EGLIO MUSET MARRONI E PROSECCO - lazione.it · trattato evidentemente di un passo indietro,...

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Settimanale della Diocesi di Vittorio Veneto Anno LXXXVIII - Euro 0,90 - copia omaggio - Sped. in abb. post. –45% - art. 2 comma 20/b L. 662/96 Fil. Treviso 9 dicembre 2002 51 Una cartina della diocesi con i principali prodotti tipici 4-5 Il Prosecco e la Grappa venduti in tutto il mondo 8-14 La riscoperta dell’olivo a Conegliano e Vittorio 16-18 Viaggio tra le osterie “gloriosi” ritrovi 31-43

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L’AZiONe 9 dicembre 2002

I L L U S T R A T A

S e t t i m a n a l e d e l l a D i o c e s i d i V i t t o r i o V e n e t oAnno LXXXVI I I - Euro 0,90 - copia omaggio - Sped. in abb. post . –45% - art . 2 comma 20/b L. 662/96 Fi l . Trev iso

9 dicembre 2002 51

Una cartinadella diocesicon i principali prodotti tipici

4-5

Il Proseccoe la Grappavenduti in tutto il mondo

8-14

La riscopertadell’olivoa Coneglianoe Vittorio

16-18

Viaggio tra le osterie“gloriosi”ritrovi

31-43

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I L L U S T R A T APR

ESEN

TAZI

ONE

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L’AZiONe Socio del CONSISCONSORZIO NAZIONALESETTIMANALISOC. COOP. a r.l. - ROMA

McDonald’s non abita in Sinistra Piave. Adhamburger, coca cola, ketchup, chi vivetra Piave e Livenza preferisce muset, figa-

dei, polenta, tripe, marroni, prosecco. Specie ne-gli ultimi anni è cresciuta la cultu-ra, la conoscenza e il consumodei prodotti tipici locali. Di-versi i segnali che lo testi-moniano: l’atten-zione dei mass-me-dia; il successo difeste (si pensi aimarroni di Combaio alla festa dell’Uvadi Farra) e fiere (daSanta Lucia a Go-dega); le pubblica-zioni sul tema.In questo numerodell’AAzziioonnee IIlllluussttrraattaaproponiamo ai let-tori un viaggio tra isapori e i profumidel nostro territo-rio, soffermandocisu produttori chehanno fatto la scel-ta del prodotto tipi-co di “qualità”. Sia-mo certi che, comenoi, resterete entu-siasti di questo ori-ginale viaggio.

Nella foto in copertina:Lara Berti con una forma di formaggio “al fieno” prodotto a Malga Bu-dui a Miane che Lara gestisce insieme al marito Giancarlo Curto. Quel-la dei Curto è una gran bella famiglia: pochi giorni fa è nata Matilde,quarto figlio dopo Riccardo di 13 anni, Giada di 12 e Francesco di 8.Giancarlo è “figlio d’arte” avendo appreso, come il fratello, i segretidell’arte casara e culinaria da papà Michele. Insieme gestiscono purel’agriturismo La Dolza di Valmareno.

Nel 2000 il Ministro delle Politi-che agricole ha approvato un de-creto che riconosce e tutela oltre2 mila e cento prodotti tradizio-nali locali. In questo modo lo Sta-to ha voluto dotarsi di un’“arma”per contrastare la crescente e sel-vaggia “pirateria” agroalimentareche ha ormai portata internazio-nale. Nella tabella alcuni prodot-ti tipici riconosciuti del nostroterritorio.

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trattato evidentementedi un passo indietro, per-ché rinunciare ai prodot-ti della tradizione – i sa-lami dei nostri maiali, laconserva dei nostri po-modori, le patate dei no-stri orti, la carne bovinadelle nostre stalle, polli,tacchini, faraone dei no-stri cor tili, pecore,agnelli e capretti dei no-stri monti, ecc. – per ac-quistare prodotti di in-certa origine e di scono-sciuto modo di coltiva-zione e allevamento èstato sicuramente unpasso indietro. Poi il ven-to è cambiato e, forti diuna nuova, più seria ecrescente cultura ali-mentare e influenzati an-che dai movimenti “no-global”, siamo stati spin-ti a rivedere le nostrescelte e si è compresoche probabilmente ave-vano ragione i nostri vec-chi quando invitavano anon lasciare la stradavecchia per la nuova, sela vecchia ci aveva sem-pre soddisfatto. E la

Cresce la cultura e il consumo di prodotti locali

Hamburger, coca cola e ketchup?MEGLIO MUSET, MARRONI E PROSECCO

(segue a pagina 7)

Abitudini e usi di vi-ta vanno conti-nuamente evol-

vendosi e cambiando, avolte in meglio, a volte inpeggio. Quando neglianni del boom economi-co, nel corso della secon-da metà del secolo scor-so, ci si è letteralmentegettati sui prodotti recla-mizzati da giornali e tele-visione, messi sul merca-to dalle potenti multina-zionali, siamo cambiatiin peggio. È vero che,grazie all’aumentato be-nessere e alla maggiordisponibilità di prodottiagroalimentari nei tantienormi supermercatisparsi sul territorio, an-che le nostre scelte era-no più varie, ma si cade-va sempre lì, sui prodottipiù reclamizzati, uscitida fabbriche e industrieagroalimentari collocate

non si sa dove,nelle quali nonsi sa quello cheentra né comesi lavora. Sulpiano dellaqualità dellanostra vita si è

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“strada vecchia” è quelladi casa, quella cioè che ciconsiglia di rivolgerci in-nanzi tutto ai prodotti dicasa nostra. I prodotti delterritorio li conosciamobene, li vediamo corren-do per le nostre strade,possiamo acquistarli an-che con facilità. E sonotanti. Il territorio che ciinteressa – sia esso la Si-nistra Piave, la Marcatrevigiana o l’intero Tri-veneto – di prodottiagroalimentari di altaqualità ne produce molti:il radicchio rosso di Tre-viso (precoce e tardivo) equello variegato di Ca-stelfranco; gli asparagi diCimadolmo, di Badoere,di Bibione, ecc.; le patatedel Quartier del Piave;l’olio extravergine d’oliva

della Pedemontana an-che trevigiana; i pepero-ni di Zero Branco; la granvarietà di ortaggi (sonouna cinquantina) del Ca-vallino e di Sottomarinanel Veneziano, di Rosoli-na e Lusia nel Polesine; eancora le ciliegie dellaPedemontana; mele, pe-re, pesche dei tanti frut-teti veneti, ecc. Ci sonopoi, un po’ ovunque, nu-merosi piccoli allevatoridi maiali ed è possibiletrovare insaccati di variotipo preparati secondo lenostre antiche tradizioni;ci sono allevamenti do-mestici di anatre, oche,conigli, pollame vario; cisono i formaggi delle no-stre latterie e di tanti pic-coli ar tigiani; ci sonoaziende agrituristicheche vendono prodotti se-ri di propria produzione;

c’è il miele, stupendo,della Pedemontana, ecc.Sono solo alcune indica-zioni, perché ciascuno,con un po’ di buona vo-lontà – e per il suo verointeresse – può scoprireprodotti ottimi e di gran-de qualità anche vicino acasa sua. Va ricordatoche negli ultimi tempil’alimentazione sta cam-biando: si mangia meno

e meglio, diminuisce ilconsumo della carne ros-sa e aumenta quello dellacarne bianca; diminuisceanche, complessivamen-te, il consumo della car-ne e aumenta quella deiprodotti vegetali, cioèverdura e frutta, ecc. È evidente che questa ri-scoperta e valorizzazionedei prodotti locali non èassolutamente fine a sestessa, non avviene peruna mania di assurdo lo-calismo, ma, desiderosidi poter controllare quel-lo che dobbiamo mangia-re, ricerchiamo prodottigenuini, dai sapori fre-schi, sani, seri, espres-sione della nostra culturaalimentare, nati nel no-stro stesso ambiente divita.

Giampiero Rorato

Giampiero Rorato

(segue da pagina 5)

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«Anostro giudi-zio, condivisod’altronde da

chi è addentro in questecose, il Prosecco è un vi-no – commentava il com-pianto professor TullioDe Rosa sul finire deglianni Cinquanta del seco-lo scorso – con un doma-ni promettente». De Rosanon era un profeta, ma ungrande “uomo del vino”,capace però di coglieretendenze e di guardareavanti, ma non a vanvera,perché nel “caso” delProsecco l’illustre profes-sore ben sapeva che è«un vino che si fa bere,un vino che non tradisce,che non taglia le gambe,che non offusca la nostraserenità».«Il vino Prosecco è di cer-to – amava ancora ripete-re Tullio De Rosa – il vinobianco per antonomasiadella provincia di Trevi-so. Dalle colline in cui na-sce, diffonde la sua sotti-le malìa su quanti lo ri-cercano nelle tiepidegiornate di primaveraquando il suo profumo difiori, il suo profumo dimiele, il suo profumo dimela selvatica si mescolacoi cento, coi mille profu-mi dei fiori che allorainondano le “rive”. Un ca-lice di Prosecco, dal belpaglierino leggero, scari-co di tinta, con qualcheperla gassosa che si svol-ge nel bicchiere, è uncompiacimento, è un go-dere le piccole gioie che

ancora riusciamo a strap-pare alle preoccupazionidi tutti i giorni».Il vino Prosecco, da allo-ra, di strada non ne ha fat-ta solo tanta, ma è volatoper il mondo, tant’è cheoggi si presenta in diver-se tipologie per acconten-

tare una domanda sem-pre più cosmopolita.Il Prosecco Doc di Cone-gliano-Valdobbiadene è“spumante” extra dry (il“classico” che combinal’aromaticità varietalecon la sapidità esaltatadalle bollicine) e brut(più moderno e da gusta-re con antipasti di pesce everdure anche elaboratie piatti di pesce al forno);è frizzante (nato per in-contrare i giovani e peravvicinare il consumato-re meno esperto); è infi-ne “tranquillo”!«Quest’ultima è la versio-ne meno conosciuta –spiega Giancarlo Vetto-rello in “Conegliano-Val-dobbiadene. Terra delProsecco Doc”, un sim-patico tascabile realizza-to nell’ottobre 2000 dalConsorzio di tutela delProsecco di Conegliano-Valdobbiadene – al di fuo-ri della zona di produzio-

ne. Si ottiene dai vignetipiù fitti e poco produttivie da uve ben mature. Lavinificazione prevede unabreve macerazione afreddo sulle buccedell’uva, in modo di arric-chire il vino, in aromi estruttura. Il colore è pa-glierino delicato, i profu-mi sono di mela, pera,mandorla e miele di millefiori. La struttura è soavee persistente, con un re-trogusto talvolta grade-volmente amarognoloche lo rende più articola-to e complesso. Anche senon è un vino da invec-chiamento, lo si può ap-prezzare anche al secon-do anno di vita».«Va bevuto a 10-12°C –conclude Giancarlo Vet-torello – su antipasti deli-cati di mare e di terra, ein abbinamento con i boc-concini marinati della tra-dizione veneta».

Mario Sanson

Nelle colline nasce il proseccoVINO INVIDIATO DA TUTTO IL MONDO

È la punta di diamante dei prodotti tipici

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Nei vigneti del CerlettiSI SPERIMENTANO I VINI DI DOMANI

Conegliano dal 1876 vanta una scuola enologica

Il “Cerletti” di Coneglia-no è uno dei più cono-sciuti e affermati istitu-

ti con ordinamento spe-ciale per la viticoltura el’enologia, che dal 1876prepara gli “specialisti”del vino, richiesti tuttorain ogni parte del mondo.A supporto e a compen-dio dell’attività didattica viè una moderna cantina eun grande vigneto collina-re di proprietà della Pro-vincia di Treviso, entram-bi situati entro il perime-tro urbano di Conegliano.La Scuola è perciò produt-trice di vino, e non potevanon essere così, perché intema di “Enologia” si con-ferma ancora una volta, sece ne fosse bisogno, chela “pratica” vale davverodi più della “grammatica”!I vini che professori e stu-denti producono sono di-versi, e, fra gli altri, tro-viamo in vendita direttaalla cantina della Scuola oin enoteche appositamen-te autorizzate, “Prosec-co”, “Manzoni Bianco”, il“Falena” e, stagione per-mettendo, un singolarissi-mo “Novello”.Per il “Prosecco” la vinifi-cazione è in “bianco clas-

sica” con fermen-tazione condottada lieviti selezio-nati, in serbatoid’acciaio, a tem-peratura control-lata. Il “Prosecco”della Scuola eno-logica di Cone-gliano ha spumagiustamente eva-nescente, con“perlage” fine epersistente, uncolore giallo pa-glierino scarico eun profumo deli-cato, fresco efruttato che puòricordare la mela acerba,il limone, la pesca, il glici-ne e l’acacia. Di 11,5 gra-di, va bene per tutte le oc-casioni, ottimo anche co-me aperitivo, in specialmodo se servito a 6-8°C.Altra musica e altra storiainvece per il celebre“Manzoni Bianco”, ex I.M. 6.0.13 (la sigla indicale coordinate della piantadi vite in seno alle parcel-le sperimentali), che è inassoluto il vitigno più rap-presentativo della Scuolagiacché fu ottenuto nel1930 dall’allora presideLuigi Manzoni tramite un

incrocio di “Riesling rena-no” con “Pinot bianco”. Lecaratteristiche organolet-tiche del “Manzoni Bian-co” sono colore giallo pa-glierino carico con riflessiverdognoli e profumo in-tenso, delicatamente aro-matico, dove domina lafrutta matura esotica conl’ananas ben presente chesi accompagna all’albicoc-ca matura.Un’occhiata infine ai rossiche hanno come denomi-natore comune Marzemi-no e “I.M.2.15”.Rosso con riflessi viola-cei, il “Falena” fa 11 gradi

alcolici e ha profumo dipiccoli frutti rossi tra cuispicca la fragola e la cilie-gia. Morbido, leggero edequilibrato va su piattileggeri e spuntini non im-pegnativi, è comunque vi-no anche da “fuori pasto”. Di colore “rubino brillan-te” è invece il “Novello”,ottenuto rigorosamentecon la macerazione carbo-nica. Oltre ai “piccoli frut-ti rossi, con fragola, cilie-gia e lampone in eviden-za”, completano il bou-quet leggere note di rosacanina, cipria e cannella.

Il 16 settembre scorso il presidente della Provincia Luca Zaia ha inaugurato la nuova sede dell’Istituto pro-fessionale statale per l’Agricoltura “Corazzin” all’interno dell’area della Scuola enologica di Conegliano

IDe Negri di Vittorio Ve-neto, distillatori da ol-tre sessant’anni, vanta-

no numerosi riconosci-menti, fra cui la prestigio-sissima “Silver Medal” diBrussels, guadagnata nel1999. I De Negri sonoperò conosciuti dal grandepubblico nazionale e d’ol-tre oceano in special modoper la “prugna”, anche sele loro grappe, tutte rigo-rosamente ar tigianali,stanno guadagnando, co-me si diceva, premi su pre-mi nel complesso e com-plicato mondo della distil-lazione.Ritornando alla loro cono-

sciutissima e celebrata“Prugna”, essa è un liquo-re unico nel suo genere,infatti «la ricetta esclusivaper la sua produzione –commentano i titolari del-la rinomata Distilleria divia Oberdan a Vittorio Ve-neto – è stata elaboratadallo stesso fondatoredell’Azienda». Ingredientiche, rimanendo tal qualisino ai nostri giorni, han-no garantito e consentitola diffusione del prodottoanche in nuovi mercati. «La nostra “prugna” ha sa-puto affermarsi – spiega-no ancora i De Negri – peril suo gusto inconfondibile

e per il suo aroma che ri-corda nettamente il frutto,del cui succo contiene benil 15%, divenendo ben pre-sto leader del proprio set-tore».Il segreto del suo inossi-dabile successo? «Un giu-sto tenore alcolico – assi-cura uno che ama e che sifa appositamente spedirecodesta “prugna” in capoal mondo – unito ad un sa-pore personalissimo, in unamalgama ricca di armo-nia».Non possiamo tout-courtchiudere con la “prugna”senza manco fare un cen-no alla “Graspa dei Ami-

ghi”, che è la più nota del-le grappe in Casa De Ne-gri, e che ha contribuito alpari, o almeno quasi al pa-ri, della famosa “prugna” afar conoscere in giro il no-me di questi “piccoli-gran-di” distillatori.«Creata appositamenteper i propri amici dal ma-stro distillatore Mario –aggiunge il giovane conti-tolare Giovanni –, la “Gra-spa dei Amighi” ha saputoben presto farsi apprezza-re per la sua schiettezza eper il suo sapore, caldo ro-tondo e delicato».Prodotta secondo il meto-do tradizionale, con distil-lazione in discontinuo, la“Graspa dei Amighi” deveal lungo invecchiamentoin botti di rovere il suo co-lore paglierino e il suo pro-fumo etereo e armonico».

Mario Sanson

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Prugna e Graspa dei AmighiLIQUORI DI CASA DE NEGRI

La distilleria ha sede a Vittorio Veneto

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Prodotto unico, ge-nuino e naturale, illiquore Kapriol si

ottiene partendo da unmacerato di bacche di gi-nepro e di altre svariateerbe tipiche delle nostreAlpi, che viene dapprimaposto in infusione alcoli-ca, poi passato in alam-bicco da dove, medianteun processo di distillazio-ne lenta e meticolosa inpiccole caldaiette di ra-me, sgorga un purissimodistillato dalle caratteri-stiche organolettiche fi-nissime e inconfondibili.Il risultato di queste ope-razioni è stato per decen-ni l’ottenimento di unprodotto fiore all’occhiel-lo della ditta De Bernard,storica azienda di Cone-gliano.Dalla scorsa primavera,dopo la morte del sociofondatore della De Ber-nard, la produzione diquesto “gioiello”, è stataaffidata all’azienda “Be-niamino Maschio” di SanMichele di San Pietro di

Feletto, che ne cura an-che la distribuzione peralcuni importanti canalidi vendita.«Hanno scelto noi perchéeravamo una garanzia dicontinuità di questa tradi-zione di alta qualità» spie-ga Alessandro Maschio,che gestisce l’azienda as-sieme al padre Beniami-no, fondatore e grappaio-lo di grande esperienza,«in quanto tutta la nostrafilosofia aziendale poggiasu solide basi di sapienzaartigianale, frutto di unvasto patrimonio di cono-scenze nel settore, custo-dito e trasmesso da gene-razioni».L’affinatissimo naso devesaper cogliere ogni pic-cola sfumatura di aroma(e questo poiché moltedelle erbe raccolte e uti-lizzate sono a ciclo bien-nale e le condizioni atmo-sferiche non sono sem-pre uguali), per poter do-tare il Kapriol della suaspecifica identificabilità:l’intenso aroma di gine-

pro, il gusto deciso e maipungente nonostante isuoi 40 gradi alcolici, in-somma il liquore di mon-tagna per antonomasiache sempre più viene ap-prezzato e richiesto an-che in pianura e nellegrandi città.«Il Kapriol è un liquoreche può essere assapora-to in modi diversi: conghiaccio o caldo comepunch, sul gelato, comecorrezione del caffè, co-me classico dopo pasto,per una ricarica energeti-

ca quando si sta scian-do… e nuovi abbinamen-ti ed occasioni di consu-mo sono allo studio».Il liquore Kapriol giungea integrare e rinnovareuna tradizione nata nel1892, quando AntonioMaschio ritornò dallaTransilvania fissando aVazzola la sede della pri-ma distilleria di famiglia.Beniamino, suo nipote,fondò l’attuale aziendanel 1965 sulle colline diSan Michele di Feletto,guadagnandosi, in quasiquarant’anni di attività,fama e apprezzamentocon i famosi marchi “San-michele” e “Le grappe diBeniamino Maschio”, si-nonimi di bontà e qualità.Tutti i prodotti della Be-niamino Maschio si pos-sono acquistare anchenel piccolo negozio atti-guo all’azienda, posto invia San Michele n. 70 aSan Michele di San Pie-tro di Feletto (telefono0438.450023).

Dalle erbe delle nostre AlpiIL GENUINO LIQUORE KAPRIOL

Prodotto nel Felettano dall’azienda “Beniamino Maschio”

Alessandro Maschio

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Co m � ènoto erisapu-

to ci sonoprosecchi eprosecchi, enell�ambitodei più nobi-li di collinas�è fatto co-noscere inquesti ultimi

anni anche il �Cenetae�,che è un Prosecco di Co-negliano a denominazio-ne di origine controllata.Particolarmente apprez-zato lo spumante Extradry, che come il frizzan-

te, viene ottenuto dalleuve �prosecco� raccoltein poderi dell�aziendaagricola dell�IstitutoDiocesano per il Sosten-tamento del Clero di Vit-torio Veneto.«L�Extra dry è il Prosec-co classico, - commentaGiancarlo Vettorello delConsorzio di Tutela delProsecco di Conegliano eValdobbiadene - la ver-sione che combina l�aro-maticità varietale con lasapidità esaltata dallebollicine. Il colore è pa-glierino brillante ravvi-vato dal perlage. L�aro-

maticità è fresca e riccadi profumi di frutta, me-la, pera, con un sentoredi agrumi che sfumanonel floreale. In bocca ilvino è morbido e al tem-po stesso asciutto - spie-ga ancora Vettorello -grazie ad una aciditàben presente». Lo spumante Extra dry�Cenetae� viene prodot-to per fermentazione na-turale a bassa tempera-tura onde preservarnegli inconfondibili aromi. Ha caratteri organolet-tici che si possono rias-sumere in una spuma

persistente, in un coloregiallo paglierino brillan-te, nel tipico profumofresco e fruttato, e in unsapore amabile e armo-nico.L�Extra dry �Cenetae�sviluppa una gradazionealcolica di 11,5 e un�aci-dità totale del 6,0-6,5per mille. Ad una temperatura diservizio di 8°C è un granfuori pasto ed è inoltreottimo su piatti a base dipesce e altrettanto suldessert.

Mario Sanson

Il Prosecco Extra dry �Cenetae�DAL SAPORE AMABILE E ARMONICO

Prodotto dall’Istituto per il sostentamento del clero

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Gli studiosi dellastoria locale edell’origine dei to-

ponimi dei nostri paesi,ogni tanto si soffermanosu termini come Oleanusche avrebbe anticipatol’odierna frazione diOgliano, ma anche sullostesso Cum Oleanus perdire Conegliano.Chi sostiene queste tesiargomenta che la nostracollina era un tempo ter-ra di coltivazione di olivi eluogo di produzione di oliche uscivano dalle pietredi antichi frantoi per arri-vare sulle tavole delleosterie, nelle stazioni diposta, in casa dei gastaldio delle ville dei venezianiin terraferma.Segno che il clima favori-va questa produzione pri-ma del radi-carsi e diffon-dersi dellacoltivazioneviticola in mo-do diffuso.E a suffragio ditale ragiona-mento, si portaanche il ritrova-mento negli ar-chivi storici diantichi ricettariche citano l’olioprodotto in que-ste zone come in-grediente di piattisaporiti di stagio-ne.Poi, alcuni invernidi particolare fred-do, il cambiamentodel clima, una mag-

giore redditività di altreproduzioni agricole, l’ar-rivo della tecnologia, por-tarono nel tempo all’ab-bandono dell’olivicoltura.Da alcuni anni però, com-plici nuovi mutamenti cli-matici, una necessità didiversificare le produzio-ni, gli incentivi dell’Unio-ne europea, l’importanzadi registrare marchi didenominazione di origi-ne certificata, e tanti altrielementi hanno riportatoin auge la coltivazionedell’olivo.Così, non c’è zona colli-nare dove non siano statireimpiantati olivi e si co-minciano a vedere interiappezzamenti di terrenodestinati ad olivi.Così in via Montenero a

Ogliano, appena sotto lachiesa arcipretale, un’in-tera collina è coltivata adolivi. Anche in via dei Col-li, verso Collalbrigo ci so-no macchie di terreno adoliveto. Tra Santa Mariadi Feletto e Rua e traColfosco e Ponte della

Priula. E così anchealtrove, segnali chiaridi un ritorno di inte-resse.Siamo lontani chia-ramente da regionicome la Puglia con400 mila ettari di oli-veti, strade dedica-te alla “Parenzana”,alla “Bella di Ceri-gnola”, al “Dau-no”, a produzionicon marchio euro-peo Dop – Deno-minazione di ori-gine protetta – edespor tazioni intutto il mondo.Ma non siamoneanche agli ini-zi se all’Aziendaagricola deiConti Collalto aS u s e g a n a ,

l’enotecnico Adriano Ce-nedese, direttore della lo-cale apprezzata cantina,propone tra vini di qua-lità, oltre alla Grappa delConte anche l’olio di olivadei Collalto.Un prodotto superbo persapore, delicatezza di gu-sto, profumo for te chetutti possono così acqui-stare e che ben si accom-pagna a molti piatti dellacucina tipica trevigiana.Ma se Collalto commer-cializza la sua produzio-ne, altri, privati cittadini ealcuni agriturismi, gesti-scono una quantità d’olioancora limitata per i sa-pori della tavola imbandi-ta con gli amici. E l’olioprodotto diventa così unmomento di festa e un re-galo che passa di manoper portare a casa qual-cosa di assolutamenteunico, non reperibile alsupermercato, nel limita-to circuito degli eletti cul-tori della genuinità al difuori delle mode.

Sergio Dugone

Ma ad Ogliano è una presenza antica

Torna di moda l�olivicoltura, CIRCOLA L�OLIO LOCALE

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Non dovete meravi-gliarvi se in un ri-storante finlande-

se vi portano una bottigliadi Prosecco Perlage peraccompagnare i piatti lo-cali. Lassù, infatti, la can-tina solighese è molto po-polare e vende annual-mente 60 mila bottiglie.Ma anche in Germania ein Olanda non è raro im-battersi in vini dell’azien-da oggi diretta da Ivo eClaudio Nardi. Aziendache di strada ne ha fatta, etanta, da quando, alla finedegli anni Quaranta, Ti-ziano Nardi impiantavasulle assolate colline soli-ghesi le prime viti Pro-secco. Quel vigneto oggiesiste ancora, porta il no-me di Riva Moretta ed è ilsimbolo e l’orgoglio diIvo e Claudio. Che si defi-niscono “figli d’uva”: essi,infatti, sono la terza gene-razione di una famiglia diviticoltori, in cui i padri

hanno trasmesso ai di-scendenti esperienza eserietà professionale in-sieme al rispetto quasi re-ligioso per la terra. Daquesti valori deriva,nell’ormai lontano 1981,la scelta di Ivo e Claudiodi introdurre tecniche diagricoltura biologica nel-la propria azienda. SpiegaIvo: «La coscienza di es-sere responsabili ancheper le generazioni futureci ha indirizzato verso tec-niche ecocompatibili,convinti che ciò ci aiuteràa lasciare un ambientepiù pulito ai nostri figli».E così, nel giro di quattroanni, tutta l’azienda è sta-ta “convertita” al biologi-co. Oggi Perlage trasfor-ma mille 200 tonnellate diuva (pari a una superficiedi circa 90 ettari), parteproveniente dai vigneti diproprietà di Soligo e Re-frontolo e parte acquista-te da altre aziende rigoro-

samente biologi-che. Ma cosa vuoldire produrre vi-no da coltivazionibiologiche? «Vuoldire utilizzare so-lo sostanze di ori-gine naturale(compost, polti-glia bordolese)nella difesa e nel-la fertilizzazionecome prevede lanormativa euro-pea» spiega Ivo.Ma alla Perlagefanno di più, atte-nendosi a rigideregole “bio” an-che nella fase del-

la lavorazione del vino incantina. Dove, nel perio-do vendemmiale, al fian-co dell’enologo “di casa”è presente un winemakeraustraliano: ciò ha per-messo positivi scambi tral’antica tradizione viticolaitaliana e la più dinamicaenologia australiana, ap-portando risultati qualita-tivi di grande rilevanza.Se c’è un termine che bensi cuce addosso ai fratelliNardi è quello di “pionie-ri”. Tra i primi sono parti-ti con le uve da agricoltu-ra biologica; tra i primihanno capito l’importan-za di promuoversiall’estero; e tra i primihanno presentato il pro-prio prodotto nell’ambitodi una festa dove si sonoalternati cultura, prodottitipici, musica. È avvenutolo scorso 6 novembre,nella cantina di Soligo, inoccasione della festa delNovello: si è assaggiatovino insieme ai marronidi Combai e alla polentabianca, ascoltando i branidei Barbapedana, sorri-

dendo con i burattini diAlberto De Bastiani.La punta di diamante del-la produzione Perlage è eresta il Prosecco nelleversioni Spumante, Friz-zante e Riva Moretta. Ilprimo viene fatto con leuve raccolte nella partepiù alta delle colline; il se-condo con le uve della fa-scia medio-bassa; il terzoè il frutto del più vecchiovigneto dell’azienda dovesi affiancano viti con qua-si 60 anni di età e viti ap-pena piantate. Nel catalo-go troviamo poi Verdiso,Manzoni Bianco barrica-to, Merlot, Cabernet e Ra-boso barricato “Corte delGiano”.Per chi volesse degustarei vini Perlage segnaliamoil 21 dicembre l’appunta-mento al negozio Arieledi viale Venezia a Cone-gliano dalle 10.30 alle19.30. Oppure, nei giorniferiali, è possibile assag-giare il vino laddove vie-ne prodotto, ai piedi dellecolline di San Gallo.

Federico Citron

Perlage conquista il mercato CON UVE DA AGRICOLTURA BIOLOGICA

L’azienda dei fratelli Nardi ha sede a Soligo

Il team di Perlage

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I L L U S T R A T A

Se vi capita di passa-re per piazza Gio-vanni Paolo I, in

quel di Ceneda, alzate gliocchi e soffermateli suldeclivio del colle di SanPaolo che domina la piaz-za e tutta la pianura. Purnon essendo in una asso-lata e asciutta terra delsud, alla vostra vista sipresenterà uno spettaco-lo che rincuora l’animo.Una distesa di ulivi chepare si tocchino l’un conl’altro e, poco più in là,un’altra, con piante anco-ra piccole, appena messenella terra. Se poi sieteanche un poco curiosi,potreste sapere che quel-la terra è di proprietà del-la famiglia Baccichetti,che pazientemente ha ri-pristinato su San Paolo,spostandola di qualchemetro, una piantagionepresente nel 1600 lungola strada che arriva al Ca-stello di San Martino, co-me si riscontra nella “Ve-ra descrizione della cittàdi Ceneda” del nobileGiorgio Graziani, in quel-la località denominatatutt’ora ‘Palasi’.Trecentoventi olivi chehanno già dodici anni ealtri quattrocentocin-quanta nel terreno conti-

guo, piantati “con amoree passione prima da miofratello Tiziano e poi dame - racconta SebastianoBaccichetti -. L’olivo èuna pianta speciale, chenon si può confonderecon altre, che ha un ver-de particolare, che amala solitudine, la terra sas-sosa che non trattienel’acqua, ed è desiderosadel sole che l’asciuga.Purtroppo il nostro climanegli ultimi decenni èpeggiorato di anno in an-no, ma non sono usuali legelate che farebbero mo-rire le piante; e così noiabbiamo voluto quasi lan-ciare una sfida, vedere sesu quel versante, riparatodal vento e declinante, sa-rebbero vissute due di

Il Frantoio e il Leccino

CRESCONO SUL COLLESAN PAOLO

A Vittorio gli ulivi della famiglia Baccichetti

Sebastiano Baccichetti

(segue a pagina 18)

18 L’AZiONe 9 dicembre 2002

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quelle qualità autoctoneadatte al nostro clima, ilFrantoio e il Leccino, e leabbiamo fatte arrivare di-rettamentedalla To-scana. Lacuriosità èstata soddi-sfatta. Dopoquattro anniil primo esi-guo raccolto,ma da qualcheanno la produ-zione è di circadieci chilo-grammi di oliveper pianta, chedanno in totalequattro quintalidi olio di buonaqualità, con unscarso grado diacidità, solo 0,25per cento. Fino ad

ora l’abbiamo pro-dotto per uso pro-prio o per farlo as-saggiare a qualcheamico, o lo abbia-

mo promossoa qualche fie-ra, ma tra bre-ve riuscire-mo ad avereuna produ-zione utileper la vendi-ta e lo com-mercializ-zeremo acirca 20euro al li-tro, con il mar-chio dell’Aprol2000».Una pianta chepor ta nellechiome, di co-lor verde pa-cato e tenue,il segno dellapace e della

serenità, che simboleg-gia anche le difficoltà del-la vita nel tronco tortuo-so, ma che tanto appas-siona Sebastiano che«spesso, prima di andarenella nostra azienda, sal-go a S. Paolo, faccio un gi-ro tra le piante e le guar-do orgoglioso, come fos-sero dei figli». I fratelli

Baccichetti sono stati iprimi a credere in questacoltivazione, seguiti damolti altri appassionati, enon sono lontanidall’obiettivo che si sonoprefissati: coprire la colli-na con un migliaio di me-ravigliose piante di ulivo.

Isabella Mariotto

Ceneda vista dal Colle San Paolo ricoperto di ulivi

(segue da pagina 17)

Èconosciuto in tuttaItalia come “Sedanodi Verona”, quasi

esclusiva zona di produzio-ne, ma anche come “Bian-co del Veneto o di Vienna”oppure come “Gigante diPraga o Gigante friulano”.Prevalentemente è un or-taggio coltivato nei paesidal clima freddo del centroEuropa. Ma una sua picco-la oasi esiste anche a Vit-torio Veneto. SebastianoBaccichetti possiede unasemente antica di questosedano, quella che avevasuo papà Costantino. Ciracconta come ne è venuto

in possesso. «Parecchi an-ni fa, all’incirca verso glianni Cinquanta e ancheper qualche decennio suc-cessivo, la coltivazione piùconsistente di questa va-rietà ortofrutticola era fat-ta nel paese di Olarigo, cheera conosciuto proprio perquesto e per i broccoli.Questa terra ricca di so-stanze minerali, ben dre-nata, con un clima fresco,faceva crescere le mazòchedi sedano belle grosse ebianche. Il papà ha avuto lesementi dai coltivatori diOlarigo e da allora riesco ariprodurne ancora a suffi-cienza per continuare la

coltivazione. C’è stato unperiodo, dal ’78 al ’90, incui ne producevo anche300 quintali all’anno, maho diminuito, dedicando-mi comunque ad altro, per-ché il sedano richiede pa-recchio lavoro. Dalla semi-na si passa al trapianto del-le piantine tra aprile e mag-gio, alla concimazione erincalzatura per protegge-re le radici dal gelo, e perfinire la raccolta e messa adimora nelle serre durantel’inverno. Ho conservato econtinuo a usare la semen-te quasi per af fetto, sce-gliendo i frutti migliori eraccogliendola ogni anno

quando le piante vanno insemenza o in canna». Nella nostra Pedemonta-na, e più avanti fino nel Ve-ronese, si sente spessochiedere al fruttivendolouna mazòca de sèeno, unatesta di sedano. È questa lagrossa radice di colorebianco e di forma roton-deggiante che viene porta-ta sulle nostre tavole siacruda, affettata a sottili fet-tine e condita con olio eaceto, che cotta in svariatemaniere, dal risotto allazuppa, conser vata sottoaceto o rosolata nel burroe pancetta. (IM)

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I L L U S T R A T A

Utilizzata una semente antica proveniente da Olarigo

A Vittorio una piccola oasiDEL SEDANO BIANCO DEL VENETO

20 L’AZiONe 9 dicembre 2002

I L L U S T R A T A

C’era una volta ilnonno del non-no che nel Por-

denonese faceva il sen-sèr, ossia il mediatore frai contadini e chi acqui-stava il loro frumento. Ilfiglio cambia mestierema non settore e diventafornaio. Nel 1932 la fami-glia si sposta a Vittorio:in via Battisti, in uno deiprimi stabili costruiti nelcentro della da poco natacittà di Vittorio, dove untempo c’era un forno ge-stito da una cooperativasociale, apre il panificioTami. Durante la secon-da guerra mondiale, ilforno viene requisito da-gli occupanti tedeschiper cuocere il propriopane. Settant’anni dopoil forno è ancora lì, ottodipendenti, e alla guidac’è il nipote del fondato-re, trisnipote del sensèr:Giuseppe Dal Puppo,che però si fachiamare GioiTami, in omaggioal for te legameagli antenati di la-to materno. L’in-segna dice “Pani-ficio eredi Tami”;di fatto, nelle pa-role di Gioi, pro-duce tre quintalial giorno di arte edi cultura.«Cerchiamo dicoprire tutti i pro-dotti di panifica-zione e pasticce-ria, tutta l ’ar te

bianca». E quindi dietroil bancone torte, pinza,panettoni, pasticcini, piz-za, focaccia, crostoli, edecine di varietà di pane:dalle varietà comuni, aigrandi zoccoletti, ai pic-coli, morbidi, bianchi“germe di grano”; a pa-nini piccoli e grandi ar-ricchiti con ingredientistagionali: dal pan coazuca a prodotti con noci,rucola, formaggio, cipol-la... «La provincia di Tre-viso è quella con il piùbasso consumo pro capi-te di pane in Italia, ci so-no anche famiglie chenon comprano più il pa-ne; noi cerchiamo distuzzicare anche loro,con la qualità o con pro-dotti nuovi – osserva Ta-mi –. La nostra è una ve-ra cultura della panifica-zione». L’innovazione ènelle ricette, la tradizio-ne nel sistema di lavoro.

«Iniziamo anche alle 12 aimpastare per il giornodopo, perché alcuni pro-dotti hanno lievitazionelunga, e non vogliamousare nessun supportochimico che abbreviquesti tempi. Poi comin-ciamo a fare il pane fra le2 e le 4 di notte». Comeforse fanno sempre inmeno. «Il nostro è unprodotto di nicchia»,spiega: ricercano la qua-

lità. Inevitabilmente ilcosto è maggiore. «Mala differenza, per il panedi una famiglia, sarà di200 lire al giorno; ed èuna scelta che si riper-cuote sulla qualità dellavita, perché nel mangia-re riversi aspettative an-che ludiche, di gratifica-zione, di incontro». Tamicrede fermamente nel“dimmi cosa mangi e tidirò chi sei”; ma questosignifica vedere un decli-no nella società. «La cul-tura anglofona del fastfood ha portato i giovania modelli alimentariall’antitesi del gusto; ab-biamo perso la capacitàdi giudicare e apprezza-re il cibo buono». Nel pa-ne, in particolare, crescesempre più la concor-renza del pane industria-le: due euro al chilo, edura più giorni; oppurepane semicotto e surge-

lato, da riscaldaree che poi magarisembra fresco.«Ben venga ancheil pane industriale,ma deve esseredetto chiaramenteal consumatoreche gli si dà delpane riscaldato. Inogni caso – ag-giunge – la diffe-renza la senti». Ifedeli clienti di Ta-mi confermano.

Tommaso Bisagno

Gioi Tami, maestroNELL�ARTE DELLA PANIFICAZIONE

Nel suo panificio sempre nuove “creazioni”

Gioi Tami

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I L L U S T R A T A

Con prodotti di pun-ta come il Moesin(50 per cento della

produzione), il Malga (15per cento) e il Montasio(20 per cento), l’AgriCan-siglio – Caseificio dellePrealpi trevigiane e delCansiglio Soc. Coop. a r.l.–, nonostante la crisi piùo meno strisciante delcomparto lattiero-casea-rio, gode di buona salute(economica), ma in spe-cial modo del favore deiconsumatori (il che non èdavvero poco). Il segreto,o i segreti? Di pulcinella.«La qualità dei nostri for-maggi e latticini – spiegail direttore Romolo Salva-dor – nasce dalla ricchez-za di un ter ritorio, lePrealpi trevigiane e ilCansiglio in cui la tradi-zione e la natura genero-sa dei pascoli convivonofelicemente da sempre.Sono luoghi in cui da se-

coli l’uomo pratica l’agri-coltura e l’allevamento,coltivando contempora-neamente le sue innatecapacità artigianali».Dunque prodotti di anti-ca bontà, ottenuta con si-stemi di lavorazione arti-gianale che ne garanti-scono la tipicità e il pienorispetto delle norme vi-genti nell’Unione euro-pea.«Il latte prodotto dagli al-levatori della nostra zo-na, 28/30 mila quintalil’anno, viene trasformato– aggiunge ancora Romo-lo Salvador – in tanti e ap-prezzati prodotti caseari.In ciascuno di essi viveuna squisitezza affidata,oggi come ieri, alla natu-rale combinazione di fat-tori determinanti quali ilfieno, il latte e l’aria dimontagna».Nei quattro punti di ven-dita diretta (gli spacci di

Fregona, Ogliano di Co-negliano, San Martino diColle Umberto e VittorioVeneto), l’AgriCansiglio,oltre a Moesin, Malga eMontasio di cui si diceva,of fre inoltre Casatella,Caciotta, Ricotta, Latte-ria, Stravecchio e gli Im-briaghi di Cabernet e del“mitico” Torchiato di Fre-gona. Quest’ultimo,

prodotto già da 4-5 anni, èdisponibile solo da set-tembre a Pasqua, e so-prattutto per la gioia deinasi e dei palati più esi-genti.Se AgriCansiglio può og-gi contare su questa forza(65 per cento del fattura-to in “cash” sonante daiquattro spacci aziendali e

una liquidazione di770 lire per litro dilatte conferito nel2001, che con moltaprobabilità sarà lamedesima anchenel 2002 nonostan-te la pesantezza delmercato) lo si devein particolare an-che all’incorpora-zione, avvenutanel corso del2001, del Caseifi-cio sociale coope-rativo di SanMartino di ColleUmberto.

Con il latte prodotto nelle Prealpi e in Cansiglio

Moesin, Malga e MontasioI �SIGNORI� FORMAGGI DI AGRICANSIGLIO

Conosciuto per il vi-no di Mozart, l’“ec-cellente Marzemi-

no”, Refrontolo si puòvantare anche per il “Tra-miner” di Toti Dal Mon-te, quell’Antonietta Me-neghel che fu l’interpretepreferita di Arturo Tosca-nini.A produrre il vino di Toti,non più di tremila botti-glie l’anno, è oggi la fami-glia Della Colletta, di viaDrio Col, che vinifica ilraccolto di quelle viti Tra-miner che la celebre so-

prano fece impiantare sulCucco nell’ormai lontano1932.Com’è noto, il “Trami-ner” è vino storico e tipi-co, per quanto riguarda ilnostro Paese, solodell’Alto Adige e si distin-gue in modo inconfondi-bile per l’aroma e il carat-teristico colore dorato.Un vino che Toti scoprì aLondra e che volle, tantofu il suo stupore davanti aquei calici dolcissimi eprofumati, produrre poinel suo podere.Delle viti Traminer suicolli di Refrontolo Anto-nio Della Colletta nesentì più volte parlare

dalla mamma, che avevaun’osteria in quel di Fon-tigo. Antonio che non di-ventò mai un oste – diceche non ne aveva la stof-fa! –, restò comunque nelmondo del vino, diven-tandone un pluridecoratointerprete, in special mo-do di Prosecco, Verdiso eMarzemino, ma anchedel Traminer di Toti, dalcui ex podere continuatutt’oggi a comperarel’uva.«La resa degli 11 mila e500 metriquadri in loca-lità Cucco è bassa – spie-ga Renato Della Colletta,che assieme alla sorella eal padre Antonio è titola-

re della “Valdella” –, vuoiper la natura stessa delTraminer che per l’etàdel vigneto, cosicché 60ettolitri all’anno sono pernoi già un buon traguar-do». Il Traminer della famigliaDella Colletta è un vinotranquillo che fa 13 gradie che ha un residuo zuc-cherino dal 2,5 al 3 percento. Un vino da fine pa-sto, che non ha necessa-riamente bisogno di bi-scottini per dare il megliodi sé. Insomma, come di-cono intenditori e profa-ni, «da far pì bona la bocadopo magnà».

Mario Sanson

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I L L U S T R A T A

Il Traminer della TotiSQUISITO VINO DI REFRONTOLO

La famiglia Della Colletta ne produce 3 mila bottiglie

Toti Dal Monte

«Ancor oggi, d’inver-no, nelle case dei

contadini – ricorda Giam-piero Rorato ne “La gran-de cucina della Marcatrevigiana” – è possibileammirare lunghe coronedi figadei… un solido le-game con le più sa-ne tradizioni dellaMarca e con quellaciviltà contadinanella quale, nono-stante apparenze di-verse, è ancora sal-damente radicata lavita dei trevigiani».I figadei sono “ro-ba” ben diversa dal-le luganeghe trevi-sane, ammonisce

l’ultra ottantacinquennesior Piero da Scomigo,che, fra i tanti mestieri,ha fatto pure il “porzeler”(norcino) nelle campa-gne di Conegliano e SanGiacomo di Veglia.I figadei, quelli veri si in-tende, racconta ancora

sior Piero, sono fatti inprimis di fegato di maia-le, che va macinato insie-me a poca carne di sottocosta e a del polmone delmedesimo suino macella-to.Il macinato, una voltauscito dalla “macchina”,va salato e pepato secon-do l’usanza di casa e poisubito impastato con le

mani. Non restaora che insaccarein un unico budel-lo che viene “stroz-zato” da una lega-tura di spago ogni10-15 centimetri fi-no a formare laclassica e lunga“corona”.I figadei «vannoconsumati – scriveAldo Toffoli ne “Le

ricette inutili” – subito ap-pena fatti. Tempo massi-mo: un mese di età (el fe-gato, dopo un mese, di-venta rànzego). Si fannoin técia, con un po’ (pòcpòc) di olio, o anche solocon un po’ di vino bianco.Si possono lasciare interi(con l’avvertenza di bu-carli un poco con unpiròn) o farli aper ti ametà, tagliandoli da unaparte per il lungo. E siportano in tavola quandosono ben rosolati. Si ac-compagnano, ovvio, allapoènta , anchebrustolada».Anche Giampiero Roratodice di portare in tavola ifigadei con “polenta, siaquella tenera caldissimache quella arrostita”, ma“molto meglio se unisciuna bella porzione di ra-dicchio di campo conditocon un soffritto di lardo”.Il vino principe di questopiatto “alla vecchia ma-niera” è senz’altro un belRaboso Piave che abbiaperò riposato in botti dilegno per almeno tre an-ni.

24 L’AZiONe 9 dicembre 2002

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C’è “muset & muse-to”. Quest’ultimo

(cotechino) lo si può tro-vare in special modo neigiorni de marcà,da fiere eda sagre nelle vecchieostarie de Treviso lessatoe servito caldo a fette sudischi di polenta.Per i puristi il vero “mu-set” è l’insaccato che vie-ne fatto con le carni toltedal muso (il “musum” deltardo latino) del maiale edi cui si ha documenta-zione già dall’VIII secolodopo Cristo. Insomma«un cotechino di testa. In-saccato – precisano Fer-nando e Tina Raris ne “La

Marca gastronomica”,Treviso, Vin Veneto edi-tore, 1992 – confezionatocon la testa del suino, pri-vata della lingua, sbollen-tata, disossata, macinatae mescolata con il 30 percento di carne magra, sa-le e droghe. Si consumaentro pochi mesi e simangia sempre cotto».La dif ferenza col “cote-chino”, detto più di quan-to si pensi anch’esso“muset” o “musèto”, «in-saccato confezionato –commentano ancora i co-niugi Raris – con il 70 percento di cotenna macina-ta fine, con il 30 per cento

di carne magra di suino,sale e droghe».Come il “muset” anche il“museto”, o per megliodire il “codeghino”, vaconsumato entro pochimesi, e si mangia semprecotto. «El muset è prota-gonista da secoli – scrive

Aldo Toffo-li ne “Le ri-cette inuti-li”, VittorioVeneto, Da-rio De Ba-stiani edito-re, dicem-bre 2000 –della cuci-na vittorie-se. Lo simangia les-so e, per-ché sia ve-

ramente all’altezza, dopocotto deve pètar».«I contorni ideali – conti-nua Toffoli – sono el purèo le vèrze in tècia. L’acco-stamento più noto e tradi-zionale è con la minestrade fasòi».

Figadei e musetPIATTI CHE HANNO FATTO STORIA

Sono i somboli della nostra gastronomia

Tra muset e cotechino

I figadei in técia

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I L L U S T R A T A

Ad Armando Zanot-to di Coneglianogli è riconosciuto

da più par ti d’essere“cuoco eccelso per crea-tività”, dote che coltivafin da ragazzo, e consuccesso. Armando Za-notto inanella poi «il me-rito – e qui a dirlo sonogourmet regionali e na-zionali – di avere intuitola sbalorditiva potenzia-lità del radicchio rossodi Treviso e di quello diCastelfranco, dedican-dovisi in continue nuovericerche, fino a trasferiredefinitivamente l’armo-nica fusione dei saporinella severa cultura dellacucina veneta».Questo suo malcelatodebole per il “fiore che simangia” è poi sfo-ciato nel suo “Il ra-dicchio in cucina”,sontuosa carrellatadi 617 ricette a basedi radicchio rossodi Treviso e radic-chio di Castelfran-co, un vero best sel-ler arrivato ormai al-la sua quinta edizio-ne. Opera che meri-terebbe però quan-to prima un’adden-da, in special mododopo il trionfale suc-cesso de “La passa-tina di fiori d’inver-no cotti in una ele-ganza di bollicine vi-branti, chiamateProsecco”, con cui

Armando stupisce e me-raviglia i commensaliche convengono nel-la sua “maison”.La sostanza, sottola “poesia” del no-me dato a questapor tata, è tout-cour t una zup-pa… ma – e qui civanno a fagiolotutta la sorpresa etutto lo stupore de-gli ospiti di Armando– di Prosecco spuman-te, e per giunta dei mi-gliori!L’idea ad Armando è ve-nuta ripercorrendo isuoi anni giovanili, quan-do i vecchi di casa ai “ri-si in brodo di gallina”,ma con molto brodo epoco riso, vi versavano

so-pra un bicchiere di Ra-boso, di quello, per in-tenderci, per niente “do-mato” dall’invecchia-mento!Passare “alle vie di fatto”è un tutt’uno, complice

ancora il malcelatodebole per il “fioreche si mangia”… equesta volta col Pro-secco al posto delRaboso, dato chedalle terre del PiaveArmando si è datempo trapiantatosulle colline di Cone-gliano.Veniamo dunque al-la ormai famosa, an-che se neonata,“zuppa di Prosecco”.«Si prende uno spu-mante Prosecco, me-glio se extra dr y,perché – commentaArmando – è la ver-sione che combinal’aromaticità varieta-

le con la sapidità esaltatadalle bollicine, e si fa

bollire come fosseun “brulè”, ma sen-za spezie e neppu-re zucchero. Siuniscono allabollitura, e inparti uguali, delradicchio di Tre-viso rosso tardi-

vo e del radicchiodi Castelfranco va-

riegato, e si continuacosì ancora per una de-

cina di minuti, ma a fuo-co “dolce”. Si aggiusta disale e pepe bianco maci-nato al momento, con uncolpetto di noce moscatasulla grattugia a cotturaavvenuta. Si frulla quindiil tutto fino a quando nonappare una zuppetta leg-germente addensata».«Aggiunto un po’ di bur-ro, la “zuppa di Prosec-co” è bell’e pronta – ag-giunge ancora ArmandoZanotto – e va servita su-bito in tavola ben calda,accompagnandola, a pia-cere, con qualche crosti-no anch’esso ben caldo».E come vino? «Natural-mente – conclude ilgrande cuoco coneglia-nese – un bel ProseccoDoc di Conegliano-Val-dobbiadene SpumanteExtra dry!».

Radicchio rosso e ProseccoPER UNA IMPAREGGIABILE ZUPPA

La ricetta è del noto cuoco Armando Zanotto

Armando Zanotto

30 L’AZiONe 9 dicembre 2002

I L L U S T R A T A

Qualche ora passatasopra la cucinaeconomica di un

tempo, tagliate a listarel-le di un centimetro, a bol-lire dentro una vècia sta-gnada, rimestate di tantoin tanto, cotte nel brodoassieme alla carne (fattocon la parte del manzopiù buona, il muscolo o lapunta di petto) qualcheosso e un mazzetto di er-bette aromatiche chiusedentro un sacchetto digarza. Stiamo parlandodelle tripe, etichettate permolto tempo come cibopovero, e ora, che tuttosta cambiando con velo-cità informatica, le trovia-mo servite come piatto ri-cercato della tradizionelocale, forse perché nellecase si fanno molto me-no. Bisogna saper sce-gliere, meglio quelle divitello o di sorana (gio-venca), ma buone anchequelle di maiale, meglioancora se si ha la fortunadi comprare quella partechiamata zènto carte e co-munque tutte devonoavere una caratteristicaper essere speciali: le de-ve petàr (appiccicare) do-po cotte.

«Quando la stagione di-venta fredda e la rugiadabrina, al mattino nel Tre-vigiano si usa consolarsiil cuore, attraverso lo sto-maco, con una zuppa cor-roborante. Trippa delconsolo o del ristoro of-ferta, al mattino, nei gior-ni felici degli sponsali...ed è come l’inizio di un ri-tuale gastronomico chedura poi per l’inte-ra giornata» scriveMaffioli nei suoi li-bri di ricette. E Al-do Toffoli, nel suo“Ricette inutili” as-sicura che era cosìanche in quel diVittorio Veneto.“Oggi trippe”, unbel cartello postoal di fuoridell’osteria segna-lava che in quelgiorno gli avvento-ri avrebbero avutoil piacere di gu-starne una bea su-piéra e magari piùdi una (dipendevada quanto freddoavevano!). Ogni lunedì matti-na, giorno di mer-cato a Vittorio Ve-neto, alla fine delle

contrattazioni e per sug-gellare un contratto, o so-lo per il freddo che si infi-la nella gola di Serravalle,chi vi andava si infilavaanch’esso in una delleosterie per «gustarsi unbuon piatto de tripe – rac-conta Ido Da Ros,anch’esso cultore dellatradizioni locali –. Ma an-che altre erano le occa-

sioni che invogliavano amangiarle, come il 15agosto alla fiera degli uc-celli, e la vigilia di Natale.Per fare ancora di più no-stra la tradizione, il primogiorno dell’anno a mez-zogiorno mi ritrovo daanni con un gruppo diamici per mangiare letrippe, non importa se inbrodo o alla parmigiana

(venuta in uso piùtardi). Ovviamenteper seguire il motto:chi ben comincia…A parte gli scherziqueste giornate stan-no scomparendo. Igiovani seguononuovi miti, sono di-ventati esterofili equindi bisogna diredavvero bravi aquanti mantengonoquello che in altriluoghi già si è perso.Anzi, direi che a Vit-torio Veneto si resi-ste impavidi rispettoa tanti altri, si man-tengono i nostri riticulinari e in tante vè-cie osterie si gustaancora l’indimentica-bile sopa co e tripe».(IM)

Tripe, da cibo poveroA PIATTO RICERCATO DELLA TRADIZIONE

Si gusta nelle vecie osterie di Vittorio

31L’AZiONe 9 dicembre 2002

I L L U S T R A T A

Per i cultori dei sapo-ri, del profumo diradici popolari,

dell’ambiente di un tem-po e della storia di cui so-no testimoni arredi e sup-pellettili, la vicenda deltrasloco dell’antica oste-ria “Al Ponte” all’inizio divia Garibaldi è stata em-blematica.L’osteria si trovava sullastrada, a ridosso dellachiesa di Santa Caterina,e – per essere aperta efrequentata – aveva ne-cessità di altra collocazio-ne, nel rispetto delle sue

caratteristiche di am-biente storico e popolare.Alla fine ha aperto allasua affezionata clientelae ai molti giovani in cercadi ambienti caratteristiciin via Marco d’Aviano,non senza aver affrontatocontrasti con gli inquilinidelle residenze adiacentiche non volevano tale in-sediamento apportatore,secondo loro, di disturbialla quiete della zona.La città cerca la tranquil-lità, teme gli schiamazzinotturni, teme i vivaci ri-trovi giovanili… Ma la

Le antiche osterie di ConeglianoGLORIOSI E POPOLARI RITROVI

Baluardi di autenticità e di sapori di un tempo

stessa città cerca anche iluoghi delle sue radici po-polari, i posti che hannofatto la storia delle tradi-zioni della gente più ge-nuina.Così ci si accorge che iluoghi rimasti intatti so-no pochi, i luoghi ammo-dernati con gusto e nel ri-spetto dell’ambiente ori-ginario sono ancora me-no. In un immaginario itine-rario da porta Leone odel Monticano, il primoincontro è con l’osteria“Due spade” aperta nelleore serali, ritrovo di arti-sti e di gruppi musicali,apprezzata per la sua eno-teca e per gli stuzzichinirustici della casa. Arreda-mento originale e caricodi storie.Dentro la porta e fino apiazza Cima, non c’è piùtraccia di alcuni ritrovigloriosi come la trattoria

“dalla Alba Dini”, l’oste-ria Fruscalzo, e altri.In piazza, rimesso a nuo-vo riproponendo vecchiarredi e riscoperte archi-tetture c’è l’osteria “Caffèteatro” dove Rino Bosca-rato propone vini tipici esaporite pietanze.Lì vicino, la trattoria “allaStella” è il cuore della cu-cina stagionale venetaper la città. Il Cibe e lesue sorelle accolgono co-neglianesi e foresti conl’ospitalità della gentesemplice, mentre lamamma instancabile se-gue pentole e fornelli dadove vengono odori dafar resuscitare un morto.Perso “El canevon” alDuomo – oggi sala papaLuciani – la trattoria“all’Oca Bianca”, pur ri-messa a nuovo, conservaintatta la sua capacità diessere osteria popolare eluogo di lenta preparazio-

ne di piatti tipici della no-stra cucina.Fuori porta Dante, occor-re arrivare fino alla nuovasede dell’osteria “Al pon-te” per ritrovare gli stessiambienti del centro stori-co.E poi, ultimo baluardo diautenticità e di sapori diun tempo, occorre fareun salto all’osteria “Alleanarete” vicino al Cavalli-no. In una vecchia casa,la osteria “Alle anarete”,

con le sue stanze dove sidegusta una quantità divini selezionati della ter-ra del Piave e con i suoipiatti tipici, offre un’ospi-talità di altri tempi.Al centro storico di Cone-gliano manca però unambiente caratteristico,un po’ osteria tipica e unpo’ enoteca dove cone-glianesi e foresti possonoacquistare vini e altri pro-dotti tipici della nostraterra. (SD)

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La città di Vittorio Ve-neto va famosa an-che per le sue vec-

chie e storiche osterie,oggi “finite” nelle “Osta-rie de Marca” di AdrianoFavaro. Una storia perimmagini stampata loscorso novembre dalleedizioni Pietrobon diFontane di Villorba.«Parli di osterie con gliamici, di fronte ad unbuon bicchiere e scopriche, un discorso tira l’al-tro – commenta l’autore–, ti trovi a discutere ditutto quanto il nostro

mondo veneto, della no-stra storia, delle nostretradizioni, di mestieri delpassato, in definitiva del-la nostra cultura. Ma èdavvero così: osterie,buona cucina, ottimo vi-no, canzoni, mestieri, tra-

In un libro di Adriano FavaroLA CULTURA DELL�OSTERIA

Contiene foto risalenti a inizio ‘900

Sulla destra l’antichissima trattoria“Alla Cerva” in piazza Flaminio aSerravalle. In primo piano la ma-celleria con l’esposizione delle car-ni. Fast, Fondo Marino (tratto da“Ostarie de Marca” di Adriano Fa-varo – Edizioni Pietrobon)

(segue a pagina 37)

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dizioni e cultura veneta,sono legate tra di loro piùdi quanto si possa crede-re».Adriano Favaro con que-st’opera ripropone anchealcuni cenni sulle osteriee trattorie trevigiane ri-cordate da Chino Erma-cora nel suo libro “Il vinoall’ombra” del 1942, incui troviamo, fra l’altro,una Vittorio Veneto delleosterie del tutto singola-re e sicuramente oggi inbuona parte dimenticata.«La cittadina, linda comeuna sposa – appunta Er-macora –, può accogliertionorevolmente nel foco-lare del suo albergo Ter-me, dove ti sarà concessodi accostarti ai vini dellazona (oltre ai bianchi, aun Merlot e a un Pinotrosso che se l’intendonoa meraviglia con lo spie-do autunnale). Più mode-stamente, ma con tutti isaporosi attributi dellacucina locale, può acco-glierti la trattoria “al Mo-retto”, dove non saprai sepiù ammirare la sapienzagastronomica del pro-prietario o la fresca gra-zia della sua figliola, chereca in tavola vini e cibieccellenti (chiedile, condiscrezione, il Torchiato

di Fregona, e saprai co-me si deve chiudere im-peccabilmente il pasto:«Un vino passito che ag-giunge un riflesso di opa-le al monile paesaggisti-co che adorna la città diSanta Giustina»).«E ancor più modesta-mente può accoglier ti,per il bicchiere della staf-fa – continua ancora Chi-no Ermacora –, l’osteria“al Forno” che s’intendenel palazzo Trojer. L’an-nunzia una fuga di fine-stre gotico-veneziane delprimo Quattrocento, almodo stesso che un ver-de corteggio d’alberi an-nunzia e protegge l’alber-go Terme. Deve il nomealla sua funzione: è infattiil vestibolo d’un forno.Pane e vino, qui dentro.Si beve, nel pomeriggio,al tavolo stesso che serveper gramolare la pasta,avvolti dal profumo delpane sfornato. “Io ridirvinon so quanto mi piace /il vin d’un anno con il pand’un giorno” ripeterebbeil Pascoli in questo can-tuccio, dove madia e ca-ratello vi fanno buonacompagnia. L’oste-for-naio, se solleticato nelsuo amor proprio, ti faràassaggiare un delicato vi-no bianco di Valdobbia-dene». (MS)

(segue da pagina 35)

Tra Ceneda e Serravalle

TRE OSTERIEDAVVERO �DOC�

Da Peo, Checchina e Vecchia Serravalle

“Da Peo”, osteria d’arte nel cuore di Serravalle

Da Peo si può andare anche solo per guardare: allepareti infatti una mostra continua, con artisti loca-

li che si alternano. È il giustoomaggio a Delfino “Peo” Varnier.Furono i suoi genitori, a fine Otto-cento, ad aprire l’osteria sotto i por-tici di Serravalle; una targa all’en-trata posteriore, sul Meschietto, ri-corda che qui era anche la casa diPeo. Che fu pittore insigne, e il suolocale cenacolo di artisti, che goz-zovigliavano, chiacchieravano,creavano.Come fanno anche i clienti di ades-so: habitué serravallesi, ma anchedi passaggio o forestieri, che sonoqui mattina e sera: per i cicchettiche accompagnano i vini della for-nita cantina («quanti ne abbiamo?Guardati intorno…» dice l’ostes-sa), o anche a pranzo e a cena: cu-cina saporita fiera delle trippe e delbaccalà mantecato.

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«Èda poco chesto dietro ilbancone, pri-

ma facevo questo mestie-re da cliente»: parolespontanee che rivelanosubito la passione diGeppo Dalla Costa per leosterie. Dopo aver lavo-rato a lungo alla radio enelle discoteche (e dafrequentatore di oste-rie), dal 1997 il vittoriesegestisce la “Vecchia Ser-ravalle”. Questo è il no-me ufficiale, in realtà pertutti è “da Geppo”, esat-tamente come avevasempre preso nome dalgestore fin dalla nascita,presumibilmente tra laprima e la seconda guer-ra.

Geppo sembra nato perfare l’oste: robusto, unpo’ sudato, estroverso,sembra nel suo habitatnaturale con sigaretta inbocca e birra in mano…un perfetto padrone dicasa. «E qui i clienti sonosempre gli stessi, ormaisiamo come una fami-glia»: gli anziani che cia-colano e giocano a cartepomeriggio e sera, maanche, alla mattina, glistudenti dell’attiguascuola alberghiera, chevengono a bere, ma forseanche a rubare trucchidel mestiere. Come adesempio la porchetta,preparata nella cucinadel locale, o il celebrespiedo, piatti forti dellesporadiche cene. «Maqueste sono più una cosatra amici: nel locale nonpotrei servire più di 20persone, e queste le tro-vo subito».

“Vecchia Serravalle”:

Geppo e la sua famiglia, i clienti

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In principio era Fran-cesca Petterle, ge-store: è lei la “Chec-

china” a cavallo che dail nome all’osteria di viaToti. Nata nel 1925, èoggi l’ultima osteria ri-masta a Ceneda. Dopodue anni di chiusura,nel 99 i tre soci della Lu-cullus l’hanno acquisitae rinnovata radicalmen-te («sono rimasti solo imuri por tanti...» rac-contano) creando par-cheggio, dove primac’erano le piste dellabocciofila, e giardino-veranda. All’interno, unnuovo massiccio banco-ne bar, e moltissimi ta-voli di legno, in larghispazi. Ora af follano“Checchina” i pensiona-ti cenedesi alla mattina,ma anche chi capita apranzo o a cena; giovanie gran pienone venerdìe sabato sera, oltre aglionnipresenti appunta-menti con il calcio inpay-tv; fra gli “special”,qualche compleanno inosteria, e sporadici (ilsolito problema dei vici-ni…) concerti dal vivo.La cucina si autodefini-sce molto casalinga ,piatti robusti che varia-no ogni sera secondo lastagione e l’estro dellacuoca; in cantina unacinquantina di vini, ri-gorosamente italiani,ma anche, strano perun’osteria, ricca offerta

di birra, con laG u i n n e s s

come regi-na. (TB)

Quasiottant’anni di

storia per l’ultima osteria

di Ceneda

Come in un sentierodel gusto e delbuon bere, le oste-

rie e trattorie tipiche diConegliano si snodanolungo un percorso linearee ben definito, che parteappena dopo l’Ospedale,attraversa l’intero centrostorico e si conclude nelquartiere Lourdes.Partendo con la nostraselezione da sud, nelquartiere del Cavallino,entriamo all’Osteria “Alletre anerette”, la cui na-scita risale a fine ‘800, co-me altri locali che incon-treremo più avanti. Il lo-cale di via Gera 7, gestitoda dodici anni a questaparte da Cristiano Avanzie Michele Vendraminet-to, propone alla sua varie-gata clientela stuzzichinidelle specie più disparate,ma quello che va vera-mente forte è il bicchieredi Prosecco, abbinato allaporchetta e ad altre preli-

batezze. La clientela co-pre tutto l’arco della co-munità, dagli anziani chesono soliti radunarsi nelcaratteristico interno conmobili antichi alla matti-na, fino ai giovani chefanno capolino la sera. Proseguendo nel nostropiccolo viaggio della Co-negliano che si prendeuna pausa durante il pro-

verbialmente intenso la-voro, eccoci all’Osteria“Al Ponte”, o meglio alledue osterie: quella vec-chia, famosa perché l’in-gresso dà direttamentesu via Garibaldi, che hachiuso i battenti non mol-ti mesi fa; e quella nuova,che ha sede nella – nuovaa sua volta – via PadreMarco d’Aviano, la stradapedonale che congiungevia Diaz e via Cavour –Garibaldi. Nella nuova se-de, dove “vivono” mobiliancor più vecchi dellastessa osteria, nata all’ini-zio dello scorso secolo,Paolo de Vido accoglieuna clientela molto varie-gata e senza limiti di etàche può gustare, oltre aivini tipici della nostra zo-na, anche i vini dolci me-ridionali: la tradizione dioffrire agli avventori Pas-sito, Zibibbo e Malvasia,nata nel dopoguerra, pro-segue tuttora. Al pianosuperiore del nuovo loca-le, un pianoforte è a di-

sposizione dei clienti chelo (sanno e) vogliono suo-nare. Da notare il banco-ne e la vetrina, due “si-gnori” che hanno sullespalle ben più di un seco-lo di onorato ser vizio.Ogni angolo della nuovasede de “Al Ponte”, ten-gono a precisare i gestori,ricorda la vecchia sede,che dista dalla nuova solopochi passi.Entrando in ContradaGranda, incontriamo latrattoria “Oca Bianca”,gestita dal 1955 dalla fa-miglia Modolo. Anchel’attuale gestore, come isuoi colleghi conegliane-si, accoglie nell’elegantelocale, sotto i portici di viaXX settembre prima di ar-rivare al Duomo, unaclientela estremamentevariegata. «I miei clientisono tutti e nessuno» cispiega. Molti sono sicura-mente coloro i quali si ri-volgono all’”Oca Bianca”per cene a base di pesce,ma non di soli prodotti it-tici vive il locale, che oltread un’ampia scelta di vinipropone anche polpette estuzzichini vari.Molti sbagliano, involon-tariamente, il nome diuno dei locali più noti diConegliano, il “Caffè AlTeatro” che si affaccia suPiazza Cima. Per molti,soprattutto giovani, èsemplicemente il “CaffèTeatro”, se non addirittu-ra solamente “Il Teatro”.Il locale, che oggi propo-ne i servizi di osteria e ri-storante con cucina casa-linga, era nato già prima

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Un percorso tutto specialeALLA SCOPERTA DEL BUON BERE

A Conegliano dall’Ospedale al quartiere Lourdes

del 1900: lo testimoniano,secondo il gestore RinoBoscarato, alcune vec-chie cartoline. Anche quila clientela non è esclusi-vamente formata da un“target” preciso, ma sacatturare diverse tipolo-gie di persone: dagli im-piegati del centro chescelgono il “Teatro” per laloro pausa caffè o aperiti-vo, agli studenti e, soprat-tutto la sera, i giovani. An-cora caratteristico, nono-stante la ristrutturazionetotale compiuta una deci-na di anni fa, è la trattoria“Stella” di via Accade-mia, che dista dal CaffèTeatro solo una trentinadi passi. Ex convento SanFrancesco, ora “Master-Campus” della Fondazio-ne Cassamarca. Nato an-ch’esso i primi del ‘900,“Stella” è gestito da qua-rant’anni dalla famigliaSilvestrin. La trattoria ha

nel baccalà alla vicentinala propria specialità, cherisulta par ticolarmenteseducente per i turisti,una categoria che rappre-senta una fetta importan-te della clientela di “Stel-la”, che ospita comunqueanche numerosi cone-glianesi e che in passato,in occasione della DamaCastellana, ha proposto aisuoi avventori anche Me-nu rinascimentali.Ma il giro non può che

proseguire lungo tuttaContrada Granda, conuna sosta quantomenoall’Osteria “Corona” divia Beato Ongaro e alle“Due Spade”, appenadopo Porta Monticano,prima di girare a sinistraed incrociare, dopo alcu-ne centinaia di metri,l’osteria “Tre corone”,nota anche per il suo boc-ciodromo.

Luca Anzanello

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