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Edizioni Punto Rosso

Milano

febbraio 2019

ebook a cura di gyorgylukacs.wordpress.com

2020

In questo volume sono riunite dieci delle numerosissime interviste cheLukács concesse negli ultimi anni della sua vita. Si va dal dicembre1963 fino a poche settimane prima della sua morte, nel giugno 1971.Gli argomenti si ripetono, come è naturale che avvenga, in quanto leinterviste sono concesse sempre a interlocutori diversi, ma anchequando ci sono queste ripetizioni, il lettore si renderà conto che laseconda o terza volta che Lukács tratta di un argomento lo fa in unaforma nuova, più approfonditamente, più dettagliatamente, il chedenota il fatto che abbia riflettuto sul tema, lo abbia ridefinito, lo abbiaconsiderato da una prospettiva ogni volta diversa. Sono quasi tuttedella stessa dimensione, con un’unica eccezione, la lunga intervistaconcessa al suo allievo Ferenc Fehér e indirizzata ai soli membri delComitato Centrale del Partito Operaio Socialista Ungherese. Si tratta,quindi, di un’intervista molto particolare, innanzitutto perché latraduzione italiana è la prima traduzione di questa intervista, poiperché il tono di Lukács è molto polemico verso i suoi futuri lettori: èsicuro di non convincerli, ma vuole dirgli, con la sua consuetachiarezza, cosa pensa della situazione del partito, dell’Ungheria,dell’Urss, del mondo, senza aspettarsi consenso.

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Introduzionedi Antonino Infranca

In questo volume sono riunite dieci delle numerosissime interviste cheil vecchio Lukács concesse negli ultimi anni della sua vita. Si va daldicembre 1963 fino a poche settimane prima della sua morte, nelgiugno 1971.

Gli argomenti si ripetono, come è naturale che avvenga in quanto leinterviste sono concesse sempre a interlocutori diversi, ma anchequando avvengono queste ripetizioni, il lettore si renderà conto che laseconda o terza volta che Lukács tratta di un argomento lo fa in unaforma nuova, più approfonditamente, più dettagliatamente, il chedenota il fatto che abbia riflettuto sul tema, lo abbia ridefinito, lo abbiaconsiderato da una prospettiva ogni volta diversa.

Le lingue sono quattro e tutte parlate da Lukács, vanno dal franceseall’inglese, dall’ungherese al tedesco. Le traduzioni sono avvenutedall’inglese, dal tedesco e dall’ungherese, mentre le interviste concessein francese esistevano già in italiano e, qui, si è riproposta quellaversione originaria. Sono quasi tutte della stessa dimensione, conun’unica eccezione, la lunga intervista concessa al suo allievo FerencFehér e indirizzata ai soli membri del Comitato Centrale del PartitoOperaio Socialista Ungherese. Si tratta, quindi, di un’intervista moltoparticolare, innanzitutto perché la traduzione italiana è la primatraduzione di questa intervista, poi perché il tono di Lukács è moltopolemico verso i suoi futuri lettori: è sicuro di non convincerli, mavuole dirgli, con la sua consueta chiarezza, cosa pensa della situazionedel partito, dell’Ungheria, dell’Urss, del mondo, senza aspettarsiconsenso.

Il tono delle altre interviste è informativo, chiarificatore, più teorico;mentre nell’intervista per il partito emerge l’interesse a manifestare ilsuo dissenso, la sua concezione del socialismo, in netta antitesi con

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quella dominante nel partito. D’altronde chi parla è un vecchio che haattraversato i decenni, sapendo sempre mantenere la direzione che glidettava la sua coscienza. Questo Lukács è la dimostrazione che ilmotto della “Fedra” di Seneca è quanto mai valido: «Il coraggio deivecchi è libertà che si avvicina».

Nella prima intervista, già apparsa in italiano ne “Il contemporaneo”,il tema principale è la critica letteraria. L’intervista è del 1963 e Lukácsaveva appena pubblicato la sua gigantesca Estetica. In pratica Lukácsnon tratterà più di temi di estetica e critica letteraria, se non in casirarissimi e molto occasionali. È molto impegnato a impostare la suariflessione sui temi che confluiranno nella sua Ontologia dell’esseresociale. Un segnale lo dà quando si sofferma sull’alienazione e di comevenga trattata nella letteratura, sia l’alienazione nel mondocapitalistico, sia l’alienazione causata dallo stalinismo, che per altroimpediva l’analisi di questo fenomeno nella letteratura dei paesi delsocialismo realizzato.

Per affrontare il problema dell’alienazione, Lukács ritiene necessariotracciare una netta demarcazione tra la linea teorica di Marx, Engels eLenin, da un lato, e Stalin dall’altro. Stalin, secondo Lukács, deformòradicalmente il pensiero autentico dei tre fondatori del marxismo-leninismo, riducendolo in schemi dogmatici da usare meccanicamentee, quindi, impoverendo la produzione teorica marxista dei paesi delsocialismo realizzato.

Il marxismo autentico ha indicato le soluzioni adeguate all’alienazioneprodotta dal capitalismo. Lukács cita la riduzione del tempo di lavoro eil complementare aumento del tempo libero. Ritiene un fattoindubitabile che il tempo di lavoro si riduca nel mondo capitalisticopiù avanzato, mentre significativamente questa diminuzione nonavviene nel socialismo realizzato, perché Stalin non ha mai affrontatola questione della riduzione del tempo di lavoro. Il regno della libertà,come affermava Marx, nasce proprio nella riduzione del tempo dilavoro a vantaggio del tempo libero dal lavoro alienato.

Lukács rifiuta per l’ennesima volta l’accusa di essere interessatosoltanto alla letteratura dei secoli XVIII e XIX, – e qua si esprime

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favorevolmente su Kafka, Joyce e Proust; rifiuta anchel’impoverimento artistico di cui sono responsabili alcune tendenzemoderniste, che rispettano solo superficialmente alcune indicazioniteoriche dei grandi dell’arte moderna, e cita il caso di Cézanne. Alcunenuove tendenze gli appaiono essere impregnate da un eccesso disingolarità, di avere così smarrito il senso dell’universalità, che è lasostanza stessa dell’arte. Per singolarità si può intendere l’eccesso disoggettività da parte dell’artista e anche l’eccesso di specificitàdell’opera, fino al punto di una quasi totale incomunicabilità delcontenuto della stessa.

Lukács, però, sostiene che lo scrittore deve cercare sempre diesprimersi come fecero i grandi di quei due secoli, quindiconfermando che la letteratura realistica borghese era il suo modello,almeno stilistico. D’altronde sostiene che la grande letteratura èsempre una letteratura realistica, perché soltanto un’autenticarappresentazione della realtà fa emergere la pluridimensionalità dellarealtà stessa. Da questa prospettiva considera il realismo socialista unmero “naturalismo erariale”, cioè una sorta di pagamento di un tributoper essere pubblicati da parte degli scrittori dei paesi del socialismorealizzato. Lukács vede un’unica eccezione nel solo Solzenicyn.

Questo tributo si pagava sotto forma di scelte di temi e argomenti eimbottendo i testi di citazioni dei leader comunisti. Per Lukács questostile è il risultato della manipolazione staliniana, che all’inizio deglianni Sessanta, non era affatto scomparsa; quindi il problema era piùpolitico che letterario. Per Lukács il partito doveva mettere in attoun’opera di persuasione e non di prescrizione di linee dicomportamento artistico. Si tratta di una capacità di egemonia delpartito sugli artisti, egemonia teorica di cui si parlerà anchenell’intervista al partito. Dà, però, qualche segno di profonda sfiducia,quando riconosce che forse alcuni artisti vengono limitati proprioperché sostengono delle concezioni autenticamente marxiste.

Lukács, però, con queste sue affermazioni rifiuta l’idea che laletteratura sia libera nei paesi comunisti, come si sosteneva in quellaparte di mondo a quel tempo in contrapposizione alla letteratura

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manipolata dei paesi capitalistici. Lukács sostiene che la letteraturanei paesi capitalistici ha grandi esempi di libertà espressiva, anche sedeve sopravvivere, come qualsiasi letteratura, con i limiti che imponesia la società civile che la società politica. In fondo il problema èsempre la manipolazione a cui è sottoposta l’arte. Naturalmente lamanipolazione nei paesi capitalistici è soprattutto una manipolazioneeconomica, ma non è esclusa quella politica, mentre nei paesi delsocialismo realizzato era di natura essenzialmente politica. Il risultatoera comunque lo stesso: una lotta continua dell’artista perraggiungere, difendere e conservare una propria autonomia creativa.

Il processo di liberazione dell’arte deve essere continuato anche nellascienza. Proprio nella scienza il marxismo aveva mostrato la suaapertura teoretica, in quanto aveva fin dalla sua nascita integrato nellapropria teoria gli sviluppi più avanzati della ricerca delle scienzenaturali dell’epoca. Marx ed Engels lo avevano fatto con Darwin e conil positivismo, Lenin con le ricerche di fisica atomica. Questatradizione si era persa con lo stalinismo, anche se l’Urss aveva avutobisogno delle ricerche scientifiche più avanzate per far progredire lapropria industria o per motivi di egemonia politica dentro e fuori ilcampo del socialismo realizzato, come ad esempio per l’esplorazionedello spazio extra-atmosferico.

La seconda intervista è abbastanza famosa per l’autorevolezzadell’intervistatrice – autorevolezza che viene ricordata dalla stessaRossana Rossanda, nella sua breve presentazione. Sorprendono ipregiudizi della Rossanda, che sono una costante di altri intervistatori,presenti in questa raccolta. A differenza di quanto afferma la Rossandanon era difficile entrare in rapporto con Lukács, il quale rispondevadirettamente al telefono e apriva personalmente la porta d’ingresso delsuo bello e grande – e non piccolo come sostiene la Rossanda –appartamento; non era sottoposto ad alcun controllo poliziesco, comela Rossanda e altri intervistatori vogliono far capire. Poi lo definisce“moscovita”, mostrando di non sapere che era il termine che indicava imembri del partito comunista ungherese che si erano rifugiati a Moscadurante la dittatura fascista di Horthy, quindi non era un terminesenza alcuna connotazione ideologica. Addirittura afferma che Imre

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Nagy fu fucilato, mentre il regime di Kádár, a mostrare lo scarso valoredi Nagy, lo impiccò.

Al di là di queste imprecisioni, l’intervista ci presenta delle risposte diLukács significative per alcuni argomenti. A proposito del realismo,Lukács precisa che ciò che conta è lo sfondo sociale dell’opera d’arte, lacollocazione nel tempo e nello spazio. Ribadisce le sue riserve verso leinnovazioni tecniche, che spesso caratterizzano le opere moderniste od’avanguardia, e fa un’osservazione interessante: quanti autori che nelpassato erano considerati d’avanguardia e alla moda, adesso non sonopiù tenuti in conto, autori come Maeterlinck o D’Annunzio.

Giudicare un’opera d’arte per le sue innovazioni tecniche è una cadutanel formalismo, senza tenere in conto la sostanza dell’opera. Altropunto che Lukács tocca è la dialettica tra valore d’uso e valore discambio. Lukács raramente presentava riflessioni di carattereeconomico e questo è uno di quei rari casi. Seppure rari quei casierano, però, significativi, probabilmente frutto di una riflessioneapprofondita sui testi di Marx e di conversazioni con il figliastroFerenc Jánossy, che lo intervisterà sulla futurologia.

Altro punto interessante è la sua tesi che l’antropologia possaassumere il ruolo anche della psicologia. Non è un tema sviluppatoampiamente, ma significativo e di profondo interesse, a dimostrareche l’essere umano è una totalità, dalla quale non si possono astrarrescienze particolari, come la psicologia, senza tenere in conto tutto ilcomplesso dell’essere umano, appunto l’antropologia. Chiudel’intervista con la condanna del falso oggettivismo del neopositivismo,che si nasconde dietro la matematizzazione dell’analisi della realtà,mostrando così di essere un idealismo mascherato, e contro il falsosoggettivismo dell’esistenzialismo, anche sartreano, che èmonopolizzato dal pensiero di Heidegger.

Anche l’intervista alla “Quinzaine Littéraire” non manca di pregiudizi,addirittura inizia con un’osservazione dell’intervistatore che è oltre ilsenso del ridicolo, ben dentro il comico, allorché sostiene che Lukács,dopo la repressione della rivoluzione ungherese del ’56, visse in esiliovolontario in Romania. Non riesco a capire come si possa fare

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un’affermazione del genere, soprattutto se l’intervista era pubblicata inOccidente. La verità era che Lukács fu deportato con l’intero governoNagy, di cui era stato membro, in Romania, e quando tentarono diliberarlo si oppose, perché era consapevole che la sua presenzagarantiva un trattamento umano ai suoi compagni di prigionia. Isovietici furono costretti a rapirlo per liberarlo!

L’intervista esordisce con una battuta sul nazismo di Heidegger e sulloscarso valore che Lukács dava alla filosofia a lui contemporanea, a cuicontrapponeva la filosofia classica. Su Sartre il giudizio di Lukács èaltalenante, perché da un lato riconosce il suo grande valore discrittore e di intellettuale impegnato, ma non accetta la sartreanaintegrazione di Marx e Heidegger.

Sulla scia delle sue affermazioni su Sartre, Lukács torna sul tema dellalibertà di scelta, che aveva affrontato nell’intervista precedente.

Qui aggiunge che il tema della libertà è un tema centrale delmarxismo, che è ben consapevole che tra la realtà esterna e la libertàinteriore c’è un contrasto costante, ma ogni presa di posizione di unartista deve essere considerata un punto di vista concreto.Innanzitutto va sempre sostenuta la libertà di espressione dell’artista,libertà che Lukács tratta come un valore assoluto, un vero e proprioimperativo morale, ma va anche considerato che la libertà inOccidente è messa in discussione non meno che nei paesi delsocialismo realizzato. La lotta per la liberazione va, quindi, intrapresain entrambi i sistemi sociali, politici ed economici.

Ancora una volta ritorna sulle accuse che gli erano rivolte di noncomprendere la letteratura d’avanguardia. Lukács rifiuta losmarrimento dell’umano nella letteratura dell’assurdo. Ritiene chel’assurdo sia il grottesco, che avrebbe una funzione utile serappresentasse l’umano, ma quando, come lui ritiene, nell’artecontemporanea si smarrisce il senso dell’umano, allora la letteraturadell’assurdo diventa naturalismo. Ancora una volta esprime ungiudizio positivo sull’opera di Joyce e Proust, soprattutto nei confrontidi quest’ultimo. Rimane il rammarico che lo spazio esiguo diun’intervista non gli abbia permesso di esprimere un giudizio critico

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più articolato.

L’intervista più corposa di questa raccolta, per estensione econseguentemente per contenuti, è l’“Intervista sconosciuta” del 1968.Già il momento storico in cui fu raccolta è molto indicativo, seppure fuconcessa poco più di un mese prima dell’invasione sovietica dellaCecoslovacchia. Lukács era da un anno rientrato nel partito comunistaungherese e il segretario del Comitato Centrale del partito, GyörgyAczél, commissionò a Ferenc Fehér un’intervista a Lukács. L’intervistanon doveva essere pubblicata, ma usata come testo di discussione per imembri del Comitato Centrale.

Forse proprio per questo motivo le critiche di Lukács sono più radicali;il tono è disincantato, di chi non si aspetta granché dalle proprieparole, ma non intende nascondere la verità.

L’intervista prende le mosse da un articolo di Togliatti, “Capitalismo eriforme di strutture”, che fu uno degli scritti del leader italiano,pubblicato in quel periodo in ungherese per ricordare la scomparsa diTogliatti avvenuta quattro anni prima. Nell’intervista Lukács ribadisceil suo giudizio su Togliatti, cioè di essere un tattico. Lukács accusa ditatticismo anche Stalin, ma nel caso di Togliatti il giudizio ditatticismo non è un’accusa, ma il riconoscimento dell’abilità del leaderitaliano di barcamenarsi in un ambiente, quello del comunismointernazionale, particolarmente pericoloso, senza fare eccessiveconcessioni al dogmatismo stalinista. Questa abilità è anche laconseguenza della particolare storia del partito comunista italiano, deldiscepolato gramsciano di Togliatti, della lontananza dall’Urss. Lukácsindica con precisione un vantaggio che Gramsci ha dato al partitoitaliano: non entrare mai in contraddizione con la TerzaInternazionale. Questa abilità tattica ha dato al partito italianoun’enorme autonomia rispetto alle direttive rigide della TerzaInternazionale.

Togliatti si è potuto tenere lontano dalla brutale manipolazione messain atto da Stalin, soprattutto imposta con il suo metodo, cioè colmettere da parte l’oggettività della realtà sociale ed economica,sostituendola con decisioni soggettive di natura essenzialmente

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politica, quindi arrivando alla violenza sulla realtà sociale edeconomica. Le decisioni erano prese da Stalin senza una visionestrategica, ma secondo le circostanze tattiche del momento. Alcunescelte di Stalin sono giudicate positive da Lukács, come ad esempio lastipula del patto Molotov-Ribbentrop, che alienò a Hitler le simpatieanticomuniste delle potenze occidentali e costrinse queste alladichiarazione di guerra.

Ancora nel 1968 Lukács ritiene non superato il metodo stalinista e,come si nota anche nelle altre interviste, contrappone Stalin a Lenin,alla grande capacità strategica, e non solo tattica, di Lenin. L’esempioche Lukács porta è quello della Nep, quando stravolgendo i canoni delmarxismo della Seconda Internazionale, Lenin stimolò la formazionedi una piccola borghesia agraria al fine di aumentare la produzione dialimenti nella Russia stremata dalla guerra civile e di innescare unprocesso di accumulazione capitalistica che permettesse di finanziarel’industrializzazione del paese. Stalin interruppe brutalmente questoprocesso, deportò e massacrò sette milioni di kulaki, i piccoliproprietari terrieri che erano i più devoti sostenitori della Nep e delregime comunista, e passò ad un’industrializzazione forzata dellaRussia, che ebbe due risultati paradossalmente opposti: modernizzò ilpaese, con costi umani spaventosi, ma permise all’Urss di sconfiggereil nazismo.

Lukács tratta il tema delle esagerazioni dello stalinismo –dekulakizzazione o industrializzazione forzata – con la sua proverbialeironia. Si tenga presente che questa ironia è usata nei confronti deimembri del Comitato Centrale, dove ancora sono presenti elementineostalinisti, che vengono così messi abilmente alla berlina. La scienzasu cui questi membri del Comitato Centrale fondano le loro decisionipolitiche è una scienza falsa, ancora rovinata dall’approccio stalinista,quando la realtà concreta era messa da parte e sostituita da una realtàartificiosa, creata ad arte per manipolare la coscienza dei cittadini edei lavoratori.

Lukács affronta, ad esempio, il mito della depauperazione, secondo ilquale la miseria sta scomparendo sia nel mondo del socialismo

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realizzato, sia nel mondo capitalista. Lukács, già negli anni Sessanta,aveva colto la tendenza, che continua anche oggi nel mondo dellaglobalizzazione, che la depauperazione è realizzata in alcuni luoghi delpianeta e in alcuni strati sociali, mentre in realtà la ricchezza siconcentra sempre più in alto e in basso si realizza una forma nuova dimiseria. La questione della nuova miseria è che non importa quantibeni si possano consumare, ma quanto tempo libero dal lavoroalienante si ha a disposizione. Per tempo libero Lukács intende iltempo non manipolato dall’industria del consumo, perché se unlavoratore ha prodotto merci e poi nel tempo libero consuma quellestesse merci, finisce per mantenere due volte il capitalismo, prima daproduttore e poi da consumatore. Sono i temi che aveva affrontato inStoria e coscienza di classe e che stava affrontando nell’Ontologiadell’essere sociale, proprio nella stessa epoca dell’intervista.

Si ricordi che Lukács, negli anni Sessanta, aveva ricostruito ilmomento intellettuale degli anni Venti nella famosa introduzione aStoria e coscienza di classe. In questa intervista riprende alcuni diquei temi, ribadendo il suo giudizio, ossia che ritornare alle tematichedi quarant’anni prima non ha alcun senso. Tutti i pensatori diquell’epoca devono essere riconsiderati, lui compreso, solo dal puntodi vista metodologico, non certo per le soluzioni che proponevano.Semmai quelle soluzioni dovevano essere adottate negli anni Venti, nel1968 il mondo è cambiato e con esse le questioni fondamentali, quindidevono cambiare le soluzioni. È lo stesso invito a tornare a Lenin, chesviluppava nella sua vecchiaia: tenere conto della situazione concreta etrovare soluzioni pratiche concretamente realizzabili.

Lukács osserva che negli anni Venti il sindacato era su posizioni piùconservatrici rispetto ai partiti socialdemocratici, negli anni Sessantala situazione è rovesciata: i partiti socialdemocratici in Occidente, maanche quelli socialisti nei paesi del socialismo realizzato, difendonol’ordine esistente, mentre i sindacati portano avanti lotte operaie piùradicali. Se questo avveniva sotto gli occhi di Lukács in Occidente, siricordi che una decina di anni dopo la morte di Lukács, Solidarnośćportò nelle piazze la lotta operaia contro il regime comunista polacco.

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Lukács accusa i partiti comunisti occidentali che non sono stati capacidi andare al fondamento del malcontento operaio e si sono fattiscavalcare dal movimento studentesco. Si tenga conto che l’intervista èdel luglio 1968, l’anno successivo, almeno in Italia ma non in Francia,il movimento operaio trovò nel partito comunista italiano un sostengoprodigioso. La mancanza di analisi da parte dei comunisti fa il paiocon l’idiozia del sistema di insegnamento, di formazione dellagioventù. Lukács riconosce agli studenti la volontà di non essereistupiditi dal sistema scolastico, la volontà di essere i protagonisti dellapropria formazione intellettuale. Insomma Lukács è attirato dallavolontà degli studenti di formarsi una propria coscienza civile, oaddirittura una propria coscienza di classe, quindi la sua simpatiaverso il movimento studentesco è sincera e comprensibile alla lucedella sua riflessione contenuta in Storia e coscienza di classe.

Le questioni principali sono la gestione del lavoro in fabbrica e iltempo libero fuori della fabbrica. Sulla gestione del lavoro in fabbrica,qualche anno dopo, poco prima di morire nel giugno 1971, Lukácsaveva elaborato la teoria del “lavoro ben fatto” contenutanell’intervista “Testamento politico”, allora sostenne che l’operaio è ingrado di dirigere e giudicare il proprio lavoro sulla base della propriaesperienza lavorativa. Sarebbe stato opportuno dare più spazio allapartecipazione operaia nella direzione di una fabbrica, proprio sullabase di questa esperienza lavorativa pregressa. L’invito di Lukács aimembri del Comitato Centrale è di rivedere la pianificazioneeconomica in modo da allargare la programmazione allapartecipazione operaia. Lukács riporta un esempio da prendere amodello: gli ordini che venivano dati nell’esercito sovietico eranobasati sulla logica “compito e soluzione”, cioè gli ufficiali fissavano uncompito e lasciavano ai sottoufficiali la scelta del modo di comearrivare alla soluzione di tale compito. La stessa struttura si potrebbeusare con la direzione di una fabbrica che fissa l’obiettivo daraggiungere e lasciare alla partecipazione operaia, diretta dagliingegneri, la ricerca della modalità di realizzazione dell’obiettivo.

Lukács insiste a lungo, nel corso dell’intervista, sul tema dellademocratizzazione, cioè della partecipazione operaia o della

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discussione di temi che provengano dalla vita quotidiana dei cittadini.È convinto che gli operai realizzino meglio i compiti che gli sono statiassegnati, se hanno partecipato alla discussione di questi compiti, sehanno la convinzione di avere dato il loro contributo attivo allafissazione degli obiettivi da realizzare. Lukács definisce questo tipo didemocrazia “democrazia diretta”, che è l’antitesi della pianificazionestalinista, quando gli obiettivi calavano dall’alto senza alcuncoinvolgimento o partecipazione della classe operaia nella definizionedegli stessi.

L’aspetto della discussione dei temi della vita quotidiana, invece, èl’uscita della democrazia dalla fabbrica, dal luogo di lavoro, e il suopassaggio nella società civile, nella gestione del tempo libero. La suabattuta, quella di andare sul tram e ascoltare i temi discussi dallagente, è indicativa della distanza che il partito comunista ungherese, lasocietà politica, aveva posto tra sé e i cittadini, la società civile. Unpartito che non ascolta le esigenze più elementari e più fondamentalidei cittadini ha perso il controllo e il consenso della società civile.

Come dice Lukács, significativamente anche per noi oggi, lademocrazia diretta dei Soviet è diventata in Urss una democraziaparlamentare, una democrazia lontana dalle esigenze concrete deicittadini. I politici discutano le questioni della vita quotidiana anchesoltanto sulle scale, quando finita una riunione parlamentare stannotornando a casa, cioè stanno tornando nella loro vita quotidiana, invitaLukács. In pratica Lukács sta descrivendo un fenomeno che viviamoattualmente nelle nostre democrazie, che divengono sempre piùformali e sempre meno dirette. I problemi della vita quotidianavengono affrontati superficialmente, così come avveniva nell’Ungheriakadarista, che era pur sempre la migliore forma di socialismorealizzato, ma non era affatto una democrazia diretta.

Si può capire così l’attualità della concezione lukacsiana dellademocratizzazione della vita quotidiana, ma anche l’impossibilità diriformare dall’interno il regime ungherese del socialismo realizzato. Sinota benissimo dal tono che Lukács usa, che lui non crede affatto chele sue parole saranno ascoltate dai membri del Comitato Centrale, ma

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che le questioni che lui pone sono quelle più fondamentali di unademocrazia. Allo stesso tempo, sapendo che non fu ascoltato esapendo come terminò la storia del socialismo realizzato, si puòavanzare la tesi che il socialismo realizzato non fosse affatto unademocrazia. Lukács è molto chiaro sul punto che il socialismo, al suonascere, fu una democrazia diretta, quando all’interno dei Soviet ilavoratori avevano ampia possibilità di partecipare alla gestione dellacosa pubblica. A quell’esperienza invita a tornare i membri delComitato Centrale, sfidandoli ad essere quello che non erano più, cioècomunisti.

Alla luce di questa provocazione, Lukács critica radicalmentel’intenzione di Kádár di fare del marxismo non più l’unica ideologia,ma la teoria egemone nella società civile ungherese. Lukács non vedeuna trasformazione radicale del marxismo rispetto ai danni fattidurante lo stalinismo, quando lui stesso definì quel periodo peggioredella dittatura di Horthy per l’espandersi del marxismo nella societàcivile ungherese. Il marxismo dovrebbe essere rifondato, riportato allasua originaria autenticità e ciò non è, naturalmente, limitato al solomarxismo ungherese, ma anche al marxismo occidentale. Questarinascita deve mettere da parte tutte le esagerazioni tipiche dellostalinismo, deve affrontare le questioni concrete della vita quotidiana,come una più ampia diffusione di beni ai lavoratori e, soprattutto, lafine dell’egemonia del modello sovietico. Non si può credere che tuttociò che viene dall’Urss debba necessariamente essere ottimo. La vitaquotidiana in Unione Sovietica non conferma affatto questo mito. Epoi non si può sempre subordinare gli interessi dell’Ungheria a quellidell’Unione Sovietica. Lukács esplicitamente afferma che si dovrebbeprendere come esempio il policentrismo del partito togliattiano. Così ilsuo giudizio sulla rivoluzione cinese è più sfumato di altre occasioni,perché riconosce a Mao il merito di avere cercato una sintesi originaletra marxismo e tradizione cinese, anche se non tutte le sue conclusionisono adeguate e corrette per la realtà cinese.

Nell’intervista radiofonica insieme ad Arnold Hauser il ruolo di Lukácsè effettivamente di secondo piano, ma ho voluto inserire ugualmentequesta intervista perché i pochi interventi di Lukács sono

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estremamente significativi. Inoltre l’intervista si chiude con unriconoscimento importante da parte di Hauser, che afferma, parlandoal plurale, quindi in nome di tutti quelli che hanno fatto parte delCircolo della Domenica, in pratica il meglio della cultura ungherese,l’influenza etica di Lukács è stata l’elemento comune piùfondamentale. Difficile, dunque, negare – come si ostina comicamentea fare il governo Orbán – che Lukács abbia contribuito allo sviluppodella cultura ungherese per tutto il corso del Novecento.

Il momento più rilevante dell’intervento di Lukács è la sua definizionedi individualità, che è la concezione centrale della sua vecchiaia.

Va ricordato che “individuo” è derivato dal latino individuum, cioè èun ente che non è diviso e per Lukács questa indivisibilità è tra lagenericità, l’appartenenza al genere umano (Gattungsmässigkeit) e laparticolarità (Besonderheit) del singolo individuo. La particolarità ètrattata più ampiamente nell’Estetica e la genericità nell’Ontologiadell’essere sociale. Lukács insiste che ogni individuo nella propriaparticolarità è un essere sociale, che appartiene al genere umano eogni essere umano è sempre un essere sociale. L’evoluzione del genereumano passa nell’individuo di ogni particolare essere umano.

L’indivisibilità tra genericità e particolarità va analizzata per mezzodella dialettica, che così è rivalutata come metodo di ricerca scientifica,nonostante la condanna che ne ha espresso il neo-positivismo. Ilmarxismo, in quanto fondato sulla dialettica, è il movimentointellettuale che più di ogni altro è nella condizione di descriverel’individualità umana e di tracciare le linee del suo sviluppo futuro.

Appunto al futuro è dedicata l’intervista che Lukács diede al figliastro,alla nuora e a Jutta Mantzner. Sulla suggestione del pensiero di Bloch,la riflessione marxista sul futuro finisce sempre per coinvolgerel’argomento “utopia” e Lukács fa qui una precisazione chiarificante: ilsocialismo non è un’utopia, ma una possibilità concretamenterealizzabile, che sorge dallo sviluppo delle forze produttive del modo diproduzione capitalistico. Senza il socialismo, come constatiamo inquesti anni, la stessa umanità rischia di non avere un futuro. L’utopia,come il socialismo, è una critica del modo di produzione capitalistico,

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ma non dello sviluppo delle forze produttive, che potrebbe essereancora più ampio se il capitalismo non lo dirigesse verso l’esaurimentodell’ambiente e verso lo sfruttamento della stessa umanità. La forzadell’utopia è proprio nella critica, ma solo un sostegno scientifico diquesta critica può permettere di comprendere in anticipo lo sviluppofuturo dell’umanità. Proprio il fondamento scientifico del socialismo lodistingue dall’utopia; quindi, utopia e socialismo sono complementarie non opposti.

La possibilità o meno del socialismo è collegata ad un’idea diliberazione dallo sfruttamento che il modo di produzione capitalisticoimpone all’umanità. In fondo è lo sviluppo dell’economia, della societàe della politica che fa sorgere un’ideologia. Il socialismo è unmovimento ideologico che è fondato scientificamente. Tra ideologia escienza può sorgere, così, un rapporto dialettico di interscambiocostante. Il marxismo, la forma ideologica più scientifica delsocialismo, ha un approccio post festum, che permette di cogliere letendenze future anche nel passato. Lukács invita a pensare a unafuturologia che abbia questo genere di fondamento scientifico.

L’intervista successiva affronta ancora una volta il problemadell’ideologia – uno dei temi centrali dell’Ontologia dell’essere sociale.Lukács ricorda la concezione di Marx, secondo cui l’ideologia ha lafunzione di affrontare e risolvere i problemi sociali. Proprio alla luce diquesta funzione, Lukács si autodefinisce uno dei massimi conoscitoridi Marx. L’affermazione può sembrare un peccato di presunzione, ineffetti Lukács considera il suo lavoro di ideologo marxista come unsemplice indicare la direzione di tendenze future, un mettersi alservizio di chi, dopo di lui, continuerà il suo lavoro con il suo metodo.In pratica ci sta riproponendo la tradizionale immagine del nano – lui– sulle spalle di un gigante – Marx –, per cui pur essendo un nanoriesce a vedere un po’ più lontano del gigante, proprio perché nesfrutta l’altezza.

Lukács fa qui un accenno al suo completamento del marxismo con lapoesia civile di Endre Ady, a conferma che la scienza marcia insiemealla poesia, all’umanesimo. Così Ady dà forza morale alla concezione

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scientifica di Marx che lo sviluppo storico può indirizzarsi verso laliberazione delle forze produttive, verso la costruzione del socialismo epoi del comunismo, ma deve essere la scelta verso l’umanità asostenere questo possibile sviluppo storico e sociale.

Così storicamente l’umanità ha scelto di liberarsi dallo sfruttamento eha edificato una società socialista, ma il lavoro di liberazione devecontinuare a cominciare dal ritorno allo spirito dei primi tempi dellasocietà sovietica. Bisogna costruire una democrazia a partire daipiccoli fatti della vita quotidiana, bisogna sconfiggere la burocrazia e lasua manipolazione, anche con il sostegno dell’arte, come nel caso diAdy e della sua attitudine etica. L’importanza dell’arte consiste nellasua capacità di rappresentare la realtà concreta, spesso con mezzi piùimpattanti e immediati di quelli della scienza.

Alla luce dell’etica si può giudicare l’attività umana. Lukács si dichiaraqui favorevole alla costruzione di un sistema di categorie, di strumentidi giudizio, che possa valutare la realtà. Queste categorie dovrebberoavere un fondamento etico e una struttura ontologica, quindi storica edialettica. In tal modo il marxismo, ritornato alla sua origineautentica, potrebbe trovare una terza via tra l’aberrazione pseudo-materialistica di tipo staliniano e la manipolazione esistenzialistica eneopositivistica. La manipolazione capitalistica spinge l’uomocontemporaneo verso bisogni irreali, che sono sostanzialmenteinumani; a questi bisogni inumani vanno contrapposti i bisogni reali,umani. La definizione di questi bisogni può essere ottenuta conl’applicazione di quelle categorie ontologiche.

Nel corso di questa intervista Lukács tocca due argomenti che sonostrettamente correlati per molti esseri umani, ma che per lui sonoseparabili: la morte e la religione. Tratta il tema della morte da unaposizione epicurea, cioè un fatto essenzialmente biologico, ma che perl’essere umano assume un valore etico, essa è in fondo l’unico assolutoche qualsiasi uomo deve affrontare. L’unico modo di affrontaredignitosamente la morte è la convinzione di avere vissuto secondo leproprie convinzioni, quindi di essere vissuti fedeli a se stessi e noninvano, perché si è stati utili agli altri.

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Nei confronti della religione, in particolare della religione cattolica,Lukács si dichiara favorevole al dialogo costruttivo, anche se non siaspetta particolari sviluppi teorici; ritiene invece che possano esserciimportanti sviluppi pratici. Il dialogo non ha finalità, ma è solo unmezzo per raggiungere un accordo collettivo. L’approccio, però, deveessere teoretico, non strumentale, tenendo sempre presente che laChiesa ha saputo convivere con diversi, e anche storicamente opposti,sistemi sociali, economici e politici, che essa ha, quindi, un’abilitàmimetica che non garantisce il rispetto del fondamento teoretico deldialogo. È un peccato che Lukács non abbia prestato maggioreattenzione al movimento della Teologia della liberazione, che sorgevaproprio negli ultimi anni di vita di Lukács. Probabilmente la sua quasitotale ignoranza della Teologia della Liberazione fu dovuta al suosostanziale eurocentrismo: Lukács non conosceva le lingue dellaTeologia della Liberazione, cioè lo spagnolo e il portoghese, e in queglianni non c’era interesse a tradurre nelle lingue del centro del mondo leopere polemiche della Teologia della Liberazione, peraltro condannatedalla Chiesa cattolica.

L’intervista concessa a Perry Anderson risale al 1969, per cui i fatti acui si richiama l’intervistatore sono quelli dell’invasione sovietica dellaCecoslovacchia e l’annichilamento del processo democratico che erainiziato in quel paese. Adesso sappiamo che Lukács aveva scritto digetto un libretto, Demokratisierung heute und morgen, proprio inriferimento a quell’avvenimento, ma nell’intervista non fa alcunaccenno né alla Primavera di Praga, né tanto meno alla sua opera.Affronta, invece, la questione della democrazia socialista, ribadendoancora una volta che la democrazia borghese non è affatto il suo idealedi riferimento, questo è piuttosto la democrazia sovietica, citando,però, l’originale democrazia sovietica, quella della Comune di Parigi,delle Rivoluzioni Russe del 1905 e del 1917. All’interno di questacitazione accenna anche all’altro importante avvenimento di queglianni, la morte di Che Guevara, che interpreta come un eroe giacobino.Questo giudizio è da considerarsi sostanzialmente errato, denotandouna sostanziale estraneità di Lukács alle questioni lontane dalsocialismo europeo. Che Guevara, secondo lui, non avrebbe affrontatole questioni della vita quotidiana, il campo in cui si realizza la

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democrazia socialista; ciò non è vero, perché Che Guevara contribuì informa determinante alla socializzazione dei mezzi di produzione aCuba, quando vi svolse la funzione di Ministro dell’industria.Ovviamente la sua morte fu la conseguenza di un errore di calcolo,perché non si ripeterono in Bolivia le condizioni che si realizzarono aCuba. Ma la questione Che Guevara non pare affrontata da Lukács conla necessaria profondità.

La questione fondamentale della democrazia socialista è, però,affrontata con precisione: il socialismo è una forma di transizione dalcapitalismo al comunismo e per questa ragione non nasce l’homoeconomicus adatto al socialismo. In effetti, per chi abbia vissuto in unpaese del socialismo realizzato era palese che il socialist way of lifenon esisteva, mentre lentamente si andava affermando sempre piùl’american way of life. Lukács suggerisce che questa difficoltàdovrebbe essere affrontata con una nuova educazione, con lacostruzione di un uomo nuovo, argomento centrale del pensiero di CheGuevara, per ricordare quanto affermato poco sopra. In realtà, però,l’abitudine stalinista, il sostanziale distacco tra partito e società civilecontinuava ad esistere ancora negli anni Sessanta. L’unico tentativo disuperare questo distacco fu compiuto in Cecoslovacchia e abbiamosopra scritto come fu annichilito questo tentativo. Lukács non può cheribadire la necessità di una rottura completa con lo stalinismo, cosache in realtà fu tentata soltanto molto tardi, quando ormai ilsocialismo era entrato in una crisi definitiva.

Lukács è nuovamente drastico rispetto al ritorno agli eretici degli anniVenti, cioè a Gramsci, Korsch e al se stesso di Storia e coscienza diclasse. Insiste che le condizioni e la situazione non è più quella diquaranta anni prima, cioè che tra gli anni Venti e gli anni Sessanta c’èstato di mezzo il gigantesco errore dello stalinismo. E se non si superaquell’errore non si può riprendere il filo del discorso, del pensiero, delsocialismo che si stava avviando allora. Afferma che sta scrivendoun’Ontologia dell’essere sociale per riparare agli errori da lui compiutiin Storia e coscienza di classe. Accenna ad alcuni temi della suaontologia, ma credo che in quel momento considerasse l’erroremaggiore di Storia e coscienza di classe la trattazione

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dell’estraniazione. Probabilmente l’analisi dell’estraniazione causatadalla parcellizzazione fosse ancora valida, ma l’estraniazione causatadalla manipolazione, sia nel capitalismo che nel socialismo realizzato,meritava un’analisi che Storia e coscienza di classe non poteva offrire.Voglio rilevare che se Lukács considerava superate le sue analisi e lariflessione di Korsch, così non si pronuncia su Gramsci, che giudica “ilmigliore di tutti noi”, soprattutto perché lo conosceva poco a causadella sua ignoranza dell’italiano e poi anche perché, come sostienenell’“Intervista sconosciuta”, sapeva che la tradizione differente delPartito Comunista Italiano discendeva proprio dalla particolarità delpensiero gramsciano.

Anderson sposta la conversazione con Lukács sul pianodell’autobiografico e seppure in poche righe, Lukács ci offrel’immagine di alcuni suoi illustri contemporanei come Weber, Lenin,Trotsky, Brecht e Benjamin. Poi ritorna su alcuni momenti della sualunga vita, come l’impressione della poesia di Ady, di cui ha parlato nel“Dialogo nella corrente”, la pubblicazione della Teoria del romanzo, ilperiodo della redazione delle Tesi di Blum e la successiva condanna daparte del Partito Comunista Ungherese, la lettura sconvolgente deiManoscritti economico-filosofici del 1844 di Marx a Mosca, lapartecipazione alla Rivoluzione ungherese del 1956. Sono momentidella sua vita ampiamente conosciuti, ma Lukács aggiunge sempredettagli, sfumature, precisazioni che servono a comprendere megliocome affrontò certi passaggi drammatici della sua esistenza e qualiscelte teoretiche vi erano implicate. Inoltre nei suoi ricordi emergonogiudizi su personalità o concezioni che altrove non aveva mai espresso.Infine un auto-giudizio psicologico, allorquando afferma che non hamai sofferto di frustrazione. Ogni qualvolta la sua vita si è trovata difronte ad ostacoli insormontabili, aggirava l’ostacolo salvando iprincipi fondamentali e si dedicava ad altro. Il sacrificio fine a sestesso non apparteneva al suo modo di pensare e forse questo glirimproverano i suoi critici, quando lo accusano di stalinismo:avrebbero preferito che fosse finito in un gulag o davanti a un plotoned’esecuzione. La sua arma era, invece, la penna e la usò fino ad un’etàavanzata.

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Nell’intervista concessa allo Spiegel, Lukács affronta nuovamente ilproblema della democrazia sovietica. Sostiene che essa è unademocrazia dal basso, mentre la democrazia parlamentare è unademocrazia dall’alto facilmente manipolabile, perché non vi ècontrollo dal basso. Una democrazia sovietica permette di far salireverso le istituzioni più alte le esigenze, le richieste e la volontà deisingoli cittadini, alla condizione che riescano a concentrare consensosulla propria iniziativa. Questo modello democratico dovrebbe esserereintrodotto nelle società del socialismo realizzato, ancora una voltaLukács insiste nel ritorno alla democrazia sovietica del 1917, anche seammette che questa possibilità è remota, ma gli sembra l’unicapercorribile per riformare i sistemi politici del socialismo realizzato. Ineffetti, però, non si tratta di una riforma ma di una rivoluzione, comesostiene nell’intervista, una rivoluzione non solo possibile, mainevitabile.

Soltanto una rivoluzione di questo tipo, che si fonda sullapartecipazione dei cittadini, può affrontare questioni fondamentalicome quelle che stavano nascendo alla fine degli anni Settanta e cheLukács è già in grado di intravedere. Si tratta dell’inquinamentosempre più crescente nel mondo capitalistico ed industriale, nellecittà, che lui stesso definisce invivibili. Questo inquinamento è unadelle conseguenze del progresso, innescato dal rapporto che l’uomoinstaura con la natura. A differenza del rapporto biologico conl’ambiente, che è passivo, l’uomo innesca un rapporto attivo conl’ambiente, perché trasforma l’ambiente secondo il progetto checonduce l’attività lavorativa.

Ma se l’attività lavorativa è condotta secondo la logica del profitto enon della soddisfazione dei bisogni, allora non si calcolano tutte leconseguenze dell’attività lavorativa e si innesca un processo eccessivodi sfruttamento ambientale. Al fianco del fenomeno dell’inquinamentoglobale, Lukács intravede anche il fenomeno della globalizzazione.Non conosce questo termine, ma descrive con precisione il fenomeno.A differenza dei critici superficiali dei nostri giorni, però, Lukács nevede anche elementi positivi, come l’integrazione dell’intera umanità.Per lui si tratta della realizzazione della concezione marxiana

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dell’appartenenza al genere. La globalizzazione, allora incipiente,finalmente pone le condizioni perché si possa pensare ad un’umanitàunica e integrata, dove tutti gli uomini iniziano per la prima volta nellaloro storia a vivere insieme, anche se effettivamente vivono a grandedistanza geografica gli uni dagli altri.

Il 16 aprile 1971 il filosofo francese Yves Bourdet incontrò Lukács e lointervistò. Circa cinquanta giorni dopo Lukács morì. Si può, quindi,considerare questa l’ultima intervista di Lukács, probabilmente le sueultime parole pubbliche. L’intervistatore dialoga con Lukács a partiredai suoi pregiudizi, ad esempio il culto degli intellettuali francesi versoStoria e coscienza di classe, la convinzione di interagire con unfilosofo stalinista. Ovviamente dalle risposte si può arguire quantopregiudizievoli fossero le convinzioni di Bourdet, che, infatti,lentamente le mette da parte e finisce per interagire con più auto-libertà con Lukács. Cosa che, invece, non pare fare Perry Anderson,che intervista Lukács secondo uno schema preordinato e senzacapacità di interagire realmente con l’intervistato.

Lukács esprime un giudizio molto articolato sull’Urss, considerandolauna potenza militare e di conseguenza molto progredita, ma con unastruttura politica che non lascia nessuno spazio alla libertà dicreatività artistica, letteraria, filosofica, in una sola parola alla libertàumana.

Invece l’esigenza di una democratizzazione delle società del socialismorealizzato appare a Lukács assolutamente inevitabile, insieme ad unariforma economica del socialismo verso un miglioramento dellecondizioni di vita dei lavoratori e di una loro maggiore partecipazione.

Il grande problema del socialismo realizzato è la burocrazia, vera epropria classe dominante che si riproduce per cooptazione, quindi aldi fuori di qualsiasi meccanismo democratico. Questa burocrazia ètotalmente staccata dalla società civile – tema già affrontato da Lukácsin altre interviste – e spesso assume anche un atteggiamento di ostilitàad ogni fenomeno di liberalizzazione sociale. Della dissoluzione delloStato, come prevedeva Marx in una società socialista, non c’è alcunsegno, anzi la burocrazia, che detiene il controllo totale dello Stato,

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rafforza il potere dello Stato, perché in tal modo rafforza il propriopotere.

Lenin, invece, avrebbe voluto che le masse potessero comandare, dopoun opportuno periodo di educazione alla democrazia. Il Partito e loStato avrebbero dovuto obbedire alle masse e non costringerle come,invece, fecero nei paesi del socialismo realizzato. Naturalmente non sipossono usare Marx e Lenin per tirar fuori dalle loro riflessioni delleformule da usare come se fossero dogmi indiscutibili. Questoatteggiamento sarebbe la negazione del loro spirito, ma è proprioquesto quello che è accaduto nei paesi del socialismo realizzato con lasalita al potere di Stalin. Inoltre se si dovessero usare i fondatori delmarxismo come fonti da cui estrarre citazioni a sostegno dell’azionepolitica, gli intellettuali avrebbero un ruolo preminente e ciò è unfenomeno ampiamente superato dalla storia. Necessaria è, invece, unademocrazia di tipo sovietico.

Per una rara volta Lukács affronta la questione nazionale e si dichiaraincompetente ad esprimere giudizi fondati. Con un anticipo di ventianni sostiene che le differenze tra croati e serbi porteranno seriproblemi in futuro, perché le differenze tra i due popoli non sono statesuperate dal regime socialista jugoslavo.

Chiude l’intervista affrontando la questione del valore, che sarebbestata al centro della sua Etica, che non riuscì a scrivere e che lasciòsoltanto sotto forma di un brogliaccio di appunti. Sostiene che il valoreè sempre a fondamento di qualsiasi azione dell’uomo. Ma non dice inquesta intervista su cosa si fonda il valore, lo ha detto in compensonell’intervista allo Spiegel: il valore si fonda sulla riproduzione dellavita umana.

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A proposito di letteratura emarxismo creativoIntervista rilasciata al giornalista cecoslovacco A. J. Liehm neldicembre 1963 e pubblicata nel n. 3 della rivista Literární noviny,Praga, gennaio 1964. Qui ripubblichiamo la traduzione italianaapparsa nel n. 69 de Il contemporaneo, febbraio 1964, Roma. Non cisono indicazioni del nome del traduttore. Si sono apportate alcunerare correzioni.

Lukács – Ecco, di un libro m’interessa sempre se ciò che in esso èdetto, non sarebbe stato possibile raccontarlo nella medesimadimensione, diciamo, del reportage, se vi si pongono questioni oppuresi risolvono problemi a un livello realmente artistico e non nelledimensioni della sociologia. A tal riguardo sono un conservatore edesigo che per tutto quanto vi è di importante nell’arte, si trovi unaforma corrispondente. Questo vale da Omero sino a Kafka. Allo stessomodo, sono contro la forma senza contenuto e senza un problemapoeticamente concreto, all’interno e viceversa. Per il resto vi sono altrimezzi e strumenti, per esempio la stampa. Credo che un buon lavorosociologico sia più importante e, dal punto di vista della conoscenza,più redditizio, forse, dell’Homo Faber di Frisch. Affinché un ingegneresi renda conto della propria alienazione nella società capitalistica, nondeve necessariamente avere un rapporto con la propria figlia. Questa èun’aggiunta poeticamente inorganica per il lettore modernista. Ilproblema della alienazione ci viene rappresentato in modo molto piùsuggestivo da ogni buon sociologo. Compito dell’artista è scoprire ilproblema mediante la forma artistica.

Liehm – E così, a poco a poco, da una conversazione sulleimpressioni della vita quotidiana passiamo lentamente alla nostraintervista. Ma per il momento lentamente. Negli ultimi quindici anni èstato possibile osservare un certo spezzettamento della stampa, una

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distorsione della sua funzione più peculiare, che talvolta, bene o male,deve essere svolta dalla letteratura. Non lo pensate anche voi? [Parlodi questioni che mi interessano direttamente. Il vecchio uomo, cheperò non mostra affatto i segni della vecchiaia, mi guarda e tra le ditaha l’inseparabile sigaro che sempre si spegne e sempre viene riacceso).

Lukács – Ciò che ho detto è solamente un’opinione artistico-filosofica. Nella pratica possiamo osservare un movimento di duespecie. In Occidente, l’alienazione continua e si riflette nellaletteratura, anche se le circostanze in cui ciò avviene sonoestremamente complicate. Decisamente non si tratta di un processounitario. L’arte dell’Occidente è addirittura piena di contraddizioni. Eciò spiega anche perché nei suoi confronti non si può assumere unaposizione esclusivamente negativa o soltanto positiva. A causa dell’erastaliniana, abbiamo trascorso dormendo circa [?]quant’anni disviluppo capitalistico, quando sarebbe stato necessario analizzare contenacia le sue contraddizioni sulla base del metodo marxista-leninista.E, ora che le finestre sono state ormai spalancate, è perciòperfettamente logico che la gioventù si getti su tutto quanto èoccidentale. Commetteremmo un colossale errore se tentassimo diostacolarla. L’illimitata, cieca ammirazione per l’Occidente è unamalattia infantile che può essere superata solo se la gioventù avràpiena libertà di conoscere anche tutto ciò che è solo di moda. I giovaniintelligenti possono in due anni imparare a distinguere il buono dalcattivo. Prima di tutto dobbiamo essere esattamente informatisull’Occidente. Il resto viene da sé.

D’altro canto, è perfettamente vero che nei paesi socialisti a volte laletteratura deve sostituire la stampa quotidiana. Però per l’arte nonpossiamo mai rinunciare ai criteri artistici. L’esempio della stampa èvalso più spesso e più chiaramente nel passato. Esso può riferirsi alromanzo inglese del XVIII secolo. Prendiamo il caso di Moll Flandersdi Defoe.

Sostanzialmente esso è, sì, una rappresentazione critica dellasituazione sociale del tempo, ma al tempo stesso è grande arte.M’annoio un po’ quando sento dire che per me non esisterebbe altro

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all’infuori del XVIII e XIX secolo, ma voglio affermarlo ancora unavolta: la critica marxista deve sempre sottolineare che lo scrittore devescrivere a livello di Defoe sui problemi e avvenimenti più attuali. Inproposito, sia ben chiaro che con ciò non mi riferisco allo stile, bensì allivello, naturalmente in rapporto alla società odierna e alla sualetteratura. Non ho nulla da obiettare se la letteratura assolve compitisociologici. Ma prendiamo la letteratura tedesca di prima del 1848 etra i numerosi esempi che ci offre, scegliamo Deutschland, einWintermärchen di Heine. Di fatto è un’opera squisitamente politica,in essa si scopre una determinata situazione politica e sociale, ma conquali grandiosi mezzi artistici, per quel tempo! Dalla letteraturadobbiamo sempre esigere quell’alto livello artistico, che esisteva anchenella letteratura sovietica degli Anni Venti. Nei successivi venti anni siè però verificata un’incontestabile decadenza della letteraturasocialista, con delle eccezioni, naturalmente, com’è stato da noi, adesempio, con i due grandi romanzi socialisti e le novelle di Déry.

Ciò dipende dal fatto che il realismo socialista è stato ridotto aqualcosa che io chiamo “naturalismo erariale”. Qui sta la ragionedell’allontanamento da esso di scrittori capaci e di lettori svegli e,contemporaneamente, della confusione di molti scrittori, i quali, da ungiusto senso di orrore verso questo falso realismo, finiscono nellaopposizione al realismo in generale.

Liehm – E poiché ne abbiamo parlato, qual è secondo voi lasituazione del realismo socialista?

Lukács – Ogni grande arte – ripeto, da Omero in poi – è realista, inquanto è un riflesso della realtà. Ecco l’infallibile contrassegno di tuttele grandi epoche artistiche, anche se i mezzi di espressione sonoevidentemente molto differenti. Quando parliamo del realismodobbiamo perciò, in un modo o nell’altro prendere in considerazione ilperiodo del suo sorgere. Da questo punto di vista, per me, il realismosocialista è semplicemente il realismo dell’epoca del socialismo,derivante dalla natura intrinseca del socialismo.

Ciò che respingo con ferma decisione sono le ricette su come dovrebbepresentarsi questo realismo. La medesima cosa vale quando si prevede

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in modo concreto e dettagliato la natura della società socialista ecomunista. Immaginate che, dopo Swift, Defoe e Fielding e primaancora della creazione delle opere di Balzac, Dostoevskij e Tolstoj,qualcuno avesse voluto scrivere sulla teoria del realismo borghese...

Secondo me, ci troviamo alle porte di una grande rinascita delrealismo socialista. Solo che già Solgenitsin ci mostra che esso saràqualcosa di affatto diverso, poiché anche i problemi di fronte ai quali sitrova lo scrittore, sono del tutto diversi. Il realismo scaturisce sempredai problemi posti dalla vita. Ma attenzione! Non vogliamo fare diSolgenitsin addirittura un nuovo Sciolochov. Tra alcuni anni vedremoche tipo di scrittore sarà. Quel che ci interessa è il suo modo dipresentare i problemi. Per esperienza sono estremamente scetticosulle profezie in letteratura. In questo campo, tutto deve essere primadimostrato.

Anche per quanto riguarda un altro aspetto, vorrei prevenire delleincomprensioni. Quando parlo del realismo derivante dalla naturaintrinseca del socialismo non mi riferisco solamente agli scrittori delmondo socialista. Per me Les Voyageurs de l’Imperiale di Aragonsono in tal senso di grande importanza. Cioè, l’autore si occupa di temiche, in senso generale, dovrebbero essere i temi di un romanzoborghese; solo che egli lo fa partendo da un punto di vista che gli rendepossibile creare qualcosa di estremamente importante. Lo stesso valeper la poesia. Prendete Eluard e Attila József: sono socialisti e altempo stesso proteiformi in confronto alla poesia borghese. Perciò,quando dico “realismo socialista”, mi riferisco a tutta la letteratura, inquanto si tratta del punto di vista e mai del tema. Il tema è universale,la letteratura riflette il mondo nel suo complesso, gli scrittori socialistidell’Oriente e dell’Occidente hanno certi tratti comuni che lidistinguono dagli scrittori borghesi contemporanei. Tutto questo puòessere paragonato ad una galleria d’arte: quando passeggiate per le suesale potete constatare tratti comuni in diversi pittori della stessa epocae dagli stessi principi. Ed è appunto in tal senso che esiste il realismosocialista e non nel senso di certi stupidi libri che vorrebbero imporglii principi.

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Liehm – Vorrei fare un piccolo passo indietro. Quanto avete detto orora, significa che siete d’accordo con la concezione di Aragon del“realismo aperto” oppure con quella di Roger Garaudy del “realismosenza sponde”?

Lukács – In complesso penso che tutta la letteratura grande e vera èrealista. E qui non si tratta dello stile bensì dell’atteggiamento neiconfronti della realtà. Anche le cose più fantastiche possono essererealistiche. Il problema sta nel vedere fino a qual punto si possonodefinire realistiche certe tendenze moderniste. Le mie obbiezionicontro queste iniziano là dove la letteratura, in un certodisorientamento, rinuncia alla sua fisionomia universale epluridimensionale, non solo per quanto riguarda il contenuto maanche la forma.

Vorrei fare un esempio: l’orientamento cubista nell’arte si basa sullamassima di Cézanne che sempre le cose ci appaiono anche in formecubiste. Ora che le opinioni di Cézanne sono state rese pubbliche,abbiamo visto che egli si riferiva a tutti i segni del mondo apparente: aicolori, al rapporto degli oggetti fra loro, persino all’odore e così via. Inbreve, la sua concezione è universale mentre il cubismo, di tutta unaserie di postulati di Cézanne, ne fa suo soltanto uno. E ciò portaevidentemente ad un impoverimento dell’arte. In verità, non esistealcuna espressione artistica che non sia fortemente influenzatadall’oggettivismo, ma una eccessiva sottolineatura del soggettivismoporta inevitabilmente ad un ulteriore impoverimento. E io sono controqualsiasi impoverimento. Per la sua stessa natura, l’arte èinfinitamente pluridimensionale; negli ultimi anni si manifestano fortitendenze ad un’unica dimensione. E io mi oppongo.

Liehm – Contro tale punto di vista si obietta che gli autori delle operea cui vi riferite, assomigliano agli scienziati che effettuano ricercheparziali su un settore determinato, sulla cui base poi possono giungeread una sintesi e ad una concezione universale.

Lukács – Comprendo. Solo che la letteratura, l’arte sono qualcosa difondamentalmente diverso dalla scienza. Nel campo della scienzaanche una conoscenza parziale può portare ad una grande scoperta.

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L’arte, per contro, o è universale o non esiste affatto. È possibile checerti esperimenti artistici molto limitati e unidimensionali possanoessere per altri artisti molto fruttuosi e colmi d’ispirazione, madifficilmente sono di grande importanza per l’umanità nel suocomplesso. Inoltre, in arte una formula non ha mai validità universale.Nella scienza, invece, una formula giusta ha questa validità universale.L’espressione artistica presenta sempre qualche cosa di singolare edanche la forma emana da questa singolarità. Lo sperimentalismoformale in se è sempre abbastanza problematico.

Se un vecchio uomo come me getta uno sguardo retrospettivo agliultimi sessanta anni di sviluppo letterario, vede una serie di fossecomuni. Molti di quelli che al tempo della mia gioventù promettevanotanto, oggi giacciono in una fossa senza nome. Negli anni della miagiovinezza ebbero un ruolo sensazionale; oggi non li conosce quasinessuno. Questo non dobbiamo mai dimenticarlo. Le scoperte formalisono importanti, devono essere applicate, ma il fattore decisivo èsempre il valore artistico. Prendiamo, per esempio, il grandemonologo interiore della Carlotta a Weimar di Thomas Mann econfrontiamolo con il monologo interiore della signora Bloom diJoyce.

L’analogia sta nel fatto che i due autori utilizzano lo stesso mezzo. Soloche mentre Joyce ha scoperto qualcosa come una registrazione sunastro di una serie di associazioni, in Thomas Mann riceviamol’impressione di una libera sequenza di associazioni, e in realtà l’autoreaveva un obiettivo chiarissimo, concreto: attraverso questa formavoleva raccontare, mostrare qualche cosa, forse i rapporti di Goethecon Schiller. Molte cose, che spesso vengono salutate come scoperte eintese come tecnicamente isolate, sono state tempre parte integrantedell’espressione artistica. In Anna Karenina c’è una scenameravigliosa: l’andata di Darja da Anna e poi il ritorno.

Qui Tolstoj riesce in modo geniale a cogliere, in un periodo di tempomolto breve, i due stati d’animo di una stessa figura di donnamediante il monologo interiore, nella sostanza, anche se non nellaforma, cioè nel contrasto sempre plasmato con la realtà obiettiva, che

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gli dava vita, naturalmente in rapporto con tutto il romanzo; anche intal modo sorgono nuove dimensioni artistiche. Ma se i mezzi artistici etecnici diventano lo scopo assoluto, allora si perde la loro veraimportanza e torniamo nuovamente all’arte unidimensionale. Durrellafferma che gradatamente introduce nel romanzo le quattrodimensioni di Einstein, vale a dire le tre dimensioni dello spazio più iltempo. Da ciò dovrebbe scaturire un ciclo: sempre una dimensionespaziale dietro l’altra, per tre volte, e a conclusione la dimensionetempo. Ma ogni studente ginnasiale dovrebbe sapere che questedimensioni possono dare un quadro universale solo se si presentanounite. Una loro rappresentazione separata, la larghezza indipendentedall’altezza ecc., forse non è altro che una chiacchiera senza capo necoda. Tali esperimenti sono semplicemente un bluff pour épater lebourgeois. Essi non hanno alcun valore. Non m’importa se, perquesto, si dovesse dire di me che sono un seguace di Zdanov. Credoche in tali circostanze la critica abbia il dovere di dire: il Kaiser non hadi che vestirsi. Tutto ciò non tocca affatto Kafka che ritengo un artistala cui importanza aumenterà. Mentre molto di quanto oggi si ritieneper nuovo e che farà epoca, secondo me, finirà nella fossa comune nelgiro di quindici anni.

Non si tratta affatto della difesa del conservatorismo. Per l’artista ilcontatto con il tempo e con tutto ciò che esso comporta è un problemaintellettuale e morale estremamente serio; egli ha il dovere di prendereposizione sui grandi fenomeni della sua epoca. È degno d’ammirazioneil fatto che il vecchio Goethe nell’anno della sua morte avvertisse ivalori dell’opera di Balzac Peau de chagrin e di Rouge et Noir diStendhal e respingesse invece Notre Dame di Hugo. Questo dimostraancora che non si tratta di accettare le cose solo perché sono nuove,ma di saper scegliere. Tuttavia, conoscere tutto ciò che è grande enuovo e, nello stesso tempo, saper dire che il Kaiser non ha di chevestirsi, comporta per l’artista e il critico grandi rischi. Spessoambedue hanno una tremenda paura di rimanere impigliati nelpassato. Io non ammetto questa norma cautelativa.

Chiunque si dedichi alla letteratura come creatore o come critico, puòcomprensibilmente correre il rischio di un errore, da cui nessuno può

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preservarci.

Del resto, proprio per questo vi sono da noi tanti fronti falsi. Da unaparte, molti vorrebbero preservare il brutto, o gran parte di esso, chefu proprio dell’epoca staliniana; altri, invece, da noi e anche inOccidente, vorrebbero gettarsi su tutto quanto c’è di più nuovo,tralasciando di esaminare quel che è durevole e quello che e soloeffimero. Non sono affatto acritico nei confronti di noi stessi e dellenostre deficienze. Soltanto pretendo il medesimo senso critico neiconfronti delle due parti in quanto, come ho già detto, non considerol’arte contemporanea dell’Occidente come un insieme compatto. Peresempio, prendete un artista come Thomas Wolfe. All’inizio fufortemente influenzato da Joyce, ma in You Can’t Go Home Again egliriuscì a darsi un proprio, eccellente stile realistico. Il che vuol dire chele contraddizioni non esistono soltanto nella letteratura nel suoinsieme ma anche in ogni singolo scrittore. Ciò vale, per esempio,anche per O’Neil.

Liehm – E come considerare Joyce o Proust? Anche per loro vale ilparallelo della fossa comune?

Lukács – Innanzitutto Joyce e Proust non sono ancora morti. Sonofattori viventi e la storia non ha affatto deciso quale sarà la loro fossa.Per me Proust è senza dubbio un poeta considerevole anche se ritengoproblematica la sua forma. Al contrario credo che Joyce sia piuttostouno sperimentatore. In nessun caso metterei tra di loro un segno diuguaglianza. Senza dubbio l’influenza di Proust sulla letteratura èancora molto pronunciata. Però c’è da discutere se anche in questoimportante poeta non inizi, non prenda corpo, quella tendenza allaletteratura unidimensionale.

Liehm – E Beckett?

Lukács – In proposito la mia posizione è più o meno negativa. Unadelle tendenze del mondo capitalista è senza dubbio la completaalienazione dell’uomo, quasi vorrei dire il suo svuotamento, solo cheBeckett la dà come una tendenza fondamentale, da cui non ci si puòdifendere, e su tale terreno compie i suoi esperimenti formali.

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Ciò mi fa ricordare il tempo della mia gioventù, il naturalismo e il suosenso del fatale, del determinismo del destino umano. Allora c’eranoanche quelli che isolavano l’uomo da tutto il resto, per esempio ilgiovane Maeterlinck. Stento a credere che il giovane Maeterlinckpotrebbe ancora oggi avere una certa influenza. Secondo me, anch’egliappartiene alla fossa comune.

Quando si scrive molto su qualche cosa, spesso gli uomini s’illudono enasce in loro l’impressione che proprio per questo si tratta di qualcosadi vivo.

Liehm. [E non è lo stesso se non si scrivesse niente su qualche cosa?mi vien voglia di chiedere].

Lukács – Esiste, ad esempio, una grande letteratura inglese suicontemporanei di Shakespeare. Ma significa forse che tutti questiautori appartengono all’eredità viva, allo stesso titolo di Shakespeare?Venticinque libri su Fletcher in biblioteca ancora non fanno di questoelisabettiano uno scrittore vivo. Un giovane studioso delRomanticismo può anche scrivere un grosso libro sul giovaneMaeterlinck ma questo non cambia nulla di quanto ho detto.

Oggi si tira fuori un po’ di tutto e lo si dichiara importante, anche senon è necessario. Ad esempio, Arcimboldi con i suoi montaggimanieristici. Questa è un’insensatezza del nostro mondo! E sequalcuno pone il Tintoretto accanto ad Arcimboldi, io mi pronuncioper il Tintoretto, mentre l’altro non mi interessa affatto. È compito delmarxista osservare le cose da un punto di vista storico.

Egli può anche errare, ma allora deve anche dirlo apertamente senzalasciarsi trascinare dalla corrente solo perché questa corrente è moltoforte. Tanto più che in numerosi casi non si tratta solo di correntispontanee, ma anche di correnti sostenute da gruppi finanziari. Aitempi di Marx la produzione dei mezzi di produzione era decisiva peril capitalismo.

Ai tempi nostri, anche la produzione dei beni di consumo sta avendoun ruolo di primaria importanza. Anche l’arte moderna ne è

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influenzata. Esistono potenti agenzie e case editrici, per cui ci sidomanda: in quale misura gli interessi del capitale sono presenti nellediverse correnti? Anche nell’arte richiedono grandi investimenti dicapitali. A proposito, voglio raccontare una mia esperienza di uomoanziano: quando ero ancora giovane, fondammo un piccolo teatro.Bastarono duecento persone per mettere in scena unarappresentazione. Oggi, per fondare un teatro in Occidente, occorremolto denaro, così come per la fondazione di una rivista.

Così aumenta l’influenza del capitale sulla letteratura. Naturalmente, ilcapitale non ha la forza di ispirare la vita di questa letteratura, dicrearla, però può rafforzare o indebolire le tendenze esistenti. Il suoruolo non è decisivo, pur tuttavia esiste, poiché attira molte personecon la prospettiva della carriera e del successo. Questa è peròun’osservazione marginale, in quanto l’attuale capitalismo deiconsumi non può assolutamente avere nell’arte un ruolo decisivo, insenso artistico, naturalmente.

Liehm – Mi richiamo brevemente a ciò che Sartre disse a Praga sulleprospettive del romanzo, cioè che il grande romanzo del XX secolosarà un romanzo di esperienza socialista.

Lukács – È un’idea molto acuta e, in certo senso, è vero. Anch’io sonodell’opinione che una grande sintesi può essere realizzala solo da unpunto di vista socialista. Condivido l’opinione di Sartre sullaimportanza del superamento dell’era staliniana. Visto che parliamo diciò, è estremamente interessante come quell’epoca agì sugli uomini. Vifu chi si piegò e chi riuscì a restar saldo. Certamente, tutti coloro cheoggi vivono e creano, in quegli anni decisivi vennero a trovarsi in unmodo o nell’altro sotto l’influsso di quella epoca. Da questi fattinascerà senza dubbio un grande romanzo o un grande dramma.

Oggi abbiamo davanti a noi un lungo periodo di pacifica coesistenza.Per questo, naturalmente, non è indifferente come la letteraturadell’Occidente risolverà i suoi problemi. Credo che, al riguardo, puòesserci nuovamente di aiuto il grande esempio di Thomas Mann. Il suoDoktor Faustus contiene tutto il problema del mondo del fascismo,perciò questo libro è e resta uno dei grandi romanzi della nostra epoca.

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Attualmente esiste in Occidente una letteratura alla moda, la quale sisforza di dimostrare che tutto questo mondo alienato, verso il qualeessa si mostra contraria, è in fondo interessante dal punto di vistaartistico.

È così che, ad esempio, nella Germania occidentale, vengono alla lucescrittori che in una certa misura sono diventati sostenitori nonconformisti del regime di Adenauer. Nello stesso tempo, vi sono anchescrittori che con molta serietà prendono posizione contro questomondo alienato. Ai suoi tempi, Sinclair Lewis con Babbit scoprì ineffetti questa alienazione con una acuta forma satirica. Allora fu diestrema importanza. A venti anni di distanza non sarebbe più possibilefarlo allo stesso modo. Appaiono opere tragicomiche (T. Wolfe, O’Neil) che nuovamente s’ispirano alla lotta contro l’alienazione e spessosiamo testimoni di una lotta tragico-drammatica contro la propriaalienazione. Per esempio, Styron mostra nel suo romanzo Set thisHouse on Fire, con l’aiuto della dialettica, che per i ricchi la causadell’alienazione è la ricchezza e per i poveri la povertà, fin che in fondonon si giunge ad una esplosione à la Raskolnikov. Questo nonpossiamo dimenticarlo.

Un giorno si avrà il grande romanzo socialista, ma ci vorrà ancora deltempo prima che gli scrittori socialisti si liberino di tutti gli ostacoli edella loro censura interna: per questo devono cercare alleati nellagrande letteratura del passato e anche in quelle tendenze dellaletteratura occidentale, le cui strutture ho sopra menzionato; essidevono vedere come i migliori lottano contro l’alienazione. In ultimaanalisi troviamo fra di loro anche alleati politici. Vorrei dire, chequesta non è un’obiezione al punto di vista di Sartre, bensì uncompletamento, un’aggiunta.

Compito della letteratura è dare un quadro dell’enorme alienazioneprodotta dall’era staliniana, e aiutare nel suo superamento. Nellostesso tempo, in quell’epoca, è stato soffocato qualcosa diimmensamente nuovo, per esempio, ciò che era venuto alla luce nelPoema Pedagogico di Makarenko. Nostro compito è di farlo risorgere.E se è vero che un conflitto mondiale è oggi impossibile, sono convinto

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(è vero ed appunto lo credo) che anche la guerra fredda deve poco apoco scomparire. Nel periodo della pacifica coesistenza si avràun’asprissima lotta di classe sotto nuove forme. Allora, nostri alleatidiventeranno tutti coloro che nel mondo capitalistico lottano control’alienazione. Non solo scrittori, ma anche sociologi, come ad esempioWright Mills, morto prematuramente. Vi sono settari che negano lapossibilità della pacifica coesistenza, altri invece che nutrono lasperanze che, nella pacifica coesistenza, cessi la lotta di classe. Io peròaffermo – e lo affermavo già nel 1956 (in un articolo apparso sullarivista tedesco – orientale Aufbau) – che tertium datur: vi sarà unanuova forma della lotta di classe. Se vogliamo capire questo, dobbiamotornare a Lenin e porlo contro Stalin. Già nel 1916 durante la primaguerra mondiale, rivolgendosi ai settari. Lenin affermava che vi sonouomini che credono nella formazione di due grandi campicontrapposti. L’uno grida: «Noi siamo per il socialismo!» Gli altri:«Noi siamo per l’imperialismo!» Chi immagina le cose in questomodo, diceva Lenin, mai e poi mai capirà la rivoluzione. Le cose sonomolto più complesse, le tendenze si intrecciano, i fronti mutano.

Liehm – Poco fa avete detto: sono vecchio, e se getto uno sguardoindietro dico: abbiamo vissuto in un periodo molto interessante. Eracome se camminassimo in un tunnel, di cui conoscevamo la direzione,ma era senza luce. Finalmente siamo arrivati a un punto dal quale sipuò già vedere la luce all’altro capo del tunnel...

Lukács – Ebbene sì, un tunnel... Ecco, quando alla fine degli AnniVenti fu chiaro che il socialismo per il momento si sarebbe limitatoall’Urss, sorse tutta una serie di problemi. Nel periodo successivoaccadde qualcosa di enormemente positivo: la salvezza del socialismodi fronte all’attacco del fascismo.

Il crollo dell’Urss nella seconda guerra mondiale avrebbe significatoun rinvio di 200 anni delle prospettive del socialismo. In verità, perquesto abbiamo dovuto pagare un prezzo altissimo, cioè la delusionedi molti per ciò che riguarda il socialismo e il marxismo. Il XX e ilXXII congresso del Partito comunista dell’Urss hanno offerto unapossibilità di rimedio.

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In primo luogo, due grandi compiti ci stanno dinanzi. Primo:dobbiamo dimostrare al mondo ciò che differenzia il marxismo dallostalinismo. Sia in Occidente che in Oriente troviamo dei teoricicomunisti che non vogliono rompere con lo stalinismo. D’altro lato,l’ala di estrema destra dell’Occidente si sforza di portare la prova cheStalin non ha fatto altro che continuare conseguentemente la teoria diLenin. È nostro dovere dimostrare la continuità tra Marx, Engels eLenin, di portare le prove che tutti e tre si sono serviti degli stessimetodi, mentre Stalin, in molti punti del metodo e della suaapplicazione, ha rotto col marxismo (ad esempio, sulla questione deisindacati, assunse la stessa posizione presa da Trotzki), si èincamminato per un’altra via. Poiché nel corso del perfezionamentodei risultati del XX e del XXII noi siamo in grado di chiarire questequestioni, io chiamerei questo, se lo volete, una “luce all’altro capo deltunnel”.

Secondo: il deforme marxismo stalinista non può dare alcuna rispostaalle questioni odierne poste prima di tutto dalla gioventù, mentre ilmarxismo schietto può elaborare queste risposte. E noi dobbiamosviluppare il metodo marxista nella ricerca delle questioni delmomento. Possiamo suscitare risonanza solo se, come marxisti,sappiamo meglio degli altri porre le domande e dare le risposte. Allagioventù un rinnovamento del marxismo sembra prima di tuttonecessario, perché i nuovi problemi la costringono ad un ritorno alvero metodo marxista, mentre sono da considerare e utilizzare irisultati della nuova tecnica e della nuova ricerca scientifica. Marx edEngels hanno sempre incorporato le nuove conquiste della scienza nelmarxismo. Tale metodo è cessato dopo la morte di Lenin. Noidobbiamo rinnovare questo metodo marxista, affinché il marxismoresti effettivamente vivo. Che fecero Marx ed Engels, ad esempio, conDarwin? Ovviamente, oggi più nessuno è pronto a ripetere alla letteraquanto disse Darwin. Ma ciò concerne la sostanza delle cose e inquesto senso l’assimilazione di Darwin da parte di Marx è qualcosa dinon transitorio dal punto di vista metodologico. Analogamente, oggidobbiamo assimilare tutto il moderno, tutti gli elementi progressistidella scienza, che dalla morte di Lenin sono emersi in Occidente. Soloquando avremo elaborato tutto questo sulla base di uno schietto

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metodo marxista, allora saremo in condizione di esercitare la nostrainfluenza sulla gioventù e su quegli intellettuali occidentali, di cuiparlavo prima. Essi allora comprenderanno che sono sulla strada diuna ricerca genuina delle risposte alle loro domande (in propositovorrei citare ancora una volta Wright Mills). Secondo la mia opinione,in questo campo con le risoluzioni non si ottiene nulla. Abbiamodavanti a noi un grande lavoro da svolgere, se vogliamo superare tuttal’era staliniana. Come vedete, dunque, questi due compiti non sonoaltro che un compito solo.

Dobbiamo perciò offrire alla gioventù la possibilità di effettuare da séla ricerca. Oggigiorno vi sono molte persone che si sforzano diincamminarsi sulla via, di cui parlavo poco fa. Tutti questi ruscelli ecorsi d’acqua si uniranno un giorno in un grande fiume. Coloro che,educati da Stalin, protestano contro tutto ciò sanno molto beneperché. La lotta che oggi si conduce è una lotta per decidere se imetodi e le abitudini staliniste debbano essere conservate, oppure se sideve arrivare alla rinascita del marxismo, ad una rinascita nonsoltanto teorica, ma anche pratica. Queste due cose stanno in strettarelazione tra loro.

Liehm – Torniamo ancora, vi prego, ai problemi della letteratura eall’arte. Quale importanza ha per la letteratura e l’arte quanto avetedello a proposito del pensiero, della scienza?

Lukács – Ho l’impressione che oggi nei nostri paesi l’arte “apolitica”può svilupparsi con sufficiente tranquillità (sotto Stalin non esisteva, oper lo meno non appariva). Ma non vi è nessuna letteratura e arteapolitica. L’artista non può mai evitare di prendere posizione.Velasquez e Goya erano pittori di corte, ma guardate come, attraverso iloro ritratti, hanno espresso tutto il loro disprezzo per la Corte diallora. Vi sono tuttavia delle posizioni manipolate in modo veramenteoriginale. In molti paesi socialisti abbiamo una grande quantità diletteratura scientifico-sociale, i cui tratti sostanziali sono puramentepositivisti. Ma se il libro contiene un’abile prefazione che riportideterminate citazioni desiderate da certe autorità del momento, alloranella stampa e nella critica esso non incontra alcuna difficoltà. Coloro

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che soddisfano certe pretese esteriori possono scrivere in tutta calma,come si scriveva quaranta anni fa. Coloro invece che si sforzano diliberare i problemi del momento dalle posizioni del momento, cozzanosovente contro grandi difficoltà, anche se pensano marxisticamenteoppure appunto per questo. Secondo me, nell’attuale situazione, persuperare i metodi staliniani nel socialismo odierno, è essenziale che ilmarxismo non falsificato goda piena libertà di espressione.

Liehm – E la libertà della letteratura, dell’arte?

Lukács – In un certo periodo tra il 1946 e il 1947 tenni a Budapestuna conferenza sul tema “Arte libera o arte diretta?”. Già allora,affermavo che l’arte è un fenomeno sociale e per questo non vi puòessere arte assolutamente libera. Ogni società pone alla sua libertàdeterminati limiti, sia in forza delle tradizioni o per mezzo didisposizioni. Ma prima di tutto per mezzo di ciò che amo chiamareordinazione sociale fatta dalla società all’arte: attraverso queiproblemi, quelle richieste di prese di posizione, ecc., che la societàstessa (e in essa le classi) pongono all’arte. In che misura questisostengono o frenano l’arte, è un problema che non possonaturalmente affrontare qui. In ogni caso essi limitano in concreto lalibertà astratto – metafisica. L’affermazione secondo cui l’arte sotto ilcapitalismo non sia stata mai libera è una menzogna (in tal sensoabbiamo a disposizione numerose prove, da Balzac fino a Karl Kraus).

Se qualcuno si ostina ad affermare che, quale artista, ha goduto pienalibertà in una società borghese, ciò significa che egli ha saputo cosìbene adattarsi da avere l’illusione della piena libertà. Anche nelsocialismo all’arte saranno sempre poste delle limitazioni. Ogni Statosocialista dovrebbe probabilmente proibire sempre la propagandacontrorivoluzionaria sul suo territorio. Ma nell’ambito della creazioneartistica che non nega il socialismo in modo aggressivo e nel quadro dinormali condizioni di esistenza, secondo me, gli artisti dovrebbero faree creare quel che vogliono, e la critica artistica o ideologica dovrebbeseguire solamente ex post.

L’arte diretta, così come la conosciamo nell’epoca staliniana, puòportare soltanto al naturalismo erariale o al cosiddetto romanticismo

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rivoluzionario, vale a dire alla creazione di prospettive momentanee edi illusioni al posto della realtà. In effetti in una situazione consolidatal’arte ha sempre uno spazio maggiore che in una situazione di guerracivile quando è in gioco molto di più e nessuno ha il tempo dioccuparsi di certe cose come lo spazio per l’arte e la letteratura e cosìvia. In tal senso, l’epoca di Stalin si distinse per il fatto che in unasituazione normale si governò con un metodo solito per una situazionedi guerra civile. Un partito ideologicamente maturo può ovviamenteesercitare la sua influenza sull’arte e sugli artisti, ma solo in una certamisura, molto limitata. Prima di tutto perché il partito con una giustadirezione ideologica è in grado di rendere coscienti gli artisti deicompiti sociali del momento e in tal senso facilitare il loroorientamento verso la vita e il riflesso artistico di questa.

Ciò non significa affatto prescrivere, bensì sforzarsi di convincere.Prendiamo l’esempio dell’influsso di Lenin su Gorki, che senz’altro cifu, ma pensiamo anche ai limiti di questo influsso, alle lettere di Lenina Gorki: «Caro amico, io non sono della vostra opinione...». In veritàio sono contro ogni concezione della partiticità che si riduce al fattoche l’arte deve occuparsi dell’illustrazione delle ultime risoluzioni.

A differenza della ricerca scientifica, dove nell’accertamento dei fatti(ma non nella loro interpretazione) non può esistere una posizione distima, per me, in arte, dal punto di vista estetico, l’importanza di taleposizione di stima è fondamentale. Dal tempo dei tempi ormai, ognipoesia d’amore è scritta o a favore di una donna o contro di essa:dunque è poesia di parte. E appunto ogni artista – da Omero a Beckett– prende posizione su questioni di carattere privato, così come prendeposizione anche su questioni di carattere sociale, indipendentementedalla misura in cui ne è cosciente. Noi dobbiamo aspirare a che nellanostra arte la presa di posizione socialista emerga nel modo più chiaropossibile. Ma non possiamo ottenere ciò con delle risoluzioni, bensìattraverso il livello ideologico generale esistente nel paese.

Liehm – E adesso veramente l’ultima domanda: avete parlatodell’enorme importanza che in avvenire assumerà l’intero campo dellacultura. Perché?

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Lukács – Già, mi sembra proprio che in futuro l’importanza socialedel tempo libero dovrà crescere continuamente con le sempremaggiori riduzioni dell’orario di lavoro. Sebbene nel periodo stalinianosia stata trascurata per decenni l’autonoma ricerca economica dellaconcreta, legittima dinamica del capitalismo contemporaneo, che nonè stata sufficientemente elaborata, nonostante il fatto che esistonoancora i seguaci ortodossi dell’insegnamento di Stalin, i qualisostituiscono la giusta comprensione dei fatti con citazionisull’“impoverimento assoluto”, non è più possibile dubitare dei fattiche provano la crescente riduzione dell’orario di lavoro.

È noto che Marx ha visto appunto nel tempo libero le basi del regnodella libertà, dello sviluppo delle capacità dell’uomo che in sé è loscopo assoluto. Così, indipendentemente dalla volontà e dalledecisioni dei singoli, prende corpo la sfera del tempo libero, il cuivolume cresce incessantemente, e tale crescita forma per la cultura, uncampo d’attività sempre maggiore, aumentandone il peso sociale.

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Che cosa è il reale? Domandainesorabile d’un vecchio moscovitaL’intervista è del 1965 ed è stata condotta da Rossana Rossanda. Èstata pubblicata ne “Il manifesto” il 28 luglio 1991 col titolo Il miomarxismo, ne ripubblichiamo quella versione in italiano.

[Nel libro curato da Infranca, si riporta il titolo che Rossana Rossandaha posto nella sua raccolta di interviste Quando si pensava in grande.Tracce di un secolo. Colloqui con venti testimoni del Novecento,Einaudi, Torino 2013. Oltre al titolo ne riprende il cappellointroduttivo, che nella versione giornalistica non c'è. Nella versione de“Il manifesto” c’è un’affermazione di L. su Fischer inserita nel cappellointroduttivo, e poi trasformata in risposta indipendente nel libro dellaRossanda. Tuttavia, nel testo curato da Infranca, si fa un po’ diconfusione tra la versione giornalistica (che non riprende per intero,perché omette il cappello) e quella libresca (da cui riprende il titolo,ma non la prima affermazione di L.).

La versione del manifesto presenta questo incipit:

[L]a conversazione con György Lukács ha trovato il suo spunto inizialenelle recenti posizioni critiche ed estetiche di Ernst Fischer. «Ho perlui la più grande stima – comincia Lukács – e una vecchia amicizia, manon mi persuadono le sue ricerche, né quelle di Garaudy. Essi sonotroppo indulgenti verso l’arte ‘moderna’, verso i vari lonesco o Musil oBeckett. Ben poco dell’arte moderna è destinato a restare. Io miavvicino ormai agli ottant’anni, divento sempre più ‘antimodernista’ evedo la storia della letteratura come un gran cimitero: migliaia dipietre tombali e ben poche voci capaci di parlare ancora oggi. Fratrent’anni, nessuno parlerà di questi personaggi».

Ho incontrato György Lukács a Budapest nel 1965. In quegli anni ilPartito comunista ungherese era ancora sotto lo choc del ’56 e si

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presentava come molto più aperto di altri partiti dell’Europa dell’Est.Potei incontrare Lukács senza grandi difficoltà, ma forse perché ero unmembro «autorevole» di un partito fratello. Viveva da solo in unappartamentino a un piano elevato davanti all’hotel Gellert, perché lamoglie era morta da poco ed egli si apprestava a pubblicare la suaopera completa e una fondamentale «ontologia».

La conversazione ha preso spunto nelle recenti posizioni critiche edestetiche di Ernst Fischer.

Rossanda – Esiste una possibile scelta di nomi fra gli scrittori delnostro secolo? E quale può essere, a suo parere?

Lukács – Thomas Mann. E Brecht, ma soltanto il Brecht lirico e ildrammaturgo della seconda fase, dall’Anima buona di Sezuan allamorte. Nella produzione precedente egli non si libera dellaschematicità: ha momenti di poesia, ma non riesce a creare personaggiviventi – della grandezza, per esempio, shakespeariana, del finale diMadre Coraggio. E giacché abbiamo ricordato Shakespeare, chi parlaoggi – se non gli specialisti – del teatro elisabettiano? La grande arte èrarissima.

Rossanda – Si potrebbe osservare, però, che l’esperienza o la ricercadell’arte debbano essere seguite nel loro manifestarsi.

Lukács – Ma che cosa è l’arte se non è grande arte? Quando erogiovane, si andava pazzi per Maeterlinck: chi parla di lui oggi? Eppureè più interessante di Beckett. Abbiamo messo in scena, ricordo, Lacittà morta di D’Annunzio. Ora nessuno si occupa più di lui, egiustamente. Naturalmente, attorno ai rari grandi artisti c’è tutta unamolteplicità di tentativi, che ne costituiscono lo sfondo e la condizione.Occorre conoscerli e seguirli con attenzione. Ma il nostro compito veroresta quello di esprimere un giudizio di valore dal punto di vista dellavera grande arte. E in questo giudizio il momento dell’invenzionetecnica, per quanto importante, non entra. Noi assistiamo oggi, neinostri Paesi e partiti, a un’ondata di liberalismo culturale: io non sonoaffatto contrario a esso, badi. Se non altro per il suo valore pedagogico.Da noi, i giovani adorano tutto quello che viene dall’Occidente perché

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ha ancora il fascino delle cose proibite: e per questo prendono tuttoper buono, da Beckett alla pop-art. Quando questa conoscenza sarànormalizzata, il giudizio non passerà più fra cultura dell’Est e culturadell’Ovest, ma all’interno delle due culture. Per arrivare a questogiudizio, occorre uno sviluppo dell’estetica marxista. In tantaliberalizzazione, chiedo il diritto di parola anche per il marxismo. Inverità, questo è il problema centrale. Abbiamo perduto il marxismo:bisogna ritrovarlo. Dopo la morte di Marx nessuno, salvo Lenin, hadato un contributo teorico ai problemi dello sviluppo capitalistico.Bisogna tornare a Lenin e a Marx, insomma, come si usa dire, farequalche passo indietro per saltare meglio.

Rossanda – Si può già individuare un punto centrale da cui ripartire?

Lukács – Marx ha cominciato dall’analisi della struttura, e anche noidobbiamo ripartire da qui. Nelle economie socialiste c’è, dappertutto,una grande crisi di produzione. Non se ne è fatta una analisi critica difondo. Perché? Per una insufficienza teorica. Per fondare una politicadi piano occorre una teoria valida della riproduzione in un sistemasocialista. Senza questo, ogni riforma non può essere che pragmatica,empirismo puro, o tentativo di accomodare la nostra economia aquella capitalista. Le ricerche di Liebermann o di Nemčinov non vannoin fondo al problema. Le nostre pianificazioni falliscono perché nelperiodo staliniano è stata cancellata dalla teoria la dialettica tra valoredi scambio e valore d’uso, annullando con ciò di fatto la possibilitàstessa di una teoria della riproduzione. Un capitalista può farne anchea meno: per il fatto stesso che se non vende i suoi prodotti, egli siscontra con il valore d’uso nel corso di tutta la sua attività. In unaeconomia socialista questo non si verifica spontaneamente, e pertantoè necessario dare una fondazione teorica alla questione. Si tengapresente che in Marx, nel quadro della riproduzione, il valore d’usonon si presenta soltanto nella fase finale, quando il prodotto è prontoper essere venduto, ma all’inizio del processo quando il capitalistaacquista i mezzi di produzione appunto secondo il loro valore di uso.La ricostituzione di una teoria scientifica della riproduzione, insomma,può solo rappresentare il «tertium datur» che nel campodell’economia ci protegge, assieme, da una pratica settaria e da

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scivolate liberali. Si tratta, in altre parole, di fondare una economiasocialista di cui, nel periodo di Lenin, è esistito soltanto l’inizio.Questo ristabilimento teorico esige, nello stesso tempo, unristabilimento di quella democrazia proletaria che Leninaccompagnava sempre al concetto di dittatura del proletariato. Alcongresso del 1921, è sulla base di questo principio che Lenin si battécontro Trotsky: e a questo Lenin occorre tornare. Una ripresa teorica ènecessaria ugualmente per l’analisi del capitalismo, che ha subitoprofonde modificazioni, e per l’analisi delle situazioni dei cosiddettiPaesi del Terzo mondo. Il valore delle tesi cinesi in proposito èminimo, perché esse considerano in blocco situazioni affatto diverse.Nessuno ci ha dato finora una analisi scientifica della dialettica socialedei Paesi sottosviluppati.

Rossanda – A quali cause lei attribuisce insufficienza teorica?

Lukács – Evidentemente allo stalinismo, la cui caratteristica è stataquella di dedurre da alcune scelte pratiche, talvolta necessarie,determinate leggi di validità generale. Certo il politico non puòrinviare la sua azione per il solo fatto di non possedere ancora unateoria adeguata: certe scelte non possono essere rimandate. Ma altracosa è sapere che si compie una scelta contingente, conoscendone ilimiti, e altra cosa è teorizzarne la validità generale. Un marxista puòbenissimo rispondere: «Non so, non perché sia impossibile sapere, maperché non so ancora». E frattanto agire, sapendo che si muoveall’interno di un limite teorico, che dovrà superare. Nel periodo delcomunismo di guerra, Lenin ha adottato soluzioni che nonconsiderava affatto tipiche e obbligatorie per il passaggio al socialismo,ma scelte transitorie, dettate da necessità contingenti. Stalin, alcontrario, quando è stato costretto a una scelta tatticamente giusta, ilpatto russo-tedesco, ne ha derivato una teoria generale, che ha resoinsostenibile, per esempio, la posizione dei comunisti in Paesi come laFrancia. Nei confronti della Cina, egli ha sostenuto la sua posizionenegando che le forme della rivoluzione in Cina dovesserocaratterizzarsi con la presenza del «modo di produzione asiatico», einventando un inesistente «feudalesimo» dal quale la Cina sarebbedovuta passare alla «rivoluzione democratica». Il male viene dunque

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quando a certi mezzi di accelerazione politica – che possonomomentaneamente imporsi – si vuol dare il carattere di legge teorica.Di qui quella corruzione del senso teorico, sulla quale è cresciuta unaintera generazione.

Rossanda – Come si spiega che questa difficoltà sussiste dopo il XXCongresso?

Lukács – Anzitutto c’è una resistenza delle forze staliniste. È difficilefare un’autocritica fino in fondo. Difficile anche perché la corruzioneintellettuale di cui parlavo ha prodotto una generazione tentatadall’empirismo. Sono ben pochi i teorici fra gli attuali dirigenti delmovimento operaio. Siamo all’inizio di un lungo periodo ditransizione.

Rossanda – Come considera lei sotto il profilo teorico il dissensorusso-cinese?

Lukács – Vorrei dire che l’Urss ha ragione, ma non possiede lacoscienza teorica della sua ragione storica. La Cina – spinta a ciò dallapolitica occidentale – pretende di elevare a generalizzazione teoricauna sorta di comunismo di guerra, di politica del tanto peggio tantomeglio. Nei confronti dell’Urss i cinesi hanno torto, il loro è un ciecoradicalismo, ed è pericoloso. Il settarismo può fare danni limitati in unpiccolo partito europeo; altra cosa è quando agisce una grandepotenza. D’altra parte la posizione di Stalin nel ’24 concernente ilsocialismo in un Paese solo, era giusta: ma nel 1945, la situazione eraaffatto differente. L’incapacità di adeguarsi ha provocato il conflittocon la Jugoslavia, e le difficoltà successive del campo socialista. Nellostesso tempo, rispetto alle dimensioni attuali della guerra, non c’èdubbio che la tesi sovietica della coesistenza è giusta, e le decisioni –per esempio concernenti Cuba – sono state sagge. Naturalmente lastoria presenta sempre nuovi problemi: l’affare del Vietnam ripropone,verosimilmente, una collaborazione russo-cinese. Tra gli anni Venti eTrenta la politica sovietica ha avuto un grande fascino per tutto ilmovimento socialista nel mondo. Con lo svilupparsi dello stalinismo,questo fascino, questo modello, si è andato spegnendo. Finché non sisarà fatta una riforma interna dell’economia e dell’ideologia, questo

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ascendente non si riavrà. Si deve allo stalinismo se oggi la rivoluzionein Occidente non è all’ordine del giorno. Occorre riconoscere chequesti guasti vanno riparati con un lungo processo, che la rivoluzionein Occidente non si farà domani. Anche saper attendere esige forza, ioaspetto questa profonda riforma che ci restituirà tutta la nostraattrattiva ideale. E nel caso dei popoli sottosviluppati? La rivoluzionemondiale sarà più lenta. Nel 1905, Lenin sosteneva contro Trotsky chela rivoluzione mondiale non era all’ordine del giorno. Il problema deipopoli sottosviluppati è soprattutto quello della elaborazione di formedi transizione verso il socialismo.

Rossanda – In che modo concepisce lei il rapporto fra il marxismo ealtre culture? Vorrei ricordarle, ad esempio, la posizione di Sartre sulrapporto fra psicoanalisi e marxismo.

Lukács – Marx ha perfezionato la dialettica hegeliana. Ha capito cheil mondo non è composto da elementi separati, ma che l’elementoprimo è un complesso dinamico concreto, del quale è possibileesaminare gli elementi riferendosi alla totalità. La dialetticamaterialistica è dunque il solo metodo che permetta di comprendere icomplessi in quanto tali, e di comprendere anche le categorie cheesistono soltanto in quanto reciproche («Reflexionsbestimmungen»).Ho per Sartre, come pensatore e come uomo, una stima assoluta: egliha compreso di non poter lavorare se non con il marxismo. Marx haanche operato grandi integrazioni culturali. Ma Sartre si sbaglia nelnon comprendere la dialettica, nel non vedere che l’ontologiadell’esistenzialismo è incompatibile col materialismo. Ne deriva lacontraddittorietà dei suoi risultati. A proposito di Freud, la posizionedi Sartre viene dal fatto che egli concepisce la relazione fra uomo ecategorie sociali come una relazione a posteriori: in questo non haabbandonato la vecchia concezione di Heidegger, secondo cui l’uomo ègettato nella realtà sociale. In verità l’uomo e l’essere sociale sonotutt’uno. Una psicologia, come quella di Freud, che ipotizza l’uomocome isolato, non ha nulla a che fare col marxismo. Personalmente ionon credo in una psicologia, ma in un’antropologia, nel senso che perMarx ogni uomo ha una determinazione fisiologica e unadeterminazione sociale. Del resto l’etnografia moderna sembra dar

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ragione a Marx: essa ha scoperto che perfino le funzioni elementari –l’alimentarsi e i rapporti sessuali – sono determinati socialmente, nelsenso dunque che non esiste una sessualità, che si presenta di volta involta con variazioni storiche, ma esiste un processo della sessualità. Illimite di Sartre è quello di accettare il materialismo storico e nonquello dialettico.

Rossanda – Come interpretare oggi la questione del materialismodialettico? Riferendoci a Materialismo ed empiriocriticismo di Lenin?

Lukács Io difendo quello studio di Lenin. Egli ha scritto, nel ’19, coseprofetiche: per esempio, che l’eccessiva applicazione dellematematiche sarebbe stata un aiuto all’idealismo. Era giusto. Nonescludo che la logica neopositivistica abbia un valore, ma essaconsidera a torto l’ontologia come un problema esoterico. Non èpossibile addentrarmi qui nella questione, e non vorrei che il miopensiero in proposito fosse giudicato dalle definizioni sommarie diquesta conversazione: è questione che va affrontata nel modo dovuto,in altra sede. Grosso modo, secondo me la logica neopositivista credeche una cosa sia risolta quando è stata determinata matematicamente.Ora resta irrisolto il problema della corrispondenza con la realtà.L’astronomia di Tolomeo era matematicamente possibile, consentivala navigazione e nondimeno non corrispondeva alla realtà. Che cosa èla realtà? Questo è il problema centrale. Nella vita sociale soggettivitàe oggettività sono legate: nella natura, un mondo oggettivo puòesistere senza soggetto, ma la società non può esistere senza soggetto.Occorre uscire assieme dalla falsa oggettività del neopositivismo edalla falsa soggettività dell’esistenzialismo: ambedue non riescono acogliere la realtà. Che è perduta egualmente nell’arte moderna, o nellostalinismo. Io parlo di rinascita del marxismo come rinascita del sensodella realtà! Ma – ripeto – sono questioni sulle quali non vorrei esserefrainteso per la forma approssimativa di queste affermazioni. Laquestione va affrontata a fondo. Sto scrivendo un’etica: el’introduzione a questo studio è ormai diventata un libro a sé, chepubblicherò col titolo di Ontologia dell’essere sociale.

Rossanda – Veniamo alla questione del realismo, e se esso debba

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presentarsi o no come posizione di un partito in sede estetica.

Lukács – Io non credo che il partito debba avere una sua posizioneestetica. I casi in cui i comitati centrali si sono espressi in tema dimusica, o di cinema, sono casi ridicoli, e non solo perché le posizioni làsostenute erano infondate. Il partito è più importante, la sualeadership può e deve esprimersi senza entrare nel merito delle opereo indicare una poetica. Tanto, in ogni caso, il corso dell’arte segue lasua strada... Altra cosa è che il partito aiuti l’evoluzione di una esteticamarxista. L’arte è un modo di verificarsi della realtà e per questo a unpartito giova sempre prenderne conoscenza. Lenin lo sapeva bene.Naturalmente, questa verifica può avvenire come confronto o comefuga: come comunista sono per il confronto e contro la fuga – maquesto non implica un giudizio di valore estetico. Vediamo unaquestione attuale come quella dell’alienazione: essa può essereconsiderata come un fatto sociale, seguendo Marx, o come una eternacondizione umana. Questo secondo modo è una fuga e, come marxista,sono contro. E tuttavia, su questa base si possono scrivere poesieottime. Sotto il profilo di una politica culturale, peraltro, essendo assaidifficile definire una verità artistica, il metodo della libera discussionemi sembra il più proficuo.

Rossanda È al corrente delle critiche secondo cui la sua ricerca haimplicitamente favorito le posizioni dogmatiche?

Lukács – La mia posizione è stata sempre contestata. Di qui atrentanni mi daranno ragione... Vede, la maggior parte dei critici dioggi si limita a una critica tecnica. Ma il marxista deve affrontare legrandi questioni estetiche. Io mi sento sempre più «antimodernista»perché l’arte moderna ha generalmente una sola dimensione. Non siconfronta con la realtà. Confrontarsi con la realtà significaconfrontarsi con la multidimensionalità del reale. Pensi a Cézanne, cheindicando un suo quadro, afferma: «Questa parte non è buona, perchéè solo colore e non espressione»; ecco un confronto in una questioneestetica concreta. Matisse non si pone questo problema: il suo colorenon è espressione, ma decorazione.

Rossanda – Ma se all’esempio di Matisse sostituiamo quello di

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astratti? Essi – Mondrian, per esempio – si propongono unainterpretazione, e non solo una decorazione.

Lukács – Non voglio generalizzare. Ma gli astratti, e Mondrian, miinteressano ancora meno di Matisse. Non arrivano neanche alladecorazione... Torno a insistere che il problema dell’arte è diverso daquello della tecnica artistica. Il grande viaggio di Jorge Semprún èscritto secondo la tecnica del monologo interiore, secondo la scuola diJoyce: eppure va in direzione affatto opposta. Il valore di questo librosta nel fatto che la forma più brutale dell’angoscia non è data comeuna condizione umana universale, ma come una condizione concretadell’uomo. Quanto al realismo socialista, di cui Fischer e Garaudy nonvogliono più sentire parlare, esso resta, secondo me. È l’arte in gradodi esprimere una situazione sociale. Può essere buono, o no: può avereforme differenti, a seconda dell’evoluzione storica. Pensate al realismodi Defoe o di Fielding, e a quello di Thomas Mann. Certo, si è fattotutto il possibile per compromettere il realismo socialista. Ma poiviene uno scrittore come Solženitsyn, lo ritrova, lo verifica, e gli dà unaforma nuova.

Rossanda – È stato osservato che lei indica in Solženitsyn e nellaricerca della condizione umana e sociale del periodo di Stalin ilmodello di un realismo attuale. È esatto?

Lukács Non lo addito a modello. È solo un inizio. Ma certo essoindica le forme recenti del conflitto sociale. Ai tempi di Sholokhovquesti conflitti erano diversi. Si dice che la storia ha già superatoquesta fase, ma come può uno scrittore costruire un personaggio senon nello sfondo dell’intera esperienza che lo ha formato? E Balzacsenza il riferimento al periodo napoleonico? Tutti noi, salvo coloro cheoggi hanno vent’anni, siamo dei sopravvissuti all’età di Stalin, ed èimpossibile avere oggi un confronto con la realtà, senza porci questaquestione. E del resto, il nostro grande compito di oggi è quello disuperare questo periodo.

Rossanda – Un’ultima domanda. Qual è la sua attuale posizione neiconfronti della sua opera giovanile Storia e coscienza di classe?

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Lukács – Questa opera ha il merito di avere affrontato per la primavolta il problema dell’alienazione. Ma quando l’ho scritta nonconoscevo il giovane Marx. Quando nel 1930 andai nell’Urss e lessi iManoscritti, mi resi conto che avevo interpretato l’alienazione in unamaniera hegeliana, e che tutta la critica che Marx faceva di Hegelvaleva anche per Geschichte und Klassenbewusstsein che, perciò, nonpuò che considerarsi sorpassata.

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Lukács: ritorno al concretoIntervista concessa a Naïm Kattan e pubblicata nella “QuinzaineLittéraire”, 1/15 dicembre 1966 con il titolo “Lukács: revenir anconcret”. Tradotta e pubblicata in italiano da “L’Espresso”, n. 2,gennaio 1967, p. 11 con il titolo “Lo scrittore a piede libero”, senzaindicazione del traduttore.

L’appartamento di Lukács è all’ultimo piano di un edificio che siaffaccia sul Danubio. Le pareti sono tappezzate di libri. Guardo a caso:opere complete di Hegel e di Marx. Sulla scrivania, altri libri, riviste inungherese, in tedesco, in francese. È qui, che da dieci anni, Lukácsprosegue nel suo lavoro.

Si sa che fu Ministro della Cultura nel governo di Imre Nagy. Dopo chela rivoluzione ungherese fu schiacciata, Lukács visse alcuni mesi, in unesilio volontario, in Romania. Dal suo ritorno, si è imposto il compitodi terminare la sua “summa” filosofica. Un primo volume di più dimille pagine è già stato pubblicato in tedesco. Lukács è in tenuta dalavoro: pantaloni scuri, giacca kaki. Piccolo e magro, dà l’impressionedi possedere un mondo. Ci si dimentica che egli ha 82 anni.

«Ho cominciato la mia vera opera a 70 anni», esordisce Lukács. «Avolte, si direbbe che esistano delle eccezioni alle leggi biologiche. Inquesto senso sono un seguace di Epicuro. Ma io pure invecchio. Permolto tempo ho cercato la mia vera strada. Sono stato idealista, poihegeliano, e in Storia e coscienza di classe ho cercato di esseremarxista. Durante lunghi anni sono stato funzionario del PartitoComunista a Mosca; è in questo periodo che ho avuto il tempo dileggere e rileggere molto, da Omero a Gorki. Fino al 1930, però, i mieiscritti erano soprattutto delle esperienze intellettuali. È dopo chevennero i primi traguardi e le basi per il lavoro successivo.

Questi scritti possono sembrare oggi superati, ma essi hanno forse

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fornito ad altri un suggerimento, una spinta. Certo, può sembrarestrano che io abbia dovuto toccare il settantesimo anno per mettermi alavorare intorno alla mia opera. Una vita non è poi infinita. Pensate aMarx, a questo genio colossale. Ebbene egli non è riuscito a dare cheun abbozzo del suo metodo. Nella sua opera non ci sono tutte lerisposte che vorremmo. In realtà, stava nel suo tempo. Io utilizzo il suometodo per i miei studi di estetica. Se egli vivesse oggi, sono sicuro chescriverebbe di estetica».

L’integrità dell’uomo

Kattan – Interrogo Lukács sulle sue amicizie di gioventù, quando erastudente ad Heidelberg. Ha conosciuto Heidegger, Stefan George?

Lukács – Non ho mai conosciuto né George né Heidegger.

Kattan – Si dice che quest’ultimo collaborò con i nazisti, è vero?

Lukács – Non c’è neppure bisogno di dirlo, Heidegger era un nazista.Non c’è il minimo dubbio a proposito. D’altronde egli è stato sempreun reazionario.

Kattan – Chi erano i suoi amici?

Lukács – Max Weber, al quale ero molto legato.

Kattan – Ma torniamo ai contemporanei.

Lukács – Non ho molta fiducia nelle tendenze del pensierocontemporaneo in Occidente, si tratti del neopositivismo odell’esistenzialismo. Trovo che sia più utile rileggere Aristotele per laventesima volta.

Kattan – Le interessa la sociologia?

Lukács – Wright Mills mi interessava molto. Egli aveva il senso dellarealtà. Nella sociologia americana è stata una vera eccezione, ma ingenere questa sociologia non mi soddisfa affatto. Separare lasociologia dall’economia mi pare accademico. Marx non le separava

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affatto.

Kattan – Si parla molto di Marx giovane ...

Lukács – È un invenzione del nostro tempo. La contraddizione che sicerca nella sua opera è fittizia. La verità è che egli non ha mai smessodi approfondire la sua filosofia. Veda, egli si interessava prima di tuttodella realtà. Dopo Aristotele, è stato lui che ha avuto l’idea più precisadi ciò che è unito e ciò che è separato, non nei libri, ma nella realtà. Èper questo che io elaboro un’ontologia sociale.

La sociologia di gruppo? Un’invenzione per manipolare la società. Voiseparereste per esempio il movimento giacobino dai gruppi giacobini?In sociologia è necessario andare fino al fondamento obiettivo deimovimenti. Bisogna prendere i grandi avvenimenti della vita socialenella loro totalità. Altrimenti, come spiegarsi che delle genialiintuizioni scaturiscano nello stesso momento in paesi diversi e indiversi settori? Come capire il legame che unisce Newton a Leibniz?Gli avvenimenti isolati non hanno alcun significato se non li si collocanella prospettiva di una totalità.

Kattan – Tuttavia, l’alienazione ...

Lukács – L’alienazione è esistita in tutte le civiltà. Da circacinquant’anni persiste in una nuova forma. Molti credono che essa siauna conseguenza della tecnologia, mentre uno studio della totalitàdimostra che la tecnica non è una forza fondata su se stessa, ma unaconseguenza del movimento delle forze produttive. Essa dipende dallastruttura sociale. Bisogna sempre ricorrere al metodo marxista.

Kattan – Torniamo alla letteratura. Cosa pensa delle nuove ricerchetecniche?

Lukács – Tutto dipende da ciò a cui si applica la tecnica. Guardate ilmonologo interiore in Joyce e in Thomas Mann. Per Joyce questatecnica è un fatto a se stante, Mann invece l’utilizza come modo dicostruzione, per far apparire qualcosa d’altro. A dispetto dei suoimolteplici camuffamenti, una gran parte della letteratura moderna è

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ancora naturalista. Essa non offre che un quadro superficiale dellavita, senza riuscire a riflettere la realtà».

Kattan – E il teatro dell’assurdo?

Lukács – L’assurdo non è altro che il grottesco. Niente di nuovo inquesto senso. Guardate Goya, Hogarth, Daumier, in essi l’assurdoscaturisce dall’accostamento di due condizioni: la condizione normalecon la sua deformazione. Il grottesco non ha senso se non è messo inrapporto con l’umano.

Ma in parecchi scrittori contemporanei l’assurdo non è messo inrelazione con l’umano; esso è considerato come una condizionenaturale. Se non si distingue ciò che è umano da ciò che non lo è, ilsenso dell’umano si perde. Non si ottiene altro che una istantanea diun certo aspetto della vita. Cioè, ancora, una forma di naturalismo. SeEugene O’Neil è un commediografo ammirevole, è perché egli proponeuna dialettica vivente dei rapporti fra l’umano e il grottesco.Prendiamo un altro scrittore, un romanziere, Jorge Semprún. Egliutilizza il monologo interiore per rappresentare il combattimentocontro l’alienazione fascista. Ma in Beckett questo combattimento nonesiste: egli capitola davanti all’alienazione moderna».

Kattan – In questa sua analisi c’è una presa di posizione politica?

Lukács – Per nulla. Un altro scrittore che io ammiro Thomas Wolfe.La sua opera è una lotta contro l’alienazione nella vita americana.Ammiro anche Styron ed Elsa Morante, che, a mio avviso, è più dotatadi suo marito, Alberto Moravia. Io non propagando né una tecnica néun’ideologia. Ciò che io difendo è l’integrità dell’uomo, per cui mioppongo ad una letteratura che tende alla distruzione di questainterezza. Io non nego il valore di Joyce o di Proust. Il primo è uneccellente osservatore, e il secondo uno scrittore molto importante. Lasua opera continuerà ad esercitare una profonda influenza sullaletteratura perché contiene una dialettica passato-presente. Ciò cipermette di collegare il problema dell’alienazione».

Passato e futuro

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Lukács – Resta tuttavia che il passato ha un vero senso solo nellamisura in cui agisce sul futuro. Io non parlo soltanto delle società, maanche degli individui. Questa ricerca del tempo perduto è tipica di unuomo che non ha futuro.

La vera radice di tutta l’opera di Proust si trova nell’ultimo capitolodella Educazione sentimentale, quando Federico Moreau rievoca il suopassato.

Kattan – E Sartre?

Lukács – È un uomo molto vivo. Io lo capisco molto meglio dacché holetto Le parole. Che opera ammirevole. Essa dimostra che quest’uomonon ha mai contatto con la realtà. Io sto aspettando che Sartre subiscalo choc della realtà. Egli è stato coraggioso durante la guerra inAlgeria.

Kattan – E come filosofo?

Lukács – Ha fatto dei progressi dopo L’essere e il nulla avvicinandosial marxismo. Tuttavia, c’è in lui una debolezza. Quando la vital’obbliga a cambiare punto di vista, egli non vuole cambiarloradicalmente, vuol dare l’illusione della continuità. Nella sua Criticadella ragione dialettica accetta Marx, ma lo vuole conciliare conHeidegger. La contraddizione è chiara. C’è un Sartre numero unoall’inizio della pagina, e un Sartre numero due alla fine della stessapagine. Che confusione nel metodo e nel pensiero!

Kattan – Crede che lo scrittore debba svolgere un ruolo sociale?

Lukács – Gli esistenzialisti hanno falsato il problema. Non si scegliené il luogo né la data della propria nascita. Noi diciamo sì o no allarealtà, che esiste malgrado noi. L’uomo è un essere “rispondente”.Dipende da lui dire sì o no, ma non dipende da lui dire sì o no allarealtà così come essa esiste.

E questa realtà è quella che lo circonda. Non dipende né da lei né dame che ci siano delle automobili nella strada, o che lei ami sua moglie

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e non l’amica di sua nonna. La sola scelta che lei deve fare è di nontraversare la strada o di non amare sua moglie. Il rapporto tra lalibertà interiore e le necessità esterne è molto complesso. Marx non hanegato l’esistenza della scelta».

Il muratore sceglie la pietra

Lukács – Tutto questo c’è già nel lavoro, il muratore sceglie unapietra e questa scelta fa sì che il suo lavoro sia buono o cattivo.Comunque il problema è sempre quello di scegliere tra due pietre enon tra una pietra e un pezzo di bronzo. Il problema della libertà edella necessità sociale si pone in una prospettiva di evoluzione storica.È un problema dialettico. Considerare la libertà su un piano astrattoconduce a posizioni erronee. Io mi oppongo al burocrate che definiscela funzione della letteratura. Ma non si può parlare di libertà se non sianalizza la situazione concreta. Io sono per la libertà dello scrittore,ma bisogna intendersi. Quando in un paese socialista si impedisce aduno scrittore di esprimersi, io mi levo contro questa limitazione dellasua libertà, ma non lo faccio certo per accettare la libertà di voicapitalisti. Ho capito questa lezione molto presto, da giovane.

Durante un breve periodo sono stato critico teatrale in un grandegiornale. Le mie critiche non piacevano e ho dovuto lasciare l’impiego.Lei sa come me che la libertà di stampa non esiste se non in manierarelativa. Chi nei paesi capitalisti scrive per un giornale, sa quali sono ilimiti che non bisogna valicare. Si praticano degli accomodamenti. Traquesta manovra sottile e la libertà c’è una grande differenza. Lo spiritoburocratico che minaccia lo scrittore e il giornalista nei paesi socialistinon è che un’altra forma di intervento, magari più brutale. Se voleteche si discuta sulle due forme di intervento, la nostra discussioneporrebbe avere un senso: ma ciò che non accetto è la pretesa di chivorrebbe che da una parte la libertà esiste, mentre dall’altra è assente.Io sono contro le discussioni astratte. Il marxismo ci richiama sempreal concreto».

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Intervista sconosciuta del 1968Traduzione di A. Infranca

Dal 1967 Lukács aveva ripreso la tessera del Posu, il Partito socialistaoperaio ungherese. György Aczél, l’allora segretario del ComitatoCentrale gli chiese di collaborare con i membri dirigenti del partito,sviluppando le sue opinioni sulle questioni politiche e teoriche delmomento. Così si preparò la presente intervista, a titolo informativo,fatta pervenire ai membri del Comitato Centrale il 22 luglio 1968.

Lukács e i dirigenti del partito erano arrivati a un comune accordo: intal modo le questioni trattate e le sue opinioni potevano essereascoltate, ma non potevano essere rese pubbliche.

La prima parte della presente intervista è dedicata alla personalitàpolitica e teorica di Palmiro Togliatti e, a questo proposito, Lukács sioccupa delle questioni teoriche e politiche a lui connesse. Il puntosaliente è la prospettiva di una possibile alternativa di sinistra inEuropa, analizzando l’articolo di Togliatti su “Capitalismo e riforme distruttura” (Rinascita, 11 luglio 1964), che contiene gli appunti, scrittiqualche ora prima della sua morte, sull’unità del movimento operaiointernazionale. L’intervista è a cura di Ferenc Fehér.

* * *

Fehér – Oggi conversiamo sul fondamento della personalità teoreticae politica di Togliatti. Compagno Lukács come consideri le doti diTogliatti nella salvaguardia della teoria marxista, e dove vedi i limititeorici della sua personalità?

Lukács – Se parlo dell’uomo Togliatti, devo innanzitutto rilevare chesi tratta di un uomo di eccezionale capacità politica, con una visionepuntuale sulla peculiarità di ogni situazione, che è in continua ricercae non ragiona schematicamente su nessuna questione; dunque

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sarebbe possibile dire che nella nostra epoca è stata indubbiamenteuna delle personalità politiche più grandi. Poi si deve aggiungere – eciò non ne diminuisce l’importanza – che nonostante Togliatti siarelativamente la personalità politica più grande di questa epoca,purtroppo, condivide largamente i fondamentali errori dell’ambitomarxista.

Si deve poi dire più precisamente che nell’attuale momento, per certesue particolarità, la tattica sostituisce completamente l’analisi teoricadel fondamento. Togliatti, anche se affronta molto meglio di tutti i suoicontemporanei la questione, non va fino alle conclusioni teoricheconseguenti; però, bisogna anche ammettere che, dopo la morte diLenin, nessuno ha messo in atto le conclusioni delle sue analisi,benché siano molto chiare anche in merito alla linea tattica.

Fehér – Lei fa riferimento, molte volte, e in particolare nelle suedichiarazioni e nei suoi scritti, alla deformazione dei rapporti tratattica e strategia, come una delle principali malattie dell’attualesviluppo marxista. Potrebbe mostrare con uno o più esempi questoproblema nella personalità di Togliatti?

Lukács – Credo che si tratti di una questione estremamentefondamentale. Engels aveva già parlato, a suo tempo, su questaquestione affermando che il socialismo scientifico si è sempre espressosulla necessità della ricerca scientifica specifica in merito alla propriadeterminata epoca. Lenin si mosse in questa direzione, con alcuni suoieccellenti contemporanei – ricordo ad esempio, Rosa Luxemburg – edanalizzò le particolarità teoriche del nuovo capitalismo edell’imperialismo a lui contemporanei. Da quelle particolarità teorichesono state elaborate strategie confacenti, tra le quali emerse anche laquestione tattica.

È chiaro che durante la rivoluzione, le lotte immediate sirappresentavano direttamente come scontri tattici, ma in questiscontri tattici si possono vedere, con estrema chiarezza ed in primopiano, affermazioni di grandi problemi teorici. Pensiamo soltanto acome Lenin abbia trattato l’effettivo passaggio dal comunismo diguerra alla Nep, non come un nuovo problema tattico, ma piuttosto

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come una questione insieme tattica e strategica, conseguenteall’analisi fondamentale della situazione. Quando, dopo la morte diLenin, emersero grandi e complessive questioni della rivoluzione,nessuno degli uomini che partecipavano a quei dibattiti – e sottoquesto aspetto non si tratta solo di Stalin, ma anche di Trockij,Zinoviev, Kamenev, Bucharin e i dirigenti dei partiti europei – fucapace di comprendere, tra le questioni teoriche generali delmarxismo, ma inserite in una nuova fase speciale, quel primofondamentale problema del momento, cioè la questione di un effettivosocialismo in uno Stato socialista in costruzione; e perciò il problema èstato posticipato fino ad oggi, sia nel movimento europeo, che neipaesi socialisti.

Questa nefasta deformazione, dopo Lenin, si rafforza, tanto che, aitempi dello stalinismo, essa corrobora pienamente le tendenzeantidemocratiche, per cui tutte le ricerche scientifiche su di essavengono sospese fino ad oggi. Se percorressimo nel socialismo le opereeconomiche teoriche realizzate, vedremmo che vi sono sempresostanziali variazioni rispetto all’antico fondamento; ma per gli effettidella deformazione prima ricordata, i lettori della stampa comunistaoccidentale credono ancora oggi alla teoria del necessarioimpoverimento crescente, mentre la maggioranza della classe operaiaamericana pensa a come riempire il tempo libero. Qui c’è unagrottesca controversia, della quale – purtroppo – anche Togliatti nonha saputo liberarsi.

Fehér – Però forse Togliatti ha compreso la contraddizione di questasituazione e, fino a un certo punto, si è servito del grande culto diGramsci, che caratterizzava l’intero Partito comunista italiano. Ilvalore di Gramsci, nello stesso tempo, ha sollevato anche la questionedell’eredità teorica degli anni Venti, di cui fa parte anche la sua operadal titolo Storia e coscienza di classe, ed altre. Secondo il suo punto divista, quanto è sfruttabile l’eredità teorica degli anni Venti nei nostriattuali conflitti?

Lukács – Credo che dobbiamo cominciare da una mossa critica.Indubbiamente si sono prodotte novità teoriche negli anni Venti, in

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rapporto alla teoria di Lenin. E indubbiamente ce ne sono in Korsch,in Gramsci e nelle mie opere di quel tempo. Quelle tendenze furonostroncate dal Comintern dell’epoca, soprattutto per quanto riguardaKorsch e me; invece l’enorme vantaggio del movimento italiano fu cheGramsci non cadde in contrapposizione con l’Internazionale, quindiquello che vi era di positivo in Gramsci, e vi era di molto positivo inlui, poté essere investito nei problemi del movimento italiano.

Però se si guardano le teorie degli anni Venti, c’è in esse un errore, cheè in opposizione agli ulteriori sviluppi del Comintern. L’ulterioresviluppo, infatti, trascurò grandi questioni teoriche, orientandosi versocaratteri puramente tattici. Penso qui a ciò che accadde soprattuttoriguardo a Korsch. Provammo, per mezzo di Lenin, a tradurre lequestioni teoriche all’intero marxismo, non parlo di quantogiustamente o meno, riguardo a me stesso, perché ne ho già scritto piùvolte. Molto di più non c’è in queste questioni teoriche, da un correttopunto di vista, tuttavia per mezzo nostro fondando o continuando asviluppare queste teorie non furono tratte le conseguenze pratiche infatto di strategia e tattica, quindi rimase il fatto che manca unadecisiva analisi degli anni Venti nella teoria marxista.

Lo stesso avvenne nell’opposizione, perché – come potrei dire – siafferrò il problema troppo in alto, troppo genericamente, lo stesso nelpartito di governo, perché si ridusse il problema a pura tattica. Rimaseuna tale astrattezza, e va ricordato che il Comintern, di cui Lenin era ilteorico, visse un’epoca di relativa stabilizzazione e alla fine delcosiddetto periodo degli anni Trenta si incappò nella crisi del ’29, incui nacque l’illusione che si potesse rinnovare il momento del ’17 edera ancora possibile realizzare il socialismo in Europa.

Nel corso di questo periodo, l’analisi del capitalismo tralasciò il fattoche il capitalismo nell’intero campo sociale era stato posto su unnuovo fondamento: il fascismo non era il rinnovamento dell’anticareazione, piuttosto una specifica reazione del nuovo capitalismo.

Di conseguenza una vera comprensione teorica del fascismo sorgeràsoltanto approssimativamente nel 1935 nella riflessione di Dimitrov.Tutto ciò manca profondamente nella teoria comunista. La causa di

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questa situazione è che non abbiamo saputo cogliere dai teoriciufficiali degli anni Venti una misura storicamente valida oggi, ma sepensassimo di risolvere i nostri problemi di oggi tornando ai teoricicritici degli anni Venti, secondo me questo è un errore, anche nel casodi Gramsci.

Fehér – Se si accetta Togliatti come un teorico stimolante – e pensoche anche Lei sia di questo avviso – evidentemente la prima questioneepocale, che stimola la riflessione, è la struttura del capitalismo di oggie ciò coincide con le contraddizioni fin qui indicate da Lei. In cosavede sommariamente e brutalmente la particolarità strutturale delfondamento del nuovo capitalismo, quali strategie del movimento deilavoratori si prevedono?

Lukács – Possiamo detestare un grande fatto economico generale?

Quando Marx fondò la sua teoria, Engels e Lenin elaborarono la loropropria strategia nel senso classico, il vero capitalismo realizzò unagrande concentrazione di materia prima, di lavoratori e di industriameccanica. Il soddisfacimento dei bisogni umani era nel potere degliartigiani. Dunque il capitalismo per Marx è innanzitutto la relazione dimaterie prime, lavoratori e industria meccanica. Nel periodoimperialista il capitalismo si espande all’intera società. D’altra partetutti oggi sanno che l’intera produzione – dalle scarpe ai rasoi – nellasua completa totalità è conseguenza della produzione della grandeindustria: ma nonostante il settore dei servizi sia molto più piccolodella grande industria – non sono un economista e conosco soltanto lestatistiche di seconda mano, ma economisti me l’hanno riferito – oggiin America nei servizi sono impiegati più lavoratori che nell’industria.

Questo è un fatto estremamente importante, per cui – innanzituttoprendendolo teoricamente – va posto in prima linea ciò che Marxconosceva chiaramente. Marx vide che lo sviluppo capitalisticoprogredisce nel passaggio dallo sfruttamento del plusvalore assolutoverso il plusvalore relativo, però va aggiunto che Marx non videfondamentalmente l’ulteriore aspetto di un’epoca radicalmente nuovanel capitalismo. Egli, in un passo, spiegò che il plusvalore assoluto è lasottomissione formale della produzione al capitalismo, che però con il

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passaggio al plusvalore relativo avviene la sottomissione reale. Dunquein fondo l’essenza del capitalismo si realizza in questo modo.

Tuttavia ciò comporta una questione fondamentale. Non è possibiledimenticare che già Marx ed Engels trattarono straordinariamente eaccortamente la questione della depauperizzazione, anche sesuccessivamente in Kautsky tutto ciò diverge dal quadro principale. Sideve aggiungere che le osservazioni di Lenin sono molto accurate suciò. Dunque la questione è che se la depauperizzazione è il fondamentoper una rivoluzione socialista, allora come potrebbe realizzarsi nellasocietà attuale? Non è possibile che noi crediamo all’opinione chenell’intero mondo si sia estinta la miseria, ovviamente non è così!Neanche negli Stati Uniti!

La questione è soltanto che non c’è una tendenza generale delcapitalismo verso la depauperizzazione, e quindi, in secondo luogo, sidevono cercare nuovi motivi del conflitto capitalismo/socialismoemergenti nella società attuale, e chi semplicemente parte daun’analisi di ottanta o novanta anni fa, giungerà a conclusionicompletamente scorrette e cattive.

Pensiamo, per esempio, a quanto decisiva sia la parte che giocòancora, per la formazione della II Internazionale, la questione dellagiornata di lavoro di otto ore, come un gigantesco obiettivo ottenibile.

I poeti dell’epoca scrissero versi su questo, perché la diminuzione deltempo di lavoro è in rapporto con la vita umana stessa.

Oggi in una parte considerevole della classe operaia il problemafondamentale è come occupare il tempo libero. Oggi, con unasettimana lavorativa di cinque giorni, si deve guardare alla questionecome risolta per una parte decisiva del movimento operaio, rispetto aiproblemi del tempo di lavoro di novanta anni fa; cioè – senza essereun economista, vorrei soltanto accennare alla questione moltoimportante – la struttura del capitalismo attuale si differenzia dalvecchio capitalismo, per ciò che riguarda i suoi effetti, anche controtutte le cosiddette previsioni: secondo gli schemi del XIX secolo sisarebbero succedute già quattro grandi crisi, a partire dal 1929,

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quando ci fu l’ultima grande crisi, e trascorsi quaranta anni da alloranon ce n’è stata nessuna.

Se la nuova struttura ha un tale fondamento, la mia convinzione è cheprima potevamo giudicare genericamente sulla strategia o sulla tattica,adesso il nostro primo compito è una vera analisi di questa economia:ma nessuno ha eseguito questo compito, né i russi, né il Comintern, eaggiungo né Togliatti, né il partito italiano.

Fehér – Risulta evidente che la vera questione sarebbe quella che lanuova struttura del capitalismo fa sorgere nuove tensioni e conflittisociali, tanto che si possono comprendere gli inizi della nuovastrategia del movimento operaio.

Lukács – Innanzitutto per completare ancora ciò che ho detto inprecedenza, si deve esporre che sulla base di questo cambiamento, delquale ho parlato, la classe capitalistica in quanto classe è oggiampiamente interessata alla classe lavoratrice come classeconsumatrice. Questo nuovo fatto non sussisteva nel vecchiocapitalismo. Forse qui si realizza una nuova situazione della quale nonso naturalmente dare una vera analisi in quanto non sonoun’economista, ma desidererei indicare soltanto alcuni importantiaspetti.

Per esempio che nella lotta contro il fascismo nell’acutacontrapposizione con la società capitalistica i partiti esistenti inquanto tali, per così dire, hanno cessato di esistere mondialmente.Oggi, eccetto Francia e Italia, mondialmente non esistono i partiticomunisti come grandi e influenti critici; anche i partitisocialdemocratici ovunque costituiscono l’ala sinistra del capitalismo– spesso pure non completamente a sinistra. A conferma di quanto hodetto, c’è che non sarebbe forse più possibile chiamare “industriale” lanuova società, e quasi non la si potrebbe chiamare neanche“capitalista”, ma di questa situazione in pochissimi provano oggi adare spiegazione.

Mentre però nel capitalismo prebellico i partiti socialisti hannorappresentato la sinistra del movimento operaio e rispetto a loro i

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sindacati organizzati stavano a destra dei movimenti del tuttospontanei della classe operaia, oggi la situazione è completamenterovesciata, e forse facendo interamente astrazione dai corrottisindacati americani, è possibile dire che i sindacati sotto molti aspettistanno a sinistra dei partiti operai (per esempio in Inghilterra e inGermania Occidentale).

Soltanto per la Germania richiamo l’attenzione su un fatto moltochiaro che la tattica manipolatrice del partito tedesco (il partitosocialdemocratico) ha cercato di mettere fine non soltanto alla rivoltadegli studenti, ma anche alla resistenza del sindacato.

Se si ripensa alla tediosa situazione della condizione dei bisogniumani, allora si sa che il vero contrasto era tra sindacato e partito. Ciòsignifica che in una considerevole parte della classe operaia, ciò cheLenin vide chiaramente in quel momento, la spontanea resistenza neiconfronti del capitalismo c’è ancora, come hanno mostrato moltochiaramente ad esempio gli ultimi avvenimenti francesi.

Però noi comunisti non ci siamo mossi fino al fondo in questifenomeni, e con ciò non siamo andati agli estremi di ciò in cui consisteil vero asservimento e lo sfruttamento della classe operaia nelcapitalismo di oggi; dunque non siamo capaci di dare un veroprogramma alla resistenza, che indubbiamente ancora c’èstraordinariamente ed è molto profonda.

Soltanto per farne un accenno. Da una parte, non è vero che in tutti ipaesi la classe operaia viva nel totale benessere. Ovunque ci sono stratiarretrati della classe operaia, entro i quali i lavoratori sono però moltoimpoveriti.

In secondo luogo c’è qui per esempio il problema del soddisfacimentodei bisogni. Parlo di nuovo degli Stati Uniti. Il primo grado disoddisfacimento dei bisogni, se ci si riferisce alla crema da barba, aldentifricio o a simili articoli di lusso, è raggiunto; ma tutti sanno che inAmerica fatti talmente elementari della vita operaia, come la questionedella casa, sono fondamentalmente tuttora sommamente trascurati.

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Nuovamente senza che io sia un economista e senza essere capace dianalizzare dappertutto queste questioni, da questo fatto fondamentalesi deduce che sempre si tratta del capitalismo e che persiste anche perl’avvenire la contrapposizione capitalismo/classe operaia, per cuidappertutto c’è un vero nodo di conseguenze pratiche, le quali però sipossono scoprire soltanto a tempo debito, se si realizza seriamentel’analisi economica dell’intera epoca.

Però desidererei soltanto aggiungere che non diminuisce l’essenzadella questione: secondo la mia convinzione in questa nuova fase gliaspetti ideologici avranno un ruolo più grande che nei tempi passatidel capitalismo. Vorrei motivare ciò con un argomento. Se nel secolopassato i lavoratori avviarono l’azione per la diminuzione del tempo dilavoro, allora iniziarono un’azione puramente economica, maquell’azione, nello stesso tempo, era diretta al superamentodell’alienazione umana, che il tempo di lavoro troppo allungatoprovoca in tutti lavoratori, e di cui troviamo molti riferimenti nelleopere di Marx.

Questi due motivi apparentemente si sono distaccati e differenziatil’uno dall’altro. Adesso, però, la questione è come un lavoratore viveuna vita umanamente degna tra le imposizioni dell’attuale divisionedel lavoro, del tempo libero ecc., dove già non si tratta di allungare didue ore il tempo libero settimanale, piuttosto si tratta di cosa fa illavoratore in questo tempo, sottomettendosi o no alla manipolazionecapitalistica e cercando i motivi adeguati per lo sviluppo umanoproletario.

Fehér – Qui, e anche altrove, ha menzionato e ha attribuito grandesignificato alla manipolazione. Quanto pesa la manipolazione, comesistema generale nelle relazioni capitalistiche?

Lukács – Secondo la mia convinzione la necessità dellamanipolazione sorge dal fatto che le abitudini di consumo e i servizihanno cambiato il carattere capitalistico della società. L’ho capito peril fatto che fin quando un cantiere navale continua a costruire le navi,chiaramente, le relazioni con le imprese navali e le relazionieconomiche sono possibilmente semplici, anche considerando la

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concorrenza. Se invece si producono e si vendono crema da barba,profumi, mutande ecc. nella maniera della grande industria, allora sirealizza una scissione profonda rispetto al passato.

Per la crema da barba prodotta in milioni di esemplari, per esempio,sono possibili solo singoli compratori, e rispetto a questo nasceun’effettiva lotta, che denota uno stadio completamente nuovo. Si devemanipolare il singolo compratore in una qualche forma. Credo che siachiara la differenza. Se esistono due grandi cantieri navali, alloraentrambi inviteranno i tecnici delle imprese navali per spiegare ivantaggi della propria fabbricazione ecc. Se io voglio che la mia cremada barba sia venduta in dieci milioni di esemplari, allora è necessariauna gigantesca campagna pubblicitaria, dove però non è sufficientesostenere che la mia crema da barba è migliore delle altre, perché inessa ci sono tali eccezionali sostanze e che ci sono soltanto nella mia.La questione è semplicissima. Faccio un annuncio pubblicitario, nelquale un uomo si rade con la mia crema da barba, e una donna loabbraccia al collo, a destra e a sinistra, perché stordita da quelprofumo, diffuso dalla crema da barba. Dunque devo introdurre unmotivo sexy che manipoli i compratori, affinché comprino la miacrema da barba. Dalla letteratura fino all’arte ciò è diffuso nel mondointero, e la politica, o l’arte, ricevono dalla tecnica di vendita delcapitalismo questo metodo, e la situazione dell’attuale produzione èche, su questa base, i grandi trust capitalisti manipoleranno, facendosistrada, il gusto degli uomini e ogni genere di attività, dall’impiego allavita sessuale. Questa manipolazione ha un fondamento economico.

Fehér – Se pure si passa al lato politico, più in particolare allademocrazia manipolata, espressione da Lei usata più volte: comequesto si riferisce e come si è riferita allo sviluppo nella democraziaborghese?

Lukács – Per quanto si riferisce al nuovo, credo che la democrazia sitrasformi sempre di più in una pura democrazia formale. Questosviluppo era visibile già da tempo nella lotta tra parlamenti eamministrazione, nella quale si è sempre profilata in sostanza lasuperiorità dell’amministrazione. Per questo adesso, la manipolazione

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è venuta ad essere centrale, in un certo senso, nei paesi capitalisticiavanzati. Essendo gigantesche le spese della manipolazione, peresempio negli Stati Uniti, oggi già esistono soltanto due grandi partiti,perché un singolo uomo non può pagare da solo la campagnaelettorale. In Inghilterra per esempio, il partito liberale vegetasoltanto, ed esistono effettivamente, ancora una volta, due soli partiti;e si consideri le intenzioni, che ci sono oggi nella Repubblica FederaleTedesca, e che anche De Gaulle rappresenta in Francia, e che simanifestano in modo tale che il parlamento, quindi un’istituzionedemocratica eletta da tutti, dalla quale tuttavia sono esclusiistituzionalmente interi movimenti di massa e gli stati d’animo dellemasse, e nella quale per mezzo del capitalismo, la gestione politica,organizzata per la manipolazione, contamina l’intero paese qualunquesia l’aspetto specifico della manipolazione. I sistemi manipolatorihanno interamente riorganizzato per i propri scopi la cosiddettademocrazia parlamentare.

Nel migliore dei modi, nell’attuale Germania, è possibile giudicaredove, già fin dal principio, si escludono dalle elezioni tutte leformazioni che non riescono ad accaparrarsi il 5 per cento dei suffragi.Di conseguenza, può succedere che un mezzo milione di uominirappresentativi di un certo punto di vista non sia rappresentato inparlamento. Questo, però, i tedeschi di oggi non lo considerano ancorauna sufficiente manipolazione. Vogliono introdurre un sistema anglo-americano, in modo che in Germania ci sarebbe un così ristrettodiritto elettorale, per cui i soli candidati eleggibili sarebbero irappresentanti dei due partiti maggiori. In ciò consiste la libera scelta,l’elezione democratica.

Fehér – La lotta contro la democrazia manipolata propose laquestione fondamentale e strategica del XX congresso, cioè lapossibilità di una pacifica coesistenza dei due sistemi e la vittoriaparlamentare del socialismo. Come vede queste due questionifondamentali, in particolare il significato reale dell’ultima delle due?

Lukács – Appunto questa fu naturalmente la questione moltoimportante dal punto di vista di Togliatti. Il XX congresso, infatti, fece

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un passo avanti rispetto all’epoca stalinista. L’opinione di Stalin erache con i vari movimenti per la pace era possibile impedire la guerra,però lo scoppio della guerra imperialista fu una necessità inevitabile. IlXX congresso ha trovato una nuova soluzione, senza però che si siafatta un’analisi dei più profondi motivi, secondo cui la guerra sisarebbe potuta necessariamente estinguere. Il motivo diretto,naturalmente, era il patto atomico, che conteneva, in qualche modo, ilconflitto “impossibile” delle due potenze, Stati Uniti e UnioneSovietica – come d’altronde nella crisi cubana si era verificato e siverifica oggi in Vietnam.

Ma manca, dunque, nell’analisi, il fatto che questo, per il capitalismo,è un problema di pura tattica, nel quale sono conservate tutte le formedell’imperialismo, per cui quando si tratta dell’Unione Sovietica ci sideve astenere dall’estrema acutizzazione delle contrapposizioni. Madobbiamo continuare a giudicare i tempi che stiamo sostanzialmentevivendo come un’epoca imperialistica, dove, contro la liberazione deipopoli coloniali, gli Stati Uniti hanno costruito un nuovo potente neo-colonialismo, e dove, di conseguenza, siamo di fronte a una serieininterrotta di guerre locali, con la probabilità che, nonostante ladeterrenza, scoppi la guerra atomica, di cui ci sono pericolosi sintomi.

Comunque il XX congresso ha prodotto un nuovo sistema di relazioni,che ha demolito le forme, esistenti dal 1945, della guerra fredda e ciò èmolto importante dal punto di vista dell’umanità, per cui le relazionitecnologiche, culturali, personali possono realizzarsi su campigiganteschi, favorendo nello spirito delle masse una certa forzaantibellica. Ma dovremmo chiarire che il nuovo sviluppo non facessare la guerra stessa. L’Inghilterra fu costretta a rinunciare alcolonialismo, ma adesso la colonizzazione americana sussisteegualmente, e la questione dell’intero Sudamerica, e pure la questionevietnamita, non sono nient’altro che due casi di un intero nodo di unalotta di liberazione anticoloniale. E comunque gli Stati Uniti hannoiniziato la guerra in Vietnam, con la crudeltà bestiale che vi hannopraticato, senza porsi problemi di coesistenza mondiale.

Il XX congresso ha indubbiamente visto il giusto aspetto di questa

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situazione nel suo sviluppo, ma la liberazione coloniale è a uno stadioparagonabile a quello del tempo di Lenin. E come allora siamoabbastanza impreparati. Al tempo di Lenin, dopo la Prima GuerraMondiale, c’era una certa tensione nei confronti del potereimperialista. Lenin, nella sostanza delle sue parole, ha preso di mira leprime risoluzioni del Comintern, e, ad esempio, disse che in Cina cisono certe contraddizioni, ma che non vi era nessuna idea da dove esseprovenissero. Lenin disse apertamente e lealmente che era a favoredella liberazione della Cina, come marxista, e come stratega, ma anchedi non essere capace di dare alcun consiglio ai cinesi, affinchépotessero prendere posizione nelle questioni concrete. Qui c’è unagrande difficoltà del socialismo in relazione con l’intera questionecoloniale.

È stato ereditato da Marx e da Lenin lo straordinario punto di vistateorico per cui il popolo oppressore di altri popoli non è possibile chesia libero, e quindi abbiamo ereditato di conseguenza il giustoatteggiamento sulla liberazione dei popoli coloniali. Ma non abbiamoereditato l’analisi economica, dalla quale risultano i problemi concretidei singoli paesi e di come le loro strade possano procedere indirezione positiva; su questo non c’è un nostro, sia pure vago, concettomarxista.

Questo è solo un lato della questione. L’altro è che evidentementenell’intero mondo capitalistico civilizzato, non c’è un’acuta situazionerivoluzionaria. E non è possibile prendere acute posizionirivoluzionarie con la violenza – come sanno molto bene Marx e Lenin.

Di conseguenza emerge il senso di una nuova strategia e di una nuovatattica. Per questo Togliatti, che era un grandissimo tattico, si esprimeper una reale apertura della democrazia e del socialismo sulla viaparlamentare. Ma – e qui il futuro è ancora incerto – non sappiamodare contenuto economico a questo progresso. Credo che, sotto ilprofilo economico, non sia vero che il capitalismo sappiarappresentare ed esaudire tutti gli interessi della classe operaia; controdi ciò, ho detto prima, ma nel capitalismo la classe operaia comeconsumatrice è un fattore tanto significativo come mai lo è stato nella

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storia. Il compito dei marxisti sarebbe di attivare l’analisi delcapitalismo attuale e vedere quali siano i problemi importanti e vitalioggi per la classe operaia, che dal punto di vista del profitto, nonstanno in primo piano e che, per questo, il capitalismo non sa e nonvuole affrontare.

L’approssimazione opportunista e non opportunista a questo sviluppodemocratico consisterebbe in ciò: il partito della classe operaia sacogliere queste questioni della vita della classe operaia, che dal puntodi vista del consumo sono decisivamente di poco conto, per cui ilcapitalismo non sa e non vuole risolverle, perché non cadono nelladirezione del grande profitto. Queste questioni stanno dentro, anchedentro spontaneamente, nelle impressioni del proletariato.

Tutto questo è mostrato chiaramente dai giganteschi scioperi scoppiatiin Francia e che ancora non è possibile smobilitare, e contro i quali – equi è la distorsione orribile – i partiti di sinistra vogliono, come partitid’ordine, portare sulla strada della negoziazione. Se fossero veri partitileninisti, conoscendo alla maniera leninista l’intera struttura delcapitalismo francese, adesso proverebbero ad elevarsi dal livello dellalotta sindacale al livello della lotta politica. Qui dentro c’è unaparticolarità, che questo problema è chiaramente un problema ditattica: come fare emergere il problema della rivoluzione odell’evoluzione della lotta, cioè di come siamo capaci di trovare nelcapitalismo attuale i problemi concreti della lotta di classe, nei quali siscontrano il capitalismo e il proletariato.

Fehér – Più da vicino la questione sarebbe adesso quella di unificarela forza dei partiti comunisti con la forza dei movimenti di massa, cheideologicamente sono molto confusi, seppure sorgano moltoenergicamente. Se guardo correttamente si tratta di diversi tipi dimovimenti di massa: un certo movimento che richiede riforme socialie religiose, i movimenti sindacali e della gioventù con in prima lineagli studenti universitari.

Lukács – Credo che i punti siano giusti; non rispettando l’ordine, inprimo luogo prenderei la questione sindacale e porrei i problemi inrelazione a questa. Lenin ha posto la questione così: nel sindacato può

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servire come arma la coscienza spontanea in formazione in quantomovimento, dal momento che esso non è più spontaneo. Si sa che,secondo Lenin, non è la coscienza sindacale, ma piuttosto la coscienzasocialdemocratica – come lui allora la chiamava – che deve entraredall’esterno nella classe operaia. Questo “dall’esterno” oggi manca eperciò i partiti comunisti non sono, talvolta, del tutto capaci, nelsindacato, di utilizzare, fino alla rivoluzione, la coscienza spontaneache rifiorisce.

Adesso passo all’altra questione: quella studentesca. Dovremmoricordare che abbiamo considerato che nelle attuali lotte il ruolodell’ideologia è più grande che nelle lotte del passato. Questo trova lasua espressione nella gioventù, ancora in forma totalmente spontanea,e dimostra che le categorie marxiste sono le categorie dell’essereeconomico e puramente intellettuali, appunto così la lotta di caratterepuramente ideologico è possibile spontaneamente o nonspontaneamente, come una effettiva lotta sindacale. Il contenutointellettuale, la posizione degli intellettuali, come posizione sociale,non è garanzia che la faccenda superi la spontaneità. I movimenti sonoin tutto il mondo, e qui si tratta di una rivolta spontanea, e noipossiamo dire che la parte più evoluta degli studenti non vuole esserepresa per idiota: questa è la mia concezione; sente che l’educazione,che riceve nell’università, la fa diventare idiota, e non vuole esserlo, econtro di ciò, anche senza un programma e senza una strada, si ribella.Dietro a questo problema, – se sono libero di abbozzare moltobrevemente –, vedo che c’è lo sviluppo delle scienze, che lo sviluppodel capitalismo e lo sconvolgimento della società che provoca siavvicinano sempre più l’uno all’altro. Per dare un grossolano esempiodi ciò: 150 anni fa c’era uno scherzo di bambini che diceva che nelmondo materiale c’è un problema fisico o un problema chimico. Oggi èmolto più difficile da dire. Possiamo rispondere piuttosto facilmenteche la fisica intreccia molto meglio la chimica e la chimica intrecciamolto meglio la fisica.

Parliamo di sociologia, demografia e di più di scienza – come è oggi dimoda da noi – e se si dà un reale oggetto alla cosa, allora si chiarisceper la storia, l’economia, la sociologia, la demografia, la politologia c’è

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un unico comune oggetto. Naturalmente è possibile compiere, dentroun complesso, ricerche tecniche specifiche, ma quelle ricerche nonvalgono nulla, se l’uomo non guarda l’intero di una cosa.

Questo è lo sviluppo oggettivo. In questo sviluppo oggettivo, invece, loscopo del capitalismo monopolistico è instaurare la più grandedifferenziazione, perché se pur esiste un concreto scopo tecnico – siadi un missile, o di una crema da barba, o di una minigonna, da questopunto di vista, è del tutto indifferente – allora si offre l’occasione diuna speciale ricerca, che fornisce l’optimum tecnico.

Il capitalismo aspira a che gli uomini siano un team work, abituatoalla specializzazione, e i tecnici specializzati quanto più perfetti, tantomeglio capiscono la propria tecnica, tanto meno sanno interveniresulle vere questioni. E tanto meno sanno intervenire sulle verequestioni, tanto meglio sarà per la direzione capitalistica. Questarottura, che c’è sviluppo scientifico e uso capitalistico della scienza,concepita pur spontaneisticamente, scatena quei movimentistudenteschi; e qui il riconoscimento marxista della cosa, l’analisimarxista dell’attuale situazione ideologica sarebbe di gigantesco aiutoper gli studenti.

Cesserebbe ciò che avviene adesso e cioè che dappertutto ci sonosostenitori dell’utopia.

Non ho risposto ancora alla questione religiosa, su cui noi abbiamoun’antica cattiva teoria. Fondamentalmente – ma Marx e Lenin nonfecero questo – dall’illuminismo e da Feuerbach nasce quellatradizione, per la quale si vuole sostenere che le costruzioni teologichenon sono compatibili con gli effetti della storia e della scienza naturale.Ed è vero.

Ma qui non c’è la radice della religione. Il problema della religiosità èche la forma religiosa non si accontenta del generale ordinamentodell’ideologia sociale, piuttosto reagisce alla presa di posizione di tutti isingoli uomini in quanto singoli e alla vita personale. Essicommisurano il bene soltanto con il punto di vista della religione. Ildiritto porta a una generale legislazione che deve liquidare i furti.

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L’uomo, che non ruba, non sfugge affatto al diritto, soltanto i ladrisfuggono al diritto. Quindi la religione mediante i preti cerca didirigere la vita privata di tutti i singoli uomini. In conseguenza dellosviluppo attuale del capitalismo si aggiunge un gigantescodisorientamento negli uomini, perché secondo le prescrizioni religiosesarebbero incapaci di condurre a lungo la vita quotidiana.

Ancora una volta soltanto i comunisti possono superare questainferiorità di principio perché non possono scindere le questioni.Secondo la mia opinione, infatti, la religione, anche quella“radicalmente” moderna, pone sempre un livello oltremondano, dovesi situa la radice ultima delle azioni dell’uomo singolo, e questo è innetta alternativa alla concezione del mondo radicalmente mondana delmarxismo. Non è possibile quindi trattare dell’accordo,dell’avvicinamento, tra le due concezioni in senso generale. Invece dalpunto di vista sociale, in genere, a cominciare dal divorzio fino alleregolazione delle nascite, ad esempio, ma in centinaia di questionidella vita quotidiana, i partiti radicali – in prima linea i partiticomunisti – dovrebbero sostenere le aspirazioni di riforma internadella religione. E non vedo in ciò alcuna contraddizione.

Molto caratteristico è che Lenin, in saggi scritti sulla religione, mettein contrasto la religione con il marxismo e, nello stesso tempo – nellasua idea era soltanto una questione sindacale – ha protestato controcoloro che mescolavano qualsiasi questione sindacale con la religione;cioè, con quei provvedimenti religiosi che ferivano in misuragrandissima gli interessi delle masse, e ha sostenuto che nella riformadi quei provvedimenti i partiti comunisti dovessero dare appoggio allasinistra. E secondo me non c’è ragione – ed è una fatica del tutto privadi principi – per i comunisti italiani o francesi inventare compromessidi qualsiasi genere.

Fehér – Infine una domanda in rapporto a questo tema: molte voltelei sostiene che l’insufficienza interna dello sviluppo degli Statisocialisti si ripercuote gravemente sui movimenti di sinistra dei paesicapitalisti sviluppati. Come potrebbe rappresentare più concretamentequesto problema?

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Lukács – Credo che la simpatia della classe operaia verso ilsocialismo è in rapporto con il fatto che il socialismo rappresenti iprofondissimi e spontanei interessi di questa classe. Ciò conduceanche gli intellettuali verso il socialismo, perché nel capitalismo siprova l’insensatezza della vita stessa, e nel socialismo, al contrario, sipensa di trovare una vita ragionevole. Dico ciò anche soggettivamente:fu questo che mi portò, e con me anche innumerevoli altri uomini,verso il comunismo. È possibile vederlo molto chiaramente nellaletteratura del 1917-1919. Sarebbe possibile vederlo chiaramente anchenegli anni Venti, quando in Unione Sovietica dominava la fame. A queltempo presi parte a Vienna a numerose riunioni, nelle quali avviavamola raccolta di alimenti per le regioni russe, e dopo le assemblee, però,senza eccezioni si era circondati da 20-30 intellettuali. Ponevanoquestioni su come potessero, con l’aiuto del socialismo, renderesensata la loro propria vita; cioè negli anni Venti c’era lo statod’animo, in una parte notevole degli intellettuali borghesi di curarsidella propria vita, mentre noi non ci curavamo della nostra, perché inRussia c’era la carestia.

In Russia – durante il tempo di Stalin – si manifestò in larghi circoliuna dura manipolazione, associata al decadimento ideologico,generato dalla posizione presa sul piano tattico, che è penetrata anchedentro il partito con conseguenze per tutti, così che oggi unapiccolissima parte degli intellettuali crede che, con l’aiuto di quelladiffusa manipolazione che c’è nei paesi socialisti, si potrebbe creareuna vita privilegiata per loro stessi. Per la nostra riforma interna, acausa dell’affermazione dello stalinismo, che in ogni modo duraancora e a cui anche in Ungheria si tende, l’unico sottoprodottoimportantissimo sarà che gli uomini comincino ad esigere qualcosa dalpunto di vista intellettuale per la propria vita, e poi anche nella prassie nella teoria degli Stati socialisti.

So che questo non è ancora avvenuto e che sarebbe spiacevole permolti se ci si esprimesse apertamente; fino al punto che, mentre hannocosì a lungo inseguito l’ideologia, adesso non ne possono più disostenere una situazione del genere; perché, purtroppo, so di troppeoccasioni in cui, nei congressi nazionali, le attuali posizioni ufficiali e,

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in molti casi, anche gli effettivi rappresentanti di esse suscitano ilarità,piuttosto che essere considerati una guida.

Ho già prima sottolineato, e ho accennato ai motivi, che nell’attualecambiamento ci sarà un ruolo più grande per gli elementi ideologici,rispetto al passato, e si può aggiungere, appunto, che i paesi capitalistirealizzano più radicalmente, che da noi, lo sbriciolamento e laspecializzazione della scienza. Noi andiamo molto in là provando già aspecializzare i tecnici, e, quindi, noi socialisti, invece di rappresentarela sintesi o le grandi questioni agli idioti specializzati, creiamo pure noistrati specializzati, a ruota del capitalismo, finché all’orizzonte nonsorga la formazione, da parte dei capitalisti, di un ulteriore orizzontedi specialisti. E vengo a noi. Adesso, finalmente, anche il compagnoKádár ha detto giustamente agli scrittori che non si vuole realizzareuna posizione di monopolio, piuttosto di egemonia, per il marxismo.

Ebbene con questo marxismo che abbiamo non conquisteranno mail’egemonia, perché questo marxismo è la peggiore specie dimanipolazione delle cose. Dovrebbe essere chiaro che dobbiamotornare al vero marxismo, e con l’aiuto di questo rinnovamento, saràrealizzata, anche qui l’egemonia che potrà essere influente suimovimenti occidentali, che potrà servire ideologicamente comemodello, perché – e di nuovo insisto – l’ideologia avrà un ruolo piùgrande di quanto lo ebbe nel XIX secolo.

Fehér – Passiamo a un altro grande complesso di questioni, di cuiTogliatti si occupò appassionatamente per tutta la vita, potremmo direche la sua morte, al momento attuale, è decisiva anche per noi – e perl’intero movimento operaio. Come è noto, oggi domina di gran lungadi più la scissione che l’unità. In cosa vede le più grandi cause storicheche costituiscono il dissolvimento dell’unità e l’affermazione di unagrave scissione?

Lukács – Io credo che ci siano cause oggettive. Quando arrivò la finedella Prima Guerra Mondiale, allora – per lo meno nell’intera EuropaCentrale – sorse il problema di una grande unità per condurre alsocialismo le masse popolari radicalizzate a causa delle distruzionibelliche. C’era, dunque, un comune problema ed emerse la giustezza

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delle risoluzioni dei congressi della Prima Internazionale, chetoccavano questi problemi generali.

Ebbene, ho accennato prima, che non si riconobbe però che, nellanuova relativa stabilizzazione, ci fossero nuovi problemi, chesostanzialmente e fondamentalmente comportavano la concretapossibilità della rivoluzione proletaria, presente nel 1917 e ancora nel1919, ma estinta la quale, di conseguenza, si determinò una situazione,che allora non immaginammo neanche teoricamente.

Segnatamente divenne possibile che, nella stessa situazione, l’azionediretta dei proletariati di due paesi diversi avesse rispettivamenteinteressi contrari. Porto un solo grande esempio. Da parte mia comemossa politica ritengo abile il patto di Stalin con Hitler e Ribbentropp,perché, se non fosse avvenuto, Hitler avrebbe iniziato la guerra adoriente e avrebbe attirato le simpatie di Inghilterra e Francia che loavrebbero sostenuto materialmente. E si sarebbe venuta a creare unasituazione estremamente pericolosa per il socialismo mondiale.

Stalin riuscì a scongiurare, con l’abile mossa e la sapienza tattica, lapreparazione di un fronte unico, così Hitler scatenò, in un primomomento, la guerra verso l’occidente e con ciò creò le condizioni diuna coalizione mondiale, che condusse alla caduta del nazismo.

Accenno a ciò, perché in Occidente è d’uso criticare Stalin per questopatto. Invece io sostengo che Stalin fece tatticamente un’abile mossa.Però Stalin, deducendo le conseguenza da ciò (e qui inizia l’errore, cheio sempre denuncio, che dalle mosse tattiche si ricavino tratti teoricistrategici), dichiarò che quella guerra era come la Prima GuerraMondiale. Di conseguenza la parola d’ordine, come a suo tempo disseLiebknecht, divenne che il vero nemico è in casa propria. Ma questosemplicemente non era vero, perché indipendentemente dal pattoHitler-Stalin, il dovere di classe del proletariato francese e inglese,naturalmente, era quello di proteggere la patria contro l’invasione diHitler.

Anche io per buona fortuna posso richiamare in generale uno scrittorenon di opposizione. Nel primo volume de I comunisti di Aragon, si

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descrive molto bene che, quanto citato prima, impedì inauditamente lereazioni dei migliori comunisti. Così la diffidenza verso il comunismosussiste ancora adesso e il popolo francese non considera i comunisticome radicali, piuttosto come un partito che è al servizio della politicaestera russa. Qui si manifesta in maniera interamente obiettiva chenella stessa situazione, nella quale secondo il giudizio storicouniversale, Stalin e il partito francese erano contro Hitler, in fondo,potevano prendere una posizione tattica nella quale Stalin stringe unpatto con Hitler e il Partito Comunista Francese combatte controHitler fino alla morte. Tali situazioni si ripeterono continuamente.

Accenno ad un altro esempio: quando scoppia la guerra indo-cinese,indubbiamente il Partito Comunista Indiano aveva di fronte unconflitto per lui vecchio, in cui o sosteneva la patria o aggrediva lapatria del socialismo. Ciò significa che si deve guardare globalmente,che nella situazione attuale non può essere mantenuta l’ideologia del1917 e l’unità della III Internazionale.

Adesso dunque la questione: esiste realmente l’unità?

Secondo me l’unità esiste, e Togliatti ne accenna molto correttamentecon il contrasto universale della classe operaia nei confronti delcapitalismo. Come dice Togliatti, non è possibile negare la centralità ditale contrasto, solo perché esiste la difficoltà che non è in questomomento abbastanza concreto. Per noi oggi, di fronte alla posizionedel capitalismo attuale dovremmo sostenere una prospettiva diuniversale progresso e tale prospettiva dovrebbe legare tutti i partiticomunisti, e comunque agisce ed è dovunque il compito quotidiano.Da ciò dovrebbe derivare l’unità mondiale dei partiti comunisti.

Adesso dentro questa unità mondiale, nella posizione attuale –secondo la mia opinione – si possono adottare particolari strategie.Non è vero che – adesso non si parla di tattica – sia possibile che ilpartito italiano abbia la stessa strategia del partito indonesiano obrasiliano. Qui ancora una volta lo sviluppo economico dei rispettivipaesi è decisivo, perché dallo sviluppo economico provengono leprospettive economiche, politiche e ideologiche.

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In conseguenza di ciò molto probabilmente c’è la possibilità, oggi, nelmondo, di quattro o cinque linee strategiche particolari dentro laprospettiva generale menzionata prima. Dentro la strategia generalenon è possibile decidere se i problemi tattici del partito italiano sianogli stessi del partito francese o belga o inglese.

Ora però non mi sembra che si sia creata una teoria generale delmovimento, seguendo la quale – come ho detto prima – si faccianoanche soltanto grandi mosse comuni; non è ancora possibile costruireuna dialettica, secondo la quale, nell’interesse di una comuneprospettiva, tutti seguano fondamentalmente la strategia e la tatticaconveniente a se stessi. In ciò non vedo nessun genere dicontraddizione insanabile e in questo senso sarebbe possibile crearel’unità rivoluzionaria della classe operaia, in modo però che tutti isingoli partiti siano in condizioni di piena indipendenza tattica. Se noncosì oggi il problema dell’unità è falsamente sollevato. Da un canto icompagni russi desiderano che si riconosca la loro speciale tatticacome obbligatoria per il mondo intero, d’altra parte i partiti reclamanoun’indipendenza tattica completa, che nel partito italiano vieneespressa nel policentrismo di derivazione togliattiana. Credo che,come si vede globalmente, ed è anche il mio punto di vista, non c’ènemmeno un accordo; io sostengo la possibilità di elaborare unapiattaforma di unità, che è un problema teorico, in cui le grandidifferenze sono anch’esse sempre problemi teorici.

Se sapessimo pervenire a un’analisi marxista del mondo attuale e daciò sapessimo sviluppare una prospettiva socialista, allora sarebbepossibile che tutti quanti i partiti, o la gran parte di essi, potesserointendere e praticare l’unità. Non si può creare un accordo sullaquestione tattica, per cui non si può, ad esempio, rendere obbligatorioa tutti i partiti comunisti di vedere uno stato socialista in Egitto.L’Egitto non è uno stato socialista. Agire così oggi è molto vantaggiososolo per la politica estera russa, che vuole che ci sia uno stato socialistaegiziano. Ma regolare la tattica del partito italiano o volere regolare latattica del partito jugoslavo è una cosa impossibile e non fattibile.

Di conseguenza credo che Togliatti riconobbe abilmente e acutamente

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nella concezione del policentrismo la parte pratico-tattica delproblema, ma non riconobbe che la questione dell’unità delmovimento è una grande questione teorica.

Fehér – Lei, invece del policentrismo, – accanto all’unità teorica delmovimento mondiale – se si è liberi di dire così, accenna alla strategiacontinentale. È chiaro che, dietro a ciò, stanno i grandi problemieconomici dei diversi continenti. Mi piacerebbe se qualche problemaeconomico fondamentale di tal genere si sollevasse, problema chedetermina la politica generale dei partiti comunisti che lottano laggiù.

Lukács – È una faccenda molto difficile, perché io non sono uneconomista, né mi considero un esperto. Per entrare subito eliberamente nella questione. In generale Marx non consideravaeconomicamente lo sviluppo mondiale come un unico sviluppo. È notoche la concezione marxiana del socialismo si fondava sul fatto che ladissoluzione del comunismo primitivo nel mondo mediterraneo hacreato la forma della polis della cultura schiavistica, la dissoluzionedella cultura della polis il feudalesimo, il feudalesimo il capitalismo, eche dal capitalismo sarebbe sorto il socialismo. Da qui deriva unagrande prospettiva di storia universale. Però Marx già ne Il capitale haindicato, e anche in altri numerosi scritti ne ha parlato, dei cosiddettirapporti asiatici di produzione. Questo in Ungheria è fortunatamenteconosciuto, perché anche Tőkei[1] ha raccolto molto bene leaffermazioni di Marx ed Engels relative a questo modo di produzione.L’essenza della questione è che dalla dissoluzione del comunismoprimitivo in Europa, la singola formazione in sfacelo crea unaformazione economica di ordine superiore sempre più in alto fino alsocialismo, mentre i rapporti asiatici di produzione – Marx scrive diciò molto bene ne II capitale – propriamente detti, ristabilisconol’antico fondamento sulla base di tutte le crisi, cioè attivano solo unostatico progresso, a modo di un vicolo cieco. Marx ha studiato questiprocessi, quando i rapporti asiatici di produzione giunsero allo scontrocon il capitalismo colonialistico. Ci sono articoli di Marx, moltointeressanti sull’India, su questo rapporto. Entro il successivoprogresso, il momento del confronto si riferisce anche ai problemi delsocialismo.

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Per un marxista è chiaro che questa struttura processuale indicata èuna struttura europea. Dal “feudalesimo cinese” al socialismo, ilcolonialismo ha messo a confronto i rapporti asiatici di produzionecon il capitalismo e viceversa, e da ciò ne è derivato qualcosa che néMarx, né Engels, né Lenin avevano analizzato teoricamente.Aggiungendo che ciò in quel periodo non era neanche necessario, mache soltanto si trattava della fine del colonialismo, era chiaro che laparola d’ordine, la parola d’ordine ripresa da Marx, fosse solamenteche un popolo che opprimeva un altro popolo non era libero.

Negli anni Venti, quindi, si affacciavano i problemi iniziali dellaRivoluzione cinese, e qui sorgeva un significativo contrasto tra Trockije Stalin sulla nuova situazione (dico fra parentesi che per unasuperiore indicazione la casa editrice Kossuth ha omesso la faccendarelativa a ciò dal libro di Tőkei). Vale a dire che la situazione ebbe unaconseguenza. Trockij, fraintendendo, ha utilizzato le osservazioni diMarx sul sistema di produzione orientale. Partendo dal fatto che inCina non c’era stato feudalesimo, quindi non c’erano sopravvivenzefeudali, quindi non c’era la trasformazione della rivoluzione borghesein rivoluzione socialista, concludeva che in Cina era possibile unarivoluzione socialista diretta. In ciò Trockij non aveva ragione e Stalinaveva ragione allorché rivendicò una soluzione transitoria. Ma sirisolse teoricamente che eravamo di fronte alle sopravvivenze delfeudalesimo cinese e che si trattava di liquidarle. Di conseguenzaStalin, ancora una volta tatticamente e con mosse errate, ha inventatointeramente una teoria falsa e contraria al marxismo, che solo attestail ruolo tattico di se stesso. Sfortunatamente stiamo, quindi, al puntoche adesso e da trent’anni, nei libri russi, in Cina domina unfeudalesimo, che non esiste.

È possibile giudicare in modo marxista la rivoluzione cinese, se ilnostro punto di partenza è un feudalesimo inesistente? E chiaro checiò che diciamo sulla rivoluzione cinese diventa una vuota chiacchierae che, se non si ritorna al punto di vista di Marx, non capiremo maiveramente i movimenti di sviluppo sorti dai rapporti asiatici diproduzione. C’è qui davanti a noi un compito teorico enorme. Adessonon è il momento di dire se in Cina Mao abbia ragione o meno, perché

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per essere sinceri io, da parte mia, direi che, non conoscendo lecircostanze economiche, non so dare una risposta adeguata. Per ciòsarebbe auspicabile il compito di un’analisi marxista per i marxisticinesi, che conoscono meglio la formazione cinese e la storia della suadissoluzione, e sanno dove i Mao si ingannano con una cattiva analisidi fronte a una buona disposizione.

Sarebbe questo il tentativo di una soluzione teorica del problemacinese.

Fehér – Se posso qui permettermi un’ipotesi teorica: non si puòspiegare lo sconvolgimento interno cinese appunto con quelle tensionitra città e campagna che sono molto più grandi nel modo asiatico diproduzione, rispetto allo sviluppo europeo, e non posso con ciòspiegare il fallimento del primo tentativo rivoluzionario di produzioneindustriale, o per lo meno i suoi sconvolgimenti, che hanno condotto ilpartito cinese a una completa crisi interna?

Lukács – Mi dispiace che a questa domanda non sono capace di darerisposta. Molto probabilmente a causa del fatto che in tanti risultatifinali Mao ha assunto in parte l’antica tradizione cinese, ha assunto inparte anche Marx e Lenin, laddove egli li ha compresi. Adesso che eglipervenga da una teoria scorretta a conclusioni scorrette, è facile dadiagnosticare. Il problema più difficile sarebbe determinare il corsoreale dello sviluppo cinese. Determinare quali speciali problemisorgano, se si confrontano i rapporti asiatici di produzione con losviluppo moderno capitalista e socialista. In questo caso potrebbesorgere una piattaforma per il partito comunista cinese. Ma metto inrilievo che il partito comunista cinese, e non solo la parte maoista,neanche quei cinesi ricettivi al partito russo, sostanzialmente nontocca le questioni fondamentali che sollecitano lo sviluppo mondiale.

Fehér – È interessante che lei soltanto qualche volta abbia toccato lequestioni di quali componenti economiche, che in parte sussistono inAmerica latina nel rapporto con l’eredità del sistema delle piantagionie che in parte costituiscono problemi fondamentali del continenteafricano. Direbbe alcune parole su queste componenti?

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Lukács – Qui si dovrebbe essere ancora più prudenti. Faccio semprerilevare che sono un filosofo che si occupa di problemi economici,quindi senza alcuna pretesa di avere qui serie conoscenze.

Appunto Marx ha fatto abbastanza, sollevando i problemi dellosviluppo mediterraneo e come diligente lavoro ci ha lasciato in ereditàla questione dei rapporti asiatici di produzione. Non ha analizzato losviluppo africano in rapporto con la politica di quell’epoca, e adesso ionon credo che per l’Africa esista uno sviluppo unico. Vale a dire chel’Africa settentrionale mediante lo sviluppo medievale arabo, nonidentico allo sviluppo del feudalesimo europeo, ebbe un altro svilupporispetto a molte parti dell’Africa, dove – se posso esprimermi in modoparadossale – per esempio, la servitù della gleba sarebbe potuta essereoggettivamente un gigantesco progresso.

Ovviamente io non propongo di introdurre la servitù della glebanell’Africa centrale, voglio soltanto indicare che sulla base di queipochi fatti che io conosco, non si capisce, se non in parte, moltoprobabilmente per cause climatiche, perché si dovesse formare unastruttura sociale così estremamente primitiva. E anche lacolonizzazione entra in contrasto con il capitalismo. Generalmenteconsiderando, nelle particolari conseguenze del confronto coloniale, inquesti paesi (e ciò concerne anche il Nord-Africa, anche l’Algeria e laTunisia) l’agricoltura si sviluppa in forme inauditamente primitive.

Nello stesso tempo si forma un’intellettualità che studia a Parigi o aOxford e a cominciare dallo strutturalismo si appropria di tutte letendenze europee moderne. Fa parte di questo problema questagigantesca differenza che c’è tra il popolo e lo strato dirigente. Ciòesiste anche nello sviluppo europeo, ma c’era nondimeno una minoredifferenza tra un operaio lionese del 1789 e Robespierre, o qualcunocresciuto a Parigi, che tra un cantante nero o un poeta surrealista, e gliafricani che si nutrono della raccolta delle banane o un pastore, elaggiù il pastore già rappresenta un gigantesco progresso.

Sicché solo ora si giunge allo svelamento di queste differenze, e sitratta quindi di problemi interamente nuovi, dei quali il marxismo sideve interessare. Non è possibile, infatti, dire che ai tempi di Tisza[2],

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in Ungheria, la questione del diritto elettorale universale era unaquestione molto importante e anche adesso non sia una questionemolto importante che in Nigeria si introduca il diritto elettoraleuniversale.

Soltanto un paio di parole sull’America del Sud. Qui si trattanaturalmente di un sistema di gran lunga più sviluppato, e non c’èdubbio che si è avviato un movimento rivoluzionario pienamenteborghese e anticolonialista, da Bolívar fino alla rivoluzione messicana.Ma qui si dovrebbe evidenziare una grande particolarità. Se si pensache l’essere umano, che in Inghilterra con l’aiuto dell’accumulazioneoriginaria ha sviluppato, con il sostegno dei grandi latifondi, ilcapitalismo e il proletariato, che in Francia con la fine del feudalesimoe mediante la divisione dei lotti ha sviluppato il capitalismo, che negliStati Uniti, dove il territorio era libero e non c’era il feudalesimo, hasviluppato una cultura del fattore e ha costruito il capitalismo,vediamo facilmente che l’inglese, il francese e lo statunitenseesercitano specificatamente una profonda influenza sull’interastruttura sull’economia fondata sul capitalismo.

Nell’intera America del Sud, invece, la colonizzazione ha stabilito unamonocultura e i marxisti non hanno ancora indagato assolutamentecome, in tal condizione, l’effettiva liberazione dallo sfruttamentocapitalista della monocultura agirà economicamente come strada checonduce mediante il libero contadino verso il socialismo. Non è quipossibile vedere, a prima vista, la questione medesima dellarivoluzione classica in Europa, cioè lo smembramento del grandelatifondo, la creazione dei lotti, che nel complesso caratterizza il 1793 eallo stesso modo il 1917, perché la grandissima parte dellamonocultura non è trasportabile altrove.

Qui ci sono inutili i dibattiti che trattano di Cuba. Finché non siesamina questa questione sul fondamento di un’economia seriamentemarxista, non si può far nulla. Non posso agire su di essa, perché ilmio intendimento si puntualizza solo in negativo, perché – ripeto –,non sono un economista, non mi occupo di queste questioni, nonconosco una chiara soluzione da porre sul tavolo; ma ho il dovere di

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pronunciarmi e mi rendo conto che finché non abbiamo risolto questocompito per l’Asia, l’Africa e l’America del Sud, non sarà possibileparlare del comunismo come del vero elemento dirigente nelmovimento di liberazione.

Fehér – Tocchiamo di nuovo un tema cosiddetto delicato, sul qualeanche lei a più riprese ha portato il discorso, cioè il tema, ad esempioin merito al patto sovietico-tedesco, per cui tutti i partiti delmovimento operaio non possono regolare immediatamente la loropolitica in modo indipendente rispetto al punto di vista della politicaestera sovietica. È anche indubbio che i nostri dirigenti hanno ribaditopiù volte che l’ostilità ai sovietici in nessuna circostanza potevacaratterizzare il movimento rivoluzionario. Ci sono due punti estremi:da una parte c’è l’ostilità dei dirigenti cinesi verso i sovietici, dall’altra,volta per volta, l’allineamento quasi servile dei singoli partiti allapresunta politica estera sovietica. In riferimento agli interessi reali,quale giusta via di mezzo, quale giusto tertium datur si possonotrovare?

Lukács – Questo è un tema delicato e naturalmente di straordinariointeresse. Abbiamo già parlato di ciò: in strettissima misura sirapporta con il fatto che la differenza è molto teorica, tra le prese diposizione e le singole mosse tattiche, concernenti il mondo, e si èabituati a rimescolarle insieme. Non si è liberi di mescolare le cose. Sideve sapere che l’esistenza dell’Unione Sovietica, la sussistenzadell’Unione Sovietica, il potenziamento dell’Unione Sovietica è oggi ilfondamento per lo sviluppo del socialismo. Chi non sa ciò, non èsocialista. Noi, fieri ungheresi possiamo saperlo, perché nel già nel1919 si presentò una simile circostanza. Infatti, allora isocialdemocratici desideravano chiedere soccorso per i nostri soldati, eper questo Szamuely viaggiò in Unione Sovietica. Ma precedentementeci fu un piccolo colloquio, al quale al massimo otto comunisti preseroparte, dove abbiamo dato a Szamuely in partenza l’indicazione dicomunicare a Lenin che la prima questione importante eral’annientamento di Kolčak e Denikin[3] e che solo se avesse fattoastrazione da ciò poteva darci aiuto, sennò ci saremmo affidati soloalle nostre forze.

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Ho una mia profonda convinzione che nella mia concezione storico –mondiale di allora noi abbiamo deciso che molto più importante erasostenere la lotta dell’Unione Sovietica contro la controrivoluzione,piuttosto che offrire soccorso a noi. Credo che la sostanza dellaquestione era compresa metodologicamente in modo corretto: c’èun’intera questione nodale nella quale il problema è l’esistenza o menodel socialismo in Unione Sovietica e ciò è al di sopra dell’interesseparticolare di chiunque. Ma col tempo, l’Unione Sovietica si ètrasformata in una grande potenza. Ciò non significa che non ci sianostratagemmi di ogni tipo nella politica interna e nella politica estera,che non si riferiscano alla questione del socialismo, e ciò non significache non ci siano direttamente cose sbagliate, che compromettanol’esistenza originale dell’internazionalismo. Ma è possibile, ne hoparlato dell’esempio precedente, illustrare il contrario con un esempiodi gran lunga più triviale? Sono abituato a conversare con moltiuomini semplici. Tra gli uomini semplici è diffusa l’opinione che lanazionale di calcio ungherese non è libera di vincere contro l’UnioneSovietica. Già questo esempio è triviale fino al completo ridicolo, manon è possibile dimenticare cosa ci sia dietro. Dietro c’è un datostorico – mondiale inerente al fatto che dobbiamo sostenere l’UnioneSovietica come il centro del socialismo, e questo significa ancora che,anche dal punto di vista dei nostri interessi socialisti, a misura dellapropria nazionalità, il sostegno all’Unione Sovietica è molto piùimportante dei nostri interessi. Se le due cose crollano, e crollano nellamaggioranza dei casi, accade che il sostegno nostro non ha alcun pesonegli interessi vitali dell’Unione Sovietica, e di conseguenza nasce lacredenza, che rovina gli interessi del partito dentro e fuori, che ilnostro partito non è il rappresentante degli interessi del popoloungherese e che gli interessi ungheresi sono subordinati al sostegnodell’Unione Sovietica.

A proposito della politica estera dell’Unione Sovietica, qui pensiamo,per esempio, che la politica antiamericana di De Gaulle ha confusoestremamente, e ancora adesso disorienta, la lotta del popolo francesecontro il gaullismo. L’Unione Sovietica impiega tale posizione tattica, eaggiungo, l’ha impiegata giustamente e correttamente. Ma nelmomento in cui si tratta del popolo francese, non c’è dubbio che il suo

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grande interesse – e non parlo in generale del socialismo – è diabbattere la dittatura di De Gaulle, e tornare a una democraziaborghese, per cui il partito comunista francese non è libero di sfuggirealla finzione di risparmiare De Gaulle, perché conviene alla politicarussa. Credo che in questo caso è possibile vedere chiaramente in cosaconsista la dialettica della questione.

Da ciò ne consegue naturalmente una presa di posizione,estremamente nodale: come la politica estera dell’Unione Sovietica, eanche riguardo a questioni di politica interna, mette in questione ilmovimento nazionale. Quando il XX Congresso pose la questionenazionale, e in conseguenza di ciò, la critica dell’intero periodostalinista, sarebbe stata necessaria la verità senza riguardi, come hafatto, anche se molto diplomaticamente, Togliatti, nel quadro di unavisione molto abile. Togliatti ha abilmente preteso di riguardareindietro alla posizione oggettiva dell’Unione Sovietica per capire lapresa di posizione di Stalin. Sapeva che semplicemente con la criticadel “culto della personalità” non saremmo arrivati a nulla. Con ciòperò non ha esaminato la questione fondamentale, cioè che la guerraha messo in pericolo l’esistenza stessa della Unione Sovietica, che laminaccia hitleriana ha messo fine alle condizioni sociali delsocialismo, che Marx affidava alla distribuzione, cioè alla diffusionedella popolazione tra i differenti settori produttivi, segnatamente traindustria e agricoltura: per l’Unione Sovietica tale compito sarebbestato difficile o quasi impossibile da risolvere sul puro fondamentodella democrazia proletaria del 1917.

Quindi, forse è esistito un problema oggettivo. Ma Stalin ha risolto ilproblema oggettivo con una brutale manipolazione e tutti i partitidevono criticare questa brutale manipolazione, senza riguardo, e cheanche il partito russo vada avanti nella critica. Adesso la politicainterna russa è tale che loro fanno ciò che vogliono, hanno ucciso Beriae hanno risparmiato qualcun altro. Contro di ciò si deve criticare ilfondamento dell’intero sviluppo e, finora, non è stata criticata lasostanza dello stalinismo nel suo fondamento; come ho detto prima, lacontraddizione rimane e il popolo non crede più al partito, né il mondocrede che si sia liquidato lo stalinismo, se questa critica fondamentale

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non si pratica. Penso per esempio che ancora oggi la stampa sovieticati indica come agente straniero, se hai un’altra opinione sul marxismorispetto alla burocrazia sovietica. Certo ora non ti manda in carcereper 20 anni in quanto agente straniero, ma questo fatto non cambiache nel marxismo è una cosa inammissibile essere tacciati come agentistranieri solo per un’opinione contraria.

Anche la questione dell’antisemitismo è un’altra faccendaassolutamente nodale, dove il movimento – e in questo caso anche ilmovimento ungherese ha un interesse precipuo – desidera che si fissirisolutamente, senza alcun riguardo, quale sia la presa di posizionedell’Unione Sovietica.

Fehér – Qui si tocca una serie di tali questioni sulle quali dobbiamoritornare immancabilmente. Adesso soltanto una domanda inrapporto all’unità del movimento. Anche lei ha menzionato,ironicamente, in un esempio, la “nomea” dell’Egitto come paesesocialista.

Tali nomee e la loro creazione sono abbastanza all’ordine del giorno,sono segni di soggettivismo. Quali criteri oggettivi possiamo trovareper giudicare i caratteri dei movimenti anti-imperialistici che lottanocon noi; su quali fondamenti possiamo giudicare se un movimentonella realtà è di carattere socialista o soltanto anti-imperialista o sepossiamo solo parlare di movimenti nazionalisti?

Lukács – È possibile analizzare se un movimento sia socialista omeno dalle disposizioni sociali interne al movimento. Se io sonoscettico nei riguardi del socialismo egiziano, allora sono scettico,perché conosco fin dove arrivano le circostanze sociali dell’Egitto,perché ritengo impossibile che in Egitto esista realmente unsocialismo. Ciò non significa che l’Egitto non possa avere un caratteremolto risolutamente anti-imperialista e non faccio obiezioni chel’Unione Sovietica sostenga l’Egitto e sostenga il movimento di unitàaraba, così come non faccio obiezioni che un buon giovane siasocialista e uno cattivo non lo sia. Insomma che accada, ancheconsiderando tutti i punti di vista tattici, come ai tempi di Rákosi[4],che chi riceveva il premio Kossuth dovesse scrivere convenientemente

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su Rákosi, senza alcun riguardo a cosa presentava come scrittore, ètotalmente sbagliato, e non è possibile proiettare tale modalità sullapolitica nazionale o internazionale.

Fehér – Passiamo ad un serie di questioni, di cui anche Togliatti si èoccupato: il socialismo ha una problematica interna, della quale lei hacominciato a parlare. Cominciamo con la denominazione: conl’espressione “stalinismo”, che è attaccata da molti. Se guardiamo allasostanza della faccenda, cosa lei vuole indicare dello stalinismo sottoquell’ismo”?

Lukács – Un’antica tradizione è nel movimento operaio. Vi eranomolti esponenti eccellenti del movimento operaio da Proudhon a RosaLuxemburg, che da certi punti di vista si erano rispettivamenteoccupati del socialismo e non si erano attardati in singole questioni,anche se le loro opinioni erano errate nel metodo. Forse è sufficienteche citi il nome di Lassalle. In Germania e, perfino, nell’interomovimento mondiale si parla di lassallismo – soprattutto a propositodella sopravvivenza dello Stato e di altre questioni – con ciò Lassalleaveva un metodo e un sistema e aveva soluzioni per la suddettaquestione. Secondo la mia opinione, esiste appunto un metodostaliniano, il cui fondamento e il cui punto culminante è lasubordinazione di ogni questione al punto di vista tattico. Stalinrovesciò ciò che Engels pose in modo corretto: che c’è una teoria edalla teoria ne consegue una strategia e dalla strategia ne consegueuna tattica. In Stalin il processo è rovesciato, e la tattica rovesciata, inquanto tale, crea una teoria. Vediamo che il XX Congresso haconfutato come teoria errata, quella per cui “le contraddizioni siacuiscono continuamente nella società socialista”. Ma sono convintoche Stalin non partì da quella teoria, solo che era necessaria perlegittimare i grandi processi degli anni ’30; per questo la inventò.

Abbiamo già ricordato che Stalin, dal punto di vista puramente tattico,ha costruito una stima errata della Seconda Guerra Mondiale, a causadel patto con Hitler. Ciò ha percorso l’intero stalinismo, con laconvinzione che la tattica rovesciata portava strumenti infallibili.Quindi nessuno correggeva se stesso e ogni volta sorgeva una nuova

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teoria, fino all’assurdo e al completo discredito del prestigio delpartito. Pensiamo al seguente fatto: quando i grandi processi sonoiniziati, Stalin disse che questi agivano contro chi non apparteneva almovimento operaio. Di conseguenza si dovette riscrivere la storia del1905 e del 1917 senza Trotsky. Con che risultato? Aveva reso ridicola lastessa scienza.

Pensiamo all’Ungheria. A quel tempo, quando siamo tornati a casa nel1945, Kun[5] era già stato condannato. Di conseguenza nella storia delpartito ungherese, la dittatura ungherese era rappresentata senza BélaKun e si doveva fare qualcosa a proposito, e così hanno messo Rákosi,durante la dittatura ungherese, nell’episodio centrale in difesa diSalgótarjan (tra parentesi dico: nelle memorie di Gyula Hevesi[6] sinega ancora la verità di quel fatto, ma se fosse così, allora altri 25 fattid’arme di questo tipo sarebbero avvenuti nella dittatura ungherese).Ora Rákosi ha fallito; adesso finalmente sarebbe estinta l’ideologiacentrale di Salgótarjan. Nelle storie del partito ho illustrato solo questafaccenda. Se le storie del partito considerano i meriti a partire dallapassata rivelazione della storia del partito, e non piuttosto dalpresente, con ciò esse degradano il valore del nostro stessomovimento. Ho portato un esempio così a metà, la storia del partito,ma chi percorre la nostra intera storia, può vedere che le decisioni nonsono la sicura espressione delle soluzioni del complesso dei fatti –talvolta sì, questo non lo metto in dubbio –, piuttosto intorno alledecisioni si forma sempre un’atmosfera, che vuole adeguatamentemodificare la realtà stessa delle decisioni. Finché non possiamoestirpare ciò, fino a quel momento, non possiamo dare una visionecorretta, dall’economia alla cultura, fino alla politica.

Altro esempio su una parte fondamentale dello stalinismo. Non dicoche la polizia politica non debba mai avere potere politico, in nessungenere di socialismo. Nessuno si mette mai ad affermare che Leninfosse un pacifista. Quando Gorkij rimproverò Lenin che il numerodelle esecuzioni politiche nella guerra civile fosse troppo grande e nonsempre giustificato, è noto che Lenin alzò le spalle e disse che nellebaruffe da bettola non è possibile stabilire quale numero di schiaffi sianecessario. Ma, anche, ed è più importante, quando finì la guerra

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civile, egli voleva cacciare Ordžonikidze[7] dal partito, perché nelCaucaso aveva perpetrato violenze.

Se esiste un comitato centrale infallibile, tanto che ogni opposizionecontro il comitato centrale infallibile significa essere agenti stranieri,allora naturalmente tutti i mezzi per la distruzione di questi agentisono legittimi e infatti furono impiegati ai tempi dei grandi processi,da noi al tempo di Rákosi e poi ai tempi di Novotný [8] inCecoslovacchia e così via.

Si deve scrivere radicalmente la verità su questa faccenda. Ma inUngheria non può accadere qualcosa di simile al processo Rajk, peròio non ho mai taciuto (indipendentemente dalla simpatia o antipatiapersonale), che Zoltán Horváth[9] ha subito una detenzione aidomiciliari, perché in una riunione privata non si pronunciòlusinghevolmente su Kállai[10] – questo è uno scandalo stalinista. Dalsuperare questo scandalo la nostra vita pubblica è ancora lontana. Nondiciamo che abbiamo fatto i conti con lo stalinismo, finché questascandalo persiste in una qualche forma. Non diciamo che non c’è piùlo stalinismo, quando esiste un cosiffatto sistema, influente sulla vitadell’intero paese e migliaia e migliaia di uomini agiscono a vantaggiodi tale sistema.

Fehér – Davanti a certi giudizi abbiamo stravolto l’ordine naturaledelle nostre questioni. Ma una volta che si sia sollevata questaquestione, si deve parlare con generale obiettività sulla possibilità diorgani repressivi e sulla sfera del diritto. Qui ci troviamo di fronte adue eccessi erronei. Il primo è quello che possiamo ascrivere al nomedi Berija. Su questo serve parlare ulteriormente, perché il senso stessodel marxismo lo condanna. Ma c’è anche un altro eccesso, che sostieneche il Ministero degli Interni non debba intervenire negli affari interni.Questo non soltanto è erroneo, piuttosto è pericoloso, perchéevidentemente la politica, che inizia con l’autoillusione, continua con ilcinismo. Tra i due eccessi come si può rappresentare la sfera d’azionelegale degli organi repressivi?

Lukács – Credo che si debba porre concretamente la questione: lasituazione è rivoluzionaria o no? La situazione è completamente

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un’altra, se un movimento combatte una lotta per la vita o per la mortecon il nemico. In questo caso naturalmente funzionano una legalitàd’altro genere e organi repressivi d’altro genere rispetto a quando c’è lapace.

In mezzo a cose intelligentissime rientra anche quanto ho sentito daKrusciov, quando in una conversazione disse che il pessimo aspettodei grandi processi era che fossero superflui, perché gli avversari eranogià stati sconfitti politicamente. Aggiungo: dopo i grandi processi ci fuun ordine catastrofico di Stalin, per cui si doveva estirpareradicalmente il trotskismo. Ciò ha significato che se qualcuno avevaincontrato in una stazione balneare un condannato con una parentelatrotskista e insieme a lui aveva bevuto una birra all’osteria, allorapoteva accadere – conosco casi del genere – che gli veniva intentato unprocesso e veniva condannato a una detenzione ai domiciliari di diecianni.

Comunque se esaminiamo non burocraticamente queste questioni, maadeguatamente alla situazione politica concreta, allora appunto moltofacilmente è possibile distinguere i particolari. Questa è una cosa.

L’altra. Queste questioni devono essere dirette da politici di gradoaltissimo, eccellentissimi e umanissimi. Quale era ai tempi di Lenin inUnione Sovietica, con Dzeržinskij[11], del quale Lenin stesso disse cheaveva un senso estremo verso i fatti e la verità. Lo stesso, per miapropria esperienza, posso raccontare di Ottó Korvin[12] durante ladittatura ungherese, che, d’un canto, arrestò e giustiziò isocialdemocratici – e aggiungo che anche io fui favorevole – quando ilConsiglio dei Commissari del Popolo non graziò appunto i dirigentidella congiura Stencil–Nikolényi. Dall’altro, quando un mioconoscente arrivò disperato da me, dicendo che suo fratello avevaavuto una discussione durante le elezioni, nella quale dichiarò chel’elezione fosse un puro inganno, e che la polizia lo aveva arrestatochiedendomi di sapere che avrebbe deciso per il fratello. Ho telefonatoa Korvin e quando ho riferito il nome, egli mi disse ridendo: «guardache io ho interrogato quest’uomo e lui è pazzo ed è già a casa».

Non dico che un Dzeržinskij e un Korvin siano uomini di grande

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levatura, ma che è possibile trovare in tutti i paesi centinaia e migliaiadi tipi di uomini come Dzeržinskij e Korvin.

Insomma vedo, da un lato, nel giudizio sulla situazione e, dall’altrolato, nella scelta degli uomini un sistema completamente scorretto,dove può accadere ancora che uomini tradizionalmente integri sideformino, perché pretendono un tale ordine di cose che è al di sopradi loro. Va detto infatti che in ogni condizione dobbiamo lottare controla controrivoluzione, ma sempre con le armi adatte ai tempi.

Attualmente il consolidamento e il potere del socialismo sonoindubbiamente tali che non è neanche necessario rivolgersi a queimetodi, anche se in forma ridotta, che nella guerra civile eranocertamente autorizzati (ma fino a un certo punto).

Fehér – Torniamo alla questione fondamentale, già affrontata da lei,del sistema stalinista di potere. I due decisivi punti di vista, laquestione della distribuzione, o come la chiamava Preobraženskij[13],la questione dell’accumulazione originaria socialista e la minacciaesterna all’Unione Sovietica, che lei ha già menzionato. Accennirapidamente quali conseguenze ne derivarono, quanto questo fossenecessario o meno per l’esistenza del sistema staliniano di potere?

Lukács – Il problema è tale che sarebbe molto difficile rispondere indettaglio. È completamente certo che è esistita la necessità diconsiderare che una parte della popolazione agricola dovesse passareall’industria. Ho la convinzione che, come Lenin fece una diversione altempo della Nep – ancora non per la costruzione del socialismo, maper un generale avviamento della produzione –, come misuraeconomica, eventualmente con sicuri vantaggi amministrativi,eventualmente con certe leggere pressioni, sarebbe stato possibilerisolvere questo compito, senza una collettivizzazione che rasentasse labrutalità estrema.

Non credo che in questa questione si sarebbe dovuto andare oltre, findove è andato Stalin. Dato che anch’egli era costretto a fareconcessioni all’opinione pubblica dopo le atrocità dei primi tempi,ricordo un certo articolo: “A chi il successo dà alla testa?”. Di contro

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c’era il fatto che la risposta interna era invariabilmente: «Continuare,andare più avanti!». Credo che Stalin non ha analizzato la situazionenel dovuto modo, non ha ponderato abbastanza assennatamente lafaccenda ed è andato avanti con una certa esagerazione, perparafrasare come se l’esagerazione fosse un gentleman’s error, cioè“che gli uomini sostanzialmente sono ottimi compagni, soltanto cheesagerano un po’”.

Lenin, quando parla della teoria, ad ogni passo, sottolinea chequalunque verità diventa assurdità e pazzia, se si esagera. Per la teoriagnoseologica di Lenin questo è il punto fondamentale. Ciò vale ancheconsiderando questa politica, dove non è possibile iniziare dal fattoche dichiariamo un principio, per esempio quello che è necessaria unadistribuzione di nuovo genere, e allora immancabilmente si devecondurre a termine tale politica con ogni strumento e in mezzo ad ognicircostanza, perché appunto c’è la tendenza ad associarvi tantesituazioni. Ma allora la realtà stabilisce un limite a tale politica: dove equanto è possibile condurre a termine tale processo. Credo che siachiaro l’ordine del mio pensiero: in tali questioni c’è l’esagerazione,non l’eccezione. L’esagerazione è un delitto contro il marxismo, anchequando esageriamo giustamente una faccenda.

Fehér – Come arriva a questa categoria, la quale in parte si è vistachiaramente già anche in altri scritti e che poi ha spiegatodettagliatamente nell’ontologia: la rivoluzione russa non è di tipo“classico”?

Lukács – Lenin a proposito del tipo non classico della rivoluzionerussa fu completamente chiaro. Per rivoluzione classica i marxistihanno sempre inteso (soprattutto quelli che aspettavano la rivoluzionedall’Inghilterra) che quando il capitalismo ha esaurito largamente leproprie possibilità, avrebbe dato origine a una nuova formazione condiversi mezzi interni.

Una abbastanza buona illustrazione di ciò la porta Engels: l’esistenzadi Atene. Alcuni considerano la polis ateniese come lo sviluppoclassico, perché la polis ateniese è nata esclusivamente dalladissoluzione del comunismo primitivo per fattori interni, non come a

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Sparta o altrove, dove ci fu immigrazione e sottomissione di ciascunpopolo; cioè il possibile precedente storico si compone di una singolaformazione, con effettivo passaggio a forme di transizioneteoricamente “pure”, quindi più classiche. Da qui consegue che lanuova formazione non dovrebbe più occuparsi della distruzione dellavecchia formazione, piuttosto concentrarsi sulla costruzione dellanuova formazione.

Ebbene, ciò mancò nel ’17 in Unione Sovietica. Questo aspetto non eraun mistero per Lenin, perché nel libro, dal titolo L’estremismo, subitodall’inizio – dove parla dello stato esemplare della rivoluzione russa –dice che solo ora la rivoluzione è una rivoluzione esemplare, cioè fin aquel momento, fino a quando in un paese capitalistico più sviluppatonon sorgerà il socialismo, perché allora esso diverrà esemplare.

Ma la storia è piena di Stati potenti e importanti, i quali non seguironogli esempi classici. Nessuno dirà nella storia greca che in essa il ruolodi Sparta è stato secondario. Nessuno dirà che il capitalismo tedesco,che in generale non seguì esempi classici, non fu un fattore importantenella politica europea. Non si tratta di questo, piuttosto che quando èpossibile parlare di una nuova formazione, può essere che siaesemplare per altri. Nello sviluppo russo è importante, e qui Stalinfalsificò la questione, che i russi abbatterono il capitalismo nell’anellopiù debole. Hanno fatto il socialismo e sempre tornerà a loro gloriache hanno sostenuto questo socialismo mediante interventi e guerre.Non è possibile sottovalutare il significato di ciò nella guerramondiale. Ma è un errore, se da ciò traggo la conclusione che se unaltro Stato vuole costruire il socialismo, allora deve seguire per forza ilmodello russo. Non parlo dell’assurdo che se in America vincesse ladittatura del proletariato, qualcuno si troverebbe ad unire i farmer neikolchoz. Ho intenzionalmente portato questo esempio assurdo, maanche in Ungheria o in Boemia non sarebbe possibile riprodurrel’esempio dell’esperienza dei kolchoz russi. Anche in Ungheria, anchein Boemia per la trasformazione dell’economia nazionale avremmodovuto cercare le forme più adatte economicamente, perché peresempio l’agricoltura ungherese era a uno stadio più avanzato rispettoal quella russa del ’17.

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Fehér – Adesso trattiamo dello smantellamento della centralizzazionestalinista nel processo storico. Quali fatti economici e socialirimangono sullo sfondo? Da questo punto di vista qual è il significatogenerale delle riforme economiche che stanno iniziando?

Lukács – Credo che in questo si stia manifestando una forma dellabrutale manipolazione dello stalinismo, anche in certi fenomeni delcapitalismo attuale. Penso che si stiano esagerando meccanicamente lepossibilità di pianificazione, un fattore estremamente importante.Fanno certi calcoli matematici (eventualmente con strumenticibernetici), e con ciò si ingegnano nel definire uno sviluppo ulteriore.

Lo sviluppo fino a un certo punto segue anche questa linea, dopo diche, per certe cause, non va più. Vedo un errore fondamentale nellaquestione della pianificazione, come vidi per la prima volta nella miaesperienza in Russia, che una centralizzazione incredibilmente seriaviene a realizzarsi in singoli luoghi, mentre in casi inaspettati è esclusacompletamente un’azione reale. Non sono affatto un economista,neanche un esperto militare, ma è molto interessante analizzare losviluppo militare da questo punto di vista. Aggiungo che Marx moltospesso si riferiva al fatto che i lineamenti caratteristici di una nuovaformazione si mostrano prima nell’ambito militare che nella vita civile.Senza dubbio rispetto al feudalesimo l’esercito disciplinato, il fuoco difila, la sfilata a ranghi uniti, ecc. giocò un ruolo estremamenteimportante. Nella monarchia assoluta, quindi, nacque da ciò unesercito così talmente ordinato, che la rivoluzione francese nelconfronto con eserciti non organizzati fallì in tutti i singoli casi.

Non voglio – né potrei – tratteggiare dettagliatamente il lungosviluppo di ciò, ma da quegli sviluppi d’ordine superiore, che sonoarrivati fino alla seconda guerra mondiale, tra la strategia e la singolatattica è nata non la norma, piuttosto la relazione del compito.

Quando si hanno eserciti di 15-20 milioni di soldati in movimento, eraimpossibile – anche sotto Stalin – stabilire negli uffici moscoviti, dovei comandanti di battaglione ponessero, nella foresta vicino Kiev, le loroarmi automatiche. Fu possibile dire al comando dell’esercito qualefosse il suo compito, il comando assegnò questo compito fino ai corpi

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d’armata e infine arrivò fino ai tenenti o ai sergenti, che sull’orlo dellaforesta dovevano agire secondo la propria migliore considerazione.

Si devono porre certamente punti di vista generali di unapianificazione, e quanto più avanti va la faccenda, tanto più grande è lalibertà di movimento che deve entrare nel merito dei rispettiviprogetti.

Penso forse che la pianificazione punta certamente a scopi strategici,ma che le istanze intermedie, l’impresa, le parti dell’impresa ecc. nellarealizzazione dei compiti dati, debbano avere la libertà di movimentopiù grande; non sono favorevole all’anarchia, piuttosto comprendo chenel piano si devono fissare i compiti certi, ma il modo di realizzazionedi quei compiti ha economicamente molte variabili, come era primanell’esempio militare.

Ciò significa che non è vero (quantunque grande ruolo giochi lascienza e per quanto cresciuto sia il ruolo degli ingegneri nell’azienda)che l’operaio sia un esecutore semplicemente meccanico di quellenorme che sono state date dalla centrale. So appunto – e questo losanno tutti che non è mai una faccenda dell’azienda – che non c’è ungrandioso modello, una macchina perfetta, ma che durante ilfunzionamento un operaio esperto può essere in grado di eliminarequesto o quell’errore con piccoli cambiamenti, o apportare uncambiamento più decisivo per cui sarebbe possibile fare meglio.Alludo alla dialettica del compito, del modo di terminare il compito;nel momento dell’esecuzione finale c’è anche la competenza dei singolioperai da considerare. È questo ciò che manca nella nostrapianificazione. Un mio conoscente, molto intelligente, ha detto che inostri indici del piano sono talmente validi che, senza nessunacompetenza, sarebbe possibile guidare un’azienda. Io sostengo laquestione della semplice decentralizzazione come una cosa vuota, seattraverso la decentralizzazione nasce un sistema nettamenteburocratico.

Soltanto se introduciamo la struttura “compito e soluzione” –interamente dall’alto in basso –, soltanto allora possiamo raggiungerela buona produzione. Combinando, perché questo si combina, con la

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democrazia dell’azienda, gli operai hanno il diritto attivo e pratico diingerenza nella realizzazione del piano.

Qui mi sia possibile dire liberamente la mia opinione privata, che hodiscusso con i dirigenti per anni moltissime volte. Non c’è un pericoloper la democrazia popolare, se ci sono alcuni movimenticontrorivoluzionari, che vogliano abbattere il potere. Il male è cheesiste una profonda indifferenza nei lavoratori onesti, ereditata dairussi a causa di concezioni sbagliate della pianificazione. Dicono che«ci fanno osservazioni, poi ci crea dispiacere», e non avviene nulla.Dobbiamo ottenere che interamente, fino all’ultimo lavoratore, sitenga conto delle loro osservazioni, quelle osservazioni che hannodiscusso veramente, e che si trasportino correttamente nella pratica.Allora si praticherà la vera instaurazione della democrazia, al piùbasso grado della decisione.

Secondo la mia opinione, dal punto di vista della democratizzazioneattuale, non è determinante la decisione su grandi questioni, piuttostoin merito a questioni quotidiane! Sono convinto di ciò: non c’è moltointeresse che la politica estera ungherese sostenga l’Egitto controIsraele, al contrario sarebbe estremamente interessante capire ciò cheavviene sul tram, nei mercati coperti, nei consigli, nelle aziende ecc.Cioè ciò che è in strettissima relazione con la vita quotidiana degliuomini.

Se a questo livello sorge la democrazia, si estende lentamente versol’alto, e lentamente verso l’alto farà valere la propria influenza, purchésopra ci siano coloro che vogliano assumere questo punto di vista.Secondo la mia opinione, questo è il punto controverso per il nostrosviluppo economico e politico.

Fehér – C’è, però, anche una opposizione al principio dellademocrazia aziendale, fino a ritenerla impossibile, poiché il lavoratorealla fine non sa vedere i compiti tecnologici ed economici delleaziende. Qual è la sua opinione al riguardo?

Lukács – Secondo la mia opinione, dietro l’intero tecnocratismo simostra una moderna feticizzazione, in massima parte, appoggiata dai

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tecnocrati, che è semplicemente falsa. È di grande interesse chenell’attuale letteratura scientifica cresca sempre di più numero deglieffettivi esperti, che vivono il confronto con le concezioni deltecnocratico con il più grande scetticismo.

Ho letto un saggio del sociologo americano di nome Whyte[14], nelquale si occupa di un punto essenziale che, secondo lui, comprometteestremamente lo sviluppo scientifico americano, ponendosi comemodello tecnocratico il team work. Naturalmente questo è solo un latodella medaglia. L’altro è leggibile in un libro interessante delloscienziato ungherese che vive all’estero, Selye[15], apparso adesso inungherese. Partendo dalla propria esperienza dice che se con tutti isuoi strumenti esaminasse un topo, allora vedrebbe di più di quantovede esaminando le parti singole, scomponendolo. Io cito adessoSelye, ma non so giudicare la questione concreta, però sono convintoche sul tecnocratismo – qui non parlo contro la tecnica moderna – sisviluppi una concezione del mondo falsa centrata su un grandiosofeticismo per cui è possibile guardare prima perfettamente unosviluppo particolare e poi un intero complesso.

Qualche anno fa ho parlato su questa questione con il sociologoungherese Szalai[16]. Per esempio Szalai era del punto di vista che nonfosse necessario per la medicina delle malattie interne un esameoggettivo, perché si può fare un esame più accurato per tutti con unamacchina cibernetica. Questo naturalmente non è vero, questa è lafantasia di un vano tecnocrate. Al contrario dico che per il veromarxismo è nostra necessità guardare nell’essere umano nella suatotalità e la forza produttiva e la tecnica soltanto in considerazionedello sviluppo dell’integrazione, del perfezionamento della forzaumana complessiva, così liquidando, in teoria e in pratica, questafeticismo della tecnicizzazione.

Fehér – Gli esempi convincenti, di cui lei ha parlato, si riferiscono allavoro dell’intellettuale e del ricercatore scientifico. C’è qualcheparallelo con la vita dei lavoratori? Si può immaginare che appunto illavoratore medio possa comprendere il processo tecnologico?

Lukács – Dietro tutto ciò naturalmente c’è anche una questione

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filosofica, ontologica, e sarebbe opportuno parlare del mio stessofondamento filosofico. Ho fatto l’esperienza di analizzare l’azioneumana e, non esiste un’azione umana, di cui prima del suosvolgimento si possa calcolare tutte le circostanze e le conseguenze.Dunque si può anche immaginare una macchina qualunque e pensareanche di perfezionarla tecnologicamente, e trasferire questo nellaprassi, ma sono profondamente convinto che insieme a ciòincessantemente emergeranno dei problemi particolari nonfondamentali, che gli uomini comprendono meglio, occupandosenetutti i giorni.

Qui non so analizzare come uno specialista, ma ho letto la letteratura ariguardo, e penso che tra il ricercatore biologico e la pratica medica c’èun po’ un pericolo simile a quello che passa tra la produzione dimacchine e l’azienda. Vedete in Germania il processo “Contergan”[17],dove qualcuno “competente” in chimica ha fatto esperimenti e ha dettoche era uno strumento eccellente, ma in realtà quegli esperimentierano indirizzati esclusivamente a creare un’illusione, e quindi nonsono citati i danni agli esseri viventi.

Fehér – Il problema della democrazia aziendale solleva il problemagenerale della democratizzazione. La questione fondamentale qui èche nel processo di democratizzazione evidentemente il partito rivesteun ruolo dirigente; come è possibile immaginare la vita democraticadel partito stesso, tra la democrazia di partito e le nuove circostanze?

Lukács – Credo che nella Comune di Parigi e nella Rivoluzione russa,nei consigli operai realmente eletti, si sia trovata una forma genialedella democrazia diretta. Sfortunatamente, in Unione Sovietica ècessata lentamente, e si è instaurata al suo posto una democraziaesclusivamente parlamentare. Accanto agli attuali rapportiparlamentari non c’è un significato essenziale della democrazia cheemerga in parlamento. Sono affezionato, per questo, alla concezioneche ci si deve dirigere “sotto” la democrazia, perché sotto ci sono gliesseri umani, in un reale rapporto diretto con le cose che li interessanodavvero: nella stessa officina naturalmente tutti sanno giudicare chi èun buon operaio e chi no.

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Con ciò sostanzialmente mi piacerebbe arrivare, se fosse possibile, cosìad esprimere, lo stato d’animo pubblico, il pubblico. Questeindistruttibili cose avvengono sempre. Questo non può apparire perdecreto economico, per il quale la mattina del giorno dopo ci sarebbeuna tale o talaltra reazione d’animo generale nel mercato o sul tram.

Dobbiamo cercare qualche modo di organizzazione la società per cui lostato d’animo generale possa diventare una componente della vitapubblica e che ciò sia possibile trovarlo mediante la democratizzazionedegli organi inferiori.

Oggi questo stato d’animo generale non è considerato, perché non ha adisposizione nessun genere di potere. Se in un’azienda si tratta di farfunzionare una nuova macchina, allora non si può decidere senza laconsiderazione del lavoratore che dirà cosa è svantaggioso per lui.

Se creiamo istituzioni affinché lo stato d’animo generale esistente inrealtà ottenga voce, allora ci saranno conseguenze pratiche sulleopinioni di quella maggioranza, allora l’opinione pubblica accoglieràanche l’irresponsabilità attuale. Qui sarebbe necessario una grandiosa,reale, educazione per la democrazia. Due anni fa, in un’intervista aL’Unità, spiegai che sarebbe necessario che gli organi centrali delpartito si associassero agli strati inferiori, più bassi, della società, perla democratizzazione, contro coloro che vogliono impedire lademocratizzazione per abitudine, per difesa delle proprie posizioni dipotere, per pregiudizio.

Fehér – Se sosteniamo questa formula, parliamo di coloro che stannoal centro, dei dirigenti più bassi e più alti della democrazia che si vadelineando. Questo è l’apparato. Come è possibile arrivarci, e di nuovola questione della democrazia di partito, se al centro c’è la burocrazia,che piuttosto svolge la funzione di cui è competente?

Lukács – Abbiamo una grande esperienza nella storia: pensiamo aquando scoppiò la Rivoluzione francese e fu attaccata dagli esercitidegli Asburgo e degli Hohenzollern. Allora il livello medio – in questocaso in conseguenza del tradimento – fu considerato fallito. Accadderocatastrofi straordinarie. Ma le catastrofi avvennero perché l’onore e la

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buona fede degli ufficiali non erano adattate alla nuova strategia e allanuova tattica. La Rivoluzione francese e Napoleone, nel tempo,realizzarono una gigantesca rieducazione e uno scambio di fiducia. Mase non si realizza la trasformazione, allora non vengono percepiti comenecessari né la rieducazione né in parte lo scambio.

Mi si permetta di citare di nuovo Lenin, che dopo l’introduzione dellaNep, in un discorso, disse che il più grande eroe della guerra civiledeve lasciare il posto, se non sa e non vuole adattarsi alle nuovecondizioni. Non è ammissibile il punto di vista per cui ci si debbaadattare alla burocrazia, piuttosto è vero e auspicabile il contrario.Aggiungo: credo che la burocrazia è piena di uomini di talento, chepregano nel segreto che sia possibile estinguere questo cattivo sistema;ed è naturalmente piena di uomini privi di talento e cattivi, incapaci diadattarsi ai compiti nuovi. Non vedo assolutamente il perché, se altempo di Cromwell era possibile sostituire i generali, oggi non sarebbepossibile sostituire i capi contabili?

Fehér – La rieducazione è sicuramente una singola parte di questocompito. Ma vorrei vedere più sostanzialmente il problema generaledella democrazia di partito. Accennerebbe con qualche lineamento aquelle condizioni fondamentali che, secondo lei, sarebbero necessarieper lo sviluppo democratico della vita di partito?

Lukács – Qui di nuovo parto dal fatto che un’organizzazione dipartito è possibile che sia viva, se essa stessa si occupa della sua vitainterna con competenza, perché allora quei dirigenti parlano comeesperti della questione, e in tal maniera è possibile porre le questionidella democrazia. Ciò non accade se le organizzazioni del partito sioccupano esclusivamente di questioni generali esterne. Ricordo leriunioni di partito in Unione Sovietica, quando nella celluladell’Istituto di Filosofia si discutevano le questioni del consolidamentocapitalistico. Naturalmente cinque interventi davano il loro parere e lamaggioranza unanimemente votava le proposte deliberative. In questaquestione, quindi, si deve ritornare al sistema sovietico, dove c’è unrapporto con la vita vissuta. Gli uomini espongono le loro esperienzein circostanze concrete, e si potrebbe venire a creare qualcosa, una

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certa iniziativa, appunto mediante la discussione effettiva di queiproblemi, di cui è piena la vita quotidiana. Soltanto che non si parladei fatti quotidiani dei lavoratori, perché si considerano già quasideterminati da un destino. Invece dovrebbe nascere una taledemocrazia, nella quale realmente prende parte lo strato sociale deilavoratori, e nella quale può avere un ruolo dirigente il partito cherappresenta l’interesse generale.

Fehér – Mi permetta un’obiezione. In realtà, questo problema, che leiha sollevato, è una parte importante della vita vissuta e reale delleorganizzazioni del partito, ma soltanto una parte. Il fondamentaleproblema della democrazia del partito è, che nel momento in cui nascela politica del partito, in quale misura i membri del partito controllanoquesta intera politica. Giorni fa è emerso un’interessante proposta, percui in certe questioni l’organizzazione centrale del partito presentiproposte alternative davanti ai membri del partito. Ritiene sufficientequesto per il dispiegamento della democrazia di partito, o sononecessari altre modalità e procedimenti?

Lukács – Non ritengo ciò negativamente, soltanto che qui di nuovo sideve considerare che nessuno sa assumere un atteggiamentocompetente in tutte le questioni, se non è preparato. Sostengo che lasostanza della democratizzazione è la possibilità dell’alternativa, doveperò è possibile assumere una posizione ponderata e corroborata dallaesperienza, come per il problema anzidetto del compito dellaproduzione. Come disse Lenin: «In questo caso anche la cuoca sagovernare lo Stato». Naturalmente di contro c’è un’intera serie diquestioni di partito, delle quali non tutti sanno dare un parere. Maanche qui si può fare di più, se cadessero le barriere professionali, cheoggi esistono per esempio tra la tecnica e l’azienda, tra la cultura e legrandi masse, e si lasciasse che gli uomini manifestino il proprio puntodi vista in queste questioni, anche se fossero punti di vista scorretti. Èdi gran lunga meglio che un punto di vista pur scorretto giungaall’organizzazione del partito, piuttosto che se ne parli solo scendendole scale.

Fehér – Ma in sostanza ha sollevato, tuttavia, la questione della

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libertà di parola. La libertà di parola dentro il partito: c’è naturalmenteil diritto formale, sempre con la preoccupazione inerente alla propriafrazione. Come si potrebbe distinguere lo scambio democratico diopinioni dentro il partito e l’esistenza delle frazioni, che si considerapoi incompatibile oggettivamente in ogni partito?

Lukács – Credo che la frazione sia ancora pericolosa per un partito,se diventa una frazione organizzata. Ma se ci sono opinioni comuni tracinque o dieci dirigenti sull’attrezzatura aziendale o su una questioneteorica, ed eventualmente se ne parla in casa, al caffè o in un club, oanche durante una riunione di partito – ahi, mio dio! –, non vedoalcun pericolo in questo caso. Non è possibile permettere la frazioneorganizzata, ma è possibile creare una vita democratica così che tuttiabbiano una propria, indipendente, opinione perché su ciascunaquestione ci sono tre o quattro possibili tagli, e naturalmente gliuomini cercheranno l’un l’altro opinioni analoghe e coopereranno.Non vedo alcun pericolo in ciò.

Ai tempi di Stalin c’era il pericolo collaterale che la direzione delpartito volesse polverizzare i membri del partito, comprendendo nelfrattempo che ad ogni membro del partito non era permessoformalmente di avere un’opinione personale, ma all’istante sorgeva ilsospetto di frazionismo, se più persone avevano un’opinione comune.

La mia esperienza è che, naturalmente in primo luogo per quantoconcerne la letteratura e la scienza, è impossibile lo sviluppo senzal’evoluzione delle tendenze diverse. E dobbiamo sostenere piuttosto losviluppo di queste tendenze. Infatti quanto più l’opinione pubblica –della quale ho parlato prima – si cristallizza su certi gruppi di prese diposizione, più facile è il chiarimento.

Il solo criterio è che la disciplina di frazione va interdetta, cioè chedentro una tendenza non è permesso fare pressione su nessuno. E c’èsempre un modo per fare pressione, per esempio nel modo di fare diun direttore di istituto o di un redattore c’è l’esercizio di una certapressione. Se c’è una simile pressione, si deve agire contro di questa.

Forse se spontaneamente, in qualunque questione, dalla

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manutenzione della macchina fino alla questione più scientificapossibile, si formano tendenze, ciò può avere soltanto un effettopositivo.

Questo fatto, a mio parere, è così evidente in tutti i contesti, risultandosemplicemente ovvio che per un problema nuovamente sollevato nonc’è soltanto una soluzione e non ci sono soluzioni infinite. Dunque laformazione di tendenze risulta evidente dal problema stesso.

Se ci spaventiamo nel ricordo dello stalinismo riguardo alle tendenzedifferenti, allora non sapremo mai mettere in atto conseguentementela democrazia e il diritto.

Fehér – Se sosteniamo il problema delle tendenze, parliamochiaramente della questione ideologica, sulla questione delle tendenzeinterne al marxismo. Ritenendo il principio dell’oggettività dellaverità, come possiamo spiegare la legittimità delle tendenzesopravvenienti e in concorrenza all’interno del marxismo?

Lukács – Non dimentichiamo che Marx ha definito che l’ideologiacrea certi conflitti nei rapporti dialettici tra forze produttive e rapportidi produzione, e l’ideologia serve quando pratichiamo questi conflitti.Non c’è la filosofia, non c’è la scienza, con qualche valore, se non per ilfatto che nasce in qualche conflitto dove combatte ideologicamente.

Da quando l’imperialismo è nato, naturalmente anche nel movimentooperaio sono sorte le tendenze più differenti, tra le quali c’eranotendenze generali che si allontanavano dal marxismo. Con moltepoche eccezioni, sarebbe possibile citare Rosa Luxemburg, Lenin ealtri, che sostenevano con stima la vera tradizione marxista emostravano una condotta rispetto al fatto che affrontavano nuoviproblemi, che non erano compresi e non lo potevano essere nelleposizioni storiche di Marx, perché Marx è morto nel 1883, e nel 1883non era ancora nato economicamente l’imperialismo. Dovunque cifurono errori, ma è un gigantesco merito di Hilferding, di Luxemburg,di Lenin, che con gli strumenti del marxismo si siano potuticomprendere le forze e i nuovi fenomeni.

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Nel rinascimento del marxismo vedo una dualità. Da un lato, si devericonoscere che fino a quando un altro studioso simile o di maggioreimportanza non si presenta sulla scena, Marx ha svolto l’analisi deifenomeni scientifici nel modo migliore. D’altro canto, con l’aiuto diquesto metodo si deve rivedere ciò che è accaduto dopo la morte diMarx, per esempio, nell’economia. Mi riferisco al fatto assolutamentenuovo, ad esempio, dell’ingresso dell’industria dei consumi e deiservizi nell’economia. Il rinascimento del marxismo, in tal senso,consiste nel fatto di utilizzare il suo metodo e di non credere nellastupidaggine manipolatrice dei borghesi. All’inizio del mio saggio daltitolo “Che cos’è il marxismo ortodosso?”, ho scritto: «ammesso – enon concesso – che le indagini più recenti abbiano provato senza alcundubbio l’erroneità materiale di certe asserzioni di Marx nel lorocomplesso, ciò nonostante il metodo marxista rimane valido e si deveseguire il metodo marxista»[18]. Ho aggiunto l’interpolazione“ammesso e non concesso”, perché lo sviluppo ha confutato moltopoco di ciò che Marx ha detto e di ciò che Marx aveva vistosostanzialmente prima. Nella nostra conversazione precedente misono riferito al fatto che appunto Marx ha visto la transizione dalplusvalore assoluto al plusvalore relativo, benché al suo tempo fossesoltanto in germe. Dunque chi è disposto a studiare Marx veramente,può elaborare il metodo che con il suo aiuto può dare una spiegazionemarxista ai fenomeni economici attuali, non esistenti a quel tempo enon conosciuti da Marx.

Di questa dualità consiste il metodo marxiano. Da un lato, il metodo ciserve contro l’irrigidimento, che avvenne all’epoca di Stalin, per ilquale sono sorte tali assurde cose per cui, per esempio, si èsemplicemente cancellato il sistema di produzione orientale dallateoria marxista. Dall’altro, ci dobbiamo preoccupare di riaffermare ilmetodo contro quelli che, riconoscendo in Occidente una discrepanza,hanno fatto cadere in disuso di fatti il marxismo stesso – proponendoun nuovo metodo. Secondo la mia profonda convinzione, è possibileaffrontare i nuovi problemi oggi esistenti e risolverli con un metodomarxista ben definito.

Lo sviluppo delle attuali circostanze ha mostrato non soltanto il crollo

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dello stalinismo in Unione Sovietica, benché, secondo me, non siaancora terminato il processo, con grandi possibilità di sviluppo, madall’altro lato si può vedere che a causa della guerra in Vietnam, dellaquestione razziale e di tante altre questioni che hanno terribili effettiin questa ideologia manipolatrice neopositivista che domina inOccidente, ci sono dappertutto nel mondo, in Italia, in Francia, maanche in Germania, in Inghilterra e in America, masse gli uomini chericercano il metodo marxista.

Adesso, tutti noi siamo nello stadio della ricerca. Sonosoggettivamente convinto – e non avrei dedicato metà della vita, senon ne fossi stato convinto –, che la mia sia la maniera valida con laquale ricercare il rinnovamento metodologico del marxismo; vale adire che si deve partire dalla particolarità dell’essere sociale, e si deveanalizzare questa particolarità come proprietà e relazioni dell’essere.Mi rendo conto che questo è il mio punto di vista e posso ingannarmi,ma credo di essere nel giusto.

Tuttavia l’essenza della cosa oggi è che l’interesse è avviato verso ilmarxismo, che si sviluppano su di esso grandi dibattiti di dimensioniinternazionali e da che questi dibattiti rinascerà il marxismo. Ciò non ènuovo nel movimento operaio. Anche l’apparizione di Leninrappresentò una certa rivoluzione nella storia del marxismo, perché haportato di nuovo in primo piano una serie di punti di vista dimenticati,o non posti, correttamente o scorrettamente, al centro della teoria.

Non dico che Lenin avesse ragione in tutte le questioni. Non aveva, adesempio, ragione, quando credeva che l’ostacolo al capitalismomonopolistico era la questione delle forze produttive, di cui scrive nellibro su L’imperialismo ... Questo suo presagio non si è dimostratovalido. Contro di ciò, se guardiamo al marxismo, se come esempioportiamo lo sviluppo tedesco – allora non ero convinto di ciò – nellacritica al Programma di Erfurt di Engels, scritta nel 1890, ci sonodentro, per così dire, i problemi cruciali complessivi delle riformedemocratiche della Germania attuale; solo che si devono cercaredistricando le questioni. Innanzitutto per tornare a Marx, lacondizione – risulta triviale, ma si deve dichiarare – è di leggere tutto

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Marx: non quei riassunti che hanno messo insieme i compagni russi,perché sono manipolatori. Dall’intero Marx il metodo filtra e si deveverificare con la realtà attuale e nella realtà attuale poter rintracciareveramente le tendenze dominanti. Questo molto sicuramente ad unuomo solo non riuscirà, perché non vive oggi un tale genio come Marx.Riuscirà, però, a 20, 30 o 50 uomini che verranno fuori con l’aiuto deidibattiti in corso.

Il compito del partito sarebbe di utilizzare il libero spiegamento diqueste tendenze, di questi dibattiti, per poi captarne l’ideologia dalpunto di vista politico.

Fehér – Forse lei in sostanza capterà le tendenze come possibilità disoluzioni concernenti alternative di epoche sempre rinascenti, checome ho detto – sono numerose, ma non infinite. Come regolare d’orain poi il rapporto generale del partito al marxismo come scienza dellosviluppo?

Lukács – Ho la convinzione che qui siamo di fronte a un problemacompletamente nuovo. Stalin voleva fare in modo che il segretario delpartito fosse il custode e lo sviluppatore ulteriore del marxismo.Questo è stato un completo fallimento dappertutto e ora, nel caso diNovotný, speriamo di essere davanti al superamento di un ultimofallimento del genere. Secondo me, si tratta di un problemainteramente nuovo, perché emerge che la direzione scientifica dellesocietà contemporanee è una cosa molto più complicata rispetto alpassato. Uomini come Napoleone o Bismarck, potevano sbrigarselapersonalmente con alcuni consulenti. Anche se ciò non assicuravacontro i fallimenti, appunto anche nel caso di Napoleone e Bismarck.

Nella società borghese contemporanea è emerso negli ultimi tempi ilproblema del cosiddetto brain trust. Cos’è il brain trust? Non soltantoi politici, ma anche i dirigenti delle grandi imprese, sanno che glispecialisti non sono capaci di vedere veramente e validamente iproblemi nella loro complessità. Se ripensiamo ai casi migliori checonosciamo della società borghese, ad esempio Roosevelt, in misuraminore Kennedy, vediamo che attorno a essi si organizzano gruppi dianalisi e lavoro, che non dovevano essere debitori alla burocrazia, che

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non si ponevano principalmente i problemi dello sviluppo ulterioredell’amministrazione, e che non rappresentavano gli interessi diqualche ramo dell’amministrazione, ma che avevano piuttosto leproprie opinioni indipendenti e che da queste si ingegnavano aproporre le linee generali da seguire.

Non penso che per noi introdurremo un brain trust centrale. Sonoconvinto che nascerà la democrazia socialista, dove in ogni impresa,gli operai più intelligenti, per i problemi concreti, formeranno unbrain trust. Lo sviluppo della democrazia deve andare in questadirezione.

Naturalmente ciò non si rapporta direttamente alle questioni decisivedella teoria marxista. Qui la direzione del partito deve organizzare unrapporto dello stesso genere tra scienziati, pubblicisti e, in certi casi,anche artisti, che rappresentano la teoria sociale.

Se Marx vivesse oggi e fosse segretario del partito, avrebbe chiestol’opinione di Balzac in numerose questioni economiche. Menziono ciòsoltanto come esempio estremo. Qui non si tratta della selezioneburocratica, piuttosto di organizzare l’ideologia in modo che generivisioni migliori e più pratiche, quando entra in contatto con ladirezione politica, e che la direzione politica sappia utilizzare questecose. Sono indotto come uomo di teoria a riconoscere queste necessità.Si deve dare a queste necessità una forma bene organizzata, e il partitodeve realizzarla successivamente con la propria pratica, e sonoconvinto che, in differenti stadi di differenti partiti si debbano trovarequesta e altre forme. Non so se una forma fissa di statuto si svilupperà,ed è impossibile sapere come procederemo, ma se la direzione politicadel partito non si affretta a sostenere questo legame con la teoria, siresterà fermi.

Fehér – La rinascita del marxismo, come pensiero rivoluzionario, nonè mai nelle questioni reputate accademiche, ma piuttosto, come si èdetto prima, è una questione fondamentale dal punto di vista delletendenze della moderna società, della società socialista. In che modo larinascita del marxismo è in rapporto con le riforme economicheappena avviate e con la democratizzazione iniziata? C’è un rapporto

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tra di queste, e potrebbero accadere delle deformazioni, se non siandasse fino in fondo con la rinascita del marxismo?

Lukács – Direi che questa è l’ultima risposta, che non c’èassicurazione che non possano sorgere deformazioni.

Nella società, partendo dal lavoro, l’azione di tutti gli uomini ha untale carattere che è messa in moto da uno scopo preciso che si cerca direalizzare. Non è più possibile un unico scopo, quando è messo inmoto un certo processo causale. Non si pensi ora a ciò come unagrande cosa filosofica: se porto una pistola nelle mie mani e premo ilgrilletto, allora metto in moto un processo causale, vale a dire cheparte il proiettile. La cosa essenziale è che eventualmente buoni scopi,o cattivi scopi siano posti, al cento per cento non è sicuro, anche nelpiù semplice dei casi, che il processo causale corrisponda a quelloscopo che ho posto ed è ancora meno sicuro che il mio scopo fossegiusto.

Dunque nel caso della società, dove la totalità dei processi causali èmessa in moto da milioni di scopi di milioni e milioni di uomini,naturalmente non posso dire di nessuna disposizione di alcun genere,che sia una disposizione infallibile, che risolverà questa questione ineterno; piuttosto devo guardare alle cose con gli occhi dell’essereumano e là intervenire con processi attenti, dove vedo che accadequalche cosa di sbagliato.

Si prenda per esempio l’escalation, citata e fallita in Vietnam, dovesenza una considerazione reale del nemico, hanno sviluppato unastrategia, nello stesso momento in cui il nemico passava all’attacco,quando invece, secondo l’escalation, doveva già essere stato distrutto.Contro di ciò, non fu un comunista, piuttosto, come si è detto, fuNapoleone, a cogliere la sostanza della strategia: «On s’engage et puison voit» (attacchiamo, combattiamo e poi vediamo). È noto che questoera uno dei motti preferiti di Lenin. Nascerebbero, per esempio, deiprocessi sociali nei quali noi ci “impegniamo”, secondo i nostrimigliori esperti. Ma i nostri migliori esperti non possono riferireinfallibilmente i fatti e qui arriva il «et puis on voit» (e poi vediamo) diNapoleone e Lenin.

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Il talento politico, la capacità politica consiste in ciò che la visionemostra sia precocemente e sia nitidamente. È chiaro che non èpossibile sopperire a ciò, e qui ci viene in aiuto il metodo per mezzo diMarx; ma, in genere non è mai sicuro che tutti i membri del politburoin funzione dispongano della visione di Lenin. Per l’effettivo lavorocollettivo, per l’effettiva organizzazione del partito vanno selezionatigli uomini migliori e gli uomini migliori saranno diligenti nelcorreggere in tempo gli errori. Insomma liberamente di nuovo citoLenin che ne L’estremismo, malattia infantile del comunismo disseche non esiste quell’uomo che non commette errori. L’uomointelligente è quello che relativamente non commette molti grandierrori, ma che rapidamente li corregge. È possibile che questa saggezzaviva nel campo della teoria e nel campo della politica, ma solo se le duesi muovono insieme non meccanicamente.

[1] Ferenc Tőkei (1930-2000), allievo di Lukács, filosofo e sinologo,autore del libro Il modo di produzione asiatico.

[2] István Tisza (1861-1918), politico ungherese, Presidente delConsiglio dal 1903 al 1905 e dal 1913 al 1917, considerato responsabiledell’entrata in guerra dell’Impero asburgico, fu assassinato il 31ottobre 1918 dai rivoltosi.

[3] Due generali russi dell’Armata bianca anti-bolscevica durante laGuerra civile russa.

[4] Mátyás Rákosi (1892-1971), politico ungherese, dal 1945 al 1956segretario del Partito Comunista Ungherese e del Partito deiLavoratori Ungherese.

[5] Béla Kun (1886-1938), fondatore del Partito ComunistaUngherese, capo della Repubblica dei Consigli nel 1919, segretario delPartito Comunista Ungherese fino alla sua sparizione durante lepurghe staliniane.

[6] Gyula Hevesi era un dirigente del partito comunista ungherese chepartecipò alla Rivoluzione dei Consigli del 1919 e al governo relativo

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con la carica di Commissario alla Produzione Economica. Salgótarjanè una regione ungherese al confine con la Slovacchia, una delle primead essere attaccate dalle truppe controrivoluzionarie di Miklós Horthy.

[7] Ordžonikidze, membro del partito bolscevico, partecipò allaRivoluzione d’Ottobre e alla seguente guerra civile, fu anche membrodel Comitato Centrale del partito e Commissario del popoloall’industria pesante. Scomparve durante le purghe staliniste.

[8] Antonín Novotný (1904-1975), segretario del Partito ComunistaCecoslovacco dal 1952 al 1968.

[9] Zoltán Horváth, giornalista, critico d’arte e storico, collaborò nel1947 alla riunificazione dei partiti operai nel Partito comunistaungherese e nel 1949 fu arrestato, fu liberato soltanto nell’estate del1956.

[10] Gyula Kállai, politico comunista e ministro degli esteri tra il 1949e il 1951.

[11] Feliks Ėdmundovič Dzeržinskij, (1877-1926), rivoluzionariosovietico e fondatore della CEKA, la polizia politica.

[12] Ottó Korvin (1894-1919), capo dei socialisti rivoluzionari, tra ifondatori del Partito comunista ungherese, giustiziato dopo laRivoluzione dei Consigli.

[13] Evgenij Alekseevič Preobraženskij (1886-1937), economista esociologo sovietico, vittima delle purghe staliniane.

[14] Whyte William Hollingsworth, The organization men, New York,1956.

[15] Selye János, Életünk és a stressz (La nostra vita e lo stress),Budapest, 1964.

[16] Sándor Szalai (1912-1983), sociologo ungherese.

[17] Il Contergan fu un medicinale contenente il farmaco talidomide,

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commercializzato negli anni Cinquanta e Sessanta come sedativo,antinausea e ipnotico, ma che causava gravissime deformazioni agliarti dei bambini nati da donne che ne avessero fatto uso. Venduto inpiù di cinquanta paesi, nel 1961 ne fu vietata la commercializzazione.

[18] La citazione che Lukács, probabilmente fatta a memoria, èleggermente diversa dal testo del saggio, soprattutto a partire da “maciò nonostante”.

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Dopo cinquanta anniUna conversazione per radio tra György Lukács, a Budapest, e ArnoldHauser, a Londra, registrata dalla radio ungherese nell’anno 1969.

Conduttore – Trasmettiamo una conversazione che si starealizzando tra la BBC londinese e la radiodiffusione ungherese. Nellostudio londinese si trova il professore Arnold Hauser, il quale potremochiamare semplicemente Arnold Hauser, poiché il famoso sociologodell’arte nacque in Ungheria. Cominciò i suoi studi nella Facoltà diFilosofia dell’Università di Budapest, studiò filologia tedesca efrancese, fece amicizia con Karl Mannheim e successivamente conGeorg Lukács. Ci è noto il “Circolo della domenica”, sorto nel 1916, trai cui membri figuravano, oltre a Lukács, Bela Balázs, Karl Mannheim,Frederich Antal, Anna Lesznai[1], Arnold Hauser e altri. È ancheconosciuta la “Scuola libera delle Scienze dello spirito”, che sorse daquesto circolo e nella quale i membri del “Circolo della domenica”tenevano conferenze di elevato livello accademico, malgrado fosseaperta a tutti. Durante il regime di Horthy la maggioranza deipartecipanti del circolo emigrò: lo stesso Hauser da mezzo secolo stavivendo all’estero. Lì ha scritto, tra le altre cose, la sua operaprincipale, la Storia sociale della letteratura e dell’arte, pubblicatarecentemente in ungherese. Questo avvenimento ci ha datol’opportunità di invitare il professore Hauser a partecipare a questaconversazione. Per questo motivo si trovano invitati negli studi diBudapest gli accademici Georg Lukács e Julius Ortutay, il sociologoTibor Huszár e l’editrice dell’opera di Hauser, Beatrix Kézdy.

In considerazione dell’antica amicizia esistente tra i due saggichiediamo a Georg Lukács che lo saluti.

Lukács – Grazie a questo incontro, dopo tanto tempo, vorrei salutarlada qui, in Ungheria, dalla terra ungherese, in lingua ungherese, nellaforma più cordiale.

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Non c’è dubbio che il piccolo circolo, al quale appartenevamo in quelperiodo a Budapest, ebbe qualche influenza nello sviluppo ideologico,benché alcuni storici ungheresi, secondo la mia opinione,sopravvalutarono il suo significato durante il periodo rivoluzionario.Ma credo che il circolo diede origine a un impulso, le cui conseguenzesi mostrarono per la prima volta quando i suoi membri emigrarono.Sto pensando con ciò a Karl Mannheim, che divenne famoso negli anniVenti, e a Frederich Antal, rilevante rappresentante della Storiadell’Arte. Nella mia opinione, non dovremmo né sopravvalutareneanche – specialmente nel suo caso – sottovalutare l’impulsomarxista. Neanche dobbiamo dimenticare che, dopo la SecondaGuerra Mondiale, con l’inizio trionfale dell’American way of life ilmarxismo passò radicalmente in secondo piano. Quando, per la primavolta dopo il 1945, tornai all’estero, la gente mi guardava con un certostupore: «Come è possibile che una persona tanto colta possa esseremarxista!» Se mi permette di parlare della sua opera, gli dirò che unodei suoi straordinari meriti consiste nell’aver mantenuto, in mezzo aquesta immensa corrente neopositivista della maggioranza deisociologi e storici, lo scomparso senso delle relazioni reali. Che questosi realizzi in una maniera chiaramente marxista o no, lo considerotriviale. Ciò che importa è che si analizzi ciò che è arte, che ruolosvolge nello sviluppo dell’umanità, nella relazione dell’uomo conl’uomo. Da questo punto di vista, non solo mi dà allegria l’opportunitàdi trovarmi nuovamente di fronte a Lei – benché non faccia a faccia,ma almeno orecchio e bocca –, bensì che allo stesso tempo micompiace il significativo e importante avvenimento che da adesso ilsuo libro sia accessibile anche nella traduzione ungherese. La gioventùdi questo paese avrà occasione di familiarizzarsi con esso e discutere eanalizzare il suo contenuto. Dopo l’abbandono del marxismo inoccidente e della sua caricatura stalinista tra di noi, il suorinnovamento e la nuova applicazione ai fatti reali è di grande valore.Per questo applaudo alla pubblicazione della sua opera nella linguaungherese e mi farebbe contento se Lei potesse ancor di più entrare ungiorno in contatto personale con tutti coloro che, qui, si occupano diquestioni di arte.

Hauser – Caro Georg Lukács: in primo luogo, rispondo al suo saluto

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e mi permetto, per un momento, di usare un tono personale, tra noiinusualmente intimo. La nostra relazione era – almeno per ciò che miconcerne – molto più che una relazione puramente scientifica. Benchésia pienamente cosciente del significato oggettivo della fortuna diconoscerla personalmente e di essermi familiarizzato con il suo mondoideale in una maniera immediata, io so che la sua influenza non si puòesprimere in categorie teoriche, bensì si mostra, in primo luogo, nelfatto che in tutto ciò che facciamo, creiamo o pensiamo di creare, èimplicita l’importanza della sua concezione etica. Questo lo devosoprattutto a Lei e all’ambiente spirituale del circolo che si è unito aLei.

Insieme a questo vincolo morale, il marxismo influì decisivamentenell’orientamento definitivo del mio lavoro scientifico, sebbene lavalidità di questa influenza non si manifestasse all’esterno fino a tardi.Iniziai con lo studio della filosofia e della storia della letteratura. Ilmotivo per il quale mi diressi lentamente verso problemi collegati allastoria dell’arte fu dovuto, principalmente, al fatto che, innanzitutto, misentivo uno storico e che le questioni che mi interessavano in modopiù perseverante e ossessivo, trattavano del concetto dello stile; cioè,di un fenomeno che non si presenta in nessun sito così evidente, vivo emutabile come nelle arti plastiche. Alla domanda centrale del perchélo stile di un’epoca soffre una trasformazione repentina, cambia la suadirezione e ne segue una completamente nuova, non ottiene alcunarisposta soddisfacente dalla teoria del formalismo, dalla dottrina dellascuola di Wölfflin, della quale ero discepolo; da questa anti oasociologica disciplina non ottenni nessuna risposta, ma la ottenni dalmarxismo – fino al punto che si può aspettare una risposta univoca asimile domanda.

Conduttore – Vorrei aggiungere qualche parola a quello che Lei hadetto sul punto di vista marxista. Quando poco fa ho visitato il prof.Lukács, ha ricordato un’osservazione che fu fatta in francese duranteuna conferenza internazionale: Marx est notre contemporain.

Hauser – Sì, io credo che lo sia, in tutta l’estensione della parola e checontinuerà ad esserlo anche per molto tempo, con tutto ciò che

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possiamo cambiare nella sua immagine, con tutto ciò che aggiungiamoo togliamo alla sua teoria, come si voglia interpretare la sua dottrina,sia in senso politico – attivista o teorico – analitico. Precisamentequest’ultimo punto di vista citato sembra essere il meno compatibilecon la maniera di pensare di Lei e soprattutto di Lukács. So moltobene che la divisione tra comprensione e azione è incompatibile con ilmarxismo ortodosso; ma, come molte altre cose nella scienza dellastoria, anche questo è un problema di prospettiva. Non si devedimenticare che la prospettiva da Londra o in generale dall’occidente,per buona o cattiva che sia, è differente da quella che è accessibile aLei. Così come occulta a noi certi fatti e verità, può coprire anche realtàspirituali e scientifiche che da qui non si vedono, ma che si vedonodalla sua prospettiva. (...)

Ortutay – Con il suo permesso vorrei adesso, in accordo con l’invito,farle alcune domande. Sono uno studioso del folclore, come Leiprobabilmente saprà, ed ebbi la grande fortuna di conoscerepersonalmente vari membri del “Circolo della domenica”, soprattuttoGeorg Lukács, che noi, allora giovani di Szeged, ammiravamo come laBibbia (...). Come studioso del folclore mi preoccupa anche la suadomanda sulla relazione tra l’individuo e la società, la dialettica traentrambi (...).

E per questo mi interesserebbe molto se in questa dialettica dellarelazione tra individuo e società Lei si trova nelle condizioni didiscernere la personalità dietro l’attività primitiva e rurale. Perché hol’impressione che, in un passo del suo libro, Lei ha voluto dire che ilpopolo crea in una maniera spontanea e impersonale, benché Leiadotti una posizione decisivamente contraria a questo concettoromantico di Grimm riguardo alla poesia popolare. Secondo la miaesperienza – che per così dire, fu una delle cause che mi predisposecontro la concezione romantica – la gente rustica si compone dicreatori, che, benché imbavagliati e imprigionati, cioè benché vivanoin una società determinata da convenzioni e norme e nella qualel’individuo può soltanto esprimersi per mezzo di queste convenzioni(...).

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Hauser – Sono contento che abbia posto Lei questa domanda,dandomi così l’occasione di dire qualcosa di fondamentale sul libroche sto scrivendo e che è orientato ad essere una specie di sociologiasistematica dell’arte. La storia della cultura è, innanzitutto esoprattutto, storia. Essenzialmente non c’è alcuna differenza tra storiae sociologia; sono la stessa cosa (Lukács. Esattamente!). L’arte ruraleè, anche, un fenomeno storico che si lascia scomporre dialetticamentein una facoltà o stimolo personale e in una resistenza anonima, unprincipio consacrato, tradizionale e inflessibile. Malgrado tutto il suoincanto, comparandolo con l’arte dello strato sociale colto, sembrarigido, indifferenziato e antiquato. Lei si rifà costantemente, e contutta ragione, alla dialettica; tuttavia, non la impiega in modosufficiente, se mi permette questa piccola obiezione. La resistenzacontro la quale urta il talento artistico, spontaneo e personale delcontadino, è più forte che la tradizione, le norme scolastiche e ilconservatorismo accademico che deve combattere l’artista di un livelloculturale più elevato.

Qui mostrano piena validità i vincoli sociali che Lei ha spostato un po’in secondo piano. Una società rurale, che è essenzialmente irrazionalenel senso di Max Weber, si mostra anche nella sua arte piùconservatrice, tradizionale e convenzionale che un gruppo culturalepiù elevato. Ciascuna produzione artistica, come qualsiasi altra attivitàmentale o cosciente, è un prodotto della dialettica nella quale eranoimplicate la spontaneità e la convezione. Può darsi che i due concettiantagonistici si chiamino in altro modo; l’importante, tuttavia, è il lorodualismo ed inammissibile è la riduzione del processo a un motivounico. Un processo storico, nonostante, sarebbe difficilmenteimmaginabile, malgrado l’equilibrio delle componenti antitetiche alquale tende Lei. Proprio quei marxisti o hegeliani che credono dipotere dedurre tutta la storia da forze materialistiche o idealistiche, odell’equilibrio costante tra forze di qualsiasi natura, non pensanodialetticamente. Ciascun passo dello sviluppo, sia quello di un’operaindividuale, di uno stile, di una cultura o di un popolo, è il risultatodella tensione tra motivi diseguali, proviene da un dialogo, da unaltalenarsi di domande e risposte. La storia è un dialogo ininterrotto.L’individualità o spontaneità è quasi nulla come la formula anonima,

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la tradizione meccanicista; dove quella non urta con la realtà, questanon risponde. Parla solo quando la si interroga.

Ortutay – O quando si sa la risposta.

Hauser – Però si deve chiederla. Se si domanda, si riceve qualsiasirisposta: si può tornare a domandare e così si arriva a un risultato chepuò chiamarsi sintesi. Un passo porta l’altro, uno indica l’altro e guidaverso la comprensione dello sviluppo. In questo saremo totalmented’accordo. È sicuro che Lei impiega anche nelle sue ricerche, al postodi speculazioni e costruzioni senza ostacoli, il metodo che si muove trachiedere e potere, tra invenzione e convenzione, tra progresso eregressione; questo metodo al quale penserebbe quel sagace storico,quando disse che chi descriva fedelmente la storia del luogo dovenacque e crebbe, presta un maggior servizio alle scienze della storia,che qualsiasi altro audace autore della storia universale. Lageneralizzazione in sé e per sé, la profezia e il pronostico non sonostoria. Invece, ciò che Lei sta realizzando, lo studio degli elementi checompongono una canzone popolare o un racconto e ciò che iopretendo fare, l’analisi degli stimoli e delle resistenze dalla cuidialettica deriva un cambio di stile e gusto, questo è – secondo la miaopinione e con tutta umiltà da parte mia – una vera indagine storica,malgrado che alcune volte riusciamo meglio e altre volte peggio nelladescrizione dei momenti decisivi.

Conduttore – In uno dei suoi libri Lei avverte contro la supposizioneche la qualità estetica abbia un equivalente sociologico; cioè che sipossa spiegare con le condizioni sociali del suo tempo e questo valgatanto per un minuetto quanto per la struttura formale della volta diuna cattedrale. Così che qui abbiamo a che fare con una difficoltà ...

Hauser – Non con una, bensì con la difficoltà; per lo meno con ladifficoltà del libro nel quale mi trovo adesso occupato. È questa ladomanda a cui più temo di rispondere perché mi coinvolgerebbe inuna discussione che non promette di trovare alcuna risoluzione, néoggi, né domani, neanche nel dopo domani. Sospetto che è con imarxisti ortodossi che più discuterò di questo. Pretendendo chenessun equivalente sociologico corrisponda alla qualità artistica, non

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voglio segnalare nessun formalismo o estetismo, bensì la condizione diuna soglia che si deve passare per arrivare al possesso dell’arte,all’occupazione di una stanza o di una casa, cioè alla forma comesoglia. Non si tratta del tetto, né del limite del recinto architettonico,non è il più rilevante né il migliore dell’arte, bensì il suo indispensabileinizio. Lì dove l’opera non raggiunge la media della forma, non c’èancora arte.

Questa misura, naturalmente, non fissa ancora il criterio del piùimportante e del più valido nel dominio dell’estetico. La formazionedello stesso è un atto umanitario. L’arte maggiore, cioè, l’arte che nonè unicamente forma perfetta, abbraccia una risposta al problema dellavita, tratta dei problemi decisivi di un secolo. Rappresenta anchemolto più che la forma. Tuttavia, quella rappresenta la condizioneprecedente di tutto l’artistico. Questa sarebbe ciò che più micontraddiranno i marxisti ortodossi.

Conduttore – Nella sua Le teorie dell’arte Lei dice che la sociologianon è in possesso della pietra filosofale. Non fa miracoli, né risolvetutti i problemi. Ma, con tutto, è più che una delle semplice scienzeindividuali; essa è, come la teologia nel Medioevo, la filosofia nel XVIIsecolo e l’economia nel XVIII, una scienza centrale dalla quale ottieneil suo orientamento – secondo la sua opinione – tutta l’ideologia delsecolo. Qui può entrare nella discussione Tibor Huszár.

Huszár – (...) In primo luogo, mi permetta di dire che il libro mi èsembrato esemplare, soprattutto riguardo allo sviluppo dei fatti. Horiflettuto su vari passi, mi sono identificato con molti punti e, d’altrolato, mi sono anche posto dubbi. Ma mi permetta di non fare di questol’oggetto delle mie osservazioni, bensì che affronti il tema che puòessere più delicato nella nostra discussione: la questione del marxismoortodosso. Possibilmente anche noi abbiamo i nostri pregiudizi controle correnti e i loro rappresentanti in Occidente, ma Lei non è neancheimparziale con il marxismo di oggi e con i marxisti dell’Est europeo edi altri Stati socialisti.

Quella caricatura del marxismo, che ha segnalato Lukács, ha causato,in effetti, un dato considerevole, ha portato a gravi deformazioni, e

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varie di queste opere, più fastidiose che insignificanti, si scrisseroavendo come motivo quella caricatura. Nel frattempo, tuttavia, sorseuna nuova generazione che disponeva di una comprensione delmarxismo molto più sfumata e differenziata per derivare costellazionicomplesse – siano fenomeni artistici, morali o politici – senzamediazione di condizioni e processi economici. A causa della storiadegli ultimi venticinque anni, con i suoi soprassalti e disturbi, siamospecialmente suscettibili a impressioni mediate e trasferite.

E se avessimo occasione di riunirci più spesso, ci fisseremmo piùattentamente sugli scritti di molti giovani marxisti ungheresi – forsenon in ultimo posto in alcuni della scuola di Lukács –, in coloro in cuisi profila un’immagine più ricca, più complessa e più sensibile dellarealtà sociale. Ebbene, adesso vorrei, malgrado la mia gioventù e,naturalmente, con il suo permesso, fare un’osservazione polemicariguardo al nostro grande problema e, a sua volta, formulare unadomanda. Lei ha parlato di quanto profonda fu l’influenza etica cheGeorg Lukács esercitò su di Lei, quando era giovane, e che lui stimolòil suo ambiente molto decisivamente con la convinzione che la vita erauna vocazione, un dovere, un compito. Più avanti, tuttavia, ha dettoche la teoria e la prassi si erano separate nel corso della sua vita, che seben affrontò il compito dell’insegnamento teorico del marxismoscientifico, si è distanziato, ciò nonostante, in certo senso dalla suaprassi. Comprendo e so da cosa si è allontanato e so anche che i motiviper ciò erano profondi e gravi. Tuttavia, secondo i miei sentimenti, lamissione etica più profonda è la politica. La missione etica piùprofonda, cioè, la trasformazione del mondo attorno a noi coincide conl’essenza teorica del marxismo. Io avrei la sensazione di avere fallitoscientificamente se la nostra generazione o un’altra successiva fosseroincapaci di tradurre questi principi in qualche modo nel linguaggiodella prassi; e se le prospettive da Londra e da Budapest cheeffettivamente non sono eguali, rimarranno per sempre differenti. Ilmarxismo è un prodotto del presente. Non significa semplicemente larivoluzione dei poveri e della povertà, bensì l’organizzazione delmondo moderno industriale conforme a un ideale comune. La storia simuove spesso in maniera paradossale. La nostra missione eticadovrebbe consistere nel creare il terreno, in cui, sotto le condizioni

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moderne, cioè le socialiste, si potessero configurare e sviluppare le artie le diverse scienze.

Hauser – Essenzialmente sono d’accordo con Lei. Io non sono unpolitico, né sento la vocazione per ciò; ciò nonostante, mi rendo contodel vincolo che esiste tra la teoria e la vita. Quanto tentava didiscernere tra un marxismo teorico e un marxismo politico, questonon significava nessuna dipartita dalla prassi, bensì una partenza perla lotta per la verità, che non manca di pericoli – Lei mi contesterà chesi parte vanamente alla ricerca della verità, se non si ha una relazione– una relazione senza riserve – con la vita.

Mi sto sforzando di mantenere questa relazione. Tuttavia, non tento didominare la vita – cioè anche la vita degli altri, la vita della società ingenerale –, perché mi sento impotente e indifeso di fronte a questoterribile disordine; disordine che appare essere tanto grande, confusoe triste qui in Occidente come in qualsiasi altro posto e, sotto il cuipeso soffriamo coloro che pensiamo coscientemente, anche se citroviamo dentro o fuori del movimento, al quale crediamo ancora diservire nella migliore maniera – essendo come siamo marxisti esocialisti – applicando la nostra forza e capacità critica finanche allostesso marxismo. E a questo riguardo pensiamo che rimane anchemolto che richiede di essere completato, approfondito e arricchito,compito che persone come Georg Lukács sono sommamente capaciper realizzare con il massimo successo. Io stesso sono incomunicazione continua con un antico discepolo di Lukács, che èprofessore non ordinario in questo paese [István Mészáros], in modoche non ha perduto il contatto con il suo mondo né con la giovaneUngheria. Non sono, pertanto, un completo estraneo nel suo mondo,al contrario sono un parente molto, molto vicino.

Lukács – Se mi permette, aggiungerei ancora alcune osservazioni alladiscussione storica: la causa della deformazione storica del marxismofino ad oggi si basa fondamentalmente nella sua considerazione apartire da punti di vista unilaterali. C’è stata una deformazioneeconomicista, sociologica e ancora esiste una deformazioneburocratica della teoria. Contro di ciò si deve tornare – secondo la mia

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opinione – a ciò che Marx pensava veramente. Innanzituttoaggiungerò che il giovane Marx postulò che esiste unicamente unascienza globale: la storia.

Per Marx questo non era una questione gnoseologica, bensìun’autentica questione filosofica, anche ontologica; cioè, laconsiderazione che la storia non sia scienza, bensì che i fatti storiciappartengano all’ontologia. La sostanza non consiste in qualcosa chemantenga sempre, bensì che conservi la sua continuità. Questainterpretazione dinamica della sostanza forma una tesi fondamentaledel marxismo, indipendentemente se i marxisti contemporanei laaccettino o meno. L’altra questione, che ha già toccato il nostro amicoOrtutay, è la questione dell’individualità e della comunità. Riguardo adessa, la grande scoperta di Marx fu, secondo la mia opinione,abbozzata già nelle Tesi su Feuerbach: che l’individualità monadica ela sua conformazione generica sono inseparabili. La scienza modernatende a considerare il mondo esterno e l’interno come due sostanzedifferenti. Il marxismo propone l’unità dialettica di entrambi e segnalache lo sviluppo dell’uomo verso il vero individuo non è indipendentedal genere e che non è in nessun modo antagonistico riguardo alcollettivo della società, bensì che i due fenomeni formano un processoomogeneo che si sviluppa tra due antitesi dialettiche.

Considerando il folclore, il campo di ricerca specifico del nostro amicoOrtutay, salta agli occhi il momento generico, la manifestazione delleorigini collettiviste dell’umanità. Se mi è permesso esprimermi in unamaniera paradossale direi che l’individuale, il particolare e il generalesono categorie ontologiche della realtà. Nella sua esistenza ciascunuomo è una monade e non si deve dimenticare la sua individualità.D’altro lato, se prendiamo sul serio la storia, comproveremo che,partendo da questo carattere monadico e dal campo storico,l’individualità umana si è evoluta. Ricordiamo, senza andare troppolontano, l’apogeo della polis greco-romana nella quale l’uomo era soloindividuo in quanto cittadino, e la sua esistenza fuori dalla città fuconsiderata come casualità finanche dai più grandi pensatori. Soltantodopo il tramonto della polis, nella filosofia stoica ed epicurea, sisviluppò l’idea dell’individualità e acquistò la sua forma religiosa nella

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prassi del cristianesimo; nuovamente, a partire dal Rinascimentoperse questa peculiarità. L’individualità, quindi, come categoriastorica, deve essere inseparabile dalla condizione generica dell’uomo,cioè che non esiste nella società nessun uomo semplicemente sociale oasociale; e dall’altro lato, in quanto non troviamo nella realtà nessunadualità dell’individuo e della società. L’individuo è egualmente unprodotto storico.

Credo che, perseverando in queste due idee, non abbiamo bisogno dirinunciare a nessuna delle determinazioni storiche ed economiche delmarxismo per liberare la teoria da quei problemi fittizi che laaggravano a partire dalla sua deformazione socialdemocratica fino allostalinismo. Il nostro compito consiste, in fondo, nel segnalare in Marxquei grandi principi filosofici, i principi fondamentali, e applicarliindipendentemente allo sviluppo successivo; perché, per quantogeniale fosse Marx, esiste il fatto che è morto negli anni Ottanta, enegli ultimi ottanta anni sono accadute molte cose.

Non mie, bensì di Lenin, sono le parole che si leggononell’introduzione alla Nuova Politica Economica (Nep): «Certicompagni cercano costantemente in Marx ed Engels i passiappropriati. Tuttavia, vi posso confessare che sono morti senzalasciarci citazioni sfruttabili». Così, ciò che dobbiamo apprendere ècomprendere la vera filosofia di Marx e, con il suo aiuto, prendereposizioni per sé, solo di fronte al presente e al passato.

Ortutay – Credo che con questo coincidono non solo gli etnologi e ifilosofi, ma anche Londra e Budapest.

Hauser – Sono convinto che non solo non esiste nessun individuofuori dalla società, bensì che non possa esistere.

Lukács – Esattamente.

Hauser – Un individuo nasce quando l’uomo si converte in membrodella società, perché l’individuo non ha senso logico, né storico, népsicologico, almeno come essere sociale. L’uomo è individuale, inquanto è già vincolato socialmente. Appartiene a uno delle attrazioni

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più emozionanti della poesia popolare, che si dica “io” dove si debbadire “noi”.

Conduttore – Mi si permetta di fare una domanda che, riguardo alsuo stimato e molto divulgato libro, si pone il lettore ungherese. Nellasua bibliografia Georg Lukács e Karl Mannheim figurano come autoriungheresi. La domanda è la seguente: in che misura sono state alla suaportata opere ungheresi di storia culturale, e se a queste si concedeparticolare attenzione all’estero.

Hauser – Per disgrazia, non il sufficiente. Libri ungheresi si vedonoappena e dell’attività della generazione attuale conosciamo moltopoco. Mentre stavo scrivendo il libro che adesso si pubblica inungherese, cioè durante otto anni – senza contare il tempo della suapreparazione, che risale alla mia prima gioventù – potevo appenatenere in conto la letteratura ungherese, a parte Georg Lukács eMannheim (che ancora viveva allora). Ma ho coscienza dell’intensavita spirituale in Ungheria. Indubbiamente, devo confessare,vergognandomi, che dovrei conoscere di più di essa. Mi piacerebbeessere meglio informato.

Beatrix Kézdy – In nome dei collaboratori della casa editriceGondolat anche io vorrei salutarla, professore Hauser. Ci dispiacemolto non poterlo fare in Ungheria, per conoscerla personalmente eringraziarla per il suo aiuto e i suoi concetti durante il tempo dellatraduzione e produzione del libro. Ci dispiace che le sia costato tantolavoro e siamo molto grati per la revisione del testo che Lei hacondotto con tanta cura e tanta abilità linguistica.

Hauser – Quando l’autore ha l’occasione di godere del cosiddettosuccesso del suo libro, si dimentica delle molestie e del lavoro che glicausò la produzione dello stesso. Non continuiamo a parlare di questoe rallegriamoci che a partire da adesso si possa leggere il libro inungherese. Inoltre non si tratta semplicemente di una delle tantetraduzioni, bensì della versione nella mia lingua materna. Benché nonsia un fervente patriota, sì, sono ungherese; e questo sentimento,benché non arda, è inestinguibile. È sufficiente vivere a Londra perdarsi conto di ciò.

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Huszár – Effettivamente, sarei molto contento se si presentassel’occasione di un incontro personale (...).

Hauser – Per favore, mi creda: l’unico motivo della mia permanenzaall’estero, questa cellula dell’emigrazione che si è convertita, nelfrattempo, nella mia vera patria, è il mio lavoro. Alla mia età si trattasolo che, tra di noi, Georg Lukács lo comprenderà meglio: di coprireciò che ancora si può.

Huszár – Non abbiamo un’idea chiara della sua età, poi osservandoqui a nostro lato, Georg Lukács, con la gioventù, la sua mobilità eproduttività ci porterebbe a mentire ...

Hauser – Lui è il più giovane di tutti noi ...

Lukács – Salutiamoci con la speranza di un’altra discussione piùampia e profonda in futuro.

Hauser – Le rimango grato per tutto. Per tutto ciò che fu in passato,per tutto ciò che è del presente, e per tutto ciò che dovremoringraziarlo nel futuro; per tutto ciò che aspettiamo dalla suaOntologia.

Lukács – Ho fiducia di terminarla; e per ciò a cui si riferisce la nostradiscussione vorrei fare un ultima domanda. In Occidente è sortoultimamente il termine “pluralismo” – a mio parere sprovvisto di ognisenso. La verità, tuttavia, è sempre unicamente al singolare.

Hauser – Almeno dentro le ideologie individualistiche.

Lukács – D’altro lato, qui esiste il pregiudizio che la verità si possadeterminare di colpo e letteralmente in virtù della decisione diqualsiasi istituzione; un pregiudizio tanto pericoloso quanto ilpluralismo. La verità è ciò che dobbiamo rianimare e resuscitaremediante il marxismo. Si dovrà risolvere in estese polemiche; finchédiscutiamo per una questione per trent’anni, il risultato sarà, alla fine,solamente una verità.

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Hauser – E in tutti i modi a tale verità si arriva soltanto dopo avertrasformato la realtà.

Lukács – Esatto!

Hauser – Sicuramente non si può cambiare prima una cosaparticolare e, di conseguenza, dopo, la società. Non si puòincamminare una nuova arte senza aver pensato precedentemente allatrasformazione del cammino. Questo è il nucleo del problema,l’essenza del nostro progetto.

Lukács – Si può vedere con sicurezza la base di una collaborazionepiena di discussioni.

[1] Károly Mannheim (1893-1947) sociologo; Anna Lesznai (1885-1966), scrittrice, pittrice, disegnatrice; Frigyes Antal (1887-1954)storico dell’arte.

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Lukács sulla futurologiaPubblicata in lingua originale, cioè tedesco, in Futurum, n° 4, 1970,pp. 495-506. Gli intervistatori sono Ferenc Jánossy, Mária HollóJánossy, Jutta Matzner. L’intervista è stata concessa nel settembre1969.

Venne pubblicata una versione in inglese in The New HungarianQuarterly, no. 47 (vol. 13, Autumn 1972), pp. 101-107.

L’intervista è stata pubblicata in Italia per la prima volta in «Cartesegrete», n. 21, 1973, col titolo Utopia e logica – Critica del futuro.

La versione che qui si presenta è tratta da Lukács parla, in cui perònon si specifica se la traduzione sia nuova o se sia ripresa dalla rivista«Carte segrete». Crediamo tuttavia che la traduzione sia fatta(purtroppo malamente) dalla versione inglese. In parentesi quadre inostri suggerimenti per la comprensione.

Lukács – Non c’è nessuna pratica umana che non riguardi laregolazione del futuro a partire dall’esperienza del presente. Se, comeun estraneo, guardo la futurologia, ho la curiosa impressione che si stafacendo un tentativo per rendere scienza qualcosa che è stata partedella prassi umana da molto tempo prima. L’antichissimo allevatore,che accoppia questa vacca con quel toro, sta conducendo unesperimento futurologico; basandosi sulle precedenti esperienze,accarezza la speranza che un toro con tali qualità avrà migliorediscendenza che un toro con altre qualità. La questione qui è a cosaestendere esperienze che sono primarie, esperienze che non possonoessere escluse da qualsiasi pratica, che possono essere chiamatescienza. La geometria era originalmente una somma di esperienzedell’uomo che costruiva capanne o cose simili. Da questo si èsviluppata gradualmente una scienza reale. La questione, allora, è finoa quale alto livello scientifico è possibile sollevare la preparazione

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intenzionale e organizzata per il futuro. A una certa estensione questonon è senza dubbio possibile, innanzitutto dove statisticamente ci sononella società tendenze registrabili. C’è, per esempio, una forma quasi-scientifica di futurologia capitalistica: il sistema di assicurazione.L’assicurazione – per esempio le assicurazioni sulla vita, sulle navi, suiraccolti – è il tentativo di registrare una tendenza statistica, diformulare medie matematiche e di conseguenza dare alla gente unagaranzia sul futuro? In questo caso il capitalismo ha una futurologiamolto estesa nel campo puramente economico.

Jánossy – Ma questa è soltanto la futurologia dell’estrapolazione.

Lukács – Sì, questa è la futurologia dell’estrapolazione e diconseguenza è possibile solo per relazioni di ricchezza. Non ci puòessere, di conseguenza, nessuna assicurazione sulle emozioni di unamoglie nel caso della morte del marito. Il modo in cui la moglie reagiràumanamente alla morte del marito è completamente fuori dal concettodi assicurazione. Ho scelto la scienza dell’assicurazione, perché icalcoli e le estrapolazioni matematiche sono parte di essa. Il nostrotempo è un periodo in cui tali estrapolazioni fioriscono a causa dellatecnologia avanzata e della conseguente matematizzazione di molticampi.

Qui noi abbiamo bisogno di un nuovo esame critico: tali tendenze aquale estensione non possono essere affatto estrapolate? [o “fino a chepunto tali tendenze possono essere estrapolate?”] Proprio nella nostraattuale società si può vedere a quale piccola estrapolazione è possibilee quanto grandi siano le possibilità che sorga qualcosa diassolutamente nuovo. Mi riferisco qui all’esempio che nel corso delXIX secolo, mediante la moltiplicazione e l’incremento dellatecnicizzazione degli eserciti, la competizione sorse tra questi ultimi eogni comando generale tentò di stabilire, mediante estrapolazioni,quanto forte, per esempio, fosse l’artiglieria inglese nel 1880.L’equipaggiamento dell’artiglieria tedesca fu considerevolmentedeterminato da un’estrapolazione di quanto forte fosse l’artiglieriainglese in dieci o venti anni. Adesso la possibilità di una guerranucleare ha messo fine a questa intera struttura predittiva.

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Ciò ha posto problemi completamente nuovi. Le vecchie estrapolazionihanno perduto il loro valore. Se si desidera parlare di una scienza dellafuturologia, è necessario rilevare fin dall’inizio [o meno letteralmente“dare importanza a”] una futurologia che sia straordinariamenteautocritica, perché una mutazione in qualcosa che è molto [o“esattamente”] all’opposto è sempre possibile, dovuto proprio allatecnologia altamente sviluppata. Vorrei dire che una forma piuttostoristretta di sviluppo scientifico del futuro è qui possibile: e che incontrasto alle tendenze in corso oggi, un peso molto più grande è datoalla somma e alla discussione di esperienze umane che alla sempliceestrapolazione. Ciò che molte scienze proclamano, cioè chel’esperienza umana è esclusa dalla prassi umana, non è vero. Vorreidire che anche quei fenomeni razionali e altamente capitalistici, peresempio, il dominio su larga scala del mercato sull’industria, sonoassolutamente impossibili senza appellarsi all’esperienza umana.Perciò è inimmaginabile che sia possibile o predicibile, sulla base dellasemplice estrapolazione, che le [o “quali”] merci possano avere un piùalto movimento [ o “fatturato”] in futuro.

Jánossy – Mi piacerebbe interloquire su questo campo: se partiamoda una futurologia critica, se si desidera cambiare le cose, possiamointerpretare anche le opere di Marx in un doppio senso? Non stopensando qui all’estrapolazione matematica, ma a un’estrapolazionedalle leggi del capitalismo. Per esempio in quale direzione conduconole leggi della riproduzione, del tasso medio del profitto, dellaconcorrenza?

In un altro senso, sto pensando alla futurologia critica. Si deveindicare, anche se soltanto su ampie linee, cosa dovrebbe esserecambiato nella società affinché essa non si scavi la sua stessa fossa.Sono dell’opinione che nelle opere di Marx entrambi gli elementi sianoinclusi e interconnessi. Una futurologia che provveda alla fondazionedi un cambiamento cosciente può essere costruita a partiredall’estrapolazione delle leggi del capitalismo.

Lukács – Non contesto che la prassi umana deve sempre prendere inconsiderazione l’abitudine di predire il futuro. Ciò va completamente

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oltre il dibattito [o “è fuori discussione”]. Ciò di cui si può dibattere èse la futurologia è una scienza nuova e indipendente. Marx riconobbeche si trova una scienza soltanto post festum. Per lui l’anatomiadell’uomo era la chiave dell’anatomia della scimmia. Possiamo seguireprocessi che hanno avuto il loro corso e post festum possiamoriconoscere non soltanto i fatti dei processi, ma anche le leggi che lihanno governati. Sto adesso ponendo una questione che era stata giàsollevata da Marx: con quale estensione [o “fino a che punto”] questeleggi possono essere applicate al futuro? Per quanto possa giudicarenel caso di Marx, egli fece una chiara distinzione tra due cose. Marx èsempre stato rimproverato di avere scritto approssimativamente diecio venti volumi sull’economia del passato e contemporanea, mentretutto ciò che egli scrisse del socialismo riempirebbe soltanto diecipagine di un libro. Nella mia visione ciò non è una coincidenza. Èpossibile riconoscere certe tendenze, ma solo abbastanza generali, apartire dalla struttura fondamentale del capitalismo e queste rendonopossibile il superamento del capitalismo.

Per esempio, la pienezza di senso del lavoro umano è qualcosa che èopposto al capitalismo e la questione è sollevata da Marx in tutti iproblemi che si riferiscono al socialismo. Ma non troverai mai unaparola nelle opere di Marx su quali concrete azioni dobbiamo porre inatto per rendere pieno di senso il lavoro. Marx sostiene soltanto cheun’alta produttività del lavoro è necessaria per raggiungere un talecambiamento. Ma non c’è in nessun luogo neanche il più deboleaccenno di cosa è inteso con questa “alta produttività”; quanto “alta”debba essere. In Marx non troviamo altro che una generalizzazionesull’esperienza umana, così che saremo capaci di trarre dallo sviluppoosservato post festum, con grandissima cautela e con osservazionimolto critiche, conclusioni per il futuro – conclusioni per tendenzeabbastanza certe di cui sono stati scoperti i fondamenti economici.Prenderò un esempio da Marx, il tasso medio di profitto. Marxdedusse dalla storia del passato e dell’allora presente, che il tassomedio di profitto potrebbe soltanto verificarsi quando il capitale puòpassare da un campo all’altro [o “settore produttivo”]. È ovvio che agliinizi del capitalismo questo movimento era impossibile e non c’era, diconseguenza, nessun tasso medio di profitto. Se adesso desideriamo

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trarre conclusioni per il futuro, devo indagare se la natura delletendenze dello sviluppo capitalistico è tale che il movimento delcapitale da un campo all’altro diventerà più facile o più difficile? Sequesta attività sarà resa più difficile, e la rigida aderenza del capitaleche agisce in certi campi è tale che nessun tasso medio di profitto sisvilupperà. Marx non ha mai detto che lo sviluppo del capitalismo hacreato il tasso medio di profitto per l’eternità, ma ha dimostratosoltanto le sue condizioni economiche.

Ciò che è chiamata futurologia oggi è un elemento necessario di ogniscienza e prassi umana. Ma non penso che queste ricerche, cheriguardano varie scienze, possano essere considerate, a sua volta, unascienza uniforme. [“Non”] Esiste una futurologia uniforme, nel sensoche noi possiamo parlare di matematica, di geometria, di fisica o dieconomia uniformi. In ogni scienza sociale c’è un elementofuturologico che corrisponde alle leggi di sviluppo di quella scienza.Questo elemento futurologico è dato con grande enfasi oggi, perché, daun lato, nei paesi socialisti, un’economia pianificata presupponematerialmente momenti futurologici; dall’altro, – in ciò sareid’accordo con Galbraith – l’attuale economia capitalistica deve esserecompresa e riconosciuta come un rinforzante [o “ritorno al”] deldominio del mercato come è esistito nel XIX secolo e che era una sortadi economia pianificata dalla manipolazione del mercato. Ciò significache gli elementi futurologici sono attualmente in crescita nella prassieconomica. Fa una grande differenza se riconosco ed esamino lapartecipazione degli elementi futurologici in ogni scienza, o seseleziono soltanto certi elementi e con essi costituisco una scienzaindipendente. È chiaro che la matematica gioca un grande ruolo, comesi è detto, in ogni scienza. Non di meno ci sono leggi puramentematematiche, che sono indipendenti dal fatto che si stia applicando lamatematica all’economia, alla fisica o alla chimica. La questioneadesso è se ci sono tali tesi futurologiche – [o “esistono – e possonoesistere – tesi futurologiche” (visto l’interrogativa diretta…)] chepossono essere applicate allo stesso modo all’economia eall’astronomia, e fuori da ciò quale scienza indipendente si puòsviluppare? Nella mia concezione, la questione [o “questa domanda”] èuna premessa metodologica per considerare la futurologia come

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scienza [o “per giungere a una futurologia come scienza”].

Mária Holló Jánossy – La futurologia non è vista dai suoi stessimembri come una disciplina scientifica indipendente, ma come unametodologia interdisciplinare. Ma non sarebbe possibile, proprio comecon la storia, che ha opere anche con una varietà di metodi differenti,parlare della scienza della “storia del futuro” senza esigere, comealcuni futurologi fanno, che la futurologia abbia la propriametodologia?

Lukács – Qui c’è, non di meno, una grande differenza. Ogni storia –qualunque consideriamo, sia essa dell’astronomia o della geologia oqualunque altra – ha una concreta fondazione. Se la considerodall’aspetto [“dal punto di vista”] marxista, la storia significa ildominio dell’irreversibilità dei processi. Tutte quelle teorie della storiadel XIX secolo, per esempio quelle di Dilthey o di Rickert, cheriducono la storia alla storia umana, fanno nascere l’irrazionalitàcontrapponendo meccanicamente la natura “razionale” alla storiaumana “irrazionale”. È allora necessario combinare storia con lacoscienza della storia. Ma condivido la concezione di Marx che lageologia o il darwinismo devono essere considerati anche come unascienza della storia, sebbene non ci sia, per esempio, a sua voltacoscienza nella geologia.

Se desidero sintetizzare gli elementi futurologici delle più diversescienze, posso, infatti, prendere soltanto il concetto completamentegenerale – ci sarà un futuro – come fondamento. Su quali fattidell’essere – il che è lo stesso in astronomia e in storia della letteratura– si può realizzare la futurologia? Essendo nel tempo, non possiamoscoprire un tale principio generale dell’essere del futuro; soltanto – equesti esseri ci riportano alla storia – il futuro sarà, per quanto l’uomopossa prevedere, irreversibile in ogni campo proprio come il passato.Nella misura [“in cui”] il futuro si modifica nel passato, sarà chiaro cheè una continuazione dell’irreversibilità del processo. Di conseguenzami pongo nel punto di vista [o“rimango dell’idea”] che non ci puòessere nessuna singola scienza che non contenga momenti difuturologia. Soltanto dubito che siamo capaci di separare matematica

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o geometria o epistemologia o logica in singole discipline, sarebbepossibile creare una tale scienza indipendente della futurologia.

Jutta Matzner – Questa è una questione del suo oggetto, cioè laquestione che il campo del suo oggetto non può essere esattamentedefinito.

Lukács – Sì, la futurologia è sempre legata all’oggetto concreto e diconseguenza alla storicità, all’irreversibilità di quel campo di cuidesideriamo trattare. Questo campo può, naturalmente, essere l’interasocietà. Non contesto ciò. Prendiamo, per esempio, l’astronomia: findall’inizio era fatta occupandosi [o “fin dalle sue origini, trattando”] diproblemi di astronomia o del fondamento della scienza nucleare,abbiamo visto che i corpi celesti, osservati da noi, sono in varie formedi composizione materiale. Non è del tutto escluso, naturalmente, checi siano in essi processi irreversibili e che, se una certa composizionemateriale di una stella sia stata stabilita, possa sorgere la speculazionefuturologica, cioè[:] in quale direzione procederà la modificazionemateriale in questa stella? Questa sarebbe un’osservazionefuturologica entro l’astronomia. Ma non posso, per esempio, concepirenulla in comune tra l’esame del possibile sviluppo materiale di unastella determinata e il possibile sviluppo dei popoli africani.

Jánossy – Credo che ci sia non di meno un punto [“problema”] –sebbene molto generalmente considerato. Se si osserva il processostorico dopo che esso sia avvenuto, si può trovare in questo processoirreversibile che, per esempio, esso ha un carattere auto-fortificante;che il processo diventi fortificato, finché raggiunge un punto dovecambia nel suo opposto e si trasforma fino ad annullare le suecondizioni. Per il capitalismo, ciò è già un fatto visibile. Così si puòesaminare il passato dal punto di vista della futurologia in modo dastabilire quali processi possano essere più o meno estrapolati e inquale epoca, a partire dalle loro leggi, hanno avuto un forte effetto nelpassato. D’altro lato, si può stabilire quali processi cambino cosìrapidamente (per esempio attraverso coincidenze) che possono essereestrapolate soltanto per brevi spazi di tempo. La possibilità diinfluenzare processi, la possibilità di estrapolazione è una questione

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generale. Ma riguardo all’esempio dell’astronomia e dei popoli africanidiventa chiaro in quale grado la misura della possibilitàdell’estrapolazione dipenda dall’oggetto. Credo che la scoperta dellamisura della possibilità di estrapolazione di differenti processi possaforse essere un principio generale pratico della futurologia, meglio didire: quei processi sono irreversibili. Loro [“Essi”] sono irreversibili,ma hanno un grado differente di costanza.

Mária Holló Jánossy – Ma si sta tralasciando un altro aspetto. Cisono processi nella società e nell’economia, che possono esserericonosciuti, possono essere previsti, ma possono a stento essereinfluenzati; tendenze come il declino del lavoro manuale pesante o ladiminuzione del numero dei lavoratori in agricoltura; tendenzegenerali che avvengono indifferentemente ai sistemi, a causa dellosviluppo tecnico, sociale, economico. Allora ci sono gli spessomenzionati effetti collaterali di queste tendenze generali, per lo piùnegativi: per esempio, l’inquinamento ambientale, il rumore e altrieffetti negativi che accompagnano l’urbanizzazione, che non possonoessere fermati ma possono certamente essere limitati. Tra queste dueestremi ci sono, in quasi ogni campo dello sviluppo, aree in cui ilfuturo può certamente essere influenzato, per esempio nel campo dellaspiegazione, dell’educazione e della cultura. Sarebbe compito dellafuturologia scoprire prima le tendenze oggettive – quelle progressistecome pure le nocive, le retrogradi e le anti-umane – che sono statemenzionate e possono a stento essere influenzate, e l’area della lorovalidità deve essere stabilita.

Lei è uso dire che lei può dedurre da Marx, infatti, solo tre generalitendenze che sono rilevanti per il futuro umano, cioè l’arretramentodelle barriere naturali, la riduzione del tempo di lavoro necessario allariproduzione del lavoro e l’integrazione dell’umanità. Se queste tretendenze sono considerate come il fondamento, si possono già trarreconclusioni certe da esse; per esempio, nel campo della progettazioneeducativa, è prevedibile che il tempo speso a lavorare diminuirà ecrescerà l’agio. Questo sarà anche fatto – in caso favorevole! – nellaprogettazione a lungo termine. In questo senso noi stiamo pensando“futurologicamente”.

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Lukács – Quello che sto qui osservando con un certo scetticismo èsemplicemente la futurologia come scienza separata. Devo ammettereche sono molto scettico verso diverse nuove scienze. Lei mi scuserà,Jutta, se cito un vecchio esempio: nel XIX secolo Comte e Taine poserouna separazione tra economia e sociologia, non soltanto inopposizione a Marx ma in opposizione a William Perry e Adam Smith– i vecchi economisti, che erano allo stesso tempo, senza eccezione,economisti e sociologi. Non è vero che esiste una scienza dellasociologia indipendente, ma la sociologia è un aspetto di una correttaindagine economica universale della realtà. Può adesso comprendere ilmio scetticismo? Se sono scettico verso la sociologia come scienzaindipendente, mantengo un certo timore che una scienza speciale dellafuturologia possa sorgere adesso; desidero tuttavia rilevare chesebbene neghi la sociologia come scienza indipendente, sono moltofavorevole alla ricerca sociologica. Queste non sono due affermazionicontraddittorie e non voglio qui essere frainteso: non cesserò dipronunciare lo scetticismo verso la futurologia come scienza, non sonomolto favorevole alle ricerche futurologiche.

Jutta Matzner – È certamente problematico parlare di futurologiacome una scienza nello stretto senso della parola, perché, come è statodetto, il suo oggetto – la dimensione del futuro – è così [“molto”]difficile da cogliere e ciò è collegato con le difficoltà metodologiche chelei ha descritto. È difficilmente possibile parlare di futurologia comeuna disciplina monolitica; la ricerca sul futuro è in sé troppodifferenziata ed eterogenea, soprattutto nelle sue implicazionipolitiche e negli scopi dichiarati. È necessario lottare dentro lafuturologia contro quelle scuole che la pongono come una scienzainnocente e, infatti, desiderano mantenere le attuali relazioni didominio nel futuro. Il momento dell’alternativa è, allora, mancante,cioè il momento del cambio qualitativo mediante la prassi, di cui Marxparlò.

Lukács – Qui sono completamente d’accordo con lei. La prego discusarmi, se ritorno al passato: non dovremmo dimenticare chequando il feudalismo declinò e[,] dopo il Rinascimento, sorse ilmovimento dell’Illuminismo, esistevano due tipi di discipline. Un tipo

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era il successore della filosofia scolastica del Medioevo e pensava che ilmondo divino, creato da Dio, si movesse in accordo con le leggi eternedella volontà divina. Dall’altro lato, l’Illuminismo sorse gradualmente,scoprendo motivi mondialmente [o “motivi mondani”] indipendenti eimmanenti che cambiarono la società. Prendo come esempiol’economia, che venne all’esistenza nel passaggio dal XVII al XVIIIsecolo. Si può dire in un altro modo: a partire dall’economia diWilliam Petty, un’osservazione futurologica della società borghese puòessere considerata come in sviluppo. Sarebbe ridicolo contestare cheun numero infinito di elementi futurologici non fossero contenuti nelleopere di D’Holbach, Helvetius, Diderot, Rousseau, Voltaire e altri chetentarono di osservare – attraverso le analisi della società feudale indeclino e il sorgere del capitalismo – una certa serie di momenti stabiliche erano importanti per lo sviluppo del futuro. Capiamo oggi che essifondarono la verità di molte cose e in molte altre cose superarono ilreale sviluppo.

Jutta Matzner – Queste serie di momenti permanenti sono comeesperienze accumulate; e senza la raccolta e la valutazionedell’esperienza, la futurologia è, naturalmente, impossibile. Ma èimportante [“capire”] se l’orizzonte della ricerca sul futuro includesoltanto queste esperienze che possano essere valutate nell’interesse distabilizzare il sistema esistente; o se queste esperienze richiamano inquestione le strutture della società, particolarmente quelle struttureche ostruiscono un futuro democratico, ma devono anche essereincluse. La futurologia critica sarebbe la seconda.

Lukács – La seconda ovviamente è vera. Al momento nella storiaumana, quando differenti formazioni lottavano l’una con l’altra, questadualità esisteva sempre [o “Sin da quando nella storia umanadifferenti formazioni hanno lottato l’una contro l’altra, questa dualità èsempre esistita”]. Questo è il motivo per cui mi sono riferitoall’Illuminismo. Qui questa dualità può essere vista in formastraordinariamente netta. Esiste oggi, naturalmente, un’alternativa tracapitalismo e socialismo e da ciò non si può evadere. Credo che lafuturologia non desideri soltanto conoscere come sarà il futuro, maanche deve conoscere come dovremmo agire in modo da muoverci

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verso un futuro desiderato. Di nuovo qui il problema passa dal metodoscientifico alla prassi politica.

Mária Holló Jánossy – Le undici Tesi su Feuerbach possono forseessere applicate alla futurologia critica: l’argomento è non interpretareil mondo, ma cambiarlo.

Ma lasciatemi dire un’altra parola sul tuo scetticismo verso lafuturologia come scienza; infatti, è soltanto la futurologia borghese chevuole essere considerata una scienza. Galtung formulò ciò chiaramentea Kyoto, quando disse: la futurologia borghese, che sostengo, riguardoa se stessa non è ideologica, ma scientifica, perché usa i metodi dellescienze sperimentali e delle scienze naturali – esattamente questafuturologia “predittiva” con pretese di oggettività libera dall’ideologia èideologica, perché estrapola il futuro sulle basi del sistema di valori dioggi. A questa si può opporre una futurologia “prescrittiva”, che è unafuturologia che vuole contribuire alla formazione del futuro sulle basidella postulazione dei valori. E con ciò, Galtung perorò a [“in”] favoredi una futurologia che non fosse una scienza ma una politica attiva.

Lukács – A questo punto è necessario chiarire una questione diterminologia: la visione che l’ideologia sia una sorta di scienza falsa osoggettiva, è scorretta. Marx definì molto esattamente ciò che eral’ideologia. Lo sviluppo economico della società fa sorgere certiproblemi e l’ideologia esiste al fine di rendere consci questi problemi ecombatterli. Non c’è nessuna opposizione tra ideologia e scienza.L’ideologia può essere scientifica e può essere non scientifica; lascienza può in certe circostanze essere ideologica o può essere nonideologica.

Mária Holló Jánossy – Galtung non usa la nozione di ideologia nelsenso peggiorativo. Piuttosto intende che una futurologia prescrittivafosse coscientemente ideologica e valutativa.

Lukács – Non dimentichiamo che i più grandi scontri ideologici neisecoli recenti erano combattuti nel campo della scienza. La questionese Copernico o Tolomeo avessero ragione, era per secoli una questioneideologica, per la quale la gente era bruciata, impiccata o decapitata.

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Non può mai essere previsto quando una scienza si stia sviluppandocome ideologia. Ci furono tempi in cui gli scontri ideologici non eranocombattuti con armi scientifiche. Nel Medioevo ebbero luogo nelcampo religioso e teologico, mentre nel XVII secolo erano già realizzatiscientificamente. Ciò è ancora più valido oggi. Per esempio, a partireda Gehlen o Spengler, il momento di una fine della storia sorgesempre; ciò non è niente altro che ideologia, cioè il desiderio dimanipolare circoli borghesi in modo da mantenere l’attualemanipolazione come una forma eterna della società umana.

Jutta Matzner – Come definirebbe la relazione tra utopia efuturologia?

Lukács – L’utopia avviene [“ricorre”] nei più sviluppati tempi di crisi,quando una costruzione intellettuale-morale è designata fuori della [o“esclusa dalla”] realtà e proiettata nel futuro. Il lato più forte diun’utopia è la critica delle condizioni fuori delle [“dalle”] quali è stataformulata; ma l’utopia non può essere realizzata in quelle condizionisociali. Nelle utopie autentiche – Marx riconobbe ciò chiaramente asuo tempo – ogni momento è mancante di ciò che permetterebbe aqueste utopie di diventare realtà fuori da una semplice idea[1]. Ilsocialismo non è un’utopia, perché[,] secondo Marx, il socialismosorge dallo sviluppo reale delle forze produttive – e non è una formaideale che è opposta alla realtà.

Marx disse, per esempio, nella sua Critica del programma di Gothache la società socialista conterrebbe ancora un gran numero dielementi del capitalismo. Marx non partì dalla condizione socialista,ma vide questa come il risultato di uno sviluppo che avveniva conun’irreversibile necessità causale e che offriva, a un certo stadio, lapossibilità di una rivoluzione socialista.

C’è anche il metodo marxista della ricerca post festum, mediante ilquale certe tendenze possono essere percepite [“lette”]; e ciò toccaquello che è chiamato oggi futurologia. Ma la futurologia non deveessere unita all’ideale di una previsione scientifica, liberata dalla prassipolitica. Non è soltanto mediante previsione che qualcosa può essereinfluenzato e cambiato. Mi riferisco al fatto che se non si vuole

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influenzare qualcosa, allora non si cercano cause. Non è certamenteuna coincidenza che Futurum abbia pubblicato un numero sullaricerca della pace. Guerra e pace sono momenti decisivi di prassisociale. Ciò è oggettivamente un posto valido dove le cause di conflittidevono essere scoperte [meno letteralmente “È qui che ovviamentevanno ritrovate le cause dei conflitti”].

Jutta Matzner – Bloch descrisse la futurologia in Neues Forumcome un surrogato borghese per il marxismo. La futurologia borghese,che è in modo opprimente una strategia per la prevenzione di crisi chepossono danneggiare l’esistenza borghese, sarebbe, di conseguenza,sostituita dal marxismo, che contiene elementi di previsione e di prassipolitica.

Lukács – Questa è la vecchia questione della superiorità delmarxismo. Se il marxismo è superiore alla sociologia e alla storiaborghesi nell’analisi della società contemporanea e dello sviluppo, cheha condotto alla società contemporanea, allora sarà superiore comefuturologia. Ci sono due cose che non possono essere separate. Èrealmente una vecchia storia che una madre, che non ha conosciutoalla nascita suo figlio, prevederà meglio lo sviluppo di suo figlio chesuo figlio stesso. Penso che la differenza tra marxismo e scienzaborghese può essere descritto in questo modo. La scienza borghesenon conosce realmente la propria società. Conosce meno le leggi delmovimento che hanno creato questa società e che continueranno acreare questa società, di quanto il marxismo faccia; di conseguenza, lascienza borghese sarà inferiore al marxismo in tutte le questionifuturologiche.

Jánossy – Riprendiamo l’esempio del bambino. Il marxismocontinuamente ha seguito lo sviluppo del bambino, diciamo, fino aisuoi dieci anni, ma ha immaginato che questo bambino rimanessesempre a dieci anni. Non si ha notizia che il bambino sia diventato unadolescente nel corso del tempo e di conseguenza non capisce ilbambino tanto a lungo. Il marxismo deve compensare questo tempo,dai dieci anni alla pubertà – e soltanto allora sarà superiore allascienza borghese.

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Lukács – In questo caso sono pienamente d’accordo con te a partiredal fatto che è ciò che mi sono sempre chiesto [“proposto”] per ventianni. Trovo abbastanza ridicolo quando qualcuno vuole spiegare ilfenomeno americano oggi direttamente dal libro di Leninsull’imperialismo, che è stato scritto nel 1914. Al tempo di Stalin cimancò l’opportunità di formulare un’analisi del nuovo capitalismo.

Tanto a lungo è mancata questa analisi che non siamo più autenticimarxisti. Correggerei, di conseguenza, me stesso: Bloch avrebberagione nel caso di un marxismo reale, e non ha completamenteragione per quanto concerne il marxismo attuale, sebbene per moltirispetti il vecchio marxismo è anche superiore alle teorie borghesi.Reali previsioni saranno possibili quando avremo compreso icambiamenti del capitalismo negli ultimi decenni in un modoscientifico marxista. Sfortunata mente ciò non è stato ancora fatto. Cisono singole ricerche qua e là ma la teoria del nuovo capitalismoancora non esiste.

[1] [Proviamo a tradurre diversamente, seguendo la logica delragionamento e del pensiero di Lukács: “Nelle autentiche utopie –Marx lo riconobbe chiaramente ai suoi tempi – mancano queimomenti, quei passaggi, che permetterebbero a queste utopie didiventare, da semplici idee, una realtà”. In una concezione dialetticadel processo di sviluppo della realtà, i “momenti” sono fasi ditrasformazione che derivano da un antecedente concreto].

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Il dialogo nella correnteL’intervista è stata raccolta e pubblicata da Béla Hegyi in A dialógussodrában (Il dialogo nella corrente), Budapest, Magvető Kiadó, 1978.È stata tenuta nel 1970.

Fu György Lukács a lanciare l’idea del dialogo. In una conferenzatenuta durante l’estate del 1956, egli richiamò l’attenzione sul fatto che«qualche rilevante teologo non desidera ignorare ancora a lungo ilmarxismo come una variazione del materialismo volgare, ma sente lanecessità di un serio dibattito centrato sui suoi problemi. L’“attitudineconciliatrice” del cattolicesimo offre un’opportunità per entrare incontatto, per far partire un dialogo o un dibattito che cinque o diecianni fa sembrava impensabile».

Lukács non solo fece pressione per il dialogo, ma egli stesso fuattivamente coinvolto in esso. Egli era aperto alla discussione da ognilato. Sebbene non si stancasse mai nell’argomentare le sue posizioni,rispettò sempre le opinioni delle altre parti, in particolare quandoqueste convinzioni erano fondate in una fede vissuta e in unorientamento intellettuale e non coinvolgevano una flagrantecontraddizione tra fede e azione.

Oggi, a 85 anni, egli è l’uomo più famoso in Ungheria. Per chiunque –marxista e non marxista, credente o non credente – è appassionanteascoltare le sue concezioni.

All’inizio della nostra conversazione egli mi ricorda: «Non dointerviste, ma lei può prendere nota».

Più tardi ammorbidisce la sua attitudine: «Non mi importa sepubblicate tutto, a patto che non sia sotto forma di intervista. Duranteil mese scorso, così tanti giornalisti sono venuti a vedermi che ne hoavuto abbastanza di loro. Dopo tutto, non sono una stella del cinema,né sono un Nixon che ha risposte stereotipate per tutte le domande,

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cioè un “immagine”. Sono uno scrittore, risolva questo problema ...».

Il filosofo e il politico

È raro che una persona sia allo stesso tempo teorico e politico.Secondo l’opinione di Marx, l’ideologia è necessaria, prima, perrendere coscienti i conflitti sociali e, secondo, per servire nella lottaper la loro soluzione. Con minori riserve, lo stesso si applica allapolitica. Comunque, i conflitti sociali sorgono a livelli differenti eraggiungono proporzioni differenti. Di conseguenza, non è unasemplice possibilità che Lenin, il politico, ponga a se stesso il compitodi risolvere contraddizioni concrete. Per compiere ciò egli tentò siselezionare (fuori dalla catena degli eventi) l’anello cruciale,afferrando il quale sarebbe stato il padrone dell’intera catena.

D’altro canto, il compito di un pensatore o di un filosofo non è diinteressarsi di problemi che riguardino propriamente la sfera dellapolitica, ma di risolvere i grandi problemi teorici di un’epoca. Senzadubbio, egli offre, in tal modo, un grande servizio ai politici, senzanecessariamente rendergli possibile negoziare immediatamentequesto principio con idee applicabili alle loro tattiche. I grandi teoricidel marxismo diedero priorità alla scienza e alla teoria; tattica estrategia erano il risultato dell’analisi marxista. Stalin era incapace diadempiere a questo doppio ruolo del teorico marxista e del leader dellaclasse operaia. Lo stalinismo soffocò la teoria marxista: egli forgiòtattica e strategia secondo la situazione politica corrente, facendoquindi la cosa peggiore che si possa fare indossando gli abiti teorici.

Il suo posto nella filosofia

Non sono un politico ed è anche sicuro che non sono un nuovo Marx:Marx legge la realtà, io sto leggendo Marx. Non confondiamo i livelli ...Forse il movimento operaio farà nascere un nuovo Marx, ma né Engelsné Lenin possono essere comparati a Marx riguardo alla ricchezza delsuo pensiero. Ma oso affermare che io ho capito Marx al massimo. Ilmio ruolo può essere riassunto così: tracciare la direzione del lavoroteorico per coloro che vengono dopo di me. Se ho successo nelloscoprire il metodo corretto, allora posso dire che ho vissuto bene, che

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era degno vivere. Se ho avuto ragione o no, sarà noto soltanto ventianni dopo la mia morte. Non ci sono pensatori che hanno giudicatotutte le questioni e situazioni correttamente. Marx è il solo che haavuto ragione in molti casi ...

L’inizio

L’evoluzione intellettuale di Marx è ininterrotta. Non posso fare lastessa affermazione riguardo alla mia. Devo ammettere, senza tentaredi abbellire la storia, che sono arrivato al marxismo relativamentetardi, all’età di 35 anni, sebbene prima mi sia interessato a Marxdurante gli anni della scuola secondaria.

I miei ideali esercitarono una profonda influenza sulla mia vita.Importa, specialmente a una certa età, chi scegliamo come modelli.L’influenza decisiva che Ady[1] esercitò sulla mia vita culminò durantela lotta implacabile contro lo stato delle cose in Ungheria e, attraversodi questo, contro tutto ciò che prevaleva a quel tempo. Ho già vissuto alungo una tale concezione della vita nella mia gioventù, senza esserecapace di articolare i miei sentimenti. Per molto tempo, malgradodiverse riletture, ero incapace di apprezzare il grado in cui ciò è chiaroin Marx, così non potevo fare uso della sua critica dei sistemi filosoficikantiano ed hegeliano. Ciò che non comprendevo in Marx mi èdiventato evidente nell’attitudine di Ady, il poeta.

Dal primo incontro con Ady, non potevo liberarmi dalla suairrequietezza; mi ossessionava e rimaneva alla superficie in tutto il miopensiero, sebbene per molto tempo fossi incapace di sollevarlo allivello della coscienza in una maniera adatta alla sua importanza. Eroseparato dal XX secolo e dall’Occidente a causa della mia avversioneverso la cultura occidentale. Ero convinto che tradurre gli scrittoridell’Occidente in ungherese non aiutasse l’Ungheria. Quando fui, perla prima volta, disposto ad ammettere nella mia concezione del mondola trasformazione interna dell’uomo come il fattore principalenell’effettuare una riforma sociale, ho incorporato in questaconcezione del mondo i grandi scrittori rivoluzionari russi Dostoevskije Tolstoj. Ciò coincise con la mia convinzione che dal punto di vistametodologico, l’etica si sollevi sulla filosofia della storia. L’idea

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divenne la base ideologica del mio coinvolgimento nel mondo ed èsorta dalla mia esperienza di Ady. Non nego che, a quel tempo,l’ideologia religiosa aveva un’influenza egualmente forte su di me,specialmente il movimento della riforma medievale.

Il fatto che mediante Ervin Szabó venissi a sapere di Georges Sorel edegli unionisti contribuì a modellare l’influenza Hegel-Ady-Dostoevskij in una concezione del mondo che sentì, a quel tempo,come rivoluzionaria. Questa concezione rivoluzionaria senzarivoluzione divenne la base ideologica della mia amicizia con BélaBalázs[2], il cui appartamento fu il luogo di incontro degli amici che,alla fine della Prima Guerra Mondiale, fondarono la Libera Scuoladelle Scienze Umane. Sia in Occidente che in patria, l’importanza diquesta scuola è stata sopravvalutata, perché io non vi potei trovarerisposte alle nuove questioni che erano sorte, cioè «Dove andare? Qualè la soluzione?». Con i suoi membri – Károly Mannheim, ArnoldHauser, Kàroly Tolnay[3] – me la passai bene, malgrado le differenzeideologiche. La mia critica romantica del capitalismo entrò in crisi.Sebbene nella mia generale concezione del mondo ero già inmovimento da Hegel verso Marx, questo cambiamento era percettibilesolo nella non facile coesistenza della dottrina hegeliana, considerandolo sforzo per una trasformazione interna e l’orientamentorivoluzionario marxista.

Devo rilevare che il mio idealismo non si manifestò mai con piùappassionata intransigenza che durante il periodo transitorio, quandostavo coscientemente sforzandomi di superarlo. Passo dopo passo miavvicinai al punto dove ero capace di superare il dualismo dimaterialismo e idealismo nel mio pensiero e passare a raggiungere unaconcezione del mondo materialista-marxista. Fu soltanto durante lamia permanenza a Mosca, che seguì la mia emigrazione a Vienna nel1919, che riuscì a risolvere le questioni della precedente prospettiva.

Problemi teoretici

Notiamo l’inizio di una reale rinascita marxista. Sempre più gentericonosce che il marxismo fornisce l’unica soluzione praticabileall’attuale crisi mondiale. Se desideriamo garantire la sua autorità in

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tutti i campi, allora dobbiamo cercare di trasformarlo in modo tale chepossa essere rispettato da tutti. Il metodo del marxismo è il metodocorretto per risolvere i problemi del socialismo e del capitalismo senzaricorrere alla violenza. Ma soprattutto dobbiamo raggiungere la nostrapropria comprensione dell’essenza del marxismo e anche dei grandicambiamenti che sono avvenuti da Marx in poi. La precondizione diquesta comprensione è la continuazione dell’opera di Marx in ognicampo della teoria marxista, partendo dal punto in cui Marx lo lasciònel 1883, e analizzare accuratamente nello spirito di Marx eventi nelnostro stesso tempo. Durante questi ultimi ottanta anni, molticambiamenti sono avvenuti nel campo delle scienze naturali, dellatecnologia, della produzione, dell’economia e anche nella struttura delcapitalismo, che non erano prevedibile al tempo di Marx. I marxisticontemporanei non hanno, per esempio, ancora dato una spiegazionesoddisfacentemente scientifica per spiegare l’alternanza delle crisicicliche del capitalismo, sebbene i cambiamenti avvengano nelcapitalismo come altrove. Ci sono ancora oggi persone che, aprendo ilgiornale, si aspettano di leggere del collasso finale del capitalismo inAmerica e l’attesa del sorgere del socialismo.

Una visione egualmente fuorviata sostiene che la situazione è cambiatacosì tanto che il capitalismo non può più essere a lungo chiamatocapitalismo. Parlando generalmente, le leggi marxiane sono valide peril capitalismo, ma richiedono aggiustamenti. È anche cruciale per ilsocialismo che noi vediamo il mondo, includendo il capitalismo contutte le sue caratteristiche, dal punto di vista marxista. Ma noidobbiamo fare attenzione che senza un’analisi appropriata delprocesso economico, ogni valutazione è soltanto saggezza popolare.Vedo nel tatticismo, che è una sorta di opportunismo, l’ostacolo allaripresa del lavoro teorico. Invece di applicare l’intelligenza almiglioramento e alla critica della prassi, la sottoponiamo ai bisognimomentanei. Il nostro opportunismo si manifesta anche in un’altramaniera: anche adesso, 120 anni dopo il Manifesto Comunista – e 50anni dopo l’instaurazione del primo Stato marxista – n on abbiamoancora pubblicato le opere complete di Marx. Diverse carte scritte daMarx – tra di loro le note che egli preparò per Il capitale – sonocoperte dalla polvere in archivi inaccessibili. Ciò non ha scuse.

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La società socialista sta adesso affrontando il compito di stabilire unademocrazia qualitativamente nuova, fino ad oggi sconosciuta.Respingo l’adozione della democrazia borghese alla società socialista.Ciò non risolverebbe alcun problema. Non posso parlare adesso dicome sarà questa democrazia, ma ti ricordo i primi giorni dellaRivoluzione Socialista, dei soviet degli operai, dei contadini e deisoldati, della democrazia degli operai, dei contadini e dei soldati. Parlodi ciò in abstracto. Tenteremo un’elaborazione teorica di questademocrazia, adattandola alle esigenze dei nostri tempi, così che questademocrazia può sorgere in accordo con i bisogni della nostra società.Mi sono sempre opposto alla burocrazia e alla manipolazione sianell’arte sia in politica. Sono convinto che il conseguimento di una“piccola” democrazia risolva i problemi della nostra vita quotidiana e,a sua volta, conduca allo smantellamento della burocrazia. Lo studiodel marxismo preparerebbe la strada per l’organizzazione di una taledemocrazia.

La stessa prassi accentua l’urgenza di elaborare un’etica marxista. Nonsono convinto che il progresso economico è onni-determinante, chel’abbondanza di beni materiali e il continuo miglioramento dei livellidi vita risolveranno tutti i problemi e produrranno automaticamente ilcomunismo. Gli uomini fanno la propria storia, ma non sottocircostanze che essi hanno scelto. L’etica nel senso di una scienzaautonoma, com’è concepita dalla filosofia borghese, non esiste.L’uomo adatta se stesso al suo ambiente e il compito dell’etica è didelucidare la storia, l’essenza, e la valutazione delle attività umane.Secondo la mia opinione, ciò è un fondamentale compito filosofico.L’esistenza o la non-esistenza di certe categorie è una questione moltoimportante. La costruzione di un sistema categoriale che sia capace direndere conto della realtà di ciò che consideriamo reale, èindispensabile per il marxismo, se esso deve combattere con successol’aberrazione che sorge dalle proprie caratteristiche materialistiche, ese esso deve intensificare le sue critiche delle posizioniesistenzialistiche e neopositivistiche. Dobbiamo elaborareun’ontologia marxista tale che contenga l’unità del materialismostorico e dialettico. Questa impresa deve essere condotta sulle basi diuna concezione che sia storica (in natura) – senza cadere nell’errore

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del relativismo – che sistematica, senza tradire la storia. Finché questocompito non sia stato completato, i marxisti non saranno equipaggiatiper combattere, per esempio, le tendenze irrazionalistiche à laMarcuse, o neopositivistiche, e saranno specialmente impossibilitati acombattere le concezioni pseudorazionalistiche dello strutturalismo.

Che cos’è umano

Rifuggo da questo termine perché ognuno intende qualcosa didifferente da ciascun altro. Il termine “umano” è diventato unafraseologia di moda. Marx elevò l’essenza di questo termine nelle sueTesi su Feuerbach: ogni uomo vivrebbe una vita adatta alla specie, unavita che permetta il pieno sviluppo dell’individualità. Se l’attività diuno lo rende umano o inumano dipende dai bisogni che egli desiderasoddisfare. Aspirare alla soddisfazione di bisogni irreali – proprietàprivata, corruzione – rende inumani. Al contrario, la soddisfazione dibisogni reali rende progressivamente più umani. Il bisogno piùessenziale dell’uomo è di essere uomo quanto più è possibile esviluppare l’umanità propria e dei propri cari.

Questa è la strada verso lo sviluppo dei bisogni umani e questo è comenoi realizziamo in noi stessi la totalità della nostra essenza. Nelpassato i grandi riformatori della nostra cultura erano principalmentepredicatori idealisti o umanisti idealisti. Consideriamo soltantoSavonarola, Rousseau, Robespierre e Tolstoj. Questi riformatoriiniziarono a dare forma alla vita umana dall’“alto”: anima, etica e latrasformazione della vita interiore dell’uomo erano intese come glistrumenti che avrebbero trasformato e, quindi, rinnovatocompletamente le condizioni esterne della vita dell’umanità.

L’umanismo socialista abbraccia la vita di ogni uomo intelligente e nonsoltanto quella di una classe. Intende trasformare la vita mediante lalibertà acquisita nell’attività costante. Secondo Marx, evolviamodall’essere naturale nella persona umana: da animale relativamentesuperiore alla specie umana, all’umanità mediante la trasformazioneinterna ed esterna della realtà sociale. Egli definisce il Regno dellaLibertà come «lo sforzo umano che è un fine in se stesso», che è riccoabbastanza in modo che l’individuo e la società lo riconoscano come

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un fine in se stesso.

Ma la condizione, per liberare il percorso sociale per la realizzazionedell’attività umana è un fine in se stesso, è che il lavoro debba passareinteramente sotto il dominio dell’umanità in modo tale che il lavoronon sia «semplicemente il mezzo per sopravvivere», ma il bisognoprimario. L’umanità deve passare oltre la costrizione della propriariproduzione. Marx considera tutte le conseguenze dello sviluppostorico e conclude che la storia reale può iniziare soltanto con ilcomunismo come la forma più alta di socialismo. Il comunismo perMarx non è una visione utopica della futura attualità; al contrario, èl’inizio del dispiegarsi delle forze veramente umane che furono create einoltre migliorate in una maniera paradossale come i mezzi piùimportanti verso il divenire umano.

Progresso

Credo nel progresso, anche se esso non implichi un miglioramentocompleto. La natura ineguale del progresso non esclude, malgrado isuoi aspetti negativi, lati positivi. La strada per la comprensione dellarealtà è molto più lunga di quanto si voglia immaginare; infatti, non hafine. Ci si può occupare di se stessi, usando le opportunità proprie; siha la possibilità. Si può fare uso anche delle sfortune. Ogni uomo fa lapropria storia.

Letteratura contemporanea

La letteratura oggi è troppo pratica; potrei anche dire che si muove sulivelli di best sellers. Non vedo geni come Thomas Mann o Goethe. Gliscrittori preferiti – Joyce, Green – sono buoni scrittori ma sonolontani dall’essere grandi. La nostra letteratura è mancante proprio diciò che la rese grande nei primi tempi, per esempio, la letteraturadell’Illuminismo da Voltaire a Diderot e Rousseau. Naturalmente, cisono delle eccezioni: alcune parti delle opere di teatro di Hochhuth[4],la sua Antigone di Berlino, il Biliardo alle nove e mezza di Böll o Lavisita della vecchia signora di Dürrenmatt. Ma anche qui si deve fareuna distinzione. Non penso che qualche [altra] opera di Dürrenmattsia vicina a La visita della vecchia signora. Sebbene la nostra

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letteratura non veda la sua missione nella maniera che era definita apartire da Omero e dalle tragedie greche, essa immagina di crearequalcosa di nuovo: in ciò delude se stessa. Si pensi come se laletteratura abbia rinunciato alle sue reali possibilità, che non sonoovviamente dirette possibilità. Intendo che non era necessario che ilettori di Diderot distruggessero la Bastiglia; ma sono convinto chesenza Rousseau e Diderot, la nuova ideologia, che condusse alladistruzione della Bastiglia, non sarebbe nata. Comunque, non èsoltanto la letteratura che trascura il suo ruolo di trasformatrice dellasocietà; scienza e filosofia fanno lo stesso. Non considero decisivol’impegno degli scrittori.

Comunque, ciò non significa che vorrei disprezzarlo. Ma non si puòignorare il fatto che c’erano grandi scrittori come Lessing e Heine, ecc.che rifiutarono di prendere una posizione politica o di appartenere aun partito. Allo stesso tempo, il poema di Heine Deutschland è unacondanna della Germania molto più radicale di quanto qualsiasipolitico di quel tempo abbia potuto formulare. Di conseguenza, sonoconvinto che quanto più veramente la grande poesia e la grandeletteratura rappresentano l’uomo e quanto più penetrante è l’analisiche fanno dei problemi, che riguardano l’uomo, tanto più decisivo è ilruolo che svolgono nel preparare ideologicamente la trasformazione elo sviluppo della società.

La letteratura non può, di conseguenza, abbandonare il suo ruolonell’offrire prospettive all’umanità. Naturalmente, ciò non è nuovo.Troviamo questo già nell’Ifigenia e per alcuni gradi nell’Iliade, quandoPriamo va da Achille per chiedere il corpo di Ettore, un atto totalmentein contraddizione con le norme di quell’epoca.

Adesso, la lotta contro l’estraniazione è, invece, una lotta per laconservazione e lo sviluppo dei valori umani e questa lotta ècombattuta sotto le condizioni economiche più favorevoli e socialiparticolarmente sfavorevoli. Qui è dove la letteratura può sostenerepiù di quanto abbia mai fatto.

La crisi della religione

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La morte dello Stato è molto lontana; così anche quella della religione.Adesso, ci sono milioni di credenti e i marxisti non possono ignorarequesto fatto. È vero che la religione, ai nostri giorni, sta subendo unacrisi senza precedenti, perché l’applicazione dei suoi comandamentialla vita quotidiana è diventata problematica. Nessuno sa quanto siaprofonda questa crisi o quanto a lungo durerà. Ma una cosa è certa:non è ancora la crisi assoluta o finale della religione. Sono un ateoradicale e sono convinto che la storia confermerà la mia opinione. Nonpossiamo ignorare il fatto che la religione ha profonda influenza su unnumero di marxisti. Alcuni, come Bloch, Garaudy e Ernst Fischer,svolgono apertamente un ruolo con la religione e gli piacerebbearrivare a un compromesso con essa. Disapprovo una tale attitudineperché oscura la distinzione tra le due concezioni della vita e ingannala gente.

Allo stesso tempo, possiamo affermare che i grandi problemi dellanostra epoca hanno avuto un impatto su un largo numero di credenti; igrandi eventi della storia mondiale hanno lasciato la loro impronta sudi essi, per la religione non è un fenomeno isolato, né è astrattaideologia pensata dalla sua sedia da un professore isolato: è piuttostoun concreto fenomeno sociale. La religione fa assegnamento su milionidi credenti che partecipano alla vita socio-storica e che sonocostantemente influenzati più o meno da importanti eventi storici. Glieventi storici mondiali hanno anche un impatto sulle masse dicattolici. Questa influenza è visibile nell’attitudine di coloro chetentano di superare le differenze tra i dogmi cattolici e le condizioni divita dei lavoratori, dei contadini e degli intellettuali, e che tentano dirisolvere questo antagonismo reinterpretando la religione.

Marxismo e Cristianità

Oggi, a causa della crisi della religione che investe la maggioranza deicredenti, essi sono diventati più sensibili verso il marxismo e nonvorrei sottovalutare questa cooperazione nella sfera socio-politica.Quello di cui dubito è se oggi possano esistere un Thomas Münzer o unSavonarola. All’epoca di Lutero, dopo la Riforma, la coscienza dellemasse fu determinata dalla religione per l’ultima volta. Nel XVI secolo,

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il Cattolicesimo subì una seria crisi a causa della Riforma. IlCattolicesimo, fondato sull’ideologia feudale, sembrò aver perso lalotta contro le chiese protestanti, che sorsero dal suolo del primocapitalismo. Il significato sociale della Controriforma consistette nelfatto che aiutò la Chiesa Cattolica a spogliarsi del feudalesimo, checercò il suo sostegno con altri mezzi e, allora, stabilì una strettarelazione con il primo capitalismo e il suo sistema politicocontemporaneo – la monarchia. Il Cattolicesimo sopravvisse alla crisidel XVI e XVII secoli e riuscì a creare le condizioni per il [proprio]futuro sviluppo.

Ricordiamo soltanto i meriti di Barth, che sono, secondo la miaopinione, molto grandi. Durante il regime di Hitler egli si oppose alfascismo e, come conseguenza della sua resistenza, i cristiani credentisi allontanarono da coloro che servivano Hitler. Ma non sono sicuroche l’iniziativa di Barth si potesse chiamare un movimentorivoluzionario. A causa dell’aspetto religioso della vita e della suavalutazione cristiana che vanno perdendo progressivamente terreno,non credo nell’influenza decisiva della cristianità. Comunque, questogiudizio non mi impedisce di riconoscere il valore umano di certepersone come Simone Weil. Il suo destino è caratteristico dellepersonalità rilevanti. Le circostanze sociali produconooccasionalmente problemi che possono trovare, in ogni epoca, unasoluzione individuale. Sebbene lei fosse in contatto con altrimovimenti sociali, Simone Weil seguì una traiettoria particolare. Malei stessa non poteva essere chiamata un “movimento” e mai lodiventerà. In paesi dove un movimento parte, e ciò è limitato al campodella teologia – per esempio, in Francia sotto l’influenza di Teilhard deChardin – c’è un impatto sull’evoluzione sociale e politica soltantonella misura in cui rimuove la barriera, che impedisce ai credenti diunirsi a qualche movimento progressista. A questo riguardo, il ruolo[di questi leader religiosi] è definitivamente positivo.

Il tentativo di Teilhard de Chardin

L’anno scorso una traduzione di uno dei miei articoli è apparsa inVilágosság (Illuminazione). Esso poneva in rilievo l’opposizione tra

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marxismo e religione su ogni questione. Sostenevo che tutti i tentativifilosofici che cercano di mediare tra marxismo e cristianità sonoteoreticamente infondati. Il marxismo è avanti nel rimuovere ognitrascendenza. Il tentativo di Teilhard de Chardin di riconciliare le dueconcezioni del mondo è un fallimento. Non posso immaginare diraggiungere il punto dove noi potremmo trovare una sintesi traTommaso d’Aquino e Marx. Non faccio questione dei risultati diChardin in paleontologia; non di meno, nell’indagare una fisica nonesistente e mostrare un’evoluzione di forze che culminano in Cristo, siè definitivamente ingannato.

Questo metodo mi ricorda un aneddoto ebraico su aglio e cioccolatache era di moda a Budapest durante gli anni Venti. Da soli, lacioccolata e l’aglio sono gradevoli. Ma insieme? Teilhard è un tipicoesempio di cioccolata e aglio. Il mio scetticismo non è l’espressionedella mia indifferenza verso l’epoca attuale. Noi continuiamo adosservare un’intera serie di tradizioni religiose che hanno perso la loroimportanza anche per i credenti e in tal modo entrambi, credenti e noncredenti, hanno la stessa attitudine verso tali tradizioni. Comunque,noi non possiamo sottovalutare la loro importanza sociale.

Il dialogo

Sono completamente a favore del dialogo, anche oggi, ma senzasopravvalutare la sua importanza. Se, in questo momento, iniziasse undibattito con cattolici di sinistra, senza una precedente riflessione epreparazione, non raggiungeremmo alcun risultato. Il dialogo puòavere successo soltanto ad un livello pratico, ma non teoretico. Non cisi inginocchia davanti a un idolo. L’Occidente lo usa come materiale dipropaganda. Il dialogo può occasionalmente essere un mezzo affinchégli individui raggiungano un accordo, ma non può essere uno scopocollettivo, come gli ideologi occidentali vorrebbero fare. E moltoimportante continuare il dialogo con i cristiani, ma, per essere utile,deve essere esentato dalla demagogia e deve essere teoreticamentefondato. Nel corso della storia, la relazione della Chiesa con la societàdimostra una serie di compromessi. La Chiesa si adattò, per secoli,anche al feudalesimo (Tommaso d’Aquino); più tardi visse in pace con

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il capitalismo. Oggi un modus vivendi è una condizione necessaria perla sopravvivenza della Chiesa – cioè la Chiesa deve riconciliare sestessa con il socialismo e si deve adattare al nuovo sistema.

Ci sono molti segni che puntano in questa direzione. Dutschke, illeader studentesco tedesco, riceve il sostegno di diversi teologi. Ildivorzio non è permesso in Italia, ma anche alcuni leader della Chiesaconsiderano ciò privo di senso nel XX secolo e sono dell’opinione chela Chiesa deve arrendersi al fatto che la dissoluzione del matrimoniodeve essere accettata nella società moderna. Tutti questi fatti riflettonol’adattamento della Chiesa alla società contemporanea. Se, col tempo,la Chiesa sosterrà la posizione marxista su certe questioni, non vedoperché i marxisti non possano sostenere la Chiesa in cambiamento. Inpratica, ciò significa per me che sarei attivamente impegnato in unmovimento di riforma: se io fossi olandese, lotterei contro il celibato,se fossi italiano, andrei adesso a favore di una legge che governi lareligione, ecc., e sosterrei dovunque la creazione di un fronte comunetra marxisti e sinistra cristiana.

Il punto di partenza del dialogo – o un’ideologia per un periodo ditransizione – consiste nel comprendere che ci sono scopi comuni chetutti noi egualmente perseguiamo e, per questa ragione, la discussionedei problemi sociali è nell’interesse di tutti. La posizione marxista deveessere non ambigua e oggettiva. L’umanità è ondeggiante tra dueestremi: ciò significa o la sottomissione allo stalinismo e con esso aldogmatismo, o l’irresponsabile accettazione della critica occidentale. Ilmarxismo non è né l’uno né l’altro.

Postscriptum

(La vita è la scena dell’attività sia per il marxismo che per la cristianità.Comunque, la morte sembra finire definitivamente questa temporaneacooperazione e le forme umane di reciproco aiuto. Il materialismolimita qui, sulla terra, tutte le attività e non apre nessuna portaall’uomo verso l’infinito. La religione, quando promettendo lacontinuazione dell’esistenza terrestre, pone l’uomo sopra il mondo erisveglia in noi la speranza di un’esistenza oltre il mondo). La morteper me è un fatto semplicemente biologico, una caratteristica di tutti

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gli organismi viventi; chiunque sia generato, affronta la corruzione, haun inizio e una fine nello scambio di forze della natura. Ma nel casodell’uomo, anche la morte significa qualcosa di più [della corruzione].

Da quando siamo esseri sociali, desideriamo attribuire anche allamorte un rango speciale, un significato peculiare. Anche gli antichitentavano di trasformare la morte in un evento sociale. Per esempio,gli stoici pensavano che qualunque uomo, a cui accadesse di essere incircostanze indegne del suo stato di uomo, aveva il diritto di suicidarsi.Questo è il motivo per cui la morte abbia raggiunto importanza socialee sia diventata un fattore sociale. Socrate, Savonarola, Giovannad’Arco morirono per una morte sociale, non solo biologica. Socratebevve la cicuta, sebbene i suoi amici gli avessero preparato la fuga.Accettò la sentenza di morte che gli fu imposta, perché solo in questomodo poteva rimanere ciò che era. Savonarola non rinnegò il suoinsegnamento, perché non volle essere in contraddizione con se stesso;piuttosto, accettò di essere bruciato sul rogo.

A Giovanna d’Arco fu anche data l’opportunità di tradire la suamissione. Lei avrebbe potuto testimoniare che le sue visioni eranoinganni. Ma come poteva conciliare un tale atto con la sua coscienza? Imartiri e i santi della Chiesa, hanno vissuto e hanno agito nello stessomodo. Questa era la ragione per cui erano tenuti in tale stima persecoli ed ebbero un’influenza sulle masse. Io stesso non avrei potutoagire in altro modo, quando mi nascosi dal Terrore Bianco[5], dopo lacaduta della dittatura del proletariato. La casa, nel cui attico stava ilmio nascondiglio, fu perquisita diverse volte. Ogni volta mi ponevo ladomanda: «Cosa accadrà se mi troveranno?». Avevo giurato fedeltà alConsiglio degli Operai del 1919 ed ero responsabile di ciò. Diconseguenza, se necessario, avrei affrontato la morte. Non abbandonaila mia fede. Non negai i miei atti. Per me, questa attitudine costituiscel’essenza dell’etica. Il giudizio della nostra umanità: essere conseguentinelle nostre azioni; se necessario, affrontare la morte per esse. Non èvero che non abbiamo scelta; lo facciamo sempre e dovunque. È veroche questa attitudine non è semplice da sostenere. Se siamodeterminati ad essere conseguenti fino alla fine nel momento decisivodella nostra vita, la morte è trasformata in un valore eterno. La morte

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biologica è sollevata a un altro livello: ottiene un’importanza socio-etica. Siamo salvati – a qualunque Weltanschauung crediamo – dallamorte socio-etica. Otteniamo ciò quando possiamo lasciare questa vitacon la confortante idea che non abbiamo vissuto invano, che siamorimasti fedeli a noi stessi, alle nostre convinzioni e che siamo stati utiliagli altri per quanto fosse in nostro potere esserlo.

(Quando a Marx fu chiesto sulla sua umana confessione di fede,rispose: «Ciò che è umano non mi è alieno». Come risponderebbelei?). Direi ciò che ho scritto nel quaderno di appunti di Heinrich Böll,citando Peer Gynt che scoprì una profonda verità – la differenza trauomo e folletto: «.... Fuori sotto il cielo blu l’uomo disse: “Uomo, sii testesso!” Ma tra di noi ciò è detto differentemente: “Folletto, sii sempresufficiente a te stesso!”».

[1] Endre Ady (1877-1919) famoso poeta ungherese

[2] Béla Balázs, (1884-1949) scrittore, critico cinematografico eregista.

[3] Károly Tolnay (1899-1981) storico dell'arte.

[4] Hochhuth Rolf (1931-), drammaturgo tedesco.

[5] Il periodo di repressione instaurato dall’ammiraglio Horthy aseguito della sconfitta della Rivoluzione dei Consigli nell’Ungheria del1919.

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Il sistema dei Soviet è inevitabile„DAS RÄTESYSTEM IST UNVERMEIDLICH“, intervista a DerSpiegel, 20 aprile 1970, n. 17, pp. 153-166. L’intervistatore è DieterBrumm,

Spiegel – Professore Lukács, una volta Lei ha affermato che ilparlamentarismo era “invecchiato in termini storico mondiali”.Successivamente Lenin corresse la sua affermazione, sostenendo chequesta questione non era di natura ideologica, bensì tattica. Comevaluterebbe il parlamentarismo oggi, specialmente in relazione aipaesi socialisti?

Lukács – La questione del parlamentarismo ha straordinariamenteassunto le sembianze di un essere androgino, da quando Stalin iniziòla trasformazione dei resti, già corrotti, dei Consigli Centrali deilavoratori (Soviet) in un parlamento. Secondo la mia opinione, ciòrappresentò un passo indietro, poiché il parlamentarismo è un sistemadi manipolazione dall’alto.

Spiegel – Perché, allora, secondo la Costituzione, tutti possonofondare un partito e partecipare ad elezioni?

Lukács – De facto, nelle elezioni americane c’è un effettivo confronto,ma per ciò è necessaria una somma così grande di denaro che i partitidi base popolare finiscono per essere totalmente esclusi.

Già l’essenza del sistema dei Consigli, al contrario, consiste nel fattoche la sua costruzione viene dal basso. Nel 1917, qualsiasi lavoratoreintelligente poteva, dentro la sua impresa, fondare un gruppo e permezzo di questo gruppo riuscire a portare ai Consigli dei lavoratorirappresentanti della fabbrica. Da lì egli avanzava passo dopo passo.Secondo la mia opinione, questo è il sistema, dal punto di vistademocratico, più progressista, l’autentico socialismo. Abbandonandolo– nell’interesse di una amministrazione e di una capacità di azione

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perfettamente uniforme – abbiamo fatto un passo indietro.

Spiegel – Lei pensa che questo sviluppo stalinista può esseremodificato mediante riforme, può essere cancellato, o ci deve essereuna seconda Rivoluzione d’Ottobre per ristabilire il sistema deiConsigli?

Lukács – In primo luogo, considero impossibile risolvere unaquestione di questa grandezza con mezzi amministrativi. Sefondassimo un Consiglio dei lavoratori mediante decreto, questoConsiglio sarebbe eletto nella stessa forma burocratica delle elezioniattuali per deputato. È necessario, nel corso della riforma economicache già è diventata necessaria, introdurre una democrazia di base, cioècominciare con il diritto e anche il potere di intromissione nellequestioni di interesse generale, e a partire da queste esperienzeavanzare gradualmente.

Spiegel – Qual fu l’errore dei Consigli in Russia?

Lukács – Nel 1921, in Unione Sovietica, ci fu una grande discussionesui sindacati. Trotzsky adottò il punto di vista, secondo il quale isindacati dovevano essere statalizzati, in modo che potessero servireda sostegno alla produzione. Lenin si pose contro e sostenne che isindacati avevano il compito di difendere gli interessi dei lavoratori difronte allo Stato burocratizzato. Oggi, nessuno dubita che Stalin finìponendo in pratica l’idea di Trotzsky, sia in questo caso che in variealtre questioni. Per non andare oltre l’esempio dei sindacati, si devedire che nostro compito, adesso, è fare opposizione a ciò, per cosìtornare alla concezione di Lenin. Certamente, non possiamo crearenessuna situazione rivoluzionaria, ma possiamo riconoscere che fuimportante in termini storico-mondiali, cioè che la democrazia non habisogno necessariamente di dividere gli uomini in bourgeois e citoyen,come accadde nella Rivoluzione francese e in quelle che vennero dopo,tutte loro condannate a stabilire il dominio del bourgeois sul citoyen.

Spiegel – Il citoyen, il borghese rivoluzionario, è scomparso neigiorni nostri?

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Lukács – Non appena la società socialista si è lasciata alle spalleoggettivamente ed economicamente il dualismo del bourgeois e delcitoyen, si è dissolta la paura capitalistica che il movimento del citoyenpotesse trattenere o perturbare il processo di produzione. Abbiamobisogno di vedere, meglio di quanto abbiamo fatto finora, che per ilconseguimento di tante necessarie riforme economiche nello Statosocialista, un tale sostegno democratico è imprescindibile einsostituibile. Perciò, non vedo la necessità di nessuna rivoluzione. Èqualcosa che può accadere, probabilmente, nel corso di un decennio, apartire dal fatto che ci sia un movimento di rivendicazioni – è megliodire che con tale prospettiva di un decennio, sono stato moltoottimista.

Spiegel – Questo sviluppo, intanto, presuppone molte cose. Oggi, lemasse governate burocraticamente non posseggono assolutamentenessun necessità visibile di praticare forme di autogestione.

Lukács – Forse qui sono stato troppo ottimista. Le persone diconosempre che manca un Kádár[1], ma ciò che la mia lunga esperienza midice è che lo sviluppo sociale produce gente sufficiente per nuovireclutamenti e gente che si dispone a ciò con piacere. Quando, nel1919, fui inviato al fronte per essere commissario politico temporaneodi una divisione, ho avuto bisogno, all’inizio, di trovare da ogni parte –nelle piccole unità e nei battaglioni – commissari preparati. In tregiorni il problema era stato risolto. A questi commissari di guerraspettava, innanzitutto, vedere se i soldati erano alimentati in formaadeguata e se ricevevano la corrispondenza regolarmente; se avevanosuccesso, ottenevano la fiducia delle persone anche in altre questioni.

Sono convinto che, oggi, non c’è tra di noi una sola fabbrica nella qualecinque o sei ingegneri non siano a favore della riforma; ma fin quandopredomina un’atmosfera eguale a quella del periodo stalinista, essinon rischieranno la loro esistenza. Appena elimineremo i rischi,avremo una massa di gente favorevole alla riforma.

Spiegel – Questo vuol dire, pertanto, che la Riforma Kádár è lì; bastanon crearle difficoltà. Lei non sta vedendo la cosa in modo moltoottimista data la burocrazia vigente?

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Lukács – Direi che è impossibile che domani sorga in Ungheria unsistema di Consigli pienamente efficiente. Ma in 10, 20 o 30 anni uncambiamento potrebbe così accadere. Perché no? In principio si trattaappena di conquistare una massa crescente di persone per le riformeeconomiche necessarie. Nel 1919 abbiamo avuto nel campo dellacultura un successo molto più grande che nella maggioranza degli altricommissariati popolari. Adottammo una linea totalmentedemocratica, in cui i pochi comunisti a favore di una riforma culturalesi unirono con alcuni movimenti culturali borghesi già esistenti. Alvertice di ciascuna organizzazione culturale furono posti, a partiredagli stessi interessati, che chiamavamo direttori. Il direttoriomusicale, per esempio, sorse con Bartók, Kodály e Donhanyi, nonaveva nessun comunista tra di loro. E, nel frattempo, Bartók hariformato la vita musicale ungherese come nessuno di noi comunistisarebbe riuscito a fare. Bartók vide con chiarezza che unatrasformazione dell’insegnamento della musica, dell’opera, ecc.sarebbe più facile da realizzare con noi che con la borghesia.

Spiegel – Chi non è contro di noi, è con noi, dice Kádár, il primosegretario del Partito.

Lukács – Devo confessare che ho una buona opinione di Kádár.Secondo la mia opinione, Kádár non è un burocrate. Un uomo comelui, che non ha mai dimenticato che fu un operaio, ha sempresensibilità per percepire ciò che sta accadendo nelle sfere in basso. EKádár dice che, oggi, quasi tutte le persone che non curano i lorointeressi in un modo puramente egoista, ma per mezzo di qualchemediazione sociale, istintivamente sono nostri alleati.

Spiegel – Vari partiti comunisti di paesi dell’Occidente difendonoun’ampia unione con solo simpatizzanti e considerano che la viaparlamentare non è soltanto necessaria, ma anche l’unica possibile.

Lukács – Lenin propose che facessimo una differenza tra istituzionisuperate in termini storico-mondiali e superate soltanto in formarelativa. Lui aveva ragione, quando affermò che nessun paese come inGermania il potere del parlamento ha bisogno di opporsi allaburocrazia, una volta che il parlamento non è sufficientemente

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indipendente. Molte cose, come una legislazione di emergenzapubblica, non sarebbero state fatte da un parlamento, sebbene elettocon effettiva indipendenza e funzionando con effettiva indipendenza.Pertanto, per non rigettare la democrazia borghese è necessario fareuna riforma del parlamentarismo.

Spiegel – Nonostante che poco fa lei abbia definito il parlamentocome uno strumento di manipolazione del sistema capitalista.

Lukács – Nel capitalismo è sempre così, almeno in parte. Ènell’essenza del capitalismo che i grandi trust esercitino una poderosainfluenza sull’opinione pubblica. E quando qualcuno mi vuolepresentare il New York Times o la Frankfurter Allegemeine Zeitungcome il modello di libertà d’espressione in comparazione alla Pravda,lì, come vecchio giornalista e scrittore, sono obbligato a dire che ho imiei dubbi sulla libertà di espressione della Frankfurter AllgemeineZeitung.

Naturalmente, le persone della Frankfurter non possono arrestarenessuno, però ricorrendo ad altri mezzi, tanto efficaci quanto quelliutilizzati dall’organo stalinista, essi possono impedire che unadeterminata prospettiva o opinione editoriale arrivi fino all’opinionepubblica. Ciò che nella Germania occidentale si denomina libertà diespressione è solamente la routine dello scrittore che sa esattamentein quale giornale e con quale intonazione egli può scrivere. E lei mideve perdonare se non faccio eccezione per Der Spiegel.

Spiegel – Lei vuole difendere la regolamentazione degli scrittorisovietici come Solzenitsyn solo perché loro sono utili al Partito?

Lukács – Ci molte sottigliezze coinvolte in questa questione. Fino adove arrivano le mie conoscenze storiche, non ci fu mai una societàdivisa in classe o in interessi opposti, che godesse di una piena libertàdi espressione. Soltanto in un sistema di Consigli, per mezzo diun’autoregolazione democratica, si può abolire la manipolazione intutte le sue forme. Che la rivoluzione del ’17 fu un impulso in questadirezione è un fatto che oggi non si discute. Dopo, date le determinateragioni economiche e politiche, soffriamo una regressione, in certa

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misura, inevitabile.

Ci sono, pertanto, ragioni storiche per questa stagnazione, per questoblocco. Blocco che esiste già da alcuni decenni. Ma non si dimentichiche cinquanta anni non sono molto, quando si tratta di abbandonareuna formazione sociale e cominciarne un’altra. Dalla schiavitù fino alconsolidamento del feudalesimo fu necessaria una transizione daottocento a mille anni.

Spiegel – Anche le sviste esistono. Durante molto tempo, i teorici delmarxismo non offrirono nessuna analisi economica sufficiente delcapitalismo esistente e, per questo, rimasero incerti di fronte allepossibilità di sviluppo e delle forme di manipolazione del tardocapitalismo.

Lukács – Concordo con lei che non abbiamo accompagnatosufficientemente le grandi modificazioni strutturali del capitalismo.Prima di Marx c’era soltanto il capitalismo della cosiddetta industriapesante e la produzione per il consumo rimaneva, in grande misura,nelle mani degli artigiani. Le necessità di consumo dei lavoratorierano, per questo, indifferenti agli imprenditori. Ma dopo che ilcapitalismo si è appropriato anche dell’industria del consumo e delsettore dei servizi, gli artigiani, da un lato, andarono scomparendosempre più, e con loro la possibilità di acquisizione di nuovi lavoratori.D’altro lato, il lavoratore cominciò a diventare interessante per ilcapitalismo come consumatore, ne seguì un aumento del salario e unariduzione del tempo di lavoro – questo nell’intenzione di farlodiventare un migliore consumatore. Queste sono questioni che nonesistevano per Marx. Perciò dobbiamo sottomettere tutti i criteriutilizzati da Marx per il capitalismo del XIX secolo a una nuovaindagine economica. Questo non è accaduto. Per questa ragione, noicomunisti, rimaniamo come paralizzati di fronte al nuovo capitalismoe in ogni momento attribuiamo ad esso categorie invecchiate che nonpossono chiarire più nulla.

Spiegel – Attualmente, in Occidente, ci sono stati tentativi dianalizzare proprio queste nuove forme di manifestazione delcapitalismo di consumo e di servizi. Tentativi che sono intrapresi

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principalmente da quegli studenti che oggi si auto-definiscono nuovaavanguardia rivoluzionaria.

Lukács – Senza dubbio, il movimento studentesco è una cosa, inprincipio, salutare. Se criticassi il movimento studentesco, lo fareisoltanto in relazione al suo carattere di happening. Questo è l’illusioneche, per mezzo di uno sciopero o di alcuni atti scandalosi, si possamodificare una linea [storica] di sviluppo, quanto questa, in verità,prima di essere sottomessa a qualsiasi intervento pratico, ha lanecessità di essere compresa.

Il problema fondamentale è che, oggettivamente, la scienza è passatada un ininterrotto processo di integrazione, mentre, in contrasto aquesta tendenza, la prassi della scienza si confronta con un’estremadivisione del lavoro e un’estrema disintegrazione – il modello delteamwork americano. Se lei chiede, oggi, se un determinato problemaè fisico o chimico, né Heisenberg né nessun altro potrà rispondergli,poiché la fisica e la chimica sono più integrate che mai. Allora, pensialle scienze sociali: lei può dirmi dove termina l’economia e cominciala sociologia? Il freudiano messicano Erich Fromm, recentemente, hadetto che per comprendere realmente il freudismo, è necessariaun’analisi delle condizioni sociali sotto le quali sorsero i sintomiinvestigati da Freud, indicando, pertanto, che anche tra la psicanalisi ela sociologia le frontiere spariscono.

La divisione capitalista del lavoro e la manipolazione capitalista noncontinuano ad essere più insieme a favore della scienza, comeaccadeva cento anni fa, ma in contrapposizione allo sviluppo realedella scienza. Evito di proposito di toccare questioni attuali, però, sonodell’opinione che questo tipo di constatazione ideologica non è unacosa sprovvista di senso e che, qui, dobbiamo opporci alla parolad’ordine di moda, ossia alla deideologizzazione, affinché possiamocomprendere correttamente il ruolo dell’ideologia nello svilupposociale.

Spiegel – E lei cosa intende qui per ideologia?

Lukács – Oggi è diventato abituale intendere l’ideologia come falsa

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coscienza, in contrasto con la coscienza corretta del neopositivismo,visto come una scienza oggettiva. E si presume, allora, che essa siastata deideologizzata. Adesso, nell’Introduzione alla criticadell’economia politica, Marx ha fornito una descrizione esattadell’ideologia. Egli ha detto che lo sviluppo economico, soprattutto lacontraddizione tra le forze produttive e le relazioni di produzione, inogni momento, ci pongono problemi. Il mezzo con il quale questiproblemi diventano coscienti e sono affrontati è l’ideologia.

Guardi il XVIII secolo. Senza dubbio, esistono nell’ideologia diRousseau molte cose da porre in questione in termini scientifici. Ma èanche indiscutibile che, se per caso, la Rivoluzione Francese fosse stataguidata dai materialisti girondini, quella rivoluzione agraria, condottada Robespierre e da Saint-Just per le false vie ideologiche di Rousseau,non ci sarebbe mai stata.

Spiegel – La liberazione dei contadini fu, di fatto, soltanto unaquestione di ideologia giacobina?

Lukács – È ovvio che no. Oggettivamente, il feudalesimo eradiventato insostenibile e questo è un fatto economico. Il pensieroumano corrisponde sempre a qualche tipo di necessità economica cherimane in aria. E il compito della coscienza umana è giustamente, apartire da essa, formulare una questione. Ma, anche se, in ultimaistanza, la prassi umana dipende immediatamente dalle risposte date aqueste questioni, da ciò non consegue che le questioni e le risposteantropologiche siano il fattore primario, poiché primario è il processodi riproduzione degli uomini, i quali, da quando è sorto il lavoro, siadattano attivamente all’ambiente che li circonda.

Spiegel – C’è stato, nel frattempo, uno sviluppo vorace e continuodella tecnica, che, a sua volta, ha prodotto una catena di nuoveprivazioni. Forse che i teorici marxisti, in generale, non hannoesaminato il fenomeno della tecnica in forma molto acritica epredominantemente sotto l’influsso della progressiva liberazione dalregno della necessità?

Lukács – Bucharin ha difeso la teoria che il non-sviluppo del modo di

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produzione antico sarebbe la causa della schiavitù e che, pertanto, latecnica è la vera forza produttiva. Io mi posi contro e dissi che laschiavitù era la causa del modo di produzione non sviluppato.

Oggi, nel capitalismo, il lavoratore è, allo stesso tempo, ilconsumatore. Non c’è stato mai un periodo dell’umanità con rasoi eminigonne così perfette. Ma, se misurassi il progresso degli ultimicinquanta anni con il settore dell’abitazione e con la problematicadelle favelas, dovrei constatare che questo progresso è stato di graninferiore che nel caso dei rasoi.

Spiegel – Possibilmente c’è stato un arretramento.

Lukács – Possibilmente sì. In ogni caso, mi rifiuto di giudicare losviluppo delle forze produttive semplicemente a partire dai rasoi.Troviamo la contraddizione non solo nel settore dell’abitazione, maanche nel traffico di automobili, nell’inquinamento dell’aria e delleacque, e questo al punto che le grandi città già stanno diventandoinvivibili. La problematica del capitalismo moderno è ciò che emergein primo piano.

D’altro lato, è necessario vedere che, dagli inizi dell’atomo finoall’economia americana attuale, il mondo ha vissuto un processoirreversibile. Il giovane Marx aveva tutte le ragioni di vedere la storiacome la scienza fondamentale. Cosa c’è di fatto alla base della storia?La storia è l’interpretazione e la comprensione di processi irreversibili.Se la storia ritornasse sempre a un punto di partenza, allora nonsarebbe storia.

I processi irreversibili della natura organica, per un felice caso,produssero la vita organica sulla terra. E oggi sappiamo, basandoci suDarwin e sui suoi predecessori, che, dai primi vestigi della vita sullaterra fino all’orango e al mammut, un processo irreversibile fuconsumato. E in questo processo irreversibile sono sorti, infine,l’uomo e la società, in modo che possiamo constatare completamentel’osservazione del giovane Marx, secondo la quale lo sviluppo delmondo non deve essere appreso come un processo omogeneo, bensìcome un grande processo irreversibile.

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Spiegel – Da ciò si può inferire che lo sviluppo è sempre enecessariamente un avanzamento e non c’è posto per gli arretramenti?

Lukács – Evoluzione e arretramento esistono soltanto sotto undeterminato punto di vista. Se una specie di vita può o non vincere permezzo di un adattamento biologico, questo configura o no unprogresso soltanto sotto il punto di vista di questa specie. Ma pensoche lo sviluppo globale non ha nulla a che vedere con ciò: essocontinua irreversibilmente, in ultima istanza, in forma casuale.Tornando all’uomo: l’adattamento biologico, che è un adattamentopassivo all’ambiente, è soppiantato, con il lavoro umano, da unadattamento attivo, che cambia l’ambiente. Ci sono tre momenti,scoperti dal marxismo, che si autorizzano a parlare di un’evoluzionesenza nessuna connotazione ideologica. Primo: il dispendio di lavorofisico per la riproduzione dell’uomo decresce; oggi un lavoratoreproduce 50 o 100 volte più di quanto sarebbe necessario per lariproduzione della sua vita fisica.

Spiegel – E con sforzi sempre minori.

Lukács – Il secondo punto è ciò che Marx chiamò l’arretramentodelle barriere naturali. Ciò vuol dire che, per mezzo del lavoro, unessere originariamente biologico si converte in un essere umano; conciò, il fattore biologico non scompare, ma è trasformato. Oggi, lepersone possono assumere comportamenti tanto selvaggi quanto èpossibile, ma nessuno degli studenti ribelli regredirà alle forme dialimentazione e sessualità dei tempi primordiali. Chi preconizza unasessualità pura, preconizza la sessualità pura del 1970 e non di unaqualsiasi era remota. In altri termini, questo arretramento dellebarriere naturali che conosciamo è un tipo di progresso, un processoirreversibile.

Spiegel – Secondo la sua opinione, ciò che Engels chiamò amoresessuale tra gli individui, e che vide come una grande conquistacivilizzatrice, non soffrirà qualche arretramento?

Lukács – Sì. Il terzo momento, alla fine, è il grande processo diintegrazione. L’umanità esisteva originariamente in piccole unità e, a

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una distanza di 50 o 100 chilometri, un’unità non sapeva nulladell’altra. Il capitalismo, con il mercato mondiale, ha creato la base diquello che oggi possiamo chiamare umanità. Oggi essa appare in unamaniera puramente negativa.

Spiegel – Ma esiste anche una cultura mondiale.

Lukács – Non pretendo contrappormi a questo. In ogni caso, non c’èdubbio che si tratta, oggettivamente, di un processo di integrazione. Seprendo in considerazione soltanto questi tre momenti rilevati da Marx,si può già vedere che il processo di civilizzazione è un processoirreversibile e che, in questo quadro, mostra grandi progressi. Nondobbiamo concepire il progresso in un senso volgare, poiché cosìanche la bomba atomica sarebbe un progresso in relazione ai cannonie questi, a loro volta, sarebbero un progresso in relazione all’arco e allafreccia, nonostante il fatto che la bomba atomica sia in se stessapaurosamente pericolosa.

Spiegel – Ci sono, quindi, sviluppi sociali che visibilmente possonoannichilire questo progresso oggettivo.

Lukács – Certamente. Vede, adesso richiamerò l’attenzione versoun’opposizione che le persone non sempre vogliono comprendere:l’opposizione tra il modo di considerazione causale e il teleologico.Affermo con il marxismo che una teleologia – pertanto, unadeterminazione che parte soprattutto da una finalità – non esiste nénella natura inorganica né nell’organica, che la teleologia – come Marxmostra con esattezza ne Il capitale – sorge soltanto con il lavoro,perché il piano di quello che deve essere fatto precede la realizzazione.Un leone sbrana un’antilope oggi come lo faceva diecimila anni fa. Maun fabbro da tempo non lavora più nella forma tanto imperfetta comeai primordi.

Spiegel – Nel caso dell’artigiano Lei può ancora dire questo. Ma illavoratore comune, in generale, non conosce il prodotto finale dellasua attività. Si può parlare di un aggiornamento del processo dilavoro? Questo lavoratore è praticamente uno strumento senzacoscienza.

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Lukács – Mi sto riferendo al processo di lavoro e non al lavoratore. Ilprocesso di lavoro sorge nel momento in cui il direttore della fabbricaelabora il piano per una macchina: un atto teleologico. Certamente gliuomini – come disse Marx – fanno la storia, ma non sotto circostanzeda essi scelte. Queste circostanze non scelte sono, in parte, il prodottodel loro stesso lavoro. Veda, quando gli americani scoprirono la bombaatomica, erano convinti di potere assicurare una superiorità militareduratura per l’America. Che da lì sorgesse il patto atomico eracertamente qualcosa che non era contenuto nel loro atto teleologico.

Voglio chiarire questo doppio senso di sviluppo sociale; da un lato,tutto dipende da atti teleologici. Dall’altro lato, il processo irreversibiledello sviluppo globale forma il contesto di questi atti. Chi nonpercepisce questo doppio senso dello sviluppo umano può solostabilire una relazione tra necessità e libertà nella vecchia forma falsa etotalmente astratta. Detto in una forma un poco banale: per parlarecon me lei ha avuto bisogno di venire nel mio studio qui a Budapest; aquesto bisogno concreto ha corrisposto la sua libertà, anche la libertàche non parlasse con me.

Spiegel – Nella Dialettica dell’illuminismo, Adorno e Horkheimermostrarono come un determinato uso della ragione, meramentepositivista, potrebbe spingere gli uomini a creare situazioni chesuccessivamente diventerebbe oggettivamente insopportabili.

Lukács – Non nego ciò. Il mio scetticismo in relazione ad Adorno eHorkheimer sorge da un caso parallelo nella filosofia tedesca. In formamolto acuta, molto spiritosa, Schopenhauer ha riunito tutto ciò che c’èdi negativo nell’esistenza e a partire da ciò ha negato la storia comestoria [effettiva]. Ci sono situazioni, come il periodo precedente esuccessivo al 1848 in Germania, in cui è impossibile dire agliintellettuali che si sta vivendo una situazione ideale e che, per questo,è un dovere affermarla. Ma si può spiegare – e Schopenhauer equiparòquesta questione in forma brillante – che il mondo, in forma generale,è cattivo e che non avrebbe alcun senso trasformarlo. È così che lepersone, fondandosi su una critica che lancia un mordace disprezzocon il sistema, diventano esse stesse, sostenitrici del sistema.

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Spiegel – Ma così è necessario Horkheimer e Adorno ...

Lukács – È chiaro, veda bene, che non pretendo comparare, intermini filosofici, Horkheimer e Adorno con Schopenhauer. Dicosoltanto che esiste qui un’analogia generale, cioè soddisfare i bisogniintellettuali dell’intelligentsia in relazione alla critica delle attualicondizioni sociali e, allo stesso tempo, dimostrare che non c’è alcunauscita da questo processo di sviluppo. Nel mio libro La distruzionedella ragione, ho parlato del “Grande Hotel Abisso”: si abita in unhotel sofisticato e il fatto di avere un abisso a fianco non è altro che uningrediente piccante per accrescere il cibo e la danza.

Adesso, non sto dicendo che Adorno volesse ciò. Il problema è chemolti studenti di oggi hanno preso conoscenza delle villanie dellasocietà attuale per mezzo delle sue lezioni e i suoi scritti, solo che,dopo, quando essi uscirono nelle strade, Adorno ha stretto le spalle eha detto che il marchese di Sade è la conseguenza necessaria dellaRivoluzione Francese.

Spiegel – D’altro canto, però, egli ha avuto il merito di incoraggiare,in questo modo, la critica delle relazioni esistenti.

Lukács – Sono d’accordo.

Spiegel – ... invece di cadere nell’illusione che si viveva, allora, unasituazione rivoluzionaria come molti studenti fecero.

Lukács – Lei ha detto certamente “molti studenti”. Il marxismo nonha mai detto che in quel momento era possibile fare una rivoluzione.

Spiegel – Secondo la sua opinione, quando l’Occidente ha conosciuto,oggettivamente, una situazione rivoluzionaria?

Lukács – Confesso che non saprei rispondere a questa domanda.Senza dubbio, sono visibili i sintomi che il sistema comincia ad entrarein crisi; ma, per adesso, siamo soltanto all’inizio di uno shockrivoluzionario. Lei sa che per Lenin il fattore soggettivo non ha maialeggiato nel vuoto, al contrario quando le classi dominanti non

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possono più governare come prima e le classi oppresse non voglionopiù vivere come prima, lì sorge una situazione rivoluzionaria.

Spiegel – Nel caso del movimento degli studenti, si può parlare diqueste due condizioni in termini molto limitati. Ma non sarebbe giustodire che è un errore volere semplicemente passare al di là dellademocrazia e delle relazioni capitalistiche?

Lukács – Sì. Engels, nello scritto geniale, Critica al programma diErfurt, esortò il partito socialdemocratico a mettere fine ai resti dellavecchia Germania. Egli denominò come un’illusione il credere chetutta quella porcheria potesse essere rimossa dal socialismopuramente, pietosamente, allegramente e liberamente, fin quando laGermania non fosse passata da una democrazia borghese. Penso chequesto deve essere enunciato in forma aperta e brutale. In Francia, cifu il processo del capitano ebreo dello Stato Maggiore Dreyfus. E dalprocesso ingiusto irruppe una crisi dello Stato che per anni sconvolsetutto il paese e pose fine a tutta un’epoca.

A Berlino, al contrario – nel mezzo di una rivoluzione, Liebknecht e(Rosa) Luxemburg furono assassinati. In quel momento, non si mostròla seppur minima volontà di volere sapere chi fossero gli assassini;volevano che essi mantenessero la loro posizione concepita insiemeall’opinione pubblica. C’è qui una grande differenza nello sviluppodella democrazia borghese, la quale ha bisogno di essere posta alriparo.

Spiegel – Lei direbbe che gli studenti si ingannano quando,nell’attuale repubblica tedesca, difendono una rivoluzione sociale o ilsocialismo? Lei starebbe suggerendo che essi, in primo luogo, sidirigano verso una democrazia borghese?

Lukács – Lenin ha sempre affermato che non esiste una muragliacinese tra la rivoluzione borghese e la rivoluzione operaia. Non è uncaso che anche nel 1917, a partire dalle rivendicazioni borghesirivoluzionarie, non soddisfatte, – la pace e la divisione di terre aicontadini –, sia sorta una rivoluzione socialista. Posso dire con Engelsche senza una soluzione per questa questione non si può avere

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nessuna liberazione del popolo tedesco. Se il movimento degli studentirimanesse confinato nella cornice della società borghese o se dovesseromperla in maggiore o minore misura – è ovvio che non spetta a uncittadino come me, residente a Budapest e seguendo lo sviluppo dellaGermania soltanto dai giornali, dare una risposta a questa domanda.Penso soltanto che essi partono da un punto di vista chimerico, checonsiste nel volere intraprendere il socialismo in Germania senzadistruggere questa tradizione dello sviluppo tedesco.

Spiegel – Quindi lei considera la tappa attuale della democraziaborghese nella repubblica tedesca un elemento progressista, unpresupposto necessario per uno sviluppo futuro del socialismo ...

Lukács – ... se essa fosse una tappa effettivamente democratica.Senza dubbio, se avessi da scegliete tra Josef Strauss e WillyBrandt[2], ovviamente starei con Brandt. Intanto, per lo meno daquando la socialdemocrazia ha votato a favore della legged’emergenza, ho cominciato ad avere sfiducia della sua competenzaper incrementare una democrazia conseguente nella Germaniaborghese.

E anche lo Spiegel, per il quale ho una certa simpatia, non va tantolontano quanto fecero Jaurés, Zola o Anatole France nel caso Dreyfus– ma non posso, dal mio studio di Budapest, dare qualche consiglio aipolitici tedeschi.

Spiegel – Signor Lukács, come lei valuta il suo ruolo personale inmezzo alla crisi che devasta i campi socialista e capitalista?

Lukács – Vedo positivamente che, oggi, sia la soluzione stalinista sial’American way of life siano oggettivamente in crisi. Nel 1945, si aveval’opinione in Occidente che il marxismo, come ideologia del XIXsecolo, avesse fallito e si fosse trasformato in un semplice documentostorico. E nei paesi socialisti si credeva che, con la riforma stalinista, sifosse trovata la forma definitiva del marxismo. Oggi sappiamo che ifatti hanno rifiutato entrambi.

Io stesso, dal 1930, non sono più un attivista politico e tento adesso,

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come ideologo, di portare alla superficie quello che costituiscel’essenziale nel marxismo. Con ciò, voglio contribuire alla conoscenzadi come effettuare, in campi diversi e sotto forme diverse, unatrasformazione politica reale.

Spiegel – Lei sta lavorando a qualche nuovo libro?

Lukács – Scrivo una Ontologia dell’essere sociale – la prima a partireda Marx. Un lavoro così, per la sua limitazione, sembra essere incontraddizione con lo sviluppo del movimento dei lavoratori. Poichéquesto è diventato influente con persone come Marx, che fu, allostesso tempo, un grande ideologo e un grande politico. A lui seguironoEngels e Lenin, che riunirono anche le due cose. Questa, però, non èuna legge storica necessaria. Stalin, per esempio, che fu un buonorganizzatore e un abile tattico, non capì mai nulla di ideologia e fu,per questo, soltanto un amministratore. E dire che i vari primisegretari che ci furono qui – Rákosi in Ungheria, per esempio –avessero qualche competenza su questioni ideologiche èsemplicemente ridicolo.

Spiegel – Senza dubbio la guerra contro Hitler esigeva un talentomolto più tattico che ideologico.

Lukács – I due grandi movimenti di inflessione del nostro periodo –se Hitler o l’American way of life sarebbero stati il signore del mondo– furono ostacolati dal socialismo tel quel, dal socialismo di stampostalinista.

Per mezzo del patto Molotov-Ribbentrop, Hitler rese possibile laGuerra Mondiale – e con ciò le forze dell’Occidente si videro pressate adirigersi contro di lui. Senza l’accordo della bomba atomica, gli StatiUniti non avrebbero mai permesso che l’Unione Sovietica trasportassearmi per il Vietnam del nord – e senza questo trasporto di armi ivietcong sarebbero stati sconfitti da molto tempo.

Malgrado ciò, dal punto di vista ideologico, oggi siamo tutti in certaforma vis-à-vis de rien. Per questo, la rinascita del marxismo devefornire una base ideologica per i politici, poiché così poco come lo

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stesso Marx, considero essere sempre il caso che decide chi, in undeterminato momento, salirà al vertice del movimento dei lavoratori.

Spiegel – Signor Lukács, la ringraziamo per questa conversazione.

[1] János Kádár (1912-1989), politico ungherese, segretario del partitodal 1956 al 1988.

[2] Josef Strauss (1915-1988) uomo politico tedesco, presidente deiCristiano Sociali bavaresi. Willy Brandt (1913-1992), uomo politicotedesco, segretario del partito socialdemocratico tedesco, cancellieredal 1969 al 1974, premio Nobel per la pace nel 1971.

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L’ultima intervistaIntervista registrata il 16 aprile 1971, in una località non distante daBudapest. Tale intervista fu pubblicata per la prima volta in francese,in versione ridotta, da Yvon Bourdet nella rivista L’Homme et lasociété, n. 20, 1971, pp. 3-12.

Bourdet – La ringrazio di cuore per aver accettato di parlare con mein francese.

Lukács – Deve sapere però che parlo francese molto male, conaccento ungherese e una grammatica tedesca. (Lukács ride divertito)

Bourdet – Non è vero. Ho presente la sua intervista alla televisionefrancese e devo dire che lei si esprime benissimo.

I. Giudizi di Lukácssull’austromarxismo

Bourdet – Vorrei prima di tutto porle alcune domandesull’austromarxismo: quando lei andò a Vienna, dopo la prima guerramondiale e dopo la sconfitta della Repubblica ungherese dei consigli,ha avuto rapporti con i socialisti austriaci?

Lukács – Sì. Sono stato in ottimi rapporti con Otto Bauer. Nonbisogna tuttavia dimenticare la situazione di allora: eravamo deifuoriusciti coi quali, voglio dire contro i quali, il regime poteva, in ognimomento, prendere delle misure anche illegali. Ognuno di noi avevadovuto dare alla polizia la propria parola d’onore di non immischiarsi

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minimamente negli affari della politica interna austriaca. Nonostanteciò, come spesso avviene nei circoli dei fuoriusciti, ero stato incaricato,dal Partito comunista ungherese, di tenere certi rapporti, e inparticolare il Partito mi aveva ordinato di prendere contatto con OttoBauer ogni volta che uno di noi fosse, per esempio, minacciato diestradizione, e anche per discutere tutta una serie di altri problemi.

Devo dire che ci capivamo molto bene, perché lui era unsocialdemocratico eterodosso ed io un comunista eterodosso! Si eracreata così, tra noi, una possibilità di comprenderci, di comprendercianche un po’ dal punto di vista umano, per cui le nostre conversazioninon erano mai limitate alle questioni specifiche per le quali ciincontravamo ma toccavano anche molti altri argomenti. Con ciò nonsi deve pensare che tra me e Otto Bauer ci fosse grande intimità,questo non risponderebbe al vero, perché, nonostante tutto, lasituazione tra i due partiti era tale che nessuno dei due poteva passareun certo limite e doveva mantenere una certa riservatezza per temache l’interlocutore potesse utilizzare politicamente la confidenza di unmembro dell’altro partito. Questo è il motivo per cui non posso direche questi incontri mi abbiano rivelato le opinioni personali di OttoBauer né i suoi pensieri politici; su ciò non posso dunque dire nulla,ma ho avuto modo di apprezzarlo come una persona onesta e moltointelligente. Ci furono, tra noi, numerosi scambi di idee sulle moltediverse questioni del Movimento, ma mai su questioni di politicacontingente, a meno che non fossero direttamente connesse con quelleper le quali ero andato a trovarlo.

Bourdet – È rimasto molto tempo a Vienna?

Lukács – Abbastanza a lungo; sono arrivato a Vienna nell’autunnodel 1919 e ne sono ripartito alla fine del 1930.

Bourdet – Durante questo lungo periodo le è capitato di frequentareil Caffè Centrale di Vienna dove anche Trotskij si faceva vedereregolarmente prima della guerra del 1914 e che era rimasto un luogo diincontro tra intellettuali e rivoluzionari?

Lukács – No, non bisogna dimenticare che il Partito comunista

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ungherese era in Austria un partito illegale e che, per preservarequesta possibilità di esistenza illegale, eravamo obbligati a non averetroppi rapporti con la gente. Certo conoscevo molti scrittori tedeschi.Avevo, per esempio, degli ottimi rapporti di amicizia con Richard Bee-Hofmann ed altri scrittori simili, ma non si può certo dire chepartecipassi veramente alla vita letteraria del Paese; non fu così, erotroppo preso dal mio impegno con il movimento comunista ungherese.

Bourdet – E Max Adler, incontrò anche lui?

Lukács – Sì, sì, ma non eravamo in rapporti troppo amichevoli conMax Adler, poiché il suo “kantismo” trovava tutta la mia opposizione elui, da parte sua, mi reputava un marxista dogmatico; perciò eradifficile che tra noi due potesse nascere una relazione più stretta comequella con Otto Bauer. Così, ebbi rapporti migliori con Otto Bauer checon Max Adler. Certo, lo conoscevo; avevo avuto modo, in particolare,di incontrarlo durante i corsi che tenevamo per gli stessi allievi. Comelei può ben immaginare, le nostre lezioni erano totalmente divergenti,quanto a contenuti, e, a volte, abbiamo parlato insieme su questoproblema e su queste nostre divergenze. Ma da questo non si può certoconcludere che fossimo in buone relazioni di amicizia.

Bourdet – Queste divergenze sono state, qualche volta, oggetto dipubbliche discussioni, per esempio davanti agli allievi?

Lukács – No, bisogna ancora una volta ricordarsi che eravamo deifuoriusciti; non avevamo il diritto di immischiarci nella politica e perquesto motivo pubbliche discussioni con i socialdemocratici erano pernoi del tutto da escludere.

Bourdet – Conosceva le opere di Max Adler?

Lukács – Sì, sì. Le conoscevo e, come le ho già detto, eroassolutamente in disaccordo perché non potevo accettare il suo“kantismo”.

Bourdet – E Friedrich Adler lo ha mai incontrato?

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Lukács – No, mai.

Bourdet – Neppure Karl Renner?

Lukács – Karl Renner lo vidi una o due volte, ma il mio vero contattocon il Partito socialdemocratico avveniva attraverso Otto Bauer.

Bourdet – E tra gli altri teorici meno noti, conosceva Julius Dickmanche era vicino al Partito comunista austriaco?

Lukács – No, non lo conoscevo. Bisogna sapere che, a quell’epoca,eravamo molto occupati a riorganizzare il Partito comunistaungherese; questo non solo ci costringeva a un duro lavoro ma anche acompiere azioni che potevano mettere in pericolo la nostra precariaposizione di fuoriusciti che beneficiavano del diritto di asilo.Dovevamo avere la massima prudenza e prendere tutte le precauzionipossibili perché il governo austriaco non credesse che stavamocomplottando contro di esso; era questo il motivo per il quale ciguardavamo dallo stabilire relazioni troppo strette con il Partitocomunista austriaco; non ci incontravamo spesso né in forma ufficiale.Le nostre conversazioni avvenivano in modo informale; bisognavaevitare che i nostri discorsi potessero essere utilizzati contro di noi.Certamente, come lei sa, il Partito comunista austriaco era moltodebole, ma non per questo meno in concorrenza con il Partitosocialdemocratico austriaco; quest’ultimo non avrebbe certo potutovedere di buon occhio dei rapporti privilegiati tra i comunisti austriacie i comunisti ungheresi. Era dunque necessario che facessimo lamassima attenzione a non immischiarci nelle controversie né nellelotte politiche che dividevano il Partito comunista e il Partitosocialdemocratico austriaco.

Bourdet – Qual è attualmente il suo giudizio generalesull’austromarxismo? Lo ritiene un movimento in qualche modointeressante e originale in rapporto al marxismo classico?

Lukács – Diciamo che possedevano una sorta di... come dire? Unasorta di liberalismo tattico e d’altra parte hanno conquistato deirisultati che il Partito socialdemocratico tedesco non era riuscito ad

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ottenere. È ben vero che questa differenza può spiegarsi, in parte, colfatto che il Partito comunista tedesco era assai forte; esisteva perciò inGermania una più acuta concorrenza tra i due partiti marxisti; inAustria, il Partito era numericamente privo di peso; questo lasciava alPartito socialdemocratico una più vasta libertà di manovra.

Bourdet – E qual è, più precisamente, il suo giudizio sull’apportoteorico dell’austromarxismo relativamente alle sue opere scritte?

Lukács – A questa domanda potrei rispondere che Karl Renner era ilpiù intelligente degli opportunisti fra i membri dell’Internazionale;ritengo che Renner fosse molto più intelligente di tutti gli altriconservatori tedeschi. Per esser più precisi, stimavo Renner teorico,un pensatore con il quale, non c’è bisogno di dirlo, non mi trovod’accordo su nessun problema, ma nelle cui teorie è rintracciabile unvero e proprio sistema, una connessione di fatti di cui bisogna tenerconto. Otto Bauer era molto più interessante nel senso che era moltomeno conseguente di Renner. Bauer era molto più complicato, moltopiù complesso nel giudizio sui vari problemi. Era uno che vedeva gliaspetti contraddittori delle cose. Ma soprattutto, il suo punto di vistaera molto meno conservatore di quello di Renner. Ciò che Renner,fondamentalmente, pensava era di fondare la Repubblica austriaca suuna coalizione, non di circostanza, ma solida e duratura, tra il Partitodella borghesia e il Partito socialdemocratico, mentre Bauer, su questoproblema, aveva una posizione più aperta, più libera... In questi giorni,un compagno mi ha detto che esistono numerosi inediti di Bauer, deitesti che avrebbe scritto quando si trovava a Vienna; si tratteràcertamente di materiale interessante e bisognerebbe vedere dipubblicarli...

Bourdet – La cosa mi sorprende perché mi è sempre stato assicuratoche non esiste alcun testo inedito di Otto Bauer di quel periodo. OttoBauer racconta lui stesso come, nel febbraio del 1934, la polizia siimpadronisse di tutti i suoi scritti. Nessuno sa dove questi manoscrittisiano poi andati a finire. D’altra parte il Partito socialista tiene ancorachiusa una parte dei suoi archivi con il pretesto che non si è ancoraavuto il tempo di classificarli e che non è stato ancora possibile

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compilarne un catalogo. Da ciò nasce, probabilmente, la confusionetra gli archivi del Partito (che devono in effetti contenere interventi elettere) e i manoscritti propriamente detti di Otto Bauer...

Lukács – Insomma, su questi inediti le mie informazioni non sono diprima mano, ma posso comunque immaginare che, su molti problemi,Otto Bauer ha avuto delle divergenze con il suo partito; questo perchéaveva una visione non statica degli avvenimenti; il suo punto di vistaera molto meno conservatore di quello di Renner.

Bourdet – La ringrazio delle sue precisazioni a proposito degliaustromarxisti. Prima di affrontare altri argomenti, deciderà, magari,di fare una breve pausa per il caffè.

Lukács – Oh, il caffè non è importante.

II. Critica della burocrazia neipaesi comunisti

Bourdet – Secondo quanto sappiamo, esistono attualmente grandidifferenze sul come vengono trattati gli intellettuali: agli uni – coloroche lavorano nel campo scientifico – viene lasciata, pare, una notevolelibertà di espressione; per converso, quando uno scrittore o un artistaesprime qualche critica, lo si fa passare per pazzo, lo si rinchiude inuna clinica psichiatrica. Che cosa ne pensa?

Lukács – Vede, si tratta qui di un qualcosa che non riguarda soltantola pura teoria. Perché le possa dare una risposta, bisogna considerarela Russia da un punto di vista empirico. La Russia è la seconda grandepotenza del mondo, e, per conservare questa sua posizione, devedisporre di un esercito tecnicamente al livello di quello americano, inparticolar modo per ciò che concerne l’armamento atomico. Ne risulta

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implicitamente che gli scienziati – le cui ricerche sono la condizionesine qua non del perfezionamento tecnico degli armamenti –diventano persone intangibili; possono fare e dire ciò che vogliono.

Ora, ovviamente, dall’altra parte, gli intellettuali che noncontribuiscono in maniera così diretta all’esistenza dell’UnioneSovietica si trovano in una posizione poco piacevole. Non so sel’abbiate letto ma ho scritto su Solzenitsyn un breve libro nel qualeprecisamente dimostro che una critica letteraria del periodo di Stalin èattualmente impossibile in Russia. Certo, un Solzenitsyn esiste, ma lasua è una condizione difficile, quasi impossibile. La differenza trascrittori e scienziati ha le sue radici nella fase attuale della costruzionedel socialismo; in effetti, se essa non si impegnasse a fondo e inmaniera irreversibile nella libera ricerca scientifica, la Russia nonsopravvivrebbe a lungo. È questo il motivo lampante che spiega comemai questa scienza, che condiziona la ricerca della tecnica militare,beneficia, in Russia, di una libertà assoluta, mentre tutte le altreattività intellettuali in ogni altro campo possono esistere solo nellamisura in cui gli interessi immediati della società socialista loconsentono.

Bourdet – Come immagina che sia perciò possibile un’evoluzione diquesto regime? Lei pensa che possa divenire meno dispoticoattraverso una lenta trasformazione o per mezzo di un bruscocambiamento?

Lukács – La mia opinione è che vi sono dei problemi economici neiPaesi socialisti e che questi problemi non possono trovare soluzionesenza una democratizzazione della vita, della vita operaia. Ma lecondizioni di una democratizzazione non esistono ancora. Una provamolto evidente lei la può scorgere nei recenti avvenimenti polacchi: siè potuto constatare, in quell’occasione, come la massa operaia siaindifferente di fronte ai problemi dell’organizzazione operaia; ora,secondo il mio punto di vista, questa indifferenza secerne, per cosìdire, il proprio antidoto come contrappeso necessario e inseparabile;con questo contrappeso, intendo gli scioperi spontanei, gli scioperiesplosivi (selvaggi).

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A questo proposito voglio aggiungere che si sbaglia a credere che vi siauna grande differenza tra la Polonia e gli altri Paesi socialisti: certo, inPolonia ci sono stati degli scioperi selvaggi e negli altri Paesi nonancora, ma esiste dappertutto la medesima indifferenza e, in ognimomento, questa indifferenza degli operai che sentono che le loroorganizzazioni non servono a difendere i loro diritti, si trasforma inindifferenza verso gli avvenimenti di tutti i giorni e può, ogni giorno,gettarsi in uno sciopero spontaneo, come quello polacco. Questopericolo, sento che esiste in ogni Paese socialista; in ogni Paesesocialista può accadere domani o dopodomani quello che è accaduto inPolonia.

Bourdet – Ma, in questo caso, ci sarebbe sempre il potente esercitodello Stato sovietico per schiacciare il movimento.

Lukács – Certo, ma è già passato molto tempo da quando Talleyrandha detto, credo, che si può far tutto con le baionette, ma non sedercisisopra, e un sistema che si basi sull’essere seduti sulle baionette non èun sistema solido. Per questo motivo si può ritenere che tutti i Paesidell’Europa dell’Est sono governati da regimi di transizione doveproblemi economici rendono necessaria una riforma economica. Unareale riforma economica non può, tuttavia, realizzarsi che per mezzo diuna democratizzazione della vita quotidiana degli operai, un problemaquesto non ancora risolto.

Bourdet – Lei pensa che la burocrazia dei regimi dell’Est sia in gradodi mettere in atto una riforma economica che possa elevare il tenore divita e, in questo modo, evitare la rivolta?

Lukács – Non lo credo, non lo credo. Per evitare l’esplosione,bisognerebbe che ognuna delle due parti sapesse cosa vuole l’altra,quello che è possibile concedere, e quello che non lo è. Con ciò, nonvoglio certo dire che tutto quello che gli operai domandano deve essereloro concesso, ma è necessario un dialogo permanente tra il Partito egli operai in modo che sia possibile conoscere quali sono i problemiche preoccupano gli operai, che, a un dato momento, possonoscaldarne l’animo; non sono sempre gli stessi motivi né hanno lastessa intensità; per questo è necessario un contatto costante, ed è

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questo contatto che io chiamo democrazia, la democratizzazione dellanostra società; senza un tale processo, non credo che sia possibilecompiere riforme economiche.

Bourdet – Non crede che la burocrazia non possa mettere in attoquesta consultazione permanente senza negarsi, senza contraddire sestessa?

Lukács – Lo credo, perché non ho mai... (naturalmente non ci si puòesprimere sul piano dell’assoluto), ma non ho mai ancora visto unariforma che sia stata fatta dai burocrati. Questo perché i burocratiritengono che la conseguenza del loro sistema burocratico sia semprela verità per le masse, per le masse degli operai e, naturalmente, ciònon è vero; bisogna studiare – studiare tenendo conto degliavvenimenti quotidiani – la vita degli operai per poter sapere ciò cheveramente vogliono e come intendano realizzare la propria giustizia.

Bourdet – Dunque lei non ritiene possibile una graduale dissoluzionedello Stato, ma ritiene, come Marx, che esso vada abbattuto?

Lukács – Capisce, si tratta di una possibilità molto, molto remota; èsolo in una democrazia che questa dissoluzione dello Stato puòverificarsi. Con l’attuale burocrazia, lo Stato diventa di giorno ingiorno più forte, più potente, e non si nota alcun segno dideperimento, di cambiamento. Non credo che possa esistere uncambiamento all’interno della burocrazia e, inoltre, – per ciò che sipuò vedere – non credo che ci sia una vera e propria volontà in questadirezione; quando si legge ciò che Breznev ha detto all’ultimocongresso, si vede che tutto resta immobile, come adesso. Per altro,non ritengo – e questo è positivo – che si voglia una reazionestaliniana e un ritorno a Stalin, questo non lo si vuole. L’equilibrioburocratico esistente, però, si vuole mantenerlo. E quanto tutto ciòpossa durare, naturalmente, nessuno può dirlo.

Bourdet – Lei pensa, ad ogni modo, che questo sistema sia percepitodalle masse dei lavoratori come qualcosa che va cambiato, oppure glioperai sono abituati a questo regime burocratico?

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Lukács – Ci sono abituati, ma, come dire... si tratta di una cattivaabitudine che essi stessi non approvano. Se si parla con gli operai, ci siaccorge sempre che ciò che desiderano è tutt’altra cosa da quello che laburocrazia vuole dar loro.

Bourdet – Ma hanno coscienza di un altro modello di socialismo?Alcune volte ho sentito dire che la protesta degli intellettuali contro ilregime dell’Urss è una protesta borghese, il desiderio di tornare allademocrazia occidentale e non la volontà di superare l’attuale regimesovietico.

Lukács – In questo caso penso che non si capisca bene, che non si siacapito per nulla Marx, poiché Marx ha dimostrato molto chiaramente,nei suoi scritti giovanili, che nella democrazia borghese esiste undualismo tra il cittadino e il borghese, e il materialismo borghese,secondo l’espressione di Marx, regna sempre sull’idealismodemocratico del cittadino; e la lotta dei cittadini borghesi nellarivoluzione francese è diventata una semplice caricatura in tutti i Paesicapitalistici. Per questo motivo, non credo che ritornare a questo tipodi democrazia sia una soluzione; per un reale cambiamento, ènecessaria una vera e propria democrazia proletaria; con ciò, intendosolamente la democrazia dei Soviet del 1917. E non credo che, senzauna sorta di ritorno ai Soviet del 1917, sia possibile compiere delle realiriforme.

Bourdet – Ma non ritiene che Lenin abbia avuto la sua parte diresponsabilità nell’evoluzione dei Soviet verso la burocrazia? In Statoe rivoluzione, egli aveva, infatti, fatto propria la formula secondo laquale, dopo la presa del potere da parte del proletariato, lo Statoavrebbe dovuto cominciare immediatamente a dissolversi. Ora questonon è mai avvenuto neppure quando lui era ancora vivo...

Lukács – Non bisogna prendere ogni parola di Lenin alla lettera.Lenin ha sempre indicato con esattezza ciò che bisognava intendereper “rivoluzione culturale” nonché quali erano le condizioni di unasimile rivoluzione, vale a dire come era possibile rivoluzionarel’educazione delle masse al fine di renderle adatte ad una societàsovietica. Lenin credo, era assolutamente, sarebbe stato assolutamente

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contro i kolchoz come si presentano oggi perché li avrebbe ritenutidelle organizzazioni puramente burocratiche.

Bourdet – Che cosa intende esattamente con “organizzazioneburocratica”? Forse quando esiste una separazione tra una minoranzadirigenziale e il resto del popolo?

Lukács – C’è burocrazia, quando una minoranza di persone che sisono cooptate fra loro comandano senza domandare l’opinione dellegrandi masse. Così, è necessario distinguere due specie di socialismo:la prima forma consiste nel restare in contatto permanente con lemasse, nel conoscere quello che le masse desiderano, il che nonsignifica, come ho già fatto osservare, che bisogna sempre accettare lerichieste delle masse, ma che vi deve essere sempre un contattocostante tra lo Stato, il Partito e le masse operaie. Nella seconda formadi socialismo, invece, una minoranza fa le leggi e governa per mezzo diqueste leggi. Tuttavia, è necessario aggiungere che questo sistemafunziona, riesce in parte a funzionare, ma solo in parte.

Bourdet – Tuttavia, gli avversari della prima forma di socialismoesprimono l’obbiezione seguente: essi ricordano che, secondo Marx, leidee della classe dominante sono, nello stesso tempo, le idee di tutti,ivi compresa la classe operaia. A che scopo, dunque, volersi tenere incontatto permanente con le masse per trovarvi la verità se le idee dellastessa classe operaia sono pervertite dalla classe dominante?

Lukács – Non bisogna, vede, non bisogna mai cercare di risolvere unproblema sulla base di una formula di Marx. Marx aveva, a questoproposito, una concezione molto generale, ma è in testi come Ildiciotto Brumaio o La guerra civile in Francia che ha spiegatoesattamente che cosa intendesse per vera democrazia. Adesso, questavera democrazia è necessario realizzarla, altrimenti il socialismo nonsarà mai possibile.

Bourdet – Per spiegare la degenerazione della rivoluzione russa, siinvoca spesso lo scacco della rivoluzione proletaria nell’Europaoccidentale dopo la Prima guerra mondiale. Lei ritiene che, se larivoluzione proletaria avesse avuto successo in Germania, in Francia e

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in Inghilterra e negli altri Paesi dell’Europa, il processo rivoluzionarioavrebbe seguito un’altra via e la burocrazia sarebbe stata evitata?

Lukács – Credo che questo avrebbe cambiato di molto le cose poiché,senza la preoccupazione di difendersi, la preoccupazione di salvare iSoviet dalla controrivoluzione europea, l’evoluzione sarebbe statadiversa; si sarebbe probabilmente avuto un processo più democratico.Bisogna, però, aggiungere che si tratta, qui, di speculazioni abbastanzavuote: delle cose non si può dire come potevano accadere se nonfossero accadute.

Bourdet – La sua critica della burocrazia è molto interessante; ancheTrotskij, comunque, aveva fatto una critica della burocrazia nel 1904 epoi, in seguito, dopo la sua eliminazione da parte di Stalin. Chedifferenza c’è tra la sua critica e quella di Trotskij?

Lukács – Lei sa certamente che Trotskij è sempre stato un burocrate.Non bisogna dimenticare... c’è una piccola, preziosa notazione nellememorie di Gorkij. Gorkij ha parlato una volta di Trotskij con Lenin eLenin ha lodato a lungo i meriti di Trotskij nella guerra civile, poi haaggiunto: «Ci appartiene, certo, ma non è dei nostri completamente»(e qui Lenin aggiunge una notazione molto interessante), «in lui c’èqualcosa di Lassalle». E io ritengo che questo elemento lassallianoimpedisca al trotskijsmo di diventare una dottrina che possa animareil movimento operaio.

Bourdet – Per altro, nel testamento di Lenin si ritrova lo stessogiudizio: Trotskij peccherebbe di eccesso di sicurezza e di eccessivasimpatia per l’aspetto amministrativo delle cose...

Lukács – È lo stesso. Ed è lo stesso dire che Trotskij si interessatroppo all’aspetto amministrativo delle cose e che il movimentotedesco, sotto Lassalle, era un movimento organizzatoburocraticamente. È soltanto dopo la morte di Lassalle che tutto ècambiato sotto una direzione più democratica con il rischio di mutarsiancora, nel periodo imperialista, di nuovo in assetto burocratico.

Bourdet – Resta comunque il fatto che quando Trotskij venne

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cacciato dall’Urss, quando scrisse, per esempio, La rivoluzione traditacontro Stalin, egli abbia compiuto una critica della burocrazia. Qual èla sua critica a questa critica di Trotskij?

Lukács – Trovo che, attualmente, come dire... un burocrate fa lacritica dell’altro burocrate. Non ci sono dubbi, certo, che Stalin fosseun burocrate e anche, in un certo senso, ancora più burocrate diTrotskij, ma, per la verità, né l’uno né l’altro erano dei democratici.

Bourdet – Così, lei ritiene che nella critica di Trotskij non vi sianiente di interessante, neanche da un punto di vista speculativo? Sitratterebbe, dunque, di una semplice critica a Stalin e non allestrutture burocratiche dell’apparato?

Lukács – Sì, come ho già detto, si tratta di un burocrate che ne criticaun altro. La sola differenza è che Trotskij ha sempre posseduto unavisione internazionalista della rivoluzione ed era d’accordo con laburocratizzazione dell’Unione Sovietica nella prospettivadell’internazionalismo. Stalin era molto più prosaico e più pratico;considerava la tattica come la cosa più importante e se ha realizzato laburocrazia, era per delle ragioni tattiche. Quanto al fatto che Trotskijsarebbe più democratico di Stalin, ritengo che sia falso.Semplicemente falso.

Bourdet – Se nelle democrazie popolari europee le cose stanno inquesto modo, non è forse corretto affermare che Mao Tse-tung hacercato di evitare questi difetti ricorrendo alla “rivoluzione culturale”?Più in generale, come giudica la rivoluzione cinese?

Lukács – Le voglio fare una confessione: non sono in grado dirisponderle perché non so con certezza che cosa sia questa tendenza diMao Tse-tung. Da un lato non ci si può basare su quello che i suoiseguaci fanno in Europa, perché si tratta, per così dire, di unepifenomeno. Quanto a come Mao ha riorganizzato la Cina, be’... nonlo so. Bisogna aggiungere che, a questo proposito, anche i comunistioccidentali hanno commesso un grande errore teorico.

Quando la Cina ha aderito al comunismo, Stalin ha dichiarato che

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questo era un modo, per quel Paese, di superare il proprio Medio Evo.Ma il Medio Evo cinese, il Medio Evo, in Cina, non è mai esistito. Cosìè accaduto che ci si mettesse ad analizzare i problemi della Cina apartire da un sistema economico che non c’era mai stato. Non sisapeva... voglio dire, più esattamente, io non sapevo quale fosse, aquell’epoca, la natura reale del regime cinese; non era, ad essere esatti,un regime burocratico, né un sistema paragonabile a quellodell’Europa del Medio Evo; c’era piuttosto quello che Marx avevadefinito “il modo di produzione asiatico”, ma quanto a sapere qualefosse il rapporto tra questo modo di produzione e il capitalismo,nessuno, mi pare, lo aveva realmente approfondito. Ne sappiamocomunque abbastanza per respingere come inaccettabili i giudizi diStalin.

Per quanto mi riguarda confesso di sentirmi incapace a comprendere ireali principi della rivoluzione cinese. Non ci è possibile saperlo perchénon abbiamo fatto, per la Cina, ciò che Marx ha fatto per l’Occidente,vale a dire l’analisi dei rapporti tra economia europea e capitalismo. Leanalisi di Marx ci permettono, infatti, di conoscere la storia degli Statimedioevali, di come siano passati dal feudalesimo al capitalismo, maciò che esisteva in Cina non era il feudalesimo. L’analisi, per quantoriguarda la Cina, resta da fare e per quanto mi riguarda posso solo direche non sono un economista né, tanto meno, uno specialista dellaCina; sarebbe pertanto necessario che degli specialisti della Cina, checonoscono i principi economici della vecchia Cina, potessero, oggi,realizzare il processo di trasformazione realizzato in Cina, cosa checertamente comporta il sorgere di nuove caratteristiche che, come hogià detto, io non conosco.

Bourdet – Anche se non le è possibile giudicare la rivoluzione cinesein mancanza di conoscenze approfondite della storia economica diquesto Paese, le è possibile esprimere un’opinione sugli scritti teoricidi Mao?

Lukács – Vede, è sempre pericoloso basare delle deduzioni logiche sufenomeni economici eterogenei. La logica non è in grado di risolvereproblemi di questo tipo in simili condizioni. La ricerca logica può

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essere condotta in modo valido solo nell’analisi diretta dei problemiconcreti e risolvere i problemi nella loro concretezza. Prenda l’esempiodel feudalesimo europeo; nessun discorso è possibile a partiredall’essenza del feudalesimo; la rivoluzione inglese del XVII secolo eracompletamente diversa dalla rivoluzione francese del XVIII. Questoperché le due economie erano diverse, diversi gli interessi di classe, epoi la Francia ha fatto una rivoluzione diversa da quella inglese.Dunque, poiché non mi posso basare sull’economia cinese che nonconosco e di cui non conosco né le leggi né le conseguenze sociali, mi èimpossibile dare giudizi su alcunché.

III. La spontaneità dellemasse e il partito

Bourdet – Quest’anno, come lei sa, si celebra il centenario dellaComune di Parigi. Lei ritiene che la Comune fosse una sorta diprefigurazione di un “governo operaio”, di una gestione di tipo nuovo enon burocratico?

Lukács – Credo che si tratti di un problema molto semplice; esiste,sulla Comune, l’eccellente libro di Marx, e penso che ciò che egli scrivecorrisponda, in grande misura, a ciò che è realmente accaduto...

Bourdet – Sì, ma è possibile, secondo lei, che uno dei motivi dellasconfitta della Comune sia da ricercare, come alcuni sostengono, in un“eccesso di democrazia”?

Lukács – Vede, la Comune di Parigi appartiene a un periodo delmovimento operaio completamente diverso dal nostro, da quello chenoi abbiamo vissuto. Non credo che sia possibile fare dei paragonivalevoli tra quel periodo e quello attuale che è completamente diverso.

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Bourdet – Quando lei si trovava a Vienna, nel 1919, ha potutoosservarvi dei consigli operai. Come li ha giudicati?

Lukács – Non bisogna dimenticare che come rifugiati ungheresi,dopo la caduta di Béla Kun, ci trovavamo in una situazione illegale.Ciascuno di noi doveva dare alla polizia la sua parola d’onore che nonsi sarebbe immischiato negli affari interni della politica austriaca. Perquesto, per evitare l’espulsione, ci siamo tenuti da parte e nonsapevamo con esattezza quello che accadeva. Comunque, i consiglioperai, da quando si formarono in Austria nel 1918, non hanno maicessato di declinare. Una parte dei consigli si era orientata a sinistra eaveva perduto ogni influenza a causa del suo estremismo; le altre, conestremismo opposto, partecipavano, in un certo senso, al governo e, inconseguenza di ciò, tanto meno assolvevano i reali compiti dei consiglioperai. Credo, però, che questo fenomeno non fosse limitatoall’Austria; in tutti i Paesi, negli anni 1918-19, il movimento operaio, iconsigli sono entrati in crisi.

Bourdet – Quali ne furono le cause, secondo lei?

Lukács – In primo luogo, i consigli operai avrebbero dovuto essereeletti in maniera democratica. In Austria non era così, dal momentoche il Partito socialdemocratico esercitava un potere totale sulmovimento operaio; i comunisti, ad esempio, non avevano la piùpiccola possibilità di esercitare una valida opposizione nei confrontidelle scelte dei socialdemocratici.

Bourdet – Questo era, in parte, dovuto al prestigio di Friedrich Adlerche aveva ucciso il primo ministro dell’Imperatore d’Austria nel 1917,durante la guerra. Comunque sia, mi sorprende non poco che leiattribuisca alla libera elezione democratica dei consigli un grandevalore, quando, nel suo libro su Lenin, i Soviet vengono certo descritticome una nuova forma di organizzazione, ma anche come la violenzadello Stato proletario. Non ritiene che questa violenza dello Statopossa portare allo stalinismo?

Lukács – Non credo, non lo credo, perché il movimento dei Soviet inRussia era un movimento interamente democratico. I Soviet si

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preoccupavano – e Lenin trovava che questo era positivo, eranell’ordine delle cose – si preoccupavano anche dei problemi privatidegli operai, dei problemi del loro alloggio, per esempio, e di un’altraserie di cose. Questi problemi, però, volevano risolverli in manierademocratica, mentre i socialdemocratici cercavano di imporre almovimento un’organizzazione di tipo gerarchico. È ovvio che citroviamo davanti a due tipi di organizzazione che non possono esserecoordinati.

In questo senso, si può affermare che il movimento operaio così comesi è sviluppato in Germania, dopo la guerra, non aveva alcun rapportocon quello dei Soviet del 1917. Quanto al problema Stalin, esso è,naturalmente, molto complesso, ma stabilire un vero e propriolegame, una continuità tra Lenin e Stalin è, secondo me, senzafondamento. In quello che è stato definito il suo “Testamento”, Leninha spiegato con chiarezza che non c’era nessuno che potesse essereconsiderato come il suo successore; Zinoviev, Kamenev, Trotskij,Bucharin, ecc., nessuno tra questi gli pareva aver realmente compresole sue idee, né essere capace di continuare la sua opera; per altro, vierano, in quel periodo, delle lotte di frazione, ed erano quasi sempre ipunti di vista degli altri contro quelli di Lenin ad ottenere lamaggioranza; non dimentichi, per esempio – e non si tratta certo diuna questione secondaria – che sul problema dei sindacati esistevano,nel 1921, due punti di vista: c’era il punto di vista di Trotskij cheriteneva che queste organizzazioni, che i sindacati avesserounicamente la funzione di aumentare la produzione, mentre Leninpensava, al contrario, che essi fossero uno strumento di difesa dellaclasse operaia contro uno Stato operaio che già cominciava aburocratizzarsi. Se oggi, se andiamo a vedere cosa è successo inseguito, ci rendiamo conto che, su questa questione, fu Trotskij e nonLenin il grande vincitore; la vita quotidiana degli operai è stataregolata dai principi di Trotskij e non da quelli di Lenin.

Bourdet – Mi sembra, tuttavia, che al congresso del 1921 Lenin eTrotskij fossero d’accordo nell’opposizione alle frazioni, nel cancellareogni opposizione nel Partito. Hanno combattuto insieme contro quellache venne definita l’opposizione operaia...

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Lukács – Lenin si sforzava di fare in maniera che non ci fosseopposizione. Si tratta di due modi di agire assolutamente diversi. Ebisogna aggiungere, come ho già più volte ripetuto, che fu proprio aquesto congresso del 1921 che le cose andarono diversamente dalleteorie di Lenin; si potrebbe perfino sostenere che la burocratizzazione,la manipolazione del congresso, in breve lo stalinismo, sianocominciati proprio allora. Non bisogna dimenticare chel’Internazionale, la III Internazionale era manipolata da Zinoviev giàdai tempi di Lenin...

Bourdet – Nell’intervista da lei concessa alla televisione franceseverso la fine dell’anno passato, lei sostenne che l’intellettuale non deveessere l’interprete di una classe o di una burocrazia ma del popolointero, inteso come brain-trust. Allora, in questo caso, lei siaccorderebbe con la tesi di Lenin del Che fare? secondo la quale le ideevengono al proletariato dagli intellettuali borghesi, tesi per altro presaa prestito da Kautsky?

Lukács – No, vede, in questi casi bisogna guardare la realtà in faccia;se ho parlato del “popolo tutto intero”, se non mi sono riferitospecificamente agli interessi degli operai, nel senso più ristretto deltermine, bisogna tener presente che il grande mito, la grande idea del1919 era molto più ampia, inglobava ben più che il proletariato. Nondimentichi che Lenin, per esempio, ha sempre sostenuto che la culturaera molto importante; questo, tra le altre cose, significava la necessitàdi porre fine all’analfabetismo dei contadini affinché gli stessi fosseroin grado di creare, da soli, le proprie organizzazioni. Questa politica diLenin è, ben inteso, fallita durante il periodo stalinista, mentre si ègiunti attualmente a una situazione completamente diversa nellaquale, questo pensiero di Lenin, è stato cancellato completamente.

Bourdet – Anche passando, dunque, dal concetto di classe operaio insenso stretto a una nozione più ampia di “popolo tutto intero”, restaper lei un fatto che gli intellettuali non possono essere portatori dinessuna verità per il proletariato (o per il popolo), ma che, alcontrario, la dovranno, essi stessi, cercare nel proletariato...

Lukács – Vede, credere che si possa influenzare il proletariato è un

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pensiero che io definirei burocratico. Bisogna conoscere i suoiproblemi quotidiani uno per uno; allora, da questi problemiquotidiani, nascono le tematiche del Movimento. Se non c’è unademocrazia come quella che ho descritto adesso, una democrazia comequella esistita in Russia nei primi anni della rivoluzione, allora non c’èdemocrazia, la democrazia non può nascere; non è possibile, infatti,che gli intellettuali diano vita, da soli, a un movimento democratico.Non ne sarebbero capaci.

Bourdet – Ma nella tesi di Kautsky citata da Lenin in Che fare? vi erapur tuttavia il concetto che gli operai, abbandonati a se stessi, nonsarebbero riusciti ad andare al di là del trade-unionismo, e che, inparticolare, erano gli intellettuali a dover portar loro, dall’esterno, ilpensiero di Marx...

Lukács – Vede, quest’opera di Lenin possiede, sul piano storico, unpeso molto rilevante poiché mostra che, per il movimento socialista, laspontaneità della coscienza del proletariato non è sufficiente; bisognapossedere una coscienza della totalità della società; si ricorda chequesti concetti sono contenuti in Che fare?; bisogna che il Partito sial’organo di questa coscienza universale della rivoluzione e non l’organodi quello che l’operaio pensa, di momento in momento,soggettivamente, a partire dalle contraddizioni del capitalismo. Ènecessaria, al contrario, una visione più universale e ciò che Lenincercava di fare, attraverso il Partito comunista, era appunto di riunirecoloro che avevano il senso dell’universalità del movimento. Nessunodei successori di Lenin si è però mosso in questa direzione. In effetti,in Stalin, troviamo ambedue le cose: da un lato una sorta di regnoassoluto del Partito, dall’altra una specie di spontaneismo, mentremanca quest’idea del valore non spontaneo ma universale delproletariato. Quest’idea non è rintracciabile negli scritti di Stalin o, piùesattamente, vi si trova a parole ma non nella sua pratica applicazione.

Bourdet – Non vi sarebbe, così, un’esteriorità del pensiero degliintellettuali (un apporto d’un pensiero venuto da altrove), ma unasorta di percezione degli intellettuali dell’universalità che risiederebbenel proletariato?

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Lukács – Vede, il problema che qui si è posto storicamente non èstato quello dell’universalità nel proletariato, ma quellodell’universalità del proletariato. Stalin ha visto – e non solo in sensonegativo –, Stalin ha visto chiaramente che il grande flussorivoluzionario europeo si era ormai esaurito. Perciò, un compitopreminente si imponeva: salvare la rivoluzione russa da aggressioniesterne. Da questo momento in poi, ciò che è stato definito ilmilitarismo di Stalin deve essere compreso da questa prospettiva;Stalin si è reso chiaramente conto che le speranze del 1917, le speranzedi una grande rivoluzione europea, non avevano più ragione di essere,e che bisognava creare degli organismi che consentissero alla Russia disopravvivere, in quanto sovietica, in un mondo contro-rivoluzionario.

Bourdet – Dunque, l’“accerchiamento capitalista” e la teoria del“socialismo in un solo Paese”.

Lukács – Sì, ed è appunto questa teoria del socialismo in un soloPaese che ebbe come necessaria conseguenza la militarizzazione dellaRussia; bisognava fare dell’Unione sovietica un Paese molto potenteper consentirle di resistere alla potenza controrivoluzionaria.Naturalmente, non voglio dire con questo che la politica di Stalin siastata una politica positiva, ma resta comunque il fatto che, in un certosenso, le cose gli sono riuscite.

Bourdet – Se la rivoluzione russa si è trasformata in un regimeautoritario, non tanto per volontà di Stalin quanto per obbiettiveragioni storiche, non sarebbe interessante analizzare, oggi, il caso dialtri Paesi che, in circostanze diverse, possono evolvere in altro modo?Penso, in particolare, alla rivoluzione jugoslava. Che cosa ne pensa leidell’autogestione in questo Paese?

Lukács – Su questo punto, non posso darle una risposta esauriente.Ci sono molti problemi che abbiamo scarsamente considerato venti oventicinque anni fa. Per esempio, la questione nazionale. Si riteneva,nel 1945, che la questione nazionale fosse qualcosa di superato, chenon esistesse più. Oggi, invece, assistiamo, ed anche molto spesso, arivendicazioni autonomiste in regioni dove questo sembra, come nelcaso della Svizzera o della Bretagna, addirittura ridicolo. Anche in

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Jugoslavia ci sono i serbi e i croati, due nazionalità di lingua e dicultura quasi identiche; come con queste premesse, questi due popolisi sentano così diversi tra loro, io non so spiegarglielo.

Bourdet – Capisco bene che il desiderio di autonomia delle Provinciepuò aver giocato un ruolo decisivo nella scelta del sistemadecentralizzato dell’autogestione jugoslava. Non ritiene, però, che nelprogetto dell’autogestione sia implicita una sorta di opposizione allaburocrazia?

Lukács – Vede, un presupposto negativo non porta ad alcunasoluzione. E questo atteggiamento negativo invece, che dovrebbeessere oggetto di spiegazione. Per poterlo fare bisognerebbe conoscerequali sono le relazioni positive tra la nazione serba e quella croata enoi non lo sappiamo.

Bourdet – Dunque, l’autonomia relativa concessa, in Jugoslavia, allefabbriche non le sembra possedere una dinamica propria; non lesembra importante?

Lukács – Mi sembra importante, ma bisogna tornare a ripetere chesiamo sempre, come spiegare... un po’ troppo portati a credere chequando individuiamo una differenza siamo anche subito capaci dispiegarla, vale a dire di sopprimerla. C’è certamente un grandeprogresso in Jugoslavia, non lo nego. Non credo però che si sarebbepotuto, che si sia risolto il problema delle nazionalità.

Bourdet – Non ritiene che lo Stato di Tito sia meno burocratico diquello di altri Paesi socialisti?

Lukács – Vede, non ho mai pensato che la burocrazia sia sempre laconseguenza di un qualcosa che non è stato risolto. È per questo cheritengo che sia un modo molto problematico il cercare di risolvere deiproblemi traendo delle conseguenze, in un dato Paese, da unaburocrazia che resta essa stessa problematica. Sarebbe più correttocercare di guardare le cose in maniera più concreta. E la nostradisgrazia è proprio questa, che oggi non studiamo abbastanza ogniPaese nel suo specifico.

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Bourdet – Ma appunto, non sono rintracciabili, nelle fabbrichejugoslave, proprio delle caratteristiche specifiche? Esiste un consigliooperaio locale il quale, in una certa misura, ripartisce il plus-valore,decide di un certo numero dì cose; non esiste, come negli altri Paesisocialisti, un piano centralizzato che pretende di regolamentare ognicosa. Non trova che questo possa essere un inizio didemocratizzazione?

Lukács – Certamente. Esistono, in Jugoslavia, delle tendenzedemocratiche, non lo nego e sarebbe ridicolo negarlo. Sapere il gradodi questa democratizzazione e in che misura essa possa risolvere iproblemi è, però, un’altra questione. Sa, credo che ci troviamo ancoratutti sotto l’influenza del periodo stalinista quando pensiamo che, daprincipi astratti, sia possibile trarre conseguenze concrete. E io non lopenso. Io penso che è sempre e soltanto una situazione concreta aoffrire soluzioni concrete. Ma se ora lei mi chiedesse di dire coseconcrete sulla Jugoslavia, allora sarebbe diverso, non sapreirisponderle.

IV L’etica e l’ontologia

Bourdet – Vediamo allora il problema da un’ottica diversa. Selodiamo Lenin, per esempio, per aver voluto instaurare un sistemademocratico e critichiamo Stalin per aver fatto il contrario, questoavviene perché riteniamo che la democrazia sia meglio della dittatura.Questi giudizi di valore sono dunque relativi a un’etica. Ora, alcunisostengono che Marx condannasse ogni tipo di morale e si interessasseunicamente della scienza. Qual è la sua opinione al proposito?

Lukács – Vede, ritengo che una categoria come quella di valore facciaparte integrante dell’esistenza umana e non esista prima di essa. Seconsidero tutto ciò che esiste fuori dell’uomo, non troverò mai ilvalore. Se invece prendo la più semplice, la più primitiva opera

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dell’uomo, bene: essa è riuscita o non è riuscita; se è riuscita ha valore,se non è riuscita, non l’ha. Se ora lei considera la grande storiadell’etica si renderà conto che questo concetto di valore partecipa ditutto ciò che l’uomo fa; l’uomo non può sfuggire alle scelte di valore,non può comportarsi come una cosa; una pietra cade, è caduta, e nonse ne parla più; l’uomo è in una posizione di scelta, deve decidere difare questo o quello, di farlo in un modo o in un altro, e così nasconotutti i problemi di valore. La vita dell’uomo è inimmaginabile senza ivalori e se ora uso questa parola inimmaginabile o essa esprimeesattamente ciò che voglio dire oppure non l’esprime; nel primo caso,c’è del valore, nel secondo non c’è. Così – ed è questo un limite dellanostra esistenza di uomini – non possiamo agire in nulla senza porreuna questione di valore.

Bourdet – Tuttavia, apparati come la Chiesa o il Partito hannosovente utilizzato i valori per costruire un sistema che opprime gliuomini...

Lukács – È vero, quando la Chiesa aveva ancora un reale potere sugliuomini – e non intendo un semplice potere fisico, ma anche un poteremorale e psichico –, essa, ovviamente, esercitò un’influenza sullaquestione dei valori. Se lei considera l’uomo della polis, della cittàgreca, e l’uomo che è venuto dopo la polis, così com’era durante l’evocristiano, vedrà che esso possedeva dei concetti di individualità e divalore completamente diversi. Ed è la stessa cosa, naturalmente, pertutta la storia, per tutta la storia dell’uomo. Non è possibile scrivere lastoria umana senza analizzare questi problemi, senza sapere come ilproblema del valore si è realizzato nella vita dell’uomo.

Bourdet – Ma non ritiene che, attraverso questa via, sia possibileraggiungere il problema della democrazia e dell’autogestione? Piùspecificamente, non sarebbe giusto cercare di non opprimere leminoranze affinché sia possibile far emergere e realizzare il valorelatente di ogni uomo?

Lukács – Vede, in questo caso, maggioranza e minoranza sono paroleastratte e ci sono casi nella storia dove la minoranza ha avuto ragionesulla maggioranza, ed altri in cui ha avuto torto. Con i principi di

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maggioranza e di minoranza lei non giungerà mai a un risultato; ciòche bisogna fare, ciò che bisognerebbe fare è analizzare i processi dellavita economica e sociale e, in seguito, le reazioni dell’uomo a questiprocessi, reazioni che hanno un valore solo quando dicono sì a deivalori. È necessario tener conto della società e del giudizio dellacoscienza dell’uomo per saper se vi è progresso o assenza di progresso.In questo, sono un marxista ortodosso: c’è una storia che è la scienzafondamentale dell’uomo. Senza storia, e senza capire l’uomo comeessere storico, non è possibile capire nulla dell’uomo.

Bourdet – Capisco perfettamente la sua critica alle nozioni dimaggioranza e di minoranza, ma che significato assume, in questocaso, il suo riferimento alla democrazia del popolo intero, inteso comebrain-trust, e all’intellettuale che su di esso deve sempre regolarsi?

Lukács – Vede, anche in questo caso, è necessario rifarsi alla storia.In una situazione data, ci sono dei principi, per esempio dei principimorali, o altri principi, che sono vittoriosi perché, in quel momento,esprimono la reale situazione dell’uomo verso la natura e verso lasocietà, mentre in altri periodi questo non avviene. Bisogna sempreconsiderare le cose da un punto di vista storico e in una situazionedata. E solo quando esprimono la reale situazione dell’uomo nellanatura e nella società che i principi posseggono efficacia. Ora, questasituazione cambia in modo particolarmente evidente nei momenti digrande crisi, momenti che conferiscono agli individui una specificitàche prima non avevano. Per questo, Marx considera l’uomo come unessere, come dire... zufällig (contingente, accidentale). Per esempio, ilcambiamento operato dal capitalismo sull’esistenza sociale dell’uomo:un barone, un conte restavano sempre tali. Oggi, se lei considera lasocietà attuale, l’uomo è semplicemente un uomo; se ha del denaro èun capitalista, se non ha più denaro diventa un proletario. Vi èun’enorme differenza tra il capitalismo e le società che l’hannopreceduto. Se non si capiscono queste differenze strutturali dellastoria, non si potrà mai comprendere la storia.

Bourdet – Quando, più o meno nel 1960, Kostas Axelos e le Editionsde Minuit hanno pubblicato in francese il suo libro, Storia e coscienza

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di classe, lei scrisse una lettera per contestare l’opportunità di unasimile pubblicazione. Come mai? Ma soprattutto, cosa pensaattualmente di questo libro?

Lukács – In questo libro ci sono molte cose non più valideattualmente. Per non citare che un solo esempio si può dire che inStoria e coscienza di classe si sostiene che la dialettica esisteunicamente nella società e che non vi è dialettica nella natura.Secondo ciò che penso oggi questo è sbagliato. La verità è che esistonodue specie di nature: la natura inorganica e la natura organica e che apartire da queste due nature nasce la società. E che, tra queste due, omeglio tra queste tre forme di struttura dell’essere esistono dellerelazioni assai complicate e concrete che Storia e coscienza di classenon aveva ancora sufficientemente analizzato.

Bourdet – In questo senso, il libro sarebbe allora più incompleto cheinesatto...

Lukács – Credo che, in questo libro, sia stato individuato conchiarezza che la dialettica nella società è altro dalla dialettica nellanatura; su questo argomento non ho mai condiviso le opinioni diEngels; ho, infatti, sempre pensato che questo... diciamo principiodella negazione non è un vero e proprio principio delle cose, maritengo, nello stesso tempo, che non si siano ancora intraprese dellevere e proprie ricerche per studiare le relazioni tra la dialettica dellasocietà e le dialettiche delle forme di ciò che viene prima della società.A questo proposito avremmo bisogno di più analisi concrete e dianalisi molto più concrete di quelle condotte fino ad oggi.

Bourdet – Che pensa, dunque, delle posizioni di Sartre che non credealla dialettica della natura e che parla di una “ragione dialettica”?

Lukács – Vede, Sartre, su questo punto, ha commesso il mio stessoerrore di Storia e coscienza di classe. Ma, al contrario, per parlare diuna dialettica nella natura bisogna capire cos’è la dialettica.Immaginare, in effetti, che non esista un sistema di contraddizionidialettiche che forma come un contrappeso alla logica non dialettica, èun punto di vista ridicolo. Marx ha detto chiaramente che la vera

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scienza è, alla fin fine, la scienza della storia. Adesso è necessario (cosache ancora non abbiamo realizzato) compiere un’analisi tra le trediverse forme dell’Essere e della Storia. In questa direzione restanograndi cose ancora da compiere.

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Lukács sulla sua vita e la sua operaa cura di Perry Anderson

Intervista del 1969, pubblicata in “New Left Review”, n. 68, July-August 1971, pp. 49-58.

Anderson – I recenti eventi in Europa hanno posto ancora una voltail problema della relazione del socialismo con la democrazia. Qualisono le fondamentali differenze per Lei tra democrazia borghese edemocrazia socialista, rivoluzionaria?

Lukács – La democrazia borghese data dalla Costituzione francesedel 1793, che è la sua più alta e radicale espressione. Il suo principiofondamentale è la divisione dell’uomo nel citoyen della vita pubblica eil bourgeois della vita privata – l’uno dotato di diritti politiciuniversali, l’altro espressione di interessi particolari edeconomicamente ineguali. La divisione è fondamentale per lademocrazia borghese come fenomeno storicamente determinato. Ilsuo riflesso filosofico si deve trovare in Sade. È interessante chescrittori come Adorno si siano occupati di Sade, a causa del fatto cheegli è l’equivalente filosofico della Costituzione del 1793.

L’idea dominante di entrambi era che l’uomo è un oggetto per l’uomo– l’egoismo razionale è l’essenza della società umana. Adesso è ovvioche ogni tentativo di ricreare questa forma storicamente passata didemocrazia sotto il socialismo è una retrocessione e un anacronismo.Ma ciò non significa che le aspirazioni verso la democrazia socialistadebbano essere affrontate con metodi amministrativi. Il problemadella democrazia socialista è molto reale e non è stato ancora risolto.Essa deve essere una democrazia materialista e non idealista.Lasciatemi portare un esempio di ciò che intendo dire.

Un uomo come Guevara era un rappresentante eroico dell’idealegiacobino – le sue idee erano trasferite nella sua vita e la modellarono

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completamente. Egli non era il primo nel movimento rivoluzionario afar ciò. Levine in Germania, o Ottó Korvin qui in Ungheria, fecero lostesso. Si deve avere una profonda riverenza umana per una nobiltà diquesto genere. Ma il loro idealismo non è quello del socialismo dellavita quotidiana, che può soltanto avere basi materiali, fondate sullacostruzione di una nuova economia. Ma io devo aggiungereimmediatamente che lo sviluppo economico non produce per se stessoil socialismo. La dottrina di Krusciov che il socialismo trionferà suscala mondiale quando il livello di vita dell’URSS supererà quello degliUSA era assolutamente sbagliata. Il problema deve essere posto in unmodo abbastanza differente. Si può formulare così: il socialismo è laprima formazione economica nella storia in cui non producespontaneamente “l’uomo economico” che si adatta ad esso. Ciò a causadel fatto che esso è una forma di transizione, naturalmente uninterludio nel passaggio dal capitalismo al comunismo. Adesso per ilfatto che l’economia socialista non produce e riproducespontaneamente gli uomini adattati ad essa, come invece la classicasocietà capitalistica generò naturalmente il proprio homo economicus,il diviso citoyen/bourgeois del 1793 e di Sade, la funzione dellademocrazia socialista è precisamente l’educazione dei suoi membriverso il socialismo.

Questa funzione è abbastanza senza precedenti, e non ha alcunaanalogia con nulla nella democrazia borghese. È chiaro che ciò che ènecessario oggi è una rinascita dei Soviet – il sistema di democraziadella classe lavoratrice che sorgeva ogni volta che c’era una rivoluzioneproletaria, nella Comune di Parigi nel 1871, nella Rivoluzione russa del1905 e nella stessa Rivoluzione d’Ottobre del 1917. Ma ciò non sirealizza nottetempo. Il problema è che i lavoratori sono quiindifferenti: non credono inizialmente a nulla.

Discontinuità nella storia

Un problema a questo riguardo concerne la presentazione storica dinecessari cambiamenti. Qui nei recenti dibattiti filosofici, c’era statoun considerevole argomento sulla questione della continuità versus ladiscontinuità nella storia. Io mi sono schierato fermamente per la

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discontinuità. Conoscerà le classiche tesi conservatrici di Tocqueville eTaine che la Rivoluzione francese non fu affatto un cambiamentofondamentale nella storia francese, perché essa continuòsemplicemente la tradizione centralizzatrice dello Stato francese, cheera molto forte sotto l’Ancien Régime con Luigi XIV, e fuulteriormente ripresa da Napoleone e anche poi, in seguito, dalSecondo Impero. Questa visione fu decisamente respinta, dentro ilmovimento rivoluzionario, da Lenin. Egli non presentò mai icambiamenti fondamentali e le nuove partenze come semplicicontinuazioni e miglioramenti di precedenti tendenze. Per esempio,quando egli annunciò la Nuova Politica Economica, non disse neancheuna volta che questa era uno “sviluppo” o un “completamento” delComunismo di guerra. Egli stabilì francamente che il Comunismo diguerra era stato un errore, comprensibile in quelle circostanze, e che laNep era una correzione di quell’errore e naturalmente un totalecambiamento.

Questo metodo leninista fu abbandonato dallo stalinismo, che tentòsempre di presentare i cambiamenti politici – anche enormi – comelogiche conseguenze e miglioramenti della linea precedente. Lostalinismo presentò tutta la storia socialista come un continuo ecorretto sviluppo; non si sarebbe mai ammessa la discontinuità. Oggiquesta questione è più vitale che mai, precisamente nel problema neirapporti con la sopravvivenza dello stalinismo. La continuità con ilpassato sarebbe enfatizzata entro una prospettiva di miglioramenti, oal contrario si dovrebbe portare avanti una netta rottura con lostalinismo? Credo che una completa rottura sia necessaria. Per questola questione della discontinuità nella storia ha una tale importanza pernoi.

Anderson – Si applicherebbe tutto ciò anche al suo stesso sviluppofilosofico? Come giudica oggi i suoi scritti degli anni Venti? Qual è laloro relazione con le sue attuali opere?

Lukács – Negli anni Venti, Korsch, Gramsci ed io tentammo, nellenostre differenti maniere, di affrontare il problema della necessitàsociale e l’interpretazione meccanicistica di essa che era l’eredità della

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Seconda Internazionale. Ereditammo questo problema, ma nessuno dinoi – neanche Gramsci, che era forse il migliore di noi – lo risolse. Noitutti ci sbagliammo e oggi sarebbe abbastanza errato tentare di farrivivere le opere di quei tempi come se fossero ancora valide. Inoccidente c’è una tendenza a considerarle come “classici dell’eresia”,ma non c’è alcuna necessità di farlo oggi.

Gli anni Venti sono un’epoca passata; sono i problemi filosofici deglianni Sessanta quello che ci dovrebbero interessare. Adesso stolavorando a un’Ontologia dell’essere sociale, che spero risolverà iproblemi che furono posti abbastanza falsamente nella mia primaopera, particolarmente in Storia e coscienza di classe. La mia nuovaopera si centra sulla questione delle relazione tra necessità e libertà, ocome io la esprimo, di teleologia e causalità. Tradizionalmente, ifilosofici hanno sempre costruito sistemi fondati su uno o l’altro diquesti due poli; essi hanno o negato la necessità o negato la libertàumana. Il mio scopo è mostrare la interrelazione ontologica dei duepoli, e respingere il punto di vista dell’“aut aut” con cui la filosofia hatradizionalmente presentato l’uomo. Il concetto di lavoro è l’asse dellamia analisi. Se un leone attacca un’antilope, il suo comportamento èdeterminato dal bisogno biologico e soltanto da quello.

Ma se l’uomo primitivo ha di fronte un mucchio di pietre, egli devescegliere tra di esse, giudicando quale sarà più adattabile all’uso diessa come strumento; egli seleziona tra alternative. La nozione dialternativa è fondamentale nell’interpretazione del lavoro umano, cheè così sempre teleologico – si pone uno scopo, che è il risultato di unascelta. Così si esprime la libertà umana. Ma questa libertà esistesoltanto ponendo in moto le forze fisiche oggettive, che obbedisconoalle leggi causali dell’universo materiale. La teleologia del lavoro è cosìsempre coordinata con la causalità fisica e, invece, il risultato di ognilavoro dell’individuo è un momento della causalità fisica perl’orientamento teleologico (Setzung) di ogni altro individuo. Lacredenza in una teleologia della natura era teologia, e la credenza inuna teleologia immanente nella storia era infondata. Ma c’è teleologiain ogni lavoro umano, inestricabilmente inserita nella causalità delmondo fisico.

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Questa posizione, che è il nucleo da cui sto sviluppando la mia attualeopera, supera la classica antinomia di necessità e libertà. Ma vorreirilevare che non sto tentando di costruire nessun sistemaonnicomprensivo. Il titolo è Zur Ontologie des GesellschaftlichenSeins e non Ontologie des gesellschaftlichen Seins, l’opera è terminata,ma sto rivedendo il primo capitolo. Lei valuterà la differenza. Ilcompito, in cui mi sono impegnato, richiederà il lavoro collettivo dimolti pensatori per il loro proprio sviluppo. Ma spero che mostrerà ifondamenti ontologici per quel socialismo della vita quotidiana di cuiho parlato.

La cultura radicale inglese

Anderson – L’Inghilterra è il solo grande paese europeo senza unatradizione nativa filosofica marxista. Lei ha scritto estensivamente suun momento della sua storia culturale – l’opera di Walter Scott; macome considera il più ampio sviluppo della storia politica eintellettuale inglese, e le sue relazioni alla cultura europea a partiredall’Illuminismo?

Lukács – La storia inglese è stata la vittima di quello che Marxchiamò la legge dello sviluppo ineguale. Il vero radicalismo dellarivoluzione di Cromwell e poi della rivoluzione del 1688, e il lorosuccesso nell’assicurare relazioni capitalistiche in città e in campagna,divenne la causa della successiva arretratezza dell’Inghilterra. Pensoche la sua rivista è stata abbastanza corretta nel rilevare l’importanzastorica dell’agricoltura capitalistica in Inghilterra, e le sue paradossaliconseguenze per il successivo sviluppo inglese. Ciò può essere vistomolto chiaramente nello sviluppo culturale inglese. Il dominiodell’empirismo come un’ideologia della borghesia data non solo dal1688, ma raggiunse tremendo potere a partire da allora, e distorsecompletamente l’intera storia precedente della filosofia e dell’arteinglese. Si prenda Bacone, per esempio. Egli era un pensatoreveramente grande, molto più grande che Locke, di cui la borghesia siappropriò molto più tardi.

Ma il suo significato fu interamente occultato dall’empirismo inglese, eoggi se volete studiare quello che Bacone fece dell’empirismo, dovete

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dapprima comprendere ciò che l’empirismo fece di Bacone – che èqualcosa di abbastanza differente. Marx era un grande ammiratore diBacone, come lei sa. La stessa cosa è accaduta a un altro grandepensatore inglese, Mandeville. Egli era un grande successore diHobbes, ma la borghesia inglese si dimenticò del tutto di lui.Comunque lei troverà Marx che lo citava nelle Teorie sul plusvalore.Questa radicale cultura inglese del passato fu occultata e ignorata. Alsuo posto, Eliot e altri diedero un’importanza abbastanza esagerata aipoeti metafisici – Donne e così via – che sono molto meno significativinell’intera storia dello sviluppo della cultura umana. Un altro rivelanteepisodio nel destino di Scott. Io avevo scritto sull’importanza di Scottnel mio libro su Il romanzo storico – lei sa che egli fu il primoromanziere che comprese che gli uomini sono trasformati dalla storia.

Ciò era una scoperta tremenda, ed era immediatamente percepitacome tale da grandi scrittori europei come Puškin in Russia, Manzoniin Italia e Balzac in Francia. Tutti questi compresero l’importanza diScott e impararono da lui. La cosa curiosa, comunque, è che nellastessa Inghilterra Scott non ebbe successori. Egli fu troppo frainteso edimenticato. Ci fu così una frattura nell’intero sviluppo della culturainglese, perché la cultura inglese del diciannovesimo secolo fu alloratagliata fuori dalla sua radicale preistoria. Questa è indubbiamenteuna profonda debolezza in Shaw.

Oggi, gli intellettuali inglesi non importano semplicemente ilmarxismo dall’esterno, essi devono ricostruire una nuova storia dellaloro propria cultura: questo è un compito indispensabile per loro, chesoltanto loro possono compiere. Avevo scritto su Scott, e Ágnes Hellersu Shakespeare, ma deve essere un inglese che deve riscoprireessenzialmente l’Inghilterra. Noi in Ungheria abbiamo avuto troppemistificazioni sul nostro “carattere nazionale” così come le avete avutevoi in Inghilterra. Una vera storia della vostra cultura distruggeràqueste mistificazioni. Forse in ciò voi siete aiutati dalla profonditàdella crisi economica e politica inglese, che è il prodotto della leggedello sviluppo ineguale di cui ho parlato. Wilson[1] è, oggi e ovunque,indubbiamente uno dei politici borghesi più astuti e opportunisti –eppure il suo governo è stato un totale e disastroso fiasco. Il che è un

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segno della profondità e inestricabilità della crisi inglese.

Anderson – Come vedete adesso le vostre precedenti opere di criticaletteraria, in particolare la Teoria del romanzo? Quale era il suosignificato storico?

Lukács – La Teoria del romanzo fu un espressione della miadisperazione durante la Prima Guerra Mondiale. Quando la guerrainiziò, io dissi che la Germania e l’Austro-Ungheria probabilmenteavrebbero sconfitto la Russia e distrutto lo zarismo: il che sarebbestato un bene. La Francia e l’Inghilterra probabilmente avrebberosconfitto la Germania e l’Austria-Ungheria e distrutto gli Hohenzollerne gli Asburgo: il che sarebbe stato un bene. Ma chi allora ci difenderàdalla cultura inglese e francese? La mia disperazione su questaquestione non trovò risposta, e quello è lo sfondo della Teoria delromanzo. Naturalmente l’Ottobre diede la risposta. La Rivoluzionerussa fu la soluzione storico-mondiale al mio dilemma: essa prevenneil trionfo della borghesia inglese e francese che io avevo temuto. Madirei che la Teoria del romanzo, con tutti i suoi errori, richiamòl’attenzione per il rovesciamento della cultura che vi era analizzata.Essa comprese il bisogno di un cambiamento rivoluzionario.

Weber

Anderson – A quel tempo lei era un amico di Max Weber. Come logiudica adesso? Il suo collega Sombart divenne nel corso del tempo unnazista – pensa che Weber, se fosse vissuto, si sarebbe conciliato con ilnazional-socialismo?

Lukács – No, mai. Lei deve capire che Weber era una personaassolutamente onesta. Egli aveva, per esempio, un grande disprezzoper l’imperatore. Egli era solito dire in privato che la grande sfortunadella Germania era quella che, a differenza degli Stuart o dei Borboni,nessun Hohenzollern era mai stato decapitato. Lei può immaginareche ciò non era usuale che un professore tedesco dicesse una cosasimile nel 1912. Weber era abbastanza dissimile da Sombart – egli nonfece mai alcuna concessione all’antisemitismo, per esempio. Mi lasciraccontare una storia che è caratteristica di lui. Egli fu chiamato da

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un’università tedesca a inviare le sue raccomandazioni per unacattedra in quell’università – essi erano in procinto di una nuovanomina.

Weber rispose loro, dando tre nomi, in ordine di merito. Egli, allora,aggiunse che ciascuno dei tre sarebbe stata una scelta assolutamenteadatta – loro erano tutti eccellenti: ma non sarebbe stato sceltonessuno di loro, perché erano tutti ebrei. Così aggiunse una lista dialtri tre nomi, nessuno di essi era degno quanto gli altri tre che avevaraccomandato, e qualcuno di questi fu indubbiamente scelto, perchénessuno di loro era ebreo.

Ancora su questo, devo ricordare che Weber fu un imperialistaprofondamente convinto, il cui liberalismo fu semplicemente unargomento della sua convinzione che un imperialismo efficiente eranecessario, e soltanto il liberalismo poteva garantire quell’efficienza.Egli fu un nemico giurato delle rivoluzioni d’Ottobre e di Novembre.Egli fu anche uno studioso straordinario e profondamente reazionario.L’irrazionalismo che iniziò con l’ultimo Schelling e con Schopenhauertrovò in lui una delle più importanti espressioni.

Anderson – Come lui reagì alla sua conversione alla Rivoluzioned’Ottobre?

Lukács – Si riporta che abbia detto che con Lukács il cambiamentodeve essere stato una trasformazione profonda di convinzioni e idee,mentre con Toller fu semplicemente una confusione di sentimenti. Maio non avevo alcuna relazione con lui in quel periodo.

Anderson – Dopo la guerra, lei partecipò alla Comune ungheresecome commissario per l’Educazione. Quale valutazione dell’esperienzadella Comune è possibile oggi, cinquanta anni dopo?

Lukács – La causa essenziale della Comune fu la Nota di Vyx[2] e lapolitica dell’Intesa nei confronti dell’Ungheria. A tale riguardo, laComune ungherese è comparabile alla Rivoluzione russa, dove laquestione della fine della guerra giocò un ruolo fondamentale nellanascita della Rivoluzione d’Ottobre. Una volta che la Nota Vyx fu

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consegnata, la conseguenza fu la Comune. I socialdemocraticisuccessivamente ci attaccarono per aver instaurato la Comune, ma aquel tempo, dopo la guerra, non c’era possibilità di restare entro ilimiti della struttura politica borghese; era necessario farla esplodere.

I leader bolscevichi

Anderson – Dopo la disfatta della Comune, Lei fu delegato al TerzoCongresso del Comintern a Mosca. Là incontrò leader bolscevichi?Quale fu l’impressione che ne ebbe?

Lukács – Veda, devo ricordare che ero un piccolo membro di unapiccola delegazione – non ero un importante figura in alcun modo aquel tempo, e così naturalmente non ebbi lunghe conversazioni con ileader del partito russo. Fui presentato a Lenin, comunque, daLunačarskij. Egli mi affascinò completamente. Ero capace di vederloanche al lavoro nella Commissione del Congresso, naturalmente. Glialtri leader bolscevichi, devo dire, li trovai antipatici. Trotsky non mipiacque immediatamente: pensai di lui che fosse affettato. Sa che c’èun passo delle memorie di Gorki su Lenin, dove Lenin, dopo larivoluzione, mentre riconosceva i risultati organizzativi di Trotskydurante la guerra civile, dice che lui ha qualcosa di Lassalle. Zinoviev,il cui ruolo nel Comintern conobbi successivamente molto bene, era unsemplice manipolatore politico. La mia valutazione di Bucharin si puòtrovare nel mio articolo del 1925 su di lui, criticando il suo marxismo –quello che era quel tempo, quando lui era l’autorità russa sullequestioni teoriche, dopo Stalin. Non posso ricordare Stalin stesso alcongresso – come molti degli altri comunisti stranieri. Non avevoconsapevolezza di quale fosse la sua importanza nel partito russo.Parlai a Radek abbastanza a lungo. Egli mi disse che pensava che imiei articoli sull’azione di marzo in Germania fossero le cose miglioriche fossero state scritte sull’argomento, e che li approvava totalmente.Successivamente, naturalmente, cambiò la sua opinione quando ilpartito condannò l’Azione di marzo, e allora li attaccò pubblicamente.Al contrario con tutti questi, Lenin mi fece un’impressione enorme.

Anderson – Quale fu la sua reazione quando Lenin attaccò il suoarticolo sulla questione del parlamentarismo?

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Lukács – Il mio articolo era completamente sbagliato e abbandonaiquelle tesi senza esitazioni. Ma aggiungerei che avevo lettoL’estremismo, malattia infantile del comunismo di Lenin prima dellasua critica al mio stesso articolo ed ero già interamente convinto deisuoi argomenti sulla questione della partecipazione parlamentare: cosìla sua critica al mio articolo non cambiò nulla per me. Conoscevo giàche era sbagliata. Lei ricorda che Lenin disse in L’estremismo, che iparlamenti borghesi erano completamente superati in un sensostorico-mondiale, dalla nascita degli organi rivoluzionari del potereproletario, i Soviet, ma che questo non significava assolutamente cheessi fossero superati in un senso immediatamente politico – inparticolare che le masse in Occidente non credevano in essi. Diconseguenza i comunisti dovevano lavorare in essi, come pure fuori diessi.

Anderson – Nel 1928-29 lei avanzò il concetto della dittaturademocratica degli operai e contadini come scopo strategico del PartitoComunista Ungherese in quel periodo, nelle famose Tesi di Blum[3]per il Terzo Congresso del PCU. Le tesi furono respinte comeopportuniste e lei, a causa di esse, fu espulso dal Comitato Centrale.Come le giudica oggi?

Lukács – Le Tesi di Blum furono la mia azione di retroguardia controil settarismo del Terzo Periodo, che insisteva sul fatto che lasocialdemocrazia e il fascismo fossero gemelli. Questa disastrosa lineafu accompagnata, come lei sa, dallo slogan di classe contro classe edall’annuncio per l’immediata instaurazione della dittatura delproletariato. Rivivendo e adattando lo slogan di Lenin del 1905 – ladittatura democratica degli operai e contadini – tentai di trovare unascappatoia alla linea del Sesto Congresso del Comintern, mediante ilquale potessi convincere il Partito ungherese a una politica piùrealistica. Non ebbi successo. Le Tesi di Blum furono condannate dalpartito e Béla Kun e la sua fazione mi espulsero dal Comitato Centrale.Ero completamente solo dentro il Partito in quel periodo; lei devecapire che non ebbi successo nel convincere anche coloro che fino adallora avevano condiviso le mie concezioni nella lotta contro ilsettarismo di Kun interno al partito. Così feci un’autocritica delle Tesi.

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Ciò fu assolutamente cinico: mi fu imposto dalle circostanze deltempo. Infatti non cambiai le mie opinioni, e la verità è che sonoancora convinto che allora ero assolutamente nel giusto. Infatti il corsodella storia successiva vendicò completamente le Tesi di Blum. Nelperiodo 1945-1948 in Ungheria ci fu la concreta realizzazione delladittatura democratica degli operai e dei contadini che avevo sostenutonel 1929. Dopo il 1948, naturalmente, lo stalinismo creò qualcosaabbastanza differente – ma questa è un’altra storia.

Relazioni con Brecht

Anderson – Quale furono le sue relazioni con Brecht negli anniTrenta, e dopo la guerra? Come valuta la sua figura?

Lukács – Brecht fu un grandissimo poeta, e le sue opere – MadreCoraggio, L’anima buona di Sezuan e altre – sono eccellenti.Naturalmente, le sue teorie drammatiche ed estetiche furonoabbastanza confuse ed errate. Ho spiegato ciò ne Il significato attualedel realismo critico. Ma esse non cambiano la qualità delle sue ultimeopere. Nel 1931-33 ero a Berlino, lavorando con l’Unione degliScrittori. A quel tempo – a metà del 1930, per essere precisi – Brechtscrisse un articolo contro di me, difendendo l’espressionismo. Ma piùtardi, quando ero a Mosca, Brecht venne a incontrarmi nel suo viaggiodalla Scandinavia agli USA – attraversò l’Unione Sovietica in quelviaggio – e mi disse: «Ci sono alcune persone che tentano diinfluenzarmi contro di te e ci sono persone che tentano di influenzarticontro di me. Facciamo un accordo per non essere provocati a litigarel’uno con l’altro». Così avemmo sempre un ottimo rapporto e, dopo laguerra, ogni volta che andavo a Berlino – ed era molto spesso – eroabituato ad andare sempre ad incontrare Brecht e insieme avevamolunghe discussioni. Le nostre posizioni erano molto vicine alla fine. Leisa che fui invitato da sua moglie ad essere uno di coloro che parlaronoal suo funerale.

Una cosa che rimpiango è che non ho mai scritto un saggio su Brechtnegli anni Quaranta: questo fu un errore, causato, a quel tempo, dallamia occupazione con altre opere. Ebbi sempre un grande rispetto perBrecht. Egli era molto intelligente e aveva un grande senso della realtà.

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In ciò era abbastanza dissimile da Korsch, come naturalmente lei sabene. Quando Korsch lasciò il partito tedesco, fu tagliato fuori dalsocialismo. So questo, perché era impossibile per lui di collaborarenella lotta antifascista, a Berlino in quel periodo, con l’operadell’Unione degli Scrittori – il partito non lo permetteva. Brecht fuabbastanza differente. Egli sapeva che non poteva essere fatto nullacontro l’URSS, a cui rimase fedele per tutta la sua vita.

Anderson – Conobbe Walter Benjamin? Pensa che lui si sarebbeevoluto verso un forte impegno rivoluzionario per il marxismo, sefosse sopravvissuto?

Lukács – No, per qualche ragione non ho mai incontrato Benjamin,sebbene vidi Adorno a Francoforte nel 1930, quando passai di là primadi andare in Unione Sovietica. Benjamin era straordinariamentedotato e comprese profondamente molti nuovi problemi. Esploròquesti problemi in modi differenti, ma non trovò mai una via peruscirne. Penso che il suo sviluppo, se fosse sopravvissuto, sarebbestato abbastanza incerto, malgrado la sua amicizia con Brecht. Leideve ricordare quanto difficili fossero quei tempi – le purghe neglianni Trenta, poi la Guerra Fredda. Adorno divenne l’esponente di ungenere di “conformità non conformista” in quel clima.

Anderson – Dopo la vittoria del fascismo in Germania, lei lavorònell’Istituto Marx-Lenin in Russia con Rjazanov. Cosa faceva laggiù?

Lukács – Quando ero a Mosca nel 1930, Rjazanov mi mostrò imanoscritti che Marx aveva scritto a Parigi nel 1844. Lei puòimmaginare la mia eccitazione: leggere quei manoscritti cambiòinteramente la mia relazione al marxismo e trasformò la mia visionefilosofica.

Uno studioso tedesco stava lavorando in Unione Sovietica suimanoscritti, preparandoli alla pubblicazione. I topi li avevano assaliti ec’erano molti posti nei manoscritti, dove le parole avevano letteremancanti o mancava una parola. Per la mia conoscenza filosofica,lavorai con lui, determinando quali fossero le lettere o parole cheerano sparite: spesso c’erano parole che iniziavano con, diciamo, ‘g’ e

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finivano con, diciamo, ‘s’ e si doveva indovinare cosa ci fosse in mezzo.Penso che l’edizione che eventualmente ne venne fuori fosse moltobuona – lo so perché collaborai a editarla. Rjazanov fu responsabile diquell’opera ed egli era un grandissimo filologo: non un teorico, ma ungrande filologo.

Dopo la sua rimozione, l’opera all’Istituto fu completamenteabbandonata. Ricordo che lui mi disse che c’erano dieci volumi dimanoscritti di Marx per Il capitale che non erano mai stati pubblicati– Engels naturalmente nella sua introduzione al Secondo e al TerzoLibro de Il capitale dice che essi sono soltanto una selezione daimanoscritti a cui Marx stava lavorando per Il capitale. Rjazanovprogettava di pubblicare tutto questo materiale. Ma finora non è maiapparso.

Nei primi anni Trenta, c’erano naturalmente dei dibattiti filosofici inURSS, ma non partecipai ad essi. C’era, allora, un dibattito in cuil’opera di Deborin fu criticata. Personalmente pensai che molte dellecritiche erano giustificate, ma il suo scopo era soltanto di stabilire lapreminenza di Stalin come filosofo.

Anderson – Ma partecipava ai dibattiti letterati nell’Unione Sovieticadegli anni Trenta?

Lukács – Collaborai con la rivista Literaturni Kritik per sei o setteanni e conducevamo una politica molto consistente contro ildogmatismo di quegli anni. Fadeev e altri avevano combattuto esconfitto la RAPP in Russia, ma non solo perché Averbach e altri nellaRAPP erano trotzkisti. Dopo la loro vittoria, procedettero a svilupparele loro proprie forme di RAPPismo. La Literaturni Kritik resistettesempre a queste tendenze. Scrissi alcuni articoli in essa, tutti lorohanno circa tre citazioni di Stalin – che era una necessità inevitabile aquel tempo in Russia – e tutti loro erano diretti contro le concezionistaliniste della letteratura. Il loro contenuto era sempre puntato controil dogmatismo di Stalin.

La carriera politica di Lukács

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Anderson – Lei fu politicamente attivo per dieci anni della sua vita,dal 1919 al 1929, quando dovette abbandonare completamentel’attività politica immediata. Questo fu un cambio grossissimo per unmarxista convinto. Si sentì limitato (o forse al contrario liberato?) daquesto brusco cambiamento nella sua carriera nel 1930? Che rapportoc’è tra questa fase e la sua adolescenza e giovinezza? Quali furono lesue influenze allora?

Lukács – Non ebbi alcun rimpianto per la fine della mia carrierapolitica. Veda, ero convinto che avessi totalmente ragione nelle disputeinterne del partito nel 1928-1929 – nulla mi condusse a cambiare lamia idea su questa; sebbene avessi fallito completamente nelconvincere il partito delle mie concezioni. Così pensai: se ho tantaragione e così completamente sconfitto, allora ciò può significaresoltanto che non ho nessuna abilità politica. Così abbandonai il lavoropolitico pratico senza nessuna difficoltà – decisi che non ero dotatoper farlo.

La mia espulsione dal Comitato Centrale del partito ungherese nonalterò in alcun modo la mia credenza che anche con le disastrosepolitiche settarie del Terzo Periodo, si potesse soltanto lottareeffettivamente contro il fascismo entro le fila del movimentocomunista. Non cambiai in questa convinzione. Ho sempre pensatoche fosse meglio vivere nella peggiore forma di socialismo che nellamigliore forma di capitalismo.

Successivamente la mia partecipazione al governo Nagy, nel 1956, nonfu una contraddizione alla mia rinuncia dell’attività politica. Noncondividevo il generale approccio politico di Nagy e quando i giovanitentavano di portare noi due insieme nei giorni prima di ottobre,sempre replicavo: «Il passo da me a Imre Nagy non è più grande diquello da Imre Nagy a me». Quando fui chiamato a fare il Ministrodella Cultura nell’ottobre 1956, questa fu una questione morale perme, non politica, e non potei rifiutare. Quando fummo arrestati ereclusi in Romania, i rumeni e i compagni del partito ungheresevennero da me e mi chiesero le mie opinioni sulle politiche di Nagy,sapendo il mio disaccordo con loro. Gli risposi. «Quando sarò un

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uomo libero nelle strade di Budapest e lui sarà un uomo libero, saròben lieto di dare apertamente e per esteso il mio giudizio su di lui. Mafin quando lui è imprigionato, la mia sola relazione con lui è disolidarietà».

Lei mi chiede quale fossero i miei sentimenti personali quandoabbandonai la mia carriera politica. Deve sapere che non sono forse unuomo molto contemporaneo. Posso dire che non ho mai sentitofrustrazione o qualche genere di complesso nella mia vita. So cosaquesto significa, naturalmente, dalla letteratura del XX secolo eavendo letto Freud. Ma non ho avuto io stesso esperienza di essi.Quando ho visto errori o false direzioni nella mia vita, ho semprevoluto ammetterlo – non mi è costato nulla fare ciò e allora mi rivolgoa qualcos’altro. Quando avevo 15 o 16 anni, scrissi pezzi teatralimoderni, alla maniera di Ibsen o Hauptmann. Quando avevo 18 anni,li rilessi e li trovai irrimediabilmente cattivi. Decisi allora che non sareimai diventato uno scrittore, e bruciai quei pezzi. Non ho rimpianti.Quella precocissima esperienza mi fu utile più tardi, perché comecritico ogni volta che mi trovavo a poter dire di un testo che lo avreipotuto scrivere io stesso, ho sempre saputo che questa era una provainfallibile che fosse un testo cattivo: era un criterio attendibile. Questafu la mia prima esperienza letteraria. Le mie prime influenze politichefurono leggere Marx da studente, e allora – più importante di tutto –leggere il grande poeta ungherese Ady.

Ero molto isolato come ragazzo, tra i miei contemporanei, e Ady ebbeun grande impatto su di me. Era un rivoluzionario che ebbe un grandeentusiasmo per Hegel, sebbene non abbia mai accettato quell’aspettodi Hegel che io stesso ho sempre, fin dall’inizio, respinto: la suaVersöhnung mit der Wirklichkeit – la sua riconciliazione con la realtàstabilita. È una grande debolezza della cultura inglese che non siaalcuna dimestichezza con Hegel. Fino ad oggi, non ho perduto la miaammirazione per lui e penso che l’opera di Marx iniziò – lamaterializzazione della filosofia di Hegel – deve essere continuataanche oltre Marx.

Ho tentato di fare ciò in diversi passi della mia prossima Ontologia.

Page 214: Edizioni Punto Rosso · 2020. 3. 15. · Edizioni Punto Rosso Milano febbraio 2019 ebook a cura di gyorgylukacs.wordpress.com 2020 In questo volume sono riunite dieci delle numerosissime

Quando tutto sarà detto e fatto, ci sono soltanto tre veramente grandipensatori in Occidente, incomparabili con tutti gli altri: Aristotele,Hegel e Marx.

[1] Wilson Harold, politico britannico, due volte primo ministro dal1964 al 1970 e dal 1974 al 1976.

[2] La Nota Vyx è il nome dato alla comunicazione, scritta il 20 marzo1919 dal delegato dell’Intesa in Ungheria, il tenente colonnellofrancese Ferdinand Vyx, indirizzata al governo ungherese di MihályKárolyi con l’intenzione di concedere meno territorio all’Ungheria,rispetto ai territori concordati precedentemente con l’Armistizio diBelgrado. La dichiarazione causò le dimissioni del governo liberale diMihály Károlyi e l’inizio della Rivoluzione dei Consigli.

[3] Blum era lo pseudonimo usato da Lukács durante la sua militanzapolitica.