Edward Bunker - Educazione Di Una Canaglia

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Edward Bunker EDUCAZIONE DI UNA CANAGLIA Titolo originale "Education of a Felon" Traduzione di Emanuela Turchetti © 2000 by Edward Bunker © 2002 Giulio Einaudi Editore, Torino ISBN: 978-88-0619-1436 NOTA DI COPERTINA. Dopo il grande successo di "Come una bestia feroce" arriva in Italia il capolavoro di Edward Bunker, il libro in cui l'autore racconta la vera storia della sua vita. Un affresco potente, rude e antiromantico, dal primo ingresso nella prigione di San Quentin a diciassette anni alla Los Angeles di oggi. Salutato in America come un caso letterario senza precedenti. Le esperienze di Edward Bunker nelle prigioni peggiori della California, per le strade di Los Angeles e nel sottobosco di Hollywood lo hanno accreditato a scrivere alcuni dei più conturbanti ed efficaci romanzi moderni sul carcere. Basti pensare che Quentin Tarantino ha definito "Little Boy Blue" «il miglior romanzo del crimine in prima persona che io abbia mai letto», mentre il «New York Times» ha scritto, del suo romanzo "Cane mangia cane", che Bunker si è spinto più avanti di quanto Chandler e Hammett avessero mai sognato. Ora finalmente, con questo libro, i lettori possono entrare, senza alcuna finzione narrativa, nel mondo duro e non edulcorato di Bunker. Sia che fumi uno spinello seduto sulla sedia della camera a gas, o che prenda in mano un coltello usato da un serial killer, o che nuoti tra i marmi della sfarzosa piscina Nettuno a San Simeon, California, Bunker si limita a esporre la sua mercanzia, nuda e cruda. Il risultato è agghiacciante, eppure non privo di una sua orgogliosa morale, perché è la pura verità. «Avrei potuto giocare meglio le mie carte, senza dubbio, e ci sono cose di cui mi vergogno, ma quando mi guardo allo specchio, sono fiero di quello che sono. I tratti del mio carattere che mi hanno fatto combattere il mondo sono gli stessi che mi hanno permesso di farmi valere». Edward Bunker. «Bunker è uno scrittore americano autentico, assolutamente originale». James Ellroy. «Edward Bunker descrive l'altro mondo dei reietti con la passione e l'intensità di chi ha vissuto una vita

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Transcript of Edward Bunker - Educazione Di Una Canaglia

  • Edward Bunker

    EDUCAZIONE DI UNA CANAGLIATitolo originale "Education of a Felon"

    Traduzione di Emanuela Turchetti

    2000 by Edward Bunker

    2002 Giulio Einaudi Editore, Torino

    ISBN: 978-88-0619-1436

    NOTA DI COPERTINA.Dopo il grande successo di "Come una bestia feroce" arriva in Italia il capolavoro di Edward Bunker, il libro in cui l'autore racconta la vera storia della sua vita. Un affresco potente, rude e antiromantico, dal primo ingresso nella prigione di San Quentin a diciassette anni alla Los Angeles di oggi. Salutato in America come un caso letterario senza precedenti.

    Le esperienze di Edward Bunker nelle prigioni peggiori della California, per le strade di Los Angeles e nel sottobosco di Hollywood lo hanno accreditato a scrivere alcuni dei pi conturbanti ed efficaci romanzi moderni sul carcere. Basti pensare che Quentin Tarantino ha definito "Little Boy Blue" il miglior romanzo del crimine in prima persona che io abbia mai letto, mentre il New York Times ha scritto, del suo romanzo "Cane mangia cane", che Bunker si spinto pi avanti di quanto Chandler e Hammett avessero mai sognato.

    Ora finalmente, con questo libro, i lettori possono entrare, senza alcuna finzione narrativa, nel mondo duro e non edulcorato di Bunker. Sia che fumi uno spinello seduto sulla sedia della camera a gas, o che prenda in mano un coltello usato da un serial killer, o che nuoti tra i marmi della sfarzosa piscina Nettuno a San Simeon, California, Bunker si limita a esporre la sua mercanzia, nuda e cruda. Il risultato agghiacciante, eppure non privo di una sua orgogliosa morale, perch la pura verit.

    Avrei potuto giocare meglio le mie carte, senza dubbio, e ci sono cose di cui mi vergogno, ma quando mi guardo allo specchio, sono fiero di quello che sono. I tratti del mio carattere che mi hanno fatto combattere il mondo sono gli stessi che mi hanno permesso di farmi valere.

    Edward Bunker.

    Bunker uno scrittore americano autentico, assolutamente originale.

    James Ellroy.

    Edward Bunker descrive l'altro mondo dei reietti con la passione e l'intensit di chi ha vissuto una vita

  • sul margine.

    Los Angeles Times.

    Bunker tra i pochi scrittori americani la cui opera esprime insieme integrit, abilit tecnica e passione morale.

    William Styron.

    Edward Bunker l'autore di due libri di grande successo anche in Italia, "Dog Eat Dog" ("Cane mangia cane", Einaudi Stile libero 1999), "No Beast So Fierce" ("Come una bestia feroce" 2001), "Little Boy Blue" (2002) e "Animal Factory" (2003). Entrato nel penitenziario di San Quentin (per la prima volta) a diciassette anni, ne ha poi passati diciotto in carcere, in tre periodi successivi, ed stato fuori per venticinque. Si pu dire che quasi met vita adulta l'abbia passata in carcere, e l'altra met a scrivere del carcere, facendone la rappresentazione pi potente del nostro tempo. Oggi, pacificato, vive a Los Angeles con la giovane moglie e un figlio, molto amato dal mondo del cinema. famosa la sua parte di Mister Blue in "Reservoir Dogs", "Le iene", di Quentin Tarantino.

    EDUCAZIONE DI UNA CANAGLIA

    "Dedico questo libro a mio figlio.

    Ho aspettato tanti anni per potergli servire

    una mano migliore di quella che toccata a me.

    Sono sicuro che giocher le sue carte

    meglio di come io ho giocato le mie."

    CAPITOLO PRIMO.

    N CIELO, N INFERNO.

    Nel marzo del 1933, la California del Sud all'improvviso prese a ballare al ritmo di un rock and roll che risuonava dal ventre della terra. I soprammobili danzarono sulle mensole dei caminetti prima di schiantarsi a terra. Le finestre andarono in frantumi e precipitarono a cascata sui marciapiedi. Le case di canniccio intonacato scricchiolarono accartocciandosi, prima su un lato e poi sull'altro, come scatole di fiammiferi. Gli edifici di mattoni restarono in piedi finch non furono sopraffatti dalle vibrazioni, e poi rovinarono al suolo sparendo in cumuli di calcinacci e nuvole di polvere. Il Long Beach Civic Auditorium croll, e in molti restarono uccisi. In seguito mi raccontarono che ero stato concepito nel momento preciso in cui la terra aveva tremato, e quando ero venuto al mondo, alla vigilia del Capodanno 1933, all'ospedale Cedars of Lebanon di Hollywood, Los Angeles era sommersa da un diluvio torrenziale, gli alberi di palme e le case fluttuanti nella fiumana dei canyon.

    All'et di cinque anni, sentii mia madre affermare che il terremoto e il nubifragio erano cattivi presagi, poich fin dall'inizio avevo creato problemi, a cominciare dalle coliche. A due anni sparii durante un picnic di famiglia a Griffith Park. Duecento uomini setacciarono la boscaglia per met della nottata. A tre anni, non so come, riuscii a demolire

  • l'inceneritore di un vicino, piazzato nel cortile sul retro della sua casa, servendomi di un martello a granchio. A quattro anni svaligiai il furgone frigorifero Good Humor di un altro vicino di casa, e offrii il gelato a un branco di cani del quartiere. Una settimana dopo provai a essere di aiuto ripulendo il cortile della casa, e appiccai il fuoco a un mucchio di foglie di eucalipto ammassate accanto al garage del vicino. Ben presto l'incendio illumin la notte, e le sirene dei pompieri lacerarono l'aria. Soltanto una parete del garage rest annerita dalle fiamme.

    Della marachella del gelato e dell'incendio mi ricordo, ma il resto me lo hanno raccontato. I miei primi ricordi distinti sono dei miei genitori che litigano, le loro urla, e la polizia che arriva per mettere pace. Il giorno in cui mio padre se ne and di casa, lo seguii nel vialetto. Piangevo, singhiozzavo e volevo andare con lui, ma mio padre mi allontan con uno spintone, salt sull'automobile e fil via sgommando.

    Abitavamo in Lexington Avenue, a est dei Paramount Studios. La prima parola che imparai a leggere fu Hollywoodland. Mia madre era ballerina di fila negli spettacoli di variet e nei musical di Busby Berkeley. Mio padre lavorava come macchinista in teatro, e ogni tanto anche per il cinema.

    Non ricordo esattamente le dinamiche del divorzio, ma una delle sue conseguenze fu il mio internamento in collegio. Dalla sera alla mattina da figlio unico viziato diventai un moccioso tra una dozzina o pi di bambini pi grandi. in collegio che appresi per la prima volta la realt del furto. Qualcuno rub i dolciumi che mi aveva portato mio padre. Fu dura per me, in quell'occasione, accettare l'idea del furto.

    La prima volta scappai dal collegio all'et di cinque anni. Era una domenica mattina, pioveva, e tutti gli ospiti della casa tiravano a dormire fino a tardi. Indossai un impermeabile e un paio di scarpe di gomma, e sgattaiolai per la porta di servizio. Percorsi due isolati e mi nascosi nell'intercapedine del solaio di una vecchia casa in legno, sopraelevata da terra e circondata dagli alberi. Ero all'asciutto e al riparo dalla pioggia, e da l potevo spiare il mondo esterno. Il cane della famiglia mi trov quasi subito, ma prefer accucciarsi accanto a me e farsi coccolare piuttosto che lanciare l'allarme. Restai l finch non fece buio, smise di piovere e si alz un vento freddo. Anche a Los Angeles, a dicembre, la sera pu essere fredda per un bambino di cinque anni. Uscii fuori, e dopo aver camminato per mezzo isolato fui riconosciuto da uno di quelli che erano partiti alla mia ricerca. I miei genitori erano in pensiero, naturalmente, ma non in preda al panico. Che avessi un talento naturale a mettermi nei pasticci non era certo una novit.

    La coppia che gestiva il convitto chiese a mio padre di venire a riprendermi. Dopo aver tentato con un altro collegio, anche questo con esito fallimentare, mio padre prov con la scuola militare, la Mount Lowe di Altadena. Dur due mesi. Poi segu un altro collegio, anche questo ad Altadena, una casa di quattrocentocinquanta metri quadri circondata da mezzo ettaro di terreno. Fu allora che incontrai per la prima volta Mistress Bosco, che ricordo con affetto. Tutto lasciava pensare che mi fossi messo a rigare dritto, anche se ricordo che mi nascondevo sotto il letto del dormitorio per poter leggere. Mio padre mi aveva costruito una piccola libreria. Poi mi compr la serie in dieci volumi dei Junior Classics, versioni adattate per i bambini di storie famose quali "L'uomo senza paese", "Il vaso di Pandora" e "Damone e Pizia". Imparai a leggere su questi libri.

    Mistress Bosco chiuse il collegio appena qualche mese dopo il mio arrivo. La tappa successiva fu la Page Military School, tra Cochran Avenue e San Vicente Boulevard, a West Los Angeles. Ai genitori dei potenziali cadetti venivano mostrati dormitori luminosi

  • ed eleganti suddivisi in scompartimenti separati, ma la maggioranza dei cadetti viveva in alloggi meno sontuosi. Alla Page beccai il morbillo e gli orecchioni, nonch il mio primo riconoscimento ufficiale di casinista destinato a finir male. Diventai un ladro. Un ragazzo il cui nome e la cui faccia ho dimenticato da tempo mi portava con s, nelle ore piccole, a razziare negli altri dormitori, mentre frugava nei pantaloni appesi al muro o appoggiati sullo schienale delle seggiole. Quando qualcuno dei ragazzi che dormivano si girava su un fianco, ci accovacciavamo, immobili come statue, il cuore che batteva all'impazzata. Siccome i pannelli divisori degli scompartimenti arrivavano all'altezza delle spalle, bastava abbassare la testa per non essere visti. Una volta, quando un ragazzo si svegli e ci affront con coraggio, dovemmo darcela a gambe. - Ehi, voi, che state facendo? - Mentre ce le battevamo di gran carriera, alle nostre spalle sentimmo urlare - Al ladro! Al ladro! - Una bella scarica di adrenalina, non c' che dire.

    Una notte un gruppo di noi sgusci dal dormitorio e, dopo aver raggiunto furtivamente la grande cucina, ci servimmo di una mannaia per la carne per tranciare il lucchetto di una cella frigorifera. Facemmo man bassa di tutti i dolcetti e i gelati. Ci beccarono poco dopo la sveglia. Venni ingiustamente accusato di essere il capo e fui punito in modo esemplare. Inoltre, fui designato per il trattamento speciale da parte degli ufficiali dei cadetti. I miei pochi amici erano altri emarginati e casinisti come me. Il mio unico, valido risultato alla Page fu scoprire che conoscevo l'ortografia pi di chiunque altro. Pur dentro al caos della mia giovane esistenza, padroneggiavo sillabe e fonetica, e ricordavo gran parte delle eccezioni alle regole. banale, ma proprio perch ero capace a pronunciare le parole, imparai a leggere in et precoce, e ben presto con voracit.

    Il venerd pomeriggio quasi tutti i cadetti andavano a casa per il fine settimana. Quanto a me, un fine settimana andavo da mio padre, e quello successivo da mia madre. A quel tempo lei lavorava come cameriera in una caffetteria. La domenica mattina seguivo l'abitudine diffusa tra la gran parte dei bambini americani dell'epoca: andavo alla matine del cinema di quartiere. Proiettavano due film. Una domenica, nell'intervallo tra i due film, raggiunsi il foyer, dove appresi che i giapponesi avevano appena bombardato Pearl Harbour. Qualche tempo prima mio padre aveva dichiarato: - Se quei bastardi con gli occhi a mandorla aprono il fuoco, manderemo la Marina americana che far colare a picco quelle loro carabattole galleggianti che chiamano isole -. Pap era in sintonia con l'epoca, quando la parola negro compariva nella prosa di Ernest Hemingway, Thomas Wolfe e altri. Pap disprezzava i negri, i portoricani, i guappi e gli inglesi con quel loro re dei miei coglioni. Amava la Francia e gli indiani americani, e sosteneva che i Bunker erano di sangue pellerossa. Io non ci ho mai creduto.

    Oggi, rivendicare sangue indiano, per certi versi, fa molto chic. La nostra famiglia aveva vissuto nella regione dei Grandi Laghi dalla met del Settecento, e dopo che mio padre ebbe superato la soglia dei sessanta, la pelle grinzosa e coriacea della faccia e gli zigomi alti gli conferivano la fisionomia di un indiano. A dire il vero, man mano che invecchio, anche a me talvolta domandano se sono di sangue indiano. Davvero non lo so, n mi importa.

    Alla Page Military School le cose peggiorarono. Gli ufficiali dei cadetti resero la mia vita un calvario, e cos una bella mattina come ce ne sono in California, io e un altro cadetto scavalcammo il recinto sul retro dell'edificio e puntammo verso le colline di Hollywood, distanti poco meno di cinque chilometri. Erano verdi, punteggiate di tetti rossi. Facemmo l'autostop per superare le colline e passammo la notte nella carcassa di un'automobile demolita accanto a un'autostrada a due corsie, guardando gli enormi autotreni che

  • passavano rombando. Adesso quell'autostrada diventata un'interstatale di scorrimento a dieci corsie.

    Dopo la notte trascorsa a tremare di freddo, e assalito dai morsi della fame al sorgere del sole, il mio compagno mi comunic che intendeva tornare indietro. Lo salutai e presi per un sentiero lungo la ferrovia che separava l'autostrada dalla distesa sconfinata degli aranceti. Mi imbattei in un treno carico di autocarri verdi oliva dell'esercito in attesa su un binario di raccordo. L'avevo ormai raggiunto quando il treno si mise in moto con un rollio fragoroso. Mi aggrappai a una ringhiera e saltai su. Le centinaia di autocarri militari non erano chiusi a chiave, cos salii a bordo di un veicolo e passai il tempo a rimirare il panorama che scorreva dinanzi a me mentre il treno viaggiava verso nord.

    Prima che facesse buio saltai gi nella periferia di Sacramento, a settecento chilometri dal punto in cui avevo iniziato il mio viaggio. Cominciavo ad aver fame, e le ombre si allungavano. Mi misi in cammino. Contavo di entrare in citt e andare a vedere un film. Una volta uscito dal cinema, avrei trovato qualcosa da mangiare e un posto per dormire. Ancora fuori Sacramento, su una sponda rigogliosa di vegetazione dell'American River, sentii odore di cibo cucinato. Era un accampamento di vagabondi, una "Hooverville", come si chiamava, un agglomerato di baracche di latta ondulata e cartone.

    I vagabondi mi tennero con loro finch uno, preso dalla paura, ferm un'automobile dello sceriffo. I vicesceriffi fecero irruzione nell'accampamento e mi portarono via.

    La Page Military School si rifiut di riprendermi. Mio padre aveva le lacrime agli occhi: che ne avrebbe fatto di me? Poi venimmo a sapere che Mistress Bosco aveva aperto un nuovo collegio per una ventina di ospiti, ragazzi di et tra i cinque anni fino alla scuola superiore. Aveva preso in affitto una residenza enorme di duemiladuecento metri quadri, circondata da due ettari di terreno su Orange Grove Avenue, a Pasadena. Si chiamava Mayfair. L'edificio esiste ancora come parte dell'Ambassador College. A quei tempi questi giganteschi palazzi erano invendibili come elefanti bianchi.

    Il nome MAYFAIR era affisso su un pilastro di ottone del cancello. La casa era degna di un arciduca, ma un bambino di nove anni non fa caso a queste cose. I ragazzi erano praticamente relegati in quattro stanze al secondo piano dell'ala nord, sopra la cucina. La classe, un tempo la stanza di musica, era vicino al vasto atrio dell'ingresso, da cui partiva una grande scalinata. Frequentavamo le lezioni cinque giorni la settimana, e le vacanze estive non erano previste. L'insegnante, una donna austera patita di vestiti col colletto ornato di pizzo e cammei al collo, aveva un debole per le punizioni. Ci prendeva per l'orecchio e lo torceva, oppure ci bacchettava le nocche con il righello. Io avevo gi un problema con l'autorit. Una volta che mi afferr per l'orecchio, scansai con un colpo la sua mano e scattai in piedi. Spaventata, la donna indietreggi, incespic su una seggiola e cadde sul sedere, gambe all'aria. Cominci a strillare, come se fosse l l per essere assassinata. Mister Hawkins, il tuttofare nero, si precipit dentro e, dopo avermi afferrato per la collottola, mi trascin da Mistress Bosco. Costei mand a chiamare mio padre. Quando mio padre arriv, alla vista dei suoi occhi infiammati avrei voluto scappare via. Mistress Bosco liquid l'accaduto con poche parole. In realt voleva che mio padre leggesse la relazione sul test del mio quoziente di intelligenza, cui eravamo stati sottoposti la settimana prima. Lui esitava. Voleva proprio sapere se suo figlio era pazzo? Lo osservai mentre scorreva velocemente il rapporto; poi lo lesse con calma, e alla vampa rabbiosa subentr un'espressione corrucciata di confusione. Alz gli occhi e scroll il capo.

    - Questo in gran parte spiega il motivo dei suoi problemi, - comment Mistress Bosco.

  • - sicura che non ci sia un errore?

    - Sicurissima.

    Mio padre bofonchi e accenn una risatina. - Chi l'avrebbe immaginato?

    Immaginato cosa? In seguito mi disse che la relazione equiparava la mia et mentale a quella di un ragazzo di diciotto anni, e il mio quoziente di intelligenza era 152. Fino ad allora avevo sempre pensato di essere nella media, forse un po' meno al di sotto della media, per le facolt che erano dono di Dio. Di certo non ero mai stato il pi brillante in nessuna disciplina, tranne che in ortografia, che pareva essere pi un'astuzia che un indicatore di intelligenza. Da allora, pur nei limiti della mia esistenza caotica o nichilistica, cercai di affinare le capacit naturali che mi venivano attribuite. L'esito potrebbe essere la realizzazione di una profezia.

    Seguitai a tornare a casa nei fine settimana, anche se mia madre a quel tempo gi viveva a San Pedro con un nuovo marito, per cui, anzich alternare ogni fine settimana, tre su quattro li passavo con mio padre. Che l'avessi trascorso con l'uno o con l'altra, la domenica pomeriggio li salutavo, facendo finta di tornare direttamente a Mayfair. In realt non rientravo mai immediatamente in collegio. Giravo per la citt. A volte noleggiavo una piccola barca a motore elettrico a Echo Park, altre andavo a vedere un film in uno dei cinema del centro di Los Angeles. Se andavo a trovare mia madre a San Pedro, deviavo verso Long Beach, dove, sul pontile, il luna park funzionava a pieno ritmo.

    Pi tardi, in serata, salivo su uno dei grossi tram rossi della Pacific Electric che mi riportava a Pasadena, e da l dovevo fare pi di un chilometro e mezzo a piedi per raggiungere Orange Grove Avenue e Mayfair. Risalivo per il viale sul retro della residenza. Su un lato dell'edificio c'era un balcone che potevo raggiungere salendo su un alberello e poi arrampicandomi fino alla ringhiera. Davanti alla porta che si apriva sul balcone, a pochi passi, c'era la stanza che dividevo con altri due ragazzi. Nessuno notava mai la mia assenza o il mio rientro, purch fossi reperibile il luned mattina.

    Una domenica sera, dopo aver scavalcato il balcone, girato la maniglia, e spinto la porta di qualche centimetro per aprirla, questa s'incepp. Qualcosa la bloccava dall'altra parte. Mi appoggiai contro la porta con tutte le forze, riuscendo a forzarne la parte superiore quel tanto che bastava per sgusciare dall'altra parte, e poi inciampai su ci che sembrava essere un corpo. Mi accovacciai, e tastando nel buio toccai una faccia. Fui scosso da una fitta di paura. La faccia era fredda. La faccia della morte. Credo di aver lanciato un grido, ma nessuno mi sent.

    Volendo evitare che qualcuno scoprisse il mio rientro dopo la mezzanotte, mi spogliai e saltai a letto. Una volta disteso, mi resi conto per che non riuscivo semplicemente a ignorare la situazione. Siccome volevo evitare di inciampare un'altra volta sul corpo nel buio, passai attraverso il bagno nell'altra stanza, dove dormivano quattro ragazzi, e da l raggiunsi il corridoio. Svegliai Mistress Bosco e le dissi ci che avevo scoperto.

    Indossata una vestaglia e presa una torcia, Mistress Bosco mi condusse nella mia stanza e mi ordin di tornare a letto, richiudendo poi la porta a chiave. Tornai a stendermi e riuscii a prendere un sonno leggero, dal quale mi risvegliai sentendo un rumore di voci smorzate, e vidi la luce sotto la porta.

    Dopo qualche minuto sentii la chiave girare nella serratura della porta della stanza. Il mattino dopo il corpo era sparito. Era di Frankie Dell, un ragazzo esile e pallido che soffriva di una grave forma di emofilia e di reumatismi al cuore. Era caduto a terra ed era

  • morto nel corridoio. Pu anche darsi che andasse in cerca di aiuto.

    Quello di Mistress Bosco fu l'unico istituto a piacermi da bambino. Lei mi trattava pi come un adolescente che come un bambino di nove anni. Di sera, durante la settimana, avevo il permesso di uscire da solo fino al centro di Pasadena. Naturalmente andavo al cinema. Imparai la geografia sulle due grandi carte geografiche appese alla parete della mia stanza: l'Europa, con il Mediterraneo e il Nord Africa erano su una carta, il Pacifico e l'Asia sull'altra. Avevo puntine di vari colori per segnare le battaglie, le truppe e le linee del fronte della guerra in corso. Cercando le isole Salomone per segnare Guadalcanal, mi cadde l'occhio sull'Australia e la Nuova Zelanda. La stella sulla carta mi indic che Canberra era la capitale dell'Australia.

    Mister Hawkins, il nero tuttofare che viveva nell'appartamento sopra l'enorme garage, in passato era stato un pugile professionista, e mi insegn a tirare di sinistro. Il sinistro che imparai a tirare fece scempio del naso di Buckley, il bulletto del convitto. Avevamo cominciato a fare a pugni nell'atrio del piano superiore. Io indietreggiavo, un passo alla volta, per tutta la lunghezza di quel lungo corridoio del secondo piano, assestandogli un sinistro sul naso ogni volta che Buckley provava a raggomitolarsi per caricare. Una delle figlie di Mistress Bosco, una graziosa studentessa della U.s.c., usc dalla sua stanza e mise fine alla scazzottata. Gli occhi di Buckley si gonfiarono rapidamente, e il suo naso grondava sangue. Io non avevo beccato neanche un pugno. Pi o meno nello stesso periodo, imparai il valore del colpo della domenica, che consisteva semplicemente nel colpire per primo. Al riformatorio avrei osservato gli esperti nel colpo della domenica e perfezionato le mie capacit. Il pugilato inutile nei consigli di amministrazione e negli incontri d'affari. Non ti aiuta nemmeno a conquistare una ragazza. La maggioranza dei bianchi delle classi medie e alte arrivano all'et adulta senza aver tirato nemmeno un pugno. Ma negli ambienti in cui ho trascorso la giovent e i miei primi anni da adulto si rivelata un'abilit utile, specie perch la natura non mi aveva dato n forza, n velocit, n capacit di resistenza. I miei riflessi erano mediocri. Eppure riuscivo a incassare un bel pugno senza crollare. Ho battuto uomini pi grandi, pi forti e pi in forma di me, tra i quali un istruttore di karat della Marina americana, semplicemente perch iniziavo a picchiare per primo e continuavo a colpire con tutte e due i pugni prima che i miei avversari avessero potuto cominciare. Ogni tanto qualcuno superava quel primo assalto e me le suonava, ma accadeva di rado. Maturando imparai a controllare il ritmo dei miei attacchi, in modo tale che, anzich la gragnuola di colpi disordinati di molto tempo prima, bastavano pochi pugni per avere la meglio. Un pugno al mento, e per lo pi finiscono stesi e, una volta a terra, bisogna darsi da fare per impedire che si rimettano in piedi e seguitino a colpire. Ma ho divagato. Torniamo alla mia infanzia a Mayfair, in Orange Grove Avenue, nota come King's Row, per via delle numerose residenze signorili che vi si trovavano, compresa la famosa Wrigley Mansion.

    Una domenica di dicembre, a mezzanotte suonata, scesi dal tram all'altezza di Fair Oaks e Colorado, al centro di Pasadena, e cominciai la mia solita camminata. L'ultima strada era una via stretta delimitata da casette di legno dove alloggiavano i domestici, che correva parallela a Orange Grove, a un isolato di distanza. La via e le casette sono sparite da tempo, ma all'epoca, proprio di fronte, vi erano enormi alberi i cui rami sovrastavano la strada. Alla finestra di una casa c'era un albero di Natale acceso, a un'altra finestra una candela. Quelle luci placarono la mia paura, mentre camminavo tra le ombre sulle quali il vento e il chiarore della luna disegnavano forme animate spettrali. Era sufficiente perch un ragazzino di nove anni dall'immaginazione fertile avanzasse nell'oscurit fischiettando.

  • Entrai dal cancello posteriore di Mayfair. Sul pendio appariva in lontananza la sagoma scura del grosso edificio immerso tra i pini. Gli alberi si addicevano all'architettura della costruzione, che ricordava un casino di caccia bavarese. Un tempo la casa era stata di propriet di un generale americano che a quanto pareva aveva investito grosse somme di denaro in Germania dopo la Prima guerra mondiale. Avevo scoperto i documenti dietro un muro. Girai intorno alla grande casa, che ormai non aveva pi segreti per me, in direzione dell'alberello accanto al balcone.

    In effetti l'albero si trovava a circa un metro di distanza dal balcone, ma quando mi arrampicavo si piegava sotto il mio peso, cosicch atterravo sul pavimento del terrazzo lanciando le braccia sopra la ringhiera prima di sganciare le gambe dall'albero. Come una molla, l'albero schioccava tornando in posizione eretta.

    Una volta sul balcone provavo sempre una fitta d'ansia; avevano chiuso a chiave la porta? Non era mai accaduto, anche se non avrei esitato a rompere il vetro per penetrare all'interno, se fosse stato necessario. Nessuno avrebbe mai saputo chi o perch l'avesse fatto; il vetro rotto, del resto, avrebbe potuto passare inosservato per giorni. Quella notte non se ne present la necessit. La porta era aperta come al solito.

    Il corridoio era immerso nel buio, anche questo come al solito. Sentii subito l'odore di qualcosa che non riuscivo a riconoscere. Era preciso, ma non soffocante. Cercai a tastoni la porta della stanza. Si apr. Entrai dentro.

    La stanza era completamente al buio. A memoria attraversai il buio fino al mio letto nell'angolo. Era sparito. Dov'era finito il mio letto?

    Allungai la mano, in cerca del letto accanto al mio. Niente.

    Il mio cuore ebbe un soprassalto. Ero terrorizzato. Andai verso la porta e accesi l'interruttore della luce.

    Niente.

    Avanzai tastoni lungo la parete. Vuota. Stava succedendo qualcosa di strano. Avrei voluto urlare, ma cos sarebbe stato scoperto il mio rientro dopo la mezzanotte. Palpando il muro con le dita, mi mossi verso la porta. Prima di raggiungerla, sentii vetro rotto sotto le scarpe.

    Il cuore batteva all'impazzata. Che succedeva? Mi sentivo quasi soffocare, perch non mi veniva in mente alcuna spiegazione razionale. Il buonsenso mi suggeriva che non si trattava di magia o di un evento soprannaturale, ma per un attimo non potei fare a meno di concepire quest'idea. Proprio allora, nel buio, qualcosa mi sfior il polpaccio, gettandomi nel panico. Reagii saltando sul posto, ricaddi, e mi precipitai fuori dalla porta. Non ricordo di aver attraversato il corridoio, ma una volta sul balcone, sempre nel buio, scavalcai la ringhiera e mi sporsi per raggiungere l'albero. Come ho detto, distava circa un metro. Mi aggrappai con entrambe le mani, e l'albero raddrizzandosi si stacc dal balcone trascinandomi via. I piedi erano ancora agganciati alla balaustra. Per un attimo mi trasformai in un ponte umano; poi i piedi si liberarono.

    Il ramo cui mi tenevo aggrappato si ruppe con un forte schiocco. Precipitai tra i rami che si schiantarono, mi ghermirono e mi graffiarono, prima di atterrare sulla schiena. Nell'impatto a terra i miei polmoni si svuotarono di tutta l'aria che contenevano. Pensai che ero l l per morire. Non riuscivo a respirare, tirai le gambe verso di me e mi rotolai su un fianco per rimettermi in piedi. Volevo scappare lontano dall'enorme casa. Avevo la

  • testa vuota. Correvo come un automa in preda al panico.

    Quando il primo esile respiro mi irruppe in gola, mi trascinai zoppicando per l'area di parcheggio verso gli arbusti. In quel punto si apriva un'ampia distesa di verde, un mezzo ettaro di terreno in gran parte incolto, che conoscevo come le mie tasche. Affondai nella barriera di arbusti proteggendomi il viso con le mani. Mi aprii un varco tra i rami che mi laceravano i vestiti e la faccia.

    Piegai a destra, dietro il garage, e caddi al suolo ai piedi di un olmo gigantesco i cui rami coprivano la terra. Come fanno i ragazzi, vi avevamo sistemato una scatola di cartone appiattita.

    Lo sfinimento aveva trasformato la mia paura. Era una paura tremenda. Ero certo che i fantasmi non esistevano. (Anni dopo, mentre raccontavo questa storia, qualcuno disse: - Scommetto che era la coda di un gatto che ti strusciava contro la gamba -. Forse aveva ragione. Mistress Bosco aveva un micio nero che girava per la casa e si strusciava contro le gambe. Cos'altro poteva essere stato?) Passai la notte nello spiazzo sotto l'albero, tremando dal freddo, e appisolandomi soltanto per qualche minuto.

    Alle prime luci del giorno mi ritrovai con il corpo tutto indolenzito. La schiena mi faceva un male cane, e presto vi sarebbe comparso un livido bluastro, il pi grosso che abbia mai visto in vita mia.

    Mi assopii per un poco, ma fui risvegliato dal rumore metallico dei bidoni della spazzatura. Mister Hawkins li stava issando sul cassone di un camioncino. Lavorava nello spazio accanto al garage, dove erano sistemati i bidoni.

    Mister Hawkins! - chiamai.

    Interruppe il suo lavoro e scrut dalla mia parte, chiudendo un occhio per mettere a fuoco l'altro. - Sei tu? - domand. Mi conosceva meglio degli altri ragazzi. Oltre al pugilato mi aveva insegnato anche ad annodare la cravatta. Un grosso nodo Windsor. Magari non era ricco, ma il suo giorno libero si vestiva di tutto punto.

    Uscii dagli arbusti, ma tenendomi al riparo del garage per non essere visto. - Che succede, Mister Hawkins?

    - Non hai ancora visto Mistress Bosco?

    - No.

    - Ha telefonato a tuo padre, domenica pomeriggio. E lui le ha detto che saresti stato qui per le sei di sera. S' preoccupata da morire.

    - Che successo? Dove sono tutti gli altri?

    - C' stato un incendio nella soffitta, tra sabato notte e domenica presto, prima di giorno. Guarda l -. Indic il tetto. Com' vero Iddio, c'era uno squarcio di oltre un metro, i cui bordi erano anneriti e bruciacchiati.

    - Colpa dell'impianto elettrico, - precis. - Hanno trasferito i letti laggi, nell'auditorium della scuola. Lei ha deciso cos, almeno finch non verranno a riprendersi tutti i ragazzi.

    In quel momento comparve una Lincoln Continental 1940 marrone rossiccio. Ci oltrepass proseguendo per il viale circolare e accost davanti al portone d'ingresso della residenza. L'automobile si ferm, e Mistress Bosco scese il vialetto per salutare la coppia appena arrivata.

  • - Sono i genitori di Billy Palmer, - disse Mister Hawkins. - Devo andare a prendere quei bagagli -. Si sfil i guanti da lavoro e abbandon i bidoni della spazzatura, incamminandosi verso la casa. Io mi rintanai tra i cespugli.

    Alcuni minuti dopo comparvero Mistress Bosco e Mister Hawkins. Puntarono dritti in direzione del mio nascondiglio. Indietreggiai ancora tra i cespugli, strisciando sul sedere. Vedendoli avanzare, entrai in fibrillazione. Mi alzai in piedi e mi diedi alla fuga in direzione opposta. Mister Hawkins mi chiam per nome. Credeva fossi ancora l. Ma io mi stavo allontanando di gran carriera.

    Scavalcai la recinzione di ferro battuto dell'ingresso principale e attraversai di corsa il largo viale alberato, prima di superare un prato e prendere per una strada privata che conduceva a un cortile grande come un campo di baseball. Parecchie persone in abito bianco - anni dopo, quando lessi F. Scott Fitzgerald, avrei ripensato a questa scena - giocavano a croquet. Senza smettere di correre, e tenendomi alla larga da loro, li superai. Un paio di giocatori alzarono lo sguardo; gli altri non si accorsero di nulla.

    Era mezzogiorno quando scesi da un grosso tram rosso al Pacific Electric Terminal tra Sixth e Main Street al centro di Los Angeles. I marciapiedi erano gremiti di gente. Pullulavano uniformi di tutte le forze armate. C'era una lunga coda di persone in attesa davanti al Burbank Theatre, il teatro di variet su Main Street. A due isolati di distanza c'era Broadway, dove ogni blocco di edifici ospitava tantissimi cinema, le scritte luminose che balenavano nella luce grigia di dicembre. Sarei anche andato a vedere un film, perch i film mi facevano dimenticare i miei guai per qualche ora, ma quello era un giorno di scuola e sapevo che gli agenti perlustravano abitualmente le sale dei cinema del centro per pizzicare i ragazzi che marinavano la scuola.

    Su Hill Street, nei pressi di Fifth, c'era il capolinea della metropolitana Pacific Electric. I tram partivano in direzione degli insediamenti tentacolari a ovest della citt e della San Fernando Valley, verso nordovest passando per una lunga galleria scavata sul fianco della collina, e riuscivano a Glendale Boulevard. Salii su un tram diretto a Hollywood, dove mio padre lavorava dietro le quinte di "Blackouts" di Ken Murray, uno spettacolo di variet con ballerine di fila e attori comici allestito in un teatro su una strada laterale di Hollywood Boulevard. Conoscevo bene la zona. Volevo ritrovarmi in un posto dove era facile orientarmi.

    Hollywood Boulevard era nuovo, luccicante, e straripava di gente. Trent'anni prima era un campo di fagioli. Adesso pullulava di uomini in divisa. Venivano dai campi di addestramento e dalle basi militari di tutta la California del Sud. Erano attirati da Hollywood e Vine, e soprattutto da Hollywood Canteen, dove avevano la possibilit di ballare con Hedy Lamarr o Joan Leslie, o passeggiare per il Boulevard e provare a vedere se i loro piedi entravano nelle impronte di Douglas Fairbanks o Charlie Chaplin davanti al Chinese Theater di Grauman. Sid Grauman aveva costruito tre enormi sale di proiezione per rendere omaggio al cinema. Per primo aveva fatto edificare il Million Dollar Theater del centro, ma poi aveva capito che la ricchezza della citt si stava spostando a ovest, e cos aveva fatto costruire altre due sale su Hollywood Boulevard, il Chinese e l'Egyptian. Quest'ultimo comprendeva un lungo passaggio tra la biglietteria e l'atrio sul quale si allineavano immagini dell'antico Egitto e gigantesche statue kitsch di Ramesse Secondo e Nefertiti o altre creature con teste di animale. Quella prima sera da fuggitivo, andai allo Hawaiian, un cinema lussuoso pi lontano, in direzione est sul Boulevard, che aveva in programma la prima versione di "La mummia", con Boris Karloff, e il nuovo seguito, "Il

  • ritorno della mummia". Per qualche ora fug le mie ansie.

    Quando uscii dal cinema, si era levato un vento freddo. Non pioveva, ma il marciapiede e la strada erano immersi nel buio che era calato mentre ero all'interno. Svoltai su Gower. Le Hollywood Hills iniziavano un isolato a nord del cinema. Oltre Franklin Avenue c'era Whitley Heights. Era la vecchia Hollywood e si aveva l'impressione di trovarsi in una zona di Napoli o a Capri. Un tempo era stata abbastanza elegante per incontrare i gusti di Gloria Swanson, Ben Turpin e Ramon Novarro. Negli anni della guerra doveva essere ancora bella, bench da allora avesse perso prestigio e attrattiva, poich le strade intorno a Hollywood erano state invase dalla povert e dalle ancelle della povert: delinquenza, droga e prostituzione.

    Cominci a piovere. Provai a cercarmi un riparo. Avrei potuto proteggermi dalla pioggia, ma non dal vento. Era tempo di raggiungere il posto di lavoro di mio padre. M'incamminai per Franklin Avenue e svoltai per Ivar. L'insegna luminosa era stata spenta e la biglietteria era chiusa. Ad ogni modo non era l che dovevo andare. Proseguii per il viale accanto all'edificio verso l'ingresso riservato agli attori. Non conoscevo il vecchio sulla porta, ma lui conosceva mio padre e si ricordava di me da una visita precedente. - Lavoravamo in centro, al Mayan. Lo spettacolo era "Abie's Irish Rose" o forse "Song of Norway".

    Mi ricordavo di "Abie's Irish Rose" al Mayan, ma non del vecchio. Era irrilevante; mi fece cenno di entrare. Rifiutai scuotendo la testa.

    - Quando finisce?

    - Dieci e cinquantadue tra circa mezz'ora.

    - Torno pi tardi.

    - Ecco tuo padre. Ehi, Ed!

    Mio padre, con indosso la tuta bianca dei macchinisti teatrali, stava attraversando il retroscena. Gir la testa, e non appena mi vide la sua espressione s'indur. Mentre veniva verso di me, i muscoli della mascella gli pulsavano. Avevo voglia di fare dietro front e correre via. Ero sicuro che la sua rabbia non sarebbe esplosa l per l, ma conoscevo bene il furore della sua esasperazione. Non era mai feroce, ma la frustrazione talvolta lo mandava fuori di s. Mi guard. - Ci risiamo. Come una palla al piede, - disse.

    Che cosa voleva dire? Palla al piede? Non avevo mai sentito quell'espressione e non avevo idea di cosa significasse. Eppure la tensione della situazione me la impresse nella memoria, cosicch anni dopo mi ricordai di questo momento ogni volta che sentii pronunciare quelle parole.

    Mio padre estrasse le chiavi dalla tasca. - Vai ad aspettarmi in macchina, - intim. - parcheggiata dietro l'angolo su Franklin.

    Presi le chiavi e uscii. Fu facile ritrovare l'automobile, una Plymouth del '37 con la prima nave aerodinamica come ornamento del cofano. Il bianco della carrozzeria dava nell'occhio in un'epoca in cui i colori scuri, specie il nero di Henry Ford, erano ancora dominanti. Sul parabrezza c'era la decalcomania di una A, che stava a significare che l'automobile poteva usufruire della razione di base di quattro galloni di benzina alla settimana. I tagliandi della benzina venivano distribuiti e consegnati alle stazioni di servizio. Il furto e la rivendita dei tagliandi della benzina divenne il mio primo reato pecuniario.

  • Aprii la portiera e salii in automobile ad aspettare, ascoltando la pioggia che picchiava sul tetto, osservando le gocce rimbalzare sull'asfalto. Era ipnotico, calmante, e probabilmente mi appisolai. La notte prima, di fatto, non avevo dormito. Chiusi gli occhi in mezzo alle altre automobili parcheggiate. Quando li riaprii le altre automobili erano sparite, e mio padre bussava al finestrino.

    Aprii la sicura della portiera e scivolai pi in l per fargli posto. Ero guardingo, perch nonostante fosse benevolo e affettuoso, mio padre un paio di volte aveva perso le staffe e mi aveva preso a scapaccioni, urlando la sua frustrazione. - Si pu sapere, in nome di Dio, cos'hai? Non puoi comportarti cos. Prima o poi finirai - L'angoscia gli aveva strozzato le parole in gola. Sentivo la sua pena. Mai una volta che fosse sconfinata nella violenza fisica, ma sconvolgerlo a tal punto mi faceva sentire un infame, e puntualmente promettevo di correggermi.

    Stavolta evit di guardarmi mentre si metteva in strada in direzione del Cahuenga Pass. (La Hollywood Freeway fu costruita soltanto un decennio pi tardi). Mentre guidava borbottava e scuoteva la testa, reagendo cos al tumulto che aveva in testa. Immaginavo che ci saremmo diretti all'albergo residence dove abitava, ma lui super l'incrocio e punt verso le colline. Le nubi si diradavano lasciando filtrare un po' di chiaro di luna. Ben presto ci ritrovammo sulla cima sovrastante Lake Hollywood, che in realt era un bacino idrico. La vista dominava la parte occidentale della City of Angels, una distesa irregolare di luci scintillanti inframezzata da pezzature di buio. Nel giro dei dieci anni successivi le luci avrebbero riempito tutto il bacino di L. A. fino al mare penetrando nel deserto in direzione opposta.

    Mio padre spense il motore e trasse un sospiro lungo e angoscioso. Poi s'incurv, come cedendo sotto un peso. - Che far adesso? Mistress Bosco l'hanno fatta chiudere. Non aveva l'autorizzazione per quei due spostati che teneva al piano di sopra.

    Mistress Bosco aveva ospitato nel convitto due ragazzi o giovani psicopatici conclamati. Senza dubbio era stata pagata profumatamente per tenerli al riparo da occhi indiscreti. Uno, ricordo, era mingherlino e lentigginoso. L'altro si chiamava Max. Aveva folti capelli neri e un'abbondante peluria nera in faccia. Pareva che avesse la barba, ma in realt lasciava passare un mese e pi senza radersi. Max di solito scendeva per scaricare la giardinetta quando Mistress Bosco tornava dalla spesa con le provviste. Era forte. Aveva un'ossessione: lacerarsi i vestiti. Gli ricadevano a brandelli sul tronco e a strisce sulle gambe. Avrebbe fatto a pezzi un paio di Levi's nuovi, se l'avessero provocato. Bastava fissarlo e dirgli Max un discolo! Max un discolo!, e quello attaccava a stracciarsi i vestiti con tutta la furia di cui era capace.

    Mistress Bosco non aveva l'autorizzazione per quei due. E l'incendio aveva svelato la loro presenza alle autorit. Anche se fosse riuscita a mettere insieme i soldi per riparare il tetto, c'era comunque l'ordine di chiusura. Era l'unico posto in cui ero riuscito a trovarmi bene, per quanto fossi rimasto un emarginato.

    A mio padre avrei voluto dire Fammi restare con te, ma quelle parole le ricacciai in gola. Ci che volevo era impossibile, e finivo per farlo arrabbiare ogni volta che sollevavo la questione. Regolarmente rispondeva che di sera doveva lavorare, che non c'era nessuno a guardarmi, e che ero troppo piccolo per badare a me stesso.

    Si gir verso di me, puntandomi gli occhi addosso. - Sei pazzo?

    - Credo di no.

  • - Certo per che qualche volta ti comporti da pazzo. Pensavo che tutto andasse benone da Mistress Bosco

    - Va benone, pap.

    - No, non vero no, quando scopro che passi le notti andando a zonzo per la citt. Hai nove anni, per Dio!

    - Mi spiace, pap -. Era vero; il mio dolore per il suo tormento era penoso.

    - Dici cos, ma va sempre peggio Qualche volta sarei tentato di andare in garage e accendere il motore della macchina con la porta chiusa.

    Capivo ci che intendeva dire, e da qualche parte dentro di me, non saprei dire quale, scatur il precetto cattolico: - Se lo farai, andrai all'inferno

    Anche in preda alla disperazione, mio padre ribatt tronfio e sprezzante: - No, non ci andr. Non c' nessun inferno e neanche il paradiso. La vita qui. La ricompensa qui. Il dolore qui. Non so gran che ma di quel poco che so sono sicuro -. Dopo una pausa, aggiunse: - Te ne ricorderai, promesso? Mi teneva per il braccio, senza staccarmi gli occhi di dosso.

    Annuii. - Promesso, pap.

    L'ho ricordato, e sebbene abbia cercato ovunque una smentita, i fatti della vita confermano l'amara verit di quella sua dichiarazione. L'unico modo per confutarla superare il caos della realt con il grande salto della fede. E io non ne sono capace. Qualsiasi altra cosa abbia fatto, apertamente e ripetutamente senza mai cercare scuse e giustificazioni, violando ogni regola che si frapponeva tra me e l'oggetto dei miei desideri, qualunque fosse, ho cercato di separare qualche grano di verit dalle tonnellate di stronzate. La verit il distillato del significato dei fatti, poich ogni verit confutata da un fatto pura illusione.

    Sono un apostolo di Francis Bacon, il messia dell'oggettivit scientifica, che conduce inesorabilmente all'umanesimo laico e al relativismo, e rigetta ogni idea di genuflettersi per adorare un totem o un altro, sia esso una croce, un vitello d'oro, un palo totemico, o un dio africano della fertilit dal fallo gigantesco.

    CAPITOLO SECONDO.

    CRESCIUTO DALLO STATO DELLA CALIFORNIA.

    Eva Schwartz, nata Bunker, era tutta la famiglia di mio padre. Due anni pi grande del fratello, si era sposata con Charles Shwartz che, contrariamente al nome, non era ebreo. Era stato proprietario di una piccola sala cinematografica a Toledo, accanto a Lake Erie, dove nel Settecento si erano insediati i miei antenati mercanti di pellicce. Bunker la forma anglicizzata del nome di origine francese "Bon Couer, Buon Cuore. Senza figli, zia Eva aveva cresciuto la figlia di un cugino. Alla morte del marito si era trasferita a ovest per prendersi cura del figlio del fratello.

    Per la prima volta in vita mia, da quel che potevo ricordare, avevo una casa. Era un villino a un solo piano che avevano preso in affitto a Atwater Village, tra Glendale e il L. A. River. Avevo un cagnetta, una bastarda col pelo di tre colori, e una fidanzata, una biondina di nome Dorothy che abitava alla porta accanto. Io le mostrai le mie parti intime, e lei mi mostr le sue. Il padre era proprietario di una sala da cocktail in Fletcher Drive, nei pressi

  • della gigantesca panetteria Van de Kamp. La cagnetta, che si chiamava Babe, era il mio migliore amico e fedele compagno. Nella torrida estate del '43, ogni giorno scarpinavamo per pi di un chilometro e mezzo sul cemento dell'argine del fiume per poi attraversare una passerella e raggiungere Griffith Park, dove c'era un'enorme piscina pubblica. Nelle vicinanze c'erano parecchie scuderie dove era possibile prendere a noleggio un cavallo e andare in passeggiata per i chilometri di sentieri del parco. In prossimit di Riverside Drive c'era il grande ristorante di propriet di Victor McLaglen, l'unico attore capace di vincere un premio Oscar (come migliore attore in "Il traditore") e sfidare sul ring Jack Dempsey.

    All'epoca avevo gi l'abitudine di vagabondare. Ero sempre curioso di vedere cosa c'era al di l della collina successiva o nella strada dietro l'angolo. A volte puntavo a nord costeggiando il fiume per raggiungere Burbank, talvolta a sud, lungo i binari della ferrovia. A Burbank scavalcavo il recinto dell'area posteriore del teatro di posa della Warner Brothers, e giocavo tra gli scenari permanenti delle lagune e dei villaggi della giungla. La mia cagnetta mi aspettava sempre fuori del recinto per ore e ore finch io non tornavo indietro. Altra meta delle nostre esplorazioni era Lockheed, dove aggiravamo facilmente il perimetro delle postazioni antiaeree. Una volta l'esercito fece bivaccare parecchie migliaia di soldati in una parte di Griffith Park. File di tende, code di camion militari verde oliva. Scomparvero magicamente come erano apparsi.

    I binari della ferrovia correvano tra le fabbriche, i negozi e Van de Kamp, l'enorme panetteria industriale. Una fabbrica di terraglie in seguito venne dichiarata a grande rischio ambientale e recintata con divieto di accesso per anni. Tante di quelle volte scavalcai quella recinzione cedevole in cerca di qualche avventura dall'altra parte. Giocai in un cumulo di polvere bianca che poteva essere amianto. A quanto pare non mi ha mai dato alcun disturbo; ci volle qualche decennio prima che l'amianto venisse dichiarato pericoloso.

    Lungo la strada pi vicina ai binari della ferrovia c'erano delle casette. A quasi due chilometri da l il binario unico entrava nello scalo merci principale e si diramava in dozzine di binari. In termini di status sociale, questo quartiere veniva considerato dall'altra parte del binario e chi vi viveva conduceva uno stile di vita bohmien. L abitava una ragazzina irlandese maliziosa, vivace e precoce di nome Dorothy, insieme alla madre, bevitrice e fumatrice accanita. A qualsiasi ora arrivassi, la madre di Dorothy aveva una sigaretta in bocca e un bicchiere di birra accanto. Per lo meno non beveva dalla bottiglia. Era ben lungi dalla condotta e dalle pretese austere e calviniste di mia zia. Un giorno la madre di Dorothy si lament di quanto fosse difficile rifornirsi di benzina per via del razionamento. A quelle parole mi torn in mente una scatola di sigari piena di tagliandi di benzina staccati dai blocchetti che avevo notato in una stazione di servizio Texaco nei pressi del Gateway Theater di San Fernando Road. Il Gateway era il cinema dove avevo visto "Quarto potere". Il pomeriggio del sabato successivo, tornando a casa, mi fermai alla stazione di servizio per prendere una Coca. Osservai l'addetto strappare i tagliandi del razionamento dal blocchetto di un cliente; mi pass davanti e li ripose in una scatola di sigari su una scrivania dell'ufficio. La madre della ragazzina irlandese avrebbe pagato un dollaro per ogni tagliando di benzina. Con un dollaro si comprava un cheesburger, un frapp e un biglietto a un cinema di prima visione del centro. Il sabato pomeriggio successivo consegnai alla madre di Dorothy pi tagliandi di quanti ne potesse acquistare. Mi diede dieci dollari, e nei giorni successivi vendette i rimanenti ai suoi amici. Incassai quaranta dollari, che quanto un macchinista teatrale iscritto al sindacato

  • guadagnava in una settimana. Fu il mio primo reato di tipo pecuniario coronato dal successo.

    Quello fu un periodo felice della mia vita. Ahim, per mia zia fu deludente. Si rivel totalmente incapace di tenermi testa. Ero lo scapestrato del quartiere, ma parlavo come un libro stampato. In rapida successione fui beccato a rubare nei magazzini Woolworth della zona, sorpreso nell'atto di lanciare un sasso contro una finestra (per far colpo su Dorothy, e anche se scappammo via, quelli presero il mio cane e risalirono a me tramite il collare), e infine beccato da un addetto della stazione di servizio con la mano nella scatola di sigari dei tagliandi di razionamento della benzina. Fui preso a sculacciate e spedito a letto; promisi a mio padre e a Dio che avrei cambiato strada e sarei diventato un bravo ragazzo. Ero sincero.

    Naturalmente ogni volta mi veniva di agire diversamente, oppure dimenticavo la mia promessa il giorno dopo. Tutte le mattine mi svegliavo in un mondo nuovo. Finita l'estate, per la prima volta andai alla scuola pubblica, la scuola elementare di Atwater Avenue. Poich non avevo pagelle ed ero passato per tre scuole militari e sei o sette collegi in cinque anni, mi fecero sostenere un esame di verifica. Nonostante la mia infanzia caotica, risultai due anni interi pi avanti del gruppo dei miei coetanei in lettura, anche se ero sotto la media in matematica. Oggi, cinquant'anni dopo, non ne so niente di pi di quanto ne sapessi allora, di matematica. Immagino che la mia carenza in matematica sia dovuta al fatto che vada insegnata in una sequenza sistematica: ogni lezione getta le basi per la successiva. La mia vita di scolaro nomade non aveva certo favorito questa condizione ideale di apprendimento.

    Il direttore dimezz la differenza e mi inser due semestri pi avanti della mia classe di et. Sarei passato alla scuola media il semestre successivo, un paio di settimane dopo il mio undicesimo compleanno.

    A un mese dall'inizio della scuola, per, la zia e mio padre mi fecero sedere e mi comunicarono solennemente che la casa in cui vivevamo in affitto era stata messa in vendita. Dovevamo traslocare, ma per via della guerra non riuscivano a trovare nulla. Sarei dovuto andare in un altro istituto o un'altra scuola militare. Ero sconvolto, ma acconsentii ad andare a patto che mio padre mi promettesse di ritirarmi dall'istituto in caso mi fossi trovato male. La mia avversione per la scuola prescelta era una certezza, e la mia decisione era chiara ancor prima che mio padre mi depositasse alla Southern California Military Academy di Signal Hill, a Long Beach. Il regolamento proibiva le visite per il primo mese. Il comandante voleva che i nuovi arrivati superassero la nostalgia della famiglia prima di tornare a casa per i fine settimana.

    Mio padre mi promise che sarebbe venuto a trovarmi allo scadere del mese. Contavo i giorni.

    Il fatidico venerd trascorse senza che mio padre si facesse vivo. Al secondo appello i ranghi erano ridotti perch la maggioranza dei ragazzi tornava a casa per il fine settimana. Anzich dirigermi nel refettorio dei cadetti, uscii per la porta di servizio del dormitorio e scavalcai il recinto sul retro dell'edificio. Era il richiamo dell'avventura, di nuove esperienze e, pi importante di tutto, della libert. La mia fuga avrebbe inoltre punito mio padre, che mi aveva mentito. Mi aveva fatto la promessa di venire dando la sua parola d'onore, e non l'aveva mantenuta.

    A Long Beach saltai su un tram rosso diretto al centro di Los Angeles. Il tragitto dur pi o meno quaranta di minuti. Avevo in mente di prendere un tram giallo n. 5 o un W per

  • raggiungere il quartiere di Lincoln Heights, dove era andata a vivere mia zia, in un piccolo appartamento in una palazzina quadrifamiliare. Il centro, per, scintillava delle scritte luminose dei cinema. Mi fermai per vedere un film tratto da "Dieci piccoli indiani", il libro di Agatha Christie, con interpreti d'eccezione, tra cui Barry Fitzgerald nella parte dell'assassino. Era riuscito a fregare anche me, simulando la sua morte per stornare i sospetti dalla sua persona.

    Quando uscii dal cinema era tardi. Il vecchio tram giallo era quasi vuoto. I pochi passeggeri si erano sistemati nella parte centrale con i vetri ai finestrini. Io preferivo mettermi in fondo, dove i finestrini erano aperti. Mi piaceva l'aria fresca. Mi rinvigoriva, e anche adesso mi fa lo stesso effetto.

    Da zia Eva le luci erano accese, e l'automobile di mio padre era parcheggiata davanti a casa. Ci passai a fianco e proseguii diritto. Poich avevo indosso l'uniforme della scuola militare e i miei vestiti normali erano nell'appartamento di mia zia, decisi di tornare l'indomani quando lei era al lavoro.

    A parecchi isolati di distanza, vicino a un ponte ferroviario che attraversava la Arroyo Seco Parkway (oggi Pasadena Freeway), c'era la Lavanderia Industriale Welch. Presi una bracciata di lenzuola e tute di scarto strappate che erano state gettate in un bidone accanto alla piattaforma di carico e li portai in un deposito di rottamazione dove si arrugginivano le macchine in disuso. Su un lato trovai un'enorme macchina centrifuga, e dopo aver cacciato gli stracci all'interno, mi arrampicai e mi ci infilai dentro. Lo spazio era piccolo, e se provavo a stendermi non riuscivo ad allungare del tutto le gambe. Per lo meno mi sarei riparato dal gelido vento notturno. Qualche ora dopo sentii la terra che ronzava, un suono che via via si trasformava in un terrificante crescendo di vibrazioni. Stava arrivando un treno, e avevo l'impressione che passasse sopra il mio nascondiglio, il guizzo accecante dei fari che penetravano in ogni fessura. Pass a circa sei metri da me.

    Quando il sole mattutino intiepid la terra, saltai fuori dal mio nascondiglio. Ero tutto indolenzito. Dopo una notte trascorsa per strada, la mia uniforme cachi con la striscia sulla gamba era ormai abbastanza sporca, e la gente si voltava a guardarmi.

    M'incamminai verso un Thrifty Drug Store, con l'idea di fare colazione al bancone, provvisto di un distributore d'acqua. Nei pressi dell'ingresso vidi un chiosco di giornali. I quotidiani erano listati a lutto e titolavano a lettere cubitali: ROOSEVELT MORTO.

    La notizia mi fece restare di sasso. Roosevelt era presidente da quando ero nato. Aveva salvato l'America durante la depressione. - Ha salvato il capitalismo da se stesso, - aveva detto una volta mio padre, e per quanto all'epoca non riuscissi a capire cosa volesse dire, ero rimasto impressionato dall'impresa grandiosa di Roosevelt. Era comandante in capo delle forze armate nella guerra che era ancora in corso, anche se gli eserciti alleati ormai avanzavano in Germania. La sua voce era nota per i suoi Discorsi del caminetto. La signora Roosevelt era la madre dell'America, e Fala, per quanto fosse di puro sangue scozzese, era il cane dell'America. Avevo le lacrime agli occhi. Mi pass la voglia di far colazione.

    Un'ora dopo suonai alla porta di zia Eva per essere sicuro che non fosse in casa.

    Poi feci il giro della palazzina fino a una porta che dava in un vano destinato al bidone della spazzatura. Dietro il bidone, un'altra porta conduceva in cucina. Doveva passare ancora qualche decennio prima che si diffondessero le sbarre alla finestre delle case dei poveri e i sistemi di allarme in quelle dei ricchi.

  • Aprii la porta esterna, spalancai la porta interna e mi infilai all'interno. Chiamai ad alta voce - Zia Eva! - caso mai non fosse ancora uscita. Nessuna risposta. Allora mi misi all'opera.

    La scatola con i miei vestiti era in un armadio. Conteneva un paio di Levi's e una camicia. Cominciai a riempire la vasca da bagno. Mentre l'acqua scorreva, tornai in cucina per trovare qualcosa da mangiare. Il frigorifero offriva un litro di latte e una pagnotta. Andai fino al tostapane appoggiato sul piano di lavoro accanto al lavandino. Dalla finestra guardai fuori la casa accanto.

    In quel momento un poliziotto attravers velocemente il mio campo visivo e si ripar dietro un albero.

    "Crash"! Il bicchiere mi cadde di mano. Feci il corridoio di volata verso il bagno. Ero in mutande e maglietta. Mi infilai in fretta e furia i jeans e le scarpe, senza curarmi dei bottoni e dei lacci.

    Sopra la vasca da bagno c'era una finestra. La aprii e spinsi in fuori la zanzariera. Da un'altezza di quasi quattro metri, la finestrella si affacciava su un passaggio che separava la palazzina dai garage. Mentre mi arrampicavo sulla finestra, sopraggiunse un poliziotto che svolt l'angolo sotto di me. Con un salto lo sorvolai, ricadendo sul tetto del garage, e presi a correre dall'altra parte. Il garage terminava sopra un terrapieno di oltre dodici metri coperto di cespugli. Saltai gi dal tetto e mi lasciai rotolare fino in fondo tra le erbacce e i cespugli.

    Sopra di me comparve un poliziotto. Mi teneva lo sguardo puntato addosso.

    Con un balzo mi rimisi in piedi e scavalcai un recinto vicino all'argine di calcestruzzo di un canale di scolo delle acque. Il canale diventava un torrente al sopraggiungere delle piogge, ma quel giorno era un ruscello largo meno di un metro e profondo dieci centimetri. Sguazzai nel torrente e lo attraversai. Il muro di cemento dall'altra parte aveva una pendenza molto pi ripida, ed era sovrastato da un recinto che fiancheggiava l'autostrada. Qualche decina di centimetri sotto il recinto si apriva lo sbocco di un canale di scolo, quel giorno asciutto. Altre volte, in passato, avevo provato a salire in corsa su per il muro in pendenza fino al buco dello sbocco, ma non ce l'avevo mai fatta. Quel giorno per lo scalai come una capra di montagna, scomparendo nel canale di scolo sotto l'autostrada, in direzione della citt.

    Mezz'ora dopo avevo gi percorso pi di tre chilometri, e mi trovavo su Mount Washington, raggomitolato in una grotta poco profonda. La pioggia aveva iniziato a oscurare la terra. Mi sentii veramente solo, in quel momento della mia giovane vita.

    Pi tardi, quella notte, trovai un pacco di quotidiani dell'indomani fuori dei portoni dei supermercati di tutto il quartiere. Quando inizi l'andirivieni della mattina, mi appostai all'angolo tra North Broadway e Daly, a piazzare giornali, un nickel a copia. Venticinque centesimi bastavano per mangiare e pagarmi un cinema. A notte fonda rifeci la strada fino alla Lavanderia Industriale Welch e mi accoccolai tra gli stracci accanto al binario. Il terzo giorno ero cos sudicio che tutti si voltarono a guardarmi quando entrai nel supermercato dove avevo rubato i giornali per due notti di seguito. La terza notte i giornali non c'erano. Con i soldi riuscii a comprarmi del latte e una barretta di cioccolato, e parecchie altre cose le feci scivolare furtivamente nella camicia.

    Quando riprese a piovere, salii per il pendio dietro la palazzina in cui abitava mia zia. La pioggia aveva vuotato la strada. Stavolta nessuno guardava dalla finestra mentre

  • m'infilavo per la piccola porta che conduceva in cucina. Gridai: - Zia Eva! Zia Eva! - Silenzio. L'appartamento era vuoto.

    Volevo entrare e riuscire in fretta. Anche stavolta feci correre l'acqua per il bagno e tirai fuori dei vestiti puliti dalla scatola. Mi sbrigai a fare il bagno, l'acqua diventava grigia per il sudiciume che avevo dappertutto, dai capelli alle caviglie, sulle mani e sulla faccia. Indossai gli abiti senza asciugarmi. Una volta vestito, mi sentii un po' pi sicuro, e mi venne fame.

    Trovai del tonno in scatola in un piatto, e misi a tostare due fette di pane per prepararmi un sandwich. Mentre lo mangiavo, mi feci un giro per la casa per vedere se mia zia avesse lasciato qualche spicciolo in giro. Nella sua camera da letto notai delle buste sulla toeletta. Alcune erano bollette; su una c'era l'intestazione della Societ per la Protezione degli Animali. Era stata aperta. Estrassi la lettera. Era una ricevuta: la mia cagnetta era stata soppressa. Quando mi resi conto di ci che avevano fatto, credo che mi misi a urlare. Mi sono successe tante cose in vita mia, ma penso che questo sia stato il dolore pi terribile che abbia mai provato. Un dolore che si gonfi dentro di me. Mi sentii soffocare e restai senza fiato; avevo l'impressione di un peso schiacciante sul petto.

    Vacillai e sfogai in un pianto convulso il mio tormento estremo e assoluto. A ripensarci, dopo pi di mezzo secolo da allora, mi vengono ancora le lacrime agli occhi. Mia zia e mio padre mi avevano detto che Babe aveva trovato una nuova casa a Pomona. E invece se ne erano sbarazzati facendola uccidere, perch per loro era un fastidio. Credo che questo fu il momento preciso in cui il mondo mi perse, perch la sofferenza si tramut presto in rabbia. Come avevano potuto fare una cosa del genere? Lei li aveva amati e loro l'avevano ammazzata. Se avessi potuto ucciderli entrambi, l'avrei fatto, e anche se i ricordi di un bambino sono presto sommersi dal corso delle cose, io non li perdoner mai.

    Tre giorni dopo, un venerd mattina, ritornai un'altra volta per fare il bagno, e prendere i vestiti e il cibo. Stavolta mio padre era l ad aspettarmi nell'oscurit. Blocc la porta per impedirmi di scappare. Doveva chiamare quelli del Tribunale dei Minori. - Non ti prender nessun altro. Per Dio, non so che altro fare.

    - Perch non mi ammazzi come hai ammazzato il mio cane?

    - Cosa?

    - Lo sai bene. Ti odio! Sono contento di averti fatto venire i capelli bianchi.

    Tir fuori un biglietto da visita e cominci a comporre un numero di telefono. Io mi avviai verso il bagno, con l'intenzione di scappare un'altra volta dalla finestra. Lui ripose il ricevitore. - Sta' qui e non ti muovere.

    - Devo andare al bagno.

    Forse intuendo il mio piano, mise gi il telefono e mi accompagn. Mentre ero al gabinetto, notai un grosso flacone di Listerine sulla mensola di fronte. Lo afferrai, lo feci volteggiare, e lo scagliai contro la testa di mio padre. Riusc a schivarla. La bottiglia intacc l'intonaco della parete.

    Venti minuti dopo sopraggiunsero due ispettori di polizia inviati dal Tribunale dei Minori e mi portarono via. In serata mi ritrovai internato nel carcere minorile di Henry Street, all'ombra dell'ospedale. Finirono l'iter burocratico della pratica di ingresso che era passata l'ora dello spegnimento delle luci. Un funzionario di colore allampanato dall'andatura dinoccolata mi fece strada tra le porte chiuse a chiave e per un lungo corridoio fino

  • all'Accettazione. Il pavimento del corridoio era lucidato a cera. In fondo al corridoio, che era tagliato a T da un altro corridoio, c'era un funzionario seduto a una scrivania illuminata soltanto da una piccola lampada. Il funzionario di colore porse i miei documenti all'uomo seduto alla scrivania. Lui li esamin, mi diede un'occhiata, poi prese la sua torcia elettrica e mi condusse per un altro corridoio fino a una doppia porta che si apriva su un dormitorio di dieci letti. Us la torcia per illuminare la brandina vuota che mi era stata assegnata.

    Le lenzuola pulite erano lisce e fresche. Nonostante la stanchezza, stentai a prendere sonno. I riflettori all'esterno illuminavano le maglie della grossa rete alle finestre. Ero in gabbia per la prima volta. Quando alla fine il sonno ebbe il sopravvento, piansi, in sogno, per il mio cane e per me stesso.

    Mi risvegliai tra ragazzi in un mondo che in qualche modo faceva venire in mente "Flies" di John Barth. Ragazzi che venivano da Jordan Downs, Aliso Village, Ramona Gardens e altri quartieri di case popolari. Alcuni provenivano dalle squallide strade di Watts, Santa Barbara Avenue, East Los Angeles, Hicks Camp e altre zone dell'infinita espansione urbana di Los Angeles. Per lo pi venivano da famiglie senza un padre in casa, le famiglie spezzate, come le chiamavano all'epoca. Se in casa un uomo c'era, il suo lavoro probabilmente consisteva nell'andare a comprare l'eroina coi soldi che la madre metteva insieme vendendo il suo corpo. Se si fosse mossa lei per concludere l'acquisto, poteva aspettarsi che le vendessero lattosio al posto dell'eroina oppure, se gli spacciatori non l'avevano, che l'alleggerissero dei suoi soldi e poi, per soprammercato, le tagliassero la gola. Era un rapporto "quid pro quo" tra due tossici. Per loro andava bene, ma non era certo la condizione ideale per tirare su un tredicenne che aveva gi il corpo segnato dai tatuaggi blu e i valori dei "vatos loco", un misto di testosterone giovanile, machismo distorto e culto dell'eroe per un fratello pi grande gi caduto nella "pinta".

    Fino a quel momento, qualunque fosse stata la natura dei miei problemi, avevo sempre goduto dei privilegi del bambino borghese. Adesso nuotavo nell'elemento pi sordido della nostra societ: il sistema giudiziario della delinquenza minorile. Da quel momento sarei stato affidato alle cure del servizio pubblico, allevato dallo Stato. I suoi valori sarebbero diventati i miei valori, soprattutto il valore che la ragione del pi forte, un codice che ammette l'omicidio ma proibisce la delazione. Dapprima quel mondo mi tratt come un intruso, il bambino bianco precoce e istruito con la sua grammatica impeccabile. Fui tormentato e restai vittima dei soprusi dei bulli, ma la cosa dur poco, perch reagii battendomi, anche se ero pi lento e meno robusto. Arrivai a colpire con un mattone un ragazzo nerboruto, prendendolo di sorpresa mentre dormiva, o a ferirlo all'occhio con una forchetta nel refettorio. La mia grammatica perfetta e il mio parlare forbito ben presto si tramutarono nell'idioma dei diseredati. Per un periodo, all'et di quattordici anni, il mio inglese assunse un marcato accento messicano. Avevo una certa affinit con i messicani, o meglio, con i chicanos, e il loro stoico fatalismo. Anzich i jeans Levi's, che erano "de rigueur" tra i ragazzi bianchi delle periferie, io preferivo vestirmi secondo lo stile chicano: mimetica dei marine, taglia extra large, con enormi tasche sborsate sui fianchi. Spesso tinta di nero, veniva portata scesa sui fianchi e arrotolata alle caviglie. In questo modo le gambe apparivano molto corte e il tronco esageratamente lungo. Avevo un taglio con una specie di codino, i capelli tirati e appiattiti ai lati del viso, cos intrisi di brillantina "Three Flowers" che quando li pettinavo colavano gocce dense di grasso. Siccome la brillantina non era permessa in riformatorio, rubavamo la margarina. Puzzava di rancido, ma era ottima per tenere a posto il taglio di capelli.

  • Non mi negai nulla. Indossavo scarpe con la suola spessa, salvatacchi a ferro di cavallo e altri rinforzi sui lati e sulle punte. Correre era difficile, ma pestare qualcuno a suon di calci era una passeggiata. I miei pantaloni erano semi, il che voleva dire moderatamente sborsati rispetto allo stile "zootsuit". Lo "zootsuit" regolare prevedeva pantaloni molto ampi sulla gamba con risvolti stretti, indossati con una giacca lunga al ginocchio, ma erano gi passati di moda prima che io cominciassi a interessarmi di moda. La musica che preferivo non figurava nella hitparade. Non erano certo Perry Como o Dinah Shore a darmi il palpito, ma la musica e i ritmi funk che risuonavano in Central Avenue e a Watts: Lonnie Johnson, Bull Mose Jackson, Dinah Washington, Billy Eckstine, Ella, Sarah e Billie, Illinois Jacquet e Big J. McNeeley al sax, con "Bird" come l'icona di chiunque si voleva al passo coi tempi.

    Nei quattro anni successivi al mio ingresso nel carcere minorile, attraversai velocemente e inesorabilmente il sistema giudiziario della delinquenza giovanile. Per otto volte tornai nel carcere minorile, e per due volte fui ricoverato all'ospedale di Stato sotto osservazione. Parlavo da persona sana, ma il mio comportamento era quello di un malato di mente. I medici dell'ospedale erano perplessi sul mio caso. Ero scappato un sei, sette volte, vivendo per le strade la vita del fuggitivo. Ero capace di far partire un'automobile senza la chiave in meno di un minuto. Una volta, dopo essere fuggito dalla Fred C. Nelles School for Boys di Whittier, rubai un'automobile. A met strada sulla via di Los Angeles, mi fermai per urinare dietro un cartello della Pacific Outdoor. Quando mi rimisi in marcia, mi dimenticai di accendere i fari. A San Gabriel un'automobile della polizia parcheggiata su un angolo mi lampeggi. Sapevo che non era un'intimazione ad accostarmi, ma non avevo idea di che significasse. I poliziotti si misero al mio inseguimento. Io li osservavo dallo specchietto retrovisore. Quando le luci rosse iniziarono a lampeggiare, schiacciai l'acceleratore. Durante l'inseguimento, esplosero un paio di colpi. Sentii le grosse pallottole colpire l'automobile. Una travers l'abitacolo da parte a parte, trasformando il vetro del parabrezza in una tela di ragno. Mi abbassai per schivare i colpi, la testa sotto il cruscotto. Aprii la portiera della parte del guidatore, seguendo la linea bianca al centro della strada, sicuro che quelli che mi precedevano, vedendo le luci lampeggianti e sentendo l'urlo della sirena, si sarebbero fatti da parte. Poi guardai al di sopra del cruscotto, per vedere la strada. Oh, merda! Mi trovavo in prossimit di un incrocio a T. Non avevo scelta, dovevo svoltare a destra o a sinistra. Schiacciai il pedale del freno e cercai di girare. L'automobile salt sul bordo del marciapiede finendo sul prato bagnato all'ingresso di una casa. Avrebbe potuto anche essere ghiacciato, perch l'automobile slitt lateralmente e and a schiantarsi contro una finestra piombando nel salotto dell'abitazione. Mi ritrovai con le pistole puntate addosso prima ancora di riuscire a trascinarmi fuori dai rottami dell'auto.

    Riportato a Nelles, mi destinarono al padiglione di rigore. Era retto con il pugno duro: la disciplina in vigore era degna di una caserma dei marine. Il Capo mi prese subito in antipatia. Una mattina, convinto che stessi battendo la fiacca al lavoro, mi lanci una zolla di terra colpendomi alla nuca. Con l'urto la zolla si sgretol senza procurarmi ferite, ma fer il mio ego. Io lo guardai, la rabbia mi si leggeva in faccia. - Non hai gradito, Bunker? - mi domand con aria di sfida. Insieme a lui c'erano altri due sorveglianti e tre capogruppo, ragazzi utilizzati come scagnozzi contro i loro pari.

    Io mantenni il mio sangue freddo, ma dentro bollivo di rabbia. Quando rientrammo per il pranzo (parte della punizione inflitta era servire sempre lo stesso menu, e per sette giorni su sette, a pranzo, c'era sempre stato lo stufato), il Capo pass accanto al mio tavolo. Lo chiamai per nome. Si volt e io gli lanciai il piatto dello stufato. I capogruppo mi

  • saltarono addosso. Poco tempo prima avevo avuto la peggio in una scazzottata proprio con uno di loro. Contro tre, pi il Capo, non ci fu neppure colluttazione vera e propria. Dal refettorio mi trascinarono gi per tre rampe di scale e poi per un corridoio fino a una cella di isolamento sul retro, mollandomi calci e pugni per tutto il tragitto. Una volta che fui rinchiuso in cella, il Capo mi punt addosso il tubo della pompa antincendio. Le sbarre smorzarono un po' della forza del getto d'acqua che comunque si abbatt sulle mie gambe, tanto che persi l'equilibrio e andai a sbattere contro un muro.

    Un'ora dopo il Capo torn per godersi lo spettacolo della mia faccia tumefatta e del mio corpo inzuppato fino al midollo. - Sembri un gatto tutto fradicio, - comment, il labbro arricciato in un ghigno beffardo. - Almeno per un po' ti passer la voglia di lanciare le cose per aria.

    Poggiato a terra, nascosto dal mio corpo, tenevo un rotolo di carta igienica bagnata con un mucchio di merda sopra. Quelle parole beffarde risuonavano ancora nell'aria quando scagliai il rotolo di carta igienica e la merda attraverso le sbarre. Il missile si sfald spiaccicandosi sui vestiti e sulla faccia del Capo, e sul muro alle sue spalle. Impazz dalla rabbia, tant' che nessuno volle aprire il cancello.

    Quella sera mi prelevarono e mi portarono via dalla porta di servizio, mi caricarono in automobile e mi spedirono al Pacific Colony State Hospital, vicino Pomona. Il Pacific Colony era un ospedale specializzato per ritardati mentali, ma accoglieva alcuni casi di competenza del Tribunale dei Minori, trattenendo i soggetti per un periodo di osservazione di novanta giorni. Il suo unico reparto di sicurezza era il posto pi brutale che mi sia mai capitato di conoscere. Anche di quei tempi, se le condizioni bestiali di quel luogo fossero diventate di dominio pubblico, sarebbe scoppiato uno scandalo. Trascorrevo gran parte della giornata nella stanza comune, seduto su una delle panche allineate alle tre pareti del locale. Su ogni panca figuravano quattro nomi scritti su una striscia di nastro adesivo. Sedevamo l, in silenzio, a braccia conserte. Bastava sussurrare una parola e un sorvegliante si accostava a passi felpati dietro le panche e con un pugno ti buttava a terra. Sulla quarta parete della stanza c'erano delle seggiole di vimini imbottite. Quattro erano sistemate su una pedana, ed erano riservate ai sorveglianti. I loro scagnozzi avevano diritto di sedersi sulle seggiole al livello del pavimento.

    Tanto per divertirsi, i sorveglianti organizzavano dei combattimenti tra i pazienti. Le controversie venivano regolate in quel modo, oppure erano proprio i sorveglianti a combinare gli incontri. Il vincitore aveva in premio un pacchetto di sigarette.

    Una delle punizioni inflitte pi frequentemente era il traino del blocco. Il blocco era una piastra di calcestruzzo che pesava una cinquantina di chili. Avvolta in parecchi strati di vecchie coperte di lana, era munita di due ganci a occhiello cui era assicurata una cinghia di tela larga e piatta, lunga circa tre metri e mezzo. Sul pavimento piastrellato di un lungo corridoio laterale era stato cosparso uno spesso strato di paraffina. Il blocco avvolto di coperte veniva trascinato su e gi per il corridoio per dodici ore al giorno. Un chicano di La Colonia, a Watts, rest al blocco per trenta giorni per essersi imbottito di fenobarbital.

    La punizione pi brutale era venire appesi per le mani dall'alto dei condotti dell'aerazione. Il mascalzone che si era meritato la punizione in realt non era sollevato completamente dal suolo, ma doveva sostenersi sugli alluci, oppure far reggere tutto il peso del corpo dalle braccia e dai polsi. Dopo dieci minuti era una tortura. Dopo un quarto d'ora, la vittima di solito urlava. Ma i sorveglianti preferivano il pestaggio vecchio stile. Forse

  • perch apprezzavano il fatto che col pestaggio potevano fare esercizio fisico. Vista la situazione, e considerato che mi trovavo l solo per un periodo di osservazione di novanta giorni, cercai di non dare nell'occhio. Una notte, circa due mesi dopo il mio ingresso in ospedale, me ne stavo alla finestra guardando gi nel cortile. A un centinaio di metri c'era un reparto femminile. Un ragazzo di nome PeeWee, alloggiato nella stanza accanto alla mia, stava strillando fuori della finestra per comunicare con la sua ragazza. Il guardiano del turno di notte si chiamava Hunter, ma era conosciuto col soprannome di Picchiatore. Lo ignoravo, purtroppo, ma il Picchiatore si era messo a correre di porta in porta, sbirciando dallo spioncino per cogliere sul fatto chi osava schiamazzare di notte nel cortile del manicomio.

    Mi allontanai dalla finestra non appena sentii il rumore della porta che veniva aperta alle mie spalle. Il Picchiatore entr con l'impeto fremente di un tasso. Senza dire una parola, mi moll due pugni in faccia, i diretti corti di chi abituato a usare le mani per tirare di boxe. Entrambi mi arrivarono in pieno viso, uno alla bocca, l'altro alla mandibola. Sentii in bocca il sapore del sangue che sgorgava dal labbro tagliato dai denti, e una fitta di dolore alla mandibola annunci che si era slogata. Il Picchiatore, dondolandosi sulla punta dei piedi, le mani alzate, la voce perfida, mi minacci: - Ti insegno io a strillare, moccioso di merda.

    Avanz saltellando per colpire ancora. Lo schivai e ricaddi sul letto, chinandomi per schivare i colpi. Era difficile per lui centrarmi con i pugni, e cos prese a picchiarmi e a calciarmi sui polpacci e sulle cosce, vomitando improperi rabbiosi. Sapevo che se avessi reagito mi avrebbe ammazzato di botte.

    Riuscivano a farla franca, in quel posto. Avevo visto brutalit tali che non sarebbero mai accadute in un riformatorio, e neppure in prigione, se per questo, dove vigeva il diritto di ricorrere al tribunale. Questo era un "ospedale". E noi eravamo i pazienti ricoverati in cura.

    Il Picchiatore, una volta finito il suo lavoro, se ne and. Sentivo l'occhio pesto chiudersi tanto era gonfio. Durante il pestaggio il letto si era sfatto, e lenzuola e coperte erano tutte sottosopra. Scostai la branda dal muro e cominciai a rassettare le coperte.

    La porta si riapr. Il Picchiatore era di nuovo l, dondolando avanti e indietro sulla punta dei piedi, una copia perfetta di Jimmy Cagney. Roteava la catena delle chiavi come l'elica di un aeroplano. Alle sue spalle c'erano un grosso sorvegliante dai capelli rossi e un paziente che godeva di un trattamento speciale perch svolgeva parte del loro sporco lavoro. Il Picchiatore si accost al mio letto e ricominci a martellarmi di pugni.

    Fino a quel momento avevo soffocato la mia collera. Adesso lo avevo di fronte, faccia a faccia, gli occhiali luccicanti, il ghigno beffardo. Tese i muscoli per colpire ancora. Stavolta fui io a colpire per primo. Il mio pugno gli fracass gli occhiali. Il vetro lo tagli sopra un occhio e sul dorso del naso. Il sangue col sulla sua camicia bianca inamidata con la farfallina nera al collo. Poich teneva le ginocchia puntate contro il letto, la forza del pugno lo scaravent a sedere. Cercai di colpirlo ancora.

    Il sorvegliante con i capelli rossi sopraggiunse alle mie spalle e, stringendomi un braccio intorno al collo, mi tir indietro. Io non mollai la presa della camicia del Picchiatore, che si strapp. Gli restarono addosso soltanto il colletto e la farfallina.

    Mentre il rosso mi strangolava da dietro, lo scagnozzo mi sollev da terra per un piede. Qualcuno balz sul letto e mi salt sullo stomaco. Un altro mi scazzott in faccia per sei o sette volte. Erano pugni sferrati da un adulto, con tutta la forza.

  • Dopo che tutti e tre se ne furono andati, facevo fatica a respirare. Mandavo gi solo piccole boccate d'aria, altrimenti fitte di dolore mi trafiggevano il petto. Il mio occhio destro era completamente chiuso. Sputavo il sangue che mi usciva dal labbro spaccato.

    A mezzanotte, al cambio del turno di vigilanza, la mia porta si apr per la terza volta ed entrarono i due sorveglianti in servizio. Uno si chiamava Fields, un nome che dopo cinquant'anni ricordo ancora. Aveva giocato nella squadra di football di una piccola universit locale. Il fiato gli puzzava di alcol. Il regolamento prescriveva che mi alzassi in piedi ogni volta che si apriva la porta. Riuscii a farcela. Allora quello mi atterr con un pugno e seguit a tirarmi calci finch non riuscii a rintanarmi sotto il letto. Lui cerc di spostare il letto per stanarmi. In preda a quella furia ubriaca, avrebbe seguitato a massacrami di calci fino ad ammazzarmi, se l'altro sorvegliante alla fine non lo avesse trattenuto. - Smettila, Fields. Cos lo ammazzerai. solo un bambino.

    L'indomani mattina venne da me il medico del reparto, un ometto con un accento dialettale, e tast la mia faccia gonfia e sfigurata chiocciando come una gallina. Ero malconcio da fare paura. L'occhio chiuso sporgeva grosso come un uovo. - Non credo proprio che picchierai un altro sorvegliante, dico bene? - domand. Scrollai il capo, e pensai: No, se non mi riesce di ammazzarlo.

    Fui tenuto segregato in camera mia per tutto il resto del periodo di osservazione. Dopo avermi dichiarato sano di mente, mi rispedirono al riformatorio.

    Tre settimane pi tardi, dopo il mio ritorno in riformatorio, scappai con un ragazzo nero di nome Watkins, originario di Watts. Andammo a stare con sua madre e sua sorella tra Hundredand-third e Avalon. Il padre era in marina. La famiglia viveva in un piccolo bungalow di legno giallo con un pollaio in cortile. Gli agenti mandati dall'autorit giudiziaria minorile arrivarono di notte, con l'intenzione di sorprenderci nel sonno. Noi l'avevamo previsto, e dormivamo in un casotto tra i binari della ferrovia e le Simon Rodia's Watts Towers. Quei grattacieli mi ricordavano vagamente le fotografie che avevo visto di Angkor Wat in Cambogia. Se si saliva sul tram rosso che si fermava alla stazione di Watts, si vedevano sempre quei grattacieli svettare contro il cielo. Dopo aver trascorso un paio di mesi di vita vagabondando per le strade, Watkins fu catturato. Io scappai e trascorsi parecchi mesi nel barrio di Temple. Dormivo in un cortile, dentro una vecchia automobile Cord sistemata su dei blocchi di cemento, e andavo in giro con i "vatos loco".

    Fui catturato per colpa del mio primo amore, una ragazza italiana. L'avevo conosciuta tramite suo fratello, che avevo incontrato al carcere minorile. Sua sorellina confess ai genitori che io dormivo nel casotto sul retro. I genitori chiamarono la polizia, che arriv una mattina di buon'ora. Mi svegliai con una pistola puntata in faccia.

    Anzich essere rispedito al riformatorio di Whittier, fui mandato alla Preston School of Industry, non lontano da Stockton, nella California del Nord. Era un istituto destinato a ragazzi di sedici, diciassette anni; alcuni internati erano diciottenni. Io avevo appena compiuto quattordici anni.

    Non appena arrivai alla Preston School of Industry, fui chiamato da parte e ammonito come sempre: - Bene, Bunker, prova a combinare una sola delle tue solite bravate qui, e te ne faremo pentire amaramente. Questo non un posto per mocciosi. Sappiamo trattare i teppistelli come te.

    Dopo quattordici mesi venni rilasciato e rimesso in libert. Avevano provato ad applicare la disciplina del carcere minorile e di Whittier, pi qualche altra trovata, tipo spararmi del

  • gas lacrimogeno in faccia e, una volta, imprigionarmi in una camicia di forza per ventiquattrore. Bisogna riconoscere che non arrivarono a commettere le brutalit che mi avevano inflitto all'ospedale di Stato. Avessero usato gli stessi metodi, avrei finito per uccidere qualcuno o suicidarmi.

    Preston adottava una pratica tuttora in vigore dopo cinquant'anni. I ragazzi nerboruti e maneschi venivano nominati ufficiali dei cadetti. Godevano privilegi speciali e fiducia concessa sulla parola, e in cambio dovevano dispensare pugni e calci per mantenere l'ordine con la forza e la paura. Ogni compagnia ne contava tre, uno bianco, uno nero, e un chicano. Dovevano essere al tempo stesso duri e flessibili. Uno degli ufficiali era Eddi Machen, che qualche anno dopo sarebbe diventato un pugile peso massimo e arriv a gareggiare nella categoria superiore. Uno qualsiasi di loro, da solo, poteva mettermi fuori combattimento. Dopo essere stato preso a calci da uno degli ufficiali dei cadetti perch ero fuori passo mentre marciavamo verso il refettorio, aspettai il momento che si fu messo a sedere per mangiare; poi gli arrivai alle spalle e lo colpii all'occhio con una forchetta. Lo trasportarono d'urgenza a Sacramento, dove riuscirono a salvargli l'occhio, ma la sua vista non fu pi la stessa. Fui assegnato permanentemente alla Compagnia G, una unit con un blocco di celle su tre livelli. Era buio e tetro, una copia carbone di una sezione carceraria. Per sei mattine la settimana mangiavamo in cella, poi marciavamo all'aperto con picconi e pale in spalla. Ripulivamo i fossati di irrigazione dalle erbacce, oppure spalavamo la merda dei maiali, il cui fetore il peggiore sulla faccia della terra. Qualche volta gettavamo il cemento per l'impianto delle nuove porcilaie. A mezzogiorno rientravamo, pranzavamo nel nostro piccolo refettorio, facevamo la doccia e poi tornavamo in cella, dove restavamo fino al mattino seguente. La maggioranza dei miei compagni soffriva e smaniava per tutto quel tempo in cui dovevamo restare reclusi in cella, ma io preferivo di gran lunga la cella, perch cos, almeno, potevo leggere. Un benefattore anonimo aveva donato alla Preston la sua biblioteca personale costituita da parecchie centinaia di libri. In maggioranza i volumi dovevano essere stati acquistati dal Book of the Month Club, ma molti il benefattore li aveva ricevuti in regalo, cos almeno indicavano le dediche sui frontespizi. Dopo aver tolto le copertine rigide, li avevano sistemati alla rinfusa in uno stanzino. Facevamo la doccia in tre alla volta, ed allora che potevamo rimediare due o tre libri. Il Capo accendeva la luce dello stanzino e ci lasciava rovistare tra i libri finch non avevamo tutti finito di fare la doccia. Io ero sempre il primo a uscire dall'acqua e ad asciugarmi, cos da avere quel paio di minuti in pi per trovare il libro che mi piaceva pi di altri. Non avevo capacit di giudizio critico. Un libro era un libro, una varco possibile verso luoghi lontani e meravigliose avventure. Avevo manifestato una preferenza precoce per il romanzo storico, che aveva avuto molto successo negli anni quaranta. Cercai per autori, e presto riconobbi alcuni dei nomi degli scrittori pi venduti, come Frank Yerby, Rafael Sabatini, Thomas Costain, Taylor Caldwell e Mika Waltari. Ricordo ancora Per chi suona la campana di Hemingway, Ragazzo negro di Richard Wright e un unico volume con parecchi racconti di Jack London, "Il lupo di mare", "Il richiamo della foresta" e "Il tallone di ferro". Un romanzo era scritto in forma autobiografica e parlava di una rivoluzione in America. Per parecchi capitoli pensai che stavo leggendo una storia vera, ma quando raccont di una guerra civile nel 1920, mi resi conto che non si trattava di vicende realmente accadute. Eppure buona parte di ci che l'autore scriveva sulla societ suona vero ancora oggi. Risale all'epoca della Compagnia G la mia consapevolezza che i romanzi, pi delle storie vere, possono avvincere e divertire. E che la saggezza e la forza visionaria di quei libri riescono anche a penetrare i recessi pi intimi del comportamento umano.

  • In base al codice penale, a un regolamento amministrativo o a qualche altra clausola, non era consentito tenere un ragazzo non ancora sedicenne in una cella di reclusione per pi di ventinove giorni di fila. A loro garbava molto il fatto che io fossi confinato nel