per l’effetto, il contenente per il contenuto, lamateria per l’oggetto, e così via.

Ad esempio, per metonimia si chiama ‘metaphysica’ la filosofia prima(attribuendo cioè alla disciplina il nome dato ai libri aristotelici che ne tratta-no), o si attribuisce al “cielo” (al limite del mondo visibile) il “luogo” di Dio.

4. Si dice metafora l’associazione (spesso in subordinazione sintattica)di due parole o locuzioni, appartenenti a due campi semantici di per séestranei, che dunque vengono (più o meno inaspettatamente) ad interferire,segnando una interruzione nella continuità gerarchica, ma anche rinviandoad un parallelismo, evidente o nascosto, istituito tra i due campi. In talmodo, dunque, la metafora “fa pensare”, con un notevole effetto allusivo oinquietante. La metafora può essere esplicitata e spiegata in una similitudi-ne di rapporti.

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L’associazione metaforica può essere semplice (riducibile cioè a unacorrelazione grammaticale elementare diretta) oppure complessa. Le meta-fore semplici possono essere distinte – dal punto di vista grammaticale – inpredicative o sintagmatiche, e – dal punto di vista logico – in metafore diparallelismo (se evidenziano l’aspetto di identità fra elementi di campi di-versi) o interferenza (se evidenziano invece l’aspetto di differenza tra glistessi). Le metafore possono poi essere esplicitamente motivate (quando sene fornisce la chiave), oppure lasciate alla interpretazione del lettore.

Le metafore sono predicative quando l’associazione fra le due parole èrealizzata mediante la copula o altro tipo di predicazione per identità, comequando si dice: “il mare è un olio”, o “la sapienza è un lume”; sono invece sin-tagmatiche (dette comunemente sintattiche), quando la metafora è espressa daun sintagma in una subordinazione sintattica vera e propria, come quando sidice: “capelli d’oro”, “il tempo corre”, o “il lume della sapienza”. Nella meta-fora predicativa viene evidenziato di più il parallelismo fra i due campi se-mantici; in quella sintagmatica, invece, l’interferenza. Tuttavia ci sono anchemetafore cripto-predicative, ovvero che pur essendo grammaticalmente sin-tagmatiche, esprimono però metafore logicamente predicative, quando cioè ilrapporto sintattico può essere sciolto in una predicazione, come nel caso dellemetafore al genitivo dichiarativo: ad esempio “il lume della sapienza” potrebbeequivalere a “quel lume che la sapienza è”. L’ambiguità rende le metaforecripto-predicative più suggestive di quelle predicative manifeste (sebbene que-ste siano più chiare). Le metafore sintagmatiche non motivate sono dunque an-cora più suggestive e allusive.

Per intendere logicamente la metafora occorre comprendere il proces-so di trasposizione semantica che la connette (pur nella differenza) alla si-militudine.

Formula generale della trasposizione metaforica

SIMILITUDINE METAFORE (tra parentesi)

(A ⋅ β) = (B ⋅ α) PER INTERFERENZA

A :: B ≈ α :: β

(A ≡ α) = (B ≡ β) PER PARALLELISMO

1° campo 2° campo

La similitudine ha quattro (o più) elementi, legati da uguaglianza dirapporti. Come nelle proporzioni aritmetiche, gli elementi della similitudi-

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ne possono combinarsi diversamente, mantenendo l’uguaglianza dei rap-porti.

La metafora avviene appunto quando si trasportano gli elementi dellasimilitudine da un campo all’altro, così da far interferire elementi di duecampi semantici diversi.

Formula delle equazioni metaforiche

A :: B ≈ α :: β similitudine completa, e quindi definita

X :: B ≈ α :: β similitudine ad una incognita, e quindi definibile

X :: B ≈ α :: Y similitudine a due incognite, e quindi indefinitaX :: B ≈ Y :: β

Quando nel discorso sono presenti tutti e quattro gli elementi in rela-zione, abbiamo la similitudine espressa; quando invece uno di essi è as-sente, abbiamo invece implicitamente una equazione metaforica, così arti-colata: i due elementi metaforici (uno “interno” e l’altro “estraneo” al cam-po semantico in cui si sta giocando il discorso), un terzo elemento che è la“chiave” della metafora, e un quarto elemento, implicito, che è l’incognita,ovvero il “senso” della metafora.

La metafora è motivata se la chiave è esplicita; la metafora è non moti-vata se anche la chiave è implicita. In tal caso a volte è facile ricostruirla dalcontesto o dall’uso consolidato della metafora; a volte invece è possibile solotracciare una gamma di elementi che potrebbero assolvere allo scopo. Proprioin questo caso abbiamo il massimo effetto poetico.

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Soluzione delle equazioni metaforiche

• Soluzione della equazione metaforica per interferenza

X = B ⋅ α B⋅α è la metafora per interferenza; β è la chiave; X è il senso nascosto β

Esempio: “il tempo corre”.

È riconducibile alla equazione metaforica:“Come l’uomo corre, così il tempo … X”,in cui per nominare il passaggio temporale (elemento a noi incognito) si

ricorre alla metafora per interferenza (“il tempo corre”) rispetto ad una chiave esplicita o implicita (ad esempio “uomo”):

X [passaggio del tempo] = “il tempo corre” / come l’uomo

• Soluzione della equazione metaforica per parallelismo

X = (A ≡ α)[β] A ≡ α è la metafora per parallelismo; X è il senso nascosto; β la chiave.

Esempio: “il tempo è denaro”.È riconducibile all’equazione metaforica:

“Come il denaro è prezioso, così il tempo è … X”in cui per descrivere il valore del tempo, anziché predicargli l’attributoproprio (per noi incognito) o l’attributo metaforico (come nella metaforaper interferenza), gli si predica l’elemento corrispondente,alludendo alla chiave.

La metafora ha non solo un valore espressivo, ma anche inventivo econoscitivo: costruendo un modello accessibile per una realtà che (di fattoo di diritto) è inaccessibile, la metafora può aiutare ad esplorare un campomeno noto del mondo fisico, oppure anche a penetrare nel campo ineffabiledel mondo metafisico.

In quest’ultimo caso la metafora linguistica esprime un simbolo, ossiala funzione che lega elementi del mondo fisico, detti simboleggianti (o“simboli” in senso stretto), ad elementi del mondo metafisico, detti simbo-leggiati.

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In teologia, a motivo della Scrittura, non si può non usar le metafore. Infilosofia, come insegna Ricoeur, la metafora, “fa pensare” 8; ma è significativoche anche nelle scienze esatte si faccia spesso ricorso alla metafora (si pensi alruolo che giocano in informatica le metafore biologiche e antropologiche, co-me ‘virus’, ‘memoria’, ‘lettore’…). Metaforica e metafisica sono tutt’altro cheincompatibili: Tommaso stesso, per spiegare che la creatura riceve l’esse daDio, ricorre al paragone del diafano che riceve luce dal sole 9.

Quando una metafora è talmente nota ai locutori da rendere superfluala ricostruzione e la soluzione dell’equazione di similitudine che vi è die-tro, avviene la catacresi della metafora (per cui l’associazione metaforicanon ha più bisogno di una chiave interpretativa) e infine la sua riduzione atraslato (per cui la parola, inizialmente “intrusa” in un campo semanticodiverso dal suo, vi si ambienta talmente bene da acquisirvi stabilmente unsecondo significato, per l’appunto, traslato).

In origine, quando il senso primo e proprio di ‘natura’ era “nascita” equello di ‘cultura’ era “coltivazione”, parlare di ‘natura rerum’ e di ‘culturaanimi’ significava parlare in metafore (i due elementi di ogni sintagma infattiappartenevano a diversi campi semantici); ma successivamente, per catacresi,l’associazione metaforica si è sciolta, e si è semplicemente parlato di ‘natura’ edi ‘cultura’, usando questi lemmi in senso traslato (ossia modificato rispetto alprimo che avevano).

Finalmente, può accadere che il primo senso originario si perda nell’uso,e quello che era il senso traslato divenga il senso primo e proprio. Ad esempio,in italiano ‘cultura’ è solo quella umana, mentre quello che era il senso primo eproprio del lemma è stato dirottato verso il lemma gemello ‘coltura’. Così, initaliano d’oggi parlare di ‘cultura del campo’ (intendendo la coltivazione) suo-nerebbe paradossalmente come una metafora.

.

8 Cf Paul RICOEUR, La métaphore vive, Paris, Seuil 1975 (in particolare l’ottavo

studio); trad. it. e introduzione di Giuseppe Grampa, La metafora viva. Dalla retoricaalla poetica: per un linguaggio di rivelazione, Milano, Jaca Book 1981, p. 337-417.Per Ricoeur, la metafora non è solo il tropo di una parola, associata ad un’altra, ma ècostruita in un contesto-chiave, in cui vive e la cui poesia dà a pensare [cf ibid., p.XVII-XVIII].

9 Cf ST1 104.1 co: «Sic autem se habet omnis creatura ad Deum, sicut aer ad so-lem illuminantem».

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Associazioni metaforiche semplici nel proemio del Breve Principium [OTD 0]

«Rex caelorum et Dominus hanc legem ab aeterno instituit, ut providentiae suae dona ad infimaper media pervenirent. […].Videmus autem ad sensum, a superioribus nubium imbres effluere, quibus montes rigati fluminade se emittunt, quibus terra satiata fecundatur.Similiter, de supernis divinae sapientiae rigantur mentes doctorum, qui per montes significantur,quorum ministerio lumen divinae sapientiae usque ad mentes audientium derivatur.Sic igitur […] quattuor possumus considerare, scilicet: spiritualis doctrinae altitudinem; doctorumeius dignitatem; auditorum conditionem; et communicandi ordinem.

Soluzione delle metafore

• Rex caelorum – traslato [cf ‘Regnum Caelorum’]

X :: caeli ≈ rex :: [regnum]

• terra satiata – catacresi della metafora

X :: terra ≈ satiare :: [animal]

• terra fecundatur – catacresi della metafora

X :: terra ≈ fecundare :: [femina]

• Superna sapientiae – metafora per interferenza

X :: sapientia ≈ superna :: [imbres]

• Superna sapientiae – metafora per parallelismo

X :: sapientia ≈ [imbres] :: superna

• rigantur mentes – metafora per interferenza

X :: mentes ≈ rigare :: montes

• mentes qui per montes significantur – metafora per parallelismo

X :: mentes ≈ rigare :: montes

• lumen sapientiae – metafora per parallelismo

X :: sapientia ≈ [visus…?] :: lumen

• altitudo doctrinae – metafora per interferenza

X :: doctrina ≈ altitudo :: […]

La piena intelligenza delle metafore appena riconosciute sarà indi-spensabile per la stessa comprensione dottrinale del testo.

L’unica metafora predicativa è quella che associa i doctores ai monti: es-sa fornisce anche la chiave interpretativa di quasi tutte le altre. È nello stile di

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Tommaso usar le metafore, ma anche fornirne almeno una chiave, per evitareche ci siano equivoci.

Troviamo poi quattro metafore sintagmatiche: la sapienza divina come lapioggia che scende dai superna (ossia dalle acque sovracelesti) di Dio, e co-stituisce un lumen (secondo una simbologia tradizionale, in quanto fa vederespiritualmente); la doctrina è alta (in quanto superiore a noi e difficile da rag-giungere); le menti umane sono irrigate (e quindi rese feconde).

‘Superna sapientiae’ è però una metafora doppia: essa è insieme sintatticae cripto-predicativa (“le acque sovracelesti da cui viene la sapienza”, e “le ac-que sovracelesti che la sapienza è”). Infatti la similitudine completa (che si puòricavare solo studiando attentamente tutto il sermone) è siffatta: “come le ac-que sovracelesti stanno all’acqua piovana, così la sapienza divina comunicantesta alla sapienza divina comunicata”.

L’espressione ‘terra satiata fecundatur’ originariamente sarebbe stata unadoppia metafora, ma al tempo di Tommaso almeno il verbo ‘fecundo’ si pote-va dire con senso traslato anche della terra.

L’espressione ‘Rex caelorum’ probabilmente risente dell’infusso dellametafora ‘Regnum caelorum’, ma mentre in questa seconda metafora la parola‘caeli’ indicava per metonimia Dio stesso, in quella indica invece l’universoceleste.

5. In tutti i tropi lessicali che abbiamo esaminato opera l’analogia(linguistica, concettuale e, almeno in parte, reale).

Nella sineddoche vige l’analogia di gradazione (ossia la inversa gra-dualità di intenzione ed estensione).

Nella metonimia vige l’analogia di rapporto (o attribuzione) tra un si-gnificato principale e uno o più significati secondari.

Nella similitudine e nella metafora vige l’analogia tra rapporti (oproporzionalità), intesa dalla similitudine come somiglianza, e dalla secon-da come maggior dissimiglianza (tanto nella corrispondenza quantonell’interferenza di elementi diversi). Perciò la metafora è particolarmenteefficace nel discorso apofatico e allusivo sul mistero.

L’analogia di proporzionalità è detta “propria” quando la somiglianza ènella realtà stessa dei quattro elementi; invece è “figurata” quando la somi-glianza è piuttosto nella percezione culturale (o nella connotazione) di essi. Maanche questa aiuta a esplorare i rapporti tra le cose.

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Riepilogo schematico dei tropi della tassonimia

Iperonimo campo semantico sineddoche

Perionimo PAROLA CHIAVE metonimia Metonimo sineddoche

antonomasia metafora Parola

Iponimo estraneaIponimo infimo(individuo)

• Le leggi di catacresi della sineddoche accompagnano la storia dei concetti e dellementalità e regolano l’uso rigoroso della metonimia per la metafisica.

1. In base a quella che possiamo chiamare legge di ridefinizione reci-proca degli elementi in un sistema relazionale, in un sistema in genere enel linguaggio in specie, in cui tutti gli elementi sono in relazione l’uno conl’altro, il cambiamento di (o in) un elemento porta gli altri elementi a rimo-dellarsi specularmente; e il cambiamento di rapporti interni ad un sistemaprovoca anche un cambiamento del rapporto del sistema stesso ad extra.

Ad esempio, in una famiglia in cui viene a mancare un componente, iruoli familiari si ridisegnano diversamente; e una squadra di calcio in cui, du-rante una partita, venga sostituito un giocatore con un altro, si sbilancia – a se-conda dei casi – in attacco o in difesa. Similmente, lo slittamento semantico diuna parola porta a ridefinire tutto il suo sistema lessicale; e così, cambiandomodo di pensare, cambia il modo di parlare, e cambiando il modo di parlare,cambia il modo di pensare; e così cambia anche il modo di agire dei locutori.

L’uso (che a volte può essere anche un abuso) consolidato (catacresi)della sineddoche può alla fine portare alla consunzione e trasformazionedella tassonimia, modificando il modo di parlare, pensare e agire di ungruppo linguistico o culturale, secondo alcune modalità ricorrenti, che qua-si potrebbero assurgere alla regolarità di leggi.

Dagli esempi che seguono (e dall’applicazione che ne faremo in seguitoalla problematica della comunicazione) si nota come la lessicografia non servasolo all’erudizione, ma aiuti a cogliere e interpretare i mutamenti nella Storiadei Concetti e delle Mentalità e a valutarli.

2. In base ad un primo tipo di catacresi della sineddoche (che chia-miamo specializzazione degli iperonimi), l’iperonimo esprimente perfezio-ne viene attratto dall’iponimo principale (quello in cui il gruppo dominante

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di locutori si riconosce); l’iperonimo invece esprimente imperfezione vieneallontanato verso l’iponimo secondario.

Specializzazione degli iperonimi: per attrazione

Uomo [Homo]

Uomo [Vir] Donna

Ad esempio: l’iperonimo generale ‘homo’ si suddivide negli iponimi spe-ciali ‘vir’ e ‘mulier’; ma poi ‘vir’ (in cui si riconosce il gruppo umano ma-schile, che nella storia è stato culturalmente e linguisticamente dominante) haattratto ‘homo’, così che in italiano diciamo che ‘uomo’ è tanto l’iperonimo(che indica l’essere umano) quanto l’iponimo (che indica l’essere umano ma-schio).

Similmente, l’iperonimo generale che nelle diverse lingue cristiane indicail “sacerdote”, e che si suddivideva nelle due specie del “sacerdote ordinato”(ossia il presbitero e il vescovo, che sono sacerdoti in virtù sia del battesimo,sia dell’ordinazione) e del “sacerdote non ordinato” (ossia il laico, che è sacer-dote in virtù solo del battesimo), è stato ben presto attratto dal primo iponimo(in cui si riconosce il gruppo che nella storia della Chiesa è stato linguistica-mente e culturalmente dominante), così che comunemente vien detto‘sacerdote’ solo quello ordinato.

Specializzazione degli iperonimi: per repulsione

{ Cosa (‘Res’) }

Persona Cosa (impersonale)

Così, per motivi analoghi ma inversi ai precedenti, l’iperonimo generale‘res’, sotto cui gli scolastici collocavano ‘persona’, è stato (nella trasformazio-ne nelle lingue e culture moderne) respinto via dagli esseri umani, che ritene-vano disdicevole avere un nome in comune con le cose impersonali.

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Inoltre, l’iperonimo ‘animale’ (‘animal’), comprendente originariamentetanto l’animale razionale (l’uomo), quanto gli animali bruti, è stato respintodagli esseri umani e specializzato per indicare soltanto l’animale bruto.

E ancora, il termine iperonimo che esprimeva il “fedele” è stato respintovia dall’iponimo ‘chierico’ e lasciato ad esprimere ordinariamente il solo ipo-nimo ‘laico’.

3. In base ad un secondo tipo di catacresi della sineddoche, che pos-siamo chiamare generalizzazione ed esportazione dell’antonimo, il contra-rio nel genere diviene contrario al genere; tale procedimento, che consistein una sineddoche ascendente in linea obliqua, e quindi in una metonimia,allarga l’orizzonte semantico, e, in particolare, permette la determinazionee denominazione dei campi semantici non fisici.

Così, ad esempio, ‘spiritus’, che indicava il soffio (del respiro e del ven-to), e quindi – nel genere degli elementi naturali – l’elemento contrario a‘corpus’, ossia all’elemento consistente e impenetrabile, si è prima generaliz-zato (così da indicare anche i fantasmi, o figure non tangibili), ma sempreall’interno del genere degli elementi naturali, e poi è stato utilizzato per darnome al genere opposto ossia all’incorporeo (tanto che ‘spirito’ in italiano haperduto ogni connotazione fisica).

Similmente ‘caelus’ da “volta celeste”, opposta al “mondo terrestre”, masempre all’interno del “mondo” immanente, è stato poi utilizzato per dar nomeal mondo trascendente.

La metonimia consente poi la elaborazione di concetti metafisici in-clusivi (che cioè comprendono le realtà sia fisiche sia trans-fisiche), alcontrario degli iperonimi generali, che sono esclusivi delle differenze.

Infatti l’iperonimo generale (come ‘animale’ rispetto ad ‘uomo’) prescin-de dalle differenze caratteristiche o specifiche dei suoi iponimi, che sono dun-que estranee all’intenzione del suo concetto: l’uomo è animale, ma non semprel’animale è uomo, e mai comunque l’animalità comprende la razionalità.

Per la formulazione di concetti metafisici inclusivi è fondamentale ilricorso alla metonimia anziché alla generalizzazione.

Un eventuale iperonimo supremo infatti o sarà univoco, ma esclusivodelle differenze (come la nozione scotista di ‘ens’), oppure sarà implicitamenteinclusivo delle differenze, ma irriducibilmente analogo (come la nozione tom-masiana di “essere”). Metonimia, analogia e metafora non tolgono valore aldiscorso metafisico: come infatti nelle scienze della natura è possibile l’uso ri-goroso di concetti “vaghi”, così in filosofia e teologia è possibile l’uso rigoro-so di metonimi e di metafore.

Uno schema può illustrare in modo semplificato il procedimento diquesto particolare tipo di catacresi (metonimica) della sineddoche.

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Generalizzazione ed esportazione dell’iponimo ? [ concetto metafisico ]

‘Corpus’ ‘Spiritus’[ Elementi corporei ] [ Incorporeo =

concetto trans-fisico ]

‘Corpus’ [elemento consistente] ‘Spiritus’ [elemento aereo]

Solido [‘terra’]Liquido [‘aqua’]

4.2 LA RICOSTRUZIONE DEL SIGNIFICATO E LA LOGICA DELLARICERCA LESSICOGRAFICA

• Grazie al triangolo lessicografico e al circolo tra lettore e autore e tra lessico etesto, è possibile la comprensione delle parole del testo.

1. Dopo aver considerato come si struttura il sistema concettualenell’espressione, dobbiamo adesso esaminare come le parole (quanto al lo-ro significato) vengano dall’interprete comprese, sistematizzate e tradottenell’interpretazione; propriamente in questo consiste la lessicografia, o de-scrizione semantica del lessico.

A fondamento della lessicografia c’è il triangolo lessicografico: al suovertice sta la parola (e il testo) dell’autore; alla base ci sono, in corrispon-denza, il concetto (e il pensiero) dell’autore da una parte, e il concetto (e ilpensiero) del lettore dall’altra: sulla base comune dei segni verbali (io co-nosco la lingua dell’autore), con ciò che significano per me, devo cogliereciò che significavano per l’autore, che è assente, o addirittura morto da se-coli 10.

10 Cf Roberto BUSA, Trente ans d’analyse informatique des textes: où en est-on?

et après?, in Actes du Congrès international “Informatique et Sciences Humaines”,Liège, LASLA 1983, p. 135-148 (il punto 1.4). La successiva descrizione è nostra.

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Il triangolo lessicografico

CONCETTO TOMMASIANO CONCETTO NOSTROSignificato per Tommaso Significato per noi

PAROLA‘-communic-’

2. Il triangolo è rovesciato perché i segni verbali sono nell’ordine ma-teriale, mentre i contenuti concettuali ed esistenziali sono nell’ordine spi-rituale; un insieme strutturato di codici sovrintende all’espressione dei se-condi nei primi. Di conseguenza, nel processo comunicativo o espressivo(dal pensiero alla parola) si va dal più al meno, e quindi risente semplice-mente di una entropia: ciò che si riesce ad esprimere è sempre riduttivo ri-spetto a ciò che si pensa e si è; viceversa, nel movimento interpretativo(dalla parola al pensiero) si va dal meno al più, e quindi si rischia la so-vrainterpretazione e il fraintendimento del messaggio, tanto più che la co-municazione è sempre almeno parzialmente impedita da interferenze ester-ne e interne all’interprete. L’interpretazione dunque abbisogna di un’arte(l’ermeneutica) che, sulla base di scienza ed esperienza, possa superare irischi del fraintendimento.

3. Ebbene, tale arte è facile e spontanea quando la comunicazione èper presenza (come quella orale), quando cioè il comunicante e il riceventesono compresenti; tale comunicazione infatti non è unidirezionale, masempre interattiva, sicché di volta in volta il ricevente è comunicante e ilcomunicante è ricevente. In tal modo, dalla adeguatezza o meno della ri-sposta (“feedback”) che gli torna dal ricevente (verbalmente – con replicheo ulteriori domande –, o non verbalmente – con azioni o col silenzio), ilprimo comunicante può capire se e come il messaggio è stato colto, edeventualmente ripeterlo con ridondanza, e calibrando meglio i codici, fin-ché la comunicazione risulti adeguata.

Così, ad esempio, un tedesco che, in una stanza rumorosa e con la finestrasocchiusa, avesse chiesto a un altro: “mach das Fenster auf!”, capirebbe subito

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che l’ultima sua parola è stata fraintesa (ossia scambiata per ‘zu’), se l’inter-locutore invece di aprire chiudesse la finestra. Ancora, al conferenziere cheparlasse nella propria lingua a un uditorio perlopiù straniero basterebbe pro-nunciare qualche battuta di spirito per verificare – dall’ilarità oppure dall’im-passibilità degli astanti – quanti (e quanto) sono in grado di capirlo. Infine, ilviaggiatore in paesi lontani che, avendo voluto fare una gentilezza al suoospite, si accorgesse invece di averlo offeso, capirebbe di aver probabilmentesbagliato codice culturale.

4. Ben più ardua è l’arte d’interpretare la comunicazione per assenza(come quella scritta in genere, e quella “letteraria” in specie), in quanto nonimmediatamente interattiva. Nella comunicazione per iscritto, inoltre, il di-scorso è fissato una volta per tutte nel testo (tanto da vivere di vita autono-ma rispetto all’autore e ai suoi originari interlocutori), in base ad un codiceculturale ben diverso da quello adoperato nella comunicazione orale.

La particolare vulnerabilità alle interferenze fisiche (come i brusii) e psi-chiche (come le distrazioni) obbliga la comunicazione orale (specialmentequella dottrinale, come una lezione o conferenza) ad una massiccia ridondanzadi parole, di inflessioni vocali e di gesti; viceversa, la possibilità di leggerecomodamente un testo secondo i propri ritmi consente (e di contro impone)alla comunicazione scritta la concisione e la precisione. Inoltre, un discorso èpronunciato per gli astanti in una circostanza concreta; un testo invece è scrittoanche per destinatari ideali (i posteri) e per circostanze più o meno universali:è scritto, insomma, per restare (“scripta manent”). Per tutti questi motivi, unbel discorso orale, una volta trascritto risulta illeggibile; e viceversa un bel te-sto scritto, letto a mo’ di discorso, risulta inascoltabile.

5. La linea che fa da base al triangolo rovesciato è tratteggiata, perchéil rapporto fra autore e lettore è solo indiretto, e per di più insidiato damolte interferenze esterne (i testi potrebbero non essere stati trascritti fino anoi correttamente o del tutto), ma soprattutto culturali e interne.

Oggi non siamo più in grado di leggere un autore come Tommaso, perchéla distanza linguistica e culturale fra l’autore e il lettore (due dei vertici deltriangolo lessicografico) è divenuta troppo grande per un approccio diretto; peraccostare un tale autore oggi è dunque necessario un approccio mediato da unainterpretazione che ne renda il pensiero con il vocabolario e la mentalità di og-gi; ma tale interpretazione è realizzabile solo mediante una rigorosa ricercalessicografica, che esamini tutte le occorrenze della parola chiave nelle operedell’autore. D’altro canto non si può profanare o annullare la distanza. La con-temporaneità che l’ermeneutica instaura tra autore e lettore è di tipo dialettico,e non storico.

Nonostante le difficoltà, la linea (ossia il rapporto) che collega autoree lettore è bidirezionale, secondo un movimento circolare: perché, se è ve-

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ro che solo l’autore “parla” al lettore, è altrettanto vero che il lettore non èpassivo, ma proietta sul testo le proprie precomprensioni riguardo al pen-siero dell’autore, trovandovi a volte una corrispondenza, ma il più dellevolte una resistenza, che lo spinge ad un’interpretazione più adeguata, finoa quella che pare calzare meglio al testo.

Questo è il circolo ermeneutico e lessicografico, che permette all’in-terprete non solo di interagire col testo dell’autore in maniera analoga allacomunicazione orale, ma anche di giungere (come in quest’ultima) allacertezza dell’interpretazione 11.

6. Tanto nella comunicazione per presenza quanto in quella per assen-za, l’interpretazione si scontra con un ulteriore problema. Secondo un altroprincipio ermeneutico classico 12, alla base del processo di comprensione edi traduzione di un testo si trova un ulteriore circolo: infatti, per poter in-tendere e tradurre un testo (ossia il tutto) dobbiamo prima averne inteso etradotto il vocabolario (ossia le parti); e nondimeno, il significato dei voca-boli in una lingua o in un autore può essere ricavato solo per induzione dalloro uso nel testo stesso.

Il circolo non è vizioso se e solo se (e quindi perché) la nostra compren-sione è fin dall’inizio globale e aperta all’esistente, e si sviluppa per successivefocalizzazioni: un po’ come una diapositiva, la cui immagine, proiettata ancorasfocata, però già contiene tutti i particolari, che solo mettendo successivamenteil proiettore a fuoco diventeranno a poco a poco visibili.

• La logica della ricerca lessicografica consiste nel saper porre le ipotesi interpre-tative come domande al testo, così che il testo stesso risponda.

1. Fermo restando che si interpreta e traduce il discorso nella sua inte-rezza, dobbiamo ora chiarire come si possano interpretare e tradurre i sin-goli termini, e in particolare il vocabolario comunicazionale di Tommaso.

11 Tale principio, pur richiamandosi alla classica formulazione di Heidegger e Ga-damer, è inteso (alla luce della filologia e filosofia del Vico) nel senso di Emilio BET-TI, Die Hermeneutik als allgemeine Methodik der Geisteswissenschaften, Tübingen,Mohr 21972; trad. it. di Gaspare Mura, L’ermeneutica come metodica generale dellescienze dello spirito, Città Nuova, Roma 21990, p. 87-94.

12 Cf Friedrich SCHLEIERMACHER, Ermeneutica generale [1809-1810], 1.20-23;ripreso da BETTI, L’ermeneutica…, op. cit., p. 67-69. Gianfranco BASTI [cf Le radiciforti del pensiero debole. Dalla metafisica, alla matematica, al calcolo, Padova, il Po-ligrafo 1996] suggerisce un interessante accostamento tra il principio della globalitàdella comprensione ermeneutica e la dottrina tommasiana dell’ente come primo noto;in tal modo si evita il regresso interpretativo all’infinito, che conduce l’ermeneutica alnichilismo.

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Siccome non può interrogare l’autore, nel nostro caso non solo assente, maaddirittura morto da secoli (e in ogni caso non sempre consapevole diquanto ha scritto exercite), l’interprete deve allora interrogare il testo, a cuiè stata affidata per sempre l’intentio auctoris.

Come lo scienziato interroga (mediante ipotesi) la natura stessa, costrin-gendola (mediante esperimenti) a rispondergli, così l’ermeneuta e lessicografointerroga il testo: e l’universo testuale ha (rispetto a quello fisico) il vantaggiodi essere chiuso e limitato (quanto ai significanti), ma lo svantaggio di esseresfuggente ed analogico (quanto ai significati).

Insomma, il procedimento di interpretazione e traduzione ci svela lalogica della ricerca lessicografica, analoga (per quanto riguarda il mondodei testi e dei significati) a quella che è la logica della ricerca scientifica(per quanto riguarda il mondo della natura) 13, con la differenza che, stu-diando un universo limitato e chiuso quanto ai significanti, è possibile allessicografo (diversamente dallo scienziato) esaminare tutti i casi possibilied arrivare a confermare definitivamente una tesi interpretativa (anche senon ad esaurirne la comprensione dei significati in tutte le loro sfumature erelazioni).

Perciò, nella ricerca lessicografica l’eccezione non smentisce la regola,ma non è trascurabile: l’hapax è non meno rilevante che il caso fre-quentissimo.

2. Proprio perché il principale rischio che corre l’ermeneuta (soprat-tutto di fronte a testi distanti nel tempo e per cultura) è quello del frainten-dimento, generato perlopiù dalla tentazione di proiettare sul testo le proprieprecomprensioni, è dunque necessario che l’ermeneuta ne sia consapevole,formulandole sì, ma come ipotesi; con tale epochè ermeneutica egli puòdunque (fenomenologicamente) “andare ai testi stessi”.

In effetti, l’urto che ogni inadeguata precomprensione riceve dai testi(sempre che si esaminino tutti i testi in cui la parola occorre) ci costringenon solo a falsificare la nostra prima ipotesi interpretativa, ma anche a ri-formularla, adeguandoci sempre più al contesto fino a che il testo si accen-de, e penetrando in profondità nel pensiero degli autori. In altre parole, laresistenza che il testo offre all’interpretazione dell’interprete, è (come la

13 Il primo ad aver suggerito un parallelo tra la logica popperiana della ricercascientifica e il circolo ermeneutico sembra sia stato Dario ANTISERI, A proposito deinuovi aspetti della filosofia della storia della filosofia, in «Archivio di Filosofia»1974, p. 264 e seguenti (l’autore, facendo propria la posizione di Popper, però escludetanto nelle scienze della natura quanto nelle discipline ermeneutiche la possibilità didimostrare ipotesi); sulla logica della storiografia cf ID. - Massimo BALDINI, Lezioni difilosofia del linguaggio, Firenze, Nardini 1989, cap. 2.5.

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resistenza dell’aria per la colomba kantiana) proprio quella che gli consented’interpretare.

La logica della ricerca lessicografica

Precomprensione (ipotesi)

urto (falsificazione)

riformulazione

… … … … … [esame esaustivo di tutti i casi,nell’universo testuale finito]

conferma “definitiva” (o “definitoria”)

… … … … … [apertura ad ulteriori interpretazioninell’universo potenzialmente infinitodelle relazioni semantiche e dottrinali]

3. La conferma “definitiva” alle ipotesi interpretative è data dal ri-scontrare nei testi dell’autore “definizioni” esplicite o implicite della suaterminologia, fermo restando, però, che esiste sempre una sperequazionetra l’uso linguistico (e la sua philosophia exercita) da una parte, e –dall’altra – la riflessa consapevolezza linguistica (e quindi la philosophiaprofessa) che ne ha il locutore o l’autore; questi solitamente riesce consa-pevolmente a definire di una parola solo alcuni degli usi e significati (espesso nemmeno i più importanti) che egli effettivamente impiega.L’importante però è che la philosophia professa dell’autore non contrad-dica quella da lui stesso exercita.

Significativo è il caso di ‘natura’ in Bonaventura: egli ne dà quattro defi-nizioni classiche (tratte da Boezio), e però usa il lemma con una varietà e ric-chezza di significati ben superiore; tuttavia senza mai contraddire (ma semmaifondando) nella riflessione dottrinale (sparsa qua e là) l’uso linguistico da luipraticato 14.

14 Cf il nostro Il vocabolario bonaventuriano per la Natura, in «Miscellanea

Francescana» 1988, p. 348-354; La concezione bonaventuriana della Natura qualepotenziale oggetto di comunicazione, ibid. 1990, p. 74.

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La conferma definitiva non segna però la fine di ogni ricerca: ammet-tere (a certe condizioni) la certezza della scienza non significa presumernel’onniscienza. Ogni teoria umana è unilaterale e parziale: diventa falsa soloquando pretende di essere assoluta e globale.

Ovvero, una teoria solida potrà sempre essere ulteriormente affinata edestesa (per abbracciare con nuove regole quelle che erano eccezioni alla prece-denti regole), senza per questo perdere la sua verità “regionale”, supponendo ilprincipio di regolarità ed esemplarità, secondo cui tutto avviene in conformitàad una legge e a un modello. Così, a chi cerca la verità capita un po’ come achi cercasse di stanare un topo: pian piano ne circoscrive lo spazio fino a rin-chiuderlo in un cantuccio della casa; e se anche non subito riesce a prenderlo,può tuttavia esser sicuro che è “là dentro”. Similmente il ricercatore, formu-lando le sue ipotesi e falsificandole via via, arriva, se non proprio ad afferrarela verità, perlomeno a coglierla entro limiti certi.

‘Communicare’ per Tommaso non significa solo “dire” o “dare”, co-me le nostre precomprensioni suggerivano (progressivamente smentite daitesti), ma innanzitutto “far comune” ed “aver in comune”.

In base al principio del cono semantico, di ‘communicatio’ e ‘com-municare’ si possono dare molti sensi, non tutti coerenti fra loro, ma in li-nea di principio riconducibili ad uno o due sensi primi, all’interno di cuipossono collocarsi (come ulteriori determinazioni) tutti gli altri. Scopodella ricerca lessicografica è dunque provare a identificare questo sensoprimo, per poi ricondurvi tutti gli altri.

Dobbiamo perciò applicare (in maniera esemplificata) la logica dellaricerca lessicografica alla comprensione e alla traduzione di ‘communico’,che, essendo il cuore della famiglia comunicazionale, ci consentirà di capi-re poi i lemmi paronimi.

Sapendo quanto sia forte la tentazione di proiettarvi la nostra precom-prensione (il significato moderno di comunicare come far sapere, informa-re, trasmettere…), allora, per esercitare la necessaria epochè e garantirecosì l’oggettività dell’indagine, esplicitiamo tale precomprensione inun’ipotesi da verificare o falsificare sui testi.

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La logica della ricerca lessicografica: applicazione a ‘-communic-’:prima ipotesi interpretiva e falsificazione

‘COMMUNICO’ = Dire / Far sapere / Manifestare ?

• casi che verificano l’ipotesi:

– «non solum… per creaturas cognoscibile…[et] philosophi[s]…

notum…

sed etiam… notum…sibi soli de seipso,

et aliis

per revelationem communicatum»[ST1 1.6 co].

– «bonitas divina…in creatione… [et]in incarnatione…

se manifestat… [et] omnibus se communicat» [3SN 2.1.2a ra 2].

• casi che falsificano l’ipotesi:

– «[Deus] esse communicavit rebus per creationem» [2SN 15.3.3 ra 2].

Nel primo testo, a proposito della teologia (o ‘sacra doctrina’) Tom-maso avverte che essa tratta di Dio (prima causa) non solo in quanto, apartire dal creato, è conoscibile (potenzialmente e per tutti gli uomini) enoto (di fatto solo ai filosofi), ma anche e soprattutto in quanto è noto soloa sé stesso, e agli uomini comunicato per rivelazione. Così distinguiamo unduplice livello della scienza divina (della scienza, cioè, “che ha Dio peroggetto”): il primo livello è una conoscenza di per sé “pubblica”, in quantorelativa alla creativa azione divina ad extra; il secondo livello, invece, èuna conoscenza di per sé “riservata” (in quanto relativa alla vita di Dio adintra), ma per volontà stessa di Dio rivelata ad alcuni altri, nei limiti e neimodi stabiliti da lui. Mentre il contenuto della prima conoscenza è sempli-cemente detto ‘cognoscibile’, quello della seconda è detto esplicitamente‘communicatum’.

Questo duplice livello di conoscenza corrisponde evidentemente al dupli-ce livello dell’economia divina (quello naturale, fondato sulla creazione; equello sovrannaturale, fondato sulla rivelazione, incarnazione e redenzione).

Nel secondo testo riportato, ritroviamo una analoga duplice distinzio-ne, espressa stavolta in entrambi i casi in termini (sinonimi) di“comunicazione” e “manifestazione”.

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‘Communicare’ vale qui dunque manifestare o far conoscere, e que-sto, nel caso della conoscenza che ha Dio per oggetto, in due modi: o pernatura e mediante le creature, oppure per rivelazione (e in particolare me-diante l’incarnazione, ossia la persona di Gesù).

Da subito, però, ci accorgiamo che tale comunicazione non va presa nelsenso moderno di trasmissione di informazione: in effetti la rivelazione èmolto più che una semplice trasmissione di proposizioni vere, quasi come as-siomi, da cui ricavare la scienza teologica; e la manifestazione naturale è deltutto diversa da uno scambio verbale, tanto che ordinariamente essa è solo co-noscibile (in potenza) agli uomini, e solo con grande difficoltà (come rileva alprincipio la Contra Gentes) essa arriva ad esser conosciuta dai filosofi.

Insomma, in base a questi ed altri testi possiamo intendere ‘commu-nicare’ come un “dire”, o – più propriamente – un “manifestare”, che puòsì essere verbale ed esplicito, ma anche ontologico e implicito. Tale inter-pretazione di ‘communicare’ è valida per quei casi, e possiamo ipotizzareche valga universalmente.

Senonché, troviamo un ulteriore testo che ce ne mostra invece i limiti,falsificandone ogni pretesa di essere interpretazione definitiva: dice infattiTommaso che Dio ha comunicato l’essere alle creature. Questa comuni-cazione è sicuramente anche una manifestazione (interpretabile dai filo-sofi), ma solo di conseguenza. ‘Comunicare’ in questo caso vuol piuttostodire soprattutto dare o donare, e quindi far avere.

Non a caso troviamo in diversi altri testi una sinonimia di ‘communico’con verbi come ‘largior’, ‘praebeo’, ‘tribuo’, ‘do’, ‘dono’ e ‘concedo’ 15.

Insomma, rispetto al senso moderno di ‘comunicare’ come “far sape-re”, Tommaso concepirebbe invece il ‘communicare’ come “far avere”,sottolineando la dimensione gratuita e dativa di tale azione.

In effetti, anche nei casi rari in cui Tommaso parla di ‘communicatiodoctrinae’ come trasmissione del sapere dal maestro al discepolo, questa vaintesa sempre, in un più vasto ambito ontologico, come una datio formarum 16.

15 Cf 3SN 19.1.5a ra 2: «propositum communicandi vel concedendi hominibus

suam visionem»; 4SN 47.1.1c co: «communicat, dum et rebus tribuit virtutem agen-di». Per le cooccorrenze di ‘communico’ con gli altri verbi sinonimi si consulti il CD-ROM.

16 Cf 1SN pr e QDV 11.1.

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La logica della ricerca lessicografica: applicazione a ‘-communic-’:seconda ipotesi interpretiva e falsificazione

• casi che, avendo falsificato la prima ipotesi, ne suggeriscono una seconda:

– «[Deus] esse communicavit rebus per creationem» [2SN 15.3.3 ra 2].

‘COMMUNICARE’ = Dare / Far avere / Donare ?

• casi che falsificano anche questa ipotesi:

– «qui dat equum non retinet ipsum… sed…

qui communicat alii scientiam, retinet ipsam» [O2D 2].

• casi che spiazzano ogni nostra precomprensione:

– «homo et asinus communicant in animali» [3SN 1.2.1 co].

– «nomen leo proprie communicatur omnibus <leonibus>» [ST1 13.9 co].

Ma anche in questo caso l’ipotesi interpretativa del comunicare comedare o donare risulta valida solo in un certo ambito ed inadeguata ad ab-bracciare definitivamente e primariamente il comunicare in tutte le sue ac-cezioni.

La nostra precomprensione viene infatti confutata dalla distinzioneche Tommaso fa tra il ‘communicare’, che è un “dare ma senza perdere”, eil ‘dare’ vero e proprio, che è un “trasferire”, cioè senza conservare 17. Per-ciò, quei lemmi che in precedenza abbiamo notato in sinonimia con‘communicare’, mostrano qui l’inevitabile altra faccia di antonimia (in basealla legge di discernimento linguistico sopra enunciata).

La nostra precedente interpretazione riceve un urto ancor maggioredalle affermazioni riportate successivamente nella tabella, e che possiamoprovare ad intendere così, per approssimazione: “l’uomo e l’asino comuni-cano” (ossia “sono accomunati”, o “hanno qualcosa in comune”) “nell’a-nimalità”; e ancora, “il nome di specie è comunicato” (ossia “è comune”)“a tutti gli individui della specie” stessa.

Proprio questo ultimo urto ci permette di scoprire il senso più profon-do e caratteristico del ‘communicare’ latino (conformemente alle condizio-ni lessicologiche del suo significato): l’atto – cioè – della comunanza.

Insomma, non si può comunicare ad altri un cavallo (o in generale un og-getto materiale), perché esso non può essere sdoppiato: se lo ha uno, non lo ha

17 Cf anche OCI 2.3 ra 19.

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un altro; e quindi non potrà mai essere comune a un donatore e a un ricevente;il proprietario potrà semmai comunicarne l’uso; viceversa si può comunicare lascienza (o in generale le forme o i beni spirituali) perché sono moltiplicabiliper causazione.

Invece, in italiano (e analogamente nelle lingue neolatine) ‘comunicare’ èdivenuto in parte sinonimo di ‘trasferire’ o ‘trasmettere’, perdendo così il sen-so reduplicativo e unitivo, e quindi anche il legame semantico con il suo etimo.

Insomma, volendo riassumere l’esito della nostra ricerca, possiamoformulare un’ultima ipotesi interpretativa: che ‘communicare’ fondamen-talmente significhi “far comune”, oppure “avere in comune”, a seconda deicasi e dei costrutti sintattici.

La costruzione pienamente transitiva avrà il primo significato (dinamico);le altre costruzioni avranno il secondo significato (statico). “Far comune unbene” equivale a dare o donare o far avere; “far comune una conoscenza”equivale invece a dire o a manifestare o a far sapere; “avere in comune” o “farcomune reciprocamente la vita o i beni” equivale infine a condividere.

Questa ipotesi non solo è sufficientemente ampia da abbracciare e giu-stificare tutti (o quasi) gli altri significati, ma ha anche la fortuna di trovarenei testi una conferma “definitiva”, cioè in due definizioni offerte da Tom-maso stesso, anche se di passaggio e non formaliter, e implicite in sinoni-mie definitorie, peraltro molto rigorose e precise.

La logica della ricerca lessicografica: applicazione a ‘-communic-’:terza ipotesi interpretativa e conferma “definitiva” (o definitoria)

‘COMMUNICO’ = 1] Far comune / 2] Avere in comune

– «non habe[t]…commune… [hoc]; communicat tamen [illud]» [QDA 3 ra 5].

– «communicet…, id est commune faciat» [RGL 6.2 /24].

NB: – ‘Fieri communicatio’= ‘facere participem’ aliquem alicuius rei [cf 4SN 20.1.5a co].

Nella prima sinonimia ‘communicare’ è definito come equivalente ad‘avere in comune’ qualcosa con altri: cioè come atto statico di comunanza.Nell’altra sinonimia, invece, ‘communicare’ è definito come equivalente a‘far comune’ qualcosa ad altri: cioè come atto dinamico od operazione.

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Si noti che (analogamente) il passivo ‘communicari’ potrà significare, nelsenso dinamico, ‘esser fatto comune’; ma nel senso statico (come nella pe-nultima tabella) potrà invece significare semplicemente ‘esser comune’.

Questi due sensi del comunicare (statico e dinamico) sono egualmentefondamentali, anche se quello dinamico – più intuitivo e più forte – sembraessere il senso primo, e quasi il vertice del cono semantico.

I due sensi del comunicare (statico e dinamico) corrispondono approssi-mativamente ai due sensi dell’atto (primo e secondo) in metafisica 18: ognicomunanza reale tra due soggetti si fonda sulla somiglianza delle loro forme e,finalmente, sull’atto d’essere, che pur essendo irripetibilmente unico per ognu-no, accomuna tutto e tutti in quanto enti.

Poiché il comunicare è l’atto del comune, dobbiamo però notare chene esiste un duplice valore: o come moltiplicazione (nella costruzione tran-sitiva direzionale, con oggetto e termine), o come unificazione (nella co-struzione semiriflessiva, ossia con termine ma senza oggetto); in effetticomunicare una forma significa moltiplicarla, ma comunicare reci-procamente nell’amicizia o nella società significa invece unificarsi.

Perciò, quella di Comunicazione è una delle nozioni filosoficamente piùrilevanti, talmente originaria e generale da poter servire tutti i tipi di discorso.

La “conferma” definitoria ora raggiunta non chiude però la ricerca: infattiil mondo dei significati e delle loro sfumature è tendenzialmente aperto e infi-nito, e la ricerca non finirà mai di scoprirvi nuove relazioni. Ad esempio, sipuò ulteriormente indagare (come poi faremo) la relazione fra ‘communicare’e ‘participare’; sono quasi sinonimi (come si evince dall’ultimo esempio dellaprecedente tabella), in quanto la partecipazione non è altro che la co-municazione stessa, considerata però dalla parte del ricevente.

A questo punto, possiamo provare a sistemare in una tassonimia clas-sificatoria i significati del comunicare, evidenziandone (secondo una delle“leggi” di catacresi della sineddoche) la progressiva specializzazione se-mantica nella Storia della Mentalità e dei Concetti.

18 Cf QDP 1.1 co.

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Specializzazione degli iperonimi: il caso di ‘communicare’

‘Communicare’

“Avere in comune” “Far comune” = “comunicare” (al passivo: “esser comune”)

Far che una cosa Far che duesia comune ad altri siano accomunati

Far avere una forma Far sapere(Generare) (Dire)

manifestare trasmetteresenza segni con segni

comunicare scambiare

Il gruppo dei locutori si è insomma pian piano appropriato del comu-nicare, identificandolo con la comunicazione linguistica, e allontanandolodal campo delle trasformazioni naturali e da quello delle somiglianze fraindividui.

La cultura moderna ha identificato ogni comunicazione dottrinale con l’e-spressione tramite segni, i quali, essendo materiali, non vengono propriamenteresi comuni da un comunicante ad un ricevente, ma solamente trasferiti da unemittente ad un destinatario: e così la comunicazione dinamica ha perduto ilcarattere di reduplicazione che la caratterizzava. D’altra parte, il significatoodierno di comunicazione ha ereditato (spesso senza render conto della diffe-renza) anche l’aspetto di scambio reciproco e relazione interpersonale: le mo-derne teorie del comunicare umano spesso abbracciano egualmente sia la co-municazione linguistica, sia la comunicazione sociale e amicale. In parallelo,l’applicazione di modelli umani allo studio delle trasmissioni naturali e artifi-ciali di segnali ha paradossalmente portato a recuperare quello che eral’aspetto fisico del comunicare (come far avere una forma o una qualità). In-somma, per Tommaso la comunicazione era innanzitutto un ambito ge-neralissimo, al cui interno si distinguevano vari tipi, tra cui quella naturale (ogenerazione), quelle umane (linguistica e amicale), quella angelica (non

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espressa con segni), e quelle divine; viceversa per noi la comunicazione è in-nanzitutto quella linguistica, di conseguenza quella sociale, e solo per esten-sione e generalizzazione ogni trasmissione di segni: però senza presupporrepiù che “comunicare” sia un “dare senza perdere”, “duplicare nell’unità” e“unire nella pluralità”.

• La comprensione di un termine è spesso condizione per la comprensione nonsolo del testo ma anche del pensiero globale dell’autore.

1. Queste considerazioni apparentemente astratte diventano estrema-mente utili se applicate allo studio dei testi. A volte infatti fraintendere unaparola può far fraintendere in generale il pensiero dell’autore.

Emblematico è il caso di una interpretazione dantesca 19: nel quinto cantodell’Inferno il poeta dice di essere svenuto per la «pietade» suscitatagli dallastoria di Paolo e Francesca, uccisi in flagrante adulterio e dannati all’inferno.Ebbene, i Romantici intesero questa ‘pietade’ nel senso moderno di ‘pietà’ o‘compassione’: secondo tale interpretazione, Dante sarebbe rimasto turbato peri due poveri amanti, duramente colpiti dalla condanna divina, e avrebbe cosìespresso un pathos titanico. In realtà, invece, ‘pietade’ va inteso nel senso cheoggi ha la parola ‘angoscia’: Dante è dunque rimasto turbato per sé, essendosireso conto che i princìpi (da lui condivisi) dell’“amor cortese”, secondo cui “alcuore non si comanda”, lo avrebbero al fine portato all’inferno.

2. Insomma, a voler intendere un testo bisogna prima averne inteso ilvocabolario. D’altra parte, solo tramite la comprensione del testo possiamointendere il senso preciso dei singoli vocaboli, secondo una ben nota spi-rale ermeneutica 20.

19 Cf (per la critica romantica) Francesco DE SANCTIS, Francesca da Rimini, se-

condo i critici e secondo l’arte, in «Nuova Antologia» 1869, ripubblicato in ID., Saggicritici, Milano, Treves 1914, vol. 2, p. 183-201; e (per la critica semantica) AntoninoPAGLIARO, Ulisse. Ricerche semantiche sulla Divina Commedia, Messina, D’Anna1966, vol. 1, p. 114-159.

20 In questi anni si sono moltiplicate le indagini lessicografiche condotte conl’ausilio dell’Index: il Busa stesso ha pubblicato negli atti dei Colloqui del “LessicoIntellettuale Europeo” numerosi contributi lessicografici su famiglie di lemmi comequelle di ‘ordo’, ‘res’, ‘spiritus’, ‘phantasia’ e ‘imaginatio’, ‘idea’, ‘ratio’, ‘sensus’,‘signum’. Cf le relazioni di padre BUSA negli Atti dei Colloqui internazionali del Les-sico Intellettuale Europeo di Roma: rispettivamente in Ordo, Roma, Ateneo-Bizzarri1979, p. 59-184; Res, Roma, Ateneo 1982, p. 105-136; Spiritus, Roma, Ateneo 1984,p. 191-222; Phantasia - Imaginatio, Roma, Ateneo 1988, p. 135-152; Idea, Roma,Ateneo 1990, p. 63-87; Ratio, Firenze, Olschki 1994, p. 173-195; Sensus - Sensatio,

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Secondo un esempio molto efficace portato dal Busa, tradurre ‘virtus’ con‘virtù’ non rende affatto l’idea di “forza” che la parola aveva nel latino scola-stico; così, mentre noi oggi tendiamo ad associare la “virtù” moraleall’immagine del freno (inibitore), viceversa la “virtus” nel senso medievaleandrebbe piuttosto associata all’immagine del motore. Non condivisibile inve-ce è la sua proposta di tradurre ‘ratio seminalis’ con ‘programma genetico’:mentre le ragioni seminali secondo Tommaso operano per evoluzione in tuttol’universo fin dalla creazione 21, invece il programma genetico di cui parlanooggi i biologi è trasmesso per generazione o gemellazione nei soli viventi.

Riprendiamo l’aporia dell’equivocità apparente del concetto di‘natura’ in Bonaventura (che si intuisce essere una chiave privilegiata percomprendere la struttura profonda del sistema bonaventuriano), dobbiamoricorrere al principio di mutua determinazione degli antonimi (per cui‘natura’ significherà cose diverse se la opponiamo a ‘persona’, o a‘voluntas’, o ad ‘ars’, o a ‘gratia’: “comunanza ontologica” o “essenza”;ciò che è condizionato ontologicamente o fisicamente; l’insieme degli es-seri viventi e non viventi che si producono e riproducono da sé; il fonda-mento che l’uomo ha per creazione) e soprattutto al principio d’uso (chenon è il significato, ma ciò che lo manifesta, essendo reso possibile da es-so).

Attraverso la ricostruzione lessicografica esauriente dei diversi signi-ficati del lemmi del tema ‘-natur-’ effettivamente usati da Bonaventura(senza cioè accontentarci delle riduttive definizioni esplicite che l’autorestesso ne dà) 22, possiamo risalire congetturalmente al vertice del cono se-mantico: ‘natura’ ha come significato primo e più generale nient’altro chela nozione di “ontologicamente comunicabile” (ogni “qualità” oggetto dipossibile comunanza statica o comunicazione dinamica da parte di uno opiù soggetti), in opposizione a ‘res’, intesa come “ontologicamente inco-municabile” (ogni soggetto irripetibile di comunanza e di comunicazione, esoprattutto la ‘persona’). La natura così intesa è determinata almeno impli-citamente da un aggettivo che ne esprime la “misura” ontologica: ‘naturadivina’, ‘natura spiritualis’, ‘natura corporea’, ‘natura humana’ (interse-

Roma, Lessico Intellettuale Europeo 1996. Il colloquio su Signum si è tenuto nel gen-naio 1998.

21 Cf Roberto BUSA, Inquisitiones lexicologicae in Indicem Thomisticum, Galla-rate - Milano, CAEL 21994, p. 14; ma cf anche 1SN 42.2.2 ra 4; 2SN 12.1.2 co.

22 Cf A. DI MAIO, Il vocabolario bonaventuriano per la Natura, in “MiscellaneaFrancescana” 88 (1988), p. 301-356; La dottrina bonaventuriana sulla Natura, ibid.89 (1989), p. 335-392; La concezione bonaventuriana della Natura quale potenzialeoggetto di Comunicazione, ibid. 90 (1990), p. 61-116.

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zione delle precedenti due), ‘natura creata’ (o ‘natura naturata’ o sempli-cemente ‘natura’ o ‘creatura’, intesa come unione delle precedenti nature inopposizione alla natura divina creatrice). In quest’uso ‘natura’ ha una tri-plice funzione (costitutiva, concretiva, collettiva): ad esempio, ‘natura hu-mana’ significa sia la “qualità” costitutiva che fa di un soggetto un essereumano, sia l’uomo concreto ma in generale (ossia non questo o quello), sial’insieme di tutti gli uomini; similmente ‘natura’ (sottintendendo ‘creata’)significherà o l’insieme di tutte le creature (in senso collettivo), o il creatostesso (in senso concretivo: come universo e come libro) o la creaturalità(in senso costitutivo, opposto alla grazia e alla gloria, e caratterizzato dallalegge di natura); invece ‘natura’ (sottintendendo ‘corporea’) significherà ol’insieme degli enti sensibili (in senso collettivo) o il mondo fisico (in sen-so concretivo, come ‘machina mundialis’) o la dinamica stessa naturale ofisica (in senso costitutivo, come processo causale fisico).

Poiché in generale ogni natura è comunicabile per un’azione (le pro-cessioni divine nella natura divina, la creazione tra la natura divina e lanatura creata, la generazione all’interno delle diverse nature corporee, e inmaniera imperfetta l’arte umana quale produzione di configurazioni artifi-ciali), si intende per naturale ogni perfezione che è innata e ontologica-mente connaturata in una determinata natura, per naturalmente acquisitaogni perfezione che pur non essendo innata è il risultato di un’azione pro-pria della natura stessa, per sovrannaturalmente infusa ogni perfezione im-possibile a conseguirsi dalla natura creata, ma ottenuta per dono gratuitodalla natura divina. E poiché la natura umana (a immagine di quella divina)ha il potere di comunicare anche per intelligenza e volontà, ecco che allasua sfera naturale in senso stretto si affianca quella razionale e quella mo-rale (che pure rientrano nella sfera del naturalmente acquisito).

Da queste brevi notazioni è chiaro che la confusione non è nell’usobonaventuriano del concetto di natura, ma nell’inconsapevole anfibolia cheil lettore moderno opera fra diversi sensi e livelli dei termini (si pensi alfrequente equivoco di scambiare la “legge naturale”, intesa come normaetica insita nella natura creata in genere e nella natura umana in specie, per“legge naturale”, intesa come processo causale fisico…).

• La traduzione di un termine o di un testo ne è la riespressione che in parteconsegue e in parte condiziona la comprensione.

1. Tradurre è non solo interpretare (ossia dire ascoltando) l’altrui di-scorso, ma ridirlo in un diverso sistema linguistico, come discorso seman-ticamente equivalente all’originale.

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In particolare, tradurre un testo non è scrivere un testo su un testo, ma ri-scrivere il medesimo testo, riformulandolo così che possa esser riconosciuto inqualche modo identico (quanto al contenuto), seppur diverso (quanto alla for-ma espressiva). Infatti, propriamente non si traduce il testo in quanto tale, maper ciò che contiene: se ne traduce – o trasporta – il contenuto significativodalla originaria forma espressiva ad un’altra: proprio perché non si dà conte-nuto significativo senza forma espressiva, né forma espressiva senza contenutosignificativo (la forma infatti è contenuto e il contenuto è forma, nella distin-zione senza separazione e nell’unione senza confusione), di conseguenza uncontenuto può permanere (anche se mai del tutto) senza questa forma, purchécon altra.

Sebbene propriamente si traduca il discorso nella sua interezza, tutta-via in tale orizzonte (e in circolarità virtuosa, ossia “a spirale”, dal menonoto al sempre più noto) è possibile e necessario tradurre anche i singolitermini.

Tradurre rettamente un termine significa sostituirlo in maniera che il con-testo, per così dire, si accenda, e sia accessibile in tutta la sua ricchezza al let-tore presente.

La traduzione è possibile proprio perché dietro alle diverse lingue c’èl’ontologia generativa del linguaggio.

Il fatto che, nonostante tutto (nonostante cioè la varietà delle lingue, delleculture e delle convinzioni ultime), nondimeno possiamo comunicare, richiedeche ci sia una capacità comunicazionale comune ad ogni uomo (un po’ comel’intelletto agente teorizzato da Aristotele).

2. La traduzione, ancorché necessaria per accedere ai testi scritti in lin-gua a noi ignota, è in realtà anche filosoficamente utile: nell’ambito più ge-nerale dell’ermeneutica di un testo, specialmente antico, ne facilita infatti lacomprensione.

Come in generale il confronto con l’altro aiuta a comprendere la propriaidentità, così la traduzione non solo è possibile e necessaria per noi, ma è utileper comprendere la ricchezza del testo originale stesso. Se non sai ridirlo, nonl’hai capito (parafrasando il detto catoniano: «rem tene, verba sequentur»).

La traduzione obbliga innanzitutto ad affrontare (anche se non semprea sciogliere) le ambiguità insite nel testo. La non corrispondenza del si-stema linguistico (lessicale, morfologico, sintattico, semantico, stilistico) dipartenza con quello d’arrivo costringe a capire meglio l’originalità del te-sto.

Inoltre, la traduzione della terminologia filosofica e teologica da unalingua a un’altra è fondamentale per la storia della filosofia e della teologia:la Begriffsgeschichte ci ha mostrato come lo stesso concetto sopravviva nel

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tempo e nello spazio, espresso da termini diversi a seconda delle diverselingue. Le lingue sono infatti sempre in relazione reciproca, come ci dimo-strano le traduzioni (e in particolare la traduzione della terminologia intel-lettuale, o logonomastica).

Esiste anzi una tradizione filosofica e teologica proprio perché si èpraticata la traduzione dei concetti da una lingua a un’altra, anche se nonsempre con lo stesso esito.

La terminologia metafisica che adoperiamo ancora oggi risente delle pri-me traduzioni non sempre felici dal greco al latino (‘ousia’ tradotta con‘substantia’ anziché con ‘essentia’), il che causò non poche incomprensioni fragreci e latini nella formulazione dei dogmi trinitari e cristologici, come rilevaAnselmo al principio del Monologion. Due grandi innovatori della terminolo-gia filosofica come Kant ed Hegel hanno adoperato un approccio diverso versola traduzione dei termini: mentre Kant fornisce spesso il corrispettivo latinoscolastico dei nuovi termini filosofici tedeschi che introduce, Hegel invece usacon sfumature diverse le parole tedesche di derivazione germanica e quellecorrispondenti di derivazione latina (come ‘Wirklichkeit’ e ‘Realität’; ‘Sittli-chkeit’ e ‘Moralität’), con sfumature difficilmente traducibili in altre lingue.

Infine, la traduzione intesa come confronto fra una lingua e un’altra haanche una funzione teoretica di controllo: ad esempio, la Metafisica, purnascendo come riflessione ingenua sull’uso del verbo essere in greco e inlatino, tuttavia grazie al confronto con le altre lingue può diventare rifles-sione critica 23.

3. Esistono tre modi di tradurre un testo: cercando cioè o di far avvici-nare il più possibile il lettore al testo (e questa è la traduzione a calco), o difar avvicinare il più possibile il testo al lettore (e questa è la traduzione ca-ratterizzante), o di farli incontrare più o meno a metà strada (e questa è latraduzione vera e propria) 24; e poiché in questi movimenti il testo origi-nale è l’elemento costante, i tanti diversi modi di tradurre dipendono dalladiversità dei lettori a cui ci si rivolge.

Oltre la traduzione, c’è quella che possiamo chiamare trasposizionedel testo, ossia un tentativo (fra i tanti possibili) di riproporre nella culturaattuale l’essenziale del messaggio del testo, riscrivendolo in maniera nuovama compatibile col senso originale del testo.

23 Cf Étienne GILSON, L’être et l’essence, Paris, Vrin 21962; ed. it. a cura di Anto-

nio Livi, L’essere e l’essenza, Milano, Massimo 1988, p. 4-5.24 Cf Giulio C. LEPSCHY, Traduzione, in Enciclopedia [Einaudi], vol. 14, Torino,

Einaudi 1981, p. 446-459, in particolare p. 446-447, che riporta la formulazione clas-sica (di Schleiermacher) di tale principio.

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La traduzione a calco è poco utile, essendo un doppione sbiadito del testooriginale; similmente, è poco utile la traduzione caratterizzante, essendo soloun abbozzo incompiuto di trasposizione. La traduzione vera e propria sarà in-vece continuamente in bilico (secondo una metafora ormai classica) tra il volerrestare “fedele” all’autore e il voler apparire “bella” al lettore, rischiando sem-pre però di risultare invece “infedele” al primo e “brutta” al secondo.

Pertanto il “traduttore” sarà sempre “traditore”, o per il “tradimento”perpetrato (purtroppo) nei confronti del testo, oppure (si spera) per la“tradizione” interpretativa che va ad alimentare, tenendo il testo in vita, eperciò in crescita, giacché ogni “scriptura” – e non solo quella sacra –“crescit cum legente”.

4. Cerchiamo ora di delineare alcune difficoltà tipiche della traduzione(specialmente dei testi latini medievali) e alcuni criteri per affrontarle.

Abbiamo già abbondantemente trattato della difficoltà dovuta allaproiezione delle precomprensioni; tale difficoltà diviene particolarmenteinsidiosa nel tradurre, perché (presentandosi non come difficoltà ma comepresunta facilità) espone il traduttore al rischio della lectio facilior: al ri-schio cioè di tradurre la terminologia scolastica adottando sic et simpliciteri corrispettivi lessicali nelle lingue moderne (specialmente se neolatine). Inrealtà, anche qui l’urto che tale traduzione riceve dai testi costringe a pe-netrare in profondità nel pensiero degli autori.

A parte ‘communico’ (di cui tratteremo fra poco), è interessantel’esempio del sintagma bonaventuriano ‘verbum inspiratum’, che non può es-ser tradotto ‘Parola ispirata’, intendendo cioè la Sacra Scrittura (come qualcheinterprete in passato ha opinato), perché tale sintagma designa piuttosto il Ver-bo di Dio reso presente per fede mediante lo Spirito Santo nel cuore dei fede-li 25. Forse non a caso tale concetto chiave della teologia bonaventuriana hapotuto essere messo in luce adeguata solo in questi ultimi anni, in cui la mag-giore difficoltà di capire il latino ha indotto gli interpreti a cercar di tradurre ilsintagma (che prima tutti credevano di capire), e proprio le prime traduzioni,che non riuscivano a calzare a tutti i testi, con la loro inadeguatezza hanno in-dotto altri interpreti a studiare e capire più a fondo il concetto.

La difficoltà più generale per il traduttore consiste dunque nell’am-biguità linguistica del testo, che ne ostacola la comprensione.

Ad esempio, nel proemio del De ente et essentia Tommaso (citando Avi-cenna) caratterizza l’ente e l’essenza come «quae primo intellectu concipiun-tur»: il traduttore italiano, dopo aver scartato una traduzione certamente erro-nea («che sono concepiti dal primo intelletto»), sarà costretto ad optare fra due

25 Cf BONAVENTURA, In Hexaëmeron, 3 e 12.

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possibili traduzioni («che sono concepite col primo concetto», oppure «che so-no concepite per prime dall’intelletto») e quindi a penetrare ulteriormente iltesto e le sue fonti.

Un’altra difficoltà deriva dalla regolarità terminologica di un autore,che il traduttore rischia di scambiare per inutile ripetitività.

Ad uno studio lessicale si vede chiaramente che alcune opere di Agostino(e in particolare le Confessioni) sono costruite intorno al binomio di quaestio einventio, che corrisponde al binomio inquietudo e requies (l’inquietudo provo-ca la quaestio, che tende alla inventio, in cui si trova la requies), sicché questitermini si rincorrono e si intrecciano molto di frequente. Un traduttore malac-corto, col pretesto di rendere più varia la traduzione, vanificherà tale strutturalessicale e concettuale. Viceversa, un traduttore attento, pur non appesantendola traduzione, farà gustare e capire al lettore l’impianto che soggiace al testo.

Una difficoltà è nella diversa connotazione che alcuni termini hannoassunto in epoche e lingue diverse.

Oltre al caso (già menzionato) di ‘virtus’, è interessante quello di ‘condi-tio’, che nel latino scolastico assume (come sappiamo) sensi diversi a secondache derivi da ‘condico’ o da ‘condo’: nel primo caso significa “condiziona-mento”, “ipotesi”; nel secondo significa “fondazione”, “costituzione” o “crea-zione”, e quindi anche “caratteristica costitutiva”. Proprio in questo ultimosenso Tommaso parla nel Breve Principium delle ‘conditiones auditorum’, chesono alla base dell’educazione: ma oggi, il termine ‘condizione’ ha ereditatosoprattutto il significato più negativo (quello di “condizionamento”), il che lorende sconsigliabile nella traduzione.

A volte, poi, il problema non è solo di terminologia, ma di sensibilità allepossibili nuove connotazioni di un termine: ad esempio, il sintagma (tradotto acalco) “riflessione sui fantasmi” evoca oggi più lo spiritismo che la teoria dellaconoscenza; e “motore immobile” suggerisce oggi (come non manca di rimar-care Antiseri) l’idea di un autocarro in panne.

A volte la difficoltà della traduzione nasce dal fatto che la parola è as-sociata metaforicamente a immagini differenti da una lingua all’altra.

Un esempio interessante è quello della metafora biblica dell’“unto”: il ter-mine ebraico ‘Mashiah’ (Messia, cioè unto), viene tradotto in greco ‘Christós’;ma a sua volta il termine greco viene solo trasportato e adattato alle altre lin-gue (‘Christus’ in latino; ‘Cristo’ in italiano), assumendo un significato speci-fico (quello di titolo attribuito a Gesù di Nazaret) e perdendo ogni legame conil mondo metaforico dell’olio e dell’unzione. D’altro canto, sostituire oggi‘Cristo’ con ‘Unto’ è sconsigliabile. Mentre infatti nella nostra cultura ‘unto’viene associato a sensazioni spiacevoli (e a parole come ‘sporco’ e ‘grasso’),nella cultura biblica il termine corrispondente viene associato a profumo e a

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consacrazione, anche a causa della diversa cultura materiale (i profumi a based’olio, anziché d’alcool) 26.

Accanto alle precedenti difficoltà di comprendere il testo, il traduttoreincontra anche diverse difficoltà (spesso insormontabili) di far comprende-re appieno il testo in un sistema linguistico e culturale sostanzialmente di-verso da quello in cui era stato generato.

In primo luogo, infatti, il sistema lessicale (e la geografia semantica)di una lingua non coincide mai con quello di un’altra.

Bonaventura nella prima Collatio in Hexaëmeron elabora una suggestivateoria del cristocentrismo di tutte le scienze, giocando sulla metafora del ter-mine ‘medium’: ebbene, quello che in latino è possibile chiamare medium es-sentiae, distantiae, naturae, doctrinae, modestiae, iustitiae, concordiae, in ita-liano dobbiamo chiamarlo medio ontologico, centro vitale, centro geometrico,termine medio del sillogismo, giusto mezzo in cui consiste la virtù, medietà oimparzialità nel giudizio, mediatore di pace; e il gioco di metafore viene meno.

In secondo luogo, poi, neanche la struttura logica di una lingua, o (percosì dire) la sua filosofia, coincide perfettamente con quella di un’altra.Questo crea problemi soprattutto per tradurre i testi di metafisica, che inogni lingua nasce come riflessione sulla struttura della lingua stessa, e cheperò esige d’esser compresa e accettata in altre lingue o culture.

Ad esempio, in latino manca l’articolo (col suo potere concettualizzante),ma in compenso ha una particolare rilevanza il verbo. Traducendo testi metafi-sici dal latino occorrerà dunque badare a come rendere i verbi all’infinito(come vedremo fra poco), senza rischiare di cosificarne l’atto.

• La “manuduzione” è il regresso dalla comprensione e reinterpretazione del lin-guaggio e del pensiero di un autore alle proprie personali certezze precategoriali.

Il metodo lessicografico, oltre che come metodo storico-filosofico fi-nalizzato all’ermeneutica testuale e globale del pensiero di un autore, puòessere adoperato come metodo filosofico in senso stretto, in vista cioè del-l’ermeneutica del linguaggio comune, che è sì la «casa dell’essere», ma inquanto sede delle “certezze precategoriali e vissute” previe ad ogni altracertezza scientifica: in effetti neanche la scienza più formalizzata può fare ameno del linguaggio naturale, comune e ordinario; e quest’ultimo va inda-gato, e non necessariamente “curato”.

Così, la lessicografia di quelle parole che sono comuni ad ogni giocolinguistico (dai trattati delle diverse scienze, alle poesie, alle cantilene dei

26 Cf Ex 30,22-25; Ps 132[133],2.

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bambini...) ci porta a riscoprire per manuduzione i primi principi e le no-zioni prime: alla base del nostro parlare c’è una logica generativa del lin-guaggio; ma tale logica è una logica dell’essere, ossia un’ontologia. In que-sto modo la metafisica rinasce come riflessione critica (o philosophia pro-fessa) sulle certezze vissute implicite nel linguaggio (o philosophia exer-cita), come nei libri Gamma e Delta della Metafisica di Aristotele.

Se in generale la classificazione e traduzione dei diversi significati diuna parola chiave ci aiuta a capire e far capire meglio non solo il corri-spondente concetto, ma anche le nozioni originarie sottostanti, così in par-ticolare ad esempio la determinazione delle differenze di strutturazione se-mantica di ‘communicare’ tra noi e Tommaso è la condizione per poterloadeguatamente tradurre oggi.

Il traduttore, consapevole della catacresi appena descritta, dovrà dunqueaiutare il lettore di oggi ad allargare il proprio orizzonte di comprensione pernon rischiare di leggere la dottrina tommasiana di comunicazione con l’otticatroppo angusta della sola comunicazione linguistica. E sebbene la nostra tradu-zione assuma come lingua d’arrivo l’italiano, tuttavia essa ha come intento piùgenerale la ridefinizione del comunicare tommasiano nella comune cultura oc-cidentale odierna.

La seguente tabella (che traduce ‘communico’ e ‘communicatio’ se-condo i diversi costrutti e significati), sarà dunque come un vademecum(quasi una carta geografica) per esplorare i testi di Tommaso e così capiree far capire oggi il suo concetto di comunicazione e più in generale il suopensiero; ma forse anche per chiarire a noi stessi cosa significhi precisa-mente comunicare.

L’intricata articolazione delle corrispondenze di significato dimostra chenon è possibile tradurre il vocabolario comunicazionale sempre allo stessomodo, ma nemmeno ogni volta diversamente, a caso.

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Significati di ‘communico’ e ‘communicatio’ secondo i diversi costrutti fondamentali

{A} COMUNICAZIONI DI DUPLICAZIONE O DUPLICITÀ(costruzioni triadiche)

1. COMUNICAZIONE DINAMICA PER DUPLICAZIONE (costruzione transitiva vettoriale)

• iste X COMMUNICAT hoc Z illi Y [dativo]= X comunica (rende o fa comune) ad Y Z

X condivide (o mette in comune) Z con Y [perlopiù per l’uso di cose]X fa che anche Y abbia Z

• hoc Z COMMUNICATUR ab isto X illi Y= Z è comunicato (reso comune) ad Y da X

Z è condiviso (o messo in comune) da X con Y [perlopiù per l’uso di cose]

∗ COMMUNICATIO huius Z [genitivo oggettivo] / istius X [genitivo soggettivo] illi Y [dativo]

= comunicazione di Z (oggetto formale) da parte di X, ad Y (soggetti sussistenti)

2. COMUNICAZIONE DI DUPLICITÀ NELL’UNITÀ (costruzione semitransitiva non vettoriale)

• iste X COMMUNICAT hoc Z cum illo Y [formulazione unidirezionale] =iste X et ille Y COMMUNICANT in hoc Z [formulazione bidirezionale]

= X ed Y hanno in comune (condividono) Z X ha in comune (condivide) Z con YX ed Y sono accomunati da ZX ed Y comunicano in Z

• hoc Z COMMUNICATUR omnibus X et Y= Z è comune ad X ed Y

Z è condiviso da X ed YZ accomuna X ed Y

∗ COMMUNICATIO huius Z [genitivo oggettivo] / istius X et illius Y [genitivo soggettivo]

= comunanza di Z (oggetto o qualità) di X con Y (soggetti almeno logici)o meglio: tra X ed Y (la relazione è paritetica)

3. AUTOCOMUNICAZIONE COME DUPLICAZIONE DELL’UNO (costruzione riflessiva vettoriale)

• iste X COMMUNICAT se illi Y= X si comunica ad Y

X rende simile (fa assomigliare) Y a sé [per ogni agente]X si fa ricevere anche da Y [specificando ulteriormente il senso]X rende Y partecipe delle sue qualità [solo in autocomunicazioni parziali]X si fa conoscere anche ad Y [solo per l’autocomunicazione manifestativa]X si dona ad Y [solo per l’autocomunicazione oblativa]X si rivela ad Y [solo nell’autocomunicazione di Dio all’uomo]

∗ COMMUNICATIO sui= autocomunicazione di X ad Y (soggetti ontologici)

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{B} COMUNICAZIONI DI UNIFICAZIONE(costruzioni triadiche, diadiche e monadiche)

4. COMUNICAZIONE COME SCAMBIO TRA DUE (costruzione transitiva bidirezionale)

• iste X et ille Y COMMUNICANT sibi haec Z (scilicet Z’ et Z’’)[= iste X COMMUNICAT hoc Z’ illi Y, et ille Y COMMUNICAT hoc Z’’ isti X]

= X ed Y si scambiano le proprietà di tipo ZX comunica ad Y il suo Z’ e Y comunica ad X il suo Z’’

• {haec Z (scilicet Z’ et Z’’) COMMUNICANTUR inter X et Y} [non attestata]= Le proprietà di tipo Z sono scambiate e condivise

∗ COMMUNICATIO proprietatum vel idiomatum= scambio di Z (beni, o proprietà) tra X ed Y (soggetti; nature di Cristo)

5. COMUNICAZIONE COME UNIFICAZIONE DEI DUE (costruzioni senza oggetto)

5a. Unidirezionale: se corrisposta, produce la comunicazione unitiva bidirezionale

• iste X COMMUNICAT cum illo Y= X intrattiene rapporti con Y

X è in comunione con Y

∗ COMMUNICATIO ad alios Y (cum eis)= rapporto interpersonale intrattenuto da X con Y (soggetti spirituali)

5b. Bidirezionale (esplicitamente semiriflessiva)

• iste X et ille Y COMMUNICANT sibi ad invicem= X ed Y comunicano l’un l’altro

X ed Y sono in comunione (in comunicazione) reciprocaTra X ed Y c’è scambio di affetti (o amicizia): ognuno vuole il bene dell’altro

∗ COMMUNICATIO ad invicem (horum X ad illos Y, et illorum Y ad hos X)= comunione, o libera comunicazione reciproca (scambio);

rapporto o relazione interpersonale bilaterale tra X ed Y (soggetti spirituali)

6. COMUNICAZIONE COME UNIONE SACRAMENTALE (costruzione intransitiva assoluta)

• iste X COMMUNICAT [senza ulteriori complementi diretti]= X fa la comunione [eucaristica]

X si comunica [sacramentalmente]

∗ COMMUNICATIO [senza ulteriori specificazioni]= comunione eucaristica, fatta da X (cristiano)

Comunicare qualcosa a qualcuno è dunque far che lui pure (in tutto oin parte) abbia o sia ciò che si ha e si è; comunicare invece con qualcuno èdunque far che i due, pur rimanendo due, siano uno.

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La traduzione del ‘communicare’ transitivo con “far che anche” si ap-poggia su un particolare uso, in cui il verbo indica l’estensione di una condi-zione o azione (o perlomeno dei suoi effetti) ad altri soggetti estranei ad es-sa 27.

Questo spunto di traduzione ci aiuta anche a penetrare meglio la no-zione (e il mistero) di essere.

Quella di essere (‘esse’) è notoriamente la nozione chiave della meta-fisica di Tommaso. Ma come va tradotto il termine latino ‘esse’? Noi lotraduciamo impropriamente ‘l’essere’, dimenticando che in latino mancal’articolo, che esercita un notevole potere concettualizzante (si pensi alruolo che gioca in greco e che forse è alle origini della filosofia classica, infunzione della scoperta del concetto). Insomma, traducendo ‘esse’ con‘l’essere’, rischiamo (se il nostro modo di dire rispecchia il nostro modo dipensare) di ridurre il verbo a nome, di cosificare l’atto e di ricaderenell’oblio dell’essere.

Quando Tommaso dice che «Deus creaturae esse communicat» 28,forse capiremmo meglio traducendo: «Dio comunica alla creatura che-sia»,ovvero (per il senso di comunicare) «fa sì che anche la creatura sia».

Insomma, sotto la complessa problematica della comunicazione c’è que-sta semplicissima e abissale nozione, espressa in latino da ‘et’ (in italiano da‘e’ o ‘anche’), che dichiara il mistero dell’articolazione originaria dell’unità edella pluralità, misteriosamente esplicato (per dono) nella compresenza di tuttiin colui che è Tutto, ma non è tutti, e che con tutti (singolarmente e comunita-riamente presi) istituisce un mirabile connubio eterno nel tempo: «Quid mihi ettibi, mulier?» 29.

27 Cf ST4 69.2 co: «Omni baptizato communicatur passio Christi ad remedium

ac si ipse passus et mortuus esset».28 ST1 104.3 co (cf 2SN 15.3.3 ad 2).29 Io 2,4.

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ELEMENTI DI LESSICOGRAFIA

5. L’ARTICOLAZIONE SINTAGMATICA E PROPOSIZIONALE,

OSSIA LA DOTTRINA

• L’uso dei singoli lemmi e dei gruppi di lemmi semanticamente associati manife-sta gli aspetti nozionali di un concetto relativo ad una parola chiave.

Il passaggio successivo è quello di elaborare (quasi come voci di unLessico intellettuale), attraverso l’approfondimento delle considerazionilessicali e l’esame delle correlazioni grammaticali, la definizione induttivadei significati del vocabolario.

Trattandosi di un Lessico intellettuale, le voci, oltre a prendere in consi-derazione il semplice significato linguistico delle parole, avranno un carattereenciclopedico, ossia cercheranno di riassumere anche i contenuti (ossia le im-plicazioni e utilizzazioni dottrinali) di ogni lemma.

Ma i diversi significati che i diversi lemmi assumono nell’uso concretomostrano le diverse valenze nozionali del concetto (in quanto “termine in-complesso”, ossia né affermato né negato), previe alle tesi della dottrina (inquanto “termini complessi”, o affermazioni specifiche).

Per questo, esamineremo sincronicamente gli usi linguistici, senza scarta-re quelli attestati in citazioni o obiezioni, che pure l’autore non condivide, mache tuttavia fanno parte del suo orizzonte. Infatti, anche quando un autore intempi o contesti diversi si esprime in maniere diverse (mutando cioè il propriolessico attivo), non per questo perde la capacità di capire i suoi precedentiscritti (diminuendo cioè il proprio lessico passivo); ed anche se può arrivare anegare ciò che prima affermava, o affermare ciò che prima negava, non potràmai rinnegare i significati dati ai termini affermati o negati. Analogamente, an-che quando un autore riporta affermazioni altrui senza magari condividerne ilsenso, non per questo elimina in esse il significato delle parole. In effetti, dueaffermazioni (e dottrine) contrapposte contraddittoriamente, sebbene inconci-liabili sul piano apofantico, tuttavia appartengono entrambe allo stesso univer-so semantico: per rigettare una obiezione bisogna infatti prima prenderla inconsiderazione e capirla, e poi rispondervi all’interno dello stesso gioco lin-guistico. Poiché il concetto è espresso non solo dai singoli lemmi del tema, madal tema nel suo complesso, insieme ai temi semanticamente associati, occorrenon solo analizzare i primi, ma anche accennare ai secondi.

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• L’uso proposizionale proprio dei sintagmi di una parola chiave manifesta learticolazioni della dottrina di un autore intorno al rispettivo concetto.

Per dottrina intendiamo il Concetto stesso finora considerato, ma pre-so adesso non più solo come termine “incomplesso” – nelle sue valenzenozionali –, ma soprattutto come termine “complesso”, o meglio come in-sieme articolato di affermazioni specifiche e proprie dell’autore, generateda una sua peculiare visione delle cose.

Le affermazioni devono essere specifiche (distinte cioè secondo i rispetti-vi ambiti dottrinali) e proprie dell’autore (distinte cioè dalle opinioni da luisoltanto citate e non condivise). Il loro insieme è articolato, e quindi conside-rato sincronicamente (per la diacronia, dobbiamo rinviare a dopo).

Tali affermazioni si presentano linguisticamente come proposizioni(ovvero sintagmi in senso lato) relative ad aspetti del Concetto (espressi dasintagmi in senso stretto). Poiché tali sintagmi ci interessano soprattutto nelloro valore dottrinale, non ci preoccupiamo di distinguerne esattamentel’enunciazione linguistica; molti sintagmi linguisticamente eteronimi pos-sono essere infatti concettualmente omologhi e ricondotti quindi (come va-rianti) allo stesso tipo di sintagma o articolazione dottrinale.

Così, ad esempio, dopo aver considerato in sede linguistica il concettotommasiano di Comunicazione nei suoi aspetti nozionali, occorrerà poi consi-derarlo nelle dottrine filosofiche e teologiche che, sebbene in maniera fram-mentaria, Tommaso ha elaborato sulle diverse comunicazioni. Perché però lostudio delle dottrine comunicazionali tommasiane sia gradualmente sviluppatoa partire dallo studio linguistico e secondo il movimento stesso del pensiero diTommaso (partendo cioè da ciò che è più noto a noi per arrivare a ciò che è piùnoto in sé, ed ascendendo il più possibile per via di ragione prima di intrapren-dere la via della fede nella rivelazione cristiana), occorrerà prima brevementetracciare una descrizione fenomenologica del comunicare, riconducendo imolti sintagmi e fenomeni comunicazionali a pochi tipi fondamentali; poi sipasserà ad una loro fondazione metafisica “dal basso”, imperniata sul principioche ogni comunicazione richiede una certa comunicatività e incomunicabilitàontologica (da quella minimale dei soggetti materiali, a quella massimale deisoggetti umani, a quella infinita del Primo Comunicatore); e infine (in base aprincìpi che sono normativi per il teologo, ma solo probabili per il filosofo) sipotrà concludere con una ricostruzione teologica “dall’alto” del sistema dellecomunicazioni. Ad esempio, possiamo riassumere in una tabella schematica(con tutti i limiti che uno schema porta con sé) la struttura e la tipologia dellacomunicazione, che dall’analisi lessicografica era emersa. Tale schema po-trebbe servire da filo conduttore per tutta la trattazione dottrinale della filosofiae teologia tommasiane della Comunicazione.

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Tipologia della comunicazione (riepilogo)

POSSIBILI MODI DELLA COMUNICAZIONE:a> statica, b> di duplicazione dinamica di unità e duplicità c> di unificazione reciproca

POSSIBILI SOGGETTI DI COMUNICAZIONE: il soggetto incomunicabile dotato di bontà:a> Dio

a: le persone divine ad intrab: l’essenza divina ad extrac: alcune persone divine ad extra

b> La creaturaa: il soggetto spirituale creato, e in particolare l’uomob: il soggetto corporeoc: l’entità presa come soggetto

POSSIBILI OGGETTI DI COMUNICAZIONE: la forma o perfezione comunicabile (bontà):a> Oggetti di comunicazione dinamica da parte delle creature

a: per comunicazione a mo’ di natura1° forma naturale materiale:

i° natura o essenza e forma sostanziale, per generazioneii° forma o perfezione accidentale, per influsso causale

2° forme accidentali spirituali:i° dottrina, per l’insegnamento o il linguaggioii° [virtù, per educazione]

b: per comunicazione a mo’ di volontà1° per comunicazione unidirezionale:

sé (quanto alla volontà) per amore2° per comunicazione reciproca:

i° beni (ex voluntate): condivisioneii° volontà: amicizia ricambiata

b> Oggetti di comunicazione dinamica da parte di Dio soloa: comunicazioni naturali e sovrannaturali

1° essere e altre perfezioni (beni)a: essere e perfezioni naturali per creazioneb: grazia, per infusione

2° sapienza, per manifestazione / rivelazioneb: comunicazioni totalmente eccedenti la ragione

1° natura ad intra per le processionia: a mo’ di natura: generazioneb: a mo’ di consenso d’amore: spirazione

2° natura ad extra per incarnazione [e communicatio idiomatum]3° quanto alla comunione ecclesiale-sacramentale

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ELEMENTI DI LESSICOGRAFIA

6. L’ARTICOLAZIONE SINCRONICA TESTUALE

6.1 L’ARTICOLAZIONE DEL TESTO E LA SUA ERMENEUTICA

• I testi, ordinati sincronicamente in contesti (a cerchi concentrici nell’universotestuale), manifestano in concreto il Concetto (linguistico, nozionale, dottrinale) diComunicazione come “intentio textus” generata dalla “intentio auctoris”.

Per testo intendiamo un insieme significativo (di grandezza variabile)di parole che sia omogeneo, continuo e fissato o tramandato (ad esempio,per iscritto).

Invece per contesto intendiamo il testo “circostante” una singola pa-rola o un testo; in particolare, il contesto immediato di una parola è la frasein cui è costruita e il contesto immediato di una frase è l’unità testuale mi-nimale in cui è inserita; il contesto si allarga progressivamente ad unitàsempre più ampie di testo, alla singola opera, all’intero corpus o universotestuale dell’autore e (finalmente) sia all’universo intertestuale di tutti i te-sti storicamente connessi sia all’universo extratestuale dei pensieri e deifatti in cui l’universo testuale dell’autore è inserito e connesso, in base adun principio che possiamo chiamare di polirelazionalità testuale.

Sappiamo che la lessicografia è l’arte d’interpretare il vocabolario di unalingua o di un autore, ovvero è l’ermeneutica applicata alle parole. Ma il voca-bolario si trova concretamente costruito nel discorso e in un testo, e così l’er-meneutica verbale è in funzione dell’ermeneutica testuale e l’ermeneutica te-stuale dà la riprova dell’ermeneutica verbale.

Dopo aver analizzato nei capitoli precedenti il vocabolario, i signifi-cati, la dottrina del comunicare, risalendo fino agli assiomi della teoria co-municazionale, ora possiamo a mo’ di appendice analizzare alcuni testiparticolarmente significativi, per mostrare l’utilità della lessicografia alservizio della migliore intelligenza dei testi: il lessicografo infatti non è néun “meccanico” della filosofia e della teologia né un “oracolo” oscuro.

L’analisi lessicografica si mostra preziosa già nell’opera di ridurre la di-stanza culturale con l’autore studiato ed interpretarlo rettamente nel suo lessico(tracciandone con maggior precisione la geografia semantica); ma le acquisi-zioni lessicografiche trovano la loro più efficace applicazione proprionell’analisi del testo stesso: grazie alla lessicografia, l’ermeneutica dispone dipotenti chiavi per aprire anche un testo ermeticamente chiuso. L’ermeneuticatestuale non può non tener conto della retorica letteraria (facendo come una

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filosofia della letteratura). In particolare non può non prendere sul serio lametafora, senza per questo cadere in un irrazionalismo.

Se la comunicazione divina è necessariamente un’autocomunicazione,e se tale autocomunicazione è quoad se una comunicazione ontologica (siaa mo’ di natura, come duplicazione, sia a mo’ di volontà, come unifica-zione amicale ed etica, che però in Dio ha anche un valore ontologico),tuttavia essa si manifesta quoad nos come una comunicazione sapienziale emanifestativa. Mediante l’analisi dei sintagmi (e della dottrina che essiesprimono) e l’approfondimento degli assiomi è emersa la compene-trazione di queste due comunicazioni per Tommaso.

Con questo bagaglio linguistico e teoretico possiamo quindi intrapren-dere in questa parte il nostro cammino di progressiva presa di coscienzadella comunicazione ontologica e sapienziale: per motivi storici ed ancheteoretici non potremo fare a meno di concentrarci sul Breve Principium,che presenta la struttura e il funzionamento della comunicazione sapien-ziale da parte di Dio, ma anche enuncia il programma comunicazionale diTommaso stesso, come filosofo e teologo.

Ci troveremo di fronte ad una trattazione teologica (ma di riflesso filo-sofica) sulla teologia stessa (e di riflesso sulla filosofia): forse proprio perla sua autoreferenzialità, tale trattazione farà ampio uso di metafore, giusti-ficato ed anzi prescritto dallo stesso Breve Principium.

Oltre al Principium ci limitiamo ad esaminare solo due testi, perché ilsuccessivo volume, sulla communicatio spiritualis sapientiae, sarà tutto dedi-cato all’ermeneutica testuale.

• L’ermeneutica testuale lessicografica interpreta i testi, traducendoli e trasponen-doli, secondo certi criteri, nel linguaggio e nella cultura di oggi.

Il culmine dell’interpretazione è la traduzione e trasposizione del te-sto. Per questo, al termine di ciascuno dei due capitoli di questa parte l’er-meneutica lessicale e testuale sarà messa a frutto nella traduzione e traspo-sizione dei testi esaminati.

Cerchiamo ora di enunciare alcuni criteri che hanno guidato la tradu-zione dei testi presentati nei prossimi due capitoli.

Come criterio generale, da un punto di vista lessicale si è cercato ditradurre in maniera costante e regolare la terminologia “tecnica” specifica;dal punto di vista stilistico, poi, si è cercato di produrre un testo scorrevolee curato, che senza tradire il dettato originale ne eliminasse alcune durezze(come brachilogie o ridondanze) dovute alla sua forma letteraria, abbastan-za estranea al lettore d’oggi.

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Un autore scolastico è solito citare testi senza legarli al contesto con uncompleto discorso connettivo (anziché, per esempio dire: «La Glossa dice»,dice semplicemente: «Glossa:»). Questo oggi suona male. Pertanto è stato re-golarmente completato il discorso connettivo che introduce le citazioni.

Uno scolastico è solito strutturare le sue trattazioni in parti e in parti diparti. Passando da una parte all’altra, riprende magari una frase lasciata parec-chie righe prima, in maniera che spesso può lasciare sconcertato il lettore mo-derno. Per questo, nella traduzione, si è provveduto a completare queste frasiriprese a metà.

Gli Scolastici possedevano un’eccellente conoscenza della Scrittura. Aloro bastava accennare con tre o quattro parole una citazione biblica, per esseresicuro che il lettore la completasse a mente senza difficoltà. Questo, oggi, nonè più né possibile, né utile. Pertanto, nella traduzione, si è regolarmente com-pletato il passo biblico citato, secondo il testo latino adoperato (che non sem-pre corrisponde al testo originale da cui derivano le traduzioni moderne), macercando di riecheggiare il più possibile la versione liturgica oggi in uso (equindi più allusiva per il lettore). Inoltre, gli scolastici erano soliti nella predi-cazione citare passi paralleli “concordati” per parola chiave (ad esempio, nelBreve Principium Tommaso raccoglie tutta una serie di passi contenenti illemma ‘altus’). È dunque essenziale che la traduzione cerchi di mantenere co-stante questa parola, per non perdere il filo che lega le citazioni.

Gli argomenti pro e contro di ogni argomento di questione sono struttu-rati più o meno in forma di sillogismo, anche se a volte non proprio chiara; si-milmente, nelle risposte alle obiezioni, l’argomentazione dell’obiezione stessaè spesso solo accennata da Tommaso. Questo obbliga il lettore alla fatica diandare avanti e dietro dalle obiezioni alle risposte e viceversa. Per questo,nella traduzione, è stato completato il senso dell’obiezione, in maniera es-senzializzata e comunque il più possibile aderente al testo dell’obiezione stes-sa.

In una questione disputata, il senso di ciò che è detto dipende anche dadove viene detto (ovvero, se nella determinazione magistrale, in cui l’autoreesprime il suo pensiero, o nei fondamenti, di cui l’autore condivide il senso, onelle obiezioni, che l’autore confuterà). Si è cercato di rendere queste differen-ze, traducendo le conclusioni delle obiezioni perlopiù in forma condizionale,per evidenziare la loro non reale conclusività.

Tommaso cita testi dei padri e dei dottori antichi. Per un lettore di alloraera evidente la differenza tra lo stile solitamente classicheggiante dei padri, elo stile scolastico di Tommaso. Pertanto si è cercato di rendere questa diffe-renza anche nella traduzione, con una maggiore solennità di stile per i testi pa-tristici. I testi dei padri e dei dottori antichi sono stati tradotti tutti ex novo inbase al testo citato da Tommaso, che spesso lo rimaneggia.

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I medievali collocavano nel testo stesso, accanto ad ogni citazione, la ri-spettiva ubicazione più o meno precisa. Questo sistema, oggi, viene ad esserepesante e, per la presenza delle note a piè di pagina, del tutto ingiustificato.Pertanto, sono stati regolarmente omessi tutti i dati delle ubicazioni, ad ecce-zione tutt’alpiù del titolo dell’opera citata.

Con questi accorgimenti ci accingiamo ora a leggere e analizzare, perpoi tradurre e trasporre, alcuni testi comunicazionali esemplificativi diTommaso.

Una lettura ingenua può rimanere indifferente di fronte ad un testo ap-parentemente insignificante come il seguente.

«Divina bonitas participatur in diversis secundum diversos modos. Per-fectioni autem participatae duplex nomen imponitur. Vel secundum ratio-nem communem perfectioni illius, et tunc nomen est commune et ipsiprincipio communicanti et omnibus participantibus, secundum analogiam,sicut bonitas, entitas et huiusmodi. Vel secundum proprium modum quo re-cipitur vel est in creatura» [sicut tempus respectu aeternitatis] 1.

In questo testo – quasi di passaggio – Tommaso spiega come mai leperfezioni create (tutte provenienti da Dio), a volte sono denominate analo-gicamente 2 con lo stesso nome che caratterizza le corrispondenti perfezioniincreate di Dio (così diciamo buono o ente tanto Dio quanto la creatura); avolte invece sono denominate con nomi diversi (così diciamo eterno soloDio, e diciamo temporale solo la creatura materiale).

Lo stesso testo, però, si trasfigura alla lettura del lessicografo, che vitrova riflessa la struttura stessa del comunicare.

1 1SN 19.2.1 ra 3.2 Dopo secoli di interpretazione in chiave logico-linguistica, sulle orme del Caie-

tano, della dottrina tommasiana dell’analogia, recentemente se ne è riscoperto il fon-damentale valore ontologico: cf (da un punto di vista teoretico) Eric PRZYWARA,Analogia Entis. Metaphysik, Einsiedeln, Johannes 21962; trad. it. di Paolo Volonté,Analogia entis, Milano, Vita e Pensiero 1995 (in particolare il capitolo 2.9: “Tra meta-fisica e cristianesimo”); inoltre (da un punto di vista storico-filosofico) BernardMONTAGNES, La doctrine de l’analogie de l’être d’après Saint Thomas d’Aquin, Lou-vain-Paris, Nauwelaerts 1963; più recentemente, Ralph MCINERNY, Aquinas andAnalogy, Washington, The Catholic University of America Press 1996.

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SOGGETTO OGGETTO ORDINE DEL ATTO DEL SOGGETTOCOMUNICANTE COMUNICATO COMUNICARE COMUNICARE RICEVENTE

Divina bonitas participatur in diversissecundum diversos modos.

Perfectioni participatae

duplex nomen imponitur:

vel secundum rationem communem

perfectioni ILLIUS

et tuncnomen est commune

et ipsi PRINCIPIO communicanti

et omnibus PARTICIPANTIBUSsecundumanalogiam

[ ‘Entitas’ (‘Esse’) ‘entitas’ ‘Bonitas’ ‘bonitas’ ]

vel secundumproprium modum quo

recipiturvel est in CREATURA

[et tunc nominadifferunt]

[ ‘Aeternitas’ ‘tempus’ ]

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Da un punto di vista lessicale, notiamo innanzitutto come al passivo‘participo’, ‘communico’ e ‘recipio’ siano equivalenti, mentre all’attivo‘participo’ esprime l’atto di ‘communico’ dal punto di vista del ricevente.Così il participans è il recipiens.

Da un punto di vista dottrinale, notiamo invece che l’analogia nomi-num del linguaggio su Dio si fonda sulla comunicazione dell’essere e diogni perfezione da parte di Dio alle creature. Nelle creature ogni perfezioneest in quanto recipitur o participatur. L’ente creato (composto d’essenzaed essere) è in quanto riceve.

In altre parole, nominare Dio a partire da una perfezione non è altroche riconoscerlo come comunicatore di tale perfezione (non è questo, infondo, il senso del quod omnes dicunt Deum che chiude ciascuna delle cin-que vie per dimostrar Dio?).

Ebbene, in ogni comunicazione c’è qualcosa che è reso comune dalcomunicante al ricevente, ma anche qualcosa che resta proprio e distinto, ecaratterizza così il comunicante e il ricevente come incomunicabili: di quil’esistenza di nomi di perfezioni che rispecchiano il proprium incomunica-bile del creatore e della creatura (così, rispettivamente, eterno e temporale),e altre che invece rispecchiano la ratio communis.

Ma cosa ci può essere in comune fra creatore e creatura? E l’analogiadell’essere (che arriva ad interpretare ontologicamente il nome stesso ‘Quisum’, con cui Dio si sarebbe manifestato a Mosè) non sarebbe la forma piùraffinata di idolatria?

Il tema è stato ultimamente oggetto di dibattito storiografico, per deter-minare meglio l’influsso della tradizione biblica e di quella greca nella con-cezione di Dio come essere 3.

3 Sulla enunciazione di una tradizione metafisica ispirata dalla manifestazione del

nome di Dio nell’Esodo cf Étienne GILSON, Constantes philosophiques de l’être, Pa-ris, Vrin 1983 (postumo); trad. it. di Roberto Diodato, Costanti filosofiche dell’essere,Milano, Massimo 1993 [cf soprattutto i capitoli VII-VIII: «L’essere e Dio»; «Yahwehe i grammatici»]; dal punto di vista storico la tesi va però ridimensionata tenendoconto della presenza della dottrina di Dio come essere già nella tradizione platonica: cfCornelia DE VOGEL, «Ego sum qui sum» et sa signification pour une philosophiechrétienne, in «Revue des Sciences Religieuses» 1960-1961; Pierre HADOT, Dieucomme acte d’être dans le néoplatonisme. À propos des théories d’É. Gilson sur lamétaphysique de l’Exode, in Dieu et l’être. Exégèse d’Exode 3,14 et de Coran 20,11-24, Paris 1978, p. 57-63; In generale, sulla tradizione interpretativa del “nome di Dio”,cf Alain DE LIBERA (ED.), Celui qui est, Cerf, Paris 1986. Sugli effetti della discussio-ne storiografica sulla letteratura tomistica recente, cf Giovanni VENTIMIGLIA, Gli studisull’ontologia tomista: Status quaestionis, in «Aquinas» 1995, p. 63-96.

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Lo stesso tema dell’analogia dell’essere è stato ed è oggetto di dibattitosistematico e teoretico, grazie agli attacchi mossi da più parti in maniera con-vergente: la critica di Heidegger all’ontoteologia, la critica di Levinas ad ogniforma, anche concettuale, di idolatria 4, la critica di Barth alla analogia entis innome della analogia fidei, la critica di Feuerbach alla teologia (intesa comeantropologia rovesciata), e la concezione di Dio in Otto come «totalmente Al-tro» 5.

Riprendiamo la domanda, in questo orizzonte critico: cosa mai ci po-trebbe esser di comune tra creatore e creatura? Ebbene, nulla è comune traDio e creatura, se non l’atto comunicativo stesso di Dio!

Ecco dunque il senso dell’analogia con cui vanno intesi i nomi di per-fezione comuni ad entrambi: Dio è e la creatura è, ma Dio comunical’essere, e la creatura lo riceve; e però Dio non è detto essere perché comu-nica l’essere, ma lo comunica perché lo è per essenza,

«quamvis divina essentia […] per esse […] creaturae communicatumnobis innotescat» 6.

Il creatore comunica l’essere e la creatura lo riceve: non si tratta didue atti diversi, ma dello stesso atto visto da due punti di vista diversi (ecioè dalla parte del comunicante e da quella del ricevente). In comune fraCreatore e creatura c’è l’atto del comunicare l’essere; non in comune c’èche di tale atto il Creatore è soggetto comunicante, mentre la creatura èsoggetto ricevente; e poiché ogni comunicazione accomuna, la creatura puòper analogia conoscere il Creatore.

4 Cf Jean-Luc MARION, L’idole et la distance, Paris, Grasset et Fasquelle 1977;

trad. it., L’idolo e la distanza, Milano, Jaca Book 1979: ID., Dieu sans l’être, ArthèmeFayard, Paris 1982; trad. it., Dio senza essere, Milano, Jaca Book 1987. Dal punto divista tomista, oltre a, si vedano le risposte a Marion: Dominique DUBARLE, Dieu avecl’être. De Parmenide à Saint Thomas. Essai d’ontologie théologale, Beauchesne, Paris1986 (cf in particolare il capitolo 5); inoltre, Saint Thomas et l’onto-théologie, sezionemonografica di «Revue Thomiste» 1995,1. Una riproposizione interessante dell’apofa-tismo orientale (reinterpretato come rapporto personale e incomunicabile con Dio),assieme ad una critica (preconcetta e infondata) della posizione tommasiana è quelladi Christos YANNARÀS, Χαιντεγγερ και ’Αρεοπαγιτης ’η περι απουσιας και αγνοσιαςτου Θεου, Atene, Domos 1988; trad. it. di Antonis Fyrigos, Heidegger e Dionigi Areo-pagita. Assenza e ignoranza di Dio, Roma, Città Nuova 1995 (capitolo 2).

5 Cf Henri BOUILLARD, Connaissance de Dieu. Foi chrétienne et théologie natu-relle, Paris, Aubier 1967; Ghislain LAFONT, Analogie et dialectique, Genève, Labor etFides 1982.

6 1SN 23.1.1 co.

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L’essere del creatore è infatti quoad nos un creare, ossia un far-esse-re, mentre l’essere della creatura è invece un creari, ossia un esser-fatto-essere.

La creazione in senso passivo è per Tommaso «non […] quoddamcreatum, sed concreatum, sicut nec […] ens proprie loquendo, sed inhae-rens» 7.

La creaturalità («creatio passiva») è pertanto per Tommaso un acci-dente della cosa creata, e precisamente una relazione a Dio creatore(ovvero comunicatore dell’essere della cosa stessa). Ebbene, la creaturalità,in quanto accidente, inerisce alla cosa stessa, ma in quanto relazione «perti-net ad ipsum esse rei per se, per quod res refertur ad Deum».

Questa dottrina metafisica è tipicamente tomistica, nel senso che caratte-rizzerà (in polemica con altri scolastici) la dottrina dei tomisti.

Viceversa, per Bonaventura «creari non est aliud quam esse»; «creatio,quae est passio, accidens non est, quia relatio creaturae ad creatorem non estaccidentalis, sed essentialis» 8.

A parziale giustificazione di entrambe le teorie (come si dirà nella con-clusione) si noti che se la creaturalità è essenzialmente costitutiva di ogni cosa(così che l’essere della cosa sia in un certo senso una relazione a Dio), tuttavianon in maniera immediata, altrimenti (se esse significasse esse ad Deum) l’esi-stenza del creatore sarebbe immediatamente evidente.

Qui la filosofia si coniuga con la sensibilità biblica: “ogni dono infattidiscende da Dio, nel quale non ci può essere variazione né ombra di cam-biamento” (il primo comunicatore è infatti atto puro, di perfezione incomu-nicabile), sicché “dal Padre prende nome ogni paternità in cielo e in ter-ra” 9.

Così, pure, Tommaso ha riletto in chiave comunicazionale la defini-zione del Concilio Lateranense IV sulla maior dissimilitudo fra creatura ecreatore 10.

Quello di essere dunque non è propriamente un concetto, ovvero unaintentio logica riconducibile ad una specie o ad un genere, in quanto tra-

7 QDP 3.3 ra 2.8 Rispettivamente In Sententiarum, 2.1a.3.2 sc 1 (cf co) e In Hexaëmeron, 4.8.9 Cf rispettivamente Iac 1,17 e Eph 3,15.10 In effetti, «In processione divinarum personarum ipsa eadem divina essentia

communicatur personae procedenti et sic sunt plures personae habentes divinam es-sentiam, sed in processione creaturarum, ipsa divina essentia non communicaturcreaturis procedentibus, sed remanet incommunicata seu impartecipata; sed similitu-do eius […] in creaturis propagatur et multiplicatur» [CDN 2.3 /30].

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scende (verticalmente) ogni genere 11; ma una nozione analoga che tra-scende (verticalmente ed orizzontalmente) ogni genere e si applica così adogni ente proprio in virtù dell’azione creativa di Dio 12, ossia della comuni-cazione dinamica da parte di Dio alle creature 13.

In tal modo l’essere indica la somiglianza della creatura al creatore(somiglianza che è da intendere in senso unidirezionale e non reciproco, eche pertanto non è invertibile, così da dire il creatore simile alla creatu-ra 14).

In tal modo possiamo conoscere Dio per analogia: non cioè perchéDio sia fatto (concepito o addirittura inventato) a somiglianza della crea-tura, ma perché è la creatura ad esser fatta (da Dio) simile a Dio.

Differentemente da Bonaventura, Tommaso intende la somiglianza nontanto (o non solo) come un perfezionamento sovrannaturale (per grazia)dell’immagine naturale impressa nell’anima umana, ma anche (in modo piùvicino al senso ebraico) come una limitazione o un preambolo dell’immaginestessa, che di per sé compete perfettamente solo al Figlio 15.

Per questo Dio pur rimanendo totalmente trascendente è tuttavia total-mente presente; l’essere così concepito non è quindi un “idolo”, ma sem-mai un’icona.

Con l’attenzione dovuta, possiamo adesso leggere il testo del Princi-pium (corretto congetturalmente in due punti), per analizzarlo poi da unpunto di vista lessicale, utilizzando gli strumenti lessicografici precedente-mente approntati e per riproporlo infine in traduzione e trasposizione com-

11 «Deus non se habet ad creaturas sicut res diversorum generum: sed sicut idquod est extra omne genus et principium omnium generum» [ST1 4.3 ra 2].

12 «Si igitur sit aliquod agens, quod non in genere contineatur, effectus eius adhucmagis accedent remote ad similitudinem formae agentis: non tamen ita quod partici-pent similitudinem formae agentis secundum eandem rationem speciei aut generis, sedsecundum aliqualem analogiam, sicut ipsum esse est commune omnibus. Et hocmodo illa quae sunt a Deo, assimilantur ei inquantum sunt entia, ut primo et universaliprincipio totius esse» [ST1 4.3 co].

13 «Non dicitur esse similitudo creaturae ad Deum propter communicantiam informa secundum eandem rationem generis et speciei: sed secundum analogiam tan-tum; prout scilicet Deus est ens per essentiam, et alia per partecipationem» [ST1 4.3 ra3].

14 «Licet aliquo modo concedatur quod creatura sit similis Deo, nullo tamen modoconcedendum est quod Deus est similis creaturae […]: dicimus enim quod imago estsimilis homini, et non e converso» [ST1 4.3 ra 4].

15 Cf rispettivamente Itinerarium, 4; ST1 4.3 sc 1; 93.9 co + ra 1-2.

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mentate (il lettore può eventualmente già leggere il testo tradotto, alla finedel capitolo).

Nel prossimo volume, si fornirà anche un approfondito commento dottri-nale del Breve Principium e di altri significativi testi paralleli sulla comunica-zione della sapienza.

[0] «Rex caelorum et Dominus hanc legem ab aeterno instituit, ut pro-videntiae suae dona ad infima per media pervenirent. Unde Dionysius […]dicit: “Lex divinitatis sacratissima est, ut per prima media adducantur ad suidivinissimam lucem”. Quae quidem lex, non solum in spiritualibus, sedetiam in corporalibus invenitur. […].

Et ideo Psalmo praedictam legem in communicatione spiritualis sapien-tiae observatam sub metaphora corporalium rerum proposuit Dominus:“Rigans montes <de superioribus suis: de fructu operum tuorum satiabiturterra>”.

Videmus autem ad sensum, a superioribus nubium imbres effluere, qui-bus montes rigati flumina de se emittunt, quibus terra satiata fecundatur.

Similiter, de supernis divinae sapientiae rigantur mentes doctorum, quiper montes significantur, quorum ministerio lumen divinae sapientiae u-sque ad mentes audientium derivatur.

Sic igitur in verbo proposito quattuor possumus considerare, scilicet:– spiritualis doctrinae altitudinem;– doctorum eius dignitatem;– auditorum conditionem;– et communicandi ordinem.

[1] Altitudo <spiritualis doctrinae> […] ostenditur in hoc quod dicit: “desuperioribus suis”. Glossa: “de altioribus archanis”. Habet enim sacra doc-trina altitudinem ex tribus.

– Primo, ex origine: haec enim est sapientia quae de sursum esse de-scribitur […]: “Fons sapientiae Verbum Dei in excelsis”.

– Secundo, ex subtilitate materiae […].Sunt enim quaedam alta divinae sapientiae, ad quae omnes

perveniunt, etsi imperfecte, quia cognitio existendi Deum natura-liter omnibus est inserta, ut dicit Damascenus […].

Quaedam vero sunt altiora, ad quae sola sapientum ingeniapervenerunt, rationis tantum ductu, de quibus <dicitur> […]:“Quod enim notum est Dei, manifestum est in illis”.

Quaedam autem sunt altissima, quae omnem humanam ratio-nem transcendunt; et quantum ad hoc dicitur […]: “Abscondita

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est sapientia ab oculis omnium viventium” […]. Sed hoc per Spi-ritum Sanctum qui scrutatur etiam profunda Dei […], sacri docto-res edocti tradiderunt in textu Sacrae Scripturae; et ista sunt altis-sima, in quibus haec sapientia dicitur habitare.

– Tertio, ex finis sublimitate: finem enim habet altissimum, scilicetvitam aeternam […]: “Haec […]scripta sunt ut credatis quia Iesus estChristus Filius Dei; et ut credentes vitam habeatis in nomine eius”.<Unde> […] “quae sursum sunt quaerite ubi Christus est in dextera Deisedens; quae sursum sunt sapite, non quae super terram”.

[2] Ratione enim altitudinis huius doctrinae et in doctoribus eius re-quiritur dignitas; unde per montes significantur, cum dicitur: “Rigansmontes”; et hoc propter tria, scilicet:

– primo, propter montium altitudinem. Sunt enim a terra elevati et ca-elo vicini. Sic enim sacri doctores terrena contemnendo solis caelestibusinhiant […]: “nostra <enim> […] conversatio in caelis est”, unde de ip-so doctore doctorum, scilicet Christo, dicitur […]: “Elevabitur supercolles et fluent ad eum omnes gentes”.

– Secundo, propter splendorem. Primo enim montes radiis illustran-tur. Et similiter sacri doctores mentium splendorem primo recipiunt. Si-cut montes enim doctores primitus radiis divinae sapientiae illumi-nantur, <unde dicitur> […]: “Illuminans tu mirabiliter a montibus ae-ternis turbati sunt omnes insipientes corde”; id est a doctoribus qui suntin participatione aeternitatis, <et>: “Inter quos lucetis sicut luminaria inmundo”.

– Tertio, propter montium munitionem, quia per montes terra ab ho-stibus defenditur. Ita et doctores ecclesiae in defensionem fidei debentesse contra errores. Filii Israel non in lancea, nec in sagitta confidunt,sed montes defendunt illos. […].

Omnes igitur doctores Sacrae Scripturae

– esse debent alti per vitae eminentiam, ut sint idonei ad efficaciterpraedicandum; quia, ut dicit Gregorius in pastorali: “Cuius vita despi-citur, necesse est ut eius praedicatio contemnatur” et <ut dicit Ecclesia-stes> […]: “Verba sapientum quasi stimuli et quasi clavi in altum defi-xi”. Non enim cor stimulari potest aut configi in timore Dei, nisi in vitaealtitudine defigatur.

– Debent esse illuminati, ut idonee doceant legendo […]: “Mihi au-tem omnium sanctorum minimo data est gratia haec, in gentibus evange-lizare investigabiles divitias Christi, et illuminare omnes, quae sit di-spensatio sacramenti absconditi a saeculis in Deo”.

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– Muniti, ut errores confutent disputando, <unde dicitur> […]: “Egodabo vobis os et sapientiam, cui non poterunt resistere et contradicereomnes adversarii vestri”.

Et de his tribus officiis, scilicet praedicandi, legendi et disputandi, dici-tur, […]: “Ut sit potens exhortari”, quantum ad praedicationem; “in doctri-na sana”, quantum ad lectionem; “et contradicentes revincere”, quantum addisputationem.

[3] Tertio, auditorum conditionem, quae sub terrae similitudine figu-ratur; unde dicit: “Satiabitur terra”. Et hoc quia terra infima est, […], stabi-lis et firma, <et> […] fecunda, <unde dicitur> […]: “Germinet terra herbamvirentem, et facientem semen, et lignum pomiferum faciens fructum iuxtagenus suum”.

– Similiter, <auditores> debent ad similitudinem terrae esse infimiper humilitatem, <quia> “ubi humilitas, ibi sapientia”.

– Item, firmi per sensus rectitudinem […]: “Ut non sitis parvuli sensi-bus”.

– Item fecundi, ut percepta sapientiae verba in eis fructificent, <undedicitur>: “<Semen> quod autem cecidit in terram bonam hi sunt qui incorde bono et optimo audientes verbum retinent, et fructum afferunt inpatientia”.

– Humilitas ergo in eis requiritur quantum ad disciplinam quae estper auditum, <unde dicitur>: “Si inclinaveris aurem tuam excipies doc-trinam; et si dilexeris audire, sapiens eris”.

– Rectitudo autem sensus, quantum ad iudicium auditorum, <unde di-citur> […]: “Nonne auris verba diiudicat?”.

– Sed fecunditas quantum ad inventionem, per quam ex paucis auditismulta bonus auditor annuntiet, <unde dicitur> […]: “Da occasionem sa-pienti, et addetur ei sapientia”.

[4] Ordo autem generationis tangitur hic quantum ad tria, scilicet, quan-tum ad communicandi {virtutem} 16; et quantum ad quantitatem et qualita-tem doni accepti.

– Primo quantum ad {quantitatem doni accepti} 17:quia non totum quod in divina sapientia continetur, mentes

doctorum capere possunt. Unde non dicit: “Superiora montibus

16 Il testo ha «ordinem», che dal contesto dovrebbe invece essere sostituito con

«virtutem».17 Il testo ha «communicandi ordinem», palesemente erroneo.

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influens”, sed: “De superioribus rigans”; <unde et in Iob dicitur>[…]: “Ecce haec ex parte dicta sunt <viarum eius>”.

Similiter etiam, nec totum quod doctores capiunt, auditoribuseffundunt, <unde dicitur> […]: “Audivit archana verba quae nonlicet homini loqui”. Unde non dicit: “Fructum montium terrae tra-dens”, sed: “De fructu terram satians”. Et hoc est quod dicit Gre-gorius: “Praedicare non debet rudibus doctor quanta cognoscit,quia et ipse de divinis mysteriis cognoscere non valet quantasunt”.

– Secundo, tangitur ordo quantum ad modum habendi:quia sapientiam Deus habet per naturam. Unde “superiora” sua

esse dicuntur illi, scilicet naturalia, <quia> […] “apud ipsumscientia et fortitudo; ipse habet consilium et intelligentiam”.

Sed doctores scientiam participant ad copiam. Unde de supe-rioribus rigari dicuntur […]: “Rigabo hortum plantationum, etinebriabo prati mei fructum”.

Sed auditores eam participant ad sufficientiam, et hoc si-gnificat terrae satietas […].

– Tertio, quantum ad virtutem communicandi:quia Deus propria virtute sapientiam communicat. Unde per

seipsum montes rigare dicitur.Sed doctores sapientiam non communicant nisi per ministe-

rium. Unde fructus montium non ipsis, sed divinis operibus tribui-tur. “De fructu”, inquit, “operum tuorum”. <Unde dicitur> […]:“Quid igitur est Paulus?” et infra: “Ministri eius cui credidistis”.Sed “ad haec quis tam idoneus?”. Requirit enim Deus: ministrosinnocentes […], intelligentes […], ferventes […], obedientes.

Sed quamvis aliquis per se, ex seipso, non sit sufficiens ad tantum mi-nisterium, sufficientiam tamen potest a Deo sperare […]: “Non quod suf-ficientes simus cogitare aliquid ex nobis, quasi ex nobis; sed sufficientianostra ex Deo est”. Debet autem petere a Deo, <unde dicitur> […]: “Si quisindiget sapientia postulet a Deo, qui dat omnibus affluenter et non impro-perat, et dabitur ei”. Oremus. Nobis Christus concedat. Amen».

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6.2 UN ESEMPIO DI ERMENEUTICA LESSICOGRAFICA:ANALISI DEL “BREVE PRINCIPIUM” DI TOMMASO

6.2.1 Corrispondenza tra messaggio tematizzato e struttura lessi-cale e concettuale implicita nell’uso del vocabolario

1. Il Breve Principium può essere davvero considerato come la trat-tazione del principio della comunicazione per due motivi.

Il primo è di ordine lessicale: nel testo troviamo infatti la più alta per-centuale di frequenza del vocabolario comunicazionale in opere di Tom-maso (circa una parola su duecento 18); per praticità riepiloghiamo in unatabella le sei occorrenze in questione, con una numerazione a cui farannoriferimento anche le tabelle seguenti.

Tabella delle occorrenze di ‘-communic-’ nel Breve Principium

[1] praedictam legem in communicatione spiritualis sapientiae observatam sub metaphora cor-poralium rerum[2] Sic igitur in verbo proposito quattuor possumus considerare, scilicet: spiritualis doctrinae altitu-dinem; doctorum eius dignitatem; auditorum conditionem; et communicandi ordinem.

[3] Ordo autem generationis tangitur hic quantum ad tria, scilicet, quantum ad communicandivirtutem; et quantum ad quantitatem et qualitatem doni accepti.

[4] Tertio, quantum ad virtutem communicandi[5] quia Deus propria virtute sapientiam communicat[6] Sed doctores sapientiam non communicant nisi per ministerium.

Il secondo motivo di importanza comunicazionale del Principium è diordine testuale e dottrinale: si tratta infatti dell’unica trattazione sistematicaed esplicita fatta da Tommaso della teoria della comunicazione e della leg-ge suprema «in communicatione spiritualis sapientiae».

In questo testo, la philosophia exercita linguisticamente corrispondeesattamente alla philosophia professa; la struttura linguistica del verbo‘communico’ in senso transitivo è tematizzata dai quattro elementi della

18 Il Breve Principium (OTD) contiene 6 occorrenze di “communico” (ma solo 5

se si corregge il testo come faremo) e 1 di “communicatio”, con frequenze rispettiva-mente di 0,472% (al primo posto fra le opere di Tommaso, che hanno una media dello0,019%) e di quasi lo 0,077% (al secondo posto fra le opere di Tommaso, che hannouna media quasi di 0,007%); e complessivamente (come tema “-communic-”) con unafrequenza di quasi lo 0,551%, oppure (secondo il testo corretto) dello 0,472% (su unamedia dello 0,033%).

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communicatio spiritualis sapientiae: la doctrina è l’oggetto comunicato; ildoctor il soggetto comunicante; l’auditor è il termine della comunicazione,ovvero il soggetto ricevente; l’ordo corrisponde all’azione stessa espressadal verbo ‘communico’, ossia l’azione di rendere comune qualcosa pur nelmantenimento di una distinzione di proprietà fra i due soggetti.

2. In effetti, esaminando la sintassi di ‘-communic-’ in tutte le correla-zioni nel testo, ricaviamo questo stesso schema.

Correlazioni elementari dirette di ‘-communic-’ per subordinazione sintattica

Soggetti di comunicazione (nominativi reggenti ‘communico’):

• Deus communicat [5]

• doctores communicant [6]

Oggetti di comunicazione (accusativi retti da ‘communico’ e genitivi oggettivi retti da ‘communi-catio’):

• communicatio spiritualis sapientiae [1] [= spiritualis doctrinae]

• communicare sapientiam [5 e 6]Termini di comunicazione (dativi retti da ‘communico’ o ‘communicatio’; in questo testo sottintesi):

• (Deus sapientiam) communicat [doctoribus et auditoribus] [5]

• (doctores sapientiam) communicant [auditoribus] [6]

Altri rapporti sintattici:

• virtus communicandi [3 e 4]

• Lex in communicatione [1]

• communicare propria virtute [5]

• communicare per ministerium [6]

I soggetti comunicanti (espressi dai nominativi reggenti ‘communico’)sono ‘Deus’ e i ‘doctores’.

Gli oggetti comunicati (espressi dagli accusativi retti da ‘communico’e i genitivi oggettivi retti da ‘communicatio’) sono la ‘sapientia’, indicatapiù precisamente come ‘spiritualis sapientia’, sintagma questo che nellosviluppo del testo è sostituito dal sintagma sinonimo ‘spiritualis doctrina’.

In base al principio più volte enunciato secondo cui le comunicazionivanno distinte in base agli oggetti del comunicare, riconosciamo nelle oc-correnze del testo una comunicazione dinamica (transitiva con oggetto)della doctrina e della sapientia: ma la specificazione di ‘spiritualis’ ci facapire che non si tratta di una semplice comunicazione del sapere, ma diuna autocomunicazione manifestativa divina.

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Per quanto riguarda gli altri elementi sintattici che reggono‘communico’ e ‘communicatio’, il sintagma ‘virtus communicandi’ (in an-tonimia con ‘per ministerium’) indica la forza in virtù della quale si comu-nica; e il sintagma ‘lex in communicatione’ indica la regola in base allaquale si comunica, secondo il principio che «omnis communicatio aliqualege ordinatur» 19: infatti, ogni comunicazione, comportando una compre-senza di due o più propria (di per sé divergenti) e un commune, necessitadi una legge che ordini la pluralità all’unità.

3. Esaminando le correlazioni per coordinazione o associazione sino-nimica e antonimica di ‘-communic-’ e di ‘sapientia’ possiamo tracciare iconfini e le connessioni dei campi semantici da noi studiati.

Principali associazioni sinonimiche e antonimiche

Sinonimie:

• spiritualis doctrina = spiritualis sapientia [cf 1-2]

• ordo COMMUNICANDI = ordo generationis [cf 2-3]

Antonimie:

• COMMUNICARE propria virtute – COMMUNICARE per ministerium [cf 5-6]

Come sappiamo, ‘spiritualis doctrina’ è usato sinonimicamente rispet-to a ‘spiritualis sapientia’, anche se c’è una leggera sfumatura che distinguei due sintagmi.

Inoltre ‘ordo communicandi’ è sostituito, nello sviluppo del testo, da‘ordo generationis’: la sinonimia non deve sorprendere, dal momento cheper Tommaso la generazione è una comunicazione della forma, e l’insegna-mento è quasi come una generazione spirituale 20.

Le locuzioni antonime «propria virtute» e «per ministerium» (ovverovirtute aliena) sottintendono sempre ‘communicare’, sicché l’antonimia ri-vela una duplice comunicazione: quella di chi comunica senza ricevere equella di chi comunica quanto ha a sua volta ricevuto (questa distinzionesarà alla base del concetto di administratio 21).

6.2.2 MetaforologiaIl sermone è dedicato a considerare (sulla scorta del thema salmico) la

legge della comunicazione sapienziale «sub metaphora corporalium». Non

19 4SN 27.2.1c co.20 Cf RT1 1.2.2: «Doctor autem generat scientiam in anima discipuli».21 Cf RSR 6.1-3.

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deve dunque sorprendere la straordinaria ricchezza di metafore (già abi-tuale in un sermone) che vi riscontriamo. Senza ripetere quanto abbiamogià detto sulla metafora in generale e rinviando al prossimo volume la trat-tazione più ampia delle metafore del comunicare 22, ci soffermiamo adessoad esaminare da un punto di vista linguistico e letterario la complessa meta-forica presentata dal proemio del Breve Principium e sviluppata poi dal se-guito del sermone.

Tabella delle metafore del proemio: Metafore semplici

Metafore consumate (per catacresi) in traslati

• Rex caelorum

• terra satiata

• terra fecundatur

Metafore predicative esplicitamente motivate:

• doctores - (per) montes (significantur)

Metafore sintattiche non motivate:

• superna divinae sapientiae

• rigantur mentes

• altitudo doctrinae• lumen divinae sapientiae

L’unica metafora predicativa del proemio è quella che associa i doc-tores ai monti (più in là, il testo motiverà questa metafora per l’altezza, lu-minosità e protettività che entrambi hanno): essa ci sarà utile fra poco comechiave interpretativa delle metafore complesse del proemio.

Troviamo poi quattro metafore sintattiche: la sapienza scende comepioggia dalle realtà superne di Dio (metaforicamente raffigurate dalle ac-que sovracelesti) e costituisce un lumen (secondo una simbologia tradizio-nale, in quanto fa vedere spiritualmente); la doctrina che ne consegue èalta (in quanto superiore a noi e difficile da raggiungere); le menti umanesono irrigate (e quindi rese feconde). Ma la metafora dei superna sapienti-ae potrebbe anche essere intesa come cripto-predicativa (con un genitivodichiarativo), sì da mostrare un parallelismo tra le due realtà.

Queste quattro metafore sono molto suggestive ma non immediata-mente comprensibili, in quanto non motivate. D’altro canto, l’unica meta-fora motivata non ci aiuta molto nell’interpretazione delle altre.

22 Cf § 30,4; e Gilbert DAHAN, Saint Thomas d’Aquin et la métaphore. Rhétorique

et herméneutique, in «Medioevo» 1992, p. 85-118.

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Per questo, il lettore è piacevolmente stimolato a cercare nel testo ilmotivo di tali sorprendenti associazioni oblique, motivo che di solito cogliesolo implicitamente, ma che noi ora vogliamo esplicitamente e formal-mente trattare.

In effetti, tutta la seconda metà del proemio è concepita come unagrande metafora complessa (che possiamo ricostruire in base al principio diomologia delle tassonimie complete), in cui quattro gruppi di elementi sicorrispondono ad uno ad uno, suggerendo una pluralità di sensi, come ap-pare dalla seguente tabella.

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Tabella delle metafore del proemio: Metafore complesse

{A} Et ideo Psalmo praedictam legem in communicatione spiritualis sapientiae observatam sub metaphora corporalium rerum proposuit Dominus:

3 – “Rigans montes 1 – de superioribus suis:2 – de fructu operum tuorum 5 – satiabitur TERRA”.

{B} Videmus autem ad sensum,1 – a superioribus nubium 2 – imbres effluere, quibus

3 – montes rigati4 – flumina de se emittunt, quibus 5 – TERRA satiata fecundatur.

{C} Similiter, 1 – de supernis divinae sapientiae 3 – rigantur mentes doctorum,

qui per montes significantur,4 – quorum ministerio 2 – lumen divinae sapientiae 5 – usque ad mentes audientium derivatur.

{D} Sic igitur in verbo proposito quattuor possumus considerare […]: 1 – spiritualis doctrinae altitudinem; 3 – doctorum eius dignitatem; 5 – auditorum conditionem;

4 – et COMMUNICANDI ordinem.

Si noti la struttura chiastica del testo, che si apre e si chiude con leuniche due occorrenze di ‘-communic-’ e con gli unici due riferimenti althema salmico, mentre nelle due sezioni centrali distingue gli elementi deldominio metaforico dei simboli e poi quelli del co-dominio dei simboleg-giati.

Qui per ‘simbolo’ intendiamo non la funzione simbolica stessa (che uni-sce un simboleggiante e un simboleggiato), ma il solo elemento simboleg-giante.

Insomma {A} e {B} parlano del dominio corporale o dei simboli,mentre {C} e {D} parlano del co-dominio spirituale o dei simboleggiati,

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ma {B} e {C} in maniera più generale, mentre {A} e {D} in maniera piùparticolare, applicata al versetto salmico. La metafora è qui la funzione chefa corrispondere, in virtù della sacratissima lex, un elemento di un dominioe quello di un altro.

Per l’attribuzione dei rapporti metaforici bisogna partire dalla formu-lazione {B}, che è la più chiara, essendo appunto il dominio della funzionemetaforica. Qui troviamo chiaramente cinque elementi: le nubes, o, piùprecisamente, i superiora nubium (ovvero, secondo la cosmologia biblica,quelle acque sopra i cieli, da cui attingono le nubi), le piogge (imbres), imontes rigati, i flumina e la terra.

Se passiamo al co-dominio {C}, troviamo qualche difficoltà a colle-garne gli elementi a quelli appena descritti. Consapevole forse della diffi-coltà, Tommaso stesso ha fornito una chiave interpretativa, per di più ri-dondante, utilizzando innanzitutto la metafora del verbo «rigantur mentesdoctorum», e poi motivandola con la metafora d’attribuzione, secondo cui idoctores «per montes significantur».

Un’altra metafora immediata (stavolta metafora del nome al genitivo:«de supernis divinae sapientiae») ci rivela la corrispondenza fra nubi e sa-pientia divina, ovvero Dio stesso, Sapienza increata e creatrice.

La pioggia (nel senso generico di acqua caduta dal cielo) non può es-ser altro che il «lumen divinae sapientiae»: una metafora, questa, nella me-tafora, e in parte stridente (una pioggia luminosa!), forse proprio perché hala funzione di farci sentire la differenza fra la Sapienza increata e la sapien-za che di riflesso è contenuta nella doctrina spiritualis data agli uomini. In-fine, la terra che viene saziata dalle acque corrisponde (come successiva-mente il testo afferma) agli auditores. Resta il flumen: l’unico elemento delco-dominio che può attribuirglisi è l’espressione «quorum ministerio» rife-rita ai doctores: insomma flumen nel senso di tramite, o canale 23. Inoltre,il flumen e il ministerium doctorum sembrerebbero corrispondere all’ordocommunicandi.

Nel Breve Principium il fiume sembra indicare solo la comunicazioneministeriale del dono ad altri; tuttavia, se facciamo corrispondere al flumen

23 In REI 7.5 /120, commentando Io 7,37-38, Tommaso intende per fiume il dono

spirituale tanto ricevuto quanto comunicato a propria volta (e ministerialmente) ad al-tri: «Qui ergo bibit ita quod soli sibi proficit, dona gratiarum, quae per flumina si-gnantur, non fluent aquae vivae de ventre eius; sed qui […] festinat […] diversa donagratiarum recepta a Deo aliis communicare, de ventre eius fluent aquae vivae» (e aquesto punto segue la consueta citazione di 1Pt 4,10).

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l’ordo communicandi, il paragrafo ad esso dedicato tratta tanto della recezionequanto della comunicazione della sapienza spirituale.

Ma riportando tutto questo alla comunicazione della sapienza spiri-tuale più in particolare, troviamo che la metafora più clamorosa è quella inassenza: dopo infatti aver distinto sicuramente cinque elementi in {B} (equattro o cinque in {C}), alla fine Tommaso distingue solo quattro ele-menti in {D}, identificando le nubi con la pioggia: e in realtà la doctrina èlo stesso Doctor divino; egli è contemporaneamente soggetto e oggetto dicomunicazione (anche se a rigore bisognerebbe distinguere fra sapienza in-creata e sapienza creata 24).

Insomma, gli elementi della comunicazione sono: il soggetto primocomunicante (ossia non ricevente a sua volta), l’oggetto comunicato (che,nel caso della communicatio spiritualis sapientiae è la doctrina spiritualise coincide in un certo senso col soggetto primo comunicante), il soggettocomunicante a sua volta ricevente (il doctor), il soggetto ricevente(l’auditor), e l’ordo communicandi. In quest’ultimo elemento rientranoquei problemi che oggi siamo soliti chiamare del canale, dell’entropia, delrumore e del feedback, e che non erano ignoti agli antichi e agli scolastici,che avevano formulato il principio quidquid recipitur ad modum recipientisrecipitur 25 (principio radicato in parte nella dottrina aristotelica della po-tenza, in parte nella dottrina neoplatonica della partecipazione).

6.2.3 Tassonimie1. Proprio per le regole retoriche del genere del sermone universitario,

il Principium è costruito come una grande, articolatissima tassonimia, for-mata dalla distinctiones (perlopiù triadiche) adoperate per sviluppare i con-cetti e per facilitare l’ascoltatore nella comprensione e nella memorizzazio-ne del contenuto della predicazione.

L’iperonimo di questa tassonimia è nascosto «in verbo proposito» (os-sia nel versetto salmico che fa da tema al Principium), che però non è altroche l’espressione «sub metaphora corporalium rerum» della communicatiospiritualis sapientiae.

Dunque tale tassonimia non è classificatoria, ma componenziale: nondistingue le specie, ma le parti integranti della comunicazione sapienziale.Ritroviamo qui una distinzione analoga a quella degli elementi della comu-

24 Cf QDV 11.1 ra 10.25 Questo principio (in una formulazione un po’ variante) [cf SCG 2.50.6; 2.73.31;

2.74.8, e così via] è molto usato da Tommaso; John TOMARCHIO ne ha annunciato lostudio lessicografico completo nelle opere tommasiane.

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nicazione, riscontrata in sede di analisi sintattica. Tra le due articolazioni,tuttavia, c’è una significativa differenza: lì erano soggetti di comunicazionetanto Dio quanto i doctores, il primo propria virtute (ovvero come primocomunicatore, senza aver cioè ricevuto nulla), i secondi per ministerium(ovvero comunicando quanto era stato loro comunicato da Dio); qui Dioinvece non compare autonomamente (è infatti implicitamente compresonella doctrina).

Tabella delle tassonimie di ‘-communic-’ [1]

• ‘communicatio’ spiritualis sapientiae

∗ altitudo spiritualis doctrinae

∗ dignitas doctorum

∗ conditio auditorum

∗ ordo COMMUNICANDI [doctrinam] [2]

Questa tassonimia principale (apparentemente semplice) è in realtà lacomplessa combinazione di tre tassonimie più elementari, corrispondentialle tre colonne (di cui una perlopiù implicita) di cui si compone e che neintersecano le quattro righe o parti integranti.

Poiché infatti l’espressione «communicandi ordinem» sottintende‘doctrinam’, di conseguenza gli elementi ordinati assieme nella stessa rigasono in realtà tre.

Infatti, tale doctrina (sottintesa nella quarta riga) è chiaramente inconnessione con gli elementi doctor, auditor, doctrina (delle altre tre ri-ghe), formando così una colonna o tassonimia più elementare; analoga-mente, appaiono reciprocamente connessi in una seconda colonna (anchese in maniera non del tutto chiara) i quattro elementi ordo, altitudo, digni-tas e conditio; per finire, sebbene nelle prime tre righe non ci siano ele-menti corrispondenti al «communicandi» della quarta riga, tuttavia, consi-derando sottinteso che la doctrina (nella prima riga) è communicata, che ildoctor (nella seconda riga) è communicans, che l’auditor (nella terza riga)è quello cui communicatur, o recipiens, ricaviamo una terza colonna o tas-sonimia elementare.

Esaminiamo ad una ad una queste tre colonne.La prima colonna (prima in senso logico) ci presenta la perionimia

sottintesa fra communicans (o communicator), communicatum, recipiens,communicare, ovvero la struttura generale della comunicazione. A rigore,

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il doctor non sarebbe soltanto un communicans doctrinam (ad modum ac-tus) ma un vero communicator doctrinae (ad modum habitus); ma‘communicator’ non è un lemma molto usato nel latino scolastico, e inTommaso lo troviamo solo tre volte e per di più in citazioni, con un signifi-cato prevalentemente statico (‘partecipe’ o ‘compagno’).

La seconda colonna ci presenta la perionimia fra doctrina (come og-getto comunicato), doctor, auditor, ordo communicandi doctrinam (quantoall’atto del comunicare); questa perionimia è l’applicazione della prece-dente a quella specie di comunicazione che è l’insegnamento: doctor, au-ditor, doctrina (nel duplice senso oggettivo ed attivo) sono infatti gli ele-menti del processo magisteriale.

L’ultima colonna ci presenta la perionimia, di più difficile interpreta-zione, di altitudo, dignitas (a cui il testo collegherà l’officium), conditio (acui il testo collegherà alcuni requisita) e ordo (che il testo svilupperà 26 inuna graduatoria comunicazionale fra Dio, doctores e auditores).

Questa perionimia applica e ulteriormente caratterizza la precedente inrapporto alla più specifica comunicazione della sapienza spirituale, ed èpertanto comprensibile solo alla luce di una complessa metaforologia im-plicita nel testo e che ci richiede di approfondire il discorso mediantel’analisi della struttura di tutto il Principium e la comprensione del signifi-cato dei tassonimi in questione (alla luce del loro uso più generale da partedi Tommaso).

2. In base al principio di omologia delle tassonimie complete 27, pro-viamo innanzitutto a schematizzare come Tommaso ha sviluppato la tasso-nimia fondamentale nel corpo del testo: ricaviamo così la grande tassoni-mia che fa da scheletro al sermone.

26 Cf OTD 4.27 Cf § 29.

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Tassonimie [2]: la grande tassonimia strutturante il sermone

• COMMUNICATIO spiritualis doctrinae [cf 2 e 3]

1. altitudo doctrinae <COMMUNICATAE> – origo doctrinae

– materia doctrinae

1°: alta sapientiae [filosofia implicita in tutti gli uomini] 2°: altiora sapientiae [filosofia esplicita dei filosofi] 3°: altissima sapientiae [teologia rivelata e creduta] – finis doctrinae

2. dignitas doctorum <COMMUNICANTIUM> – [tria requisita] (= in eis requiritur) e tria officia doctorum

1°: eminentia vitae officium praedicandi 2°: illuminatio officium legendi 3°: munitio officium disputandi

3. conditio auditorum <quibus COMMUNICATUR> [= recipientium] – [tria requisita auditorum] (= in eis requiritur) 1°: humilitas 2°: firmitas 3°: fecunditas

4. ordo COMMUNICANDI <doctrinam> – virtus COMMUNICANDI [donum] {attivo} – quantitas doni accepti {passivo} [= COMMUNICATI] – et qualitas

Proviamo adesso ad esaminare le singole tassonimie con l’ausilio dipassi paralleli.

3. La prima tassonimia di difficile interpretazione è quella fra ‘altitu-do’, ‘dignitas’, ‘conditio’, ‘ordo’. Apparentemente queste parole non han-no nulla a che fare l’una con le altre. Ma ad un’indagine più approfondita(anche se parziale e comunque non esaustiva) si scopre però che sonoquattro parole collegate nel linguaggio giuridico giustinianeo e medieva-

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le 28, e che comunque nella concezione ecclesiologica e politica diTommmaso conditio (o status), dignitas (o officium), ordo (o gradus) sonotre modi di rapportarsi all’altitudo 29, indicando il posto del singolo nellagerarchia rigorosamente (ma non rigidamente) piramidale della società edella Chiesa medievale.

La gerarchia non è né univoca né rigida perché «superior secundum ali-quid, vel est vel potest esse inferior secundum aliud» 30.

Infatti, già nel linguaggio comune, «status, proprie loquendo, signi-ficat quandam positionis differentiam» di qualcuno, non però in generale,ma «secundum modum suae naturae» e «cum quadam immobilitate» 31 (adesempio, di un uomo immobile ma sdraiato non diciamo che sta in piedi,ma che giace, e così di un uomo eretto ma in cammino, non diciamo chesta fermo, ma che si muove).

Nel linguaggio giuridico, poi, ‘status’ indica di conseguenza la diffe-rente posizione del singolo nella gerarchia sociale: in generale, «nomenstatus videtur ad quandam altitudinem pertinere: nam ex hoc aliquis statquod in altum erigitur», come pure «per diversa officia aliquis fit altior al-tero» e «similiter per gradus vel ordines diversos diversimode homines inquadam altitudine constituuntur» 32; in particolare, però, queste tre carat-teristiche differiscono in quanto «officium dicitur per comparationem adactum; gradus autem dicitur secundum ordinem superioritatis et inferiorita-tis; sed ad statum requiritur immobilitas in eo quod pertinet ad conditionem

28 Per l’uso del termine ‘ordo’ dall’antichità all’infima latinità cf Ordo (Atti del

secondo colloquio internazionale del Lessico Intellettuale Europeo. Roma 1977), Ro-ma, Ateneo - Bizzarri 1979; in particolare il contributo di Roberto BUSA, «Ordo»dans les oeuvres de Saint Thomas d’Aquin, p. 59-184. Per conditio, ordo e altri termi-ni di rilevanza filosofico-giuridica cf Pierre MICHAUD-QUANTIN, Études sur le vo-cabulaire philosophique du moyen âge, Roma, Ateneo 1970; in particolare: Condicio-Conditio. Notes de lexicographie médiévale, p. 25-57; Ordo et Ordines, p. 85-101; Lescatégories sociales dans le vocabulaire des canonistes et moralistes au XIIIe siècle, p.163-186; per la dottrina giuridica che vi è dietro cf Paolo GROSSI, L’ordine giuridicomedievale, Bari, Laterza 1996.

29 Cf ST3 183.1 co, ag 3 e ra 3; in cui Tommaso farebbe riferimento a Digestum1.9.3 e 1.9.7.

30 ST3 31.2 co.31 ST3 183.1 co.32 ST3 183.1 ag 3.

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personae» 33, mentre la «dignitas» degli uomini riguarda «ea quae de facilicirca eos variantur et extrinseca sunt» 34.

Tanto le conditiones quanto gli officia comportano quindi alcuni spe-cifici requisita (quelli che chiameremmo i doveri di stato).

In particolare però la ‘conditio personae’ indica il suo stato in manieranativa e stabile, in opposizione non solo all’‘actus’, ma anche alle situazio-ni facilmente variabili, come ad esempio la ‘dignitas’ e l’‘officium’.

Insomma, conditio sta a status come dignitas sta ad actus e officium;mentre status si oppone ovviamente ad actus. Questa differenza è da Tom-maso vista come funzionale alla comunicazione: tanto nella civitas terrenaquanto nella Chiesa, «per officiorum et statuum distinctionem […] paxconservatur: inquantum per haec plures sunt qui communicant actis publi-cis» 35.

E quindi non è un caso che la legge della comunicazione applicata allacomunicazione della sapienza spirituale richieda la distinzione funzionale deiruoli (di recettore e comunicatore e di semplice recettore), in quanto il fineglobale della comunicazione della sapienza e della verità è (conformementeall’ideale di Domenico «amicus negotii fidei et pacis») l’instaurazione dellapace o concordia e quindi la realizzazione di una perfetta comunicazione eticamediante la Chiesa.

La conditio è dal Principium associata agli auditores e l’officium aidoctores. In effetti, riferendosi agli auditores e doctores per eccellenza,ovvero i discepoli di Gesù, Tommaso altrove notava che:

«conditio autem discipulorum est quod sunt servi; […] officium autemeorum est quod sunt apostoli» 36.

Ma ai suoi discepoli stessi Gesù disse in seguito di non considerarliservi, ma amici. Dunque mentre il principiante è servo, il perfetto è amico:e in questo è adombrato il profectus sapientiae, che tanta parte avrà nellateoria comunicazionale di Tommaso 37.

4. ‘Dignitas’ in Tommaso ha (ad una indagine lessicografica somma-ria) tre tipi di significato: come traduzione del greco axioma, indica unprimo principio dell’intelletto; come termine giuridico, indica una persona

33 ST3 183.1 ra 3.34 ST3 183.1 co.35 ST3 183.2 ra 3.36 REI 13.3 /304.37 Cf RSR 1.

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a cui si deve rispetto («observantia») o devozione («pietas») 38; infine, co-me termine metafisico, indica la capacità di causare e cioè di essere princi-pio, e in questo senso si parla di dignità delle cause seconde, in quanto Dio«non solum comunicat creature quod sit in se bona, set hanc dignitatem utsit aliis causa bonitatis» 39. Infatti,

«Causalitas divinae voluntatis non excludit omnes causas proximas re-rum; nec hoc est ex insufficientia <divinae> voluntatis sed ex ordine sa-pientiae eius, quae effectus mediantibus aliis causis provenire disposuit, utsic etiam causandi dignitas creaturis communicaret» 40.

Ebbene, Tommaso riconduce la dignità giuridica a quella ontologica:infatti la persona «in dignitate constituta» è «principium gubernationis»nelle cose di sua competenza: ad esempio il «princeps civitatis in rebus ci-vilibus», e il «magister autem in disciplinis»: e per questa funzione causale,«omnes tales personae patres appellantur»; si tenga presente che la dignitascomporta una «excellentia status, cum quadam potestate in subditos», dacui scaturisce lo stesso «gubernationis officium»: ovvero è più di un sem-plice status o conditio di eccellenza in se stesso; è anche una «ratio princi-pii» verso gli altri: infatti «per scientiam et virtutem, et omnia alia huiu-smodi, aliquis idoneus redditur ad dignitatis statum» 41 (ma qui status ha unsenso generico, e non quello specifico prima esaminato).

Insomma ritroviamo il vocabolario della idoneitas e della dignitas edegli officia: la dignitas come idoneitas riconosciuta dalla licentia docendi(che col Principium Tommaso riceveva) corrisponde alla dignitas dellecause seconde che Tommaso intese strenuamente difendere: e pertanto nonè un caso che lo abbia fatto in particolare nella quaestio de magistro 42.

Ma il Breve Principium è stato pronunciato da un neo-dottore che(secondo i biografi, ma anche secondo i canoni retorici della circostanza) sidichiarava personalmente non idoneo a tale dignità, e che comunque rico-nosceva (da teologo) che anche chi fosse idoneo a ciò per dignità relativa

38 Cf ST3 102; se uno ha non solo una dignitas estrinseca, ma intrinseca (come in

chi genera e in chi educa) gli si dovrà non tanto observantia quanto piuttosto pietas (cfST3 102.3 co). Il legame fra dignità e rispetto diverrà centrale nell’etica kantiana.

39 DOA (Utrum in creaturis sit ordo agendi) ra 1.40 1SN 45.1.3 ra 4.41 ST3 102.1 co + ra 2; 102.2 co.42 QDV 11; cf in particolare 11.1 co e il classico commento (già citato) di Tullio

GREGORY, in TOMMASO D’AQUINO, De magistro, Roma, Armando 1965 (in particola-re p. 135-142 e note 16-21).

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(o de congruo), comunque non lo potrebbe essere per dignità assoluta (o decondigno), ossia capace di meritare: infatti, «“Ad haec quis tam ido-neus?”» 43.

E poiché nessuno è sufficientemente degno di riceverla, la sapienzaspirituale è descritta «sub metaphora corporalium»: così infatti anche Gesùesponeva la spiritualium doctrina «sub tegumento parabolarum» a coloroche «non erant idonei vel digni», mentre ai discepoli ne esponeva l’«a-pertam et nudam veritatem», perché a loro volta la esponessero ad altri «quiessent idonei» 44.

5. Il lemma ‘conditio’ (o ‘condicio’), parola chiave del latino scolasti-co, è in realtà la sovrapposizione di due lemmi il cui significato, pur simile,si distingue secondo la diversa derivazione: così, nel primo caso ‘conditio’deriva da ‘condo’ ed indica l’azione di fondare qualcosa (e in particolarel’azione fondazionale per eccellenza, che è la creazione), ma anche il pro-dotto di tale azione (e quindi la creatura stessa), come pure la relazione cheil prodotto ha verso l’azione fondante e quindi l’insieme delle caratteristi-che originarie che ciascuna cosa ha; nel secondo caso, invece, ‘conditio’deriva da ‘condico’ e significa ipotesi, condizionamento (nel senso nostro).

In latino è anche attestato un terzo lemma ‘conditio’ (da ‘condio’) chesignifica ‘condimento’ e che comunque è chiaramente distinto dagli altridue 45.

Nelle nostre lingue moderne non solo tale duplicità etimologica e se-mantica si è confusa, ma soprattutto la nostra cultura odierna ha in granparte perduto la valenza positiva di condizione (come caratteristica fonda-zionale), e quindi la intende perlopiù nella sua accezione negativa (comecondizionamento surrettizio). Di questo bisognerà tener conto nella inter-pretazione delle conditiones auditorum.

Ebbene la conditio giuridica fondamentale, nativa e stabile, è quellache riguarda l’obbligazione personale, «prout scilicet aliquis est sui iurisvel alieni». Pertanto la conditio si riferisce propriamente «ad libertatem velservitutem» 46, e non solo nei rapporti civili, ma soprattutto nella vita spi-rituale, ossia come «servitus peccati cui coniungitur libertas a iustitia», op-pure come «libertas a peccato, […] quae coniungitur servituti iustitiae».

43 OTD 4; cf ST2 109.9-10.44 ST4 42.3 co.45 Cf MICHAUD-QUANTIN, Études…, op. cit., p. 25-57.46 ST3 183.1 co.

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E poiché la libertà non è qualcosa di staticamente dato una volta pertutte (come perlopiù la concepiva la filosofia pagana), bensì (in conformitàalla concezione biblica) il risultato di un processo dinamico di liberazione,la condizione di libertà dal peccato e al servizio della giustizia è acquisitain tre fasi (principio, medio e fine); e quindi si concretizza in un triplicestato: lo ‘status principiantium’, lo ‘status proficientium’ e lo ‘status per-fectorum’, rispettivamente «secundum principium, […] et medium, […] etterminum» 47.

Tommaso distingue status perfectionis (che era allora lo stato giuridico direligiosi e prelati) e status perfectorum (che è uno stato spirituale della carità);la distinzione è così tratteggiata: «dilectio Dei est perfectio, sed dimissio rerumest via ad perfectionem. […]. Unde aliud est esse perfectum, et habere statumperfectionis» 48.

Infatti, «unumquodque dicitur esse perfectum inquantum attingit pro-prium finem, qui est ultima rei perfectio» 49, che, nel caso dell’uomo, è lacarità.

6. Nel testo troviamo quindi implicitamente accennata la tassonimiacostituita dal triplice status di principiantes, proficientes e perfecti.

Ogni cosa si rapporta rispetto al bene «imperfecte», ovvero «ut acqui-rat ipsum cum non habet», oppure «in actu perfectu», ma in due gradi: co-me «perfectum in seipso» soltanto, ovvero «ut quiescat in illo cum habet»;oppure in quanto «potest communicare etiam alteri perfectionem», ovvero«ut bonum quod […] habet, aliis communicet, secundum quod possibileest» 50. Insomma, «perfectum […] est quod potest sibi simile facere» edunque «habet rationem boni» 51, che per l’appunto è comunicativo.

E nel Breve Principium troviamo che «sunt enim quaedam alta divinaesapientiae, ad quae omnes perveniunt, etsi imperfecte», ovvero quella «co-gnitio […] naturaliter omnibus […] inserta», per cui tutti gli uomini sono

47 ST3 183.4 co. In questo senso i tre stati corrispondono a quelle che sono state

chiamate le tre età della vita spirituale: cf Réginald GARRIGOU-LAGRANGE, Les troisâges de la vie intérieure prélude de celle du ciel, Paris, Cerf 1951, 2 vol.; trad. it., Letre età della vita interiore preludio di quella del cielo. Trattato di teologia ascetica emistica, Roma, Vivere in 1984, 4 vol; in particolare il capitolo 15 del primo volume, p.281-304.

48 REM 19.2 /126. Per lo status perfectionis cf ST3 184-189; per lo status perfec-torum, cf ST3 24.9.

49 ST3 184.1 co.50 ST1 19.2 co + QDV 9.4 co;.51 CDN 3.1 /60.

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potenzialmente auditores, ovvero in statu principiantium. I ‘principiantes’ci ricordano gli ‘incipientes’, a cui Tommaso ha destinato (fin dal proe-mio) la Summa.

Se rispetto a un bene il principio è la quaestio, il profectus è la pro-gressiva acquisizione, la perfectio è da una parte la quies e dall’altra lacommunicatio, si capisce come mai nei confronti della sapientia spiritualisci siano tre atteggiamenti: la conditio auditorum, a cui corrispondono i trerequisita (propri di chi cerca il bene che non ha); la dignitas doctorum(propria di chi ha un bene) e gli officia corrispondenti (propri di chi avendoun bene lo deve comunicare).

Lo ‘status perfectionis’ è infatti duplice, in quanto è volto o «ad acqui-rendum perfectionem», oppure «ad habitam communicandam»: e la diffe-renza fra i due è quella che c’è «inter discipulum et magistrum»: al disce-polo si dice: «si vis addiscere, intra scholas ut addiscas»; al maestro invece:«lege, et perfice» 52.

In questo consiste il profectus sapientiae, ovvero l’itinerario formativodell’auditor che lo porterà a progredire in sapienza fino a diventare a suavolta un comunicatore 53.

7. Ci resta da affrontare le quattro tassonimie triadiche minori (di‘causae’, ‘officia’, ‘requisita’, ‘affectiones’).

La suddivisione della trattazione di ogni membro della tassonimia difondo in tre membri risponde alle esigenze retoriche del sermone e utilizzaalcuni luoghi comuni scolastici.

Tutto sommato è un tópos scolastico la distinzione della trattazionedella doctrina secondo le sue tre causae (agente, materiale e finale), quiespresse come origo, materia e finis. Il baccalarius sententiarius a Parigidedicava le prime sue lezioni sul testo del Lombardo appunto applicandoalla doctrina insegnata la ricerca aristotelica delle quattro cause 54.

52 REM 19.2 /126.53 Cf RSR 1.54 Cf 1SN 0.1.0 /215-230 (che tratta solo delle quattro cause dell’opera del Lom-

bardo), e BONAVENTURA, In Sententiarum 0.1-4 (che invece aveva trattato delle quat-tro cause della teologia in genere, trattazione che Tommaso ebbe sotto gli occhi scri-vendo il suo Commento alle Sentenze). Per quanto riguarda il testo del Lombardo,Tommaso vi coglie una duplice causa finale quanto «ad destructionem erroris» e«manifestationem veritatis»; una duplice causa efficiente, una principale, che è Diostesso, ispiratore della verità teologica, e una strumentale (ovvero le auctoritates deiPadri e Dottori della Chiesa); una causa materiale, ovvero la verità rivelata; e una cau-sa formale, ovvero la divisione in quattro libri.

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Manca la menzione della causa formale sia per un motivo di paralleli-smo con le altre suddivisioni interne, tutte in tre membri, sia perché la di-stinzione formale della teologia sarà contenuta nella partizione della mate-ria della doctrina in tre livelli, che sembra invece (come vedremo nel pros-simo volume) un contributo innovativo di Tommaso.

Invece, la distinzione fra i tre officia doctorum è uno dei più classiciluoghi comuni scolastici 55, ma proprio per questo non è irrilevantel’inversione di termini operata da Tommaso, che mette al primo posto lapraedicatio, tradizionalmente ultimo dei tre officia (dopo lectio e dispu-tatio): questo perché la predicazione autorevole della dottrina rivelata è ilfondamento epistemologico della teologia.

La distinzione dei tre requisita auditorum (humilitas per auditum,rectitudo quantum ad iudicium, fecunditas quantum ad inventionem) ri-sponde a considerazioni abbastanza tradizionali 56, anche se Tommaso hadato un enfasi particolare al ruolo dell’auditor, capace di giudicare e di in-ventare 57.

Abbastanza originale è anche la triplice distinzione delle affectionesdell’atto comunicazionale (a proposito dell’ordo communicandi), anche se latriade di quantitas, qualitas e virtus è abbastanza adoperata nella scienza diispirazione aristotelica. La distinzione in tre membri è in realtà inizialmenteuna distinzione in due: ossia fra il donum acceptum (passivamente) e la virtuscommunicandi (attivamente); del donum si distingue poi la quantitas e la qua-litas. Coerentemente con questo contesto metaforico di scienza naturale,Tommaso elabora per ciascuna affectio una tabula graduum dei tre agenti dellacomunicazione (Dio, il doctor, l’auditor), che avremo modo di approfondirenel prossimo volume.

Da notare come nell’epilogo ci sia la ripresa del Leit-motiv della doc-trina, del doctor e dell’auditor (mediante l’affermazione dell’insufficienzadi ciascuno per esercitare il ministero di doctor e della necessità di ricevereda Dio la sapienza): tale ripresa è funzionale alla chiusa retorica, ossia allaprofessione di umiltà del neo-dottore e alla invocazione finale rivolta a Dio.

55 Cf PIETRO CANTORE, Verbum abbreviatum 1 (PL 205, 25). Riccardo QUINTO ha

condotto una indagine lessicografica sulla triade lectio – quaestio e disputatio – prae-dicatio, di cui speriamo la pubblicazione.

56 Si pensi al Didascalicon [3.5-19] di UGO DI SAN VITTORE.57 Cf QDV 11.1 co, RSR 1.1-3.

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Colui che dell’universo èsovrano ed è il Signore 58

ha dall’eternità istituitoquesta legge: che i donidella sua provvidenzagiungessero alle realtà piùbasse attraverso quelleintermedie.

«Rex caelorum etDominus hanc legemab aeterno instituit,ut providentiae suaedona ad infima permedia pervenirent.

Dio, Signore di tutto, ha findall’eternità stabilito questanorma: che i doni da lui sa-pientemente e liberamenteelargiti nel tempo giungano adestinazione attraverso inter-mediari 59.

E per questo Dionigi dice:“Sacrosantissima Leggedella Deità è che i mediseguenti, mediante i pre-cedenti, siano addotti alladi lui divinissima luce”

60.

Unde Dionysius […]dicit: “Lex divinitatissacratissima est, utper prima media ad-ducantur ad sui divi-nissimam lucem”.

Questa della mediazione 61 è lanorma più caratteristica dell’e-conomia di Dio, il quale ri-conduce a sé le creature inmodo che le une non giunganoal fine se non mediante le al-tre.

58 I cieli indicano sia la dimensione della trascendenza sia i confini del

mondo fisico; per questo abbiamo tradotto con ‘universo’.59 ‘Lex’ è più di ‘legge’ per noi, abbracciando non solo il senso precettivo

o apodittico, ma anche quello conoscitivo e rivelativo (in effetti ‘lex’ può esse-re tradotto con religione in ‘lex iudaeorum’, o ‘sarracenorum’, o ‘chri-stianorum’). In mancanza di corrispettivi italiani più precisi, abbiamo adottato‘norma’, che suggerisce una “normalità” della comunicazione per mediazione.Nella trasposizione abbiamo ritenuto rilevante l’opposizione tra norma (eter-na) e provvidenza (nel tempo): la seconda rivela la prima, la quale a sua voltasvela il segreto di Dio: la gratuità del suo amore.

60 La traduzione cerca di rendere il tono arcano e solenne della citazionedionisiana e con un “gioco di parole” la complessità della mediazione. Co-munque sia ‘divinitas’ (come la ‘thearchía’ greca) non può esser tradotta initaliano con ‘divinità’, che si intende solo o per la natura divina (in senso im-personale) o per una determinata divinità del pantheon pagano, ma appuntocon ‘deità’. Il passo dionisiano [De ecclesiastica Hierarchia 5.4, a volte con-taminato con De coelesti Hierarchia 4.3 (cf QDV 27.4 ag 8)], in traduzioneche riecheggia quella eriugeniana, assurge nell’opera tommasiana ad “assio-ma” per la discussione (è citato 17 volte, di cui 16 in argomenti pro o contro),che però solo qui gioca un ruolo davvero rilevante [ma cf DOA sc].

61 Nella trasposizione abbiamo attenuato la matrice neoplatonica dellaNorma dionisiana, intendendola (conformemente all’interpretazione di Tom-maso) nel senso che Dio vuole coinvolgere le creature nel suo piano di salvez-za: nessuna delle creature arriverà alla meta senza in qualche modo ricorreread altre. La mediazione è la norma della comunione tra Creatore e creature.

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Tale legge, poi, si riscon-tra non solo nelle realtàspirituali, ma anche inquelle naturali 62.

Quae quidem lex,non solum in spiri-tualibus, sed etiamin corporalibus inve-nitur. […].

Ebbene, tale norma regola nonsolo la comunicazione natu-rale,

E difatti, nel Salmo 103,la suddetta legge, appli-cata alla 63 comunicazionedella Conoscenza 64 inSpirito 65, ma osservatasotto metafora di eventinaturali, fu così sugge-

rita 66 dal Signore:

Et ideo Psalmopraedictam legem incommunicationespiritualis sapientiaeobservatam submetaphora corpora-lium rerum proposuitDominus:

ma soprattutto la comunica-zione sovrannaturale dellaConoscenza del senso dellavita 67.

62 Qui ‘naturale’ è inteso nel senso (prevalente nel linguaggio d’oggi) di

‘fisico’.63 Così interpretiamo ‘lex in communicatione’: ossia, la legge è univer-

sale, ma poi qui viene applicata al campo della comunicazione.64 Traduciamo ‘sapientia’ con ‘Conoscenza’ (con la maiuscola di solen-

nità), per evitare che venga fraintesa con quella che oggi è la scienza o la sag-gezza, e soprattutto per rendere in maniera oggi più efficace il sintagma‘sapientia divina’ con il sintagma ‘Conoscenza di Dio’ (nel duplice senso,soggettivo e oggettivo).

65 Distinguiamo ‘spiritualis’ nel senso di ‘spirituale’ (ossia incorporeo:intellettivo e volitivo) oppure (come qui) nel senso di “relativo allo spirito” diDio e dell’uomo, ossia ispirato o perlomeno suggerito dallo Spirito Santonell’intimo del cuore umano.

66 Con questo verbo si vuol lasciare una allusione anche al modo con cui iprimi biografi avevano ricostruito la scelta del tema del sermone. Il versetto valetto nel contesto del Salmo [Ps 103,35], liturgicamente adoperato per magni-ficare proprio le opere dello Spirito di Dio, creatore e ricreatore.

67 Intendiamo così ‘spiritualis’ (“rivelata dallo Spirito”) come antonimodi ‘naturalis’ (nel senso più allargato di “creaturale”). Nella trasposizione ab-biamo fuso insieme due punti contigui del sermone, omettendo i riferimentiagli eventi naturali; infatti abbiamo ritenuto di non dover riproporre (ora ed inseguito) le complesse descrizioni (imbastite di citazioni bibliche, concordate suparola chiave) della comunicazione naturale intesa come metafora di quellasovrannaturale: tale metaforologia infatti è estranea non solo alla nostra culturain generale, ma anche alla nostra sensibilità teologica (poco incline a trovaremodelli naturali dei processi sovrannaturali). La ‘sapientia’ viene tradotta(come si spiegherà al punto seguente) come ‘Conoscenza’; nella trasposizione

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“Lui che irrora 68 i montidi sovracelesti sue ac-que 69: del beneficio 70

delle sue 71 opere sarà dis-setata 72 la terra”.

“Rigans montes <desuperioribus suis: defructu operum tuo-rum satiabitur ter-ra>”.

Del resto, a senso vedia-mo che dalle sovracelestiacque delle nubi scendonole piogge, e dai monti –che ne sono irrorati – sca-turiscono i fiumi, e la terra– che ne è dissetata – èresa fertile e feconda 73.

Videmus autem adsensum, a superiori-bus nubium imbreseffluere, quibusmontes rigati fluminade se emittunt, qui-bus terra satiata fe-cundatur.

se ne accentua il carattere esistenziale di conoscenza che dà “senso” (o – se-condo l’etimologia – “gusto”) alla vita.

68 La traduzione più facile di ‘rigare’ latino con ‘irrigare’ italiano sarebbeper più motivi erronea: il termine italiano infatti appartiene ad una terminolo-gia più tecnica ed indica l’azione artificiale di innaffiare intensivamente edestensiviamente un campo o un giardino; invece, qui si allude (con linguaggiopoetico) ad un evento non artificiale, e non intensivo né estensivo (come sispiega anche alla fine del sermone). Si noti l’anacoluto in latino, reso (in ma-niera diversa anche in italiano).

69 Secondo la cosmologia biblica, le piogge derivano dalle acque che Diocreando il mondo aveva racchiuso al di sopra della volta celeste(distinguendole dalle acque marine e dolci, al di sotto del cielo).

70 Si tratta di ‘fructus’ nel senso più ampio (da ‘fruor’), ossia ogni effettoche porta qualche giovamento.

71 Nella prima metà del versetto, si parla di Dio; nella seconda metà, siparla a Dio. Per facilitare tuttavia la comprensione, in questa seconda metà ilpossessivo di seconda persona è stato trasformato in quello di terza.

72 ‘Satiare’ in latino copre anche il campo semantico della sete, cosa chenon avviene in italiano.

73 Si è resa la concatenazione sintattica in maniera più consonaall’italiano; il costrutto (di senso transitivo attivo) ‘emittunt de se flumina’ –che letteralmente suona: ‘fanno scaturire dal proprio interno i fiumi’ – è resomeglio (volgendolo in senso mediale) dal costrutto: ‘ne scaturiscono i fiumi’.Si è preferita l’endiadi ‘fertile e feconda’ per giustificare l’applicazione di talequalità tanto alla terra (che in italiano diciamo più propriamente ‘fertile’)quanto alla mente degli uditori (che piuttosto va detta ‘feconda’).

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Similmente, dalle superneacque della divina Cono-scenza vengono irrorate lementi dei maestri 74

(simboleggiate dai monti),e per loro tramite il lumedella Conoscenza di Diovien fatto arrivare finoalle menti degli uditori 75.

Similiter, de supernisdivinae sapientiaerigantur mentesdoctorum, qui permontes significantur,quorum ministeriolumen divinae sa-pientiae usque admentes audientiumderivatur.

Dio infatti si fa conoscereprima da alcuni, prescelti co-me testimoni e maestri, e perloro tramite fa arrivare la Co-noscenza di sé, che dà sensoalla vita, fino agli uditori dellaParola 76.

Così, dunque, nel versettoproposto a tema di questosermone, possiamo distin-guere quattro elementi, e

Sic igitur in verboproposito quattuorpossumus con-siderare, scilicet:

Così, dunque, nella comunica-zione 77 della Conoscenza diDio possiamo distinguerequattro elementi:

74 Traduciamo ‘doctor’ con ‘maestro’ perché questo esprime meglio il

senso ampio di quello, come meglio si dirà in seguito.75 ‘Uditore’ viene inteso in senso ampio, che copre tanto lo ‘studente’ (a

cui concretamente si rivolge Tommaso), quanto l’uomo e il cristiano in genere;in questa traduzione intendiamo riecheggiare la celebre espressione ‘Uditoredella Parola’ (‘Hörer des Wortes’), utilizzata da Rahner per indicare l’uomo inattesa della rivelazione di Dio.

76 Nella trasposizione abbiamo seguito questo generale criterio ermeneu-tico: poiché Tommaso parlando della ‘sacra doctrina’ non intende solamente lateologia come scienza, ma più in generale tutto il contenuto della rivelazione,cosa che oggi non comprendiamo nel concetto di “teologia”, abbiamo decisodi accentuare l’aspetto esistenziale del Principio, rileggendolo come manifestoprogrammatico di Teologia della Comunicazione; di conseguenza abbiamoadottato anche questo criterio terminologico: far corrispondere ‘doctrina’ a‘Parola’ (e ‘doctrina spiritualis’ a ‘Parola rivelata’; invece ‘sacra doctrina’ a‘Parola di Dio’), ‘doctores’ (che abbraccia tanto i teologi quanto gli apostoli eprofeti) all’endiadi ‘testimoni e maestri’ (a meno che non si tratti esplicita-mente dei Teologi), ‘auditores’ al sintagma ‘uditori della Parola’, e ‘sapientia’– come già nella traduzione – a ‘Conoscenza’ (accentuandone però il valore di“senso” – o “gusto” – “della vita”). Si tenga presente che, nella trasposizione,‘uditore della Parola’ non è semplicemente l’uomo capace di ricevere la rive-lazione, ma l’uomo da Dio già positivamente disposto ad accoglierla ed inte-riorizzarla, ma non ancora perfezionato al punto di esserne testimone e mae-stro.

77 In tutta la trasposizione viene accentuato ed esplicitato il filo condutto-re, ossia la teoria della Comunicazione tra il Primo Comunicatore e gli uomini.

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cioè:l’elevatezza 78

dell’ammaestramento 79 inSpirito,

– spiritualis doctri-nae altitudinem;

il primo è l’oggetto comuni-cato, ossia la Parola che di-scende da Dio;

l’autorità 80 di quanti nesono maestri 81,

– doctorum eius di-gnitatem;

il secondo elemento è costi-tuito dai testimoni e maestri,che, avendola ricevuta in ab-bondanza, sono abilitati ad es-serne comunicatori;

lo stato proprio degli udi-tori,

– auditorum conditio-nem;

il terzo elemento è costituitodagli uditori della Parola, chesono disponibili ad esserne re-cettori;

e la struttura scalaredell’atto di comunicare 82.

– et communicandiordinem.

il quarto elemento è la struttu-ra scalare del comunicare (ilcanale, il codice e l’entropia

78 Così si traduce ‘altitudo’ (per evidenziarne la valenza metaforica e mo-

rale); di conseguenza si tradurrà ‘altus’ con ‘elevato’.79 Si traduce ‘doctrina’ con ‘ammaestramento’ perché questa è forse

l’unica parola che non solo rende bene il duplice senso (attivo – l’attod’insegnare – e oggettivo – il contenuto insegnato) di ‘doctrina’, mante-nendone l’indeterminatezza (in quanto riferibile tanto alla teologia come mani-festazione e rivelazione, quanto alla teologia come scienza), ma anche disponenel suo stesso tema della parola ‘maestro’, che può rendere il lemma ‘doctor’con tutta la gamma di significati qui adoperati (in quanto riferibile sia a Cristo,sia agli autori della Sacra Scrittura, sia ai professori di teologia).

80 La traduzione tiene conto delle osservazioni lessicali su ‘dignitas’, co-me (poco oltre) di quelle su ‘conditio’ e ‘ordo’. Si è cercato inoltre di renderein italiano il legame paradigmatico tra ‘doctor’ e ‘doctrina’.

81 Qui e in seguito si traduce ‘eius’ riferito a ‘doctrina’ o ‘sapientia’ me-diante una perifrasi, per non appesantire il discorso.

82 ‘Ordo’ qui significa tanto ‘struttura’, quanto ‘gradazione’ (come si ve-drà nell’ultimo punto del sermone, si tratta dei tre gradi di possesso e di comu-nicatività della Conoscenza: il grado di Dio, il grado dei maestri, e il grado de-gli uditori); abbiamo usato l’espressione ‘scalare’ perché meglio suggerisce lanozione di una gradazione ontologicamente fondata. Abbiamo infine volutoesplicitare che “il” ‘comunicare’ è qui considerato propriamente come atto(che dunque è solo un elemento della “comunicazione”, intesa poco prima co-me complesso).

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della comunicazione) 83.

L’elevatezzadell’ammaestramentodello Spirito è espressadal fatto che il versetto delSalmo dice: “di sovracele-sti acque”, ovvero (secon-do l’interpretazione sug-gerita dalla Glossa) “dipiù elevati arcani”. Infatti,l’ammaestramento che èproprio di Dio 84 gode dielevatezza per tre motivi.

Altitudo <spiritualisdoctrinae> […]ostenditur in hocquod dicit: “de supe-rioribus suis”. Glos-sa: “de altioribusarchanis”. Habetenim sacra doctrinaaltitudinem ex tribus.

Il primo ed essenziale ele-mento di questa comunicazio-ne è la Parola, la quale di-scende da Dio rivelandone imisteri. La Parola di Dio, in-fatti, sovrasta l’uomo, essendoalta per tre motivi.

Innanzitutto, tale ammae-stramento è elevato a mo-tivo della sua origine:questa 85 è infatti quellaConoscenza che dallaBibbia è descritta “veniredall’alto”; e perciò stascritto: “Fonte della Co-noscenza è il Verbo di Dionel più alto dei cieli”.

– Primo, ex origine:haec enim est sa-pientia quae de sur-sum esse describitur[…]: “Fons sapienti-ae Verbum Dei inexcelsis”.

Innanzitutto questa Parola èalta perché levata per condi-scendenza dalla sua sorgente.La Parola, infatti, può daresenso alla nostra vita perchéessa è il senso della vita. TaleParola, dunque, non solo è daDio, ma nel suo principio èDio: in essa infatti si compiel’autocomunicazione di Dio 86.

83 Per le motivazioni di questa trasposizione si veda dopo.84 Così si rende ‘sacra doctrina’, alla luce del valore di ‘sacer’, ma anche

per mantenere l’indeterminatezza tra teologia come manifestazione e rivela-zione e teologia come scienza, e inoltre tra teologia in senso soggettivo(“conoscenza che Dio ha di sé”) e teologia in senso oggettivo (“conoscenzache noi abbiamo di Dio”).

85 Si lascia l’ambiguità: ‘haec’ può infatti riferirsi (sia grammaticalmentesia dottrinalmente) tanto a ‘origo’, quanto a ‘doctrina’ (qui sottintesa) e‘sapientia’: nel primo caso il testo verrebbe a dire che la Sapienza “che Dio è”è l’origine dell’ammaestramento spirituale, ovvero della sapienza “che Dio cidà” e che pertanto noi abbiamo di lui; nel secondo caso, invece, il testo ver-rebbe a dire che la “sapienza comunicata” coincide (nei sensi e modi prece-dentemente precisati) con la “Sapienza comunicante”, così che l’ammaestra-mento spirituale sia in realtà una autocomunicazione.

86 Qui esplicitiamo – rafforzando il testo – quanto emerso dalle analisilinguistiche e dottrinali del Principio.

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In secondo luogo,l’ammaestramento propriodi Dio è elevato per la fi-nezza del suo contenuto.

– Secundo, ex subti-litate materiae […].

Poi, questa Parola è alta per-ché elevato è il messaggio inessa contenuto, che è la Cono-scenza di Dio, secondo tre li-velli.

Infatti, alcune realtà 87

della Conoscenza di Diosono elevate, e ad essetutti arrivano, sebbene im-perfettamente, poiché laconoscenza che Dio esisteè implicita in tutti 88, comedice Damasceno.

Sunt enim quaedamalta divinae sapienti-ae, ad quae omnesperveniunt, etsi im-perfecte, quia co-gnitio existendiDeum naturaliteromnibus est inserta,ut dicit Damascenus[…].

Vi è infatti un primo livello –già elevato – di Conoscenza diDio, che consistenell’esperienza del senso dellavita (di per sé implicita in ogniuomo), che equivale alla no-zione informe che ci sia unDio.

Ma altre realtà della Co-noscenza di Dio sono piùelevate, e ad esse arriva-rono soltanto i filosofi 89,con la guida della sola 90

ragione; e riguardo ad es-se sta scritto: “Ciò infattiche di Dio è noto è statoloro manifestato”.

Quaedam vero suntaltiora, ad quae solasapientum ingeniapervenerunt, rationistantum ductu, dequibus <dicitur> […]:“Quod enim notumest Dei, manifestumest in illis”.

Vi è poi un secondo livello –più elevato –, che consiste inuna esplicita, ma vaga cono-scenza del divino (formulatasulla scorta delle sole facoltàumane dai grandi maestri divita e di pensiero 91) in quantoè manifestato per creazione.

87 ‘Quaedam’ sono “verità ontologiche”, prima che “verità logiche” (o

proposizioni che le esprimono: gli “articoli di fede” e i loro “preamboli” razio-nali) [cf ST1 1-2].

88 Non si tratta né di reminiscenza (come quella platonica) né di innati-smo (quale fu successivamente quello cartesiano), ma della presenza per naturain tutti gli uomini della nozione informe (e non sempre consapevole) di Dio.

89 Abbiamo tradotto semplicemente ‘filosofi’ il sintagma ‘ingenia sa-pientum’: infatti la “Conoscenza di Dio” per mezzo dell’umano ingegno rien-tra appunto nella filosofia.

90 Con ‘sola ragione’ vogliamo far riecheggiare all’orecchio moderno l’e-spressione kantiana.

91 Tommaso si riferiva ai filosofi greci; ma oggi possiamo estendere l’ap-prezzamento ai fondatori delle grandi religioni non bibliche e agli altri “geniidel senso della vita”. Per questo trasponiamo ‘ratio’ più ampiamente con‘facoltà umane’, e ‘sapientum ingenia’ con ‘grandi maestri di vita e di pensie-ro’. Per chiarezza, abbiamo precisato che questa conoscenza di Dio (o meglio,del “divino”) è “vaga”, perché non arriva a conoscerlo personalmente, matutt’al più solo come Principio del creato (ossia come “Dio ignoto”).

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Infine, altre realtà dellaConoscenza di Dio sonoelevatissime, e trascendo-no ogni umana ragione; equanto a ciò, sta scritto:“Nascosta è la Conoscen-za agli occhi d’ogni vi-vente”. Ma è proprio que-sto che i maestri delle co-se di Dio (come furono aloro tempo gli agiogra-fi) 92, resi edotti per loSpirito Santo (che scrutaanche le profondità diDio), hanno tramandatonel testo 93 della SacraScrittura; e tali realtà sonole più elevate, e in esse –dice la Bibbia – “abita laConoscenza”.

Quaedam autemsunt altissima, quaeomnem humanamrationem transcen-dunt; et quantum adhoc dicitur […]:“Abscondita est sa-pientia ab oculisomnium viventium”[…]. Sed hoc perSpiritum Sanctumqui scrutatur etiamprofunda Dei […],sacri doctores edoctitradiderunt in textuSacrae Scripturae; etista sunt altissima, inquibus haec sapien-tia dicitur habitare.

Vi è infine un terzo livello –elevatissimo – di Conoscenza(il senso di tutto), che trascen-de del tutto l’umana ragione, eche risiede nella conoscenzache Dio solo ha di se stesso 94:tale conoscenza è del tutto na-scosta ad ogni creatura, ma perispirazione dello Spirito Santo(il quale scruta persino le pro-fondità di Dio) fu comunicataper rivelazione a quanti eranostati scelti da lui come testi-moni e maestri, perché da lorofosse comunicata a noi pertradizione 95 nel testo della Sa-cra Scrittura.

92 Qui ed in seguito ‘sacri doctores’ è stato tradotto ‘maestri delle cose di

Dio’, cercando almeno in parte di rendere il doppio senso della loro“sacralità”: essi infatti non solo insegnano le cose proprie di Dio, ma essi stessisono in qualche modo proprietà di Dio. Qui si è aggiunta la specificazione traparentesi per far cogliere la distinzione tra maestri infallibilmente ispirati (gliagiografi, o autori della Sacra Scrittura) e maestri semplicemente incaricati (iteologi), di cui si parlerà fra poco.

93 Si parla di ‘testo’ – al singolare –, in quanto la Bibbia, accolta comeParola di Dio, è letta come un unico “metatesto” e non come somma di singolitesti.

94 Esplicitiamo il testo alla luce di altri [e soprattutto di ST1 1.6 co, cheabbiamo precedentemente commentato ai paragrafi § 88 e 89,2, oltre che – insede linguistica – al § 37]. La nozione di rivelazione è bene espressa tramite ilconcetto di Comunicazione, in quanto condivisione con altri di una “Cono-scenza” che di per sé sarebbe riservata e propria solo di Dio.

95 Nella trasposizione rendiamo in senso forte il ‘tradiderunt’, per alluderealla dottrina (post-conciliare, patristicamente fondata e non incongrua col pen-siero tommasiano) della rivelazione come “Scrittura nella Tradizione”(piuttosto che come “Scrittura più – ab extrinseco – Tradizione”).

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In terzo luogo, l’ammae-stramento proprio di Diogode di elevatezza per lasublimità del suo fine, cheè la vita eterna.

– Tertio, ex finis su-blimitate: finem enimhabet altissimum,scilicet vitam aeter-nam […]:

Infine, questa Parola è altaperché elevante è la sua azio-ne, il cui obiettivo è infatti in-nalzare l’uomo alla vita eterna.

“Queste cose 96 sono statescritte infatti perché cre-diate che Gesù è il Cristo,Figlio di Dio; e perchécredendo abbiate la vitanel suo nome”. Perciò stascritto: “Cercate le realtàche sono dall’alto, dov’èCristo, seduto 97 alla de-stra di Dio; assaporate 98

le realtà che sono dall’altoe non quelle che stannosulla terra”.

“Haec autem scriptasunt ut credatis quiaIesus est ChristusFilius Dei; et ut cre-dentes vitam ha-beatis in nomine e-ius”. <Unde> […]“quae sursum suntquaerite ubi Christusest in dextera Deisedens; quae sur-sum sunt sapite, nonquae super terram”.

A motivo poi della eleva-tezza di tale ammaestra-mento, si richiede che an-che coloro che ne sonomaestri abbiano autorità:ed è per questo che essisono simboleggiati daimonti, nel versetto che di-ce: “irrora i monti”. Equesto secondo tre aspetti.

Ratione enimaltitudinis huius doc-trinae et in doctori-bus eius requiriturdignitas; unde permontes significantur,cum dicitur: “Rigansmontes”; et hocpropter tria, scilicet:

Ma proprio perché questa Pa-rola è alta, anche coloro che nesono stati resi testimoni e mae-stri devono esserne degni, os-sia capaci, avendola ricevuta,di comunicarla per sovrabbon-danza.

96 Nella citazione giovannea, veniva espressa la contrapposizione fra

“tutte le cose” che Gesù aveva fatto e detto (e che – se scritte – il mondo nonbasterebbe a contenere), e “queste cose” effettivamente scritte nel vangelo(scelte in quanto particolarmente utili alla fede e, di conseguenza, al conse-guimento della vita eterna). Tommaso ne estende il significato, applicandolo atutto il deposito della rivelazione.

97 In italiano il participio presente ‘sedens’ è meglio espresso dal partici-pio passato ‘seduto’.

98 Qui abbiamo preferito rendere il latino ‘sapere’ valorizzando il suosenso etimologico, e quindi disgiungendolo dal campo semantico della‘sapientia’ (da noi tradotta come ‘Conoscenza’) e traducendolo con‘assaporare’.

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In primo luogo, ai maestrisi richiede l’autorità oautorevolezza morale dichi sovrasta, a immagi-ne 99 dell’elevatezza deimonti, che sono alti 100 daterra e vicini al cielo. Cosìinfatti i maestri delle cosedi Dio, disprezzando lecose terrene, anelano 101

solo a quelle celesti, comesta scritto: “La nostra vitainfatti è nei cieli”.

– primo, proptermontium altitudinem.Sunt enim a terraelevati et caelo vici-ni. Sic enim sacridoctores terrenacontemnendo soliscaelestibus inhiant[…]: “nostra <enim>[…] conversatio incaelis est”,

Perciò, i testimoni e maestridella Parola devono innanzi-tutto essere autorevoli per coe-renza, o autenticità di vita: es-si devono mostrare col lorocomportamento la verità dellavita eterna nel tempo 102.

E per questo, di colui chein persona è il Maestro ditutti i maestri – e cioè Cri-sto 103 – sta scritto: “Saràinnalzato sopra i colli eaffluiranno a lui tutte legenti”.

unde de ipso doctoredoctorum, scilicetChristo, dicitur […]:“Elevabitur supercolles et fluent adeum omnes gentes”.

Proprio per questo, colui che èin persona il Maestro dei Mae-stri e il Testimone fedele, ossiaGesù Cristo, è credibile: infat-ti, essendo stato innalzato pri-ma sulla croce e poi nella glo-ria, può comunicare a tutti atti-randoli a sé.

99 Qui e in seguito abbiamo cercato nella traduzione di esplicitare e speci-

ficare il senso – di volta in volta diversamente sfumato – della triplice‘dignitas’ dei maestri (autorevolezza edificante, chiarificante, rassicurante); il‘propter’ è stato tradotto ‘a immagine di’ e non ‘a motivo di’, perché non se-gnala una vera connessione causale, ma solo la corrispondenza metaforica trail mondo dei simboli e quello dei simboleggiati.

100 Avendo in precedenza stabilito di tradurre ‘altus’ (e derivati) con‘elevato’ (e derivati), adesso (e poco oltre) traduciamo invece ‘elevatus’ con‘alto’ ed ‘elevare’ con ‘innalzare’.

101 Questo, secondo l’ideale domenicano di conoscenza della verità legataalla coerenza di vita e in particolare alla povertà.

102 Alludiamo alla “vita meravigliosa e paradossale” dei cristiani – cosìcome è descritta dalla Lettera a Diogneto –, e inoltre al “paradosso” kierke-gaardiano.

103 È interessante come il “Maestro dei maestri” venga identificato colCristo, sottintendendo un procedimento che sarà poi variamente tematizzatodalle Briciole filosofiche di Kierkegaard o dalla cristologia trascendentale diRahner.

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In secondo luogo, neimaestri si richiedel’autorità o competenza dichi dà lumi, a immaginedel chiarore delle cime deimonti 104, che sono le pri-me ad essere illuminatedai raggi del sole.

– Secundo, proptersplendorem. Primoenim montes radiisillustrantur.

Inoltre, i testimoni e maestridella Parola devono essereautorevoli anche per compe-tenza, essendo cioè capaci diilluminare gli altri riguardoalla verità da cui sono stati il-luminati.

Allo stesso modo i maestridelle cose di Dio sono iprimi a ricevere la chia-rezza della mente. Infatti,proprio come le cime deimonti, i maestri per primisono illuminati dai raggidella Conoscenza di Dio;e perciò sta scritto:“Poiché tu mirabilmenteillumini a partire dalle ci-me dei 105 monti eterni” –cioè dai maestri, che sonoin rapporto di parziale re-cezione della verità eter-na 106 – “sono rimasti con-fusi tutti gli insipienti dicuore”; e ancora: “Fra diloro splendete come astrinel mondo” 107.

Et similiter sacridoctores mentiumsplendorem primorecipiunt. Sicut mon-tes enim doctoresprimitus radiis divi-nae sapientiae illu-minantur, <unde dici-tur> […]: “Illuminanstu mirabiliter a mon-tibus aeternis turbatisunt omnes insi-pientes corde”; id esta doctoribus qui suntin participatione ae-ternitatis, <et>: “Interquos lucetis sicutluminaria in mundo”.

Dio infatti illumina le genticominciando dai suoi testimo-ni e maestri, chiamandoli perprimi a condividere la Cono-scenza che è per sempre, etramite loro dissipa la man-canza di senso e Conoscenzadi Dio nel mondo intero.

104 Si traduce ‘splendor’ con ‘chiarore’ quando ha il senso fisico proprio,

e con ‘chiarezza’ quando avrà il senso spirituale traslato. Esplicitiamo‘montes’ come ‘cime dei monti’.

105 Qui ‘a’ non indica né l’agente, né l’origine, ma l’inizio dell’effetto.106 Si traduce ‘participatio’ in maniera meno tecnica e più comprensibile

oggi; si è esplicitato che i maestri partecipano dell’eternità quanto alla verità.107 Si noti la metafora solare [che abbiamo studiato già nel paragrafo §

75] che, in linea con l’idea di partecipazione appena esposta, viene applicata aimaestri: infatti, come la bontà di Dio è sia in sé, sia comunicativa ad extra, co-sì la bontà partecipata alle creature non le fa soltanto buone in sé, ma anchecapaci di comunicare a loro volta la bontà ad altre: similmente, il sole fa le co-se “non solo illuminate, ma illuminanti”.

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In terzo luogo, ai maestrisi richiede autorità rassi-curante, a immagine dellasicurezza costituita daimonti 108: e infatti permezzo dei monti una re-gione è protetta dai nemi-ci.

– Tertio, proptermontium munitio-nem, quia per mon-tes terra ab hostibusdefenditur.

Infine, i testimoni e maestridevono essere autorevoli an-che per sicurezza.

Così anche coloro chenella Chiesa sono mae-stri 109 devono porsi aprotezione della fede,contro gli errori. I figlid’Israele non contano sulancia o freccia: sonopiuttosto i monti a proteg-gerli.

Ita et doctores ec-clesiae in defensio-nem fidei debentesse contra errores.Filii Israel non in lan-cea, nec in sagittaconfidunt, sed mon-tes defendunt illos.

In particolare, tutti coloro chenella Chiesa hanno il carismadi maestri, ossia i teologi, de-vono porsi a salvaguardia 110

della fede dei fedeli.

E perciò di alcuni di es-si 111 fu pronunciata que-sta invettiva: “Non vi sieteerti contro e non aveteopposto un muro a difesa

Et ideo quibusdamimproperatur […]:“Non ascendistis exadverso neque op-posuistis murum prodomo Israel, ut sta-retis in praelio in die

108 Come al solito, esplicitiamo il senso dell’autorevolezza dei maestri.

Traduciamo ‘munitio’ con ‘sicurezza’, ‘munire’ con ‘rassicurare’, ‘defendere’(e derivati) con ‘proteggere’ (e derivati), per evitare di dare alla metafora untono troppo guerresco, che oggi risulterebbe inattuale.

109 ‘Doctores ecclesiae’ non sono qui tanto (o soltanto) i santi ‘dottoridella Chiesa’ (proclamati tali dopo la morte), ma tutti coloro che nella Chiesaesercitano il ministero dell’insegnamento [cf 1Cor 12].

110 Oggi, non possiamo più concepire la funzione dei teologi come difen-sori del popolo cristiano da quanti hanno altre convinzioni e perciò sono visticome nemici; tuttavia possiamo ben concepirla come funzione di salvaguardiadel patrimonio ricevuto e di vigilanza sulla sua solidità e sicurezza.

111 Abbiamo lasciato l’ambiguità: ‘quibusdam’ può riferirisi tanto adisraeliti quanto a monti (e così anche la frase citata). L’invettiva [Ez 13,5] è inrealtà rivolta ai falsi profeti, ma Tommaso la applica ai maestri (e – come sem-bra – metaforicamente ai monti); del resto l’equazione tra maestri (buoni ocattivi) e profeti (veri o falsi) sarà sviluppata da Tommaso in un intero sermo-ne [RSR 2].

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della casa d’Israele, cosìda restar saldi in battaglianel giorno del Signore”.

Domini”.

Dunque, tutti coloro chesono maestri della SacraScrittura

Omnes igitur docto-res Sacrae Scriptu-rae

Dunque, tutti i teologi, che so-no maestri della Parola dellaSacra Scrittura,

devono essere elevati pereminenza di vita, così daessere idonei 112 a predica-re con efficacia, dato che,come dice papa Gregorionella Regola pastorale, “èrigettata la predicazione dicolui la cui vita è disprez-zata”; e come dice ilQoelet, “le parole di chiha Conoscenza sono comestimoli e chiodi confitti inprofondità” 113. Difatti ilcuore non può essere sti-molato e confitto nel ti-mor di Dio, se non è fissoin una vita elevata 114.

– esse debent altiper vitae emi-nentiam, ut sint ido-nei ad efficaciterpraedicandum; quia,ut dicit Gregorius inpastorali: “Cuius vitadespicitur, necesseest ut eius praedica-tio contemnatur” et<ut dicit Ecclesia-stes> […]: “Verbasapientum quasi sti-muli et quasi clavi inaltum defixi”. Nonenim cor stimularipotest aut configi intimore Dei, nisi invitae altitudine defi-gatur.

devono condurre una vitaesemplare, così da essere ido-nei a edificare efficacemente isingoli e la comunità 115, per-ché oggi il mondo ascolta più itestimoni che i maestri, e seascolta i maestri è perché sonoanche e soprattutto testimo-ni 116.

112 Il riconoscimento dell’idoneità (nominata qui e poco oltre) è il requi-

sito per l’esercizio abituale di un ministero; per il maestro, era sancito dalla li-centia docendi, licenza cioè di “leggere, disputare e predicare”.

113 Purtroppo in italiano non si può rendere il doppio senso di ‘altus’ lati-no – come ‘elevato’ o come ‘profondo’ (che sopravvive nell’espressione ‘altomare’).

114 Si noti il gioco di parole tra ‘configi’ e ‘defigi’ (reso in italiano con‘confitto’ e ‘fisso’). La ‘altitudo vitae’ è qui più comprensibilmente tradottacon ‘vita elevata’.

115 Oggi al ministero del teologo non è più associato immediatamentequello della predicazione; per questo lo abbiamo trasposto come “ministerodell’edificazione” personale e comunitaria.

116 Nella trasposizione abbiamo sostituito la frase di Gregorio Magno(papa nella transizione dal mondo tardoantico a quello medioevale) conl’analoga frase di Paolo VI (papa nella transizione attuale).

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Tali maestri devono essereilluminati 117, così da esse-re idonei ad insegnare,interpretando i testi 118,come sta scritto: “A me,poi, che sono il minimo ditutti i santi, fu data questagrazia, di portare allegenti il lieto annunciodelle investigabili ric-chezze di Cristo, e di chia-rire 119 a tutti quale sial’economia del misteronascosto dai secoli inDio”.

– Debent esse illu-minati, ut idonee do-ceant legendo […]:“Mihi autem omniumsanctorum minimodata est gratia haec,in gentibus evangeli-zare investigabilesdivitias Christi, etilluminare omnes,quae sit dispensatiosacramenti abscon-diti a saeculis inDeo”.

I teologi, poi, devono essereilluminati e idonei ad insegna-re agli altri, interpretando i te-sti sacri: essi infatti hannonella Chiesa il carisma di tra-durre il vangelo in manieracomprensibile ai non credentie di chiarire a tutti l’economiadei misteri di Dio.

Infine, i maestri devonoessere sicuri di sé, perconfutare gli errori discu-tendo 120; e perciò stascritto: “Io darò a voi pa-rola e Conoscenza, a cuitutti i vostri avversari nonpotranno resistere né con-traddire”.

– Muniti, ut erroresconfutent disputan-do, <unde dicitur>[…]: “Ego dabo vobisos et sapientiam, cuinon poterunt resiste-re et contradicereomnes adversariivestri”.

I teologi, infine, devono esseresicuri della Conoscenza diDio, per essere idonei a di-scuterne con “chiunque nedomandi ragione” 121 e a risol-verne le obiezioni.

117 Per analogia con quanto detto poco prima (‘debent esse alti’), si com-

prende che ‘debent esse illuminati’ e – poco oltre – ‘debent esse muniti’ vannointesi come predicazione nominale, in cui ‘esse’ è copula e non parte di formacomposta perifrastica (ossia dell’infinito passivo passato); per questo tradu-ciamo ‘devono essere illuminati’ e non ‘devono essere stati illuminati’.

118 Così intendiamo lo scolastico ‘legere’. Sciogliamo ‘idonee’ con ilsintagma ‘essere idonei a’.

119 Si deve tradurre ‘chiarire’ (e non ‘illuminare’) perché così si rendepossibile anche in italiano il costrutto sintattico dipendente dal verbo.

120 Preferiamo tradurre con una parola più comune oggi (fermo restandoche la discussione di cui si parla è strutturata secondo la formula della disputascolastica).

121 Nella trasposizione abbiamo sostituito la citazione biblica originaria,che faceva riferimento ad un contesto di persecuzione, con quella (più vicina almodo di sentire post-moderno) della prima lettera di Pietro [3,15], che fa inve-ce riferimento ad un contesto di dialogo critico ma rispettoso.

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E di questi tre compiti delmaestro (cioè predicare,interpretare e discutere),sta scritto: “È opportu-no 122 che sia capaced’esortare” (quanto allapredicazione), “nel sanoammaestramento” (quantoall’interpretazione), e“confutare coloro che vo-lessero contraddire”(quanto alla discussione).

Et de his tribus offi-ciis, scilicet praedi-candi, legendi et di-sputandi, dicitur, […]:“Ut sit potensexhortari”, quantumad praedicationem;“in doctrina sana”,quantum ad lectio-nem; “et contradi-centes revincere”,quantum ad dispu-tationem.

Insomma, il teologo deveesercitare tre compiti: quellodi edificare, quello di insegna-re, interpretando i testi sacri, equello di dialogare con verità ecarità.

Il terzo elemento che dob-biamo considerare nellacomunicazione della Co-noscenza di Dio è lo statoproprio degli uditori, cheè simboleggiato dalla ter-ra; e per questo il versettodel Salmo dice: “sarà dis-setata la terra”.

Tertio, auditorumconditionem, quaesub terrae similitudi-ne figuratur; undedicit: “Satiabitur ter-ra”.

Il terzo elemento nella comu-nicazione della Conoscenza diDio è costituito poi dagli udi-tori della Parola, che devonoessere caratterizzati dalla di-sposizione a riceverla, secondotre aspetti.

E questo perché la terra èpiù in basso 123, come stascritto: “In alto è il cielo, ein basso è la terra”; inol-tre, è ferma e salda 124,come sta scritto: “La terrapoi è stabile per sempre”;infine, è fertile, come stascritto: “La terra germinierba verde che produce

Et hoc quia terra in-fima est […]: “cae-lum sursum et terradeorsum”. Item sta-bilis et firma […]:“terra autem in ae-ternum stat”. Itemfecunda: “Germinetterra herbam viren-tem, et facientemsemen, et lignum po-miferum faciensfructum iuxta genus

122 La citazione [Tt 1,9], riferita al vescovo; è significativamente (per la

spiritualità apostolica dei domenicani) applicata da Tommaso al teologo.123 Si tratta di una duplice bassezza: relativa all’osservatore (diciamo ‘a

terra’ qualunque cosa in basso rispetto a noi) ed assoluta (secondo la cosmolo-gia antica (che poneva il mondo terrestre al fondo o al centro dell’universo).

124 È preferibile tradurre ‘salda’ (piuttosto che ‘stabile’) perché l’attributodeve poter essere riferito anche agli uditori. La “fermezza” della terra è dupli-ce: rispetto ai flutti marini (“terraferma”) e rispetto al percepito moto degliastri.

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seme, ed alberi fruttiferiche producano frutto se-condo la propria specie”.

suum”.

Allo stesso modo, dunque,gli uditori devono, a so-miglianza della terra, starein basso 125 per umiltà,dato che “Dove c’è umil-tà, là c’è Conoscenza”.

– Similiter,<auditores> debentad similitudinem ter-rae esse infimi perhumilitatem, <quia>“ubi humilitas, ibisapientia”.

Innanzitutto, gli uditori devo-no essere disponibili alla Pa-rola, perché solo nella consa-pevolezza di aver tutto rice-vuto 126 si può accogliere ilsenso della vita.

Poi, gli uditori devono es-sere saldi per rettezza didiscernimento, come stascritto: “Che non siatebambini quanto a discerni-mento”.

– Item, firmi per sen-sus rectitudinem […]:“Ut non sitis parvulisensibus”.

Gli uditori devono poi essereben disposti a discernere la Pa-rola fra tutto ciò che ascoltano,per non accogliere anche ciòche non lo merita.

Infine, devono essere fe-condi (cioè creativi) 127,perché le parole di Cono-scenza da loro recepitefruttino 128 in loro; e per-ciò sta scritto: “Il seme ca-duto in terra buona sonoquanti, ascoltando la Paro-la in cuore buono e assaibuono 129, la ritengono e

– Item fecundi, utpercepta sapientiaeverba in eis fructifi-cent, <unde dicitur>:“<Semen> quod au-tem cecidit in terrambonam hi sunt qui incorde bono et optimoaudientes verbumretinent, et fructumafferunt in patientia”.

Infine, gli uditori devono ave-re anche una disposizionecreativa, perché le parole diConoscenza da loro recepitefruttino in loro: “così è chi,avendo ascoltato la Parola incuore buono e bello, la con-serva pazientemente fino aportar frutto”.

125 L’uditore, come sappiamo, stava fisicamente più in basso – nell’aula –

rispetto alla cattedra del maestro; e doveva anche moralmente mettersi in bas-so, per ricevere (sebbene non passivamente) la conoscenza.

126 L’umiltà è la virtù della piena recettività.127 Risolviamo con questa espressione ridondante e complessa il senso

metaforico di ‘fecundi’; si tenga presente che per Tommaso solo Dio può pro-priamente esser detto ‘creativo’; ma secondo l’accezione odierna del termine,rende molto bene il senso tommasiano di “fecondità”.

128 Qui (a differenza di prima) i lemmi del tema ‘fruct-’ sono tradotti con icorrispondenti lemmi italiani perché il frutto di cui si parla è quello di unapianta, e metaforicamente quello di una vita.

129 Il testo greco della citazione lucana andrebbe piuttosto tradotto ‘belloe buono’ (esprimendo così la recezione cristiana dell’ideale greco della ka-

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portano frutto in perseve-ranza”.

Dunque, agli uditori si ri-chiede umiltà nell’appren-dimento 130, che si ha perl’ascolto 131; e perciò stascritto: “Se chinerai il tuoorecchio, percepirai l’am-maestramento; e se ti pia-cerà ascoltare, avrai laConoscenza” 132.

– Humilitas ergo ineis requiritur quan-tum ad disciplinamquae est per audi-tum, <unde dicitur>:“Si inclinaveris au-rem tuam excipiesdoctrinam; et si di-lexeris audire, sa-piens eris”.

Insomma, tre sono i requisitinecessari a chi riceve la Parolarivelata. Innanzitutto l’umiledisponibilità alla Parola, che siattua nell’obbedienzadell’ascolto.

Agli uditori 133 si richiedepoi rettezza di discerni-mento nel giudizio; e per-ciò sta scritto: “Forse chel’orecchio non giudica leparole?”.

– Rectitudo autemsensus, quantum adiudicium auditorum,<unde dicitur> […]:“Nonne auris verbadiiudicat?”.

Poi, la buona disposizione aldiscernimento di ciò che siascolta.

Agli uditori si richiede pe-rò anche 134 la fecondità ocapacità di scoprire cosenuove: e per tale capacità,da poche cose udite ilbuon uditore potrà dire

– Sed fecunditasquantum ad inven-tionem, per quam expaucis auditis multabonus auditor an-nuntiet, <unde dici-tur> […]: “Da occa-sionem sapienti, et

E, infine, una disposizione allacreatività: per tale disposizio-ne, il vero uditore completeràquanto ha udito comunican-dolo a sua volta ad altri; infattila Conoscenza di Dio si accre-

lokagathía); ma la traduzione latina ha inteso diversamente il testo, e in base atale senso abbiamo cercato di tradurre.

130 ‘Disciplina’ è antonimo relativo (inversivo) di ‘doctrina’; avendo tra-dotto il secondo come ‘ammaestramento’, traduciamo il primo come ‘appren-dimento’.

131 Probabile allusione analogica alla ‘fides ex auditu’.132 Per mantenere l’uniformità terminologica (per cui ‘sapientia’ è tra-

dotto ‘Conoscenza’), dobbiamo tradurre perifrasticamente il sintagma ‘sapiensesse’.

133 Letteralmente: ‘si richiede rettezza di discernimento nel giudizio degliuditori’; ma traduciamo in maniera più lineare e omogenea al precedente pun-to.

134 Si è accentuato nella traduzione il carattere avversativo del ‘sed’ (concui Tommaso sembra voler contraddire il luogo comune della esclusiva passi-vità dell’uditore).

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agli altri 135 molte cose; eperciò sta scritto: “Mettialla prova chi ha Cono-scenza, ed avrà ancor piùConoscenza” 136.

addetur ei sapientia”. sce donandola 137 e il sensodella vita aumenta quando losi condivide con altri.

Infine, in questo versettosi accenna in tre aspettialla struttura scalare delprocesso che ingenera taleConoscenza, ossia riguar-do alla capacità di comu-nicare e riguardo a come ea quanto è recepito il do-no 138.

Ordo autem genera-tionis tangitur hicquantum ad tria, sci-licet, quantum adcommunicandi{virtutem}; et quan-tum ad quantitatemet qualitatem doniaccepti.

Infine, il quarto elemento daconsiderare è la struttura sca-lare del processo di comunica-zione della Conoscenza diDio, secondo tre aspetti: si hainfatti una scalarità nellaquantità dell’oggetto comuni-cato e ricevuto, nella modalitàcon cui esso è posseduto daisoggetti, e nella capacità co-municativa di questi ultimi.

La struttura scalare, dun-que, è riscontrabile inprimo luogo riguardo aquanto il dono è recepito.

– Primo quantum ad{quantitatem doniaccepti}:

Il primo aspetto è la scalarità oentropia della quantitàdell’oggetto comunicato e ri-cevuto 139.

Infatti non tutto ciò che ècontenuto nella divinaConoscenza può dallementi dei maestri essercompreso 140.

quia non totum quodin divina sapientiacontinetur, mentesdoctorum caperepossunt.

Infatti non tutto il contenutodella Conoscenza di Dio puòessere compreso dalle menti dicoloro che per primi sonochiamati a riceverlo, per poi –a loro volta – comunicarlo.

135 ‘Annuntiare’ è tradotto più debolmente come ‘dire agli altri’, dal mo-

mento che è applicato all’uditore.136 Anche qui traduciamo con perifrasi per uniformità terminologica.137 La trasposizione riecheggia la frase di Giovanni Paolo II.138 Sciogliamo la brachilogia (‘quantità e qualità del dono recepito’).139 Esplicitiamo nella trasposizione la legge dell’entropia della comunica-

zione, qui enunciata ante litteram.140 Volgiamo al passivo il costrutto verbale per conservare l’ordine delle

parole (fondamentale in una descrizione scalare) in modo ancora accettabileper la lingua italiana.

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E perciò, di Dio 141 il ver-setto del Salmo non dice:“che sui monti riversa lesovracelesti acque”, bensì:“che li irrora di 142 sovra-celesti acque”;

Unde non dicit:“Superiora montibusinfluens”, sed: “Desuperioribus rigans”;

ed anche nel libro diGiobbe sta scritto: “Eccoquanto è stato detto inparte delle vie di lui” 143.

<unde et in Iob dici-tur> […]: “Ecce haecex parte dicta sunt<viarum eius>”.

E, pure allo stesso modo,non tutto ciò che i maestricomprendono può da loroesser trasmesso 144 agliuditori; e perciò sta scrit-to: “Ha udito parole arca-ne che non è lecito aduomo proferire”. Ed è perquesto che il versetto delSalmo, – parlando di Dio– non dice: “che consegnail beneficio dei monti allaterra”, bensì: “che dissetadi tale beneficio la terra”.

Similiter etiam, nectotum quod doctorescapiunt, auditoribuseffundunt, <undedicitur> […]: “Audivitarchana verba quaenon licet homini lo-qui”. Unde non dicit:“Fructum montiumterrae tradens”, sed:“De fructu terram sa-tians”.

Analogamente, non tutto ciòche essi hanno compreso puòda loro esser comunicato agliuditori.

E questo è quanto diceGregorio Magno: “Nondeve il maestro predicareai non eruditi tutto ciò chesa, dato che dei divini mi-steri neppur lui è in gradodi sapere tutto ciò che so-

Et hoc est quod dicitGregorius: “Praedi-care non debet rudi-bus doctor quantacognoscit, quia etipse de divinis my-steriis cognoscerenon valet quantasunt”.

Infatti il comunicatore non de-ve pretendere di comunicare airiceventi tutto e subito (tantopiù che lui stesso non ha anco-ra finito di ricevere quello cheha), ma comunicar loro gra-dualmente secondo la recezio-

141 Così esplicitiamo – qui e più in là – il soggetto implicito nel participio

presente (‘tradens’, ‘rigans’, ‘influens’).142 Si è cercato di mantenere la polivalenza semantica del ‘de’ latino, che

può introdurre un complemento o d’origine, o di materia, o partitivo.143 Si tratta del versetto che Tommaso utilizzerà nel prologo del quarto li-

bro della Contra Gentes per introdurre le verità accessibili solo per rivelazio-ne.

144 La traduzione cerca di ricalcare il costrutto adoperato per il punto pre-cedente.

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no”. ne, misurata dalla loro rispo-sta 145.

In secondo luogo, si ac-cenna alla struttura scalareriguardo a come la Cono-scenza è avuta.

– Secundo, tangiturordo quantum admodum habendi:

Il secondo aspetto è la scala-rità del modo (o codice) 146 incui l’oggetto (comunicato oricevuto) è posseduto dal sog-getto.

Infatti Dio per natura ha(ed è) 147 tale Conoscenza.E per questo, delle “sovra-celesti acque” il Salmodice che sono “sue”, ossiaconnaturali a lui, come stascritto: “Presso di lui ilsapere 148 e il potere: egli

quia sapientiamDeus habet per natu-ram. Unde“superiora” sua essedicuntur illi, scilicetnaturalia, <quia> […]“apud ipsum scientiaet fortitudo; ipse ha-bet consilium et in-telligentiam”.

Infatti Dio non solo ha in pie-nezza il senso di tutto e la Co-noscenza di sé, ma è tale sensoe tale Conoscenza, non aven-dola ricevuta da nessuno. In-vece, tutti gli altri, che la rice-vono da lui, la possiedononella misura data dalla loro re-

145 Si tratta di una regola fondamentale della comunicazione in genere,

che si differenzia dalle altre azioni perché deve regolarsi sul feedback: devecioè misurare l’intensità dell’atto sulla capacità recettiva del ricevente(insomma, secondo la metafora del Busa, come la pompa della benzina e noncome l’idrante dei pompieri). Questa regola è addirittura essenziale alla comu-nicazione rivelativa ed esistenziale, che anche per Tommaso dev’essere gra-duale, allusiva e parabolica o paradossale [cf ST4 42.3 co]; su questa stessa li-nea si porrà la “comunicazione indiretta” descritta da Kierkegaard.

146 La trasposizione (che rafforza il senso del testo) si basa su questa con-siderazione: la Sapienza, che Dio è, è partecipata dai maestri non solo inquanto senso della vita per loro, ma anche per gli altri, ossia in quanto de-scritto in un Testo leggibile, che è appunto il codice per eccellenza della co-municazione tra Dio e creature. Insomma, nel possesso di quell’oggetto che èla Conoscenza, Dio ha per così dire il codice dell’infinità (ossia, l’oggetto nonè codificato per lui: è come è); i maestri hanno il codice della comunicabilità(per gli agiografi è la testualità della Sacra Scrittura; per i testimoni èl’eloquenza della loro testimonianza; per i teologi è la scientificità e intersog-gettività della teologia); gli uditori hanno il codice minimale, ossia la rispon-denza alla propria personale capacità ed esigenza.

147 Così per endiadi (che sarebbe stata ridondante per Tommaso, ma cheè utile per noi) viene esplicato il senso dell’‘habere per naturam’.

148 Così traduciamo ‘scientia’ rendendone il senso più ampio (non resodal moderno ‘scienza’) e distinguendola da ‘sapientia’.

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possiede il consiglio el’intelligenza”.

cettività 149.

I maestri, invece, di talesapere partecipano copio-samente: cioè lo possie-dono (avendolo ricevuto)soltanto in parte, sia purtraboccante 150.

Sed doctores scien-tiam participant adcopiam.

I testimoni e maestri, infatti,sono da lui chiamati a condi-videre tale Conoscenza di sen-so non solo per sé, ma in ma-niera comunicabile per so-vrabbondanza agli altri 151.

E per questo di loro ilSalmo dice che sono irro-rati; come sta scritto:“Irrorerò l’orto dellepiantagioni, e innaffierò ilfrutto del mio giardino”.

Unde de supe-rioribus rigari dicun-tur […]: “Rigabohortum plantationum,et inebriabo prati meifructum”.

Gli uditori, infine, di talesapere partecipano ade-guatamente: cioè lo pos-siedono (avendolo rice-vuto) solo in parte a loroadeguata 152; e questo è

Sed auditores eamparticipant ad suffi-cientiam, et hoc si-gnificat terrae satie-tas […].

Gli uditori della Parola, infine,sono inizialmente 153 chiamatia condividere tale Conoscenzadi senso solo per se stessi,quanto a loro basta.

149 Integriamo menzionando il principio ‘receptum est in recipiente per

modum recipientis’ [SCG 2.73.31, che soggiace a tutta la trattazione.150 Riteniamo necessario esplicitare nella traduzione il senso metafisico

della partecipazione e dei suoi tre gradi: quello totalmente incipiente (qui sot-taciuto) di chi possiede del tutto inadeguatamente il bene partecipato, e quindine va in cerca per indigenza; quello progressivo (di cui si parla poco oltre) dichi possiede il bene partecipato in misura adeguata solo per sé; e quello per-fetto o abbondante (qui enunciato) di chi è capace di comunicare per sovrab-bondanza ad altri quel che aveva a sua volta ricevuto.

151 Si tratta di una ridondanza non solo quantitativa, ma qualitativa: ilcomunicatore possiede il contenuto comunicabile in maniera completa; anzi, lasua capacità di comunicarlo è segno (o feedback) dell’avvenuto possesso di es-so. Certamente, oggi distinguiamo, nella comunicazione dottrinale, la compe-tenza scientifica (sui contenuti da comunicare) dalla competenza pedagogica(sui modi di comunicarli), ma il principio rimane valido: solo chi ha una pienacompetenza pedagogica può comunicare pedagogicamente; e solo chi ha unapiena competenza scientifica può comunicarne i contenuti.

152 Qui ed in seguito traduciamo il lemma ‘sufficientia’ e il sublemma‘sufficiens’ con ‘adeguatezza’, ‘adeguato’ e qualche perifrasi; in italiano

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simboleggiato dal fattoche la terra è dissetata.

In terzo luogo, si accennaalla struttura scalare ri-guardo alla capacità dicomunicare.

– Tertio, quantum advirtutem communi-candi:

Il terzo aspetto è la scalaritàdella capacità comunicativadei soggetti e il canale 154.

Infatti Dio comunica laConoscenza per capacitàpropria. E per questo dilui il Salmo dice che è luistesso 155 ad irrorare imonti.

quia Deus propriavirtute sapientiamcommunicat. Undeper seipsum montesrigare dicitur.

Infatti, Dio si comunica persua iniziativa, facendosi cono-scere anche agli altri 156 e dan-do senso ad ogni cosa: egli èinfatti il Primo Comunicatoregratis, perché non riceveniente da nessuno.

Invece i maestri non co-municano la Conoscenzase non per incarico 157. Eperciò il beneficio deimonti non è attribuito a

Sed doctores sa-pientiam non com-municant nisi perministerium. Undefructus montium nonipsis, sed divinis

Invece i testimoni e maestrinon la comunicano se non inquanto l’hanno ricevuta percomunicarla a loro volta aglialtri. Per questo essi (e non gli

odierno infatti (forse proprio per l’attuale cultura dell’abbondanza)‘sufficienza’ e ‘sufficiente’ hanno invece acquisito un valore di ristrettezza.

153 In seguito, però, anche il semplice uditore (a motivo della creativitàche gli è richiesta) deve tendere a diventare maestro.

154 Anche in questo caso la trasposizione rafforza il senso del testo. Lanozione attuale di canale sembra adattarsi alla nozione di “comunicazione perministero” attribuita da Tommaso ai maestri, tanto più che il compito dei mae-stri veniva fatto corrispondere alla metafora dei fiumi nel prologo. Insomma,Dio non è canale, ma sorgente di comunicazione, ossia Primo Comunicatore; imaestri sono canali, perché possono comunicare in quanto hanno ricevuto; gliuditori invece non sono (ancora) canali, fin tanto che rimangono solo uditori.

155 Così rendiamo l’enfasi di ‘per seipsum’; invece una traduzione a calco(‘di per se stesso’) risulterebbe oscura.

156 Esplicitiamo il ‘communicare’ qualcosa come “farlo comune ad altri”,o “far che anche altri lo abbiano”. Il ‘propria virtute’ è ben trasposto con‘propria iniziativa’, che esprime non solo la differenza dalla “comunicazioneper incarico” (dei maestri), ma soprattutto la libertà e generosità della rivela-zione.

157 Traduciamo ‘minister’ e ‘ministerium’ con ‘incaricato’ ed ‘incarico’per esprimerne (meglio di ‘ministro’ o ‘servo’ e così via) il carattere di media-zione.

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loro, ma all’opera di Dio.Dice infatti il Salmo: “Delfrutto delle sue opere”. Eperciò sta scritto: “Chidunque è Paolo? Chi dun-que è Cefa?”. E subitodopo: “Incaricati di coluial quale avete creduto”.Ma allora “Chi è idoneo atanto?”.

operibus tribuitur.“De fructu”, inquit,“operum tuorum”.<Unde dicitur> […]:“Quid igitur estPaulus?” et infra:“Ministri eius cuicredidistis”. Sed “adhaec quis tam ido-neus?”.

uditori 158) sono consideraticanali di comunicazione. Macome possono coloro che han-no ricevuto tale incarico esserecanali pervii 159 di una cosìstraordinaria comunicazione?

Dio richiede infatti incari-cati irreprensibili (comesta scritto: “Chi camminain una vita senza macchia,questi sarà incaricato diservirmi”); intelligenti(come sta scritto: “Graditoal Re è l’incaricato intelli-gente”); ferventi (come stascritto: “Tu fai degli spi-riti i tuoi angeli e del fuo-co ardente i tuoi incarica-ti” 160); obbedienti (come

Requirit enim Deus:ministros innocentes[…]: “Ambulans invia immaculata, hicmihi ministravit”; in-telligentes […]: “Ac-ceptus est regi mini-ster intelligens”; fer-ventes […]: “Qui fa-cis angelos tuos spi-ritus, et ministrostuos ignem uren-tem”; item, obedien-tes […]: “Ministri eiusqui faciunt volun-tatem eius”.

Quattro infatti sono gli impe-dimenti o interferenze 161 cherendono impervio il canale allaConoscenza di Dio: il peccato,la superficialità, l’indifferenza,la presunzione. Dio invece ri-chiede incaricati che siano ir-reprensibili, profondi, dediti efidati.

158 Nella trasposizione è esplicitata la significativa “absentia in proximo”

degli uditori (solitamente enumerati al termine della scala).159 Il mezzo di comunicazione (come sappiamo oggi) modifica anche

l’oggetto della comunicazione; ma questo non si addice alla comunicazionedella Conoscenza di Dio, di cui il ministro deve essere solo “canale pervio”:infatti aggiungendovi di sua iniziativa del suo finirebbe per toglierne invecequalcosa; il suo merito sta dunque nell’essere (per quanto gli è possibile) tra-sparente, aggiungendo semmai la propria vita conforme al messaggio e“completando così in se stesso ciò che manca” alla realizzazione del contenutodella comunicazione.

160 Per la sua provvidenza Dio si serve dei venti e dei fulmini [Ps 103,4],ovvero (per i Padri) degli spiriti fedeli come angeli e dei demoni come incari-cati di punire [cf ORIGENE, Ad Romanos, 10.14], oppure (secondo Tommaso)degli spiriti angelici e dei teologi ferventi, accomunati in un compito analogo;non a torto quindi Tommaso verrà chiamato dai posteri ‘Doctor Angelicus’.

161 La trasposizione rafforza ed esplicita il senso del testo (l’interferenza orumore rende impervio il canale, impedendo la comunicazione). Le caratteri-

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sta scritto: “Incaricati dilui, che adempiono il suovolere”).Ma anche se uno 162 di persé, in base cioè alle suesole forze, non è adeguatoad un così alto incarico,tuttavia può confidare diottenere 163 tale adegua-tezza da Dio, come stascritto: “Non che siamoadeguati a pensare qualco-sa da noi, quasi venisse danoi, ma la nostra adegua-tezza è da Dio”.

Sed quamvis aliquisper se, ex seipso,non sit sufficiens adtantum ministerium,sufficientiam tamenpotest a Deo sperare[…]: “Non quod suf-ficientes simus co-gitare aliquid ex no-bis, quasi ex nobis;sed sufficientia no-stra ex Deo est”.

Se così stanno le cose, nessu-no è in grado con le sue soleforze di essere Maestro e Te-stimone di Dio nel mondo: ciònonostante, se è stato chiamatoa questo, può certamente con-tare sulla grazia di Dio.

Il maestro deve dunquechiedere tale adeguatezza

Debet autem peterea Deo, <unde dici-

Egli deve dunque chiederla aDio. Infatti, se uno manca an-

stiche degli incaricati di Dio sono state tradotte (più che trasposte) con paroleche oggi ne esprimono meglio il senso.

162 Va tradotto ‘uno non’ e non ‘nessuno’ perché il sermone fa riferimentoimplicito proprio a colui che inaugura il suo magistero.

163 Traduciamo così ‘sperare’, perché il suo significato biblico non è un“desiderare dubitando” (secondo il senso odierno di ‘sperare’), ma è un “a-spettare con certezza”.

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piuttosto a Dio; e perciòsta scritto: “Se uno mancadi sapienza, la domandi aDio, che a tutti dà genero-samente e non rinfaccia: egli sarà data”. Perciò pre-ghiamo: Cristo ce 164 loconceda. Amen.

tur> […]: “Si quisindiget sapientia po-stulet a Deo, qui datomnibus affluenter etnon improperat, etdabitur ei”. Oremus.Nobis Christus con-cedat. Amen».

cora della Conoscenza che dàsenso, la cerchi in Dio, che atutti si comunica generosa-mente prima ancora d’essercercato: e la troverà 165. Perciòpreghiamo Dio per Cristo, chece la conceda. Amen.

164 Nel plurale di umiltà e di ufficialità (ex officio) è nascosta la preghiera

che il nuovo maestro fa per se stesso.165 Nella trasposizione abbiamo esteso la portata della preghiera, che

quindi non è più attribuita al solo maestro novello, ma ad ogni uomo in cercadel senso della vita; ed è riferita a tutta la ricerca esistenziale umana, alla lucedell’assioma biblico “chi cerca trova”, perché il Cercato stesso comunicandosisi è fatto e cercare e trovare [cf SCG 3.95].

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ELEMENTI DI LESSICOGRAFIA

7. L’ARTICOLAZIONE DIACRONICA

IPERTESTUALE

• Gli ipertesti, intesi come relazioni diacroniche (per antecedenza, successione,contemporaneità, conseguenza) tra testi già sincronicamente ordinati in contesti,manifestano la storia del Concetto.

Spesso si rimprovera al metodo lessicografico (applicato allo studiodell’opera di un autore) la sua attenzione alla sincronia, più che alla dia-cronia, e quindi di non armonizzarsi con i principi e le esigenze del metodostorico-critico e i canoni comunemente oggi accettati della storiografia fi-losofica e teologica. D’altronde, il pensiero, pur manifestandosi nella sto-ria, ha però una dimensione sovratemporale, volendo attingere ad una ve-rità solida e necessaria, che valga oltre il tempo in cui è stata scoperta oformulata.

Inoltre, occorre rivendicare ad ogni autore il diritto a rimanere (pur nell’i-nevitabile sviluppo del suo pensiero) in una fondamentale coerenza con sestesso, a meno che esplicitamente non ammetta di aver cambiato idea: per dirlacon Heidegger, ogni grande pensatore non ha che un solo grande pensiero. In-fine, secondo la celebre metafora saussuriana, a chi si avvicinasse a vedere unapartita a scacchi già iniziata, non sarebbe necessario essere informato sullemosse giocate in precedenza per rendersi conto della situazione di gioco in at-to. Questo non vuol dire però che il pensiero di un autore sia scaturito comeAtena dalla testa di Zeus; e pertanto lo studio diacronico è importantissimo,specie per esaminare come il pensiero si formi e si sviluppi da autore ad auto-re, e come, nello sfondo comune del “proprio tempo appreso col pensiero”, sistagli la figura del grande pensatore, con caratteristiche e sfumature originaliche senza il confronto non risalterebbero.

Approccio lessicografico (sincronico) ed approccio storico-critico(diacronico), dunque, sono e rimangono complementari. La lessicografiastessa, anzi, può e deve essere utilizzata in funzione della storiografia, me-diante il confronto fra dati sincronicamente omogenei ma diacronicamentedifferenziati: da un punto di vista lessicografico, cioè, la storia è ricostrui-bile dal raffronto di testi e contesti, mediante anche l’uso di ipertesti, ossiadi testi inseriti dentro altri testi.

Così, l’evoluzione interna è ravvisabile dal confronto fra testi omogenei(di medesimo taglio e contenuto) scritti in epoche diverse; la ricostruzionedelle fonti e la storia del concetto si riflette in quelle particolari interferenze fra

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universi testuali che sono le citazioni (che appartengono tanto al testodell’autore che cita quanto ai testi degli autori citati) e i riferimenti in generale.

Si intende per ipertesto sia le informazioni contenute nel testo sul te-sto stesso e che sono implicitamente colte dal lettore ma che nel tratta-mento informatico vanno esplicitate, quasi a costituire un testo invisibilesopra il testo stesso (ipertesto interno); sia i testi d’altri autori (ipertestiesterni) in qualche modo collegati o collegabili (perché coevi o comunqueappartenenti alla stessa area linguistica o dottrinale) al testo dell’autore inquestione.

Per esempio una concordanza elettronica contiene un ipertesto interno,che di ogni parola fornisce non solo un codice tipologico e numerico di lemmae di forma grammaticale, ma anche il tipo di discorso in cui occorre (se discor-so proprio dell’autore, oppure citazione letterale o citazione a senso o ubica-zione, vale a dire un testo eterogeneo nel testo dell’autore); inoltre, una com-pleta concordanza dovrebbe contenere anche, come ipertesto esterno, unascelta variegata e rappresentativa di opere anteriori o coeve, al fine di permet-tere un confronto fra il lessico dell’autore e quello di altri autori, così che, no-tando somiglianze e differenze, si possano cogliere in tal modo le eventualispecificità linguistiche e dottrinali.

Così la lessicografia può servire d’aiuto ad un’indagine diacronica; e,dal punto di vista del contenuto, excurrere (ossia ripercorrere cursorie) dia-cronicamente l’evoluzione della dottrina comunicazionale e della suaespressione linguistica innanzitutto nell’autore, e poi anche, attraversol’autore, nella storia del pensiero, secondo le direttrici del dinamismo stori-co: [1] ad intra – nella storia della redazione e dell’evoluzione internaall’opera dell’autore stesso; [2] a parte ante – nella sua genesi dottrinale, equindi nella storia delle fonti, indirettamente mostrata dalle occorrenze delvocabolario in citazioni; [3] a latere – in rapporto al comune sentire e par-lare, ossia della storia del contesto dottrinale; [4] a parte post – nella storiadelle interpretazioni e degli effetti, in particolare attraverso le riproposi-zioni che della teoria hanno dato i primi discepoli e interpreti dell’autore.

• La Storia della Redazione di un testo, attraverso la ricostruzione delle corre-zioni autografe, aiuta a discernere il carattere aspecifico (non tecnico) e quello spe-cifico del vocabolario intellettuale dell’autore.

Uno studio diacronico della teoria della Comunicazione di testi speci-fici non può prescindere innanzitutto dalla Storia della Redazion dei testistessi, dato che (cosa insolita per gli autori antichi), di alcune si può dispor-re del testo autografo (con le cancellature e le aggiunte).

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Le cancellature (più o meno ampie) dell’autografo se sono riportateconsentono il raffronto tra la prima redazione e quella definitiva.In particolare possiamo esaminare tutte le volte in cui il vocabolariocomunicazionale è stato sostituito da altri lemmi nella redazione defini-tiva (più complesso sarebbe esaminare il contrario).

Può verificarsi che esaminando una per una le variazioni apportatescopriamo che a volte la redazione definitiva sopprime completamente iltesto contenente la terminologia comunicazionale ; a volte invece la reda-zione definitiva mantiene la terminologia comunicazionale, riducendone lafrequenza e semplificando il testo ; a volte, infine, sostituisce la termino-logia comunicazionale con alcuni sinonimi che evidentemente apparivanoall’autore più convenienti al contesto, e che pertanto risultano molto inte-ressanti per noi, come risulta dal seguente esempio in uno studio sui testi diTommaso.

Storia della redazione: primo esempio

PRIMA REDAZIONE REDAZIONE DEFINITIVA

«Naturae «Naturanon est determinare: intendit

tantum communicandum estet tantum non;sed perfectam

sui similitudinem communicat sibi simile produceresi potest». inquantum potest».

[ADL 3S 209] [3SN 11.1.1 co]

In questo caso, il senso della correzione è evidente: Tommaso inter-viene a semplificare notevolmente la sintassi e il ragionamento stesso.Nella prima versione non mancavano asperità e ambiguità, nonché un ana-coluto: “non è <proprio> della natura determinare <questo>: quanto debbaessere comunicato <dalla natura> e quanto no; ma <la natura> comunicauna perfetta somiglianza di sé, se può”. Nell’ultima versione, tutto èespresso con brevità e chiarezza: “la natura tende a produrre <effetti> si-mili a sé, per quanto possibile”.

La sostituzione del “comunicare” con il “produrre” risponde alla logi-ca di una giustificata equazione di significato. In base, infatti, alle defini-zioni semantiche precedentemente ricavate, “comunicare la propria somi-glianza a qualcosa” non è altro che “far comune ad essa la somiglianza di

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sé”, il che equivale concretamente a “far simile a sé la cosa”; quest’ultimaformulazione, esprimendo più da vicino la concretezza dell’atto, va prefe-rita.

Prendiamo un altro esempio, in cui, dopo molti ripensamenti, Tomma-so abbia preferito riformulare il concetto di “comunicare” adoperando in-vece il vocabolario partecipazionale.

Storia della redazione: secondo esempio

PRIMA REDAZIONE REDAZIONE DEFINITIVA

«Illud […] quod sicut […]«[Anima rationalis] anima humanalicet sicin se sit estquaedam substantiasubsistens, subsistens

uttamen, tamen

solum sit forma,quia dummodoesse suum est esse suum sit

alteri communicabile, tale quod ab aliquo alio participari possit,potest esse alterius forma». potest alterius esse forma».

[ADL G3 17b] [SCG 3.51, con piccole trasposizioni 1]

A differenza del precedente esempio, qui nella versione definitiva nonsolo viene aggiunto qualche elemento, ma addirittura sembra essersi com-plicata la sintassi.

Il fatto è che mentre nella prima stesura ci si limitava a fare un’affer-mazione relativa alla sola anima umana, enunciando cioè un problema an-tropologico (come può l’anima umana, che è forma, sussistere anche dopola morte? E se è sussistente, come fa ad essere forma del corpo?); nella ste-sura definitiva invece si fa un’affermazione universale e necessaria, par-tendo da un problema metafisico (può una forma sussistente senza materiaessere forma di un composto?).

1 Il testo preciso è: «illud […] quod sic est subsistens ut tamen solum sit forma,

potest alterius esse forma, dummodo esse suum sit tale quod ab aliquo alio participaripossit, sicut […] anima humana».

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A ben considerare, la formulazione iniziale poteva essere ambigua. Inentrambi gli esempi da noi esaminati, le sostituzioni rispondono a quei cri-teri di brevità e perspicuità, criteri che rispondono ad esigenze di economiadella comunicazione e di aderenza alla realtà.

Ma la concisione ha un prezzo da pagare, ovvero la specializzazionedel linguaggio. Infatti (in base ad una ovvia legge linguistica), quanto più illessico è generico e limitato (poche parole ma note a tutti), tanto più vago elungo sarà il discorso; viceversa, quanto più il lessico è ampio e specializ-zato, tanto più conciso sarà il discorso; e pertanto la chiarezza espressivasta nel giusto mezzo fra brevità del discorso e comprensibilità delle singoleparole.

• Il confronto fra opere dello stesso autore aiuta a capirne l’eventuale evoluzionelinguistica e dottrinale.

Dobbiamo poi considerare l’evoluzione del linguaggio mediante lostudio comparativo delle variazioni d’uso del vocabolario, purché in rife-rimento ad opere corpose, omogenee (per contenuto e genere letterario) edatabili a momenti diversi (le variazioni fra opere brevi o eterogenee pos-sono essere imputabili a ben altri fattori che all’evoluzione).

Un primo indicatore dell’evoluzione del linguaggio di un autore è lostudio statistico delle variazioni delle frequenze del suo vocabolario;

A fronte del calo statistico in un opera può esserci un ampliamentodell’area semantica coperta dalla terminologia comunicazionale, che viene uti-lizzata in più sensi.

Queste considerazioni potrebbero far supporre che l’autore non abbiaridimensionato il ruolo del concetto del termine nel suo sistema, ma anzi,proprio grazie ad una sintesi più completa e pertanto più profonda, lo abbiaadoperato come nozione prima solo là dove fosse necessario (ovvero, infunzione fondazionale) e non là dove avrebbe appesantito il ragionamento(un po’ come accade con le nozioni prime e gli assiomi della geometria).

• Le occorrenze della parola chiave in citazioni manifestano in larga parte lefonti utilizzate dall’autore e la misura del loro influsso.

Le concordanze elettroniche segnalano accuratamente quando una pa-rola occorre in discorso proprio dell’autore, quando invece in ubicazioni, equando invece in citazioni esplicite, tanto letterali quanto a senso.

Certo, le fonti di un autore non si possono ridurre simpliciter alle suecitazioni, ma sicuramente queste ci dànno un quadro sufficiente di quelle.

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In un autore medievale le citazioni occupano un largo spazio (si pensi algenere letterario della lectio, biblica, filosofica e teologica, e alla consuetudinedi citare le auctoritates nelle questioni). Per avere qualche metro di paragone,si tenga presente che in Tommaso il verbo ‘sum’ (il lemma più frequente diTommaso, e praticamente ubiquo) ricorre in citazioni il 22% dei casi, e daquesto deduciamo con qualche approssimazione che le citazioni costituiscanoin Tommaso circa il 20% del suo corpus verbale e testuale. Confrontando contale percentuale quella di occorrenza in citazione di ogni lemma (tenuto contoanche della sua percentuale di frequenza in generale) possiamo distinguere leparole del gruppo in diverse categorie.

Si possono così individuare una categoria di parole sostanzialmenteestranee al linguaggio dell’autore (e da lui adoperate solo rararamente e in ci-tazione). A questa categoria possiamo ricondurre anche i lemmi rari che anchequando non compaiono in citazioni, sono estranei al linguaggio dell’autore, egli derivano soprattutto dalla terminologia delle traduzioni.

Si realizza infine la categoria delle parole “canoniche”, ossia fortementeradicate nella tradizione fatta propria dall’autore(e che normalmente ricorronoin luoghi comuni o in citazioni obbligate, come adagi o assiomi).

Possiamo in questo modo risalire a poche decine di citazioni più ricor-renti o significative; così facendo forniremo lo spettro delle fonti esplicite dellateoria comunicazionale dell’autore preso in esame, contribuendo anche alla ri-costruzione della Storia del Concetto di Comunicazione prima di lui.

A titolo di esempio si consideri questa silloge di peculiari citazioni ari-stoteliche ritrovate in Tommaso che compilò (o meglio, fece compilare) unaconcordanza alfabetica concettuale (su parole chiavi in affermazioni fonda-mentali) dell’Etica di Aristotele: si tratta della Tabula Ethicorum; prezioso do-cumento per capire l’influsso di Aristotele su Tommaso. Le affermazioni ari-stoteliche riguardanti o contenenti ‘communicatio’ e famiglia, censite dallaTabula, sono contenute nella seguente tabella.

Auctoritates Aristotelis riguardanti la comunicazione,censite nella Tabula Ethicorum di Tommaso

• «Amicicia et iusticia uidentur esse in eisdem et circa idem, id est circa communicaciones».

• «Amicicia in tantum est in quantum communicant».

• «Amicicia et iusticia differunt circa diuersas communicaciones, quia non eadem com-municacio parentibus ad filios et fratribus et connutritis».

• «Secundum maiorem communicacionem est maior iusticia et amicicia».

• «Amicicia sicut iustum potest esse ad omnem potentem communicare lege et compo-sicione».

• «Omnis amicicia est in communicacione».

• «Amicus superexcellens debet plus accipere quemadmodum in pecuniarum communi-cacione plura accipiunt conferentes plura».

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• «Ad amicos et fratres debemus confidenciam et communicacionem omnium nostrorum».

• «Iusticia distributiua consistit in distribucionibus et honorum et pecuniarum, commutatiua ueroconsistit in communicacionibus, ut quando aliquis pro re sua accipit rem alterius».

• «Iustum continet contrapassum in communicacionibus commutatiuis secundum propor-cionalitatem et non secundum equalitatem».

• «Legalia sunt factiua et conseruatiua felicitatis et particularum ipsius politica communi-cacione».

• «Hec nomina dampnum et lucrum inuenta sunt in communicacionibus uoluntariis, quia plusin talibus habere dicitur lucrari et minus habere dicitur dampnificari».

• «Retribucio in communicacionibus que est secundum proporcionalitatem fit secundum co-niugacionem dyametri».

• «In communicacione quidem omnis amicicia».

Dalle citazioni raccolte, emergono tre nuclei semantici: la comunicazionecome rapporto statico interpersonale, ossia come tipo di relazione etica chepuò legare due persone e che è alla base di ogni amicizia; la comunicazionecome rapporto dinamico reciproco di amore scambievole fra gli amici; la co-municazione come rapporto dinamico reciproco di scambio (o ‘commutatio’)di beni fra persone, in base ad una regola o proporzione determinata dalla giu-stizia. Tommaso ha fuso la dottrina aristotelica dell’amicizia e quella biblicadell’amore fraterno e dell’amore di Dio.

• L’identità propria di un autore e pensatore è conoscibile solo nel confronto conautori e pensatori coevi e in rapporto all’ambiente, per focalizzazione contrastiva.

Ricostruire il contesto culturale di una teoria non è soltanto utile per lastoria, ma è anche necessario per avere un termine di paragone e quasi uncampione di controllo per verificare o falsificare le ipotesi ermeneuticheavanzate. Si conosce appieno l’identità di qualcosa o di qualcuno soltantoquando la si confronta e oppone ad altro.

Si commette spesso l’errore di attribuire al solo autore quanto è invecepatrimonio comune della tradizione o scuola a cui appartiene: ci aiuterà adevitare tale errore il confronto con altri autori coevi, grazie all’ausilio delleconcordanze verbali: in effetti il lessico – soprattutto all’interno di una stessalingua, epoca e cultura – è un potente legame ipertestuale tra universi e corpo-ra testuali. Emerge così che il concetto linguistico di un dato termine è fruttodi elaborazione comune all’interno di una scuola o corrente di pensiero in unpreciso contesto storico e culturale; le differenze tra autori coevi nasconoquindi dalle diversità di prospettiva, assimilazione delle fonti e approfondi-mento dei temi.

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8. LA LOGOGRAFIA

La lessicografia delle parole comuni ad ogni discorso ci porta alla finea considerarne l’ontologia generativa, in continuità con quanto già facevaAristotele, nei libri Gamma (con l’esame dei primi principi del parlare,pensare ed essere) e Delta (con il lessico filosofico delle parole comuni)della Metafisica 1.

Intendiamo dunque per idea la struttura generativa del vocabolario,della nozione, della dottrina, della metateoria, dell’espressione in testi,contesti ed ipertesti, ossia di tutto quello che abbiamo chiamato il“Concetto”. Se tale struttura generativa non semplicemente una logica, maun’ontologia, allora essa sarà un riflesso del lógos originario.

C’è però un triplice lógos: del linguaggio, del pensiero, di tutto il reale.Ma il linguaggio è riduttivo rispetto al pensiero e il pensiero lo è rispetto atutto il reale; e tuttavia il pensiero coglie la realtà e il linguaggio manifesta ilpensiero.

Lo scopo della lessicografia delle parole che manifestano il lógos, ologografia, è quello di “far, delle cose, parole”, analizzando il linguaggioordinario, senza però pretendere di guarirlo, se sano. Il Busa nota che «inogni lessico si distinguono voci specifiche e voci generali», afferma che«quelle generali sono specifiche della filosofia», e sostiene che dunque «èfilosofia studiarle» 2.

Del resto già Kant notava che “non si può imparare la filosofia, ma tutt’alpiù a filosofare”.

È necessario distinguere, ma è impossibile separare Storia dei Concetti(Begriffsgeschichte) e Storia delle Parole (Wortgeschichte), e (più in gene-rale) il Pensiero e la sua Espressione; sono le espressioni a formulare ilpensiero e – in quanto documentabili – a farne la storia; ma è il pensiero agenerare la storicità dell’espressione.

1 Cf Roberto BUSA, L’ontologie générative chez S. Thomas d’Aquin, in L’Homme

et son Univers au Moyen Âge, Louvain-la-Neuve, Institut Superieur de Philosophie1986, vol 2, p. 496 (e cf in generale 497-500).

2 ID., La terminologia come interfaccia espressivo tra pensati unici e pensantimolti, in Marta FATTORI (ED.), Il vocabolario della République des Lettres. Termi-nologia filosofica e Storia della Filosofia. Problemi di metodo, Firenze, Olschki 1997,p. 30.

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Studiare dunque la terminologia filosofica è possibile in due direzioni: di-scendendo a valle, e questo è fare storia della filosofia, oppure risalendo amonte, e questo è far filosofia. La terminologia, infatti, e in particolare quellagenerale, è l’«interfaccia espressivo tra pensati unici e pensanti molti» 3.

La filosofia – dice Tommaso – si studia per sapere non cos’abbianoopinato gli uomini, ma come stiano veramente le cose 4; ed è per questo – aggiunge – che nel filosofare non ci può essere amicizia più forte di quellaper la verità, sicché il dissenso nelle opinioni non contrasta con l’amiciziache si deve avere verso i maestri 5.

Dopo dunque averlo finora seguito passo passo, è giunto il momentodi andare con l’autore oltre l’autore, risalendo cioè appunto a quella idea,che appartiene all’ontologia generativa del linguaggio e che abbiamo gra-dualmente scoperto andando a ritroso, mediante la lessicografia del voca-bolario.

L’ermeneutica (e quindi la lessicografia) è al servizio del pensiero: sestudia il passato e ne conserva i ricordi, è perché questo interessa ancheoggi. Interpretare un testo è (come per la musica o il teatro) rieseguire e farrivivere l’opera: perché questo voleva l’autore, e di questo (forse senza sa-perlo) ha bisogno il lettore.

Per capire a fondo il pensiero di un autore a proposito di un problemaspeculativo, non basta studiarne la trattazione, ma occorre vedere come ilproblema nasce.

La philosophia professa, esplicitamente teorizzata da un autore, pre-suppone sempre una philosophia exercita, vissuta e implicita nell’uso dellinguaggio. La logica che presiede alla formazione e all’uso del voca-bolario, e specialmente di quelle parole generali e comuni che esprimono lecertezze precategoriali, non è soggettivamente trascendentale (come lagrammatica generativa), ma per l’intenzionalità del linguaggio stesso è daconsiderare come una vera e propria ontologia generativa del linguaggio.

L’ermeneuta sa che non potrà mai ricostruire in maniera perfettamenteunitaria il pensiero dell’autore, ma che vi resterà sempre (per i limiti suoi, edell’autore, e della natura delle cose) qualche incongruenza.

Accanto alle incongruenze di carattere diacronico (imputabili cioè all’e-voluzione del pensiero e del linguaggio dell’autore nel tempo) e a quelle di ca-rattere letterario (imputabili cioè alla “ricca povertà” del linguaggio: povero sìnei confronti del reale, ma ricco di esprimersi liberamente per metafore), tro-

3 Cf ibid., p. 29 (e 34-35).4 Cf CCM 1.22.8.5 Cf RSR 1.1.

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viamo alcune incongruenze (vere o presunte) di carattere speculativo, imputa-bili o alla complessità stessa dei problemi (nel qual caso si tratta del fondo dioscurità che ogni teoria porta con sé), ovvero all’autore stesso (nel qual caso sitratta di contraddizioni vere e proprie), oppure anche alla «difficultas […] de-veniendi in mentem auctoris» 6, e quindi all’incomprensione dell’interprete.

Per usare una celebre metafora, egli è come chi vuol ricostruire un va-so rotto incollandone i cocci, e si ritrova alla fine in mano qualche pezzo inpiù, di cui non sa che farsi, e qualche pezzo in meno, di cui non sa comecolmare il vuoto.

Ebbene, nella sistemazione appena abbozzata della teoria comunica-zionale si trovano tre incongruenze significative, meritevoli di una rifles-sione ulteriore.

Non ogni aporia è segno di una contraddizione a monte; anzi, ogni“spiegazione” sul fondamento incorre necessariamente in aporie di autoriferi-mento.

6 THOMAS SUTTON (sotto lo pseudonimo di Tommaso d’Aquino), De concordan-

tiis suiipsius (DP2), pr.