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Economia sociale e postcapitalismo: il ruolo trasformativo della ricerca sociale di Pier Paolo Inserra

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Economia sociale e

postcapitalismo:

il ruolo trasformativo

della ricerca sociale

di Pier Paolo Inserra

Indice

Introduzione 3

1 Leggere fatti, processi e dimensioni 7

2 Verso il superamento della differenza tra ricerca e

azione

9

3 Agire una funzione politica con la ricerca sociale 12

4 Andare oltre cosa esiste e come lo percepiamo 14

5 Per una osservazione del mondo trasformativa 17

6 Verso un’analisi postcapitalista delle pratiche

societarie: ricerca ed economia sociale

19

7 Ricerca sociale ed espressioni fondative 22

8 Postcapitalismo e azione euristica 24

9 Quali temi specifici trattare? 26

L’autore 30

3

Introduzione

Il saggio che segue rappresenta un modo per

destrutturare un processo classico di costruzione dei

saperi. Anticipa alcune riflessioni in essere che poi

confluiranno in una pubblicazione scientifica vera e

propria. L’idea di fondo, neanche tanto dirompente, è

quella di fare circolare - in anticipo appunto sulla

pubblicazione finale - parte di tali riflessioni.

Rigorosamente in open access. Potremmo definire

questo lavoro come una sorta di pubblicazione vettore,

libera, che si ricompone e trova una sua veste finale

dopo essere stata discussa tra amici, colleghi, cittadini.

Dopo essere stata oggetto di critica e di integrazioni.

Credetemi: il tema lo impone, altrimenti si rischia

l’autoreferenzialità.

Testi del genere hanno un’ impostazione grafica

essenziale, spuria: questo spiega l’apparente mancanza

di cura rispetto a quelli che sono i canoni di un

prodotto librario raffinato. Siamo in un frattempo in

cui a prevalere debbono essere meccanismi di

confronto e contenuti, possibilmente di qualità. Con

un vestito semplice e pulito. Null’altro, nulla di più.

Il lavoro riporta delle riflessioni aperte, piccole e

grandi aporie conseguenza del tema trattato: il

rapporto tra ricerca sociale e politica. Non ci

riferiamo alla ricerca sociale tradizionalmente intesa,

non pensiamo alla politica come scienza

dell’amministrazione o come semplice sommatoria di

pratiche pubbliche. Pensiamo, invece, ad alcune

questioni epistemologiche di fondo che orientano

senso e contenuti di quesiti ben precisi. E’ auspicabile

esplorare il mondo fenomenico con fini politici?

Possiamo considerare la ricerca sociale strumento e

4

metodo politico? O, almeno, un modo per contribuire

a definire dei contenuti politici? Se così fosse, quali

sono questi contenuti politici? Quanto è azzardato

superare l’idea che ancora pervade ambiti teorici, libri

più o meno interessanti, costrutti dei puristi e che

riguarda la presunta neutralità di un’indagine

scientifica?

Ci rendiamo conto che è rischioso affrontare

tematiche collettive a partire da una visione troppo

personale ed eccentrica. Infatti, siamo convinti – senza

pretese intellettualistiche – che sia la relazione tra

ricerca e politica che vada ripresa ed affrontata. In

questo periodo preciso, in un momento storico che ci

inchioda ad un presente che alimenta e si alimenta di

una politica che sta perdendo legittimità e capacità

propositiva. Non tra dieci anni, non alla fine del

secolo scorso.

Siamo altresì consapevoli che la riflessione delle

prossime pagine non è isolata. Se abbiamo potuto

scrivere sul rapporto dialogico che esiste tra ricerca

sociale e politica – senza avere capito ancora se

stiamo trattando il tema dal punto di vista politologico

o della definizione di nuovi modelli di ricerca sociale

– lo dobbiamo alle letture e ai compagni di viaggio

incontrati in venticinque anni di lavoro sociale.

Pensiamo a singoli cittadini, a quelli che nei nostri

report si definiscono malamente come utenti, ad amici

dell’università e della comunità scientifica, a

passionari della politica, a colleghi di lavoro. E

ancora: a fratelli, genitori, vecchi amici del ginnasio

con cui c’intratteniamo ancora con piacere per parlare

di speranze e attualità. L’humus, lo notate da voi, è

molto variegato ed eterogeneo. Forse, prescientifico e

non rigorosamente accademico. Lo consideriamo, con

la massima onestà, un punto di forza.

Che operazione rappresenta questo saggio?

Cominciamo a esplicitarle, alcune aporie: è un lavoro

sul valore sociale della ricerca scientifica in generale o

sulla ricerca sociale? La risposta importa poco. I

ricercatori sociali che anche ingenuamente danno peso

alla ricerca finalizzata allo studio dei fenomeni sociali

5

e all’individuazione di proposte e progettualità, si

troveranno di fronte a un testo che parte da esperienze

collettive di ricerca-azione, presupponendo però un

superamento di quest’ultima in virtù di un

consolidamento della funzione politica e proattiva

della ricerca in sé.

Oltre a muoverci l’inquietudine di chi la ricerca

sociale l’ha sempre considerata come un’opportunità

per contribuire ad innescare conoscenza ma anche

cambiamento, ci ha mosso la voglia di contribuire a

definire nuovi “strumenti” per fare politica. In

un’accezione radicale e riformatrice allo stesso tempo.

Anche se parlare di postcapitalismo e di ricerca non

vuol dire necessariamente pensare ad un “nuovo

rivoluzionaresimo”. Quanto, piuttosto, a metodi e

prassi di costruzione ed elaborazione dei saperi che

consentano di leggere in maniera critica i costrutti ed i

precipitati storico-economici attuali per esplorare

nuove direzioni collegate a dei concetti generativi

precisi: eguaglianza delle opportunità, delle risorse e

dei risultati, wellness e felicità, redistribuzione delle

risorse, interculturalità, partecipazione,

ecosostenibilità. Il postcapitalismo è assimilabile, nel

nostro caso, da una parte ad uno sfondo, a delle

coordinate concettuali indeterminate verso cui

indirizzare analisi ed ermeneutica, in un processo

conoscitivo che abbia almeno la caratteristica

dell’alterità. Ciò vuol dire che lo consideriamo una

sponda teorico-culturale, definibile solo per certi versi.

Dall’altra, proprio per provare a definirla almeno nelle

sue declinazioni (intuizioni?) attuali, l’idea di

postcapitalismo prende forma attraverso i

collegamenti che tenteremo di effettuare nel testo

quando parleremo di economia sociale.

La centratura del saggio, pertanto, è sulla necessità più

generale di recuperare nella ricerca sociale una

funzione anticipatoria e previsionale, oltre che critica

e propositiva.

Un’ultima questione riguarda il mondo accademico e

istituzionale della ricerca sociale. Chi lo rappresenta,

dovrebbe tenere insieme dimensione culturale,

6

strategica, scientifica e attuativa. Ci si potrà tacciare

di qualunquismo ma - per le opportunità (di status

pubblico, di potere, di reddito) che hanno molti di

coloro che in tale mondo operano, a volte addirittura

con una dichiarata visione riformista e progressista - la

riflessione attorno al ruolo trasformativo della ricerca

sociale è ancora poco agita ed insufficiente. Pochi

sono i docenti che vanno al di là dei propri steccati per

fare da collettori e da stimolo nei confronti delle

istituzioni e della politica ufficiale, locale e centrale.

O, ancora, nei confronti della cittadinanza organizzata

per supportarla e pungolarla. Le élite dormono un

sonno profondo e ormai testimoniano, in modo

drammatico, visioni prepolitiche e isolazioniste che

mal si conciliano con la necessità di ridurre il danno

derivante da una crisi strutturale non ancora del tutto

compresa ma intimamente vissuta da molte persone.

Fano, settembre 2017

Pier Paolo Inserra

[email protected]

1 Leggere fatti, processi e dimensioni

Ogni tentativo di leggere un fenomeno – sia esso

psichico, fisico-chimico, ambientale, sociale,

economico – si fonda su un atteggiamento

interpretativo. Siamo tutti ormai d’accordo con l’idea

che un ricercatore, come per altri versi qualsiasi

persona che agisca un ruolo di osservatore, entri in

gioco con la propria soggettività, con il proprio intuito

ed i propri costrutti cognitivo-emozionali, anche

quando ci riferiamo alle scienze cosiddette “esatte” o

naturali. Forse, però, parliamo poco spesso di quanto

interpretare ed elaborare un pensiero attorno ad un

(s)oggetto scientifico voglia dire anche fare i conti –

in una accezione costruttivista – con rappresentazioni

storicizzate e codici che si sviluppano a partire dalla

relazione con un contesto, con dei gruppi di

riferimento, con dei sistemi organizzativi1, con dei

modelli culturali.

Coloro che attribuiscono a un “fatto” un valore

oggettivo interpretabile esclusivamente da esperti2, si

vincolano ad una metafisica vintage per cui il fatto

viene considerato nudo e crudo. Se vale però quanto

detto nelle righe precedenti, sono anche dimensioni e

dinamiche a caratterizzare un processo di lettura della

realtà. Le dimensioni importanti quando proviamo a

1 Basta tener presente quanto gli interessi di un’organizzazione

o il rapporto tra la propria organizzazione di riferimento ed un

committente pubblico o privato, possano condizionare

elaborazioni e interpretazioni dei dati scientifici. 2Ad un livello diverso, si pensi ai contenuti della comunicazione

divulgativa e mediatica (spesso agiti anche da chi la ricerca la fa)

che sembrano sommare dichiarazioni assolute, piccole verità

slegate tra loro, affermazioni strumentali o non falsificabili.

8

analizzare e comprendere quanto ci troviamo davanti,

sono molteplici: fenomenica, storico-processuale,

soggettiva, intersoggettiva o di contesto, simbolica.

Se passiamo dalle dimensioni alle dinamiche

interpretative, oggi vanno per la maggiore due

tendenze contrapposte che nascondono una certa

propensione per il radicalismo. Uno scientismo

massimalista che spesso assume i tratti grotteschi della

certezza assoluta e della logica prescrittiva

(oggettivazione), anche quando non basta la

razionalità procedurale o normativa a spiegare quel

fenomeno. In termini speculari, però, è altrettanto

imprevidente la sofistica che praticano molti

“relativizzatori” tendenti a considerare qualsiasi

situazione come decifrabile attraverso non meglio

identificate categorie concettuali liquide, finendo con

l’attribuire paradossalmente a schemi interpretativi

estemporanei un significato assoluto o finalistico che

non hanno. Si pensi a come coesistono, nel nostro

tempo, razionalismo e condotte magiche, o la

necessità di semplificare il rapporto con la realtà

connettendo azioni e loro esiti, secondo nessi scontati

di causa-effetto.

2 Verso il superamento della

differenza tra ricerca e azione

Fare ricerca sociale vuol dire – all’interno di una

relazione complessa tra livelli osservazionale,

elaborativo, interpretativo e propositivo – tenere

insieme “oggetto” indagato e relazioni tra soggetti,

gruppi, organizzazioni, contesti. Tutto ciò, quando

parliamo di che cosa possa fare un ricercatore sociale,

comporta la necessità di lavorare anche sui temi

classici dei bisogni e dell’inclusione. Come potrebbe

non essere anzitutto così: i cambiamenti sociali a cui

noi ci riferiamo sono figli della necessità di costruire

condizioni migliori di vita, di benessere. Nondimeno

però, condurre un’indagine sociale vuol dire sempre

più analizzare i presupposti e le peculiarità (è

compresa in questo passaggio, lo ribadiamo, la

matrice originaria di studiosi dei meccanismi che

producono coesione versus emarginazione) che

consentono di co-costruire saperi diffusi3e condivisi.

3 Un percorso di ricerca e di esplorazione non può essere

circoscritto né ai soli attori specialistici che lo praticano (i

ricercatori sociali), né tantomeno ai mandati e alle scadenze di

un progetto finanziato con fondi pubblici o privati. Infatti, non

“ricerca” il solo ricercatore: ad interrogarsi, approfondire e

conoscere sono anche gli attori che entrano in gioco come

portatori di interessi, committenti, destinatari intermedi e finali

del lavoro di rilevazione. Di più: interrogarsi e conoscere vuol

dire agire in maniera circolare e integrata processi cognitivi,

emozionali, simbolici e attuativi che tengono insieme analisi,

pensiero, operatività. Estremizzando, non è possibile

circoscrivere il momento dell’ osservazione alla fase iniziale di

un’indagine, come vorrebbe un approccio didascalico

(istituzionale?) al disegno di ricerca. Il momento del “ricercare”

è insito in qualsiasi azione, sia pure di tipo tecnico o

10

Saperi che, in senso “transitivo”, servono a

comprendere quanto accade intorno a noi e nelle

relazioni tra di noi. Innervando, al contempo,

progettualità e pratiche di economia sociale connesse

al tema dello sviluppo locale sostenibile e a quello

della sperimentazione di nuovi modelli di governance

territoriale. Infine, ad un livello meta-interpretativo,

costruire nuovi saperi e nuove conoscenze riguarda la

possibilità di individuare (componendo trame e reti di

relazioni) domande, ipotesi, strumenti di

trasformazione e di cambiamento che concorrano ad

orientare strategie, atteggiamenti individuali e

politiche collettive, azioni.

Ecco perché, in quest’ottica, la differenza tra ricerca

sociale classica e ricerca-azione è ormai ingannevole –

anche se tutt’oggi noiosamente agita4. E’ pacifico,

ormai, che ogni processo conoscitivo porti (anche se, a

volte, in maniera sottintesa) ad esprimere un parere ed

una proposta. E che ogni proposta, se non si vuole

fare dell’intellettualismo, per quanto possibile debba

essere attuabile in potenza, agita in divenire5e

accessibile. Ogni atto interpretativo ha senso se

rappresenta contenuti proattivi e se include la

possibilità di essere falsificato e valutato. Dobbiamo,

insomma, quando facciamo ricerca, assumerci6 la

responsabilità di dichiarare come vorremo che si

professionale, ed attraversa come archetipo il processo storico-

antropologico più ampio di confronto con il nostro presente, con

alcuni futuri possibili. 4 Sembra quasi che, tale differenza, serva più a legittimare dei

ruoli e dei contesti (come quello accademico) piuttosto che a

testimoniare davvero diversi approcci e metodologie di analisi

dei fenomeni sociali. 5 Il ruolo di un ricercatore nell’interloquire, ad esempio, durante

un lavoro di indagine sull’immigrazione con una serie di

comunità straniere, andando oltre l’esclusiva necessità di

recuperare dati e informazioni, spesso è anche lavoro di rete,

intervento, azione sociale. 6 Come già anticipato, tale funzione non deve essere assolta dal

singolo ricercatore, ma anche da altri attori. E soprattutto va

collegata a diverse dimensioni culturali e relazionali: soggettiva,

intersoggettiva, gruppale, organizzativa, interorganizzativa,

sistemica. Lo vedremo meglio nei capitoli successivi.

11

caratterizzi un processo sociale, starci dentro.

Capendo che senso assume rispetto ai nostri

orientamenti culturali e quanto la nostra “lettura agita”

possa contribuire ad attivare dei percorsi di

modificazione, di messa in discussione e/o di co-

costruzione della realtà. Se la ricerca contempla e

comprende la proposta, parlare di ricerca-azione

diventa ridondante.

3 Agire una funzione politica con la

ricerca sociale

A partire da queste considerazioni iniziali, abbiamo

provato a sviluppare un ragionamento sulla ricerca

sociale che per alcuni versi riprende contenuti già

abbastanza condivisi, non solo nella comunità

scientifica. Sono due però le novità su cui si focalizza

la riflessione. La prima: tentare una analisi del ruolo e

della funzione della ricerca (delle scienze sociali?) nel

processo di costruzione, legittimazione, e critica degli

attuali assetti societari. Usando una chiave di lettura in

apparenza sospetta – poco razionale e poco mitologica

– come quella politica (termine, chiaramente,

utilizzato nella sua accezione “gradevole”). E’ già

stato fatto in altri periodi storici, ma con delle evidenti

differenze7. La seconda novità consiste nell’attribuire

a coloro che provano a fare ricerca in campo sociale

una grande responsabilità: quella di dovere praticare

l’esplorazione e l’approfondimento, valorizzando però

oltre all’oggetto (i servizi sociali, le

tossicodipendenze, l’immigrazione, il disagio

psichico, etc.) innanzitutto i soggetti e i processi

(legati alle dinamiche e alle dimensioni che

accompagnano la lettura della realtà) che entrano in

gioco8 più complessivamente nel determinare possibili

interpretazioni e ipotesi di cambiamento. 7 Ci riferiamo, rimandando ad un dibattito di nicchia ma ancora

attuale, alle teorizzazioni sull’action research costruite tra la fine

degli anni ’60 e gli anni ’70 del secolo scorso. 8 In qualsiasi processo di costruzione di saperi collettivi le

relazioni tra persone, la possibilità di attivare confronti gruppali,

organizzativi, sistemici, il tessere trame negoziali o conflittuali

in arene caotiche con mille portatori di interessi che possono

13

In entrambi i casi, la ricerca sociale si incrocia con

una serie di esperienze, motivazioni, emozioni,

conoscenze implicite - espresse oppure sottaciute.9

Che sono riconducibili, in ogni istante, ad una visione

politica o attorno alla politica. Per un motivo molto

semplice: leggere, interpretare e costruire ipotesi

future di lavoro, implica sempre – in maniera raffinata

o confusa, poco importa – una presa di posizione

personale e/o condivisa rispetto al mondo circostante.

E, quindi, una conseguente ri-collocazione (ideale,

collettiva, culturale, professionale) dei pensieri e/o

degli atteggiamenti espressi attorno al mondo stesso o

ad una sua parte. Analizzare, quindi, un fenomeno

sociale vuol dire confrontare quanto ci troviamo a

leggere e ad approfondire (dimensioni

fenomenologica, simbolica e storica) con quello che

pensiamo (dimensioni soggettiva, intersoggettiva e di

contesto), e con un’idea societaria praticata o possibile

(visione politica).

trovare un generale denominatore in virtù di esigenze comuni (o

individuali) di tipo strumentale o trasformativo, creano

condizioni, narrazioni, suggestioni che possono andare nelle

direzioni di una messa in discussione di un assetto societario o

di un suo consolidamento. 9 Costrutti, semiotiche, simboli e rappresentazioni inconsce

potremmo definirli “sottotraccia” che influenzano una visione

politica individuale e interindividuale al pari delle conoscenze

manifeste.

4 Andare oltre cosa esiste e come lo

percepiamo

Tentiamo con una piccola ricognizione storica a

chiarire ulteriormente la relazione che si può

sviluppare tra ricerca sociale e dimensione politica.

Fino ad oggi, il dibattito epistemologico attorno ai

rapporti tra soggetto e oggetto, tra ricercatore e

ricerca, tra ermeneutica e fenomenologia ha

attraversato diverse fasi, in un’alternanza di visioni

ingenue, raffinate, conservatrici, mistiche, innovative.

Mentre per i presocratici l’interiorità non si

contrapponeva alla realtà esterna e uomo e cosmo

erano concepiti in stretta unità, Socrate già evidenzia

il ruolo soggettivo e dell’autocoscienza. In ogni caso,

però, Uomo e Natura costruiscono un’Unità o sono in

un rapporto di tensione. Con una prevalenza

ontologica della sostanza (ciò che è esterno alla nostra

mente) sul soggetto. Tralasciamo, non certo perché

meno importante, il pensiero della metafisica

neoplatonica, dei filosofi medioevali e rinascimentali

e arriviamo a Cartesio e all’età moderna. Al di là del

dualismo soggetto/oggetto, il “Penso quindi sono” ha

fortemente sbilanciato la coppia soggetto/oggetto a

favore del primo termine.

La logica quasi contrappositiva che regolamenta la

relazione tra i due concetti è all’origine del

meccanicismo e del determinismo della Natura.

Attraverso Kant e lo Spirito hegeliano si arriva

all'uomo concreto, sociale, storico, economico. La

sinistra hegeliana e soprattutto Marx traducono

l'idealismo in materialismo storico.

15

Se per l'idealismo il soggetto è l'origine

dell'autocoscienza e della Natura, per Marx il soggetto

della storia è la classe sociale, ovvero una

autocoscienza collettiva costituita dalla sua

dimensione economica, dalla sua posizione nel

sistema produttivo.

Accanto a queste visioni politiciste, nascono,

nell’ambito delle scienze sociali della seconda metà

del secolo scorso, dei modelli teorici neo o

postcomportamentisti che con il costruttivismo e le

teorie interazioniste insistono su un rapporto tra

mondo fenomenico e soggetto (individuale o di

gruppo) mediato da processi percettivi, cognitivi,

simbolici, emotivi, relazionali. Si tratta di una

riflessione interessante10 che, seppur con lentezza, sta

permeando anche parte della ermeneutica su cui si

fondano le scienze positive e quelle politico-sociali.

Alla luce di quanto appena detto, possiamo attribuire

al concetto di politica due significati principali: quello

di ambito e metodo con cui misurarsi per costruire

rappresentazioni del mondo sincroniche o possibili; e

quello di strumento e pratica11 di governo locale e

sovralocale. In nessun caso, però, dobbiamo

raffigurare la politica come substantia ontologica,

perché altrimenti perderebbe la funzione dialogica e

costitutiva che ha in un ragionamento più complessivo

sul rapporto tra soggetto e mondo reale (in tutte le sue

articolazioni).

Se la politica assume i significati che abbiamo appena

descritto e la ricerca sociale si inscrive all’interno di

una riflessione più articolata e globale sul rapporto tra

analisi della realtà, sua interpretazione ed

individuazione di strade e percorsi ipotetici di

trasformazione, capiamo che dobbiamo – a questo

10

Che però contribuisce a trattare la dimensione politica come

residuale. 11

E’ evidente che tali termini non hanno un significato

riduzionista: anche se ci riferiamo, ad esempio, a delle pratiche,

non escludiamo i livelli teorico e metodologico.

16

punto – andare oltre12 quanto detto sul rapporto tra

mondo reale e soggetto, tra cosa esiste e come lo

percepiamo.

12

Per evitare che qualcuno possa pensare che quanto diciamo

sia viziato da pretese assolutistiche, ribadiamo che ciò che

scriviamo non riguarda i meccanismi essenziali di regolazione

del mondo. Bensì, la necessità di condividere una riflessione

(non la riflessione) sul ruolo della ricerca sociale nella sua

relazione con la politica.

5 Per un’ osservazione del mondo

trasformativa

La lettura che può dare un ricercatore è

essenzialmente duplice: conservativa rispetto al

sistema societario13 esistente (più spesso: ad alcune

porzioni di esso) o, al contrario, innovatrice e

trasformativa. Per quanto ogni persona non riproduca

mai in maniera lineare ed univoca una esclusiva

modalità di lettura, a noi interessa nelle prossime

pagine concentrarci sul rapporto tra politica, ricerca

sociale e letture trasformative della realtà. Siamo

convinti, infatti, che difficilmente un ricercatore – ci si

perdoni la sovrapposizione tra ricercatore e ricerca,

che continueremo a fare per esigenze di

semplificazione – possa limitarsi ad un atteggiamento

contemplativo o sincronico. Poco ci convince l’idea

di fotografare il mondo per quello che è. Gli stessi

significati attribuiti a molteplici parole che utilizziamo

nel saggio e che raccontano la necessità di

comprendere e analizzare (ricerca, indagine,

esplorazione, approfondimento, etc.) non legano con

l’immobilismo tendenziale di concetti come quelli, ad

esempio, di registrazione, di annotazione o di

catalogazione. Soprattutto dal punto di vista

epistemologico. Concetti, si badi bene, che stanno

tornando nuovamente di moda.

Investigare, esplorare, addentrarsi, andare oltre,

scontrarsi con un fenomeno o un processo e non

limitarsi ad osservarlo: tutto ciò dovrebbe fare

13

Un sistema societario deve essere inteso nelle sue tre

espressioni locale, globale e glocale. E nelle relazioni strutturali

e dialettiche che caratterizzano queste tre espressioni.

18

chiunque ami indagare una dinamica sociale, con una

sensibilità euristica sufficiente a caratterizzarsi come

attore sociale che contribuisca in ogni a determinare

presupposti, contenuti interpretativi, proposte in un

percorso articolato di analisi e definizione delle

semantiche e delle fenomenologie sociali.

6 Verso un’analisi postcapitalista

delle pratiche societarie: ricerca ed

economia sociale

Tutta la manualistica e la letteratura scientifica

esistenti ci dicono che la ricerca sociale è obbligata a

misurarsi con dei riferimenti teorici, con dei contenuti

ed un metodo. E’ fondamentale, anche se forse a volte

dovremmo farlo in maniera meno ideologica e con un

approccio appena un poco più critico. Allo stesso

tempo però – in base alla tesi che stiamo sostenendo –

un lavoro di analisi e di approfondimento non può

esimersi dal confronto con il sistema societario

complessivo e con le sue articolazioni parziali,

empiriche e convenzionali.

Detto ciò, è necessario effettuare un salto concettuale

ulteriore: nella fase storica in cui ci troviamo, pur

consapevoli della forzatura o meglio della parzialità

dei ragionamenti che faremo nelle prossime pagine,

consideriamo la ricerca sociale – prima di tutto in

termini gnoseologici, di teoria della conoscenza –

come uno spazio praticabile di analisi e di potenziale

trasformazione della realtà in una direzione precisa.

Vale a dire, di messa in discussione e superamento

degli attuali costrutti societari (postcapitalismo) e di

definizione di narrazioni e pratiche societarie centrate

su espressioni fondative che vadano oltre quelle che

caratterizzano il modello socioeconomico attuale,

basato sul libero mercato. Il quale – se teniamo conto

di un insieme di indicatori strutturali, macro e di

processo – mostra sempre più inesorabilmente le

caratteristiche di una rappresentazione culturale e

sociale controreale, oltre che animistica.

20

Proviamo a dimostrare concretamente quanto abbiamo

detto. Se dovessimo capire in qualità di studiosi dei

movimenti migratori come si evolvono i flussi

migratori dal Maghreb e quali siano modelli di

accoglienza e integrazione possibili nel nostro Paese,

potremmo farlo leggendo in due modi quanto viene

portato avanti dalle istituzioni (scelte di policy, quadri

normativi, filiere di servizi attivati) e i risultati

tendenziali che esse producono.

Primo, all’interno di un processo di analisi a bassa

tensione trasformativa ci limiteremmo ad apportare

scarne considerazioni critiche al contesto sociale

analizzato (lo ripetiamo, composto di: policy,

normative, servizi). In tal caso è ben individuabile la

funzione “normalizzante” o “legittimante” della

ricerca.

Però, cosa succederebbe qualora a prevalere nei

confronti dei contenuti e degli effetti prodotti dalle

politiche istituzionali correnti sia una lettura critica

basata su principi politico-culturali e societari

“diversi”? Potremmo leggere (secondo modo)

l’evoluzione dell’immigrazione Nord-Africana ed i

suoi effetti, rimandando – per esempio – a pratiche

innovative di accoglienza collegate a scenari in cui a

risaltare siano pratiche14 di benessere diffuso,

economia sociale, redistribuzione delle opportunità e

delle risorse, ecosostenibilità, eguaglianza15. Keyword

che obbligano a sviluppare innovazione sociale e

sperimentazioni in una direzione precisa. Un

14 Nel testo espliciteremo più volte una serie di presupposti

culturali o espressioni fondative. Non sempre citeremo le stesse

parole. In ogni caso, si tenga presente che qualsiasi concetto

espresso fa riferimento ad un panel di politiche e di valori

collegati a logiche egualitariste, redistributive e sostenibili. 15

Un concetto fondativo contiene un insieme di fattori

generativi che producono scelte politiche, sistemi valoriali e

regolativi, azioni sociali. Nel nostro lavoro, come vedremo

meglio in seguito, questo passaggio è trattato in maniera

abbastanza generica e non del tutto rappresentativa perché il

contributo non è stato concepito per entrare nel merito dei

contenuti che caratterizzano un ipotetico scenario

postcapitalistico, bensì per approfondire i processi che

permettono di co-costruirli, partendo da quanto di specifico può

fare la ricerca sociale.

21

ricercatore sociale che fa riferimento ad una visione

diversa di natura politico-culturale e valoriale, di fatto

stima criticità e potenzialità del nostro sistema di

accoglienza e di integrazione, rimandando sia ad

esperienze virtuose e più evolute rispetto a quelle nate

nel nostro contesto specifico16, sia a delle

rappresentazioni (scientifiche, culturali, politiche,

sociali) e a degli scenari di sviluppo alternativi.

Questa seconda modalità, prevede la valorizzazione di

dialettiche che contemplino lo sviluppo di una

relazione permanente tra dimensione

esperienziale/innovativa e dimensione prospettica

(definizione di scenari ulteriori possibili) basato su

quella che abbiamo definito visione postcapitalistica.

16

Che, a nostro avviso, contengano comunque una messa in

discussione dei presupposti politico-culturali su cui si fonda il

modo in cui istituzionalmente si costruiscono risposte e servizi.

7 Ricerca sociale ed espressioni

fondative

Quando parliamo della relazione tra politica e ricerca

sociale, pertanto, dobbiamo parlare di dinamiche e

connessioni che vanno esplicitate, cavalcate, non

trattate come marginali. Le scelte trasformative a cui

si collegano, poi, sono rappresentabili in termini

dialogici, aperti: non è necessario, per fare un altro

esempio, nel momento in cui si scrive un rapporto di

indagine, dare esclusivamente delle risposte. Non

vanno fornite istruzioni per l’uso, se non, per alcuni

versi, all’interno di un rapporto istituzionalizzato tra

committente ed attuatore, che solo in parte rappresenta

la mimesi generale del ragionamento. Sarebbe molto

meglio fare le domande giuste, aprire piste ulteriori di

approfondimento e di decostruzione della realtà.

Tratteggiando, al contempo, quali possano essere

ipotetici sviluppi attivabili (fondati sulla capacità, è

bene sottolinearlo, di tenere insieme scelte di

indirizzo, orientamenti attuativi e pratiche, disegni di

valutazione) per provare a praticare lo specifico

tragitto di mutamento in una direzione più

operazionalizzata di – e nello stesso tempo ancorata17a

– quella rappresentata dalle espressioni teoriche e

riflessive da noi individuate come fondative18, tra cui

17

Ciò vuol dire che i termini fondativi vanno declinati anche in

fase processuale (linguaggi, metodologie di lavoro, contenuti

meta, atteggiamenti e comportamenti organizzativi, etc.) e non

rappresentano solo delle “tensioni verso”. 18

Un’espressione fondativa indirizza, nella nostra ipotesi, un

atteggiamento, un comportamento, una scelta politica di una

collettività o di un territorio. Però non può essere considerata

come praticabile in maniera assoluta (“Etica”), perché ogni atto

23

ricordiamo: ecosostenibilità, benessere, conoscenza

diffusa, uguaglianza, interculturalità, partecipazione.

E considerando il momento della ricerca come un

momento che deve permeare in maniera continua

l’intero processo di individuazione delle scelte di

policy, pianificazione, programmazione, attuazione,

oltre che quello, forse più complesso, di costruzione

dei significati, dei simboli, delle grandi e piccole

narrazioni sociali e culturali che rappresentano il

sostrato su cui mettono radici i nuovi scenari.

Ecco perché diventa fondamentale rimandare di

continuo all’economia sociale. Attenzione: è vero che

la riflessione attorno a nuovi assetti societari va ben

oltre il dibattito su come sviluppare economia sociale

sui territori. Però, è solo considerando come la ricerca

contribuisca a consolidare approcci e modelli di

sviluppo locale e sovralocale alternativi a quelli in

essere – come nel caso dell’economia sociale (o civile,

o di comunità, o di comunione, che dir si svoglia),

appunto – che si evita il rischio di ragionare in termini

troppo astratti di eguaglianza, partecipazione,

redistribuzione. E ci si obbliga a declinare quel

processo che tiene insieme policy e azione oltre che la

costruzione di significati, simboli e narrazioni

societarie innovativi, sperimentandolo.

umano ed ogni prodotto culturale ad esso connesso vanno

inquadrati anche come atti e prodotti temporanei, entropici,

conflittuali, contraddittori.

8 Postcapitalismo e azione euristica

Quando rimandiamo a concetti fondativi come quelli

di sostenibilità, di democrazia deliberativa o di

redistribuzione, che vanno a definire un ordinamento

societario ipotetico, al di là del fatto che ci riferiamo

ad un assetto societario postcapitalistico – cosa di per

sé tautologica, specie se prevediamo il superamento

morbido dell’attuale approccio socioeconomico e dei

costrutti sociali che riguardano mercato e capitalismo

– parliamo di orientamenti valoriali, politici, culturali,

che definiscono una visione o uno scenario tra gli

altri. A noi interessa spingere di più su significati e

orientamenti che siano riconducibili ad un percorso di

costruzione di prototipi postcapitalistici centrati su

logiche egualitariste, redistributive e sostenibili perché

li pensiamo come necessari a fare emergere una idea

societaria se non alternativa, che tenda perlomeno a

superare una serie di rappresentazioni, architetture e

pratiche che caratterizzano l’assetto politico ed

economico attuale nei paesi occidentali oltre che le

vistose contraddizioni che esso porta con sé.

Tuttavia, per comprendere ad un livello teoretico più

complessivo il rapporto tra ricerca sociale e politica –

a proposito di giustapposizione tra teoria e metodo –

non dobbiamo preoccuparci di definire quello che

stiamo dicendo necessariamente in una direzione

postcapitalistica basata sui nostri stessi concetti

fondativi e fattori generativi, seppur dichiarati in

maniera embrionale. E’ molto più importante cogliere

la dialettica e le matrici concettuali e semiologiche

che tratteggiano la base dell’intero ragionamento e

che dovrebbero portare qualsiasi ricercatore o ricerca

25

a misurarsi comunque da un punto di vista

interpretativo con scenari ipotetici che si “discostino”

da quello presente.

Ciò che vogliamo davvero valorizzare, in definitiva, è

il senso prospettico di un’azione euristica. Diventa

fondamentale, da questo punto di vista, orientare le

nostre interpretazioni – scusate la schematicità – nella

direzione di un’analisi degli “scostamenti” esistenti tra

caratteristiche e contenuti del fenomeno indagato e

caratteristiche e contenuti di probabili definizioni

generative (e delle loro declinazioni empiriche e

formali) su cui si fonda un ipotetico assetto

postcapitalista o qualsiasi altro assetto, sia esso

tendenzialmente più conservativo (vicino, quindi, a

quello odierno: ma mai uguale) o più trasformativo.

9 Quali temi specifici trattare?

Cosa succede, però, quando ci caliamo nella realtà di

tutti i giorni? Come è possibile agire le suggestioni

finora descritte all’interno di contesti assai

conservativi e in relazione a determinati attori (la

committenza pubblica che eroga le risorse per la

ricerca, attraverso disciplinari che regolamentano

l’accesso ad un finanziamento, etc.) che impediscono

spesso di promuovere19 una lettura innovativa o

apertamente critica20 dei fenomeni sociali e delle

policy in atto?

C’è un solo modo per provare a rimanere coerenti con

quanto detto finora, tenendo viva la relazione tra

suggestioni e riflessioni fatte, politica e ricerca

sociale. Certo, il rischio è quello di limitarsi ad un

esercizio di stile, specie se vincoliamo sempre più la

ricerca a richieste provenienti da istituzioni pubbliche.

Il modo? Bisogna aprire un canale permanente di

confronto con le pratiche più avanzate e alternative

19

Né un committente pubblico tradizionale nella stragrande

maggioranza dei casi, né tantomeno la stessa comunità

scientifica condividerebbero del tutto il nostro ragionamento. 20

Vengono in mente domande molto concrete, a cui solo in parte

proviamo a rispondere: si può chiudere un rapporto di ricerca con

indicazioni intermedie che rappresentino, senza dichiararlo

formalmente, una critica forte alle politiche e alle scelte

amministrative del committente? Se non lo si può fare fino in

fondo e non si può dare seguito allo scambio e al confronto

attivando processi interni al contesto attuale di riferimento, si

può lavorare sottotraccia ed in maniera progressiva? E’

deontologicamente corretto? Come si fa a riconoscere e a

mettere in rete quanti accettano un ragionamento del genere?

Devono rappresentare una élite ? In che modo riverberare in altri

contesti contenuti e sensibilità che ci contraddistinguono?

27

promosse nei circuiti dell’ economia sociale:

falsificandole, verificandone gli impatti che hanno su

un contesto, quanto contribuiscano a costruire scenari,

la coerenza rispetto alle espressioni fondative più

volte richiamate.

Fare ricerca sociale e farla con consapevolezza

politica vuol dire evitare soprattutto intenti finalistici o

astratti. Non rimandare a ciò che non è, ma a ciò che

potrebbe essere e già in parte è. Di fatto, sono

diversi gli spazi propositivi e di conoscenza che nel

nostro presente contengono in nuce degli elementi

generativi e trasformativi. Il cui impatto relativo sul

breve, medio e lungo periodo è proporzionale alla

qualità e alla sistematicità con cui vengono praticati.

Proviamo a descrivere le principali direzioni da

prendere, anticipandone le caratteristiche primarie, per

poi articolarle in riflessioni successive.

Contenuti radicali versus contenuti generativi: una

vecchia questione – Il lavoro conoscitivo e di

elaborazione non deve attingere ad una simbologia e a

sistemi interpretativi a-storicizzati e astratti, per

rimandare – attraverso dei salti concettuali e forzati –

a scenari indefiniti di matrice postcapitalistica. Può,

invece, fare riferimento a tutta una serie di

concettualizzazioni già accreditate all’interno dei

nostri sistemi liberisti occidentali che riguardano –

come già detto – l’economia sociale ed il non profit e

che rappresentano molte volte modelli propedeutici di

elaborazione di scenari possibili.

Paradigmi e ambiti conoscitivi – Il balzo culturale più

faticoso da fare è connesso alla capacità degli attori

sociali implicati in un percorso di ricerca sociale con

funzioni e mandati differenziati (dal finanziatore

pubblico, all’ente di ricerca in sé, agli stessi

ricercatori, etc.) di comprendere davvero la

trasversalità che può assumere un’indagine o

un’analisi sociale. Il focus del lavoro di analisi ha

sempre riguardato – pericoloso ed inconsapevole

tentativo di reificazione – un oggetto preciso:

l’individuo escluso o a rischio, l’immigrato, l’anziano.

28

Quasi mai la ricerca sociale ha avuto una funzione di

lettura di sistema21 o di processo, al di là di alcuni

lavori ormai circoscritti al passato di taglio

sociologico e psicosociale. Effettuare tale passaggio,

ci ragioneremo in altre sedi, è imprescindibile.

L’interpretazione partecipata dei fenomeni (sociali) –

Abbiamo già abbondantemente condiviso la necessità

di superare vecchi schemi di lettura deterministici,

collegati ad un’idea oggettiva di “fatto sociale”. Ma va

anche superata un’ermeneutica soggettivistica

(psicologista) o d' insieme (sociologista) per favorire

un’interpretazione dei fenomeni sociali basata su

processi dialogici (di scambio, di confronto) e

connettivi (di partecipazione e multistakeholder). In

altre parole, come ricercatori che “fanno politica”

bisogna superare la semplice esigenza di interpretare

un dato o un insieme di informazioni nel chiuso dei

propri uffici ed in maniera asettica. Vanno costruiti

momenti condivisi e partecipati (da attori territoriali

che rappresentano punti osservazionali differenti) di

approfondimento, scambio e analisi finalizzati a

legittimare nuove pratiche di economia sociale, a

sviluppare nuovi saperi condivisi, a costruire dei patti

sociali fondati su un lavoro comune. E sul sapere e la

conoscenza intesi come bene comune. Anche a costo

di mettere parzialmente in discussione lo specialismo

tecnico e metodologico di cui potrebbe farsi scudo un

ricercatore con una visione ortodossa e novecentesca

del proprio ruolo.

Previsionalità e scenari futuri – E’ un ambito di

riflessione fondamentale, quello sulla previsionalità.

Dobbiamo abituarci sempre più a identificare e

costruire visioni, scenari possibili (anche alternativi,

per misurarci con evoluzioni o involuzioni della

realtà). Prima di tutto perché ci permette di recuperare

una visione prospettica, longitudinale, in cui fare

reagire le tre dimensioni temporali classiche (passato,

21

Uno dei sintomi di tutto ciò è la scarsa propensione ad

effettuare lavori di valutazione delle policy, o di studio degli

impatti e dei risultati prodotti da un intervento sociale.

29

presente e futuro). Poi perché ci obbliga ad andare a

definire alcune evoluzioni possibili di un fenomeno o

di un contesto. In ultimo, ipotizzare degli scenari

possibili, pur se molteplici e contraddittori, consente

di fare i conti con la capacità di praticare direttamente

percorsi nuovi che non si esauriscano – ad esempio –

con il solo lavoro interpretativo e con la scadenza di

un progetto istituzionale di ricerca. Perché

continuamente ravvivati da azioni comuni (fondate sul

patto sociale, sulla rete) collegate a quattro approcci

proattivi: di testimonianza, di proposta, di resistenza e

di conflitto.

Metodologie e strumenti – Parlare di metodologie e

strumenti, dopo quanto detto in generale sul rapporto

tra ricerca e trasformazioni societarie, potrebbe

produrre un rischio: quello di definire in senso

“tecnicista” il panel di possibilità a disposizione del

ricercatore. In questa precisa fase storica non c’è

nessun bisogno di produrre novità paradigmatiche e di

pensare a strumenti eterodossi, anzi.

La vera questione è fare una sintesi, con una tensione

interdisciplinare, dei dispositivi ad oggi utilizzabili,

amalgamandoli con una buona efficacia. Allora, la

scommessa è tenere insieme gli strumenti della ricerca

qualitativa e quantitativa utilizzati nelle scienze

sociali, economiche, antropologiche, politiche, con

metodologie previsionali e tecniche partecipative di

costruzione della realtà. Quello che possiamo chiedere

ad un ricercatore che deve stimolare setting

multiformi di confronto e di interpretazione dei

fenomeni osservati, quindi, è di aggiornarsi in maniera

ricorrente e di tessere permanenti congiunzioni tra

esperienze e discipline diverse, affinché sia garantita

una sufficiente trasversalità interpretativa e

partecipativa. Altrimenti, perderebbe di senso il

tentativo di connettere ricerca, politica, economia

sociale e modelli sperimentali di governance

territoriale.

L’autore

Pier Paolo Inserra - Esperto di

pianificazione sociale territoriale e di

progettazione partecipata, ricercatore e

formatore, si occupa di economia sociale,

politiche sociali, sviluppo locale, e

sicurezza locale integrata. Dirigente di

Parsec, un ente nazionale di ricerca sociale specializzato in

ricerca-azione.

▪ Iscritto all’Albo dei consulenti e dei docenti del Formez

▪ Ha collaborato e collabora con diverse università

italiane (Roma Tre, Politecnica di Ancona, Urbino, etc.)

per progetti di ricerca, docenze, pubblicazioni

▪ Cultore della materia in Sociologia Urbana – Università

di Urbino

▪ Membro del comitato scientifico di “Tempi Moderni”,

centro di ricerca, formazione e informazione

indipendente (www.tempi-moderni.net).

▪ Fondatore, Direttore scientifico e membro del direttivo

del Distretto integrato di economia sociale - area

Marche Nord.

▪ Membro del direttivo nazionale della CILD e

coordinatore del Nucleo di progettazione – Coalizione

italiana per le libertà ed i diritti civili, dal 2014.

https://urbinoc.academia.edu/PierPaoloInserra