Ecomafia 2011

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Ecomafia 2011, le storie e i numeri della criminalità ambientale. Introduzione di Pietro Grasso.

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ECOMAFIA 2011 le storie e i numeri della criminalità ambientale

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LE STORIEE I NUMERIDELLACRIMINALITÀAMBIENTALE

OSSERVATORIOAMBIENTEE LEGALITÀ

ANNUARI

ECOMAFIA 2011

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ECOMAFIA 2011le storie e i numeri della criminalità ambientaleA cura dell’Osservatorio Nazionale Ambiente e Legalità di LegambienteEnrico Fontana, Antonio Pergolizzi, Sebastiano Venneri, Francesco Dodaro, Laura Biffi, Stefano Ciafani, Peppe Ruggiero

hanno collaborato: Francesco Barbagallo, Nuccio Barillà, Piero Baronti, Michele Bertucco, Sergio Cannavò, Danilo Chirico, Raffaele Del Giudice, Franco Falcone, Luca Fazzalari, Mimmo Fontana, Elisabetta Galgani, Tiziano Granata, Salvatore Granata, Valentina Iorillo, Francesco Loiacono, Raffaele Lupoli, Toni Mira, Nino Morabito, Giorgio Mottola, Vincenzo Mulè, Gabriele Nanni, Antonio Nicoletti, Marco Omizzolo, Sabrina Pisu, Claudio Rancati, Stefano Raimondi, Valentina Romoli, Luca Salici, Daniela Sciarra, Francesco Tarantini, Lucia Venturi, Mauro Veronesi, Giorgio Zampetti

Le forze dell’ordine (Arma dei Carabinieri, Corpo forestale dello Stato e delle regioni e delle province a statuto speciale, Guardia di finanza, Polizia di Stato); le Capitanerie di porto; l’Ufficio Antifrode, l’Agenzia delle dogane; le Polizie provinciali; L’Istituto di ricerche Cresme Consulting, la Direzione investigativa antimafia

realizzazione editoriale: Edizioni Ambiente srl – www.edizioniambiente.itcoordinamento redazionale: Diego Tavazziprogetto grafico: GrafCo3 Milano impaginazione: Roberto Gurdo

© 2011 Edizioni Ambiente via Natale Battaglia 10, 20127 Milanotel. 02.45487277, fax 02.45487333

ISBN 978-88-6627-004-1

Finito di stampare nel mese di giugno 2011presso Grafiche del Liri – Isola del Liri (FR)Stampato in Italia – Printed in Italy

Questo libro è stampato su carta riciclata 100%

Si ringrazia Ecopneus Scpa per il supporto alla realizzazione di questo volume

1. Ecomafia 2011 riporta vicende, nomi di aziende e di persone che compaiono nelle carte delle inchieste giudiziarie, nei documenti istituzionali, nei rapporti delle forze dell’ordine e nelle cronache degli organi di stampa. Per quanti vengono citati, salvo i condannati in via definitiva, valgono la presunzione di innocenza e i diritti individuali garantiti dalla Costituzione.2. Le notizie raccontate in Ecomafia 2011 sono raccolte da atti giudiziari, articoli di stampa e altre fonti giornalistiche fino alla data del 10 aprile 2011.

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sommario

introduzione 7Pietro Grasso

presentazione 15Vittorio Cogliati Dezza

premessa 19Enrico Fontana e Antonio Pergolizzi

1. l’illegalità ambientale in italia 35La classifica dell’illegalità ambientale 38

2. il business dell’ecomafia 45

3. il ciclo dei rifiuti: 49La “rifiuti Spa” 49L’illegalità nel ciclo dei pneumatici fuori uso (Pfu) 58Analisi della Dia sul ciclo dei rifiuti 68

4. i numeri e le storie del ciclo dei rifiuti 77

5. il ciclo del cemento 199L’abusivismo edilizio in tempo di crisi 199I comuni sciolti per mafia 205L’Italia che frana 234Centri commerciali: i clan fanno shopping 239

6. i numeri e le storie del ciclo del cemento 251

7. acque nere. la mala depurazione calabrese 339“Poseidone” 341L’attività delle procure di Paola e di Vibo Valentia 344Gli interessi della ‘ndrangheta a Reggio Calabria 345

8. agromafia 347Truffe a tavola 347Le mafie nel piatto 354La mafia dei pascoli 357

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9. racket degli animali 361Globalizzato e on line 361

10. archeomafia: l’aggressione criminale al patrimonio culturale 373

11. affari sporchi ed energie pulite 381Gli interessi dei clan 383I fenomeni d’illegalità 387

12. l’italia in fumo 393

13. i mercati globali dell’ecomafia 399Le frontiere dell’illegalità: l’azione di contrasto (dogane e forze dell’ordine) 399I traffici internazionali di rifiuti 410Due case studies: Uk e Australia 414

14. i clan dell’ecomafia 419

fonti 427

ringraziamenti 429

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Anche quest’anno Legambiente, con il suo Rapporto Ecomafia 2011, fa il bilancio dell’andamento dei fenomeni che coinvolgono l’ambiente, citan-do numeri, statistiche, situazioni.Per quanto riguarda la legislazione è stato compiuto un piccolo passo posi-tivo che comporta il coinvolgimento della Direzione nazionale antimafia, non più soltanto a titolo di analisi del fenomeno delle ecomafie, come in passato, ma con competenze specifiche in materia di rifiuti.Infatti, com’è noto, a seguito del nuovo assetto di competenze configura-te dall’art. 11 l. 13 agosto 2010, n. 136, per il delitto di attività organiz-zate del traffico di rifiuti previsto dall’art. 260, Dlgs 3 aprile 2006, n. 152 le funzioni inquirenti sono state attribuite all’ufficio del pubblico ministe-ro presso il tribunale del capoluogo del distretto nel cui ambito ha sede il giudice competente.Questa significativa modificazione del quadro di titolarità delle indagini ha imposto alla Direzione nazionale antimafia, che già da anni aveva posto tra le sue materie di interesse il fenomeno delle ecomafie, cioè la gestione da parte della criminalità organizzata dello smaltimento e del traffico di rifiu-ti, una ricognizione delle questioni organizzative e investigative più rilevan-ti, la cui cognizione è destinata alle procure distrettuali antimafia e alla con-seguente attività di coordinamento e di impulso, ai sensi dell’art. 371-bis c.p.p., del procuratore nazionale antimafia.Una particolarità che va messa in risalto è che, oltre all’art. 630 c.p., tra i reati compresi nell’art. 51 co. 3-bis, nel solo caso del delitto previsto dall’art. 260, Dlgs 3 aprile 2006, n. 152, non si verte in un’ipotesi di delitto asso-ciativo: si tratta, infatti, di un delitto monosoggettivo, che quindi può es-sere compiuto anche da una sola persona, caratterizzato da una necessaria “pluralità di operazioni in continuità temporale relative a una o più delle diverse fasi in cui si concretizza ordinariamente la gestione dei rifiuti”. Il che comporterà, fra l’altro, che l’ipotesi associativa semplice di cui all’art.

introduzionePietro Grasso, procuratore nazionale antimafia

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416 c.p., se finalizzata al traffico organizzato di rifiuti, sarà attratta nella competenza distrettuale.Dalle risultanze delle indagini svolte in campo nazionale da tutti i corpi di polizia giudiziaria specializzati nella tutela ambientale sono emersi elemen-ti utili per l’attività di coordinamento e d’impulso della procura nazionale antimafia, in quanto sono stati individuati i modelli operativi più frequen-temente adottati da chi pone in essere tale tipo di reati:1. declassificazioni dei rifiuti, sì da farli risultare, con una semplice opera-zione che falsifica la documentazione cartacea, diversi da ciò che in realtà sono (cioè rifiuti rientranti nelle tabelle di quelli pericolosi);2. ricorso al sistema del cosiddetto “girobolla” che porta anch’esso al risul-tato finale della declassificazione dei rifiuti, ma con un meccanismo più complesso e attuato attraverso vari passaggi tali da far risultare falsamente operazioni di trattamento dei rifiuti medesimi in realtà mai poste in esse-re. Trattasi del sistema sintomatico della presenza di strutture criminali, in quanto richiede un’organizzazione composta da varie figure “professiona-li” di natura tecnica (laboratori) e operativa (trasporti), oltre che di sogget-ti di vertice in condizioni di mantenere i rapporti con i produttori dei ri-fiuti e gli utilizzatori finali (sversamento) in base a un’accurata strategia re-munerativa per tutti i soggetti che vi partecipano;3. sversamento diretto dei rifiuti, quasi esclusivamente speciali e pericolo-si, nel territorio;4. scarico degli oli esausti in mare da parte delle navi;5. ricorso al sistema del riutilizzo nelle energie rinnovabili (biomasse, ovve-rosia scorie di legname, scarti delle imprese agricole in senso lato, cioè com-prensive dell’allevamento e relative lavorazioni), attuato attraverso l’aggiun-ta alla trasformazione delle biomasse stesse di rifiuti diversi, non consenti-ti, previa falsa declassificazione o certificazione;6. predisposizione da parte della criminalità organizzata di una filiera di so-cietà senza impianti solo per creare fatture false, nonché di altre società do-tate di impianti per recupero, trasporto e smaltimento rifiuti, con impo-sizione ai produttori di avvalersi di tali filiere o aggiudicandosi commes-se pubbliche per gestire i relativi servizi. Nel caso di imprese operanti nel settore al di fuori dalla filiera mafiosa, imposizione di tangenti estorsive;7. ricorso alla spedizione all’estero (Cina, Hong Kong, Malesia, Nord Afri-ca) da porti come Gioia Tauro, Taranto, Catania, Napoli, Venezia, La Spe-zia di rifiuti pericolosi, principalmente materiali ferrosi, carta da macero, gomma (pneumatici), politilene (teloni agricoli trattati in serra con fitofar-

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maci e antiparassitari spediti in Cina e restituiti in Europa sotto forma di prodotti in plastica come giocattoli, biberon, utensili ecc.).

Da un’analisi globale delle indagini si possono dedurre elementi che lascia-no intravedere “condotte spia” indicative di una presenza di strutture or-ganizzate in mano alla criminalità, come può desumersi, per esempio, dal fatto che quasi tutte le società che si occupano di movimento terra hanno sede al Sud, e che sempre al Sud per celare lo smaltimento di rifiuti peri-colosi si fa ricorso: a) alle cave abusive e abbandonate; b) ai cantieri per in-frastrutture (utilizzati in corso d’opera per smaltire nel terreno sottostante rifiuti grazie alla “copertura” del cantiere medesimo e i relativi movimen-ti di merci e terra); c) alle aziende agricole ove viene utilizzato il cosiddetto “compost” (cioè il risultato della decomposizione e umidificazione di un misto di materie organiche da parte di macro- e microorganismi decom-positori). L’uso di tale sostanza, invero, agevola l’occultamento in seno al-la stessa di altre sostanze nocive. È emerso altresì il fenomeno, da approfondire, delle numerose ditte di tra-sporto di merci sparse nel territorio nazionale che si alternano nei rappor-ti col medesimo importatore cinese, via via che vengono scoperte e denun-ziate per reati in materia di rifiuti. Con l’ulteriore e sintomatico segnale unificante rappresentato dalla coincidenza dei brokers, olandesi o tedeschi.Inoltre, si è rilevata l’esigenza di colmare, attraverso collegamenti inve-stigativi, i vuoti di indagine che si verificano in occasione di sequestri di merci ai valichi di frontiera con conseguente intervento delle autori-tà giudiziarie del territorio, senza che siano interessate quelle dei luoghi (per esempio Genova) in cui insistono le ditte cui il movimento di quel-le merci fa capo.Non bisogna, poi, trascurare il fatto che il ricorso all’illegale smaltimen-to dei rifiuti pericolosi è attuato da chi li produce per ottenere un rispar-mio rispetto ai costi da sostenere rispettando la vigente normativa. Pertan-to, le condotte sintomatiche della commissione del delitto di cui all’art. 260 Dlgs 3 aprile 2006, n. 152, vanno ricercate tramite verifiche finanzia-rie soprattutto delle strutture societarie svolgenti attività produttive gene-ratrici di rifiuti, con specifico riferimento ai costi dichiarati e accertati, e corrispondenti fatturazioni, spesso false perché relative a operazioni in tut-to o in parte inesistenti.Un altro dato interessante è costituito dall’abbattimento dei prezzi per lo smaltimento dei rifiuti presso i termovalorizzatori tedeschi (da 186 euro a

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tonnellata l’anno scorso a 66 euro di quest’anno), determinato da un mi-nore afflusso di rifiuti, che evidentemente prendono altre strade.Ovviamente, i rifiuti pericolosi sono quelli ai quali bisogna prestare mag-gior attenzione e per ottenerne un tracciamento più soddisfacente si è già approntato dal Ministero dell’Ambiente il sistema Sistri (Sistema integra-to trattamento dei rifiuti), che registra i vari passaggi dal produttore allo smaltitore, e che si avvale delle più moderne e sofisticate tecniche offerte dagli strumenti di controllo del territorio oggi esistenti. Tuttavia non anco-ra operativo per una serie di rinvii (l’ultimo al giugno 2011), asseritamen-te determinati da ragioni politiche e finanziarie. Il sistema dovrebbe essere alimentato da 300.000 utenti e 50.000 trasportatori e dovrebbe monitora-re i movimenti di 300 discariche autorizzate.Dal punto di vista organizzativo e per il miglior esito delle indagini, alme-no in questa fase iniziale, è apparso opportuno non disperdere le professio-nalità, le esperienze e le conoscenze del territorio da parte dei magistrati già titolari presso le procure ordinarie dei procedimenti trasmessi alle direzio-ni distrettuali antimafia in virtù del cambio di competenza, facendo ricor-so all’istituto dell’applicazione dei medesimi (o di altri inquirenti con par-ticolari conoscenze delle problematiche ambientali) ai procedimenti per i reati di cui all’art. 260 Dlgs 3 aprile 2006, n. 152, con provvedimenti del-lo stesso procuratore distrettuale, all’interno dello stesso ufficio di procura, o del procuratore generale della Corte di Appello, nell’ambito del distretto.D’altro canto, sarebbe auspicabile che i magistrati delle Direzioni distret-tuali antimafia fossero sensibilizzati per un più razionale e accurato appro-fondimento delle investigazioni alla luce delle analisi sui modelli criminali e sui dati indicativi di una presenza di un’organizzazione criminale sempli-ce o di tipo mafioso, per effetto di una più ampia circolazione dei risultati investigativi e degli incroci probatori con soggetti presenti nella banca dati SIDDA-SIDNA esistente presso la Direzione nazionale antimafia.Sarà opportuno che, anche in base a protocolli di intesa tra le procure di-strettuali e quelle ordinarie, siano ristretti al massimo i tempi delle indagi-ni in ordine a ipotesi di reato minori, peraltro contravvenzionali e di faci-le prescrizione, quando si profila già l’ipotesi delittuosa di cui all’art. 260 citato, perché sin dal nascere le indagini siano svolte con i più penetranti strumenti investigativi, come le intercettazioni, che il reato più grave con-sente, in modo da non correre il rischio della dispersione di importanti ele-menti di responsabilità a carico degli indagati in ordine alle ipotesi di reato associativo che spesso accompagnano la commissione dei traffici di rifiuti.

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Per l’esercizio delle funzioni di coordinamento previste dall’art. 371-bis c.p.p. con particolare riferimento al delitto di cui all’art. 260 Dlgs 3 apri-le 2006, n. 152, in materia di traffico illecito di rifiuti, anche in considera-zione della formulazione legislativa della specifica ipotesi delittuosa previ-sta dal predetto art. 260, si rileva che appare indispensabile, per la Dna, di-sporre delle informazioni relative ai procedimenti e agli indagati per alcuni degli altri reati previsti in materia di rifiuti e, più precisamente, perlome-no, per quelli previsti dagli artt. 256 (Attività di gestione di rifiuti non au-torizzata) e 259 (Traffico illecito di rifiuti) del Dlgs 3 aprile 2006, n. 152.La predetta “limitazione” alle sole ipotesi di reato previste dai citati artt. 256 e 259 Dlgs 3 aprile 2006, n. 152 seppure riduttiva, appare, allo stato, un adeguato compromesso fra le esigenze della Dna e quelle delle procure: per la prima (Dna) le informazioni così acquisite possono risultare impor-tanti ai fini dell’esercizio delle proprie funzioni con riferimento al traffico illecito di rifiuti in considerazione del fatto che i reati in questione (artt. 256 e 259) appaiono i più significativi reati-spia che possono sottendere alla sussistenza del più grave delitto di cui all’art. 260; per le procure, con-siderata anche l’informatizzazione dei registri delle notizie di reato, l’estra-zione delle informazioni richieste non appare comportare, di fatto, alcun significativo aggravio lavorativo.Esemplificando, l’esistenza di più procedimenti penali nei confronti di un medesimo soggetto, instaurati da differenti autorità giudiziarie e per fat-ti-reato diversi, può determinare la sussistenza degli elementi richiesti dal comma 1 dell’art. 260 Dlgs 3 aprile 2006, n. 152 (più operazioni e allesti-mento di mezzi e attività continuative organizzate...).Sarebbe anche utile poter conoscere, ove possibile, la denominazione delle eventuali persone giuridiche in seno alle quali gli indagati ricoprano cari-che sociali, qualora l’attività dell’impresa abbia concorso o partecipato alla realizzazione del reato contestato al soggetto, in vista anche della previsio-ne di una responsabilità amministrativa delle persone giuridiche.Nella trattazione delle problematiche relative al contrasto in materia di traffico illecito di rifiuti si aprono, poi, molteplici fronti e, fra questi, an-che quello concernente le forme societarie che possono assumere le impre-se che trattano la specifica “materia”.È evidente che anche le attività illecite svolte nella materia indicata sono di norma effettuate mediante società lecitamente – e, talvolta, appositamente – costituite, che contemporaneamente operano sia nel rispetto sia in viola-zione della legge.

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A tali commistioni lecito-illecito si aggiungono, poi, le ordinarie o strumen-tali mutazioni delle imprese (forma o organi sociali; spostamenti di sede le-gale, ecc.) che normalmente avvengono e che sono regolarmente consentite.Il quadro, già di per sé complesso, non migliora allorquando si tratta di appalti pubblici o subappalti, tramite i quali vengono gestiti servizi pub-blici di raccolta, trasporto o smaltimento di rifiuti, ovvero allorché attivi-tà estorsive impongono ai produttori di servirsi esclusivamente di filiere di imprese per il trattamento dei rifiuti in mano alla criminalità organizzata.Sarà cura, infine, della Direzione nazionale antimafia, portata finalmente a conoscenza delle indagini in questione, di effettuare tramite i suoi ma-gistrati gli eventuali collegamenti investigativi nell’ambito di tutto il ter-ritorio nazionale, ai fini dell’espletamento delle funzioni di coordinamen-to e di impulso.Già sin d’ora si rappresenta l’opportunità di una mappatura delle imprese esistenti nel territorio nazionale che producono il maggior quantitativo di rifiuti speciali e/o pericolosi, e di quelle che operano nel settore della rac-colta, trasporto, trattamento e smaltimento, per poter poi effettuare un’a-nalisi sia dal punto di vista economico-finanziario, sia dal punto di vista esecutivo delle dette operazioni, finalizzata a formare con l’ausilio dei Ser-vizi centrali di polizia giudiziaria una black list di soggetti e ditte segnalati come dediti ai traffici di rifiuti.Nonostante questo nuovo strumento operativo, chi scrive è, però, convinto che proprio sul piano legislativo, si debbano fare ancora notevoli passi avanti.Si è persa infatti l’occasione del recepimento delle Direttive europee 2008/99 e 2009/123 in materia di ambiente per una seria e rigorosa azione di con-trasto al dilagare dei gravissimi fenomeni di criminalità ambientale che im-perversano in Italia.E invero lo schema di decreto legislativo con cui il Parlamento ha recepito le direttive, se, da un canto, compie un notevole passo in avanti attraverso l’introduzione nel nostro ordinamento della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, dall’altro, lasciando immutati i tempi di prescri-zione dei crimini ambientali, le sanzioni di tipo contravvenzionale, l’im-possibilità di usare le rogatorie internazionali e gli strumenti legislativi ti-pici per contrastare la criminalità organizzata, tradisce lo spirito della Di-rettiva dell’Unione europea, cioè quello dichiarato di assicurare adeguata tutela penale dell’ambiente, individuando una lunga serie di reati ambien-tali da punire con sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive.Su tali direttrici si era già mosso il legislatore nella precedente e nell’attua-

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le legislatura con la presentazione di disegni di legge di riforma di tutta la materia della tutela dell’ambiente, che prevedono, fra l’altro, una nuova fi-gura di delitto associativo, nei termini già accennati, il ravvedimento ope-roso, misure di carattere premiale, il delitto di inosservanza colposa delle disposizioni in materia ambientale, la frode e il falso in materia ambienta-le, misure sanzionatorie che colpiscano i patrimoni mediante la confisca dei profitti del reato, anche per equivalente, e infine l’utilizzo di speciali tecni-che investigative, come intercettazioni e collaboratori di giustizia, già speri-mentate nelle indagini in materia di crimine organizzato, consistenti anche nella possibilità di differire od omettere gli atti di cattura, arresto e seque-stro, in modo da adeguare le strategie investigative alla dimensione orga-nizzata dei fenomeni illeciti in materia ambientale, che, specie nel campo dello smaltimento dei rifiuti, ormai travalicano i confini nazionali e coin-volgono organizzazioni e strutture a carattere transnazionale.Come è dimostrato da recenti indagini che hanno portato al sequestro presso i porti di Salerno e Gioia Tauro di centinaia di container contenenti rifiuti pericolosi non trattati, classificati falsamente come materie prime in plasti-ca, diretti in Cina e altri paesi dell’estremo oriente, da dove, dopo idonea lavorazione, sarebbero stati, sotto forma di giocattoli, utensili e altre mer-ci nuovamente importati in Europa per avvelenare l’ambiente e i cittadini.Per poter offrire un adeguato contrasto a questo nuovo inquietante agire del-la criminalità organizzata, non si può più pensare di operare isolatamente, ma occorre una legislazione omogenea e una forte e convinta collaborazione tra Stati e tra i vari organismi preposti alle attività di contrasto e controllo.

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Ad Angelo Vassallo,sindaco della bella politica

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La pubblicazione dell’annuale rapporto Ecomafia, che dal 1994 racconta l’e-voluzione degli affari illeciti delle mafie a danno dell’ambiente, quest’anno avviene in un momento particolarmente significativo del dibattito pubbli-co sui reati ambientali. Ad aprile, infatti, il governo ha dato seguito all’ob-bligo imposto dall’Unione europea di tutelare penalmente l’ambiente.Sono quindici anni che aspettiamo questo momento, da noi più volte sol-lecitato! La prima proposta parlamentare di inserimento dei reati ambien-tali nel codice penale risale al 1997. Con l’ultimo governo Prodi eravamo arrivati a un passo dal risultato finale: una proposta di legge bipartisan che rispondeva alle esigenze fondamentali e alle richieste di chi si batte da sem-pre contro le ecomafie. Che delusione!Il governo ha approvato uno schema di decreto (al momento in cui scrivo in attesa di parere dalle Commissioni parlamentari) che rappresenta una vera e propria “occasione mancata”.Per quanto già la legge delega imponesse limiti eccessivi alle modifiche da apportare all’attuale regime giudiziario, lo schema di decreto è riuscito a eludere ogni intervento significativo tranne che per la responsabilità am-ministrativa delle persone giuridiche. Misura contro cui molto ha protesta-to Confindustria, avendo dalla sua una sola ragione: così come è concepi-to lo schema, per le imprese aumentano gli adempimenti formali senza al-cun reale passo avanti nell’azione di prevenzione e nelle sanzioni penali per i reati ambientali. Ma la questione fondamentale è che lo schema elude lo spirito e la lettera della Direttiva europea (Ue 99/2008). Si rimane infat-ti nel solco delle fattispecie contravvenzionali, senza riuscire a individuare i delitti, con l’effetto di continuare a tenere le forze che devono indagare e reprimere con le armi spuntate: nessuna possibilità di utilizzare le intercet-tazioni telefoniche e ambientali, impossibilità delle rogatorie internaziona-li, tempi brevissimi di prescrizione.

presentazioneVittorio Cogliati Dezza, presidente nazionale Legambiente

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Poco o nulla cambia. Per il reato di discarica abusiva e omessa bonifica l’am-menda sale da 2.600 euro a 26.000, per una cava abusiva o l’inquinamento dell’aria al massimo si arriva a 1.032 euro, per lo sversamento in corpi idri-ci di acque reflue industriali l’ammenda raggiunge i 52.000 euro. Mentre non si prevede nulla per i reati relativi al ciclo del cemento.Un’occasione persa non solo perché ci si rifiuta di inserire nel codice penale, sotto uno specifico titolo “delitti contro l’ambiente”, quei reati ambientali che oggi sono sparsi in diversi testi unici, decreti, codici, ma anche perché mancano del tutto all’appello alcuni reati come inquinamento ambientale, disastro ambientale, frode ambientale, delitto ambientale in forma organiz-zata e ancora il ripristino dello stato dei luoghi e il ravvedimento operoso.Un’occasione perduta, tanto più che, come racconta questo rapporto Eco-mafia, nonostante cresca l’azione di contrasto e repressione di magistrati e forze di polizia, non accenna a diminuire la pressione delle mafie sul si-stema paese.Recentemente, e di nuovo, Banca d’Italia ha rilanciato il suo allarme sul peso dell’economia illegale e sul rischio che la crisi la renda ancora più for-te e pervasiva, registrando come già oggi l’anomalia italiana comporta che il riciclaggio vale il 10% del Pil contro il 5% nel resto del mondo sviluppa-to. E non sono da sottovalutare gli appelli lanciati dal presidente del Con-siglio in campagna elettorale a Napoli quando ha promesso nuove garan-zie per gli abusivi (questo dopo che nei primi sei mesi del 2010 erano falli-ti ben 8 tentativi da parte di parlamentari campani di ottenere, sotto varie forme, un nuovo condono edilizio).Eppure la capacità delle mafie di aggirare i rarefatti ostacoli che la legisla-zione italiana mette in campo si fa sempre più sofisticata, anche nel setto-re dei rifiuti, dove emerge un’estensione sempre più allarmante del feno-meno che corrompe anche le imprese sane. Qui, infatti, esiste il delitto di traffico illecito di rifiuti, ma convive con altri reati (come quello di discari-ca abusiva, che abbiamo visto, o di declassificazione del rifiuto) che riman-gono di natura contravvenzionale e quindi impediscono un’efficace azio-ne di indagine.Come pure si conferma, nel rapporto, che il fenomeno delle ecomafie, se-guendo le tracce della mafia in generale, sempre più riguarda l’intero ter-ritorio nazionale e si basa su connivenze, omertà o esplicite collaborazioni dei cosiddetti colletti bianchi. E si conferma anche che i terreni quantitati-vamente più significativi continuano a essere rifiuti e cemento.Qui non posso esimermi da una annotazione amara.

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Non sarà sfuggito a chi segue con attenzione questi fenomeni che sui prin-cipali mass media nazionali negli ultimi mesi è stata riservata grande atten-zione all’infiltrazione mafiosa nelle energie rinnovabili, eolico prima, fo-tovoltaico dopo. Accendendo quanti più riflettori possibile, utilizzando la verve di più o meno famosi polemisti, per denunciare una nuova pervasiva gigantesca emergenza nazionale, per dire che le rinnovabili sono inquina-te dalle mafie. In Italia abbiamo 200.000 impianti di rinnovabili, se avrete la pazienza di leggere il rapporto vi renderete conto di quante siano effet-tivamente le inchieste in questo settore e quanto pesino: quelle sulle ener-gie rinnovabili rappresentano appena il 5,9% del totale delle inchieste sul-la criminalità ambientale svolte in Italia dal 2007 a oggi. Cui prodest? Vi-sti gli interessi in gioco nella produzione di energia e visto il tentativo di tornare al nucleare la risposta sarebbe fin troppo facile. Ciò non toglie che non ci possiamo permettere, anche per il valore simbolico e strategico che questo settore ha per il futuro del paese, che le rinnovabili vengano mac-chiate dall’illegalità, dalla corruzione, dalle mafie, che i progetti siano fat-ti male o del tutto sbagliati. Noi, oltre a tenere alta l’attenzione sociale rispetto alle infiltrazioni mafiose e ai loro affari illeciti nei settori ambientali, oltre a denunciare ogni sia pur minima illegalità, non possiamo che ribadire, con convinzione, che l’espe-rienza e i successi di questi dieci anni di lotta contro i traffici illeciti di ri-fiuti dimostra quanto sia decisivo che un reato ambientale sia riconosciu-to come delitto e al contempo quanto sia urgente disporre di un quadro organico che punisca i reati ambientali con sanzioni efficaci, proporziona-te, dissuasive come ci chiedeva, e continua a chiederci, l’Unione europea.

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Come un virus, con diverse modalità di trasmissione e una micidiale ca-pacità di contagio. Che avvelena l’ambiente, inquina l’economia, mette in pericolo la salute delle persone, uccide in maniera improvvisa e brutale o, più sottilmente, a distanza di tempo. Un virus con un sistema genetico lo-cale e una straordinaria capacità di connessione su scala globale. Che può nascere in provincia di Caserta o di Reggio Calabria, riprodursi a Milano, entrare in simbiosi con altre cellule a Berlino e Amsterdam, saldare il suo dna con ceppi lontani, fino a Hong Kong. È questa l’immagine che tra-smette la lettura del rapporto Ecomafia 2011. I fenomeni di criminalità ambientale si diffondono, senza incontrare ade-guate resistenze. Così come le organizzazioni che trasformano l’aggressione all’ambiente in una fonte di profitti illeciti, a cominciare da quelle mafiose. La situazione è particolarmente grave nel nostro paese, ancora oggi gravato più di altri dalla presenza pervasiva dei clan e dal peso di altri fenomeni il-legali, strettamente connessi con quelli che denunciamo in questo rappor-to: il riciclaggio di capitali di provenienza illecita che, come ha segnalato recentemente la Banca d’Italia, inciderebbe per circa il 10% del prodotto interno lordo; la corruzione, stimata dalla Corte dei Conti in circa 60 mi-liardi di euro l’anno, una sorta di tassa occulta, come denunciato da Libera, pari a circa 1.000 euro l’anno per ogni italiano; l’evasione fiscale, stimata in circa 50 miliardi di euro nell’ultimo rapporto della Guardia di finanza. Non è azzardato ipotizzare, anche per queste ragioni, che tra le cause della scarsa ripresa economica del nostro paese sia da annoverare proprio il far-dello rappresentato dall’ecomafia e dalla criminalità ambientale in genere. Fenomeni come il ciclo illegale dei rifiuti e il ciclo illegale del cemento, su cui torneremo più avanti, determinano impressionanti sottrazioni di risor-se naturali, danni ambientali persino difficilmente quantificabili, gravi di-storsioni dell’economia, con significativi contraccolpi sulle possibilità di crescita per le imprese virtuose. Semmai stupisce che finora, nonostante i

premessaEnrico Fontana e Antonio Pergolizzi

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ripetuti allarmi, poco o nulla sia stato fatto sul versante della prevenzione e degli strumenti indispensabili per prosciugare il “brodo di cultura” del vi-rus ecomafioso. Che si diffonde e si moltiplica approfittando di gravi sot-tovalutazioni, molte complicità e troppi silenzi. Anche davanti a cifre e fat-ti che non dovrebbero consentire distrazioni.

i numeriNell’anno delle celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia, c’è anche una strada che unisce il nostro paese da un capo all’altro. È quella dell’ecoma-fia: una strada di 82.181 tir carichi di rifiuti, uno dietro l’altro, lunga 1.117 chilometri: più o meno da Reggio Calabria a Milano. L’interminabile auto-colonna è il frutto di un calcolo abbastanza semplice e sicuramente sottosti-mato. La fonte è rappresentata, infatti, dai dati disponibili su appena 12 del-le 29 inchieste per traffico illecito di rifiuti messe a segno dalle forze dell’or-dine nel corso del 2010. In queste operazioni sono state sequestrate oltre 2 milioni di tonnellate di rifiuti speciali e pericolosi, che a una media di circa 25 tonnellate a tir “compongono” la nostra immaginaria, ma non troppo, “strada dell’ecomafia”. Sono numeri che, come già accennato, rappresentano sicuramente per difetto la realtà dei traffici illeciti di rifiuti nel nostro paese. Non solo perché i quantitativi sequestrati sono disponibili per meno della metà delle inchieste ma anche perché, com’è noto, viene normalmente indi-viduata solo una parte delle merci trafficate illegalmente o delle sostanze ille-cite messe in commercio. E questo vale, ovviamente, anche per la monnezza.La “strada dell’ecomafia”, nel suo lungo percorso, attraversa anche un al-tro luogo immaginario ma non troppo, frutto dell’elaborazione effettua-ta quest’anno da Cresme Consulting sul fenomeno dell’abusivismo edili-zio. Sono 26.500 i nuovi immobili abusivi stimati nel 2010. In leggeris-sima flessione rispetto al 2009, quando erano stati 27.000. Depurandoli delle trasformazioni d’uso (tipo i capannoni artigianali che diventano abi-tazioni di lusso) e degli ampliamenti, che consumano poca superficie, ne viene fuori una vera e propria cittadina illegale, con 18.000 abitazioni co-struite ex novo e la cementificazione di circa 540 ettari. Ovvero 540 campi di calcio uno accanto all’altro.Ancora più significativi, anche in termini di effettiva rappresentazione dei fenomeni reali, sono i numeri relativi all’attività di contrasto dell’illegali-tà ambientale svolta nel 2010. Quest’anno, accanto ai dati forniti tradizio-nalmente dalle forze dell’ordine, abbiamo raccolto anche quelli elaborati da 60 corpi di Polizia provinciale su 110 (nel precedente rapporto erano

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48). Gli illeciti accertati sono stati 30.824, con un incremento del 7,8% rispetto 2009: più di 84 reati al giorno, 3,5 ogni ora. I reati relativi al ciclo illegale dei rifiuti (dalle discariche ai traffici illeciti) e a quello del cemen-to (dalle cave all’abusivismo edilizio) rappresentano da soli il 41% sul to-tale, seguiti dai reati contro la fauna, (19%), dagli incendi dolosi (16%), da quelli nella filiera agroalimentare (15%), mentre tutti le altre tipologie di violazioni non superano complessivamente il 6% degli illeciti accertati. La Campania continua a occupare il primo posto nella classifica dell’illega-lità ambientale, con 3.849 illeciti, pari al 12,5% del totale nazionale, 4.053 persone denunciate, 60 arresti e 1.216 sequestri, seguita quest’anno dalle altre regioni a tradizionale presenza mafiosa: nell’ordine Calabria, Sicilia e Puglia. Qui si consuma circa il 45% dei reati ambientali denunciati dal-le forze dell’ordine nel 2010. Un dato significativo ma in costante flessio-ne rispetto agli anni precedenti, in virtù della crescita, parallela, dei reati in altre aree geografiche. Si segnala, in particolare, nel 2010 quella nord occi-dentale, che si attesta al 12% a causa del forte incremento degli illeciti ac-certati in Lombardia. Dietro questi numeri c’è l’impegno, costante, di tut-te le forze dell’ordine: il lavoro svolto in generale dal Corpo forestale dello Stato e da quelli delle regioni a statuto speciale, soprattutto per quanto ri-guarda il ciclo illegale del cemento; l’attività d’indagine sviluppata dal Co-mando tutela ambiente dell’Arma dei carabinieri soprattutto per quanto riguarda i traffici illegali di rifiuti; l’incremento significativo dei reati de-nunciati dalle Capitanerie di porto, quasi raddoppiati rispetto al 2009; l’a-zione della Guardia di finanza sul versante delle frodi ambientali e dell’ac-certamento dei danni erariali; quella in crescita, anche come risultati, dell’A-genzia delle dogane e in particolare dell’Ufficio antifrode contro i traffici internazionali di rifiuti (11.400 le tonnellate sequestrate nel 2010, con un incremento del 35% rispetto al 2009) e di specie protette; l’attenzione cre-scente della Polizia di Stato (anche qui con un significativo aumento de-gli illeciti accertati) e quella diffusa sul territorio delle diverse Polizie pro-vinciali. Attività a cui si deve aggiungere il lavoro svolto, come sempre, dal Comando carabinieri per la tutela del patrimonio culturale (che nel 2010 ha portato al recupero o al sequestro di beni per 216 milioni di euro) e il contributo specifico, che pubblichiamo anche quest’anno, della Direzione investigativa antimafia, impegnata in particolare nell’analisi dei fenomeni d’infiltrazione dei clan nel ciclo dei rifiuti. A tutti va il nostro sincero rin-graziamento, anche per i sacrifici svolti in questa fondamentale attività in difesa della legalità e dell’ambiente in cui viviamo.

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“Illuminare” sempre meglio il contesto dell’illegalità ambientale diffusa consente anche di individuare, con maggiore precisione, l’effettiva presen-za delle organizzazioni criminali nelle diverse “filiere” dell’ecomafia: i clan censiti sono 290, ben 20 in più rispetto al 2009. In leggera flessione, invece, il “fatturato” stimato quest’anno, che si attesta intorno ai 19,3 miliardi di euro, circa 1,2 miliardi in meno rispetto al 2009. Una flessione attribuibile sia al diverso calcolo del business relativo ai traffici illegali di rifiuti sia alla modesta contrazione dell’abusivismo edilizio. Un capitolo a parte, invece, è quello relativo all’agromafia, il cui introito si aggirerebbe nel 2010 intorno ai 7,5 miliardi di euro, secondo la Confederazione italiana dell’agricoltura. Di fronte a questi numeri, che fotografano una situazione a dir poco pre-occupante, deve far riflettere l’eccesso di enfasi che, a nostro avviso, ha ac-compagnato altre vicende giudiziarie, pure importanti, sul versante delle energie rinnovabili. In questo rapporto abbiamo dedicato un capitolo spe-cifico ai rischi d’infiltrazioni mafiose nella grande e positiva stagione di cre-scita dell’eolico, in particolare, e del solare fotovoltaico nel nostro paese. Si tratta dell’aggiornamento costante di un lavoro di ricerca e di analisi co-minciato nel 2008, quando le stesse inchieste della magistratura muoveva-no i primi passi e di mafie nella cosiddetta green economy si parlava poco. Non ci sfuggiva, studiando ormai da oltre quindici anni le modalità opera-tive con cui le organizzazioni criminali in genere e quelle mafiose in parti-colate cercano di sfruttare l’ambiente per ricavarne profitti illeciti, il peri-colo concreto di un interesse di questi soggetti verso una nuova possibilità di business. Abbiamo analizzato e denunciato i fattori di rischio, presenta-to proposte concrete ma, soprattutto, cercato di ricondurre l’attenzione e il dibattito su una questione così delicata e importante, anche per il futuro del nostro paese, in un contesto serio e credibile. In questo rapporto, ac-canto a un aggiornamento delle indagini ancora in corso, ovviamente sul-la base delle notizie pubbliche disponibili, presentiamo per la prima vol-ta un’analisi ponderata dell’effettiva incidenza delle inchieste relative alle energie rinnovabili sul complesso di quelle che riguardano i fenomeni di criminalità ambientale. Il periodo preso in esame va dal 2007, quando co-minciano a emergere i primi risultati investigativi, ai primi mesi del 2011. Nel conteggio delle indagini sulla criminalità ambientale ci siamo limita-ti a considerare quelle con reati particolarmente gravi, come l’associazione a delinquere semplice e quella di stampo mafioso; per quanto riguarda le inchieste sulle energie rinnovabili abbiamo preso in esame, invece, tutte le ipotesi di reato contestate. Ebbene, l’attività delle forze dell’ordine e del-

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la magistratura ha riguardato la progettazione, in prevalenza, o la realizza-zione di impianti eolici e fotovoltaici solo per il 5,9% dei casi. Il 43% del-le inchieste ha riguardato il ciclo illegale del cemento, il 40,8% quello dei rifiuti, il 10,3% il racket degli animali.A leggere spesso le prime pagine dei giornali sembrerebbe, al contrario, che magistrati e forze dell’ordine non facciano altro che scoprire infiltrazioni mafiose (che pure ci sono state), episodi di malaffare (denunciati) o altre forme d’illegalità commesse da chi investe nella produzione di energia da fonti rinnovabili. Così non è, come dimostrano i numeri. Anche se questo non significa, in alcun modo, che non si debba tenere la guardia altissima, proprio per stroncare sul nascere qualsiasi appetito criminale, individuan-do meglio le strategie messe in campo da chi vuole “inquinare” le energie pulite, i punti di attacco possibili, gli interventi di carattere preventivo, an-che sotto il profilo delle procedure autorizzatorie. Vorremmo soltanto che almeno la stessa attenzione venisse dedicata a quei fenomeni criminali, co-me i traffici illeciti di rifiuti o l’industria del cemento illegale, che rappre-sentano sicuramente una minaccia molto più grave e diffusa per il nostro paese di qualche ecofurbo.

sistemi criminaliA concludere affari con l’ecomafia è anche un vero e proprio esercito di col-letti bianchi e imprenditori collusi. Ampia disponibilità di denaro liquido (e di ingenti patrimoni da far fruttare) da una parte, competenze profes-sionali e società di copertura dall’altra, hanno trovato nel business ambien-tale una perfetta quadratura. I “sistemi criminali” descritti in queste pagi-ne da un magistrato di grande esperienza e acume investigativo come Ro-berto Scarpinato sono la miglior chiave di lettura per capire l’ecomafia di oggi. I “sistemi criminali”, spiega il magistrato, sono network illegali com-plessi dei quali fanno parte soggetti appartenenti a mondi diversi: politici, imprenditori, professionisti, mafiosi tradizionali. Il “sistema nervoso” che mette in comunicazione tra loro tutti i soggetti è costituito dagli uomini cerniera, i cosiddetti “colletti bianchi”, persone con un curriculum di ri-spettabilità, sociale ed economica. Senza il loro concorso, molti affari ille-gali non si potrebbero neppure immaginare. È in questo “sistema” che il virus si modifica, cambia strategia di diffusio-ne, cerca di diventare invisibile agli “anticorpi”. A Milano si fa fatica per-sino a seguire gli sviluppi di tutte le inchieste per infiltrazioni mafiose; in Toscana gli appalti pubblici solleticano gli appetiti delle “cricche”; in Cam-

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pania le cosche scelgono a tavolino chi diventerà sindaco e chi consigliere, mentre un tranquillo comune ligure, Bordighera, in provincia di Imperia, viene sciolto per pesanti condizionamenti mafiosi, lasciando tutti di sasso: è il secondo comune del Nord, dopo Bardonecchia, in Piemonte, a subi-re un provvedimento così grave. Non a caso, sempre a Bordighera, vengo-no sequestrati dalla Direzione investigativa antimafia, il 26 maggio scorso, beni per circa 9 milioni di euro appartenenti a una famiglia di imprendito-ri considerata “egemone” nel settore degli scavi e dei movimenti terra, con l’acquisizione di appalti e sub-appalti per opere pubbliche.L’accumulazione illecita di ricchezza nei “sistemi criminali” raggiunge li-velli inimmaginabili. Poco prima di chiudere questa edizione del rapporto, la mattina del 10 maggio, la Guardia di finanza di Napoli e Roma arresta sette persone con l’accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso, mettendo sotto sequestro 900 immobili e 23 aziende, per un ammontare complessivo di oltre 600 milioni di euro. Secondo quanto emerso dalle in-dagini, gli arrestati risponderebbero direttamente ai vertici del clan Mallar-do, che aveva costituito numerose società nelle province di Roma e Napo-li, scelta inevitabile per “lavare” e investire le ingenti risorse derivanti dai traffici illeciti. 300 di questi immobili si trovano a Roma. Quella dei Mal-lardo è una vecchia conoscenza dei nostri rapporti: un clan capace di crea-re un vero e proprio sistema di potere attorno alla gestione dei rifiuti, tra i principali responsabili dell’inferno in cui è precipitata da più di un decen-nio la Campania. Un clan talmente potente che, secondo le dichiarazione del collaboratore di giustizia (ex imprenditore dei rifiuti ed ex socio d’affa-ri del clan dei Casalesi) Gaetano Vassallo, sarebbe stato in grado di condi-zionare le stesse scelte politiche prese dal comune di Giugliano e dall’am-ministrazione regionale. “Il clan esprime il proprio sindaco – spiega Vassal-lo ai magistrati – o vari consiglieri comunali che tutelano gli interessi della criminalità all’interno dell’amministrazione comunale. Talvolta si opta per far eleggere un sindaco con la faccia pulita, lontano dalle logiche dei clan, ma poi si fa in modo che accanto a lui ci siano assessori e consiglieri diret-tamente collegati ai clan”. E ancora: “L’influenza del clan è determinante sulla vita politica perché si estende alla gestione dei lavori degli organi co-munali. Se qualche consigliere comunale non è d’accordo sulle decisioni prese dal clan, viene convocato da Mallardo che lo obbliga alle dimissio-ni. Tre, quattro anni fa, Mallardo aveva disposto l’azzeramento del consi-glio comunale perché aveva costretto alle dimissioni moltissimi dei consi-glieri che non avevano appoggiato i progetti a lui graditi. Si potrebbe dire

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che a Giugliano il consiglio comunale non è sciolto dal prefetto, ma da Fe-lice Mallardo”. Gestire i comuni, come ricorda Toni Mira nel suo capitolo sulle amministrazioni sciolte per mafia, significa mettere le mani sui soldi pubblici, decidere appalti, indirizzare lo sviluppo urbanistico, decidere che fare della spazzatura prodotta dai cittadini e così all’infinito. Seguendo il filo del racconto attraverso i precedenti rapporti Ecomafia è possibile tracciare la storia dei Mallardo, così come quella di tanti altri clan. È da qui, da Giugliano, che il clan, secondo gli inquirenti, si è spinto fino nel Lazio, dilagando nel resto d’Italia. Ed è pure qui, a Giugliano, che Le-gambiente, con Raffaele Del Giudice, costituisce da tempo un presidio di legalità per la maggioranza dei cittadini onesti, dove una scuola, la Peppi-no Impastato, insegna il valore della propria terra tanto martoriata, quan-to vale una pesca e quanto non vale nulla un uomo di camorra. Un luogo simbolo, dunque, che serve per capire la forza dell’ecomafia che abbraccia l’intero paese, ma anche la risposta della società civile, che pure c’è, anche se più taciuta, e che la battaglia è tutt’altro che persa.

il ciclo dei rifiutiAnche il 2010 è un anno da record per le inchieste sull’unico delitto am-bientale, quello contro i professionisti del traffico illecito di veleni (art. 260 Dlgs 152/06): sono state ben 29, con l’arresto di 61 persone e la denuncia di 597 e il coinvolgimento di 76 aziende. Altre 6 inchieste di questo tipo si sono svolte nei primi quattro mesi del 2011, mentre in totale – cioè dal-la sua entrata in vigore nel 2002 a oggi – sono salite a quota 183. Il feno-meno si è ormai allargato a tutto il paese, consolidandosi in strutture ope-rative flessibili e modulari, in grado di muovere agevolmente tonnellate di veleni da un punto all’altro dello stivale. I numeri e i dati relativi alle attività d’indagine svolte sui traffici illeciti non esauriscono l’azione di contrasto dei fenomeni di smaltimento illegale. Sem-pre nel corso del 2010, le forze dell’ordine hanno accertato circa 6.000 il-leciti relativi al ciclo dei rifiuti (circa un reato ogni 90 minuti). La classifi-ca a livello nazionale è guidata, anche in questo caso, dalle quattro regio-ni a tradizionale presenza mafiosa (nell’ordine Campania, Puglia, Calabria e Sicilia), ma cresce anche il numero di reati accertati nel Lazio e in Lom-bardia. In questo contesto suscitano francamente serie perplessità i nume-ri elaborati nell’ultimo rapporto dell’Ispra (l’Istituto superiore per la pro-tezione e la ricerca ambientale) relativi ai rifiuti speciali: il nostro sarebbe un sistema così virtuoso da gestire 4,6 milioni di tonnellate in più rispet-

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to ai rifiuti prodotti. Non è questa la sede per un’analisi di dettaglio (so-lo a titolo esemplificativo, tra i rifiuti “gestiti” vengono classificate anche 19 milioni di tonnellate che, in realtà, transitano nei centri di stoccaggio o di trattamento) né Legambiente ha alcuna intenzione di farsi trascinare in un defatigante balletto di cifre, ma alcuni riferimenti ai risultati già emersi dalle inchieste sui traffici illegali di rifiuti dovrebbero indurre, quantome-no, a una più attenta riflessione sulla realtà effettiva del nostro paese. Dove i rifiuti, sia speciali sia urbani, continuano a scorrere copiosi da una parte all’altra, alimentando la fantasia e i conti correnti dei trafficanti.A Pavia, per esempio, nell’inchiesta “Dirty Energy”, secondo gli inquiren-ti un impianto di incenerimento da fonti rinnovabili derivanti da biomas-sa veniva invece usato per bruciare ogni genere di pattume, incassando pu-re i contributi pubblici: gli investigatori hanno stimato entrate illegali pa-ri a circa 30 milioni di euro. Alle volte non è nemmeno chiaro cosa è uno scarto e cosa un bene riven-dibile sul mercato. L’inchiesta “Eurot” della procura di Prato, infatti, sve-la che il filo che lega la Toscana con la Campania è fatto di stracci, nel ve-ro senso della parola. Qui un clan mafioso di Ercolano, servendosi di un’a-zienda di Montemurlo, operativa in pieno distretto tessile, rastrellava gli abiti vecchi dalle campane della raccolta, una parte li rivendeva nei merca-tini di Ercolano, il resto lo destinava come combustibile per i roghi appic-cati nelle discarica abusive della camorra. Dove ci sono rifiuti c’è sempre qualcuno che ha la sua ricetta facile di smal-timento, illegale, ovviamente. Da Ascoli Piceno a Montenero di Bisaccia, da Brescia a Reggio Emilia, da Palermo a Cunevo, da Chieri a Teramo, il copione svelato dagli investigatori è sempre lo stesso. Si fanno carte false e si spediscono lungo le rotte illegali, che possono anche essere marine e spin-gersi fino in Cina. Dai porti di Venezia, Napoli, Gioia Tauro, Genova. E anche da Cagliari, dove i carabinieri la scorsa estate hanno scoperto un’or-ganizzazione ben strutturata che spediva carichi di rifiuti elettrici ed elettro-nici (Raee) verso Cina, Malesia, Pakistan, Nigeria, Congo. L’Agenzia delle dogane, grazie al lavoro di analisi svolto dall’Ufficio antifrode e alla colla-borazione con le forze di polizia, ha inoltrato alle autorità competenti più di 100 notizie di reato per traffico internazionale di rifiuti (art. 259 Dlgs 152/06) e sequestrato nei porti italiani, come già accennato, ben 11.400 tonnellate di rifiuti industriali, la maggior parte costituiti da carta, plastica, gomme e pneumatici, metalli, parti di autoveicoli, Raee. Il 60% di questi diretti in Cina, il 12% in Corea del Sud, il 10% in India, il 4% in Malesia

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e così via. Nell’attività dei doganieri si può leggere in controluce la specia-lizzazione nelle gestione illegale degli scarti tra paesi: dove in quelli asiati-ci arriva la maggior parte di plastica, carta e Raee, mentre in quelli africa-ni arrivano soprattutto rottami ferrosi e parti di autoveicoli non bonificati. L’attività di contrasto, sempre più efficace, richiede anche una maggiore attenzione per quanto riguarda un altro aspetto, tutt’altro che secondario: le tonnellate di rifiuti sequestrate continuano ad accumularsi sulle banchi-ne portuali, a un ritmo sempre crescente. Con il paradosso che le doga-ne si stanno trasformando velocemente in immense discariche costellate di container colmi d’immondizia. Una parte diventata materiale probatorio a disposizione dei magistrati nelle inchieste, un’altra parte il risultato della scarsa collaborazione con le autorità competenti – che dopo i sequestri so-no le regioni e le province autonome – che di solito nemmeno rispondo-no ai solleciti dei funzionari doganali di prendere in gestione il carico se-questrato, magari rivalendosi quando è possibile nei confronti dei respon-sabili dei traffici illeciti. Nella denuncia dei fenomeni d’illegalità cresce, fortunatamente, anche il ruolo delle imprese sane e di chi le rappresenta. È il caso della società con-sortile Ecopneus, impegnata nel recupero e nel riciclo di pneumatici fuo-ri uso (Pfu) che ha presentato insieme a Legambiente un primo dossier al-la fiera Ecomondo, nel novembre dello scorso anno, sui traffici e gli smal-timenti illegali di questa tipologia di rifiuti, dossier che è stato aggiornato in questo rapporto. Com’è da segnalare l’attività svolta dal consorzio Polie-co, in collaborazione con le forze dell’ordine e l’Agenzia delle dogane, per quanto riguarda i traffici internazionali di polietilene post raccolta.La dimensione globale del business illegale dei rifiuti ha anche altre conse-guenze. Nei paesi di destinazione, come la Cina, arrivano scarti contami-nati da sostanze pericolose che, senza alcuna procedura di sicurezza, ven-gono “trattati” fino a diventare nuovi oggetti, anche griffati, rispediti sui nostri mercati. Oggetti di consumo quotidiano, scarpe, vestiti, piccoli elet-trodomestici, persino biberon.È una giostra infernale in cui la criminalità organizzata italiana, soprattut-to la camorra, si sta affiancando ai boss cinesi per esportare milioni di con-tainer di monnezza dall’altra parte del globo e importare altrettanti carichi di merce contraffatta. I principali porti di esportazione si sono rivelati an-che nel 2010 Taranto, Venezia, Napoli, La Spezia,Trieste e Ancona. Se-condo un’inchiesta giudiziaria della procura di Santa Maria Capua Vete-re, della fine di gennaio di quest’anno, all’ombra dello scalo marittimo na-

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poletano si sarebbe costituito un vasto giro criminale che inviava materiale di scarto da smaltire e riciclare, camuffato da materia prima, nelle imprese del lontano oriente. Un giro d’affari miliardario, dietro al quale pare che ci sia anche il clan dei Casalesi. Di solito, in Italia il percorso criminale transfrontaliero inizia dalle gran-di piattaforme logistiche che rastrellano ogni genere di scarto, anche quel-li provenienti dalla raccolta differenziata di regioni come il Piemonte o il Veneto, per destinarli all’estero (quasi sempre con la dicitura falsa di sot-toprodotti). Per far perdere le tracce dei flussi, i carichi tossici passano di mano in mano, da un intermediario a un altro, da un paese a un altro: Ita-lia-Germania-Olanda-Hong Kong-Cina, un percorso tipico. Cinque, sei, sette passaggi per ogni carico, è questa la regola. Un caso emblematico è quello successo nei primi giorni dello scorso mese di dicembre, quando il Corpo forestale dello Stato ha scoperto un’organizzazione criminale spe-cializzata nel traffico illecito transfrontaliero di rifiuti pericolosi, da Reg-gio Emilia verso vari paesi africani. L’operazione ha portato al sequestro in vari comuni reggiani di container pieni di frigoriferi, fotocopiatrici, cuci-ne a gas, parti di autovetture. I carichi, senza aver subito alcuna operazio-ne di trattamento, erano parcheggiati nei cortili di abitazioni private, i cui proprietari sono stati denunciati, e pronti per essere spediti oltre confine.

il ciclo del cementoDai centri commerciali all’abusivismo speculativo. Dal controllo sui can-tieri delle opere pubbliche alla gestione monopolistica, su interi territori, delle materie prime, come sabbia e ghiaia, e della produzione di calcestruz-zo. Ma soprattutto tanta, troppa illegalità e connivenza nella pubblica am-ministrazione. Prima di scorrere i numeri e le storie raccolte in questo rap-porto Ecomafia 2011 vale davvero la pena di riassumere gli sviluppi di una vicenda già segnalata nella precedente edizione. Raccontammo, un anno fa, di come il comune di Reggio Calabria avesse approvato, con voto una-nime, la relazione conclusiva della commissione guidata da Nuccio Barillà, dirigente storico di Legambiente, che faceva finalmente luce, con una co-raggiosa e puntuale operazione di trasparenza, sulle cause e sulle responsa-bilità di un diffuso abusivismo edilizio. Il 25 maggio scorso, la procura di Reggio Calabria ha arrestato, con accuse che vanno dall’associazione a de-linquere alla concussione, nove persone, tra funzionari comunali dell’ur-banistica e dell’edilizia e professionisti. “Le indagini sotto il profilo squi-sitamente penale risalgono al 2009 – ha spiegato il procuratore di Reggio

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Calabria, Giuseppe Pignatone – perché utilmente già nel 2008 l’ammini-strazione comunale aveva istituito una Commissione d’inchiesta sull’anda-mento degli uffici”, quella presieduta dall’allora consigliere comunale Nuc-cio Barillà, che aveva portato al trasferimento di 48 impiegati e funzionari, tra cui alcuni di quelli arrestati dalla procura. “Le intercettazioni ambienta-li – ha aggiunto il procuratore – hanno fatto emergere uno spaccato di gra-vissima illiceità, di certificati falsi, di titoli di proprietà dubbi, di certifica-zioni rilasciate solo dietro il pagamento di tangenti.” Si parte dai 300 euro per una variazione catastale fino ai 3.000 per la sanatoria di un immobile fantasma. Un vero e proprio “sistema di potere affaristico e illegale”, come l’ha definito il procuratore Pignatone svelato anche grazie al lavoro svolto, in maniera puntuale e coraggiosa, da Nuccio Barillà. Ci auguriamo che sia di esempio per tanti amministratori pubblici e rappresentanti delle istitu-zioni, non solo nel Mezzogiorno.Purtroppo il discorso non vale per altri comuni e altre parti d’Italia. Gli uf-fici tecnici comunali, infatti, stanno assumendo un ruolo sempre più de-terminante nell’assecondare, e alle volte incoraggiare, il malaffare: in molti casi, da presidi di legalità si sono trasformati in avamposti criminali. Non a caso continuano a crescere i comuni sciolti per infiltrazioni mafiose.La “materia prima”, purtroppo, non manca. Nel 2010 sono stati accertati 6.922 illeciti in campo edilizio, con 9.290 persone denunciate, più di una ogni ora. Proprio la Calabria è la prima regione come numero d’infrazioni (945) seguita dalla Campania, dove si registra il maggior numero di persone denunciate (1.586) e dal Lazio. Secondo le stime del Cresme, nel 2010 sono stati 26.500 i casi gravi di abusivismo, tra nuove costruzioni (18.000), am-pliamenti e cambiamenti di destinazioni d’uso. La flessione rispetto al 2009, come già accennato è minima (allora gli abusi erano stati stimati in 27.000) ma il dato è ancora più significativo se confrontato con il vero e proprio tra-collo dell’industria del mattone, che nello stesso periodo ha perso circa il 22,4% in termini di volumi realizzati. Anche per questa sostanziale “imper-meabilità” del cemento illegale rispetto alla crisi del mercato, oltre che per le ragioni relative alla credibilità delle istituzioni e al rispetto della legalità, è davvero inaccettabile il ripetuto tentativo di procedere alla sanatoria, in par-ticolare nella provincia di Napoli, di case e immobili costruiti abusivamente. Semmai, al contrario, si tratta di rendere ancora più efficace l’azione di carat-tere preventivo e repressivo, dal sequestro dei cantieri fino all’abbattimento dei manufatti, come sta facendo, per ciò che le compete, la procura di Napo-li. Il prezzo pagato dal nostro paese, da tutti i punti di vista, ai tre sciagurati

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condoni edilizi che si sono succeduti finora è fin troppo alto per aggiunger-ci ulteriori “dazi” da riconoscere in cambio di consensi politici ed elettorali. In Italia, come se non bastasse, si continua a costruire abusivamente e fuo-ri controllo in un territorio ad alto rischio idrogeologico. Due casi su tut-ti. Sempre la Calabria, regione con il 100% dei comuni interessati da aree a rischio idrogeologico è solcata da torrenti e fiumare, ma questo non è un monito sufficiente a bloccare l’avanzata del cemento, abusivo. Uno studio commissionato dalla regione Calabria al riguardo parla di “emergenza ur-banistica”. Lungo la costa è accertato un abuso ogni 100 metri, 5.210 in tutta la regione e 2.000 nella sola provincia di Reggio Calabria. La Cam-pania dal 1950 al 2008 è stata fra le regioni più colpite da eventi franosi, piangendo anche 431 vittime, e da inondazioni con 211 vittime. Ebbene, in un così fragile territorio in soli dieci anni sono state realizzate 60.000 case abusive, 6.000 ogni anno, 16 al giorno. Per capire quanto sia a rischio idrogeologico l’Italia, bastano poche, ma preoccupanti, cifre: 3,5 milioni di persone vivono in zone esposte al pericolo di frane o alluvioni, circa il 6% dell’intera popolazione. Secondo uno studio del Ministero dell’Ambiente del 2008, sono ben 6.633 i comuni in cui sono presenti aree ad alta critici-tà idrogeologica, l’82% del totale delle amministrazioni comunali italiane.

l’agromafiaAnche in questa edizione del nostro rapporto Ecomafia abbiamo voluto de-dicare un’attenzione significativa al fenomeno della cosiddetta agromafia. La qualità delle nostre produzioni agricole e alimentari, insieme alla bel-lezza del paesaggio e allo straordinario patrimonio di biodiversità, rappre-sentano una delle principali risorse su cui fare affidamento, anche e soprat-tutto in tempi di crisi economica. E la salvaguardia di questa “ricchezza” di fronte ai diversi fenomeni di aggressione criminale rappresenta, anche per la nostra associazione, una priorità. Vale la pena, come sempre, di comin-ciare dai numeri. Le frodi alimentari sono state al centro dell’intenso lavo-ro di tutte le forze dell’ordine, in particolare il Comando carabinieri per la tutela della salute e il Nucleo agroalimentare e forestale del Corpo foresta-le dello Stato. Nel 2010 sono state 4.520 le infrazioni accertate nel settore, 2.557 le denunce e 47 gli arresti; mentre il valore dei sequestri ha raggiun-to una cifra che supera i 756 milioni di euro. Il maggior numero di reati è stato riscontrato nel settore delle carni e allevamenti (1.244), della risto-razione (1.095) e dei prodotti alimentari vari. Le strutture chiuse e seque-strate sono state 1.323 con il sequestro di quasi 24 milioni di chili/litri di

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premessa 31

merci. Secondo la Cia il fatturato si aggira intorno ai 7,5 miliardi di euro. Per capire i rischi per la salute pubblica basti ricordare che lo scorso settem-bre, in una sola operazione i carabinieri dei Nas hanno sequestrato in un magazzino di una ditta di Verona – specializzata nella fornitura di ovopro-dotti destinati a note industrie dolciarie nazionali – 10 milioni e 300.000 uova, per un valore di 2 milioni di euro; merci “conservate a temperature non idonee, con percolati di uova rotte, tra insetti, roditori e relativi escre-menti”. Se non fossero intervenuti i Carabinieri quelle uova marce sareb-bero finiti nei panettoni venduti nel periodo natalizio. Ancora i Nas nel-lo stesso mese hanno sequestrato 5 tonnellate di prodotti formaggi e semi-lavorati, non solo in cattivo stato di conservazione, ma anche contenenti 13 kg di perossido di benzoile, una sostanza chimica che è utilizzata per sbiancare i denti e che è assolutamente vietata nelle produzioni alimentari.

Risultati straordinari anche in tema di repressione dei crimini contro gli animali, sia quelli domestici sia quelli protetti dalla Convenzione Cites. L’ultima inchiesta (fine aprile) contro le corse clandestine di cavalli ha per teatro Messina e provincia, denominata “Pista di sabbia”. Oltre alle com-petizioni illegali, sono stati contestati i reati di maltrattamenti (compreso l’utilizzo illegale di sostanze dopanti) che in diversi casi hanno causato la morte degli animali.Con una iniziativa positiva da sottolineare in questo campo. Visto che spes-so i cavalli una volta sequestrati alla malavita rimangono in custodia nelle loro mani – poiché non ci sono strutture adeguate per accoglierli – Legam-biente, in collaborazione con la questura di Messina, ha creato all’interno del Parco dei Nebrodi un progetto sperimentale di recupero e riabilitazione denominato “Galoppo libero”: per liberare, stavolta veramente, gli anima-li dai loro aguzzini. I primi due “fortunati” cavalli sono stati prelevati dal rione Giostra di Messina, uno dei posti più frequentati dalla “mafia delle corse”, dove quasi ogni notte lo scalpiccìo si fa assordante.

le proposteIl nostro paese non può lasciare da soli le donne e gli uomini delle forze dell’ordine e della magistratura, i rappresentanti delle associazioni, gli am-ministratori e gli imprenditori onesti che ogni giorno scelgono d’impegnar-si, ciascuno nel proprio ruolo, nella difesa dell’ambiente. Ancora oggi, pur-troppo, a questa scelta, spesso coraggiosa, non corrisponde un’adeguata at-tenzione da parte di chi ha responsabilità politiche e istituzionali. Anche se

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qualche esempio positivo, fortunatamente, non manca. La competenza af-fidata alla Direzione nazionale antimafia in materia di traffico illecito di ri-fiuti, come ricorda lo stesso procuratore nazionale Pietro Grasso nella sua prefazione, rappresenta una novità da sfruttare per dare maggiore slancio ed efficacia all’azione investigativa in questo delicato settore. Dal punto di vista operativo è da segnalare il protocollo proposto dalla procura di Santa Maria Capua Vetere e sottoscritto da forze dell’ordine, Asl, Prefettura di Caserta, Autorità portuale e Università di Napoli, Istituto di geofisica e vulcanolo-gia (a cui è dedicato il contributo che pubblichiamo del sostituto procura-tore Donato Ceglie), che prevede una forte attività di coordinamento in un territorio che presenta vaste aree letteralmente devastate dall’ecomafia, co-me quello della provincia di Caserta. Ma dal 1997, ormai, governo e Parla-mento, nell’alternarsi di maggioranze e opposizioni di diverso orientamen-to politico, non hanno trovato il tempo e il modo per riequilibrare davvero i rapporti di forza tra chi saccheggia l’ambiente e chi lo rispetta e lo proteg-ge. I primi possono contare su una sostanziale impunità, i secondi scivola-no sempre di più nella frustrazione. Basterebbe poco, in realtà, per fare un deciso scatto in avanti verso la legalità e la tutela del nostro patrimonio na-turale, paesaggistico e culturale, in una parola della nostra identità: intro-durre i delitti contro l’ambiente nel nostro codice penale, come prevedono tutte le proposte di legge presentate in questi anni da governi, commissio-ni parlamentari, deputati e senatori di ogni orientamento politico. E come vorrebbe l’Europa, con la direttiva approvata nel 2008 che chiede di ren-dere più efficace la tutela penale dell’ambiente, attraverso sanzioni propor-zionate, efficaci e dissuasive. Purtroppo, anche per limiti previsti nella stes-sa legge delega, il nostro paese rischia di perdere l’occasione rappresenta-ta dal recepimento di questa Direttiva. Lo schema di decreto, al momento di scrivere questo rapporto, è ancora all’esame delle commissioni compe-tenti, non prevede alcun delitto ambientale e rischia di depotenziare quelli che riguardano la tutela degli animali. L’unica nota positiva è rappresenta-ta dall’introduzione della responsabilità giuridica delle società anche in ma-teria di reati ambientali, con una importante integrazione del decreto legi-slativo 231 del 2001. Ma proprio l’assenza di delitti ambientali specifici e il richiamo a un’ampia gamma di sanzioni previste per violazioni anche di natura formale rischia di trasformarsi in un boomerang.L’Italia, nella battaglia contro le ecomafie e la criminalità ambientale in ge-nere, ha bisogno di norme chiare e condivise. E Legambiente è pronta a fare la sua parte, come sempre. Vorremmo che su questi temi, che riguar-

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premessa 33

dano davvero l’interesse generale del nostro paese, si riuscisse a ragionare senza steccati, pregiudizi, difesa di rendite di posizione. La strada è abba-stanza ben tracciata, anche grazie alla già citata direttiva comunitaria: dob-biamo semplificare, da un lato, un quadro normativo e sanzionatorio che non aiuta a distinguere comportamenti illeciti di particolare gravità da vio-lazioni minori o formali; dall’altro si devono introdurre delitti ben definiti con sanzioni adeguate. Non sarà comunque sufficiente per mettere davvero l’Italia al riparo da ecomafiosi ed ecocriminali, perché all’azione giudiziaria si devono affiancare quella di carattere amministrativo, un forte impegno educativo e culturale, la diffusione di una vera economia della sostenibili-tà, fatta di nuovi sistemi produttivi meno inquinanti, nuove merci e nuovi stili di vita. Ma avremo fatto sicuramente un passo avanti.

in memoria di angelo vassalloOgni anno dedichiamo le ultime righe di questa premessa del rapporto Eco-mafia alla memoria di chi, nella difesa dell’ambiente e nella denuncia dell’il-legalità, ha perso la vita. A quei nomi (Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, il ca-pitano di corvetta Natale De Grazia) e alle vittime dell’ecomafia di cui non conosceremo mai l’identità, perché uccise dai veleni smaltiti illegalmente, non avremmo mai voluto aggiungerne nessuno. E mai avremmo immagi-nato di dover scrivere quello di Angelo Vassallo, un grande amico di Le-gambiente, straordinario sindaco di Pollica, nel Parco nazionale del Cilen-to, ucciso in un agguato il 5 settembre 2010. Angelo aveva trasformato il suo amore per il mare e per l’ambiente in un’occasione di rinascita dei ter-ritori che amministrava, di opportunità vere, anche dal punto di vista eco-nomico, dei suoi abitanti, soprattutto i giovani. E non avrebbe mai tolle-rato scempi e soprusi, traffici e saccheggi. Le indagini sul suo omicidio, su-gli esecutori e i mandanti, sono ancora in corso. E sarà la giustizia, come ci auguriamo, a restituirci la verità sulla sua tragica fine. Noi conosciamo già, comunque, le ragioni che lo hanno spinto a vivere sempre con la schiena dritta la sua esperienza di uomo e amministratore pubblico. Sono le stesse che ci animano in questo nostro lavoro di ricerca, analisi e denuncia: l’a-more per il nostro paese, la voglia di migliorarlo, l’impegno per l’ambien-te, il primo dei beni comuni. Quelli che Angelo ha difeso fino all’ultimo, anche per noi.

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Non accenna ad arrestarsi l’escalation dei reati penali accertati in campo ambientale, che nel 2010 hanno superato quota 30.000, sono per l’esattez-za 30.824, con un incremento del 7,8% rispetto all’anno precedente: più di 84 reati al giorno, 3,5 ogni ora. Diminuiscono invece le persone denunciate, 25.934 (l’anno prima erano 28.472), gli arresti, che si fermano a quota 205 (316 nel 2009), e i seque-stri, 8.771 (nel 2009 erano 10.737). Anche quest’anno, nel computo dei dati, alle forze dell’ordine, si sono aggiunte 60 Polizie provinciali (su un totale di 110) che hanno fornito un contributo importante alla lotta all’il-legalità ambientale: 3.234 i reati accertati nel 2010. È il Corpo forestale dello Stato, insieme ai corpi delle 5 regioni a statuto autonomo, ad aver registrato il più alto numero di infrazioni, ben 16.145. In particolare, nel ciclo illegale del cemento (con 4.211 reati accertati) e nella tutela della fauna, dove hanno sanzionato 2.195 infrazioni. La specia-lizzazione del Comando carabinieri per la tutela dell’ambiente, soprattut-to nelle inchieste contro i traffici organizzati di rifiuti, emerge dagli arre-sti eseguiti in questo settore, 108 su un totale di 149. Ottima performance anche per le Capitanerie di porto, che quasi raddoppiano il loro contri-buto sui reati accertati, passando dai 3.622 del 2009 ai 6.734 dello scorso anno. La Guardia di finanza, invece, si contraddistingue anche nel 2010 per la sua intensa attività nel ciclo del cemento, con un ruolo nelle princi-pali inchieste contro l’abusivismo edilizio e le infiltrazioni della crimina-lità organizzata negli appalti pubblici: sono state 548 le infrazioni accer-tate nell’ultimo anno, 1.231 le denunce, 548 i sequestri. Raddoppia an-che il dato della Polizia di Stato, che arriva a quota 207 infrazioni (erano 104 l’anno prima). In generale, quindi, dal ciclo illegale dei rifiuti a quello del cemento, dall’ar-cheomafia al racket degli animali, dall’agromafia agli incendi, il campio-nario della criminalità ambientale è sempre lo stesso e al contempo sem-

1. l’illegalità ambientale in italia

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pre nuovo. Vecchie e nuove strategie si mischiano inestricabilmente, nuovi mercati si sommano e si sostituiscono a quelli vecchi, complicando il la-voro delle forze dell’ordine. Che continua a dare, comunque, ottimi risul-tati, seppure in un contesto normativo ancorato a un sistema sanzionato-rio penale di tipo contravvenzionale, del tutto inadeguato alla sfida lancia-ta dagli ecocriminali.Passando ai dati scorporati per singolo ciclo, i numeri nella sostanza asso-migliano a quelli dell’anno precedente, seppure con alcune variazioni degne di nota. Aumentano le infrazioni nel ciclo dei rifiuti, che crescono del 14% (5.950 nel 2010, 5.217 nel 2009), con un boom di interventi delle Capi-tanerie di porto, che hanno triplicato i reati accertati (1.029, l’anno prima erano 307). Diminuiscono invece i reati nel ciclo del cemento, che passa-no da 7.463 nel 2009 a 6.922 nel 2010. Invariato nella sostanza il nume-ro delle infrazioni nel ciclo alimentare, che si ferma a quota 4.520 (l’anno prima erano 4.568), più di 12 reati accertati al giorno.Da sottolineare l’intensa attività a tutela del nostro patrimonio artistico del Comando carabinieri tutela patrimonio culturale, della Guardia di finan-za e delle altre forze dei polizia, che nel 2010 hanno accertato 983 furti di opere d’arte (ben 817 a opera dei carabinieri), recuperato 84.869 oggetti d’arte, arrestato 52 persone e indagate 1.237.Crescono del 13,2% anche i reati accertati contro la fauna, che nel 2010 hanno raggiunto quota 5.835 (erano 5.154 nel 2009). La maggior parte degli interventi è a opera del Corpo forestale dello Stato – insieme ai corpi regionali (2.195) – della Capitaneria di porto (1.474) e delle Polizie pro-vinciali (2.014). Diminuiscono ancora gli incendi, anche se il numero ri-mane alto: dai 5.362 del 2009 ai 4.883 del 2010 (una flessione del 9%), che significa, comunque, più di 13 casi al giorno.

l’illegalità ambientale in italia: totale nazionale nel 2010 Cta-CC G. di F. C. di P. CFS CFR PS PP Totale Infrazioni accertate 1.949 2.555 6.734 12.429 3.716 207 3.234 30.824 Persone denunciate 2.495 4.074 6.734 9.531 2.148 147 805 25.934 Persone arrestate 111 47 0 33 12 0 2 205 Sequestri effettuati 667 2.555 747 3.204 967 29 602 8.771

* 60/110 Polizie provinciali.Fonte: elaborazione Legambiente su dati forze dell’ordine, Capitanerie di porto e polizie provinciali (2010).

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capitolo 1 | l’illegalità ambientale in italia 37

Guardando alla ripartizione geografica dei reati accertati, si segnala la ridu-zione dell’incidenza delle quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa (Calabria, Campania, Puglia e Sicilia) sul dato nazionale dell’illegalità am-bientale, che si riduce dal 45,4 al 44,7%, nonostante l’aumento in termini assoluti dei reati (13.768 a fronte dei 12.966 del 2009). Contestualmente, si registra pure l’aumento dell’incidenza delle regioni dell’Italia nord occi-dentale, con la Lombardia, il cui contributo cresce dal 9,8 al 12%.

l’illegalità ambientale nell’italia meridionale nel 2010 Cta-CC G. di F. C. di P. CFS PS PP Totale Infrazioni accertate 843 1.274 3.182 5.498 151 185 11.133 % sul totale nazionale 43,3 49,9 47,3 44,2 72,9 5,7 36,1 Persone denunciate 1.026 1.974 3.182 3.211 77 104 9574 Persone arrestate 59 38 0 14 0 0 111 Sequestri effettuati 296 1.274 558 1.374 2 123 3627

* L’Italia meridionale comprende le regioni Calabria, Puglia, Basilicata e Campania.Fonte: elaborazione Legambiente su dati forze dell’ordine, Capitanerie di porto e polizie provinciali (2010).

l’illegalità ambientale nelle regioni a tradizionale presenza mafiosa nel 2010 Campania Puglia Calabria Sicilia Totale Infrazioni accertate 3.849 3.139 3.454 3.326 13.768 % sul totale nazionale 28,0 22,8 25,1 24,2 44,7 Persone denunciate 4.053 2.586 2.603 2.620 11.862 Persone arrestate 60 10 39 14 123 Sequestri effettuati 1.216 1.221 1.090 872 4.399

Fonte: elaborazione Legambiente su dati forze dell’ordine, Capitanerie di porto e polizie provinciali (2010).

l’illegalità ambientale nell’italia centrale nel 2010 Cta-CC G. di F. C. di P. CFS PS PP Totale Infrazioni accertate 308 448 1.092 4.132 0 1.690 7.670 % sul totale nazionale 15,8 17,5 16,2 33,2 0,0 52,3 24,9 Persone denunciate 420 780 1.092 3451 0 239 5.982 Persone arrestate 44 0 0 9 0 1 54 Sequestri effettuati 131 448 62 976 0 248 1.865

* L’Italia centrale comprende le regioni Lazio, Molise, Abruzzo, Toscana, Umbria e Marche.Fonte: elaborazione Legambiente su dati forze dell’ordine, Capitanerie di porto e polizie provinciali (2010).

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38 ecomafia 2011

la classifica dell’illegalità ambientale

Nessuna novità sostanziale per il 2010. Sono sempre le quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa a occupare stabilmente le prime posizioni della graduatoria dell’ecomafia. In testa, come ogni anno, la Campania, con 3.849 infrazioni accertate, il 12,5% sul totale nazionale, 4.053 denun-ce, 60 arresti e 1.216 sequestri. Un primato che fotografa con quanto ac-cade in questa regione, da decenni sotto attacco della criminalità ambien-

l’illegalità ambientale nell’italia insulare nel 2010 Cta-CC G. di F. C. di P. CFS CFR PS PP Totale Infrazioni accertate 251 572 1.356 18 3.024 46 170 5.437 % sul totale nazionale 12,9 22,4 20,1 0,1 81,4 22,2 5,3 17,6 Persone denunciate 294 958 1.356 14 1.885 63 22 4.592 Persone arrestate 8 9 0 0 9 0 1 27 Sequestri effettuati 61 572 99 15 690 21 18 1.476

* L’Italia insulare comprende le regioni Sicilia e Sardegna.Fonte: elaborazione Legambiente su dati forze dell’ordine, Capitanerie di porto e polizie provinciali (2010).

l’illegalità ambientale nell’italia nord occidentale nel 2010 Cta-CC G. di F. C. di P. CFS CFR PS PP Totale Infrazioni accertate 209 132 537 1.950 30 9 824 3.691 % sul totale nazionale 10,7 5,2 8,0 15,7 0,8 4,3 25,5 12,0 Persone denunciate 272 193 537 1.987 27 7 348 3.371 Persone arrestate 0 0 0 8 0 0 0 8 Sequestri effettuati 55 132 15 572 16 6 68 55

* L’Italia Nord Occidentale comprende le regioni Lombardia, Liguria, Piemonte e Valle d’Aosta.Fonte: elaborazione Legambiente su dati forze dell’ordine, Capitanerie di porto e polizie provinciali (2010).

l’illegalità ambientale nell’italia nord orientale nel 2010 Cta-CC G. di F. C. di P. CFS CFR PS PP Totale Infrazioni accertate 338 129 567 831 662 1 365 2.893 % sul totale nazionale 17,3 5,0 8,4 6,7 17,8 0,5 11,3 9,4 Persone denunciate 483 169 567 868 236 0 92 2.415 Persone arrestate 0 0 0 2 3 0 0 5 Sequestri effettuati 124 129 13 267 261 0 145 939

* L’Italia nord orientale comprende le regioni Emilia Romagna, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige.Fonte: elaborazione Legambiente su dati forze dell’ordine, Capitanerie di porto e polizie provinciali (2010).

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capitolo 1 | l’illegalità ambientale in italia 39

Fonte: elaborazione Legambiente su dati delle forze dell’ordine e Capitanerie di porto (2010).

figura 1.1 – illegalità ambientale 2010

Ciclo alimentare 15%

Ciclo rifiuti 19%

Delitti controla fauna 19%

Ciclo cemento 22%

Archeomafia 3%Incendi dolosi,

colposi e generici 16%

Altri reati ambientali 6%

Fonte: elaborazione Legambiente su dati delle forze dell’ordine e Capitanerie di porto (2010).

figura 1.2 – illegalità ambientale nelle regioni a tradizionale presenza mafiosa 2010

Ciclo rifiuti 23,8%

Ciclo cemento 29,6%

Delitti contro la fauna 17,1%

Archeomafia 2,3%

Incendi dolosi, colposi

e generici 27,2%

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tale, non solo nel ciclo dei rifiuti. Al secondo posto la Calabria, la regione dove le inchieste contro la ‘ndrangheta sorprendono sempre per lo spes-sore criminale: nel 2010 qui sono state accertati 3.454 reati, l’11,2% sul totale nazionale, con 2.603 denunce, 1.090 sequestri e 39 arresti. Seguo-no la Sicilia con 3.326 infrazioni, il 10,8% sul totale nazionale, e la Puglia con 3.139 infrazioni (10,2%). Al quinto posto il Lazio, con 3.124 reati (10,1%), che si consacra, insieme alla Lombardia (ottava con 1.619 rea-ti, il 5,3%), come la regione dove è più preoccupante la penetrazione del-la criminalità organizzata, soprattutto campana e calabrese: presenza che si evince chiaramente anche dai reati ambientali registrati nell’ultimo an-no, che continuano a crescere pericolosamente. La Lombardia si confer-ma, quindi, la regione del Nord con la cifra più alta di reati, seguita dalla Liguria, al nono posto con 1.246 infrazioni accertate. Ma se si prende in considerazione l’incidenza dei reati in base ai chilometri quadrati, la Li-guria balza al secondo posto (23 reati per ogni 100 chilometri quadrati), subito dopo la “regina di sempre”, la Campania.

90.000

80.000

70.000

60.000

50.000

40.000

30.000

20.000

10.000

01992-94 1995-96 1997 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009

* Nel 2010 sono compresi anche i dati delle polizie provinciali.Fonte: elaborazione Legambiente su dati delle forze dell’ordine e Capitanerie di porto (2010).

figura 1.3 – l’illegalità ambientale 1992-2010*

% di illegalità ambientale nelle regioni a tradizionale presenza mafiosa 1992-2010.

Illegalità ambientale in Italia 1992-2010.

97,0% 100 %

90 %

80 %

70 %

60 %

50 %

40 %

30 %

20 %

10 %

0 %1998 1999 2010

28,0%

44,3% 42,1% 42,1%48,0% 50,3% 46,4%

43,1%49,1%

44,9% 45,7% 45,8% 48,1% 45,4%44,7%

9.636

77.850

28.457 30.95726.508

31.681 31.201

19.45325.798 25.469

23.66023.668

30.12425.766 28.586

30.824

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capitolo 1 | l’illegalità ambientale in italia 41

la classifica dell’illegalità ambientale in italia nel 2010 Regione Infrazioni Percentuale Persone Persone Sequestri accertate sul totale denunciate arrestate effettuati 1 Campania = 3.849 12,5 4.053 60 1.216 2 Calabria 3.454 11,2 2.603 39 1.090 3 Sicilia 3.326 10,8 2.620 14 872 4 Puglia = 3.139 10,2 2.586 10 1.221 5 Lazio 3.124 10,1 1.997 5 751 6 Toscana 2.132 6,9 1.789 18 526 7 Sardegna 2.111 6,8 1.972 13 604 8 Lombardia 1.619 5,3 1.340 7 474 9 Liguria 1.246 4,0 1.247 0 176 10 Abruzzo 990 3,2 789 10 192 11 Emilia Romagna 895 2,9 1.016 1 292 12 Veneto 871 2,8 680 1 288 13 Piemonte 796 2,6 757 1 198 14 Friuli Venezia Giulia 696 2,3 564 0 269 15 Basilicata 691 2,2 332 2 100 16 Marche = 682 2,2 810 14 230 17 Umbria 458 1,5 394 0 77 18 Trentino Alto Adige = 431 1,4 155 3 90 19 Molise = 284 0,9 203 7 89 20 Valle d’Aosta = 30 0,1 27 0 16 Totale 30.824 100 25.934 205 8.771

Fonte: elaborazione Legambiente su dati forze dell’ordine, Capitanerie di porto e polizie provinciali (2010).

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