Effetti di strutturazione di materiali a base di ossidi ... · La scienza non esclude gli errori;...

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Università degli Studi di Trieste Sede amministrativa del Dottorato di Ricerca XXII Ciclo della Scuola di Dottorato di Ricerca in Scienze e Tecnologie Chimiche e Farmaceutiche Effetti di strutturazione di materiali a base di ossidi inorganici di tipo “aerogel-like” per applicazioni nel campo di catalisi e di isolanti ad alta efficienza. Settore scientifico-disciplinare: CHIM/03 Dottorando Elena Padovese Direttore Scuola di Dottorato di Ricerca Chiar.mo Prof. Enzo Alessio Università degli Studi di Trieste Relatore Chiar.mo Prof. Jan Kašpar Università degli Studi di Trieste Correlatore Dott.ssa Roberta Di Monte Università degli Studi di Trieste ANNO ACCADEMICO 2008-2009

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Università degli Studi di Trieste Sede amministrativa del Dottorato di Ricerca

XXII Ciclo della

Scuola di Dottorato di Ricerca in Scienze e Tecnologie

Chimiche e Farmaceutiche

Effetti di strutturazione di materiali a base di ossidi inorganici di tipo “aerogel-like” per applicazioni nel campo di catalisi e di isolanti ad alta efficienza.

Settore scientifico-disciplinare: CHIM/03

Dottorando

Elena Padovese

Direttore Scuola di Dottorato di Ricerca

Chiar.mo Prof. Enzo Alessio Università degli Studi di Trieste

Relatore

Chiar.mo Prof. Jan Kašpar Università degli Studi di Trieste

Correlatore

Dott.ssa Roberta Di Monte Università degli Studi di Trieste

ANNO ACCADEMICO 2008-2009

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La scienza non esclude gli errori;

anzi, talora sono proprio questi a portare alla verità.

(Jules Verne)

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RINGRAZIAMENTI.

Al termine di questo mio entusiasmante percorso di formazione, della

durata di tre anni, desidero sinceramente ringraziare tutte le persone che

hanno partecipato e mi hanno aiutato:

• il Prof. Jan Kašpar, per avermi dato l’opportunità di sviluppare

dei progetti molto interessanti e per avermi seguita con

costante dedizione durante questi tre anni

• la Dr. Roberta Di Monte, per avermi affiancata nei momenti di

difficoltà, per la disponibilità concessami fin dall’inizio, per i tanti

insegnamenti e consigli

• il Dr. Roberto Dario (Serichim S.r.l.), per avermi dato

l’opportunità di vivere un’esperienza indimenticabile in azienda

chimica

• il dott. Andrea Acanfora (Colombin S.p.a.), per aver

partecipato al progetto sulla decontaminazione delle acque

industriali e per avermi costantemente rifornito di materiale per

la sperimentazione

• il Prof. Paolo Bevilacqua e la dott.ssa Chiara Campailla, per

avermi coinvolto nello studio sulla decontaminazione del

percolato di discarica

Desidero ringraziare inoltre tutte le persone che, con la loro allegria e

simpatia, mi hanno sempre incoraggiata nei momenti più difficili e mi

hanno dimostrato la loro fiducia durante quest’anno di duro lavoro.

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Sommario

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1

Sommario

1 Introduzione. .............................................................................................................................. 5

1.1 Ossidi metallici nanostrutturati. ........................................................................................ 5

1.2 Nanomateriali e sicurezza. .............................................................................................. 6

1.3 Metodi di preparazione di materiali nanostrutturati a base di ossidi. ............................... 8

1.3.1 Metodi ceramici. .......................................................................................................... 9

1.3.1.1 Sintesi allo stato solido. ........................................................................................ 9

1.3.1.2 High energy ball milling. ....................................................................................... 9

1.3.2 Metodi termici. ........................................................................................................... 10

1.3.2.1 Metodo Pecchini (formazione di resine mediante complessanti organici) .......... 10

1.3.3 Metodi termici: flash combustion, flame hydrolysis ................................................... 11

1.3.4 Spray drying .............................................................................................................. 11

1.3.5 Sintesi idrotermica ..................................................................................................... 11

1.3.6 Metodi di sintesi di ossidi nanostrutturati con utilizzo di “wet chemistry”. .................. 12

1.3.6.1 Precipitazione diretta e inversa (step 1). ............................................................ 13

1.3.6.2 Sintesi sol-gel (step 1) (23). ................................................................................ 14

1.3.6.3 Sintesi con microemulsioni (step 1). ................................................................... 18

1.3.6.4 Ageing (step 2). .................................................................................................. 19

1.3.6.5 Rimozione del solvente (step 3). ........................................................................ 20

1.3.6.6 Il trattamento termico (step 4). ............................................................................ 24

1.4 Applicazioni. .................................................................................................................. 25

1.5 Ossidi metallici per isolamento termico: gli aerogel. ...................................................... 26

1.5.1 Applicazione degli aerogel come termoisolanti. ........................................................ 29

1.5.2 Modalità di assemblaggio e proprietà di materiali nanostrutturati. ............................. 34

1.5.3 Modelli teorici per il calcolo della conducibilità termica.............................................. 36

1.5.4 L’ossido di alluminio. ................................................................................................. 42

1.6 Ossidi metallici per applicazione in campo catalitico: gli Advanced Photochemical

Oxidation processes (APOs). ...................................................................................................... 46

1.6.1 La fotocatalisi eterogenea. ........................................................................................ 47

1.6.2 Influenza dei parametri di processo........................................................................... 50

1.6.3 Il diossido di titanio. ................................................................................................... 52

1.6.4 Il percolato di discarica. ............................................................................................. 55

1.6.5 Acque reflue provenienti dall’industria del sughero. .................................................. 56

1.7 Scopo della tesi. ............................................................................................................ 58

2 Parte sperimentale: ossidi metallici per isolamento termico. .................................................... 59

2.1 Sintesi di materiali aerogel............................................................................................. 59

2.1.1 Sintesi sol-gel di materiali a base di Al2O3................................................................. 59

2.1.2 Sintesi per impregnazione via incipient wetness di materiali a base di Al2O3. ........... 60

2.1.3 Sintesi di compositi fibra- aerogel. ............................................................................ 61

2.2 Caratterizzazione delle polveri (tessitura/struttura). ....................................................... 62

2.2.1 Fisiadsorbimento di N2 a 77K. ................................................................................... 63

2.2.2 Misura dell’area superficiale (BET)............................................................................ 63

2.2.3 Determinazione della distribuzione dei pori. .............................................................. 64

2.2.4 Diffrazione di raggi X di polveri. ................................................................................. 68

2.3 Determinazione delle proprietà termoisolanti: laser flash method. ................................ 70

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Sommario

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2

2.3.1 Principio di funzionamento. ........................................................................................ 71

2.3.2 Apparato strumentale. ............................................................................................... 74

2.3.3 Procedura sperimentale. ............................................................................................ 75

2.4 Caratterizzazione del gel. ............................................................................................... 77

2.4.1 Misure reologiche. ..................................................................................................... 77

2.4.2 Analisi granulometrica mediante granulometro laser. ................................................ 79

3 Parte sperimentale: ossidi metallici per applicazione in campo catalitico. ............................... 81

3.1 Materiale. ....................................................................................................................... 81

3.1.1 Il percolato di discarica. ............................................................................................. 81

3.1.2 Acque industriali provenienti dall’industria del sughero. ............................................ 82

3.1.3 Catalizzatori. .............................................................................................................. 82

3.1.3.1 Sintesi di materiali a base di TiO2. ...................................................................... 82

3.1.3.2 TiO2 commerciali. ................................................................................................ 84

3.1.3.3 Preparazione catalizzatori strutturati. .................................................................. 86

3.1.4 Fotoreattore in Plexiglass ®. ...................................................................................... 87

3.1.5 Fotoreattore di acciaio inox. ....................................................................................... 89

3.1.6 Fotoreattori di quarzo e di vetro. ................................................................................ 90

3.2 Metodologie analitiche. .................................................................................................. 92

3.2.1 Trattamento dei dati sperimentali. .............................................................................. 92

3.2.2 Il parametro del COD. ................................................................................................ 93

3.2.3 Gas-cromatografia (GC-FID). .................................................................................... 95

3.2.4 Spettrofotometria UV-VIS. ......................................................................................... 97

3.2.5 Titolazione iodometrica. ............................................................................................. 99

4 Risultati e discussione: ossidi metallici per isolamento termico. ............................................ 105

4.1 Stabilità termica, proprietà strutturali e di tessitura di nanomateriali a base di Al2O3. .. 106

4.1.1 Proprietà di tessitura. ............................................................................................... 106

4.1.2 Proprietà strutturali. ................................................................................................. 111

4.2 Proprietà di termoisolamento delle polveri. .................................................................. 113

4.2.1 Standardizzazione della procedura sperimentale di analisi per LFA 447. ................ 113

4.2.2 Sequenza sperimentale. .......................................................................................... 117

4.2.3 Effetto delle proprietà di tessitura su diffusività e conducibilità termica. .................. 118

4.2.3.1 Effetto del tipo di porosità (macro vs meso) sulle proprietà di termoisolamento di

Al2O3. 118

4.2.3.2 Effetto della porosità di tipo meso, a parità di diametro dei pori, sulle proprietà di

termoisolamento. ............................................................................................................... 123

4.2.3.3 Effetto del diametro dei pori nella regione meso, a parità di porosità, sulle

proprietà di termoisolamento. ............................................................................................ 126

4.2.4 Effetto delle proprietà dei grani e di aggregazione su diffusività e conducibilità

termica. 127

4.2.4.1 Effetto della dimensione dei grani su diffusività e conducibilità. ........................ 127

4.2.4.2 Effetto dell’aggregazione di tipo soft vs hard su diffusività e conducibilità termica

di Al2O3. 130

4.2.5 Considerazioni conclusive. ...................................................................................... 140

5 Risultati e discussione: compositi fibra-aerogel per applicazioni con termoisolanti. .............. 143

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Sommario

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3

5.1.1 Sintesi di Al2O3 nanostrutturate: effetto della velocità di agitazione in fase di

precipitazione. ....................................................................................................................... 144

5.1.2 Considerazioni riassuntive. ..................................................................................... 151

6 Risultati e discussione: ossidi metallici per applicazioni in catalisi. ........................................ 152

6.1 Il percolato di discarica (in collaborazione con una discarica e con la regione Friuli

Venezia Giulia). ......................................................................................................................... 153

6.1.1 Messa a punto del processo. .................................................................................. 153

6.1.2 Studi cinetici di foto-decomposizione del percolato di discarica. ............................. 156

6.1.3 Valutazione del costo del trattamento. .................................................................... 167

6.1.4 Considerazioni conclusive. ...................................................................................... 167

6.2 Acque industriali provenienti dall’industria del sughero. .............................................. 168

6.2.1 Studi preliminari. ..................................................................................................... 168

6.2.1.1 Effetto del catalizzatore e del pH in assenza di radiazione. .............................. 169

6.2.1.2 Effetto fotocatalitico. ......................................................................................... 171

6.2.1.3 Effetto della presenza di H2O2 in condizioni di fotocatalisi. ............................... 172

6.2.1.4 Effetto dell’ossigenazione (aria). ...................................................................... 173

6.2.1.5 Effetto del dosaggio di TiO2. ............................................................................. 174

6.2.2 Misure condotte nel reattore pilota in inox. .............................................................. 178

6.2.2.1 Effetto della temperatura e della presenza di H2O2, UV e TiO2. ....................... 181

6.2.2.2 Effetto del dosaggio del catalizzatore. .............................................................. 185

6.2.2.3 Effetto del dosaggio di H2O2. ............................................................................ 186

6.2.2.4 Valutazione di un modello matematico per la parametrizzazione del processo. 190

6.2.3 Considerazioni finali. ............................................................................................... 195

7 Conclusioni generali. .............................................................................................................. 199

8 Riferimenti bibliografici ........................................................................................................... 201

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Introduzione _______________________________________________________________________

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1 Introduzione.

1.1 Ossidi metallici nanostrutturati.

Gli ossidi metallici rappresentano una classe di composti di vasto utilizzo e versatile, il cui

studio si colloca all’interno dello sviluppo di nuovi materiali innovativi e tecnologicamente

avanzati. Grazie alle molteplici proprietà chimico-fisiche e strutturali gli ossidi metallici

trovano numerose importanti applicazioni, per esempio nei campi della catalisi

eterogenea (i.e. trattamento fotocatalitico dei reflui (1), abbattimento delle emissioni di

scarico (2)) e dell’isolamento termico (i.e. edilizia, meccanica ecc.) (3). Da oltre mezzo

secolo in campo scientifico domina ormai l’interesse per i nanomateriali e le

nanotecnologie. L’interesse nasce dal fatto che molto spesso materiali aventi dimensioni

molto piccole dell’ordine dei nanometri possono presentare proprietà chimiche e fisiche

molto diverse rispetto a materiali aventi la stessa composizione chimica ma dimensioni

micro e/o macro. Le nuove proprietà dei nanomateriali possono essere determinate

soprattutto da un aumento del rapporto superficie/volume, che si verifica quando si passa

da particelle di dimensioni micrometriche e macrometriche a particelle aventi dimensioni

nella nanoscala, con conseguente aumento dell’energia di superficie. Le nanotecnologie

raggruppano tutte le attività volte allo studio, progettazione, applicazione di sistemi che

richiedono un preciso controllo delle dimensioni e della forma su scala nanometrica.

I nanomateriali, secondo la definizione del Comitato Tecnico ISO 229 “Nanotechnologies”

(4), si articolano in “nano-oggetti” e “materiali nanostrutturati”:

• I nano-oggetti sono materiali che hanno una, due o tre dimensioni nell’ordine dei

manometri (circa 1-100 nm), e sono classificati come segue (Figura 1):

1. Materiali con una dimensione nanometrica lamellare, film ultrasottili e

superfici di rivestimento;

2. Nanomateriali in due dimensioni: nanofili e nanotubi;

3. Materiali con tre dimensioni nanometriche: nanoparticelle, quantum

dots, punti quantici. Di questa categoria fanno parte anche i materiali

nanocristallini con grani di dimensioni nanometriche (Figura 1).

• I materiali nanostrutturati sono definiti come materiali aventi struttura interna o

superficiale nell’ordine di grandezza della nanoscala.

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Introduzione _______________________________________________________________________

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Figura 1: Classificazione dei nanomateriali secondo le dimensioni.

1.2 Nanomateriali e sicurezza.

La Nanoscienza e la Nanotecnologia rappresentano i pilastri fondamentali della nuova

era industriale. La possibilità e la capacità di operare su scala nanometrica o prossima a

quella atomica, in modo da modificare drasticamente, e secondo le proprie esigenze, le

proprietà di un materiale, la sua morfologia, la crescita, apre le porte ad una nuova

rivoluzione industriale.

Recenti indagini di mercato (NSF National Science Foundation, 2009, Nanobusiness

Alliance, 2009) evidenziano per le nanotecnologie e i nanomateriali una velocità di

crescita annuale globale pari al 15-30% (Figura 2) (5).

Figura 2: Valutazione del mercato globale di nanotecnologie e nanomateriali dal 2001 al

2010. Fonti NSF National Science Foundation (www.nsf.gov), Nanobusiness Alliance

(www.nanobusiness.com ).

0

5

10

15

20

25

30

2002 2003 2008

Year

Sal

es (

€ bi

llion

s)

Nanomaterials Nanotools Nanodevices Total

2001: € 54 billion 2010: € 220 billion

Nanoparticles and Nanocomposites

Ultrathin layers

Measurements & Analysis of

Nanostructures

Ultra-precise surface processing

Lateral Nanostructures

28%

37%

22%

9% 4%23%

44%

24%

6%3%

2001: € 54 billion 2010: € 220 billion

Nanoparticles and Nanocomposites

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Introduzione _______________________________________________________________________

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La sempre maggiore diffusione dei nanomateriali ormai presenti all'interno di centinaia di

prodotti presenti sul mercato, dai cosmetici agli schermi solari, dalle pitture ai componenti

per automobili, ha posto la necessità di estendere le conoscenze in merito all’impatto

ambientale ed ai loro potenziali effetti tossici sull'uomo, che comunque non sono ancora

stati verificati, se non in minima parte. È stato suggerito, per esempio, che alcuni tipi di

nanotubi di carbonio abbiano un’azione analoga a quella dell’amianto, conosciuto per i

suoi effetti cancerogeni sui polmoni (6) (US National Institute of Occupational Safety &

Health, NIOSH).

I principali fattori che determinano la tossicità dei nanomateriali possono essere così

riassunti brevemente (7):

1. L’elevata area superficiale del materiale esposto;

2. La reattività chimica superficiale e la capacità di promuovere reazioni chimiche

che portano alla formazione di specie radicaliche o intermedi molto aggressivi;

3. Le dimensioni fisiche delle particelle che le rendono molto insidiose e capaci di

penetrare all’interno degli organi;

4. La scarsa solubilità che le rende difficili da espellere prima che si verifichino

reazioni tossiche per l’organismo.

Le nanoparticelle, i nanotubi e nano materiali strutturati possono entrare in contatto con

l’organismo secondo le tradizionali vie di contatto: inalazione, ingestione, penetrazione

cutanea ed esposizione oculare. La probabilità di depositarsi lungo le vie respiratorie e

penetrare negli alveoli polmonari è determinata sia delle dimensioni delle particelle che

dalla loro forma. L’ingestione e la penetrazione cutanea risultano essere determinanti nel

caso che si utilizzano miscele di nanomateriali in sospensioni colloidali (creme) o in

soluzioni. Particolare attenzione è volta ai prodotti cosmetici “sunscreens” che utilizzano

materiali fotoattivi e fotocatalitici come TiO2 e ZnO nanoparticellare, in grado di produrre

radicali liberi (7)( www.swissre.com ).

La valutazione di rischi e dei benefici è una fase molto importante nel processo di

sviluppo industriale. Ciò vale per ogni genere di processi e prodotti, sia per quelli “nano”,

che per quelli “micro” e “macro”. I problemi legati alla sicurezza sull’uso dei nanomateriali

e al loro possibile impatto sulla salute ed ambiente sono quelli relativi ai nano-oggetti,

ossia ai materiali disperdibili in singole particelle molto piccole. La maggioranza dei

nanomateriali non esiste come particelle singole, ma come aggregati o agglomerati di

dimensioni maggiori, o, nel caso di materiali compositi, inglobati in una matrice. Questo

richiede tecnologie di studio molto selettive ed influenza in modo considerevole l’impatto

che i nanomateriali possono avere sull’ambiente.

La legislazione riguardante il rischio nell’uso dei nanomateriali comprende una vasta

serie di nozioni volte a regolamentare il corretto controllo dei prodotti chimici, sia in fase

di commercializzazione che già presenti nel mercato (Regolamento (EC) 1907/2006), le

misure necessarie per la salvaguardia e protezione dei lavoratori (Direttiva 89/391/CEE)

e la qualità dell’aria e delle acque (COM(2008)366, Regulatory aspects of nanomaterials).

Il 1 giugno 2007 è entrato in vigore il Regolamento Europeo REACH n. 1907/2006

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8

(Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea L396, 21/12/2006), che concerne la

registrazione, valutazione, autorizzazione e/o restrizione all’uso delle sostanze chimiche

in quanto tali o contenute in preparati. Tutte le sostanze esistenti o di nuova generazione,

prodotte o importate, devono essere inventariate, con l’obiettivo di garantire una più

efficace protezione dell’uomo e dell’ambiente. Il continuo sviluppo dei nanomateriali e

delle nanotecnologie e la disponibilità di nuovi dati rende continuamente necessario il

miglioramento e l’integrazione della legislazione attuale, in particolare per quanto

riguarda la standardizzazione di metodi di certificazione e di metodi di attestazione di

rischio (Federchimica 2009).

1.3 Metodi di preparazione di materiali nanostrutturati a base di

ossidi.

I parametri che definiscono le proprietà di un nanomateriale, e che possono essere

modulate in fase di sintesi sono, tipicamente, le caratteristiche strutturali e di tessitura, la

cristallinità e la composizione chimica. In campo applicativo molta attenzione è rivolta alla

sintesi di ossidi misti. I metodi più comuni sfruttati per la preparazione di solidi

nanostrutturati possono essere concettualmente raggruppati in (8):

• metodi ceramici, come la sintesi allo stato solido e high energy milling, che

avvengono a partire da precursori solidi e tipicamente vengono sfruttati per la

produzione di sistemi sinterizzati, ceramici, tali metodologie, in realtà sono più

adatte per sintesi di materiali a strutturazione con dimensione micro.

• metodi termici (flash combustion, flame hydrolysis, metodo Pecchini, spray

drying, sintesi idrotermica), che si basano sul concetto di ottenere un precursore

distribuito omogeneamente in una soluzione, il quale sia sottoposto ad una

rapida decomposizione termica per prevenire fenomeni di segregazione di fase.

• metodi di sintesi in soluzione (precipitazione e coprecipitazione diretta, inversa,

omogenea, metodo sol-gel, microemulsioni), che permettono un buon controllo

dell’omogeneità del materiale già in fase di precipitazione.

I metodi ceramici e termici, che in genere non assicurano un preciso controllo della

tessitura del materiale, verranno brevemente descritti, mentre saranno approfondite le

metodologie di sintesi in soluzione, in particolare la sol-gel, che costituisce uno degli

argomenti studiati nel presente lavoro di ricerca.

Metodi chimici “umidi”, quali precipitazione e coprecipitazione, sintesi idrotermica o

processi sol-gel, sono largamente utilizzati per la preparazione di materiali

nanostrutturati, in quanto consentono di ottenere solidi con elevati valori di area

superficiale specifica e alta porosità nel campo dei micro-, meso- e dei macropori (9). Il

network solido viene formato via idrolisi e condensazione di precursori molecolari in

soluzione. E’ importante sottolineare che per ogni singolo metodo di preparazione del

materiale, ad esempio la precipitazione, vi sono una serie di parametri che influenzano

pesantemente il processo di sintesi e che devono essere tenuti in dovuto conto

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Introduzione _______________________________________________________________________

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soprattutto in fase di scaling up del processo di sintesi. A titolo di esempio la Figura 3

illustra i diversi fattori che possono entrare in gioco durante il processo di precipitazione.

Precipitate

Anion Aging

Precipitatingagent

Additives

Super-

saturationTemperature

Mixing

sequence

pHSolution

composition

Solvent

phasephase;

purity;

precipitate

composition

purity;

crystallinity;

textural

properties

morphology;

textural properties

phase;

homogeneity

textural

properties

textural

properties;

crystallinity

particle sizes;

rate of precipitation precipitate

composition;

homogeneity

phase;

textural

properties

Figura 3: Fattori principali che definiscono le caratteristiche di un precipitato.

La scelta del metodo di sintesi deve riflettere diversi aspetti, tra cui disponibilità di

precursori, la loro tossicità, scelta del solvente, scelta dell’agente precipitante

(tipicamente si precipita i prodotti come ossidi/idrossidi idrati e quindi il precipitante è una

base: NaOH, KOH o NH3), e non ultimo, ma primario in processi industriali, è l’aspetto

economico dell’intero processo (8).

1.3.1 Metodi ceramici.

1.3.1.1 Sintesi allo stato solido.

Il metodo consiste nel mescolare e macinare insieme le polveri dei precursori, ad

esempio gli ossidi di partenza, e di calcinare la polvere ottenuta ad altissime temperature

(>1400°C), dove la migrazione dei cationi assume una velocità apprezzabile,

permettendo la formazione di soluzioni solide. Tipicamente quindi il metodo è utilizzato

per preparare ossidi misti di tipo ceramico. Spesso la cottura delle polveri viene eseguita

più volte, con macinazione del prodotto intermedio, per assicurare l’omogeneità di fase

(10,11).

1.3.1.2 High energy ball milling.

Utilizzando un mulino ad alta energia, è stato osservato che l’energia trasmessa alle

polveri è cosi elevata da favorire la migrazione dei cationi e la formazione di ossidi misti –

soluzioni solide più o meno omogenee. Il vantaggio del metodo consiste nella semplicità

dell’utilizzo, mentre gli svantaggi sono l’applicabilità su larga scala, l’elevato input

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Introduzione _______________________________________________________________________

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energetico ed infine l’inevitabile contaminazione del prodotto dovuta all’attrito con le palle

del mulino, che sono fatte tipicamente di zirconie drogate (12).

1.3.2 Metodi termici.

1.3.2.1 Metodo Pecchini (formazione di resine mediante complessanti

organici)

La chiave del metodo consiste nel complessare i cationi con dei leganti, come ad

esempio acido citrico, ossalico o tartarico. Riscaldando i precursori, sovente in presenza

di glicoli, si ottiene la formazione di una resina come descritto in Figura 4, con la

formazione di prodotti omogenei ad alta area superficiale mediante una decomposizione

termica generalmente piuttosto rapida. Lo svantaggio principale della metodologia è dato

dalla difficoltà di controllo delle proprietà di tessitura. Il metodo è facilmente applicabile a

ossidi misti, in quanto la formazione della resina favorisce un mescolamento intimo dei

diversi cationi. Tuttavia, la fase di calcinazione può essere critica in quanto se la stabilità

termica dei sali precursori è molto diversa, si può ottenere una decomposizione

sequenziale. Inoltre, poiché vi è un uso di quantità elevate di precursori organici, si

presenta il problema dell’infiammabilità del sistema in fase di decomposizione, che rende

il processo difficilmente controllabile (13).

Figura 4: Reazioni chimiche nella formazione di precursori per polimerizzazione di

precursori complessati con acido citrico.

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1.3.3 Metodi termici: flash combustion, flame hydrolysis

Idrazina, carboidrazide, ossalidiidrazide (ODH), glicina, ovvero composti reattivi

contenenti ossigeno quale comburente, sono utilizzati quali complessanti e quindi

carburante del processo di decomposizione termica che avviene con una combustione

vera e propria. Ad esempio la preparazione di γ-Al2O3 con ODH (C2H6N2O4) o con glicina

(C2H5NO2) avviene con la seguente stechiometria

E’ importante da osservare che vi sono diversi problemi dovuti al fatto che il processo

avviene per combustione, mentre la rapidità del processo e le elevate temperature

raggiunte (il processo è praticamente istantaneo e adiabatico) in genere assicurano la

formazione di composti omogenei e termicamente stabili (14-17).

1.3.4 Spray drying

Il metodo di sintesi spray drying viene spesso utilizzato industrialmente. La soluzione dei

precursori, tipicamente sali dei metalli, viene preparata in presenza di un agente

complessante come l’acido citrico, o altri additivi necessari per ottenere valori di densità

e viscosità della soluzione che siano adeguati allo spray utilizzato. La soluzione viene

nebulizzata contro una parete calda, in modo da assicurare un’istantanea evaporazione

del solvente e la decomposizione del precursore. E’ un metodo vantaggioso per

preparazione di soluzioni solide a causa della decomposizione istantanea del precursore,

ma spesso porta a polveri estremamente fini, difficili da maneggiare (18,19).

1.3.5 Sintesi idrotermica

La sintesi per via idrotermica viene spesso utilizzata quale un passaggio di sintesi come

ad esempio un trattamento del precipitato per ottenere ulteriori trasformazioni del

precursore nel prodotto finale (20), ovvero lo step di ageing del precipitato e/o gel

preparato per processi di “wet chemistry” discussi di seguito. Vi sono diversi processi che

possono avvenire nel corso del trattamento idrotermico, che viene condotto a

temperature elevate (spesso oltre 100°C) in un autoclave. In queste condizioni si forza

l’idrolisi degli acquocomplessi, che tendono quindi a polimerizzare, formando dei

precipitati cristallini (8). Tipicamente le zeoliti vengono sintetizzate per via idrotermica.

Tabella 1 elenca alcune delle trasformazioni che si verificano nel corso della sintesi

idrotermica.

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Tabella 1: Trasformazione nel corso di una sintesi di tipo idrotermico.

From To

Amorphous solid Crystalline solids

Small crystals Large crystals

Small amorphous particles Large amorphous particles

Kinetically favoured phase Thermodynamically favoured phase

High porosity gel Low porosity gel

I fattori che influenzano questo tipo di processo sono pH, temperatura, pressione, tempo

e concentrazione delle specie presenti nel sistema. Tutte le trasformazioni di tessitura e

strutturali elencate in tabella portano verso l’equilibrio termodinamico e quindi, in

generale, trasformano le caratteristiche del prodotto in modo da ottenere una maggiore

stabilità termodinamica rispetto al sistema di partenza.

1.3.6 Metodi di sintesi di ossidi nanostrutturati con utilizzo di “wet

chemistry”.

In generale, le preparazioni di ossidi nanostrutturati attraverso processi in soluzione,

richiedono tipicamente una serie di passaggi, illustrati schematicamente per il processo

sol-gel discusso di seguito in Figura 5. Va sottolineata l’importanza critica di ciascuno

step sulla qualità e sulle proprietà del prodotto. I vari aspetti del processo sono discussi di

seguito, ad esclusione dello step 2 la cui funzione è sostanzialmente quella già discussa

in 1.3.5.

Come si evince dalla figura il processo consiste in varie fasi che includono:

1. Step 1, la formazione del gel/sospensione a partire dal/i precursore/i metallico/i in

soluzione;

2. Step 2, un ageing che tipicamente può essere realizzato a temperatura ambiente

oppure in trattamento idrotermico, come discusso nel paragrafo 1.3.5;

3. Step 3, una fase di rimozione del solvente, che rappresenta uno dei punti critici

dell’intero processo ai fini della strutturazione del prodotto, come verrà discusso

in seguito;

4. Step 4, un trattamento termico la cui funzione è quella di favorire la

cristallizzazione del solido e la definizione della fase cristallina.

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13

Figura 5: Schematizzazione dei vari step che caratterizzano il processo sol-gel.

1.3.6.1 Precipitazione diretta e inversa (step 1).

Nell’ambito del quadro generale del processo di sintesi (Figura 5), le precipitazioni dirette

ed inverse sono aspetti legati essenzialmente allo step 1 di formazione del precursore e

precipitato, industrialmente chiamato “torta” o “cake”.

Due modalità sono più comunemente utilizzate, in base alla natura dei precursori:

l’acquosa, basata su sali inorganici dissolti in acqua, e la metallo-organica, basata su

alcossidi dissolti in solventi organici (21). In soluzione acquosa i cationi formano acquo-

complessi di tipo [M(OH2)N]Z+, questi vanno soggetti a idrolisi in misura diversa,

dipendentemente dalla natura del catione (valenza e dimensione) e dal pH della

soluzione, dando origine a specie solvatate variamente deprotonate. Per reazione

nucleofila di un gruppo OH coordinato al metallo con un altro catione metallico, questi

complessi possono condensare formando degli oligomeri, mediante sostituzione di una

molecola d’acqua nella sfera di coordinazione, o per addizione, attraverso le reazioni di

olazione e ossolazione (21). Si ha la separazione di una fase solida (ossido o idrossido)

quando i precursori che condensano sono elettricamente neutri, e quindi non c’è

step 1

step 2

step 3

step 4

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14

repulsione elettrostatica tra essi. Nel caso dei colloidi, le particelle primarie del precipitato

possono portare una carica superficiale netta, dipendente dal pH della soluzione, che

influenza l’agglomerazione delle particelle (9).

La precipitazione è detta diretta se si aggiunge l’agente precipitante, tipicamente una

base, alla soluzione dei precursori, mentre il procedimento opposto è convenzionalmente

chiamato precipitazione inversa. Rispetto al metodo diretto, l’inverso ha il vantaggio di

essere più adatto alla sintesi di ossidi misti e nanocompositi: infatti, il contatto della

soluzione dei precursori con la soluzione fortemente basica provoca l’immediata

precipitazione degli idrossidi, che risultano quindi omogeneamente interdispersi. Se

invece il pH viene innalzato gradualmente, come avviene con il metodo diretto, si può

verificare una precipitazione frazionata favorendo quindi disomogeneità nel prodotto La

precipitazione inversa, rispetto alla diretta, presenta lo svantaggio di dare origine ad un

precipitato più fine e gelatinoso, con conseguente difficoltà di filtrazione, soprattutto per

materiali contenenti idrossido di alluminio, utilizzato nel presente lavoro.

Nel caso di ossidi metallici misti viene utilizzata la coprecipitazione, diretta o inversa, in

cui viene preparata una soluzione di tutti i precursori intimamente interdispersi, che con la

variazione del pH precipitano simultaneamente, dando origine ad un prodotto omogeneo

con una porosità comune dei vari componenti (22).

1.3.6.2 Sintesi sol-gel (step 1) (23).

Con il termine sol-gel si indica una sospensione colloidale in grado di formare un gel. Il

prodotto poroso ottenuto viene quindi scaldato ad alte temperature, formando ossidi di

elevata purezza. Il gel può anche essere addizionato di sostanze dopanti con lo scopo di

conferire particolari proprietà al solido vetroso ottenuto.

Il processo sol-gel viene sfruttato per ottenere materiali vetrosi o ceramici, ossidi misti e

soluzioni solide. Questo processo implica il passaggio da una fase liquida di sol a una

fase solida di gel. La chimica dei sol-gel rappresenta un approccio notevolmente versatile

per la fabbricazione di una vasta gamma di materiali tra cui polveri ultra-fini, ceramiche e

vetri monolitici, fibre ceramiche, membrane inorganiche, rivestimenti in film sottile e

aerogel (Figura 6).

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Figura 6: Applicazioni del processo sol-gel.

Il processo sol-gel richiede una serie di stadi che è necessario controllare con

accuratezza per ottenere prodotti omogenei e riproducibili (Figura 5). Analizziamo quindi

brevemente i vari stadi che possono essere riassunti in formazione del gel,

invecchiamento dello stesso, rimozione del solvente e trattamento termico.

Idrolisi e condensazione. In un tipico processo sol-gel, a partire da una sospensione

colloidale (il sol), una serie di reazioni di idrolisi e di polimerizzazione portano le particelle

a una nuova fase gel, in cui in una molecola polimerica solida è inglobato un liquido,

generando un sistema a due fasi, liquida e solida, contigue. In particolare, l'idrolisi tende

a generare legami -OH mentre tramite polimerizzazione tali legami tendono a trasformarsi

in nuovi legami -O- (Figura 7) (24).

Figura 7: Reazioni di idrolisi e condensazione coinvolte nel processo sol-gel.

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La velocità relativa delle due reazioni è una funzione del pH del sistema, dove la

condensazione viene favorita a pH elevati (Figura 8). Pertanto il pH svolge un ruolo

fondamentale sul processo in quanto determina le proprietà morfologiche del gel che si

genera in soluzione – precursore del prodotto finale. In generale, idrolizzando a pH acido

si tende ad ottenere sistemi molto reticolati con particelle molto piccole, mentre un pH

alto favorisce l’accrescimento delle dimensioni. L’effetto del pH sulla morfologia delle

particelle disperse nel mezzo acquoso è illustrato in Figura 9 per silice (23).

Figura 8: Effetto del pH sul processo sol-gel.

Figura 9: Polimerizzazione di silica in soluzione acquosa. Il pH basico favorisce la crescita

delle particelle. Un pH acido, o la presenza di sali favoriscono la formazione di gel

tridimensionali.

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Storicamente i primi gel inorganici ottenuti sono stati quelli di silica sintetizzati da

Ebelmen nel 1846, ma nella realtà esistono anche gel a base organica di origine

naturale: per esempio il corpo vitreo degli occhi è un gel naturale (25).

I primi precursori usati nel processo sol-gel sono sali metallici inorganici MXn in cui il

metallo M è legato ad n anioni X. In soluzione acquosa il precursore è presente in forma

di catione solvatato M(H2O)nZ+ che va incontro ad idrolisi e condensazione con

formazione di ponti M-OH-M (olo) oppure M-O-M (oxo) ed eliminazione di H2O secondo i

meccanismi proposti da Livage et al. (1 e 2) (24-26). Egli riuscì a sviluppare un modello in

grado di predire la tipologia di complessi che si formano in soluzione: Tale modello si

basa sugli attacchi nucleofili ed elettrofili che avvengono tra gli atomi in un determinato

stato di transizione, che portano ad una ridistribuzione della nube elettronica.

Un secondo approccio nell’utilizzo di sali inorganici quali precursori vede l’uso di un

solvente organico (ad esempio un alcol) in cui sia disciolto uno scavenger di protoni come

promotore della gelificazione (ad esempio ossido di propilene o un epossido) (25,27). In

questo caso il sale metallico, presente nella forma idrata, viene deprotonato dallo

scavenger, quindi in forma di catione solvatato M(OH)x(H2O)n-x(Z-x)+ va incontro a

condensazione.

La seconda generazione di precursori utilizzati sono gli alcossidi metallici M(OR)n (25).

Essi sono generalmente disponibili in forma di piccoli complessi polimerici, spesso in

soluzione nell’alcol associato. La reazione sol-gel in questo caso avviene in solvente

organico, mentre l’acqua diventa un reattivo aggiunto in modo controllato. L’idrolisi del

precursore porta alla sostituzione dei gruppi OR con OH secondo il meccanismo (3),

seguita da condensazione come nel caso dei precursori inorganici.

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18

1.3.6.3 Sintesi con microemulsioni (step 1).

Uno dei metodi relativi allo step 1, spesso utilizzato nei lavori scientifici, è la sintesi con

microemulsioni. Una microemulsione è un sistema ternario di olio, acqua e tensioattivo

termodinamicamente stabile, con micelle di dimensioni dell’ordine del micro/nanometro.

Le microemulsioni olio/acqua e acqua/olio (inverse) sono ampiamente utilizzate per la

sintesi di particelle aventi dimensioni controllate. Nel caso di microemulsioni inverse i

reagenti vengono confinati nella fase acquosa dispersa in micelle di dimensioni

controllate, che portano alla formazione del solido per collisione, le une con le altre. La

nucleazione che avviene nel mezzo di reazione è un meccanismo cineticamente

controllato, che si arresta non appena viene superato il punto critico di supersaturazione

del mezzo (28).

Concettualmente i metodi di sintesi per microemulsione possono essere suddivisi in:

1. Doppie microemulsioni inverse;

2. Microemulsioni inverse con agente attivante;

3. Microemulsioni inverse a cui è aggiunto un secondo reagente (Figura 10)

(3)

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Figura 10: Sintesi di nanoparticelle per microemulsione: a) doppia microemulsione inversa;

b) microemulsione inversa con agente attivante; c) microemulsione inversa con aggiunta di

un seconde reattivo.

Una delle limitazioni della sintesi per microemulsione è legata alla stabilità delle micelle,

che permette la separazione del prodotto finale solo se si verifica la rottura della struttura.

Si può agire in questo senso mediante la centrifugazione, oppure destabilizzando la

microemulsione con l’aggiunta di solventi polari ed aprotici, come ad esempio acetone.

La tecnica, inoltre, si può applicare solo a temperatura ambiente, in quanto a temperature

superiori (ca. 80°C) l’emulsione va incontro a separazione di fase. È possibile, perciò

ottenere solo un prodotto amorfo, che può essere cristallizzato con un successivo

trattamento termico, con cui, però, viene perso il controllo della nucleazione ottenuto per

via sintetica (29).

1.3.6.4 Ageing (step 2).

Se al termine della condensazione il gel viene mantenuto nel suo solvente madre può

andare incontro ad invecchiamento. Durante il processo di ageing si possono verificare i

fenomeni di policondensazione, sineresi, aumento delle dimensioni delle particelle e

trasformazione di fase: con la policondensazione si ha un aumento delle dimensioni del

network; la sineresi rappresenta una spontanea compressione del gel che comporta

l’espulsione del liquido dai pori; l’ingrandimento delle particelle è dovuto ad un processo

di dissoluzione e riprecipitazione, che si verifica a causa di differenze di solubilità tra

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superfici aventi diversi raggi di curvatura, e che comporta un aumento della dimensione

dei pori del gel e una diminuzione dell’area superficiale specifica; la trasformazione di

fase include il fenomeno della sineresi, ma si può verificare anche cristallizazione

separata delle componenti del gel (23).

In generale la fase di ageing può avvenire a temperatura ambiente, oppure in trattamento

idrotermico ad alta temperatura, come discusso nel paragrafo 1.3.5 relativo alla sintesi

idrotermica. Tipicamente le zeoliti vengono sintetizzate in questo modo.

1.3.6.5 Rimozione del solvente (step 3).

Le fasi di rimozione del solvente e di stabilizzazione termica sono comuni sia ai metodi di

sintesi per precipitazione, che al processo sol-gel, di microemulsione, ecc. La rimozione

del solvente, in particolare, rappresenta uno dei punti critici dell’intero processo, la cui

importanza ai fini del prodotto finale è spesso sottovalutata, in quanto può causare il

collasso delle struttura porosa del gel.

Il processo può essere suddiviso in tre stadi (Figura 11) (23,24):

� Stadio 1: durante il primo step di asciugatura la diminuzione del volume del gel

equivale al volume del solvente allontanato per evaporazione. Si verifica una

deformazione del network del gel dovuta alle elevate forze capillari, che è

accompagnata da una contrazione della struttura porosa. Questa fase è

chiamata “il periodo a velocità costante”, poiché la velocità di evaporazione per

unità di area superficiale è indipendente dal tempo, e rappresenta lo step in cui

avvengono i maggiori cambiamenti di volume, densità, peso e struttura del gel.

� Stadio 2: è denominato anche il “punto critico”, in cui l’aumento della forza della

struttura, dovuto ad una maggiore densità di impaccamento della fase solida, è

sufficiente per impedire l’ulteriore contrazione del network. Il raggio di curvatura

del menisco del solvente si riduce abbastanza da entrare nei pori, e ciò comporta

un aumento della pressione capillare secondo la relazione rP LV /2γ−= , dove

γLV è la tensione all’interfaccia liquido-vapore e r è il raggio di curvatura del

menisco (Figura 12). Questo aumenta notevolmente la possibilità che si verifichi

il collasso della struttura porosa e la conseguente formazione di uno xerogel,

ossia una struttura compatta e microporosa. Una volta oltrepassato il punto

critico il poro inizia a vuotarsi, e il liquido, spinto dal gradiente di forza capillare

presente, diffonde alla superficie esterna dove continua ad avvenire

l’evaporazione, seppure con velocità ridotta (“first falling rate period”). Viene

evidenziato il ruolo critico della tensione superficiale del solvente in questi

processi.

� Stadio 3: ha inizio nel momento in cui i pori sono sostanzialmente vuotati, mentre

il liquido rimanente può allontanarsi unicamente per evaporazione all’interno del

poro e diffusione del vapore in superficie. All’inizio di questa fase il gel può

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Introduzione _______________________________________________________________________

21

essere considerato asciutto, non si verificano ulteriori modifiche delle dimensioni

del network, ma solo una lenta e progressiva perdita di peso fino al

raggiungimento dell’equilibrio (“second falling rate period).

Figura 11: Andamento della velocità di evaporazione del liquido (H2O) nei tre stadi della fase

di asciugatura del gel.

Figura 12 : Rappresentazione schematica della superficie del gel all’inizio dello stadio 1 (A) e

2 (B).

Ai fini di minimizzare il collasso dei pori durante la fase di essiccamento si possono

adottare diverse strategie, tra cui ad esempio l’uso di solventi organici al posto di H2O.

A B

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22

Tabella 2: Valori di tensione superficiale per alcuni comuni solventi.

Solvente Tensione superficiale

(dyn/cm)

Acqua 72.8

Ethyl Ether 17.06

Hexane 17.91 (25°C)

Isopropyl Alcohol 21.79 (15°C)

Ethyl Alcohol 22.32

Acetone 23.32

Cyclohexane 24.98

Tetrahydrofuran 26.4 (25°C)

Toluene 28.53

In Tabella 2 sono riportati i valori di tensione superficiale di alcuni solventi tipicamente

utilizzati. È evidente come sia possibile ridurre il rischio di densificazione del materiale

utilizzando un solvente organico, che presenta una tensione superficiale circa 3,5 volte

inferiore rispetto al valore dell’acqua.

Un’altra delle tecniche convenzionalmente utilizzate è il supercritical drying, ossia la

rimozione del solvente in condizioni supercritiche di temperatura e pressione, in cui la

tensione superficiale del fluido, responsabile del collasso del poro durante

l’evaporazione, è nulla. In Tabella 3 sono riportati i valori di temperatura e pressioni del

punto triplo di alcuni solventi comunemente usati per il trattamento supercritico.

Tabella 3: Parametri del punto critico di alcuni solventi tipicamente utilizzati nel trattamento

supercritico.

In pratica il processo viene effettuato in autoclave trattando il gel bagnato in condizioni di

temperatura e pressione superiori ai valori del punto critico del solvente che riempie i pori

del materiale (Figura 13). In questo modo, in fase di essiccamento, non vengono

esercitate le forze capillari che sono origine del collasso dei pori. Il processo presenta lo

svantaggio di necessitare, in generale, di condizioni di trattamento spinte: sostituendo il

solvente con CO2 liquida l’evaporazione può avvenire in condizioni relativamente blande,

essendo Tc=31°C e Pc=7,3 MPa (25,30).

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23

Figura 13: Esempio di trattamento supercritico nel diagramma di fase di CO2, e

schematizzazione di autoclave per l’evaporazione di EtOH.

Tali metodologie sono state sfruttate anche commercialmente da Aspen Aerogels

(www.aerogel.com ).

Un altro metodo di rimozione del solvente, anche esso sfruttato commercialmente

(Nanogel Cabot), utilizza tecniche di modifica superficiale del solido al fine di ridurne

l’idrofilia. Un esempio è la silanizzazione che, rendendo la superficie idrofoba, favorisce

l’espulsione del solvente acquoso dai pori riducendo la tensione superficiale. Tale

processo viene realizzato in condizioni di temperatura e pressione ordinarie, e permette

di preservare la struttura porosa tridimensionale e di ottenere un aerogel (le definizioni di

xerogel ed aerogel verranno approfondite successivamente) (Figura 14) (31). Mentre il

trattamento supercritico presenta costi industriali sia di investimento che di produzione

elevati, la modifica superficiale del solido è stata industrializzata da Cabot su scale di

impianti di 1000 ton/anno con costi del prodotto di ca. 40 €/kg.

Supercritical drying: no surface tension – no pore collapse:

Aerogel

Ambient pressure drying: surface tension – pore collapse:

Xerogel

GelSupercritical CO2Subcritical CO2

Supercritical drying: no surface tension – no pore collapse:

Aerogel

Ambient pressure drying: surface tension – pore collapse:

Xerogel

GelSupercritical CO2Subcritical CO2

Figura 14: Effetto del metodo di rimozione del solvente sulla formazione di un aerogel o di

uno xerogel.

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24

1.3.6.6 Il trattamento termico (step 4).

La calcinazione ad elevata temperatura (200-700°C) del solido amorfo ottenuto con

l’evaporazione del solvente è necessaria a favorire la cristallizzazione e le trasformazioni

di fase del materiale. Nel caso di ossidi il processo spesso comporta la trasformazione

dell’idrossido in ossido. Altri fenomeni che in genere accompagnano la cristallizzazione

del materiale sono la disidratazione con rimozione dell’acqua adsorbita in superficie (che

può essere reversibile), e la rimozione di eventuali residui organici presenti (24). Il

trattamento termico a temperature più elevate (>500-700°C) comporta spesso

l’addensamento del materiale mediante processi di sinterizzazione. La temperatura di

densificazione diminuisce con il diminuire della dimensione dei pori e con l’aumentare

della superficie specifica (24). Sono quattro i meccanismi principali responsabili della

compattazione del precursore (23): contrazione capillare, condensazione, rilassamento

strutturale e sinterizzazione. Alcuni di essi possono avvenire contemporaneamente, come

nel casi di condensazione e sinterizzazione. In generale la sinterizzazione è originata

dalla tendenza di ogni materiale solido, sia amorfo sia cristallino, a raggiungere la

situazione termodinamicamente più stabile, minimizzando l’area dell’interfase solido-

vapore. La cinetica della annichilazione dei pori dipende dalla grandezza dei pori stessi e,

in secondo luogo, la stabilità di un poro dipende dall’angolo diedro di contatto tra i grani

che lo circondano e dal rapporto tra dimensione del grano e dimensione del poro (Figura

15). Il valore dell’angolo diedro è determinato dall’energia delle interfacce solido-solido e

solido-vapore; di conseguenza, le superfici del poro possono essere concave o convesse

a seconda del numero di grani che lo coordinano. Esiste quindi un valore critico del

numero di coordinazione del poro, al di sotto del quale il poro tende a chiudersi per

sinterizzazione. Al di sopra del valore critico, il poro tende a crescere.

Figura 15: Schema di pori coordinati da un numero di cristalliti inferiore (a) e superiore (b) al

numero di coordinazione critica. Adattato da (23).

Sono stati sviluppati diversi modelli matematici per la descrizione del fenomeno della

sinterizzazione. Per esempio il modello di Frenkel (1945) si adatta alla descrizione del

primo stadio della sinterizzazione, analizzando il meccanismo di coalescenza uniassiale

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di due sfere. Ma Chenzie e Shuttleworth (1949) ripresero il modello di Frenkel

adattandolo alla descrizione degli stadi intermedio e finale della sinterizzazione di un

corpo contenente pori sferici. Infine Vasconcelos et al. analizzarono con una serie di

modelli l’evoluzione strutturale del gel con la temperatura, facendo uso di alcuni parametri

topologici. Tutti questi modelli sono descritti in dettaglio in (24) e (23).

1.4 Applicazioni.

Allo stato attuale, la nanotecnologia è unanimemente riconosciuta come una disciplina

rivoluzionaria in termini del possibile impatto sulle applicazioni industriali e di converso

sulle ricadute sulla nostra vita quotidiana. Le nanotecnologie offrono delle soluzioni in

molti campi tecnologici, e, per la loro innata natura interdisciplinare, coinvolgono settori e

ricercatori dei campi di ricerca più svariati.

Tra le attuali applicazioni delle nanotecnologie e dei nanomateriali vanno citate:

1. industria cosmetica (e.g filtri solari): sfruttano le proprietà assorbenti delle

nanoparticelle;

2. Nanocompositi: nanocariche, silicati lamellari (clay nanocomposites) e nanotubi

di carbonio possono essere utilizzate come rinforzi non solo per aumentare le

proprietà meccaniche dei nanocompositi ma anche per impartire nuove proprietà

(ottiche, elettroniche, magnetiche) (32);

3. Nanocoating: rivestimenti superficiali di dimensioni nanometriche possono

essere utilizzati per migliorare la resistenza all'usura e antigraffio, anche con

proprietà ottiche, termoisolanti (18,33,34);

4. Vernici altamente tecnologiche con nanoparticelle metalliche per incrementare

ed eventualmente impartire nuove proprietà ottiche ed elettroniche; vernici

contenenti aerogel per impartire proprietà di termoisolamento;

5. Celle a combustibile: membrane nanostrutturate che ne incrementino

l'efficienza (35);

6. Membrane nanostrutturate per la purificazione delle acque (36,37);

7. Nanoelettronica: miniaturizzazione dei dispositivi nell'obiettivo di realizzare

sistemi elettronici sempre più piccoli, più potenti e che necessitino di meno

energia per il loro funzionamento (transistor) (38).

8. Drug delivery systems (farmaci a rilascio controllato specifico): farmaci dal

rilascio controllato (nel tempo) e che rilascino il principio attivo esattamente dove

serve (nelle cellule o organi che ne necessitano), allo scopo di aumentare al

massimo la propria efficienza, diminuendo per contro gli effetti indesiderati (25);

9. Dispositivi di diagnostica: l'uso dei quantum dots o di molecole sintetiche

traccianti per immagini diagnostiche è già in atto di studio da tempo (39).

Nell’ambito di questa tesi sono stati considerati gli aspetti legati ai nanomateriali applicati

nel campo dell’isolamento termico e della catalisi eterogenea per la purificazione delle

acque reflue.

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Introduzione _______________________________________________________________________

26

1.5 Ossidi metallici per isolamento termico: gli aerogel.

Un gel può essere descritto come un polimero tridimensionale di particelle contigue di

solido mescolato con una fase contigua liquida che riempie i pori del materiale. Tale fase

può essere ad esempio acqua nel caso di un idrogel o alcol nel caso di un alcolgel o una

miscela dei due. Come evidenziato nel paragrafo 1.3.6.5 la fase di rimozione del solvente

da un gel bagnato rappresenta un passo critico nella sintesi di materiali a struttura

porosa. A seconda di come il solvente viene allontanato, è possibile ottenere uno

xerogel, oppure un aerogel (Figura 16). Le forze di tensione superficiale che si

esercitano sulla struttura del gel durante la rimozione del solvente sono tali da aumentare

la probabilità che si verifichi il collasso del network. Per cui il gel asciutto può mantenere

la porosità di partenza solo se, grazie alla formazione di ponti di legame additivi o

all’allontanamento del liquido in condizioni tali da minimizzare la tensione superficiale, la

sua struttura è in grado di resistere a queste forze di compressione. Uno xerogel viene

definito come un gel dal quale viene rimossa la fase liquida per semplice evaporazione.

In queste condizioni la tensione superficiale che si viene a creare all’interfaccia liquido-

vapore provoca un significativo collasso della struttura porosa che tipicamente

corrisponde ai 2/3 della porosità originale, ottenendo materiali a bassa porosità, in genere

inferiore al 60%.

Figura 16: Rappresentazione schematica dell’effetto delle condizioni di rimozione del

solvente sulla porosità del solido finale.

La relazione tra la struttura del gel e dello xerogel ottenuto per evaporazione del solvente

in condizioni normali è illustrata in Figura 17. Il gel ottenuto per catalisi acida, in cui la

velocità di condensazione è bassa, presenta una struttura lineare e ramificata che

collassa facilmente con la rimozione del solvente. In catalisi basica, invece, l’idrolisi è più

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Introduzione _______________________________________________________________________

27

rapida e porta alla formazione di specie discrete di dimensioni ridotte, che con

l’evaporazione si contraggono portando alla formazione di una struttura globulare che

spesso può presentare in aggiunta alla microporosità residua una frazione di mesopori

(23).

Figura 17: Rappresentazione schematica della correlazione tra struttura del gel di partenza e

porosità dello xerogel/aerogel ottenuto per evaporazione del solvente. a) Struttura lineare

reticolata attenuta per catalisi acida; b) Struttura frattalica ottenuta per catalisi basica.

La rimozione del solvente in condizioni di temperatura e pressione superiori a quelle del

punto critico avviene in assenza di forze capillari, in quanto in questa situazione è

presente una fase intermedia tra lo stato gassoso e quello liquido. Il solido ottenuto

mediante evaporazione supercritica del liquido, quindi, ha una struttura altamente porosa

che in genere rispecchia quella del gel di partenza, e viene indicato con il termine

aerogel, coniato da S.S. Kistler in US 2,188,007. In generale gli aerogel presentano una

densità apparente molto bassa, un’elevata area superficiale e una natura

termodinamicamente metastabile, rendendo possibile lo sviluppo di singolari proprietà

fisiche e chimiche che fanno degli aerogel dei potenziali candidati per una vasta gamma

di applicazioni, che spaziano dal campo edilizio, a quello farmaceutico ed aeronautico. In

generale, dal punto di vista chimico, si possono individuare due categorie di composti:

una prima classe di gel monolitici che possono essere asciugati ad aerogel senza che si

verifichi la contrazione della struttura; una seconda classe di gel che possono essere

convertiti ad aerogel solo mediante trattamento supercritico. Alla prima classe fanno parte

la silica e i silicati in cui SiO2 sia la componente maggiore, e gli aerogel organici, in cui

siano presenti forti legami covalenti tra catene lineari ramificate lungo le tre direzioni, per

dare un’architettura aperta e “casuale”. Alla seconda classe, invece, appartengono ossidi

come l’allumina, in cui non esistono legami covalenti continui tra le catene polimeriche,

come nel caso della silica, ma è presente una struttura a strati in cui i legami tra particelle

avvengono attraverso interazioni deboli (ponti idrogeno) (cfr Figura 29). Questa classe di

gel tende a compattarsi facilmente con la rimozione del solvente per evaporazione,

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dando degli xerogel. Gli aerogel ottenuti tramite trattamento supercritico, invece, in

genere non hanno la consistenza di un monolita, come per i silicati, ma si presentano

come delle polveri molto soffici e leggere. Va sottolineato che con l’introduzione di metodi

che modificano le proprietà di superficie dei pori (cfr paragrafo 1.3.6.5), il termine aerogel

è stato esteso e generalizzato a materiali con porosità superiore all’80%.

Le tecniche tradizionali sfruttate per la produzione degli aerogel, quali il trattamento

supercritico e l’evaporazione del solvente da sistemi modificati (per es. silanizzazione),

presentano una serie di svantaggi legati al costo ed alle spinte condizioni di trattamento

necessarie, nel caso del supercritical drying. Sono stati perciò sviluppati ulteriori metodi

per la produzione di aerogel, in cui non fossero incluse fasi di trattamento in condizioni

supercritiche o di modifica superficiale (brevetti WO 2006/07203, Appl.Date 30/12/2005,

Pubbl. 6/7/2006; PCT/EP2007/064310 del 20/12/2007). Questi metodi prevedono la

sintesi via alcolgel di materiali con proprietà aerogel, mediante aggiunta di H2O2 alla

soluzione del precursore metallico, la quale agisce da stabilizzante e promuove la

formazione di un’elevata porosità nella regione dei mesopori (2-50 nm) durante la fase di

precipitazione. Un trattamento termico a riflusso in solvente alcolico (tipicamente 2-

propanolo), stabilizza ulteriormente la struttura mesoporosa e ne impedisce il collasso

durante la successiva essiccazione. Il metodo di preparazione di tali materiali è molto

flessibile e permette di preparare ossidi metallici con formula generale MxOy quali ad

esempio allumina Al2O3, e compositi inorganici con formula generale NxMyOz, quali ad

esempio Al0.92La0.08Oz oppure Al0.96Zr0.04Oz.

Grazie alle particolari proprietà possedute tra cui la bassa densità, l’elevato volume dei

pori, l’elevata area superficiale specifica e quindi una buona proprietà assorbente, gli

aerogel trovano numerose applicazioni, come schematizzato in Figura 18 (40,41).

Figura 18: Esempi di possibili applicazioni degli aerogel (41).

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29

1.5.1 Applicazione degli aerogel come termoisolanti.

Gli aerogel hanno diverse applicazioni, le più importanti sono correlate alla loro alta

capacità di isolamento termico ed acustico (25,30,40). Il passaggio dell’energia termica

attraverso un materiale termoisolante avviene attraverso tre meccanismi: trasferimento

attraverso il solido, conduzione mediata dal gas e radiazione. La somma di queste tre

componenti determina la conducibilità termica totale del materiale. Per una discussione

approfondita dell’argomento si veda il paragrafo 1.5.3. La conducibilità termica del solido

è una proprietà intrinseca del materiale: nel caso della silica essa assume un valore

relativamente basso (λ=6,37 W/mK). Gli aerogel a base di silica possiedono solo una

minima frazione di solido (tipicamente 1-10%), che è presente in forma di piccole

particelle interconnesse a formare un network tridimensionale. La trasmissione del calore

in un aerogel avviene, quindi, attraverso un percorso tortuoso e risulta relativamente

inefficace (42). L’utilizzo degli aerogel quali isolanti ultraefficienti è legato a due loro

proprietà fondamentali: l’elevata porosità del materiale che comporta un elevato

contenuto di aria nel campione, la quale per se stessa agisce da isolante termico; un

diametro dei pori (Dp) inferiore a ca. 140 nm, condizione indispensabile per ridurre al

massimo la conducibilità termica della fase gassosa poiché rappresenta una distanza

inferiore al cammino libero medio dell’aria, come giustificato dalla relazione

d

V

K

V g

n

gg

g/1401

10534.2

1

20

'

+

∗=

+=

β

λλ (1)

gg V2' 10*5.2 −≈λ per d>> 140 nm

dVgg

5' 10*7.1 −≈λ per d<<140 nm

dove λ0g è la conducibilità intrinseca del gas,Vg è la frazione volumetrica del gas, vp/vd è il

rapporto tra le velocità del suono nel solido poroso e denso, β è una costante del gas e

Kn è il numero di Knudsen definito come Kn=l/d, con l cammino libero medio delle

molecole del gas e d diametro dei pori.

Qualora il materiale presenti della porosità a Dp >> 140 nm, la conducibilità termica

risulta di circa 3 ordini di grandezza superiore rispetto al caso in cui Dp < 140 nm (3). Per

ottimizzare le proprietà di termoisolamento di un materiale aerogel, quindi, non si può

operare solo in termini di riduzione del volume di vuoto, ma è necessario anche

controllare le dimensioni dei pori. Se, infatti, il cammino libero medio del gas contenuto

nei pori è superiore al loro diametro medio, diminuisce la probabilità di collisione delle

molecole le une con le altre, e perciò si riduce la trasmissione del calore. Per ridurre il

cammino libero medio all’interno dei pori è possibile:

� ridurre la dimensione media degli stessi;

� riempire il volume di vuoto con un gas avente un valore di cammino libero medio

inferiore al diametro del poro;

� diminuire la pressione del gas all’interno dell’aerogel.

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30

Infine gli aerogel sono in genere trasparenti nell’infrarosso, perciò il calore trasmesso per

radiazione diventa una fattore dominante in particolare ad elevate temperature (> 200°C).

Il trasferimento per radiazione può essere evitato aggiungendo all’aerogel un

componente (prima o dopo la fase di rimozione del solvente), che sia in grado di

assorbire o disperdere la radiazione infrarossa, per esempio particolato carbonioso (42).

Gli aerogel sono tipicamente presenti in commercio in forma supportata su un rinforzo

fibroso che ne assicura la flessibilità e la durata. Le proprietà meccaniche e termiche del

prodotto possono essere variate in funzione delle fibre rinforzanti utilizzate, della matrice

di aerogel supportata, e dall'aggiunta di additivi opacizzanti inclusi nel composito. Gli

aerogel supportati trovano collocazione nei settori più specializzati dell’alta tecnologia

(aerospaziale, navalmeccanica, automobilistico), sia nei campi più standardizzati

dell’edilizia, dell’abbigliamento sportivo, degli elettrodomestici e dell’impiantistica

industriale, che richiedono efficienza in un’ottica di risparmio energetico ed economia dei

costi. Grazie alle avanzate proprietà termoisolanti, i compositi a base di aerogel offrono il

vantaggio di poter essere utilizzati a spessori molto ridotti rispetto ai prodotti isolanti

comunemente utilizzati, consentendo perciò un notevole risparmio di spazio (Figura 19).

Alcuni esempi di prodotti aerogel utilizzati nel campo edilizio, aeronautico o navale sono

riportati in Figura 19, Figura 20, Figura 21.

Figura 19: Rappresentazione della sezione di un tubo rivestito con Spaceloft®/Pyrogel®

Aspen Aerogels, per applicazioni in campo edilizio e navale ( www.aerogel.com ).

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31

Blanket inside

Aerogel inside

Blanket inside

Aerogel inside

Figura 20: Min-K blanket (Thermal Ceramics, www.thermalceramics.com ), impiegato in

campo aerospaziale per la protezione dell’auxillary power unit (APU) della navicella spaziale.

Figura 21: Spaceloft® Aspen Aerogels, utilizzato in forma di pannelli isolanti in campo

edilizio.

La capacità di termoisolamento di un materiale può essere definita attraverso due

grandezze termo-fisiche: la diffusività termica (α) e la conducibilità termica (λ). La prima è

una misura della cinetica di trasmissione del calore attraverso un materiale, dalla

superficie a contatto con la sorgente calda a quella opposta; la seconda ne descrive la

situazione di stato stazionario. Su queste due grandezze termofisiche si basa la

classificazione dei materiali ritardanti di fiamma (Direttiva Europea CPD 89/106).

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32

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Introduzione _______________________________________________________________________

33

Figura 22: Schematizzazione della diffusione di una fiamma attraverso un solido, in

opposizione ad un flusso di aria indotto.

La propagazione dei fronti di calore, legata al valore di α, in un mezzo è un fenomeno che

rientra in diverse applicazioni, dalla combustione in situ per il recupero degli oli (43),

all’incenerimento dei rifiuti, alla calcinazione ed agglomerazione dei minerali,

comprendendo anche le metodologie di sintesi ad alta temperatura di solidi (44). La

dipendenza della velocità di trasmissione del calore di fiamma attraverso un materiale

dalle proprietà termiche dello stesso viene trattata in modo esaustivo da Zheng et al. (45)

e Delichatsios (46), ed è illustrata in Figura 22. Quando un materiale è soggetto in

superficie ad un elevato flusso di calore, può essere incendiato, e di conseguenza può

permettere la propagazione della fiamma. Poiché l’ignizione della superficie in un punto

induce uno spostamento di aria (ossidante), la diffusione della fiamma viene

schematicamente rappresentata solidale ad un sistema di assi cartesiane che si muove

ad una velocità opposta a quella del flusso indotto Va, Vs. La trattazione matematica del

fenomeno fatta da Delichatsios descrive il bilancio energetico in prossimità del fronte di

fiamma attraverso l’espressione

B: mass transfer number

Cg: specific heat of gas at constant pressure

Cs: specific heat of solid phase

l1: length scale for the exponentially decaying external heat flux upstream of flame front

L: latent heat of gasification

kg: thermal conductivity of gas phase

ks: thermal conductivity of solid phase

ks,x: longitudinal conductivity in the solid

ks,y: normal conductivity in the solid

(q”c): convective heat flux from flame

(q”c)crit: convective heat flux from the flame at critical conditions for extinction

r: stoichiometric ratio of fuel to air by mass

Tf: flame temperature

T∞: temperature at infinity or initial temperature

Va: opposed air velocity

Vs: flame spread speed

X,Y: coordinate system stationary with the flame front

Yo,∞: oxygen concentration in the oxidizer strema

αg: thermal diffusivity of the gas

αs: thermal diffusivity of the solid

δg: thermal length in gaseous phase ag Vα=

δv: vertical thermal length in solid phase sgs Vδα=

δH: hotizontal thermal length scale in the solid syssxs Vkk ,, α=

∆Ts: surface temperature of the solid just upstream the flame front

εs: surface emissivity

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Introduzione _______________________________________________________________________

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( ) ( )H

Tlqq

c

LrBkVTTc

p

sgg

g

gspss δσ

εδδδρ ν +−++−

=∞−4

4

1

"

1

"

2 (2)

in cui il primo termine si riferisce al calore necessario affinché il solido raggiunga la

temperatura di ignizione; il secondo termine descrive il flusso di calore dal fronte caldo al

solido per una cinetica di combustione infinitamente veloce; il terzo termine è il flusso di

calore che arriva al solido generato da un flusso esterno costante posto a valle del fronte;

il quarto termine rappresenta il flusso di calore sul solido che deriva da quello che

decresce a monte del fronte nella regione non incendiata; l’ultimo termine è la perdita di

radiazione dalla superficie in prossimità del fronte caldo. Nello schema il fronte di fiamma

è rappresentato dallo lunghezza di diffusione termica nella fase gassosa δg. Si noti come

le grandezze δv e δH, che rappresentano le direzioni di propagazione del calore nel solido

lungo gli assi cartesiani, dipendano rispettivamente dalla diffusività (α) e dalla

conducibilità termica (k). In generale bassi valori di α favoriscono le proprietà di

resistenza al fuoco dei materiali. Per la completa trattazione matematica del fenomeno si

vedano (45) e (46).

1.5.2 Modalità di assemblaggio e proprietà di materiali nanostrutturati.

Nel valutare le proprietà termiche di un solido è necessario considerare il suo stato fisico.

Per le sue caratteristiche strutturali l’ossido di alluminio rappresenta un materiale

ceramico avanzato e un buon candidato per diverse applicazioni. Al2O3 sinterizzata trova

applicazione come isolante elettrico o come supporto per utilizzi ad elevate temperature,

grazie alla buona resistenza termica ed alle proprietà meccaniche possedute (47). Inoltre

la possibilità di ottenere ottime proprietà strutturali e di tessitura fa di Al2O3 un buon

isolante termico anche a temperature relativamente elevate, se opportunamente drogato

con altri ossidi come ad esempio ZrO2 (18).

L’assemblaggio di piccole particelle di materiale per formare strutture superiori è un

processo molto comune ed importante nella produzione di materiali ceramici. Esso

rappresenta uno step fondamentale in processi quali la sintesi sol-gel, ed è in grado di

influenzare enormemente le proprietà di prodotti ceramici compattati o sinterizzati (48).

Per materiali sotto forma di polvere esistono due forme di assemblaggio, i cui termini e

definizioni vengono molto spesso scambiati e confusi (Tabella 4) (49): la prima descrive

la situazione di particelle rigidamente unite tra loro, ad esempio dalla parziale fusione che

si verifica durante la sinterizzazione di un materiale (agglomerato), che richiede elevate

forze di attrito per separare; la seconda è relativa alla formazione di aggregati di

elementi uniti tra loro per adesione mediante forze deboli, che possono essere facilmente

ridispersi (BS 2955:1993, USP24 2000) (Figura 23). Va anche sottolineato che la

distinzione tra un agglomerato ed un aggregato in termini pratici risulta non agevole.

Alcuni metodi riportati in (49) si basano sulla diversa resistenza meccanica che

caratterizza le due forme di assemblaggio, per cui gli aggregati sono più facilmente

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segregabili in particelle primarie rispetto agli agglomerati, ed è quindi possibile monitorare

la variazione della granulometria in seguito ad un processo di dispersione, ad esempio

con ultrasuoni e con uno stress meccanico. Questo metodo, però, può condurre ad errori

dovuti al fatto che lo stress meccanico può determinare la frattura delle particelle primarie

stesse. L’analisi al microscopio rappresenta un metodo di distinzione più preciso. Se si

osserva ad un microscopio a luce trasmessa il comportamento di un campione di

sospensione della polvere in esame all’applicazione di una forza di taglio, è possibile

individuare la presenza di aggregati per la facilità con cui questi si disperdono sul vetrino

portacampione; al contrario, gli agglomerati rimasti intatti, si disgregano solo con

l’applicazione di una forza maggiore.

Tabella 4: Esempi di utilizzo dei termini aggregato e agglomerato in letteratura (49).

Figura 23: Illustrazione schematica dell’assemblaggio di particelle primarie.

Molte proprietà fisico-chimiche e meccaniche possono essere influenzate dalla modalità

con cui un materiale si assembla. La presenza di agglomerati, per esempio, influisce sulla

scorrevolezza, sulla granulometria, sulla velocità di dissoluzione e quindi sulla

biodisponibilità di composti farmaceutici (49); inoltre l’agglomerazione implica un intimo

contatto tra particelle o grani, e quindi una maggiore continuità di fase, da cui dipenderà

la capacità di trasmissione del calore di un materiale. Dynys e Halloran (1983)

dimostrarono che la presenza di aggregati ritarda e può influenzare la compattazione di

polveri di allumina.

Balek (1970) fece un primo tentativo di definire un parametro di agglomerazione, A, per

valutare il grado di agglomerazione di una polvere:

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d

DA = (3)

dove D è il diametro medio delle particelle determinato per sedimentazione (diametro

dell’aggregato), d è il diametro medio determinato con il metodo di BET (dimensione della

particella primaria). L’espressione è stata poi ulteriormente sviluppata considerando le

densità della particella primaria (ρt) e dell’aggregato (ρ):

ρ

ρ tSNA =3

(4)

dove S è il rapporto tra i fattori di forma della particella primaria e dell’aggregato, ed N è il

numero di aggregazione. Nel caso di particelle ed aggregati a forma sferica S=1.

L’equazione (4) può essere riscritta nella forma

+=

s

p

V

VSNA 1

3(5)

Con Vp e Vs che rappresentano i volumi dei pori e delle particelle in un aggregato. Nel

caso di agglomerati queste due grandezze non si possono misurare direttamente, per cui

la (4) diventa

−+=

a

aSNAε

ε

11

3(6)

laddove εa è la porosità dell’agglomerato.

Come dimostrato dai risultati della presente tesi di dottorato, l’aspetto di

aggregazione/agglomerazione del materiale svolge un ruolo critico nella definizione delle

proprietà di termoisolamento.

1.5.3 Modelli teorici per il calcolo della conducibilità termica.

Lo studio delle proprietà termofisiche, in particolare la conducibilità e la diffusività termica,

è di fondamentale importanza in quanto esse descrivono la capacità di trasferimento di

calore attraverso il materiale. Esistono in letteratura diversi modelli per il calcolo della

conducibilità termica di materiali porosi a partire dai valori delle conducibilità delle singole

fasi, ognuno dei quali prende o meno in considerazione l’effetto che possono avere le

proprietà di tessitura del materiale sul dato effettivo. Alcuni di questi sono basati sulla

presenza di inclusioni di una fase dispersa in una matrice, e sono perciò accurati solo nel

caso di materiali poco porosi. Altri prendono in considerazione il concetto di continuità tra

la fase solido e la fase gas, ed in particolare il ruolo che possono avere i bordi di grano e

le dimensioni dei pori sul dato finale di conducibilità termica.

Un metodo generale per il calcolo della conducibilità è quello proposto da Perry e Chilton

(1973), che utilizza l’equazione di Russel (50) (eq.7) per determinare la conducibilità

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termica di miscele solido-gas a partire dai valori dei singoli componenti e dalla frazione

volumetrica del gas.

( )

( )pppp

pp

air

solid

air

solid

solid

comp

+−+−

−+=

3/23/2

3/23/2

1

1*

λλ

λλ

λ

λ (7)

dove λcomp è la conducibilità della miscela, λair e λsolid sono la conducibilità dell’aria e del

solido e p è la frazione volumetrica della porosità.

Un altro metodo molto simile al precedente per il calcolo della conducibilità termica di

solidi porosi è quello dato da Krupiczka (1967) (eq.(8))

(8)

Questi modelli di calcolo, basati sul trasferimento unidimensionale di calore attraverso un

sistema ordinato di inclusioni cubiche o sferiche di una fase dispersa in una matrice,

hanno il limite di essere accurati solo nel caso di materiali poco porosi (Figura 24).

Figura 24: Modello proposto da Russell per il calcolo della conducibilità termica di materiali

porosi. (A) fase porosa continua con particelle solide cubiche discontinue; (B) fase solida

continua con isolati pori cubici.

Woodside (51) e Dul’nev (52) svilupparono dei modelli per il calcolo della conducibilità

termica apparente di materiali costituiti da diverse componenti disposte in serie e in

parallelo le une con le altre, in maniera casuale. Il limite di tutti questo modelli è quello di

prendere in considerazione solo la conducibilità del sistema che deriva dalla trasmissione

dei fononi e dalla conducibilità del gas; essi non considerano invece il contributo dato dal

trasferimento di calore per radiazione o convezione. E’ stato comunque dimostrato che,

nel caso della maggior parte dei materiali isolanti aventi dimensioni dei pori modeste (su

scala nanometrica, fino a pochi µm), sia il contributo dato dal trasferimento per radiazione

( )057.0

log757.0280.0

log

−=

−=

=

+

B

pA

k

k

k

k air

solid

k

kBA

air

solid

air

effective

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38

(Kingery, 1976), sia quello derivante dalla convezione del calore (McAdams, 1951) sono

trascurabili (53).

Yoldas (3) introdusse un modello per il calcolo della conducibilità termica di materiali

aerogel-like, in cui viene preso in considerazione l’effetto che le proprietà di tessitura

possono avere sulle conducibilità intrinseche del solido e dell’aria (Figura 25). Partendo

dal presupposto che il calore totale trasferito attraverso un materiale poroso è la somma

del calore trasferito attraverso il solido e attraverso il gas (più il calore trasferito per

radiazione, che però è trascurabile) (eq.9), i valori di conducibilità intrinseca del solido e

del gas possono essere correlate alla velocità del suono, alla porosità ed alla dimensione

dei pori (54).

''''

rgst λλλλ ++= (9)

Pertanto, le conducibilità termiche delle fasi solida e gassosa possono essere espresse

dalle seguenti equazioni (eq. 10 e 11):

d

psss v

vV

0' λλ = (10)

n

gg

gK

V

β

λλ

+=

1

0

' (11)

dove λ0s e λ

0g sono le conducibilità intrinseche del solido e del gas, Vs e Vg sono le

frazioni volumetriche del solido e del gas, vp/vd è il rapporto tra le velocità del suono nel

solido poroso e denso, β è una costante del gas e Kn è il numero di Knudsen definito

come Kn=l/d, con l cammino libero medio delle molecole del gas e d diametro dei pori. .

Per l’aria in condizioni ambiente l’equazione 9 può essere semplificata a

d

Vg

g/1401

10*534.2 2

'

+=

λ (1)

gg V2' 10*5.2 −≈λ per d>> 140 nm

dVgg

5' 10*7.1 −≈λ per d<< 140

Quindi a seconda delle dimensioni dei pori la conducibilità dell’aria può dipendere dalla

sola porosità o anche dal diametro dei pori d. Dalle equazioni 10 e 11 si deduce che il

modo migliore per ridurre la conducibilità termica di un materiale poroso è diminuire sia

λ’s aumentando la porosità, che λ’g, riducendo il diametro dei pori al disotto dei 140 nm.

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Figura 25: Rappresentazione di un materiale poroso avente pori di dimensioni diverse.

Va evidenziato che il modello di Yoldas non prende in considerazione l’importanza del

ruolo dei bordi di grano nella trasmissione del calore all’interno del materiale. Nei solidi

cristallini la conduzione del calore avviene attraverso vibrazioni del reticolo (fononi), e

poiché i bordi di grano rappresentano delle zone di disordine possono agire da siti di

dispersione, diminuendo in questo modo la conducibilità termica (Figura 26 e Figura 27).

È stato proposto un modello noto con il nome di Effective Medium Percolation Theory

(EMPT) (55) che permette di prevedere la conducibilità termica equivalente di una

miscela di due fasi aventi λ diversa, ma in cui viene preso in considerazione il concetto di

continuità tra le due fasi, a differenza dai modelli precedenti (eq. 12).

( ) ( ) ( ) ( )[ ]{ }( )2/12832133213

4

1pspspppsppeq vvvv λλλλλλλ +−+−+−+−= (12)

dove vp è la frazione di volume dei pori, λp e λs sono le conducibilità termiche dell’aria e

del solido denso. Il lavoro di Smith, che riguarda essenzialmente l’allumina, prende però

in considerazione solo frazioni porose ≤ 0,4. In un successivo lavoro, invece, egli applica

la stessa teoria per il calcolo della conducibilità termica effettiva di zirconia avente frazioni

di volume dei pori comprese tra il 0,45 e il 0,73 (56). Oltre alla porosità e alle dimensioni

dei pori, c’è un altro importante fattore di natura strutturale che deve essere considerato. I

bordi di grano possono giocare un importante ruolo nel controllo del trasporto di calore

nei materiali policristallini, in particolare quando la dimensione del grano viene ridotta ad

una scala nanometrica, dove diventa significativo il numero di atomi presenti nelle

immediate vicinanze di una o più interfacce (Figura 26). Il bordo di grano rappresenta una

zona di dispersione del calore, che viene associato ad una resistenza termica

all’interfaccia che si traduce in una discontinuità di temperatura tra materiali in presenza

di un gradiente termico, concetto introdotto da Kapitza (1941) in uno studio del sistema

elio liquido/rame (Figura 27).

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Introduzione _______________________________________________________________________

40

Figura 26: Rappresentazione semplificata di un policristallo come un sistema di grani aventi

forma cubica.

Figura 27: Rappresentazione del bordo di grano e della superficie all’interfaccia tra grani (a).

Distribuzione della temperatura allo stato stazionario attraverso tre grani (b) .

La resistenza del policristallo denso può essere espressa come

intnRRR crystalpoly += (13)

dove Rcrystal è la resistenza termica del singolo cristallo, Rint è la resistenza termica del

bordo di grano (nota anche come resistenza di Kapitza Rk), n è il numero di bordi

attraversati dal flusso di calore. Combinando l’effetto dei pori e dei bordi di grano,

l’equazione per il calcolo della conducibilità termica equivalente per il materiale

policristallino diventa

1

int

1−

+= R

l

nl

crystal

polyλ

λ (14)

in cui nl è il numero di bordi di grano lungo la distanza l e R*int è la resistenza termica dei

bordi di grano per unità di superficie.

Yang et al. (57) sviluppò un metodo per il calcolo di questa resistenza nello studio della

conducibilità termica di compositi Yttria-stabilized-Zirconia (eq. 15).

(a)

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41

d

Rk0

0

λλ

+

= (15)

dove λ0 è la conducibilità del singolo cristallo, Rk è la resistenza di Kapitza e d è la

dimensione dei grani.

Sostituendo nel modello EMPT (eq. 12) λs con λpoly è possibile perciò calcolare la

conducibilità termica di un materiale poroso tenendo conto anche dell’effetto dei bordi di

grano. Questo modello però considera una miscela di due fasi omogenee, in cui regioni

distinte hanno dimensioni simili tra loro. Nella realtà i materiali porosi sono costituiti da

network di mesopori (2 nm < d < 50 nm) e macropori (d > 50 nm), per cui è possibile

ottenere un valore di conducibilità termica più attendibile effettuando un calcolo a due

step attraverso il metodo EMPT, come mostrato in Figura 28.

Figura 28: Calcolo a due step della conducibilità termica effettiva mediante il modello EMPT.

(a) networks di solido (bianco), mesopori e macropori. (b) Solido e mesopori, step 1:

λλλλsolido+mesopori. (c) Solido + mesopori in grigio e macropori, step 2: λλλλeff.

Nel primo step viene calcolata λs+m (solido e mesopori) della miscela costituita dalla parte

solida e dal network dei mesopori utilizzando nel modello EMPT i valori di λs (λpoly,

solido), λp (λair) e la frazione volumetrica νg ottenuta dal rapporto tra i volumi Vm

(mesopori) e Vs+m in cm3g-1 (Figura 28b). Quindi nel secondo step la conducibilità termica

effettiva del materiale λs+m+M (solido, mesopori e macropori) è determinata usando λs+m

come valore di conducibilità del solido λs, λair, e la frazione volumetrica νg ottenuta dal

rapporto tra VM (macropori) e Vs+m+M (Figura 28c). Infine, come già visto

precedentemente, il valore di λair viene influenzato anche dalla dimensione dei pori

(secondo quello che è noto come l’effetto Knudsen, (58,59)) e può essere corretto

applicando l’equazione 1. In questo modo il calcolo di λ eff viene effettuato tenendo in

considerazione una distribuzione bimodale dei pori, come rappresentato dalle equazioni

che seguono.

( ) ( ) ( ) ( )[ ]{ }( )2/12832133213

4

1gpolygpolyggppolyggms vvvv λλλλλλλ +−+−+−+−=+

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42

( ) ( ) ( ) ( )[ ]{ }( )2/12832133213

4

1gmsgmsgggmsggMms vvvv λλλλλλλ +++++ +−+−+−+−=

Questo metodo permette di prevedere la conducibilità termica effettiva di materiali porosi,

considerando anche l’effetto della resistenza termica all’interfaccia dei bordi di grano,

della distribuzione bimodale dei pori e dell’effetto Knudsen sulla conducibilità dell’aria. In

quasi tutti questi casi, però, vengono presi in esame solo materiali aventi dimensioni delle

cristalliti dell’ordine dei µm, mentre manca un quadro di ricerca completo per quanto

riguarda i nanomateriali e i nanocompositi.

Nell’ambito della presente tesi i vari modelli sono stati confrontati con i dati sperimentali

misurati si materiali nanostrutturati a base di Al2O3.

1.5.4 L’ossido di alluminio.

L’ossido di alluminio, oggetto di studio della presente tesi, è un ben noto materiale

ceramico che trova applicazione in molti campi, in particolare l’Al2O3 non sinterizzata può

essere utilizzata sia come supporto catalitico, sia come isolante termico grazie ad

un’elevata area superficiale e ad un elevato volume dei pori, proprietà di tessitura che

possono essere controllate attraverso il processo di sintesi utilizzato.

L’Al(III) ha un comportamento anfotero; il minimo di solubilità dell’idrossido in soluzione

acquosa è a circa pH 6,5, ma esso può essere precipitato anche a valori di pH molto

lontani dal punto isoelettrico. In soluzione, la condensazione in oligomeri via olazione

avviene a pH>3, fino alla formazione del policatione Al13, ossia [Al13O4(OH)24(OH2)12]7+

(60-63). Un aumento del rapporto OH/Al, al di sopra del valore di 2.46, induce la

separazione di un solido la cui natura, cristallinità e caratteristiche di tessitura dipendono

dal pH, dalla temperatura, dalla velocità di precipitazione, dalla composizione ionica e

dalla concentrazione delle soluzioni di partenza, dal tempo di invecchiamento, dal

trattamento con disperdente (64-66). È possibile precipitare l’idrossido sia aumentando il

pH di una soluzione di Al3+ per aggiunta di una base, sia diminuendo il pH di una

soluzione di alluminato, Al(OH)4-. Precursori inorganici contenenti alluminio

comunemente utilizzati sono: AlCl3 (67), Na2O·Al2O3 (66), Al2(SO4)3·12H2O (68),

Al(NO3)3·9H2O (69). L’agente precipitante può essere NH4OH (67-69), o NH4HCO3 (70),

ma anche HNO3 (66), nel caso in cui il precursore sia sodio alluminato. Il precursore può

essere aggiunto utilizzando la cosiddetta precipitazione diretta o inversa, oppure

aggiungendo il precursore simultaneamente all’agente precipitante (68,69), o formandolo

in situ dalla decomposizione un precursore (ad esempio urea (71)).

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Figura 29: Schema della struttura cristallina a doppio strato della boehmite (γγγγ-AlOOH):

ognuno degli ottaedri schematizzati ha al centro un atomo di alluminio e atomi di ossigeno o

gruppi idrossilici ai suoi vertici.

Per 3<pH<6, il precipitato si presenta sotto forma di boehmite microcristallina. La

boehmite, o γ-AlOOH, è un idrossido gelatinoso costituito da doppi strati di ioni alluminio

in coordinazione ottaedrica, circondati da ossigeni e gruppi idrossilici; i doppi strati, che

formano una struttura a fogli, spesso ripiegati, sono connessi tra loro da legami idrogeno

(Figura 29). Con aumento del pH di precipitazione (6<pH<9) aumenta la cristallinità della

boehmite che si forma (9). La precipitazione a pH>11, per acidificazione di una soluzione

di Al(OH)4-, porta invece alla bayerite, o α-Al2O3 (Figura 30) (21).

Diversi metodi di sintesi o l’uso di diversi precursori possono dare origine a diverse forme

di idrossido di alluminio, che a seconda del tipo di trattamento termico cui vengono

sottoposti si possono trasformare nelle varie fasi esistenti per l’ossido di alluminio (Figura

30).

(a)(a)

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(b)(b)

Figura 30: Schema delle transioni di fase di Al2O3 (a) e modifiche dello spettro a raggi X (b)

per effetto della calcinazione a 700°C (A), 800°C (B), 900°C (C), 1000°C (D), 1100°C (E).

Le allumine di transizione γ (cubica), δ (ortorombica), θ (monoclina) sono metastabili, e

tendono a trasformarsi per effetto della calcinazione (Figura 30b) nell’unico allotropo

termodinamicamente stabile, l’α-Al2O3 (1000-1100°C), a simmetria esagonale, che

cristallizza generalmente in grossi cristalliti, comportando una drastica diminuzione

dell’area superficiale, e, se presente porosità, del volume dei pori. I cristalliti possono

aumentare da 20 nm a 70-150 nm durante la trasformazione in α-Al2O3 (72).

La sinterizzazione è originata dalla tendenza di ogni materiale solido, sia amorfo sia

cristallino, a minimizzare l’area dell’interfase solido-vapore, che ha un’alta energia libera.

La velocità di sinterizzazione e la cinetica di annichilazione del poro dipendono da una

serie di fattori quali le dimensioni dello stesso, il numero di grani che lo coordinano e la

mobilità ionica, che a sua volta dipende dalla natura del materiale. Negli ossidi, la

sinterizzazione avviene per diffusione in superficie e nella massa del solido degli ioni tra

particelle a contatto; la mobilità dei cationi metallici è tipicamente il fattore limitante. Uno dei metodi utilizzati per aumentare la stabilità termica comporta l’uso di droganti,

ovvero cationi introdotti in piccole quantità nell’allumina, in grado di ritardare la

transizione ad α-Al2O3. Tipicamente si tratta di ossidi alcalino-terrosi (Ba, Sr, Ca, Mg) (73)

o lantanidi (La, Pr, Sm, Ce, Yb) (74,75), ma anche altri elementi quali Zr e Si (76-78).

Il meccanismo d’azione è ancora controverso a causa della difficoltà di identificare

l’intorno chimico di tali ioni in interazione in l’allumina (79). La transizione ad α-Al2O3

necessita della presenza di centri di nucleazione, e del superamento della dimensione

critica delle particelle primarie (cristalliti). La nucleazione di α-Al2O3 avviene attraverso

una reazione di annichilazione tra vacanze anioniche e cationiche, che porta ad una

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Introduzione _______________________________________________________________________

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ristrutturazione del subreticolo di O. Le vacanze anioniche si originano da una

deidrossilazione dell’idrossido, quelle cationiche derivano dalla natura difettiva intrinseca

della struttura a spinello (77). Pertanto, i droganti efficaci sono quelli in grado di inibire la

crescita dei cristalliti per sinterizzazione e neutralizzano i potenziali siti di nucleazione

dell’α-Al2O3. Alcuni droganti agiscono a livello superficiale formando degli ossidi segregati

dall’allumina. Ad esempio il silicio forma dei ponti Si-O-Si e Si-O-Al a livello delle vacanze

anioniche, impedendo così la sinterizzazione e la nucleazione di α-Al2O3. Il lantanio

blocca i siti reattivi, formando strati di LaAlO3 a bassa energia di superficie, grazie alla

coerenza strutturale di tale fase perovskitica con l’allumina di transizione. Altri droganti

come lo zirconio sono in grado di formare delle soluzioni solide con l’allumina di

transizione, stabilizzandone la struttura e rallentando la cinetica di trasformazione ad α-

Al2O3 (77).

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Introduzione _______________________________________________________________________

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1.6 Ossidi metallici per applicazione in campo catalitico: gli

Advanced Photochemical Oxidation processes (APOs).

La legislazione europea affronta in modo esteso uno dei principali problemi ambientali

comuni, che riguarda lo smaltimento dei reflui industriali e di discarica. C’è una continua

ricerca di nuove tecnologie per il trattamento di questi reflui, che siano efficaci,

economiche e non nocive per l’ambiente. Il problema viene enfatizzato dalla scarsità di

acqua di cui soffrono molti paesi, e che rende necessario lo sviluppo di tecnologie

innovative che consentano il recupero delle acque reflue.

Attualmente sono diversi i metodi utilizzati per il recupero delle acque, che spaziano tra

trattamenti di tipo biologico a processi chimico-fisici. Il trattamento con fanghi attivi, che

includono microrganismi, batteri (95%) e altri organismi superiori, è il metodo biologico

più comunemente utilizzato, nonostante presenti numerosi svantaggi tra cui la bassa

velocità di reazione, l’inefficacia a basse concentrazioni di contaminanti e il problema

dello smaltimento dei fanghi. Le tecnologie tradizionali basate sull’assorbimento dei

contaminanti sfruttano l’uso del carbone attivo. Nonostante tale metodo sia abbastanza

efficace nell’estrazione di contaminanti organici dall’acqua, i problemi legati alla non

selettività dell’adsorbimento, al costo ed alla tossicità della rigenerazione del carbone

attivo, ne limitano l’applicazione (1,80,81). Infine l’ossidazione chimica (clorazione,

ozonizzazione) in generale non è sufficiente per mineralizzare tutte le sostanze

organiche, ed è economicamente vantaggiosa solo nel caso di elevate concentrazioni di

contaminanti. Sebbene il trattamento con ozono risolva il problema della clorazione

legato alla formazione di prodotti secondari tossici (trialometani), esso necessita della

produzione di O3 in situ e del conseguente diretto monitoraggio dei gas liberati (1,82-84).

Negli ultimi anni sono state sviluppate metodologie principalmente finalizzate alla

distruzione dei contaminanti non biodegradabili, tra cui i più importanti sono i cosiddetti

APOs, Advanced Photochemical Oxidation Processes, già diffusamente utilizzati nella

potabilizzazione delle acque (1,85). Il trattamento chimico delle acque industriali o del

percolato di discarica attraverso gli APOs può produrre la completa mineralizzazione dei

contaminanti a CO2, oppure la parziale degradazione di composti quali le sostanze

aromatiche alogenate ad intermedi biodegradabili (86) .

Gli APOs sfruttano l’alto potere ossidante dei radicali ossidrile, che possono essere

generati per via chimica o fotolitica a partire da diverse combinazioni di agenti ossidanti,

catalizzatori e sorgenti di radiazione nello spettro dell’ultravioletto o del visibile, rendendo

il processo facilmente adattabile alle specifiche esigenze di trattamento. Gli APOs

permettono la completa conversione dei contaminanti organici ed inorganici a CO2 e H2O,

ma presentano come svantaggio un elevato costo che non li rende adatti all’impiego su

larga scala (85,87).

Negli ultimi anni il trattamento fotocatalitico mediato da TiO2 ha destato un crescente

interesse (85,87-89), in quanto presenta diversi vantaggi tra cui:

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Introduzione _______________________________________________________________________

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1. la possibilità di ottenere una completa decontaminazione non selettiva della

materia organica ed inorganica in poche ore di trattamento, in condizioni di

temperatura e pressione ambiente (87);

2. l’efficacia anche a basse concentrazioni di contaminanti (ppb);

3. l’utilizzo di O2 quale unico ossidante;

4. la possibilità di adattare la forma di catalizzatore a specifici sistemi di reattori

(90).

1.6.1 La fotocatalisi eterogenea.

In generale una reazione fotocatalizzata può essere descritta dalla seguente

espressione:

I semiconduttori (ad es. TiO2, ZnO, Fe2O3) possono agire da promotori di reazioni redox

indotte da radiazione grazie alla loro struttura elettronica, che è caratterizzata dalla

presenza di una banda di valenza piena e una banda di conduzione vuota.

L’assorbimento di un fotone ad energia superiore al gap di energia di banda porta alla

formazione di una coppia buca/elettrone, la prima della banda di valenza (h+VB) è un

potente ossidante (da +1 a +3.5 V vs NHE a seconda del semiconduttore e del pH),

mentre l’elettrone della banda di conduzione (e-CB) è un riducente (da +0.5 a -1.5 V vs

NHE). Questi portatori di carica possono successivamente ricombinarsi e dissipare

l’energia sottoforma di calore, essere intrappolati da uno stato difettivo di superficie,

oppure reagire con donatori ed accettori di elettroni adsorbiti sulla superficie (89). In

Figura 31 sono schematizzati i principali processi che avvengono su un semiconduttore.

La coppia h+/e- può reagire direttamente con i contaminanti organici/inorganici adsorbiti,

oppure, in presenza di H2O e specie reattive come H2O2, promuovere la formazione di

radicali OH• altamente reattivi, che a loro volta possono attaccare il substrato. In pratica

ogni specie avente doppietti di non legame o legami π coniugati può essere soggetta ad

ossidazione da parte delle buche fotogenerate. Le reazioni riduttive sono meno frequenti

in quanto il potenziale di riduzione dell’elettrone della banda di conduzione è

significativamente inferiore al potenziale di ossidazione della buca. Ogni specie ionica

così formata può ricombinarsi per dare gli intermedi di reazione, che vengono infine

completamente mineralizzati a CO2 e H2O (Figura 32).

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Figura 31: Schematizzazione dei principali processi che avvengono su una particella di

semiconduttore, e relative tempistiche: (a) formazione della coppia buca/elettrone; (b)

ossidazione di un donatore D; (c) riduzione di un accettare A; (d) ed (e) ricombinazione

buca/elettrone rispettivamente in superficie e nel bulk (91).

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Figura 32: Reazioni primarie e secondarie (con ossigeno attivato) promosse dalla

fotoeccitazione di TiO2 durante la mineralizzazione di sostanze organiche in soluzione

acquosa.

Le reazioni di ossidazione e riduzione possono avvenire simultaneamente: i radicali

idrossili sono generati per reazione di h+VB con H2O adsorbita, ioni idrossido o con i

gruppi titanolo superficiali (>TiOH); e-CB, invece, sono ridotti per formare radicale

superossido (O2-•). Tra le reazioni secondarie si può avere la formazione di H2O2, che

partecipa alla degradazione della materia organica in modo diretto, come accettare di

elettroni, o indiretto come sorgente di OH• generati per scissione emolitica.

Sulla base delle precedenti considerazioni, i meccanismi primari che influenzano

maggiormente l’efficienza del processo fotocatalitico sono quindi (cfr Figura 31):

− la competizione tra la ricombinazione e la cattura superficiale di h+/e-;

− la competizione tra la ricombinazione di h+/e- superficiali e il trasferimento di

carica all’interfaccia.

Un buon fotocatalizzatore per essere tale deve essere chimicamente e biologicamente

inerte, fotocataliticamente stabile, assorbire efficacemente nella regione UV-VIS, facile da

produrre e da usare, economico, non tossico per uomo e ambiente. Proprietà come:

� la fase cristallina (anatase vs rutile);

� il particle size e l’area superficiale;

� le dimensioni e la forma delle particelle, che possono influenzare lo scattering

della radiazione;

� la densità dei gruppi OH superficiali e il numero di molecole di H2O adsorbite

(superidrofilicità fotoindotta, Figura 33);

� il numero e la natura dei siti di intrappolamento di carica in superficie e nel bulk;

� le caratteristiche di adsorbimento/desorbimento della superficie che dipendono

sia dal catalizzatore che dal substrato

giocano un ruolo importante nell’ efficienza fotocatalitica (92).

Il fenomeno della superidrofilicità fotoindotta avviene a partire dalla riduzione di Ti(IV) a

TI(III) da parte di e- e dal contemporaneo intrappolamento di h+ (per es. da ponti

ossigeno), che indebolisce i legami Ti-O del reticolo cristallino, con la conseguente

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formazione di vacanze di ossigeno fotoindotte. L’idrossilazione superficiale avviene per

adsorbimento dissociativo di H2O.

Figura 33: Meccanismo di idrofilicità fotoindotta di TiO2 (1).

I gruppi OH superficiali partecipano direttamente al processo di fotodegradazione

agendo da siti di intrappolamento di h+ con la formazione di radicali idrossidi altamente

reattivi, oppure favorendo l’adsorbimento delle molecole di substrato.

1.6.2 Influenza dei parametri di processo.

Dosaggio del catalizzatore. In generale la decomposizione aumenta con l’aumento della

concentrazione di catalizzatore, grazie alla maggiore superficie disponibile per

l’adsorbimento delle varie specie. Al di sopra di una certa concentrazione, però, aumenta

anche l’opacità della soluzione, che può impedire la penetrazione della radiazione e

limitare perciò la velocità di mineralizzazione. Inoltre, ad elevate concentrazioni di TiO2 si

possono verificare alcune reazioni terminali che portano alla formazione di radicali

idroperossili (HO2•), molto meno reattivi di OH•:

Il dosaggio ottimale di TiO2 può variare entro un range relativamente ampio (0,15-8 g/L) a

seconda del sistema fotocatalitico e del fotoreattore utilizzato (84,85,87,90,93,94). Nel

caso di titania supportata, poiché l’area all’interfaccia è proporzionale allo spessore del

film poroso, maggiore è quest’ultimo, maggiore l’efficienza della fotodecomposizione

(95,96).

Concentrazione dei contaminanti. Il processo di fotocatalisi è tipicamente descritto da una

cinetica di reazione di primo ordine di specie adsorbite su una superficie:

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( )[ ] ( ) ( )[ ]

( )[ ]( )i

ii

iSSk

SSKSk

dt

SSkR

+=−==

1θ (16)

dove [Si] è la concentrazione iniziale del substrato S, t il tempo di reazione, k(S) è la

costante di adsorbimento di Langmuir e K(S) è la costante di equilibrio per

l’adsorbimento1. Nel caso di soluzioni diluite ([Si]<10-3 M), k(S)[Si]<<1 e la cinetica è del

primo ordine; al contrario, a concentrazioni iniziali superiori la reazione procede secondo

ordine zero. A concentrazioni di substrato iniziali elevate, quindi, il catalizzatore va

incontro a saturazione dei siti attivi superficiali, con conseguente diminuzione

dell’efficienza del processo.

Temperatura. A causa della bassa energia di attivazione (pochi kJ/mol nel range 20-

80°C), la temperatura non influisce pesantemente sulla velocità di ossidazione

fotocatalitica (89). Tuttavia a basse temperature (<20°C) il desorbimento del substrato

dalla superficie del catalizzatore diventa il fattore limitante, mentre, invece, viene favorito

a temperature superiori a 80°C, dove è l’adsorbimento il rate determining step. Di

conseguenza l’intervallo di temperatura adatto ad ottimizzare il processo fotocatalitico è

20-80°C. L’assenza della necessità di energia termica è uno dei vantaggi che rendono il

trattamento fotocatalitico un processo economicamente attrattivo, in particolare per la

purificazione delle acque.

pH. In soluzione acquosa il pH influenza pesantemente la reattività di TiO2, in particolare

la carica superficiale delle particelle, le dimensioni degli aggregati e la capacità di

adsorbimento. La superficie del catalizzatore può essere carica negativamente o

positivamente a seconda che il pH del mezzo di reazione sia al di sopra o al di sotto del

punto isoelettrico (pHzpc) di TiO2 (4.5<pHzpc<7) (89).

Per titania Degussa P25 le corrispondenti costanti di acidità superficiale sono

pKTIOH2+=4,5 e pKTIOH=8, con pHzpc=6,25. Ciò significa che a valori di pH>6,25 viene

favorita l’interazione con donatori ed accettori cationici, mentre per pH<6,25 prevale

l’adsorbimento di sostanze anioniche. Il valore di pH influenza anche le dimensioni degli

aggregati di TiO2, che saranno maggiori in prossimità del valore di pH a carica zero.

Infine l’acidità dell’ambiente di reazione determina anche la quantità di radicale OH•

presente, che, oltre che attraverso i meccanismi rappresentati in Figura 32, può essere

prodotto anche attraverso le seguenti reazioni a catena (1):

1 si assume che il processo di adsorbimento sia descritto da un’isoterma di Langmuir.

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Concentrazione di ossigeno. Nella depurazione delle acque dove i contaminanti sono

prevalentemente di natura organica, la presenza dell’ossigeno è indispensabile al fine di

ottenere la completa mineralizzazione. O2 sembra non competere con il substrato

organico per l’adsorbimento sulla superficie del catalizzatore, e le differenze tra utilizzare

aria (PO2=0,21 bar) oppure ossigeno puro (PO2=1 bar) sono modeste. La concentrazione

di O2 influenza la velocità di reazione dell’ossidazione fotocatalitica, in quanto è stata

verificata una dipendenza lineare con la formazione di OH• (97). Infine, essendo un

potente elettrofilo, può agire da scavenger di elettroni e ridurre la probabilità che si

verifichi la ricombinazione buca/elettrone (1).

Flusso fotonico. La velocità di ossidazione è proporzionale all’intensità della radiazione

ed al flusso fotonico utilizzati, che però non incidono sulla selettività del sistema

fotocatalitico (98). Questo conferma la natura fotocatalitica della reazione, e la

partecipazione di portatori di carica fotoindotti al meccanismo. Dati di letteratura hanno

dimostrato inoltre che il processo segue due regimi cinetici diversi a seconda del flusso

fotonico UV (Φ). Tuttavia, a causa del disaccordo tra risultati sperimentali, non esiste un

valore di flusso ben definito in corrispondenza di cui avviene il cambiamento del regime

cinetico. In generale è stato trovato che la reazione è del primo ordine per flussi inferiori a

circa 2,0-3,0 mW/cm2, mentre diventa di ordine 0,5 al di sopra di questo valore (99,100).

In condizioni di elevato flusso fotonico, infatti, la resa quantica della reazione diminuisce

perché la velocità di formazione della coppia h+/e- è superiore rispetto alla velocità

fotocatalitica, e questo favorisce il processo di ricombinazione buca-elettrone. Una

dimostrazione matematica dettagliata di questo effetto è riportata in (89). In condizioni di

flusso fotonico troppo elevato, infine, la cinetica di decontaminazione fotocatalitica

assume un ordine zero, e quindi dipende unicamente dal trasferimento di massa nel

sistema di reazione.

1.6.3 Il diossido di titanio.

Il diossido di titanio, utilizzato in questa tesi per processi fotocatalitici, viene ampiamente

utilizzato come pigmento bianco nell’industria della plastica e della carta, come colorante

alimentare (E171) e come additivo nell’industria farmaceutica, ed è considerato un

efficiente fotocatalizzatore. Il biossido di titanio può cristallizzare in diversi polimorfi: rutile

(sistema cristallino tetragonale, gruppo spaziale P42/mnm), anatase (sistema tetragonale,

gruppo spaziale I41/amd), brookite (sistema ortorombico, gruppo spaziale Pbca) e

TiO2(B) (sistema monoclino, gruppo spaziale C2/m. Dal punto di vista strutturale, rutile,

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Introduzione _______________________________________________________________________

53

anatase e brookite sono costituiti da ottaedri (TiO26-) (Figura 34). Le tre strutture

cristalline differiscono tra di loro per la distorsione e per le modalità di assemblaggio di

questi ottaedri: essi sono connessi attraverso un vertice vertice in anatase, attraverso uno

spigolo comune in rutile, o entrambi in brookite (1,101) (Figura 35).

Figura 34: Rappresentazione delle strutture cristalline di anatase (a), rutile (b) e brookite (c).

Figura 35: Rappresentazione dell’assemblaggio degli ottaedri nelle stritture cristalline di

anatase e rutile.

Il rutile è la forma termodinamicamente più stabile a tutte le temperature e pressioni fino a

60 kbar. La stabilità relativa dipende anche dalle dimensioni delle particelle. Infatti l’ordine

di stabilità termodinamica delle tre forme cristalline è invertito per piccoli valori di particle

size (ps): in condizioni di dimensioni paragonabili la forma più stabile è anatase (A) per

valori inferiori a 11 nm, brookite (B) per 11 nm<ps<35 nm, rutile (R) per ps>35 nm (102).

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Introduzione _______________________________________________________________________

54

Con il trattamento termico possono avvenire le seguenti trasformazioni

La sequenza di trasformazione tra i tre polimorfi dipende dalla dimensione delle particelle,

poiché le rispettive energie sono sufficientemente simili da far in modo che piccole

differenze di energia di superficie possano invertire le transizioni (36,102). Le forme di

anatase e rutile sono le più studiate per le loro applicazione come catalizzatori o come

materiali ceramici. La trasformazione diretta da anatase a rutile avviene a temperature

superiori a 600°C, e segue un meccanismo di nucleazione-crescita in cui si verifica un

riarrangiamento degli atomi di titanio e ossigeno, dopo la rottura dei legami Ti-O. Questa

trasformazione ed è influenzata da diversi fattori tra cui:

1. la presenza di difetti di reticolo e di superficie, che dipende dalla metodologia di

sintesi (103) e dalla presenza di droganti, e che favorisce la transizione di fase da

a anatase a rutile poiché le vacanze agiscono da siti di nucleazione.

2. il particle size, da cui dipendono la temperatura e la velocità di conversione.

Stabilizzando TiO2 mediante drogaggio con ioni metallici (La3+, Fe3+, Cr3+), viene

ritardata la sinterizzazione (36).

Da un punto di vista elettronico, il biossido di titanio è un semiconduttore di tipo n; il

valore di gap energetico (Eg) dell’anatasio è pari a 3,2 eV, quello del rutilo a 3,0 eV,

determinati dalle differenze nella struttura cristallina dei due polimorfi. Da questi valori e

dall’equazione

λλυ

1240===

hchEg (17)

risulta che l’anatase assorbe la luce avente lunghezza d’onda λ ≤ 388 nm, ossia dalla

porzione UVA dello spettro elettromagnetico, mentre il rutilo da λ ≤ 413 nm. Nella

equazione (18), h rappresenta la costante di Planck, ν la frequenza della radiazione

incidente e c la velocità della luce nel vuoto.

Sia anatase che rutile sono comunemente utilizzati come fotocatalizzatori, ma il primo

presenta una maggiore attività, che può essere attribuita al fatto che in rutile il livello

energetico della banda di conduzione è prossimo al potenziale di riduzione di O2, e ciò

ritarda la radicalizzazione dell’ossigeno (Figura 36). Inoltre anatase possiede un livello di

Fermi leggermente superiore, un grado di idrossilazione superficiale più elevato di rutile,

un’energia di band-gap maggiore, e la sua formazione avviene a temperatura inferiore

(T< 600°C), che comporta una maggior area superficiale disponibile per l’assorbimento e

la catalisi (1,104,105). Dati di letteratura riportano che la miscela anatase (70-75%)-rutile

(25-30%) presenta un’attività fotocatalitica superiore rispetto all’anatase puro (106). Un

esempio di TiO2 commerciale è Degussa P25, che è costituita da anatase/rutile in

A B RA B R

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Introduzione _______________________________________________________________________

55

proporzione 80/20. La superiore fotoreattività è dovuta alla maggiore efficienza di

separazione di carica buca/elettrone promossa dalla natura multifasica delle particelle.

Figura 36: Posizioni delle bande di valenza e di conduzione in vari semiconduttori, e

importanti coppie redox a pH 0. Fotoriduzione: la banda di conduzione del semiconduttore

deve essere più negativa del potenziale di riduzione della specie chimica. Fotoossidazione:

la banda di valenza del semiconduttore deve essere più positiva del potenziale di

ossidazione della specie (91).

1.6.4 Il percolato di discarica.

La discarica rappresenta ancor oggi una delle vie preferenziali per lo smaltimento dei

rifiuti. Uno dei principali problemi ambientali riguardanti le discariche è la produzione di

percolato, un liquido che si forma dalla permeazione dell’acqua attraverso gli strati di

rifiuti da cui estrae molte sostanze inorganiche ed organiche , tra cui xenobiotici e metalli

pesanti. A causa dell’elevata concentrazione in componenti inquinanti il percolato deve

essere raccolto ed opportunamente trattato affinché possa essere scaricato direttamente

nel sistema fognario o nelle acque superficiali locali (85).

Poiché in generale la composizione quali-quantitativa del percolato è notevolmente

influenzata da diversi fattori come le condizioni ambientali e climatiche, l’età della

discarica e le sue caratteristiche progettuali, non è possibile stabilire un metodo

universale di trattamento dello stesso.

La composizione merceologica dei rifiuti, pur restando nell’ambito delle discariche per

rifiuti non pericolosi, può variare considerevolmente in ragione del fatto che, secondo il

D.Lgs 36/03, riguardante i criteri di ammissibilità dei rifiuti in discarica, possono essere

conferiti a questo tipo di discariche, oltre ai rifiuti solidi urbani (RSU), anche rifiuti

assimilabili agli urbani (RAU). Le caratteristiche chimico - fisiche dei rifiuti che influiscono

sulla composizione del percolato sono principalmente la quantità e il tipo di materia

organica biodegradabile, il contenuto in ione ammonio, metalli e sostanze tossiche,

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Introduzione _______________________________________________________________________

56

l’umidità iniziale del rifiuto. Le modalità di pre-trattamento (selezione, triturazione,

compattazione e compostaggio) e quelle di deposizione del rifiuto (miscelazione di fanghi

e RSU, tipo di copertura giornaliera, ecc.), influenzano le caratteristiche fisiche dei rifiuti

(umidità e omogeneità dell’ammasso) e, quindi, quelle qualitative del percolato. E’ difficile

valutare l’influenza dei singoli parametri sulla composizione del percolato, poiché anche

all’interno della stessa discarica si notano variazioni di composizione tra settori diversi e,

in tempi diversi, nello stesso settore. Per quanto riguarda le caratteristiche della discarica,

quelle che influiscono maggiormente sulla composizione del percolato sono l’età, le

condizioni biologiche della discarica e l’andamento nel tempo delle reazioni di

degradazione biologica e chimico-fisica dei rifiuti che avvengono all’interno della discarica

stessa. In Tabella 5 viene riportata la tipica composizione del percolato di discarica, con i

valori limite di riferimento in base alla legge italiana per lo smaltimento dei reflui. I valori

quantitativi si riferiscono al percolato utilizzato nella presente sperimentazione.

Tabella 5: Composizione del percolato di discarica.

a Biochemical Oxygen Demand, misurato a cinque giorni dalla raccolta del campione. b Chemical Oxygen Demand.

Tra i diversi valori riportati si segnalano quelli relativi al COD, l’abbattimento del quale è

stato oggetto dello studio.

1.6.5 Acque reflue provenienti dall’industria del sughero.

Il trattamento industriale del legno, e nello specifico del sughero per la produzione di

tappi da vino, include vari passaggi tra cui pulitura, disinfezione e lavaggio umido del

materiale di partenza. Questo processo consiste nella bollitura del sughero in acqua per

favorire l’espulsione di tutte quelle sostanze che, una volta a contatto con il vino,

potrebbero rovinarne la qualità. L’acqua di trattamento del sughero e/o legno in generale

Paramero Unità valore FASE

ACIDOGENICA

FASE

METANOGENA

Valore limite

per scarico in

acque

superficiali

Valore limite

per scarico

nel sistema

fognario

av min/max av min/max pH pH unit 7,6 7.4 6.2-7.8 7.6 7.0-8.3 5,5-9,5 5,5-9,5

Conducibil mS/cm 10890 Oxidabilità mg/l O2 505,6

BOD5 a mg/l 980 6300 600-27000 230 20-700 40 250

CODb mg/l 2300 7500 950-40000 2500 460- 160 500 Cd µg/l mg/l <0,01 37.5 0.7-525 37.5 0.7-525 0,02 0,02

Cr totale mg/l 0,205 0.16 0.002-0.52 0.16 0.002- 2 4 Cr VI mg/l <0,1 0,2 0,20 Fe mg/l 4,25 135 3-500 25 4-125 2 4 Mn mg/l 0,254 11 1-32 2 0.3-12 2 4 Ni mg/l 0,059 0.19 0.01-1 0.19 0.01-1 2 4 Pb mg/l 0,011 0.16 0.008-0.4 0.16 0.008- 0,2 0,3 Cu mg/l 0,022 0.09 0.005-0.56 0.09 0.005- 0,1 0,4 Zn mg/l 0,069 2.2 0.1-16 0.6 0.1-3.5 0,5 1,0

SO42- mg/l 59,9 200 35-925 240 25-2500 1000 1000 Cl- mg/l 796,5 2150 315-12400 2150 315- 1200 1200

NH4+ mg/l 240,2 740 17-1650 740 17-1650 15 30

NO2- mg/l <0,15 0,6 0,6 NO3- mg/l 0,58 20 30 fenoli mg/l 0,108 0,5 1

B mg/l 2 2 4

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Introduzione _______________________________________________________________________

57

è quindi una miscela complessa con un’elevata concentrazione di contaminanti organici

tra cui acidi fenolici, tannini, 2-4-6 tricloroanisolo e pentaclorofenolo (82). Per la

produzione di tappi di sughero di buona qualità, che aiutino a preservare le caratteristiche

organolettiche del vino, è quindi necessario sostituire frequentemente l’acqua di bollitura.

In generale quindi, si osserva che in diversi processi relativi alla lavorazione del legno

vengono utilizzate quantità, anche elevate, di acqua calda. Pertanto, un trattamento che

favorisca l’allontanamento di tali contaminanti in modo efficace è utile, anche per

permettere il riutilizzo delle acque di processo. Poiché a causa dell’elevata tossicità dei

composti fenolici un trattamento biologico non sarebbe sufficiente, la decontaminazione

richiede un processo di tipo chimico (88).

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Scopo della tesi _______________________________________________________________________

58

1.7 Scopo della tesi.

Il lavoro di ricerca sviluppato in questa tesi di dottorato verte sulla tematica dell’utilizzo di

materiali nanostrutturati per applicazioni in processi catalitici e per lo sviluppo di

termoisolanti ad alte prestazioni. In fattispecie vengono focalizzati gli aspetti fondamentali

di strutturazione di ossidi inorganici allo scopo di promuovere le proprietà di

termoisolamento e di approfondire la conoscenza di base della dipendenza di tali

proprietà dalla tessitura e dalla struttura del materiale, per una possibile applicazione in

pannelli termo-isolanti con proprietà di ritardante di fiamma. Nell’ambito di tale studio si

sono focalizzati anche aspetti relativi al processo di sintesi dell’ossido nanostrutturato,

allo scopo di procedere alla fase di scale-up industriale.

La seconda parte del lavoro è focalizzata sull’abbattimento di inquinanti da percolato di

discarica e reflui industriali per via fotolitica, con l’utilizzo di catalizzatori strutturati, a base

di TiO2 coadiuvati da processi Fenton-like.

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Parte sperimentale _______________________________________________________________________

59

2 Parte sperimentale: ossidi metallici per

isolamento termico.

2.1 Sintesi di materiali aerogel.

2.1.1 Sintesi sol-gel di materiali a base di Al2O3.

I materiali a base di allumina sono stati ottenuti utilizzando una procedura sintetica sol-gel

con precipitazione inversa, il cui schema generale è riportato in Figura 37. (WO

2006/07203, Appl.Date 30/12/2005 e PCT/EP2007/064310 del 20/12/2007). La presente

metodologia di sintesi consente di ottenere un prodotto finale avente porosità superiore al

90%, con una distribuzione dei pori monomodale centrata nella regione dei mesopori, e

privo di macroporosità. La soluzione metallica e quella precipitante sono state preparate

utilizzando l’azeotropo isopropanolo/acqua (88:12 %wt) come solvente di reazione, da

qui in poi indicato come PR-AZ.

Calcinazione 700°C, 5 h (8)

Riflusso in alcol 80°C, 4-6 h (6)

Essiccazione 120 °C, 8÷24 h (7)

Al(NO3)3⋅9H2O+M(NO3)m

(1)

Filtrazione e lavaggio (4)

H2O2 30%m/m (2)

Precipitazione in NH3 15% (3)

Dispersione in i-PrOH (5)

Calcinazione 700°C, 5 h (8)

Riflusso in alcol 80°C, 4-6 h (6)

Essiccazione 120 °C, 8÷24 h (7)

Al(NO3)3⋅9H2O+M(NO3)m

(1)

Filtrazione e lavaggio (4)

H2O2 30%m/m (2)

Precipitazione in NH3 15% (3)

Dispersione in i-PrOH (5)

Figura 37: Schema della procedura generale per la sintesi sol-gel di ossidi misti a base di

Al2O3.

Le seguenti note esplicative si riferiscono ai passaggi numerati riportati in figura.

1. Il pH della soluzione di Al(NO3)3,·9H2O in è intorno a 1; La concentrazione del

precursore è [Mn+]≈0,6M nel caso dell’allumina. Per la sintesi di 5 g di prodotto la

velocità di aggiunta della soluzione è 2,5 mL min-1. Variando le quantità di

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Parte sperimentale _______________________________________________________________________

60

prodotto da sintetizzare, è preferibile variare la velocità di gocciolamento

mantenendo costante la velocità per unità di massa 0,5 mL min-1 g-1. Durante la

precipitazione si termostatata il sistema a 15-20°C.

2. H2O2 viene aggiunta alla soluzione del precursore prima della precipitazione.

Tipicamente viene utilizzata una quantità di H2O2 30% (Fluka) tale che Al:H2O2

1:6.

3. NH3 in soluzione acquosa 30% o 15%m/m, viene diluita in PR-AZ ad una

concentrazione di [NH3]≈ 9M.

4. il pH alla fine della precipitazione è intorno a 9,5. Il prodotto viene filtrato e lavato

ripetutamente in PR-AZ finchè il pH non scende a circa 8,5.

5. risospensione in isopropanolo assoluto al termine dell’ultimo lavaggio.

6. trattamento termico a riflusso a 80°C per 4-6 ore.

Si riporta, a titolo di esempio, la procedura di sintesi di 5 g di Al2O3.

37,126 g di alluminio nitrato nona-idrato sono sciolti in 60 ml di acqua ossigenata

(Al:H2O2=1:6). Si aggiungono quindi 90 ml di PR-AZ. La soluzione così ottenuta è

addizionata ad una soluzione di 60 ml di ammoniaca al 30%p/p e 40 ml di PR-AZ,

utilizzando una velocità di addizione di 2,5 ml/min per formare un idroalcolgel con un

contenuto di acqua non superiore a 65%. Il prodotto viene quindi filtrato e redisperso in

100 ml di PR-AZ, ripetendo tale operazione complessivamente due volte. Il filtrato finale

viene quindi trattato in 100 ml di 2-propanolo (puro) a riflusso per 8 ore, raffreddato e

filtrato. Il prodotto viene successivamente essiccato a 120°C per 4 ore, e calcinato a

700°C per 10 h.

Con procedura analoga sono stati preparati anche altri ossidi con composizione variabile,

ad es. ZrO2(40%)/Al2O3 ecc.

2.1.2 Sintesi per impregnazione via incipient wetness di materiali a base

di Al2O3.

L’impregnazione della zirconia su allumina è stata condotta con metodo di incipient

wetness su un supporto di allumina utilizzando una soluzione di zirconio nitrato al 20,19%

m/m come precursore. La scelta del precursore metallico influenza la struttura, la qualità

del deposito finale e la distribuzione delle dimensioni dei cristalliti. Questa tecnica viene

comunemente utilizzata quando sussiste un’interazione debole tra supporto e metallo

depositato altamente disperso. La soluzione di zirconio viene opportunamente diluita fino

a portarla ad un volume pari a quello necessario ad impregnare la γ-Al2O3 (M) ad incipient

wetness, stimato uguale al volume dei pori misurato mediante fisiadsorbimento di N2. La

γ-Al2O3 (M) è stata ottenuta per calcinazione a 700 °C per 5 ore di una pseudoboehmite

commerciale (2).

La soluzione viene aggiunta goccia a goccia all’allumina, precedentemente essiccata in

stufa a 120 °C per 1 h, con una pipetta pasteur, avendo cura di distribuirla il più

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Parte sperimentale _______________________________________________________________________

61

omogeneamente possibile. Mescolando accuratamente in un mortaio durante la

penetrazione, si ottiene una buona distribuzione del sale sull’ossido. La soluzione

penetra per capillarità all’interno dei pori del solido su cui non deve surnatare liquido, per

evitare che durante la precipitazione del sale la distribuzione del precursore non sia

uniforme e si formino cristalliti più grandi a causa della migrazione che si avrebbe nelle

fasi successive della preparazione.

L’allumina impregnata viene essiccata a 120 °C per 6 h, quindi calcinata a 500-700 °C

per 5 h.

2.1.3 Sintesi di compositi fibra- aerogel.

In previsione di un prodotto finale costituito da una fibra ceramica quale supporto per un

materiale aerogel nanostrutturato, è necessario assestare le condizioni del processo, ed

in particolare la metodologia della deposizione dell’aerogel e le modalità di sintesi dello

stesso e del processo di scale-up. E’ stata quindi analizzata l’importanza di alcuni

parametri di sintesi, spesso non considerati nella preparazione di solidi per

precipitazione.

Lo schema generale di sintesi applicato per la produzione dei materiali aerogel è

riproposto in Figura 38, in cui sono stati messi in evidenza gli step più importanti nella

determinazione delle proprietà del prodotto finale.

Calcinazione 700°C, 5 h

Riflusso in i-PrOH80°C, 4-6 h

Essiccazione 120 °C, 8÷24 h

Al(NO3)3⋅9H2O+M(NO3)m

+ H2O2

Filtrazione e lavaggi

Precipitazione inversa

in NH3 15%

Calcinazione 700°C, 5 h

Riflusso in i-PrOH80°C, 4-6 h

Essiccazione 120 °C, 8÷24 h

Al(NO3)3⋅9H2O+M(NO3)m

+ H2O2

Filtrazione e lavaggi

Precipitazione inversa

in NH3 15%

Figura 38: Schema generale di sintesi di materiali aerogel nanostrutturati.

Poiché la polvere di per sé per caratteristiche fisico-chimiche non può essere facilmente

supportata su fibra, l’attenzione è stata quindi posta sulla preparazione di un precursore

che possa essere facilmente depositato. Dall’analisi del processo risulta evidente che il

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Parte sperimentale _______________________________________________________________________

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gel/sospensione risultante dal trattamento termico in alcol si presenta quale precursore

più facilmente utilizzabile per la strutturazione del composito aerogel-fibra.

Di fatto, il composito aerogel-fibra viene utilizzato in industria in diverse applicazioni di

forte interesse, sia tecnologico che industriale. La Figura 39 mostra un esempio

commerciale di applicazione di aerogel supportati su fibra per la produzione di materiali

isolanti.

Figura 39: Esempio di applicazione di aerogel. (A) Blanket per applicazione nell’aeronautica

(tecnologia attuale), che viene inserito in una protezione di silicone (B) per essere utilizzato

quale termoisolante su parti del motore.

In questa fase dello studio sono state analizzate le proprietà del gel che possono

influenzare le caratteristiche di tessitura del solido finale, ed in che modo le prime

possono essere modificate in fase di sintesi. I principali parametri di sintesi possono

essere riassunti in:

1. Concentrazione di precursore metallico nella soluzione iniziale.

2. Concentrazione di H2O2/ NH3.

3. Velocità di precipitazione del precursore.

4. Velocità di agitazione in fase di precipitazione.

5. Volumi di solvente di lavaggio.

6. Volume di solvente/ durata nel trattamento termico in alcol.

I gel sintetizzati sono stati caratterizzati attraverso la misura delle proprietà reologiche e

della distribuzione degli agglomerati mediante analisi granulometrica.

Per motivi di riservatezza, essendo il lavoro condotto in collaborazione industriale,

nell’ambito della presente tesi vengono trattati solamente alcuni aspetti del processo, e

specificatamente l’effetto della velocità di agitazione in fase di precipitazione sulle

proprietà reologiche, fattore critico per la preparazione dei compositi.

2.2 Caratterizzazione delle polveri (tessitura/struttura).

Nell’ambito della tesi si è proceduto alla caratterizzazione delle proprietà di tessitura e

struttura. Per quanto riguarda la tessitura, essere in grado di misurare l’area superficiale

A B

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Parte sperimentale _______________________________________________________________________

63

e la dimensione dei pori di un solido risulta indispensabile per comprendere le proprietà

ad esso associate, e per disegnare un materiale con specifiche caratteristiche di porosità.

La struttura superficiale, che comprende oltre all’estensione della superficie, la

morfologia, il volume e la dimensione dei pori, è detta, con un termine di derivazione

anglosassone, tessitura.

2.2.1 Fisiadsorbimento di N2 a 77K.

Le caratteristiche di tessitura di un solido possono essere determinate attraverso misure

di adsorbimento fisico o fisiadsorbimento di gas, in quanto:

1. è accompagnato da bassi calori di adsorbimento (2÷6 Kcal/mol), non

comportando quindi modifiche strutturali della superficie per effetto della misura,

che quindi è non-distruttiva. Le interazioni tra gas adsorbito e superficie sono

infatti del tipo di Van der Waals (ione-dipolo, ione-dipolo indotto, dipolo-dipolo).

2. la superficie può essere ricoperta da più di uno strato molecolare. La

condensazione del vapore determina il riempimento dei pori permettendo quindi

di misurarne il volume.

1. Non avviene a temperature elevate.

2. L’equilibrio di adsorbimento fisico viene raggiunto rapidamente poiché l’energia di

attivazione del processo è nulla (tranne che nell’adsorbimento in piccoli pori,

dove la diffusione può limitare la velocità di adsorbimento).

3. L’adsorbimento fisico è completamente reversibile e questo permette lo studio sia

del processo di adsorbimento che di quello di desorbimento.

4. Molecole fisicamente adsorbite non sono costrette su siti specifici e sono libere di

ricoprire l’intera superficie: in questo modo è possibile determinare l’area

superficiale totale del solido piuttosto che il numero di singoli siti.

2.2.2 Misura dell’area superficiale (BET).

Conoscendo l’area occupata da una singola molecola adsorbita è possibile determinare

l’area superficiale, misurando il numero di molecole di gas adsorbito necessarie per

ricoprire completamente la superficie di un solido con formazione di un monostrato.

Il metodo BET (Brunauer, Emmett e Teller) consente di determinare sperimentalmente

questa grandezza. Il modello assume che l’adsorbimento avvenga con formazione di una

serie di strati, le cui molecole adsorbite più esterne siano in equilibrio col vapore. La

determinazione dell’area superficiale si ottiene da questo modello attraverso l’equazione

di BET:

( )[ ] 00

11

1

1

P

P

Cn

C

CnP/Pn mm

−+=

− (18)

dove:

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Parte sperimentale _______________________________________________________________________

64

P = pressione del gas;

P0 = pressione di saturazione del gas (pressione atmosferica);

n = massa del gas adsorbito alla pressione P;

nm= massa del gas adsorbito nel primo monostrato;

C = costante di BET (dipendente dal tipo di interazione tra adsorbente ed adsorbito)

nell’intervallo 0,05< 0P

P< 0,30 il grafico di

( )[ ]1

1

0 −P/Pn in funzione di

0P

P è

generalmente una retta la cui pendenza s e intercetta i sono:

Cni

Cn

Cs

mm

11=

−=

Risolvendo le due equazioni in nm e C si ottiene:

11

+=+

=i

sC

isnm

L’area superficiale S può quindi essere calcolata come:

M

aNnS mAm= (19)

con:

NA = numero di Avogadro;

M = peso molecolare del gas adsorbito;

am = area occupata da una molecola di gas adsorbito. (0.162 nm2 per mol per N2)

2.2.3 Determinazione della distribuzione dei pori.

I pori vengono classificati in base alle loro dimensioni nel modo seguente:

• Micropori, con diametro inferiore ai 2 nm;

• Mesopori, con diametro compreso tra 2 e 50 nm;

• Macropori, con diametro maggiore di 50 nm.

Un’indicazione sulla porosità dei solidi viene data dalla forma dell’isoterma di

fisiadsorbimento. Secondo la classificazione proposta dalla IUPAC, esse possono essere

distinte in sei tipi fondamentali (Figura 40) (107):

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Parte sperimentale _______________________________________________________________________

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Pressione relativa Pressione relativa

Vol

ume

adso

rbito

Vol

ume

adso

rbito

0pp0pp

Figura 40: Tipi di isoterme (a) e tipi di isteresi (b) secondo la classificazione IUPAC.

Isoterma di tipo I: caratteristica di sistemi microporosi, caratterizzati da una area

superficiale esterna relativamente bassa e da un elevato contributo dell’interno dei pori,

la cui determinazione risulta limitata essenzialmente dall’accessibilità del volume

microporoso. Isoterma di tipo II: relativa a sistemi non porosi o macroporosi. Essa rappresenta un

tipico adsorbimento a più strati.

Il punto B viene generalmente considerato corrispondente al completamento di un

monostrato di molecole fisiadsorbite e all’inizio della formazione degli strati successivi.

Isoterme III e V: poco comuni; la loro forma è determinata da interazioni molto deboli tra

adsorbito ed adsorbente.

Isoterma di tipo IV: è la più comune ed è tipica di sistemi mesoporosi. La parte iniziale

risulta simile a quella dell’isoterma di tipo II, mentre a più alti valori della pressione

relativa presenta la caratteristica isteresi che è associata alla condensazione capillare

che avviene nei mesopori. La forma di tale isteresi varia notevolmente a seconda della

geometria dei pori. Isoterma di tipo VI: è il caso di un adsorbimento su classi di siti energeticamente

uniformi. È stato osservato solo nel caso di zeoliti ben cristallizzate.

I diversi tipi di isteresi sono classificati in quattro gruppi, indicati rispettivamente con H1,

H2, H3, H4 in 13(b). Le isteresi di tipo H1e H4 rappresentano due situazioni estreme: il primo andamento è

spesso ottenuta con agglomerati compatti di particelle sferiche con dimensioni e

disposizione uniformi mentre la seconda viene ottenuta con adsorbenti i cui pori sono

originati dall’agglomerazione di particelle di forma essenzialmente bidimensionale.

Le isteresi di tipo H2 e H3 rispettivamente, caratterizzano agglomerati di particelle

sferoidali e lamellari, di dimensioni non uniformi.

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Parte sperimentale _______________________________________________________________________

66

Le isteresi sono spesso difficilmente classificabili in maniera univoca in uno dei quattro

gruppi: in molti casi, il materiale presenta una distribuzione di particelle, che formano pori

differenti per forma e dimensioni.

A seconda della classe di appartenenza dei pori, sono stati sviluppati diversi metodi per

la determinazione della distribuzione delle dimensioni.

Il modello più comunemente utilizzato per descrivere i processi di adsorbimento e

condensazione che avvengono nei mesopori è il metodo di Barrett, Joyner ed Halenda

(“BJH”) (108). Nella regione della condensazione capillare

> 40

0.

P

P all’aumentare

della pressione del gas si verifica un aumento dello spessore dello strato adsorbito sulle

pareti dei pori. La condensazione capillare nei pori cilindrici di raggio rc viene descritta

dall’equazione di Kelvin:

c

m

RTr

θwγ

P

P cos2ln

0

−= (20)

dove:

γ = tensione superficiale del liquido

wm = volume molare

R = costante dei gas

T è la temperatura

θ è l’angolo di contatto tra le molecole condensate e lo strato sottile adsorbito sulle

pareti.

Quest’ultimo termine tiene conto del fatto che la condensazione capillare avviene durante

la determinazione dell’isoterma e, quindi, le pareti dei pori si trovano già ricoperte da uno

strato adsorbito, il cui spessore è determinato dal valore della pressione relativa. Per

semplicità, nelle applicazioni pratiche si assume θ uguale a zero.

Esaminando punto per punto l’isoterma di adsorbimento nell’intervallo 0.42<P/P0<0.98 si

può ottenere il volume dei mesopori e la loro distribuzione.

Essendo il raggio dei pori funzione della pressione di condensazione, è possibile quindi

ottenere una rappresentazione della distribuzione dei pori; sono stati sviluppati molti

metodi per la sua determinazione, differenziati soprattutto per l’intervallo di dimensione

dei pori a cui sono applicabili (micropori, mesopori o macropori). A causa dell’isteresi, la

curva di distribuzione è differente a seconda che sia calcolata nel ramo ascendente

(adsorbimento) o discendente (desorbimento) dell’isoterma.

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Parte sperimentale _______________________________________________________________________

67

0

0,5

1

1,5

2

2,5

1 10 100 1000

Diametro medio dei pori (nm)

dV

/dlo

g(D

) I

0

0,2

0,4

0,6

0,8

1

1,2

Vo

lum

e d

ei

po

ri c

um

ula

tiv

o

(cm

3/g

)

Figura 41: Esempio di curva di distribuzione dei pori (■) e di volume cumulativo (●).

Una delle possibili rappresentazioni, da noi utilizzata, è data dalla derivata, rispetto al

logaritmo decimale del diametro dei pori, dell’incremento del volume dei pori misurato, in

fase di desorbimento del gas, a ogni valore della pressione relativa. Questo modello ha

validità per pori con diametro maggiore di 4 nm. In Figura 41 sono riportati, a titolo di

esempio, la distribuzione e il volume complessivo misurati con questo metodo in

un’allumina mesoporosa. Il valore del diametro dei pori è riportato su scala logaritmica.

Le isoterme di adsorbimento e desorbimento di N2 a –196°C (BET) sono state ottenute

utilizzando un porosimetro Tristar 3000 (Micromeritics).

La misura di fisiadsorbimento viene eseguita su una quantità di solido variabile tra i 25 e i

200 mg, in dipendenza dalla porosità del materiale. Il solido, posto in un palloncino in

quarzo, viene sottoposto a un pretrattamento in vuoto (~0.1 torr) a caldo (350 °C per

materiali calcinati, 120 °C per materiali essiccati) per 16÷24 h, per eliminare l’umidità

contenuta nei pori ed eventuali altre molecole adsorbite.

Una volta pesato, il campione, contenuto in un tubo in quarzo, viene evacuato dallo

strumento, portato alla temperatura criogenica, ed esposto al gas di analisi a una serie di

valori di pressione. Ad ogni incremento di pressione, la pressione di equilibrio P è

confrontata con la pressione di saturazione (P0), e viene misurata la quantità di gas

adsorbito dal campione, espressa come volume i gas a temperatura e pressione

ambiente, e registrata in funzione della pressione relativa P/P0. Quando si raggiunge la

pressione di condensazione del gas P0 (pressione atmosferica), lo strumento inizia il

processo di desorbimento, riducendo la pressione e registrando il ramo discendente

dell’isoterma.

Dalle proprietà di tessitura sono poi stati determinati i valori di densità relativa, densità

reale, porosità percentuale, e diametro dei grani (109), secondo le equazioni 21-24.

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Parte sperimentale _______________________________________________________________________

68

( ) 100% ×=XRD

reld

dd (21)

+

=

pori

XRD

reale

Vd

d1

1 (22)

1001

(%) ×

+

=

XRD

pori

pori

dV

VP (23)

XRDdSD

*

6000= (24)

Dove dXRD è la densità del solido in g/cm3 in assenza di porosità, ossia determinata

attraverso la tecnica a raggi X, Vpori è il volume dei pori in ml/g misurato per

fisiadsorbimento di azoto, D è il diametro dei grani in nm e S è l’area superficiale BET in

m2/g.

2.2.4 Diffrazione di raggi X di polveri.

La diffrazione da polveri è una delle più diffuse tecniche di caratterizzazione dei materiali

ed è tradizionalmente usata come tecnica di routine per l’analisi diagnostica e

quantitativa di fasi cristalline, per la misura accurata dei parametri di cella, per studi di

tessitura ed orientazione preferenziale. La diffrazione è l’ interferenza che subisce la

radiazione elettromagnetica che diffonde da un oggetto posto sul cammino della

radiazione, a causa della riflessione di onde da piani cristallini diversi ma paralleli (Figura

42). Questo fenomeno viene descritto dalla legge di Bragg (eq.25).

Θ= sin2 hkldnλ (25)

dove Θ è l’angolo che il fascio incidente forma con un piano cristallino, d è ala distanza

tra due piani adiacenti, λ è la lunghezza d’onda della radiazione, n è l’ordine della

diffrazione.

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69

Figura 42: Diffrazione di raggi X da una serie di piani reticolari.

Gli spettri sono stati registrati utilizzando un diffrattometro Siemens Kristalloflex Mod. F

con sorgente Cu Kα, fornito di filtro di nichel per la sottrazione della radiazione Kβ,

operante a 40kV e 20mA; fenditure 1°, 1°, 0.15°, 0.15°. Gli spettri sono registrati con un

passo di 0.02°, tempo di acquisizione 10 s.

Altri spettri sono stati registrati con uno strumento Philips X'Pert, presso il Dipartimento di

Scienze e Tecnologie Chimiche dell’Università di Udine, anch’esso con sorgente di Cu

Kα filtrata con Ni. La sorgente di raggi X opera a una tensione di 40 kV e con una

corrente di 40 mA. Gli spettri sono stati raccolti usando un passo di 0.02° e un tempo di

acquisizione di 40 s. L’intervallo 2Θ considerato è 10-100°. Il goniometro di entrambi gli

strumenti è stato calibrato mediante uno standard di silicio fornito dal costruttore.

L’identificazione dei picchi di diffrazione e la determinazione della dimensione dei

cristalliti è stata effettuata tramite il software Peakfit, mediante il quale è possibile

separare e quantificare in modo accurato i riflessi, avendo a disposizione varie funzioni di

approssimazione di forma tra le quali il modello Gaussiano, Lorentziano e Voigt.

Le informazioni ricavate dall’analisi sono:

• l’intensità e la frazione in massa di ciascuna fase, limitatamente al contributo

rilevabile all’XRD (fasi cristalline)

• l’ampiezza delle righe spettrali espressa come FWHM (Full Width at Half

Maximum)

• i parametri di cella.

La determinazione delle dimensioni medie dei cristalliti è stata effettuata tramite il metodo

dell’ampiezza di riga che consiste nell’applicazione dell’equazione di Scherrer (110).

22

0cos Sisp

hklB

BBθ

λKd

−= (26)

laddove:

dB = diametro medio dei cristallini,

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Parte sperimentale _______________________________________________________________________

70

λ = lunghezza d’onda della radiazione utilizzata, nel nostro caso 1.5418 nm,

K = costante di Scherrer ( = 0.90).

θ0 = (in radianti) angolo di Bragg del riflesso considerato.

Bsp = (in radianti) ampiezza della riga a metà altezza (FWHM)

BSi = (in radianti) ampiezza strumentale della riga a metà altezza, misurata per un

campione di Silicio di riferimento a cristalliti molto grandi.

La dB così calcolata è approssimabile a <D>v, definita come la dimensione apparente del

dominio, ossia lunghezza media di una colonna di celle elementari nella direzione del

vettore di diffrazione. Si noti che, essendo il valore di <D>v dipendente dallo specifico

piano reticolare, è possibile ottenere valori differenti di dimensione dei cristalliti a seconda

della riga spettrale utilizzata per il calcolo, se il materiale ha cristalliti di forma anisotropa

(111).

Operativamente, questo valore viene calcolato, per ZrO2, dal picco base (indice di Miller

(1 1 1) per le fasi cubiche, (1 0 1) per quelle tetragonali). Per l’allumina γ o θ, il riflesso è

quello a 2Θ ≈ 67° (rispettivamente (2 2 0) e (7 1 2)); per α-Al2O3 è stato invece

considerato il riflesso a 2Θ ≈ 35°. Come valore di FWHM per il silicio di riferimento viene

utilizzato quello del riflesso ad angolo più vicino a quello scelto per la fase allo studio, in

quanto la larghezza del picco a metà altezza cambia con il variare dell’angolo.

2.3 Determinazione delle proprietà termoisolanti: laser flash

method.

La determinazione della diffusività termica dei materiali trova la sua importanza nella

progettazione di nuovi prodotti termoisolanti, nei controlli di sicurezza nei processi e nel

controllo di qualità. La tecnica laser flash è un metodo di analisi che è stato anche

standardizzato con norme ASTM (E1461). Esso viene utilizzato per la misura della

diffusività termica, del calore specifico e per la determinazione della conducibilità termica

di una vasta gamma di materiali solidi, anche in forma di film sottili (112,113). Esistono

diversi metodi basati sulla trasmissione del calore in stato stazionario e non, adatti alla

misura di questi parametri, ma essi in genere presentano dei limiti legati a lunghi tempi di

analisi o alla dimensione dei campioni. L’utilità del metodo “laser flash” risiede in alcuni

importanti vantaggi:

• richiede campioni a geometria molto semplice (quadrata o cilindrica), con

dimensioni ridotte (13 mm di diametro/lato e pochi mm di spessore);

• necessita di tempi di analisi molto brevi;

• permette di misurare un ampio intervallo di diffusività (10-3-10 cm2/s);

• può essere utilizzato anche per la misura di altre proprietà termofisiche, come

il calore specifico e la conducibilità termica;

• può essere utilizzato per testare campioni entro un ampio range di

temperature, anche nel caso di materiali fusi (114).

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71

I principali svantaggi della tecnica sono legati a :

• necessità di accurata messa a punto delle condizioni di misura;

• preparazione del campione che richiede elevata accuratezza e precisione;

• necessità di adeguato campionamento per campioni di dimensioni di

interesse pratico.

Di conseguenza, al fine di ottenere misure accurate e precise è necessario procedere ad

un assestamento delle condizioni sperimentali della misura, che sono funzione dello

strumento specifico.

2.3.1 Principio di funzionamento.

Il metodo sfrutta un laser come sorgente per riscaldare la superficie del campione

esposta, e ne misura l’andamento della temperatura in corrispondenza della superficie

opposta per mezzo di un detector ad infrarosso raffreddato ad azoto liquido (Figura 43).

La misura viene effettuata in tempi molto brevi (il tempo di irradiazione è tipicamente

inferiore a 1 ms), per minimizzare il problema della perdita di calore.

Figura 43: Principio di funzionamento della tecnica laser flash.

La diffusività termica viene calcolata considerando lo spessore del campione e il tempo

necessario affinché la superficie del campione opposta alla sorgente raggiunga

determinate percentuali del suo valore massimo. La Figura 44 riporta il profilo di un tipico

termogramma.

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72

Figura 44: Tipico termogramma ottenuto con il metodo laser flash.

In assenza di perdita di calore la temperatura della superficie del campione opposta alla

sorgente di calore raggiunge un valore massimo, che mantiene per un tempo infinito (A,

caso ideale). Nella realtà si verifica una perdita di calore che determina una diminuzione

della temperatura registrata nel tempo, in seguito al raggiungimento del suo valore

massimo (B e C).

Il modello fisico ideale del metodo ad impulsi è basato sul comportamento in condizioni

adiabatiche di un materiale, inizialmente a temperatura costante, quando è soggetto ad

un lato ad un breve impulso di energia. Il modello assume:

� un flusso di calore unidirezionale;

� assenza di perdite di calore dalle superfici del campione;

� assorbimento uniforme dell’impulso sulla superficie frontale del campione;

� durata infinitesimale dell’impulso;

� assorbimento dell’energia dell’impulso su uno strato molto sottile;

� omogeneità ed isotropia del campione;

� nessuna variazione della diffusività con la temperatura nelle condizioni

sperimentali utilizzate.

Parker (115) sviluppò un’espressione matematica per il calcolo della diffusività termica,

partendo dall’equazione di distribuzione della temperatura all’interno di un solido di

spessore uniforme d (eq. 27):

( ) ( ) ( ) dxd

xnxT

d

xn

d

tn

ddxxT

dtxT

d

n

dππαπ

cos0,cos*exp2

0,1

,01

2

22

0

∫∑∫∞

=

−+= (27)

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73

dove α è la diffusività termica del materiale. Se un impulso di energia termica Q è

istantaneamente ed uniformemente assorbito ad una piccola profondità g della superficie

frontale del campione (x=0), la distribuzione della temperatura a quel tempo è data da

( )gC

QxT

p ⋅⋅=

ρ0, per gx <<0 (28)

e ( ) 00, =xT per dxg << (29)

L’equazione 28 può essere perciò scritta come

( )

−∗+= ∑

=12

22

exp

sin

cos210,np

td

n

d

gnd

gn

d

xn

dC

QxT α

π

π

ππ

ρ (30)

dove ρ è la densità e Cp è il calore specifico del materiale. Per materiali opachi g è molto

piccolo e si ha dgndgn ππ ≈sin .

La distribuzione della temperatura sulla superficie opposta (x=d) è espressa

dall’equazione 31:

( ) ( )

−−+= ∑

=12

22

exp121,n

n

p

td

n

dC

QtdT α

π

ρ (31)

Possono essere definiti due parametri adimensionali V e ω:

( ) ( )

MT

tdTtdV

,, = (32)

con TM che rappresenta la temperatura massima sulla superficie opposta alla sorgente di

calore e

2

2

d

tαπω = (33)

Combinando le equazioni 31-33 si ottiene

( ) ( )∑∞

=

−−+=1

2exp121n

nnV ω (34)

Quando V=0.5, ω= 1.38 e perciò

21

2

1388,0t

d=α (35)

dove t1/2 è il tempo necessario affinché la superficie opposta alla sorgente di calore

raggiunga la metà del valore massimo della temperatura. Il modello descritto da Parker

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74

rappresenta una situazione ideale, poiché nella realtà le condizioni di contorno sopra

riportate non sono rispettate. Sono state sviluppate varie teorie con l’intento di descrivere

il processo reale e di correggere il modello di Parker, ma allo stato attuale manca ancora

un modello che tenga conto di tutti i fattori che influenzano la misura della trasmissione

del calore mediante la tecnica laser flash, che variano a seconda delle condizioni

operative utilizzate. Lo spessore del campione analizzato, per esempio, influisce sia

sull’ampiezza dell’impulso necessaria, sia sulla perdita di calore che si verifica per

radiazione.

2.3.2 Apparato strumentale.

I componenti essenziali del sistema di misura sono rappresentati in Figura 45. L’apparato

è costituito da una sorgente di energia laser, da un porta campioni dotato di un sistema

per il riscaldamento/raffreddamento, da un detector per la misura della temperatura, e da

un dispositivo di registrazione del segnale. La sorgente laser deve essere in grado di

produrre un impulso di breve durata, che dovrebbe corrispondere a circa il 2% del tempo

richiesto affinché la superficie del campione opposta al flash raggiunga la metà della

temperatura massima (cfr. Figura 44). Al fine di evitare il riscaldamento non omogeneo e

la presenza di punti caldi sulla superficie frontale del campione, tra quest’ultimo e il laser

viene applicato un filtro ottico. Il detector fornisce una risposta elettrica lineare e

proporzionale ad un piccolo incremento di temperatura, misurato al centro della superficie

del campione opposta alla sorgente. Per evitare il danneggiamento del detector dovuto

alla penetrazione del fascio laser, possono essere inseriti filtri ottici, opachi alla lunghezza

d’onda selezionata.

Figura 45: Diagramma a blocchi del sistema di misura.

Le misure sono state effettuate utilizzando uno strumento Netzsch LFA 447 Nanoflash®

(Figura 46).

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75

Figura 46: Le componenti del sistema Netzsch LFA 447 Nanoflash®.

La sorgente di energia utilizzata in questo apparato strumentale è una lampada laser allo

Xenon posizionata all’interno di una specchio parabolico. L’unità è dotata di un forno in

grado di operare tra 25°C e 300°C, e di un posizionatore del campione automatico

controllato da un software, che permette la misura di quattro campioni per ogni analisi.

Possono essere analizzati campioni a diversa geometria: cilindrica con diverso diametro,

oppure quadrata. L’innalzamento della temperatura sulla superficie del campione opposta

alla sorgente di calore è misurato per mezzo di un detector infrarosso In-Sb raffreddato

ad azoto liquido, che non è a contatto diretto con il campione per permettere la mobilità

del porta campioni. Il software per l’acquisizione ed elaborazione dei dati permette un

completo controllo dei parametri di analisi e di sistema (tempo di misura, durata

dell’impulso, amplificazione, ecc.), ed è provvisto di diversi modelli matematici per la

correzione della misura, che considerano l’effetto del tempo di impulso finito, o la perdita

di calore per radiazione, oppure un riscaldamento non omogeneo della superficie (116-

119). Lo strumento permette anche l’analisi multi-layer di sistemi a due e tre strati,

considerando anche in questo caso l’effetto dovuto alla perdita di calore per radiazione e

al tempo d’impulso finito.

2.3.3 Procedura sperimentale.

La geometria del campione è fondamentale per la qualità della misura. A seconda del

tipo di materiale analizzato e dell’intervallo di valori in cui si suppone sia compresa la sua

diffusività termica, ci sono delle restrizioni riguardo lo spessore ottimale che il campione

deve avere per aumentare l’accuratezza della misura. Nel caso di materiali ceramici i

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76

campioni analizzati sono stati preparati nella forma di pastiglia di diametro 13 mm e

spessore 2 ± 0,3 mm comprimendo la polvere di partenza con forze crescenti (0.5 ton, 1

ton, 2 ton, 3 ton, 5 ton, 10 ton, 15 ton). Sono stati utilizzati due diversi procedimenti di

preparazione del campione:

1. mediante compressione della polvere precalcinata (aggregato);

2. mediante sinterizzazione della pastiglia ottenuta a partire dal materiale fresco

(agglomerato).

Ogni campione è stato ricoperto di graffite su entrambe le superfici, per eliminarne la

trasparenza al laser, favorire un omogeneo assorbimento di energia, e per ridurne la

rugosità superficiale. L’analisi è stata effettuata utilizzando i seguenti parametri operativi:

• minima potenza del laser (270 V), per minimizzare l’effetto della perdita

di calore.

• durata dell’impulso media.

• amplificazione 623-2520.

• tempo di acquisizione 20000-30000 ms.

Le misure sono state raccolte nel range di temperatura 25-300 °C (i dati riportati sono

relativi alla misura a 300°C). I valori di diffusività termica in funzione della temperatura

sono stati ottenuti fittando i dati attraverso un modello che considera la non totale opacità

del campione e la perdita di calore dovuto all’effetto della radiazione (eq. 36).

( )( ) ( )

λβ

α

c

Binn

BiBin

nBinn

n n

nn

hLNdy

NNy

yNyy

d

tyyTtdT

==

++

+

−= ∑

=

2

sincosexp2,

221

2

2

(36)

con:

T∞= temperatura rilevata dal detector estrapolata al tempo infinito (°C).

d= spessore del campione (mm).

t= tempo (sec).

α= diffusività termica (mm2/s).

h= coefficiente di trasferimento di calore (W/m2K).

NBi= numero di Biot, riguarda la resistenza al trasferimento di calore all’interno e sulla

superficie del campione.

LC= rapporto tra volume e area superficiale del campione.

λ= conducibilità termica (W/mK).

Il calore specifico (Cp) di un materiale è definito come la quantità di energia Q necessaria

per innalzare di una unità la temperatura T di una massa unitaria m

Tm

QC p

∆= (37)

Il valore di calore specifico può essere misurato attraverso la tecnica laser flash

confrontando l’andamento di temperatura del campione incognito con quello relativo ad

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77

una materiale di riferimento a Cp noto, analizzato nelle stesse condizioni operative. Il

materiale di riferimento viene analizzato a tutti i valori di temperatura di interesse, per

calibrare la risposta del detector IR (∆V, voltaggio) per piccoli ∆T. La misura è stata

effettuata contestualmente a quella di diffusività termica, utilizzando come campione di

riferimento Al2O3 sinterizzata 99,8%, e fittando i dati mediante l’equazione 38.

( )TCd

d

D

D

V

V

Q

Q

T

TC

ref

pref

orifice

sample

orifice

samplesample

refref

ref

sample

ref

sample

sample

ref

sample

p ∗∗∗∗∗=∞

,2

,2

*

*

ρ

ρ (38)

con:

Cp= calore specifico (J/gK).

Q= energia fornita (integrale dell’impulso laser, rel./V).

V= fattore di amplificazione.

ρ= densità (g/cm3).

D= spessore (mm).

d2orifice= quadrato del diametro (area) dell’apertura del porta campioni (mm2).

La conducibilità termica ad ogni temperatura è stata poi calcolata utilizzando i dati di

diffusività e di calore specifico secondo l’eq. (39).

(39)

2.4 Caratterizzazione del gel.

2.4.1 Misure reologiche.

Le microparticelle disperse in un solvente possono essere aggregate in diverso modo in

funzione della preparazione e dal processo di invecchiamento subito.

Sotto effetto dell’agitazione è possibile osservare una diminuzione della viscosità con il

tempo, in questo caso si definisce tissotropico. Al contrario quando si osserva un

aumento della viscosità si definisce anti-tissotropico.

In ogni caso, la viscosità di una sospensione diluita è più alta rispetto al solvente puro ed

è regolata dalla seguente equazione:

[ ]( )( )φηηη p++= 110 (40)

Dove:

η = viscosità della sospensione

η0 = viscosità del solvente

[η] = viscosità intrinseca e dipende dalla geometria delle particelle.

p = coefficiente di elettroviscosità e dipende dallo stato elettrico dell’interfaccia

solido/liquido

φ = frazione volumetrica del solido

( ) ( ) ( ) ( )TCTTT p∗∗= ραλ

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78

Nel caso in cui il sistema sia fortemente diluito e che le interfasi siano neutre, l’equazione

può essere semplificata a

[ ]( )φηηη += 10 (41)

Ci sono tre modelli reologici comunemente utilizzati:

(1) newtoniani, in questo caso shear stress (τ) è proporzionale allo shear rate (γ& )

dove la costante di proporzionalità è la viscosità, γητ &⋅=

(2) flusso plastic Bingham, γηττ &⋅+= 0, dove la viscosità è costante oltre una

certa tensione.

(3) Modello Casson, ( ) ( ) ( ) 21

21

02

1

γηττ &⋅=− , in questo caso la viscosità cambia al

di sopra di una certa tensione.

Il dato reologico istantaneo è correlato con i parametri strutturali che cambiano in

funzione delle forze esercitate.

Lo sforzo applicato provoca un cambiamento della reologia dovuto al passaggio da stato

strutturato a stato non-strutturato. Per un sistema tissotropico la viscosità cambia in

relazione alla seguente formula (120):

( )( )

( ) 11

1

0

+−=

−−

∞ ktn

n

ηη

ηη (42)

Dove n è l’ordine della reazione di disgregazione. Il rapporto ∞η

η0 può essere considerato

come la misura relativa alla tissotropia. La costante k generalmente aumenta

all’aumentare della temperatura ed all’aumentare della forza.

Le misure reologiche sono state effettuate utilizzando un viscosimetro rotazionale

Brookfield modello RVT.

La procedura generale utilizzata per la misura della viscosità è la seguente:

1. Il gel viene diluito con alcol al fine di portare ad una concentrazione di circa 9

mg/ml.

2. Il gel viene mescolato (300 RPM) per 30 minuti e lasciato a temperatura

ambiente per tutta la notte (400 ml).

3. Si termostata a 20°C per un periodo di riposo di 20 minuti.

4. Si analizza la viscosità al variare del tempo a forza costante utilizzando un

viscosimetro rotazionale. Analisi della cinetica di disgregazione (60 minuti):

determinazione del tipo di gel (si utilizza RPM = 50 shear rate 75 s-1).

5. Si costruisce la curva viscosità shear rate vs shear stress: si determina il tipo di

gel e relativo modello.

6. Il rapporto tra viscosità iniziale con quella finale identifica il tipo di gel e la cinetica

di disgregazione.

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Parte sperimentale _______________________________________________________________________

79

7. dopo omogeneizzazione si ripete il punto 4 e 5.

8. dopo una notte in frigorifero si ripete il punto 4 e 5.

Le dispersioni/gel sono stati quindi utilizzati per preparare compositi gel/fibra mediante

processo di impregnazione.

2.4.2 Analisi granulometrica mediante granulometro laser.

L’analisi granulometrica è stata effettuata sfruttando la tecnica Low Angle Laser

Scattering, utilizzando un granulometro laser Mastersizer 2000E (Malvern Instruments).

La tecnica Low Angle Laser Scattering si basa sulla diffrazione di un raggio laser da parte

di particelle sospese in un gas o un liquido (121). Il metodo sfrutta il fatto che l’angolo di

diffrazione del raggio laser è inversamente proporzionale alle dimensioni delle particelle

(Figura 47). L’apparato utilizza due sorgenti di luce a due diverse lunghezze d’onda: un

laser principale sul rosso He-Ne, ed un diodo laser blu che è abbinato a detector di

backscattering per aumentare le prestazioni dello strumento. Il sistema di rivelazione è

costituito da un detector frontale, in cui i diodi sono più fitti e più piccoli verso il centro,

perché servono a raccogliere lo scattering delle particelle più grandi, che deviano la luce

con angoli molto piccoli e poco diversi tra loro, ma a cui è associata un’energia elevata. I

diodi laterali e di backscattering hanno dimensioni maggiori, e integrano le performance

del rivelatore principale per particelle di piccole dimensioni (e grandi angoli di diffrazione).

Quando le dimensioni delle particelle sono simili alla lunghezza d’onda del raggio laser

quest’ultimo è diffratto secondo una funzione complessa che presenta molti massimi e

minimi. Un software usa la teoria di Mie, relativa all’interazione della luce con le particelle,

in modo da ottenere valori accurati sul più ampio intervallo dimensionale possibile

(generalmente 0,1- 2000 micron). Quando una sfera omogenea, di indice di rifrazione

conosciuto, viene illuminata con una luce di λ e polarizzazione conosciute, un numero

finito di punti all’interno della sfera diventa a sua volta sorgente di luce, e la teoria di Mie

produce le equazioni che consentono di prevedere come queste sorgenti irradiano a

varie distanze. Si ottiene una distribuzione in volume, che è uguale alla distribuzione in

peso se le particelle hanno tutte la stessa densità. La dimensione della particella viene

espressa come diametro della sfera equivalente, che ha cioè uguale volume.

I gel sono stati analizzati in sospensione in isopropanolo o PR-AZ, sottoposta ad

agitazione tramite un elica e fatta ricircolare all’interno di una cella a flusso posta davanti

al raggio laser. L’analisi nel tempo è stata eseguita variando ad intervalli di 15 minuti la

velocità di agitazione: 1300 rpm, 2000 rpm, 3300 rpm e 1300 rpm in presenza anche di

ultrasuoni.

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Figura 47: Principio di funzionamento della tecnica Low Angle Laser Scattering.

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Parte sperimentale _______________________________________________________________________

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3 Parte sperimentale: ossidi metallici per

applicazione in campo catalitico.

3.1 Materiale.

3.1.1 Il percolato di discarica.

Il percolato utilizzato per la sperimentazione proviene da una discarica regionale per rifiuti

solidi urbani e non ha subito nessun tipo di pre-trattamento prima del processo foto-

catalitico.

Nonostante la composizione del percolato dipenda sia dalle caratteristiche dei rifiuti che

da quelle della discarica, i principali componenti contenuti in questo fluido possono

essere riassunti in Tabella 6. A titolo di confronto sono riportati i valori e i valori limite per

ogni parametro imposti dalla legge italiana per lo scarico dei fluidi nelle acque superficiali

e nel sistema fognario, nonché i valori tipici delle fasi acidogenica e metanogena che

rappresentano gli stadi finali della stabilizzazione biologica dei rifiuti, in cui si ha la

produzione di gran parte del percolato. La fase acidogenica è caratterizzata dalla

formazione fermentativa di acidi grassi volatili con produzione di percolato concentrato.

Durante la fase metanogena avviene la degradazione della sostanza organica con

produzione di metano ad opera di batteri metanogeni: alcuni componenti del percolato

diminuiscono e il pH da acido si avvicina alla neutralità.

Tabella 6: Caratteristiche del percolato di discarica.

Parametro Unità Valore FASE

ACIDOGENICA

FASE

METANOGENA

Valore limite

per scarico in

acque

superficiali

Valore limite

per scarico

nel sistema

fognario

av min/max av min/max pH pH unit 7,6 7.4 6.2-7.8 7.6 7.0-8.3 5,5-9,5 5,5-9,5

Conducibilit mS/cm 10890 Oxidabilità mg/l O2 505,6

BOD5 a mg/l 980 6300 600-27000 230 20-700 40 250

CODb mg/l 2300 7500 950-40000 2500 460- 160 500 Cd µg/l <0,01 37.5 0.7-525 37.5 0.7-525 0,02 0,02

Cr totale mg/l 0,205 0.16 0.002-0.52 0.16 0.002- 2 4 Cr VI mg/l <0,1 0,2 0,20 Fe mg/l 4,25 135 3-500 25 4-125 2 4 Mn mg/l 0,254 11 1-32 2 0.3-12 2 4 Ni mg/l 0,059 0.19 0.01-1 0.19 0.01-1 2 4 Pb mg/l 0,011 0.16 0.008-0.4 0.16 0.008- 0,2 0,3 Cu mg/l 0,022 0.09 0.005-0.56 0.09 0.005- 0,1 0,4 Zn mg/l 0,069 2.2 0.1-16 0.6 0.1-3.5 0,5 1,0

SO42- mg/l 59,9 200 35-925 240 25-2500 1000 1000 Cl- mg/l 796,5 2150 315-12400 2150 315- 1200 1200

NH4+ mg/l 240,2 740 17-1650 740 17-1650 15 30

NO2- mg/l <0,15 0,6 0,6 NO3- mg/l 0,58 20 30 fenoli mg/l 0,108 0,5 1

B mg/l 2 2 4 a Biochemical Oxygen Demand, misurato a cinque giorni dalla raccolta del campione. b Chemical Oxygen Demand.

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In base ai valori di COD e BOD5 il percolato utilizzato nella sperimentazione può essere

classificato come “vecchio”, cioè proveniente da una discarica alla fase metanogena;

contrariamente il rapporto BOD5/COD (indice della biodegradabilità) pari a 0,4 è quello

tipico della fase acidogenica. Ciò può essere spiegato ipotizzando la contemporanea

presenza di lotti vecchi e giovani di rifiuti nella discarica di provenienza del percolato.

3.1.2 Acque industriali provenienti dall’industria del sughero.

Il refluo industriale utilizzato nella sperimentazione proviene da un’industria regionale per

la produzione di tappi di sughero. Esso viene prodotto durante uno degli step di

trattamento del sughero, che prevede un lavaggio in acqua alla temperatura di 90-100°C

per una durata di almeno un’ora. Lo scopo della fase di bollitura è quello di pulire il

sughero, estrarre le sostanze idrosolubili, aumentare lo spessore e migliorare la

morbidezza e l’elasticità del materiale. La produzione di refluo oraria stimata è di 6000

L/h. Dal punto di vista della composizione le acque industriali sono ricche in tannini e

composti fenolici, in particolare 2,4,6-tricloroanisolo, che è il principale responsabile del

“gusto da tappo” che il vino può assumere se non opportunamente conservato. La

concentrazione media iniziale di contaminanti è di ca. 300-500 mg/L O2, ed il pH è

prossimo alla neutralità (6,5). A causa di questa sua composizione, perciò, il refluo

presenta la tipica colorazione arancio-bruna del tè. Per questa ragione uno dei parametri

che sono stati presi in esame per il monitoraggio del processo fotocatalitico è

l’assorbanza nella regione del visibile. Sulla base dello spettro UV-VIS completo, è stata

selezionata la lunghezza d’onda a 358 nm.

3.1.3 Catalizzatori.

Nell’ambito della tesi sono state utilizzate, oltre a campioni commerciali di TiO2, titanie

sintetizzate secondo le procedure sintetiche di seguito riportate.

3.1.3.1 Sintesi di materiali a base di TiO2.

Sfruttando le metodologie sintetiche della precipitazione diretta, sol-gel e gel-combustion,

abbiamo preparato TiO2 mesoporose in previsione della deposizione su supporti fibrosi

per applicazioni fotocatalitiche.

Tutte le sintesi sono state condotte utilizzando quale precursore metallico il titanio

tetraisopropossido (TTIP, Aldrich) in solvente alcolico per isopropanolo (i-PrOH, Rieden-

deHaen) o etanolo (EtOH, Aldrich). Vengono di seguito brevemente descritte le

procedure relative alla sintesi di 1,6 g di TiO2.

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3.1.3.1.1 TiO2 (1) (da J. Mat. Sci., 2003, 38, 823) (122).

Una soluzione 0,5M di TTIP (0,025 mol di TTIP in 50 ml di i-PrOH) viene addizionata a

0,1 mol di trietilammina ( TEA/TTIP= 4) e mantenuta in agitazione a temperatura

ambiente per 2 h. Si aggiungono quindi 0,05 mol di acqua (H2O/TTIP= 2) sotto

agitazione. La soluzione gialla diventa lattiginosa dopo ca. 30 minuti e si forma un

precipitato. Il precipitato viene quindi filtrato, asciugato a 120°C per 2 h e calcinato a

350°C per 5 h. La sospensione-gel conservata in frigo rimane stabile anche dopo diversi

giorni (non si osserva sedimentazione del precipitato).

3.1.3.1.2 TiO2 (2) (da J. Crys. Growth, 2004, 264, 246) (123).

5,9 ml di TTIP vengono diluiti in 11,9 ml EtOH. A parte 2 ml di acetilacetone (AcAc) sono

miscelati con 11,9 ml EtOH e 4 ml acqua e la soluzione viene fatta gocciolare in quella di

TTIP. I rapporti molari tra reattivi sono Ti:AcAc:H2O:i-PrOH 1:1:12:20. La sospensione

giallo- arancio viene mantenuta in agitazione per 30’ quindi trattata a riflusso per 1 h. Si

osserva la formazione di un gel giallino abbastanza stabile. Il precipitato viene quindi

filtrato, asciugato a 120°C per 2 h e calcinato a 350°C per 5 h.

3.1.3.1.3 TiO2 (3) (da Thin Solid Films, 2007,515,7091) (124).

0,0125 mol TTIP vengono sciolte in 50 ml EtOH sotto agitazione, quindi diluite con 75 ml

H2O. Una soluzione di NH3 33% (Carlo Erba) viene fatta gocciolare fino a

raggiungimento di pH ca. 8. Si forma un precipitato bianco che viene lavato 2 volte con

H2O; dopo decantazione e eliminazione del surnatante vengono aggiunti alla

sospensione 20 ml di H2O2 35% (Fluka). Mediante una reazione esotermica si ottiene un

gel giallo, stabile alla conservazione in frigo. Il precipitato viene quindi filtrato, asciugato a

120°C per 2 h e calcinato a 400°C per 5 h.

3.1.3.1.4 TiO2 (4) (da J. Mat. Sci., 2008, 43, 3274) (125).

9,25 ml di TTIP vengono sciolti in 24 ml di i-PrOH sotto agitazione a temperatura

ambiente. Quindi, 10,75 ml di H2O2 35% vengono fatti gocciolare nella soluzione del

precursore metallico. I rapporti molari dei reattivi sono Ti:H2O2:i-PrOH 1:4:10. Si ottiene

un precipitato giallo- arancio con reazione esotermica e liberazione di gas (O2, i-PrOH,

H2O), che viene successivamente sottoposto ad invecchiamento per 30 minuti. In questo

caso la reazione si suppone avvenga in due stadi: l’idrolisi del precursore a formare

Ti(OH)4, e l’ossidazione di questo per dare perossocomplessi nella forma Ti(OOH)4. Il

precipitato viene quindi filtrato, asciugato a 120°C per 2 h e calcinato a 400°C per 5 h.

3.1.3.1.5 TiO2 (5) (da Powder Technology, 1997,92,233) (126).

Ad una soluzione 0,4 M di TTIP in isopropanolo (11,84 ml di TTIP in 100 ml alcool) viene

addizionata goccia a goccia una soluzione al 25 % di NH3, sotto agitazione a 400 rpm

mantenuta per ca. 1 minuto al termine della precipitazione. I rapporti molari tra i reagenti

sono gr.alcossido:NH3:H2O 1:1:3,1.

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Si forma una precipitato bianco in sospensione abbastanza stabile nel tempo.

La sospensione viene sottoposta a 2 lavaggi in 50 ml di isopropanolo (15 minuti

ciascuno; pHi=10,90, pHf=9,40), e quindi ad una trattamento termico in 70 ml di i-PrOH

per tutta la notte. Al termine del trattamento a riflusso il precipitato viene quindi filtrato,

asciugato a 120°C per 2 h e calcinato a 350°C per 5 h.

3.1.3.1.6 TiO2 (6) (da J. of Colloid and Interface Science, 2002,250,285)

(127).

Ad una soluzione 1 M di TTIP (5,92 ml TTIP in 20 ml EtOH) vengono aggiunti lentamente

24,5 ml H2O2 30%, termostatando a 19°C (per evitare la reazione esotermica di H2O2 con

forte sviluppo di gas). I rapporti molari tra reattivi sono H2O2:Ti 12:1.

Inizialmente si osserva un precipitato di Ti(OH)4, che si ridiscioglie completamente per

aggiunta di H2O2 formando una soluzione bruna-arancione.

La soluzione (50,42 ml) viene portata a volume a 200 ml con EtOH e riscaldata a 75°C

per 36 h. Entro i primi 30 minuti si forma una gel-sospensione stabile fino alla fine del

trattamento.

A fine trattamento il gel viene lavato per 3 volte in 500 ml H2O a 75°C per 1 h, quindi

filtrato, asciugato a 120°C per 2 h e calcinato a 350°C per 5 h.

3.1.3.2 TiO2 commerciali.

Nel corso della sperimentazione condotta sul percolato di discarica sono stati usati due

diversi TiO2 commerciali in sospensione: titania nanometrica CYC-1 (Shanghai Shanghui

Nano Technology Co.,Ltd) e Degussa P25. Il primo è costituito quasi interamente da

anatase (ca. 99%) e una piccola parte di rutile, mentre il secondo comprende una miscela

delle due fasi nella proporzione 85/15 (Figura 50). I due catalizzatori sono stati

caratterizzati mediante analisi XRD e fisiadsorbimento di N2 a 77K. I dati hanno

evidenziato delle chiare differenze tra i due tipi di TiO2. Dalle misure XRD si è visto che i

due campioni hanno diversa dimensione dei cristalliti della fase anatase, che per CYC-1

è ca. 10 nm, mentre per Degussa P25 è ca. 24 nm. Carp et al. in un lavoro sostiene che

esiste una dimensione dei cristalliti ottimale (ca. 10 nm) con cui la velocità della reazione

fotocatalitica sarebbe massimizzata, e ciò sarebbe dovuto al cambiamento del rapporto

superficie/massa che, per dimensioni più piccole, diminuirebbe la probabilità di

ricombinazione buca/elettrone (1). In base a questa affermazione TiO2 CYC-1 avrebbe

una particle size più adatta ai fini della reazione fotocatalitica. Le caratteristiche di

tessitura dei due campioni sono illustrate in Tabella 7, Figura 48, Figura 49.

Tabella 7: Caratteristiche di tessitura di TiO2 CYC-1 e Degusta P25.

TiO2 SBET (m2/g) PV

a (cm

3/g) dp

b (nm) d (g/ml) Porosità

CYC-1 TiO2 180

0,38 19,4 1,57 0,6

Degussa P25 52,5 0,17 12,2 2,35 0,4 a Volume dei pori cumulative determinato con BJH (desorbimento). b Diametro medio dei pori determinato con 4V/A (desorbimento)

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Figura 48: Isoterma di fisiadsorbimento di N2 e distribuzione dei pori di TiO2 CYC-1.

Figura 49: Isoterma di adsorbimento di N2 e distribuzione dei pori di Degussa P25 TiO2.

0

100

200

300

400

500

600

10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 110 120

co

un

ts

2θθθθ

anatase

TiO2 CYC-1

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0

50

100

150

200

250

300

10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 110 120

Co

un

ts

2ΘΘΘΘ

anatase

rutile

TiO2 Degussa P25

Figura 50: Spettri XRD di TiO2 CYC-1 e Degussa P25. Sono indicate le fasi cristalline

presenti.

Entrambe le isoterme sono di tipo IV con isteresi di tipo H2 indice della presenza di

mesopori (Sing et al.) (107). La distribuzione dei pori è chiaramente bimodale nel caso di

CYC-1, con due massimi a ca. 15 nm e 40 nm, mentre Degussa P25 presenta un picco

largo centrato tra 15 nm e 35 nm.

3.1.3.3 Preparazione catalizzatori strutturati.

La sperimentazione condotta sulle acque industriali è stata effettuata utilizzando quale

catalizzatore TiO2 commerciale CYC-1 (Shanghai Shanghui Nano Technology Co.,Ltd),

sia in forma sospesa che supportata su blanket inorganici per incipient wetness o dip

coating (128). Sono stati utilizzati due tipi di tessuti: un blanket agugliato di

SiO2/CaO/MgO dello spessore di 6 mm e densità 128 Kg/m3, oppure spessore 10 mm ca.

e densità 64 Kg/m3 (Superwool® 607,Thermal Ceramics) e un tessuto di fibra di vetro

intrecciato twill 2x2 dello spessore di 0,15 mm e densità 1295 Kg/m3 (Angeloni). Entrambi

i supporti sono stati preventivamente lavati, rispettivamente in acqua e in miscela

acetone/etanolo per ca. 30 minuti. La procedura di supporto del catalizzatore prevede un

pretrattamento acido della fibra in H2SO4:H2O2 3:1 per immersione per ca. 2 ore. Quale

precursore per il supporto del catalizzatore è stata utilizzata una sospensione di TiO2

(1,25-3,7 % wt) in HNO3 0,2M (129-132). Quindi a seconda del tipo di supporto sono

state seguite due diverse procedure di impregnazione:

1. Blanket Superwool® 607: la deposizione avviene per incipient wetness

immergendo per circa 5 minuti un pezzo di fibra (25x45 cm ca.) in una

sospensione di TiO2/SiO2 o TiO2/Al2O3 1:1, e calcinandolo, dopo asciugatura, a

300°C per 5 ore. SiO2 e Al2O3 in questo caso fungono da leganti per favorire la

coesione del catalizzatore alla fibra (133). Carica TiO2 5-10% wt.

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2. Fibra twill 2x2: la deposizione avviene per immersione del tessuto nella

sospensione acida di TiO2 per un’intera notte, asciugando e calcinando a 300°C

per 5 ore. Carica TiO2 1,4-3,5 % wt.

3.1.4 Fotoreattore in Plexiglass ®.

La letteratura riporta in genere lavori in cui il sistema fotocatalitico TiO2/H2O2/UV viene

sfruttato per il trattamento di percolato di discarica pretrattato biologicamente, utilizzando

tipicamente reattori in vetro o quarzo dotati di una fornte di illuminazione dall’esterno

(87,94,134). Tali reattori presentano, tuttavia, costi elevati.

Pertanto, ai fini della presente tesi, è stato progettato e costruito un reattore cilindrico di

Plexiglass®. Il reattore è costituito da un basamento, che ospita le componenti elettriche

e elettroniche, sulla cui parte superiore sono inserite le estremità di quattro lampade UV a

bassa pressione ai vapori di mercurio, delle potenza di 15 W ciascuno (Philips, modello

G15T8 UV-C Longlife), che emettono radiazioni di lunghezza d’onda pari a 254 nm. I

quattro tubi UV sono contenuti all’interno di un cilindro in Plexiglass ®, fissato alla base

del reattore con viti di serraggio e guarnizione in gomma per la tenuta idraulica. Questo

cilindro può essere facilmente rimosso per consentire la pulizia delle lampade. Alla base

del reattore ci sono cinque diffusori d’aria (Figura 51) che, alimentati da due pompe,

erogano 300 L/h d’aria, garantendo un sufficiente apporto di ossigeno per consentire lo

sviluppo delle reazioni di ossidazione. Allo stesso tempo la risalita delle bolle d’aria causa

un continuo rimescolamento del liquido, facilitando il mantenimento in sospensione della

fase solida (TiO2). L’abbondante introduzione d’aria tende a formare schiuma, da qui la

necessità di fare uso di un moderato quantitativo di antischiuma, da aggiungere al

percolato a inizio trattamento. La parte superiore del reattore è chiusa da un coperchio

attraverso il quale sporgono le terminazioni superiori delle lampade, per consentire i

collegamenti elettrici, mentre altri fori consentono di introdurre o prelevare liquidi dal

reattore, introdurre le sonde del pHmetro o del termometro, ecc.. Il volume del reattore

consente di trattare circa 2,8 litri di percolato alla volta. La Figura 51 rappresenta il

reattore in vista frontale e dall’alto.

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Figura 51: Struttura del reattore in Plexiglass® e particolare dei diffusori d’aria.

Sono stati effettuati degli esperimenti preliminari per determinare una procedura

operativa standard. In generale il percolato viene filtrato e pre-trattato mediante

acidificazione a pH 4 con acido solforico, cui segue un’ora di adsorbimento dei

contaminanti sul catalizzatore presente alla concentrazione di 0,5 g/L. Il trattamento per

foto-catalisi del percolato (potenza applicata 20 W/L, flusso fotonico 16 mW/cm2) avviene

in presenza di H2O2 0,4 M, ossigenazione dell’ambiente di reazione ed ha una durata

complessiva di 8 ore. È stato notato che il processo di adsorbimento sul catalizzatore è

necessario al fine di aumentare l’efficienza della reazione fotocatalitica e ridurne la durata

da 24 a 8 ore totali. In queste condizioni si ottiene la rimozione di circa 80% del COD

presente nel percolato.

La temperatura aumenta nel corso della prima ora di trattamento UV fino a 47-50°C

rimanendo poi costante per tutta la durata dell’esperimento.

Sono stati effettuati una serie di esperimenti per analizzare l’effetto dei vari parametri di

processo sulla resa della reazione fotocatalitica: tempo di reazione, tipo di catalizzatore,

concentrazione di H2O2, radiazione UV. A titolo di confronto il percolato di discarica è

stato trattato anche con un processo di tipo foto-fenton , usando Fe2SO4·7H2O 2,5 x 10-4

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Parte sperimentale

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3.1.5 Fotoreattore di acciaio inox.

Il trattamento dell’acqua industriale è stato svolto per mezzo di un sistema costituito da

due reattori in acciaio inox 304 della capacità di ca. 4 L ciascuno, dotati di una fonte di

illuminazione a lampada a UV Philips TUV PL-L 55 W (Figura 52C), e da un bagno

termostatico Haake NB22 della capacità di ca. 9 L per la termostatazione ed il ricircolo

del refluo, che avviene alla base del cilindro. Ogni reattore è costituito da due tubi

concentrici, dei quali il più interno è dotato di quattro fori nella parte superiore per favorire

un flusso con mescolamento in controcorrente (Figura 52A). Il catalizzatore supportato è

sostenuto da una griglia di acciaio inox posta al centro del cilindro (Figura 52B).

Figura 52: Sistema di fotoreattori collegati in serie/parallelo e particolari del catalizzatore

(TiO2/fibra, A) e del sistema di illuminazione UV (B). Il volume di refluo effettivamente trattato

per fotocatalisi (centrale) è 0,96 L.

Flusso in Flusso out

Cilindro esternoCilindro interno

Flusso in Flusso out

Cilindro esternoCilindro interno

A

C B

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Parte sperimentale

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90

La procedura sperimentale prevede l’utilizzo di un reattore per il trattamento a ricircolo di

13 L di acqua industriale per fotocatalisi in presenza di H2O2 0,2 M, radiazione UV

(potenza 45 W/L calcolata in base al volume effettivamente trattato per fotocatalisi, 0,96

L; flusso fotonico 63 mW/cm2). Il refluo, che presenta un valore di pH prossimo alla

neutralità, non è stato sottoposto ad acidificazione prima del trattamento. Il catalizzatore

è stato supportato su un tessuto/ non tessuto ceramico o, in alternativa, su un tessuto di

fibra di vetro e il sistema è stato termostatato a 90°C. La durata del trattamento è di circa

due ore.

È stata valutata l’influenza sul processo dei seguenti parametri: la presenza del

catalizzatore e la resistenza meccanica/possibilità di riciclo dello stesso, la presenza della

radiazione UV e dell’agente ossidante H2O2, l’influenza della temperatura, il dosaggio

dell’acqua ossigenata.

3.1.6 Fotoreattori di quarzo e di vetro.

A titolo di confronto il trattamento dell’acqua industriale è stato svolto anche in un reattore

in quarzo della capacità di ca. 200 ml, dotato di una camicia interna per la

termostatazione e di un sistema di illuminazione a lampada a UV da 125 W (Figura 53), e

in un reattore in vetro della capacità di ca. 0,6 L, dotato di una fonte di illuminazione a

lampada a UV 16 W e di un bagno per la termostatazione del refluo.

Nel primo caso la procedura sperimentale prevede il trattamento di 200 ml di acqua

industriale per fotocatalisi in presenza di H2O2 0,2 M, radiazione UV (potenza 650 W/L,

flusso fotonico 490 mW/cm2) ed aria che è stata fatta gorgogliare nell’ambiente di

reazione. Il sistema è stato termostatato a 90°C.

Sono stati effettuati una serie di esperimenti per valutare l’influenza sul processo dei

seguenti parametri: il tipo di catalizzatore, la presenza della radiazione UV, dell’aria e

dell’agente ossidante H2O2. Sono stati analizzati due tipi di catalizzatori: TiO2 usato alla

concentrazione di 0,5 g/L, FeSO4·7H2O alla concentrazione 2,5 x 10-4 M. In alcuni

esperimenti è stato addizionato NaOH per la regolazione del pH.

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Parte sperimentale

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1

5

42

3

1. Lampada UV2. Sistema di gorgogliamento dell’aria3. Camicia riscaldante4. Punto di prelievo del campione e di

monitoraggio della temperatura5. Agitatore magnetico

1

5

42

3

1

5

42

3

1. Lampada UV2. Sistema di gorgogliamento dell’aria3. Camicia riscaldante4. Punto di prelievo del campione e di

monitoraggio della temperatura5. Agitatore magnetico

Figura 53: Schematizzazione del fotoreattore incamiciato in quarzo.

Nel secondo caso il trattamento di 0,6 L di acqua industriale per fotocatalisi è avvenuto in

presenza di H2O2 0,1 M e radiazione UV (potenza 27 W/L, flusso fotonico 29 mW/cm2)

(Figura 54). Il catalizzatore, in forma della polvere, è stato mantenuto in sospensione

facendo gorgogliare aria nella soluzione e il sistema è stato termostatato a 90°C. La

durata del trattamento è di circa due ore.

È stata valutata l’influenza sul processo dei seguenti parametri: contributo

dell’ossidazione diretta con H2O2, effetto del dosaggio di TiO2.

Figura 54: Fotoreattore in vetro per il trattamento delle acque reflue industriali.

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Parte sperimentale

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3.2 Metodologie analitiche.

Per il monitoraggio della reazione fotocatalitica sono stati analizzati alcuni parametri

fondamentali di processo. La rimozione del Total Organic Carbon (TOC) è stata

monitorata mediante un gas-cromatografo HP 5890 serie II dotato di una colonna

capillare (12 m x 0,2 mm) ed un detector FID, usando come gas carrier l’elio. La

temperatura del forno è stata mantenuta costante a 200°C, mentre l’iniettore è stato

programmato a 240°C con la modalità splitless. Utilizzando tale colonna non si ha

separazione per cui l’unico picco eluito rappresenta il TOC.

Il COD (Chemical Oxygen Demand) è stato misurato mediante il metodo con bicromato e

uno spettrofotometro UV-VIS DR 20/10 (HACH-LANGE), mentre la decomposizione di

H2O2 è stata monitorata con la titolazione iodometrica.

L’efficienza del processo applicato al trattamento delle acque provenienti dall’industria è

stata valutata anche mediante misure di assorbenza a 235 nm, 270 nm e 358 nm

(spettrofotometria UV-VIS). A(358nm) è stata usata per una quantificazione del colore della

miscela, che è indice della presenza di composti fenolici.

3.2.1 Trattamento dei dati sperimentali.

I dati sperimentali ottenuti per TOC, H2O2, A358nm sono stati fittati attraverso l’espressione

logaritmica dell’equazione cinetica generica, al fine di ottenere i rispettivi ordini di

reazione.

Data l’equazione generica

[ ] [ ] [ ] ....qmn

CBAkr = (43)

dove r è la velocità di reazione, k la costante di velocità ed n, m, q gli ordini di reazione

rispetto ai substrati A, B e C, uno dei metodi utilizzati per la determinazione del tipo di

cinetica è quello che sfrutta le velocità iniziali. Se lavoriamo all'inizio della reazione (la

frazione che reagisce deve essere < 10%) e su intervalli di tempo brevi, possiamo

approssimare dx/dt con ∆x/∆t (velocità) e considerare le concentrazioni uguali a quelle

iniziali.

Realizzando una serie di cinetiche con concentrazioni iniziali di B e C uguali tra le diverse

esperienze, e concentrazioni iniziali di A sempre diverse, possiamo scrivere

[ ] [ ] [ ] [ ]n

i

In

i

qm

i AkACBkr == (44)

e ricavare n dalla retta di equazione

[ ]i

I

i Ankr lnlnln += (45)

In modo analogo è possibile ricavare gli ordini di reazione relativi agli altri reagenti.

Nello specifico caso del processo di trattamento sviluppato nel presente lavoro

l’espressione cinetica della reazione di decomposizione è

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Parte sperimentale

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[ ] [ ] [ ] [ ]pqmnUVTiOOHTOCkr 222= (46)

Una volta stabilito il regime cinetico della reazione relativo ad ogni substrato, le costanti

apparenti di velocità si ottengono fittando i dati sperimentali con l’equazione per una

cinetica di ordine 0

kdt

dCr =−=

( ) ktCtC −= 0(47)

oppure per una cinetica del primo ordine

[ ]Ckdt

dCr =−=

( ) kteCtC −= 0 (48)

dove C rappresenta la concentrazione della specie considerata al tempo t ed iniziale (C0).

3.2.2 Il parametro del COD.

La domanda chimica di ossigeno (COD) è un parametro che permette di valutare in modo

indiretto la concentrazione delle sostanze organiche e inorganiche ossidabili presenti in

un’acqua. Essa rappresenta la misura dell’ossigeno necessario ad ossidare le sostanze

presenti in un campione, per mezzo di un ossidante forte in ambiente acido e a caldo. La

tecnica analitica usata è quella della spettrofotometria, un metodo che si basa

sull’assorbimento di radiazioni luminose monocromatiche da parte di soluzioni o gas, in

funzione della concentrazione della sostanza da analizzare.

La misura del COD viene descritta dal metodo ufficiale IRSA-CNR numero 5130 (135).

Sulla base di questo metodo sono stati successivamente messi a punto metodi simili

semi-automatici in cui i reattivi vengono predosati in fiale cui va aggiunto il campione da

analizzare. Il metodo si basa sull'ossidazione delle sostanze organiche ed inorganiche,

presenti in un campione d'acqua, mediante una soluzione di dicromato di potassio in

presenza di acido solforico concentrato e di solfato di argento, come catalizzatore

dell'ossidazione. L'eccesso di dicromato viene successivamente titolato con una

soluzione a concentrazione nota di solfato di ammonio e ferro (II).

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Parte sperimentale

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Figura 55: Sistema di misura del COD Hach-Lange (spettrofotometro, termostato, kit di

reattivi).

La concentrazione delle sostanze organiche ed inorganiche ossidabili, nelle condizioni

del metodo, è proporzionale alla quantità di dicromato di potassio consumato. Lo ione

cloruro è considerato un interferente, poichè la sua ossidazione può avvenire solo nelle

condizioni del metodo utilizzato per il COD e non in quelle presenti nelle acque naturali.

Per la determinazione sperimentale della COD è stato usato uno spettrofotometro HACH

modello DR 20/10, per il quale sono disponibili fialette contenenti il reagente ossidante

(bicromato di potassio) con campi di misurazione fino a 150, 1500 o 15000 mg/L di COD

(Figura 55). La preparazione del campione è avvenuta addizionando ai reattivi della fiala

una certa quantità della miscela da dosare, eventualmente diluita con acqua affinché la

concentrazione ipotizzata rientri nell’intervallo di validità del test, che deve essere

sottoposto a digestione a 150°C per due ore prima dell’analisi. In questo lasso di tempo i

composti organici ossidabili reagiscono riducendo lo ione bicromato (Cr2O72-) a ione

cromo (Cr3+). Una volta raffreddate, le fialette sono state inserite nello spettrofotometro e

è stata effettuata la lettura dell’assorbanza alla lunghezza d’onda di 620 nm; l’errore che

si compie nella stima della COD è di +/- 18 mg/L.

Il test del COD presenta alcune restrizioni dovute alla possibilità di interferenza con alcuni

composti ossidabili, ad esempio solfiti, ferro e perossido d’idrogeno, con conseguente

alterazione del valore misurato. H2O2 infatti è in grado di reagire con gli ioni bicromato

formando acido perossidicromico (H2Cr2O12) che impartisce alla soluzione un’intensa

colorazione blu impedendo la lettura colorimetrica del test (136). Il monitoraggio del COD,

perciò, è stato effettuato solo per quei campioni in cui era stata provata l’assenza di

acqua ossigenata (titolazione iodometrica). Per l’analisi della cinetica del processo si è

preferito monitorare il parametro TOC con la tecnica gas-cromatografica.

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Parte sperimentale

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3.2.3 Gas-cromatografia (GC-FID).

La tecnica cromatografica permette l’analisi quali-quantitativa dei una miscela,

separandone le diverse componenti grazie alle differenti interazioni che si instaurano tra

queste, fase stazionaria e fase mobile. Nella gas-cromatografia la fase mobile é un gas

che fluisce attraverso una colonna in cui si trova la fase stazionaria, la quale può essere

un solido granulare poroso oppure un liquido. Secondo lo stato fisico della fase

stazionaria, la gas-cromatografia si può suddividere in cromatografia gas solido (GSC) e

in cromatografia gas liquido (GLC). I meccanismi di separazione relativi alla GC sono

sostanzialmente due: ripartizione e adsorbimento. Il primo nel caso che la fase

stazionaria sia liquida, il secondo quando é solida. La struttura di un gas-cromatografo è

rappresentata in Figura 56.

Figura 56: Schema a blocchi di un gas-cromatografo (a), ed esempio di cromatogramma (b),

adottato da (137).

La fase mobile è in genere un gas inerte (azoto, elio, argon).

Nella camera di iniezione deve avvenire l’istantanea vaporizzazione del campione.

Poiché con l’uso delle colonne capillari la quantità di campione da iniettare è dell’ordine

dei nL/µL, esistono tecniche particolari di iniezione, come la modalità split, che

consentono di far entrare effettivamente in colonna solo una parte del campione iniettato.

La camera di iniezione è corredata da un sistema di resistenze variabili attraverso le quali

è possibile fissare la temperatura ritenuta più adatta per la vaporizzazione della miscela.

L’introduzione del campione viene effettuata con una iniezione su un apposito disco di

gomma al silicone, posto tra una ghiera metallica e il dispositivi di attacco alla colonna.

La colonna può essere di due tipi: impaccata o capillare. L’impaccata (diametro interno 2-

4 mm, lunghezza 1-4 m), usata nella gas-cromatografia classica, comporta una

separazione in colonna di acciaio o di vetro (due metri circa) riempita di materiale inerte

(supporto per la fase stazionaria), sul quale è distribuita una pellicola sottile di liquido

(fase stazionaria) continuamente attraversata dal gas di trasporto. Il processo di

separazione è limitato dalla lentezza di eluizione della molecole del campione lungo la

colonna. La capillare (diametro interno 0,1-0,8 mm, lunghezza 10-100 m), ormai di uso

comune, ha il vantaggio di permettere una rapida eluizione ed una migliore risoluzione

dei picchi. Rispetto alla colonna impaccata essa contiene una quantità molto minore di

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Parte sperimentale

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fase stazionaria, per cui la quantità di campione da iniettare è molto più piccola. Le

colonne sono alloggiate in una camera termostatica in cui la temperatura può essere

mantenuta costante per tutta la durata dell’analisi (isoterma) oppure fatta variare

(programmata).

Il detector, posto a valle della colonna, può essere universale o selettivo: il primo

consente di individuare tutti i componenti di una miscela, il secondo rivela solo particolari

categorie di composti. I più ampiamente utilizzati sono:

� il rivelatore di conducibilità termica (HWD, universale e non distruttivo), che

misura variazioni di questa proprietà del gas carrier;

� il rivelatore a cattura di elettroni (ECD, selettivo e non distruttivo), che comprende

una sorgente radioattiva (63Ni) che emette radiazioni beta, e misura le diminuzioni

di corrente elettrica di fondo (dovuta alla fase mobile) che si verifica quando è

presente un’altra sostanza elettroaffine assieme al carrier;

� il detector a ionizzazione di fiamma (FID, Figura 57).

Si tratta di un rivelatore universale ma distruttivo in quanto i campioni vengono bruciati

per ottenerne la trasformazione in ioni allo stato gassoso. ll carrier viene convogliato

verso un ugello, a cui giungono anche idrogeno ed aria, necessari per alimentare una

piccola fiammella. Una resistenza posta accanto all’ugello provoca l’accensione della

fiammella. Quest’ultima si trova circondata da un collettore cilindrico caricato

positivamente; il secondo elettrodo del circuito, quello caricato negativamente, é costituito

dall’ugello stesso. La microfiamma provoca una debolissima corrente ionica tra gli

elettrodi, che vengono mantenuti sotto una differenza di potenziale di circa 300V. Questa

corrente, elaborata, amplificata e misurata, viene inviata ad un opportuno registratore e

costituisce il rumore di fondo. Quando un componente della miscela raggiunge la fiamma,

viene subito ionizzato con conseguente aumento dell’intensità di corrente e quindi

rivelato con un segnale più intenso. Sono poche le sostanze che hanno potenziali di

ionizzazione così alti da non poter essere ionizzate nelle normali condizioni di lavoro (tra

queste abbiamo acqua, solfuro di carbonio, anidride carbonica, ossido di carbonio, ossidi

di azoto, ammoniaca, acido solfidrico, biossido di zolfo, acido formico, gas nobili, azoto e

ossigeno). La sensibilità di questo rivelatore é molto elevata (nanogrammi).

Figura 57: Detector a ionizzazione di fiamma (FID).

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La tecnica gas-cromatografica è stata utilizzata per la misura del TOC del refluo.

Durante la sperimentazione è stato utilizzato un gas-cromatografo HP 5890 serie II

abbinato ad un detector FID.

Sono stati utilizzati i seguenti parametri operativi:

1. Gas carrier: elio, 50 ml/min per avere un flusso in colonna di 1 ml/min;

2. Colonna capillare apolare (12 m x 0,2 mm);

3. Modalità di iniezione splitless (1-5 µL), temperatura iniettore 240°C;

4. Analisi in isoterma a 200°C;

5. Temperatura del detector 280°C, flussi dei gas di ionizzazione H2 30 ml/min, gas

ausiliario 30 ml/min, aria 200 ml/min.

La concentrazione dei contaminanti dei vari campionamenti è stata determinata con il

metodo della taratura diretta. Per la normalizzazione dei dati sperimentali di TOC è stato

assunto quale standard esterno il valore iniziale di COD misurato del campione di refluo

sottoposto all’ora di adsorbimento su TiO2. Il confronto tra le aree registrate avviene

mediante la proporzione

samplesamplestst CACA :: = (49)

dove A e C rappresentano rispettivamente l’area nel cromatogramma e la concentrazione

corrispondente dello standard e del campione incognito.

3.2.4 Spettrofotometria UV-VIS.

Le tecniche spettroscopiche sono basate sullo scambio di energia che si verifica fra

l’energia radiante e la materia. In particolare, la spettrofotometria di assorbimento è

interessata ai fenomeni di assorbimento delle radiazioni luminose della regione dello

spettro elettromagnetico appartenenti al campo del visibile (350 – 700 nm) e del vicino

ultravioletto (200 – 350 nm) (137).

L’assorbimento di questi tipi di radiazioni da parte delle molecole è in grado di produrre

delle transizioni energetiche degli elettroni esterni, sia impegnati che non impegnati in un

legame.

La spettrofotometria presenta il vantaggio di essere un metodo semplice, attendibile ed

economico per l’analisi qualitativa e quantitativa di campioni; tuttavia presenta una

moderata selettività (dipendente dall’estensione del cromoforo), e non è applicabile alla

determinazione di miscele.

Per effettuare analisi qualitative si fa uso di raggi policromatici a spettro continuo, poi

separati tramite monocromatori nelle varie componenti (radiazioni monocromatiche). In

pratica le singole radiazioni monocromatiche di tale raggio si fanno passare, una alla

volta, attraverso la sostanza in esame, la quale assorbirà in modo diverso, cioè con

diversa intensità, le diverse radiazioni. Riportando perciò i valori registrati in un grafico

lunghezza d'onda-assorbimento, si ottiene lo spettro di assorbimento della sostanza

esaminata. Per il fatto che ogni sostanza ha il suo spettro di assorbimento, l'esame di tali

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Parte sperimentale

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spettri permette di identificare una sostanza (per confronto diretto con campioni noti o

tramite banche dati di spettri) o di controllarne il grado di purezza.

Per eseguire analisi quantitative si fa uso di raggi monocromatici, cioè costituiti da

radiazioni di una sola frequenza. In pratica, date le difficoltà di avere raggi dotati di

questa proprietà, si impiegano fasci di radiazioni comprendenti una banda molto ristretta

dello spettro, ossia fasci quasi monocromatici.

Le determinazioni quantitative sono basate sul fatto che, quando una radiazione

attraversa una soluzione, viene assorbita più o meno intensamente a seconda della

concentrazione: se si fa passare attraverso una soluzione a concentrazione incognita una

radiazione monocromatica (cioè di una determinata λ) e di intensità I0, al di là della

soluzione si troverà una radiazione di intensità I, che sarà minore di I0 se una parte della

radiazione è stata assorbita dalla soluzione stessa. La frazione di luce trasmessa,

rispetto a quella incidente, si definisce trasmittanza T, data da:

0I

IT = (50)

L’entità della radiazione assorbita è detta più comunemente assorbenza (A), ed è pari al

logaritmo del reciproco della trasmittanza:

I

I

TA 0log

1log == (51)

Esiste una legge che ci permette di calcolare la concentrazione di campione dal suo

assorbimento; questa è la legge di Lambert – Beer, che assume la forma:

clA ε= (52)

dove:

A = assorbenza del campione

ε = coefficiente di estinzione molare, specifico per ogni sostanza

l = cammino ottico (cm)

c = concentrazioni (M)

Secondo la legge di Lambert – Beer, dunque, l’assorbanza A è proporzionale sia alla

concentrazione della sostanza assorbente, sia allo spessore dello strato attraversato, per

cui più elevata è la concentrazione delle molecole che passano dallo stato fondamentale

a quello eccitato, maggiore sarà l’assorbanza.

Il coefficiente di estinzione molare ε indica il valore di assorbanza del composto in esame

quando l = 1 cm e c = 1, e il suo valore dipende:

♦ dalla lunghezza d’onda della radiazione assorbita

♦ dalla natura del solvente

♦ dal pH

♦ dalla specie chimica che assorbe.

ed è invece indipendente dalla temperatura.

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Parte sperimentale

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La legge di Lambert-Beer è valida solo per soluzioni diluite, a causa della possibile

formazione di composti di dimensioni maggiori che si può avere in caso di aumento della

concentrazione, e che possono modificare l’assorbanza alla λ considerata. Nell’analisi

quantitativa viene preso in considerazione il valore di lunghezza d’onda a cui si verifica il

massimo assorbimento di energia (λmax).

Le misure sono state effettuate mediante uno spettrofotometro UV-VIS Perkin Elmer

Lambda EZ201 a doppio raggio come quello schematizzato in Figura 58. Gli spettri di

assorbanza sono stati raccolti nell’intervallo di lunghezze d’onda 200-600 nm.

Figura 58: Schematizzazione delle componenti principali di uno spettrofotometro UV-VIS a

doppio raggio.

La sorgente è costituita da due lampade, una ad incandescenza per la regione del visibile

(a filamento di tungsteno), e l’altra al deuterio per la regione UV. Il passaggio da una

lampada e l’altra avviene in genere a 350 nm. Il monocromatore è un sistema ottico che

disperde la luce policromatica in bande monocromatiche (prisma), successivamente

selezionate da filtri ottici per dare la λ desiderata. Il comparto celle ospita le cuvette per il

campione e per il solvente (bianco), che possono essere in quarzo (UV), vetro o plastica

(VIS). Il rivelatore converte l’energia della radiazione che lo investe in segnale elettrico.

Le misure sono state effettuate analizzando la miscela campionata senza ulteriori

diluizioni. Come campione di bianco per l’azzeramento è stata utilizza acqua distillata.

3.2.5 Titolazione iodometrica.

Le titolazioni effettuate con iodio si dividono in due gruppi:

1. titolazioni dirette con soluzione standard di I2 (iodimetria)

2. titolazioni indirette che utilizzano una soluzione di tiosolfato di sodio standard

(iodometria).

Il metodo iodometrico si basa sulla reazione tra lo iodio prodotto dall’ossidazione di I- da

parte della specie ossidante e lo ione tiosolfato (137) .

E°I2= 0,5345 V

E°S4O62-= 0,08 V

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Parte sperimentale

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Le soluzioni standard di tiosolfato possono essere usate per titolare quasi tutte le

sostanze ossidanti. Tuttavia, la titolazione viene generalmente effettuata aggiungendo

alla soluzione della sostanza ossidata un grande eccesso (noto solo

approssimativamente) di ioduro di potassio. La sostanza ossidante si riduce, mettendo in

libertà una quantità equivalente di iodio e, questo, viene titolato con tiosolfato. Poiché una

sostanza ossidante mette in libertà una quantità equivalente di iodio, il volume di

tiosolfato che viene impegnato per la titolazione dello iodio messo in libertà è, in ogni

caso, uguale al volume che verrebbe impegnato se il tiosolfato fosse usato per ridurre

direttamente la sostanza alla forma indicata.

campioneeqiodioeqtiosolfatoeq nnn ... == (53)

Alcune sostanze ossidanti che possono essere deterninate con questo metodo sono

riportate in Tabella 8.

Tabella 8: Reazioni di ossidoriduzione per alcune sostanze titolabili con il metodo

iodometrico.

Il potenziale della semicoppia I2/2I- è praticamente indipendente dal pH della soluzione se

questo ha valore minore di 8, in quanto per valori superiori, lo iodio reagisce con gli ioni

ossidrile dando

L’ipoiodito può in parte dismutarsi secondo l’equazione

Queste reazioni possono dare luogo a seri errori nelle titolazioni con lo iodio, in quanto

l’uso del sistema I3-/ 3I- come riducente coinvolge spesso anioni ossigenati (MnO4-,

Cr2O72-, IO3

-, ecc) per i quali solo in ambiente acido è possibile ottenere un elevato

potenziale di ossidazione. In questi casi, l’acidità può costituire una sorgente di errore in

quanto essa favorisce l’ossidazione dello ione I- da parte dell’O2 dell’aria, secondo la

semireazione:

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Parte sperimentale

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Il potenziale di riduzione della semicoppia indicata aumenta notevolmente con la

concentrazione idrogenionica, per cui, se si vuole contenere il potenziale di questo

sistema interferente entro valori uguali o inferiori a quelli del sistema I3-/ 3I-, bisogna

operare in ambiente neutro o moderatamente acido, oppure ridurre la concentrazione

dell’O2 nella fase gassosa, in equilibrio con la soluzione. Ciò si realizza aggiungendo

NaHCO3 che, liberando CO2, sposta l’aria disciolta ed abbassa la pressione parziale di

O2 nella fase gassosa. In ambiente neutro, l’O2 dell’aria normalmente disciolto nella

soluzione non ha capacità di ossidare lo ione ioduro, a meno che non vi siano presenti

dei catalizzatori: luce intensa, cationi e anioni a stato di ossidazione variabile (Cu2+,

HNO3, ecc.).

Uno dei vantaggi più rilevanti che caratterizza i metodi iodimetrici e iodometrici è la

possibilità di disporre di un indicatore estremamente sensibile a tracce di iodio. Detto

indicatore è la salda d’amido costituita da una sospensione acquosa di amido che

impartisce un colore blu-violaceo ad una soluzione contenente tracce di triioduro. La

specie colorata che si forma si ritiene sia dovuta alla formazione di un complesso in cui lo

iodio è trattenuto nell’interno dell’elica del polisaccaride (in particolare il β-amilosio). A

20°C la salda d’amido rivela concentrazioni di iodio pari a 2 · 10-5 M purché I- > 4 · 10-4 M.

Le sospensioni acquose di amido si decompongono in pochi giorni soprattutto per attacco

batterico. I prodotti di decomposizione possono consumare iodio e alterare le proprietà

dell’indicatore. Nelle titolazioni iodometriche la salda d’amido va aggiunta in prossimità

dell’equivalenza affinché non si determini un adsorbimento troppo profondo del

complesso I3-, che renderebbe il viraggio poco netto.

Vari fattori possono influire negativamente sulla sensibilità dell’indicatore e, fra questi, i

più importanti possono essere:

a) la presenza di solventi organici (alcool etilico, ecc.) miscibili in acqua. Ad

es. con alcool etilico al 50% non si ha colorazione della salda d’amido;

b) l’aumento della temperatura: a 50°C la sensibilità è circa 10 volte minore

di quella a 20°C;

c) l’ambiente estremamente acido determina l’idrolisi dell’indicatore.

Per queste ragioni, le titolazioni vanno eseguite a freddo, in ambiente acquoso

relativamente acido. Nel caso in cui l’elevata acidità fosse indispensabile, la presenza di

iodio può essere rivelata dibattendo la soluzione con piccole quantità di un solvente

immiscibile con acqua (CHCl3 o CCl4) e nel quale lo iodio sia molto solubile.

Anche la stabilità delle soluzioni di tiosolfato dipende dal pH, dalla luce e dall’ossigeno

atmosferico. Se pH << 5, può avvenire con velocità apprezzabile la reazione di

disproporzionamento seguente

Page 106: Effetti di strutturazione di materiali a base di ossidi ... · La scienza non esclude gli errori; anzi, talora sono proprio questi a portare ... Gli ossidi metallici rappresentano

Parte sperimentale

_______________________________________________________________________

102

La sua velocità aumenta al crescere della concentrazione di idrogenioni e in soluzione

fortemente acida si forma molto rapidamente zolfo elementare. L’esposizione alla luce

del sole o all’atmosfera ne aumenta la velocità di decomposizione. Il tiosolfato è ossidato

dall’O2 dell’aria già in ambiente neutro ma meglio in ambiente piuttosto alcalino e, specie

se la soluzione è esposta alla luce diretta, questo comporta una diminuzione del titolo

della soluzione.

Infine la più importante causa di instabilità del tiosolfato sono certi batteri capaci di

metabolizzare il tiosolfato a solfito, solfato e zolfo elementare. La preparazione delle

soluzioni deve avvenire con acqua bollita, oppure aggiungendo sostanze come CHCl3,

benzoato di sodio, HgI2 o HgCl2 che inibiscono la crescita dei batteri.

Le soluzioni di tiosolfato devono essere standardizzate con uno standard primario (per

es. K2CrO7, KIO3, KMnO4, KBrO3). Il titolo della soluzione di tiosolfato è generalmente

effettuato con iodio ottenuto trattando un noto numero di equivalenti di un adatto

ossidante, in soluzione acida per acido minerale, con un eccesso di KI. Abbiamo

utilizzato KIO3 (M.E. = M.M./ 6 = 35,667) secondo la seguente procedura:

1. Pesare con precisione il KIO3 e portare a volume con acqua in matraccio tarato

2. Prelevare in beuta da titolazione, con pipetta tarata, 10 ml di soluzione KIO3

3. Diluire, aggiungere 1g di KI (esente da iodato) e 1-2ml di HCl conc.

4. La soluzione si colora immediatamente in bruno per la messa in libertà di iodio

5. Titolare con la soluzione 0,1M approssimata di tiosolfato

6. Alla colorazione giallo paglierino, aggiungere 2 ml di salda d'amido

7. Continuare a titolare fino a che una goccia di tiosolfato decolora completamente

la soluzione (da bruna a incolore).

La concentrazione della soluzione di tiosolfato viene calcolata attraverso l’espressione

−− ∗=∗ 232

232 OSOSstst VNVN (54)

Nella determinazione quantitativa di H2O2 il perossido di idrogeno reagisce con lo ioduro

secondo la reazione

Rispetto alla permanganatometria il metodo iodometrico presenta il vantaggio di non

essere sensibile alla presenza di stabilizzanti, che spesso sono addizionati all’acqua

ossigenata (acido borico, acido salicilico e glicerolo). Inoltre, non interferisce con le

sostanze organiche ed inorganiche del prelievo analizzato, ed è abbastanza specifico per

i perossidi (136).

La determinazione quantitativa di H2O2 è stata effettuata diluendo in una beuta 1 ml della

soluzione incognita con 10 ml di KI 10%, acidificando con 1-2 ml di HCl concentrato, e

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Parte sperimentale

_______________________________________________________________________

103

titolando con il tiosolfato standardizzato. In prossimità della fine della titolazione (colore

giallo paglierino della soluzione), sono state aggiunte 20 gocce di salda d’amido,

continuando poi a titolare con tiosolfato fino al viraggio dell’indicatore (decolorazione). La

normalità di H2O2 è stata poi calcolata con la (54).

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Page 109: Effetti di strutturazione di materiali a base di ossidi ... · La scienza non esclude gli errori; anzi, talora sono proprio questi a portare ... Gli ossidi metallici rappresentano

Risultati e discussione _______________________________________________________________________

105

4 Risultati e discussione: ossidi metallici per

isolamento termico.

Come è noto i materiali aerogel trovano numerose importanti applicazioni, in virtù delle

loro peculiari caratteristiche di tessitura, tra cui elevate porosità ed aree superficiali

specifiche. Nell’ambito dell’applicazione di nanomateriali nel campo dell’isolamento

termico, il lavoro di ricerca e’ stato focalizzato su aspetti fondamentali di strutturazione di

ossidi inorganici e/o nanocompositi allo scopo di promuovere le proprietà di

termoisolamento e di approfondire la conoscenza di base della dipendenza di tali

proprietà dalla tessitura e dalla struttura del materiale. Quindi, in previsione della

progettazione di un prodotto finale in forma di composito fibra/aerogel, siamo andati

verificare in che modo le condizioni di sintesi potessero influenzare la tessitura del solido

finale, nonché la stabilità del precursore sol-gel ai fini della sua sopportazione. La Figura

59 riporta uno schematico outline di questa parte del lavoro di ricerca, in cui sono stati

considerati aspetti di nano-strutturazione dell’ossido a base id Al2O3 ed aspetti di sintesi

dei precursori degli ossidi aerogel-like, ai fini di uno scale-up del processo di sintesi

necessario per la preparazione del prodotto finale, composito fibra-aerogel.

Aerogel ((((Al2O3)

Proprietà di tessitura (volume dei pori, diametro dei pori,

dimensione dei grani)

Proprietà termiche (diffusività, conductività, calore

specifico)

γ-Al2O3 sol-gel precursoreParametri di sintesi Proprietà reologiche e

granulometriche

COMPOSITO FIBRA/AEROGELPRODOTTO FINALE

Isolamento termico

Aerogel ((((Al2O3)

Proprietà di tessitura (volume dei pori, diametro dei pori,

dimensione dei grani)

Proprietà termiche (diffusività, conductività, calore

specifico)

γ-Al2O3 sol-gel precursoreParametri di sintesi Proprietà reologiche e

granulometriche

COMPOSITO FIBRA/AEROGELPRODOTTO FINALE

Isolamento termico

Isolamento termico

Figura 59: Isolamento termico: outline del lavoro della tesi.

Page 110: Effetti di strutturazione di materiali a base di ossidi ... · La scienza non esclude gli errori; anzi, talora sono proprio questi a portare ... Gli ossidi metallici rappresentano

Risultati e discussione _______________________________________________________________________

106

4.1 Stabilità termica, proprietà strutturali e di tessitura di

nanomateriali a base di Al2O3.

4.1.1 Proprietà di tessitura.

Tenendo presente che il prodotto finale che si vuole sviluppare sono i compositi

fibra/aerogel, abbiamo in questa fase analizzato le proprietà dei materiali porosi di

partenza. Le caratteristiche di struttura e di tessitura di materiali a base di ossidi metallici

possono essere controllate attraverso una scelta della metodologia di sintesi appropriata.

Tra le proprietà di struttura e quelle di tessitura esiste una reciproca influenza. Infatti, la

dimensione dei cristalliti della pseudoboehmite di partenza influisce sulla cristallinità della

γ-Al2O3, nonché sulle temperature di transizione di fase da pseudoboehmite a γ-Al2O3 e

da θ- ad α-Al2O3, che aumentano con la cristallinità dell’idrossido (138,139). A sua volta,

la formazione di α-allumina ha un effetto deleterio sul volume e sull’area superficiale, in

quanto avviene con un processo di nucleazione e crescita a spese dell’allumina di

transizione, comportando la distruzione della struttura porosa originaria. Le altre

transizioni di fase dell’allumina invece avvengono mediante trasformazioni che

conservano parzialmente l’organizzazione dei piani cristallini, e hanno quindi un effetto

meno marcato sulla tessitura, pur comportando un aumento delle dimensioni dei grani.

D’altra parte, la tessitura può influenzare la sinterizzazione e la transizione di fase: la

stabilità maggiore dei pori ad alto diametro inibisce la sinterizzazione e quindi la

transizione ad α-allumina (si veda l’introduzione).

La cristallinità della boehmite e la tessitura iniziale sono quindi i due principali fattori che

governano l’evoluzione successiva.

Le proprietà di tessitura sono state analizzate con la tecnica di fisiadsorbimento di N2

(Figure 60-63). Le isoterme di fisiadsorbimento dei campioni analizzati, calcinati a 700-

900 °C, presentano un andamento del tipo IV (secondo la classificazione IUPAC), indice

di una struttura mesoporosa, e un’isteresi del tipo H2, tipica di agglomerati o aggregati di

particelle sferoidali di dimensioni non uniformi (107,140). Come si può osservare in tutti i

casi l’isteresi è posizionata a valori di pressione parziale maggiori di 0,4, ad indicare la

presenza di pori nella regione meso: lo spostamento a valori di P/P0 sempre maggiori tra

un campione e l’altro è indice di un aumento del valore del loro diametro medio. Tutte le

allumine sono accomunate da una distribuzione dei pori monomodale, che è chiaramente

visibile anche dalla forma dell’isteresi delle isoterme di fisiadsorbimento.

Dal punto di vista delle proprietà di tessitura le allumine prese in esame possono essere

suddivise in tre gruppi:

� gruppo A, comprendente i materiali aventi pori a volume paragonabile (ca.1 ml/g)

e diametro dei pori compreso tra 8 nm e 25 nm (Tabella 9);

� gruppo B di materiali caratterizzati da pori aventi diametro 10 ± 2 nm e diverso

volume dei pori (Tabella 10);

Page 111: Effetti di strutturazione di materiali a base di ossidi ... · La scienza non esclude gli errori; anzi, talora sono proprio questi a portare ... Gli ossidi metallici rappresentano

Risultati e discussione _______________________________________________________________________

107

� gruppo C di materiali aventi pori di diametro 21 ± 2 nm e diverso volume dei pori

(Tabella 11).

Tabella 9: Caratteristiche di tessitura di Al2O3 aventi volume dei pori paragonabile e

diametro dei pori compreso tra 8 nm e 25 nm (gruppo A).

Campione Tcalc(°C) BET

(m2/g)

PV

(ml/g)

dp

(nm)

dreale

(g/cm3)

Porosità

(%)

Grain sizea

(nm)

Al2O3 (1) 700 313 0,92 7,8 0,84 77 5,3

Al2O3 (2) 700 323 1,11 9,1 0,72 80 5,1

Al2O3 (3) 700 205 1,03 14,0 0,76 79 8,1

Al2O3 (M) 700 186 1,08 17,0 0,74 80 8,9

Al2O3 (4) 700 131 1,10 25,0 0,73 80 12,6 a calcolato dal valore di BET.

Tabella 10: Al2O3 aventi pori di dimensione paragonabile (8-12 nm) e differente volume

(gruppo B).

Campione Tcalc(°C) BET

(m2/g)

PV

(ml/g)

dp

(nm)

dreale

(g/cm3)

Porosità

(%)

Grain sizea

(nm)

Al2O3 (P) 700 151 0,50 10,2 1,31 64 11,0

Al2O3 (5) 700 194 0,54 8,2 1,23 66 8,5

Al2O3 (1) 700 313 0,92 7,8 0,84 77 5,3

Al2O3 (2) 700 323 1,11 9,1 0,72 80 5,1

Al2O3 (6) 700 399 1,61 12,0 0,53 85 4,1 a calcolato dal valore di BET

Tabella 11: Al2O3 aventi pori di dimensione paragonabile (19-23 nm) e differente volume

(gruppo C).

Campione Tcalc(°C) BET

(m2/g)

PV

(ml/g)

dp

(nm)

dreale

(g/cm3)

Porosità

(%)

Grain sizea

(nm)

Al2O3 (7) 700 193 1,06 18,4 0,75 79 8,6

Al2O3 (8) 900 182 1,35 23,4 0,61 83 9,1

Al2O3 (9) 800 201 1,41 21,5 0,60 84 8,2

Al2O3 (10) 700 346 1,69 18,7 0,51 86 4,8

Al2O3 (11) 700 293 2,11 21,6 0,42 88 5,6 a calcolato dal valore di BET.

Page 112: Effetti di strutturazione di materiali a base di ossidi ... · La scienza non esclude gli errori; anzi, talora sono proprio questi a portare ... Gli ossidi metallici rappresentano

Risultati e discussione _______________________________________________________________________

108

Al2O3 (1) 700°C

0

100

200

300

400

500

600

700

0 0.2 0.4 0.6 0.8 1

Relative pressure (P/Po)

Ad

so

rbe

d N

2 v

ol.

(m

l/g

)

Al2O3 (2) 700°C

0

100

200

300

400

500

600

700

800

0 0.2 0.4 0.6 0.8 1

Relative pressure (P/Po)

Ad

so

rbe

d N

2 v

ol.

(m

l/g

)

Al2O3 (1) 700°C

0

100

200

300

400

500

600

700

0 0.2 0.4 0.6 0.8 1

Relative pressure (P/Po)

Ad

so

rbe

d N

2 v

ol.

(m

l/g

)

Al2O3 (1) 700°C

0

100

200

300

400

500

600

700

0 0.2 0.4 0.6 0.8 1

Relative pressure (P/Po)

Ad

so

rbe

d N

2 v

ol.

(m

l/g

)

Al2O3 (2) 700°C

0

100

200

300

400

500

600

700

800

0 0.2 0.4 0.6 0.8 1

Relative pressure (P/Po)

Ad

so

rbe

d N

2 v

ol.

(m

l/g

)

Al2O3 (2) 700°C

0

100

200

300

400

500

600

700

800

0 0.2 0.4 0.6 0.8 1

Relative pressure (P/Po)

Ad

so

rbe

d N

2 v

ol.

(m

l/g

)

Al2O3 (3) 700°C

0

100

200

300

400

500

600

700

0 0.2 0.4 0.6 0.8 1

Relative pressure (P/Po)

Ad

so

rbe

d N

2 v

ol.

(m

l/g

)

Al2O3 (M) 700°C

0

100

200

300

400

500

600

700

800

0.0 0.2 0.4 0.6 0.8 1.0

Relative pressure (P/Po)

Ad

so

rbe

d N

2 v

ol.

(m

l/g

)

Al2O3 (3) 700°C

0

100

200

300

400

500

600

700

0 0.2 0.4 0.6 0.8 1

Relative pressure (P/Po)

Ad

so

rbe

d N

2 v

ol.

(m

l/g

)

Al2O3 (3) 700°C

0

100

200

300

400

500

600

700

0 0.2 0.4 0.6 0.8 1

Relative pressure (P/Po)

Ad

so

rbe

d N

2 v

ol.

(m

l/g

)

Al2O3 (M) 700°C

0

100

200

300

400

500

600

700

800

0.0 0.2 0.4 0.6 0.8 1.0

Relative pressure (P/Po)

Ad

so

rbe

d N

2 v

ol.

(m

l/g

)

Al2O3 (M) 700°C

0

100

200

300

400

500

600

700

800

0.0 0.2 0.4 0.6 0.8 1.0

Relative pressure (P/Po)

Ad

so

rbe

d N

2 v

ol.

(m

l/g

)

Al2O3 (4) 700°C

0

100

200

300

400

500

600

700

800

0 0.2 0.4 0.6 0.8 1

Relative pressure (P/Po)

Ad

so

rbe

d N

2 v

ol.

(m

l/g

)

Al2O3 (4) 700°C

0

100

200

300

400

500

600

700

800

0 0.2 0.4 0.6 0.8 1

Relative pressure (P/Po)

Ad

so

rbe

d N

2 v

ol.

(m

l/g

)

Figura 60: Isoterme di fisiadsorbimento di N2 delle allumine del gruppo A. Dimensione dei

pori 8-25 nm, volume dei pori ca. 1 ml/g.

Al2O3 (5) 700°C

0

50

100

150

200

250

300

350

400

0 0.2 0.4 0.6 0.8 1

Relative pressure (P/Po)

Ad

so

rbe

d N

2 v

ol.

(m

l/g

)

Al2O3 (P) 700°C

0

50

100

150

200

250

300

350

0 0.2 0.4 0.6 0.8 1

Relative pressure (P/Po)

Ad

so

rbed

N2 v

ol. (

ml/g

)

Al2O3 (5) 700°C

0

50

100

150

200

250

300

350

400

0 0.2 0.4 0.6 0.8 1

Relative pressure (P/Po)

Ad

so

rbe

d N

2 v

ol.

(m

l/g

)

Al2O3 (5) 700°C

0

50

100

150

200

250

300

350

400

0 0.2 0.4 0.6 0.8 1

Relative pressure (P/Po)

Ad

so

rbe

d N

2 v

ol.

(m

l/g

)

Al2O3 (P) 700°C

0

50

100

150

200

250

300

350

0 0.2 0.4 0.6 0.8 1

Relative pressure (P/Po)

Ad

so

rbed

N2 v

ol. (

ml/g

)

Al2O3 (P) 700°C

0

50

100

150

200

250

300

350

0 0.2 0.4 0.6 0.8 1

Relative pressure (P/Po)

Ad

so

rbed

N2 v

ol. (

ml/g

)

Page 113: Effetti di strutturazione di materiali a base di ossidi ... · La scienza non esclude gli errori; anzi, talora sono proprio questi a portare ... Gli ossidi metallici rappresentano

Risultati e discussione _______________________________________________________________________

109

Al2O3 (1) 700°C

0

100

200

300

400

500

600

700

0 0.2 0.4 0.6 0.8 1

Relative pressure (P/Po)

Ad

so

rbe

d N

2 v

ol.

(m

l/g

)

Al2O3 (2) 700°C

0

100

200

300

400

500

600

700

800

0 0.2 0.4 0.6 0.8 1

Relative pressure (P/Po)

Ad

so

rbe

d N

2 v

ol.

(m

l/g

)

Al2O3 (1) 700°C

0

100

200

300

400

500

600

700

0 0.2 0.4 0.6 0.8 1

Relative pressure (P/Po)

Ad

so

rbe

d N

2 v

ol.

(m

l/g

)

Al2O3 (1) 700°C

0

100

200

300

400

500

600

700

0 0.2 0.4 0.6 0.8 1

Relative pressure (P/Po)

Ad

so

rbe

d N

2 v

ol.

(m

l/g

)

Al2O3 (2) 700°C

0

100

200

300

400

500

600

700

800

0 0.2 0.4 0.6 0.8 1

Relative pressure (P/Po)

Ad

so

rbe

d N

2 v

ol.

(m

l/g

)

Al2O3 (2) 700°C

0

100

200

300

400

500

600

700

800

0 0.2 0.4 0.6 0.8 1

Relative pressure (P/Po)

Ad

so

rbe

d N

2 v

ol.

(m

l/g

)

Al2O3 (6) 700°C

0

200

400

600

800

1000

1200

0 0.2 0.4 0.6 0.8 1

Relative pressure (P/Po)

Ad

so

rbed

N2 v

ol. (

ml/g

)Al2O3 (6) 700°C

0

200

400

600

800

1000

1200

0 0.2 0.4 0.6 0.8 1

Relative pressure (P/Po)

Ad

so

rbed

N2 v

ol. (

ml/g

)

Figura 61: Isoterme di fisiadsorbimento delle allumine del gruppo B. Dimensione media dei

pori 10±2 nm, volume dei pori 0,5-1,61 ml/g.

Al2O3 (1) 700°C

0

0.5

1

1.5

2

2.5

3

3.5

4

4.5

5

1 10 100

Pore diameter (nm)

dV

/dlo

g(D

) I

0

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

0.6

0.7

0.8

0.9

1

Cu

mu

lati

ve

PV

(cm

3/g

)

Al2O3 (2) 700°C

0

1

2

3

4

5

6

7

8

1 10 100

Pore diameter (nm)

dV

/dlo

g(D

) I

0

0.2

0.4

0.6

0.8

1

1.2

Cu

mu

lati

ve P

V (

cm

3/g

)

Al2O3 (1) 700°C

0

0.5

1

1.5

2

2.5

3

3.5

4

4.5

5

1 10 100

Pore diameter (nm)

dV

/dlo

g(D

) I

0

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

0.6

0.7

0.8

0.9

1

Cu

mu

lati

ve

PV

(cm

3/g

)

Al2O3 (1) 700°C

0

0.5

1

1.5

2

2.5

3

3.5

4

4.5

5

1 10 100

Pore diameter (nm)

dV

/dlo

g(D

) I

0

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

0.6

0.7

0.8

0.9

1

Cu

mu

lati

ve

PV

(cm

3/g

)

Al2O3 (2) 700°C

0

1

2

3

4

5

6

7

8

1 10 100

Pore diameter (nm)

dV

/dlo

g(D

) I

0

0.2

0.4

0.6

0.8

1

1.2

Cu

mu

lati

ve P

V (

cm

3/g

)

Al2O3 (2) 700°C

0

1

2

3

4

5

6

7

8

1 10 100

Pore diameter (nm)

dV

/dlo

g(D

) I

0

0.2

0.4

0.6

0.8

1

1.2

Cu

mu

lati

ve P

V (

cm

3/g

)

Al2O3 (3) 700°C

0

0.5

1

1.5

2

2.5

3

1 10 100

Pore diameter (nm)

dV

/dlo

g(D

) I

0

0.2

0.4

0.6

0.8

1

1.2

Cu

mu

lati

ve P

V (

cm

3/g

)

Al2O3 (M) 700°C

0

0.5

1

1.5

2

2.5

1 10 100

Pore diameter (nm)

dV

/dlo

g(D

) I

0

0.2

0.4

0.6

0.8

1

1.2

Cu

mu

lati

ve P

V (

cm

3/g

)

Al2O3 (3) 700°C

0

0.5

1

1.5

2

2.5

3

1 10 100

Pore diameter (nm)

dV

/dlo

g(D

) I

0

0.2

0.4

0.6

0.8

1

1.2

Cu

mu

lati

ve P

V (

cm

3/g

)

Al2O3 (3) 700°C

0

0.5

1

1.5

2

2.5

3

1 10 100

Pore diameter (nm)

dV

/dlo

g(D

) I

0

0.2

0.4

0.6

0.8

1

1.2

Cu

mu

lati

ve P

V (

cm

3/g

)

Al2O3 (M) 700°C

0

0.5

1

1.5

2

2.5

1 10 100

Pore diameter (nm)

dV

/dlo

g(D

) I

0

0.2

0.4

0.6

0.8

1

1.2

Cu

mu

lati

ve P

V (

cm

3/g

)

Al2O3 (M) 700°C

0

0.5

1

1.5

2

2.5

1 10 100

Pore diameter (nm)

dV

/dlo

g(D

) I

0

0.2

0.4

0.6

0.8

1

1.2

Cu

mu

lati

ve P

V (

cm

3/g

)

Page 114: Effetti di strutturazione di materiali a base di ossidi ... · La scienza non esclude gli errori; anzi, talora sono proprio questi a portare ... Gli ossidi metallici rappresentano

Risultati e discussione _______________________________________________________________________

110

Al2O3 (4) 700°C

0

0.2

0.4

0.6

0.8

1

1.2

1 10 100

Pore diameter (nm)

dV

/dlo

g(D

) I0

0.5

1

1.5

2

2.5

Cu

mu

lati

ve

PV

(cm

3/g

)

Al2O3 (4) 700°C

0

0.2

0.4

0.6

0.8

1

1.2

1 10 100

Pore diameter (nm)

dV

/dlo

g(D

) I0

0.5

1

1.5

2

2.5

Cu

mu

lati

ve

PV

(cm

3/g

)

Figura 62: Proprietà di tessitura delle allumine appartenenti al gruppo A. Dimensione dei

pori 8-25 nm, volume dei pori ca. 1 ml/g.

Al2O3 (5) 700°C

0

0.2

0.4

0.6

0.8

1

1.2

1.4

1.6

1.8

2

1 10 100

Pore diameter (nm)

dV

/dlo

g(D

) I

0

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

0.6

Cu

mu

lati

ve

PV

(cm

3/g

)

Al2O3 (P) 700°C

0

0.2

0.4

0.6

0.8

1

1.2

1.4

1 10 100

Pore diameter (nm)

dV

/dlo

g(D

) I

0

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

0.6

Cu

mu

lati

ve P

V (

cm

3/g

)

Al2O3 (5) 700°C

0

0.2

0.4

0.6

0.8

1

1.2

1.4

1.6

1.8

2

1 10 100

Pore diameter (nm)

dV

/dlo

g(D

) I

0

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

0.6

Cu

mu

lati

ve

PV

(cm

3/g

)

Al2O3 (5) 700°C

0

0.2

0.4

0.6

0.8

1

1.2

1.4

1.6

1.8

2

1 10 100

Pore diameter (nm)

dV

/dlo

g(D

) I

0

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

0.6

Cu

mu

lati

ve

PV

(cm

3/g

)

Al2O3 (P) 700°C

0

0.2

0.4

0.6

0.8

1

1.2

1.4

1 10 100

Pore diameter (nm)

dV

/dlo

g(D

) I

0

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

0.6

Cu

mu

lati

ve P

V (

cm

3/g

)

Al2O3 (P) 700°C

0

0.2

0.4

0.6

0.8

1

1.2

1.4

1 10 100

Pore diameter (nm)

dV

/dlo

g(D

) I

0

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

0.6

Cu

mu

lati

ve P

V (

cm

3/g

)

Al2O3 (1) 700°C

0

0.5

1

1.5

2

2.5

3

3.5

4

4.5

5

1 10 100

Pore diameter (nm)

dV

/dlo

g(D

) I

0

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

0.6

0.7

0.8

0.9

1

Cu

mu

lati

ve P

V (

cm

3/g

)

Al2O3 (2) 700°C

0

1

2

3

4

5

6

7

8

1 10 100

Pore diameter (nm)

dV

/dlo

g(D

) I

0

0.2

0.4

0.6

0.8

1

1.2C

um

ula

tiv

e P

V (

cm

3/g

)Al2O3 (1) 700°C

0

0.5

1

1.5

2

2.5

3

3.5

4

4.5

5

1 10 100

Pore diameter (nm)

dV

/dlo

g(D

) I

0

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

0.6

0.7

0.8

0.9

1

Cu

mu

lati

ve P

V (

cm

3/g

)

Al2O3 (1) 700°C

0

0.5

1

1.5

2

2.5

3

3.5

4

4.5

5

1 10 100

Pore diameter (nm)

dV

/dlo

g(D

) I

0

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

0.6

0.7

0.8

0.9

1

Cu

mu

lati

ve P

V (

cm

3/g

)

Al2O3 (2) 700°C

0

1

2

3

4

5

6

7

8

1 10 100

Pore diameter (nm)

dV

/dlo

g(D

) I

0

0.2

0.4

0.6

0.8

1

1.2C

um

ula

tiv

e P

V (

cm

3/g

)Al2O3 (2) 700°C

0

1

2

3

4

5

6

7

8

1 10 100

Pore diameter (nm)

dV

/dlo

g(D

) I

0

0.2

0.4

0.6

0.8

1

1.2C

um

ula

tiv

e P

V (

cm

3/g

)

Page 115: Effetti di strutturazione di materiali a base di ossidi ... · La scienza non esclude gli errori; anzi, talora sono proprio questi a portare ... Gli ossidi metallici rappresentano

Risultati e discussione _______________________________________________________________________

111

Al2O3 (6) 700°C

0

0.5

1

1.5

2

2.5

3

3.5

4

1 10 100Pore diameter (nm)

dV

/dlo

g(D

) I

0

0.2

0.4

0.6

0.8

1

1.2

1.4

1.6

1.8

Cu

mu

lati

ve P

V (

cm

3/g

)

Al2O3 (6) 700°C

0

0.5

1

1.5

2

2.5

3

3.5

4

1 10 100Pore diameter (nm)

dV

/dlo

g(D

) I

0

0.2

0.4

0.6

0.8

1

1.2

1.4

1.6

1.8

Cu

mu

lati

ve P

V (

cm

3/g

)

Figura 63: Proprietà di tessitura di allumine appartenenti al gruppo B. Dimensione media dei

pori 10±2 nm, volume dei pori 0,5-1,61 ml/g.

4.1.2 Proprietà strutturali.

Le allumine sono state analizzate mediante la tecnica di diffrazione a raggi X per polveri.

Al2O3 (2) 700°C

0

200

400

600

800

1000

1200

0 10 20 30 40 50 60 70 80 90

2Θ2Θ2Θ2Θ

co

un

ts

γ

Al2O3 (2) 700°C

0

200

400

600

800

1000

1200

0 10 20 30 40 50 60 70 80 90

2Θ2Θ2Θ2Θ

co

un

ts

γ

Figura 64: Tipico spettro XRD di g-Al2O3.

A titolo di esempio viene riportato lo spettro di una Al2O3 utilizzata in questo lavoro

(Figura 64), che conferma la presenza di fase γ consistente con la calcinazione a 700-

900°C. I due picchi principali corrispondenti ai riflessi con 2Θ 45,8° e 66,8° indicano un

buon grado di cristallinità. Applicando la formula di Scherrer ai dati relativi dei riflessi

principali si ottiene una dimensione dei cristalliti su scala nanometrica per tutti i campioni

presi in esame (≤ 5 nm), che non subisce variazioni sostanziali nell’intervallo di

temperatura considerato. Le allumine in fase γ sono state analizzate per stabilire la

Page 116: Effetti di strutturazione di materiali a base di ossidi ... · La scienza non esclude gli errori; anzi, talora sono proprio questi a portare ... Gli ossidi metallici rappresentano

Risultati e discussione _______________________________________________________________________

112

correlazione tra caratteristiche di tessitura nella regione dei mesopori e proprietà di

termoisolamento del materiale.

Per valutare l’effetto delle proprietà di struttura, tra cui dimensioni dei grani e tipologia di

agglomerato, sul quelle di termoisolamento di Al2O3 sono state prese in esame le due

allumine mesoporose Al2O3 (M) e Al2O3 (P), che, presentando dei valori di diametro dei

pori diversi, saranno caratterizzate da cinetiche di sinterizzazione differenti. Le due

allumine sono state calcinate a temperature comprese tra 700°C e 1450°C, e le rispettive

caratteristiche sono riportate Tabella 12.

Tabella 12: Caratteristiche di tessitura di Al2O3 (M) e Al2O3 (P) al variare della temperatura di

calcinazione.

Campione Tcalc(°C)/fase/

ps (nm) BET (m

2/g) PV (ml/g)

dp

(nm)

dreale

(g/cm3)

Porosità

(%)

Grain size

(nm)

Al2O3 (M) 700/ γ/4 186 1,084 17,0 0,74 80 9

900/ θ/6,4 157 1,033 19,6 0,76 79 11

1250/ α/>70 8 0,035 19,7 3,49 12 188

1350/ α/>70 5 0,013 13,5 3,78 5 302

1450/ α/>70 4 0,013 17,5 3,78 5 431

Al2O3 (P) 700/ γ/5,3 151 0,500 10,2 1,31 64 11

1350/ α/>70 2 0,006 13,5 3,89 2 754

Le due allumine seguono chiaramente un’evoluzione strutturale diversa l’una dall’altra:

� γ-Al2O3 (P) presenta un volume dei pori ed un diametro medio che sono circa la

metà rispetto a γ-Al2O3 (M), con un particle size e grain size che invece sono

paragonabili;

� i valori di tessitura e le proprietà strutturali dei materiali calcinati ad elevata

temperatura, invece, indicano come Al2O3 (P) abbia una velocità di

sinterizzazione maggiore, che comporta un consistente accrescimento della

dimensione dei grani. La minor stabilità termica di Al2O3 (P) è giustificabile dal

valore inferiore del diametro medio dei pori.

� per Al2O3 (M) la transizione alla fase θ non comporta grosse variazioni delle

proprietà di tessitura e di struttura.

� per α-Al2O3 (M) la calcinazione a temperatura crescente determina una

densificazione del materiale, con il contemporaneo aumento della dimensione dei

grani.

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Risultati e discussione _______________________________________________________________________

113

4.2 Proprietà di termoisolamento delle polveri.

4.2.1 Standardizzazione della procedura sperimentale di analisi per LFA

447.

La misura delle proprietà termiche mediante la tecnica laser flash richiede l’ottimizzazione

e la standardizzazione del metodo di preparazione e di analisi del campione in funzione

della classe di composti esaminati. Nella prima fase dello studio sono state effettuate

misure preliminari per valutare la sensibilità della tecnica sulle misure di diffusività termica

e di calore specifico, e per determinare le condizioni ottimali per la preparazione dei

campioni (normativa ASTM E1461). A tal scopo sono state preparate alcune pastiglie

dell’allumina commerciale Al2O3 (M) 700°C aventi diverso spessore, che sono state poi

sinterizzate a 1350°C in modo da effettuare misure di confronto con i dati presenti in

letteratura per α-Al2O3. Per motivi di geometria del portacampioni lo spessore massimo

consentito comprensivo del doppio strato di grafite è 3 mm. Inoltre le condizioni ottimali di

misura sono funzione della potenza dell’impulso laser e della natura del campione.

La composizione chimica dei campioni analizzati, che sono allumine e quindi materiali

igroscopici, influenzano la qualità della misura, in particolare a basse temperature, per

effetto dovuto al desorbimento dell’acqua trattenuta dal materiale. In Tabella 13 e Figura

65 vengono riportati i valori di α, λ e Cp per un campione di γ-Al2O3 analizzato con la

tecnica laser flash method.

Tabella 13: Effetto del desorbimento di acqua sui dati di diffusività termica e calore specifico

di Al2O3.

Temperatura (°C) αααα (mm2/s) λλλλ (W/mK) Cp (J/gK) Cp (J/gK) standard

25 0,059 21 1,108 0,77

100 0,078 28 1,087 0,91

150 0,069 25 1,109 -

200 0,062 24 1,176 1,02

250 0,064 26 1,227 -

300 0,069 29 1,297 1,09

Page 118: Effetti di strutturazione di materiali a base di ossidi ... · La scienza non esclude gli errori; anzi, talora sono proprio questi a portare ... Gli ossidi metallici rappresentano

Risultati e discussione _______________________________________________________________________

114

0.05

0.06

0.06

0.07

0.07

0.08

0.08

0 50 100 150 200 250 300 350Temperatura (°C)

αα αα (

mm

2/s

)

18

20

22

24

26

28

30

λλ λλ (

W/m

K)

Figura 65: Tipici andamenti di diffusività e conducibilità termica con la temperatura per un

campione di Al2O3.

Come si può osservare il desorbimento iniziale di acqua porta ad un picco dei valori di α

e λ alla temperatura di 100°C, mentre solo a partire dai 200°C i due parametri seguono il

tipico andamento crescente in funzione della temperatura. Per quanto riguarda l’analisi

del calore specifico del materiale, i valori alle basse temperature riportati in tabella

indicano come a bassa temperatura ci sia un contributo al Cp dovuto alla presenza di

H2O adsorbita. Infine la Figura 66 fa notare come il segnale registrato dal detector IR a

300°C sia molto più stabile rispetto a quello misurato a temperatura ambiente.

-0.5

0.0

0.5

1.0

1.5

2.0

2.5

-5000 0 5000 10000 15000 20000 25000 30000

Tempo (ms)

De

tec

tor/

V

25°C

-0.5

0.0

0.5

1.0

1.5

2.0

2.5

-5000 0 5000 10000 15000 20000 25000 30000

Tempo (ms)

De

tec

tor/

V

25°C

Page 119: Effetti di strutturazione di materiali a base di ossidi ... · La scienza non esclude gli errori; anzi, talora sono proprio questi a portare ... Gli ossidi metallici rappresentano

Risultati e discussione _______________________________________________________________________

115

-0.5

0.0

0.5

1.0

1.5

2.0

2.5

3.0

3.5

4.0

4.5

5.0

-5000 0 5000 10000 15000 20000

Tempo (ms)

De

tec

tor/

V

300°C

-0.5

0.0

0.5

1.0

1.5

2.0

2.5

3.0

3.5

4.0

4.5

5.0

-5000 0 5000 10000 15000 20000

Tempo (ms)

De

tec

tor/

V

300°C

Figura 66: Tipici termogrammi di γγγγ-Al2O3 di misure di diffusività termica a 25°C e 300°C.

Sulla base di queste considerazioni, quindi, per l’analisi e discussione dei dati

sperimentali si è deciso di considerare solamente le misure effettuate alla temperatura di

300°C.

In Figura 67 sono riportati i dati di diffusività termica e calore specifico a 300°C di quattro

campioni a spessore crescente di 0,99 mm, 1,29 mm, 1,76 mm e 2,25 mm, che

presentano valori di densità apparente paragonabili, in quanto preparati mediante le

stesse condizioni di pressione.

0.35

0.37

0.39

0.41

0.43

0.45

0.47

0.49

0.9 1.1 1.3 1.5 1.7 1.9 2.1 2.3

Spessore campione (mm)

αα αα (

mm

2/s

)

0.35

0.37

0.39

0.41

0.43

0.45

0.47

0.49

0.9 1.1 1.3 1.5 1.7 1.9 2.1 2.3

Spessore campione (mm)

αα αα (

mm

2/s

)

αααα300°C

αααα-Al2O3

Page 120: Effetti di strutturazione di materiali a base di ossidi ... · La scienza non esclude gli errori; anzi, talora sono proprio questi a portare ... Gli ossidi metallici rappresentano

Risultati e discussione _______________________________________________________________________

116

Figura 67: Valori di αααα e Cp a 300°C al variare dello spessore di campioni di Al2O3 (M)

sinterizzati a 1350°C.

Il valore di riferimento di Cp a 300°C per α-Al2O3 è noto dalla letteratura (141,142), mentre

il valore di α è stato calcolato a partire dalla conducibilità termica effettiva, stimata in base

al modello EMPT (12) che ricordiamo combinare gli effetti della porosità (νp) e del bordo

di grano, per un campione di α-Al2O3 a densità relativa 0,33, mediante l’equazione

( ) ( ) ( ) ( )[ ]{ }( )2/12832133213

4

1pspspppsppeq vvvv λλλλλλλ +−+−+−+−=

(12)

( ) ( ) ( ) ( )TTCTT p ραλ ∗∗= (22)

Va sottolineato che la diffusività termica di materiali densi, a differenza della conducibilità

e del calore specifico, è un parametro che non si trova tabulato in letteratura. Dal

confronto con il dato di letteratura è evidente come la geometria del campione può

influenzare sia il dato di diffusività sia quello di calore specifico. Tuttavia, il confronto

indica che si opera in condizioni ottimizzate se la pastiglia ha uno spessore di ca. 2 mm,

con un intervallo di tolleranza 2 ± 0,30 mm. L’errore percentuale medio rispetto al dato di

letteratura sulla misura di Cp a 300°C per i campioni a diverso spessore è ca. 2.6%,

mentre la riproducibilità della misura effettuata sullo stesso campione a 300°C e Cp ±

0,05 J/gK e α ± 0,007 mm2/s. Due pastiglie dello stesso campione prodotte nelle stesse

condizioni e aventi spessori simili danno una riproducibilità dei dati pari a Cp ± 0,05 J/gK

e α± 0,004 mm2/s. L’incertezza e la riproducibilità dei dati ottenuti nelle condizioni

ottimizzate sono consistenti con quanto riportato nella succitata normativa ASTM.

Pertanto, avendo sperimentalmente identificato le condizioni/tipologia dei campioni, nella

fase successiva si è utilizzata esclusivamente tale procedura ottimizzata per lo studio dei

materiali considerati.

0.90

0.95

1.00

1.05

1.10

1.15

1.20

0.9 1.1 1.3 1.5 1.7 1.9 2.1 2.3

Spessore campione (mm)

Cp

(J

/gK

)

0.90

0.95

1.00

1.05

1.10

1.15

1.20

0.9 1.1 1.3 1.5 1.7 1.9 2.1 2.3

Spessore campione (mm)

Cp

(J

/gK

)

Cp300°C

αααα-Al2O3

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Risultati e discussione _______________________________________________________________________

117

4.2.2 Sequenza sperimentale.

In questa fase dello studio sono state prese in esame alcune γ-Al2O3 e α-Al2O3 diverse tra

loro per caratteristiche di tessitura (cfr. Parte Sperimentale).

Le allumine analizzate sono:

� Al2O3 (M), utilizzata in precedenza in (2).

� Al2O3 Puralox NGa 150 (Sasol), indicata come Al2O3 (P).

Sono stati, quindi, approfonditi i seguenti punti:

1. discriminazione della porosità di tipo macro da quella di tipo meso.

2. discriminazione dell’effetto della porosità di tipo meso a parità di diametro dei

pori;

3. discriminazione dell’effetto del diametro dei pori nella regione meso a parità di

grado di porosità;

4. effetto della dimensione dei grani sulle proprietà termiche di Al2O3.

5. effetto del tipo di agglomerato (soft vs hard) su diffusività e conducibilità termica

di Al2O3.

Per valutare l’effetto che le caratteristiche di tessitura possono avere sulle proprietà

termoisolanti della γ-Al2O3 (punti 1 e 2) sono state prese in esame una γ-Al2O3 (Al2O3 M) e

cinque allumine sintetizzate come descritto nella Parte Sperimentale.

La discriminazione tra macroporosità e mesoporosità è stata effettuata confrontando le

proprietà termiche delle due fasi γ (per la regione meso) e α (per la regione macro)

utilizzando Al2O3 (M) quale materiale di partenza.

Per verificare l’influenza delle proprietà di struttura sul quelle di termoisolamento di Al2O3

(punti 4 e 5) sono state analizzate le due allumine mesoporose Al2O3 (M) e Al2O3 (P),

calcinate a temperature comprese tra 700°C e 1450°C. In particolare lo studio dell’effetto

della modalità di assemblaggio dei materiali è stato condotto considerando le transizioni

di fase di Al2O3 e preparando i campioni come rappresentato in Figura 68.

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Risultati e discussione _______________________________________________________________________

118

γ−Al2O3 700°C Θ-Al2O3 900°C α−Al2O3 1350°C

Polvere compattata (aggregato)

Pastiglia sinterizzata (agglomerato)

γ−Al 700-s Θ-Al 900-s α−Al 1350-s

γ−Al 700-h Θ-Al 900-h α−Al 1350-h

Transizioni di fase di Al2O3

γ−Al2O3 700°C Θ-Al2O3 900°C α−Al2O3 1350°C

Polvere compattata (aggregato)

Pastiglia sinterizzata (agglomerato)

γ−Al 700-s Θ-Al 900-s α−Al 1350-s

γ−Al 700-h Θ-Al 900-h α−Al 1350-h

Transizioni di fase di Al2O3

Figura 68: Transizioni di fase di Al2O3 e campioni aggregati (s) ed agglomerati (h) al variare

della temperatura.

4.2.3 Effetto delle proprietà di tessitura su diffusività e conducibilità

termica.

4.2.3.1 Effetto del tipo di porosità (macro vs meso) sulle proprietà di

termoisolamento di Al2O3.

Lo studio degli andamenti di α e λ in relazione al contenuto di macropori o mesopori è

stato effettuato analizzando il comportamento delle allumine Al2O3 (M) e Al2O3 (P)

calcinate a 1350°C (α-Al2O3, sostanzialmente priva di porosità) ed a 700°C (γ-Al2O3

mesoporosa). Sono state perciò preparate alcune pastiglie di entrambe le fasi di Al2O3

comprimendo la polvere di partenza con forze crescenti da 0,5 a 5 tonnellate, per

ottenere degli aggregati soft dello stesso materiale aventi densità apparenti crescenti. Il

contenuto di macropori o mesopori è stato determinato mettendo in relazione la densità

apparente, misurata come rapporto tra il peso e il volume geometrico di ogni campione,

con la densità del solido per i primi, mentre con la densità reale, misurata per

fisiadsorbimento di N2, per i mesopori (Tabella 14). I valori di densità reale per le fasi α

delle due allumine sono leggermente inferiori rispetto al valore tabulato per il materiale

denso (3,98 g/cm3), poiché esse, nonostante la calcinazione a 1350°C per una durata

relativamente ampia (10 ore), presentano ancora un minimo contenuto di vuoto,

rispettivamente 5% per Al2O3 (M) e 2 % per Al2O3 (P) (cfr. Tabella 12). Il volume dei

mesopori è stato misurato con la tecnica di fisiadsorbimento di N2. La Figura 69 riporta i

valori sperimentali di diffusività e conducibilità termica di Al2O3 (M) e Al2O3 (P) in funzione

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Risultati e discussione _______________________________________________________________________

119

del contenuto di mesopori o macropori. I valori di λ sono stati calcolati a partire da quelli

di α utilizzando i dati sperimentali ottenuti per il Cp, secondo la relazione 22

( ) ( ) ( ) ( )TdTTT ∗∗= ραλ

E’ stata verificata l’indipendenza del valore di Cp dal tipo di fase dell’allumina e dalla

porosità (dati non riportati).

Tabella 14: Rapporto tra macropori e mesopori nei campioni di Al2O3 (M) e (P) a 1350°C e

700°C preparati a varie pressioni.

Al2O3 (M) Al2O3 (P)

F

(ton)

dreale

(g/cm3)

dapp

(g/cm3)

Pmacro Pmeso Gs/dp

(nm)

dreale

(g/cm3)

dapp

(g/cm3)

Pmacro Pmeso Gs/dp

(nm)

1350°C

0,5 3,78 1,18 0,69 - 301/25 3,89 0,78 0,80 - 754/13

1 3,78 1,44 0,62 - 301/25 3,89 1,12 0,71 - 754/13

2 3,78 1,69 0,55 - 301/19 3,89 1,40 0,64 - 754/13

3 3,78 1,78 0,53 - 301/19 3,89 1,54 0,60 - 754/13

5 3,78 1,90 0,50 - 301/18 - - - - -

700°C

0,5 0,74 0,67 0,09 0,80 8/17 - - - - -

1 0,83 0,80 0,04 0,77 8/14 1,27 1,05 0,17 0,65 11/10

2 0,95 1,00 0,00 0,74 8/12 - - - - -

3 1,04 1,14 0,00 0,71 8/10 1,31 1,21 0,07 0,64 11/10

5 1,22 1,37 0,00 0,66 8/8 1,34 1,31 0,00 0,63 11/9

0.10

0.15

0.20

0.25

0.30

0.35

0.60 0.65 0.70 0.75 0.80 0.85

Mesoporosità %

λλ λλ (

W/m

K)

0.10

0.15

0.20

0.25

0.30

0.35

αα αα (

mm

2/s

)

A

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Risultati e discussione _______________________________________________________________________

120

0.10

0.15

0.20

0.25

0.30

0.35

0.40

0.45

0.35 0.40 0.45 0.50 0.55 0.60 0.65 0.70 0.75 0.80 0.85

Macroporosità %

λλ λλ (

W/m

K)

0.10

0.15

0.20

0.25

0.30

0.35

0.40

0.45

αα αα (

mm

2/s

)

Figura 69: Effetto del contenuto di mesoporosità (A) e macroporosità (B) sulla misura di

α (α (α (α (●) e λλλλ (■) per Al2O3 (M) (simboli pieni) e Al2O3 (P) (simboli vuoti).

Da un primo esame dei dati i due tipi di porosità hanno chiaramente effetti diversi sul

comportamento termoisolante di questo materiale. Per quanto riguarda la conducibilità

termica, essa viene ridotta sia in presenza di soli macropori che di soli mesopori, che

però hanno un effetto maggiore poiché, per un incremento di porosità del 10%, causano

una riduzione del 34% di λ, contro una diminuzione del 15% dovuta ai pori della regione

macro. L’andamento della diffusività invece è diverso nei due casi, ossia α aumenta con

l’aumentare della macroporosità e diminuisce con il crescere del contenuto in mesopori.

L’andamento di λ si può spiegare ricordando le espressioni

''''

rgst λλλλ ++= (9)

d

psss v

vV0' λλ = (10)

n

gg

gK

V

β

λλ

+=

1

0

' (11)

dove in base alle definizioni di λ’s e λ’g i fattori limitanti sono la conducibilità intrinseca del

solido (λ0g è molto piccola) e il volume di gas contenuto nel sistema, in condizioni di

dimensione dei grani (e quindi di Rint) uguale (301 nm per Al2O3 M, 750 nm per Al2O3 P,

Tabella 14). Al contrario, i diversi andamenti di α sono interpretabili ricordando che i

macropori sono circa 10-100 volte più grandi rispetto ai mesopori e che il valore della

diffusività dell’aria a 300°C è 1,25 cm2/s, molto più grande rispetto a quello per α-Al2O3

alla stessa temperatura (0,036 cm2/s). Ne consegue che, in base al valore del cammino

libero medio per l’aria (ca. 150 nm a 300°C), nella regione dei macropori prevale il

contributo dato dalla diffusività del gas, al contrario nella regione dei mesopori lo

spazio di collisione per le molecole di gas è insufficiente a favorire la diffusione termica

B

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Risultati e discussione _______________________________________________________________________

121

per cui il fattore limitante è la diffusività del solido, che viene ridotta dal volume d’aria

presente. In questo caso la dimensione dei grani è ca. 8-11 nm.

L’interpretazione dei dati sperimentali indica quindi, in accordo con la previsione, che un

materiale, per avere delle buone proprietà di termoisolamento, deve essere privo di

macropori.

La diversità tra i valori di α e λ a parità di porosità per i due campioni implica un’effetto

determinato dalla diversità strutturale e di tessitura delle due allumine commerciali, che

determina dei comportamenti all’aggregazione differenti. Ricordiamo che il grado di

aggregazione/agglomerazione può essere espresso in funzione delle densità

dell’aggregato (ρ) e della particella primaria (ρt) secondo l’espressione (48)

ρ

ρ tSNA =3 (4)

Ne consegue che, in base ai valori di densità apparente (e quindi ρ nella formula) riportati

in Tabella 14, γ-Al2O3 (P) tende a compattarsi di meno rispetto a γ-Al2O3 (M), in quanto a

parità di pressione di fabbricazione del campione il rapporto ρt/ρ è sempre maggiore di 1

(Tabella 15).

Tabella 15: Effetto della pressione sul compattamento di γγγγ-Al2O3 (M) e γγγγ-Al2O3 (P).

P (ton) Al2O3 (M) ρt/ρ Al2O3 (P) ρt/ρ

1 1,03 1,21

3 0,91 1,09

5 0,89 1,03

Il parametro A3 indica quindi la tendenza di un materiale ad aggregare senza compattare.

Nel caso di γ-Al2O3 (P) il minor compattamento delle particelle primarie si traduce in un

minor contatto intimo tra bordi di grano, dovuto anche alla maggiore dimensione dei grani

stessi, che va ad influenzare la trasmissione del calore attraverso il materiale. I più alti

valori di diffusività e conducibilità termica di α-Al2O3 (P) rispetto a α-Al2O3 (M), invece,

dipendono dal fatto che la trasmissione del calore in questo caso risente in modo

particolare dell’effetto della dimensione dei grani, che è nettamente superiore per la prima

allumina (vedi Tabella 14). L’aumento del grain size implica una diminuzione della

superficie di contatto all’interfaccia tra bordi di grano, e di conseguenza si ottiene una

riduzione di Rint secondo l’espressione

1

int

1−

+= R

l

nl

crystal

polyλ

λ

(14)

d

Rk0

0

λλ

+

= (15)

in cui nl è il numero di bordi di grano lungo la distanza l e R*int ( o Rk) è la resistenza

termica dei bordi di grano per unità di superficie.

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Risultati e discussione _______________________________________________________________________

122

Essendo la resistenza dei bordi di grano maggiore rispetto alla resistenza nel bulk, il

fattore limitante del trasferimento del calore puo' essere considerato l'estensione di tale

interfaccia, diminuendo la quale si osserva una aumento della conducibilità. L’aumento di

dimensione del grano determina anche un aumento di α. La proporzionalità tra proprietà

termiche e dimensione dei grani per un materiale termoisolante sarà approfondita

successivamente.

Infine viene riportato in Figura 70 il confronto tra i dati sperimentali ottenuti per Al2O3 (M)

700°C e quelli previsti dai modelli matematici riportati dalla letteratura (si veda

introduzione).

Al2O3 (M) 700°C

0.00

0.05

0.10

0.15

0.20

0.25

0.30

0.35

0.40

0.45

0.50

0.65 0.67 0.69 0.71 0.73 0.75 0.77 0.79 0.81

Mesoporosità %

λ

λ

λ

λ (

W/m

K)

0.00

1.00

2.00

3.00

4.00

5.00

6.00

λ

λ

λ

λ (

W/m

K)

Ru

ss

el

SperimentaleEMPT

EMPT(macro+meso)Yoldas

Russel

Al2O3 (M) 700°C

0.00

0.05

0.10

0.15

0.20

0.25

0.30

0.35

0.40

0.45

0.50

0.65 0.67 0.69 0.71 0.73 0.75 0.77 0.79 0.81

Mesoporosità %

λ

λ

λ

λ (

W/m

K)

0.00

1.00

2.00

3.00

4.00

5.00

6.00

λ

λ

λ

λ (

W/m

K)

Ru

ss

el

SperimentaleEMPT

EMPT(macro+meso)Yoldas

Russel

Al2O3 (M) 1350°C

0.00

0.50

1.00

1.50

2.00

2.50

3.00

3.50

0.45 0.50 0.55 0.60 0.65 0.70Macroporosità %

λ

λ

λ

λ (

W/m

K)

0.00

1.00

2.00

3.00

4.00

5.00

6.00

7.00

8.00

9.00

l (W

/mK

) R

uss

el

Sperimentale

EMPT

EMPT (macro+meso)

Yoldas

Russel

Al2O3 (M) 1350°C

0.00

0.50

1.00

1.50

2.00

2.50

3.00

3.50

0.45 0.50 0.55 0.60 0.65 0.70Macroporosità %

λ

λ

λ

λ (

W/m

K)

0.00

1.00

2.00

3.00

4.00

5.00

6.00

7.00

8.00

9.00

l (W

/mK

) R

uss

el

Sperimentale

EMPT

EMPT (macro+meso)

Yoldas

Russel

Figura 70: Confronto tra dati sperimentali di conducibilità a 300°C e quelli previsti dai

modelli matematici per Al2O3 a 700°C e 1350°C.

Tutti i valori teorici sono stati calcolati a partire dal dato tabulato di λ0 a 300°C per α-Al2O3

monocristallina (λ0=15-17 W/mK) (143,144), mancando un riferimento per la conducibilità

del materiale denso nel caso di γ-Al2O3. Come dimostrato dai dati sperimentali della

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Risultati e discussione _______________________________________________________________________

123

presente tesi, λ risulta relativamente poco affetto dalla natura della fase cristallina e,

pertanto, nelle valutazioni dei modelli teorici è stato utilizzato λ0 della fase α anche nei

grafici di confronto con i dati relativi ad altre fasi di Al2O3. Brevemente ricordiamo la

differenza concettuale tra i due modelli matematici principali (Yoldas ed EMPT): Yoldas

(3) considera unicamente l’effetto della porosità macro o meso nella trasmissione del

calore, mentre la teoria EMPT (55) considera anche il concetto di resistenza all’interfaccia

tra i bordi di grano. Il confronto tra i dati sperimentali e quelli calcolati sulla base di questi

due modelli appare non scevro di problemi. In tutti i casi non sussiste una buona

corrispondenza tra dato sperimentale e valore calcolato, in particolare nel caso di Yoldas

vi è una sottostima del valore reale con un errore dell’ordine di 68% in presenza di

macropori e del 78% in presenza di mesopori. Il modello EMPT, invece, dando

importanza all’effetto del bordo di grano sovrastima la conducibilità termica di α-Al2O3

(errore 400%), in cui il contributo della dimensione dei grani è importante, mentre

sottostima λ della fase γ (errore 66%). È quindi possibile concludere che le teorie non

sono in grado di dare una previsione quantitativa della conducibilità termina di un

materiale compattato che consideri gli effetti combinati di tutti i fattori che influenzano la

trasmissione del calore.

4.2.3.2 Effetto della porosità di tipo meso, a parità di diametro dei pori,

sulle proprietà di termoisolamento.

Per l’analisi dell’andamento di α e λ in relazione al contenuto in mesopori sono state

prese in considerazione le allumine di sintesi dei gruppi B e C, ovvero un set di campioni

con pori centrati a ca. 10 nm e l’altro intorno a 21 nm. I campioni sono stati preparati ad

una pressione di 0,25-3 tonnellate e i rispettivi rapporti tra porosità meso e macro sono

riportati in Tabella 16 e Tabella 17. In Figura 71 e Figura 72 vengono riportati gli

andamenti di α e λ.

Tabella 16: Contenuto di mesopori nei campioni del gruppo B. Diemetro medio dei pori 10±2

nm.

dreale (g/cm3) dapp (g/cm

3) Pmeso

Al2O3 (P) 1,34 1,36 0,63

Al2O3 (5) 1,23 1,14 0,66

Al2O3 (1) 0,84 0,67 0,77

Al2O3 (2) 0,72 0,74 0,80

Al2O3 (6) 0,53 0,53 0,85

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Risultati e discussione _______________________________________________________________________

124

Tabella 17: Contenuto di mesopori nei campioni del gruppo C. Diametro medio dei pori 21±2

nm.

dreale (g/cm3) dapp (g/cm

3) Pmeso

Al2O3 (7) 0,75 0,73 0,79

Al2O3 (8) 0,61 0,58 0,83

Al2O3 (9) 0,60 0,61 0,84

Al2O3 (10) 0,51 0,51 0,86

Al2O3 (11) 0,42 0,43 0,88

0.09

0.14

0.19

0.24

0.29

0.34

0.60 0.65 0.70 0.75 0.80 0.85 0.90

Mesoporosità %

λ

λ

λ

λ (

W/m

K)

0.09

0.14

0.19

0.24

0.29

0.34

α

α

α

α (

mm

2/s

)

Figura 71: Andamenti di α (α (α (α (■)))) e λλλλ (●) al variare del contenuto di mesopori, per Al2O3 aventi

diametro dei pori 10 ± 2 nm (gruppo B).

0.08

0.13

0.18

0.23

0.28

0.33

0.75 0.80 0.85 0.90

Mesoporosità %

λ

λ

λ

λ (

W/m

K)

0.08

0.13

0.18

0.23

0.28

0.33

α

α

α

α (

mm

2/s

)

Figura 72: Andamenti di α (α (α (α (■)))) e λλλλ (●) al variare del contenuto di mesopori, per Al2O3 aventi

diametro dei pori 21 ± 2 nm (gruppo C).

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Risultati e discussione _______________________________________________________________________

125

0.00

0.10

0.20

0.30

0.40

0.60 0.65 0.70 0.75 0.80 0.85 0.90

Porosità %

λλ λλ (

W/m

K)

0.00

0.10

0.20

0.30

0.40

αα αα (

mm

2/s

)

Figura 73: Andamenti di α (α (α (α (■)))) e λλλλ (●) al variare del contenuto di mesopori, per Al2O3 aventi

diametro dei pori compreso nell’intervallo 8-23 nm.

I valori ottenuti per la conducibilità e la diffusività termica sono in linea con quanto

osservato per la mesoporosità di Al2O3 (M) (Figura 69). Sia nel caso delle allumine del

gruppo B che per quelle del gruppo C la diminuzione di λ all'aumentare della porosità è

giustificata dalla riduzione del volume del solido (e aumento del volume del gas) e dalla

piccola dimensione dei grani, con conseguente aumento della resistenza interfacciale.

Gli andamenti di α al variare della porosità risultano, invece, contrapposti a seconda

dell’intervallo di dimensione dei pori che si prende in esame. Ciò può essere interpretato

con il fatto che per i materiali aventi diametro dei pori compreso nel range 8-12 nm la

diffusività diminuisce per effetto combinato della riduzione della frazione (e quindi della

diffusività) del solido, e della diminuzione del grain size; in presenza di pori a dimensioni

maggiori (ma sempre nella regione meso), invece, sembra prevalere il contributo dato

dalla diffusività dell’aria, che sappiamo essere maggiore rispetto di αs, per cui si verifica

un aumento della velocità di trasmissione del calore attraverso il materiale con l’aumento

della porosità. Riportando graficamente i dati sperimentali di conducibilità e diffusività

termica in funzione della porosità di tutte le allumine analizzate, estendendo il range di

diametro dei pori a 8-23 nm, come rappresentato in Figura 73, è evidente la linearità

dell’andamento sia di α che di λ, ad indicare che l’effetto dovuto alle dimensioni dei pori è

trascurabile se confrontato con l’influenza della porosità nel trasporto del calore

attraverso il materiale. Per progettare un materiale termoisolante, perciò, è possibile

modulare le proprietà di tessitura entro un intervallo relativamente ampio di diametro dei

pori, con il vantaggio che, aumentando il dp, ma sempre entro la regione dei mesopori,

aumentano anche la resistenza meccanica e la stabilità termica dell’ossido.

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Risultati e discussione _______________________________________________________________________

126

4.2.3.3 Effetto del diametro dei pori nella regione meso, a parità di

porosità, sulle proprietà di termoisolamento.

Per l’analisi dell’andamento di α e λ in relazione al diametro dei pori sono state prese in

considerazione le allumine del gruppo A. I campioni sono stati preparati ad una pressione

di 0.5 tonnellate e le rispettive densità apparenti e porosità meso sono riportate in Tabella

18. La Figura 74 mostra gli andamenti di α e λ.

Tabella 18: Contenuto di mesopori nei campioni del gruppo A (diametro medio dei pori 8-25

nm, volume dei pori ca. 1 ml/g).

dreale

(g/cm3)

dapp

(g/cm3)

Pmeso

Al2O3 (1) 0,84 0,67 0,81

Al2O3 (2) 0,72 0,74 0,80

Al2O3 (3) 0,76 0,74 0,79

Al2O3 (M) 0,74 0,67 0,80

Al2O3 (4) 0,73 0,50 0,85

0.00

0.05

0.10

0.15

0.20

0.25

0.30

0.35

7 9 11 13 15 17 19 21 23 25 27Diametro pori (nm)

λ

λ

λ

λ (

W/m

K)

0.00

0.05

0.10

0.15

0.20

0.25

0.30

0.35

α

α

α

α (

mm

2/s

)

Figura 74: Andamenti di α (α (α (α (■)))) e λλλλ (●) al variare del diametro medio dei pori, per Al2O3 aventi

volume dei pori ca. 1 ml/g (gruppo A).

Per materiali contenenti volumi dei pori paragonabili, l’effetto delle dimensioni dei pori, nel

range considerato tra 8 e 25 nm, appare modesto. La diminuzione del valore di λ con

l’aumento del diametro dei pori è da attribuirsi all’effetto della conducibilità del solido, che

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Risultati e discussione _______________________________________________________________________

127

si riduce proporzionalmente con il volume dello stesso, come dimostrato dai valori di

densità reale riportati in tabella e dall’espressione

d

psss v

vV

0' λλ =

Il contributo dato dalla conducibilità dell’aria, nonostante dipenda dalla dimensione dei

pori secondo la proporzionalità data dall’espressione

dVgg

5' 10*7.1 −≈λ

è trascurabile, essendo λ0g << λ0

s.

Per quanto riguarda l’andamento di α, il suo aumento con le dimensioni dei pori è da

associare al parallelo aumento della dimensione dei grani da 5 a 12 nm, come già

osservato nel paragrafo 4.2.3.1, e come verrà dimostrato nella sessione successiva.

4.2.4 Effetto delle proprietà dei grani e di aggregazione su diffusività e

conducibilità termica.

Lo studio degli effetti della tessitura di Al2O3 ha messo in evidenza l’influenza della

porosità sulle proprietà di termoisolamento del materiale, in particolare sono stati

discriminati gli effetti della porosità di tipo macro e meso, dimostrando che un buon

materiale termoisolante deve essere privo di macroporosità. In termini applicativi va

sottolineato che materiali termoisolanti vengono utilizzati sia in forma flessibile che in

forma rigida. Dal punto di vista intrinseco si tratta tipicamente di sinterizzati, ovvero

costituiti da agglomerati hard, nel caso di materiali rigidi. Viceversa i materiali flessibili

comprendono aggregati di tipo soft.

Il lavoro di ricerca è stato, quindi, esteso focalizzando i seguenti punti di studio:

1. effetto della dimensione dei grani sulle proprietà termiche di Al2O3.

2. effetto del tipo di agglomerato (soft vs hard) su diffusività e conducibilità termica

di Al2O3.

4.2.4.1 Effetto della dimensione dei grani su diffusività e conducibilità.

Come è noto il bordo di grano rappresenta una zona di discontinuità ed una barriera alla

trasmissione del calore all’interno di un materiale. Questo effetto si traduce in una

resistenza termica all’interfaccia dei bordi di grano (55). Per valutare l’effetto della

dimensione dei grani su α e λ sono stati preparati, per compressione a pressione

crescente a freddo, alcuni campioni di α-Al2O3 (M) calcinata a tre diverse temperature

(1250-1450°C) al fine di ottenere l’accrescimento del grain size. In Tabella 19 sono

riportati i valori di densità apparente dei campioni al variare della porosità e della

dimensione dei grani.

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Risultati e discussione _______________________________________________________________________

128

Tabella 19: Valori di densità apparente al variare del contenuto di pori di campioni di αααα-Al2O3

(M) compattata, aventi diverse dimensioni dei grani.

0.10

0.11

0.12

0.13

0.14

0.15

0.16

0.17

0.18

150 200 250 300 350 400 450

Grain size (nm)

α

α

α

α (

mm

2/s

)

♦ Macroporosità 0,40● Macroporosità 0,50▲Macroporosità 0,60

0.10

0.11

0.12

0.13

0.14

0.15

0.16

0.17

0.18

150 200 250 300 350 400 450

Grain size (nm)

α

α

α

α (

mm

2/s

)

♦ Macroporosità 0,40● Macroporosità 0,50▲Macroporosità 0,60

0.20

0.22

0.24

0.26

0.28

0.30

0.32

0.34

0.36

0.38

150 200 250 300 350 400 450

Grain size (nm)

λλ λλ (

W/m

k)

♦ Macroporosità 0,40● Macroporosità 0,50▲Macroporosità 0,60

0.20

0.22

0.24

0.26

0.28

0.30

0.32

0.34

0.36

0.38

150 200 250 300 350 400 450

Grain size (nm)

λλ λλ (

W/m

k)

♦ Macroporosità 0,40● Macroporosità 0,50▲Macroporosità 0,60

Figura 75: Effetto della dimensione dei grani sui valori di diffusività e conducibilità termica

di αααα-Al2O3.

Grain size 188 nm Grain size 302 nm Grain size 431 nm

dapp

(g/cm3)

Pmacro dapp

(g/cm3)

Pmacro dapp

(g/cm3)

Pmacro

2,08 0,40 2,26 0,40 2,25 0,40

1,73 0,50 1,90 0,50 1,89 0,50

1,36 0,60 1,55 0,59 1,67 0,56

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129

Un primo esame dei dati conferma quanto già suggerito nei paragrafi precedenti riguardo

l’effetto della macroporosità sulle proprietà di termoisolamento (Figura 75). L’andamento

di λ quindi si può spiegare ricordando l’espressione

''''

rgst λλλλ ++= (9)

dove i fattori limitanti sono la conducibilità intrinseca del solido (λ'g è molto piccola) e il

volume di gas contenuto nel sistema, in condizioni di dimensione dei grani uguale. Una

diminuzione del contenuto di macropori (e quindi l’aumento della frazione del solido)

determina perciò un aumento di λ. Al contrario, poiché αsolido<<αaria, nella regione dei

macropori, in base al valore del cammino libero medio per l’aria (ca. 150 nm a 300°C),

prevale il contributo dato dalla diffusività del gas, che determina un aumento di α del

sistema con la porosità.

L’effetto della dimensione dei grani, invece, a parità di contenuto di pori e di fase, è quello

di aumentare sia la diffusività che la conducibilità termica del materiale. L’aumento di λ si

giustifica considerando che, con l’aumento del grano, diminuisce la superficie di contatto

e quindi la resistenza termica all’interfaccia (145). E’ stato dimostrato che la diffusività

termica dipende principalmente dalla conduzione dei fononi (145). Partendo dalla teoria

cinetica dei gas, Debye sviluppò per la conducibilità termica un’espressione analoga

3

Λ=

mpVCλ (55)

Dove Cp è il calore specifico, Vm è la velocità del suono, Λ è il cammino libero medio del

fonone.

Poiché dC pαλ = ne consegue che

d

Vm

3

Λ=α (56)

Se consideriamo che la velocità del suono sia indipendente dalla temperatura, la

diffusività dipende in modo proporzionale dal cammino libero medio, che aumenta se

diminuisce il numero di bordi di grano e quindi il contributo di questi alla dispersione del

suono. Questa osservazione giustifica l’aumento di α che si verifica all’aumentare delle

dimensioni dei grani.

Inoltre, se si osserva la Figura 76, si nota che il contatto tra grani più grandi delimita la

dimensione dei pori intergrano che aumenta all’ingrandirsi del grain size. Ne consegue

che, anche in questo caso, si possono fare le considerazioni valide per la macroporosità,

per cui prevale il contributo dato dalla diffusività dell’aria sull’effetto dovuto alla

diminuzione della superficie di adesione.

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Risultati e discussione _______________________________________________________________________

130

Figura 76: Rappresentazione dell’aggregazione di grani aventi dimensioni diverse, e relative

porosità.

4.2.4.2 Effetto dell’aggregazione di tipo soft vs hard su diffusività e

conducibilità termica di Al2O3.

Come premesso, i materiali termoisolanti, particolarmente quelli utilizzati ad alte

temperature, vengono spesso usati in forma sinterizzata. Inoltre abbiamo riscontrato la

non adeguatezza dei modelli derivati in letteratura sugli effetti della porosità sulla

conducibilità termica (47,146-149). Pertanto, si è voluto verificare in che modo la modalità

di compattamento delle particelle possa influenzare la capacità di termoisolamento del

materiale. Sono state quindi preparate una serie di campioni di tipo “agglomerati hard”

per sinterizzazione della pastiglia prodotta a partire dal materiale non trattato

termicamente, che sono stati confrontati con “aggregati soft” ottenuti per compressione

della polvere precalcinata. La Figura 77 riporta lo schema di preparazione dei materiali. In

Tabella 20 sono riportati i valori di densità apparente e le rispettive porosità dei campioni.

γ−Al2O3 700°C Θ-Al2O3 900°C α−Al2O3 1350°C

Polvere compattata (aggregato)

Pastiglia sinterizzata (agglomerato)

γ−Al 700-s Θ-Al 900-s α−Al 1350-s

γ−Al 700-h Θ-Al 900-h α−Al 1350-h

Transizioni di fase di Al2O3

γ−Al2O3 700°C Θ-Al2O3 900°C α−Al2O3 1350°C

Polvere compattata (aggregato)

Pastiglia sinterizzata (agglomerato)

γ−Al 700-s Θ-Al 900-s α−Al 1350-s

γ−Al 700-h Θ-Al 900-h α−Al 1350-h

Transizioni di fase di Al2O3

Figura 77: Transizioni di fase di Al2O3 e modalità di preparazione di aggregati soft ed

agglomerati hard.

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Risultati e discussione _______________________________________________________________________

131

Tabella 20: Densità apparente di campioni di αααα-Al2O3 ottenuti compattando la polvere

calcinata a 1350°C (aggregato soft) oppure sinterizzando la pastiglia compattata alla stessa

temperatura (agglomerato hard).

0,00

0,20

0,40

0,60

0,80

1,00

1,20

1,40

1,60

1,80

2,00

0,10

0,20

0,30

0,40

0,50

0,60

0,35 0,40 0,45 0,50 0,55 0,60 0,65 0,70

αα αα(m

m2/s

)

Porosità %

Allumina 1250°C aggregata

Allumina 1350°C aggregata

Allumina 1450°C aggregata

Allumina 1350°C agglomerata

0,00

0,20

0,40

0,60

0,80

1,00

1,20

1,40

1,60

1,80

2,00

0,10

0,20

0,30

0,40

0,50

0,60

0,35 0,40 0,45 0,50 0,55 0,60 0,65 0,70

αα αα(m

m2/s

)

Porosità %

Allumina 1250°C aggregata

Allumina 1350°C aggregata

Allumina 1450°C aggregata

Allumina 1350°C agglomerata

0,00

0,50

1,00

1,50

2,00

2,50

3,00

3,50

4,00

4,50

5,00

0,20

0,30

0,40

0,50

0,60

0,70

0,80

0,90

1,00

1,10

1,20

1,30

1,40

1,50

0,35 0,40 0,45 0,50 0,55 0,60 0,65 0,70

λλ λλ(W

/mk)

Porosità %

Allumina 1250°C aggregata

Allumina 1350°C aggregata

Allumina 1450°C aggregata

Allumina 1350°C agglomerata

0,00

0,50

1,00

1,50

2,00

2,50

3,00

3,50

4,00

4,50

5,00

0,20

0,30

0,40

0,50

0,60

0,70

0,80

0,90

1,00

1,10

1,20

1,30

1,40

1,50

0,35 0,40 0,45 0,50 0,55 0,60 0,65 0,70

λλ λλ(W

/mk)

Porosità %

Allumina 1250°C aggregata

Allumina 1350°C aggregata

Allumina 1450°C aggregata

Allumina 1350°C agglomerata

Figura 78: Diffusività e conducibilità termica di α α α α-Al2O3 aggregato soft vs. agglomerato hard.

Agglomerato hard Aggregato soft

dapp (g/cm3) Pmacro dapp (g/cm

3) Pmacro

1,19 0,68 1,23 0,68

1,46 0,61 1,55 0,59

1,59 0,58 1,69 0,55

1,73 0,54 1,90 0,50

2,07 0,47 2,26 0,40

2,32 0,40 - -

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132

L’effetto delle due procedure di preparazione dei campioni sulle proprietà di

termoisolamento risulta notevole, con valori di α e λ superiori anche di 4 volte per

porosità dell’ordine di 40% nel caso degli “agglomerati hard” (Figura 78). In particolare si

ottengono specie aventi dei valori di α e λ molto superiori rispetto alle proprietà termiche

dei campioni di tipo soft, pur presentando caratteristiche comparabili: la stessa fase,

dimensione dei grani e lo stesso contenuto di pori. Questa osservazione può essere

interpretata dal fatto che, durante la sinterizzazione di un materiale compattato, si verifica

una parziale fusione superficiale a livello dell’interfaccia tra particelle ottenendo degli

agglomerati hard di elementi saldamente legati tra di loro. Al contrario, con la

compressione diretta della polvere pretrattata si possono ottenere degli aggregati soft,

che, come dimostrato dalla figura, sono più funzionali dal punto di vista delle proprietà di

termoisolamento. In questo caso, infatti, le interfacce tra grani non sono in intimo contatto

tra loro, ma sono uniti per blanda adesione.

Lo studio è stato esteso anche alle fasi γ e θ di Al2O3 (M). Sono, perciò, stati preparati

campioni di allumina secondo le due procedure sopra descritte, ma trattando

termicamente il materiale a 700°C e 900°C. In Tabella 21 sono riportati i valori di densità

apparente e le rispettive porosità dei campioni analizzati.

Tabella 21: Densità apparente di campioni di γγγγ-Al2O3 (M) e ΘΘΘΘ-Al2O3 (M) ottenuti compattando

la polvere calcinata a 700-900°C (aggregato soft), oppure sinterizzando la pastiglia alla

stessa temperatura (agglomerato hard).

Aggregato soft Agglomerato hard

T°C dapp (g/cm3) Pmacro dapp (g/cm

3) Pmacro

700

0,67 0,80 - -

0,80 0,77 1,29 0,65

1,00 0,74 - -

1,14 0,71 1,59 0,61

1,37 0,66 1,73 0,56

900

0,72 0,77 0,64 0,78

1,05 0,70 1,11 0,70

1,22 0,67 1,28 0,67

1,52 0,59 - -

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Risultati e discussione _______________________________________________________________________

133

0.15

0.20

0.25

0.30

0.35

0.55 0.60 0.65 0.70 0.75 0.80 0.85

Porosità %

α

α

α

α (

mm

2/s

)

Allumina (900°C) aggregata softAllumina (900°C) agglomerata hardAllumina (700°C) aggregata softAllumina (700°C) agglomerata hard

0.10

0.20

0.30

0.40

0.50

0.55 0.60 0.65 0.70 0.75 0.80 0.85

Porosità %

λ

λ

λ

λ (

W/m

K)

Allumina (900°C) aggregata soft Allumina (900°C) agglomerata hardAllumina (700°C) aggregata softAllumina (700°C) agglomerata hard

Figura 79: Diffusività e conducibilità termica di γγγγ-Al2O3 (M) (700°C) e θθθθ-Al2O3 (M) (900°C)

aggregato soft vs. agglomerato hard.

I dati riportati in Figura 79 dimostrano in modo chiaro l’equivalenza dei materiali di tipo

“aggregato soft”, mentre, anche in questo caso, seppur con intensità minore, la

sinterizzazione (agglomerati hard) aumenta sia α che λ, in linea con quanto già discusso.

Per quanto riguarda i campioni sinterizzati, è evidente una modesta differenza in termini

di proprietà termoisolanti di γ-Al2O3 (M) e θ-Al2O3 (M) che è attribuibile alla transizione di

fase, in quanto i due materiali presentano volume dei pori (ca. 1 ml/g) e dimensione dei

grani (9-10 nm) paragonabili (cfr Tabella 12.)

Confrontando però gli andamenti di α e λ relativi alle due allumine Al2O3 (M) e Al2O3 (P) a

parità di fase (γ), è evidente come le diversità morfologiche e di tessitura esistenti tra i

due materiali ne influenzino la capacità di trasmissione dell’energia termica. In Figura 80

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Risultati e discussione _______________________________________________________________________

134

vengono messe a confronto le proprietà termiche delle due allumine in funzione della

modalità di assemblaggio del materiale. Le caratteristiche dei campioni analizzati sono

elencate in Tabella 22.

Tabella 22: Densità apparente di campioni di γγγγ-Al2O3 (M) e γ γ γ γ-Al2O3 (P) ottenuti compattando la

polvere calcinata a 700°C (aggregato soft), oppure sinterizzando la pastiglia alla stessa

temperatura (agglomerato hard).

0.10

0.15

0.20

0.25

0.30

0.35

0.50 0.55 0.60 0.65 0.70 0.75 0.80 0.85

Porosità %

α

α

α

α (

mm

2/s

)

Allumina (M) aggregata

Allumina (M) agglomerata

Allumina (P) aggregata

Allumina (P) agglomerata

Al2O3 (M) Al2O3 (P)

dreale (g/cm3)

dapp (g/cm3)/

gs(nm) Pmeso dreale (g/cm

3)

dapp(g/cm3)/

gs(nm) Pmeso

Aggregato

soft

0,74 0,67/8 0,80 - - -

0,83 0,80/8 0,77 1,27 1,05/11 0,65

0,95 1,00/8 0,74 - - -

1,04 1,14/8 0,71 1,31 1,21/11 0,64

1,22 1,37/8 0,66 1,34 1,36/11 0,63

Agglomerato

hard

0,83 0,75/8 0,77 1,34 1,29/11 0,65

1,040 1,15/8 0,71 1,48 1,59/11 0,61

1,220 1,36/8 0,66 1,68 1,73/12 0,56

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Risultati e discussione _______________________________________________________________________

135

0.10

0.15

0.20

0.25

0.30

0.35

0.40

0.45

0.50

0.55

0.60

0.50 0.55 0.60 0.65 0.70 0.75 0.80 0.85

Porosità %

λ

λ

λ

λ (

W/m

K)

Allumina (M) aggregata

Allumina (M) agglomerata

Allumina (P) aggregata

Allumina (P) agglomerata

Figura 80: Diffusività e conducibilità termica di γγγγ-Al2O3 (M) e γγγγ-Al2O3 (P) aggregato soft vs.

agglomerato hard (700°C).

Risulta interessante osservare che nel caso di Al2O3 (P) la sinterizzazione non influenza

le proprietà di termoisolamento, ma ha come unica conseguenza la densificazione del

materiale, che determina una continuità dei dati tra campione aggregato soft ed

agglomerato hard.

Tale andamento suggerisce che, in questo caso, il trattamento di calcinazione della

polvere compattata, di fatto, non ha prodotto un “agglomerato hard”. Diversamente nel

caso di Al2O3 (M) si nota la differenza tra l in funzione della tipologia del campione che,

peraltro, diminuisce all’aumento della porosità, suggerendo un minor contributo

dell’”agglomerazione hard”. Tale osservazione è interessante in quanto suggerisce che la

misura di λ e/o α potrebbe essere sfruttata per verificare la presenza di agglomerati,

tematica tuttora aperta (49).

La minore stabilità alla sinterizzazione di Al2O3 (M) può essere dovuta alle impurezze di

Cr3+ contenute nel materiale, che, come è noto in generale per piccoli cationi, favoriscono

la cinetica di annichilazione dei pori.

Poiché in letteratura la validazione dei modelli matematici proposti per la previsione della

conducibilità termica effettiva, in generale, avviene per confronto con i dati sperimentali di

λ ottenuti per materiali la cui porosità non supera il 60-70%, abbiamo voluto comparare

anche i valori misurati per le allumine sinterizzate con le rispettive λ teoriche. In tutti i

casi, per il calcolo mediante il modello EMPT, è stata assunta la λ0 a 300°C di letteratura

per α-Al2O3 (15-17 W/mK), mancando un dato di riferimento per il valore di conducibilità

del materiale denso sia di γ-Al2O3 che di θ-Al2O3. Tale assunzione risulta giustificata dai

dati sperimentali (Figura 85) che dimostrano un effetto relativamente ridotto della

variazione della natura cristallografica della fase su λ.

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Risultati e discussione _______________________________________________________________________

136

0

1

2

3

4

5

6

7

8

9

10

0.30 0.35 0.40 0.45 0.50 0.55 0.60 0.65 0.70

Porosità %

λ

λ

λ

λ (

W/m

K)

SperimentaleEMPTRusselKrupiczkaEMPT (Macro,meso)

Figura 81: Confronto tra i dati sperimentali ottenuti per αααα-Al2O3 (agglomerato hard) e quelli

previsti dai modelli teorici.

0.00

0.05

0.10

0.15

0.20

0.25

0.30

0.35

0.40

0.45

0.65 0.70 0.75 0.80

Porosità %

λ

λ

λ

λ (

W/m

K)

0.00

0.50

1.00

1.50

2.00

2.50

3.00

3.50

4.00

4.50

5.00

λ

λ

λ

λ (

W/m

K)

Ru

ss

el

SperimentaleEMPTKrupiczkaEMPT (macro+meso)Russel

0.00

0.05

0.10

0.15

0.20

0.25

0.30

0.35

0.40

0.45

0.65 0.70 0.75 0.80

Porosità %

λ

λ

λ

λ (

W/m

K)

0.00

0.50

1.00

1.50

2.00

2.50

3.00

3.50

4.00

4.50

5.00

λ

λ

λ

λ (

W/m

K)

Ru

ss

el

SperimentaleEMPTKrupiczkaEMPT (macro+meso)Russel

Figura 82: Confronto tra i dati sperimentali ottenuti per θθθθ-Al2O3 (agglomerato hard) e quelli

previsti dai modelli teorici.

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Risultati e discussione _______________________________________________________________________

137

0.05

0.10

0.15

0.20

0.25

0.30

0.35

0.40

0.45

0.50

0.65 0.70 0.75 0.80

Porosità %

λ

λ

λ

λ (

W/m

K)

-0.50

0.50

1.50

2.50

3.50

4.50

5.50

λ

λ

λ

λ (

W/m

K)

Ru

ss

el

SperimentaleEMPTKrupiczkaEMPT (macro+meso)Russel

0.05

0.10

0.15

0.20

0.25

0.30

0.35

0.40

0.45

0.50

0.65 0.70 0.75 0.80

Porosità %

λ

λ

λ

λ (

W/m

K)

-0.50

0.50

1.50

2.50

3.50

4.50

5.50

λ

λ

λ

λ (

W/m

K)

Ru

ss

el

SperimentaleEMPTKrupiczkaEMPT (macro+meso)Russel

Figura 83: Confronto tra i dati sperimentali ottenuti per γγγγ-Al2O3 (agglomerato hard) e quelli

previsti dai modelli teorici.

I valori sperimentali di conducibilità termica di α-Al2O3 vengono fittati in modo preciso dal

modello EMPT, che, a differenza degli altri, considera anche la presenza dell’effetto del

bordo di grano, che nel caso di materiali sinterizzati assume importanza. Tutti gli altri

modelli, invece, a parte Russel, danno una sottostima di λ, in particolare con il metodo di

Yoldas il valore calcolato è indipendente dalla porosità ed è ca. 0,1-0,14 W/mK. E’

interessante notare l’elevato errore di sovrastima dato in tutti i casi da Russel, indice del

fatto che tale modello è dal punto di vista matematico molto semplificativo. Non è, però,

possibile utilizzare i modelli teorici per il calcolo della conducibilità effettiva né dei

campioni sinterizzati a 700-900°C (Figura 82, Figura 83), né degli aggregati soft ottenuti

dalle polveri calcinate alle stesse temperature. Si può perciò concludere che solo

l’Effective Medium Percolation Theory (EMPT) è una teoria valida per il calcolo della λ di

ossidi sinterizzati ad elevate temperature e contenenti porosità nell’intervallo 0-0,60,

mentre viene confermata la mancanza di un modello adatto a descrivere la trasmissione

del calore in materiali aggregati soft porosi.

La Figura 84 riporta la previsione dell’andamento della conducibilità termica di α-Al2O3

estesa anche a porosità bassa. Come si può osservare solo la teoria EMPT è in linea con

quanto osservato sperimentalmente nel range di porosità 0,35-0,70, al contrario tutti gli

altri modelli, che fondamentalmente considerano l’effetto dei pori su λ, prevedono valori

di conducibilità costanti e sottostimati, anche per il materiale a densità elevate.

La validazione del modello EMPT a basse porosità è confermata anche dai dati ottenuti

sperimentalmente da Smith (55) per α-Al2O3, riportati in Figura 86.

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138

0

5

10

15

20

25

30

35

40

45

0 0.1 0.2 0.3 0.4 0.5 0.6 0.7

Porosità %

λ

λ

λ

λ (W/m

K)

SperimentaleEMPTRusselKrupiczkaEMPT (macro+meso)Yoldas

Figura 84: Dati sperimentali di conducibilità termica per αααα-Al2O3-h e confronto con i

corrispondenti valori teorici calcolati mediante i modelli matematici. La previsione di λλλλ è

stata estesa fino a porosità nulla.

Infine, a completamento di quanto appena affermato, in Figura 85 sono stati riportati tutti i

dati sperimentali di conducibilità termica di Al2O3 (M) agglomerato hard relativi alle tre fasi

α, θ e γ, che presentano un andamento sostanzialmente lineare nell’ambito di ciascuna

fase, suggerendo che ciò sia ad indicare l’effetto della trasformazione di fase. Il modello

EMPT, che in base a quanto dimostrato precedentemente è quello che meglio segue i

dati sperimentali dei sinterizzati ad elevata temperatura, presenta, comunque, una

sottostima per porosità elevate.

0

1

2

3

4

5

6

7

0.3 0.4 0.5 0.6 0.7 0.8Porosità %

λλ λλ (

W/m

K) αααα γγγγθθθθ

0

1

2

3

4

5

6

7

0.3 0.4 0.5 0.6 0.7 0.8Porosità %

λλ λλ (

W/m

K) αααα γγγγθθθθ

Figura 85: Dati sperimentali di conducibilità termica (●) per αααα/θθθθ/γγγγ-Al2O3-h (M) al variare della

porosità e confronto con i corrispondenti valori teorici ottenuti mediante il modello EMPT

(▬).

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139

Selezionando l’intervallo di porosità tra 0,57 e 0,77 come riportato in Figura 87 si può

infatti osservare che, anche nel caso di sinterizzati ad elevata temperatura, c’è una

discrepanza tra i dati sperimentali e quelli previsti dal modello considerato, con un ∆λ che

in tutti i casi ha un valore compreso tra 0,1-0,3 W/mK.

Quest’ultima osservazione indica, quindi, l’incompletezza del modello EMPT,

sottolineando la necessità di implementare una teoria che permetta la previsione della

conducibilità termica del materiale considerando l’effetto di tutte le proprietà strutturali e di

tessitura.

0

5

10

15

20

25

30

0.00 0.05 0.10 0.15 0.20 0.25 0.30 0.35

Porosità %

λ

λ

λ

λ (

W/m

K)

Sperimentale EMPT

Figura 86: Dati sperimentali di conducibilità termica a 25°C per α α α α-Al2O3 e confronto con la

previsione secondo EMPT. Tratto da (55).

0.0

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

0.6

0.7

0.8

0.9

1.0

0.55 0.60 0.65 0.70 0.75 0.80Porosità %

λλ λλ (

W/m

K)

Figura 87: Confronto tra dati sperimentali di conducibilità (●) e valori previsti da EMPT (▬)

per αααα (●) θθθθ (●) γ () γ () γ () γ (●)−)−)−)−Al2O3-h (M) nell’intervallo di porosità 0,57-0,77.

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Risultati e discussione _______________________________________________________________________

140

4.2.5 Considerazioni conclusive.

Lo scopo di questa fase dello studio è stato quello di definire le correlazioni tra le

proprietà di termoisolamento e le caratteristiche di tessitura di materiali nanostrutturati a

base di allumina. A tal proposito sono state prese in esame diverse tipologie di Al2O3.

L’analisi termica attraverso il laser flash method ha richiesto in primo luogo

l’ottimizzazione e la standardizzazione della metodologia di analisi e della procedura di

preparazione dei campioni in funzione della classe di composti esaminati. È stato

verificato che la geometria del campione influenza sia il dato di diffusività sia quello di

calore specifico, per i quali la misura deve essere condotta utilizzando la pastiglia con

spessore di tolleranza 2 ± 0.30 mm. Il settaggio del metodo analitico ha permesso di

ottenere una riproducibilità della misura di Cp ± 0,05 J/gK e α ± 0.007 mm2/s. Quindi è stato verificato l’effetto delle proprietà di tessitura sui valori di diffusività e

conducibilità termica a 300°C, utilizzando materiali di tipo aggregato soft.

Riassumendo le conclusioni per quanto riguarda λλλλ:

� è stato discriminato quantitativamente l’effetto dei macropori e dei mesopori a

parità di dimensione dei grani sulla diminuzione di conducibilità, per cui un

aumento di porosità del 10% causa una riduzione di λ di ca. 15% di per i primi , e

del 34 % per i secondi.

� in entrambi i casi non sussiste una corrispondenza tra dato sperimentale e valore

calcolato con i modelli matematici da letteratura, in particolare nel caso di Yoldas

vi è sempre una sottostima del valore reale. Il modello EMPT, invece, dando

importanza all’effetto del bordo di grano sovrastima la conducibilità termica di α-

Al2O3.

� in presenza della stessa fase γ-Al2O3 e a parità di porosità, un aumento del 200%

del diametro dei pori ha un effetto modesto sull’andamento della conducibilità,

che diminuisce per effetto della diminuzione del volume del solido, nel range di

dimensioni comprese tra 8 e 25 nm.

� a parità di diametro dei pori, per dimensioni relativamente piccole (8-12 nm) un

aumento del 35% della frazione porosa provoca un crollo di ca. il 55% del valore

di λ; per valori maggiori (19-23 nm) un aumento del 11% della frazione di aria

provoca una diminuzione di ca. il 19% del valore di λ.

Per quanto riguarda αααα:

� in relazione alla classe di pori presenti, gli andamenti di α sono opposti: nel caso

dei macropori il fattore limitante è la diffusività dell’aria che, essendo molto

grande rispetto a quella del solido, nel complesso porta all’aumento di α totale

con la porosità; i mesopori hanno invece dimensioni inferiori al cammino libero

medio dell’aria, per cui α dipende esclusivamente dalla diffusività del solido che

viene ridotta all’aumentare della porosità.

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Risultati e discussione _______________________________________________________________________

141

� a parità di porosità di tipo meso un aumento del 200% del diametro dei pori ha un

effetto modesto sull’andamento di α, che aumenta per l’aumento della

dimensione dei grani.

� a parità di diametro dei pori, per dimensioni relativamente piccole (8-12 nm)

prevale l’effetto dovuto alla riduzione del volume del solido, per cui un aumento

del 35% della frazione di aria provoca una diminuzione di ca. il 7% del valore di

diffusività; in presenza di pori più grandi (19-23 nm) un aumento del 11% della

frazione di aria incrementa del 34% il valore di diffusività.

I dati quindi mettono in evidenza l’importanza delle proprietà di tessitura per i materiali

termoisolanti di tipo aggregati soft.

Durante la seconda fase dello studio è stata analizzata l’influenza delle modalità di

impaccamento del materiale, oltre alla dimensione dei grani e la natura della fase

cristallina, possano modificare la conducibilità e diffusività termica dello stesso. A tal

proposito sono state prese in considerazione le allumine calcinate a temperature

comprese tra 700°C e 1450°C. I campioni sono stati preparati secondo due procedimenti:

per compressione a freddo delle polveri precalcinate per ottenere aggregati soft; per

sinterizzazione delle pastiglie ottenute a partire dal materiale non trattato termicamente

per ottenere agglomerati hard.

Per quanto riguarda i campioni ottenuti per compressione a freddo (aggregati), è

possibile trarre le seguenti conclusioni:

1. è stato confermato l’effetto opposto della macroporosità sulle due proprietà

termiche misurate: λ dipende essenzialmente dalla frazione di solido presente,

per cui aumenta con il diminuire della porosità; al contrario, nel caso di α il fattore

limitante è la diffusività dell’aria, che, essendo molto più grande rispetto a quella

del solido, determina l’aumento di α con la porosità.

2. il grain size ha effetto negativo sulle proprietà termiche: l’aumento della

dimensione dei grani, per effetto della diminuzione della resistenza termica

all’interfaccia, causa un aumento di λ; analogamente, poichè α dipende

principalmente dalla conduzione del suono e dal cammino libero medio del

fonone, la diffusività aumenta se diminuisce il numero di bordi di grano (e quindi

aumentano le dimensioni dello stesso)

Dal confronto tra le due metodologie di preparazione del campione (agglomerati vs

aggregati) è stato visto che:

1. nel caso di α /γ/θ-Al2O3 (M) si formano due sistemi strutturalmente diversi, uno,

agglomerato di tipo hard, ottenuto per sinterizzazione della polvere

precompressa, costituito da particelle parzialmente fuse tra di loro, e uno,

aggregato di tipo soft, derivato dalla compressione a freddo delle polveri

pretrattate termicamente, formato da particelle unite tra loro per blanda adesione.

Gli agglomerati soft sono più funzionali dal punto di vista dell’isolamento termico,

in quanto la formazione di agglomerati hard porta ad un forte aumento di λ.

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Risultati e discussione _______________________________________________________________________

142

2. nel caso di γ-Al2O3 (P) la sinterizzazione dei campioni a 700°C non determina

una variazione di α e λ tra le due tipologie di campioni, e ciò indica che non si

verifica la parziale fusione all’interfaccia tra grani, per cui in tutti i casi si

ottengono degli aggregati soft a maggiore densità apparente.

3. dal confronto tra i dati sperimentali di λ, ottenuti per le tre fasi di Al2O3 (M), e

quelli calcolati attraverso i modelli matematici previsti in letteratura, è emerso che

solo EMPT è una teoria valida per la previsione della conducibilità termica

effettiva di ossidi sinterizzati ad elevata temperatura ma contenenti una frazione

di pori non superiore a circa 0,55 , mentre manca un metodo adatto a descrivere

la capacità di trasferimento del calore di materiali aggregati soft porosi.

Si può brevemente concludere, quindi, che nella progettazione di un buon materiale

termoisolante, al fine di ottimizzarne le proprietà di trasferimento del calore, esso deve

essere privo di macropori, mentre nella regione meso è possibile modulare le

caratteristiche di tessitura entro un intervallo relativamente ampio di diametro dei pori,

con il vantaggio che, a dimensioni grandi, aumentano anche la resistenza meccanica e la

stabilità termica dell’ossido. Risulta altamente indesiderabile la presenza di macropori in

quanto responsabili del degrado delle proprietà di termoisolamento.

Infine, bisogna prevenire la formazione di agglomerati di tipo hard, in quanto essi

contribuiscono ad un forte peggioramento della performance del materiale.

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Risultati e discussione _______________________________________________________________________

143

5 Risultati e discussione: compositi fibra-aerogel

per applicazioni con termoisolanti.

Nella pratica un materiale termoisolante non viene utilizzato come polvere singola, ma in

genere trova applicazione in forma supportata su fibra, al fine di conferirne le proprietà

fisiche, come ad esempio la resistenza meccanica o la flessibilità, e talvolta anche quelle

chimiche, che possono essere incentivate o modificate a seconda del tipo di interazione

con il supporto. Poiché però la polvere calcinata, per caratteristiche chimico-fisiche, non

si presta facilmente ad essere supportata su fibra, l’attenzione è stata rivolta al

gel/sospensione risultante dal trattamento termico in alcol in fase di sintesi, che

rappresenta il precursore più adatto per la strutturazione del composito.

E’ importante da sottolineare che, pur essendo le sintesi di ossidi inorganici,

concettualmente semplici, la nano-strutturazione del materiale, di fatto, ne può cambiare

le proprietà chimico-fisiche in modo anche sostanziale, come descritto nella parte

introduttiva. Ad esempio, è stato dimostrato in questo laboratorio che la variazione delle

proprietà di tessitura di un ossido misto del tipo Ce0.2Zr0.8O2 può modificare in modo

sostanziale il comportamento redox dell’ossido (150). Similmente, cambiando le

condizioni di precipitazione di un ossido di Al2O3 e, di conseguenza, la distribuzione della

porosità, si ottengono due materiali che, pur presentando lo stesso grado di porosità

totale, risultano diversi sia in termini di resistenza meccanica che conducibilità termica

(151). Tali differenze di comportamento sono legati al fatto che la porosità e la sua

distribuzione derivano da diversi fattori, tra cui le modalità di agglomerazione dei cristalliti

primari formati in fase di precipitazione e nei vari passaggi successivi. Pertanto, i metodi

preparativi degli ossidi nano strutturati ed in particolare di quelli prodotti

commercialmente, sono oggetto di know-how specifico del produttore, e, quindi, riservati.

Nell’ambito del dottorato, in collaborazione con lo spin-off dell’Università di Trieste

Nanoxer s.r.l., sono stati affrontati diversi aspetti della sintesi di Al2O3 nanostrutturate,

focalizzando in particolare aspetti specifici del processo di sintesi che conduce alla

preparazione del gel-precursore dell’aerogel. In generale, tra i parametri di una

precipitazione di ossidi che influenzano la distribuzione della porosità ed il grado di

agglomerai zone possono essere citati i seguenti:

1. Concentrazione di precursore metallico nella soluzione iniziale.

2. Concentrazione di H2O2/ NH3.

3. Velocità di precipitazione del precursore.

4. Velocità di agitazione in fase di precipitazione.

5. Volumi di solvente di lavaggio.

6. Volume di solvente/ durata nel trattamento termico in alcol.

Tali parametri sono stati studiati nel corso della presente tesi di dottorato, in

collaborazione con la Serichim s.r.l. durante la fase di scale-up del processo della sintesi

di Al2O3 nanostrutturata. Per motivi di riservatezza industriale, vengono illustrati

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Risultati e discussione _______________________________________________________________________

144

solamente alcuni aspetti relativi al processo e, specificatamente, l’effetto della velocità di

agitazione in fase di precipitazione sulle proprietà reologiche, fattore critico per la

preparazione dei compositi.

5.1.1 Sintesi di Al2O3 nanostrutturate: effetto della velocità di agitazione in

fase di precipitazione.

Durante la valutazione dell’influenza dei parametri di sintesi sulle proprietà del gel e sulla

tessitura del prodotto finale, lo screening delle variabili di processo ha evidenziato

l’importanza della fase di precipitazione, ed in particolare della velocità di agitazione, sulla

reologia del precursore.

La Tabella 23 riporta i dati relativi ad una serie di sintesi condotte nelle stesse condizioni

di precipitazione e di identico work-up del cake in tutte le fasi del processo, variando

esclusivamente la velocità di agitazione in fase di precipitazione. Il dettaglio delle sintesi è

riportato nella procedura descritta nella Parte Sperimentale.

Tabella 23: Condizioni di sintesi utilizzate.

sintesi

Eccesso

NH3

Temperatura

precipitazione

(T/°C)

Velocità

addizione

(V/ml min-1

)

Velocità

agitazione

(giri min-1

)

Sigla

campione

1 3 20 2,5 60 AL003

2 3 20 2,5 100 AL001

3 3 20 2,5 200 AL004

4 3 20 2,5 300 AL005

I gel ottenuti dalle sintesi sono stati quindi soggetti alle misure di viscosità, utilizzando un

viscosimetro rotazionale (Tabella 24).

Tabella 24: Proprietà reologiche delle allumine dei gruppi A, B e C.

Campione Concentrazione

(mg/ml) Type

(a) ηηηη0/ηηηη∞∞∞∞ ηηηη0 (cP)

ηηηη∞∞∞∞

(cP)(b)

[ηηηη](1+p)(c)

x 10-3

AL003 7,6 T 1,4 123 87 13,0

AL001 9,1 S 1,1 42 38 4,8

AL004 9,0 S 1 16 19 2,2

AL005 8,7 S 1 17 20 2,4 a tipo di gel: (T) Tissotropico; (R ) Reopettico; (S) Sospensione. b misura ai 60 minuti. cIl parametro [η](1+p) identifica il tipo di aggregato, il valore è funzione della forma e della carica presente nell’interfaccia solido/liquido.

Si nota che a concentrazione della fase solida paragonabili, la viscosità dei prodotti si

modifica in modo sostanziale, raggiungendo una variazione di un ordine di grandezza.

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Risultati e discussione _______________________________________________________________________

145

Inoltre, variano anche le proprietà dei gel e si possono individuare tre tipi di gel dal punto

di vista della reologia (Tabella 24):

� GRUPPO A: AL003, gel di tipo T, viscosità η∞ = 100 cP, modello Casson

� GRUPPO B: AL001, sospensione S1, viscosità η∞ = 40 cP, modello Bingham

� GRUPPO C: AL004 e AL005, sospensione S2, viscosità η∞ = 20 cP, modello

newtoniano (si veda introduzione).

In Figura 88 vengono riportati gli andamenti dello sforzo di taglio in funzione della velocità

di taglio per i tre diversi gruppi.

0

2000

4000

6000

8000

10000

0 50 100 150 200

shear rate (s-1)

shea

r st

ress

(P

a)

AL005AL004AL001AL003

Figura 88: Sforzo di taglio vs. velocità di taglio per i gruppi A, B e C di allumine.

Come si può vedere dalla figura il gruppo C ha un andamento tipicamente Newtoniano,

in ogni caso, per entrambi i gel AL004 e AL005, il valore τ0 è prossimo a zero (τ0: sforzo

che serve per innescare il movimento) e la viscosità è molto bassa.

Il gruppo B, costituito dal campione AL001, ha un comportamento di tipo pseudoplastico.

In questo caso τ0 è maggiore di zero, ossia il fluido ha bisogno di un’energia minima per

essere messo in moto.

Infine, il gruppo A ha un comportamento plastico e segue il modello Casson. Per questo

gruppo τ0 ha un valore molto elevato.

I dati di fisiadsorbimento di azoto, condotte sui gel essiccati e quindi calcinati a 700°C per

6 h, evidenziano che solamente il gruppo C, ottenuto a velocità di agitazione

relativamente elevate, origina materiali che presentano buone proprietà di tessitura con

un volume dei pori > 2,2 ml/g,ovvero presentano caratteristiche di materiali aerogel-like

(Tabella 25).

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Risultati e discussione _______________________________________________________________________

146

Tabella 25: Proprietà di tessitura delle allumine dei gruppi A, B e C.

Calcinazione BET

(m2/g)

Volume Pori

(mL/g)

Diametro medio dei

pori (nm)

Densità

(g/cm3)

Porosità

(%)

AL003 700,5 256 1,763 24 0,48 84

AL001 700,5 247 1,507 18 0,54 82

AL004 700,5 299 2,276 23 0,38 87

AL005 700,5 315 2,619 26 0,34 89

Poiché i materiali che presentano caratteristiche di un sistema newtoniano, essi, di fatto

non possono essere classificati come gel, data la presenza della sospensione, e sono

quindi soggetti a fenomeni di deposizione del precipitato. E’ evidente quindi che un tale

materiale può presentare problemi di conservazione ed essere soggetto a fenomeni di

invecchiamento e/o aggregazione con relativo degrado delle proprietà di tessitura.

Abbiamo quindi analizzato quale potesse essere l’effetto di uno stress di tipo meccanico,

come, ad esempio, l’omogeneizzazione, e di una fase di invecchiamento a bassa

temperatura sull’evoluzione delle proprietà di tessitura del prodotto finale, dopo la relativa

calcinazione a 700°C per 5h. In Tabella 26 e Figura 89 viene riportato l’effetto sulla

tessitura dei gel del gruppo C.

Tabella 26: Effetto dell’omogeneizzazione e dell’ageing sulle proprietà finali di gel del

gruppo C.

Calcinazione BET

(m2/g)

Volume Pori

(mL/g)

Diametro medio dei

pori (nm)

Densità

(g/cm3)

Porosità

(%)

AL004 700,5

(1) 0 299 2,28 23 0,38 87

(2) 6 248 1,46 18 0,56 82

(3) 6+0°C 301 2,32 24 0,38 88

AL005 700,5

(1) 0 315 2,62 26 0,34 89

(2) 6 254 1,81 22 0,47 85

(3) 6+0°C 294 2,63 28 0,34 89

1. misura del gel iniziale. 2. omogeneizzazione per 6 minuti. 3. omogeneizzazione per 6 minuti e conservazione per una notte

Il degrado di oltre 35% delle proprietà di tessitura osservato dopo che il gel è stato

soggetto a soli 6 min di agitazione meccanica è un indicazione importante della criticità

dei fattori di sintesi e dell’importanza delle modalità di aggregazione sulle proprietà del

prodotto finale.

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Risultati e discussione _______________________________________________________________________

147

0

50

100

150

200

0 10 20 30 40 50 60

tempo (min)

η (

cP)

effetto omogeneizzazione

effetto ageing in frigorifero

2.28 ml/g

1.46 ml/g2.32 ml/g

1

32

Figura 89: Comportamento della viscosità nel tempo per effetto dell'omogeneizzazione ed

ageing. Campione Al004.

E’ importante osservare che per effetto dell’agitazione meccanica, il comportamento del

gel di partenza da newtoniano diventa tissotropico. E’ evidente che il trattamento

meccanico induce una trasformazione di tipo aggregativo che ne cambia le proprietà

reologiche, determinando una diminuzione di volume dei pori del prodotto finale. Va

sottolineato che dopo ca. 12 ore di conservazione a bassa temperatura il sistema

“ripristina” le proprietà di tessitura, ancorché le proprietà reologiche permangono di tipo

tissotropico. Questo comportamento può essere giustificato dalla presenza di due

tipologie di agglomerati. La sospensione è costituita da aggregati di tipo C1, che sotto

l’effetto dell’omogeneizzazione vengono frantumati in aggregati di tipo C1a. Le proprietà

reologiche del fluido vengono modificate in modo significativo con un aumento

sostanziale della viscosità (71 cP dopo 6 minuti di omogeneizzazione), come pure le

misure di fisiadsorbimento del calcinato a 700°C dimostrano un consistente

peggioramento della tessitura, che però viene ripristinata durante l’ageing.

( ) ( ) ( )+→−−→+ '111 aCaCC

Una tale strutturazione della sospensione e quindi modifica delle modalità di

aggregazione è stata confermata anche da misure di analisi granulometrica di Al004

sottoposto ad omogeneizzazione (Figura 90).

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148

0

1

2

3

4

5

6

7

8

0 50 100 150 200

particle size (µµµµm)

Vo

lum

e (

%)

3300 RPM+ US3300 RPM2000 RPM1300 RPM

Figura 90: Distribuzione degli aggregati di Al004 omogeneizzata al variare della velocità di

agitazione in fase di analisi, e dopo applicazione di ultrasuoni (US).

Le curve di distribuzione mostrano come elevate velocità di agitazione disgreghino il

sistema, in particolare gli agglomerati centrati al di sopra dei 90 µm, mentre gli ultrasuoni

sembrano avere un effetto aggregante, probabilmente dovuto ad una modifica di carica

superficiale delle particelle, che comporta l’aumento del valore di viscosità.

Anche per i gruppi A e B l’effetto dell’omogeneizzazione è stato quello di modificare le

proprietà reologiche del fluido, causando un aumento di viscosità (Tabella 27), ma in

questo caso si sono presentate delle differenze sostanziali: mentre nel caso del gruppo B

il processo di omogeneizzazione ed ageing hanno modificato e migliorato le

caratteristiche di tessitura del prodotto, per il gruppo A il loro effetto ha portato ad un

aggregato di tipo distruttivo ai fini della porosità di Al2O3 (Tabella 28, Tabella 29).

Tabella 27: Comportamento della viscosità nel tempo per effetto dell'omogeneizzazione ed

ageing a freddo. Gruppi A e B.

A Tempo omog. (min) Tipo(a)

ηηηη0/ηηηη∞∞∞∞ ηηηη0 (cP) ηηηη∞∞∞∞ (cP)

AL003

0 S 1,4 123 87

2 T 3,1 592 189

4 T 2,9 334 117

6 T 5,5 1678 304

6+0°C T 3,5 800 136

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149

(a) tipo di gel: (T) Tissotropico; (R) Reopettico; (S) Sospensione.

Tabella 28: Effetto di omogeneizzazione ed ageing sulla tessitura del gruppo B.

Calcinazione BET

(m2/g)

Volume

Pori

(mL/g)

Diametro

medio dei

pori (nm)

Densità

(g/cm3)

Porosità

(%)

AL001 700,5

(1) 0 266 1.562 18 0.53 83

(3) 6+0°C 301 2.323 26 0.38 88

1. misura del gel iniziale. 3. omogeneizzazione per 6 minuti e conservazione in frigo per una notte.

Tabella 29: Effetto di omogeneizzazione ed ageing sulla tessitura del gruppo A.

Calcinazione BET

(m2/g)

Volume

Pori

(mL/g)

Diametro

medio dei

pori (nm)

Densità

(g/cm3)

Porosità

(%)

AL003 700,5

(1) 0 256 1.763 24 0.48 84

(2) 6 208 1.465 23 0.56 82

(3) 6+0°C 180 0.580 11 1.1 64

1. misura del gel iniziale. 2. omogeneizzazione per 6 min. 3. omogeneizzazione per 6 minuti e conservazione in frigo per una notte.

In sostanza, i dati relativi alle proprietà reologiche del gel sintetizzato e del relativo ossido

nano strutturato ottenuto per calcinazione, dimostrano che variando un solo parametro di

sintesi quale, ad esempio, la velocità di agitazione, vengono influenzati in modo critico le

modalità di aggregazione, che può portare anche ad un significativo degrado delle

proprietà di tessitura.

Sulla base dei risultati di laboratorio, condotti su scala di 20g di Al2O3 nanostrutturata, si è

proceduto alla fase di scale-up del processo, analizzando i vari parametri sopracitati. Tale

B Tempo omog. (min) Tipo(a)

ηηηη0/ηηηη∞∞∞∞ ηηηη0 (cP) ηηηη∞∞∞∞ (cP)

AL001

0 S 1,1 42 38

2 T 5,4 455 84

4 T 2,9 334 117

6 T 3,3 452 136

6+0°C T 2,7 366 136

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150

studio ha permesso di scalare la produzione del gel, precursore di aerogel fino a volumi

di 35 l circa, utilizzando un impianto pilota industriale.

Figura 91. Impianto mini pilota assemblato c/o SERICHIM S.R.L. per la produzione di gel su

scala fino a 35 l.

Come illustrato dai dati della Tabella 30, con esclusione del lotto 30, in cui la variazioni

dei parametri di sintesi ha portato ad un prodotto caratterizzato da proprietà di tessitura

scarse in termini di porosità, siamo riusciti a realizzare lo scale-up dalla fase di laboratorio

alla fase industriale del processo di sintesi dell’ossido nanostrutturato, aerogel-like. Si

notino, in particolare, i valori di termoconducibilità misurati sulle polveri ottenute, che

presentano valori di interesse industriale.

Tali gel sono stati quindi utilizzati per realizzare dei manufatti a base di aerogel rinforzato

con fibre inorganiche che presentano un alta capacità di termoisolamento nell’intervallo di

temperatura fino a 900°C circa, che però non sono oggetto della presente tesi.

Tabella 30. Caratteristiche dei lotti del gel-precursore di Aerogel sintetizzato c/o SERICHIM.

N° lotto Volume sintesi (l) Porosità (%) Conducibilità polvere (mW/K m)

1 10 92 21

2 10 89 25

3 10 80 >>>

4 10 87 34

5 20 88 27

6 20 88 28

7 25 90

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Risultati e discussione _______________________________________________________________________

151

5.1.2 Considerazioni riassuntive.

Nell’ottica di un prodotto finale a base aerogel rinforzato con fibra ceramica, sono stati

valutati gli effetti dei parametri di sintesi sul gel/sospensione precursore del aerogel a

base di Al2O3. Da uno screening dei parametri di processo condotto in questa fase è

stato osservato che la variazione della velocità di agitazione in fase di precipitazione del

precursore metallico modifica le proprietà reologiche del prodotto ottenuto e quindi di

tessitura del solido finale. In particolare è stato osservato che:

� l’aumento della velocità di dispersione della goccia nella soluzione basica

determina la formazione di diversi tipi di gel che possono essere suddivisi in tre

gruppi dal punto di vista della reologia: quelli del gruppo A hanno un

comportamento di tipo plastico secondo il modello Casson; quelli del gruppo B

hanno un comportamento reologico di tipo pseudoplastico Bingham; i gel del

gruppo C hanno un comportamento di tipo newtoniano.

� In tutti e tre i casi l’omogeneizzazione determina un aumento di viscosità, un

crollo del volume dei pori (maggiore per il gruppo C) ed il passaggio ad un

comportamento di tipo tissotropico.

� dopo il successivo ageing a freddo le proprietà reologiche delle tre classi

permangono di tipo tissotropico con viscosità superiore rispetto al gel non

omogeneizzato, al contrario le proprietà di tessitura peggiorano ulteriormente nel

caso del gruppo A, migliorano nel caso del gruppo B, si “ripristinano” per il

gruppo C.

� la distribuzione granulometrica degli agglomerati del gruppo C conferma il

cambiamento della tipologia di aggregati in seguito all’omogeneizzazione, che

però, contrariamente a quanto accade per le proprietà di tessitura, non è

reversibile.

In conclusione il miglior precursore per il supporto su fibra si è rivelato essere il gel di tipo

C, caratterizzato da un comportamento reologico di tipo newtoniano. Un’elevata velocità

di agitazione in fase di precipitazione assicura, perciò, una distribuzione più omogenea

della goccia di precursore metallico nell’agente precipitante, che permette di ottenere un

gel/sospensione avente buone proprietà di tessitura e resistenza alla manipolazione ed

alla conservazione.

La comprensione della rilevanza dei vari fattori di sintesi analizzati ha permesso, in

collaborazione con industria del settore, di realizzare lo scale-up del processo di sintesi

su scala industriale.

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Risultati e discussione _______________________________________________________________________

152

6 Risultati e discussione: ossidi metallici per

applicazioni in catalisi.

Allo stato attuale esistono diversi processi per il recupero delle acque, che spaziano tra

trattamenti di tipo biologico a processi chimico-fisici. In generale, però, ognuno di questi

metodi presenta degli svantaggi, che possono essere dovuti a scarsa selettività d’azione,

eccessivo costo di trattamento, tossicità nella rigenerazione del materiale adsorbente,

ecc.

Negli ultimi anni sono state sviluppate metodologie principalmente finalizzate alla

distruzione dei contaminanti non biodegradabili, tra cui i più importanti sono i cosiddetti

APOs, Advanced Photochemical Oxidation Processes (1,85). In particolare, la fotocatalisi

mediata da TiO2 ha destato crescente interesse grazie alla versatilità del catalizzatore ed

alla non selettività del processo.

Nell’ambito dell’applicazione dei nanomateriali in campo catalitico abbiamo, quindi,

focalizzato lo studio sul trattamento fotocatalitico con ossido di titanio di acque reflue, in

particolare il percolato di discarica e acque di scarico industriale, allo scopo di definire i

parametri e le condizioni operative di processo e valutarne la fattibilità. Lo studio relativo

alle acque da processo è stata condotto con il supporto di un partner industriale, cosa

che, in alcuni casi, ha limitato lo svolgersi della sperimentazione e la possibilità di

divulgazione dei dati.

Percolato di discarica ⇒ liquidoproveniente dalla decomposizione deirifiuti e dalla percolazione dell’acquapiovana attraverso I vari strati.

Acque industriali

Trattamento

Processi biologici Processi fisico-chimici

Advanced Photochemical Oxidation Processes(APOs):

basati sull’elevato potere ossidante dei radicaliidrossile, che si formato per via chimica o fotoliticaa partire da diverse combinazioni dicatalizzatore/ossidante/sorgente UV-VIS.

Vantaggi:

- completa conversione dei contaminantia H2O e CO2

- scarsa sensibilità alla composizionedel refluo.

APPLICABILITA’

Figura 92: Applicazione dei nanomateriali in campo catalitico.

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Risultati e discussione _______________________________________________________________________

153

6.1 Il percolato di discarica (in collaborazione con una discarica e

con la regione Friuli Venezia Giulia).

6.1.1 Messa a punto del processo.

Nonostante il valore di biodegradabilità (BOD5/COD) del percolato in questione sia ca.

40%, la presenza di metalli pesanti e composti azotati pone la necessità di trattamento

del refluo attraverso il processo fotocatalitico.

Nella fase iniziale dello studio è stato necessario mettere a punto i processi operativi, sia

in termini di metodologie analitiche che gli aspetti operativi (disegno e realizzazione del

reattore ecc.). In letteratura sono riportati solo lavori in cui il sistema foto-catalitico

eterogeneo TiO2/H2O2/UV viene applicato a reflui pre-trattati biologicamente o diluiti,

utilizzando reattori in quarzo illuminati dall’esterno. La novità del presente studio consiste

nell’analisi del trattamento di reflui non pre-trattati o diluiti , per mezzo di un reattore in

Plexiglass ®, dotato di illuminazione dall’interno (Figura 93) al fine di evitare l’uso del

quarzo. Il reattore è costituito da una camera di trattamento cilindrica che può essere

separata dal basamento ospitante le quattro lampade UV e il sistema di diffusione

dell’aria. Il sistema è stato progettato in modo da permetterne una facile pulizia, qualora

necessario.

Figura 93: Schematizzazione del reattore di Plexiglass® utilizzato per la sperimentazione sul

percolato di discarica.

Per quanto riguarda gli aspetti analitici la reazione è stata monitorata studiando

l’andamento di alcuni importanti parametri, tra cui COD, TOC, concentrazione di H2O2,

pH e temperatura. Il COD è stato misurato per via spettrofotometrica attraverso il metodo

del bicromato. Il test del COD, però, presenta alcune restrizioni dovute alla possibilità di

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Risultati e discussione _______________________________________________________________________

154

interferenza con alcuni composti ossidabili, ad esempio solfiti, ferro e perossido

d’idrogeno, con conseguente alterazione del valore misurato. H2O2 infatti è in grado di

reagire con gli ioni bicromato formando acido perossidicromico (H2Cr2O12) che impartisce

alla soluzione un’intensa colorazione blu impedendo la lettura colorimetrica del test (136).

Anche la decomposizione in situ di H2O2 contenuta nel campione attraverso sostanze

ossidanti come MnO2, CeO2, ZrO2 ha dato come risultato un’alterazione del valore reale

di COD, a causa della concomitante ossidazione dei contaminanti derivanti dal percolato.

Al contrario, l’analisi gas-cromatografica accoppiata ad un detector FID è un metodo

diretto per la misura del TOC grazie all’elevata sensibilità per i composti organici,

rendendo possibile il monitoraggio dell’intero processo (152,153). Per la normalizzazione

dei dati sperimentali di TOC è stato assunto quale standard esterno il valore iniziale di

COD misurato del campione di percolato sottoposto all’ora di adsorbimento su TiO2. La

concentrazione di H2O2 è stata monitorata mediante il metodo iodometrico poichè, a

differenza della permanganatometria, ha specificità verso i perossidi e non interferisce

con le sostanze organiche ed inorganiche contenute nel percolato di discarica (136). Il

campionamento è stato effettuato ad intervalli di 30 minuti finché era presente nella

miscela H2O2, quindi ogni ora fino alla fine del trattamento. Ogni prelievo è stato filtrato

con setti di acetato di cellulosa (diametro dei pori 0.45 µm) per eliminare il catalizzatore

prima dell’analisi.

In fase preliminare è stata messa a punto una procedura sperimentale per il trattamento

del percolato di discarica utilizzando TiO2 CYC-1 (Shanghai Shanghui Nano Technology

Co.,Ltd) quale catalizzatore. Il trattamento prevede la filtrazione ed acidificazione del

percolato ad un valore di pH ca. 4 con acido solforico, quindi una fase di

preadsorbimento dei contaminanti sul catalizzatore (1 ora), dosato a 0,5 g/L TiO2. La

durata del trattamento fotocatalitico in presenza di H2O2 0,4M è di 8 ore, mediante la

quale è possibile rimuovere l’80% dei contaminanti. La fase di preadsorbimento su TiO2 è

risultata necessaria per ridurre la durata totale del trattamento fotocatalitico da 24 h a 8 h

(Figura 94).

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Risultati e discussione _______________________________________________________________________

155

0

500

1000

1500

2000

2500

0 5 10 15 20 25 30

Tempo (h)

CO

D (

mg

/L)

Senza adsorbimentoCon adsorbimento

Figura 94: Rimozione percentuale di COD per fotocatalisi in assenza e in presenza di

preadsorbimento su TiO2. TiO2 0,5 g/L, H2O2 0,4M, UV 20 W/L.

E’ stato osservato che la resa del trattamento oltre le prime 8 ore è trascurabile, ossia

non si verifica l’ulteriore diminuzione del COD che sia significativa: secondo Cho et al ciò

è probabilmente dovuto alla presenza di composti inorganici refrattari alla fotocatalisi

(87). Tipicamente la temperatura aumenta durante la prima ora di processo fino a 47-

50°C, dopodichè rimane costante fino al termine del trattamento.

Ulteriori esperimenti, realizzati variando la velocità del flusso d’aria o in assenza di

radiazione UV, hanno confermato l’assenza di limitazioni dovute alla diffusione e

sospensione del catalizzatore (dati non riportati) e la natura foto-catalitica della reazione

(Figura 95).

0

20

40

60

80

100

120

0 5 10 15 20 25

Tempo (h)

CO

D r

esid

uo

%

0

20

40

60

80

100

120

0 5 10 15 20 25

Tempo (h)

CO

D r

esid

uo

%

Figura 95: Confronto tra le condizioni standard di fotocatalisi (♦), TiO2 + H2O2 (▲) e TiO2 +

UV (●) in 24 ore di trattamento, le curve sono riportate come “eye-guide”.

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Risultati e discussione _______________________________________________________________________

156

Nonostante la durata dell’esperimento sia stata prolungata fino a 24 ore, in assenza della

radiazione si ha una diminuzione di COD di ca. solo 28%, evidenziando la presenza di un

importante sinergismo tra radiazione UV e perossido d’idrogeno per una buona resa di

processo (154).

In tutti gli esperimenti, a seguito della prima ora, si è verificata una diminuzione di COD di

ca. 600-750 ppm, che è attribuita ad adsorbimento su TiO2 (Figura 94). Questo fenomeno

è caratterizzato dalla formazione di complessi e/o legami covalenti sulla superficie del

catalizzatore (87).

Poiché è noto dalla letteratura (87,90) e da alcuni esperimenti preliminari (dati non

riportati) che la velocità di decomposizione per fotocatalisi in ambiente moderatamente

acido è maggiore piuttosto che in soluzione neutra o alcalina, tutti gli esperimenti sono

stati condotti a pH 4. Questo comportamento può essere motivato dallo spostamento

della banda del semiconduttore verso valori più negativi con l’aumentare del pH in base

alla legge di Nernst, causando una diminuzione del potenziale di ossidazione di h+vb (87).

La minore efficacia della foto-catalisi in ambiente basico è stata interpretata come un

effetto inibitorio della coppia HCO3-/CO3

2-, che può competere con i contaminanti del

refluo per i siti attivi sulla superficie del catalizzatore e reagire con le buche foto-generate,

oppure come una significativa diminuzione dell’adsorbimento stesso su TiO2 che si

verifica a pH elevati (90).

6.1.2 Studi cinetici di foto-decomposizione del percolato di discarica.

Sulla base dei dati preliminari sono state quindi definite le condizioni sperimentali tipiche

(Tabella 31).

Tabella 31: Condizioni di trattamento fotocatalitico per percolato di discarica.

COD0 (mg/L) Ca. 2000-2300

TiO2 (g/L) 0,5

H2O2 (M) 0,4

UV (W/L) 20

pH 4

Temperatura (°C) 25-50

Ossigenazione si

La Figura 96 riporta il tipico andamento TOC vs. tempo per la decomposizione foto-

catalitica del percolato di discarica, per le concentrazioni di H2O2 0,1M (rapporto molare

H2O2/COD = 1,4), 0,2M (rapporto molare H2O2/COD = 2,7) e 0,4M (rapporto molare

H2O2/COD = 7,8).

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157

0

200

400

600

800

1000

1200

1400

0 1 2 3 4 5 6 7 8

Tempo (h)

TO

C (

mg

/L)

0

1000

2000

3000

4000

5000

6000

0 1 2 3 4 5 6

Tempo (h)

pp

m O

2/H

2O

2

Figura 96: Andamenti di TOC e H2O2 in esperimenti fotocatalitici (UV 20 W/L) con TiO2 e

Fe3+

. ▲TiO2 0,5 g/L e H2O2 0,1M; ■ TiO2 0,5 g/L e H2O2 0,2M; ● Fe3+ 2,5*10-4M e H2O2 0,2M;

♦ TiO2 0,5 g/L e H2O2 0,4M.

La Figura 96 mostra la dipendenza dell’andamento del TOC dalla concentrazione di

H2O2. La reazione fotocatalitica assistita da H2O2 0,2 M e 0,4 M porta ad un grado elevato

di mineralizzazione del percolato (80% TOC rimosso), mentre con il trattamento con H2O2

0,1 M si è ottenuta una bassa resa (26% TOC rimosso). Ricordando che i valori di

riferimento per lo scarico del refluo in acque superficiali o rete fognaria sono

rispettivamente 160 mg/L e 500 mg/L, i dati evidenziano che H2O2 0,2 M è la minima

concentrazione iniziale di ossidante necessaria ad ottenere una significativa

decomposizione dei contaminanti. Da un esame della Figura 96 si nota che il valore di

TOC decresce quasi linearmente con l’H2O2 nel tempo, finché essa è presente

nell’ambiente di reazione. Non appena la concentrazione di H2O2 scende a zero si

verifica un cambio di pendenza della curva del TOC, suggerendo la presenza di due

diverse cinetiche di reazione in presenza e in assenza di H2O2.

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158

I dati sperimentali relativi alla decomposizione di H2O2, misurati in alcuni esperimenti

condotti in assenza di percolato, sono stati fittati utilizzando la legge cinetica

[ ]n

obs OHkr 22= (57)

ottenendo un ordine di reazione n = 0,1 ± 0,1.

Analogamente, fittando i dati di eliminazione di TOC in presenza di H2O2 con

l’espressione

[ ] [ ]mn

obs TOCOHkr 22= (58)

si ottengono i seguenti valori per gli ordini di reazione m = 1,1 ± 0,2 ed n = 0,2 ± 0,1.

Per le cinetiche di ordine 0 e 1 possono essere scritte le seguenti espressioni:

obskdt

dCr =−=

(59)

per una cinetica di ordine zero e

Ckdt

dCr obs=−= (60)

per una cinetica di primo ordine, dove r è la velocità di foto-decomposizione, C è il valore

di TOC o H2O2, t il tempo e kobs la costante di velocità osservata. Integrando le due

equazioni con la condizione C = C0 per t = 0, si ottengono le seguenti relazioni tra C e t:

tkCC obs ∗=−0 (cinetica di ordine zero) (61)

tkC

Cobs ∗=

0ln (cinetica di primo ordine) (62)

Applicando le relative espressioni matematiche ai dati sperimentali ottenuti per TOC e

H2O2 si osserva un ottimo accordo tra i dati sperimentali e la legge cinetica considerata

(Figura 97 e Figura 98).

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Risultati e discussione _______________________________________________________________________

159

Cinetica TOC/ TiO2

0,0

0,5

1,0

1,5

2,0

0 1 2 3 4 5 6 7 8

Tempo (h)

ln(T

OC

0/T

OC

)

Cinetica TOC/ Fe3+

0,0

0,5

1,0

1,5

2,0

0 1 2 3 4 5 6 7 8

Tempo (h)

ln (

TO

C0/T

OC

)

Figura 97: Decomposizione fotocatalitica di percolato di discarica con TiO2 e Fe3+

,

utilizzando la legge per una cinetica di primo ordine. ▲TiO2 0,5 g/L e H2O2 0,1M; ■ TiO2 0,5

g/L e H2O2 0,2M; ● Fe3+ 2,5*10-4M e H2O2 0,2M; ♦ TiO2 0,5 g/L e H2O2 0,4M.

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Risultati e discussione _______________________________________________________________________

160

Cinetica H2O2/TiO2

0

1000

2000

3000

4000

5000

6000

0 1 2 3 4 5 6

Tempo (h)

H2O

20-H

2O

2

Cinetica H2O2/ Fe3+

0

1000

2000

3000

4000

5000

6000

0 1 2 3 4

Tempo (h)

H2O

20-H

2O

2

Figura 98: Cinetiche di decomposizione di H2O2 per esperimenti fotocatalitici con TiO2 e

Fe3+

, utilizzando la legge cinetica di ordine zero. ▲TiO2 0,5 g/L e H2O2 0,1M; ■ TiO2 0,5 g/L e

H2O2 0,2M; ● Fe3+ 2,5*10-4M e H2O2 0,2M; ♦ TiO2 0,5 g/L e H2O2 0,4M.

Tabella 32: Valori sperimentali di kobs. Deviazione standard: kI ±0.03, k

II ± 0.01, kH2O2 ± 20.

Catalizzatore/ quantità H2O2 conc. kobsITOC (h

-1) kobs

IITOC (h

-1) kobs

H2O2 (mgO2L

-1h

-1)

TiO2/ 0,5 g/L 0,1 M 0,18 0,00 480

TiO2/ 0,5 g/L 0,2 M 0,24 0,16 540

TiO2/ 0,5 g/L 0,4 M 0,19 0,12 1000

Fe2+/ 2,5*10-4M 0,2 M 0,17 0,04 530

Esp.bianco 0,2 M - - 1000

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Risultati e discussione _______________________________________________________________________

161

I valori calcolati delle costanti di velocità sono riportati in Tabella 31. I dati relativi alla

cinetica di TOC confermano che: la decomposizione del TOC segue in modo lineare la

diminuzione di H2O2 con una costante kobs indipendente dalla concentrazione iniziale di

ossidante e dal tipo di catalizzatore (le variazioni dei valori di kobsITOC in tabella sono

inclusi entro l’errore sperimentale); la costante cinetica relativa alla decomposizione

(kobsIITOC) diminuisce in modo consistente quando H2O2 si esaurisce. Si nota che dai valori

di kobsIITOC si evidenzia una certa efficacia della sola fotocatalisi al di sotto di un certo

valore di COD/TOC ( COD < 500 mg/L). Alfine di verificare questa considerazione sono

stati confrontati i trattamenti mediante la sola radiazione UV in presenza di catalizzatore

del percolato tal quale e diluito a COD0 ≈ 500 (Figura 99).

0

200

400

600

800

1000

1200

1400

0 1 2 3 4 5 6 7 8 9

Tempo (h)

CO

D (

mg

/L) Percolato tal quale

<500 mg/L COD

Figura 99: Effetto della fotocatalisi sul valore di COD0.

In Figura 99 è interessante notare che la fotocatalisi applicata al percolato diluito provoca

il dimezzamento della concentrazione di contaminanti in 8 ore di trattamento (kobsI =0,1

h-1).

Poiché il processo di rimozione del COD è di ordine 0 rispetto a H2O2, ne consegue che

dall’analisi cinetica non è possibile verificare se vi sia una decomposizione di H2O2 in

parallelo alla decontaminazione. Pertanto sono stati condotti esperimenti in “bianco”

(assenza di COD) e misurate le kobsH2O2. La costante di velocità per la decomposizione di

H2O2 è indipendente dal catalizzatore e da [H2O2]0 e questo fa supporre che possa

essere sufficiente mantenere una minima concentrazione di ossidante attraverso

un’alimentazione in continuo per prolungare la decontaminazione del percolato. I valori di

kobsH2O2 sono inferiori rispetto alla costante corrispondente all’esperimento di bianco, e ciò

può essere attribuito ad una competizione tra H2O2 e contaminanti derivanti dal percolato

per i siti attivi sulla superficie del catalizzatore.

Abbiamo condotto anche alcune misure utilizzando Fe3+ quale catalizzatore, in modo da

poter confrontare i dati della presente tesi relativi al processo fotofenton con quelli di

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Risultati e discussione

_______________________________________________________________________

162

letteratura (Tabella 34). Dai dati e dalla Figura 96 si nota che l’esperimento Fenton

utilizzando Fe3+ è stato meno efficace in termini di abbattimento di TOC, poiché la durata

di H2O2 è stata ridotta a causa dell’immediata decomposizione catalizzata da Fe3+,

determinando una riduzione della durata prima fase della reazione. Questo risultato è in

disaccordo con i dati trovati in letteratura, in cui si afferma che la decontaminazione del

percolato mediante un processo di tipo fotofenton è più efficace e vantaggiosa rispetto

alla catalisi eterogenea (154,155).

In Figura 100 e Figura 101 viene mostrato l’effetto del tipo di catalizzatore confrontando

le curve di reazione di CYC-1 e Degussa P25 TiO2 (rapporto molare H2O2/COD = 3,96).

0

500

1000

1500

2000

2500

0 1 2 3 4 5 6 7 8Tempo (h)

pp

m O

2

Figura 100: Confronto tra attività fotocatalitica di TiO2 CYC-1 e Degussa P25. Simboli pieni:

TOC; simboli vuoti: H2O2. ■ CYC-1 0,5 g/L e H2O2 0,2M; ● Degussa P25 0,5 g/L e H2O2 0,2M.

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Risultati e discussione

_______________________________________________________________________

163

0

0,5

1

1,5

2

0 1 2 3 4 5 6 7 8

Tempo (h)

ln(T

OC

0/T

OC

)

0

600

1200

1800

2400

0 1 2 3 4 5 6

Tempo (h)

H2O

20-H

2O

2

Figura 101: Cinetiche di decomposizione di TOC e H2O2 in esperimenti di fotocatalisi con

CYC-1 e Degussa P25.

Tabella 33: Valori sperimentali di kobs. Deviazione standard: kI ±0.03, k

II ± 0.01, kH2O2 ± 20.

Considerando la variabilità cui è soggetto il percolato di discarica, le cinetiche catalizzate

dai due TiO2 sono tra loro equiparabili, in quando presentano una resa finale uguale e

hanno velocità di decomposizione paragonabili. Ricordando che l’area superficiale di TiO2

CYC-1 è 180 m2/g, tre volte superiore rispetto a quella di Degussa P25, e dimensione dei

cristalliti minore, ci si può aspettare una maggiore attività fotocatalitica per il primo. I dati

Parametri sperimentali

Catalizzatore/ quantità

H2O2 conc.

kobsITOC (h

-1) kobs

IITOC (h

-1)

kobsH2O2

(mgO2L

-1h

-1)

CYC-1 TiO2/ 0.5 g/L

0.2 M 0.24 0.16 540

Degussa P25 TiO2/0.5 g/L 0.2 M 0.24 0.18 600

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Risultati e discussione

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164

sperimentali possono essere giustificati considerando la natura multifasica di Degussa

P25, che come è noto promuove con maggior efficienza la reazione di separazione

buca/elettrone fotoindotta (1,106).

Infine, in Tabella 34 viene riportato il confronto tra alcuni riferimenti letterari relativi al

trattamento catalitico con TiO2 e Fe3+ del percolato di discarica o di composti fenolici

modello, ed i dati sperimentali della presente tesi. Analizzando nel dettaglio i riferimenti

letterari citati in tabella, in primo luogo si nota che, per la fotocatalisi con TiO2, in tutti i

casi il processo viene preceduto da diluizione o pretrattamento biologico. Ciò è

consistente con la nostra osservazione circa l’inefficienza del processo fotocatalitico

condotto su percolato con concentrazioni di COD superiori a 500ppm. Tuttavia, se ci

soffermiamo sui lavori riguardanti la catalisi con TiO2 che, per somiglianza col presente

studio, riportano dati relativi al trattamento di percolato non diluito, per confronto con i dati

in Figura 96 è possibile osservare che:

� Ref.1 e ref.2, oltre a prevedere un pretrattamento biologico del substrato,

utilizzano elevate concentrazioni di TiO2, sebbene non venga utilizzata H2O2 nel

processo di decomposizione.

� In ref.1 e ref.2, nonostante il valore di COD0 inferiore e la [TiO2] superiore a

quelle del presente lavoro, si ottiene un buon abbattimento dei contaminanti (ca.

80%) in tempi di trattamento paragonabili o addirittura più lunghi.

� In generale, nonostante le evidenti differenze tra i reflui in termini di

concentrazione e di composizione, per la quale, però, non è possibile fare una

distinzione tra i vari substrati, il valore di COD finale ottenuto con i trattamenti è,

in tutti i casi. superiore al limite di riferimento imposto per lo scarico in acque

superficiali (160 mg/L), ma inferiore a quello previsto dalla legge per lo

smaltimento in acque fognarie (500 mg/L).

Per quanto riguarda, invece, il confronto con i lavori di letteratura relativi al trattamento

catalitico con Fe3+, sebbene anche in questo caso tra i substrati ci siano delle differenze

di concentrazione e di composizione, in particolare per quanto riguarda i metalli pesanti,

che non li rendono classificabili in termini di livello di contaminazione, è evidente come:

� in tutti i casi trovati in letteratura si utilizzino elevate concentrazioni di Fe3+,

superiori al limite imposto dalla legge italiana per lo scarico di Fe3+ in acque

superficiali è di 2 mg/L (3,6x10-5 M). Questo aspetto rende i trattamenti riportati in

ref.7-9 non applicabili, sebbene l’uso di concentrazioni di catalizzatore elevate, in

assenza di radiazione UV, permetta di ridurre molto i tempi di trattamento.

� Va notato che il trattamento fotofenton riportato nel presente lavoro utilizza una

più bassa concentrazione di Fe3+ (2,5x10-4 M), con la quale, in presenza di UV, è

possibile ottenere un abbattimento dei contaminanti del 60%, confrontabile con i

risultati riportati nei lavori di riferimento.

� In tutti i casi, il valore COD finale ottenuto a fine trattamento è superiore sia al

limite scaricabile in acque superficiali (160 mg/L), sia a quello previsto dalla legge

per lo smaltimento in acque fognarie (500 mg/L).

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Risultati e discussione

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165

Sulla base di queste considerazioni va sottolineato che, se si confrontano anche i valori

di kobs per la decontaminazione riportati nei lavori di letteratura con quella osservata nel

presente lavoro di ricerca, tenendo presente la strutturazione del reattore utilizzato

(semplicità ed economicità) e l’assenza di un pretrattamento del substrato (biologico o

diluizione), in condizioni di trattamento più favorevoli (0,5 g/L TiO2 o 2,5x10-4 M Fe3+,

H2O2 0,2M, UV 20 W/L) si rileva l’alta efficienza del processo di decontaminazione

proposto in questo lavoro di tesi. Va ribadito, tuttavia, che nel caso del trattamento

fotocatalitico con TiO2 in sette ore di trattamento si ottiene un CODf≈ 200-300 mg/L, che è

superiore al limite imposto per lo scarico in acque superficiali, ma inferiore al valore di

legge per lo smaltimento in rete fognaria. Al contrario, il trattamento foto-fenton,

utilizzando il catalizzatore a base di Fe3+, condotto in condizioni paragonabili, non

permette di rispettare i limiti di scarico imposti dalla legge italiana.

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Tabella 34: Condizioni operative per il trattamento del percolato di discarica in letteratura.

N. Ref. Catalyst/ amount

H2O2 (M)

Substrate pretreatment Conc.(M) H2O2/CODi

(M/M) pH

Reaction time

Dilution Reactor k (s-1)

1 App. Cat. B: Env.

2002, 39, 125-133

TiO2/ 3 g/L - leachate biological 4,E-02 - 4 12h no 190 ml quartz reactor with 16x8W external UV lamps (674

W/L) 2,5E-06

2 Wat. Sci. Techn. 2006, 53 (3), 181

TiO2/ 0,5-3 g/L - leachate biological 2,E-02 - 4 5 h no 350 ml quartz flow (flow rate 1L/min, recirculating) reactor

with 200W internal UV lamp (571W/L) 4,0E-03 L/min

3 Solar Energy 1996, 56 (5),

455-469 TiO2/5 g/L 5,0E-

04 leachate biological 2,0E-03 0,25 3 8 h yes TFFBR (16 40W UV lamps; total volume 5 L) 1,7E-05

4 J. of Catalysis 1995, 153, 32-40 TiO2/1 g/L 1,0E-

01 phenol - 2,1E-03 50 3 0,5-2 h yes

Cilindrical Pirex glass vessel with external surface made of mirror polished aluminium and top cover of pirex sheet. External UV source: 1000 W or 500 W Hg-Xe lamp + collimating lenses. Distance between lens and TiO2

suspension was kept constant at 71cm. (10000-5000 W/L)

2,3E-05

5 Cat. Today,

2005, 101, 389-395

TiO2 5,4E-

04 Acid Red

88 azo dye - 1,4E-04 4 - 2 h yes glass cylinder + Uv source held in a quartz sleeve (43 W/L) 7,7E-04

6 Chemosphere 1995, 30 (3),

477-484

TiO2/2-4 g/L

1,0E-02

cyOH, phenol, 4-

NA - 1,0E-03 10 - 2-18 h yes

glass flask + external UV source 400W high pressure Hg lamp (400W/L) -

7 Chemosphere

2004, 54, 1005-1010

Fe3+/ 0,5 g/L

2,0E-01

leachate - 3,E-01 0,3 3 2 h no no UV -

8 J. of Hazard.

Mat. 2005, B125, 166-174

Fe3+/ 0,05 M

7,5E-02 leachate - 3,E-02 2,5 2,5 20 min yes

100 ml batch reactor with magnetical stirrer and water refrigeration. UV source 125 W medium pressure Hg

vapour lamp without glass bulb, located at the centre of the reactor by using a quartz bulb. (1250W/L)

-

9 J. of Env. Sci.

And Health 2003, A38 (2), 371-379

Fe3+/ 0,02 M

7,0E-01 leachate - 7,10E-02 10 3 2,5 h no

500 ml perfectly mixed glass reactor + oxygen and visible light (no UV) -

10 This work TiO2/ 0.5 g/L

2,E-01

leachate - 8,E-02 2,5 4 7 h no 6,7E-05

11 This work Fe3+/

2,5*10-4 M

2,E-01 leachate - 8,E-02 2,5 4 7 h no 4,7E-05

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Risultati e discussione

_______________________________________________________________________

167

6.1.3 Valutazione del costo del trattamento.

Per completare la verifica dell’applicabilità della tecnologia APO al trattamento del

percolato di discarica, è stata, infine, approntata una valutazione dei costi di processo per

litro di refluo (Tabella 35). I costi suddivisi per voci sono relativi a 8 ore di trattamento in

presenza di TiO2 0,5 g/L e H2O2 0,2M.

Tabella 35: Valutazione dei costi per 8 ore di trattamento di 1 litro di percolato.

Costo €/L

1 h adsorbimento 0,0026

15 W lampade UV (20 W/L) 0,0208

Pompa a membrana (3,3 W/L) 0.0032

TiO2 (0,5 g/L) 0,025

H2O2 (0,2 M) 0,012

Costo totale per 1 L 0,065

Come si può osservare le voci che incidono maggiormente sul costo totale per il

trattamento di un litro di percolato sono relative al consumo energetico ed al

catalizzatore. Il costo complessivo potrebbe diminuire ulteriormente con lo scale-up del

processo. Per quanto riguarda quest’ultimo costo, si potrebbe abbattere con l’utilizzo di

un catalizzatore strutturato che permetta il riciclo dello stesso.

6.1.4 Considerazioni conclusive.

L’applicazione del processo fotocatalitico con TiO2 alla degradazione dei contaminanti da

percolato di discarica ha rivelato alcuni aspetti interessanti sulla fattibilità del trattamento.

E' emerso un importante sinergismo tra radiazione UV e agente ossidante, essenziale

per una buona resa del trattamento: in assenza di energia fotonica o di H2O2 si ottiene un

abbattimento di COD inferiore al 30%, rispetto all’80% di decontaminazione raggiunta

con il trattamento completo.

Gli studi cinetici hanno permesso di verificare l’indipendenza della velocità dalla [H2O2]0 e

la presenza di due diversi meccanismi di reazione in presenza e in assenza di acqua

ossigenata: la decomposizione del TOC segue in modo lineare la diminuzione di H2O2

con una costante cinetica che diminuisce in modo consistente quando il perossido

d’idrogeno si esaurisce. In particolare, dai valori di kobsIITOC si evidenzia:

1. l’inefficacia della sola fotocatalisi al di sopra di un certo valore di TOC che

abbiamo individuato essere intorno a 500 mg/L.

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Risultati e discussione

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168

2. il trattamento è dipendente dalla natura del catalizzatore, e TiO2 è risultato più

efficace. Inoltre, si deve considerare che Fe3+ in soluzione rappresenta un

problema nello scarico del refluo dopo il trattamento.

3. l’indipendenza della velocità di mineralizzazione da [H2O2]0 fa supporre che

possa essere sufficiente mantenere una minima concentrazione di ossidante

attraverso un’alimentazione in continuo per prolungare la decontaminazione del

percolato.

Infine, dal confronto con i riferimenti bibliografici, tenendo presente la strutturazione del

reattore utilizzato (semplicità ed economicità) e l’assenza di un pretrattamento del

substrato (biologico o diluizione), è stata evidenziata la potenzialità applicativa del

processo in condizioni di trattamento più favorevoli.

Il costo per il trattamento di un litro di percolato di discarica è stato stimato essere di

0,065 €/L, ma potrebbe essere ridotto con lo scale-up ed ulteriore industrializzazione del

processo.

6.2 Acque industriali provenienti dall’industria del sughero.

6.2.1 Studi preliminari.

In collaborazione con un’ industria primaria del settore è stata analizzata la problematica

della rimozione del COD da acque di processo da lavorazione dei derivati del legno.

Tenendo presente la distinta natura delle acque rispetto al percolato, si è proceduto a

valutare preliminarmente l’influenza di alcuni dei principali parametri operativi, tra cui il

pH, la presenza della radiazione UV, di H2O2 e di TiO2, l’effetto dell’aria, al fine di valutare

anche l’efficienza del processo indipendentemente dal tipo di refluo trattato. Questa

prima fase della sperimentazione è stata effettuata utilizzando un reattore batch in quarzo

della capacità di 200 ml, termostatato a 90°C, e dotato di un sistema di ossigenazione del

mezzo di reazione e di una sorgente UV (potenza 650 W/L) (Figura 102). La temperatura

di 90°C è motivata dal fatto che si è voluto operare nelle condizioni del processo

industriale.

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Risultati e discussione

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169

1

5

42

3

1. Lampada UV2. Sistema di gorgogliamento dell’aria3. Camicia riscaldante4. Punto di prelievo del campione e di

monitoraggio della temperatura5. Agitatore magnetico

1

5

42

3

1

5

42

3

1. Lampada UV2. Sistema di gorgogliamento dell’aria3. Camicia riscaldante4. Punto di prelievo del campione e di

monitoraggio della temperatura5. Agitatore magnetico

Figura 102: Schematizzazione del fotoreattore incamiciato in quarzo.

6.2.1.1 Effetto del catalizzatore e del pH in assenza di radiazione.

È noto che la capacità ossidante di H2O2 aumenta con il pH basico della soluzione, per

cui è stato verificato l’effetto di tale parametro.

La Figura 103 riporta l’effetto della presenza del catalizzatore in esperimenti eseguiti in

assenza di radiazione UV, sia in ambiente debolmente acido (il pH dell’acqua industriale

è ca. 6,5) che in ambiente basico (pH= 8,5), utilizzando H2O2 0,2M (19.8 g H2O2 36%wt/

1000 g acqua).

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Risultati e discussione

_______________________________________________________________________

170

0

50

100

150

200

250

300

350

400

0 1 2 3 4 5 6 7

Tempo (h)

TO

C (

mg

/L)

H2O2_base

H2O2_neutro

H2O2_Ti_base

H2O2_Ti_neutro

H2O2_Fe neutro

Figura 103: Effetto della presenza del catalizzatore in assenza di radiazione UV al variare del

pH. (H2O2_base: trattamento con H2O2 in ambiente basico senza TiO2; H2O2_neutro:

trattamento con H2O2 al pH dell’acqua industriale senza TiO2).

La Tabella 36 riporta le costanti di velocità (kobs) misurate assumendo un processo di

primo ordine.

Tabella 36: Kobs misurate in assenza di radiazione UV.

I dati confermano che anche nel caso di acque reflue di derivazione industriale la

degradazione dei contaminanti segue una cinetica di pseudo-primo ordine, sia in

presenza che in assenza di catalizzatore, ciò è in accordo con i dati di letteratura riportati

per processi fenton e fotofenton-like (82,88,156,157). In presenza della sola H2O2 si

ottiene un abbattimento del 76% del TOC in 5 ore di trattamento in ambiente basico e del

73% in ambiente debolmente acido. La presenza di catalizzatore non determina un

significativo aumento della velocità di decomposizione del TOC, come dimostrano i valori

delle kobsTOC in tabella, ma una diminuzione del consumo di H2O2 favorendone una

maggior durata, come esemplificato in Figura 104. I dati quindi indicano la capacità di

H2O2 di promuovere efficacemente la rimozione di TOC nelle condizioni di reazione

considerate. Va sottolineato che il processo avviene anche in assenza di catalizzatore,

Catalizzatore/quantità pH kobsTOC

(h-1

) kobs

H2

O2

(mgO2L-1

h-1

)

- 6,5 0,24 238

TiO2/ 0,5 g/L 6,5 0,25 149

Fe3+/ 2,5 x 10-4 M 6,5 0,26 182

- 8,5 0,27 268

TiO2/ 0,5 g/L 8,5 0,27 113

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Risultati e discussione

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171

ed è indipendente dal pH nell’intervallo considerato. Pertanto nei successivi esperimenti

si è operato senza variare il pH del refluo di partenza.

0

500

1000

1500

2000

2500

3000

0 1 2 3 4 5 6 7

Tempo (h)

pp

m O

2

Figura 104: Effetto della presenza del catalizzatore sul consumo di H2O2, in assenza di

radiazione UV. Simboli pieni: TOC; simboli vuoti: H2O2. ■ H2O2 0,2M; ▲ H2O2 0,2M + TiO2 0,5

g/L.

6.2.1.2 Effetto fotocatalitico.

È stato valutato il contributo fotocatalitico alla reattività utilizzando sia TiO2 che Fe3+ in

presenza di H2O2 0,2 M.

Tutti gli esperimenti sono stati realizzati al pH dell’acqua industriale.

I risultati sono riassunti in Figura 105 e Figura 106 e le relative k sperimentali sono

riportate in Tabella 37.

0

50

100

150

200

250

300

350

400

0 1 2 3 4 5 6 7

Tempo (h)

TO

C (

mg

/L)

Figura 105: Effetto della radiazione UV nel processo fotocatalitico con TiO2 e Fe3+

. ∆ TiO2 0,5

g/L + H2O2 0,2M; ▲ TiO2 0,5 g/L + H2O2 0,2M + UV 650 W/L; ○ Fe3+

2,5*10-4

M + H2O2 0,2M ●

Fe3+

2,5*10-4

M + H2O2 0,2M + UV 650 W/L.

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Risultati e discussione

_______________________________________________________________________

172

0

500

1000

1500

2000

2500

3000

0 1 2 3 4 5 6 7

Tempo (h)

pp

m O

2/H

2O

2

Figura 106: Andamenti di H2O2 per i trattamenti con TiO2 e Fe3+

in presenza e assenza di

radiazione UV. ∆ TiO2 0,5 g/L + H2O2 0,2M; ▲ TiO2 0,5 g/L + H2O2 0,2M + UV 650 W/L; ○ Fe3+

2,5*10-4

M + H2O2 0,2M ● Fe3+

2,5*10-4

M + H2O2 0,2M + UV 650 W/L.

Tabella 37: kobs misurate in presenza ed assenza di radiazione UV per processi catalizzati da

TiO2 e Fe3+

e H2O2, CODfinale e in parentesi la durata del trattamento.

I dati rivelano l’importante contributo dato dalla presenza della radiazione UV. Tale

contributo è maggiore nel caso della catalisi con TiO2, al contrario di quanto avviene nelle

prove effettuate in assenza di radiazione in cui gli andamenti sono tra loro paragonabili. È

importante notare come la reazione sia completata dopo 1 ora di trattamento con TiO2, e

dopo 1 ora e mezza nel caso del Fe3+, rispetto ai sistemi non fotocatalitici. Si deve tenere

piuttosto presente che la potenza UV utilizzata in questa fase della sperimentazione è

molto elevata (650 W/L).

6.2.1.3 Effetto della presenza di H2O2 in condizioni di fotocatalisi.

Gli esperimenti foto-catalitici con TiO2 e Fe3+ sono stati condotti anche in assenza di H2O2

(Figura 107, Tabella 38).

Catalizzatore/quantità UV kobsTOC

(h-1

) kobsH2O2

(mgO2L-1

h-1

) COD finale (ppm O2)

TiO2/ 0,5 g/L - 0,25 149

TiO2/ 0,5 g/L x 4,70 827 4(1 h)

Fe3+/ 2,5 x 10-4 M - 0,26 182 111(4,5 h)

Fe3+/ 2,5 x 10-4 M x 3,31 593 2(1,5 h)

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Risultati e discussione

_______________________________________________________________________

173

0

50

100

150

200

250

300

350

400

0 1 2 3 4 5Tempo (h)

TO

C (

mg

/L)

Figura 107: Effetto della presenza di H2O2 negli esperimenti foto-catalitici con TiO2 e Fe3+

. ∆

TiO2 0,5 g/L + UV 650 W/L; ▲ TiO2 0,5 g/L + H2O2 0,2M + UV 650 W/L; ○ Fe3+

2,5*10-4

M + UV

650 W/L ● Fe3+

2,5*10-4

M + H2O2 0,2M + UV 650 W/L.

Tabella 38: kobs misurate in presenza o assenza di H2O2 per esperimenti di fotocatalisi con

TiO2 e Fe3+

, CODfinale e in parentesi la durata del trattamento.

Dai dati si evidenzia che la sola fotoeccitazione del catalizzatore è in grado di abbattere

TOC, tuttavia è determinante la presenza di H2O2 al fine di ottenere un effetto sinergico

ossidante/radiazione che permetta una significativa riduzione della durata totale del

trattamento. È evidente la maggior efficacia della fotoeccitazione di TiO2 rispetto a Fe3+,

sia in presenza che in assenza di H2O2.

6.2.1.4 Effetto dell’ossigenazione (aria).

Al fine di valutare il contributo dell’ossigenazione al processo di decontaminazione, è

stata applicata all’acqua industriale la procedura sperimentale standard

(fotocatalisi/H2O2) e quella con la sola H2O2 escludendo l’apporto di ossigeno

nell’ambiente di reazione. I dati sono stati confrontati con quelli relativi ai trattamenti in

presenza di aria (Figura 108, Tabella 39).

Catalizzatore/quantità UV H2O2 kobsTOC

(h-1

) COD finale

(ppm O2)

TiO2/ 0,5 g/L x - 0,53 0(4 h)

TiO2/ 0,5 g/L x 0,2 M 4,70 4(1 h)

Fe3+/ 2,5 x 10-4 M x - 0,15 151(4,5 h)

Fe3+/ 2,5 x 10-4 M x 0,2 M 3,31 2(1,5h)

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Risultati e discussione

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174

0

50

100

150

200

250

300

350

400

0 1 2 3 4 5 6 7

Tempo (h)

TO

C (

mg

/L)

Figura 108: Contributo dell'aria nella reazione fotocatalitica con TiO2 e nel trattamento con

la sola H2O2. ▲ TiO2 0,5 g/L + H2O2 0,2M + UV 650 W/L; ∆ TiO2 0,5 g/L + H2O2 0,2M + UV 650

W/L senza aria; ■ H2O2 0,2M; □ H2O2 0,2M senza aria.

Tabella 39: : kobs misurate per esperimenti fotocatalitici e per il trattamento con la sola H2O2

in presenza e assenza di aria.

I valori di kobsTOC e kobs

H2O2 calcolati dimostrano che l’apporto di ossigeno dovuto

all’insufflamento di aria nell’ambiente di reazione incrementa la resa del processo sia nel

caso della fotocatalisi che nel trattamento con il solo perossido d’idrogeno. Nel caso del

trattamento con H2O2 il fattore di incremento della velocità media di rimozione del TOC è

40%, mentre per il processo fotocatalizzato è 46%.

6.2.1.5 Effetto del dosaggio di TiO2.

Data l’elevata potenza di radiazione UV utilizzata nella sperimentazione preliminare, si è

voluto effettuare la valutazione dell’effetto del dosaggio del catalizzatore in un

fotoreattore di vetro costruito ad hoc della capacità di 0,6L termostatato a 90°C, dotato di

un sistema di ossigenazione del mezzo di reazione e di una sorgente UV ad energia

Catalizzatore/quantità aria H2O2 kobsTOC

(h-1

) kobs

H2O

2

(mgO2L-1

h-1

)

COD finale

(ppm O2)

- - 0,2 M 0,13 199 -

- x 0,2 M 0,24 238 -

TiO2/ 0,5 g/L - 0,2 M 2,86 827 33(1 h)

TiO2/ 0,5 g/L x 0,2 M 4,70 827 4(1 h)

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Risultati e discussione

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175

inferiore (potenza 27 W/L) compatibile con esigenze industriali. Sono state condotte

quindi delle prove di fotocatalisi variando la concentrazione di TiO2 in presenza di H2O2

0,1M. Nella Figura 109 sono riportati gli andamenti di decomposizione di A358nm, TOC e

H2O2 nel tempo. La Tabella 40 riporta i valori di ordine di reazione (n) e costante cinetica

apparente (k) per l’abbattimento di A358nm, TOC e H2O2 nel tempo.

Tabella 40: Valori di ordine di reazione (n) e costanti cinetiche apparenti (k) per

l'abbattimento di A358 nm , TOC e H2O2 ottenuti per i trattamenti in presenza di H2O2 0,1M e di

diverse quantità di catalizzatore, con radiazione UV (27 W/L). kA ± 0,3; k

TOC±0,1; k

H2O2±100

0.0

0.2

0.4

0.6

0.8

1.0

1.2

0 20 40 60 80 100 120 140Tempo (min)

A/A

0

0.0

0.2

0.4

0.6

0.8

1.0

1.2

0 20 40 60 80 100 120Tempo (min)

TO

C/T

OC

0

Trattamento n

A358nm

kobsA(358nm)

(h-1

) n TOC

kobsTOC

(h-1

)

n

H2O2

kobsH2O2

( mgO2L-1

h-1

)

H2O2 0,1M 0,73 4,25 2,40 1,43 0,00 502

H2O2 0,1M+TiO2 8mg/L 0,65 4,07 0,79 1,95 0,00 463

H2O2 0,1M+TiO2 0,5g/L 0,94 7,01 1,26 2,19 0,30 807

H2O2 0,1M+TiO2 1 g/L 1,24 4,53 0,58 3,46 0,22 858

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Risultati e discussione

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176

0

0.2

0.4

0.6

0.8

1

1.2

5 25 45 65 85 105 125

Tempo (min)

H2O

2/H

2O

20

Figura 109: Andamenti di A, TOC e H2O2 ottenuti per trattamenti in presenza di H2O2 0,1 M e

di radiazione UV utilizzando vari dosaggi di catalizzatore. ◊ No TiO2; ■ TiO2 0,08 g/L; ▲ TiO2

0,5 g/L; ● TiO2 1 g/L.

Osservando la Figura 109 si nota come l’aumento della quantità di catalizzatore, fino a

raggiungere un dosaggio di 0,5 g/L, determini un aumento della degradazione della

frazione colorata. Superata questa concentrazione di TiO2, kA(358nm) decresce

probabilmente a causa dell’effetto schermante la radiazione UV promosso da elevate

concentrazioni di catalizzatore. L’aumento del dosaggio di TiO2 a tenori relativamente

elevati comporta un incremento della decomposizione di H2O2 e dell’abbattimento del

carbonio organico totale (TOC); non si può, tuttavia, escludere il contributo dato

dall’adsorbimento dei contaminanti sulla superficie del catalizzatore.

E’ possibile valutare l’effetto dell’aumento della potenza UV sull’efficacia del trattamento

se si confrontano i dati relativi al reattore di quarzo e di vetro. Premesso che la reazione

è di ordine zero rispetto alla concentrazione di H2O2, è possibile confrontare la prova

eseguita nel reattore in vetro utilizzando la TiO2 0,5 g/L e H2O2 0,1 M, con quella

effettuata in reattore in quarzo in presenza di H2O2 0,2M, TiO2 0,5 g/L, utilizzando una

radiazione UV con potenza 650 W/L (Tabella 37). I valori delle costanti di velocità

indicano che l’effetto dell’aumento della potenza applicata è quello di raddoppiare la

costante di velocità di decontaminazione. Tuttavia, va osservato (Figura 109) che il valore

del TOC è quasi nullo dopo circa un’ora di trattamento in ambedue i reattori. In accordo

con quanto trovato in letteratura (89,100), in cui si afferma che una potenza UV troppo

elevata porta ad una diminuzione dell’efficienza del processo, un aumento di 20 volte

della potenza applicata ha un effetto molto modesto sulla resa totale del trattamento foto

catalitico. Diversi lavori hanno dimostrato che esiste un valore di flusso fotonico, non ben

definito a causa di disomogeneità dei risultati, oltre il quale si verifica un cambio di regime

cinetico per la decomposizione del COD, da un meccanismo di primo ordine ad uno di

ordine 0,5. In generale tale valore è stato stabilito nella maggior parte dei casi essere

compreso tra 2-3 mW/cm2 (1). Nel presente studio i valori di flussi fotonici per il reattore

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Risultati e discussione

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177

di plexiglass, di quarzo, di vetro e successivamente di acciaio, sono rispettivamente 16

mW/cm2, 490 mW/cm2, 29 mW/cm2, 63 mW/cm2, ma in tutti i sistemi è stata verificata la

presenza di una cinetica di decomposizione dei contaminanti di pseudo-primo ordine,

indicando che tale limite di cambio di regime cinetico ovvero della “saturazione” del

sistema non siano stati raggiunti, presumibilmente per il fatto che nel nostro caso sono

stati utilizzati dei reflui complessi provenienti da scarichi reali.

Riassumendo, la fase preliminare dello studio della fattibilità del trattamento fotocatalitico

con TiO2 applicato a reflui industriali, ha confermato l’importanza del sinergismo

radiazione/H2O2 per un abbattimento dei contaminanti in tempi relativamente rapidi.

Tuttavia, gli studi hanno evidenziato che anche il trattamento con la sola H2O2 è efficace

seppur in tempi prolungati, mentre l’aggiunta del catalizzatore non apporta un contributo

apprezzabile alla decomposizione in tali condizioni, ma favorisce solo una maggior durata

dell’ossidante. Anche la sola foto eccitazione del catalizzatore è in grado di abbattere

TOC, e questa è più efficace per il TiO2 rispetto a Fe3+, sia in presenza che in assenza di

H2O2. L’efficienza del trattamento Fenton-like con TiO2/H2O2 in presenza di dosaggi

crescenti di catalizzatore aumenta fino a [TiO2]=0,5 g/L, oltre la quale si ha probabilmente

un effetto schermante della polvere. Infine è stato valutato il contributo dell’aria, che è in

grado di incrementare la resa del processo sia nel caso della fotocatalisi che nel

trattamento con sola H2O2.

A titolo di confronto, in Tabella 41 vengono riassunti i tempi (h) necessari per ottenere un

valore di COD finale di 100 ppm con le diverse condizioni di trattamento, calcolati

inserendo i rispettivi valori delle costanti di velocità nell’equazione cinetica di ordine

primo. Il valore di COD finale è stato posto a 100 ppmO2 sulla base di quello di

riferimento per lo scarico di reflui in acque superficiali, pari a 160 ppmO2. In conclusione i

dati preliminari evidenziano in modo chiaro la possibilità di abbattimento di COD da reflui

industriali nell’ambito del processo.

Tabella 41: Tempi di trattamento necessari per ottenere CODfinale= 100 ppm nelle diverse

condizioni sperimentali.

Catalizzatore/ quantità

H2O2 (M) UV Aria Tempo (h) per ottenere 100 ppm COD finali

- 0.2/ neutro - x 4.8 - 0.2/ base - x 4.9 TiO2/ 0.5 g/L 0.2/ neutro - x 5.3 TiO2/ 0.5 g/L 0.2/ base - x 4.8 Fe3+/ 2.5 x 10-4 M 0.2 - x 5.1 TiO2/ 0.5 g/L 0.2 x x 0.3 Fe3+/ 2.5 x 10-4 M 0.2 x x 0.46 TiO2/ 0.5 g/L - x x 2.8 Fe3+/ 2.5 x 10-4 M - x x 8.3 TiO2/ 0.5 g/L 0.2 x - 0.48 - 0.2/ neutro - - 9.5

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Risultati e discussione

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178

6.2.2 Misure condotte nel reattore pilota in inox.

Sulla base dei risultati preliminari ottenuti in sistema in vetro, siamo passati alla

progettazione di un prototipo che simulasse un impianto pilota per il trattamento delle

acque reflue in situ, per permetterne il riutilizzo finalizzato anche alla conservazione

dell’energia termica per lo step di lavorazione del sughero. Al fine del contenimento dei

costi di processo è stato costruito un reattore in acciaio inox a ricircolo estremamente

compatto, in cui il volume di trattamento fosse circa 1L, molto ridotto rispetto a quello

della riserva del refluo (13L). Il reattore è stato progettato in modo da favorire un flusso

ed un mescolamento del refluo diretto dalla parete laterale verso il centro del volume

cilindrico, come rappresentato in Figura 110A. La fonte di illuminazione UV è costituita da

una lampada erogante una potenza di 45 W/L.

Figura 110: Sistema di fotoreattori collegati in serie/parallelo a ricircolo. Il volume di refluo

effettivamente trattato per fotocatalisi (centrale) è 0,96 L.

Poiché in presenza di un sistema a ricircolo del refluo non sarebbe possibile utilizzare il

catalizzatore in sospensione, per limiti di efficienza del processo e di mescolamento

stesso del solido, sono state affrontate le problematiche relative al processo di

deposizione di TiO2 su supporto strutturato.

Abbiamo perciò selezionato due supporti di fibra ceramica e di vetro (rispettivamente

blanket Superwool® 607,Thermal Ceramics e tessuto twill 2x2 Angeloni), adatti alla

strutturazione del catalizzatore e dotati di flessibilità, e ne abbiamo testato la capacità di

adesione, nonché la resistenza meccanica per l’applicazione nel sistema catalitico. Per la

deposizione su blanket abbiamo sfruttato le metodologie di spray-deposition ed incipient

wetness: nel primo caso la sospensione acida di titania peptizzata è stata spruzzata ad

una pressione di 4/5 bar direttamente sulla superficie della fibra; nel secondo caso il

supporto è stato tenuto in immersione per circa 5 minuti in un volume dello stesso

precursore pari alla massima quantità assorbibile dalla fibra, determinata con prove di

“bianco” in presenza di sola acqua (ca. 7 ml/g). Lo schema delle metodologie di

deposizione per il blanket è riportato in Figura 111.

Flusso in Flusso out

Cilindro esternoCilindro interno

Flusso in Flusso out

Cilindro esternoCilindro interno

A

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Risultati e discussione

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179

TiO2 sol 5%wt(0.2 M HNO3 80°C/18 h)+

Deposizione

A. Spray methodDiluizione del sol 1:2 o 1:4, pressione 4/5 bar.Vantaggi: TiO2 superficiale.Problemi: scarsa adesione del solidoalla fibra.

B. Incipient wetnessSol TiO2/SiO2 * = 1Sol TiO2/Al2O3 = 1*UsatiSiO2 e Al2O3 colloidali commerciali.Vantaggi: buona adesione del solido inparticolare in presenza di SiO2.Problemi: TiO2non solo in superficie maanche all’interno del blanket.

Calcinazione a 300°C, 5 hPreparati campioni con 5/10 % wt TiO2

Preattivazione in H2SO4:H2O2 3:1, 2 h

Figura 111: Schema di preparazione di TiO2 supportato su blanket Superwool® 607.

La deposizione del catalizzatore su fibra intreccia twill 2x2, invece, è stata effettuata

mediante la tecnica di dip-coating, immergendo quindi il supporto, pretrattato in

H2SO4:H2O2 per l’attivazione superficiale, nella sospensione acida di TiO2 per un’intera

notte (Figura 112).

In tutti i casi i campioni sono stati successivamente asciugati a 120°C e calcinati a 300°C

per 5 ore.

Dip-coatingover night

TiO2 sol 1,25/3,7%wt(0.2 M HNO3 80°C/18 h)+

Calcinazione a 300°C, 5 hPreparati campioni con 1,4/3,5 % wt TiO2

Vantaggi: buona adesione del solidoProblemi: possibilità di ottenere basse cariche di TiO2.

Preattivazione in H2SO4:H2O2 3:1, 2 h

Figura 112: Preparazione di TiO2 supportato su fibra twill 2x2.

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180

E’ stata effettuata la deposizione sia di TiO2 commerciali (CYC-1 e Degussa P25), sia di

titanie di sintesi. TiO2 di sintesi sono state preparate per precipitazione diretta, metodo

sol-gel e gel-combustion, come riportato nella Parte Sperimentale. Tutti i materiali sono

stati caratterizzati mediante fisiadsorbimento di azoto e le caratteristiche di tessitura dei

catalizzatori sono riportate in Tabella 42.

Tabella 42: Caratteristiche di tessitura delle titanie utilizzate per il supporto su fibra.

Sintesi T°C BET (m2/g) PV (ml/g) dp (nm) d (g/cm

3) P %

CYC-1 TiO2 - 180

0,38 19,4 1,57 0.60

Degussa P25 - 53 0,17 12,2 2,50 0.40

TiO2 (1) 350 44 0,09 5,7 2,89 0,26

TiO2 (2) 350 66 0,06 3,2 3,16 0,29

TiO2 (3) 400 69 0,09 3,8 2,89 0,26

TiO2 (4) 400 71 0,15 6,4 2,46 0,37

TiO2 (5) 350 131 0,32 7,8 1,73 0,56

TiO2 (6) 350 142 0,27 5,6 1,90 0,51

Dal punto di vista della tessitura tutte le titanie sono caratterizzate da una struttura

mesoporosa con porosità compresa tra 0,26 e 0,60 ed una distribuzione dei pori di tipo

monomodale, a parte CYC-1 che invece presenta una bimodalità. Strutturalmente tutti i

materiali, a parte Degussa P25 che contiene una piccola frazione di rutile (15%), sono

costituiti da anatase.

Figura 113: Particolare del catalizzatore supportato per l’utilizzo nel prototipo di reattore

pilota.

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Risultati e discussione

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181

Le prove di resistenza meccanica hanno portato a scartare la metodologia di deposizione

a spruzzo in prima fase, in quanto i campioni di blanket preparati presentavano perdita di

materiale anche per sola manipolazione. Abbiamo quindi focalizzato l’attenzione sulle

tecniche di incipient wetness e dip-coating.

Per valutare quale supporto per il catalizzatore (blanket o tessuto intrecciato) fosse il più

adatto a sopportare il flusso di liquido in ricircolo, sono state effettuate alcune prove

preliminari di resistenza meccanica. In un tipico esperimento il catalizzatore supportato

viene fissato alla griglia circolare di acciaio inox che funziona da sostegno (Figura 113).

Considerando la presenza di H2O2 durante il trattamento, il tessuto è stato fissato per

mezzo di una rete di acciaio inox, o semplicemente con del filo di alluminio. Nelle prove

preliminari il blanket è risultato privo di sufficiente consistenza meccanica, in quanto il

flusso di liquido ne causa lo sfaldamento. Il tessuto intrecciato, invece, essendo più

compatto, si presta meglio a questo tipo di applicazione, essendo sufficiente il filo di

alluminio per il fissaggio, e non si sono osservati segni di degrado meccanico. Il limite

principale del tessuto twill 2x2 riguarda la possibilità di ottenere una carica di TiO2

supportato relativamente bassa, a causa della scarsa area superficiale della fibra. Al

contrario, con il blanket ceramico è stato possibile depositare il 10 % in peso di

catalizzatore. In entrambi i casi durante il trattamento si verifica una perdita della carica di

TiO2 dovuta allo stress meccanico esercitato dal flusso. Tale perdita di materiale è

considerevole nel caso del blanket, che oltre a TiO2 (perdita ca. 70%) rilascia anche una

forma di impurezza granulosa presente nel blanket di partenza e dovuta alla

fabbricazione che non è stato possibile eliminare del tutto durante il prelavaggio della

fibra.

Per quanto riguarda il comportamento dei diversi materiali, non avendo osservato un

miglioramento dell’adesione della polvere con l’utilizzo di TiO2 di sintesi, l’attenzione è

stata rivolta alle titanie commerciali, ed in particolare CYC-1,

Sulla base di tali misure preliminari negli esperimenti successivi è stato utilizzato il

catalizzatore CYC-1 supportato su fibra di vetro twill 2x2.

Durante la fase successiva dello studio di applicabilità sono stati presi in esame i

parametri di processo relativi al trattamento a ricircolo, in particolare siamo andati a

valutare l’effetto singolo della temperatura, della presenza di H2O2, catalizzatore ed UV, e

del dosaggio di H2O2 e TiO2. Per poter avere un ulteriore termine di valutazione, in questa

fase il processo di depurazione delle acque industriali è stato monitorato anche mediante

misure di assorbanza nella regione del visibile.

6.2.2.1 Effetto della temperatura e della presenza di H2O2, UV e TiO2.

L’effetto della temperatura è stato valutato confrontando i risultati di due trattamenti

fotocatalitici eseguiti in reattore di acciaio inox nelle condizioni sperimentali riportate in

Tabella 43 alle temperature di 90°C e 25°C. La Figura 114 e Figura 115 mostrano gli

andamenti di A358 nm, H2O2 e pH in funzione del tempo.

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Risultati e discussione

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182

Tabella 43: Condizioni sperimentali iniziali di trattamento fotocatalitico nel reattore di

acciaio.

0

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

0.6

0.7

0.8

0.9

1

0 20 40 60 80 100 120

Tempo(min)

A/A

0

Fotocatalisi 90°C

Fotocatalisi 25°C

Figura 114: Andamenti di A/A0 nel tempo per due trattamenti fotocatalitici a 90°C e a

temperatura ambiente in reattore, in presenza di H2O2 0,2 M e radiazione UV (45 W/L).

0

500

1000

1500

2000

2500

0 20 40 60 80 100 120

Tempo (min)

pp

m O

2/H

2O

2

0.0

0.2

0.4

0.6

0.8

1.0

1.2

1.4

1.6

pH

/pH

0

Figura 115: H2O2 e pH/pH0 nel tempo per due trattamenti fotocatalitici a caldo e a

temperatura ambiente in reattore, in presenza di H2O2 0,2 M e radiazione UV (45 W/L). ■ H2O2;

● pH/pH0.

Volume/L 13

Temperatura/° 90

TiO2/gL-1

5*10-4

H2O2/M 0,2

Potenza/WL-1

45

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Risultati e discussione

_______________________________________________________________________

183

In Tabella 44 vengono riportati i valori degli ordini di reazione e delle costanti cinetiche

apparenti.

Tabella 44: Ordini di reazione (n) e contanti cinetiche apparenti (k) per l'abbattimento di A358

nm e H2O2 in trattamenti fotocatalitici a 90°C e 25°C in reattore in presenza di H2O2 0,2 M e

radiazione UV (45 W/L). kA ± 0,3; k

TOC±0,1; k

H2O2±100

Dai dati appare chiaro come l’effetto del riscaldamento a 90°C nelle condizioni di

trattamento considerate sia solo quello di accelerare la decomposizione dell’acqua

ossigenata.

Si è passati quindi alla verifica dell’influenza relativa della radiazione UV, del perossido di

idrogeno e di TiO2 escludendo di volta in volta ciascuna variabile. In Tabella 45 vengono

riportati i valori di ordine di reazione e costante cinetica apparente al variare delle

condizioni di trattamento. La Figura 116 riporta gli andamenti di H2O2 e A358 nm in funzione

del tempo per tutti i processi.

Tabella 45: Ordini di reazione (n) e costanti cinetiche apparenti (k) per l'abbattimento di A358

nm e H2O2 al variare delle condizioni di trattamento (TiO2 0.005 g/L, H2O2 0,2 M, radiazione UV

45 W/L). kA ± 0,3; k

TOC±0,1; k

H2O2±100

Trattamento n A358nm kobs A(358 nm)

(h-1

) n H2O2 kobsH2O2

(mgO2L-1

h-1

)

TiO2, H2O2, UV 0,63 4,08 0.1 2371

TiO2, H2O2 0,82 4,42 0,17 1220

H2O2, UV 0,76 4,09 0 2193

H2O2 0,67 3,21 0 1609

TiO2, UV >1 0,14 - -

UV >1 0,08 - -

0

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

0.6

0.7

0.8

0.9

1

0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 110 120

Tempo(min)

A/A

0

Trattamento n A358nm kobsA(358 nm)

(h-1

) n H2O2 kobsH2O2

( mgO2L-1

h-1

)

Fotocatalisi 90°C 0,88 4,23 0.1 2371

Fotocatalisi 25°C 0,56 4,39 0 2015

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Risultati e discussione

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184

0

500

1000

1500

2000

2500

10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 110 120

Tempo (min)

pp

m O

2/H

2O

2

Figura 116: Andamenti di A/A0 e H2O2 per il trattamento delle acque industriali al variare

delle condizioni di trattamento. ● TiO2 5 mg/L + H2O2 0,2M + UV 45 W/L; ▲ TiO2 5 mg/L +

H2O2 0,2M; ■ H2O2 0,2M; ♦ UV 45 W/L; ж H2O2 0,2M + UV 45 W/L; ♦ TiO2 5 mg/L + UV 45 W/L.

Dalla figura è evidente che il processo risulta efficace e porta alla conversione quasi

completa in un’ora di trattamento indipendentemente dalle condizioni utilizzate. Al

contrario il trattamento in presenza della sola radiazione UV causa solo un abbattimento

del 10% del TOC in due ore di processo. La presenza del catalizzatore o della sorgente

UV influenza invece la decomposizione di H2O2.

L’analisi dei dati di cinetica di reazione rivela quanto segue:

1. in presenza e in assenza di catalizzatore l’abbattimento dell’assorbanza a 358

nm segue una cinetica di pseudo-primo ordine;

2. anche in presenza e in assenza di radiazione UV la cinetica di abbattimento di

A358 nm è di pseudo-primo ordine;

3. l’effetto della presenza della radiazione UV è quello di aumentare la velocità di

decomposizione di H2O2, mentre non influenza kobsA(358nm), sia in presenza che in

assenza di catalizzatore;

4. l’effetto della presenza di catalizzatore in assenza di radiazione UV è quello di

diminuire la velocità di decomposizione dell’acqua ossigenata;

5. la presenza di H2O2 è determinante per garantire l’efficacia del processo;

6. il processo è efficace anche in presenza di sola acqua ossigenata.

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Risultati e discussione

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185

0.6

0.7

0.8

0.9

1

1.1

1.2

1.3

0 20 40 60 80 100 120Tempo (min)

pH

/pH

0

TiO2+H2O2+UV TiO2+H2O2H2O2+UV H2O2UV TiO2+UV

0123456789

0 20 40 60 80 100

Tempo (min)

pH

0.6

0.7

0.8

0.9

1

1.1

1.2

1.3

0 20 40 60 80 100 120Tempo (min)

pH

/pH

0

TiO2+H2O2+UV TiO2+H2O2H2O2+UV H2O2UV TiO2+UV

0123456789

0 20 40 60 80 100

Tempo (min)

pH

Figura 117: Andamento del pH/pH0 del refluo sottoposto a diverse condizioni di trattamento

in reattore. Nel riquadro piccolo è rappresentato il tipico andamento del pH nel tempo.

Inoltre, se si osservano le curve del pH, in tutti i casi, in presenza di H2O2, il pH presenta

un andamento a campana rovesciata (Figura 117), dove inizialmente scende a valori

leggermente acidi, probabilmente a causa di meccanismi di ossidazione con formazione

di specie acide quali intermedi; quindi dopo circa 40-60 minuti dall’inizio del trattamento

aumenta a valori basici. Ciò suggerisce la presenza nel sistema di due classi di composti

a diversa degradabilità.

Riassumendo quindi, i dati illustrati indicano quindi che, in condizioni sperimentali

utilizzate, si osserva essenzialmente un processo di abbattimento di tipo Fenton

catalizzato dalle pareti d’acciaio del reattore.

6.2.2.2 Effetto del dosaggio del catalizzatore.

Il confronto tra i risultati sperimentali ottenuti per trattamenti catalitici a caldo effettuati in

reattore di acciaio inox in presenza di diverse quantità di TiO2, H2O2 0,2M e in assenza di

radiazione UV, ha evidenziato una significativa attività di base dovuta al processo

Fenton. Inoltre i sistemi utilizzati presentavano una bassa carica di TiO2 per problemi

inerenti alla preparazione degli stessi.

Sono state quindi condotte una serie di misure al fine di verificare se un aumento della

quantità di catalizzatore potesse portare ad un miglioramento di performance. In Tabella

46 vengono riportati gli ordini di reazione (n) e le costanti cinetiche apparenti relativi

all’abbattimento di A358 nm, TOC, H2O2 per trattamenti effettuati sia in assenza che in

presenza di TiO2 a due diverse concentrazioni. La Figura 118 mette a confronto gli

andamenti di A358nm e H2O2 nei tre casi.

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Risultati e discussione

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186

Tabella 46: Valori di ordine di reazione (n) e costanti cinetiche apparenti (k) per

l'abbattimento di A358 nm, TOC e H2O2 ottenuti per i trattamenti in presenza di H2O2 0,2M e di

diverse quantità di catalizzatore, in assenza di radiazione UV. kA ± 0,3; k

TOC±0,1; k

H2O2±100

0.0

0.5

1.0

1.5

2.0

2.5

3.0

0 20 40 60 80 100 120

Tempo (min)

A 3

58

nm

0

500

1000

1500

2000

2500

pp

m O

2/H

2O

2

Figura 118: Abbattimento di A358 nm e H2O2 ottenuti per trattamenti a 90°C con H2O2 0,2 M in

assenza di radiazione UV e per diversi dosaggi di catalizzatore. ♦ H2O2 0,2M; ● TiO2 5 mg/L +

H2O2 0,2M; ▲ TiO2 80 mg/L + H2O2 0,2M. Simboli pieni: A358nm; simboli vuoti: H2O2.

L’aumento del dosaggio del catalizzatore comporta un miglioramento in termini di

efficienza di abbattimento del COD, se si confrontano gli andamenti sia di A358nm sia di

H2O2 (Figura 118). Ciò è confermato dai valori delle rispettive costanti cinetiche

apparenti. Nel caso di A358nm aumentando la concentrazione di TiO2 si ottiene un

aumento della pendenza della curva di decomposizione, che va a zero in tempi di

trattamento inferiori. Per quanto riguarda H2O2, invece, va notato che l’aumento della

quantità del catalizzatore non incide sulla sua velocità di decomposizione. Infine, il

confronto tra i valori delle costanti cinetiche per l’assorbanza e per il TOC evidenzia la

probabile presenza di classi di composti che si differenziano per degradabilità.

6.2.2.3 Effetto del dosaggio di H2O2.

Il lavoro di ricerca è proseguito con la valutazione dell’influenza della concentrazione di

H2O2 nel sistema di reazione, sia in presenza che in assenza di radiazione UV. In Tabella

Trattamento n

A358nm

kobsA(358nm)

(h-1

)

n

TOC

kobsTOC

(h-1

)

n

H2O2

kobsH2O2

(mgO2L-1

h-1

)

H2O2 0,2 M 0,67 3,21 - - 0 1609

H2O2 0,2M+TiO2 5 mg/L 0,82 4,42 - - 0,17 1220

H2O2 0,2M+TiO2 80 mg/L 0.8 7,27 0,6 2,04 0,26 976

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Risultati e discussione

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187

47 sono riportati gli ordini di reazione e le costanti cinetiche apparenti relativi alla

riduzione dell’assorbanza a 358 nm ed alla decomposizione di H2O2 in presenza di H2O2

0,1-0,2 M e di radiazione UV (andamenti in Figura 119).

Tabella 47: Valori di ordine di reazione (n) e costanti cinetiche (k) per l'abbattimento di A358

nm e H2O2 ottenuti per i trattamenti a caldo in presenza di H2O2 0,2M o 0,1M e radiazione UV

(45 W/L), in assenza di catalizzatore. kA ± 0,3; k

TOC±0,1; k

H2O2±100

0

500

1000

1500

2000

2500

0 20 40 60 80 100 120

Tempo (min)

pp

m O

2/H

2O

2

0

0.2

0.4

0.6

0.8

1

1.2

A/A

0

5

6

7

8

9

10

0 20 40 60 80 100 120Tempo (min)

pH

0

500

1000

1500

2000

2500

0 20 40 60 80 100 120

Tempo (min)

pp

m O

2/H

2O

2

0

0.2

0.4

0.6

0.8

1

1.2

A/A

0

5

6

7

8

9

10

0 20 40 60 80 100 120Tempo (min)

pH

Figura 119: Andamenti di assorbanza a 358 nm e di H2O2 durante i trattamenti a 90°C in

presenza di H2O2 0,2 M o 0,1 M e radiazione UV, in essenza di catalizzatore. ■ H2O2 0,1M + UV

27 W/L; ● H2O2 0,2M + UV 27 W/L. Simboli pieni: A/A0; simboli vuoti: H2O2. In piccolo

vengono riportati i rispettivi andamenti del pH.

I valori delle relative costanti cinetiche kobsA(358 nm) indicano che in realtà i trattamenti

procedono con velocità di reazione paragonabili (essendo le k relative comprese entro

l’errore sperimentale). Va notato che gli andamenti relativi alla decomposizione di H2O2

sono diversi, e che il dimezzamento del dosaggio iniziale di acqua ossigenata non ne

inficia il tempo di residenza nel reattore. Questo comportamento può essere giustificato

confrontandolo con l’andamento del pH nel tempo: inizialmente diminuisce,

probabilmente a causa dell’ossidazione di composti con formazione di intermedi di natura

acida; dopo circa 40-60 minuti di trattamento il pH aumenta a valori basici, che possono

essere dovuti alla formazione di diversi composti di degradazione, per esempio

attraverso meccanismi di decarbossilazione. È noto che l’acidità del mezzo di reazione

rallenta la decomposizione di H2O2, e questo è visibile confrontando le curve del

consumo di ossidante con quelle di pH. L’aumento di quest’ultimo a valori basici

corrisponde al crollo della concentrazione di H2O2. Nel caso del trattamento con H2O2

Trattamento n A358nm kobsA(358 nm)

(h-1

) n H2O2 kobsH2O2

( mgO2L-1

h-1

)

H2O2 0,2M+UV 0,76 4,09 0 2193 H2O2 0,1M+UV 0,77 3,75 0 711

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Risultati e discussione

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188

0,1M questa inversione di andamento del pH avviene a tempi di trattamento più lunghi, e

ciò potrebbe giustificare la maggior durata dell’agente ossidante.

In Tabella 48 sono riportati ordini di reazione e costanti cinetiche relativi alla riduzione di

A(358 nm), TOC ed alla decomposizione di H2O2 in presenza di H2O2 0,1M e 0,2M in

assenza di radiazione UV (andamenti in Figura 120 e Figura 121).

Tabella 48: Valori di ordine di reazione (n) e costanti cinetiche apparenti (k) per

l'abbattimento di A358 nm , TOC e H2O2 ottenuti per i trattamenti in presenza di H2O2 0,2M o

0,1M e in assenza di radiazione UV e di catalizzatore. kA ± 0,3; k

TOC±0,1; k

H2O2±100

0

500

1000

1500

2000

2500

0 20 40 60 80 100 120Tempo (min)

pp

m O

2/H

2O

2

0

0.2

0.4

0.6

0.8

1

1.2

A/A

0

5

6

7

8

9

10

0 20 40 60 80 100 120Tempo (min)

pH

0

500

1000

1500

2000

2500

0 20 40 60 80 100 120Tempo (min)

pp

m O

2/H

2O

2

0

0.2

0.4

0.6

0.8

1

1.2

A/A

0

5

6

7

8

9

10

0 20 40 60 80 100 120Tempo (min)

pH

Figura 120: Andamenti di assorbanza a 358 nm e di H2O2 durante i trattamenti a 90°C in

presenza di H2O2 0,2 M o 0,1 M in assenza di radiazione UV e di catalizzatore. . ■ H2O2 0,1M;

● H2O2 0,2M. Simboli pieni: A/A0; simboli vuoti: H2O2.

Trattamento n

A358nm

kobsA(358 nm)

(h-1

)

n

TOC

kobsTOC

(h-1

)

n

H2O2

kobsH2O2

( mgO2L-1

h-1

) H2O2 0,2M 0,67 3,21 - - 0 1609 H2O2 0,1M 1,06 2,91 1,33 0,79 0 439

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Risultati e discussione

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189

0

100

200

300

400

500

600

0 20 40 60 80 100 120

Tempo (min)

TO

C (

mg

/L)

0.0

0.5

1.0

1.5

2.0

A 3

58

nm

Figura 121: Andamenti per l'abbattimento di TOC e A358 nm per il trattamento a caldo in

presenza di H2O2 0,1 M e in assenza di radiazione UV e di catalizzatore. ♦ TOC; ● A358nm.

Anche in assenza di radiazione UV gli andamenti relativi all’abbattimento di A235 nm

seguono due cinetiche di reazione paragonabili e indipendenti dalla concentrazione di

H2O2 utilizzata. Al contrario, l’analisi della Figura 121 rivela come gli andamenti di A358 nm

e TOC per il trattamento con H2O2 0,1M siano diversi tra di loro. In particolare va

evidenziato che, al tempo corrispondente ad un valore dell’assorbanza nel visibile quasi

nullo, dopo ca. un’ora di trattamento, in realtà è presente ancora ca. il 40 % di TOC. Va

inoltre evidenziato come l’andamento del TOC segua quello relativo all’abbattimento di

A358 nm nella prima parte della curva, mentre si verifica un cambiamento della pendenza

quando l’assorbanza residua raggiunge il 20%, a ca. 50 minuti dall’inizio del trattamento.

Ciò conferma l’ipotesi secondo la quale nella miscela sarebbero presenti due classi di

composti, che si differenziano per degradabilità, la cui decomposizione segue due

meccanismi che probabilmente avvengono in maniera simultanea: una prima classe più

facilmente degradabile costituita dalla parte “colorata”, ed una seconda classe più

“refrattaria” la cui decomposizione procede a velocità inferiore. Se infatti si fittano i dati

relativi all’abbattimento del TOC durante il trattamento in presenza di H2O2 0,1M

considerando la presenza di due meccanismi diversi, si ottengono una cinetica di ordine

1 per il primo tratto, ed una cinetica di ordine 0 per il secondo, aventi le costanti kI1 1,1 h-1

e k02 83 mgO2L

-1h-1. Il fatto che kI1 sia circa tre volte più piccola di kA358nm potrebbe essere

indice del fatto che i due meccanismi di decomposizione procedono in maniera

simultanea, per cui kI1 ne rappresenta la somma durante la prima fase di degradazione. Il

secondo meccanismo prevale nel momento in cui la frazione colorata è quasi del tutto

degradata, e la decomposizione procede con una cinetica di ordine zero. Infine, se si

confronta l’andamento del TOC con quello di H2O2 in Figura 120-121, è possibile notare

come il cambiamento di velocità di decomposizione dei contaminanti avvenga in

corrispondenza alla scomparsa della concentrazione dell’agente ossidante, dopo circa 60

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Risultati e discussione

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190

minuti dall’inizio del trattamento. Ciò è in accordo con quanto precedentemente osservato

durante la sperimentazione sul percolato di discarica.

6.2.2.4 Valutazione di un modello matematico per la parametrizzazione del

processo.

Sulla base dei risultati sperimentali è stato implementato un modello cinetico per

descrivere la decontaminazione delle acque industriali attraverso il sistema a ricircolo

utilizzato, che è schematizzato in Figura 122. La consistenza del modello ottenuto è stata

valutata per confronto con i dati sperimentali precedentemente ottenuti. Lo scopo della

modellizzazione è quello di verificare l’applicabilità del processo alle condizioni industriali.

ReattoreV1 (L)

RiservaV2 (L)

Flusso F (L/h)

ReattoreV1 (L)

RiservaV2 (L)

Flusso F (L/h)

Figura 122: Schema di sistema di trattamento a circolo per la decontaminazione delle acque

reflue. In tabella sono riportati i valori dei parametri utilizzati nella sperimentazione in

laboratorio.

Il modello è stato ottenuto considerando l’equazione differenziale generica per una

cinetica del primo ordine

kCdt

dC=

− (63)

V1 (L) 1

V2 (L) 12

F (L/h) 360

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Risultati e discussione

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191

che integrando diventa

[ ] [ ] [ ] FV

kk eTOCeTOCTOC1

00

−− ∗=∗= τ (64)

dove FV1=τ è il tempo di residenza di un volume V1 di refluo nel reattore a flusso

durante un ciclo, e τ∗= nt rappresenta il tempo di trattamento dopo n cicli.

Dopo un ciclo di trattamento nel reattore il refluo passa da una concentrazione iniziale C0

ad una concentrazione C1. Per effetto della diluizione, quindi, la concentrazione totale

all’inizio del ciclo successivo può essere espressa dalla seguente equazione

2011 VCVCVC tottot ∗+∗=∗ (65)

Che dopo n cicli diventa

( ) ( )2111 VCVeCVC n

kt

ntotn ∗+∗∗=∗ −−

− (66)

Per cui all’aumentare del numero n di cicli di trattamento la concentrazione Cn del refluo

industriale varia nel tempo secondo il modello esponenziale descritto dall’equazione

( ) ( )

tot

n

kt

n

nV

VCVeCC 2111 ∗+∗∗

= −

− con F

Vnnt 1∗

=∗= τ (67)

Ricordando l’osservazione fatta per la figura 120 riguardo la probabile esistenza di due

meccanismi di reazione, è necessario combinare il modello di tipo esponenziale adatto a

descrivere il primo meccanismo caratterizzato da una cinetica di ordine 1, con

un’espressione che descriva la seconda parte della curva di decomposizione in cui

prevale una cinetica di ordine zero.

L’equazione generica per una cinetica di ordine zero è

kdt

dC=− (68)

che nella forma integrata per n cicli di trattamento diventa

tkCC nn ∗−= −1 con F

Vnnt 1∗

=∗= τ (69)

Sulla base dei dati sperimentali ottenuti per più trattamenti si è visto che le variazioni

percentuali del TOC che si verificano nella prima e nella seconda fase del processo sono

costanti, e corrispondono rispettivamente al 60% e al 40% di riduzione. Il modello

matematico è stato, perciò, implementato considerando due meccanismi di reazione

consecutivi, in cui il cambiamento di regime cinetico avviene quando il TOC residuo

corrisponde al 40% del valore iniziale.

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Risultati e discussione

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192

( ) ( )

tot

n

tk

n

nV

VCVeCC

I

2111 )1()1()1(

∗+∗∗= −

−−

con F

Vnnt 1∗

=∗= τ (70)

tkCC nn ∗−= −0

1 )2()2( (71)

Combinando le due equazioni cinetiche, che vengono applicate nei rispettivi regimi di

reazione ed utilizzando le costanti cinetiche sperimentali, si ottiene una buona

approssimazione dei dati sperimentali come dimostrato in Figura 123.

0

100

200

300

400

500

600

0 1 2 3 4 5 6

Tempo (h)

TO

C (

mg

O2 L

-1)

Dati sperimentali

Modellizzazione

Figura 123: Confronto tra dati sperimentali e calcolati secondo il modello a doppia cinetica

per il trattamento effettuato in presenza di H2O2 0,1 M in reattore inox, in assenza di

catalizzatore e radiazione UV.

Al fine di modellizzare le condizioni del processo industriale, va tenuto presente che :

a) Le costanti cinetiche misurate nel corso del presente lavoro sono relative al

sistema considerato ed, in particolare, assumendo che la reattività sia

catalizzata dalle pareti d’acciaio, all’area superficiale dello stesso;

b) Nel reattore industriale vi è una continua generazione di COD nel tempo che,

per semplicità è stata assunta nel modello essere di ordine zero.

Pertanto, per poter applicare il modello anche a sistemi diversamente dimensionati e per

evitare modelli inutilmente complessi, al posto delle costanti cinetiche k1I e k2

0

determinate sperimentalmente in precedenza è stato utilizzato il valore medio delle

stesse, inoltre, tale costante apparente, è stata normalizzata rispetto alla superficie

d’acciaio utilizzata.

E’ stato quindi implementato un modello in cui sono stati combinati i meccanismi di

formazione e decontaminazione del substrato.

Se si considera un impianto in cui la velocità di ricircolo è sufficientemente elevata, il

sistema può essere rappresentato in maniera semplificata attraverso un CSTR

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Risultati e discussione

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193

(Continuous Stirred Tank Reactor), ossia un unico reattore omogeneamente miscelato. In

esso perciò avvengono consecutivamente i meccanismi di contaminazione e

decontaminazione

321 CCC df kk→→

che consideriamo rispettivamente a cinetica lineare (ordine 0, k1) ed esponenziale (ordine

primo, k2).

La velocità di formazione di C2 (TOC) è data dall’espressione

[ ]2212 Ckk

dt

dC−= o [ ] 122

2 kCkdt

dC=+ (72)

Per integrare questa equazione si ricorre ad una formula per l’integrazione di equazioni

differenziali lineari del primo ordine

( ) ( ) ( ) ( )xfxyxadx

xdy=+ (73)

che ha come soluzione generica

( ) ( ) ( ) ( ) dxexfeeyxyax

x

x

axxAxA

∫−− +=

0

0 )(

0 (74)

Se poniamo y(x)= C2, a(x)= k2, f(x)= k1 e x=t

( ) ( )dtekeeCtC

tk

t

tktkk 2222

0

1

0*0

22 ∫−− += (75)

( ) dtekeeCtC

t

tktktk

∫−− +=

0

1

0

22222 (76)

( ) tktktke

k

keeCtC 222

2

10

22

−− += (77)

( )2

10

222

k

keCtC

tk += − (78)

Ponendo t=0 si ricava la costante C20 che assume il valore

1

20

2k

kC = (79)

e sostituendo in (78) diventa

( ) ( )tktke

k

k

k

ke

k

ktC 22 1

2

1

2

1

1

22

−− −=+= (80)

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Risultati e discussione

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194

C2 tende nel tempo ad assumere il valore k1/k2, che è il fattore limitante ed è tanto più

piccolo quanto più grande è k2. k1 viene determinata per una cinetica lineare

considerando ∆C=500 mgO2/L in 6 ore. Poiché k2 descrive un processo del primo ordine,

essa dipende solo dalla superficie di catalizzatore utilizzato [h-1(m2)-1] ed aumenta

proporzionalmente. In figura 65 è riportato l’andamento di TOC nel tempo calcolato

l’equazione (80) considerando una superficie catalitica utilizzata di 0,38 m2 (condizioni di

laboratorio) e 1 m2. Come si può osservare le condizioni sperimentali di laboratorio sono

sufficienti a mantenere il TOC ad una concentrazione inferiore al valore limite per lo

scarico in acque superficiali previsto dalla legge italiana per lo smaltimento dei fluidi (160

mgO2/L).

Figura 124: Simulazione dell’andamento di TOC in funzione del tempo per il processo

combinato nel sistema CSTR: k1=83 mgO2L-1

calcolata per una cinetica lineare in cui ∆∆∆∆C=500

mgO2/L in 6 ore; (A) k2=0,79 h-1

e superficie catalitica=0,38 m2; (B) k2=2,08 h

-1 e superficie

catalitica=1m2.

0

100

200

300

400

500

600

0 1 2 3 4 5 6 7

Tempo (h)

TO

C (m

gO

2/L

) co

nta

min

azio

ne

0

20

40

60

80

100

120

TO

C (m

gO

2/L

) p

rocesso

cata

litico

Contaminazione

Processo catalitico

A

0

100

200

300

400

500

600

0 1 2 3 4 5 6 7

Tempo (h)

TO

C (m

gO

2/L

) co

nta

min

azio

ne

0

5

10

15

20

25

30

35

40

45

TO

C (m

gO

2/L

) p

rocesso

cata

litico

Contaminazione

Processo catalitico

B

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Risultati e discussione

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195

6.2.3 Considerazioni finali.

Il processo fotocatalitico con TiO2 è stato applicato alla degradazione dei contaminanti da

acque reflue provenienti dall’industria del sughero. Le prove preliminari effettuate nella

prima fase della sperimentazione hanno confermato alcuni aspetti importanti del

processo, precedentemente evidenziati durante lo studio condotto con il percolato di

discarica:

1. la presenza di un sinergismo H2O2/UV, che incrementa la resa del processo;

2. l’effetto negativo di valori basici di pH sull’efficacia del sistema

catalizzatore/ossidante dovuto alla decomposizione di H2O2;

3. il contributo positivo dato dall’immissione di aria nell’ambiente di reazione alla

resa;

4. la presenza di un regime cinetico di pseudo-primo ordine per l’abbattimento dei

contaminanti, contrariamente a quanto stabilito da dati di letteratura per valori di

flusso fotonico superiori a 3 mW/cm2, quali quelli dei sistemi utilizzati nel

presente studio; la presenza di una cinetica di ordine zero per la decomposizione

di H2O2;

5. la maggiore efficacia della fotocatalisi con TiO2 rispetto al processo fotofenton.

Tuttavia, gli studi hanno evidenziato che, nel caso delle acque industriali, anche il

trattamento con la sola H2O2, oppure la fotoeccitazione del catalizzatore (TiO2>Fe3+) sono

in grado di abbattere TOC, seppure in tempi prolungati (5 ore).

La sperimentazione, quindi, è proseguita in un prototipo di impianto pilota, costruito in

previsione della progettazione di un sistema di trattamento in situ per il recupero del

refluo, composto da due reattori di acciaio inox 304 collegati tra di loro in serie/parallelo

ed alimentati da un sistema a ricircolo per la termostatazione del fluido. La prima parte

della sperimentazione è stata condotta utilizzando uno dei due reattori alimentato a

ricircolo.

Sulla base di dati di assorbanza nella regione del visibile si possono riassumere le

seguenti conclusioni:

1. è stata evidenziata una significativa attività catalitica dovuta al reattore stesso,

dato confermato per confronto con il trattamento effettuato in presenza della sola

H2O2 in un sistema di vetro.

2. il processo condotto nel reattore di acciaio inox è efficace anche in presenza

della sola H2O2: l’effetto di TiO2 è quello di aumentare la durata di H2O2, al

contrario la presenza della radiazione UV ne promuove la decomposizione. In

entrambi i casi non viene modificata in modo sostanziale la cinetica di

abbattimento di A358nm, che è di pseudo-primo ordine. La decomposizione di H2O2

segue invece una cinetica di ordine zero.

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Risultati e discussione

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196

3. il riscaldamento a 90°C nel caso del trattamento fotocatalitico in reattore inox ha

come unico effetto quello di velocizzare la decomposizione di H2O2, mentre non

modifica l’andamento dell’abbattimento di A358nm.

4. in assenza di catalizzatore il dimezzamento di H2O2 da 0,2M a 0,1M non ha un

effetto apprezzabile sulla velocità di decomposizione di A358nm, e ciò sta a

indicare che l’agente ossidante alle concentrazioni considerate è ancora presente

in eccesso rispetto alla frazione degradabile. Si riconferma inoltre la presenza di

un sinergismo tra H2O2 e UV.

5. in assenza di radiazione UV nel reattore inox, l’aumento della concentrazione di

TiO2 incrementa sia la velocità di decontaminazione sia la durata di H2O2.

6. in presenza di radiazione UV utilizzando il reattore in vetro, l’aumento del

dosaggio di TiO2 determina un aumento della degradazione della frazione

colorata fino ad un dosaggio di 0,5 g/L di TiO2, ma per quantità superiori

probabilmente ha un effetto schermante sulla radiazione UV.

Per una corretta valutazione del processo è stato monitorato anche l’andamento del TOC

nel tempo. Nonostante TOC e A358nm presentino due andamenti diversi tra di loro, è

possibile trovare delle corrispondenze:

1. il confronto tra la curva di abbattimento del TOC e quella relativa alla diminuzione

del colore, rivela un cambiamento di pendenza della prima nel momento in cui

l’assorbanza è quasi nulla. Ciò è stato associato alla presenza di due classi di

composti a diversa degradabilità che vengono decontaminati attraverso due

meccanismi differenti.

2. il primo tratto della curva del TOC segue l’andamento dell’assorbanza nella

regione del visibile, e descrive la prima fase di decomposizione della classe più

facilmente degradabile (presumibilmente quei composti che determinano la

colorazione delle acque); il secondo tratto invece ha pendenza inferiore, essendo

relativo all’eliminazione della parte più “refrattaria” della miscela.

3. i dati cinetici indicano che le due diverse classi di composti vengono decomposte

in maniera simultanea.

4. l’aumento del dosaggio di TiO2 nel caso del processo fotocatalitico ha un effetto

positivo sulla velocità di decomposizione del TOC, ma non si deve escludere il

contributo dato dall’assorbimento dei contaminanti sulla superficie del

catalizzatore.

Complessivamente i dati indicano quindi che la decontaminazione può essere condotta in

modo efficiente utilizzando un sistema di tipo Fenton, catalizzato da superfici di acciaio.

La modellizzazione matematica dell’abbattimento dei contaminati dal refluo industriale

sulla base di quanto assunto, ha permesso di parametrizzare il processo sulla base delle

dimensioni dell’impianto. I dati sperimentali per il processo Fenton-like, in presenza di

H2O2 0,1M, sono stati fittati attraverso un modello cinetico per il funzionamento di un

sistema a flusso, che considera la presenza di due meccanismi cinetici diversi in

sequenza per la decontaminazione del refluo. Sulla base dei dati cinetici ottenuti

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Risultati e discussione

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197

sperimentalmente è stato poi sviluppato un modello per un sistema CSTR, che possa

prevedere l’andamento del TOC nel tempo a seguito delle reazioni consecutive di

contaminazione e decontaminazione, per un impianto di trattamento opportunamente

dimensionato (superficie catalitica usata). Le condizioni utilizzate in laboratorio si sono

rivelate sufficienti a mantenere, durante un tempo di trattamento di 6 ore, il valore di TOC

al di sotto della soglia limite scaricabile su acque superficiali prevista dalla legge.

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Conclusioni _______________________________________________________________________

199

7 Conclusioni generali.

La presente tesi di dottorato si focalizza sulla strutturazione di nanomateriali a base di

ossidi metallici, per applicazione come isolanti termici ad alta efficienza, o come

fotocatalizzatori per l’abbattimento dei contaminanti da acque reflue.

Nel campo dell’isolamento termico l’attenzione è stata focalizzata su Al2O3, che, grazie

alle sue uniche proprietà di tessitura, ottenute attraverso una scelta accurata delle

condizioni di sintesi via sol-gel, si presta anche come supporto catalitico. Lo studio della

capacità di termoisolamento di materiali a base di Al2O3 ha rivelato uno diretta

dipendenza di proprietà quali diffusività e conducibilità termica dalle caratteristiche di

tessitura e di struttura dell’ossido, e quindi dalle condizioni di sintesi utilizzate. In

particolare è stato stabilito che la velocità di agitazione in fase di precipitazione gioca un

ruolo molto importante nella determinazione delle proprietà reologiche e di tessitura del

gel-sospensione, risultante dal trattamento termico in solvente alcolico, che rappresenta il

precursore che meglio si presta ad essere supportato per la strutturazione di un

composito fibra/aerogel quale prodotto finale.

Nella progettazione di un materiale termoisolante è errato basare la valutazione

dell’efficienza dello stesso esclusivamente sul parametro di conducibilità termica, ma

deve essere presa in considerazione anche la diffusività dell’ossido, che descrive la

velocità di trasferimento del calore, su cui si basa per esempio il test alla fiamma per la

classificazione di questa tipologia di materiali. Un buon termoisolante, perciò, deve

essere privo di macropori, che, nonostante partecipino ad una riduzione di λ, hanno un

effetto negativo sulla diffusività del materiale. Per massimizzare la capacità di

termoisolamento è possibile modulare le caratteristiche di tessitura entro un intervallo

relativamente ampio di diametro dei pori nella regione meso, con il vantaggio che,

aumentando le dimensioni, aumentano anche la resistenza meccanica e la stabilità

termica dell’ossido. Al di là dell’importanza della tessitura nell’ottimizzazione dei valori di

α e λ finali, la morfologia di assemblaggio del materiale incide ancora più pesantemente

sul trasferimento dell’energia termica, poiché, a seconda che si disponga di un aggregato

o di un agglomerato, la conducibilità e la diffusività possono aumentare di un ordine di

grandezza. Si può, perciò, concludere che, sebbene l’attenzione venga in genere posta

sui sinterizzati, è opportuno progettare il materiale termoisolante in forma aggregata soft.

Da qui la necessità dell’elaborazione di un modello matematico che implementi la già

esistente Effective Medium Percolation Theory per la previsione della conducibilità

effettiva di un materiale, sulla base delle sue proprietà strutturali e di tessitura.

Lo studio del processo di sintesi ha permesso di evidenziare l’importanza dei parametri di

sintesi sui processi di aggregazione nel gel-precursore di aerogel che indirizzano in modo

critico le proprietà di tessitura del prodotto finale. Il lavoro di ottimizzazione di tali

parametri ha permesso di realizzare lo scale up del processo su cala industriale.

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Conclusioni _______________________________________________________________________

200

La seconda parte del lavoro di ricerca è stata focalizzata sull’abbattimento di

contaminanti da percolato di discarica ed acque reflue industriali per via fotocatalitica

mediante processi di tipo APO.

L’APO, ed in particolare la fotocatalisi con TiO2, si è rivelato un metodo di trattamento

efficiente e versatile, rendendo possibile la decontaminazione di reflui di diversa natura,

dalle acque industriali al più complesso percolato di discarica. Lo studio dei parametri di

processo ha evidenziato, infatti, la possibilità di semplificare il trattamento, a seconda

della complessità del refluo. Mentre nel caso del percolato di discarica è necessario un

trattamento con il sistema TiO2/H2O2/UV “completo”, in quanto in virtù del sinergismo

H2O2/UV il contenuto di COD scende a livelli sufficientemente bassi da innescare il

processo di sola fotocatalisi, il refluo proveniente dall’industria del sughero può essere

depurato anche in presenza del solo agente ossidante, o per effetto della sola

fotocatalisi. In questo caso, i tempi osservati sono più brevi rispetto a quelli richiesti per la

decontaminazione del percolato (8 ore), non solo per la presenza di una carica inferiore

di COD ma anche le contanti di velocità risultano più elevate. Ciò puà essere attribuito sia

alla complessità della miscela che a possibili interferenze dovute alle varie impurità

presenti nel caso del percolato. I dati indicano che in entrambi i casi è possibile

aumentare l’efficienza del processo mediante un’alimentazione in continuo dell’agente

ossidante. Infine, con l’approfondimento dello studio del trattamento delle acque

industriali nel prototipo di reattore pilota e la modellizzazione matematica

dell’abbattimento dei contaminanti, è stato possibile parametrizzare il processo sulla base

delle dimensioni dell’impianto, confermandone la fattibilità ed applicabilità su scala

industriale.

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