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QUESTO E-BOOK:

TITOLO: Ritratti letterariAUTORE: De Amicis, EdmondoTRADUTTORE: CURATORE:NOTE: Il testo è presente in formato immagine su"The Internet Archive" (https://www.archive.org/).Realizzato in collaborazione con il Project Guten-berg (http://www.gutenberg.net/) tramite DistributedProofreaders (https://www.pgdp.net/).CODICE ISBN E-BOOK: n. d.

DIRITTI D'AUTORE: no

LICENZA: questo testo è distribuito con la licenzaspecificata al seguente indirizzo Internet:www.liberliber.it/online/opere/libri/licenze

COPERTINA: n. d.

TRATTO DA: Ritratti letterari / Edmondo De Amicis. -Milano : Fratelli Treves, 1881. - 338 p. ; 19 cm.

CODICE ISBN FONTE: n. d.

1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 23 novembre 2020

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TRATTO DA: Ritratti letterari / Edmondo De Amicis. -Milano : Fratelli Treves, 1881. - 338 p. ; 19 cm.

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INDICE DI AFFIDABILITÀ: 10: affidabilità bassa1: affidabilità standard2: affidabilità buona3: affidabilità ottima

SOGGETTO:BIO007000 BIOGRAFIA E AUTOBIOGRAFIA / LetterariaLIT004150 CRITICA LETTERARIA / Europea / Francese

DIGITALIZZAZIONE:Distributed Proofreaders, https://www.pgdp.net/

REVISIONE:Barbara Magni, [email protected]

IMPAGINAZIONE:Claudio Paganelli, [email protected]

PUBBLICAZIONE:Claudio Paganelli, [email protected]

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Indice generale

Liber Liber......................................................................4Ritratti Letterari..............................................................6ALFONSO DAUDET....................................................8EMILIO ZOLA.............................................................40

POLEMISTA............................................................40EMILIO AUGIER E ALESSANDRO DUMAS..........75L'ATTORE COQUELIN.............................................115PAOLO DÉROULÈDE..............................................148

E LA POESIA PATRIOTTICA..............................148INDICE.......................................................................219

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Indice generale

Liber Liber......................................................................4Ritratti Letterari..............................................................6ALFONSO DAUDET....................................................8EMILIO ZOLA.............................................................40

POLEMISTA............................................................40EMILIO AUGIER E ALESSANDRO DUMAS..........75L'ATTORE COQUELIN.............................................115PAOLO DÉROULÈDE..............................................148

E LA POESIA PATRIOTTICA..............................148INDICE.......................................................................219

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EDMONDO DE AMICIS

Ritratti Letterari

Seconda edizione.

MILANO

FRATELLI TREVES, EDITORI1881.

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Tip. Treves.

Gli editori hanno compite tutte le formalità richieste dalla legge edalle convenzioni internazionali per riservare tutti i diritti di

proprietà letteraria e di traduzione.[1]

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ALFONSO DAUDET

Il Daudet è lo scrittore francese più popolare in Italiadopo lo Zola. Molti, anzi, li mettono alla pari, e lenature miti antepongono all'autore dell'Assommoirl'autore del Nabab, naturalista meno spietato. Ladifferenza che passa fra loro è più nell'indole chenell'arte. Nell'arte impiegano tutti e due quella stessa«formola scientifica» che va predicando lo Zola;procedono quasi egualmente nell'analisi degliavvenimenti e dei personaggi; tengono lo stessoandamento, e quasi la stessa maniera di ripartizionenella descrizione, che è grandissima parte, e si potrebbe[2] dire il fondo, dei romanzi di tutti e due; ed hannosomigliantissima la condotta del dialogo, benchè inquello del Daudet ci sia di più «l'accento e il gusto»della commedia. Alle volte, anzi, leggendo il Daudet, siha per parecchie pagine un'illusione: si scorda lui e pardi leggere l'altro, tanto il colore delle immagini,l'efficacia dei particolari più minuti, e il giro dei periodi,monchi dei verbi, e ingegnosamente cadenzati, sonsimili a quelli dello Zola. Ma in capo a poche pagine,vien fuori una pennellata, una nota musicale, un sorriso,che fa dire: no, è il Daudet. Lo stile dello Zola, comedice egli stesso, è più geometrico; quello del Daudet piùsnello e più di vena, ed anche più impennacchiato, che èpure il difetto che lo Zola trova nel proprio. Ci sono

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ALFONSO DAUDET

Il Daudet è lo scrittore francese più popolare in Italiadopo lo Zola. Molti, anzi, li mettono alla pari, e lenature miti antepongono all'autore dell'Assommoirl'autore del Nabab, naturalista meno spietato. Ladifferenza che passa fra loro è più nell'indole chenell'arte. Nell'arte impiegano tutti e due quella stessa«formola scientifica» che va predicando lo Zola;procedono quasi egualmente nell'analisi degliavvenimenti e dei personaggi; tengono lo stessoandamento, e quasi la stessa maniera di ripartizionenella descrizione, che è grandissima parte, e si potrebbe[2] dire il fondo, dei romanzi di tutti e due; ed hannosomigliantissima la condotta del dialogo, benchè inquello del Daudet ci sia di più «l'accento e il gusto»della commedia. Alle volte, anzi, leggendo il Daudet, siha per parecchie pagine un'illusione: si scorda lui e pardi leggere l'altro, tanto il colore delle immagini,l'efficacia dei particolari più minuti, e il giro dei periodi,monchi dei verbi, e ingegnosamente cadenzati, sonsimili a quelli dello Zola. Ma in capo a poche pagine,vien fuori una pennellata, una nota musicale, un sorriso,che fa dire: no, è il Daudet. Lo stile dello Zola, comedice egli stesso, è più geometrico; quello del Daudet piùsnello e più di vena, ed anche più impennacchiato, che èpure il difetto che lo Zola trova nel proprio. Ci sono

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pagine del Nabab e dei Rois en exil che dannol'immagine di mazzi di fiori, o di fasci di zampillipercossi dal sole, o di quelle stoffe orientali rabescated'oro così fittamente, che quasi non vi appare più ilcolore del tessuto; grandi periodi ondulati e sonori, [3]

qualche volta precipitosi, che travolgono il lettore, esembrano sgorgati dalla bocca d'un oratore nel momentopiù ardente dell'improvvisazione; quantunque il Daudetnon fatichi e non si tormenti meno dello Zola per darforma al proprio pensiero. La descrizione dello Zola vapiù addentro alle cose; quella del Daudet è più vivace emeno diffusa, e senza dubbio meno grave al comune deilettori. Lo Zola si compiace di provocare e di ferire inchi legge quella delicatezza di senso che a lui sembraprodotta da un concetto della convenienza artistica,falso e dannoso all'arte; il Daudet è meno brutale, usadei riguardi, non credo per proposito, ma per effettodella natura propria ripugnante dagli eccessi. A ciò forseallude lo Zola quando dice, non senza malizia, a miocredere, che il Daudet ha più di lui quello che ci vuoleper piacere alla maggioranza dei lettori. Lo Zola è piùpadrone di sè; il Daudet, di natura più meridionale,riesce meno a domarsi; fa capolino dietro ai suoipersonaggi, [4] interviene a giudicare, si lascia sfuggiredelle approvazioni gioiose e degli sfoghi d'indignazione;non è sempre così impassibile e velato come quell'altro.In questo si ammira di più lo sforzo d'una mentepoderosa e paziente; nel Daudet la spontaneità d'unanatura ricca e geniale. Il Daudet è più amabile, lo Zola

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pagine del Nabab e dei Rois en exil che dannol'immagine di mazzi di fiori, o di fasci di zampillipercossi dal sole, o di quelle stoffe orientali rabescated'oro così fittamente, che quasi non vi appare più ilcolore del tessuto; grandi periodi ondulati e sonori, [3]

qualche volta precipitosi, che travolgono il lettore, esembrano sgorgati dalla bocca d'un oratore nel momentopiù ardente dell'improvvisazione; quantunque il Daudetnon fatichi e non si tormenti meno dello Zola per darforma al proprio pensiero. La descrizione dello Zola vapiù addentro alle cose; quella del Daudet è più vivace emeno diffusa, e senza dubbio meno grave al comune deilettori. Lo Zola si compiace di provocare e di ferire inchi legge quella delicatezza di senso che a lui sembraprodotta da un concetto della convenienza artistica,falso e dannoso all'arte; il Daudet è meno brutale, usadei riguardi, non credo per proposito, ma per effettodella natura propria ripugnante dagli eccessi. A ciò forseallude lo Zola quando dice, non senza malizia, a miocredere, che il Daudet ha più di lui quello che ci vuoleper piacere alla maggioranza dei lettori. Lo Zola è piùpadrone di sè; il Daudet, di natura più meridionale,riesce meno a domarsi; fa capolino dietro ai suoipersonaggi, [4] interviene a giudicare, si lascia sfuggiredelle approvazioni gioiose e degli sfoghi d'indignazione;non è sempre così impassibile e velato come quell'altro.In questo si ammira di più lo sforzo d'una mentepoderosa e paziente; nel Daudet la spontaneità d'unanatura ricca e geniale. Il Daudet è più amabile, lo Zola

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più potente; e lo prova il fatto che quello ritrae inqualche cosa da questo, e in specie negli ultimi lavori,ne porta qua e là, benchè vaga, l'impronta; mentre loZola, se pensa spesso, scrivendo, al suo rivale (com'iocredo), non ne dà segno. Il naturalismo del Daudet èmeno nero di quello dello Zola, perchè ha il colore dellanatura simpatica dell'artista: perciò il Daudet è più caroagli ottimisti e ai benevoli. Per quanto siano corrotti escellerati la maggior parte dei personaggi, e tristi gliavvenimenti, pure il sentimento generale e durevole checi lasciano i suoi romanzi, non è mai propriosconsolante: a traverso al loro ordito di color fosco, sivede sempre un po' di barlume d'azzurro. È perchè neiromanzi [5] del Daudet tengono una più grande partequei «personaggi simpatici» che lo Zola appuntorimprovera agli autori drammatici, e cherimprovererebbe al Daudet medesimo, se la suacondizione di romanziere rivale, e perciò sospetto digelosia, non gl'imponesse dei riguardi; è perchè ilDaudet fa nei suoi romanzi una contrapposizione dibuoni e di cattivi genii più soddisfacente, e per leproporzioni e per la forza, all'istinto generoso che ciporta a credere al bene; perchè, infine, egli fa un piùlargo campo, nei suoi libri, a quanto c'è di buono e dinobile nell'anima umana. Il Daudet vede il mondo menoscuro; dev'essere stato più felice che lo Zola nella suavita, o avere una di quelle nature, sulle quali il dolore hameno presa. Non vela il male; ma un poco, sia pureleggerissimamente, abbellisce il bene. È più affettuoso

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più potente; e lo prova il fatto che quello ritrae inqualche cosa da questo, e in specie negli ultimi lavori,ne porta qua e là, benchè vaga, l'impronta; mentre loZola, se pensa spesso, scrivendo, al suo rivale (com'iocredo), non ne dà segno. Il naturalismo del Daudet èmeno nero di quello dello Zola, perchè ha il colore dellanatura simpatica dell'artista: perciò il Daudet è più caroagli ottimisti e ai benevoli. Per quanto siano corrotti escellerati la maggior parte dei personaggi, e tristi gliavvenimenti, pure il sentimento generale e durevole checi lasciano i suoi romanzi, non è mai propriosconsolante: a traverso al loro ordito di color fosco, sivede sempre un po' di barlume d'azzurro. È perchè neiromanzi [5] del Daudet tengono una più grande partequei «personaggi simpatici» che lo Zola appuntorimprovera agli autori drammatici, e cherimprovererebbe al Daudet medesimo, se la suacondizione di romanziere rivale, e perciò sospetto digelosia, non gl'imponesse dei riguardi; è perchè ilDaudet fa nei suoi romanzi una contrapposizione dibuoni e di cattivi genii più soddisfacente, e per leproporzioni e per la forza, all'istinto generoso che ciporta a credere al bene; perchè, infine, egli fa un piùlargo campo, nei suoi libri, a quanto c'è di buono e dinobile nell'anima umana. Il Daudet vede il mondo menoscuro; dev'essere stato più felice che lo Zola nella suavita, o avere una di quelle nature, sulle quali il dolore hameno presa. Non vela il male; ma un poco, sia pureleggerissimamente, abbellisce il bene. È più affettuoso

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dello Zola: ha novelle e commedie riboccanti di affettotenerissimo da un capo all'altro; e credo appunto che sial'esempio potente dello Zola quello che gli fece mettereun [6] po' più di nero sul roseo nei suoi ultimi scritti. Edha anche un'arte, se si può dire, più giovanile che loZola: gioca più di sorpresa, è più teatrale, piùcapriccioso nel rompere e nel riannodare le fila delromanzo, procede più a sbalzi, si abbandona piùliberamente ai grilli della fantasia, e volteggia, e canta, ecelia anche più sovente, e di miglior umore che lo Zola;fino a convertire, come fa qualche volta, i ritratti e lescene comiche in caricature. Lo Zola ha più di lui unqualche cosa di grave, di largamente basato e dimacchinoso, che è nel Balzac. Bacone, applicando lasua sentenza sulle differenze dei libri, direbbe che iromanzi dello Zola si masticano e quelli del Daudet siinghiottiscono. Lo Zola è un formidabile artista, senzadubbio; ma bisogna riconoscere che ha un meravigliosotocco di pennello anche questo fiammeggianteprovenzale del Daudet. Lo Zola ha sviscerato piùprofondamente la natura e i costumi del popolo. Maquel turbinìo vertiginoso e sonoro della vita elegante diParigi, quella [7] corsa sfrenata di donnette, di giovaniscapigliati, di vecchi libertini, di scrocconi, di principibanditi e di ciarlatani, dall'alcova alla cena, al teatro,all'ippodromo, alla borsa, alla rovina, tra le bricconate ele buffonate e il lusso impudente e la stupidaspensieratezza e le baraonde matte, nessuno l'hadescritto con un linguaggio più rapido, più variopinto,

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dello Zola: ha novelle e commedie riboccanti di affettotenerissimo da un capo all'altro; e credo appunto che sial'esempio potente dello Zola quello che gli fece mettereun [6] po' più di nero sul roseo nei suoi ultimi scritti. Edha anche un'arte, se si può dire, più giovanile che loZola: gioca più di sorpresa, è più teatrale, piùcapriccioso nel rompere e nel riannodare le fila delromanzo, procede più a sbalzi, si abbandona piùliberamente ai grilli della fantasia, e volteggia, e canta, ecelia anche più sovente, e di miglior umore che lo Zola;fino a convertire, come fa qualche volta, i ritratti e lescene comiche in caricature. Lo Zola ha più di lui unqualche cosa di grave, di largamente basato e dimacchinoso, che è nel Balzac. Bacone, applicando lasua sentenza sulle differenze dei libri, direbbe che iromanzi dello Zola si masticano e quelli del Daudet siinghiottiscono. Lo Zola è un formidabile artista, senzadubbio; ma bisogna riconoscere che ha un meravigliosotocco di pennello anche questo fiammeggianteprovenzale del Daudet. Lo Zola ha sviscerato piùprofondamente la natura e i costumi del popolo. Maquel turbinìo vertiginoso e sonoro della vita elegante diParigi, quella [7] corsa sfrenata di donnette, di giovaniscapigliati, di vecchi libertini, di scrocconi, di principibanditi e di ciarlatani, dall'alcova alla cena, al teatro,all'ippodromo, alla borsa, alla rovina, tra le bricconate ele buffonate e il lusso impudente e la stupidaspensieratezza e le baraonde matte, nessuno l'hadescritto con un linguaggio più rapido, più variopinto,

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più trillante, più indiavolato, più proprio alla terribileleggerezza dell'argomento, che il Daudet. Egli nonsaprebbe forse descrivere il train train della vita di tuttii giorni con la potenza dello Zola, che è piùrigorosamente metodico, e sente più fortemente ilparticolare minuto; ma per contro ha certe cose sueproprie, in cui è maestro: narrazioni rapided'avvenimenti drammatici, che schizzano fuoco,descrizioni abbarbaglianti e tumultuose, e scenecomiche che strappano le risa dalle viscere, e certiabbandoni e divagamenti poetici che paion sogni, d'unagrazia e d'un sentimento che innamora. E che belleopposizioni di caratteri iniqui, onesti, bizzarri e [8]

ameni; che stupenda screziatura di tinte fosche e di tinterosate e di scintillamenti argentini nei suoi romanzi!Non si scordano più il Duca di Mora e Nabab, Séphorala bottegaia e Federica la regina, quel fanatico egeneroso legittimista del Maubert e quell'abbominevolefantoccio di Cristiano II, e Sidonia, la perla falsa, eClara, la perla vera, e l'illustre signor Dolabelle, tipo deicommedianti spiantati e presuntuosi, e Tom Lévis, tipodei ruffiani principeschi, e quel nobilissimo e stranocarattere dell'abate Germane, e quella povera e adorabilemadre di Jansoulet. Certo il Daudet è un verista; maquanti sdruci non fa nella teoria dello Zola! Anche lui,come dice il Goncourt, sente spesso il bisogno disfuggire al reale, o piuttosto vi sfugge senz'avvedersene,forzato dalla sua natura poetica e affettuosa, e fa delleculbutes dans le bleu, e che culbutes! Fa quell'angelo

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più trillante, più indiavolato, più proprio alla terribileleggerezza dell'argomento, che il Daudet. Egli nonsaprebbe forse descrivere il train train della vita di tuttii giorni con la potenza dello Zola, che è piùrigorosamente metodico, e sente più fortemente ilparticolare minuto; ma per contro ha certe cose sueproprie, in cui è maestro: narrazioni rapided'avvenimenti drammatici, che schizzano fuoco,descrizioni abbarbaglianti e tumultuose, e scenecomiche che strappano le risa dalle viscere, e certiabbandoni e divagamenti poetici che paion sogni, d'unagrazia e d'un sentimento che innamora. E che belleopposizioni di caratteri iniqui, onesti, bizzarri e [8]

ameni; che stupenda screziatura di tinte fosche e di tinterosate e di scintillamenti argentini nei suoi romanzi!Non si scordano più il Duca di Mora e Nabab, Séphorala bottegaia e Federica la regina, quel fanatico egeneroso legittimista del Maubert e quell'abbominevolefantoccio di Cristiano II, e Sidonia, la perla falsa, eClara, la perla vera, e l'illustre signor Dolabelle, tipo deicommedianti spiantati e presuntuosi, e Tom Lévis, tipodei ruffiani principeschi, e quel nobilissimo e stranocarattere dell'abate Germane, e quella povera e adorabilemadre di Jansoulet. Certo il Daudet è un verista; maquanti sdruci non fa nella teoria dello Zola! Anche lui,come dice il Goncourt, sente spesso il bisogno disfuggire al reale, o piuttosto vi sfugge senz'avvedersene,forzato dalla sua natura poetica e affettuosa, e fa delleculbutes dans le bleu, e che culbutes! Fa quell'angelo

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purissimo di Désirèe, che sembra sbocciata dallafantasia del Lamartine, e la famiglia di Joyeuse, che partagliata netta da un [9] romanzo di Carlo Dickens, e lavirtù tutta di un pezzo della regina d'Illiria, e il fratelloJacques, d'una bontà più che umana; creature che nonpossono quasi comprendersi nemmeno in quella realtàpoetica fino alla quale spinge le sue concessioni lo Zola.Ma che importa? Quel che ci perde in rigore il verismo,lo guadagna lui in simpatia. In tutti i suoi romanzi, edanche nei più brevi suoi racconti, si sente ad ogni paginail profumo d'un'anima nobile e gentile, che serba la suabella serenità anche nella pittura dei più orrendi vizi,che sente la bellezza fin nelle più intime fibre, che vibrapotentemente per ogni idea grande e per ogni grandeaffetto; aperta e limpida, piena di pietà per tutti i dolori,dominata da un sentimento netto e profondo del bene edel male, dotata d'un senso comico originale e simpaticoche non si esprime nella risata plebea, ma in un sorrisofine e grazioso, e canzona amabilmente, senza schernire,in modo che ogni anima più delicata può sempre farvieco, sicuro che non riderà mai [10] di nulla di triste e dirispettabile. E il Daudet è giovane; forse salirà ancoraper molti anni. C'è un pericolo non di meno: che permantenersi il favore grande che s'è acquistato, eglisforzi il suo ingegno e lo pieghi alla curiosità e al gustofalso del pubblico, sia proseguendo la serie dei così dettiromanzi â allusions, come i suoi ultimi due, che è la viapiù sicura per riuscire a grandi successi librarii a scapitodell'arte; sia spingendo anche più oltre

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purissimo di Désirèe, che sembra sbocciata dallafantasia del Lamartine, e la famiglia di Joyeuse, che partagliata netta da un [9] romanzo di Carlo Dickens, e lavirtù tutta di un pezzo della regina d'Illiria, e il fratelloJacques, d'una bontà più che umana; creature che nonpossono quasi comprendersi nemmeno in quella realtàpoetica fino alla quale spinge le sue concessioni lo Zola.Ma che importa? Quel che ci perde in rigore il verismo,lo guadagna lui in simpatia. In tutti i suoi romanzi, edanche nei più brevi suoi racconti, si sente ad ogni paginail profumo d'un'anima nobile e gentile, che serba la suabella serenità anche nella pittura dei più orrendi vizi,che sente la bellezza fin nelle più intime fibre, che vibrapotentemente per ogni idea grande e per ogni grandeaffetto; aperta e limpida, piena di pietà per tutti i dolori,dominata da un sentimento netto e profondo del bene edel male, dotata d'un senso comico originale e simpaticoche non si esprime nella risata plebea, ma in un sorrisofine e grazioso, e canzona amabilmente, senza schernire,in modo che ogni anima più delicata può sempre farvieco, sicuro che non riderà mai [10] di nulla di triste e dirispettabile. E il Daudet è giovane; forse salirà ancoraper molti anni. C'è un pericolo non di meno: che permantenersi il favore grande che s'è acquistato, eglisforzi il suo ingegno e lo pieghi alla curiosità e al gustofalso del pubblico, sia proseguendo la serie dei così dettiromanzi â allusions, come i suoi ultimi due, che è la viapiù sicura per riuscire a grandi successi librarii a scapitodell'arte; sia spingendo anche più oltre

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quell'efflorescenza già soverchia di stile, che si notaprincipalmente nei Rois en exil, e che i critici di gustolamentano, ricordando la bella semplicità efficace deisuoi scritti anteriori. È da sperarsi che sì arresti suquesta china. Frattanto egli appartiene a quella famigliadi scrittori, a cui è difficile assegnare un grado nellagerarchia degli ingegni, perchè la simpatia che ispiranoconfonde gli argomenti del giudizio letterario. Ci sonoingegni grandi che preferiamo ai grandissimi, comeedifizi gentili a enormi palazzi di granito. Perchè volermettere ad ogni costo, anche su di loro, il [11] numerod'ordine? Il meglio è lasciarli in disparte, dove sitrovano; e questa necessità in cui ci mettono diammirarli in una specie di solitudine, è forse il loro piùbel titolo di gloria. Il Daudet è uno scrittore nato, diquelli, come dice il Foscolo, che hanno l'arte neimuscoli e nel midollo delle ossa, e la cui potenza risiedein qualche cosa di intimo che sfugge all'analisi. Fare ipedanti sull'arte sua, ripugnerebbe, come il criticare laforma di un fiore o le sfumature d'un'aurora. E in questamanìa universale di «uccider l'arte per vedere com'èfatta» è grato l'incontrare uno scrittore come il Daudet,che abbarbaglia e trascina, e fa piangere e ridere, e ci sipianta nel cuore, senza lasciarci tempo e modo ditormentar lui e noi coi ferri della critica, che taglianoanche dal manico. Noi pigliamo il Daudet com'è, con lesue deficienze e coi suoi difetti, ad occhi chiusi,facendogli festa amorosamente, come a un fratelloglorioso. Un critico francese disse tempo fa che bisogna

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quell'efflorescenza già soverchia di stile, che si notaprincipalmente nei Rois en exil, e che i critici di gustolamentano, ricordando la bella semplicità efficace deisuoi scritti anteriori. È da sperarsi che sì arresti suquesta china. Frattanto egli appartiene a quella famigliadi scrittori, a cui è difficile assegnare un grado nellagerarchia degli ingegni, perchè la simpatia che ispiranoconfonde gli argomenti del giudizio letterario. Ci sonoingegni grandi che preferiamo ai grandissimi, comeedifizi gentili a enormi palazzi di granito. Perchè volermettere ad ogni costo, anche su di loro, il [11] numerod'ordine? Il meglio è lasciarli in disparte, dove sitrovano; e questa necessità in cui ci mettono diammirarli in una specie di solitudine, è forse il loro piùbel titolo di gloria. Il Daudet è uno scrittore nato, diquelli, come dice il Foscolo, che hanno l'arte neimuscoli e nel midollo delle ossa, e la cui potenza risiedein qualche cosa di intimo che sfugge all'analisi. Fare ipedanti sull'arte sua, ripugnerebbe, come il criticare laforma di un fiore o le sfumature d'un'aurora. E in questamanìa universale di «uccider l'arte per vedere com'èfatta» è grato l'incontrare uno scrittore come il Daudet,che abbarbaglia e trascina, e fa piangere e ridere, e ci sipianta nel cuore, senza lasciarci tempo e modo ditormentar lui e noi coi ferri della critica, che taglianoanche dal manico. Noi pigliamo il Daudet com'è, con lesue deficienze e coi suoi difetti, ad occhi chiusi,facendogli festa amorosamente, come a un fratelloglorioso. Un critico francese disse tempo fa che bisogna

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contentarsi del Daudet perchè non abbiamo dei genii. -E [12] noi ce ne contentiamo - infinitamente.

***

Il Daudet, come la più parte degli scrittori celebri diParigi, vive molto a sè: non va tra la gente che perstudiare, perchè è uno di quegli artisti che si reggonopiù sopra l'osservazione che sopra l'immaginazione; ed èdifficile arrivare a lui, non perchè faccia l'inaccessibile,ma perchè tra il teatro e il Moniteur e i romanzi e gliamici e le mosche, ha quasi sempre la giornata presa. Ècome pigliare un biglietto per il Nouvel-Opéra, nellegrandi occasioni: bisogna pensarci una settimana prima.Sta al quarto piano, malgrado le ottanta edizioni delNabab, in un quartierino che guarda sui giardini delLussemburgo, famosi per [13] convegni d'amanti; piccolo,ma pieno di luce e allegro, un vero nido di rondini, dacui si sentono appena i rumori della strada, che son rari.Non si può immaginare una casa di scrittore checorrisponda meglio alla natura dell'ingegno edell'animo, ed anche alla persona del padrone. C'è tuttala varietà e la grazia d'ornamenti e di colori del suo stile,e la morbidezza della sua indole. Son due stanzineraccolte, quelle che io vidi, piene di fiori, di piccolibronzi, d'oggettini giapponesi e d'acquerelli, che sulprimo momento confondon la vista, come certe suepagine fosforescenti: i divani e i seggioloni coperti diantiche stoffe a ricami argentati, i libri luccicanti di

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contentarsi del Daudet perchè non abbiamo dei genii. -E [12] noi ce ne contentiamo - infinitamente.

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Il Daudet, come la più parte degli scrittori celebri diParigi, vive molto a sè: non va tra la gente che perstudiare, perchè è uno di quegli artisti che si reggonopiù sopra l'osservazione che sopra l'immaginazione; ed èdifficile arrivare a lui, non perchè faccia l'inaccessibile,ma perchè tra il teatro e il Moniteur e i romanzi e gliamici e le mosche, ha quasi sempre la giornata presa. Ècome pigliare un biglietto per il Nouvel-Opéra, nellegrandi occasioni: bisogna pensarci una settimana prima.Sta al quarto piano, malgrado le ottanta edizioni delNabab, in un quartierino che guarda sui giardini delLussemburgo, famosi per [13] convegni d'amanti; piccolo,ma pieno di luce e allegro, un vero nido di rondini, dacui si sentono appena i rumori della strada, che son rari.Non si può immaginare una casa di scrittore checorrisponda meglio alla natura dell'ingegno edell'animo, ed anche alla persona del padrone. C'è tuttala varietà e la grazia d'ornamenti e di colori del suo stile,e la morbidezza della sua indole. Son due stanzineraccolte, quelle che io vidi, piene di fiori, di piccolibronzi, d'oggettini giapponesi e d'acquerelli, che sulprimo momento confondon la vista, come certe suepagine fosforescenti: i divani e i seggioloni coperti diantiche stoffe a ricami argentati, i libri luccicanti di

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dorature: tutto nitido, piccolo e grazioso. L'amico chem'accompagnava mi disse nell'orecchio, accennandointorno: - Ci si vede la mano della donna. - E infatti nonsolamente l'aspetto della casa, ma qualcosad'indefinibile che è nella persona e nei modi del Daudetfa indovinare la donna non solo, ma l'amore. Sonogradevolissimi quei [14] pochi momenti che si passanonella casa d'uno scrittore ammirato e simpatico,aspettando la sua apparizione. Ogni più piccolo oggettopar che contenga la rivelazione d'un segreto del suoingegno e del suo cuore, e si vorrebbe scoprire unlegame tra il capriccio che gli fece scegliere i ninnoli delsalotto e il gusto che lo guida nella scelta dell'immaginee della frase potente. Si vorrebbe frugare per tutto efiutare ogni cosa. Il visitatore piglia l'aspetto d'un ladrodomestico che cerchi intorno su che cosa ha da fare ilsuo colpo. Mentre appunto stavo facendo il ladro, sisentì nell'altra stanza una voce sonora e dolce, sispalancò una porta con impeto, e comparve AlfonsoDaudet.

[15]

***

Non credo che la più appassionata delle lettrici delNabab si sia mai rappresentata, pensando al Daudet, unafigura più bella e più simpatica della sua figura reale. Distatura media, di proporzioni giuste, sottile per i suoitrentott'anni, ha una testa che potrebbe servire di

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dorature: tutto nitido, piccolo e grazioso. L'amico chem'accompagnava mi disse nell'orecchio, accennandointorno: - Ci si vede la mano della donna. - E infatti nonsolamente l'aspetto della casa, ma qualcosad'indefinibile che è nella persona e nei modi del Daudetfa indovinare la donna non solo, ma l'amore. Sonogradevolissimi quei [14] pochi momenti che si passanonella casa d'uno scrittore ammirato e simpatico,aspettando la sua apparizione. Ogni più piccolo oggettopar che contenga la rivelazione d'un segreto del suoingegno e del suo cuore, e si vorrebbe scoprire unlegame tra il capriccio che gli fece scegliere i ninnoli delsalotto e il gusto che lo guida nella scelta dell'immaginee della frase potente. Si vorrebbe frugare per tutto efiutare ogni cosa. Il visitatore piglia l'aspetto d'un ladrodomestico che cerchi intorno su che cosa ha da fare ilsuo colpo. Mentre appunto stavo facendo il ladro, sisentì nell'altra stanza una voce sonora e dolce, sispalancò una porta con impeto, e comparve AlfonsoDaudet.

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Non credo che la più appassionata delle lettrici delNabab si sia mai rappresentata, pensando al Daudet, unafigura più bella e più simpatica della sua figura reale. Distatura media, di proporzioni giuste, sottile per i suoitrentott'anni, ha una testa che potrebbe servire di

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modello per un Cristo a un pittore idealista: una grandecapigliatura nera ondulata che gli fa ombra alla fronte;gli occhi neri, d'una lucentezza e d'una fissità strana, cheguardano con una espressione dolcissima; il viso,perfettamente ovale, d'un color bruno pallido; la boccapiccola e benevola, la barba alla nazarena, e un nasoaquilino della più bella arcatura che possa immaginareun pittore. Non [16] posso assicurare che sia il più belnaso della Francia, come m'ha detto uno dei suoiammiratori entusiastici; ma veramente, non mi ricordod'aver mai visto un profilo di volto più puro e più nobiledi quello del Daudet. Ha delle mani di donna, un sorrisogiovanile che gli rischiara tutto il viso, e una vocearmoniosa, pastosa, agile, abbellita da un tremitoleggerissimo, che par che venga dal profondo del cuore,e dà un'efficacia indicibile alle sue parole, quando eglis'esalta nell'espressione d'un bel sentimento. Oltre aquesto, un modo di muoversi e di discorrere, pieno divivacità e di naturalezza, da buon giovanotto; un fare dapittore allegro e cordiale, sorpreso in giacchetta inmezzo al disordine dello studio; e una certatrascuratezza artistica nel suo vestimento nero, ches'addice benissimo alla graziosa mobilità della suafigura signorile. A chi non la conoscesse, parrebbepiuttosto un italiano o un castigliano, che un francese.La sua stessa pronunzia non è così serrata e arrotatacome quella dei parigini, [17] quantunque tradisca appenail provenzale; e la sua voce ha un metallo particolare, uncolore musicale, come dicono là, rarissimo a trovarsi a

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modello per un Cristo a un pittore idealista: una grandecapigliatura nera ondulata che gli fa ombra alla fronte;gli occhi neri, d'una lucentezza e d'una fissità strana, cheguardano con una espressione dolcissima; il viso,perfettamente ovale, d'un color bruno pallido; la boccapiccola e benevola, la barba alla nazarena, e un nasoaquilino della più bella arcatura che possa immaginareun pittore. Non [16] posso assicurare che sia il più belnaso della Francia, come m'ha detto uno dei suoiammiratori entusiastici; ma veramente, non mi ricordod'aver mai visto un profilo di volto più puro e più nobiledi quello del Daudet. Ha delle mani di donna, un sorrisogiovanile che gli rischiara tutto il viso, e una vocearmoniosa, pastosa, agile, abbellita da un tremitoleggerissimo, che par che venga dal profondo del cuore,e dà un'efficacia indicibile alle sue parole, quando eglis'esalta nell'espressione d'un bel sentimento. Oltre aquesto, un modo di muoversi e di discorrere, pieno divivacità e di naturalezza, da buon giovanotto; un fare dapittore allegro e cordiale, sorpreso in giacchetta inmezzo al disordine dello studio; e una certatrascuratezza artistica nel suo vestimento nero, ches'addice benissimo alla graziosa mobilità della suafigura signorile. A chi non la conoscesse, parrebbepiuttosto un italiano o un castigliano, che un francese.La sua stessa pronunzia non è così serrata e arrotatacome quella dei parigini, [17] quantunque tradisca appenail provenzale; e la sua voce ha un metallo particolare, uncolore musicale, come dicono là, rarissimo a trovarsi a

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Parigi. Ora chi ha davanti agli occhi la figuranobilissima del Daudet, immagini la strana impressioneche mi fece, appena fummo seduti intorno al caminettodel suo studio, vedergli tirar fuori dal taschino dellasottoveste e mettersi in bocca, con un atto voluttuoso divecchio fumatore, una miserabile pipetta di terra, unoscandaloso brûle-gueule da muratore, lungo un dito; edar segno di viva soddisfazione quando gli si disse cheera admirablement culottée.

Era una pipa che gli aveva lasciata per memoria ilpovero Flaubert, gran fumatore, il quale si faceva faredelle pipe apposta a Rouen. Il Daudet (me ne dispiace)fuma come un ottomano, e quello che è peggio, èprofondamente persuaso che il fumare non gli facciadanno; dice anzi che più fuma e più lavora, tanto che lasera misura il lavoro fatto dalla diminuzione del tabacconella scatola. [18] Secondo lui, ci sono dei temperamentisui quali il tabacco è affatto innocuo. I suoi confratellicredono il contrario: Vittor Hugo, il Dumas, lo Zola nonfumano; l'Augier ha smesso dopo un avvertimentoterribile; il Girardin, anni sono, bandì la guerra altabacco, come Urbano VIII; e credono i più chederivasse dall'abuso della pipa la penosa lentezza concui lavorava il Flaubert negli ultimi anni.

Il Daudet, però, è grande lavoratore, a dispetto dellanicotina. Parlò a lungo della sua maniera di lavorare.Raccontò come fece a scrivere il Nabab. Pazzie! Ottomesi di lavoro furioso, diciotto ore al giorno a tavolino,tolti pochi minuti per mangiare; intere settimane senza

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Parigi. Ora chi ha davanti agli occhi la figuranobilissima del Daudet, immagini la strana impressioneche mi fece, appena fummo seduti intorno al caminettodel suo studio, vedergli tirar fuori dal taschino dellasottoveste e mettersi in bocca, con un atto voluttuoso divecchio fumatore, una miserabile pipetta di terra, unoscandaloso brûle-gueule da muratore, lungo un dito; edar segno di viva soddisfazione quando gli si disse cheera admirablement culottée.

Era una pipa che gli aveva lasciata per memoria ilpovero Flaubert, gran fumatore, il quale si faceva faredelle pipe apposta a Rouen. Il Daudet (me ne dispiace)fuma come un ottomano, e quello che è peggio, èprofondamente persuaso che il fumare non gli facciadanno; dice anzi che più fuma e più lavora, tanto che lasera misura il lavoro fatto dalla diminuzione del tabacconella scatola. [18] Secondo lui, ci sono dei temperamentisui quali il tabacco è affatto innocuo. I suoi confratellicredono il contrario: Vittor Hugo, il Dumas, lo Zola nonfumano; l'Augier ha smesso dopo un avvertimentoterribile; il Girardin, anni sono, bandì la guerra altabacco, come Urbano VIII; e credono i più chederivasse dall'abuso della pipa la penosa lentezza concui lavorava il Flaubert negli ultimi anni.

Il Daudet, però, è grande lavoratore, a dispetto dellanicotina. Parlò a lungo della sua maniera di lavorare.Raccontò come fece a scrivere il Nabab. Pazzie! Ottomesi di lavoro furioso, diciotto ore al giorno a tavolino,tolti pochi minuti per mangiare; intere settimane senza

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metter piede fuor dell'uscio; una sola enorme fiatatadalla prima all'ultima pagina. Capiva bene che ci sifiniva; ma non era più padrone di sè; il diavolo loportava via; avrebbe tirato avanti egualmente, anche conla certezza di rimetterci la vita. Fu come un sognofebbrile di otto mesi. Nelle poche ore di [19] sonno,sentiva urlare nella stanza i suoi personaggi, e unrumore continuo e precipitoso, come se gli sfogliasserofuriosamente negli orecchi un vocabolario colossale,con le pagine di metallo. Alle quattro della mattinabalzava in piedi come spinto su da una molla,balbettando delle frasi sconnesse del suo romanzo, comeun delirante. La stanza era già ordinata fin dalla sera, e ipanni preparati in modo da potersi vestire in un attimo,e saltar quasi dal letto al tavolino, senza passare per tuttiquei petits détails de toilette, che sono un tormento perchi ha nel capo la furia d'un'idea, e danno tempo allapigrizia di pigliar signorìa sulla volontà. La mattina peròaveva la mente velata, non faceva che un lavorod'ordine: copiare, correggere, preparare. Il grande lavoroveniva dopo, e la vera ispirazione, le pagine facili eardenti, le ondate luminose della fantasia, la sera, versole nove, dopo il desinare; e così andava innanzi perbuona parte della notte. Ma non distingueva più il dìdalla notte; a un tratto si accorgeva [20] di lavorare damolte ore al lume della candela; improvvisamente, dopomolte ore di assorbimento, yedeva il sole. E così disettimana in settimana, e di mese in mese; dopo giornateintere di tortura, venivan giornate piene di gioie e di

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metter piede fuor dell'uscio; una sola enorme fiatatadalla prima all'ultima pagina. Capiva bene che ci sifiniva; ma non era più padrone di sè; il diavolo loportava via; avrebbe tirato avanti egualmente, anche conla certezza di rimetterci la vita. Fu come un sognofebbrile di otto mesi. Nelle poche ore di [19] sonno,sentiva urlare nella stanza i suoi personaggi, e unrumore continuo e precipitoso, come se gli sfogliasserofuriosamente negli orecchi un vocabolario colossale,con le pagine di metallo. Alle quattro della mattinabalzava in piedi come spinto su da una molla,balbettando delle frasi sconnesse del suo romanzo, comeun delirante. La stanza era già ordinata fin dalla sera, e ipanni preparati in modo da potersi vestire in un attimo,e saltar quasi dal letto al tavolino, senza passare per tuttiquei petits détails de toilette, che sono un tormento perchi ha nel capo la furia d'un'idea, e danno tempo allapigrizia di pigliar signorìa sulla volontà. La mattina peròaveva la mente velata, non faceva che un lavorod'ordine: copiare, correggere, preparare. Il grande lavoroveniva dopo, e la vera ispirazione, le pagine facili eardenti, le ondate luminose della fantasia, la sera, versole nove, dopo il desinare; e così andava innanzi perbuona parte della notte. Ma non distingueva più il dìdalla notte; a un tratto si accorgeva [20] di lavorare damolte ore al lume della candela; improvvisamente, dopomolte ore di assorbimento, yedeva il sole. E così disettimana in settimana, e di mese in mese; dopo giornateintere di tortura, venivan giornate piene di gioie e di

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trionfi, e poi daccapo umiliazioni e rabbie mortali, e poinuovi impeti felici d'ispirazioni e di lavoro. E quandoscrisse la parola fine rimase sbalordito e quasispaventato dello sforzo insensato che aveva fatto. Ecome ne pagò il fio, in seguito! Immediatamente, perrifarsi, si mise a tirar di scherma in casa sua, dallamattina alla sera, per ore e ore filate, come un matto,fino a cader senza fiato sul pavimento. Ma era tardi;aveva esaurite le forze. - Non di meno - disse - avevo iRois en exil nella testa; n'ero appassionato; mi rimisi ascrivere. Ah le terribili giornate! Ardevo d'impazienza ed'entusiasmo, e il corpo si rifiutava al lavoro. La miapovera testa cadeva, gli occhi si chiudevano, miaddormentavo sui fogli, mi svegliavo smemorato espaventato, non raccapezzando [21] dove fossi e quantoavessi dormito; non reggevo più alla menoma fatica; e ilmio nuovo romanzo, come sempre accade dell'ultimo,mi pareva così bello! L'idea di non poterlo finire miuccideva; mi ci rimettevo con sforzi disperati....inutilmente, e piangevo di dolore e di rabbia! - Poivenne l'inazione forzata, vennero le lunghe ored'immobilità assoluta e di silenzio; ore desolate einterminabili, in cui il suo bel mondo di fantasmi gliappariva di lontano, come la visione di un paradisoperduto, e la sua cara vita d'artista gli pareva finita persempre. - «Una notte finalmente....»

Qui si voltò con molta grazia, e disse vivamente, conla sua voce piena di dolcezza: - «Vous me pardonnerez,monsieur. Ce sont des détails de notre métier, n'est-ce

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trionfi, e poi daccapo umiliazioni e rabbie mortali, e poinuovi impeti felici d'ispirazioni e di lavoro. E quandoscrisse la parola fine rimase sbalordito e quasispaventato dello sforzo insensato che aveva fatto. Ecome ne pagò il fio, in seguito! Immediatamente, perrifarsi, si mise a tirar di scherma in casa sua, dallamattina alla sera, per ore e ore filate, come un matto,fino a cader senza fiato sul pavimento. Ma era tardi;aveva esaurite le forze. - Non di meno - disse - avevo iRois en exil nella testa; n'ero appassionato; mi rimisi ascrivere. Ah le terribili giornate! Ardevo d'impazienza ed'entusiasmo, e il corpo si rifiutava al lavoro. La miapovera testa cadeva, gli occhi si chiudevano, miaddormentavo sui fogli, mi svegliavo smemorato espaventato, non raccapezzando [21] dove fossi e quantoavessi dormito; non reggevo più alla menoma fatica; e ilmio nuovo romanzo, come sempre accade dell'ultimo,mi pareva così bello! L'idea di non poterlo finire miuccideva; mi ci rimettevo con sforzi disperati....inutilmente, e piangevo di dolore e di rabbia! - Poivenne l'inazione forzata, vennero le lunghe ored'immobilità assoluta e di silenzio; ore desolate einterminabili, in cui il suo bel mondo di fantasmi gliappariva di lontano, come la visione di un paradisoperduto, e la sua cara vita d'artista gli pareva finita persempre. - «Una notte finalmente....»

Qui si voltò con molta grazia, e disse vivamente, conla sua voce piena di dolcezza: - «Vous me pardonnerez,monsieur. Ce sont des détails de notre métier, n'est-ce

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pas? Fra noi altri non sono cose indifferenti.»Una notte, all'improvviso, si sentì soffocare, credette

di morire, chiamò sua moglie, fece appena in tempo adirle: - Finis mon bouquin! [22] (finisci il mio libro), edebbe uno spaventevole sbocco di sangue, che lo lasciòcome morto.

Poi, lentamente, si ripigliò: ma ora sta in riguardo, enon lavora più così furiosamente come nel primo caldodella gioventù.

- Finis mon bouquin! - Che c'è di più commovente diquesto artista che sul punto di morire, pensa più al suobel sogno di poeta, che alla propria vita, e dice a suamoglie: - finiscilo tu? - Ma femme - soggiunse poi -connaît l'art autant que moi; avrebbe finito il miobouquin benissimo; non avrei potuto affidarlo meglioche alle sue mani. - La signora Daudet, infatti, èscrittrice arguta e finissima, e si dice che abbia moltaparte nei lavori di suo marito. Si asserisce persino che ilmanoscritto d'uno dei più applauditi romanzi di Alfonsoportasse la firma del marito e della moglie, e che siastata lei quella che voltò il Daudet alla sua secondamaniera, che lo spinse, cioè, verso il naturalismo deiGoncourt, ingentilito. Tutta la famiglia Daudet è di [23]

sangue artistico. Il fratello è romanziere, e il cognato,che fa il giornalista, imita mirabilmente, si dice, lo stiledell'autore di Fromont jeune et Risler aîné.

Venne poi a parlare del teatro, e delle noie che glidanno le prove d'una commedia ricavata dal suoromanzo Jack; e si capì da quel che disse che è di natura

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pas? Fra noi altri non sono cose indifferenti.»Una notte, all'improvviso, si sentì soffocare, credette

di morire, chiamò sua moglie, fece appena in tempo adirle: - Finis mon bouquin! [22] (finisci il mio libro), edebbe uno spaventevole sbocco di sangue, che lo lasciòcome morto.

Poi, lentamente, si ripigliò: ma ora sta in riguardo, enon lavora più così furiosamente come nel primo caldodella gioventù.

- Finis mon bouquin! - Che c'è di più commovente diquesto artista che sul punto di morire, pensa più al suobel sogno di poeta, che alla propria vita, e dice a suamoglie: - finiscilo tu? - Ma femme - soggiunse poi -connaît l'art autant que moi; avrebbe finito il miobouquin benissimo; non avrei potuto affidarlo meglioche alle sue mani. - La signora Daudet, infatti, èscrittrice arguta e finissima, e si dice che abbia moltaparte nei lavori di suo marito. Si asserisce persino che ilmanoscritto d'uno dei più applauditi romanzi di Alfonsoportasse la firma del marito e della moglie, e che siastata lei quella che voltò il Daudet alla sua secondamaniera, che lo spinse, cioè, verso il naturalismo deiGoncourt, ingentilito. Tutta la famiglia Daudet è di [23]

sangue artistico. Il fratello è romanziere, e il cognato,che fa il giornalista, imita mirabilmente, si dice, lo stiledell'autore di Fromont jeune et Risler aîné.

Venne poi a parlare del teatro, e delle noie che glidanno le prove d'una commedia ricavata dal suoromanzo Jack; e si capì da quel che disse che è di natura

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dolce, sì, ma vigorosa e imperiosa quando si tratta di farprevalere le sue intenzioni d'artista ai capricci degliattori cocciuti. Dal suo Jack, poi, fece cadere il discorsosull'Arlésienne, un grazioso idillio drammatico che furappresentato al Vaudeville, anni sono, con poca fortuna.E qui mostrò adorabilmente la sua bella natura calda eappassionata d'artista. Egli ci tiene a quella disgraziataArlésienne. Il dramma avrà dei difetti, ma il pubblico haavuto dei torti. La sua prima sfortuna è stata quella dipresentare quell'idillio al pubblico del Vaudeville. Ilteatro era pieno delle cocottes e dei viveurs, che,appunto all'ora della rappresentazione, escono dai caffèe [24] dalle trattorie vicine, coi fumi del vino alla testa,eccitati dai discorsi che tutti immaginano, in unadisposizione di animo e di corpo, quale si può pensare,per comprendere la poesia d'un amore nobile eprofondo, che finisce nella morte. Risero. Riserospecialmente dell'episodio di Balthazar e di madameNigaud. - È una cosa semplicissima - disse Daudet, e loraccontò con quella sua voce profonda e tremola, in unmodo da cavar le lacrime. È un contadino di vent'anni,Balthazar, buono, di animo onesto e nobile, ches'innamora della sua padrona, e l'ama segretamente eumilmente, tremando che il suo segreto sia scoperto;sottomesso e devoto come uno schiavo, risoluto amorire d'angoscia piuttosto che mancare al suo dovere.E non dice una parola, e neppur la signora a lui, benchègli legga nell'anima. Solamente, qualche volta, quandoegli è solo nei campi, essa gli va a sedere vicino, e lo

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dolce, sì, ma vigorosa e imperiosa quando si tratta di farprevalere le sue intenzioni d'artista ai capricci degliattori cocciuti. Dal suo Jack, poi, fece cadere il discorsosull'Arlésienne, un grazioso idillio drammatico che furappresentato al Vaudeville, anni sono, con poca fortuna.E qui mostrò adorabilmente la sua bella natura calda eappassionata d'artista. Egli ci tiene a quella disgraziataArlésienne. Il dramma avrà dei difetti, ma il pubblico haavuto dei torti. La sua prima sfortuna è stata quella dipresentare quell'idillio al pubblico del Vaudeville. Ilteatro era pieno delle cocottes e dei viveurs, che,appunto all'ora della rappresentazione, escono dai caffèe [24] dalle trattorie vicine, coi fumi del vino alla testa,eccitati dai discorsi che tutti immaginano, in unadisposizione di animo e di corpo, quale si può pensare,per comprendere la poesia d'un amore nobile eprofondo, che finisce nella morte. Risero. Riserospecialmente dell'episodio di Balthazar e di madameNigaud. - È una cosa semplicissima - disse Daudet, e loraccontò con quella sua voce profonda e tremola, in unmodo da cavar le lacrime. È un contadino di vent'anni,Balthazar, buono, di animo onesto e nobile, ches'innamora della sua padrona, e l'ama segretamente eumilmente, tremando che il suo segreto sia scoperto;sottomesso e devoto come uno schiavo, risoluto amorire d'angoscia piuttosto che mancare al suo dovere.E non dice una parola, e neppur la signora a lui, benchègli legga nell'anima. Solamente, qualche volta, quandoegli è solo nei campi, essa gli va a sedere vicino, e lo

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guarda. Un giorno, bruscamente, gli va incontro e glidice: - Balthazar, t'amo; vattene! - E lui se [25] ne va. Sene va lontano, con altri padroni; gli anni passano, nonrivede più madame Nigaud, invecchia col suo amoresepolto nel più profondo dell'anima, sempre buono, e unpo' triste; ma confortato dalla coscienza d'aver fatto ilproprio dovere. Ebbene, dopo cinquant'anni, la signoraNigaud capita dalle sue parti, e si incontrano faccia afaccia, in presenza di molta gente. Rimangono senzaparola.... e poi si parlano. - Ne abbiamo avuto delcoraggio, non è vero? - si dicono. - Ma Dio non havoluto che morissimo senza esserci riveduti. Egli cidoveva ben questo per ricompensarci del nostrosacrificio. - Quante volte - dice il vecchio colla vocetremante, sorridendo - io vedevo dai campi il fumo dellavostra casa, e mi pareva che mi dicesse: - Vieni,Balthazar, la signora è qui! - Ed io - risponde lei -quando sentivo abbaiare i tuoi cani e ti vedevo dilontano con la tua lunga cappa, ora te lo posso dire,facevo uno sforzo, sai, per non correrti incontro! Ma ilnostro dolore è finito [26] ora, non è vero? e possiamoguardarci in viso senza arrossire. Ebbene, Balthazar....non avresti vergogna di abbracciarmi adesso, vecchia edisfatta dagli anni come sono? No? Qua dunque,stringimi una volta sul tuo cuore, mio povero vecchio,mio bravo e buon Balthazar! Sono cinquant'anni ch'io telo devo, questo bacio d'amica! - E si gettanosinghiozzando l'uno nelle braccia dell'altro. - E queisignori risero - soggiunse il Daudet, tutto vermiglio

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guarda. Un giorno, bruscamente, gli va incontro e glidice: - Balthazar, t'amo; vattene! - E lui se [25] ne va. Sene va lontano, con altri padroni; gli anni passano, nonrivede più madame Nigaud, invecchia col suo amoresepolto nel più profondo dell'anima, sempre buono, e unpo' triste; ma confortato dalla coscienza d'aver fatto ilproprio dovere. Ebbene, dopo cinquant'anni, la signoraNigaud capita dalle sue parti, e si incontrano faccia afaccia, in presenza di molta gente. Rimangono senzaparola.... e poi si parlano. - Ne abbiamo avuto delcoraggio, non è vero? - si dicono. - Ma Dio non havoluto che morissimo senza esserci riveduti. Egli cidoveva ben questo per ricompensarci del nostrosacrificio. - Quante volte - dice il vecchio colla vocetremante, sorridendo - io vedevo dai campi il fumo dellavostra casa, e mi pareva che mi dicesse: - Vieni,Balthazar, la signora è qui! - Ed io - risponde lei -quando sentivo abbaiare i tuoi cani e ti vedevo dilontano con la tua lunga cappa, ora te lo posso dire,facevo uno sforzo, sai, per non correrti incontro! Ma ilnostro dolore è finito [26] ora, non è vero? e possiamoguardarci in viso senza arrossire. Ebbene, Balthazar....non avresti vergogna di abbracciarmi adesso, vecchia edisfatta dagli anni come sono? No? Qua dunque,stringimi una volta sul tuo cuore, mio povero vecchio,mio bravo e buon Balthazar! Sono cinquant'anni ch'io telo devo, questo bacio d'amica! - E si gettanosinghiozzando l'uno nelle braccia dell'altro. - E queisignori risero - soggiunse il Daudet, tutto vermiglio

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d'indignazione, - risero sguaiatamente,oltraggiosamente, indecentemente! E il Figaro micanzonò per venti giorni di seguito, secondo che miaveva promesso il Villemessant, che tennescrupolosamente la sua parola. Ma come non hannocapito, in nome di Dio, che quello era vero e sacrosantoe preso dentro alle viscere umane! Ah! io mi sentoaltiero, vedete, di quelle risate!

Tutt'a un tratto si mise a ridere anche lui del migliorcuore del mondo, e prese a parlare degli incidenticomici di quella serata. - Erano in vena [27] di ridere, checosa volete? Un personaggio, facendo una descrizionedella campagna, diceva che si sentiva il canto degliortolani. Fu uno scoppio di risa omeriche. Il canto degliortolani! L'ortolano, per i parigini, è una ghiottoneriasquisita, un piatto, non un uccello. Una platea non puòammettere in nessuna maniera che ci siano degliortolani vivi e pennuti, che volano e che cantano; nonriconosce che degli ortolani in casseruola, con una fettadi lardo sulla schiena. Andatele a parlare del canto degliortolani! Voi conoscete il canto degli ortolani, non èvero? - E qui, infervorandosi nel suo discorso, da veroartista, per provare che quei disgraziati uccelli cantanoanch'essi, prima d'essere serviti coi tartufi, si mise aimitare il loro trillo, come un ragazzo, e a spiegarci checantano in certe condizioni di tempo e a certe ore; comein altr'ore, nel Bosco di Boulogne, si sente da tutte leparti la nota monotona del cuculo, e imitò la voce delcuculo; il quale gli ricordò altri uccelli, di cui rifece il

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d'indignazione, - risero sguaiatamente,oltraggiosamente, indecentemente! E il Figaro micanzonò per venti giorni di seguito, secondo che miaveva promesso il Villemessant, che tennescrupolosamente la sua parola. Ma come non hannocapito, in nome di Dio, che quello era vero e sacrosantoe preso dentro alle viscere umane! Ah! io mi sentoaltiero, vedete, di quelle risate!

Tutt'a un tratto si mise a ridere anche lui del migliorcuore del mondo, e prese a parlare degli incidenticomici di quella serata. - Erano in vena [27] di ridere, checosa volete? Un personaggio, facendo una descrizionedella campagna, diceva che si sentiva il canto degliortolani. Fu uno scoppio di risa omeriche. Il canto degliortolani! L'ortolano, per i parigini, è una ghiottoneriasquisita, un piatto, non un uccello. Una platea non puòammettere in nessuna maniera che ci siano degliortolani vivi e pennuti, che volano e che cantano; nonriconosce che degli ortolani in casseruola, con una fettadi lardo sulla schiena. Andatele a parlare del canto degliortolani! Voi conoscete il canto degli ortolani, non èvero? - E qui, infervorandosi nel suo discorso, da veroartista, per provare che quei disgraziati uccelli cantanoanch'essi, prima d'essere serviti coi tartufi, si mise aimitare il loro trillo, come un ragazzo, e a spiegarci checantano in certe condizioni di tempo e a certe ore; comein altr'ore, nel Bosco di Boulogne, si sente da tutte leparti la nota monotona del cuculo, e imitò la voce delcuculo; il quale gli ricordò altri uccelli, di cui rifece il

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verso, ridendo [28] sonoramente, già le mille miglialontano dall'Arlésienne e dal Vaudeville, tutto brillantenel viso, rapito nei ricordi delle sue passeggiateprimaverili e delle sue corse di giovanetto a traverso allecampagne della Provenza; e parlando così rapido ecaldo, si gettava di tratto in tratto in ginocchio davanti alcaminetto, con la sveltezza d'un giovane di vent'anni,per accendere la pipetta del Flaubert, e ricacciavaindietro con una scossa del capo la grande capigliaturanera che gli cascava sulle guancie rosate: disinvolto,allegro, impetuoso, amabile da farsi baciare.

Poi si fece serio improvvisamente e disse: - Riserodell'Arlésienne e applaudirono Fromont jeune.... Tal siadi loro. - E scrollò le spalle.

- Ma non potete immaginare - ripigliò subito dopo -che cos'è una prima rappresentazione per me! Non lonascondo, miei buoni amici, non so far l'uomo forte; misento da meno d'un fanciullo. Già da più giorni primami trema l'anima. In quei momenti, poi, è unosconvolgimento [29] di tutto il mio essere, da averneterrore. Ogni volta dico a me stesso: - Questa saràl'ultima! - E poi ci ricasco. Ma le più violente emozionidel lavoro notturno, dopo mesi di eccitamento e didiavolo in corpo, quando si caccian fuori ad un tempoparole, grida, gemiti e lacrime, e par che il cranio scoppie le ondate del sangue rompano le vene, non son nulla inconfronto dell'inferno che mi rugge nell'anima quandosento nella fronte il soffio maledetto d'una platea.

Poco dopo venne a parlare del nuovo romanzo che ha

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verso, ridendo [28] sonoramente, già le mille miglialontano dall'Arlésienne e dal Vaudeville, tutto brillantenel viso, rapito nei ricordi delle sue passeggiateprimaverili e delle sue corse di giovanetto a traverso allecampagne della Provenza; e parlando così rapido ecaldo, si gettava di tratto in tratto in ginocchio davanti alcaminetto, con la sveltezza d'un giovane di vent'anni,per accendere la pipetta del Flaubert, e ricacciavaindietro con una scossa del capo la grande capigliaturanera che gli cascava sulle guancie rosate: disinvolto,allegro, impetuoso, amabile da farsi baciare.

Poi si fece serio improvvisamente e disse: - Riserodell'Arlésienne e applaudirono Fromont jeune.... Tal siadi loro. - E scrollò le spalle.

- Ma non potete immaginare - ripigliò subito dopo -che cos'è una prima rappresentazione per me! Non lonascondo, miei buoni amici, non so far l'uomo forte; misento da meno d'un fanciullo. Già da più giorni primami trema l'anima. In quei momenti, poi, è unosconvolgimento [29] di tutto il mio essere, da averneterrore. Ogni volta dico a me stesso: - Questa saràl'ultima! - E poi ci ricasco. Ma le più violente emozionidel lavoro notturno, dopo mesi di eccitamento e didiavolo in corpo, quando si caccian fuori ad un tempoparole, grida, gemiti e lacrime, e par che il cranio scoppie le ondate del sangue rompano le vene, non son nulla inconfronto dell'inferno che mi rugge nell'anima quandosento nella fronte il soffio maledetto d'una platea.

Poco dopo venne a parlare del nuovo romanzo che ha

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sul telaio, e diede la via a un vero torrente d'eloquenzacomica e pittoresca, a una di quelle splendide sfuriate daparlatore magistrale e da grande artista, che rimangonoimpresse quanto le più belle pagine dei più bei libri.Venne a parlare del romanzo a proposito dell'attore LaFontaine dell'Odéon, che deve recitare nel suo Jack, ech'è un meridionale espansivo, tutto fuoco e fiamme,esuberante di vita a segno, [30] che non riesce a far benese non le parti contrarie affatto alla sua natura, nellequali è costretto a frenarsi. Il nuovo romanzo, che sipotrebbe intitolare l'Imagination, riguarda appunto imeridionali, les gens du midi, quella gente immaginosa,focosa, tempestosa, tutta a scatti e a folate, temeraria einvadente, che va dalla provincia a Parigi, e conquista lagrande città con la sua audacia, con le sue passioni, conla sua eloquenza, con la varietà e la vivacità infaticabilee simpatica delle sue attitudini. Il tipo di costoro è unavvocato, uno di quegli uomini che non son nulla asangue freddo, ma che possono tutto quandos'accendono, e che non pensano se non quando parlano;specie di cantanti della vita pubblica, che fanno fortunacon la voce e con la passione. Costui, sconosciutoaffatto, deve far la sua prima difesa alla Corte d'assise,in una causa che disprezza. Ci va di malavoglia, dàun'occhiata sbadata alle carte, e comincia a parlaresvogliatamente. A poco a poco, però, il suono dellapropria voce lo eccita, [31] la sua natura meridionale sisveglia, mille cognizioni e mille idee nascoste glivengon su a ondate come per incanto, le sue facoltà

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sul telaio, e diede la via a un vero torrente d'eloquenzacomica e pittoresca, a una di quelle splendide sfuriate daparlatore magistrale e da grande artista, che rimangonoimpresse quanto le più belle pagine dei più bei libri.Venne a parlare del romanzo a proposito dell'attore LaFontaine dell'Odéon, che deve recitare nel suo Jack, ech'è un meridionale espansivo, tutto fuoco e fiamme,esuberante di vita a segno, [30] che non riesce a far benese non le parti contrarie affatto alla sua natura, nellequali è costretto a frenarsi. Il nuovo romanzo, che sipotrebbe intitolare l'Imagination, riguarda appunto imeridionali, les gens du midi, quella gente immaginosa,focosa, tempestosa, tutta a scatti e a folate, temeraria einvadente, che va dalla provincia a Parigi, e conquista lagrande città con la sua audacia, con le sue passioni, conla sua eloquenza, con la varietà e la vivacità infaticabilee simpatica delle sue attitudini. Il tipo di costoro è unavvocato, uno di quegli uomini che non son nulla asangue freddo, ma che possono tutto quandos'accendono, e che non pensano se non quando parlano;specie di cantanti della vita pubblica, che fanno fortunacon la voce e con la passione. Costui, sconosciutoaffatto, deve far la sua prima difesa alla Corte d'assise,in una causa che disprezza. Ci va di malavoglia, dàun'occhiata sbadata alle carte, e comincia a parlaresvogliatamente. A poco a poco, però, il suono dellapropria voce lo eccita, [31] la sua natura meridionale sisveglia, mille cognizioni e mille idee nascoste glivengon su a ondate come per incanto, le sue facoltà

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intellettuali ingigantiscono rapidissimamente,s'entusiasma di sè, si commuove, i suoi occhi siinumidiscono, la sua voce s'innalza in grida e in accentiirresistibili, la sua eloquenza sfolgora e soggiogal'uditorio, ed egli termina tra un uragano d'applausi, edesce stupefatto, sbalordito di sè medesimo, in mezzo auna folla entusiasmata che lo acclama e lo eleva al cielo,promosso grand'uomo, in tre ore. Così egli comincia lasua carriera. Intorno a costui s'aggruppano altripersonaggi dello stesso paese e della stessa tempra.Ognuno può immaginare dentro a che aria ardente edelettrica il romanzo si debba svolgere, che diavoleried'avventure ci si debba trovare, che ira di Dio dipassioni, che tempeste di dialoghi, che lava infocata dilingua.

Condotto a parlare della natura meridionale, eccitatocome uno dei suoi personaggi, il Daudet [32] ci fecepassare dinanzi una lanterna magica di originaliamenissimi: gente che vive in uno stato di congestionecerebrale perpetua, briachi senza bere, a cui si vedonosalire al viso, di tratto in tratto, onde di sangueinfiammato, che gl'imporporano fino alla radice deicapelli; - che parlano da soli per la strada, a gesticoncitati, cogli occhi fissi dinanzi a sè, vedendo passarerealmente, come cose salde, gli spettri della propriafantasia; - gente per cui ogni pensiero si fa immagineviva, e ogni immagine ne suscita cento, e ogni piùpiccolo accidente diventa dramma; - fuochi d'artifizioche bruciano per tutta la vita; mutabili come «quadri

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intellettuali ingigantiscono rapidissimamente,s'entusiasma di sè, si commuove, i suoi occhi siinumidiscono, la sua voce s'innalza in grida e in accentiirresistibili, la sua eloquenza sfolgora e soggiogal'uditorio, ed egli termina tra un uragano d'applausi, edesce stupefatto, sbalordito di sè medesimo, in mezzo auna folla entusiasmata che lo acclama e lo eleva al cielo,promosso grand'uomo, in tre ore. Così egli comincia lasua carriera. Intorno a costui s'aggruppano altripersonaggi dello stesso paese e della stessa tempra.Ognuno può immaginare dentro a che aria ardente edelettrica il romanzo si debba svolgere, che diavoleried'avventure ci si debba trovare, che ira di Dio dipassioni, che tempeste di dialoghi, che lava infocata dilingua.

Condotto a parlare della natura meridionale, eccitatocome uno dei suoi personaggi, il Daudet [32] ci fecepassare dinanzi una lanterna magica di originaliamenissimi: gente che vive in uno stato di congestionecerebrale perpetua, briachi senza bere, a cui si vedonosalire al viso, di tratto in tratto, onde di sangueinfiammato, che gl'imporporano fino alla radice deicapelli; - che parlano da soli per la strada, a gesticoncitati, cogli occhi fissi dinanzi a sè, vedendo passarerealmente, come cose salde, gli spettri della propriafantasia; - gente per cui ogni pensiero si fa immagineviva, e ogni immagine ne suscita cento, e ogni piùpiccolo accidente diventa dramma; - fuochi d'artifizioche bruciano per tutta la vita; mutabili come «quadri

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dissolventi;» che nello spazio di cinque minutisinghiozzano parlando della madre malata, scroccanocinque lire a un amico, criticano furiosamente l'ultimacommedia dell'Odèon, danno in una gran risata per unabarzelletta, e balzano in piedi cogli occhi sanguigni ecol collo gonfio, tendendo il pugno in attod'imprecazione contro i nemici della repubblica: - unmisto stranissimo di natura [33] femminea e di virilitàselvaggia, di spontaneità impetuosa e d'arte sopraffina,matti e furbacchioni ad un tempo, pieni di sentimentigenerosi e di superstizioni da femminette, terribili negliamori e negli odii, spensierati e ostinati, piagnoloni eburloni e sballoni, commedianti eterni, creatureproteiformi e indecifrabili, adorabili e odiosi secondo ilcolore del tempo. Quanti ne fece passare, e con chemaestria, dal letterato bohémien che parla per cinque oredi seguito, con un affetto sviscerato, della famiglialontana a cui non ha mai dato che dei crepacuori, es'esalta a poco a poco fino al punto, che i suoi amici,temendo un colpo d'apoplessia, gli schiaccianoimprovvisamente sulla nuca un'enorme spugna pienad'acqua, che egli riceve ringraziando con voce dimoribondo; fino al basso sfiatato, il quale, all'annunziodella morte di un amico, grida con sincero dolore: -Mort! -; ma sorpreso dalla voce piena einaspettatamente sonora che gli è uscita dal petto,scorda l'amico, ripete la nota, cangia di tuono, prova unafioritura, [34] e si frega le mani, esclamandogioiosamente: - Ça y est! - Poi rifece mirabilmente il

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dissolventi;» che nello spazio di cinque minutisinghiozzano parlando della madre malata, scroccanocinque lire a un amico, criticano furiosamente l'ultimacommedia dell'Odèon, danno in una gran risata per unabarzelletta, e balzano in piedi cogli occhi sanguigni ecol collo gonfio, tendendo il pugno in attod'imprecazione contro i nemici della repubblica: - unmisto stranissimo di natura [33] femminea e di virilitàselvaggia, di spontaneità impetuosa e d'arte sopraffina,matti e furbacchioni ad un tempo, pieni di sentimentigenerosi e di superstizioni da femminette, terribili negliamori e negli odii, spensierati e ostinati, piagnoloni eburloni e sballoni, commedianti eterni, creatureproteiformi e indecifrabili, adorabili e odiosi secondo ilcolore del tempo. Quanti ne fece passare, e con chemaestria, dal letterato bohémien che parla per cinque oredi seguito, con un affetto sviscerato, della famiglialontana a cui non ha mai dato che dei crepacuori, es'esalta a poco a poco fino al punto, che i suoi amici,temendo un colpo d'apoplessia, gli schiaccianoimprovvisamente sulla nuca un'enorme spugna pienad'acqua, che egli riceve ringraziando con voce dimoribondo; fino al basso sfiatato, il quale, all'annunziodella morte di un amico, grida con sincero dolore: -Mort! -; ma sorpreso dalla voce piena einaspettatamente sonora che gli è uscita dal petto,scorda l'amico, ripete la nota, cangia di tuono, prova unafioritura, [34] e si frega le mani, esclamandogioiosamente: - Ça y est! - Poi rifece mirabilmente il

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dialogo di due di costoro; i quali incontrandosi per laprima volta, si fanno a vicenda le più sviscerate protested'amicizia, e le più calorose profferte di servigi, con lelagrime agli occhi, ciascuno dei due non credendo unamaledetta alle parole dell'altro; e si lasciano dicendo l'undell'altro: - È un briccone ipocrita; - il che non toglieaffatto che, incontrandosi daccapo cinque minuti dopo,gettino un grido di gioia e si corrano incontro con lebraccia aperte, ringraziando il cielo della buona ventura;e tutto ciò sinceramente, col viso raggiante e con la vocecommossa davvero. Ma bisognava vedere come imitavale voci, i gesti, gli sguardi, i fremiti delle labbramobilissime e delle narici dilatate, e il roteamento degliocchi bovini, piegando a tutti i tuoni la sua vocemorbidissima di tenore. Si sarebbe inteso con un grandepiacere anche non comprendendo il senso delle sueparole, tanto la sua voce accarezza [35] l'orecchio, comeun canto, e il suo gesto spiega il pensiero. Come sivedeva l'artista! Mentre parlava, faceva continuamentecon la mano destra l'atto di dare un colpo di cesello, oun tratto di matita, o di premere col pollice il coloresulla tela; e quando in quella foga ardente era costretto asoffermarsi un mezzo secondo per cercare la parolapropria, s'impazientava e fremeva che pareva sotto iferri d'un chirurgo. Allo studio della natura meridionalefu certamente aiutato dalla natura propria; mameraviglioso nondimeno il tesoro di osservazioni che haraccolto prima di mettersi a scrivere il suo romanzo. -Hanno un modo di vedere il mondo, e di starci, tutto

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dialogo di due di costoro; i quali incontrandosi per laprima volta, si fanno a vicenda le più sviscerate protested'amicizia, e le più calorose profferte di servigi, con lelagrime agli occhi, ciascuno dei due non credendo unamaledetta alle parole dell'altro; e si lasciano dicendo l'undell'altro: - È un briccone ipocrita; - il che non toglieaffatto che, incontrandosi daccapo cinque minuti dopo,gettino un grido di gioia e si corrano incontro con lebraccia aperte, ringraziando il cielo della buona ventura;e tutto ciò sinceramente, col viso raggiante e con la vocecommossa davvero. Ma bisognava vedere come imitavale voci, i gesti, gli sguardi, i fremiti delle labbramobilissime e delle narici dilatate, e il roteamento degliocchi bovini, piegando a tutti i tuoni la sua vocemorbidissima di tenore. Si sarebbe inteso con un grandepiacere anche non comprendendo il senso delle sueparole, tanto la sua voce accarezza [35] l'orecchio, comeun canto, e il suo gesto spiega il pensiero. Come sivedeva l'artista! Mentre parlava, faceva continuamentecon la mano destra l'atto di dare un colpo di cesello, oun tratto di matita, o di premere col pollice il coloresulla tela; e quando in quella foga ardente era costretto asoffermarsi un mezzo secondo per cercare la parolapropria, s'impazientava e fremeva che pareva sotto iferri d'un chirurgo. Allo studio della natura meridionalefu certamente aiutato dalla natura propria; mameraviglioso nondimeno il tesoro di osservazioni che haraccolto prima di mettersi a scrivere il suo romanzo. -Hanno un modo di vedere il mondo, e di starci, tutto

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loro proprio, - disse concludendo: - ma ci sono grandidifferenze tra loro. Ci sono i meridionali della parte diSpagna e quelli della parte d'Italia. Questi hanno lastessa potenza d'immaginazione, la stessa effervescenzae le stesse attitudini di quegli altri; ma con più fondolatino. Sanno meglio dominarsi. Hanno il savoir faireitaliano. C'è [36] più combinazione nella loro natura.Messi alle prese coi loro fratelli dell'altra parte,gl'insaccano. Leone Gambetta è un di loro. - E ancheAlfonso Daudet. Egli stesso lo disse colla sua graziaarguta, riferendo la risposta data da lui a un direttore diteatro, Avignonese, il quale voleva dargli ad intenderenon so che cosa. - Caro mio, è inutile che vi sgoliate. Ioson dei vostri. Nous sommes compliqués, vous savez. Cicomprendiamo benissimo. Mettiamo le carte in tavolasenz'altro. - Egli trova molta analogia tra i meridionalidi Francia e i normanni. I normanni sono i meridionalidel nord: vedono tutto grosso. - Guardate il Flaubert -disse - il Vacquerie, il D'Aurevilly, - e ne citò venti,dando a ogni nome una pennellata da ritrattista. Io loguardavo attentamente mentre parlava, e mi facevameraviglia e paura il vederlo già così nervoso e vibrantealle dieci della mattina, prima ancora d'aver ricevuto lascossa del lavoro artistico; e più mi meravigliavopensando che non era certo la presenza d'un suo amicointimo [37] e del primo straniero capitato, che lo mettevacosì in ribollimento; che quello doveva essere il suostato abituale, il suo modo di vivere, sempre concitato,febbrile, tormentato dal suo pensiero e dal suo

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loro proprio, - disse concludendo: - ma ci sono grandidifferenze tra loro. Ci sono i meridionali della parte diSpagna e quelli della parte d'Italia. Questi hanno lastessa potenza d'immaginazione, la stessa effervescenzae le stesse attitudini di quegli altri; ma con più fondolatino. Sanno meglio dominarsi. Hanno il savoir faireitaliano. C'è [36] più combinazione nella loro natura.Messi alle prese coi loro fratelli dell'altra parte,gl'insaccano. Leone Gambetta è un di loro. - E ancheAlfonso Daudet. Egli stesso lo disse colla sua graziaarguta, riferendo la risposta data da lui a un direttore diteatro, Avignonese, il quale voleva dargli ad intenderenon so che cosa. - Caro mio, è inutile che vi sgoliate. Ioson dei vostri. Nous sommes compliqués, vous savez. Cicomprendiamo benissimo. Mettiamo le carte in tavolasenz'altro. - Egli trova molta analogia tra i meridionalidi Francia e i normanni. I normanni sono i meridionalidel nord: vedono tutto grosso. - Guardate il Flaubert -disse - il Vacquerie, il D'Aurevilly, - e ne citò venti,dando a ogni nome una pennellata da ritrattista. Io loguardavo attentamente mentre parlava, e mi facevameraviglia e paura il vederlo già così nervoso e vibrantealle dieci della mattina, prima ancora d'aver ricevuto lascossa del lavoro artistico; e più mi meravigliavopensando che non era certo la presenza d'un suo amicointimo [37] e del primo straniero capitato, che lo mettevacosì in ribollimento; che quello doveva essere il suostato abituale, il suo modo di vivere, sempre concitato,febbrile, tormentato dal suo pensiero e dal suo

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sentimento, con le mani irrequiete e la voce commossa.- Che sarà quando lavora - pensavo - o quando parladavanti a venti persone, in quei giorni in cuicinquantamila esemplari d'un suo romanzo spiccano ilvolo per le quattro plaghe dei venti?

Nominato il Flaubert, mutò viso, e parlò dei suoifunerali a Rouen, dov'era stato pochi giorni prima, conaccento affettuoso e triste, come d'un figliuolo; eguardava fisso la pipetta, come se serbasse in sè qualchecosa di vivo del suo grande e buon amico.All'improvviso, si rasserenò e saltò addosso con tutte learmi del suo arsenale satirico, a un disgraziato scrittorefrancese, che aveva incontrato ai funerali: un vecchiopoeta bizzarro, non meno famoso per il suo ingegno cheper i suoi vestimenti teatrali, ornati di nastri e di trine;settuagenario [38] di ferro, gran mangiatore, granbevitore, gran buon diavolo e grande poseur, cheingigantisce tutto, e parla con una specie di solennitàimperatoria d'ogni più piccola cosa; e lo tratteggiò, locolorì, lo sballottò per mezz'ora fra le sue piccole ditaaffusolate di romanziere parigino, rifacendo la sua vocestentorea e la sua mimica grandiosa, in una maniera damandarsi male dal ridere. I frizzi, i paragoni comici, leosservazioni argute e inattese gli venivan via l'unasull'altra, affollate e annodate, che non c'era tempo digoderle tutte: pareva di sentir parlare a una voce cinqueparigini dei più lepidi e dei più facondi. E raccontandocerte avventure del suo personaggio, col quale è legato,lasciava indovinare a traverso alla vita del collega

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sentimento, con le mani irrequiete e la voce commossa.- Che sarà quando lavora - pensavo - o quando parladavanti a venti persone, in quei giorni in cuicinquantamila esemplari d'un suo romanzo spiccano ilvolo per le quattro plaghe dei venti?

Nominato il Flaubert, mutò viso, e parlò dei suoifunerali a Rouen, dov'era stato pochi giorni prima, conaccento affettuoso e triste, come d'un figliuolo; eguardava fisso la pipetta, come se serbasse in sè qualchecosa di vivo del suo grande e buon amico.All'improvviso, si rasserenò e saltò addosso con tutte learmi del suo arsenale satirico, a un disgraziato scrittorefrancese, che aveva incontrato ai funerali: un vecchiopoeta bizzarro, non meno famoso per il suo ingegno cheper i suoi vestimenti teatrali, ornati di nastri e di trine;settuagenario [38] di ferro, gran mangiatore, granbevitore, gran buon diavolo e grande poseur, cheingigantisce tutto, e parla con una specie di solennitàimperatoria d'ogni più piccola cosa; e lo tratteggiò, locolorì, lo sballottò per mezz'ora fra le sue piccole ditaaffusolate di romanziere parigino, rifacendo la sua vocestentorea e la sua mimica grandiosa, in una maniera damandarsi male dal ridere. I frizzi, i paragoni comici, leosservazioni argute e inattese gli venivan via l'unasull'altra, affollate e annodate, che non c'era tempo digoderle tutte: pareva di sentir parlare a una voce cinqueparigini dei più lepidi e dei più facondi. E raccontandocerte avventure del suo personaggio, col quale è legato,lasciava indovinare a traverso alla vita del collega

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qualche tratto della vita propria, della sua bella vitavaria e agitata di scrittore parigino: le cene tumultuosecon gli amici celebri; il festino interrotto alle tre dellamattina per andar a correggere le stampe al giornale; lelunghe dispute letterarie cento volte interrotte eriattaccate, a notte [39] tarda, per le vie solitarie di Parigi;le grandi espansioni allegre dopo i grandi lavorigloriosi; qualche leggiero abuso di Champagne, unavolta tanto, per concedere qualche cosa alla mattìagiovanile, non ancor tutta domata dalle fatiche austeredell'arte; e le baldorie improvvisate in casa del DeNittis, dove qualche volta l'autore del Nabab, a cavalloal pittore napoletano, con una stecca da bigliardo inresta, ha fatto il picador andaluso, tra gli applausi degliamici e le risa delle signore, in mezzo al disordinesfarzoso dello studio, pieno di capolavori in gestazione.

Udendo parlare della diffusione dei suoi romanzi inItalia, domandò vivamente: - Davvero? - e mostrò quasid'esserne meravigliato.

Legge l'italiano, ma non lo parla. Quel poco che sadella nostra lingua lo imparò abitando per qualchetempo con certi italiani, nessuno immaginerebbe maidove.... dentro a un faro. Non disse di più: mi immaginoche sia stato un capriccio alla Byron. Ma già tutta la suaprima gioventù, da [40] quanto ne accennò vagamente,dev'essere stata delle più avventurose. Una parte neraccontò nella sua Histoire d'un enfant, in quellacarissima autobiografia, che par scritta dall'autore delCopperfield, con più sveltezza, e con non minore

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qualche tratto della vita propria, della sua bella vitavaria e agitata di scrittore parigino: le cene tumultuosecon gli amici celebri; il festino interrotto alle tre dellamattina per andar a correggere le stampe al giornale; lelunghe dispute letterarie cento volte interrotte eriattaccate, a notte [39] tarda, per le vie solitarie di Parigi;le grandi espansioni allegre dopo i grandi lavorigloriosi; qualche leggiero abuso di Champagne, unavolta tanto, per concedere qualche cosa alla mattìagiovanile, non ancor tutta domata dalle fatiche austeredell'arte; e le baldorie improvvisate in casa del DeNittis, dove qualche volta l'autore del Nabab, a cavalloal pittore napoletano, con una stecca da bigliardo inresta, ha fatto il picador andaluso, tra gli applausi degliamici e le risa delle signore, in mezzo al disordinesfarzoso dello studio, pieno di capolavori in gestazione.

Udendo parlare della diffusione dei suoi romanzi inItalia, domandò vivamente: - Davvero? - e mostrò quasid'esserne meravigliato.

Legge l'italiano, ma non lo parla. Quel poco che sadella nostra lingua lo imparò abitando per qualchetempo con certi italiani, nessuno immaginerebbe maidove.... dentro a un faro. Non disse di più: mi immaginoche sia stato un capriccio alla Byron. Ma già tutta la suaprima gioventù, da [40] quanto ne accennò vagamente,dev'essere stata delle più avventurose. Una parte neraccontò nella sua Histoire d'un enfant, in quellacarissima autobiografia, che par scritta dall'autore delCopperfield, con più sveltezza, e con non minore

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sentimento. È nato anche lui, come il suo petit chose, inuna di quelle città della Linguadoca «nelle quali, comein tutte le città del mezzogiorno, si trova molto sole, ungran polverìo, un convento di Carmelitane e qualchemonumento romano.» Figliuolo d'un povero negoziante,rimase giovanissimo sul lastrico. Ancora adolescente,entrò istitutore in un piccolo collegio per guadagnare davivere, e andò a cercar fortuna a Parigi, dove per unpezzo stentò il pane, e forse patì la fame, facendo iprimi versi al freddo, e passando per la trafila dei primiamori. Quell'angelo di fratello, che fa da madre a petitchose, dev'essere uno dei suoi fratelli, perchè queipersonaggi lì non s'inventano, o non si rendono, se sondi fantasia, con quella freschezza incantevole di colori,anche avendo l'ingegno di due Daudet. [41] Ma poi siriconosce a ogni passo, nel protagonista di quella storiagentile, la bella natura di artista e di buon figliuolo delfuturo autore dei Contes du lundi; e non solo la suanatura, ma la sua persona. Già adulto, pareva ancora unragazzo, tanto le sue forme erano delicate e quasifemminee. Era il ritratto di sua madre. La sua testa«piena di carattere,» come gli diceva Irma Borel laavventuriera, poteva servir di modello per un belpifferaro italiano o un grazioso algerino mercante diviolette. Irma se lo porta via e la signorina Pierrotte sene incapriccia appena lo vede; e il suo buon fratelloGiacomo, geloso della signorina, glielo dice qualchevolta con tristezza: - Ah! tu sei fortunato. A tutti piaci,tutti ti vogliono bene: è ben naturale che finisca con

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sentimento. È nato anche lui, come il suo petit chose, inuna di quelle città della Linguadoca «nelle quali, comein tutte le città del mezzogiorno, si trova molto sole, ungran polverìo, un convento di Carmelitane e qualchemonumento romano.» Figliuolo d'un povero negoziante,rimase giovanissimo sul lastrico. Ancora adolescente,entrò istitutore in un piccolo collegio per guadagnare davivere, e andò a cercar fortuna a Parigi, dove per unpezzo stentò il pane, e forse patì la fame, facendo iprimi versi al freddo, e passando per la trafila dei primiamori. Quell'angelo di fratello, che fa da madre a petitchose, dev'essere uno dei suoi fratelli, perchè queipersonaggi lì non s'inventano, o non si rendono, se sondi fantasia, con quella freschezza incantevole di colori,anche avendo l'ingegno di due Daudet. [41] Ma poi siriconosce a ogni passo, nel protagonista di quella storiagentile, la bella natura di artista e di buon figliuolo delfuturo autore dei Contes du lundi; e non solo la suanatura, ma la sua persona. Già adulto, pareva ancora unragazzo, tanto le sue forme erano delicate e quasifemminee. Era il ritratto di sua madre. La sua testa«piena di carattere,» come gli diceva Irma Borel laavventuriera, poteva servir di modello per un belpifferaro italiano o un grazioso algerino mercante diviolette. Irma se lo porta via e la signorina Pierrotte sene incapriccia appena lo vede; e il suo buon fratelloGiacomo, geloso della signorina, glielo dice qualchevolta con tristezza: - Ah! tu sei fortunato. A tutti piaci,tutti ti vogliono bene: è ben naturale che finisca con

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amarti anche lei! - Povero petit chose, povero Daudet didiciassette anni, costretto a fare i conti centesimo percentesimo; a campar degli avanzi della tavola d'unmarchese, che gli porta di soppiatto suo fratello; astrapparsi il pane dalla bocca per comprarsi la [42]

candela da poter lavorare la notte! Poveri romanzieri,fanciulli di genio, che ci rallegrano e ci consolano, checi strappano dal cuore le buone lacrime e il riso salutare,che entrano nella nostra vita e ci fanno vivere con loro,e diventano nostri amici e nostri fratelli, - poveriromanzieri celebrati e festeggiati, - che lacrime disangue hanno pianto prima che il loro nome arrivassesino a noi, quanto pan duro hanno ingoiato prima dicenare dal Brébant, e quante soffitte hanno riempitedelle loro angoscie prima di possedere quei tappeti, sucui noi passiamo adesso in punta di piedi,rispettosamente, venuti di duecento miglia lontano, pervederli nel viso!

Mentre continuava a discorrere riaccendendo di tantoin tanto quella benedetta pipuccola, che mi rubò almenomille parole, altre persone venivano annunziate, fra lequali pensai che ci fosse qualche seccatore, vedendopassare sulla sua fronte, all'annunzio dei nomi, unaleggiera comicissima espressione di terrore. Mariceveva tutti con la [43] stessa bonarietà franca e festosa,riempiendo la stanza del suo bel riso fresco di studente.E si vedeva che anche i suoi amici intimi lo stavano asentire con grande piacere. Era in vena. - Non si direbbeche parla - mi disse uno - ma che suona. Questo mi

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amarti anche lei! - Povero petit chose, povero Daudet didiciassette anni, costretto a fare i conti centesimo percentesimo; a campar degli avanzi della tavola d'unmarchese, che gli porta di soppiatto suo fratello; astrapparsi il pane dalla bocca per comprarsi la [42]

candela da poter lavorare la notte! Poveri romanzieri,fanciulli di genio, che ci rallegrano e ci consolano, checi strappano dal cuore le buone lacrime e il riso salutare,che entrano nella nostra vita e ci fanno vivere con loro,e diventano nostri amici e nostri fratelli, - poveriromanzieri celebrati e festeggiati, - che lacrime disangue hanno pianto prima che il loro nome arrivassesino a noi, quanto pan duro hanno ingoiato prima dicenare dal Brébant, e quante soffitte hanno riempitedelle loro angoscie prima di possedere quei tappeti, sucui noi passiamo adesso in punta di piedi,rispettosamente, venuti di duecento miglia lontano, pervederli nel viso!

Mentre continuava a discorrere riaccendendo di tantoin tanto quella benedetta pipuccola, che mi rubò almenomille parole, altre persone venivano annunziate, fra lequali pensai che ci fosse qualche seccatore, vedendopassare sulla sua fronte, all'annunzio dei nomi, unaleggiera comicissima espressione di terrore. Mariceveva tutti con la [43] stessa bonarietà franca e festosa,riempiendo la stanza del suo bel riso fresco di studente.E si vedeva che anche i suoi amici intimi lo stavano asentire con grande piacere. Era in vena. - Non si direbbeche parla - mi disse uno - ma che suona. Questo mi

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ricordò un appunto che gli fanno certi critici: dicono cheil suo stile è lo stile di uno che recita. Ma l'occhiodell'osservatore più acuto e più malevolo nonscoprirebbe nel suo parlare e nei suoi atteggiamenti nèun accento nè l'ombra d'un gesto che potesse darsospetto d'artifizio. Era bello a vedere, sopra tutto, neipassaggi improvvisi da un discorso faceto a uno grave.Quando la sua ilarità sonora era attraversata da unpensiero sull'arte o da un ricordo triste, pareva che conlo stesso atto nervoso della mano cacciasse indietro icapelli e cancellasse il sorriso dalla fronte; e alloraappariva aperto, immobile e puro il suo volto pallido diNazareno, così pieno di pensiero, che faceva cessarsubito il riso intorno a [44] sè, e s'indovinavano le sueparole prima di sentir la sua voce.

Così fece quando qualcuno dei presenti nominòGiacomo Leopardi, ch'egli aveva letto per la prima voltain quei giorni. I francesi che intendono un po' d'italiano,leggendo il Leopardi, trovano quasi sempre un intoppoalle prime pagine, e non vanno più oltre, spaventatidalle difficoltà che presentano le allusioni mitologiche ela forma un po' tormentata e velata di certe canzoni.Rimangono quindi con l'immagine dimezzata d'unLeopardi politico, erudito ed astruso, ignorando affattoil poeta appassionato e limpido delle liriche seguenti,che è il vero e grande Leopardi. Il Daudet andò fino infondo, e mi fece piacere e meraviglia il sentire come l'hacapito profondamente, anche a traverso alla traduzione.Ma è ridicolo il dir meraviglia, poichè dovrebbe

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ricordò un appunto che gli fanno certi critici: dicono cheil suo stile è lo stile di uno che recita. Ma l'occhiodell'osservatore più acuto e più malevolo nonscoprirebbe nel suo parlare e nei suoi atteggiamenti nèun accento nè l'ombra d'un gesto che potesse darsospetto d'artifizio. Era bello a vedere, sopra tutto, neipassaggi improvvisi da un discorso faceto a uno grave.Quando la sua ilarità sonora era attraversata da unpensiero sull'arte o da un ricordo triste, pareva che conlo stesso atto nervoso della mano cacciasse indietro icapelli e cancellasse il sorriso dalla fronte; e alloraappariva aperto, immobile e puro il suo volto pallido diNazareno, così pieno di pensiero, che faceva cessarsubito il riso intorno a [44] sè, e s'indovinavano le sueparole prima di sentir la sua voce.

Così fece quando qualcuno dei presenti nominòGiacomo Leopardi, ch'egli aveva letto per la prima voltain quei giorni. I francesi che intendono un po' d'italiano,leggendo il Leopardi, trovano quasi sempre un intoppoalle prime pagine, e non vanno più oltre, spaventatidalle difficoltà che presentano le allusioni mitologiche ela forma un po' tormentata e velata di certe canzoni.Rimangono quindi con l'immagine dimezzata d'unLeopardi politico, erudito ed astruso, ignorando affattoil poeta appassionato e limpido delle liriche seguenti,che è il vero e grande Leopardi. Il Daudet andò fino infondo, e mi fece piacere e meraviglia il sentire come l'hacapito profondamente, anche a traverso alla traduzione.Ma è ridicolo il dir meraviglia, poichè dovrebbe

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meravigliare il contrario, in un artista come il Daudet.Uno dei suoi amici non aveva del Leopardi un concettogiusto. Egli lo definì da par suo. - No, sapete - disse; -sbaglia, a parer [45] mio, chi rimpiccolisce la sua poesiaattribuendola a «mal di stomaco.» Non è dispetto controla natura, il suo; è una malinconia grande e profonda,una disperazione ragionata e tranquilla, che non derivadal cuore malato, ma dallo spirito persuaso. Guardatecome è alta e serena l'immagine della morte come egli lapresenta! E come l'animo suo rimane gentile malgradola disperazione! È un disperato che dice le più amareverità sulla vita e sulla natura; ma che è innamorato ditutto quello che è nobile e bello; uno spiritosovranamente generoso e benevolo, compreso d'unapietà immensa per i suoi simili; il quale, data la suafilosofia dolorosa, che crede meno funesta dell'errore,vuol consolare, non desolare il genere umano. Chepeccato non poter gustare la sua forma, perchè chisentiva e pensava in quella maniera, deve aver dato allasua poesia un corpo degno dell'anima.

Da ultimo, accompagnandoci all'uscio, esoffermandosi accanto a ogni mobile per prolungare laconversazione, venne a parlare di quella gran passione[46] d'ogni artista parigino, imprigionato nella cittàenorme, che lo condanna ai lavori forzati, di scappareun bel giorno come un uccello, e di volare a traverso almondo, senza scopo e senza pensieri, libero come l'aria,a far buon sangue e a raccogliere vigore per tornare piùpoderoso alla gran battaglia di Parigi. Il suo primo volo

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meravigliare il contrario, in un artista come il Daudet.Uno dei suoi amici non aveva del Leopardi un concettogiusto. Egli lo definì da par suo. - No, sapete - disse; -sbaglia, a parer [45] mio, chi rimpiccolisce la sua poesiaattribuendola a «mal di stomaco.» Non è dispetto controla natura, il suo; è una malinconia grande e profonda,una disperazione ragionata e tranquilla, che non derivadal cuore malato, ma dallo spirito persuaso. Guardatecome è alta e serena l'immagine della morte come egli lapresenta! E come l'animo suo rimane gentile malgradola disperazione! È un disperato che dice le più amareverità sulla vita e sulla natura; ma che è innamorato ditutto quello che è nobile e bello; uno spiritosovranamente generoso e benevolo, compreso d'unapietà immensa per i suoi simili; il quale, data la suafilosofia dolorosa, che crede meno funesta dell'errore,vuol consolare, non desolare il genere umano. Chepeccato non poter gustare la sua forma, perchè chisentiva e pensava in quella maniera, deve aver dato allasua poesia un corpo degno dell'anima.

Da ultimo, accompagnandoci all'uscio, esoffermandosi accanto a ogni mobile per prolungare laconversazione, venne a parlare di quella gran passione[46] d'ogni artista parigino, imprigionato nella cittàenorme, che lo condanna ai lavori forzati, di scappareun bel giorno come un uccello, e di volare a traverso almondo, senza scopo e senza pensieri, libero come l'aria,a far buon sangue e a raccogliere vigore per tornare piùpoderoso alla gran battaglia di Parigi. Il suo primo volo

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sarebbe al di qua delle Alpi. - L'Italia è il nostro sogno -disse: - quando abbiamo la testa e il cuore affaticati, lanostra fantasia scappa laggiù, nel vostro azzurro e nelvostro verde. - Egli l'ha presa per tempo la passione deiviaggi. Lo raccontò ne' suoi Contes du lundi. Passò lasua infanzia in una città attraversata da un fiume, pienodi battelli e di traffico, sul quale aveva il suo piccoloscalo anche il père Cornet, che dava a nolo delle barche.Ah! quel père Cornet! È stato il satana della suainfanzia, la sua passione dolorosa, e il suo rimorso.Svignava di casa, bucava la scuola, vendeva i libri, pernoleggiare una barca e scappare di città a colpi di remo.Non se ne può ricordare [47] senza emozione di quelledeliziose fughe sul fiume, in mezzo al grande via vaidelle zattere, del legname galleggiante, dei piccolibastimenti a vapore, e dei barconi carichi di mele, chegli arrivavano addosso improvvisamente, e da cui unavoce arrantolata gli gridava: - Fatti in là, moscherino! -Tutto questo gli dava l'illusione d'un grande viaggio,della grande vita di bordo, e tutto acceso e sudante, colcappello indietro, e i piedi sui quaderni di scuola,remando furiosamente con le sue piccole braccia didodici anni, usciva di città, sotto il sole cocente, inmezzo al barbaglio argentino delle acque, e andava ariposare contro la sponda, in mezzo ai giunchi sonori,sull'acqua stelleggiata di fiori gialli, sfinito dalla fatica;e cogli occhi fissi alle isole verdi che apparivanoall'orizzonte, fantasticava dei viaggi sterminati,dondolandosi coll'aria d'un vecchio lupo di mare, e

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sarebbe al di qua delle Alpi. - L'Italia è il nostro sogno -disse: - quando abbiamo la testa e il cuore affaticati, lanostra fantasia scappa laggiù, nel vostro azzurro e nelvostro verde. - Egli l'ha presa per tempo la passione deiviaggi. Lo raccontò ne' suoi Contes du lundi. Passò lasua infanzia in una città attraversata da un fiume, pienodi battelli e di traffico, sul quale aveva il suo piccoloscalo anche il père Cornet, che dava a nolo delle barche.Ah! quel père Cornet! È stato il satana della suainfanzia, la sua passione dolorosa, e il suo rimorso.Svignava di casa, bucava la scuola, vendeva i libri, pernoleggiare una barca e scappare di città a colpi di remo.Non se ne può ricordare [47] senza emozione di quelledeliziose fughe sul fiume, in mezzo al grande via vaidelle zattere, del legname galleggiante, dei piccolibastimenti a vapore, e dei barconi carichi di mele, chegli arrivavano addosso improvvisamente, e da cui unavoce arrantolata gli gridava: - Fatti in là, moscherino! -Tutto questo gli dava l'illusione d'un grande viaggio,della grande vita di bordo, e tutto acceso e sudante, colcappello indietro, e i piedi sui quaderni di scuola,remando furiosamente con le sue piccole braccia didodici anni, usciva di città, sotto il sole cocente, inmezzo al barbaglio argentino delle acque, e andava ariposare contro la sponda, in mezzo ai giunchi sonori,sull'acqua stelleggiata di fiori gialli, sfinito dalla fatica;e cogli occhi fissi alle isole verdi che apparivanoall'orizzonte, fantasticava dei viaggi sterminati,dondolandosi coll'aria d'un vecchio lupo di mare, e

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facendo sangue dal naso. - Ma viaggerò un giorno -disse - e mi pare che ne ritornerò ringiovanito. - E il suoamico avendogli domandato [48] se avrebbe raccontato isuoi viaggi come Téophile Gautier, parlò del Gautier. -Egli viene via via perdendo nel nostro concetto - disse -il nostro buon Gautier. È un gran pittore, un tecnicoammirabile, senza dubbio; ma null'altro. Ha dipintomirabilmente la Russia, chi lo può negare? Ma non hasentito la poesia profonda delle grandi pianure bianche,la tristezza dolce della canzone russa, e l'intimità caldadelle case coperte di neve, che si specchiano nei ghiaccidel Volga. Si direbbe che per lui l'anima umana nonesiste. Non aveva che occhi. Che peccato! - Ma lagravità di queste sue censure era temperata da una certadolcezza rispettosa della voce, e da una espressione cosìsincera di rammarico, che non parevan quasi piùcensure. Era una critica come quelle ch'egli fa nelJournal officiel, in cui non c'è giudizio, per quantosevero, che non abbia colore di gentilezza.

Finalmente, si dovette lasciarlo, e il suo «addio» fugentile come il suo benvenuto. Gli diedi una stretta dimano. Maledette convenienze! Gli [49] avrei datovolentieri due baci da amico, dicendogli: questo è perDaudet e questo è per petit chose! Ma mi mancò ladisinvoltura, e me ne uscii col mio abbraccio rientrato,tendendo ancora l'orecchio, per un buon tratto di scala,alla sua voce simpatica, che dominava il cicalìo degliamici.

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facendo sangue dal naso. - Ma viaggerò un giorno -disse - e mi pare che ne ritornerò ringiovanito. - E il suoamico avendogli domandato [48] se avrebbe raccontato isuoi viaggi come Téophile Gautier, parlò del Gautier. -Egli viene via via perdendo nel nostro concetto - disse -il nostro buon Gautier. È un gran pittore, un tecnicoammirabile, senza dubbio; ma null'altro. Ha dipintomirabilmente la Russia, chi lo può negare? Ma non hasentito la poesia profonda delle grandi pianure bianche,la tristezza dolce della canzone russa, e l'intimità caldadelle case coperte di neve, che si specchiano nei ghiaccidel Volga. Si direbbe che per lui l'anima umana nonesiste. Non aveva che occhi. Che peccato! - Ma lagravità di queste sue censure era temperata da una certadolcezza rispettosa della voce, e da una espressione cosìsincera di rammarico, che non parevan quasi piùcensure. Era una critica come quelle ch'egli fa nelJournal officiel, in cui non c'è giudizio, per quantosevero, che non abbia colore di gentilezza.

Finalmente, si dovette lasciarlo, e il suo «addio» fugentile come il suo benvenuto. Gli diedi una stretta dimano. Maledette convenienze! Gli [49] avrei datovolentieri due baci da amico, dicendogli: questo è perDaudet e questo è per petit chose! Ma mi mancò ladisinvoltura, e me ne uscii col mio abbraccio rientrato,tendendo ancora l'orecchio, per un buon tratto di scala,alla sua voce simpatica, che dominava il cicalìo degliamici.

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Tale è Alfonso Daudet, nato povero, pervenuto allafortuna e alla celebrità a traverso a una gioventùardimentosa e infaticabile, giovine ancora, artistanell'anima, virile al lavoro, delicato di modi come unadonna, sereno come tutti i caratteri benevoli, con unapiccola vena di tristezza come tutti i grandi amantidell'arte; stimato e benvoluto da tutti, amabile nei suoilibri e più amabile nel suo salotto, semplice, affettuoso eindulgente; la cui vita e la parola e l'aspetto ispirano labontà e confortano al lavoro e alle nobili ambizioni.Non ci rimane ad augurargli che una cosa sola: la salute,ossia la moderazione nell'esercizio dell'arte gloriosa percui è nato. Si sforzi di preservarla per sè e [50] per laFrancia, e per noi, e per tutti. Non abbia mai più dachiamare la sua buona amica per dirle: Finis monbouquin. Li finisca tutti lui, e ne finisca molti, e possacominciarne ancora una nuova serie quando la sua bellachioma scapigliata di vecchio lottatore gli farà unacorona d'argento intorno alla corona d'alloro.

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Tale è Alfonso Daudet, nato povero, pervenuto allafortuna e alla celebrità a traverso a una gioventùardimentosa e infaticabile, giovine ancora, artistanell'anima, virile al lavoro, delicato di modi come unadonna, sereno come tutti i caratteri benevoli, con unapiccola vena di tristezza come tutti i grandi amantidell'arte; stimato e benvoluto da tutti, amabile nei suoilibri e più amabile nel suo salotto, semplice, affettuoso eindulgente; la cui vita e la parola e l'aspetto ispirano labontà e confortano al lavoro e alle nobili ambizioni.Non ci rimane ad augurargli che una cosa sola: la salute,ossia la moderazione nell'esercizio dell'arte gloriosa percui è nato. Si sforzi di preservarla per sè e [50] per laFrancia, e per noi, e per tutti. Non abbia mai più dachiamare la sua buona amica per dirle: Finis monbouquin. Li finisca tutti lui, e ne finisca molti, e possacominciarne ancora una nuova serie quando la sua bellachioma scapigliata di vecchio lottatore gli farà unacorona d'argento intorno alla corona d'alloro.

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EMILIO ZOLA

POLEMISTA.

Son ritornato con piacere in quella bella stanza alterzo piano, in via di Boulogne, tutta ordinata e nitida,nella quale il principe dei veristi lavora da anni alla grantela dei Rougon-Macquart, e prepara prede da sbranarealle platee furibonde, e bandisce il verbo delnaturalismo, stroncando avversarii, incoraggiandodiscepoli, ribattendo censure; oggi alle prese con VictorHugo, domani col Gambetta, ora con la repubblica, oracon l'Accademia, ora col romanticismo, ora con lareligione; assalito da cento parti, pronto su centobreccie, in un atteggiamento minaccioso di avanguardia[54] del ventesimo secolo, di giorno in giorno piùtestardo, più sdegnoso e più intrepido. Guardando quellastanza così raccolta e quieta, prima che egli entrasse,pensavo alle tempeste che si erano scatenate da quelsilenzio per il mondo dell'arte, e al gridìo enorme cheavrebbe fatto tremare quelle pareti se fossero risonate làper un momento le voci di tutti coloro che disputanodell'autore dell'Assommoir, nel solo giro d'un'ora, daCadice a Pietroburgo, per levarlo alle stelle o pertrascinarlo nella polvere. E considerando quanto egliaveva pensato e scritto e lottato, in soli tre anni,

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EMILIO ZOLA

POLEMISTA.

Son ritornato con piacere in quella bella stanza alterzo piano, in via di Boulogne, tutta ordinata e nitida,nella quale il principe dei veristi lavora da anni alla grantela dei Rougon-Macquart, e prepara prede da sbranarealle platee furibonde, e bandisce il verbo delnaturalismo, stroncando avversarii, incoraggiandodiscepoli, ribattendo censure; oggi alle prese con VictorHugo, domani col Gambetta, ora con la repubblica, oracon l'Accademia, ora col romanticismo, ora con lareligione; assalito da cento parti, pronto su centobreccie, in un atteggiamento minaccioso di avanguardia[54] del ventesimo secolo, di giorno in giorno piùtestardo, più sdegnoso e più intrepido. Guardando quellastanza così raccolta e quieta, prima che egli entrasse,pensavo alle tempeste che si erano scatenate da quelsilenzio per il mondo dell'arte, e al gridìo enorme cheavrebbe fatto tremare quelle pareti se fossero risonate làper un momento le voci di tutti coloro che disputanodell'autore dell'Assommoir, nel solo giro d'un'ora, daCadice a Pietroburgo, per levarlo alle stelle o pertrascinarlo nella polvere. E considerando quanto egliaveva pensato e scritto e lottato, in soli tre anni,

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dall'ultima volta che l'avevo visto, seduto a quello stessotavolino su cui appoggiavo le mani, mi sentivo preso daun sentimento d'ammirazione. Sono ammirabili, infatti,comunque si giudichi l'ingegno e l'animo loro, e degnidi profondo rispetto, questi grandi lavoratori, chesacrificano all'arte la pace, la salute, i piaceri dellagioventù, e tutte le intense e varie facoltà di godere lavita, di cui è dotata la loro natura potente; e l'avvicinarli,[55] il parlar con loro dà sempre una scossa salutare alsangue, e fortifica l'anima e i nervi. E bisogna convenireche ha lavorato e che lavora questo terribile Zola! E piùsi ammira quando si considera la natura del lavoro suo;in cui non appare solamente la forza, ma lo sforzo, equasi un'ostinazione superba della volontà; lavorominuto e difficile di analisi e di descrizione, di stile e dilingua, necessariamente preceduto da una lunga seried'osservazioni e d'indagini pazienti sul Vero. D'ondepiglia l'impulso a un'operosità così costante e cosìfaticosa? Egli è una strana natura, veramente. Pare chesia divorato dall'ambizione della gloria, e pare nellostesso tempo che non senta e non goda quella che s'èacquistata. Vive da sè, nella sua casa silenziosa,appartato dal mondo, come un vero certosino dell'arte,in mezzo alla grande Parigi che parla di lui come d'unpersonaggio lontano e quasi fantastico; e noninterrompe il suo lavoro solitario di artista che perassalire o per difendersi fieramente, come un uomo [56]

disconosciuto e scontento, senza profferir mai una fraseo una parola che riveli un sentimento lieto della fama a

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dall'ultima volta che l'avevo visto, seduto a quello stessotavolino su cui appoggiavo le mani, mi sentivo preso daun sentimento d'ammirazione. Sono ammirabili, infatti,comunque si giudichi l'ingegno e l'animo loro, e degnidi profondo rispetto, questi grandi lavoratori, chesacrificano all'arte la pace, la salute, i piaceri dellagioventù, e tutte le intense e varie facoltà di godere lavita, di cui è dotata la loro natura potente; e l'avvicinarli,[55] il parlar con loro dà sempre una scossa salutare alsangue, e fortifica l'anima e i nervi. E bisogna convenireche ha lavorato e che lavora questo terribile Zola! E piùsi ammira quando si considera la natura del lavoro suo;in cui non appare solamente la forza, ma lo sforzo, equasi un'ostinazione superba della volontà; lavorominuto e difficile di analisi e di descrizione, di stile e dilingua, necessariamente preceduto da una lunga seried'osservazioni e d'indagini pazienti sul Vero. D'ondepiglia l'impulso a un'operosità così costante e cosìfaticosa? Egli è una strana natura, veramente. Pare chesia divorato dall'ambizione della gloria, e pare nellostesso tempo che non senta e non goda quella che s'èacquistata. Vive da sè, nella sua casa silenziosa,appartato dal mondo, come un vero certosino dell'arte,in mezzo alla grande Parigi che parla di lui come d'unpersonaggio lontano e quasi fantastico; e noninterrompe il suo lavoro solitario di artista che perassalire o per difendersi fieramente, come un uomo [56]

disconosciuto e scontento, senza profferir mai una fraseo una parola che riveli un sentimento lieto della fama a

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cui è salito, e della fortuna che lo accompagna. Dallapovertà, da una vita d'umiliazioni e di lotte disperate, ègiunto alla gloria e ad una agiatezza splendida; ma nonsi è mutato d'animo, non s'è riconciliato col mondo, epar che abbia la società umana in gran dispitto, comeFarinata l'inferno. Senza dubbio, egli deve aver moltosofferto. Lo disse, non è gran tempo, a un amico, ilquale gli rimprovera la violenza delle sue critiche: - Ah!voi non sapete quello che m'hanno fatto soffrire! - Eforse egli è ancora realmente in credito col mondo. Diqui la sua mancanza d'espansività affettuosa, e non soche di cupo e di diffidente ch'è in lui. Gentile coivisitatori, sembra però che il suo sguardo indagatorescopra sempre nell'animo di chi lo loda qualche piccolaipocrisia e qualche piccola perfidia; e che di momentoin momento debba alzarsi in piedi e dire agli ammiratoriche gli fanno corona: [57] - Finiamo la commedia: sieteuna fitta d'impostori che, uscendo di qui, lacererete ilmio nome. - Ed è raro che la lode si rifletta sul suo visoin un'espressione di compiacenza. Nei suoi scritti puòtrasparir l'orgoglio; ma non traspare punto la vanitàdalla sua persona. E tale è nella vita. Austero, sobrio,alieno dai piaceri materiali e frivoli, - senza figli, - vivecon sua moglie, come dice egli stesso, en boncamarade, e non ha l'animo occupato da alcuna grandepassione, eccetto quella dell'arte, che è sostenuta evivificata in lui da un immenso amore, o piuttosto da unirresistibile bisogno del lavoro. Questo gli è nello stessotempo fatica, riposo, compenso, conforto; a questo dice

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cui è salito, e della fortuna che lo accompagna. Dallapovertà, da una vita d'umiliazioni e di lotte disperate, ègiunto alla gloria e ad una agiatezza splendida; ma nonsi è mutato d'animo, non s'è riconciliato col mondo, epar che abbia la società umana in gran dispitto, comeFarinata l'inferno. Senza dubbio, egli deve aver moltosofferto. Lo disse, non è gran tempo, a un amico, ilquale gli rimprovera la violenza delle sue critiche: - Ah!voi non sapete quello che m'hanno fatto soffrire! - Eforse egli è ancora realmente in credito col mondo. Diqui la sua mancanza d'espansività affettuosa, e non soche di cupo e di diffidente ch'è in lui. Gentile coivisitatori, sembra però che il suo sguardo indagatorescopra sempre nell'animo di chi lo loda qualche piccolaipocrisia e qualche piccola perfidia; e che di momentoin momento debba alzarsi in piedi e dire agli ammiratoriche gli fanno corona: [57] - Finiamo la commedia: sieteuna fitta d'impostori che, uscendo di qui, lacererete ilmio nome. - Ed è raro che la lode si rifletta sul suo visoin un'espressione di compiacenza. Nei suoi scritti puòtrasparir l'orgoglio; ma non traspare punto la vanitàdalla sua persona. E tale è nella vita. Austero, sobrio,alieno dai piaceri materiali e frivoli, - senza figli, - vivecon sua moglie, come dice egli stesso, en boncamarade, e non ha l'animo occupato da alcuna grandepassione, eccetto quella dell'arte, che è sostenuta evivificata in lui da un immenso amore, o piuttosto da unirresistibile bisogno del lavoro. Questo gli è nello stessotempo fatica, riposo, compenso, conforto; a questo dice

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di dovere, più che all'ingegno, tutto quel che haottenuto; e ne è altero. Lui fortunato, così potenteverista nell'arte, e così forte idealista nella vita.

[58]

***

Nella sua stanza, in questi ultimi tre anni, si sonomoltiplicati i quadri e i ninnoli costosi, come le edizionidei suoi romanzi. Tre anni sono, infatti, egli era agiato,ed oggi è ricco. È uno degli scrittori francesi che fecerofortuna più rapidamente, dopo averla per più lungotempo aspettata. La pioggia d'oro cominciòcoll'Assommoir, il quale solo, tra romanzo e dramma, glifruttò un capitale, oltre all'impulso enorme che diedeallo spaccio di tutti gli altri suoi libri; ed ora i dilettantidi finanza letteraria fanno il conto che egli cammini agrandi passi verso il milionetto, non ostante che si siasoffermato per farsi fabbricare una bella casa a Médan,dove passa quasi tutto l'anno. Dice [59] egli stesso chenon ha più bisogno di lavorare per il denaro, e se nevanta francamente. Il denaro è l'indipendenza e ladignità degli scrittori; i quali, quando o non potevano osdegnavano di trarre la vita dalle fatiche del proprioingegno, erano lacchè di principi, cacciatori spudorati dipensioni, e affamati leccazampe di tutti i ciuchiblasonati e danarosi. Sprezza il denaro, egli dice,solamente il catonismo ipocrita degl'impotenti. E certo ildesiderio ardente della ricchezza è in Francia (dove la

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di dovere, più che all'ingegno, tutto quel che haottenuto; e ne è altero. Lui fortunato, così potenteverista nell'arte, e così forte idealista nella vita.

[58]

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Nella sua stanza, in questi ultimi tre anni, si sonomoltiplicati i quadri e i ninnoli costosi, come le edizionidei suoi romanzi. Tre anni sono, infatti, egli era agiato,ed oggi è ricco. È uno degli scrittori francesi che fecerofortuna più rapidamente, dopo averla per più lungotempo aspettata. La pioggia d'oro cominciòcoll'Assommoir, il quale solo, tra romanzo e dramma, glifruttò un capitale, oltre all'impulso enorme che diedeallo spaccio di tutti gli altri suoi libri; ed ora i dilettantidi finanza letteraria fanno il conto che egli cammini agrandi passi verso il milionetto, non ostante che si siasoffermato per farsi fabbricare una bella casa a Médan,dove passa quasi tutto l'anno. Dice [59] egli stesso chenon ha più bisogno di lavorare per il denaro, e se nevanta francamente. Il denaro è l'indipendenza e ladignità degli scrittori; i quali, quando o non potevano osdegnavano di trarre la vita dalle fatiche del proprioingegno, erano lacchè di principi, cacciatori spudorati dipensioni, e affamati leccazampe di tutti i ciuchiblasonati e danarosi. Sprezza il denaro, egli dice,solamente il catonismo ipocrita degl'impotenti. E certo ildesiderio ardente della ricchezza è in Francia (dove la

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ricchezza può conseguirsi) un potentissimo sproneall'operosità degli artisti. La possibilità e la speranza diarricchire in pochi anni, e di trovarsi poi in grado dilavorare a bell'agio e meglio intorno a soggetti piùliberamente scelti e più profondamente meditati,accendono negli scrittori quella stessa febbre di lavoro ed'ardimento che centuplica le forze della gente d'affariin tutti i paesi; ed è fuor di dubbio che noi dobbiamo aquella febbre un grande numero d'opere bellissime, enon pochi capolavori, che la sola [60] forza dellaispirazione artistica, non sostenuta da una attivitàdisperata, non sarebbe bastata a produrre. La ricchezza èla grande allettatrice di quasi tutti gli scrittori francesi.Giovani, lavorano per giungere all'agiatezza eall'indipendenza; quando hanno ottenuto l'una e l'altra,persistono a lavorar ardentemente, sia perchè ne hannocontratto l'abitudine irresistibile, sia perchè, crescendoin loro, con gli anni, l'amore degli agi e la sollecitudinedel decoro signorile, sentono il bisogno d'arrotondare lerendite. Ed è ancora da aggiungersi a queste ragionid'operosità, se non una singolare attitudine dei francesial lavoro, il continuo e vario stimolo che deve dar lorola vita calda e ricca e diversa d'una enorme cittàintellettuale; e il fatto incontrastabile che una cittàsiffatta, non ostante le sue esigenze e le sue tentazioni, èper la sua stessa grandezza più favorevole d'una cittàpiccola al lavoro continuo e raccolto, per la ragionemedesima che è più facile rimaner padroni dei propripensieri in mezzo a [61] una grande folla che in un

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ricchezza può conseguirsi) un potentissimo sproneall'operosità degli artisti. La possibilità e la speranza diarricchire in pochi anni, e di trovarsi poi in grado dilavorare a bell'agio e meglio intorno a soggetti piùliberamente scelti e più profondamente meditati,accendono negli scrittori quella stessa febbre di lavoro ed'ardimento che centuplica le forze della gente d'affariin tutti i paesi; ed è fuor di dubbio che noi dobbiamo aquella febbre un grande numero d'opere bellissime, enon pochi capolavori, che la sola [60] forza dellaispirazione artistica, non sostenuta da una attivitàdisperata, non sarebbe bastata a produrre. La ricchezza èla grande allettatrice di quasi tutti gli scrittori francesi.Giovani, lavorano per giungere all'agiatezza eall'indipendenza; quando hanno ottenuto l'una e l'altra,persistono a lavorar ardentemente, sia perchè ne hannocontratto l'abitudine irresistibile, sia perchè, crescendoin loro, con gli anni, l'amore degli agi e la sollecitudinedel decoro signorile, sentono il bisogno d'arrotondare lerendite. Ed è ancora da aggiungersi a queste ragionid'operosità, se non una singolare attitudine dei francesial lavoro, il continuo e vario stimolo che deve dar lorola vita calda e ricca e diversa d'una enorme cittàintellettuale; e il fatto incontrastabile che una cittàsiffatta, non ostante le sue esigenze e le sue tentazioni, èper la sua stessa grandezza più favorevole d'una cittàpiccola al lavoro continuo e raccolto, per la ragionemedesima che è più facile rimaner padroni dei propripensieri in mezzo a [61] una grande folla che in un

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cerchio di quindici conoscenti. Là non esiste, fracolleghi letterarii, la flânerie occasionata dagl'incontrifortuiti, che piglia tanta parte del nostro tempo anchenelle città più grandi; gli amici, per incontrarsi, sidevono cercare per la posta; in ogni convegno èprefissata l'ora della separazione; la molteplicità dellefaccende costringe alla pedanteria nell'orario; la furiadella vita non lascia tempo alla rêverie che sfibral'animo, come dice il Goethe, e fiacca le forzedell'intelligenza; gli inevitabili doveri sociali a cui sideve sacrificare una parte della sera, obbligano al lavoromattutino, più fresco e più salutare del notturno; ivisitatori importuni sono respinti senza riguardi; e tuttova di carriera, e ognuno difende accanitamente il suotempo e la sua libertà di lavoro. E uno di quelli che ladifendono più accanitamente è lo Zola. Il quale vivesolitario anche per questa ragione: che avendocombattuto acerbamente molte opinioni stabilite, eferito amor proprii, e sollevato ire ed inimicizie, [62] sitroverebbe costretto, frequentando la società letteraria, auna lotta continua; e mancante com'è del vero e proprio«spirito parigino» che è un'arma terribile nelle disputedei salotti e dei circoli, egli sente che non ce la potrebbein nessun modo con le lingue indiavolate, coi fulmineimotteggiatori, che gli cascherebbero addosso da ogniparte. Per ciò se ne sta rinchiuso nella sua officina,spendendo in lavoro tutta la vitalità che risparmia inbattaglie di conversazione, le quali darebbero troppofacile vittoria ai suoi nemici. Victor Hugo, che malgrado

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cerchio di quindici conoscenti. Là non esiste, fracolleghi letterarii, la flânerie occasionata dagl'incontrifortuiti, che piglia tanta parte del nostro tempo anchenelle città più grandi; gli amici, per incontrarsi, sidevono cercare per la posta; in ogni convegno èprefissata l'ora della separazione; la molteplicità dellefaccende costringe alla pedanteria nell'orario; la furiadella vita non lascia tempo alla rêverie che sfibral'animo, come dice il Goethe, e fiacca le forzedell'intelligenza; gli inevitabili doveri sociali a cui sideve sacrificare una parte della sera, obbligano al lavoromattutino, più fresco e più salutare del notturno; ivisitatori importuni sono respinti senza riguardi; e tuttova di carriera, e ognuno difende accanitamente il suotempo e la sua libertà di lavoro. E uno di quelli che ladifendono più accanitamente è lo Zola. Il quale vivesolitario anche per questa ragione: che avendocombattuto acerbamente molte opinioni stabilite, eferito amor proprii, e sollevato ire ed inimicizie, [62] sitroverebbe costretto, frequentando la società letteraria, auna lotta continua; e mancante com'è del vero e proprio«spirito parigino» che è un'arma terribile nelle disputedei salotti e dei circoli, egli sente che non ce la potrebbein nessun modo con le lingue indiavolate, coi fulmineimotteggiatori, che gli cascherebbero addosso da ogniparte. Per ciò se ne sta rinchiuso nella sua officina,spendendo in lavoro tutta la vitalità che risparmia inbattaglie di conversazione, le quali darebbero troppofacile vittoria ai suoi nemici. Victor Hugo, che malgrado

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la sua corte, vive in una specie di solitudineintellettuale, fuori della letteratura vivente, è il leone;Emilio Zola è l'orso. E vivono l'uno e l'altro in regioninon meno lontane e diverse fra loro che quelle abitatedalle due fiere formidabili che simboleggiano.

[63]

***

Mentre stavo in questi pensieri, egli comparve, pallidoe coi capelli irti, vestito di un farsettone di maglia scu-

ra, stretto alla vita, senza cravatta, con le scarpe dipanno nero; uno strano vestimento, tra di lottatore e

d'operaio. Mi fece un'impressione inaspettata, diversadalla prima volta. Mi parve assai più piccolo di staturae più esile. Ha messo un po' di ventre; ma è notevol-mente dimagrato nel viso. Era smorto e aveva l'ariatriste. E forse a cagione della tristezza la sua acco-

glienza fu più affettuosa di quello che si soglia aspet-tare da lui. Sedette accanto al suo tavolo da lavoro, co-perto di giornali e di lettere non ancora aperte, e alle

solite domande sulla salute, rispose, [64] con un accentonon meno triste del suo aspetto, che non stava bene.

Poi soggiunse:- Voi sapete che ho avuto la disgrazia di perdere mia

madre.E gli si empirono gli occhi di lacrime. Dopo qualche

momento di silenzio, ricordò la morte del Flaubert, laquale pure era stata un gran dolore per lui. Il Flaubert

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la sua corte, vive in una specie di solitudineintellettuale, fuori della letteratura vivente, è il leone;Emilio Zola è l'orso. E vivono l'uno e l'altro in regioninon meno lontane e diverse fra loro che quelle abitatedalle due fiere formidabili che simboleggiano.

[63]

***

Mentre stavo in questi pensieri, egli comparve, pallidoe coi capelli irti, vestito di un farsettone di maglia scu-

ra, stretto alla vita, senza cravatta, con le scarpe dipanno nero; uno strano vestimento, tra di lottatore e

d'operaio. Mi fece un'impressione inaspettata, diversadalla prima volta. Mi parve assai più piccolo di staturae più esile. Ha messo un po' di ventre; ma è notevol-mente dimagrato nel viso. Era smorto e aveva l'ariatriste. E forse a cagione della tristezza la sua acco-

glienza fu più affettuosa di quello che si soglia aspet-tare da lui. Sedette accanto al suo tavolo da lavoro, co-perto di giornali e di lettere non ancora aperte, e alle

solite domande sulla salute, rispose, [64] con un accentonon meno triste del suo aspetto, che non stava bene.

Poi soggiunse:- Voi sapete che ho avuto la disgrazia di perdere mia

madre.E gli si empirono gli occhi di lacrime. Dopo qualche

momento di silenzio, ricordò la morte del Flaubert, laquale pure era stata un gran dolore per lui. Il Flaubert

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era suo maestro e suo amico. Egli l'aveva conosciuto eamato fin dai principii della sua carriera. La perdita deigenitori letterarii è particolarmente triste per gli scrittoriche s'avanzano per una via ardita, piena di pericoli: ilsoldato sente più dolorosamente la morte del suo capo,quando combatte all'avanguardia.

- Questo è stato un duro anno per me - dissesospirando -; un anno nero veramente, che mi peserà sulcapo per un pezzo.

E riparlò del suo antico proposito di fare un viaggioin Italia, anzi di venirsi a stabilire per qualche tempo franoi, in una città del mezzogiorno. [65] Da molto tempo sisente stanco e ha gran bisogno di riposo. Vorrebbevenire in Italia, senza che lo sapesse nessuno, fuorchèun piccolo numero di amici, per poter vivere raccolto equieto nel suo cantuccio; non perchè sia selvaggio, enon ami la gente che va a lui, mossa da un sentimento disimpatia; ma perchè non sa jouer le prince, e davanti atre persone con cui non abbia dimestichezza, perde lasua libertà di spirito. Ma per quanto dica, son persuasoche il suo viaggio in Italia non sarà mai altro che unproponimento. E d'altra parte, quanto s'inganna se crededi venir qui a vivere in pace! Il giorno dopo l'arrivoavrebbe un assembramento di veristi davanti all'albergo,e sarebbe costretto a esporre la teoria del naturalismodalla finestra.

- Ho bisogno di riposo.... - ripetè con tristezza -; nonposso più lavorare come una volta.

- Eppure, - gli osservai, - oltre a tutto il resto, riempite

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era suo maestro e suo amico. Egli l'aveva conosciuto eamato fin dai principii della sua carriera. La perdita deigenitori letterarii è particolarmente triste per gli scrittoriche s'avanzano per una via ardita, piena di pericoli: ilsoldato sente più dolorosamente la morte del suo capo,quando combatte all'avanguardia.

- Questo è stato un duro anno per me - dissesospirando -; un anno nero veramente, che mi peserà sulcapo per un pezzo.

E riparlò del suo antico proposito di fare un viaggioin Italia, anzi di venirsi a stabilire per qualche tempo franoi, in una città del mezzogiorno. [65] Da molto tempo sisente stanco e ha gran bisogno di riposo. Vorrebbevenire in Italia, senza che lo sapesse nessuno, fuorchèun piccolo numero di amici, per poter vivere raccolto equieto nel suo cantuccio; non perchè sia selvaggio, enon ami la gente che va a lui, mossa da un sentimento disimpatia; ma perchè non sa jouer le prince, e davanti atre persone con cui non abbia dimestichezza, perde lasua libertà di spirito. Ma per quanto dica, son persuasoche il suo viaggio in Italia non sarà mai altro che unproponimento. E d'altra parte, quanto s'inganna se crededi venir qui a vivere in pace! Il giorno dopo l'arrivoavrebbe un assembramento di veristi davanti all'albergo,e sarebbe costretto a esporre la teoria del naturalismodalla finestra.

- Ho bisogno di riposo.... - ripetè con tristezza -; nonposso più lavorare come una volta.

- Eppure, - gli osservai, - oltre a tutto il resto, riempite

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ogni settimana quattro colonne [66] del Figaro. Noi siamomeravigliati della vostra operosità.

- No, no, - rispose, scrollando il capo, - credetelo ame, non lavoro più come una volta; non sono più quellodi prima. Non ho ancora potuto rimettermi al mioromanzo. Per scrivere, vedete, bisogna aver dello spazioe dell'aria davanti a sè, bisogna credere alla vita.

Mi fecero tristezza queste parole, tanto più perchènon erano smentite dal suo aspetto.

Credette per qualche tempo d'aver una malattia dicuore; i medici lo disingannarono; ma nondimeno eglisente sempre in sè qualcosa di sordo e d'inquietante, chegl'impedisce il lavoro, e lo volge alle previsioni nere.Ora avrebbe un disegno. Continuare a scrivere per ilFigaro finchè ce l'obbliga l'impegno assunto; poi usciredal giornalismo, sdarsi interamente, e per sempre dallapolemica, e consacrare tutto il suo tempo e tutte le sueforze ai romanzi, curando insieme la raccolta e lapubblicazione dei suoi scritti sparsi; i [67] quali tranovelle, ritratti e critica, formerebbero otto volumi, e neuscirebbe uno ogni tre mesi. Terminata la storia deiRougon-Macquart, alla quale mancano ancora undiciromanzi, farebbe un'edizione definitiva di tutti e venti ivolumi, collegandoli meglio fra loro (pensiero che deveessergli venuto in seguito a uno studio arguto ediligentissimo fatto da uno scrittore francese sullecontraddizioni cronologiche e sociali della sua storia); epoi si darebbe tutto al teatro, che è sempre il suopensiero dominante. Riguardo al primo romanzo che

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ogni settimana quattro colonne [66] del Figaro. Noi siamomeravigliati della vostra operosità.

- No, no, - rispose, scrollando il capo, - credetelo ame, non lavoro più come una volta; non sono più quellodi prima. Non ho ancora potuto rimettermi al mioromanzo. Per scrivere, vedete, bisogna aver dello spazioe dell'aria davanti a sè, bisogna credere alla vita.

Mi fecero tristezza queste parole, tanto più perchènon erano smentite dal suo aspetto.

Credette per qualche tempo d'aver una malattia dicuore; i medici lo disingannarono; ma nondimeno eglisente sempre in sè qualcosa di sordo e d'inquietante, chegl'impedisce il lavoro, e lo volge alle previsioni nere.Ora avrebbe un disegno. Continuare a scrivere per ilFigaro finchè ce l'obbliga l'impegno assunto; poi usciredal giornalismo, sdarsi interamente, e per sempre dallapolemica, e consacrare tutto il suo tempo e tutte le sueforze ai romanzi, curando insieme la raccolta e lapubblicazione dei suoi scritti sparsi; i [67] quali tranovelle, ritratti e critica, formerebbero otto volumi, e neuscirebbe uno ogni tre mesi. Terminata la storia deiRougon-Macquart, alla quale mancano ancora undiciromanzi, farebbe un'edizione definitiva di tutti e venti ivolumi, collegandoli meglio fra loro (pensiero che deveessergli venuto in seguito a uno studio arguto ediligentissimo fatto da uno scrittore francese sullecontraddizioni cronologiche e sociali della sua storia); epoi si darebbe tutto al teatro, che è sempre il suopensiero dominante. Riguardo al primo romanzo che

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pubblicherà ora, egli è ancora incerto fra tre idee.Dapprima voleva scrivere Un peintre à Paris; romanzoche abbraccierebbe la vita artistica e la vita letteraria,raccontando le lotte e le avventure di un giovane digenio, o di parecchi, venuti dalla provincia a Parigi acercar la gloria e la fortuna; ma poichè per trattar questoargomento, dovrebbe fare un viaggio in Provenza, terranatale dei suoi personaggi, a raccogliere notizie eispirazioni, intende di lasciarlo da parte [68] per ora.Vorrebbe scrivere un romanzo del genere della Paged'amour, ma in un altro campo sociale, di cui il soggettosarebbe il dolore, la bontà, la forza e il coraggio nellasventura, e gli affetti gentili e profondi; - ma teme cheun lavoro di questa natura, nello stato di animo in cui sitrova al presente, rimescolerebbe troppo dolorosamenteil suo cuore. Propende quindi per un terzo romanzo, delquale m'aveva già parlato tre anni or sono, che avrebbeper campo «i grandi magazzini» di Parigi, come ilLouvre e il Bon Marché; e per argomento la lotta delgrande commercio col piccolo, dei milioni coi centomila franchi. Questo farà più probabilmente; e perciòcomincierà tra poco le sue visite e i suoi studi minuti diromanziere esperimentale; passerà delle ore e delle orein mezzo al via vai e al rimescolìo rumoroso dei«magazzini» enormi, a raccoglier colori per ledescrizioni e motti per i dialoghi, e a cercar tipi eavventure locali, interrogando commessi e ragionieri,con la sua amorosa [69] pazienza di musaicista, come fecenei mercati e nelle botteghe dei salumai per scrivere il

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pubblicherà ora, egli è ancora incerto fra tre idee.Dapprima voleva scrivere Un peintre à Paris; romanzoche abbraccierebbe la vita artistica e la vita letteraria,raccontando le lotte e le avventure di un giovane digenio, o di parecchi, venuti dalla provincia a Parigi acercar la gloria e la fortuna; ma poichè per trattar questoargomento, dovrebbe fare un viaggio in Provenza, terranatale dei suoi personaggi, a raccogliere notizie eispirazioni, intende di lasciarlo da parte [68] per ora.Vorrebbe scrivere un romanzo del genere della Paged'amour, ma in un altro campo sociale, di cui il soggettosarebbe il dolore, la bontà, la forza e il coraggio nellasventura, e gli affetti gentili e profondi; - ma teme cheun lavoro di questa natura, nello stato di animo in cui sitrova al presente, rimescolerebbe troppo dolorosamenteil suo cuore. Propende quindi per un terzo romanzo, delquale m'aveva già parlato tre anni or sono, che avrebbeper campo «i grandi magazzini» di Parigi, come ilLouvre e il Bon Marché; e per argomento la lotta delgrande commercio col piccolo, dei milioni coi centomila franchi. Questo farà più probabilmente; e perciòcomincierà tra poco le sue visite e i suoi studi minuti diromanziere esperimentale; passerà delle ore e delle orein mezzo al via vai e al rimescolìo rumoroso dei«magazzini» enormi, a raccoglier colori per ledescrizioni e motti per i dialoghi, e a cercar tipi eavventure locali, interrogando commessi e ragionieri,con la sua amorosa [69] pazienza di musaicista, come fecenei mercati e nelle botteghe dei salumai per scrivere il

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Ventre di Parigi, e nei lavatoi e all'ospedale per farl'Assommoir. Ma subito non ci si può mettere: nonriuscirebbe a far nulla.

Gli domandai se gli seguiva spesso, anche nel suostato abituale, di non poter far nulla.

- Ah che tasto toccate! - rispose. - Ci son dei giorni incui mi pare d'essere finito, non per quel giorno, ma persempre; giorni in cui son come morto. Mi metto altavolino la mattina per tempo, senz'aver coscienza delmio stato, e al momento di ripigliare il filo del romanzo,mi sento nella testa un vuoto e un silenzio da far paura.Personaggi, luoghi, scene, avvenimenti, tutto s'è comeagghiacciato dentro a una nebbia oscura, in cui misembra che non riescirò mai più a far penetrare unraggio di sole. E allora resto qui delle ore, colla testasopra una mano e gli occhi fissi alla finestra come unosmemorato. E poi.... mi pigliano degli [70]

scoraggiamenti terribili anche riguardo all'arte mia.- Come! - gli dissi, - voi, che percorrete una via così

nettamente e profondamente tracciata, che lavorate conun metodo così rigoroso, e di cui parete tanto sicuro,andate soggetto voi pure allo scoraggiamento e aldubbio della vostra arte?

- Se ci vado soggetto! - rispose. - Ma chi non ci vasoggetto? Ci sono due soli artisti in questo secolo, unpittore e un poeta, i quali non hanno mai sospettato unavolta, neppure alla lontana, il primo di poter sbagliareuna pennellata, l'altro di poter scrivere un cattivo verso;e sono il Coubert e Victor Hugo. Io trovo orribile oggi

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Ventre di Parigi, e nei lavatoi e all'ospedale per farl'Assommoir. Ma subito non ci si può mettere: nonriuscirebbe a far nulla.

Gli domandai se gli seguiva spesso, anche nel suostato abituale, di non poter far nulla.

- Ah che tasto toccate! - rispose. - Ci son dei giorni incui mi pare d'essere finito, non per quel giorno, ma persempre; giorni in cui son come morto. Mi metto altavolino la mattina per tempo, senz'aver coscienza delmio stato, e al momento di ripigliare il filo del romanzo,mi sento nella testa un vuoto e un silenzio da far paura.Personaggi, luoghi, scene, avvenimenti, tutto s'è comeagghiacciato dentro a una nebbia oscura, in cui misembra che non riescirò mai più a far penetrare unraggio di sole. E allora resto qui delle ore, colla testasopra una mano e gli occhi fissi alla finestra come unosmemorato. E poi.... mi pigliano degli [70]

scoraggiamenti terribili anche riguardo all'arte mia.- Come! - gli dissi, - voi, che percorrete una via così

nettamente e profondamente tracciata, che lavorate conun metodo così rigoroso, e di cui parete tanto sicuro,andate soggetto voi pure allo scoraggiamento e aldubbio della vostra arte?

- Se ci vado soggetto! - rispose. - Ma chi non ci vasoggetto? Ci sono due soli artisti in questo secolo, unpittore e un poeta, i quali non hanno mai sospettato unavolta, neppure alla lontana, il primo di poter sbagliareuna pennellata, l'altro di poter scrivere un cattivo verso;e sono il Coubert e Victor Hugo. Io trovo orribile oggi

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quello che ho fatto ieri - infallibilmente. Se voglio tirarinnanzi a lavorare di buon animo e con qualche illusionedi far bene, bisogna che non mi volti mai indietro. Perquesto, terminato un libro, non me ne occupo più; e nonsolo sfuggo l'occasione di parlarne, ma faccio unosforzo continuo per dimenticarlo. Guardate: io [71] nonrileggo mai, assolutamente mai, una pagina dei mieilibri, se non son costretto a leggerla, come m'accadequalche volta, per scansare una ripetizione in quello chesto scrivendo. Ebbene, quando rileggo qualche cosa,faccio compassione a me stesso, ma una compassione,vedete, da levarmi il pianto dal cuore.

- Ma per che cosa?- Ma per il pensiero, per la condotta, per lo stile, per

la lingua, per tutto. Credete voi che se non vivessi inquesto dubbio continuo di me stesso, se non mitormentassi l'anima come faccio, avrei il colore che ho,e mi troverei nello stato di salute in cui mi trovo?Guardate le mie mani. Pare che io abbia il deliriumtremens. E non bevo che acqua!

E dopo un po' soggiunse:- M'ammazzo a lavorare, e non riesco a far quello che

voglio; sono un uomo malcontento, ecco tutto.Il suo tormento principale è lo stile e la lingua, [72]

com'era negli ultimi anni per il Flaubert, che urlavasopra una frase ribelle. - Noi - egli dice - siamo scrittoritroppo nervosi. Il nostro stile è uno stile di spolvero,tutto bellezze grosse e patenti, frasi fatte e cadenzeobbligate. A furia di voler cesellare, brunire, ricamare e

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quello che ho fatto ieri - infallibilmente. Se voglio tirarinnanzi a lavorare di buon animo e con qualche illusionedi far bene, bisogna che non mi volti mai indietro. Perquesto, terminato un libro, non me ne occupo più; e nonsolo sfuggo l'occasione di parlarne, ma faccio unosforzo continuo per dimenticarlo. Guardate: io [71] nonrileggo mai, assolutamente mai, una pagina dei mieilibri, se non son costretto a leggerla, come m'accadequalche volta, per scansare una ripetizione in quello chesto scrivendo. Ebbene, quando rileggo qualche cosa,faccio compassione a me stesso, ma una compassione,vedete, da levarmi il pianto dal cuore.

- Ma per che cosa?- Ma per il pensiero, per la condotta, per lo stile, per

la lingua, per tutto. Credete voi che se non vivessi inquesto dubbio continuo di me stesso, se non mitormentassi l'anima come faccio, avrei il colore che ho,e mi troverei nello stato di salute in cui mi trovo?Guardate le mie mani. Pare che io abbia il deliriumtremens. E non bevo che acqua!

E dopo un po' soggiunse:- M'ammazzo a lavorare, e non riesco a far quello che

voglio; sono un uomo malcontento, ecco tutto.Il suo tormento principale è lo stile e la lingua, [72]

com'era negli ultimi anni per il Flaubert, che urlavasopra una frase ribelle. - Noi - egli dice - siamo scrittoritroppo nervosi. Il nostro stile è uno stile di spolvero,tutto bellezze grosse e patenti, frasi fatte e cadenzeobbligate. A furia di voler cesellare, brunire, ricamare e

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dipingere, e pretender dalle parole l'odore delle cose, eingegnarci di rendere tutti i suoni, ci siamo formati unlinguaggio convenzionale, un gergo letterario nostroproprio, tutto stelleggiato e ingioiellato d'immagini,tutto tremolante di pennacchietti e di frangie, che nonpotrà piacere a lungo perchè non è la bellezza, ma lamoda, non è la forza, ma lo sforzo; che anzi invecchieràimmancabilmente, e riuscirà intollerabile allegenerazioni future. Invece di parlare, insomma, trilliamoe facciamo delle fioriture. Invece di descrivere le cose,come diceva il Goethe, vogliamo troppo descrivere iloro effetti; e siamo arrivati in quest'arte a un grado diraffinamento puerile, assolutamente. Non è più l'arte,sono i ghiottumi, i tornagusti [73] dell'arte. Siamo inpiena decadenza di stile, ecco la cosa. - Ora lo Zola,dallo stesso principio che lo spinse a semplificare ilromanzo, e a renderlo quanto più è possibile conformealla semplicità del vero, e quasi all'andamento ordinariodella vita, è condotto logicamente a fare il medesimosopra lo stile; cioè a ridurre la forma alla sua semplicitàmassima, ritornando alla lingua secca, come egli dice,alla frase netta, allo stile logico, parco d'epiteti,sfrascato, che sia panno e non trina, e vesta strettamenteil pensiero, senza pieghette e senza svolazzi: uno stile dicui tutto il valore consista nella evidenza, ottenuta conuna parsimonia e una proprietà rigorosa della parola.Sogna, insomma, una prosa, come l'aveva in capo ilLeopardi, e come la definì, senza averla mai scritta, ilGiordani; vorrebbe, cioè «scrivere in modo che l'arte

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dipingere, e pretender dalle parole l'odore delle cose, eingegnarci di rendere tutti i suoni, ci siamo formati unlinguaggio convenzionale, un gergo letterario nostroproprio, tutto stelleggiato e ingioiellato d'immagini,tutto tremolante di pennacchietti e di frangie, che nonpotrà piacere a lungo perchè non è la bellezza, ma lamoda, non è la forza, ma lo sforzo; che anzi invecchieràimmancabilmente, e riuscirà intollerabile allegenerazioni future. Invece di parlare, insomma, trilliamoe facciamo delle fioriture. Invece di descrivere le cose,come diceva il Goethe, vogliamo troppo descrivere iloro effetti; e siamo arrivati in quest'arte a un grado diraffinamento puerile, assolutamente. Non è più l'arte,sono i ghiottumi, i tornagusti [73] dell'arte. Siamo inpiena decadenza di stile, ecco la cosa. - Ora lo Zola,dallo stesso principio che lo spinse a semplificare ilromanzo, e a renderlo quanto più è possibile conformealla semplicità del vero, e quasi all'andamento ordinariodella vita, è condotto logicamente a fare il medesimosopra lo stile; cioè a ridurre la forma alla sua semplicitàmassima, ritornando alla lingua secca, come egli dice,alla frase netta, allo stile logico, parco d'epiteti,sfrascato, che sia panno e non trina, e vesta strettamenteil pensiero, senza pieghette e senza svolazzi: uno stile dicui tutto il valore consista nella evidenza, ottenuta conuna parsimonia e una proprietà rigorosa della parola.Sogna, insomma, una prosa, come l'aveva in capo ilLeopardi, e come la definì, senza averla mai scritta, ilGiordani; vorrebbe, cioè «scrivere in modo che l'arte

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non si mostri, preoccupato dal solo scopo che le cosedette appariscano chiarissime e credibili, e che ilpensiero passi per mezzo della parola con quella facileprestezza e limpidezza [74] che dai limpidi cristalli cipervengono all'occhio le specie degli oggetti posti al dilà; non frapporsi mai, neppure passando, fra il lettore el'argomento; risalire, in una parola, alla nudità tersadegli scrittori del gran secolo, serbando inalterato ilsentimento ed il pensiero nuovo». In questa direzioneegli vorrebbe aprire una nuova via. È una grandeambizione. E non si può negare certamente ch'egli abbiaun concetto netto di quello che vuole. La giovinezzasempre fresca dello stile del Voltaire, e la solidità e lanitidezza marmorea di quello del Pascal, lo innamorano;e se bastasse, per dar corpo al suo ideale di forma, lapotenza tecnica di scrittore, non c'è dubbio che ciriuscirebbe senza grande fatica. Ma la difficoltàmassima sta in ciò: che questo rinnovamento dello stilech'egli ha nel capo, richiederebbe inesorabilmente unaccrescimento enorme nella ricchezza e nella intensitàdel pensiero. Perchè qual è lo scrittore di romanzi chepotrebbe resistere a un tale denudamento? A che cosa siridurrebbe un [75] romanzo del tempo che corre,spogliato di tutto ciò che egli chiama pompons efalbalas della forma? E specialmente il romanzo delloZola così profusamente descrittivo, e affollatod'immagini? Per rimaner saldo e palpabile, dovrebbeavere doppia ossatura e doppia carne. Può scrivere conquella meravigliosa austerità di stile il Pascal, che

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non si mostri, preoccupato dal solo scopo che le cosedette appariscano chiarissime e credibili, e che ilpensiero passi per mezzo della parola con quella facileprestezza e limpidezza [74] che dai limpidi cristalli cipervengono all'occhio le specie degli oggetti posti al dilà; non frapporsi mai, neppure passando, fra il lettore el'argomento; risalire, in una parola, alla nudità tersadegli scrittori del gran secolo, serbando inalterato ilsentimento ed il pensiero nuovo». In questa direzioneegli vorrebbe aprire una nuova via. È una grandeambizione. E non si può negare certamente ch'egli abbiaun concetto netto di quello che vuole. La giovinezzasempre fresca dello stile del Voltaire, e la solidità e lanitidezza marmorea di quello del Pascal, lo innamorano;e se bastasse, per dar corpo al suo ideale di forma, lapotenza tecnica di scrittore, non c'è dubbio che ciriuscirebbe senza grande fatica. Ma la difficoltàmassima sta in ciò: che questo rinnovamento dello stilech'egli ha nel capo, richiederebbe inesorabilmente unaccrescimento enorme nella ricchezza e nella intensitàdel pensiero. Perchè qual è lo scrittore di romanzi chepotrebbe resistere a un tale denudamento? A che cosa siridurrebbe un [75] romanzo del tempo che corre,spogliato di tutto ciò che egli chiama pompons efalbalas della forma? E specialmente il romanzo delloZola così profusamente descrittivo, e affollatod'immagini? Per rimaner saldo e palpabile, dovrebbeavere doppia ossatura e doppia carne. Può scrivere conquella meravigliosa austerità di stile il Pascal, che

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condensa in un periodo una lunga e profondameditazione; ma come può farlo uno scrittore, di cui lafacoltà principale è appunto quella di saper presentarecon una evidenza straordinaria ogni più sfuggevoleaspetto di ogni più piccola cosa? E quale scrittore avrà ilcoraggio di affrontare il gusto dominante con unamaniera di stile, di cui la perfezione faticosissimarimarrebbe indubitatamente incompresa, o parrebbefreddezza, sbiaditura, miseria? Questo è il grandestruggicuore dello Zola, e gli durerà, credo, per tutta lavita. Egli dice che non riesce a liberarsi dal suo vecchiostile e a impadronirsi del nuovo, perchè ha troppo fittonell'ossa, come tutta la sua generazione, il veleno [76] delromanticismo. Da giovane, dice, mi sono addossatoanch'io il carico del frasario romantico, e cogli anni mis'è mutato in gobba. Ma nell'intimo della sua coscienza,egli sente certamente che non è questa la ragione chegl'impedisce di porre in atto la sua idea: sente che glimanca anzitutto la fede nelle proprie forze; o piuttostosente che non potrebbe riuscire se non a una condizionea cui non vorrà piegarsi mai certamente: di fare unromanzo solo coi materiali che gli bastano ora per due, edi lavorarci attorno tre anni invece di otto mesi, e dirinunziare alla soddisfazione dei grandi successiimmediati.

Per liberarsi da questa sua spina dello stile, tornò aparlare dell'Italia. L'Italia e la Russia sono i due paesiche gli dimostrano maggior simpatia; ed egli vi sirifugia col pensiero ogni volta che si sente stanco della

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condensa in un periodo una lunga e profondameditazione; ma come può farlo uno scrittore, di cui lafacoltà principale è appunto quella di saper presentarecon una evidenza straordinaria ogni più sfuggevoleaspetto di ogni più piccola cosa? E quale scrittore avrà ilcoraggio di affrontare il gusto dominante con unamaniera di stile, di cui la perfezione faticosissimarimarrebbe indubitatamente incompresa, o parrebbefreddezza, sbiaditura, miseria? Questo è il grandestruggicuore dello Zola, e gli durerà, credo, per tutta lavita. Egli dice che non riesce a liberarsi dal suo vecchiostile e a impadronirsi del nuovo, perchè ha troppo fittonell'ossa, come tutta la sua generazione, il veleno [76] delromanticismo. Da giovane, dice, mi sono addossatoanch'io il carico del frasario romantico, e cogli anni mis'è mutato in gobba. Ma nell'intimo della sua coscienza,egli sente certamente che non è questa la ragione chegl'impedisce di porre in atto la sua idea: sente che glimanca anzitutto la fede nelle proprie forze; o piuttostosente che non potrebbe riuscire se non a una condizionea cui non vorrà piegarsi mai certamente: di fare unromanzo solo coi materiali che gli bastano ora per due, edi lavorarci attorno tre anni invece di otto mesi, e dirinunziare alla soddisfazione dei grandi successiimmediati.

Per liberarsi da questa sua spina dello stile, tornò aparlare dell'Italia. L'Italia e la Russia sono i due paesiche gli dimostrano maggior simpatia; ed egli vi sirifugia col pensiero ogni volta che si sente stanco della

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guerra che gli si fa in patria. Ecco una cosa che i nemiciarrabbiati dello Zola non possono masticare. - Che cos'èquesta toquade - ci domandano - che vi prese per lo [77]

Zola, voialtri italiani? S'ha da vedere anche i vostriMinistri dell'istruzione pubblica menare il turibolodavanti all'autore di Nana! - Alludono alla lettera del DeSanctis, che fece un po' di scandalo. Certo che è un casoletterario notevole la grandissima diffusione dei romanzidello Zola in Italia, dove una sola delle due traduzionidell'Assommoir ebbe più spaccio di qualunque libroitaliano più popolare; dove tutti i suoi romanzi sonotradotti e, quel ch'è più raro, tradotti tutti accuratamente,e parecchi benissimo; dove si può dire, anzi, che si deveallo Zola il fatto nuovissimo d'una vera gara letteraria ditraduttori colti e coscienziosi, alla quale il pubblicotenne dietro curiosamente. Si direbbe che c'entra po' inquesta grande simpatia l'origine italiana dello scrittore eil carattere particolare del suo ingegno, per quello cheha di discordante e quasi di opposto allo spirito generaledegli scrittori parigini. È incredibile la quantità digiornali che egli riceve dal nostro paese, fin dalle piùlontane provincie meridionali; [78] fra cui dei giornalettisconosciuti, dei quali mi fece molta meraviglia udirgliripetere i titoli, con uno sforzo visibilissimo dellelabbra. - Je tâche d'être poli avec tout le monde, disse;ossia di rispondere a tutti. Se non ci riesce, non è perdifetto di buon volere. Riceve tanti giornali che, a furiadi provarsi a leggere, è arrivato ormai a capire allameglio l'Italiano, e intende di continuar l'esercizio. E

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guerra che gli si fa in patria. Ecco una cosa che i nemiciarrabbiati dello Zola non possono masticare. - Che cos'èquesta toquade - ci domandano - che vi prese per lo [77]

Zola, voialtri italiani? S'ha da vedere anche i vostriMinistri dell'istruzione pubblica menare il turibolodavanti all'autore di Nana! - Alludono alla lettera del DeSanctis, che fece un po' di scandalo. Certo che è un casoletterario notevole la grandissima diffusione dei romanzidello Zola in Italia, dove una sola delle due traduzionidell'Assommoir ebbe più spaccio di qualunque libroitaliano più popolare; dove tutti i suoi romanzi sonotradotti e, quel ch'è più raro, tradotti tutti accuratamente,e parecchi benissimo; dove si può dire, anzi, che si deveallo Zola il fatto nuovissimo d'una vera gara letteraria ditraduttori colti e coscienziosi, alla quale il pubblicotenne dietro curiosamente. Si direbbe che c'entra po' inquesta grande simpatia l'origine italiana dello scrittore eil carattere particolare del suo ingegno, per quello cheha di discordante e quasi di opposto allo spirito generaledegli scrittori parigini. È incredibile la quantità digiornali che egli riceve dal nostro paese, fin dalle piùlontane provincie meridionali; [78] fra cui dei giornalettisconosciuti, dei quali mi fece molta meraviglia udirgliripetere i titoli, con uno sforzo visibilissimo dellelabbra. - Je tâche d'être poli avec tout le monde, disse;ossia di rispondere a tutti. Se non ci riesce, non è perdifetto di buon volere. Riceve tanti giornali che, a furiadi provarsi a leggere, è arrivato ormai a capire allameglio l'Italiano, e intende di continuar l'esercizio. E

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infatti dev'esser gradevole e facile imparare una linguastudiandola nelle proprie lodi, in modo da godere inogni difficoltà risolta una doppia soddisfazione. Ma nonlesse soltanto gli scritti che lo riguardavano; quindi glirimase nel capo un guazzabuglio di nomi di romanzieri,di poeti e di giornalisti, dei quali volle saper qualchecosa singolarmente; e stette a sentir le informazioni conuna certa curiosità, mista di stupore, come si starebbe asentire chi ci mettesse al corrente della letteraturapatagona. - Et notre brave Cameroni? - domandò; -quello è davvero una fontana a getto continuo! - Simostrò [79] molto soddisfatto delle due traduzionidell'Assommoir. Credeva però che quella del Petrocchifosse in patois, e si rallegrò di sentire che non è più indialetto quella traduzione di quello che lo sial'Assommoir originale, poichè i modi e i vocabolifiorentini che vi sono sparsi, non le tolgono di esseretutta intelligibile da un capo all'altro d'Italia. Disse poid'aver ricevuto una lettera di Cesare Cantù; e questo nonme l'aspettavo. Gli scrisse per domandargli informazioniintorno a suo padre, che egli credeva essere uno Zolache prese parte nelle cospirazioni carbonaresche del 21.Sorrise per la prima volta quando gli dissi: - Vedete; voinon potreste immaginare lo strano effetto che farebberoin Italia questi due nomi accoppiati: Cesare Cantù eEmilio Zola - collaboratori, per esempio, in un romanzointitolato Satin. - Non aveva però cognizione della famavastissima dello storico lombardo, e diede segno digradire singolarmente la lettera, quando seppe bene da

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infatti dev'esser gradevole e facile imparare una linguastudiandola nelle proprie lodi, in modo da godere inogni difficoltà risolta una doppia soddisfazione. Ma nonlesse soltanto gli scritti che lo riguardavano; quindi glirimase nel capo un guazzabuglio di nomi di romanzieri,di poeti e di giornalisti, dei quali volle saper qualchecosa singolarmente; e stette a sentir le informazioni conuna certa curiosità, mista di stupore, come si starebbe asentire chi ci mettesse al corrente della letteraturapatagona. - Et notre brave Cameroni? - domandò; -quello è davvero una fontana a getto continuo! - Simostrò [79] molto soddisfatto delle due traduzionidell'Assommoir. Credeva però che quella del Petrocchifosse in patois, e si rallegrò di sentire che non è più indialetto quella traduzione di quello che lo sial'Assommoir originale, poichè i modi e i vocabolifiorentini che vi sono sparsi, non le tolgono di esseretutta intelligibile da un capo all'altro d'Italia. Disse poid'aver ricevuto una lettera di Cesare Cantù; e questo nonme l'aspettavo. Gli scrisse per domandargli informazioniintorno a suo padre, che egli credeva essere uno Zolache prese parte nelle cospirazioni carbonaresche del 21.Sorrise per la prima volta quando gli dissi: - Vedete; voinon potreste immaginare lo strano effetto che farebberoin Italia questi due nomi accoppiati: Cesare Cantù eEmilio Zola - collaboratori, per esempio, in un romanzointitolato Satin. - Non aveva però cognizione della famavastissima dello storico lombardo, e diede segno digradire singolarmente la lettera, quando seppe bene da

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chi veniva. Poi domandò bruscamente:[80]

- Perchè non fate un romanzo?Guardai il pendolo per non abusare del suo tempo;

ma era presto: potevo rimanere.- È una vergogna per noi - riprese lo Zola - non

studiare la lingua e la letteratura italiana, perchè nepotremmo ricavare un vantaggio grande, oltre che pelrimanente, per lo stile, ed anche per la lingua nostra. Inostri grandi scrittori del buon secolo, e molti del secoloscorso, la studiavano. Non ci sarà mai critica larga efeconda in Francia fin che non ci dedicheremocoscienziosamente allo studio delle letterature straniere.La nostra critica teatrale, per esempio, è quella chepecca di più da questo lato. Non si parla che del teatrofrancese, si vede ogni cosa da una parte sola. Quando inostri critici dicono: il teatro, intendono il nostro. Sidovrebbero intender tutti. Pare che per loro non esistaun teatro tedesco, un teatro inglese, un teatro italiano, unteatro spagnuolo. Merci. E che teatri sono! Così nelresto. È inutile. Bisogna rompere il tetto e spalancareporte e [81] finestre, e far entrare dell'aria. Se avessitempo, vedete, vorrei fondare un giornale, il quale nondesse che una piccolissima parte alla politica, che è lanostra peste, e non avesse altro ufficio che di seguirepasso a passo, fedelissimamente, il movimento letterariodegli altri paesi, rendendo conto d'ogni pubblicazioneche si facesse a Madrid come a Pietroburgo, a Romacome a Stoccolma, con una critica largamente espositiva

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chi veniva. Poi domandò bruscamente:[80]

- Perchè non fate un romanzo?Guardai il pendolo per non abusare del suo tempo;

ma era presto: potevo rimanere.- È una vergogna per noi - riprese lo Zola - non

studiare la lingua e la letteratura italiana, perchè nepotremmo ricavare un vantaggio grande, oltre che pelrimanente, per lo stile, ed anche per la lingua nostra. Inostri grandi scrittori del buon secolo, e molti del secoloscorso, la studiavano. Non ci sarà mai critica larga efeconda in Francia fin che non ci dedicheremocoscienziosamente allo studio delle letterature straniere.La nostra critica teatrale, per esempio, è quella chepecca di più da questo lato. Non si parla che del teatrofrancese, si vede ogni cosa da una parte sola. Quando inostri critici dicono: il teatro, intendono il nostro. Sidovrebbero intender tutti. Pare che per loro non esistaun teatro tedesco, un teatro inglese, un teatro italiano, unteatro spagnuolo. Merci. E che teatri sono! Così nelresto. È inutile. Bisogna rompere il tetto e spalancareporte e [81] finestre, e far entrare dell'aria. Se avessitempo, vedete, vorrei fondare un giornale, il quale nondesse che una piccolissima parte alla politica, che è lanostra peste, e non avesse altro ufficio che di seguirepasso a passo, fedelissimamente, il movimento letterariodegli altri paesi, rendendo conto d'ogni pubblicazioneche si facesse a Madrid come a Pietroburgo, a Romacome a Stoccolma, con una critica largamente espositiva

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e imparziale, ma piuttosto benevola che severa,chiunque fosse l'autore e qualunque la scuola; in mododa far penetrare in Francia il maggior numero possibiledi scrittori stranieri. Questo ci vorrebbe per noi. Macome potrei farlo? Basta un giornale ad assorbir la vitad'un uomo.

Nondimeno, secondo lui, s'è già fatto un gran passo inFrancia, dal 70 in poi, nello studio delle letteraturestraniere. Oltre che si traduce un assai maggior numerodi libri che per il passato, e che non par più una cosadell'altro mondo, come una volta pareva, che ungiornale francese s'occupi [82] d'uno scrittore straniero, seanche non è famoso nel mondo; è fuor di dubbio chemolti libri inglesi, italiani e tedeschi sono letti inFrancia, ora, nel testo originale. Ed è cresciutamirabilmente anche la vendita dei libri francesi. LoZola, così a un di grosso, crede che sia triplicata. Dodiciedizioni d'un libro, che erano già un gran che, non sonopiù oggigiorno che un mediocre successo librario. E ipoeti, in ispecie, hanno torto di lagnarsi. D'un volume diversi, in qualsiasi condizione pubblicato, si esitanoimmancabilmente mille esemplari. E si è miglioratapure la condizione degli scrittori rispetto agli editori: c'èpiù buona fede e più fiducia reciproca. Non è grantempo che essi si trattavano a vicenda, e con moltochiasso, di scrocconi e di ladri.

Improvvisamente mi fece una grande sorpresa.- Sapete - disse - ho letto i Promessi Sposi.Avvicinai la seggiola.

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e imparziale, ma piuttosto benevola che severa,chiunque fosse l'autore e qualunque la scuola; in mododa far penetrare in Francia il maggior numero possibiledi scrittori stranieri. Questo ci vorrebbe per noi. Macome potrei farlo? Basta un giornale ad assorbir la vitad'un uomo.

Nondimeno, secondo lui, s'è già fatto un gran passo inFrancia, dal 70 in poi, nello studio delle letteraturestraniere. Oltre che si traduce un assai maggior numerodi libri che per il passato, e che non par più una cosadell'altro mondo, come una volta pareva, che ungiornale francese s'occupi [82] d'uno scrittore straniero, seanche non è famoso nel mondo; è fuor di dubbio chemolti libri inglesi, italiani e tedeschi sono letti inFrancia, ora, nel testo originale. Ed è cresciutamirabilmente anche la vendita dei libri francesi. LoZola, così a un di grosso, crede che sia triplicata. Dodiciedizioni d'un libro, che erano già un gran che, non sonopiù oggigiorno che un mediocre successo librario. E ipoeti, in ispecie, hanno torto di lagnarsi. D'un volume diversi, in qualsiasi condizione pubblicato, si esitanoimmancabilmente mille esemplari. E si è miglioratapure la condizione degli scrittori rispetto agli editori: c'èpiù buona fede e più fiducia reciproca. Non è grantempo che essi si trattavano a vicenda, e con moltochiasso, di scrocconi e di ladri.

Improvvisamente mi fece una grande sorpresa.- Sapete - disse - ho letto i Promessi Sposi.Avvicinai la seggiola.

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Mi parve che titubasse un poco a esprimere la [83] suaopinione, sia perchè non l'avesse netta, sia perchè,sospettando la mia, cercasse i termini per urtarla il piùleggermente che poteva.

- Prima di tutto - disse - debbo confessare che ho lettola traduzione francese, e che ho poca fede nelletraduzioni. Credo che la migliore sciupi gran parte, eforse la più viva parte di qualunque lavoro, especialmente di un lavoro originale. Perciò i PromessiSposi non mi fecero l'impressione che m'aspettavo. Cheso io? Il romanzo, nel suo complesso, mi parve troppofedelmente lucidato dai romanzi di Walter Scott. Non mison fatto un concetto preciso del suo valore. Certo peròche ci sono delle parti, e molte, che serbano anche nellatraduzione una bellezza e una potenza meravigliosa;squarci d'un realismo magistrale, nei quali si rivelanoinsieme la forza d'un grande pittore e quella d'unpensatore vasto e profondo: la storia della pestespecialmente, che avrebbe innamorato il Flaubert, colquale il Manzoni ha molti punti di somiglianza....

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Quello che lo colpì più d'ogni cosa, insomma, fu ladescrizione, e di tutte le descrizioni, quella che glirimase impressa più profondamente, tanto che nericorda tutti i particolari, è la scena che si presentaimprovvisamente allo sguardo di Renzo, quandos'affaccia alla porta del lazzaretto, dopo la sua lunga eavventurosa pellegrinazione a traverso a Milano. Quellecompagnie di malati che entrano, quegli appestati

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Mi parve che titubasse un poco a esprimere la [83] suaopinione, sia perchè non l'avesse netta, sia perchè,sospettando la mia, cercasse i termini per urtarla il piùleggermente che poteva.

- Prima di tutto - disse - debbo confessare che ho lettola traduzione francese, e che ho poca fede nelletraduzioni. Credo che la migliore sciupi gran parte, eforse la più viva parte di qualunque lavoro, especialmente di un lavoro originale. Perciò i PromessiSposi non mi fecero l'impressione che m'aspettavo. Cheso io? Il romanzo, nel suo complesso, mi parve troppofedelmente lucidato dai romanzi di Walter Scott. Non mison fatto un concetto preciso del suo valore. Certo peròche ci sono delle parti, e molte, che serbano anche nellatraduzione una bellezza e una potenza meravigliosa;squarci d'un realismo magistrale, nei quali si rivelanoinsieme la forza d'un grande pittore e quella d'unpensatore vasto e profondo: la storia della pestespecialmente, che avrebbe innamorato il Flaubert, colquale il Manzoni ha molti punti di somiglianza....

[84]

Quello che lo colpì più d'ogni cosa, insomma, fu ladescrizione, e di tutte le descrizioni, quella che glirimase impressa più profondamente, tanto che nericorda tutti i particolari, è la scena che si presentaimprovvisamente allo sguardo di Renzo, quandos'affaccia alla porta del lazzaretto, dopo la sua lunga eavventurosa pellegrinazione a traverso a Milano. Quellecompagnie di malati che entrano, quegli appestati

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accovacciati pei fossi, quelle faccie stupidite, quei visisghignazzanti, quei pazzi che raccontano le loroimmaginazioni ai moribondi, quel cantare alto econtinuo di gente già trasfigurata dal morbo, quelbrulichìo immenso e miserabile, e particolarmente quelcavallaccio sfrenato, che fende la folla in mezzo all'urlìodei monatti, montato da un frenetico che gli tempesta ilcollo di pugni, e dispare in un nuvolo di polvere, sonoun quadro, egli dice, che gli rimarrà davanti agli occhiper tutta la vita. Non disse altro, e non me ne stupii. Perquanto ingegno e accorgimento critico egli abbia, èimpossibile che, [85] per ora, gusti e giudichi rettamenteun'opera pensata, sentita e condotta così diversamentedalle sue. Egli è ancora troppo caldo dell'ispirazionepropria, troppo eccitato dalla battaglia, troppo immersocon tutte le facoltà nei suoi studi altrettanto profondi cherigorosamente circoscritti, e troppo vivente, non diconella letteratura del suo tempo, ma in quella della suagiornata. Lo Zola rileggerà i Promessi Sposi in pace,fuori del campo di battaglia, come il Voltaire rilessel'Ariosto, e cangierà di parere, come il Voltaire. Glimancavano d'altra parte, per ora, gli elementi necessariiad un critico per poter giudicare del valore intrinsecod'una grande opera letteraria. Rimase stupito udendo chei Promessi Sposi furono scritti nel primo quarto delsecolo, e che il Manzoni, pure seguendo l'esempio delWalter Scott nel suo romanzo, fu nella letteraturaitaliana un novatore, il quale, ai suoi tempi, fece «parteda sè stesso»; un miscredente delle scuole, come lo

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accovacciati pei fossi, quelle faccie stupidite, quei visisghignazzanti, quei pazzi che raccontano le loroimmaginazioni ai moribondi, quel cantare alto econtinuo di gente già trasfigurata dal morbo, quelbrulichìo immenso e miserabile, e particolarmente quelcavallaccio sfrenato, che fende la folla in mezzo all'urlìodei monatti, montato da un frenetico che gli tempesta ilcollo di pugni, e dispare in un nuvolo di polvere, sonoun quadro, egli dice, che gli rimarrà davanti agli occhiper tutta la vita. Non disse altro, e non me ne stupii. Perquanto ingegno e accorgimento critico egli abbia, èimpossibile che, [85] per ora, gusti e giudichi rettamenteun'opera pensata, sentita e condotta così diversamentedalle sue. Egli è ancora troppo caldo dell'ispirazionepropria, troppo eccitato dalla battaglia, troppo immersocon tutte le facoltà nei suoi studi altrettanto profondi cherigorosamente circoscritti, e troppo vivente, non diconella letteratura del suo tempo, ma in quella della suagiornata. Lo Zola rileggerà i Promessi Sposi in pace,fuori del campo di battaglia, come il Voltaire rilessel'Ariosto, e cangierà di parere, come il Voltaire. Glimancavano d'altra parte, per ora, gli elementi necessariiad un critico per poter giudicare del valore intrinsecod'una grande opera letteraria. Rimase stupito udendo chei Promessi Sposi furono scritti nel primo quarto delsecolo, e che il Manzoni, pure seguendo l'esempio delWalter Scott nel suo romanzo, fu nella letteraturaitaliana un novatore, il quale, ai suoi tempi, fece «parteda sè stesso»; un miscredente delle scuole, come lo

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definì il genero apologista, un Volteriano dell'arte, unloico [86] del buon senso; iniziatore d'una riformaletteraria che bandì l'estrinseco, il convenzionale, ilfalso nel pensiero, nel sentimento, nello stile, nellalingua; e che la sua apparizione nella letteratura italiana,sollevò ben altre tempeste e diede l'impulso a un ben piùlargo e nuovo movimento d'idee che non abbia fatto lui,per ora, nella letteratura francese. Finì col dire chel'avrebbe riletto in italiano, e mostrò curiosità diconoscere le tragedie, per aver inteso qualcosa di quellamaniera libera e tranquilla di condurre l'azione e disceneggiare, che si deve accordare mirabilmente con lesue idee.

Di qui ricascò a parlare della sua stanchezzaintellettuale, che lo rattristava:

- Ma chi mai - gli dissi - leggendo i vostri articoli,sospetterebbe che siete stanco?

- Capisco: non ve n'accorgete; ma è perchè ci mettouno sforzo doppio che per il passato, appunto pernascondere la stanchezza.

- E poi - disse dopo qualche momento di riflessione, -sono stanco sopratutto della polemica, [87] che mi attiratanti odî. È un'impresa che schiaccia le mie forze, eschiaccerebbe le forze di chi che sia, quella di fare nellostesso tempo il novatore e il demolitore. Io mi trovo inuna condizione disgraziata. Vedete Victor Hugo. Certo,nel suo grande cammino trionfale egli è stato spintoinnanzi dalla forza immensa delle simpatie e deglientusiasmi della nazione; ma aveva il vantaggio di non

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definì il genero apologista, un Volteriano dell'arte, unloico [86] del buon senso; iniziatore d'una riformaletteraria che bandì l'estrinseco, il convenzionale, ilfalso nel pensiero, nel sentimento, nello stile, nellalingua; e che la sua apparizione nella letteratura italiana,sollevò ben altre tempeste e diede l'impulso a un ben piùlargo e nuovo movimento d'idee che non abbia fatto lui,per ora, nella letteratura francese. Finì col dire chel'avrebbe riletto in italiano, e mostrò curiosità diconoscere le tragedie, per aver inteso qualcosa di quellamaniera libera e tranquilla di condurre l'azione e disceneggiare, che si deve accordare mirabilmente con lesue idee.

Di qui ricascò a parlare della sua stanchezzaintellettuale, che lo rattristava:

- Ma chi mai - gli dissi - leggendo i vostri articoli,sospetterebbe che siete stanco?

- Capisco: non ve n'accorgete; ma è perchè ci mettouno sforzo doppio che per il passato, appunto pernascondere la stanchezza.

- E poi - disse dopo qualche momento di riflessione, -sono stanco sopratutto della polemica, [87] che mi attiratanti odî. È un'impresa che schiaccia le mie forze, eschiaccerebbe le forze di chi che sia, quella di fare nellostesso tempo il novatore e il demolitore. Io mi trovo inuna condizione disgraziata. Vedete Victor Hugo. Certo,nel suo grande cammino trionfale egli è stato spintoinnanzi dalla forza immensa delle simpatie e deglientusiasmi della nazione; ma aveva il vantaggio di non

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esser costretto a combattere a corpo a corpo. Unalegione di devoti e di fanatici gli andava innanzisgombrando la strada a colpi di spada e d'accetta, e glifaceva largo intorno, gli lasciava un grande spazio d'arialibera, nel quale egli procedeva serenamente, tuttoassorto nella propria ispirazione. Io, invece, debbo fartutto, ossia fare e disfare. Ed è quello che non voglionoperdonarmi. - Badate a scrivere dei romanzi - midicono; - lavorate sul vostro, e lasciate in pace gli altrisul proprio: create senza distruggere. - E perchè ciò, dalmomento che essi tirano a distruggermi, e non creano?Perchè non credono ch'io sia in [88] buona fede; perchècredono ch'io critichi, non per convinzione, ma perpassione; non per abbattere delle scuole che credo falsee dannose al progresso dell'arte e del pensiero, ma persbarazzarmi di rivali che credo incomodi. Credono cheio odii delle persone, mentre non combatto che deiprincipii. Vogliono ad ogni costo che sia egoismo dibottegaio quello che è coscienza d'artista. Questo èquello che mi affligge. Che cosa ne pensate?

Credetti di dovergli dire quello che sinceramentecredevo, cioè che fuori di Parigi, fra noi, per esempio, sifaceva generalmente un giudizio assai diverso della suacritica. - Troviamo nei vostri articoli della violenza, manon dell'odio. Se ci fosse odio, ci sarebbe del veleno, equesto non l'avete. Ci paiono critiche di testa, vi direbbeun maestro di canto, e non critiche di petto; colpi dimazza, non colpi di stile; che è molto diverso. E chivolete che creda che coi successi enormi che ottenete,

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esser costretto a combattere a corpo a corpo. Unalegione di devoti e di fanatici gli andava innanzisgombrando la strada a colpi di spada e d'accetta, e glifaceva largo intorno, gli lasciava un grande spazio d'arialibera, nel quale egli procedeva serenamente, tuttoassorto nella propria ispirazione. Io, invece, debbo fartutto, ossia fare e disfare. Ed è quello che non voglionoperdonarmi. - Badate a scrivere dei romanzi - midicono; - lavorate sul vostro, e lasciate in pace gli altrisul proprio: create senza distruggere. - E perchè ciò, dalmomento che essi tirano a distruggermi, e non creano?Perchè non credono ch'io sia in [88] buona fede; perchècredono ch'io critichi, non per convinzione, ma perpassione; non per abbattere delle scuole che credo falsee dannose al progresso dell'arte e del pensiero, ma persbarazzarmi di rivali che credo incomodi. Credono cheio odii delle persone, mentre non combatto che deiprincipii. Vogliono ad ogni costo che sia egoismo dibottegaio quello che è coscienza d'artista. Questo èquello che mi affligge. Che cosa ne pensate?

Credetti di dovergli dire quello che sinceramentecredevo, cioè che fuori di Parigi, fra noi, per esempio, sifaceva generalmente un giudizio assai diverso della suacritica. - Troviamo nei vostri articoli della violenza, manon dell'odio. Se ci fosse odio, ci sarebbe del veleno, equesto non l'avete. Ci paiono critiche di testa, vi direbbeun maestro di canto, e non critiche di petto; colpi dimazza, non colpi di stile; che è molto diverso. E chivolete che creda che coi successi enormi che ottenete,

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possiate attaccare per gelosia letteraria, fra gli altri,degli avversari mille miglia lontani dal [89] vostro campo,e quasi sconosciuti fra noi? Del resto, voi potete semprerispondere che non avete ancora detto contro gli altri lametà di quello che si disse contro di voi.

- Ah! - esclamò - di quello che si disse contro di menon ne potete avere un'idea, voi che vivete lontano daParigi. Io mi diedi a scrivere sul Figaro per non troncaretutt'a un tratto la mia «campagna critica» dopo la rotturacol Voltaire; chè m'avrebbero creduto smarrito d'animo eridotto all'impotenza. Ma sapete perchè ho scelto ilFigaro? Il Figaro, prima di tutto, contro cui si fa tantogridare, non è mica peggio degli altri giornali, sottonessun aspetto. La sua disgrazia è che tutti i torti dellastampa che ha dei torti, si fanno ricadere sulla sua testa;lui è lo scandalo, lui è il morbo della nazione, luiraccoglie in sè tutti i vizi, tutte le magagne, tutte lebrutture del giornalismo francese. È destinato che sia ilcapro emissario, e s'intende che se non ci fosse ilFigaro, non ci sarebbe che una stampa [90] purissima esantissima: sta bene. Ma questo non monta. Sonocollaboratore del Figaro, ma non l'ho sposato. Io non soquello che ci scrivano; so che ci scrivo quello chevoglio. Ho scelto il Figaro per questa ragione: cheessendo un giornale diffusissimo per tutta la Francia efra ogni ceto di gente, volevo cercare, scrivendoci, se cifosse modo di distruggere quella specie di leggendaodiosa e ridicola che s'è formata sulla mia poverapersona. Una vera leggenda, vi dico. Quelli che l'hanno

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possiate attaccare per gelosia letteraria, fra gli altri,degli avversari mille miglia lontani dal [89] vostro campo,e quasi sconosciuti fra noi? Del resto, voi potete semprerispondere che non avete ancora detto contro gli altri lametà di quello che si disse contro di voi.

- Ah! - esclamò - di quello che si disse contro di menon ne potete avere un'idea, voi che vivete lontano daParigi. Io mi diedi a scrivere sul Figaro per non troncaretutt'a un tratto la mia «campagna critica» dopo la rotturacol Voltaire; chè m'avrebbero creduto smarrito d'animo eridotto all'impotenza. Ma sapete perchè ho scelto ilFigaro? Il Figaro, prima di tutto, contro cui si fa tantogridare, non è mica peggio degli altri giornali, sottonessun aspetto. La sua disgrazia è che tutti i torti dellastampa che ha dei torti, si fanno ricadere sulla sua testa;lui è lo scandalo, lui è il morbo della nazione, luiraccoglie in sè tutti i vizi, tutte le magagne, tutte lebrutture del giornalismo francese. È destinato che sia ilcapro emissario, e s'intende che se non ci fosse ilFigaro, non ci sarebbe che una stampa [90] purissima esantissima: sta bene. Ma questo non monta. Sonocollaboratore del Figaro, ma non l'ho sposato. Io non soquello che ci scrivano; so che ci scrivo quello chevoglio. Ho scelto il Figaro per questa ragione: cheessendo un giornale diffusissimo per tutta la Francia efra ogni ceto di gente, volevo cercare, scrivendoci, se cifosse modo di distruggere quella specie di leggendaodiosa e ridicola che s'è formata sulla mia poverapersona. Una vera leggenda, vi dico. Quelli che l'hanno

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creata e divulgata, i critici e giornalisti, non cicredevano: s'intende benissimo: sono maligni, ma nonimbecilli. Il grande pubblico, però, l'ha bevuta. Perquesto grande pubblico io sono un uomo senzacoscienza, senza legge, senza pudore, senza affetti; unospeculatore d'immoralità, un sacco di vizi, un bevitore disangue, un'anima perduta. Credono che io sguazziveramente in tutte le sozzure, come qualche personaggiodei miei romanzi, e non solamente nelle sozzure morali.Un égoutier, infine. Un uomo da velarsi gli [91] occhi eda turarsi il naso, passandogli accanto. Ebbene, io dissitra me: je suis un brave homme, après tout (non c'èvanità a dichiararlo, non è vero?); mi sento un cervellosano nel capo e un cuore onesto nel petto; vediamo se,scrivendo in un giornale che va per le mani di tutti,provandomi a dirvi le mie ragioni con la maggiorpacatezza possibile, e a esprimervi i miei sentimenti conla mia abituale sincerità, mi riesce di raddrizzarel'opinione storta della gente. Prima ancora ch'ioscrivessi, al semplice annunzio della miacollaborazione, i buoni borghesi, gli onesti abbonatirimasero atterriti. Ma come! Lo Zola scrive nel Figaro?Saremo costretti ad asciugarci la prosa di questo mattopervertito e scandaloso, e a nascondere il giornale allenostre famiglie? Credevano in buona fede che ad ogniperiodo io buttassi fuori un'oscenità stomachevole osputassi sopra un sentimento gentile o lacerassi un nomeonorato. Ora io so che molti hanno espresso una grandemeraviglia dopo letti i primi articoli. In [92] fin dei conti,

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creata e divulgata, i critici e giornalisti, non cicredevano: s'intende benissimo: sono maligni, ma nonimbecilli. Il grande pubblico, però, l'ha bevuta. Perquesto grande pubblico io sono un uomo senzacoscienza, senza legge, senza pudore, senza affetti; unospeculatore d'immoralità, un sacco di vizi, un bevitore disangue, un'anima perduta. Credono che io sguazziveramente in tutte le sozzure, come qualche personaggiodei miei romanzi, e non solamente nelle sozzure morali.Un égoutier, infine. Un uomo da velarsi gli [91] occhi eda turarsi il naso, passandogli accanto. Ebbene, io dissitra me: je suis un brave homme, après tout (non c'èvanità a dichiararlo, non è vero?); mi sento un cervellosano nel capo e un cuore onesto nel petto; vediamo se,scrivendo in un giornale che va per le mani di tutti,provandomi a dirvi le mie ragioni con la maggiorpacatezza possibile, e a esprimervi i miei sentimenti conla mia abituale sincerità, mi riesce di raddrizzarel'opinione storta della gente. Prima ancora ch'ioscrivessi, al semplice annunzio della miacollaborazione, i buoni borghesi, gli onesti abbonatirimasero atterriti. Ma come! Lo Zola scrive nel Figaro?Saremo costretti ad asciugarci la prosa di questo mattopervertito e scandaloso, e a nascondere il giornale allenostre famiglie? Credevano in buona fede che ad ogniperiodo io buttassi fuori un'oscenità stomachevole osputassi sopra un sentimento gentile o lacerassi un nomeonorato. Ora io so che molti hanno espresso una grandemeraviglia dopo letti i primi articoli. In [92] fin dei conti,

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hanno detto, tutto ben considerato, è un uomo - presso apoco - come gli altri. Avrà torto, ma ragiona; ragioneràmale, ma par persuaso di quello che dice. Porcherie nonne scrive; critica, ma non insulta; è un capo originale,ma non è un pazzo da catena. Non è lo Zola che ciavevano dato ad intendere. - Ora questo è già qualchecosa, ma è poco più di nulla. Per uno che si ricrede,cento altri del pecorame immenso continuano a credere.Voi non potete immaginare quanto sia difficile inFrancia lo sradicare un pregiudizio. Una leggendacalunniosa s'è formata sopra di me: ebbene, hoquarant'anni, posso viverne ancora altri venti, ma sonsicuro di non vederne la fine, di quella leggenda. Equesto m'addolora.

E disse le ultime parole con un accento di verorammarico.

- Pensate però - gli osservai - che la leggenda non èuscita di Francia, e che noi, lontani, vi giudichiamodiversamente. I lettori sensati, che [93] conoscono tutte levostre opere, e che tengono dietro a tutte lemanifestazioni dei vostri principii artistici,spassionatamente, e senza cocciutaggini scolastiche,sono persuasi che quello che si può trovare d'eccessivo,sotto certi aspetti, in alcuni dei vostri romanzi, èconseguenza logica del concetto fondamentale che avetedell'arte, non predilezione per il brutto, per il tristo e perl'orrido, che derivi da animo malvagio. Certo, l'arteottimista che sceglie ad un fine consolante i caratteri egli avvenimenti, e si sforza di alleggerire ai lettori tutte

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hanno detto, tutto ben considerato, è un uomo - presso apoco - come gli altri. Avrà torto, ma ragiona; ragioneràmale, ma par persuaso di quello che dice. Porcherie nonne scrive; critica, ma non insulta; è un capo originale,ma non è un pazzo da catena. Non è lo Zola che ciavevano dato ad intendere. - Ora questo è già qualchecosa, ma è poco più di nulla. Per uno che si ricrede,cento altri del pecorame immenso continuano a credere.Voi non potete immaginare quanto sia difficile inFrancia lo sradicare un pregiudizio. Una leggendacalunniosa s'è formata sopra di me: ebbene, hoquarant'anni, posso viverne ancora altri venti, ma sonsicuro di non vederne la fine, di quella leggenda. Equesto m'addolora.

E disse le ultime parole con un accento di verorammarico.

- Pensate però - gli osservai - che la leggenda non èuscita di Francia, e che noi, lontani, vi giudichiamodiversamente. I lettori sensati, che [93] conoscono tutte levostre opere, e che tengono dietro a tutte lemanifestazioni dei vostri principii artistici,spassionatamente, e senza cocciutaggini scolastiche,sono persuasi che quello che si può trovare d'eccessivo,sotto certi aspetti, in alcuni dei vostri romanzi, èconseguenza logica del concetto fondamentale che avetedell'arte, non predilezione per il brutto, per il tristo e perl'orrido, che derivi da animo malvagio. Certo, l'arteottimista che sceglie ad un fine consolante i caratteri egli avvenimenti, e si sforza di alleggerire ai lettori tutte

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le impressioni ingrate, e di girare intorno, senza attrito, atutte le opinioni che hanno una radice nell'animo, cattivafacilmente la simpatia agli scrittori. Ma sotto la vostraarte di ferro, noi ammiriamo e amiamo la schiettezza, ilcoraggio, la devozione ardente e indomabile ad un'idea,che non è possibile che in un'anima nobile. Gliarrabbiati che leggono i vostri romanzi con un occhiosolo, non vedono che Lantier, e Bijard, e Pierre Rougon,e Renée; noi li leggiamo [94] con due, e vediamo Miette eGoujet e Lalie ed Hélène e la piccola Jeanne. Ed èl'intensità, non la molteplicità e la diffusione dellemanifestazioni del cuore, quella da cui giudichiamol'intima natura dell'artista. Per me, vedete, Hélène, chedopo aver visto morir la sua creatura senza poterpiangere, e quasi chiusa nel suo dolore, getta un urloimprovviso vedendo ai piedi del letto le scarpettine chela povera bimba non si metterà mai più; e il singhiozzodisperato che lacera il petto di Goujet mentre Gervasa,incanutita e convulsa, si sfama sotto i suoi occhi,dovrebbero bastare a giudicar l'uomo quanto un poemad'affetto. E molti la pensano a modo mio.

- Eppure - osservò sorridendo leggermente - diconoche contamino tutto.

- Lo dissero anche del Flaubert. Dopo che avevalavorato per cinque anni a un romanzo, un critico scrisseche s'era ravvoltolato in una fogna e che l'avevasporcata.

[95]

- E che cosa si dice, in Italia, quando si legge una di

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le impressioni ingrate, e di girare intorno, senza attrito, atutte le opinioni che hanno una radice nell'animo, cattivafacilmente la simpatia agli scrittori. Ma sotto la vostraarte di ferro, noi ammiriamo e amiamo la schiettezza, ilcoraggio, la devozione ardente e indomabile ad un'idea,che non è possibile che in un'anima nobile. Gliarrabbiati che leggono i vostri romanzi con un occhiosolo, non vedono che Lantier, e Bijard, e Pierre Rougon,e Renée; noi li leggiamo [94] con due, e vediamo Miette eGoujet e Lalie ed Hélène e la piccola Jeanne. Ed èl'intensità, non la molteplicità e la diffusione dellemanifestazioni del cuore, quella da cui giudichiamol'intima natura dell'artista. Per me, vedete, Hélène, chedopo aver visto morir la sua creatura senza poterpiangere, e quasi chiusa nel suo dolore, getta un urloimprovviso vedendo ai piedi del letto le scarpettine chela povera bimba non si metterà mai più; e il singhiozzodisperato che lacera il petto di Goujet mentre Gervasa,incanutita e convulsa, si sfama sotto i suoi occhi,dovrebbero bastare a giudicar l'uomo quanto un poemad'affetto. E molti la pensano a modo mio.

- Eppure - osservò sorridendo leggermente - diconoche contamino tutto.

- Lo dissero anche del Flaubert. Dopo che avevalavorato per cinque anni a un romanzo, un critico scrisseche s'era ravvoltolato in una fogna e che l'avevasporcata.

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- E che cosa si dice, in Italia, quando si legge una di

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codeste critiche?- Non so.... credo che si continui a leggere il Flaubert.- Io credo però che sarà utile, a proposito di critiche,

un libro d'un nuovo genere, che sto preparando da unpezzo. Man mano che mi cadevano sotto gli occhi, sonoandato raccogliendo e ordinando le più grossolaneinsolenze, i più spropositati vituperii che vennerovomitati contro di me. V'accerto che a leggerli tutti diseguito, come una lunghissima lirica furibonda, fannoun singolare effetto. Li pubblicherò in un volume, conuna grande prefazione sulla critica, e intitolerò ilvolume: Leurs injures. Sarà la mia apologia.

Questo è il suo chiodo fisso; per quanto faccia,bisogna sempre che torni a batterci su. Il suo grandetormento è d'essere male giudicato come uomo. Equesto tormento, possono averlo celato, ma loprovarono certamente tutti gli artisti, anche i piùincuranti e sdegnosi del mondo, e i più [96] gloriosi,quando il loro carattere morale fu denigrato. Poichè sipuò ben amare disperatamente la gloria, ma non si puòaverne un godimento pieno e sereno, se non si sente cheinsieme all'artista è stimato l'uomo, suo padre e suogiudice, e depositario del suo onore. Prima si ambisce lagloria pur che sia; poi quella tal gloria - senza ombra esenza turbamenti; - ossia la stima e l'affetto, che sono ilcalore della sua luce. Il che i nemici cercan di togliere,quando non riescono a toglier altro, poichè è una grandeconsolazione dell'amor proprio, dovendo dire che untale è un grande artista, poter soggiungere subito dopo

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codeste critiche?- Non so.... credo che si continui a leggere il Flaubert.- Io credo però che sarà utile, a proposito di critiche,

un libro d'un nuovo genere, che sto preparando da unpezzo. Man mano che mi cadevano sotto gli occhi, sonoandato raccogliendo e ordinando le più grossolaneinsolenze, i più spropositati vituperii che vennerovomitati contro di me. V'accerto che a leggerli tutti diseguito, come una lunghissima lirica furibonda, fannoun singolare effetto. Li pubblicherò in un volume, conuna grande prefazione sulla critica, e intitolerò ilvolume: Leurs injures. Sarà la mia apologia.

Questo è il suo chiodo fisso; per quanto faccia,bisogna sempre che torni a batterci su. Il suo grandetormento è d'essere male giudicato come uomo. Equesto tormento, possono averlo celato, ma loprovarono certamente tutti gli artisti, anche i piùincuranti e sdegnosi del mondo, e i più [96] gloriosi,quando il loro carattere morale fu denigrato. Poichè sipuò ben amare disperatamente la gloria, ma non si puòaverne un godimento pieno e sereno, se non si sente cheinsieme all'artista è stimato l'uomo, suo padre e suogiudice, e depositario del suo onore. Prima si ambisce lagloria pur che sia; poi quella tal gloria - senza ombra esenza turbamenti; - ossia la stima e l'affetto, che sono ilcalore della sua luce. Il che i nemici cercan di togliere,quando non riescono a toglier altro, poichè è una grandeconsolazione dell'amor proprio, dovendo dire che untale è un grande artista, poter soggiungere subito dopo

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che è un birbante.- Mah! - esclamò poi lo Zola - quando lavoro

dimentico tutto.- Dateci presto il nuovo romanzo - dissi.- Mi ci potrei mettere subito - rispose - se ci fossi già

preparato. Ma ho bisogno di viver prima lungo tempocoi miei personaggi, e siccome questo non è un lavoroda tavolino, che [97] m'obblighi a star lì cogli occhi sullacarta, così basta anche una leggera preoccupazionedell'animo a distrarmene. Ho bisogno di pigliare i mieipersonaggi ad uno ad uno, e poi a due a due, e cosìavanti, e di farmeli andare e venire per la testa, di notte,passeggiando, desinando, ora strappando una parola auno, ora cogliendo a volo un gesto d'un altro, orascoprendo il secreto di un terzo; e di abituarmi a vivercon loro fino al punto di voltarmi in tronco, quando misento un fruscìo alle spalle, quasi con la sicurezza disorprenderne qualcuno in carne ed ossa. Fin che nonsono arrivato a questo grado d'illusione, non posso farnulla. Quando poi i personaggi son diventati così vivi eparlanti, e quasi gente di casa mia, il lavoro nonm'affatica più; mi metto al romanzo, e lascio chefacciano loro, che pensin loro a combinarsi e a trattareinsieme le proprie faccende; io cerco d'entrarci il menopossibile, e di restringermi a redigere i verbali. Allevolte mi par d'essere estraneo affatto al mio romanzo.Casi, scene, [98] dialoghi si succedono da sè, e non hoche a mutar qualche parola nel testo che mi si svolgesotto gli occhi. Non è che la descrizione che mi costa

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che è un birbante.- Mah! - esclamò poi lo Zola - quando lavoro

dimentico tutto.- Dateci presto il nuovo romanzo - dissi.- Mi ci potrei mettere subito - rispose - se ci fossi già

preparato. Ma ho bisogno di viver prima lungo tempocoi miei personaggi, e siccome questo non è un lavoroda tavolino, che [97] m'obblighi a star lì cogli occhi sullacarta, così basta anche una leggera preoccupazionedell'animo a distrarmene. Ho bisogno di pigliare i mieipersonaggi ad uno ad uno, e poi a due a due, e cosìavanti, e di farmeli andare e venire per la testa, di notte,passeggiando, desinando, ora strappando una parola auno, ora cogliendo a volo un gesto d'un altro, orascoprendo il secreto di un terzo; e di abituarmi a vivercon loro fino al punto di voltarmi in tronco, quando misento un fruscìo alle spalle, quasi con la sicurezza disorprenderne qualcuno in carne ed ossa. Fin che nonsono arrivato a questo grado d'illusione, non posso farnulla. Quando poi i personaggi son diventati così vivi eparlanti, e quasi gente di casa mia, il lavoro nonm'affatica più; mi metto al romanzo, e lascio chefacciano loro, che pensin loro a combinarsi e a trattareinsieme le proprie faccende; io cerco d'entrarci il menopossibile, e di restringermi a redigere i verbali. Allevolte mi par d'essere estraneo affatto al mio romanzo.Casi, scene, [98] dialoghi si succedono da sè, e non hoche a mutar qualche parola nel testo che mi si svolgesotto gli occhi. Non è che la descrizione che mi costa

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sforzo. Ma scrivendo, vedo i luoghi così distintamente,sento i rumori, gli odori, i contatti in una maniera cosìviva, che anche qui non ho quasi da cercar altro chel'espressione. Rimango tutto stupito, alzando gli occhi,di ritrovarmi nella mia stanza, solo, in una gran quiete, ecerco per dove sono fuggiti i fantasmi che mi stavanoaffollati intorno un momento prima.

Con tutto ciò m'è parso di indovinare, da qualche suaparola qua e là, che la difficoltà che egli trova arimettersi ai suoi romanzi, non deriva soltanto dal suostato presente di salute e d'animo, ma da un sentimento,più forte che non l'abbia mai provato, d'incertezzaartistica. Egli conosce il mondo letterario e sè stesso: sadi essere arrivato al punto forse culminante della suaascensione d'artista, e che di lì non potrà più salire senon facendo un poderosissimo sforzo: o un [99] passo inuna via nuova, o un perfezionamento grande sulla viabattuta. Perchè è vero quello che disse il Dumas figlio,che il pubblico vuol essere continuamente sorpreso,abbagliato, sbalordito, violato. Ora, dopo l'Assommoir,lo Zola è andato più in là, ma non più in su. I criticiassennati non solo non mettono la Page d'amouraccanto all'Assommoir, ma la considerano al di sottodella Fortune des Rougon e della Conquête de Plassans.Nana fu un successo più librario che letterario. Sicapisce d'altra parte che, per quanto sia grande la suapotenza di scrittore, il genere suo, tutto analitico edescrittivo, è quello in cui l'originalità perde in piùbreve tempo la freschezza, abituandosi facilmente il

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sforzo. Ma scrivendo, vedo i luoghi così distintamente,sento i rumori, gli odori, i contatti in una maniera cosìviva, che anche qui non ho quasi da cercar altro chel'espressione. Rimango tutto stupito, alzando gli occhi,di ritrovarmi nella mia stanza, solo, in una gran quiete, ecerco per dove sono fuggiti i fantasmi che mi stavanoaffollati intorno un momento prima.

Con tutto ciò m'è parso di indovinare, da qualche suaparola qua e là, che la difficoltà che egli trova arimettersi ai suoi romanzi, non deriva soltanto dal suostato presente di salute e d'animo, ma da un sentimento,più forte che non l'abbia mai provato, d'incertezzaartistica. Egli conosce il mondo letterario e sè stesso: sadi essere arrivato al punto forse culminante della suaascensione d'artista, e che di lì non potrà più salire senon facendo un poderosissimo sforzo: o un [99] passo inuna via nuova, o un perfezionamento grande sulla viabattuta. Perchè è vero quello che disse il Dumas figlio,che il pubblico vuol essere continuamente sorpreso,abbagliato, sbalordito, violato. Ora, dopo l'Assommoir,lo Zola è andato più in là, ma non più in su. I criticiassennati non solo non mettono la Page d'amouraccanto all'Assommoir, ma la considerano al di sottodella Fortune des Rougon e della Conquête de Plassans.Nana fu un successo più librario che letterario. Sicapisce d'altra parte che, per quanto sia grande la suapotenza di scrittore, il genere suo, tutto analitico edescrittivo, è quello in cui l'originalità perde in piùbreve tempo la freschezza, abituandosi facilmente il

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pubblico ai procedimenti metodici, di cui puòindovinare gli artifizi prima di subirne gli effetti. Al chel'aiutano anche gli imitatori; gl'inetti scoprendo megliola meccanica, i valenti mostrando che non è difficileimpadronirsene. E lo Zola ha ormai un drappello diimitatori che non gli stanno indietro che d'un passo.Perciò io [100] credo che stenti a ricominciare i romanzi,non tanto perchè è stanco, quanto perchè cerca.Mettendosi a scrivere, gli si presentano in folla tutte leforme e le industrie già usate, ed egli vuol liberarsene.Non gli basta più cambiar soggetto, vorrebbe cambiarmaniera. Ed anche dall'idea di scrivere un romanzo sullabontà e sul dolore, per fare un salto da Nana, comescrisse la Page d'amour per fare un contrappostoall'Assommoir, traspare già il bisogno che egli sente dirinnovellarsi come traspare, più che da tutto, dal suoproposito di dedicarsi intieramente al teatro.

Parlò da ultimo a proposito di teatro, del drammaricavato da Nana, che deve rappresentarsi tra poco.Dell'Assommoir non fu contento: fu un eccellente affarefinanziario, una magra soddisfazione artistica: non erapiù il suo Assommoir. È più soddisfatto del drammaricavato dall'ultimo romanzo. Si è dovuto transigerecolle esigenze della scena, si sottintende. Il caratteredella protagonista è stato un po' attenuato, e illinguaggio [101] passato allo staccio. Ma, nell'insieme, ildramma è più fedele al romanzo, ossia più naturalistico.C'è più distinzione e più discrezione. Ma per questoappunto dubita della riuscita.

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pubblico ai procedimenti metodici, di cui puòindovinare gli artifizi prima di subirne gli effetti. Al chel'aiutano anche gli imitatori; gl'inetti scoprendo megliola meccanica, i valenti mostrando che non è difficileimpadronirsene. E lo Zola ha ormai un drappello diimitatori che non gli stanno indietro che d'un passo.Perciò io [100] credo che stenti a ricominciare i romanzi,non tanto perchè è stanco, quanto perchè cerca.Mettendosi a scrivere, gli si presentano in folla tutte leforme e le industrie già usate, ed egli vuol liberarsene.Non gli basta più cambiar soggetto, vorrebbe cambiarmaniera. Ed anche dall'idea di scrivere un romanzo sullabontà e sul dolore, per fare un salto da Nana, comescrisse la Page d'amour per fare un contrappostoall'Assommoir, traspare già il bisogno che egli sente dirinnovellarsi come traspare, più che da tutto, dal suoproposito di dedicarsi intieramente al teatro.

Parlò da ultimo a proposito di teatro, del drammaricavato da Nana, che deve rappresentarsi tra poco.Dell'Assommoir non fu contento: fu un eccellente affarefinanziario, una magra soddisfazione artistica: non erapiù il suo Assommoir. È più soddisfatto del drammaricavato dall'ultimo romanzo. Si è dovuto transigerecolle esigenze della scena, si sottintende. Il caratteredella protagonista è stato un po' attenuato, e illinguaggio [101] passato allo staccio. Ma, nell'insieme, ildramma è più fedele al romanzo, ossia più naturalistico.C'è più distinzione e più discrezione. Ma per questoappunto dubita della riuscita.

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Infine tornò ancora una volta al suo ideale: terminarei romanzi, non impicciarsi più di polemica, lavorareriposatamente per il teatro nella sua casa tranquilla diMédan, non vedendo che pochi amici.... Ma per farquesto - soggiunse rattristandosi - bisogna sentirsi sani egiovani, e sopratutto non aver dolori. L'arte non basta aconsolare dei grandi dolori.

Pensava a sua madre.Allora, per distoglierlo da quel pensiero, pensai di

saldare un conto che avevo con lui da due anni. - Primadi lasciarvi - gli dissi - debbo giustificarmi d'un grossoerrore che ho commesso a vostro riguardo. Ho letto inun libro francese, che parlando d'un articoletto ch'ioscrissi sopra di voi nel 1878, diceste: - Ma dove diamineè andato a pescare il De Amicis ch'io avessi due [102]

bambini? - Avete tutte le ragioni del mondo dilamentarvi, tanto più che non solo dissi che avevate duebambini, ma aggiunsi che li avevo sentiti gridare. Se voimi credete un idealista, dovete aver pensato che èspingere un po' troppo in là l'idealismo, quella diregalare dei bimbi - per abbellire il quadro - a chi nonsolamente non ne ha, ma non ne desidera. L'errorederiva da ciò, che un vostro amico mi disse che liavevate, e che io non avevo una ragione al mondo dinon crederci. Quanto all'averli sentiti gridare, miconcederete che è un'immaginazione scusabile, perchè onon si hanno, ed è affar finito, o si hanno, e alloragridano. Ma vedete se son castigato della mia credulità.Sono stato a vedere il Daudet, e ne scriverò qualche

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Infine tornò ancora una volta al suo ideale: terminarei romanzi, non impicciarsi più di polemica, lavorareriposatamente per il teatro nella sua casa tranquilla diMédan, non vedendo che pochi amici.... Ma per farquesto - soggiunse rattristandosi - bisogna sentirsi sani egiovani, e sopratutto non aver dolori. L'arte non basta aconsolare dei grandi dolori.

Pensava a sua madre.Allora, per distoglierlo da quel pensiero, pensai di

saldare un conto che avevo con lui da due anni. - Primadi lasciarvi - gli dissi - debbo giustificarmi d'un grossoerrore che ho commesso a vostro riguardo. Ho letto inun libro francese, che parlando d'un articoletto ch'ioscrissi sopra di voi nel 1878, diceste: - Ma dove diamineè andato a pescare il De Amicis ch'io avessi due [102]

bambini? - Avete tutte le ragioni del mondo dilamentarvi, tanto più che non solo dissi che avevate duebambini, ma aggiunsi che li avevo sentiti gridare. Se voimi credete un idealista, dovete aver pensato che èspingere un po' troppo in là l'idealismo, quella diregalare dei bimbi - per abbellire il quadro - a chi nonsolamente non ne ha, ma non ne desidera. L'errorederiva da ciò, che un vostro amico mi disse che liavevate, e che io non avevo una ragione al mondo dinon crederci. Quanto all'averli sentiti gridare, miconcederete che è un'immaginazione scusabile, perchè onon si hanno, ed è affar finito, o si hanno, e alloragridano. Ma vedete se son castigato della mia credulità.Sono stato a vedere il Daudet, e ne scriverò qualche

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cosa. So di sicurissimo che ha due bambine, ne ho visti iritratti; potete pensare se mi farebbero comodo per ilmio quadretto. Ebbene, sono costretto a non nominarleneppure, perchè nessuno mi crederebbe più. Vi prego diconsiderarvi soddisfatto

[103]

Si dichiarò soddisfatto, ridendo; ma subito il suo visosi tornò a velare.

E salutandomi sull'uscio, mi disse con un accentoaffettuoso, stringendomi la mano:

- Vous ne me croyez pas un bandit, n'est-ce pas?- Ah! non mi conviene - risposi - vivo troppo in

vostra compagnia.E benchè avessi chiuso la conversazione con uno

scherzo, me ne andai dolente, proprio, di non aver piùtrovato lo Zola giovane e contento dell'altra volta.

[104]

***

Ecco i grandi artisti. Mentre noi gl'invidiamo dilontano, pensando che sono famosi, potenti, ricchi, e chedebbono essere felici, o almeno tutti frementi esplendidi del trionfo, essi son là soli in mezzo ai lorolibri, afflitti da dolori che ignoriamo, tormentati da milledubbi, sfiduciati di sè, incerti dell'avvenire, e rosi nelcuore dalla passione dell'arte propria. Quella coscienzadel proprio valore e della propria fama, che noicrediamo una sorgente continua di contentezza, essendodiventata in loro un sentimento abituale, ha reso

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cosa. So di sicurissimo che ha due bambine, ne ho visti iritratti; potete pensare se mi farebbero comodo per ilmio quadretto. Ebbene, sono costretto a non nominarleneppure, perchè nessuno mi crederebbe più. Vi prego diconsiderarvi soddisfatto

[103]

Si dichiarò soddisfatto, ridendo; ma subito il suo visosi tornò a velare.

E salutandomi sull'uscio, mi disse con un accentoaffettuoso, stringendomi la mano:

- Vous ne me croyez pas un bandit, n'est-ce pas?- Ah! non mi conviene - risposi - vivo troppo in

vostra compagnia.E benchè avessi chiuso la conversazione con uno

scherzo, me ne andai dolente, proprio, di non aver piùtrovato lo Zola giovane e contento dell'altra volta.

[104]

***

Ecco i grandi artisti. Mentre noi gl'invidiamo dilontano, pensando che sono famosi, potenti, ricchi, e chedebbono essere felici, o almeno tutti frementi esplendidi del trionfo, essi son là soli in mezzo ai lorolibri, afflitti da dolori che ignoriamo, tormentati da milledubbi, sfiduciati di sè, incerti dell'avvenire, e rosi nelcuore dalla passione dell'arte propria. Quella coscienzadel proprio valore e della propria fama, che noicrediamo una sorgente continua di contentezza, essendodiventata in loro un sentimento abituale, ha reso

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insensibile il loro amor proprio a tutte le soddisfazioniordinarie; per il che non hanno che assai di rado dellegioie vive, le quali pure svaniscono [105] di più in piùrapidamente. Il sentimento profondo che hanno dellavita, per cui l'amano più intensamente, rende a loro piùdolorosa la coscienza della precarietà propria, e di tutto;e la paura dell'obblio, che è il loro affanno perpetuo.L'idea della loro fama, del loro nome pronunciato datutte le bocche, del diritto dato alla moltitudine immensadi giudicarli e di notomizzare brutalmente l'anima loro,li sgomenta qualche volta, come gente condannata a unaberlina senza termine. Se vanno tra la gente, sono urtatiin mille modi dall'invidia e dall'ignoranza; se vivono dasè, sono sopraffatti e soffocati dalla propriaimmaginazione. Continuamente combattuti tra gliinteressi della vita e la coscienza artistica, tra il bisognoe il furore di imparare, e la necessità e la passione diprodurre, tra l'intelligenza che progredisce, mettendosempre più alta la meta dell'arte, e le forze artistiche chesi logorano, scemando la speranza di raggiungere quellameta; circondati d'amici continuamente pericolanti [106]

sopra l'altalena della gelosia; minacciati nella salutedall'abuso del lavoro in cui non riescono a moderarsi;dotati d'una malaugurata facoltà di sviscerare sè stessi,che inacerbisce il sentimento di tutti i dolori;condannati, in fine, al primo segno che diano distanchezza e di decadimento, a sentire da ogni parte larisata trionfale degli emuli, ed il grido insolente dellelegioni giovanili che si avanzano.... Poveri grandi

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insensibile il loro amor proprio a tutte le soddisfazioniordinarie; per il che non hanno che assai di rado dellegioie vive, le quali pure svaniscono [105] di più in piùrapidamente. Il sentimento profondo che hanno dellavita, per cui l'amano più intensamente, rende a loro piùdolorosa la coscienza della precarietà propria, e di tutto;e la paura dell'obblio, che è il loro affanno perpetuo.L'idea della loro fama, del loro nome pronunciato datutte le bocche, del diritto dato alla moltitudine immensadi giudicarli e di notomizzare brutalmente l'anima loro,li sgomenta qualche volta, come gente condannata a unaberlina senza termine. Se vanno tra la gente, sono urtatiin mille modi dall'invidia e dall'ignoranza; se vivono dasè, sono sopraffatti e soffocati dalla propriaimmaginazione. Continuamente combattuti tra gliinteressi della vita e la coscienza artistica, tra il bisognoe il furore di imparare, e la necessità e la passione diprodurre, tra l'intelligenza che progredisce, mettendosempre più alta la meta dell'arte, e le forze artistiche chesi logorano, scemando la speranza di raggiungere quellameta; circondati d'amici continuamente pericolanti [106]

sopra l'altalena della gelosia; minacciati nella salutedall'abuso del lavoro in cui non riescono a moderarsi;dotati d'una malaugurata facoltà di sviscerare sè stessi,che inacerbisce il sentimento di tutti i dolori;condannati, in fine, al primo segno che diano distanchezza e di decadimento, a sentire da ogni parte larisata trionfale degli emuli, ed il grido insolente dellelegioni giovanili che si avanzano.... Poveri grandi

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artisti! Ha detto bene Alessandro Dumas: Dantedimenticò di mettere questo supplizio in fondo allebolgie dell'inferno.

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artisti! Ha detto bene Alessandro Dumas: Dantedimenticò di mettere questo supplizio in fondo allebolgie dell'inferno.

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EMILIO AUGIERE

ALESSANDRO DUMAS

Un mio amico di Galata mi raccontò, anni sono, ilseguente aneddoto.

- Mi trovavo sopra un piroscafo del Lloyd austriaco,in viaggio da Varna a Costantinopoli, in mezzo a unafolla di gente che non conoscevo; e m'annoiavomortalmente; quando, per fortuna, m'occorse discambiare qualche parola e poi di attaccareconversazione con un viaggiatore francese, che da piùd'un'ora stava immobile accanto a me, cogli occhi fissisui mare. Discorremmo per [110] un pezzo. Non spendevamolte parole, ma parlava bene, in un certo modostringato e asciutto, e diceva sempre qualche cosa disingolare, che mi costringeva a guardarlo. Andava per laprima volta a Costantinopoli. Mi rivolse delle domandesull'Oriente, molte delle quali mi misero in imbarazzo, esopra ogni mia risposta faceva un'osservazione, la qualespiegava più chiaramente quello ch'io avevo voluto dire,in modo che, a un certo punto, m'accorsi con grandevergogna che parlavo male. A notte inoltrata lo lasciaiper andar a dormire, e per molto tempo non mi poteilevar dalla testa la sua figura e i suoi discorsi. Non avreisaputo dire se mi fosse simpatico o no. Mi dava da

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EMILIO AUGIERE

ALESSANDRO DUMAS

Un mio amico di Galata mi raccontò, anni sono, ilseguente aneddoto.

- Mi trovavo sopra un piroscafo del Lloyd austriaco,in viaggio da Varna a Costantinopoli, in mezzo a unafolla di gente che non conoscevo; e m'annoiavomortalmente; quando, per fortuna, m'occorse discambiare qualche parola e poi di attaccareconversazione con un viaggiatore francese, che da piùd'un'ora stava immobile accanto a me, cogli occhi fissisui mare. Discorremmo per [110] un pezzo. Non spendevamolte parole, ma parlava bene, in un certo modostringato e asciutto, e diceva sempre qualche cosa disingolare, che mi costringeva a guardarlo. Andava per laprima volta a Costantinopoli. Mi rivolse delle domandesull'Oriente, molte delle quali mi misero in imbarazzo, esopra ogni mia risposta faceva un'osservazione, la qualespiegava più chiaramente quello ch'io avevo voluto dire,in modo che, a un certo punto, m'accorsi con grandevergogna che parlavo male. A notte inoltrata lo lasciaiper andar a dormire, e per molto tempo non mi poteilevar dalla testa la sua figura e i suoi discorsi. Non avreisaputo dire se mi fosse simpatico o no. Mi dava da

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pensare, desideravo di vederlo per conoscerlo meglio.La mattina dopo, all'alba, si stava per entrare nelBosforo. Salii sul ponte, ricominciammo a discorrere.La sua conversazione era argutissima e piena dipensieri; ma che so io? Ci sentivo qualche cosa come disecco e di freddo, che mi teneva in là, nel tempo stesso[111] che m'attirava e mi metteva in grande curiosità disapere chi fosse. S'entrò nel Bosforo, che egli non avevamai visto. Con mio grande stupore, non diede alcunsegno di meraviglia. Stava ritto, impalato contro ilparapetto, immobile come una statua, come se avessevisti quei luoghi cento volte. - Che razza d'uomo ècostui? - pensavo. Una sola volta, vedendo una moscheabianca sulla riva asiatica, si scosse ed esclamò: Ohquelle jolie bonbonnière! Poi tornò a chiudersi in sè.Passò Buyukdéré, passò Therapia, passò Isthènia, passòKandilli, e non diede segno di vita. S'arrivò finalmente aCostantinopoli, e continuò a guardare e a tacere. Ilbastimento, dopo una breve fermata a Costantinopoli,doveva proseguire per l'Egitto. Il mio incognito andavaa veder l'inaugurazione del canale di Suez; io dovevoscendere a Galata. Prima di scendere, gli porsi il miobiglietto di visita; egli mi diede il suo: guardai, c'erascritto: Alexandre Dumas fils. Come si può pensare, feciun atto di meraviglia e di piacere. [112] Egli rimaseimpassibile. - Au bonheur de vous revoir - mi disse. Ementre io me n'andavo voltandomi indietro per vederloancora, egli guardava da un'altra parte colcannocchiale. -

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pensare, desideravo di vederlo per conoscerlo meglio.La mattina dopo, all'alba, si stava per entrare nelBosforo. Salii sul ponte, ricominciammo a discorrere.La sua conversazione era argutissima e piena dipensieri; ma che so io? Ci sentivo qualche cosa come disecco e di freddo, che mi teneva in là, nel tempo stesso[111] che m'attirava e mi metteva in grande curiosità disapere chi fosse. S'entrò nel Bosforo, che egli non avevamai visto. Con mio grande stupore, non diede alcunsegno di meraviglia. Stava ritto, impalato contro ilparapetto, immobile come una statua, come se avessevisti quei luoghi cento volte. - Che razza d'uomo ècostui? - pensavo. Una sola volta, vedendo una moscheabianca sulla riva asiatica, si scosse ed esclamò: Ohquelle jolie bonbonnière! Poi tornò a chiudersi in sè.Passò Buyukdéré, passò Therapia, passò Isthènia, passòKandilli, e non diede segno di vita. S'arrivò finalmente aCostantinopoli, e continuò a guardare e a tacere. Ilbastimento, dopo una breve fermata a Costantinopoli,doveva proseguire per l'Egitto. Il mio incognito andavaa veder l'inaugurazione del canale di Suez; io dovevoscendere a Galata. Prima di scendere, gli porsi il miobiglietto di visita; egli mi diede il suo: guardai, c'erascritto: Alexandre Dumas fils. Come si può pensare, feciun atto di meraviglia e di piacere. [112] Egli rimaseimpassibile. - Au bonheur de vous revoir - mi disse. Ementre io me n'andavo voltandomi indietro per vederloancora, egli guardava da un'altra parte colcannocchiale. -

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Ho riferito quest'aneddoto perchè l'impressionericevuta dal mio amico è quella che le opere del Dumaslasciano nella maggior parte dei lettori italiani.

La crudezza con cui esprime certe verità che ciferiscono nel nostro sentimento d'orgoglio umano, labrutalità di chirurgo impassibile con cui mette le maninelle piaghe che altri suole trattare con pietà delicata, laperspicacia diabolica con cui indovina i segreti piùintimi di certe nature mostruosamente inique e corrotte,e quasi la compiacenza feroce con cui li rende; e più ditutto certi tratti indefinibili, che sono nei libri quello chei lampi dell'occhio e i guizzi delle labbra sono nei visi,ci fanno immaginare un uomo rigido e superbo, pocobenevolo per i suoi simili, facile alla passione, machiuso alla tenerezza, e [113] scettico in fondo; la cuipresenza debba agghiacciare la parola in boccaall'ammiratore che gli va incontro con espansione.Anche nei tratti delle sue opere, che ci sembranoriboccanti d'affetto, e che ci commuovono, noi troviamosempre, esaminandoli, piuttosto l'arte profondad'un'intelligenza che, indovinando tutte le cause, riesce aottenere tutti gli effetti, che non il disordine affannosoed ingenuo che viene dal cuore; e ci piglia il sospettoche egli abbia studiato, come il Goëthe, delle lettereaffettuose di sconosciuti, per impararvi il linguaggio deisentimenti che non provava. Negli stessi suoi scrittid'argomento sociale, diretti a uno scopo generoso ebenefico, riconosciamo che v'è largamente tutto ciò chepuò giovare alla persuasione: chiarezza limpidissima,

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Ho riferito quest'aneddoto perchè l'impressionericevuta dal mio amico è quella che le opere del Dumaslasciano nella maggior parte dei lettori italiani.

La crudezza con cui esprime certe verità che ciferiscono nel nostro sentimento d'orgoglio umano, labrutalità di chirurgo impassibile con cui mette le maninelle piaghe che altri suole trattare con pietà delicata, laperspicacia diabolica con cui indovina i segreti piùintimi di certe nature mostruosamente inique e corrotte,e quasi la compiacenza feroce con cui li rende; e più ditutto certi tratti indefinibili, che sono nei libri quello chei lampi dell'occhio e i guizzi delle labbra sono nei visi,ci fanno immaginare un uomo rigido e superbo, pocobenevolo per i suoi simili, facile alla passione, machiuso alla tenerezza, e [113] scettico in fondo; la cuipresenza debba agghiacciare la parola in boccaall'ammiratore che gli va incontro con espansione.Anche nei tratti delle sue opere, che ci sembranoriboccanti d'affetto, e che ci commuovono, noi troviamosempre, esaminandoli, piuttosto l'arte profondad'un'intelligenza che, indovinando tutte le cause, riesce aottenere tutti gli effetti, che non il disordine affannosoed ingenuo che viene dal cuore; e ci piglia il sospettoche egli abbia studiato, come il Goëthe, delle lettereaffettuose di sconosciuti, per impararvi il linguaggio deisentimenti che non provava. Negli stessi suoi scrittid'argomento sociale, diretti a uno scopo generoso ebenefico, riconosciamo che v'è largamente tutto ciò chepuò giovare alla persuasione: chiarezza limpidissima,

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argomentazione serrata, arte mirabile di presentare lecontraddizioni e di valersene, ed eloquenza splendidanell'esporre lo stato delle cose a cui cerca rimedio; manon quel soffio irresistibile che prorompe dalla pietàardente e profonda [114] dei dolori e delle ingiustizie, eche vince il cuore prima che la ragione sia vinta. Visentiamo fremere più potentemente l'amore artisticodella propria idea, che l'amore umano degli oppressi. Equell'apostolato di moralità, di virtù, di dovere, cheinforma specialmente le sue ultime opere, ci ha piuttostol'apparenza d'un grande ed onorevole propositodell'ingegno che intuisce il bene, e se ne fa strumentoall'arte; che non la passione intima e schietta d'un'animache lo ami irresistibilmente. La soddisfazione che cilasciano nell'animo le opere sue più evidentementedirette ad un fine a cui anche il nostro cuore e la nostracoscienza consentono, non è mai nè piena ne tranquilla;sempre usciamo dal teatro o chiudiamo il libro conqualche ferita segreta nell'animo; e la nostraimmaginazione non ci rappresenta mai, neanche atraverso alle più dolci emozioni provate, un AlessandroDumas altrettanto amabile che ammirabile.

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Eppure il concetto che ne hanno i suoi amici intimi èassai diverso da quello della più parte de' suoiammiratori lontani. È un un bon garçon, dicono, senza

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argomentazione serrata, arte mirabile di presentare lecontraddizioni e di valersene, ed eloquenza splendidanell'esporre lo stato delle cose a cui cerca rimedio; manon quel soffio irresistibile che prorompe dalla pietàardente e profonda [114] dei dolori e delle ingiustizie, eche vince il cuore prima che la ragione sia vinta. Visentiamo fremere più potentemente l'amore artisticodella propria idea, che l'amore umano degli oppressi. Equell'apostolato di moralità, di virtù, di dovere, cheinforma specialmente le sue ultime opere, ci ha piuttostol'apparenza d'un grande ed onorevole propositodell'ingegno che intuisce il bene, e se ne fa strumentoall'arte; che non la passione intima e schietta d'un'animache lo ami irresistibilmente. La soddisfazione che cilasciano nell'animo le opere sue più evidentementedirette ad un fine a cui anche il nostro cuore e la nostracoscienza consentono, non è mai nè piena ne tranquilla;sempre usciamo dal teatro o chiudiamo il libro conqualche ferita segreta nell'animo; e la nostraimmaginazione non ci rappresenta mai, neanche atraverso alle più dolci emozioni provate, un AlessandroDumas altrettanto amabile che ammirabile.

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Eppure il concetto che ne hanno i suoi amici intimi èassai diverso da quello della più parte de' suoiammiratori lontani. È un un bon garçon, dicono, senza

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restrizioni; migliore di suo padre, che nondimeno parvepiù amabile e fu più amato. Conviene anche dire che ètutt'altro Dumas da quello che fu in giovinezza. Eradissipato, ed ora si vanta d'essere un capo di famigliaesemplare. Della sua vita passata dice egli stesso chenon conserva più che i ricordi; e si assicura che fraquesti ricordi ce ne sono dei bellissimi, e di molti paesi,e invidiati, e famosi. Ha un sentimento altero di sè; manon costantemente: solo in certi giorni della settimana, equando lo stuzzicano. [116] È servizievole con gli amici,dei quali s'asciuga drammi e commedie e romanzi,senza fiatare, ragionando anzi i suoi giudizi in letterinemirabili di stringatezza e di sincerità fraterna, con lequali rivela agli autori i difetti intimi delle opere e ledeficienze inconscienti degli ingegni in un modomaestrevolmente scoraggiante. Non pecca d'avarizia,come molti credono, e come forse credeva suo padrequando essendogli stato detto che il figlio scriveva Lepère prodigue, soggiunse: - et le fils avare. Non èmilionario per gli altri, come disse del padre suo eglimedesimo, ma è caritatevole, e soccorre in particolarmodo i letterati e gli artisti poveri, ricordandosi d'avervissuto i suoi primi anni in quella Bohême, che orabrulica a cento gran cubiti sotto i suoi piedi; sebbenenon sia facile ingannarlo col pretesto della beneficenza.L'accusarono d'ingratitudine verso suo padre, perqualche parola che gli sfuggì sulla trascuranza in cui fulasciata la sua prima educazione; ma è un'accusaingiusta. Egli dichiarò sempre che non [117] s'è sentito

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restrizioni; migliore di suo padre, che nondimeno parvepiù amabile e fu più amato. Conviene anche dire che ètutt'altro Dumas da quello che fu in giovinezza. Eradissipato, ed ora si vanta d'essere un capo di famigliaesemplare. Della sua vita passata dice egli stesso chenon conserva più che i ricordi; e si assicura che fraquesti ricordi ce ne sono dei bellissimi, e di molti paesi,e invidiati, e famosi. Ha un sentimento altero di sè; manon costantemente: solo in certi giorni della settimana, equando lo stuzzicano. [116] È servizievole con gli amici,dei quali s'asciuga drammi e commedie e romanzi,senza fiatare, ragionando anzi i suoi giudizi in letterinemirabili di stringatezza e di sincerità fraterna, con lequali rivela agli autori i difetti intimi delle opere e ledeficienze inconscienti degli ingegni in un modomaestrevolmente scoraggiante. Non pecca d'avarizia,come molti credono, e come forse credeva suo padrequando essendogli stato detto che il figlio scriveva Lepère prodigue, soggiunse: - et le fils avare. Non èmilionario per gli altri, come disse del padre suo eglimedesimo, ma è caritatevole, e soccorre in particolarmodo i letterati e gli artisti poveri, ricordandosi d'avervissuto i suoi primi anni in quella Bohême, che orabrulica a cento gran cubiti sotto i suoi piedi; sebbenenon sia facile ingannarlo col pretesto della beneficenza.L'accusarono d'ingratitudine verso suo padre, perqualche parola che gli sfuggì sulla trascuranza in cui fulasciata la sua prima educazione; ma è un'accusaingiusta. Egli dichiarò sempre che non [117] s'è sentito

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qualcosa se non quando s'è paragonato fuori di casa sua.L'apologia che fece del padre nella prefazione al Filsnaturel, dove respinge sdegnosamente la lode di coloroche lo mettono al di sopra dell'autore d'Antony, è unadelle poche cose in cui si senta veramente palpitare ilsuo cuore. Egli parla di suo padre ad ogni proposito.Tutti gli aneddoti che possono riuscire ad onore del suocuore, della sua vita e del suo genio, li ha continuamentesulle labbra, e li abbellisce sovente, e si dice anche chene inventi. Si sa invece che suo padre era leggermentegeloso di questa gloria che gli cresceva in casa, dovuta afacoltà tanto diverse dalle sue. La sera dellarappresentazione di Madame Aubray, a un suo amicoche gli lodava calorosamente il dramma del figliuolo,rispose di malumore: Sì, bene, c'è dell'osservazione;mais comme théâtre, enfin, qu'est-ce qu'il y a? - Lodifendeva con affetto quando altri gli dava addosso; equando lo lodavan troppo, s'impazientava. Chi haconosciuto l'uno e l'altro, [118] pure riconoscendo lagenerosità splendida del padre, e l'immensa simpatia cheispirava, gli antepone come carattere saldo, come cuoresicuro alla prova, come coscienza, infine, il figliuolo. Isuoi antichi compagni di collegio, migliori giudici deinuovi amici, sono concordi in questo giudizio. Ilconvittore Dumas, quindicenne, aveva uno sconfinatoentusiasmo per il papá. Non ammirava altri e nonparlava d'altro. Grazie a lui, tutto il collegio conoscevaun mese prima dell'Europa l'intreccio dei drammi e deiromanzi del grand'Alessandro, e ne leggeva dei brani

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qualcosa se non quando s'è paragonato fuori di casa sua.L'apologia che fece del padre nella prefazione al Filsnaturel, dove respinge sdegnosamente la lode di coloroche lo mettono al di sopra dell'autore d'Antony, è unadelle poche cose in cui si senta veramente palpitare ilsuo cuore. Egli parla di suo padre ad ogni proposito.Tutti gli aneddoti che possono riuscire ad onore del suocuore, della sua vita e del suo genio, li ha continuamentesulle labbra, e li abbellisce sovente, e si dice anche chene inventi. Si sa invece che suo padre era leggermentegeloso di questa gloria che gli cresceva in casa, dovuta afacoltà tanto diverse dalle sue. La sera dellarappresentazione di Madame Aubray, a un suo amicoche gli lodava calorosamente il dramma del figliuolo,rispose di malumore: Sì, bene, c'è dell'osservazione;mais comme théâtre, enfin, qu'est-ce qu'il y a? - Lodifendeva con affetto quando altri gli dava addosso; equando lo lodavan troppo, s'impazientava. Chi haconosciuto l'uno e l'altro, [118] pure riconoscendo lagenerosità splendida del padre, e l'immensa simpatia cheispirava, gli antepone come carattere saldo, come cuoresicuro alla prova, come coscienza, infine, il figliuolo. Isuoi antichi compagni di collegio, migliori giudici deinuovi amici, sono concordi in questo giudizio. Ilconvittore Dumas, quindicenne, aveva uno sconfinatoentusiasmo per il papá. Non ammirava altri e nonparlava d'altro. Grazie a lui, tutto il collegio conoscevaun mese prima dell'Europa l'intreccio dei drammi e deiromanzi del grand'Alessandro, e ne leggeva dei brani

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manoscritti sui banchi della scuola, dietro ai vocabolarii.Un giorno che per la partenza improvvisa del Dumaspadre dalla Francia, si credette che fosse stato banditoda Luigi Filippo, il figliuolo ne fu desolato; e i colleghi,per consolarlo, rappresentarono nel cortile un drammaimprovvisato, nel quale il re dei romanzieri era coronatodi gloria, e il re dei borghesi faceva una pessima figura.Ho visto delle lettere scritte in quel tempo [119] dalpiccolo Dumas ai suoi compagni, piene di fantocci, dicapricci calligrafici e di buffonate; ma cordialmenteespansive, e piene d'un sentimento d'amicizia rarissimonell'adolescenza. Lo strano è che il Dumas, nel collegio,non diede segno nè d'amore allo studio, nè d'ambizione,nè d'ingegno più che ordinario, nemmeno in letteratura.Non solo non era fra i primi, ma neanche fra i secondi.Se aveva un'ambizione, benchè non studiasse, era didiventare un giorno un erudito, e anche più che unerudito, un bibliotecario. Come scrittore si consideravanaturalmente assorbito e annientato da suo padre.Viveva in lui e di lui, gli bastava la gloria paterna, glipareva che ne sarebbe vissuto lietamente etranquillamente per sempre. E i suoi grandi trionfi eranoquando suo padre veniva a visitarlo al collegio, eprofessori, scolari, assistenti, inservienti, tutti saltavanosu, come scossi da una scintilla elettrica, per vedere unmomento dalle finestre e dagli spiragli degli usci quelmago, quel colosso, quel [120] glorioso testonescarmigliato, che empiva il mondo della sua fantasia.

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manoscritti sui banchi della scuola, dietro ai vocabolarii.Un giorno che per la partenza improvvisa del Dumaspadre dalla Francia, si credette che fosse stato banditoda Luigi Filippo, il figliuolo ne fu desolato; e i colleghi,per consolarlo, rappresentarono nel cortile un drammaimprovvisato, nel quale il re dei romanzieri era coronatodi gloria, e il re dei borghesi faceva una pessima figura.Ho visto delle lettere scritte in quel tempo [119] dalpiccolo Dumas ai suoi compagni, piene di fantocci, dicapricci calligrafici e di buffonate; ma cordialmenteespansive, e piene d'un sentimento d'amicizia rarissimonell'adolescenza. Lo strano è che il Dumas, nel collegio,non diede segno nè d'amore allo studio, nè d'ambizione,nè d'ingegno più che ordinario, nemmeno in letteratura.Non solo non era fra i primi, ma neanche fra i secondi.Se aveva un'ambizione, benchè non studiasse, era didiventare un giorno un erudito, e anche più che unerudito, un bibliotecario. Come scrittore si consideravanaturalmente assorbito e annientato da suo padre.Viveva in lui e di lui, gli bastava la gloria paterna, glipareva che ne sarebbe vissuto lietamente etranquillamente per sempre. E i suoi grandi trionfi eranoquando suo padre veniva a visitarlo al collegio, eprofessori, scolari, assistenti, inservienti, tutti saltavanosu, come scossi da una scintilla elettrica, per vedere unmomento dalle finestre e dagli spiragli degli usci quelmago, quel colosso, quel [120] glorioso testonescarmigliato, che empiva il mondo della sua fantasia.

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***

Ora l'antico aspirante bibliotecario è uno degliscrittori francesi più divulgati nel mondo, ed anche unodi quelli di cui Parigi s'occupa più curiosamente, e per lasingolarità del suo carattere, e perchè attira l'attenzionepubblica come autore drammatico, come polemista nellepiù ardenti quistioni sociali, come amatore dispendiosodelle belle arti e come gentiluomo ospitale. Quanto allasua fortuna, basta dire che in non più di sette anni, ossiadopo il Monsieur Alphonse, che pure è già unacommedia della decadenza, il solo teatro gli fruttò pocomeno d'un milione, di cui deve la quinta parteall'Étrangère, che non ebbe un grande successo, e allaripresa del Demi-monde. [121] Oltrechè ha un dirittoraguardevole sui cento mila esemplari delle opere di suopadre che si stampano ancora annualmente in Franciaper ispanderle a traverso a tutti i continenti. Con tuttociò non vive sfarzosamente: non ha le manieprincipesche di suo padre. Sta nell'Avenue de Villiers,dove stanno pure il Meissonier, il Gounod e SaraBernhardt, in una casa propria, graziosa, ma nonsplendida, fiancheggiata da un giardino semplicissimo,senz'aiuole e senza sentieri, disposto così perchè la suaJeannine vi possa scorazzare liberamente; in fondo alquale c'è una casa campagnuola d'Alsazia, ch'eglicomprò bell'e fatta all'Esposizione del 1878, permettervi i quadri che non entravano più nelle sue sale.Nella sua casa non c'è di grandioso che lo spazio.

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Ora l'antico aspirante bibliotecario è uno degliscrittori francesi più divulgati nel mondo, ed anche unodi quelli di cui Parigi s'occupa più curiosamente, e per lasingolarità del suo carattere, e perchè attira l'attenzionepubblica come autore drammatico, come polemista nellepiù ardenti quistioni sociali, come amatore dispendiosodelle belle arti e come gentiluomo ospitale. Quanto allasua fortuna, basta dire che in non più di sette anni, ossiadopo il Monsieur Alphonse, che pure è già unacommedia della decadenza, il solo teatro gli fruttò pocomeno d'un milione, di cui deve la quinta parteall'Étrangère, che non ebbe un grande successo, e allaripresa del Demi-monde. [121] Oltrechè ha un dirittoraguardevole sui cento mila esemplari delle opere di suopadre che si stampano ancora annualmente in Franciaper ispanderle a traverso a tutti i continenti. Con tuttociò non vive sfarzosamente: non ha le manieprincipesche di suo padre. Sta nell'Avenue de Villiers,dove stanno pure il Meissonier, il Gounod e SaraBernhardt, in una casa propria, graziosa, ma nonsplendida, fiancheggiata da un giardino semplicissimo,senz'aiuole e senza sentieri, disposto così perchè la suaJeannine vi possa scorazzare liberamente; in fondo alquale c'è una casa campagnuola d'Alsazia, ch'eglicomprò bell'e fatta all'Esposizione del 1878, permettervi i quadri che non entravano più nelle sue sale.Nella sua casa non c'è di grandioso che lo spazio.

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Anch'egli sente quel bisogno d'aria viva, di largarespirazione, di libertà di mosse e di passi, per cui suopadre stava in maniche di camicia dalla mattina allasera, e riceveva le visite in una toilette da fornaio. Nontiene carrozza: la stessa signora [122] Dumas, quandodeve uscire, fa venire modestamente alla porta un umilefiacre inzaccherato, che farebbe fremere l'ombra di suosuocero. La villetta dove vanno a passar l'estate non èpiù magnifica della casa in città. L'unica ricchezza dellacasa sono le opere d'arte. Contro alle pareti s'innalzanostatue e bassorilievi di grandezza naturale; busti dimarmo e bronzi ad ogni angolo; e quadri innumerevoli,fitti, che si toccano dai pavimenti alle vôlte, nelle sale diricevimento, nelle stanze da letto, nelle stanze d'entrata,sui pianerottoli, per le scale, ammonticchiati sui tavoli,ritti sui cassettoni e sui caminetti, appoggiati allespalliere delle seggiole, fin nei cantucci più oscuri dovebisogna guardarli col lume, fin sui battenti delle porte:quadri di tutte le grandezze e di tutti i generi, di pittorifamosi e di genii divinati da lui, paesaggi, madonne,belle donne nude - belles bêtes, com'egli le chiama, - epaesaggi misteriosi che predilige, e scenette arrischiateche tiene al buio, e caricature d'ogni specie; fra cui [123]

brillano qua e là gli acquerelli che regala il Meissonieralle sue figliuole per il giorno onomastico, e i cavallini ele porte orientali del Pasini: tanti quadri per unmilionetto e mezzo, a quel che si dice. E più bella ditutte è la sua stanza di studio, dove si fanno riscontro ilfamoso ritratto di lui, fatto dal Meissonier, e un busto in

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Anch'egli sente quel bisogno d'aria viva, di largarespirazione, di libertà di mosse e di passi, per cui suopadre stava in maniche di camicia dalla mattina allasera, e riceveva le visite in una toilette da fornaio. Nontiene carrozza: la stessa signora [122] Dumas, quandodeve uscire, fa venire modestamente alla porta un umilefiacre inzaccherato, che farebbe fremere l'ombra di suosuocero. La villetta dove vanno a passar l'estate non èpiù magnifica della casa in città. L'unica ricchezza dellacasa sono le opere d'arte. Contro alle pareti s'innalzanostatue e bassorilievi di grandezza naturale; busti dimarmo e bronzi ad ogni angolo; e quadri innumerevoli,fitti, che si toccano dai pavimenti alle vôlte, nelle sale diricevimento, nelle stanze da letto, nelle stanze d'entrata,sui pianerottoli, per le scale, ammonticchiati sui tavoli,ritti sui cassettoni e sui caminetti, appoggiati allespalliere delle seggiole, fin nei cantucci più oscuri dovebisogna guardarli col lume, fin sui battenti delle porte:quadri di tutte le grandezze e di tutti i generi, di pittorifamosi e di genii divinati da lui, paesaggi, madonne,belle donne nude - belles bêtes, com'egli le chiama, - epaesaggi misteriosi che predilige, e scenette arrischiateche tiene al buio, e caricature d'ogni specie; fra cui [123]

brillano qua e là gli acquerelli che regala il Meissonieralle sue figliuole per il giorno onomastico, e i cavallini ele porte orientali del Pasini: tanti quadri per unmilionetto e mezzo, a quel che si dice. E più bella ditutte è la sua stanza di studio, dove si fanno riscontro ilfamoso ritratto di lui, fatto dal Meissonier, e un busto in

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marmo di sua moglie, bellissimo, in mezzo a una coronadi grandi tele; - una vasta stanza a terreno, che dà sulgiardino, piena di luce, con un enorme tavolo verde nelmezzo, sparso di penne d'oca spuntate e smozzicate coidenti nella furia del lavoro. Tutta la casa nel suo riccodisordine artistico, nello stesso tempo semplice epomposo, ha non so che aspetto di grandezza, che ispirarispetto; e v'aggiungono molto le immagini e i ricordidel padre colossale, che vi sono profusi. Sopra untavolino della sala di studio c'è una collezione di mani didonne, di bronzo e di terra; mani piccolissime edelicatissime di patrizie oziose, mani robuste d'artiste,mani pienotte di [124] belle mondane che debbono avertrattato l'ago prima di portare gli anelli ingemmati; maniche, in altri tempi, han forse palleggiato il cuore di chile fece modellare; e in mezzo a tutte queste manine,spicca, o piuttosto regna, come la destra d'un sultano, lamano del Dumas padre, quella bella e strana mano, dalledita delicatissime, che rappresentano, secondo lafisiologia del figliuolo, la finezza delle sensazioniartistiche, e dalla palma larga ed atletica, che esprime lapotenza dell'esecuzione. Oltre alla mano, ci sono qua elà delle immagini di quel largo viso di papà possente esereno; vecchi libri suoi; manoscritti a caratteri discatola, e la collezione enorme dei suoi volumi legati edorati, che fanno scintillare della sua gloria un'interaparete. E uscendo dalla sala di studio, si trova in facciaalla porta, in un corridoio semiscuro, sopra un altopiedestallo, un busto enorme del gran romanziere, di

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marmo di sua moglie, bellissimo, in mezzo a una coronadi grandi tele; - una vasta stanza a terreno, che dà sulgiardino, piena di luce, con un enorme tavolo verde nelmezzo, sparso di penne d'oca spuntate e smozzicate coidenti nella furia del lavoro. Tutta la casa nel suo riccodisordine artistico, nello stesso tempo semplice epomposo, ha non so che aspetto di grandezza, che ispirarispetto; e v'aggiungono molto le immagini e i ricordidel padre colossale, che vi sono profusi. Sopra untavolino della sala di studio c'è una collezione di mani didonne, di bronzo e di terra; mani piccolissime edelicatissime di patrizie oziose, mani robuste d'artiste,mani pienotte di [124] belle mondane che debbono avertrattato l'ago prima di portare gli anelli ingemmati; maniche, in altri tempi, han forse palleggiato il cuore di chile fece modellare; e in mezzo a tutte queste manine,spicca, o piuttosto regna, come la destra d'un sultano, lamano del Dumas padre, quella bella e strana mano, dalledita delicatissime, che rappresentano, secondo lafisiologia del figliuolo, la finezza delle sensazioniartistiche, e dalla palma larga ed atletica, che esprime lapotenza dell'esecuzione. Oltre alla mano, ci sono qua elà delle immagini di quel largo viso di papà possente esereno; vecchi libri suoi; manoscritti a caratteri discatola, e la collezione enorme dei suoi volumi legati edorati, che fanno scintillare della sua gloria un'interaparete. E uscendo dalla sala di studio, si trova in facciaalla porta, in un corridoio semiscuro, sopra un altopiedestallo, un busto enorme del gran romanziere, di

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marmo bianco come la neve, d'una rassomiglianza dasbalordire, con un sorriso parlante sulle labbra e negliocchi; - il [125] quale, rischiarato com'è da una parte sola,da un raggio che vien dall'alto, - ha una tale apparenzadi vita, a vederlo così all'improvviso, che fa l'effettodell'apparizione d'un fantasma, o piuttosto del padreDumas in carne ed ossa, risorto allora allora perricominciare il suo lavoro titanico interrotto da unosbaglio della morte.

***

Qui il Dumas figlio passa le sue mattinate dilavoratore. Prima di giorno è su, d'inverno comed'estate; le lettere che ricevono i suoi amici nellagiornata son tutte state scritte al lume della candela,mentre essi dormivano. Lavora di nervo fino amezzogiorno, e a mezzogiorno la sua giornata discrittore è finita. Passa il dopo desinare a cavallo nelBosco di Boulogne, o negli studi dei pittori, [126] e unavolta la settimana ha in casa a pranzo una brigatad'amici, la più parte scrittori ed artisti, a cui profonde frala minestra e le frutta un tesoro di frizzi, d'aneddoti, diepigrammi politici, di giudizi letterari nuovi ed arguti,che girano poi di bocca in bocca, e si spargono peigiornali e pel mondo. In casa sua è uno scampanellìosenza fine: il servitore che porta le imbasciate potrebbeessere sostituito da un automa a movimento perpetuo. Ildirettore di teatro s'abbatte sull'uscio nel bohémien

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marmo bianco come la neve, d'una rassomiglianza dasbalordire, con un sorriso parlante sulle labbra e negliocchi; - il [125] quale, rischiarato com'è da una parte sola,da un raggio che vien dall'alto, - ha una tale apparenzadi vita, a vederlo così all'improvviso, che fa l'effettodell'apparizione d'un fantasma, o piuttosto del padreDumas in carne ed ossa, risorto allora allora perricominciare il suo lavoro titanico interrotto da unosbaglio della morte.

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Qui il Dumas figlio passa le sue mattinate dilavoratore. Prima di giorno è su, d'inverno comed'estate; le lettere che ricevono i suoi amici nellagiornata son tutte state scritte al lume della candela,mentre essi dormivano. Lavora di nervo fino amezzogiorno, e a mezzogiorno la sua giornata discrittore è finita. Passa il dopo desinare a cavallo nelBosco di Boulogne, o negli studi dei pittori, [126] e unavolta la settimana ha in casa a pranzo una brigatad'amici, la più parte scrittori ed artisti, a cui profonde frala minestra e le frutta un tesoro di frizzi, d'aneddoti, diepigrammi politici, di giudizi letterari nuovi ed arguti,che girano poi di bocca in bocca, e si spargono peigiornali e pel mondo. In casa sua è uno scampanellìosenza fine: il servitore che porta le imbasciate potrebbeessere sostituito da un automa a movimento perpetuo. Ildirettore di teatro s'abbatte sull'uscio nel bohémien

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senza camicia, il commediografo principiante nellostraniero curioso, il giornalista nel pittore, il tipografonell'attore drammatico spigionato. Ed è poca cosal'affluenza delle persone in confronto a quella dellelettere, una gran parte delle quali sono dirette a lui comepatrocinatore del divorzio, e grande avvocato di tutte lequistioni che si riferiscono alla famiglia, alla donna,all'amore: lettere di malmaritate di tutti i paesi che glidomandano consigli per la separazione; di moglipericolanti che invocano il soccorso d'un [127]

avvertimento paterno; di ragazze di collegio chechiedono suggerimenti intorno alla scelta del marito; difigliuoli illegittimi che gli raccontano la loro storia; diteste matte d'ogni tinta che gli propongono i piùstrampalati problemi sociali e psicologici; ed eglirisponde qualche volta, quando la lettera lo fa pensare, ela risposta è difficile; e altre volte s'impazienta, e buttaogni cosa nel cestino. Così passa la sua vita tra il lavoro,gli amici e l'immenso pubblico sconosciuto, sotto unapioggia di biglietti di visita e di biglietti di banca,incensato, invidiato, seccato, portando con egualevigore i suoi cinquantasei anni e l'eredità enorme delnome paterno, in mezzo alla grande città che lo ammirae lo maligna e gli chiede pascolo continuamente alla suacuriosità febbrile di regina annoiata.

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senza camicia, il commediografo principiante nellostraniero curioso, il giornalista nel pittore, il tipografonell'attore drammatico spigionato. Ed è poca cosal'affluenza delle persone in confronto a quella dellelettere, una gran parte delle quali sono dirette a lui comepatrocinatore del divorzio, e grande avvocato di tutte lequistioni che si riferiscono alla famiglia, alla donna,all'amore: lettere di malmaritate di tutti i paesi che glidomandano consigli per la separazione; di moglipericolanti che invocano il soccorso d'un [127]

avvertimento paterno; di ragazze di collegio chechiedono suggerimenti intorno alla scelta del marito; difigliuoli illegittimi che gli raccontano la loro storia; diteste matte d'ogni tinta che gli propongono i piùstrampalati problemi sociali e psicologici; ed eglirisponde qualche volta, quando la lettera lo fa pensare, ela risposta è difficile; e altre volte s'impazienta, e buttaogni cosa nel cestino. Così passa la sua vita tra il lavoro,gli amici e l'immenso pubblico sconosciuto, sotto unapioggia di biglietti di visita e di biglietti di banca,incensato, invidiato, seccato, portando con egualevigore i suoi cinquantasei anni e l'eredità enorme delnome paterno, in mezzo alla grande città che lo ammirae lo maligna e gli chiede pascolo continuamente alla suacuriosità febbrile di regina annoiata.

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La figura del Dumas figlio è una delle più strane edelle più degne di studio che possa desiderare unritrattista letterario. A primo aspetto, è il Dumas deiritratti fotografici, che tutti conoscono: molto alto distatura, membruto, ma non grasso, benchè abbia un po'di ventre; anzi di forme piuttosto asciutte e svelte, messein evidenza da un portamento diritto di soldato; unagrossa testa, calva sul davanti, con una corona folta dicapelli grigi e crespi, che gli stan tutti tesi all'indietro,come se fossero spinti dal vento; i lineamenti del visobruno terreo, regolari, ma arditi, e l'occhio grande,chiaro e freddo, di cui lo sguardo fa l'effettodell'interrogazione d'un giudice mal prevenuto. Di visosomiglia un po' al [129] padre, fuorchè nell'espressionedegli occhi, che è meno benigna, per non dir punto, enel contorno, che è più oblungo. Veste trascuratamente,come l'autore del Montecristo. - Questo è il Dumas delprimo aspetto. - Cambia affatto quando apre la bocca; ilsuo primo sorriso produce una vera meraviglia. - Perdio- esclamai dentro di me - è un negro! - Tutta la parteinferiore del viso, la sporgenza delle labbra, i denti, ilmento, sono assolutamente d'un negro: s'indovinerebbealla prima, non sapendolo, che c'è entrato del sanguenero nella sua famiglia. E non solo nella parte inferioredel viso; c'è qualcosa nella forma allungata del busto enella struttura delle gambe, e più di tutto negliatteggiamenti, nel modo di distendersi e di contrarsi, ein una certa snodatura strana di tutta la sua persona, chericorda in un modo singolarissimo i movimenti e le

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La figura del Dumas figlio è una delle più strane edelle più degne di studio che possa desiderare unritrattista letterario. A primo aspetto, è il Dumas deiritratti fotografici, che tutti conoscono: molto alto distatura, membruto, ma non grasso, benchè abbia un po'di ventre; anzi di forme piuttosto asciutte e svelte, messein evidenza da un portamento diritto di soldato; unagrossa testa, calva sul davanti, con una corona folta dicapelli grigi e crespi, che gli stan tutti tesi all'indietro,come se fossero spinti dal vento; i lineamenti del visobruno terreo, regolari, ma arditi, e l'occhio grande,chiaro e freddo, di cui lo sguardo fa l'effettodell'interrogazione d'un giudice mal prevenuto. Di visosomiglia un po' al [129] padre, fuorchè nell'espressionedegli occhi, che è meno benigna, per non dir punto, enel contorno, che è più oblungo. Veste trascuratamente,come l'autore del Montecristo. - Questo è il Dumas delprimo aspetto. - Cambia affatto quando apre la bocca; ilsuo primo sorriso produce una vera meraviglia. - Perdio- esclamai dentro di me - è un negro! - Tutta la parteinferiore del viso, la sporgenza delle labbra, i denti, ilmento, sono assolutamente d'un negro: s'indovinerebbealla prima, non sapendolo, che c'è entrato del sanguenero nella sua famiglia. E non solo nella parte inferioredel viso; c'è qualcosa nella forma allungata del busto enella struttura delle gambe, e più di tutto negliatteggiamenti, nel modo di distendersi e di contrarsi, ein una certa snodatura strana di tutta la sua persona, chericorda in un modo singolarissimo i movimenti e le

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positure feline della razza nera. Mi richiamò allamemoria un ufficiale mulatto degli spahis, che avevovisto all'Esposizione, disteso [130] sopra una panca d'unatrattoria. Anche la sua voce ha non so che di inaspettato,d'esotico, che stupisce alle prime parole, come una vocealterata di proposito. Tutta la sua persona, fuor che ipiedi piccolissimi, ha qualcosa di rude e di austero,come d'un uomo altrettanto esercitato agli strapazzi delcorpo che alle fatiche della mente. L'ingegno è tuttonella fronte ampia e curva, e in quel grande e terribileocchio bigio, che con uno sguardo par che abbia bell'escrutato, pesato e giudicato il vostro cervello e il vostrocuore, e, quel che è peggio, senza lasciar indovinare lasentenza. E più strano dello sguardo è il riso, o piuttostola risata. M'avevano detto giustamente che haconservato il suo riso di monello di quindici anni, senon proprio nell'espressione della fisionomia, almenonell'atto. Improvvisamente da una gravità accigliata eimperiosa prorompe in uno scoppio di risa, come seavesse inteso la più spropositata sciocchezza, e ridendo,scrolla le spalle, incurva la schiena e si tura la bocca con[131] la mano, come fanno i ragazzi per non farsi scorgeredal maestro: poi si ricompone tutt'a un tratto, come unoscolaro colto in flagranti. E ha dei gesti risoluti etaglienti, come se segnasse la cadenza di certe parlatefulminanti delle scene capitali dei suoi drammi; e troncabruscamente la gesticolazione per sprofondare le maninelle tasche, come per dispetto d'essersene tropposervito. È una strana persona, in somma, un misto

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positure feline della razza nera. Mi richiamò allamemoria un ufficiale mulatto degli spahis, che avevovisto all'Esposizione, disteso [130] sopra una panca d'unatrattoria. Anche la sua voce ha non so che di inaspettato,d'esotico, che stupisce alle prime parole, come una vocealterata di proposito. Tutta la sua persona, fuor che ipiedi piccolissimi, ha qualcosa di rude e di austero,come d'un uomo altrettanto esercitato agli strapazzi delcorpo che alle fatiche della mente. L'ingegno è tuttonella fronte ampia e curva, e in quel grande e terribileocchio bigio, che con uno sguardo par che abbia bell'escrutato, pesato e giudicato il vostro cervello e il vostrocuore, e, quel che è peggio, senza lasciar indovinare lasentenza. E più strano dello sguardo è il riso, o piuttostola risata. M'avevano detto giustamente che haconservato il suo riso di monello di quindici anni, senon proprio nell'espressione della fisionomia, almenonell'atto. Improvvisamente da una gravità accigliata eimperiosa prorompe in uno scoppio di risa, come seavesse inteso la più spropositata sciocchezza, e ridendo,scrolla le spalle, incurva la schiena e si tura la bocca con[131] la mano, come fanno i ragazzi per non farsi scorgeredal maestro: poi si ricompone tutt'a un tratto, come unoscolaro colto in flagranti. E ha dei gesti risoluti etaglienti, come se segnasse la cadenza di certe parlatefulminanti delle scene capitali dei suoi drammi; e troncabruscamente la gesticolazione per sprofondare le maninelle tasche, come per dispetto d'essersene tropposervito. È una strana persona, in somma, un misto

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bizzarro d'artista e di colonnello di cavalleria, diavvocato fiscale e di gentiluomo sans façons, digiovinetto e di vecchio, di parigino e d'africano, chequando s'è visto non desta meno curiosità di quella ches'aveva prima di vederlo, e lascia molto incerti sulsentimento che ispira.

[132]

***

E la sua maniera di conversare? È difficile ritrarla.Bisogna immaginare una mente aperta da mille parti,che coglie a volo ogni idea propria o d'altri, con unasollecitudine febbrile, per farne nascere una discussione,o almeno un contrasto momentaneo, se altro non èpossibile, di sentimenti e d'opinioni; che sopra ogni piùsfuggevole argomento vuol formulare un giudizio checolpisca l'immaginazione e si fissi nella memoria; chead ogni sentimento che altri esprima passando, s'arrestaper frugarvi dentro, e non è soddisfatto fin che non l'harovesciato; che nota tutto, s'interessa a tutto, e volta erivolta in mille modi tutte le idee, con una specie dicuriosità inquieta, come se sospettasse in ciascuna untesoro [133] nascosto d'altre idee, che gli si volesserosottrarre; che a proposito d'ogni soggetto, ha pronto unaneddoto nuovo e concettoso, pescato in un pelagoimmenso di ricordi di gente e di casi infinitamentediversi; che passa da una ad un'altra quistionetoccandone rapidissimamente altre dieci, come fa il

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bizzarro d'artista e di colonnello di cavalleria, diavvocato fiscale e di gentiluomo sans façons, digiovinetto e di vecchio, di parigino e d'africano, chequando s'è visto non desta meno curiosità di quella ches'aveva prima di vederlo, e lascia molto incerti sulsentimento che ispira.

[132]

***

E la sua maniera di conversare? È difficile ritrarla.Bisogna immaginare una mente aperta da mille parti,che coglie a volo ogni idea propria o d'altri, con unasollecitudine febbrile, per farne nascere una discussione,o almeno un contrasto momentaneo, se altro non èpossibile, di sentimenti e d'opinioni; che sopra ogni piùsfuggevole argomento vuol formulare un giudizio checolpisca l'immaginazione e si fissi nella memoria; chead ogni sentimento che altri esprima passando, s'arrestaper frugarvi dentro, e non è soddisfatto fin che non l'harovesciato; che nota tutto, s'interessa a tutto, e volta erivolta in mille modi tutte le idee, con una specie dicuriosità inquieta, come se sospettasse in ciascuna untesoro [133] nascosto d'altre idee, che gli si volesserosottrarre; che a proposito d'ogni soggetto, ha pronto unaneddoto nuovo e concettoso, pescato in un pelagoimmenso di ricordi di gente e di casi infinitamentediversi; che passa da una ad un'altra quistionetoccandone rapidissimamente altre dieci, come fa il

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suonatore sui tasti del pianoforte, e dice su ciascuna unaparola che fa venir sulle labbra mille interrogazioniimpazienti; che dall'esposizione, per esempio, d'un suopossibile romanzo su Gesù Cristo, intercalatad'interminabili citazioni d'evangeli, d'epistoleapostoliche, della bibbia, dei santi padri e dei libri sacriindiani, salta a ragionare dell'Alsazia e della Lorena, perschizzare a tratti da maestro una bizzarra caricatura delprincipe di Bismarck; il quale lo conduce a fare unpronostico fantastico sull'avvenire del popolo ebreo,dopo aver strozzato in cinque periodi la storia delle suevicende politiche; da cui scende a trinciare alla sveltauna quistione di frenologia; e poi a crivellared'epigrammi la lettera [134] del Rochefort,pennelleggiando di passata Leone Gambetta; il quale glirammenta l'Accademia, che gli dà il destro di definirecon poche parole colorite e profonde il magistero dellostile del Rénan; al che fa seguire una comparazioneminuta e tecnica fra la pittura del Meissonier e quelladel Dupré, per trascorrere poi ad una discussionefilologica, e ricascar daccapo nella politica. E tuttoquesto nel giro d'un ora, detto a frasi nette e risolute, aproposizioni scintillanti, che par che gli scattino dallabocca, serrate l'una all'altra come anelli d'acciaio,interrotte soltanto di tratto in tratto da uno di queicachinni strani, che muoiono all'improvviso, come recisid'un colpo, e accompagnate da un continuo e furiososfruconare di molle nel caminetto, che solleva unnuvolo di cenere e di scintille ad ogni sentenza. Ma

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suonatore sui tasti del pianoforte, e dice su ciascuna unaparola che fa venir sulle labbra mille interrogazioniimpazienti; che dall'esposizione, per esempio, d'un suopossibile romanzo su Gesù Cristo, intercalatad'interminabili citazioni d'evangeli, d'epistoleapostoliche, della bibbia, dei santi padri e dei libri sacriindiani, salta a ragionare dell'Alsazia e della Lorena, perschizzare a tratti da maestro una bizzarra caricatura delprincipe di Bismarck; il quale lo conduce a fare unpronostico fantastico sull'avvenire del popolo ebreo,dopo aver strozzato in cinque periodi la storia delle suevicende politiche; da cui scende a trinciare alla sveltauna quistione di frenologia; e poi a crivellared'epigrammi la lettera [134] del Rochefort,pennelleggiando di passata Leone Gambetta; il quale glirammenta l'Accademia, che gli dà il destro di definirecon poche parole colorite e profonde il magistero dellostile del Rénan; al che fa seguire una comparazioneminuta e tecnica fra la pittura del Meissonier e quelladel Dupré, per trascorrere poi ad una discussionefilologica, e ricascar daccapo nella politica. E tuttoquesto nel giro d'un ora, detto a frasi nette e risolute, aproposizioni scintillanti, che par che gli scattino dallabocca, serrate l'una all'altra come anelli d'acciaio,interrotte soltanto di tratto in tratto da uno di queicachinni strani, che muoiono all'improvviso, come recisid'un colpo, e accompagnate da un continuo e furiososfruconare di molle nel caminetto, che solleva unnuvolo di cenere e di scintille ad ogni sentenza. Ma

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come si rivela l'ingegno irresistibilmente drammatico inogni suo ragionamento! Mentre esponeva il concetto delsuo romanzo su Gesù Cristo, per cui doveva citarepersonaggi e avvenimenti e giudizi, [135] tutto si facevadialogo e dramma nel suo discorso; d'ogni cosa parlavacome se l'avesse vista e sentita; e ragionava dellepersone con un tono di famigliarità curiosissimo comese fosse vissuto tra loro, e avesse egli primo e soloscoperto in tutti chi sa che segreti; e faceva, a sostegnodelle sue opinioni, delle osservazioni psicologiche sottilie maliziose sopra ciascun carattere, toccandosi unocchio col dito, con l'aria di dire: - Ho indovinato tutto.- Si capiva che quegli avvenimenti l'attraevano più comeun grande dramma che come una grande quistione. Infondo la sua idea è quella dello Strauss, benchè basatasopra argomenti ch'egli crede suoi propri; e ciò vuol direche è già molto lontano dalla professione di fede chefece nell'Homme femme, e che ogni influsso del suoamico Dupanloup è svanito nell'anima sua. La qual cosanon deve stupire, perchè la sua mente s'avanza,retrocede, serpeggia, è sempre in movimento, come ilsuo corpo, e muta di continuo come il suo viso. Diceegli [136] medesimo che ha bisogno di questo lavorìoincessante del cervello perchè l'inerzia intellettuale logitta immediatamente nella tristezza. Quando rimaneper qualche tempo in silenzio, gli si vede in viso cherumina dentro al suo pensiero, che cerca qualche cosada sviscerare e da discutere, e che s'impazienta se non lotrova. Cento espressioni diverse gli passano sulla fronte

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come si rivela l'ingegno irresistibilmente drammatico inogni suo ragionamento! Mentre esponeva il concetto delsuo romanzo su Gesù Cristo, per cui doveva citarepersonaggi e avvenimenti e giudizi, [135] tutto si facevadialogo e dramma nel suo discorso; d'ogni cosa parlavacome se l'avesse vista e sentita; e ragionava dellepersone con un tono di famigliarità curiosissimo comese fosse vissuto tra loro, e avesse egli primo e soloscoperto in tutti chi sa che segreti; e faceva, a sostegnodelle sue opinioni, delle osservazioni psicologiche sottilie maliziose sopra ciascun carattere, toccandosi unocchio col dito, con l'aria di dire: - Ho indovinato tutto.- Si capiva che quegli avvenimenti l'attraevano più comeun grande dramma che come una grande quistione. Infondo la sua idea è quella dello Strauss, benchè basatasopra argomenti ch'egli crede suoi propri; e ciò vuol direche è già molto lontano dalla professione di fede chefece nell'Homme femme, e che ogni influsso del suoamico Dupanloup è svanito nell'anima sua. La qual cosanon deve stupire, perchè la sua mente s'avanza,retrocede, serpeggia, è sempre in movimento, come ilsuo corpo, e muta di continuo come il suo viso. Diceegli [136] medesimo che ha bisogno di questo lavorìoincessante del cervello perchè l'inerzia intellettuale logitta immediatamente nella tristezza. Quando rimaneper qualche tempo in silenzio, gli si vede in viso cherumina dentro al suo pensiero, che cerca qualche cosada sviscerare e da discutere, e che s'impazienta se non lotrova. Cento espressioni diverse gli passano sulla fronte

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e negli occhi anche durante una breve conversazione:prima è sereno, poi triste, poi sereno daccapo, poistizzito, poi pensieroso e inquieto: somiglia al cielod'Olanda in un giorno d'autunno. Quand'è allegro, gli sivede come un fondo di tristezza a traverso all'allegria; enon è mai tanto triste, da non lasciar capire che la suatristezza durerà poco. Per ciò si prova qualcheincertezza stando con lui; non si sa bene con quales'abbia a che fare veramente, dei molti Dumas che simanifestano a volta a volta sulla sua faccia, espariscono. Non dura cinque minuti in stato di riposo:incrocia le braccia sul petto, le scioglie per passarsi una[137] mano sulla fronte, incrocicchia le dita sul cocuzzolo,si tormenta i pollici colle unghie e coi denti, s'abbracciaora un ginocchio ora l'altro, e si distende e s'incartoccia,rivoltandosi continuamente a destra e a sinistra, che parperseguitato da uno sciame di vespe invisibili. Ognipensiero che gli spunta nel capo gli dà un riscossone,come una scintilla elettrica, che lo costringe a cambiareatteggiamento. Sembra che l'epigramma mordente, lasentenza arrischiata, il paradosso, la frase brutale concui mette a nudo il basso interesse che cova sotto ilsentimento gentile, rispondano a un suo bisogno fisicopiù che non siano un'espressione schietta del pensiero edell'animo suo; e che il parlare in quella forma sia perlui un modo voluto di sfogare non so che irritazionesorda del sangue, che non è sua natura, ma sua malattia,e ch'egli sfogherebbe meglio, se potesse, sbriciolandotutto quello che gli viene alle mani.

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e negli occhi anche durante una breve conversazione:prima è sereno, poi triste, poi sereno daccapo, poistizzito, poi pensieroso e inquieto: somiglia al cielod'Olanda in un giorno d'autunno. Quand'è allegro, gli sivede come un fondo di tristezza a traverso all'allegria; enon è mai tanto triste, da non lasciar capire che la suatristezza durerà poco. Per ciò si prova qualcheincertezza stando con lui; non si sa bene con quales'abbia a che fare veramente, dei molti Dumas che simanifestano a volta a volta sulla sua faccia, espariscono. Non dura cinque minuti in stato di riposo:incrocia le braccia sul petto, le scioglie per passarsi una[137] mano sulla fronte, incrocicchia le dita sul cocuzzolo,si tormenta i pollici colle unghie e coi denti, s'abbracciaora un ginocchio ora l'altro, e si distende e s'incartoccia,rivoltandosi continuamente a destra e a sinistra, che parperseguitato da uno sciame di vespe invisibili. Ognipensiero che gli spunta nel capo gli dà un riscossone,come una scintilla elettrica, che lo costringe a cambiareatteggiamento. Sembra che l'epigramma mordente, lasentenza arrischiata, il paradosso, la frase brutale concui mette a nudo il basso interesse che cova sotto ilsentimento gentile, rispondano a un suo bisogno fisicopiù che non siano un'espressione schietta del pensiero edell'animo suo; e che il parlare in quella forma sia perlui un modo voluto di sfogare non so che irritazionesorda del sangue, che non è sua natura, ma sua malattia,e ch'egli sfogherebbe meglio, se potesse, sbriciolandotutto quello che gli viene alle mani.

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Si quetò un poco facendo vedere la sua pinacoteca.Ritto davanti ai suoi paesaggi preferiti, col [138] gomitodestro nella mano sinistra, e l'altra mano sul mento,dicendo le immaginazioni che gli destavano in capocerti orizzonti oscuri di campagne solitarie, flagellatedal vento, pareva un altro Dumas: il suo viso sirasserenava, la sua voce si raddolciva, e le parole,invece di scattare, colavano. Si raddolcì specialmente, emutò quasi aspetto, tratteggiando il carattere nobile emodesto d'un pittore suo amico, grande d'ingegno,ingenuo di modi, semplice come un fanciullo, pieno dicuore e d'entusiasmo, e pure timido, inconsciente delsuo valore, facile all'ammirazione di tutto e di tutti, ebuono e dolce come un santo in ogni atto e in ogniparola: non si può dire la delicatezza delle espressioni, ilbuon sorriso di fratello con cui il Dumas ne ritrassel'indole e ne raccontò la vita. Sempre discorrendo, giròdi sala in sala, salì e discese per scale a chiocciolacoperte di tappeti, staccò quadri, smosse dei mobili perfar vedere le tele mal collocate, camminando sempre apassi rapidi, curvandosi e rialzandosi [139] con lasnellezza vigorosa d'un ginastico, e dicendo dinanzi adogni quadro una parola vibrata e pittoresca, che lodefiniva e lo giudicava. E intanto io dicevo all'orecchiodell'amico che m'accompagnava: - Mi pare d'aver vistodieci Dumas -, ed egli mi rispondeva: - ne vedrestetrenta, se restaste con lui tutta la giornata. - E poi siridiscese in mezzo ai libri, dov'egli ripigliò la suaconversazione saltellante dall'arte alla politica, alla

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Si quetò un poco facendo vedere la sua pinacoteca.Ritto davanti ai suoi paesaggi preferiti, col [138] gomitodestro nella mano sinistra, e l'altra mano sul mento,dicendo le immaginazioni che gli destavano in capocerti orizzonti oscuri di campagne solitarie, flagellatedal vento, pareva un altro Dumas: il suo viso sirasserenava, la sua voce si raddolciva, e le parole,invece di scattare, colavano. Si raddolcì specialmente, emutò quasi aspetto, tratteggiando il carattere nobile emodesto d'un pittore suo amico, grande d'ingegno,ingenuo di modi, semplice come un fanciullo, pieno dicuore e d'entusiasmo, e pure timido, inconsciente delsuo valore, facile all'ammirazione di tutto e di tutti, ebuono e dolce come un santo in ogni atto e in ogniparola: non si può dire la delicatezza delle espressioni, ilbuon sorriso di fratello con cui il Dumas ne ritrassel'indole e ne raccontò la vita. Sempre discorrendo, giròdi sala in sala, salì e discese per scale a chiocciolacoperte di tappeti, staccò quadri, smosse dei mobili perfar vedere le tele mal collocate, camminando sempre apassi rapidi, curvandosi e rialzandosi [139] con lasnellezza vigorosa d'un ginastico, e dicendo dinanzi adogni quadro una parola vibrata e pittoresca, che lodefiniva e lo giudicava. E intanto io dicevo all'orecchiodell'amico che m'accompagnava: - Mi pare d'aver vistodieci Dumas -, ed egli mi rispondeva: - ne vedrestetrenta, se restaste con lui tutta la giornata. - E poi siridiscese in mezzo ai libri, dov'egli ripigliò la suaconversazione saltellante dall'arte alla politica, alla

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religione, alla storia, ragionando a botte da maestro discherma e stropicciandosi le mani e la testa con la solitafebbre; finchè improvvisamente apparve l'undecimoDumas, che fu il più geniale e il più artistico di tutti.

Il discorso cadde sulla sua Jeannine, l'unica figliuolache gli rimanga in casa, essendosi maritata poco tempofa la maggiore, che si chiama Colette. La signorinaJeannine ha tredici anni, ed è cresciuta, in un anno, disedici centimetri. Fu amabile veramente il Dumasquando si mise a [140] descrivere, com'egli sa descrivere,quella cara grandigliona d'una bambina, venuta suall'improvviso, e rimasta sottile sottile, che spenzolavada ogni parte, nei primi mesi della crescenza, come unfiore dondolato dal vento, sempre con quel bocciuoio ditestina bionda ripiegato sopra una spalla, a cagione dellatenuità dello stelo, tanto che suo padre doveva rialzarlaogni momento, come un giardiniere amoroso, erimetterla ritta contro lo spalliera della seggiola, con unacarezza sotto il mento. Poi cominciò a raccontare tutti isuoi miracoli di precocità intellettuale, le sue uscitecomiche, le sue ragioni di donnina, e certi suoi impetid'eloquenza fanciullesca contro la tristizia del mondo,con una grazia così affettuosa d'accenti e di gesti, daparer strano che fosse lui proprio quello spietatoanatomista dell'anima umana, che immaginò la perfidiadella Femme de Claude e l'anima fracida del duca diSeptmont. Tutto ad un tratto cessò di parlare, e gli brillòsul viso il più dolce dei suoi sorrisi africani. Mi voltai e[141] vidi la deina della casa, tutta vestita di rosso vivo,

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religione, alla storia, ragionando a botte da maestro discherma e stropicciandosi le mani e la testa con la solitafebbre; finchè improvvisamente apparve l'undecimoDumas, che fu il più geniale e il più artistico di tutti.

Il discorso cadde sulla sua Jeannine, l'unica figliuolache gli rimanga in casa, essendosi maritata poco tempofa la maggiore, che si chiama Colette. La signorinaJeannine ha tredici anni, ed è cresciuta, in un anno, disedici centimetri. Fu amabile veramente il Dumasquando si mise a [140] descrivere, com'egli sa descrivere,quella cara grandigliona d'una bambina, venuta suall'improvviso, e rimasta sottile sottile, che spenzolavada ogni parte, nei primi mesi della crescenza, come unfiore dondolato dal vento, sempre con quel bocciuoio ditestina bionda ripiegato sopra una spalla, a cagione dellatenuità dello stelo, tanto che suo padre doveva rialzarlaogni momento, come un giardiniere amoroso, erimetterla ritta contro lo spalliera della seggiola, con unacarezza sotto il mento. Poi cominciò a raccontare tutti isuoi miracoli di precocità intellettuale, le sue uscitecomiche, le sue ragioni di donnina, e certi suoi impetid'eloquenza fanciullesca contro la tristizia del mondo,con una grazia così affettuosa d'accenti e di gesti, daparer strano che fosse lui proprio quello spietatoanatomista dell'anima umana, che immaginò la perfidiadella Femme de Claude e l'anima fracida del duca diSeptmont. Tutto ad un tratto cessò di parlare, e gli brillòsul viso il più dolce dei suoi sorrisi africani. Mi voltai e[141] vidi la deina della casa, tutta vestita di rosso vivo,

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alta alta e leggera da smoverla con un soffio, con unvisetto di bambola grazioso e ridente, con certi attini dicapo da rondinella, e una voce che pareva il mormoriod'un filo d'acqua: un abbozzino di damigella, insomma,ancora tutta odorosa d'infanzia, lunga ed esile comeun'ode in versi quinarii. Ma suo padre la presentò comeun poema. Ed è infatti il suo amore e la sua alterezza.Essa gli riempie la casa dello svolazzo vermiglio dellasua vestina e del suo sfringuellìo di scolaretta, e temperacosì l'irrequietezza tormentosa del suo spirito, troppolucido contemplatore delle verità tristi della vita. Forsenoi dobbiamo a lei, o le dovremo, qualche bella scena dicommedia e qualche bella pagina di romanzo, che saràscritta su quel gran tavolo verde, all'eco della sua voce.E se ciò non fosse, le dovremmo almeno questo piacere:di poter mettere una sfumatura color di rosa sopra ilritratto di suo padre.

[142]

***

Ad Alessandro Dumas figlio fa un contrastosingolarissimo Emilio Augier. Questi è tutto francese,anzi genuinamente parigino, anche d'aspetto. È alto eglipure, benchè un po' meno del Dumas; ha unacorporatura possente ed elegante di gentiluomo vissutofra le armi, e una testa all'Enrico IV; è bello, gaio,buono, sempre d'un umore, e porta la sua celebrità noncome un manto, ma come un fiore all'occhiello. Ora non

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alta alta e leggera da smoverla con un soffio, con unvisetto di bambola grazioso e ridente, con certi attini dicapo da rondinella, e una voce che pareva il mormoriod'un filo d'acqua: un abbozzino di damigella, insomma,ancora tutta odorosa d'infanzia, lunga ed esile comeun'ode in versi quinarii. Ma suo padre la presentò comeun poema. Ed è infatti il suo amore e la sua alterezza.Essa gli riempie la casa dello svolazzo vermiglio dellasua vestina e del suo sfringuellìo di scolaretta, e temperacosì l'irrequietezza tormentosa del suo spirito, troppolucido contemplatore delle verità tristi della vita. Forsenoi dobbiamo a lei, o le dovremo, qualche bella scena dicommedia e qualche bella pagina di romanzo, che saràscritta su quel gran tavolo verde, all'eco della sua voce.E se ciò non fosse, le dovremmo almeno questo piacere:di poter mettere una sfumatura color di rosa sopra ilritratto di suo padre.

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***

Ad Alessandro Dumas figlio fa un contrastosingolarissimo Emilio Augier. Questi è tutto francese,anzi genuinamente parigino, anche d'aspetto. È alto eglipure, benchè un po' meno del Dumas; ha unacorporatura possente ed elegante di gentiluomo vissutofra le armi, e una testa all'Enrico IV; è bello, gaio,buono, sempre d'un umore, e porta la sua celebrità noncome un manto, ma come un fiore all'occhiello. Ora non

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è più l'Augier d'una volta; non perchè sia moltoinvecchiato, ma perchè s'è quetato. Chi lo conobbe nelsuo buon tempo, quando aveva una bella capigliaturanera e inanellata, e le guancie rosee, dice ch'era unuomo veramente seducente; d'un [143] umore non soloallegro, ma gioioso; una natura felice e straripante,piena di quella bella baldanza giovanile, che, invece dioffendere, affascina, perchè non nasce da orgoglio, mada esuberanza di vita e di contentezza. Era il Francescoprimo della letteratura, dicono; un'anima ardita, brillantee amorosa; un misto mirabile, come fu detto delle suecommedie, d'esprit et d'âme, d'émotion et de gaîté;amato dagli amici, adorato dalle donne, prediletto daigrandi, cercato e festeggiato da tutti e da per tutto; cheportava, dovunque apparisse, un soffio ardente digioventù e di piacere, e passava la vita in mezzo agliapplausi, alle risa, ai baci, agli onori, alle invidie, tuttosuperando e dominando con la sua gagliarda natura dicolosso benigno, alto tanto da poter camminare atraverso a tutti i piaceri e a tutte le miserie del mondo,tenendo sempre la fronte nell'arte.

A un certo punto scomparve dalla festa, e diventò ilpiù raccolto e il più casalingo dei poeti drammatici.Quello che si vede ora è un secondo [144] Augier, atraverso al quale traspare ancora il primo, mavagamente, come certe scene luminose di teatro dietro aquei teloni sottili che scendono improvvisamente sulpalcoscenico, trasportando gli spettatori dal tumultod'un ballo nel silenzio d'una casa privata. A vederlo ora

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è più l'Augier d'una volta; non perchè sia moltoinvecchiato, ma perchè s'è quetato. Chi lo conobbe nelsuo buon tempo, quando aveva una bella capigliaturanera e inanellata, e le guancie rosee, dice ch'era unuomo veramente seducente; d'un [143] umore non soloallegro, ma gioioso; una natura felice e straripante,piena di quella bella baldanza giovanile, che, invece dioffendere, affascina, perchè non nasce da orgoglio, mada esuberanza di vita e di contentezza. Era il Francescoprimo della letteratura, dicono; un'anima ardita, brillantee amorosa; un misto mirabile, come fu detto delle suecommedie, d'esprit et d'âme, d'émotion et de gaîté;amato dagli amici, adorato dalle donne, prediletto daigrandi, cercato e festeggiato da tutti e da per tutto; cheportava, dovunque apparisse, un soffio ardente digioventù e di piacere, e passava la vita in mezzo agliapplausi, alle risa, ai baci, agli onori, alle invidie, tuttosuperando e dominando con la sua gagliarda natura dicolosso benigno, alto tanto da poter camminare atraverso a tutti i piaceri e a tutte le miserie del mondo,tenendo sempre la fronte nell'arte.

A un certo punto scomparve dalla festa, e diventò ilpiù raccolto e il più casalingo dei poeti drammatici.Quello che si vede ora è un secondo [144] Augier, atraverso al quale traspare ancora il primo, mavagamente, come certe scene luminose di teatro dietro aquei teloni sottili che scendono improvvisamente sulpalcoscenico, trasportando gli spettatori dal tumultod'un ballo nel silenzio d'una casa privata. A vederlo ora

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nel suo bel salotto di via di Clichy, affondato in unagrande poltrona, vestito alla diavola, con la sua grantesta calva, rosso nel viso, grasso, con gli occhi un po'rimpiccioliti, e pieni di dolce quiete, con quel sorrisobenevolmente canzonatorio, con quei gesti larghi eriposati, ha l'aria d'un buon borghese opulento, d'unbuon padre di famiglia che abbia dato un collocamentoonesto a tutti i figliuoli, e non faccia più altra parte almondo che quella di spettatore soddisfatto. Mas'indovina ancora della forza sotto a quella quietudine digiubilato, e si capisce alla prima che non è lagiubilazione d'un segretario invecchiato tra i protocolli,ma il riposo d'un generale d'armata, un po' strapazzatodalle campagne, ma pronto a rimontare [145] a cavallo, sela necessità si presenta o il capriccio lo piglia.

Eppure, nonostante la sua bella testa, c'è non so chenel suo aspetto che non corrisponde intieramenteall'immagine che ci formiamo dell'Augier. È lui; ma nontutto. Non si direbbe, vedendolo, che sono opera sua igrandi colpi di scena di Diane, gli slanci terribili dipassione di Paul Forestier, la disperazione straziante delPommeau nelle Lionnes pauvres, e quelle anime dannatedel D'Estrigaud e d'Olympe, e tutte quelle scene potentiche mettono i brividi nelle ossa, e nello stesso temposuscitano e comprimono un'onda di pianto ardente nelcuore. Pare che debba averle scritte un altro Augier,nascosto in lui, che salti su e si manifesti solamentenelle grandi occasioni. Quello che si capisce subito dalsuo viso è il signor Poirier, il signor Maréchal, il signor

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nel suo bel salotto di via di Clichy, affondato in unagrande poltrona, vestito alla diavola, con la sua grantesta calva, rosso nel viso, grasso, con gli occhi un po'rimpiccioliti, e pieni di dolce quiete, con quel sorrisobenevolmente canzonatorio, con quei gesti larghi eriposati, ha l'aria d'un buon borghese opulento, d'unbuon padre di famiglia che abbia dato un collocamentoonesto a tutti i figliuoli, e non faccia più altra parte almondo che quella di spettatore soddisfatto. Mas'indovina ancora della forza sotto a quella quietudine digiubilato, e si capisce alla prima che non è lagiubilazione d'un segretario invecchiato tra i protocolli,ma il riposo d'un generale d'armata, un po' strapazzatodalle campagne, ma pronto a rimontare [145] a cavallo, sela necessità si presenta o il capriccio lo piglia.

Eppure, nonostante la sua bella testa, c'è non so chenel suo aspetto che non corrisponde intieramenteall'immagine che ci formiamo dell'Augier. È lui; ma nontutto. Non si direbbe, vedendolo, che sono opera sua igrandi colpi di scena di Diane, gli slanci terribili dipassione di Paul Forestier, la disperazione straziante delPommeau nelle Lionnes pauvres, e quelle anime dannatedel D'Estrigaud e d'Olympe, e tutte quelle scene potentiche mettono i brividi nelle ossa, e nello stesso temposuscitano e comprimono un'onda di pianto ardente nelcuore. Pare che debba averle scritte un altro Augier,nascosto in lui, che salti su e si manifesti solamentenelle grandi occasioni. Quello che si capisce subito dalsuo viso è il signor Poirier, il signor Maréchal, il signor

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Fourchambault, il signor Adolfo di Beaubourg, il maritodi Gabriella, il fratello dell'Avventuriera; sono i suoipadri di famiglia, [146] buoni e galantuomini in fondo,benchè con qualche baco nella coscienza, i suoigiovanotti cavallereschi che vogliono arruolarsi neglizuavi quando scuoprono una macchia nella famiglia, lesue ragazze ricche che cercano l'amore d'un povero, iPiladi affettuosi e devoti dei suoi Oresti imprudenti; edanche la cura amorosa e paziente con cui ha cesellato isuoi dialoghi, così squisitamente arguti e prettamentefrancesi, - i suoi bei distici limpidi e facili, - quellaschietta vena di poesia che si fa sentire senza farsivedere, - il buon senso, insomma, il buon gusto e i buoniversi, come gli dissero all'Accademia, - e quell'aura dionestà, di bontà e di gentilezza che spira da un capoall'altro delle sue commedie, siano gaie o tristi oterribili, e che conforta il cuore, come l'eco d'una musicasommessa che ci giunga all'orecchio insieme alle paroledei personaggi.

Quella bella e quasi famigliare spontaneità che è nellasua poesia, è pure nella sua indole e nei suoi modi. Nonsi può immaginare una garbatezza [147] più amichevoledella sua nel ricevere gli sconosciuti. Verrebbe tantonaturale, dopo essere stati un quarto d'ora con lui per laprima volta, di dire al primo incontrato: - Sono statodall'amico Augier. - L'alterezza non sarebbe in lui cheun giusto sentimento di sè; ma per trovargliela, comedicono i suoi amici intimi, bisogna andargliela a cercarcoll'uncino proprio in fondo all'anima, sotto a un tesoro

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Fourchambault, il signor Adolfo di Beaubourg, il maritodi Gabriella, il fratello dell'Avventuriera; sono i suoipadri di famiglia, [146] buoni e galantuomini in fondo,benchè con qualche baco nella coscienza, i suoigiovanotti cavallereschi che vogliono arruolarsi neglizuavi quando scuoprono una macchia nella famiglia, lesue ragazze ricche che cercano l'amore d'un povero, iPiladi affettuosi e devoti dei suoi Oresti imprudenti; edanche la cura amorosa e paziente con cui ha cesellato isuoi dialoghi, così squisitamente arguti e prettamentefrancesi, - i suoi bei distici limpidi e facili, - quellaschietta vena di poesia che si fa sentire senza farsivedere, - il buon senso, insomma, il buon gusto e i buoniversi, come gli dissero all'Accademia, - e quell'aura dionestà, di bontà e di gentilezza che spira da un capoall'altro delle sue commedie, siano gaie o tristi oterribili, e che conforta il cuore, come l'eco d'una musicasommessa che ci giunga all'orecchio insieme alle paroledei personaggi.

Quella bella e quasi famigliare spontaneità che è nellasua poesia, è pure nella sua indole e nei suoi modi. Nonsi può immaginare una garbatezza [147] più amichevoledella sua nel ricevere gli sconosciuti. Verrebbe tantonaturale, dopo essere stati un quarto d'ora con lui per laprima volta, di dire al primo incontrato: - Sono statodall'amico Augier. - L'alterezza non sarebbe in lui cheun giusto sentimento di sè; ma per trovargliela, comedicono i suoi amici intimi, bisogna andargliela a cercarcoll'uncino proprio in fondo all'anima, sotto a un tesoro

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di bonarietà e d'indulgenza. Mai al mondo sipenserebbe, a sentirlo discorrere così pacatamente,come un buon massaio, di mille bazzecole di casa,voltandosi ogni momento a domandare il parere alla suasignora, bella ancora d'una certa bellezza amorevole eplacida, benchè poco meno attempata di lui, chequell'onesto e assennato capo di casa, porta intorno allatesta la gloria più difficile, più invidiata, piùsmaniosamente e tormentosamente cercata nel campoimmenso dell'arte. Egli ama la quiete del suo guscio, isuoi buoni comodi, e come disse nelle sue belle poesieLes pariétaires:

[148]

Un foyer où pétille un fagot de genêts,De la bière, une pipe, et, dessus toute chose,Des compagnons qu'on aime, avec lesquels on causeBien avant dans la nuit, le pied sur les chenets;

e le cenette senza chiasso, la musica del Rossini, i paesaggi del Vatteau, e i buoni incassi dopo i buoni successi, e la gloria, senza dubbio, ma un po' da lontano,senza sentirne i fumi e i clamori. Le commedie che fece con la collaborazione di qualche amico, le immaginò e le discusse quasi sempre accanto al fuoco, coi piedi sugli alari, contento di veder biancheggiare a traverso ai vetri il tetto della casa vicina, carico di neve. La sera, mentre i teatri di Parigi, di Vienna, di Roma, di Londra, di Madrid, risuonano tutti ad un tempo, come accade non di rado, degli applausi provocati dalle sue creazioni,

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di bonarietà e d'indulgenza. Mai al mondo sipenserebbe, a sentirlo discorrere così pacatamente,come un buon massaio, di mille bazzecole di casa,voltandosi ogni momento a domandare il parere alla suasignora, bella ancora d'una certa bellezza amorevole eplacida, benchè poco meno attempata di lui, chequell'onesto e assennato capo di casa, porta intorno allatesta la gloria più difficile, più invidiata, piùsmaniosamente e tormentosamente cercata nel campoimmenso dell'arte. Egli ama la quiete del suo guscio, isuoi buoni comodi, e come disse nelle sue belle poesieLes pariétaires:

[148]

Un foyer où pétille un fagot de genêts,De la bière, une pipe, et, dessus toute chose,Des compagnons qu'on aime, avec lesquels on causeBien avant dans la nuit, le pied sur les chenets;

e le cenette senza chiasso, la musica del Rossini, i paesaggi del Vatteau, e i buoni incassi dopo i buoni successi, e la gloria, senza dubbio, ma un po' da lontano,senza sentirne i fumi e i clamori. Le commedie che fece con la collaborazione di qualche amico, le immaginò e le discusse quasi sempre accanto al fuoco, coi piedi sugli alari, contento di veder biancheggiare a traverso ai vetri il tetto della casa vicina, carico di neve. La sera, mentre i teatri di Parigi, di Vienna, di Roma, di Londra, di Madrid, risuonano tutti ad un tempo, come accade non di rado, degli applausi provocati dalle sue creazioni,

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egli è là nel suo cantuccio, insaccato in un giacchettone da padre nobile, che gioca beatamente alle carte con madama Emilio Augier, appassionandosi nei momenti [149] critici, come se giocasse un atto di commedia per partita, secondo l'uso di Ulisse Barbieri. E tutti i suoi gusti sono semplici ad un modo. Fino a due anni fa ebbela passione delle pipe, e ne possedeva una grande collezione, che andava annerendo amorosamente, tutte ad un tempo, mediante una ripartizione sapientemente regolata dalle sue cure.

Ma benchè paia così tutto di casa, e quasi incurantedella sua gloria, sente però gentilissimamente letestimonianze d'ammirazione delle persone più umili, epreferisce appunto quelle soddisfazioni d'amor proprio,alle quali pare che dovrebb'essere più indifferente. Lorallegra per tutta una serata una bambina di dieci anniche gli dice ingennamente: - Sapete, père Augier, mipiace molto Maître Guérin; - e lo sguardo curioso eaffettuoso dello straniero che lo vede per la prima voltagli fa splendere negli occhi una bontà e una contentezzad'artista di vent'anni, accarezzato dalla prima lode.Bisogna vedere con [150] che compiacenza, come se fosseuna cosa straordinaria per lui, mostra l'album difotografie dei Fourchambault, che gli mandò ilPietriboni, e che egli tiene sul tavolino del salotto. -Questi sono capocomici gentili - dice; - in Francia,invece, mi fanno fischiare,... come a Lione. - Ma i fischidi Lione non devono aver turbato menomamente i suoiplacidissimi sonni. Egli ha l'aria d'un uomo che non

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egli è là nel suo cantuccio, insaccato in un giacchettone da padre nobile, che gioca beatamente alle carte con madama Emilio Augier, appassionandosi nei momenti [149] critici, come se giocasse un atto di commedia per partita, secondo l'uso di Ulisse Barbieri. E tutti i suoi gusti sono semplici ad un modo. Fino a due anni fa ebbela passione delle pipe, e ne possedeva una grande collezione, che andava annerendo amorosamente, tutte ad un tempo, mediante una ripartizione sapientemente regolata dalle sue cure.

Ma benchè paia così tutto di casa, e quasi incurantedella sua gloria, sente però gentilissimamente letestimonianze d'ammirazione delle persone più umili, epreferisce appunto quelle soddisfazioni d'amor proprio,alle quali pare che dovrebb'essere più indifferente. Lorallegra per tutta una serata una bambina di dieci anniche gli dice ingennamente: - Sapete, père Augier, mipiace molto Maître Guérin; - e lo sguardo curioso eaffettuoso dello straniero che lo vede per la prima voltagli fa splendere negli occhi una bontà e una contentezzad'artista di vent'anni, accarezzato dalla prima lode.Bisogna vedere con [150] che compiacenza, come se fosseuna cosa straordinaria per lui, mostra l'album difotografie dei Fourchambault, che gli mandò ilPietriboni, e che egli tiene sul tavolino del salotto. -Questi sono capocomici gentili - dice; - in Francia,invece, mi fanno fischiare,... come a Lione. - Ma i fischidi Lione non devono aver turbato menomamente i suoiplacidissimi sonni. Egli ha l'aria d'un uomo che non

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abbia mai sentito certi dispiaceri per una specie dipigrizia del cuore che non voglia scomodarsi nè per legioie nè per le noie. Una voluttuosa pigrizia è il fondodella sua natura. È strano a dirsi, mentre son là ottovolumi di commedie, in ciascuno dei quali soncondensati otto romanzi, e che portano tutti l'improntad'un lavoro accuratissimo d'intreccio e di stile. Eppure ècosì: non è un lavoratore di istinto. Ogni sua produzioneteatrale è stata un gigantesco sforzo della sua volontàcontro la sua natura, tanto che anche nel tempo della suamaggiore operosità intellettuale, dovette sempre, perriuscire a fare una [151] commedia, cogliere a volo ilmomento più favorevole, afferrarvisi con tutte le forze,tremando che gli sfuggisse, e da quel momento lavorarecon l'arco dell'osso fino alla fine, senza arrestarsi mai,per mesi e per mesi, di notte e di giorno, mangiando ascappa e fuggi, non vedendo nessuno e non udendoparlar d'altro, come un recluso o un maniaco; poichèsapeva certissimamente che la violenza che avrebbedovuto fare a sè stesso per rimettersi al lavoro dopo unasola giornata di sosta, sarebbe stata superiore alle sueforze. - Per poter fare una commedia - dice - ho sempredovuto seppellirmici dentro. - Si stancava; ma quand'erastanco, l'eccitavano il tabacco e la musica. Disteso sopraun canapè, con la testa appoggiata sulla spalliera, e losguardo vagabondo dietro ai nuvoli del fumo, mentre lesue sorelle, nella stanza accanto, suonavano sulpianoforte la sua musica prediletta, in uno stato così dimezza ebbrezza e di abbandono, egli fantasticava le più

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abbia mai sentito certi dispiaceri per una specie dipigrizia del cuore che non voglia scomodarsi nè per legioie nè per le noie. Una voluttuosa pigrizia è il fondodella sua natura. È strano a dirsi, mentre son là ottovolumi di commedie, in ciascuno dei quali soncondensati otto romanzi, e che portano tutti l'improntad'un lavoro accuratissimo d'intreccio e di stile. Eppure ècosì: non è un lavoratore di istinto. Ogni sua produzioneteatrale è stata un gigantesco sforzo della sua volontàcontro la sua natura, tanto che anche nel tempo della suamaggiore operosità intellettuale, dovette sempre, perriuscire a fare una [151] commedia, cogliere a volo ilmomento più favorevole, afferrarvisi con tutte le forze,tremando che gli sfuggisse, e da quel momento lavorarecon l'arco dell'osso fino alla fine, senza arrestarsi mai,per mesi e per mesi, di notte e di giorno, mangiando ascappa e fuggi, non vedendo nessuno e non udendoparlar d'altro, come un recluso o un maniaco; poichèsapeva certissimamente che la violenza che avrebbedovuto fare a sè stesso per rimettersi al lavoro dopo unasola giornata di sosta, sarebbe stata superiore alle sueforze. - Per poter fare una commedia - dice - ho sempredovuto seppellirmici dentro. - Si stancava; ma quand'erastanco, l'eccitavano il tabacco e la musica. Disteso sopraun canapè, con la testa appoggiata sulla spalliera, e losguardo vagabondo dietro ai nuvoli del fumo, mentre lesue sorelle, nella stanza accanto, suonavano sulpianoforte la sua musica prediletta, in uno stato così dimezza ebbrezza e di abbandono, egli fantasticava le più

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belle scene del Figlio di Giboyer e della Pierre de [152]

touche, e quando sentiva l'idea matura, saltava atavolino e ci rimaneva delle mezze giornate senza alzarela testa. Quando poi aveva terminato, si abbandonavaper parecchi mesi a un ozio beato, non turbato neppuredalla lettura della gazzetta, al piacere delle passeggiatesenza scopo e delle chiacchierate capricciose einterminabili con gli amici intimi, e cercavacontinuamente d'illudersi che quel paradiso dovessedurare per sempre; e lo atterriva l'idea di dover presto otardi ritornare alla catena dell'arte. Senonchè questamaniera di lavorare gli fece danno, specialmente agliocchi, tanto che ora non può più lavorare che la mattinadi levata e per non più di due ore. - Nondimeno - eglidice, - provate a lavorare anche due sole ore, ma diseguito, e ogni giorno impreteribilmente; rimarretemeravigliati di quanto avrete fatto in capo a un mese.Una gran parte di lavoro, in quelle grandi sfuriate, vaperduta; mentre quel che si fa in due ore, a mente fresca,è tutto lavoro che rimane. - Ma anche nei tempi andati,durante [153] quelle lunghe fatiche non interrotte, egliebbe sempre un modo quieto e per così dir composto dilavorare. Ha fatto violenza ai suoi nervi piuttosto che alsuo ingegno. Ne forçons pas notre talent, è la massima acui s'è sempre attenuto. Mettendosi a scrivere unacommedia non s'è mai proposto di far meglio che pelpassato, ad ogni costo, come molti si propongono; masemplicemente di far bene, senza stimolarsi coiconfronti, che turbano sovente e fuorviano. Non volle

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belle scene del Figlio di Giboyer e della Pierre de [152]

touche, e quando sentiva l'idea matura, saltava atavolino e ci rimaneva delle mezze giornate senza alzarela testa. Quando poi aveva terminato, si abbandonavaper parecchi mesi a un ozio beato, non turbato neppuredalla lettura della gazzetta, al piacere delle passeggiatesenza scopo e delle chiacchierate capricciose einterminabili con gli amici intimi, e cercavacontinuamente d'illudersi che quel paradiso dovessedurare per sempre; e lo atterriva l'idea di dover presto otardi ritornare alla catena dell'arte. Senonchè questamaniera di lavorare gli fece danno, specialmente agliocchi, tanto che ora non può più lavorare che la mattinadi levata e per non più di due ore. - Nondimeno - eglidice, - provate a lavorare anche due sole ore, ma diseguito, e ogni giorno impreteribilmente; rimarretemeravigliati di quanto avrete fatto in capo a un mese.Una gran parte di lavoro, in quelle grandi sfuriate, vaperduta; mentre quel che si fa in due ore, a mente fresca,è tutto lavoro che rimane. - Ma anche nei tempi andati,durante [153] quelle lunghe fatiche non interrotte, egliebbe sempre un modo quieto e per così dir composto dilavorare. Ha fatto violenza ai suoi nervi piuttosto che alsuo ingegno. Ne forçons pas notre talent, è la massima acui s'è sempre attenuto. Mettendosi a scrivere unacommedia non s'è mai proposto di far meglio che pelpassato, ad ogni costo, come molti si propongono; masemplicemente di far bene, senza stimolarsi coiconfronti, che turbano sovente e fuorviano. Non volle

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mai pigliare il suo soggetto con un assalto furioso; macosì, a poco a poco: tender prima l'orecchio ai suonisparsi ed incerti dell'ispirazione, che sono come unpreludio lontano dell'opera; girare lentamente intornoalla idea ancora confusa, per scoprirne l'una dopo l'altratutte le faccie; tentare e ritentare le difficoltà, senzaimpazientarsi degli esperimenti inutili; sforzarsi dimantenere la mente serena, per quanto è possibile,anche quando l'animo è agitato; e non arrischiarsi mai inuna parte vitale e pericolosa del lavoro prima d'averpreparato [154] coscienziosamente tutti i mezzi necessariia riuscirvi. - La contemplazione tranquilla del proprioargomento, come diceva il Manzoni. - Così non ha maimolto corretto perchè prima di scrivere ha sempre moltovoltato e rivoltato nella mente l'idea, la frase e la parola.

Ma nel corso del lavoro, lo confessa, il suo piùpotente stimolo è sempre stato l'idea dell'infinitaconsolazione che avrebbe provato terminando. Escherza sovente su questa sua pigrizia, moltolepidamente. Passò cinquant'anni della sua vita, peresempio, senza aver visto un'aurora. Un giornofinalmente disse a sè stesso: - In questo stato non si puòdurare. Invecchio. Andarmene senza aver visto unospettacolo di cui si raccontano tante meraviglie, sarebbeun obbrobrio. Bisogna vedere una aurora. - E si mise afare delle démarches per procurarsi questa consolazione.Ma fu sempre disgraziato. Salì due volte sul MonteRighi, e ci trovò due volte una nebbia che s'affettava; silevò presto in campagna e fu [155] ricacciato in casa dalla

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mai pigliare il suo soggetto con un assalto furioso; macosì, a poco a poco: tender prima l'orecchio ai suonisparsi ed incerti dell'ispirazione, che sono come unpreludio lontano dell'opera; girare lentamente intornoalla idea ancora confusa, per scoprirne l'una dopo l'altratutte le faccie; tentare e ritentare le difficoltà, senzaimpazientarsi degli esperimenti inutili; sforzarsi dimantenere la mente serena, per quanto è possibile,anche quando l'animo è agitato; e non arrischiarsi mai inuna parte vitale e pericolosa del lavoro prima d'averpreparato [154] coscienziosamente tutti i mezzi necessariia riuscirvi. - La contemplazione tranquilla del proprioargomento, come diceva il Manzoni. - Così non ha maimolto corretto perchè prima di scrivere ha sempre moltovoltato e rivoltato nella mente l'idea, la frase e la parola.

Ma nel corso del lavoro, lo confessa, il suo piùpotente stimolo è sempre stato l'idea dell'infinitaconsolazione che avrebbe provato terminando. Escherza sovente su questa sua pigrizia, moltolepidamente. Passò cinquant'anni della sua vita, peresempio, senza aver visto un'aurora. Un giornofinalmente disse a sè stesso: - In questo stato non si puòdurare. Invecchio. Andarmene senza aver visto unospettacolo di cui si raccontano tante meraviglie, sarebbeun obbrobrio. Bisogna vedere una aurora. - E si mise afare delle démarches per procurarsi questa consolazione.Ma fu sempre disgraziato. Salì due volte sul MonteRighi, e ci trovò due volte una nebbia che s'affettava; silevò presto in campagna e fu [155] ricacciato in casa dalla

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pioggia; fece la sentinella molte volte, come guardianazionale, nel Bosco di Boulogne, durante l'assedio,nelle prime ore della giornata, e gli toccò sempre uncielo da venerdì santo. Cominciava a disperare dellariuscita, e n'era addolorato e avvilito. Finalmente, pochesettimane fa, viaggiando per strada ferrata, vide per laprima volta un'aurora. - C'etait joli, en effet; - ma puòdire d'essersela guadagnata. Ne fa anche un po' dicaricatura di questa pigrizia, qualche volta. Ho riso dicuore dello sguardo compassionevole che diede a unamico, il quale esclamava entusiasticamente: - Ah illavoro è la gioia, è la vita! -, e dell'accento comico concui gli domandò: - Ma... lo dite sul serio? - Certo, latendenza ai dolci ozii che aveva da giovane, gli s'èaccresciuta con gli anni. C'è anzi chi crede che nonabbia più scritto commedie in versi da un tempo aquesta parte, non per altro che per scansare la fatica,come dice Dante, di dir le cose per rima: non fece inversi che il Paul Forestier, [156] per velare di poesial'audacia della gran scena del terzo atto fra Lea e il suoamante. Dopo aver scritto in versi nove splendidecommedie, alle quali deve principalmente la sua glorialetteraria, crede ora che sia meglio scrivere in prosa. Aun amico che gli annunziava di voler scrivere unacommedia in versi: - no, no - disse, con un'espressionedi noia, come se avesse dovuto cercargli le rime luistesso; - fatela in prosa: on est bien plus libre, allez. -Ma qualunque sia la ragione di questo suo mutamento digusto, è fuor di dubbio che egli si sente stanco, se non

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pioggia; fece la sentinella molte volte, come guardianazionale, nel Bosco di Boulogne, durante l'assedio,nelle prime ore della giornata, e gli toccò sempre uncielo da venerdì santo. Cominciava a disperare dellariuscita, e n'era addolorato e avvilito. Finalmente, pochesettimane fa, viaggiando per strada ferrata, vide per laprima volta un'aurora. - C'etait joli, en effet; - ma puòdire d'essersela guadagnata. Ne fa anche un po' dicaricatura di questa pigrizia, qualche volta. Ho riso dicuore dello sguardo compassionevole che diede a unamico, il quale esclamava entusiasticamente: - Ah illavoro è la gioia, è la vita! -, e dell'accento comico concui gli domandò: - Ma... lo dite sul serio? - Certo, latendenza ai dolci ozii che aveva da giovane, gli s'èaccresciuta con gli anni. C'è anzi chi crede che nonabbia più scritto commedie in versi da un tempo aquesta parte, non per altro che per scansare la fatica,come dice Dante, di dir le cose per rima: non fece inversi che il Paul Forestier, [156] per velare di poesial'audacia della gran scena del terzo atto fra Lea e il suoamante. Dopo aver scritto in versi nove splendidecommedie, alle quali deve principalmente la sua glorialetteraria, crede ora che sia meglio scrivere in prosa. Aun amico che gli annunziava di voler scrivere unacommedia in versi: - no, no - disse, con un'espressionedi noia, come se avesse dovuto cercargli le rime luistesso; - fatela in prosa: on est bien plus libre, allez. -Ma qualunque sia la ragione di questo suo mutamento digusto, è fuor di dubbio che egli si sente stanco, se non

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invecchiato di ingegno, e che non è più l'ispirazioneimpetuosa d'altri tempi, e come un bisogno della mentee del cuore, la forza che lo spinge a creare. Da parecchianni, ad ogni commedia che fa, dice che sarà l'ultima; esi mise a scrivere i Fourchambault appunto dopo una diqueste solenni dichiarazioni. - Come mai? - glidomandò un amico cogliendolo sul fatto, con l'abbozzodelle prime scene fra mano; vuol dire dunque che si [157]

ricomincia? - Eh santo Iddio - rispose - che cosa volete?Le spese crescono continuamente.

Ma delle sue ragioni intime d'artista è difficile cheparli anche con gli amici più stretti, non per disdegno,ma perchè gli ripugna naturalmente discorrere di sè edelle cose sue come d'affari di Stato. E questaripugnanza «a servire in tavola l'anima propria,» comediceva il Balzac, si riconosce nelle sue liriche, nellequali è rarissimo trovare un verso che getti un po' diluce sopra la sua indole e sopra la sua vita, se non sono iversi d'amore che pure non hanno nulla diprofondamente individuale; e si riconosce anche in ciò,che di tutti gli autori drammatici francesi, è quello chescrisse meno prefazioni, e che, per quanto l'abbiantormentato gli editori del suo teatro completo, non sonriusciti a strappargli un cencio di prosa da attaccare alprimo volume. Lo stesso è per gli autografi e per lebiografie. A un direttore di giornale che gli chiedeva unautografo per la sua gazzetta illustrata, [158] scrisse: - Nonsto bene, vi stringo la mano; - e a un tale che glidomandò notizie per scrivere la sua biografia, rispose: -

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invecchiato di ingegno, e che non è più l'ispirazioneimpetuosa d'altri tempi, e come un bisogno della mentee del cuore, la forza che lo spinge a creare. Da parecchianni, ad ogni commedia che fa, dice che sarà l'ultima; esi mise a scrivere i Fourchambault appunto dopo una diqueste solenni dichiarazioni. - Come mai? - glidomandò un amico cogliendolo sul fatto, con l'abbozzodelle prime scene fra mano; vuol dire dunque che si [157]

ricomincia? - Eh santo Iddio - rispose - che cosa volete?Le spese crescono continuamente.

Ma delle sue ragioni intime d'artista è difficile cheparli anche con gli amici più stretti, non per disdegno,ma perchè gli ripugna naturalmente discorrere di sè edelle cose sue come d'affari di Stato. E questaripugnanza «a servire in tavola l'anima propria,» comediceva il Balzac, si riconosce nelle sue liriche, nellequali è rarissimo trovare un verso che getti un po' diluce sopra la sua indole e sopra la sua vita, se non sono iversi d'amore che pure non hanno nulla diprofondamente individuale; e si riconosce anche in ciò,che di tutti gli autori drammatici francesi, è quello chescrisse meno prefazioni, e che, per quanto l'abbiantormentato gli editori del suo teatro completo, non sonriusciti a strappargli un cencio di prosa da attaccare alprimo volume. Lo stesso è per gli autografi e per lebiografie. A un direttore di giornale che gli chiedeva unautografo per la sua gazzetta illustrata, [158] scrisse: - Nonsto bene, vi stringo la mano; - e a un tale che glidomandò notizie per scrivere la sua biografia, rispose: -

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Son nato nel tal luogo. Ho tanti anni. Non mi è accadutonulla di straordinario. - Nemmeno i suoi più famigliarison mai riusciti a cavarsi la curiosità di sapere quale siala commedia per la quale egli sente più tenerezza dipadre; benchè abbian ragione di supporre che sial'Aventurière, la prima commedia in cui rivelò ingegnomaturo e sicurezza di sè; commedia tutta sua, brillantedi vita da un capo all'altro, e vestita di poesiafreschissima; la quale, se non ebbe alla prima unsuccesso eguale alla Cigüe, perchè rappresentata pochigiorni dopo gli avvenimenti di febbraio del 1848, fuperò quella che portò il suo nome più alto e gli aprì leporte dell'Istituto. Egli non parla nemmeno di letteraturain generale, se non ci è forzato; e i suoi amici affermanoche uno che non lo conoscesse potrebbe fare un viaggiodi tre giorni con lui, senza sentire dalla sua bocca [159]

una sola parola che desse un sospetto lontano dell'essersuo. Se lo tirano per i capelli a discorrere d'arte, lo fa inun modo tutto suo, con un certo linguaggio pratico, dastrapazzo, come un operaio che ragioni del suo mestiere.Non recita il sermoncino preparato, come facevaGustavo Flaubert, se ne può essere sicuri, e non la pigliatanto dall'alto per dimostrare a un contradditore che ilteatro risponde a un istinto dell'uomo: - Oh buon Dio!Guardate i bambini di due anni, che non sanno ancoraparlare, e fanno già la commedia con due pezzi di legno.- E poi cambia discorso.

Non è più il parlatore abbondante e caloroso d'unavolta: non fa per lo più che ascoltare, e quando ha da dir

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Son nato nel tal luogo. Ho tanti anni. Non mi è accadutonulla di straordinario. - Nemmeno i suoi più famigliarison mai riusciti a cavarsi la curiosità di sapere quale siala commedia per la quale egli sente più tenerezza dipadre; benchè abbian ragione di supporre che sial'Aventurière, la prima commedia in cui rivelò ingegnomaturo e sicurezza di sè; commedia tutta sua, brillantedi vita da un capo all'altro, e vestita di poesiafreschissima; la quale, se non ebbe alla prima unsuccesso eguale alla Cigüe, perchè rappresentata pochigiorni dopo gli avvenimenti di febbraio del 1848, fuperò quella che portò il suo nome più alto e gli aprì leporte dell'Istituto. Egli non parla nemmeno di letteraturain generale, se non ci è forzato; e i suoi amici affermanoche uno che non lo conoscesse potrebbe fare un viaggiodi tre giorni con lui, senza sentire dalla sua bocca [159]

una sola parola che desse un sospetto lontano dell'essersuo. Se lo tirano per i capelli a discorrere d'arte, lo fa inun modo tutto suo, con un certo linguaggio pratico, dastrapazzo, come un operaio che ragioni del suo mestiere.Non recita il sermoncino preparato, come facevaGustavo Flaubert, se ne può essere sicuri, e non la pigliatanto dall'alto per dimostrare a un contradditore che ilteatro risponde a un istinto dell'uomo: - Oh buon Dio!Guardate i bambini di due anni, che non sanno ancoraparlare, e fanno già la commedia con due pezzi di legno.- E poi cambia discorso.

Non è più il parlatore abbondante e caloroso d'unavolta: non fa per lo più che ascoltare, e quando ha da dir

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qualche cosa, se può cavarsela con una mezza parola ocon un gesto espressivo, ne par contentissimo. Solo diquando in quando, una o due volte per sera, si anima apoco a poco, svolgendo un aneddoto, e allora spiega unvivacissimo senso comico, molieriano, largo e di buona[160] vena, sostenuto da un buon riso di petto, grasso, chedà gusto a sentirlo, e da una bella voce rotonda di bassobaritonale, che empie la sala; e nel calore del discorso,gesticolando come un attore eccitato, alza la sua nobilee poderosa figura di artista, in maniera che par di vederrisorgere l'Augier antico, quando declamò quellaappassionata apologia del Lamartine all'Accademia. Poitorna a inchiodarsi sulla sua poltrona e a chiudersi nelsuo silenzio; e a vederlo così muto, quando passa la suamano signorile sulla testa calva, cogli occhi fissi allavolta e vagamente sorridenti, si indovina che gliattraversano la mente le platee tumultuose delle primerappresentazioni, e i banchetti trionfali, e i superbiamori, e tutte le avventure inebbrianti della suagiovinezza di principe.

Anche nel poco che dice, però, con quell'apparenza ditrascuratezza, come se il parlare lo faticasse, c'è ilpregio che si trova nei dialoghi delle sue commedie:ogni parola ha un valore, [161] ogni menoma cosa èespressa in una forma stretta ed arguta, che rivelal'abitudine di sfrondare il discorso per far più rapidal'azione. Era un divertimento, per esempio, sentire conche brevità e con che efficacia di termini descriveva aduno ad uno, comicissimamente, gli attori che debbono

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qualche cosa, se può cavarsela con una mezza parola ocon un gesto espressivo, ne par contentissimo. Solo diquando in quando, una o due volte per sera, si anima apoco a poco, svolgendo un aneddoto, e allora spiega unvivacissimo senso comico, molieriano, largo e di buona[160] vena, sostenuto da un buon riso di petto, grasso, chedà gusto a sentirlo, e da una bella voce rotonda di bassobaritonale, che empie la sala; e nel calore del discorso,gesticolando come un attore eccitato, alza la sua nobilee poderosa figura di artista, in maniera che par di vederrisorgere l'Augier antico, quando declamò quellaappassionata apologia del Lamartine all'Accademia. Poitorna a inchiodarsi sulla sua poltrona e a chiudersi nelsuo silenzio; e a vederlo così muto, quando passa la suamano signorile sulla testa calva, cogli occhi fissi allavolta e vagamente sorridenti, si indovina che gliattraversano la mente le platee tumultuose delle primerappresentazioni, e i banchetti trionfali, e i superbiamori, e tutte le avventure inebbrianti della suagiovinezza di principe.

Anche nel poco che dice, però, con quell'apparenza ditrascuratezza, come se il parlare lo faticasse, c'è ilpregio che si trova nei dialoghi delle sue commedie:ogni parola ha un valore, [161] ogni menoma cosa èespressa in una forma stretta ed arguta, che rivelal'abitudine di sfrondare il discorso per far più rapidal'azione. Era un divertimento, per esempio, sentire conche brevità e con che efficacia di termini descriveva aduno ad uno, comicissimamente, gli attori che debbono

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rappresentare tra poco il suo Mariage d'Olympe alGinnasio; tra i quali la prima attrice, une drôle de petitetête mauvaise, abbozzata apposta per fare quel serpentedi contessa di Puygiron, che avvelena l'aria dove passa;poichè per lui l'attore dev'essere anzi tutto ilpersonaggio fisico che ha da rappresentare, el'enveloppe physique equivale alla metà dell'ingegno. Edha un bell'essere mite e benevolo: si capisce nondimenoche, in altri tempi, doveva essere il malcapitato quelloch'egli pigliava a sforacchiare con la puntadell'epigramma. Sempre lascia trasparire qualche balenodel potente spirito satirico che gli ispirò La langue,quella sfilata di consigli mordacissimi a un avvocato, alquale promette la Francia purchè riesca a parlare [162]

quattr'ore di seguito senza sputare. Ma è rarissimo chese ne valga, anche con parsimonia. Non dice male dinessuno, ed è facilissimo alla lode. Gl'intesi fare uncaloroso elogio, coll'accento d'una irresistibile sincerità,dell'ingegno del Sardou, e non gli udii esprimere ungiudizio crudamente sfavorevole nemmeno sopra i piùinetti raffazzonatori di situazioni rubate. Si dice chealtre volte tartassasse un po' Victor Hugo, per le suespacconate rettoriche (e non è cosa da stupire in unoscrittore, com'è lui, di gusto finissimo e di logicarigorosa); ma ciò non gl'impedì di dedicare all'autoredelle Orientali una graziosissima poesia, nella qualeparlando delle relazioni del poeta con la musa, dice frale altre cose, qu'il lui fait un enfant chaque fois (diciamocosì) qu'il l'embrasse; poesia rimasta inedita, si capisce,

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rappresentare tra poco il suo Mariage d'Olympe alGinnasio; tra i quali la prima attrice, une drôle de petitetête mauvaise, abbozzata apposta per fare quel serpentedi contessa di Puygiron, che avvelena l'aria dove passa;poichè per lui l'attore dev'essere anzi tutto ilpersonaggio fisico che ha da rappresentare, el'enveloppe physique equivale alla metà dell'ingegno. Edha un bell'essere mite e benevolo: si capisce nondimenoche, in altri tempi, doveva essere il malcapitato quelloch'egli pigliava a sforacchiare con la puntadell'epigramma. Sempre lascia trasparire qualche balenodel potente spirito satirico che gli ispirò La langue,quella sfilata di consigli mordacissimi a un avvocato, alquale promette la Francia purchè riesca a parlare [162]

quattr'ore di seguito senza sputare. Ma è rarissimo chese ne valga, anche con parsimonia. Non dice male dinessuno, ed è facilissimo alla lode. Gl'intesi fare uncaloroso elogio, coll'accento d'una irresistibile sincerità,dell'ingegno del Sardou, e non gli udii esprimere ungiudizio crudamente sfavorevole nemmeno sopra i piùinetti raffazzonatori di situazioni rubate. Si dice chealtre volte tartassasse un po' Victor Hugo, per le suespacconate rettoriche (e non è cosa da stupire in unoscrittore, com'è lui, di gusto finissimo e di logicarigorosa); ma ciò non gl'impedì di dedicare all'autoredelle Orientali una graziosissima poesia, nella qualeparlando delle relazioni del poeta con la musa, dice frale altre cose, qu'il lui fait un enfant chaque fois (diciamocosì) qu'il l'embrasse; poesia rimasta inedita, si capisce,

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a cagione di quell'abbraccio. Il solo con cui stia un pocopunta a punta è Alessandro Dumas, l'unico rivale dellasua misura; ma lo punzecchia con una certa benevolenzapaterna, che dà appunto un sapore lepidissimo ai [163]

suoi scherzi; i quali girano d'amico in amico fin chearrivano su quel certo tappeto verde sparso di penned'oca, da cui ritornano al mittente, per la medesima via,rovesciati con quel garbo che si può capire. In fondo,l'uno tratta l'altro con gentile compatimento, come unbon enfant, un giovane d'ingegno, che promette, e chefarà qualche cosa, purchè ci si metta di proposito. Forseil Dumas ride un po' delle «prudenze» dell'Augier, el'Augier delle «pazzie» del Dumas; ecco tutto. Il grandepubblico però ha maggior simpatia per l'Augier, che nonlo piglia mai di punta, e non gli mostra le cornadell'orgoglio, ed ha fama universale di bontà e diplacidezza; e il Dumas lo esperimentò varie volte: allaprima rappresentazione dei Fourchambault, peresempio, a cui assisteva in sedia chiusa, in mezzo amolta gente che applaudiva per fargli dispetto; tanto cheegli perdette la pazienza e disse forte al direttore Perrinche passava: Eh, monsieur Perrin! Quel beau succèsnous faisons à monsieur Augier, n'est-ce pas? - E poiuscendo: - decisamente [164] l'arte è più facile per tuttiche per me. - Ma non c'è vero rancore tra loro, nè ci puòessere a quell'altezza che hanno raggiunto tutti e duesopra la montagna smisurata dell'arte.

Nè giova far dei confronti. Una sola cosa si può diresenza esitazione, ed è che l'Augier è più puramente e più

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a cagione di quell'abbraccio. Il solo con cui stia un pocopunta a punta è Alessandro Dumas, l'unico rivale dellasua misura; ma lo punzecchia con una certa benevolenzapaterna, che dà appunto un sapore lepidissimo ai [163]

suoi scherzi; i quali girano d'amico in amico fin chearrivano su quel certo tappeto verde sparso di penned'oca, da cui ritornano al mittente, per la medesima via,rovesciati con quel garbo che si può capire. In fondo,l'uno tratta l'altro con gentile compatimento, come unbon enfant, un giovane d'ingegno, che promette, e chefarà qualche cosa, purchè ci si metta di proposito. Forseil Dumas ride un po' delle «prudenze» dell'Augier, el'Augier delle «pazzie» del Dumas; ecco tutto. Il grandepubblico però ha maggior simpatia per l'Augier, che nonlo piglia mai di punta, e non gli mostra le cornadell'orgoglio, ed ha fama universale di bontà e diplacidezza; e il Dumas lo esperimentò varie volte: allaprima rappresentazione dei Fourchambault, peresempio, a cui assisteva in sedia chiusa, in mezzo amolta gente che applaudiva per fargli dispetto; tanto cheegli perdette la pazienza e disse forte al direttore Perrinche passava: Eh, monsieur Perrin! Quel beau succèsnous faisons à monsieur Augier, n'est-ce pas? - E poiuscendo: - decisamente [164] l'arte è più facile per tuttiche per me. - Ma non c'è vero rancore tra loro, nè ci puòessere a quell'altezza che hanno raggiunto tutti e duesopra la montagna smisurata dell'arte.

Nè giova far dei confronti. Una sola cosa si può diresenza esitazione, ed è che l'Augier è più puramente e più

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spontaneamente poeta drammatico. È nato per il teatro,non visse che per il teatro: avrebbe forse, se non scritto,immaginato delle commedie, se fosse nato in un duardella Barberia o in un villaggio dell'estrema Siberia.Tutte le forze dell'ingegno e dell'animo lo spingevanoalla poesia drammatica, e vi sarebbe riuscito illustre,anche impiegandovi una minor forza di volontà diquella che v'ha impiegata. Non ha una grande cultura:studiò poco; ma benissimo. I suoi studi circoscritti lifece con passione e con discernimento squisito, in unasola direzione, con un proposito unico, rifuggendo daquella immensa varietà di letture precipitate, cheopprime la mente senza lasciarvi un'impronta; lasciandoin disparte [165] tutto ciò che era certo di non riuscire adappropriarsi in maniera da farsene sangue. Tre cose glioccorrevano sopra tutte: vivere, e ha vissutointensamente in tutte le classi sociali; conoscere il teatromoderno, e se l'è inviscerato; possedere il magisterodella lingua letteraria e maneggiare insuperabilmente lalingua familiare; e non c'è da dire se c'è riuscito. Oltre aquesti limiti ha fatto poca strada. Non credo che conoscaaltro che per nebbia le letterature classiche, nonostantele sue traduzioni d'Orazio e le sue imitazioni d'Alceo; eaveva forse ragione quel critico svizzero che perdifendere l'Augier dall'accusa di aver copiato Plauto,disse ch'era impossibile che l'avesse letto. Così, fuordella letteratura, diversamente da molti altri, non si curòaffatto di raccoglier scienza da portare sul capo come ipennacchi dei cavalli di parata; ha avuto sempre un

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spontaneamente poeta drammatico. È nato per il teatro,non visse che per il teatro: avrebbe forse, se non scritto,immaginato delle commedie, se fosse nato in un duardella Barberia o in un villaggio dell'estrema Siberia.Tutte le forze dell'ingegno e dell'animo lo spingevanoalla poesia drammatica, e vi sarebbe riuscito illustre,anche impiegandovi una minor forza di volontà diquella che v'ha impiegata. Non ha una grande cultura:studiò poco; ma benissimo. I suoi studi circoscritti lifece con passione e con discernimento squisito, in unasola direzione, con un proposito unico, rifuggendo daquella immensa varietà di letture precipitate, cheopprime la mente senza lasciarvi un'impronta; lasciandoin disparte [165] tutto ciò che era certo di non riuscire adappropriarsi in maniera da farsene sangue. Tre cose glioccorrevano sopra tutte: vivere, e ha vissutointensamente in tutte le classi sociali; conoscere il teatromoderno, e se l'è inviscerato; possedere il magisterodella lingua letteraria e maneggiare insuperabilmente lalingua familiare; e non c'è da dire se c'è riuscito. Oltre aquesti limiti ha fatto poca strada. Non credo che conoscaaltro che per nebbia le letterature classiche, nonostantele sue traduzioni d'Orazio e le sue imitazioni d'Alceo; eaveva forse ragione quel critico svizzero che perdifendere l'Augier dall'accusa di aver copiato Plauto,disse ch'era impossibile che l'avesse letto. Così, fuordella letteratura, diversamente da molti altri, non si curòaffatto di raccoglier scienza da portare sul capo come ipennacchi dei cavalli di parata; ha avuto sempre un

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sovrano disprezzo della dottrina di seconda mano, e nons'è mai lasciato tentare a introdurre nelle sue commedieuno di quei personaggi muffosi [166] e pieni dipretensione, i quali sono incaricati di far capire alpubblico che l'autore ha finto degli studi serii. Tuttoquello che ha messo sulle scene è intimamente suo,sinceramente acquistato e profondamente posseduto.Egli non è null'altro che un grande autore drammatico, etale diventò informandosi principalmente alla bellasentenza che si trova nella sua poesia al Ponsard: -l'immortalità si guadagna meditando sulla bellezza. -Non s'occupò mai d'altra cosa. È uno dei pochissimifrancesi, per esempio, - lo dice egli stesso, - che nonamò mai la politica; scienza che è tentato di mettere nelprimo ordine delle scienze inesatte, tra l'alchimia el'astrologia giudiziaria, tante volte gli avvenimentihanno sbugiardato i suoi calcoli più speciosi e i suoiprincipii più opposti. Una volta se n'occupò non dimeno; ma per i suoi fini di autor drammatico. Ha messoun giorno il piede sulla soglia della vita pubblica perstudiare il meccanismo e l'ufficio delle istituzioni delloStato, [167] come un pittore frequenta la clinica perimparare l'anatomia; e gliene rimase un gusto vivo perla medicina sociale, ma senza fargli spinger lo studiopiù in là che non fosse necessario per la sua arte. Eppureil suo ingegno è così fermo, così equilibrato nelle suefacoltà diverse, così largamente fondato sul buon senso,- su quel buon senso degli uomini di genio, come dicevail Lamennais, che non si deve confondere con quello dei

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sovrano disprezzo della dottrina di seconda mano, e nons'è mai lasciato tentare a introdurre nelle sue commedieuno di quei personaggi muffosi [166] e pieni dipretensione, i quali sono incaricati di far capire alpubblico che l'autore ha finto degli studi serii. Tuttoquello che ha messo sulle scene è intimamente suo,sinceramente acquistato e profondamente posseduto.Egli non è null'altro che un grande autore drammatico, etale diventò informandosi principalmente alla bellasentenza che si trova nella sua poesia al Ponsard: -l'immortalità si guadagna meditando sulla bellezza. -Non s'occupò mai d'altra cosa. È uno dei pochissimifrancesi, per esempio, - lo dice egli stesso, - che nonamò mai la politica; scienza che è tentato di mettere nelprimo ordine delle scienze inesatte, tra l'alchimia el'astrologia giudiziaria, tante volte gli avvenimentihanno sbugiardato i suoi calcoli più speciosi e i suoiprincipii più opposti. Una volta se n'occupò non dimeno; ma per i suoi fini di autor drammatico. Ha messoun giorno il piede sulla soglia della vita pubblica perstudiare il meccanismo e l'ufficio delle istituzioni delloStato, [167] come un pittore frequenta la clinica perimparare l'anatomia; e gliene rimase un gusto vivo perla medicina sociale, ma senza fargli spinger lo studiopiù in là che non fosse necessario per la sua arte. Eppureil suo ingegno è così fermo, così equilibrato nelle suefacoltà diverse, così largamente fondato sul buon senso,- su quel buon senso degli uomini di genio, come dicevail Lamennais, che non si deve confondere con quello dei

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portinai, - che in qualunque disciplina si fosseesercitato, vi avrebbe fatto buona prova. E ne fatestimonianza l'unico suo scritto politico, quel brevestudio sulla questione elettorale che pubblicò nel 1864,per proporre il suffragio misto; poche pagine, nellequali, qualunque sia il valore della sua idea, c'è unacognizione così netta di tutti gli elementi e di tutti gliaspetti della quistione, un ragionamento così fortementetessuto, e un'esclusione così sapiente d'ogni ancheminima intromissione delle sue facoltà artistiche -,intromissione che cresce allettamento, ma toglieefficacia [168] morale agli scritti sociali del Dumas, - dafar credere l'autore, a chi non lo conoscesse, un uomotutto politica e amministrazione, che non abbia fatto unverso in vita sua.

E questo alto buon senso, quest'armonia mirabiledell'immaginazione e del raziocinio, del sentimentopoetico e dell'esperienza della vita, che si rivela nellesue opere letterarie, si rivela in tutti i suoi atti e in tutti isuoi discorsi. Nulla egli perde a conoscerlo in casa dopoaverlo applaudito al teatro. Lo si trova sensato e poetico,forte e affettuoso, profondo e semplice in ogni cosa.Non ha figli; ma una corona di nipoti, che lo amano e loaccarezzano come un padre e lo trattano con un misto difamigliarità, di riverenza, di gaiezza e di terroreartistico, carissimo a vedersi. Ha una villa a Croissy,vicino Chatou, in un luogo dove fece lui fabbricar laprima casa e piantare i primi alberi; in grazia di che fudato il suo nome ad una strada; e dire Emilio Augier fra

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portinai, - che in qualunque disciplina si fosseesercitato, vi avrebbe fatto buona prova. E ne fatestimonianza l'unico suo scritto politico, quel brevestudio sulla questione elettorale che pubblicò nel 1864,per proporre il suffragio misto; poche pagine, nellequali, qualunque sia il valore della sua idea, c'è unacognizione così netta di tutti gli elementi e di tutti gliaspetti della quistione, un ragionamento così fortementetessuto, e un'esclusione così sapiente d'ogni ancheminima intromissione delle sue facoltà artistiche -,intromissione che cresce allettamento, ma toglieefficacia [168] morale agli scritti sociali del Dumas, - dafar credere l'autore, a chi non lo conoscesse, un uomotutto politica e amministrazione, che non abbia fatto unverso in vita sua.

E questo alto buon senso, quest'armonia mirabiledell'immaginazione e del raziocinio, del sentimentopoetico e dell'esperienza della vita, che si rivela nellesue opere letterarie, si rivela in tutti i suoi atti e in tutti isuoi discorsi. Nulla egli perde a conoscerlo in casa dopoaverlo applaudito al teatro. Lo si trova sensato e poetico,forte e affettuoso, profondo e semplice in ogni cosa.Non ha figli; ma una corona di nipoti, che lo amano e loaccarezzano come un padre e lo trattano con un misto difamigliarità, di riverenza, di gaiezza e di terroreartistico, carissimo a vedersi. Ha una villa a Croissy,vicino Chatou, in un luogo dove fece lui fabbricar laprima casa e piantare i primi alberi; in grazia di che fudato il suo nome ad una strada; e dire Emilio Augier fra

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la gente di quel paese, è come dire padre [169] della patriae imperatore del teatro. Vicino alla sua ci sono le villedelle sue sorelle. Quando ha una commedia da scrivere,o una scena da rivedere per una ripresa, scappa daParigi col suo scartafaccio, e va a rifugiarsi nella suapalazzina tranquilla, che si specchia nella Senna, infaccia a un antico castello della Dubarry. Di là, tra unatto e l'altro, fa una corsa in casa dei nipoti, i qualifesteggiano dal terrazzo ogni sua apparizione, come unanidiata d'ammiratori plaudenti dal palchetto d'un teatro.In questa nidiata ci sono due signorine di sedici anni,Paolo Déroulède, autore dei famosi Chants du soldats,un capitano d'artiglieria decorato della medaglia alvalore, e un giovane Guiard, che sarà forse una gloriadel teatro francese: un gruppo di belle persone, di belleanime e di begl'ingegni. L'Augier, si capisce, ha unagrande simpatia per il suo Paul, saltato su tutt'a un trattocon cinquanta edizioni di un volumetto di liriche. Ilgiorno che uscirono i suoi Chants du soldat gli disse: -Bravo Paolo! Ora hai finito d'essere [170] mio nipote. -Ma tanto, un po' per affetto e un po' per essere piùsicuro del fatto suo, un'occhiatina ai manoscritti di lui,prima della pubblicazione, ce la vorrebbe dare. - Macom'è possibile? - dice il nipote. - Supponete che egli midica: cambia, e ch'io non ne sia persuaso, come si fa adirgli di no, a uno zio che si chiama Emilio a Croissy,sta bene; ma che si chiama Augier a Parigi? E non sipuò immaginare la festività cordiale e brillante di queidesinari di famiglia nella sala a terreno della villa

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la gente di quel paese, è come dire padre [169] della patriae imperatore del teatro. Vicino alla sua ci sono le villedelle sue sorelle. Quando ha una commedia da scrivere,o una scena da rivedere per una ripresa, scappa daParigi col suo scartafaccio, e va a rifugiarsi nella suapalazzina tranquilla, che si specchia nella Senna, infaccia a un antico castello della Dubarry. Di là, tra unatto e l'altro, fa una corsa in casa dei nipoti, i qualifesteggiano dal terrazzo ogni sua apparizione, come unanidiata d'ammiratori plaudenti dal palchetto d'un teatro.In questa nidiata ci sono due signorine di sedici anni,Paolo Déroulède, autore dei famosi Chants du soldats,un capitano d'artiglieria decorato della medaglia alvalore, e un giovane Guiard, che sarà forse una gloriadel teatro francese: un gruppo di belle persone, di belleanime e di begl'ingegni. L'Augier, si capisce, ha unagrande simpatia per il suo Paul, saltato su tutt'a un trattocon cinquanta edizioni di un volumetto di liriche. Ilgiorno che uscirono i suoi Chants du soldat gli disse: -Bravo Paolo! Ora hai finito d'essere [170] mio nipote. -Ma tanto, un po' per affetto e un po' per essere piùsicuro del fatto suo, un'occhiatina ai manoscritti di lui,prima della pubblicazione, ce la vorrebbe dare. - Macom'è possibile? - dice il nipote. - Supponete che egli midica: cambia, e ch'io non ne sia persuaso, come si fa adirgli di no, a uno zio che si chiama Emilio a Croissy,sta bene; ma che si chiama Augier a Parigi? E non sipuò immaginare la festività cordiale e brillante di queidesinari di famiglia nella sala a terreno della villa

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Déroulède, quando in mezzo a quella bella corona diteste giovanili, troneggia l'oncle - quell'oncle -,specialmente negli anniversarii dei suoi grandi trionfidrammatici, che i nipoti festeggiano con commediole dioccasione scritte dal poeta della Moabite. Per tutta laserata è un alternarsi vivacissimo di frizzi, di aneddotiameni e di discussioni utili e belle, in cui ai ricordigloriosi dello zio si mescolano le speranze gloriose deinipoti; e pare che col suono delle voci allegre e deibicchieri, [171] si confonda un'eco degli applausi delleplatee lontane, e che fra commensale e commensalesporgano il viso i fantasmi di Giboyer, di Guérin, diFabrice, di Gabrielle, di Philiberte, di Poirier; e chedietro ai vetri della finestra debba comparire da unmomento all'altro la larga faccia sorridente e benevoladel padre Molière. Amabile e ammirabile famigliadavvero, la quale vi fa benedire mille volte quelle pochepagine bagnate di sudore e di pianto, che vi fruttarono lagioia d'esservi ricevuti come un amico.

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Déroulède, quando in mezzo a quella bella corona diteste giovanili, troneggia l'oncle - quell'oncle -,specialmente negli anniversarii dei suoi grandi trionfidrammatici, che i nipoti festeggiano con commediole dioccasione scritte dal poeta della Moabite. Per tutta laserata è un alternarsi vivacissimo di frizzi, di aneddotiameni e di discussioni utili e belle, in cui ai ricordigloriosi dello zio si mescolano le speranze gloriose deinipoti; e pare che col suono delle voci allegre e deibicchieri, [171] si confonda un'eco degli applausi delleplatee lontane, e che fra commensale e commensalesporgano il viso i fantasmi di Giboyer, di Guérin, diFabrice, di Gabrielle, di Philiberte, di Poirier; e chedietro ai vetri della finestra debba comparire da unmomento all'altro la larga faccia sorridente e benevoladel padre Molière. Amabile e ammirabile famigliadavvero, la quale vi fa benedire mille volte quelle pochepagine bagnate di sudore e di pianto, che vi fruttarono lagioia d'esservi ricevuti come un amico.

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L'ATTORE COQUELIN

Costanzo Coquelin, primo artista drammatico dellaFrancia, è figliuolo d'un panattiere. Nacque nel 1841 aBoulogne-sur-mer, e durante tutta la sua adolescenzaimpastò e infornò con suo padre, il quale contava dilasciarlo erede della bottega, ch'era bene avviata. Ma ipanattieri propongono e la natura dispone. Il piccolofornaio non aveva ancora dieci anni che pigliava giàdegli atteggiamenti drammatici dentro ai nuvoli difarina, e declamava dei versi galoppando per le strade diBoulogne, col paniere del pan fresco sopra le spalle. Unbel giorno si piantò davanti a suo padre [176] e gli disse afaccia franca: - Papà, io voglio fare l'artista drammatico.- Il papà alzò la faccia infarinata dalla madia, lo guardòfisso e rispose placidissimamente: - Figliuol mio, iocredo che ti giri. - Il figliuolo insistè; il padre, buondiavolo, finì con l'arrendersi, e Costanzo lasciò il fornoper la scuola. Terminate le scuole andò a Parigi, sipresentò al Conservatorio, vi fu ammesso, studiò nellaclasse del Régnier, si fece onore, e dopo un anno entrònella compagnia gloriosa della Comédie française, doverecitò per la prima volta il 7 dicembre del 1860, adiciannove anni, facendo la parte di Gros Renè nelDépit amoureux, dopo la quale si provò in quella diPetit-Jean nei Plaideurs del Racine. Da principio passòquasi inosservato: la stampa non fece che annunziare il

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L'ATTORE COQUELIN

Costanzo Coquelin, primo artista drammatico dellaFrancia, è figliuolo d'un panattiere. Nacque nel 1841 aBoulogne-sur-mer, e durante tutta la sua adolescenzaimpastò e infornò con suo padre, il quale contava dilasciarlo erede della bottega, ch'era bene avviata. Ma ipanattieri propongono e la natura dispone. Il piccolofornaio non aveva ancora dieci anni che pigliava giàdegli atteggiamenti drammatici dentro ai nuvoli difarina, e declamava dei versi galoppando per le strade diBoulogne, col paniere del pan fresco sopra le spalle. Unbel giorno si piantò davanti a suo padre [176] e gli disse afaccia franca: - Papà, io voglio fare l'artista drammatico.- Il papà alzò la faccia infarinata dalla madia, lo guardòfisso e rispose placidissimamente: - Figliuol mio, iocredo che ti giri. - Il figliuolo insistè; il padre, buondiavolo, finì con l'arrendersi, e Costanzo lasciò il fornoper la scuola. Terminate le scuole andò a Parigi, sipresentò al Conservatorio, vi fu ammesso, studiò nellaclasse del Régnier, si fece onore, e dopo un anno entrònella compagnia gloriosa della Comédie française, doverecitò per la prima volta il 7 dicembre del 1860, adiciannove anni, facendo la parte di Gros Renè nelDépit amoureux, dopo la quale si provò in quella diPetit-Jean nei Plaideurs del Racine. Da principio passòquasi inosservato: la stampa non fece che annunziare il

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suo nome; egli non pareva destinato ad altro che a far leparti di comodino, quando qualche attore mancasse.Non si negava che avesse ingegno e attitudine all'arte;ma si credeva che non n'avesse abbastanza per usciredalla mediocrità rispettata [177] degli artisti disecond'ordine. Questo però non era il suo parere.Continuò a studiare con amore e con ostinazione,divorato dall'ambizione della gloria; fece unpersonaggio originale, di suo capo, di monsieur Loyaldel Tartufe; interpretò in un modo inaspettato eingegnoso il carattere d'Anselmo nella commedia Lapluie et le beau temps di Léon Gozlan; e a poco a pocosi attirò la simpatia e l'ammirazione del pubblico. Maper la critica era sempre un esordiente, e gli stessi suoiammiratori non lo mettevano ancora tra gli artisti dellaprima schiera. Finalmente, nel 1862, non avendo ancoraventitrè anni, la sera del 15 giugno spiccò il gran saltonel Mariage de Figaro del Beaumarchais, facendo laparte di Figaro, che era già stata fatta dal Got. Questaparte così complessa e così difficile, che richiede «ilsangue freddo d'un diplomatico, lo spirito d'un demonioe l'elasticità d'un clown» egli la fece, scostandosi dalletradizioni, con un tale impeto d'ispirazione e di forza,che il pubblico ne rimase [178] sbalordito, e la critica loproclamò unanimemente uno dei più grandi attori dellaFrancia. In mezzo alle altissime lodi, però, non glifurono risparmiate le censure: egli non padroneggiavaancora abbastanza la foga della sua giovinezza, recitavaqualche volta con un éclat tapageur di cattivo gusto, si

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suo nome; egli non pareva destinato ad altro che a far leparti di comodino, quando qualche attore mancasse.Non si negava che avesse ingegno e attitudine all'arte;ma si credeva che non n'avesse abbastanza per usciredalla mediocrità rispettata [177] degli artisti disecond'ordine. Questo però non era il suo parere.Continuò a studiare con amore e con ostinazione,divorato dall'ambizione della gloria; fece unpersonaggio originale, di suo capo, di monsieur Loyaldel Tartufe; interpretò in un modo inaspettato eingegnoso il carattere d'Anselmo nella commedia Lapluie et le beau temps di Léon Gozlan; e a poco a pocosi attirò la simpatia e l'ammirazione del pubblico. Maper la critica era sempre un esordiente, e gli stessi suoiammiratori non lo mettevano ancora tra gli artisti dellaprima schiera. Finalmente, nel 1862, non avendo ancoraventitrè anni, la sera del 15 giugno spiccò il gran saltonel Mariage de Figaro del Beaumarchais, facendo laparte di Figaro, che era già stata fatta dal Got. Questaparte così complessa e così difficile, che richiede «ilsangue freddo d'un diplomatico, lo spirito d'un demonioe l'elasticità d'un clown» egli la fece, scostandosi dalletradizioni, con un tale impeto d'ispirazione e di forza,che il pubblico ne rimase [178] sbalordito, e la critica loproclamò unanimemente uno dei più grandi attori dellaFrancia. In mezzo alle altissime lodi, però, non glifurono risparmiate le censure: egli non padroneggiavaancora abbastanza la foga della sua giovinezza, recitavaqualche volta con un éclat tapageur di cattivo gusto, si

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dava troppo tutto intero ad ogni occasione, non curavale sfumature, non fondeva a sufficienza i vari elementidella parte sua, si fidava troppo ciecamente alla potenza,e sovente al capriccio della propria ispirazione. Ma ilCoquelin si corresse presto di questi difetti, e d'allora inpoi la sua carriera drammatica non fu più che unasuccessione di vittorie clamorose. Fece nel 1863 la partedi Figaro nel Barbiere di Siviglia vi riportò un grandetrionfo, benchè qualcuno lo accusasse d'aver fatto ilFigaro di Rossini invece di quello del Beaumarchais: fuil più giovane, si disse, il più fresco, il più scintillanteFigaro che si fosse mai visto sulle scene francesi. Poi sirivelò grande artista di sentimento nel Gringoire [179] diTeodoro di Banville, in cui espresse la desolazione, ladisperazione, il terrore della morte, tutte le tempestedell'anima d'un uomo rigettato dalia scala del patibolonell'ebbrezza della vita, con una potenza di passione,che fece fremere e piangere tutta Parigi. In seguito resemagistralmente la natura stravagante e fantastica delprincipe di Mantova nel Fantasio del Musset; ebbe ungrande successo nell'Annibal dell'Aventurière; si feceapplaudire per cento e sessant'otto sere nella parte dimarito di Gabrielle; assicurò il trionfo del PaulForestier, in cui rappresentava il signor di Beaubourg,facendo con una finezza e una leggerezzaprofondamente meditata, il racconto pericolosodell'avventura con Lea, da cui dipendevano le sorti dellacommedia; salì ancora più alto che nel Gringoire nellaparte potente e commovente di Marcel nella commedia

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dava troppo tutto intero ad ogni occasione, non curavale sfumature, non fondeva a sufficienza i vari elementidella parte sua, si fidava troppo ciecamente alla potenza,e sovente al capriccio della propria ispirazione. Ma ilCoquelin si corresse presto di questi difetti, e d'allora inpoi la sua carriera drammatica non fu più che unasuccessione di vittorie clamorose. Fece nel 1863 la partedi Figaro nel Barbiere di Siviglia vi riportò un grandetrionfo, benchè qualcuno lo accusasse d'aver fatto ilFigaro di Rossini invece di quello del Beaumarchais: fuil più giovane, si disse, il più fresco, il più scintillanteFigaro che si fosse mai visto sulle scene francesi. Poi sirivelò grande artista di sentimento nel Gringoire [179] diTeodoro di Banville, in cui espresse la desolazione, ladisperazione, il terrore della morte, tutte le tempestedell'anima d'un uomo rigettato dalia scala del patibolonell'ebbrezza della vita, con una potenza di passione,che fece fremere e piangere tutta Parigi. In seguito resemagistralmente la natura stravagante e fantastica delprincipe di Mantova nel Fantasio del Musset; ebbe ungrande successo nell'Annibal dell'Aventurière; si feceapplaudire per cento e sessant'otto sere nella parte dimarito di Gabrielle; assicurò il trionfo del PaulForestier, in cui rappresentava il signor di Beaubourg,facendo con una finezza e una leggerezzaprofondamente meditata, il racconto pericolosodell'avventura con Lea, da cui dipendevano le sorti dellacommedia; salì ancora più alto che nel Gringoire nellaparte potente e commovente di Marcel nella commedia

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Les ouvriers di Eugenio Manuel; e finalmente fuinarrivabile interprete del Molière: Pierrot nel DonJuan, Mascarille nell'Étourdi e nelle Précieusesridicules, [180] Scapin nelle Fourberies, ballerino ecacciatore nei Fâcheux; studiando e progredendo dicontinuo, meravigliando il pubblico ogni anno con unatrasformazione inaspettata e ogni sera con una nuovaidea, - sempre appassionato dell'arte sua, come ungiovane di vent'anni, - e fresco d'ispirazione, di coraggioe di buon umore come quand'uscì dal Conservatorio. Findal 1863 è Sociétaire del teatro francese, che significaartista «gran signore». Qualche anno guadagna intorno acentomila lire. Ed è, oltre che ammirato, prediletto dalpubblico con vivissima simpatia, e festeggiato,dovunque si presenti, come un amico di tutti. Non c'è dadire se suo padre ne sia altero e felice. Eppure s'assicurache di tanto in tanto egli dice ancora agli amici: -Cependant.... il allait très-bien aussi comme boulanger.- Cocciutaggini di fornaio.

[181]

***

Mi ricorderò sempre della pessima impressione chemi fece, a primo aspetto, la prima volta che lo intesirecitare nella commedia Les Fourchambault, in cuifaceva la parte di Leopoldo. Quando comparve in scena,nel primo atto, e mi dissero: - Quello è il celebreCoquelin; - a veder quell'uomo tagliato alla carlona,

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Les ouvriers di Eugenio Manuel; e finalmente fuinarrivabile interprete del Molière: Pierrot nel DonJuan, Mascarille nell'Étourdi e nelle Précieusesridicules, [180] Scapin nelle Fourberies, ballerino ecacciatore nei Fâcheux; studiando e progredendo dicontinuo, meravigliando il pubblico ogni anno con unatrasformazione inaspettata e ogni sera con una nuovaidea, - sempre appassionato dell'arte sua, come ungiovane di vent'anni, - e fresco d'ispirazione, di coraggioe di buon umore come quand'uscì dal Conservatorio. Findal 1863 è Sociétaire del teatro francese, che significaartista «gran signore». Qualche anno guadagna intorno acentomila lire. Ed è, oltre che ammirato, prediletto dalpubblico con vivissima simpatia, e festeggiato,dovunque si presenti, come un amico di tutti. Non c'è dadire se suo padre ne sia altero e felice. Eppure s'assicurache di tanto in tanto egli dice ancora agli amici: -Cependant.... il allait très-bien aussi comme boulanger.- Cocciutaggini di fornaio.

[181]

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Mi ricorderò sempre della pessima impressione chemi fece, a primo aspetto, la prima volta che lo intesirecitare nella commedia Les Fourchambault, in cuifaceva la parte di Leopoldo. Quando comparve in scena,nel primo atto, e mi dissero: - Quello è il celebreCoquelin; - a veder quell'uomo tagliato alla carlona,

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piccolo, col naso voltato su, con le gambe arcate, conquel sorriso di scorbellato sulla faccia, provai un grandedisinganno, e mi parve che non l'avrei mai potutopigliare sul serio. Non sapevo darmi pace che con quelfrontispizio così mal riuscito, dovesse far l'amoroso nelprimo atto, e il figliuolo offeso e terribile nel terzo attodi quella bella commedia. Con tutto ciò mi colpì subitola sua maniera di stare in scena, anche in mezzo allesignorine Reichemberg [182] e Croizette, che ci stavanomirabilmente: certi suoi serpeggiamenti, certepasseggiatine oblique per il palco scenico, a passostrascicato, e un modo di andare qua e là, col viso in ariae con le mani in tasca, così vero, così di casa, cosìperfettamente imitato da quel ciondolìo senza direzioneche facciamo nella sala da pranzo, in famiglia,voltandoci ad ogni voltata del pensiero e dellaconversazione, come banderuole girate dal vento; cheun ragazzo l'avrebbe osservato e ammirato. Poi notai unaltro pregio suo: ogni volta che aveva da dire qualcosa,l'espressione del suo viso preannunziava in maniera ilsenso delle sue parole, che pareva che le cercasse, cheparlasse di suo capo, non che recitasse delle frasiimparate a memoria: gli si vedeva proprio sulla fronte illavorìo della mente, che si fa discorrendo, quel po' disforzo che costa a tutti l'espressione del propriopensiero. E questo dava un colore di veritàsingolarissimo al suo discorso. E come rendeva benenell'aria del viso, nell'intonazione della [183] voce epersino nell'andatura, quello stato d'animo particolare

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piccolo, col naso voltato su, con le gambe arcate, conquel sorriso di scorbellato sulla faccia, provai un grandedisinganno, e mi parve che non l'avrei mai potutopigliare sul serio. Non sapevo darmi pace che con quelfrontispizio così mal riuscito, dovesse far l'amoroso nelprimo atto, e il figliuolo offeso e terribile nel terzo attodi quella bella commedia. Con tutto ciò mi colpì subitola sua maniera di stare in scena, anche in mezzo allesignorine Reichemberg [182] e Croizette, che ci stavanomirabilmente: certi suoi serpeggiamenti, certepasseggiatine oblique per il palco scenico, a passostrascicato, e un modo di andare qua e là, col viso in ariae con le mani in tasca, così vero, così di casa, cosìperfettamente imitato da quel ciondolìo senza direzioneche facciamo nella sala da pranzo, in famiglia,voltandoci ad ogni voltata del pensiero e dellaconversazione, come banderuole girate dal vento; cheun ragazzo l'avrebbe osservato e ammirato. Poi notai unaltro pregio suo: ogni volta che aveva da dire qualcosa,l'espressione del suo viso preannunziava in maniera ilsenso delle sue parole, che pareva che le cercasse, cheparlasse di suo capo, non che recitasse delle frasiimparate a memoria: gli si vedeva proprio sulla fronte illavorìo della mente, che si fa discorrendo, quel po' disforzo che costa a tutti l'espressione del propriopensiero. E questo dava un colore di veritàsingolarissimo al suo discorso. E come rendeva benenell'aria del viso, nell'intonazione della [183] voce epersino nell'andatura, quello stato d'animo particolare

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del giovanotto ozioso, in quell'età in cui comincia asentirsi allo stretto fra le pareti domestiche, e vorrebbesbizzarrirsi fuori, ma i legami della famiglia lotrattengono ancora, così che si dondola tutto il giornoper la casa e ingombra le stanze della sua scioperatezza,pieno di appetiti virili e di capricci da scolaro,brontolone e burlone ad un tempo, sbadigliando l'animaogni quarto d'ora! A poco a poco quella naturalezzaassoluta mi soggiogò; e mi trovai anch'io in quellacorrente di simpatia che avevo notato fin da principiofra lui e gli spettatori, i quali seguivano attentamenteogni suo passo, mostravano di apprezzare ogni suogesto, e ridevano qualche volta d'un movimento appenapercettibile del suo viso. Non di meno mi pareva ancorache con quella effigie lì egli non avrebbe mai potutoaltro che farmi ridere. Venne il terzo atto, sul principiodel quale il Coquelin è ancora il giovane ameno eleggero delle prime scene. Mi meravigliò, [184]

nonostante, il modo con cui fece al Bernard il raccontodelle sue avventure della sera innanzi, e del duello dellamattina; durante il quale racconto si rifece indietro dueo tre volte, per dir qualche cosa che aveva dimenticato,con una speditezza, con una naturalezza così viva e cosìspigliatamente spontanea, che la platea proruppe inapplausi, e l'applauso fu seguito da un mormorìogenerale di ammirazione. Di li a poco - tutti conosconola commedia - i ferri si cominciano a scaldare, e diparola in parola il Bernard giunge a far quell'allusione alpadre Fourchambault, che colpisce il figlio in mezzo al

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del giovanotto ozioso, in quell'età in cui comincia asentirsi allo stretto fra le pareti domestiche, e vorrebbesbizzarrirsi fuori, ma i legami della famiglia lotrattengono ancora, così che si dondola tutto il giornoper la casa e ingombra le stanze della sua scioperatezza,pieno di appetiti virili e di capricci da scolaro,brontolone e burlone ad un tempo, sbadigliando l'animaogni quarto d'ora! A poco a poco quella naturalezzaassoluta mi soggiogò; e mi trovai anch'io in quellacorrente di simpatia che avevo notato fin da principiofra lui e gli spettatori, i quali seguivano attentamenteogni suo passo, mostravano di apprezzare ogni suogesto, e ridevano qualche volta d'un movimento appenapercettibile del suo viso. Non di meno mi pareva ancorache con quella effigie lì egli non avrebbe mai potutoaltro che farmi ridere. Venne il terzo atto, sul principiodel quale il Coquelin è ancora il giovane ameno eleggero delle prime scene. Mi meravigliò, [184]

nonostante, il modo con cui fece al Bernard il raccontodelle sue avventure della sera innanzi, e del duello dellamattina; durante il quale racconto si rifece indietro dueo tre volte, per dir qualche cosa che aveva dimenticato,con una speditezza, con una naturalezza così viva e cosìspigliatamente spontanea, che la platea proruppe inapplausi, e l'applauso fu seguito da un mormorìogenerale di ammirazione. Di li a poco - tutti conosconola commedia - i ferri si cominciano a scaldare, e diparola in parola il Bernard giunge a far quell'allusione alpadre Fourchambault, che colpisce il figlio in mezzo al

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cuore. Allora si rivelò improvvisamente un altroCoquelin. Fu una vera trasfigurazione. Parve che glicadesse una maschera dalla fronte, - il suo viso impallidìe si stravolse, - la voce cambiò suono, e il gesto scattòcolla forza d'una molla d'acciaio. Tutti hanno presente lascena in cui Leopoldo Fourchambault alza la mano perschiaffeggiare il Bernard, il quale lo trattiene, gli rivelache è figlio [185] dello stesso padre e che salvò la suafamiglia dal disonore, e poi gli domanda: - Che cosadici adesso? - Ebbene, il Coquelin gridò quella sublimerisposta: - Io dico che tu sei il più nobile degli uomini!Io dico che tua madre è la più santa delle donne! Io dicoche sono altero d'esser tuo fratello e di gettarmi sul tuocuore! - gridò queste parole con una voce così potente,con un accento così gioioso e doloroso ad un tempo, estraziante a forza d'affetto; con un tremito nella gola euno spasimo nel viso che rivelava così irresistibilmenteil pentimento profondo, la tenerezza immensa, ilbisogno di chieder perdono, la gioia divina delchiederlo, un misto d'umiltà e di forza selvaggia delcuore, altero del suo slancio generoso e della santagiustizia che rendeva; che, più ancor che commossodalla scena, in mezzo a quella gran folla del Teatrofrancese, che si sollevò tutta come un'onda del mare, iorimasi trasognato della metamorfosi dell'attore. Esconfessai immediatamente e per sempre [186] il mioprimo giudizio. Poi il Coquelin rientrò nella sua partequieta di buon giovanotto, e all'ultima scena dellacommedia fece ancora più profonda l'incancellabile

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cuore. Allora si rivelò improvvisamente un altroCoquelin. Fu una vera trasfigurazione. Parve che glicadesse una maschera dalla fronte, - il suo viso impallidìe si stravolse, - la voce cambiò suono, e il gesto scattòcolla forza d'una molla d'acciaio. Tutti hanno presente lascena in cui Leopoldo Fourchambault alza la mano perschiaffeggiare il Bernard, il quale lo trattiene, gli rivelache è figlio [185] dello stesso padre e che salvò la suafamiglia dal disonore, e poi gli domanda: - Che cosadici adesso? - Ebbene, il Coquelin gridò quella sublimerisposta: - Io dico che tu sei il più nobile degli uomini!Io dico che tua madre è la più santa delle donne! Io dicoche sono altero d'esser tuo fratello e di gettarmi sul tuocuore! - gridò queste parole con una voce così potente,con un accento così gioioso e doloroso ad un tempo, estraziante a forza d'affetto; con un tremito nella gola euno spasimo nel viso che rivelava così irresistibilmenteil pentimento profondo, la tenerezza immensa, ilbisogno di chieder perdono, la gioia divina delchiederlo, un misto d'umiltà e di forza selvaggia delcuore, altero del suo slancio generoso e della santagiustizia che rendeva; che, più ancor che commossodalla scena, in mezzo a quella gran folla del Teatrofrancese, che si sollevò tutta come un'onda del mare, iorimasi trasognato della metamorfosi dell'attore. Esconfessai immediatamente e per sempre [186] il mioprimo giudizio. Poi il Coquelin rientrò nella sua partequieta di buon giovanotto, e all'ultima scena dellacommedia fece ancora più profonda l'incancellabile

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impressione che mi aveva lasciata, con uno di quei trattida maestro, insignificanti in apparenza, che ai moltisfuggono, ma che ai pochi bastano per riconoscere ilgrande artista, come il leone dall'unghia. E fu quandosua sorella, ingenua, la quale sperava che l'istitutricesposasse il fratello Leopoldo, sente invece che sposa ilBernard, e dice alla fidanzata: - Io avrei desideratopiuttosto che tu diventassi mia cognata.... - non sapendoche il Bernard è suo fratello pure, e che perciò laparentela esiste egualmente. Ebbene, il Coquelin,udendo quella frase, fa tra sè quell'osservazionemaliziosa: - Il n'y a peut-être pas grand'chose dechangé - con una finezza così arguta, con un sorriso cosìlepido in un angolo delle labbra, a mezza voce,guardandosi la punta d'un piede e lasciandosi comescappare le parole per distrazione, [187] in mezzo alle vociallegre degli altri personaggi, che gli si farebberoripetere cento volte, tanto è l'accorgimento e lo spiritod'osservazione e il senso comico squisito che rivelano. Erimangono stampate nella mente, con quel sorriso e conquell'accento, e si prova sempre un piacere vivo aricordarle e a ripetersele, come un verso magistrale d'unpoeta di genio. Questa fu la prima impressione che milasciò il Coquelin, o meglio, che mi lasciarono i dueCoquelin, l'uno amenissimo e l'altro appassionato etremendo. E conviene osservare che egli non può patirela parte di Leopoldo Fourchambault perchè, dice, nongli conviene sotto nessun aspetto, e la fa per forza, e dacane. Nientemeno.

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impressione che mi aveva lasciata, con uno di quei trattida maestro, insignificanti in apparenza, che ai moltisfuggono, ma che ai pochi bastano per riconoscere ilgrande artista, come il leone dall'unghia. E fu quandosua sorella, ingenua, la quale sperava che l'istitutricesposasse il fratello Leopoldo, sente invece che sposa ilBernard, e dice alla fidanzata: - Io avrei desideratopiuttosto che tu diventassi mia cognata.... - non sapendoche il Bernard è suo fratello pure, e che perciò laparentela esiste egualmente. Ebbene, il Coquelin,udendo quella frase, fa tra sè quell'osservazionemaliziosa: - Il n'y a peut-être pas grand'chose dechangé - con una finezza così arguta, con un sorriso cosìlepido in un angolo delle labbra, a mezza voce,guardandosi la punta d'un piede e lasciandosi comescappare le parole per distrazione, [187] in mezzo alle vociallegre degli altri personaggi, che gli si farebberoripetere cento volte, tanto è l'accorgimento e lo spiritod'osservazione e il senso comico squisito che rivelano. Erimangono stampate nella mente, con quel sorriso e conquell'accento, e si prova sempre un piacere vivo aricordarle e a ripetersele, come un verso magistrale d'unpoeta di genio. Questa fu la prima impressione che milasciò il Coquelin, o meglio, che mi lasciarono i dueCoquelin, l'uno amenissimo e l'altro appassionato etremendo. E conviene osservare che egli non può patirela parte di Leopoldo Fourchambault perchè, dice, nongli conviene sotto nessun aspetto, e la fa per forza, e dacane. Nientemeno.

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***

Poi lo intesi in altre commedie, e in tutte mi parve ungrande artista. Ha arditezza e misura, naturalezza edignità, costantemente. Qualunque personaggiorappresenti, dà a vedere d'averlo studiato, non solo nellemanifestazioni verosimili della sua natura, ma nel piùintimo meccanismo dell'animo, alla sorgente stessa deisuoi sentimenti più segreti; e conserva il colore diciascun carattere anche nelle tempeste più violente dellapassione. Dopo le sue prime parole non si vede più ilviso del Coquelin; ma quello del personaggio. «Il didentro domina il di fuori» come si diceva del famosoLekain. Ha una maniera di comporre il viso checorregge tutti i difetti dei suoi lineamenti; unacontrazione potente, che fa pensare a quella diGwynplain e alla camera dei [189] lordi, ma che nontradisce lo sforzo. Tutto questo, però, non basterebbe afare di lui un grande artista, s'egli non avesse laprimissima delle facoltà drammatiche, che è di sentireprofondamente e vivacissimamente. La sua potenza ènelle vibrazioni dell'anima, nella freschezza e nel vigoredel sentimento. Quando esprime il dolore, ha veramentedelle lacrime nella voce, e degli accenti profondid'angoscia, che par che sanguini dentro; e negl'impetid'ira o di rabbia, quando discende il palco scenico,guardando davanti a sè con quell'occhio grigio, dilatato

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Poi lo intesi in altre commedie, e in tutte mi parve ungrande artista. Ha arditezza e misura, naturalezza edignità, costantemente. Qualunque personaggiorappresenti, dà a vedere d'averlo studiato, non solo nellemanifestazioni verosimili della sua natura, ma nel piùintimo meccanismo dell'animo, alla sorgente stessa deisuoi sentimenti più segreti; e conserva il colore diciascun carattere anche nelle tempeste più violente dellapassione. Dopo le sue prime parole non si vede più ilviso del Coquelin; ma quello del personaggio. «Il didentro domina il di fuori» come si diceva del famosoLekain. Ha una maniera di comporre il viso checorregge tutti i difetti dei suoi lineamenti; unacontrazione potente, che fa pensare a quella diGwynplain e alla camera dei [189] lordi, ma che nontradisce lo sforzo. Tutto questo, però, non basterebbe afare di lui un grande artista, s'egli non avesse laprimissima delle facoltà drammatiche, che è di sentireprofondamente e vivacissimamente. La sua potenza ènelle vibrazioni dell'anima, nella freschezza e nel vigoredel sentimento. Quando esprime il dolore, ha veramentedelle lacrime nella voce, e degli accenti profondid'angoscia, che par che sanguini dentro; e negl'impetid'ira o di rabbia, quando discende il palco scenico,guardando davanti a sè con quell'occhio grigio, dilatato

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e smarrito come un occhio di fiera, e tutte le membratese e convulse, pare che gli si debba spezzare una venanel petto. Per me, lo trovo anche più potente nell'ira chenell'affetto. In quelle provocazioni fra gentiluomini, cosìfrequenti nelle commedie francesi, a cui segue per lo piùun duello mortale, egli ha un modo suo proprio cosìsecco e tagliente, che fa d'ogni parola una scudisciatatraverso la faccia, e non so che di gelido e di ferocenell'aspetto [190] e nelle mosse, che mette un brivido nellevene, e fa presentire la morte. E ha degli slancid'entusiasmo ardente, frenati con un'arte profonda, chene duplica l'efficacia, e delle espansioni impetuose digaiezza, che fanno l'effetto d'un'ondata d'ariaprimaverile in quel gran teatro affollato e caldo, chepende dalle sue labbra. Convien dire pure che ha unavoce ammirabile, che si presta alle più audaciinflessioni, nettissima nelle voci basse e sonora nellemedie, senz'essere di quelle voci troppo ricche, cheannegano, come si dice in francese, la parola nel suono,e le consonanti nelle vocali; una voce che s'alza qualchevolta, senz'assottigliarsi e senza sforzarsi, fino alle notepiù acute, e si espande e risuona, agile e mordente, intutti gli angoli della sala, e fin nei corridoi e neivestiboli, come uno squillo di tromba. Ha tutti i donidella natura, insomma, fuorchè la bellezza. Ma quandolo s'è sentito recitare, pare che la sua imperfezione fisicasia una condizione necessaria, un elemento quasi dellasua [191] potenza particolare d'artista, e che acquisterebbequalcosa, ma perderebbe molto di più, se diventasse

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e smarrito come un occhio di fiera, e tutte le membratese e convulse, pare che gli si debba spezzare una venanel petto. Per me, lo trovo anche più potente nell'ira chenell'affetto. In quelle provocazioni fra gentiluomini, cosìfrequenti nelle commedie francesi, a cui segue per lo piùun duello mortale, egli ha un modo suo proprio cosìsecco e tagliente, che fa d'ogni parola una scudisciatatraverso la faccia, e non so che di gelido e di ferocenell'aspetto [190] e nelle mosse, che mette un brivido nellevene, e fa presentire la morte. E ha degli slancid'entusiasmo ardente, frenati con un'arte profonda, chene duplica l'efficacia, e delle espansioni impetuose digaiezza, che fanno l'effetto d'un'ondata d'ariaprimaverile in quel gran teatro affollato e caldo, chepende dalle sue labbra. Convien dire pure che ha unavoce ammirabile, che si presta alle più audaciinflessioni, nettissima nelle voci basse e sonora nellemedie, senz'essere di quelle voci troppo ricche, cheannegano, come si dice in francese, la parola nel suono,e le consonanti nelle vocali; una voce che s'alza qualchevolta, senz'assottigliarsi e senza sforzarsi, fino alle notepiù acute, e si espande e risuona, agile e mordente, intutti gli angoli della sala, e fin nei corridoi e neivestiboli, come uno squillo di tromba. Ha tutti i donidella natura, insomma, fuorchè la bellezza. Ma quandolo s'è sentito recitare, pare che la sua imperfezione fisicasia una condizione necessaria, un elemento quasi dellasua [191] potenza particolare d'artista, e che acquisterebbequalcosa, ma perderebbe molto di più, se diventasse

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bello ad un tratto come il Bocage o come il Salvini.

***

Ed è anche più brutto, o, per meglio dire, stranod'aspetto, di quel che pare dal palco scenico. Il primosentimento che si prova, vedendolo in casa per la primavolta, alla luce del sole, è un'ammirazione più grandeper la potenza del suo ingegno e della sua naturadrammatica, che riuscirono a trionfare, malgradol'irregolarità quasi grottesca della sua persona. La suafaccia è una vera maschera d'istrione antico: un faccionelargo e grasso, d'una carnagione giallognola da mercanteolandese, in cui brillano due occhietti bigi di faina, unpo' maligni, sopra un grosso naso [192] che guarda in sucon una petulanza senza esempio, in modo che le nari sipresentano come le aperture di due canne d'un fucile dacaccia; una gran bocca, con le labbra grossissime,tagliate in forma di trapezio, che par che succhinocontinuamente un enorme bocchino di pipa turca; unmento lungo e sporgente, e due mascelle leonine, che sidilatano, quando parla, con un movimento inquietante.Mettete questa faccia di mascherone di fontana, tuttasbarbata, con una papalina nera sul cocuzzolo, sopra uncorpo bassetto e tarchiato, vestito d'un farsetto nerostretto alla vita, coi calzoni neri e con le pantofole nere,e immaginate il misto bizzarro che ne deve riuscire, dicurato di campagna in négligé, di cuoco in lutto, diforzaiuolo e di Stenterello. Si rimane sbalorditi a

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bello ad un tratto come il Bocage o come il Salvini.

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Ed è anche più brutto, o, per meglio dire, stranod'aspetto, di quel che pare dal palco scenico. Il primosentimento che si prova, vedendolo in casa per la primavolta, alla luce del sole, è un'ammirazione più grandeper la potenza del suo ingegno e della sua naturadrammatica, che riuscirono a trionfare, malgradol'irregolarità quasi grottesca della sua persona. La suafaccia è una vera maschera d'istrione antico: un faccionelargo e grasso, d'una carnagione giallognola da mercanteolandese, in cui brillano due occhietti bigi di faina, unpo' maligni, sopra un grosso naso [192] che guarda in sucon una petulanza senza esempio, in modo che le nari sipresentano come le aperture di due canne d'un fucile dacaccia; una gran bocca, con le labbra grossissime,tagliate in forma di trapezio, che par che succhinocontinuamente un enorme bocchino di pipa turca; unmento lungo e sporgente, e due mascelle leonine, che sidilatano, quando parla, con un movimento inquietante.Mettete questa faccia di mascherone di fontana, tuttasbarbata, con una papalina nera sul cocuzzolo, sopra uncorpo bassetto e tarchiato, vestito d'un farsetto nerostretto alla vita, coi calzoni neri e con le pantofole nere,e immaginate il misto bizzarro che ne deve riuscire, dicurato di campagna in négligé, di cuoco in lutto, diforzaiuolo e di Stenterello. Si rimane sbalorditi a

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pensare che quell'omiciattolo ci ha fatto piangere,fremere e tremare, e s'è presi dalla tentazione di dirgliche non è quella la maniera di corbellare il mondo. Ma èun di quei brutti che seducono, forse perchè la lorobruttezza, come [193] suol dirsi, non è che una bellezzasbagliata: come accade di certe metaforaccie di pessimogusto, sotto cui appare il barlume d'una grand'idea.Questo è vero specialmente quando ride: non si puòimmaginare un riso più vivo, più comico, piùattaccaticcio del suo; - e non è la risata dell'allegria - mauna specie di riso filosofico e profondo, che nasce da unsentimento particolare della vita, e che fa pullulare milleidee lepide nella mente, e indovinare mille scherzi chenon dice, e pensare confusamente a mille cose e personeamene, che abbiamo conosciute in altri tempi; un risoche rallegra dentro, e che mette voglia di darsi unafregatina di mani, o di allungargli une tape sulla pancia.Tutta la faccia gli ride, fino alle orecchie; la bocca glis'arrotonda in un modo curiosissimo, che fa saltare ilcapriccio di ficcarvi un dito dentro, come dice lo Zoladel Boche, pour voir; e la punta del naso gli fa unpiccolo movimento accelerato, come la punta d'un ditoche gratti qualche cosa di sotto in su, d'un effetto [194]

comicissimo; mentre gli scintilla negli occhi un'astuziadi demonio. I critici cortesi dicono che ha unephysionomie comique parfaite, une face largementcomique, comiquement spirituelle, e altre cose simili; edè vero; ma non è tutto. È una figura talmente originaleed esilarante, a vederlo da vicino, che per molto tempo

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pensare che quell'omiciattolo ci ha fatto piangere,fremere e tremare, e s'è presi dalla tentazione di dirgliche non è quella la maniera di corbellare il mondo. Ma èun di quei brutti che seducono, forse perchè la lorobruttezza, come [193] suol dirsi, non è che una bellezzasbagliata: come accade di certe metaforaccie di pessimogusto, sotto cui appare il barlume d'una grand'idea.Questo è vero specialmente quando ride: non si puòimmaginare un riso più vivo, più comico, piùattaccaticcio del suo; - e non è la risata dell'allegria - mauna specie di riso filosofico e profondo, che nasce da unsentimento particolare della vita, e che fa pullulare milleidee lepide nella mente, e indovinare mille scherzi chenon dice, e pensare confusamente a mille cose e personeamene, che abbiamo conosciute in altri tempi; un risoche rallegra dentro, e che mette voglia di darsi unafregatina di mani, o di allungargli une tape sulla pancia.Tutta la faccia gli ride, fino alle orecchie; la bocca glis'arrotonda in un modo curiosissimo, che fa saltare ilcapriccio di ficcarvi un dito dentro, come dice lo Zoladel Boche, pour voir; e la punta del naso gli fa unpiccolo movimento accelerato, come la punta d'un ditoche gratti qualche cosa di sotto in su, d'un effetto [194]

comicissimo; mentre gli scintilla negli occhi un'astuziadi demonio. I critici cortesi dicono che ha unephysionomie comique parfaite, une face largementcomique, comiquement spirituelle, e altre cose simili; edè vero; ma non è tutto. È una figura talmente originaleed esilarante, a vederlo da vicino, che per molto tempo

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si rimane tutt'intenti a guardarlo, e non si bada alle sueparole. Ed egli non s'illude sopra sè stesso; parla anzisovente della propria persona, celiando, come secanzonasse un altro, e non vuol sentir parlare delle partiche richiedono bellezza d'aspetto. Per questa ragionerifiutò, non è molto, di far la parte di Pigmalione nellaGalatea della signora Adam. - Come volete - le disse -che io ardisca presentarmi al pubblico in nome diPigmalione, che dev'essere un bell'uomo? Voyons donc,madame: est-ce que j'ai le nez grec, moi? - Il naso,infatti, è stato l'ostacolo più difficile da superare, nellasua carriera drammatica. Quando qualche parte non gliriesce, ha sempre la sua [195] giustificazione pronta: - è ilnaso. - Ma anche in casa sua, dopo un quarto d'ora chegli si parla, segue come al teatro: si vede un altroCoquelin; tanto la sua conversazione è arguta eattraente, rimanendo sempre naturalissima, come la suamaniera di recitare. È divertentissimo vederlo lassùnella sua piccola stanza di studio, triangolare, chesembra un camerino di teatro - al quarto piano - tuttapiena di libri, fra cui brillano in prima fila i poetidrammatici e lirici di tutti i paesi; e cogliere a volo nellesue parole e nelle sue mosse gli accenti e i gesti diMascarille, di Gringoire, di Figaro e del piccolo gobbodel Luthier de Crémone, che fecero risuonare d'applausiil tempio del Corneille e del Molière. Il Molière,appunto, di cui ha tutto il teatro nel capo, è uno dei suoiargomenti preferiti; e riparla spesso delle conferenzepubbliche che tenne poco tempo fa; colle quali si

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si rimane tutt'intenti a guardarlo, e non si bada alle sueparole. Ed egli non s'illude sopra sè stesso; parla anzisovente della propria persona, celiando, come secanzonasse un altro, e non vuol sentir parlare delle partiche richiedono bellezza d'aspetto. Per questa ragionerifiutò, non è molto, di far la parte di Pigmalione nellaGalatea della signora Adam. - Come volete - le disse -che io ardisca presentarmi al pubblico in nome diPigmalione, che dev'essere un bell'uomo? Voyons donc,madame: est-ce que j'ai le nez grec, moi? - Il naso,infatti, è stato l'ostacolo più difficile da superare, nellasua carriera drammatica. Quando qualche parte non gliriesce, ha sempre la sua [195] giustificazione pronta: - è ilnaso. - Ma anche in casa sua, dopo un quarto d'ora chegli si parla, segue come al teatro: si vede un altroCoquelin; tanto la sua conversazione è arguta eattraente, rimanendo sempre naturalissima, come la suamaniera di recitare. È divertentissimo vederlo lassùnella sua piccola stanza di studio, triangolare, chesembra un camerino di teatro - al quarto piano - tuttapiena di libri, fra cui brillano in prima fila i poetidrammatici e lirici di tutti i paesi; e cogliere a volo nellesue parole e nelle sue mosse gli accenti e i gesti diMascarille, di Gringoire, di Figaro e del piccolo gobbodel Luthier de Crémone, che fecero risuonare d'applausiil tempio del Corneille e del Molière. Il Molière,appunto, di cui ha tutto il teatro nel capo, è uno dei suoiargomenti preferiti; e riparla spesso delle conferenzepubbliche che tenne poco tempo fa; colle quali si

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propose di dimostrare che l'Alceste del Misantropo nonè come quasi tutti i critici e quasi tutti gli attoril'interpretano, un personaggio cupo e [196] profondo, unaspecie d'Amleto francese, da rendersi con un colore distranezza fantastica; ma un personaggio apertamentecomico, come gli altri del Molière, e designato cometale dal poeta medesimo in una maniera che non puòlasciar dubbio. Egli svolse il suo concetto senza pompadi dottrina, con molto buon senso, con grande chiarezza,per mezzo di confronti e di citazioni bene ordinate elucidamente commentate; ma lasciò letterati ecommedianti nel loro parere contrario. Si lamentò inparticolar modo dei letterati, così tra il serio e il faceto,facendo tremolare la punta del naso. - Avete torto, midicono insomma, perchè siete un commediante. C'est çaqui m'embête. Mi dicano che ho torto perchè sono ungrullo, francamente, e mi ci rassegno più volentieri. Gliè appunto perchè sono un commediante che voglio dir lamia ragione. Mi pare che serva a qualche cosa, pergiudicare un personaggio di una commedia, essereabituato da venti anni a mettersi nella pelle degli altri, ea cercare [197] la ragione intima d'ogni loro atto e d'ogniloro parola. Se questi speculatori letterari del teatro nonfossero un po' trattenuti dal senso pratico di chi ha daincarnare i personaggi che essi scrutano e svisceranocontinuamente, finirebbero, a furia di fare, contrasformarli in creature dell'altro mondo, che nessunopotrebbe più riprodurre sulla scena. - E non sifermerebbe più, quando ha preso a discorrere del

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propose di dimostrare che l'Alceste del Misantropo nonè come quasi tutti i critici e quasi tutti gli attoril'interpretano, un personaggio cupo e [196] profondo, unaspecie d'Amleto francese, da rendersi con un colore distranezza fantastica; ma un personaggio apertamentecomico, come gli altri del Molière, e designato cometale dal poeta medesimo in una maniera che non puòlasciar dubbio. Egli svolse il suo concetto senza pompadi dottrina, con molto buon senso, con grande chiarezza,per mezzo di confronti e di citazioni bene ordinate elucidamente commentate; ma lasciò letterati ecommedianti nel loro parere contrario. Si lamentò inparticolar modo dei letterati, così tra il serio e il faceto,facendo tremolare la punta del naso. - Avete torto, midicono insomma, perchè siete un commediante. C'est çaqui m'embête. Mi dicano che ho torto perchè sono ungrullo, francamente, e mi ci rassegno più volentieri. Gliè appunto perchè sono un commediante che voglio dir lamia ragione. Mi pare che serva a qualche cosa, pergiudicare un personaggio di una commedia, essereabituato da venti anni a mettersi nella pelle degli altri, ea cercare [197] la ragione intima d'ogni loro atto e d'ogniloro parola. Se questi speculatori letterari del teatro nonfossero un po' trattenuti dal senso pratico di chi ha daincarnare i personaggi che essi scrutano e svisceranocontinuamente, finirebbero, a furia di fare, contrasformarli in creature dell'altro mondo, che nessunopotrebbe più riprodurre sulla scena. - E non sifermerebbe più, quando ha preso a discorrere del

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Molière, se non esistesse un altro personaggio, per ilquale nutre altrettanto entusiasmo: il Gambetta, ingrazia di cui egli s'appassiona anche un poco allapolitica, e si tira addosso le canzonature del Figaro. IlGambetta è suo amico intimo, desina con lui tutte ledomeniche, e lo conduce a far delle lunghe passeggiatesolitarie, durante le quali, chi lo sa? forse si fa dar dellelezioni di recitazione, o si insegnano a vicenda ad apriree a scrutare gli animi umani, l'uno per giovarsene sulteatro, l'altro nella politica; poichè, in diverso campo,essi sono i due più grandi attori della Francia: ilGambetta [198] più potente, ma il Coquelin assai piùsicuro di non essere fischiato. Egli parlò del suo illustreamico con calda ammirazione, senza licenze familiari,ripetendo dei brani del suo ultimo discorso, eesclamando di tratto in tratto: - Sentite la bellezza diquesta frase; sentite la giustezza di questo pensiero; -come avrebbe fatto per una parlata del Racine. E aproposito del Gambetta, lesse una lunga colonna delVoltaire, in risposta all'Intransigeant, con una rapiditàprodigiosa, e con una nettezza di pronuncia ancor piùammirabile, facendo vibrare certe parole, e schizzarfuori certe frasi, con cambiamenti improvvisid'intonazione, e ammicchi d'un occhio, e guizzicomicissimi delle labbra, in una maniera da far propriorimpiangere di non potergli dare il posto di lettore, incasa propria, con centomila lire all'anno; che per unletterato sarebbero impiegate al cinquanta per cento. Edè pure notevolissimo il suo linguaggio, scolpito e

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Molière, se non esistesse un altro personaggio, per ilquale nutre altrettanto entusiasmo: il Gambetta, ingrazia di cui egli s'appassiona anche un poco allapolitica, e si tira addosso le canzonature del Figaro. IlGambetta è suo amico intimo, desina con lui tutte ledomeniche, e lo conduce a far delle lunghe passeggiatesolitarie, durante le quali, chi lo sa? forse si fa dar dellelezioni di recitazione, o si insegnano a vicenda ad apriree a scrutare gli animi umani, l'uno per giovarsene sulteatro, l'altro nella politica; poichè, in diverso campo,essi sono i due più grandi attori della Francia: ilGambetta [198] più potente, ma il Coquelin assai piùsicuro di non essere fischiato. Egli parlò del suo illustreamico con calda ammirazione, senza licenze familiari,ripetendo dei brani del suo ultimo discorso, eesclamando di tratto in tratto: - Sentite la bellezza diquesta frase; sentite la giustezza di questo pensiero; -come avrebbe fatto per una parlata del Racine. E aproposito del Gambetta, lesse una lunga colonna delVoltaire, in risposta all'Intransigeant, con una rapiditàprodigiosa, e con una nettezza di pronuncia ancor piùammirabile, facendo vibrare certe parole, e schizzarfuori certe frasi, con cambiamenti improvvisid'intonazione, e ammicchi d'un occhio, e guizzicomicissimi delle labbra, in una maniera da far propriorimpiangere di non potergli dare il posto di lettore, incasa propria, con centomila lire all'anno; che per unletterato sarebbero impiegate al cinquanta per cento. Edè pure notevolissimo il suo linguaggio, scolpito e

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colorito, con certe screziature di lingua popolare, riccod'una quantità di termini insoliti [199] e di modi del gergoteatrale, svariatissimo come è in tutte le persone dotatedi un forte senso comico, che hanno bisogno diraccontare, di descrivere e d'imitare. L'impressione cheegli lascia, in conclusione, è d'un uomo di buona indolee di buon cuore, come io credo che sianonecessariamente tutti gli artisti drammatici atti ainterpretare con eguale maestria i caratteri buoni emalvagi; perchè, per riuscire grandi negli uni e neglialtri, bisogna che nella loro natura predomini il buono,senza del quale possono abbagliare con l'ingegno, manon soggiogare con la simpatia. Il Coquelin, però, hal'aria d'un uomo buono; non d'un bonaccione. Sotto lasua bonarietà canzonatoria s'indovina un animo risolutoe vigoroso, col quale non dev'essere molto comodol'aver che fare i giorni che ha la luna rovescia; especialmente quando salta su a inveire contro i capricciprepotenti di certi autori drammatici, piglia una certaguardatura bieca e fa stridere la voce in un certo modo,che non par strano affatto, in quel momento, [200] cheabbia saputo incarnare meravigliosamente l'animadannata del duca di Septmonts.

***

La parte di duca di Septmonts nell'Ètrangère delDumas, credono tutti, - e anche lui - che sia ciò che eglifece - per dirla con le sue parole - de plus fin et de plus

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colorito, con certe screziature di lingua popolare, riccod'una quantità di termini insoliti [199] e di modi del gergoteatrale, svariatissimo come è in tutte le persone dotatedi un forte senso comico, che hanno bisogno diraccontare, di descrivere e d'imitare. L'impressione cheegli lascia, in conclusione, è d'un uomo di buona indolee di buon cuore, come io credo che sianonecessariamente tutti gli artisti drammatici atti ainterpretare con eguale maestria i caratteri buoni emalvagi; perchè, per riuscire grandi negli uni e neglialtri, bisogna che nella loro natura predomini il buono,senza del quale possono abbagliare con l'ingegno, manon soggiogare con la simpatia. Il Coquelin, però, hal'aria d'un uomo buono; non d'un bonaccione. Sotto lasua bonarietà canzonatoria s'indovina un animo risolutoe vigoroso, col quale non dev'essere molto comodol'aver che fare i giorni che ha la luna rovescia; especialmente quando salta su a inveire contro i capricciprepotenti di certi autori drammatici, piglia una certaguardatura bieca e fa stridere la voce in un certo modo,che non par strano affatto, in quel momento, [200] cheabbia saputo incarnare meravigliosamente l'animadannata del duca di Septmonts.

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La parte di duca di Septmonts nell'Ètrangère delDumas, credono tutti, - e anche lui - che sia ciò che eglifece - per dirla con le sue parole - de plus fin et de plus

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incisif, nel teatro moderno, dal primo giorno che recitòfino al giorno che corre. Per comprendere le difficoltàcon cui ha dovuto combattere, basta rappresentarsi lasua figura «largamente comica» e ricordare che il ducadi Septmonts è la quintessenza di un gentiluomo delgran mondo - spregievole e odioso quanto si vuole - matanto più dignitoso e corretto di fuori quanto è piùfradicio dentro. Per alto che fosse il concetto che s'avevadella pieghevolezza d'ingegno del Coquelin, si temevache [201] in quella parte cadesse. Bastò invece la suaapparizione sul palco scenico a provocare uno scoppiod'applausi e un'esclamazione universale di meraviglia.Costanzo Coquelin, l'incomparabile Figaro,l'insuperabile gobbetto del Luthier de Crémone, parevail primo gentiluomo della cristianità. Pallido, dellapallidezza malaticcia d'un nobile sciupato dagli stravizi,biondo, un po' calvo, con due folti baffiimpertinentemente arricciati, con una lente all'occhio,vestito con rigorosa eleganza, disinvolto e duro ad untempo, e superbamente signorile in tutti i suoimovimenti, anche nel più forte della passione, egli eral'ideale vivente dell'autore della commedia. E ad ogninuova scena si rivelò con maggior efficacia. Dalla suaaria tediata, dal suo modo di parlare strascicato, come seogni parola fosse un atto di degnazione, dalla sua freddacortesia, dal suo sguardo ironico e sorridente, da tutti isuoi gesti e da tutti i suoi accenti artificiosamentetrascurati, traspariva l'insolenza sfrontata d'unaristocratico cresciuto all'orgoglio [202] e al disprezzo, il

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incisif, nel teatro moderno, dal primo giorno che recitòfino al giorno che corre. Per comprendere le difficoltàcon cui ha dovuto combattere, basta rappresentarsi lasua figura «largamente comica» e ricordare che il ducadi Septmonts è la quintessenza di un gentiluomo delgran mondo - spregievole e odioso quanto si vuole - matanto più dignitoso e corretto di fuori quanto è piùfradicio dentro. Per alto che fosse il concetto che s'avevadella pieghevolezza d'ingegno del Coquelin, si temevache [201] in quella parte cadesse. Bastò invece la suaapparizione sul palco scenico a provocare uno scoppiod'applausi e un'esclamazione universale di meraviglia.Costanzo Coquelin, l'incomparabile Figaro,l'insuperabile gobbetto del Luthier de Crémone, parevail primo gentiluomo della cristianità. Pallido, dellapallidezza malaticcia d'un nobile sciupato dagli stravizi,biondo, un po' calvo, con due folti baffiimpertinentemente arricciati, con una lente all'occhio,vestito con rigorosa eleganza, disinvolto e duro ad untempo, e superbamente signorile in tutti i suoimovimenti, anche nel più forte della passione, egli eral'ideale vivente dell'autore della commedia. E ad ogninuova scena si rivelò con maggior efficacia. Dalla suaaria tediata, dal suo modo di parlare strascicato, come seogni parola fosse un atto di degnazione, dalla sua freddacortesia, dal suo sguardo ironico e sorridente, da tutti isuoi gesti e da tutti i suoi accenti artificiosamentetrascurati, traspariva l'insolenza sfrontata d'unaristocratico cresciuto all'orgoglio [202] e al disprezzo, il

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cinismo d'un viveur intristito nel vizio, capace di tutte lebassezze, l'audacia meditata e malvagia dellospadaccino sicuro d'uccidere, - la sua educazione, il suopassato, tutto quello che sarebbe stato capace di fare, emille cose che pensava, e che non diceva; ma chefacevano pensare. Egli corresse anzi leggermente, conmolta arte, il carattere immaginato dal Dumas, chepoteva riuscir troppo ributtante; e lo corresse - comeprescriveva il celebre attore tedesco, l'Iffland, - facendoil difensore ufficioso del personaggio che rappresentava:lasciando cioè indovinare in che maniera fosse diventatoquello che era, per quale via, non per colpa tutta sua, sifosse così depravato, - guasto prima da un'educazionefalsa e poi dall'esempio della società incancrenita in cuiera vissuto, - e in tal modo, senza riuscire simpatico, simantenne dentro a quei limiti dell'odioso, oltre ai qualiun personaggio teatrale non è più tollerabile e nuoceagli intendimenti del poeta. Ma fu terribile. Nella scena[203] del quart'atto, per esempio, quando vuole umiliare ilsignor Gérard, ricordandogli che sua madre era statagovernante della duchessa, trovò l'accento d'unsarcasmo così sanguinoso e stillò le parole insolentinell'animo del povero giovane, come goccie di piombofuso, con una lentezza così spietata, che tutti glispettatori se le sentirono penetrare nel cuore ad una aduna, e fremettero per quello a cui eran dirette. E fecerabbrividire l'impassibilità marmorea con la qualericevette in viso quella tremenda invettiva delladuchessa, di cui ogni parola è uno schiaffo, fino a quel

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cinismo d'un viveur intristito nel vizio, capace di tutte lebassezze, l'audacia meditata e malvagia dellospadaccino sicuro d'uccidere, - la sua educazione, il suopassato, tutto quello che sarebbe stato capace di fare, emille cose che pensava, e che non diceva; ma chefacevano pensare. Egli corresse anzi leggermente, conmolta arte, il carattere immaginato dal Dumas, chepoteva riuscir troppo ributtante; e lo corresse - comeprescriveva il celebre attore tedesco, l'Iffland, - facendoil difensore ufficioso del personaggio che rappresentava:lasciando cioè indovinare in che maniera fosse diventatoquello che era, per quale via, non per colpa tutta sua, sifosse così depravato, - guasto prima da un'educazionefalsa e poi dall'esempio della società incancrenita in cuiera vissuto, - e in tal modo, senza riuscire simpatico, simantenne dentro a quei limiti dell'odioso, oltre ai qualiun personaggio teatrale non è più tollerabile e nuoceagli intendimenti del poeta. Ma fu terribile. Nella scena[203] del quart'atto, per esempio, quando vuole umiliare ilsignor Gérard, ricordandogli che sua madre era statagovernante della duchessa, trovò l'accento d'unsarcasmo così sanguinoso e stillò le parole insolentinell'animo del povero giovane, come goccie di piombofuso, con una lentezza così spietata, che tutti glispettatori se le sentirono penetrare nel cuore ad una aduna, e fremettero per quello a cui eran dirette. E fecerabbrividire l'impassibilità marmorea con la qualericevette in viso quella tremenda invettiva delladuchessa, di cui ogni parola è uno schiaffo, fino a quel

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fulmineo: - Misèrable! - che finalmente gli solleva ilsangue; e la rabbia pazza e feroce con cui le si slanciaaddosso all'ultime parole, e lo sforzo improvviso con cuisi frena. Mai era stata rappresentata la superbia,l'insolenza e la rabbia, con più satanica potenza, sullescene della Commedia francese. Il suo successo fuenorme. Egli empì il dramma della sua persona, e vispiegò tanta forza, che se gli altri [204] atleti fosserocaduti, sarebbe bastato per tutti egli solo.

***

Ma per quanto si dica, egli non è mai tanto potentecome quando nuota nella comicità larga del Molière, frale grosse celie e le grosse risa, vestito dei panni diScapin e di Mascarille. Quella comicità dal naso corto edalle grosse labbra, come disse Alfonso Daudet, parfatta per la sua faccia, per la sua voce e per la suaindole. Lì sfolgora ed impera davvero, e fa tremare levôlte del teatro. Nessun Mascarille, nelle Précieusesridicules, ha mai detto con più petulante disinvoltura lesue spropositate goffaggini; nessuno ha mai mostrato sulpalco scenico una più maledetta grinta, una piùimpertinente sfacciataggine di lacchè astuto eridacchione, docile ai pugni e alle legnate, e pronto [205] atutte le pagliacciate e a tutte le bricconerie. NessunoScapin è stato mai più magistralmente bugiardo,ipocrita, truffatore e buffone. Il Coquelin domina lascena, in queste farse epiche, coll'imperturbabilità

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fulmineo: - Misèrable! - che finalmente gli solleva ilsangue; e la rabbia pazza e feroce con cui le si slanciaaddosso all'ultime parole, e lo sforzo improvviso con cuisi frena. Mai era stata rappresentata la superbia,l'insolenza e la rabbia, con più satanica potenza, sullescene della Commedia francese. Il suo successo fuenorme. Egli empì il dramma della sua persona, e vispiegò tanta forza, che se gli altri [204] atleti fosserocaduti, sarebbe bastato per tutti egli solo.

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Ma per quanto si dica, egli non è mai tanto potentecome quando nuota nella comicità larga del Molière, frale grosse celie e le grosse risa, vestito dei panni diScapin e di Mascarille. Quella comicità dal naso corto edalle grosse labbra, come disse Alfonso Daudet, parfatta per la sua faccia, per la sua voce e per la suaindole. Lì sfolgora ed impera davvero, e fa tremare levôlte del teatro. Nessun Mascarille, nelle Précieusesridicules, ha mai detto con più petulante disinvoltura lesue spropositate goffaggini; nessuno ha mai mostrato sulpalco scenico una più maledetta grinta, una piùimpertinente sfacciataggine di lacchè astuto eridacchione, docile ai pugni e alle legnate, e pronto [205] atutte le pagliacciate e a tutte le bricconerie. NessunoScapin è stato mai più magistralmente bugiardo,ipocrita, truffatore e buffone. Il Coquelin domina lascena, in queste farse epiche, coll'imperturbabilità

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sovrana che dà la coscienza del genio. Ha una mobilitàdi fisonomia, un'elasticità di voce, una pieghevolezza dimembra, una sicurezza, un'audacia che nessuna parolapuò rendere. Nelle Précieuses ridicules suscita unatempesta di risate con ogni parola, quando contraffà ilgentiluomo letterato e lezioso, e declama quellastramberia di madrigale che finisce col grido: Al ladro! -Nelle Fourberies de Scapin snocciola quelle lungheparlate per indurre Argante a sborsare i seicento scudi,con una rapidità d'un effetto comico meraviglioso. Nonson più periodi; sono eruzioni, cascate precipitose diparole, che schizzano e tintinnano come sacchi dimonete rovesciati, fra le esclamazioni di stupore dellaplatea. Nei Fâcheux, facendo la parte del cacciatoreappassionato, dice quei cento e quattro versi filati delladescrizione [206] della caccia, d'un fiato solo, come se liimprovvisasse, con una tale potenza imitativa della vocee del gesto, che per un quarto d'ora par di veder fuggire icervi per la foresta, e il teatro risuona dello scalpitìo deicavalli, del latrato dei cani, dello squillo dei corni, dellegrida dei cacciatori, come se vi agisse un'interaCompagnia equestre. Ed è infaticabile. Dopo aver fattoMascarille nell'Etourdi, che è una delle parti più lunghee più difficili del vecchio repertorio drammatico, èfresco e disposto come prima di cominciare. Ed èsuperfluo far notare la difficoltà grandissima chepresentano queste parti comiche del Molière, in cui sel'attore non è tanto forte da tener continuamente vival'ilarità e l'ammirazione, subito risalta la trivialità,

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sovrana che dà la coscienza del genio. Ha una mobilitàdi fisonomia, un'elasticità di voce, una pieghevolezza dimembra, una sicurezza, un'audacia che nessuna parolapuò rendere. Nelle Précieuses ridicules suscita unatempesta di risate con ogni parola, quando contraffà ilgentiluomo letterato e lezioso, e declama quellastramberia di madrigale che finisce col grido: Al ladro! -Nelle Fourberies de Scapin snocciola quelle lungheparlate per indurre Argante a sborsare i seicento scudi,con una rapidità d'un effetto comico meraviglioso. Nonson più periodi; sono eruzioni, cascate precipitose diparole, che schizzano e tintinnano come sacchi dimonete rovesciati, fra le esclamazioni di stupore dellaplatea. Nei Fâcheux, facendo la parte del cacciatoreappassionato, dice quei cento e quattro versi filati delladescrizione [206] della caccia, d'un fiato solo, come se liimprovvisasse, con una tale potenza imitativa della vocee del gesto, che per un quarto d'ora par di veder fuggire icervi per la foresta, e il teatro risuona dello scalpitìo deicavalli, del latrato dei cani, dello squillo dei corni, dellegrida dei cacciatori, come se vi agisse un'interaCompagnia equestre. Ed è infaticabile. Dopo aver fattoMascarille nell'Etourdi, che è una delle parti più lunghee più difficili del vecchio repertorio drammatico, èfresco e disposto come prima di cominciare. Ed èsuperfluo far notare la difficoltà grandissima chepresentano queste parti comiche del Molière, in cui sel'attore non è tanto forte da tener continuamente vival'ilarità e l'ammirazione, subito risalta la trivialità,

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l'esagerazione, il grottesco del personaggio e dellascena, e non basta la riverenza che ispira il grande poetaa trattener il pubblico dal dar segno di noia od'impazienza: il che suole accadere nei teatri diprovincia, dove le commedie del Molière sono quasi [207]

irrappresentabili. Ma il Coquelin par nato fatto perinterpretare il Molière; e piuttosto che un Sociétairedella commedia francese, si direbbe che è un attoresuperstite della famosa troupe de Monsieur, ancor tuttofresco, dopo due secoli, delle lezioni del suo capo-comico immortale. E in questo gli giova immensamentela faccia. È impossibile resistere alla forza comica dellosguardo, del riso e della smorfia di questo grandiosofarceur; bisogna ridere con lui, in qualunque statod'animo ci si trovi; e si ride di quel riso a singhiozzi,convulsivo e clamoroso, che ci riprende ancora dopo ilteatro, e ci accompagna a casa, e ci torna ad assalire lamattina dopo, e ci rimane come un grato ricordo persempre.

[208]

***

Certamente, egli deve la sua gloria artistica più aidoni della natura che allo studio. Histrio nascitur. Edanco non ammettendo questa verità, bisognerebbe fareun'eccezione per coloro che sono grandi attori a ventitrèanni. Nondimeno egli studiò e faticò moltissimo. Nons'è fatto una voce, come si dice del celebre attore

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l'esagerazione, il grottesco del personaggio e dellascena, e non basta la riverenza che ispira il grande poetaa trattener il pubblico dal dar segno di noia od'impazienza: il che suole accadere nei teatri diprovincia, dove le commedie del Molière sono quasi [207]

irrappresentabili. Ma il Coquelin par nato fatto perinterpretare il Molière; e piuttosto che un Sociétairedella commedia francese, si direbbe che è un attoresuperstite della famosa troupe de Monsieur, ancor tuttofresco, dopo due secoli, delle lezioni del suo capo-comico immortale. E in questo gli giova immensamentela faccia. È impossibile resistere alla forza comica dellosguardo, del riso e della smorfia di questo grandiosofarceur; bisogna ridere con lui, in qualunque statod'animo ci si trovi; e si ride di quel riso a singhiozzi,convulsivo e clamoroso, che ci riprende ancora dopo ilteatro, e ci accompagna a casa, e ci torna ad assalire lamattina dopo, e ci rimane come un grato ricordo persempre.

[208]

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Certamente, egli deve la sua gloria artistica più aidoni della natura che allo studio. Histrio nascitur. Edanco non ammettendo questa verità, bisognerebbe fareun'eccezione per coloro che sono grandi attori a ventitrèanni. Nondimeno egli studiò e faticò moltissimo. Nons'è fatto una voce, come si dice del celebre attore

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Duprez; ma lavorò la sua infaticabilmente, conesercitazioni assidue e metodiche; e non son molti anni,infatti, ch'egli ha quell'elasticità mirabile degli organivocali, che si presta così docilmente alla varietà e allamobilità prodigiosa delle sue sensazioni. Così la suapronunzia nitidissima, che fa d'ogni sillaba una notacristallina, è principalmente frutto d'un fortemente volli,come il vigore del verso alfieriano. [209] È una cosa cheaccende nel sangue la passione dello studio, il sentirglidire, per esempio, con che amore e con che cura si èrimesso a studiare la sua parte d'Annibal, dopo chel'Augier rimpastò l'Avventuriera; come l'ha scomposta ericomposta daccapo, periodo per periodo e frase perfrase; come ha rivoltato per tutti i versi ogni parola pertrovarle il suo accento vero e proprio; come haragionato tra sè ogni sorriso e ogni gesto. Così purel'udirgli esporre le riflessioni minute e ingegnose chefece sulla parte di Figaro nel Barbiere di Siviglia, percogliere le differenze che dovevano passare fra questo -giovane e spensierato, - e il Figaro del Mariage, - piùavanzato negli anni, più esperto della vita e cangiatoanche per effetto della sua nuova condizione; -differenze che seppe rendere stupendamente sulpalcoscenico, fin nelle più leggiere sfumature; e leconferenze d'ore e d'ore avute con gli autori, colmanoscritto alla mano, coperto di richiami e di postille,per trovare insieme il colore particolare da darsi a [210]

una scena, o l'intonazione giusta d'un monologo; e lediscussioni interminabili avute coll'Augier o col Dumas

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Duprez; ma lavorò la sua infaticabilmente, conesercitazioni assidue e metodiche; e non son molti anni,infatti, ch'egli ha quell'elasticità mirabile degli organivocali, che si presta così docilmente alla varietà e allamobilità prodigiosa delle sue sensazioni. Così la suapronunzia nitidissima, che fa d'ogni sillaba una notacristallina, è principalmente frutto d'un fortemente volli,come il vigore del verso alfieriano. [209] È una cosa cheaccende nel sangue la passione dello studio, il sentirglidire, per esempio, con che amore e con che cura si èrimesso a studiare la sua parte d'Annibal, dopo chel'Augier rimpastò l'Avventuriera; come l'ha scomposta ericomposta daccapo, periodo per periodo e frase perfrase; come ha rivoltato per tutti i versi ogni parola pertrovarle il suo accento vero e proprio; come haragionato tra sè ogni sorriso e ogni gesto. Così purel'udirgli esporre le riflessioni minute e ingegnose chefece sulla parte di Figaro nel Barbiere di Siviglia, percogliere le differenze che dovevano passare fra questo -giovane e spensierato, - e il Figaro del Mariage, - piùavanzato negli anni, più esperto della vita e cangiatoanche per effetto della sua nuova condizione; -differenze che seppe rendere stupendamente sulpalcoscenico, fin nelle più leggiere sfumature; e leconferenze d'ore e d'ore avute con gli autori, colmanoscritto alla mano, coperto di richiami e di postille,per trovare insieme il colore particolare da darsi a [210]

una scena, o l'intonazione giusta d'un monologo; e lediscussioni interminabili avute coll'Augier o col Dumas

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per sostenere il suo modo d'interpretazione, e salvar lavita al personaggio concepito da lui, e amato come unacreatura fatta con le sue carni e col suo sangue. Di tutti ipersonaggi che deve rappresentare, e della società e deltempo in cui vissero, cerca con una pazienza e con unacuriosità d'archeologo le più minute notizie, nei libri enelle conversazioni; e nota tutto e rimesta ogni cosa permesi e mesi, ragionando di ogni minimo particolarelungamente, con una diligenza che tocca la pedanteria.E si prepara con maggior studio e maggiore pacatezza inquelle scene appunto, in cui dovrà allentar di più labriglia al suo istinto, perchè vuol essere audace sulsicuro; al qual fine raccoglie osservazioni e consigli daogni parte, come uno scrittore naturalista, e ricorre lecritiche che gli son state fatte negli anni addietro; maper quanto faccia, non si presenta mai al pubblico con lacoscienza soddisfatta, [211] e ricomincia a martellare sullasua parte anche dopo la più splendida riuscita.

***

A questo lavoro indefesso egli deve la sua continuaascensione nell'arte, in cui non ha più che un rivale, - ilGot, - che ha vent'anni più di lui, ed era già attoreprovetto quando il Coquelin entrò nel «Teatro francese»;quel celebre Got, che creò il Giboyer, come si dice nellinguaggio teatrale, nelle due commedie Les effrontés eLe fils de Giboyer; che fece un tipo indimenticabiledell'abate nell'Il ne faut jurer de rien di Alfredo Musset;

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per sostenere il suo modo d'interpretazione, e salvar lavita al personaggio concepito da lui, e amato come unacreatura fatta con le sue carni e col suo sangue. Di tutti ipersonaggi che deve rappresentare, e della società e deltempo in cui vissero, cerca con una pazienza e con unacuriosità d'archeologo le più minute notizie, nei libri enelle conversazioni; e nota tutto e rimesta ogni cosa permesi e mesi, ragionando di ogni minimo particolarelungamente, con una diligenza che tocca la pedanteria.E si prepara con maggior studio e maggiore pacatezza inquelle scene appunto, in cui dovrà allentar di più labriglia al suo istinto, perchè vuol essere audace sulsicuro; al qual fine raccoglie osservazioni e consigli daogni parte, come uno scrittore naturalista, e ricorre lecritiche che gli son state fatte negli anni addietro; maper quanto faccia, non si presenta mai al pubblico con lacoscienza soddisfatta, [211] e ricomincia a martellare sullasua parte anche dopo la più splendida riuscita.

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A questo lavoro indefesso egli deve la sua continuaascensione nell'arte, in cui non ha più che un rivale, - ilGot, - che ha vent'anni più di lui, ed era già attoreprovetto quando il Coquelin entrò nel «Teatro francese»;quel celebre Got, che creò il Giboyer, come si dice nellinguaggio teatrale, nelle due commedie Les effrontés eLe fils de Giboyer; che fece un tipo indimenticabiledell'abate nell'Il ne faut jurer de rien di Alfredo Musset;

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che interpreta insuperabilmente Maître Guérin,Monsieur Poirier e il Duca Job di Léon Laya: il primoattore, forse, che portò nella Comédie française unsentimento potente della realtà, e che, pure possedendoprofondamente la tradizione dell'arte, [212] pigliò tutti isuoi modelli nella natura viva. Anch'egli è ugualmenteforte nel drammatico e nel comico: Bernard neiFourchambault, strappa i singhiozzi; Matamorenell'Illusion comique, fa schiantar dalle risa; e chi l'havisto Rabbino alsaziano nell'Ami Fritz, che fu uno deisuoi più grandi trionfi, non lo riconosce più nei panni diSganarelle o del Souffleur dei Plaideurs di Racine, incui è insuperabile. Osservatore finissimo, vero fin nellepiù piccole minuzie, abilissimo alle trasformazioni delviso, capace di recitare per quattro atti interi, come nelGendre de monsieur Poirier, con un occhio socchiuso ela bocca torta, senza scomporsi un momento; fornitod'un gusto letterario squisito, e di buoni studi, ealtieramente appassionato dell'arte sua, egli tenne perlungo tempo il primato nel «Teatro francese», ed èindubitabile che giovò moltissimo al Coquelin, nonfoss'altro che col proprio esempio. Ma questi - lasciandoda parte altre qualità intimamente individuali, che nonpermettono confronti - è superiore a lui [213] nellaversatilità dell'ingegno e nella mutabilità dell'aspetto. IlGot è vario; il Coquelin è un Proteo. Il Got, peresempio, ha non so che di proprio e d'immutabilenell'intonazione e nel gesto, un certo fare bourru,imitant la franchise, come dicono i francesi, e un tic

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che interpreta insuperabilmente Maître Guérin,Monsieur Poirier e il Duca Job di Léon Laya: il primoattore, forse, che portò nella Comédie française unsentimento potente della realtà, e che, pure possedendoprofondamente la tradizione dell'arte, [212] pigliò tutti isuoi modelli nella natura viva. Anch'egli è ugualmenteforte nel drammatico e nel comico: Bernard neiFourchambault, strappa i singhiozzi; Matamorenell'Illusion comique, fa schiantar dalle risa; e chi l'havisto Rabbino alsaziano nell'Ami Fritz, che fu uno deisuoi più grandi trionfi, non lo riconosce più nei panni diSganarelle o del Souffleur dei Plaideurs di Racine, incui è insuperabile. Osservatore finissimo, vero fin nellepiù piccole minuzie, abilissimo alle trasformazioni delviso, capace di recitare per quattro atti interi, come nelGendre de monsieur Poirier, con un occhio socchiuso ela bocca torta, senza scomporsi un momento; fornitod'un gusto letterario squisito, e di buoni studi, ealtieramente appassionato dell'arte sua, egli tenne perlungo tempo il primato nel «Teatro francese», ed èindubitabile che giovò moltissimo al Coquelin, nonfoss'altro che col proprio esempio. Ma questi - lasciandoda parte altre qualità intimamente individuali, che nonpermettono confronti - è superiore a lui [213] nellaversatilità dell'ingegno e nella mutabilità dell'aspetto. IlGot è vario; il Coquelin è un Proteo. Il Got, peresempio, ha non so che di proprio e d'immutabilenell'intonazione e nel gesto, un certo fare bourru,imitant la franchise, come dicono i francesi, e un tic

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particolare del capo e delle spalle, simile all'atto di chidica: - Non me ne importa il gran nulla, - un po' volgare,- che lo rende inabile a tutte le parti in cui si richiedeeleganza e dignità signorile di maniere. Oltre di che èrestìo a liberarsi dai modi e dagli accenti d'una parte incui sia riuscito maestrevolmente; così che per moltotempo, dopo una creazione grande e fortunata, porta inaltri drammi l'impronta del personaggio prediletto, comegli accadde, tra l'altre volte, dopo il suo successo nelGiboyer. Il che non segue al Coquelin, di cui l'ingegnosembra cambiar natura ogni volta che cambia parte; chescende fino alla farsa plebea e sale fino alla più altapoesia; pagliaccio, gentiluomo, villano, brillante,tiranno, - eroe della rivoluzione, [214] tragico, nel JeanDacier, - piccolo collegiale vizioso e impostore nel Lionet Renard, - sempre originale, rifatto da capo a piedi, eliberissimo da ogni legame di reminiscenza; a segno chese gli saltasse il ticchio domani di fare il Romeo - conquella faccia - nella tragedia dello Shakspeare, c'è dagiurare che ci riuscirebbe, come disse un critico tedesco;e che il pubblico, ascoltandolo, direbbe che a Giuliettapoteva toccare un amante più bello, ma non uno piùinteressante e più appassionato. Nondimeno sono moltiancora quelli che gli preferiscono il Got, come piùprofondo e più grave; e c'è fra loro una gelosia coperta,ma viva, che scoppia ogni volta che cade su unamedesima parte la preferenza di tutti e due: come segueora per il dramma Le Roi s'amuse, in cui l'uno e l'altrovorrebbe fare il Triboulet; e questo tira tira è cagione

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particolare del capo e delle spalle, simile all'atto di chidica: - Non me ne importa il gran nulla, - un po' volgare,- che lo rende inabile a tutte le parti in cui si richiedeeleganza e dignità signorile di maniere. Oltre di che èrestìo a liberarsi dai modi e dagli accenti d'una parte incui sia riuscito maestrevolmente; così che per moltotempo, dopo una creazione grande e fortunata, porta inaltri drammi l'impronta del personaggio prediletto, comegli accadde, tra l'altre volte, dopo il suo successo nelGiboyer. Il che non segue al Coquelin, di cui l'ingegnosembra cambiar natura ogni volta che cambia parte; chescende fino alla farsa plebea e sale fino alla più altapoesia; pagliaccio, gentiluomo, villano, brillante,tiranno, - eroe della rivoluzione, [214] tragico, nel JeanDacier, - piccolo collegiale vizioso e impostore nel Lionet Renard, - sempre originale, rifatto da capo a piedi, eliberissimo da ogni legame di reminiscenza; a segno chese gli saltasse il ticchio domani di fare il Romeo - conquella faccia - nella tragedia dello Shakspeare, c'è dagiurare che ci riuscirebbe, come disse un critico tedesco;e che il pubblico, ascoltandolo, direbbe che a Giuliettapoteva toccare un amante più bello, ma non uno piùinteressante e più appassionato. Nondimeno sono moltiancora quelli che gli preferiscono il Got, come piùprofondo e più grave; e c'è fra loro una gelosia coperta,ma viva, che scoppia ogni volta che cade su unamedesima parte la preferenza di tutti e due: come segueora per il dramma Le Roi s'amuse, in cui l'uno e l'altrovorrebbe fare il Triboulet; e questo tira tira è cagione

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che il dramma non si rappresenti; non essendo parsaaccettabile a nessun dei due la proposta di Victor Hugo,che facessero il Triboulet una volta per uno, a [215] serealternate: proposta d'accorto finanziere, non d'uomoesperto del cuore umano.

***

Il Coquelin ha ancora un merito tutto proprio, che èd'essere un grande declamatore di poesie liriche. Anzitutto è maestro senza eguali nel dire i versi, che è quasiun'arte nell'arte, in cui non gli si avvicinano che il Got eSara Bernhardt. È uno dei rarissimi attori che sianriusciti a liberarsi, fino a un certo punto, daquell'accento convenuto, da quel colorito generale che èquasi obbligatorio nella dizione degli alessandrinifrancesi, e che anche nell'espansioni più appassionatedell'animo tutti badano a conservare, come se fosse unanecessità fondamentale dell'arte. Il Coquelin si liberò daquesta psalmodia, da questa specie di musica sacra,come la definì la signora Stael, che si [216] trasmette digenerazione in generazione a somiglianza d'un vizioereditario; e prese una via di mezzo tra coloro checantano il verso, avvolgendo tutto in una sorta dimelopea sonnolenta, che arrotonda tutte le linee ecancella tutti i contorni, e coloro che, sotto il pretestodella imitazione del vero, non badano nè a ritmo, nè arima, nè a prosodia, e sacrificano interamente l'elementopoetico all'elemento drammatico. Egli ha saputo

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che il dramma non si rappresenti; non essendo parsaaccettabile a nessun dei due la proposta di Victor Hugo,che facessero il Triboulet una volta per uno, a [215] serealternate: proposta d'accorto finanziere, non d'uomoesperto del cuore umano.

***

Il Coquelin ha ancora un merito tutto proprio, che èd'essere un grande declamatore di poesie liriche. Anzitutto è maestro senza eguali nel dire i versi, che è quasiun'arte nell'arte, in cui non gli si avvicinano che il Got eSara Bernhardt. È uno dei rarissimi attori che sianriusciti a liberarsi, fino a un certo punto, daquell'accento convenuto, da quel colorito generale che èquasi obbligatorio nella dizione degli alessandrinifrancesi, e che anche nell'espansioni più appassionatedell'animo tutti badano a conservare, come se fosse unanecessità fondamentale dell'arte. Il Coquelin si liberò daquesta psalmodia, da questa specie di musica sacra,come la definì la signora Stael, che si [216] trasmette digenerazione in generazione a somiglianza d'un vizioereditario; e prese una via di mezzo tra coloro checantano il verso, avvolgendo tutto in una sorta dimelopea sonnolenta, che arrotonda tutte le linee ecancella tutti i contorni, e coloro che, sotto il pretestodella imitazione del vero, non badano nè a ritmo, nè arima, nè a prosodia, e sacrificano interamente l'elementopoetico all'elemento drammatico. Egli ha saputo

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cogliere una certa armonia intermedia tra la parola e lamusica, che nello stesso tempo accarezza l'orecchio erende l'intonazione del discorso. E fa valeremirabilmente la bellezza della forma. Senza rivelartroppo l'artifizio, fa sentire tutte le variazioni delmovimento ritmico, le ondulazioni della frase, le rime,le cesure, le attaccature dei periodi; rompe la monotoniadegli alessandrini con una quantità di chiaroscuridelicatissimi; virgola e punteggia con una grandeefficacia, e, grazie particolarmente alla sua manieraferma e nitida di articolare le consonanti, ha unachiarezza di dizione - qualità indispensabile [217] per iversi - che nessun attore ha mai superata. Oltrechè non èsolamente interprete, ma critico e correttor vero delpoeta. Nessuno meglio di lui sa afferrare, in una poesia,il filo del concetto principale, e attenercisi, malgrado lepiù viziose digressioni, e fare in modo che non se nescosti menomamente l'attenzione degli uditori. Èmaestro nell'arte di velare i difetti della forma, discivolare sulle lungaggini, di gettar ombra sulle partideboli per raccoglier luce sulle forti, di far sfolgorare ilverso capitale, e di scoprire e mettere in rilievo pensieriaffogati dalle immagini, e sensi riposti, e finezze, econtrasti, che il poeta stesso non ha avvertiti. Ed esercitaquest'arte nei salotti - dov'è invitato e pagato - il che èmolto diverso, ed anche assai più difficile che esercitarlanel teatro; tanto che molti attori applauditissimi sulpalco scenico, perdono ogni efficacia declamando versiin un cerchio ristretto d'uditori. Il Coquelin, invece,

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cogliere una certa armonia intermedia tra la parola e lamusica, che nello stesso tempo accarezza l'orecchio erende l'intonazione del discorso. E fa valeremirabilmente la bellezza della forma. Senza rivelartroppo l'artifizio, fa sentire tutte le variazioni delmovimento ritmico, le ondulazioni della frase, le rime,le cesure, le attaccature dei periodi; rompe la monotoniadegli alessandrini con una quantità di chiaroscuridelicatissimi; virgola e punteggia con una grandeefficacia, e, grazie particolarmente alla sua manieraferma e nitida di articolare le consonanti, ha unachiarezza di dizione - qualità indispensabile [217] per iversi - che nessun attore ha mai superata. Oltrechè non èsolamente interprete, ma critico e correttor vero delpoeta. Nessuno meglio di lui sa afferrare, in una poesia,il filo del concetto principale, e attenercisi, malgrado lepiù viziose digressioni, e fare in modo che non se nescosti menomamente l'attenzione degli uditori. Èmaestro nell'arte di velare i difetti della forma, discivolare sulle lungaggini, di gettar ombra sulle partideboli per raccoglier luce sulle forti, di far sfolgorare ilverso capitale, e di scoprire e mettere in rilievo pensieriaffogati dalle immagini, e sensi riposti, e finezze, econtrasti, che il poeta stesso non ha avvertiti. Ed esercitaquest'arte nei salotti - dov'è invitato e pagato - il che èmolto diverso, ed anche assai più difficile che esercitarlanel teatro; tanto che molti attori applauditissimi sulpalco scenico, perdono ogni efficacia declamando versiin un cerchio ristretto d'uditori. Il Coquelin, invece,

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conosce ed osserva rigorosamente tutte le leggi delicatee difficili che [218] impone la vicinanza dell'uditorio, colquale, anzi, qualche volta l'artista si trova confuso:smorza gli effetti, ristringe il gesto, attenua l'espressionedel volto, modula in un modo particolare la voce, edissimula accortissimamente l'attore drammatico sottol'uomo di società. Perciò ottiene dei successi privati nonmeno splendidi dei successi teatrali, e rende, in questocampo, dei veri servigi alle lettere. È lui che ha diffuso,in questi ultimi anni, il gusto dei versi nella societàelegante, che non badava prima che alla musica, eparecchi dei più illustri tra i giovani poeti della Franciadebbono a lui il principio della propria fama. Egli recitòper il primo le poesie di Alfonso Daudet, che è suoamico intimo, di Paolo Déroulede, per il quale professauna viva ammirazione, di Jacques Normand, delCoppée, del Manuel, del Guiard. E non si può dire conche passione egli cerca queste poesie, con che piacere sele fa leggere in casa, per le strade, in carrozza, neicamerini del Brébant; come scatta ad ogni versopotente; come, [219] senz'accorgersene, udendo leggere,prepara il gesto e l'atteggiamento del viso con cui diràquella data strofa; con che impazienza, all'ultimo verso,strappa il manoscritto di mano al poeta, e con che bellae simpatica sicurezza di grande artista gli dicesorridendo: - Lasciate fare a me, che vi servirò daonest'uomo.

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conosce ed osserva rigorosamente tutte le leggi delicatee difficili che [218] impone la vicinanza dell'uditorio, colquale, anzi, qualche volta l'artista si trova confuso:smorza gli effetti, ristringe il gesto, attenua l'espressionedel volto, modula in un modo particolare la voce, edissimula accortissimamente l'attore drammatico sottol'uomo di società. Perciò ottiene dei successi privati nonmeno splendidi dei successi teatrali, e rende, in questocampo, dei veri servigi alle lettere. È lui che ha diffuso,in questi ultimi anni, il gusto dei versi nella societàelegante, che non badava prima che alla musica, eparecchi dei più illustri tra i giovani poeti della Franciadebbono a lui il principio della propria fama. Egli recitòper il primo le poesie di Alfonso Daudet, che è suoamico intimo, di Paolo Déroulede, per il quale professauna viva ammirazione, di Jacques Normand, delCoppée, del Manuel, del Guiard. E non si può dire conche passione egli cerca queste poesie, con che piacere sele fa leggere in casa, per le strade, in carrozza, neicamerini del Brébant; come scatta ad ogni versopotente; come, [219] senz'accorgersene, udendo leggere,prepara il gesto e l'atteggiamento del viso con cui diràquella data strofa; con che impazienza, all'ultimo verso,strappa il manoscritto di mano al poeta, e con che bellae simpatica sicurezza di grande artista gli dicesorridendo: - Lasciate fare a me, che vi servirò daonest'uomo.

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Ma non è compiuto il ritratto del Coquelin se non glisi fa accanto uno schizzo di suo fratello, che è come unasua appendice; attore anche lui del Teatro francese,chiamato Coquelin cadet, per distinguerlo da Costanzo.Il Coquelin cadet crebbe al calore del forno paternoaccanto al fratello maggiore, e portò con lui il panefresco ai buoni borghesi di Boulogne-sur-mer, con lafaccia bianca di farina e le mani imbrattate di pasta.Quando [220] il fratello maggiore dava i primi segni dellasua vocazione drammatica, lui ancora bambinos'ingegnava già d'imitarlo, gesticolando e balbettandodei versi; e quando più tardi il fratello gli confidò i suoidisegni ambiziosi, anch'egli cominciò a riscalducciarsila testa e a vagheggiare il teatro. Partì il fratello, passòqualche anno: Coquelin cadet pensò di manifestare lesue intenzioni al padre; ma non osava, perchè suo padrecontava fermamente su di lui per tramandare ai posteri ilsuo forno. Nondimeno un giorno si fece coraggio e tiròla schioppettata. Si ripetè la medesima scena che eraseguita col primogenito; ma questa volta con un po' discandalo. Il buon fornaio, udendo per la seconda voltaquelle fatali parole: - Voglio fare l'artista drammatico, -alzò la testa dalla madia, e guardò il figliuolo con dueocchi grandi come due scudi. - Ma dunque - disse,incrociando le braccia - è proprio destino che io non nedebba salvare neppur uno dei miei figliuoli! C'estcomme une peste qu'ils ont tous. Je [221] ne comprendspas. Où ont-il donc attrapé ça, mon Dieu! - Ma dopo unpo' di contrasto, si rassegnò, e lasciò partire il ragazzo

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Ma non è compiuto il ritratto del Coquelin se non glisi fa accanto uno schizzo di suo fratello, che è come unasua appendice; attore anche lui del Teatro francese,chiamato Coquelin cadet, per distinguerlo da Costanzo.Il Coquelin cadet crebbe al calore del forno paternoaccanto al fratello maggiore, e portò con lui il panefresco ai buoni borghesi di Boulogne-sur-mer, con lafaccia bianca di farina e le mani imbrattate di pasta.Quando [220] il fratello maggiore dava i primi segni dellasua vocazione drammatica, lui ancora bambinos'ingegnava già d'imitarlo, gesticolando e balbettandodei versi; e quando più tardi il fratello gli confidò i suoidisegni ambiziosi, anch'egli cominciò a riscalducciarsila testa e a vagheggiare il teatro. Partì il fratello, passòqualche anno: Coquelin cadet pensò di manifestare lesue intenzioni al padre; ma non osava, perchè suo padrecontava fermamente su di lui per tramandare ai posteri ilsuo forno. Nondimeno un giorno si fece coraggio e tiròla schioppettata. Si ripetè la medesima scena che eraseguita col primogenito; ma questa volta con un po' discandalo. Il buon fornaio, udendo per la seconda voltaquelle fatali parole: - Voglio fare l'artista drammatico, -alzò la testa dalla madia, e guardò il figliuolo con dueocchi grandi come due scudi. - Ma dunque - disse,incrociando le braccia - è proprio destino che io non nedebba salvare neppur uno dei miei figliuoli! C'estcomme une peste qu'ils ont tous. Je [221] ne comprendspas. Où ont-il donc attrapé ça, mon Dieu! - Ma dopo unpo' di contrasto, si rassegnò, e lasciò partire il ragazzo

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per Parigi, dove fu ricevuto al Conservatorio, poco dopoarrivato. Aveva ingegno e attitudine grande all'arte; manon l'esuberanza di vita, e le facoltà poderose esplendide del fratello. Perciò il suo noviziato fu più duroe più lungo. Ma riuscì; riportò anzi il primo premio delConservatorio nel 1867, e si presentò per la prima voltasulle scene della Comédie française, facendo il Petit-Jean nei Plaideurs, il 10 giugno 1869, otto anni dopoche aveva esordito suo fratello, il quale, con pensieroaffettuoso, volle recitare accanto a lui quella stessa sera,nella medesima commedia, nella parte dell'Intimé.Coquelin II piacque. D'aspetto, somiglia molto alfratello; ed è forse anche più comico, benchè abbia ilineamenti meno risentiti: gli basta entrar in scena perfar ridere. Ma l'indole drammatica è diversa: egli hapiuttosto la comicità inglese, - umoristica - un po'fredda, che si fa [222] capire più che non si faccia valere;ed è attor fino e originale; e quel ch'è più curioso,lontanissimo da ogni idea d'imitazione di suo fratello;del che diede una bella prova fin da principio nellacommedia Le mari qui pleure di Jules Prével, in cui fecela parte dell'avvocato Laroche, già sostenutamirabilmente dal primo Coquelin, in una manieradiversa affatto, e non meno ingegnosa nè menoapplaudita. Il fratello maggiore, ciò nondimeno, statanto al di sopra dell'altro, da non potersi nemmenoistituire un paragone fra loro; per il che questa bellafraternità non è macchiata di gelosia. L'aîné ama ilcadet più che da fratello, da padre; e quando nella

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per Parigi, dove fu ricevuto al Conservatorio, poco dopoarrivato. Aveva ingegno e attitudine grande all'arte; manon l'esuberanza di vita, e le facoltà poderose esplendide del fratello. Perciò il suo noviziato fu più duroe più lungo. Ma riuscì; riportò anzi il primo premio delConservatorio nel 1867, e si presentò per la prima voltasulle scene della Comédie française, facendo il Petit-Jean nei Plaideurs, il 10 giugno 1869, otto anni dopoche aveva esordito suo fratello, il quale, con pensieroaffettuoso, volle recitare accanto a lui quella stessa sera,nella medesima commedia, nella parte dell'Intimé.Coquelin II piacque. D'aspetto, somiglia molto alfratello; ed è forse anche più comico, benchè abbia ilineamenti meno risentiti: gli basta entrar in scena perfar ridere. Ma l'indole drammatica è diversa: egli hapiuttosto la comicità inglese, - umoristica - un po'fredda, che si fa [222] capire più che non si faccia valere;ed è attor fino e originale; e quel ch'è più curioso,lontanissimo da ogni idea d'imitazione di suo fratello;del che diede una bella prova fin da principio nellacommedia Le mari qui pleure di Jules Prével, in cui fecela parte dell'avvocato Laroche, già sostenutamirabilmente dal primo Coquelin, in una manieradiversa affatto, e non meno ingegnosa nè menoapplaudita. Il fratello maggiore, ciò nondimeno, statanto al di sopra dell'altro, da non potersi nemmenoistituire un paragone fra loro; per il che questa bellafraternità non è macchiata di gelosia. L'aîné ama ilcadet più che da fratello, da padre; e quando nella

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stanza di studio passa la mano sotto il mento d'un suobustino in bronzo, dicendo scherzosamente: voilà monpetit frère, - gli si sente nella voce un grande affetto, egli si leggono negli occhi mille cari ricordi - di quandotrottavano insieme per le strade con le focaccie calde nelpaniere, e riportavano il gruzzolo dei soldi al buonbabbo, curvo sulla [223] madia, tanto lontano dal pensareche un giorno i suoi due piccini avrebbero fattorimbombare d'applausi il primo teatro del mondo, e cheil suo povero forno sarebbe diventato famoso.

***

Ora il Coquelin è nel pieno vigore della sua virilitàartistica e forse nel periodo più felice della sua carriera.Figliuol di grazie del «Teatro francese,» amico intimo dipotenti, accarezzato dai poeti, ricercato di consigli ed'aiuti da tutti i giovani commediografi, glorificatocome artista, riverito come mecenate letterario, e caricodi quattrini, non ha più nulla da desiderare, fuorchèdelle belle commedie. Ma non pensa a sè solamente.Sollecitato da mille parti per recite di beneficenza, eglis'arrende a tutte le preghiere, abusando anche delleproprie forze, e fa del bene a moltissimi; tanto che [224]

ha un salotto pieno di medaglie e di ricordi preziosi chegli offersero, e gli offrono di continuo, in segno digratitudine, Società operaie e Istituti e Comitati disoccorso d'ogni natura. È pure dilettante di belle arti, edha un piccolo museo di quadri del Meissonier, del

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stanza di studio passa la mano sotto il mento d'un suobustino in bronzo, dicendo scherzosamente: voilà monpetit frère, - gli si sente nella voce un grande affetto, egli si leggono negli occhi mille cari ricordi - di quandotrottavano insieme per le strade con le focaccie calde nelpaniere, e riportavano il gruzzolo dei soldi al buonbabbo, curvo sulla [223] madia, tanto lontano dal pensareche un giorno i suoi due piccini avrebbero fattorimbombare d'applausi il primo teatro del mondo, e cheil suo povero forno sarebbe diventato famoso.

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Ora il Coquelin è nel pieno vigore della sua virilitàartistica e forse nel periodo più felice della sua carriera.Figliuol di grazie del «Teatro francese,» amico intimo dipotenti, accarezzato dai poeti, ricercato di consigli ed'aiuti da tutti i giovani commediografi, glorificatocome artista, riverito come mecenate letterario, e caricodi quattrini, non ha più nulla da desiderare, fuorchèdelle belle commedie. Ma non pensa a sè solamente.Sollecitato da mille parti per recite di beneficenza, eglis'arrende a tutte le preghiere, abusando anche delleproprie forze, e fa del bene a moltissimi; tanto che [224]

ha un salotto pieno di medaglie e di ricordi preziosi chegli offersero, e gli offrono di continuo, in segno digratitudine, Società operaie e Istituti e Comitati disoccorso d'ogni natura. È pure dilettante di belle arti, edha un piccolo museo di quadri del Meissonier, del

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Bonnat, del Fortuny, del Détaille, - in parecchi dei qualiè ritratto lui, nelle spoglie di Mascarille e di Cesare diBazan, con quel riso indefinibile e irresistibile, a cuideve una gran parte della sua potenza d'artista. Dellaquale potenza uno potrebbe farsi benissimo un'idea,senza essere mai stato al teatro, solo trattenendosi un'oraogni mattina nella sua anticamera; dove si trovanosovente insieme il commediante famelico che viene aimplorare un sussidio che non gli è mai rifiutato, lasignorina americana che vuol pigliar lezioni di dizionefrancese, l'impiegato che desidera una croce, l'ufficialeche ha bisogno d'un traslocamento, e qualche voltapersin dei prefetti, dei magistrati e dei vescovi, che nonisdegnano di raccomandarsi [225] a Sganarello perottenere un piccolo favore dal Governo. Ed egli ricevetutti con quel gran naso voltato in su, pieno di bonarietàe di buon umore, ruminando dei versi del Molièredurante i discorsi lunghi, e rimanda tutti, se nonsoddisfatti nei loro desideri, contenti almeno di avervisto una volta da vicino quella maschera formidabile,che da venti anni fa rider del suo riso e pianger delle suelacrime Parigi.

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Così fatto, o presso a poco, è il celebre Coquelin, ilquale (per terminare con una buona notizia) stapensando a raccogliere una Compagnia d'artisti valentiper fare un giro in Italia, e dare una serie di

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Bonnat, del Fortuny, del Détaille, - in parecchi dei qualiè ritratto lui, nelle spoglie di Mascarille e di Cesare diBazan, con quel riso indefinibile e irresistibile, a cuideve una gran parte della sua potenza d'artista. Dellaquale potenza uno potrebbe farsi benissimo un'idea,senza essere mai stato al teatro, solo trattenendosi un'oraogni mattina nella sua anticamera; dove si trovanosovente insieme il commediante famelico che viene aimplorare un sussidio che non gli è mai rifiutato, lasignorina americana che vuol pigliar lezioni di dizionefrancese, l'impiegato che desidera una croce, l'ufficialeche ha bisogno d'un traslocamento, e qualche voltapersin dei prefetti, dei magistrati e dei vescovi, che nonisdegnano di raccomandarsi [225] a Sganarello perottenere un piccolo favore dal Governo. Ed egli ricevetutti con quel gran naso voltato in su, pieno di bonarietàe di buon umore, ruminando dei versi del Molièredurante i discorsi lunghi, e rimanda tutti, se nonsoddisfatti nei loro desideri, contenti almeno di avervisto una volta da vicino quella maschera formidabile,che da venti anni fa rider del suo riso e pianger delle suelacrime Parigi.

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Così fatto, o presso a poco, è il celebre Coquelin, ilquale (per terminare con una buona notizia) stapensando a raccogliere una Compagnia d'artisti valentiper fare un giro in Italia, e dare una serie di

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rappresentazioni in tutte le città principali.[229]

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rappresentazioni in tutte le città principali.[229]

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PAOLO DÉROULÈDE

E LA POESIA PATRIOTTICA.

Riparliamo un po', qualche volta, della nostra vecchiapoesia patriottica. Quando lavoriamo nelle nostre stanzedi studio, in mezzo a giornali e a lettere d'amici di tuttele parti d'Italia, e a libri che racchiudono tutti gli sforzi etutte le audacie del pensiero umano; ed esprimendoliberamente il nostro pensiero, che circolerà liberamenteda un capo all'altro del paese, godiamo, anche nonpensandoci, di respirare l'aria della nostra libertà, e disentirci dentro il soffio d'una patria grande e potente;noi dovremmo di tratto in tratto rivolgere uno sguardo acinque o sei volumetti, [230] quasi dimenticati in unangolo della nostra biblioteca, sui quali sono scritti inomi del Berchet, del Rossetti, del Mameli, del Poerio,del Mercantini; e ricordarci che se l'entusiasmo non puòessere più vivo per essi, deve durare almeno lagratitudine. La critica ha sviscerato quei versi con la suamano gelata e spietata; onde nuove di poesia vi sonpassate su, e ne hanno sbiaditi i colori; sono invecchiatii metri e le immagini; e non ci paiono più che scintillequelle che erano lingue bianche di fuoco; ma cheimporta? Quando rileggiamo quelle poesie nel cuoredella notte, nel silenzio della nostra stanza, qualche

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PAOLO DÉROULÈDE

E LA POESIA PATRIOTTICA.

Riparliamo un po', qualche volta, della nostra vecchiapoesia patriottica. Quando lavoriamo nelle nostre stanzedi studio, in mezzo a giornali e a lettere d'amici di tuttele parti d'Italia, e a libri che racchiudono tutti gli sforzi etutte le audacie del pensiero umano; ed esprimendoliberamente il nostro pensiero, che circolerà liberamenteda un capo all'altro del paese, godiamo, anche nonpensandoci, di respirare l'aria della nostra libertà, e disentirci dentro il soffio d'una patria grande e potente;noi dovremmo di tratto in tratto rivolgere uno sguardo acinque o sei volumetti, [230] quasi dimenticati in unangolo della nostra biblioteca, sui quali sono scritti inomi del Berchet, del Rossetti, del Mameli, del Poerio,del Mercantini; e ricordarci che se l'entusiasmo non puòessere più vivo per essi, deve durare almeno lagratitudine. La critica ha sviscerato quei versi con la suamano gelata e spietata; onde nuove di poesia vi sonpassate su, e ne hanno sbiaditi i colori; sono invecchiatii metri e le immagini; e non ci paiono più che scintillequelle che erano lingue bianche di fuoco; ma cheimporta? Quando rileggiamo quelle poesie nel cuoredella notte, nel silenzio della nostra stanza, qualche

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volta saltiamo ancora in piedi, con una fiamma sullafronte e un singhiozzo nel cuore. Quanti grandi e cariricordi non ci risvegliano! Quelle vecchie strofeimpetuose e sonore, dei giovinetti le hanno pronunciatesui campi di battaglia, per incoraggiarsi a morire; deiferiti le hanno smozzicate fra i denti, mentre i ferri delchirurgo cercavano nelle loro carni palpitanti le scheggedella [231] mitraglia tedesca; dei moribondi le hannobalbettate nel delirio dell'agonia; le hanno ripetute millevolte, nell'oscurità delle secrete, i prigionieri diMantova, dei Piombi e di Castel dell'Ovo; le hannocantate gli esuli nella miseria; le hanno mormorate imartiri ai piedi dei patiboli; migliaia d'italiani intrepidile hanno divulgate per tutte le provincie, a rischio dellalibertà e della vita; migliaia di donne le hanno trascrittein segreto, di notte, col cuore tremante, mentre suonavanella strada il passo del poliziotto straniero; un'interagenerazione le ha coperte di baci e bagnate di lacrime etinte di sangue, quelle vecchie strofe benedette, piene disdegni, di minaccie e di consolazioni sublimi. Ed anchenoi, fanciulli nel quarant'otto, giunti appena in tempo adassistere al trionfo della nostra rivoluzione, quandoquelle poesie sonavano già liberamente per quasi tuttal'Italia, quanto le abbiamo sentite ed amate! Bambini, leabbiamo udite recitare da nostro padre, con gli occhipieni di pianto; e non le capivamo [232] ancora, che già cirimescolavano il sangue. Più tardi, le abbiamo divoratesui banchi della scuola, tra la grammatica latina e lagrammatica greca, mordendoci le mani dalla rabbia

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volta saltiamo ancora in piedi, con una fiamma sullafronte e un singhiozzo nel cuore. Quanti grandi e cariricordi non ci risvegliano! Quelle vecchie strofeimpetuose e sonore, dei giovinetti le hanno pronunciatesui campi di battaglia, per incoraggiarsi a morire; deiferiti le hanno smozzicate fra i denti, mentre i ferri delchirurgo cercavano nelle loro carni palpitanti le scheggedella [231] mitraglia tedesca; dei moribondi le hannobalbettate nel delirio dell'agonia; le hanno ripetute millevolte, nell'oscurità delle secrete, i prigionieri diMantova, dei Piombi e di Castel dell'Ovo; le hannocantate gli esuli nella miseria; le hanno mormorate imartiri ai piedi dei patiboli; migliaia d'italiani intrepidile hanno divulgate per tutte le provincie, a rischio dellalibertà e della vita; migliaia di donne le hanno trascrittein segreto, di notte, col cuore tremante, mentre suonavanella strada il passo del poliziotto straniero; un'interagenerazione le ha coperte di baci e bagnate di lacrime etinte di sangue, quelle vecchie strofe benedette, piene disdegni, di minaccie e di consolazioni sublimi. Ed anchenoi, fanciulli nel quarant'otto, giunti appena in tempo adassistere al trionfo della nostra rivoluzione, quandoquelle poesie sonavano già liberamente per quasi tuttal'Italia, quanto le abbiamo sentite ed amate! Bambini, leabbiamo udite recitare da nostro padre, con gli occhipieni di pianto; e non le capivamo [232] ancora, che già cirimescolavano il sangue. Più tardi, le abbiamo divoratesui banchi della scuola, tra la grammatica latina e lagrammatica greca, mordendoci le mani dalla rabbia

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d'amor di patria che ci mettevano nel cuore. Poi leabbiamo declamate per le vie delle nostre città, e dallefinestre delle nostre case, nelle belle notti stellate,trasportandoci col pensiero negli accampamenti deinostri fratelli, che combattevano nelle pianure diLombardia o sui monti di Sicilia, addolorati e umiliati dinon esser con loro, costretti ad arrestarci ad ogni strofaperchè l'emozione ci strozzava la voce e ci facevatremare le labbra. Come ci sarebbe parso insensato emiserabile allora chi fosse venuto a farci il pedante sullaforma di quella poesia che ci usciva in grida e in ruggitidal più profondo dell'anima! Che importava a noi che ilBerchet avesse delle frasi barbare e dei versi duri, che lastrofa del Rossetti fosse troppo ricca di suoni, che ilMameli fosse ineguale, che il Mercantini fosse negletto,e che [233] il 21 marzo di Alessandro Manzonirigurgitasse di similitudini? Ognuno di quei versi era ungrido uscito dalle viscere della patria; in ogni strofa sisentiva l'eco lontana d'una battaglia; era una poesiasacra, che sollevava il nostro pensiero e il nostro cuoreal di sopra di tutte le volgarità della vita; che ci rendevapiù affettuosi con la famiglia, più buoni con gli amici,più arditi nei pericoli, più forti contro i nostri piccolidolori; che entrava persino nei nostri amorid'adolescenti, e vibrava nelle nostre prime paroleamorose, e mescolava delle lagrime nobili e virili ainostri primi baci. Chi non ha adorato il Berchet, peresempio, e baciato cento volte il Romito del Cenisio, edesiderato di vedere una volta il poeta per curvare

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d'amor di patria che ci mettevano nel cuore. Poi leabbiamo declamate per le vie delle nostre città, e dallefinestre delle nostre case, nelle belle notti stellate,trasportandoci col pensiero negli accampamenti deinostri fratelli, che combattevano nelle pianure diLombardia o sui monti di Sicilia, addolorati e umiliati dinon esser con loro, costretti ad arrestarci ad ogni strofaperchè l'emozione ci strozzava la voce e ci facevatremare le labbra. Come ci sarebbe parso insensato emiserabile allora chi fosse venuto a farci il pedante sullaforma di quella poesia che ci usciva in grida e in ruggitidal più profondo dell'anima! Che importava a noi che ilBerchet avesse delle frasi barbare e dei versi duri, che lastrofa del Rossetti fosse troppo ricca di suoni, che ilMameli fosse ineguale, che il Mercantini fosse negletto,e che [233] il 21 marzo di Alessandro Manzonirigurgitasse di similitudini? Ognuno di quei versi era ungrido uscito dalle viscere della patria; in ogni strofa sisentiva l'eco lontana d'una battaglia; era una poesiasacra, che sollevava il nostro pensiero e il nostro cuoreal di sopra di tutte le volgarità della vita; che ci rendevapiù affettuosi con la famiglia, più buoni con gli amici,più arditi nei pericoli, più forti contro i nostri piccolidolori; che entrava persino nei nostri amorid'adolescenti, e vibrava nelle nostre prime paroleamorose, e mescolava delle lagrime nobili e virili ainostri primi baci. Chi non ha adorato il Berchet, peresempio, e baciato cento volte il Romito del Cenisio, edesiderato di vedere una volta il poeta per curvare

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dinanzi a lui la sua fronte ardente di giovanetto, comedinanzi all'immagine viva della patria armata einsanguinata? Chi di noi, a quindici anni, non s'è sentitouomo, poeta, soldato, capace d'ogni grande sacrifizio ed'ogni ardimento più generoso, leggendo O morte olibertà e la Spigolatrice [234] di Sapri? Quei versi hannoavuto una parte così larga e profonda nella nostraeducazione di uomini e di cittadini, che ci pare quasiche saremmo altri da quelli che siamo, se non liavessimo conosciuti; essi si sono confusi nella nostracoscienza con le esortazioni vigorose di nostro padre,coi consigli magnanimi di nostra madre, con tutti gliesempi di virtù e di grandezza che abbiamo ricevutinella vita; e sono diventati una forza intima della nostranatura. E li dimentichiamo sovente, e per lungo tempo,perchè siamo ancora nell'età in cui le speranze tengonomaggior luogo che le memorie, e l'amore del presentesoffoca il rimpianto del passato. Ma, avanzando neglianni, quando comincieremo a volgerci indietro, e adevocare la nostra giovinezza per consolarci della virilitàmoribonda, allora, nel segreto del nostro cuore,pagheremo intero il nostro debito di gratitudine aivecchi poeti della patria; tutte quelle poesie gloriose edamate ci baleneranno alla mente, di lontano, nellanebbia [235] rosea della nostra adolescenza, come unalegione di guerrieri scintillanti di ferro; e le ripeteremoai nostri figliuoli con lo stesso tremito nella voce concui le hanno dette a noi i nostri padri; e i nostri figliuolile sentiranno, speriamolo, con lo stesso cuore con cui

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dinanzi a lui la sua fronte ardente di giovanetto, comedinanzi all'immagine viva della patria armata einsanguinata? Chi di noi, a quindici anni, non s'è sentitouomo, poeta, soldato, capace d'ogni grande sacrifizio ed'ogni ardimento più generoso, leggendo O morte olibertà e la Spigolatrice [234] di Sapri? Quei versi hannoavuto una parte così larga e profonda nella nostraeducazione di uomini e di cittadini, che ci pare quasiche saremmo altri da quelli che siamo, se non liavessimo conosciuti; essi si sono confusi nella nostracoscienza con le esortazioni vigorose di nostro padre,coi consigli magnanimi di nostra madre, con tutti gliesempi di virtù e di grandezza che abbiamo ricevutinella vita; e sono diventati una forza intima della nostranatura. E li dimentichiamo sovente, e per lungo tempo,perchè siamo ancora nell'età in cui le speranze tengonomaggior luogo che le memorie, e l'amore del presentesoffoca il rimpianto del passato. Ma, avanzando neglianni, quando comincieremo a volgerci indietro, e adevocare la nostra giovinezza per consolarci della virilitàmoribonda, allora, nel segreto del nostro cuore,pagheremo intero il nostro debito di gratitudine aivecchi poeti della patria; tutte quelle poesie gloriose edamate ci baleneranno alla mente, di lontano, nellanebbia [235] rosea della nostra adolescenza, come unalegione di guerrieri scintillanti di ferro; e le ripeteremoai nostri figliuoli con lo stesso tremito nella voce concui le hanno dette a noi i nostri padri; e i nostri figliuolile sentiranno, speriamolo, con lo stesso cuore con cui

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noi le abbiamo sentite.

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Questi sentimenti deve ravvivare in sè chiunquevoglia giudicare rettamente un poeta nazionalestraniero, sia il Riga o il Quintana o il Körner o ilDéroulède. Ma è quasi inutile avvertirlo. Non c'è uomoche ami la propria patria, il quale leggendo la poesiapatriottica, fortemente sentita, d'un poeta straniero,qualunque sia il suo paese e quali che siano i sentimentiche questo paese gl'ispira, non si compenetri a poco apoco, involontariamente, della passione del poeta, e non[236] comprenda quindi e non giustifichi nella suacoscienza tutti quei sentimenti e quei giudizi che ad unlettore freddo possono parere ingiusti, superbi, temerari,e qualche volta anche puerili. Chi non sente nel cuore lapoesia patriottica di un popolo straniero, non ha sentitoneppure la propria. A costoro è inutile rivolgersi. Perciònoi presentiamo il Déroulède e le sue poesie soltanto aquegli italiani che, amando ardentemente la loro patria,sentono rispetto e simpatia per tutti gli stranieri cheamano ardentemente la propria, e capiscono che ognunoha diritto d'essere altero e violento - ed anche ingiusto -quando difende sua madre. Per costoro è anchesuperfluo combattere il pregiudizio volgare, secondo ilquale la poesia patriottica, perchè tende a muovere deisentimenti che vibrano in tutti potentemente, o a cui tuttihanno l'animo predisposto, è meno difficile d'ogni altro

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noi le abbiamo sentite.

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Questi sentimenti deve ravvivare in sè chiunquevoglia giudicare rettamente un poeta nazionalestraniero, sia il Riga o il Quintana o il Körner o ilDéroulède. Ma è quasi inutile avvertirlo. Non c'è uomoche ami la propria patria, il quale leggendo la poesiapatriottica, fortemente sentita, d'un poeta straniero,qualunque sia il suo paese e quali che siano i sentimentiche questo paese gl'ispira, non si compenetri a poco apoco, involontariamente, della passione del poeta, e non[236] comprenda quindi e non giustifichi nella suacoscienza tutti quei sentimenti e quei giudizi che ad unlettore freddo possono parere ingiusti, superbi, temerari,e qualche volta anche puerili. Chi non sente nel cuore lapoesia patriottica di un popolo straniero, non ha sentitoneppure la propria. A costoro è inutile rivolgersi. Perciònoi presentiamo il Déroulède e le sue poesie soltanto aquegli italiani che, amando ardentemente la loro patria,sentono rispetto e simpatia per tutti gli stranieri cheamano ardentemente la propria, e capiscono che ognunoha diritto d'essere altero e violento - ed anche ingiusto -quando difende sua madre. Per costoro è anchesuperfluo combattere il pregiudizio volgare, secondo ilquale la poesia patriottica, perchè tende a muovere deisentimenti che vibrano in tutti potentemente, o a cui tuttihanno l'animo predisposto, è meno difficile d'ogni altro

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genere di poesia, e non può dare la misura giustadell'ingegno di un poeta. Il critico sensato sa misurarel'ingegno del poeta a [237] traverso a tutti i sacrifizi ch'egliha dovuto fare della devozione estetica, come lachiamava il Berchet, alla devozione civile; indovina ilpensiero nel grido; completa da sè la poesia troncata daun colpo di spada; e crede che, appunto quando unanazione è eccitata dall'amor di patria, ed empie il mondodei suoi clamori, occorra una voce straordinariamentepoderosa per far volgere il capo alle moltitudini, uncanto singolarmente ispirato per sollevare al di sopradella propria passione dei milioni d'uomini, di cuiciascuno è un poeta. La qual cosa è provata anche daciò, che non sono più numerosi i poeti patriottici potentie durevoli, presso qualunque nazione, di quello chesiano i poeti eccellenti negli altri campi della poesia.Certo l'amor di patria è un affetto comune; ma è diquesto affetto ciò che un grande poeta disse dell'amore:che tutti credono d'averlo provato o di essere atti aprovarlo nel massimo grado; mentre le differenze nellafacoltà di amare sono tante e tanto grandi fra gli uominiquanto quelle [238] che passano tra loro nell'ordinedell'intelligenza. Non basta infatti unire all'ingegnol'amor di patria, per riuscire poeta patriottico: bisognasentir questo amore così intensamente, da poterneprofondere intorno a sè dei torrenti, e aggiungerne a tutticoloro che credono di non poterne più ricevere,obbligandoli ad accettare il poeta come interprete dellaloro passione, e a riconoscere in lui un'anima più

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genere di poesia, e non può dare la misura giustadell'ingegno di un poeta. Il critico sensato sa misurarel'ingegno del poeta a [237] traverso a tutti i sacrifizi ch'egliha dovuto fare della devozione estetica, come lachiamava il Berchet, alla devozione civile; indovina ilpensiero nel grido; completa da sè la poesia troncata daun colpo di spada; e crede che, appunto quando unanazione è eccitata dall'amor di patria, ed empie il mondodei suoi clamori, occorra una voce straordinariamentepoderosa per far volgere il capo alle moltitudini, uncanto singolarmente ispirato per sollevare al di sopradella propria passione dei milioni d'uomini, di cuiciascuno è un poeta. La qual cosa è provata anche daciò, che non sono più numerosi i poeti patriottici potentie durevoli, presso qualunque nazione, di quello chesiano i poeti eccellenti negli altri campi della poesia.Certo l'amor di patria è un affetto comune; ma è diquesto affetto ciò che un grande poeta disse dell'amore:che tutti credono d'averlo provato o di essere atti aprovarlo nel massimo grado; mentre le differenze nellafacoltà di amare sono tante e tanto grandi fra gli uominiquanto quelle [238] che passano tra loro nell'ordinedell'intelligenza. Non basta infatti unire all'ingegnol'amor di patria, per riuscire poeta patriottico: bisognasentir questo amore così intensamente, da poterneprofondere intorno a sè dei torrenti, e aggiungerne a tutticoloro che credono di non poterne più ricevere,obbligandoli ad accettare il poeta come interprete dellaloro passione, e a riconoscere in lui un'anima più

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ardente e più forte e più alta dell'anima loro. Migliaia dipoesie patriottiche, nei tempi di ribollimento nazionale,sorgono, si diffondono e scompaiono: non restano chequelle dei poeti ch'ebbero anima e cuore di grandicittadini, e tempra di soldati, e nerbo d'atleti; i quali ofecero o avrebbero fatto quel che incitavano a fare, e osuggellarono i loro canti col sangue, o li prepararononell'avversità che fortificò ed innalzò il loro cuore. IlBerchet scrisse i suoi canti sospirando la patria da cuiera proscritto; il Rossetti pagò le trenta strofe del suoinno alla Libertà con trent'anni d'esilio; il Mameli [239] eil Körner morirono sul campo di battaglia; Riga sulpatibolo. Perciò noi nutriamo per i grandi poetipatriottici un sentimento particolare di riverenza, econsideriamo come uomini intrepidi, che abbiano nonmeno operato che scritto, anche quelli tra loro che nonuscirono dal campo dell'arte; e ce li rappresentiamonella storia della letteratura, raggruppati in disparte, conuna cicatrice sulla fronte e una bandiera nel pugno.

***

Che posto occupi tra questi poeti Paolo Déroulède,che tocca ora appena i trentaquattro anni, non sipotrebbe dir meglio che con le parole di un criticoarguto e dotto, ungherese di nascita, ma tedesco di studie di simpatie, che ne ragiona di passata in un suonotissimo libro, assai malevolo [240] per la Francia; il chetoglie ogni sospetto ch'egli possa peccare di parzialità

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ardente e più forte e più alta dell'anima loro. Migliaia dipoesie patriottiche, nei tempi di ribollimento nazionale,sorgono, si diffondono e scompaiono: non restano chequelle dei poeti ch'ebbero anima e cuore di grandicittadini, e tempra di soldati, e nerbo d'atleti; i quali ofecero o avrebbero fatto quel che incitavano a fare, e osuggellarono i loro canti col sangue, o li prepararononell'avversità che fortificò ed innalzò il loro cuore. IlBerchet scrisse i suoi canti sospirando la patria da cuiera proscritto; il Rossetti pagò le trenta strofe del suoinno alla Libertà con trent'anni d'esilio; il Mameli [239] eil Körner morirono sul campo di battaglia; Riga sulpatibolo. Perciò noi nutriamo per i grandi poetipatriottici un sentimento particolare di riverenza, econsideriamo come uomini intrepidi, che abbiano nonmeno operato che scritto, anche quelli tra loro che nonuscirono dal campo dell'arte; e ce li rappresentiamonella storia della letteratura, raggruppati in disparte, conuna cicatrice sulla fronte e una bandiera nel pugno.

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Che posto occupi tra questi poeti Paolo Déroulède,che tocca ora appena i trentaquattro anni, non sipotrebbe dir meglio che con le parole di un criticoarguto e dotto, ungherese di nascita, ma tedesco di studie di simpatie, che ne ragiona di passata in un suonotissimo libro, assai malevolo [240] per la Francia; il chetoglie ogni sospetto ch'egli possa peccare di parzialità

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per il poeta francese - a lui sconosciuto. Il Déroulède,egli dice fra l'altre cose, è uno di quei poeti che nonpossono nascere che in una nazione vinta. Quasi ogninazione ebbe nella sua storia un'epoca, in cui un solopensiero la possedette: il pensiero della lotta e dellavendetta. Allora i bimbi si baloccano con le sciabole ecoi fucili, i ragazzi fanno ai soldati, i giovani sirallegrano d'aver una vita da spendere per la patria, gliuomini si preparano ai grandi sacrifizi, e i vecchi sidolgono di non essere più atti alle armi. In tali epochel'egoismo sparisce e vengono alla luce nobilissimiesempi di virtù cittadine. Ogni uomo sente che tutto ilsuo sangue dev'essere consacrato alla gran lotta e ognidonna riconosce che il primo dei suoi doveri è quellod'accendere il coraggio degli uomini. In questacondizione si trovarono la Spagna nel 1812, la Polonianel 1830, l'Italia fino al 1866; questo pensiero hasuscitato la potente [241] Germania del 1814; questopensiero ha fatto sorgere quella scuola di poeti, fra cui ipiù insigni sono il Rückert, l'Arndt, il Körner, loSchenckendorf, l'Eichendorff. Non si può direassolutamente che la nazione francese si trovasse, dopoil 1870, in simili disposizioni; ma Paolo Déroulède èsenza dubbio un poeta di quella levatura. Le sue poesiesono le prime di questo genere in Francia. Canzonibellicose la «grande nazione» ne ha abbastanza,cominciando da quelle del Boileau, che parevadimenassero la coda davanti al ridicolo Roi Soleil, evenendo fino a quelle, che trovarono in Napoleone

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per il poeta francese - a lui sconosciuto. Il Déroulède,egli dice fra l'altre cose, è uno di quei poeti che nonpossono nascere che in una nazione vinta. Quasi ogninazione ebbe nella sua storia un'epoca, in cui un solopensiero la possedette: il pensiero della lotta e dellavendetta. Allora i bimbi si baloccano con le sciabole ecoi fucili, i ragazzi fanno ai soldati, i giovani sirallegrano d'aver una vita da spendere per la patria, gliuomini si preparano ai grandi sacrifizi, e i vecchi sidolgono di non essere più atti alle armi. In tali epochel'egoismo sparisce e vengono alla luce nobilissimiesempi di virtù cittadine. Ogni uomo sente che tutto ilsuo sangue dev'essere consacrato alla gran lotta e ognidonna riconosce che il primo dei suoi doveri è quellod'accendere il coraggio degli uomini. In questacondizione si trovarono la Spagna nel 1812, la Polonianel 1830, l'Italia fino al 1866; questo pensiero hasuscitato la potente [241] Germania del 1814; questopensiero ha fatto sorgere quella scuola di poeti, fra cui ipiù insigni sono il Rückert, l'Arndt, il Körner, loSchenckendorf, l'Eichendorff. Non si può direassolutamente che la nazione francese si trovasse, dopoil 1870, in simili disposizioni; ma Paolo Déroulède èsenza dubbio un poeta di quella levatura. Le sue poesiesono le prime di questo genere in Francia. Canzonibellicose la «grande nazione» ne ha abbastanza,cominciando da quelle del Boileau, che parevadimenassero la coda davanti al ridicolo Roi Soleil, evenendo fino a quelle, che trovarono in Napoleone

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primo un più degno oggetto dei loro entusiasmi; nèmancano pure nella letteratura francese poesie cheeccitino all'odio e al disprezzo delle nazioni vicine; eforse in questo genere spetta la palma al famoso nousl'avons eu votre Rhin allemand. Ma poesie piene diprofondo dolore per le sventure sofferte, di esortazionevirile al raccoglimento, al lavoro e alla preparazione, peril gran giorno della resa dei conti; di sentimento [242] deldovere, di spirito di sacrificio, di ferma risoluzione nelproposito di ritemprarsi l'animo e le membra perritentare una prova suprema, tali poesie son nuove nellaletteratura francese. La sola Marsigliese del Rouget del'Isle s'avvicina a questo genere e sorse del pari in untempo di sventura nazionale profondamente sentita; maPaolo Déroulède, il soldato del 1870, è poeta ben piùgrande del luogotenente d'artiglieria del 1791; poichènella Marsigliese predominano ancora la declamazione,la millanteria e il reboante, mentre i Chants du soldat,semplici e profondi, esprimono il sentimento, lamodestia e la dignità virile. Così dice uno scrittore chebistratta la Francia per cinquecento pagine, negando aifrancesi persino lo «spirito» che anche i nemici piùaccaniti son disposti a riconoscere in loro -indulgentemente.

[243]

***

Prima d'esaminare la poesia del Déroulède, convien

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primo un più degno oggetto dei loro entusiasmi; nèmancano pure nella letteratura francese poesie cheeccitino all'odio e al disprezzo delle nazioni vicine; eforse in questo genere spetta la palma al famoso nousl'avons eu votre Rhin allemand. Ma poesie piene diprofondo dolore per le sventure sofferte, di esortazionevirile al raccoglimento, al lavoro e alla preparazione, peril gran giorno della resa dei conti; di sentimento [242] deldovere, di spirito di sacrificio, di ferma risoluzione nelproposito di ritemprarsi l'animo e le membra perritentare una prova suprema, tali poesie son nuove nellaletteratura francese. La sola Marsigliese del Rouget del'Isle s'avvicina a questo genere e sorse del pari in untempo di sventura nazionale profondamente sentita; maPaolo Déroulède, il soldato del 1870, è poeta ben piùgrande del luogotenente d'artiglieria del 1791; poichènella Marsigliese predominano ancora la declamazione,la millanteria e il reboante, mentre i Chants du soldat,semplici e profondi, esprimono il sentimento, lamodestia e la dignità virile. Così dice uno scrittore chebistratta la Francia per cinquecento pagine, negando aifrancesi persino lo «spirito» che anche i nemici piùaccaniti son disposti a riconoscere in loro -indulgentemente.

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Prima d'esaminare la poesia del Déroulède, convien

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vedere come sia nata; ossia conoscere la parte che preseil poeta nella guerra del 1870: parte piena d'avventurecosì singolari, che meriterebbero d'essere raccontate seanche si riferissero a un soldato sconosciuto, invece chea uno dei più simpatici tra i giovani poeti della Francia.

Prima del 1870, il Déroulède era studente di legge, estudiava poco: il mal dei versi lo cominciava atormentare. Una delle sue prime poesie fu una rispostavivace allo zio Emilio Augier, il quale aveva detto infamiglia: - Vedete Paolo! Egli non fa nulla sotto ilpretesto che un giorno farà il poeta. - Per l'appunto -rispondeva il Déroulède in alessandrini; - per fare ilpoeta un giorno ho bisogno di vivere adesso. Non è [244]

ancora il tempo di giudicarmi. Lasciate maturare lamesse; - piccolo sfogo d'alterezza giovanile che egli siguarderebbe bene dal fare ora che la messe è matura.Nel 1869 scrisse un dramma in un atto, che passòinosservato, ed empì qualche quaderno di poesie; manon fece nulla di notevole. Cercava ancora se stesso,come suol dirsi; ma si cercava con una tale impazienza,che non si trovava. Era un giovanotto di alta statura,secco, svelto, irrequieto, che sentiva intensamente lavita; pieno di grandi speranze confuse, che glimettevano il sangue in ribollimento, e lo tenevano comein uno stato d'ebbrezza continua; una di quelle natureesuberanti d'artista, a cui la vita del pensiero non basta;che han bisogno di sfogare nell'azione l'eccesso delleloro forze giovanili, prima d'entrare nell'arte. Agiatocom'era di fortuna, egli avrebbe forse corso la cavallina,

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vedere come sia nata; ossia conoscere la parte che preseil poeta nella guerra del 1870: parte piena d'avventurecosì singolari, che meriterebbero d'essere raccontate seanche si riferissero a un soldato sconosciuto, invece chea uno dei più simpatici tra i giovani poeti della Francia.

Prima del 1870, il Déroulède era studente di legge, estudiava poco: il mal dei versi lo cominciava atormentare. Una delle sue prime poesie fu una rispostavivace allo zio Emilio Augier, il quale aveva detto infamiglia: - Vedete Paolo! Egli non fa nulla sotto ilpretesto che un giorno farà il poeta. - Per l'appunto -rispondeva il Déroulède in alessandrini; - per fare ilpoeta un giorno ho bisogno di vivere adesso. Non è [244]

ancora il tempo di giudicarmi. Lasciate maturare lamesse; - piccolo sfogo d'alterezza giovanile che egli siguarderebbe bene dal fare ora che la messe è matura.Nel 1869 scrisse un dramma in un atto, che passòinosservato, ed empì qualche quaderno di poesie; manon fece nulla di notevole. Cercava ancora se stesso,come suol dirsi; ma si cercava con una tale impazienza,che non si trovava. Era un giovanotto di alta statura,secco, svelto, irrequieto, che sentiva intensamente lavita; pieno di grandi speranze confuse, che glimettevano il sangue in ribollimento, e lo tenevano comein uno stato d'ebbrezza continua; una di quelle natureesuberanti d'artista, a cui la vita del pensiero non basta;che han bisogno di sfogare nell'azione l'eccesso delleloro forze giovanili, prima d'entrare nell'arte. Agiatocom'era di fortuna, egli avrebbe forse corso la cavallina,

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come molti altri giovani, per parecchi anni, se gli fossemancata l'occasione di agire; ma l'occasione venne, enon poteva essere nè più grande nè più terribile. [245]

Scoppiata appena la guerra, piantò codici e versi, edentrò nel Corpo delle guardie mobili di Belleville, in cuifu nominato ufficiale. Le sue speranze, però, furonodeluse. I tedeschi s'avanzavano in Francia, le battagliesuccedevano alle battaglie, e le guardie mobili non simovevano. Ed egli voleva battersi. Perciò rinunziò algrado, s'arrolò negli zuavi, fu destinato al 3º reggimentoche faceva parte del Corpo d'esercito del marescialloMac-Mahon, lo raggiunse sollecitamente, e fu ancora intempo a pigliar parte, come semplice soldato, nei duecombattimenti di Mouzon e di Bazeille, da cui uscì sanoe salvo, col buco d'una palla nei calzoni. Intanto un suofratello minore, Andrea, di diciassett'anni, che studiavaa Parigi, - giovanetto d'indole dolce e d'aspetto gentile,ma tutto ardente d'amor di patria, - si decideva a seguirel'esempio di lui. Si presentava un giorno a sua madre ele diceva di volersi arrolare negli zuavi per andarsi abattere col fratello. Per quanto fosse forte e coraggiosa,sua [246] madre cercò sulle prime di dissuaderlo: eratroppo ragazzo, non era abbastanza robusto da reggerealle fatiche, la famiglia aveva già dato un soldato allaFrancia. Ma egli insistè, e la madre si arrese; e siccomenon c'erano più vestimenta da zuavo nei magazzinimilitari di Parigi, lo accompagnò lei stessa al granmercato del Temple, dove, a furia di cercare,raccattando qui una papalina, là una ghetta, fra tutti e

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come molti altri giovani, per parecchi anni, se gli fossemancata l'occasione di agire; ma l'occasione venne, enon poteva essere nè più grande nè più terribile. [245]

Scoppiata appena la guerra, piantò codici e versi, edentrò nel Corpo delle guardie mobili di Belleville, in cuifu nominato ufficiale. Le sue speranze, però, furonodeluse. I tedeschi s'avanzavano in Francia, le battagliesuccedevano alle battaglie, e le guardie mobili non simovevano. Ed egli voleva battersi. Perciò rinunziò algrado, s'arrolò negli zuavi, fu destinato al 3º reggimentoche faceva parte del Corpo d'esercito del marescialloMac-Mahon, lo raggiunse sollecitamente, e fu ancora intempo a pigliar parte, come semplice soldato, nei duecombattimenti di Mouzon e di Bazeille, da cui uscì sanoe salvo, col buco d'una palla nei calzoni. Intanto un suofratello minore, Andrea, di diciassett'anni, che studiavaa Parigi, - giovanetto d'indole dolce e d'aspetto gentile,ma tutto ardente d'amor di patria, - si decideva a seguirel'esempio di lui. Si presentava un giorno a sua madre ele diceva di volersi arrolare negli zuavi per andarsi abattere col fratello. Per quanto fosse forte e coraggiosa,sua [246] madre cercò sulle prime di dissuaderlo: eratroppo ragazzo, non era abbastanza robusto da reggerealle fatiche, la famiglia aveva già dato un soldato allaFrancia. Ma egli insistè, e la madre si arrese; e siccomenon c'erano più vestimenta da zuavo nei magazzinimilitari di Parigi, lo accompagnò lei stessa al granmercato del Temple, dove, a furia di cercare,raccattando qui una papalina, là una ghetta, fra tutti e

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due misero insieme il così detto «equipaggiamento», e ilgiovane potè partire vestito ed armato.

Sua madre l'accompagnò fino al campo.Qui attinse l'ispirazione Paolo Déroulède per quella

mirabile poesia intitolata Le Turco, che comincia con lestrofe seguenti:

C'était un enfant, dix-sept ans à peine,De beaux cheveux blonds et de grands yeux bleus.De joie et d'amour sa vie était pleine,Il ne connaissait le mal ni la haine;Bien aimé de tous, et partout heureux.C'était un enfant, dix-sept ans à peine,De beaux cheveux blonds et de grands yeux bleus.

[247]Et l'enfant avait embrassé sa mère.Et la mère avait béni son enfant.L'écolier quittait les héros d'Homère;Car on connaissait la défaite amère,Et que l'ennemi marchait triomphant.Et l'enfant avait embrassé sa mère,Et la mère avait béni son enfant.Elle prit au front son voile de veuve,Et l'accompagna jusqu'au régiment.L'enfant rayonnait sous sa veste neuve;L'instant de l'adieu fut l'instant d'épreuve:«Courage, mon fils! - Courage, maman!»Elle prit au front son voile de veuve.Et l'accompagna jusqu'au régiment.Mais lorsque l'armée eut gravi la pente:«Mon Dieu! disait-elle, ils m'ont pris mon cœur,«Tant qu'il est parti, mon âme est absente.»Et l'enfant pensait: «Ma mère est vaillante,«Et je suis son fils, et je n'ai pas peur.»Mais lorsque l'armée eut gravi la pente:

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due misero insieme il così detto «equipaggiamento», e ilgiovane potè partire vestito ed armato.

Sua madre l'accompagnò fino al campo.Qui attinse l'ispirazione Paolo Déroulède per quella

mirabile poesia intitolata Le Turco, che comincia con lestrofe seguenti:

C'était un enfant, dix-sept ans à peine,De beaux cheveux blonds et de grands yeux bleus.De joie et d'amour sa vie était pleine,Il ne connaissait le mal ni la haine;Bien aimé de tous, et partout heureux.C'était un enfant, dix-sept ans à peine,De beaux cheveux blonds et de grands yeux bleus.

[247]Et l'enfant avait embrassé sa mère.Et la mère avait béni son enfant.L'écolier quittait les héros d'Homère;Car on connaissait la défaite amère,Et que l'ennemi marchait triomphant.Et l'enfant avait embrassé sa mère,Et la mère avait béni son enfant.Elle prit au front son voile de veuve,Et l'accompagna jusqu'au régiment.L'enfant rayonnait sous sa veste neuve;L'instant de l'adieu fut l'instant d'épreuve:«Courage, mon fils! - Courage, maman!»Elle prit au front son voile de veuve.Et l'accompagna jusqu'au régiment.Mais lorsque l'armée eut gravi la pente:«Mon Dieu! disait-elle, ils m'ont pris mon cœur,«Tant qu'il est parti, mon âme est absente.»Et l'enfant pensait: «Ma mère est vaillante,«Et je suis son fils, et je n'ai pas peur.»Mais lorsque l'armée eut gravi la pente:

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«Mon Dieu! disait-elle, ils m'ont pris mon cœur.»

Il viaggio fu pieno di peripezie. La signoraDéroulède, già malata, col cuore oppresso, simulandouna forza d'animo che le mancava, si recò [248] da Parigia Reims per strada ferrata, col suo zuavo di diciassetteanni. A Reims, saputo che l'esercito del Mac-Mahon erain ritirata verso Sédan, si mise in una carrozzella colfigliuolo, e si diresse verso Sédan. Si può immaginare lostato di quella povera donna, durante quel viaggio lungoe difficile, per strade ingombre di salmerie disordinate edi carri carichi di feriti, tra reggimenti decimati espossati, in mezzo alla tristezza lugubre d'un esercitosconfitto, che andava incontro a nuove battaglie colpresentimento di nuove sventure. A ogni passo, madre efigliuolo domandavano del 3º reggimento zuavi:nessuno sapeva dove fosse. Una volta si trovarono inuna grande solitudine, dinnanzi a tre strade, senzaindicazione di sorta: la madre, fortunatamente,obbedendo ad una ispirazione del cuore, disse: - Paolopassò di qui; - si misero per quella strada, ed era lagiusta. Dopo un altro lungo tratto, si ritrovarono inmezzo ai cariaggi, ai soldati, al disordine: era unadivisione del Mac-Mahon; raggiunsero un [249]

reggimento di zuavi: era il terzo. Scesero di carrozza, edopo molto cercare trovarono il povero poeta, sedutosull'orlo di un fosso, che mangiava nella gamella, inmezzo a un crocchio di camerati africani, tra due fascid'armi. Inteso il proprio nome, saltò su, e si trovò

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«Mon Dieu! disait-elle, ils m'ont pris mon cœur.»

Il viaggio fu pieno di peripezie. La signoraDéroulède, già malata, col cuore oppresso, simulandouna forza d'animo che le mancava, si recò [248] da Parigia Reims per strada ferrata, col suo zuavo di diciassetteanni. A Reims, saputo che l'esercito del Mac-Mahon erain ritirata verso Sédan, si mise in una carrozzella colfigliuolo, e si diresse verso Sédan. Si può immaginare lostato di quella povera donna, durante quel viaggio lungoe difficile, per strade ingombre di salmerie disordinate edi carri carichi di feriti, tra reggimenti decimati espossati, in mezzo alla tristezza lugubre d'un esercitosconfitto, che andava incontro a nuove battaglie colpresentimento di nuove sventure. A ogni passo, madre efigliuolo domandavano del 3º reggimento zuavi:nessuno sapeva dove fosse. Una volta si trovarono inuna grande solitudine, dinnanzi a tre strade, senzaindicazione di sorta: la madre, fortunatamente,obbedendo ad una ispirazione del cuore, disse: - Paolopassò di qui; - si misero per quella strada, ed era lagiusta. Dopo un altro lungo tratto, si ritrovarono inmezzo ai cariaggi, ai soldati, al disordine: era unadivisione del Mac-Mahon; raggiunsero un [249]

reggimento di zuavi: era il terzo. Scesero di carrozza, edopo molto cercare trovarono il povero poeta, sedutosull'orlo di un fosso, che mangiava nella gamella, inmezzo a un crocchio di camerati africani, tra due fascid'armi. Inteso il proprio nome, saltò su, e si trovò

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davanti sua madre e suo fratello, di cui non aveva piùavuto notizia dal giorno della partenza. Si ritirarono tuttie tre in una piccola osteria di campagna, accanto allastrada; là la signora Déroulède volle che i suoi figliuoli,l'uno stanco dalle marcie, l'altro dalle emozioni, siriposassero; e tutti e due le si addormentarono con latesta sulle ginocchia, come due ragazzi. Allora la madrepotè piangere, guardata con rispetto pietoso dagli zuavi,che s'affacciavano alla finestra e allo spiragliodell'uscio; e, piangendo, prepararsi alla separazione. Ilterribile momento non si fece aspettare. Squillarono letrombe, i figliuoli si svegliarono; bisognava dirsi addio;la madre si sentiva schiantare il seno dai singhiozzi; mafece uno sforzo sovrumano, e non versò che lacrime [250]

mute. I saluti furono brevi: - Courage, mon fils! -Courage, maman! - come nella poesia. E si separarono.Il reggimento seguitò la sua strada verso Sédan, e lasignora Déroulède riprese la via di Reims. Prima diarrivare a Reims, le seguì ancora un caso doloroso.Arrestata da una avanguardia francese, interrogata da unufficiale, disse il suo nome, e raccontò che era stata adaccompagnare un figliuolo al reggimento, dove giàn'aveva un altro. La cosa parve inverosimile: la preseroper una spia! Riuscì fortunatamente a liberarsi, e sfinitadalle fatiche, con quell'ultimo colpo di stile nel cuore,arrivò a sera inoltrata a Reims, dove fece appena intempo a pigliare il treno di Parigi, che era l'ultimo dellagiornata, e fu l'ultimo per tutta la durata della guerra,poichè la mattina seguente le avanguardie prussiane

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davanti sua madre e suo fratello, di cui non aveva piùavuto notizia dal giorno della partenza. Si ritirarono tuttie tre in una piccola osteria di campagna, accanto allastrada; là la signora Déroulède volle che i suoi figliuoli,l'uno stanco dalle marcie, l'altro dalle emozioni, siriposassero; e tutti e due le si addormentarono con latesta sulle ginocchia, come due ragazzi. Allora la madrepotè piangere, guardata con rispetto pietoso dagli zuavi,che s'affacciavano alla finestra e allo spiragliodell'uscio; e, piangendo, prepararsi alla separazione. Ilterribile momento non si fece aspettare. Squillarono letrombe, i figliuoli si svegliarono; bisognava dirsi addio;la madre si sentiva schiantare il seno dai singhiozzi; mafece uno sforzo sovrumano, e non versò che lacrime [250]

mute. I saluti furono brevi: - Courage, mon fils! -Courage, maman! - come nella poesia. E si separarono.Il reggimento seguitò la sua strada verso Sédan, e lasignora Déroulède riprese la via di Reims. Prima diarrivare a Reims, le seguì ancora un caso doloroso.Arrestata da una avanguardia francese, interrogata da unufficiale, disse il suo nome, e raccontò che era stata adaccompagnare un figliuolo al reggimento, dove giàn'aveva un altro. La cosa parve inverosimile: la preseroper una spia! Riuscì fortunatamente a liberarsi, e sfinitadalle fatiche, con quell'ultimo colpo di stile nel cuore,arrivò a sera inoltrata a Reims, dove fece appena intempo a pigliare il treno di Parigi, che era l'ultimo dellagiornata, e fu l'ultimo per tutta la durata della guerra,poichè la mattina seguente le avanguardie prussiane

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avevano già tagliata la via della capitale.I due fratelli furono messi nella medesima

compagnia: in pochi giorni tutto il reggimento liconobbe. In una relazione del colonnello è fatto [251]

cenno di loro: - Questo bell'esempio di patriottismo datodalla famiglia Déroulède fu un grande incoraggiamentoper i resti del 3.º reggimento zuavi. I due giovanivolontari s'attirarono in breve tempo, con la loroabnegazione e il loro valore, l'ammirazione dei vecchisoldati. - Tutt'e due si trovarono alla battaglia di Sédan,pochi giorni dopo l'arrivo d'Andrea. È noto che il 3.ºreggimento zuavi fu il solo che riuscì a rompere ilcerchio de' Tedeschi in quella giornata, e che dal campodi battaglia si ridusse a Parigi, dove l'assemblea lodichiarò benemerito della patria. Ma i fratelli Déroulèdenon poterono salvarsi coi loro compagni. Mentrecombattevano in un bosco, a pochi passi di distanzal'uno dall'altro, Andrea si voltò improvvisamente versoil fratello, col viso bianco, e gli disse: - M'hanno fattomale! - e detto appena questo, stramazzò gettandosangue per la bocca. Aveva una palla nel ventre. Paoloaccorse, lo prese in braccio, e camminando verso iTedeschi, lo portò dietro a un [252] piccolo rialto delterreno, dove, deponendolo sull'erba, incespicò e caddein un fosso; il che vedendo di lontano gli altri soldati,che continuavano ad avanzarsi, credettero che anche luifosse stato ferito mortalmente. Paolo si rialzò, tagliò unacroce rossa nei suoi calzoni di zuavo, l'attaccò sul suoturbante bianco spiegato, e legato questo cencio di

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avevano già tagliata la via della capitale.I due fratelli furono messi nella medesima

compagnia: in pochi giorni tutto il reggimento liconobbe. In una relazione del colonnello è fatto [251]

cenno di loro: - Questo bell'esempio di patriottismo datodalla famiglia Déroulède fu un grande incoraggiamentoper i resti del 3.º reggimento zuavi. I due giovanivolontari s'attirarono in breve tempo, con la loroabnegazione e il loro valore, l'ammirazione dei vecchisoldati. - Tutt'e due si trovarono alla battaglia di Sédan,pochi giorni dopo l'arrivo d'Andrea. È noto che il 3.ºreggimento zuavi fu il solo che riuscì a rompere ilcerchio de' Tedeschi in quella giornata, e che dal campodi battaglia si ridusse a Parigi, dove l'assemblea lodichiarò benemerito della patria. Ma i fratelli Déroulèdenon poterono salvarsi coi loro compagni. Mentrecombattevano in un bosco, a pochi passi di distanzal'uno dall'altro, Andrea si voltò improvvisamente versoil fratello, col viso bianco, e gli disse: - M'hanno fattomale! - e detto appena questo, stramazzò gettandosangue per la bocca. Aveva una palla nel ventre. Paoloaccorse, lo prese in braccio, e camminando verso iTedeschi, lo portò dietro a un [252] piccolo rialto delterreno, dove, deponendolo sull'erba, incespicò e caddein un fosso; il che vedendo di lontano gli altri soldati,che continuavano ad avanzarsi, credettero che anche luifosse stato ferito mortalmente. Paolo si rialzò, tagliò unacroce rossa nei suoi calzoni di zuavo, l'attaccò sul suoturbante bianco spiegato, e legato questo cencio di

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bandiera d'ambulanza sulla punta del fucile confitto interra, pensò a salvare il ferito. C'erano là vicino deicannoni francesi abbandonati, coi loro cavalli. Paolotentò di trasportare il ferito sopra un cassone, e difuggire con le artigliere. Ma mentre lo adagiava, glisgorgò dalla bocca un'ondata di sangue nero; pareva chemorisse; lo ripose in terra; si mise a succhiargli la feritaperchè il sangue non lo soffocasse, lo lavò, gli strinseuna fascia intorno ai fianchi;... ma sperava poco disalvarlo. Intanto la battaglia continuava da ogni parte,lontano, confusamente: egli non ne racapezzava nulla. Ilterreno intorno era sparso di morti, nessun viventeappariva nè francese [253] nè tedesco. Il primo che passò,dopo un'ora, fu un soldato sassone, che balbettava ilfrancese. S'avvicinò al Déroulède e lo interrogò. Intesoche il ferito era suo fratello, s'impietosì. - Anch'io -disse - ho un fratello nell'esercito. Ah c'est malheureux,c'est malheureux! - E poi soggiunse: - datemi un po' dipan bianco, zuavo; ve lo domando, non come nemico,ma come camerata. - E avuto, il pan bianco, se ne andò,salutando affettuosamente. Il povero Déroulède dovettestare là quattr'ore col fratello moribondo fra le braccia,vedendo di lontano delle figure sinistre di spogliatori dimorti vagare per il campo e contaminare con le maniladre i cadaveri. E cominciava già a disperare.Finalmente passò di galoppo un drappello di dragoniazzurri; vista la bandiera, s'arrestarono; mandarono perun medico; venne poco dopo; - era un medico sassone; -fece trasportare il ferito in un grande opificio, vicino a

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bandiera d'ambulanza sulla punta del fucile confitto interra, pensò a salvare il ferito. C'erano là vicino deicannoni francesi abbandonati, coi loro cavalli. Paolotentò di trasportare il ferito sopra un cassone, e difuggire con le artigliere. Ma mentre lo adagiava, glisgorgò dalla bocca un'ondata di sangue nero; pareva chemorisse; lo ripose in terra; si mise a succhiargli la feritaperchè il sangue non lo soffocasse, lo lavò, gli strinseuna fascia intorno ai fianchi;... ma sperava poco disalvarlo. Intanto la battaglia continuava da ogni parte,lontano, confusamente: egli non ne racapezzava nulla. Ilterreno intorno era sparso di morti, nessun viventeappariva nè francese [253] nè tedesco. Il primo che passò,dopo un'ora, fu un soldato sassone, che balbettava ilfrancese. S'avvicinò al Déroulède e lo interrogò. Intesoche il ferito era suo fratello, s'impietosì. - Anch'io -disse - ho un fratello nell'esercito. Ah c'est malheureux,c'est malheureux! - E poi soggiunse: - datemi un po' dipan bianco, zuavo; ve lo domando, non come nemico,ma come camerata. - E avuto, il pan bianco, se ne andò,salutando affettuosamente. Il povero Déroulède dovettestare là quattr'ore col fratello moribondo fra le braccia,vedendo di lontano delle figure sinistre di spogliatori dimorti vagare per il campo e contaminare con le maniladre i cadaveri. E cominciava già a disperare.Finalmente passò di galoppo un drappello di dragoniazzurri; vista la bandiera, s'arrestarono; mandarono perun medico; venne poco dopo; - era un medico sassone; -fece trasportare il ferito in un grande opificio, vicino a

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Sédan; lo adagiò sopra un letto, in una stanza delpadrone, ch'era assente, e tentò l'estrazione [254] dellapalla. Mentre egli operava, una banda tedesca suonavala marcia del Lohengrin nel cortile, e una frotta disoldati prussiani aspettava sulla porta che l'operazionefosse terminata, per entrare nella stanza a vedere ungrande ritratto di Federico il grande - di cui s'era sparsala notizia - appeso proprio sopra il letto in cui eradisteso il ferito. Cose che, in un romanzo, parrebberotroppo ingegnosamente combinate. L'operazione, mercèun taglio profondissimo, riuscì. Paolo offrì al medicotedesco il suo orologio. - No, - quegli rispose - sarebbeun pagamento. - Allora accettate il mio pugnale - disseil giovane. Il medico accettò. Tutti e due eranocommossi. Il ragazzo era sfinito; ma salvo.

Della capitolazione dell'esercito e dell'Imperatore nonsapevano ancor nulla; nemmeno della vittoria deiTedeschi. Il ferito fu dato alle ambulanze francesi,perchè lo trasportassero nel Belgio: Paolo sperava dipoterlo accompagnare, perchè era ancora aggravato; mafu preso prigioniero, [255] e diviso a forza dal fratello.Fortunatamente, mentre lo conducevano via, un ufficialeprussiano, vedendolo passare così desolato, con lafaccia nelle mani, fermò il drappello, e domandòspiegazioni. Intesa la cosa, fu preso da compassione. -Che diavolo! - disse - è una crudeltà separare così duefratelli! - E andò egli stesso a domandare al comandantetedesco di Sédan che il Déroulède potesseaccompagnare il ferito nel Belgio. L'ottenne; il

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Sédan; lo adagiò sopra un letto, in una stanza delpadrone, ch'era assente, e tentò l'estrazione [254] dellapalla. Mentre egli operava, una banda tedesca suonavala marcia del Lohengrin nel cortile, e una frotta disoldati prussiani aspettava sulla porta che l'operazionefosse terminata, per entrare nella stanza a vedere ungrande ritratto di Federico il grande - di cui s'era sparsala notizia - appeso proprio sopra il letto in cui eradisteso il ferito. Cose che, in un romanzo, parrebberotroppo ingegnosamente combinate. L'operazione, mercèun taglio profondissimo, riuscì. Paolo offrì al medicotedesco il suo orologio. - No, - quegli rispose - sarebbeun pagamento. - Allora accettate il mio pugnale - disseil giovane. Il medico accettò. Tutti e due eranocommossi. Il ragazzo era sfinito; ma salvo.

Della capitolazione dell'esercito e dell'Imperatore nonsapevano ancor nulla; nemmeno della vittoria deiTedeschi. Il ferito fu dato alle ambulanze francesi,perchè lo trasportassero nel Belgio: Paolo sperava dipoterlo accompagnare, perchè era ancora aggravato; mafu preso prigioniero, [255] e diviso a forza dal fratello.Fortunatamente, mentre lo conducevano via, un ufficialeprussiano, vedendolo passare così desolato, con lafaccia nelle mani, fermò il drappello, e domandòspiegazioni. Intesa la cosa, fu preso da compassione. -Che diavolo! - disse - è una crudeltà separare così duefratelli! - E andò egli stesso a domandare al comandantetedesco di Sédan che il Déroulède potesseaccompagnare il ferito nel Belgio. L'ottenne; il

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Déroulède andò a Bruxelles col fratello. Qui solamenteebbe notizia della catastrofe di Sédan. Andrea furicevuto in una casa d'amici; Paolo poteva andarsene. Leautorità belghe gli offrirono la libertà, purchè desse lasua parola di non battersi più contro i Tedeschi;altrimenti, dovevano mandarlo prigioniero in Germania.Egli preferì la prigionia, con la speranza della fuga. Fuquindi mandato per strada ferrata a Berlino, e da Berlinocondotto a Breslau, nella Slesia.

Mentre questo accadeva, la sua famiglia stava [256] aParigi, al buio di tutto, nella trepidazione che si puòpensate. Arriva finalmente il 3.º reggimento zuavi.Padre e madre gettarono un grido di gioia, corsero dalcolonnello, domandarono dei figliuoli.... Non c'erano.Erano stati visti cadere l'un sull'altro in un fosso, allabattaglia di Sédan; il che voleva dire ch'erano morti. Lapovera madre rimase fulminata. Portata a casa, le preseun accesso di paralisi da cui non si rimise più; chè anzis'andò sempre aggravando; e per otto giorni stette tra lamorte e la vita, con l'immagine di quei due cadaveridavanti agli occhi, istupidita dal dolore. Per fortuna,prima di passare la frontiera belga, il Déroulède avevasparso fra contadini e soldati, e buttato a tutte le poste;un gran numero di buste dirette a sua madre, con treparole dentro, e la firma sua e del fratello. Una di questebuste, dopo otto giorni, arrivò; la signora Déroulèdel'aperse con le mani tremanti, animata da un barlume disperanza: c'era scritto - Nous sommes vivants. - Credetted'impazzire...; ma [257] questa gioia immensa non valse a

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Déroulède andò a Bruxelles col fratello. Qui solamenteebbe notizia della catastrofe di Sédan. Andrea furicevuto in una casa d'amici; Paolo poteva andarsene. Leautorità belghe gli offrirono la libertà, purchè desse lasua parola di non battersi più contro i Tedeschi;altrimenti, dovevano mandarlo prigioniero in Germania.Egli preferì la prigionia, con la speranza della fuga. Fuquindi mandato per strada ferrata a Berlino, e da Berlinocondotto a Breslau, nella Slesia.

Mentre questo accadeva, la sua famiglia stava [256] aParigi, al buio di tutto, nella trepidazione che si puòpensate. Arriva finalmente il 3.º reggimento zuavi.Padre e madre gettarono un grido di gioia, corsero dalcolonnello, domandarono dei figliuoli.... Non c'erano.Erano stati visti cadere l'un sull'altro in un fosso, allabattaglia di Sédan; il che voleva dire ch'erano morti. Lapovera madre rimase fulminata. Portata a casa, le preseun accesso di paralisi da cui non si rimise più; chè anzis'andò sempre aggravando; e per otto giorni stette tra lamorte e la vita, con l'immagine di quei due cadaveridavanti agli occhi, istupidita dal dolore. Per fortuna,prima di passare la frontiera belga, il Déroulède avevasparso fra contadini e soldati, e buttato a tutte le poste;un gran numero di buste dirette a sua madre, con treparole dentro, e la firma sua e del fratello. Una di questebuste, dopo otto giorni, arrivò; la signora Déroulèdel'aperse con le mani tremanti, animata da un barlume disperanza: c'era scritto - Nous sommes vivants. - Credetted'impazzire...; ma [257] questa gioia immensa non valse a

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rimetterla dal colpo tremendo che aveva ricevuto. Econtinuò a vivere miseramente, torturata dalla paralisiche cresceva, e da un'insonnia angosciosa, che avrebbespezzato i nervi d'un uomo; ma piena di coraggio e, senon rassegnata, preparata ad ogni cosa.

Intanto Paolo Déroulède era prigioniero a Breslau.Qui gli seguì una piccola avventura comica. I prigionieriandavano liberi per la città; ma egli non godette diquesta libertà per un pezzo. Il generale tedesco checomandava la fortezza, vecchio soldato burbero,leggeva tutte le lettere prima di spedirle. Era statoqualche tempo a Parigi, conosceva la lingua francese,non si lasciava scappare una parola che potesse urtareun tedesco. Letta la prima lettera del Déroulède, ch'eraun po' troppo liberamente patriottica, pensò di dargli unavvertimento. - O la finite - gli disse - o vi caccio infortezza. - Il Déroulède non la finì. In una secondalettera diceva fra le altre [258] cose: - ce troupeau dePrussiens. Il generale lo mandò a chiamare e gli disse: -Questa lettera non partirà. Noi siamo une troupe e nonun troupeau. - Avete ragione, rispose il prigioniero; - jevois avec plaisir que vous connaissez le français danstoutes ses nuances. - Ah sì? - ribattè il generale; -ebbene, andate in fortezza a studiare le nuances deltedesco. - E lo fece chiudere in fortezza. Dopo qualchegiorno uscì, e ricominciò a scrivere; ma nascondendo ilsuo pensiero sotto una quantità di motti a doppio senso,di bisticci parigini, incomprensibili a un tedesco. Ilgenerale lo rimandò a chiamare, e volle che gli

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rimetterla dal colpo tremendo che aveva ricevuto. Econtinuò a vivere miseramente, torturata dalla paralisiche cresceva, e da un'insonnia angosciosa, che avrebbespezzato i nervi d'un uomo; ma piena di coraggio e, senon rassegnata, preparata ad ogni cosa.

Intanto Paolo Déroulède era prigioniero a Breslau.Qui gli seguì una piccola avventura comica. I prigionieriandavano liberi per la città; ma egli non godette diquesta libertà per un pezzo. Il generale tedesco checomandava la fortezza, vecchio soldato burbero,leggeva tutte le lettere prima di spedirle. Era statoqualche tempo a Parigi, conosceva la lingua francese,non si lasciava scappare una parola che potesse urtareun tedesco. Letta la prima lettera del Déroulède, ch'eraun po' troppo liberamente patriottica, pensò di dargli unavvertimento. - O la finite - gli disse - o vi caccio infortezza. - Il Déroulède non la finì. In una secondalettera diceva fra le altre [258] cose: - ce troupeau dePrussiens. Il generale lo mandò a chiamare e gli disse: -Questa lettera non partirà. Noi siamo une troupe e nonun troupeau. - Avete ragione, rispose il prigioniero; - jevois avec plaisir que vous connaissez le français danstoutes ses nuances. - Ah sì? - ribattè il generale; -ebbene, andate in fortezza a studiare le nuances deltedesco. - E lo fece chiudere in fortezza. Dopo qualchegiorno uscì, e ricominciò a scrivere; ma nascondendo ilsuo pensiero sotto una quantità di motti a doppio senso,di bisticci parigini, incomprensibili a un tedesco. Ilgenerale lo rimandò a chiamare, e volle che gli

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spiegasse il significato nascosto d'ogni frase. - Ma,signor generale, - rispose il Déroulède; - io sonoprigioniero; ma non sono obbligato a perfezionarvi nellostudio della letteratura francese. - Ed io - replicò ilgenerale, - non sono neppure obbligato a lasciarvipasseggiare liberamente per le strade di Breslau. Andatein fortezza. - E questa volta non si parlò più d'uscire. [259]

Ma il prigioniero provvide da sè ai casi suoi. Lafigliuola del carceriere, che non vedeva di mal occhioquel gran diavolo di zuavo, dal viso di poeta e dai modidi gentiluomo, faceva conversazione con lui per il bucodella serratura. Lo zuavo, che aveva in capo il suodisegno di fuga, pensò di valersi della ragazza. A poco apoco, facendosi tradurre in tedesco oggi una parola,domani una frase, senza lasciar trasparire il senso deldiscorso, riuscì a mettere insieme e a pronunziarecorrettamente una parlatina in tedesco, che dicevapresso a poco: - Sono un ebreo polacco, nato inAmerica, zoppo dalla nascita. Gli ultimi avvenimentim'hanno chiamato in Germania per far riconoscere lamia inabilità al servizio militare. Torno a Torino dovefaccio il professore di lingua francese. - Quando si sentìabbastanza forte su questa sfilata di fandonie, si mised'accordo con un ufficiale francese delle guardie mobili,anch'egli prigioniero, ma sciolto, a Breslau; costuiinsaccò un gran pastrano turchino [260] da ebreo polacco,si mise un berrettone d'astrakan, e gli occhiali verdi; sifece dare un permesso per visitare il carcerato; entrònella fortezza zoppicando - diede i suoi panni al

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spiegasse il significato nascosto d'ogni frase. - Ma,signor generale, - rispose il Déroulède; - io sonoprigioniero; ma non sono obbligato a perfezionarvi nellostudio della letteratura francese. - Ed io - replicò ilgenerale, - non sono neppure obbligato a lasciarvipasseggiare liberamente per le strade di Breslau. Andatein fortezza. - E questa volta non si parlò più d'uscire. [259]

Ma il prigioniero provvide da sè ai casi suoi. Lafigliuola del carceriere, che non vedeva di mal occhioquel gran diavolo di zuavo, dal viso di poeta e dai modidi gentiluomo, faceva conversazione con lui per il bucodella serratura. Lo zuavo, che aveva in capo il suodisegno di fuga, pensò di valersi della ragazza. A poco apoco, facendosi tradurre in tedesco oggi una parola,domani una frase, senza lasciar trasparire il senso deldiscorso, riuscì a mettere insieme e a pronunziarecorrettamente una parlatina in tedesco, che dicevapresso a poco: - Sono un ebreo polacco, nato inAmerica, zoppo dalla nascita. Gli ultimi avvenimentim'hanno chiamato in Germania per far riconoscere lamia inabilità al servizio militare. Torno a Torino dovefaccio il professore di lingua francese. - Quando si sentìabbastanza forte su questa sfilata di fandonie, si mised'accordo con un ufficiale francese delle guardie mobili,anch'egli prigioniero, ma sciolto, a Breslau; costuiinsaccò un gran pastrano turchino [260] da ebreo polacco,si mise un berrettone d'astrakan, e gli occhiali verdi; sifece dare un permesso per visitare il carcerato; entrònella fortezza zoppicando - diede i suoi panni al

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Déroulède; - il Déroulède, zoppicando, uscì dalla cella,passò tranquillamente sotto il naso delle sentinelle, andòalla prima stazione della strada ferrata di Boemia, esaltò sano e salvo sul treno liberatore. Ma c'era ancoraun pericolo al passaggio della frontiera austriaca.Discese perciò alla penultima stazione e prese a traversoai campi per passar la frontiera a piedi. Era notte,nevicava fitto, faceva un freddo da cani. Dopo moltoandare, non raccapezzò più dove fosse: passò accanto aun villaggio, offrì del danaro a un contadino perchèl'accompagnasse. Costui accettò; ma era un furfante.Giunto a poca distanza dal confine, vicino a un corpo diguardia prussiano, si fermò e disse al Déroulède: - O midate il doppio, o vi denuncio alla sentinella. - IlDéroulède, vistosi perduto, gli mise un coltello alla [261]

gola, e gli gridò: - O tiri diritto, o t'ammazzo. L'uomo sipersuase, lo guidò di là dal confine, e lo accompagnòfino alla prima stazione austriaca. Un treno stava perpartire, il Déroulède ci saltò su, e fuggì verso Vienna.Aveva voluto tentar la fuga da Breslau il 29 settembre,anniversario di sua madre, e la fortuna l'aveva aiutato.

Con la fuga di Germania entrò in un'altra seried'avventure. Attraversò Vienna di notte, prese unbiglietto per Milano, e ripartì. Ma per pagare il bigliettodovette spendere gli ultimi resti del suo peculio. DaVienna a Milano non mangiò che un enorme pane cheaveva comprato a Baden, stando rincantucciato in fondoal vagone, quieto quieto, senza attaccar discorso connessuno, per non tradire il segreto della sua mascherata.

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Déroulède; - il Déroulède, zoppicando, uscì dalla cella,passò tranquillamente sotto il naso delle sentinelle, andòalla prima stazione della strada ferrata di Boemia, esaltò sano e salvo sul treno liberatore. Ma c'era ancoraun pericolo al passaggio della frontiera austriaca.Discese perciò alla penultima stazione e prese a traversoai campi per passar la frontiera a piedi. Era notte,nevicava fitto, faceva un freddo da cani. Dopo moltoandare, non raccapezzò più dove fosse: passò accanto aun villaggio, offrì del danaro a un contadino perchèl'accompagnasse. Costui accettò; ma era un furfante.Giunto a poca distanza dal confine, vicino a un corpo diguardia prussiano, si fermò e disse al Déroulède: - O midate il doppio, o vi denuncio alla sentinella. - IlDéroulède, vistosi perduto, gli mise un coltello alla [261]

gola, e gli gridò: - O tiri diritto, o t'ammazzo. L'uomo sipersuase, lo guidò di là dal confine, e lo accompagnòfino alla prima stazione austriaca. Un treno stava perpartire, il Déroulède ci saltò su, e fuggì verso Vienna.Aveva voluto tentar la fuga da Breslau il 29 settembre,anniversario di sua madre, e la fortuna l'aveva aiutato.

Con la fuga di Germania entrò in un'altra seried'avventure. Attraversò Vienna di notte, prese unbiglietto per Milano, e ripartì. Ma per pagare il bigliettodovette spendere gli ultimi resti del suo peculio. DaVienna a Milano non mangiò che un enorme pane cheaveva comprato a Baden, stando rincantucciato in fondoal vagone, quieto quieto, senza attaccar discorso connessuno, per non tradire il segreto della sua mascherata.

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Arrivato a Milano, fin dove lo conduceva il biglietto, sitrovò nella stazione solo, morto di fame, senza un soldo,senza sapere dove batter del capo. Che cosa fare? Sirivolse a un impiegato, gli espose il caso suo, glidomandò se avrebbe avuto tempo, [262] prima di partireper la Francia, di fare una corsa fino al Consolato diFrancia, per domandar dei denari. L'impiegato gli disseche no. - Ma non occorre - soggiunse; - sono statosoldato anch'io, mi so mettere nei vostri panni:provvedo io al vostro viaggio. - E gli diede il bigliettoper la Francia. Il Déroulède ebbe appena il tempo diringraziare il bravo impiegato, ripartì, e il giorno dopo sitrovò a Lanslebourg, in compagnia d'altri francesi,scappati pure di Germania, tornati in patria per la stessastrada, travestiti anch'essi bizzarramente, e scannati eaffamati come lui. Un caffettiere misericordioso lisfamò gratis. Il Déroulède ripartì per Lione, e da Lioneandò a Tours. Appena arrivato a Tours, corse alministero della guerra per riprender servizio. Mentreaspettava nei corridoi, passò il Gambetta, il quale loconosceva fin da giovanetto. Questi rimase meravigliatoriconoscendo il giovane poeta sotto quello stranotravestimento. - Che cosa venite a far qui? - glidomandò, dopo aver inteso la [263] sua storia. - A offrireun'altra volta la pelle, - rispose il Déroulède; - se mi dateun incarico per Parigi, dove è il mio reggimento e miamadre, piglio l'impegno d'entrarvi. - Il Gambetta nonvolle dargli incarichi: era scampato una volta, nondoveva mettersi al rischio di farsi ripigliare. - Se volete

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Arrivato a Milano, fin dove lo conduceva il biglietto, sitrovò nella stazione solo, morto di fame, senza un soldo,senza sapere dove batter del capo. Che cosa fare? Sirivolse a un impiegato, gli espose il caso suo, glidomandò se avrebbe avuto tempo, [262] prima di partireper la Francia, di fare una corsa fino al Consolato diFrancia, per domandar dei denari. L'impiegato gli disseche no. - Ma non occorre - soggiunse; - sono statosoldato anch'io, mi so mettere nei vostri panni:provvedo io al vostro viaggio. - E gli diede il bigliettoper la Francia. Il Déroulède ebbe appena il tempo diringraziare il bravo impiegato, ripartì, e il giorno dopo sitrovò a Lanslebourg, in compagnia d'altri francesi,scappati pure di Germania, tornati in patria per la stessastrada, travestiti anch'essi bizzarramente, e scannati eaffamati come lui. Un caffettiere misericordioso lisfamò gratis. Il Déroulède ripartì per Lione, e da Lioneandò a Tours. Appena arrivato a Tours, corse alministero della guerra per riprender servizio. Mentreaspettava nei corridoi, passò il Gambetta, il quale loconosceva fin da giovanetto. Questi rimase meravigliatoriconoscendo il giovane poeta sotto quello stranotravestimento. - Che cosa venite a far qui? - glidomandò, dopo aver inteso la [263] sua storia. - A offrireun'altra volta la pelle, - rispose il Déroulède; - se mi dateun incarico per Parigi, dove è il mio reggimento e miamadre, piglio l'impegno d'entrarvi. - Il Gambetta nonvolle dargli incarichi: era scampato una volta, nondoveva mettersi al rischio di farsi ripigliare. - Se volete

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battervi - gli disse - battetevi sulla Loira; ci saràabbastanza da fare; io vi nomino capitano. - IlDéroulède non volle accettare che il grado disottotenente, che aveva già nelle guardie mobili, esiccome voleva battersi davvero, domandò d'entrare neitiragliatori algerini, - che si battevano a modo suo. IlGambetta accondiscese, e gli domandò se voleva chefacesse pervenire sue notizie a sua madre. Il Déroulèdelo pregò di non farlo. - Se mi crede sempre prigioniero,pensava, vive in pace; se sa che sono scappato, capisceche son tornato alla guerra, e ricomincia a vivere inpena. - Buona fortuna, signor tenente! disse il dittatoreaccommiatandolo. - Ah! la mia fortuna importa poco [264]

- rispose il giovane: - è la vostra che ci preme! - E partìsubito per Neung. Trovò i suoi tiragliatori algerini albivacco; assunse il comando della sua squadra, vestitoancora di quella vecchia palandrana d'ebreo polacco,sulla quale, strada facendo, aveva fatto cucire un par digalloni; e prese parte a tutti i combattimenti dellaretroguardia del generale Chanzy, fino al 1.º gennaio;giorno in cui tutto il 15.º Corpo partì per Dijon, performare il nuovo esercito del generale Bourbaki.

Qui cominciò il periodo più avventuroso della suavita di soldato; periodo di cui si potrebbe rintracciare lastoria nel suo taccuino lacero e spiegazzato, pieno dischizzi topografici, di nomi di soldati arabi, di brani direlazioni, di appunti sul modo di far la zuppa di cipolle,e d'elenchi di feriti e di morti. In questo periodo pure glibalenarono le prime idee e gli vennero fatti i primi versi

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battervi - gli disse - battetevi sulla Loira; ci saràabbastanza da fare; io vi nomino capitano. - IlDéroulède non volle accettare che il grado disottotenente, che aveva già nelle guardie mobili, esiccome voleva battersi davvero, domandò d'entrare neitiragliatori algerini, - che si battevano a modo suo. IlGambetta accondiscese, e gli domandò se voleva chefacesse pervenire sue notizie a sua madre. Il Déroulèdelo pregò di non farlo. - Se mi crede sempre prigioniero,pensava, vive in pace; se sa che sono scappato, capisceche son tornato alla guerra, e ricomincia a vivere inpena. - Buona fortuna, signor tenente! disse il dittatoreaccommiatandolo. - Ah! la mia fortuna importa poco [264]

- rispose il giovane: - è la vostra che ci preme! - E partìsubito per Neung. Trovò i suoi tiragliatori algerini albivacco; assunse il comando della sua squadra, vestitoancora di quella vecchia palandrana d'ebreo polacco,sulla quale, strada facendo, aveva fatto cucire un par digalloni; e prese parte a tutti i combattimenti dellaretroguardia del generale Chanzy, fino al 1.º gennaio;giorno in cui tutto il 15.º Corpo partì per Dijon, performare il nuovo esercito del generale Bourbaki.

Qui cominciò il periodo più avventuroso della suavita di soldato; periodo di cui si potrebbe rintracciare lastoria nel suo taccuino lacero e spiegazzato, pieno dischizzi topografici, di nomi di soldati arabi, di brani direlazioni, di appunti sul modo di far la zuppa di cipolle,e d'elenchi di feriti e di morti. In questo periodo pure glibalenarono le prime idee e gli vennero fatti i primi versi

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di quei famosi Chants du soldat, che pochi anni dopotutto l'esercito seppe a memoria. [265] A Mirbeau fuospitato da una povera vecchia, che gli ispirò Le bongîte, una delle sue più affettuose e più belle poesie. Inun altro luogo, durante il bivacco, di notte, pensando asua madre e a suo fratello, e al giorno che lo avevanoraggiunto al reggimento, prima della battaglia di Sédan,scrisse le prime strofe del Petit turco, e notò neltaccuino: Le petit turco à faire. A Rocourt - in unaritirata - una ragazza, che l'aveva baciato prima delcombattimento, gli diede un pugno per rifarsi del suobacio sciupato; e quel pugno, convertito da lui in unmorso, diventò celebre nella poesia La belle fille. AGray ebbe da un'altra ragazza una coccarda di tre colori,alla quale consacrò quei dieci gioielli di strofette chemolti considerano come il più grazioso dei suoi canti. Inquest'ultimo periodo della guerra conobbe pure quelfamoso sergente Hof, che uccise ventisei nemici inventisei ricognizioni, e che gl'ispirò la poesia intitolataLe sergent, resa poi popolare a Parigi dall'attoreCoquelin. E tra una poesia e l'altra prese [266] parte a ungran numero di combattimenti, con la sua squadra ditiragliatori, fra cui c'eran degli arabi e dei negri che loadoravano e gli eran ardentemente devoti, tanto daportare delle assi sulle spalle per lunghissime marcie perfargli un letto alla tappa; non soldati, ma fratelli efigliuoli suoi, coi quali egli divise il suo pane, e digiunò,e dormì sul ghiaccio, e accese i fuochi del bivacco inquelle terribili notti di gennaio. Con questi soldati si

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di quei famosi Chants du soldat, che pochi anni dopotutto l'esercito seppe a memoria. [265] A Mirbeau fuospitato da una povera vecchia, che gli ispirò Le bongîte, una delle sue più affettuose e più belle poesie. Inun altro luogo, durante il bivacco, di notte, pensando asua madre e a suo fratello, e al giorno che lo avevanoraggiunto al reggimento, prima della battaglia di Sédan,scrisse le prime strofe del Petit turco, e notò neltaccuino: Le petit turco à faire. A Rocourt - in unaritirata - una ragazza, che l'aveva baciato prima delcombattimento, gli diede un pugno per rifarsi del suobacio sciupato; e quel pugno, convertito da lui in unmorso, diventò celebre nella poesia La belle fille. AGray ebbe da un'altra ragazza una coccarda di tre colori,alla quale consacrò quei dieci gioielli di strofette chemolti considerano come il più grazioso dei suoi canti. Inquest'ultimo periodo della guerra conobbe pure quelfamoso sergente Hof, che uccise ventisei nemici inventisei ricognizioni, e che gl'ispirò la poesia intitolataLe sergent, resa poi popolare a Parigi dall'attoreCoquelin. E tra una poesia e l'altra prese [266] parte a ungran numero di combattimenti, con la sua squadra ditiragliatori, fra cui c'eran degli arabi e dei negri che loadoravano e gli eran ardentemente devoti, tanto daportare delle assi sulle spalle per lunghissime marcie perfargli un letto alla tappa; non soldati, ma fratelli efigliuoli suoi, coi quali egli divise il suo pane, e digiunò,e dormì sul ghiaccio, e accese i fuochi del bivacco inquelle terribili notti di gennaio. Con questi soldati si

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trovò al combattimento di Montbéliard, ch'egli cominciòassalendo e occupando una barricata, e perdendo trentadei suoi tra morti e feriti, sopra cinquanta a cuicomandava: combattimento in cui guadagnò la crocedella Legion d'onore. Ma da quel giorno non ci son piùappunti sul taccuino: il freddo faceva cader la matitadalle mani assiderate e sanguinanti. Poi vennero idisastri, le nevicate interminabili, le lunghe marcie dinotte, i bivacchi che lasciavano il terreno coperto dimorti gelati, la perdita di tutte le speranze, lo scompigliomiserando dell'esercito [267] diradato, avvilito, affamato,scalzo, - ridotto a un esercito di spettri -, incalzatospietatamente, con la morte in faccia, alle spalle, sotto iproprii passi e nel proprio cuore. Molte volte il poveroDéroulède, mal riparato dal suo vestito di polacco,bucato dalle palle, si lasciò cader nella neve, al termined'una marcia mortale, e ravvolgendosi nella sua copertadi guardia mobile, nella quale aveva già ravvolto ilfratello moribondo a Sédan, s'addormentò con lacertezza di non più risvegliarsi. Ma la sua forza d'animo,più che la sua forza fisica, e le cure dei soldati lotennero in vita fino all'ultimo, - fino al giorno in cuil'esercito del Bourbaki - ultima speranza della Francia -si rifugiò in Isvizzera, fulminato dai cannoni delManteuffel. Quello fu il momento più desolante dellacampagna per Paolo Déroulède. Immobile sopra unrialto di terreno vicino al confine, in mezzo ai resti dellasua squadra, egli voleva rimanere in Francia a ognicosto, e non si decise ad accompagnare i suoi tiragliatori

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trovò al combattimento di Montbéliard, ch'egli cominciòassalendo e occupando una barricata, e perdendo trentadei suoi tra morti e feriti, sopra cinquanta a cuicomandava: combattimento in cui guadagnò la crocedella Legion d'onore. Ma da quel giorno non ci son piùappunti sul taccuino: il freddo faceva cader la matitadalle mani assiderate e sanguinanti. Poi vennero idisastri, le nevicate interminabili, le lunghe marcie dinotte, i bivacchi che lasciavano il terreno coperto dimorti gelati, la perdita di tutte le speranze, lo scompigliomiserando dell'esercito [267] diradato, avvilito, affamato,scalzo, - ridotto a un esercito di spettri -, incalzatospietatamente, con la morte in faccia, alle spalle, sotto iproprii passi e nel proprio cuore. Molte volte il poveroDéroulède, mal riparato dal suo vestito di polacco,bucato dalle palle, si lasciò cader nella neve, al termined'una marcia mortale, e ravvolgendosi nella sua copertadi guardia mobile, nella quale aveva già ravvolto ilfratello moribondo a Sédan, s'addormentò con lacertezza di non più risvegliarsi. Ma la sua forza d'animo,più che la sua forza fisica, e le cure dei soldati lotennero in vita fino all'ultimo, - fino al giorno in cuil'esercito del Bourbaki - ultima speranza della Francia -si rifugiò in Isvizzera, fulminato dai cannoni delManteuffel. Quello fu il momento più desolante dellacampagna per Paolo Déroulède. Immobile sopra unrialto di terreno vicino al confine, in mezzo ai resti dellasua squadra, egli voleva rimanere in Francia a ognicosto, e non si decise ad accompagnare i suoi tiragliatori

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nella Svizzera [268] che per le esortazioni del suomaggiore, e col patto che questi sarebbe fuggito con luiper andar a cercar la guerra in qualche altro angolo dellaFrancia, appena i loro soldati fossero stati al sicuro.

Fuggirono infatti il Déroulède e il suo maggiore,seguiti da un matto originale di zuavo negro, di nomeMohamed-uld-Mohamed, che si faceva passare perdentista americano, e scendendo lungo la frontiera,arrivarono fino a Tolosa; di dove il Déroulède, solo,corse a Bordeaux, sede del Governo, per offrire la suavita una terza volta. A Bordeaux sente che è statostipulato un armistizio, e che un treno carico di bestiamideve partire per Parigi. Butta via il pastrano da ebreopolacco, si traveste da bovaro bordelese, salta sul treno,arriva a Parigi, corre a casa, si getta nelle braccia di suopadre. - Zitto, Paolo, per amor del cielo - gli dice ilpadre; - abbi pietà della mamma. - Bisognava prepararlaa quel colpo. Combinano insieme un lungo giro didiscorso per annunziarle [269] la cosa a poco a poco; ilpadre va su, perde la testa, e dice senza preamboli: -Paolo è arrivato. - Il grido dell'amore e della gioiamaterna echeggiò in quella casa, solitaria e triste datanto tempo. Povero Paolo! Egli trovò sua madre moltomutata: aveva i capelli bianchi, le mani tremole, gliocchi infossati, la voce fioca. Ma dentro all'anima erasempre la madre di prima, sorridente nel dolore, noncurante di sè, e piena di risoluzione e di forza. Qui ilDéroulède seppe che suo fratello, appena guarito dallasua ferita, era stato mandato da Bruxelles a Ostenda, e

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nella Svizzera [268] che per le esortazioni del suomaggiore, e col patto che questi sarebbe fuggito con luiper andar a cercar la guerra in qualche altro angolo dellaFrancia, appena i loro soldati fossero stati al sicuro.

Fuggirono infatti il Déroulède e il suo maggiore,seguiti da un matto originale di zuavo negro, di nomeMohamed-uld-Mohamed, che si faceva passare perdentista americano, e scendendo lungo la frontiera,arrivarono fino a Tolosa; di dove il Déroulède, solo,corse a Bordeaux, sede del Governo, per offrire la suavita una terza volta. A Bordeaux sente che è statostipulato un armistizio, e che un treno carico di bestiamideve partire per Parigi. Butta via il pastrano da ebreopolacco, si traveste da bovaro bordelese, salta sul treno,arriva a Parigi, corre a casa, si getta nelle braccia di suopadre. - Zitto, Paolo, per amor del cielo - gli dice ilpadre; - abbi pietà della mamma. - Bisognava prepararlaa quel colpo. Combinano insieme un lungo giro didiscorso per annunziarle [269] la cosa a poco a poco; ilpadre va su, perde la testa, e dice senza preamboli: -Paolo è arrivato. - Il grido dell'amore e della gioiamaterna echeggiò in quella casa, solitaria e triste datanto tempo. Povero Paolo! Egli trovò sua madre moltomutata: aveva i capelli bianchi, le mani tremole, gliocchi infossati, la voce fioca. Ma dentro all'anima erasempre la madre di prima, sorridente nel dolore, noncurante di sè, e piena di risoluzione e di forza. Qui ilDéroulède seppe che suo fratello, appena guarito dallasua ferita, era stato mandato da Bruxelles a Ostenda, e

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di là a Londra, e da Londra a Bordeaux, donde l'avevanoinviato in Algeria a vestirsi e ad armarsi al depositodegli zuavi, per ritornar poi alla guerra. Allora lasciò lafamiglia e tornò subito a Bordeaux a domandare alMinistero se avrebbe avuto tempo di fare una corsa inAlgeria per riprendere suo fratello, prima che scoppiassela guerra civile: poichè, essendo stato per qualche tempotra le guardie mobili di Belleville, e avendo visto cheumori ribollivano in [270] quella gente, aveva portatonell'animo, per tutta la durata della guerra, la fermapersuasione che qualcosa di terribile sarebbe seguito, sela Germania riusciva vittoriosa. Gli dissero che avevatempo: andò in Algeria, tornò con suo fratello inFrancia, e andarono subito tutti e due a Versailles, dovel'uno entrò in un reggimento di zuavi, l'altro in unreggimento di cacciatori. E così questo demonio dipoeta cominciò la sua terza campagna.

La guerra civile era scoppiata. Per il Déroulède,patriotta e repubblicano d'animo generoso, era un doloreaver da combattere contro concittadini. Ma la suacoscienza di francese glie lo imponeva inesorabilmente.- Qualunque francese, - egli pensava, - senta nel cuore ladignità e l'onore della Francia, deve tutto sacrificare perimpedire questa vergogna suprema, che la rivolta siaschiacciata dagli stranieri. - Suo fratello, appena ripresele armi, fu costretto a ritirarsi perchè gli si riaperse laferita. Lui, nominato sottotenente nei cacciatori a piedi,raggiunse immediatamente il 30.º battaglione, [271] ch'eraa Neuilly, fra le truppe che combattevano intorno alla

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di là a Londra, e da Londra a Bordeaux, donde l'avevanoinviato in Algeria a vestirsi e ad armarsi al depositodegli zuavi, per ritornar poi alla guerra. Allora lasciò lafamiglia e tornò subito a Bordeaux a domandare alMinistero se avrebbe avuto tempo di fare una corsa inAlgeria per riprendere suo fratello, prima che scoppiassela guerra civile: poichè, essendo stato per qualche tempotra le guardie mobili di Belleville, e avendo visto cheumori ribollivano in [270] quella gente, aveva portatonell'animo, per tutta la durata della guerra, la fermapersuasione che qualcosa di terribile sarebbe seguito, sela Germania riusciva vittoriosa. Gli dissero che avevatempo: andò in Algeria, tornò con suo fratello inFrancia, e andarono subito tutti e due a Versailles, dovel'uno entrò in un reggimento di zuavi, l'altro in unreggimento di cacciatori. E così questo demonio dipoeta cominciò la sua terza campagna.

La guerra civile era scoppiata. Per il Déroulède,patriotta e repubblicano d'animo generoso, era un doloreaver da combattere contro concittadini. Ma la suacoscienza di francese glie lo imponeva inesorabilmente.- Qualunque francese, - egli pensava, - senta nel cuore ladignità e l'onore della Francia, deve tutto sacrificare perimpedire questa vergogna suprema, che la rivolta siaschiacciata dagli stranieri. - Suo fratello, appena ripresele armi, fu costretto a ritirarsi perchè gli si riaperse laferita. Lui, nominato sottotenente nei cacciatori a piedi,raggiunse immediatamente il 30.º battaglione, [271] ch'eraa Neuilly, fra le truppe che combattevano intorno alla

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porta Maillot. Il principio fu terribile per l'ufficiale,come fu terribile la fine per il cittadino. La disciplinaera allentata fra i soldati; molti non volevano battersi;tutti erano stanchi e sfiduciati; i comunardi, dalle casevicine, gl'incitavano alla rivolta con promesse tentatricio con grida di scherno; non ancora inaspritidall'ostinazione feroce della resistenza, avevanoripugnanza per una lotta in cui il sentimento del doverenon era infiammato dalla speranza della gloria.Bisognava ragionarli, spingerli al combattimento ad unoad uno, minacciarli qualche volta, e rischiare,minacciandoli, qualche cosa di peggio che di non essereobbediti. Ma il Déroulède si affezionò a poco a poco icacciatori come si era affezionati gli algerini, e licondusse a combattere, non inferocendoli mapersuadendoli, e dando per il primo l'esempio dellapazienza, della fermezza e dell'audacia. Coi suoicacciatori combattè davanti alla porta Maillot, entrò deiprimi in Parigi, si [272] trovò nella mischia delle strade, eassistette all'orrenda tragedia degli ultimi giorni dellaComune. Qui, per testimonianza di tutti, spiegò unagenerosità eguale al valore. - Son venuto per domare larivolta, pensava, e non per uccidere dei Francesi, - eperciò salvò la vita a quanti potè, protesse i feriti, difesei prigionieri, restituì alla famiglia dei disgraziati cheerano creduti spacciati; tanto che delle donne del popologli gridavano: - È dei nostri! - al che egli rispondeva: -No, sono francese. - Si racconta questo perfino: chementre stava mangiando in un'osteria, tra una barricata

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porta Maillot. Il principio fu terribile per l'ufficiale,come fu terribile la fine per il cittadino. La disciplinaera allentata fra i soldati; molti non volevano battersi;tutti erano stanchi e sfiduciati; i comunardi, dalle casevicine, gl'incitavano alla rivolta con promesse tentatricio con grida di scherno; non ancora inaspritidall'ostinazione feroce della resistenza, avevanoripugnanza per una lotta in cui il sentimento del doverenon era infiammato dalla speranza della gloria.Bisognava ragionarli, spingerli al combattimento ad unoad uno, minacciarli qualche volta, e rischiare,minacciandoli, qualche cosa di peggio che di non essereobbediti. Ma il Déroulède si affezionò a poco a poco icacciatori come si era affezionati gli algerini, e licondusse a combattere, non inferocendoli mapersuadendoli, e dando per il primo l'esempio dellapazienza, della fermezza e dell'audacia. Coi suoicacciatori combattè davanti alla porta Maillot, entrò deiprimi in Parigi, si [272] trovò nella mischia delle strade, eassistette all'orrenda tragedia degli ultimi giorni dellaComune. Qui, per testimonianza di tutti, spiegò unagenerosità eguale al valore. - Son venuto per domare larivolta, pensava, e non per uccidere dei Francesi, - eperciò salvò la vita a quanti potè, protesse i feriti, difesei prigionieri, restituì alla famiglia dei disgraziati cheerano creduti spacciati; tanto che delle donne del popologli gridavano: - È dei nostri! - al che egli rispondeva: -No, sono francese. - Si racconta questo perfino: chementre stava mangiando in un'osteria, tra una barricata

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ed un'altra, un comunardo, sdegnoso, disse in modo dafarsi sentire: - Ça nous tue et ça mange. - Ed eglirispose: - Uccidere è una dolorosa necessità, di cui nonho colpa; mangiare è un bisogno che vuol esserecompatito. Mangiate con me, se credete di averne ildiritto. - Non accetto il vostro pane - quegli rispose. -Allora accettate due lire, e mangiate per conto vostro. -Non accetto le vostre due lire. - Ho capito [273] - risposeil Déroulède tranquillamente -; preferite di prendermele.Ebbene, siete libero, andate alla barricata più vicina,faremo alle fucilate, voi attaccherete le mie due lire e iocercherò di difenderle. - Il comunardo rispose: - Ci vado- e il Déroulède lo lasciò andare. Per tutta la durata diquella lotta feroce, egli non si bagnò le mani d'altrosangue che del proprio, e fu l'ultimo giorno. Laresistenza era agli estremi; poche barricate resistevanoancora, ma furiosamente. Il generale Dumont lo mandò,con una squadra di cacciatori, a pigliare dei cavalli aBelleville. Passando di corsa per un crocicchio, vide inuna strada un ufficiale della legione straniera, chefaceva alle fucilate, col suo plotone, contro una barricatadifesa da tre cannoni, e sormontata dalla bandiera rossa.Vedendo quello spreco inutile di polvere, si fermò, edisse all'ufficiale: - È tempo perso: bisogna pigliar labarricata alla baionetta. - Fatelo - rispose l'ufficiale. - Lofaccio - rispose il Déroulède, e gettato un grido ai suoisoldati, si slanciò all'assalto. [274] I comunardi lilasciarono avvicinare e fecero una scarica all'ultimomomento; il Déroulède, ritto sulla barricata, ricevette a

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ed un'altra, un comunardo, sdegnoso, disse in modo dafarsi sentire: - Ça nous tue et ça mange. - Ed eglirispose: - Uccidere è una dolorosa necessità, di cui nonho colpa; mangiare è un bisogno che vuol esserecompatito. Mangiate con me, se credete di averne ildiritto. - Non accetto il vostro pane - quegli rispose. -Allora accettate due lire, e mangiate per conto vostro. -Non accetto le vostre due lire. - Ho capito [273] - risposeil Déroulède tranquillamente -; preferite di prendermele.Ebbene, siete libero, andate alla barricata più vicina,faremo alle fucilate, voi attaccherete le mie due lire e iocercherò di difenderle. - Il comunardo rispose: - Ci vado- e il Déroulède lo lasciò andare. Per tutta la durata diquella lotta feroce, egli non si bagnò le mani d'altrosangue che del proprio, e fu l'ultimo giorno. Laresistenza era agli estremi; poche barricate resistevanoancora, ma furiosamente. Il generale Dumont lo mandò,con una squadra di cacciatori, a pigliare dei cavalli aBelleville. Passando di corsa per un crocicchio, vide inuna strada un ufficiale della legione straniera, chefaceva alle fucilate, col suo plotone, contro una barricatadifesa da tre cannoni, e sormontata dalla bandiera rossa.Vedendo quello spreco inutile di polvere, si fermò, edisse all'ufficiale: - È tempo perso: bisogna pigliar labarricata alla baionetta. - Fatelo - rispose l'ufficiale. - Lofaccio - rispose il Déroulède, e gettato un grido ai suoisoldati, si slanciò all'assalto. [274] I comunardi lilasciarono avvicinare e fecero una scarica all'ultimomomento; il Déroulède, ritto sulla barricata, ricevette a

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bruciapelo una palla nel gomito, che gli spezzò l'osso,gli staccò l'avambraccio, e gli diede una contrazioneorrenda alla mano. Ma la barricata fu presa, e ilDéroulède, sostenendo colla mano destra il bracciostritolato, continuò ad avanzarsi, fin che, spossato dallaperdita del sangue, cadde fra le braccia dei suoi soldati.Così finirono per lui le avventure della guerra. Fasciatoalla meglio, fu portato a casa, dove rimase tre mesi aletto, col braccio sospeso, curato da sua madre. E inquesti tre mesi fece il primo volume dei Chants dusoldat, che venne pubblicato verso la fine del 1871.

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In che modo un artista potente sia passatodall'oscurità alla fama, è sempre curioso a sapersi. Queiprimi versi il Déroulède li aveva fatti proprio per sfogodell'animo, agitato da mille ricordi in quella lungaimmobilità della convalescenza, durante la quale lamente dell'infermo suole tanto più lavorare quanto sonopiù inerti le membra; ed era molto lontano dalprevedere, ed anche dallo sperare il successo cheottenne. Tanto è giusta la sentenza dello Schiller: che ilvero ingegno è inconscio di sè nelle sue primemanifestazioni, perchè non trova nulla di straordinario -ed è naturale - in ciò che è sempre stato suo, ecostituisce, per così dire, la sua intima natura.Nondimeno l'artista era già maturo nel Déroulède.

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bruciapelo una palla nel gomito, che gli spezzò l'osso,gli staccò l'avambraccio, e gli diede una contrazioneorrenda alla mano. Ma la barricata fu presa, e ilDéroulède, sostenendo colla mano destra il bracciostritolato, continuò ad avanzarsi, fin che, spossato dallaperdita del sangue, cadde fra le braccia dei suoi soldati.Così finirono per lui le avventure della guerra. Fasciatoalla meglio, fu portato a casa, dove rimase tre mesi aletto, col braccio sospeso, curato da sua madre. E inquesti tre mesi fece il primo volume dei Chants dusoldat, che venne pubblicato verso la fine del 1871.

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In che modo un artista potente sia passatodall'oscurità alla fama, è sempre curioso a sapersi. Queiprimi versi il Déroulède li aveva fatti proprio per sfogodell'animo, agitato da mille ricordi in quella lungaimmobilità della convalescenza, durante la quale lamente dell'infermo suole tanto più lavorare quanto sonopiù inerti le membra; ed era molto lontano dalprevedere, ed anche dallo sperare il successo cheottenne. Tanto è giusta la sentenza dello Schiller: che ilvero ingegno è inconscio di sè nelle sue primemanifestazioni, perchè non trova nulla di straordinario -ed è naturale - in ciò che è sempre stato suo, ecostituisce, per così dire, la sua intima natura.Nondimeno l'artista era già maturo nel Déroulède.

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Benchè giovane, infatti, ed esuberante [276] d'ispirazione,capì che non conveniva fare un gros volume depatriotisme, e non pubblicò che una parte delle suepoesie, scelte fra le più brevi e le più spontanee. Ungiorno portò il suo scartafaccio all'editore Lévy. Lepoesie patriottiche pullulavano da tutte le parti: l'editorericevette lo scartafaccio con diffidenza, e pregò il poetadi ritornare dopo alcuni giorni. Il poeta ritornò. - Holetto le vostre poesie - gli disse il Lévy. - Non c'è male.Ma non c'è versi d'amore, non c'è canzonette allegre dibivacco, che sono il genere che piace. Ho paura che ilvostro volumetto, scusatemi, annoi un poco. È troppotriste. - Che cosa volete? - gli rispose il Déroulède - erotriste. - Non potreste aggiungervi qualchecosa qua e là -gli domandò l'editore - per renderlo un po' più ameno? -Il Déroulède rispose che non poteva. - Ebbene.... -concluse il Lévy, - quando è così, bisogna che abbiate labontà di pagare le spese di stampa. - Così fu convenuto.E poco tempo dopo uscì il volume, non preceduto [277] daréclame di sorta, quieto quieto come un povero librorassegnato a tarlare nelle vetrine. In capo a un mese ilDéroulède ripassò dall'editore a chieder notizie: lo trovòtutto sorridente. - Mais ça va, mais ça va, - gli disse,guardandolo curiosamente. In poche settimane sispacciarono dieci edizioni: il volume si divulgò daParigi nelle provincie, si diffuse fra il popolo e fra iletterati, si sparse nell'esercito, entrò nelle scuole e nellefamiglie, diventò popolare prima che la critica l'avessepreso ad esame. Fra le altre mille poesie patriottiche e

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Benchè giovane, infatti, ed esuberante [276] d'ispirazione,capì che non conveniva fare un gros volume depatriotisme, e non pubblicò che una parte delle suepoesie, scelte fra le più brevi e le più spontanee. Ungiorno portò il suo scartafaccio all'editore Lévy. Lepoesie patriottiche pullulavano da tutte le parti: l'editorericevette lo scartafaccio con diffidenza, e pregò il poetadi ritornare dopo alcuni giorni. Il poeta ritornò. - Holetto le vostre poesie - gli disse il Lévy. - Non c'è male.Ma non c'è versi d'amore, non c'è canzonette allegre dibivacco, che sono il genere che piace. Ho paura che ilvostro volumetto, scusatemi, annoi un poco. È troppotriste. - Che cosa volete? - gli rispose il Déroulède - erotriste. - Non potreste aggiungervi qualchecosa qua e là -gli domandò l'editore - per renderlo un po' più ameno? -Il Déroulède rispose che non poteva. - Ebbene.... -concluse il Lévy, - quando è così, bisogna che abbiate labontà di pagare le spese di stampa. - Così fu convenuto.E poco tempo dopo uscì il volume, non preceduto [277] daréclame di sorta, quieto quieto come un povero librorassegnato a tarlare nelle vetrine. In capo a un mese ilDéroulède ripassò dall'editore a chieder notizie: lo trovòtutto sorridente. - Mais ça va, mais ça va, - gli disse,guardandolo curiosamente. In poche settimane sispacciarono dieci edizioni: il volume si divulgò daParigi nelle provincie, si diffuse fra il popolo e fra iletterati, si sparse nell'esercito, entrò nelle scuole e nellefamiglie, diventò popolare prima che la critica l'avessepreso ad esame. Fra le altre mille poesie patriottiche e

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guerriere, quelle del Déroulède producevanoun'impressione nuova: erano giovanili e gravi ad untempo, fiere ed affettuose, eccitavano e consolavano, ededucavano; sotto l'amor di patria, vi si sentiva ilcoraggio; non v'era soltanto l'ardore del cittadino chepredica il dovere, ma anche la coscienza del soldato chel'ha compiuto, e che ha acquistato a caro prezzo il dirittodi alzar la voce; era una poesia forte e sincera, stata piùpensata che scritta, più vissuta che [278] pensata; tuttacalda, e piena d'odor di sangue e di polvere, e sonante diferro, senza gale letterarie, non vestita d'altro che delladivisa semplice e succinta sotto a cui aveva palpitato ilcuore del poeta, quando glie n'eran balenate le primeidee negli accampamenti. Allora si cominciò adomandare, a cercare chi fosse questo Déroulède, e benpresto le sue avventure di soldato diventarono popolaricome le sue poesie, non solo, ma furono ingrandite,come accade sempre, e abbellite di una certa luce vagadi leggenda, che rese più simpatico e fece parer più altoil poeta; e formò un'aureola - ben meritata davvero - sulcapo di sua madre.

[279]

***

Tutti e due i fratelli, dopo la guerra, entrarononell'esercito, poichè, come diceva il maggiore, lacarriera militare era quella in cui un giovane, dopo unagrande guerra perduta, poteva rendere più utili servizi al

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guerriere, quelle del Déroulède producevanoun'impressione nuova: erano giovanili e gravi ad untempo, fiere ed affettuose, eccitavano e consolavano, ededucavano; sotto l'amor di patria, vi si sentiva ilcoraggio; non v'era soltanto l'ardore del cittadino chepredica il dovere, ma anche la coscienza del soldato chel'ha compiuto, e che ha acquistato a caro prezzo il dirittodi alzar la voce; era una poesia forte e sincera, stata piùpensata che scritta, più vissuta che [278] pensata; tuttacalda, e piena d'odor di sangue e di polvere, e sonante diferro, senza gale letterarie, non vestita d'altro che delladivisa semplice e succinta sotto a cui aveva palpitato ilcuore del poeta, quando glie n'eran balenate le primeidee negli accampamenti. Allora si cominciò adomandare, a cercare chi fosse questo Déroulède, e benpresto le sue avventure di soldato diventarono popolaricome le sue poesie, non solo, ma furono ingrandite,come accade sempre, e abbellite di una certa luce vagadi leggenda, che rese più simpatico e fece parer più altoil poeta; e formò un'aureola - ben meritata davvero - sulcapo di sua madre.

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Tutti e due i fratelli, dopo la guerra, entrarononell'esercito, poichè, come diceva il maggiore, lacarriera militare era quella in cui un giovane, dopo unagrande guerra perduta, poteva rendere più utili servizi al

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suo paese. Paolo Déroulède fu promosso luogotenentenei cacciatori a piedi, e appena entrato nel battaglione,nonostante il suo splendido successo di poeta, siconsacrò tutto ai suoi doveri militari. - Non si può avereil cuore a due cose ad un tempo - disse tra sè; - ho dafare il soldato, devo bandir la poesia. - E la bandì infatti. Si mise agli studi militari, fece dei corsi scientificiai sotto uffiziali e ai soldati, tenne delle conferenze, siseppellì fra i regolamenti e i trattati di tattica; e incaserma, e in piazza d'armi, e alle grandi manovre, fu unuffiziale [280] non solo coscienzioso, ma pedante, comeuno di quei vecchi troupiers, per cui l'esercito è ilmondo. Ma per quanto facesse, la poesia gli tempestavasempre nel cuore; tutte le volte che alla mensa degliufficiali il discorso cadeva sulla letteratura, un'onda disangue gli montava al viso, ed era costretto a pregare icolleghi di parlar d'altro, e di lasciarlo in pace; chè se nosarebbe schiattato. E strozzando così la musa colcinturino, servì fino al 1875. In quell'anno, facendo unacorsa a cavallo, cadde di sella e si slogò un piede: aquesta slogatura dobbiamo il secondo volume deiChants du soldat. Durante la cura, che fu lunga, potendooccuparsi senza rimorso d'altra cosa che di studimilitari, scrisse quattordici nuove poesie, mentre datutte le parti della Francia, essendosi sparsa la notiziadella sua piccola disgrazia, piovevano sul suo lettod'invalido biglietti di visita e condoglianze e buoniaugurii. Guarì; ma non così bene da poter ripigliare ilservizio, tanto più che la ferita toccata a Belleville gli si

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suo paese. Paolo Déroulède fu promosso luogotenentenei cacciatori a piedi, e appena entrato nel battaglione,nonostante il suo splendido successo di poeta, siconsacrò tutto ai suoi doveri militari. - Non si può avereil cuore a due cose ad un tempo - disse tra sè; - ho dafare il soldato, devo bandir la poesia. - E la bandì infatti. Si mise agli studi militari, fece dei corsi scientificiai sotto uffiziali e ai soldati, tenne delle conferenze, siseppellì fra i regolamenti e i trattati di tattica; e incaserma, e in piazza d'armi, e alle grandi manovre, fu unuffiziale [280] non solo coscienzioso, ma pedante, comeuno di quei vecchi troupiers, per cui l'esercito è ilmondo. Ma per quanto facesse, la poesia gli tempestavasempre nel cuore; tutte le volte che alla mensa degliufficiali il discorso cadeva sulla letteratura, un'onda disangue gli montava al viso, ed era costretto a pregare icolleghi di parlar d'altro, e di lasciarlo in pace; chè se nosarebbe schiattato. E strozzando così la musa colcinturino, servì fino al 1875. In quell'anno, facendo unacorsa a cavallo, cadde di sella e si slogò un piede: aquesta slogatura dobbiamo il secondo volume deiChants du soldat. Durante la cura, che fu lunga, potendooccuparsi senza rimorso d'altra cosa che di studimilitari, scrisse quattordici nuove poesie, mentre datutte le parti della Francia, essendosi sparsa la notiziadella sua piccola disgrazia, piovevano sul suo lettod'invalido biglietti di visita e condoglianze e buoniaugurii. Guarì; ma non così bene da poter ripigliare ilservizio, tanto più che la ferita toccata a Belleville gli si

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faceva [281] risentire ad ogni passaggio di nuvola; eperciò si fece trasferire dall'esercito attivo nella riserva,e tornò a casa sua - ad aspettare il gran giorno. Ilsecondo volume dei versi ebbe la stessa fortuna delprimo; e intanto le edizioni del primo salivano allasessantina. I Chants du soldats erano diventati il vademecum d'ogni soldato patriotta; s'imparavano a mentenei collegi, si declamavano nei teatri, si recitavano neisalotti, si ripetevano per le strade: Paolo Déroulède,come disse uno scrittore tedesco, «era divenuto il poetapatentato delle aspirazioni nazionali.» E quando, nel1877, fu rappresentato all'Odéon un suo dramma inversi intitolato l'Hetman, nel quale, sotto un episodiodella storia della Polonia, erano espressi i sentimenti, ipropositi e le speranze della Francia, questarappresentazione - a cui la povera madre del poeta sifece trasportare in lettiga - servì di pretesto a una grandedimostrazione patriottica. Il poeta era celebre ed amato:si colse quell'occasione per tributargli gli onori deltrionfo. [282] Accorsero al teatro rappresentanti di tutte leclassi, i principi delle arti e delle lettere, i duchid'Aumale e di Nemours, tutti i generali di Parigi, unalegione d'ufficiali di tutte le armi, e una folla enorme; esebbene il dramma fosse molto al di sotto della lirica,ottenne un successo trionfale. Intanto, anche le sueliriche erano passate sotto i denti della critica; ma perquanto il letterato sia stato discusso, combattuto edanche straziato, il poeta rimase all'altezza a cui l'avevasollevato di sbalzo il primo e spontaneo sentimento

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faceva [281] risentire ad ogni passaggio di nuvola; eperciò si fece trasferire dall'esercito attivo nella riserva,e tornò a casa sua - ad aspettare il gran giorno. Ilsecondo volume dei versi ebbe la stessa fortuna delprimo; e intanto le edizioni del primo salivano allasessantina. I Chants du soldats erano diventati il vademecum d'ogni soldato patriotta; s'imparavano a mentenei collegi, si declamavano nei teatri, si recitavano neisalotti, si ripetevano per le strade: Paolo Déroulède,come disse uno scrittore tedesco, «era divenuto il poetapatentato delle aspirazioni nazionali.» E quando, nel1877, fu rappresentato all'Odéon un suo dramma inversi intitolato l'Hetman, nel quale, sotto un episodiodella storia della Polonia, erano espressi i sentimenti, ipropositi e le speranze della Francia, questarappresentazione - a cui la povera madre del poeta sifece trasportare in lettiga - servì di pretesto a una grandedimostrazione patriottica. Il poeta era celebre ed amato:si colse quell'occasione per tributargli gli onori deltrionfo. [282] Accorsero al teatro rappresentanti di tutte leclassi, i principi delle arti e delle lettere, i duchid'Aumale e di Nemours, tutti i generali di Parigi, unalegione d'ufficiali di tutte le armi, e una folla enorme; esebbene il dramma fosse molto al di sotto della lirica,ottenne un successo trionfale. Intanto, anche le sueliriche erano passate sotto i denti della critica; ma perquanto il letterato sia stato discusso, combattuto edanche straziato, il poeta rimase all'altezza a cui l'avevasollevato di sbalzo il primo e spontaneo sentimento

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d'affetto e di gratitudine della nazione. Ora non v'è uncittadino francese che non conosca qualche verso delDéroulède, e che non l'ami come poeta e non lo ammiricome soldato. Quando Victor Hugo lo vide per la primavolta, gli disse: - Il vostro nome ha preceduto in casamia la vostra persona, e bisogna che abbia fatto delrumore per venir fine a me, perchè oramai non sono piùdi questo mondo. - E mentre in Francia si leggono pertutto le sue poesie, i vecchi soldati [283] d'Africa, nelleloro caserme d'Algeri, disegnano col carbone sui muridelle camerate il suo profilo caratteristico, con un grannaso aquilino, e dicono ai visitatori: Celui-ci estmonsieur Déroulède, le grand parisien, lieutenant deszouaves et avocat, un bon enfant...; mais un rude soldattout de même.

***

Ora vediamo la sua poesia.Sono trentacinque canti, d'argomento e di metro

diverso, che formano tra tutti lo scheletro di un piccolopoema, che potrebbe essere intitolato; La Francia vinta,nel quale s'alternano la narrativa e la lirica, l'ode e lacanzonetta, il dialogo e la descrizione, e tutte le ire etutte le angoscie che possono passare nell'anima d'uncittadino e d'un soldato durante una grande guerrasfortunata, che comincia con l'invasione e termina conla conquista. [284] Finito di leggere, par di vedere unvasto quadro circolare, come un panorama, nel quale,

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d'affetto e di gratitudine della nazione. Ora non v'è uncittadino francese che non conosca qualche verso delDéroulède, e che non l'ami come poeta e non lo ammiricome soldato. Quando Victor Hugo lo vide per la primavolta, gli disse: - Il vostro nome ha preceduto in casamia la vostra persona, e bisogna che abbia fatto delrumore per venir fine a me, perchè oramai non sono piùdi questo mondo. - E mentre in Francia si leggono pertutto le sue poesie, i vecchi soldati [283] d'Africa, nelleloro caserme d'Algeri, disegnano col carbone sui muridelle camerate il suo profilo caratteristico, con un grannaso aquilino, e dicono ai visitatori: Celui-ci estmonsieur Déroulède, le grand parisien, lieutenant deszouaves et avocat, un bon enfant...; mais un rude soldattout de même.

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Ora vediamo la sua poesia.Sono trentacinque canti, d'argomento e di metro

diverso, che formano tra tutti lo scheletro di un piccolopoema, che potrebbe essere intitolato; La Francia vinta,nel quale s'alternano la narrativa e la lirica, l'ode e lacanzonetta, il dialogo e la descrizione, e tutte le ire etutte le angoscie che possono passare nell'anima d'uncittadino e d'un soldato durante una grande guerrasfortunata, che comincia con l'invasione e termina conla conquista. [284] Finito di leggere, par di vedere unvasto quadro circolare, come un panorama, nel quale,

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sotto un cielo sinistro, per una sterminata campagnabianca, corrono torrenti neri di soldati, mischie orrendeinfuriano nelle gole dei monti, ardono villaggi, sisbandano divisioni, fuggono treni d'artiglierie,serpeggiano fiumi di sangue, e sul davanti s'alzano visitrasfigurati di moribondi, con gli occhi rivolti al cielo,che benedicono la patria per cui danno la vita.L'impressione che fa questa poesia sopra di noi italiani,in questo tempo in cui l'amor di patria è, per così dir,tranquillo e quasi nascosto nel nostro cuore, sia perchèson già lontani i ricordi dei grandi avvenimentinazionali, sia perchè nessun'idea di un pericolo vicino ciscuote, somiglia a quella che farebbe su di un uomomaturo, tutto immerso nel lavoro e negli affetti serenidella famiglia, l'eco d'una musica lontana, che glirammentasse qualche violenta e disperata passione deisuoi anni giovanili. Via via che procediamo nella lettura,riconosciamo quelle tristezze, [285] quei dolori, quelleindignazioni; esse passarono altre volte per il nostrocuore; le abbiamo espresse con quelle parole, leabbiamo sfogate con quelle grida; e con le medesimeragioni abbiamo cercato di confortare il nostro orgoglionazionale lacerato. Mutata la lingua, cangiati i Prussianiin Austriaci, quella potrebbe parere poesia scritta dopoNovara o dopo Custoza da un focoso luogotenente deibersaglieri.

Uno dei sentimenti che il poeta espresse piùpotentemente è la tristezza lugubre che pesò sull'esercitoe sul paese dopo i primi rovesci, e l'umiliazione che

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sotto un cielo sinistro, per una sterminata campagnabianca, corrono torrenti neri di soldati, mischie orrendeinfuriano nelle gole dei monti, ardono villaggi, sisbandano divisioni, fuggono treni d'artiglierie,serpeggiano fiumi di sangue, e sul davanti s'alzano visitrasfigurati di moribondi, con gli occhi rivolti al cielo,che benedicono la patria per cui danno la vita.L'impressione che fa questa poesia sopra di noi italiani,in questo tempo in cui l'amor di patria è, per così dir,tranquillo e quasi nascosto nel nostro cuore, sia perchèson già lontani i ricordi dei grandi avvenimentinazionali, sia perchè nessun'idea di un pericolo vicino ciscuote, somiglia a quella che farebbe su di un uomomaturo, tutto immerso nel lavoro e negli affetti serenidella famiglia, l'eco d'una musica lontana, che glirammentasse qualche violenta e disperata passione deisuoi anni giovanili. Via via che procediamo nella lettura,riconosciamo quelle tristezze, [285] quei dolori, quelleindignazioni; esse passarono altre volte per il nostrocuore; le abbiamo espresse con quelle parole, leabbiamo sfogate con quelle grida; e con le medesimeragioni abbiamo cercato di confortare il nostro orgoglionazionale lacerato. Mutata la lingua, cangiati i Prussianiin Austriaci, quella potrebbe parere poesia scritta dopoNovara o dopo Custoza da un focoso luogotenente deibersaglieri.

Uno dei sentimenti che il poeta espresse piùpotentemente è la tristezza lugubre che pesò sull'esercitoe sul paese dopo i primi rovesci, e l'umiliazione che

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divorò l'anima del soldato. Ci ha dei quadretti grigi, conla pioggia all'orizzonte, e un reggimento che passa indisordine, così pieni di malinconia, di stanchezza, diricordi dolorosi, di presentimenti funesti, che stringonoil cuore. Per le vie dei villaggi, in mezzo a una follaimmobile e fredda, sfilano in silenzio le compagnie e ibattaglioni, dopo molti giorni di combattimentidisastrosi: i soldati col cheppì sugli occhi e il bavero [286]

del cappotto rialzato, gli ufficiali col capo basso, itamburi muti, le bandiere lacere, tutti i visi pallidi epesti; e si sente lontano il rombo del cannone tedesco. Eil borghese spietato e insolente nella sua vigliaccheriad'egoista, dice a mezza voce: - Hanno avuto paura. - Pardi sentirseli passare nel cuore, come lame di pugnale, glisguardi gelidi di quella gente che non ama la patria, mala vittoria, e che perduta la speranza, nega lacompassione. E s'indovinano le lacrime di rabbia chedeve aver versato il poeta. Ma non una di queste lacrimeè caduta nei suoi versi: il suo amor di patria è più fortedel suo orgoglio di soldato: egli respinge con paroletristi l'accusa di viltà, e perdona. Solamente un sorrisoamaro gli sfiora le labbra, quando una signora, cheguarda dalle finestre della sua villa il fuoco d'un bivacconotturno, e sfoga in parole entusiastiche la suaammirazione per i turcos, cangia tuono ad un tratto e lichiama ladri e banditi, accorgendosi che bruciano lalegna dei suoi boschi. Son pochi cenni qua e là, ma il[287] contrasto occulto di sentimenti che nasce in ogniguerra sfortunata tra chi dà la vita e chi dà il danaro; tra

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divorò l'anima del soldato. Ci ha dei quadretti grigi, conla pioggia all'orizzonte, e un reggimento che passa indisordine, così pieni di malinconia, di stanchezza, diricordi dolorosi, di presentimenti funesti, che stringonoil cuore. Per le vie dei villaggi, in mezzo a una follaimmobile e fredda, sfilano in silenzio le compagnie e ibattaglioni, dopo molti giorni di combattimentidisastrosi: i soldati col cheppì sugli occhi e il bavero [286]

del cappotto rialzato, gli ufficiali col capo basso, itamburi muti, le bandiere lacere, tutti i visi pallidi epesti; e si sente lontano il rombo del cannone tedesco. Eil borghese spietato e insolente nella sua vigliaccheriad'egoista, dice a mezza voce: - Hanno avuto paura. - Pardi sentirseli passare nel cuore, come lame di pugnale, glisguardi gelidi di quella gente che non ama la patria, mala vittoria, e che perduta la speranza, nega lacompassione. E s'indovinano le lacrime di rabbia chedeve aver versato il poeta. Ma non una di queste lacrimeè caduta nei suoi versi: il suo amor di patria è più fortedel suo orgoglio di soldato: egli respinge con paroletristi l'accusa di viltà, e perdona. Solamente un sorrisoamaro gli sfiora le labbra, quando una signora, cheguarda dalle finestre della sua villa il fuoco d'un bivacconotturno, e sfoga in parole entusiastiche la suaammirazione per i turcos, cangia tuono ad un tratto e lichiama ladri e banditi, accorgendosi che bruciano lalegna dei suoi boschi. Son pochi cenni qua e là, ma il[287] contrasto occulto di sentimenti che nasce in ogniguerra sfortunata tra chi dà la vita e chi dà il danaro; tra

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chi mette al disopra d'ogni cosa l'onore e chi antepone atutto la pace; tra la parte che forma i nervi e quella cheforma il grasso flaccido e pigro d'una nazione, è resomagistralmente, con una mestizia grave, cento volte piùefficace dello scherno, e più nobile dell'ira.

Ciò non ostante, i più belli dei Chants du soldat sonforse certi poemetti di poche strofe, in cui son narratidegli atti eroici, veri quadretti del Détaille e delNeuville, che infiammano il sangue come l'urrà d'unreggimento. In una di queste, una compagnia dicacciatori, che corre all'assalto, sprofonda, a traverso alghiaccio spezzato, in un fiume, mentre i tedeschi,schierati sulla sponda opposta, coi fucili spianati,intiman la resa. I cacciatori rifiutano, vogliono morire.Ma il capitano ordina d'arrendersi. - Arrendetevi,ragazzi - grida; - non voglio che moriate così; a cheserve? Abbassate le armi, non c'è altro da fare. - Icacciatori [288] obbediscono e salgono sulla riva: ilcapitano riman nel fiume. - Salite, capitano! - gligridano, tendendogli la corda. - No - quegli risponde -;ho salvato i miei soldati, non me; - e facendo un'attod'addio, sparisce nell'acqua. In un'altra poesia è unufficiale ferito al cuore che pianta la sciabola in terra egrida: - Qui voglio essere sotterrato! Onta a chi lascieràil mio corpo al nemico! - e con questo grido ricacciaavanti i suoi soldati, che cominciavano a piegare. Inaltre è una difesa disperata d'un villaggio, comandata daun prete, che si fa uccidere co' suoi contadini; untrombettiere colpito da una palla, che spira suonando

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chi mette al disopra d'ogni cosa l'onore e chi antepone atutto la pace; tra la parte che forma i nervi e quella cheforma il grasso flaccido e pigro d'una nazione, è resomagistralmente, con una mestizia grave, cento volte piùefficace dello scherno, e più nobile dell'ira.

Ciò non ostante, i più belli dei Chants du soldat sonforse certi poemetti di poche strofe, in cui son narratidegli atti eroici, veri quadretti del Détaille e delNeuville, che infiammano il sangue come l'urrà d'unreggimento. In una di queste, una compagnia dicacciatori, che corre all'assalto, sprofonda, a traverso alghiaccio spezzato, in un fiume, mentre i tedeschi,schierati sulla sponda opposta, coi fucili spianati,intiman la resa. I cacciatori rifiutano, vogliono morire.Ma il capitano ordina d'arrendersi. - Arrendetevi,ragazzi - grida; - non voglio che moriate così; a cheserve? Abbassate le armi, non c'è altro da fare. - Icacciatori [288] obbediscono e salgono sulla riva: ilcapitano riman nel fiume. - Salite, capitano! - gligridano, tendendogli la corda. - No - quegli risponde -;ho salvato i miei soldati, non me; - e facendo un'attod'addio, sparisce nell'acqua. In un'altra poesia è unufficiale ferito al cuore che pianta la sciabola in terra egrida: - Qui voglio essere sotterrato! Onta a chi lascieràil mio corpo al nemico! - e con questo grido ricacciaavanti i suoi soldati, che cominciavano a piegare. Inaltre è una difesa disperata d'un villaggio, comandata daun prete, che si fa uccidere co' suoi contadini; untrombettiere colpito da una palla, che spira suonando

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l'ultimo squillo dell'assalto con le labbra stillanti disangue; uno stormo di zuavi che assale e conquista unabatteria coprendo il terreno di cadaveri. Nulla distraordinario nei soggetti; ma l'effetto della poesia èstraordinario. Non c'è quasi pittura, si può dire; e sivedono i luoghi, il tempo, il color dell'aria, come in unalunga descrizione, tanto son scelti e resi efficacemente i«particolari [289] tipici,» che fanno indovinare gli altrimille. Non c'è una sola delle frasi convenzionali dellasolita poesia guerresca, più letteraria che marziale, chegonfia la battaglia per farla terribile. Qui tutto è statopreso dal soldato nella esperienza tremenda del vero; sisente «cantar la polvere»; si sente lo schianto dei ramispezzati dalle palle; si sente gridare, nella notte, da unaparte Pour la France! e dall'altra, più lontano, Königund Vaterland! nelle tenebre squarciate dai lampi dellefucilate, come se si assistesse al combattimento; e finitodi leggere, si rimane come ravvolti in un nuvolo difumo, coll'orecchio pieno di grida, e l'anima sconvoltadal passaggio della morte.

A queste poesie, in cui non freme che il soldato,succedono altre, in cui parla il figliuolo, l'amico, ilfratello, l'amante - affettuosissime, ma di quell'affettoche si dà soltanto nelle anime virili, che è come la graziadella forza, e che soggioga, perchè si sente che vienedalla grandezza, non dalla raffinatezza del cuore. Èbello, dopo aver visto un [290] Déroulède a cui simetterebbe una medaglia sul petto, vederne sorgere unaltro, a cui si stamperebbe un bacio sul viso. C'è la

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l'ultimo squillo dell'assalto con le labbra stillanti disangue; uno stormo di zuavi che assale e conquista unabatteria coprendo il terreno di cadaveri. Nulla distraordinario nei soggetti; ma l'effetto della poesia èstraordinario. Non c'è quasi pittura, si può dire; e sivedono i luoghi, il tempo, il color dell'aria, come in unalunga descrizione, tanto son scelti e resi efficacemente i«particolari [289] tipici,» che fanno indovinare gli altrimille. Non c'è una sola delle frasi convenzionali dellasolita poesia guerresca, più letteraria che marziale, chegonfia la battaglia per farla terribile. Qui tutto è statopreso dal soldato nella esperienza tremenda del vero; sisente «cantar la polvere»; si sente lo schianto dei ramispezzati dalle palle; si sente gridare, nella notte, da unaparte Pour la France! e dall'altra, più lontano, Königund Vaterland! nelle tenebre squarciate dai lampi dellefucilate, come se si assistesse al combattimento; e finitodi leggere, si rimane come ravvolti in un nuvolo difumo, coll'orecchio pieno di grida, e l'anima sconvoltadal passaggio della morte.

A queste poesie, in cui non freme che il soldato,succedono altre, in cui parla il figliuolo, l'amico, ilfratello, l'amante - affettuosissime, ma di quell'affettoche si dà soltanto nelle anime virili, che è come la graziadella forza, e che soggioga, perchè si sente che vienedalla grandezza, non dalla raffinatezza del cuore. Èbello, dopo aver visto un [290] Déroulède a cui simetterebbe una medaglia sul petto, vederne sorgere unaltro, a cui si stamperebbe un bacio sul viso. C'è la

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poesia intitolata: Le bon gîte, di trentadue versi, che nonsi può legger senza lacrime. Ricorda uno dei più belliepisodi del Coscritto del 1813, di Erckmann-Chatrian.Un soldato è ospitato una sera in casa d'una poveravecchia. La vecchia mette tutta la sua legna sul fuoco,ed egli, intenerito, le dice: - Basta, risparmia la tualegna, buona vecchia: io non ho più freddo. - La vecchiaapparecchia la tavola con quanto ha di meglio, ed egli ledice: - Non occorre; ho mangiato alla tappa; non ho piùfame. - La vecchia gli prepara il letto con le suelenzuola, e vuol dormire sopra una seggiola, ed egli ledice: - No, buona vecchia, non voglio; dormi tu nelletto; io dormirò sopra la paglia. - E la mattina,partendo, s'accorge che il suo zaino è molto più pesanteche la sera innanzi. - Ma perchè tutto questo? - ledomanda; - è troppo, buona donna; perchè tutto questo?- Ed essa risponde, [291] sorridendo a traverso allelagrime: - J'ai mon gars soldat comme toi. - Ma non sipuò esprimere la semplicità profonda e gentile di quellequattro strofette e di quei quattro ritornelli, in cui sisente il crepitìo del fuoco e l'odore della tovaglia dibucato e la voce dolce e tremola di quella povera madre,che serve e accarezza in quel soldato sconosciuto ilfantasma adorato del figliuolo lontano. In un'altra poesiaè un vecchio soldato arabo che raccoglie sulle sueginocchia un giovane volontario moribondo, il quale,mentre il suo reggimento è macellato, domanda: - Liabbiamo vinti, questa volta, non è vero? - e il vecchioarabo, per non togliere alla sua agonia quel conforto, gli

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poesia intitolata: Le bon gîte, di trentadue versi, che nonsi può legger senza lacrime. Ricorda uno dei più belliepisodi del Coscritto del 1813, di Erckmann-Chatrian.Un soldato è ospitato una sera in casa d'una poveravecchia. La vecchia mette tutta la sua legna sul fuoco,ed egli, intenerito, le dice: - Basta, risparmia la tualegna, buona vecchia: io non ho più freddo. - La vecchiaapparecchia la tavola con quanto ha di meglio, ed egli ledice: - Non occorre; ho mangiato alla tappa; non ho piùfame. - La vecchia gli prepara il letto con le suelenzuola, e vuol dormire sopra una seggiola, ed egli ledice: - No, buona vecchia, non voglio; dormi tu nelletto; io dormirò sopra la paglia. - E la mattina,partendo, s'accorge che il suo zaino è molto più pesanteche la sera innanzi. - Ma perchè tutto questo? - ledomanda; - è troppo, buona donna; perchè tutto questo?- Ed essa risponde, [291] sorridendo a traverso allelagrime: - J'ai mon gars soldat comme toi. - Ma non sipuò esprimere la semplicità profonda e gentile di quellequattro strofette e di quei quattro ritornelli, in cui sisente il crepitìo del fuoco e l'odore della tovaglia dibucato e la voce dolce e tremola di quella povera madre,che serve e accarezza in quel soldato sconosciuto ilfantasma adorato del figliuolo lontano. In un'altra poesiaè un vecchio soldato arabo che raccoglie sulle sueginocchia un giovane volontario moribondo, il quale,mentre il suo reggimento è macellato, domanda: - Liabbiamo vinti, questa volta, non è vero? - e il vecchioarabo, per non togliere alla sua agonia quel conforto, gli

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risponde di sì, e continua a dire tristamente, dopo che ilragazzo è già spirato: - Sì, ragazzo mio, li abbiamovinti. - Un'altra poesia è un inno di riconoscenza alBelgio ospitale, dove le anime sono così serene e gliocchi così dolci, che tutti i dolori e tutti gli odi vis'assopiscono; un'altra è un ringraziamento al medicoche lo cura, al quale dice [292] che è più profondal'amicizia nel suo cuore che la ferita nelle sue carni;un'altra, la Cocarde, forse la più gentile delle sue poesiegentili, è un ricordo amoroso che manda la fragranzad'un fiore. - Arrivammo al villaggio - dice - dopo tregiorni di marcia, spossati, morti di freddo, avviliti dalpresentimento d'un'accoglienza scortese. E cercammodell'albergo. Ma una ragazza, di sull'uscio di casa sua, cigridò: - Ah francesi di poca fede! Questo è un giorno difesta per noi. Non siete in Francia? Non siete in casavostra? Entrate. Noi v'aspettavamo. Avete fatto male adubitar di noi. - E dicendo questo sorrideva; eppure mivengon le lacrime agli occhi quando ci penso! E quantosovente ci penso e come la rivedo! Era accanto a suamadre e aveva una coccarda di tre colori nei capelli.Tutt'a un tratto, pregata da noi, si mise a cantare i nostricanti di guerra. Era la Gloria irata che ci rampognavacon la sua voce. Oh la buona e bella francese! Chegrande cuore e che begli occhi! Ora voi mi domanderetese la presi io stesso [293] da' suoi capelli questa bellacoccarda che porto da tanto tempo sul cuore, anneritadalla polvere e macchiata dal mio sangue. Ah no, nonl'avrei mai osato. Tutto pensieroso, parlando a stento, io

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risponde di sì, e continua a dire tristamente, dopo che ilragazzo è già spirato: - Sì, ragazzo mio, li abbiamovinti. - Un'altra poesia è un inno di riconoscenza alBelgio ospitale, dove le anime sono così serene e gliocchi così dolci, che tutti i dolori e tutti gli odi vis'assopiscono; un'altra è un ringraziamento al medicoche lo cura, al quale dice [292] che è più profondal'amicizia nel suo cuore che la ferita nelle sue carni;un'altra, la Cocarde, forse la più gentile delle sue poesiegentili, è un ricordo amoroso che manda la fragranzad'un fiore. - Arrivammo al villaggio - dice - dopo tregiorni di marcia, spossati, morti di freddo, avviliti dalpresentimento d'un'accoglienza scortese. E cercammodell'albergo. Ma una ragazza, di sull'uscio di casa sua, cigridò: - Ah francesi di poca fede! Questo è un giorno difesta per noi. Non siete in Francia? Non siete in casavostra? Entrate. Noi v'aspettavamo. Avete fatto male adubitar di noi. - E dicendo questo sorrideva; eppure mivengon le lacrime agli occhi quando ci penso! E quantosovente ci penso e come la rivedo! Era accanto a suamadre e aveva una coccarda di tre colori nei capelli.Tutt'a un tratto, pregata da noi, si mise a cantare i nostricanti di guerra. Era la Gloria irata che ci rampognavacon la sua voce. Oh la buona e bella francese! Chegrande cuore e che begli occhi! Ora voi mi domanderetese la presi io stesso [293] da' suoi capelli questa bellacoccarda che porto da tanto tempo sul cuore, anneritadalla polvere e macchiata dal mio sangue. Ah no, nonl'avrei mai osato. Tutto pensieroso, parlando a stento, io

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guardavo quella fronte di bimba, quell'aria di regina,quei tre colori in quei capelli neri, e dicevo tra me contristezza: - Tutto questo riman qui.... ed io me ne vado! -Squilla la tromba: addio coccarda! addio canzoni! Enondimeno le dissi: - Ah! s'io l'avessi quel bel nastro! -e mi soffermai sull'uscio, tutto tremante. Ed essa allorasemplicemente: - Prendete - rispose, - e Dio vi guardi! -Nient'altro che questo, dieci strofette di sei versi; ma incui si sentono mille cose nobili e belle che non vi sondette, come nel tremito profondo d'una voce cara; unapoesia ingenua e fresca che vi va all'anima, come unsoffio d'aria profumata che vi porti di lontano le noteamorose d'un violoncello.

Poi vengono altre poesie, che si potrebbero chiamarepoesie d'assalto, come quella del Berchet [294] per lerivoluzioni di Modena e di Bologna; una tra le quali,intitolata: En avant, non cede in nulla, anche a giudiziodi qualche tedesco, al famoso inno: Ho la spada allamia sinistra, del Körner. Qui il metro s'accorcia, lastrofa si serra, il ritornello grida, i versi risonano comespade urtate o echeggiano come squilli di fanfare, pienid'ira selvaggia e di sprezzo della morte; e tutta la poesiaimita la pesta precipitosa d'uno squadrone che rovini abriglia sciolta sopra un quadrato. Genere di poesiadifficilissimo, che si riduce ad una serie d'esclamazioniampollose e chiassose, senza forza, simili alleimprecazioni d'un briaco asmatico, se ogni strofetta nonè proprio un grido feroce, che si senta uscito dalleviscere di un soldato che guardò in faccia la morte. E

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guardavo quella fronte di bimba, quell'aria di regina,quei tre colori in quei capelli neri, e dicevo tra me contristezza: - Tutto questo riman qui.... ed io me ne vado! -Squilla la tromba: addio coccarda! addio canzoni! Enondimeno le dissi: - Ah! s'io l'avessi quel bel nastro! -e mi soffermai sull'uscio, tutto tremante. Ed essa allorasemplicemente: - Prendete - rispose, - e Dio vi guardi! -Nient'altro che questo, dieci strofette di sei versi; ma incui si sentono mille cose nobili e belle che non vi sondette, come nel tremito profondo d'una voce cara; unapoesia ingenua e fresca che vi va all'anima, come unsoffio d'aria profumata che vi porti di lontano le noteamorose d'un violoncello.

Poi vengono altre poesie, che si potrebbero chiamarepoesie d'assalto, come quella del Berchet [294] per lerivoluzioni di Modena e di Bologna; una tra le quali,intitolata: En avant, non cede in nulla, anche a giudiziodi qualche tedesco, al famoso inno: Ho la spada allamia sinistra, del Körner. Qui il metro s'accorcia, lastrofa si serra, il ritornello grida, i versi risonano comespade urtate o echeggiano come squilli di fanfare, pienid'ira selvaggia e di sprezzo della morte; e tutta la poesiaimita la pesta precipitosa d'uno squadrone che rovini abriglia sciolta sopra un quadrato. Genere di poesiadifficilissimo, che si riduce ad una serie d'esclamazioniampollose e chiassose, senza forza, simili alleimprecazioni d'un briaco asmatico, se ogni strofetta nonè proprio un grido feroce, che si senta uscito dalleviscere di un soldato che guardò in faccia la morte. E

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l'efficacia di queste, come di altre poesie del Déroulède,risiede tutta, a mio credere, nella profondità e nellasincerità d'un sentimento particolare, che si potrebbechiamare appunto il sentimento della morte. I poetiguerrieri di tavolino [295] hanno della morte in battagliauna specie di sentimento artistico, per cui la circondanodi un terrore teatrale, o la trattano con una familiaritàaffettata da eroi spacconi, per i quali sia una celia ilmorire; e lascian capire che si servono della suaimmagine per ottenere certi effetti; per il che non cifanno mai nè veramente paura, nè veramente coraggio.La morte del Déroulède, invece, è una morte veduta,affrontata, pensata, qualcosa di solenne e di muto, chepassa in fondo alle poesie, lentamente, e mette untremito di riverenza nel cuore. Con quali parole egliesprima questo sentimento non si può dire: son cose chesfuggono nell'analisi, che si sentono tra verso e verso,per tutta la poesia e in nessuna strofa, in certi silenziipiuttosto che in certe frasi, come s'indovina la forzad'animo d'un uomo da una espressione sfuggevole dellosguardo. E son poesie che non fanno parer punto facileil coraggio, come le rodomantate patriottiche dei poetida poltrona; ma che lo ispirano rappresentandolo [296]

grande e tremendo, e suscitando nel cuore le forze dacui nasce e su cui si regge. Si potranno criticare comeopere d'arte; ma bisogna dire, leggendole, quello che unpoeta francese disse dell'Hetman, dello stessoDéroulède: - Non mi piace; ma vi traluce sotto l'animad'un eroe, più bella e più potente che la sua poesia.

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l'efficacia di queste, come di altre poesie del Déroulède,risiede tutta, a mio credere, nella profondità e nellasincerità d'un sentimento particolare, che si potrebbechiamare appunto il sentimento della morte. I poetiguerrieri di tavolino [295] hanno della morte in battagliauna specie di sentimento artistico, per cui la circondanodi un terrore teatrale, o la trattano con una familiaritàaffettata da eroi spacconi, per i quali sia una celia ilmorire; e lascian capire che si servono della suaimmagine per ottenere certi effetti; per il che non cifanno mai nè veramente paura, nè veramente coraggio.La morte del Déroulède, invece, è una morte veduta,affrontata, pensata, qualcosa di solenne e di muto, chepassa in fondo alle poesie, lentamente, e mette untremito di riverenza nel cuore. Con quali parole egliesprima questo sentimento non si può dire: son cose chesfuggono nell'analisi, che si sentono tra verso e verso,per tutta la poesia e in nessuna strofa, in certi silenziipiuttosto che in certe frasi, come s'indovina la forzad'animo d'un uomo da una espressione sfuggevole dellosguardo. E son poesie che non fanno parer punto facileil coraggio, come le rodomantate patriottiche dei poetida poltrona; ma che lo ispirano rappresentandolo [296]

grande e tremendo, e suscitando nel cuore le forze dacui nasce e su cui si regge. Si potranno criticare comeopere d'arte; ma bisogna dire, leggendole, quello che unpoeta francese disse dell'Hetman, dello stessoDéroulède: - Non mi piace; ma vi traluce sotto l'animad'un eroe, più bella e più potente che la sua poesia.

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In altre poesie c'è qualche nota comica, qualchelampo d'ilarità che attraversa la tristezza o il terrore. Ècomico, per esempio (e come vero!), benchè in fondocommova, quel buon coscritto ignorante, che noncapisce nulla nè di patria, nè di guerra, e chelamentandosi col suo capitano d'esser stato chiamatoalle armi, dopo avergli detto: - moi je suis vigneron cheznous, chiamando sè stesso le pauvre fils de ma mère, glidomanda ingenuamente:

Mais ne peut-on livrer batailleSans que nous allions aux combats?N'avez-vous pas d'autres soldats?Ma vigne a besoin qu'on la taille.

[297]Mon père se fait vieux là bas.Ah! pourquoi diable ai-je la taille?Ne saurait-on livrer batailleSans que nous allions aux combats?

Ed è amenissimo quel vecchio sergente (Le sergent),analfabeta ed eroe, che si giustifica di non aver imparatoa leggere,

(L'imprimerie et lui ne se fréquentaient point)

dicendo che la lettura è buona per quei cervelli vuoti, iquali, non avendo nulla in sè,

Puisent là de l'esprit comm'on tire de l'eau,

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In altre poesie c'è qualche nota comica, qualchelampo d'ilarità che attraversa la tristezza o il terrore. Ècomico, per esempio (e come vero!), benchè in fondocommova, quel buon coscritto ignorante, che noncapisce nulla nè di patria, nè di guerra, e chelamentandosi col suo capitano d'esser stato chiamatoalle armi, dopo avergli detto: - moi je suis vigneron cheznous, chiamando sè stesso le pauvre fils de ma mère, glidomanda ingenuamente:

Mais ne peut-on livrer batailleSans que nous allions aux combats?N'avez-vous pas d'autres soldats?Ma vigne a besoin qu'on la taille.

[297]Mon père se fait vieux là bas.Ah! pourquoi diable ai-je la taille?Ne saurait-on livrer batailleSans que nous allions aux combats?

Ed è amenissimo quel vecchio sergente (Le sergent),analfabeta ed eroe, che si giustifica di non aver imparatoa leggere,

(L'imprimerie et lui ne se fréquentaient point)

dicendo che la lettura è buona per quei cervelli vuoti, iquali, non avendo nulla in sè,

Puisent là de l'esprit comm'on tire de l'eau,

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mentre per gli uomini d'ingegno vero la testa è ilmigliore dei libri; e che al coscritto, il quale trincando,esclama: - Pour la France et pour vous! - rispondesuperbamente: - Ça ne fait qu'un. - E più lepido di tuttiquel gran marsigliese, tipo degli spacconi vigliacchi,svelto come un cervo e [298] forte come un toro, il quale,mentre gli altri si battono, per fare qualche cosa anchelui per la patria, studia i vari sistemi di fucile. - Che cosaimporta - dice - un soldato di più o di meno nell'esercitoimmenso? La guerra è un duello, in tutti i duelli civogliono dei testimoni, ebbene

Nous serons témoins des français de France.

Ma poi, caspita, quando vede che gli eserciti francesi,les gens du nord, par che si facciano battere a bellaposta, perde la flemma. - Non rimane proprio più che laProvenza! - esclama. Vengano dunque. Andar noi, nonsi deve. La Francia sarà ancora troppo felice di trovarciqui nei momenti supremi. Mostriamoci da lontano,come la Speranza,

Et pour rester forts, gardons nous vivants.

E un giorno che gli fan la celia d'annunziare [299]

l'apparizione d'una corazzata tedesca nelle acque diMarsiglia,

Le pauvre garçon est pris d'un transport:De blanc qu'il était, il en devient rouge,

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mentre per gli uomini d'ingegno vero la testa è ilmigliore dei libri; e che al coscritto, il quale trincando,esclama: - Pour la France et pour vous! - rispondesuperbamente: - Ça ne fait qu'un. - E più lepido di tuttiquel gran marsigliese, tipo degli spacconi vigliacchi,svelto come un cervo e [298] forte come un toro, il quale,mentre gli altri si battono, per fare qualche cosa anchelui per la patria, studia i vari sistemi di fucile. - Che cosaimporta - dice - un soldato di più o di meno nell'esercitoimmenso? La guerra è un duello, in tutti i duelli civogliono dei testimoni, ebbene

Nous serons témoins des français de France.

Ma poi, caspita, quando vede che gli eserciti francesi,les gens du nord, par che si facciano battere a bellaposta, perde la flemma. - Non rimane proprio più che laProvenza! - esclama. Vengano dunque. Andar noi, nonsi deve. La Francia sarà ancora troppo felice di trovarciqui nei momenti supremi. Mostriamoci da lontano,come la Speranza,

Et pour rester forts, gardons nous vivants.

E un giorno che gli fan la celia d'annunziare [299]

l'apparizione d'una corazzata tedesca nelle acque diMarsiglia,

Le pauvre garçon est pris d'un transport:De blanc qu'il était, il en devient rouge,

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De rouge violet, et de violet.... mort.

Ma la sua idea dominante è l'idea della rivincita: ècome il rimbombo continuo d'un cannone lontano, chesi sente in mezzo a tutti gli squilli di tromba delle suepoesie. - La rivincita, dice, è la legge dei vinti. Èinevitabile. O Francia o Prussia. Il giorno sarà forselento a giungere; ma giungerà. L'odio è nato, nascerà laforza. Toccherà al falciatore a vedere quando la messesarà matura. - Dice alla Francia: mille voci ti eccitano, ticonsigliano, ti rimproverano. Tu ascoltane una solaperchè hai un solo dovere. - Ma - come dice lo stessocritico, punto favorevole alla Francia, che s'èrammentato da principio, - quest'aspirazione allarivincita è nel Déroulède un [300] sentimento così virile,meditato e profondo, che non può essere che ammirato,anche da un nemico. Egli non considera la rivincitacome un gioco e la strada di Berlino come unapasseggiata; ma dice a sè ed ai suoi concittadini che saràuna lotta nella quale una delle due nazioni dovrà forselasciare la vita, senz'altro conforto che di venderla il piùcaro possibile. - Perciò, a questo suo proposito vasempre unito il sentimento della necessità di apparecchiimmensi e di sacrifizi sovrumani. - Il nostro errore èstato pazzo, dice; che il nostro dolore sia sensato.Ritempriamo la nostra fierezza nei nostri rimorsi.Soyons les artisans virils des fortes tâches.Rinnovelliamo i nostri cuori, non solamente le nostrearmi. Prevediamo delle battaglie, senza sognare delle

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De rouge violet, et de violet.... mort.

Ma la sua idea dominante è l'idea della rivincita: ècome il rimbombo continuo d'un cannone lontano, chesi sente in mezzo a tutti gli squilli di tromba delle suepoesie. - La rivincita, dice, è la legge dei vinti. Èinevitabile. O Francia o Prussia. Il giorno sarà forselento a giungere; ma giungerà. L'odio è nato, nascerà laforza. Toccherà al falciatore a vedere quando la messesarà matura. - Dice alla Francia: mille voci ti eccitano, ticonsigliano, ti rimproverano. Tu ascoltane una solaperchè hai un solo dovere. - Ma - come dice lo stessocritico, punto favorevole alla Francia, che s'èrammentato da principio, - quest'aspirazione allarivincita è nel Déroulède un [300] sentimento così virile,meditato e profondo, che non può essere che ammirato,anche da un nemico. Egli non considera la rivincitacome un gioco e la strada di Berlino come unapasseggiata; ma dice a sè ed ai suoi concittadini che saràuna lotta nella quale una delle due nazioni dovrà forselasciare la vita, senz'altro conforto che di venderla il piùcaro possibile. - Perciò, a questo suo proposito vasempre unito il sentimento della necessità di apparecchiimmensi e di sacrifizi sovrumani. - Il nostro errore èstato pazzo, dice; che il nostro dolore sia sensato.Ritempriamo la nostra fierezza nei nostri rimorsi.Soyons les artisans virils des fortes tâches.Rinnovelliamo i nostri cuori, non solamente le nostrearmi. Prevediamo delle battaglie, senza sognare delle

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conquiste. Non parliamo dell'avvenire che vendicaprima che sia cominciato l'avvenire che ripara. A chidice: - Sii pronto! - l'altro risponda: - Sii giusto. Siamotranquilli nei nostri sforzi. - E adombra lo stato e idoveri della Francia in una [301] bella e larga poesia disoggetto biblico, in cui gli Ebrei, caduti sotto il giogodel re di Mesopotamia, mandano dei messaggieri adAtaniele, nascosto nei burroni d'una foresta, perchè liguidi alla guerra liberatrice; e Ataniele li respinge piùvolte per il corso di varii anni, perchè non crede ancorail popolo preparato a sacrifizi supremi; e non impugnala spada e non grida: - Siete pronti! - se non quandoriconosce che sono anime nuove in corpi ringagliarditi,purgati d'ogni orgoglio stolto, pentiti delle colpe antiche,armati i cuori come le braccia, e preparati alla morte.Questa ardente aspirazione fa sgorgare dal cuore delpoeta versi pieni di forza e d'ardimento. - Io aspetto, eglidice; io custodisco nella mia anima francese la mia fededi cittadino e i miei odii di soldato, per il giorno fatale.La mia giovinezza è stata colpita da un dolore che nullapuò mitigare. Ma non è il mio dolore che bestemmia,non è neanche il soldato che sogni la gloria. La rivincitaè il voto della mia vita e la mia suprema [302] speranza. Iodebbo morire sul campo di battaglia ed essere sepolto interra nemica. - E sempre questa idea si ripresenta,implacabile, e lampeggia da ogni parte, spandendo sututta la sua poesia un riflesso color di sangue, che fapensare con un senso di sgomento alla immensità deglieccidii futuri.

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conquiste. Non parliamo dell'avvenire che vendicaprima che sia cominciato l'avvenire che ripara. A chidice: - Sii pronto! - l'altro risponda: - Sii giusto. Siamotranquilli nei nostri sforzi. - E adombra lo stato e idoveri della Francia in una [301] bella e larga poesia disoggetto biblico, in cui gli Ebrei, caduti sotto il giogodel re di Mesopotamia, mandano dei messaggieri adAtaniele, nascosto nei burroni d'una foresta, perchè liguidi alla guerra liberatrice; e Ataniele li respinge piùvolte per il corso di varii anni, perchè non crede ancorail popolo preparato a sacrifizi supremi; e non impugnala spada e non grida: - Siete pronti! - se non quandoriconosce che sono anime nuove in corpi ringagliarditi,purgati d'ogni orgoglio stolto, pentiti delle colpe antiche,armati i cuori come le braccia, e preparati alla morte.Questa ardente aspirazione fa sgorgare dal cuore delpoeta versi pieni di forza e d'ardimento. - Io aspetto, eglidice; io custodisco nella mia anima francese la mia fededi cittadino e i miei odii di soldato, per il giorno fatale.La mia giovinezza è stata colpita da un dolore che nullapuò mitigare. Ma non è il mio dolore che bestemmia,non è neanche il soldato che sogni la gloria. La rivincitaè il voto della mia vita e la mia suprema [302] speranza. Iodebbo morire sul campo di battaglia ed essere sepolto interra nemica. - E sempre questa idea si ripresenta,implacabile, e lampeggia da ogni parte, spandendo sututta la sua poesia un riflesso color di sangue, che fapensare con un senso di sgomento alla immensità deglieccidii futuri.

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Un altro pregio grande di questi canti, che non sitrova in nessun'altra raccolta di poesie patriottichefrancesi di questi ultimi tempi, è la coraggiosa e qualchevolta sdegnosa franchezza con cui il poeta dice ai suoiconcittadini delle verità spiacevoli ad intendersi. Lagelosia artistica fa dire anche a qualche francese che lapoesia del Déroulède deve in gran parte la sua fortunaalle carezze ch'egli prodiga all'orgoglio nazionale. Seciò fosse vero, avrebbero dovuto ottenere una fortunamolto maggiore le poesie di cento altri. Ma è falsissimo.Senza dubbio egli si sforza in mille modi di tener viva lafede del suo popolo nelle proprie forze. Froeschviller,dice, è l'assalto d'uno contro [303] quattro; Gravelotte eBorny non furono sconfitte; a Champigny, i vivivendicarono i morti; le glorie come quella di Strasburgosfuggono ai conquistatori; Parigi cadde superbamente. Aquale patriotta si potrebbe negare il diritto di affermareil valore della sua gente? Ma per contro io non so qualealtro giovane poeta francese abbia osato lanciare alproprio paese delle parole più terribili. Noidisimpariamo la guerra, dice in una delle sue miglioripoesie; - ci sono stati degli eroi; ma un gruppo d'eroinon rifà la razza: è un povero popolo quello in cui ivalorosi si contano. E in un altro luogo: - Son tristitempi quelli in cui la paura medesima, coprendo digrandi parole il basso istinto che la muove, non ha piùrossore sulla fronte. E altrove: - Ma come mai siamodecaduti? Scorre ben sempre lo stesso sangue nellenostre vene; l'aria che noi respiriamo attraversa pur

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Un altro pregio grande di questi canti, che non sitrova in nessun'altra raccolta di poesie patriottichefrancesi di questi ultimi tempi, è la coraggiosa e qualchevolta sdegnosa franchezza con cui il poeta dice ai suoiconcittadini delle verità spiacevoli ad intendersi. Lagelosia artistica fa dire anche a qualche francese che lapoesia del Déroulède deve in gran parte la sua fortunaalle carezze ch'egli prodiga all'orgoglio nazionale. Seciò fosse vero, avrebbero dovuto ottenere una fortunamolto maggiore le poesie di cento altri. Ma è falsissimo.Senza dubbio egli si sforza in mille modi di tener viva lafede del suo popolo nelle proprie forze. Froeschviller,dice, è l'assalto d'uno contro [303] quattro; Gravelotte eBorny non furono sconfitte; a Champigny, i vivivendicarono i morti; le glorie come quella di Strasburgosfuggono ai conquistatori; Parigi cadde superbamente. Aquale patriotta si potrebbe negare il diritto di affermareil valore della sua gente? Ma per contro io non so qualealtro giovane poeta francese abbia osato lanciare alproprio paese delle parole più terribili. Noidisimpariamo la guerra, dice in una delle sue miglioripoesie; - ci sono stati degli eroi; ma un gruppo d'eroinon rifà la razza: è un povero popolo quello in cui ivalorosi si contano. E in un altro luogo: - Son tristitempi quelli in cui la paura medesima, coprendo digrandi parole il basso istinto che la muove, non ha piùrossore sulla fronte. E altrove: - Ma come mai siamodecaduti? Scorre ben sempre lo stesso sangue nellenostre vene; l'aria che noi respiriamo attraversa pur

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sempre i nostri boschi; le viti dei nostri colli e le messidei nostri piani sono ben maturate dal sole antico;questo paese così ridente, fertile e [304] vario, atto a tutti iprodotti, aperto a tutte le idee, questo sole possente,quest'acque vive, questo cielo mobile, tutto questo è laFrancia! Dove son dunque i francesi? - E non tralasciadi flagellare la mania dei suoi concittadini, di gridare altradimento per scusare le conseguenze di tutte ledebolezze e di tutti gli errori. - È così che si perde -dice, descrivendo un corpo di francesi accampati, chenon sapevano e non cercavano di sapere dove fosse ilnemico; - è così che si perde, per un'orgogliosaleggerezza, il valore d'un paese; è così che la colparisale implacabilmente dai soldati mal guidati ai capipeggio obbediti; è così che dei pazzi gridano che Dio èingiusto e che la Francia è stata tradita! - Ed ancoquando cerca di scusar la sconfitta, non lo fa coi cavilliirritanti d'un patriotta vanaglorioso e cocciuto; manobilmente, con parole dignitose e tristi, che se noninducono la persuasione, ispirano il rispetto, perchè nonvengon da orgoglio di soldato, ma da pietà e da affettodi figlio.

[305]

E l'affetto di figlio è quello che gl'ispirò i più dolci einsieme i più vigorosi di tutti i suoi versi. Egli non haparlato di sua madre che nei Nuovi canti; ha aspettatoche il suo successo di poeta glie ne desse il diritto, e chela simpatia e la riverenza con cui si pronunciava dalpubblico il nome di lei, gli desse animo a rivolgerle i

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sempre i nostri boschi; le viti dei nostri colli e le messidei nostri piani sono ben maturate dal sole antico;questo paese così ridente, fertile e [304] vario, atto a tutti iprodotti, aperto a tutte le idee, questo sole possente,quest'acque vive, questo cielo mobile, tutto questo è laFrancia! Dove son dunque i francesi? - E non tralasciadi flagellare la mania dei suoi concittadini, di gridare altradimento per scusare le conseguenze di tutte ledebolezze e di tutti gli errori. - È così che si perde -dice, descrivendo un corpo di francesi accampati, chenon sapevano e non cercavano di sapere dove fosse ilnemico; - è così che si perde, per un'orgogliosaleggerezza, il valore d'un paese; è così che la colparisale implacabilmente dai soldati mal guidati ai capipeggio obbediti; è così che dei pazzi gridano che Dio èingiusto e che la Francia è stata tradita! - Ed ancoquando cerca di scusar la sconfitta, non lo fa coi cavilliirritanti d'un patriotta vanaglorioso e cocciuto; manobilmente, con parole dignitose e tristi, che se noninducono la persuasione, ispirano il rispetto, perchè nonvengon da orgoglio di soldato, ma da pietà e da affettodi figlio.

[305]

E l'affetto di figlio è quello che gl'ispirò i più dolci einsieme i più vigorosi di tutti i suoi versi. Egli non haparlato di sua madre che nei Nuovi canti; ha aspettatoche il suo successo di poeta glie ne desse il diritto, e chela simpatia e la riverenza con cui si pronunciava dalpubblico il nome di lei, gli desse animo a rivolgerle i

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suoi versi pubblicamente e a gettare quel nome aipropri soldati. Nulla è più naturale in un'anima elettache il confondere l'affetto di famiglia con l'amor dellapatria, e il far che l'uno s'illumini e si nobiliti dell'altro.Ma non so qual altro poeta, confondendo quei duesentimenti, abbia congiunto tanta tenerezza con tantaforza, e n'abbia tratto ispirazioni così gagliarde e cosìgentili ad un tempo. - Si afferma che i tuoi figli hannocompiuto il loro dovere, - dice a sua madre; - ma ildovere che essi hanno compiuto è opera tua; l'onore èdovuto a te. Essi non son partiti per le battagliefurtivamente, come altri fecero, senza l'abbracciomaterno, che li avrebbe trattenuti; [306] essi non te l'hannorubato il sangue delle tue viscere. Sei tu che hai dettoloro: - Partite, figliuoli. I soldati della Francia son vinti.Il mio cuore non v'avrebbe concessi alla patria per laconquista; ma ora non è più la conquista, è la difesa. Lapatria è invasa; io vi do alla patria; partite. Ah perchènon hanno fatto così tutte le madri! Non credano, quelleche dissero ai loro figliuoli: - Non andate a combattere,- che la loro debolezza sia stata pagata in amore. Essenon versarono le lacrime della partenza; ma nonconobbero le lacrime del ritorno. E non dicano che tu cihai dati alla patria perchè ci potevi dare senza dolore, eche sei stata patriotta senz'essere martire. No, nonardiscano dirlo! Io l'ho vista l'angoscia immensa sotto iltuo violento coraggio. I tuoi figliuoli, partendo, ti hanportata via l'anima, e tu hai sanguinato delle loro ferite;ed eccoti malata, invecchiata innanzi tempo, paralitica,

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suoi versi pubblicamente e a gettare quel nome aipropri soldati. Nulla è più naturale in un'anima elettache il confondere l'affetto di famiglia con l'amor dellapatria, e il far che l'uno s'illumini e si nobiliti dell'altro.Ma non so qual altro poeta, confondendo quei duesentimenti, abbia congiunto tanta tenerezza con tantaforza, e n'abbia tratto ispirazioni così gagliarde e cosìgentili ad un tempo. - Si afferma che i tuoi figli hannocompiuto il loro dovere, - dice a sua madre; - ma ildovere che essi hanno compiuto è opera tua; l'onore èdovuto a te. Essi non son partiti per le battagliefurtivamente, come altri fecero, senza l'abbracciomaterno, che li avrebbe trattenuti; [306] essi non te l'hannorubato il sangue delle tue viscere. Sei tu che hai dettoloro: - Partite, figliuoli. I soldati della Francia son vinti.Il mio cuore non v'avrebbe concessi alla patria per laconquista; ma ora non è più la conquista, è la difesa. Lapatria è invasa; io vi do alla patria; partite. Ah perchènon hanno fatto così tutte le madri! Non credano, quelleche dissero ai loro figliuoli: - Non andate a combattere,- che la loro debolezza sia stata pagata in amore. Essenon versarono le lacrime della partenza; ma nonconobbero le lacrime del ritorno. E non dicano che tu cihai dati alla patria perchè ci potevi dare senza dolore, eche sei stata patriotta senz'essere martire. No, nonardiscano dirlo! Io l'ho vista l'angoscia immensa sotto iltuo violento coraggio. I tuoi figliuoli, partendo, ti hanportata via l'anima, e tu hai sanguinato delle loro ferite;ed eccoti malata, invecchiata innanzi tempo, paralitica,

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che non hai più di vivo altro che l'anima nel tuo poverocorpo sfinito! E lo presentivi pure [307] quando infondestinel nostro cuore la forza del tuo; ma come lo presentistisenza paura, ora lo sopporti senza lamento; ed è perciòche tuo figlio può parlare di te con alterezza. - O madri,- dice in un'altra poesia - se i vostri figliuoli cresconosenza diventar uomini, o diventan uomini d'istintopratico, avari del proprio sangue; se nel giorno dellaprova, la loro carne spaventata ha orrore del pericolo; sequando l'onore li chiama, essi non si trovan là, soldati,ritti in faccia al dovere e in faccia alla morte, - madri, lavostra tenerezza ha deformato quelle anime; - se essinon sanno morire, voi non sapeste creare.

Questa è la poesia del Déroulède. Vi si aggiunga ilpregio d'una spontaneità e d'una chiarezza mirabile; unagrande abbondanza (non dico ricchezza nel significatofrancese) di rime; un uso abilissimo del ritornello perottenere effetti tristi e affettuosi; un misto di linguaggiopopolano e soldatesco, adoperato opportunamente, chedà ai dialoghi e ai racconti un colore di veritàgrandissimo; [308] e qua e là dei versi potenti che saltansu ad un tratto, come lame compresse che si raddrizzino,e gettano scintille su tutta la strofa. Il letterato non vi simostra se non quanto è strettamente necessario per daredignità ed efficacia alla parola del soldato. Non vi sonforse dieci similitudini in tutti e trentaquattro i canti;non una gambata rettorica; non una strofa in cui l'artistaimbizzarrito levi la mano all'uomo sensato; non un versoche porti il fiore all'occhiello; rarissimamente uno dei

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che non hai più di vivo altro che l'anima nel tuo poverocorpo sfinito! E lo presentivi pure [307] quando infondestinel nostro cuore la forza del tuo; ma come lo presentistisenza paura, ora lo sopporti senza lamento; ed è perciòche tuo figlio può parlare di te con alterezza. - O madri,- dice in un'altra poesia - se i vostri figliuoli cresconosenza diventar uomini, o diventan uomini d'istintopratico, avari del proprio sangue; se nel giorno dellaprova, la loro carne spaventata ha orrore del pericolo; sequando l'onore li chiama, essi non si trovan là, soldati,ritti in faccia al dovere e in faccia alla morte, - madri, lavostra tenerezza ha deformato quelle anime; - se essinon sanno morire, voi non sapeste creare.

Questa è la poesia del Déroulède. Vi si aggiunga ilpregio d'una spontaneità e d'una chiarezza mirabile; unagrande abbondanza (non dico ricchezza nel significatofrancese) di rime; un uso abilissimo del ritornello perottenere effetti tristi e affettuosi; un misto di linguaggiopopolano e soldatesco, adoperato opportunamente, chedà ai dialoghi e ai racconti un colore di veritàgrandissimo; [308] e qua e là dei versi potenti che saltansu ad un tratto, come lame compresse che si raddrizzino,e gettano scintille su tutta la strofa. Il letterato non vi simostra se non quanto è strettamente necessario per daredignità ed efficacia alla parola del soldato. Non vi sonforse dieci similitudini in tutti e trentaquattro i canti;non una gambata rettorica; non una strofa in cui l'artistaimbizzarrito levi la mano all'uomo sensato; non un versoche porti il fiore all'occhiello; rarissimamente uno dei

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così detti versi di maniera che il poeta compone senzasentirli; specie di note di testa, a cui si ricorre quandomanca il fiato. La veste, o piuttosto la pelle della suapoesia, è tutta tesa e liscia sulla carne salda e coloratadal sangue giovanile che vi circola sotto. Se v'è undifetto che si ripeta in modo da attirare l'attenzione, èuna tendenza a una certa simmetria d'immagini, di frasie di suoni, a una certa regolarità di contrappostinell'esplicazione del pensiero, che se giova qualchevolta alla chiarezza, [309] qualche altra volta scemal'efficacia facendo sospettare l'artificio; tendenza che simanifesta anche di più nella Moabite, in cui allacontrapposizione delle parole comincia a sostituirsiquella dei concetti, e quindi a pullulare l'antitesi. Ma neicanti è un difetto che riesce più sovente a vantaggio chea danno, poichè dà alla poesia un certo andamentorapido e regolare ad un tempo, e come bruscamentecadenzato da un tamburo che suoni la carica,imponendo una frase per passo. Le strofe passano snellee risolute, spoglie d'ornamenti, come plotoni di soldatiin assetto di combattimento, e fanno fuoco e spariscono,incalzate dalle sopravvenienti, senza che vi si noti maiun'incertezza o un principio di disordine. Ma tutto ciònon riguarda che l'esteriorità della forma. Riguardo alvalore, se così può dirsi, specifico del verso, alla virtùintima della frase e dello stile poetico, non oso metterparola, e mi son persuaso che è difficilissimo ad unitaliano, per quanto conosca la lingua francese, digiudicare rettamente [310] in questa materia. Esponendo a

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così detti versi di maniera che il poeta compone senzasentirli; specie di note di testa, a cui si ricorre quandomanca il fiato. La veste, o piuttosto la pelle della suapoesia, è tutta tesa e liscia sulla carne salda e coloratadal sangue giovanile che vi circola sotto. Se v'è undifetto che si ripeta in modo da attirare l'attenzione, èuna tendenza a una certa simmetria d'immagini, di frasie di suoni, a una certa regolarità di contrappostinell'esplicazione del pensiero, che se giova qualchevolta alla chiarezza, [309] qualche altra volta scemal'efficacia facendo sospettare l'artificio; tendenza che simanifesta anche di più nella Moabite, in cui allacontrapposizione delle parole comincia a sostituirsiquella dei concetti, e quindi a pullulare l'antitesi. Ma neicanti è un difetto che riesce più sovente a vantaggio chea danno, poichè dà alla poesia un certo andamentorapido e regolare ad un tempo, e come bruscamentecadenzato da un tamburo che suoni la carica,imponendo una frase per passo. Le strofe passano snellee risolute, spoglie d'ornamenti, come plotoni di soldatiin assetto di combattimento, e fanno fuoco e spariscono,incalzate dalle sopravvenienti, senza che vi si noti maiun'incertezza o un principio di disordine. Ma tutto ciònon riguarda che l'esteriorità della forma. Riguardo alvalore, se così può dirsi, specifico del verso, alla virtùintima della frase e dello stile poetico, non oso metterparola, e mi son persuaso che è difficilissimo ad unitaliano, per quanto conosca la lingua francese, digiudicare rettamente [310] in questa materia. Esponendo a

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francesi colti il nostro schietto parere sul verso di certiloro poeti, noi andiamo incontro a contraddizioni cosìimprevedute, che tutti i criterii del nostro giudizio nerimangono scompigliati. Bisognerebbe conoscereprofondamente, e non solo per teoria, ma per pratica,tutte le condizioni severe di cesura, di emisticchio, diiato, di elisione, di accavalcatura, a cui va soggetto ilsistema sillabico della loro poesia. Per i verseggiatoridotti, che hanno fatto della versificazione una specie discienza di contrappunto, per quelli che il Gautierchiamava milionari della rima e gioiellieri della poesia,che cercano mille effetti delicati e difficili nelleondulazioni della frase, nelle trasposizioni delle parole,nella varietà dei suoni, in una specie di ritmo intimo,che tocca le fibre più segrete a chi ne conosce ilmagistero, e sfugge ai profani; per costoro i versi delDéroulède sono versi incolti, il suo stile è cascante, lasua forma sovente volgare, e qualche volta barbaraaffatto. Appena qualche [311] strofa qua e là merita laconsiderazione d'un sapiente artefice di versi. Che cosarispondere a queste censure, che si potrebbero ripeterequasi egualmente sulle poesie del Berchet? Sarannogiuste; ma è lecito accoglierle con qualche diffidenza,pensando che in tutti i paesi i letterati sono stati sempreparticolarmente severi con quelli dei loro confratelli chearrivarono alla fama per una scorciatoia. Una gran partedel successo ottenuto, dicono molti, il Déroulède lodeve all'elevatezza dei suoi sentimenti patriottici, allesue avventure, al suo carattere, più che al merito

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francesi colti il nostro schietto parere sul verso di certiloro poeti, noi andiamo incontro a contraddizioni cosìimprevedute, che tutti i criterii del nostro giudizio nerimangono scompigliati. Bisognerebbe conoscereprofondamente, e non solo per teoria, ma per pratica,tutte le condizioni severe di cesura, di emisticchio, diiato, di elisione, di accavalcatura, a cui va soggetto ilsistema sillabico della loro poesia. Per i verseggiatoridotti, che hanno fatto della versificazione una specie discienza di contrappunto, per quelli che il Gautierchiamava milionari della rima e gioiellieri della poesia,che cercano mille effetti delicati e difficili nelleondulazioni della frase, nelle trasposizioni delle parole,nella varietà dei suoni, in una specie di ritmo intimo,che tocca le fibre più segrete a chi ne conosce ilmagistero, e sfugge ai profani; per costoro i versi delDéroulède sono versi incolti, il suo stile è cascante, lasua forma sovente volgare, e qualche volta barbaraaffatto. Appena qualche [311] strofa qua e là merita laconsiderazione d'un sapiente artefice di versi. Che cosarispondere a queste censure, che si potrebbero ripeterequasi egualmente sulle poesie del Berchet? Sarannogiuste; ma è lecito accoglierle con qualche diffidenza,pensando che in tutti i paesi i letterati sono stati sempreparticolarmente severi con quelli dei loro confratelli chearrivarono alla fama per una scorciatoia. Una gran partedel successo ottenuto, dicono molti, il Déroulède lodeve all'elevatezza dei suoi sentimenti patriottici, allesue avventure, al suo carattere, più che al merito

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intrinseco della sua poesia. A me pare che questadistinzione non sia ragionevole. Ciò che forma un poetaè la congiunzione di parecchie facoltà e doti diversedella mente e dell'animo, alcune ricevute dalla natura,altre dall'educazione: l'ingegno, la coltura, il cuore, ilcarattere, l'esperienza, la vita; tutto ciò fuso e confuso.Come si può distinguere questi elementi, e separarel'artista dall'uomo, per assegnare a ciascuno la sua [312]

parte misurata di merito? Un illustre poeta francesediceva un giorno: certe grandi idee vengono dalcarattere. Ma chi potrà riconoscere le idee che vengonodal carattere tra quelle che vengono dall'ingegno?Quando abbia ben sentito distinguere, il lettore,leggendo ed ammirando, tornerà a confondere. Noi nonsappiamo se sia trasandata o rozza la forma della poesiadel Déroulède: sappiamo che è una poesia nobile,generosa, maschia, feconda, che mette delle lacrimenegli occhi e delle fiamme nel cuore. Migliaia di poesiedi suoi concittadini, magistralmente ricamate, e piene diperle e di gingilli d'oro, passeranno; i suoi canti semplicie schietti, concepiti in faccia alla morte e scritti collapunta della spada, resteranno; e mentre la critica baderàa notarne i versi scadenti e le frasi neglette, essicontinueranno a ritemprare dei caratteri, a formar deicittadini, a preparare dei valorosi; e la gloria del poetacrescerà con la forza della patria.

[313]

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intrinseco della sua poesia. A me pare che questadistinzione non sia ragionevole. Ciò che forma un poetaè la congiunzione di parecchie facoltà e doti diversedella mente e dell'animo, alcune ricevute dalla natura,altre dall'educazione: l'ingegno, la coltura, il cuore, ilcarattere, l'esperienza, la vita; tutto ciò fuso e confuso.Come si può distinguere questi elementi, e separarel'artista dall'uomo, per assegnare a ciascuno la sua [312]

parte misurata di merito? Un illustre poeta francesediceva un giorno: certe grandi idee vengono dalcarattere. Ma chi potrà riconoscere le idee che vengonodal carattere tra quelle che vengono dall'ingegno?Quando abbia ben sentito distinguere, il lettore,leggendo ed ammirando, tornerà a confondere. Noi nonsappiamo se sia trasandata o rozza la forma della poesiadel Déroulède: sappiamo che è una poesia nobile,generosa, maschia, feconda, che mette delle lacrimenegli occhi e delle fiamme nel cuore. Migliaia di poesiedi suoi concittadini, magistralmente ricamate, e piene diperle e di gingilli d'oro, passeranno; i suoi canti semplicie schietti, concepiti in faccia alla morte e scritti collapunta della spada, resteranno; e mentre la critica baderàa notarne i versi scadenti e le frasi neglette, essicontinueranno a ritemprare dei caratteri, a formar deicittadini, a preparare dei valorosi; e la gloria del poetacrescerà con la forza della patria.

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Ora il Déroulède si è dato al teatro e ha rivelato unasingolare potenza drammatica nell'ultimo atto dellaMoabite. Ma per me il suo teatro è ancora tanto al disotto della sua poesia lirica, che mi par che si debbanoaspettare da lui altri lavori per giudicarlo. Forse egli nonci ha ancor dato la misura intera delle sue forzenemmeno nella lirica, e perchè il poeta possa sollevarsiancora, può darsi che l'uomo abbia bisogno di ripassareper la prova dell'azione. O fors'anche, come molti altri,egli è nato per dare una sola manifestazione originale epotente del suo ingegno, e l'ha già data. Auguriamogliche questo non sia, e teniamo il giudizio sospeso.

[314]

***

V'è però un giudizio che non occorre di sospendere,ed è quello che si riferisce a lui, non poeta, ma uomo.M'immagino che chi ha letto i suoi versi desideri diconoscerlo da vicino. Ma qui comincia l'imbarazzo delritrattista. A ciascuno di noi è seguito, almeno una voltanella vita, di trovare una persona, di cui le prime parolefurono come la rivelazione d'una amicizia d'infanzia od'una parentela sconosciuta; una persona, alla quale,dopo il primo scambio d'idee e di sentimenti, anche dalontano, ci siamo sentiti avviticchiati come da unasimpatia del sangue, tanto che vedendola per la primavolta c'è parso di rivederla e ci siamo meravigliati, nelriandare il nostro passato, di non trovare la immagine

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Ora il Déroulède si è dato al teatro e ha rivelato unasingolare potenza drammatica nell'ultimo atto dellaMoabite. Ma per me il suo teatro è ancora tanto al disotto della sua poesia lirica, che mi par che si debbanoaspettare da lui altri lavori per giudicarlo. Forse egli nonci ha ancor dato la misura intera delle sue forzenemmeno nella lirica, e perchè il poeta possa sollevarsiancora, può darsi che l'uomo abbia bisogno di ripassareper la prova dell'azione. O fors'anche, come molti altri,egli è nato per dare una sola manifestazione originale epotente del suo ingegno, e l'ha già data. Auguriamogliche questo non sia, e teniamo il giudizio sospeso.

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V'è però un giudizio che non occorre di sospendere,ed è quello che si riferisce a lui, non poeta, ma uomo.M'immagino che chi ha letto i suoi versi desideri diconoscerlo da vicino. Ma qui comincia l'imbarazzo delritrattista. A ciascuno di noi è seguito, almeno una voltanella vita, di trovare una persona, di cui le prime parolefurono come la rivelazione d'una amicizia d'infanzia od'una parentela sconosciuta; una persona, alla quale,dopo il primo scambio d'idee e di sentimenti, anche dalontano, ci siamo sentiti avviticchiati come da unasimpatia del sangue, tanto che vedendola per la primavolta c'è parso di rivederla e ci siamo meravigliati, nelriandare il nostro passato, di non trovare la immagine

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sua tra i nostri ricordi più intimi e più lontani. Ebbene,[315] se c'è stato chiesto una volta un giudizio su questapersona, abbiamo titubato a darlo, per timore che lanostra amicizia facesse nascere un sentimento didiffidenza. Ma abbiamo avuto torto. Sfoghiamo tutticontinuamente tanti rancori e tanta malevolenza, cheuna sola cosa ci può far perdonare: l'abbandonarsiqualche volta, senza meschini ritegni, all'espansione deisentimenti benevoli. E chi potrebbe non abbandonarvisi,parlando del Déroulède, dopo averlo conosciuto? Io lovedo ancora il bravo e simpatico poeta scendere dicarrozza, in una via solitaria di Parigi, e guardatal'insegna d'un albergo, cercare intorno l'amicosconosciuto, il quale lo stava spiando un po' di lontano,per vederlo bene prima d'andargli incontro. Dall'atto concui chiuse lo sportello della carrozza, riconobbi ilbraccio che gli era stato spezzato sulla barricata diBelleville, e subito dopo riconobbi il cuore dell'autoredel Bon gîte e del Petit turco nel suo abbraccioespansivo ed allegro di soldato e nella sua calda parola[316] d'artista. Era bene quella figura che m'eroimmaginata molte volte, socchiudendo i Chants dusoldat, e dicendo tra me: - Eppure un giorno t'andrò ascovare, dovunque tu sia, mio caro tenente deicacciatori, quand'anche l'aggio dell'oro salisse al ventiper cento. - Alto come un granatiere della vecchiaguardia, asciutto e flessibile come una verga d'acciaio,biondo come un inglese, - il profilo ardito, gli occhiazzurri e pieni di dolcezza, e la bocca risoluta, - vestito

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sua tra i nostri ricordi più intimi e più lontani. Ebbene,[315] se c'è stato chiesto una volta un giudizio su questapersona, abbiamo titubato a darlo, per timore che lanostra amicizia facesse nascere un sentimento didiffidenza. Ma abbiamo avuto torto. Sfoghiamo tutticontinuamente tanti rancori e tanta malevolenza, cheuna sola cosa ci può far perdonare: l'abbandonarsiqualche volta, senza meschini ritegni, all'espansione deisentimenti benevoli. E chi potrebbe non abbandonarvisi,parlando del Déroulède, dopo averlo conosciuto? Io lovedo ancora il bravo e simpatico poeta scendere dicarrozza, in una via solitaria di Parigi, e guardatal'insegna d'un albergo, cercare intorno l'amicosconosciuto, il quale lo stava spiando un po' di lontano,per vederlo bene prima d'andargli incontro. Dall'atto concui chiuse lo sportello della carrozza, riconobbi ilbraccio che gli era stato spezzato sulla barricata diBelleville, e subito dopo riconobbi il cuore dell'autoredel Bon gîte e del Petit turco nel suo abbraccioespansivo ed allegro di soldato e nella sua calda parola[316] d'artista. Era bene quella figura che m'eroimmaginata molte volte, socchiudendo i Chants dusoldat, e dicendo tra me: - Eppure un giorno t'andrò ascovare, dovunque tu sia, mio caro tenente deicacciatori, quand'anche l'aggio dell'oro salisse al ventiper cento. - Alto come un granatiere della vecchiaguardia, asciutto e flessibile come una verga d'acciaio,biondo come un inglese, - il profilo ardito, gli occhiazzurri e pieni di dolcezza, e la bocca risoluta, - vestito

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con una certa eleganza severa, così, tra soldatesca edartistica, era proprio lui, il grand avocat et rude soldat,che disegnano sui muri delle caserme i tiragliatorialgerini; - signorile d'aspetto, ma con le carni un po'arrozzite dai venti delle aperte campagne, e con la fronteattraversata da una ruga diritta, che è come l'improntanera delle sventure della patria. Aggiungete, percompiere il ritratto, una voce vibrata e metallica disoldato esercitato al comando, e la più stretta, la piùarrabbiata pronuncia parigina che si sia mai sentitasonare dalla [317] chiesa della Maddalena alla piazza dellaBastiglia. E che bon enfant, che ammirabile originalenel significato nobile della parola! Parla, con unarapidità che si stenta a capirlo, tre ore di fila, senza chemai il suo discorso si stemperi in chiacchiera; gaio,vivo, fresco, al levarsi da letto come al levarsi da tavola,sempre ad un modo. Racconta le sue avventure piùterribili di soldato come racconterebbe delle scappatelledi collegio, con una semplicità amabilissima, colorendole scene più orrende della guerra d'una certa pietàaffettuosa e virile che non si trova se non nelle animeche uniscono all'intrepidità la dolcezza, e in cui ilcoraggio non nasce da un disprezzo scettico della vita,ma da un sentimento profondo del dovere e da unapassione ardente per una grande idea. Da ogni suaparola traspira la bontà e la gentilezza dell'animo. Nongli passa un'ombra sul viso che tradisca un pensieroch'egli non voglia esprimere, o uno di quei leggerissimiturbamenti dell'animo di cui non si osa dire la cagione.

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con una certa eleganza severa, così, tra soldatesca edartistica, era proprio lui, il grand avocat et rude soldat,che disegnano sui muri delle caserme i tiragliatorialgerini; - signorile d'aspetto, ma con le carni un po'arrozzite dai venti delle aperte campagne, e con la fronteattraversata da una ruga diritta, che è come l'improntanera delle sventure della patria. Aggiungete, percompiere il ritratto, una voce vibrata e metallica disoldato esercitato al comando, e la più stretta, la piùarrabbiata pronuncia parigina che si sia mai sentitasonare dalla [317] chiesa della Maddalena alla piazza dellaBastiglia. E che bon enfant, che ammirabile originalenel significato nobile della parola! Parla, con unarapidità che si stenta a capirlo, tre ore di fila, senza chemai il suo discorso si stemperi in chiacchiera; gaio,vivo, fresco, al levarsi da letto come al levarsi da tavola,sempre ad un modo. Racconta le sue avventure piùterribili di soldato come racconterebbe delle scappatelledi collegio, con una semplicità amabilissima, colorendole scene più orrende della guerra d'una certa pietàaffettuosa e virile che non si trova se non nelle animeche uniscono all'intrepidità la dolcezza, e in cui ilcoraggio non nasce da un disprezzo scettico della vita,ma da un sentimento profondo del dovere e da unapassione ardente per una grande idea. Da ogni suaparola traspira la bontà e la gentilezza dell'animo. Nongli passa un'ombra sul viso che tradisca un pensieroch'egli non voglia esprimere, o uno di quei leggerissimiturbamenti dell'animo di cui non si osa dire la cagione.

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Il suo [318] viso è sempre aperto e trasparente, in modoche gli si legge fin nel più profondo dell'anima. Mai chegli sfugga dalla bocca una parola amara contro a chi chesia o a qualsiasi proposito. Parlando, ha tutti quei gestisimpatici delle persone affettuose ed espansive, ecercano la spalla e il braccio di coloro a cui parlano, edè carezzevole e festoso come un ragazzo. Gli si puòripetere qualunque più acerba critica dei suoi lavoriletterarii, letta od intesa, che il suo viso rimane sereno eridente come all'udire una lode, tanto è poca cosa in luil'orgoglio artistico in confronto al sentimento delpatriotta. E a sentirlo parlare così precipitosamente,mutando discorso a ogni tratto, si sospetta sulle primeun po' di leggerezza. Ma non si tarda a scoprireun'armonia inalterabile fra tutti i suoi sentimenti e tuttele sue idee, e un fondamento morale solidissimo sottogli uni e le altre. Per quanto cangi discorso, tutti i suoidiscorsi finiscono col ricadere sopra un argomentounico: la sua patria. Egli s'è risolutamente [319] tracciatala via. S'è proposto di consacrare tutte le sue forze alrisorgimento del suo paese; non scriverà mai una parolache non sia diretta a quello scopo; drammi, lirica,novelle, polemica, ogni cosa sarà ispirata a quell'idea.Concetti di commedie satiriche gli passano per la mente,e strofe di poesie amorose, e capricci poetici d'ogninatura; egli mette tutto da un lato. Vuole che la sua arte,il suo nome, per quello che valgono, significhino unacosa sola: non facciano che l'ufficio d'una spada e d'unatromba di guerra. Capisce che dovrà sacrificare a questo

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Il suo [318] viso è sempre aperto e trasparente, in modoche gli si legge fin nel più profondo dell'anima. Mai chegli sfugga dalla bocca una parola amara contro a chi chesia o a qualsiasi proposito. Parlando, ha tutti quei gestisimpatici delle persone affettuose ed espansive, ecercano la spalla e il braccio di coloro a cui parlano, edè carezzevole e festoso come un ragazzo. Gli si puòripetere qualunque più acerba critica dei suoi lavoriletterarii, letta od intesa, che il suo viso rimane sereno eridente come all'udire una lode, tanto è poca cosa in luil'orgoglio artistico in confronto al sentimento delpatriotta. E a sentirlo parlare così precipitosamente,mutando discorso a ogni tratto, si sospetta sulle primeun po' di leggerezza. Ma non si tarda a scoprireun'armonia inalterabile fra tutti i suoi sentimenti e tuttele sue idee, e un fondamento morale solidissimo sottogli uni e le altre. Per quanto cangi discorso, tutti i suoidiscorsi finiscono col ricadere sopra un argomentounico: la sua patria. Egli s'è risolutamente [319] tracciatala via. S'è proposto di consacrare tutte le sue forze alrisorgimento del suo paese; non scriverà mai una parolache non sia diretta a quello scopo; drammi, lirica,novelle, polemica, ogni cosa sarà ispirata a quell'idea.Concetti di commedie satiriche gli passano per la mente,e strofe di poesie amorose, e capricci poetici d'ogninatura; egli mette tutto da un lato. Vuole che la sua arte,il suo nome, per quello che valgono, significhino unacosa sola: non facciano che l'ufficio d'una spada e d'unatromba di guerra. Capisce che dovrà sacrificare a questo

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proponimento molte soddisfazioni d'artista; ma nongliene importa. Per la stessa ragione tiene il suo cuorelibero da ogni affetto, fuorchè da quello della suafamiglia, e sottopone tutti i suoi disegni per l'avvenire auna condizione che gli è sempre presente allo spirito: -Se non sarò ucciso. - E ha inflitti nell'aspetto e nei modiqualcosa di singolare, come l'espressione di unaleggerezza fisica e morale, simile a quella del [320]

viaggiatore che passeggia nelle sale della stazione, dopoaver preso il suo biglietto e spedito i suoi bagagli,sciolto da ogni impiccio, libero da ogni pensiero,preparato a partire al primo momento. Anche quandoparla più caldamente dell'arte, della gloria, dellafamiglia, si capisce che in nessuna di quelle cose hafondato la sua esistenza, che a nessuna soddisfazione, osperanza di soddisfazione, si lascia andar tutto interocon quell'abbandono cieco delle nature artistiche, nate agodere, che adorano la vita. Eppure in fondo a questoappassionato amor di patria, non ha ombra dichauvinisme. L'odio di cui parla nei suoi canti è un odiodi soldato, non d'uomo; la sua avversione per la Prussianon è che un amore rovesciato; le nature come la suanon possono odiare. - Io non odio la Prussia - dice; -amo la Francia. Venero un sincero e ardito patriottaprussiano. Ciascuno deve amare la sua patria. - E cosìriguardo alle recriminazioni di certi francesi control'Italia, ha una sola cosa a [321] dire: - Voi italianidovevate essere prima di tutto italiani. - Non c'è caso dicoglierlo in contraddizione sopra nessun argomento. In

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proponimento molte soddisfazioni d'artista; ma nongliene importa. Per la stessa ragione tiene il suo cuorelibero da ogni affetto, fuorchè da quello della suafamiglia, e sottopone tutti i suoi disegni per l'avvenire auna condizione che gli è sempre presente allo spirito: -Se non sarò ucciso. - E ha inflitti nell'aspetto e nei modiqualcosa di singolare, come l'espressione di unaleggerezza fisica e morale, simile a quella del [320]

viaggiatore che passeggia nelle sale della stazione, dopoaver preso il suo biglietto e spedito i suoi bagagli,sciolto da ogni impiccio, libero da ogni pensiero,preparato a partire al primo momento. Anche quandoparla più caldamente dell'arte, della gloria, dellafamiglia, si capisce che in nessuna di quelle cose hafondato la sua esistenza, che a nessuna soddisfazione, osperanza di soddisfazione, si lascia andar tutto interocon quell'abbandono cieco delle nature artistiche, nate agodere, che adorano la vita. Eppure in fondo a questoappassionato amor di patria, non ha ombra dichauvinisme. L'odio di cui parla nei suoi canti è un odiodi soldato, non d'uomo; la sua avversione per la Prussianon è che un amore rovesciato; le nature come la suanon possono odiare. - Io non odio la Prussia - dice; -amo la Francia. Venero un sincero e ardito patriottaprussiano. Ciascuno deve amare la sua patria. - E cosìriguardo alle recriminazioni di certi francesi control'Italia, ha una sola cosa a [321] dire: - Voi italianidovevate essere prima di tutto italiani. - Non c'è caso dicoglierlo in contraddizione sopra nessun argomento. In

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arte, in politica, in morale, tutte le sue idee sonoconcatenate, e tutte ugualmente nette nella sua mente eradicate nella sua coscienza. E di tutto s'è occupato conamore. Bisogna sentire gli studi psicologici che ha fattosui soldati, i mille ragionamenti che ha messo insieme,le mille industrie ingegnose che ha trovate per mettercoraggio ai pusillanimi, per ridurre i ribelli, per farentrare l'idea della patria e del dovere nella testaagl'ignoranti; i piccoli stratagemmi di guerra, dacomandante di plotone, che ha escogitati; il lavorìo dicervello che ha fatto per inventare dei piccoli rimedi edei piccoli comodi per i malati e per i feriti; le storiemeravigliose che ha immaginate per rallegrare lafantasia e sostener l'animo dei suoi soldati africani inmezzo alla tristezza dei bivacchi invernali: tanta roba dafarne una piccola biblioteca istruttiva ed educativa perun esercito. [322] Così nelle discussioni letterarie, aiutatoda una memoria felicissima, ammonta citazioni,osservazioni e confronti con una abbondanza e una furiada sbalordire, esponendo opinioni discutibili, senzadubbio, ma tutte sue, e coscienziosamente meditate,benchè paia che gli sboccino sul momento; e sostenute,se occorre, con una così impetuosa facondia che sirimane prima sopraffatti che persuasi, e ammirandoquella sua bella vivacità giovanile, si dimentica che s'haun'idea contraria da difendere. Ma non è mai tuttoletterato, come non è mai tutto soldato: lo spirito lo tienlontano dalla pedanteria, come la gentilezza del cuore el'educazione squisita dalla petulanza soldatesca.

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arte, in politica, in morale, tutte le sue idee sonoconcatenate, e tutte ugualmente nette nella sua mente eradicate nella sua coscienza. E di tutto s'è occupato conamore. Bisogna sentire gli studi psicologici che ha fattosui soldati, i mille ragionamenti che ha messo insieme,le mille industrie ingegnose che ha trovate per mettercoraggio ai pusillanimi, per ridurre i ribelli, per farentrare l'idea della patria e del dovere nella testaagl'ignoranti; i piccoli stratagemmi di guerra, dacomandante di plotone, che ha escogitati; il lavorìo dicervello che ha fatto per inventare dei piccoli rimedi edei piccoli comodi per i malati e per i feriti; le storiemeravigliose che ha immaginate per rallegrare lafantasia e sostener l'animo dei suoi soldati africani inmezzo alla tristezza dei bivacchi invernali: tanta roba dafarne una piccola biblioteca istruttiva ed educativa perun esercito. [322] Così nelle discussioni letterarie, aiutatoda una memoria felicissima, ammonta citazioni,osservazioni e confronti con una abbondanza e una furiada sbalordire, esponendo opinioni discutibili, senzadubbio, ma tutte sue, e coscienziosamente meditate,benchè paia che gli sboccino sul momento; e sostenute,se occorre, con una così impetuosa facondia che sirimane prima sopraffatti che persuasi, e ammirandoquella sua bella vivacità giovanile, si dimentica che s'haun'idea contraria da difendere. Ma non è mai tuttoletterato, come non è mai tutto soldato: lo spirito lo tienlontano dalla pedanteria, come la gentilezza del cuore el'educazione squisita dalla petulanza soldatesca.

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Gentiluomo e buon ragazzo, franchissimo nel dir quelche pensa senza ferir l'amor proprio di nessuno,arrendevole senza affettazione di cortesia, confidente edaffabile con tutti, quando entra lui in un salotto o in uncrocchio, par che ci entri una fiatata d'aria viva, cheporti il mormorio allegro d'un reggimento accampato.Quella sua [323] parola ardente e colta, quell'entusiasmodi poeta e di zuavo, quell'allegrezza giovanile,quell'aspetto di bontà e di forza, attirano le simpatie ditutti, e disarmano le più accanite gelosie letterarie. Astargli insieme, a sentirlo parlare, ci si sente presi da ungrande ardore di lavorare, di muoversi, di fare, andandodiritto dinanzi a sè nella vita, come lui, cogli occhi fissia una meta, senza soffermarsi, senza voltarsi mai nè asinistra nè a destra, non lasciando un'ora di riposo nèallo spirito nè al corpo, non abbandonando mai l'animanè a uno scoraggiamento nè a un dubbio. Così egli vive,parte nello studio, parte nella società, passando dalla suavilla solitaria nel salotto affollato della signora Adam,dalla Comédie Française alla caserma de' suoi antichicompagni d'armi, dalla biblioteca al banchetto d'artisti,recitando versi per tutto, provocando e accettandodiscussioni a qualunque proposito, abbozzando poesie atavola, fantasticando scene di commedie sulla stradaferrata, studiando l'italiano in carrozza nei giornalicomprati sui boulevards, [324] mandando innanzi insiemetre grandi lavori drammatici, leggendo tutto il leggibile,andando da per tutto dove c'è una idea da attingere ouna bella emozione da provare. E quando lo si è

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Gentiluomo e buon ragazzo, franchissimo nel dir quelche pensa senza ferir l'amor proprio di nessuno,arrendevole senza affettazione di cortesia, confidente edaffabile con tutti, quando entra lui in un salotto o in uncrocchio, par che ci entri una fiatata d'aria viva, cheporti il mormorio allegro d'un reggimento accampato.Quella sua [323] parola ardente e colta, quell'entusiasmodi poeta e di zuavo, quell'allegrezza giovanile,quell'aspetto di bontà e di forza, attirano le simpatie ditutti, e disarmano le più accanite gelosie letterarie. Astargli insieme, a sentirlo parlare, ci si sente presi da ungrande ardore di lavorare, di muoversi, di fare, andandodiritto dinanzi a sè nella vita, come lui, cogli occhi fissia una meta, senza soffermarsi, senza voltarsi mai nè asinistra nè a destra, non lasciando un'ora di riposo nèallo spirito nè al corpo, non abbandonando mai l'animanè a uno scoraggiamento nè a un dubbio. Così egli vive,parte nello studio, parte nella società, passando dalla suavilla solitaria nel salotto affollato della signora Adam,dalla Comédie Française alla caserma de' suoi antichicompagni d'armi, dalla biblioteca al banchetto d'artisti,recitando versi per tutto, provocando e accettandodiscussioni a qualunque proposito, abbozzando poesie atavola, fantasticando scene di commedie sulla stradaferrata, studiando l'italiano in carrozza nei giornalicomprati sui boulevards, [324] mandando innanzi insiemetre grandi lavori drammatici, leggendo tutto il leggibile,andando da per tutto dove c'è una idea da attingere ouna bella emozione da provare. E quando lo si è

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accompagnato per tutta intera una di queste giornate, eavendolo udito parlare per dieci ore, non gli si è maisentito dire una parola malevola, nè profferire ungiudizio avventato; ma lo si è trovato sempre logico eamorevole, - pronto a sentire le tristezze e le allegrezzedi tutti - fermo nei suoi principii come una colonna sulsuo piedestallo, vivo che par che abbia un diavolo percapello, e buono fin nel midollo delle ossa, - non si puòa meno di ammirarlo e d'amarlo. Egli dà l'idea d'unfrancese d'un tempo avvenire, - che abbia serbato tuttele buone qualità e perduto tutti i difetti del suo popolo. Èimpossibile ad un italiano trovare un altro figliuolo dellaFrancia che gli faccia sentire più fortemente di lui lafraternità di sangue che lega le due nazioni «così benfatte per intendersi» come [325] disse Garibaldi, e «peramarsi» come disse il Manzoni.

Notevoli in special modo sono le sue idee in fatto dipoesia. I suoi due poeti preferiti sono il Corneille e ilMusset: chi ha letto le sue poesie se ne rende ragionealla prima: il Corneille, perchè è il poeta dell'idea deldovere e dell'onore, dell'eroismo e della gloria, uneducatore di caratteri - «il padre del grande coraggio», -il gran soldato dell'arte, nella cui voce si sente lostrepito d'armi d'un esercito e come il soffio stessodell'immenso petto della patria; il Musset per la venaricca e fluida dell'ispirazione, per la negligenza piena digrazia, per la poesia facile e chiara che gli zampilladall'anima come un'acqua argentina da una roccia. Nonsi può dire però ch'egli abbia imitato chi che sia.

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accompagnato per tutta intera una di queste giornate, eavendolo udito parlare per dieci ore, non gli si è maisentito dire una parola malevola, nè profferire ungiudizio avventato; ma lo si è trovato sempre logico eamorevole, - pronto a sentire le tristezze e le allegrezzedi tutti - fermo nei suoi principii come una colonna sulsuo piedestallo, vivo che par che abbia un diavolo percapello, e buono fin nel midollo delle ossa, - non si puòa meno di ammirarlo e d'amarlo. Egli dà l'idea d'unfrancese d'un tempo avvenire, - che abbia serbato tuttele buone qualità e perduto tutti i difetti del suo popolo. Èimpossibile ad un italiano trovare un altro figliuolo dellaFrancia che gli faccia sentire più fortemente di lui lafraternità di sangue che lega le due nazioni «così benfatte per intendersi» come [325] disse Garibaldi, e «peramarsi» come disse il Manzoni.

Notevoli in special modo sono le sue idee in fatto dipoesia. I suoi due poeti preferiti sono il Corneille e ilMusset: chi ha letto le sue poesie se ne rende ragionealla prima: il Corneille, perchè è il poeta dell'idea deldovere e dell'onore, dell'eroismo e della gloria, uneducatore di caratteri - «il padre del grande coraggio», -il gran soldato dell'arte, nella cui voce si sente lostrepito d'armi d'un esercito e come il soffio stessodell'immenso petto della patria; il Musset per la venaricca e fluida dell'ispirazione, per la negligenza piena digrazia, per la poesia facile e chiara che gli zampilladall'anima come un'acqua argentina da una roccia. Nonsi può dire però ch'egli abbia imitato chi che sia.

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Nell'arte, come dice egli medesimo in uno dei suoidrammi, on n'y devient quelqu'un qu'en imitantpersonne. Il suo studio primo e costante è stato d'essersemplice e chiaro. Perciò s'è proposto di bandire dalla[326] poesia, quanto gli fu possibile, il linguaggio poeticoconvenzionale. Per me, egli dice, la poesiadovrebb'essere eletta prosa misurata e rimata. Bisognaintendersi, certamente. Tutto si può dire poeticamentesenza adoperare una frase che non sia propria deldignitoso e corretto linguaggio parlato. Tutto ciò che siscosta da questo linguaggio, in poesia, può esserebellezza, ricchezza, eleganza, splendore; ma nuoceall'efficacia immediata del sentimento o del pensiero cheesprime. Si cerchino pure nei più grandi poeti le strofepiù splendide e i versi più potenti: si troverà sempre chesono i più semplici; non solo, ma quelli in cui una idealuminosa o un sentimento sublime sono espressi con leparole più usuali, con la frase che tutti avrebberoadoperato spontaneamente per esprimere quelsentimento o quel pensiero, se l'avessero avuto. La cosìdetta frase poetica non ha che un valore di convenzione,un valore puramente letterario; quindi non il massimodei valori: la sua potenza non è intima e assoluta, [327]

quindi non va dritta all'anima umana; non ci vanno chele espressioni che ne conoscon la via, che son la vestespontanea e necessaria del pensiero nella vita reale, eche - lo vediamo bene - bastano a tutti ed a tutto, eagiscono egualmente su tutti. La poesia - che è unalingua che il mondo intende e che nessuno parla -

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Nell'arte, come dice egli medesimo in uno dei suoidrammi, on n'y devient quelqu'un qu'en imitantpersonne. Il suo studio primo e costante è stato d'essersemplice e chiaro. Perciò s'è proposto di bandire dalla[326] poesia, quanto gli fu possibile, il linguaggio poeticoconvenzionale. Per me, egli dice, la poesiadovrebb'essere eletta prosa misurata e rimata. Bisognaintendersi, certamente. Tutto si può dire poeticamentesenza adoperare una frase che non sia propria deldignitoso e corretto linguaggio parlato. Tutto ciò che siscosta da questo linguaggio, in poesia, può esserebellezza, ricchezza, eleganza, splendore; ma nuoceall'efficacia immediata del sentimento o del pensiero cheesprime. Si cerchino pure nei più grandi poeti le strofepiù splendide e i versi più potenti: si troverà sempre chesono i più semplici; non solo, ma quelli in cui una idealuminosa o un sentimento sublime sono espressi con leparole più usuali, con la frase che tutti avrebberoadoperato spontaneamente per esprimere quelsentimento o quel pensiero, se l'avessero avuto. La cosìdetta frase poetica non ha che un valore di convenzione,un valore puramente letterario; quindi non il massimodei valori: la sua potenza non è intima e assoluta, [327]

quindi non va dritta all'anima umana; non ci vanno chele espressioni che ne conoscon la via, che son la vestespontanea e necessaria del pensiero nella vita reale, eche - lo vediamo bene - bastano a tutti ed a tutto, eagiscono egualmente su tutti. La poesia - che è unalingua che il mondo intende e che nessuno parla -

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dovrebbe essere sottoposta, dentro al ritmo, a tutte lecondizioni di spontaneità e di logica a cui va soggetto illinguaggio comune; essere tale da far parere, ascoltandoil poeta, che quello sia il suo modo naturale di parlare,irresistibile, senza bisogno di sforzo nè d'artifizio. El'unire così una semplicità nuda ad una spontaneitàmassima e a una eleganza che consista nel contorno enon nell'ornamento, è ben altrimenti difficile, richiedeuno studio assai più rigoroso e un gusto assai piùdelicato, di quello che occorra per servirsi accortamented'una immensa collezione di frasi e di modi coniati efaccettati espressamente per essere incastrati nei versi. -Tutto ciò è indiscutibilmente [328] vero riguardo allapoesia popolare, che è quella del Déroulède. Per questoegli dice che studia la lingua della poesia nei grandiprosatori francesi; e impara a far dei versi dal Pascal edal Bossuet. E cerca costantemente di dare alle suepoesie una forma che le renda facili ad esser ritenute:vuole che ogni pensiero e ogni sentimento sia chiuso inun verso o al più in un distico, in modo da stamparsinella mente alla prima lettura, e poter esser citato dipassata, e diventare, come diceva il Rossetti, ripetutasentenza; che ciascuna strofa formi un periodo ecorrisponda un verso ad ogni proposizione; che tutte lerime si sentano nettamente, e segnino quasi l'accento delpensiero; che tutta la poesia suoni e splenda e sialimpida da un capo all'altro, come una lastra di cristallo.Cerca quello che raccomandava il Voltaire: - Voyez avecquelle simplicité notre Racine s'exprime toujours.

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dovrebbe essere sottoposta, dentro al ritmo, a tutte lecondizioni di spontaneità e di logica a cui va soggetto illinguaggio comune; essere tale da far parere, ascoltandoil poeta, che quello sia il suo modo naturale di parlare,irresistibile, senza bisogno di sforzo nè d'artifizio. El'unire così una semplicità nuda ad una spontaneitàmassima e a una eleganza che consista nel contorno enon nell'ornamento, è ben altrimenti difficile, richiedeuno studio assai più rigoroso e un gusto assai piùdelicato, di quello che occorra per servirsi accortamented'una immensa collezione di frasi e di modi coniati efaccettati espressamente per essere incastrati nei versi. -Tutto ciò è indiscutibilmente [328] vero riguardo allapoesia popolare, che è quella del Déroulède. Per questoegli dice che studia la lingua della poesia nei grandiprosatori francesi; e impara a far dei versi dal Pascal edal Bossuet. E cerca costantemente di dare alle suepoesie una forma che le renda facili ad esser ritenute:vuole che ogni pensiero e ogni sentimento sia chiuso inun verso o al più in un distico, in modo da stamparsinella mente alla prima lettura, e poter esser citato dipassata, e diventare, come diceva il Rossetti, ripetutasentenza; che ciascuna strofa formi un periodo ecorrisponda un verso ad ogni proposizione; che tutte lerime si sentano nettamente, e segnino quasi l'accento delpensiero; che tutta la poesia suoni e splenda e sialimpida da un capo all'altro, come una lastra di cristallo.Cerca quello che raccomandava il Voltaire: - Voyez avecquelle simplicité notre Racine s'exprime toujours.

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Chacun croit, en le lisant, qu' il dirait en prose tout ceque Racine a dit en vers: croyez que tout ce qui ne [329]

sera pas aussi clair et aussi simple, ne vaudra rien dutout.

In politica le sue idee sono egualmente nette. Èrepubblicano, e non ha fede che nella repubblica; ed haper il popolo quella simpatia affettuosa che nutrono tuttele anime nobili per chi soffre e lavora. Ma non si lasciadominare dal sentimento poetico nei suoi giudizi intornoall'avvenire della società umana. In questo va d'accordocon lo Zola, che se la piglia coi poetidell'humanitairerie, i quali sognano un avvenireimpossibile di prosperità e di pace universale, ecredendo di far del bene col mostrare di crederci, nonfanno che sciupare le proprie forze per mantenereun'illusione funesta. Io capisco, dice, che predichinocontro la guerra coloro che non hanno terre conquistatenè concittadini rubati con la forza, da liberare e dariconquistare con quella medesima forza: le animegenerose e dolci hanno sempre sognato un avveniresenza eserciti e senza battaglie. Ma è anche tanto piùfacile [330] il ritrovare e il ravvivare nell'uomo ilsentimento dell'orrore del pericolo, che suscitare oconservare in lui il sentimento del coraggio! Un grandemerito della civiltà moderna è d'aver creato deglieserciti nazionali, in cui senza paga, senza bottino,senza speranze, senza interessi positivi di nessuna sorta,migliaia e migliaia di contadini vanno docilmente a farsiuccidere per il loro paese. Anche a me, alla vista di un

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Chacun croit, en le lisant, qu' il dirait en prose tout ceque Racine a dit en vers: croyez que tout ce qui ne [329]

sera pas aussi clair et aussi simple, ne vaudra rien dutout.

In politica le sue idee sono egualmente nette. Èrepubblicano, e non ha fede che nella repubblica; ed haper il popolo quella simpatia affettuosa che nutrono tuttele anime nobili per chi soffre e lavora. Ma non si lasciadominare dal sentimento poetico nei suoi giudizi intornoall'avvenire della società umana. In questo va d'accordocon lo Zola, che se la piglia coi poetidell'humanitairerie, i quali sognano un avvenireimpossibile di prosperità e di pace universale, ecredendo di far del bene col mostrare di crederci, nonfanno che sciupare le proprie forze per mantenereun'illusione funesta. Io capisco, dice, che predichinocontro la guerra coloro che non hanno terre conquistatenè concittadini rubati con la forza, da liberare e dariconquistare con quella medesima forza: le animegenerose e dolci hanno sempre sognato un avveniresenza eserciti e senza battaglie. Ma è anche tanto piùfacile [330] il ritrovare e il ravvivare nell'uomo ilsentimento dell'orrore del pericolo, che suscitare oconservare in lui il sentimento del coraggio! Un grandemerito della civiltà moderna è d'aver creato deglieserciti nazionali, in cui senza paga, senza bottino,senza speranze, senza interessi positivi di nessuna sorta,migliaia e migliaia di contadini vanno docilmente a farsiuccidere per il loro paese. Anche a me, alla vista di un

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campo di battaglia, si inumidiscono gli occhi di lacrime;ma son più lacrime di ammirazione che di pietà. Non c'ècosa più nobile del sacrificio, e il sacrificio della vitaessendo il più grave a compiersi, mi par che non ci sianulla al mondo di più ammirabile che questo grandeconsenso popolare che fa pagar senza rivolta l'impostadel sangue a tutta una nazione, della quale una metàappena sa che cosa sia la patria, e nove decimi nonsanno che cosa sia la gloria, e non l'avranno mai. Certogli umanitari non predicano nè la fiacchezza nè la viltà;quello che essi vogliono non è che si faccia male laguerra; ma che [331] non si faccia più; e a questo votodirei volontieri: così sia. Ma così non sarà maidisgraziatamente.... o fortunatamente forse. Perchè ilgiorno in cui l'Europa, incivilita come gli umanitari lasognano, avesse perduto quel resto di barbarie che sichiama il coraggio militare, dei veri barbari verrebberoda altri continenti a dimostrarle che è stata imprudente.Ciò che forma ancora la vitalità della nostra vecchiaEuropa, è che noi sappiamo ancora farci uccidere. Ilgiorno in cui non vorremmo più che vivere e viver bene:finis nostrum! - Son le opinioni del maresciallo Molke:le riferisco e non le discuto. Ma sono opinioni che nontolgono a chi le professa d'essere umanitario quanto gliumanitari più pacifici, poichè la differenza che passa tragli uni e gli altri non è, in fondo, differenza di affetti e didesiderii, ma differenza di speranze; e forse non c'èneppur questa: c'è forse in tutti una stessa dolorosacertezza, che gli uni, più forti confessano arditamente, e

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campo di battaglia, si inumidiscono gli occhi di lacrime;ma son più lacrime di ammirazione che di pietà. Non c'ècosa più nobile del sacrificio, e il sacrificio della vitaessendo il più grave a compiersi, mi par che non ci sianulla al mondo di più ammirabile che questo grandeconsenso popolare che fa pagar senza rivolta l'impostadel sangue a tutta una nazione, della quale una metàappena sa che cosa sia la patria, e nove decimi nonsanno che cosa sia la gloria, e non l'avranno mai. Certogli umanitari non predicano nè la fiacchezza nè la viltà;quello che essi vogliono non è che si faccia male laguerra; ma che [331] non si faccia più; e a questo votodirei volontieri: così sia. Ma così non sarà maidisgraziatamente.... o fortunatamente forse. Perchè ilgiorno in cui l'Europa, incivilita come gli umanitari lasognano, avesse perduto quel resto di barbarie che sichiama il coraggio militare, dei veri barbari verrebberoda altri continenti a dimostrarle che è stata imprudente.Ciò che forma ancora la vitalità della nostra vecchiaEuropa, è che noi sappiamo ancora farci uccidere. Ilgiorno in cui non vorremmo più che vivere e viver bene:finis nostrum! - Son le opinioni del maresciallo Molke:le riferisco e non le discuto. Ma sono opinioni che nontolgono a chi le professa d'essere umanitario quanto gliumanitari più pacifici, poichè la differenza che passa tragli uni e gli altri non è, in fondo, differenza di affetti e didesiderii, ma differenza di speranze; e forse non c'èneppur questa: c'è forse in tutti una stessa dolorosacertezza, che gli uni, più forti confessano arditamente, e

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di cui gli altri, più miti di natura, han bisogno diconsolarsi con la [332] fantasia: quistione di veristi ed'idealisti, come nell'arte.

Quanto alla religione, egli ha fatto una dichiarazioneesplicita nella prefazione della Moabite: - Sonorepubblicano e religioso. - Ma come religioso? E una diquelle domande, si capisce, che non son lecite se non adun'antica amicizia. Un altro critico del Déroulède cercòdi ricavare la definizione del suo sentimento religiosodai suoi versi. Ma il sentimento religioso del poeta nonè sempre quello dell'uomo. Nel poeta, eccitato dallapassione, una tendenza del cuore si cangia facilmente inun'affermazione del pensiero: la fede che è nei suoi versinon è sempre tutta nella sua coscienza. Io non so sequella del Déroulède sia fede vera, o quello stato dellacoscienza comune al maggior numero, nei quale tienluogo della fede una speranza grande e confusa, in cui ilpensiero si riposa vagamente; una speranza, intorno allaquale ci s'affollano continuamente mille argomentifavorevoli e contrarii, tra cui, dopo una discussionerapidissima, diamo quasi [333] sempre la preferenza aifavorevoli; speranza che i più piccoli avvenimenti dellavita ravvivano e illanguidiscono con una vicendaincessante, e ch'è tenuta viva in special modo dalbisogno che sentiamo tutti di aprire un avvenire infinito,nel nostro pensiero, agli affetti di cui viviamo. Il certo èche nella sua idea della morte c'è qualche cosa d'azzurroe di bianco che rischiara e conforta l'animo. I suoisoldati muoiono «con l'amore nell'anima e col cielo

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di cui gli altri, più miti di natura, han bisogno diconsolarsi con la [332] fantasia: quistione di veristi ed'idealisti, come nell'arte.

Quanto alla religione, egli ha fatto una dichiarazioneesplicita nella prefazione della Moabite: - Sonorepubblicano e religioso. - Ma come religioso? E una diquelle domande, si capisce, che non son lecite se non adun'antica amicizia. Un altro critico del Déroulède cercòdi ricavare la definizione del suo sentimento religiosodai suoi versi. Ma il sentimento religioso del poeta nonè sempre quello dell'uomo. Nel poeta, eccitato dallapassione, una tendenza del cuore si cangia facilmente inun'affermazione del pensiero: la fede che è nei suoi versinon è sempre tutta nella sua coscienza. Io non so sequella del Déroulède sia fede vera, o quello stato dellacoscienza comune al maggior numero, nei quale tienluogo della fede una speranza grande e confusa, in cui ilpensiero si riposa vagamente; una speranza, intorno allaquale ci s'affollano continuamente mille argomentifavorevoli e contrarii, tra cui, dopo una discussionerapidissima, diamo quasi [333] sempre la preferenza aifavorevoli; speranza che i più piccoli avvenimenti dellavita ravvivano e illanguidiscono con una vicendaincessante, e ch'è tenuta viva in special modo dalbisogno che sentiamo tutti di aprire un avvenire infinito,nel nostro pensiero, agli affetti di cui viviamo. Il certo èche nella sua idea della morte c'è qualche cosa d'azzurroe di bianco che rischiara e conforta l'animo. I suoisoldati muoiono «con l'amore nell'anima e col cielo

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negli occhi.» In tutti i suoi pensieri, in tutte le sueimmagini, così nella poesia che nel discorso, c'è comeuna tendenza ascensionale verso un più spirabil aere,che solleva il cuore e la mente. Si può dissentire da luisu tutto e per tutto, ma, lasciandolo, s'è contenti di averdiscusso con lui; ci si sente come una chiarezza intima,che dispone alla bontà e alla gentilezza; e ci pare che sisia allargata la strada per cui camminiamo, e allontanatol'orizzonte che ci si stende dintorno.

Caro e nobile giovane! Mi par sempre di vederlo [334]

venir su per la strada della sua villa di Croissy, lungo laSenna, stretto nel suo lungo soprabito soldatesco, epreceduto da due enormi cani levrieri; e di sentirgli farei suoi esercizi di lingua italiana pronunziandocostantemente santò invece di cento, senza il piùlontano sospetto di non pronunziar bene. Nel suopiccolo studio, in mezzo a un'elegante collezione dilibri, si ritrovano tutti i suoi ricordi più preziosi; i fiorimandati a sua madre dai campi di battaglia, la pallaestratta dal petto di suo fratello, i pezzi d'osso caduti dalsuo braccio, gli occhiali verdi d'ebreo polacco cheservirono a coprire lo scintillamento pericoloso dei suoiocchi di zuavo, nella fuga dalla Germania. Unparticolare curioso: il suo avo materno e il suo avopaterno, di cui conserva delle memorie in un quadretto,si trovarono insieme, volontari tutti e due, alla battagliadi Valmy. Il suo studio di poeta è tutto pieno dei suoiricordi militari; si mette la mano tra i volumi delCorneille, e si trova un trattato di tattica; [335] si sfogliano

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negli occhi.» In tutti i suoi pensieri, in tutte le sueimmagini, così nella poesia che nel discorso, c'è comeuna tendenza ascensionale verso un più spirabil aere,che solleva il cuore e la mente. Si può dissentire da luisu tutto e per tutto, ma, lasciandolo, s'è contenti di averdiscusso con lui; ci si sente come una chiarezza intima,che dispone alla bontà e alla gentilezza; e ci pare che sisia allargata la strada per cui camminiamo, e allontanatol'orizzonte che ci si stende dintorno.

Caro e nobile giovane! Mi par sempre di vederlo [334]

venir su per la strada della sua villa di Croissy, lungo laSenna, stretto nel suo lungo soprabito soldatesco, epreceduto da due enormi cani levrieri; e di sentirgli farei suoi esercizi di lingua italiana pronunziandocostantemente santò invece di cento, senza il piùlontano sospetto di non pronunziar bene. Nel suopiccolo studio, in mezzo a un'elegante collezione dilibri, si ritrovano tutti i suoi ricordi più preziosi; i fiorimandati a sua madre dai campi di battaglia, la pallaestratta dal petto di suo fratello, i pezzi d'osso caduti dalsuo braccio, gli occhiali verdi d'ebreo polacco cheservirono a coprire lo scintillamento pericoloso dei suoiocchi di zuavo, nella fuga dalla Germania. Unparticolare curioso: il suo avo materno e il suo avopaterno, di cui conserva delle memorie in un quadretto,si trovarono insieme, volontari tutti e due, alla battagliadi Valmy. Il suo studio di poeta è tutto pieno dei suoiricordi militari; si mette la mano tra i volumi delCorneille, e si trova un trattato di tattica; [335] si sfogliano

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i suoi scartafacci pieni d'appunti sulla Bibbia, e si scoprela fotografia d'un turcò; si scompongono le sue prove distampa, e salta fuori una pipetta da soldato. Il luogo èbello e raccolto: dalla finestra si scoprono i tetti diBougival, dove seguì un combattimento accanitodurante l'assedio, e si vedono scivolare i barconi e ivaporini sulla Senna, che in quel punto è silenziosa everde che par il lago d'un giardino. In quella piccolastanza egli passa la maggior parte del suo tempo, eaccanto a sua madre, che sta tutto il giorno in una sala aterreno, distesa sopra un letticciuolo, e rivolta verso laporta da cui si vede il fiume. Non si trovan paroleabbastanza pietose e riverenti per esprimere il senso chesi prova vedendo per la prima volta quella santa donna,immobile come una statua, e tormentata da continuidolori, ma ancor piena di coraggio, e sempre sorridentecoi suoi grandi occhi neri e dolci, in cui pare che si siarifugiata tutta la sua bell'anima di madre e di martire.[336] Vengono sulle labbra certi versi inediti del suofigliuolo:

Bonjour, maman! O nom sacré!Premier mot des premiers langagesQu'à travers le monde et les âgesLe genre humain ait proféré!Mère est un beau nom, un nom grave;Mais dans son élan sans entraveL'autre en dit tant, si simplement:

Bonjour, maman!

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i suoi scartafacci pieni d'appunti sulla Bibbia, e si scoprela fotografia d'un turcò; si scompongono le sue prove distampa, e salta fuori una pipetta da soldato. Il luogo èbello e raccolto: dalla finestra si scoprono i tetti diBougival, dove seguì un combattimento accanitodurante l'assedio, e si vedono scivolare i barconi e ivaporini sulla Senna, che in quel punto è silenziosa everde che par il lago d'un giardino. In quella piccolastanza egli passa la maggior parte del suo tempo, eaccanto a sua madre, che sta tutto il giorno in una sala aterreno, distesa sopra un letticciuolo, e rivolta verso laporta da cui si vede il fiume. Non si trovan paroleabbastanza pietose e riverenti per esprimere il senso chesi prova vedendo per la prima volta quella santa donna,immobile come una statua, e tormentata da continuidolori, ma ancor piena di coraggio, e sempre sorridentecoi suoi grandi occhi neri e dolci, in cui pare che si siarifugiata tutta la sua bell'anima di madre e di martire.[336] Vengono sulle labbra certi versi inediti del suofigliuolo:

Bonjour, maman! O nom sacré!Premier mot des premiers langagesQu'à travers le monde et les âgesLe genre humain ait proféré!Mère est un beau nom, un nom grave;Mais dans son élan sans entraveL'autre en dit tant, si simplement:

Bonjour, maman!

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Quel che la tiene in vita è il vedere i suoi figliuoligiovani, pieni di speranze, e amati da tutti, che le stannointorno e le parlano con una venerazione religiosa. Coisuoi grandi occhi amorosi e sorridenti essa segue ogniloro movimento, dice tutto quello che la sua bocca nonpuò dire, consiglia, incoraggia, rasserena: riempiel'anima loro col proprio sguardo. Quanti ricordi sivedono passare in quelle pupille! Tutta la storia dei suoifigli vi si manifesta a lacrime e a lampi [337] dallarappresentazione di Juan Strenner alla ferita di Sédan,da Breslau ad Algeri, da Algeri alla barricata diBelleville; e tra le varie espressioni di pietà e ditristezza, v'appare sempre un'alterezza serena, che leviene dalla coscienza d'aver dato alla patria tutto quelche poteva, d'aver adempiuto nobilmente tutti i suoidoveri di madre e di cittadina, e d'essere venerabile esacra. Nei giorni ch'ero là, arrivò da un lungo viaggio inOriente il suo figliuolo Andrea, capitano d'artiglieria. Liho veduti più volte tutti e due inginocchiati accanto alletto, con la bocca inchiodata sulle mani tremanti dellaloro madre; - lo zio Augier, appoggiato alla spalliera delletto, li guardava, muto e commosso; - e una sua sorellasuonava il pianoforte per distrarre l'inferma. C'eran tuttele più belle e le più grandi cose umane in quel quadro:l'amor di patria, l'amor materno, l'eroismo, la sventura,la poesia, la gloria; - e tutto pareva anche più bello e piùgrande, perchè era rischiarato da una speranza [338]

immortale. Amabile e gloriosa casa! Non vi si puòentrare senza inchinarsi, non si può lasciare senza

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Quel che la tiene in vita è il vedere i suoi figliuoligiovani, pieni di speranze, e amati da tutti, che le stannointorno e le parlano con una venerazione religiosa. Coisuoi grandi occhi amorosi e sorridenti essa segue ogniloro movimento, dice tutto quello che la sua bocca nonpuò dire, consiglia, incoraggia, rasserena: riempiel'anima loro col proprio sguardo. Quanti ricordi sivedono passare in quelle pupille! Tutta la storia dei suoifigli vi si manifesta a lacrime e a lampi [337] dallarappresentazione di Juan Strenner alla ferita di Sédan,da Breslau ad Algeri, da Algeri alla barricata diBelleville; e tra le varie espressioni di pietà e ditristezza, v'appare sempre un'alterezza serena, che leviene dalla coscienza d'aver dato alla patria tutto quelche poteva, d'aver adempiuto nobilmente tutti i suoidoveri di madre e di cittadina, e d'essere venerabile esacra. Nei giorni ch'ero là, arrivò da un lungo viaggio inOriente il suo figliuolo Andrea, capitano d'artiglieria. Liho veduti più volte tutti e due inginocchiati accanto alletto, con la bocca inchiodata sulle mani tremanti dellaloro madre; - lo zio Augier, appoggiato alla spalliera delletto, li guardava, muto e commosso; - e una sua sorellasuonava il pianoforte per distrarre l'inferma. C'eran tuttele più belle e le più grandi cose umane in quel quadro:l'amor di patria, l'amor materno, l'eroismo, la sventura,la poesia, la gloria; - e tutto pareva anche più bello e piùgrande, perchè era rischiarato da una speranza [338]

immortale. Amabile e gloriosa casa! Non vi si puòentrare senza inchinarsi, non si può lasciare senza

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piangere, non si può ricordare senza benedirla.

FINE.[339]

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piangere, non si può ricordare senza benedirla.

FINE.[339]

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INDICE

Alfonso Daudet Pag. 1Emilio Zola polemista » 51Emilio Augier e Alessandro Dumas » 107L'attore Coquelin » 173Paolo Déroulède » 227

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Alfonso Daudet Pag. 1Emilio Zola polemista » 51Emilio Augier e Alessandro Dumas » 107L'attore Coquelin » 173Paolo Déroulède » 227

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