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Prof. Giulio Fabricatore ELEMENTI DI ELETTROMAGNETISMO PARTE PRIMA

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Prof. Giulio Fabricatore

ELEMENTI DI

ELETTROMAGNETISMO

PARTE PRIMA

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1.1. QUALCHE CONSIDERAZIONE PRELIMINARE

1.1.1. Classificazione di un mezzo I fenomeni oggetto di studio da parte della fisica hanno luogo in mezzi materiali diversi, quali

il vuoto, l’aria, il terreno, il ferro, una molteplicità di materiali organici di sintesi, vetro, porcellana, ecc., per citare solo alcuni di quelli più significativi per le applicazioni tecniche.

A prescindere da altre più specifiche peculiarità individuali, rilevanti di volta in volta per le diverse categorie di fenomeni, è importante iniziare definendo alcune fondamentali proprietà del mezzo, che, pertanto, si dirà:

a. omogeneo se le sue caratteristiche non variano da punto a punto (almeno macroscopica-mente); diversamente si dice disomogeneo.

b. isotropo se le sue caratteristiche non variano qualunque sia la direzione nella quale ci si sposti (o si sviluppi il campo considerato); altrimenti si dice anisotropo

c. lineare se le relazioni fra le grandezze significative non dipendono dal valore di queste grandezze; diversamente si dice non lineare.

A PROPOSITO DI LINEARITÀ Si consideri un “sistema” S caratterizzato da un “ingresso” e una “uscita.” Indichiamo con Ii il generico ingresso, al quale corrisponda l’uscita Ui. Si dirà che il sistema è caratterizzato dalla proprietà di omogeneità se

iiii kUkIUI →⇒→

Il sistema è, inoltre, caratterizzato dalla proprietà di additività se

11 UI →

22 UI →

ii UI → ⇒ ]...[]...[ 2121 nn UUUIII +++→+++

… nn UI →

La linearità consiste nell’insieme di omogeneità e additività.

La proprietà di linearità è di particolare importanza in quanto offre il notevole vantaggio di consentire, spesso in via anche solo concettuale, la valutazione di un qualunque “effetto” a un in-sieme di cause applicando il principio di sovrapposizione degli effetti: il risultato complessivo viene determinato valutando separatamente e poi sommando i contributi forniti da ciascuna delle “cause” all’origine del fenomeno studiato.

Quanto alla omogeneità, la fisica ci informa che qualunque sostanza materiale presenta una

intrinseca discontinuità strutturale con la presenza di fenomeni caratterizzati, inoltre, da una discon-tinuità temporale.

INGRESSO USCITA S

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Nella teoria dei campi si studia la materia sulla base di una sorta di media sia spaziale che temporale, adottando, così, un punto di vista "macroscopico", secondo il quale i mezzi sono sostan-zialmente continui ed omogenei, quasi una sorta di perfetta “gelatina” spazio-temporale.

In quel che segue, e salvo avviso contrario, supporremo che i fenomeni dei quali ci occupe-

remo abbiano luogo in mezzi lineari, isotropi ed omogenei.

1.1.2. Sistemi di unità

Il sistema di misura oggi universalmente in uso è quello indicato come SI (Sistema Internaziona-le, adottato definitivamente nel 1960) fondato sulle sei grandezze di base, di seguito descritte:

- tre grandezze meccaniche (lunghezza, massa, intervallo temporale) - una grandezza elettrica (l’intensità di corrente) - una grandezza fotometrica (l’intensità luminosa)

Le unità adottate per le grandezze fondamentali furono: - il metro, così come era stato adottato nel 1889, riferito al prototipo internazionale di pla-

tino - iridio di Sèvres (Parigi) - il kilogrammo, [kg], ancora una volta riferito al prototipo (del 1889) di platino – iridio di

Sèvres - il secondo, [s] definito come nel 1889, ovvero come (1/86400)mo della durata del giorno

solare medio - l’ampère, [A] , unità di misura della corrente elettrica (v. seg.) ,definito sulla base di in-

terazioni elettrodinamiche, che sanno precisate in seguito. - La candela, [cd], unità di misura fotometrica dell’intensità lunimosa, definita come nel

1948, con riferimento alla radiazione emessa dal cosiddetto “corpo nero” alla temperatura di fu-sione del platino

L’unità di forza nel sistema SI, come in qualunque sistema di misura metro – kilogrammo,

definita come prodotto di [massa × accelerazione], ha le dimensioni di [kilogram – me-tro/secondo2] ed è indicata come newton [N]:

21 1 −⋅⋅= smkgN

L’unità di energia (prodotto di forza×distanza, sinonimo anche di lavoro) è denominata joule [J] ed è espressa dal prodotto:

mNJ ⋅=

L’unità di potenza (energia sviluppata nell’unità di tempo) è il watt [W]:

sJW /=

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1.1.3. Campi scalari e campi vettoriali Le grandezze scalari e quelle vettoriali (delle quali si dà per scontata la definizione) possono

risultare dipendenti: • da una specifica posizione – puntuale - nello spazio: le relazioni descrittive della grandez-

za contengono, in forma esplicita o implicita, un legame funzionale dalle coordinate spa-ziali e/o dalle derivate, di vario ordine, ordinarie o parziali, rispetto a queste; le relazioni descrittive, inoltre, possono essere espresse in un particolare sistema di coordinate (carte-siane, cilindriche, sferiche, per citare solo le più comuni); ad esempio:

xfKVzyxV x ∂∂

=== ,),,((P)VV

• dal tempo: le leggi descrittive dello specifico fenomeno contengono il legame funzionale

dalla variabile t e/o le derivate di vario ordine, ordinarie o parziali, rispetto al tempo; ad esempio.

dtvdaK

dtdfK

dtfdKStSS =++== , ,)( 322

2

1 ,

• dallo spazio e dal tempo:

tw

zw

yw

xwtzyxF

tytzktxtyktztxktPH

∂∂

+∂∂

+∂∂

+∂∂

=

++=

),,,(

,)()()()()()(),( 33

22

21

Senza ulteriori approfondimenti, ci si limita qui a precisare che il concetto di “campo” è ri-conducibile ad una associazione fra i valori di una grandezza, scalare o vettoriale, e i punti dello spazio in cui questi valori si verificano.

Se la dipendenza si manifesta rispetto a solo due coordinate spaziali (ad esempio le coordinate

x e y, in un riferimento cartesiano), mantenendosi indipendente dalla terza (z) il campo si dirà piano (o cilindrico): il campo effettivo e la sua descrizione, analitica o grafica, si ripropongono identiche in tutti i piani ortogonali all’asse della coordinata rispetto alla il campo risulta indipendente.

Se una grandezza (scalare o vettoriale) non dipende dal punto in cui viene valutata, il corri-spondente campo si dirà uniforme.

Se un campo (vettoriale o scalare) non dipende dal tempo, si dirà stazionario (saranno nulle le sue derivate rispetto al tempo): altrimenti si dirà variabile col tempo.

Rivestono notevole importanza pratica alcuni campi ad andamento periodico che variano nel tempo piuttosto lentamente: ad esempio 50 – 60 Hz, definita “frequenza industriale” o anche “fre-quenza di rete”. Questi campi vengono anche definiti quasi – stazionari, in confronto a campi pe-riodici, egualmente molto diffusi, caratterizzati però da frequenze estremamente più elevate, dell’ordine dei MHz o dei GHz.

I campi quasi stazionari presentano derivate rispetto al tempo che, pur essendo non nulle, pos-sono, tuttavia, essere considerate trascurabili.

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1.1.4. QUALCHE RICHIAMO SUGLI OPERATORI VETTORIALI

1.1.4.1. Il Gradiente

In coordinate cartesiane il gradiente di un campo scalare V è un vettore definito da:

. ˆˆˆzVz

yVy

xVxG

∂∂

+∂∂

+∂∂

= (1.1.)

Il vettore gradiente risulta normale ad ogni superficie equipotenziale del campo scalare V ed è pari alla massima variazione di V:

nVG∂∂

= . (1. 2.)

Utilizzando l’operatore “nabla” ∇

zz

yy

xx

∂∂

+∂∂

+∂∂

≡∇ ˆˆˆ (1. 3.)

il gradiente di V può essere indicato secondo la scrittura formale più sintetica:

. grad VVG ∇== (1. 4.)

1.1.4.2 La Divergenza

Si consideri, per un punto P in un campo vettoriale V, la generica

superficie chiusa Σ che lo includa e il volume τ da essa racchiuso. La divergenza di u generico campo vettoriale V è una funzione sola-

re di punto definita come il limite del rapporto fra il flusso Φ del vettore attraverso la superficie chiusa Σ e il volume τ al tendere di questo a zero:

.lim div0 τ

Φ=

τΦ

=→τ d

dV (1. 5.)

In coordinate cartesiane:

zV

yV

xVVV zyx

∂∂

+∂∂

+∂∂

=⋅∇= div (1. 6.)

1.1.4.3. Teorema della divergenza (di Gauss – Ostrogradskij)

Dato un campo vettoriale V definito in ogni punto di una regione Ω limitata da una superficie chiusa Σ (o, nel caso di un dominio pluriconnesso, da un insieme di superfici chiuse Σ1, …Σn), se in ogni punto di Ω è definibile la divergenza di V, risulta:

∫∫∫∫∫ΣΩ

⋅=τ dSnVdV ˆ div (1. 7.)

• Σ P τ

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Nel caso di campi solenoidali, conservativi per il flusso, per l’arbitrarietà della superficie Σ, tale proprietà potrà essere espressa in forma “locale”:

.0 div =V (1. 8.)

1.1.4.4. Il Rotore

Avendo scelto una generica areola ∆S “centrata” nel punto P e orlata dal contorno orientato λ, si definisce rotore del campo vettoriale V in P il vettore, indicato con rot V, tale che:

- il modulo coincide con il limite (se esiste) del rap-porto fra la circuitazione di V lungo il contorno λ e l’areola ∆S al tendere di questa a zero, nella direzione in cui tale rapporto registra il suo massimo:

SdltV

VS ∆

⋅= ∫λ

→∆

ˆlimrot

0 (1. 9.)

- la direzione coincide con quella della normale all’areola nella condizione in cui il modulo assume il valore massimo

- il verso è quello di avanzamento di una vite destrorsa che ruoti nel verso concorde con quello di orientazione di λ.

In coordinate cartesiane ortogonali il rotore presenta le componenti

[ ]

[ ]

[ ]y

Vxx

VV

xV

zVxV

zV

yVV

yz

zy

yzx

∂∂

−∂∂

=

∂∂

−∂∂

=

∂∂

−∂∂

=

rot

,rot

,rot

(1. 10.)

Si può, perciò, adottare la notazione sintetica:

.rot VV ×∇= (1. 11.)

1.1.4.5. Teorema di STOKES

Sia il campo vettoriale V definito in una regione spaziale Ω e sia λ una qualunque linea chiusa contenuta in Ω; detta S una qualunque superficie “aperta” che abbia λ come orlo, se in tutti i punti di Ω è definibile il rotore del campo vettoriale, si ha

∫ ∫∫λ

⋅=⋅S

dSnVdstV ˆ)(rot ˆ (1. 12.)

ovvero: la circuitazione del vettore lungo la linea λ coincide col flusso del rotore del campo attraverso una qualunque superficie orlata da λ.

• ∆S P

λ

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1.2. CAMPO ELETTRICO

1.2.1. FORZE FRA CARICHE

Si dà per primario (= scontato) il concetto di carica e del suo segno, assunto come una sorta di proprietà intrinseca delle cariche elettriche: la più nota e tipica delle cariche “negative” è certamente l’elettrone, al punto che si può qualificare “positiva” una carica che abbia segno opposto rispetto all’elettrone. Al segno della carica non è associabile alcuna “qualità” o “virtù” particolare.

Data una carica di segno noto (ad esempio, un insieme di elettroni), il segno di una carica qualunque può essere verificato controllando l’azione di attrazione o repulsione subita rispetto alla carica “nota”, secondo quan-to stabilito dalle legge di Coulomb di seguito descritta.

Quale punto di partenza dell’elettrostatica si assume la legge sperimentale nota come legge di

Coulomb (1785), che fornisce la forza fra due cariche elettriche in un mezzo illimitato lineare, o-mogeneo e isotropo. La legge di Coulomb afferma che:

a) cariche simili (per “segno”) si respingono, cariche opposte si attraggono b) la forza, di attrazione o di repulsione, è proporzionale al prodotto delle due cariche c) la forza è inversamente proporzionale al quadrato della distanza fra le due cariche d) la forza dipende dal mezzo nel quale le cariche sono immerse e) la forza agisce lungo la congiungente fra le cariche

In sintesi:

221

rqqkF

ε= (1. 13.)

ove F è l’intensità della forza q1 e q2 sono le due cariche r è la distanza fra le cariche ε è un parametro dipendente dal mezzo, generalmente indicato come

permettività o come costante dielettrica del mezzo k è una costante di proporzionalità che è possibile specificare solo

quando si sia definito il sistema di misura

La forza in questione, dotata di un valore (modulo) di una direzione e un verso e, perciò, una grandezza vettoriale. La relazione (1.13.) potrà, perciò, essere riscritta in maniera più appropriata, in notazione vettoriale:

212221

1 ˆ FrrqqkF −=

ε= (1. 14.)

ove si è indicato con 12r il versore1 della forza orientato dalla carica 2 a quella 1,

1F la forza esercitata sulla carica 1

2F la forza esercitata sulla carica 2, , ovviamente,uguale ed opposta alla 1F

1 Per versore si intende un vettore avente direzione e verso di un dato vettore ma modulo unitario, di modo che si possa far riferimento ad esso prescindendo dalla sua grandezza (modulo)

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Per la carica elettrica che compare nella legge di Coulomb si sceglie, come unità pratica, il coulomb; il fattore dimensionale k che compare nella stessa legge viene scelto pari a 1/4π o pari a 1: il sistema di unità conseguente si dirà, rispettivamente, «razionalizzato» o «non razionalizzato».

I vantaggi derivanti da ognuna di queste scelte potranno essere apprezzati solo avendo una vi-sone più generale del modello complessivo dell’elettromagnetismo.

Nella letteratura tecnica e scientifica si è prevalentemente orientati verso il sistema razionaliz-zato, al quale, infatti, si farà riferimento per quel che segue; la costante k risulta, pertanto, assunta pari a 1/4π e l’equazione della forza in forma razionalizzata sarà, perciò

212221

1 ˆ4

Frr

qqF −=πε

= [ ] [ ]NF = (1. 15.)

Le dimensioni della costante dielettrica saranno, allora:

[ ] [ ] [ ]

=

×=

×=ε

metrofarad

metrojoulecoulomb

metronewtoncoulomb

][][

2

2

2

avendo introdotto l’unità 12 ][][][ −×= joulecolulombfarad ; l’unità farad si indica col simbolo “F”. Quando il mezzo materiale entro il quale si considera il campo elettrostatico è il “vuoto”, la

costante dielettrica viene indicata con il simbolo ε0. La permettività del vuoto vale

mnF

mF

mpF

π=

π≅=ε

361

361085419,8

9

0

Per i diversi mezzi (o materiali) la permettività può essere espressa con riferimento a quella

del vuoto, introducendo, così, la permettività relativa εr:

0εε

=εr (1. 16.)

Le tavole “pratiche” che, in trattati e manuali descrivono sinteticamente le proprietà fisiche dei dielettrici, fanno riferimento quasi sempre proprio al valore della rispettiva permettività relativa, indicata semplicemente come la “costante dielettrica” del dato materiale.

1.2.2. INTENSITÀ DEL CAMPO ELETTRICO La legge di Coulomb consente di valutare la forza fra due generiche cariche elettriche punti-

formi. Nel caso più generale, però, occorrerà considerare un sistema complesso costituito da una

molteplicità di cariche fisse che potranno essere considerate le sorgenti di un campo di forza che chiameremo “campo elettrostatico”, inteso come funzione di punto nel senso sopra definito:

)z,y,x(F)P(FF == .

Una generica “carica di prova” subirà una forza dipendente dall’insieme di tutte le cariche, attraver-so la loro grandezza e la loro distanza dalla carica di prova.

Se il mezzo nel quale sono immerse le cariche – sorgenti è lineare, la determinazione della forza su una generica carica di prova potrà essere ottenuta semplicemente abbinando la legge di

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Coulomb al principio di sovrapposizione degli effetti, per valutare, individualmente e separatamen-te, il contributo di ciascuna carica e sommandolo agli altri colle normali regole della composizione vettoriale.

In buona sostanza si può affermare che a questo si riduce l’intera elettrostatica. Se nella (3) poniamo la carica q1 coincidente con la carica elementare di prova q∆ e poniamo

q2=Q, il campo elettrostatico E (inteso come forza elettrostatica specifica, “normalizzata” rispetto alla carica su cui agisce), può essere definito come il limite del rapporto fra la forza colombiana sul-la carica di prova q∆ e la carica stessa a tendere a zero di questa:

rrQ

qFE

41lim 2

00 πε=

∆=

→∆ (1. 17.)

ove si è semplificata la scrittura eliminando i pedici relativi alla forza e al versore.

=

=

=

⋅πε

=

=

mV

mvolt

mCmN

mmC

CNE 11

)4(][

0

L’analisi dimensionale del campo elettrico ha evidenziato l’introduzione della nuova unità chiamata “volt” [V], il cui ruolo sarà subito chiaro nel seguito

=

==FC

CmNVvolt ][][ ⇒ [ ]

=VCF

In figura viene indicato un esempio grafico di valutazione della forza esercitata sulla carica di

prova da due cariche di segno opposto e di uguale modulo pari a Q: a tale scopo si è applicato il principio di sovrapposizione degli effetti.

Anche il campo elettrico è, ovviamente, un campo vettoriale: l’equazione vettoriale (1.17.)

comporta, pertanto, la scrittura di 3 equazioni, per la definizione – descrizione delle componenti del vettore secondo 3 coordinate. In un sistema cartesiano ortogonale (x, y, z), indicando con x’,y’,z’ le coordinate del punto generico, la componente del campo )z,y,x(E)P(E = , ad esempio, secon-do x si scriverà:

[ ] 2/32222)'()'()'(

'4

'4

),,(zzyyxx

xxQr

xxQzyxEx−+−+−

−πε

=−

πε= ; (1. 18.)

relazioni analoghe si potranno scrivere per le altre componenti, secondo gli assi y e z rispettivamen-te; indicando, come d’abitudine, con x , y e z i versori dei tre assi x, y, z, il campo totale si ottiene dalla somma dei tre componenti

zEyExEE zyx ++= .

+ Q - Q

∆q

F

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Nel caso di N cariche sorgenti (Q1, Q2, …, QN), il campo elettrico (inteso sempre agente sulla generica carica di prova) si otterrà mediante la semplice sommatoria:

ii

iN

ir

rQE ˆ

41

21∑= πε

= (1. 19.)

1.2.3. IL POTENZIALE

Sia dato un campo elettrico, prodotto da una assegnata distribuzione di cariche sorgenti. Facendo riferimento a due punti, qualsiasi, A e B, si indichi con t il versore della tangente

del generico percorso γ che collega i due punti; se si porta la carica da A a B, il lavoro elementare che occorre fare contro le forze elettriche del campo per spostare la carica q lungo il tratto elemen-tare ds è dato dal prodotto scalare dstFdU ˆ⋅−= ; il lavoro complessivo è ottenuto dall’integrale curvilineo lungo il percorso γ scelto:

dstFUB

Aˆ⋅−=

γ∫ (1. 20.)

Ove si consideri l’azione sulla carica unitaria, la forza da considerare coincide con il campo

elettrico:

dstEqdstFU

B

A

B

Au ˆˆ⋅−=

∆⋅

−=γγ∫∫ . (1. 21.)

L’integrale di linea di un qualunque campo vettoriale si indica come tensione del campo vet-toriale dal punto A al punto B e dipende, in generale, dal percorso seguito da un punto all’altro: nel nostro caso ci si potrebbe, dunque, attendere un diverso risultato a seconda che si vada da A a B se-guendo il percorso indicato come “α” o quello indicato come “β”: a rigore, dunque, sembrerebbe che l’integrale andrebbe sempre scritto con l’esplicita indicazione dello specifico percorso γ:

dstEUB

Au ˆ⋅−=γ∫ . (1. 22.)

Nel campo elettrostatico, però, non diversamente da quanto accade per tutti i campi cosiddetti “centrali” (quale, ad esempio, il campo gravitazionale), il lavoro considerato, valutato con l’integrale (1.22.), non dipende dal percorso scelto ma solo dai punti estremi A e B:

γ∀⋅−= ∫ ˆdstEUB

Au (1. 23.)

A

B

• q

α

β

^ tds

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Si consideri, infatti, quanto accade per il campo dovuto a una singola carica positiva Q Si vede agevolmente che, suddividendo il percorso da A a B in 2 tratti (figura di sinistra), il

lavoro fatto lungo l’arco di cerchio AA’ è nullo: lungo l’arco AA’, infatti, risultano sempre ortogo-nali il campo elettrico e il versore della tangente al percorso, annullandosi, quindi, il loro prodotto scalare; l’unico contributo diverso da zero si ha lungo il tratto A’B.

Si ottiene, d’altra parte, un risultato identico se si ragiona come nel caso del percorso indivi-duato dalla spezzata nella figura a destra, che può ben essere considerata la discretizzazione pur grossolana di un percorso curvilineo qualsiasi che porta da A a B.

Dal momento che il lavoro fatto dipende solo dai punti estremi tra i quali viene mossa la carica di prova, esso può essere rappresentato come la differenza fra due valori numerici, ottenuti dall’integrale definito (1.23). La cosa può essere sottolineata nella maniera seguente.

Oltre ai punti A e B, si assuma un punto di riferimento P e si convenga di valutare l’integrale scegliendo il percorso di integrazione in modo che passi sempre per il punto P. Indichiamo con V(A), o VA, il lavoro fatto contro il campo per andare da P ad A e con V(B), o VB, il lavoro fatto contro il campo andando da P a B. Il lavoro fatto andando da A a P (per proseguire poi per B) è pari a V(A) col segno cambiato; si ha, perciò:

BAABB

Au VVVAVBVdstEU =−=−=⋅−=γ∀

∫ )()(ˆ

ovvero

ABBAA

BVVVBVAVdstE =−=−=⋅∫ )()(ˆ

Si vede, dunque, che l’unica cosa che compare è la differenza fra i valori di V relativa ai due punti, indipendente dal punto intermedio di riferimento P, per il quale, dunque, non c’è alcun bisogno di specificare la posizione.

Una volta scelto un punto di riferimento, a ogni punto dello spazio sarà associato un ben pre-ciso valore del potenziale V: si sarà, così, determinato un campo scalare, funzione esclusivamente

P

B

A V(P→B)=V(B)

V(P→A)=V(A)

V(A→B)=V(B)-V(A)

+

B

A’

+

B

A”

A’

A’’’

A A

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delle coordinate del punto P(x, y, z). Questa funzione scalare si chiama potenziale elettrostatico nei punti dello spazio:

∫ ⋅=P

PdstEPV

0ˆ)( (1. 24.)

Per comodità il punto di riferimento P0 viene posto convenzionalmente all’infinito. Per una singola carica Q posta nell’origine degli assi, si ottiene il potenziale semplicemente:

rQ)z,y,x(V)P(V 1

4πε== (1. 25.)

Come al solito, il campo elettrico dovuto a più cariche elettriche si potrà ottenere come som-ma dei contributi al campo elettrico relativi alle singole cariche.

Si ricordi che il potenziale V(P) ha un ben preciso significato fisico: coincide con l’energia potenziale che avrebbe l’unità di carica se fosse portata nel punto P specificato partendo dal punto di riferimento.

La proprietà appena evidenziata del campo elettrico viene anche espressa dicendo che il cam-

po è conservativo (o irrotazionale); tale proprietà è suscettibile di una formulazione in termini “in-tegrali” confermando che è nullo il lavoro compiuto da una carica elettrica che si muova lungo un qualsiasi percorso chiuso, ovvero che è nulla la circuitazione del campo:

∫ =⋅ 0ˆdstE . (1. 26.)

L’unità di misura del potenziale è il volt [V]. Fra due punti generici A e B la tensione elettrica coincide, dunque, con la differenza fra i va-

lori del potenziale fra i due punti.

Come si è potuto vedere, un campo elettrico generico è tipicamente tridimensionale. Considerando la sua sezione secondo il piano del disegno, se ne può desumere l’andamento

complessivo tracciando un buon numero di linee di campo (linee che hanno la proprietà di essere sempre tangenti al vettore campo, in ogni punto). Ciò fatto si può passare a disegnare la traccia sul piano del disegno con le superfici che risultano sempre ortogonali alle linee di campo: tali superfici si dicono superfici equipotenziali mentre le loro tracce sul piano del disegno si chiamano linee e-quipotenziali.

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1.2.4. CONVENZIONI SULLA TENSIONE ELETTRICA Si è visto che la tensione elettrica ha un segno che dipende dall’ordine col quale si scelgono

gli estremi di integrazione nell’integrale curvilineo che la definisce. La tensione è, perciò, una grandezza scalare, di tipo integrale, che non consente, di per sé, di

risalire alle scelte che ne hanno determinato valore e segno. È sulla base di queste considerazioni che si ravvisa la necessità di far riferimento alla tensione

con l’aggiunta di alcune indispensabili aggiunte “formali” che rendano l’informazione fornita del tutto priva di equivoci.

Il simbolo V della tensione viene completato, come si è visto, di opportune indicazioni in pe-dice che fanno riferimento ai due punti rispetto ai quali si intende fornire il valore della tensione (ad es. i soliti A e B): VAB (= - VBA): l’ordine col quale vengono scritte le due lettere in pedice rispec-chia l’ordine di limite inferiore e superiore nell’integrale che definisce la tensione.

Quando manchino i pedici o quando si faccia riferimento a due punti indicati graficamente, si è costretti ad assumere una qualche forma di convenzione che eviti di richiamare esplicitamente l’integrale di definizione.

Con riferimento alla schematica figura riportata sotto, è convenzione, quasi universalmente adottata, indicare con un idoneo contrassegno (un segno +, un pallino nero •, un colore opportuno, ad esempio, il rosso, la punta di una freccia) il punto scelto quale primo estremo di integrazione.

≡ ≡ VAB L’assenza di questa convenzione grafica lascerebbe l’informazione sul valore della tensione V

carente quanto al segno.

1.2.5. GRADIENTE DI UNA FUNZIONE SCALARE

Abbiamo ricavato il potenziale a partire dal concetto di campo. Si può anche procedere viceversa, osservando, infatti, che l’equazione (1.23.) presenta, in un

certo senso, il campo come la derivata della funzione potenziale. Si introduce ora il gradiente di una funzione scalare della posizione: sia f(x,y,z,) una funzione

continua e derivabile delle coordinate x, y, z: con le derivate parziali

zf ,

y ,

∂∂

∂∂

∂∂ f

xf

possiamo costruire in ogni punto dello spazio un vettore avente per componenti sui tre assi proprio le tre derivate parziali. Questo vettore viene chiamato, appunto, il gradiente di f e viene indicato con “gradf “ ovvero con ∇f :

zzfy

yfx

xff

∂∂

+∂∂

+∂∂

=∇ . (1. 27.)

∇f è un vettore che ci dice come varia la funzione f nell’intorno di un punto. La sua compo-nente lungo x è la derivata parziale di f rispetto a x e fornisce una misura della «rapidità» con cui varia f quando ci si muove lungo l’asse x. La direzione del vettore ∇f in un punto qualsiasi coincide con quella lungo la quale ci si deve muovere, partendo da quel punto, per trovare il più rapido in-cremento della funzione da quel punto.

B • V • A B • V • A +

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È facile vedere come la relazione che lega la funzione scalare f alla funzione vettoriale ∇f è la stessa, a parte il segno meno, che lega il potenziale V al campo E . Consideriamo il valore di V in due punti vicini, di coordinate (x,y,z) e (x+dx, y+dy, z+dz): la variazione di V, passando dal primo al secondo punto è:

dzzVdy

yVdx

xVdV

∂∂

+∂∂

+∂∂

= (1. 28.)

D’altra parte, basandosi sulla definizione di V, questa variazione si può anche esprimere con:

dstEdV ˆ⋅−= (1. 29.)

Il vettore spostamento infinitesimo dst è esattamente uguale a dzzdyydxx ++ e quindi, se si identifica il campo con il gradiente di V, le equazioni (1.28.) e (1.29.) risultano identiche. Il campo elettrico è perciò uguale al gradiente del potenziale cambiato di segno:

VE −∇= (1. 30.)

Il segno meno è dovuto al fatto ce il campo elettrico va da una regione a potenziale maggiore verso una regione a potenziale minore, mentre il vettore gradiente V∇ è definito in modo che il suo verso coincide con quello delle V crescenti.

1.2.6. INDUZIONE ELETTRICA SU CONDUTTORI

Sotto l’influenza di un campo elettrostatico esterno, le cariche libere di un buon conduttore metallico (gli elettroni di conduzione) si ridistribuiscono in modo tale che il campo risultante in o-gni punto interno del conduttore sia nullo ( 0=E ). In ogni punto della superficie del conduttore si ha 0≠= nEE e 0=tE , ove nE ed tE sono, rispettivamente, il componente normale e quello tan-genziale del vettore campo elettrico E : sulla superficie di un buon conduttore il campo presenta e-sclusivamente componenti normali e le linee di campo incidono, perciò, ortogonalmente sulla su-perficie esterna.

Tutto il volume interno è equipotenziale: in ogni punto interno del conduttore il potenziale ha uno stesso valore. Anche la superficie del conduttore risulta equipotenziale.

L’effetto di “induzione elettrostatica” si manifesta su un corpo conduttore come una “separa-zione” delle cariche libere: la presenza del corpo carico induttore “attrae”quelle di segno opposto. Il risultato è una ridistribuzione delle cariche complessive: il corpo metallico continua, ovviamente, ad essere complessivamente neutro, ma presenta una distribuzione delle sue cariche del genere de-scritto nella figura sotto riportata.

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La rimozione della causa di induzione, attraverso l’allontanamento del corpo carico, determi-na la cessazione del fenomeno e il rimescolamento delle cariche all’interno del materiale condutto-re; in un “buon” conduttore sia la separazione che il rimescolamento delle cariche avvengono in tempi brevissimi, ben definibili “istantanei” se confrontati con i tempi tipici della umana percezio-ne.

1.2.7. INDUZIONE ELETTRICA NEI DIELETTRICI

Si intende comunemente per dielettrico una sostanza (chimicamente pura o composta) che, sottoposta a un campo elettrico, non risulti sede di flusso di cariche elettriche se non in maniera assolutamente marginale o, addirittura, trascurabile.

La ragione di questo comportamento risiede, evidentemente, nelle caratteristiche strutturali microscopiche del dielettrico, che non contiene cosiddette “cariche libere” che, in un conduttore rendono possibile la conduzione elettrica.

Nella terminologia comune i termini “materiale dielettrico” e “materiale elettrico isolante” sono spesso trattati come equivalenti o “sinonimi”. Vale la pena di sottolineare, tuttavia, che il ter-mine dielettrico andrebbe riservato ai materiali entro i quali può sussistere un campo elettrico e tali da poter essere polarizzati.

I materiali isolanti sono, invece, definiti come quei dielettrici impiegati in dispositivi elettrici per prevenire la perdita (o la circolazione) di cariche elettriche.

Il termine “dielettrico” è, quindi, più ampio di “isolante”. Per descrivere anche solo sommariamente il comportamento dei dielettrici in campo elettrico,

vale la pena ricordare che questi, in relazione alla loro struttura molecolare, possono essere suddivi-si in due grosse categorie: molecole polari e molecole non polari.

Le due categorie differiscono per le loro proprietà macroscopiche.

Per discutere brevemente di queste differenze è necessario prima ricordare che cosa si intende per dipolo elettrico.

Un dipolo elettrico è costituito da due cariche puntiformi di segno opposto separate dalla di-stanza L. Il dipolo viene caratterizzato attraverso il suo momento dipolare, un vettore che ha

• modulo pari al prodotto della carica Q per la loro distanza L • direzione della retta che passa per le due cariche • verso convenzionalmente assunto dalla carica negativa a quella positiva.

Un materiale dielettrico viene visto come composto di aggregati di cariche che sono, di nor-ma, vincolate alle rispettive posizioni di equilibrio entro la materia da forze ioniche o molecolari. Questi aggregati di cariche possono suddividersi in subaggregati di molecole o atomi che si com-portano come unità complessive.

Se, in assenza di campo elettrico esterno, le cariche (positiva e negativa) sono separate da una distanza L ≠ 0 il dielettrico si dice polare; altrimenti, se L = 0, il dielettrico si dirà non polare

Nelle molecole dei dielettrici non polari (H2, N2, idrocarburi, ecc.) i centri di gravità del-le distribuzioni di carica interne positive e nega-tive, in assenza di campo esterno, coincidono e il momento di dipolo della singola molecola è nullo. In presenza di campo elettrico esterno la molecola subisce, allora, una certa “deforma-zione” (generalmente di tipo “elastico”) ed ac-quisisce un momento elettrico di dipolo indotto

+ +

E

+ Q - Q

LQp =

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proporzionale al campo esterno Epe αε= 0

ove si è indicato con α il cosiddetto coefficiente di polarizzabilità (o, più brevemente, polarizzabili-tà) di una molecola del dato dielettrico.

Senza entrare nel merito dallo specifico meccanismo del fenomeno, basterà, infatti, prendere atto che sotto l’azione di un campo elettrico, le cariche dei due segni verranno attratte in direzioni opposte: i baricentri dei due tipi di cari-che, prima coincidenti, risulteranno ora spostati. Questa nuova distri-buzione delle cariche potrà essere assimilata a un piccolo dipolo, di entità che, come si diceva, in prima approssimazione, possiamo ritene-re proporzionale all’intensità del campo elettrico esterno.

Nelle molecole polari si registra,invece, lo spostamento permanente dei baricentri delle cari-che: tali molecole si comportano, perciò, come un dipolo. Il dielettrico risulta, perciò, composto da una molteplicità di dipoli che, per effetto dell’agitazione termica, sono distribuiti in maniera “disor-dinata” (casuale).

L’applicazione di un campo elettrico esterno esercita su ciascuno dei dipoli una coppia che porta ad “allineare” secondo la direzione del campo un numero di molecole/dipoli proporzionale all’intensità del campo.

L’eliminazione del campo esterno riporta le molecole/dipoli a una condizione di “disordine“ analoga a quella precedente.

Vale, però, la pena di ricordare, anche solo fugacemente, l’esistenza di alcuni materiali nei quali, anche dopo la rimozione del campo esterno, le molecole conservano, in percentuale apprez-zabile, il loro orientamento. Tali materiali sono indicati come elettreti e possono essere considerati corrispondenti ai magneti: il fenomeno è anche detto isteresi dielettrica (o ferroelettricità).

1.2.7.2. RIGIDITÀ DILETTRICA Il processo di polarizzazione (inteso come uno spostamento del nucleo dalla sua posizione di

equilibrio rispetto la nube elettronica che lo circonda) viene normalmente considerato un fenomeno “elastico”, destinato a cessare al venir meno del campo elettrico che l’aveva provocato.

Per valori abbastanza elevati del campo, possono intervenire, tuttavia, cambiamenti irreversi-bili nel dielettrico consistenti in un fenomeno di spostamento effettivo di cariche entro la massa del dielettrico: una volta innescato, il fenomeno assume un andamento “a valanga” e produce effetti energeticamente rilevanti (acustici ma, soprattutto, termici), che conducono a una vera e propria scarica elettrica e che finiscono per modificare/danneggiare permanentemente il dielettrico.

Il valore limite del campo oltre il quale tali fenomeni disruptivi si innescano rappresenta la cosiddetta rigidità dielettrica, che assume valori tipici per i vari materiali, dipendenti dalla tempera-ture e, nel caso dei dielettrici gassosi, anche dalla pressione.

La scarica inizia, molto spesso, a seguito di un movimento di elettroni all’interno del dielettri-co, strappati alle loro orbite da un campo elettrico esterno abbastanza intenso. Se questo fornisce a-gli elettroni energia sufficiente, maggiore di quella perduta per le prevedibili collisioni entro il ma-teriale, può formarsi una serie di coppie ione-elettrone che, propagandosi lungo una direzione impo-sta dal campo, costituisce il cosiddetto canale di scarica.

In un dielettrico solido con inclusioni gassose (ad es. aria) il processo di scarica inizia proprio con scariche parziali entro le bolle gassose, caratterizzate da una rigidità dielettrica inferiore rispetto a quella della fase solida. Il bombardamento ionico al quale quest’ultima viene sottoposta può pro-vocarne il deterioramento fino all’innesco di una scarica totale.

+Q - Q

L

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La tabella riporta, per alcuni materiali significativi, i valori della costante dielettrica relativa e quelli della rigidità dielettrica, espressa come campo critico di rottura.

MATERIALI εr Ec (kV/cm)

Aria 1.00 20 – 50 Bachelite C 5 – 7 100 - 280 Bachelite stampata 2 – 6 100 - 200 Carta 1.5 - 4 150 Mica 5 – 6 600 - 1800 Olio per trasformatori 2.24 150 - 250 Paraffina 2.1 – 2.5 300 Polistirene 2.7 200 Porcellana 4.5 – 6.5 200 - 400 Quarzo 3.7 – 4.10 300 Vetro 4.5 - 10 100 - 400

1.2.8. MISURA DELLA TENSIONE: IL VOLTMETRO IDEALE

La differenza di potenziale fra due punti si misura con uno strumento detto “voltmetro”, gra-ficamente schematizzato come nella figura di seguito riportata:

ove sono messi in evidenza i punti A e B (detti anche “morsetti”) del voltmetro. Si fa notare esplici-tamente che, affinché la misura abbia un segno univoco, i morsetti dello strumento devono essere “ordinati” o contrassegnati, in modo da renderne univoco e riconoscibile l’ordine: l’operazione – convenzione corrisponde, d’altra parte, all’ordinamento degli estremi di integrazione nell’integrale curvilineo che definisce la tensione.

Vale la pena di sottolineare esplicitamente come l’univocità della misura della tensione tra due punti dati sia intrinsecamente legata alla proprietà conservativa del campo elettrico: è solo gra-zie ad essa che la misura prescinde dalla posizione e dalla lunghezza dei terminali (costituiti da fili metallici) del voltmetro.

Per le ragioni che saranno esposte e chiarite nel seguito, il voltmetro qui decritto viene chia-mato anche “voltmetro ideale”, per distinguerlo dai voltmetri “reali” o concreti, caratterizzati da principi di funzionamento, peculiarità ed errori proprî degli oggetti della vita effettiva.

Sembra opportuno precisare che nel seguito sarà continuamente e fedelmente conferma-ta la prassi di indicare/battezzare come “ideale” un “oggetto” che, prescindendo dalle sue ca-ratteristiche reali, diverse e variegate, venga descritto solo attraverso una definizione assoluta ed astratta.

V A B+

TERMINALI

MORSETTI

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1.2.9. CAPACITÀ A) Il potenziale V di un conduttore carico isolato, sul quale non agiscono altri campi esterni, è

proporzionale alla sua carica Q secondo un coefficiente:

C/QV = ⇒ VQC = (1. 31.)

Al coefficiente di proporzionalità fra potenziale e carica si dà il nome di capacità elettrica (o, semplicemente, capacità) del conduttore isolato; la capacità si indica generalmente con la lettera C e, come è ovvio, si misura in farad [F].

La capacità C può essere considerata numericamente coincidente con la carica elettrica capace di modificare il potenziale elettrico di una unità (1 volt).

La capacità di un conduttore dipende dalla sua forma e dalle sue dimensioni. Conduttori geometricamente simili hanno capacità direttamente proporzionali alle loro di-

mensioni lineari. La capacità di un conduttore non dipende dal materiale di cui è fatto né dal suo stato di aggre-

gazione, ma è direttamente proporzionale alla costante dielettrica relativa del mezzo nel quale il conduttore è immerso.

Con riferimento all’espressione (1.25.) del potenziale relativo a una carica concentrata, la ca-pacità di una sfera isolata di raggio R è data da:

RRC r πε=επε= 44 0 (1. 32.)

ove, come sopra definito, ε è la costante dielettrica relativa del mezzo.

B) Si chiama capacità mutua fra due conduttori una grandezza numericamente uguale alla ca-rica Q che è necessario trasferire da un conduttore all’altro per avere una variazione unitaria della differenza di potenziale V1 – V2. fra loro esistente. Nella accezione più comune, quando i conduttori sono solo due, la capacità mutua viene indicata semplicemente come “capacità”

Come è ovvio, i due conduttori possono avere forma qualsiasi. Assumono, però, particolare rilievo pratico alcune configurazioni ricorrenti con maggiore frequenza: ci si riferisce, ad esempio, a conduttori piani paralleli (a), a conduttori cilindrici coassiali (b) o, infine, a due o più conduttori ci-lindrici paralleli (c).

- a - - b - - c -

1.2.9.1. Condensatori Con il termine condensatore si intende una opportuna configurazione di conduttori (di forme

varie e molteplici), indicati come armature del condensatore, destinata ad accogliere una certa cari-ca elettrica Q (uguale, in valore assoluto, su ciascuna delle due armature) sotto una certa tensione V. Il parametro che caratterizza sinteticamente il condensatore è, perciò la sua capacità mutua C, indi-cata, più semplicemente come “capacità” tout court.

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Il tipo più semplice di condensatore è certamente quello ad armature piane e parallele, caratte-rizzate da una superficie di area S, separate da un dielettrico di spessore d e costante dielettrica ε :

A) Per il condensatore piano la capacità assume una espressione molto semplice

dSC rεε= 0 (1. 33.)

Si vede come l’obiettivo di ottenere valori elevati di capacità può essere conseguito • aumentando la superficie delle armature, almeno entro limiti “praticabili” • diminuendo la distanza delle armature, almeno nei limiti consentiti dalla tensione che si prevede di applicare alle armature (per prevenire il rischio di scarica) • usando un dielettrico di permettività adeguata B) Nel caso del condensatore a cilindri coassiali, di lunghezza L e raggi Ri ed Re, interno ed

esterno rispettivamente, con dielettrico di permettività relativa εr, la capacità assume l’espressione:

.ln

2 0

επε

=

i

e

r

RR

LC (1. 34.)

Questa configurazione si riscontra nel caso dei cosiddetti “cavi coassiali”, quali quelli co-munemente usati per il collegamento ad antenne sia riceventi che trasmittenti: si pensi ai familiari cavi coassiali che collegano il televisore di casa alla rispettiva antenna.

Per questa configurazione si fa comunemente riferimento alla capacità mutua (o, più breve-mente, capacità) della lunghezza unitaria, espressa, perciò, in pF/m o pF/km, ad esempio.

C) Nel caso del condensatore a due conduttori cilindrici paralleli di lunghezza L, raggio R, in-

terasse d e immersi in un dielettrico di permettività εr, la capacità mutua è data da:

Rd

LC r

ln

0επε= (1. 35.)

È questa la configurazione alla quale si fa riferimento nel caso dei conduttori che costituiscono le cosiddette linee per la trasmissione dell’energia elettrica.

Nel caso più semplice si tratta di una coppia di conduttori separati dal dielettrico aria (linea “aerea” a conduttori “nudi”) o da un opportuno dielettrico/isolante, quale il ben noto PVC (linea in cavo). Anche in questo caso si fa comunemente riferimento alla capacità per unità di lunghezza.

La formula fornita andrà ripetutamente applicata per la determinazione delle capacità mutue Cik relativa alle varie coppie individuabili in una linea elettrica a 3 o più conduttori

Ri Re

L

L

d2R

+ + + + + + + + + + + + + +

- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - εr d

S

VS d

εr

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20

1.2.10. ENERGIA ELETTROSTATICA

1.2.10.1. Energia associata a un sistema di cariche: sfera uniformemente carica Si è visto che per portare due cariche Q1 e Q2 in due punti separati dalla distanza r12 occorre

aver compiuto il lavoro necessario per avvicinare le due cariche a partire da una distanza conven-zionalmente infinita. Questo lavoro vale

120

21

4 rQQ

πε

Per il principio di sovrapposizione degli effetti, la forza totale agente su ciascuna delle cariche di un sistema elettrostatico complesso, costituito da molte cariche, è data dalla somma delle forze esercitate dalle altre cariche.

La conseguenza è che l’energia totale dell’insieme delle cariche è la somma dei termini relati-vi alla interazione reciproca tra le cariche considerate una coppia per volta.

Indicando con Qi e Qk la generica coppia e con rik la distanza fra loro, l’energia associata a questa specifica coppia vale, ovviamente:

ik

ki

rQQ

04πε.

L’energia elettrostatica totale può essere ottenuta semplicemente effettuando la sommatoria

∑ πε=

coppie le su tutte 04 ik

ki

rQQU (1. 36.)

A titolo di esempio, per una geometria particolarmente semplice, calcoliamo l’energia occor-rente per costituire una sfera di carica di raggio R e avente densità di carica2 uniforme.

Si supponga di costituire la sfera per applicazione successiva di gusci sottilissimi di spessore infinitesimo dr, fino a raggiungere il raggio R. A ogni strato corrisponde un incremento elementare dell’energia: una volta valutata l’espressione di questo incremento in funzione del raggio corrente r, basterà effettuarne l’integrale da 0 a R per ottenere l’energia totale richiesta.

Sia Qr la carica totale posseduta dalla sfera quando ha rag-giunto il raggio r; incrementando la carica di dQ si compie il lavo-ro:

rdQQdU r

04πε= .

Indicando con ρ la densità di carica della sfera, la carica Qr nella sfera di raggio r è pari a:

3

34 rQr πρ= (1. 37.)

2 A seconda della specifica distribuzione, la densità di carica può essere riferita a una linea, a una superficie o a un vo-lume. La densità di carica lineare λ viene definita come il limite del rapporto fra la carica Q e la lunghezza L del seg-mento sul quale la carica è distribuita, al tendere a zero della lunghezza del segmento (λ=dQ/dL) ; analogamente si de-finisce densità di carica superficiale σ il limite del rapporto fra la carica Q e l’area S della superficie sulla quale la cari-ca è distribuita, al tendere a zero dell’area (σ=dQ/dS); la densità di carica di volume ρ, infine, è pari al limite del rap-porto fra la carica Q e il volume V in cui la carica è distribuita al tendere del volume a zero (ρ =dQ/dV). La densità di carica, in una distribuzione non uniforme, è funzione del punto.

r

dr

R

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21

e la carica dQ vale

drrdQ 24π⋅ρ=

L’espressione dell’incremento di energia diventa, allora:

drrdU0

42

34

επρ

=

L’energia totale richiesta viene ottenuta, infine, integrando:

0

52

00

42

0 154

34

επρ

πρ== ∫∫

RdrrdUU RR;

esprimendo il risultato appena ottenuto in funzione della carica totale della sfera si ha:

RQU

0

2

453

πε= (1. 38.)

L’energia totale è, dunque, proporzionale al quadrato della carica totale e inversamente pro-porzionale al raggio della sfera.

1.2.10.2. Energia di un condensatore Ragionando in maniera analoga si può valutare l’energia elettrostatica posseduta da un con-

densatore di capacità C dotato di carica Q quando tra le sue armature sussista la differenza di poten-ziale V=Q/C.

Il lavoro necessario per trasferire sul condensatore la carica elementare dQ è, infatti:

dQCQVdQdU ==

L’energia necessaria si ottiene integrando, banalmente, l’espressione trovata da zero al valore finale della carica Q:

22

00 21

21 CV

CQdQ

CQdUU QQ

==== ∫∫ [ ]J (1. 39.)

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22

1.2.11. CAMPO INDUZIONE ELETTRICA (O DENSITÀ DI FLUSSO ELETTRICO) Si è visto come l’intensità del campo elettrico dipende dal mezzo entro il quale sono immerse

le cariche sorgenti del campo. Introduciamo ora un campo indipendente dal mezzo, supposto di estensione illimitata e con

proprietà dielettriche lineari, isotrope ed omogenee:

ED ε= (1. 40.)

Per una carica puntiforme si ha

rr

qED ˆ4 2π

=ε= . (1. 41.)

Il vettore D è, perciò, in ogni punto funzione solo della carica e della posizione ed è chiama-to densità di flusso elettrico. Questa denominazione e l’utilità di questo nuovo vettore vengono più agevolmente comprese dagli sviluppi seguenti.

Si può già anticipare, comunque, che il nome è legato al fatto che ogni carica elettrica può es-sere considerata some sorgente di “flusso” e punto di partenza di linee di flusso nel mezzo; ognuna delle cariche sorgente contribuisce ad una aliquota di questo flusso.

Se, ad esempio, si considera una superficie sferica di raggio R, avente centro coincidente con la generica carica Q, immaginata concentrata puntiforme, la (1.41.) mostra che in ogni punto della superficie di questa sfera le linee di campo del vettore che abbiamo chiamato densità di flusso han-no andamento radiale, sono dirette dal centro della sfera verso l’esterno (o viceversa), e il campo ha un valore pari a 24R/Q .

Moltiplicando per la superficie della sfera, 24 RS π= , otteniamo il flusso elettrico totale che passa attraverso la superficie e che risulta esattamente uguale alla carica Q , è indipendente dal rag-gio della sfera scelta per la valutazione nel caso specifico.

Si dimostra che questo risultato può essere esteso a qualunque superficie chiusa che racchiu-da la carica, indipendente dalla sua forma (legge di Gauss).

R

D

Q

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23

1.3. CAMPO DI CORRENTE 1.3.1. IL CAMPO DENSITÀ DI CORRENTE

Si indica come corrente elettrica il moto ordinato di cariche elettriche secondo un modalità

che consenta di individuare una sorta di “deriva” o “flusso” collettivi.

In quello che si dirà si prescinde del tutto dalla natura della corrente, che può essere estrema-mente diversificata; quella cosiddetta di conduzione (che si verifica nei buoni conduttori) è, tuttavia l’unica della quale ci occuperemo per la sua assoluta preminenza ai fini delle applicazioni tecniche.

Supponendo costante la densità volumetrica di carica ρ, la carica che attraversa la piccola su-perficie ∆S nell’intervallo di tempo elementare dt coincide con quella compresa nel volume τ rac-chiuso dal parallelepipedo rettangolo avente basi pari a ( )nvSnvSS p ˆˆcosˆˆ ∆=⋅∆=∆ (ovvero alla

proiezione di S∆ su un piano ortogonale a v ) e lunghezza pari a vdt :

.ˆ Sdtnvdq ∆⋅ρ=τ⋅ρ=

La corrente elettrica che “passa” attraverso S∆ sarà:

SnvdtdqI ∆⋅ρ== ˆ (1. 42.))

[I]=[Q⋅s-1]= [ampère]=[A]

e coincide, quindi, con il flusso, attraverso la superficie ∆S del vettore

vJ ρ= (1. 43.)

[J]=[Q⋅s-1m-2]=[A/m2]

La corrente che passa attraverso una generica superficie finita S si ottiene valutando il flusso totale di J attraverso S, effettuando, cioè, l’integrale “di superficie” (doppio) di J attraverso S:

∫∫ ⋅=S

dSnJI ˆ . (1. 44.)

La corrente elettrica consiste, come si è detto, in un flusso “netto” di cariche elettriche. Per la conservazione della carica, la corrente relativa ad un generico volume Ω, delimitato da una superfi-cie chiusa Σ, dovrà essere accompagnata da una variazione della carica racchiusa dalla superficie

∆S

v

v

v

(A) (B)

∆Sp

v∆t

v

ρ

n∆S ^

∆S

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24

nel volume. Indicando con ρ(P,t) la densità di carica volumetrica entro Ω, supposta variabile col punto e col tempo, la carica totale ivi racchiusa in un certo istante vale

∫∫∫∫∫∫ΩΩ

ΩΩ τρ=τρ== dtzyxdtPtQQ ),,,(),()(

e si potrà, così, scrivere la relazione

∫∫ ∫∫∫Σ Ω

τρ

∂∂

−=∂∂

−=⋅ dtPt

tzyxQt

dSnJ ),(),,,(ˆ (1. 45.)

che esprime in maniera sintetica la conservazione della carica: la corrente uscente (o entrante) dal volume non potrà verificarsi che a spese della carica, che dovrà subire una variazione di segno op-posto a quello della corrente; una corrente uscente positiva comporta, infatti un depauperamento della quantità di carica totale inizialmente racchiusa nel volume, e viceversa.

Nel caso stazionario, che esclude variazioni temporali della carica, la relazione precedente di-venta:

∫∫Σ

=⋅ 0ˆdSnJ (1.45.1.)

che descrive, in forma integrale, il carattere cosiddetto solenoidale del campo densità di corrente stazionario.

1.3.2. PRIMA RELAZIONE COSTITUTIVA (LEGGE DI OHM ALLE GRANDEZZE SPECIFICHE)

Fra il campo elettrico e il campo densità di corrente sussiste la relazione:

JE ρ= (1. 46.)

Il coefficiente ρ, denominato resistività, assume valori che dipendono dallo specifico materia-le entro il quale circola la corrente.

[ ] [ ] [ ]mmohmmAV

Am

mV

JE

⋅Ω=⋅=

=

=

2

Le dimensioni della resistività sono state definite introducendo la nuova unità “ohm” [Ω], chiamata “resistenza” elettrica, il cui significato sarà chiarito tra breve.

La (33) può anche essere scritta nella forma “reciproca”:

EJ σ= (1. 47.)

ove il coefficiente σ, reciproco della resistività,

[ ] [ ] [ ] [ ] [ ]11111 −−−−− ⋅=⋅=⋅=ρ=σ mSmmhomohm

viene detto conducibilità del materiale, espresso in unità di misura che viene detta “mho” (non mol-to comune) ovvero (molto più comunemente) siemens/metro [S/m].

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1.3.3. LEGGE DI JOULE ALLE GRANDEZZE SPECIFICHE Assume particolare importanza il prodotto

22 EJJEp σ=ρ=⋅= (1. 48.)

Dall’analisi dimensionale

[ ]

=

=

=

⋅⋅

⋅=⋅ 3332

111m

wattms

Jms

mNsm

QmC

NmJE

si vede, infatti, che esso esprime una potenza specifica [watt/m3] che rappresenta la potenza che ri-scalda l’unità di volume del mezzo entro il quale si manifesta il campo densità di corrente.

1.3.4. GENERATORE DI FORZA ELETTROMOTRICE (F.E.M.) Si consideri il caso di una corrente stazionaria I entro un semplice circuito costituito da un

conduttore, come descritto dalla figura sotto: le cariche elettriche vi circolano in maniera continua e permanente.

Come è stato appena evidenziato, la presenza di un campo densità di corrente entro un mezzo

materiale è sempre associata allo sviluppo di calore dissipato. Questi fenomeni dissipativi non sono però compatibili con il carattere conservativo del campo

elettrico quale è stato definito prima. Il mantenimento di un campo densità di corrente stazionario “postula” allora che, almeno

“una zona” del circuito sia sede di fenomeni capaci di “generare” un campo elettromotore, capace, cioè, di esercitare una forza sulle cariche alla stessa stregua del campo elettrico ma, a differenza di questo, non conservativo.

L’energia dissipata (in calore) nel circuito potrà, allora, essere imputata al campo elettromotore non conservativo responsabile del movimento delle cariche.

Il campo elettromotore non è sempre localizzato in una zona specifica e limitata del circuito: si esaminerà nel seguito almeno un caso in cui la sorgente di campo elettromotore è distribuita entro l’intero volume del circuito.

Per comodità di studio si immaginerà, comunque, la sorgente di campo elettromotore concentrata in una zona ben precisa e delimitata: a tale zona si dà il nome di generatore, indicato, in figura con la lettera G.

Il campo eletromotore può avere origini piuttosto diversificate, implicanti sempre una qualche forma di “conversione” energetica che caratterizzerà i vari tipi di generatore, che, ad esempio, sarà di tipo

ρ

J

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• chimico: trasforma l’energia chimica ottenuta da reazioni chimiche fra opportuni componenti (ad esempio: piombo, ossido di piombo in una soluzione diluita di acido solforico)

• fotovoltaico: pannelli di semiconduttori convertono l’energia luminosa

• elettrodinamico: converte l’energia derivante dalle interazioni elettrodinamiche fra correnti o fra campo magnetico e correnti

Supponendo il generatore confinato in un volume del circuito delimitato dalle due superfici

equipotenziali A e B, l’azione del campo elettromotore al suo interno può essere supposta consi-stente nell’accumulare cariche di segno opposto sulle due superfici equipotenziali attraverso le quali risulta accessibile all’esterno.

Fin dal primo momento in cui comincia questo processo di accumulo di cariche elettriche op-poste, si stabilisce un campo elettrostatico (quindi conservativo) in tutto lo spazio (dentro e fuori il generatore): il processo di accumulo termina quando il campo elettromotore interno fa equilibrio (essendo uguale e opposto) a quello elettrostatico dovuto alle cariche accumulate.

Il valore della tensione ai morsetti del generatore in questa condizione di equilibrio viene in-dicata come forza elettromotrice E del generatore ed ha un valore caratteristico per ogni tipo di ge-neratore.

Il generatore viene anche rappresentato come un dispositivo bipolare3 secondo la grafica della

figura sotto riportata:

3 V. seguito per la definizione di “bipolo”

ρ

J

G A

B

G

A

B

E E ≡

G

A

B

+ + + + + + + +

- - - - - - - - - - - -

E E

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Quando il generatore viene collegato, attraverso le due superfici d’estremità A e B, al condut-tore che “chiude” il circuito nel quale può circolare la corrente, le cariche di segno opposto che “stazionavano” possono finalmente muoversi per neutralizzarsi. La circolazione di corrente fa, per-ciò, diminuire la quantità di carica depositata sulle due superfici A e B, il campo elettrostatico si abbassa e la carica mancante può venire, così, rimpiazzata da una ulteriore quantità di carica da par-te del solito campo elettromotore: rispetto al caso di circuito aperto (“ a vuoto”, ovvero a corrente I=0) la circolazione di corrente fa registrare una tensione ai morsetti AB del generatore V più bassa.

Si usa dire, perciò, che la forza elettromotrice E del generatore coincide con la sua tensione a vuoto:

ABABIAB VEVVVE ≥====

00 0

ove il pedice “0” rappresenta una abbreviazione della condizione sopra precisata “I=0”.

1.3.5. RESISTENZA ELETTRICA Si consideri un generico tratto di conduttore di resistività ρ, immerso in un mezzo isolante

perfetto e delimitato dalle due superfici equipotenziali SA e SB. Se immaginiamo di applicare, mediante un apposito generatore, una differenza di potenziale alle due facce A e B alle estremità del conduttore, sotto l’azione del campo elettrico che ne deriva, si stabilirà all’interno del conduttore un campo densità di corrente, in generale non uniforme. Il campo elettrico all’esterno del generatore (quindi, anche nel conduttore) è di tipo conservativo e consente, perciò, di scrivere:

ABB

A BA VVVdstE =−=⋅∫ ˆ

L’integrale è valutato lungo qualunque percorso orientato cha abbia gli estremi su A e B rispettiva-mente. Dal momento che il conduttore può essere assunto quale tubo di flusso per il campo densità di corrente, la corrente conserva lo stesso valore in corrispondenza di qualunque sezione Si (inter-media fra A e B) venga valutata.

Sui punti della sezione ∆Si di un generico tubo di flusso elementare si può ritenere che siano

uniformi sia il campo elettrico che il campo densità di corrente. Se ∆Si è ortogonale alla linea me-diana del tubo di flusso elementare e, perciò, anche alla ascissa curvilinea s, la corrente Ii relativa al tubo di flusso elementare può essere valutata riducendo il prodotto scalare che definisce il lusso a prodotto algebrico ordinario:

ii SJSnJI ∆=∆⋅= ˆ ,

A B

SA

SB

iSn∆ˆ

J

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ove n è il versore (scelto con orientazione arbitraria) della normale alla superficie ∆Si, coincidente, a arte, eventualmente, il verso, con il versore della tangente alla linea mediana del tubo elementare.

La differenza di potenziale VAB può, allora, essere espressa in funzione della corrente:

dsSIdstJdstEV B

A

B

A

B

Ai

iAB ∫ ∫ ∫ ∆

ρ=⋅ρ=⋅= ˆˆ .

Nei conduttori di uso più comune (come il rame, l’alluminio e alcune leghe significative) la resistività può essere assunta costante (almeno a livello macroscopico) e indipendente dalla corrente (almeno fino a certi livelli di temperatura); la corrente Ii è costante, a sua volta, in quanto relativa un tubo di flusso. Si potrà, dunque, scrivere:

∫ ∆ρ=

B

Ai

iAB SdsIV

Definiamo resistenza del tubo di flusso imo il rapporto fra la differenza di potenziale ai suoi e-stremi e la corrente che lo attraversa:

∫ ∆ρ=

B

Ai

i SdlR ; [ ] [ ]Ω=R (1. 49.)

la relazione fra tensione e corrente può, così, venire scritta nella forma ben nota come legge di Ohm:

iiAB IRV =

Le considerazioni appena svolte per il generico tubo di flusso elementare possono essere ripe-tute per tutti i tubi di flusso elementari di cui si può immaginare costituito l’intero conduttore; la corrente complessiva che attraversa l’intera sezione Si è data dalla somma delle correnti relative alle singole sezioni ∆Si :

ABABi

iABi

i

ABi i R

VR

VR

VII 11==== ∑∑∑ .

L’espressione della resistenza complessiva del conduttore di estremi A e B

∑=

i iAB RR11

consente, infine, la scrittura nella forma “finita” della legge di Ohm per l’intero conduttore:

IRV ABAB = .

Nel caso di un conduttore di forma ci-lindrica, di resistività ρ, lunghezza L e se-zione retta di area S la resistenza vale:

SLR ρ= . (1. 50.)

Il reciproco della resistenza viene indicato come G e chiamato conduttanza; la sua unità di

misura è il siemens [S].

L

S ρ

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Si vede, così, che la resistività ρ (conducibilità σ) di un certo materiale rappresenta la resi-stenza (conduttanza) di un conduttore cilindrico del dato materiale avente lunghezza e sezione uni-tarie.

Entro un certo campo di valori (dipendente dal materiale e dalla sa temperatura di fusione) la

resistività dei conduttori aumenta con la temperatura secondo la legge

( )[ ]000 1 TT −α+ρ=ρ (1. 51.)

ove 0ρ è il valore della resistività alla temperatura di riferimento T0 e α0 è il cosiddetto coefficiente di temperatura, sempre alla temperatura di riferimento: ogni conduttore ha un proprio valore caratte-ristico del coefficiente di temperatura.

L’aumento della resistività è generalmente piuttosto contenuto, quasi sempre ininfluente per le applicazioni pratiche più comuni.

Nel caso di forti aumenti di temperatura (come nel caso del filo di tungsteno di cui sono fatte le lampade ad incandescenza, ove il salto termico supera i 2000°C) la variazione i resistività può as-sumere valori decisamente importanti.

Del pari sono importanti le variazioni termiche di resistività nel caso il conduttore sia impie-gato in apparecchiature (come li strumenti di misura) che richiedono costanza e stabilità dei propri componenti pressoché assolute.

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1.3.6. CLASSIFICAZIONE DEI MATERIALI IN BASE ALLA RESISTIVITÀ VALORI CARATTERISTICI PER MATERIALI SIGNIFICATIVI

Si fa notare che i valori riportati in tabella sono riferiti alla temperatura “standard” di 20°C.

MATERIALI ρ20 [µΩm] α20103 CONDUTTORI

Alluminio 0,028 – 0,030 4 Argento 0,016 – 0,017 3,8 Ferro 0,09 – 0,15 4,5 Mercurio 0,96 0,89 Nichel 0,072 – 0,078 6 Oro (puro) 0,024 3,4 Piombo 0,022 3,9 Platino 0,10 3,6 Rame 0,0173 – 0,0179 3,9 Stagno 0,11 – 0,12 4,3 Tungsteno 0,055 4,5 Zinco 0,060 3,7

LEGHE Costantana (55% Cu + 45% Ni) 0,50 0,020 Manganina (84% Cu + 4% Ni + 12% Mn) 0,45 0,015 Nikrothal (Ni + Cr oppure Cr + Fe) ≅ 1 Kanthal (Fe + Cr + Al + Co) ≅ 1 Aldrey (99% Al + 0,6% Si + 0,4% Mg) 0,032 3,6 Ferro – S9ilicio (Fe + 1 – 4 % Si) 0,25 – 0,45 4 Acciaio 0,18 3 Bronzo 0,018 – 0,02 4 Ghisa 0,8 7,5 Ottone 0,085 1

ISOLANTI Acqua distillata 1 – 25 ⋅ 1010 Mica 4⋅107 - 2⋅109 Olio per trasformatori 50⋅1016 Porcellana 4⋅(1015 - 1019) Terreno 107 – 109 Vetro 2⋅1017 - 8⋅1019

Il rame e l’alluminio sono di gran lunga i conduttori più largamente impiegati per la costru-

zione di cavi elettrici; in particolare, pur penalizzato da una resistività leggermente maggiore, l’alluminio viene preferito soprattutto nei casi in cui la sua minore densità relativa (2,71 contro 9,93 del rame!) diventa un fattore di scelta decisivo al fine di limitare i peso dei conduttori. Un esempio rilevante è costituito dai cavi per le linee di trasmissione, ad alta tensione, dell’energia elettrica: la necessità di ridurre le sollecitazioni statiche dei sostegni (tralicci o altro) rende la scelta dell’alluminio praticamente obbligatoria ed esclusiva.

Per prevenire le cosiddette coppie galvaniche (f.e.m. locali da contatto bimetallico), che po-trebbero insorgere, con effetti corrosivi, nei punti di giunzione fra conduttore (cavo) di alluminio e accessori di collegamento (di metallo o lega diversi), si usa la lega denominata Aldrey, ottenuta ag-giungendo all’alluminio puro una piccolissima percentuale di silicio (0,6%) e di magnesio (0,4%).

Le leghe presentano una resistività generalmente più alta dei corrispondenti componenti puri, con una più spiccata dipendenza dalla temperatura.

Le leghe come la manganina e la costantana sono intese, esplicitamente, a fornire un condut-tore a bassissimo coefficiente di temperatura (elevata costanza termica); la resistività piuttosto ele-vata è molto utile per la realizzazione di resistori in fili caratterizzati da una resistenza apprezzabile

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ma di lunghezza relativamente contenuta: a parità di resistenza e di sezione, un filo di due queste leghe presenta una lunghezza pari a circa un trentesimo di quella richiesta per un filo in rame. Una tipica applicazione è la realizzazione di resistori destinati a essere impiegati negli strumenti di misu-ra.

La lega Ferro-Silicio viene impiegata essenzialmente come materiale di elezione per la co-struzione dei nuclei ferromagnetici nell’ambito delle costruzioni elettromagnetiche (essenzialmente le macchine elettriche).

Le due leghe indicate col nome commerciale di Nikrothal e Kanthal condividono la stessa importante prerogativa di un punto di fusione piuttosto elevato, superiore a 1000°C: vengono, per-ciò, impiegate in tutte le applicazioni che richiedono temperature elevate. Tipica è la loro utilizza-zione in forni elettrici, stufe, ferri da stiro, asciugacapelli e nei diffusissimi accendisigari per auto-vetture. Il Kanthal, a cagione di una temperatura di fusione apprezzabilmente superiore a quella del Nikrothal, viene impiegato anche per la realizzazione di piccoli crogioli per la fusione dello stesso acciaio, oltre che per la fusione e la lavorazione di metalli nobili, nel campo dei laboratori artigiani di oreficeria e argenteria.

Entrambe le leghe richiedono di evitare accuratamente qualunque contatto con lo zolfo, capa-ce di provocarne un rapido deterioramento a causo di una aggressione chimica nota come “green rot” (carie verde). Si ricordi, a questo proposito, che lo zolfo contenuto nella benzina è già capace di provocare la citata aggressione a queste leghe e quindi occorre evitarne il contatto, sia accidentale che a scopi di pulizia.

Come chiaramente dichiarano le eloquenti cifre riportate, i buoni isolanti presentano valori di resistività che sono decine di ordini di grandezza superiori a quella dei buoni conduttori. La notevo-le variabilità con la quale viene, a volte, fornita la loro resistività dipende dalla composizione effet-tiva dello specifico materiale oltre che, molto spesso, dalle condizioni ambientali, soprattutto con riferimento a umidità e temperatura.

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1.3.7. IL MODELLO FILIFORME Si osserva che nella quasi totalità delle applicazioni pratiche di rilievo la corrente circola in

conduttori di forma cilindrica (a sezione circolare o rettangolare) che presentano una dimensione (la lunghezza) assolutamente prevalente rispetto alle altre due: si tratta dei fili o cavi utilizzati per la trasmissione dell’energia elettrica, spesso lunghi anche centinaia di chilometri.

Pur caratterizzati da una sezione finita (spesso di qualche centinaio di mm2), i fili elettrici possono essere ben considerati come dei conduttori filiformi, approssimabili, cioè, con un “model-lo” ideale a sezione nulla (=trascurabile).

Il modello filiforme offre l’apprezzabile vantaggio di consentire l’analisi della conduzione e-lettrica al suo interno prescindendo da considerazioni relative al campo densità di corrente, che può essere assunto (quasi sempre con ottima approssimazione) uniforme all’interno del conduttore.

Affrancati, in tal modo, dalla necessità di ricorrere a descrizioni in termini di grandezze di campo, la conduzione entro un conduttore filiforme viene allora completamente caratterizzata da grandezze “integrali” (non più funzioni di punto), quali la tensione V applicata i suoi estremi e la corrente I che in esso circola.

Nel caso specifico di un conduttore di re-

sistività ρ, lunghezza L e sezione S, è lecito ri-durre il suo comportamento elettrico alla rela-zione esistente fra tensione ai suoi estremi e la corrente che in esso circola, come descritto dal-la ben nota legge di Ohm in forma integrale:

IRV =

ove si è fatto riferimento ai moduli di tensione e corrente per ragioni che saranno chiarite tra breve. Si può descrivere, allora, il conduttore come nella figura riportata sotto, ove si prescinde defi-

nitivamente da proprietà geometriche, relative alle dimensioni, e specifiche, relative alle proprietà del materiale.

Si fa esplicitamente notare che, per la corretta valutazione/interpretazione dei valori di tensio-

ne e corrente, il conduttore deve essere comunque dotato di indicazioni (frecce) che rendano chiaro rispetto a quali orientazioni si intenda valutare (o fornire il valore) di tensione e corrente.

Il conduttore fin qui considerato, spazialmente

esteso per la sua lunghezza, viene quindi, “ridotto” alla sola sua resistenza R. Nell’ipotesi di regime stazionario (o quasi - stazionario) il conduttore può essere supposto anche concentrato, ovvero ricondot-to ad occupare uno spazio teoricamente trascurabile per essere rappresentato come semplice bipolo, in-tendendo per tale un “oggetto” che sia elettricamen-te accessibile attraverso una coppia di terminali terminati da una coppia di morsetti, come nella fi-gura riportata.

LS

ρ

A BR I

V

R I

V BA

TERMINALE

MORSETTO

BIPOLO

I

V

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Si ribadisce che, affinché le due grandezze elettriche caratteristiche del bipolo, tensione e cor-rente, risultino univocamente individuate, il bipolo, non diversamente dal conduttore filiforme dal quale abbiamo preso le mosse, deve essere completato con le indicazioni grafiche (frecce o altro) che rendano chiara, esplicita ed univoca la scelta delle orientazioni rispetto alle quali tensione e cor-rente sono date o valutate.

In perfetta analogia al caso del conduttore, tutti gli “oggetti” elettrici (quelli, cioè, caratteriz-zabili per una relazione tensione – corrente) in regime stazionario possono essere rappresentati co-me bipoli, individuati da un parametro che esprime proprio la specifica relazione tensione – corren-te che ciascuno stabilisce. Ogni bipolo sarà, poi, associato ad uno specifico simbolo, come stabilito da un apposita normativa4. 1.3.8. LA MISURA DELLA CORRENTE: L’AMPEROMETRO IDEALE

Il modello filiforme rende possibile ipotizzare la misura

della corrente con un apposito strumento, detto amperometro ide-ale, schematizzato come in figura. Ovviamente anche l’amperometro ha i morsetti dotati di contrassegni identificativi che corrispondono alla loro orientazione.

L’utilizzazione dell’amperometro prevede che venga collegato secondo lo schema di principio riportato nel cosiddetto circuito semplice di figura, ove la corrente misurata dall’amperometro è fisicamente la stessa che percorre il generatore e il bipolo.

4 In Italia la simbologia deve risultare conforme a qanto stabilito dal Comitato Elettrotecnico Italiano (CEI)

A +

A +

E

I