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[email protected] 1 D D I I R R I I T T T T O O E E C C C C L L E E S S I I A A S S T T I I C C O O F F R R A A N N C C E E S S C C O O F F I I N N O O C C C C H H I I A A R R O O CAPITOLO I: CONSIDERAZIONI INTRODUTTIVE Il compito della scienza giuridica è quello di studiare la produzione, l’interpretazione e l’applicazione delle norme giuridiche; tali norme si distinguono dalle altre regole in quanto la loro osservanza è assicurata dall’ordinamento (a volte anche coattivamente). L’ampiezza della materia presa in esame dalla scienza giuridica è molto grande. Proprio per questo motivo è utile operare una divisione degli studi giuridici nelle varie discipline (diritto costituzionale, commerciale, amministrativo, ecc.) per avere un maggior approfondimento delle stesse materie. Il DIRITTO ECCLESIASTICO studia il settore dell’ordinamento giuridico dello Stato che è volto alla disciplina del fenomeno religioso . Ma quando parliamo di fenomeno religioso non intendiamo solo quello della Chiesa Cattolica, ma tutte le confessioni religiose e tutti gli individui (in quanto credenti o non credenti). Il diritto ecclesiastico non è costituito solo dalle norme prodotte direttamente dal legislatore statale, ma molto spesso capita che si debbano applicare norme prodotte direttamente da ordinamenti confessionali. Se consideriamo l’ambito degli studi giuridici del diritto ecclesiastico, si nota come esso appartenga all’area del diritto pubblico: infatti, oggetto di studio di tale disciplina sono soprattutto le norma costituzionali e le norme che regolano l’attività della pubblica amministrazione. Ciò non toglie che il diritto ecclesiastico presenti legami anche con il diritto civile (matrimonio religioso, rapporti successori, ecc.), con il diritto internazionale (posizione della Santa Sede). Le FONTI DI COGNIZIONE del diritto ecclesiastico civile si trovano in disposizioni legislative dello Stato, emanate sia unilateralmente che in esecuzione di accordi con le confessioni religiose. Esse sono: 1) LA COSTITUZIONE: qui troviamo numerose disposizioni in cui il fattore religioso viene espressamente menzionato (art. 3, 7, 8, 19 e 20). Le norme di derivazione concordataria sono protette e garantite dagli art. 7 cpv. e 8, 3° comma Cost. ; 2) I PATTI LATERANENSI E I VARI ACCORDI: i Patti Lateranensi sono gli accordi tra Stato e Chiesa stipulati l’11 Febbraio 1929 . Qui troviamo un Trattato (per la soluzione della “questione romana” con la creazione dello Stato Città del Vaticano) ed un Concordato (che disciplina il trattamento della Chiesa Cattolica in Italia); 3) LE LEGGI DELLO STATO UNILATERALI: nel nostro ordinamento vi sono norme volute unilateralmente dallo Stato. 4) ALTRE NORME STATALI (O REGIONALI). Le FONTI DI PRODUZIONE del diritto ecclesiastico (ossia i procedimenti con cui vengono poste legittimamente le norme che si collocano in tale disciplina) sono poste su vari livelli e fanno nascere alcuni problemi. Infatti, bisogna notare che vi è un settore in cui la fonte normativa può essere sia legge ordinaria che legge che legge costituzionale: sono le norme protette dagli art. 7 cpv. e 8, 3° comma Cost .

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DDDIIIRRRIIITTTTTTOOO EEECCCCCCLLLEEESSSIIIAAASSSTTTIIICCCOOO ––– FFFRRRAAANNNCCCEEESSSCCCOOO FFFIIINNNOOOCCCCCCHHHIIIAAARRROOO

CAPITOLO I: CONSIDERAZIONI INTRODUTTIVE

Il compito della scienza giuridica è quello di studiare la produzione, l’interpretazione el’applicazione delle norme giuridiche; tali norme si distinguono dalle altre regole inquanto la loro osservanza è assicurata dall’ordinamento (a volte anche coattivamente).L’ampiezza della materia presa in esame dalla scienza giuridica è molto grande. Proprioper questo motivo è utile operare una divisione degli studi giuridici nelle varie discipline(diritto costituzionale, commerciale, amministrativo, ecc.) per avere un maggiorapprofondimento delle stesse materie.Il DIRITTO ECCLESIASTICO studia il settore dell’ordinamento giuridico dello Stato che è voltoalla disciplina del fenomeno religioso. Ma quando parliamo di fenomeno religioso nonintendiamo solo quello della Chiesa Cattolica, ma tutte le confessioni religiose e tutti gliindividui (in quanto credenti o non credenti). Il diritto ecclesiastico non è costituito solodalle norme prodotte direttamente dal legislatore statale, ma molto spesso capita che sidebbano applicare norme prodotte direttamente da ordinamenti confessionali. Seconsideriamo l’ambito degli studi giuridici del diritto ecclesiastico, si nota come essoappartenga all’area del diritto pubblico: infatti, oggetto di studio di tale disciplina sonosoprattutto le norma costituzionali e le norme che regolano l’attività della pubblicaamministrazione. Ciò non toglie che il diritto ecclesiastico presenti legami anche con ildiritto civile (matrimonio religioso, rapporti successori, ecc.), con il diritto internazionale(posizione della Santa Sede).Le FONTI DI COGNIZIONE del diritto ecclesiastico civile si trovano in disposizioni legislativedello Stato, emanate sia unilateralmente che in esecuzione di accordi con le confessionireligiose. Esse sono:1) LA COSTITUZIONE: qui troviamo numerose disposizioni in cui il fattore religioso viene

espressamente menzionato (art. 3, 7, 8, 19 e 20). Le norme di derivazione concordatariasono protette e garantite dagli art. 7 cpv. e 8, 3° comma Cost.;

2) I PATTI LATERANENSI E I VARI ACCORDI: i Patti Lateranensi sono gli accordi tra Stato eChiesa stipulati l’11 Febbraio 1929. Qui troviamo un Trattato (per la soluzione della“questione romana” con la creazione dello Stato Città del Vaticano) ed un Concordato(che disciplina il trattamento della Chiesa Cattolica in Italia);

3) LE LEGGI DELLO STATO UNILATERALI: nel nostro ordinamento vi sono norme voluteunilateralmente dallo Stato.

4) ALTRE NORME STATALI (O REGIONALI).Le FONTI DI PRODUZIONE del diritto ecclesiastico (ossia i procedimenti con cui vengonoposte legittimamente le norme che si collocano in tale disciplina) sono poste su vari livellie fanno nascere alcuni problemi. Infatti, bisogna notare che vi è un settore in cui la fontenormativa può essere sia legge ordinaria che legge che legge costituzionale: sono le normeprotette dagli art. 7 cpv. e 8, 3° comma Cost.

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Queste norme possono essere modificate da una legge ordinaria nel caso in cui essa diavita ad un nuovo accordo (tra lo Stato e la Chiesa Cattolica o tra lo Stato e le altreconfessioni che abbiano stipulato un’Intesa approvata per legge); invece, se il legislatoreintende modificarle unilateralmente, si dovrà ricorrere all’emanazione di una leggecostituzionale. Adesso siamo in grado di ordinare gerarchicamente le fonti:1) NORME APPLICATIVE DEL CONCORDATO LATERANENSE;2) REGOLAMENTI: essi sono emanate con decreto del Presidente della Repubblica. Queste

non possono assolutamente essere in contrasto con le norme statali;3) CIRCOLARI: queste non sono altro che le norme interne della pubblica amministrazione,

che si impongono come norme d’azione agli uffici inferiori. La forza di tali circolaridipende dallo spazio che le leggi ed i regolamenti lasciano all’amministrazione.

4) LEGGI REGIONALI: tutte le regioni non hanno competenza nella materia prevista dagliart. 7 cpv. e 8, 3° comma Cost. Tuttavia, poiché alcune materie di competenza regionale(assistenza sanitaria, ospedaliera, scolastica, ecc.) possono rientrare tra gli interessidelle confessioni religiose, esse possono essere comprese tra le fonti di norme deldiritto ecclesiastico.

Un modo illegittimo di eseguire le intese è rappresentato dal caso dei “GIORNI FESTIVI”.Infatti anziché essere decisi mediante una legge, l’elenco delle festività religiose si è avutomediante decreto del Presidente della Repubblica. Qui è previsto che la RepubblicaItaliana riconosca come giorni festivi tutte le domeniche e le altre festività religiosedeterminate d’intesa tra le parti. Ma mentre le domeniche sono previste nell’Accordo(promulgato mediante legge), le festività non trovano spazio in tale documento: eccoallora che ci sarebbe stato bisogno di una legge, e non di un decreto.

Infine dobbiamo ricordare che per lo studio del diritto ecclesiastico si possonointraprendere due diverse teorie:a) la prima ha imboccato la via del diritto positivo, del ius conditum, cercando di

confrontare le vecchie norme con la Costituzione per vedere quali di esse potevanoconvivere con le nuove norme fondamentali e quali invece sarebbero risultateincostituzionali;

b) la seconda teoria ha confuso lo ius conditum con lo ius condendum, ritenendo che unariforma della legislazione del 1929-1930 fosse praticabile al di fuori delle previsionidegli art. 7 cpv. e 8, 3° comma Cost. Questa via è stata intrapresa sia da coloro che nonapprezzano i concordati sia da coloro che, credendo nella purezza della fede, ritengonoche la Chiesa non debba essere legata da patti di indubbia rilevanza politica con loStato.

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CAPITOLO II: LA RELIGIONE E

L’ORGANIZZAZIONE DEL POTERE CIVILE

Il fenomeno religioso ha, ed ha sempre avuto, una grandissima importanza all’interno diogni società. Per i latini, il termine RELIGIO aveva vari significati: i più importanti sono “ilculto del divino” e “la superstizione”.Facendo un salto indietro nel tempo, notiamo come nella Roma arcaica non vi era alcunadistinzione tra istituzioni politiche e organizzazione religiose; anche quando, con l’avventodella Repubblica, il governo civile si venne a distinguere dal sacerdozio rimase forte illegame tra politica e religione. Quando poi venne istituito l’Impero, le funzioni dipontefice massimo furono assunte direttamente dall’imperatore, il quale divenne una verae propria divinità da adorare. Era dovere di ogni suddito quello di adorare il proprioimperatore: ecco perché, durante il periodo imperiale, i cristiani erano continuamenteperseguitati (poiché essi si rendevano colpevoli di lesa maestà).Quando la civiltà romana abbandono il paganesimo per intraprendere la strada delcristianesimo, le cose non cambiarono: come l’imperatore pagano era il pontefice massimodel paganesimo, così l’imperatore cristiano era il pontefice massimo di questa nuovareligione. L’unione in un’unica persona della figura del capo dello Stato e del capo dellaChiesa è noto con il nome di CESAROPAPISMO: con questo termine si indica l’unione delpotere civile con il potere ecclesiastico. Il cesaropapismo cessò in Europa Occidentale conla fine dell’Impero Romano d’Occidente ma persistette nell’Impero di Bisanzio fino al suocrollo (1453).

Con la cessazione del cesaropapismo nell’Europa occidentale, venne accrescendosil’autorità del Vescovo di Roma. Tanto più che, con la caduta dell’Impero, si fece strada ladottrina evangelica della distinzione tra il potere civile e il potere ecclesiastico.La formazione di Stati organizzati sotto il potere di un principe, anche se non attribuiva aquesti la forza di definire dogmi o di convocare Concili, gli dava la piena potestà sulproprio territorio. Quindi il principe prevaleva su qualsiasi altra potestà presente sul suoterritorio: quindi anche la Chiesa veniva a trovarsi sotto il suo potere. Questo stato di coseportò a lotte politiche e guerre di religione (pensiamo al grande scisma d’occidente, alleeresie e alla riforma protestante) che si conclusero con la “PACE DI AUGUSTA” avutasi nel1555. Qui si riconobbe ai principi la libertà di aderire o meno alla religione riformata eattribuì loro il ius reformandi, cioè il potere di imporre la religione da essi professata a queisudditi che non avessero preferito emigrare in un altro paese. Solo un secolo più tardi, conla “PACE DI WESTFALIA” avutasi nel 1648 alla fine della guerra dei Trent’anni, si ebberiguardo anche alle minoranze religiose dando uguali diritti a tutti (cattolici, luterani ecalvinisti). Tra queste due date ora menzionate si consolidarono i sistemi nei quali laChiesa era subordinata allo Stato: in Germania si affermò il “territorialismo”, in Francia il“gallicanesimo”, in Austria il “giuseppinismo” e così via. In Italia si ebbero vari sistemiche sono stati compresi nel termine “GIURISDIZIONALISMO”: esso sta ad indicare il

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prevalere della giurisdizione statale su quella ecclesiastica. I POTERI DEI SISTEMI

GIURISDIZIONALISTI sono tradizionalmente classificati in due filoni:§ POTERI VOLTI A PROTEGGERE LA CHIESA

- IUS ADVOCATIAE O PROTECTIONIS : lo Stato garantiva l’unità della Chiesa e la purezza dellafede. Inoltre, lo Stato tutelava gli enti ecclesiastici da eventuali affari dannosi;

- IUS REFORMANDI : negli Stati protestanti era il potere del principe di intervenirenell’organizzazione interna della Chiesa; negli Stati cattolici era il potere di introdurrenella Chiesa quelle riforme necessarie ad eliminare gli abusi e ad ottenere un buonfunzionamento degli istituti ecclesiastici;

§ POTERI DIRETTI A DIFENDERE LO STATO DALLA CHIESA

- IUS NOMINANDI : il principe nominava i funzionari ecclesiastici;- EXEQUATUR O PAREATUR : lo Stato aveva il potere di esaminare gli atti emanati

dall’autorità ecclesiastica per accertare che non contenessero alcunché di pericoloso perlo stesso Stato;

- SEQUESTRO DI TEMPORALITÀ : lo Stato poteva sequestrare i beni di un istituto ecclesiasticonel caso in cui il rappresentante dell’ente avesse male amministrato o avesse tenuto unacondotta contraria agli interessi dello Stato;

- IUS APPELATIONIS : gli ecclesiastici o i fedeli potevano ricorrere al sovrano controprovvedimenti dell’autorità ecclesiastica ritenuti lesivi dei diritti dei singoli o degliinteressi dello Stato;

- IUS DOMINII EMINENTIS : nei confronti degli enti ecclesiastici, era la facoltà di imporretributi e di amministrarne i beni in caso di vacanza (e di farne propri i frutti);

- IUS INSPICIENDI : era il potere del principe di intervenire e di vigilare sulle istituzioniecclesiastiche, di istituire nuovi enti o sopprimere quelli inutili e dannosi, di sorvegliaresull’insegnamento nei seminari, sui Concili e sulle missioni.

La TEOCRAZIA, ossia il sistema che prevede la soggezione dello Stato alla Chiesa, non si èmai effettivamente realizzata nella civiltà europea. La premessa delle rivendicazioniteocratiche è stata data da Santo Agostino: egli afferma che la Civitas terrena, quando tendesolo alla felicità mondana dei sudditi, commette lo stesso peccato che commettel’individuo che ricerca solo la felicità terrena. Lo Stato può sottrarsi a tale situazionepeccaminosa subordinando le sue leggi alla legge divina: solo in questo modo esso puòguidare gli uomini verso il bene supremo, anticipando la Civitas coelestis.Nel momento della caduta dell’Impero, si considerò la Chiesa come l’unica in grado dipoter realizzare il principio di unità: queste tesi ebbero grandi successi nel periodo dimaggior potenza della Santa Sede (cioè tra il pontificato di Gregorio VII, 1073, e quello diBonifacio VIII, 1303). In questo arco di tempo, al Papa appartengono tutti i poteri spiritualie temporali in quanto essi gli derivano direttamente da Dio. Questo stato di cose fudefinito POTESTAS DIRECTA IN TEMPORALIBUS. Da ciò seguiva che:a) solo alla Chiesa spettava decidere cosa fosse di sua competenza e cosa fosse di

competenza dello Stato;

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b) nel contrasto tra leggi civili e leggi ecclesiastiche, prevalevano le seconde;c) le leggi civili contrarie ai diritti della Chiesa erano illegittime;d) nessuna autorità era legittima se il proprio potere non fosse derivato da un’investitura

ecclesiastica;e) solo il Papa poteva decidere riguardo la pace e la guerra e lui disponeva di tutte le cose

e di tutta la gente del mondo.Ma dopo la rottura dei cristiani d’occidente avutasi con la riforma, si cominciò a delinearela così detta POTESTAS INDIRECTA IN TEMPORALIBUS: questo era il potere da parte della Chiesadi regolare con proprie norme anche rapporti civili, di non fare rispettare ai fedeli quellenorme dell’ordinamento statale che andavano contro la Chiesa e di evitare che tali leggivenissero emanate.

Infine, l’ultimo sistema (che in realtà è un non sistema) è rappresentato dal SEPARATISMO.L’idea della separazione dei rapporti tra Stato e confessioni religiose ha una lunga storiaalle spalle. Inizialmente il separatismo fu proposto per “REALIZZARE L’INDIPENDENZA DELLA

CHIESA” e per tutelare i suoi interessi andando anche contro quelli statali. Il separatismocome mezzo di affrancazione della Chiesa nell’800 è stato sostenuto in Europa dalProtestantesimo liberale tedesco che dal Cattolicesimo liberale svizzero e francese; incomune vi era la considerazione che la religione, cioè il rapporto tra l’uomo e Dio, èqualcosa di estremamente personale. Da ciò si deduce che non può esistere una Chiesa diStato e che gli ecclesiastici non potevano e non dovevano essere considerati come pubbliciufficiali.Altro fine del separatismo è quello di “FAR PREVALERE L’AUTORITÀ DELLO STATO”: questa èchiaramente una corrente antiecclesiastica. Uno dei promotori di tale teoria fu RuggeroWilliams: egli considerava lo Stato come un ente laico che non doveva pronunciarsi nellematerie religiose, proprio per rispetto di queste. Quindi la Chiesa era vista come un enteprivato che non aveva nulla in comune con lo Stato.Negli USA il separatismo ha seguito altre vie. Alla fine del 700, in seguito al processo cheportò all’indipendenza delle colonie inglesi, si dovevano superare in tutti i modi i contrastiesistenti tra le varie teocrazie locali: l’unico modo era quello di adottare un separatismofondato sulla libertà religiosa. Completamente diverso risulta il percorso seguito dalseparatismo nei paesi del socialismo reale, e in particolare nell’URSS. L’art. 52 dellaCostituzione russa garantiva la libertà di poter professare qualsiasi religione o di nonprofessarne nessuna, ma riconosceva solo il diritto di svolgere propaganda ateistica e nonpropaganda religiosa. Questo perché il socialismo affermava che compito del buoncittadino è quello di liberare i propri compatrioti dalle illusioni indotte dalla religione.Sempre in URSS, ricordiamo le limitazioni che incontravano le associazioni religiose e glistessi credenti. In conclusione possiamo affermare che nell’URSS la separazione tra Stato eChiesa era antiecclesiastica.In ITALIA, invece, il separatismo è stato uno strumento politico per superare la così detta“QUESTIONE ROMANA” nel quadro dell’unità d’Italia. l’enunciazione delle tesi separatiste si

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devono al Cavour, il quale affermava: “Libera Chiesa in Libero Stato”. In realtà, ilseparatismo ha avuto una scarsa applicazione in Italia; infatti, fino ai Patti Lateranensi del1929, il sistema dei rapporti tra Stato e Chiesa avrebbe dovuto esseredefinito come GIURISDIZIONALISMO LIBERALE. Tutte le varie denominazioni cristianeriformate dovevano rispettare le norme del diritto comune, mentre la Chiesa cattolica e leComunità israelitiche erano regolate da norme speciali.Dopo l’entrata in vigore della Costituzione, si è avuta la riproposizione del separatismo daparte della SINISTRA LAICA; logicamente da un punto di vista antiecclesiastico. Lo stessofecero i CATTOLICI DEL DISSENSO. L’atteggiamento di questi cattolici coincise con il sorgeredi un movimento di protesta contro le autorità e le istituzioni nel mondo occidentale (checolpì anche la Chiesa). In quest’ottica, il separatismo era considerato come strumentopurificatore della Chiesa: la Chiesa doveva essere povera, non privilegiata, noncondizionata da accordi politici per poter meglio divulgare il Vangelo. Infine, per quantoriguarda il separatismo voluto dalla DOTTRINA, dobbiamo ricordare che gli scrittori laicichiedevano una legge uguale per tutte le confessioni religiose per agevolare la libertà deisingoli; quindi la legge doveva dar vita ad un diritto comune delle confessioni religiose.Quindi anche il separatismo voluto dalla dottrina è del tutto antiecclesiastico.

Non dobbiamo dimenticare che il principio della separazione tra Stato e confessionireligiose è un postulato dell’IDEA LIBERALE. Infatti, l’obiettivo del liberalismo è quello dicostruire uno Stato di diritto dove basilare risulti l’organizzazione della libertà; cioè loStato deve lasciare i propri cittadini liberi di orientarsi in materia politica, filosofica,scientifica e anche religiosa. Però, lo Stato liberale non può ignorare l’esistenza sul proprioterritorio di istituzioni, come possono essere le confessioni religiose: in questo caso lo Statodovrà separare i propri poteri da quelli spettanti a tali istituzioni.Lo strumento per realizzare tale parità di trattamento è la legge dello Stato, in quanto iCONCORDATI avrebbero per definizione un CONTENUTO PRIVILEGIARIO (quindi incontrasto con il principio di uguaglianza). Però dobbiamo sottolineare come la disciplinaprivilegiaria a favore di una confessione religiosa può essere introdotta non solo attraversouna legge che esegua un accordo, ma anche tramite una legge prodotta unilateralmentedal legislatore. Quindi il contenuto privilegiario non dipende né dal sistema separatista nédal sistema concordatario: può trovarsi tanto in uno che nell’altro.

Oltre ai vari sistemi visiti sino ad ora, non dobbiamo dimenticare quello dellaCOORDINAZIONE TRA LO STATO E LA CHIESA: questo è il sistema indicato dalla nostraCostituzione (art. 7 cpv. e art. 8, 3° comma) per disciplinare i rapporti tra lo Stato e leconfessioni religiose.Per quanto riguarda i rapporti con la Chiesa cattolica, questi dipendono dai concordatistipulati dalla Santa Sede con gli Stati: accordi in cui le parti si obbligano a tenere undeterminato comportamento rispetto a tali materie. Quindi possiamo affermare che IL

SISTEMA DELLA COORDINAZIONE È UN SISTEMA NEUTRO, nel senso che è il contenuto

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dell’accordo a consentire una valutazione della posizione dello Stato e della Chiesa in undeterminato paese.

Vari problemi possono sorgere intorno alla DETERMINAZIONE DELLA NATURA GIURIDICA DEI

CONCORDATI. Ad ogni modo gli ordinamenti da considerare sono tre:1) ORDINAMENTO DELLA CHIESA CATTOLICA: secondo l’ordinamento canonico, i concordati

sono di competenza della Santa Sede che da sempre è soggetto di dirittointernazionale. Di conseguenza, l’ordinamento in cui si svolgono i rapporticoncordatari è l’ordinamento internazionale;

2) ORDINAMENTO DELLO STATO: per quanto riguarda l’ordinamento italiano, l’art. 7, 1°comma della Costituzione, non obbliga lo Stato a concordare con la Chiesa ladisciplina delle materie in comune. Ma nel caso in cui lo Stato cerchi di accordarsibilateralmente con la Chiesa, tali atti non devono considerarsi di diritto interno, bensìdi diritto esterno;

3) ORDINAMENTO IN CUI I RAPPORTI STESSI SI SVOLGONO.Ritornando all’art. 7 della Costituzione, dobbiamo notare che esso, dichiarando la Chiesasovrana e indipendente dallo Stato nel proprio ambito, indica che vi sono delle materie incui lo Stato e la Chiesa si trovano sullo stesso piano: quindi si pongono in un ordinamentoesterno. Non è di facile soluzione capire a quale ordinamento si faccia riferimento, ma disolito si preferisce l’ordinamento internazionale generale in quanto esso non è costituitosolo da una comunità di Stati, ma anche da organismi no statali (tra cui compare anche laSanta Sede). Detto ciò, possiamo affermare che i concordati ecclesiastici sono atti simili aitrattati internazionali: quindi l’Italia, nel momento in cui conclude un concordato, si sentelegata al rispetto delle norme internazionali generali su quella determinata materia.

Qualunque sia il sistema di rapporti tra lo Stato e le confessioni religiose, sorge il problemadella QUALIFICAZIONE DELLO STATO a livello costituzionale circa la sua posizione neiconfronti della religione. Si parla di STATO CONFESSIONISTA quando lo Stato esercita unaforma di dominio e controllo nell’ambito religioso, al fine di proteggere una determinataconfessione religiosa (riconosciuta come religione di Stato). Si parla di STATO LAICO

quando tutte le confessioni godono dello stesso trattamento e sono ugualmente edeffettivamente libere nell’esercizio delle loro attività religiose. Questa situazione puòverificarsi solo in un sistema separatista.Per quanto riguarda la QUALIFICA DEL NOSTRO STATO, dobbiamo dire che di solito talequalifica dovrebbe comparire all’interno della Costituzione: invece la nostra CartaCostituzionale non contiene alcuna norma che qualifichi lo Stato dal punto di vistaconfessionale in maniera esplicita. Questo stato di cose ha dato vita a due teorie:a) la prima affermava che, interpretando sistematicamente il 2° comma dell’art. 7 della

Costituzione con l’art. 1 del Trattato del Laterano, lo Stato italiano fossesostanzialmente e formalmente cattolico;

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b) la seconda teoria affermava invece che, dati i principi di libertà e di democraziaaffermati dalla Costituzione, lo Stato italiano fosse uno stato laico: quindi uno Stato“religiosamente neutrale”.

Però queste sono tutte supposizioni: per questo motivo una parte della dottrina ritiene chela laicità o la confessionalità dello Stato possa aversi attraverso l’esame dell’attività deisuoi organi. Da questo esame si deduce che lo Stato italiano non è completamente etotalmente ispirato ai principi cattolici, ma a principi del tutto laici: pensiamo alpluralismo delle confessioni religiose, al rispetto delle minoranze, e via discorrendo. Moltihanno cercato di vedere nell’art. 7 della Costituzione la conferma del principio fissatodall’art. 1 del Trattato del Luterano: ma se così fosse, nascerebbe un’insanabilecontraddizione con alcuni articoli della Carta Costituzionale. Infatti l’art. 1 del Trattato delLuterano da vigore all’art. 1 dello Statuto Albertino, il quale delineava uno Statoconfessionista che riconosceva una sola religione liberamente professabile (quellacattolica), mentre le altre confessioni religiose erano solamente e semplicemente tollerate.È chiaro che se la Costituzione avesse voluto dichiarare che solo la Chiesa cattolica eralibera, mentre gli altri culti erano tollerati, si sarebbe posta in contraddizione con le suestesse disposizioni di libertà (art. 3, 8 e 19).Possiamo perciò dire che il principio confessionista è stato abrogato dalla Costituzionestessa. Tale affermazione trova conferma nell’ACCORDO DEL 18 FEBBRAIO DEL 1984: qui leparti hanno deciso di “non considerare più valido il principio della religione cattolicacome l’unica e sola religione dello Stato”. Dalla Costituzione emerge uno Stato liberale epluralista, che riconosce la più completa libertà religiosa dei singoli e dei gruppi, che nondifferenzia gli individui a seconda della religione professata o non professata, che cerca diavere gli stessi identici rapporti con le varie confessioni religiose organizzate e che assegnaloro la stessa libertà.Persino la Corte Costituzionale, con la sentenza interpretativa di rigetto n. 203 del 12Aprile 1989, ha desunto la laicità dello Stato italiano. Quindi, secondo la Corte, lo Statodeve garantire la salvaguardia della libertà di religione in un regime di pluralismoconfessionale e culturale. Ma, effettivamente, non dovremmo dire che il nostro è uno Statolaico; bensì dovremmo definirlo LIBERISTA e PLURALISTA. Questo perché l’aggettivo laicopuò essere utilizzato solo quando lo Stato è completamente indifferente nei confronti delfenomeno religioso: invece, il nostro Stato non lo è.

Adesso siamo in grado di affrontare il discorso sulla POLITICA ECCLESIASTICA ITALIANA. Lastoria di tale politica è divisibile in tre diversi periodi:DAL 1848 AL 1922: la politica ecclesiastica italiana prende avvio in Piemonte. Qui, l’art. 1dello Statuto del Regno dichiarava la religione cattolica la sola religione dello Stato,mentre le altre erano tollerate “conformemente alle leggi”: comunque venne ribadito chela differenza di religione non doveva comportare discriminazioni. In questi anni, però, iSavoia cercavano di aprire delle trattative con la Santa Sede per la revisione dei concordati:ma Papa Pio IX (rifugiatosi a Gaeta) non era disposto a concedere alcuna concessione.Così, fallite le trattative, il Parlamento approvò le LEGGI SICCARDI: una abolì ciò che

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rimaneva del privilegio del foro ecclesiastico, l’altra concesse l’autorizzazione agli acquistidegli enti.Da questa situazione notiamo come la Destra storica, anche se ispirata dalle idee liberali,utilizzava gli strumenti del GIURISDIZIONALISMO per raggiungere i propri scopi. Infatti,negli anni seguenti al 1848, si cominciò a distinguere tra enti ecclesiastici utili e entiecclesiastici ritenuti inutili: in questo modo furono soppresse molte associazioni religiosedi vita contemplativa. Dopo furono soppresse tutte le associazioni religiose e furonoincamerati tutti i beni; infatti la Destra storica considerava il patrimonio ecclesiastico comepatrimonio di cui lo Stato poteva disporre in caso di necessità.Ma la vittoria dello Stato pontificio e la presenza in Roma della Santa Sede aveva fattonascere il problema della situazione giuridica della stessa e del Papa, che fu risolto dallalegge n. 214 del 13 Maggio del 1871; da un lato, lo Stato rinunciava all’esercizio di alcunideterminati poteri di controllo sulla Chiesa; d’altro canto, lo Stato rimaneva semprecompetente ad esercitare tutti gli altri poteri che aveva mantenuto e si riteneva competentea legiferare unilateralmente le norme riguardanti le garanzie offerte alla Santa Sede ed alPapa.Anche se nel 1876 cadde la Destra storica, l’indirizzo liberal-giurisdizionalista dellapolitica ecclesiastica rimase. Proprio nell’ultimo ventennio dell’800 vi furono numerosiprovvedimenti in materia ecclesiastica, per lo più non accettabili dalla Chiesa: per questofurono definiti “COLPI DI SPILLO” dell’Italia ormai unita nei confronti della Chiesa che nonvoleva accettare questa situazione.Alla morte da Pio IX, venne eletto Papa Leone XIII. Inizialmente sembrava che Leone XIIIavesse l’intenzione di raggiungere definitivamente una intesa: ma si trattò solo di unaimpressione. Comunque, i politici non avevano alcuna fretta di trattare con la Santa Sedeuna questione che per loro era stata definitivamente risolta con la LEGGE DELLE

GUARENTIGIE. Ma dobbiamo ricordare che la Camera era eletta a suffragio limitato, equindi rappresentava solo una parte della società: infatti i cattolici non potevanopartecipare alle competizioni elettorali perché nel 1874 la Sacra Penitenzieria avevadichiarato non opportuno (non expedit) tale partecipazione. Questo divieto imposto aicattolici di essere eletti o elettori durò effettivamente sino al 1904, ma non sortì gli effettisperati. Nel 1905 il divieto cominciò ad attenuarsi, fino a quando nel 1913 Giolittiraggiunse una intesa elettorale con il conte Gentiloni (presidente dell’unione cattolicaitaliana); tale intesa diede luogo ad un’alleanza delle organizzazioni cattoliche con iliberali conservatori per le elezioni politiche di quell’anno. Chiaramente, la Prima GuerraMondiale influì enormemente sulle vicende che stiamo considerando: tanto è vero chedopo la guerra cominciarono a fiorire i PARTITI DI MASSA: pensiamo al partito socialistafondato nel 1891, o al partito popolare italiano fondato nel 1919 e capeggiato da Don LuigiSturzo. Quindi, il non expedit fu definitivamente abolito.La fine della guerra diede l’opportunità ai vari Presidenti del Consiglio di quel tempo diavere continui e frequenti rapporti con i rappresentanti della Santa Sede per risolvere la“questione romana”: ma questi contatti non portarono ad una soluzione del problema. Lanon riuscita di tali incontri dipese anche dalla incomunicabilità tra i partiti di massa e dalla

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loro crisi, che portò all’ascesa del fascismo. Fu proprio il fascismo a riprendere la politicalegislativa in materia ecclesiastica.

DAL 1922 AL 1947: il MOVIMENTO FASCISTA non godeva di una vera e propria ideologiapolitica. Quando i fasci si presentarono alle elezioni, nei loro programmi era previsto chebisognava nuovamente devolvere allo Stato i beni ecclesiastici: quindi il loro PROGRAMMA

era ANTICLERICALE. Ma nel 1919 il partito fascista non riuscì a mandare neanche undeputato in Parlamento. non fu così nel 1921, quando Mussolini ottenne il mandatoparlamentare e mostrò che la POSIZIONE FASCISTA RIGUARDO LA POLITICA ECCLESIASTICA ERA

TOTALMENTE CAMBIATO: egli sottolineò l’importanza del Papato per accrescere l’influenzadell’Italia nel mondo. Il fatto che il partito fascista si fosse fuso con il partito nazionalistacambiò radicalmente il modo di considerare la politica ecclesiastica: infatti, la religionecattolica, in quanto religione dei padri e tradizione culturale del popolo italiano, era vistacome strumento valido ad unificare la nazione. Così, cominciarono a spuntare le primenorme totalmente a favore della religione cristiana (pensiamo al delitto di vilipendio dellareligione dello Stato); nel frattempo, avendo liquidato l’opposizione, il partito fascistacominciò ad avere un potere totale. In questo clima, nel 1926, cominciarono le primetrattative per la stipulazione dei Patti Lateranensi: la solenne stipulazione dei Pattiavvenne nel palazzo del Laterano l’11 Febbraio 1929. Gli accordi non riguardavano solo lasoluzione della “questione romana” (a cui è dedicato il Trattato), ma anche la condizionedella Chiesa e della religione in Italia (a questo è dedicato il Concordato). Il CONCORDATO

DEL 1929 riconosceva ampia libertà alla Chiesa cattolica.Le leggi per l’esecuzione dei Patti furono presentati per l’approvazione ad una Cameraeletta plebiscitariamente e ad un Senato largamente amico. L’unico discorso contrario fuquello fatto da Benedetto Croce e ci furono solo 6 voti contrari. In questo clima, ilParlamento approvò rapidamente le leggi che davano esecuzione ai Patti. QuestaConciliazione era solo funzionale, in quanto avvenne tra uno Stato autoritario ed unaChiesa ancora non pacificata con il mondo moderno. Comunque, molti provvedimentipolitici furono ben visti ed approvati dalla Chiesa: per esempio la conquista dell’Etiopiapoteva favorire l’attività missionaria; l’intervento nella guerra civile spagnola a favore delgenerale Franco andava contro il comunismo ateo.Però il Governo fu di parola: aveva promesso di rinvigorire il principio della religione diStato, e così fece. Infatti, furono promulgate leggi che vietarono totalmente di poterprofessare religioni diverse da quella cattolica: perciò le minoranze furono debellate.Questo fu il periodo in cui i rapporti tra lo Stato e la Chiesa andavano relativamente bene:ma quando il Governo cominciò a voler attuare quei principi razzisti che si erano diffusi inGermania con il nazismo, la Chiesa cominciò ad opporsi (1938).Spazzato via il fascismo, negli incerti anni che precedettero la formazione dellaRepubblica, i rapporti tra lo Stato e le confessioni religiose andarono avanti sulla base delConcordato.DAL 1947 AI GIORNI NOSTRI: la stipulazione dei Patti Lateranensi incontrò moltecritiche da parte dei gruppi antifascisti, i quali erano costretti alla clandestinità o all’esilio.

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Durante la guerra, la Chiesa fece il proprio dovere: tutti quelli che temevano lepersecuzioni o erano già perseguitati dai nazifascisti trovavano rifugio negli istitutiecclesiastici. I cattolici, e in particolare la Democrazia Cristiana, presero parte al Comitatodi Liberazione Nazionale (CLN).Alla vigilia delle elezioni dell’Assemblea costituente e del referendum istituzionale,nessun partito della sinistra propose la denuncia dei Patti Lateranensi o una politicaecclesiastica contraria alla Chiesa cattolica; questa situazione portò alla formazione dellenorme costituzionali per la materia religiosa e alla riconferma dei Patti. Gli unici adopporsi furono il Partito d’azione ed il Partito repubblicano. La DC seguì le direttive dellaSanta Sede nella vicenda riguardante il richiamo dei Patti Lateranensi nella Costituzione:infatti la Santa Sede era preoccupata ad ottenere la firma della Repubblica su quegli stessiaccordi. Per il raggiungimento di questo obiettivo la DC trovò un forte alleato nel PCI, ilquale era preoccupato di salvaguardare la pace religiosa degli italiani: questa pace sisarebbe ottenuta solo con la conferma dei Patti.Data la situazione politica del nostro paese, dobbiamo affermare che almeno nei primianni dall’entrata in vigore della Costituzione, lo Stato italiano si presentava confessionistain tutti i sensi: tale confessionismo non affiorava nella Costituzione formale, macaratterizzava l’ordinamento. Solo quando ci fu il declino dei governi centristi la CorteCostituzionale ristabilì la libertà di culto delle minoranze religiose (con sentenze chevanno dal 1957 al 1959).Anche con l’avvento dei governi di centro–sinistra non si ebbe nessun rinnovamento:l’immobilismo di tali governi spense tutti i progetti riformatori. In questo clima eraimpossibile pensare ad una revisione del concordato; solo il 5 ottobre del 1967 presel’avvio il procedimento di revisione del Concordato. È stato un procedimento molto lungoe faticoso che è terminato solo nel 1984.Vediamo il perché delle lungaggini di questo procedimento. Una volta votato alla Cameral’ordine del giorno, il Ministro di Grazia e Giustizia nominò una commissione per leproposte da fare alla Santa Sede nel novembre del 1968. Questa commissione terminò ilavori nel 1969, ma furono tenuti segreti fino al 1976; inoltre si deve ricordare che, durantei lavori, si vennero a verificare delle condizioni che facevano cadere ogni trattativa con laSanta Sede. Una di queste condizioni era l’introduzione del DIVORZIO in Italia. Infatti, nel1968, cominciò l’iter legislativo per legalizzare lo scioglimento del matrimonio cheprovocò le proteste della Chiesa. Solo dopo questa vicenda iniziarono le trattative per larevisione del Concordato, favorite anche dal fatto che era in carica uno dei primi governidi “solidarietà nazionale”. Forse anche grazie a questo nuovo quadro politico, le trattativeebbero uno stile completamente diverso: non più riservate o segrete, ma pubblichediscussioni in Parlamento.Il fatto di regolare i rapporti tra Stato e Chiesa direttamente in Parlamento ci fa capirecome le forze politiche considerassero questa questione di rilevanza istituzionale, tanto daritenere opportuno la presenza della opposizione. Comunque, anche la presentazioneparlamentare dei problemi tra Stato è Chiesa è stata limitata.

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La revisione del Concordato è stata molto lenta (9 anni dall’ordine del giorno dellaCamera), e questa lentezza ha fatto nascere nuovi meccanismi per il rinnovamento delladisciplina tra Stato e Chiesa cattolica.Le trattative per la revisione hanno dato vita alla presentazione di varie bozze di Accordo:la prima fu presentata dal governo Andreotti nel 1976. Questa fu molto criticata perchéaveva molte lacune ed era deludente. Dopo furono presentate altre bozze: tutte avevano incomune la decisione di lasciare ad un’altra intesa la disciplina della materia degli enti e delpatrimonio della Chiesa (di cui l’art. 7 ha previsto soltanto alcuni dei principifondamentali).Comunque il tanto sospirato ACCORDO fu stipulato in forma solenne il 18 FEBBRAIO 1984 aVilla Madama dal Segretario di Stato Cardinale Agostino Casaroli e dal Presidente delConsiglio Bettino Craxi. Anche se questo Accordo presenta collegamenti con il vecchioConcordato, lo stesso e il successivo Protocollo del 15 Novembre del 1984 formano unnuovo Concordato perché nulla è rimasto del vecchio. La differenza sostanziale tra ilvecchio ed il nuovo Concordato è quantitativa: il vecchio presentava 46 articoli, mentre ilnuovo ne presenta ben 96 (anche se presenti in testi diversi). Ciò che invece accomuna tuttigli accordi, a partire dal 1929 fino al 1984, è il voler cercare la soluzione delle questionipendenti tra Stato e Chiesa mediante concordati. Perciò c’è un certo rispetto dello Stato neiconfronti della Chiesa, in quanto non impone soluzioni unilaterali, ma ritiene opportunoche le sue leggi debbano dare esecuzione ad accordi.Oltre all’Accordo stipulato con la Chiesa cattolica, il 21 Febbraio 1984 anche le confessionivaldese e metodista stipularono in maniera solenne un’Intesa con lo Stato. Sulla scia diquesti fatti, il 26 Dicembre del 1986 lo Stato stipulò altre due intese con le “Assemblee diDio in Italia” e con “l’Unione italiana delle Chiese avventiste del settimo giorno”. Moltopiù laboriosa è stata la conclusione dell’Intesa con l’ebraismo italiano: infatti le comunitàebraiche dovettero prima formare un nuovo statuto interno. Così, anche se l’Intesa furaggiunta il 27 Febbraio 1987, la legge per l’esecuzione di tale intesa si ebbe solo nel 1989.Ricordiamo, inoltre, che lo Stato ha stipulato un’Intesa con “l’Unione cristiana evangelicad’Italia” (UCEBI) il 29 Marzo 1993; mentre 1l 20 Aprile del 1993 è stata raggiunta unaintesa con la “Chiesa evangelica luterana”.Tutti gli accordi e le intese stipulati tra lo Stato e le varie confessioni religiose prevedono lapossibilità di essere successivamente riviste, nel caso in cui ce ne fosse bisogno. Essendopiù precisi, le leggi prevedono un riesame delle Intese ogni dieci anni dall’entrata invigore della legge di approvazione.

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CAPITOLO III: L’ORDINAMENTO STATUALE E IL FENOMENO RELIGIOSO. ISOGGETTI “RELIGIOSI” E I POTERI PUBBLICI

Nel regolare il fenomeno religioso, lo Stato attribuisce rilevanza giuridica alle norme delleconfessioni religiose e riconosce vari SOGGETTI: le persone fisiche (in quanto credenti onon), gli enti personificati (con un fine di religione o di culto) e le confessioni religiose.Dato l’art. 19 della Costituzione, in Italia è assicurata la libertà dell’individuo di poterprofessare qualsiasi religione riconosciuta; la posizione giuridica del singolo non cambia irelazione alla scelta religiosa da lui effettuata. Ma ciò non impedisce allo Stato di attribuirerilevanza all’appartenenza ad una certa confessione religiosa o al fatto di rivestireposizioni particolari all’interno delle stesse. La qualificazione confessionale può esserediretta (pensiamo agli ebrei che devono pagare contributi alla propria Chiesa perchéprevisto nello statuto di questa) o in maniera indiretta (pensiamo al fatto che la leggeprevede di destinare una quota del gettito fiscale alla Chiesa cattolica, o a quellerappresentate nella Tavola valdese, e così via).Importanti risultano essere le QUALIFICHE SPETTANTI A TALUNE PERSONE FISICHE:ecclesiastico, sacerdote, religioso, Arcivescovo, Vescovo, Abate, Prelato, Sommo Pontefice,ministro di culto, e tanti altri. Definiamo le più importanti.La qualifica di “MINISTRO DI CULTO” si riferisce a chi riveste una posizione differenziata dalsemplice fedele. Sono ministri di culto il sacerdote cattolico, il rabbino ebraico, ecc. Laqualifica di “ECCLESIASTICO” ha un significato più ampio per la Chiesa cattolica, in quantogodono di tale qualifica non solo i sacerdoti ma anche coloro che abbiano ricevuto ildiaconato. Invece, i “RELIGIOSI” sono gli aderenti alle associazioni religiose di vitaconsacrata che abbiano pronunciato i voti.Come per lo Stato risulta indifferente la scelta e la posizione religiosa di un individuo, cosìè giuridicamente indifferente che un ENTE abbia o meno un carattere confessionale. L’art.20 della Costituzione prevede che il fine di culto di una associazione non possadeterminare limitazioni legislative o aggravi fiscali per la sua formazione e per ogni suaattività. Un ente è ecclesiastico se è stato costituito o approvato dall’autorità ecclesiasticae se abbia in modo essenziale un fine di religione e di culto. Nel nostro ordinamentohanno una relativa importanza anche le FORMAZIONI SOCIALI CON FINE DI RELIGIONE O DI

CULTO: esse sono garantite dall’art. 2 della Costituzione, in quanto centri di svolgimentodella personalità individuale.Le istituzioni religiose che assumono maggiore importanza nella Costituzione sono leCONFESSIONI RELIGIOSE. Anche se vi sono alcuni articoli dedicati alla materia religiosa(pensiamo soprattutto agli art. 7 e 8 della Costituzione), nella nostra Costituzione mancauna nozione di “confessione religiosa”. Non è neanche semplice riuscire a dare unadefinizione unica, in quanto i vari gruppi sociali qualificati come “confessioni religiose” oche aspirano a tale qualifica sono molto diversi l’uno dall’altro. L’unica caratteristica che siriscontra nella nostra Costituzione è che una confessione religiosa è un “gruppo socialecon fine religioso”: ma questo non ci aiuta molto.

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Infatti, negli ultimi anni sono proliferate a dismisura molte iniziative che siautodefiniscono religiose: sono sia di origine nazionale che estere. Bisogna saperdistinguere. Nel mondo moderno molte persone hanno un bisogno di religiosità che,quando non viene soddisfatto dalle confessioni istituzionali, viene cercato in altreorganizzazioni che offrono una interpretazione fondamentalista del messaggio evangelico(pensiamo ai testimoni di Geova). Andando aldilà di tali affermazioni, a noi interessaconoscere quale sia il rapporto trai dirigenti e gli aderenti a tali organizzazioni dal puntodi vista giuridico, e quali siano le modalità del proselitismo. Proprio per quanto riguardaquesto problema, è intervenuto il Parlamento Europeo con una risoluzione approvata il 22Maggio del 1984; essa contiene i criteri a cui i nuovi movimenti religiosi devono attenersiper essere considerati leciti. Questi i principali:- non possono essere presenti minorenni;- devono concedere un sufficiente periodo di riflessione ai propri aderenti prima di

assumere impegni finanziari o personali;- non devono impedire agli aderenti i contatti con parenti ed amici;- non devono incoraggiare gli aderenti ad infrangere la legge;- l’aderente deve poter liberamente abbandonare l’organizzazione, chiedere consigli

legali (al di fuori dell’organizzazione) e chiedere assistenza medica.Questi criteri derivano dall’esperienza, perché molto spesso è successo (succede esuccederà ancora) di incontrare truffatori pronti a tutto pur di potersi arricchire. Quandoquesti criteri non vengono rispettati, questi gruppi non possono essere definiti religiosi.

Dall’art. 7 della Costituzione di deduce subito che la CHIESA CATTOLICA gode di unORDINAMENTO GIURIDICO ORIGINARIO; alcuni affermano che, alla luce dell’art. 8, 2° commadella Costituzione, non è sicuro che tale qualifica spetti anche alle altre confessionireligiose. La disposizione dell’articolo che ci interessa afferma che le confessioni diverse daquella cattolica “HANNO DIRITTO DI ORGANIZZARSI SECONDO I PROPRI STATUTI, IN QUANTO NON

CONTRASTINO CON L’ORDINAMENTO GIURIDICO ITALIANO”. Ma il fine della norma è di far siche le confessioni diverse da quella cattolica abbiano un minimo di organizzazione,affinché si possa dire che esiste un ordinamento giuridico; quindi gli ordinamenti di tuttele confessioni è ORIGINARIO.Molti hanno voluto trovare un collegamento tra l’art. 8 , 2° comma Cost. con l’art. 18 Cost.;ma l’esistenza di un ordinamento giuridico è qualcosa di diverso dall’esistenza diun’associazione. L’ordinamento giuridico è originato dall’impulso organizzatorio delgruppo, che prescinde dall’esistenza di un’associazione; invece, le associazioni sonoregolate dagli accordi presi dagli associati (nel rispetto delle norme previste dal codicecivile), e non hanno nulla a che fare con la religione. Non si è cristiani, ebrei o musulmaniin forza di un contratto soggetto alle leggi dello Stato, ma è un impulso che ognuno hadentro di sé. Tanto è vero che quando si stipulano degli accordi che creano diritti e doveritra i contraenti, non possiamo più parlare di “confessione religiosa”, ma di associazione.

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Per ottenere la qualifica di “confessione religiosa”, il primo problema è quello dell’ENTITÀ

NUMERICA DEL GRUPPO. Infatti, non è che un piccolo gruppo può pretendere di essereconsiderato una confessione religiosa; ciò vale per le associazioni, ma non per leconfessioni. Ma se pensiamo al fatto che Cristo aveva solo 12 discepoli, questo discorsopotrebbe facilmente cadere. Per questo la dottrina ha posto l’accento su altrecaratteristiche:1) ISTITUZIONALITÀ DEL GRUPPO: il gruppo dovrebbe presentarsi legato dal vincolo di una

fede comune che dia ad esso un assetto unitario. Ma questa tesi viene criticata perchél’opinione che il gruppo, per essere qualificabile come confessione, debba averecarattere istituzionale va oltre la legge. Infatti, l’art. 8 Cost. ammette che possanoesserci confessioni religiose organizzate o non, ma egualmente qualificabili comeconfessioni religiose.

2) PECULIARITÀ DEL FINE SPECIFICO PERSEGUITO: anche questa tesi è criticata in quanto nonriesce a chiarire la nozione di “confessione religiosa”. Infatti anche le associazionihanno un loro fine specifico; quindi potrebbe sembrare che non vi sia distinzione traassociazioni e confessioni religiose.

3) TRADIZIONALITÀ RELIGIOSA: la critica mossa a questa tesi è che la conformità del finereligioso alla tradizione italiana è estraneo alla Costituzione, in quanto qui è prevista lalibertà di organizzazione religiosa per tutte le confessioni di minoranze, e perciò ancheper quelle che non sono entrate nella tradizione italiana.

La differenza sostanziale tra una confessione religiosa e un’associazione con fini direligione o di culto è che LA CONFESSIONE RELIGIOSA HA UNA PROPRIA CONCEZIONE TOTALE ED

ORIGINALE DEL MONDO, che riguarda non solo i rapporti tra l’uomo e Dio, ma anche irapporti tra uomo e uomo (dettando regole che disciplinano il comportamentodell’individuo all’interno di altre comunità); invece, l’associazione non ha una propriaoriginale concezione del mondo e, quando cercano di averla, sono sempre degli organismilegati ad organizzazioni più ampie. Quindi possiamo affermare che la caratteristicafondamentale di una confessione religiosa è l’avere una propria originale concezione delmondo.Però dobbiamo stare attenti al significato dell’aggettivo “religiosa”: infatti esso qualifica igruppi e li differenzia dalle altre comunità. Con il termine RELIGIONE si intende quelcomplesso di dottrine costruite intorno al presupposto dell’esistenza di un Esseretrascendente, al quale l’uomo è tenuto a dare rispetto, obbedienza e anche amore. Lecomunità che accettano una fede trascendente, la esplica mediante riti con cui si adoraquesto Essere e si chiede ad esso un atteggiamento benevolo. Però il discorso cambia nelmomento in cui prendiamo in considerazione le religioni che hanno una concezioneimmanentista del divino. Secondo tali teorie, l’uomo deve cercare il divino in se stesso oper liberarsi nel nirvana dal desiderio e dalla volontà di vita (buddismo), o per esaltare lapropria personalità e conoscere il divino attraverso la scienza (gnosi, Scientology) ocercando il divino in tutto ciò che è nel mondo sensibile. Da questo discorso possiamodefinire le CONFESSIONI RELIGIOSE come “COMUNITÀ SOCIALI STABILI DOTATE (O NON) DI

ORGANIZZAZIONE E NORMAZIONE PROPRIA ED ORIGINALE CONCEZIONE DEL MONDO, BASATA

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SULL’ESISTENZA DI UN ESSERE TRASCENDENTE, IN RAPPORTO CON GLI UOMINI O SULLA RICERCA

DEL DIVINO NELL’IMMANENZA”. Da qui nasce la differenza tra le confessioni religiose e iCIRCOLI ATEISTICI (i quali affermano la non esistenza di Dio).Quando lo Stato attribuisce la QUALIFICA di confessione religiosa deve tener conto deicriteri enunciati dalla Corte Costituzionale, da seguire dal primo all’ultimo:1) STIPULAZIONE DI UN’INTESA (ex art. 8, 3° comma Cost.);2) EVENTUALI PRECEDENTI RICONOSCIMENTI PUBBLICI;3) ESISTENZA DI UNO STATUTO CHE ESPRIMA I CARATTERI DELL’ORGANIZZAZIONE;4) COMUNE CONSIDERAZIONE.Per quanto riguarda le confessioni diverse da quella cattolica, dobbiamo ricordare che lalegge non dice che essi sono ordinamenti, perché lo Stato non vuole violare l’immagine diquesti gruppi; ma, ad ogni modo, la legge dice che quando una confessione religiosa diavita ad un ordinamento, questo è rispettato dal diritto dello Stato. Chiaramente, perottenere il riconoscimento statale, tali confessioni devono avere uno statuto organizzativoconforme all’ordinamento italiano. Qui entra in gioco l’art. 1 della legge n. 1159 del 24Giugno 1929: qui viene affermato il riconoscimento degli altri culti diversi da quellocattolico, “purché non professino PRINCIPI e non seguano riti contrari all’ordine pubblico oal buon costume”. Ma la posizione sostenuta da questa legge non è accettabile per unaserie di motivi. Innanzitutto essa ha perso il suo carattere di generalità e non è utilizzabileper intendere l’art. 8, 2° comma Cost; poi, il citato art., prevede il diritto delle confessionidiverse da quella cattolica di organizzarsi secondo propri statuti non contrastanti conl’ordinamento giuridico italiano, ma i principi religiosi non possono essere valutati inquanto vanno al di là delle competenze statali. Ecco quindi che la legge suddetta ha persototalmente valore, anche alla luce dell’ACCORDO stipulato il 18 Febbraio 1984, ma rimaneancora viva la tesi della sua applicabilità per il timore che nel nostro Paese si diffondanoconfessioni che potrebbero stravolgere l’etica comune. Tale timore, però, è totalmenteinfondato in quanto lo Stato non si oppone a comportamenti eterodossi (sempre che nonsiano contrari alla legge).Adesso è importante capire quali sono le DIFFERENZE TRA LA FORMULAZIONE dell’art. 7, 1°comma Cost. e l’art 8, 2° comma Cost.. La prima disposizione riguarda un determinatoordinamento giuridico, riconosciuto da sempre, che ha una struttura organizzativa bennota e con cui il diritto dello Stato è collegato per la disciplina di varie materie; invece, laseconda disposizione si riferisce a tutte le confessioni religiose (anche a quelle che siformeranno in futuro) che, per la prima volta, vengono considerate come ordinamenti.Quindi, da parte dello Stato, c’è lo stesso riconoscimento del carattere di ordinamentogiuridico sia per la Chiesa cattolica che per le altre confessioni religiose: sarebbecontraddittorio il riconoscimento di un ordinamento giuridico come subordinato. Inoltre,non bisogna farsi ingannare dalla disposizione contenuta nell’art. 8 Cost., la quale affermache gli statuti delle organizzazioni debbano essere conformi all’ordinamento statale: ciònon significa che tali ordinamenti sono subordinati allo Stato, ma che lo Stato nonriconosce come ordinamenti giuridici primari quelle confessioni che hanno statuti nonconformi allo Stato.

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Quindi, il vero significato dell’art. 8, 2° comma Cost., è che lo Stato riconosce comeordinamenti giuridici quelle confessioni i cui statuti non siano in contrasto con il suoordinamento: nel caso in cui ci fossero contrasti, lo Stato considera il gruppo non comeconfessione religiosa, bensì come associazione. In definitiva, le confessioni religiose chehanno uno statuto conforme a quello statale sono considerati ordinamenti originari eindipendenti; mentre le confessioni religiose che hanno uno statuto in contrasto con quellostatale non godono di una loro indipendenza e devono rispettare le norme statuali didiritto comune, che devono essere applicate da quelle confessioni religiose che non hannostipulato intese con lo Stato.

Un altro problema rilevante è quello della PERSONALITÀ DELLE CONFESSIONI RELIGIOSE neldiritto italiano. La Chiesa cattolica ha personalità nel diritto pubblico italiano: cioè, èun’istituzione di diritto pubblico con caratteri del tutto speciali (con l’aiuto di moltaastrattezza, la sua posizione per alcuni rapporti può essere avvicinata a quella degli Statistranieri). Invece, la Chiesa non ha personalità nel diritto privato: sia perché tale qualitànon è mai stata riconosciuta sia, perché vengono riconosciuti titolari dei beni ecclesiastici isingoli enti e non la Chiesa considerata in modo unitario. Neanche le altre confessionireligiose, di regola, hanno personalità giuridica di diritto privato nell’ordinamento statale.Infatti, il fatto che venga riconosciuto l’ordinamento giuridico istituito da una comunitànon significa riconoscere anche la personalità giuridica. Anche quando la legge hariconosciuto la personalità giuridica ad alcune comunità (come è avvenuto per leComunità israelitiche), il riconoscimento riguarda singoli enti esponenziali di essa e nonl’intera comunità.

Nel momento in cui lo Stato riconosce agli effetti civili l’appartenenza confessionale di unapersona fisica o di un ente, o la qualifica da loro rivestita, la legge attua un COLLEGAMENTO

tra l’ordinamento statale e l’ordinamento confessionale. Ci sono vari criteri dicollegamento tra ordinamenti giuridici: il rinvio recettizio, il rinvio formale e ilpresupposto in senso tecnico. Il criterio del RINVIO RECETTIZIO non è usato, in quantoquesto viene utilizzato quando un dato ordinamento, ritenendosi competente adisciplinare una materia, attua tale disciplina utilizzando norme di un altro ordinamento.Si ha il PRESUPPOSTO IN SENSO TECNICO nel momento in cui il diritto dello Stato attribuisceefficacia ad una qualifica confessionale: le varie posizioni di Vescovo, fedele o SommoPontefice sono riconosciute dall’ordinamento italiano così come sono disciplinate dagliordinamenti confessionali. Si ha il RINVIO FORMALE quando la legge rinvia all’ordinamentoconfessionale la disciplina di materie che sono regolate dal diritto statale, perché dicompetenza dello Stato, ma che sono anche di competenza dell’ordinamentoconfessionale. La caratteristica di tali norme è il fatto che lo Stato è competente adisciplinare materie quali il controllo sugli enti o il matrimonio ma, essendo presenti inessi delle caratteristiche di competenza religiosa aliene allo Stato, l’ordinamento attribuiscerilevanza al diritto delle confessioni religiose. Comunque dobbiamo ricordare che gli atti

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rientranti nell’autonomia delle confessioni religiose (riconosciuta dallo Stato) sono privi dirilevanza giuridica all’interno dell’ordinamento.Il collegamento che si istituisce tra l’ordinamento giuridico statale e i vari ordinamenticonfessionali può riguardare la RILEVANZA NEL DIRITTO STATUALE DEGLI ATTI AUTORITATIVI

compiuti all’interno di tali confessioni: si tratta di atti normativi, atti amministrativi o diatti giurisdizionali. Logicamente, questo discorso vale soprattutto per gli atti posti inessere dalla Chiesa cattolica: qui entriamo nell’ambito della GIURISDIZIONE ECCLESIASTICA.La rilevanza della giurisdizione ecclesiastica all’interno del diritto canonico è diversa daquella all’interno del diritto dello Stato. All’interno della Chiesa, tale definizione sta adindicare tutti i poteri (legislativo, amministrativo e giudiziario), che sono difficilmenteseparabili all’interno dell’ordinamento canonico. Invece, all’interno del diritto dello Stato,tale espressione si riferisce alla rilevanza di provvedimenti emanati dall’autoritàecclesiastica nell’esercizio del potere giudiziario o con le modalità proprie degli attigiudiziari.La rilevanza civile dei provvedimenti canonici avviene su tre piani:1) GIUDIZIARIO: per es., lo Stato ha riconosciuto effetti giuridici alle sentenze emesse dai

tribunali ecclesiastici che riguardano la nullità dei matrimoni canonici trascritti neiregistri dello stato civile;

2) AMMINISTRATIVO: la Chiesa regola lo svolgimento, l’instaurazione e la permanenza dialcuni rapporti di pubblico impiego (pensiamo all’idoneità rilasciata a coloro che sonochiamati ad insegnare la religione cattolica nelle scuole pubbliche)

3) CERTIFICATIVO: con il potere di certificazione non solo si producono effetti nel dirittodello Stato, ma si certifica la situazione giuridica esistente nell’ordinamento dellaChiesa (es.: parroco che attesta la celebrazione di un matrimonio ai fini della suatrascrizione civile). Inoltre, quando un individuo perde una determinata qualificaall’interno di una determinata confessione, questi perderà tale qualifica anche ai finidel diritto dello Stato.

Il fatto che la maggior parte delle norme statuali riguardino la Chiesa cattolica, non devefar dimenticare che vi sono altre norme che riconoscono dei poteri anche ad autorità delleconfessioni religiose di minoranza. Infine dobbiamo ricordare che l’esercizio dellagiurisdizione confessionale incontra un limite nei diritti inviolabili garantiti ai singoli dallaCostituzione: ma i poteri delle confessioni religiose incontrano anche altri limiti (es.: lesentenze di nullità dei matrimoni canonici trascritti nei registri dello stato civile, devonoessere dichiarate esecutive dalla competente autorità giudiziaria italiana).

Vi sono numerosi ORGANI COSTITUZIONALI ED UFFICI che hanno specifiche competenze nellamateria religiosa. Il PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA, per quanto riguarda i rapporti con laChiesa cattolica, ha il potere di nominare i plenipotenziari per la conclusione deiconcordati e di ratificare, previa l’autorizzazione del Parlamento, i concordati conclusi; perquanto riguarda le confessioni religiose di minoranza, egli ha il potere di promulgare leleggi basate su intese con le stesse confessioni. Il PRESIDENTE DEL CONSIGLIO dei ministri

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rappresenta lo Stato negli accordi con le confessioni religiose e coordina l’attività dei varidicasteri in materia ecclesiastica.

Il CONSIGLIO DEI MINISTRI delibera sugli atti che riguardano i rapporti tra Stato e Chiesacattolica, e tra Stato e confessioni di minoranza: inoltre determina e mantiene l’indirizzopolitico in materia ecclesiastica. L’organo dell’amministrazione centrale con unacompetenza generale in materia ecclesiastica è il MINISTRO DELL’INTERNO. Presso questoMinistero sono state istituite due direzioni generali per amministrare l’attivitàecclesiastica: la prima è la Direzione generale degli Affari di culto; la seconda è laDirezione generale del fondo per il culto e del fondo di religione e di beneficenza per lacittà di Roma. Nel 1977, queste due direzioni generali sono state fuse in un unico ufficiocentrale: DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI DEI CULTI. A tale ufficio spettano: 1) lecompetenze in materia religiosa che riguardano gli enti della Chiesa cattolica e delleconfessioni di minoranza; 2) la vigilanza e la tutela sugli enti delle confessioni diminoranza ancora disciplinate dalle norme del 1929/30; 3) l’approvazione della nominadei ministri di culto di tali confessioni. Gli organi periferici del Ministero dell’interno,anche per la materia ecclesiastica, sono le singole Prefetture. Il Prefetto ha competenza pergli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione degli enti delle confessioni di minoranza; unaltro compito è quello di determinare con proprio decreto il numero delle chiese (che nonsiano cattedrali o dichiarate monumento nazionale).Accanto agli uffici pubblici che hanno competenze in materia religiosa, esistono UFFICI

ECCLESIASTICI ORGANIZZATI DALLO STATO. È molto diffusa l’assistenza spirituale delle cosìdette comunità separate (forze armate, ospedali, carceri, ecc.); tale assistenza tende arealizzare effettivamente il diritto di libertà religiosa, in quanto coloro che trascorrono quila maggior parte del loro tempo, possono usufruire del conforto spirituale delleconfessioni professate. Per quanto riguarda l’organizzazione dell’assistenza spirituale per icattolici, qui importa che gli ecclesiastici incaricati di svolgere tali funzioni siano nominatidalle competenti autorità italiane su designazione dell’autorità ecclesiastica. Pensiamo alConcordato del 1929, il quale presupponeva l’esistenza del servizio di assistenza spiritualedelle forze armate: così nacquero i CAPPELLANI MILITARI. Come per ogni impiego alledipendenze dello Stato, i sacerdoti che vogliono essere nominati cappellani militaridevono avere il godimento dei diritti civili e politici: inoltre, devono avere quei requisitifisici per poter bene esercitare tutte le funzioni inerenti all’assistenza spirituale in qualsiasisede (sia in pace che in guerra).L’ordinamento gerarchico del ruolo dei cappellani è equiparato ai gradi degli ufficialidelle forze armate; per quanto riguarda la responsabilità in sede penale e in sededisciplinare, i cappellani militari sono soggetti alla giurisdizione penale militare e alregolamento di disciplina militare soltanto nei casi di mobilitazione totale o parziale, o incaso di imbarco di servizio presso unità dislocate fuori dal territorio nazionale. Riguardoai cappellani che operano presso gli istituti di prevenzione e pena, dobbiamo ricordare cheessi non sono impiegati di ruolo dello Stato, ma fanno parte del personale aggregato. Icappellani che operano presso enti pubblici diversi dallo Stato, possono provvedere a tale

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servizio nel modo in cui ritengono più opportuno: in ogni caso c’è sempre bisogno di unaintesa con l’ordinario locale. Infine, per quanto riguarda L’ASSISTENZA PER I MILITARI

APPARTENENTI ALLE CONFESSIONI DI MINORANZA, l’assistenza spirituale è organizzata divolta in volta secondo le richieste avanzate dagli interessati: le confessioni che hannostipulato Intese con lo Stato, hanno norme speciali.

CAPITOLO IV: LA COSTITUZIONE ITALIANA E

IL FENOMENO RELIGIOSO

Trattando la materia religiosa, la Costituzione ha seguito un duplice criterio: da un lato hagarantito la libertà religiosa individuale e dei gruppi informali (art. 2, 3° comma e art. 19Cost.), d’altro canto ha garantito la libertà delle confessioni religiose in misura uguale pertutte (art. 8, 1° comma Cost.) e ha riconosciuto il carattere originario e indipendentedell’ordinamento della Chiesa cattolica (art. 7, 1° comma Cost.) e delle altre confessionireligiose (art. 8, 2° comma Cost.). Tutte le norme sopra menzionate possono esserecoordinate in sistema, a cui possono essere collegate le altre disposizioni costituzionali cheriguardano un settore comune con il diritto di libertà religiosa, come il diritto dimanifestare il proprio pensiero (art. 21 Cost.), il diritto di riunione (art. 17 Cost.) e il dirittodi associazione (art. 18 Cost.).Dando uno sguardo approssimativo alla nostra COSTITUZIONE, ci accorgiamo che essa haun CARATTERE totalmente PLURALISTA: infatti essa non prende in considerazione solo lalibertà di scelta dei singoli individui, ma anche il diritto all’esistenza, all’organizzazione ealla funzionalità delle varie istituzioni che sorgono da iniziative del tutto autonome daquelle dello Stato e di altri enti pubblici. Non potrebbe esistere alcuna libertà di sceltaideologica, religiosa o politica senza un adeguato riconoscimento delle istituzioni e senzaun’adeguata garanzia delle loro libertà.Ritornando alle norme contenute nella Costituzione, si nota come l’art. 7 e l’art. 8 siano ledisposizioni fondamentali in materia religiosa, in quanto regolano i rapporti tra lo Stato etutte le confessioni religiose.Art. 7 Cost.: “LO STATO E LA CHIESA CATTOLICA SONO, CIASCUNO NEL PROPRIO ORDINE,INDIPENDENTI E SOVRANI. I LORO RAPPORTI SONO REGOLATI DAI PATTI LATERANENSI. LE

MODIFICAZIONI DEI PATTI, ACCETTATE DALLE DUE PARTI, NON RICHIEDONO PROCEDIMENTO DI

REVISIONE COSTITUZIONALE”.Art. 8 Cost.: “TUTTE LE CONFESSIONI RELIGIOSE SONO EGUALMENTE LIBERE DAVANTI ALLA

LEGGE. LE CONFESSIONI RELIGIOSE DIVERSE DALLA CATTOLICA HANNO DIRITTO DI

ORGANIZZARSI SECONDO I PROPRI STATUTI, IN QUANTO NON CONTRASTINO CON

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L’ORDINAMENTO GIURIDICO ITALIANO. I LORO RAPPORTI CON LO STATO SONO REGOLATI PER

LEGGE SULLA BASE DI INTESE CON LE RELATIVE RAPPRESENTANZE”.Risulta molto importante capire come si sono venute a formare queste disposizioni.Durante i lavori preparatori per l’art. 7, si cercò di mettere da parte l’onnipotenza delloStato: tant’è vero che Dossetti propose una formula che riconosceva lo Stato come membrodella comunità internazionale, e quindi riconosceva come originari gli ordinamenti deglialtri Stati e della Chiesa. Però, nella formazione di questo articolo, ci furono alcune critichesollevate dai laici; questi non accettavano che tale disposizione fosse contenuta nella CartaCostituzionale, ma affermavano che essa poteva essere l’argomento di un trattatointernazionale (in cui due potestà riconoscono la reciproca indipendenza e sovranità).Mentre l’approvazione del 1° comma è stata rapida, l’elaborazione e l’approvazione del 2°comma dell’art. 7 (riguardante i Patti Lateranensi) è stata abbastanza laboriosa. Ladisputa nasceva sulla valore che la norma doveva attribuire ai Patti, poiché non si sapevase il loro valore fosse uguale o minore alle norme della Costituzione.Una volta approvata la parte sui Patti, il legislatore ha voluto mettere in evidenza comequesti accordi non hanno un valore vincolante eterno: infatti, la disposizione prevede checi possono essere delle modifiche da apportare a tali accordi. Dobbiamo sottolineare chetutti quelli che furono convinti sostenitori dell’approvazione di tale disposizione, conaltrettanta convinzione affermavano che il richiamo alle norme contenute nei Patti, nonattribuiva ad esse un valore uguale a quello delle norme costituzionali: quindi, l’art. 7non era altro che una norma sulla produzione giuridica che indicava l’iter da seguire performulare le norme che avrebbero potuto modificare i Patti. Gli oppositori, invece,sostenevano che tale disposizione costituzionalizzasse gli Accordi del 1929. Comunque,obiettivamente, non si può affermare che il 2° comma dell’art. 7 attribuisca valorecostituzionale alle norme contenute nei Patti; in più, da nessuna parola contenuta inquesta disposizione si può dedurre che il legislatore avesse intenzione di fare ciò. Ledifficoltà nell’approvazione di questa disposizione erano anche di origine politica: infatti,con o senza costituzionalizzazione, l’approvazione di tale testo significava mantenere vivigli Accordi del 1929. Minor importanza ebbero gli iter per la formazione degli altri articoliin materia religiosa, e cioè gli art. 8, 19 e 20. Questi furono approvati senza che nascesseroscontri tra le parti impegnate nell’Assemblea costituente.Come per tutte le situazioni, anche intorno al 1° comma dell’art. 7 nacquero critiche egiustificazioni: da un lato c’era chi vedeva in questa disposizione un “omaggio politico”alla Chiesa; dall’altro lato c’era chi sottolineava il valore di tale disposizione. Ad ognimodo, risulta importante il riconoscimento dell’originarietà dell’ordinamento canonico: ilsuo carattere primario deriva dal fatto che esso è nato per forza propria, senza l’interventoesterno di nessun altro ente. Il fatto che l’originarietà sia riconosciuta all’interno dellaCarta, fa si che la posizione della Chiesa sia elevata a presupposto costituzionale neiconfronti del diritto statuale. Dunque, tutti gli atti statali che considerano la Chiesa comeun ordinamento subordinato allo Stato, sarebbero in contrasto con tale norma. LaCostituzione non esclude che lo Stato possa intervenire nelle materie ecclesiastiche di suacompetenza, ma esclude che lo Stato possa considerare la Chiesa come ordinamento

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subordinato: quindi, in Italia non potrebbe mai esserci un regime cesaropapista dove ilcapo dello Stato è anche capo della religione. Ovviamente, anche lo Stato non può esseresubordinato alla Chiesa.Sempre il 1° comma dell’art. 7 risulta impreciso: infatti, quando afferma la sovranità el’indipendenza dei due ordinamenti, afferma che queste si realizzano “OGNUNA NEL

PROPRIO ORDINE”. Ma quale sia questo ordine, non viene specificato. In mancanza di taledeterminazione, la dottrina ha pensato che l’ordine proprio della Chiesa coincida (più omeno) con i rapporti spirituali e religiosi. Questo problema di rapporti tra i dueordinamenti non è stato ancora risolto: è il così detto problema della “COMPETENZA DELLE

COMPETENZE”, ossia non si sa a quale soggetto attribuire la risoluzione di un eventualeconflitto di competenza insorto tra lo Stato e la Chiesa. Essendo impensabile che la Chiesasi sottometta al volere dello Stato, e viceversa, non resta che cercare di risolvere ilproblema attraverso un accordo tra le parti. Se le parti non riescono a mettersi d’accordo,lo Stato può sempre decidere in maniera unilaterale anche per i casi che non sono di suacompetenza, perché gli spetta la competenza delle competenze.La soluzione di questo problema non è di facile soluzione anche se prendiamo inconsiderazione il 2° comma dell’art. 7. Infatti, anche se ci rifacessimo ai Patti Lateranensi,ci accorgeremmo che tali protocolli trattano soprattutto materie che non sono dicompetenza esclusiva né della Chiesa né dello Stato. Qui troviamo regolate le così dette“MATERIE MISTE”, cioè le materie di competenza comune.

Il dibattito dottrinale sull’interpretazione dell’art. 7 è stato molto vivo sino a quando nonc’è stato l’intervento della Corte Costituzionale. Subito dopo l’entrata in vigore dellaCostituzione, i giuristi che posero l’attenzione su questo articolo sostennero che i PattiLateranensi erano stati costituzionalizzati. Avendo lo stesso valore delle leggicostituzionali, le disposizioni contenute nei Patti risultavano gerarchicamente superiorialle norme poste dalla legge ordinaria; non solo, se venivano considerate normecostituzionali speciali, esse finivano per prevalere sulle stesse norme costituzionali.Abbandonata la tesi della costituzionalizzazione delle norme concordatarie, si cominciò adaffermare che la Carta avrebbe costituzionalizzato il “PRINCIPIO CONCORDATARIO”. UnaPRIMA TESI afferma che lo Stato è obbligato regolare in maniera concordataria tutte lematerie che toccavano gli interessi della Chiesa cattolica: questa teoria, oltre a garantire iPatti e la sua legge di esecuzione, garantirebbe anche le future modificazioni. UnaSECONDA TESI afferma che l’art. 7 avrebbe introdotto un sistema particolare che nonsubirebbe l’influenza della norme costituzionali: anzi, le disposizioni di questo sistemaprevarrebbero sulle norme costituzionali generali che interferiscono nelle materie regolatedallo stesso sistema. La TERZA TESI, invece, vede nell’art. 7 il riconoscimento della regolainternazionale dello stare pactis e garantirebbe tutte le convenzioni stipulate con la SantaSede (anche le future); le leggi ordinarie in contrasto con le norme garantite dall’art. 7sarebbero viziate da illegittimità costituzionale.Opposto alla costituzionalizzazione del principio concordatario, si è affermata la teoriadella costituzionalizzazione del “PRINCIPIO PATTIZIO”. Questo principio, oltre a garantire

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le norme concordatarie del 1929, garantirebbe anche i nuovi accordi che riguardano lematerie disciplinate dai Patti Lateranensi.Abbandonando i principi “concordatario” e “pattizio”, nasce un’altra tesi: quella checonsidera l’art. 7 come una “NORMA DI ADATTAMENTO AUTOMATICO AGLI ACCORDI CON LA

SANTA SEDE”. L’art. 7 sarebbe un ordine di esecuzione nell’ordinamento interno dellenorme pattizie: esso garantirebbe tutti gli accordi conclusi in qualsiasi momento tra loStato e la Santa Sede.Alcuni autori considerano l’art. 7 come “NORMA SULLE FONTI DEL DIRITTO”. Secondaquesta teoria, nella scala gerarchica delle leggi, tra le norme costituzionali e le leggiordinarie ci sarebbe un gradino intermedio occupato dalle così dette “FONTI NORMATIVE

ATIPICHE”; queste, pur avendo il valore di leggi ordinarie, resistono all’abrogazione, allamodifica e alla deroga delle norme di legge costituzionale. La legge n. 810 del 1929(esecutiva dei Patti Lateranensi) sarebbe una fonte atipica. Per cui le norme garantitedall’art. 7 non possono essere abrogate, modificate o derogate da una legge ordinaria, maallo stesso tempo queste norme non possono essere in contrasto con le disposizionicostituzionali.

C’è anche chi ha considerato l’art. 7 considerando i suoi “EFFETTI SUL POTERE DELLO

STATO”; la tutela risulta essere duplice. Infatti, da un lato bisogna tutelare i PattiLateranensi nell’ordinamento internazionale; dall’altro lato si deve tutelare la legge n. 810del 1929 nell’ordinamento interno. Per quanto riguarda il primo ambito, l’art. 7 avrebbeprivato il governo della facoltà di denunciare i Patti; invece, per il secondo ambito, lostesso art. 7 avrebbe privato il legislatore della competenza di abrogare, modificare oderogare le norme contenute nella legge di esecuzione. In caso di stravolgimenti dellesituazioni previste dai Patti, il governo sarebbe legittimato solo ad intraprendere dellenuove trattative con la Santa Sede: se queste non portassero ad alcun risultato, il governoavrebbe la facoltà di modificare le norme di origine concordataria con legge costituzionale.Chi ha affrontato il problema dell’interpretazione dell’art. 7 dopo la pronuncia della CorteCostituzionale, ritiene che tale norma abbia parificato la legge n. 810 del 1929 alle leggicostituzionali; però, gli stessi autori hanno previsto un procedimento di“DECOSTITUZIONALIZZAZIONE”. Questo si verifica quando questa legge, per le parti toccateda un nuovo accordo, perde la parificazione alle leggi costituzionali: per essere modificata,basta una legge ordinaria di ratifica e di esecuzione del nuovo accordo tra l’Italia e la SantaSede.

L’intervento della Corte Costituzionale sull’interpretazione dell’art. 7 è stato moltograduale. Infatti, ha cominciato a trattare questo problema solo 15 anni dopo la sua entratain funzione, adottando sempre delle valutazioni molto generiche. Secondo le primepronunce della Corte, l’art. 7 Cost. “non sancisce solo un generico principio pattizio da farvalere solo nella disciplina dei rapporti tra lo Stato e la Chiesa cattolica, ma contiene unpreciso riferimento al Concordato in vigore e, perciò, HA PRODOTTO DIRITTO”. Perprecisare quale fosse il diritto prodotto dall’art. 7, la Corte Costituzionale ha collegato

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tutto l’art. 7 con il suo 1° comma: in questo modo ha evidenziato come pur riconoscendol’indipendenza e la sovranità dello Stato e della Chiesa, il richiamo ai Patti “non ha la forzadi negare i PRINCIPI SUPREMI DELL’ORDINAMENTO COSTITUZIONALE dello Stato”. Quindi, se lenorme derivate dai Patti potevano essere dichiarate incostituzionali nel caso in cui fosserostate in contrasto con i “principi supremi”, significa che l’art. 7 aveva “prodotto diritto”nel senso di parificare le norme di origine concordataria alle norme poste da leggicostituzionali. La qualifica delle norme derivanti dai Patti di “norme parificate a quelleprodotte da leggi costituzionali” è messa in evidenza dalla sentenza della CorteCostituzionale che ha dichiarato inammissibile il referendum proposto per l’abrogazionedi tali norme, proprio perché la legge di esecuzione dei Patti è da considerare protetta egarantita dalla Costituzione (quindi, non soggetta a referendum). Perciò, il diritto positivovigente considera la legge n. 810 del 1929 protetta alla stregua di una legge costituzionale.Per quanto riguarda l’INDIVIDUAZIONE DELLE NORME DI LEGGE PROTETTE DALL’ART. 7 COST.,la Corte si è dimostrata al quanto indecisa ed oscillante. Inizialmente la Corte consideravaprotette non solo le norme di origine concordataria introdotte dalla legge diesecuzione n. 810 del 1929, ma anche quelle dirette ad indicare una delle tante applicazionipossibili delle norme che erano state così adattate. In una successiva sentenza, la Cortetenne a precisare che l’art. 7 Cost. protegge solo la legge n. 810 del 1929, mentre le leggi diapplicazione erano comuni leggi ordinarie (che potevano risultare illegittime per contrastocon le norme costituzionali). Dopo l’entrata in vigore degli Accordi del 18 Febbraio e del15 Novembre del 1984, che hanno abrogato il Concordato del 1929, la garanzia offertadall’art. 7 Cost. dovrebbe essere limitata al Trattato del Luterano (l’unico protocollosuperstite dei Patti del 1929); invece, la Corte Costituzionale sembra presupporre che l’art.7 garantisca anche i nuovi Accordi.Questi Accordi (e le leggi che ad essi hanno dato esecuzione) hanno avuto un effetto moltopiù ampio di una semplice modificazione, in quanto essi hanno abrogato tutte le normedel vecchio Concordato del 1929 e della legge che l’ha eseguito. Quindi risulta fuori didubbio che il Concordato sia stato solamente modificato. Comunque, sia che i nuovitrattati si considerino una modificazione o una totale sostituzione dei vecchi accordi, ècomunque da escludere che le leggi di esecuzione n. 121 e n. 206 del 1985 e gli accordi cuiesse si riferiscono siano garantiti dall’art. 7 Cost. Chi invece afferma la tesi opposta si basasu questa considerazione: se ai nuovi Accordi riguardanti la Chiesa cattolica e alle nuoveleggi di esecuzione di tali accordi non viene riconosciuta la garanzia dell’art. 7 Cost.,sarebbe riservato un trattamento deteriore rispetto a quello previsto dall’art. 8, 3° commaCost. per le intese con le altre confessioni, le cui leggi di approvazione sono sempre e inogni caso garantite da tale norma.In conclusione possiamo dire che risulta inequivocabile che l’art. 7 Cost. tutela solo edesclusivamente i Patti Lateranensi, senza curarsi degli sviluppi futuri.

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CAPITOLO V: LO STATO E LE CONFESSIONI RELIGIOSE

DI MINORANZA NELLA COSTITUZIONE

Oltre all’art. 7 (riguardante i rapporti tra lo Stato e la Chiesa cattolica), nella Costituzionerisulta fondamentale l’art. 8: questo detta le norme fondamentali sui rapporti con tutte lealtre confessioni. In particolare modo, il 2° ed il 3° comma di suddetto articolo sonoimportanti per capire quale posizione tiene lo Stato nei confronti di tali confessioni. Già ilfatto che nel 2° comma le qualifichi come “CONFESSIONI RELIGIOSE DIVERSE DA QUELLA

CATTOLICA”, fa capire che in realtà non esiste quell’imparzialità che lo Stato dovrebbeavere nei confronti di tutte le confessioni. Quindi, data questa situazione si può dedurreche mentre l’art. 7 Cost. disciplina i rapporti con la confessione di maggioranza, l’art. 8Cost. regola i rapporti con le confessioni di minoranza.In precedenza, abbiamo già visto che tutte le confessioni religiose organizzate danno vitaad altrettanti ordinamenti originari ed indipendenti da quello dello Stato. Questo implicache i rapporti tra queste confessioni e lo Stato devono essere “REGOLATI PER LEGGE SULLA

BASE DI INTESE CON LE RELATIVE RAPPRESENTANZE”. Questa norma è presente al 3° commadell’art. 8 Cost., ed essa vale per tutte le confessioni.Le intese che si stipulano tra lo Stato e le confessioni religiose fanno sorgere moltiproblemi come la natura giuridica delle intese, la posizione delle intese nei confronti delprocedimento legislativo, a chi spetto la capacità di spularle ed altri ancora. Il 3° commadell’art. 8 Cost. contiene una riserva di legge nella materia della disciplina dei rapporti traStato e confessioni di minoranza; questa riserva, poiché garantisce la libertà religiosa (cheha un importanza pari alla libertà personale), deve essere compresa tra le riserve assolutedi legge o le riserve rafforzate o aggravate nel senso che il potere legislativo può essereesercitato solo con modalità particolari (cioè sulla base di accordi ed intese).

Una tesi che riguarda le intese è quella che nega loro qualsiasi natura giuridica,considerandole solo come atti politici che non vincolerebbero il legislatore a adeguarsi allesituazioni di esse; ma questa tesi è stata confutata in quanto è stato osservato che “LE

INTESE APPARTENGONO EFFETTIVAMENTE AL CAMPO DEL DIRITTO”. Infatti, essendocostituzionalmente garantito il fatto che le norme riguardanti i rapporti tra le confessionidi minoranza e lo Stato debbano essere poste su basi di intese, una legge che regolasse talirapporti non in base a tali intese sarebbe incostituzionale (lo stesso vale per l’abrogazionedi tali norme, che possono avvenire solo mediante accordi). Possiamo perciò definire leINTESE come un “LIMITE PER IL LEGISLATORE ORDINARIO”, il quale, per non eludere lagaranzia costituzionale offerta alle minoranze religiose, deve attenersi alle intese per poterlegiferare. Il compito del Parlamento, perciò, dovrebbe essere solo quello di tradurre informa giuridica le disposizioni concordate”; però, siccome il Parlamento ha il potere dirifiutare l’approvazione di una legge di esecuzione di intese con una confessione diminoranza, esso ha un potere deterrente nei confronti di accordi che non siano accettabilidallo Stato.

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Per quanto riguarda la CAPACITÀ A STIPULARE LE INTESE, essa spetta solo a quelleconfessioni di minoranza organizzate, cioè a quei gruppi che (usufruendo della libertà diorganizzazione) abbino assunto un preciso assetto istituzionale.Un altro problema riguarda le così dette INTESE PLURIME: cioè bisogna vedere se le intesepossono essere stipulate solo tra lo Stato ed una sola confessione religiosa, o se possonoessere stipulate con il concorso di più confessioni. Alcuni autori appoggiano la prima tesiaffermando che ogni confessione ha un suo proprio carattere, diverso dalle altreconfessioni, e quindi le intese devono essere fatte singolarmente; ma queste difficoltàpossono essere superate, dato che alcune confessioni di minoranza potrebbero avereinteressi comuni e quindi potrebbero dare vita ad intese plurime.La COMPETENZA A STIPULARE LE INTESE spetta senza dubbio al GOVERNO. Siccome le intesecomportano l’emanazione di una legge, esse rientrano nella responsabilità politica delGoverno; inoltre, sono accordi che devono essere valutati sotto il profilo dell’opportunitàpolitica e del rispetto della Costituzione. Quando viene stipulata una intesa generale o unaintesa che è ricca di contenuti, c’è bisogno dell’intervento del Presidente del Consiglio:quando si stipulano intese che rientrano nella competenza di un singolo dicastero, bastal’intervento del Ministro di quel determinato settore. È chiaro che le decisioni prese daqueste personalità devono essere esaminate dal Consiglio dei Ministri: esso ha il potere siadi autorizzare la stipulazione dell’intesa, sia di deliberare il disegno di legge diapprovazione dell’intesa stipulata.Risulta essere importante anche il problema del CONTENUTO DELLE INTESE: esse vanno dallaposizione giuridica delle istituzioni religiose all’istruzione religiosa nella scuola pubblica,dalla tutela della libertà religiosa alla disciplina del matrimonio religioso e così via. Anchese per alcuni autori esistono delle restrizioni ai possibili temi selle intese, dobbiamo direche in realtà queste limitazioni non sono giustificate dal nostro ordinamento: difatti essoimpone al Parlamento solo di rispettare la Costituzione. Quindi L’INTESA È AMMISSIBILE

PER OGNI MATERIA.Adesso dobbiamo definire qual è la NATURA GIURIDICA DELLE INTESE: cioè dobbiamo capirese queste siano ATTI DI DIRITTO INTERNO o ATTI DI DIRITTO ESTERNO. Chi afferma che le intesesiano simili ai concordati si sbaglia: difatti il CONCORDATO È UNA CONVENZIONE ESTERNA

regolato da un ordinamento diverso da quello dello Stato e della Chiesa, mentre l’INTESA È

UNA CONVENZIONE DI DIRITTO INTERNO dalla forma libera, i cui vizi danno vita solo aquestioni di legittimità costituzionale. Quindi la dottrina considera l’intesa come un atto didiritto interno, in considerazione del fatto che le confessioni di minoranza sono viste comeordinamenti subordinati allo Stato: ma se affermiamo questo, automaticamente viene acadere la preclusione a considerare le intese come atti di diritto esterno, comunque diversidai concordati (poiché i concordati sono regolati da norme di diritto internazionalegenerale). In astratto, possiamo affermare che le intese sono atti di un ordinamento esternocreato dall’incontro della volontà dello Stato con la volontà delle confessione diminoranza: dunque, un ordinamento esterno diverso dall’ordinamento internazionale.Il carattere esterno delle intese sembra essere confermato dalla stipulazione dell’Intesa del21 febbraio 1984 tra lo Stato e la Tavola Valdese. Questo accordo, per le forme solenni e

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per la partecipazione di alte autorità governative, è da considerare un atto di dirittoesterno.Dobbiamo ricordare che esistono ordinamenti esterni che non vivono a pieno titolonell’ordinamento internazionale. Un esempio è rappresentato dall’Ordine di Malta(S.M.O.G.M.), il quale è considerato soggetto di diritto internazionale. Escludendo questocaso, LE CONFESSIONI DI MINORANZA NON HANNO SOGGETTIVITÀ DI DIRITTO INTERNAZIONALE:ma il diritto italiano, riconoscendo tali confessioni come ordinamenti giuridici e regolandoi rapporti con queste sulla base di intese bilaterali, esteriorizza tali rapporti. Ciò comportache nell’atto di stipulare le intese, le confessioni non siano considerate come sudditi delloStato e le intese non siano considerate atti interni all’ordinamento italiano.In definitiva, possiamo affermare che le INTESE SONO ATTI BILATERALI CHE LA

COSTITUZIONE COLLOCA in una sfera giuridica diversa da quella dell’ordinamento statuale,cioè IN UN ORDINAMENTO CHE VIENE DI VOLTA IN VOLTA CREATO DALL’INCONTRO DELLA

VOLONTÀ DELLO STATO CON LA VOLONTÀ DELLA CONFESSIONE DI MINORANZA.

Come abbiamo già visto in precedenza, è compito del Governo stipulare queste intese. IlPROCEDIMENTO LEGISLATIVO PER L’ESECUZIONE DELLE INTESE ha inizio con la presentazione alParlamento del disegno di legge necessario per adattare l’ordinamento italiano alcontenuto delle intese stesse. I disegni di legge qualificano le disposizioni proposte comeNORME DI APPROVAZIONE DELL’INTESA (e non come norme dirette a eseguire l’intesa);durante il dibattito parlamentare nono è possibile presentare emendamenti che mutino ilsenso delle disposizioni concordate. Una volta emanata, LA LEGGE DI APPROVAZIONE NON

PUÒ ESSERE SOSPESA, MODIFICATA, DEROGATA O ABROGATA SE NON IN ESECUZIONE DI NUOVE

INTESE TRA LO STATO E LA CONFESSIONE INTERESSATA: il 3° comma dell’art. 8 Cost. ha tolto lapossibilità allo Stato di poter modificare tali leggi senza intese con la confessione diminoranza considerata, ma ha la possibilità di abrogare le norme delle leggi del 1929-30che siano in contrasto con la Costituzione (se limitano l’uguale libertà di tutte leconfessioni). Inoltre, queste leggi sono garantite dalla Costituzione nei confronti diqualsiasi altra legge ordinaria. Questa garanzia fa sì che tali leggi siano inserite nellacategoria delle "leggi rinforzate". Infine bisogna tener presente che, anche se èfondamentale l’intervento del Parlamento per la formazione di queste leggi, lo stessoParlamento non può produrre una legge valida in questo settore che non sia preceduta daintese o che non dia piena esecuzione a queste.

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CAPITOLO VI: LA LIBERTÀ RELIGIOSA

NELL’ORDINAMENTO ITALIANO

Come abbiamo già visto in precedenza, la LIBERTÀ RELIGIOSA nel nostro Paese è garantitadalla Costituzione: pensiamo agli art. 2, 3, 7, 8, 19 e 20. Però, oltre queste norme, dobbiamoricordare anche le leggi introdotte nell’ordinamento in esecuzione di convenzioniinternazionali.Per quanto riguarda i TRATTATI INTERNAZIONALI BILATERALI, l’ordinamento italiano hacominciato ad assumere obbligazioni rilevanti nell’ambito internazionale dopo la finedella guerra nel 1918. Siccome l’Italia conquistò territori come l’Istria, cominciò ad esseredi rilevante importanza il problema degli ortodossi: così furono stipulati vari accordi. Matali accordi furono completamente stravolti dalla 2° Guerra Mondiale e dal Trattato dipace che l’ha conclusa. Ad ogni modo, questi tipi di accordi erano diretti a garantire lalibertà religiosa: infatti, il singolo che professava quella determinata confessione eracompletamente libero da impedimenti che potessero derivare dall’ordinamento statuale;inoltre lo Stato doveva rispettare tale libertà e non poteva interferire nel suo esercizio.Per quanto riguarda i TRATTATI INTERNAZIONALI MULTILATERALI dobbiamo dire che, dopola fine della 2° Guerra Mondiale, la libertà religiosa è stata proclamata come principiofondamentale da osservare da una serie di convenzioni internazionali e da moltedichiarazioni dell’ONU; molto importanti risultano le convenzioni che sono state reseesecutive nel nostro ordinamento interno. Le più importante sono il TRATTATO DI PACE DEL

1947 tra l’Italia e vari Paesi e la CONVENZIONE EUROPEA DEL 1950 PER LA SALVAGUARDIA DEI

DIRITTI DELL’UOMO E DELLE LIBERTÀ FONDAMENTALI; l’art. 15 del Trattato obbliga l’Italia arispettare la libertà di culto; la Convenzione riconosce ad ogni singolo individuo la libertàdi conoscenza e di religione.Il diritto di libertà religiosa garantito dalla Convenzione europea è assicurato anche dalTRATTATO DELL’UNIONE EUROPEA stipulato a Maastricht il 7 Febbraio 1992, il qualerichiama espressamente la Convenzione. Le norme derivanti da tali accordi internazionalisono state poste nell’ordinamento italiano da leggi ordinarie; tali leggi ordinarie hanno lacaratteristica che, fino a quando saranno in vigore nell’ordinamento internazionale fra gliStati che li hanno stipulati, non potranno essere modificate o abrogate unilateralmente dallegislatore ordinario.Il diritto alla libertà religiosa è presente anche nello STATUTO DELL’ONU, dove troviamoche uno dei fini di tale organizzazione è quello di promuovere ed incoraggiare il rispettodei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali senza distinzioni di sesso, razza, lingua oreligione. Sempre nell’ambito dell’ONU sono state stipulate delle CONVENZIONI (a cuil’Italia ha aderito) dove il fattore religioso è garantito sotto vari aspetti: è chiaro che taliconvenzioni sono dei trattati internazionali multilaterali che obbligano gli Stati ratificantiad applicare le norme in esse contenute. Infine, non dobbiamo dimenticare che la libertàreligiosa è spesso e volentieri ricordata anche nelle DICHIARAZIONI DELL’ONU: pensiamo,ad esempio, alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948 in cui la

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religione è dichiarata come diritto di libertà e non può essere considerata come fattorediscriminante dei diritti dei singoli. Comunque, è bene ricordare che i principi contenuti inqueste Dichiarazioni non fanno parte del diritto internazionale generale in quantol’Assemblea dell’ONU ha solo il potere di emanare raccomandazioni, ed è quindi priva dipoteri legislativi mondiali; ma quando queste Dichiarazioni influiscono sulla prassi degliStati e danno vita a dei comportamenti conformi tra i vari Stati, allora tali Dichiarazionipossono formare una CONSUETUDINE INTERNAZIONALE.Il diritto alla libertà religiosa, a volte, può essere trovato anche in atti internazionali chenon hanno efficacia giuridica: fanno parte di questi accordi i documenti che hannoconcluso le riunioni della CONFERENZA SULLA SICUREZZA E LA COOPERAZIONE IN EUROPA

(CSCE). Questi accordi sono risultati molto importanti, soprattutto per i rapporti tra ilmondo occidentale e i Paesi dell’Est europeo: ma, come abbiamo già visto, questi nonpossono essere considerati come produttivi di effetti giuridici. Nel 1994, la CSCE è statatrasformata in OSCE (ORGANIZZAZIONE PER LA SICUREZZA E LA COOPERAZIONE EUROPEA).Nella Dichiarazione conclusiva è sottolineato come tutti i Paesi facenti parte a taleorganizzazione si debbano impegnare per “garantire la libertà di coscienza e di religione eper promuovere un clima di tolleranza”.Anche il PARLAMENTO EUROPEO si è più volte interessato al problema della libertàreligiosa, anche se non può essere considerato un organo legislativo dell’Unione: quindi lerisoluzioni date dal Parlamento Europeo non pongono in essere norme giuridiche, mavalgono come indicazione delle tendenze dominanti nell’Unione.Ma la libertà religiosa è garantita anche dalle norme che rendono esecutivi i CONCORDATI

con la Santa Sede e le INTESE con i rappresentanti delle altre confessioni religiose. Sepensiamo al Concordato del 1929, notiamo come la Chiesa cattolica già da allora assicuròai propri fedeli una misura di libertà che non era presente in nessun’altra confessionereligiosa: ma le norme che scaturirono da questo stato di cose erano il frutto di un regimeautoritario, e quindi o costituivano un privilegio per quella determinata confessione oadducevano ad una libertà contraffatta (assicurata in astratto, ma negata in concreto).Diverso è il caso degli Accordi del 1984 e delle Intese stipulate con varie confessionireligiose a decorrere da quell’anno: questi sono stati formati dopo che le libertà garantitedalla Costituzione si erano effettivamente consolidate nella realtà di tutti i giorni. Con taliAccordi ed Intese si cerca in tutti i modi di agevolare la libertà religiosa delle confessionistipulanti non in maniera astratta, ma in maniera concreta (andando dal riconoscimentodella personalità giuridica degli enti al matrimonio, dall’insegnamento della religioneall’assistenza spirituale).Infine dobbiamo ricordare che anche all’interno del DIRITTO PRIVATO sono poste le garanziegiuridiche per avere il diritto alla libertà religiosa (pensiamo alla disciplina dei rapporti trai componenti della famiglia e quella dei lavoratori subordinati).

Come tutte le libertà, la libertà religiosa può essere vista da vari punti di vista. Se laconsideriamo dal PUNTO DI VISTA TEOLOGICO, essa coincide con la così detta LIBERTÀ

ECCLESIASTICA: per libertà ecclesiastica si intende la LIBERTÀ DEGLI APPARTENENTI AD UNA

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DETERMINATA CONFESSIONE DI CONFORMARE LE PROPRIE AZIONI QUOTIDIANE AI PRECETTI DI

TALE CONFESSIONE RELIGIOSA. Dal PUNTO DI VISTA FILOSOFICO, la libertà religiosa coincidecon la LIBERÀ DI PENSIERO: infatti, questa sta ad indicare la liberazione dello spiritodell’uomo da ogni concetto dogmatico.Nell’art.19 Cost. la libertà religiosa è vista come un DIRITTO SOGGETTIVO dei singoli e deigruppi sociali alla: 1) professione della fede religiosa; 2) propaganda in materia religiosa;3) esercizio privato e pubblico del culto. Queste sono le tre fondamentali facoltà esterioridella vita religiosa che ricadono sotto la disciplina dell’ordinamento, e che la Costituzioneha voluto proteggere: tutti gli individui e tutti i gruppi sociali sono perciò liberi di poteresercitare queste facoltà senza correre il rischio di trovare degli impedimenti da partedell’autorità statale.Oltre ad essere un diritto soggettivo, la libertà religiosa è anche un DIRITTO PUBBLICO

SOGGETTIVO: pubblico in quanto può essere azionato nei confronti dello Stato. Infatti, laCostituzione esclude qualsiasi tipo di limitazione alle facoltà prima elencate (tranne cheper il principio del buon costume per l’esercizio del culto), e qualunque intervento inquesto senso risulterebbe illegittimo.È opportuno ricordare che tutti i diritti di libertà garantiti dalla Costituzione (quindi anchela libertà religiosa) possono essere limitati da un potere dell’autorità di governo soloquando questo potere le sia stato attribuito esplicitamente dalla stessa Costituzione. Nellanostra Costituzione le libertà sono state promosse al rango di DIRITTI FONDAMENTALI, e glieventuali provvedimenti devono essere presi da un potere espressamente previsto dallaCarta Costituzionale. Per capire meglio questa situazione facciamo l’esempio dell’art. 1 delConcordato del 1929, secondo cui “in considerazione del carattere sacro della cittàEterna… il Governo italiano avrà cura di impedire a Roma tutto ciò che possa essere incontrasto con detto carattere”: secondo tale articolo, bisognava limitare in queldeterminato territorio l’esercizio del diritto di libertà religiosa. Ma questa norma fuabrogata dall’Accordo del 18 Febbraio 1984, nel quale troviamo una norma in cui siafferma che “la Repubblica italiana riconosce il particolare significato che Roma ha per lacattolicità” senza dare al governo alcun potere per limitare l’esercizio dei diritti di libertà.

Fino ad ora abbiamo considerato la libertà religiosa basandoci sul diritto positivo, ma nonmancano le TESI RESTRITTIVE. Tali tesi cercano, a volte in maniera molto forzata, di trarredei principi diversi limitando o il contenuto del diritto di libertà o il diritto all’adesione aduna confessione. Ma queste tesi cancellano completamente il dato offerto dall’art. 19 Cost.(sulla salvaguardia del diritto del singolo a non essere vincolato da alcuna norma dicarattere religioso) e dagli altri articoli costituzionali che garantiscono a tutti i cittadini ildiritto si riunirsi, organizzarsi, manifestare liberamente le proprie idee: quindi, volendoestremizzare il concetto, viene ad essere garantita anche la facoltà di assumere posizionieterodosse (pensiamo al diritto di professare l’ateismo in forma individuale o associata).Adesso passeremo a considerare alcune tesi che riguardano la libertà religiosa.Cominciamo a considerare la LIBERTÀ RELIGIOSA COME SCELTA TRA I VALORI POSTI

DALL’ORDINAMENTO, in cui l’importanza della libertà sta nella facoltà di ognuno di “fare le

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cose che sono degne di essere fatte”. Ma da questo punto di vista, la libertà è intesa comevirtù secondo una concezione aristocratica: invece, sappiamo che la Costituzione,garantendo a tutti la libertà religiosa, ha inteso proteggere gli uomini comuni. Quindi NON

VI È SOLO IL DIRITTO DI SCEGLIERE, MA VI È ANCHE IL DIRITTO DI NON COMPIERE ALCUNA SCELTA.Durante gli anni ’60, si andò diffondendo la tesi della LIBERTÀ RELIGIOSA COME

PARTECIPAZIONE: cioè, si pensava che l’uomo fosse veramente libero quando partecipava inmaniera diretta all’esercizio di quegli atti a cui fosse interessato. L’equivalenza tra libertà epartecipazione all’interno dell’ambito religioso comporta sicuramente un vivointeressamento da parte del singolo alla vita di un dato gruppo religioso, ma trascura ildiritto alla miscredenza e alla non partecipazione ad alcun gruppo (diritti garantiti dallanostra Costituzione).Un’altra tesi è quella della LIBERTÀ RELIGIOSA COME LIBERTÀ “FORMALE”: formale nel sensoche tale libertà sarebbe a favore solo di coloro i quali possono esercitare di fatto le facoltàad esse connesse. Quindi essa è una libertà che potrebbe essere utilizzata a pieno solo dalleconfessioni meglio organizzate (in particolare dalla Chiesa cattolica). L’equilibriopluralista garantito dalla Costituzione non consente allo Stato di intervenire perridistribuire le risorse a disposizione dei singoli o dei gruppi: allo Stato si può solochiedere di non favorire le confessioni di maggioranza in confronto a quelle di minoranza.

Alle tesi che cercano di ridurre l’ambito della libertà religiosa, possiamo contrapporrequelle teorie che considerano la LIBERTÀ RELIGIOSA COME UNA LIBERTÀ “PRIVILEGIATA”.Questa teoria scaturisce dall’interpretazione dell’art. 19 Cost. con gli altri articoli dellaCarta che prevedono altri tipi di libertà: se pensiamo alla libertà di riunione e diassociazione (art. 17 e 18 Cost.) o alla libertà di manifestazione del pensiero (art. 21 Cost.)considerate all’interno della libertà religiosa, si potrebbe pensare che la libertà religiosa siauna libertà disciplinata da norme costituzionali speciali e più favorevoli. Ma non è propriocosì: l’esistenza di una norma apposita a garanzia della libertà religiosa non deve esserericercata nel fatto che essa sia una libertà privilegiata, ma in ragione d’ordine storico erecenti. Infatti la libertà religiosa è stata una delle prime libertà ad essere rivendicata comediritto nei confronti dello Stato. Una volta escluso che la libertà religiosa sia una libertàprivilegiata in sede costituzionale, adesso dobbiamo vedere se essa non lo sia in sede dilegislazione ordinaria: in questo caso vengono subito a mente le agevolazioni finanziarienei confronti delle confessioni religiose. Ma quando queste vengono erogate in manieraprominente a favore di una confessione di maggioranza, si finisce con l’alterare laposizione di uguaglianza che dovrebbero avere tutte le confessioni. Questa disparità ditrattamento non è completamente giustificabile con il fatto che le confessioni dimaggioranza debbano essere favorite in quanto contano un maggior numero di fedeli. LoStato, da parte sua, dovrebbe mantenere una posizione imparziale: dovrebbe dare a tutti inmaniera giusta e non solo secondo il criterio proporzionale, per concedere un minimo dirisorse anche alle confessioni religiose di minoranza.Senza ombra di dubbio, la LIBERTÀ RELIGIOSA è un diritto pubblico soggettivo che i singoli ele formazioni sociali possono far valere nei confronti dello Stato. Ma non dobbiamo

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dimenticare che essa è anche un DIRITTO SOGGETTIVO VALIDO ED EFFICACE NEI RAPPORTI TRA

PRIVATI. Il nostro ordinamento offre gli strumenti adatti per far valere tale diritto nei casiin cui esso venga messo in discussione. All’interno del DIRITTO DI FAMIGLIA, l’art. 147 c.c.del 1942 imponeva ai genitori da impartire ai propri figli una educazione e una istruzione“conformi ai principi della morale”; ma questa norma è stata sostituita dall’art. 29 dellalegge n. 151 del 19 Maggio 1975, il quale impone ad entrambi i coniugi di “mantenere,educare ed istruire la prole tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delleispirazioni dei propri figli”. Anche se in nessuna delle due norme si parla di educazione inmateria religiosa, è chiaro che i genitori sono liberi di educare i propri figli a questa o aquella religione o all’ateismo: però questo è soltanto un avviamento, in quanto i figlihanno la massima libertà di scegliere la religione da professare anche prima delcompimento del 18° anno di vita. Per quanto riguarda l’influenza che un coniuge puòesercitare nell’EDUCAZIONE RELIGIOSA DEI PROPRI FIGLI, non sorge alcun problema quando igenitori seguono lo stesso orientamento religioso; quando invece appartengono a religionidiverse o vi erano dei mutamenti nell’ambito della vita coniugale, era il padre chedecideva (ciò che avveniva anche per altre decisioni). Ma tale situazione era in contrastocon i principi contenuti all’interno degli art. 29 e 30 Cost., i quali pongono i genitori sullostesso piano in merito alla potestà sulla prole. Oggi, a norma dell’art. 316 c.c., sappiamoche entrambi i genitori possono influire sull’educazione religiosa dei figli in ugualemaniera: nel caso in cui i genitori siano separati e in disaccordo sulla scelta religiosa dapresentare ai propri figli, allora ci si rivolge al tribunale per i minorenni.Anche FRA I CONIUGI vige il diritto di libertà religiosa nel senso che entrambi sono liberi diprofessare la propria religione, di non credere, di cercare di influire in modo lecitosull’altro coniuge per convertirlo alla propria religione o per allontanarlo alla miscredenza:chiaramente deve sempre vigere il principio del rispetto delle idee dell’altro coniuge,senza mai sfociare nel fanatismo religioso.La libertà religiosa potrebbe trovare dei limiti nell’AMBITO SUCCESSORIO. Se consideriamogli atti di ultima volontà in cui il de cuius obblighi il beneficiario dell’eredità a tenere uncomportamento religioso, la validità di tale atto è dubbia; infatti, nel caso in cui il testatore,con quelle disposizioni, cercasse di far compiere al beneficiario un atto contrario alleproprie convinzioni, gli atti non sono validi; invece, nel caso in cui tali disposizioni sianoposte in favore del beneficiario, tale condizione sarebbe lecita.Un altro settore in cui in cui la libertà religiosa può incontrare delle limitazioni è quello deiRAPPORTI DI LAVORO. Esistono delle norme che hanno tolto ogni dubbio circa l’illiceità dellediscriminazioni religiose e della limitazione della libertà religiosa nel rapporto di lavorosubordinato: gli atti e gli accordi diretti a subordinare l’occupazione, il licenziamento, itrasferimenti e via discorrendo di un lavoratore in base alla sua appartenenza religiosa oalla sua attività in materia religiosa SONO DICHIARATI NULLI.Ciò vale anche per il rapporto di pubblico impiego.Per quanto riguarda quelle norme che escludono la possibilità ad alcune persone di potersvolgere determinate professioni o alcune funzioni pubbliche, queste non violano la libertàreligiosa di costoro in quanto esse sono poste in essere non per fissare una incapacità, ma

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per stabilire una incompatibilità tra due uffici diversi. Totalmente diverso è il caso di unente confessionale che richieda ai propri dipendenti di appartenere ad una determinataconfessione religiosa: infatti loro hanno il potere di assumere o licenziare un propriodipendente a seconda della religione da quest’ultimo professata, poiché qui entra in ballol’autonomia e la libertà dell’organizzazione stessa.

Come abbiamo potuto vedere, hanno particolare importanza per il fenomeno religioso gliart. 3 e 8, comma 1 della Costituzione. L’art. 3 Cost. dichiara al 1° comma la “PARI DIGNITÀ

SOCIALE E L’UGUAGLIANZA DAVANTI ALLA LEGGE SENZA DISTINZIONE… DI RELIGIONE”; al 2°comma attribuisce alla Repubblica il compito di “RIMUOVERE GLI OSTACOLI DI ORDINE

ECONOMICO E SOCIALE CHE, LIMITANDO DI FATTO LA LIBERTÀ E L’UGUAGLIANZA DEI CITTADINI,IMPEDISCONO IL PIENO SVILUPPO DELLA PERSONA UMANA E L’EFFETTIVA PARTECIPAZIONE DI

TUTTI I LAVORATORI ALL’ORGANIZZAZIONE POLITICA, ECONOMICA E SOCIALE DEL PAESE”.Quindi, in base a questo articolo, il legislatore non può far nascere criteri didiscriminazione per quelle caratteristiche qui elencate (sesso, razza, lingua, religione, ecc.).Il 1° comma dell’art. 8 Cost. afferma che “TUTTE LE CONFESSIONI RELIGIOSE SONO

UGUALMENTE LIBERE DAVANTI ALLA LEGGE”: dunque questa norma concerne il tema dellalibertà religiosa in maniera preminente e si prefigge di assicurare a tutte le confessionireligiose la stessa misura di libertà tanto per l’organizzazione, quanto per il culto, lapropaganda e così via. Inoltre, questa norma fa scaturire l’illegittimità costituzionale ditutte quelle norme di legge che vanno a limitare le libertà garantite dalla Costituzione.Il fatto che la Costituzione conceda la stessa ed uguale libertà a tutte le confessionireligiose, lascia LIBERO il legislatore DI TRATTARE CON LE VARIE CONFESSIONI A SECONDA

DELLE NECESSITÀ E DELLE OPPORTUNITÀ. Infatti la Costituzione riconosce l’uguaglianza dellevarie confessioni religiose sotto il profilo della libertà e non del trattamento cui possonoessere fatte oggetto; tant’è vero che la stessa Costituzione, riconoscendo l’importanzaprimaria della Chiesa cattolica all’interno del nostro Paese e prevedendo di regolare irapporti con quest’ultima in maniera differente da quelli previsti per le altre confessioni,mostra di considerare in modo differente i vari fenomeni sociali. Anche qui prevale la tesiche è ingiusto trattare in modo eguale casi diversi, e in modo diverso casi eguali.Se consideriamo la libertà religiosa come DIRITTO SOGGETTIVO INDIVIDUALE, sembraevidente che la Costituzione conceda a tutti gli uomini (cittadini, stranieri e apolidi) lapossibilità di poter professare la propria confessione religiosa in maniera individuale edassociata, di esercitarne il culto privato e pubblico, di propagandarla, di esprimere conogni mezzo il proprio pensiero religioso (art. 21 Cost.), di potersi riunire con altriindividui a scopo di religione o di culto (art. 17 Cost.) e di poter fondare associazioni confini di religione o di culto e di aderire a quelle già esistenti. In questo senso, il contenutoessenziale della libertà religiosa è quello di assicurare all’individuo la possibilità diesprimere la propria personalità religiosa in molteplici direzioni: dal soddisfacimento deibisogni del proprio spirito (atti di culto) , al bisogno di comunicare le proprie idee ad altriindividui (propaganda) e via discorrendo.

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La libertà principale che discende dalla libertà religiosa è la LIBERTÀ DI COSCIENZA, ossiadella libera e personale posizione che l’individuo assume di fronte al problema dell’essere edell’esistere (sotto l’aspetto politico, etico, religioso, ecc.). Il significato della parolacoscienza può cambiare a seconda di come lo si vuole interpretare: la coscienza è“consapevolezza di sé e di ciò che avviene intorno a sé”, ma è anche “consapevolezza delvalore morale delle proprie azioni”. Ad ogni modo, solo recentemente si è arrivati allaconclusione che prima ancora di garantire la manifestazione esterna della propriacoscienza religiosa o areligiosa, lo Stato dovrebbe assicurare la libera e indipendenteformazione della stessa: perciò lo Stato dovrebbe eliminare i fattori che pregiudicano unaformazione indipendente della propria coscienza religiosa come i miti di massa, lamanipolazione delle idee, i privilegi a favore di certe confessioni religiose che sfavorisconouna formazione ateistica.L’ordinamento italiano, però, non sembra garantire un diritto alla formazione dellacoscienza che possa sopraffare il diritto ad esprimere il proprio pensiero e di ricevere lacomunicazione del pensiero altrui. In realtà, questi diritti coincidono tra di loro: quindi,compito dello Stato sarà di evitare condizionamenti derivanti dall’ambiente (pensiamo aiservizi scolastici o ai mezzi di comunicazione), senza però creare un ambiente sterile. Masappiamo che la legge tutela la libertà di formazione della coscienza nei confronti dielementi perturbatori quali l’incapacità, l’errore, il dolo o la colpa e non nei confronti deicondizionamenti ambientali, culturali o altri (pensiamo al diritto di voto).Da ciò detto fino ad ora, si deduce che risulta essere di particolare importanza il problemadell’ATEISMO, ossia la possibilità da parte dell’individuo di non aderire ad alcun credoreligioso (come garantito dall’art. 19 Cost.). La decisione di assumere una posizionereligiosa, areligiosa o irreligiosa da parte di un individuo non deve mai essere causa didiscriminazioni nell’ambito del diritto comune, della capacità civile o politica, o in ognialtro settore della vita sociale. L’ateismo attivo è protetto dagli art. 19 e 21 Cost.: tant’èvero che esistono delle organizzazioni atee. La posizione di tali organizzazioni è alquantoambigua: infatti, non essendo organizzazioni religiose, esse non dovrebbero godere delregime previsto per le confessioni religiose; ma, poiché svolgono un’azione in materiareligiosa, sembrerebbero rientranti in tale regime.Si può perciò affermare che la Costituzione garantisce la libertà di seguire la religioneche si voglia o di non seguire alcuna religione o di avere una visione del tutto laica eimmanentista del mondo e della vita.Infine dobbiamo ricordare che l’ateismo può trovare l’equiparazione (in campo giuridico)alle altre confessioni religiose solo in uno Stato separatista (es.: USA): invece, il nostroStato non risulta tale, in quanto la Costituzione prevede di intrattenere rapporticoncordatari con le varie confessioni religiose. Ad ogni modo, lo Stato ha sempre la facoltàdi agevolare con apposite norme la posizione di tali gruppi.La FACOLTÀ DI PROFESSARE LA FEDE RELIGIOSA comporta la libertà di dichiararel’appartenenza a questa, quella o nessuna confessione senza che da ciò ne scaturiscaalcuna conseguenza. La libera professione della fede religiosa comporta il diritto adaderire liberamente ad una confessione religiosa: perciò la decisione di appartenere o

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meno ad una determinata confessione è del tutto libera, e le norme della confessionereligiosa non potrebbero mai obbligare nessuno ad appartenervi. Questa precisazione èuna conseguenza della dichiarazione di illegittimità da parte della Corte Costituzionalesulla norma che prevedeva l’appartenenza di diritto alla Comunità israelitica di “tutti gliisraeliti che hanno residenza nel territorio di essa”.Adesso dobbiamo capire se la facoltà di professare l’appartenenza a questa, quella onessuna confessione religiosa implica l’obbligo da parte dello Stato di disinteressarsi dellareligione professata dal singolo individuo; ciò renderebbe illegittima ogni tipo di indagineper conoscere la religione professata dall’individuo. In questo caso entriamo nell’ambitodella così detta TUTELA DELLA PRIVACY. Lo Stato, conformandosi alla Convenzione diStrasburgo del 1981, ha opportunamente disciplinato il trattamento dei dati di caratterepersonale; l’art. 22 della legge n. 675 del 31 Dicembre del 1996 stabilisce che leconvinzioni religiose, nonché l’appartenenza ad associazioni od organizzazioni a caratterereligioso, possono essere oggetto di trattamento solo con il consenso scritto dell’interessatoe previa autorizzazione del Garante.Per quanto riguarda lo Stato, l’art. 5 del progetto di riforma del testo unico delle leggi dipubblica sicurezza impone il divieto di poter schedare i cittadini in base alla loro federeligiosa: ma questo non significa che non possano essere raccolte informazioni con altrisistemi. Molto diffuse risultano essere le indagini a fine statistico: in questo modo si vienea formare una specie di “ANAGRAFE RELIGIOSA” basata su dichiarazioni date liberamentedai cittadini maggiorenni. Chiaramente non si può essere totalmente certi delleaffermazioni rese, ed anche per questo bisogna essere molto calmi nel considerare irisultati dei dati raccolti. Invece, si può essere molto più certi delle DICHIARAZIONI

IMPLICITE DI FEDE RELIGIOSA. Con l’Accordo stipulato il 15 Novembre del 1984 si è previstoche ogni cittadino avrebbe la possibilità di destinare una parte della quota del gettitodell’IRPEF (l’8 per mille) a favore di quelle confessioni religiose che hanno stipulato Intesecon lo Stato (inclusa la Chiesa cattolica): in questo modo si può sapere qual è la religioneprofessata dall’individuo senza procedere a schedatura (vietata dalla Costituzione) poichétale dichiarazione è facoltativa e volontaria, ed inoltre la decisione di destinare parte deipropri contributi ad una determinata confessione religiosa non implica obbligatoriamenteche quella scelta sia la confessione professata.

Fino al 1985, cioè fino a quando è rimasto in vigore il Concordato del 1929, il SISTEMA

DELL’ISTRUZIONE RELIGIOSA nelle scuole pubbliche ha avuto una impronta confessionistica(chiaramente orientata verso l’insegnamento cattolico): i non cattolici e i non credentipotevano ottenere per i propri figli la dispensa all’insegnamento religioso. Ma questosistema risultava chiaramente in contrasto con i principi contenuti negli art. 3, 8, 19 e 21della Costituzione in quanto l’insegnamento della religione cattolica era obbligatorio e chichiedeva la dispensa si autodiscriminava.Con l’entrata in vigore dell’Accordo del 18 Febbraio 1984, il sistema è stato cambiato.Secondo tale Accordo, lo Stato “continuerà ad assicurare l’insegnamento della religionecattolica nelle scuole pubbliche non universitarie”, “riconoscendo il valore della cultura

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religiosa e tenendo conto che i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimoniostorico del patrimonio italiano”. Quindi, adesso la religione cattolica non è consideratacome religione dello Stato, ma come valore culturale: il suo insegnamento non èobbligatorio ma facoltativo, tant’è che al momento dell’iscrizione gli studenti o i lorogenitori devono decidere se avvalersi o meno di tale insegnamento.In linea di principio, il nuovo sistema sembra conforme alle norme che garantiscono lalibertà religiosa, in quanto è stata eliminata l'obbligatorietà dell'insegnamento: ma essanon risulta esente da problemi. Quello più frequente riguarda il programma scolasticodella materia religiosa: infatti, secondo alcuni ci sarebbe bisogno di una riforma deiprogrammi per offrire un panorama esauriente di tutte le credenze (sia religiose cheareligiose) e dell’ateismo.

Nel nostro ordinamento processuale, le norme che prevedono il GIURAMENTO DEI

TESTIMONI imponevano di dire la verità essendo consapevoli della responsabilità della lorotestimonianza davanti a Dio. Questo violava la libertà religiosa degli atei, poiché giurandocon quella formula erano obbligati a dichiarare di credere nell’esistenza di un esseresuperiore. Per questo motivo, nel 1960 la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimitàdella formula del giuramento nella parte in cui si richiamava la responsabilità deldichiarante “davanti a Dio”. Con l’entrata in vigore della nuova disciplina del PROCESSO

PENALE questo problema è stato completamente superato, in quanto questo nuovo sistemanon prevede più che i testimoni prestino un giuramento; il giudice, una volta avvertito ildichiarante dei rischi che potrebbe incorrere dichiarando il falso o adottando unaposizione reticente, lo invita a rendere una dichiarazione in cui il testimone si impegna adire tutta la verità e a non nascondere nessun avvenimento. Nel processo civile, però,continuavano ad esistere questi problemi perché il giuramento dei testimoni era sempreprevisto. Sennonché la Corte Costituzionale ha ritenuto irragionevole il diversotrattamento riservato ai testimoni nel processo civile e in quello penale e ha dichiaratoillegittimo l’art. 251 del c.p.c. (che prevedeva il giuramento): così il giudice istruttore deveinvitare il dichiarante a lasciare una dichiarazione dove si impegna a dire la verità e a nonnascondere alcun fatto.

La PROFESSIONE DI FEDE DEL GRUPPO SOCIALE comporta (per il gruppo) il diritto sia diaffermare i propri principi, sia di manifestare la propria adesione ai gruppi che accettino lostesso credo, sia di distinguersi da quelli che accettino principi religiosi in tutto o in partediversi: in poche parole, viene affermato il DIRITTO ALLA PROPRIA IDENTITÀ. Questo è unamanifestazione essenziale dell’autonomia del gruppo sociale totalmente garantito dagliart. 7 e 8, 2° e 3° comma Cost., i quali rendono inammissibile qualsiasi interferenza suiprincipi professati dal gruppo. Siccome la Costituzione non dice esplicitamente quali sonoquei principi che possono far parte della professione di fede, compito dell’operatoregiuridico è quello di tener conto del sentir comune, condizionato dalla cultura e dalletradizioni. Pensiamo al nostro Paese: data l’influenza del cristianesimo, per fede religiosasi intende la fede in un essere perfetto e soprannaturale che voglia il bene degli uomini. I

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PRINCIPI RELIGIOSI NON INCONTRANO LIMITI nella nostra Costituzione: né quello dell’ordinepubblico, né quello del buon costume (che viene richiesto per l’esecuzione dei riti, ma nonper i principi).Per quanto riguarda l’OBIEZIONE DI COSCIENZA, questo è un problema che rientranell’ambito del compimento di quei doveri che sono imposti dall’ordinamento. Anche seun individuo segue i principi di una determinata confessione religiosa i quali escludonodeterminati comportamenti dei propri aderenti, se tali comportamenti sono imposti dallalegge nessuno può sottrarsi. Tuttavia, il diritto di libertà religiosa (intesa come diritto diseguire i dettami della propria coscienza) si espande tutte le volte in cui l’ordinamento,pur imponendo un obbligo, prevede che il singolo possa esserne esonerato (con clausole disalvaguardia più o meno ampie). La legge n. 772 del 15 Dicembre 1972 ha riconosciutol’obiezione di coscienza “degli obbligati alla leva militare che dichiarino di essere contrariall’uso personale delle armi per motivi di coscienza”; conseguentemente, la legge n. 958del 24 Dicembre 1986 ha parificato il servizio civile sostitutivo al servizio militare, poichési tratta di due modi analoghi di adempiere al dovere di difendere la patria.

Ogni confessione religiosa ha i suoi GIORNI FESTIVI. Per la Chiesa cattolica e altreconfessioni cristiane il giorno festivo è il giorno del Signore, ossia la domenica, insieme adaltre festività (fisse e mobili); per gli ebrei ed alcune confessioni cristiane il giorno festivo èil sabato; per i musulmani è il venerdì. IL RISPETTO DEI GIORNI FESTIVI È UN OBBLIGO DI

COSCIENZA DEI CREDENTI. Con l’Accordo del 1984 fra l’Italia e la Santa Sede, sono statiriconosciuti come giorni festivi tutte le domeniche e le altre festività religiose determinated’intesa tra le parti. In quanto, ipoteticamente, le festività religiose riguardano tutti icittadini, queste vanno a formare il calendario comune. Ma la stessa cosa accade per leconfessioni religiose diverse da quella cattolica: per questo motivo la materia dei giornifestivi è stata disciplinata (mediante Intese) con delle variazioni rispetto alle previsionidella Chiesa cattolica. Questa situazione ha portato al riconoscimento di alcune festivitàche prima non erano contemplate.

L’ESERCIZIO DEL CULTO in privato e in pubblico è pienamente garantito dall’art. 19 Cost.:ma mentre l’esercizio in privato non dà luogo a problemi, l’esercizio in pubblico puòcrearne qualcuno. L’ESERCIZIO IN PUBBLICO DEL CULTO comporta l’apertura di luoghidestinati a tale scopo (chiese, moschee, sinagoghe, ecc.) e l’esercizio del diritto di riunionegarantito dall’art. 17 Cost. l’apertura dei luoghi di culto è un problema molto delicato cheriguarda l’uguale misura di libertà garantita a tutte le confessioni dal 1° comma dell’art. 8Cost.. Invece, anni addietro, le confessioni di minoranza non avevano un vero e propriodiritto ad aprire templi: loro dovevano chiedere il permesso all’autorità governativa e, unavolta ottenuta questa, potevano professare la loro religione solo in presenza di un ministrodel culto approvato; in caso di mancanza del ministro del culto, si doveva avvertire lapolizia (come avviene per tutte le riunioni). Ancora: nel caso in cui lo svolgimento delleriunioni delle confessioni di minoranza avveniva fuori da un edificio di culto autorizzatodal governo, spettava alla polizia locale decidere di fermarle nei casi in cui si andava

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contro la legge (ordine pubblico, moralità, sanità pubblica). Inizialmente, questo modo divedere le cose non mutò con l’entrata in vigore della Costituzione (tant’è che non siritenevano applicabili gli art. 17 e 19); alla sostanziale disapplicazione delle normecostituzionali reagì con vigore gran parte della giurisprudenza. Questa ritenne che lenorme dell’art. 17 e dell’art. 19 Cost., essendo precettive, avessero abrogato le normeprecedenti che limitavano la libertà di culto: perciò non vi era nessuna ragione per nonutilizzare tali norme. Comunque, dobbiamo ricordare che solo con l’entrata in funzionedella Corte Costituzionale ha avuto una concreta realizzazione la libertà dei non cattolicidi aprire uffici al culto pubblico e di tenere riunioni in luogo aperto al pubblico. Però, inquesto campo, esistono ancora delle disparità di trattamento tra confessione cattolica econfessioni di minoranza: l’art. 831 del c.c. tutela con il vincolo dell’indisponibilità gliedifici destinati all’esercizio pubblico del culto, ma solo per il culto cattolico. Altriproblemi che si presentano all’apertura di nuovi luoghi di culto per le confessioni diminoranza vengono creati dalle norme in materia urbanistica ed edilizia: infatti, per lacostruzione di tali edifici o per la destinazione a luogo di culto di un edificio già esistente,bisogna ottenere la prescritta concessione del sindaco. Il compito delle autorità comunali èquello di soddisfare le esigenze delle confessioni di minoranza al pari di quelle dellaChiesa cattolica.

Come abbiamo già visto, è stata la Costituzione ad eliminare l’avversione nei confrontidelle minoranze religiose imponendo la libertà e l’uguaglianza giuridica di esse. UnicoLIMITE presente nella Carta è che le attività svolte dalle confessioni religiose non sianocontrarie al “BUON COSTUME”. Invece non costituiscono un limite per l’esercizio dei riti diculto né il così detto “ordine pubblico”, né tanto meno possono essere sottoposti acontrollo i principi professati dalle varie confessioni: quindi, l’unico limite è che questiultimi devono essere conformi al “buon costume”.Il limite del “buon costume” appare più teorico che pratico, in quanto nel nostro Paese nonci sono mai state formazioni confessionali che compiono atti contrari a tale limite. Anchese la confessione religiosa predicasse il compimento di azioni contrarie al buon costume,senza però effettuare riti di iniziazione di tali pratiche e senza esigere obbligatoriamentel’applicazione di tali azioni dai loro aderenti, essa è completamente libera di farlo a normadell’art. 19 Cost.. Solo se queste azioni fossero compiute in un luogo pubblico, allorascatterebbe l’intervento della forza pubblica per impedire tali azioni. Il limite del “buoncostume” non comporta controlli preventivi: la Corte Costituzionale ha escluso che lapolizia possa vietare, in via preventiva, riti religiosi contrari al buon costume. Solo dopoche si è verificata una prima trasgressione a questo limite ci potrà essere l’interventodell’autorità di polizia, con il conseguente divieto a non ripetere quelle determinate azioni:ma, prima di quel momento, il controllo preventivo non potrà essere esercitato.

Per ciò che riguarda le ASSOCIAZIONI A CARATTERE RELIGIOSO possiamo affermare che essesono protette e disciplinate dall’art. 18 Cost.: questo significa che per la loro formazione oper l’adesione ad esse non c’è bisogno di alcun provvedimento autorizzativo da parte

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dello Stato. Però, questo significa anche che lo Stato possa informarsi sulle attività diquesta associazione per assicurarsi che non si tratti di un’associazione segreta (cioè vietatadalla Costituzione). Essendo delle associazioni lecite, lo Stato non può permettersi diinterferire nelle decisioni prese da questi; se avvenisse ciò, lo Stato violerebbe l’art. 19Cost. interferendo sulla libertà della associazione.Possono aversi delle controversie quando vengono create nuove associazioni senza che visia alcun controllo preventivo da parte dello Stato; una potrebbe riguardare ladenominazione che una nuova associazione intende darsi. Infatti, nel caso in cui questanuova associazione avesse la pretesa di collegarsi con un’altra confessione religiosa e irappresentanti di questa confessione fossero contrari, la nuova associazione non potrebbedenominarsi in quel modo. Ciò avviene perché l’art. 19, oltre a garantire la possibilità dicreare nuove associazioni, garantisce anche l’identità delle associazioni preesistenti. Ilproblema del rapporto tra organizzazione preesistente e associazione nuova (in particolarmodo se dissidente) avviene molto spesso in materia religiosa. Questo è il così dettofenomeno della DISSIDENZA che non mira alla creazione di nuovi organismi confessionali,ma cerca di operare all’interno di una confessione religiosa con l’intento di riformarla.

Anche la LIBERTÀ DI PROPAGANDA E DI PROSELITISMO è garantita a tutti dall’art. 19 Cost.;tuttavia dobbiamo distinguere tra il regime riservato alla Chiesa cattolica e quelloriservato alle altre minoranze religiose. Senza dubbio, la religione cattolica ha usufruitotantissimo di questo diritto sia prima dell’avvento della Costituzione (in base alConcordato del Laterano), sia dopo la stipulazione dell’Accordo del 18 Febbraio 1984.Qui, l’art. 2 garantisce ai cattolici e alle loro organizzazioni la libertà di manifestare ilproprio pensiero con ogni mezzo.Le minoranze religiose, invece, non sempre hanno potuto esercitare il diritto dipropaganda. Questo fenomeno era facilmente rilevabile prima dell’entrata in vigore dellaCostituzione; ma anche dopo, la diversità di trattamento tra Chiesa cattolica e confessionidi minoranza è rimasta evidente. Pensiamo al fatto che vige ancora oggi l’art. 402 c.p. chepunisce per vilipendio della religione cattolica colui che neghi drasticamente (e senzamotivazione) i dogmi affermati dalla Chiesa e i suoi riti. In base a tale norma, gliappartenenti alle confessioni di minoranza non possono criticare immotivatamente laChiesa cattolica e non possono usare quegli slogan che rappresentano il modo piùsemplice comune di fare propaganda. Non solo: la giurisprudenza ha riconosciuto ildiritto di poter criticare la religione cattolica solo a seguito di “studi condotti con serietà epreparazione”. Questo significa che solo i teologi sono liberi di poter criticare i principidella Chiesa cattolica: ma questo stato di cose contrasta con le disposizioni contenutenell’art. 19 Cost., il quale dà a tutti la libertà di poter propagandare (e quindi di potercriticare la Chiesa cattolica).Un’altra libertà molto importante a favore delle confessioni religiose è la LIBERTÀ DI

CORRISPONDENZA, garantita dall’art. 15 Cost.: cioè la libertà di comunicare con i propriofedeli e con i terzi, anche per ciò che sia ritenuto necessario al fine del governo del grupposociale. Questa libertà comprende anche la facoltà di poter pubblicare atti o

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provvedimenti; perciò, essendo questa una libera manifestazione del proprio pensiero,essa è garantita anche dall’art. 21 Cost.. Quando un atto di governo di una determinatacomunità confessionale viene pubblicato, è suscettibile di essere valutato dall’ordinamentostatuale come libera manifestazione del pensiero; l’atto avrà contenuto lecito se esso noncontrasti con i valori garantiti dalla Costituzione; avrà contenuto illecito nel momento incui esso provochi un contrasto con questi valori.Infine ricordiamo che si ha DIFETTO DI GIURISDIZIONE DELLO STATO quando lo Stato nonpuò intervenire nelle decisioni deliberate all’interno di una determinata associazione(pensiamo all’allontanamento di un individuo).

Per quanto riguarda la TUTELA PENALE DELLA LIBERTÀ RELIGIOSA, ricordiamo che il codicepenale del 1930 puniva i delitti contro la religione dello Stato e i culti ammessi: i delitti nonerano visti come delitti contro la libertà religiosa, ma come offese arrecate al “SENTIMENTO

RELIGIOSO”. Oggigiorno non possiamo negare che le norme penali, oltre a proteggere ilsentimento religioso, attuano una garanzia più completa della libertà religiosa. Talelibertà, accanto alla libertà di voto, è una delle poche ad essere tutelata con norme penalispecifiche: infatti, tutte le altre libertà sono tutelate da norme penali generali. Esclusal’ammissibilità di qualsiasi norma penale che miri a garantire dalle offese questa o quellaideologia religiosa, la tutela penale specifica della libertà da noi considerata non dà luogoa problemi di legittimità costituzionale, dove sia rispettata l’uguaglianza di tutte leconfessioni e di tutti i cittadini.Il fatto che in Italia esistano delle norme penali speciali a tutela della libertà religiosa,rendono ancora più evidente che il nostro Stato non può essere considerato “separatista”,ma tanto meno può essere considerato “confessionista”: per questo molti hanno osservatoche lo Stato occupi una posizione “neo-giurisdizionalista”.Comunque, gli articoli 402-406 c.p. sono stati messi in crisi dal Protocollo addizionaleall’Accordo del 1984, il quale ha dichiarato non più in vigore il principio secondo cui lareligione cattolica fosse la religione dello Stato. A rigor di logica, questa affermazionedovrebbe comportare il venir meno della tutela dal vilipendio prevista dall’art. 402 c.p. afavore dei principi dogmatici di tale religione, in quanto religione dello Stato: se non vi èpiù una religione di Stato, viene a mancare l’oggetto del reato delineato nell’art. 402 c.p.visto sopra.La CORTE COSTITUZIONALE, dopo la stipulazione del Protocollo addizionale, ha ammessoche è venuto meno il significato originario dell’espressione “religione dello Stato” inquanto tale espressione, all’interno dell’art. 724 c.p. avrebbe assunto il diverso significatodi “religione cattolica”. La CORTE DI CASSAZIONE, invece, ritiene l’art. 724 c.p. ancora invigore perché tutela il sentimento religioso dei cattolici, i quali costituiscono lamaggioranza dei cittadini dello Stato. Qui scatta una dura critica: se la legge deve curare ladifesa dei sentimenti in materia di religione, poiché tutte le confessioni godono diun’uguale misura di libertà (art. 8 Cost.) e i singoli di una misura paritaria di libertàreligiosa (art. 19 Cost.), anche i sentimenti religiosi di tutti devono essere ugualmentetutelati in sede penale. Limitando tale tutela solo ai cittadini appartenenti alla confessione

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di maggioranza, gli appartenenti alle confessioni di minoranza non godono della libertàreligiosa nella stessa misura.Conseguentemente, la Corte Costituzionale è ritornata a valutare l’art. 724 c.p. e ne hadichiarato l’illegittimità costituzionale; inoltre ne ha manipolato la formula, eliminando leparole “o i Simboli o le Persone venerati nella religione dello Stato”. La prima parte dellaformula, invece, è rimasta in vigore perché la punizione della bestemmia “contro laDivinità in genere” protegge tutti i credenti e tutte le confessioni religiose (senzadistinzioni o discriminazioni) dalle espressioni oltraggiose.La necessità di tutelare paritariamente tutte le manifestazioni del sentimento religioso èstata ribadita nella legge n. 101 del 1989. Essa assicura in sede penale “la parità di tuteladel sentimento religioso e dei diritti di libertà religiosa, senza discriminazioni tra cittadinie tra culti”; infine ricordiamo che questa legge deve essere applicata quando si tratta diinterpretare gli art. 402-406 e 724 c.p..

Come abbiamo già potuto osservare in precedenza, di rilevante importanza per il dirittoalla libertà religiosa risulta essere l’art. 20 Cost.: “IL CARATTERE ECCLESIASTICO E IL FINE DI

RELIGIONE O DI CULTO D’UNA ASSOCIAZIONE OD ISTITUZIONE NON POSSONO ESSERE CAUSA DI

SPECIALI LIMITAZIONI LEGISLATIVE, NÉ DI SPECIALI GRAVAMI FISCALI PER LA SUA COSTITUZIONE,CAPACITÀ GIURIDICA ED OGNI FORMA DI ATTIVITÀ”. Con tale disposizione, la Costituzione havoluto garantire la facoltà dei singoli e delle confessioni religiose di dare vita ad ENTI

ESPONENZIALI: cioè ad associazioni ed istituzioni aventi “carattere ecclesiastico” e “fine direligione o di culto”. Questi enti non devono essere discriminati dal legislatore rispetto adassociazioni di diritto comune. L’esistenza di tale norma sta a significare che la leggepotrebbe attribuire a tali enti una posizione simile a quella degli enti pubblici, e che lenorme dettate per questi possano essere applicabili anche agli enti ecclesiastici (sempreche non ne derivino limitazioni). La disposizione, come detto, tutela ASSOCIAZIONI ED

ISTITUZIONI AVENTI “CARATTERE ECCLESIASTICO” E “FINE DI RELIGIONE O CULTO”; secondola dottrina, questa garanzia riguarda tutti gli enti che sono generati dalle confessionireligiose. Inizialmente, con “carattere ecclesiastico” si intendevano solo gli enti dellaChiesa cattolica, mentre adesso sono compresi anche tutti quegli enti che appartengono aduna Chiesa (anche diversa da quella cattolica).L’art. 20 Cost. tutela tutti gli enti con fine di religione o di culto, sia che abbiano o che nonabbiano ottenuto il riconoscimento della personalità giuridica: non è pensabile che essatuteli solo gli enti riconosciuti, anche perché tale norma protegge e garantisce anche ilmomento di formazione dell’organismo e dell’acquisto della personalità giuridica. Unodegli effetti provocati ad questo articolo è il RICONOSCIMENTO DELLA PERSONALITÀ

GIURIDICA AGLI ENTI DELLA CHIESA CATTOLICA. Le disposizioni concordatarie del 1929avrebbero ammesso il riconoscimento della personalità giuridica solo degli entiecclesiastici esplicitamente previsti dalla legislazione del Concordato; invece, conl’avvento della Costituzione, è stato consentito all’autorità governativa di attribuire lapersonalità giuridica di diritto comune agli enti ecclesiastici che non avessero i requisitiper ottenere il riconoscimento ai sensi della legislazione di origine concordataria.

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Concludendo, sottolineiamo che l’art. 20 Cost. esclude che il legislatore ordinario possaapprovare leggi che privino gli enti ecclesiastici (o con fine di religione o culto) dellapersonalità.

L’importanza dell’art. 20 Cost. risulta anche quando prendiamo in esamel’AMMINISTRAZIONE DEGLI ENTI ECCLESIASTICI O CON FINE DI RELIGIONE O CULTO: inparticolare, esso influisce sulla misura di libertà religiosa di cui queste possono godere edisporre. Anche dopo l’Accordo del 18 Febbraio 1984 fra l’Italia e la Santa Sede, rimaseintatto il controllo statale sugli acquisti degli enti (per i quali si applicavano le leggi civilirelative alle persone giuridiche); ma, quando furono avviate le riformenell’amministrazione pubblica, tutte le norme sul controllo degli acquisti degli enti furonoabrogate. Questo valeva anche per gli enti ecclesiastici. Sempre per quanto riguarda glienti ecclesiastici, è cessato il 1° Gennaio 1986 il controllo sugli atti eccedenti l’ordinariaamministrazione previsto dalle disposizioni concordatarie.

Il DIVIETO DELL’APPROVAZIONE DI “SPECIALI GRAVAMI FISCALI” dà luogo a due diversiproblemi: il primo riguarda il rapporto tra l’art. 20 Cost. e le altre norme costituzionaliriguardanti la materia dei tributi; il secondo problema riguarda gli effetti giuridici deldivieto stesso.Per quanto riguarda il PRIMO PROBLEMA, sembra esatta l’opinione che considera la normain esame come l’applicazione del principio della capacità contributiva fissato dall’art. 53Cost.: quindi. la capacità contributiva di essi non è influenzata dalla qualificazione o daifini confessionali. Invece, per quanto riguarda il SECONDO PROBLEMA, ricordiamo che lanorma considerata esclude la possibilità di introdurre un qualsiasi tributo speciale a caricodei beni degli enti stessi: anche per questo lo Stato non può introdurre dei gravami fiscaliper poi operare una ridistribuzione delle risorse tra gli enti di tutte le confessioni religiose.La norma che stiamo considerando non impedisce che lo Stato possa attribuire efficaciacivile ad un tributo introdotto da un’autorità religiosa agli appartenenti alla propriaconfessione e agli ad essa collegata; in poche parole, le confessioni religiose sono libere diconseguire un contributo finanziario dai propri aderenti e dagli enti ad esse collegati.

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CAPITOLO VII: LA SANTA SEDE E

LO STATO CITTÀ DEL VATICANO

I rapporti tra l’Italia e la Chiesa cattolica sono sempre stati a dir poco particolari: ciòperché nel territorio italiano vi è il governo centrale della Chiesa, ossia la SANTA SEDE.L’espressione “Santa Sede” ha due significati: in senso stretto, indica l’ufficio del SommoPontefice; in senso lato, indica tutti gli uffici e gli istituti della Curia romana checollaborano con il Papa.Nell’ordinamento italiano, la Santa Sede è un ente dotato di personalità giuridica anchenel settore dei rapporti di diritto privato. La posizione della persona giuridica “SantaSede” nel diritto italiano è simile a quella di un ente ecclesiastico: dico simile perché essaoccupa una posizione sui generis dovuta alla diversità della personalità giuridica inquestione. Da ciò, deduciamo che la Santa Sede non è tenuta agli adempimenti previstidalle norme sugli enti ecclesiastici.

Per quanto riguarda I RAPPORTI TRA LO STATO E LA SANTA SEDE, dobbiamo dire che sinoall’età del Risorgimento non vi erano stati problemi che riguardassero Roma: questoperché il Pontefice era contemporaneamente anche il sovrano temporale del luogo in cuioperava il governo centrale della Chiesa cattolica. Il problema sorse quando si stava perraggiungere l’unità d’Italia, e precisamente tra il 1850 e il 1870. Gli eventi del Settembre1870 congiunsero Roma all’Italia: ma l’abbattimento dello Stato pontificio portò alla cosìdetta “QUESTIONE ROMANA”. Lo Stato cercò di risolvere il problema emanando una leggeunilaterale (legge n. 214 del 1871) che, come primo titolo, conteneva le prerogative delSommo Pontefice e della Santa Sede: la Chiesa, però, non accettò questa soluzione.Comunque, la LEGGE SULLE GUARENTIGIE PONTIFICIE (anche se osservata unilateralmentedallo Stato) ha assicurato alla Santa Sede la piena libertà di svolgere la sua missione fino al7 Giugno 1929, data di nascita dello STATO CITTÀ DEL VATICANO. In questi sessant’anni diperdita del potere temporale, la Chiesa si accorse che tale avvenimento fu provvidenziale:difatti, con la liberazione da tale potere, la sua azione nel campo religioso avevaguadagnato slancio anche fuori dal mondo cattolico. Probabilmente è per questo che laSanta Sede, per la soluzione della “questione romana”, non ha chiesto il ripristino di talesovranità territoriale; cioè la Chiesa non voleva più assumersi il peso di governare unoStato vero e proprio.

Le GARANZIE REALI riguardano l’ambito territoriale in cui si svolge il governo centrale dellaChiesa cattolica, in regime di assoluta immunità da qualsiasi controllo provenientedall’esterno. La legge n. 214 del 1871 aveva stabilito che il Papa avrebbe continuato agodere dei palazzi apostolici del Vaticano e del Laterano (con tutti i giardini, gli edifici eterreni annessi), compresi i musei e la biblioteca. Proprio perché destinati al godimento delPapa, questi beni erano collocati tra i beni del patrimonio indisponibile dello Stato.Il Trattato del Laterano del 1929 per la creazione dello Stato Città del Vaticano, riconobbealla Santa Sede “la piena proprietà e l’assoluta potestà e giurisdizione sovrana sul

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Vaticano”. Quindi, da questo momento in poi, il governo italiano non poteva piùinterferire nelle decisioni prese all’interno dello Stato Città del Vaticano: inoltre, il Trattatoha stabilito il perimetro esterno della Città Stato e ha tutelato lo spazio aereo sovrastante ilproprio territorio, vietando a qualsiasi aeromobile di poter trasvolare nei suoi cieli.È chiaro che ci sono delle DIFFERENZE tra il regime apportato dalla legge n. 214 del 1871 equello del Trattato del 1929. Nel primo caso, la Santa Sede aveva solo il “godimento” deipalazzi apostolici e degli edifici ricordati: quindi non ne aveva la “disponibilità”, poiché sitrattava di beni di proprietà dello Stato. Dopo il Trattato, il Palazzo Vaticano con tutte lesue pertinenze e i suoi accessori è diventato “piena proprietà” della Santa Sede (entesovrano su quel territorio).Lo Stato Città del Vaticano presenta alcune sostanziali differenze in confronto a tutti glialtri Stati. In primo luogo lo SCV non è stato creato per provvedere all’organizzazionesociale dei suoi cittadini, ma per assicurare alla Santa Sede un’indipendenza assoluta e pergarantire ad essa una sovranità indiscutibile nel campo internazionale. Quindi possiamoaffermare che lo SCV è lo strumento per garantire alla Santa Sede la libertà el’indipendenza della missione religiosa. Infine, ricordiamo che lo SCV è consideratoterritorio neutrale ed inviolabile. Perciò possiamo definire lo SCV come uno StatoPATRIMONIALE, STRUMENTALE e NEUTRALE. Il regime vigente è quello di uno Stato assolutoin cui tutti i poteri spettano al sovrano, il quale li delega a funzionari da lui nominati e asua discrezione revocati.

Lo SCV, come ogni altro Stato, oltre ad una popolazione, presenta una sua organizzazionee una sua normazione. Ciò che interessa maggiormente è la NORMAZIONE che fece la suacomparsa con l’emanazione di 6 leggi organiche da parte della Santa Sede. La prima diqueste leggi ha carattere fondamentale poiché determina gli organi costituzionali delloStato, la sfera di competenza, la bandiera, lo stemma e il sigillo ufficiale dello Stato. Laseconda legge riguarda le fonti del diritto; la terza la cittadinanza e il soggiorno; la quartal’ordinamento amministrativo; la quinta l’ordinamento economico e la sesta l’ordinepubblico.Per quanto riguarda l’ORGANIZZAZIONE del SCV, abbiamo già visto che il Capo dello Statoè il Papa: egli ha in mano tutti i poteri, e cioè quello legislativo, esecutivo e giudiziario. Incaso di mancanza, tali poteri spettano al Collegio dei Cardinali. Gli organi amministrativisono: il Cardinale Segretario di Stato, il Governatore, il Consigliere generale dello Statoe la Pontificia Commissione per lo SCV.

Il Trattato del Luterano ha provveduto a disciplinare i rapporti tra l’Italia e lo SCV. Perquanto riguarda il TERRITORIO, non poche problemi ha causato e causa tuttora la posizionegeografica dello SCV: cioè, all’interno del territorio italiano. Questo problema è di difficilesoluzione, tant’è vero che non si è ancora trovato un accordo.

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Invece, per quanto riguarda i RAPPORTI GIUDIZIARI tra l’Italia e lo SCV esistono determinatenorme a riguardo. Le sentenze pronunciate dai tribunali dello SCV potranno essereeseguite secondo le norme del diritto internazionale. Invece, nell’ambito dellagiurisdizione penale, la Santa Sede può delegare allo Stato italiano la punizione dei delitticommessi nel territorio dello SCV; ogni volta che la Santa Sede richiede allo Stato italianodi procedere, i nostri giudici applicheranno il diritto penale italiano. Inoltre, è prevista laconsegna allo Stato italiano delle persone imputate di fatti ritenuti delittuosi rifugiatesinello SCV.Un problema particolare riguarda il regime di PIAZZA SAN PIETRO, che è l’unica parte delperimetro vaticano che è rimasta aperta al pubblico: per questo motivo, essa è soggetta aipoteri di polizia delle autorità italiane (siano ai piedi della scalinata della Basilica).Quando l’imputato di un delitto commesso nella piazza sia stato catturato dagli agentiitaliani o sia stato a questi consegnato, si considera rifugiato nel territorio italiano: dunquesi procederà contro di lui senza la richiesta della Santa Sede.

La NOTIFICAZIONE DEGLI ATTI in materia civile (e commerciale) nei rapporti tra lo SCV el’Italia è regolata da una Convenzione con la Santa Sede. Tale convenzione prevede che,per le notificazioni da effettuare nello SCV, occorre che l’interessato faccia istanza alProcuratore della Repubblica, il quale farà domanda al promotore di giustizia delTribunale di prima istanza dello stesso SCV, che provvederà a notificare l’atto. Per lenotificazioni da effettuare in Italia, i ruoli vengono invertiti.La Convenzione di cui abbiamo parlato adesso risulta importante anche per un altromotivo: infatti essa disciplina i casi in cui possono essere convenuti in giudizio in Italia laSanta sede, lo SCV e il Papa. Nei casi in cui vengano citati il Papa o la Santa Sede, lacitazione deve avvenire in persona del Cardinale Segretario di Stato; se la citazione ingiudizio riguarda lo SCV, la citazione va fatta in persona del Governatore. Da questoaccordo si deduce che la Chiesa abbia rinunciato al PRIVILEGIO DEL FORO CIVILE, ossiaall’immunità giurisdizionale dei suoi soggetti nei riguardi dello Stato italiano.

Le altre GARANZIE REALI riconosciute dal Trattato del 1929 riguardano (oltre alla pienaproprietà delle Basiliche patriarcali di San Giovanni in Laterano, Santa Maria Maggiore eSan Paolo, del Palazzo Pontificio e di Castel Gandolfo) il RICONOSCIMENTO a tali immobiliDELLE IMMUNITÀ previste dal diritto internazionale per le sedi degli agenti diplomatici. Lastessa garanzia vale anche per gli uffici della Santa Sede non ubicati nel territorio delloSCV.I fatti giuridicamente rilevanti (leciti o illeciti) che avvengono in tali edifici sono dicompetenza dell’autorità italiane. Chi nascesse in tali luoghi, nascerebbe in Italia; lasuccessione di chi abbia domicilio in tali edifici si apre in Italia; un reato commesso inquesti edifici, è stato commesso in territorio italiano ed è perseguito dalle leggi italiane.Comunque, se confrontati con altri immobili, la garanzia riguarda l’esclusionedell’assoggettamento a vincoli o a espropriazione per pubblico ufficio, e l’esenzione datributi ordinari e straordinari.

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Oltre alle guarentigie reali, esistono anche le GUARENTIGIE PERSONALI. In primo luogo, esseriguardano la figura del Papa. Egli, con l’abbattimento dello Stato pontificio, avevaperduto la qualità di Capo dello Stato ed era divenuto un cittadino italiano in unaposizione particolarissima: cioè, egli era un cittadino dotato delle prerogative e dellegaranzie di un sovrano (legge n. 214 del 1871). A questa situazione pose fine il Trattatodel Laterano del 1929, riconoscendo la sovranità della Santa Sede nel campointernazionale. Lo stesso documento considera “SACRA E INVIOLABILE LA PERSONA DEL

SOMMO PONTEFICE” e ne parifica la tutela penale a quella del Presidente della Repubblica.Qualificando la persona del Papa “sacra e inviolabile”, la legge ha prima di tutto esclusoche a questi possa essere applicata la legge penale: cioè, al Papa manca del tutto la capacitàdi diritto penale. In secondo luogo, per la tutela del Pontefice da attentati ed offese, la suaparificazione al Capo dello Stato implica l’utilizzo degli art. 276-282 e 301-303 c.p..Concludendo, grazie alle disposizioni contenute nel Trattato, il Papa è un vero propriosovrano con una limitata potestà territoriale: perciò a questi vengono riconosciute legaranzie competenti al Capo di uno Stato (con le varianti viste in precedenza).Le guarentigie personali non riguardano solo il Papa, ma anche tutti coloro i qualipartecipano all’attività della Santa Sede secondo le funzioni ad essi attribuite. Già la leggen. 241 del 1871 aveva previsto l’obbligo dello Stato di assicurare la libertà del Papa, deiconclavi e dei concili ecumenici. Nessun pubblico ufficiale poteva introdursi nei luoghi diresidenza del Papa o dove fosse adunato un conclave o un concilio (se non mediantel’autorizzazione del Papa); nessuna autorità giudiziaria poteva impedire o limitare lalibertà personale dei Cardinali. Analoghe garanzie vennero successivamente riconosciuteanche dal Trattato del Laterano, che aggiunse altri riconoscimenti ed esenzioni. Adesempio, ha parificato i Cardinali ai “principi del sangue”, ossia ai principi che nelle casereali spettava il posto immediatamente successivo a quello del re; dunque, nell’ordinedelle precedenze, i Cardinali vengono subito dopo il Presidente della Repubblica. Inoltre iCardinali, se devono testimoniare ad un processo civile, hanno il diritto di rendere ledeposizioni a domicilio o nel luogo da essi scelto. Infine ricordiamo che i Cardinali nonresidenti nello SCV sono comunque cittadini vaticani.

Le garanzie che riguardano il LIBERO ESERCIZIO DELLA POTESTÀ DI MAGISTERO, previste afavore della Santa Sede, sono menzionate nell’Accordo del 18 Febbraio 1984. Questodocumento, oltre a riconoscere alla Chiesa “la piena libertà di svolgere la sua missione”,ha riconosciuto ad essa la libertà “di esercizio del magistero e del ministero spirituale,nonché della giurisdizione in materia ecclesiastica”. Nell’Accordo viene assicurata anchela libertà di comunicazione e di corrispondenza fra la Santa Sede, la ConferenzaEpiscopale Italiana, le Conferenze Episcopali regionali, i Vescovi, il clero e i fedeli; è anchegarantita la libertà di pubblicazione e diffusione degli atti e documenti relativi allamissione della Chiesa. Lo Stato è, per questi motivi, tenuto ad astenersi da ogniinterferenza o ingerenza in questi diritti.

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Un’altra importante norma contenuta nel Trattato del 1929 afferma che gli ENTI CENTRALI

DELLA CHIESA sono esenti da ogni ingerenza da parte dello Stato e dalla conversione neiriguardi dei beni immobili. Gli enti centrali della Chiesa sono gli ORGANISMI CHE

COSTITUISCONO LA CURIA ROMANA, i quali provvedono al governo supremo della Chiesa.Essi sono: le Congregazioni, i Tribunali e gli Uffici della Santa Sede. La “centralità” deglienti è riferita alla struttura dell’organizzazione della Santa Sede per lo svolgimento dellasua missione spirituale nel mondo. Per altri, invece la locuzione “enti centrali” equivale a“enti pontifici”, ossia enti gestiti direttamente dalla Santa Sede, anche se autonomi rispettoagli enti e agli uffici della Curia romana.Tali enti ( “centrali” o “pontifici” che siano), quando svolgono la loro attività all’internodello SCV o in edifici immuni, sfuggono a qualsiasi ingerenza da parte dello Stato poichéoperano in un territorio dove non vige la potestà dell’ordinamento italiano. Ma la garanziadi non ingerenza non comporta l’immunità dalla giurisdizione italiana di tali enti nelmomento in cui essi compiano atti rilevanti nell’ordinamento dello Stato; lo stesso vale peri loro amministratori o responsabili (che cadono sotto la giurisdizione penale dello Stato incaso di imputazioni di reato commesso in territorio italiano). Invece, sfuggono al giudiceordinario tutti gli atti della Santa Sede (in quanto manifestazioni della sua potestà d’ordinee di regime) e l’opera degli ecclesiastici che abbiano partecipato all’emanazione di essi.

Per i dipendenti vaticani è previsto un TRATTAMENTO FISCALE DI FAVORE. In primo luogoricordiamo che le retribuzioni corrisposti dalla Santa Sede e dagli enti “centrali” e“pontifici” della Chiesa sono esenti da qualsiasi tributo nei confronti dello Stato italiano edi ogni altro ente. Riconosciuto il grande valore morale contenuto nel lavoro, la Santa Sedeha istituito un UFFICIO DEL LAVORO DELLA SEDE APOSTOLICA: la sua attività riguarda illavoro prestato alle dipendenze della Curia romana, dello SCV e di enti amministratidirettamente dalla Santa Sede.A volte sorgono dei problemi inerenti al regime dei rapporti di lavoro dei dipendenti dellaSanta Sede, operanti in territorio italiano, con riferimento alla giurisdizione dello Statosulle controversie cui possono dar luogo. La regola qui usata è la stessa che vale per idipendenti italiani in ambasciate straniere. Bisogna distinguere se l’impiegato svolge unafunzione istituzionale propria dell’organizzazione a cui appartiene (e quindi sfugge allagiurisdizione statale) o un’attività che potrebbe essere prestata presso un qualsiasi altrodatore di lavoro.

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CAPITOLO VIII: GLI ENTI DELLE CONFESSIONI RELIGIOSE

Abbiamo già osservato che le confessioni religiose non sono (di norma) dotate diPERSONALITÀ GIURIDICA nell’ordinamento italiano. invece hanno personalità giuridica glienti creati da tali confessioni. Ma non sempre lo Stato ha riconosciuto la personalitàgiuridica agli enti delle confessioni religiose. Attualmente, non esistono dei freni perl’esistenza e il riconoscimento giuridico di enti confessionali, che può avvenire o mediantenorme speciali o in base al diritto comune.Nel nostro ordinamento, la personalità giuridica degli enti è riconosciuta in tre modi:1) per legge, quando e il legislatore a riconoscere la personalità;2) l’ente, costituito secondo uno schema previsto dalla legge, ottiene la personalità

quando il suo atto costitutivo viene riconosciuto conforme alla legge dall’autoritàgiudiziaria e viene trascritto in un apposito registro;

3) di volta in volta, con apposito provvedimento governativo di riconoscimento dellapersonalità giuridica, emesso nella forma di decreto ministeriale.

Di regola, gli enti ecclesiastici ottengono il riconoscimento in base alla terza delle modalitàindicate, cioè con decreto del Ministro dell’interno. Ma non mancano gli enti che hannotale personalità sia per antico possesso di stato, sia secondo la prima delle modalitàindicateSono dotate di PERSONALITÀ GIURIDICA PER ANTICO POSSESSO DI STATO nell’ordinamentoitaliano la Santa Sede (e gli altri enti ecclesiastici) e la Tavola valdese. Hanno ottenuto laPERSONALITÀ GIURIDICA PER LEGGE le Comunità israelitiche, la Conferenza EpiscopaleItaliana, le Chiese avventiste e le Comunità evangeliche luterane. Tutti gli enti menzionatinon appartengono alla categoria degli enti assimilabile agli enti privati, ma sono organidelle confessioni religiose dotati di personalità giuridica. Invece, il riconoscimento dellapersonalità giuridica civile per le diocesi, le parrocchie e gli Istituti per il sostentamentodel clero avviene mediante un PROCEDIMENTO ABBREVIATO: esso ha accostato tali enti aquegli enti privati (come le società di capitali) che acquistano la personalità giuridica aseguito di un giudizio di omologazione effettuato dal tribunale e dell’iscrizione nelregistro delle imprese.

Per quanto concerne il RICONOSCIMENTO DEGLI ENTI DELLA CHIESA CATTOLICA, è necessarioche vi siano i seguenti requisiti:a) L’ENTE DEVE ESSERE COSTITUITO O APPROVATO DALL’AUTORITÀ ECCLESIASTICA;b) L’AUTORITÀ ECCLESIASTICA DEVE DARE IL PROPRIO ASSENSO A CHE L’ENTE FACCIA ISTANZA

PER OTTENERE LA PERSONALITÀ GIURIDICA CIVILE;c) L’ENTE DEVE AVER SEDE IN ITALIA;d) L’ENTE DEVE AVERE UN FINI DI RELIGIONE O DI CULTO.Sono considerate ATTIVITÀ RELIGIOSE O DI CULTO quelle dirette all’esercizio del culto e allacura delle anime; alla formazione del clero e dei religiosi; a scopi missionari; alla catechesi

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e all’educazione cristiana. Non sono considerate attività di religione o di culto quelle diassistenza, beneficenza, istruzione, educazione e cultura e, in ogni caso, le attività lucrativee commerciali. Il fine “COSTITUTIVO” ed “ESSENZIALE” che consente di qualificare un enteecclesiastico “civilmente riconosciuto” è quello che esso persegue nel concreto operare inquelle attività religiose che abbiamo visto in precedenza.Una volta ottenuta la personalità giuridica civile, GLI ENTI ECCLESIASTICI HANNO L’ONERE

DI ISCRIVERSI NEL REGISTRO DELLE PERSONE GIURIDICHE, in modo da rendere conoscibili lenorme sul funzionamento dell’ente e i poteri degli organi di rappresentanza. L’iscrizionedell’ente ecclesiastico nel registro avviene in modo differente agli altri enti: infatti, mentregli enti semplici devono depositare l’atto costitutivo e lo statuto, gli enti ecclesiastici nondevono depositare lo statuto, bensì il decreto canonico di erezione. In questo documentodovranno risultare la denominazione, la natura e la sede dell’ente.Nel caso di mancanza di iscrizione nel registro entro i termini stabiliti, gli enti non sonolegittimati a concludere alcun negozio giuridico finché ciò non avvenga.

Il PROCEDIMENTO DI RICONOSCIMENTO DELLA PERSONALITÀ GIURIDICA DEGLI ENTI

ECCLESIASTICI da parte dello Stato ha inizio con presentazione della domanda: questa deveessere effettuata da chi rappresenta l’ente secondo il diritto canonico, o dall’autoritàecclesiastica competente. Alla domanda devono essere allegati i documenti atti a provare irequisiti necessari al riconoscimento (il provvedimento canonico di erezione e un estrattodello statuto, contenente le norme sulla struttura dell’ente): insieme alla domanda e aidocumenti detti, deve essere allegato l’atto di assenso al riconoscimento manifestatodall’autorità ecclesiastica competente. La domanda dovrà essere presentata presso laprefettura del luogo in cui l’ente ha sede, in quanto questo rappresenta l’organo perifericodella Direzione generale degli affari dei culti del Ministero dell’interno. Il prefetto, dopoaver istruito la pratica, la trasmette (completa di un proprio rapporto) al detto Ministeroche cerca di conoscere il parere del Consiglio di Stato. Nel caso in cui vi siano tutti irequisiti previsti dalla legge, il Ministro emana il decreto con il quale concede ilriconoscimento. Una volta ottenuto il riconoscimento, l’ente ha l’onere di richiederel’iscrizione nel registro delle persone giuridiche istituito presso il Tribunale sito nelcapoluogo della provincia in cui l’ente ha sede.L’ACQUISTO DELLA PERSONALITÀ GIURIDICA DA PARTE DEGLI ENTI PRIVATI dipende da un attototalmente discrezionale dell’autorità governativa: infatti, oltre a valutare se vi siano tuttele necessarie prerogative, l’autorità governativa valuta se l’ente sia necessario e utile e seabbia i mezzi finanziari per raggiungere i suoi scopi.Però dobbiamo valutare se gli stessi poteri siano attribuiti all’autorità governativa nelriconoscimento degli enti della Chiesa cattolica. La prima cosa da notare è che gli eventualipoteri discrezionali dell’autorità dovranno essere esercitati nel rispetto dell’art. 19 Cost.(che garantisce la libertà religiosa degli enti). In secondo luogo dobbiamo ricordare chesiccome gli enti della Chiesa possono appartenere a diverse categorie (associazione,fondazioni) è chiaro che i poteri di valutazione dell’autorità governativa cambino da casoa caso: è chiaro che la valutazione riguarda la sussistenza dei requisiti.

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Una prima parte dell’esame è di mera legittimità: cioè, si comparano i requisiti prospettaticon le previsioni di legge. Invece, il requisito attinente ai fini dell’ente può essere valutatosotto il profilo della legittimità solo rispetto ad alcuni enti, ma è soggetto ad unavalutazione di merito in altri casi. Il requisito della sufficienza del patrimonio o dei mezzieconomici per il raggiungimento dei fini dell’ente non può essere valutato chediscrezionalmente, in quanto si tratta di un giudizio economico. Ma questo requisito èirrilevante per il riconoscimento degli enti che fanno parte della costituzione gerarchicadella Chiesa. Un’altra categoria di enti per i quali non occorre l’accertamento dellasufficienza dei mezzi è quella delle associazioni in generale (istituti ecclesiastici e società divita comune).Per quanto riguarda il riconoscimento della personalità giuridica degli enti della Chiesacattolica, l’autorità governativa non ha il potere di effettuare una valutazione sulla loroutilità sociale: non solo perché il giudizio non le spetta, ma anche perché è molto difficileche una autorità statale possa essere in grado di effettuare una valutazione del genere.

Gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti possono essere soggetti a MODIFICAZIONI; talimodificazioni possono essere riconosciute con un procedimento uguale a quello previstoper l’attribuzione della personalità giuridica. Quindi, ogni MUTAMENTO SOSTANZIALE cheriguardi il fine, la destinazione dei beni e il modo di esistenza di un ente ecclesiasticodeve essere riconosciuto con decreto del Ministro dell’interno (sentito il parere delConsiglio di Stato, quando occorre) per essere efficace nel diritto statale.Per quanto riguarda i MUTAMENTI DEL FINE, non è facile dire quando esso sia sostanziale equando non lo sia: il giudizio spetta all’amministrazione. Invece, i MUTAMENTI DELLA

DESTINAZIONE DEI BENI sono sottoposti a controllo perché rilevanti per garantire i terziattraverso l’iscrizione nel registro delle persone giuridiche o, nel caso di perdita dipatrimonio per un ente di tipo fondazione, per l’eventuale revoca del riconoscimento dellapersonalità giuridica. Infine, per quanto riguarda i MUTAMENTI DEL MODO DI ESISTENZA

DEGLI ENTI, essi attengono alla struttura della persona giuridica; essi potrebbero riguardarela circoscrizione territoriale, l’unione di più enti o lo scorporo di un ente con la sottrazione,a favore di altro, di talune attività.

Un altro fenomeno che potrebbe riguardare gli enti ecclesiastici è l’ESTINZIONE. Gli entiecclesiastici civilmente riconosciuti cessano di esistere quando sono soppressi dall’autoritàecclesiastica o quando viene revocato il loro riconoscimento civile. Affinché l’estinzione siaefficace nel diritto statale, vi deve essere l’iscrizione nel registro delle persone giuridichedel provvedimento ecclesiastico si estinzione. Quindi, il provvedimento canonico diestinzione o soppressione deve essere trasmesso al Ministro dell’interno: questi, condecreto, dispone l’iscrizione nel registro delle persone giuridiche.

Ma l’ente ecclesiastico può perdere la qualifica di “civilmente riconosciuto” (cioè lapersonalità giuridica) anche per un provvedimento autonomo di REVOCA DEL

RICONOSCIMENTO da parte dell’autorità governativa. Questo avviene quando l’ente perde

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uno dei requisiti prescritti per il riconoscimento civile. La revoca deve essere deliberatacon decreto del Ministro dell’interno (sentito il Consiglio di Stato se ce ne fosse lanecessità) e, siccome avviene per iniziativa dell’autorità governativa, è previsto che siasentita l’autorità ecclesiastica. Infine, ricordiamo che la revoca può avvenire solo edesclusivamente a causa della perdita di uno dei requisiti previsti dalla legge.Il fatto che per ottenere il riconoscimento della personalità giuridica civile l’ente debbaavere il fine “costitutivo ed essenziale” di religione o di culto, non implica che questi nonpossano svolgere tutte quelle attività che sono considerate lecite dall’ordinamento statale.Chiaramente, le ATTIVITÀ DIVERSE da quelle di religione e di culto sono soggette totalmentealle leggi dello Stato (ambito civilistico normativo e tributario). Per non crearefraintendimenti, norme emanate recentemente hanno precisato tra le attività diverse daquelle di religione e di culto sono comprese: la beneficenza, l’assistenza, l’istruzione,l’educazione e la cultura (oltre alle attività commerciali o a scopo di lucro). Gli stessiprincipi valgono per gli enti delle confessioni religiose di minoranza. Fra le attività nonqualificate dalla legge come attività di religione o di culto, hanno una grande importanzale attività esistenziali svolte da enti ecclesiastici ospedalieri. È fuor di dubbio che gli entiecclesiastici che svolgono tale attività ospedaliera non possono essere qualificati come entipubblici. Molti e diversi sono le affermazioni circa la QUALIFICA GIURIDICA DEGLI ENTI

ECCLESIASTICI. Alcuni affermano che tali enti sarebbero da considerare come se posti inmezzo tra gli enti privati e gli enti pubblici: quindi dotati di una pubblicità speciale. Altriinvece affermano che tali enti sarebbero da considerare privati, altri ancora chedovrebbero essere considerati pubblici.In realtà, gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti non sono né privati né pubblici, maenti che godono di una più grande ed autonoma organizzazione confessionale (a cui loStato si limita a riconoscere la personalità giuridica). In poche parole, GLI ENTI

ECCLESIASTICI OCCUPANO UNA CATEGORIA A SÉ.Un altro problema di rilievo nei rapporti tra lo Stato e le confessioni religiose, è quello delCOLLEGAMENTO CON GLI ENTI espressi da queste o che si riferiscono a queste. Già nelConcordato del 1929 era affermato che il collegamento degli enti con la Chiesa deve essereattestato dall’autorità ecclesiastica: l’Accordo del 18 Febbraio 1984 non ha fatto altro cheriprendere tale principio. Nessun istituto religioso, nessuna associazione di fedeli puòottenere il riconoscimento della personalità giuridica civile senza l’assenso della SantaSede: o meglio, loro potrebbero ottenere tale riconoscimento, ma non potrebbero fregiarsidella qualifica di “cattolica”. Lo stesso discorso vale per gli enti collegati alle altreconfessioni religiose, sia che possano o che non possano ottenere il riconoscimento dellapersonalità giuridica da parte dello Stato. infine, non dimentichiamo che un ente potrebbeessere considerato ecclesiastico dalla Chiesa, ma potrebbe non avere tale qualifica dalloStato; questo perché lo Stato riconosce gli enti della Chiesa come ecclesiastici quando essihanno come fine “costitutivo ed essenziale” quello di religione o di culto.Adesso vediamo quali sono i vari ENTI DELLA CHIESA CATTOLICA.

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CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA: è un istituto permanente la cui struttura di base èdata dall’assemblea dei vescovi di una nazione o di un determinato territorio. QuesteConferenze sono erette, soppresse o innovate dalla Santa Sede e acquistano di diritto lapersonalità giuridica (nell’ordinamento della Chiesa) non appena vengono erettelegittimamente. Data l’importanza di questo istituto, non poteva non essere presenteall’interno dell’Accordo del 1984. In questo documento viene assicurata la libertà dicomunicazione e di corrispondenza tra la Santa sede, la CEI e le Conferenze Episcopaliregionali; inoltre, sempre questo documento, legittima la CEI a stipulare intese con leautorità dello Stato per le materie in cui vi è l’esigenza di collaborazione tra Chiesa e Stato.Infatti la CEI è legittimata a compiere numerosi atti giuridicamente rilevanti nell’eserciziodi poteri sia normativi che amministrativi.Tra i POTERI NORMATIVI ricordiamo che la CEI:- definisce l’esercizio del ministero del clero;- determina periodicamente quanto dovuto al clero;- emana le disposizioni necessarie per l’attuazione nel diritto canonico delle norme sui

beni ecclesiastici e sul sostentamento del clero.Tra i POTERI AMMINISTRATIVI ricordiamo che la CEI:- ha eretto e dotato l’Istituto centrale per il sostentamento del clero;- stabilisce la ripartizione degli avanzi di gestione degli Istituti diocesani tra questi istituti

e l’Istituto centrale;- riceve dallo Stato una determinata somma di denaro, e ne determina la destinazione.

DIOCESI E PARROCCHIE: con il termine diocesi si indica una “Chiesa particolare”. Con iltermine parrocchia si indica una “comunità stabile di fedeli”. Detto questo diciamosubito che nel diritto della Chiesa sia la diocesi che la parrocchia acquistano ipso iure lapersonalità giuridica appena vengono erette. Nel diritto dello Stato si è avuta una recentesemplificazione del settore. Una volta determinata dall’autorità ecclesiastica la sede e ladenominazione delle diocesi e delle parrocchie, il Ministro dell’interno (in formaabbreviata e con proprio decreto) conferisce a queste la qualifica di “enti ecclesiasticicivilmente riconosciuti”.

CAPITOLI: i capitoli cattedrali o collegiali, che sarebbero le adunanze dei canonici di unacattedrale o di una collegiata, fanno parte della costituzione gerarchica della Chiesa esono stati riconosciuti come persone giuridiche nel diritto dello Stato.A decorrere dal 1° Gennaio 1987, l’autorità ecclesiastica ha potuto richiedere la revoca delriconoscimento civile a suo tempo concesso a tali capitoli quando questi non rispondanopiù alle particolari esigenze o alle tradizioni religiose della popolazione. L’autoritàcompetente a chiedere la revoca è la Santa Sede per i capitoli cattedrali ed il vescovo per icapitoli collegiali. La revoca del riconoscimento della personalità giuridica dei capitoliavviene con decreto del Ministro dell’interno (sentito il parere del Consiglio di Stato).

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FONDAZIONI DI CULTO: esse consistono in una massa patrimoniale stabilmente destinataa fine di culto che, con l’attribuzione della personalità giuridica, diventano autonomicentri di imputazione di diritti e di obblighi. Il termine culto deve essere inteso in sensomolto ampio, in quanto deve comprendere il finanziamento di ogni attività che abbia unfine strettamente religioso: così saranno riconosciute come fondazioni di culto sia quelleche riguardano il culto in senso proprio (come l’organizzazione della festa del Santopatrono, la fornitura degli strumenti necessari per avere la musica), che quelle rivolte asostenere il magistero ecclesiastico (mediante il finanziamento degli esercizi spirituali,delle missioni periodiche, della catechesi). Il riconoscimento della personalitàgiuridica è molto discrezionale perché (oltre ai requisiti dell’approvazione dell’autoritàecclesiastica, del suo assenso al riconoscimento civile e all’esame del fine da perseguire) irequisiti richiesti dalla legge nel caso in esame sono dati di fatto paragonabili ai principieconomici e di mera opportunità. Perciò, il riconoscimento è ammesso quando vi sia lasufficienza dei mezzi per il raggiungimento dei fini prefissati.

CHIESE: le chiese appartengono al genere delle fondazione. I requisiti affinché una chiesapossa ottenere il riconoscimento della personalità giuridica sono due: l’apertura al cultopubblico e la disposizione di un patrimonio sufficiente per la manutenzione el’ufficiatura. La locuzione “aperta al pubblico” significa che la Chiesa è officiataregolarmente: cioè, l’ufficio divino e tutte le altre attività ad esso connesse devono esseresvolte in maniera continuativa, con un programma diretto a soddisfare l’interesse dellageneralità dei fedeli. Ma, “aperto al pubblico” significa che tutti vi possono entrare, senzadover presentare un particolare titolo di ammissione.Importante al fine del riconoscimento dell’ente-chiesa è la PROPRIETÀ DELL’EDIFICIO in cuiessa svolge le proprie attività: nel caso in cui esso appartenga ad un privato, il quale nontrasferisce il suo diritto all’ente, non sarà possibile riconoscere un ente-chiesa, ma piuttostouna fondazione di culto, un’associazione, una confraternita, e via dicendo. Però, questostato di cose è in contrasto con la legge n. 222 del 1985: essa prevede che per ilriconoscimento di un ente-chiesa non c’è bisogno che l’edificio di culto diventi di proprietàdell’ente erigendo. Infatti, il diritto di proprietà del privato sull’edificio è ampiamentesacrificato nella sua facoltà di godimento tutte le volte in cui essa debba cedere neiconfronti delle esigenze del culto. Quindi, non si capisce il motivo per cui uno dei requisitiper il riconoscimento di un ente-chiesa debba essere la proprietà dell’edificio, quandobasterebbe l’assegnazione del diritto reale di godimento.

SANTUARI: i santuari non sono altro che chiese. Il termine santuario sta ad indicare quellechiese, mete di pellegrinaggio, in cui si venerano immagini o reliquie di particolaredevozione. Quindi, questo termine, sta ad indicare una chiesa che soddisfa una necessitàdi culto diversa da quella ordinaria.

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FABBRICERIE: questo termine può avere due significati. La prima nozione indica lafondazione o la massa patrimoniale raccolte giornalmente e amministrate in modoautonomo; il secondo significato indica il consiglio competente ad amministrare talibeni, costituito da ecclesiastici o da laici. Il COMPITO della fabbriceria è quello diamministrare quella parte del patrimonio di una chiesa che deve essere usato per lamanutenzione dell’edificio e per le spese di culto.Le fabbricerie che gestiscono una chiesa cattedrale o un edificio di culto dichiarato dirilevante interesse storico o artistico hanno un CONSIGLIO composto da 7 membri (2nominati direttamente dal vescovo, 5 nominati dal Ministro dell’interno su consiglio delvescovo): il loro statuto deve essere approvato con decreto ministeriale, sentito il vescovodiocesano. Tutti i membri della fabbriceria prestano la propria opera gratuitamente. IlPRESIDENTE DELLA FABBRICERIA, oltre ad eseguire le deliberazioni del consiglio e ad erogarele spese deliberate: 1) adotta i provvedimenti necessari in casi di urgenza, che dovrannoessere sottoposti all’esame del consiglio; 2) annualmente prepara i bilanci consuntivi chedovranno essere approvati dal consiglio.Il Concordato del 1929 stabili che detti consigli potessero essere formati anche interamenteda laici, ma questi non potevano immischiarsi negli affari e nei servizi di culto. Lo stessodocumento dispose che la nomina dei componenti del consiglio dovesse essere effettuatad’intesa con l’autorità ecclesiastica. Infine ricordiamo che, per il compimento degli atti distraordinaria amministrazione, ha bisogno dell’autorizzazione governativa (richiesta alprefetto dal presidente della fabbriceria).

ASSOCIAZIONI RELIGIOSE: queste rappresentano il fenomeno sociale più rilevantedeterminati dal fattore religioso. Tra le associazioni religiose dobbiamo distinguere gliistituti religiosi , dagli istituti secolari e dalle società di vita apostolica.Gli ISTITUTI RELIGIOSI sono le associazioni in cui è più stretto il vincolo sociale: i sociaderiscono a tali associazioni pronunziando voti pubblici (perpetui o temporaneirinnovabili) che impegnano a condurre una vita comune. Gli ISTITUTI SECOLARI, invece, nonimplicano per i soci alcuna separazione dal resto della società umana. Essi sono costituitida fedeli, laici e chierici che, dopo aver aderito all’associazione, continuano a vivere nelsecolo la vocazione alla perfetta carità e il cui programma è di contribuire dall’interno allasantificazione del mondo. Nelle SOCIETÀ DI VITA APOSTOLICA, l’adesione dei soci avvienesenza la pronunzia di voti: questa adesione comporta la vita comune dei soci, diretta allaperfezione della carità.I REQUISITI richiesti per il riconoscimento della personalità giuridica sono i seguenti:- approvazione della Santa Sede;- ubicazione della sede in Italia;- avere un rappresentante italiano e residente in Italia.Quindi, le associazioni non devono provare l’esistenza di un patrimonio perché i socipossono, mediante loro contributi, formare e incrementare il patrimonio

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dell’organizzazione anche in un momento successivo il riconoscimento: l’importante è chesi dimostri la capacità di acquistare e di possedere dell’associazione.Il Concordato del 1929 dedicava poca attenzione alle associazioni: solo dopo la riconquistadella libertà civile e grazie ai fermenti ideali del Concilio Vaticano II si ebbero nuovenorme che tutelavano e garantivano l’associazionismo fra i cattolici.Una volta riconosciuta la personalità giuridica, l’ente è del tutto regolato dalle leggi civili:invece, resta riservata all’autorità ecclesiastica l’attività di religione o di cultodell’associazione e la materia degli organi statutari. Seguendo il riconoscimento allastregua del diritto comune, l’associazione deve presentare i requisiti previsti dalle leggicivili. Quindi, a differenza di quanto accadde per gli istituti religiosi, il riconoscimentodelle società di vita apostolica e delle associazioni pubbliche di fedeli è totalmentediscrezionale.Un’ASSOCIAZIONE RELIGIOSA NON RICONOSCIUTA come persona giuridica dallo Stato È, perl’ordinamento civile, UN’ASSOCIAZIONE DI FATTO. Quindi, queste sono regolate dalle normestatali che riguardano le associazioni non riconosciute (soprattutto nei rapportipatrimoniali, per garantire i terzi); ma, trattandosi di associazioni di fatto collegate allaChiesa cattolica, le sue attività di religione o di culto sono soggette alla disciplinadell’autorità ecclesiastica.

CONFRATERNITE: sono enti che appartengono al genere delle associazioni laicali (di cuisono la più antica manifestazione). Fanno parte di questo gruppo anche le associazionidenominate confraterie, congreghe, misericordie e simili: sono organismi che hanno fini diculto e/o di beneficenza (come l’assistenza ai confratelli infermi o ai bisognosi, la cura delculto di una chiesa, e così via).

PRELATURE PERSONALI: esse sono enti ecclesiastici diretti a promuovere una miglioredistribuzione dei sacerdoti o a svolgere specifiche opere pastorali o missionarie a favoredelle varie regioni e dei diversi ceti sociali. Le prelature personali non sono associazionireligiose: sono organismi che, per la struttura e per i fini perseguiti, fanno parte dellacostituzione gerarchica della Chiesa.

Lo Stato, oltre a riconoscere gli enti ecclesiastici, riconosce anche gli ENTI DELLE

CONFESSIONI RELIGIOSE DI MINORANZA. Il riconoscimento di tali enti ha luogo con lapresentazione al prefetto del territorio di una domanda fatta da qualsiasi interessato ediretta al Ministro dell’interno; questi, riconoscerà l’ente mediante decreto ministeriale(sentito il Consiglio di Stato, e persino il Consiglio dei ministri). Prima dell’avvento dellaCostituzione, norme anteriori prevedevano che gli enti delle confessioni diverse da quellacattolica fossero soggetti alla vigilanza e alla tutela governativa. Ma ciò non è piùammesso perché entra in contrasto con l’art. 20 Cost., il quale esclude che agli enti con finedi religione o di culto possa essere riservato un trattamento peggiore rispetto a quelloprevisto dal codice civile per le persone giuridiche.

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CAPITOLO IX: I MEZZI PER L’ATTIVITÀ

DI RELIGIONE O DI CULTO

Per svolgere l’esercizio dell’attività di religione o di culto, risulta essere fondamentale laDISPONIBILITÀ DEI MEZZI ECONOMICI occorrenti per il raggiungimento di tali fini. Esiccome il settore economico è di competenza statale, è chiaro che i rapporti che nascono aproposito dell’uso degli accennati mezzi economici sono disciplinati dal diritto statale.Però, a volte, capita che tale diritto attribuisca importanza alla disciplina che tali rapportiricevono negli statuti interni delle confessioni religiose (come avviene per la confessionecattolica).

SEZIONE 1 – IL SOSTENTAMENTO DEL CLERO

Nel diritto canonico, il SOSTENTAMENTO DEGLI ECCLESIASTICI che ricoprono un ufficio dellaChiesa è stato garantito secondo un vecchio sistema di antica concezione sino al 1986.L’ufficio ecclesiastico non aveva personalità giuridica, ma è stato affiancato da unapersona giuridica; il BENEFICIO. Il beneficio è una dotazione patrimoniale il cui redditoserve a retribuire il funzionario ecclesiastico (posta in essere da un ente del tipo“fondazione”). Questo sistema presentava notevoli sperequazioni nel trattamentoeconomico di tali funzionari; infatti la retribuzione era collegata al reddito del beneficio, equindi variava secondo l’entità del patrimonio della fondazione beneficiale (creandovescovi ricchi e vescovi poveri, parroci ricchi e parroci poveri). Per porre fine a questosituazione, interveniva lo Stato versando il SUPPLEMENTO DI CONGRUA a quegli ecclesiasticiil cui beneficio producesse redditi in misura inferiore ad un certo minimo. Inizialmentesembrava giusto che lo Stato intervenisse in questa maniera, tant’è che anche dopo ilConcordato del 1929 lo Stato decise di continuare a corrispondere tali assegnisupplementari. Siccome la funzione di tali assegni era quella di garantire un decorososostentamento personale, essa veniva considerata una prestazione a carattere alimentare acarico (per legge) del Fondo per il culto. Quindi, l’ufficiale ecclesiastico che avesse avutoun reddito inferiore ai limiti stabiliti dalla legge, godevano di un vero e proprio dirittosoggettivo nei confronti del Fondo per il culto.

Questo sistema retributivo è stato completamente scardinato. Il nuovo codex iuris canoniciha previsto il graduale passaggio dal vecchio sistema beneficiale di retribuzione del cleroad un sistema più equo e moderno con l’istituzione di ISTITUTI PER IL SOSTENTAMENTO DEL

CLERO (diocesani o interdiocesani): questi sono enti ecclesiastici civilmente riconosciuti.A tale RIFORMA DELLA GESTIONE PATRIMONIALE ha aderito lo Stato con l’Accordo del 15Novembre 1984. Ma sia questo accordo che la legge n. 222 del 1985, non sono riusciti aseparare lo Stato dalla Chiesa in materia di retribuzione del clero. Infatti, restava limitatala libertà della Chiesa di organizzare tale materia in modo autonomo. Comunque, sial’accordo che la legge visti sopra hanno previsto l’erezione in ogni diocesi italiana dialtrettanti Istituti per il sostentamento del clero ad opera del vescovo o dei vescoviinteressati. Questi enti hanno acquistato la personalità giuridica civile.

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La FUNZIONE DEGLI ISTITUTI DIOCESANI è quello di corrispondere (con l’eventuale concorsodell’Istituto centrale) un congruo e dignitoso sostentamento al clero che svolge servizioin favore della rispettiva diocesi. Inoltre, tali Istituti devono destinare una quota delleproprie risorse per coloro i quali, una volta abbandonata la vita ecclesiastica, non abbianoredditi sufficienti per vivere in maniera dignitosa.Il FONDO PATRIMONIALE DEGLI ISTITUTI DIOCESANI è costituito dai beni appartenenti agli entibeneficiali esistenti nella diocesi, che si sono estinti ipso iure, contestualmente all’erezionedi ogni istituto diocesano. La ripartizione dei beni tra Istituti diocesani per ilsostentamento del clero e diocesi, parrocchie e capitoli non soppressi, ha avuto luogo conun duplice trasferimento di proprietà: dai benefici estinti agli Istituti; dagli Istituti adiocesi, parrocchie e capitoli.

L’ISTITUTO CENTRALE è nato con un proprio fondo di dotazione conferito alla CEI. Le sueentrate principali sono costituite dalle offerte ricevute dai fedeli e dal famoso 8 per milledell’IRPEF che sia stato destinato dai contribuenti a scopi di carattere religioso (a direttagestione della Chiesa). Tale ente può compiere tutti quei negozi che sono in grado diincrementare il suo patrimonio, effettuare investimenti, ricevere donazioni, eredità, e viadiscorrendo.Adesso vediamo quali sono i RAPPORTI che nascono TRA questo ISTITUTO CENTRALE E gliISTITUTI DIOCESANI. Questi ultimi provvedono all’integrazione dei proventi dei sacerdoticon i redditi del proprio patrimonio; in caso di insufficienza di tali redditi, gli Istitutidiocesani chiedono all’Istituto centrale la somma residua necessaria ad assicurare ad ognisacerdote la remunerazione stabilita. Comunque, l’Istituto centrale dovrebbe conoscerepreventivamente l’eventuale fabbisogno degli Istituti diocesani, poiché questi sono tenutia comunicare il loro STATO DI PREVISIONE. In base ai dati contenuti in questi documenti,l’Istituto centrale provvede ad effettuare le erogazioni necessarie. Inoltre, alla chiusura diogni esercizio finanziario, gli Istituti diocesani devono trasmettere una RELAZIONE

CONSUNTIVA.

L’ORGANIZZAZIONE che si viene a formare, dal punto di vista strutturale, presenta lasingolarità di non avere un carattere unitario: infatti si viene a formare una specie diraggiera al cui centro è collocato l’Istituto centrale, e gli Istituti diocesani ne rappresentanoi raggi. Tutti gli enti che fanno parte di questa struttura, però, sono enti autonomi dotati dipropria personalità giuridica: quindi ogni singolo Istituto gode di una propria autonomia.Per quanto riguarda la natura giuridica di questa organizzazione, sembra non essercinessuna differenza tra gli Istituti diocesani e l’Istituto centrale. Infatti abbiamo visto che gliIstituti diocesani sono dotati del patrimonio dei benefici esistenti nella diocesi (patrimoniodestinato al sostentamento del clero); l’Istituto centrale nasce con un proprio fondo didotazione (conferito dalla CEI) ed ha la capacità di accrescere tale patrimonio.

A decorrere dal 1° Gennaio 1987, ogni Istituto diocesano per il sostentamento del cleroprovvede ad assicurare un adeguato sostentamento del clero che svolge servizio in favore

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della diocesi. Il DIRITTO ALLA REMUNERAZIONE a favore dei sacerdoti deriva dallosvolgimento del servizio a favore della diocesi e dall’adempiere a tale servizio a tempopieno. Molto importante risulta essere quest’ultima affermazione. La CEI ha stabilito chehanno diritto al sostentamento solo quei sacerdoti che si dedicano totalmente al ministeroecclesiastico, mettendo la loro vita a piena disposizione per l’esercizio delle funzionepastorali ad essi affidate dal vescovo diocesano: in poche parole, HANNO DIRITTO

ALL’ASSEGNO I SACERDOTI PREPOSTI A TEMPO PIENO AD UN UFFICIO ECCLESIASTICO. Invece, isacerdoti che compiono delle prestazioni occasionali o a tempo limitato hanno diritto aricevere una giusta remunerazione per gli specifici servizi prestati dagli enti ecclesiasticiche si sono avvalsi della loro opera.La CEI stabilisce la DETERMINAZIONE DEGLI ASSEGNI dovuti ai sacerdoti basandosi su deicriteri stabiliti. Prima di tutto, è stato stabilito che circa i due terzi della remunerazione èuguale per tutti. Per la rimanente parte, si deve tener conto di vari fattori che attribuisconoun determinato numero di punti a seconda:- dell’ufficio occupato (vescovi, vicari, parroci, ecc.);- dell’anzianità nell’esercizio del ministero personale;- della residenza del sacerdote (per capire se il costo della vita è più elevato);- della mancanza di un alloggio ecclesiastico (per tener conto delle spese di locazione).Comunque, per determinare precisamente quale sia l’esatta remunerazione, i sacerdotisono tenuti a comunicare annualmente all’Istituto diocesano per il sostentamento del clerole retribuzioni ricevute dagli enti ecclesiastici e da terzi: l’Istituto provvederà a verificaretali dati e stabilirà il pagamento dell’integrazione nel caso in cui la retribuzione deisacerdoti non raggiungono un minimo prestabilito.I SACERDOTI che prestano servizio a favore della diocesi HANNO UN VERO E PROPRIO DIRITTO

A PERCEPIRE L’INTEGRAZIONE sia secondo il diritto canonico che secondo il diritto delloStato. Quindi i sacerdoti godono di un vero e proprio diritto soggettivo tutelabile anchedavanti al giudice statale. Ma il collegamento istituito tra l’ordinamento canonico el’ordinamento statale consente al sacerdote di potersi rivolgere al giudice dello Stato soloquando non si è già rivolto all’autorità ecclesiastica: cosa poco conveniente, perché ilsacerdote potrebbe rimanere in cattivi rapporti con l’autorità ecclesiastica. Nel caso in cuiil sacerdote si disinteressi di mantenere dei buoni rapporti con l’autorità ecclesiastica,allora potrà rivolgersi all’ordinamento dello Stato per fare accertare il proprio diritto:sottolineiamo che il giudice competente è quello ordinario e non il giudice del lavoro,perché il sacerdote svolge una missione e non un lavoro.

Per quanto riguarda le ENTRATE PRIVATISTICHE DEGLI ENTI DELLE CONFESSIONI RELIGIOSE, valeil diritto comune. Ciò che i fedeli offrono liberamente (OBLAZIONI) ai ministri di culto,purché di modico valore, costituiscono donazione manuale ai sensi dell’art. 783 c.c.; talioblazioni sono destinate ad una persona giuridica e sono da questa acquistate senza cheoccorra alcuna autorizzazione dello Stato (in quanto esse sono qualificate come donazionimanuali).

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Nel nostro ordinamento esistono norme, dettate dall’art. 629 c.c., che disciplinano ledisposizioni testamentarie a favore dell’anima. Con queste norme si cerca di rendereattuabile la volontà testamentaria di persone che credono che il compimento di riti oattività liturgiche permetta l’avvicinamento della loro anima alla beatitudine eterna. LeDISPOSIZIONI A FAVORE DELL’ANIMA sono valide quando sono determinati i beni o, per lomeno, è determinabile la somma da impiegare per assolvere a tali disposizioni. La leggesi è preoccupata di qualificare la NATURA GIURIDICA delle disposizioni a favore dell’animacome un ONERE a carico dell’erede o del legatario: qualunque interessato può agire perl’adempimento di tale onere, ma purché vi sia almeno un interessato indicato dal testatore.Nel caso in cui dovesse mancare l’indicazione dell’interessato, il testatore può comunquedesignare una qualsiasi persona che curi l’esecuzione della disposizione.Se la disposizione è protratta nel tempo, potrebbe succedere che i mezzi messi adisposizione non siano più sufficienti o che l’onere assorba quasi o interamente il valoredel lascito. In queste circostanze, si potrebbe ridurre l’entità dell’erogazione, sempre se leparti siano d’accordo: in caso di dissenso, per avere tale riduzione, ci sarebbe bisogno diuna sentenza del giudice statale.

Le ENTRATE DI DIRITTO PUBBLICO DEGLI ENTI CONFESSIONALI sono quelle entrate che tali entiottengono in base ad un rapporto pubblicistico: o perché l’ente è titolare di un poteretributario riconosciuto dallo Stato, o perché l’ente riceve finanziamenti dallo Stato o daaltre organizzazioni pubblicistiche.Una manifestazione del potere tributario della Chiesa erano le DECIME SACRAMENTALI: sonodelle vere e proprie imposte fondiarie ecclesiastiche che i proprietari dei fondi situati in undeterminato luogo dovevano pagare (la decima parte dei frutti prodotti dalla terra) aglienti ecclesiastici per i servizi spirituali da essi resi alla popolazione di quel luogo. Maqueste imposte furono soppresse nel 1887. Da non confondere con le decime sacramentalisono le DECIME DOMINICALI: sono canoni di antiche concessioni di fondi, derivanti dalfrazionamento delle proprietà ecclesiastiche.Per quanto riguarda i CONTRIBUTI DELLO STATO e degli altri enti pubblici a favore delleorganizzazioni confessionali, dobbiamo ricordare che essi hanno una radice storica. Fino al1896, si poteva trovare la presenza di vari capitoli di spesa inerenti al finanziamento dellaChiesa cattolica nel bilancio del Ministero dell’interno, del Ministero del tesoro e in quellodel Ministero dei lavori pubblici. Dal 1° Gennaio 1987 sino al 31 Dicembre del 1989 questicapitoli di spesa sono confluiti sul bilancio del Ministero del tesoro, per essere poi versatialla CEI. Dal 1° Gennaio 1990 lo Stato corrisponde alla CEI una quota pari all’otto permille dell’IRPEF per scopi di interesse sociale o umanitario a diretta gestione statale o perscopi di carattere religioso a diretta gestione della Chiesa cattolica (o delle confessioni diminoranza, ammesse per legge, a cui si voglia devolvere tale percentuale). Ogni anno(entro luglio), la CEI ha il compito di stilare un rendiconto in cui specifica quale uso siastato fatto delle somme ricevute nel corso del precedente anno; inoltre, la CEI è tenuta apubblicare tale rendiconto sul proprio organo ufficiale e a fornire un’adeguatainformazione sul contenuto di esso.

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Come abbiamo già visto in precedenza, anche per il FINANZIAMENTO DELLE CONFESSIONI DI

MINORANZA è previsto l’intervento da parte dello Stato da talune leggi emanate in base adintese con alcune confessioni religiose. Ad esempio, le Chiese avventiste, la Tavola valdesee la Chiesa evangelica luterana concorrono alla ripartizione dell’otto per mille dell’IRPEF.Chiaramente, tali confessioni di minoranza possono anche finanziarsi mediante le offertedei propri fedeli. Siccome vi è il concorso da parte dello Stato nel finanziamento dellecitate confessioni, queste devono trasmettere annualmente al Ministero dell’interno unrendiconto in cui specificano l’utilizzo delle somme ricevute dallo Stato e dai propri fedeli.Invece la Chiesa battista preferisce non avere contributi da parte dello Stato., e quindi ilsuo sostentamento è totalmente basato sulle offerte volontarie dei propri fedeli. Per quantoriguarda il finanziamento delle Comunità ebraiche, dobbiamo ricordare che è statoeliminato l’obbligo per gli appartenenti di versare il contributo annuale previsto epartecipa alla ripartizione dell’otto per mille dell’IRPEF.

SEZIONE 2: LE COSE DESTINATE ALL’ESERCIZIO DELLA LIBERTÀ RELIGIOSA

L’ordinamento civile disciplina la materia dell’EDILIZIA RELIGIOSA sotto molteplici aspetti.Si tratta di beni in cui le varie confessioni svolgono la propria attività e che sono regolati inmaniera molto varia: infatti il nostro Stato favorisce tanto la gestione quanto larealizzazione dell’edilizia religiosa con apposite disposizioni riguardanti sia il regime ditali beni immobili, sia la costruzione di essi, sia il finanziamento di tali costruzioni. Traquesti beni, quelli che occupano una posizione preminente sono gli EDIFICI DI CULTO: qui sisvolge l’esercizio del culto delle varie confessioni religiose. Tali edifici sono regolati daldiritto comune, salvo le diverse disposizioni contenute in leggi che hanno dato esecuzionead impegni concordatari.La connessione fra l’esercizio della libertà religiosa e l’apertura di templi e oratori è moltostretta e quasi essenziale, visto che tali edifici sono un mezzo per manifestare in pienaautonomia la propria fede religiosa. Nell’Accordo del 18 Febbraio 1984 sono previste delledisposizioni che riguardano gli EDIFICI DI CULTO DELLA CHIESA CATTOLICA. Tali disposizioniriguardano soprattutto la REQUISIZIONE, l’OCCUPAZIONE, l’ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICO

UFFICIO o la DEMOLIZIONE delle chiese pubbliche. Questi eventi possono avvenire solo incasi eccezionali di interesse generale e previo accordo con l’autorità ecclesiastica. Inoltre,salvo i casi di necessità, la forza pubblica non può entrare per l’esercizio delle sue funzionisenza il permesso dell’autorità ecclesiastica. Ad ogni modo, ricordiamo che sono regolatida tale regime tutti gli edifici che sono “APERTI AL PUBBLICO CULTO”.Abbiamo già visto che i beni degli ENTI ECCLESIASTICI SONO SOGGETTI AL DIRITTO COMUNE,alle norme del codice civile, SALVO QUANDO SIA DIVERSAMENTE DISPOSTO DALLE LEGGI

SPECIALI CHE POSSONO RIGUARDARLI (art. 831, 1° comma c.c.). molto più importante risultaessere il discorso sul 2° comma dell’art. 831 c.c.. Questo prevede il caso in cui l’edificio siadi proprietà di soggetti diversi da un ente ecclesiastico, e quindi di un ente pubblico, dipersone giuridiche private o di persone fisiche

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La norma che stiamo studiando dispone che gli edifici destinati all’esercizio pubblico delculto cattolico, anche se appartenenti a privati, non possono essere sottratti a taledestinazione fino a quando la destinazione stessa non sia cessata (in conformità delle leggiche le riguardano). Con questa disposizione, le chiese cattoliche aperte al pubblico sonostate equiparate ai beni del patrimonio indisponibile degli enti pubblici. Il 2° commadell’art. 831 c.c. garantisce il mantenimento della destinazione dell’edificiopresupponendo che esso sia aperto al pubblico. Quando viene meno tale presupposto (es.:distruzione per motivi non imputabili al proprietario) tale garanzia viene a cadereautomaticamente.Quando un edificio di culto sia di proprietà di un privato, questi non potrà mai sottrarrel’edificio alla sua destinazione al culto pubblico; però, è liberissimo di poterlo alienare,pignorare e via discorrendo. Addirittura, nelle ore in cui la chiesa non sia aperta per talefine, il proprietario potrà locare l’edificio per scopi profani (es.: concerti, conferenze) oimporre una tassa d’ingresso per fare ammirare le opere d’arte conservate nell’edificio.Il 2° comma dell’art. 831 c.c. dispone solo per gli edifici dedicati al culto cattolico, poichéqui è riscontrabile un effettivo uso pubblico dell’edificio. Ma, secondo qualche autore, taledisposizione dovrebbe valere anche per quegli edifici di culto di minoranze religiosesituate in determinate aree del Paese in cui sia prevalente la loro professione.

Quando le chiese abbiano carattere MONUMENTALE, perché riconosciute di interesseartistico e storico, queste sono sottoposte al regime di tali beni: cioè, alla vigilanza delMinistero per i beni culturali ed ambientali e alle autorizzazione per eventuali restauri oper alienazioni o concessioni di ipoteca. Questo avviene quando le chiese sono di proprietàdi privati o di enti ecclesiastici. Invece, quando tali beni sono riconosciuti d’interessestorico ed artistico sono di proprietà dello Stato, hanno la natura di beni demaniali: essisono perciò inalienabili e seguono il regime previsto per il demanio pubblico dall’art. 823c.c.. Il “FONDO EDIFICI DI CULTO” è l’ente creato appositamente per provvedere allaconservazione, al restauro, alla tutela e alla valorizzazione degli edifici di cultoappartenenti al Fondo. I beni appartenenti al Fondo edifici di culto sono soggetti ad unregime particolare: i beni immobili concessi in uso o locati a terzi non possono essereutilizzati per fini diversi da quelli per cui è stata consentita la concessione o la locazione.Il fatto che l’autorità competente abbia consentito la costruzione di edifici di culto (con ilrilascio dell’occorrente concessione edilizia) rende ancora più concreto il diritto alla libertàreligiosa. In MATERIA URBANISTICA, nell’ordinamento italiano abbiamo la competenzadelle regioni affiancata a quella del legislatore nazionale (art. 117 Cost. e legge n. 616 del1977). Non c’è alcuna differenza tra la confessione cattolica e le altre confessione diminoranza: tutta l’edilizia di culto è tutelata in eguale maniera, senza che vi sia il bisognodi leggi conseguenti al raggiungimento di intese.Anche per quanto riguarda il FINANZIAMENTO PUBBLICO DELL’EDILIZIA RELIGIOSA troviamola competenza regionale affiancata a quella statale. In particolare, lo STATO si è accollatol’onere di costruire il rustico dell’edificio di culto e della canonica e, nel caso in cui ce nefosse bisogno, anche l’onere per l’acquisto delle aree occorrenti. Inoltre, alcuni

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provvedimenti legislativi hanno posto a totale carico dello Stato la ricostruzione dellechiese distrutte o danneggiate dagli eventi bellici, e il concorso al 50% per la riparazionedei danni causati dalle calamità naturali.Le REGIONI, legiferando sulle opere di urbanizzazione secondaria da realizzare con lacostruzione di edifici di culto, hanno seguito propri criteri. Alcune regioni prevedonol’erogazione di finanziamenti per tutte le confessioni religiose senza discriminazione; altreprevedono tali finanziamenti solo per le confessioni “riconosciute”; altre ancoraconcedono tali finanziamenti solo a favore di quelle confessioni religiose i cui rapporti conlo Stato siano disciplinati per legge; ed, infine, alcune regioni prevedono tali finanziamentisolo a favore della Chiesa cattolica.Le Intese con le Chiese avventiste e con le Comunità ebraiche offrono garanzie specificheai fini della costruzione di edifici destinati ai rispettivi culti.

All’interno degli edifici di culto possono esserci dei BENI MOBILI DESTINATI AL CULTO comegli altari, le immagini, gli arredi, le insegne sacerdotali, ecc., alcune delle quali sonodisciplinate da apposite norme della Chiesa cattolica. Il diritto dello Stato considera talibeni non in quanto abbiano ricevuto una consacrazione o una benedizione, ma in quantosiano di fatto destinati all’esercizio del culto. L’art. 514 del c.p.c. dichiara assolutamenteimpignorabili le cose sacre e quelle che servono all’esercizio del culto. Quindi, mentrel’edificio può essere pignorato, le cose esistenti al suo interno e destinate all’esercizio delculto non sono pignorabili.Anche rispetto alle cose mobili potrebbe sorgere la questione su quale sia il diritto delproprietario che le abbia destinate al culto pubblico. Il privato che decide di esporre, allavenerazione dei fedeli, un’immagine sacra di sua proprietà in una chiesa, compie unadedicatio ad cultum publicum: per questo non potrebbe sostituire il bene neanche con unacopia.La legge 1° Giugno 1939, ponendo sotto la tutela dello Stato tutte le cose mobili edimmobili aventi interesse artistico, storico, archeologico e etnografico, ha compreso anchei beni appartenenti agli enti ecclesiastici. L’Accordo 18 Febbraio 1984 ha concordato alivello normativo anche un settore di indubbia competenza dello Stato: in pratica, si trattadi concordare l’emanazione di atti e/o provvedimenti amministrativi riguardanti i beniculturali di interesse religioso per la Chiesa cattolica. Perciò, entrambe le parti hannoconcesso un qualcosa all’altra parte: la SANTA SEDE ha promesso intese per laconservazione e la consultazione degli archivi e delle biblioteche degli enti ecclesiastici; loSTATO si è impegnato a concordare opportune disposizioni per la salvaguardia, lavalorizzazione e il godimento dei beni culturali d’interesse religioso appartenenti a talienti. Al fine di attuare questa collaborazione, il 13 Settembre 1996 è stata raggiunta unaintesa di carattere procedimentale tra il Ministro per i beni culturali e ambientali e ilPresidente della CEI.Nelle Intese stipulate dallo Stato con varie confessioni di minoranza sono state previstenorme dirette ad istituire una collaborazione, al fine di tutelare e valorizzare i beni del

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patrimonio storico, artistico, culturale, ambientale, architettonico, archeologico,archivistico e librario appartenenti a tali confessioni.SEZIONE 3: POTERI STATUALI E POTERI CONFESSIONALI SULLA GESTIONE PATRIMONIALEDEGLI ENTI CON FINI DI RELIGIONE O DI CULTO

I CONTROLLI DELLO STATO SULLA GESTIONE PATRIMONIALE DEGLI ENTI ECCLESIASTICI sonospecificatamente previsti dalla legge, poiché riguardano persone giuridiche estraneeall’organizzazione statale. Questi controlli sono normali se pensiamo che lo Stato finanzia,in maniera diretta o indiretta, le confessioni religiose: quindi lo Stato vuole conoscere loscopo per cui sono stati utilizzati questi soldi. Si tratta di un controllo effettuato da dopo ediretto a dare trasparenza all’impiego delle somme di denaro ricevute dagli enticonfessionali. Invece, per le persone giuridiche delle confessioni religiose di minoranzache non sono disciplinate dalla legge su base di intese, lo Stato attua controlli piùpenetranti (che comprendono la tutela dell’ente).Il CONTROLLO SUGLI ATTI ECCEDENTI L’ORDINARIA AMMINISTRAZIONE È STATO MANTENUTO PER

LA GESTIONE DELLE FABBRICERIE. Su tale gestione di beni religiosi, molte volte dal grandevalore storico ed artistico, svolta da persone nominate dall’autorità statale, non potevanomancare dei controlli statali diretti a garantire la legittimità e l’opportunità degli attieccedenti l’ordinaria amministrazione (che potrebbero provocare un impoverimento delpatrimonio dell’ente).

Per quanto riguarda i CONTROLLI SULLA GESTIONE DEGLI ISTITUTI PER IL SOSTENTAMENTO DEL

CLERO, sia l’Istituto centrale che gli Istituti diocesani sono soggetti solo ai controlli previstidal diritto canonico e dall’autorità ecclesiastica (anche per gli atti di straordinariaamministrazione).Il 1° Gennaio 1987 è nato un nuovo rapporto giuridico tra la pubblica amministrazione egli Istituti per il sostentamento del clero: questo riguarda il DIRITTO DI PRELAZIONE

attribuito allo Stato, al comune in cui si trova il bene, all’università degli studi, alla regionee alla provincia per i beni immobili che l’istituto intenda vendere a soggetti diversi daquelli ora indicati. In questo modo viene data esecuzione alla disposizione costituzionalecontenuta nell’art. 43 Cost. volto ad assicurare la funzione sociale della proprietà: inquesto modo, i beni mantengono la loro funzione pubblica e vengono sottratti ad eventualiiniziative di speculazione.

Adesso vediamo come avviene l’ESERCIZIO DEL DIRITTO DI PRELAZIONE. Quando l’Istitutodecide di alienare un determinato bene, deve comunicarlo con un atto notificato al Prefettodella provincia in cui è situato l’immobile: entro sei mesi da detta notificazione, il Prefettocomunica (anch’esso con un atto notificato) all’Istituto se e quali degli enti pubblici indicatiintende acquistare il bene. Il contratto di vendita deve essere stipulato entro due mesidalla notificazione della nota del prefetto. Nel caso in cui nessuno degli enti aventi dirittodi prelazione voglia acquistare l’immobile, l’Istituto venditore è libero di vendere a terzi.

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Queste norme sulla prelazione non hanno valore quando l’Istituto venda il bene ad unaltro ente ecclesiastico o quando sui beni esistano altri diritti di prelazione che vengonoesercitati dai legittimi titolari.L’Accordo del 18 Febbraio 1984 ha previsto che l’amministrazione dei beni appartenentiagli enti ecclesiastici è soggetta ai controlli previsti dal diritto canonico. Però, questarilevanza dei controlli canonici, è subordinata al REGIME DI PUBBLICITÀ: quindi, per tutelarei terzi che entrano in un rapporto negoziale con gli enti ecclesiastici, devono essereconoscibili le norme sul funzionamento degli enti e i poteri degli organi di rappresentanza.Non solo: è stata assicurata anche la pubblicità dei provvedimenti canonici con cui la SantaSede e la CEI determinano quali siano gli atti da qualificare come eccedenti l’ordinariaamministrazione. Quando gli amministratori degli enti abbiano effettuato gli adempimentidiretti a rendere conoscibili le norme sul funzionamento degli enti stessi e i poteri degliorgani di rappresentanza, i terzi avranno diritto ad esigere che i rappresentanti abbianoricevuto dai superiori tutte le autorizzazioni previste dal diritto canonico e dagli statutidegli enti: nel caso in cui i terzi non provvedano ad accertare i poteri dei rappresentanti omanchino i requisiti e le autorizzazioni previste, il contratto è invalido.

La GESTIONE DEGLI ENTI DELLE CONFESSIONI DI MINORANZA che abbiano stipulato Intese conlo Stato, è disciplinata in modo analogo a quello previsto per gli enti cattolici. Perciò, lalegge riconosce agli effetti civili i controlli esercitati sugli enti delle anzidette confessionidagli organi superiori di esse (sempre che tali controlli siano previsti dalle confessionistesse o dagli enti appartenenti a queste).La legge n. 449 del 1984 prevede l’iscrizione degli enti appartenenti a confessione diminoranza nel registro delle persone giuridiche: questo viene richiesto per garantire i terzinei confronti dell’ente stesso e per motivi di pubblicità. Ma tale legge non include gli entivaldesi e metodisti: questi, perciò, dovrebbero iscriversi autonomamente al registro dellepersone giuridiche per offrire delle garanzie ai terzi.

Dobbiamo ricordare che l’Accordo del 18 Febbraio 1984, oltre a prevedere la rilevanza deicontrolli canonici sugli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione degli enti ecclesiastici, hamantenuto in vigore il CONTROLLO DELLO STATO SUGLI ACQUISTI DEGLI ENTI (siano essiecclesiastici o di confessioni di minoranza). Uno dei motivi per cui è stato mantenuto taletipo di controllo era quello di evitare il fenomeno della manomorta, cioè di evitare che ibeni si accentrassero nelle mani degli enti impedendone la normale circolazione. Maquesta giustificazione al controllo oggi risulta obsoleto e passato: quindi, adesso la ragioneche viene data per giustificare tale controllo è quello di tutelare gli enti ecclesiasticidall’acquistare beni da persone malfamate o beni che avrebbero trascinato l’ente incomplicate vicende giudiziarie. Però lo Stato non ha alcun titolo per effettuare cotestatutela: devono essere le autorità delle confessioni religiose a dover valutare se un acquistosia conveniente per l’ente sia sotto il profilo morale che economico. Non essendoaccettabile neanche questa giustificazione, ne rimane solo una plausibile: tale controllodeve esserci per evitare che l’ente possa arricchirsi eccessivamente. Quindi l’autorità

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governativa ha il potere di giudicare se l’acquisto, che l’ente vuole effettuare, sia o noneccedente rispetto ai suoi fini.Con la riforma della pubblica amministrazione entrata in vigore il 18 Maggio 1997(diretta allo snellimento delle proprie attività), sono state abrogate tutte le disposizioni cheprevedevano l’autorizzazione governativa per l’accettazione di eredità e legati e perl’acquisto di beni immobili da parte di persone giuridiche, associazioni e fondazioni.Quando il LASCITO TESTAMENTARIO sia disposto IN FAVORE DI UN ENTE PRIVO DI PERSONALITÀ

GIURIDICA, tale disposizione non ha efficacia se entro un anno dal giorno in cui iltestamento è eseguibile, il rappresentante dell’ente non proponga la domanda per ottenereil riconoscimento (art. 600 c.c.); tale disposizione deve utilizzarsi anche nel caso in cui iltestatore avesse disposto il lascito in previsione della creazione di un nuovo ente. Comeabbiamo già visto, il termine di un anno entro il quale il rappresentante dell’ente devepresentare la domanda di riconoscimento della personalità giuridica decorre dal giorno incui il testamento è eseguibile. Ma sappiamo che è il notaio a dare comunicazione ufficialeagli eredi o ai legati dell’apertura del testamento: quindi il termine di un anno decorredalla ricezione di tali comunicazioni da parte del rappresentante dell’ente stesso. In caso dimancanza di tali comunicazioni, il termine non comincia a decorrere. Secondo lagiurisprudenza, invece, il termine decorre anche in mancanza della comunicazioneufficiale: quindi, se trascorre l’anno senza che il rappresentante dell’ente richieda ilriconoscimento della personalità giuridica, si ha l’automatica caducazione delladisposizione testamentaria.Nel caso della DONAZIONE A FAVORE DI UN ENTE RICONOSCIUTO, con l’abrogazione dellenorme che riguardano l’autorizzazione all’acquisto, l’ente può sollecitamente accettare ladonazione. Diverso è il caso dell’ENTE NON RICONOSCIUTO O NON ANCORA ESISTENTE: l’art.786 c.c. attribuisce alla notifica della domanda per ottenere il riconoscimento l’effetto diimpedire che il donante revochi la donazione. Ma, se nell’arco dell’anno tale domanda nonvenga accolta, il donante può revocare la sua dichiarazione. Chiaramente, il termine di unanno è un po’ troppo breve per ottenere il riconoscimento della personalità giuridica. Mala legge non dispone diversamente, anche perché cerca di tutelare l’interesse di entrambele parti (donante e donatario).

L’art. 20 Cost. esclude che gli enti ecclesiastici o con fine di religione o di culto possanoessere sottoposti a un regime più gravoso di quello previsto per gli altri enti. Anzi, inrealtà sono previsti dei TRATTAMENTI SPECIALI A FAVORE DI ALCUNI ENTI CONFESSIONALI. Adesempio, uno speciale trattamento è riservato per gli immobili immuni siti in territorioitaliano, ma attribuiti in piena proprietà alla Santa Sede: questi beni sono esenti da tributiordinari e straordinari verso lo Stato e verso qualsiasi altro ente. Inoltre sono previste delleAGEVOLAZIONI TRIBUTARIE PER GLI ENTI CATTOLICI E DELLE ALTRE CONFESSIONI. Taliagevolazioni spettano solo agli enti di cui sia riconosciuta la personalità giuridica civile;una di queste consiste nella riduzione a metà dell’imposta sul reddito delle personegiuridiche (IRPEG), il cui fine è equiparato per legge ai fini di beneficenza e di istruzione.

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Infine, ricordiamo che tutti gli enti che svolgono attività per le quali sia prevista la tenutadi scritture contabili, devono osservare le norme che disciplinano tali scritture riguardantila specifica attività svolta dall’ente. (Ricordare l’ONLUS, pag. 377).

CAPITOLO X: MINISTRI DI CULTO E

RELIGIOSI NEL DIRITTO ITALIANO

L’ordinamento italiano attribuisce rilevanza giuridica al fatto che talune persone fisicherivestano la qualifica di “MINISTRO DI CULTO”, di “ECCLESIASTICO”, di “RELIGIOSO”, e cosìvia; tale rilevanza è attribuita da disposizioni di legge dettate o unilateralmente dallo Statoo derivanti da intese stipulate con le varie confessioni religiose.Tutte le volte in cui le norme fanno un riferimento generico allo stato di “ecclesiastico”, lalegge menziona solo quelli appartenenti al clero cattolico che abbiano conseguito ilpresbiterato o il più alto grado di sacerdozio. Di conseguenza, per il diritto italiano SONO

CHIERICI I DIACONI, perché è con il diaconato che si entra nello stato clericale; invece SONO

“ECCLESIASTICI” I PRESBITERI E I VESCOVI, cioè solo gli appartenenti a questi due ordini.Ricordiamo che il nostro ordinamento detta norme che riguardano i “religiosi” cheabbiano professato i voti in un istituto di vita consacrata o in una società di vita apostolica.

Una QUALIFICA CIVILISTICA ONNICOMPRENSIVA è quella di “MINISTRO DI CULTO”: con talelocuzione ci si riferisce a tutti gli individui che siano investiti di una potestà di magisterosui fedeli, qualunque fosse la confessione religiosa professata. Quindi, godono dellaqualifica di “ministri di culto” sia i sacerdoti e i vescovi della Chiesa cattolica, sia i rabbinidelle Comunità israelitiche, sia i pastori delle Chiese riformate.L’espressione “MINISTRO DI CULTO CON GIURISDIZIONE O CURA D’ANIME” designa unaparte dei sacerdoti della Chiesa cattolica: infatti, nel nostro ordinamento, il riconoscimentodella “giurisdizione in materia ecclesiastica” è effettuato in riferimento alla Chiesacattolica. La potestà ordinaria di giurisdizione spetta ai vescovi diocesani e agli altrititolari di uffici previsti, sotto la cui autorità i parroci esercitano la cura pastorale (cioè lacura delle anime). È chiaro che quando cessano le funzioni annesse alle qualificheconfessionali, automaticamente non hanno più valore quelle norme che attribuivano adesse effetti giuridici. In passato, invece, si pensava che i ministri del culto cattolico cheabbandonavano spontaneamente il sacerdozio avrebbero perso i diritti spettanti dallaposizione da loro occupata, ma non perdevano i doveri: fortunatamente, l’Accordo del 18Febbraio 1984 ha considerato insostenibile questa tesi dell’INDELEBILITÀ CIVILE DELL’ORDINE

SACRO.

Nell’ambito in cui ci stiamo muovendo, risulta essere molto importante l’art. 23 delTrattato del Laterano. Questo riconosce piena efficacia giuridica alle sentenze e agli altriprovvedimenti emanati da autorità ecclesiastica ed ufficialmente comunicati alle autoritàcivili, che riguardano persone ecclesiastiche o religiose e concernenti materie spirituali odisciplinari. Questo articolo ci fa capire che non esiste una specie di protezione statale a

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favore dell’ecclesiastico o del religioso che vengono colpiti da un provvedimentodisciplinare da parte dell’autorità ecclesiastica.

Nell’Accordo del 18 Febbraio 1984, lo Stato e la Santa Sede hanno chiarito che “SENZA

PREGIUDIZIO DELL’ORDINAMENTO CANONICO”, l’art. 23 del Trattato del Laterano deve essereinterpretato nel senso che gli effetti civili delle sentenze e dei provvedimenti emanati datale autorità, nei confronti di ecclesiastici e religiosi, in materia spirituale o disciplinare,devono essere “INTESI IN ARMONIA CON I DIRITTI COSTITUZIONALMENTE GARANTITI AI

CITTADINI ITALIANI”. Pensiamo al diritto alla difesa che ha l’ecclesiastico che si vedetogliere tale qualifica; o, ancora, al diritto di retribuzione che l’ecclesiastico vanta neiconfronti dell’ente della confessione religiosa per cui ha svolto la sua missione.

L’Accordo del 18 Febbraio 1984 prevede che i sacerdoti (ossia i presbiteri e i vescovi), idiaconi e i religiosi che hanno emesso i voti, hanno la facoltà di richiedere ed ottenerel’ESONERO DAL SERVIZIO DI LEVA o l’assegnazione al servizio civile sostitutivo. Quindi,l’esenzione non è più automatica (come era previsto nel Concordato del 1929), ma è adomanda. Per quanto riguarda l’ESONERO DEI MINISTRI DI CULTO DELLE CONFESSIONI DI

MINORANZA, la disciplina legislativa derivante dalle Intese approvate è piuttosto varia.Valdesi, metodisti e luterano non hanno una posizione di principio contraria al serviziomilitare: anzi, loro affermano che in questo modo, i loro ministri di culto possonosoddisfare i bisogni religiosi dei militari che ne richiedano l’aiuto. I ministri delle Chieseavventiste, essendo totalmente contrarie all’uso delle armi, hanno il diritto ad essereesonerati dal servizio di leva o di essere assegnati al servizio civile sostitutivo. Infine, iministri di culto delle Comunità ebraiche sono esonerati dal servizio di leva a lorodomanda (che deve essere vistata dall’Unione).

Gli ecclesiastici (presbiteri e vescovi) godono del SEGRETO DI UFFICIO: cioè, loro non sonotenuti a dare ai magistrati o ad altra autorità civile informazioni su persone o materie dicui siano venuti a conoscenza per ragione del loro ministero. Questa garanzia è estesa atutti i ministri delle confessioni religiose, i cui statuti non contrastino con l’ordinamentogiuridico italiano: tali soggetti non possono essere obbligati a deporre su quanto sappianograzie all’esercizio del loro ministero.La tutela del segreto d’ufficio, per i ministri del culto cattolico, riguarda non solol’inviolabilità del sigillo sacramentale che circonda la confessione, ma (e questo riguardaanche i ministri delle altre confessioni) anche tutto ciò che abbino appreso nella loro vestedi ministri di culto; chiaramente, tale garanzia cade nel momento in cui i ministri venganoa conoscenza di determinati fatti in veste di semplici cittadini (in questi casi, loro sonotenuti a dichiarare ciò che sanno). Nel caso in cui l’ecclesiastico riveli senza giusta causaun segreto appreso nell’esercizio del suo ufficio (a profitto proprio o di altri) egli commetteil reato previsto dall’art. 622 c.p. se da tale violazione provoca nocumento.

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Per la attività che loro svolgono, i MINISTRI DI CULTO RICEVONO UNA determinataRETRIBUZIONE. Gli stipendi con cui sono retribuiti i ministri di culto della Chiesa cattolica edelle altre confessioni religiose sono IMPIGNORABILI, in quanto somme dovute a titolo distipendio o di salario o a un titolo analogo a quello alimentare. Su questi stipendi, come suqualsiasi altro reddito prodotto in Italia, grava l’IRPEF: infatti tali stipendi sonoconsiderati ai fini fiscali REDDITI DI LAVORO DIPENDENTE.Però bisogna specificare che LA RETRIBUZIONE DEI MINISTRI DI CULTO (in particolare quelladei sacerdoti cattolici) non è il ricompenso per lo svolgimento di un rapporto di lavorosubordinato, ma È UN ASSEGNO DI TIPO ALIMENTARE CORRISPOSTO A CHI DEDICHI IL PROPRIO

TEMPO AD UNA MISSIONE SALVIFICA (nella quale il ministro di culto cerca di raggiungere lapropria perfezione spirituale).Per quanto riguarda la PREVIDENZA SOCIALE dei ministri di culto, tutti sono obbligatiall’iscrizione presso il Fondo di previdenza del clero e delle altre confessioni religiose, conil correlativo versamento dei contributi. Il diritto alla pensione matura al compimento del65° anno di età (con almeno 10 anni di versamenti); ma si può continuare a versare icontributi, per ottenere un trattamento pensionistico più elevato. Infine ricordiamo che iministri di culto, e i rispettivi familiari a carico, hanno diritto all’ASSISTENZA SANITARIA:quindi loro sono soggetti al pagamento dei contributi dovuti all’INPS.

Il nostro ordinamento prevede una serie di INCOMPATIBILITÀ per i ministri di culto:§ non possono assumere l’ufficio di giudice popolare (perché potrebbero rivelarsi non

imparziali, in quanto credenti in determinati principi);§ non possono assumere l’ufficio di sindaco (perché un ufficiale di governo non può

essere soggetto agli ordini di autorità estranee allo Stato);§ non possono assumere l’ufficio di notaio, esattore delle imposte, avvocato, procuratore

legale, commercialista, ragioniere e perito commerciale.

Per il diritto canonico, i religiosi entrano a far parte degli istituti di vita consacrata nelmomento in cui PRONUNZIANO I VOTI previsti dai rispettivi statuti: cioè, i voti di CASTITÀ,POVERTÀ e OBBEDIENZA. Questi voti implicano:a) l’obbligo al celibato;b) il trasferimento all’istituto dell’amministrazione dei beni che il religioso abbia al

momento della prima professione di voti;c) la totale sottomissione alla volontà dei legittimi superiori dell’istituto.Le incapacità previste dal diritto canonico derivanti dalla professione dei voti non sonorilevanti nel diritto dello Stato. Quindi, il religioso che abbia professato i voti, puòtranquillamente sposarsi, riconoscere figli naturali, acquistare a titolo oneroso e gratuito inmodo del tutto valido per il diritto civile: è chiaro, però, che tali comportamentiprovocherebbero serie conseguenze all’interno dell’ordinamento confessionale. Per quantoriguarda il voto di povertà, ricordiamo che per lo Stato non si verifica un trasferimentoautomatico a favore dell’istituto dei beni del religioso che abbia professato i voti: c’è

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bisogno del compimento di atti idonei, a norma del diritto statale, per il trasferimento deibeni stessi.

Sappiamo che tutti gli enti ecclesiastici, nel momento in cui svolgono un’attività diversa daquelle di religione o di culto, devono conformarsi alle leggi dello Stato che riguardano taleattività e al regime tributario previsto per le stesse. Così, nel caso in cui l’ente svolga delleattività per le quali è richiesta che gli addetti siano iscritti agli albi professionali, ènecessario conformarsi a tali norme.Il RAPPORTO TRA IL RELIGIOSO E L’ASSOCIAZIONE NON È ASSIMILABILE AL RAPPORTO DI LAVORO

SUBORDINATO: infatti il religioso aderisce all’istituto per far parte di una formazione socialenella quale si possa meglio svolgere la propria personalità. Diverso è il caso in cui ilreligioso fosse assunto da una persona giuridica civile (pubblica o privata), il cui statutoe/o regolamento preveda che date attività vengano affidate a religiosi di determinateassociazioni: in questo caso si verrebbe a creare un vero e proprio rapporto di lavoro tra idue soggetti.

Anche il DIRITTO PENALE tiene in grande considerazione la qualità di ministro di culto.Costituisce reato il vilipendio di un ministro del culto, volto ad offendere la religione dalui professata (art. 403 e 406 c.p.); sono considerati reati anche il turbamento di funzione,cerimonie o pratiche religiose presiedute da un ministro di culto (art. 405 e 406 c.p.). Lalegge prevede anche alcune ipotesi di reati propri dei ministri di culto: ad esempio,commette reato il ministro di culto che induca i fedeli al dispregio delle istituzioni oall’inosservanza delle leggi (art. 327 c.p.). Nell’Accordo del 1984 è previsto che l’autoritàgiudiziaria deve dare comunicazione all’autorità ecclesiastica competente per territorio deiprocedimenti penali promossi a carico di ecclesiastici.L’entrata in vigore del codice di procedura penale del 1988 ha innovato le disposizionicontenute nell’Accordo sotto due rilevanti aspetti. Prima di tutto, è stata imposta lasegretezza dell’iscrizione del nome della persona nel registro delle notizie di reato; poi,allargando il tempo delle indagini, ha posticipato l’esistenza di un procedimento penale acarico della persona indagata. Infatti questo avviene solo dopo la chiusura delle indaginipreliminari, quando il pubblico ministero chiede al giudice il rinvio a giudizio dellapersona indiziata. Tra le norme contenute nel codice penale riguardanti la materiaecclesiastica, dobbiamo ricordare che l’art. 498 considera REATO il fatto di INDOSSARE

ABUSIVAMENTE IN PUBBLICO L’ABITO ECCLESIASTICO: questi indumenti, portati in modoabusivo, possono ingannare gravemente i terzi. È abusivo l’uso dell’abito ecclesiastico daparte di chi non abbia ricevuto l’ordinazione sacerdotale; vi è abuso anche nel caso in cui ilsacerdote sia stato ridotto allo stato laicale dall’autorità ecclesiastica.

In passato aveva molta importanza la nomina dei titolari di uffici ecclesiastici con curad’anime. La legge sulle Guarentigie pontificie del 1871 conservò il placet governativosulle nomine dei vescovi e dei parroci (e, in genere, di tutti gli uffici ecclesiastici). Con ilConcordato del 1929 era ancora previsto che la Santa Sede, per le nomine dei vescovi o dei

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parroci, dovesse comunicare il nome del prescelto al governo. Solo con l’Accordo del 18Febbraio 1984 è stato dato pieno potere di nomina dei titolari degli uffici ecclesiasticiall’autorità ecclesiastica competente, senza alcune interferenza da parte dello Stato.Quindi, in questo modo, è aumentata la libertà della Chiesa cattolica ed è diminuito ilpotere di controllo dello Stato su di essa: adesso lo Stato ha diritto solo a conoscere chisiano le persone che occupano tali uffici ecclesiastici.Nell’Accordo, è stata mantenuta la norma secondo cui per tutti gli uffici ecclesiastici(tranne che per la diocesi di Roma e le diocesi suburbicarie) dovranno essere nominatititolari di tali uffici solo cittadini italiani. Comunque, tale norma deve essere interpretatacon molta larghezza per evitare dei contrasti nei principi stessi della Chiesa cattolica.

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CAPITOLO XI: L’ISTRUZIONE RELIGIOSA

Nel diritto statale, la disciplina dell’ISTRUZIONE RELIGIOSA può riguardare aspettimolteplici dell’attività educativa. Solo prendendo in considerazione la Costituzione, ciaccorgiamo che vi sono tanti principi su cui essa si basa: art. 19 (riguardante la libertàreligiosa), art. 21 (libertà di pensiero), art. 3 (rimozione degli impedimenti che liberano losviluppo della persona).Logicamente, questa materia è stata trattata diversamente a seconda dei vari periodi. IlConcordato del 1929 conteneva norme dirette ad assicurare:§ l’istruzione religiosa cattolica nelle scuole pubbliche non universitarie;§ la libertà della Chiesa nella istituzione e gestione dei propri istituti d istruzione;§ il potere della Chiesa nel riconoscimento delle lauree in teologia e i diplomi in

paleografia, archivistica, e diplomatica documentaria.Queste norme sono state aggiornate dall’Accordo del 18 Febbraio del 1984. Per esempio,sino al 1929 gli enti ecclesiastici che avevano tra i loro fini quello dell’educazione deigiovani, operavano sulla base delle leggi che disciplinavano la creazione e la gestione discuole private. Dopo l’aggiornamento del 1984, è stato riconosciuto il diritto della Chiesacattolica di fondare scuole di ogni ordine e grado. A queste scuole è assicurata la “PIENA

LIBERTÀ”: inoltre, i loro alunni devono ricevere un trattamento scolastico equipollente aquello degli alunni delle scuole pubbliche (anche per quanto concerne l’esame di Stato).Tali disposizioni sono previste dall’art. 33 Cost. Per quanto riguarda le confessionireligiose diverse da quella cattolica, alcune leggi emanate sulla base di Intese riconosconoa tali ordinamenti la libertà e il diritto di istituire scuole di ogni ordine e grado.

Quando parliamo di “PIENA LIBERTÀ” delle scuole cattoliche (o delle scuole non statali), siintende l’esclusione di ogni intervento delle autorità scolastiche italiane per ciò cheriguarda l’organizzazione degli studi, la distribuzione dei corsi, la nomina degli insegnantie via discorrendo. Ciò non toglie che esse debbano comunque rispettare le norme stataliche riguardano aspetti della vita sociale diversi da quelli scolastici: pensiamo alle normesull’edilizia, sull’igiene, sull’uso dei locali scolastici, ecc..

Il RAPPORTO DI IMPIEGO DEL PERSONALE DOCENTE delle scuole confessionali presuppone chegli insegnanti rispettino l’indirizzo religioso della scuola e tengano comportamenti noncontrastanti con i principi etici da essa proposti; infatti loro, qualunque materia insegnino,sono considerati come dei punti di riferimento per la formazione dei giovani. Quindi nonpossono permettersi di avere dei comportamenti di vita o delle idee che contrastino con iprincipi professati dalla confessione religiosa della scuola in cui insegnano: addirittura, lagiurisprudenza ritiene giusto il licenziamento del docente in casi simili.

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La Chiesa, oltre a poter istituire scuole, ha anche il diritto di formare e gestire “Universitàdegli studi” per promuovere una più alta cultura e un maggior apprezzamento dellapersona umana. Le scuole in cui si forma il clero cattolico sono i SEMINARI: sono enti confine essenziale di religione o di culto, che possono avere la personalità giuridica senzache occorra valutare tale requisito. Questi istituti rappresentano l’unica sede per laformazione teologica dei sacerdoti.Ritornando al diritto di formare le Università, l’Accordo del 18 Febbraio 1984 prevede chele nomine dei docenti e dei dipendenti istituti dell’UNIVERSITÀ CATTOLICA DEL SACRO

CUORE siano subordinate al gradimento (sotto il profilo religioso) della competenteautorità ecclesiastica.

Per quanto riguarda il RICONOSCIMENTO DELLE LAUREE IN TEOLOGIA E DEGLI ALTRI TITOLI DI

STUDIO IN DISCIPLINE ECCLESIASTICHE, l’Accordo prevede il riconoscimento di tali titoliconferiti dalle facoltà approvate dalla Santa Sede. I requisiti per ottenere talericonoscimento sono i seguenti:· i titoli devono essere conseguiti presso una facoltà approvata dalla Santa Sede;· la durata dei corsi di studio deve essere uguale a quella prevista dall’ordinamento

italiano per i titoli di pari livello;· l’interessato deve superare almeno 20 annualità di insegnamento per ottenere la

licenza.

La legge Casati del 1859 prevedeva l’obbligatorietà dell’insegnamento della religionecattolica nelle scuole pubbliche, con la possibilità di richiedere la dispensa per i noncattolici. Dopo la caduta della Destra storica, delle norme di legge eliminarono dalla scuolapubblica ogni residuo di confessionismo sopprimendo l’insegnamento della religione nellescuole magistrali e tacendo sull’insegnamento della religione nel programma delle scuoleelementari. Adesso, dopo l’Accordo del 18 Febbraio 1984, lo Stato assicura l’insegnamentodella religione cattolica nelle scuole pubbliche non universitarie di ogni ordine e grado:questo perché è stato riconosciuto il valore della cultura religiosa e il fatto che i principidel cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano. Si tratta quasi diun diritto del cittadino italiano quella di avere l’insegnamento della propria religione nellascuola pubblica: diritto che lo Stato deve cercare di garantire in ogni modo.

Problemi sorgono intorno all’ORGANIZZAZIONE DELL’INSEGNAMENTO DELLA RELIGIONE

CATTOLICA all’interno delle scuole. Il 1° problema, di assoluta importanza, è quello digarantire la libertà religiosa di coloro i quali non intendono ricevere tale insegnamento.Nel rispetto della libertà di coscienza degli alunni, l’insegnamento religioso da impartirenella scuola pubblica è quello conforme alla dottrina della Chiesa cattolica: esso deveessere insegnato da docenti riconosciuti idonei dall’autorità ecclesiastica, nominati dallacompetente autorità ecclesiastica (di intesa con l’autorità scolastica).

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Molto importante risulta essere l’esercizio della FACOLTÀ DI SCELTA di avvalersi o menodell’insegnamento della religione cattolica. Per questo motivo, il Ministero si è impegnatoa dare una tempestiva informazione agli interessati; la scelta viene effettuata all’iniziodell’anno scolastico sull’atto di iscrizione, ed ha valore per tutto l’anno. Tale scelta venivapresa dai genitori o dagli alunni maggiorenni; ma la Camera dei deputati impartì algoverno l’indirizzo di presentare un disegno di legge che consenta agli studenti dellescuole medie superiori di scegliere personalmente se avvalersi o meno dell’insegnamentodella religione cattolica. Così, la legge n. 281 del 18 Giugno 1986 ha riconosciuto aglistudenti della scuola media superiore il diritto di esercitare personalmente (all’attodell’iscrizione) la scelta in questione.La DISCRIMINAZIONE che potrebbe derivare dalla scelta deve essere evitata in ogni modo,anche in rapporto alla formazione delle classi, alla durata dell’orario scolastico giornalieroe alla collocazione dell’insegnamento della religione nel quadro orario delle lezioni.Quindi, coloro i quali si avvalessero della facoltà di non seguire l’insegnamento dellareligione cattolica, non hanno diritto ad una abbreviazione dell’orario scolastico: bensì lorodovrebbero seguire una attività educativa extracurricolare a scelta. Un altro rimediocontro le discriminazioni è quello di esprimere la valutazione del profitto nella religionenon sulla pagella, ma su un modulo apposito. Sinceramente questi rimedi non sembranopoter essere effettivamente validi, dal momento in cui le classi vengono a smembrarsi tragli alunni che seguono l’ora di religione e gli alunni che svolgeranno un’attivitàalternativa. Infine ricordiamo che il Ministero della pubblica istruzione, per adeguarsi aduna sentenza della Corte Costituzionale, ha separato la scelta di avvalersi o menodell’insegnamento della religione cattolica dall’ulteriore scelta (da parte dei dissidenti)dell’attività da svolgere a scuola. Quindi la prima scelta riguarda il sì o il no alla religione.La seconda dà tre possibilità di scelta: o seguire altre attività didattiche; o svolgereindividualmente attività di studio con assistenza del personale scolastico; o non svolgerealcuna attività (intendendo la libera attività di studio svolta senza l’assistenza diinsegnanti).Come abbiamo già detto, L’INSEGNAMENTO DELLA RELIGIONE DEVE ESSERE SVOLTO DA

DOCENTI PARTICOLARMENTE QUALIFICATI. A parte la qualificazione professionale, gliinsegnanti devono dare garanzia di seguire una linea ortodossa ai principi della Chiesa:quindi, devono essere in possesso dell’idoneità loro riconosciuta dall’ordinario diocesano.La loro nomina viene effettuata dall’autorità scolastica, su proposta dell’ordinariodiocesano delle persone ritenute idonee e in possesso dei titoli richiesti. Infine ricordiamoche esiste una collaborazione tra il Ministero della pubblica istruzione e la CEI perl’aggiornamento professionale degli insegnanti di religione.Nelle regioni di confine (Trentino-Alto Adige e Friuli-Venezia Giulia) è rimasto in vigore ilvecchio ordinamento scolastico, secondo cui l’insegnamento della religione cattolica nellescuole elementari e secondarie è obbligatoria (salvo dispensa). Qui, l’insegnamentoreligioso viene impartito da appositi docenti (sacerdoti, religiosi o laici) nominatidall’autorità ecclesiastica competente d’intesa con l’ordinario diocesano. Quindi, inqueste regioni, non esiste la facoltà di scelta previsto dal Ministero della pubblica

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istruzione: l’insegnamento è obbligatorio, salvo rinuncia dell’interessato (nell’eserciziodella sua libertà di coscienza).

CAPITOLO XII: IL MATRIMONIO

Prima dell’unità d’Italia, il MATRIMONIO era disciplinato dal diritto canonico in base allaregola della competenza della Chiesa circa il matrimonio dei battezzati. L’obbligatorietàdel MATRIMONIO CANONICO comportava che i sudditi di religione diversa non avevano loius connubii: perciò, questi erano costretti a formare famiglie di fatto. Già la Destra storicacercò si introdurre in Italia il matrimonio civile, senza riuscirci. Solo dopo la realizzazionedell’unità d’Italia, e precisamente dopo l’introduzione del codice civile del 1865 in Italia fuintrodotto il MATRIMONIO CIVILE. Tale regime del MATRIMONIO CIVILE OBBLIGATORIO

(obbligatorio perché era l’unico modo riconosciuto per avere un rapporto di coniugio)rimase inalterato fino al Concordato del 1929. In questo arco di tempo, la celebrazione delmatrimonio religioso non aveva alcuna rilevanza giuridica per lo Stato: infatti, affinché ilmatrimonio fosse riconosciuto sia dallo Stato che dalla Chiesa, si doveva effettuare unadoppia celebrazione. Dopo il 1929 il matrimonio canonico era rilevante agli effetti civili,purché fosse trascritto nei registri dello stato civile; le cause di nullità del vincolo eranoriservate alla giurisdizione dei Tribunali ecclesiastici, le cui sentenze erano rilevanti neldiritto dello Stato.Il riconoscimento del matrimonio canonico e della giurisdizione ecclesiastica sulla suanullità e sul suo scioglimento comportava la RILEVANZA CIVILE DEL DIRITTO DELLA CHIESA

per ciò che riguardava la disciplina degli impedimenti, dei requisiti di capacità e dellecause di nullità del vincolo. Ma, in questo modo, il diritto italiano non rispettaval’uguaglianza giuridica dei cittadini in materia di stato civile: infatti, il principio dellarilevanza della legge personale confessionale valeva solo a favore dei cattolici. Fu propriocirca il MATRIMONIO CONCORDATARIO che si ebbe la così detta “UNIONE IMPERFETTA” traordinamento civile ed ordinamento canonico. È chiaro che con l’adozione dellaCostituzione (pensiamo al principio dell’uguaglianza dei cittadini “senza distinzione direligione”, art. 3) tale situazione dovesse terminare.Nel matrimonio concordatario vi era una specie di DIARCHIA tra Chiesa e Stato: la primacompetente a disciplinare la validità del negozio matrimoniale e a dichiarare l’eventualenullità; il secondo competente a disciplinare l’attribuzione degli effetti civili al negoziocanonico.I singoli che, per unirsi nel vincolo coniugale, optavano per il matrimonio concordatariocompivano un AUTONOMO ATTO DI SCELTA (del tutto disciplinato dal diritto dello Stato).L’atto di scelta aveva fondamento nel rilievo dato alla volontà delle parti, ai fini dellaproduzione degli effetti civili del matrimonio canonico. Gli EFFETTI CIVILI del matrimoniodevono essere voluti da parte di persona capace d’intendere e di volere; inoltre, la personache prende tale decisione deve essere sufficientemente matura (un maggiorenne). Quindi.

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l’atto di scelta non è solo un procedimento intellettivo che rimane nella testa degli sposi;esso, invece, è un atto volitivo poiché coincide con l’atto di iniziativa del PROCEDIMENTO

DI TRASCRIZIONE (nel caso di trascrizione tempestiva, corrisponde alla richiesta dellapubblicazione civile effettuata dalle parti insieme al parroco; nel caso di trascrizionetardiva, corrisponde con la richiesta delle parti all’ufficiale dello stato civile per ottenere latrascrizione).Per tutti questi motivi, il regime degli effetti civili del matrimonio canonico e dellesentenze ecclesiastiche di nullità matrimoniale è passato da una “unione imperfetta” aduna “SEPARAZIONE IMPERFETTA” che sarebbe stata approfondita dall’Accordo di revisionedel Concordato del 1929; una revisione che ha accresciuto il numero degli impedimenticivili alla trascrizione del matrimonio canonico e ha disciplinato il riconoscimento civiledelle sentenze ecclesiastiche in modo da effettuare un controllo di esse che non fossemeramente formale. Così si è avuta la fine dell’uniformità tra lo status coniugale canonicoe lo status coniugale civile.Con l’Accordo del 18 Febbraio 1984, sono riconosciuti gli effetti civili ai matrimonicontratti secondo le norme del diritto canonico, a condizione che l’atto relativo siatrascritto nei registri dello Stato civile, previe pubblicazioni nella casa comunale. L’utilizzodell’espressione “matrimoni contratti” al posto di “matrimoni celebrati”, induce a pensareche vi è stato il riconoscimento del negozio matrimoniale canonico come atto negozialeinteramente disciplinato dal diritto della Chiesa. Quindi, a produrre effetti nel diritto delloStato è il matrimonio disciplinato dal diritto canonico per quanto riguarda la validità; magli effetti civili di tale negozio sono subordinati alla trascrizione nei registri dello statocivile. SENZA LA TRASCRIZIONE IL VINCOLO RIMANE UN RAPPORTO PURAMENTE RELIGIOSO.La PUBBLICAZIONE richiesta per la trascrizione deve essere eseguita con le stesse modalitàpreviste dalla legge per la pubblicazione che precede il matrimonio civile. Al fine dellapubblicazione, le parti devono presentare all’ufficiale dello stato civile i documentirichiesti dall’art. 97 c.c.: inoltre, le parti devono presentare una richiesta scritta del parroco(in maniera che l’ufficiale dello stato civile sappia che quella pubblicazione è correlata allatrascrizione di un matrimonio canonico e non alla celebrazione di un matrimonio civile).Nel caso in cui sussistano IMPEDIMENTI CIVILI DEROGABILI, l’ufficiale dello stato civile puòprocedere alla pubblicazione solo quando le parti abbino ottenuto l’autorizzazione deltribunale (prevista per gli impedimenti). Effettuata la pubblicazione e trascorsi tre giorni,l’ufficiale dello stato civile rilascia alle parti un CERTIFICATO ATTESTANTE CHE NULLA OSTA

ALLA TRASCRIZIONE CIVILE. Il rilascio del certificato in questione è importante perché taleatto assicura che il matrimonio canonico sarà trascritto tempestivamente, sempre che l’attoche lo certifichi sia regolare.Ai fini della trascrizione civile, occorre che subito dopo la celebrazione il parroco spieghiai contraenti gli effetti civili del matrimonio, dando lettura degli articoli del codice civileriguardanti I DIRITTI ED I DOVERI DEI CONIUGI (art. 143, 144 e 147): inoltre, egli deve redigerein doppio originale l’ATTO DI MATRIMONIO, in cui potranno essere inserite le dichiarazionidei coniugi consentite secondo la legge civile. Visto che queste azioni sono compiute dalministro di culto, la norma gli attribuisce la qualità di pubblico ufficiale: infatti egli esercita

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una pubblica funzione certificativa nel momento in cui redige l’atto di matrimonio indoppio originale e ne trasmette uno all’ufficiale dello stato civile, con la richiesta ditrascrizione.Affinché l’ATTO DI MATRIMONIO risulti REGOLARE, esso deve contenere: 1) le generalitàdelle parti e dei rispettivi genitori; 2) la data della pubblicazione; 3) il luogo e la data dellacelebrazione; 4) il nome dell’ufficiale ecclesiastico; 5) la menzione dell’avvenuta letturadegli articoli del codice civile.Il parroco del luogo in cui il matrimonio è stato celebrato richiede la trascrizione,trasmettendo l’atto di matrimonio entro 5 giorni dalla celebrazione; l’ufficiale dello statocivile provvederà alla trascrizione entro 24 ore dal ricevimento dell’atto. LaTRASCRIZIONE DEL MATRIMONIO CANONICO è un atto giuridico appartenente al genere delleCERTAZIONI, che qualifica il “matrimonio canonico” come idoneo a produrre nel dirittodello Stato gli stessi effetti del matrimonio civile.Esistono due tipi di TRASCRIZIONE: quella TEMPESTIVA e quella TARDIVA.La TRASCRIZIONE TEMPESTIVA ha luogo quando il parroco trasmette l’atto di matrimonioentro 5 giorni dalla celebrazione e l’ufficiale dello stato civile trascriva l’atto nelle 24 oredalla sua ricezione: perciò è indispensabile che le parti effettuino la pubblicazione civileprima di celebrare il matrimonio.La TRASCRIZIONE TARDIVA consente al matrimonio canonico di produrre i propri effettianche se la trascrizione non sia stata effettuata dal parroco entro 5 giorni dallacelebrazione. Questo tipo di trascrizione può essere effettuata solo a richiesta di entrambele parti o di una sola di esse, ma con la conoscenza e senza l’opposizione dell’altra parte.La trascrizione tardiva serve a recuperare gli effetti civili del matrimonio canonico anche anotevole distanza di tempo: matrimonio che originariamente era destinato allatrascrizione, ma che casi fortuiti hanno impedito. Ecco allora che LA PUBBLICAZIONE CIVILE

DOVRÀ ESSERE RIPETUTA in occasione della richiesta della trascrizione tardiva, perché dopo180 giorni perde efficacia. Infine ricordiamo che la trascrizione tardiva produce effetti dalmomento della celebrazione, ma lascia impregiudicati i diritti da tempo legittimamentericonosciuti ai terzi prima della trascrizione e in contrasto con lo stato coniugale delleparti.In generale, la trascrizione del matrimonio non può avvenire nel momento in cuisussistano degli IMPEDIMENTI considerati INDEROGABILI dalla legge. Per esempio, uno deimotivi che impedisce la trascrizione dell’atto di matrimonio è la non raggiunta etàmatrimoniale da parte degli sposi prevista dallo Stato (art. 84 c.c.). La TRASCRIZIONE DEL

MATRIMONIO DEI MINORI può essere effettuata tempestivamente solo quando gli stessi sianostati preventivamente autorizzati alle nozze dal competente tribunale dello Stato, il qualedeve accertare la loro maturità psicofisica e la fondatezza delle ragioni che spingono almatrimonio. Se manca tale autorizzazione il matrimonio non potrà essere trascrittotempestivamente, ma occorre che i minori raggiungano la maggiore età ed aspettareancora un anno.Un altro impedimento alla trascrizione civile è la presenza di un PRECEDENTE MATRIMONIO

CIVILE. Quando una delle parti è già precedentemente legata con terzi, la trascrizione

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risulta inammissibile perché uno dei requisiti fondamentali per contrarre matrimonio èquello di avere uno status libero (art. 86 c.c.). Ma se tale precedente matrimonio vienedichiarato nullo o sia stato annullato, è chiaro che il matrimonio canonico potrebbe esseretrascritto.L’INTERDIZIONE PER INFERMITÀ DI MENTE esclude la trascrizione del matrimonio perché chisi trovi in tali situazioni non può compiere alcun negozio giuridicamente valido, né tantomeno può contrarre matrimonio (art. 85 c.c.). Tuttavia, poiché il matrimonio civilecelebrato dall’interdetto per infermità di mente è annullabile, ma non è più impugnabile sei coniugi coabitano per un anno dopo la revoca dell’interdizione, è ammissibile latrascrizione tardiva solo in questa circostanza.L’ADOZIONE SPECIALE esclude la trascrizione perché tale rapporto è parificato dalla legge alrapporto di filiazione legittima; anche l’AFFINITÀ in linea retta dà luogo ad unimpedimento inderogabile. Infine, un ultimo impedimento è rappresentato dal DELITTO:questo ha luogo quando una delle parti sia stata condannata per omicidio o tentatoomicidio sul coniuge dell’altra.

Il matrimonio non può essere trascritto, oltre che in presenza degli impedimenti visti inprecedenza, anche quando esso viene celebrato in una delle forme speciali previste daldiritto della Chiesa o perché sia stato contratto fuori del territorio nazionale.Per quanto riguarda le FORME SPECIALI DI MATRIMONIO CANONICO, il diritto canonicoprevede tali forme di celebrazione che non sempre consentono di qualificare il vincoloreligioso come matrimonio avente effetti civili. La prima di tali forme speciali è ilMATRIMONIO CANONICO SEGRETO; esso è consentito dall’autorità ecclesiastica solo quandosussistano gravi ed urgenti motivi che sconsigliano alle parti di rendere nota lacelebrazione. In questo caso il matrimonio è celebrato avanti al parroco e a due testimoni:tutti sono tenuti al silenzio. Tale celebrazione non è riportata negli ordinari registriparrocchiali, ma in un registro conservato nell’archivio segreto del vescovo.Il MATRIMONIO CANONICO IN PERICULO MORTIS è dubbio che sia trascrivibile, essendoincompatibile con l’effettuazione della trascrizione tempestiva. Nel caso in cui lacelebrazione fosse stata accompagnata dagli adempimenti civilistici previsti, si potrebbeavere la trascrizione tardiva in presenza del consenso delle parti nel richiedere tale atto.Totalmente non trascrivibile è il MATRIMONIO CANONICO CELEBRATO DAVANTI AI SOLI

TESTIMONI; dunque, il matrimonio celebrato in mancanza del ministro di culto non èassolutamente trascrivibile.Anche il MATRIMONIO CANONICO CELEBRATO ALL’ESTERO non è trascrivibile. Infatti,l’Accordo del 18 Febbraio 1984 prevede che il matrimonio canonico avente effetti civili èattuabile solo nel territorio nazionale italiano. Comunque, il matrimonio canonicocelebrato all’estero può assumere rilevanza nell’ordinamento dello Stato per altra via:quella delle norme di diritto internazionale privato. Esse prevedono che il matrimonio tracittadini o tra cittadini e stranieri fuori dal territorio dello Stato può aversi dinanzi allacompetente autorità diplomatica o consolare, ovvero con le forme stabilite dalla legge delluogo davanti all’autorità competente. Quindi, se la legge del paese straniero riconosce il

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matrimonio canonico come forma valida per la costituzione del rapporto coniugale, talematrimonio sarà rilevante anche nel nostro ordinamento: però, siccome tale rilevanza haluogo secondo le norme privatistiche internazionali, il matrimonio viene riconosciuto noncome matrimonio canonico. Ma come matrimonio civile celebrato all’estero.Per quanto riguarda il MATRIMONIO CANONICO DEGLI STRANIERI in Italia (tra stranieri o tracittadini e stranieri), dobbiamo dire che essi possono celebrare un matrimonio che produceeffetti civili a seguito della trascrizione: l’unico problema è che per la trascrizione civile, lacapacità dello straniero a sposarsi è disciplinata dalla sua legge nazionale.Infine abbiamo il MATRIMONIO CANONICO PER PROCURA. Qui è ammessa la trascrizionequando vi siano le circostanze previste dall’art. 111 c.c., ossia si tratti di militari o dipersone al seguito di forze armate in tempo di guerra, ovvero quando uno degli sposi sitrovi all’estero e vi siano gravi motivi. Al fine della trascrizione non basta la procuracanonica, ma occorre che la procura sia rilasciata per atto pubblico e che le parti abbianoottenuto l’autorizzazione del tribunale (che deve valutare la sussistenza dei gravi motivi).

Il giudizio sulla trascrizione civile del matrimonio canonico, in quanto atto dello statocivile, rientra nella giurisdizione del giudice dello Stato. La trascrizione può cessare diprodurre i suoi effetti ex nunc (da ora) quando una sentenza passata in giudicato emessada tale giudice, accogliendo una domanda di divorzio, dichiari cessati gli effetti civili delmatrimonio canonico; invece, può venir meno con effetti ex tunc (da allora) tutte le volte incui il giudice dello Stato accolga una domanda diretta all’annullamento di essa.Se vi è la presenza di vari vizi, è attribuita la facoltà di impugnare davanti al giudice delloStato la trascrizione civile del matrimonio canonico: pensiamo ai casi in cui la trascrizionesia avvenuta sussistendo uno degli impedimenti inderogabili visti sopra, o quando latrascrizione tardiva si sia avuta senza il consenso delle parti e così via. Nel caso in cuisia stato trascritto come matrimonio “concordatario” un matrimonio canonico nonprevisto dall’Accordo del 18 Febbraio 1984 dobbiamo distinguere due diverse circostanze.Se si tratta di un matrimonio celebrato all’estero (efficace secondo la legge del luogo), latrascrizione come matrimonio concordatario va solo rettificata; se si tratta di unmatrimonio che non possa produrre effetti civili, il procedimento ha come oggettol’annullamento della trascrizione. L’EFFETTO DELL’ANNULLAMENTO DELLA TRASCRIZIONE è lacancellazione dai registri dello stato civile.

Per quanto riguarda il RICONOSCIMENTO DELLE SENTENZE DI NULLITÀ DEI MATRIMONI

CANONICI TRASCRITTI a norma dell’Accordo, occorre osservare che il rapporto tra Stato eChiesa risulta molto differente agli accordi tra Stati in materia di assistenza giudiziaria e diriconoscimento delle sentenze (basati sul principio della reciprocità). Nel rapporto traStato e Chiesa il riconoscimento è UNILATERALE: lo Stato riconosce le sentenzeecclesiastiche di nullità del matrimonio canonico trascritto, ma la Chiesa non riconosce lesentenze di nullità pronunciate dal giudice statale. Infatti nell’ordinamento canonico vigeil principio secondo cui, data la natura sacramentale del matrimonio tra battezzati, solo il

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giudice ecclesiastico può dichiararne la nullità; e solo il Papa può dichiararne loscioglimento nel caso di matrimonio rato e non consumato.

Nell’Accordo del 18 Febbraio 1984 non troviamo più il principio della RISERVA DI

GIURISDIZIONE A FAVORE DEI TRIBUNALI ECCLESIASTICI. Prima di questo Accordo, tutte lesentenze ecclesiastiche di nullità erano riconosciute agli effetti civili con un procedimentoufficioso ed automatico: invece, dopo l’Accordo, le sentenze possono essere rese esecutivenell’ordinamento statale solo a domanda di parte e in forza di un vero e proprio giudiziodi delibazione (a seguito del quale non è detto che le sentenze vengano sicuramentericonosciute, in quanto si potrebbe avere una pronuncia di rigetto). La GIURISPRUDENZA

prevalente ha accertato il venir meno di tale riserva di giurisdizione, dichiarando lagiurisdizione del giudice civile sul matrimonio canonico trascritto agli effetti civili(alternativa a quella del giudice ecclesiastico).Anche la CORTE COSTITUZIONALE ha espresso il proprio giudizio in merito a questoproblema. La Corte ha affermato che è vero che la riserva è venuta meno, ma il giudicecivile non può pronunciarsi sul matrimonio canonico, in quanto esso è un “presupposto”da cui l’ordinamento statale fa discendere gli effetti civili. Un “presupposto” che restaesterno ed estraneo all’ordinamento statale. Quindi il giudice può pronunciarsi solo sulriconoscimento delle sentenze di nullità e sulla trascrizione del vincolo agli effetti civili.Comunque, se una delle parti si rivolge al giudice dello Stato lo fa esercitando il diritto dilibertà religiosa per sottrarre il suo matrimonio all’applicazione delle norme confessionalie all’esame del giudice ecclesiastico. Quindi, in questo modo, è garantita la libertà di sceltain materia matrimoniale sia nel momento della formazione del rapporto coniugale, sia nelmomento della contestazione della sua validità. Specifichiamo che il giudice statale non èchiamato a giudicare sulla validità del matrimonio canonico, ma sulla validità dell’atto diiniziativa del procedimento di trascrizione in cui si concreta la scelta (che precede lacelebrazione matrimoniale).

Fra l’ordinamento civile e l’ordinamento canonico si vengono ad instaurarsi quei RAPPORTI

DI CONTRASTO DI GIUDICATI E LITISPENDENZA. È chiaro che il contrasto tra giudicati elitispendenza, verificandosi nei rapporti tra due diversi ordinamenti, non possono esserevalutati con quei criteri validi nel caso in cui essi si verifichino all’interno di uno stessoordinamento. In materia matrimoniale questi contrasti sono più che mai evidenti;concorrendo determinate cause, il matrimonio è invalido secondo alcuni ordinamentimentre è dissolubile per divorzio secondo altri. Divergenze esistono anche riguardo allecause di nullità e di scioglimento del matrimonio. Si pensi all’impotenza: nel diritto dellaChiesa è causa obiettiva di invalidità del vincolo, mentre nel diritto dello Stato talesituazione da luogo all’invalidità solo se l’altra parte è incorsa in errore essenziale.

Complicazione maggiori si hanno quando vi è la PENDENZA davanti al giudice civile DI

UNA CAUSA AVENTE IL “MEDESIMO OGGETTO” di quella decisa dal giudice ecclesiastico. Aprimo impatto, potrebbe sembrare che l’oggetto sia sempre diverso in quanto il giudice

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ecclesiastico si pronuncia sul “presupposto”, mentre il giudice civile si pronuncia sullavalidità del procedimento che ha introdotto quel “presupposto” nell’ordinamento statualeo sul rapporto matrimoniale derivato da tale procedimento. Invece non è così, perchél’oggetto del giudizio è da determinare: in entrambi i casi, per l’ordinamento dello Stato,l’oggetto finale del giudizio è l’assetto dei rapporti coniugali fra le parti agli effetti civili.Questi possono venir meno sia con il riconoscimento di una sentenza ecclesiastica dinullità del matrimonio canonico, sia con la dichiarazione di nullità o l’annullamento dellatrascrizione o con il divorzio pronunciati dal giudice. Alquanto dubbio risulta, invece, ilrapporto fra il giudizio civile di divorzio e la sentenza canonica di nullità. La sentenza didivorzio produce effetti ex nunc, mentre la sentenza ecclesiastica di nullità ha valoreretroattivo (a decorrere dalla celebrazione del matrimonio). Però bisogna subito notare chefra i due giudicati vi è incompatibilità logica, in quanto la sentenza di divorzio èpronunziata sul presupposto della validità della trascrizione e della volontà degli effetticivili, mentre il riconoscimento della sentenza ecclesiastica travolgerebbe l’una e l’altra.

In relazione al PROCEDIMENTO DI DELIBAZIONE, la legge di riforma del sistema italiano didiritto internazionale privato n. 218 del 1995 influisce solo marginalmente sulriconoscimento civile delle sentenze ecclesiastiche di nullità del matrimonio; tale normanon è idonea a sospendere, modificare, derogare o abrogare l’Accordo del 18 Febbraio1984. Perciò, il procedimento per riconoscere la sentenza ecclesiastica di nullità si devesvolgere innanzi alla CORTE D’APPELLO competente per territorio.Il procedimento di delibazione ha luogo nel momento in cui almeno una delle parti nefaccia DOMANDA: dunque non è necessaria la volontà di entrambe le parti. Da quideduciamo che c’è bisogno della volontà di entrambe le parti per far acquistare gli effetticivili al matrimonio canonico, mentre serve la volontà di almeno uno per privare ilmatrimonio di tali effetti. Il PRESUPPOSTO PROCESSUALE DELLA DOMANDA è che la sentenzaecclesiastica di nullità del matrimonio sia esecutiva e che tale esecutività sia attestata daun decreto “del superiore organo ecclesiastico di controllo”. L’ESECUTIVITÀ della sentenzasuddetta emessa in primo grado si ha nel momento in cui essa viene confermata inappello, o da un decreto o da una ulteriore sentenza. Per quanto riguarda il CONTROLLO, laCorte d’Appello è tenuta ad accertare:· l’esistenza e l’autenticità dei provvedimenti ecclesiastici sulla nullità del matrimonio;· che il matrimonio dichiarato nullo era un matrimonio canonico trascritto a norma

dell’art. 8.1 dell’Accordo del 18 Febbraio 1984;· che il giudice ecclesiastico era competente a conoscere la causa;· che nel procedimento innanzi ai tribunali ecclesiastici è stato assicurato alle parti il

diritto di agire e di resistere in giudizio in modo non difforme dai principifondamentali dell’ordinamento italiano. Ricordiamo che il diritto alla difesa vienerispettato quando il convenuto sia stato regolarmente citato a comparire e abbia avutoun termine sufficiente per preparare la propria difesa;

· che “vi siano altre condizioni richieste dalla legislazione italiana per la dichiarazione diefficacia delle sentenze straniere”.

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Nota bene: nel diritto canonico le sentenze sullo stato delle persone e, di conseguenza,quelle sullo stato coniugale, diventano esecutive ma non passano mai in giudicato.Un altro requisito richiesto alle sentenze ecclesiastiche è che esse non devono produrreEFFETTI CONTRARI ALL’ORDINE PUBBLICO. L’evocazione “dell’ordine pubblico italiano”riguarda l’ordine pubblico che presiede ai rapporti fra l’ordinamento dello Stato e gliordinamenti stranieri o estranei, com’è l’ordinamento canonico. L’ordine pubblico italianoin materia matrimoniale ha subito profonde modificazioni a partire dal 1970. Prima diquesta data, era principio di ordine pubblico quello dell’indissolubilità del matrimonio,perché il diritto italiano non ammetteva il divorzio; inoltre veniva data scarsa importanzaalla volontà nella formazione del matrimonio a favore della dichiarazione resa innanziall’ufficiale dello stato civile.

Con l’introduzione del DIVORZIO (legge n. 898 del 1970) e con la RIFORMA DI FAMIGLIA

(legge n. 151 del 1975), il PRINCIPIO d’ordine pubblico italiano in materia matrimoniale èquello DELL’EFFETTIVITÀ DELL’UNIONE CONIUGALE, DELLA PERSISTENZA DELLA “COMUNIONE

SPIRITUALE E MATERIALE TRA I CONIUGI”; in questa maniera si è data più rilevanza allavolontà delle parti piuttosto che alla dichiarazione. Di conseguenza, le uniche ipotesi in cuiuna sentenza ecclesiastica si viene a trovare in contrasto con l’ordine pubblico italianosembrano essere solo quelle in cui la nullità dipende da motivi tipicamente confessionali(quando sono in contrasto con il diritto di libertà religiosa). Dunque tutte le altre cause dinullità non sono in contrasto con i principi di ordine pubblico italiano: pensiamo allesentenze ecclesiastiche riguardanti i vari vizi del consenso (che possono essere trattati inmodo diverso dal diritto italiano). Quando si presentano tali vizi, una volta fallita l’unitàconiugale, il giudice ecclesiastico è tenuto ad individuare il vizio di formazione delmatrimonio che ha determinato il fallimento del rapporto. Il giudice statale non ha alcuninteresse ad indagare in questa direzione: egli si limita solo ad accertare che è venutameno la “comunione spirituale e materiale” tra i coniugi.

Una volta riconosciuta agli effetti civili una sentenza ecclesiastica di nullità, la Corted’Appello può attribuire una PROVVISIONALE SULLE INDENNITÀ SPETTANTI a favore delconiuge che ne abbia il diritto e che ne faccia richiesta e rimanda le parti innanzi al giudicecompetente in primo grado per la decisione su tali questioni.In pendenza della causa di nullità davanti ai tribunali ecclesiastici, nonché della causa perla nullità o l’annullamento della trascrizione civile, le parti possono chiedere al tribunalecivile competente per territorio la SEPARAZIONE PERSONALE TEMPORANEA prevista dall’art.126 c.c.. tale separazione temporanea vale a disciplinare la posizione dei coniugi nel tempoin cui durino il giudizio ecclesiastico di nullità e il successivo procedimento di delibazioneo il giudizio civile sulla trascrizione. Se, per uno di questi casi, passasse in giudicato unasentenza che pone fine allo stato coniugale, GLI EFFETTI della separazione temporaneaCESSANO in quanto le parti non sono più coniugi. Se, invece, il matrimonio rimane valido

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agli effetti civili, la separazione cessa ugualmente e le parti dovrebbero nuovamenteosservare l’obbligo della coabitazione.

Adesso ci tocca parlare del MATRIMONIO AVANTI AI MINISTRI DELLE CONFESSIONI RELIGIOSE

DI MINORANZA. Il legislatore, dopo aver riconosciuto agli effetti civili il matrimoniocanonico, ritenne di dover agevolare anche gli appartenenti alle confessioni religiose diminoranza; infatti consentì loro di celebrare un matrimonio valido per lo Stato davanti aiministri di tali confessioni.Il matrimonio che stiamo trattando non è un matrimonio religioso trascritto, ma è unMATRIMONIO CIVILE CELEBRATO IN FORMA SPECIALE. Infatti, il matrimonio civile non deveessere obbligatoriamente celebrato dall’ufficiale dello stato civile: la legge prevede che puòessere celebrato da altri soggetti che ne hanno il potere (consoli all’estero, comandanti dinavi e di aerei). Tra questi troviamo anche i ministri delle confessioni di minoranza la cuinomina sia stata approvata dall’autorità governativa (e precisamente dal Ministerodell’interno).Quando le parti richiedono la pubblicazione all’ufficiale dello stato civile, devonodichiarare di voler celebrare il matrimonio innanzi a quel determinato ministro di culto.Conseguentemente l’ufficiale dello stato civile, oltre ad accertare che non sussistonoimpedimenti e opposizioni alla celebrazione del matrimonio, accerta che il ministro diculto indicato dagli sposi abbia ricevuto l’approvazione della nomina. Effettuata lapubblicazione e gli accertamenti detti, l’ufficiale dello stato civile rilasci unaautorizzazione in cui risulta che il ministro di culto indicato ha la facoltà di poter celebrareil matrimonio; senza questa autorizzazione, il ministro di culto non potrebbe esercitare lafacoltà a lui attribuita dalla legge.

La legge pone una serie di ADEMPIMENTI A CARICO DEL MINISTRO DI CULTO: prima di tutto,egli è tenuto a dare lettura agli sposi degli art. 143, 144 e 147 c.c. (diritti e doveri deiconiugi). Inoltre, egli deve ricevere la dichiarazione espressa di entrambe le parti di volersiprendere in marito e moglie. Immediatamente dopo la celebrazione, il ministro di cultodeve redigere l’atto di matrimonio in lingua italiana secondo le norme stabilite per laformazione degli atti dello stato civile. Compilato l’atto di matrimonio, il ministro di cultolo trasmette in originale all’ufficiale dello stato civile entro 5 giorni dalla celebrazione delmatrimonio; a sua volta, l’ufficiale di stato civile provvede alla trascrizione dell’atto neiregistri del matrimonio entro 24 ore dalla sua ricezione. La legge non prevede nullaper il caso in cui l’atto di matrimonio non sia trascritto (perché non trasmesso, o trasmessodopo i 5 giorni, o irregolare nelle indicazioni richieste): mancano norme per la trascrizionetardiva del matrimonio. Questo non significa che il matrimonio in questione non possamai essere trascritto, in quanto l’atto in questione (irregolare, smarrito o trasmesso conritardo) può essere regolarizzato con il PROCEDIMENTO DI RETTIFICAZIONE (previsto dall’art.454 c.c.).È chiaro che nello svolgimento degli adempimenti di sua competenza, IL MINISTRO DI

CULTO È PUBBLICO UFFICIALE: l’atto formato dal ministro di culto è atto pubblico. Da qui

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deduciamo che i ministri delle confessioni religiose di minoranza si trovano nella stessaposizione in cui si trova il ministro di culto cattolico e che l’atto di matrimonio ha la stessanatura giuridica nei due casi.

Il matrimonio celebrato innanzi ai ministri delle confessioni religiose di minoranza èIMPUGNABILE, oltre che per le cause di nullità o di annullamento, PER I VIZI PROPRI DELLA

SPECIALE FORMA DI CELEBRAZIONE. Ad esempio, è causa di nullità la mancata approvazionegovernativa della nomina del ministro di culto. Invece la mancanza dell’autorizzazionedell’ufficiale dello stato civile non determina l’invalidità del matrimonio: infatti il ministrodi culto, avendo ricevuto l’approvazione della nomina, ha il potere di assistere almatrimonio.In passato si pensava che il ministro di culto avesse la facoltà di assistere solo allacelebrazione dei matrimoni degli appartenenti alla propria confessione, tanto daconsiderare nullo il matrimonio celebrato innanzi a lui da appartenenti ad altra religione;ma questa situazione andava in contrasto con il principio di libertà religiosa costituzionale,togliendo la possibilità all’individuo di passare da una confessione all’altra liberamente(senza dover rendere conto di ciò ad alcuna autorità statuale).