ECONOMIA APPLICATA · Problemi ambientali globali e teoria dei giochi • Consideriamo un progetto...

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ECONOMIA APPLICATA Corso di Laurea triennale in Ecologia sperimentale ed applicata Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” Benvenuti Federico [email protected]

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ECONOMIA APPLICATA

Corso di Laurea triennale in Ecologia sperimentale ed applicataUniversità degli Studi di Roma

“Tor Vergata”

Benvenuti [email protected]

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Le esternalità ambientali internazionali

• Quando ogni paese con la propria attività economica influenza non solo il proprio ambiente ma anche quello di altri paesi, si hanno delle esternalità ambientali internazionali. Queste possono spesso essere di natura reciproca. Il danno all’ambiente assume in questi casi la caratteristica di un male pubblico internazionale e il miglioramento alla qualità dell’ambiente assume invece la caratteristica di un bene pubblico internazionale.

• E’ questo il caso dei problemi ambientali globali che preoccupano oggi l’umanità, quali il cambiamento climatico globale dovuto ad una eccessiva concentrazione nell’atmosfera dei cosiddetti “gas serra”, la distruzione dello strato di ozono stratosferico che protegge la terra dalle radiazioni solari ultraviolette, la perdita di biodiversità.

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Esternalità ambientali internazionali

• Nei problemi ambientali globali è necessaria una “autoritàsovranazionale” che assolva alla funzione di regolatore ambientale internazionale e che va costruita mediante accordi internazionali.

• La teoria dei giochi fornisce il quadro concettuale nel quale collocare i problemi di interdipendenza strategica che si pongono quando si deve arrivare a risolvere un problema di accordo ambientale internazionale.

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Problemi ambientali globali e teoria dei giochi

• Consideriamo un progetto di miglioramento ambientale che beneficia due paesi in modo simultaneo e non esclusivo; il progetto cioè è, per i due paesi, un bene pubblico.

• Supponiamo che ciascun paese dia un valore 3 al beneficio ottenuto dal progetto e che il costo dell’intervento sia 4. La somma dei benefici dell’intervento per i due paesi (6) è maggiore del costo dell’intervento (4); perciò attuare il progetto è socialmente efficiente.

• Ciascun paese potrebbe realizzare il progetto anche da solo, ma subirebbe una perdita (pari a –1); quindi ad un singolo paese non conviene attuare il progetto da solo.

• Se invece i due paesi si mettessero d’accordo e realizzassero il progetto assieme ciascuno spenderebbe 2 ed avrebbe un beneficio di 3; ciascun paese avrebbe cioè un beneficio netto positivo.

• La conclusione naturale sembra essere quella che i due paesi dovrebbero mettersi d’accordo e realizzare il progetto assieme, perché se non si mettono d’accordo il progetto non verrà realizzato. Le cose non sono tuttavia così semplici!

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Problemi ambientali globali e teoria dei giochi

• Chiamiamo A e B i due paesi.

• Ciascun paese può seguire due strategie: la strategia C è quella di cooperare, ossia di realizzare il progetto, da solo o assieme all’altro paese; la strategia NC è quella di non cooperare ossia di non realizzare il progetto.

• Rappresentiamo i benefici netti per i due paesi associati alle due strategie che ciascun paese può seguire nella seguente matrice dei benefici netti.

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Problemi ambientali globali e teoria dei giochi: dilemma dei prigionieri.

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Problemi ambientali globali e teoria dei giochi: dilemma dei prigionieri.

• Se un paese decidesse di realizzare il progetto e l’altro decidesse di non realizzarlo, quello che decide di realizzarlo lo realizzerebbe da solo e si ritroverebbe con una perdita, mentre quello che decide di non realizzarlo godrebbe di fatto dei benefici del progetto senza sostenere alcun costo (nell’esempio fatto sopra avrebbe un beneficio netto di 3).

• Questa osservazione è cruciale nel determinare il risultato del gioco. Essa infatti comporta che se B decidesse di non realizzare il progetto, nemmeno ad A converrebbe realizzarlo altrimenti subirebbe una perdita; se invece B decidesse di realizzare il progetto, ad A non converrebbe realizzarlo perché potrebbe riceverne il beneficio senza costo (A potrebbe fare “free riding”approfittando di B).

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• E’ immediato vedere che qualsiasi sia la strategia seguita dall’altro paese, a ciascun paese conviene seguire la strategia NC. Si diceche in questo gioco vi è una strategia dominante per entrambi i paesi ed è la strategia NC.

• Il gioco ha un equilibrio, chiamato equilibrio di Nash, che è la coppia di strategie (NC,NC); cioè l’equilibrio implica che il progetto non viene realizzato.

• Nell’equilibrio di Nash nessun paese modificherebbe in modo unilaterale la propria strategia se gliene venisse data l’opportunità. Partiamo infatti dall’equilibrio di Nash che comporta benefici nulli per entrambi i paesi: a nessuno dei due paesi converrebbe passare unilateralmente alla cooperazione perchè subirebbe una perdita.

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• L’interazione strategica tra i due paesi produce un equilibrio che èdiverso dal risultato socialmente efficiente. Solo se i due paesi si accordassero esplicitamente su un comportamento cooperativo, il progetto verrebbe realizzato con un beneficio netto per entrambimaggiore di quello, nullo, ottenuto nell’equilibrio non cooperativo.

• Ma è subito evidente che quello cooperativo non sarebbe un equilibrio, in quanto entrambi i paesi avrebbero immediatamente l’incentivo ad uscire unilateralmente dall’accordo perché da un simile comportamento ricaverebbero un beneficio netto maggiore (3 rispetto ad 1).

• La situazione appena presentata è una applicazione del gioco chiamato “dilemma dei prigionieri”: una situazione di questo tipo induce a conclusioni molto pessimistiche sulle possibilità di arrivare ad una produzione volontaria di beni pubblici e quindi ad accordi internazionali intorno a strategie cooperative per il miglioramento dell’ambiente globale.

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Problemi ambientali globali e teoria dei giochi: la scelta cooperativa

Un modo per portare i paesi verso una scelta cooperativa èquello di dar loro un incentivo adeguato modificando i benefici netti in questa direzione. Ma questo richiede l’esistenza di una autorità sovranazionale in grado di costringere i singoli paesi a mettere in atto i programmi comuni. Questa autorità potrebbe ad esempio punire il paese non partecipante al programma con una “multa” pari a 3; in questo caso la matrice dei benefici netti si modificherebbe diventando la seguente:

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Problemi ambientali globali e teoria dei giochi: la scelta cooperativa

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Problemi ambientali globali e teoria dei giochi: la scelta cooperativa

Si vede subito che in questo ultimo caso per ciascun paese la strategia dominante diventerebbe quella della cooperazione!Ora Equlibrio di Nash: (C,C)

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Quadro della situazioneQuadro della situazione

Nella realtà scarsi incentivi a sottoscrivere accordi di cooperazione internazionale!

Quali vie di uscita?

– Il ruolo di EU (Unione europea) e UN (Nazioni Unite) quali “autorità sovranazionali” ;

– Le conferenze intergovernative (es: Rio 1992) e i trattati ambientali internazionali.

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Politiche ambientali UE

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Politiche ambientali UE

Nel Trattato di Roma del 1957 di Costituzione della Comunità Europea non vi era nessun riferimento specifico all’ambiente e la politica ambientale si basava soprattutto sull’art.100 che dichiarava che la Comunità era attiva nei settori proposti dalla Commissione sui quali erano d’accordo gli Stati membri.

La politica ambientale della Comunità Europea nasce nel 1973 con l’adozione del primo Programma d’azione per l’ambiente.

Ma è nell’Atto Unico Europeo del 1986 (ratificato nel 1987) che con l’art.130 si riconosce la competenza comunitaria in materia ambientale

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Politiche ambientali UE

Il Trattato di Maastricht del 1992 integra l’ambiente nella costruzione comune europea:

• La salvaguardia dell’ambiente deve essere una condizione alla crescita economica;

• Le esigenze connesse alla tutela dell’ambiente devono essere integrate nella definizione e attuazione delle altre politiche.

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Obiettivi della politica ambientale UE

La salvaguardia, la tutela e il miglioramento della qualità dell'ambiente, la protezione della salute umana e l'uso accorto e razionale delle risorse naturali.

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Principi di politica ambientale

1. Il principio “chi inquina paga”2. Il principio di azione preventiva3. Il principio di correzione dei danni alla fonte

(Riparazione del danno alla fonte per ridurre il rischio ambientale e i costi di riparazione)

4. Il principio precauzionale

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Strumenti normativi

La normativa comunitaria si basa su 4 strumenti giuridici:• i REGOLAMENTI, gli atti giuridici più importanti in

quanto norme immediatamente esecutive• le DIRETTIVE che vincolano gli stati al raggiungimento

di determinati obiettivi; è necessaria una promulgazione nazionale

• le DECISIONI che riguardano un destinatario specifico (Stato, impresa ecc. ) e sono immediatamente esecutive

• le RACCOMANDAZIONI (a Stati e altri soggetti) non vincolanti

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Programmi d’Azione

Gli indirizzi della politica ambientale europea vengono enunciati nei Programmi d’Azione in materia ambientale.

• Il primo Programma d’azione fu approvato nel 1973;• Il V Programma d’azione (1993) rappresenta il seguito

europeo della conferenza di Rio;• Attualmente siamo al VI Programma d’azione (2001-

2010) che prende in considerazione i problemi emergenti in particolare l’attuazione del Protocollo di Kyoto e la questione degli OGM.

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VI Programma d’Azione

2001-2010“Ambiente 2010: il nostro futuro, la nostra scelta”• Miglioramento nell’applicazione della legislazione

ambientale esistente;• Integrazione delle tematiche ambientali nelle altre politiche;• Collaborazione col mercato, con le imprese ed i

consumatori per trovare strumenti per lo sviluppo sostenibile;

• Partecipazione dei cittadini e cambiamento del comportamento;

• Assetto e gestione del territorio.

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VI Programma d’Azione

Tematiche con priorità:

• Cambiamenti climatici;• Natura e biodiversità;• Ambiente e salute;• Uso sostenibile delle risorse e gestione dei rifiuti;• Rafforzamento del ruolo dell’UE nel contesto

internazionale.

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Politiche ambientali Internazionali

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Accordi, convenzioni e trattati internazionali per la protezione dell’ambiente

• Le azioni di tutela dell'ambiente, per essere efficaci, devono travalicare i limiti nazionali ed integrarsi nella cooperazione internazionale. Questa consapevolezza si era affermata nel corso della Conferenza di Stoccolma organizzata dalle Nazioni Unite, nel 1972, quale prima assise mondiale per i problemi ambientali. In quella occasione si era riconosciuto il principio che l’ambiente è patrimonio comune dell'umanità ed iniziava a crearsi una nuova coscienza ambientale sul piano internazionale.

• Da allora si sono moltiplicati gli accordi, le convenzioni ed i trattati internazionali per la protezione dell'ambiente. Sono fiorite le iniziative di collaborazione tra le Nazioni e si sonosviluppate attività delle Organizzazioni Internazionali dirette alla creazione di un sistema giuridico internazionale per affrontare i problemi di natura globale che minacciano gravemente l’equilibrio naturale di tutto il pianeta.

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Strumenti di diritto internazionale per l’ambiente

• Consuetudini: norme generalmente riconosciute di formazione consuetudinaria.

• Dichiarazioni di principio: non sono vincolanti in sé ma per essere espressione dell’opinione di un soggetto internazionale prestigioso. Sono importanti per elevare l’ambiente a livello di “valore” da proteggere. Anticipano in genere impegni vincolanti successivi per i partner firmatari.

• Trattati, Accordi internazionali: è il caso più frequente. Vengono stipulati appositi patti internazionali che di solito prendono il nome di “Convenzioni”. Segue una legge di ratifica che rende efficace il contenuto dei patti rispetto allenorme interne. Le Convenzioni in genere pongono soltanto dei principi generali e vengono ulteriormente specificate dai “Protocolli”.

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Organizzazione in ambito ONU

Dalla fine degli anni ‘60 anche l’ONU inizia a interessarsi delle questioni ambientali attraverso:

• I Programmi ambientali • Le Conferenze sull’ambiente• 1972: fonda un Organo di coordinamento per le questioni ambientali

(UNEP - United Nations Environment Programme) che relaziona all’Assemblea Generale. L’UNEP, tra l’altro, aiuta i paesi in via di sviluppo nell’ambito delle questioni ambientali, promuove e attua le misure contenute nei Trattati Internazionali …

• In ambito ONU, si occupano di ambiente, in materia trasversale, anche l’UNESCO e la FAO.

• Fuori dall’ ONU: l’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) per i rapporti economia e ambiente ed il WTO(World Trade Organization) per i rapporti commercio e ambiente.

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Le Convenzioni di Rio

Il decennio caratterizzato dai due grandi Vertici dell'ONU, tenutisi a Rio (Earth Summit, 1992) e a Johannesburg (Sviluppo Sostenibile, 2002), ha definito la nuova filosofia chedovrebbe ispirare la crescita economica: il processo di sviluppo non può prescindere dalle esigenze di equilibrio sociale e di salvaguardia dell'ambiente.Tre sono le principali Convenzioni internazionali in tema ambientale “negoziate” a Rio, che vedono gli Stati membri riunirsi con cadenza regolare per esaminare i progressi compiuti ed elaborare le linee politiche per il futuro: Cambiamenti Climatici (UNFCCC), Biodiversità (CBD) e Lotta alla Desertificazione (UNCCD).

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La Convenzione quadro sui cambiamenti climatici

• La Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (United Nations Framework Convention on Climate Change, UNFCCC) fu adottata a New York il 9 maggio 1992 e presentata ai governi per la firma nel corso della Conferenza di Rio de Janeiro.

• La Convenzione, sottoscritta a Rio da 154 Paesi, più l'Unione europea, èentrata in vigore il 21 marzo 1994, 90 giorni dopo la cinquantesima ratifica.

• Da quel momento, le Parti contraenti si sono incontrate annualmente nella Conferenza delle Parti (COP) per valutare le azioni intraprese e gli impegni da assumere nella lotta al cambiamento climatico, anche alla luce delle conclusioni dei rapporti dell'IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change - il foro scientifico formato nel 1988 da due organismi delle Nazioni Unite, WMO e UNEP allo scopo di studiare il riscaldamento globale).

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Obiettivo ultimo della UNFCCC

“ … stabilizzazione delle concentrazioni di gas-serra in atmosfera ad un livello tale da impedire pericolose interferenze antropogeniche con il sistema climatico …tale livello deve essere raggiunto entro un tempo tale da permettere agli ecosistemi di adattarsi naturalmente ai cambiamenti climatici, da garantire che la produzione alimentare non sia minacciata e da consentire allo sviluppo economico di procedere in modo sostenibile". (Articolo 2)

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I principi-guida della Convenzione

• Secondo il principio di precauzione, la mancanza di una certezza scientifica assoluta non deve essere usata come scusa per ritardare l’intervento quando c’è il rischio di un danno grave o irreversibile.

• Secondo il principio delle “responsabilità comuni ma differenziate”, la guida della lotta contro i cambiamenti climatici spetta ai Paesi industrializzati.

• Altri principi riguardano il riconoscimento delle esigenze specifiche dei Paesi in via di sviluppo e dell’importanza di promuovere lo sviluppo sostenibile.

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Obiettivi di riduzione delle emissioni

La Convenzione non introduce obiettivi vincolanti di riduzione delle emissioni per tutte le Parti, ma soltanto l’impegno generico per le Parti elencate nell‘Allegato I (Paesi industrializzati e Paesi con economia in transizione) di riportare, individualmente o insieme, le emissioni antropogeniche di anidride carbonica e degli altri gas-serra non controllati dal Protocollo di Montreal ai livelli del 1990.

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Gli impegni previsti dalla Convenzione

• Tutti i Paesi si impegnano a trasmettere, attraverso le comunicazioni nazionali, informazioni sull’inventario nazionale delle emissioni e degli assorbimenti di gas-serra, sui programmi per la mitigazione dei cambiamenti climatici e l’adattamento ai relativi impatti, sulle iniziative di trasferimento di tecnologia, sui programmi di ricerca e sulle iniziative di informazione e di formazione.

• I Paesi industrializzati si impegnano a fornire “risorse finanziarie nuove e addizionali” e a facilitare il trasferimento di tecnologie.

• Le risorse messe a disposizione da questi Paesi per il finanziamento dei programmi della Convenzione sono gestite dalla GlobalEnvironmental Facility (GEF), che svolge il ruolo di meccanismo finanziario della Convenzione, sotto la guida della Conferenza delle Parti (COP). Nel 2001, gli accordi di Marrakech hanno istituito altri tre fondi, due nell’ambito della Convenzione (lo Special Climate ChangeFund e il fondo per i Paesi meno sviluppati) e uno nell’ambito del Protocollo di Kyoto (il Fondo per l’Adattamento).

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L’andamento della temperatura media globale sulla superficie terrestre (1861 - 2004)

Fonte: Climatic Research Unit, University of East Anglia /UK Meteorological Office

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Le cause del riscaldamento globale

• Tra i fattori che possono destabilizzare l’equilibrio climatico (forcing radioattivo), l’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), cita le variazioni delle concentrazioni di vapore acqueo, anidride carbonica, metano, protossido di azoto, gas fluorurati, aerosol atmosferici, le variazioni della radiazione solare e le eruzioni vulcaniche.

• Secondo l’IPCC, “gran parte del riscaldamento osservatonegli ultimi 50 anni è probabilmente dovuto all’aumentodella concentrazione dei gas-serra”

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Per evitare gli impatti più drammatici dei cambiamenti climatici, l’IPCC ha indicato nel suo ultimo Rapporto che limitare l’incremento medio della temperatura globale a meno di 2°C richiede la stabilizzazione della concentrazione di gas serra nell’atmosfera in linea con 450 ppmv CO2 eq.: l’aumento delle emissioni globali deve essere arrestato nei prossimi 10-15 anni e le emissioni devono essere ridotte almeno del 50% entro il 2050 rispetto ai livelli del 1990.

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Il Protocollo di Kyoto

• La terza Conferenza delle Parti della UNFCCC, svoltasi a Kyoto, in Giappone, nel dicembre 1997 ha adottato un Protocollo che ha introdotto un impegno legalmente vincolante per i Paesi industrializzati e con economia in transizione (Allegato I UNFCCC) a ridurre nel periodo 2008-2012 le loro emissioni complessive di gas-serra per almeno il 5,2% rispetto ai livelli del 1990.

• Il Protocollo sarebbe entrato in vigore il 90° giorno dopo la ratifica del 55° Paese tra i 194 sottoscrittori originari purchéquesti, complessivamente, avessero coperto almeno il 55% delle emissioni globali di gas serra.

• Il Protocollo è entrato in vigore il 16 febbraio 2005, solo dopo la ratifica della Russia.

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I 6 gas serra

1) Anidride carbonica (CO2)[combustibili fossili, trasporti]

2) Metano (CH4)[discariche di rifiuti, allevamenti zootecnici]

3) Protossido di azoto (N02)[settore agricolo e industria chimica]

4) Idrofluorocarburi (HFC)[industria chimica e manifatturiera]

5) Perifluorocarburi (PFC)[industria chimica e manifatturiera]

6) Esafluoruro di zolfo (SF6)[industria chimica e manifatturiera]

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Andamento delle emissioni di gas-serra nei Paesi industrializzati

Gruppi di Paesi Variazione tra il 1990 e il 2002

Obiettivo di limitazione delle

emissioni nel periodo 2008-2012

Comunità Europea - 2,5 % -8,0 %

Altri Paesi OCSE +14,1 % -5,9 %

Paesi ad economia in transizione

-39,8 % -1,9 %

Totale Allegato I - 6,3 % -5,2 %

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Andamento delle emissionidi gas-serra nell‘Unione Europea (1)

Paese Variazione 1990-2002 Obiettivo di limitazione delle emissioni nel periodo 2008-2012

Austria + 8,8 % - 13 %Belgio + 2,9 % - 7,5 %Danimarca - 0,4 % - 21 %Finlandia + 6,8 % 0 %Francia - 1,9 % 0 %Germania - 18,6 % - 21 %Grecia + 26,0 % + 25 %Irlanda + 28,9 % + 13 %

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Andamento delle emissionidi gas-serra nell‘Unione Europea (2)

Paese Variazione 1990-2002 Obiettivo di limitazione delle emissioni nel periodo 2008-2012

Italia + 8,8 % - 6,5 %Lussemburgo - 19,5 % - 8 %

Paesi Bassi + 1,1 % - 6 %

Portogallo + 40,5 % + 27 %

Regno Unito - 14,5 % - 12,5 %

Spagna + 40,5 % + 15 %

Svezia - 3,5 % + 4 %

Totale UE - 2,5 % - 8 %

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Politiche e misure previste dal PK

Nell'adempiere agli impegni di riduzione delle emissioni, ogni Paese elaborerà politiche e misure, come ad esempio:

• miglioramento dell'efficienza energetica in settori rilevanti dell'economia nazionale;

• promozione di metodi sostenibili di gestione forestale, di imboschimento e di rimboschimento e di forme sostenibili di agricoltura;

• ricerca, promozione, sviluppo e maggiore utilizzo di energia rinnovabile, di tecnologie per la cattura e lo stoccaggio del biossido di carbonio e di tecnologie avanzate ed innovative compatibili con l'ambiente;

• riduzione progressiva delle imperfezioni del mercato, degli incentivi fiscali, delle esenzioni tributarie e dei sussidi in tutti i settori responsabili di emissioni di gas serra, ed applicazione di strumenti di mercato;

• adozione di misure volte a limitare e/o ridurre le emissioni di gas ad effetto serra nel settore dei trasporti;

• riduzione delle emissioni di metano attraverso il recupero e utilizzazione del gas nel settore della gestione dei rifiuti, nonché nella produzione, il trasporto e la distribuzione di energia.

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Carbon sinks

Per il conseguimento dei propri obiettivi, i Paesi industrializzati e ad economia in transizione possono “contabilizzare” come riduzione delle emissioni, secondo le decisioni negoziali assunte dalla 7° Conferenza sul Clima di Marrakesh, il carbonio assorbito dalle nuove piantagioni forestali e dalle attività agroforestali (carbon sink) e utilizzare in maniera sostanziale i meccanismi flessibili previsti dal Protocollo di Kyoto.

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I meccanismi flessibili

• Joint Implementation: consente a Paesi dell’Allegato I di raggiungere obiettivi di riduzione implementando progetti in altri Paesi dell’Allegato I (in genere Paesi EIT)

• Clean Development Mechanism: consente a Paesi dell’Allegato I di raggiungere obiettivi di riduzione implementando progetti in Paesi non appartenenti all’Allegato I (Paesi in via di sviluppo).

• International Emissions Trading: meccanismo per lo scambio diretto di permessi di emissione.

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Obiettivi dei meccanismi flessibili

• facilitare il raggiungimento degli obiettivi quantitativi di riduzione delle emissioni di gas serra contenuti nel Protocollo di Kyoto

• minimizzare i costi di conformità connessi all’applicazione del Protocollo di Kyoto

il loro inserimento nel Protocollo di Kyoto era stato particolarmente sollecitato da USA, Giappone e Canada per tre motivi...

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Potenzialità dei meccanismi flessibili

1) la realizzazione di progetti industriali (es.: fonti rinnovabili) in Paesi in via di sviluppo comporta costi inferiori rispetto a quelli realizzati in Paesi avanzati

2) il trasferimento di tecnologie avanzate può ridurre il rischio di dumping ambientale (casi in cui le aziende trasferiscono le loro attività in altri territori/Stati approfittando di legislazioni ambientali meno severe)

3) JI e CDM possono costituire un potente fattore trainante di cooperazione economica e rafforzare il posizionamento competitivo di alcuni Paesi

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Joint Implementation e Clean DevelopmentMechanism

JI e CDM sono caratterizzati dal principio secondo cui il Paese investitore attua un progetto che, generando crediti di emissione in un Paese diverso da quello di origine, contribuisce al soddisfacimento dell’obiettivo di riduzione nazionale.

Le emissioni di gas serra costituiscono un’esternalitàglobale e le riduzioni sono efficaci indipendentemente dal luogo in cui originano.

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International Emissions Trading

L’IET consiste nella possibilità che uno Stato, ed eventualmente un’azienda, possa comperare o vendere ad altri stati o aziende permessi di emissione in modo da allineare le proprie emissioni con la quota assegnata: il soggetto interessato venderà tali permessi quando le proprie emissioni sono al di sotto della quota assegnata, mentre li comprerà quando le proprie emissioni sono al di sopra della quota assegnata.

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Adesione al PK al febbraio 2009In verde gli stati che hanno firmato e ratificato il trattato, in grigio gli stati che lo hanno firmato ma non ancora ratificato.

Gli Stati Uniti hanno firmato ma hanno poi rifiutato di ratificare il trattato.

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Italia e Kyoto

• La Comunità Europea ha firmato il Protocollo il 29 aprile 1998 (ll PK è un Trattato misto: deve essere ratificato sia dalla Comunità Europea che dagli Stati Membri), impegnandosi a ridurre le emissioni dell’8%.

• L’ Italia ha ratificato il Protocollo di Kyoto attraverso la legge di n. 120 del 1 giugno 2002. Il 20 dicembre 2002 il CIPE ha approvato il PianoNazionale per la diminuzione dei gas serra.

• L’Italia si è impegnata, nell’ambito della riduzione comunitaria dell’8%, a ridurre del 6,5% le emissioni di gas serra entro il 2012

Attualmente l’Italia e' al +12% di emissioni di anidride carbonica rispetto al 1990 >>> entro il 2012 la riduzione dovrà essere del 18,5 %!

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Dopo il 2012?

COP 13 (Bali, 2007) >>>>> Roadmap di Bali: processo negoziale di due anni volto a raggiungere un accordo globale sul regime post-2012, (alla scadenza del periodo di impegno del PK) entro la COP15 (Copenhagen, dicembre 2009) .

Questioni cruciali: – coinvolgimento USA – impegni di riduzione vincolanti per i Paesi con economie

emergenti (Cina, India, Messico …)

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CBD introduzione

“L'impoverimento della biodiversità innesca una reazione a catena. La scomparsa di una specie comporta l'estinzione di altre innumerevoli specie, con cui essa è legata attraverso le reti e le catene alimentari. La crisi della biodiversità, tuttavia, non sta solo nella scomparsa delle specie, che diventano materie prime industriali e fanno crescere i fatturati delle grandi imprese. È anche, e più fondamentalmente, una crisi che minaccia i sistemi di sostegno della vita e la stessa sopravvivenza di milioni di persone nei paesi del Terzo Mondo” (Shiva, 1999).

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La CBD

Convenzione sulla Diversità Biologica:

• adottata il 5 giugno 1992 al Summit Mondiale di Rio

• dalla sua adozione ad oggi, 188 Paesi, hanno ratificato o aderito alla Convenzione, divenuta operativa il 29 dicembre 1993

• l'Italia ha ratificato e dato esecuzione alla CBD con la legge n. 124 del 14 febbraio 1994

• gli USA hanno firmato ma non ratificato la CBD (quindi non ancora Parti dell’ accordo)

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CBD – definizione diversità biologica

La definizione universalmente riconosciuta di diversitàbiologica è quella utilizzata in occasione del Summit di Rio:

«La variabilità degli organismi viventi di ogni origine, compresi, fra gli altri, gli ecosistemi terrestri, marini e gli altri ecosistemi acquatici ed i complessi ecologici dei quali fanno parte comprende la diversità nell’ambito di ciascuna specie, tra le specie, nell’ambito degli ecosistemi».

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CBD – definizione diversità biologica

Essa definisce quindi tre tipi di diversità biologica:

• diversità genetica;

• diversità di specie;

• diversità ecosistemica;

Altri due tipi di elementi fanno parte del sistema biodiversità: la diversità culturale e quella del paesaggio (e influenzano l’uso ed il consumo delle risorse naturali).

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Funzioni della biodiversità

La diversità biologica (biodiversità):

• è essenziale per conservare la vita sulla terra (es: serbatoio di variabilità genetica, specie vegetali unica fonte di ossigeno sul nostro Pianeta)

• ha importante valore a livello sociale (es: specie vegetali utilizzate da sempre a fini medicinali), economico (biodiversitàcome risorsa), scientifico, educativo, culturale, ricreativo ed estetico

• determina la capacità degli esseri viventi di adattarsi e resistere al cambiamento (es: ruolo della biodiversitànell’adattamento ai cambiamenti climatici!)

• ma soprattutto fa funzionare gli ecosistemi!

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Gli hotspots: i luoghi più ricchi di biodiversità del Pianeta

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La IUCN e le specie minacciate

Una delle più antiche e autorevoli organizzazioni che hanno contribuito alla stesura della CBD è l’Organizzazione Internazionale per la Conservazione della Natura(International Union for the Conservation of Nature, IUCN), istituita nel 1948.

A essa si deve la periodica pubblicazione della cosiddetta “Lista Rossa delle specie minacciate”, un documento in cui vengono inserite le specie a rischio di estinzione, classificatesecondo i gradi di pericolo.

Ad oggi sono state classificate circa 2 milioni di specie.

Ma quante specie in totale? Stima più probabile: 30 milioni(Edward O. Wilson)

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Lista rossa IUCN: le categorie

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Perdita di biodiversità: le cause

La perdita di biodiversità è un processo naturale che, a causa delle attività umane, sta avvenendo molto più rapidamente che in passato

Principali cause della perdita di biodiversità per l’attivitàumana:

• eccessivo prelievo ittico e venatorio• distruzione, degradazione, riduzione, frammentazione ed isolamento degli habitat• cambiamenti climatici che spostano gli ecosistemi• introduzione di specie esotiche, compresi i patogeni, e di OGM• inquinamento (fonti d'inquinamento sono, oltre alle industrie e gli scarichicivili, anche le attività agricole intensive che impiegando insetticidi, pesticidi e diserbanti alterano profondamente i suoli)

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Perdita di biodiversità: alcuni dati (indagine CBD 2006)

Le statistiche non sono incoraggianti e l’ uomo è sempre piùresponsabile!

• dal 1990 sono andati perduti circa il 70% di foresta e macchia mediterranea e il 50% di praterie e savane in ambiente tropicale e subtropicale. • gli ecosistemi marini e costali subiscono anch’essi la pressione antropica: nei Carabi la barriera corallina è diminuita dell’80% negli ultimi 30 anni e il 35% degli ecosistemi a mangrovie è stato perso negli ultimi 20 anni. • l’intensificazione della pesca sta riducendo il numero dei pesci di grossa taglia. Nel Nord Atlantico negli ultimi 50 anni si sono ridotti del 66%.

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La Foresta Amazzonica

In Amazzonia (Brasile), ogni 8 secondi scompare un’area di foresta grande come un campo da calcio. Dal 1989 (anno in cui iniziarono i rilevamenti con i satelliti), la Foresta Amazzonica si è ridotta mediamente di 17 000 ettari ogni anno. Inoltre, una volta disboscate, le rigogliose foreste pluviali (a) si trasformano in superfici brulle e improduttive (b) a causa del dilavamento dei suoli da parte delle piogge.

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La tigre indiana

In India, anche se si sta facendo il possibile per impedire la caccia alla tigre, non esistono più molti habitat che garantiscano la sopravvivenza di questi animali: gli unici habitat rimasti, di dimensioni ridotte, riescono ad assicurare risorse alimentari solo a gruppi costituiti da pochi individui.

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Perché è necessario conservare la biodiversità a livello internazionale?

La perdita di biodiversità è un problema globale!

Importante avere politiche di conservazione della biodiversità a livello internazionale

E’ auspicabile che i paesi aderenti seguano le disposizioni derivanti dalla CBD e che vengano fissati obblighi legalmente vincolanti

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Obiettivi della CBD

Le Parti contraenti si sono impegnate a intraprendere misure nazionali ed internazionali finalizzate al raggiungimento di tre obiettivi:

• la conservazione in situ ed ex situ della diversità biologica(es: sistemi di aree protette, banche del germoplasma, reintroduzione di specie minacciate a livello globale);

• l'uso sostenibile delle sue componenti;

• l'equa condivisione dei benefici derivanti dall'utilizzazione delle risorse genetiche.

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Come raggiungere gli obiettivi?Per raggiungere i suoi obiettivi la Convenzione richiede:

• una più efficiente utilizzazione delle conoscenze esistenti

• una più profonda comprensione dell'ecologia umana e delle dinamiche ambientali

• l'applicazione di pratiche e tecnologie sostenibili

• la cooperazione internazionale tecnica e finanziaria

La Convenzione sottolinea il ruolo delle comunità locali e delle popolazioni autoctone per la conservazione della biodiversità.

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CBD – 7 Programmi di lavoro tematici

La CBD ha stabilito 7 programmi di lavoro tematici:• biodiversità marina e costiera;• biodiversità insulare;• biodiversità agricola;• biodiversità delle foreste;• biodiversità montana;• biodiversità delle acque interne; • biodiversità delle zone aride.

L’ UNEP, la FAO, la Commissione Oceanografica intergovernativa dell'ONU, l‘UNESCO, l'Organizzazione Marittima Internazionale (IMO), le Nazioni Unite e altri organismi sono incoraggiati ad implementare i vari programmi di lavoro nelle suddette aree tematiche.

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Struttura organizzativa della CBD

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Johannesburg ed il TARGET 2010Dall’adozione della CBD la politica internazionale si è fatta sempre piùsensibile alle tematiche della conservazione della biodiversità

Summit Mondiale sullo Sviluppo Sostenibile (Johannesburg 2002): i partecipanti, hanno fatto propri gli obiettivi fissati nel Piano Strategico adottato durante la COP6 della CBD in Olanda. I Governi si sono impegnati a conseguire entro il 2010 un’importante riduzione del tasso di perdita della biodiversità a livello globale, nazionale e locale, come contributo alla lotta alla povertà e a beneficio delle generazioni future.

L’Europa : Piano d’azione a favore della biodiversità e Progetto di relazione della Commissione per l’ambiente “Arrestare la perdita di biodiversità entro il 2010”.

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Il Protocollo di Cartagena

La CBD pone in rilievo anche gli aspetti che riguardano l’importanza economica della diversità genetica, manifestando l’esigenza di elaborare un protocollo che riguardi la sicurezza biologica e le sue modalità di applicazione.

Nel 1999 per sopperire a questa mancanza viene attivato il Protocollo di Cartagena: regola il commercio degli OGM e avverte dei possibili rischi legati alla loro introduzione.

Il protocollo cerca di stabilire le regole di trattamento, trasferimento e uso degli OGM, per evitare che questi possano modificare ed interagire con la conservazione e l’uso sostenibile delle biodiversità.

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Altre Convenzioni e Accordi per la tutela della biodiversità

Sotto l’egida dell’UNEP:

• Convenzione sulla Conservazione delle Specie Migratorie(Bonn, 1979)

• Convenzione sul Commercio Internazionale delle specie animali e vegetali selvatici in pericolo di estinzione (CITES) (Washington, 1973)

Al di fuori del sistema delle Nazioni Unite:

• Convenzione sulla conservazione delle zone umide di importanza internazionale (Ramsar-Iran, 1979. Ambito IUCN)

• Convenzione sulla conservazione della vita selvatica e degli habitat naturali in Europa (Berna, 1979). Anche se nasce in ambito europeo, possono aderirvi anche altri paesi.

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Convenzione delle Nazione Unite per la lotta alla Desertificazione

• Agosto-settembre 1977: UNCOD (United Nation Conference on Desertification), tenuta a Nairobi. Il problema della desertificazione viene discusso per la prima volta a livello globale;

• Giugno 1992: Conferenza di Rio de Janeiro su Ambiente e Sviluppo –L’earth Summit e l’Agenda 21 spingono l’Assemblea Generale ONU a costituire una commissione intergovernativa per predisporre uno strumento che sia in grado di affrontare il problema della desertificazione;

• Giugno 1994: viene adottata a Parigi la United Nations Convention toCombat Desertification (UNCCD). Designata come complemento a UNFCCC and CBD;

• UNCCD entrata in vigore il 26 dicembre 1996 dopo 50 firme di ratifica;

• UNCCD: 191 paesi Parti sino ad oggi, tra cui l’Italia.

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Obiettivo UNCCD (Articolo 2)

• L’obiettivo di questa Convenzione é combattere la desertificazione e mitigare gli effetti della siccità in paesi affetti da grave siccità e/o desertificazione, in particolare in Africa, attraverso un’azione efficace ad ogni livello, sostenuta dalla cooperazione internazionale e da accordi di associazione, secondo un approccio integrato che sia coerente con l’ Agenda 21, nella prospettiva di contribuire allo sviluppo sostenibile delle aree affette.

• Il raggiungimento di tale obiettivo implica strategie integrate a lungo termine che, nelle aree affette, si focalizzino simultaneamente sul miglioramento della produttivitá e la riabilitazione, conservazione e gestione sostenibile delle risorse naturali, conducendo al miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni locali (Convenzione come strumento chiave per l'estirpazione della povertà nelle zone rurali deserte della terra).

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Desertificazione e siccità

• Desertificazione: il degrado delle zone aride, semi-aride e sub-umide secche attribuibile a varie cause, fra le quali variazioni climatiche e attività umane.

• Siccità: fenomeno naturale che si manifesta quando le precipitazioni sono state al di sotto delle normali medie registrate, causando gravi squilibri idrici che nuocciono al sistema produttivo naturale del suolo.

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Altre definizioni

Aree affette:aree aride, semi-aride e/o sub-umide secche affette o minacciate dalla desertificazione.

Paesi affetti:paesi il cui territorio comprende in tutto o in parte aree affette.

Mitigazione degli effetti della siccitá:attivitá relative alla predizione della siccitá finalizzate a ridurre la vulnerabilitá dei sistemi sociali e naturali a tale fenomeno se vincolato alla lotta alla desertificazione.

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Le aree più colpite

Gran parte delle regioni che rischiano di tramutarsi in terre aride si trovano in prossimità delle cinque principali aree desertiche mondiali:il Deserto di Sonora nel Messico nord-occidentale e la sua continuazione nella parte sudoccidentale degli Stati Uniti; il Deserto di Atacama, una sottile striscia costiera in Sud America tra le Ande e l'Oceano Pacifico; una larga area desertica che dall'Oceano Atlantico corre verso oriente in direzione della Cina e che comprende il Deserto del Sahara, Il Deserto Arabico, i deserti dell'Iran e dell'ex- Unione Sovietica, il Gran Deserto Indiano (Thar) nel Rajasthan ed infine i deserti del Taklamakan e del Gobi, che si trovano rispettivamente in Cina ed in Mongolia; il Deserto del Kalahari in Sud Africa; gran parte dell'Australia.

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Doveri delle Parti

• Tutte le Parti agiscono per la lotta alla desertificazione, considerando i fattori socio-economici che attivano o possono attivare il processo di desertificazione.

• Paesi Parte affetti, con il PAN, creano un quadro propizio attraverso la legislazione ed una migliore pianificazione dell’uso delle risorse

• Paesi Parte Sviluppati,addizionalmente, sono chiamati a sostenere i Paesi Parte affetti con risorse finanziare aggiuntive e tecnologie appropriate

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Strumenti per l’applicazione

• Programmi di Azione Nazionali (PAN):rappresentano lo strumento chiave e l’ossatura della Convenzione

• Programmi di Azione Sub-regionali (PASR)• Programmi di Azione Regionali (RAP)

La UNCCD si basa su una serie di Annessi (Implementation Annexes) regionali che riguardano: Africa, Asia, America Latina e Caraibi, Mediterraneo settentrionale, Europa Centrale e Orientale. Il principale obbligo che scaturisce dalla UNCCD è l’elaborazione e la messa in atto di Programmi di Azione contro la desertificazione a livello nazionale, sub-regionale e regionale, in collaborazione con i paesi donanti, le comunitàlocali e le ONG.

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Annessi Regionali della Convenzione

America Latina e Caraibi(Annex III)

NordMediterraneo(Annex IV)

Africa(Annex I)

Europa Centrale edell’Est (Annex V)

Asia(Annex II)

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Organi di governo

• Conferenza delle Parti (COP)

• Comitato Tecnico Scientifico (CST)

• Comitato per la Revisione dell’Applicazione della Convenzione (CRIC)

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Conferenza delle Parti (COP)

La Conferenza delle Parti é l’organo supremo della Convenzione. Ha competenze su:

• La regolare revisione dell’applicazione della Convenzione e il funzionamento delle disposizioni istituzionali alla luce dell’esperienza maturata a livello nazionale, sub-regionale, regionale ed internazionale, sulla base dell’evoluzione scientifica e delle conoscenze tecnologiche;

• Promozione e agevolazione dello scambio di informazioni sulle misure adottate dalle Parti; determinazione della forma e il tempo nel quale le informazioni devono essere trasmesse per la sottomissione secondo l’artico 26; rivede i rapporti e fa raccomandazioni in proposito.

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Comitato Tecnico Scientifico (CST)

Fornisce alla COP le informazioni ed i pareri su questioni scientifiche e tecnologiche concernenti la lotta alla desertificazione e la mitigazione degli effetti della siccitá:

- rete of istituzioni;- indicatori e punti di referenza;- conoscenze tradizionali;- migliori pratiche;- valutazione del degrado del territorio

Stabilisce e mantiene una lista di esperti indipendenti con professionalitá ed esperienze in vari campi.

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Comitato per la Revisione dell’Applicazionedella Convenzione (CRIC)

Assiste la COP nel rivedere regolarmente l’applicazione della Convenzione, alla luce dell’ esperienza maturata a livello nazionale sub-regionale, regionale ed internazionale, ed agevola lo scambio diinformazioni sulle misure adottate dalle Parti, con il fine di trarre conclusioni e proporre concrete raccomandazioni sugli ulteriori passi necessari per applicare la Convenzione.

Per la revisione, il CRIC usa i seguenti punti tematici chiave:- processi partecipativi;- quadro legislativo e istituzionale;- mobilizzazione e coordinamento delle risorse;- vincoli e sinergie con altre convenzioni ambientali;- analisi e controllo della siccitá e desertificazione;- accesso ad tecnologie appropriate, conoscenze e know-how.

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Istituzioni – Il Segretariato

- prende provvedimenti per la sessione della COP e i suoi organi sussidiari e fornisce loro i servizi richiesti;

- redige e trasmette i rapporti ad esso presentati;

- su richiesta, facilita l’assistenza ai paesi parte in via di sviluppo affetti da desertificazione e siccitá, particolarmente in Africa, per la redazione e comunicazione della informazione;

- coordina le sue attivitá con i segretariati di altri organismi internazionali e convenzioni.

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Istituzioni – Il Meccanismo globale

- identifica e stabilisce l’inventario dei programmi di cooperazione bi-multilaterale disponibili ed utili per l’applicazione della Convenzione;

- su richiesta, dà pareri alle Parti sui metodi innovativi di finanziamento e fonti di assistenza finanziaria, su come migliorare il coordinamento delle attivitá di cooperazione a livello nazionale;

- fornisce informazioni alle Parti, alle organizzazioni intergovernative e non governative su fonti e meccanismi di finanziamento disponibili, in modo da facilitarne il coordinamento.

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Sviluppi e prospettive …

• Il Vertice Mondiale sullo Sviluppo Sostenibile (WSSD), Johannesburg 2002, ha riconosciuto la UNCCD come uno strumento importante perridurre la povertà.

• La Seconda Assemblea generale del Global Environmental Facility(GEF), Beijing 2002, ha deciso che il GEF diventi un meccanismo finanziario della UNCCD. La COP 6 (2003, Havana) ha poi deciso di accettare il GEF come meccanismo finanziario della UNCCD.

• 2006: dichiarato dall’Assembla Generale delle NU l’anno internazionale dei deserti e della desertificazione.

• La COP 8 di Madrid (settembre 2007): in quell’occasione è stata approvata la Strategia decennale 2008-2018 per la lotta alla siccità e alla desertificazione. La Convenzione è di fatto ormai parte del sistema più ampio per lo sviluppo sostenibile e la lotta ai cambiamenti climatici, e c’è un’attenzione più forte al sistema di governance dell’intero sistema, specialmente a livello regionale (nei vari Annex).

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… Sviluppi e prospettive

I temi più importanti tuttora in discussione in ambito UNCCD riguardano:

• l’identificazione di indicatori chiave, omogenei e standardizzati, per misurare la desertificazione (si sta lavorando su questo, e i risultati verranno presentati alla prossima CST di ottobre 2009). La CST saràorganizzata sotto forma di conferenza scientifica;

• la creazione di meccanismi regionali di coordinamento (per facilitare la governance anche a livello locale);

• il finanziamento di parte delle attività della UNCCD attraverso sinergie con l’Adaptation fund.

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Un caso di successo il Protocollo di Montreal

ll 16 Settembre 2007, “Giornata Internazionale dell‘ozono”, è stato commemorato il 20° anniversario del Protocollo di Montreal sulle Sostanze che riducono lo strato di ozono.

Il Protocollo di Montreal costituisce un'innovazione nel panorama dei trattati internazionali che ha inaugurato di fatto una nuova era di responsabilità ambientale, avendo saputo frenare e addirittura invertire il processo di assottigliamento dello strato di ozono.

I 191 paesi firmatari hanno arrestato insieme la produzione e il consumo di più del 95% delle sostanze che causano l'assottigliamento della fascia d'ozono. Se ne prevede il ripristino ai livelli precedenti al 1980, entro il 2045 (secondo l’ultimo rapporto scientifico SAP dell’UNEP) .

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Lo strato di ozono

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Il problema: il buco dell’ozonoNegli anni 70 si è scoperto che alcune sostanze prodotte dall'uomo avevano contribuito a ridurre lo strato di ozono, scudo gassoso protettivo che avvolge la terra. A quei tempi tali composti chimici venivano largamente utilizzati in molti processi industriali e agricoli (si ritrovavano in frigoriferi, deodoranti spray etc.)

Gli effetti di tali sostanze (ODS) costituiscono un problema rilevante per l'ambiente (minacciano l'equilibrio ecologico di bacini idrici, terre agricole e foreste) e per la stessa salute umana (es: cancri alla pelle e cataratte)

Nel 1984, quando fu confermato che il livello di ozono stratosferico al di sopra dell'Antartide si stava assottigliando, formando così il “buco dell’ozono”, è stata data finalmente la giusta attenzione internazionale al bisogno immediato di misure appropriate.

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Il Protocollo di Montreal ….

Il Protocollo di Montreal, in attuazione della Convenzione di Vienna per la protezione dello strato di ozono(1985), è il primo trattato ambientale globale legalmente vincolante, firmato il 16settembre 1987 ed entrato in vigore il 1 gennaio 1989.

Obiettivo: proteggere la fascia di ozono contenendo, attraverso una graduale eliminazione (phase-out), i livelli di produzione e consumo delle sostanze responsabili del suo assottigliamento (CFC, HCFC, halons, bromuro di metile, tetracloruro di carbonio e 1,1,1 tricloroetano), disciplinando gli scambi commerciali, la comunicazione dei dati di monitoraggio, l’attivitàdi ricerca, lo scambio di informazioni e l’assistenza tecnica con i Paesi in via di Sviluppo.

Page 92: ECONOMIA APPLICATA · Problemi ambientali globali e teoria dei giochi • Consideriamo un progetto di miglioramento ambientale che beneficia due paesi in modo simultaneo e non esclusivo;

…. e i suoi sviluppiIl 16 Settembre 2007 i 191 paesi firmatari hanno raggiunto un nuovo accordo che rafforza sempre più gli obiettivi del trattato e si basa sul rispettare le misure indicate dal Programma di Accelerazione del Phase-out di HCFC che garantirebbe un recupero più rapido della fascia di ozono, anticipando così di circa 10 anni l’eliminazione di tali sostanze.

Tale programma ridurrebbe le emissioni di gas a effetto serra fino a circa 25 miliardi di tonnellate di CO2.

Come parte del trattato, i paesi industrializzati hanno infine promesso di continuare a contribuire al FONDO MULTILATERALE, fondo istituito per sostenere i Paesi in via di Sviluppo a rispettare i nuovi obblighi e misure derivanti dal trattato. L’Italia è il sesto donatore del Fondo dopo gli Stati Uniti, Giappone, Germania, Francia e Regno Unito.

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I motivi del successo

Il successo del Protocollo di Montreal è da attribuirsi al particolare approccio graduale e pragmatico al problema dell'ozono.

Ogni singola fase è stata progettata perché abbia un impatto maggiore di quelle precedenti, attraverso obiettivi intermedi concreti e puntuali, via via più incisivi nella difesa dello strato di ozono.

Il trattato ha potuto così trovare da subito un consenso accettabile in quanto gli obiettivi inizialmente posti erano modesti, continuando ad evolversi fino a diventare l'accordo multilaterale ambientale di maggior successo al mondo.

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Fattori di successo del Protocollo di Montreal

• Sviluppo della valutazione tecnologica;• Incoraggiare la leadership di imprese multinazionali e nazionali; • Incoraggiare gli stakeholders e sviluppare partnership locali ed

internazionali; • Il meccanismo finanziario (Fondo Multilaterale) come strumento

attivo per il trasferimento di tecnologia;• Sviluppare ed implementare “training programs”; • Applicare regolamenti e politiche per promuovere il trasferimento

tecnologico; • Rimuovere barriere legali ed istituzionali, e migliorare sistemi di

governance.

Page 95: ECONOMIA APPLICATA · Problemi ambientali globali e teoria dei giochi • Consideriamo un progetto di miglioramento ambientale che beneficia due paesi in modo simultaneo e non esclusivo;

La lezione appresa

La storia del Protocollo di Montreal ci insegna che quando si agisce insieme, in maniera tanto concertata quanto concreta, trovare soluzioni efficaci a problemi globali è possibile.

Il successo del Protocollo di Montreal dimostra che esistono strumenti globali che possono aiutare a mettere un freno all'impatto delle attivitàumane sull'ambiente.

Dobbiamo prendere esempio da questa esperienza e sforzarci di replicarla, carpendo l’importanza dell’interazione tra certezza scientifica, continua innovazione tecnologica e diffusione pubblica, facendone tesoro per affrontare le prossime sfide e soprattutto non dimenticando mai che ciò che è in gioco nella partita per la tutela ambientale è la nostra stessa esistenza.

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La riduzione del buco dell’ozono