NON LASCIARMI EDWARD

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Un modo ironico di rivivere la saga di Twilight, attraverso gli occhi di una fan

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Stefania Niccolini

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© 2010 La Corte Comunication Via Paolo Regis 44, Chivasso (To) Tutti i diritti riservati La Corte Editore è un marchio La Corte Comunication Progetto Grafico: La Corte Editore Foto di Robert Pattinson concessa in licenza da CORBIS CORPORATION Elaborazione da foto © Corbis Corporation ISBN 978-88-96325-05-6 Finito di stampare nel mese di Novembre 2010 presso lo stabilimento Impressioni grafiche scs ONLUS di AquiTerme (Al) per conto di La Corte Comunication

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A noi quattro

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Ogni riferimento a fatti e persone è puramente casuale ed è utilizzato esclusivamente a fini narrativi.

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PROLOGO

Ho atteso così a lungo questo momento. Ma finalmente sto per rivedere Edward. Non ho rinunciato a credere che tutto possa ancora ricominciare, non

l’ho fatto; ma sognare costa caro se, poi, tutto si rivela solo una doloro-sa illusione.

Io, però, ho scelto di attaccarmi a questo flebile sogno, di stringerlo stretto fra le mani, perché se un giorno dovesse realizzarsi, ricomincerei finalmente a vivere.

Quando si è perduto tutto, infatti, la speranza è l’ultima ancora di sal-vataggio a cui aggrapparsi; l’illusione, una dolce medicina che aneste-tizza ogni male.

Il dolore è duraturo, non ti abbandona mai; copre tutto e permane. E ho paura che se anche dovessi tornare alla luce, gli occhi, così as-

suefatti al buio, faranno fatica ad abituarsi di nuovo al sole. La gioia di un momento ti riempie e ti rafforza; ma quando tutto fini-

sce, non basta a riempire il vuoto. E senza Edward, la mia vita è solo una voragine incolmabile. Io ci ho provato. Ho lottato contro questo abisso di solitudine; ho affrontato una dolo-

rosa battaglia attraverso le trame dei miei sentimenti. Ma alla fine, mi sono dovuta arrendere; solo Edward può ridare un

senso alla mia esistenza. Solo Edward. E ora, in questo caldo così soffocante da togliere il fiato, confusa fra

perfetti sconosciuti, attendo che arrivi lui. È passato così tanto tempo dall’ultima volta, che ho quasi paura che i

miei occhi non sapranno riconoscerlo. Sarà il mio cuore a rivelarmi la verità. Ecco… sta arrivando!

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PARTE PRIMA

EDWARD, CHI?

Finché possiamo dire: "quest'è il peggio",

vuol dir che il peggio ancora può venire.

William Shakespeare

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CAPITOLO 1

“Sbrigati, altrimenti farai tardi a scuola!”. La voce di mia madre si fa sempre più insistente, fino a sovrastare il

suono della sveglia che giace ribaltata sul pavimento. Non posso più tergiversare, mi devo proprio alzare.

Sono le sette e un quarto e, nonostante oggi non sia una qualunque mattina di ordinaria noia scolastica, non riesco a vincere la pigrizia del risveglio.

Oggi, infatti, è il giorno prescelto per quella che ho definito “missione salvataggio Franci dalle grinfie del vampiro inesistente”, in poche pa-role, l’ultima occasione che ho per far rinsavire la mia migliore amica.

Franci è per me una sorta di sorella gemella, ma in questo periodo stento a riconoscerla. Ci conosciamo, si può dire, da ancora prima che nascessimo, da quando, cioè, le nostre mamme, Serena ed Elisa, si in-contrarono al corso pre-parto.

Io e Franci siamo nate a sette giorni esatti di distanza: prima io e poi lei. Avevo quattro anni quando il fratello di Elisa decise di trasferirsi in Svezia e di vendere la sua porzione di bifamiliare. I miei non si lascia-rono sfuggire l’occasione e così, da 12 anni, noi Gigli viviamo fianco a fianco con i Fontani.

Ci consideriamo una famiglia allargata con quattro figli (io, il mio pe-stifero fratellino Gabri, Franci e suo fratello maggiore Cosimo), due coppie di genitori (Serena e Paolo, ed Elisa e Massimo), otto nonni (una per tutti: Anna) e una bisnonna (Berta).

Ultimamente, però, Franci non è più lei. Ha solo un’idea fissa… più che fissa, direi perforante, nel senso che le

ha perforato il cervello: Edward! Per lui la mia amica ha lasciato il suo ultimo ragazzo perché non reg-

geva il confronto. Ma Edward non è nuovo compagno di classe trasferi-tosi di recente dall’America o il nostro vicino di casa o, ancora, il came-riere del bar all’angolo. No davvero! Edward è il protagonista di Twi-light1, il libro che ha venduto milioni e milioni di copie in tutto il mon-do (l’unica a non averlo comprato evidentemente sono io!!).

1 Stephenie Meyer, Twilight, collana Lain Books, Fazi Editore, 2006.

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Insomma, ha perso la testa per un personaggio immaginario! Franci mi sta assillando ormai da mesi perché io legga Twilght e non

mi dà pace. Ma io sto opponendo una strenua e ferma resistenza. Per convincermi, mi ha pure raccontato la trama. È la storia di una ra-

gazza con seri problemi di equilibrio, che inciampa e cade ovunque e che, malgrado ciò, riesce a conquistare un diciassettenne superfigo di nome Edward.

Questo tipo, in gambissima, poliglotta e straordinario pianista, si rive-la essere un immortale vampiro centenario. Ma mentre per Dracula l’essere vampiro era estremamente negativo, a Edward conferisce ulte-riore fascino e dei poteri che neanche tutti gli X-men messi insieme riu-scirebbero a uguagliare.

Ma grazie, sarebbero capaci tutti di essere superfighi avendo i super-poteri e un secolo a disposizione per studiare le lingue e il pianoforte!

Ovviamente Franci non mi ha svelato il finale. “Ti rovinerei la sorpresa!”, si è sempre giustificata. Ma più io mi rifiuto di leggere questo libro, più lei si fa insistente. Sono giunta perciò alla conclusione che quella di Franci sia una ma-

lattia cronica in stato avanzato. E io, come sua migliore amica, non po-tevo certo restarmene con le mani in mano. Così, per lei, ho messo a punto una terapia d’urto, una sorta di cura, spero infallibile, che do-vrebbe risolvere il problema alla radice. Peccato che per raggiungere lo scopo sia stata costretta a chiedere aiuto a Denise Bini, mia compagna di classe ma non esattamente mia grande amica. Denise Bini è nota in tutta la scuola per essere una ragazza estremamente caritatevole, soprat-tutto con l’altro sesso, che di lei apprezza la generosità del suo décolle-té.

E così, dopo estenuanti contrattazioni con la Bini, sono riuscita a or-ganizzare, per l’ultima ora di lezione di oggi (tanto c’è ginnastica), un incontro a sorpresa tra Franci e Loris, uno strafigo della 4 D.

E se anche con lui, Franci non riuscirà a schiodarsi da Edward, l’unica soluzione sarà ricorrere alla psicoterapia ipnotica.

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CAPITOLO 2

7.20. Inserisco il pilota automatico; con un lento movimento stile bra-dipo, mi trascino fuori dalla stanza e scendo le scale. Direzione: cucina. Passo davanti al salone e do un’occhiata sfuggente alla TV; sta trasmet-tendo le previsioni meteorologiche. La tentazione è troppo forte: mi fermerò soltanto un momento, appena il tempo di verificare se, almeno oggi, ci azzeccano e per studiare il mio abbigliamento di conseguenza. Entro e mi siedo in posizione precaria sul bracciolo del divano, al cen-tro della stanza.

“Cielo poco o parzialmente nuvoloso con possibili brevi rovesci e ampie schiarite”, dichiara una voce femminile e suadente.

Praticamente tutto il repertorio climatico. Non hanno giusto messo neve perché, dove abito io, non nevica mai. Per forza ci azzeccano! Conclusione: dal costume da bagno al giubbotto, passando per l’im-permeabile, tutto è concesso.

Segue l’oroscopo; voglio proprio sentire cosa dicono del leone, il mio segno zodiacale. Magari rimedio qualche utile suggerimento per la buona riuscita della missione di oggi.

Precisiamo: non sono certo una fissata con gli oroscopi, una che non prende una decisione senza prima verificare cosa proclama il Paolo Fox di turno. Per la verità non ci credo affatto. Mi diverte però confrontare predizioni e realtà. Un po’ come con le previsioni del tempo.

“Leone”, annuncia l’astrologo. “Le stelle vi segnalano il rischio che qualche fastidioso problema complichi i vostri progetti privati e di lavo-ro. Mettete anche in conto improvvisi malesseri passeggeri o, sempli-cemente, momenti di stanchezza da non prendere però sottogamba”.

Problemi a complicare i miei progetti privati e di lavoro? Malesseri all’orizzonte? Vogliono forse che mi ammali? Ma che gufi! Proprio un buon augurio per cominciare bene la giornata, soprattutto questa.

“Irene, ma ti muovi?!”. Mia madre mi richiama all’ordine. “Arrivo, arrivo”, biascico contrariata. Lascio la sala, attraverso l’atrio ed entro in cucina. Trovo mia madre

intenta a convincere la macchinetta del caffè a elargire qualcosa che non somigli troppo ad acqua bollente e sabbiolina nera. Sebbene l’elettrodomestico in questione abbia ormai smesso di funzionare a do-vere - diciamo che, dopo 15 anni di indefesso lavoro, è in fase di pre-

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pensionamento - mia madre non perde la calma e concede sempre un’altra possibilità al ‘vecchietto’. Si chiama Serena e spesso mi stupi-sco di quanto il suo carattere sia adeguato al nome che porta. È serena, ma anche decisa e sicura di sé; non lascia niente al caso e organizza la vita familiare con estrema efficienza.

“Buongiorno Irene, dormito bene? Cosa bevi, the o latte?”, mi trilla con la sua voce squillante. Troppi decibel per i miei gusti a quest’ora del giorno. Un sacrificio che riesco a sopportare esclusivamente perché la contropartita consiste in una colazione pronta e servita.

“The, grazie!”. Sono di poche parole, ma è così tutte le mattine, fino a quando la teina

non entra in circolo nel sangue. Mia madre compie un timido tentativo di imbastire una conversazione

ma, dopo il mio decimo monosillabo ‘sì, no, boh, ma’, ci rinuncia. Probabilmente, essendo maestra alle scuole elementari, interrogare è

per lei un vizio, una sorta di deformazione professionale. In tempi da Guinness dei primati, ingurgito il mio the e qualche bi-

scotto. “Vado a prepararmi”, informo mia mamma che, non soddisfatta del

mio misero pasto, mi rimprovera: “Ma se non hai mangiato niente! Prendi qualcos’altro! Avevo preparato la crostata di marmellata d’arance apposta per te!”.

Primo, il tempo a mia disposizione è scaduto. Secondo, se c’è una cosa che mi fa veramente schifo è proprio la cro-

stata di marmellata d’arance. È una convinzione di mia madre che sia il mio dolce preferito, nata da

un banale e semplice equivoco. Il fatto che mi veda mangiare di tutto e in grandi quantità non dovrebbe autorizzarla a pensare di potermi rifila-re qualunque cosa. D’altra parte è anche vero che, nell’ordine della ca-tena alimentare, tra me e la raccolta differenziata, fino a un paio di anni fa, c’era di mezzo solo il cane. Ero una sorta di anello di congiunzione tra i comuni mortali e il mondo animale. Morto lui, adesso spetta a me il privilegio di decidere se un cibo sia ancora degno di essere mangiato o se, al contrario, debba essere cestinato.

Però, per fortuna, ho un buon metabolismo e brucio tutti i grassi; inol-tre, sono un tipo attivo e sportivo e mi tengo sempre in allenamento. Probabilmente pagherò tutti i conti dopo i quarant’anni.

“Non ho più fame! Magari prendo qualcosa a scuola!”.

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“Puoi svegliare tuo fratello, per favore?”, mi chiede mia madre e io, senza celare un certo sadismo, sono ben lieta di accontentarla.

Mio fratello Gabriele: 11 anni di inutilità concentrati in un metro e un tappo. Fisicamente è identico a mia madre ed è caratterialmente altret-tanto sereno e spensierato; peccato che faccia perdere la serenità a tutti coloro che lo circondano.

Per tutti è Gabri. Il suo nome, già di per sé, è per lui una condanna: il suo piccolo difetto di pronuncia (erre moscia, stile Lapo Elkann) non gli permette mai di presentarsi con dignità: “Piaceve, Gabviele Gigli!”. Comunque, avrebbe potuto andargli peggio: pensa se si fosse chiamato Ruggero Ferrari!

Entro in camera sua e avvolgo la tapparella, cercando di far più rumo-re possibile; poi, apro le finestre, lasciando che l’aria umida dell’autunno penetri nella stanza.

“Sveglia, è ora di alzarsi”, gli strillo in un orecchio. Il marmocchio mugolante si accartoccia ancor di più nel letto e scom-

pare sotto le coperte. Afferrando con entrambe le mani la trapunta, con un rapido gesto, lo ribalto per terra. Mezzo nudo, lo espongo al freddo che ormai si è diffuso nell’aria.

“Sei sempve la solita essetievve”, dice, ma non osa allargarsi di più; sa benissimo che il nemico è in ascolto e che è provvisto di un sistema di ricezione audio da far invidia alla NASA e, in casa nostra, non sono ammesse ‘volgarità’ (parole testuali).

“Pvima o poi mi favai venive un accidente…il giovno che mi alzevò pvima di te, vedvai cosa ti combino”, minaccia a vuoto Gabri.

In 11 anni non c’è mai riuscito. Dormire è al secondo posto nella clas-sifica dei suoi sport preferiti, ovviamente dopo quello di rompere le scatole alle povere e innocenti sorelle maggiori.

“Prenditela con la mamma, è lei che mi ha detto di svegliarti”, ribatto, andandomene con soddisfazione.

Dopo una deviazione in bagno, in cui faccio in tempo a rendermi con-to dello stato pietoso in cui verso, rientro in camera. Nonostante la co-lazione, il mio cervello è ancora in stato vegetativo.

Sullo schermo del computer lampeggia l’icona di messenger; non ho bisogno di molta immaginazione per conoscere il mittente e il contenu-to del messaggio. È Franci che, come ogni giorno, mi scrive per farmi sapere che è in uscita.

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FrAnCiCoCCoLinA: Bye bye Ire, ci si vede a scuola... nn fare tardi! Stesso annuncio e stessa raccomandazione tutte le mattine da quando

abbiamo cominciato le superiori. Pur abitando praticamente nella stessa casa, a scuola andiamo rigoro-

samente separate, con uno sfasamento temporale di circa mezz’ora. Io, a detta ormai di tutti, sono sempre quella dell’ultimo minuto e, se pos-sibile, anche dopo, mentre Franci è nota per arrivare agli appuntamenti con clamoroso anticipo. Due filosofie di vita inconciliabili senza urtarsi i nervi a vicenda e così abbiamo optato, di comune accordo, per trovar-ci direttamente a scuola.

Ore 7.40. Ha inizio l’attività più complicata dal momento del risve-

glio: vestirsi. Dopo un infinito attimo di esitazione, mi decido e prendo le prime cose che mi capitano sotto mano.

Definirei il mio look casual-sportivo, anche se sono l’unica a vederlo in questo modo; Franci lo reputa casuale-trasandato che stona piena-mente con il suo stile raffinato-ricercato. Ogni tanto organizza delle ve-re e proprie crociate di moda e mi coinvolge in missioni punitive, so-prattutto per i nostri portafogli, presso i numerosi centri commerciali della zona. Torniamo a casa cariche di borse piene di inutilità che met-terò una sola volta nella vita e che, poi, verranno concesse in uso gratui-to a Franci.

“Non è che per caso potresti prestarmi quella gonna viola carinissima che abbiamo comprato insieme la scorsa settimana? Non so proprio co-sa mettere per andare a far la spesa per la nonna!”.

Franci deve essere impeccabile anche quando va al supermercato per-ché: “Non si sa mai chi potrei incontrare per la strada…metti che bec-co uno come Edward?!”.

Edward, appunto. È arrivato il momento di risolvere la situazione.

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CAPITOLO 3

Frequento il 3° anno di liceo scientifico con sperimentazione di in-formatica. A pensarci adesso, la mia scelta si può giustificare solo con un attacco improvviso di masochismo. Inoltre, prima di esaltare i van-taggi e l’importanza di tale indirizzo, avrebbero dovuto dirci che l’istituto metteva a disposizione dei suoi studenti due soli computer che, a occhio, avranno almeno vent’anni.

La mia scuola dista da casa circa quindici minuti a piedi e, tenuto con-to che non ho lo scooter, non uso la bici perché è a rischio furto e la mattina non ho lo spirito del maratoneta, il mio ritardo è garantito.

Quando finalmente giungo a destinazione, la campanella è ovviamen-te già suonata.

Varco la soglia sotto lo sguardo sconsolato di Felicetta, la bidella. Al liceo, ormai, è un’istituzione; fa parte dell’arredo scolastico al pari del busto del fondatore, che si trova nell’atrio d’ingresso.

“Buongiorno Felicetta, bella giornata oggi”, le sorrido rilassata. “Sì, proprio una bella giornata…ma muoviti che sei in ritardo…il

giorno che arriverai puntuale o sarai malata o innamorata, che poi è u-guale”, mi risponde spazientita con questa perla di saggezza, frutto di anni e anni d’esperienza, che propina a tutti i ritardatari.

Raggiungo la mia classe, entro e noto con sottile piacere che il Dei,

l’insegnante di religione, non è ancora arrivato. Così urlo un ‘buongior-no’ generale e vado da Franci.

“Neanche oggi in orario. Inizio a pensarla come Felicetta a proposito della tua puntualità!”.

“Beh, tu malata o innamorata lo sei già, per cui non corri il rischio. Ci sei già dentro fino al collo. E poi di chi? Dico io!”, ribatto secca.

“Non osare offendere Edward! Tutto ma non Edward!”, protesta Franci offesa.

“Fai tu! Ma io proprio non ti seguo…”, mi allontano sbuffando. Prendo posto al mio banco accanto al mio compagno. “Ciao Lucio!”. “Ciao Irene! Anche oggi in ritardo!”. Scuoto la testa. Ecco un altro che non ha ancora perso la speranza di

vedermi arrivare prima delle 8.10.

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Lucio Sistini: alto e smilzo, occhi piccoli e vicini che ti analizzano meglio di una TAC e con un ciuffo di capelli davanti al viso più simile a un parrucchino d’altri tempi che a un taglio all’ultima moda.

Ma la cosa che in lui sopporto meno è l’‘aroma’ inconfondibile che lo circonda e lo accompagna ovunque vada. Non sto parlando del profumo di muschio e sandalo che fa molto maschio ma, bensì, di quell’odore speziato misto aglio cipolla che ti stende. E giuro che non sto scherzan-do. Probabilmente sua madre non riesce a cucinare pietanze senza ab-bondare con questi ingredienti. Neanche a colazione.

Il problema è che Lucio ha scarso acume intellettivo e non ha mai re-cepito i messaggi subliminali che nel tempo gli ho inviato.

“Sei caduto nel potpourri di aglio?”, ho osato commentare una volta. Ma Lucio proprio non ci arriva e, così, ho adottato la tattica delle ca-

ramelle alla menta. “Mentina?”, offro, prendendo posto accanto a lui. E finché dura

l’effetto della caramella, la mia sopravvivenza è assicurata. Da più di due anni ormai, finanzio le industrie di caramelle alla menta

ultra forti, da quando cioè, all’inizio della prima liceo, mi fu imposto come compagno di banco dalla allora insegnante di lettere. E al danno si aggiunse da subito pure la beffa, perché il ‘caro’ Lucio, per motivi ancora sconosciuti, si prese una mostruosa cotta per me. Sì, perché, di me, si più dire tutto: che sia alta e snella, che il mio sorriso sia conta-gioso, che i miei grandi occhi scuri, leggermente allungati, siano acuti e intelligenti e che i miei capelli, soprattutto ora che li ho lasciati cresce-re, siano accattivanti. Ma di certo non mi si può considerare una ragaz-za appariscente, a cominciare dalla taglia di reggiseno: una misera pri-ma e un quarto che a mala pena riempie il push-up (push-up per forza… della serie ‘salviamo il salvabile’).

La bisnonna Berta ogni volta che mi vede, scuote la testa sconsolata e poi aggiunge piena di rammarico: “Quanti danni ha fatto San Giuseppe con quella pialla!”.

Nonostante ciò, Lucio continua imperterrito a sciorinare fiumi di complimenti nella segreta speranza di conquistarmi, a cui, io impertur-babile, rispondo con indifferenti monosillabi.

Dovrei proprio essere disperata, o drogata o, peggio ancora, aver bat-tuto la testa forte, ma molto forte per uscire con lui, figuriamoci diven-tare la sua ragazza.

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Di corsa e trafelato irrompe in aula il professore di religione; sopran-nominato dagli studenti Don Dei per la sua aria da seminarista, ci saluta e prende posto alla cattedra.

“Ehi prof! L’autobus ha bucato anche oggi, la sveglia non ha suonato oppure ha fatto tardi perché è dovuto passare in ospedale ad accompa-gnare sua nonna per un’urgente trasfusione di sangue?”, si diverte il Santini, riproponendo tutto il repertorio completo di scuse che, nel-l’arco della sua carriera scolastica, ha rifilato egli stesso ai professori.

Andrea Santini è il giullare di classe, un ragazzo talmente simpatico da farti dimenticare tutte le sue carenze fisiche. Ha un solo e unico di-fetto, quello di avere una cieca e smisurata venerazione per Denise Bi-ni.

Il Dei taglia corto e, ancora ansimante, comincia la sua lezione: “Og-gi ragazzi, vorrei affrontare con voi il concetto di matrimonio nelle di-verse religioni del mondo!”, attacca a spiegare l’insegnante.

“Ehi prof, i miei sono separati e io sono piuttosto sensibile a certi ar-gomenti! Potrei andare al bar a prendermi qualcosa per tirarmi su il mo-rale?”, si lamenta Denise Bini che, come suo solito, ne approfitta per uscire dall’aula.

“Vai, ma torna alla svelta”, concede il professore. “Veramente prof, lo sanno tutti che la preside non sopporta vedere gli

studenti bighellonare per la scuola”, protesta il Gori. Filippo Gori è il nostro rappresentante di classe ed è un ragazzo impe-

gnato politicamente e socialmente. È un contestatore nato e, da quando ha cominciato il liceo, ha partecipato a tutte le manifestazioni studente-sche e non, a patto che si tenessero di sabato. Indossa sempre i soliti je-ans sdruciti e la tradizionale maglietta rossa raffigurante Che Guevara.

“Se dovessi incontrarla, dirò che ho avuto un malessere e che sto an-dando a prendere una camomilla al bar”, rassicura la nostra compagna.

“E allora prof, sarebbe meglio che l’accompagnassi. Se uno sta male non può certo andare in giro da solo. Non sarebbe credibile”, interviene il Santini, prendendo sottobraccio la Bini, che è già sulla porta.

“Guarda Andrea, che non ce n’è bisogno”, precisa lei liberando il braccio.

“Dai Denise, offro io”, insiste l’altro. “Fuori tutti e due! Andate dove volete, purché fra cinque minuti siate

di nuovo qui ai vostri banchi”, tronca la discussione l’insegnante.

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Si sa che i cinque minuti saranno almeno quindici, ma i miei compa-gni avranno pronta una convincente giustificazione.

I due escono: lei, con l’aria di una a cui sono andati a monte i piani (probabilmente aveva appuntamento con qualcuno); lui, soddisfatto come mio fratello Gabri quando mangia le lasagne.

Il Dei riprende il filo del discorso: “La legge italiana, in base agli ac-cordi stipulati nel 1929 con il Vaticano, stabilisce la possibilità di con-trarre vari tipi di matrimoni…”.

Accanto a me Franci alza la mano e, senza lasciare al Dei il tempo di terminare la frase, domanda: “Prof, mi scusi! Avrei un dubbio che mi assilla da un po’ di tempo: facciamo l’ipotesi che uno si sposasse con un essere immortale che, come tale, resterebbe sempre giovane. Al con-trario l’umano con il tempo invecchierebbe. Si creerebbe il paradosso che il diciassettenne, dopo mezzo secolo, si ritroverebbe sposato a una settantaseienne!” .

Non ci posso credere! Adesso anche ai professori propina la storia di Edward… e ha pure fatto i conti giusti.

Franci continua nella sua teorica esposizione: “In conclusione prof, ri-tiene che ci sarebbero i presupposti perché l’immortale possa chiedere l’annullamento del matrimonio e sposarsi con una più giovane?”.

Il Dei rimane basito per alcuni secondi, poi, com’è nel suo stile, ri-sponde: “Per puro amore della dialettica, Fontani, ritengo che prima di tutto bisognerebbe considerare il tipo di matrimonio che è stato contrat-to tra i due…”.

“Ma naturalmente matrimonio cattolico tradizionale in Chiesa, con classico abito bianco, stretto in vita che ricade morbido sui fianchi e strascico lungo almeno un metro”, interrompe convinta la mia amica.

“Sempre per amore della dialettica, direi che i due coniugi per tenere fede alla loro promessa di matrimonio, che vi ricordo essere fatta da-vanti a Dio, dovrebbero rimanere sposati finché morte non li separi. In tal caso la morte della sposa, dal momento che lo sposo si è detto essere immortale!”, conclude a fatica il Dei asciugandosi con un fazzoletto il sudore dalla fronte.

“Grazie prof! Mi ha tolto un peso dal cuore, non sa quanto”, ringrazia sollevata Franci.

“Io, se fossi un immortale, cambierei donna almeno una volta all’anno e figuriamoci se mi sposo. Al massimo andrei a convivere!”, salta su quel vanesio del Masi, con fare di uno che la sa lunga.

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Manuel Masi è, a dire di molte ragazze, il più ‘figo’ della nostra clas-se. Personalmente non mi fa impazzire, ma devo ammettere che com-pensa un viso quasi banale, con un fisico ineccepibile, frutto di anni di body-building.

“Ma se ami una persona vorresti stare per sempre con lei. E un vinco-lo indissolubile, benedetto da Dio, sarebbe un semplice coronamento del tuo sogno d’amore”, interviene mielosamente il Sistini, lanciandomi un’occhiata piena di sottintesi.

“Ma siamo proprio sicuri che l’amore per questa persona sia ricambia-to e non sia, al contrario, miseramente a senso unico da, diciamo, due anni a questa parte?”, ribatto io secca, assestando un colpo basso a Lu-cio.

“Guarda, se proprio dovessi sposarmi, andrei a Bali dove celebrano quei riti così folcloristici, con abbigliamenti colorati, tanto cibo, musica e sexy ballerine locali ad animare la cerimonia. E magari alla festa di addio al celibato ci scapperebbe anche un tipico massaggio thailande-se”, continua Manuel, rincorrendo i suoi pensieri.

“Masi, cosa c’entra il massaggio thailandese a Bali? È come dire che se ti sposi a Firenze, vai a fare la festa di addio al celibato ad Amster-dam”, interviene Letizia.

Letizia Pratesi, una potenza della natura, a cominciare dal look. Non particolarmente alta, si fa comunque notare per la sua chioma biondo platino, ravvivata da striature rosa e viola. È incredibile: non studia pra-ticamente mai, ma riesce sempre e comunque a cavarsela, complici una spigliata parlantina e una smisurata fantasia, con le quali compensa i suoi vuoti o voragini culturali.

“Bella idea! Sai che non ci avevo mai pensato?”, dichiara soddisfatto Manuel.

“Ma se hai appena detto che non ti sposi, a che ti serve l’addio al celi-bato?”, lo contraddice Lucio.

“Sistini, bisogna sempre spiegarti tutto? Vuoi che ti faccia un disegni-no per capire meglio?”. Manuel scatena l’ilarità generale.

Nello stesso istante, rientrano Andrea e Denise che commentano: “È così che si fa lezione? Vi si sentiva dall’altra parte della scuola!”. Cosa facessero dall’altra parte della scuola non è dato sapersi. Il professore, alquanto confuso, ne approfitta per riprendere il control-

lo della situazione e ricominciare, o meglio, cominciare la sua spiega-

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zione, dal momento che non gli abbiamo ancora dato il tempo di parla-re.

L’ora trascorre senza ulteriori intoppi, anche se a seguire la lezione sono proprio in pochi e neanche in maniera continuativa.

Il Masi ha l’occhio da pesce lesso; probabilmente sta fantasticando su una danzatrice di Bali, che gli propone un massaggio thailandese.

Franci, inutile dirlo, starà immaginando il giorno delle sue nozze con Edward.

Lucio, il giorno in cui cadrò ai suoi piedi. Io, la testata che prenderò il giorno che cadrò ai piedi di Lucio.