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La teoria quantistica della radiazione 1 N. Bohr, H.A. Kramers e J.C. Slater a Copenaghen (Ricevuto il 22 febbraio 1924.) Senza discosta r ci dalla le gge classica della pr op agaz ione della ra diazione nel vuoto, in questo lavoro si cerca di ottenere una descrizione sensata dei fenomeni ot- tici in stretta connessione con il signicato degli spettri secondo la teoria dei quanti. Si connettono i fenomeni di radiazione continui con i processi atomici discreti me- diante leggi pr obabilistich e sec ondo il pro ce dimento di Einstein. Con l’i ntr od uzione di oscillatori virtuali, che secondo il principio di corrispondenza possono essere as- sociati ai processi discontinui, queste leggi vengono tuttavia interpretate in un modo alquanto diverso da come accade di solito. Introduzione Nei tentativi di inte rpretare teoricamente i processi di inte razione tra radiazi one e materia si introducono due punti di vista distinti, in apparenza mutuamente con- traddittori. Da un lat o i fenome ni di inter ferenz a, dai quali il funzio namen to di tutti gli strumenti ottici dipende essenzialmente, richiedono un punto di vista con- tinuo dello stesso tip o di quello che ` e contenuto nella teoria ondulato ria della luce, in partic olare nella forma nella quale questa teoria ` e stata sviluppata sulla base dell’e lettrodin amica classica. Dall’al tro lato i fenome ni di scambio d’energia e di quantit` a di moto tra radiazione e materia, ai quali l’osservazione dei fenomeni ot- tici in conclusione si riconduce, richiedono un punto di vista che contiene processi essenzialmente discontinui. Cos` ı i suddetti fenomeni hanno p ortato alla prop osta della teoria dei quanti di luce, che nella sua forma pi` u paradossale nega addirit tura la costituzio ne ondulatoria della luce. Allo stato attuale della conoscen za non ap- pare molto possibi le liberarsi del carattere formale dell’interpretazione dei processi atomici. Impres siona particolarment e il fatto che si rinunci provvisoriamente a de- scrivere pi` u da vicino il meccanismo dei processi discontinui, nella teoria quantistica degli spettri indicati come transizioni tra stati stazio nari. Invece appare possibile, come mostreremo nella presente disse rtazione, delin eare in connes sione con il prin- cipio di corrispondenza un’immagine sensata dei fenomeni ottici, quando si con- nettano i processi discontinui nell’atomo con il campo di radiazione continuo in un modo alquan to div erso dal consu eto. L’ipotesi essen zialmente nuov a introdotta nel §2, che l’atomo ben prima della comparsa di un processo di transizione sia in grado di comunicare con gli altri atomi mediante un campo di radiazione virtuale, deriva da Slater 2 . Origina riamen te il suo proposito era di raggiungere in questo modo una migliore armonia tra la struttura sica della teoria elettrodinamica della luce e la teoria dei quanti di luce, secondo la quale i processi di emissione e di assorbimento in atomi comunicanti dovrebbero apparire associati a coppie. ` E stato anche no- tato da Kramers, che la suddetta idea, invece di portare alla rappresentazione di un accoppiamento stretto di questi processi, costringe piuttosto ad assumere che i processi di transizione in atomi lontani siano mutuamente indipendenti in grado assai pi` u alt o di quanto no ra assunto. Il la vo ro presen te cos tit uisce il ris ult ato 1 ¨ Uber die Quan tenth eorie der Strahlung, Zeitschr. f. Phys. 24, 69-87 (1924). 2 J.C. Slater, Nature 113, 307 (1924). 1

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La teoria quantistica della radiazione1

N. Bohr, H.A. Kramers e J.C. Slater a Copenaghen

(Ricevuto il 22 febbraio 1924.)

Senza discostarci dalla legge classica della propagazione della radiazione nel

vuoto, in questo lavoro si cerca di ottenere una descrizione sensata dei fenomeni ot-

tici in stretta connessione con il significato degli spettri secondo la teoria dei quanti.

Si connettono i fenomeni di radiazione continui con i processi atomici discreti me-

diante leggi probabilistiche secondo il procedimento di Einstein. Con l’introduzione

di oscillatori virtuali, che secondo il principio di corrispondenza possono essere as-

sociati ai processi discontinui, queste leggi vengono tuttavia interpretate in un modo

alquanto diverso da come accade di solito.

Introduzione

Nei tentativi di interpretare teoricamente i processi di interazione tra radiazionee materia si introducono due punti di vista distinti, in apparenza mutuamente con-traddittori. Da un lato i fenomeni di interferenza, dai quali il funzionamento ditutti gli strumenti ottici dipende essenzialmente, richiedono un punto di vista con-tinuo dello stesso tipo di quello che e contenuto nella teoria ondulatoria della luce,in particolare nella forma nella quale questa teoria e stata sviluppata sulla basedell’elettrodinamica classica. Dall’altro lato i fenomeni di scambio d’energia e diquantita di moto tra radiazione e materia, ai quali l’osservazione dei fenomeni ot-tici in conclusione si riconduce, richiedono un punto di vista che contiene processiessenzialmente discontinui. Cosı i suddetti fenomeni hanno portato alla proposta

della teoria dei quanti di luce, che nella sua forma piu paradossale nega addiritturala costituzione ondulatoria della luce. Allo stato attuale della conoscenza non ap-pare molto possibile liberarsi del carattere formale dell’interpretazione dei processiatomici. Impressiona particolarmente il fatto che si rinunci provvisoriamente a de-scrivere piu da vicino il meccanismo dei processi discontinui, nella teoria quantisticadegli spettri indicati come transizioni tra stati stazionari. Invece appare possibile,come mostreremo nella presente dissertazione, delineare in connessione con il prin-cipio di corrispondenza un’immagine sensata dei fenomeni ottici, quando si con-nettano i processi discontinui nell’atomo con il campo di radiazione continuo in unmodo alquanto diverso dal consueto. L’ipotesi essenzialmente nuova introdotta nel§2, che l’atomo ben prima della comparsa di un processo di transizione sia in grado

di comunicare con gli altri atomi mediante un campo di radiazione virtuale, derivada Slater2. Originariamente il suo proposito era di raggiungere in questo modo unamigliore armonia tra la struttura fisica della teoria elettrodinamica della luce e lateoria dei quanti di luce, secondo la quale i processi di emissione e di assorbimentoin atomi comunicanti dovrebbero apparire associati a coppie. E stato anche no-tato da Kramers, che la suddetta idea, invece di portare alla rappresentazione diun accoppiamento stretto di questi processi, costringe piuttosto ad assumere chei processi di transizione in atomi lontani siano mutuamente indipendenti in gradoassai piu alto di quanto finora assunto. Il lavoro presente costituisce il risultato

1Uber die Quantentheorie der Strahlung, Zeitschr. f. Phys. 24, 69-87 (1924).2J.C. Slater, Nature 113, 307 (1924).

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di una discussione collettiva degli autori sul significato che queste ipotesi possonoavere eventualmente per la prosecuzione della teoria dei quanti; esso puo sotto di-versi aspetti essere considerato come un supplemento della prima parte apparsa direcente di un lavoro di Bohr sui principi della teoria dei quanti, nel quale la maggior

parte dei problemi qui toccati sono considerati ulteriormente3.

§1. I principı della teoria dei quanti

La teoria elettrodinamica della luce non da solo un’immagine meravigliosamenteappropriata della propagazione della radiazione nello spazio vuoto, ma essa si e an-che rivelata adatta in molte circostanze all’interpretazione dei fenomeni che dipen-dono dall’interazione della radiazione con la materia. Si puo cosı raggiungere unadescrizione generale dei fenomeni di emissione, assorbimento, rifrazione, diffusionee dispersione in base all’ipotesi che gli atomi contengano particelle elettricamentecariche, che possano eseguire oscillazioni armoniche attorno a posizioni di equilibrio

stabile, e che scambino energia ed impulso con il campo di radiazione secondo le leggielettrodinamiche classiche. D’altro canto i suddetti fenomeni rivelano notoriamenteun gran numero di aspetti che contraddicono le conseguenze dell’elettrodinamicaclassica. Una tale contraddizione si e manifestata senza dubbio per la prima voltanel caso delle leggi della radiazione termica. Partendo dalla rappresentazione clas-sica dell’emissione e dell’assorbimento di radiazione da parte di un oscillatore ar-monico, Planck ha trovato che l’accordo con gli esperimenti sulla radiazione termicasi poteva ottenere solo con l’introduzione di un’ipotesi di tipo nuovo, che implica chenella distribuzione statistica di equilibrio debbano contare solo certi stati delle par-ticelle oscillanti. L’energia in questi stati deve trovarsi uguale ad un multiplo interodel quanto hω, dove ω e la frequenza naturale dell’oscillatore, ed h e una costanteuniversale. Indipendentemente dai fenomeni della radiazione questo risultato, comeEinstein ha potuto dimostrare, riceve un sostegno immediato negli esperimenti sulcalore specifico dei corpi solidi. Contemporaneamente questo autore propose la suaben nota “teoria dei quanti di luce”, secondo la quale la radiazione non dovrebbepropagarsi come i treni d’onda continui della teoria ondulatoria classica, ma piut-tosto come unita discrete, che contengono in una piccola regione spaziale l’energiahν , dove h indica la costante di Planck, e ν e la quantita che nell’immagine classicasignifica il numero di onde transitate nell’unita di tempo. Sebbene il grande valoreeuristico di questa ipotesi appaia chiaro nella conferma dell’interpretazione di Ein-stein relativamente all’effetto fotoelettrico, tuttavia la teoria dei quanti di luce nonsi puo considerare una soluzione soddisfacente del problema della propagazione dellaluce, come ben risulta chiaro dalla circostanza, che la “frequenza” ν della radiazione

che compare in questa teoria e definita con esperimenti sui fenomeni d’interferenza;ma questi fenomeni richiedono evidentemente per la loro interpretazione una costi-tuzione ondulatoria della luce.

Nonostante le difficolta fondamentali delle idee della teoria dei quanti e risul-tato possibile sviluppare queste idee in connessione con risultati di origine diversa,riguardanti la struttura dell’atomo, per un’interpretazione degli esperimenti suglispettri di emissione e di assorbimento degli elementi. Questa interpretazione si basasul postulato fondamentale: che un atomo e capace di esistere in un numero di stati

3N. Bohr, Uber die Anwendung der Quantentheorie auf den Atombau. I. Die Grundpostulateder Quantentheorie, Zeitschr. f. Phys. 13, 117 (1923). Questo lavoro, che contiene anche ulterioririferimenti alla letteratura, si citera sempre nel seguito come G. d. Q..

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assegnati, i cosidetti “stati stazionari”, ai quali si attribuisce una vera stabilita, dellaquale le idee dell’elettrodinamica classica non sono capaci di render conto. Questastabilita si manifesta nella circostanza che una variazione di stato dell’atomo con-siste sempre in un processo completo di transizione da uno stato stazionario ad un

altro. Nei fenomeni ottici questo postulato e accoppiato all’ulteriore ipotesi che, nelcaso che una transizione tra due stati stazionari sia accompagnata dall’emissionedi radiazione, questa radiazione consista di un treno di onde armoniche, la cuifrequenza e determinata dalla relazione

(1) hν = E 1 −E 2,

dove E 1 ed E 2 indicano i valori dell’energia dell’atomo nello stato iniziale e finale. Siassume inoltre che il processo di transizione inverso puo aver luogo in conseguenzadell’irraggiamento con luce proprio della stessa frequenza. Per l’applicabilita diqueste ipotesi all’interpretazione degli spettri degli elementi si deve ringraziare la

circostanza che in qualche caso e risultato possibile calcolare per mezzo di regolesemplici i valori delle energie per gli stati stazionari di un atomo isolato, assumendodei moti che con grande approssimazione sono descritti dalle consuete leggi elettro-dinamiche (G. d. Q., Cap. I, §1). Le idee dell’elettrodinamica non consentono perodi descrivere i dettagli del meccanismo della transizione.

Per quanto riguarda l’esistenza del processo di transizione, appare necessario allostato attuale della conoscenza accontentarsi di considerazioni probabilistiche. Taliconsiderazioni sono state introdotte da Einstein4; con esse si perviene a dare unaderivazione particolarmente semplice della legge di Planck della radiazione termicasotto l’ipotesi che un atomo in un dato stato stazionario possieda una certa proba-bilita di passare “spontaneamente” nell’unita di tempo ad uno stato stazionario diminore energia, e che un atomo, sotto l’azione di radiazione esterna di frequenzaopportuna, possieda una certa probabilita per una transizione “indotta” ad un al-tro stato stazionario di maggiore o minore contenuto energetico. In connessionecon la richiesta dell’equilibrio termico tra campo di radiazione e materia Einsteinarrivo inoltre alla conclusione che lo scambio d’energia in un processo di tran-sizione e sempre associato ad uno scambio di quantita di moto per l’ammontarehν/c, esattamente come avverrebbe se la transizione fosse accompagnata dal lan-cio o dalla frenata di una piccola entita, che possiede la velocita della luce e ilcontenuto d’energia hν . Egli pote concludere che la direzione di questa quantitadi moto per le transizioni indotte e la stessa della direzione di propagazione delleonde luminose irraggianti, ma che per le transizioni spontanee la direzione dellaquantita di moto e distribuita secondo leggi probabilistiche. Questi risultati, che

si assumono come un argomento per la realta fisica dei quanti di luce, hanno direcente trovato un’importante applicazione nella spiegazione del notevole effetto diuna variazione della lunghezza d’onda della radiazione diffusa da elettroni liberi,che e stato prodotto con la ricerca di A.H. Compton5 sulla diffusione dei raggiRontgen come luce. L’applicazione di considerazioni probabilistiche al problemadell’equilibrio tra elettroni liberi e radiazione, alla quale questa scoperta ha por-tato, e stata da poco trattata con successo da Pauli6, e l’analogia formale dei suoi

4A. Einstein, Phys. Zeitschr. 18, 121 (1917).5A.H. Compton, Phys. Rev. 21, 207 (1923). Vedi anche P. Debye, Phys. Zeitschr. 24, 161

(1923).6W. Pauli, Zeitschr. f. Phys. 18, 272 (1923).

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risultati con le leggi che governano le transizioni tra stati stazionari degli atomie stata notata da Ehrenfest e Einstein7. Nonostante la fondamentale differenzatra l’immagine dei processi atomici della teoria dei quanti e l’immagine fondatasulle idee consuete dell’elettrodinamica, la prima deve in fin dei conti apparire in

un certo senso come una naturale generalizzazione della seconda. Cio appare par-ticolarmente chiaro dalla richiesta che nel limite, quando trattiamo fenomeni chedipendano dall’azione complessiva statistica di un gran numero di atomi, e nei qualisi abbia a che fare con stati stazionari nei quali la separazione tra stati adiacentie relativamente piccola, la teoria classica porti all’accordo con le osservazioni. Peril caso dell’emissione e dell’assorbimento delle righe spettrali questa connessionetra le due teorie ha portato all’enunciazione del “principio di corrispondenza”, cherichiede una generale associazione di ognuna delle transizioni possibili tra due statistazionari con una certa componente oscillatoria armonica nel momento elettricodell’atomo (G. d. Q., Cap. II, §2). Questo principio ha reso possibile un fonda-mento per la valutazione delle probabilita di transizione ed ha in tal modo portato

il problema dell’intensita e della polarizzazione delle righe spettrali in stretta con-nessione con il moto degli elettroni nell’atomo.

Il principio di corrispondenza ha consentito di paragonare la reazione di unatomo ad un campo di radiazione con la reazione ad un tale campo che secondol’elettrodinamica classica ci si deve aspettare da un gran numero di oscillatori ar-monici “virtuali”, le cui frequenze siano secondo l’equazione (1) uguali alle frequenzeassegnate per le diverse transizioni possibili agli altri stati stazionari (G. d. Q.,Cap. II, §3). Una tale immagine e stata utilizzata da Ladenburg nel suo tentativodi porre quantitativamente in relazione i risultati sperimentali sulla dispersione conconsiderazioni sulle probabilita di transizione. Anche nel caso dell’interazione traelettroni liberi e radiazione si sottolinea la possibilita di utilizzare tali considerazioni

mediante l’analogia notata da Compton tra le variazioni di lunghezza d’onda dellaradiazione diffusa e l’effetto Doppler classico della radiazione.Sebbene il principio di corrispondenza mediante la valutazione delle probabilita

di transizione consenta delle conclusioni sul tempo medio di permanenza di unatomo in un dato stato stazionario, il problema dell’intervallo temporale, duranteil quale ha luogo l’emissione di radiazione associata ad una transizione, ha d’altraparte dato luogo a grande difficolta. Questa difficolta, assieme ad altri noti para-dossi della teoria dei quanti, rafforza il dubbio, espresso da varie parti 8, che l’in-terazione tra materia e radiazione possa essere espressa in linea di principio permezzo di una descrizione causale spaziotemporale del tipo che e stato utilizzatofinora per l’interpretazione dei fenomeni naturali (G. d. Q., Cap. III, §1). Senza inqualche modo abbandonare il carattere formale della teoria, appare ora possibile,

come accennato nell’introduzione, che si possa realizzare un progresso piu accentua-to nell’interpretazione dei fenomeni radiativi osservabili, quando si associno questifenomeni con gli stati stazionari e con le transizioni tra essi in un modo che alquantosi differenzia da quello consueto.

§2. Radiazione e processi di transizione

Assumeremo che un dato atomo in un certo stato stazionario sia impegnato

7P. Ehrenfest e A. Einstein, Zeitschr. f. Phys. 19, 301 (1924).8Vedi O. W. Richardson, The Electron Theory of Matter, 2a ed., p. 507 (Cambridge 1916),

dove una tale posizione viene espressa chiaramente forse per la prima volta.

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in una comunicazione costante con altri atomi, e cio mediante un meccanismospaziotemporale, che e virtualmente equivalente ad un campo di radiazione, checorrisponderebbe alla presenza, secondo la teoria della radiazione classica, di os-cillatori armonici virtuali, associati alle diverse possibili transizioni ad altri stati

stazionari. Assumiamo inoltre che la realizzazione dei processi di transizione, siaper l’atomo dato che per gli altri atomi, con i quali esso comunica, sia associataa questo meccanismo mediante leggi probabilistiche, che siano analoghe alle leggidella teoria di Einstein per le transizioni tra stati stazionari indotte da radiazioneesterna. Le transizioni indicate in quella teoria come spontanee noi dal nostro puntodi vista le trattiamo come indotte dal campo di radiazione virtuale, accoppiato almoto degli oscillatori virtuali associati all’atomo stesso. D’altra parte le transizioniindotte della teoria di Einstein hanno luogo a causa della radiazione virtuale emessanello spazio circostante dagli altri atomi.

Mentre queste ipotesi da un lato non portano con se alcuna modifica che riguardiil legame stabilito mediante la condizione (1) ed il principio di corrispondenza tra

la struttura atomica e la frequenza come pure l’intensita e la polarizzazione dellerighe spettrali, esse portano d’altro canto ad un’immagine di tipo nuovo della realiz-zazione spaziotemporale dei diversi processi di transizione, alla quale l’osservazionedei fenomeni ottici in definitiva si riduce. Il realizzarsi di una data transizione in undato atomo dipendera dallo stato originario di questo atomo e dagli stati di quegliatomi, con i quali esso e impegnato in una comunicazione per mezzo di un campodi radiazione virtuale, ma non dal realizzarsi di processi di transizione nei restantiatomi.

Da un lato si vedra che il nostro punto di vista, nel caso limite in cui statistazionari successivi sono separati solo di poco, porta ad una connessione tra laradiazione virtuale ed il moto delle particelle nell’atomo, che gradualmente diventa

quella prescritta nella teoria della radiazione classica. Infatti sia il moto che lacostituzione del campo di radiazione in questo caso limite subiranno a motivo dellatransizione tra gli stati stazionari delle modifiche sostanziali. Per quanto riguardala comparsa di processi di transizione, che costituisce la mossa essenziale della teo-ria dei quanti, noi rinunciamo d’altro canto ad un accoppiamento in qualche modocausale tra le transizioni in atomi lontani, ed in particolare all’applicazione direttadel principio cosı caratteristico per la teoria classica della conservazione dell’energiae dell’impulso. L’applicabilita di questo principio all’interazione tra singoli sistemiatomici e nella nostra concezione ristretta a quelle interazioni nelle quali gli atomisiano cosı vicini, che la forza associata secondo la teoria classica con il campo di ra-diazione sia piccola, in confronto alla parte conservativa della forza, che deriva dallecariche elettriche degli atomi. Interazioni di questo tipo, che noi possiamo indicare

come “collisioni”, forniscono notoriamente un esempio tipico per la postulata sta-bilita degli stati stazionari, dal momento che proprio i risultati sperimentali, quandosono interpretati in base alla legge di conservazione dell’energia e dell’impulso, sonoin accordo con l’assunzione che gli atomi collidenti si trovino in stati stazionari siaprima che dopo il processo (G. d. Q., Cap. I, §4)9. Nelle interazioni tra atomi a

9Queste considerazioni valgono evidentemente solo se si puo prescindere dalla radiazione as-sociata con l’urto. Sebbene in molti casi l’energia di questa radiazione sia assai poca, la suacomparsa potrebbe essere di significato fondamentale. Cio e stato notato da Franck in relazionealla spiegazione degli importanti risultati di Ramsauer (Ann. d. Phys. 64, 513; 66, 546 (1922))riguardanti le collisioni tra atomi ed elettroni lenti, dai quali appare risultare che in certi casil’elettrone puo volare libero attraverso l’edificio atomico, senza essere influenzato dalla sua pre-

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grande distanza reciproca, per le quali secondo la teoria classica non si puo par-lare di azione mutua simultanea, assumeremo invece un’indipendenza dei singoliprocessi di transizione, che contraddice in modo determinato l’ingiunzione classicadella conservazione dell’energia e dell’impulso. Assumiamo quindi che una tran-

sizione indotta non ha la sua causa diretta in una transizione in un atomo lontano,per il quale la separazione di energia tra stato iniziale e stato finale sia la stessa. In-fatti, quando un atomo ha contribuito all’induzione di una transizione in un atomolontano, e cio mediante il campo di radiazione virtuale, che origina dall’oscillatorevirtuale associato ad una delle transizioni possibili agli altri stati stazionari, l’atomopuo invece eseguire un’altra di queste transizioni. Invero le esperienze disponibili aprima vista non danno alcuna prova di questa ipotesi; e possibile tuttavia sperareche il grado di indipendenza del processo di transizione qui assunto possa offrirequalche possibilita di ottenere una descrizione dell’interazione tra radiazione edatomi esente da contraddizioni, nella quale intervengano le leggi di probabilit a inmodo essenziale. Questa indipendenza non solo riduce ad una legge statistica la

conservazione dell’energia, ma anche la conservazione dell’impulso, poiche propriocome assumiamo che ogni processo di transizione indotto dalla radiazione sia accom-pagnato da una variazione dell’energia dell’atomo dell’ammontare hν , assumiamoseguendo Einstein, che ogni siffatto processo sia accompagnato da una variazionedella quantita di moto dell’atomo dell’ammontare hν/c. Se la transizione e in-dotta dal campo di radiazione virtuale di un atomo lontano, la direzione di questaquantita di moto coincide con la direzione di propagazione dell’onda nel campo.Se invece la transizione e indotta dalla radiazione virtuale propria, facciamo natu-ralmente l’ipotesi che la variazione della quantita di moto sia assegnata secondoleggi probabilistiche, e cio in modo tale che le variazioni di quantita di moto, cheaccompagnano le transizioni indotte in altri atomi da quella radiazione, risultino

compensate statisticamente per ogni direzione dello spazio.Il fondamento dell’osservata conservazione statistica dell’energia e dell’impulsonon lo cerchiamo quindi in una qualche deviazione dalla teoria elettrodinamica dellaluce relativamente alle leggi della propagazione della radiazione nello spazio vuoto,ma nelle particolari proprieta dell’interazione tra il campo di radiazione virtuale egli atomi irraggiati. Assumeremo che questi atomi agiscano come sorgenti di unaradiazione virtuale secondaria, che possiede la stessa frequenza della radiazione in-cidente e che interferisce con le onde originarie. Nel caso che la frequenza dellaradiazione incidente coincida approssimativamente con la frequenza di uno deglioscillatori virtuali associati alle diverse transizioni possibili, le ampiezze delle ondesferiche secondarie sono molto grandi e queste onde mostrano rispetto alle ondeincidenti tali relazioni di fase, che per interferenza l’intensita del campo di radi-

azione virtuale sara accresciuta o diminuita e con cio la capacita di questo campodi indurre transizioni negli altri atomi sara rinforzata o indebolita. Che si realizzi

senza. In questi casi infatti, quando per “collisione” avesse luogo davvero una modifica del motodell’elettrone, secondo la teoria classica dovrebbe apparire una radiazione cosı grande, che unaassociazione significativa della radiazione con processi di transizione possibili, com’e richiesto dalprincipio di corrispondenza, potrebbe difficilmente essere ottenuta (vedi F. Hund, Zeitschr. f.Phys. 13, 241 (1923)). Secondo la concezione considerata in questo lavoro una tale associazionepotrebbe da un lato apparire in modo piu naturale, se si cercasse l’origine della radiazione diret-tamente nel moto dell’elettrone, e non in primo luogo nel verificarsi del processo di transizione.D’altro canto si deve notare che qui abbiamo a che fare con un caso nel quale, a seguito dellarilevante grandezza della reazione di radiazione classica, una distinzione netta tra moto stazionarioe processi di transizione allo stato attuale della teoria non e realizzabile.

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un indebolimento o un rafforzamento dipende dal fatto che l’oscillatore virtuale cor-rispondente sia associato ad una transizione dell’atomo ad uno stato stazionario dicontenuto energetico piu alto o ad uno di contenuto energetico piu basso. Questaconcezione e evidentemente in stretto rapporto con le idee che hanno consentito

ad Einstein di introdurre probabilita per transizioni indotte di due tipi, quelle incui l’energia dell’atomo si accresce, e quelle in cui diminuisce. Nonostante la se-parazione spaziotemporale per la teoria dei quanti cosı caratteristica dei processidi assorbimento e di emissione, possiamo aspettarci nella nostra rappresentazioneun’ampia analogia formale con l’elettrodinamica classica, che riguarda l’interazionetra il campo di radiazione virtuale e il moto degli oscillatori armonici virtuali as-sociati all’atomo. Appare infatti possibile, guidati da questa analogia, perveniread una descrizione coerente e abbastanza completa dei fenomeni ottici che accom-pagnano la propagazione della luce in un mezzo materiale, nella quale allo stessotempo risulti chiara la stretta connessione di questi fenomeni con gli spettri degliatomi del mezzo.

§3. Capacita di interferenza delle righe spettrali

Prima di inoltrarci nel problema generale dell’interazione tra gli atomi e uncampo di radiazione virtuale, tratteremo brevemente in questo paragrafo le pro-prieta del campo che deriva da un solo atomo, in quanto esse sono collegate conla capacita di interferenza della luce emessa da una e una sola sorgente. La costi-tuzione di questo campo non ha evidentemente niente a che fare con le particolaritadel processo di transizione, la cui durata noi assumeremo in ogni caso non granderispetto a un periodo della radiazione o del moto delle particelle nell’atomo. Questiprocessi contrassegnano secondo la nostra interpretazione soltanto la conclusione

dell’intervallo temporale durante il quale l’atomo e in grado di comunicare con al-tri atomi mediante i corrispondenti oscillatori virtuali. Un limite superiore per lacapacita di interferenza sara dato evidentemente dal tempo medio durante il qualel’atomo permane nello stato iniziale corrispondente alla transizione considerata. Lavalutazione di questo tempo di vita medio degli stati stazionari fondata sul prin-cipio di corrispondenza ha ottenuto una conferma generale mediante i ben notiesperimenti sulla durata della luce dei raggi canale in alto vuoto (vedi G. d. Q.,Cap. II, §4). L’interpretazione di questi esperimenti risulta assai semplice allaluce della nostra nuova concezione. Si vede infatti che secondo questa concezionel’andamento dell’intensita della luce non deriva dalle particolarita della transizione,ma solo dal numero relativo di atomi nei diversi stati stazionari nelle diverse partidel raggio. Quando per esempio tutti gli atomi possiedono la stessa velocita e si

trovano originalmente nello stesso stato, possiamo aspettarci che per tutte le righespettrali, le cui transizioni sono associate a questo stato, l’intensita della luce de-cresca esponenzialmente in ugual misura lungo il raggio. Il materiale sperimentaleoggi disponibile e a malapena sufficiente a confermare queste considerazioni.

Quando ci interroghiamo sulla capacita di interferenza delle righe spettrali, comee misurata dagli strumenti ottici, il tempo di vita medio dello stato stazionario de-terminera certamente per questa capacita un limite superiore. Dobbiamo tenerpresente che la nettezza osservabile di una data riga spettrale, che deriva dal risul-tato statistico delle azioni di un gran numero di atomi, non dipende soltanto dallalunghezza dei singoli treni d’onda troncati dalle transizioni, ma anche da una even-tuale incertezza nella determinazione della frequenza di queste onde. Tenendo conto

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del modo in cui la frequenza delle righe spettrali e collegata mediante la relazione(1) con l’energia degli stati stazionari, e d’interesse notare che il suddetto limitesuperiore per la nettezza delle righe spettrali si pone in stretto rapporto con i limitidi precisione per la definizione del moto e dell’energia negli stati stazionari. Infatti

il postulato della stabilita degli stati stazionari pone un limite a priori alla pre-cisione con cui il moto in questi stati si puo descrivere secondo l’elettrodinamicaclassica, che compare anche direttamente nella nostra idea che l’azione del campodi radiazione virtuale non consiste in una variazione continua del moto dell’atomo,ma nell’induzione di transizioni, per le quali l’energia e la quantit a di moto subi-scono una variazione finita (G. d. Q., Cap. II, §4). Nell’intorno del limite in cuii moti nei due stati stazionari differiscono tra loro di poco il limite superiore dellacapacita di interferenza del singolo treno d’onda tende a coincidere con il limitedi precisione con cui la frequenza della radiazione e determinata mediante la (1),quando si tenga conto dell’effetto dell’imprecisione nella definizione dei due staticon il metodo degli errori indipendenti. Nel caso generale, in cui i moti nei due stati

possono essere assai diversi tra loro, il limite superiore della capacita di interferenzadel treno d’onde e strettamente connesso con la definizione del moto in quello statostazionario che costituisce lo stato iniziale della transizione. Anche qui possiamotuttavia notare che la nettezza osservabile delle righe spettrali si puo determinaremediante l’equazione (1), purche si componga l’effetto di una qualche imprecisionenella definizione dello stato finale con l’effetto dell’imprecisione nella definizionedello stato iniziale in modo analogo che per la composizione di errori indipendenti.

Proprio questo effetto dell’imprecisione nella definizione nei due stati stazionarisulla nettezza di una riga spettrale rende possibile l’esistenza di una reciprocitatra la struttura di una riga quando appare in emissione e quando appare in as-sorbimento, come anche richiede il postulato espresso dalla legge di Kirchhoff per

l’equilibrio termico. In connessione a questo si ricordi, che l’apparente deviazioneda questa legge, che, relativamente al numero ed al rapporto tra le righe, si mani-festa nella spesso osservata differenza tra lo spettro di emissione e di assorbimento,trova nella teoria dei quanti la sua spiegazione diretta, quando si tenga conto delladifferenza nella distribuzione statistica degli atomi nei loro stati stazionari in cir-costanze esterne diverse.

Strettamente collegata con il problema su trattato, della nettezza delle righespettrali che derivano dagli atomi sotto condizioni esterne costanti, e la questionedello spettro derivante da un atomo, quando le forze esterne si modificano con-siderevolmente durante un intervallo temporale dello stesso ordine di grandezzadel tempo di vita medio degli stati stazionari. Un tale problema si incontra incerti esperimenti di Stark sull’effetto di un campo elettrico sulle righe spettrali.In questi esperimenti gli atomi si muovono con grande velocita, e gli intervalli ditempo durante i quali vanno da un punto ad un altro, nel quale l’intensit a delcampo e del tutto diversa, sono solo una piccola frazione del tempo di vita deglistati stazionari associati alla riga studiata. Malgrado cio Stark ha trovato che, aprescindere dall’effetto Doppler del tipo solito, la radiazione emessa dagli atomi inogni punto e influenzata dal campo elettrico nello stesso modo, come sarebbe in-fluenzata la radiazione di atomi in quiete dall’azione costante della forza del campoin questo punto. Mentre l’interpretazione di questi risultati, come e stato notatoda vari autori10, da luogo a difficolta quando ci si attenga alla descrizione secondo

10vedi K. Forsterling, Zeitschr. f. Phys. 10, 387 (1922) e A.J. Dempster, Astrophys. Journ.

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la teoria dei quanti usata finora del legame tra radiazione e processi di transizione,i risultati di Stark sono evidentemente in accordo con l’idea messa a fondamento inquesta dissertazione. Infatti il moto negli stati stazionari, mentre gli atomi attraver-sano il campo, mutera continuamente, e lo stesso accadra con gli oscillatori armonici

virtuali, che sono associati alle transizioni possibili. Il campo di radiazione virtualederivante dagli atomi che si muovono sara quindi lo stesso di quando l’atomo du-rante il suo intero cammino si fosse mosso in un campo di intensita costante, almenoquando - come accadeva negli esperimenti di Stark - alla radiazione proveniente daaltre parti del suo cammino fosse impedito di raggiungere quella parte dell’apparatodove ha luogo l’osservazione del fenomeno. Si vedra che in un problema di questotipo e anche assicurata una ulteriore reciprocita tra i fenomeni osservati di emis-sione e di assorbimento, e cio grazie ad una simmetria propria della nostra ideariguardo all’accoppiamento tra processi di transizione in un senso o nell’altro dauna parte, e campo di radiazione dall’altra parte.

§4. Teoria quantistica degli spettri e fenomeni ottici

Sebbene secondo la teoria dei quanti l’osservazione dei fenomeni ottici sia allafine determinata da processi di transizione, l’interpretazione sensata di queste mani-festazioni deve contenere, come notato nell’introduzione, quei processi continui chesono caratteristici per la teoria elettrodinamica classica della propagazione dellaluce attraverso mezzi materiali. Secondo questa teoria i fenomeni della riflessione,della rifrazione e della dispersione si devono attribuire ad una diffusione della luce,che ha luogo in seguito alle oscillazioni forzate delle particelle elettriche nei singoliatomi, causate dalle forze elettromagnetiche del campo di radiazione. Il postulatodella stabilita degli stati stazionari porta a prima vista con se, per quanto riguarda

questo punto, una difficolta fondamentale. Il contrasto sarebbe tuttavia alleviatoin una certa misura, come notato, mediante il principio di corrispondenza, cheporterebbe a confrontare la reazione di un atomo ad un campo di radiazione conla diffusione che secondo la teoria classica deriverebbe da un certo numero di oscil-latori armonici virtuali, che sono associati alle diverse transizioni possibili. Si devetuttavia pensare che l’analogia tra la teoria classica e la teoria dei quanti, com’eformulata mediante il principio di corrispondenza, e di natura essenzialmente for-male, come e particolarmente sottolineato dalla circostanza, che secondo la teoriadei quanti l’assorbimento e l’emissione di radiazione sono collegati a processi ditransizione diversi e quindi ad oscillatori armonici diversi. Ma e proprio questopunto cosı essenziale per l’interpretazione dei risultati sperimentali sugli spettri di

emissione e di assorbimento, che sembra mostrare che i fenomeni di diffusione sonoassociati con l’azione degli oscillatori virtuali relativi all’emissione e all’assorbimentodi radiazione. E intenzione mostrare in una dissertazione successiva come con laconcezione attuale si possa costruire11 una teoria quantitativa della dispersione,che e analoga a quella di Ladenburg. Qui ci accontenteremo percio di sottolinearedi nuovo il carattere continuo dei fenomeni ottici, che non pare consentire alcunainterpretazione nel senso di un collegamento causale con processi di transizione nelmezzo di propagazione.

57, 193 (1923).11Nota aggiunta alla correzione. Le linee principali di una tale teoria sono descritte brevemente

da Kramers in una comunicazione che apparira tra poco su “Nature”.

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Incontriamo un esempio istruttivo di queste considerazioni negli esperimenti suglispettri di assorbimento. Infatti a rigore non si puo sostenere, come si fa spesso perbrevita, che l’assorbimento in un vapore monoatomico per luce la cui frequenzacoincida con certe righe dello spettro di emissione ha la sua origine in processi di

transizione, che si verificano negli atomi del vapore, e che sono indotti da quei trenid’onda della radiazione incidente, che possiedono la frequenza delle righe di assor-bimento. Della visibilita di queste righe nello spettroscopio si deve ringraziare ladiminuzione dell’intensita della radiazione incidente, che ha luogo a causa delle par-ticolarita delle onde sferiche secondarie emesse da ciascuno degli atomi illuminati;le transizioni indotte giocano soltanto il ruolo di un effetto concomitante, medianteil quale e assicurata la conservazione statistica dell’energia. La presenza dei trenid’onda secondari coerenti e parimenti responsabile della dispersione anomala asso-ciata alle righe di assorbimento e si manifesta inoltre particolarmente nel fenomenoscoperto da Wood12 della riflessione selettiva sulla parete del contenitore di unvapore metallico a pressione abbastanza alta. La comparsa di transizioni indotte

tra stati stazionari nell’assorbimento selettivo e allo stesso tempo osservata diret-tamente nella radiazione di fluorescenza, che per una parte importante deriva dallapresenza di un piccolo numero di atomi, che sono stati portati dall’irraggiamento inuno stato stazionario di energia piu alta. E noto che la radiazione di fluorescenza sipuo sopprimere con il miscelamento con un gas estraneo. Per quanto riguardala parte di radiazione derivante dagli atomi in stati stazionari piu alti, questofenomeno si spiega con collisioni, che provocano un considerevole aumento dellaprobabilita degli atomi a tornare nel loro stato fondamentale. Allo stesso tempola parte della radiazione di fluorescenza consistente di radiazione diffusa coerente,come i fenomeni dell’assorbimento, della dispersione e dalla riflessione subirannoper miscelamento con gas estraneo quelle variazioni, che possono essere poste in

relazione con l’allargamento delle righe spettrali prodotto dagli urti13

. Si vede cheun’interpretazione dei fenomeni di assorbimento, che si discosti essenzialmente daquella su descritta, e difficilmente sostenibile, almeno quando si puo dimostrare chel’assorbimento delle righe spettrali e qualitativamente indipendente dall’intensitadella sorgente di radiazione, analogamente a come si puo dimostrare per i consuetifenomeni della riflessione e della rifrazione, per i quali le transizioni nel mezzo nonintervengono in quel modo (vedi G. d. Q., Cap. III, §3).

Un altro esempio interessante fornisce il problema della diffusione della luce daelettroni liberi. Come ha mostrato Compton con la riflessione dei raggi Rontgenda parte di cristalli, questa diffusione e accompagnata da una variazione di fre-quenza, che e diversa in direzioni diverse, e che e in accordo con la costituzionedella radiazione emessa da una sorgente immaginaria in moto secondo la teoriaclassica. Compton ha raggiunto, come ricordato, un’interpretazione formale diquesto fenomeno sulla base della teoria dei quanti di luce, assumendo che un elet-trone assorba un quanto della luce incidente, e allo stesso tempo possa riemettereun quanto di luce in un’altra direzione. In questo processo l’elettrone acquista inuna certa direzione una certa velocita, che come la frequenza della luce riemessa edeterminata dalle leggi di conservazione dell’energia e della quantita di moto, nellequali si attribuisce ad ogni quanto di luce un’energia hν ed una quantita di motohν/c. In contrasto con questa idea noi vediamo la diffusione della radiazione da

12R.W. Wood, Phil. Mag. 23, 689 (1915).13vedi per esempio Chr. Fuchtbauer e G. Joos, Phys. Zeitschr. 23, 73 (1922).

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parte degli elettroni come un fenomeno continuo, al quale ogni elettrone partecipacon l’emissione di onde secondarie coerenti; la radiazione virtuale incidente da lu-ogo in ogni elettrone ad una reazione, analoga alla diffusione che ci si aspetterebbenella teoria classica da un elettrone, che possedesse la velocit a della sorgente di ra-

diazione immaginaria su menzionata, e che sotto l’influenza del campo di radiazioneeseguisse oscillazioni forzate. Che in questo caso l’oscillatore virtuale si muova conuna velocita che e diversa da quella dell’elettrone irraggiato stesso significa cer-tamente un passo che si contrappone alle idee classiche in modo particolarmentestrano. In considerazione dei fondamentali scostamenti dalla descrizione spaziotem-porale classica, insiti nell’idea degli oscillatori virtuali, non appare tuttavia correttoallo stato attuale della teoria voler condannare una interpretazione formale comequella considerata. Una tale interpretazione appare al contrario necessaria quandosi voglia tener conto dei fenomeni osservati, per la descrizione dei quali la concezioneondulatoria della radiazione gioca proprio un ruolo essenziale. Proprio come nellateoria di Compton, assumiamo allo stesso tempo che l’elettrone irraggiato possieda

una certa probabilita di subire in ogni direzione data una certa variazione finitadella sua quantita di moto. Mediante questo effetto, che nella teoria dei quantiprende il posto del trasferimento continuo di quantita di moto, che secondo la teo-ria classica accompagnerebbe una diffusione del tipo descritto, viene assicurata laconservazione statistica della quantita di moto, analoga alla conservazione stati-stica dell’energia prima considerata nel fenomeno degli spettri di assorbimento. Difatto le leggi probabilistiche derivate da Pauli per lo scambio di quantit a di motonell’interazione tra elettroni liberi e radiazione mostrano una analogia essenzialecon le leggi di Einstein, che hanno valore per le transizioni tra stati stazionari bendefiniti di un sistema atomico. Le considerazioni di Einstein e Ehrenfest ricordatenel §2 sono particolarmente idonee a far risaltare questa analogia.

Un problema analogo alla diffusione della luce da elettroni liberi lo incontriamonella diffusione di luce da un atomo, indipendentemente dal fatto che la frequenzadella radiazione sia abbastanza grande da indurre transizioni per le quali un elet-trone sia completamente allontanato dall’atomo. Per assicurare la conservazionestatistica della quantita di moto dobbiamo infatti assumere, come hanno notatoPauli e di nuovo Smekal14, che possano avvenire processi di transizione nei qualila quantita di moto dell’atomo diffuso subisce una variazione finita senza che perquesto, come nei soliti processi di transizione considerati nella teoria degli spettri, ilmoto relativo delle particelle nell’atomo cambi. Si vede che nella nostra concezioneprocessi di transizione del tipo anzidetto sono strettamente associati ai fenomenidi diffusione ottica in un modo che e analogo all’associazione dei fenomeni spet-trali con i processi di transizione, nei quali il moto interno dell’atomo cambia. A

motivo della grande massa del nucleo atomico la variazione di velocita dell’atomoper tali transizioni e tuttavia cosı piccola, che non avra alcun effetto osservabilesull’energia dell’atomo e sulla frequenza della radiazione diffusa. Malgrado cio e disignificato essenziale che il trasferimento di quantita di moto sia un processo discon-tinuo, mentre la diffusione stessa e un fenomeno essenzialmente continuo nel qualehanno parte tutti gli atomi irraggiati, indipendentemente dall’intensita della radi-azione incidente. Le variazioni discontinue nella quantita di moto dell’atomo sonola causa delle azioni osservate sugli atomi, che si descrivono come pressione di radi-azione. Questa interpretazione soddisfa evidentemente le condizioni per l’equilibrio

14A. Smekal, Naturwissenschaften 11, 875 (1923).

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termico tra un campo di radiazione (virtuale) ed una superficie riflettente, che sonostate ricavate da Einstein15 e nelle quali egli ha visto un sostegno per la teoriadei quanti di luce. Allo stesso tempo risulta quasi superfluo rilevare che essa eanche in accordo con l’apparente continuita nelle osservazioni reali sulla pressione

di radiazione. Quanto infatti consideriamo un corpo solido, una variazione di hν/cnella quantita di moto totale di questo sara completamente inosservabile, e per lucevisibile trascurabilmente piccola, rispetto alle variazioni irregolari della quantitadi moto di un corpo in equilibrio termico con il suo ambiente. Nella discussionedegli esperimenti reali dobbiamo tuttavia tener presente allo stesso tempo che lafrequenza di tali processi e spesso cosı grande, che incontriamo la domanda se pos-siamo trascurare la durata stessa delle transizioni o, in altre parole, se e superatoil limite entro il quale vale la formulazione dei principı della teoria dei quanti (vediG. d. Q., Cap. II, §5).

Le ultime considerazioni danno un esempio di come la nostra interpretazione deifenomeni ottici consenta una connessione naturale con la consueta descrizione con-

tinua dei fenomeni macroscopici, per l’interpretazione dei quali la teoria di Maxwelle cosı meravigliosamente adatta. La preferenza che sotto questo riguardo la nostraformulazione dei principı della teoria dei quanti consegue rispetto alla consuetaformulazione della teoria si illustra assai significativamente nel caso del fenomenodell’emissione di onde elettromagnetiche, cioe mediante un’antenna, come in ra-diotelegrafia. In questo caso una descrizione sensata dei fenomeni e possibile nelsenso di un’emissione di radiazione, mentre e impossibile nel senso di processi ditransizione separati successivi tra stati stazionari immaginari dell’antenna. Tenendoconto infatti della piccolezza delle variazioni di energia nelle transizioni, e anchedella grandezza della radiazione di energia nell’unita di tempo, si vede che la duratadei singoli processi di transizione puo essere solo una frazione straordinariamente

piccola del periodo di oscillazione dell’elettricita nell’antenna, e che di conseguenzanon e corretto descrivere il risultato di tali processi come l’emissione di un trenod’onde di questo periodo. Nella nostra interpretazione attuale invece descriviamo larealta delle oscillazioni di elettricita nell’antenna come il realizzarsi di un campo diradiazione (virtuale), che secondo leggi di probabilita induce inoltre modifiche nelmoto degli elettroni. Queste modifiche possiamo considerarle in questo caso comepraticamente di tipo continuo, perche anche se fosse possibile mantenere una dis-tinzione dei singoli contributi d’energia hν , la grandezza di questi contributi sarebbedel tutto trascurabile rispetto all’energia dell’antenna. In connessione a questo vaosservato che la comparsa del carattere “virtuale” del campo di radiazione, che allostato attuale dalla conoscenza appare cosı necessario per la descrizione sensata deifenomeni atomici, automaticamente perde il suo significato in un caso come quello

qui trattato, in cui il campo, per quanto riguarda la sua interazione osservabilecon la materia, esibisce tutte quelle proprieta che nell’elettrodinamica classica siattribuiscono ad un campo elettromagnetico.

Kopenhagen, Universitetets Institut for teoretisk Fysik.

15A. Einstein, Phys. Zeitschr. 10, 875 (1923).

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La meccanica quantistica dei processi d’urto1

[Comunicazione provvisoria2]

Max Born, Gottinga

(ricevuto il 25 luglio 1926)

Mediante lo studio dei processi d’urto si sviluppa l’idea che la meccanica quanti-

stica nella forma di Schr¨ odinger permetta di descrivere non solo gli stati stazionari,

ma anche i salti quantici.

La meccanica quantistica fondata da Heisenberg e stata finora applicata esclu-sivamente al calcolo degli stati stazionari e delle ampiezze d’oscillazione associatealle transizioni (evito di proposito la parola “probabilita di transizione”). Inoltre il

formalismo ampiamente sviluppato nel frattempo sembra dare buoni risultati. Maquesta impostazione della questione riguarda solo un aspetto del problema; accantoad essa si leva altrettanto importante la questione della natura della “transizioni”stesse. Riguardo a questo punto le opinioni appaiono divise; molti ritengono cheil problema delle transizioni non sia affrontato dalla meccanica quantistica nellaforma presente, e che qui saranno necessarie nuove forme concettuali. Per quantomi riguarda, sotto l’impressione della chiusura della struttura logica della meccanicaquantistica, sono giunto alla congettura che questa teoria sia completa e che debbacomprendere il problema delle transizioni. Credo di essere riuscito a dimostrarequesto.

Gia Bohr ha diretto l’attenzione sul fatto che tutte le difficolt a di principiodella rappresentazione quantistica, che incontriamo con l’emissione e l’assorbimentodella luce da parte di atomi, compaiono anche nell’interazione di atomi a brevedistanza, quindi nei processi d’urto. In questi si ha a che fare, invece che concampi d’onda ancora assai vaghi, esclusivamente con sistemi di particelle materialiche sottostanno al formalismo della meccanica quantistica. Ho quindi affrontato ilproblema di studiare l’interazione di una particella libera (raggio α o elettrone) edi un atomo qualsiasi e di stabilire se non sia possibile una descrizione del processod’urto nell’ambito della teoria esistente.

Delle diverse forme della teoria in questo caso solo quella di Schr odinger si edimostrata idonea, e potrei proprio per questa ragione considerarla come la versionepiu profonda delle leggi dei quanti. Il filo del mio ragionamento e ora il seguente:

Quando si vuole calcolare secondo la meccanica quantistica l’interazione di due

sistemi e noto che non si puo, come nella meccanica classica, prendere uno stato diun sistema e stabilire come questo sia influenzato da uno stato dell’altro sistema,ma tutti gli stati dei due sistemi sono accoppiati in modo complicato. Cio valeanche in un processo aperiodico, come un urto, nel quale una particella, diciamoun elettrone, viene dall’infinito e di nuovo svanisce all’infinito. Ma qui s’imponel’idea che pero sia prima che dopo l’urto, quando l’elettrone e abbastanza lontanoe l’accoppiamento piccolo, dev’essere definibile uno stato determinato dell’atomo

1Zur Quantenmechanik der Stoßvorgange, Zeitschr. f. Phys. 37, 863-867 (1926).2Questa comunicazione era originariamente destinata a “Naturwissenschaften”, ma non ha

potuto essere accettata la per mancanza di spazio. Spero che la sua pubblicazione in questo luogonon appaia superflua.

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e un moto determinato, rettilineo uniforme, dell’elettrone. Si tratta di esprimerematematicamente questo comportamento asintotico delle particelle accoppiate. Cionon m’e riuscito con la forma matriciale della meccanica quantistica, bensı con laformulazione di Schrodinger.

Secondo Schrodinger l’atomo nell’n -esimo stato quantico e un processo d’oscil-lazione di una quantita di stato sull’intero spazio con frequenza costante (1/h)W 0n .Un elettrone che si muova rettilineamente e in particolare un siffatto processod’oscillazione, che corrisponde ad un’onda piana. Se i due vengono in interazionesi stabilisce un’oscillazione complicata. Ma si vede subito che questa puo esseredeterminata mediante il suo comportamento asintotico all’infinito. Non si ha pro-prio nient’altro che un “problema di diffrazione”, nel quale un’onda piana incidentesu un atomo viene diffratta o diffusa; al posto delle condizioni al contorno, che siutilizzano in ottica per la descrizione dello schermo, si ha qui l’energia potenzialedell’interazione di atomo ed elettrone.

Il problema e quindi: si deve risolvere l’equazione d’onda di Schrodinger per

la combinazione atomo-elettrone con la condizione al contorno che la soluzionein una determinata direzione dello spazio dell’elettrone vada asintoticamente inun’onda piana nella direzione di propagazione di questo (l’elettrone in arrivo).Della soluzione cosı definita ci interessa di nuovo essenzialmente il comportamentodell’onda “diffusa” all’infinito; infatti questa descrive il comportamento del sistemadopo l’urto. Esprimiamo questo un po’ piu precisamente. Siano ψ0

1(qk), ψ02(qk), . . .

le autofunzioni dell’atomo imperturbato (assumiamo che si abbia solo una seriediscreta); all’elettrone che si muove imperturbato (in linea retta) corrispondono leautofunzioni sin [(2π/λ)(αx + βy + γz + δ)], che formano una molteplicita continuadi onde piane, la cui lunghezza d’onda (secondo de Broglie) e collegata all’energiaτ del moto di traslazione dalla relazione τ = h2/(2µλ2). L’autofunzione dello stato

imperturbato, nel quale l’elettrone arriva dalla direzione +z, e quindi

ψ0nτ (qk, z) = ψ0

n(qk) sin(2π/λ)z.

Sia ora V (x,y ,z; qk) l’energia potenziale dell’interazione fra atomo ed elettrone.Si puo mostrare per mezzo di facili calcoli perturbativi che esiste una soluzionedeterminata univocamente dell’equazione differenziale di Schrodinger che tien contodell’interazione V , che per z → +∞ va asintoticamente nella funzione di cui sopra.

Veniamo ora a come questa funzione soluzione si comporta “dopo l’urto”.Ora il calcolo da: l’onda diffusa, provocata dalla perturbazione, ha all’infinito

asintoticamente l’espressione

ψ1nτ (x,y ,z ,qk) =m

αx+βy+γz>0

dω · Φnτm(α,β,γ )sin knτm(αx + βy + γz + δ)ψ0m(qk).

Cio significa: la perturbazione si puo intendere all’infinito come sovrapposizionedi soluzioni del processo imperturbato. Se si calcola l’energia corrispondente allalunghezza d’onda λnτm secondo la formula prima data di de Broglie, si trova

W nτm = hν 0nm + τ,

dove le ν 0nm sono frequenze dell’atomo imperturbato.

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Se si vuole interpretare questo risultato in senso corpuscolare, solo un’inter-pretazione e possibile: Φnτm(α,β,γ ) determina la probabilita3 che l’elettrone cheviene dalla direzione z venga scagliato nella direzione determinata da α,β,γ (e conuna variazione di fase δ), mentre la sua energia τ e aumentata di un quanto hν 0nm a

spese dell’energia dell’atomo (urto di primo tipo per W 0n < W 0m, hν 0nm < 0; urto disecondo tipo per W 0n > W 0m, hν 0mn < 0). La meccanica quantistica di Schrodingerda quindi alla domanda circa l’effetto di un urto una risposta del tutto definita; manon si tratta affatto di una relazione causale. Non si ottiene alcuna risposta alladomanda, “com’e lo stato dopo l’urto”, ma solo alla domanda , “quant’e probabileun prefissato effetto dell’urto” (nel quale naturalmente la legge quantomeccanicadell’energia dev’essere soddisfatta).

Sorge qui l’intera problematica del determinismo. Dal punto di vista della no-stra meccanica quantistica non vi e nessuna quantita che fissi causalmente nel casosingolo l’effetto di un urto; ma anche nell’esperienza non abbiamo finora alcunpunto d’appoggio riguardo al fatto che esistano proprieta interne dell’atomo che

determinino un certo esito dell’urto. Dobbiamo sperare di scoprire in seguito pro-prieta siffatte (per esempio, le fasi dei moti atomici interni) e di determinarle nelcaso singolo? Oppure dobbiamo credere che la concordanza di teoria ed esperienzanell’incapacita di fornire relazioni per l’evoluzione causale sia un’armonia presta-bilita che si fonda sull’inesistenza di siffatte relazioni? Da parte mia inclino a ri-nunciare al determinismo nel mondo atomico. Ma questa e una questione filosofica,per la quale gli argomenti fisici non sono i soli determinanti.

In pratica in ogni caso sia per il fisico sperimentale che per il teorico sussistel’indeterminismo. La “funzione di risposta” Φ assai studiata dagli sperimentali eora determinabile rigorosamente anche per via teorica. La si puo trovare a par-tire dall’energia potenziale dell’interazione V (x,y ,z ,qk); tuttavia i procedimenti

di calcolo a cio necessari sono troppo complicati per comunicarli in questo luogo.Spieghero solo il significato della funzione Φnτm con qualche parola. Se per esempiol’atomo prima dell’urto e nello stato normale n = 1, risulta da

τ + hν 01m = τ − hν 0m1 = W 1τm > 0,

che per un elettrone con energia minore del gradino d’eccitazione piu piccolo del-l’atomo dev’essere necessariamente anche m = 1, quindi W 1τ1 = τ ; ne risulta percio“riflessione elastica” dell’elettrone con la funzione di risposta Φ1τ1. Se τ supera ilprimo gradino d’eccitazione, oltre alla riflessione si ha anche eccitazione con larisposta Φ1τ2 e cosı via. Se l’atomo considerato e nello stato eccitato n = 2 e seτ < hν 021, si ha riflessione con la risposta Φ2τ2 e urto di secondo tipo con la risposta

Φ2τ1. Se τ > hν 0

21, compare la relativa ulteriore eccitazione e cosı via.Le formule riproducono quindi perfettamente il comportamento qualitativo negli

urti. All’esame quantitativo esauriente delle formule per casi speciali dev’essereriservato uno studio particolareggiato.

Non mi pare escluso che lo stretto accoppiamento di meccanica e statistica, comequi si presenta, richiedera una revisione dei concetti fondamentali termodinamico-statistici.

Credo inoltre che anche il problema dell’assorbimento e dell’emissione di lucedovra essere trattato in modo del tutto analogo come “problema di valori al con-

3Nota alla correzione: un ragionamento piu preciso mostra che la probabilita e proporzionaleal quadrato della quantita Φnτm.

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torno” dell’equazione d’onda e portera ad una teoria razionale dell’assorbimento edella larghezza di riga in accordo con la concezione dei quanti di luce.

Un’esposizione dettagliata apparira prossimamente in questo giornale.

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1 2 Meccanica quantistica dei processi d’urto .

Max Born a Gottinga.

(ricevuto il 21 luglio 1926)

La forma di Schrödinger della meccanica quantistica permette di

definire in modo naturale la frequenza di uno stato per mezzo del-

l’intensità dell’oscillazione propria associata. Quest’idea porta

ad una teoria dei processi d’urto nella quale le probabilità di

transizione sono determinate dal comportamento asintotico di

soluzioni aperiodiche.

Introduzione. I processi d’urto hanno non solo prodotto le

dimostrazioni sperimentali più convincenti per le ipotesi fonda-

mentali della teoria dei quanti, ma paiono anche adatti a far luce

sul significato fisico delle leggi formali della cosidetta

"meccanica quantistica". Queste producono, a quanto pare, sempre i

giusti valori dei termini degli stati stazionari e le giuste

ampiezze delle oscillazioni irraggiate nelle transizioni, ma

sull’interpretazione fisica delle formule le opinioni sono divise.

3La forma matriciale della meccanica quantistica fondata da

Heisenberg, e da lui sviluppata assieme a Jordan ed all’autore di

questa comunicazione, parte dall’idea che una rappresentazione

esatta dei processi nello spazio e nel tempo sia in generale

impossibile, e quindi ci si accontenta di stabilire relazioni tra

quantità osservabili, che solo nel caso limite classico possono

4essere interpretate come proprietà del moto. Schrödinger d’altro

canto sembra attribuire alle onde, che egli secondo il proce-

1Zeitschr. f. Phys. 38, 803 (1926).

2Su ciò una comunicazione provvisoria, ZS. f. Phys. 37, 863, 1926.

3W. Heisenberg, ZS. f. Phys. 33, 879, 1925; M. Born e P. Jordan,

ibidem 34, 858, 1925; M. Born, W. Heisenberg e P. Jordan, ibidem

35, 557, 1926. Vedi anche P.A.M. Dirac, Proc. Roy. Soc. 109, 642,

1925; 110, 561, 1926.

4E. Schrödinger, Ann. d. Phys. 79, 361, 489, 734, 1926. Vedasi in

particolare la seconda comunicazione, pag. 499. Inoltre Naturw.

14, 664, 1926.

1

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dimento di de Broglie vede come il veicolo dei processi atomici,

una realtà dello stesso tipo di quella posseduta dalle onde

luminose; egli cerca di "costruire gruppi d’onde che" abbiano "in

ogni direzione dimensioni relativamente piccole" e che evidente-

mente devono rappresentare in modo diretto il corpuscolo in moto.

Nessuna di queste due interpretazioni mi sembra soddisfa-

cente. Cercherò qui di dare una terza interpretazione e di

dimostrare la sua utilità nel caso dei processi d’urto. Associo ad

essa un’osservazione di Einstein sul comportamento del campo

d’onda e dei quanti di luce; egli diceva press’a poco che le onde

ci sono solo per mostrare la via ai quanti di luce corpuscolari, e

parlava in questo senso di un "campo fantasma". Questo determina

la probabilità che un quanto di luce, il trasportatore di energia

ed impulso, prenda un dato cammino; ma al campo di per sè non

appartengono nè energia nè impulso.

Per porre queste idee direttamente in relazione con la

meccanica quantistica si farebbe assai meglio ad aspettare finchè

non sia compiuto l’inserimento del campo elettromagnetico nel

formalismo. Ma per la completa analogia che esiste tra quanto di

luce ed elettrone si penserà di formulare le leggi del moto

dell’elettrone in modo analogo. E risulta qui ovvio considerare le

onde di de Broglie-Schrödinger come il "campo fantasma" o meglio

"campo guida".

Tentativamente seguirò quindi l’idea: il campo guida, rappre-

sentato da una funzione scalare¡

delle coordinate di tutte le

particelle che intervengono e del tempo, si propaga secondo

l’equazione differenziale di Schrödinger. Ma impulso ed energia

saranno trasmessi come quando dei corpuscoli (elettroni) realmente

volano in giro. I cammini di questi corpuscoli sono determinati

solo quanto li restringe la legge dell’energia e dell’impulso; per

il resto per quanto concerne l’imboccare un certo cammino, sarà

data solo una probabilità mediante l’assegnazione dei valori della

funzione¡

. Ciò si potrebbe, un po’ paradossalmente, riassumere

all’incirca così: il moto delle particelle segue leggi probabi-

listiche, ma la probabilità stessa si propaga in accordo con la

2

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5legge causale .

Se si considerano i tre gradi dello sviluppo della teoria dei

quanti si vede che il più basso, quello dei processi periodici, è

del tutto inadatto a dimostrare l’utilità di un’idea siffatta.

Qualcosa di più offre il secondo grado, quello dei processi

aperiodici stazionari; ci occuperemo di questi nel presente

lavoro. Ma realmente decisivo può essere solo il terzo grado,

quello dei processi non stazionari; in questo caso si deve

dimostrare se l’interferenza di "onde di probabilità" smorzate è

sufficiente a spiegare quei fenomeni che con evidenza indicano un

accoppiamento non spazio-temporale.

Una precisazione del concetto è possibile solo in base allo

6sviluppo matematico ; perciò ci dedichiamo subito ad esso, per

tornare solo in seguito all’ipotesi stessa.

§ 9. Osservazioni conclusive. In base alla trattazione

presente posso esprimere l’opinione che la meccanica quantistica

consente di formulare e di risolvere non solo il problema degli

stati stazionari, ma anche quello dei processi di transizione.

L’interpretazione di Schrödinger sembra in proposito dar conto

dello stato dei fatti nel modo di gran lunga più facile; inoltre

consente di mantenere i concetti consueti di spazio e tempo, nei

quali gli eventi si svolgono in modo del tutto normale. Invece la

teoria proposta non si conforma all’idea della determinatezza

causale dell’evento singolo. Nella mia comunicazione provvisoria

ho sottolineato in modo particolare questo indeterminismo, poichè

esso mi pare nel miglior accordo con la prassi dello sperimen-

5Ciò vuol dire che la conoscenza dello stato in tutti i punti ad

un istante determina l’assegnazione dello stato a tutti i tempi

successivi.

6Nell’esecuzione matematica di questo lavoro mi ha nel modo più

amichevole aiutato il Prof. N. Wiener di Cambridge; vorrei qui

esprimergli il mio grazie in proposito, e riconoscere che senza di

lui non sarei giunto allo scopo.

3

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tatore. Ma naturalmente non è vietato, a chiunque non si lasci

così accontentare, assumere che esistano dei parametri ulteriori,

non ancora introdotti nella teoria, che determinano l’evento

singolo. Nella meccanica classica essi sono le "fasi" del moto,

cioè le coordinate delle particelle in un determinato istante. Mi

pare per il momento improbabile che si possano introdurre in modo

naturale nella nuova teoria quantità che corrispondano a queste

fasi; ma Frenkel mi ha comunicato che forse invece questo succede.

Comunque sia, questa possibilità non cambierebbe nulla riguardo

all’indeterminismo pratico dei processi d’urto, perchè non si

sanno dare proprio i valori delle fasi; essa del resto deve

portare alle stesse formule della teoria "senza fasi" qui

proposta.

Tendo a credere che le leggi del moto dei quanti di luce si

7potranno trattare in modo del tutto analogo . Soltanto non si ha

allora nel problema fondamentale dell’emissione spontanea alcun

processo periodico, quindi nessun problema con valori al contorno,

ma un problema ai valori iniziali per le equazioni d’onda

accoppiate della quantità¡

di Schrödinger e del campo elettro-

magnetico. Cercare le leggi di questo accoppiamento è certo uno

dei problemi più urgenti; per quanto so, si lavora ad esso in più

8posti . Quando queste leggi saranno formulate sarà forse possibile

proporre una teoria razionale del tempo di vita degli stati, della

probabilità di transizione nei processi radiativi, del decadimento

e della larghezza di riga.

7Le difficoltà che finora si sono trovate nell’introduzione del

"campo fantasma" nell’ottica mi sembrano originare in parte

dall’ipotesi implicitamente fatta che il centro dell’onda e la

particella emittente debbano essere nello stesso posto. Ma questo

certamente non accade già nell’effetto Compton e in generale non

accadrà mai.

8Vedasi per esempio la dissertazione apparsa or ora di O. Klein,

ZS. f. Phys. 37, 895, 1926.

4

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Legge di Planck e ipotesi dei quanti di luce1

Bose (Universita di Dacca, India)

(pervenuto il 2 luglio 1924)

Lo spazio delle fasi di un quanto di luce relativo ad un certo volume viene divisoin “celle” della dimensione h3. Il numero delle possibili ripartizioni su queste celledei quanti di luce di una radiazione definita macroscopicamente d a l’entropia equindi tutte le proprieta termodinamiche della radiazione.

La formula di Planck per la ripartizione dell’energia nella radiazione del corponero costituisce il punto di partenza per la teoria dei quanti, che e stata sviluppatanegli ultimi 20 anni e che ha portato ricchi frutti in tutti i campi della fisica. Dallapubblicazione nell’anno 1901 sono stati presentati molti modi di derivazione diquesta legge. Si e riconosciuto che le ipotesi fondamentali della teoria dei quanti

sono incompatibili con le leggi dell’elettrodinamica classica. Tutte le derivazioniprecedenti fanno uso della relazione

ρνdν =8πν 2dν

c3E,

cioe della relazione tra la densita di radiazione e l’energia media di un oscilla-tore, e fanno assunzioni sul numero dei gradi di liberta dell’etere, che intervienenell’equazione precedente (primo fattore del secondo membro). Questo fattore puotuttavia essere desunto solo dalla teoria classica. Questo e il punto insoddisfacentein tutte le derivazioni, e non c’e da stupirsi che vengano compiuti sempre nuovitentativi di dare una derivazione che sia esente da questo difetto logico.

Una derivazione notevolmente elegante e stata data da Einstein. Questi hariconosciuto il difetto logico di tutte le derivazioni fatte finora ed ha cercato didedurre la formula indipendentemente dalla teoria classica. Partendo da assunzioniassai semplici sullo scambio d’energia tra molecole e campo di radiazione, egli trovala relazione

ρν =αmn

eεm−εnkT − 1

.

Tuttavia, per portare questa formula in accordo con quella di Planck egli deve faruso della legge dello spostamento di Wien e del principio di corrispondenza di Bohr.La legge di Wien e fondata sulla teoria classica, ed il principio di corrispondenzaassume che la teoria dei quanti coincida con la teoria classica in certi casi limite.

In tutti i casi le derivazioni non mi paiono abbastanza corrette dal punto di

vista logico. Mi pare invece che l’ipotesi dei quanti di luce assieme alla meccanicastatistica (come e stata adattata da Planck ai bisogni della teoria dei quanti) sianosufficienti per la derivazione della legge indipendentemente dalla teoria classica.Delineero in breve il metodo in quanto segue.

La radiazione sia racchiusa nel volume V e sia data la sua energia totale E . Sianodati diversi tipi di quanti di numero rispettivamente N s e d’energia hν s (s da 0 a∞). L’energia totale E e quindi

(1) E =s

N shν s = V

ρνdν.

1Plancks Gesetz und Lichtquantenhypothese, Zeitschr. f. Phys. 26, 178-181 (1924).

1

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2

La soluzione del problema richiede quindi la determinazione degli N s che determi-nano ρν . Se noi possiamo dare la probabilita per ogni ripartizione caratterizzatada N s arbitrari, la soluzione e determinata dalla condizione che questa probabilitadebba essere massima mantenendo verificata la condizione aggiuntiva (1). Cerche-

remo ora questa probabilita.Il quanto ha un momento dell’ammontare hν/c nella direzione della sua propa-

gazione. Lo stato istantaneo del quanto sara caratterizzato dalle sue coordinatex, y, z e dai corrispondenti momenti px, py, pz; queste sei quantita possono essereinterpretate come coordinate di un punto in uno spazio esadimensionale, per il qualeabbiamo la relazione

p2x

+ p2y

+ p2z

=

c

2

,

secondo la quale il punto suddetto e costretto a restare su una superficie cilindricadeterminata dalla frequenza del quanto. All’intervallo di frequenza dν s appartienein questo senso il volume di spazio delle fasi

dxdydzdpxdpydpz = V · 4π

c

2hdν

c= 4π

h3ν 2

c3V dν.

Se noi suddividiamo l’intero volume dello spazio delle fasi in celle di volume h3,all’intervallo di frequenza dν appartengono 4πV

ν 2/c3

dν celle. Riguardo al modo

di questa suddivisione non si puo dire niente di preciso. Tuttavia il numero totaledelle celle dev’esser visto come il numero delle possibili configurazioni di un quantonel volume dato. Per tener conto del fatto della polarizzazione appare offrirsi lamoltiplicazione di questo numero per 2, di modo che per il numero delle celle ap-partenenti a dν otteniamo 8πV ν 2dν/c3.

`E facile ora calcolare la probabilita termodinamica di uno stato (definito macro-scopicamente). Sia N s il numero dei quanti che appartengono all’intervallo di fre-

quenza dν s. In quanti modi possono essere distribuiti tra le celle che appartengonoa dν s? Sia ps

0il numero delle celle vuote, ps

1il numero di quelle che contengono

un quanto, ps2

il numero delle celle che contengono due quanti, eccetera. Il numerodelle possibili ripartizioni e allora

As!

ps0

! ps1

! . . ., dove As =

8πν 2dν s

c3,

e doveN s = 0 · ps

0+ 1 · ps

1+ 2 · ps

2. . .

e il numero dei quanti che appartengono a dν s. La probabilita dello stato definitoda tutti i ps

re evidentemente

Πs

As!

ps0

! ps1

! . . ..

Tenendo conto del fatto che possiamo trattare i psr

come numeri grandi, abbiamo

lg W =s

As lg As−

s

r

psr

lg psr

,

doveAs =

r psr

.

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3

Quest’espressione dev’essere un massimo sotto la condizione aggiuntiva

E =s

N shν s; N s =r

rpsr

.

L’esecuzione della variazione produce le condizionis

r

δpsr

(1 + lg psr

) = 0,s

δN shν s = 0,

r

δpsr

= 0, δN s =r

rδpsr

.

Da qui segue s

r

δpsr

(1 + lg psr

+ λs) +1

β

s

hν sr

rδpsr

= 0.

Pertanto si ottiene immediatamente

psr = Bse−rhνs

β .

Poiche

As =r

Bse−rhνs

β = Bs

1 − e−

hνs

β

−1

,

risultaBs = As

1 − e−

hνs

β

.

Si ha inoltreN s =

r

rpsr

=r

rAs

1− e−

hνs

β

e−

rhνs

β

= A

s

e

hνs

β

1− e−hνs

β.

Tenendo conto del valore su trovato di As e quindi

E =s

8πhν s3

dν s

c3V

e−hνs

β

1 − e−hνs

β

.

Utilizzando il risultato precedente si trova inoltre

S = k

E

β −

s

As lg

1 − ehνs

β

,

dalla quale, tenendo conto che ∂S/∂E = 1/T , segue che β = kT . Se si sostituiscequesto nell’equazione precedente per E si ottiene

E =s

8πhν s3

c3V

1

ehνs

kT − 1dν s,

equazione equivalente alla formula di Planck.

(tradotto da A. Einstein.)

Nota del traduttore. Secondo la mia opinione la derivazione di Bose della formula di Planck

significa un progresso importante. Il metodo qui utilizzato produce anche la teoria quantistica dei

gas ideali, come esporro altrove.

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Alcune domande esplorative riguardanti la meccanica quantistica1

P. Ehrenfest a Leida (Olanda)

(ricevuto il 16 agosto 1932)

Alcune questioni e osservazioni a proposito di: A. L’unita immaginaria nell’equazione di Schro-

dinger e la teoria delle trasformazioni:- B. L’analogia difettosa tra fotone ed elettrone.- C . Il

rendere piu accessibile il calcolo spinoriale.

Sia consentito raccogliere nel seguito alcune domande, che si devono essere im-poste a quasi tutti i docenti che abbiano da presentare introduttivamente la mecca-nica quantistica ad un uditorio interessato e disposto alla critica. Queste domande,in particolare quelle della presente esposizione, possono ben essere accantonate come“prive di senso”, se si vuol stare comodi. La buona educazione addirittura lo esige.Allora qualcuno dovra pur attirarsi l’antipatia, e porle tuttavia. Con la ferma fidu-

cia che sempre si trovi un qualche ricercatore che possiede l’arte di rispondere inmodo sensato, e cioe in modo chiaro e semplice, alle domande “prive di senso”.

A. L’unita immaginaria nell’equazione di Schr¨ odinger e le relazioni di commu-

tazione di Heisenberg-Born. Vi e un complesso di scoperte grande e chiaramentecomprensibile che porta a rappresentare il campo elettromagnetico mediante due

vettori reali E , H o, se si vuole, mediante un vettore complesso M = H + iE , cheallora soddisfa alle equazioni differenziali non reali:

(1)1

ic

∂M

∂t= rotM,

(2) div M = iρ.

In analogia con cio si potrebbe ben, cioe in qualche modo assiomaticamente chiaro,comprendere perche le onde di de Broglie -Schrodinger richiedano almeno due scalari

reali o la conveniente riunione di questi in uno scalare complesso ψ. L’ulteriore

sdoppiamento per la trattazione secondo la meccanica ondulatoria dello spin Paulil’ha fondato in modo completamente chiaro.

Osservazioni. 1. I primi lavori di de Broglie e di Schrodinger fanno supporreassai chiaramente la descrivibilita mediante uno scalare reale2. Quando in modo deltutto incidentale “per comodita” si introduce un fattore temporale complesso pertrattare un’onda sinusoidale, si rileva espressamente che alla conclusione dei calcolisi deve prendere la parte reale3. In seguito cio non e naturalmente piu possibile,poiche il primo membro dell’equazione di Schrodinger ha ricevuto definitivamente il

suo coefficiente immaginario4. La ricerca di come diversi autori abbiano in seguitotrattato questo punto in varie esposizioni sotto forma di manuale non porta alcunaiuto5.

1Einige die Quantenmechanik betreffende Erkundigungsfragen, Zeitschr. f. Phys. 78, 555-559(1932).

2L. de Broglie, Wellenmechanik, pp. 64, 65, Leipzig 1929; E. Schrodinger, Abhandlungen zurWellenmechanik, p. 25, Leipzig, Barth, 1927.

3E. Schrodinger, l.c. p.57, nota 1.4E. Schrodinger, l.c. pp.141, 142 e 169.5Per esempio A. Sommerfeld, Wellenmechanischer Erganzungsband pp. 8 e 46; H. Weyl, p.

44, J. Frenkel, p. 60. - Lo stesso Pauli (Muller- Pouillet, Vol. II, pp. 1820, 1821) pare qui chevoglia evitare di “svegliare il can che dorme”!

1

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2

2. Riguardo al ruolo dell’unita immaginaria nelle relazioni di commutazione enell’intera teoria delle trasformazioni, sarei lieto di comprendere chiaramente inche modo gia nella vecchia formulazione di Bohr del principio di corrispondenza ilpassaggio da serie di Fourier reali a serie esponenziali complesse significhi di piu di

una pura semplificazione della notazione.

B. Limiti dell’analogia tra fotoni ed elettroni. Nel caso di onde luminose ri-gorosamente monocromatiche il campo E , H fornisce per le diverse posizioni diun campo d’interferenza direttamente le probabilita relative per la presenza di unfotone, quindi il “numero” dei fotoni si distingue dall’energia da essi trasportatasolo per il fattore da fissarsi hν . Ma quando si considera un campo di radiazionenon monocromatico, questa corrispondenza chiara tra i valori locali di E ed H ela probabilita locale per la presenza di un fotone va perduta. Diventa necessariosviluppare prima un’analisi di Fourier del campo E , H , ossia un’operazione di inte-grazione essenzialmente non locale. Questo e un esempio di un difetto dell’analogiainaccettabile, ma tuttavia ancora modesto:

Per una particella materiale i valori della ψ che soddisfano le equazioni differen-ziali determinano direttamente la densita di probabilita locale per la presenza dellaparticella. Di contro cio non avviene riguardo al fotone per il campo H + iE chesoddisfa alle equazioni di Maxwell.

Il difetto dell’analogia e tuttavia, s’intende, ben piu profondo: le equazionidi Maxwell classiche rappresentano una genuina teoria di campo su un continuotetradimensionale x, y, z, t. Nella concezione originale di de Broglie anche le “ondemateriali” paiono volersi ordinare in una teoria di campo tetradimensionale, perla quale inoltre anche i semplici tipi di esperimenti di interferenza possono valerecome chiara conferma. La fiducia nella possibilita di una tale teoria di campo cie tuttavia (provvisoriamente?!) sottratta, poiche Schrodinger per l’interazione tra

n elettroni deve ricorrere all’aiuto di una funzione ψ definita su uno “spazio delleconfigurazioni” a 3n dimensioni, e finora tutti i tentativi di ritornare in qualchemodo al continuo tetradimensionale sono naufragati6. Si pone quindi la domanda:come si dovra trattare “l’analogia tra fotone ed elettrone” nell’introduzione allameccanica quantistica, poiche nello stato attuale della meccanica quantistica nonci si puo permettere affatto il lusso di ignorare semplicemente questo paragone cosıenormemente vantaggioso dal punto di vista euristico?

Osservazioni . 1. L’operatore lineare√

∆ derivato dall’operatore di Laplace ∆,che Landau e Peierls7 hanno introdotto come strumento per la loro trattazione delfotone, non e naturalmente un operatore differenziale, ma un operatore integrale,

6

Ci si abitua a dimenticare il profondo conflitto che qui appare con uno dei nostri piu fonda-mentali convincimenti fisici, cioe con la convinzione che la macchina del mondo produce un giocod’assieme diretto, primario, soltanto tra quelle quantita di stato che corrispondono a punti txyz

infinitamente vicini. L’ equazione differenziale di Schrodinger per due elettroni richiede di controun gioco d’assieme dei valori di ψ in una regione infinitesima del continuo t x1 y1 z1 x2 y2 z2,nella quale

(x2 − x1)2 + (y2 − y1)2 + (z2 − z1)2

puo ben essere lungo molti chilometri. Dobbiamo sempre ricordarci daccapo che la teoria delle ondedi Schrodinger e una teoria dell’azione a distanza camuffata , che la nostalgia ci fa prendere peruna teoria dell’azione per prossimita multidimensionale. Certi esperimenti concettuali, escogitatida Einstein ma mai pubblicati, sono a questo proposito assai opportuni.

7L. Landau e H. Peierls, Zeitschr. f. Phys. 62, 188 (1930).

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3

quindi essenzialmente non locale8. Pertanto, quando questi autori confrontano leψ, ψ∗ di Schrodinger non piu con H + iE , H − iE , ma con le loro F , F ∗, si fa benea tener scrupolosamente presente che la quantita di Schrodinger soddisfa la suaequazione differenziale, mentre la F di Landau-Peierls soddisfa invece l’equazione

integrale (seducentemente elegante!):

(3)1

cF = −

√∆F.

Ed ora l’ammissione spontanea di Peierls-Landau: “Non si puo tuttavia definireF ∗(1/

√∆)F come densita di probabilita, poiche questa quantita non e definita

positiva”. Come se non ci fosse nient’altro da dire! Se capisco correttamente,ulteriori lavori connessi con questo non hanno prodotto mutamenti riguardo allaquestione qui accennata9.

2. Si dovrebbe poter capire chiaramente che cosa significa che si possa misurare

ψψ∗

e non la ψ stessa, mentre per il campo elettromagnetico oltre ad 1/2(E 2

+H 2

)si possono misurare anche E ed H stessi. Si tratta qui di una asimmetria checi si deve aspettare permanga anche qualora si potesse rappresentare l’interazionereciproca tra “materia” e “campo elettromagnetico” nella teoria meglio di ora?

3. Tutte le virtuosistiche dissertazioni sull’analogia tra le equazioni di Maxwellda un lato e in particolare l’equazione di Dirac dall’altro non hanno, se vedo giusto,prodotto assolutamente niente.

C. Piu comoda accessibilita del “calcolo spinoriale”. La ricca scorta di analogietra vettori e campi vettoriali chiaramente assai diversi ha a piu riprese molto aiu-tato lo sviluppo della meccanica e della fisica. La relativamente assai piu ristrettascorta di analogie nel caso dei tensori di ordine due o pi u alto ha significato neglianni tra il 1900 e il 1905 un grande impedimento alla riflessione fisica. Lo si ravvisanettamente con un esame dell’articolo di Abraham nell’Enciclopedia della mate-matica IV, 14, 1900! Perfino nella celebre trattazione di Minkowski della teoriadella relativita speciale (1908) l’indicazione del campo tensoriale antisimmetricodel second’ordine come “vettore spazio-temporale del secondo tipo” lascia un po’a desiderare. Solo per primo il “Manuale di fisica dei cristalli” (1910) di Voigte in particolare l’esposizione di Einstein del calcolo tensoriale assoluto nei “Fon-damenti formali della teoria della relativita generale” (1914) segnano piu o menol’eliminazione di questo impedimento per il fisico, per quanto riguarda i tensori .

Ma adesso gli spinori ?! Il fisico che conosce l’abbozzo che van der Waerden10

ha dato11 essenzialmente in connessione con Weyl (Gruppentheorie und Quanten-mechanik) e per questo abbozzo sinceramente assai grato. Ma per ora manca pur

sempre un librettino, dal quale si possa imparare in modo facile il calcolo spinorialeassieme al calcolo tensoriale.

Osservazioni . 1. Risulta pure comico, che i fisici dopo 20 anni di teoria dellarelativita speciale e 10 anni di quella generale apprendano soltanto ora dal la-voro di Pauli sulla meccanica ondulatoria dell’elettrone con spin e dal lavoro adesso connesso di Dirac la notizia inquietante che lo spazio isotropo e l’universo di

8Vedi l.c. equazione (4).9Vedi per esempio J. Solomon, Ann. de phys. 16, 411 (1931).10Gott. Nachr. 1929, p.100.11Vedi anche B. van der Waerden, Gruppentheorische Methode in der Quantenmechanik, p.

82, Berlin, Julius Springer (1932); O. Laporte e C. Uhlenbeck, Phys. Rev. 37, 1380 (1931).

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4

Einstein-Minkowski possono essere popolati oltre che dai tensori anche dalla razzamisteriosa degli spinori. Non solo si sarebbe generato per il primo spavento tutto loschiamazzo sulla presunta “Maxwellizzabilita” delle equazioni di Dirac, ma ancheil fin troppo acuto impiego dello spin dell’elettrone come “bussola giroscopica per

il parallelismo a distanza di Einstein”, del quale per primo Fock12 ha fatto piazzapulita, estendendo con la necessaria accuratezza l’apparato di calcolo del trasportoparallelo dai tensori giustamente agli spinori.

2. Non si potrebbe degnare qualcuno, che realmente domini questa materia, diesprimere in una forma leggibile anche per noi fisici piu vecchi cio che e noto13

per il gruppo delle rotazioni reali : in corrispondenza alla topologia del gruppo,le sue rappresentazioni irriducibili doppie e le quantita spinoriali che ad esse cor-rispondono, in particolare naturalmente per il gruppo delle rotazioni reali dellospazio tetra dimensionale? (Connessione tra tensori e quasispinori in questo caso.)Un riassunto chiaro, non professorale sarebbe assai desiderabile, in particolare sevenisse data solo una traccia dei metodi di dimostrazione!

3. Non si potrebbe chiarire mediante una discussione competente fino a che puntoe giusta la congettura di Weyl (Gruppentheorie und Quantenmechanik, p. 142),che in fisica giocano un ruolo fondamentale solo quei tensori, le cui componenti sitrasformano secondo rappresentazioni irriducibili del gruppo delle rotazioni ovverodel gruppo di Lorentz? (Il tensore dell’energia e degli sforzi di un elettrone diDirac fornisce, come ho sentito da Uhlenbeck, un controesempio.) Se si accettassela congettura di Weyl, si desidererebbe che quel “librettino sul calcolo spinoriale etensoriale” vi si attenesse.

4. E possibile che, nella classificazione delle relazioni fenomenologiche lineariomogenee nei cristalli, oltre ai tensori (vedi il libro prima citato di Voigt) giochinoun ruolo anche gli spinori?

12Zeitschr. f. Phys. 57, 261 (1929).13vedi H. Weyl, Math. Z. 23, 270 (1925); 24, 328, 377, 789 (1926).

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La teoria quantistica della radiazione1

A. Einstein2

L’analogia formale della curva della distribuzione cromatica della radiazione ter-mica con la legge di distribuzione delle velocita di Maxwell e troppo evidente, perchepotesse restare a lungo nascosta. Infatti gia W. Wien nell’importante lavoro teorico,nel quale egli derivava la sua legge dello spostamento

(1) ρ = ν 3f ν

T

,

e stato portato da questa analogia ad una determinazione ulteriore della formuladella radiazione. E noto che egli ha trovato la formula

(2) ρ = αν 3 exp− hν

kT ,

che anche oggi si riconosce giusta come legge limite per grandi valori di ν/T (formuladella radiazione di Wien). Oggi sappiamo che nessuna trattazione che sia costruitacon la meccanica e con l’elettrodinamica classiche puo produrre una formula dellaradiazione valida, ma che la teoria classica porta necessariamente alla formula diRayleigh

(3) ρ =kα

hν 2T.

Siccome poi Planck nella sua ricerca fondamentale ha basato la sua formula della

radiazione

(4) ρ = αν 31

exphν

kT

− 1

sull’ipotesi di elementi d’energia discreti, dalla quale la teoria dei quanti si e svilup-pata in rapida successione, quella considerazione di Wien, che aveva portato all’e-quazione (2), e naturalmente ritornata nell’oblio. Ho trovato da poco una deri-vazione della formula della radiazione di Planck che utilizza l’originaria trattazionedi Wien3 e che si basa sull’ipotesi fondamentale della teoria dei quanti, nella qualeci si avvale della relazione tra la curva di Maxwell e la curva di distribuzione cro-matica. Questa derivazione merita attenzione non solo per la sua semplicita, ma in

particolare perche sembra portare una qualche chiarezza sul processo per noi cosıoscuro dell’emissione e dell’assorbimento della radiazione da parte della materia.Basandomi su alcune ipotesi, naturali dal punto di vista della teoria dei quanti,sull’emissione e sull’assorbimento di radiazione da parte delle molecole, mostro chemolecole con una distribuzione di stati all’equilibrio termico secondo la teoria deiquanti stanno in equilibrio dinamico con la radiazione di Planck; si ottiene per

1Zur Quantentheorie der Strahlung, Physik. Zeitschr. 18, 121-128 (1917).2Stampato per la prima volta nelle Mitteilungen der Physikalischen Gesellschaft Zurich, Nr.

18, 1916.3Verh. d. Deutschen physikal. Gesellschaft Nr. 13/14, 1916, p. 318. Nella presente ricerca

sono ripetute le considerazioni della su citata dissertazione.

1

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2

questa via la formula di Planck (4) in un modo sbalorditivamente semplice e ge-nerale. Essa risulta dalla condizione che la distribuzione tra gli stati dell’energiainterna delle molecole prescritta dalla teoria dei quanti si deve stabilire solo a causadell’assorbimento e dell’emissione di radiazione.

Se le ipotesi introdotte sull’azione reciproca di radiazione e materia toccano nelgiusto, esse non devono fornire soltanto la giusta ripartizione statistica dell’energiainterna delle molecole. Per assorbimento ed emissione di radiazione ha luogo infattianche uno scambio d’impulso con le molecole; ne consegue che per la pura inte-razione della radiazione con le molecole si stabilisce una determinata distribuzionedelle velocita di queste ultime. Essa deve evidentemente essere la stessa di quelladistribuzione delle velocita, che le molecole assumono per l’azione esclusiva degli urtireciproci, cioe deve coincidere con la distribuzione di Maxwell. Si deve richiedereche l’energia cinetica media (per grado di liberta) che una molecola assume nelcampo di radiazione di Planck di temperatura T sia uguale a kT /2; cio deve valereindipendentemente dalla natura della molecola considerata e indipendentemente

dalle frequenze da essa assorbite ed emesse. In questa dissertazione dimostreremoche questa importante condizione e effettivamente soddisfatta del tutto in generale;da cio le nostre semplici ipotesi sui processi elementari di emissione e assorbimentoricevono un nuovo sostegno.

Perche il suddetto risultato valga occorre tuttavia una certa estensione delleipotesi prima scelte a fondamento, che si riferiscono soltanto allo scambio dell’e-nergia. Si pone la domanda: la molecola subisce un urto, quando assorbe oemette l’energia ε? Trattiamo a mo’ d’esempio l’Ausstrahlung dal punto di vistadell’elettrodinamica classica. Quando un corpo irraggia l’energia ε, esso riceve unimpulso di rinculo ε/c, quando tutta la quantita di radiazione ε e irraggiata nellastessa direzione. Ma se l’irraggiamento avviene con un processo spazialmente sim-

metrico, per esempio onde sferiche, non ha luogo alcun rinculo. Questa alternativagioca un ruolo anche nella teoria quantistica della radiazione. Se una molecola pertransizione da uno stato possibile secondo la teoria dei quanti ad un altro ricevel’energia ε sotto forma di radiazione, oppure cede l’energia in forma di radiazione,un siffatto processo elementare puo esser pensato come parzialmente o totalmenteorientato in senso spaziale, oppure come simmetrico (non orientato). Ora si di-

mostra che perveniamo ad una teoria esente da contraddizioni solo se assumiamo

quei processi elementari come processi totalmente orientati ; in cio sta il risultatoprincipale della trattazione che segue.

§1. Ipotesi fondamentale della teoria dei quanti.

Distribuzione canonica degli stati.

Secondo la teoria dei quanti una molecola d’un certo tipo, a prescindere dallasua orientazione e dal moto di traslazione, puo ammettere solo una serie discretadi stati Z 1, Z 2 . . . Z n . . . , la cui energia (interna) e ε1, ε2 . . . εn . . . . Se molecole diquesto tipo appartengono ad un gas di temperatura T , la frequenza relativa W ndello stato Z n e data dalla corrispondente formula della distribuzione canonica dellameccanica statistica

(5) W n = pn exp−

εnkT

.

In questa formula k = R/N e la nota costante di Boltzmann, pn un numero, in-dipendente da T , caratteristico per la molecola e per l’n-esimo stato quantico della

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3

stessa, che puo essere indicato come il “peso” statistico di questo stato. La for-mula (5) puo essere derivata dal principio di Boltzmann oppure per via puramentetermodinamica. L’equazione (5) e l’espressione della generalizzazione piu completadella legge della distribuzione delle velocita di Maxwell.

Gli ultimi progressi nei principi della teoria dei quanti si riferiscono alla determi-nazione teorica degli stati Z n possibili secondo la teoria dei quanti, e dei loro pesi

pn. Per la presente ricerca di principio una determinazione piu precisa degli statiquantici non e necessaria.

§2. Ipotesi sullo scambio d’energia mediante radiazione.

Siano Z n e Z m, secondo la teoria dei quanti, due stati possibili della molecola digas, le cui energie εn e εm soddisfino alla diseguaglianza

εm > εn.

La molecola puo essere in grado di passare dallo stato Z n allo stato Z m conl’assorbimento dell’energia della radiazione εm−εn; parimenti e possibile una tran-sizione dallo stato Z m allo stato Z n con l’emissione di questa energia di radiazione.La radiazione in tal modo assorbita o emessa dalla molecola ha la frequenza ν caratteristica della combinazione di indici (m, n) considerata.

Riguardo alle leggi che sono competenti per questa transizione introduciamoalcune ipotesi che si ottengono trasferendo il comportamento noto secondo la teoriaclassica di un risuonatore di Planck a quello ancora sconosciuto della teoria deiquanti.

a) Ausstrahlung . Un risuonatore di Planck, che si trovi in oscillazione, secondoHertz irraggia energia indipendentemente dal fatto che sia eccitato da un campo

esterno o meno. Corrispondentemente una molecola puo passare dallo stato Z mallo stato Z n per emissione dell’energia di radiazione εm − εn di frequenza µ senzaeccitazione mediante cause esterne. La probabilita che cio avvenga veramente neltempo elementare dt e

(A) dW = An

mdt,

dove Anm indica una costante caratteristica per la combinazione di indici considerata.

La legge statistica assunta corrisponde a quella di una reazione radioattiva, ilprocesso elementare supposto a quello di una reazione di quel tipo, in cui venganoemessi solo raggi γ . Non occorre assumere che questa transizione non richieda alcuntempo; questo tempo deve solo essere trascurabile rispetto ai tempi durante i qualila molecola e negli stati Z 1 eccetera.

b) Einstrahlung . Se un risuonatore di Planck si trova in un campo di radiazione,l’energia del risuonatore cambia perche il campo elettromagnetico della radiazionetrasferisce lavoro sul risuonatore; questo lavoro puo essere positivo o negativo aseconda delle fasi del risuonatore e del campo oscillante. In corrispondenza in-troduciamo le seguenti ipotesi di teoria dei quanti. Sotto l’azione della densitadi radiazione ρ di frequenza ν una molecola puo passare dallo stato Z n allo statoZ m, mentre la molecola riceve l’energia di radiazione εm − εn, secondo la legge diprobabilita

(B) dW = Bm

n ρdt.

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4

Per azione della radiazione e parimenti possibile una transizione Z m → Z n, durantela quale viene liberata l’energia εm − εn, secondo la legge di probabilita

(B’) dW = Bn

mρdt.

Bmn e Bnm sono costanti. Chiamiamo entrambi i processi “variazioni di stato perEinstrahlung ”.

Ci si interroga ora sull’impulso che viene scambiato dalla molecola nelle variazionidi stato considerate. Se un fascio di radiazione con una certa direzione compie lavorosu un risuonatore di Planck, al fascio di radiazione sara sottratta l’energia corrispon-dente. A questa sottrazione d’energia corrisponde secondo la legge dell’impulso an-che un trasferimento d’impulso dal fascio di radiazione al risuonatore. Quest’ultimoda quindi luogo ad una forza nella direzione dei raggi del fascio di radiazione. Sel’energia trasferita e negativa anche l’azione della forza sul risuonatore e nella di-rezione opposta. Nel caso dell’ipotesi dei quanti cio significa evidentemente quantosegue. Se per Einstrahlung con un fascio di radiazione ha luogo il processo Z n → Z m

verra trasferito alla molecola l’impulso (εm − εn)/c nella direzione di propagazionedel fascio. Nel processo di Einstrahlung Z m → Z n l’impulso trasferito ha lo stessovalore, ma la direzione opposta. Nel caso che la molecola sia esposta simultanea-mente a piu fasci di radiazione, assumiamo che l’intera energia εm−εn di un processoelementare sia ricevuta o ceduta da uno di questi fasci di radiazione, in modo cheanche in questo caso sia trasferito alla molecola l’impulso (εm − εn)/c.

Nell’emissione d’energia per Ausstrahlung nel caso del risuonatore di Planck intotale non viene trasferito alcun impulso al risuonatore, poiche secondo la teoriaclassica l’Ausstrahlung ha luogo con un’onda sferica. Ma si deve notare in propositoche possiamo arrivare ad una teoria quantistica esente da contraddizioni solo seassumiamo che anche il processo di Ausstrahlung sia un processo orientato. In ogniprocesso elementare di Ausstrahlung (Z m → Z n) sara trasferito alla molecola unimpulso di valore (εm − εn)/c. Se quest’ultima e isotropa dobbiamo assumere chetutte le direzioni di Ausstrahlung siano equiprobabili. Se la molecola non e isotropaperveniamo alla stessa affermazione, quando l’orientamento in funzione del tempovenga scelto secondo la legge del caso. Un’ipotesi di questo tipo andra fatta delresto anche per le leggi statistiche (B) e (B’), perche altrimenti le costanti Bm

n e Bnm

dovrebbero dipendere dalla direzione, cosa che possiamo evitare con quest’ipotesidi isotropia o di pseudoisotropia (in seguito a media temporale) della molecola.

§3. Derivazione della legge della radiazione di Planck.

Ci chiediamo ora quale densita attiva di radiazione ρ debba essere presente perche

lo scambio di energia tra radiazione e molecole secondo le leggi statistiche (A), (B) e(B’) non disturbi la distribuzione degli stati delle molecole secondo l’equazione (5).Per questo e necessario e sufficiente che in media nell’unita di tempo avvengano tantiprocessi elementari di tipo (B) quanti di tipo (A) e (B’) insieme. Questa condizioneporta secondo le (5), (A), (B), (B’) per il processo elementare che corrisponde allacombinazione degli indici (m, n) all’equazione

pn exp−

εnkT

Bm

n ρ = pm exp−

εmkT

[Bn

mρ + An

m] .

Se inoltre ρ deve andare all’infinito con T , come assumeremo, tra le costanti Bmn

e Bnm dovra sussistere la relazione

(6) pnBm

n = pmBn

m.

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5

Otteniamo quindi come condizione dell’equilibrio dinamico l’equazione

(7) ρ =

An

m

Bnm

exp εm−εnkT − 1.

Questa e la dipendenza della densita di radiazione dalla temperatura secondo lalegge di Planck. Per la legge dello spostamento di Wien (1) ne consegue immedi-atamente che dev’essere

(8)Anm

Bnm

= αν 3

e

(9) εm − εn = hν,

dove α ed h sono costanti universali. Per determinare il valore numerico della

costante α si deve avere una teoria esatta dei processi elettrodinamici e meccanici;ci si accontenta provvisoriamente di ricorrere alla trattazione del caso limite diRayleigh delle alte temperature, per la quale la teoria classica vale nel limite.

L’equazione (9) rappresenta notoriamente la seconda regola fondamentale nellateoria di Bohr degli spettri, la quale con il completamento di Sommerfeld ed Epsteinsi puo ben ritenere faccia parte del patrimonio sicuro della nostra scienza. Come homostrato, essa contiene implicitamente anche la legge dell’equivalenza fotochimica.

§4. Metodo per il calcolo del moto delle molecole

in un campo di radiazione.

Ci rivolgiamo ora allo studio dei moti che le nostre molecole eseguono sotto

l’influenza della radiazione. Ci serviamo di un metodo che e ben noto dalla teoria delmoto browniano, e che da noi e stato piu volte utilizzato in calcoli per lo studio deimoti in un campo di radiazione. Per semplificare il calcolo applichiamo quest’ultimoesclusivamente al caso in cui i moti avvengano solo in una direzione, la direzioneX del sistema di coordinate. Ci accontentiamo inoltre di calcolare il valor mediodell’energia cinetica del moto, e quindi rinunciamo a dimostrare che queste velocitav sono distribuite secondo la legge di Maxwell. La massa M delle molecole siasufficientemente grande perche le potenze superiori di v/c siano trascurabili rispettoalle inferiori; possiamo quindi applicare alla molecola la meccanica consueta. Senzauna effettiva riduzione della generalita possiamo inoltre eseguire il calcolo come segli stati con gli indici m ed n fossero i soli che la molecola puo assumere.

L’impulso M v di una molecola sperimenta nel tempo breve τ variazioni di duespecie. Malgrado il fatto che la radiazione si comporti egualmente in tutte le di-rezioni, la molecola a causa del suo moto sperimentera una forza che deriva dallaradiazione e che agisce opponendosi al moto. Sia questa uguale ad Rv, dove R euna costante da calcolare in seguito. Questa forza porterebbe la molecola alla quie-te se l’irregolarita dell’azione della radiazione non avesse per conseguenza che neltempo τ viene trasmesso alla molecola un impulso ∆ di segno e di grandezza mute-vole; l’azione non sistematica di questo, contrariamente a quanto accennato prima,manterra un certo moto della molecola. Alla fine del tempo breve τ consideratol’impulso della molecola avra il valore

M v − Rvτ + ∆.

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Poiche la distribuzione delle velocita deve rimanere costante nel tempo, il valoreassoluto medio della quantita anzidetta deve essere uguale a quello della quantitaM v; i valori medi dei quadrati delle due quantita, estesi ad un tempo lungo o adun gran numero di molecole, devono essere tra loro uguali:

(M v − Rvτ + ∆)2 = (M v)2.

Poiche abbiamo tenuto conto separatamente nel calcolo dell’influenza sistematicadi v sull’impulso della molecola, dobbiamo considerare trascurabile il valor mediov∆. Sviluppando il primo membro dell’equazione si ottiene quindi

(10) ∆2 = 2RM v2τ.

Il valor medio v2, che la radiazione di temperatura T produce nelle nostremolecole mediante la sua interazione con esse deve essere uguale a quel valor medio

v2

che spetta alla molecola di gas alla temperatura T secondo le leggi date dallateoria cinetica dei gas. Infatti la presenza delle nostre molecole disturberebbe incaso contrario l’equilibrio termico tra la radiazione termica ed un gas dato a piaceredella stessa temperatura. Dev’esser quindi

(11)M v2

2=

kT

2.

L’equazione (10) diventa quindi

(12)∆2

τ = 2RkT.

Lo studio sara ora sviluppato come segue. Per una data radiazione (ρ(ν )), ∆2 eR saranno calcolabili con le nostre ipotesi sull’interazione tra radiazione e molecole.Sostituendo i risultati nella (12), quest’equazione dev’essere soddisfatta identica-mente, quando ρ e espressa in funzione di ν e T secondo l’equazione di Planck(4).

§5. Calcolo di R.

Una molecola del tipo considerato si muova uniformemente con la velocita v lungol’asse X del sistema di coordinate K . Chiediamo quale sia l’impulso trasmesso in

media dalla radiazione alla molecola nell’unita di tempo. Per poterlo calcolare, dob-biamo valutare la radiazione da un sistema di coordinate K che sia in quiete rispettoalla molecola considerata. Infatti le nostre ipotesi sull’emissione e sull’assorbimentole abbiamo formulate solo per molecole a riposo. La trasformazione al sistema K

e stata sviluppata piu volte in letteratura, in particolare nella Berliner Dissertationdi Mosengeil. Tuttavia ripetero qui per completezza queste semplici considerazioni.

Relativamente a K la radiazione e isotropa, cioe la radiazione associata ad uncerto angolo solido infinitesimo dκ corrispondente alla direzione della radiazione,compresa nell’intervallo di frequenza dν e per volume unitario e

(13) ρdν dκ

4π,

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dove ρ dipende solo dalla frequenza ν , non dalla direzione. Questa radiazione cosıindividuata corrisponde rispetto al sistema di coordinate K ad una radiazione chee parimenti caratterizzata mediante un intervallo di frequenza dν e mediante uncerto angolo solido dκ. La densita di volume di questa radiazione cosı individuata

e

(13’) ρ (ν , ϕ) dν dκ

4π.

ρ e cosı definito. Esso dipende dalla direzione, la quale e definita in modoconsueto mediante l’angolo ϕ con l’asse X e mediante l’angolo ψ tra la proiezionesul piano Y − Z e l’asse Y . Questi angoli corrispondono agli angoli ϕ e ψ che inmodo analogo fissano la direzione di dκ rispetto a K .

E chiaro che tra la (13) e la (13’) deve valere la stessa legge di trasformazione che

vale per i quadrati delle ampiezze A2 e A2 di un’onda piana della corrispondentedirezione. Pertanto con l’approssimazione richiesta si ha

(14)ρ (ν , ϕ) dν dκ

ρ (ν ) dνdκ= 1 − 2

v

ccos ϕ

ovvero

(14’) ρ (ν , ϕ) = ρ (ν )dν

dν dκ

1 − 2

v

ccos ϕ

.

La teoria della relativita da inoltre le formule, valide all’approssimazione richiesta

(15) ν = ν

1 −v

ccos ϕ

(16) cos ϕ = cos ϕ −v

c+

v

ccos2 ϕ

(17) ψ = ψ.

Dalla (15) segue con l’approssimazione corrispondente,

ν = ν

1 +v

ccos ϕ

.

Quindi, ancora con l’approssimazione richiesta, risulta

ρ (ν ) = ρ

ν +v

cν cos ϕ

ovvero

(18) ρ (ν ) = ρ (ν ) +∂ρ

∂ν (ν ) ·

v

cν cos ϕ.

Inoltre secondo le (15), (16) e (17) e

dν = 1 +

v

ccos ϕ

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dκ=

sin ϕdϕdψ

sin ϕdϕdψ=

d (cos ϕ)

d (cos ϕ)= 1 − 2

v

ccos ϕ.

In seguito a queste due relazioni e alla (18) la (14’) diventa

(19) ρ (ν , ϕ) =

(ρ)

ν+

v

cν cos ϕ

∂ρ

∂ν

ν

1 − 3

v

ccos ϕ

.

Per mezzo della (19) e delle nostre ipotesi sull’Ausstrahlung e sull’Einstrahlung

delle molecole possiamo facilmente calcolare l’impulso trasmesso in media allamolecola nell’unita di tempo. Prima di far questo dobbiamo tuttavia dire qualcosaa giustificazione della via intrapresa. Si puo obiettare che le equazioni (14), (15),(16) sono fondate sulla teoria di Maxwell del campo elettromagnetico, non com-patibile con la teoria dei quanti. Quest’obiezione riguarda tuttavia piu la formache la sostanza della questione. Infatti comunque si configuri la teoria dei processielettromagnetici dovranno in ogni caso rimanere validi il principio di Doppler e la

legge dell’aberrazione, quindi anche le equazioni (15) e (16). Inoltre la validita dellarelazione sull’energia (14) va sicuramente al di la della teoria ondulatoria; secondola teoria della relativita questa legge di trasformazione vale per esempio anche perla densita d’energia di una massa, con densita a riposo infinitamente piccola, chesi muova con velocita quasi pari a quella della luce. L’equazione (19) puo quindipretendere validita per ogni teoria della radiazione. -

Per la (B) la radiazione che corrisponde all’angolo solido dκ sara per secondo

Bm

n ρ (ν , ϕ)dκ

4π.

Processi elementari di Einstrahlung del tipo Z n → Z m danno luogo al fatto che la

molecola dopo ognuno di tali processi ritorni immediatamente nello stato Z n. Main realta il tempo di permanenza in un secondo nello stato Z n per la (5) e uguale a

1

S pn exp

εnkT

,

dove si e posto per brevita

(20) S = pn exp−

εnkT

+ pm exp

εmkT

.

Il numero di questi processi al secondo risulta quindi in realta

1

S pn exp−

εnkT

Bm

n ρ

, ϕ

)dκ

4π .

Per ognuno di questi processi elementari sara comunicato all’atomo nella direzionepositiva dell’asse X l’impulso

εm − εnc

cos ϕ.

In modo analogo troviamo, fondandoci sulla (B), che il corrispondente numero diprocessi elementari di Einstrahlung del tipo Z m → Z n e per secondo

1

S pm exp

εmkT

Bn

mρ (ν , ϕ)dκ

4π,

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e per ogni siffatto processo elementare sara comunicato alla molecola l’impulso

−εm − εn

ccos ϕ.

L’impulso complessivamente comunicato per unita di tempo alla molecola per Ein-strahlung e quindi, tenendo conto delle (6) e (9)

cS pnBm

n

exp

εnkT

− exp

εmkT

ρ (ν , ϕ)cos ϕ

4π,

dove l’integrazione va estesa su tutti gli angoli solidi elementari. Con l’esecuzionedi quest’ultima si ottiene per la (19) il valore

−hν

c2S

ρ −

1

∂ρ

∂ν

pnBm

n

exp

εnkT

− exp

εmkT

· v.

La frequenza effettiva e indicata di nuovo con ν (al posto di ν

).Ma questa espressione rappresenta l’impulso complessivo ceduto in media nell’u-

nita di tempo alla molecola che si muova con velocita v. E chiaro poi che i processielementari di Ausstrahlung che hanno luogo senza l’intervento della radiazione, con-siderati dal sistema K , non possiedono una direzione privilegiata, e che quindi inmedia non possono trasmettere alla molecola nessun impulso. Otteniamo quindicome risultato finale della nostra trattazione:

(21) R =hν

c2S

ρ −

1

∂ρ

∂ν

pnBm

n exp−

εnkT

1 − exp

kT

.

§6. Calcolo di ∆2

.

E molto piu facile calcolare l’effetto dell’irregolarita dei processi elementari sulcomportamento meccanico delle molecole. Infatti si puo utilizzare per questo calcolouna molecola a riposo con il grado di approssimazione che sin dall’inizio abbiamotenuto per sufficiente.

Immaginiamo che accada un qualche evento, che trasmetta ad una molecola unimpulso λ nella direzione X . Questo impulso e in casi diversi di segno diversoe di grandezza diversa. Vale tuttavia per λ una legge statistica tale che il valormedio λ e nullo. Siano λ1, λ2 . . . i valori dell’impulso che piu cause che agisconoindipendentemente tra loro trasmettono nella direzione dell’asse X alla molecola,in modo che l’impulso complessivo trasmesso ∆ sia dato da

∆ =

λv.

Allora, poiche per i singoli λv i valori medi λv sono nulli:

(22) ∆2 =

λ2

v.

Siano i valori medi λ2v dei singoli impulsi tra loro uguali (= λ2), e sia l il numero

complessivo dei processi che producono impulso; allora vale la relazione

(22a) ∆2 = lλ2.

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10

Secondo le nostre ipotesi in ogni processo di Einstrahlung e di Ausstrahlung sicomunica alla molecola l’impulso

λ =

c cos ϕ.

Si indica con ϕ l’angolo tra l’asse X e una direzione scelta secondo la legge del caso.Si ottiene quindi

(23) λ2 =1

3

c

2

.

Poiche assumiamo che tutti i processi elementari che hanno luogo siano da as-sumersi come eventi indipendenti, possiamo avvalerci della (22a). l e allora il nu-mero di processi elementari che avvengono complessivamente nel tempo τ . Questoe il doppio del numero di processi di Einstrahlung Z n → Z m nel tempo τ . Risultaquindi

(24) l =2

S pnBm

n exp−

εnkT

ρτ.

Dalle (23), (24) e (22) risulta

(25)∆2

τ =

2

3S

c

2

pnBm

n exp−

εnkT

ρ.

§7. Risultato.

Per mostrare ora che gli impulsi esercitati dalla radiazione sulle molecole nondisturbano affatto l’equilibrio termodinamico ci basta sostituire i valori calcolati(25) e (21) di ∆2/τ e di R, e inoltre nella (21) la quantita

ρ −

1

∂ρ

∂ν

1 − exp

kT

secondo la (4) va sostituita con ρhν/(3kT ). Si mostra immediatamente che la nostraequazione fondamentale (12) e soddisfatta identicamente. -

Le considerazioni oramai concluse portano un forte sostegno alle ipotesi avanzatenel §2 sull’interazione tra materia e radiazione mediante processi di assorbimento edi emissione, ovvero mediante Einstrahlung e Ausstrahlung . A queste ipotesi sonostato portato dal tentativo di postulare nel modo possibilmente piu semplice uncomportamento della molecola secondo la teoria quantistica, che sia l’analogo diquello di un risuonatore di Planck della teoria classica. Dalle ipotesi quantichegenerali per la materia si ottengono spontaneamente la seconda regola di Bohr(equazione (9)) e la formula della radiazione di Planck.

Della piu grande importanza mi pare tuttavia il risultato relativo all’impulsotrasmesso alla molecola per Einstrahlung e Ausstrahlung . Se si mutassero le nostreipotesi riguardo a quest’ultimo, ne deriverebbe una violazione dell’equazione (12);non mi pare possibile restare in accordo con questa relazione imposta dalla teoria

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11

del calore altrimenti che in base alle nostre ipotesi. Possiamo considerare quantosegue come abbastanza sicuramente provato.

Si abbia un fascio di radiazione che fa assorbire o cedere (Einstrahlung ) da unamolecola la quantita d’energia hν sotto forma di radiazione in un processo ele-

mentare; allora in ogni caso viene trasmesso alla molecola l’impulso hν/c, e pre-cisamente nel caso di assorbimento di energia nella direzione di propagazione delfascio, nel caso di cessione nella direzione opposta. Se la molecola si trova sottol’azione di piu fasci di radiazione orientati, in un processo elementare l’Einstrahlung

e sempre appartenente solo ad uno stesso fascio; questo fascio soltanto determinaquindi la direzione dell’impulso trasmesso alla molecola.

Se la molecola subisce senza eccitazione esterna una perdita d’energia dellaquantita hν , cedendo quest’energia sotto forma di radiazione (Ausstrahlung ), an-che questo e un processo orientato. Non si ha Ausstrahlung in onde sferiche. Lamolecola subisce a causa del processo elementare di Ausstrahlung un impulso dirinculo dell’entita hν/c in una direzione che nello stato attuale della teoria e deter-

minata solo dal “caso”.Queste proprieta dei processi elementari imposte dall’equazione (12) fanno ap-

parire la costruzione di un’autentica teoria quantistica della radiazione pressocheinevitabile. Il debole della teoria sta da un lato nel fatto che non ci porta piu vicinoalla connessione con la teoria ondulatoria, e dall’altro che lascia al “caso” il tempoe la direzione dei processi elementari; nonostante cio io nutro piena fiducia nellavalidita della via intrapresa.

Qui deve trovar posto ancora un’osservazione generale. Quasi tutte le teorie dellaradiazione termica si fondano sulla considerazione delle interazioni tra radiazione emateria. Ma in generale ci si accontenta di considerare gli scambi di energia, senzatener conto degli scambi di impulso. Ci si sente facilmente autorizzati a cio, poiche

la piccolezza dell’impulso scambiato mediante la radiazione porta con se che nellarealta quest’ultimo passa in seconda linea rispetto alle altre cause che provocanoil moto. Ma per la trattazione teorica quelle piccole azioni sono da considerarsicompletamente della stessa importanza di quelle cospicue dello scambio d’energiamediante la radiazione, poiche energia ed impulso sono tra loro collegati nel modopiu stretto; si puo percio considerare corretta una teoria solo quando si e mostratoche l’impulso secondo essa trasmesso dalla radiazione alla materia porta a moti talida essere consentiti dalla teoria del calore.

(ricevuto il 3 marzo 1917)

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1La regola dei quanti di Sommerfeld ed Epstein

di A. Einstein

(comunicata nella seduta dell’11 maggio)

§ 1. Formulazione precedente. Non sussiste più alcun dubbio

che per sistemi meccanici periodici con un grado di libertà la

condizione quantica si scrivadq ¡

pdq =¡

p dt = nh (1)dt

(Sommerfeld e Debye). In essa l’integrale va esteso su un intero

periodo del moto; q indica la coordinata, p la corrispondente

coordinata d’impulso del sistema. Inoltre i lavori sulla teoria

degli spettri di Sommerfeld provano con certezza che in sistemi

con più gradi di libertà al posto di questa condizione quantica

singola devono comparire più condizioni quantiche, in generale

tante (m) quanti sono i gradi di libertà che il sistema possiede.

Per Sommerfeld queste m condizioni si scrivono immediatamente

¡

p dq = n h . (2)i i i

Poichè questa formulazione non è indipendente dalla scelta delle

coordinate, può essere valida solo per una determinata scelta

delle stesse. Solo quando questa scelta è compiuta e le q sonoi

funzioni periodiche del tempo il sistema (2) contiene un’asser-

zione determinata sul moto.

Un ulteriore progresso di principio lo dobbiamo ancora ad

Epstein (e Schwarzschild). Il primo fonda la sua regola per la

scelta delle coordinate di Sommerfeld q sul teorema di Jacobi,i

che notoriamente si enuncia così: Sia H (H [q p ]) la funzione dii i

Hamilton di q , p e t, che compare nelle equazioni canonichei i

£

H p = - (3)

q i

£

H q = (4)

pi

e che - nel caso che non contenga esplicitamente il tempo t - è

1Verhandlungen der Deutschen Phys. Gesellschaft 19, 82 (1917).

1

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2identica alla funzione dell’energia ; se J (t,q ...q , ¤ ... ¤ ) è u n

1 m 1 m

integrale completo dell’equazione differenziale alle derivate

parziali di Hamilton-Jacobi

£

J £

J + H (q , ) = 0 , (5)

£

t i£

q i

la soluzione delle equazioni canoniche si scrive

£

J = ¥ , (6)

£

¤ ii

£

J = p . (7)

£

q ii

Se H non contiene esplicitamente il tempo, cosa che supponiamo nel

seguito, si può soddisfare la (5) con l’ansatz

J = J*- ht , (8)

dove h indica una costante e J * non dipende più esplicitamente dal

tempo. Al posto delle (5), (6) e (7) appaiono allora le equazioni

£

J *H (q , ) = h (5a)

q i

£

J * £

J * = ¥ , = t - t , (6a)

£

¤ i£

h 0i

£

J * = p , (7a)

£

q ii

dove però la prima delle (6a) rappresenta solo m-1 equazioni;

inoltre al posto di ¤ è comparsa la costante h, al posto di ¥ lam m

costante -t .0

Per Epstein si devono ora scegliere le coordinate q in modoi

tale che esista un integrale completo della (5a) della forma

J *= ¦ J (q ) , (8a)i i

i

dove J dipende da q , ma è indipendente dalle restanti q . Le con-i i

dizioni quantiche di Sommerfeld (2) devono allora valere per

queste coordinate q , nel caso che le q siano funzioni periodichei i

di t. Accanto al grande successo che ha riportato l’estensione di

Sommerfeld-Epstein della regola quantica a sistemi con più gradi

2

dH £

H £

H Infatti in questo caso si ha = ¦

q + ¦

p = 0.dt

£

q i£

p ii i i i

2

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di libertà, rimane tuttavia insoddisfacente che si sia vincolati

ad una separazione delle variabili secondo la (8), che di per sè

non ha proprio niente a che fare con il problema quantistico. Nel

seguito si proporrà una piccola modifica della condizione di

Sommerfeld-Epstein che evita questo inconveniente. Esporrò qui in

breve l’idea fondamentale e la svilupperò poi nel seguito.

§ 2. Formulazione modificata. Mentre pdq in sistemi con un

grado di libertà è un invariante, ossia è indipendente dalla

scelta della coordinata q , i singoli prodotti p dq in un sistemai i

con più gradi di libertà non sono invarianti; perciò la condizione

quantica (2) non assume alcun significato invariante. Invariante è

solo la somma estesa a tutti gli m gradi di libertà ¦ p dq . Peri i i

derivare da questa somma una molteplicità di condizioni quantiche

invarianti si può procedere nel modo seguente. Si considerino le

p come funzioni delle q . Con linguaggio geometrico, si possonoi i

trattare le p come un vettore (di carattere "covariante") nelloi

spazio m-dimensionale delle q . Traccio nello spazio delle q unai i

curva chiusa qualsiasi, che non ha affatto bisogno d’essere una

"traiettoria" del sistema meccanico; allora l’integrale di linea

esteso alla stessa §

¦ p dq (9)¨

i ii

è un invariante. Se le p sono funzioni qualsiasi delle q , adi i

ogni curva chiusa corrisponde in generale un valore diverso

dell’integrale (9). Ma se il vettore p è derivabile da un poten-i

ziale J *, cioè se valgono le relazioni

£

pi k

- = 0 (10)£

q £

q k i

ovvero

£

J * p = , (10a)

q i

l’integrale (9) ha lo stesso valore per tutte le curve chiuse che

si possono trasportare l’una sull’altra con continuità. Per tutte

le curve che si possono ridurre ad un punto con una variazione

continua l’integrale (9) allora si annulla. Ma se lo spazio delle

q preso in considerazione è a connessione multipla esistonoi

3

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cammini chiusi che non si possono ridurre ad un punto con una

variazione continua; allora J * non è una funzione delle q ad uni

sol valore (ma ad © valori) e l’integrale (9) per una curva sif-

fatta sarà in generale diverso da zero. Vi sarà però nello spazio

delle q un numero finito di linee chiuse, alle quali si possono

ridurre mediante variazioni continue tutte le linee chiuse. In

questo senso si può prescrivere un numero finito di condizioni§

¦ p dq = n h (11)¨

i i ii

come condizioni quantiche. Secondo me queste devono comparire al

posto delle condizioni quantiche (2). Abbiamo da aspettarci che il

numero delle equazioni (10) che non si riconducono l’una all’altra

sia uguale al numero dei gradi di libertà del sistema. Se è più

piccolo, siamo davanti a un caso di "degenerazione".

L’idea fondamentale prima delineata (in modo volutamente

sommario) sarà esposta in seguito in modo più approfondito.

§ 3. Derivazione intuitiva dell’equazione differenziale di

Hamilton-Jacobi. Sia dato un punto P dello spazio delle coordinate

con le coordinate Q , e sia data la velocità corrispondente, cioèi

anche le coordinate d’impulso corrispondenti P ; allora mediantei

le equazioni canoniche (3) e (4) il moto è completamente deter-3

minato . Ad ogni punto della traiettoria L corrisponde una certa

velocità, cioè lungo L le p sono date in funzione delle q . S e s ii i

pensa che in ogni punto P su una "superficie" ad m-1 dimensioni

dello spazio delle coordinate siano date le Q e le P che glii i

corrispondono, ad ognuno dei punti compete un moto con una

traiettoria L nello spazio delle coordinate. Se le P sullai

superficie sono funzioni continue delle Q , queste traiettoriei

riempiranno con continuità lo spazio delle coordinate (o una parte

dello stesso). Si condurrà per ogni punto (q ) dello spazio dellei

coordinate una data traiettoria; a questo punto verranno quindi

associate anche coordinate d’impulso p determinate. Così nelloi

spazio delle coordinate delle q viene dato un campo vettorialei

delle p . Ci proponiamo lo scopo di determinare la legge di questoi

3Si assuma che H non dipenda esplicitamente dal tempo t.

4

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campo vettoriale.

Nel sistema d’equazioni canoniche (3) consideriamo le p comei

funzioni delle q ; allora dobbiamo sostituire i primi membri coni

£

p dq i k

¦

£

q dtk k

al posto delle quali secondo la (4) si può porre anche

£

pi

£

H ¦

q £

pk k k

Otteniamo quindi in luogo della (3)

£

H £

H i + ¦

= 0 . (12)£

q £

q i k k k

Questo è un sistema di m equazioni differenziali lineari che devo-

no soddisfare le p in funzione delle q .k k

Ci chiediamo ora se esista un campo vettoriale tale che per

esso esista un potenziale J *, cioè per il quale siano soddisfatte

le condizioni (10) e (10a). In questo caso per la (10) la (12) as-

sume la forma

£

H £

H k + ¦

= 0 .£

q £

q i k k i

Quest’equazione afferma che H è indipendente dalle q . Esistonoi

quindi campi di potenziale del tipo cercato, e il cui potenziale

J * soddisfa l’equazione di Hamilton-Jacobi (5a), e rispettivamente

J l’equazione (5).

È così dimostrato che le equazioni (3) possono essere

sostituite dalle (7a) e (5a) ovvero (7) e (5). Mostreremo inoltre

che mediante le (6a) ovvero le (6) il sistema d’equazioni (4) può

essere soddisfatto, anche se ciò è irrilevante per l’argomento

successivo. Se mediante integrazione delle (5a) si sono espresse

grazie alle (7a) le p in funzione delle q , le equazioni (4) co-i i

stituiscono un sistema di equazioni differenziali totali per la

determinazione delle q in funzione del tempo. Secondo la teoriai

delle equazioni differenziali del prim’ordine questo sistema di

equazioni differenziali totali è equivalente all’equazione diffe-

renziale alle derivate parziali

£

H £ £

¦

+ = 0 . (13)£

q £

tk k k

5

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Ma quest’ultima sarà soddisfatta da

£

J =

£

¤

i

nel caso che J sia un integrale completo della (5). Se si pone

infatti questo valore di al primo membro della (13) si ottiene,

tenendo conto della (7)

2 2£

H £

J £

J ¦

+

£

J

£

q £

¤

£

¤

k i i

£

q

k

ovvero

£

£

J

£

J H q , + ! ,

£

¤

q

£

ti " k #

quantità che secondo le (5) si annullano. Da qui segue che le

equazioni (4) vengono integrate mediante le (6) ovvero (6a).

§ 4. Il campo p di una traiettoria singola. Veniamo ora adi

un punto assai importante, sul quale ho volutamente taciuto nello

schizzo provvisorio dell’idea fondamentale nel § 2. Secondo le

considerazioni del § 3 abbiamo pensato il campo p generato dai

m-1moti tra loro indipendenti, di molteplicità © , che sarebbero

rappresentati nello spazio q mediante altrettante traiettorie. Mai

pensiamo ora d’aver seguito per un tempo infinitamente lungo il

moto imperturbato di un sistema singolo e di aver tracciato la

corrispondente traiettoria nello spazio delle q . Possono verifi-i

carsi in proposito due casi:

1. Esiste una parte dello spazio q tale che la traiettoriai

col passar del tempo si avvicini arbitrariamente a ogni punto di

questa parte dello spazio (m-dimensionale).

2. La traiettoria si può collocare interamente in un continuo

con meno di m dimensioni. A questo appartiene come caso parti-

colare il moto su un cammino esattamente chiuso.

Il caso 1 è il più generale; i casi 2 risultano dal caso 1

per specializzazione. Come esempio di 1 pensiamo al moto di un

punto materiale sotto l’azione di una forza centrale, descritto

mediante due coordinate, che fissano la posizione del punto nel

piano della traiettoria (per esempio le coordinate polari r e ).

Il caso 2 si verifica per esempio quando la legge d’attrazione è

6

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2esattamente proporzionale a 1/r , e quando le deviazioni dal moto

di Keplero richieste dalla teoria della relatività siano trascu-

rabili; il cammino è allora chiuso, i suoi punti costituiscono un

continuo con solo una dimensione. Considerato nello spazio

tridimensionale il moto centrale è sempre un moto di tipo 2,

poichè la traiettoria può essere collocata interamente in un

continuo a due dimensioni; nella trattazione tridimensionale ilmoto centrale si deve vedere come caso particolare di un moto che

è definito mediante una legge di forza complicata (per esempio il

moto studiato da Epstein nella teoria dell’effetto Stark).

La trattazione seguente si riferisce al caso generale 1. Si

consideri un elemento d $ dello spazio q . La traiettoria del pro-i

cesso di moto in questione l’attraversa infinite volte. Ad ogni

attraversamento siffatto corrisponde un sistema ( p ) di coordinatei

d’impulso. Sono possibili a priori due tipi di cammino, che evi-

dentemente differiscono in modo fondamentale. Tipo a): i sistemi

p si ripetono, sicchè a d $ appartiene solo un numero finito dii

sistemi p . Allora per il processo di moto in esame le p sii i

possono rappresentare come funzioni delle q a uno o a più valori.i

Tipo b): nella posizione considerata si hanno infiniti

sistemi p . In questo caso non si possono rappresentare le p comei i

funzioni delle q .i

Si osserva immediatamente che il tipo b) esclude la condi-

zione quantica (11) formulata nel § 2. D’altra parte la meccanicastatistica classica si riferisce essenzialmente solo al tipo b);

infatti solo in questo caso l’insieme microcanonico è equivalente4

all’insieme temporale che si riferisce ad un sistema .

Riassumendo possiamo dire: l’uso della condizione quantica

(11) richiede che esistano cammini tali che il cammino singolo

determini un campo p per il quale esista un potenziale J *.i

§ 5. Lo "spazio delle coordinate razionale". È già stato

osservato che le p sono in generale funzioni a più valori dellei

4Nell’insieme microcanonico sono presenti sistemi che per q dati

i

posseggono p dati in modo arbitrario (compatibilmente col valorei

dell’energia).

7

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q . Consideriamo di nuovo come esempio semplice il moto orbitalei

piano di un punto sotto l’azione attrattiva di un centro fisso. Il

punto si muove in modo tale che la sua distanza r dal centro

d’attrazione oscilli periodicamente tra un valore minimo r ed un1

valore massimo r . Se si considera un punto dello spazio delle q ,2 i

cioè un punto della superficie anulare limitata dai raggi r e r ,1 2

col passar del tempo l’orbita verrà arbitrariamente vicino ad essoinfinite volte, ovvero - esprimendosi in modo un po’ inesatto - vi

passerà. Ma a seconda che il passaggio avvenga su una parte

dell’orbita con r crescenti oppure su una parte con r decrescenti

la componente radiale della velocità ha segni diversi; le p sono%

funzioni a due valori delle q .%

La scomodità nella rappresentazione a ciò legata si evita nel

modo migliore col noto metodo introdotto da Riemann nella teoria

delle funzioni. Pensiamo la superficie dell’anello circolare

sdoppiata, di modo che si sovrappongano due facce congruenti, a

forma d’anello circolare. Pensiamo disegnate sull’anello superiore

le parti dell’orbita con dr /dt positivo, su quello inferiore

quelle con dr /dt negativo, assieme al sistema di vettori delle p%

corrispondente. Immaginiamoci le due facce unite tra loro lungo le

due linee circolari, di modo che l’orbita deve sempre passare da

una faccia all’altra quando tocca uno dei due cerchi limite. Lungo

questi cerchi le p delle due facce coincidono, come si vede%

facilmente. Intese su questa superficie doppia le p sono funzioni%

delle q non solo continue, ma anche ad un sol valore; qui sta la%

loro importanza.

Su questa superficie doppia esistono evidentemente due tipi

di curve chiuse, che per variazione continua o si riducono ad un

punto, o si riportano l’una sull’altra. La sottostante Fig. 1

mostra un esempio per ciascuno dei due tipi di queste (L ed L );1 2

le parti di una linea che stanno sulla faccia inferiore sono trat-

teggiate. Tutte le altre curve chiuse si possono, mediante varia-

zione continua sulla superficie doppia, o ridurre ad un punto, o

riportare in uno o più giri del tipo L ed L . La regola quantica1 2

(11) dovrebbe applicarsi qui ai due tipi di linee L ed L .1 2

È chiaro che queste considerazioni si generalizzano a tutti i

moti che soddisfano la condizione del § 4. Si deve sempre pensare

lo spazio delle fasi suddiviso in un certo numero di "ali" che si

8

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raccordano lungo "superfici" ad m-1 dimensioni in modo che, intese

su figure così costituite, le p siano funzioni a un sol valore ei

continue (anche al passaggio da un’ala all’altra); indicheremo

questa costruzione geometrica ausiliaria come "spazio delle fasi

razionale" La regola quantica (11) si deve riferire a tutte le

linee che siano chiuse nello spazio delle coordinate razionale.

Perchè in questa interpretazione le regole quantiche assumanoun significato esatto l’integrale

¡

¦ p dq , esteso a tutte lei i

curve chiuse dello spazio delle q razionale che possono esserei

portate l’una sull’altra con continuità, deve avere lo stesso

valore. La dimostrazione si dà interamente nel modo consueto.

Siano (vedi lo schema della Fig. 2) L ed L delle curve chiuse1 2

nello spazio razionale delle q che possono esser portare ai

coincidere con continuità rispettando il senso di circolazione

segnato. Allora il tracciato dato nella figura è una curva chiusa

che può essere ridotta ad un punto con continuità. Da qui segue

secondo la (10) che l’integrale esteso al tracciato è nullo. Si

consideri inoltre che gli integrali estesi alle linee di rac- &

cordo A A e B B infinitamente vicine sono tra loro uguali perchè1 2 1 2

le p nello spazio delle q razionale sono ad un sol valore; nei i

risulta l’uguaglianza degli integrali estesi ad L ed L .1 2

Il potenziale J * è ad infiniti valori anche nello spazio

delle q razionale; ma secondo le regole quantiche questa molte-i

plicità è la più semplice immaginabile. Se infatti J * è il valoredel potenziale che corrisponde ad un punto dello spazio delle q

i

razionale, altrettanto lo sono gli altri valori J *+ nh, dove n è

un numero intero.

Aggiunta alla correzione. Ulteriori riflessioni hanno mostra-

to che la seconda delle condizioni date nel § 4 per l’applicabi-

lità della formula (11) dev’essere sempre soddisfatta automati-

camente, cioè vale la legge: se un moto produce un campo p ,i

questo possiede necessariamente un potenziale J *.

Per la legge di Jacobi ogni moto di un sistema può essere

derivato da un integrale completo J * della (5a). Esiste quindi in

ogni caso almeno una funzione J * delle q dalla quale si possonoi

calcolare in base alle equazioni

£

J * p =

q i

9

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le coordinate dell’impulso p del moto di un sistema preso in con-i

siderazione per ogni punto della sua traiettoria.

Dobbiamo ricordarci ora che J * si ottiene per mezzo di

un’equazione differenziale alle derivate parziali, cioè secondo

una prescrizione su come si deve continuare la funzione J * nello

spazio delle q . Se vogliamo quindi sapere come J* varia per uni

sistema nel corso del moto di questo, dobbiamo pensare dicontinuare J * lungo la traiettoria (compreso il suo intorno)

secondo l’equazione differenziale. Se ora il cammino ad un certo

tempo (assai grande) ritorna con grande approssimazione ad un

punto P dal quale la traiettoria era già passata in precedenza,

£

J */ £

q ci dà le coordinate d’impulso per entrambi i tempi, sei

abbiamo continuato ad integrare J * lungo l’intero tratto inter-

medio della traiettoria. Che con questa continuazione si ritorni

ai valori precedenti di £

J */ £

q non c’è da aspettarselo affatto;i

c’è piuttosto da aspettarsi in generale che, tutte le volte che

nel corso del moto si raggiunga di nuovo approssimativamente la

configurazione considerata delle coordinate q , appaia un sistemai

delle p totalmente diverso, di modo che per un moto proseguitoi

all’infinito sia in generale impossibile rappresentare le p ini

funzione delle q . Ma quando le p - rispettivamente un numeroi i

finito di sistemi di valori di queste grandezze - si ripetono al

ripetersi della configurazione delle coordinate, le £

J */ £

q sonoi

rappresentabili come funzioni delle q per il moto proseguitoi

all’infinito. Se quindi esiste per il moto proseguito all’infinito

un campo p , esiste anche sempre un potenziale corrispondente J *.i

Perciò possiamo affermare quanto segue: se esistono m inte-

grali delle 2m equazioni del moto della forma

R (q , p ) = cost. , (14)k i i

dove le R sono funzioni algebriche delle p , allora ¦ p dq èk i i i

sempre un differenziale esatto, se si pensano le p espressei

mediante le q grazie alla (14). La condizione quantica affermai

che l’integrale¡

¦ p dq esteso ad una curva irriducibile devei i i

essere un multiplo di h. Questa condizione quantica coincide con

quella di Sommerfeld-Epstein se in particolare ogni p dipendei

solo dalla q corrispondente.i

Se esistono meno di m integrali del tipo (14), come per

esempio succede secondo Poincaré nel problema dei tre corpi, le pi

10

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non sono esprimibili mediante le q , e la condizione quantica dii

Sommerfeld-Epstein fallisce anche nella forma più estesa qui data.

11

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Un esperimento che riguarda il processo elementare

1di emissione della luce

A. Einstein

Non vi è alcun dubbio che in un processo elementare (nel

senso della teoria dei quanti) la radiazione emessa da un atomo ariposo sia monocromatica. Per il caso che la particella emittente

abbia una velocità rispetto al sistema di coordinate, la

radiazione emessa nel processo elementare in direzioni diverse

deve avere frequenza diversa. Sia v la velocità del moto della

particella,

la frequenza di emissione del processo elementare0

della particella, allora in prima approssimazione dev’essere

=

[1+(v/c)cos¡

] , (1)0

dove¡

è l’angolo tra la direzione del moto della particella e la

direzione di emissione considerata.

Se si considera d’altra parte la condizione di emissione di

Bohr fondamentale per la teoria quantistica

E - E =h

, (2)2 1 1

che lega la variazione di energia dell’atomo con la frequenza

emessa, si tende ad associare a ciascun atto di emissione

elementare una frequenza unica, anche all’atto di emissione di un

atomo in moto.

Alla domanda, se la conseguenza della teoria ondulatoria, o

quella derivata dalla teoria dei quanti, oppure se nessuna idea

proposta risulti quella giusta, si può rispondere con il seguente

esperimento (vedi disegno accanto). Del fascio sottile di raggi

canale K che costituisce la sorgente di luce si costruisce

mediante la lente L un’immagine sul piano della fenditura S, che1

lascia passare un breve tratto di quest’immagine. La luce che

proviene dall’immagine di una data particella elementare è resa

parallela mediante la lente L ; più precisamente, le superfici di2

egual fase sono mutate in piani. Secondo la teoria ondulatoria, la

1S.B. Preuss. Akad. Wiss. 51, 882 (1921).

1

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luce provocata dall’atto elementare che esce dalla parte inferiore

della lente secondo il principio di Doppler avrà lunghezza d’onda

più corta di quella che esce dalla parte superiore. I piani di

ugual fase oltre L non saranno esattamente paralleli, ma saranno2

disposti un poco a ventaglio. Se si pone al di là di L un2

telescopio messo a fuoco all’infinito, si vedrà in esso

un’immagine della fenditura, e nella stessa posizione, come nelcaso che la luce fosse emessa da particelle a riposo. I punti

immagine che corrispondono alle singole superfici di fase di un

processo elementare non saranno coincidenti, ma tutti cadranno

entro l’immagine ottica della fenditura.

Lo stato delle cose cambia tuttavia, se si interpone tra L e2

il cannocchiale uno strato di sostanza disperdente, per esempio

solfuro di carbonio. A causa della dispersione e della dipendenza

della frequenza dalla posizione, le superfici di egual fase si

propagheranno più lentamente di sotto che di sopra, sicchè bisogna

aspettarsi una deviazione della luce emessa da particelle di raggi

canale in movimento. Questa deviazione, qualora esista, dev’essere

facilmente osservabile. Siano le distanze KL ed L S all’incirca1 1

uguali, e si chiami ¢ la distanza SL , l lo spessore dello strato2

di mezzo disperdente; l’angolo di deviazione è dato dalla formula

£

=(l/ ¢ )(v /c)(dn/(d

/

)), (3)

dove v /c è il rapporto tra la velocità delle particelle dei raggi

canale e la velocità della luce, n l’indice di rifrazione della

sostanza disperdente,

la frequenza, dn e d

gli incrementi tra

loro corrispondenti di queste quantità. Per uno strato di CS2

della lunghezza di 50 cm., con ¢ =1 cm., ci si deve aspettare una

odeviazione angolare superiore a 2 .

Se invece l’atto elementare ha una frequenza unica, allora la

frequenza dei singoli processi elementari sarà indipendente dalla

direzione, la deviazione prodotta secondo la teoria ondulatoria

non avrà luogo. Non mi addentrerò ulteriormente su questa

possibilità, ma noterò soltanto che essa sarebbe in ottimo accordo

con l’esistenza constatata da J. Stark dell’effetto Doppler.

Ho cominciato ad affrontare con Geiger la risoluzione

sperimentale della questione qui presentata.

2

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1Sulla teoria della propagazione della luce nei mezzi dispersivi

A. Einstein

In una Nota apparsa recentemente in questi Rendiconti hoproposto un esperimento ottico, per il quale secondo il mio

ragionamento la teoria ondulatoria dà risultato diverso rispetto

alla teoria dei quanti. Il ragionamento è il seguente. Una

particella di raggi canale che si muova nel piano focale di una

lente produce luce con superfici di ugual fase eccentriche, che

per la rifrazione della lente si convertono in piani non paralleli

(sistema di piani disposto "a ventaglio"). In una tale luce la

frequenza, quindi anche la velocità di propagazione è una funzione

del punto. Se si fa passare una tale onda in un mezzo disperdente,

in esso la velocità di propagazione delle superfici d’egual fase è

una funzione del punto; le superfici di egual fase subiscono così

nel corso della loro propagazione in un mezzo dispersivo una

rotazione, che dev’essere rivelabile otticamente come una

deviazione della luce.

Poichè Ehrenfest e Laue dubitano della forza probante di

questo ragionamento, ho esaminato più accuratamente secondo la

teoria delle onde la propagazione della luce in mezzi dispersivi e

ho di fatto trovato che un tale ragionamento non porta ad un

risultato corretto. Il punto è, come anche Ehrenfest ha

correttamente osservato, che seguendo un fronte d’onda in un mezzo

dispersivo si può arrivare in posti che stanno al di fuori del

gruppo d’onda considerato; il fronte d’onda è allora davvero

ruotato, ma non esiste più fisicamente; al suo posto se ne ha in

un altro luogo uno nuovo con orientazione diversa.

Il nostro scopo è di trovare una rappresentazione matematica

esatta dal punto di vista della teoria ondulatoria per la

situazione che si verifica in un mezzo dispersivo. Per far questo

possiamo fin dall’inizio limitarci a trattare il caso

bidimensionale, cioè quello per il quale le componenti del campo

1S.B. Preuss. Akad. Wiss. 3, 18 (1922).

1

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sono indipendenti dalla coordinata z. Troviamo così che i mezzi

dispersivi, relativamente al puro caso ideale, si comportano

esattamente come quelli non dispersivi. Sia

una funzione che

soddisfi l’equazione delle onde, per esempio la componente z

dell’intensità del campo elettrico, sia quindi

1/2 j[ ¡ (t-r/V)+ ¢ ]

=(A/r )e (1)

una soluzione dell’equazione delle onde per tutti gli r, che siano

grandi rispetto alla lunghezza d’onda 2 £ V/ ¡ = ¤ ;

indica l’ampiezza

al tempo t in un punto (x,y) la cui distanza da un punto fisso

( ¥ , ¦ ) sia uguale a r. A, ¡ ,V e ¢ sono costanti reali; ¡ e V sono

legate da una relazione che rispecchia le caratteristiche ottiche

del mezzo. Ogni termine del tipo (1) aggiunto alla soluzione dà

luogo, per la linearità delle equazioni differenziali, ancora ad

una soluzione.

Pensiamo ora di considerare uno sviluppo continuo, che

fornisca onde del tipo (1), distribuite con continuità lungo una

prefissata curva nel piano x-y. I punti fissi ( ¥ , ¦ ) sono da

trattarsi come dati in funzione della lunghezza s dell’arco

misurato lungo la curva. A sufficiente distanza dalla curva,

l’integrale esteso alla curva

-1/2 jH

= § Ar e ds, H= ¡ (t-r/V)+ ¢ , (2)

è sempre una soluzione delle equazioni. A, ¡ , ¢ e V sono da

considerarsi come lentamente variabili lungo la curva, di modo che

le loro variazioni siano infinitamente piccole per un avanzamento

lungo la curva di ¤ . La lunghezza d’onda dev’essere assai piccola

rispetto alla lunghezza della curva e questa dev’essere inoltre

piccola rispetto alla distanza r del punto d’osservazione rispetto

ai punti della curva. Il calcolo degll’integrale (2) produce una

teoria della propagazione della luce che include i fenomeni della

diffrazione di Fraunhofer e di Fresnel nel caso cilindrico qui

trattato, quando si ponga ¡ costante. Nel caso che ¡ dipenda da s

si ottengono soluzioni non stazionarie, cioè tali che per esse

l’intensità della radiazione dipenda dal tempo.

Non ci interessa qui il problema della diffrazione, ma solo

il problema ottico trascurando la diffrazione. Chiediamo: quali

2

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punti sono al tempo t illuminati e quali no, e inoltre trascurando

il fenomeno della diffrazione. A questa domanda è facile

rispondere con soluzioni della forma (2). H dipende dalla scelta

del punto d’osservazione e del punto sulla curva, e varia in

generale rapidamente, quando il punto sulla curva la percorre;

jHperciò e è una funzione rapidamente oscillante. Possono quindi

contribuire sostanzialmente all’integrale solo quelle parti dellacurva per le quali ¨ H/ ¨ s si annulla. Se ne esistono rispetto al

punto e al tempo d’osservazione considerati, allora c’è "luce",

altrimenti c’è "buio".

Scegliamo ora come curva il tratto dell’asse x tra ¥ =-b e

¥ =+b e consideriamo la soluzione solo per punti d’osservazione con

y positivo. Ci interessiamo solo dell’asse del fascio di raggi, e

lo assumiamo infinitamente sottile, di modo che è evidentemente

sufficiente fornire la condizione di illuminazione per il punto di

mezzo ¥ =0. Otteniamo quindi per l’intensità della radiazione la

condizione

( ¨ H/ ¨ ¥ ) =0 . (3)¥ =0

Sotto le condizioni geometriche considerate la normale d’onda ha

evidentemente la direzione del raggio vettore spiccato

dall’origine delle coordinate al punto d’osservazione.

Il caso che ci interessa è un fascetto in un mezzo

dispersivo, che muta la sua direzione di radiazione con velocità

angolare costante. Ci approssimiamo gradualmente a questo caso

trattando un caso più semplice.

I. Treno d’onde di direzione costante. Specializziamo la (2)

con le condizioni

¨ ¡ / ¨ ¥ =0, ¨ ¢ / ¨ ¥ =0.

Poniamo inoltre che qui come nel seguito sia sufficiente

r=r -x¥

/r , (4)o o

2 2 1/2dove si è posto r =(x +y ) . La condizione (3) dà

o

x=0.

3

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La propagazione della luce avviene lungo l’asse y.

II. Treno d’onde di direzione variabile in un mezzo non

dispersivo. Poniamo

¨ ¡ / ¨ ¥ = © , ¨ ¢ / ¨ ¥ =0.

Allora

H=( ¡ + © ¥ )(t-r /V+x¥ /Vr )+¢ .o o o

La velocità V in questo caso è indipendente dalla frequenza ¡ /2 £ .

L’equazione (3) dà

© (t-r /V)+ ¡ x/Vr =0. (5)o o o

Che si tratti veramente di un raggio di direzione variabile, lo si

riconosce come segue. La luce, che al tempo t illumina il punto

d’osservazione, passa dall’origine delle coordinate al tempo

t’=t-r /V. I punti di osservazione illuminati stanno sullao

direzione

x/r =-© Vt’/ ¡ .o o

Questa direzione quindi cambia con il tempo t’. La luce passante a

un dato tempo t’ dall’origine delle coordinate si propaga

rettilineamente.

III. Treno d’onde di direzione variabile in un mezzo

dispersivo. Poniamo ancora

¨ ¡

/¨ ¥

,¨ ¢

/¨ ¥

=0.

Si considera ora tuttavia che V dipenda da¡

. Poniamo n=c/V,

quindi

n=n +(dn/d¡ )d ¡ =n +(dn/d¡ ) © ¥ ,o o

pertanto

1/V=(n +(dn/d¡

)© ¥

)/co

e allora

4

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H=( ¡ + © ¥ )[t-(r -x¥ /r )/c](n +(dn/d¡ ) © ¥ )+ ¢ .o o o o

La condizione (3) dà ora

© [t-r (n + ¡ (dn/d ¡ ))/c]+ ¡ n x/cr =0. (6)o o o o o

Ci chiediamo ora: che ne è di un gruppo d’onde, che in un breve

intervallo di tempo attorno a t=0 passa la superficie y=0?

Evidentemente un tale gruppo non si propaga con la velocità V=c/n,

ma con la velocità di gruppo V =c/(n+ ¡ (dn/d ¡ )). Per il puntog

d’osservazione illuminato da questo gruppo dev’essere soddisfatta

la condizione

t-r /V =t-r (n+¡

(dn/d¡

)/c=0.o g o

L’equazione (6) dà quindi anche in questo caso

x=0 . (7)

Il gruppo d’onde si propaga quindi rettilineamente lungo

l’asse y e la normale d’onda ha la stessa direzione.

Perciò è dimostrato che la luce generata da particelle di

raggi canale non subisce deviazione in mezzi dispersivi, in

contrasto con il precedente ragionamento elementare. Ciò ha dato

anche la ricerca che, secondo l’amichevole comunicazione di E.

Warburg, è stata condotta da Geiger e Bothe nell’Istituto

Fisico-Tecnico di Stato. Conclusioni più profonde sulla natura del

processo elementare di emissione, secondo questi risultati della

trattazione teorica, non si possono trarre dall’esperimento.

E’ da osservare che una deviazione della luce nei mezzi

dispersivi in dipendenza dallo stato di moto della molecola

emittente porterebbe ad una contraddizione con il secondo

principio della termodinamica, come mi ha fatto osservare Laue. Ma

poichè non ci si deve aspettare una tale curvatura anche secondo

la teoria ondulatoria, risulterebbe non necessario approfondire

questo punto.

E’ mio sentito dovere esprimere in questo luogo il mio

sincero ringraziamento a Warburg, Geiger e Bothe.

5

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Osservazioni di teoria dei quanti sull’esperimento

1di Stern e Gerlach

A. Einstein a Berlino e P. Ehrenfest a Leida

(ricevuto il 21 agosto 1922)

2

§ 1. O. Stern e W. Gerlach fanno volare un fascio di vapore

di atomi d’argento attraverso un campo magnetico per determinare

se gli atomi posseggano un momento magnetico e, in caso

affermativo, quale orientazione risulti agli stessi in seguito

all’attraversamento del campo magnetico. Il loro esperimento dà

luogo ad un risultato assai significativo: il momento magnetico di

tutti gli atomi a seguito dell’attraversamento del campo coincide

con la direzione delle linee di forza, e in particolare per circa

metà degli atomi nel senso del campo, per l’altra metà nel senso

opposto. Ciò comporta naturalmente la domanda, in che modo gli

atomi pervengano a questo orientamento.

§ 2. Si deve osservare innanzitutto che gli atomi durante la

loro permanenza nel campo deviante non compiono alcuna collisione

- le ultime collisioni si verificano nello spazio riempito dai

vapori del fornetto di fusione.

Domandiamoci in primo luogo, come atomi magnetici per

l’influenza di un campo magnetico mutino il loro orientamento. Se

si prescinde dall’emissione e dall’assorbimento di radiazione,

dagli urti e da altri analoghi effetti, gli atomi in un campo

magnetico eseguono un moto di precessione (rotazione di Larmor)

attorno alla direzione del campo. Se la direzione del campo muta

lentamente rispetto alla rapidità del moto di precessione,

l’angolo del moto di precessione risulta rimanere inalterato. Un

disporsi secondo le inclinazioni prescritte dalla teoria dei

quanti (O e

per l’atomo d’argento nell’esperimento di Stern e

Gerlach) non può quindi aver luogo senza influenze esterne del

tipo della radiazione o delle collisioni.

§ 3. La spiegazione più immediata del risultato sperimentale

¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡

1Zeitschr. f. Phys. 11, 31 (1922).

2Zeitschr. f. Phys. 9, 349 (1922).

1

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appare a prima vista essere che l’orientamento dell’atomo deriva

dal suo ingresso nel campo dell’elettromagnete, e in particolare

per scambio di energia. E’ necessaria non solo una cessione di

energia, ma anche un’assunzione dal campo di radiazione,

quest’ultima per gli atomi che si dispongono antiparallelamente

alle linee di forza. Come rapidamente avviene il cambiamento del

momento dell’atomo sotto l’influenza della radiazione (a

temperatura ambiente)? - lo si può certo valutare in proporzione

al tempo richiesto per il verificarsi delle transizioni da uno

stato quantico all’altro. Sappiamo d’altra parte che in casi di

questo tipo per la transizione di una serie di atomi questo tempo

coincide ogni volta (per lo meno come ordine di grandezza) con

quello del modello classico corrispondente. Nel nostro caso di un

atomo dotato di momento magnetico che precede esso sarebbe quello

di un dipolo magnetico che irraggia durante la sua rotazione

conica. Il tempo del riorientamento sarebbe (con un’intensità di

11campo di 10000 Gauss) dell’ordine di 10 sec., nel caso che fosse

operante solo il decadimento radiativo del moto di precessione. Ma

se si tiene conto dell’influenza della radiazione termica

3circostante ["irraggiamento positivo e negativo" ] esso si

9accorcia a circa 10 sec.

Questi sono quindi senz’altro tempi di un ordine di grandezza

con il quale non si ha affatto a che fare nell’esperimento, poichè

-4

il riorientamento deve avvenire in un tempo inferiore di 10 sec.

§ 4. Per cercare di venir fuori da questa difficoltà si

prospettano due ipotesi alternative:

A. Il vero meccanismo è tale che l’atomo non si può mai

travare in uno stato nel quale non sia completamente quantizzato.

B. Per azioni rapide risultano stati che infrangono la regola

quantica relativa all’orientazione; le giaciture richieste dalla

regola quantica si ripristinano mediante emissione e assorbimento

di radiazione, e con una velocità di reazione di gran lunga

maggiore che per le transizioni da uno stato quantico all’altro.

Una scelta a priori tra queste due alternative appare allo

¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡

3vedi A: Einstein, Zur Qantentheorie der Strahlung. Phys.

Zeitschr. 18, 121 (1917), § 2.

2

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stato attuale impossibile, ma è opportuno porre chiaramente in

evidenza la fondamentale differenza tra di esse e le difficoltà

caratteristiche che ciascuna di esse comporta.

§ 5. Discussione dell’alternativa A. 1. Che cosa essa

comporti, lo si esemplifica particolarmente bene con l’esperimento

di Stern e Gerlach: nella regione del vapore del fornetto di

fusione ogni atomo d’argento immediatamente dopo ogni collisione è

completamente quantizzato, e quindi il suo asse magnetico è

orientato dal campo magnetico che sussiste in quella posizione,

per quanto debole sia. Dall’ultima collisione durante il suo volo

attraverso le diverse regioni del campo la sua orientazione rimane

costantemente allineata alla direzione del campo nella posizione

4di cui sopra .

2. Di conseguenza una parte dei momenti (quantizzati) sarà

parallela, un’altra antiparallela al campo, e la distribuzione

statistica sarà governata dalla temperatura e dall’intensità del

campo nella regione del vapore del fornetto e nient’affatto dalla

temperatura (di radiazione) e dall’intensità del campo nello

spazio attraversato in seguito!

3. Uno dovrebbe decidersi pertanto ad assumere quanto segue:

campi anche deboli devono immediatamente dopo la collisione (cioè

l’azione di campi assai più forti) essere determinanti per

l’orientamento. Per variazioni della direzione del campo magnetico

che siano a piacimento rapide rispetto alla rotazione di Larmor

l’asse magnetico dell’atomo dovrebbe seguire completamente la

direzione del campo come per variazioni lente a piacere. Più in

generale: Per variazioni arbitrariamente rapide delle condizioni

esterne un sistema meccanico dovrebbe disporsi in quello stesso

stato finale, che si verifica con l’esecuzione arbitrariamente

lenta (adiabatica) della variazione delle condizioni esterne. Che

ciò comporti una violazione delle leggi meccaniche, lo si può

5facilmente rendere evidente con esempi .

¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡

4Il Dr. G. Breit ha avanzato una simile ipotesi durante una

discussione in un colloquio di fisica a Leida.

5Un esempio in qualche misura fittizio: un accorciamento

adiabatico della lunghezza del filo di un pendolo muta

3

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§ 6. Presentazione dell’alternativa B. 1. Per l’esperimento

di Stern-Gerlach si darebbe la seguente descrizione: nella regione

del vapore del fornetto immediatamente dopo ogni urto l’asse

magnetico di un atomo è diretto a caso rispetto al campo debole

che si ha in quella posizione. L’orientazione avviene mediante

radiazione infrarossa, più precisamente mediante decadimento

radiativo e mediante irraggiamento positivo e negativo, con una

orientazione parallela e antiparallela rispetto al campo. Per

questo è essenziale l’ipotesi che a transizioni di questo tipo da

stati non quantici a stati quantici corrispondano probabilità di

6transizione di un ordine di grandezza assai più alto che per

transizioni tra uno stato quantico ed un altro. Dopo l’ultimo urto

durante il volo attraverso le diverse parti del campo

l’orientazione dell’asse si aggiusta in modo quasi adiabatico alla

direzione del campo che muta, e i difetti angolari assai piccoli

di volta in volta introdotti sono compensati mediante uno scambio

radiativo estrememente debole di frequenza assai infrarossa (assai

più infrarossa della frequenza di precessione).

2. La suddivisione statistica tra orientazione parallela e

antiparallela al campo sarebbe anche in questo caso determinata

essenzialmente dalla temperatura e dall’intensità di campo nel

¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡

notoriamente la frequenza ¢ e l’energia £ allo stesso modo,

cosicchè la regola quantica rimane soddisfatta. Ma se si accorcia

la lunghezza del filo rapidamente, per esempio quand’è nella

posizione verticale, ¢ sarà più grande, mentre secondo la

meccanica non sarà scambiata energia. L’alternativa A richiede

quindi uno scambio di lavoro meccanicamente incomprensibile.

Secondo esempio: un atomo magnetico in un campo magnetico debole.

In una rotazione infinitamente lenta del campo (infinitamente

lenta rispetto alla velocità di precessione) secondo le leggi

della meccanica l’asse magnetico dell’atomo segue la direzione del

campo. Se ciò avvenisse anche per una variazione rapida della

direzione del campo si presenterebbe una variazione del momento

angolare meccanicamente incomprensibile.

6 -4 9corrispondente ad un tempo di decadimento di 10 invece che 10

sec.

4

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fornetto di fusione!

3. Secondo l’alternativa B un vapore monoatomico i cui atomi

possiedano momento magnetico, in un campo magnetico emetterebbe o

assorbirebbe sul lato a lunghezza d’onda lunga rispetto alla

frequenza del moto di precessione; quindi per campi opportuni

nella regione delle onde elettriche.

4. E’ caratteristico dell’alternativa B che essa rende

l’aggiustamento in uno stato quantico dipendente dalla possibilità

di irraggiamento e decadimento radiativo. Essa compie quindi una

distinzione fondamentale tra sistemi puramente meccanici e sistemi

capaci di irraggiare. Per esempio l’asse di rotazione di una

trottola simmetrica pesante potrebbe solo allora raggiungere

orientazione quantica rispetto al campo di gravità, quando fosse

dotata di appropriate cariche elettriche. Se si volesse estendere

l’ipotesi B dallo stabilirsi in un’orientazione allo stabilirsi in

generale in uno stato quantico, cioè quindi per esempio se anche

le oscillazioni di un reticolo cristallino o le rotazioni di una

molecola ammettessero uno stabilirsi spontaneo su stati quantici

solo nel caso di opportune cariche elettriche, si giungerebbe ad

un’evidente contraddizione con le esperienze relative ai calori

specifici, per esempio del diamante e dell’H gassoso.2

§ 7. Le difficoltà enumerate mostrano quanto insoddisfacenti

siano entrambi i tentativi di interpretazione qui esposti dei

risultati trovati da Stern e Gerlach. Non si è parlato

dell’ipotesi di Bohr - che in campi complicati in generale non

esista alcuna quantizzazione netta.

Leida-Berlino, maggio-giugno 1922.

5

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1La teoria quantistica dell’equilibrio radiativo

A. Einstein a Berlino e P. Ehrenfest a Leida

In un lavoro, che apparirà prossimamente in questo giornale,

sulla conciliabilità della formula della radiazione di Planck con

la teoria quantistica della diffusione della radiazione da parte

di elettroni liberi, W. Pauli ha proposto un’interessante leggestatistica per la probabilità con la quale secondo la teoria di

Compton e Debye hanno luogo possibili atti elementari della

diffusione quantistica in un campo di radiazione (isotropo). Si

tratta qui di un processo elementare di diffusione, nel quale da

un lato un quanto viene trasferito da un intorno di direzione d

e

da un intorno di frequenza d ¡ a un intorno di direzione d

’ e ad

un intorno di frequenza d ¡ ’, dall’altro lato contemporaneamente un

elettrone viene trasferito per urto da un intorno d ¢ della

velocità (ovvero dell’impulso) tridimensionale in un altro intorno

d ¢ ’ da esso distinto in modo finito, in modo tale che in questa

transizione la legge dell’impulso e dell’energia resta verificata.

Per la probabilità di tali "transizioni di un certo tipo" Pauli ha

introdotto in modo ipotetico la legge di probabilità

dW=(A £ +B £ £ ’)dt . (1)

Qui £ indica la densità di radiazione corrispondente a ¡ , £ ’

quella corrispondente a ¡ ’, mentre A e B indicano quantità

dipendenti dagli intorni elementari, ma indipendenti da £ ( ¡ ).

Pauli dimostra che con la validità di una legge statistica di

questa forma un gas d’elettroni con distribuzione maxwelliana

delle velocità resta in equilibrio statistico con un campo di

radiazione di Planck di uguale temperatura.

Ciò che appare paradossale in questa equazione è il secondo

termine della parentesi, in conseguenza del quale il numero degli

atti elementari di diffusione che hanno luogo nell’unità di tempo

per un elettrone (all’incirca a riposo) cresce più che pro-

porzionalmente alla densità della radiazione, e dipende dalla

densità di radiazione £ ’ con quella frequenza ¡ ’, che il quanto

¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥

1Zeitschr. f. Phys. 19, 301 (1923).

1

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modificato a seguito dell’atto elementare esibisce. Ma Pauli

dimostra che se si tralascia questo termine deve valere

all’equilibrio termico la formula di Wien invece che la formula

della radiazione di Planck, e scorge in questi termini

l’espressione secondo la teoria dei quanti per quelle proprietà

della radiazione, che appaiono nella teoria ondulatoria come

fluttuazioni da interferenza.2

Uno di noi in un lavoro precedente ha proposto delle leggi

statistiche elementari per l’assorbimento e l’emissione di

radiazione per un atomo di Bohr, dalle quali segue la formula

della radiazione di Planck. Ci proponiamo il compito di collegare

quelle leggi elementari prima proposte con la formula (1) in modo

tale che i fondamenti di entrambe la trattazioni teoriche si

possano derivate da un punto di vista unitario e più generale. Si

mostra infatti che in questo modo si può ottenere un certo

approfondimento della nostra comprensione dell’interazione tra

radiazione e particelle materiali. Nell’esposizione partiremo

dalle leggi elementari originarie e le generalizzeremo

gradualmente.

§1. Le ipotesi statistiche originarie ed il loro rapporto con

3la formula della radiazione di Planck .

Si consideri una molecola o un atomo, che sia capace di certi*

stati quantici Z. Siano Z e Z due siffatti stati quantici con le

* *energie ¦ ovvero ¦ ( ¦ > ¦ ), che possano andare l’uno nell’altro

*mediante l’assorbimento o l’emissione di un quanto

¦

=h¡

. Essa

si trovi in un campo di radiazione isotropo, la cui densità di

radiazione £ sia una funzione di ¡ per il momento arbitraria. Per

*la transizione tra gli stati Z e Z saranno determinanti le

seguenti leggi di probabilità: 1. Per la transizione di una

*molecola che si trovi nello stato Z allo stato Z per assorbimento

di un quanto h ¡ (irraggiamento positivo)

¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥

2A. Einstein, Phys. Zeitschr. 18, 121-128 (1917).

3Questo paragrafo non contiene niente di nuovo rispetto alla

trattazione precedente citata.

2

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dW=b £ dt . (2)

*2. Per la transizione di una molecola che si trovi nello stato Z

a Z per emissione di un quanto h ¡ sotto l’azione del campo di

radiazione (irraggiamento negativo)

dW=b£

dt . (3)

*3. Per la transizione di una molecola che si trovi nello stato Z

a Z per emissione di un quanto h ¡ senza l’influenza del campo di

radiazione (radiazione spontanea)

dW=adt . (4)

*La probabilità complessiva per una transizione Z -Z di una

*molecola che si trovi in Z è quindi

dW=(a+b £ )dt . (5)

I pesi ovvero le probabilità degli stati quantici sono qui assunti

tutti come uguali (=1). Assumiamo che stati quantici di peso più

alto si possano sempre interpretare come la totalità di più stati

quantici discreti distinti di uguale energia.

Se nella radiazione si trovano molte siffatte molecole, tra

il numero n delle molecole che si trovano nello stato Z e il

* *numero n delle molecole che si trovano nello stato Z vale la

relazione di Boltzmann

* *n /n=exp[-(

¦

)/kT]=exp[-h¡

/kT] . (6)

Perchè questa ripartizione non si modifichi per scambi radiativi

del tipo considerato, secondo la (2) e la (5) dev’essere

soddisfatta la condizione

*nb £ =n (a+b£ ) . (7)

Dalle (6) e (7) segue

£ =(a/b)/[exp(h ¡ /kT)-1] (8)

quindi la formula della radiazione di Planck, purchè i

3

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coefficienti a e b soddisfino sempre la relazione

3 3a/b=8 § h ¡ /c . (9)

§2. Estensione di questa trattazione al caso che la molecola

si muova liberamente.

Prima di tutto un’osservazione, che è utile per la

comprensione del seguito, e che si trova anche in Pauli. Per la

derivazione del § 1 non è essenziale che la molecola sia capace

solo di stati ovvero di valori dell’energia discreti. Sia infatti

la densità degli stati una funzione continua nello spazio delle

*fasi, allora sostituiamo gli stati Z, Z con regioni di stati

infinitamente piccole di uguale probabilità a priori, tra i quali

sia possibile una transizione radiativa con il soddisfacimento

*della condizione

¦

=h¡

. Allora possono valere equazioni della

medesima forma delle equazioni (2), (3), (4). Poichè vale anche

l’equazione (6), nulla di importante muta nella nostra

trattazione.

Se inoltre la molecola considerata è anisotropa rispetto

all’interazione radiativa, il processo elementare considerato

ovvero la sua probabilità dipenderà anche dall’orientazione della

molecola e dalla direzione e polarizzazione del fascio di

radiazione, che risulta in interazione con la molecola nel

processo elementare considerato. Per i processi elementari

specializzati secondo questo punto di vista e per i loro "inversi"

varrà ancora la trattazione del § 1. C’e tuttavia una circostanza

da considerare, alla quale finora non abbiamo avuto bisogno di

dedicare alcuna attenzione, ma che ora dobbiamo considerare.

*Non dobbiamo trattare la transiziono Z Z semplicemente come

*l’inversione temporale del processo Z Z . Non solo in questo caso

il secondo processo deve inviare il quanto nella direzione opposta

a quella assunta nel primo processo, di modo che i due processi

non si potranno ritenere uguali relativamente alla loro influenza

sull’equilibrio statistico, ma in certi casi, per esempio in

presenza di un campo magnetico costante e di un atomo di idrogeno

nel senso della teoria di Bohr addirittura non esistono i processi

4

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*inversi tra Z e Z . Dobbiamo inoltre assumere per la nostra

*trattazione che per ogni transizione Z-Z esista una transizione

*Z -Z, in modo che nel primo processo sia assorbito un quanto della

stessa direzione e soprattuttto dello stesso tipo di quello che

viene emesso nel secondo. Le leggi statistiche date nel § 1

dovranno valere per le transizioni così definite.

Passiamo ora al caso che la molecola sia mobile e che cambila sua velocità sotto l’influenza del processo radiativo. In

questo caso lo stato della molecola è determinato anche dalle

componenti della velocità del suo baricentro, cioè le regioni

*degli stati Z e Z anche dall’intervallo elementare di queste

*componenti della velocità. ¦ ed ¦ indicano allora i valori

dell’energia totale comprendente l’energia cinetica. I processi

elementari di un certo tipo allora riguardano sempre solo

l’interazione con radiazione di un cono di direzioni determinato.

Le costanti a e b dipendono ora anche evidentemente dalla scelta

del processo elementare considerato. Se la condizione (9) è

soddisfatta per tutti i processi elementari di un certo tipo,

l’equilibrio termico resta sempre verificato, comunque a possa

dipendere dalla scelta particolare del processo elementare.

§3. Estensione della legge elementare statistica al caso che

al processo elementare partecipino più quanti della radiazione.

Per il processo elementare della diffusione è caratteristico

che in esso partecipino due quanti della radiazione, uno incidente

ed uno diffuso, che hanno direzione diversa e in generale (per

molecole, atomi od elettroni diffondenti mobili) frequenza

diversa. Per considerare processi di questo tipo e comprendere il

loro rapporto con la formula della radiazione generalizzeremo lo

schema del § 1. Nel processo elementare considerato possono essere

assorbiti dalla molecola i quanti di radiazione h ¡ , h ¡ ..., e1 2

possono essere emessi dalla molecola i quanti h ¡ ’, h ¡ ’,...che come1 2

i precedenti appartengono a fasci di radiazione di direzione data,

particolare per ogni quanto. I corrispondenti valori della densità

di radiazione li indichiamo con £ , £ ,.. ovvero £ ’, £ ’,..1 2 1 2

Pensiamo associato a ciascun processo parziale di assorbimento o

di emissione di questo tipo del processo elementare i coefficienti

5

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a b , a b .. ovvero a’b’, a’b’...1 1 2 2 1 1 2 2

Le formule (2) e (5), generalizzate in modo naturale, le

scriviamo per questo processo come

dW= ¨ b £ ¨ (a’+b’ £ ’)dt , (10)1 1 1 1 1

dove il prodotto ¨ va esteso sugli indici 1,2,3.., ed i coeffi-

cienti a b a priori non dipendono soltanto dagli stati molecolari1 1

particolari di uguale probabilità, tra i quali ha luogo il

processo elementare, ma anche dalle regioni di frequenza e di

direzione, alle quali appartengono i singoli quanti della

radiazione.

La probabilità per il processo "inverso" è allora determinata

dalla formula

dW= ¨ (a +b £ ) ¨ b’ £ ’dt (11)1 1 1 1 1

Inoltre

*¦ - ¦ = h ¡ - h ¡ ’ , (12)

1 1

e di conseguenza all’equilibrio termodinamico

*n /n=exp[-( h ¡ - h ¡ ’)/kT] , (13)

1 1

*dove n ed n indicano il numero di molecole che si trovano nello

stato di energia più alto o più profondo. Come condizione per

l’equilibrio radiativo si ottiene dalle (10) e (11)

*n

¨

b£ ¨

(a’*b’£

’ ) = n¨

(a +b£

b’£

’ . (14)1 1 1 1 1 1 1 1 1 1

Vogliamo dimostrare che questa condizione è soddisfatta per

la formula della radiazione di Planck, purchè tra tutti i

coefficienti a e b sia soddisfatta sempre la condizione (9).

Si ponga

/(a +b£

)exp(-h¡

/kT)=f etc. ,1 1 1 1 1 1 1

b’ £ ’/(a’+b’ £ ’)exp(-h ¡ ’/kT)=f’ etc. ,1 1 1 1 1 1 1

allora la condizione (14) assume la forma

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(f f )/(f’f’ )=1 . (14a)1 2 1 2

Ma poichè in base alla formula della radiazione di Planck con

riguardo alla (9) tutti i fattori f sono uguali a 1, anche la

(14a) e quindi la (14) sono soddisfatte. La legge elementare (10)

assunta per generalizzazione è quindi compatibile con la formula

della radiazione di Planck.

Per ottenere dalla (10) la legge elementare di Pauli per la

diffusione della radiazione da parte di elettroni si deve solo

considerare che i due prodotti in questo caso si riducono ad un

solo fattore, di modo che si ottiene

dW=b £ (a+b £ ’)dt ,

formula che, a prescindere dalla notazione, coincide con la (1).

7

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Sulle proprieta d’interferenza della luce emessa da raggi canale1

A. Einstein

Finora ho sostenuto l’opinione che esperimenti sulla luce dei raggi canale pos-sano dare risultati che non sono in accordo con i risultati della teoria ondulatoriaclassica2. Comunichero in quanto segue una semplice trattazione, secondo la qualeuna confutazione della teoria ondulatoria classica nell’ambito considerato apparepressoche esclusa. Questa trattazione e anche di un certo interesse, perche essaporta ad una conveniente esposizione dei fenomeni di interferenza che ci si deveaspettare. E essenziale per la trattazione che esporro, che essa fa uso della teoriaondulatoria solo fin dove i risultati di questa sono riconosciuti come certi mediantel’esperienza.

Parto dalla seguente ipotesi, della cui verita si puo difficilmente dubitare: unasorgente luminosa estesa, omogenea e in quiete puo essere sempre sostituita in ottica

con una sorgente in quiete a lei uguale, spostata parallelamente. Naturalmentequesta ipotesi pretende validita fintanto che i bordi della sorgente luminosa nondiventano importanti. La sua validita si mostra per esempio nel fatto che le “figuredi interferenza di uno strato sottile” sono del tutto indipendenti dalla separazionedella sorgente di luce dall’apparato di interferenza.

Consideriamo ora dei raggi canale omogenei nel vuoto. Essi costituiscono - vistidal sistema di coordinate K solidale con le particelle - una sorgente di luce inquiete. Secondo i risultati prodotti per primo da Wien nella ricerca sulla variazioned’intensita della luce emessa dai raggi canale (a causa dell’assorbimento lungo ilfascio di raggi canale) questa sorgente non e propriamente omogenea; cio e tut-tavia senza conseguenza per le proprieta d’interferenza della luce emessa. Secondol’ipotesi precedente possiamo sostituire la sorgente di luce in quiete rispetto a K

con una spostata parallelamente, in quiete rispetto a K . Se lo si considera dalsistema di coordinate “in quiete” K , questo fatto significa che possiamo sostituiread un fascio di raggi canale uno ad esso parallelo, senza che cio si possa riconosceredalla luce emessa. Da cio segue inoltre: un fascio di raggi canale, per quantoconcerne le sue azioni ottiche, si puo pensare sostituito da un altro infinitamentelontano di ugual natura e di ugual velocita.

Questa ipotesi ci mette in condizione di predire facilmente le figure d’interferenzadella luce emessa da un fascio di raggi canale, poiche un fascio di raggi canaleinfinitamente lontano, per quanto riguarda la luce inviata ad un sistema otticoal finito, puo essere evidentemente sostituito da un sistema di sorgenti luminosedistribuite con continuita, in quiete, di colore opportuno.

Il fascio di raggi canale K considerato sia parallelo all’asse Y di un sistema dicoordinate. Lo pensiamo sostituito da uno posto all’infinito dell’asse X negativoe ci limitiamo a quelle direzioni di propagazione che siano pressoche parallele alpiano X − Y . Sia ν 0 la frequenza propria delle particelle dei raggi canale; allorala luce inviata sotto l’angolo α rispetto all’asse X ha in prima approssimazione lafrequenza ν = ν 0 [1 + (v/c)sin α]. Possiamo quindi eseguire i calcoli come quando lesorgenti che corrispondono ad α sono in quiete all’infinito e posseggono la frequenza

1Uber die Interferenzeigenschaften des durch Kanalstrahlen emittierten Lichtes, S.B. Preuss.Akad. Wiss. 25, 334-340 (1926).

2Vedi per esempio la mia Nota “Proposta di un esperimento che riguarda la natura dei processielementari di emissione di radiazione”, Naturwissenschaften 1926, tomo 14.

1

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2

ν . Possiamo inoltre trattare l’intensita della radiazione come indipendente da α, seci limitiamo ad angoli α piccoli, come faremo.

Pertanto ogni problema d’interferenza e ricondotto ad uno con sorgenti in quie-te. Nel seguito parleremo schematicamente di alcuni problemi di questo tipo.

L’apparato d’interferenza sia costituito da due piani paralleli semiriflettenti, la cuiseparazione sia d/2. Si osservi con l’occhio o con questo in combinazione con un tele-scopio impostato all’infinito. Cio corrisponde formalmente a cercare senza apparatoottico al di la dell’apparato di interferenza l’intensita su un piano perpendicolareall’asse X posto all’infinito (x = ∞).

1o caso. Tra il fascio di raggi canale e l’apparato di interferenza non e interpostonulla che devii il fascio di luce.

La differenza di fase tra due raggi per il massimo di intensita e per l’angolo α

d cos α

λ0 1 − v

csin α

,

nel caso che il fascio di raggi canale e gli specchi riflettenti siano esattamente per-pendicolari all’asse X . Per angoli α sufficientemente piccoli essa e uguale a

d

λ0

1 −

1

2

α−

v

c

2.

Il moto delle particelle dei raggi canale ha per conseguenza semplicemente unospostamento della figura d’interferenza dell’angolo +v/c. Esso fornisce un comodometodo per la misura della velocita dei raggi canale.

Si risolve in modo altrettanto facile il caso, quando tra il fascio di raggi canale el’apparato di interferenza e interposto un sistema ottico, che sia equivalente ad untelescopio impostato all’infinito e che ingrandisca l’angolo z volte. In questo caso lo

spostamento angolare della figura d’interferenza e 1/z volte quello del caso primatrattato.20 caso. Tra il fascio di raggi canale e l’apparato di interferenza e interposta una

lente o un sistema di lenti di lunghezza focale f .La lente o il sistema di lenti produce del fascio fittizio di raggi canale pensato

all’infinito un’immagine fittizia di sorgenti in quiete, perpendicolare all’asse X .Rispetto ad Y quest’immagine presenta la lunghezza d’onda λ0 [1 − (v/c) α], doveα = y/f , e quindi la lunghezza d’onda λ0 [1 − (vy/cf )]. L’effetto dei due specchisi puo calcolare pensando che la sorgente di luce sia sdoppiata per riflessione; laseconda immagine cosı costruita sara separata in ascissa di−d rispetto alla prima, inmodo tale che ogni coppia di punti delle sorgenti luminose con ugual y sia coerente.Le due immagini funzionano come sorgenti luminose coerenti.

Se queste due sorgenti fossero monocromatiche, tutte le loro coppie di punticorrispondenti darebbero all’infinito la stessa figura di interferenza. Per questo enecessario che i punti di tutte le coppie abbiano la stessa distanza misurata inlunghezze d’onda. Se cio non accade, non puo esistere all’infinito un’interferenzadistinta.

Si puo ripristinare un’interferenza netta, qualora si dia all’immagine costruitaper riflessione negli specchi dell’interferometro un’inclinazione β rispetto all’altra,come in figura. L’angolo β e determinato dalla condizione che

d− βy

λ0 1 − vycf

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3

sia indipendente da y. Dev’essere quindi β = vd/ (cf ). Una tale rotazione dellasorgente luminosa riflessa virtuale attorno all’intersezione con l’asse X si puo pro-durre se si inclinano reciprocamente le superfici riflettenti dell’angolo β/2. Perchela rotazione dell’immagine riflessa avvenga attorno all’intersezione con l’asse X

e necessario che questo punto stia sulla superficie riflettente che viene ruotatadell’angolo β/2.

Si dovrebbe poter provare questo risultato nel modo migliore per mezzo dell’inter-ferometro di Michelson. La disposizione sarebbe la seguente: la lente L e cosıdisposta, che essa (al di qua di S 0) produce nel piano di riflessione di S 1 l’immaginedi un oggetto infinitamente lontano. Gli specchi S 1 ed S 2 sono cosı posti, che neltelescopio F impostato all’infinito sono visibili anelli di interferenza, quando si haa che fare con una sorgente di luce in quiete. La differenza di cammino ottico3

sia l. Si ponga ora come sorgente di luce il fascio di raggi canale K . Gli anellidi interferenza spariscono. Essi si possono tuttavia ripristinare quando si ruoti lospecchio S 1 attorno ad A dell’angolo β/2 nella direzione della freccia.

Questo risultato abbisogna naturalmente di verifica sperimentale, sebbene lasua validita sia resa assai verosimile dalla trattazione precedente. Il significatoteorico di questo risultato per la teoria della luce risulta chiaro dalla considerazioneseguente. Il risultato vale anche nel caso che la distanza del fascio di raggi canaleK dalla lente L sia uguale alla distanza focale di quest’ultima. In questo caso essoassume un significato particolarmente rilevante. Nel telescopio F possono veniread interferenza solo quelle parti di un treno d’onda che arrivano simultaneamentee dalla stessa direzione. Ma queste sono provenute (a causa dell’inclinazione diS 1) da due punti di K che distano tra loro f · β ovvero vd/c. Vi possono esserepochi dubbi che esse originino in tempi diversi da una particella che si muova conla velocita v. Si concluderebbe cosı che il campo che determina l’interferenza non

puo essere generato da un processo istantaneo, come viene proposto dalla teoriadei quanti; per la generazione del campo d’interferenza appare piuttosto aver pienavalidita la teoria ondulatoria, secondo la concezione di Bohr e Heisenberg4.

30 caso. Tra fascio di raggi canale e apparato d’interferenza si interpone unafenditura o un reticolo.

Il caso che il fascio di raggi canale passi al di l a di una fenditura di larghezzab ha attratto per primo la mia attenzione sul problema qui trattato. Si pensi aduna particella dei raggi canale, che passi direttamente al di la dello schermo S incorrispondenza della fenditura b. Il tempo di passaggio e b/v, la lunghezza del trenod’onde che secondo la teoria ondulatoria passa attraverso lo schermo e uguale a bc/v.Se l’apparato di interferenza produce una differenza di cammino d, che sia uguale omaggiore di bc/v, non dovrebbe essere percettibile alcuna interferenza. Nel trarrequesta conclusione avevo tuttavia dei dubbi, perche supponevo, secondo i fatti dellateoria quantistica, che la luce emessa dai raggi canale con un processo elementare diemissione in una data direzione fosse rigorosamente monocromatica. Credevo che ilfatto che l’atto elementare dell’emissione avesse luogo nella fenditura b non potesseessere determinante per la natura della luce emessa, poiche pensavo che anche la

3si assume l positivo, quando lo specchio S 1 e piu lontano dello specchio S 2.4In particolare non si puo accettare che il processo quantico dell’emissione, che e determinato

energeticamente mediante posizione, tempo, direzione ed energia, sia determinato da queste quan-tita anche nelle sue proprieta geometriche. L’ interessante nella concezione di Bohr, Kramers eSlater pare quindi solo consistere nel fatto che questi autori vorrebbero abbandonare la validit arigorosa delle leggi di conservazione.

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4

produzione del campo d’onda si dovesse ricondurre ad un atto istantaneo. Che cionon sia in accordo con l’ipotesi di fondo di questo lavoro, e stato mostrato poc’anzinel 20 caso. Lo si mostrera ora qui con maggior chiarezza.

Studiamo il comportamento della radiazione che provenga da un punto infinita-

mente lontano dell’asse in funzione della differenza di cammino d. A questo scopopensiamo di nuovo al fascio di raggi canale spostato all’infinito e sostituito con sor-genti ferme di frequenza ν 0 (1 + vα/c), quando si debba tener conto della diffrazionedella fenditura. La fenditura sia larga, ma non infinitamente larga rispetto allalunghezza d’onda λ0. Secondo la teoria della diffrazione, l’intensita della lucediffratta in una direzione d’incidenza caratterizzata da un angolo α rispetto alladirezione positiva dell’asse X e proporzionale alla quantita

sin

πbαλ

πbαλ

2.

In questa espressione si puo sostituire senza perdita di precisione λ con λ0. Di controsi deve tener presente che lo scostamento di λ da λ0 ha un’influenza importante sulrisultato del processo di interferenza con la differenza di cammino d. Una radia-zione monocromatica che attraversi perpendicolarmente l’apparato di interferenzapossiede al di la dell’apparato un’intensita proporzionale alla quantita

cos2

πd

λ

.

In questa espressione la dipendenza della quantita λ da α e essenziale. L’intensitadella radiazione che arriva ad x = ∞ e, tenendo conto della sua dipendenza da dsecondo quanto detto, determinata dall’integrale

+∞−∞

sin2πbαλ0

πbαλ0

cos2

πd

λ

dα,

doveλ = λ0

1 −

c

.

L’esecuzione dell’integrale produce, a prescindere da una costante moltiplicativapriva di significato, il valore

1 +

1 −dv

bc

cosπd

λ0

,

ovvero il valore 1, a seconda che sia d < 2bc/v, oppure d > 2bc/v.Nel secondo caso non si osservera interferenza. Nel primo l’intensita dell’inter-

ferenza rispetto alla parte che non interferisce e data dalla funzione lineare

1 −vd

bc.

L’intensita relativa dell’interferenza va a zero linearmente al crescere della differenzadi cammino. Questo risultato si fonda essenzialmente sulla diffrazione della fendi-tura.

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Se la nostra ipotesi sulla non influenza di uno spostamento parallelo della sor-gente di luce sulle figure di interferenza e giusta, questo risultato vale anche perl’emissione da parte di particelle di raggi canale, che passino immediatamente al dila della fenditura, in contrasto con la mia aspettativa originaria.

Mostrero ora che questo risultato corrisponde esattamente alle aspettative dellateoria ondulatoria, secondo la quale le particelle di raggi canale emettono comeun oscillatore di Hertz. Secondo questa una particella dei raggi canale, quandotransita davanti alla fenditura, invia un’onda con la frequenza ν 0 lungo la direzionepositiva dell’asse X attraverso la fenditura. L’apparato di interferenza da questotreno d’onda ne produce due di uguale ampiezza, che sono separati temporalmentedi d/c. I due treni d’onda interferiscono mutuamente in un punto prescelto solodurante un tempo b/v − d/c, e cio solo per d cosı piccoli, che questa quantita siapositiva. In questo caso l’integrale temporale del quadrato dell’ampiezza in unpunto dell’asse X e proporzionale a

2 d

c

0

cos2 (2πν 0t) dt + b

v−

d

c

0

cos(2πν 0t) + cos

2πν 0

t− d

c

2dt.

Poiche questo e proporzionale all’intensita totale nel punto prescelto, si ottiene dinuovo con il calcolo, a meno di un fattore di proporzionalita inessenziale, il valore

1 +

1 −

dv

bc

cos

πd

λ0

,

che coincide esattamente con il risultato precedente.L’analogo esame di un reticolo regolare avrebbe dato diminuzioni e aumenti li-

neari e periodici dell’intensita dell’interferenza in funzione di d invece di una dimi-nuzione lineare unica. Se b/d indica la densita delle righe ovvero dei solchi vuotidel reticolo, le differenze di cammino per i massimi e per i minimi d’interferenzasarebbero caratterizzate dalle equazioni

dmax = 2nbc

v, dmin = (2n + 1)

bc

v,

dove n indica un numero intero (zero compreso).Conclusione. Se l’ipotesi della non influenza dello spostamento parallelo della

sorgente di luce sulle figure di interferenza di sorgenti luminose estese e corretta,le figure d’interferenza osservabili prodotte da raggi canale omogenei devono aver

luogo secondo la teoria classica dell’emissione della luce, cioe come se le particelledei raggi canale fossero oscillatori di Hertz in moto. Non ci si deve aspettareun’influenza della struttura quantica della radiazione.

Addendum

Il presente lavoro e stato scritto nel maggio 1926 ed e servito a Rupp da guidaper ricerche descritte nel lavoro che segue. Esse hanno confermato interamente lateoria.

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Considerazioni elementari sull’interpretazione

dei fondamenti della meccanica quantistica1

A. Einstein

Institute for Advanced Study, Princeton, N.J.

L’essenza della situazione attuale io la vedo cosı: riguardo al formalismo mate-matico della teoria non esiste alcun dubbio, ma molti ce ne sono sull’interpretazionefisica delle sue asserzioni. In quale relazione sta la funzione ψ con la situazione con-creta individuale, cioe con la situazione individuale di un singolo sistema? Ovvero:che cosa dice la funzione ψ sullo “stato reale” (individuale)?

Ora si puo anzitutto dubitare che si possa in generale attribuire un senso aqueste domande. Si puo infatti assumere il seguente punto di vista: “reale” e soloil singolo risultato dell’osservazione, non un qualcosa di esistente obbiettivamente

nello spazio e nel tempo indipendentemente dall’atto dell’osservazione. Se si assumequesto netto punto di vista positivistico, non c’e bisogno evidentemente di fare alcunpensiero su come lo “stato reale” debba essere interpretato nell’ambito della teoriadei quanti. Tale sforzo appare infatti come un tirar di scherma contro un fantasma.

Questo punto di vista positivistico netto ha tuttavia - se conseguentementesviluppato - un’irreparabile debolezza: esso conduce a dichiarare vuote di significatotutte le proposizioni esprimibili col linguaggio. Si ha il diritto di dichiarare dotata disignificato, ossia vera o falsa, una descrizione di un singolo risultato d’osservazione?Non e possibile che una tale descrizione sia fondata su bugie, ovvero su esperienzeche noi possiamo interpretare come ricordo di sogni o come allucinazioni? La di-stinzione tra esperienze della veglia ed esperienze del sogno ha in generale un si-gnificato obbiettivo? Alla fine restano “reali” solo le esperienze di un io senza unaqualche possibilita di asserire qualcosa su di esse; infatti i concetti adoperati nelleasserzioni si rivelano ad un’analisi positivistica rigorosa senza eccezione vuoti disignificato.

In verita i concetti indipendenti ed i sistemi di concetti utilizzati nelle nostreasserzioni sono creazioni umane, strumenti di lavoro che ci siamo creati da noi,la cui giustificazione e il cui valore consistono esclusivamente nel fatto che essisi lasciano coordinare alle esperienze “con profitto” (verifica). Altrimenti detto -questi strumenti di lavoro sono giustificati in quanto consentono di “spiegare”2 leesperienze.

Solo da questo punto di vista della verifica si e autorizzati a giudicare concetti esistemi di concetti. Cio vale anche per i concetti “realta fisica” ovvero “realta del

mondo esterno”, “stato reale di un sistema”. Non si ha a priori alcun diritto dipostularli come necessari per il pensiero o di vietarli; cio che decide e solo la veri-fica. Dietro queste parole simboliche sta un programma, che si e rivelato senz’altrodeterminante per lo sviluppo del pensiero fisico fino all’enunciazione della teoriadei quanti: si deve ricondurre tutto a oggetti ideali nell’ambito spaziotemporaleed alle relazioni in forma di legge che devono valere per questi oggetti. In questadescrizione non compare che cosa si riferisca ad una conoscenza empirica riguardo a

1Scientific Papers presented to Max Born, Hafner Publishing Company Inc., New York (1953),pp. 33-40.

2L’affinita linguistica tra i concetti di “wahr”e di “sich bew ahren” si fonda su un’affinita diessenza; solo, questa constatazione non deve essere fraintesa in senso utilitaristico.

1

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2

questi oggetti. Alla luna si attribuisce una posizione spaziale (relativamente ad unopportuno sistema di coordinate) ad ogni determinato tempo, indipendentementedal fatto che ci siano o meno delle osservazioni su questa posizione. Si intendequesto tipo di descrizione quando si parla della descrizione fisica di un “mondo

reale esterno”, riguardo alla quale e anche sempre possibile la scelta delle pietreda costruzione elementari (punto materiale, campo, ecc.) che si prendono a fonda-mento.

Della validita di questo programma non si e dubitato seriamente da parte deifisici, finche sembrava che tutto quello che interviene nella descrizione dovesse inlinea di principio potersi determinare empiricamente in ogni singolo caso. Chequesta fosse un’illusione e stato mostrato per la prima volta nell’ambito dei fenomeniquantistici da Heisenberg in modo convincente per i fisici.

Ora il concetto di “realta fisica” e diventato problematico e si son poste le do-mande, che cosa essa veramente sia, che cosa cerchi di descrivere la fisica teorica(mediante la meccanica quantistica), e a che cosa si riferiscano le leggi da essa

enunciate. A queste domande vengono date risposte assai diverse.Per avvicinarci ad una risposta, consideriamo che cosa afferma la meccanica

quantistica sui macro-sistemi, cioe su quegli oggetti che noi avvertiamo come “di-rettamente percepibili”. Di tali oggetti sappiamo infatti che essi e le leggi per essivalide si possono rappresentare mediante la fisica classica con precisione notevole,anche se non illimitata. Non dubitiamo che per tali oggetti ad ogni tempo si abbiauna configurazione spaziale reale (posizione) come pure una velocita (ovvero unimpulso), cioe una situazione reale - il tutto con l’approssimazione consentita dallastruttura quantica.

Ci chiediamo: la meccanica dei quanti (con l’approssimazione richiesta) implicala descrizione reale prodotta dalla meccanica classica per i corpi macroscopici?

Ovvero - qualora non si possa rispondere semplicemente a questa domanda con un“sı” - in che senso cio accade? Esamineremo cio con un esempio concreto.

L’esempio particolare

Il sistema consista di una sfera di circa 1 mm. di diametro, che va avanti e indietro(lungo l’asse x di un sistema di coordinate) tra due pareti parallele (distanti traloro un metro circa). Gli urti siano idealmente elastici. In questo macro-sistemaidealizzato pensiamo di sostituire le pareti con espressioni dell’energia potenzialedall’andamento “ripido”, nelle quali entrino solo le coordinate del punto materialeche rappresenta la sfera. “Con astuzia e perfidia” si faccia in modo che questi

processi di riflessione non diano luogo ad alcun accoppiamento tra la coordinata xdel baricentro della sfera e le coordinate “interne” di questa (incluse le coordinateangolari). Otteniamo cosı che per lo scopo da noi perseguito la posizione della sfera(a prescindere dal suo raggio) puo essere descritta mediante la sola x.

Nel senso della meccanica quantistica si tratta di un processo con energia esat-tamente determinata. L’onda di de Broglie (funzione ψ) e quindi armonica nellacoordinata temporale. Essa e inoltre diversa da zero solo tra x = −l/2 e x = +l/2.Agli estremi del cammino la connessione continua con la funzione ψ nulla al di ladel cammino richiede che per x = ±l/2 debba essere ψ = 0.

La funzione ψ e quindi un’onda stazionaria, che si puo rappresentare all’internodel cammino mediante la sovrapposizione di due onde armoniche che si propagano

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in direzione opposta:

(1) ψ =1

2A exp[i (at− bx)] +

1

2A exp[i (at + bx)]

ovvero

(1a) ψ = A exp(iat)cos(bx).

Si vede dalla (1a) che il fattore A nei due termini dev’essere scelto uguale, perchesi possano soddisfare le condizioni al contorno agli estremi del segmento. Senzarestrizione della generalita A puo esser scelto reale. Secondo l’equazione di Schro-dinger b e determinato da [. . . ] e dalla massa m. Pensiamo il fattore A normalizzatonel modo noto.

Perche un confronto dell’esempio con il corrispondente problema classico siafruttuoso dobbiamo assumere che la lunghezza d’onda di de Broglie 2π/b sia piccola

rispetto ad l.Per il significato della funzione ψ assumiamo ora nel modo consueto l’inter-pretazione probabilistica di Born:

W =

ψψdx = A2

cos2 (bx) dx.

Questa e la probabilita che la coordinata x del baricentro della sfera giaccia in undato intervallo ∆x. Essa e - a prescindere da una “struttura fine” ondulatoria, lacui realta fisica e accertata - semplicemente cost.∆x.

Come va ora con la probabilita dei valori dell’impulso ovvero della velocita dellasfera? Queste probabilita si otterranno mediante sviluppo di Fourier della ψ. Se la

(1) valesse da−∞

a +∞

, la (1) sarebbe gia lo sviluppo di Fourier cercato. Darebbedue valori ben definiti dell’impulso uguali e di segno opposto con uguale probabilit a.Ma poiche i due treni d’onda sono limitati, si produce per ogni termine uno sviluppocontinuo di Fourier con una regione spettrale tanto piu stretta, quanto piu grandee il numero di lunghezze d’onda di de Broglie contenute nel tratto l. Si concludequindi che sono possibili solo due valori quasi ben definiti dell’impulso uguali e disegno opposto - valori che del resto coincidono con quelli del caso classico; inoltreentrambi hanno la stessa probabilita.

Questi due risultati statistici sono quindi, a prescindere dalle piccole deviazionideterminate dalla struttura quantica, gli stessi di quelli che si ottengono nel casodella teoria classica per una “totalita temporale” di sistemi. Pertanto fin qui lateoria e interamente soddisfacente.

Ma ora ci chiediamo: questa teoria puo produrre una descrizione reale di un casoindividuale? A questa domanda dobbiamo rispondere con un “no”. Per questaconclusione e essenziale che si abbia a che fare con un “macro-sistema”. Infatticon un macro-sistema siamo sicuri che esso si trova ad ogni tempo in uno “statoreale”, che e descritto in modo approssimativamente giusto mediante la meccanicaclassica. Il macro-sistema individuale del tipo da noi trattato ha quindi ad ognitempo una coordinata del baricentro quasi determinata - quanto meno mediata suun intervallo di tempo piccolo - e un impulso quasi determinato (determinato ancheriguardo al segno). Nessuno di questi due risultati si puo ottenere dalla funzione ψ(1). Da questa si possono ottenere (per mezzo dell’interpretazione di Born) solo queirisultati, che si riferiscono ad una totalita statistica di sistemi del tipo considerato.

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4

Il fatto che per il macro-sistema considerato non succeda che ogni funzione ψche soddisfi l’equazione di Schrodinger corrisponda approssimativamente alla de-scrizione reale nel senso della meccanica classica e particolarmente chiaro quando sitratti una funzione ψ che consiste di una sovrapposizione di due soluzioni del tipo

(1), le cui frequenze (ovvero energie) siano notevolmente diverse tra loro. Infatti aduna tale sovrapposizione non corrisponde alcun caso reale della meccanica classica(ma ben tuttavia una totalita statistica di tali casi reali nel senso dell’interpretazionedi Born).

Generalizzando concludiamo: la meccanica quantistica descrive totalita di si-stemi, non il sistema individuale. La descrizione mediante la funzione ψ e in questosenso una descrizione incompleta del sistema singolo, non una descrizione dellostato reale di questo.

Osservazione: contro questa conclusione si potrebbe opporre quanto segue. Ilcaso da noi trattato di estrema nettezza in frequenza della funzione ψ e un casolimite per il quale il requisito dell’analogia con un problema della meccanica classica

potrebbe ben in via eccezionale non valere. Se si consente un intervallo finito, anchese piccolo, di frequenze temporali, si puo ottenere, con un’opportuna scelta delleampiezze e delle fasi delle funzioni ψ sovrapposte, che la funzione ψ risultante abbiaapprossimativamente una posizione ed un impulso precisi. Non si potrebbe cercaredi restringere secondo questo punto di vista le funzioni ψ ammissibili, e ottenerecosı che le funzioni ψ consentite possano essere interpretate come rappresentazionedel sistema singolo?

Questa possibilita dev’essere negata in base al fatto che una tale rappresentazionenon si puo ottenere per tutti i tempi. -

La circostanza che l’equazione di Schrodinger assieme all’interpretazione di Bornnon conduce ad una descrizione dello stato reale del sistema singolo stimola natu-

ralmente la ricerca di una teoria che sia esente da questa limitazione.Ci sono finora due tentativi in questa direzione, che hanno in comune il mante-nimento dell’equazione di Schrodinger e l’abbandono dell’interpretazione di Born.Il primo tentativo risale a de Broglie ed e stato ulteriormente sviluppato da Bohmcon molta acutezza.

Come Schrodinger nella sua ricerca originale deriva l’equazione d’onda per analo-gia con la meccanica classica (linearizzazione dell’equazione di Jacobi della mecca-nica analitica), altrettanto si dovra fondare sull’analogia l’equazione di moto delsingolo sistema quantizzato - appoggiandosi ad una soluzione ψ dell’equazione diSchrodinger. La regola e questa. Si porti ψ nella forma

ψ = R exp(iS ).

Cosı si ottengono da ψ le funzioni (reali) delle coordinate R ed S . La derivatadi S rispetto alle coordinate deve dare gli impulsi ovvero le velocit a del sistemain funzione del tempo, quando per un valore determinato del tempo siano date lecoordinate del sistema individuale preso in esame.

Un’occhiata alla (1a) mostra che nel nostro caso ∂S/∂x si annulla, e quindi si an-nulla anche la velocita. Questa obiezione, del resto mossa gia da un quarto di secoloda Pauli contro questo tentativo teorico, e particolarmente grave nel caso del nostroesempio. L’annullarsi della velocita contraddice infatti il requisito ben fondato, chenel caso di un macro-sistema il moto debba coincidere approssimativamente conquello che deriva dalla meccanica classica.

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5

Il secondo tentativo di raggiungere una descrizione reale del sistema singolo sullabase dell’equazione di Schrodinger e stato compiuto di recente da Schrodinger stesso.Il suo pensiero in breve e questo. La funzione ψ rappresenta da se la realta e non c’ebisogno dell’interpretazione statistica di Born. Le strutture atomiche, sulle quali

finora il campo ψ doveva dire qualcosa, non esistono affatto, per lo meno non comestrutture localizzate. Questo, trasferito al nostro macro-sistema, significa: i corpimacroscopici come tali non esistono affatto; in ogni caso non esiste - neppure insenso approssimato - qualcosa come la posizione del loro baricentro ad un tempodeterminato. Anche qui si abbandona il requisito che la descrizione secondo lateoria dei quanti di un macro-sistema debba coincidere approssimativamente conla corrispondente descrizione secondo la meccanica classica.

Il risultato della nostra trattazione e questo. La sola interpretazione finora ac-cettabile dell’equazione di Schrodinger e l’interpretazione statistica data da Born.Questa non fornisce tuttavia alcuna descrizione reale per il sistema singolo, ma soloasserzioni statistiche sulla totalita dei sistemi.

Secondo la mia opinione non e soddisfacente in linea di principio porre a fon-damento della fisica un simile atteggiamento teorico, tanto piu che non e possibilerinunciare alla descrivibilita oggettiva del macro-sistema individuale (descrizionedello “stato reale”) senza che l’immagine del mondo fisico si dissolva per cosı direin una nebbia. In conclusione e del tutto irrinunciabile l’idea che la fisica debbasforzarsi di dare una descrizione reale del sistema singolo. La natura come un tuttopuo esser pensata solo come un sistema individuale (che esiste unico) e non comeuna “totalita di sistemi”.

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1La diffusione di luce da luce nella teoria di Dirac

Hans Euler

(con 3 figure)

Sommario: Introduzione. I parte. §1. Presentazione

-

preliminare di una espressione intuitiva dell’interazione U della1

luce con la luce, che porta alla trasformazione di due quanti di

luce g , g in due altri -g , -g :1 2 3 4

- 4((g g U -g -g )=H );

1 2 1 3 4 in-

§2. Valutazione più accurata dell’interazione U della luce con la1

luce dall’invarianza delle rispettive equazioni di Maxwell

corrette:

- 2 2 2 2 2 2(U =( ¡ c/e E ) ¢ [ £ ( ¤ - ¥ ) + ¦ ( ¤ ¥ ) ]dV);

1 0

§3. Discussione delle relazioni di commutazione per le intensità

di campo nel sistema di equazioni di Maxwell corrette.

II parte: §4. Schema generale di perturbazione che sarà usato

per il calcolo della diffusione di luce da luce; §5. Costruzione

4della matrice H della teoria di Dirac per la diffusione di luce

in

da luce; §6. Sviluppo in frequenza all’ordine zero di questa

4matrice H e confronto con il termine di sottrazione di

in4

Heisenberg; §7. Dimostrazione dell’identità della matrice H chein

deriva dalla teoria di Dirac con l’energia di interazione dei

-quanti di luce U prima introdotta.1

III parte: §8. Calcolo degli elementi di matrice per la

diffusione di luce da luce (fino a termini al quart’ordine dello

sviluppo rispetto alla frequenza della luce) per due casi

particolari nella valutazione dei coefficienti numerici £ , ¦

2dell’interazione della luce con la luce ( £ =-1/(360 ¨ ),

=-7/(360¨ )); §9. Verifica del metodo; §10. Discussione dei

risultati.

1Dissertazione della facoltà di filosofia dell’università di

Lipsia. Il presente lavoro è lo sviluppo di una nota di Euler e

Kockel su "Naturwissenschaften", 23, 246, 1935. Le parti II e III

sono state sviluppate assieme a Kockel, il §5 prevalentemente da

Kockel.

1

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Introduzione

2 3Halpern e Debye hanno osservato che nella teoria di Dirac

ci si deve aspettare una diffusione di luce da luce. Due quanti di

luce possono generare una coppia, un positrone ed un elettrone, e

questa coppia può subito reirraggiare; due quanti di luce sipossono quindi spontaneamente mutare in altri due quanti di luce

(con la conservazione dell’energia e dell’impulso totale).

Per questo processo bisogna distinguere due casi:

1 2Le energie cg e cg dei due quanti di luce e l’angolo tra i

1 2loro impulsi © e © sono così grandi, che la legge dell’ energia

e dell’impulso consente la generazione di una coppia reale

1 2 1 2 2(g g -( © © )>2(mc) ). Si ottiene allora la probabilità della

diffusione reciproca dei quanti di luce, se si moltiplica la

probabilità della generazione di coppie per quella di

reirraggiamento e si somma su tutte le possibilità. Questo è stato

4sviluppato da Breit e Wheeler .

L’energia e l’impulso di due quanti di luce non raggiungono

la generazione di una coppia reale

1 2 1 2 2(0,1) g g -( © © )<2(mc) ,

1 2cioè in un sistema di riferimento opportuno g <mc, g <mc. Allora i

1 2

due quanti di luce g , g possono mutarsi in due altri quanti di

luce mediante la possibilità virtuale di generazione di coppie e

anche in questo caso (all’incirca della luce visibile) si deve

avere una diffusione di luce da luce. La sua sezione efficace sarà

qui calcolata (§10, formule 9 e 10).

I parte

La probabilità della trasformazione di due quanti di luce ©

1

e © in due altri - © e - © è data dal quadrato di un elemento di2 3 4

4matrice H della teoria di Dirac (che, come sarà mostrato piùin

2O. Halpern, Phys. Rev. 44, 885, 1934.

3P. Debye, in una discussione orale con il Prof. Heisenberg.

4G. Breit e J. Wheeler, Phys. Rev. 46, 1087, 1934.

2

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oltre, è del quart’ordine nella carica elettronica).

4Il calcolo diretto di questa matrice H della teoria di

in

Dirac (parti II e III), [cioè, degli elementi di matrice per il

caso generale di arbitrarie direzioni di diffusione e di

polarizzazione] è assai laborioso. Ci si può ridurre tuttavia al

problema più facile del calcolo di due elementi di matrice [cioè

4

al calcolo di H per due direzioni speciali della diffusione ein

della polarizzazione] attraverso la seguente trattazione generale

(parte I).

§1. Presentazione preliminare di una espressione intuitiva

-dell’interazione U della luce con la luce, che porta alla

1

trasformazione di due quanti di luce g , g in due altri -g , -g .1 2 3 4

- 4((g g U -g -g )=H ).

1 2 1 3 4 in

Quando due onde luminose si diffondono reciprocamente, invece

di compenetrarsi indisturbate, si ha uno scostamento dal principio

di sovrapposizione. Il principio ottico di sovrapposizione è

espresso dalla linearità delle equazioni di Maxwell per il vuoto.

La diffusione di luce da luce deve poter essere descritta mediante

un’aggiunta non lineare alle equazioni di vuoto di Maxwell, nel

caso che una descrizione intuitiva sia possibile. Questa

descrizione intuitiva, della cui possibilità ci occuperemo in

seguito (§7), è suggerita dalla seguente analogia che esiste nella

teoria di Dirac tra quanti di luce ed elettroni:

Due elettroni possono scambiarsi quanti di luce e quindi

porsi in interazione reciproca, il che all’incirca si manifesta

nella deflessione mutua degli elettroni, e per questa esiste in

una certa approssimazione un’espressione intuitiva, la legge di

Coulomb.

Parimenti due quanti di luce possono dar luogo virtualmente

ad una quantità di coppie e pertanto tra di essi si stabilisce

un’interazione, che dà luogo alla diffusione di luce da luce.

Anche per questa interazione dei quanti di luce tra loro ci si

deve aspettare un’espressione semplice e intuitiva analoga alla

legge di Coulomb.

L’interazione coulombiana in un campo materiale, che è

*descritto dall’operatore densità

, è

3

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- 2 * *(1,1) U’=(e /2) ¢ ¢ [ ( ) ( ) ( ’) ( ’)/( - ’)]dVdV’

La probabilità per la diffusione di un elettrone da un altro si

ottiene dal quadrato dell’elemento di matrice di (1,1) per una

transizione in un campo materiale, che significa la diffusione

reciproca di due elettroni.

Per trovare l’interazione dei quanti di luce analoga alla-

(1,1) si deve cercare una funzione U dei gradi di libertà del1

campo di radiazione, quindi delle intensità di campo F , il cuiik

elemento di matrice per una transizione nel campo di radiazione,

che significa la diffusione reciproca di due quanti di luce, sia

4uguale all’elemento di matrice H , prima menzionato e da

in

calcolarsi nel seguito, della teoria di Dirac per questo processo.

-Su questa interazione U dei quanti di luce in funzione delle

1

intensità di campo si può dire quanto segue:

Poichè essa deve portare a processi, nei quali due quanti di

luce spariscono e due compaiono,si devono includere le intensità

di campo o le loro derivate alla quarta potenza:

-U =cost¢ [FFFF+cost’( F/ x)( F/ x)FF+...]

1

(gli indici dei tensori e dei vettori sono qui e nel seguito

tralasciati o rappresentati mediante indici speciali, per rendere

esplicito il loro accoppiamento in uno scalare).

-Poichè l’interazione U ha le dimensioni di un’energia ma

1

(come termine del quart’ordine della teoria di Dirac) la carica

dell’elettrone deve apparirvi alla quarta potenza ( e poichè dalle

quattro unità universali e,m,c,h si può costruire un solo numero

adimensionale, la costante di struttura fine di Sommerfeld

2e / ¡ c 1/137), la costante è fissata a meno di un fattore numerico

da:

2 2(1,2) cost= ¡ c/(e E )

0

2 2 2con E =e/(e /mc ) ="intensità del campo al bordo dell’elettrone".

0

Allo stesso modo i termini con le derivate delle intensità di

campo comportano come fattore aggiuntivo una lunghezza

indipendente dalla carica dell’elettrone, quindi la lunghezza

d’onda di Compton h/mc.

4

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Ci si può stupire che nell’elettrodinamica del vuoto debba

intervenire la massa dell’elettrone, mentre si presuppone che si

abbia a che fare solo con quanti di luce e non con elettroni. Ma

sebbene i termini qui trattati siano validi quando non si genera

alcuna coppia reale, essi si realizzano mediante la possibilità

virtuale di generazione di coppie, e ciò implica la comparsa della

massa dell’elettrone.Ci si aspetta oltre all’energia di Maxwell dei singoli quanti

di luce un’interazione mutua dei quanti di luce della forma

- 2 2(1,3) U =( ¡ c/(e E )) ¢ [FFFF+(( ¡ /mc) F/ x)(( ¡ /mc) F/ x)FF+...]dV

1 0

4Si mostrerà nel seguito che il suddetto elemento di matrice H ,

in

che discende dalla teoria di Dirac, si può trasformare

effettivamente nell’elemento di matrice di una tale espressione

(1,3).

Poichè limiteremo la (0,1) al caso di radiazione luminosa

molle ( g <mc), quindi a campi lentamente variabili

( ( ¡ /mc) F/ x < F ), possiamo tralasciare nella (1,3) i termini

con le derivate delle intensità di campo.

Assumeremo quindi, a prescindere da ulteriori considerazioni

(§7), che la diffusione di luce molle da luce a causa di una

densità d’energia del campo di radiazione aggiuntiva (a quella di

Maxwell) della forma

2 2(1,4) U =( ¡ c/e E )FFFF

1 0

si possa scrivere:

4(1,5) H =(g g ¢ U dV -g -g ).

in 1 2 1 3 4

(F intensità di campo, V volume dello spazio di radiazione,ik

2 2 2E =e/(e /mc ) ,

0

g e g quanti di luce prima dell’urto,1 2

-g e -g quanti di luce dopo l’urto,3 4

(g g O -g -g ) elemento di matrice dell’operatore O,1 2 3 4

4H elemento di matrice della teoria di Dirac.

in

(per questa transizione).

-§2. Valutazione più accurata dell’interazione U della luce con la

1

5

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luce dall’invarianza delle rispettive equazioni di Maxwell

corrette

- 2 2 2 2 2 2 5(U =( ¡ c/e E ) ¢ [ £ ( ¤ - ¥ ) + ¦ ( ¤ ¥ ) ]dV) .

1 0

Determineremo ulteriormente la forma (1,4) di questa

interazione U della luce con la luce mediante l’imposizione1

dell’invarianza relativistica.6

Nella teoria quantistica generale della luce e della materia

il tensore dell’intensità di campo elettrico e dell’induzione

magnetica, che saranno qui indicati con , ¤ , soddisfa alle

equazioni:

(2,1) (1/c) ¤ +rot =0, div ¤ =0,

che equivalgono all’esistenza del potenziale

:

(2,2)

=-(1/c)

=rot

,

e alle equazioni

(2,3) -(1/c) +rot ¤ =4 ¨ i/c, div =4 ¨ ,

che accoppiano il campo , ¤ con la materia di densità e di

corrente i. La materia è a sua volta determinata nella sua

evoluzione e nella sua reazione al campo dall’equazione di Dirac.

L’insieme complessivo (2,1; 2,2; 2,3) si applica alla teoria delle

buche. Di nuovo tuttavia nella teoria delle buche c’è la seguente

specializzazione.

Quando non è presente nessun elettrone, nella teoria delle

buche si possono cancellare e i e valgono le equazioni di

Maxwell per il vuoto: (2,1) o (2,2) e

5Le dimostrazioni matematiche di questo paragrafo sono identiche

a quelle di Born (M. Born, M. Born e L. Infeld, Proc. Roy. Soc.

London A143, 410, 1933; A144, 425, 1934; A147, 522, 1934. Esse

saranno ripetute, perchè qui si trattano presupposti fisici

diversi. Vedi anche p. 446.

6W. Heisenberg e W. Pauli, Ztschr. f Phys. 56, 1, 1930; 59, 168,

1930.

6

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(2,4) -(1/c) +rot ¤ =0, div =0.

(2,5) Tuttavia nella teoria delle buche succede, anche

quando non vi è alcun elettrone e anche quando l’energia del

campo di radiazione non è sufficiente, che si generino

elettroni e positroni,

esiste, come diciamo, la possibilità virtuale di generazione di

materia nel comportamento del campo.

Le equazioni per questo caso particolare (2,5) devono da un

lato accordarsi con le equazioni generali (2,1; 2,2; 2,3),

dall’altro implicare solo le intensità di campo; possono risultare

anche solo dalle (2,1; 2,2; 2,3), purchè la corrente , i sia

sostituita da funzioni assegnate delle intensità di campo , ¤ ,

che possano significare la "materia generata virtualmente dal

campo , ¤ ".

Cioè: per il nostro caso particolare (2,5) le equazioni (2,1;

2,2) restano valide, ma le equazioni di Maxwell del vuoto (2,4)

sono corrette da certi termini aggiuntivi, che possono essere

trascurati solo per campi piccoli (rispetto ad E ).0

Assumiamo che le equazioni di campo modificate si possano

-prescrivere mediante una funzione di Hamilton U e le sue equazioni

canoniche. Come coordinate del sistema possiamo scegliere (secondo

le 2,2) il negativo del potenziale vettore -

. L’impulso

canonicamente coniugato a - lo chiameremo ¥ /4 ¨ c, quindi sarà

definito da

(2,6) ¥ ( ) ( ’)- ( ’) ¥ ( )=2hci ! ( - ’) !

i k k i ik

ovvero da

(2,7) ¥ ( ) ¤ ( ’)- ¤ ( ’) ¥ ( )=2hci( ! ( - ’)/ ’)i k k i l

-(con ikl cicliche). L’energia U è allora una funzione di tutte le

coordinate e dell’impulso,

-(2,8) U= ¢ UdV

che deve contenere solo le intensità di campo, non anche le loro

derivate:

7

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(2,9) U=U( ¤ , ¥ ).

-Le equazioni canoniche della funzione di Hamilton U sono ora:

¤ ( ’)=(i/ ¡ ) ¢ [U( ¤ ( ), ¥ ( )) ¤ ( ’)- ¤ ( ’)U( ¤ ( ), ¥ ( ))]d

k k k

=-4 ¨ c rot ( U/ ¥ )k

ovvero con la (2,1):

(2,10) U/ ¥ = /4 ¨

e

¥ ( ’)=(i/ ¡ ) ¢ [U( ¤ ( ), ¥ ( )) ¥ ( ’)- ¥ ( ’)U( ¤ ( ), ¥ ( ))]d

k k k

=4¨

c rot (

U/ ¤

)k

ovvero con la definizione

(2,11) U/ ¤ = # /4 ¨ ,

(2,12) -(1/c) ¥ +rot # =0

che inoltre permette

div ¥ =0.

Pertanto per ogni energia U le equazioni di campo sono

fissate: la (2,1) e la (2,12) danno la dipendenza temporale dei

campi, la (2,10) e la (2,11) accoppiano le intensità di campo , ¤

con le funzioni di campo ¥ , # . Come mostrano le equazioni (2,12) e

(2,1), ¥ indica lo spostamento elettrico, ¤ l’induzione magnetica

7e come tale la forza sulla corrente vera .

7L’introduzione nelle equazioni (2,1; 2,12) di correnti vere,

cioè di elettroni reali tali che, a differenza di quelli virtuali

qui trattati (2,3), si possano vedere nella camera di Wilson, ma

che non partecipino all’irraggiamento del campo e che in questa

teoria possano intervenire solo come corpi di prova, mostrerebbe

che ¥ descrive le linee di sorgente delle cariche vere, # le linee

di circuitazione delle correnti vere, e confermerebbe che

8

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Lo schema generale (2,1; 2,2; 2,12; 2,10; 2,11), che si fonda

solo sulla legge dell’induzione (2,1) e sulla dipendenza

dell’energia dalle sole intensità di campo, riceve il suo

contenuto mediante l’assunzione di una determinata funzione di

Hamilton U.

2 2Sia U=( ¤ + ¥ )/8 ¨ , allora per la (2,10) ¥ = e per la (2,11)

#

e le (2,12) divengono le equazioni (2,4) del campo di vuotomaxwelliano non corretto, che vale solo in prima approssimazione

per campi deboli. In approssimazione più alta la funzione di

Hamilton secondo la (1,4) si scrive

2 2 2 2(2,13) U=(

¤

)/8¨

+(¡

c/e E )f(¤

)=U +U0 0 1

dove f è una funzione di quarto grado in¤

.

Ma un dato termine aggiuntivo f dev’essere in accordo con il

principio di relatività. Lo determiniamo mostrando come le

equazioni di campo (2,1; 2,2; 2,12; 2,10; 2,11) si possano

derivare anche da un principio variazionale, e richiedendo che la

funzione di Lagrange L, di cui in questo principio variazionale si

fa l’estremo, sia un’invariante per trasformazioni di Lorentz.

Perciò definiamo in analogia con il procedimento generale

della meccanica la funzione

(2,14) L/4 ¨ =( ¥ )/4 ¨ -U

e calcoliamo le sue derivate parziali rispetto a ¤ e ad :

troviamo (per una variazione dei campi!

,! ¤

,! ¥

,! #

):

! L/4 ¨ =( ! ¥ + ¥ ! )/4 ¨ -( U( ¤ , ¥ )/ ¤ ) ! ¤ -( U( ¤ , ¥ )/ ¥ ) ! ¥

ovvero per la (2,10):

! L/4 ¨ = ¥ ! /4 ¨ -( U( ¤ , ¥ )/ ¤ ) ! ¤ ,

quindi:

(2,15) L( ¤ , )/ = ¥

rappresenta la forza sulla carica vera e ¤ la forza sulla corrente

vera. Vedi anche C.F. v.Weizsäcker, Ann. d. Phys. 17, 869, 1933.

9

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e per la (2,11):

(2,16) L( ¤ , )/ ¤ =- #

e vediamo che queste derivate parziali di L sono accoppiate

mediante l’equazione (2,12) in un’equazione differenziale per L

(2,17)

(

L/

)/

ct+rot(

L/ ¤

)=0,

che è equivalente al principio variazionale:

(2,18) ¢ ¢ L( ¤ , )dVdt=estremo

per la funzione di Lagrange L=L( ¤ , ) sotto le condizioni

aggiuntive (2,1) o (2,2). Le equazioni lagrangiane (2,1; 2,15;

2,16; 2,18) che fissano l’evoluzione del campo allo stesso modo

delle equazioni hamiltoniane (2,1; 2,10; 2,11; 2,12), riceveranno

ora il loro contenuto mediante la costruzione di una funzione di

Lagrange che dev’essere invariante per trasformazioni di Lorentz e

per riflessione.

Tutti gli invarianti di Lorentz del tensore antisimmetrico ¤ ,

2 2 devono essere funzione dei due invarianti di Lorentz - ¤ ed

( ¤

), dei quali tuttavia il secondo non è invariante per

riflessione.

Al grado più basso, il secondo, si ha solo l’invariante per

2 2

trasformazioni di Lorentz e per riflessione

, che come

funzione di Lagrange porta, secondo le (2,15; 2,16; 2,18), alle

note equazioni lineari di Maxwell ¥ = , # = ¤ e (2,4).

All’ordine subito più alto, il quarto, si possono costruire

solo gli invarianti per trasformazioni di Lorentz e per

2 2 2 2riflessione ( - ¤ ) ed ( ¤ ) . Così all’hamiltoniana corretta più

generale al quart’ordine nelle intensità di campo corrisponde una

funzione di Lagrange

2 2 2 2 2 2 2 2

(2,19) L/4 ¨ =( - ¤ )/8 ¨ +( ¡ c/e E )[- £ ( - ¤ ) - ¦ ( ¤ ) ]=(L +L )/4 ¨

0 0 1

dove - £ e - ¦ sono coefficienti numerici.

Per questa funzione di Lagrange le equazioni di accoppiamento

delle intensità di campo

con le quantità¥

,#

(2,15; 2,16)

sono:

10

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2 2 2 2¥ /4 ¨ = /4 ¨ +( ¡ c/e E )[-4£ ( - ¤ ) -2 ¦ ( ¤ ) ¤ ]

0

(2,20a)

2 2 2 2#

/4¨

/4¨

+(¡

c/e E )[-4£

(

+2¦

)

]0

le cui inverse (tralasciando coerentemente le potenze più elevate

della quarta nelle intensità di campo) si scrivono

2 2 2 2 /4 ¨ = ¥ /4 ¨ +( ¡ c/e E )[+4£ ( ¥ - # ) ¥ +2 ¦ ( # ¥ ) # ]

0

(2,20b)

2 2 2 2¤ /4 ¨ = # /4 ¨ +( ¡ c/e E )[+4 £ ( ¥ - # ) # -2 ¦ ( # ¥ ) ¥ ]

0

Alla funzione di Lagrange (2,19) corrisponde secondo (2,14;

2,20) la funzione di Hamilton

2 2 2 2 2 2 2 2(2,21) U=( ¥ + ¤ )/8 ¨ +( ¡ c/e E )[ £ ( ¥ - ¤ ) + ¦ ( ¥ ¤ ) ]=(U +U )

0 0 1

Pertanto l’energia d’interazione U dei quanti di luce è data1

a meno di due costanti numeriche£

. Queste saranno fissate nel

4§8 mediante il calcolo degli elementi di matrice di Dirac H in

in

due casi speciali i più semplici possibile e mediante il confronto

con la (2,21).

.

.

.

.

11

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1L’effetto Compton secondo la teoria di Schroedinger

W. Gordon a Berlino

(ricevuto il 29 settembre 1926.)

Si calcolano secondo la teoria di Schroedinger le frequenze e le

intensità irraggiate nell’effetto Compton. Le quantità della

teoria dei quanti si ottengono come media geometrica sulle

quantità classiche degli stati iniziale e finale del processo.

1. Presentazione dell’equazione differenziale per

.

Heisenberg e Schrödinger hanno dato dei metodi per la

determinazione delle frequenze quantiche e delle intensità.

2L’effetto Compton è già stato calcolato da Dirac con il metodo di

Heisenberg. Qui lo stesso problema sarà trattato secondo

Schrödinger. Il procedimento di Schrödinger ha il vantaggio di

servirsi di mezzi matematici consueti. Esso si fonda sulla

determinazione di una quantità

, che per un solo elettrone è una

funzione delle coordinate spaziali cartesiane x , x , x e del1 2 3

tempo t. Schrödinger ha dato due regole per la determinazione

dell’equazione differenziale alle derivate parziali lineare del

second’ordine che

deve soddisfare. Entrambe stanno in una certa

relazione con la prescrizione classica, secondo la quale si

ottiene l’equazione differenziale di Hamilton-Jacobi per la

funzione d’azione W: nella relazione f(x,t,p,E)=0, che definisce

l’energia E, si sostituiscono al posto degli impulsi p , p , p le1 2 3

derivate di W rispetto alle coordinate corrispondenti, e al posto

di E la derivata rispetto al tempo con il segno negativo. Secondo

3una delle regole di Schrödinger si sostituiscono al posto delle

derivate i loro simboli moltiplicati per h/2 ¡ i e si applica a

l’operatore differenziale così risultante (dove per evitare

indeterminazioni si devono fare assunzioni di simmetrizzazione).

La prescrizione classica e quella quantistica

p = ¢ W/ ¢ x , E=- ¢ W/ ¢ t; p =-i £ ¢ / ¢ x , E=i £ ¢ / ¢ t, (1)k k k k

quando in modo noto si introducano le quantità immaginarie

1Zeitschr. f. Phys. 40, 117 (1926).

2P.A.M. Dirac, Proc. Roy. Soc. 111, 405 (1926).

3E: Schrödinger, Ann. d. Phys. 79, 734 (1926).

1

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x =ict, p =iE/c (2)4 4

si scrivono nella forma simmetrica

p = ¢ W/ ¢ x ; p =-i £ ¢ / ¢ x ; (1a)¥ ¥ ¥ ¥

qui e nel seguito k indica 1,2,3 e¥

1,2,3,4.

L’equazione di definizione per l’energia cinetica in

meccanica relativistica si scrive

2 2 2 2 2§

p -E /c +m c =0 (3)k

(m massa dell’elettrone, c velocità della luce) ovvero per la (2)

2 2 2§

p +m c =0. (3a)¥

L’elettrone si trovi ora in un campo elettromagnetico con le

componenti del potenziale vettore¨

e con il potenziale1 2 3

scalare © , tra i quali sussiste la relazione0

§

¢ ¨ / ¢ x + ¢ ¨ / ¢ ct=0 (4)k k 0

e da essi le intensità del campo elettrico e magnetico si

calcolano secondo le formule

E =- ¢ ¨ / ¢ x - ¢ ¨ / ¢ ct, H = ¢ ¨ / ¢ x - ¢ ¨ / ¢ x (5)k 0 k k 1 3 2 2 3

e permutazioni cicliche. Poniamo

¨ =i ¨ ; (6)4 0

allora le (4) e (5) tenendo conto della (2 ) assumono la forma1

§

¢ ¨ / ¢ x =0, (4a)¥ ¥

E =i( ¢ ¨ / ¢ x - ¢ ¨ / ¢ x ), H = ¢ ¨ / ¢ x - ¢ ¨ / ¢ x . (5a)k 4 k k 4 1 3 2 2 3

Queste formule mostrano che ¨ è determinata a meno di una¥

espressione additiva della forma ¢ f/ ¢ x , dove f soddisfa¥

2 2all’equazione delle onde

§

¢ f/ ¢ x =0.¥

Trattandosi di un campo, per energia si intende: energia

cinetica più energia di campo e¨

(e carica dell’elettrone), e0

2

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allora per ragioni d’invarianza come impulso: impulso cinetico più

"impulso di campo" (e/c) . Dalla (3) e dalla (3a) risulta cosìk

2 2 2 2 2 2 2 2§

(p -(e/c) ¨ ) -(E-e ¨ ) / c + m c =§

(p -(e/c) ¨ ) +m c =0. (7)k k 0

¥ ¥

L’equazione di Hamilton-Jacobi e l’equazione differenziale di

Schrödinger sono quindi secondo la (1a)

2 2 2§

( ¢ W/ ¢ x -(e/c) ¨ ) +m c =0 (8)¥ ¥

e rispettivamente

2 2 2

§

(-i £ ¢ / ¢ x -(e/c) ¨ ) + m c

=0¥ ¥

2 2ovvero sviluppando i quadrati e moltiplicando per -4¡ /h

2 2 2 2 2 2 2 2 2§

¢

x -(4¡

ie/hc)§

¨ ¢

x -(4¡

/h )((e /c )§

¨

+ m c )

=0; (9)¥ ¥ ¥ ¥

l’incertezza che subito compare, se si debba scrivere§

¨ ¢

x¥ ¥

oppure§

¢ ( ¨

)/ ¢ x si risolve in base alla (4a). Un incremento a¥ ¥

¨ di ¢ f/ ¢ x corrisponde ad un incremento di W di (e/c)f e ad una¥ ¥

moltiplicazione di

per exp(ief/£

c).

L’equazione differenziale (9) si può ottenere assieme a

-quella per la funzione complessa coniugata

per variazione

dell’integrale

J= Hdx dx dx dx ,!

1 2 3 4

- - -H=

§

¢

x +(ie/£

c)§

(

¢

x -

¢

x )¨

(10)¥ ¥ ¥ ¥ ¥

2 2 2 2 2 2 2 -+(4 ¡ /h )((e /c )

§

¨ + m c )#

-quando si trattino

e

come funzioni indipendenti, le cui

variazioni si annullano ai limiti d’integrazione. Da qui risulta

4la generalizzazione dell’altra regola di Schrödinger : si

hermitianizza l’equazione di Hamilton-Jacobi (8)

- 2 2§

( ¢ W/ ¢ x -(e/c) ¨ )( ¢ W/ ¢ x -(e/c) ¨ )+m c =0¥ ¥ ¥ ¥

e si compie in essa la sostituzione W=-i£ log

; con ciò il primo

- 2membro previa moltiplicazione per

#

va a coincidere con

4E. Schrödinger, Ann. d. Phys. 79, 361 (1926).

3

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l’espressione di H nella (10). Ma invece di porre H=0, si pone

uguale a zero la variazione dell’integrale $ Hdx dx dx dx . Nel1 2 3 4

limite h=0 W sarà reale e la (9) coinciderà con la (8).

Se il potenziale è indipendente dal tempo, in accordo con la

(1) si può porre

=u exp(-iEt/ £ ) (11)

con u indipendente dal tempo. Dalla (9) e dalla (10) risulta

allora

2 2§

¢ u/ ¢ x -(4 ¡ ie/hc)§

¨ ¢ u/ ¢ xk k k

2 2 2 2 2 2 2 2 2-(4 ¡ /h )

(e /c )§

¨ -(E-e ¨ ) / c + m c u=0, (9a)k 0

J= Hdx dx dx!

1 2 3

- - -H=

§

¢ u/ ¢ x ¢ u/ ¢ x +(ie/ £ c)§

(u ¢ u/ ¢ x -u ¢ u/ ¢ x ) ¨ (10a)k k k k k

2 2 2 2 2 2 2 2 2 -+(4

¡

/h )

(e /c )§

¨

-(E-e¨

) / c + m c

uu.k 0

2Nel caso della meccanica classica si deve sostituire E con E+mc e

passare al limite per c= & ; tuttavia (e/c) ¨ rimane immutato,k

poichè in esso c dipende dal fatto che e si intende misurato in

unità elettrostatiche. In questo senso nella (9) e nella (10) si2

deve sostituire ¢ / ¢ t con ¢ / ¢ t-imc / £ , nella (9a) e nella (10a)

2 2 2 2(E-c ¨ ) /c -m c con 2m(E-c ¨ ). Le due ultime equazioni assumono

0 05

dunque per¨

=0 la forma che è stata comunicata da Schrödinger .k

2. Determinazione dalla radiazione da

. Classicamente si

calcola la radiazione per mezzo del moto dell’elettrone. Da un

integrale completo della (8) con le tre costanti c si ottiene ilk

moto nello stato definito da queste costanti mediante le formule

¢ W/ ¢ c =d , (12)k k

dove le d sono tre ulteriori costanti. Le (12) risolte danno lek

coordinate in funzione del tempo.

5E. Schrödinger, Ann. d. Phys., l.c. e 79, 489 (1926).

4

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Nella teoria quantistica non si può parlare del moto in uno

stato, ma tutti i moti sono tra loro accoppiati. Le radiazioni

possibili sono quelle di un sistema di cariche e di correnti

distribuito spazialmente, che si derivano dalla funzione

nel

-modo seguente. Moltiplichiamo la (9) per

e per

l’equazione

-complessa coniugata che vale per

, e sottraiamo un’equazione

dall’altra; tenendo conto della (4a) otteniamo

§

¢

s /¢

x =0 (13)¥ ¥

con

'

- - -(

s =-i

¢

/ ¢ x -

¢

/ ¢ x -(4 ¡ ie/hc) ¨

#

. (14)¥0 ) ¥ ¥ ¥ 1

Poniamoci nella rappresentazione reale con la sostituzione

s =s , s =ic 2 ; (15)k k 4

allora la (13) si scrive

§

¢ s / ¢ x + ¢ 2 / ¢ t=0. (13a)k k

Siamo autorizzati a parlare della s come di componenti di unak

densità di corrente e di 2 come di una densità di carica; allora

tra queste quantità sussiste l’equazione di continuità (13a) e a

priori queste quantità non devono soddisfare nessun’altra

condizione per poter fungere da sorgenti di un campo

elettromagnetico nelle equazioni di Maxwell. Si è introdotto nella

(14) il fattore -i, quindi le s e 2 sono reali. Si determinak

facilmente che queste quantità sono indipendenti dalla

summenzionata indeterminazione nei potenziali ¨ . Esse si¥

ottengono anche dalla funzione di Hamilton H (10) per derivazione

rispetto ai potenziali, come succede anche nella teoria della

6materia di Mie . Cioè

s =-(e£ /c) ¢ H/ ¢ ¨ . (16)¥ ¥

Il campo generato dalle densità si ottiene dai potenziali

ritardati

6Vedi per esempio M. v. Laue, Relativitätstheorie II, Eq. (271).

5

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¨ =(1/c) [s ]dx/R, dx=dx dx dx (17)¥

!

¥

1 2 3

per mezzo delle formule (5a). R è la distanza del punto potenziato

dall’elemento di volume dx, e le parentesi quadre stanno ad

indicare che a t si è sostituito t-R/c. La radiazione è uguale a

quella che origina dal baricentro elettrico delle cariche. Il

baricentro è definito da

eX = x 2 dx, e= 2 dx, (18)k

!

k!

e ponendo X =ict si può scrivere complessivamente4

eX = x 2 dx. (18a)¥

!

¥

Dall’equazione di continuità (13a) segue, quando la corrente

si annulla in modo appropriato ai confini dello spazio:

0=§

¢ s / ¢ x dx=- ¢ 2 / ¢ tdx,!

k k!

k

0=§

¢ (x s )/ ¢ x dx=- x ¢ 2 / ¢ tdx+ s dx.!

k r r!

k!

kr

La prima equazione afferma, come dev’essere, che la carica

totale è costante nel tempo, la seconda, che la velocità del

baricentro è data da

edX /dt= s dx (19)k

!

k

ovvero assieme all’ultima equazione (18)

7edX /dt= s dx . (19a)

¥

!

¥

Poichè per h=0 il campo è quello classico (principio di

7Nota aggiunta in correzione. Si può con Madelung (Naturwiss. 14,

1004 (1926)) considerare la corrente come elettricità che si muove

con la velocità 3 = 4 / 2 ( 4 = s , s , s ). La sua densità di massa è1 2 3

allora m5 = m 2 /e. X e dX /dt sono allora la posizione e lak k

velocità del baricentro della massa. - Tralasciando il campo

- - -magnetico e la relatività la (14) dà 4 =-i(

grad

-

grad

)=2 6

’’

-(con la notazione di Madelung), 2 =(4 ¡ m/h)

#

, di modo che

3 =( £ /m)6

’’, come per Madelung.

6

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corrispondenza), la (18) per h=0 deve coincidere con la totalità

8dei moti classicamente possibili . In particolare la carica

complessiva dev’essere uguale alla carica dell’elettrone, come ben

abbiamo indicato con la notazione.

Assumiamo ora che l’equazione (9) per condizioni al contorno

naturali possieda una serie di soluzioni discrete

,

,..., che1 2

riassumiamo nella somma

z

. (20)m m

m

Le costanti (reali) z sono una misura del peso dello stato m. Lem

densità (14) sono

(mn)s =

§

z z s , (21)¥

m n¥

mn

con

(mn)'

- - - (

s =-i

¢

x -

¢

x -(4¡

ie/hc)¨

. (21a)¥ )

n m¥

m n¥ ¥

m n1

(mn)Gli s costituiscono gli elementi di una matrice hermitiana, e

¥

(mn)si derivano alla maniera (16) da una matrice hermitiana H , la

-quale consiste nell’H della (10) con

sostituito da

e

conm

. Il moto è rappresentato secondo le (18), (19) e (21) dan

(mn) (mn)X =

§

z z X , dX /dt=§

z z dX /dt, (22)k m n k k m n k

mn mn

con

(mn)

(mn) (mn)

(mn)eX = x 2 dx, edX /dt= s dx. (22a)

k!

k k!

k

(mn)Le X sono le matrici di Heisenberg, nel caso che le funzioni

k

siano opportunamente normalizzate. Nel caso (11) segue dallam

9(22a) la rappresentazione di Schrödinger .

Quando l’indice m è capace di valori continui, al posto delle

somme compaiono integrali.

.

.

3. Applicazione all’effetto Compton.

8In questa definizione rimane la possibilità di termini aggiuntivi

che si annullino per h=0. (Vedi nota 1, pag. 127.)

9E. Schrödinger, Ann. d. Phys. 79, 734 (1926).

7

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1Fenomeni di fluttuazione e meccanica quantistica

W. Heisenberg a Copenaghen

La nota presente cerca di mostrare che la meccanica quantistica è

sempre in accordo con le formule di fluttuazione prescritte dalla

teoria della discontinuità.

Il grande significato fisico dei fenomeni di fluttuazione

consiste nel fatto che essi stanno tra le conseguenze più semplici

e immediate della discontinuità che si manifesta su spazi e tempi

piccoli. Per esempio secondo Einstein si può considerare il moto

browniano come una conseguenza diretta della struttura atomistica

della materia, le fluttuazioni d’energia e d’impulso nella

radiazione di una cavità portano immediatamente all’idea dei

quanti di luce di Einstein, le fluttuazioni d’energia in un

reticolo cristallino sono strettamente legate all’esistenza di

stati stazionari discreti di un sistema meccanico. Poichè mediante

la meccanica quantistica la teoria dei sistemi meccanici è stata

resa accessibile a una trattazione quantitativa, deve sussistere

tra la meccanica quantistica e il tipo prima ricordato di fenomeni

di fluttuazione una connessione assai stretta. Questa connessione

sarà chiarita nel seguito. La nota seguente significa anche

un’estensione e precisazione delle considerazioni, che Born,

2 3

Jordan e l’autore hanno esposto precedentemente in occasione

dello sviluppo generale della meccanica quantistica. Uno studio

più approfondito della connessione allora trovata mi pare utile,

1Zeitschr. f. Phys. 40, 501 (1926).

2M. Born, W. Heisenberg e P. Jordan, Quantenmechanik II. Zeitschr.

f. Phys. 35, 557, (1926), Cap. 4, § 3.

3La critica di A. Smekal, Zeitschr. F. Phys. 37, 319 (1926) non si

riferisce al caso qui trattato di un sistema meccanico; se una

tale critica possa portare a risultati utili nel caso della

radiazione della cavità, non si può decidere per ora; potrei

aggiungere che il caso della cavità è del tutto analogo a quello

del reticolo cristallino.

1

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poichè di nuovo da varie parti si manifestano dubbi sull’esistenza

delle discontinuità.

§ 1. La parte matematica della trattazione seguente si desume

4da un lavoro dell’autore sulla risonanza quantomeccanica;

trasferisco qui i risultati di quel lavoro. Sia dato questo

problema: due atomi uguali a e b si possono (trascurando ogni

a

forza della radiazione) trovare negli stati n e m, cioè W = E ,nb

W = E ; essi sono accoppiati mediante un’interazione assaim

piccola. Esiste allora risonanza tra i due atomi; questa risonanza

si può descrivere intuitivamente in due modi diversi:

1. Col’andar del tempo hanno luogo con una data frequenza dei

salti d’energia, che fanno passare simultaneamente con

a bdiscontinuità W da E a E e W da E a E o v iceversa. I n altre

n m m n5

parole , col passar del tempo il "quanto di luce" (E -E )n m

ripetutamente prima va dall’atomo a all’atomo b, e poi torna ad a

dopo un certo tempo. In media per ragioni di simmetria il quanto

di luce è per la metà del tempo nell’atomo a, per l’altra metà

nell’atomo b.

2. La risonanza è da considerarsi come l’analogo secondo il

principio di corrispondenza dell’interazione classica tra due

oscillatori. Perciò l’energia pulserà avanti e indietro tra gli

atomi a e b con una frequenza di battimento lenta. L’energia di un

atomo è una funzione armonicamente periodica del tempo. In questa

forma la descrizione II contraddice completamente la descrizione

I. Tuttavia mediante la meccanica quantistica questa descrizione

secondo il principio di corrispondenza sarà sostanzialmente

modificata e resa accessibile ad una trattazione matematica: non

ha senso in un certo stato del sistema totale, parlare

dell’energia di un atomo in funzione del tempo. Solo il valor

medio temporale di una quantità dipendente dal tempo ha

significato fisico in un certo stato del sistema totale. L’energia

4W. Heisenberg, Mehrkorperproblem und Resonanz in der

Quantenmechanik, Zeitschr. F. Phys. 38, 411 (1926); nel seguito

citato come (l.c.).

5Si dovrebbe dire piuttosto "quanto sonoro", poichè si ha a che

fare con uno stato di oscillazione meccanico.

2

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di un atomo è rappresentabile formalmente nel caso qui considerato

mediante una matrice, che corrisponde ad una funzione armonica del

tempo. I termini armonici di questa matrice sono tuttavia

collegati a due stati del sistema totale. Finchè non intervengono

transizioni del sistema complessivo, solo i suddetti valori medi

temporali sono in linea di principio osservabili.

Si mostrerà che per tutti gli effetti osservabili in linea diprincipio la descrizione II è equivalente alla descrizione I. La

prima domanda è se sia possibile in qualche modo mediante processi

d’urto con uno dei due atomi determinare sperimentalmente valori

dell’energia che stiano da qualche parte tra E ed E . La rispostan m

per entrambe le descrizioni è: no. Nel caso II basta soltanto

applicare le definizioni fondamentali della meccanica quantistica

al sistema complessivo ( dei due atomi a e b) per vedere che, ( a

meno di quantità dell’ordine dell’interazione) nei processi d’urto

si possono trasferire le stesse differenze d’energia E -E come inn m

assenza d’interazione. Per procedere oltre, immaginiamo che sia

data la matrice quantomeccanica per l’energia di un atomo (poniamo

a): tutte le matrici del sistema con interazione si ottengono da

quelle del sistema imperturbato mediante una trasformazione

canonica con la matrice S (l.c. equazioni (8) e (7)):

-1 W’=S WS ,

-1q’=S qS , (1)

dove S è (l.c. Eq. 12):

-1/2 -1/2 -1/2 -1/2S =2 ; S =2 ; S =2 ; S =-2 . (2)

nm,nm nm,mn mn,nm mn,mn

aSi indichi anche con W l’energia dell’atomo a nel sistema

aimperturbato, con W’ quella nel sistema perturbato; sarà

a -1 a W’ =S W S . (3)

Questa per la (2) è una matrice con i termini:

a aW’ =(1/2)(E +E ) ; W’ =(1/2)(E -E ) ;

nm,nm n m nm,mn n m

a aW’ =(1/2)(E -E ) ; W’ =(1/2)(E +E ) . (4)

mn,nm n m mn,mn n m

Tutte le quantità osservabili in linea di principio in un

determinato stato, per esempio nm, risultano essere: il valor

amedio temporale di W stesso, la fluttuazione media quadratica

dell’energia, qualche valor medio delle fluttuazioni. Del tutto in

3

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generale tutte queste fluttuazioni possono essere ricondotte al

valor medio temporale di una qualche funzione di W: f( W) (cioè il

2 4valor medio di W , di W eccetera). Calcoliamo il valor medio

temporale di una siffatta funzione f: sarà

-1f’=S fS , (5)

quindi

f’ =(1/2)(f(E )+f(E )) ;nm,nm n m

f’ =(1/2)(f(E )+f(E )) .mn,mn n m

Si vede senz’altro che questi valori sono identici a quelli che si

possono ottenere con l’interpretazione I. Si potrebbe porre la

questione a rovescio: Si dia una funzione E(t) in modo che il

valor medio di una qualche funzione arbitraria f(E) soddisfi

all’equazione (15):

f(E(t)) = (1/2)(f(E )+f(E )) .n m

Si troverà che solo funzioni del tipo rappresentato in Fig. 1

hanno questa proprietà, e proprio quando la lunghezza complessiva

del tratto superiore della curva è uguale in media alla lunghezza

complessiva del tratto inferiore, cosa che corrisponde proprio

all’ipotesi I.

Il risultato è quindi che la meccanica quantistica nel caso

qui trattato riguardo a tutte le quantità di fluttuazione

raggiunge gli stessi risultati della rappresentazione discontinua,

in altre parole, si mostra che il fatto della discontinuità si

inserisce in modo non forzato nel sistema della meccanica

quantistica. Appare come se la meccanica quantistica permettesse

di affermare sui processi discontinui nè più nè meno che quello

che è realmente dimostrabile. L’istante della transizione, nel

complesso la transizione stessa non intervengono in questo schema.

E’ anche nostra opinione che in Fig. 1 solo la lunghezza

complessiva dei tratti della curva inferiori e superiori abbia un

significato fisico.

Si potrebbe osservare che tutti i calcoli sono stati eseguiti

solo nell’approssimazione nella quale l’interazione dei due atomi

si può considerare come infinitamente piccola. Ma questa è proprio

l’approssimazione nella quale il problema è definito. Il concetto

4

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"energia di un atomo" ha un senso preciso solo fin quando

l’energia di interazione può essere trascurata.

§ 2. Il fondamento matematico per la coincidenza dei valori

medi delle fluttuazioni quantomeccanici con quelli della teoria

della discontinuità è la forma delle trasformazioni canoniche (1),

(5). Questa forma d’altra parte ha nella meccanica quantistica una

validità così generale che la discussione delle fluttuazioni primapresentata si può estendere al caso più generale che può capitare.

L’ipotesi del § 1, che a e b siano due atomi, è inessenziale;

possono essere due sistemi meccanici uguali qualsiansi. Inoltre

tutte le considerazioni rimangono valide, anche quando si tratti

dell’interazione di più sistemi meccanici uguali. La coincidenza

delle fluttuazioni della teoria discontinua con le fluttuazioni

quantomeccaniche non dipende dai valori di S, solo la forma della

trasformazione canonica è essenziale. Si indichi lo stato di un

qualche sistema meccanico perturbato con "¡

", lo stato del sistema

imperturbato con "¢

". Allora una trasformazione canonica (1), (5)

nel senso dell’interpretazione discontinua significa quanto segue:

2Se il sistema si trova nello stato

¡

, S è la probabilità che¡

¢

(in seguito a processi d’urto, per improvvisa cessazione della

perturbazione ecc.) il sistema si trovi nello stato¢

. Per ogni

afunzione di W vale per esempio, secondo la (5):

a ¤ 2 af (W ) = S f(W ) , (6)

¡ ¥ ¡

¢ ¢

¢

a adowe W indica quel valore di W , che il sistema a assume nello¢

stato¢

. Secondo principi generali vale naturalmente

¤ 2S = 1 . (7)

¥ ¡

¢

¢

Come seconda generalizzazione si può abbandonare l’ipotesi

che si tratti di sistemi meccanici identici. Si deve solo

presupporre che la stessa differenza d’energia E -E intervenga inn m

tutti i sistemi, perchè altrimenti (cioè per i sistemi nei quali

non accade) non si tratterebbe di un caso di risonanza. Con le

parole della rappresentazione discontinua: il quanto di luce E -En m

deve potersi trovare in tutti i sistemi. I calcoli del § 1 si

possono in questo caso trasferire invariati.

La terza generalizzazione che dobbiamo proporci riguarda il

5

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tipo delle quantità di cui si studiano le fluttuazioni. Le

considerazioni precedenti non sarebbero mutate se in luogo

dell’energia del sistema di particelle si trattasse di una qualche

altra quantità che nel caso imperturbato si possa rappresentare

con una matrice diagonale. A queste quantità appartengono per

esempio il momento angolare totale, il momento angolare rispetto

ad un asse fisso ecc.. I valori medi delle fluttuazioni di tuttequeste quantità coincidono secondo il calcolo quantomeccanico del

§ 1 con i valori medi delle fluttuazioni che derivano dalla

rappresentazione discontinua. Finchè si parla di energia, di

momento angolare ecc. di un sistema meccanico in funzione del

tempo, intervengono in meccanica quantistica solo funzioni del

tipo indicato in Fig. 1. Come coefficienti di probabilità

2intervengono sempre le stesse quantità S .

¡

¢

Inoltre le considerazioni del § 1 manterranno la loro

validità anche nel caso di moti aperiodici, poichè la forma della

trasformazione canonica (1), (5) ha validità generale. come

esempio si può in conclusione mostrare in che modo i calcoli fatti

sulle fluttuazioni in un reticolo cristallino da Born, Jordan e

dall’autore (l.c.) siano contenuti nella trattazione qui prodotta.

Si tratta delle fluttuazioni d’energia in un piccolo volume

parziale di un cristallo. Nwel sistema imperturbato si deve

isolare il volume parziale dal cristallo. Allora nel sistema

perturbato esiste risonanza riguardo a tutte quelle oscillazioni

proprie la cui frequenza sia uguale nel sistema imperturbato per

il cristallo e il volume parziale. Questo avviene

approssimativamente per tutte le oscillazioni proprie per le quali

le lunghezze d’onda siano piccole rispetto alle dimensioni lineari

del piccolo volume parziale. Solo per tali oscillazioni proprie il

problema delle fluttuazioni ha un senso determinato. Dalle

considerazioni del § 1 si può prevedere senza calcoli che il

calcolo delle fluttuazioni quadratiche medie e di tutti i valori

medi più alti delle fluttuazioni secondo la meccanica quantistica

deve dare lo stesso risultato della statistica della luce di

Bose-Einstein. Per il caso delle fluttuazoni quadratiche medie il

calcolo è eseguito esplicitamente nel suddetto lavoro

"Quantenmechanik II".

I calcoli qui sviluppati mi paiono un argomento riguardo al

6

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fatto che una interpretazione continua del formalismo

quantomeccanico, quindi anche le onde di de Broglie-Schrödinger,

non corrisponderebbero all’essenza delle relazioni formali note.

Piuttosto secondo questi calcoli il fatto della discontinuità è

contenuto armonicamente nello schema matematico della meccanica

quantistica.

7

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1Tentativo di un’interpretazione quantistica della dispersione

K.F. Herzfeld a Monaco

(Con una figura. Ricevuto il 21 febbraio 1924.)

Nella lotta tra la teoria ondulatoria e la "teoria dei quanti

di luce" per la radiazione la grande difficoltà per la seconda è

costituita dai fenomeni di interferenza e di dispersione. In con-

nessione con l’interpretazione dell’interferenza di G. Wentzel si

tenterà qui di mostrare come si deve formulare la teoria della

dispersione quando la luce consiste di quanti volanti. Si deve

allora assumere che dall’atomo possano essere trattenuti anche dei

quanti "sbagliati", anche se solo per tempi

1/ ¡ , e che poi siano

o rispediti in avanti o diffusi di lato. Si possono dare delle

leggi di probabilità che sono in accordo con le formule di

dispersione. In conclusione sarà discusso l’equilibrio energetico

tra materia e radiazione.

Il problema di capire il passaggio della luce nei mezzi

2trasparenti dal punto di vista della radiazione ad aghi si può

dividere nella considerazione di due domande.

Come prima cosa bisogna rispondere alla domanda, perchè la

velocità di propagazione nei corpi materiali sia diversa da quella

nello spazio vuoto e come questo fatto sia collegato con

l’assorbimento.

Il secondo compito consiste nello spiegare a partire da qui

la rifrazione, più in generale la propagazione della radiazione,

in altre parole nell’interpretazione secondo la teoria dei quanti

del principio di Huyghens. Questo compito non è tuttavia distinto

in questo caso particolare da quello generale, che pone l’inter-

pretazione dell’interferenza secondo la teoria dei quanti. Quando

¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

1Zeitschr. f. Phys. 23, 341 (1924).

2A. Einstein, Ann. d. Phys. 17, 133 (1905); Phys. Zeitschr. 10,

185 (1909); 18, 181 (1917); J. Stark, Phys. Zeitschr. 10, 579, 902

(1909); 11, 24 (1910).

1

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3questo è assolto , anche la rifrazione etc. sono chiarite.

Resta quindi qui soltanto da calcolare la velocità di

propagazione nella materia ponderabile. In primo luogo daremo

4un’esposizione della teoria classica della dispersione che for-

malmente si discosta da quella solita, e che fa risaltare chiara-

mente il suo nucleo fisico.

I. La teoria della dispersione classica

1. Propagazione della fase. Nella teoria classica la sola possi-

bilità mediante la quale una qualche struttura materiale (per

esempio un oscillatore lineare di Planck) può influire su un’onda

elettrica, è che essa emetta un’onda secondaria, il cui campo si

sovrapponga al campo dell’onda primaria. Per esempio la rifles-

sione su uno specchio deriva dal fatto che i risonatori dello

specchio entrano in co-oscillazione, e le onde secondarie così e-

messe in avanti costruiscono l’onda riflessa, mentre quelle emesse

all’indietro annullano esattamente l’onda primaria nello specchio.

Quando poniamo nel campo di un’onda piana un singolo

risonatore, esso non emette naturalmente un’onda piana, ma un’onda

sferica, abbiamo cioè diffusione, non riflessione o propagazione

ritardata dell’onda primaria. Per ottenere questa, dobbiamo nel

caso più semplice immaginarci un piano rivestito di risonatori

(per esempio il piano xy ), di modo che tutte le onde sferiche

secondarie producano per interferenza secondo il principio di

Huyghens un’onda piana secondaria. Vi siano ora£

’ risonatori per

unità di superficie del piano, e inoltre siano così lontani l’uno

dall’altro, che si possa prescindere dalla loro influenza

reciproca. Su di essi incida, proveniendo dalla direzione -z,

un’onda elettrica piana

i ¡ (t-z/c)¤

e .x 0x

L’equazione di moto del singolo risonatore nella notazione di

¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

3G. Wentzel, Zeitschr. f. Phys. 22, 193 (1924).

4vedi L. Natanson, Phil. Mag. 38, 269 (1919).

2

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Voigt sia

.. .2

+ m¡

’¥

+ m¡ ¥

= e¤

, (1)0

dove¡

misura la frequenza dell’oscillazione propria, m¡

’ lo0

smorzamento. La soluzione complessa com’è noto si scrive:

1 i ¡ t¥

= (e

¤

/m)¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

e (2)0x 2 2¡ - ¡ +i ¡ ¡ ’

0

e significa un’oscillazione di ampiezza

1(e

¤

/m)¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

0 2 2 2 2 2 1/2[( ¡ - ¡ ) + ¡ ¡ ’ ]

0

i( ¡ t+ © )e con l’angolo di fase

©

[e ] tale che

2 2¡

0 ¡ ¡ ’cos © = ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ sin © = - ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ,

2 2 2 2 2 1/2 2 2 2 2 2 1/2[( ¡ - ¡ ) + ¡ ¡ ’ ] [( ¡ - ¡ ) + ¡ ¡ ’ ]0 0

cioè per frequenze d’oscillazione¡

più piccole della frequenza

propria un angolo tra 0 ( ¡ =0) e - /2 ( ¡ = ¡ ), per ¡ più grandi di0

¡ un angolo tra - / 2 e - . Questa oscillazione genera ora un’onda0

piana secondaria

-i ¡ z/cE = - ( 2 e

£

’/c) ¥ i ¡ e , (3)

che perciò ha la formula

2 i ¡

E=-(2 e£

’/mc) ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

¤

. (4)2 2 x

¡

+i¡ ¡

’0

La sua ampiezza è

2 ¡

(2

’/mc) ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

¤

,2 2 2 2 2 1/2 0x

[( ¡ - ¡ ) + ¡ ¡ ’ ]0

l’angolo di cui la fase anticipa è dato da

= © - /2 .

L’onda risultante si può rappresentare graficamente nel modo

più intuitivo con il metodo, usuale in elettrotecnica, del

"diagramma vettoriale rotante". Poichè tutte le quantità hanno la

tforma cost.e , per indicare un vettore si disegna per esempio un

tratto orizzontale di una lunghezza che corrisponda al valore

3

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dell’ampiezza. Quantità che abbiano un angolo di fase

rispetto

al suddetto saranno disegnate come vettori inclinati rispetto ad

esso di quest’angolo, e sommate vettorialmente. La somma vetto-

riale rappresenta allora la quantità risultante in ampiezza ed

angolo di fase (per vederlo, si pensi il piano come piano dei

numeri complessi).

Se facciamo così, e tracciamo

¤

verso destra, notiamo quantosegue: il vettore dell’onda secondaria E è sempre verso sinistra

(- /2>

>-3 /2 ovvero 3 /2>

> /2); l’ampiezza dell’onda risultante

5è sempre minore di quella della primaria [assorbimento] , ed è al

minimo per

=- , cioè © =- /2, ¡ = ¡ , quando le fasi delle onde0

primaria e secondaria sono opposte. Per ¡ < ¡ © è compreso tra 0 e0

- /2, quindi

tra - /2 e - ; l’onda risultante resta indietro

rispetto alla primaria di un angolo 2 .

Quando si segua sul nostro disegno l’andamento al crescere

della frequenza, si vede in dettaglio assai bene il comportamento

dell’indice di rifrazione. Con il crescere della frequenza dappri-

ma

diminuisce lentamente da - / 2 a - , cioè il vettore dell’onda

secondaria si inclina verso sinistra rispetto alla direzione della

verticale (da 1 a 2), e contemporaneamente la sua lunghezza

cresce. Pertanto anche lo spostamento di fase 2

dell’onda

risultante assume valori negativi sempre più grandi, cioè il suo

vettore resta sempre più indietro rispetto a quello primario

(dispersione normale). Quando però

si approssima al valore -

,

cioè il vettore dell’onda secondaria è assai inclinato a sinistra

(3) ovvero le fasi delle onde primaria e secondaria sono quasi

opposte,

diminuisce al crescere ulteriore di¡

(dispersione

anomala), finchè per ¡ = ¡ l’onda risultante ha la stessa direzione0

della primaria, =0, ed n è uguale a 1, il che corrisponde di

fatto al centro della riga di assorbimento. Quando la frequenza

cresce oltre ¡ , il vettore dell’onda secondaria viene nel0

quadrante superiore (punto 4, tra - e -3 /2, ovvero equivalen-

temente, tra /2 e ), è positivo, l’onda risultante precede la

primaria, la velocità di fase diventa maggiore di c, l’indice di

rifrazione minore di 1.

¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

5vedi pag. 345 in alto.

4

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Appare quindi come se l’onda primaria, a prescindere dal-

l’assorbimento, avesse fatto nello strato un salto di fase 2

all’indietro, ovvero in altre parole, come se la fase nello strato

6fosse stata fermata per il tempo 2

. La ridotta velocità di

propagazione della fase risulta dunque dal fatto che essa compie

in ogni strato di risonatori un salto all’indietro di 2 .

L’ampiezza dell’onda risultante non è più grande di quelladella primaria, purchè l’ampiezza dell’onda secondaria non sia

molto grande (nella nostra formula si presuppone la condizione

2(2

’/mc)<2¡

’ per la sviluppabilità della radice). -

Che la nostra trattazione coincida con la consueta formula di

dispersione, lo si vede nel modo seguente. In un corpo con

l’indice di rifrazione complesso un’onda piana si propaga

secondo la legge:

i ¡ (t- z/c) i ¡ (t-z/c)-i ¡ ( -1)z/c¤

=

¤

e =

¤

e .0 0

Consideriamo un tratto z piccolo, possiamo quindi sviluppare e

otteniamo

(t-z/c)¤

1-i ¡ ( -1)z/c e .0

i ¡ (t-z/c)Abbiamo quindi accanto all’onda primaria

¤

e un’onda0

secondaria generata in questo tratto

i ¡ (t-z/c)-

¤

i ¡ (z/c)( -1)e .0

Se l’indice di rifrazione è vicino ad 1, cioè se la distribuzione

dei risonatori è abbastanza poco densa ovvero se il loro numero£

3per cm è abbastanza piccolo, si ottiene (Voigt, l.c.)

22

£

e -1 = ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ , (5)

2 2m( ¡ - ¡ +i ¡ ¡ ’)

0

quindi l’onda secondaria sarà

¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

6Per l’acqua (n=1,33) e per luce visibile la sosta in uno strato

-18molecolare dura

10 sec.

5

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2 1 i ¡ (t-z/c)-

¤

i ¡

£

z(2 e /mc) ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ e .0 2 2

¡ - ¡ +i ¡ ¡ ’0

£

z è il numero di risonatori che si trovano in una sezione di

21 cm dello strato considerato, quindi nel caso del nostro strato

piano è uguale al nostro£

’. Ma allora l’ultima formula sarà

identica alla (4).

2. Propagazione dell’energia. Per la velocità di propagazione del-

l’energia, in contrasto con quanto avviene per la propagazione

della fase considerata finora, è determinante un’altra quantità,

7la "velocità di gruppo" U . Definiremo in analogia con il solito

indice di rifrazione n una quantità

n’=c/U .

Secondo la definizione della velocità di gruppo si ha

n’=n+ ¡ dn/d ¡ . (6)

Per la regione nella quale vale l’approssimazione finora assunta

n-1<1 risulta

2 2 2 2 2 2 2( ¡ + ¡ )[( ¡ - ¡ ) - ¡ ’ ¡ ]

2 0 0n’=1+(2

/m)¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ . (7)2 2 2 2 2 2

[( ¡ - ¡ ) + ¡ ’ ¡ ]0

A differenza di n questa quantità è sempre maggiore di 1

- altrimenti potrebbe aversi una propagazione dell’energia con

velocità superiore a c - con l’eccezione della riga di assor-

bimento stessa, più precisamente della regione per la quale

¡

’¡

/(¡

). Ma nell’intorno immediato della riga di assor-0 0

bimento, come ha mostrato la discussione più precisa di Sommerfeld

8e Brillouin , la velocità di propagazione dell’energia U’ non è

¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

7O. Reynolds, Nature 23 August 1877, Scient. Papers I, 198; Lord

Rayleigh, Nature 24, 382 (1881); 25, 52 (1881); A. Schuster,

Nature 33, 439 (1886).

8A. Sommerfeld, Ann. d. Phys. 44, 177 (1914); L. Brillouin,

ibidem, 203.

6

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più data dalla (6); c/U’ risulta uguale a 1 nel centro della riga

spettrale e cresce da ambo i lati. Per questa regione però non è

disponibile una rappresentazione con una formula, ma solo una

numerica; questa tuttavia la si può dare solo con una certa

arbitrarietà, poichè nella propagazione in un mezzo dispersivo un

treno d’onde limitato non si instaura con intensità piena in un

batter d’occhio. Assumeremo in generale come rapporto dellavelocità della luce c con la velocità di propagazione in un mezzo

dispersivo:

2 2 2 2 2( ¡ + ¡ )( ¡ - ¡ )

2 0 0n’ = 1+(2 e

£

/m)¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ . (8)2 2 2 2 2 2

[( ¡ - ¡ ) + ¡ ’ ¡ ]0

Lontano dalla riga di assorbimento questa coincide in pratica

2 2 2 2 2completamente con la (7), poichè ivi è

¡

’¡ !

) , e all’in-0

terno della riga di assorbimento appare anche il comportamento

richiesto [per n’-1, annullamento per ¡ = ¡ e da ambo i lati cre-0

9scita iniziale simmetrica] ].

Come nel caso della fase possiamo quindi esprimere con una

formula, che in uno strato molecolare l’energia sarà trattenuta in

media per il tempo

2 2 2 2 2(

¡

)(¡

)2 0 0

(2 e£

’/mc) ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ . (9)2 2 2 2 2 2

[( ¡ - ¡ ) + ¡ ’ ¡ ]

0

3. Diffusione e assorbimento. Ora si deve parlare della quantità

¡ ’, che è determinante per l’assorbimento: per il verificarsi di

10quest’ultimo esistono due teorie. In quella di Planck si immagina

che la forza di smorzamento sia connessa semplicemente con la

reazione di radiazione,

¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

9Se si mette in dubbio questo risultato della teoria classica non

è più possibile trarre ulteriori conclusioni.

10M. Planck, Berl. Ber. p. 470 (1902); p. 480 (1903); p. 740

(1904); p. 382 (1905).

7

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2 2 3¡ ’=2e ¡ /(3mc ) . (10)

Allora non esiste alcun "vero assorbimento", la perdita d’energia

complessiva della radiazione primaria è determinata dalla

radiazione diffusa. La formula d’interferenza dà che£

molecole

irregolarmewnte disposte diffondono£

volte più di una sola, in

accordo con la formula per l’energia diffusa

22 ¡ ¡

’(4

£

e /mc) ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ . (11)2 2 2 2 2

( ¡ - ¡ ) + ¡ ¡ ’0

La diffusione richiesta si verifica in effetti per gas

11abbastanza rarefatti , e in corrispondenza la larghezza delle

righe spettrali è determinata solo dall’effetto Doppler [l’allar-

gamento causato da questo è grande rispetto a ¡ ’ dato dalla (10)],

di modo che in realtà con rarefazione sufficiente non risulta aver

luogo alcun vero assorbimento.

Dalla larghezza di riga misurata si può quindi solo dedurre

un limite superiore per ¡ ’ che è del tutto compatibile col fatto

che la (10) sia soddisfatta per lo meno come ordine di grandezza

8 -1(10 sec ). Se si introduce però un gas estraneo di sufficiente

12densità , si annulla la "radiazione di risonanza" e si ha vero

assorbimento (in che modo sia influenzata anche la diffusione al

di fuori della riga di assorbimento, non risulta provato) cioè

trasformazione in energia cinetica della molecola urtante. Ciò13

corrisponde alla teoria di H.A. Lorentz , secondo la quale lo

smorzamento è determinato dagli urti tra molecole, e ¡ ’= 2/(tempo

tra due urti). Effettivamente gli esperimenti danno anche la

corretta dipendenza dalla densità, ma per grandi valori assoluti.

¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

11W. Wood, Phys. Zeitschr. 13, 362 (1912); vedi anche il rapporto

di G. Joos, Handb. d. Radiol. 6. Bd., Leipzig (1924).

12W. Wood, l.c.; Ch. Füchtbauer e W. Hofmann, Ann. d. Phys. 43, 96

(1914); Ch. Füchtbauer, G. Joos e O. Dinkelacker, ibidem 71, 204

(1923).

13H.A. Lorentz, Proc. Amsterdam 6, 506, 555, (1897-1898); Theory of

Electrons (Leipzig 1909), p. 141.

8

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II. L’interpretazione quantistica

I. Formulazione dell’ipotesi quantistica. Secondo l’esposizione

ora data della teoria classica è chiaro come si debba

intraprendere la traduzione nel modo d’esprimersi quantistico,

quando si assuma la luce come una corrente di quanti di luce

emessi direzionalmente.G. Wentzel ha mostrato che con questa ipotesi si può

introdurre proprio come nella teoria classica una "fase", che

regola il processo di interferenza e le relazioni geometriche,

formalmente proprio allo stesso modo che nella teoria ondulatoria;

il fatto di un indice di rifrazione diverso da 1 significa allora

anche qui che la "fase della teoria dei quanti" subisce

all’attraversamento di uno strato molecolare un salto, solo non si

tratterà come per l’onda di un effetto che avviene ogni volta con

certezza, ma di un valor medio determinato con una legge di

probabilità.

Corrispondentemente la maggior lentezza della propagazione

14dell’energia deve significare che i quanti sono trattenuti negli

atomi per un intervallo di tempo, e così in media volano più

lentamente che nel vuoto.

La diffusione infine significa che non tutti i quanti

rivolano via nella direzione originaria.

Ora secondo la formulazione originaria dell’ipotesi dei

quanti un quanto può essere assorbito da un atomo solo quando il

suo ¡ sia uguale ad una frequenza propria ¡ , cioè se la sua0

energia h¡

/2

è proprio uguale a quella h¡

/2

, che è necessaria0

(0)per innalzare un elettrone da un’orbita stazionaria (energia U )

(1) (0)all’altra (energia U = U + h ¡ /2 ).

0

Ciò tuttavia lascerebbe non chiarito come l’accoppiamento di

assorbimento e dispersione potrebbe sussistere in modo corretto

anche al di fuori della riga d’assorbimento. Dobbiamo pertanto

modificare un po’ il postulato di Bohr e formularlo così: le

orbite calcolate secondo la prescrizione quantistica consueta sono

¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

14Idee analoghe ha proposto F. Weigert, Zeitschr. f. phys. Chem.

101, 414 (1922).

9

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le sole stazionarie nel senso che esse hanno tempi di vita

-8dell’ordine di grandezza di 10 sec.. Oltre a questi sono

possibili anche degli stati intermedi, che l’atomo può assumere

all’arrivo di un quanto di luce sbagliato; questi hanno solo tempi

di vita di un ordine di grandezza al confronto trascurabile, per

-15luce visibile

10 sec..

2. Le quantità classiche nel modo di espressione della teoria dei

quanti. Rappresenteremo ora in formule quanto finora espresso a

2parole. Vi sia un piano ricoperto da

£

’ atomi per cm , vi siano

n/n’ di tali piani per cm, ed ancora£

indichi il numero di atomi

3in 1 cm . Su di essi cada un’onda piana, cioè una corrente di

quanti di luce d’energia h ¡ /2 che volano paralleli, e preci-

2samente J quanti al secondo per cm , di modo che l’intensità della

luce sia Jh ¡ /2 . La probabilità che un quanto determinato sia

assorbito nello strato da un atomo sia q£

’, quindi il numero dei

3quanti che saranno assorbiti al secondo in 1 cm sarà

£

qJ (quando£

q<1). q è quindi una specie di "sezione di cattura" dell’atomo,

1/£

q una sorta di lunghezza di libero cammino del quanto di luce,

definita in modo puramente formale.

Di questi quanti assorbiti la frazione w sia riemessa nellaE

direzione originaria, la frazione 1 - w sia diffusa lateralmente.E

Il tempo medio tra assorbimento ed emissione sia $ per i quantiE

emessi in avanti,$

per quelli diffusi. Infine

indichi ils

salto di fase secondo la teoria dei quanti, che per un quanto di

luce emesso in avanti è associato alla sua sosta media nell’atomo,

e che secondo Wentzel si calcola dalla variazione delle proprietà

meccaniche dell’atomo durante questo tempo. Allora la variazione

di fase media, che i quanti di luce subiscono al passaggio

attraverso uno strato molecolare è

2

£

’qw ,E

quindi per 1 cm di cammino la differenza rispetto al vuoto

2

£

qw = (n-1) ¡ /c . (12)E

Corrispondentemente il ritardo per il raggio è in media in uno

strato molecolare£

’qw $ ,E E

10

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quindi per il cammino di 1 cm

£

qw$

= (n’-1)/c . (13)E E

Se si divide la (12) per la (13) si trova

n-12

= ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

¡ $

. (14)n’-1 E

La frazione

£

S dell’energia diffusa è

S =£

q(1 - w ) . (15)E

La sostituzione dei valori (5) (parte reale di -1), (8), (11)

nelle (13), (14), (15) dà

2 2 2 2 2( ¡ + ¡ )( ¡ - ¡ )

2- 0 0qw $ = (2 e

£

/mc£

)¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ , (13’)E E 2 2 2 2 2 2

[(¡

) +¡ ¡

’ ]0

2 2 2 2 2( ¡ - ¡ ) + ¡ ¡ ’

0 ¡

= ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢' ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

$ . (14’)2 2 2 2 2

E( ¡ + ¡ )( ¡ - ¡ )

0 0

La frazione d’energia diffusa per atomo è

22- ¡ ¡ ’

S = Q (1-w ) = (4 e£

/mc£

) ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ . (15’)E 2 2 2 2 2

) +¡ ¡

’0

-£, il numero di risonatori o di elettroni che appare nella teoria

classica, non è in generale uguale al numero degli atomi. La

-frazione£

va determinata empiricamente, circostanza della quale

15Reiche e Ladenburg hanno tenuto conto mediante l’introduzione

degli "oscillatori equivalenti".

Le quantità ¡ e ¡ dal punto di vista della teoria dei quanti0

sono da considerarsi puramente come abbreviazioni della frazione

2 (energia del quanto)/h.

3. Caratteristica generale delle quantità che intervengono. Per

poter trarre conclusioni sul tipo di leggi probabilistiche che

regolino la ripartizione dei quanti trattenuti tra emissione nella

direzione originaria e diffusione, riassumiamo ciò che sappiamo

qualitativamente sui tempi d’attesa.

¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

15R. Ladenburg e F. Reiche, Naturwissenschaften 11, 584 (1923).

11

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I. Radiazione diffusa. 1. Fuori dalla riga spettrale il tempo

d’attesa $ del quanto diffuso dev’essere assai piccolo, in modos

da poter trattare lo stato come non stazionario.

2. Entro la riga spettrale, secondo i noti esperimenti di

16W. Wien il tempo d’attesa dev’essere dell’ordine di grandezza di

-810 sec, quindi

1/ ¡ ’, sebbene non paia accordarsi con la di-

pendenza dalla frequenza richiesta classicamente secondo la (10).Assumiamo poi, in accordo con la teoria classica e in

contrasto con Ladenburg-Reiche, che i processi all’interno e

all’esterno della riga spettrale siano in linea di principio

omogenei.

II. Quanti emessi in avanti: l’ammontare del salto di fase

in linea di principio non può essere maggiore di 1, cosa che

secondo la formula (14’) pone al tempo di sosta $ un limiteE

superiore.

1. Fuori dalla riga spettrale per la (14’) dev’essere

¡ $ /2 <1 ,E

quindi

$

<2

.E

Questa condizione ha come conseguenza che gli stati corrispondenti

si possono considerare di durata nulla rispetto a quelli

-8stazionari con tempo di vita 10 sec..

2 22. All’interno della riga spettrale: poichè nella (14’) ¡ - ¡

0sta al denominatore, $ deve annullarsi per ¡ = ¡ almeno al

E 0

prim’ordine. Se si considera la formula (13’), secondo la quale

qw $ si annulla al second’ordine, poichè q deve rimanere finitoE E

[allora la diffusione (15’) rimane finita], risulta che esistono

17solo due possibilità :

¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

16W. Wien, Ann. .d. Phys. 60, 597 (1919); 66, 229 (1921).

17

Quand’anche si prescinda completamente dalla forma particolare

della (13’) e si tenga presente solo il comportamento qualitativo,

ne risulta che n-1 cambia di segno e attraversa l’asse delle

ascisse rettilineamente, che n’-1 non cambia segno ed è tangente

all’asse delle ascisse, che w si annulla al massimo alE

prim’ordine, e quindi $ almeno al prim’ordine.E

12

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a) $ e w si annullano entrambi al prim’ordine,E E

b) $ si annulla al second’ordine, w rimane finito.E E

Che cosa possiamo concludere ora da questi risultati riguardo

alle leggi probabilistiche?

Con la validità simultanea di I e di II (nella riga spet-2 2

trale$

è grande,$

= 0) si esclude un’ipotesi analoga alla legges E

del decadimento duale nella radioattività (ramificazione radio-

attiva), poichè con questa legge risulta lo stesso tempo di vita

per entrambe le possibilità di decadimento. Se d’altra parte non

si ammettesse che per i quanti emessi in avanti e per i quanti

diffusi valgano leggi completamente indipendenti, risulterebbe che

un quanto dal momento in cui viene trattenuto è già predestinato,

se debba essere diffuso oppure emesso in avanti, e pertanto delle

due possibilità menzionate da ultimo quella indicata con b) non

sarebbe praticabile, poichè si richiederebbe che il rapporto del

numero dei quanti emessi in avanti rispetto al numero di quelli

diffusi resti finito, mentre il tempo di vita dei primi si annulla

al second’ordine e quello dei secondi è finito.

Invece il caso a) permette un’interpretazione secondo la

teoria della probabilità; infatti ora il numero dei quanti emessi

in avanti e anche il loro tempo di vita si annullano al prim’ordi-

ne per ¡ = ¡ , mentre per i quanti diffusi entrambe le quantità0

restano finite. Si farà allora l’ipotesi seguente: la probabilità

che un atomo emetta nell’intervallo di tempo dt il quanto da esso

trattenuto è ( dt; abbiamo la legge del decadimento radioattivo.

Quanto più breve è il tempo che s’è trattenuto nell’atomo il

quanto or ora emesso, tanto più è probabile che esso ritorni nella

direzione originaria, e precisamente la frazione degli atomi in

- ) t - ) tcui questo accade è e , mentre la frazione 1 - e sarà

diffusa; t indica qui il tempo che passa tra l’assorbimento e la

riemissione del quanto da parte dell’atomo, 1/) misura per così

dire la memoria dell’atomo o del quanto per la direzione d’arrivo.

4. Introduzione della legge probabilistica e calcolo del

tempo di vita. Poichè nel tempo t in regime stazionario vengono

assorbiti£

qJ t quanti ed altrettanti vengono emessi, la frazione

13

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- ( te ( dt

determina quelli rimasti al tempo t che vengono emessi nell’inter-

- )

tvallo dt. Di questo gruppo la frazione e verrà emessa in

- ) tavanti, la frazione 1 - e verrà diffusa.

3Il numero complessivo dei quanti diffusi in 1 cm nell’inter-

vallo di tempo t è quindi

0 1

- ( t - ) t 23 ( 4 )

£

qJ t e (1 - e ) ( dt =£

qJ t 1 - ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ =£

qJ t ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ;5 6

( + ) 7 ( + )

0

quindi secondo la (15) risulta

)

q(1 - w ) = q ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ . (15")E ( + )

Il tempo medio di sosta del quanto diffuso è

0

2- ( t - ) t 1 23 ( 4

9

te (1-e )(

dt ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ 1- ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

(

6

2 7

0 ( ( + ) ) 1 2 ( 4

$ = ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ = ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ = ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ 1+ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ . (16)s

0

(

6

( + ) 7

- (

t - )

t(

9

e (1-e ) ( dt 1 - ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

( + )

0

Il numero dei quanti emessi in avanti risulta essere dalla (15")

(

qw = q ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ , (17)E ( + )

il loro tempo medio di sosta

0

- (

t - )

t9

te e ( dt

0 1$ = ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ = ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ , (18)

E0

(

+)

- ( t - ) t9

e e ( dt

0

quindi la quantità (13’) che dà una misura del ritardo sarà

(

qw $ = q ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ . (13")E E 2

( ( + ) )

Dalla conclusione generale che abbiamo dimostrato in 3. segue

ora che alla frequenza propria dobbiamo scegliere $ =0, quindi ( + )

E

infinito, e più precisamente del prim’ordine. Poichè per la (15")

14

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) /( ) + ( ) non può annullarsi (poichè la diffusione resta finita)

allora il fatto che ( + ) vada all’infinito dev’essere causato da ) .

Per ¡ piccoli dovrà essere inoltre 1/$ = ( + )

¡ . Per soddisfareE

la (14’) poniamo ora:

2 2 2 2 2(

¡

) +¡ ¡

’0 1

1/ $ = ( + ) = ¡

¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢' ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ , (19)E 2 2 2 2 f

( ¡ + ¡ ) ¡ - ¡

0 0

legge che soddisfa tutte le condizioni se f è una funzione adimen-

sionale di ¡ , che secondo la (24) per ¡ grandi non può essere

molto piccola, e d’altronde non può mai essere maggiore di 2

,

poichè secondo la (14’) sarà

= @ f/2 , (15")

18 2 2sempre con il segno di ¡ - ¡ .

0

La divisione della (13’) per la (15’) e la sostituzione del

valore di w dalla (17) dàE

2 2 2 2 2w (

¡

E ( 0 0 1¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

$ = ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ = ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ .1-w E ) ( ( + ) ) 2 2 2 2 2 2

E ( ¡ - ¡ ) + ¡ ¡ ’ 2 ¡ ¡ ’0

Da qui tenendo conto della (19) si può calcolare ( e si trova

2 2 2 2 2( ¡ - ¡ ) + ¡ ¡ ’

0 ¡ 1(

= ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢' ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢' ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ . (20)2 2 2 2 f

¡ - ¡ + ¡ ¡ ’2f ¡ + ¡

0 0

Ossia: il tempo medio di decadimento è per ¡ A ( ! ) ¡ 1/ (

f/ ¡ , per0

2¡ - ¡ < ¡ ’ (nella riga spettrale) 4f / ¡ ’.

0

Inoltre la quantità ) , il cui reciproco è una misura per la

coerenza (emissione in avanti), è

2 2 2 2 2(

¡

) +¡ ¡

’ 2 20 2 ¡ ¡ ’

) = ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢' ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ . (21)2 2 2 2 2 2

¡ - ¡ + 2f ¡ ¡ ’ ( ¡ + ¡ ) ¡ - ¡

0 0 0

2 2Il suo ordine di grandezza è per ¡ < ¡ )

2 ¡ ¡ ’/ ¡ (cioè il tempo0 0

¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

18Questi salti dello spostamento di fase

da +f/2

a -f/2

al

passare di ¡ attraverso ¡ corrispondono al requisito di Wentzel,0

che per ¡ = ¡ la transizione non meccanica avvenga con una0

variazione di fase u =0, l.c..k

15

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-8 2 2corrispondente è dell’ordine 10 ¡ / ¡ ), per ¡ > ¡ )

2 ¡ ’, nella0 0

2riga spettrale ) = ¡ ’ /(4 ¡ - ¡ f).

0

Il tempo di sosta del quanto diffuso sarà:

2 2 2 2¡ + ¡ ¡ - ¡ + ¡ ¡ ’f

0 0$ = 2 ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ f¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ , (22)

s ¡ 2 2 2 2 2( ¡ - ¡ ) + ¡ ¡ ’

0

2cioè per ¡ A ( ! ) ¡ $

2f/ ¡ , per ¡ - ¡ < ¡ ’ $

4f / ¡ ’.0 s 0 s

Per la quantità q, la "sezione di cattura media" di un atomo,

si trova

2 22 - ¡ - ¡ +2 ¡ ¡ ’f

2 e£

¡ 0q = ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢' ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢' ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ , (23)

mc£

f 2 2 2 2 2( ¡ - ¡ ) + ¡ ¡ ’

0

2 - 19cioè, per la frequenza propria, q = ( e 4

£

)/(mc ¡ ’£

) ovvero , con

- 2la (10), q = (3

£

/2

£

)[lunghezza d’onda] , quindi in generale

un’espressione sostanzialmente più grande della sezione atomica.

Molto lontano dalla frequenza propria risulta

2 - - 22 e

£

¡ -13£

¡

q = ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢' ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ = 2,814 10 (lungh. d’onda)¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢' ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ; (24)mc

£

2 2£

f 2 2¡

0 0

quest’espressione è minore della sezione atomica.

Abbiamo finora sempre parlato soltanto di una singola

oscillazione propria. Quando se ne hanno più d’una, nella nostra

approssimazione si deve sempre sommare su tutte. Ciò si può

interpretare solo nel senso che un atomo assuma con probabilità

(i) (1) (2)diverse q le frequenze proprie ¡ o ¡ e così via.

0 0

L’azione mutua degli atomi, che si manifesta in primo luogo

2nella comparsa di n -1 = (n+1)(n-1) [per la quale scriviamo

2(n-1)], e poi ancora nella comparsa della forza di Lorentz, che

2 2fa comparire 3(n -1)/(n +2) al posto dell’espressione anzidetta,

per ora non la possiamo ancora trattare, ma dobbiamo limitarci ai

gas rarefatti. Parimenti non possiamo render conto del modo in cui

si realizza l’allargamento dovuto alla pressione. Le nostre for-

mule restano tuttavia formalmente giuste se, invece di identifica-

¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

19Vedi anche L.S. Ornstein e H.C. Burger, Zeitschr. f. Phys. 20,

345 (1924).

16

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20re ¡ ’ con la (10), lo poniamo uguale al numero degli urti molti-

plicato per un fattore con la dimensione d’un numero puro ed il

21valore da 20 a 50 [più precisamente uguale alla somma di questa

quantità e dell’espressione (10), che però al confronto sparisce].

Si può anche capire che ) , la rapidità della "perdita di memoria"

(21), sarà proporzionale a questo numero d’urti, ma non sono

riuscito a chiarire il modo in cui¡

’ interviene nella formula.

5. Questioni energetiche. Si potrebbe obbiettare all’intera

interpretazione della dispersione che con l’arresto dei quanti

aventi tutti i valori di ¡ possibili il calore specifico dei corpi

sarebbe accresciuto e così si giungerebbe a contraddire le ben

fondate formule della statistica quantistica. Ma non è così; quei

quanti che vengono riemessi in avanti, non vanno computati nell’e-

nergia del corpo, ma in quella della radiazione, poichè secondo

22Planck la densità di radiazione è E = F /q, dove q è la velocità

di propagazione. Se la identifichiamo con la velocità di propa-

gazione dell’energia, la differenza F /q- F /c = F (n’-1)/c sarà

proprio uguale all’energia dei quanti che saranno emessi con

ritardo. Invece i quanti che con ritardo saranno diffusi danno

proprio quell’energia media, che secondo la statistica quantistica

appartiene al livello

(1) (0)U = U + h ¡ /2 ;

0

secondo i calcoli fatti finora (per esempio Reiche-Ladenburg), che

separano nettamente la diffusione fuori dalla riga spettrale e

l’assorbimento nella stessa, quest’energia sarebbe fornita solo

dai quanti h ¡ /2 . Secondo la teoria della radiazione termica essi0

sono tuttavia di numero infinitamente piccolo, sicchè si deve pure

tirare in ballo una cooperazione di frequenze immediatamente

¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

20

vedi per esempio H.A. Lorentz, Theory of Electrons (Leipzig

1909), p. 141.

21Ch. Fchtbauer e W. Hofmann, Ann. d. Phys. 43, 96 (1914).

22M. Planck, Theorie der Wärmestrahlung, 1. Aufl. (Leipzig 1906),

p. 22.

17

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vicine. Nel nostro calcolo questa cooperazione si estende

sull’intero spettro, ma solo la larghezza della riga coopera in

modo notevole, e ciò sia per il comportamento di $ che per ils

comportamento di q. L’intervallo d¡

contribuisce infatti all’ener-

(1)gia complessiva del livello U per la parte seguente:

( 0 )U

(0) -¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

p e kTh ¡

¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢' ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ Jq(1-w ) $

( i) 2 E sU

(i) - ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

G

p e kT

( 0 )U

(0) - ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ 2 2p e kT 2 - ( ¡ + ¡ ) ¡ ¡ ’

8 e£

0 2 2= E d ¡

¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢' ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢' ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ f¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ [ ¡ - ¡ + ¡ ¡ ’f] . (25)( i) m

£

2 2 2 2 2 2 0U [( ¡ - ¡ ) + ¡ ¡ ’ ]

(i) - ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ 0G

p e kT

Qui si è posto per h ¡ J/2 il valore all’equilibrio radiativo

c E d ¡ ( E densità della radiazione); la frazione

( 0 )U

(0) - ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ (i) (i) (0) -1p e kT

p U -U

- ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ = 1+G

¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ e kT( i ) (0)

U i> 0 p

(i) - ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

G

p e kT

dà quale frazione delle molecole sia nello stato fondamentale

appartenente alla riga considerata e deve comparire anche nelle

formule per n-1, per n’-1 e per la diffusione. Per temperature

(i) (0)sufficientemente basse kT<U -U essa è uguale ad 1 con suffi-

ciente precisione.

All’energia complessiva, che si trova per integrazione su

tutti i valori di ¡ , contribuisce in pratica solo l’intorno imme-

diato di ¡ . Se si esegue il calcolo esattamente come ha fatto0

23 24 (1)Planck , come energia del livello U si ottiene

¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

23Planck, l.c. p. 123.

24Per la precisione anche i ¡ piccoli danno un contributo esat-

tamente come nella teoria classica, che però anche Planck trascura

e che sparisce al confronto con kT.

18

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( 0 )U

(0) - ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

2 - p e kT8 e

£

¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢' ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ f(1+ f/2) E ( ¡ )¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ . (26)m ¡ ’

£

0 ( i )U

(i) - ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

G

p e kT

Qui bisogna sostituire ad f ed a E i loro valori per ¡ = ¡ . Se si0

assume come valida perE

) la legge della radiazione di Wien0

3 h ¡

- ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

E = ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ e 2 kT ,3 3

2 c

(1) (0)se si tiene conto che h ¡ /2 = U -U , e se inoltre si pone

0

come generalizzazione della (10)

2 2 3¡

’=2e¡ I

)/(3mc ) , (10’)

dove I è adimensionale e sempre per ¡ = ¡ è dell’ordine di gran-0

(1)dezza 1, l’energia media di U sarà

( 1 )U

(0) - ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

- h ¡ p e kT12

£

f 0¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢' ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢' ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ (1+ f/2) ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢' ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ . (27)

£

I

2 ( i)

U(i) - ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

G

p e kT

Perchè si mantenga l’equilibrio termico, per il quale questa

quantità dev’essere

( 1 )U

(1) - ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

h ¡ p e kT0

¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢' ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ,2 ( i)

U(i) - ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

G

p e kT

deve valere

-(0) 12

£

f (1)p ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢' ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢' ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ 1+ f/2 = p . (28)

£

I

Se al posto di quella di Wien si vuole utilizzare la legge

della radiazione di Planck, per la quale la densità è maggiore con

rapporto

h ¡ -1

0

- ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

1 - e 2 kT : 1 ,

19

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ed arrivare tuttavia allo stesso valore dell’energia, si deve mol-

tiplicare l’espressione (26) per

h ¡

- ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

1 - e 2

kT ,

25in modo del tutto analogo a come fatto da Einstein in consi-

razioni simili. Ciò può essere interpretato in tre modi: si

-1associa il fattore a 1/¡ ’, cioè a I . Allora ciò significa che la

quantità¡

’ si comporta come la probabilità di decadimento per

Einstein, per il quale accanto al decadimento spontaneo compare un

decadimento proporzionale alla densità della radiazione, di modo

che il rapporto tra il decadimento complessivo e quello spontaneo

è proprio dato dal fattore

h ¡ -1

- ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

1 - e 2

kT .

Se facciamo questa associazione con¡

’, si hanno due

vantaggi: in primo luogo n ed n’ fuori dalla banda d’assorbimento

non saranno mutati; infatti il valore di ¡ ’ non ha ivi prati-

camente alcuna influenza; ciò è in accordo con il fatto speri-

mentale che l’indice di rifrazione è indipendente dall’intensità

della luce (la radiazione diffusa, nella quale ¡ ’ appare come

fattore, dovrebbe invece essere relativamente maggiore per

intensità della luce più alta). In secondo luogo questo risulta

formalmente in accordo preciso con l’incremento di ¡ ’ tramite gli

urti delle molecole del gas (I ).3

Il difetto di quest’ipotesi sta nel fatto che ¡ ’ nella nostra

teoria non è in generale una probabilità di decadimento, e non si

riesce infatti a capire fisicamente che cosa quest’ipotesi

significhi; si trova quindi la stessa difficoltà che avemmo per

l’allargamento dovuto alla pressione.

La seconda possibilità consiste nell’associare il fattore

h ¡

- ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

1 - e 2

kT

non all’espressione integrata (26), ma già a ogni contributo

¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

25A. Einstein, Phys. Zeitschr. 18, 121 (1917).

20

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parziale (25), il che corrisponde, in stretta analogia con

Einstein, ad associarlo in generale al tempo di vita $ . A causas

della struttura complessiva delle equazioni ciò significherebbe

che sia la probabilità di decadimento(

che la rapidità della

perdita di memoria ) sarebbero accresciute a causa della

radiazione incidente esattamente come per Einstein del fattore

h ¡ -1

- ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

1 - e 2 kT ,

il che avrebbe come conseguenza che la diffusione sarebbe rigoro-

samente proporzionale all’intensità della luce incidente, e che

l’indice di rifrazione ne dipenderebbe, ma solo per intensità così

alte (temperature di radiazione) che le deviazioni della legge di

Wien da quella di Planck diventassero percettibili. I noti esperi-

26 27menti di Lippich e di Ebert sono estesi a regioni troppo

limitate per consentire di capire qualcosa in proposito. Infine

sarebbe possibile un’associazione con q; l’indice di rifrazione e

la radiazione diffusa cambierebbero.

Se non abbiamo solo una riga spettrale, ma più d’una,

possiamo caratterizzare ¡ con un indice inferiore, quello del0

livello di partenza, ed uno superiore, che contrassegna il livello

d’arrivo, ed entrambi gli indici intervengono in tutte le quantità

-associate alla riga (

£

, I , f). All’energia di un livello contri-

buiscono allora tutte le righe per le quali il livello considerato

è livello d’arrivo, cioè che portano il numero di questo come

indice superiore, e nella (28) compare al primo membro la somma su

tutte queste quantità.

Con queste considerazioni mi paiono eliminati gli argomenti

28che Smekal ha opposto alla possibilità di dar conto della disper-

sione con molecole in quiete, e assicurato l’equilibrio energetico

tra materia e radiazione.

¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

26F. Lippich, Wien. Ber. 77, 352 (1875).

27H. Ebert, Wied. Ann. 32, 337 (1887).

28A. Smekal, Naturwissenschaften 11, 411, 873 (1923).

21

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6. Precedenti teorie quantistiche della dispersione. I primi

a collegare la dispersione a considerazioni di teoria dei quanti

29 30sono stati Debye e Sommerfeld ; essi si avvalgono di quest’ultima

solo per determinare il modello imperturbato, ma per il resto cal-

colano l’influenza dell’onda incidente sugli atomi e la reazione

di questa perturbazione sull’onda, cioè l’onda secondaria, in modo

31

classico. Mentre la prima cosa sembra corretta , la seconda portaa contraddizioni, come si manifesta chiaramente nel fatto che

allora compaiono nella formula di dispersione le oscillazioni

meccaniche attorno all’orbita stazionaria, non le righe di

32 -assorbimento. Fchtbauer ha posto la quantità

£

/ ¡ ’ proporzionale

alla probabilità di transizione da un’orbita stazionaria all’al-

33tra, e Ladenburg ha avanzato delle considerazioni che si avvi-

cinano alle nostre conclusioni dell’ultimo paragrafo. Ladenburg e

34 35Reiche , come pure Darwin , partono dall’ipotesi che l’atomo

colpito emetta onde sferiche secondarie, che cooperano con la

primaria esattamente come nella teoria classica, con la quale

quest’ultimo può derivare la formula della dispersione al di fuori

36della banda d’assorbimento. Infine Smekal , rinunciando al punto

di vista dell’onda sferica, indica una connessione tra la dif-

sione anomala dei raggi Röntgen trovata da Compton e la diffusione

ottica, e pertanto con la dispersione.

¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

29P. Debye, Mnch. Ber. 1915, p. 1.

30A. Sommerfeld, Ann. d. Phys. 53, 497 (1917).

31J.M. Burgers, Het Atoommodell van Rutherford-Bohr, Diss. Leiden,

1918, p. 215 e segg..

32

Ch. Fchtbauer, Phys. Zeitschr. 21, 322 (1920).

33R. Ladenburg, Zeitschr. f. Phys. 4, 451 (1920).

34R. Ladenburg e F. Reiche, Naturwiss. 11, 586 (1923).

35C.G. Darwin, Proc. Nat. Acad. Washington 25, 1923.

36A. Smekal, l.c..

22

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Sommario

I fenomeni che si manifestano con la propagazione della luce

attraverso mezzi dispersivi si possono interpretare anche con

quanti di luce discreti al posto di onde continue, se si assume

che gli atomi possano trattenere anche quei quanti che non

soddisfano la condizione delle frequenze di Bohr, e che liriemettano dopo breve tempo, o di nuovo nella direzione origi-

naria, oppure anche di lato. La sosta dei quanti riemessi in

avanti causa il ritardo della propagazione dell’energia, la

modifica del moto degli elettroni partecipanti provoca secondo

Wentzel l’alterazione della propagazione della fase. Per i tempi

di sosta si ha per i quanti che non soddisfano la condizione delle

frequenze di Bohr l’ordine di grandezza 1/¡ , per quelli che la

-8soddisfano

10 secondi.

Si è mostrato inoltre che l’equilibrio energetico tra radia-

zione e materia è assicurato.

Mnchen, Institut fr theor. Physik d. Univers., febbraio 1924.

23

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1Le tranformazioni canoniche nella meccanica quantistica

P. Jordan a Gottinga

(ricevuto il 27 aprile 1926)

Vien data una dimostrazione d’una congettura avanzata da Born,

Heisenberg e dall’autore, che la trasformazione canonica più gene-

-1 -1rale si può rappresentare nella forma P = Sp S , Q = Sq S . Si

k k k k

mostra inoltre che per trasformazioni del punto le formule clas-

siche restano immutate.

Una trasformazione canonica P,Q

p,q , dove le P,Q siano

rappresentate come funzioni analitiche di p e q , cioè definite con

addizioni e moltiplicazioni, va considerata canonica nella

2meccanica quantistica se dalla validità delle regole di commu-

tazione canoniche

h p q - q p =

¡£ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

, p p - p p = q q - q q = 0 (1)k e e k ke 2 ¤ i k e e k k e e k

per p,q discendono le stesse regole di commutazione per P,Q (e

3viceversa). Comunicheremo qui una dimostrazione della congettura

che la trasformazione canonica più generale si può scrivere nella

forma

-1 -1P = Sp S , Q = Sq S , (2)

k k k k

4che evidentemente in senso inverso è ancora canonica . Osserviamo

preliminarmente: se due trasformazioni (con S = S ed S = S ) si1 2

devono rappresentare nella forma (2) è certamente pure della forma

(2) (con S = S S ) la trasformazione che consiste nelle due1 2

¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

1

Zeitschr. f. Phys. 37, 383 (1926).

2M. Born, W. Heisenberg e P. Jordan, ZS. f. Phys. 35, 557, 1926.

3ibidem, l.c..

4Wentzel ha trovato un’ importante rappresentazione d’altro tipo

delle trasformazioni canoniche.

1

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trasformazioni in sequenza. Perciò è sufficiente dimostrare che si

deve rappresentare nella forma (2) una trasformazione con le

proprietà seguenti:

a) P = P ( p,q ) è una funzione data a piacere.1 1

b) Una delle quantità da p a p , da q a q è commutabile2 f 2 f

con P , quindi rimane immutata nella trasformazione.1

c) Si ha P q - q P = (h/2¤

i), quindi q resta immutato per la1 1 1 1 1

trasformazione.

Ogni trasformazione canonica può essere composta con (al più)

f trasformazioni di questo tipo.

Ora P è commutabile con una delle quantità p ,..., p ;1 2 f

q ,...,q se e solo se P è indipendente dalla quantità coniugata;2 f 1

perciò la (2) ha la proprietà b) se S contiene come argomento solo

quelle tra queste quantità che intervengono anche in P . Vale1

inoltre

hP q - q P =

¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

1 1 1 1 2 ¤ i

se e solo se

hP - p =

¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

R1 1 2 ¤ i

è indipendente da p . L’equazione differenziale1

¥

SRS +

¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

= 0 (3)¥

q 1

può però essere certamente risolta se si assume per S una serie di

potenze che non contenga come argomento nessuna delle quantità

p , p ,..., p e q ,...,q , che non siano contenute anche in R. La S1 2 f 2 f

così determinata produce una trasformazione con le proprietà a),

5b), c), e in particolare con la proprietà a) perchè sarà

-1 h¥

S -1 hP = Sp S = p -

¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢¦ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

S = p +¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

R , (4)1 1 1 2 ¤ i

¥

p 1 2 ¤ i1

come richiesto.

Questo risultato fornisce parimenti la prova che un sistema

non degenere è determinato univocamente mediante la formulazione

matriciale delle equazioni di moto (a meno di costanti di fase);

¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

5Rammentiamo le formule che discendono dalla (1)

h hf (

§

f (§

)=¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

f’(§

); f (¨

f (¨

)= -¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

f’(¨

) .2 ¤ i 2 ¤ i

2

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infatti dall’ipotesi (2) si può ottenere solo una soluzione unica

del problema (trasformazione degli assi principali).

L’equazione (3) può del resto esser risolta facilmente in

modo esplicito nel caso che R sia indipendente da q . Allora1

infatti, con la definizione

©

n n

x y exp(x,y ) =

¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

, (5)

n!n =0

evidentemente

S = exp(-R,q ) (6)1

è una soluzione con le proprietà richieste. A partire da quest’os-

servazione si possono ottenere diversi sviluppi e generaliz-

zazioni.

Si formuli il problema di integrazione in modo tale che la

funzione hamiltoniana H = H ( p,q ) (che non può dipendere esplici-

tamente dal tempo) mediante una trasformazione canonica p,q

§

si trasformi in H = H ( § ). Il tempo t sarà allora definito come

quantità coniugata ad H . Da un sistema qualsiasi§

se ne puòk k

costruire parimenti un altro , , per il quale sia = H ,k k 1

= t. Per questo, secondo quanto detto, basta porre nella (6)1

h¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

R = H ( § ) - § , q = ¨ .2 ¤ i 1 1

Tenendo conto che

¥

R¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

= - RS ,¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

= -¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

S ¨

¥

¨

¥

§

¥

§ 11 k k

si ottiene la trasformazione

-1 -1 = S § S , = S ¨ S

k k k k

nella forma

¥

H

= X ( § ) , ¨ =¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

t ,1 1

¥

§

1

(7)¥

H = § , ¨ =

¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

t + ; e = 2,3,...,f .e e e

¥

§ e

e

Che questa sia di fatto una trasformazione canonica lo si può

naturalmente determinare anche con un calcolo completo delle

relazioni di commutazione di , senza utilizzare S. Si può anche

modificare facilmente la (7) in modo tale che la trasformazione

3

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sia completamente hermitiana. Come "hermitiana" (ovvero "reale")

6 7si indicherà secondo Born, Wiener e Dirac una funzione f( § , ¨ )

che resti immutata per sostituzione di i con -i (passaggio al nu-

mero complesso coniugato) con simultanea inversione dell’ordine di

tutte le moltiplicazioni.

Nella teoria classica una trasformazione arbitraria del punto

si scrivef

¥

v (q )

eQ = v (q ) ; p =

¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

P . (8)k k k

¥

q ee = 1 k

Affermiamo che questa è una trasformazione canonica anche dal

punto di vista della meccanica quantistica. Per dimostrarlo

definiamo la funzione

n n n n n n©

1 2 f 1 2 fx x x y y y !

1 2 f 1 2 fexp(x ,y x ,y x ,y ) =

¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

(9)1 1 2 2 f f $ %

n !n !...n !1 2 f

n , n , . ..,n = 0

1 2 f

con

hv - q =

¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

R ;k k 2 ¤ i k

poniamo allora

S = exp(R , p R , p R , p ) . (10)1 1 2 2 f f

Sarà

S

e¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

= R S ,

¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

=

¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

Sp¥

p k¥

q

¥

q ek k e =0 k

e pertanto risulta dalla (2):

S -1Q = q +

¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢¦ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

S = v ;k k 2 ¤ i

¥

p kk

R-1 h

¥

S -1 h

eP = Sp S = p -

¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢¦ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

S = p -¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢& ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

P ,k k k 2 ¤ i

¥

q k 2 ¤ i

¥

q ek e = 0 k

che è equivalente alla (8). Nella meccanica quantistica si possono

quindi eseguire tutte le trasformazioni del punto, per esempio il

passaggio a coordinate paraboliche, ellittiche o polari,

¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

6M. Born e N. Wiener, ZS. f. Phys. 36, 174, 1926.

7P.A.M. Dirac, Proc. Roy. Soc. 110, 561, 1926.

4

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utilizzando le formule classiche (nelle quali naturalmente si

deve badare a mantenere l’ordine delle moltiplicazioni).

Per v reali si rende la (8) hermitiana, se al posto dellak

precedente espressione per p si scrivek

f '

¥

v (q )¥

v (q )

1

e e p =

¢ ¢ ¢ ¢ (0 ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

P + P¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

. (8’)k 2

¥

q e e¥

q e = 1 1 k k

Con ciò la trasformazione resta certamente canonica, poichè il

sistema di variabili p , q resta canonico quando si aggiungono aik k

p funzioni dei soli q .k k

Alle trasformazioni canoniche, la funzione S delle quali si

può dare facilmente in forma esplicita, appartengono anche quelle

per le quali P ,Q sono forme lineari di tutti i p,q . Si ottienek k

allora

S = exp(L ,L ) , (9’)1 2

dove L , L sono di nuovo certe forme lineari di p e q .1 2

Göttingen, Institut für theoretische Physik.

5

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1La polarizzazione dei quanti di luce

P. Jordan, temporaneamente a Copenhagen

(ricevuto il 16 giugno 1927.)

Si mostra che una descrizione quantomeccanica delle proprietà di

polarizzazione di un singolo quanto di luce si può sviluppare in

un modo che è formalmente equivalente alla teoria di Pauli

dell’elettrone magnetico.

Per una teoria corpuscolare della luce la polarizzazione ha

da sempre costituito una difficoltà particolare. I tentativi di

comprendere la polarizzazione nell’ambito della teoria dei quanti

di luce sono stati compiuti spesso nel senso di attribuire di

volta in volta al quanto di luce uno stato di polarizzazione

definito. L’impossibilità di introdurre una simile rappresen-

tazione risulta evidente dal fatto che questi tentativi non hanno

trovato una trattazione più generale. Tuttavia il problema è

rimasto, e può quindi non essere sconveniente mostrare che

l’interpretazione statistica delle grandezze fisiche, come si è

avuta negli ultimi sviluppi della meccanica quantistica, può

produrre un chiarimento della questione soddisfacente nel senso di

questa teoria.

Il problema è importante sotto un altro punto di vista. La

circostanza, che nella statistica dei quanti di luce la

polarizzazione, in quella degli elettroni il momento magnetico

proprio richiedano una moltiplicazione per il fattore 2 del numero

di onde di fase suggerisce l’idea di un’analogia profonda tra

2questi due fenomeni. C.G. Darwin è giunto, in base all’ipotesi

che l’elettrone magnetico si debba rappresentare mediante onde di

de Broglie polarizzate, a introdurre una generalizzazione

dell’equazione di Schrödinger valida per l’elettrone magnetico.

1Zeitschr. f. Phys. 44, 292 (1927).

2C.G. Darwin, Nature marzo 1927.

1

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3Pauli ha ottenuto poi un progresso importante con considerazioni

che si fondano sul significato statistico generale della meccanica

quantistica. Pauli non ha tuttavia fatto alcun uso dell’ipotesi

delle onde di Schrödinger polarizzate, e considera i suoi

risultati come argomenti contro quest’ipotesi. Vedremo nel seguito

che le proprietà di polarizzazione dei quanti di luce si possono

descrivere mediante una traduzione della concezione di Pauli - colchè in modo assai sorprendente appare di nuovo un’affinità tra i

due fenomeni.

Assumiamo qui come già noti i punti principali della teoria

4di Pauli e alcune osservazioni aggiuntive fatte dall’autore.

§ 1. Grandezze osservabili per il quanto di luce. Ci occu-

piamo esclusivamente di quanti di luce la cui frequenza e

direzione del moto siano date, quindi - altrimenti detto - di onde

armoniche piane che corrano parallele all’asse z. Bisogna

considerare come si misura la polarizzazione di un singolo quanto,

e come lo si può descrivere mediante "grandezze" quantomeccaniche.

Risulta immediatamente che naturalmente non ci si può avvalere a

questo scopo del concetto classico di una grandezza fisica, ma

solo del concetto quantomeccanico di grandezza, che è risultato

dalla formulazione statistica della meccanica quantistica e che è

stato illustrato in modo particolarmente significativo dalle

considerazioni di Pauli sull’elettrone magnetico.

Se noi interponiamo un prisma di Nicol nel cammino di un’onda

luminosa puramente armonica, che nel caso generale può essere

polarizzata ellitticamente in qualche modo, essa sarà scissa in

una componente trasmessa polarizzata linearmente, e in una

riflessa, polarizzata linearmente in modo ortogonale alla prima.

Se sperimentiamo con un singolo quanto di luce, questo quanto di

luce o sarà trasmesso attraverso il Nicol, oppure sarà riflesso; e

si dovrà assumere che nel primo caso il quanto di luce ad un

secondo esperimento di questo tipo con uguale giacitura del Nicol

sarà sicuramente trasmesso di nuovo, e che invece nell’altro caso

3W. Pauli jr., ZS. f. Phys. (in pubblicazione).

4P. Jordan, ZS. f. Phys. (in pubblicazione).

2

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al secondo esperimento sarà sicuramente di nuovo riflesso. Le

diverse giaciture possibili del Nicol si indicheranno con un

angolo¡

nell’intervallo 0 ¢

¡

< £ ; ogni misura siffatta determina per

il quanto di luce una grandezza meccanica particolare, e ognuna di

queste grandezze può assumere proprio due valori distinti: diciamo

che la grandezza (0,¡

) ha il valore +1/2 quando il quanto di luce

è trasmesso dal Nicol nella giacitura

¡

; e diciamo che (0,

¡

) è-1/2 quando esso viene riflesso. Quando è

¡

= £ /2 , (1)1 2

la misura di (0,¡

) dà sicuramente il valore +1/2 quando una2

misura precedente di (0,¡

) abbia dato il valore -1/2, e1

viceversa. Quindi nel caso della (1) dobbiamo dire che è

(0,¡

)=-(0,¡

) per¡

= £ /2 . (2)1 2 1 2

Teoricamente un’onda luminosa esattamente periodica si può

anche scindere, invece che in due componenti lineari polarizzate

ortogonalmente, in onde parziali polarizzate circolarmente nel

senso degli angoli crescenti e decrescenti. Anche in questo caso

l’energia dell’onda complessiva è uguale alla somma delle energie

delle componenti, e perciò sarà un’ipotesi consentita se noi

assumiamo che possiamo realizzare questa scissione anche

sperimentalmente con un analizzatore che - analogamente al

Nicol - di un’onda polarizzata a piacimento lasci passare la

componente polarizzata circolarmente in senso positivo, e rifletta

la componente negativa.

Faremo ora un passo più avanti. L’onda generale polarizzata

ellitticamente

x=Asint , y =Bsin(t+¥ ) (3)

(si è scelta opportunamente l’origine e la normalizzazione di t)

la caratterizzeremo con l’ellisse corrispondente

2 2x y xy

+ - 2 cos ¥ =cost (4)2 2 AB

A B

introducendo il segno + o - per senso di rotazione positivo o

3

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negativo della polarizzazione; se¡

è l’angolo che l’asse maggiore

dell’ellisse (4) determina con l’asse x, ed ¦ è il rapporto tra

l’asse minore e l’asse maggiore dell’ellisse, possiamo contras-

segnare l’onda (3) mediante tre simboli :¦

. E’ conveniente

per le formule successive calcolare con solo due numeri, ¨ = § ¦ e¡

;

allora

-1 ¢ ¨ ¢ 1 , 0 ¢

¡

< £ . (5)

Nel caso ¨ = § 1 l’angolo¡

è indeterminato. Come si mostra nei

manuali di ottica

tg2¡

=tg2 cos ¥ , sin2 =-sin2 sin ¥ , (6)

quando si ponga

B/A=tg , ¨ =tg . (7)

Si riconosce facilmente quanto segue: è possibile

rappresentare ogni onda ¨ ,¡

come somma di due onde della forma

¨ ,¡

e – ¨ ,¡

, (8)0 1 0 2

dove si sono prescritti un valore a piacere ¨ ed un angolo a0

5piacere

¡

, mentre¡

è determinato da1 2

¡

-

¡

/2 . (9)1 2

Le intensità delle onde parziali (8) e la loro fase relativa sono

determinate univocamente da ¨ ,¡

. L’energia dell’onda complessiva

è la somma delle energie delle componenti (8).

Sulla base di questi fatti appare naturale rappresentarci

come analizzatore ideale per le proprietà di polarizzazione di un

5Le due onde (8) si possono evidentemente anche scrivere in questo

modo: un’onda sia rappresentata da

x = Asint , y = Bsin(t+ ¥ ) ,

allora l’altra ha la forma

x = -Bsin(t+ ¥ ’- ¥ ) , y = Asin(t+ ¥ ’) .

4

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quanto di luce un apparato che esegua fisicamente la suddivisione

matematica (8) su ogni onda che si presenti, che quindi per

esempio lasci sempre passare una componente delle (8) e rifletta

l’altra. Un tale analizzatore ideale è quindi lui stesso da

contrassegnare con i numeri ¨ ,¡

. Se consideriamo di nuovo un

singolo quanto di luce, ogni analizzatore ¨ ,¡

ci definisce una

particolare "grandezza meccanica"; diciamo che abbiamo misuratoper la grandezza

( ,¡

) (10)

il valore +1/2 ovvero -1/2 se il quanto di luce è stato trasmesso

o riflesso. Nel caso¨

1 l’angolo¡

sarà indeterminato;

indichiamo le due grandezze (10) restanti in questo caso con

( § 1) . (11)

Nel caso ¨ =0 otteniamo di nuovo le grandezze definite

precedentemente per mezzo del Nicol

(0,¡

) . (12)

Quando si è misurata su un quanto di luce la grandezza

( ,¡

), una misura successiva di (- ,¡

), dove¡

soddisfa1 2 2

all’equazione (9), dà sicuramente il valore opposto a quello della

prima misura; generalizzando la (2) abbiamo quindi

(¨ ,¡

)=-(-¨ ,¡

) per¡

= £ /2 . (13)2 1 1 2

In particolare risulta

(+1) = -(-1) . (14)

Quando da ( ,¡

) costruiamo la grandezza1

C + C ( ,¡

) = q (15)1 2 1

con due c-numeri C , C , allora q ha il valore q ’ = C § (1/2)C per1 2 1 2

( ,¡

) = § 1/2. Ma possiamo anche sommare e moltiplicare1

simbolicamente due siffatte grandezze q distinte con gli

accoppiamenti simbolici q + p ovvero qp come si deve fare in

generale in meccanica quantistica. Che cosa significhino queste

addizioni e moltiplicazioni nel nostro caso lo si vedrà nel

5

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seguito.

L’ampiezza delle precedenti considerazioni ha forse bisogno

di una giustificazione. Infatti per quei lettori che avessero

sviluppato familiarità con la teoria di Pauli sarebbe bastata una

trattazione più breve. Appare tuttavia che proprio la

polarizzazione dei quanti di luce costituisca un esempio

particolarmente istruttivo per la struttura concettuale propriadella meccanica quantistica. Soprattutto è il concetto elementare

di grandezza fisica che nello sviluppo dalla meccanica classica a

quella quantistica ha subito un mutamento veramente essenziale, e

nell’interpretazione attuale di questa si esprime nel modo più

significativo l’approfondimento dell’impostazione epistemologica

raggiunto: in meccanica quantistica le grandezze fisiche ottengono

valori definiti solo mediante i processi che servono alla loro

misura; non è consentito di attribuire ad esse valori determinati

indipendentemente dal processo d’osservazione.

§ 2. Corrispondenza tra il quanto di luce e l’elettrone magnetico.

Quando ci poniamo la domanda, quali coppie di grandezze ( ,¡

) e

( ,¡

) siano da considerarsi canonicamente coniugate nel caso del

quanto di luce (con opportuna normalizzazione), possiamo (come nel

caso dell’elettrone magnetico) fondarci sulla legge quantomec-

canica, che per valori assegnati di una grandezza tutti i valori

dell’impulso coniugato sono equiprobabili. Vediamo perciò

immediatamente che (sempre con opportuna normalizzazione) a (+1) o

(-1) (polarizzazione circolare) è canonicamente coniugata la

grandezza (0,¡

) (polarizzazione lineare) con un dato¡

; anche

(0,¡

) e (0,¡

) sono coniugati, quando¡

è uguale a £ /4 o a

3 £ /4. Su queste constatazioni si potrebbe costruire la teoria

quantomeccanica della polarizzazione per via sintetica, in modo

analogo alla teoria dell’elettrone magnetico.

E’ tuttavia più facile stabilire una corrispondenza biunivoca

tra quanto di luce ed elettrone magnetico in modo tale che gli

accoppiamenti additivi e moltiplicativi e le relazioni di

probabilità tra le grandezze fisiche nel caso del quanto di luce

siano le stesse come tra le grandezze corrispondenti nel caso

dell’elettrone magnetico.

Rappresentiamo le componenti dell’impulso dell’elettrone

6

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magnetico in una data direzione mediante un punto x, y , z della

2 2 2sfera unitaria x +y +z =1; chiamiamo positivo il polo per z=1,

negativo quello per z=-1. Se associamo al polo positivo la

polarizzazione circolare positiva (+1), allora dobbiamo secondo la

(14), § 1 associare al polo negativo la polarizzazione circolare

negativa (-1). Inoltre, tenendo conto di quello che sappiamo

riguardo alle grandezze canonicamente coniugate nel caso delquanto di luce e in quello dell’elettrone magnetico

rispettivamente, dobbiamo far corrispondere i punti equatoriali

della sfera alle polarizzazioni lineari in modo tale che la

differenza angolare

¡

tra due polarizzazioni lineari sia la metà

della separazione angolare dei punti equatoriali corrispondenti.

Inoltre associeremo in generale ad una grandezza ( ,¡

) con ¨

positivo un punto dell’emisfero positivo, e alla grandezza (- ,¡

)

il punto dell’emisfero negativo speculare rispetto al piano equa-

toriale. Determiniamo ora la rappresentazione in modo più preciso.

Mediante proiezione stereografica dal polo positivo mettiamo

in corrispondenza ogni punto della sfera con un punto x=a, y =b del

piano z=0 secondo le formule

2 22a 2b -1+a +b

x = , y = , z = . (1)2 2 2 2 2 2

1+a +b 1+a +b 1+a +b

Il nostro compito è di associare ai punti a, b ovvero ¦ =a+ib delle

ellissi in modo tale che a due punti della sfera che sian posti

specularmente rispetto al piano z=0 corrisponda la stessa ellisse.

In ciò ci aiuta la circostanza che due punti siffatti sono

rappresentati nel piano complesso da

ed¦

= 1/¦

; (2)1 2

essi soddisfano quindi ad una equazione

¦ -(a+ib)(a-ib) ¦ -1

2 2 2= ¦ (a-ib)-(1+a +b ) ¦ +(a+ib) = 0 , (3)

che appartiene alla forma quadratica

2 2 2 2Q (

,

) = (a-ib)

-(1+a +b )

+(a+ib)

(4)1 2 1 1 2 2

7

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*che per = è sempre reale. Costruiamo quindi

2 1

2 2 2 2 2 2-Q (x+iy ,x-iy ) = - 2 a(x -y )+2bxy +(1+a +b )(x +y )

2 2 2 2 2 2= x (1-a) +b +y (1+a) +b -4bxy = F(x,y) ; (5)

e quando associamo a questa forma F (x,y ) il punto ¦ = a+ib siamo1

sicuri che essa corrisponde anche al punto riflesso nel pianoequatoriale ¦ = 1/(a-ib). Vediamo inoltre che

2

F (x,y ) = cost (6)

2 2rappresenta sempre un’ellisse, che solo nel caso a +b = 1

degenera in un doppio segmento; il determinante di F (x,y ) è

infatti uguale a

2 2 2 2 2 2 2 2D = 4(1-a) +b (1+a) +b -16b =4(a +b -1) . (7)

Confermiamo che esiste il coordinamento delle seguenti proprietà,

prima richieste:

1. Le polarizzazioni circolari (+1) e (-1) corrispondono ai

poli della sfera. Per questi poli (a=b=0, e rispettivamente a=b= )

la (6) va in un cerchio.

2. Le grandezze ( ,¡

), (- ,¡

) con¡

= £ /2 sono1 2 1 2

opposte. Infatti le loro ellissi corrispondono a due punti della

sfera agli estremi di un diametro, come si vede dalla (5).

3. Alle polarizzazioni lineari corrispondono i punti

equatoriali della sfera. Ciò risulta dalla (1) e dalla (7).

Vediamo che anche l’ordinamento degli angoli è quello giusto. Da

2 2F (x,y ) = 0 nel caso a +b =1 segue infatti

tg(¡

- £ / 2 ) = -x/y = -(1+a)/b , (8)

quindi

tg2¡

= b/a . (9)

Mediante il coordinamento introdotto è ora definito in modo del

tutto generale che cosa si debba intendere nel nostro caso come

"somma" o "prodotto" di due grandezze quantomeccaniche, quindi di

due forme di polarizzazione; è anche determinato in generale quale

grandezza sia canonicamente coniugata ad una data. Naturalmente

8

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tutte queste cose potrebbero anche essere facilmente rappre-

sentate con formule esplicite. Ci basta rilevare quanto segue: la

formula (9) vale in generale, anche per polarizzazione ellittica

invece che lineare. L’ellisse F (x,y )=cost ridotta agli assi

principali per mezzo di un sistema di coordinate x’,y ’ ruotato

dell’angolo¡

ottiene la forma

2 2 2 1/2 2 2 2 2 1/2 2x’ [1-(a +b ) ] + y ’ [1+(a +b ) ] = cost ; (10)

riassumendo otteniamo quindi i numeri ¨ ,¡

rappresentati con a, b

per mezzo di

1- 2 2 1/2

tg2¡

= b/a , - = , = (a +b ) ; (11)1+

inversamente

1+b/a = arctg2

¡

,

=

. (12)1-

§ 3. Probabilità ed intensità. Ci chiediamo ora quale sia la

probabilità per un valore +1/2 o -1/2 di una grandezza

quantomeccanica nel caso di un quanto di luce, sotto l’ipotesi che

il valore di un’altra grandezza sia noto. Più precisamente poniamo

la seguente domanda: un quanto di luce sia stato osservato con un

nostro analizzatore ¨ ,¡

, con il quale ha dato +1/2 oppure -1/2

(trasmissione o riflessione). Questo quanto di luce sia osservato

di nuovo con un altro analizzatore ¨ ,¡

; quant’è grande la

probabilità che abbia luogo la trasmissione, ovvero la

riflessione?

Per rispondere a questa domanda abbiamo ora due metodi. Il

primo è quello classico: otteniamo la risposta mediante la

scissione matematica dell’onda¨ ,

¡

nelle componenti ¨ ,¡

e

- ,¡

, dove¡

= £ /2. In secondo luogo ci offre una risposta2 2

secondo l’esposizione fatta la meccanica quantistica, ovvero la

teoria di Pauli dell’elettrone magnetico: determiniamo sulla sfera

unitaria due punti corrispondenti a quelle grandezze quanto-

meccaniche, delle quali l’una nella prima misura risulta essere

+1/2, e la seconda nella seconda misura risulta con la probabi-

lità cercata, +1/2; la probabilità è uguale a

9

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2cos ! /2 , (1)

dove ! è la separazione angolare tra i due punti della sfera.

Questa risposta quantomeccanica evidentemente coincide con

quella classica nel caso che i due analizzatori utilizzati siano

prismi di Nicol: infatti allora i due punti della sfera giacciono

sull’equatore e la loro separazione angolare ! è uguale al doppio

dell’angolo tra le direzioni di polarizzazione dei due Nicol. Il

caso generale di due analizzatori ellittici risulta invece

complicato. L’angolo ! tra due punti a , b e a , b , per le (1),1 1 2 2

§ 2 è d a t o d a

2 2 2 24a a +4b b +(1-a -b )(1-a -b )

1 2 1 2 1 1 2 2cos

!

= , (2)2 2 2 2

(1+a +b )(1+a +b )1 1 2 2

quindi

2 24a a +4b b +(1- )(1- )

1 2 1 2 1 2cos ! =

2 2(1+ )(1+ )

1 2

2 24 cos(

¡

)+(1- )(1- )1 2 1 2 1 2

= . (3)2 2

(1+

)(1+

)1 2

Per la probabilità si ottiene quindi

2 2

1+2

cos(

¡

-

¡

)+

1+¨

2 1 2 1 2 1 2 1,2cos ( ! /2) = ; = (4)

2 2 1,2 1-(1+ )(1+ ) 1,2

1 2

ovvero anche

2 2 2 2(1+ ¨ ) +( + ) +(1- )(1- )cos(

¡

)2 1 2 1 2 1 2 1 2

cos (!

/2) = . (5)2 2

2(1+ )(1+ ¨ )1 2

Dobbiamo infine confrontare queste formule con le afferma-

zioni della teoria classica. Un conto di verifica piuttosto

lungo - per il quale si possono usare le formule (6), (7), § 1 e

le formule della nota di pag. 295, e sul quale non c’è nulla di

particolare da dire - porta anche classicamente ad un risultato

equivalente alle (4) e (5).

In conclusione vorrei esprimere la mia gratitudine per aver

ricevuto l’ispirazione a queste considerazioni da un colloquio con

10

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il Prof. C.G. Darwin. Egli ha espresso il convincimento che anche

per la teoria di Pauli dell’elettrone magnetico si potrebbe

introdurre una rappresentazione per mezzo di onde di Schrödinger

polarizzate.Mi apparve quindi interessante provare in primo luogo

l’inverso.

Sono molto obbligato al Prof. N. Bohr per molte conversazioni

stimolanti, e l’International Education Board per la possibilitàdel mio soggiorno a Copenhagen.

11

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1Sulla diffusione della radiazione da parte degli atomi

H. A. Kramers e W. Heisenberg a Copenaghen

Quando un atomo è esposto a radiazione esterna di frequenza

esso

non invia soltanto onde sferiche monocromatiche secondarie della

stessa frequenza, coerenti con la radiazione incidente, ma in

generale saranno emesse anche onde sferiche di altre frequenze.* *

Queste frequenze sono tutte della forma ¢

, dove h

indica la

la differenza di energia dell’atomo nello stato considerato ed in

un qualche altro stato. La radiazione diffusa incoerente

corrisponde in parte a certi processi che recentemente sono stati

considerati da Smekal in rapporto ad una trattazione che implica

l’idea dei quanti. Nella dissertazione si mostrerà come un’analisi

secondo la teoria delle onde dell’azione diffusiva degli atomi

mediante il principio di corrispondenza si può condurre in modo

naturale e apparentemente univoco. La realizzazione di ciò si

costruisce sull’idea del legame del radiazione ondulatoria degli

atomi con gli stati stazionari, che è trattata in un nuovo lavoro

di Bohr, Kramers e Slater, e le conseguenze, qualora dovessero

essere confermate, potrebbero costituire un supporto interessante

per questa idea.

§ 1. Introduzione

I fenomeni ottici della dispersione e dell’assorbimento, che

si manifestano al passaggio di luce monocromatica in un gas, si

possono notoriamente interpretare in base ad un’idea atomistica,

che ogni atomo irraggiato invii onde sferiche secondarie la cui

frequenza sia la stessa della luce incidente, e che siano coerenti

con questa luce. La conseguenza, che secondo quest’idea una debole

luce diffusa sarebbe inviata in tutte le direzioni, è stata

confermata brillantemente nella teoria di Rayleigh dell’azzurro

del cielo ed anche in esperimenti di laboratorio diretti. Un

sostegno straordinariamente forte all’idea teorica consiste

innanzitutto nel fatto che le osservazioni relative consentono una

¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥

1Zeitschr. f. Phys. 31, 681 (1925).

1

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determinazione del numero di Avogadro.

Con la teoria degli elettroni costruita sull’elettrodinamica

classica si deve riuscire a dare una descrizione teorica più

precisa dell’azione diffusiva degli atomi. Così l’idea che

nell’atomo elettroni legati in modo quasi elastico possano

eseguire oscillazioni armoniche attorno ad uno stato di

equilibrio, e che questi elettroni possano essere posti inoscillazione dalla forza elettrica in un campo di radiazione,

porta ad una teoria della dispersione che rende i tratti

essenziali della dispersione osservata, non solo nell’ambito della

dispersione normale, ma anche nell’ambito della dispersione

anomala in prossimità delle righe di assorbimento, le cui

frequenze sono poste uguali alle frequenze proprie degli

elettroni. La teoria prevede, in accordo con le osservazioni,

massimi pronunciati nell’intensità della radiazione diffusa

proprio per queste frequenze (radiazione di risonanza).

Nondimeno il tentativo di dare un’interpretazione precisa dei

fenomeni di dispersione in base alla teoria classica si scontra

notoriamente con difficoltà, che sono strettamente connesse alle

difficoltà che si contrappongono all’interpretazione con questa

teoria degli spettri degli elementi, la cui soluzione è tuttavia

mostrata dalla teoria quantistica delle righe spettrali. Pertanto

ci si presenta il compito di descrivere le azioni diffusive e

dispersive degli atomi in connessione con l’idea secondo la teoria

dei quanti della struttura dell’atomo. In questa idea la comparsa

di una riga spettrale non è associata alla presenza di elettroni

oscillanti in modo elastico, ma a transizioni da uno stato

stazionario ad un altro. Il principio di corrispondenza di Bohr dà

tuttavia un’indicazione significativa sulla possibilità di

descrivere la reazione dell’atomo al campo di radiazione mediante

idee classiche. In un lavoro recentemente apparso di Bohr, Kramers

2e Slater si mostra a grandi linee come una tale descrizione si

possa sviluppare in modo relativamente semplice. Caratteristica di

questa teoria è soprattutto l’ipotesi che la reazione dell’atomo

al campo di radiazione si debba considerare in primo luogo come

¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥

2Zeitschr. f. Phys. 24, 69 (1924); Phil. Mag. 47, 785 (1924).

2

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una reazione dell’atomo in un determinato stato stazionario; le

transizioni tra due stati stazionari devono durare assai poco, e

la natura precisa di queste transizioni non deve giocare alcun

ruolo nella descrizione dei fenomeni ottici. Il primo passo per

descrivere ciò che succede quando un atomo in un certo stato

stazionario è irraggiato con luce monocromatica avverrebbe secondo

tale ipotesi nel caso più semplice nel modo seguente.Si immagini che incidano sull’atomo onde piane monocromatiche

polarizzate; il vettore elettrico ¦ (t) di queste onde sia

rappresentato alla posizione dell’atomo dalla parte reale di un

vettore:

¦ (t)=R ( ¦ exp[2 § i

t]) , (1)

dove le componenti del vettore indipendente dal tempo ¦ sono in

generale quantità complesse, e dove

qui e in generale nel

seguito in questo lavoro è una quantità positiva. Sotto

l’influenza di queste onde l’atomo invia onde sferiche nello

spazio circostante. Il momento ¨ (t) del dipolo oscillante,

mediante il quale queste onde sferiche si possono rappresentare, è

sempre dato dalla parte reale dell’espressione:

¨ (t)=R ( ¨ exp[2 § i

t]) , (2)

dove ¨ in generale è un vettore complesso, che per un dato stato

stazionario dipende da

e da¦

; la sua direzione dipende dalla

direzione di ¦ , mentre il suo valore assoluto, almeno nel caso

limite di debole irraggiamento, è proporzionale al valore assoluto

di¦

, cioè¨

è una funzione vettoriale lineare di¦

. L’espressione

(2) ha valore finchè l’atomo permane nello stato stazionario

considerato.

L’ipotesi qui fatta consente in misura notevole di dar conto

dei fenomeni della dispersione, dell’assorbimento e della

diffusione della luce da parte di un vapore, come appare chiaro

dalle circostanze ricordate all’inizio di questo lavoro. Per

quanto riguarda in particolare l’intensità complessiva della luce

diffusa, si tenderebbe a porre semplicemente che l’energia S

diffusa nell’unità di tempo sia semplicemente uguale a

4 3 -S=[(2 §

) /3c ]( ¨ ¨ ) , (3)

3

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-dove ¨ rappresenta il vettore complesso coniugato di ¨ . In quei

casi in cui l’atomo puà fare uno o più salti spontanei a stati

stazionari di contenuto d’energia più basso, bisogna tuttavia

essere preparati a che questa espressione non risulti quella

giusta. Secondo il punto di vista della dissertazione

summenzionata di Bohr, Kramers e Slater infatti l’atomo in un tale

stato anche in assenza di radiazione esterna agisce come unasorgente di onde sferiche, le cui frequenze

sono associate adq

ogni salto mediante la condizione delle frequenze di Bohr

(radiazione spontanea). L’ipotesi più semplice per la descrizione

di questa radiazione è l’ipotesi che l’atomo agisca come un dipolo

classico, il cui momento è rappresentato dalla parte reale

dell’espressione

exp[2 § i

t] , (4)q q

q

dove i vettori ampiezza

sono collegati ai coefficienti di

probabilità a di Einstein dalla relazioneq

4 3 -a h

=[(2 §

) /3c ](

) . (5)q q q q q

Nel caso di irraggiamento con luce monocromatica la radiazione (4)

in generale può dar luogo a interferenze con la radiazione (2),

che a motivo del tempo di vita finito dell’atomo causano la

comparsa di ulteriori termini nell’espressione per l’energia della

radiazione diffusa, che in certe circostanze non sono trascurabili

rispetto al termine (3) (vedi pagina 705). Senza considerare la

questione dei limiti di validità dell’ipotesi (2) uno di noi ha

affrontato da qualche tempo il problema di come si possa

3rappresentare la dipendenza della quantità ¨ dalla frequenza

. I

due pensieri conduttori in questa ricerca sono stati da un lato

l’applicabilità all’esperienza delle formule che si danno per ¨

secondo le teoria della dispersione classica, quando si pensino

introdotti nell’atomo degli oscillatori classici, le cui frequenze

proprie coincidano con le frequenze delle righe di assorbimento,

dall’altro lato il principio di corrispondenza. Secondo questo

principio esiste una stretta connessione tra il comportamento

¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥

3H.A. Kramers, Nature 113, 673 (1924); 114, 310 (1924).

4

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reale di un sistema atomico e il modo di agire del sistema, come

lo si aspetterebbe in base alla sua struttura secondo la teoria

classica degli elettroni. In particolare il principio richiede che

nella regione degli alti numeri quantici le proprietà effettive

dell’atomo si possano descrivere asintoticamente mediante le leggi

dell’elettrodinamica classica. Partendo da questa prescrizione è

stato possibile, mediante il confronto delle formule didispersione classiche con il comportamento classico di un sistema

multiplamente periodico rispetto a radiazione incidente, stabilire

una formula di dispersione adatta alla teoria dei quanti. Nel caso

che l’atomo si trovi nello stato fondamentale, questa formula

coincide con una proposta molto prima da Ladenburg sulla base di

4considerazioni d’altro tipo .

Lo scopo di questo lavoro è di mostrare come seguendo

rigorosamente quest’idea di corrispondenza si arrivi ad un

risultato sorprendente, che l’ipotesi (2) per la reazione

dell’atomo alla radiazione incidente è restrittiva, e che in

generale va estesa nel modo seguente mediante una serie di

termini:

¨ (t)=R ¨ exp[2 § i

t]+

¨ exp[2 § i(

+

)t]+

¨ exp[2 § i(

-

)t] (6)

k k l l

k l

dove h

ed h

indicano la differenza di energia dell’atomo ink l

due stati stazionari, dei quali uno è sempre identico allo stato

dell’atomo in quell’istante, mentre i vettori¨

dipendonok l

inoltre da ¦ e da

, e inoltre dalla prima quantità nella forma di

una funzione vettoriale lineare. Espresso in parole questo

risultato suona: sotto l’effetto di un irraggiamento con luce

monocromatica un atomo non emette soltanto onde sferiche coerenti

della stessa frequenza della luce incidente, ma anche sistemi di

onde sferiche non coerenti, le frequenze delle quali si possono

rappresentare come combinazioni di quella frequenza con altre

frequenze, che corrispondono a transizioni pensabili ad altri

stati stazionari. Questo sistema aggiuntivo di onde sferiche deve

evidentemente comparire come luce diffusa; esso non può tuttavia

¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥

4R. Ladenburg, Zeitschr. f. Phys. 4, 451 (1921). Vedi anche R.

Ladenburg e F Reiche, Naturwissenschaften 11, 584 (1923).

5

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contribuire alla dispersione ed all’assorbimento della luce

incidente.

5Smekal è da qualche tempo giunto mediante una trattazione

associata all’idea dei quanti proprio allo stesso risultato, cioè

che da parte di un atomo possa venire una radiazione diffusa di

frequenza

+

oppure

-

. Possiamo riprodurre il pensierok l

iniziale di Smekal all’incirca nel modo seguente. L’assorbimentoovvero l’emissione di luce da un atomo si può descrivere come un

processo nel quale un quanto di luce di frequenza

viene

assorbito o emesso da un atomo; l’atomo passa con ciò ad uno stato

stazionario più alto o più basso e varia la sua energia di una

quantità h

, e il suo impulso di una quantità h

/c. La diffusione

solita della luce da un atomo si può d’altra parte descrivere come

il contemporaneo assorbimento di un quanto di luce di frequenza

e l’emissione di un quanto di luce di frequenza

’. L’atomo non

passa ad un altro stato stazionario, ma subisce in generale una

variazione di velocità. In un sistema di riferimento scelto a

piacere le frequenze

e

’ sono in generale diverse. Ciò vale in

particolare in un sistema di riferimento nel quale l’atomo

inizialmente è a riposo (effetto Compton). Più in generale Smekal

esprime la supposizione che nell’atomo possano darsi anche

processi nei quali simultaneamente un quanto di luce è assorbito

ed emesso, ma nei quali, a differenza che nei salti diffusivi su

ricordati, non solo cambi lo stato di moto dell’atomo, ma anche

l’atomo passi ad un altro stato stazionario. Tralasciamo la

piccola variazione di velocità dell’atomo nel salto, e indichiamo

la variazione di energia nel salto con h

o con h

; a secondak l

che questa variazione sia in senso negativo o positivo, la

frequenza del quanto di luce emesso nel processo è data

evidentemente da

+

o da

-

, dove

indica la frequenza delk l

quanto di luce incidente. Questo risultato va interpretato nel

senso che, per irraggiamento con luce della frequenza

, sarà

emessa dall’atomo luce delle frequenze

+

o

-

, mentrek l

contemporaneamente l’atomo acquista una probabilità di diminuire

la sua energia di h

o di accrescerla di h

.k l

¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥

5A. Smekal, Naturwissenschaften, 11, 873 (1923).

6

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Il ragionare con il quanto di luce ha soprattutto il

significato che esso ci mette in condizione di porre in

connessione in modo semplice ed istruttivo le leggi di

conservazione macroscopiche dell’energia e dell’impulso con le

idee della teoria dei quanti. La natura della questione non

permette tuttavia di trarre da queste considerazioni alcuna

conclusione su un’eventuale struttura corpuscolare della luce,perchè dobbiamo sempre richiedere che i risultati così ottenuti si

possano mettere d’accordo in modo esente da contraddizioni con la

descrizione ondulatoria dei fenomeni ottici. Si vede senz’altro

che questo requisito è soddisfatto nel nostro caso, e che

l’ipotesi della teoria ondulatoria (6) corrisponde proprio al

risultato di Smekal. Si deve tuttavia ricordare a questo punto che

le nostre considerazioni successive mostreranno che i processi

introdotti da Smekal non sono gli unici che si possano associare

all’azione diffusiva degli atomi. Per raggiungere la completezza,

dobbiamo introdurre processi nei quali, per rimanere nel

linguaggio dei quanti di luce, l’atomo per effetto

dell’irraggiamento è indotto a emettere due quanti di luce; l’uno

ha la frequenza

della luce incidente, l’altro una frequenza

’,

che corrisponde alla transizione dell’atomo ad uno stato di

energia più bassa con perdita d’energia h(

+

’).

A questo riguardo è d’interesse notare che anche quando non

trascuriamo le variazioni d’impulso dell’atomo nei salti, il

requisito in questione della descrivibilità del fenomeno secondo

la teoria ondulatoria è soddisfatto. Introduciamo infatti un

sistema di riferimento nel quale la quantità d’impulso dell’atomo

nel suo stato stazionario sia uguale ad h

/c, mentre la sua

direzione sia opposta a quella della luce incidente (anche nei

processi non discussi da Smekal deve avere la stessa direzione);

allora secondo il calcolo con il quanto di luce la frequenza della

luce diffusa che corrisponde ad un salto determinato risulta la

stessa in tutte le direzioni dello spazio, in accordo con l’idea

secondo la teoria ondulatoria di un treno d’onde monocromatiche

che hanno la loro sorgente in una regione spaziale molto piccola.

Riguardo alla circostanza singolare, che il centro di queste onde

sferiche è in moto rispetto all’atomo eccitato, non vogliamo qui

addentrarci. Si osserverà solo che essa porta un forte argomento

7

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perchè leggi del tipo (2), (4) e (6) non possano avere validità

rigorosa, e che se ne deve ottenere una modificazione appropriata.

Tali modifiche tuttavia hanno solo un effetto inessenziale sulle

considerazioni seguenti.

L’idea di porre in connessione secondo il principio di

corrispondenza l’azione diffusiva dell’atomo introdotta da Smekal

con l’azione diffusiva di un sistema atomico che ci si deveaspettare nella teoria classica è venuta in mente per la prima

volta a Kramers in connessione con il suo lavoro sulla teoria

della dispersione. L’elaborazione di questi pensieri, che è

esposta in questo lavoro, è la conseguenza di una discussione

comune degli autori.

§ 2. L’influenza della radiazione esterna su un sistema periodico

secondo la teoria classica

Consideriamo un sistema periodico non degenere, il cui moto

si possa descrivere mediante le variabili canoniche uniformi

J ...J , w ...w . Il momento elettrico del sistema in funzione di1 s 1 s

queste variabili sia rappresentato mediante la seguente serie di

Fourier multipla:

(t)=

(1/2)

exp[2§

i(

w +

w )] . (7) ... 1 1 s s

... 1 s1 s

La somma va estesa su tutti i valori positivi e negativi dei

numeri interi ... . I coefficienti sono vettori complessi, la1 s

cui componenti dipendono solo da J ...J . Indichiamo inoltre le1 s

quantità complesse coniugate mediante una sopralineatura, e si ha

quindi

- = . (8)

... - ...-

1 s 1 s

L’energia del sistema dipende in ogni caso solo da J. Le frequenze

fondamentali siano indicate con

#

= $ H/ $ I (k=1...s) . (9)k k

Introduciamo la seguente abbreviazione per un operatore

differenziale che compare spesso:

8

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$ / $ J= $ / $ I + $ / $ J , (10)1 1 s s

ed inoltre introduciamo per le frequenze delle componenti

armoniche che compaiono nel moto l’abbreviazione

#

=

#

+

#

=$

H/$

J . (11)1 1 s s

Il nostro compito consiste nel trovare il momento elettrico delsistema in funzione del tempo, quando l’atomo è posto in un treno

monocromatico di onde piane, la cui lunghezza d’onda sia grande

rispetto alle dimensioni del sistema.

Il vettore di luce della luce monocromatica incidente sia

* * * *ancora dato dall’espressione (1). Sia J ...J , w ...w un nuovo

1 s 1 s

sistema di variabili uniformi, che risulta dalle vecchie variabili

mediante una trasformazione di contatto infinitesima

* * * *J - J = $ K/ $ w , w -w =- $ K/ $ J (k=1...s) . (12)

k k k k k k

* * * *E’ allora possibile scegliere la funzione K(J ...J , w ...w ,t) in

1 s 1 s*

modo tale che in prima approssimazione i J siano indipendenti dalk

*tempo, mentre i w crescano linearmente col tempo e in modo tale

k*

che sia dw /dt=#

. Si trova che la funzione K si può scrivere nelk k

modo seguente come la parte reale di un’espressione complessa:

) ...

1 s * *

K=R

(-1/2) ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ exp[2 § i( w + w +

t)] (13)

1 1 s s

...

i(

#

+

)1 s

*dove

ed#

rappresentano qui le stesse funzioni di J , che prima

dei J. Introduciamo nella (7) le nuove variabili uniformi definite

*dalle (12) e (13), e sostituiamo inoltre w mediante l’espressione

k#

t; arriviamo infine all’espressione del momento elettricok

dell’atomo in funzione del tempo:

(t)=

(t)+

(t) ,0 1

(14)

dove

(t)=

(1/2) exp[2 § i#

t] .0

...

... 1 s1 s

Qui e nel seguito tralasceremo gli asterischi nelle nuove

variabili uniformi;

corrisponde al moto dell’atomo0

imperturbato.

si può scrivere nel modo seguente come la parte1

9

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reale di una somma doppia: &

i#

t (¦

’) 2§

i(#

’+

)t

(t)=R

(1/4) ( $ / $ J’)e ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ e1

'

#

’+

... ’... ’1 s 1 s

(15)

2 § i#

t ( ¦ ’) 2 § i(#

’+

)t )

- e $ / $ J(¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ) e .#

’+ 0

La somma va estesa su tutte le coppie di combinazioni di valori

interi di ... , ’... ’; e ’ sono scritte come abbreviazione1 s 1 s

di

... e di

... ;$

/$

J’ in analogia con il simbolo (10) ’ ’

1 s 1 s

come abbreviazione di ’ $ / $ I + ’ $ / $ J , e d#

’ come abbreviazione1 1 s s

di ’#

+ ’#

. Trasformiamo l’espressione (15), raccogliendo1 1 s s

quei termini per i quali le somme

0 0

+

’=

+

’=

(16)1 1 1 s s s

hanno lo stesso valore. Poniamo l’abbreviazione

0 0 0

#

+

#

=#

, (17)1 1 s s s

otteniamo in questo modo &

( ¦ ’)

(t)=R

(1/4) ($

/$

J’) ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥

1

0 0'

#

’+

... ...

1 s 1 s

(18)

0

’))

i(

#

+

)t

- $ / $ J(¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ) e .#

’+ 0

Nella sommatoria su ... si deve sostituire al posto di ’... ’1 s 1 s

sempre il sistema di valori dato dalla (16). Facciamo rilevare che

0#

’ e#

possono assumere valori sia positivi che negativi, poichè

le sommatorie vanno estese a tutti i valori positivi e negativi di

0

e di . E’ condizione per la validità di questa formula che la

k k

frequenza

della luce non coincida con nessuna delle frequenze#

nel moto imperturbato.

La formula (18) dice che il sistema sotto l’influenza di una

radiazione incidente emetterà una radiazione diffusa, la cui

intensità è proporzionale all’intensità della luce incidente;

scomposta in componenti armoniche, essa contiene oltre alla

frequenza

della luce incidente anche le frequenze che si possono

10

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rappresentare come la somma o la differenza di

e di una

0 0frequenza

#

dalla forma data dalla (17). La frequenza#

stessa

può non comparire nel moto del sistema imperturbato. Inoltre si

0vede dalla (15) che

#

è sempre della forma¢ # ¢ #

’ , dove#

e

#

’ sono due frequenze che intervengono realmente nel moto

imperturbato.

§ 3. La teoria dei quanti e la diffusione coerente

Poniamoci nell’ambito della teoria quantistica dei sistemi

periodici; abbiamo allora a che fare con una molteplicità discreta

di stati stazionari, che sono dati mediante le condizioni

quantiche

J =n h . (19)k k

La radiazione, che il sistema imperturbato in un dato stato

stazionario invia, corrisponde a possibili transizioni tra stati

stazionari. Secondo il principio di corrispondenza questa si deve

malgrado ciò considerare come qualcosa di ragionevolmente analogo

alla radiazione che ci si aspetta secondo la teoria classica.

Mentre questa si può ricavare dall’espressione (14) per il momento

elettrico oscillante

dell’atomo imperturbato, la radiazione0

secondo la teoria dei quanti va rappresentata come originante da

un momento oscillante dato all’incirca da un’espressione della

forma (4). Ogni frequenza

in questa espressione corrisponde adq

una frequenza classica

#

+...

#

, e precisamente in modo tale1 1 s s

che

(1) (2) =n -n , (20)

k k k

(1) (2)dove n e n rappresentano i valori dei numeri quantici nello

k k

stato iniziale e nello stato finale. La frequenza classica

#

=( $ / $ I + $ / $ J )H= $ H/ $ J (21)1 1 s s

non coincide con la corrispondente frequenza della teoria dei

quanti

, poichè questa è data daq

(1) (2)

=(H -H )/h . (22)q

Tuttavia nel limite di alti numeri quantici questa espressione si

11

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può scrivere in approssimazione nella forma:

=6

H/h=(1/h)6

J$

/$

J + +6

J$

/$

J H , (23)q

1 1 s s

dalla quale secondo le (19) e (20) segue immediatamente che in

questo limite le frequenze della teoria dei quanti tendono

asintoticamente a coincidere con le frequenze classiche. Nella

regione dei piccoli numeri quantici

rappresenta un sempliceq

valor medio dei corrispondenti#

.

Inoltre nel limite di grandi numeri quantici le ampiezze

q

delle componenti armoniche della radiazione devono coincidere con

le ampiezze delle oscillazioni classiche, mentre nella regione

dei quanti piccoli

si può considerare come una sorta di valor

medio di . Si potrebbe indicare il vettore complesso

comeq

l’ampiezza caratteristica della transizione in esame. Il suo

valore è determinato, tenendo conto dell’arbitrarietà nella fase,

a meno di un fattore complesso di valore assoluto 1, e contiene

quindi cinque costanti. E’ evidentemente in rapporto con i

coefficienti di Einstein a per la probabilità di una transizioneq

spontanea mediante la relazione (5):

4 3 -a h

=[(2 §

) /3c ](

) . (24)q q q q q

6Come Bohr ha di recente notato, nel caso di un sistema

degenere lo stato di polarizzazione della radiazione emessa non è

fissato univocamente dallo stato iniziale della transizione in

esame, di modo che in questo caso non si può definire un’ampiezza

caratteristica univocamente determinata. Tuttavia in questa

dissertazione ci siamo limitati esclusivamente alla considerazione

di sistemi non degeneri, nei quali si suppone che il carattere

della radiazione spontanea sia sempre univocamente fissato dallo

stato dell’atomo.

Il nostro compito è ora di proporre un’espressione della

teoria dei quanti analoga alla formula classica (18) per l’azione

diffusiva del sistema sottoposto a radiazione esterna, e inoltre

in modo tale che questa diffusione tenda asintoticamente a

coincidere con la diffusione classica nel limite di grandi numeri

¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥

6N. Bohr, Naturwissenschaften, 12, 1115 (1924).

12

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quantici. Mostreremo che se ne può ottenere una siffatta, che in

modo analogo a come è stato fatto da Bohr per le frequenze, le

derivate che compaiono nella (18) si interpretano come differenze

di due quantità, e inoltre in modo tale, che si ottengano formule

semplici, nelle quali intervengono solo le frequenze e le ampiezze

caratteristiche della transizione, mentre tutti i simboli relativi

alla teoria matematica dei sistemi periodici svaniscono.Cominceremo con quella parte della luce diffusa che possiede

la stessa frequenza della luce incidente. Ciò corrisponde nel caso

0 0classico a quei termini nella (18) per i quali

=

=0,

’=-

,1 s k k

e che quindi danno luogo ad un momento diffondente

- -

&

( ¦ ) ( ¦ ) ) 2 § i

t

(t)=R

(1/4) ( $ / $ J) ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ + $ / $ J(¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ) e . (25)kl

'

#

- #

-7 0

k

L’espressione nelle parentesi quadre si può scrivere evidentemente

nella forma di una semplice derivata. Prendiamo inoltre ogni volta

insieme due termini, per i quali le quantità sianok

numericamente uguali ma abbiano valori opposti, così la (25)

assume la forma seguente:

- -

&

( ¦ ) ( ¦ ) ) 2 § i

t

(

)=R

’(1/4) $ / $ J ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ + ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ e , (26)kl

'

#

- #

+5 0

k

dove il simbolo di sommatoria primato deve significare che si deve

sommare solo su quelle combinazioni di per le quali#

risulta

positivo. Si ottiene un’espressione secondo la teoria dei quanti

per il momento diffondente con la frequenza

attivo in un dato

stato stazionario, che nel limite di grandi numeri quantici tende

a coincidere asintoticamente con la (26), e che contemporaneamente

si adatta all’esperienza, se si scrive

- -

( ¦

)

( ¦

)

&

a a a a

(

)=R

(1/4h) ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ + ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥

qu'

-

+

a a a

(27)

- -

( ¦

)

( ¦

)

e e e e

)

i

t-

(1/4h) ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ + ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ e ,

-

+

0

e e e

dove la prima sommatoria va estesa su tutte le frequenze

per lea

quali il sistema presenta assorbimento selettivo, mentre la

seconda sommatoria si estende a tutte le frequenze

chee

13

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intervengono nell’irraggiamento spontaneo. Le quantità

ed

a e

sono le ampiezze caratteristiche per i processi di assorbimento e

di emissione. La formula (27) si ottiene dalla (26) quando si

provi ad interpretare le derivate che compaiono in ogni termine

nella (26) come la differenza di due quantità che si riferiscono a

due stati di moto, per i quali i valori delle quantità J ...J1 s

differiscano di

h...

h. Non ha alcun senso considerare in1 s

particolare due stati stazionari, da un lato perchè in questo modo

non si otterrebbe nessuna quantità che corrisponda in modo

naturale alla reazione dell’atomo in un dato stato stazionario,

dall’altro perchè ai valori delle ampiezze negli stati

stazionari non va annesso un particolare significato. Piuttosto è

a un valor medio simbolico di , esteso all’intervallo tra due

stati stazionari, che si deve attribuire un significato, cioè,

come sopra osservato, il significato di ampiezza caratteristica

della transizione corrispondente. Si giunge così ad interpretare

le derivate che compaiono nella (26) come la differenza divisa per

h tra due quantità, che si riferiscono a due transizioni

caratterizzate da ... , nelle quali lo stato stazionario1 s

considerato costituisce lo stato finale di una transizione e lo

stato iniziale dell’altra.

La Fig. 1 serve da illustrazione di questo processo. Il

sistema ha due gradi di libertà, e gli stati di moto sono

rappresentati mediante punti in un piano J , J , il piano del1 2

disegno della figura. Gli stati stazionari costituiscono un

reticolo di punti, e P sia lo stato stazionario, la cui reazione

vogliamo trovare, mentre Q e R rappresentano due stati stazionari,

i valori di J dei quali h e h siano rispettivamente più grandi1 2

e più piccoli di quelli di P. La derivata che appare nella (26) si

interpreta allora come la differenza tra una quantità che si

riferisce alla transizione a ed una che si riferisce alla

transizione e.

Per il caso semplice, nel quale il vettore ¦ e tutti i

-vettori

e

siano reali a mutuamente paralleli, cioè nel qualea e

la luce incidente è polarizzata rettilineamente, e il vettore

elettrico in tutte le radiazioni corrispondenti alle transizioni a

ed e è parallelo al vettore della luce, scriveremo l’espressione

(27) in un modo un po’ diverso. Introduciamo il tempo di

14

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smorzamento di un elettrone classico che oscilla con la

frequenza

:

3 2 2 2 =3c m/(8 § e

) (28)

e definiamo la "forza" di una transizione mediante il numero dato

da

f=a

dove a indica il coefficiente di probabilità di Einstein che

compare nella (24). Possiamo ora scrivere per la (27):

2 f fe

a e

(t)= ¦

¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥

¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ -

¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ cos2 §

t . (29)qu 2

2 2 2 2

4 § m a

-

e

-

a e

Questa formula, che fa trasparire chiaramente l’analogia con

7la formula classica, è stata data da Kramers nella sua prima nota

sulla teoria quantistica della dispersione, mentre in una seconda

8nota è brevemente delineata la formula data qui. I termini che si

riferiscono alle righe di assorbimento corrispondono alla formula

data precedentemente da Ladenburg.

Nel caso generale, in cui i vettori¦

ed

non siano reali e

non siano mutuamente paralleli, la direzione di

non coincide più

con quella di ¦ , e la possibilità di una scrittura così semplice

come la (29) non esiste più in generale.

Quando la frequenza della radiazione incidente si approssima

alla frequenza

di una riga di assorbimento o alla frequenza

a e

di una riga di emissione, il momento cresce fortemente, ma

nell’immediata vicinanza di questa frequenza la formula (27),

quand’anche per il resto potesse esser giusta, deve perdere

evidentemente la sua validità, così come la formula classica cessa

di essere valida quando

si avvicina ad#

. Nel caso di una quasi

coincidenza con una riga di assorbimento troviamo tuttavia in ogni

caso il risultato, che luce della frequenza di questa riga verrà

diffusa in modo estremamente intenso. Una parte della radiazione

¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥

7Nature 113, 673 (1924).

8Nature 114, 310 (1924). Vedi anche J.H. van Vleck, Phys. Rev. 24,

344 (1924).

15

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di risonanza da vapori metallici osservata da Wood e da altri deve

corrispondere sicuramente a queste intense onde diffuse coerenti,

della presenza delle quali del resto ben testimonia il fatto

dell’assorbimento delle stesse, come anche della riflessione

metallica ad alta pressione. In parte la radiazione di risonanza

deriverà tuttavia anche dagli stati eccitati, nei quali alcuni

atomi sono portati dall’irraggiamento. Riguardo alla radiazione dirisonanza non ci addentreremo ulteriormente; si ricorderà qui

soltanto di notare come la forma dell’espressione (27) sia adatta

a rappresentare con una formula il carattere delle righe di

assorbimento come punti singolari per la diffusione.

Quando d’altra parte

si trova quasi a coincidere con una

frequenza di emissione

, l’espressione (27) sarà molto grande,e

ma a causa della presenza di un’emissione spontanea alla frequenza

e a causa della nostra ignoranza di come si comporta la fasee

della luce diffusa nel caso di quasi risonanza, non possiamo

concludere senz’altro che sarà rinforzata dall’irraggiamento di

onde sferiche di frequenza

: certi argomenti, nei quali none

vogliamo addentrarci qui, suggeriscono esattamente il contrario.

Che la radiazione diffusa rappresentata dalla (27) sia

coerente con la radiazione incidente, lo si vede immediatamente

dalla circostanza che in ogni termine compare sia l’ampiezza

sia

-l’ampiezza coniugata

, il che sopprime l’indeterminazione nella

fase di

stessa. Questa coerenza è la causa della dispersione, e

si trova facilmente che il raggio incidente si divide in generale

in due componenti polarizzate, alle quali corrispondono due indici

di rifrazione diversi. I termini sotto il secondo segno di

sommatoria nella (27) ovvero nella (29) corrispondono ad una

dispersione negativa, che corrisponde all"assorbimento negativo"

di Einstein nelle posizioni

=

, proprio come la dispersionee

consueta o positiva corrisponde alle consuete righe di

9assorbimento nelle posizioni

=

.a

¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥

9Wentzel ha di recente cercato di dare in una interessante

dissertazione (Zeitschr. f. Phys. 29, 306 (1924)) una trattazione

secondo la teoria dei quanti della dispersione, che ha poco in

comune con quella qui trattata. Wentzel sostiene un’ipotesi,

16

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§ 4. La radiazione diffusa non coerente

.

.

.

¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥

secondo la quale la formula della dispersione della teoria dei

quanti in generale non può essere rappresentata nella forma

semplice di Helmoltz-Ketteler, ma dev’essere considerata come una

formula di dispersione classica distorta in un certo modo. Questa

possibilità merita tutta l’attenzione, perchè non si potrebbe

allora parlare di una derivazione rigorosa della formula del

momento di dipolo indotto secondo la nostra trattazione fondata

sul principio di corrispondenza. Tuttavia secondo noi non c’è base

sperimentale sufficiente per mettere in dubbio la validità di una

formula semplice del tipo (27) o (29). Wentzel porta in

particolare come esempio la dispersione nell’elio, poichè in

questo caso la frequenza di assorbimento "efficace" sta sul lato

delle lunghezze d’onda piccole rispetto al limite della serie di

assorbimento (essa è quasi del 5% più grande della frequenza

limite). Una simile situazione non parla tuttavia in alcun modo a

disfavore della formula classica, poichè alla dispersione non

contribuiscono soltanto le righe di assorbimento dell’elio, ma

anche l’assorbimento continuo, che si estende al di là del limite

della serie nella direzione delle onde corte. Un calcolo semplice,

che si fonda su considerazioni teoriche sulla grandezza

dell’assorbimento continuo (vedi H.A. Kramers, Phil. Mag. 46, 836

(1923)) o anche su un’estrapolazione al caso dell’elio delle

formule empiriche per l’assorbimento dei raggi Roentgen, mostra

infatti che utilizzando le formule classiche l’effetto di questo

assorbimento continuo sulla dispersione nella regione ottica è lo

stesso di quello di una riga di assorbimento, la cui frequenza sia

circa 1,2 volte la frequenza del limite della serie, e la cui

"intensità" può comportare parecchie unità, cioè può corrispondere

ad un numero di parecchi elettroni di dispersione. Nel caso

dell’elio pertanto l’esperienza non consente di decidere un

rifiuto della formula di dispersione classica. (vedi anche K.F.

Herzfeld e K.L. Wolf, Ann. d. Phys. 76, 71 (1925)).

17

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1L’unidirezionalità della radiazione quantistica

Ralph de Laer Kronig a New York

(ricevuto il 27 giugno 1924)

2In una dissertazione apparsa recentemente G. Wentzel mostra

come si debba tradurre nella teoria dei quanti il concetto clas-sico di fase. In essa, quando si tratta un processo di radiazione

che comincia con l’emissione E di un quanto di luce da parte di un

atomo e finisce con l’assorbimento A del quanto di luce da parte

di un altro atomo, si pone per la fase della radiazione l’espres-

sione invariante:

¡

=(1/h) ¢ £ d ¥ . (1)¦

k kk

Inoltre l’atomo emittente, l’atomo assorbente e tutti gli atomi

influenzati dal quanto di luce sul suo cammino sono considerati

insieme come un sistema meccanico. Le ¥ , £ sono variabili cano-k k

niche, dove gli impulsi ¥ sono scelti in modo tale che essik

rimangano costanti per un moto meccanico. Questa definizione di¡

corrisponde interamente, come mostra Wentzel, alla definizione

classica della fase; poichè per moti meccanici le ¥ sonok

costanti, essa dà una misura delle perturbazioni non meccaniche

durante il processo di radiazione.

Per mezzo di questa Wentzel cerca inoltre la probabilità di

transizione di un processo non meccanico, nel quale l’integrale di

fase I di un atomo emittente periodico condizionato mutak

dell’ammontare § I , e trova che possiedono una probabilità diversak

da zero solo quelle transizioni per le quali i § I soddisfino allek

condizioni quantiche

§ I =n h . (2)k k

Inoltre si ottiene come prodotto secondario il principio di

corrispondenza. Si descriva infatti l’atomo emittente mediante le

¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨

1Zeitschr. f. Phys. 29, 383 (1924).

2Zeitschr. f. Phys. 22, 193, 1924.

1

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variabili angolari

w =t W/ I + u ,k k k

di modo che sia

¡

=(1/h) ¢ w d I + =(1/h) tdW+¢ u d I + .¦

k k

¦ ¦

k k

k k

Se le quantità di fase u restano invariate durante l’emissione,k

sarà

¡

=(1/h) tdW+¢ u § I + .

¦

k k

k

Per il vettore chiamato da Wentzel, che è determinante per la

probabilità di una transizione, risulta ora, quando sia mediato su

tutte le u (cioè sui valori arbitrari delle u prossimi all’i-k k

stante dell’irraggiamento):

=¢ ... du du ... (u )exp[2 i¡

] ,¦ ¦

1 2 s ks

(3)

( s)

(u )=¢ !

exp[-2

i#

n u ] .s k n k k

n kk

La (3) è diversa da zero solo quando la (2) è soddisfatta.

Nella sua trattazione Wentzel si occupa solo delle w , che sik

potrebbero indicare come variabili "interne" dell’atomo emittente.

Ma il sistema consiste di un atomo emittente e di uno assorbente,

e se il primo è mobile come un tutto in una spazio privo di forze,

nel quale il secondo è in quiete, per determinare la sua posizione

sono necessarie anche variabili "esterne". Il baricentro dell’a-

tomo emittente si muova quindi lungo una retta, naturalmente con

velocità costante, fintanto che non ha luogo alcun processo non

meccanico. Possiamo pensare la sua posizione determinata con coor-

dinate rettangolari$

ed%

in un piano passante per la retta e per

l’atomo A, dove

$ = t W/ p + x , % = t W/ p + y ,$ %

(x,y coordinate al tempo t=0, cioè all’istante dell’emissione).

Sarà allora

2

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¡

=(1/h) tdW+¢ u § I + x § p + y § p + .

¦

k k $ %

k

In particolare nel punto di assorbimento, poichè § W=h ' , ed ivi è

2 2 1/2t=(x +y ) /c, s i ha:

1

2 2 1/2 ( h ' x y )

¡

=¨ ¨ ¨ ¨ ¨

¢ u § I +(x +y ) ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ + ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨

§ p + ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨

§ p + .h k k 0 c 2 2 1/2 $ 2 2 1/2 % 1

k (x +y ) (x +y )

Se si sceglie l’asse x parallelo alla direzione del moto e,

generalizzando il metodo di Wentzel, nel calcolo di si media su

tutti i punti del cammino, al posto della (3) risulta

x

=lim ¢ (1/2x) ... du du ...dx (u )exp[2 i¡

] .x = 3

¦ ¦ ¦

1 2 s ks

- x

La media su u ,u ... non produce niente di nuovo. Invece quella su1 2

x dà nell’integrale il fattore

r

1

r

r ( )

lim ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ dr ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ exp 2 i ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ h

' / c +§

p ,r = 3 2 2 1/2

¦

2 2 1/2 h 0 4 1

(r -y ) (r -y )y

2 2 1/2dove r = (x +y ) è la lunghezza del raggio vettore dal punto di

assorbimento al punto di emissione e§

p la componente della va-4

riazione dell’impulso in questa direzione. L’espressione è zero,

salvo quando

§ p = - h ' /c .4

La simmetria e la circostanza che questo salto d’impulso è della

grandezza che su basi classiche può essere associata all’ir-

raggiamento di una quantità d’energia h ' fanno comprendere che non

ha luogo nessuna variazione d’impulso perpendicolare alla

direzione del raggio. Ci si deve aspettare che il risultato

rimanga valido anche quando si passa al limite zero della velocità

relativa.

Quindi l’atomo emittente subisce un impulso nella direzione

del raggio d’ammontare h ' /c. Ciò corrisponde interamente all’idea

3sostenuta per primo da Einstein , che ha trovato una così bella

¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨

3Phys. Zeitschr. 18, 121, 1917.

3

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4conferma nell’effetto Compton-Debye . Tuttavia, come si vede, il

segno della variazione d’impulso su derivata è opposto a quello

che si prende di solito. Ciò non muta invero la trattazione di

Einstein e la formula di Compton, ma con il metodo introdotto da

5Schrödinger risulterebbe un effetto Doppler sbagliato. Perciò si

deve modificare la definizione (1) della fase in modo tale che il

segno risulti giusto, e che inoltre i risultati derivati daWentzel, in primo luogo la connessione con la definizione classica

della fase, restino conservati. Queste condizioni sono soddisfatte

dall’ipotesi

¡

=(1/h) 2tdW - ¢ £

k k

k

come ci si persuade facilmente. Risulta allora

§

p = h'

/c . (4)4

Nel senso dell’idea proposta da Bohr, Kramers e Slater del

6campo di radiazione virtuale , l’equazione (4) significa che

mediante il vettore di radiazione classico dell’atomo emittente

sarà indotta nella posizione dell’atomo assorbente una probabilità

per un salto d’impulso, che va di pari passo con un salto

d’energia, della grandezza e della direzione trovati.

New York, Columbia University, 9 giugno 1924.

¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨

4A. Compton, Phys. Rev. 21, 483, 1923. P. Debye, Phys. Zeitschr.

24, 161, 1923.

5E. Schrödinger, Phys. Zeitschr. 23, 301, 1922.

6Phil. Mag., maggio 1924.

4

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1Sulla teoria quantistica della radiazione

A. Landé a Tubinga

§1. Serie di transizioni. - §2. Emissione spontanea.

- §3. Emissione indotta

§1. Serie di transizioni. Bohr ha più volte suggerito che si

debba attribuire agli stati quantici di un atomo una certa

indeterminazione, perchè nella determinazione degli stati

stazionari si trascura la forza elettrodinamica di frenamento

dello smorzamento radiativo. Nel seguito si mostreranno alcune

conseguenze di questa idea per i postulati fondamentali della

teoria di Bohr.

Dagli esperimenti di Bothe e Geiger, di Compton e Simon si

può stabilire che non gli stati stazionari ma soltanto le

transizioni stesse sono accoppiate con la radiazione. Se non si

vogliono addirittura gettar via tutti i successi degli argomenti

quasi di teoria ondulatoria e di corrispondenza, si può cercare

una mitigazione della teoria dei quanti di luce mediante la

seguente asserzione:

I. La transizione di un atomo al tempo t=0 induce transizioni

negli altri atomi non istantaneamente, ma con probabilità

decrescente anche a tempi t>0 (a prescindere dal tempo dilatenza).

-7 -8A causa dei brevi tempi di decadimento da 10 a 10 sec.

una distinzione rispetto a quanti di luce agenti istantaneamente

non è immediatamente determinabile sperimentalmente.

L’ipotesi formulata in I si può sostituire con una un po’ più

precisa mediante l’affermazione che

II. Già l’atto di emissione di un singolo atomo isolato dà

luogo ad una "riga spettrale" non netta ossia con coerenza non

infinita, la cui larghezza è calcolabile mediante lo smorzamento

classico.

Nell’interpretazione quasi classica l’emissione non netta

1Zeitschr. f. Phys. 35, 317 (1926).

1

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attorno a¡

è rappresentata con un’oscillazione, che secondo0

Fourier si sviluppa in una serie continua di oscillazioni

armoniche pure, che stanno attorno al valore principale¡

.0

Possiamo associare ciascuna di queste componenti armoniche ad una

transizione tra due stati nettamente definiti, e otteniamo come

equivalente della riga spettrale non netta secondo I. e II. una

serie continua di transizioni di un atomo, della cui struttura siparlerà più dettagliatamente nel seguito.

A questa come pare stringente conseguenza della I. e della

II., che le variazioni di stato consistano in serie di

2transizioni , non si è attribuito spesso alcun significato, perchè

la nettezza delle righe spettrali è una caratteristica assai più

vistosa della loro imprecisione. L’imprecisione di una riga

spettrale¡

si estende tuttavia in realtà non solo al piccolo0

dominio della sua larghezza a mezz’altezza, ma come mostrano la

dispersione, la diffusione, la riflessione e la rifrazione di luce

estranea con¡ ¢ ¡

, ad una regione assai più vasta. Deviazioni0

dell’indice di rifrazione n dal valore 1 si trovano in una regione

assai estesa attorno a¡

(propriamente estesa fino a ¤ ), che0

chiameremo dominio di dispersione; in prossimità di¡

la curva di0

n ha inoltre in confronto alla restante regione un incremento

estremamente grande (determinato dallo smorzamento), la cui

origine è determinante per la larghezza della "riga spettrale"

¡

.Ma questo mostra soltanto che entro la corrispondente serie di0

transizioni complessiva la transizione principale¥

E e quelle0

immediatamente vicine per così dire per caso (cioè a causa del

2Nell’espressione serie di transizioni c’è una concessione

all’immagine consueta, che una "transizione" colleghi due "stati"

netti. Ma gli stati, come ha notato Bohr, non sono nettamente

definiti, e la stessa cosa vale per le transizioni. Solo

formalmente si può pensare lo stato non netto come composto da

"stati netti" nel senso consueto, e la transizione da una serie di

"transizioni nette". Tuttavia questa scomposizione secondo

l’interpretazione qui proposta non ha contenuto fisico, e sarebbe

coerente parlare ancora semplicemente di transizione invece che di

serie di transizioni.

2

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valore per caso assai piccolo dello smorzamento radiativo)

possiedono pesi fortemente privilegiati, in corrispondenza alla

forte luminosità della riga spettrale stretta¡

rispetto alle0

posizioni buie più lontane¡

. Ma se si vuole giungere ad una

comprensione della dispersione, della diffusione etc., l’oscurità

delle restanti regioni di dispersione la si deve intendere solo

come relativa, e le transizioni ulteriori

¥

E lontane da

¥

E sono0

di importanza fondamentale per il fenomeno dell’interazione di un

atomo¡

con luce estranea¡

.0

Sull’importanza della quantizzazione non netta hanno

3 4richiamato l’attenzione Ehrenfest e Tolman , e inoltre A. Smekal ,

5e R. Becker ha nella sua teoria quantistica della dispersione

attribuito quantitativamente dei pesi agli stati ulteriori. La

differenza tra quelle ricerche e la presente consiste nel fatto

che in quelle le singole variazioni di stato di un atomo sono

considerate come transizioni nette tra stati non quantici, mentre

qui, secondo le I. e II., ogni variazione di stato già di per sè è

considerata come un continuo di transizioni nette.

§2. Emissione spontanea. Per descrivere più in dettaglio la

serie di transizioni che corrisponde alla riga spettrale non netta

di un atomo, rappresentiamo l’emissione spontanea dell’atomo

mediante l’oscillazione smorzata

¦

=0 per t<0 ,¦

exp[2 § t(i¡

-1/ ¨ )] per t © 0 , (1)

0 0 0

che si può considerare come rappresentante dell’intensità di campo

di una emissione di radiazione smorzata reale o virtuale. La riga

spettrale non netta (1) è secondo Fourier composta da una serie

continua di componenti armoniche pure exp[2 § i¡

t] della forma¡

3Ehrenfest e Tolman, Phys. Rev. 24, 287-295 (1924). (Weak

Quantization.)

4A. Smekal, Zeitschr. f. Phys. 34, 81 (1925). (Über metastationäre

Atom- und Molekülzustände.)

5R. Becker, Zeitschr. f. Phys. 27, 173 (1924). (Über Absorption

und Dispersion in Bohrs Quantentheorie.)

3

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+ ¤

¦

= exp[2 § i¡

t]d¡

,

¡

- ¤

nella quale le singole ampiezze risultano

+ ¤

1 =

¦

exp[-2 § i¡

t]dt=(1/2 § )¦

. (2)¡

0 i(¡

)+1/ ¨

0 0

Se inoltre scriviamo nella forma exp[i ], l’intensità¡ ¡ ¡

della singola componente armonica risulta

2 2 2 1 =(1/4 § )

¦

. (3)¡

0 2 2(

¡

) +1/ ¨

0 0

Il suo peso relativo g è allora uguale a¡

¤

1/ ¨

0

g =(1/§ ) , dove g d¡

=1 . (3’)¡

2 2

¡

) +1/ ¨

0 0 0

Dal punto di vista della teoria dei quanti la riga spettrale non

netta (1) corrisponde secondo la nostra interpretazione ad una

serie di transizioni di un atomo, ovvero nel senso consueto ad una

serie di transizioni nette¥

E di più atomi, i cui singoli termini

partecipano alla serie con dei "pesi", che sono proporzionali alla

(3’), quando in essa si sostituiscano¡

mediante:0

¡

E/h ,¡

E /h . (4)0 0

Hanno peso massimo quelle transizioni ulteriori della serie, che

stanno vicino alla transizione principale¥

E che collega due0

a estati quantici E ed E determinati dalla teoria dei quanti. I

0 0

pesi relativi delle transizioni ulteriori sono secondo la (3’)

essenzialmente determinati da 1/ , anche a grande distanza da¡

.0 0

Nel caso che l’atomo isolato irraggi spontaneamente si deve

sostituire a ¨ il tempo di decadimento classico dello smorzamento0

radiativo; per smorzamento da urto ¨ si accorcia0

considerevolmente, ed inoltre la distribuzione dei pesi (3’)

risulta distorta.

Sebbene con ciò si ricada nell’ambito della vecchia

interpretazione, fissiamo ora la serie di transizioni data dalle

(3) e (4) con la seguente rappresentazione. L’atomo possiede oltre

alle energie quantiche E come valori principali anche un continuo0

4

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di valori ulteriori E. Le stesse differenze¥

J tra i valori

a edell’azione, che separano due valori principali E ed E , esistono

0 0a e

anche sempre tra due altri valori E ed E del continuo. Possiamo

così associare al salto¥

J un intero continuo di coppie di valori

a e a e a eE ed E , con differenze costanti

¥

E=E -E =¥

E =E -E . Solitamente,0 0 0

a aquando l’atomo si trova "nello stato E ", i valori E raggruppati

a

attorno ad E possono essere attraversati continuamente in modo0

infinitamente rapido con tempi relativi di permanenza che

corrispondono ai loro pesi. Una situazione analoga vale quando

el’atomo si trova "nello stato E ". Una transizione spontanea

¥

J è

ora contraddistinta dal fatto che l’atomo assume

a econtemporaneamente i due valori di una delle coppie E ed E su

descritte e inoltre attraversa in modo infinitamente veloce

l’intero continuo delle coppie di valori con permanenze relative

che sono misurate dalla (3’). Naturalmente si può vedere in questo

nient’altro che un tentativo irrazionale di descrivere la serie di

transizioni (3’) con concetti della rappresentazione con stati

nettamente definiti che qui si vuole abbandonare.

§3. Radiazione indotta. L’effetto di una transizione

spontanea dell’atomo A su un atomo B appare per metà statistico,

per metà causale. Statistico in quanto la serie di transizioni

indotte in B o avviene interamente o non avviene: solo quando vi

sono molti atomi B esisterà una certa percentuale di transizioni

complete. Causale in quanto la capacità della serie di transizioniA di rendere probabile in B una serie di transizioni diminuisce

col tempo ed è essenzialmente limitata al tempo di decadimento ¨ .0

-8Questo tempo è del resto così corto (

10 sec.), che nella

maggior parte dei casi si constata coincidenza tra causa ed

effetto.

In particolare possiamo anche pensare l’interazione tra A e B

trasmessa da oscillatori virtuali e dalla radiazione virtuale che

da essi proviene. Ma mentre Bohr, Kramers e Slater associano ad

ogni stato quantico di A un oscillatore¡

(cioè un numero0

discreto di oscillatori armonici¡

’,¡

’’,...), noi possiamo0 0 0

associare ad ogni transizione¡

di A una serie continua di0

oscillatori armonici virtuali¡

con le ampiezze relative date

dalla (2); allora l’oscillazione (1) data complessivamente da

questi, che comincia al tempo t=0, è capace di un’azione fisica

5

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causale quando t>0, mentre un’oscillazione armonica pura¡

, che0

dura da t=- ¤ fino a t=+ ¤ , è fisicamente un’assurdità.

Se la su descritta transizione in B avviene realmente, cioè

e ase a seguito della transizione B ha scambiato E con E , B è

diventato una sorgente (virtuale) di onde non nette con il valore

principale¡

. Ma una tale radiazione secondaria deve uscire da B0

solo quando B effettua realmente la serie di transizionidescritta, che avverrà o non avverrà in modo per metà causale, per

metà statistico (vedi sopra).

Si noti in conclusione che noi attribuiamo al complesso della

rappresentazione qui esposta meno valore che alla constatazione

dell’alternativa:

O la variazione dello stato di un singolo atomo è associata

con l’emissione di una riga spettrale¡

matematicamente netta,0

cioè con coerenza ¤ ; allora la variazione di stato può consistere

in un salto tra due stati quantici netti¥

E =h¡

, e la radiazione0 0

esercita perciò azioni che durano da t=-¤ a + ¤ , oppure istantanee

(teoria dei quanti di luce). Oppure, come è naturale per la

corrispondenza con lo smorzamento radiativo classico, ogni singolo

atomo emette già una riga spettrale non netta; allora la

variazione di stato associata può consistere solo in una serie

6continua (simultanea) di transizioni , nella quale oltre alla

transizione quantica principale¥

E =h¡

si hanno anche quelle0 0

transizioni ulteriori

¥

E=h

¡

essenzialmente con il peso relativo(3’), che cadono nel "dominio di dispersione" della riga

spettrale, cioè in una parte molto al di fuori dalla semilarghezza

di riga.

7Born e Jordan hanno dato espressione all’idea che le fasi

istantanee dei moti elettronici negli atomi non abbiano posto

nelle vere leggi di natura , come quantità in linea di principio

inosservabili. Potremmo qui fare un altro passo e sostenere che

anche le energie nette di stato degli stati quantici appartengono

a queste quantità; allora secondo quanto sopra sarebbero definite

e osservabili in linea di principio solo le proprietà delle "serie

6Vedi Nota 1, §1.

7Born e Jordan, Zeitschr. f. Phys. 33, 479 (1925).

6

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di stati"; solo formalmente (come gli stati netti con

l’assegnazione delle loro fasi istantanee) le si possono

visualizzare come una composizione di stati netti, tra i quali lo

stato principale e i suoi vicini hanno per certi fenomeni

(semilarghezza di riga) un significato particolare, mentre per

altri fenomeni (dispersione etc.) anche le componenti più distanti

della serie richiedono particolare attenzione. In contrapposizionecon altri (l. c.), che considerano il singolo stato principale e i

vicini come realizzabili (e osservabili) da soli, noi potremmo

invece considerare come "stato" e come "transizione" del singolo

atomo già solo la serie di stati e la serie di transizioni, per

non cadere (vedi alternativa precedente) nella teoria dei quanti

di luce più estrema, che finora ha fallito con il problema

8dell’interferenza .

8Quando per esempio G. Wentzel (Zeitschr. f. Phys. 22, 193 (1924))

fa il tentativo di "tradurre nel linguaggio della teoria dei

quanti" la sovrapposizione ovvero addizione delle energie come una

sovrapposizione ovvero addizione delle probabilità con le quali

quanti di luce possono andare da Q a P per cammini diversi, questo

si deve considerare sbagliato rispetto alla relazione esistente

tra gli eventi, che possono essere assai separati temporalmente.

Secondo Wentzel si deve avere per esempio in P una banda

d’interferenza buia quando i due cammini l ed l , S ed S verso P,1 2 1 2

possiedono una differenza di cammino ( /2=)ch/2 e perciò i due

non trasportano alcun quanto di luce

. Si pensi tuttavia di

interporre improvvisamente a metà tra P e Q al tempo t=0 uno

schermo nero che ostruisca il cammino l , ma lasci aperto l ,1 2

allora Q noterà al più presto qualcosa al tempo t=l/2c e potrà

allora cominciare l’emissione di quanti di luce verso P lungo l ,2

di modo che P sarà illuminato al più presto a t=3l/2c. In realtà

l’illuminazione di P comincerà all’incirca al tempo t=l/2c. La

teoria di Wentzel contraddice i fatti sperimentali più elementari.

7

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1Transizioni quantiche spontanee

A. Landé a Tubinga

(ricevuto il 17 marzo 1927.)

Le transizioni spontanee sono ricondotte ad un campo di

smorzamento spontaneo.

2§ 1. Da poco M. Born ha calcolato secondo la meccanica

ondulatoria le probabilità di transizione tra stati quantici

stazionari sotto l’influenza di un campo esterno dato; tra l’altro

ha discusso l’influenza di luce disordinata di densità di

radiazione

, per includere nella meccanica ondulatoria i¡

coefficienti di probabilità B di Einstein per l’assorbimento emn

per l’emissione indotta. Sulla base dell’interpretazione di

Schrödinger in termini di battimenti della condizione delle

frequenze di Bohr e secondo l’interpretazione idrodinamica di

3Madelung del campo ¢ si potrebbe arrivare all’opinione che la

meccanica ondulatoria richieda per l’emissione spontanea con

mnfrequenza di combinazione

¡

la presenza delle particelle sia

nello stato di partenza m che nello stato finale n, cosa che

contraddice l’esperienza. Per render conto dell’emissione

spontanea anche nel caso che tutte le particelle siano nello stato4

iniziale m O. Klein si è visto costretto a render responsabile

per l’Aussstrahlung non la corrente di Madelung, che in questo

caso è stazionaria, ma una corrente non stazionaria diversa da

quella. Vogliamo ora ricondurre quest’ultima alla sua origine, una

sorta di campo di smorzamento, che va inserito al posto di un

eventuale campo esterno.

La strada per lo smorzamento radiativo spontaneo andrebbe

£ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £

1Zeitschr. f. Phys. 42, 835 (1927).

2M. Born, ZS. f. Phys. 40, 167, 1926.

3E. Madelung, ibidem 40, 322, 1926.

4O. Klein, ibidem 41, 407, 1927.

1

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cercata in una traduzione dei calcoli classici che sono stati

5elaborati in un lavoro precedente di Born e Jordan riguardo

all’interpretazione quantistica. Tuttavia gli sviluppi di quel

lavoro non paiono adatti al trasferimento immediato nel linguaggio

quantistico, poichè il campo di smorzamento là utilizzato

= -(2/3c ) ¨ è in fase con il momento ¨ dell’elettrone (lavoro

3

dA = -(2/3c )¨ ¨

dt) e perciò già le ampiezze di transizionecrescerebbero proporzionalmente al tempo, cosa che dovrebbero fare

le probabilità di transizione.

Perciò seguiremo qui una via per la derivazione dell’equi-

librio radiativo che è stata descritta per la prima volta da W.

6Bothe e porremo le transizioni spontanee sullo stesso piano di

quelle indotte, poichè ci chiederemo quale potenziale di campo

perturbativo F (x,t) va introdotto nell’equazione

2

8

4 i ¢

¢ - £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ [U (x) + F (x,t)] ¢ - £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ = 0 (1)2 h t

h

come corrispettivo del potenziale di campo F (x,t) di un campo

perturbante esterno, per ottenere come risultato le probabilità di

transizione spontanea. (In prima approssimazione le transizioni

spontanee e quelle indotte mediante un campo esterno possono

essere trattate indipendentemente.) La risposta nel caso che tutte

le particelle siano nello stato di partenza m suona così:

Il campo di smorzamento che agisce sullo stato m non è

esattamente periodico in¡

(n<m), ma è affetto da salti di fasemn

disordinati, di modo che lo sviluppo di Fourier del campo di

smorzamento ricopre un intorno

¡

della frequenza dimn

combinazione¡

. L’intensità del campo di smorzamento è quindimn

uguale all’intensità di campo di una radiazione disordinata

per ogni grado di libertà radiativo della quale nell’intorno di

¡

si ha tanta energia quanta ne viene emessa con un processomn

d’emissione (cioè ogni grado di libertà ha l’energia h¡

).mn

Se si introduce infatti il potenziale F (x,t) di questo "campo

£ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £

5M. Born e P. Jordan, ibidem 33, 479, 1925.

6W. Bothe, ZS. f. Phys. 41, 345, 1927. La trattazione presente ha

con quella di Bothe molti punti in comune.

2

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di smorzamento spontaneo" nella suddetta equazione (1) si ottiene,

come si mostra nel § 2, a partire dallo stato iniziale ¢ =c ¢ unom m

stato finale ¢ = k C ¢ (k=1,2,...m) con C = c a , dove a ,k k k m mk mk

cioè l’ampiezza di probabilità della transizione spontanea m k,

soddisfa il rapporto di Einstein

38 h

¡

2 2 mk(a ) :(b ) = £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £

mk mk 3c

tra le probabilità di transizione m k spontanea e indotta. Anche

quando tutte le particelle sono soltanto nello stato m, e quindi

la corrente di Madelung è stazionaria, saranno provocate dal campo

spontaneo che contiene la frequenza¡

, delle transizioni m kmk

(k<m). - Ci si può ora chiedere inoltre, quale Ausstrahlung

elettrodinamico sia accoppiato alle transizioni spontanee. Per

rispondere a questa domanda sarà necessario tirare in ballo con O.

Klein oltre alla densità di corrente di Madelung anche una densità

di corrente d’altro tipo, l’interpretazione statistica della quale

tuttavia si discosta da quella per la densità di corrente di

Madelung. E inoltre potremo intendere la comparsa di una densità

di transizione alla Klein per l’Ausstrahlung spontaneo come una

conseguenza del campo di smorzamento (§ 3).

§ 2. Se si pone nell’equazione (1) per il potenziale F (x,t)

il prodotto col segno meno del momento ¨ (x) e del campo§

(t) si

7ottiene secondo Born , nel caso che il campo consista di luce

disordinata con densità di radiazione

), per la probabilità di

transizione m n

38 2

B

) = £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £

¨

) , (2)mn mn 3 mn mn

3h

dove ¨ è l’elemento di matrice del momento ¨ (x). Se si assumemn

0ora la densità di radiazione

del "campo di smorzamento

spontaneo" per lo stato m in modo tale che ad ogni grado di

libertà con¡

corrisponda un quanto h¡

, cioèmn mn

£ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £

7 3M. Born, ZS. f. Phys. 40, 167, 1927, formula (39). In essa 4

3sta evidentemente al posto di 8 .

3

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38 h

¡

0 mn

= £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ , (n<m) , (3)mn 3

c

la probabilità di transizione spontanea così generata sarà

38 2 0

A = £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £

¨

) , (4)mn 3 mn mn

3h

e si ottiene quindi

38 h

¡

0 mnA :B

) =

) = £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ , (5)mn mn mn mn 3

c

in accordo con la condizione di Einstein.

§ 3. Si dovrà mostrare ora, ripetendo un noto risultato di

Born (l.c.), quale ruolo giochino le densità di transizione

*P (x,t) = ¢ (xt) ¢ (xt), dalle quali si costruisce la densitàmn m n

P (x,t) associata allo stato m secondo la formula di O. Kleinm

P = P + n P + P , (n<m) .m mn mn nm

Se lo stato iniziale, rispettivamente lo stato finale, sono

caratterizzati da

¢ = c ¢ + c ¢ + ovvero ¢ = C ¢ + C ¢ +a 1 1 2 2 e 1 1 2 2

* *con le densità di Schrödinger-Madelung

= ¢ ¢ e

= ¢ ¢ ,a a a e e e

poniamo con Born i C in rapporto con i c mediante le equazionin n

lineari

C = m c b , (6)n m mn

i coefficienti b delle quali rappresentano le ampiezze dimn

transizione, e i loro quadrati le probabilità di transizione per

2 2la singola transizione m n, mentre i c ovvero C rappresentano il

m m

numero di particelle nello stato m prima e dopo l’azione

perturbatrice. Risolvendo l’equazione d’onda (1) si ottengono poi

secondo Born per un campo di perturbazione arbitrario§

(t) le

ampiezze di transizione b nel modo seguente (§

può per esempiomn

essere un campo esterno dato arbitrariamente oppure il nostro

campo di smorzamento spontaneo, effettivo nello stato m): si

4

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costruiscono l’energia potenziale F (x,t) = - ¨ (x)§

(t) ovvero

l’energia potenziale moltiplicata per -2i /h

2i

b(x,t) = £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £

¨ (x)§

(t) , (7)h

e utilizzando le autofunzioni imperturbate

¢

(x,t) =#

(x)exp(2i

¡

t) (

¡

= E /h)m m m m m

le quantità

T

2i $ $

*b = £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ dx dt b(x,t) ¢ ¢

mn h ' ' m n(

0

T

2i $ $

= £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ dx dt b(x,t)P (x,t) (8)h ' ' mn

(

0

*con la densità di O. Klein P (x,t)=

¢ ¢

. Questa densità Pmn m n mn

compare anche nelle ampiezze di transizione b , indipendentementemn

dai numeri c rispettivamente c degli stati iniziali e finali,m n

cioè anche quando per t=0 tutte le particelle sono nello stato m.

Si può sviluppare ulteriormente l’equazione (8) secondo la (7) in

T

2i $ * $

b = £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ dx ¨ (x) # (x) # (x) dt§

(t)exp[2i (¡

)t]mn h ' m n ' m n

(

0

T

2i $ $

= £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ dx ¨

(x) dt§

(t)exp[2i

¡

t]h ' x mn ' mn

(

0

2i M ) (¡

) ,= £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ mn mn

h

dove ora M è l’elemento di matrice di ¨ (x) ed ) (¡

) è ilmn mn

coefficiente di Fourier nella rappresentazione di§

(t) in funzione

del tempo T come integrale di Fourier

+(

$

§

(t) = ) (¡

)exp[2i

¡

t]d ¡

.'

-(

In questo modo le densità introdotte da O. Klein, che sono

determinanti per le ampiezze di transizione, sono ricondotte al

campo che genera la transizione, in particolare per transizioni

5

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spontanee al campo di smorzamento spontaneo.

Aggiunta alla correzione. Nel frattempo P. Dirac (Proc. Roy. Soc.

(A) 114, 243 (1927) ha affrontato il problema della radiazione

spontanea e indotta in modo assai più efficace trattando il numero

di quanti di luce come q -numero, e in tal modo il campo di smor-

zamento da noi postulato (1 quanto per grado di libertà) apparespontaneamente.

6

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1La meccanica ondulatoria dei continui e l’elettrodinamica.

A. Landé a Tubinga

Con una figura. (ricevuto il 28 luglio 1927.)

Le quantità densità d’energia, d’impulso, degli sforzi e

densità di corrente sono soggette secondo la teoria dei quanti a

certe indeterminazioni. Ciò porta ad una funzione d’onda delle

densità, che possiede nel senso di de Broglie periodi spaziali

tetradimensionali e che viene trattata in particolare per il caso

dell’elettrodinamica.

§ 1. In quanto segue si cercherà di utilizzare nel modo il

più possibile analogo considerazioni che hanno portato alla

meccanica ondulatoria del punto materiale per la preparazione di

una teoria quantistica dei continui. Ai continui appartiene il

campo elettromagnetico, che pure è dotato di energia, impulso,

ecc.. Lo stato di un mezzo continuo nello spazio e nel tempo è

caratterizzato dalla densità d’energia w , dalla densità d’impulso

, dalla corrente d’energia¡

e dagli sforzi p in ogni punto

d’universo; essi costituiscono le componenti del tensore densità

d’energia e d’impulso ¢

¢ ¢ ¢ ¢ p p p ic

11 12 13 14 xx xy xz x

¢ ¢ ¢ ¢ p p p ic

x x x x =21 22 23 24 yx yy yz y 1 2 3 4

¢ = =

¢ ¢ ¢ ¢ p p p ic

x, y , z, l=ict31 32 33 34 zx zy zz z

i i i -w ¢ ¢ ¢£ ¢ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¡¥ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¡¥ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¡

41 42 43 44 c x c y c z

la simmetria del quale¢

contiene la legge dell’inerziaik ki

2

dell’energia

= ¡ /c . Nella meccanica classica si assume che i

valori delle 16 componenti di ¢ in ogni punto d’universo siano

definiti con precisione a piacere e siano in linea di principio

¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤

1Zeitschr. f. Phys. 44, 768 (1927).

1

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misurabili. La meccanica quantistica dei continui prende invece il

suo punto di partenza da una imprecisione nella misura delle

componenti della densità limitata dalla quantità h, in analogia a

come la meccanica del punto materiale ascrive alle quantità

2energia ed impulso stesse un’incertezza di principio .

Trattiamo ora la densità d’energia w . Questa è definita

classicamente come il valore limite dell’energia totale W misuratain un volume ¦ V divisa per questo volume nel limite ¦ V =0. Ma ora

l’incertezza ¦ W con la quale è misurabile un’energia totale W è

tanto maggiore quanto più piccolo è il tempo¦

t disponibile per

l’esecuzione della misura, di modo che

¦ W ¦ t = h .

Allora i limiti di precisione ¦ w per la misura della densità

d’energia w sono

¦ W h hci hci¦ w = ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ = ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ = ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ = ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ (1)

¦

V ¦

V ¦

x¦ ¨

1 2 3 4

con¦ ¨

come elemento di volume d’universo; l’espressione è tale

che si farebbe meglio a definire la densità d’energia invece che

mediante w =limW / ¦ V , mediante

Wdx4

w = lim ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ (1’)¦ ¨

come valore limite di un’azione da misurare per unità di volume

d’universo. Mentre quindi l’energia W di un punto materiale è

coniugata alla coordinata t secondo la relazione¦

W ¦

t = h, la

densità d’energia w è "coniugata" in egual modo a tutte e quattro

le coordinate x x x x secondo la relazione ¦ w ¦ x ¦ x ¦ x ¦ x = hci.1 2 3 4 1 2 3 4

Analogamente accade per l’impulso. Se ¡ è la correntex

d’energia, e quindi ¡ /c = c

la corrente d’impulso per unità dix x

tempo e di superficie, c

¦ t ¦ y ¦ z = è l’impulso totale chex x

fluisce durante ¦ t attraverso ¦ y ¦ z. Per l’impulso totale , che èx

coniugato alla coordinata x, vale la legge di incertezza

h = ¦ ¦ x; risulta quindi h = ¦ (c

) ¦ t ¦ y ¦ z ¦ x e in conclusionex x

¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤

2W. Heisenberg, ZS. f. Phys. 43, 172, 1927.

2

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hic¦ (c

) = ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤

x ¦ ¨

come corrispettiva della (1). Al posto della consueta definizione

della densità d’impulso

= lim / ¦ V appare ora migliore lax x

definizione

c dxx 4

c

= lim ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤

x ¦ ¨

come corrispettiva della (1’).

§ 2. Si può ora generalizzare da ¢ .. ¢ alle restanti ¢ :14 44 jk

hic hic¦ ¢ = ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ = ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ (2)

jk ¦ x ¦ y ¦ z ¦ l ¦ ¨

come limiti d’incertezza per la misura di una qualche componente

della densità ¢ quando si estenda la misura dell’azione su unjk

volume d’universo ¦ ¨ ; all’equazione (1’) corrisponde la

definizione della densità

T dx

T dxj k k k j j

¢ = ¢ = lim ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ = lim ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ (2’)kj jk ¦ x ¦ x ¦ x ¦ x ¦ x ¦ x ¦ x ¦ x

1 2 3 4 1 2 3 4

come "azione" per unità di volume d’universo.

Si tratta ora di sfruttare secondo la meccanica ondulatoria

questa legge. Mentre de Broglie associa al punto materiale di

energia W una lunghezza del periodo temporale ovvero una

lunghezza d’onda-x di valore mediante4 4

h hicW = h = ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ = ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤

4

e corrispondentemente all’impulso una lunghezza d’onda =h/

x 1 x

mediante

hicic = ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ,

x

1

nella meccanica dei continui noi possiamo associare alla densità

¢ un volume d’universo ! come periodo mediantejk jk

3

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hic¢ = ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ . (3)

jk !

j k

Ciò significa che un valore della densità¢

costantejk

sull’intero cronotopo corrisponde ad una funzione di stato " che

possiede il volume d’universo

hic¦ ¨ = ! = ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤

jk ¢

j k

come periodo fondamentale. Se invece ¢ non è ovunque costantejk

anche il periodo di volume ! varia con il punto d’universo. Injk

un determinato punto d’universo un valore determinato!

(ejk

quindi un valore determinato ¢ ) è definito dalla funzione dijk

stato " solo entro certi limiti d’incertezza, e in modo tanto più

preciso, quanto più piccolo è il gradiente di!

; allo stessojk

modo anche la lunghezza d’onda monodimensionale

corrispondente

ad un determinato punto è tanto meno precisamente definita quanto

più forte è il gradiente di

, vedi Fig. 1.

Heisenberg vede la legge di incertezza ¦ p ¦ q =h comek k

espressione della regola di commutazione p q -q p =h/2i $ , oppurek k k k

nel senso di Schrödinger come espressione del fatto che pk

rappresenta l’operatore (h/2i $ ) % / % q nell’identitàk

& '

% %

(

¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ q - q ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ , " ) = 1 " (q q ...) .% q k k % q 1 21

k k2

Le nostre densità ¢ sono ora coniugate nello stesso modo allejk

quattro coordinate x ..x ; ma poichè ¢ dà 16 quantità, la fun-1 4 jk

zione di stato " del continuo sarà formalmente una funzione delle

jk jk jk jk4 16 coordinate x , x , x , x ; interviene poi a causa della

1 2 3 4

simmetria ¢ = ¢ una riduzione a 4 10 coordinate. Si ottiene iljk kj

valore di " in un determinato punto d’universo x ,x ,x ,x se si1 2 3 4

jk jksostituisce in tutte le x il singolo valore x , in tutte le x

1 1 2

il singolo valore x , ecc., cioè se si proietta lo spazio2

4.10-dimensionale sull’universo tetradimensionale. Non c’è da

stupirsi che per il continuo si abbia a che fare con così tante

coordinate, poichè anche per Schrödinger un sistema con n gradi di

libertà possiede una funzione"

dipendente da 3n coordinate

spaziali; il continuo possiede in ogni punto 16 ovvero 10 gradi di

4

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libertà, il cui numero del resto si riduce ulteriormente nel caso

del campo elettromagnetico. Si assumerà quindi ¢ come rappresen-jk

tante dell’operatore

4 jk jk jk jk¢ = (h/2i $ ) % / % x % x % x % x ,

jk 1 2 3 4

alla quale in verità non corrisponde la regola di commutazione

semplice

jk jk¢ (x x x x ) - (x x x x ) ¢ = h/2i $ ,

jk 1 2 3 4 1 2 3 4 jk

ma una regola complicata, che non può portare ad un’algebra

quantistica nel senso di Heisenberg-Born-Jordan.

La funzione periodica di de Broglie ovvero la funzione quasi

periodica " si può generalizzare a

" = exp(2i $ 4 ) (4)

con

jk j k jk jkx y z l 1 jk jk jk jk

4 = 6 67 ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ = ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ 6 6 ¢ x y z l . (5)!

hic jkj k j k j k

Se invece ci si lascia guidare dalla prescrizione che la

quantità di stato " debba essere invariante per trasformazioni di

Lorentz, si è portati alla seguente forma per 4 :

1 @ A @ 2 2 2 2 A

4 = ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ 6 6 ¢ x x x + x + x + x . (6)hic C jk j k D C 1 2 3 4 D

j k

§ 3. Per giungere all’equazione differenziale per la funzione

" ci si farà condurre dalle proprietà spaziotemporali delle

quantità classiche ¢ . L’ingiunzione della simmetria del tensorejk

¢ porta immediatamente a una riduzione delle 4 16 coordinate alle

jk kj4 10 coordinate x = x . Ma anche le restanti 10 componenti di

i i

¢ nella posizione x x x x talvolta non sono tra lorojk 1 2 3 4

indipendenti.

Sia infatti ¢ il tensore d’energia e impulso di un campo

elettromagnetico, allora sussistono in ogni punto d’universo le

seguenti cinque condizioni tra le ¢ : in primo luogo l’equazionejk

5

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¢ + ¢ + ¢ + ¢ = 0 , (7)xx yy zz ll

in secondo luogo le seguenti equazioni poco note

¢ ¢ + ¢ ¢ + ¢ ¢ + ¢ ¢ = 0 (7’)xx xl xy yl xz zl xl ll

e le due equazioni corrispondenti per y e z; infine

¢ ¢ ¢

+¢ ¢ ¢

+¢ ¢ ¢

= 0 , (7’’)xy xz xl yx yz yl zx zy zl

di modo che delle 16 quantità ¢ ne rimangono indipendenti solojk

cinque. Poichè d’altra parte in un punto le sei componenti del

campo E ... F si possono scegliere a piacere, le componenti delx z

campo non saranno determinate completamente dalle componenti di

3¢ . Ma invece inversamente il tensore ¢ è determinato

dall’esavettore del campo elettromagnetico G (ci atteniamo alla

notazione di Laue, Relativitätsprinzip)

* *¢ = [[ G , G ]] = (1/2)( G G - G G ) + + + , (8)

jk jk jx kx j x k x

* *dove G indica l’esavettore duale di G , cioè G = G , dove gli

mn op

indici mnop sono tutti distinti e l’ordinamento mnop si riconduce

ad xyzl con un numero pari di scambi.

Si ottiene un continuo di campo classico-elettromagnetico

quando le¢

derivate dalla funzione"

soddisfano la condizionejk

Div ¢ = [ PR Q ¢ S , Div PR Q ¢ S ] con Div S = 0 . (9)

Si chiamano allora il primo fattore PR Q ¢ S = G vettore di campo, il

secondo fattore DivPR Q ¢ S

= P tetradensità,S

tetrapotenziale, e lo

stesso -Div ¢ densità di tetraforza, e si ottengono automaticamente

le equazioni di Maxwell

¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤ ¤

3Per il calcolo delle 6 quantità

G

da¢

si hanno le seguenti 5

equazioni

G ¢ + G ¢ + G ¢ + G ¢ = 0 per k=1,2,3,4,1k 1k 2k 2k 3k 3k 4k 4k

2 2e [[ G , G ]] = ¢ .

6

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*Div G = P, Div G = 0 . (10)

La relativa funzione " rappresenta la funzione di de Broglie.

Un’elettrodinamica quantistica che forse si discosterebbe da

quella classica si dovrebbe costruire nel senso di Schrödinger da

un’equazione differenziale per la funzione " stessa e dovrebbe nel

limite h = 0 coincidere con il caso precedente di de Broglie.

7

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Interpretazione quantomeccanica della teoria di Weyl12

F. London a Stoccarda.

(ricevuto il 25 febbraio 1927)

Cap. I. La teoria di Weyl.

Cap. II. La meccanica ondulatoria di de Broglie e la teoria di Weyl.

§1. L’identita della ψ e del regolo campione di Weyl.

§2. La non integrabilita non esclude l’univocita.

Cap. III. Reinterpretazione quantomeccanica della teoria di Weyl.

Capitolo I. La teoria di Weyl.

E noto che l’idea di una “pura geometria dell’intorno” concepita per primo da

Riemann ha ricevuto recentemente da parte di Weyl un completamento straordi-nariamente bello e semplice. Si puo considerare l’idea di spazio di Riemann comel’eliminazione del pregiudizio che le relazioni di curvatura in un posto dello spaziodebbano essere vincolanti per la curvatura in tutti gli altri. Per dare un sensoa quest’idea di Riemann era inizialmente necessaria l’ipotesi che il regolo che siutilizza in ogni posto per determinare i coefficienti gik della forma fondamentalemetrica

ds2 = gikdxidxk

fosse un regolo “rigido”.Invece Weyl rileva giustamente che l’ipotesi di un siffatto regolo rigido e con-

traria ad una geometria radicale dell’intorno, poiche solo i rapporti dei gik in unposto, non il loro valore assoluto, possono essere determinati in modo significativo,e corrispondentemente pone per la variazione dl di un regolo di misura di lunghezzal sottoposto ad uno spostamento infinitesimo dxi:

(1) dl = lϕidxi,

dove i coefficienti di proporzionalita ϕi sono funzioni della posizione, caratteristichedelle relazioni metriche dello spazio - analogamente ai gik. Ovvero, se si integra la(1):

(2) l = l0 exp

ϕidxi

(l0 = l all’inizio dello spostamento). Il regolo campione dipende in generale dalcammino (non e integrabile); lo e allorche le quantita

(3) f ik =∂ϕi

∂xk−

∂ϕk

∂xi

1Quantenmechanische Deutung der Theorie von Weyl, Zeitschr. f. Phys. 42, 375-389 (1927).2Presentato in parte alla seduta del Gauverein Wurttemberg della D. Phys. Ges. Stuttgart il

18 dicembre 1926; vedi anche una relazione riassuntiva provvisoria in Naturwiss. 15, 187, 1927.

1

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2

s’annullano. Riguardo a queste quantita f ik si puo secondo la loro definizione (3)esprimere l’identita (il numero di dimensioni della varieta sia 4):

(4)

∂f ik

∂xl +

∂f kl

∂xi +

∂f li

∂xk = 0, i = k = l , i ,k,l = 1, 2, 3, 4.

La coincidenza formale di queste quattro equazioni con il primo sistema delleequazioni di Maxwell

rotE+ (1/c) H = 0,

divH = 0,

ed alcune altre analogie formali hanno portato Weyl alla conclusione che i ϕi sianoda identificare a meno di un fattore di proporzionalita costante con le componenti Φi

del tetrapotenziale elettromagnetico, e corrispondentemente le f ik con le intensitadi campo elettromagnetiche E,H. In logico completamento dell’interpretazione geo-metrica della gravitazione per mezzo della curvatura variabile dello spazio rieman-niano, Weyl si immaginava la parte ancora restante delle azioni fisiche, il campo elet-tromagnetico, parimenti come una proprieta delle relazioni metriche dello spazio,specificata tramite la variabilita del regolo campione. Si scrive allora:

(2a) l = l0 exp

α

Φidxi

, (α = fattore di proporzionalita).

Ci si stupira dell’enorme ardimento col quale Weyl ha scovato la sua teoria delsignificato geometrico dell’elettromagnetismo solo sulla base di queste attribuzionipuramente formali: nella teoria della relativita c’era un fatto fisico, il principiod’equivalenza tra massa inerziale e gravitazionale, a guidare Einstein nella sua in-

terpretazione geometrica. Nella teoria dell’elettricita invece una circostanza delgenere non era nota: non c’era nessun motivo per pensare ad un’influenza uni-versale del campo elettromagnetico sui cosidetti regoli rigidi (ovvero orologi). Deltutto all’opposto, gli atomi come orologi per esempio rappresentano dei campionila cui indipendenza dalla storia passata e provata dalla nettezza delle righe spet-trali, in contrasto col campione non integrabile (2a), che Weyl assume in un campomagnetico. Ci voleva un convincimento metafisico insolitamente netto per non di-stogliere Weyl, malgrado queste esperienze cosı elementari, dall’idea che la naturadovesse far uso di questa bella possibilita geometrica a lei offerta. Egli ha man-tenuto la sua interpretazione ed ha aggirato la discussione della contraddizione sudelineata mediante una reinterpretazione alquanto oscura del concetto di “misura

reale”, con la qual cosa pero alla teoria veniva sottratto il suo significato fisico cosıpregnante, ed essa perdeva percio molta della sua forza di convinzione.Non ho bisogno di addentrarmi qui in questa trasformazione astratta della teoria.

Mostrero invece che proprio nell’interpretazione pregnante originaria della teoria diWeyl e insita una forza molto piu grande di quella che il suo autore gia aveva resoeffettiva, che cioe in essa si deve scorgere nientemeno che una via conseguente allameccanica ondulatoria, e solo da questo punto di vista essa assume un senso fisicoimmediatamente comprensibile.

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3

Capitolo II. La meccanica ondulatoria di de Broglie

e la teoria di Weyl.

Come “teoria di de Broglie” indico quell’abbozzo ancora incompleto della mec-

canica ondulatoria nel quale la funzione d’onda del moto d’un elettrone (alla qualeci limitiamo qui)

(5) ψ = exp

2πi

hW (xi)

, i = 1, 2, 3, 4

deriva da una soluzione completa W dell’equazione differenziale alle derivate parzialidi Hamilton-Jacobi

(6)

∂W

∂xi−

e

cΦi

∂W

∂xi

−e

cΦi

= −m2

0c2,

dove le costanti d’integrazione sono da determinarsi in modo noto in maniera taleche ψ sia una funzione dello spazio ad un sol valore, cioe che W sia additivamenteperiodica, con un multiplo intero della costante di Planck come periodo.

Quando si fa sul serio con l’idea radicale della materia come continuo, con larisoluzione dell’elettrone confinato con discontinuita in una grandezza di campovariabile con continuita nello spazio e nel tempo, come risulta naturale con questateoria di de Broglie e conseguentemente con la teoria di Schrodinger consideratain seguito3, si perviene ad una difficolta di principio assai grave se si cerca chesenso si debba attribuire alle asserzioni metriche all’interno del continuo ondulato-rio. Infatti in questo mezzo oscillante e fluttuante, esteso all’infinito, che si deveconsiderare al posto dell’elettrone limitato, non si trova nessuna discontinuit a im-

mutabile, nessun corpo rigido, che come campione riproducibile potrebbe consentirela determinazione di una lunghezza.

Non mi occupo affatto dell’idea secondo la quale, per parlare di geometrianell’ambito atomico, si dovrebbe indicare un procedimento eseguibile di misura; dicosa siffatta non si puo parlare neanche nella teoria degli elettroni. Ma se si vuoleassociare un qualche senso definito alla prescrizione d’una metrica, questo mi pareil minimo che si possa richiedere: che si dia un qualche oggetto reale (come “pro-totipo”) al quale le asserzioni metriche siano riferite: un diametro dell’elettrone, ouna distanza ecc., sebbene tali asserzioni possano ancora trovarsi in un rapportoassai problematico con una misura eseguibile.

Ma un siffatto oggetto reale non e disponibile nel continuo ondulatorio. Il prin-

cipio di identita non si puo applicare al παντα ρει delle onde che appaiono escompaiono, non si puo fissare nel continuo nessun contrassegno atto a fornire unamisura riproducibile. La posizione di principio in cui ci si e collocati sarebbe deltutto senza speranza se Weyl, nella sua generalizzazione del concetto di spazio diRiemann, non avesse gia procurato un tipo di spazio nel quale la non riprodicibilita

3E noto che si adducono ragioni importanti per le quali e stato suggerito, prima di tutti daBorn e dai suoi collaboratori, che l’intero formalismo ondulatorio vada reinterpretato in sensostatistico. Se la densita di carica viene reinterpretata come una funzione peso statistica none difficile vedere che si ha in quel caso la stessa indeterminazione rispetto all’applicabilita delprincipio di identita alla quale accenniamo qui. Ma poiche quella concezione in primo luogorespinge ogni interpretazione nello spazio e nel tempo, per essa il rapporto con la teoria dellospazio di Weyl e di scarso interesse.

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4

delle unita campione viene prevista come postulato coerente di una radicale geo-metria dell’intorno. Se prima questa teoria nell’immagine del mondo della teoriadegli elettroni discontinui era un peso superfluo, poiche si credeva di avere proprionegli elettroni dei regoli riproducibili, ora la situazione e fondamentalmente cambia-

ta. Si e costretti addirittura a ritirar fuori il concetto generale di spazio di Weyle a cercare di applicarlo al continuo di Schrodinger. E si scopre ora una relazionesemplice.

§1. Assumiamo di possedere gia un regolo l che cambi secondo la prescrizione diWeyl (2a), e portiamolo in giro nel campo ψ. E precisamente sia trasportato conla velocita di corrente della materia, con la velocita di gruppo

(7) ui =dxi

dτ =

1

m0

∂W

∂xi

−e

cΦi

.

Affermo che con questa prescrizione naturale sul cammino lo scalare di Weyl l saranumericamente identico allo scalare di campo di de Broglie ψ. In proposito bisognafare ancora due precisazioni:

Nel regolo campione di Weyl era rimasto ancora indeterminato un fattore α: peresso faccio l’ipotesi che sia uguale a 2πie/hc. Quindi ora

(2a) l = l0 exp

2πi

h

e

cΦidxi

.

E infine ancora: non utilizzo esattamente la ψ dell’equazione (5), ma la ψ pentadi-mensionale dotata del fattore exp

2πih

m0c2τ come nelle proposte di Klein, Fock e

Kudar, ove per τ s’ha da intendere il tempo proprio4

. Sia ora

(5a) ψ = exp

2πi

h

W + m0c2τ

ovvero

= exp

2πi

h

∂W

∂xi

dxi + m0c2τ

.

Questa quantita ψ va confrontata col regolo di Weyl (2a) trasportato lungo lacorrente del continuo. S’ottiene:

ψl = 1l0exp

2πih

∂W ∂xi − ec Φi

dxi + m0c2τ

;

qui i dxi s’hanno da definire secondo la corrente data dalla (7):

=1

l0exp

2πi

h

∂W

∂xi−

e

cΦi

∂W

∂xi

−e

cΦi

m0

+ m0c2τ

.

4Questa interpretazione di τ , che risale a Kudar, Ann. d. Phys. 81, 632, 1926, e in pienoaccordo con l’interpretazione da poco discussa del moto di rotazione proprio dell’elettrone comecoordinata angolare (Naturwissenschaften 15, 15, 1927). Infatti questo angolo di rotazione si puointendere come un orologio portato con se dall’elettrone. Esso si trasforma come il tempo proprio.

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A causa dell’equazione differenziale di Hamilton-Jacobi (6) l’integrando e uguale a−m0c2 e s’ottiene

(8)

ψ

l =

1

l0 e

2πih·cost.

= cost.

Si e trovato l’oggetto fisico che si comporta come il regolo di Weyl: l’ampiezzacomplessa dell’onda di de Broglie; in un campo elettromagnetico essa subisce esat-tamente l’influenza che Weyl ha postulato per il suo regolo, e al quale egli - comead un termine rimasto privo di significato della fisica di quel tempo - ha dovutoattribuire un’esistenza metafisica. Essa e quindi per cosı dire il prototipo del re-golo di Weyl. E analogamente a come nella teoria della gravitazione e a nostroarbitrio parlare della deviazione dei raggi di luce e delle masse, oppure del loromoto geodetico in uno spazio riemanniano, cosı la (8) ci da la possibilita di in-terpretare geometricamente il processo ondulatorio della materia di de Broglie e

l’influenza su di esso da parte del potenziale elettromagnetico mediante uno spaziodi Weyl uniformemente riempito di materia, la cui connessione metrica non e perointegrabile.

In assenza di campi elettromagnetici per la (2a) il regolo dovra esser costante.Si dovrebbe quindi ottenere anche un valore costante della funzione d’onda di deBroglie, se la si seguisse con la corrispondente velocita di corrente, cioe con lavelocita di gruppo (v sempre < c). Cio appare in contraddizione con i risultatipiu basilari di de Broglie, secondo il quale le fasi delle suo onde avanzano con unavelocita di fase ben piu grande

u = c2/v

. Ma cio qui non c’entra, infatti prima s’eutilizzata non esattamente la ψ di de Broglie, ma quella estesa a cinque dimensioni,che e priva di dispersione, e conseguentemente cade qui la distinzione tra velocitadi gruppo e velocita di fase. Ci si convince subito facilmente che l’onda piana

ψ = exp

2πi

h

m0c2 1 − β 2

t −m0v 1 − β 2

x − m0c2τ

,

β =v

c

se viene inseguita con la velocita v mostra fase costante.Un’obiezione ulteriore, che noi qui si confronti ψ, una densita, con una lunghezza

l, non mi pare presenti comunque nessuna difficolta. Si dovrebbe confrontare sindall’inizio ψ con l−3, cosa che significherebbe solo un cambiamento nella scelta delfattore indeterminato α. Naturalmente si potrebbe anche, per tener conto dellarelazione qui scoperta, attribuire alla grandezza campione l di Weyl fin da principiole stesse dimensioni della ψ di de Broglie. Una tale idea non poteva aver posto nella

teoria di Weyl, poiche in essa niente era noto sulla “natura” di l.Una difficolta piu seria sembra presentare alla comprensione la forma complessa

del trasporto del regolo. E del tutto inammissibile limitarsi alla parte reale. Si trovaqui il riscontro del fatto che la funzione d’onda ψ va intesa come essenzialmentecomplessa, o meglio, che essa rappresenta l’unione di due grandezze di stato fisiche,cioe ψψ e la parte reale di (h/2πi) ln ψ. In questo senso si deve intendere ancheil fatto che nel problema variazionale della meccanica ondulatoria ψ e ψ vadanovariate indipendentemente. Ma che cosa debba significare il fatto che ogni segmentovada considerato come una grandezza complessa, e che l’intera variabilita di Weyldel regolo di misura ora risulti una variazione della sola fase con la conservazionedel valore assoluto, non posso ancora discuterlo.

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§2. Ma c’e ancora l’obiezione, a cui abbiamo accennato prima, che l’esperienzae contro la non integrabilita del regolo campione. Si vede gia fin d’ora come sideve risolvere questa difficolta. La teoria dei quanti consente alla materia solo unasequenza discreta di stati di moto, e vien da supporre che questi moti privilegiati

consentano di trasportare il regolo soltanto in modo tale che la fase al ritornoal punto di partenza abbia eseguito esattamente un numero intero di giri, sicchemalgrado la non integrabilita del trasporto delle lunghezze il regolo campione erealizzato in modo unico in ogni posizione. Ci si ricordi infatti delle proprieta dirisonanza delle onde di de Broglie, la stessa con la quale de Broglie per primo hareinterpretato la vecchia condizione quantica di Sommerfeld - Epstein. Questa ealtresı associata alla velocita di fase: ma in seguito all’estensione pentadimensionaledella funzione d’onda il processo oscillatorio e privo di dispersione, e la nostravelocita di corrente e pertanto identica alla velocita di fase. Percio, e a causadell’identita della funzione d’onda ψ con il regolo di Weyl risulta gia provato5 cheanche il regolo di Weyl, se lo trasporto solo seguendo la corrente di materia possibile

per la teoria dei quanti, partecipa della risonanza delle onde di de Broglie e malgradola non integrabilita dell’espressione differenziale (2a) nel campo elettromagneticoporta tuttavia ad una determinazione unica delle lunghezze in ogni punto. Senella teoria di Weyl si fosse inclusa assiomaticamente l’univocita del concetto dilunghezza come un fatto sperimentale generalmente riconosciuto, si sarebbe statiportati in modo conseguente al sistema di stati di moto discreti della teoria deiquanti “classica” e alle sue onde di de Broglie.

Non posso abbandonare quest’argomento senza sottolineare che questa proprietadi risonanza del regolo campione di Weyl, che qui ci si presenta come legge caratte-ristica della meccanica ondulatoria, era stata suggerita gia nel 1922 da Schrodinger6

come una “proprieta notevole delle orbite quantiche” e dimostrata in un certo nu-

mero d’esempi, senza che allora egli ne riconoscesse il significato. Egli aveva ancheconsiderato la possibilita α = 2πi · (e/hc), ma non aveva riconosciuto la superioritarispetto ad un’altra scelta di α. Cosı gia allora Schrodinger aveva avuto in manole caratteristiche periodicita quantomeccaniche che avrebbe riincontrato successi-vamente da un punto di vista cosı completamente diverso.

Percio forse non e superfluo che io dimostri questa congettura di Schrodingeranche indipendentemente dalla connessione con la meccanica ondulatoria, comeuna legge della teoria dei quanti “classica”, com’era intesa originariamente. Siafferma quindi: l’esponente del regolo di Weyl, trasportato su di un’orbita quanticachiusa spazialmente, e un multiplo intero della costante di Planck:

(9) e

c

Φidxi = nh.

Per dimostrarlo si utilizza la relazione gia applicata nel §1: ∂W

∂xi−

e

cΦi

dxi = −

m0c2dτ = −

m0c2

1 −v

c

2dt.

A seguito delle relazioni quantiche

3i=1

∂W

∂xidxi = nh

5Questa conclusione non e esatta, ma sara subito rettificata.6E. Schrodinger, ZS. f. Phys. 12, 13, 1922.

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7

si ottiene da qui:

∂W

∂x4

dx4 −e

cΦidxi

= −nh − m0c2 1 − v

c2

dt.

Supposto che esista un integrale dell’energia, si ha

∂W

∂x4

dx4 = − (E cin + E pot) dt,

quindi:

e

cΦidxi = −nh +

−m0c2

1 −v

c

2+ E cin + E pot

dt.

L’integrale al secondo membro si annulla a causa della generalizzazione relativistica

del teorema del viriale7 sotto l’ipotesi che il potenziale sia omogeneo di grado −1negli xi, dalla quale discende immediatamente l’asserto (9).

Si vede da questa derivazione che con due sole ipotesi si ottiene la dimostrazionedell’univocita del regolo di Weyl. Queste ipotesi (in particolare la prima) sonoevidentemente assai importanti e certamente non si potranno aggirare del tutto.Esse garantiscono certe relazioni stabili nello spazio, per le quali e consentito diparlare di orbite spazialmente chiuse nell’universo di Minkowski, affermazione chee in generale del tutto dipendente dal sistema di riferimento. Si dovranno quindiindicare queste ipotesi come condizioni per poter applicare la legge dell’identita allospazio.

Per lo piu le orbite non saranno esattamente periodiche, ma solo quasi perio-

diche. Si puo allora dimostrare sotto opportune ipotesi di continuita che con ap-prossimazione sufficiente al punto d’arrivo il regolo di Weyl coincide con quello

7Non mi e nota dalla letteratura una dimostrazione della generalizzazione relativistica delteorema del viriale, percio la comunico qui. Si ha

−m0c

2

1−

v

c

2+

m0c2 1−vc

2 + E pot

dt

=

m0v2

1− vc2

+ E pot

dt =

3

i=1 pi

dxi

dt+ E pot

dt.

Da qui per integrazione per parti, tenendo conto della condizione di periodicita:

=

31

xidpi

dt+ E pot

dt.

Poiche dpi/dt per le equazioni del moto e = −∂E pot/∂xi, risulta

=

3i=1

xi∂E pot

∂xi+ E pot

dt.

L’integrale si annulla per il teorema di Eulero sulle funzioni omogenee.

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8

di partenza a meno d’un ammontare preassegnato piccolo a piacere. Di piu nonoccorre neppure richiedere.

Il fatto che il trasporto del regolo debba avvenire sempre con la velocita (7) dellamateria appare assai soddisfacente; infatti un trasporto con velocita diversa sarebbeper la teoria dei quanti (cioe meccanicamente) del tutto impossibile. Vorrei riman-dare ancora una giustificazione piu precisa di questa connessione e il suo inserimentoin una teoria della misura epistemologicamente fondata, poiche in proposito devonoesser resi noti dei punti di vista sostanzialmente diversi. Sebbene si sia visto chele idee di Weyl hanno trovato un inserimento imprevisto nelle idee fisiche correnti,non credo tuttavia che ci si possa accontentare con quanto gia trovato. Ho postoin primo piano l’idea del continuo della meccanica quantistica con una unilateralitache non corrisponde alle mie convinzioni. Mi sembra pur sempre auspicabile seguirequeste idee con un po’ di coerenza fino alla fine. In questo senso l’esposizione delcapitolo seguente va considerata del tutto provvisoria. Spero di riportare in futurol’intera connessione sotto un punto di vista fisico piu generale.

Capitolo III. Reinterpretazione quantomeccanica della teoria

di Weyl.

I risultati del capitolo precedente si riferiscono espressamente all’abbozzo dellameccanica quantistica designato come “teoria di de Broglie”. Risulterebbero quindifalsi se si volesse trasferirli direttamente alla teoria di Schrodinger - per lo menonella regione dove le due teorie divergono. Ma si puo gia comunque dire che i no-stri risultati devono rimanere asintoticamentee corretti nel limite di grandi numeriquantici, poiche per essi le due teorie coincidono.

Si puo caratterizzare il progresso compiuto con la forma di Schrodinger della

meccanica ondulatoria con il fatto che essa e in grado di “incorporare” in un con-tinuo ondulatorio unificante le traiettorie della meccanica classica, sulle quali deBroglie aveva sovrimposto solo superficialmente un’onda tramite la (5). Nell’otticageometrica la trattazione delle singole traiettorie prese individualmente e quelladei fronti d’onda sono fisicamente equivalenti. Nell’ottica ondulatoria invece unsingolo raggio dell’onda, quando viene incorporato in un fronte di raggi, speri-menta una certa influenza dai suoi vicini. Esprimere questa influenza e la proprietacaratteristica della teoria di Schrodinger, quando essa prescrive la funzione d’ondaψ con un’equazione d’onda invece che con l’equazione differenziale (6) di Jacobi.Separando le parti reale ed immaginaria, l’equazione d’onda di Schrodinger perψ = |ψ| exp

2πih

W (W reale) si scrive:

(10)

h

2πi

2|ψ|

|ψ|+

∂W

∂xi−

e

cΦi

∂W

∂xi

−e

cΦi

+ m2c2 = 0,

∂xk

|ψ|2

e

m

∂W

∂xk−

e

cΦk

= 0.

In questa rappresentazione si riconosce il disaccordo con la teoria di de Broglie nellacomparsa del termine |ψ|/|ψ|. Inoltre qui risulta anche chiaro che si tratta di unproblema con due funzioni incognite reali. La seconda equazione e l’equazione dicontinuita della corrente, le cui quattro componenti sono racchiuse nelle parentesigraffe.

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9

Non c’e dubbio che attualmente si debba dare incondizionatamente la preferenzaalla teoria di Schrodinger piuttosto che a quella di de Broglie per la sua concezionee per il suo miglior accordo con l’esperienza. Nella sua discrepanza rispetto allateoria di Weyl non dobbiamo certo vedere nessun difetto della teoria di Schrodinger.

Se si osserva che le deviazioni si manifestano caratteristicamente per numeriquantici piccoli, non vi puo esser dubbio riguardo a che cosa si debba ricondurrela difficolta: la teoria di Weyl nella sua intera competenza per cosı dire si attagliaalla meccanica classica e quindi anche alla teoria di de Broglie ad essa associata.Non bisogna quindi aspettarsi o pretendere da essa che vada gia bene con la teoriadi Schrodinger. Il compito dev’essere invece quello di far eseguire alla teoria diWeyl, attualmente fuori moda, il passo corrispondente a quello che porta da deBroglie a Schrodinger; dev’essere per parte sua modificata in modo corrispondentealla correzione quantomeccanica delle leggi classiche.

Si puo prevedere in quale direzione la modifica del regolo di Weyl debba avvenire.Finora si era assunto che solo il tetrapotenziale Φi, che fornisce una descrizione com-

pleta del campo elettromagnetico, fosse determinante per lo spostamento del regolo(2a). Ora la situazione si e modificata perche accanto alle quattro quantita di statodel campo Φi e comparsa come quinta la ψ di Schrodinger, che per molti aspetti -prima di tutto nella rappresentazione mediante un problema variazionale8 - risultasimmetrica rispetto alle grandezze di campo Φi. La materia, nella concezione dellateoria degli elettroni confinata fuori dal campo entro superfici limite invalicabili, ocacciata nelle singolarita dello stesso, ora si estende su tutto lo spazio, e mentrenella teoria di Weyl si pensava giustamente che un regolo nello spazio “vuoto” fosseinfluenzato solo dai potenziali elettromagnetici ivi presenti, si deve ora tener contodella circostanza che la vecchia separazione tra la materia “impenetrabile” ed ilκενoν e abrogata e che ci si trova sempre per cosı dire all’interno di una nuova

sostanza |ψ| che tutto pervade

9

.Bisogna quindi aspettarsi che, oltre alle grandezze di campo elettromagneticheesterne, si debba tener conto ancora di una interna, che dipende solo da |ψ|.Madelung10 ha dato il “potenziale” di quest’azione interna del campo ψ su se stesso.Vorrei proporre come sua generalizzazione relativistica:

(11) eΦ5 = m0c2

1 −

1 +

h

2πi

2|ψ|

m20c2|ψ|

.

La parola “potenziale” va usata con cautela. Φ5 non corrisponde infatti al poten-ziale “scalare” Φ4, che relativisticamente figura come componente temporale di un

tetravettore, ma anche relativisticamente e uno scalare invariante. Di conseguenzaΦ5 non puo nemmeno governare la variazione del regolo lungo una determinatadirezione d’universo. Se proprio si vuole assumere un’influenza sul regolo cam-pione, essa puo dipendere solo dal modulo dello spostamento del regolo in quattrodimensioni, non dalla sua direzione. Se si introduce mediante l’elemento di lineadx5 = cdτ (τ =tempo proprio) una quinta coordinata che non e indipendente dalle

8E. Schrodinger, Ann. d. Phys. 82, 265, 1927.9Infatti ψ soddisfa ad un’equazione differenziale lineare. Principio di sovrapposizione! Tuttavia

sembra che la proprieta di impenetrabilita trovi la sua espressione quantomeccanica nella formadel principio di esclusione di Pauli (P. Ehrenfest, Naturwissenschaften 15, 161, 1927).

10E. Madelung, ZS. f. Phys. 40, 322, 1926.

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10

restanti dxi, ma che si ottiene dalla condizione11

(12) dx21 + dx22 + dx23 + dx2

4 + dx25 = 0,

si puo supporre che

(13) l = l0 exp

2πi

h

51

e

cΦidxi

rappresenti la generalizzazione quantomeccanica del regolo di Weyl.Per dimostrare l’identita della (13) con la funzione d’onda di Schrodinger dob-

biamo prima di tutto stabilire lungo quale cammino si debba trasportare il regologeneralizzato (13). Si prescrivera ancora il trasporto con la velocita di correntedella materia. Ma in proposito si deve osservare che ora le componenti ui dellatetravelocita non sono date dalla (7), sebbene la rappresentazione della correntenella seconda delle equazioni (10) suggerisca la separazione del fattore eψψ come

densita di carica a riposo. Infatti le componenti della velocita individuate in talmodo per la (101) non soddisferebbero l’identita della tetravelocita12

(12’) ukuk =dxk

dxk

dτ = −c2.

Si deve scrivere invece

(7a)dxk

dx5≡

uk

c=

ψψ

ρ·

e

m0c

∂W

∂xk−

e

cΦk

,

dove il fattore

(14) ρ = eψψ

1 +

h2πi

2 |ψ|

m20c2|ψ|

= eψψ

1 − em0c2

Φ5

viene separato come “densita di carica a riposo”.

Con questa notazione s’ottiene

(11a) eΦ5 = m0c2

1 −ρ

eψψ

e la prima equazione di Schrodinger in forma pentadimensionale si scrive13

(10a)5

i=1∂W

∂xi

−e

cΦi∂W

∂xi

−e

cΦi = 0.

11La comparsa di questa forma quadratica pentadimensionale e del tutto coerente nel sensodella prescrizione di Weyl dell’invarianza rispetto al regolo campione. L’elemento di linea d’uni-verso dτ ovvero dx5 e un invariante relativistico, ma non e invariante per il cambio d’unita (ilpassaggio ad un’altra unita di misura cambia dτ ); lo e invece l’annullarsi della forma quadratica(12). - Evidentemente i postulati pentadimensionali di Kaluza vanno intesi in questo senso.

12Se non altrimenti dichiarato, nel seguito la sommatoria sugli indici uguali si intende sempreestesa da 1 a 4.

13Si deve qui osservare che Φ5 per parte sua e ancora un’incognita da determinarsi. E noto chee ancora un prodigio incompreso il perche la stessa cosa non valga per i potenziali Φ1,Φ2,Φ3,Φ4,come ci si dovrebbe aspettare (E. Schrodinger, Ann. d. Phys. 82, 265, 1927). ∂W/∂x5 e ugualea m0c [vedi (5a)].

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11

Confrontiamo ora il regolo l (13) lungo la corrente (7a) con lo scalare di Schrodingerψ. Si ottiene per ψ/l:

ψ

l =

|ψ|

l0 exp2πi

h 5

1

∂W

∂xi −

e

c Φi

dxi

,

la (7a) da:

=|ψ|

l0e2πih

4

1

ψψρ·emc

∂W ∂xi

−ecΦi

( ∂W

∂xi−ecΦi)dx5+∂W ∂x5

−ecΦ5

dx5 ,

la (11a) da:

=|ψ|

l0e2πih

ψψρ·emc

5

1

∂W ∂xi

−ecΦi

( ∂W

∂xi−ecΦi)dx5

=|ψ|

l0.

L’ultima per la (10a). Non s’ottiene quindi subito ψ/l =cost., ma

(8a)ψ

l=

|ψ|

l0,

che e funzione univoca della posizione14. Ma il potenziale Φk e determinato fisi-camente solo a meno di un gradiente additivo; se al suo posto introduco comepotenziale

φ∗

k = φk −hc

2πie

∂xkln |ψ|,

cosa che lascia intatte le intensita di campo elettromagnetiche, risulta ψ/l = cost.L’univocita del regolo campione trasportato con la corrente, che si fonda sullarisonanza delle onde, ora si trasferisce senz’altro dalla teoria di de Broglie a quelladi Schrodinger, percio non dobbiamo aggiunger nulla alle considerazioni del 20

capitolo.

Stuttgart, Physik. Inst. d. techn. Hochschule, 27 febbraio 1927.

14La dimostrazione si puo esprimere cosı nel senso della geometria pentadimensionale:∂W

∂xi−

e

cΦi

e parallelo alla pentacorrente: ji =

e

mψψ

∂W

∂xi−

e

cΦi

,

dxidovra essere scelto parallelo alla pentacorrente ji.

La pentacorrente e ortogonale a se stessa:

51

ji ji = 0;

quindi ji e anche ortogonale a dxi, e quindi

51

∂W

∂xi−

e

cΦi

dxi = 0.

Devo questa bella formulazione ad una comunicazione di A. Lande. Qui la quinta componentedella pentacorrente e j5 = ρc.

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2

La (4’) ha il carattere di un’equazione di continuita idrodinamica, quando si con-sideri α2 come una densita e ϕ come il potenziale della velocita di una correnteu = grad ϕ.

Con questo la (3) da:

(3’)∂ϕ

∂t+

1

2(grad ϕ)2 +

U

m−

∆α

α

h

8π2m2= 0.

Anche questa equazione corrisponde proprio ad un’equazione idrodinamica, cioe aquella di una corrente irrotazionale sotto l’azione di forze conservative3.

La formazione del gradiente, poiche rot u = 0, da:

(3”)∂ u

∂t+

1

2grad u

2 =du

dt= −

grad U

m+ grad

∆α

α

h2

8π2m2.

−grad U /m corrisponde alla quantita f /ρ (densita di forza/densita di massa),

(∆α/α)(h2

/8π2

m2

) alla quantita −

dp/ρ, che si puo considerare come funzioneforza delle forze “interne” del continuo.Vediamo quindi che l’equazione (2) si puo interpretare interamente in senso idro-

dinamico, e che una peculiarita compare solo in un termine, che rappresenta ilmeccanismo interno del continuo.

Nel caso dell’equazione (1) sara ∂α/∂t = 0 e ∂ϕ/∂t = −W/m. Le autosoluzionidella (1) producono quindi malgrado il fattore temporale la struttura di una correntestazionaria. Secondo questa interpretazione gli stati quantici si devono considerarecome stati di corrente stazionari, nel caso grad β = 0 addirittura come strutturestatiche.

Le soluzioni dell’equazione piu generale (2) si ottengono semplicemente comecombinazioni lineari delle autosoluzioni. Poniamo per esempio: ψ = α exp(iβ ) =ψ1 + ψ2 = c1α1 exp(iβ 1) + c2α2 exp(iβ 2), dove ψ1 e ψ2 siano autosoluzioni della (1)che posseggano i fattori temporali exp(i2πWt/h); sara allora:

α2 = c21

α2

1+ c2

2α2

2+ 2c1c2α1α2 cos(β 2 − β 1)

e

α2 grad β = c21

α2

1grad β 1 + c2

2α2

2grad β 2 + c1c2α1α2 grad(β 1 + β 2) cos(β 1 − β 2),

α2dV = c21

α2

1dV + c2

2

α2

2dV,

cioe sia la “densita” che la “intensita di corrente” contengono un termine temporale

periodico con ν = (W 1 −W 2)/h. La “quantita totale” risulta tuttavia costante.Nel caso di una corrente stazionaria si trova dalla (3’):

(5) W =m

2(grad ϕ)2 + U −

∆α

α

h2

8π2m,

che si puo scrivere anche, ponendo: α2 = σ, σm = ρ, secondo la normalizzazione σdV = 1:

(5’) W =

dV

ρu2

2+ σU −

√σ∆(

√σ)

h2

8π2m

.

3Vedi per esempio Weber e Gans, Repertorium d. Physik I, 1, 304.

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3

Questa forma dell’energia come integrale di volume sulla densita d’energia cineticae potenziale e immediatamente intuitiva.

Non vi e evidentemente alcun motivo perche questa forma, che si puo scrivereanche

W = h2π

dV α2 ∂β

∂t

non debba valere anche nel caso di una corrente non stazionaria. Che la legge diconservazione dW/dt = 0 sia soddisfatta lo si stabilisce facilmente tenendo contodell’ortogonalita delle autosoluzioni.

Interessa ora la domanda: contengono le equazioni (3’), (4’) e (5’) tutte le carat-teristiche richieste, in particolare:

1. l’esistenza discreta di stati di corrente stazionari con le energie W i,2. il fatto che tutti gli stati non stazionari possiedono solo periodicita della forma

ν ik = (W i −W k)/h?Evidentemente la (2) discende univocamente dalle (3’) e (4’), d’altra parte la

(1) lo fa da queste con la (5’). Le equazioni idrodinamiche sono quindi equivalentia quelle di Schrodinger e danno tutto cio che danno quelle, cioe sono sufficientia rappresentare in modo modellistico i momenti essenziali della teoria quantisticadell’atomo.

Se il presente problema quantistico appare risolto mediante un’idrodinamicadell’elettricita distribuita con continuita con una densita di massa proporzionalealla densita di carica, rimane tuttavia una serie di difficolta. Da un lato la densitadi massa non e del tipo che ci si aspetterebbe dall’elettrodinamica, dall’altro cisi dovrebbe aspettare che la reazione di una parte dell’elettrone su un’altra, chesarebbe rappresentata dal termine

√σ∆(

√σ)h2/(8π2m), non dovrebbe dipendere

solo dalla densita nella posizione considerata e dalle sue derivate, ma anche dalla

distribuzione complessiva della carica. Se queste due aspettazioni possano esseresoddisfatte con una pura trasformazione matematica, non ho potuto determinarlo.Come s’ha da trattare ora il problema a piu elettroni? Schrodinger non da una

forma interamente determinata. Egli richiede soltanto che l’energia cinetica vadacalcolata come in una rappresentazione del moto nello spazio delle fasi, cioe si deveporre: T = Σmiu

2i

/2 come somma sulle energie cinetiche dei singoli elettroni, comese essi esistessero l’uno accanto all’altro indipendentemente e non costituissero unsolo campo di corrente.

Di fatto questa e una possibilita naturale. Dobbiamo solo decidere tra le seguentialternative:

a) piu elettroni confluiscono in una struttura piu grande?b) essi si evitano e si passa dall’uno all’altro con certe condizioni al contorno?c) essi si compenetrano senza fondersi?Mi pare che la c) sia la piu probabile. La a) porterebbe alle stesse soluzioni

del problema ad un elettrone, solo con normalizzazione cambiata, il che porta evi-dentemente a un risultato falso. La b) e in considerazione delle “orbite profonde”improbabile, ma concepibile.

Secondo la c) si dovrebbero definire in ciascun punto dello spazio piu vettori,come pure i corrispondenti potenziali delle velocita. Il continuo avrebbe allora laqualita di uno sciame le cui parti possedessero un libero cammino infinito.

Quale forma si debba attribuire alla funzione U in modo che essa rappresentil’interazione degli elettroni, e al “termine quantistico” dell’equazione (3’), lo si puodecidere dal calcolo coronato da successo di almeno un caso.

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4

Esiste pertanto la speranza di completare la teoria quantistica dell’atomo suquesta base. Ma cosı i processi di radiazione saranno rappresentati solo parzial-mente. Appare chiarito che un atomo in uno stato quantico non irraggia, e anchela radiazione delle giuste frequenze e correttamente rappresentata, e senza “salto”,

bensı con un lento passaggio in uno stato di non stazionarieta, ma molte altre cose,come per esempio il fatto dell’assorbimento di quanti, appaiono del tutto oscure.Ritengo prematuro comunicare delle speculazioni su questo.

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Alcune domande esplorative riguardanti la meccanica quantistica1

W. Pauli a Zurigo

(ricevuto il 17 dicembre 1932)

§1. Sul ruolo dell’unita immaginaria e sul concetto di densita di probabilita spaziale di una

particella nella meccanica ondulatoria. §2. L’analogia tra fotoni ed elettroni ed i suoi limiti. §3.

La domanda sulla formulabilita della meccanica quantistica come teoria di azione per contatto.

Sotto il titolo suddetto P. Ehrenfest2 ha posto in discussione piu domande di-stinte. Poiche in occasione della redazione di un articolo di rassegna mi sono inparte scontrato con domande del tutto analoghe, mi sia concesso di pubblicare quialcune osservazioni in proposito. Queste non pretendono ne di essere nuove, ne dirappresentare risposte definitive alle domande poste. Esse possono servire solo a

ricacciar via l’immagine, introdotta da Ehrenfest, di un “bon ton” che pretende diporre da parte queste domande come “prive di senso”, e parimenti di accennare allaconnessione di queste domande con i problemi ancora irrisolti della teoria quanti-stica relativistica (stati d’energia negativa, energia propria dell’elettrone). Mi limitoqui alle questioni sollevate nelle sezioni A e B della nota di Ehrenfest ed alle os-servazioni che ne derivano, mentre le domande piu matematiche e di teoria deigruppi contenute nella sezione C di quella non le considero, poiche non mi sentocompetente per la loro discussione.

§1. Sul ruolo dell’unita immaginaria e sul concetto di densita di probabilita spaziale di una particella nella meccanica ondulatoria.

Per il caso di una particella, per ora in assenza di campi di forze esterni, a partiredal concetto (simbolico, cioe di per se non direttamente osservabile) di onde nel con-tinuo spaziotemporale tetradimensionale, cominciamo a formulare tentativamenteuna sequenza d’ipotesi, delle quali ciascuna vada sempre piu in la della precedente.Con cio non si ha tuttavia l’intenzione di ottenere un’assiomatica completa dellameccanica ondulatoria, ma solo principalmente di sottolineare il ruolo particolaredel concetto di densita di probabilita spaziale, la cui esistenza secondo me a tortoviene di solito assunta come ovvia. Questo concetto e decisivo per la domanda chesi porra nel seguente §2 sull’analogia tra luce e materia e sui suoi limiti, e consenteanche di riconoscere al meglio la ragione per la comparsa dell’unita immaginaria

nell’equazione di Schrodinger3

.I. 1. Si dia un campo d’onde con principio di sovrapposizione, descritto con un

numero per ora indeterminato di componenti ψ1, ψ2, . . . Se ψ(1)ρ (x, t), ψ

(2)ρ (x, t) sono

campi possibili, e un campo possibile anche c1ψ(1)ρ (x, t) + c2ψ

(2)ρ (x, t), con costanti

arbitrarie c1 e c2 (non contenenti l’indice ρ).

1Einige die Quantenmechanik betreffenden Erkundigungsfragen, Zeitschr. f. Phys. 80, 573-586 (1933).

2P. Ehrenfest, Zeitschr. f. Phys. 78, 555, 1932.3Nella meccanica delle matrici di Heisenberg, Born e Jordan la ragione formale per la sua

comparsa era la legge di moltiplicazione delle matrici assieme al principio di combinazione per lefrequenze spettrali della luce emessa.

1

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2

I. 2. In seguito a scomposizione di Fourier di ψρ(x, t) (in integrale o somma)risulta

(I) ψρ(x, t) = kaρ( k)exp i( k

·x−

νt) + bρ( k)exp −i( k·

x−

νt)(ovvero

dk al posto di

k), dove la quantita positiva ν e una funzione di |k|;

le quantita ν e k sono legate alle quantita meccaniche energia-impulso secondo larelazione fondamentale

E = hν, p = h k,

(h = quanto d’azione diviso per 2π, ν frequenza angolare). Percio soddisfano lerelazioni

ν =h

2m|k|2 per il punto materiale non relativistico,

ν 2

e2= m

2

c2

h2 + |k|2 per il punto materiale relativistico,

ν 2

c2= |k|2 per il fotone.

Per ogni k dev’esserci realmente un’onda piana. Ma qui non si assumera ancora

nulla riguardo a quali relazioni di dipendenza tra gli aρ( k), bρ( k) (in generale com-

plessi) corrispondano all’onda piu generale possibile appartenente ad un dato k.

Potrebbe per esempio darsi che debba essere bρ( k) = 0, o anche bρ( k) = a∗

ρ( k), cioeψρ reale.

I. 3. I valori assoluti |aρ( k)|, |bρ( k)| di aρ e bρ devono essere quantita mi-

surabili, e a meno di un fattore di normalizzazione eventualmente dipendente da|k|, |aρ( k)|2 + |bρ( k)|2 dev’essere proporzionale alla probabilita che l’impulso della

particella (diviso per h) si trovi nella regione k, k + d k.Da qui discende gia qualcosa, e in particolare la possibilita del passaggio al limite

dell’ottica dei raggi (meccanica classica), dove si puo prescindere dallo sparpaglia-mento del pacchetto. Cio e infatti ammesso per dimensioni lineari del pacchetto

che siano grandi rispetto al reciproco del | k| “medio”. Discende inoltre il fatto che

v =∂ν

∂ k

e la velocita di gruppo. Infine le relazioni di indeterminazione

∆x · ∆ k ∼ 1, ∆t · ∆ν ∼ 1,

quindi∆x · ∆ p ∼ h, ∆t · ∆E ∼ h,

come relazioni giuste quanto a ordine di grandezza. (L’estensione del pacchetto equi ancora non definibile quantitativamente, ma cio non importa.)

Fin qui il campo di Maxwell e il campo dell’onda materiale sono analoghi; anche ilcampo di un solo scalare reale sarebbe ancora compatibile con le ipotesi introdotte.Ora viene un nuovo gruppo d’ipotesi:

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4

eW (x, t)

c1f (1)ρ (x) + c2f (2)ρ (x), gρ(x)

= c1W (x, t)f (1)ρ (x), gρ(x) + c2W (x, t)f (2)ρ (x), gρ(x) .

Se l’operatore e locale, esso e una forma quadratica delle ψρ e di un numero finitodi derivate spaziali; se non e locale, puo essere della forma

ρ,σ

aρσ(x, x, x)ψρ(x, t)ψσ(x, t)dxdx.

Sarebbe naturalmente possibile a priori che si debba giungere a forme di ordinequarto o piu alto, ma l’esperienza mostra che sono sufficienti forme quadratiche.

Ora la discussione e diversa nel caso relativistico e nel caso non relativistico.Trattiamo prima quest’ultimo. Nel caso di assenza di forze si vede immediata-

mente: per un determinato k non si puo ottenere dalla parte reale di una sola ondadella forma (I) e dalle sue derivate spaziali nessuna espressione quadratica nelleampiezze, che abbia un integrale di volume costante nel tempo, poiche il terminetemporale spurio dell’espressione quadratica nell’integrando ha un valore prescri-vibile a piacere.

Se ora ψ e in particolare la parte di (I) che contiene solo aρ, ψ∗ la parte di (I)che contiene solo bρ, allora

ψ2dV e

ψ∗2dV

sono dipendenti dal tempo, solo ψψ∗dV

e costante e le ψ e ψ∗ cosı specializzate soddisfano alle equazioni differenziali delprim’ordine4

−h

i

∂ψ

∂t= Hψ,

h

i

∂ψ∗

∂t= (Hψ)∗, H = E 0 − h2

2m∆,

quindi

(II) W (x, t) = ψ∗

ψ.

L’altra possibilita, introdurre un solo scalare reale U che soddisfi un’equazionedifferenziale del second’ordine in t, quindi esprimere ψ e ψ∗ mediante un solo“potenziale” reale e la sua derivata prima ∂U/∂t (assumibile a piacere per t fis-sato) e di fatto disponibile, e non solo nel caso d’assenza di forze, ma in generale,quando H non contiene esplicitamente il tempo ed e reale. Si ponga

(3) ψ =

−h

i

∂t+ H

U, quindi ψ∗ =

h

i

∂t+ H

U

4E 0 = m0c2 puo essere a piacimento incluso o tralasciato.

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e per U reale l’equazione differenziale

(III) −h2 ∂ 2

∂t2+ (H)2U = 0,

quindi nel caso di assenza di forze

−h2 ∂ 2U

∂t2+

E 20 − 2E 0

h2

2m∆ +

h2

2m

2

∆∆

U = 0.

Dalla piu generale soluzione reale della (III) si ottiene la piu generale soluzionecomplessa della (II). La densita W sara

(4) W (x, t) = h2∂U

∂t2

+ (HU )2 ,

la costanza temporale della quale discende anche direttamente dalla (III), sempreche H sia reale autoaggiunto e non contenga esplicitamente il tempo. Se H ehermitiano, ma non reale, anche U non e reale. Per quanto concerne il contenutofisico della teoria con l’introduzione di U non cambia nulla, solo le formule risultanopiu complicate. Cio si manifesta non solo nella teoria delle trasformazioni, ma anchenella composizione di due sistemi indipendenti in un sistema complessivo. In luogodella semplice forma prodotto ψ = ψ1 ·ψ2 appare con U qualcosa di sostanzialmentepiu complicato.

Nel caso relativistico si deve prescrivere inoltre:

II. 3. Oltre a W esiste un vettore corrente J , di modo che valga l’equazione di

continuita∂W

∂t+ div J = 0

e ( J/c, iW ) costituisca un tetravettore. Allora in assenza di forze s’ottiene l’equa-zione di Dirac come (essenzialmente) la sola possibilita. In particolare l’introduzionedi quantita con rappresentazioni doppie del gruppo di Lorentz sara indispensabile,se accanto alla II. 3. si vuole adempiere al requisito (1), che W sia definita positiva.Cio risulta nel modo piu semplice dall’argomentazione originaria di Dirac e percionon la si riportera ulteriormente qui.

§2. Le questioni dell’analogia tra fotoni ed elettroni e dei limiti di questa.

Si deve qui eseguire subito per l’esattezza una distinzione, non introdotta nellanota di Ehrenfest, tra due tipi diversi di campi. Chiamiamo campi grandi quelliche descrivono un numero grande e in certe circostanze indeterminato di particelle

(indicati per la materia con Ψρ, per i fotoni con E, H ); chiamiamo invece campipiccoli quelli associati a una singola particella (indicati per la materia con ψρ, per i

fotoni con e, h). I campi piccoli non sono in linea di principio direttamente osserv-abili, ma cio succede al piu per le densita di probabilita costruite quadraticamenteda essi o dalle loro componenti di Fourier. Nella teoria quantistica i campi grandisono q-numeri (operatori o matrici); introdotti per la materia da Klein, Jordan eWigner, per i fotoni sono da intendere come le intensita di campo elettromagnetiche

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misurabili classicamente con una certa precisione finita, limitata dalla finitezza delquanto d’azione. Ora si possono considerare analoghi i campi piccoli tra loro e

i campi grandi tra loro [sebbene sia il campo piccolo (e, h) che il campo grande

( E, H ) nel caso di assenza di cariche soddisfino entrambi le equazioni di Maxwell5].Ma anche queste due analogie di per se giuste hanno i loro limiti, che saranno oradiscussi.

1. Limiti dell’analogia tra i campi (e, h) e ψρ. Consideriamo da un lato le equa-

zioni di Maxwell per il vuoto (assenza di cariche) per il campo (e, h) di un fotone,dall’altro l’equazione di Dirac per una particella materiale in assenza di forze. Gli

(e, h) sono reali, le ψρ possono, se si vuole, essere anche scelte reali6. Appare allorala differenza gia rilevata da Ehrenfest:

a) Per il fotone non esiste alcun vettore tetracorrente che soddisfi l’equazione di continuita e che abbia densita definita positiva (le ipotesi II. 2. e II. 3. non possonoessere soddisfatte simultaneamente). Dobbiamo concludere da qui che per il campodel fotone, al di fuori dalla validita dell’ottica geometrica (ottica dei raggi) per uncampo non monocromatico il concetto di densita spazio-temporale locale W (x, t)delle particelle non esiste con significato. Ritengo definitiva questa affermazione econdivido pienamente il punto di vista espresso da Ehrenfest nell’osservazione B, 3,che “tutte le virtuosistiche dissertazioni sull’analogia tra le equazioni di Maxwell daun lato e in particolare l’equazione di Dirac dall’altro non hanno prodotto assolu-tamente niente”. Si puo anche dire: queste dissertazioni hanno prodotto qualcosa,che e opposto all’intenzione del loro autore: cioe, che la differenza in questionenon puo essere rimossa neppure con formalismi cosı generali. L’inesistenza di unaW che soddisfi le ipotesi II. e cio che rende possibile nel caso del campo elettro-magnetico di riuscire con rappresentazioni semplici del gruppo di Lorentz (senzaspinori). La differenza fisica si rispecchia direttamente nella differenza matematica

(parimenti ineliminabile con qualsiasi gioco di prestigio) tra quantita di campoche per il gruppo di Lorentz si trasformano secondo rappresentazioni semplici , equantita che si trasformano secondo rappresentazioni doppie.

A questo punto credo anche di poter rispondere alla questione didattica, come sidebbano trattare le analogie tra fotone ed elettrone nell’introduzione alla meccanicaquantistica. Le analogie riguardano quelle proprieta dei campi piccoli del fotone edell’elettrone, che derivano gia dall’ambito d’ipotesi I e per le quali non e neces-sario nessun concetto esatto di densita delle particelle in regioni dello spazio-tempoche possiedano dimensioni confrontabili con lunghezza d’onda-periodo d’oscillazione(per esempio traccia di Wilson dei raggi γ = raggio del quanto di luce secondol’ottica geometrica).

L’assenza del concetto esatto di densita di probabilita per il fotone (non soloLandau e Peierls non hanno potuto trovare l’espressione giusta per questa densit a;ma per essa non esiste nessuna espressione giusta) si manifesta nella conseguenza:

l’annullarsi del campo (e, h) in un punto dello spazio-tempo non ha alcun significato fisico diretto, in contrasto con l’annullarsi del campo ψρ in un punto dello spazio-tempo.

5Il tentativo recente di de Broglie (C.R. 195, 536 e 862, 1932) di abbandonare la validita

delle equazioni di Maxwell per il campo (e, h), considerate le conseguenze fisiche che ne derivano,sembra non riuscito allo scrivente.

6Si osservi che nel caso d’assenza di forze con opportuna scelta delle matrici αi, β le equazionidi Dirac possiedono soluzioni reali per ψρ.

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[Incidentalmente si osservi che una analoga scomposizione dei campi grandi (q-

numeri) ( E, H ) in F ed F ∗ e necessaria se si vuole sottrarre l’energia di punto zerodella radiazione.]

Ora risulta una differenza rispetto al campo materiale:

Anche nell’interazione con la materia permane l’assenza di “fotoni d’energia ne-gativa”, mentre per il campo materiale e noto che la transizione da “stati d’energia positiva” a “stati d’energia negativa” non puo essere eliminata.

Queste quantita f ed f ∗ introducono necessariamente nella teoria l’operatore nonlocale

√−∆ oppure 1/√−∆; si ha a che fare non solo con la loro dipendenza tempo-

rale, ma anche (in assenza di cariche, che modificano la loro dipendenza temporale)addirittura con il loro comportamento incontrollabile rispetto alle trasformazioni diLorentz. Si deve ricordare ancora in particolare che per le onde di Dirac la con-dizione aggiuntiva di utilizzare solo campi con stati d’energia positiva (Schrodinger)introdurrebbe comunque nella teoria un operatore non locale analogo a

√−∆ (cioe√mc2 + ∆). Questi operatori non locali , che del tutto in generale si avvertono come

innaturali, sono caratteristici dell’esclusione degli stati d’energia negativa.Abbiamo qui urtato nel problema irrisolto, che ragionevolmente deve porsi con gli

“stati d’energia negativa”. Ci si dovra sempre attenere alla prescrizione: “Uno statostazionario corrisponde necessariamente ad una soluzione con la dipendenza tempo-rale exp [−iνt]”? Cio naturalmente dipende da come si puo descrivere l’interazionetra luce e materia.

Ancora piu importante e la domanda: anche in una teoria futura del campomateriale, che permetta di evitare le difficolta degli stati d’energia negativa, resteravalido il concetto della densita di probabilita W ? L’autore sospetta che una taleteoria futura portera una modifica importante del concetto di spazio-tempo (nonsolo del concetto di campo) in regioni della dimensione h/mc ovvero h/mc2. In una

siffatta teoria le differenze qui discusse tra fotoni ed elettroni saranno accresciute odiminuite? Dobbiamo lasciare aperta tale questione.

Veniamo ad una domanda meno difficile.

2. Differenze tra il campo Ψρ e il campo ( E, H ). Il campo ( E, H ) ha la proprietache nel limite d’un gran numero di quanti di luce e un campo misurabile classica-mente, cioe un campo per il quale non solo le ampiezze, ma anche le fasi sianomisurabili con precisione relativamente assai alta. Ma in proposito e essenziale e

decisivo che: ogni misura di E o di H in un intervallo di tempo finito e legata ad una variazione indeterminata del numero di fotoni presenti. Lo si vede dal fatto

che nella misura della fase di E o di H si deve utilizzare la forza di Lorentz. Ilcorpo di prova carico utilizzato a causa della sua accelerazione irraggera nel campo

da misurare ed emettera o assorbira energia (a seconda della relazione di fase conil campo di radiazione da misurare), quindi il numero di quanti di luce cambiera(dalla durata T della misura viene determinata la frequenza media ν ∼ 1/T deiquanti diffusi). Questo non e un accidente del processo di misura, ma discende

anche dal formalismo: il numero dei quanti di luce N ed E o H non sono com-mutabili, le disposizioni sperimentali per la misura di queste quantita si escludonoquindi mutuamente (complementarita come nel caso di p e q).

Ora il campo Ψρ ha da ubbidire alla statistica di Fermi invece che a quelladi Bose e cio gia da solo rende impossibile misurarlo come un campo classico.Gli autovalori delle funzioni Ψρ(x) non consistono infatti nell’insieme di tutte lefunzioni continue, ma in una varieta molto piu ristretta di certe funzioni scalino.

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Percio in questo caso le Ψρ non sono un campo nel senso consueto. Immaginiamocialtresı delle particelle elementari fittizie con statistica di Bose, oppure consideriamoparticelle α, e assumiamo che esse esercitino delle forze tra loro e le avvertano sottol’azione di campi di radiazione esterni, ma che esse non si frantumino e che si

possa prescindere da effetti di struttura particolari, cioe che si comportino comeparticelle elementari. Allora secondo Peierls9 risulta: in un insieme di particelleuguali, costituito da quelle con statistica di Bose, il campo Ψρ e per principio non misurabile finche non hanno luogo processi nei quali il numero totale delle particellecambia. Intervengono allora nella funzione di Hamilton solo elementi di matrice diΨ∗

ρΨσ ovvero di Ψ∗

ρ∂ Ψσ/∂x (quantita che sono commutabili con il numero totaledelle particelle). La scelta della fase di Ψρ e quindi della dipendenza dal puntodella parte reale ed immaginaria e indifferente. Nell’assenza di quei processi (suiprocessi di annichilazione per irraggiamento non sappiamo nulla) e contenuta anchel’assenza dell’analogo della forza di Lorentz per il campo materiale.

§3. La domanda sulla formulabilita della meccanica quantistica come teoria di azione per contatto.

La domanda in questione e assai complessa e per essa vale in misura particolareil fatto che l’ultima parola in proposito non e stata affatto ancor detta mediantel’attuale teoria dei quanti. Tuttavia mi sembra che essa possa essere trattata anchein modo diverso da come ha fatto Ehrenfest nella sua nota.

In primo luogo non mi sembra raccomandabile senza condizioni l’identificare ilconcetto di teoria multidimensionale, cioe di una teoria che descrive le N particellecon uno spazio delle configurazioni a 3N + 1 dimensioni - con il concetto di teoria di azione a distanza . Anche nella meccanica statistica classica si introduce per

esempio per la descrizione del comportamento statistico di un insieme di particelleuno spazio delle fasi multidimensionale (se si include il tempo come dimensionespeciale, esso ha per N particelle 6N +1 dimensioni invece che 3N + 1), e cio anchequando le forze tra le particelle hanno una velocita di propagazione finita, nel qualcaso non si puo quindi parlare affatto di azione a distanza. Inoltre le 3N coordinatedi posizione delle particelle possono essere intese come descriventi le loro posizioninel consueto spazio tridimensionale.

Percio la domanda in questione non sara discussa qui dal punto di vista dellapossibilita del recupero del continuo tetradimensionale, ma piuttosto nel modoseguente. Nella teoria classica si passa dalla teoria d’azione a distanza a quellad’azione per contatto riscrivendo la legge di Coulomb con l’introduzione del campoelettrico come concetto intermedio nelle equazioni differenziali del campo. La que-stione da discutere qui e ora questa: si puo fare qualcosa d’analogo anche nella meccanica quantistica?

Consideriamo dapprima come nella teoria originaria di Schrodinger dello spaziodelle configurazioni solo l’interazione elettrostatica delle particelle, trascuriamoquindi il ritardo e l’interazione magnetica. Introduciamo allora come concetto in-

termedio il campo E (x, t) dipendente dal c-numero spazio (e dal c-numero tempo).Inoltre le coordinate del punto corrente siano determinate da x in contrapposizione

con le 3N coordinate X (s), s = 1, . . . , N delle N particelle. Le x1, x2, x3 sono

9Questa osservazione di Peierls deriva dalla sua non pubblicata Zuricher Habilitationsvortragsull’analogia tra luce e materia e la si utilizza qui con il suo cortese consenso.

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commutabili con tutte le quantita, le X (s) non sono commutabili con gli impulsi

p(s) = (h/i)∂/∂X (s). Il campo E (x) e commutabile con le X (s), ma non con le p(s).Come sostituzione della legge di Coulomb deve valere l’equazione:

(*) div E (x) = 4πN 1

esδ(x − X (s)).

Se rs = |x − X (s)| e la distanza della particells s-esima dal punto corrente, sara

E (x) = es

r2s

x − X (s)

rs.

Come equazione di Schrodinger si deve ora assumere

−hi

∂ψ∂t

=−

s

h2

2ms∆s + 1

2

E 2(x)dx1dx2dx3

ψ(t, X (s))

(∆s =3

k=1

∂ 2

∂X (s)2k

).

Questa sarebbe identica all’equazione di Schrodinger se non valesse

1

2

E 2(x)dx1dx2dx3 =

1

2

s,s

eses

rss,

dove s = s

non e escluso. I termini d’energia propria 1/rss = ∞ sono quindicontenuti in essa. Del resto si potrebbe renderli finiti se nella (∗) al posto dellafunzione δ venisse introdotta una funzione D finita, sensibilmente diversa da zero inuna regione con dimensioni lineari dell’ordine di grandezza del raggio dell’elettrone,che fosse caratteristica per la forma dell’elettrone.

Il procedimento delineato si puo, come e stato mostrato nell’elettrodinamicaquantistica10, generalizzare in modo tale da descrivere anche i processi magneticie radiativi (ritardo). Si potrebbe anche introdurre la funzione D della formadell’elettrone, solo che tale forma non sarebbe relativisticamente invariante (propriocome nella teoria classica).

Si hanno certi vantaggi ad adoperare, non il campo Ψ grande per la materia ed

il campo di Landau-Peierls per i quanti di luce, ma E,

H (non commutabili!) e lospazio delle configurazioni delle X

(s)k per la materia, poiche queste quantita sono

quelle che si comportano classicamente nel caso limite. Per particelle puntiformirisulta allora una proprieta delle equazioni, che puo essere considerata come inva-rianza relativistica e che (senza utilizzare il campo Ψ grande) puo essere dimostrata.Ma anche a prescindere dalla questione dell’energia propria la teoria non mi paresoddisfacente: non a motivo di un’ipotesi d’azione a distanza, che a mio avviso non sussiste piu, ma a seguito del singolare privilegio dello spazio rispetto al tempo,che si esprime nell’utilizzo di un t per il tempo in luogo dell’utilizzo di tempi di

10Vedi in proposito l’articolo dell’autore in Handbuch der Physik menzionato all’inizio, che sitrova in stampa.

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particella t(s) accanto al tempo t del punto corrente, che solo renderebbe la teoriapiu simmetrica.

E altresı probabile che il problema dell’energia propria potra trovare una solu-zione soddisfacente solo mediante una modificazione dell’attuale concetto di spazio-tempo. Una tale modificazione dovrebbe trasformare anche i concetti di “azioneper contatto” e di “azione a distanza”, poiche essi presuppongono essenzialmenteil concetto solito di spazio-tempo.

Zurich, Physikalisches Institut der Eidgen. Technischen Hochschule.

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Una possibile connessione tra la costante di Planck h e l’azione

1 ponderomotrice di radiazione polarizzata circolarmente

2S. Pokrowsky a Leningrado

(ricevuto il 2 luglio 1929.)

Tutte le azioni ponderomotrici di radiazione polarizzata

ellitticamente possono essere ottenute quando si assume che

radiazione polarizzata circolarmente consista di singoli momenti

della quantità di moto elementari, uguali ad

, gli assi dei quali

giacciano paralleli alla radiazione; otteniamo così la formula

generale (6).

Sebbene l’utilizzo della costante di Planck h comprenda campi

sempre più vasti della fisica teorica, finora la sua natura e il

suo significato fisico rimangono del tutto non chiariti. Tutti i

tentativi più o meno appropriati di porre questa costante in una

qualche relazione con altre quantità fisiche completamente

determinate non possono essere ritenuti fondati e trovano la loro

giustificazione fino ad un certo punto solo a posteriori dai

risultati raggiunti. Poichè la costante h ha la dimensione del

momento della quantità di moto, è interessante cercare se essa non

sia in generale in una qualche relazione mutua con le coppie

ponderomotrici che in certi casi lamine con doppia rifrazione

subiscono quando sono attraversate da radiazione polarizzata. Un

particolare interesse a questo riguardo può offrire la radiazione

polarizzata circolarmente. Dal punto di vista della teoria

ondulatoria è estremamente difficile rappresentarsi il meccanismo

delle radiazioni polarizzate ellitticamente e circolarmente.

L’onda è la superficie d’egual fase, perciò nel caso delle

radiazioni prima considerate le rotazioni "del qualcosa" nell’onda

piana devono avvenire con ugual fase ed in una medesima direzione.

Quest’ultima circostanza rende completamente oscuro il carattere

dei moti nelle regioni che corrispondono a radiazione confinata,

¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡

1Zeitschr. f. Phys. 57, 278 (1929).

2Comunicato nella seduta del 30 aprile 1918 della sezione di

fisica della società russa di fisica-chimica.

1

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dove le velocità devono essere orientate in direzioni esattamente

opposte. In base a quanto detto non dovrebbe essere giusto

assumere che nella radiazione polarizzata circolarmente noi

incontriamo dei processi che sono mutuamente separati nello

spazio, per così dire separati mediante spazio vuoto intermedio?

Poichè ogni radiazione polarizzata rettilineamente è equivalente

dal punto di vista cinematico a due radiazioni circolaripolarizzate in direzioni opposte, l’idea di questa separazione si

può in generale estendere alla costituzione di altra radiazione a

piacere. D’altra parte le ricerche attuali sulla teoria

dell’energia raggiante fanno attribuire ad essa una costituzione

atomica. Secondo questa conclusione una corrente d’energia

raggiante è composta dalle sue quantità separate e=h ¢ , dove h è la

costante di Planck, ¢ la frequenza delle oscillazioni luminose.

Sorge spontaneamente la domanda su che carattere abbia questa

energia: potenziale o cinetica. Vi saranno regioni con sforzi di

Maxwell fittizi, oppure vi sarà nello spazio un processo isolato

temporalmente periodico? Forse interverranno nella radiazione

singoli "quanti di luce" oppure loro complessi, simili a piccoli

fulmini globulari; con la differenza che nel caso di questi ultimi

la velocità risulta assai piccola rispetto alla velocità della

luce. Poichè la radiazione polarizzata circolarmente rappresenta

dal punto di vista di una qualsiasi teoria della luce "qualcosa

che gira", con l’asse di rotazione parallelo alla direzione della

radiazione, sorge spontaneamente la domanda, se non si incontri in

casi determinati una manifestazione immediata e particolare della

proprietà h, che sia esente da ogni processo ulteriore e

secondario. Non sono gli assi di tutte le rotazioni nella

radiazione paralleli a quelli, rispetto ai quali si prendono i

momenti h delle quantità di moto elementari? Allora h o è di per

sè il momento elementare della quantità di moto, o è una grandezza

ad esso proporzionale. Se si assume che la quantità elementare di

energia £ nel caso della radiazione polarizzata circolarmente sia

collegata in un modo finora per noi sconosciuto attraverso il

lavoro al momento elementare della quantità di moto kh, dove k è

un certo coefficiente di proporzionalità, si può scrivere:

2

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£ = 2 ¤ ¢ kh = h ¢ ,

e di conseguenza non si deve assumere h, bensì

come momento

elementare della quantità di moto nella radiazione. E’ noto che la

stessa quantità è stata considerata da Sommerfeld e Bohr.

Il valore conservato del momento elementare della quantità di

moto nella radiazione polarizzata circolarmente consente di

determinare in modo estremamente facile le sue azioni

ponderomotrici in base alla conservazione del momento della

3quantità di moto. Se si assume che vi siano in 1 cm N momenti

elementari di quantità di moto

, la densità spaziale dell’energia

nella radiazione polarizzata circolarmente sarà:

u = h ¢ N = £ N .

Se un fascio di questa radiazione incide normalmente su una

superficie assorbente, allora la coppia M che essa subisce,

calcolata per una superficie unitaria, dev’essere uguale alla

variazione totale del momento della quantità di moto che avviene

nell’unità di tempo, cioè

M = N

c = ¦ u/(2 ¤ ) (c= ¦ ¢ ) . (1)

Secondo l’equivalenza cinematica della radiazione polarizzata

ellitticamente con quella polarizzata circolarmente non è

difficile derivare per mezzo dell’espressione (1) le azioni

ponderomotrici della prima, che saranno uguali alla somma

algebrica delle azioni delle radiazioni polarizzate circolarmente

che la costituiscono. In tal modo in generale per tutti i casi,

nei quali appaia o sparisca della radiazione polarizzata

ellitticamente, deve sempre comparire la coppia corrispondente.

Passeremo ora alla sua determinazione. Nella radiazione

polarizzata ellitticamente, per esempio a sinistra quando la si

osservi di contro, il moto oscillante sarà espresso mediante le

equazioni seguenti, che si riferiscono agli assi dell’ellisse:

X = acos( ¨ t- © ) ;

3

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Applichiamo le formule (2) e (4) al caso generale, quando la

radiazione ellittica penetra ortogonalmente alla superficie in una

lamina cristallina levigata parallelamente all’asse. La coppia da

noi considerata sarà uguale alla somma algebrica delle azioni

della radiazione che incide sulla lamina e di quella che ne esce.

Indichiamo come prima le componenti delle oscillazioni ellittiche

lungo gli assi X e V con

X = acos(¨ t-

©

) ;

V = bsin(¨

t-©

) .

Una volta che questa radiazione sia entrata nella lamina e si sia

ivi trasformata, provocherà una coppia che è orientata lungo la

radiazione ed è uguale a

AB ¦

M = ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ .28 ¤

Proiettiamo le oscillazioni sugli assi coordinati che stanno

costantemente solidali con la lamina, orientando l’asse lungo

l’asse ottico della lamina; abbiamo allora per la radiazione che

esce dalla lamina

= Asin( ¨ t- © - + ) ;e

= Bsin( ¨ t- © - - ) ; (5)o

dove

2 2 2 2 2A = a cos +b sin ;

2 2 2 2 2B = a sin +b cos ;

tg = (a/b)ctg ; tg = (a/b)tb ;

= 2 ¤ d / ¦ ; = 2 ¤ d / ¦ ;e e o o

d è lo spessore della lamina; l’angolo tra gli assi X e ; ¦ lao

lunghezza d’onda della radiazione ordinaria;¦

la lunghezzae

d’onda della radiazione straordinaria. Secondo la formula (4) la

radiazione (5) all’uscita dalla lamina esercita su di essa una

coppia che è orientata in senso opposto rispetto alla rotazione

del vettore luminoso in questa radiazione, e risulta essere

5

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M = - ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ABsin( + + ) ,2 2

dove

2 ¤ d = - = ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ( - ) ;

o e ¦ o e

2 2 22ab-4absin ( /2)-(a -b )sin2 sin

sin( + + ) = ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ .2AB

significa l’indice di rifrazione della radiazione ordinaria;

o e

l’indice di rifrazione della radiazione straordinaria.

Così la coppia totale che la lamina cristallina subisce sotto

l’azione della radiazione suddetta è uguale alla somma delle

coppie prima date

ab ¦ AB ¦

M = M +M = ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ - ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ sin( + + )1 2 2 28 ¤ 8 ¤

¦ 2 2 2

= ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ (a -b )sin2 sin + 4absin ( /2) . (6)2 ! "

16 ¤

Quest’espressione per la coppia l’ho ottenuta nel 1910 dalla

formula generale per le azioni ponderomotrici dell’energia

3raggiante . Da questa si discosta assai poco la formula appros-

simata per i momenti analoghi che nel 1899 è stata derivata da

4

A.I. Sadowsky dalla teoria elettromagnetica di Maxwell .

Leningrado, laboratorio di fisica dell’istituto elettrotecnico.

¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡

3S. Pokrowsky, Journ. Russ. Phys.-Chem. Ges. 43, Phys. T. 375,

1911; Phys. ZS. 12, 1118, 1911.

4A.I. Sadowsky, Ponderomotorische Wirkungen der elektr. und

Lichtwellen auf Kristalle. Dorpat (Russisch) 1899.

6

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Dall’Istituto di Cristallografia dell’Universita di Marburg/Lahn

Misure senza perturbazione dell’oggetto della misura12

M. Renninger

(ricevuto il 25 febbraio 1959)

Per mezzo di un esperimento concettuale si dimostra che, contro l’opinione

corrente, esistono ben dei processi di misura che non esercitano nessuna azione

sull’oggetto della misura. Queste misure “negative” consistono nella determinazione

sperimentale dell’assenza di accadimenti che ci si attendeva con una determinata

probabilita, determinazioni che - contrassegno di una misura “vera” - danno nuove

predizioni sull’oggetto della misura, quindi causano “riduzione della funzione d’on-

da” esattamente come le osservazioni normali, “positive”, che perturbano l’oggetto

della misura. Da cio segue necessariamente che il fondamento assai consueto eintuitivo della relazione di indeterminazione nella pretesa azione inevitabile di ogni

processo di misura sull’oggetto della misura e inammissibile. Essa ha invece il suo

vero fondamento nell’interazione che tutta la materia dell’intorno vicino e lontano

di una particella esercita ininterrottamente su di questa, indipendentemente dal

fatto che essa faccia parte o meno di un apparato di misura.

La relazione di indeterminazione di Heisenberg risulta in generale come espres-sione del fatto - o quanto meno in relazione con il fatto - che l’azione del processodi misura sull’oggetto della misura non puo essere resa in linea di principio arbi-trariamente piccola345. Poiche questa tesi e stata piu volte ripetuta di recente,

per esempio da Heisenberg6

(1958)7

, da Brillouin8

, appare all’autore importanteindicare una categoria di processi di misura, nei quali non si ha alcuna influenzasull’oggetto, ovvero, per utilizzare l’espressione adottata da Heisenberg, non si haalcun “intervento sull’evento, che si possa completamente distinguere dall’evento”.Essi consistono nella determinazione sperimentale dell’assenza di accadimenti pos-sibili e saranno designati nel seguito come osservazioni “negative”. Che cosa siintenda con cio lo puo chiarire il seguente esperimento concettuale:

Da un punto P ad un istante t = 0 noto entro limiti stretti venga emesso unfotone910 . Il punto P e circondato da uno schermo sferico S 1 di raggio R1, chevisto da P lascia libero un angolo solido Ω, ossia esso si estende su un angolo solido

1Messungen ohne Storung des Meßobjekts, Zeitschrift fur Physik 158, 417-421 (1960).2Il manoscritto ha raggiunto la Redazione gia nel febbraio 1959 e in base alle discussioni

intervenute nel frattempo ha subıto soltanto delle modifiche inessenziali nella formulazione (laRedazione).

3vedasi per esempio Bohr (1931), p. 35 oppure Jordan (1936), p. 307: “Risulta inevitabile cheogni misura sia per legge naturale legata ad un intervento non trascurabile sull’oggetto”.

4Bohr, N.: Atomtheorie und Naturbeschreibung. Berlin 1931.5Jordan, P.: Anschauliche Quantentheorie. Berlin 1936.6Heisenberg, W.: Naturwiss. 45, 227 (1958).7Per l’idea di Heisenberg in proposito vedasi tuttavia la postfazione del presente lavoro.8Brillouin, L.: Nature, Lond. 183, 501 (1959).9Una possibilita in linea di principio per realizzare cio e gia stata offerta dall’autore (Renninger

1953).10Renninger, M.: Z. Physik 136, 251 (1953).

1

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2

4π − Ω. A distanza maggiore R2 si trova un altro schermo S 2 sull’intero angolosolido 4π, cioe una sfera completa.

La funzione d’onda del fotone ha ora sotto le condizioni iniziali e al contornocosı definite la sua forma esattamente determinabile. Nello spazio all’interno di S 1essa e un’onda sferica, fuori e piu complicata, deve contenere tra l’altro i fenomenidi diffrazione che originano dal bordo di S 1. Tuttavia anche senza conoscere la suaforma esatta la predizione data da essa sulle probabilita W 1 e W 2 di urto del fotonecontro S 1 ed S 2 e immediatamente evidente, ossia:

W 1 =4π − Ω

4π, W 2 =

Ω

4π.

La predizione si puo naturalmente verificare, purche si costruiscano gli schermiS 1 ed S 2 come schermi a scintillazione che operino quantitativamente, e si esegual’esperimento con un numero grande di fotoni. Allora le scintillazioni registrate su

S 1 stanno a quelle su S 2 come W 1 sta a W 2. Tutto cio e triviale.Ma l’istante della possibile registrazione di un singolo fotone in S 1 precede tem-

poralmente quello per S 2. Se si osserva in S 1 (al tempo t1 = R1/c) un lampo, haluogo quello che la meccanica quantistica designa come “riduzione della funzioned’onda”: la probabilita dell’arrivo del fotone al tempo successivo R2/c - che finoall’osservazione del lampo in S 1 era Ω/4π - si annullera istantaneamente, assiemealla funzione d’onda in tutto lo spazio tra S 1 ed S 2. Questo e il caso discusso disolito, per il quale giustamente si parla di un intervento sull’evento: il fotone eassorbito o quanto meno diffuso inelasticamente dallo schermo S 1, quindi non e piuaffatto nello stesso stato di prima dell’osservazione.

Pero - e questo e il punto essenziale, sul quale vorrei richiamare l’attenzione -

“riduzione della funzione d’onda” non ha luogo soltanto quando il fotone in S 1 vieneosservato, ma anche quando esso non viene osservato. O meglio, detto in positivo,quando viene osservato che esso non ha urtato S 1 al tempo critico t = R1/c. Infattianche allora la probabilita per l’urto successivo contro S 2 varia con un salto, main questo caso va al valore 1 invece che a zero! Poiche il fotone non si e mostratosu S 1, esso dovra pervenire su S 2 con certezza . Si ha a che fare qui con unanuova predizione sull’oggetto sulla base di un’osservazione che non e intervenuta

sull’evento, di una osservazione “negativa”11.

Poiche una siffatta osservazione senza perturbazione esiste e dimostrato chela pretesa “necessita secondo le leggi di natura” dell’intervento di ogni misurasull’oggetto non sussiste, e che quindi non e ammesso chiamarla in causa per una

comprensione piu profonda o anche solo per una maggiore intuibilita della relazionedi indeterminazione. Questa risulta invece immediatamente dal formalismo dellateoria dei quanti e vale allo stesso modo sia per misure nelle quali non si intervenga

11Evidentemente l’esempio discusso costituisce solo una delle molte diverse possibilita di sud-divisione di un certo fascio di radiazione in fasci parziali coerenti. Mediante separazione perriflessione parziale, per doppia rifrazione o via dicendo le circostanze di principio sono esatta-mente le stesse che qui con la separazione trasversale. Il tratto essenziale dell’esperimento quidescritto e dell’argomentazione ad esso collegata non e in primo luogo la creazione di fasci parzialidistinti (gia discussa molte volte) ma il fatto che il cammino di uno dei fasci parziali e ostruito daun ostacolo che puo al tempo stesso servire da strumento di osservazione. Che nel nostro esempioquesto ostacolo coincida con la separazione (uno dei fasci parziali e quello intercettato da S 1) edel tutto inessenziale.

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3

sull’evento che per quelle nelle quali lo si faccia121314. Cio e immediatamente evi-dente anche nel nostro esempio, se lo specializziamo in modo che Ω sia assai piccolo,cioe che S 1 diventi una sfera intera con un foro piccolo: per un fotone che passiattraverso questa apertura il fatto del suo passaggio equivale ad una misura di

posizione, e una quantita corrispondente, per l’incertezza sull’impulso trasversaleregolata dalla relazione di indeterminazione, cioe la direzione di propagazione oltrelo schermo, ha di conseguenza un’incertezza che si manifesta in una distribuzionedi probabilita (figura di diffrazione) per il punto d’incidenza su S 2, tanto piu estesaquanto piu piccolo e il foro in S 1. Quindi anche l’eventuale osservazione “negativa”in S 1, ossia che al tempo R1/c un fotone dev’essere sfuggito da questo foro, nonci permette nessuna predizione riguardo al luogo d’incidenza su S 2 che vada al disotto della relazione di indeterminazione.

In discussioni epistolari e stato obbiettato piu volte all’autore che la sola e-

sistenza dell’ostacolo S 1, cioe la possibilita di un’osservazione significa un’influenzasull’oggetto della misura, anche per le particelle che superano S 1. Cio non sara da

me affatto negato. E proprio quest’influenza che produce la figura di diffrazionesu S 2. Affermo tuttavia che cio non avviene a causa del processo di misura , ma,come ricordato all’inizio, dev’essere gia contenuto nella funzione d’onda primaria.Essa non produce affatto nuova informazione, questo lo fa soltanto l’osservazionerealmente avvenuta. Riassumendo si puo quindi affermare:

1. Un processo di misura, indifferentemente “positivo” o “negativo”, significa una

netta “riduzione della funzione d’onda”; ogni osservazione vera, ogni acquisizione diinformazione riduce la funzione d’onda. E viceversa: ogni riduzione della funzioned’onda da luogo ad un’acquisizione di informazione.

2. Possibilita di osservazione e osservazione di fatto sono cose distinte. Possi-

bilita di osservazione offre in fondo ogni processo di propagazione che sia qualcosa di

piu del moto imperturbato di una particella singola nel vuoto (onda sferica imper-turbata), quindi sistemi intrecciati, o il moto di una particella in mezzi assorbenti,diffondenti o rifrangenti, ed essa non e altro che una conseguenza del fatto chela particella considerata non e sola nell’universo. Soltanto l’osservazione di fattosignifica riduzione dello stato.

Ringrazio sentitamente il Prof. Sussmann, Hamburg, per una presa di posizioneepistolare chiarificatrice.

Postfazione

In uno scambio epistolare diretto il signor Prof. Heisenberg ha avuto la gentilezza

di farmi sapere, circa il manoscritto a lui trasmesso delle presenti considerazioni, lasua opinione, che posso riassumere con il suo cortese consenso come segue:

E un errore credere che l’interpretazione di Copenhagen della teoria dei quanti,

quando asserisce l’inevitabilita in linea di principio della perturbazione dell’oggetto

12Assai riposta e non facilmente accessibile, la stessa affermazione si trova nella dissertazionefondamentale “Uber den Meßvorgang” di G. Sussmann (1958, p. 30). Il signor Sussmann e statocosı gentile da comunicarmelo personalmente. Non fu possibile chiarire bene con una discussioneepistolare in che misura la stessa cosa sia intesa con la formulazione di Finkelburg (1956, pp.176/77).

13Sussmann, G.: Uber den Meßvorgang. Bayer. Akad. Ber., Munchen H. 88, 1958.14Finkelburg, W.: Einfuhrung in die Atomphysik. Berlin 1956.

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4

misurato a causa della misura, si riferisca ad un “processo” di misura vero e pro-

prio, la cui presa di conoscenza eventualmente successiva riduca “retroattivamente”

la funzione d’onda. Un “processo di misura” inteso in questo senso non si puo ogget-

tivare in tutti i casi immaginabili. Oggettivabile e soltanto la presa di conoscenza

del risultato della misura, che riduce lo stato, e che puo quindi essere ricondotta al

“taglio” tra oggetto della misura e apparato di misura. Ma cio che si intende con

l’inevitabile intervento del la misura sull’evento e gia la possibilita della misura, cioe

l’esistenza dell’apparato di misura. Infatti e questa che produce quell’interazione

parzialmente indeterminata tra l’apparato di misura e l’oggetto da misurare, che

con l’esecuzione dell’esperimento porta alla relazione di indeterminazione. Invece

l’atto del la registrazione, che porta alla riduzione del lo stato, non e veramente un

processo fisico, ma per cosı dire un processo matematico. Naturalmente con la

variazione discontinua della nostra conoscenza varia con discontinuita anche la

rappresentazione matematica della nostra conoscenza.

Se quest’idea cosı delineata dal signor Heisenberg fosse in generale tenuta per

buona, le mie considerazioni sarebbero di fatto vanificate, poiche esse vanno fon-damentalmente a finire nella stessa cosa, come si riconosce dai tre ultimi paragrafi.Pero mi pare che in generale si affermi un processo di misura vero e proprio, alquale l’acquisizione di conoscenza che riduce lo stato si riferisce (come un - pre-sente o assente - segno d’un impulso su un grafico di registrazione da svilupparein seguito), e il cui istante temporale puo essere inoltre determinato piu o menoesattamente con la misura. Che quest’idea sia in generale tenuta per buona mi parepoco credibile, se si tien conto della formulazione ovunque predominante in lettera-tura. Si parla quasi senza eccezione espressamente dell’inevitabile perturbazioneprodotta dall’atto dell’osservazione, dal processo di misura, o anche piu nettamente,dell’impossibilita di “considerare” l’atto dell’osservazione “come un puro prender

conoscenza di uno stato di fatto comunque presente” (Jordan, op. cit., p. 308).E proprio questo, il prender conoscenza di uno stato di fatto comunque presente,si realizza nell’esperimento concettuale ora discusso, sicche la comunicazione diquest’ultimo potrebbe essere in ogni caso di qualche utilita chiarificatrice. Le con-clusioni finali in essa mostrate possono essere mantenute integralmente e possonovalere come indicazione aggiuntiva che ogni affermazione del tipo ora citato chetravalichi il limite su esposto dal signor Heisenberg e inammissibile, che quindi nonsi puo parlare di perturbazione in linea di principio inevitabile dovuta al processo

di misura.

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Principio di Doppler e condizione delle frequenze di Bohr1

Erwin Schrodinger

Se ci si rammenta di come nella teoria delle bande di Schwarzschild, Heurlinger,Lenz la frequenza della singola riga della banda si realizza mediante 1. il ter-mine elettronico o di configurazione, 2. il termine di oscillazione nucleare, 3. iltermine di rotazione, non si puo fare a meno di proseguire tentativamente questaserie decrescente di grandezze e interrogarsi sul possibile significato di un 4. ter-mine di traslazione. Nel caso che esso abbia in primo luogo un significato, esso -e naturalmente non solo per gli spettri di bande - puo solo essere in rapporto conl’allargamento Doppler delle righe spettrali. Questa idea si accorda qualitativa-mente assai bene col fatto che - come Bohr2 ha dimostrato in modo convincente -il moto di traslazione, come moto non periodico, non pu o essere quantizzato, mapresenta una sequenza continua di valori consentiti dell’energia; percio esiste uno

spettro continuo all’interno di una certa regione - nel caso presente la riga spettraleallargata in modo finito.Ora Forsterling3 ha gia cercato di giungere al principio di Doppler applicando la

condizione delle frequenze di Bohr in un sistema di riferimento nel quale il baricentrodella molecola abbia una velocita di traslazione. Il risultato era poco incoraggiante.Risultava infatti soltanto l’“effetto Doppler trasversale”, ovvero, altrimenti detto,solo la nota piccola correzione relativistica al valore classico dell’effetto Doppler. Inproposito W. Pauli jun. ha detto nella sua recensione (Physik. Ber. 2, 489, 1921):“Va tuttavia osservato che la formula di trasformazione per l’energia emessa usatadall’autore e giusta solo quando . . . complessivamente non venga emesso alcun

impulso lineare”.Ma questo non e vero in nessun sistema di riferimento; piuttosto sulla base data

da Einstein alla teoria della radiazione4 il quanto emesso hν porta con se sempre -e in particolare in ogni sistema di riferimento - l’impulso lineare hν/c, il massimoche in linea di principio possa essere associato a questo ammontare di energia. Nelseguito dimostriamo che il “salto di velocita” prodotto in tal modo per la condizionedelle frequenze di Bohr da proprio lo spostamento Doppler, e con tutte le sottigliezzeche sono richieste dalla teoria della relativita.

La situazione di gran lunga piu facile salta agli occhi al meglio se si fanno i contiin modo approssimato e solo per il caso lineare, cioe se si fa coincidere la direzionedell’impulso emesso con la direzione della velocita del baricentro della molecola giapresente prima. Sia questa v1, e dopo l’emissione v2; inoltre sia m la massa dellamolecola. Allora il “termine di traslazione” che da lo spostamento Doppler e

(1) dν =1

h

m

2v21−

m

2v22

.

Per la legge dell’impulso e

(2) mv1 =hν

c+ mv2

1Dopplerprinzip und Bohrsche Frequenzbedingung, Physik. Zeitschr. 23, 301-303, 1922.2N. Bohr, Kopenhagener Akademie 1918, seconda parte, p. 99.3K. Forsterling, Zeitschr. f. Phys. 3, 404, 1920.4A. Einstein, Zeitschr. f. Phys. 18, 121, 1917.

1

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2

ossia

m (v1 − v2) =hν

c.

Sostituendo nella (1) questo da

(3)dν

ν =

v1 + v22c

.

Questa e la formula di Doppler elementare, soltanto che in essa come velocita dellamolecola interviene la media aritmetica delle velocita prima e dopo l’emissione. Unesame particolareggiato mostra che anche il segno e quello giusto: se la molecola simuove con velocita considerevole verso di me e mi lancia contro il suo quanto, sarafrenata dal rinculo, il termine di traslazione (1) e positivo, lo spostamento risultaverso il violetto.

Calcoleremo ora in modo piu esatto. Ma manteniamo ancora provvisoriamente

l’ipotesi semplificatrice che l’impulso emesso cada nella direzione della velocita origi-naria della molecola (oppure in quella opposta). Dobbiamo ora tener conto cheanche la massa della molecola cambia durante l’emissione, e prima di tutto cheil concetto “differenza d’energia di una determinata transizione” e quindi ancheil concetto “frequenza non spostata” perdono il loro significato netto ed univoco,poiche la molecola prima e dopo l’emissione non si trova a riposo nello stesso sistema

di riferimento consentito .Dobbiamo assumere che ad un determinato stato stazionario corrisponda un’e-

nergia E esattamente determinata in un sistema di riferimento nel quale il bari-centro della molecola e a riposo. Siano E 1 ed E 2 questi valori dell’energia per latransizione quantica considerata e siano questi proprio i valori assoluti dell’energia,di modo che

E 1c2

, E 2c2

siano le corrispondenti masse a riposo. Il sistema di riferimento nel quale prima erispettivamente dopo il rinculo la molecola ha la velocita v1 e rispettivamente v2lo chiameremo per brevita “lo spettrometro”. Le energie riferite allo spettrometrosono quindi

(4)E 1

1 − v21

/c2,

E 2 1 − v2

2/c2

e la condizione delle frequenze di Bohr si scrive

(5) hν =E 1

1 − v21

/c2−

E 2 1 − v2

2/c2

.

Inoltre il bilancio dell’impulso rispetto allo spettrometro risulta

(6)E 1v1

c2

1 − v21

/c2=

E 2v2

c2

1 − v22

/c2+

c.

La (5) e la (6) servono al calcolo di ν e di v2 per v1 dato, inoltre E 1 ed E 2 devononaturalmente valere come quantita date - dalla natura della transizione quantica.

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3

La dipendenza cosı fissata della frequenza ν dalle velocita v1 e v2 e una generaliz-

zazione naturale del principio di Doppler della teoria della relativita - e del tuttocomprensibile che la comparsa di due valori della velocita, che si scambiano proprionell’istante dell’emissione, porti con se una certa complicazione.

Per dimostrarlo eliminiamo dalle (5) e (6) la frequenza ν e troviamo facilmente

(7) E 1

c − v1c + v1

= E 2

c − v2c + v2

.

Sia per brevita

(8) ϕi =

c − vi

c + vi

, i = 1, 2.

Risulta percio

(7a) E 1ϕ1 = E 2ϕ2.

Inoltre si calcola facilmente

(9) vi = c1 − ϕ2

i

1 + ϕ2i

,

c2 − v2i

=2cϕi

1 + ϕ2i

.

Sostituita nella (5) questa da

hν = E 11 + ϕ2

1

2ϕ1

− E 21 + ϕ2

2

2ϕ2

e per la (7a)

(5a) hν =1

2

E 1ϕ1

−E 2ϕ2

=

1

2

E 21− E 2

2

E 1ϕ1

=1

2

E 21− E 2

2

E 2ϕ2

ovvero formando la media geometrica

(10) hν =1

√ϕ1ϕ2

E 21− E 2

2

2√

E 1E 2.

Introduciamo la frequenza ν ∗

(11) ν ∗ =E 21− E 2

2

2h√

E 1E 2,

il cui significato risultera chiaro immediatamente, e badiamo al significato di ϕsecondo la (8); otteniamo

(12) ν ∗ = ν √

ϕ1ϕ2 = ν

c − v1

c2 − v21

·c − v2

c2 − v22

.

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4

Si confronti con questa la relazione che sussisterebbe secondo la teoria dell’effettoDoppler tra le frequenze ν ∗ e ν , qualora la prima fosse la frequenza a riposo, laseconda la frequenza in un sistema di riferimento nel quale la molecola volasseverso l’osservatore con la velocita v. Questa relazione si scriverebbe

(13) ν ∗ = ν c − v

√c2 − v2

.

La frequenza ν ∗ definita dalla (11) gioca quindi il ruolo della frequenza a riposo.Da essa si deriva secondo la (12) la frequenza osservata ν per mezzo di un fattore chee la media geometrica dei due fattori che secondo la teoria consueta sono costruitidalle due velocita v1 e v2, prima e rispettivamente dopo l’atto di emissione.

La frequenza ν ∗ ha il semplice significato seguente: sara ν = ν ∗ per v2 = −v1.Cio si verifica quando la velocita iniziale della molecola e esattamente uguale aquella che in senso inverso si ha dopo il rinculo.

Dobbiamo ancora liberarci dalla restrizione che l’impulso emesso sia parallelo alladirezione iniziale. Quindi ora v1 e v2 saranno i valori assoluti delle velocita inizialee finale, ϑ1 e rispettivamente ϑ2 gli angoli che esse individuano con la direzionedell’impulso emesso - tutte le affermazioni si riferiscono allo “spettrometro”. Lacondizione delle frequenze (5) rimane immutata, al posto della (6) intervengono ledue equazioni per l’impulso

(6’)E 1v1 cos ϑ1

c2

1 − v21

/c2=

E 2v2 cos ϑ2

c2

1 − v22

/c2+

c,

(6”)E 1v1 sin ϑ1

c2

1 − v2

1/c2

=E 2v2 sin ϑ2

c2

1 − v2

2/c2

Dalla (5) e dalla (6’) risulta

(7’)E 1 (c − v1 cos ϑ1)

c2 − v21

=E 2 (c − v2 cos ϑ2)

c2 − v22

.

Dalla (6”) moltiplicando per c

(7”)E 1v1 sin ϑ1

c2 − v21

=E 2v2 sin ϑ2

c2 − v22

.

Poniamo per brevita

(8’) ϕi =c − vi cos ϑi

c2 − v2i

, ψi =vi sin ϑi

c2 − v2i

, i = 1, 2.

Sara allora

(7a’) E 1ϕ1 = E 2ϕ2, E 1ψ1 = E 2ψ2

e si trova

(9’)

c2 − v2

i=

2cϕi

1 + ϕ2i

+ ψ2i

.

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Una proprieta notevole delle orbite quantiche di un elettrone singolo1.

Erwin Schrodinger a Zurigo.

(ricevuto il 5 ottobre 1922)

Nella geometria d’universo di Weyl2 interviene oltre alla nota forma quadraticadel differenziale, che determina la metrica nel singolo punto d’universo, anche unaforma lineare

ϕ0dx0 + ϕ1dx1 + ϕ2dx2 + ϕ3dx3 = ϕidxi,

che fissa la connessione metrica dei punti d’universo tra loro. Il suo significatogeometrico e che la lunghezza di un “segmento” l (quadrato del valore assoluto diun vettore) non rimane immutata per “trasporto congruente” del segmento in unpunto adiacente, ma subisce la variazione

(1) dl =−

lϕidxi.

Weyl ha scoperto che mediante le due insieme (metrica del singolo punto d’universo+ connnessione metrica) si determina una connessione affine dell’universo (cioeil concetto di trasporto parallelo d’un vettore), purche solo si ammetta che perspostamento parallelo di un vettore anche la sua lunghezza debba essere trasportatain modo congruente. Per trasporto congruente di un segmento lungo un tratto finitodi una linea d’universo - per esempio a seguito del trasporto parallelo di un vettorelungo un simile tratto - la lunghezza del segmento risulta moltiplicata per il fattore

(2) e−

ϕidxi ,

dove l’integrale di linea va naturalmente esteso al tratto di linea d’universo in

considerazione e dipende essenzialmente dal cammino, purche le quantita

(3) f ik =∂ϕi

∂xk

− ∂ϕk

∂xi

non si annullino identicamente. - Dal punto di vista fisico le componenti dellaconnessione affine su menzionata costituiscono il campo di gravitazione, e le f ik ilcampo elettromagnetico. Se le circostanze sono tali - e se la scelta delle coordinatee cosı fatta - , che almeno in una regione d’universo con una certa approssimazionex0 sia il tempo (in sec) e x1 x2 x3 siano coordinate cartesiane (in cm), a meno di unfattore costante di proporzionalita universale le ϕi sono i potenziali elettromagneticinel senso usuale:

(4) V, −1

cAx, −1

cAy, −1

cAz.

Se scriviamo questo fattore come γ −1e, dove e e il quanto elementare in unita CGSelettrostatiche, quindi

ϕ0 = γ −1eV, ϕ1 = −γ −1 e

cAx, ϕ2 = −γ −1 e

cAy, ϕ3 = −γ −1 e

cAz,

1Uber eine bemerkenswerte Eigenschaft der Quantenbahnen eines einzelnen Elektrons, Zeit-schr. f. Phys. 12, 13-23 (1923).

2Vedasi in proposito H. Weyl, Raum, Zeit, Materie, IV ed., Berlin, Springer, 1921 - Citato inseguito con Weyl, RZM.

1

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2

risulta allora che ϕ0 ha la dimensione sec−1, eV la dimensione “energia”, γ ladimensione di un’azione (g cm2 sec−1). - Il “fattore d’allungamento” (2) sara

(5) e−eγ (V dt−Axdx−Aydy−Azdz).

La proprieta delle orbite quantiche annunciata nel titolo, che a me pare notevole,e che le condizioni quantiche “pure”, cioe quelle che sono sufficienti a determinarel’energia e quindi lo spettro, sono anche proprio sufficienti a rendere l’esponente del

fattore di allungamento (5) un multiplo intero di γ −1h (che per quanto sopra e unnumero puro) per tutti i periodi approssimati del sistema . Lo dimostrero subito per isingoli casi, perche ci sono ancora dei se e dei ma da aggiungere se si esprime la leggenella forma semplice, come successo or ora. Discutero poi l’eventuale significato delfatto, riguardo al quale pero - per dirla tutta - non sono andato molto avanti.

A. Orbita di Keplero imperturbata 3. L’effetto della relativita sara per ora trascu-rato e trattato separatamente piu avanti (punto E). Allora la sola condizione quan-

tica “pura” e4

(6) J = 2τ T = nh

(τ = periodo, T = media temporale dell’energia cinetica). Sia inoltre V il poten-ziale del nucleo positivo alla posizione dell’elettrone, scelto in modo che si annulliall’infinito. Allora e noto che si ha (consideriamo e in valore assoluto)

(6a) T = (1/2)eV ,

quindi, sostituendo nella (6),

(7) eτ V = e

τ

0

V dt = nh.

L’esponente del fattore d’allungamento (5) sara quindi - nh/γ per un periodo. -Il solo “se e ma” di questo caso semplicissimo e la normalizzazione della costanteadditiva in V .

B. Effetto Zeeman . Meccanicamente si tratta ora della precessione di Larmorcon la frequenza (= numero di giri di precessione al secondo)

(8)1

ϑ=

eH

4πmc.

Dal punto di vista della teoria dei quanti rimane valida la condizione precedenteed assicura “l’interezza dell’esponente d’allungamento”. (come diremo per brevita)per il primo quasi periodo τ , sempre approssimato. Una trattazione piu accuratamostra che la (7) resta valida fino a termini che sono quadratici in H , poiche il

3Come il Prof. Weyl mi ha comunicato per lettera, la legge per questo caso era nota a Fokkergia da due anni, e lo ha anche portato a contemplare la possibilita di valori di ϕi immaginari puri(vedi il seguito).

4Seguiamo in tutto la concezione di Bohr, in particolare la sua teoria dei sistemi periodicidebolmente perturbati, com’e esposta nella parte II della serie di dissertazioni ancora incompletadell’accademia di Copenaghen. Kopenhagener Akademieschriften, Naturw. u. Mathem. Abt.,serie 8a, 1, 2, 1918. Citata nel seguito come Bohr, l.c.

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3

teorema di Larmor vale in questa approssimazione e per un sistema d’assi ruotatovalgono, dal punto di vista meccanico e della teoria dei quanti, le stesse condizioniche, nel caso A, valgono per un sistema in quiete. Se ora ci chiediamo se l’interezzasussista anche per il secondo quasiperiodo ϑ, possiamo trascurare il termine V ,

poiche esso produce certamente un contributo intero (cioe tante volte −nh, quantigiri semplici comprende il ciclo di Larmor. - Ora e noto che la seconda condizionequantica richiede che per il momento angolare attorno all’asse del campo sia

(9) 2mf

τ =

nh

2π.

f e la proiezione della superficie dell’ellisse sul piano equatoriale. Dalla (8) e dalla(9) risulta

(10) Hf

·

ϑe

τ c

= nh.

Hf e il flusso di forza attraverso l’ellisse, quindi

(11) Hf =

(rotA)ndf =

(τ )

Axdx + Aydy + Az dz,

pertanto, secondo la (10), per l’intero ciclo di Larmor sara

(12)e

c

(ϑ)

Axdx + Aydy + Azdz = nh;

la condizione quantica aggiuntiva richiede quindi proprio l’“interezza” del termineaggiuntivo magnetico nell’esponente d’allungamento, esteso su un periodo di Lar-mor.

C. Effetto Stark 5. Meccanicamente interviene qui una variazione secolare nonsolo della giacitura, ma anche della forma dell’ellisse di Keplero; tuttavia la varia-zione secolare (con l’approssimazione che interviene sperimentalmente) e puramenteperiodica, cioe quando l’ellisse di Keplero dopo l’esecuzione di un ciclo secolare haripreso la stessa forma, essa ha anche riassunto la stessa giacitura nello spazio.Il ciclo orbitale si puo descrivere nel modo piu semplice cosı. Si determini ilbaricentro della solita orbita di Keplero tenendo conto del tempo di permanenza

dell’elettrone nelle singole parti dell’orbita (baricentro “elettrico”); si trova cosıil punto di bisezione della parte lontana dal nucleo della linea dei fuochi. Questo“baricentro elettrico” esegue ora in un piano perpendicolare alla direzione del camposemplicemente delle oscillazioni armoniche, in generale oscillazioni ellittiche. Oltrea cio, come prima detto, la forma dell’ellisse di Keplero deve variare, e precisamentenon cambia il suo semiasse maggiore (e quindi neppure l’energia, ne il periodo or-bitale) ma solo la sua eccentricita, che e quindi fissata univocamente dalla posizioneassunta via via dal baricentro elettrico. La giacitura via via assunta dal pianodell’orbita e determinata dal fatto che, sebbene il momento angolare complessivocambi con l’eccentricita, la componente nella direzione del campo resta invariata.

5Bohr, l.c., par. 4, pag. 69.

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4

La condizione quantica aggiuntiva consiste nel fatto che alla distanza del nucleodal piano menzionato, perpendicolare alla direzione del campo, nel quale il bari-centro elettrico esegue le sue oscillazioni armoniche secolari, sono consentiti solocerti valori discreti. Ancora piu comoda per il nostro scopo e un’altra formulazione

di questa condizione quantica aggiuntiva, che deriva ancora immediatamente dallateoria di Bohr dei sistemi periodici perturbati. L’energia aggiuntiva, che e semplice-mente uguale all’energia potenziale dell’elettrone nel campo esterno mediata su unperiodo di Keplero (il valor medio e secolarmente costante) - quest’energia, dico,secondo Bohr sta col periodo secolare ϑ esattamente nello stesso rapporto comel’energia totale di un oscillatore armonico semplice col suo periodo, cioe dev’essere

(13) ∆E = nh · 1

ϑ

(∆e = energia aggiuntiva, n

= numero intero). Sia ora V

il potenziale del campoesterno, che in questa trattazione (cioe perche le affermazioni precedenti sianogiuste) dev’essere normalizzato in modo tale da annullarsi nel nucleo; si riconosceallora facilmente che

(14) ∆E = −eV = − e

τ

t+τ

t

V dt.

Dalle (13) e (14) segue

(15)eϑ

τ

t+τ

t

V dt = t+ϑ

t

V dt =−

nh.

Un’occhiata alla (5) mostra che allora l’“interezza” del termine elettrico aggiuntivonell’esponente d’allungamento e provata per un “periodo di Stark” secolare - incompleta analogia con il risultato per il periodo di Larmor nell’effetto Zeeman.

Nel caso dell’effetto Zeeman, a causa del carattere particolarmente semplice dellaperturbazione secolare, dall’interezza del termine aggiuntivo abbiamo potuto con-cludere immediatamente riguardo all’interezza dell’esponente d’allungamento com-plessivo. Qui cio sarebbe prematuro, infatti il valor medio del potenziale nucleareV su un’ellisse di Keplero produce perturbazioni del prim’ordine, che possono as-sommare ad un contributo finito su un periodo secolare ϑ6. Per andare del tutto sul

sicuro, riconsideriamo la condizione quantica principale del problema perturbato informa esplicita. Siano q1, q2, q3 le coordinate rettangolari dell’elettrone, p1, p2, p3gli impulsi; allora dev’essere

(16)

t+ϑ

t

( p1q1 + p2q2 + p3q3)dt = −nh,

6Invero Bohr ha mostrato - e cio discende immediatamente dalla costanza secolare di V - che ilvalor medio della funzione energia totale del problema imperturbato su un’orbita di Keplero subiscesolo perturbazioni del second’ordine. Ma per noi qui si tratta della sola energia potenziale, e perquesta non si puo concludere nulla, poiche il campo perturbativo rimuove la relazione semplice(6a) tra i due valori medi dell’energia.

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dove ora ϑ - piu precisamente - indica un semiperiodo esatto del sistema, dopo ilquale le coordinate e gli impulsi si riproducono con maggiore approssimazione. Diconseguenza dev’essere

t+ϑ

t

d

dt

piqi

dt = 0.

Quindi al posto della (16) si puo anche scrivere

(16’)

t+ϑ

t

(q1 ˙ p1 + q2 ˙ p2 + q3 ˙ p3)dt = −nh,

ovvero, seU = −e(V + V )

e l’energia potenziale, per le equazioni di moto dalla (16’) discende:

(16”)

t+ϑ

t

q1

∂U

∂q1+ q2

∂U

∂q2+ q3

∂U

∂q3

dt = nh.

Ma i due addendi di U sono funzioni omogenee di qi, e precisamente V e omogeneadi grado -1, V omogena di primo grado. Quindi segue dalla (16”)

(16”’)

t+ϑ

t

e(V − V )dt = nh.

Tenendo conto della (15) risulta quindi

(17)

t+ϑ

t

e(V + V )dt = (n − 2n)h,

e la dimostrazione e conclusa. - Un’osservazione aggiuntiva necessaria riguardo allanostra legge nel caso dell’effetto Stark e la normalizzazione gia prima rilevata delpotenziale del campo esterno, fatta in modo tale che esso si annulli nel nucleo.

D. Effetti Zeeman e Stark combinati con assi paralleli 7. Secondo la teoria di Bohrdi sistemi periodici perturbati, per sovrapposizione di un campo elettrico omogeneoe di un campo magnetico omogeneo, nel caso che le perturbazioni che ogni campodi per se produrrebbe siano dello stesso ordine di grandezza, si ottengono orbite

quantiche ben definite solo quando8

gli assi dei campi siano paralleli. Ci limitiamoquindi a questo caso. Dal punto di vista meccanico il ciclo dell’effetto Stark trat-tato nella sezione precedente avviene semplicemente rispetto ad una terna d’assi chesegue la rotazione di Larmor (8), e va osservato che la frequenza di Larmor dipendesolo dalle costanti dell’elettrone e dall’intensita del campo magnetico, ma non dallaforma e dalla giacitura dell’orbita, sicche anche ora la rotazione di Larmor avvienein maniera uniforme. Anche le condizioni quantiche per cosı dire si sovrappon-gono. Al semiasse maggiore dell’ellisse di Keplero sono consentiti gli stessi valoriche nell’atomo imperturbato, alla distanza dal nucleo del piano nel quale oscilla il

7Bohr, l.c. p.91.8Bohr, l.c., p. 93.

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baricentro elettrico gli stessi valori che nell’effetto Stark puro; e il campo magneticorichiede che la componente del momento angolare nella direzione del campo (cheanche nell’effetto Stark puro era costante, ma non quantizzata) ancora debba es-sere un multiplo intero di h/2π. Naturalmente adesso la perturbazione complessiva

non e piu periodica pura, ma compaiono due periodi secolari di uguale ordine digrandezza, in generale incommensurabili: in un sistema di coordinate che segue laprecessione di Larmor la forma e la giacitura dell’ellisse di Keplero si riproduconodopo un periodo ϑs dell’effetto Stark, mentre l’ellisse, che il baricentro elettricopercorre armonicamente, ruota una volta di 3600 attorno alla direzione del campoin un periodo di Larmor, diciamo ϑl. Poiche sia dal punto di vista meccanico cheda quello della teoria dei quanti si hanno rispetto al sistema rotante esattamente lestesse relazioni che nell’effetto Stark puro si hanno rispetto ad un sistema fermo, epoiche inoltre il campo elettrico e portato in se stesso dalla rotazione di Larmor, siriconosce facilmente che le prime due condizioni quantiche hanno per conseguenzache

(18)

t+ϑs

t

e(V + V )dt = nh.

Per quanto riguarda la condizione quantica magnetica, si deve osservare che siail periodo di Keplero che il momento nella direzione del campo, quindi anche laproiezione dell’ellisse di Keplero sul piano equatoriale ovvero il flusso dell’intensita del campo magnetico attraverso l’ellisse di Keplero sono costanti secolari. Perciodalla condizione quantica magnetica discende esattamente allo stesso modo comein B che

(19)

e

c (ϑl)

Axdx + Aydy + Azdz = n

h;

l’integrale va esteso su un ciclo di Larmor. Non importa nulla che l’ellisse di Keplerodopo un tale ciclo non ritorni affatto alla sua forma e giacitura di partenza.

Le formule (18) e (19) rappresentano solo una parte dell’esponente d’allun-gamento, e precisamente la (18) la parte elettrica, la (19) quella magnetica. Esse siriferiscono inoltre a intervalli temporali del tutto distinti ϑs e ϑl, nessuno dei quali costituisce un quasiperiodo del moto. Un quasiperiodo siffatto si realizzera in ge-nerale con una certa approssimazione per multipli assai elevati degli pseudoperiodiϑs e ϑl, che siano approssimativamente tra loro uguali, ovvero

nsϑs = nlϑl = ϑ.

Scegliamo ns esattamente intero, e invece nl in modo tale che la relazione prece-dente sia esattamente soddisfatta; moltiplichiamo la (18) per ns, la (19) per nl esottraiamo. Si ottiene

(20) e

(ϑ)

(V + V )dt − 1

c(Axdx + Aydy + Azdz)

= (nsn − nln)h.

A meno d’un fattore −γ −1 a primo membro si ha l’intero esponente d’allungamentoper il quasiperiodo ϑ; a secondo membro si ha un multiplo intero di h, intero con

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la stessa approssimazione con la quale ϑ si puo definire quasiperiodo. n e il con-sueto numero quantico magnetico, quindi, almeno per le orbite quantiche basse, unnumero intero piccolo; il piccolo scostamento di nl dall’interezza non sara sostanzial-mente accresciuto dalla moltiplicazione per n. (Non cosı per n; n e un numero assai

grande dell’ordine di grandezza del numero delle rivoluzioni di Keplero durante unperiodo di Stark; ma cio non cambia nulla, perche ns e esattamente intero e deveesser scelto cosı perche anche la fase si riproduca sull’orbita di Keplero.) - Parealquanto insoddisfacente a prima vista che per la derivazione della (20) si debbautilizzare solo una certa combinazione lineare delle due condizioni quantiche (18) e(19) “pure” (cioe necessarie per la determinazione dell’energia). Mi pare tuttaviache le (18) e (19) siano necessarie individualmente per assicurare che la (20) siasoddisfatta per ogni quasiperiodo. Infatti se per esempio ns = 7, nl = 12 dannoluogo ad un quasiperiodo, non ns = 70, nl = 120 ma, diciamo, ns = 69, nl = 118ne produrranno un altro, all’incirca dieci volte piu lungo. D’altra parte in taliconsiderazioni non si possono accettare multipli arbitrariamente grandi dei periodi

secolari, perche non intervengano termini quadratici nelle intensita di campo, nelqual caso trova un limite non solo la validita dei calcoli approssimati qui fatti, maanche la reale possibilita di definire fisicamente le orbite quantiche.

E. La variabilita relativistica della massa. Si e finora trascurato il fatto cheinterviene nei casi B, C, D, cioe che la perturbazione dovuta al campo esterno siasupposta grande rispetto alla “perturbazione” dell’orbita esattamente periodica diKeplero dovuta alla variabilita relativistica della massa. Se ora la teniamo in conto,gia l’atomo in assenza di forze ha due quasiperiodi, il periodo breve di Kepleroτ e il periodo ϑ della precessione del perielio. Per τ l’“interezza dell’esponented’allungamento” sara naturalmente garantita dalla stessa condizione quantica comenel caso non relativistico. Ci si chiede se ci o avvenga anche per ϑ. Si determini ϑ -

piu precisamente come quasiperiodo, cioe in modo tale che le coordinate e gli impulsisi riproducano con grande approssimazione; allora s’ottiene immediatamente incoordinate polari

(21)

t+ϑ

t

( prr + pϕϕ)dt = nh

[r, ϕ sono coordinate polari, pr, pϕ gli impulsi relativistici corrispondenti; la formula(21) e una combinazione lineare intera delle consuete condizioni quantiche “radiali”e “azimutali”, e precisamente il numero dei giri di ϕ e esattamente maggiore di1 del numero delle oscillazioni in r]. L’integrando e invariante per trasformazioni

puntuali, quindi anche in coordinate rettangolari vale

(21’)

t+ϑ

t

( pxx + pyy)dt = nh.

Poiche (xpx +ypy) ritorna ai suoi valori iniziali, al posto di questa possiamo scrivere

(21”)

t+ϑ

t

(x ˙ px + y ˙ py)dt = −nh,

˙ px, ˙ py anche nella meccanica relativa sono uguali a meno le derivate parziali dell’e-nergia potenziale; questa e

−eV ed omogenea di grado -1 in x, y. Quindi segue

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dalla (21”)

(21”’)

t+ϑ

t

eV dt = nh.

Con cio la validita della nostra legge per l’orbita relativistica imperturbata e di-mostrata.

L’effetto Zeeman, e noto, risulta molto facile con l’approccio relativistico9, si ag-giunge semplicemente la rosetta relativistica alla precessione di Larmor. Compaionoquindi due periodi secolari, come nel caso trattato in D di due campi paralleli. Latrattazione e cosı completamente analoga a quella data la, che la si risparmia deltutto - puo essere intuita senza calcoli e naturalmente conduce di nuovo alla con-ferma della nostra legge.

L’effetto Stark con relativita, che Kramers10 ha studiato qualche tempo fa in unlavoro assai bello, non l’ho ancora dimostrato secondo il punto di vista seguito qui -

tuttavia non si puo certo dubitare che risultino relazioni del tutto analoghe a quelledel caso D e dell’effetto Zeeman.Per quanto ne so, il caso D con la relativita non e stato studiato, sebbene esso

(a causa della sua simmetria di rotazione) debba portare a orbite ben definite. Maesso offre un interesse assai limitato.

Discussione del risultato.

Riassumendo, abbiamo la seguente situazione. Se l’elettrone portasse con selungo l’orbita un “segmento”, che venisse trasportato senza modifiche a causa delmoto, allora, se si partisse da un punto qualsiasi dell’orbita, la lunghezza di questosegmento apparirebbe moltiplicata sempre per una potenza ad esponente con grande

approssimazione intero di

(22) ehγ ,

al ritorno dell’elettrone con grande precisione al punto di partenza e simultanea-mente nello stato di moto iniziale.

Risulta difficile credere che questo risultato sia esclusivamente una conseguenzamatematica casuale delle condizioni quantiche e non abbia un significato fisico piuprofondo. La forma alquanto imprecisa della legge approssimata con la quale essoci si presenta non cambia nulla; sappiamo infatti che le orbite quantiche gia fisica-mente non sono definite con precisione totale11 per due motivi: in primo luogo perla forza di reazione della radiazione, che sicuramente non esiste nella forma pre-

scritta dall’elettrodinamica classica, ma alla quale dal punto di vista della teoria deiquanti corrisponde altrettanto sicuramente qualcosa di ugual ordine di grandezza,altrimenti il tempo di decadimento non si potrebbe calcolare correttamente dal prin-cipio di corrispondenza12. Ma in secondo luogo un’indeterminazione delle orbitequantiche deriva anche dal fatto che nella maggior parte dei casi il moto e condizio-natamente periodico solo con una certa approssimazione [per esempio nell’effetto

9Trattato per la prima volta da A. Sommerfeld, Phys. ZS. 17, 491, 1916 e P. Debye, ibidem,p. 507.

10ZS. f. Phys. 3, 199, 1920.11Bohr, l.c., pp. 50, 61, 66, 97.12A. Sommerfeld e W. Heisenberg, ZS. f. Phys. 10, 393, 1922.

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9

Zeeman i termini quadratici nell’intensita di campo devono per principio esseretrascurati; ed anche l’effetto Stark, se si tien conto della correzione relativistica,non appartiene piu ai problemi rigorosamente separabili13].

Che l’elettrone porti davvero con se nel suo moto un qualche “segmento” e piu

che discutibile. E assai piu probabile che esso lo “instauri” continuamente nel sensodi Weyl14 durante il suo moto. Si puo vedere che il significato della nostra legge vacercato nel fatto che all’elettrone non e consentito qualsiasi ritmo di instaurazione,ma che questo deve risultare invece da una certa dipendenza dal ciclo orbitalequasiperiodico.

Ci si sente tentati di indovinare quale valore debba avere la costante universaleγ . Ci sono ben familiari due costanti universali con la dimensione di un’azione, cioeh ed e2/c (io per parte mia sono convinto che esse non siano indipendenti). Se fosseγ ≈ e2/c, il fattore universale (22) sarebbe un numero assai grande15 dell’ordinedi grandezza di e1000. L’altra possibilita, γ ≈ h, suggerisce l’idea se per γ non siapensabile il valore immaginario puro

γ =h

2π√−1

,

di modo che il fattore universale (22) sarebbe uguale all’unita e la lunghezza di unsegmento trasportato verrebbe riprodotta dopo ogni quasiperiodo. - Non mi sentodi decidere se una cosa simile potrebbe aver senso nella geometria d’universo diWeyl.

Del resto e naturale pensare che e,h,c non sono le sole costanti universali checonosciamo. Se si tira in ballo la (consueta) costante di gravitazione k ed unaqualche massa universale, per esempio la massa dell’elettrone, allora16

e2

km2= numero puro ≈ 10+40.

Quindihe2

km2

e un “quanto d’azione universale” dell’ordine di grandezza 10+13 ergsec. - Ma inproposito ricorderemo soltanto che dalle sole considerazioni dimensionali in questamateria non si puo cavar proprio nulla.

Arosa, 3 ottobre 1922.

13H.A. Kramers, ZS. f. Phys. 3, 201, 1920.14Weyl, RZM, p . 280.152πe2/(hc) e la cosidetta costante di struttura fine, uguale a 7, 29× 10−3.16Vedasi anche Weyl, RZM, p. 238.

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Quantizzazione come problema agli autovalori1

E. Schrodinger

(prima comunicazione)

§1. In questa comunicazione posso anzitutto mostrare nel caso piu semplicedell’atomo di idrogeno (non relativistico e imperturbato) che la consueta prescri-zione di quantizzazione si puo sostituire con un altro requisito, nel quale non siparla piu di “numeri interi”. Invece l’interezza compare nello stesso modo naturale,come l’interezza del numero dei nodi di una corda musicale oscillante. La nuova in-terpretazione e passibile di generalizzazione e, come credo, giunge assai in profondonella vera essenza delle prescrizioni quantiche.

La forma consueta di queste ultime e associata all’equazione differenziale allederivate parziali di Hamilton:

(1) H

q,

∂S

∂q

= E.

Si cerchera una soluzione di questa equazione che si rappresenti come somma difunzioni ciascuna di una delle variabili indipendenti q.

Introduciamo ora per S una nuova incognita ψ in modo tale che ψ risulti comeun prodotto delle funzioni delle singole coordinate che intervengono. Poniamo cioe

(2) S = K lg ψ.

La costante K si deve introdurre per ragioni dimensionali; essa ha le dimensionidi un’azione. Si ottiene quindi

(1’) H

q,

K

ψ

∂ψ

∂q

= E.

Ora non cerchiamo una soluzione dell’equazione (1’), ma imponiamo il seguenterequisito. L’equazione (1’) sempre, quando si trascuri la variabilita della massa, etenendo conto di questa almeno quando si tratti del problema a un elettrone, si puoportare nella forma: espressione quadratica di ψ e delle sue derivate prime = 0.Cerchiamo le funzioni reali ψ nell’intero spazio delle configurazioni a un sol valore,

finite e due volte ovunque differenziabili, che rendono estremo l’integrale della formaquadratica suddetta2 esteso all’intero spazio delle configurazioni. Sostituiamo lecondizioni quantiche con questo problema variazionale.

Sostituiremo ad H la funzione di Hamilton del moto di Keplero e mostreremo cheil requisito proposto puo essere soddisfatto per tutti i valori positivi , ma soltanto perun insieme discreto di valori di E negativi . Cioe il problema variazionale suddettoha uno spettro di autovalori discreto ed uno continuo. Lo spettro discreto cor-risponde ai termini di Balmer, quello continuo alle energie delle orbite iperboliche.Perche si abbia accordo numerico, K deve assumere il valore h/2π.

1Quantisierung als Eigenwertproblem, Annalen der Physik 79, 361-376 (1926).2Non mi sfugge che questa formulazione non e del tutto univoca.

1

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2

Poiche per la formulazione delle equazioni variazionali la scelta delle coordinate eirrilevante, scegliamo quelle cartesiane ortogonali. Allora la (1) si scrive nel nostrocaso (e, m sono la carica e la massa dell’elettrone):

(1”)

∂ψ

∂x

2

+

∂ψ

∂y

2

+

∂ψ

∂z

2

− 2m

K 2

E +

e2

r

ψ2 = 0.

r =

x2 + y2 + z2.

Il nostro problema variazionale si scrive

(3) δJ = δ

dxdydz

∂ψ

∂x

2

+

∂ψ

∂y

2

+

∂ψ

∂y

2

− 2m

K 2

E +

e2

r

ψ2

= 0;

l’integrale si estende sull’intero spazio. Da qui si trova in modo noto

(4)1

2δJ =

dfδψ

∂ψ

∂n−

dxdydzδψ

∆ψ +

2m

K 2

E +

e2

r

ψ

= 0.

Si deve quindi avere in primo luogo

(5) ∆ψ +2m

K 2

E +

e2

r

ψ = 0

e in secondo luogo si deve avere per l’integrale esteso ad una superficie chiusa

all’infinito

(6)

dfδψ

∂ψ

∂n= 0.

(Risultera che secondo quest’ultimo requisito il nostro problema variazionale vacompletato con una prescrizione riguardo al comportamento di δψ all’infinito, perla quale lo spettro di autovalori continuo prima dichiarato esiste realmente. Suquesto vedi in seguito).

La soluzione della (5) si puo effettuare (per esempio) nelle coordinate spaziali r,ϑ, ϕ, assumendo che ψ sia il prodotto di una funzione di r per una di ϑ per una

di ϕ. Il metodo e abbastanza noto: Per la dipendenza dagli angoli polari si ottieneuna funzione sferica , per la dipendenza da r - indicheremo la funzione con χ - siottiene facilmente l’equazione differenziale:

(7)d2χ

dr2+

2

r

dr+

2mE

K 2+

2mE 2

K 2r− n (n + 1)

r2

χ = 0.

n = 0, 1, 2, 3 . . . .

La restrizione a valori interi di n e notoriamente necessaria , perche la dipendenzadagli angoli polari sia univoca . - Abbiamo bisogno di soluzioni della (7) che risultino

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3

finite per tutti i valori reali non negativi di r. Ora l’equazione (7) ha3 nel piano rcomplesso due singolarita, per r = 0 e r = ∞, delle quali la seconda e un “punto diindeterminazione” (punto singolare essenziale) per tutti gli integrali, la prima inveceno (per nessun integrale). Queste due singolarita costituiscono proprio gli estremi

del nostro intervallo reale. In un tal caso si vede che la condizione di finitezza negliestremi si traduce per la funzione χ in una condizione al contorno. L’equazionenon ha in generale nessun integrale che risulti finito in entrambi gli estremi, maun tale integrale esiste solo per certi valori particolari delle costanti che compaiononell’equazione. Si tratta di determinare questi valori particolari.

La circostanza ora menzionata e il punto di partenza dell’intera ricerca.Trattiamo prima il punto singolare r = 0. La cosidetta equazione fondamentale

risolvente, che determina il comportamento dell’integrale in questo punto e

(8) ρ (ρ− 1) + 2ρ− n (n + 1) = 0

con le radici

(8’) ρ1 = n, ρ2 = −(n + 1).

I due integrali canonici in questo punto corrispondono quindi agli esponenti n e−(n + 1). Di questi, poiche n e non negativo, solo il primo e utilizzabile pernoi. Poiche corrisponde agli esponenti piu grandi , esso sara rappresentato conuna consueta serie di potenze, che comincia con rn. (L’altro integrale, che nonci interessa, puo, a causa della differenza intera tra gli esponenti, contenere unlogaritmo). Poiche il punto singolare piu vicino sta all’infinito, la suddetta serie dipotenze converge uniformemente e costituisce una trascendente. Affermiamo:

La soluzione cercata (a meno di un fattore costante inessenziale) e una trascen-

dente determinata univocamente, che in r = 0 corrisponde all’esponente n.Si tratta ora di trovare il comportamento di questa funzione all’ infinito dell’asse

reale positivo. Per cio semplifichiamo l’equazione (7) mediante la sostituzione

(9) χ = rαU,

dove α sara scelto in modo tale che il termine con 1/r2 sparisca. Per questo α deveavere uno dei due valori n, − (n + 1), come si verifica facilmente. L’equazione (7)assume la forma:

(7’)d2U

dr2+

2(α + 1)

r

dU

dr+

2m

K 2 E +e2

r U = 0.

I suoi integrali corrispondono per r = 0 agli esponenti 0 e −2α − 1. Per il primovalore di α, α = n, il primo, per il secondo valore di α, α = −(n + 1), il secondodi questi integrali e trascendente e porta secondo la (9) alla soluzione cercata , chee proprio univoca. Non trascuriamo nulla se ci restringiamo ad uno dei due valoridi α. Scegliamo

(10) α = n.

3Per la guida nella trattazione dell’equazione (7) sono debitore di moltissimi ringraziamentia Hermann Weyl. Rimando per le affermazioni nel seguito non dimostrate a L. Schlesinger,Differentialgleichungen (Collana Schubert Nr. 13, Goschen 1900, in particolare Cap. 3 e 5.)

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4

La nostra soluzione corrisponde quindi per r = 0 all’esponente 0. I matematiciindicano l’equazione (7’) come equazione di Laplace. Il tipo generale e

(7”) U +

δ0 + δ1r

U +

ε0 + ε1

r

U = 0.

Nel nostro caso le costanti hanno i valori

(11) δ0 = 0, δ1 = 2 (α + 1) , ε0 =2mE

K 2, ε1 =

2me2

K 2.

Questo tipo di equazione e relativamente facile da trattare perche la cosidettatrasformazione di Laplace, che in generale da ancora un’equazione del second’ ordine,in questo caso porta ad una del prim’ ordine, che e risolubile mediante quadrature.Cio permette una rappresentazione delle soluzioni della (7”) mediante integrali incampo complesso. Riporto qui solo il risultato4. L’integrale

(12) U =

L

ezr(z − c1)α1−1(z − c2)α2−1dz

e una soluzione della (7”) per un cammino d’integrazione L per il quale

(13)

L

d

dz[ezr (z − c1)

α1 (z − c2)α2 ] dz = 0.

Le costanti c1, c2, α1, α2 hanno i seguenti valori. c1 e c2 sono le radici dell’equazionequadratica

(14) z2 + δ0z + ε0 = 0

e

(14’) α1 =ε1 + δ1c1

c1 − c2, α2 =

ε1 + δ1c2c2 − c1

.

Nel caso dell’equazione (7’) sara per le (11) e (10)

(14”)c1 = +

−2mE K 2

, c2 = − −2mE

K 2;

α1 =me2

K √−2mE

+ n + 1, α2 = − me2

K √−2mE

+ n + 1.

La rappresentazione integrale (12) non permette soltanto di cogliere il compor-tamento asintotico del complesso delle soluzioni quando r va all’infinito in mododeterminato, ma anche di dare questo comportamento per una soluzione determi-nata , il che e sempre molto piu difficile.

4Vedi L. Schlesinger, l.c.. La teoria si deve a H. Poincare e a J. Horn.

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e la (17) cresce oltre ogni limite per r = ∞, mentre U 2 si annulla esponenzialmente.La nostra trascendente (e lo stesso vale per χ) restera finita quando e solo quandoU e identica ad U 2 a meno di un fattore numerico. Ma questo non succede. Losi riconosce cosı: si scelga nella (12) per il cammino d’integrazione L un cammino

chiuso che circondi entrambi i punti c1 e c2, cammino che per l’interezza della sommaα1+α2 e realmente un cammino chiuso sulla superficie riemanniana dell’integrando,dunque eo ipso soddisfa la condizione (13), cosicche si puo dimostrare facilmente chel’integrale (12) rappresenta la nostra trascendente U . Esso si puo infatti svilupparein una serie di potenze positive di r, che converge sempre per r sufficientementepiccolo, percio soddisfa l’equazione differenziale (7’), quindi deve coincidere conquella di U . Allora: U e rappresentato dalla (12), quando L e un cammino chiusoattorno ad entrambi i punti c1 e c2. Questo cammino chiuso si puo deformare inmodo che risulti costruito per combinazione additiva dei due cammini d’integrazioneche corrispondono a U 1 e U 2, e in particolare con fattori non nulli , cioe 1 e exp 2πiα1.Pertanto U non puo coincidere con U 2, ma deve contenere anche U 1. C.v.d..

La nostra trascendente U , che sola interviene nelle soluzioni della (7’) per lasoluzione del problema, con le assunzioni fatte non rimane finita per r grandi. - Conriserva della ricerca della completezza , cioe della prova che il nostro procedimentofa trovare tutte le soluzioni del problema linearmente indipendenti, possiamo quindiaffermare:

Per E negativi, che non soddisfano la condizione (15), il nostro problema varia-zionale non ammette soluzione.

Dobbiamo ora studiare solo quell’insieme discreto di valori di E negativi chesoddisfano la condizione (15). Allora α1 ed α2 sono entrambi interi. Dei duecammini di integrazione, che ci hanno prodotto prima il sistema fondamentale U 1,U 2, il primo deve essere sicuramente mutato, per dar luogo a un risultato non

nullo. Poiche α1 − 1 e sicuramente positivo, il punto c

1

non e ne un punto didiramazione ne un polo dell’integrando, ma un normale punto di zero. Anche c2puo essere regolare, quando cioe anche α2−1 non e negativo. In ogni caso si possonofacilmente dare due cammini di integrazione adatti e l’integrazione si puo ricondurrea quella in forma chiusa di funzioni note, di modo che si puo completamente cogliereil comportamento delle soluzioni.

Sia infatti

(15’)me2

K √−2mE

= 1; l = 1, 2, 3, 4 . . .

Allora secondo la (14”)

(14”’) α1 − 1 = l + n, α2 − 1 = −l + n.

Si hanno ora da distinguere i due casi l ≤ n e l > n. Siaa) l ≤ n. Allora c1 e c2 perdono ogni carattere singolare, e acquistano la capacita

di fungere da punto iniziale o finale del cammino d’integrazione per soddisfarela condizione (13). Un terzo punto adatto per questo e l’infinito reale negativo.Ogni cammino tra due di questi tre punti produce una soluzione, e di queste tresoluzioni due sono linearmente indipendenti, come si verifica facilmente, quando sicalcoli l’integrale in forma chiusa. In particolare l’intera funzione trascendente saradata mediante il cammino d’integrazione tra c1 e c2. Che questo integrale rimangaregolare per r = 0 lo si riconosce immediatamente, senza calcolarlo. Osservo questo,

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perche il calcolo effettivo e piuttosto adatto a nascondere questa circostanza. Dicontro esso mostra che l’integrale per r positivo infinitamente grande cresce oltreogni limite. Resta finito per grandi r uno dei due altri integrali, ma quello che einfinito per r = 0.

Nel caso l ≤ n non otteniamo quindi nessuna soluzione.b) l > n. Allora secondo la (14”’) c1 e un punto di zero, c2 un polo almeno

del prim’ordine dell’integrando. Si possono dare quindi due integrali indipendenti:quello lungo il cammino che da z = −∞, evitando per precauzione il polo, porta alpunto di zero; l’altro attraverso il residuo nel polo. Quest’ultimo e la trascendente.Daremo il suo valore calcolato, moltiplicato per rn, di modo che otteniamo secondole (9) e (10) la soluzione χ dell’equazione (7) considerata originariamente. (Lacostante moltiplicativa irrilevante e aggiustata liberamente). Si trova

(18) χ = f r

√−2mE

K ; f (x) = xne−xl−n−1

k=0

(−2x)k

k! l + n

l− n− 1− k .

Si riconosce che questa e veramente una soluzione utilizzabile, poiche essa restafinita per tutti gli r reali non negativi. Inoltre mediante il suo andare a zero espo-nenzialmente all’infinito la condizione di superficie (8) e garantita. Riassumiamo irisultati per E negativo:

Per E negativo il nostro problema variazionale ha soluzione quando e solo quandoE soddisfa la condizione (15). Al numero intero n, che da l’ordine della funzionesferica che compare nella soluzione, si possono dare sempre solo valori minori di l(di essi sempre almeno uno e disponibile). La parte della soluzione dipendente da r e data dalla (18).

Contando le costanti nelle funzioni sferiche (notoriamente 2n+1) si trova inoltre:

La soluzione trovata contiene per una combinazione (l, n) consentita 2n + 1costanti arbitrarie; per un dato valore di l quindi l2 costanti arbitrarie.

Abbiamo con questo confermato nelle linee essenziali le affermazioni fatte all’i-nizio, ma restano tuttavia delle lacune.

In primo luogo la prova della completezza del sistema complessivo di autofunzionitrovato. Di cio non mi occupero in questa Nota. Secondo evidenze per altra via sipuo supporre che non abbiamo tralasciato nessun autovalore.

In secondo luogo bisogna ricordare che le autofunzioni trovate per E positivo nonrisolvono senz’altro il problema variazionale nella forma che e stata data all’inizio,poiche esse vanno a zero all’infinito solo come 1/r, e ∂ψ/∂r va a zero su una sferagrande solo come 1/r2. L’integrale di superficie (6) risulta quindi proprio dell’ordine

di δψ all’infinito. Se si vuole quindi davvero tenere lo spettro continuo, si deveaggiungere al problema una condizione: che δψ si annulli all’infinito, o almeno chedebba tendere ad un valore costante, indipendente dalla direzione nella quale si vaall’infinito spaziale; in quest’ultimo caso le funzioni sferiche portano all’annullarsidell’integrale di superficie.§2. La condizione (15) da

(19) −E l =me4

2K 2l2.

Si hanno quindi i ben noti livelli d’energia di Bohr, che corrispondono ai termini diBalmer, quando si attribuisca alla costante K , che dobbiamo introdurre nella (2)

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per ragioni dimensionali, il valore

(20) K =h

2π.

Allora risulta proprio

(19’) −E l =2π2me4

h2l2.

Il nostro l e il numero quantico principale. n + 1 e analogo al numero quanticoazimutale; l’ulteriore suddivisione di questo numero con la determinazione piu pre-cisa delle funzioni sferiche si puo porre in analogia con la suddivisione del numeroquantico azimutale in un quanto “equatoriale” e in uno “polare”. Questi numerideterminano qui il sistema delle linee nodali sulla sfera. Anche il “numero quanticoradiale”, l − n− 1, determina proprio il numero di “sfere nodali”, poiche ci si per-suade facilmente che la funzione f (x) nella (18) ha proprio l

−n−

1 radici reali. -I valori di E positivi corrispondono al continuo delle orbite iperboliche, alle qualisi puo assegnare in un certo senso il numero quantico ∞. Cio corrisponde al fattoche, come abbiamo visto, le funzioni delle soluzioni corrispondenti si estendonoverso l’infinito oscillando costantemente.

E interessante che la regione entro la quale le funzioni (18) sono sensibilmentediverse da zero, ed entro la quale avvengono le loro oscillazioni, e sempre dell’ordinedi grandezza generale dell’asse maggiore della corrispondente ellisse. Il fattore,moltiplicato per il quale il raggio vettore compare come argomento della funzionef priva di costanti e - evidentemente - il reciproco di una lunghezza, e questalunghezza e

(21)K √−2mE

=K 2l

me2=

h2l

4π2me2=

all

,

dove al e il semiasse dell’orbita ellittica l-esima. (Le equazioni derivano dalla (19)

assieme alla nota condizione E l = − e2

2al

). La quantita (21) da l’ordine di grandezzadella regione delle radici per l e n numeri piccoli; allora si puo assumere che leradici di f (x) abbiano ordine di grandezza uno. Naturalmente cio non accade piuquando i coefficienti del polinomio siano numeri grandi. Non posso ora addentrarmiin una stima piu precisa delle radici, ma credo che l’affermazione precedente sarasostanzialmente confermata.

§3. E evidentemente assai naturale associare la funzione ψ a un processo di

oscillazione nell’atomo, che gli si adatta in maggior misura della oggi assai dubitatarealta delle traiettorie elettroniche. Avevo originariamente l’intenzione di fondarela nuova forma della prescrizione quantica in questo modo piu intuitivo, ma hopresentato poi la forma matematica neutrale di cui sopra, perche essa fa risaltarel’essenziale in modo piu chiaro. E l’essenziale mi pare sia che nella prescrizionequantica non si abbia piu la misteriosa “condizione di interezza”, ma che questasia per cosı dire conseguenza di un ulteriore passo: essa si fonda sulla finitezza esull’univocita di una certa funzione spaziale.

Non posso ancora inoltrarmi nella discussione delle possibilita di rappresen-tazione riguardo a questo processo di oscillazione, prima che casi abbastanza com-plicati siano trattati con successo con la nuova idea. Non e certo che questi nei

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loro risultati siano una pura copia della consueta teoria quantistica. Per esempio ilproblema di Keplero relativistico, quando lo si tratta esattamente secondo la pre-scrizione data all’inizio, porta stranamente a quanti frazionari seminteri (quantoradiale e azimutale).

Tuttavia siano permesse qui alcune osservazioni sul processo di oscillazione. Tral’altro non posso non menzionare che io devo ringraziare per lo spunto a questeriflessioni in primo luogo la tesi geniale di Louis de Broglie6 e le considerazionisull’andamento spaziale di quelle “onde di fase”, riguardo alle quali egli ha di-mostrato che, se contate lungo la traiettoria, se ne ha sempre un numero intero perun periodo o quasiperiodo dell’elettrone. La differenza principale sta nel fatto chede Broglie pensa ad onde progressive, mentre noi, quando attribuiamo alle nostreformule il significato di un processo di oscillazione, siamo condotti a oscillazioniproprie stazionarie. Ho mostrato da poco7 che si puo fondare la teoria di Einsteindei gas sulla considerazione di tali oscillazioni proprie stazionarie, per le quali sisupponga la legge di dispersione delle onde di fase di de Broglie. La precedente

trattazione per l’atomo si potrebbe considerare come generalizzazione di quelleconsiderazioni sul modello dei gas.

Se si assume che le singole funzioni (18), moltiplicate per un’armonica sferica diordine n, descrivano il processo di oscillazione propria, allora la quantita E deveavere qualche cosa a che fare con la frequenza del processo considerato. Ora e notoche nei problemi di oscillazione il “parametro” (di solito chiamato λ) e proporzionaleal quadrato della frequenza. Ma in primo luogo una tale ipotesi nel caso presenteporterebbe per valori di E negativi a frequenze immaginarie, in secondo luogo alteorico dei quanti l’intuito dice che l’energia dev’essere proporzionale alla frequenzae non al suo quadrato.

La contraddizione si risolve nel modo seguente. Per il “parametro” E dell’equa-

zione variazionale (5) non e fissato per ora nessun livello di zero naturale, in parti-colare perche la funzione incognita ψ, oltre che per E appare moltiplicata per unafunzione di r che, per la corrispondente variazione del livello di zero di E , puo esserevariata di una costante. Di conseguenza l’“aspettativa dei teorici delle oscillazioni”si deve correggere cosı, che ci si aspetta che non E di per se - come l’abbiamo chia-mato e come continueremo a chiamarlo - ma E accresciuto di una certa costantesia proporzionale al quadrato della frequenza. Sia ora questa costante assai granderispetto a tutti i possibili valori di E [che sono fissati dalla (15)]. Allora in primoluogo le frequenze sono reali, e in secondo luogo i nostri valori di E , che corrispon-dono solo a relativamente piccole separazioni in frequenza, sono di fatto con grandeapprossimazione proporzionali a queste separazioni. Questo e tutto quello che il“naturale intuito” dei teorici dei quanti puo pretendere, fin tanto che il livello dizero dell’energia non e fissato. L’idea che la frequenza del processo oscillatorio siadata all’incirca da

(22) ν = C √

C + E = C √

C + C E/2√

C + . . .

dove C e una costante assai grande rispetto a tutti gli E , ha tuttavia un’altra assainotevole proprieta. Essa permette una comprensione della regola delle frequenze di

6L. de Broglie, Ann. de Physique (10) 3, 22, 1925 (Theses, Paris 1924)7Appare tra poco su Physik. Zeitschr.

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Bohr . Secondo quest’ultima le frequenze di emissione sono proporzionali alle dif- ferenze di E , e quindi per la (22) anche alle differenze tra le frequenze proprie ν diquell’ipotetico processo oscillatorio. E inoltre le frequenze proprie sono tutte assaigrandi rispetto alle frequenze di emissione, sono quasi accordate tra loro. Le fre-

quenze di emissione appaiono allora in sostanza come “suoni di battimento” bassidelle oscillazioni proprie stesse che avvengono con frequenza assai piu alta. Chedurante il passaggio dell’energia da una ad un’altra oscillazione normale qualcosa - intendo l’onda luminosa - appaia, che abbia come frequenza quella differenza difrequenze, e assai comprensibile; e necessario solo immaginare che l’onda luminosasia accoppiata causalmente con i battimenti che necessariamente si verificano in ognipunto dello spazio durante la transizione, e che la frequenza della luce sia determi-nata dal numero di volte al secondo con il quale si ripete il massimo d’intensita delprocesso di battimento.

Si possono sollevare dubbi, poiche questa conclusione si fonda sulla relazione(22) nella sua forma approssimata (mediante sviluppo della radice quadrata), per

cui la regola delle frequenze di Bohr assume apparentemente il carattere di unaformula di approssimazione. Cio e solo apparente, ed e completamente evitatoquando si sviluppi la teoria relativistica , mediante la quale e veramente consentitauna comprensione piu profonda. La grande costante additiva C in modo natu-rale si identifica strettamente con l’energia di riposo mc2 dell’elettrone. Anchel’apparentemente ripetuta e indipendente introduzione della costante h [quella chee stata introdotta mediante la (20)] nella regola delle frequenze e chiarita o evitatamediante la teoria relativistica. Ma purtroppo il suo sviluppo rigoroso e provvisorioper certe difficolta prima ricordate.

Non e necessario rilevare quanto piu simpatica sarebbe l’idea che in una tran-sizione quantica l’energia passi da un modo di oscillazione ad un altro, dell’idea

dell’elettrone che salta. La variazione del modo di oscillare si puo seguire con con-tinuita nello spazio e nel tempo, essa puo ben durare a piacimento, come secondol’esperienza (esperimento dei raggi canale di W. Wien) dura il processo di emis-sione: e tuttavia accade che, se durante queste transizioni l’atomo e esposto per untempo relativamente corto ad un campo elettrico, le frequenze proprie cambiano,parimenti risultano cambiate le frequenze di battimento, e questo proprio fin tantoche il campo agisce. Questi fatti sperimentalmente accertati opponevano finoraalla comprensione le piu grandi difficolta, si veda per esempio il noto tentativo disoluzione di Bohr-Kramers-Slater.

D’altra parte, nella gioia per il fatto che l’uomo si avvicini a tutte queste cose,non si puo dimenticare che l’idea che l’atomo oscilli, quando non irraggia, di voltain volta nella forma di una oscillazione propria, che quest’idea, dico, si discosta

assai dall’immagine naturale di un sistema oscillante. E noto infatti che un sistemamacroscopico non si comporta cosı, ma mostra un potpourri delle sue oscillazioniproprie. Ma non si puo decidere prematuramente la propria opinione su questopunto. Anche un potpourri di frequenze proprie nel singolo atomo non andrebbeescluso, purche non compaiano altre frequenze di battimento che quelle della cuiemissione l’atomo secondo l’esperienza e capace in date circostanze. Inoltre nessunesperimento contraddice la possibile emissione simultanea di piu d’una di questerighe spettrali da parte dello stesso atomo. Si puo ben pensare che solo nellostato fondamentale (e in modo approssimato in certi stati “metastabili”) l’atomooscilli con una frequenza propria e proprio per questo non irraggi, perche non si haalcun battimento. L’eccitazione consisterebbe in una attivazione simultanea di una

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o piu ulteriori frequenze proprie, per cui si verificano battimenti, che provocanol’emissione di luce.

In ogni caso penso che le autofunzioni che appartengono ad una stessa frequenzasiano tutte eccitate simultaneamente. La molteplicita degli autovalori corrisponde

infatti nel linguaggio della teoria precedente alla degenerazione. La riduzione dellaquantizzazione di un sistema degenere potrebbe corrispondere all’arbitraria ripar-tizione dell’energia tra le autofunzioni che appartengono ad un autovalore.

Aggiunta alla correzione del 28 II 1926.

Nel caso della meccanica classica di sistemi conservativi il procedimento varia-zionale si puo formulare meglio di come mostrato all’inizio, senza riferirsi alloscopo all’equazione differenziale alle derivate parziali di Hamilton. Siano T (q, p)l’energia cinetica in funzione delle coordinate e dell’impulso, V l’energia potenziale,dτ l’elemento di volume dello spazio delle configurazioni “misurato razionalmente”,cioe non semplicemente il prodotto dq1dq2 . . . d qn, ma questo diviso per la radice

quadrata del discriminante della forma quadratica T (q, p). (Vedi Gibbs, StatistischeMechanik.) Allora ψ dovra rendere stazionario l’“integrale hamiltoniano”

(23)

K 2T

q,

∂ψ

∂q

+ ψ2V

sotto la condizione aggiuntiva normalizzante

(24)

ψ2dτ = 1.

Gli autovalori di questo problema variazionale sono notoriamente i valori stazionari

dell’integrale (23) e forniscono secondo la nostra tesi i livelli quantici dell’energia .Riguardo alla (14”) si osservi che nella quantita α2 si ha essenzialmente la nota

espressione −B/A1/2 + C 1/2 di Sommerfeld (vedi “Atombau”, IV ed., pag. 775).

Zurich, Physikalische Institut der Universitat.

(ricevuto il 27 gennaio 1926.)

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Quantizzazione come problema agli autovalori1

E. Schrodinger

(seconda comunicazione)2

§1. L’analogia di Hamilton tra meccanica ed ottica.

Prima di dedicarci a trattare il problema agli autovalori della teoria dei quantiper ulteriori sistemi particolari chiariremo meglio la connessione generale che sus-siste tra l’equazione differenziale alle derivate parziali di Hamilton di un problemameccanico e la “corrispondente” equazione d’onda , cioe nel caso del problema di Ke-plero l’equazione (5) della prima comunicazione. Avevamo descritto questa connes-sione provvisoriamente solo in breve nella sua struttura analitica esterna mediantela trasformazione (2) di per se incomprensibile e con l’altrettanto incomprensibilepassaggio dal porre a zero una espressione all’ingiunzione che l’integrale spazialedella suddetta espressione debba essere stazionario3.

La connessione interna della teoria di Hamilton con il processo di propagazioneondosa non e per niente nuova. Non solo era ben nota ad Hamilton stesso, ma hacostituito per lui il punto di partenza della sua teoria della meccanica, che e sor-tita dalla sua ottica dei mezzi disomogenei 4. Il principio variazionale di Hamiltonpuo essere inteso come principio di Fermat per una propagazione ondosa nellospazio delle configurazioni (spazio-q), cioe l’equazione differenziale alle derivateparziali di Hamilton esprime il principio di Huygens per questa propagazione on-dosa. Purtroppo questo ambito di idee di Hamilton, potente e gravido di con-seguenze, nella maggior parte delle ripresentazioni moderne viene spogliato dellasue veste intuitiva come di un accessorio superfluo a favore di una rappresentazionepiu incolore delle relazioni analitiche5.

Consideriamo il problema generale della meccanica classica di sistemi conserva-tivi. L’equazione differenziale alle derivate parziali di Hamilton completa si scrive:

(1)∂W

∂t+ T

qk,

∂W

∂qk

+ V (qk) = 0.

1Quantisierung als Eigenwertproblem, Annalen der Physik 79, 489 (1926).2Vedi questi Annali 79, 361, 1926. Per la comprensione non e incondizionatamente necessario

leggere la prima comunicazione prima della seconda.3Questo procedimento di calcolo non sara piu seguito nella presente comunicazione. Esso

doveva servire solo per un’orientazione grossolana provvisoria sulla connessione esterna tra l’equa-zione d’onda e l’equazione differenziale alle derivate parziali di Hamilton. Rispetto alla funzioned’azione di un determinato moto la ψ non sta realmente nella relazione assunta nell’ equazione(2) della prima comunicazione. - Invece la connessione tra l’equazione d’onda e il risultato dellavariazione e evidentemente assai reale: l’integrando dell’integrale stazionario e la funzione diLagrange per il processo ondulatorio.

4Vedasi per esempio E.T. Whittaker, Analitische Dynamik (edizione tedesca presso Springer,1924) Cap. 11, pp. 306 e seguenti.

5Felix Klein dall’estate 1891 nelle sue lezioni sulla meccanica ha riproposto la teoria di Jacobisviluppandola da considerazioni quasi-ottiche in spazi superiori non euclidei. Vedasi F. Klein,Jahresber. d. Deutsch. Math. Ver. 1, 1891 e Ztschr. f. Math. und Phys. 46, 1901. (Ges.Abh. pp. 601 e 603). Nella seconda nota Klein afferma con un leggero rimprovero che la suapresentazione alla riunione degli scienziati ad Halle, nella quale egli dieci anni prima aveva es-posto questa connessione e aveva sottolineato il grande significato delle considerazioni ottiche diHamilton, “non aveva ricevuto tutta l’attenzione che mi sarei aspettato”. - Devo l’indicazioneriguardo a Klein ad una amichevole comunicazione per lettera del Prof. Sommerfeld. Vedi anche“Atombau”, IV ed., pag. 803.

1

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2

W e la funzione d’azione, cioe l’integrale rispetto al tempo della funzione di La-grange T −V lungo un cammino del sistema in funzione della posizione finale e deltempo. qk rappresenta le coordinate di posizione, T e l’energia cinetica in funzionedelle coordinate di posizione e di quelle d’impulso, una funzione quadratica delle

seconde, al posto delle quali secondo la prescrizione sono state introdotte le derivateparziali di W rispetto a qk. V e l’energia potenziale. Per risolvere l’equazione si fal’ipotesi

(2) W = −Et + S (qk) ,

per la quale la stessa diventa

(1’) 2T

qk,

∂W

∂qk

= 2 (E − V ) .

E e una prima costante d’integrazione arbitraria e notoriamente significa l’energiadel sistema. In contrasto con l’uso comune abbiamo lasciato nella (1’) la funzioneW stessa, invece di introdurre al suo posto, come d’abitudine, la funzione dellecoordinate S indipendente dal tempo. Questa e una pura esteriorita.

Il contenuto dell’equazione (1’) si puo esporre ora in modo assai semplice se siutilizza il modo di esprimersi di Heinrich Hertz. Esso risulta, come tutte le asserzionigeometriche nello spazio delle configurazioni (spazio delle variabili qk), partico-larmente semplice e chiaro se si introduce in questo spazio per mezzo dell’energiacinetica del sistema una metrica non euclidea. Se T e l’energia cinetica in funzionedelle velocita qk, non degli impulsi come prima, si pone per l’elemento di linea

(3) ds2 = 2T (qk, q·

k) dt2.

Il secondo membro contiene dt solo esteriormente; esso indica (mediante qkdt = dqk)una forma quadratica di dqk.

E noto che con questa definizione si puo, di concetti come: angolo tra due e-lementi di linea, ortogonalita, divergenza e rotore di un vettore, gradiente di unoscalare, operatore di Laplace (= div grad) per uno scalare, ed altro, fare lo stessosemplice uso come nello spazio euclideo tridimensionale, si puo impunemente uti-lizzare nei ragionamenti la rappresentazione euclidea tridimensionale; soltanto leespressioni analitiche per questi concetti saranno un tantino piu complicate, poiche

in generale al posto dell’elemento di linea euclideo deve comparire l’elemento dilinea (3). Assumiamo che nel seguito tutte le affermazioni geometriche nello spaziodelle q vadano intese in questo senso non euclideo.

Per il calcolo uno dei cambiamenti piu importanti e che si deve distinguerescrupolosamente tra componenti covarianti e controvarianti di un vettore o di untensore. Ma questa complicazione non e piu grave di quella che si ha gia nel casodi un sistema di assi cartesiani obliqui.

I dqk sono il prototipo di un vettore controvariante. I coefficienti dipendenti da qkdella forma 2T hanno quindi carattere covariante, essi costituiscono il tensore fon-damentale covariante. Se 2T e la forma controvariante corrispondente a 2T , e notoche allora le coordinate d’impulso costituiscono il vettore covariante corrispondente

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3

al vettore velocita qk; l’impulso e il vettore velocita in forma covariante. Il primomembro della (1’) non e nient’altro che la forma fondamentale controvariante, nellaquale si sono introdotte come variabili le ∂W/∂qk. Queste ultime costituiscono lecomponenti del vettore

gradW

per sua natura covariante. (Questo significato ha quindi la ridefinizione dell’energiacinetica con gli impulsi invece che con le velocita, che in una forma controvariantepossono intervenire solo componenti vettoriali covarianti, se deve risultare qualcosadi sensato, cioe invariante).

L’equazione (1’) coincide quindi con la semplice affermazione

(1”) (gradW )2 = 2 (E − V )

ovvero

(1”’) | grad W | =

2 (E − V ).

Questa prescrizione e facile da analizzare. Supponiamo che si sia trovata una fun-zione W [ della forma (2)] che soddisfa questa prescrizione. Allora si puo semprerappresentare questa funzione per un t determinato in modo intuitivo, tracciandonello spazio delle q la famiglia di superfici W =cost. e apponendo su ciascuna diesse il corrispondente valore di W .

Ora da un lato, come subito dimostreremo, l’equazione (1”’) da una prescrizioneesatta per costruire da una qualsiasi superficie di questa famiglia, quando essa e ilsuo valore di W siano noti , passo passo tutte le altre ed il loro valore di W . D’altrocanto il solo dato necessario per questa costruzione, cioe la singola superficie edil suo valore di W , si puo assegnare in modo del tutto arbitrario e poi secondo laregola costruttiva si puo integrare in due modi in una funzione W che soddisfi laprescrizione. In tutto cio consideriamo provvisoriamente il tempo come costante.- La prescrizione costruttiva esaurisce quindi il contenuto dell’equazione differen-ziale, si puo ottenere ciascuna delle sue soluzioni da una superficie opportunamentescelta piu il valore di W .

E adesso la prescrizione costruttiva. Sia quindi assegnato, come in Fig. 1, ad una

superficie arbitraria il valore W 0. Per trovare la superficie che corrisponde al valoreW 0 + dW 0, si contrassegni a piacere un lato della superficie data come positivo,si costruisca in ogni punto della superficie la perpendicolare e si prenda su di essa(tenendo conto del segno di dW 0), il tratto

(4) ds =dW 0

2 (E − V ).

I punti d’arrivo delle perpendicolari riempiono la superficie W 0 + dW 0. Proce-dendo cosı passo passo si puo costruire la famiglia di superfici su entrambi i lati.

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4

La costruzione e duplice, infatti nelcompiere il primo passo si sarebbe potuto indicare anche l’altro lato come quellopositivo. Per i passi successivi questa ambiguita non c’e piu, cioe in un qualsiasi

stadio successivo del processo non si puo cambiare ad arbitrio il segno del lato dellasuperficie alla quale si e giusto pervenuti, infatti cio comporterebbe in generale unadiscontinuita delle derivate prime di W . Per il resto le due famiglie di superficisono identiche, soltanto i valori di W apposti su di esse procedono in versi opposti.

Se consideriamo ora la semplicissima dipendenza dal tempo, l’equazione (2)mostra che anche in un qualsiasi istante successivo (o precedente) t+t l’andamentodi W individua la stessa famiglia di superfici, solo sulle singole superfici sono ap-posti degli altri valori di W , e precisamente ad ogni valore di W apposto per iltempo t va sottratto Et. Per cosı dire i valori di W viaggiano con una certa leggesemplice da superficie a superficie, e precisamente per E positiva nel verso dei va-lori di W crescenti. Invece di questo ci si puo raffigurare che siano le superfici aviaggiare, ciascuna assumendo la forma e la posizione di quella subito successiva,e nel far cio portando con se il suo valore di W . La legge di propagazione dellesuperfici e data dal fatto che per esempio la superficie W 0 al tempo t+dt deve averraggiunto la posizione che al tempo t occupava la superficie W 0 + Edt. Secondo la(4) cio risultera se si fa avanzare ogni punto della superficie W 0 di

(5) ds =Edt

2(E − V )

nella direzione della perpendicolare con verso positivo. Cioe le superfici si spostanocon una velocita normale

(6) u =dsdt

=E

2 (E − V ),

che, assegnata la costante E , e una pura funzione della posizione.Ora si riconosce che il nostro sistema di superfici W =cost. si puo intendere come

il sistema di superfici d’onda di un moto ondoso progressivo ma stazionario nellospazio delle q, per il quale il valore della velocita di fase in ogni punto dello spazioe dato dalla (6). Allora la costruzione delle perpendicolari si puo evidentementesostituire con la costruzione delle onde elementari di Huygens [con il raggio (5)]e del loro inviluppo. L’“indice di rifrazione” e proporzionale al reciproco della(6), dipende dalla posizione ma non dalla direzione. Lo spazio delle q e quindi

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otticamente disomogeneo ma isotropo. Le onde elementari sono sfere, ma - comequi si e gia detto espressamente - sfere nel senso dell’elemento di linea (3).

La funzione d’azione W gioca per il nostro sistema di onde il ruolo della fase.L’equazione differenziale alle derivate parziali di Hamilton e l’espressione del prin-

cipio di Huygens. Se si formula il principio di Fermat

(7) 0 = δ

P 2P 1

ds

u= δ

P 2P 1

ds

2(E − V )

E = δ

t2t1

2T

E dt =

1

E δ

t2t1

2Tdt,

si e portati direttamente al principio di Hamilton nella forma di Maupertuis (nelquale l’integrale sul tempo va inteso come al solito cum grano salis, cioe T +V = E =cost. anche durante la variazione). I “raggi”, cioe le traiettorie ortogonali allesuperfici d’onda sono quindi cammini del sistema per il valore E dell’energia, inaccordo con il ben noto sistema d’equazioni

(8) pk =∂W

∂qk,

che afferma che da ogni funzione d’azione particolare puo essere derivata unafamiglia di cammini del sistema, come una corrente dal suo potenziale delle ve-locita6. (L’impulso pk costituisce semplicemente il vettore velocita covariante, e leequazioni (8) affermano che esso e uguale al gradiente della funzione d’azione).

Sebbene nelle considerazioni presenti si parli di superfici d’onda, di velocita dipropagazione, di principio di Huygens, esse non vanno tuttavia veramente consi-derate come relative a un’analogia della meccanica con l’ottica ondulatoria , bensıcon l’ottica geometrica . Infatti il concetto di raggio, al quale per la meccanica fon-

damentalmente si perviene, appartiene all’ottica geometrica , e il suo solo concettopreciso. Anche il principio di Fermat si puo intendere in termini di pura otticageometrica con il solo uso del concetto di indice di rifrazione. E il sistema di su-perfici W , inteso come superfici d’onda, e per il momento in una relazione alquantolasca con il moto meccanico, poiche il punto immagine del sistema meccanico nonprocede affatto lungo il raggio con la velocita dell’onda u, ma all’opposto la suavelocita (per E costante) e proporzionale ad1/u. Essa risulta direttamente dalla(3) come

(9) v =ds

dt=√

2T =

2(E − V ).

Questa discordanza e lampante. In primo luogo secondo la (8): la velocita delsistema e grande quando gradW e grande, cioe quando le superfici W si addensanofittamente, ossia quando u e piccolo. In secondo luogo, dal significato di W comeintegrale sul tempo della funzione di Lagrange: questa cambia naturalmente duranteil moto [di (T − V )dt nel tempo dt] , quindi il punto immagine non puo restarecontinuamente in contatto con la stessa superficie W .

E inoltre concetti anche importanti della teoria delle onde, come ampiezza,lunghezza d’onda, frequenza - o parlando piu in generale la forma d’onda - non

6Vedasi in particolare A. Einstein, Verh. d. D. Physik. Ges. 19, 77, 82 , 1917. L’inter-pretazione delle condizioni quantiche ivi data e di gran lunga preferibile a tutte le interpretazioniprecedenti. Anche de Broglie si e rifatto ad essa.

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compaiono nell’analogia, manca per essi un corrispettivo meccanico; neppure dellafunzione d’onda stessa si puo parlare: W ha per le onde solo il significato di fase -invero alquanto nebuloso a causa dell’indeterminatezza della forma d’onda - .

Se si vede nell’intero parallelo niente piu che un felice modo per visualizzare,

questo difetto non disturba affatto, e si avvertira il tentativo di rimuoverlo comeun gioco ozioso: l’analogia sussiste con l’ottica geometrica o, se proprio si vuole,con un’ottica ondulatoria assai primitiva, e non con l’ottica ondulatoria nella suacostruzione completa. Che l’ottica geometrica costituisca per la luce solo un’appros-simazione grossolana non cambia nulla. Per l’ulteriore costruzione dell’ottica dellospazio q nel senso della teoria delle onde si dovrebbe, per conservare l’analogia,badare proprio a che non ci si allontani sensibilmente dal caso limite dell’otticageometrica, cioe che si scelga sufficientemente piccola la lunghezza d’ onda 7, piccolarispetto a tutte le dimensioni dei cammini. Ma allora l’ingrediente non insegnaniente di nuovo, esso decora l’immagine con roba superflua.

Cosı si potrebbe intendere a prima vista. Ma gia il primo tentativo di una

trasformazione nel senso della teoria delle onde porta a cose cosı sorprendenti, chesorge un sospetto del tutto diverso: oggi sappiamo che la nostra meccanica classica

fallisce per dimensioni dei cammini assai piccole e per curvature dei cammini assai forti . Forse questo fallimento e completamente analogo al fallimento dell’ottica geo-metrica, cioe dell’“ottica per lunghezze d’onda infinitamente piccole”, che avvienenotoriamente quando gli “schermi” o le “aperture” non sono piu grandi rispetto allalunghezza d’onda reale, finita. Forse la nostra meccanica classica e completamenteanaloga all’ottica geometrica e come tale e falsa, non e in accordo con la realta,fallisce quando i raggi di curvatura e le dimensioni del cammino non sono piu grandirispetto ad una certa lunghezza d’onda, che nello spazio delle q assume significatoreale. Allora vale la pena di cercare una “meccanica ondulatoria”8 - e la via piu

naturale per questo e certo lo sviluppo nel senso della teoria delle onde dell’idea diHamilton.

§2. Meccanica “geometrica” e “ondulatoria”.

Facciamo subito l’ipotesi che una costruzione piu adeguata dell’analogia consistanell’assumere il sistema di onde prima considerato come onde sinusoidali . Essa ela piu facile e la piu naturale, tuttavia si deve sottolineare l’arbitrarieta che inessa e contenuta, di fronte al significato fondamentale di questa ipotesi. La fun-zione d’onda deve quindi contenere il tempo solo nella forma di un fattore sin( . . . ),l’argomento del quale e una funzione lineare di W . Poiche W e un’azione, ma lafase di un seno e un numero puro, il coefficiente di W deve avere la dimensione del

reciproco di un’azione. Assumiamo che esso sia universale, cioe indipendente nonsolo da E , ma anche dalla natura del sistema meccanico. Lo possiamo ben indicaresubito con 2π/h. Il fattore temporale si scrive quindi

(10) sin(2πW

h+ cost.) = sin(−2πEt

h+

2πS (qk)

h+ cost.).

7Vedi per il caso ottico A. Sommerfeld e Iris Runge, Ann. d. Phys. 35, 290, 1911. Ivi simostra (sviluppando un’osservazione verbale di P. Debye), come l’equazione del prim’ ordine e disecondo grado per la fase (“equazione di Hamilton”) si possa derivare esattamente dall’equazionedel second’ ordine e di primo grado per la funzione d’onda “equazione d’ onda”) nel caso limite dilunghezza d’onda che si annulla.

8Vedi anche A. Einstein, Berl. Ber. p. 9 segg., 1925.

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7

Allora la frequenza delle onde risulta essere

(11) ν = E/h.

Quindi senza palese artificio la frequenza delle onde nello spazio delle q risultaproporzionale all’energia del sistema9. Certamente cio ha senso solo quando E efissato in modo assoluto, non, come nella meccanica classica, solo a meno di unacostante additiva. Indipendente da questa costante additiva e la lunghezza d’onda ,secondo la (6) e la (11)

(12) λ =u

ν =

h 2(E − V )

,

infatti il radicando e il doppio dell’energia cinetica. Se facciamo un confrontogrossolano e del tutto provvisorio con le dimensioni dell’orbita di un elettronedell’idrogeno, come le da la meccanica classica, si deve osservare che in conseguenzadella (3) un “segmento” nel nostro spazio delle q non ha la dimensione di unalunghezza, ma di una lunghezza ×√massa. Le stesse dimensioni ha λ. Abbiamoquindi (come si vede facilmente) da dividere λ per la dimensione dell’orbita, di-ciamo a (cm), moltiplicata per la radice quadrata della massa m dell’elettrone. Ilrapporto e dell’ordine di grandezza

h

mva,

dove v e per il momento la velocita dell’elettrone (cm/sec). Il denominatore mva

ha l’ordine di grandezza del momento angolare meccanico. Che questo, per orbitedi Keplero di dimensioni atomiche, raggiunga almeno l’ordine di grandezza 10−27,discende dai noti valori della carica e della massa dell’elettrone prima di qualsiasiteoria dei quanti. Otteniamo quindi in effetti per i confini del dominio di validita approssimativo della meccanica classica il giusto ordine di grandezza, se identifi-chiamo la nostra costante h con il quanto d’azione di Planck. - Questo solo per unorientamento provvisorio.

Se si esprime nella (6) E mediante ν secondo la (11), si ottiene

(6’) u =hν

2(hν − V )

.

La dipendenza della velocita dell’onda dall’energia del sistema diviene quindiuna dipendenza d’un certo tipo dalla frequenza , cioe una legge di dispersione perle onde. Questa legge di dispersione offre grande interesse. Abbiamo rammentatonel §1 che la superficie d’onda che si propaga ha solo un rapporto lasco con il motodel punto del sistema, poiche le loro velocita non sono e non possono essere uguali.Ma secondo le (9), (11) e (6’) la velocita v del sistema ha anche per le onde unsignificato assai concreto. Si verifica immediatamente che

9Nella prima comunicazione questa relazione era risultata nell’ambito di una pura speculazionesolo come un’equazione approssimata.

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8

(13) v =dν

d ν

u,

cioe che la velocita del punto del sistema e quella di un gruppo d’onde, che copronoun piccolo intervallo di frequenze (velocita del segnale). Si ritrova qui una legge chede Broglie, facendo riferimento in modo essenziale alla teoria della relativita, avevaderivato per le “onde di fase” dell’elettrone, nelle belle ricerche10 alle quali devo lospunto per questo lavoro. Si vede che si tratta di un teorema di grande generalita,che non deriva dalla teoria della relativita, ma vale anche per ogni sistema conserva-tivo della meccanica consueta.

Questa circostanza si puo ora utilizzare per stabilire un legame assai piu profondodi prima tra propagazione ondosa e moto del punto immagine. Si puo provare acostruire un gruppo d’onde che in tutte le direzioni abbia dimensioni relativamente

piccole. Un tale gruppo d’onde seguira allora prevedibilmente le stesse leggi delmoto del singolo punto immagine del sistema meccanico. Esso potra fornire percosı dire un surrogato del punto immagine, purche lo si possa considerare approssi-mativamente puntiforme, ossia purche si possa trascurare la sua estensione rispettoalle dimensioni del cammino del sistema. Cio accadra altresı solo quando le dimen-sioni del cammino, in particolare i raggi di curvatura del cammino, saranno assaigrandi rispetto alla lunghezza d’onda. Allora per l’analogia con l’ottica consueta ea priori evidente che le dimensioni del gruppo d’onde non solo non si possono com-primere al di sotto dell’ordine di grandezza della lunghezza d’onda, ma che anziil gruppo si deve estendere in tutte le direzioni per un gran numero di lunghezzed’onda, se esso e approssimativamente monocromatico. Ma questo lo dobbiamorichiedere perche il gruppo d’onda deve propagarsi come un tutto con una certa

velocita di gruppo e corrispondere ad un sistema meccanico d’energia determinata (vedi equazione 11).

Per quanto vedo, tali gruppi d’onde si possono costruire, e proprio con lo stessocriterio costruttivo col quale Debye11 e von Laue12 hanno risolto nell’ottica con-sueta il problema di dare la rappresentazione analitica esatta d’un cono di raggio d’un fascio di raggi. Risulta inoltre una relazione assai interessante con unaparte della teoria di Jacobi-Hamilton ancora non discussa nel §1, cioe la ben notaderivazione delle equazioni di moto in forma compatta per derivazione di un inte-grale completo dell’equazione differenziale alle derivate parziali di Hamilton rispettoalle costanti d’integrazione. Come si vede subito, il suddetto sistema di equazionidi Jacobi coincide con l’affermazione: il punto immagine del sistema meccanico

coincide costantemente con quel punto nel quale i treni d’onda appartenenti ad uncerto continuo si incontrano con ugual fase.

Nell’ottica la rappresentazione esatta nella teoria delle onde di un “fascio diraggi” con sezione finita “nettamente” delimitata che viaggia da un fuoco ad un altrosi ottiene secondo Debye nel modo seguente: si sovrappongano onde piane, ciascunadelle quali per conto suo riempirebbe l’intero spazio, e precisamente si sovrappongaun continuo di siffatti treni d’onda, facendo variare la normale d’onda entro unassegnato angolo solido. Le onde si cancellano allora quasi completamente per

10L. de Broglie, Annales de Physique (10) 8, p. 22, 1925. (Theses, Paris 1924.)11P. Debye, Ann. d. Phys. 30, 755, 1909.12M. v. Laue, ibidem 44, 1197 (§2), 1914.

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interferenza all’esterno d’un certo cono doppio; esse rappresentano in modo esattosecondo la teoria delle onde il fascio delimitato di raggi che si cercava, con tutti ifenomeni di diffrazione necessariamente imposti dalla delimitazione. - Allo stessomodo di uno finito, si puo cosı rappresentare anche un cono di raggi infinitesimo,

se si lascia variare la normale d’onda del gruppo solo all’interno di un angolo solidoinfinitesimo. Questo ha utilizzato v. Laue nella sua famosa dissertazione sui gradi diliberta dei fasci di raggi13. Invece di lavorare, come finora tacitamente assunto, cononde esattamente monocromatiche, si puo infine lasciar variare anche la frequenza entro un intervallo infinitesimo, e con opportuna distribuzione delle ampiezze edelle fasi si puo restringere l’eccitazione ad una regione che anche nella direzionelongitudinale sia relativamente piccola. S’ottiene cosı la rappresentazione analiticadi un “pacchetto d’energia” di dimensioni relativamente piccole che si propaga conla velocita della luce o, se e presente dispersione, con la velocita di gruppo. Inoltrela posizione via via occupata dal pacchetto d’energia - quando non si venga alla suastruttura dettagliata - e data in modo assai plausibile come quel punto dello spazio

dove tutte le onde piane sovrapposte si incontrano con fase esattamente coincidente.Trasporteremo ora questa trattazione alle onde nello spazio delle q. Scegliamo ad

un determinato tempo t un certo punto P dello spazio delle q, dove dovra passareil pacchetto d’onde al tempo t in una direzione assegnata R. Sia inoltre prescrittala frequenza media ν ovvero il valor medio di E per il pacchetto d’onde. Questeassegnazioni corrispondono esattamente, per il sistema meccanico, a prescrivereche esso debba partire ad un dato tempo t da una data configurazione con datecomponenti della velocita (energia piu direzione uguale componenti della velocita).

Per trasferire ora la costruzione ottica abbiamo bisogno in primo luogo di una famiglia di superfici d’onda della frequenza richiesta, cioe di una soluzione delleequazioni differenziali alle derivate parziali di Hamilton (1’) per il valore assegnato

di E , che chiamiamo W , la quale abbia la proprieta seguente: la superficie che altempo t passa per il punto P , diciamo

(14) W = W 0,

dovra avere nel punto P la sua perpendicolare nella direzione prescritta R. Ma cionon e tuttavia sufficiente. Invece dobbiamo ora poter variare infinitamente poco lafamiglia di onde W con molteplicita n (n = numero dei gradi di liberta), in modoche la normale d’onda nel punto P riempia un angolo solido ad n − 1 dimensioniinfinitamente piccolo, e la frequenza E/h un intervallo monodimensionale infinita-mente piccolo; nel far cio si deve aver cura che tutti i membri di questo continuon-dimensionale infinitamente piccolo di famiglie d’onde si incontrino al tempo t nelpunto P con fasi esattamente coincidenti. Si dovra dimostrare poi dove si trovi inun qualsiasi altro istante quel punto per il quale ha luogo questa coincidenza ditutte le fasi.

Per far cio bastera che disponiamo di una soluzione W delle equazioni differenzialialle derivate parziali di Hamilton, che oltre che dalla costante E , che d’ora in poiindicheremo con α1, dipenda da altre n − 1 costanti α2, α3 . . . αn in modo taleche essa non possa essere scritta come una funzione di meno di n combinazioni diqueste n costanti. Allora infatti possiamo in primo luogo impartire ad α1 il valoreprescritto per E , e possiamo in secondo luogo determinare α2, α3 . . . αn in modo che

13luogo citato.

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la superficie della famiglia che passa per il punto P abbia nel punto P la direzioneassegnata R. Intendiamo d’ora in poi con α1, α2 . . . αn questi valori, e la (14) siala superficie di questa famiglia che al tempo t passi per il punto P . Consideriamoallora il continuo di famiglie che appartiene ai valori αk di una regione infinitesima

degli αk. Un membro di questo continuo, cioe una famiglia , sara dato da

(15) W +∂W

∂α1

dα1 +∂W

∂α2

dα2 + · · · +∂W

∂αn

dαn = cost.

per una sequenza di valori dα1, dα2 . . . dαn fissi , e al variare della costante. Quelmembro di questa famiglia , cioe quindi quella superficie singola, che al tempo tpassa per il punto P , sara determinato dalla seguente scelta della costante:

(15) W +∂W

∂α1

dα1 + · · · +∂W

∂αn

dαn = W 0 +

∂W

∂α1

0

dα1 + · · · +

∂W

∂αn

0

dαn,

dove (∂W/∂α1)0 eccetera sono quelle costanti che si ottengono quando si intro-ducono nelle derivate corrispondenti le coordinate del punto P e il valore t deltempo (del resto quest’ultimo interviene realmente soltanto in ∂W/∂α1).

Le superfici (15’) per tutte le possibili sequenze di valori dα1, dα2 . . . dαn costi-tuiscono per conto loro una famiglia . Tutte queste al tempo t passano dal puntoP , le loro normali d’onda riempiono con continuita un piccolo angolo solido (conn − 1 dimensioni); inoltre il loro parametro E varia in un intervallo piccolo. Lafamiglia di superfici (15’) e cosı fatta che ognuna delle famiglie di superfici (15) hanella (15’) un rappresentante, cioe quel membro che al tempo t passa per il puntoP .

Assumeremo ora che gli angoli di fase delle funzioni d’onda che appartengono alle

famiglie (15) coincidano proprio per questi rappresentanti inviati alla (15’). Essiquindi coincidono al tempo t nel punto P .

Ci chiediamo adesso: anche ad un tempo qualsiasi esiste un punto nel quale tuttele superfici della famiglia (15’) si taglino e quindi nel quale tutte le funzioni d’ondache appartengono alle famiglie (15), coincidano in fase? La risposta e: il punto dicoincidenza delle fasi esiste, ma non e il punto comune d’intersezione delle superficidella famiglia (15’), infatti ad un tempo arbitrario un punto siffatto non esiste piu .Invece il punto di coincidenza delle fasi si realizza in modo tale, che le famiglie (15)cambiano continuamente il rappresentante che mandano nella (15’).

Lo si riconosce cosı. Per il punto d’intersezione comune a tutti i membri della(15) ad un certo tempo dev’essere simultaneamente

(16) W = W 0,∂W

∂α1

=

∂W

∂α1

0

,∂W

∂α2

=

∂W

∂α2

0

, . . .∂W

∂αn

=

∂W

∂αn

0

,

mentre i dα1 sono arbitrari all’interno d’un piccolo intervallo. In queste n + 1equazioni vi sono a secondo membro costanti, a primo membro funzioni delle n + 1quantita q1, q2 . . . qn, t. Le equazioni sono soddisfatte per il sistema di valori iniziali,cioe per le coordinate del punto P e per l’istante iniziale t. Per un altro valorearbitrario di t non ammettono nessuna soluzione in q1 . . . qn, ma sovradeterminanoil sistema di queste n quantita.

Si puo anche procedere nel modo seguente. Si lascia provvisoriamente da partela prima equazione, W = W 0, e si determinano le qk in funzione del tempo e delle

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costanti con le n equazioni restanti. Chiamiamo questo punto Q. Per esso la prima equazione naturalmente non sara soddisfatta, ma il suo primo membro sara diversodal secondo di un certo ammontare. Se si ritorna alla genesi del sistema di equazioni(16) dalle (15’), quanto ora detto significa che Q non e un punto comune per la

famiglia di superfici (15’), ma piuttosto per una famiglia di superfici che si ottienedalla (15) se si varia il secondo membro della (15’) di un ammontare costante pertutte le superfici della famiglia. Chiamiamo (15) la famiglia cosı ottenuta. Per essaquindi Q e punto comune. Essa si ottiene, come prima anticipato, dalla famiglia(15’) quando ciascuna delle famiglie (15) cambia il suo rappresentante inviato nella(15’). Questo cambiamento avviene con la variazione della costante nella (15) dellostesso ammontare per tutti i rappresentanti. Ma in questo modo l’angolo di fasesara cambiato dello stesso ammontare per tutti i rappresentanti. Come i vecchi,cosı anche i nuovi rappresentanti, cioe i membri della famiglia che chiamiamo (15”),e che si intersecano nel punto Q, coincidono nell’angolo di fase. Cio significa quindi:

Il punto Q, determinato in funzione del tempo dalle n equazioni

(17)∂W

∂α1

=

∂W

∂α1

0

, . . .∂W

∂αn

=

∂W

∂αn

0

e costantemente un punto di coincidenza delle fasi per l’intera famiglia di famigliedi onde (15).

Delle n superfici, per le quali Q risulta dalle (17) punto d’intersezione, solo laprima e mobile, le altre stanno ferme [solo la prima delle equazioni (17) contiene iltempo]. Le n− 1 superfici ferme determinano la traiettoria del punto Q come lorolinea d’intersezione. Si puo dimostrare facilmente che questa linea d’intersezionee una traiettoria ortogonale alla famiglia W =cost.. Infatti per ipotesi W sod-

disfa identicamente in α1, α2 . . . αn l’equazione differenziale alle derivate parzialidi Hamilton (1’). Se ora si deriva tale equazione rispetto ad αk (k = 2, 3, . . . n)si ottiene la proprieta, che la normale alla superficie d’una superficie ∂W/∂αk =cost. e in ogni punto di questa superficie ortogonale alla normale alla superficiedella superficie W = cost. che passa per lo stesso punto, cioe che ognuna delle duesuperfici contiene la normale dell’altra. Se la linea d’intersezione delle n− 1 super-fici (17) ferme non e ramificata, come certo accade in generale, ogni elemento dellalinea d’intersezione, essendo il solo elemento comune delle n− 1 superfici, coincidecon la normale delle superfici W che passano dallo stesso punto, cioe la linea diintersezione e traiettoria ortogonale delle superfici W , c. v. d..

In modo assai piu breve, per cosı dire stenograficamente, le considerazioni al-quanto prolisse che ci hanno portato alle equazioni (17) si possono anche riassumerenel modo seguente: W significa, a meno di una costante universale (1/h), l’angolodi fase della funzione d’onda. Se si ha non solo uno, ma una varieta continuadi sistemi d’onda e se gli stessi sono ordinati in modo continuo da un qualcheparametro continuo αi, le equazioni ∂W/∂αi = cost. esprimono il fatto che tuttigli individui (sistemi di onde) infinitamente vicini di questa varieta hanno fasecoincidente. Queste equazioni determinano quindi il luogo geometrico dei punti dicoincidenza delle fasi. Se le equazioni sono sufficienti, questo luogo si riduce adun punto, e allora le equazioni determinano il punto di coincidenza delle fasi infunzione del tempo.

Poiche il sistema d’equazioni (17) coincide col noto secondo sistema d’equazionidi Jacobi, abbiamo quindi dimostrato che:

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Il punto di coincidenza della fase per certe varieta infinitesime ad n parametri di sistemi di onde si muove con la stessa legge del punto immagine del sistema meccanico.

Ritengo che sia un compito assai difficile dimostrare esattamente che la sovrap-

posizione di questi sistemi di onde dia davvero un’eccitazione sensibile solo in unintorno relativamente piccolo del punto di coincidenza delle fasi, mentre essa sicancella ovunque per interferenza fino ad essere impercettibile, oppure che quantodetto accade almeno per un’opportuna scelta delle ampiezze, ed eventualmente peruna scelta particolare della forma delle superfici d’onda. Faro l’ipotesi fisica, cheassocero a quanto e da provare, senza addentrarmi oltre nel problema. La faticasara compensata solo quando l’ipotesi risultera vera e quando la sua applicazionerichiedera quell’analisi.

Invece si puo star sicuri che la regione entro la quale si pu o confinare l’eccitazionemisura ancora almeno un gran numero di lunghezze d’onda in ogni direzione. Cioe subito evidente; infatti finche ci si sposta dal punto di coincidenza delle fasi

solo di poche lunghezze d’onda, la coincidenza delle fasi viene a malapena toccata,l’interferenza e ancora quasi altrettanto favorevole come in quel punto stesso. Insecondo luogo basta il riferimento al caso euclideo tridimensionale dell’ottica con-sueta per esser certi che si ha questo comportamento, per lo meno in generale.

Cio che credo con grande determinazione e quanto segue:Gli eventi meccanici reali vengono in modo opportuno compresi ovvero rappre-

sentati mediante i processi ondulatori nello spazio delle q e non mediante il motodel punto immagine in questo spazio. Lo studio del moto del punto immagine, checostituisce l’oggetto della meccanica classica, e solo un procedimento approssimatoe come tale ha esattamente la stessa giustificazione che ha l’ottica geometrica odei raggi riguardo ai processi ottici reali. Un processo meccanico macroscopico

verra rappresentato come un segnale ondulatorio del tipo sopra descritto, che conapprossimazione sufficiente si possa considerare puntiforme se confrontato con lastruttura geometrica della traiettoria. Abbiamo visto che allora per un segnale ogruppo d’onde siffatto valgono davvero proprio le stesse leggi del moto che la mec-canica classica enuncia per il punto immagine. Questo approccio perde tuttaviaogni senso quando la struttura del cammino non e piu assai grande rispetto allalunghezza d’onda, o addirittura e confrontabile con essa. Allora deve intervenire latrattazione rigorosa della teoria delle onde, cioe per farsi un’immagine della varietadei processi possibili si deve partire dall’equazione d’onda e non dalle equazionifondamentali della meccanica. Queste ultime sono altrettanto inutilizzabili per laspiegazione della struttura microscopica degli eventi meccanici quanto lo e l’otticageometrica per la spiegazione dei fenomeni di diffrazione.

Laddove una certa interpretazione di questa struttura microscopica in connes-sione con la meccanica classica, pero con ipotesi aggiuntive assai artificiose, e statasostanzialmente raggiunta, ed ha vantato risultati pratici del piu alto valore, mipare assai significativo che questa teoria - intendo la teoria dei quanti nella formapreferita da Sommerfeld, Schwarzschild, Epstein ed altri - sia nel rapporto piustretto proprio con l’equazione differenziale alle derivate parziali di Hamilton econ la teoria delle soluzioni di Hamilton-Jacobi, cioe con quella forma della mec-canica classica che gia contiene l’indicazione piu chiara riguardo al vero carattereondulatorio degli eventi meccanici. L’equazione differenziale alle derivate parzialidi Hamilton esprime proprio il principio di Huygens (nella sua vecchia forma in-tuitiva, non in quella rigorosa di Kirchoff). E come questo, integrato con alcune

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prescrizioni del tutto incomprensibili all’ottico geometrico (costruzione delle zonedi Fresnel) gia rende conto in misura rilevante dei fenomeni di diffrazione, cosıdalla teoria della funzione d’azione potrebbe venir luce sui processi nell’atomo. Al-trimenti ci si dovrebbe invischiare in contraddizioni insolubili, se - come pero era

assai naturale - si cercasse di conservare direttamente il concetto di traiettoria del sistema anche per questi processi atomici; allo stesso modo come ci si perde incose incomprensibili, se nell’ambito d’un fenomeno di diffrazione si prova a seguirel’andamento dei raggi di luce.

Si pensi un po’ quanto segue. Non daro con questo ancora nessuna immagineappropriata dell’evento reale, che non si deve ottenere affatto in questo modo, ma sideve ottenere solo dallo studio dell’equazione d’onda; illustrero solo la situazione inmodo puramente qualitativo. Si pensi quindi ad un gruppo d’onde con la proprietaprima descritta, posto in qualche modo su un’“orbita” piccola, all’incirca chiusa,le cui dimensioni siano solo dell’ordine di grandezza della lunghezza d’onda, quindipiccole rispetto alle dimensioni del gruppo d’onda stesso. E chiaro che allora la

“traiettoria del sistema” nel senso della meccanica classica, ossia il cammino delpunto della coincidenza di fase esatta, perdera completamente il suo ruolo privile-giato, poiche davanti, dietro e accanto a questo punto si estende un intero continuodi punti nei quali sussiste ancora coincidenza di fase quasi altrettanto completa, eche descrivono “orbite” del tutto diverse. Detto altrimenti: il gruppo d’onde oc-cupa l’intera regione dell’orbita non come un tutto unico, ma arriva in esso da fuorida tutte le direzioni, anche distanti.

In questo senso interpreto, seguendo de Broglie, le “onde di fase” che accom-pagnano l’orbita dell’elettrone, nel senso cioe che almeno nell’ambito atomico latraiettoria dell’elettrone non assume affatto un significato privilegiato, ed ancormeno la posizione dell’elettrone sulla sua traiettoria. E in questo senso interpreto il

convincimento che oggi viene sempre piu sulla breccia: in primo luogo, che alla fasedel moto dell’elettrone nell’atomo vada attribuito significato reale; in secondo luo-go, che non si possa nemmeno affermare che l’elettrone si trovi ad un determinatoistante su una determinata orbita quantica tra quelle selezionate dalle condizioniquantiche; in terzo luogo, che le leggi vere della meccanica quantistica non consi-stano in prescrizioni determinate per la singola orbita , ma che in queste leggi vere glielementi dell’intera varieta di orbite di un sistema siano legati tra loro da equazioni,di modo che apparentemente sussista una certa interazione tra le diverse orbite14.

Non e incomprensibile che un’analisi accurata dei risultati sperimentali debbacondurre ad affermazioni di questo tipo, se i risultati sperimentali sono la con-seguenza di una struttura siffatta degli eventi reali, come noi la rappresentiamo qui.Tutte queste affermazioni impongono sistematicamente d’abbandonare i concetti“posizione dell’elettrone” e “traiettoria dell’elettrone”, e se si decide di non abban-donarli, essi restano pieni di contraddizioni. Queste contraddizioni s’avvertono cosıfortemente che ci si chiede se gli eventi nell’atomo si possano in generale incorporarenel modo di pensare spazio-temporale. Dal punto di vista filosofico una decisionedefinitiva in questo senso la riterrei una completa resa delle armi. Infatti non pos-siamo cambiare realmente le forme di pensiero, e cio che all’interno di noi stessinon possiamo comprendere, non lo possiamo comprendere in generale. Esistonocose del genere - ma non credo che la struttura dell’atomo sia tra queste. - Dal

14Vedansi in particolare i lavori citati in seguito di Heisenberg, Born, Jordan, Dirac; inoltre N.Bohr, Die Naturwissenschaften, gennaio 1926.

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nostro punto di vista non c’e ragione per un dubbio di questo tipo, sebbene o, permeglio dire, poiche il suo affiorare e assai comprensibile. Allo stesso modo anche unottico geometrico che, nelle esperienze da lui condotte, costantemente fallisse nellospiegare i fenomeni di interferenza per mezzo del concetto di raggio, trovato valido

nell’ottica macroscopica, potrebbe, dico, forse arrivare da ultimo all’idea che le leggi della geometria non siano applicabili ai fenomeni di interferenza, poiche egli sarebbecostantemente portato davanti al fatto che i raggi di luce, a lui noti come rettilinei e mutuamente indipendenti , ora addirittura in un mezzo omogeneo mostrano le piustrane curvature e palesemente si influenzano tra loro. Ritengo quest’analogia as-sai stretta . Perfino delle curvature immotivate non manca l’analogo nell’atomo - sipensi alla “costrizione non meccanica” escogitata per interpretare l’effetto Zeemananomalo.

In qual modo si dovra procedere per la trasformazione in senso ondulatorio dellameccanica nei casi in cui essa si rivela necessaria? Si deve partire, invece che dallaequazioni fondamentali della meccanica, da un’equazione d’onda per lo spazio delle

q, e trattare la varieta dei processi possibili secondo questa . La funzione d’onda inquesta comunicazione non si e ancora utilizzata esplicitamente, e soprattutto non lasi e ancora enunciata. Il solo dato riguardante la sua enunciazione e la velocita delleonde data dalla (6) o dalla (6’) in funzione del parametro dell’energia meccanicaovvero della frequenza, e da questo dato l’equazione d’onda evidentemente none fissata in modo univoco. Non e in particolare garantito che essa debba essereproprio del secon’ordine, solo la ricerca della semplicita induce a tentare in primoluogo cosı. Si assumera allora per la funzione d’onda ψ

(18) div gradψ − 1

u2ψ = 0,

valida per processi che dipendano dal tempo solo mediante un fattore exp [2πiνt].Cio vuol dire quindi, tenendo conto delle (6), (6’) e (11)

(18’) div gradψ +8π2

h2(hν − V )ψ = 0,

ovvero

(18”) div gradψ +8π2

h2(E − V )ψ = 0.

L’operatore differenziale va evidentemente inteso in relazione all’elemento di linea(3). - Ma anche sotto l’ipotesi del secondo ordine, questa non e l’unica equazionecompatibile con la (6), sarebbe possibile la generalizzazione consistente nel sostituire

div gradψ con

(19) f (qk)div

1

f (qk)grad ψ

,

dove f puo essere una funzione qualsiasi di qk, che pero plausibilmente dovrebbedipendere in qualche modo da E , V (qk) e dai coefficienti dell’elemento di linea (3)(si potrebbe per esempio pensare f = u). La nostra ipotesi e di nuovo dettata dallaricerca della semplicita, tuttavia stavolta non ritengo esclusa un’eccezione15.

15L’introduzione di f (qk) significa che non solo la “densita”, ma anche l’“elasticita” varia conla posizione.

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La sostituzione di un’equazione differenziale alle derivate parziali al posto delleequazioni fondamentali della dinamica per i problemi atomici appare ora a primavista sommamente spiacevole a causa dell’enorme varieta di soluzioni che una taleequazione ammette. Gia la dinamica classica aveva portato non ad una varieta

ristretta, ma ad una assai ampia di soluzioni, cioe ad una famiglia continua, men-tre secondo ogni esperienza solo un insieme discontinuo di queste soluzioni apparerealizzato. Il compito della teoria dei quanti e, secondo l’idea dominante, proprioquello di selezionare mediante le “condizioni quantiche”, dalla famiglia continuadelle orbite possibili secondo la meccanica classica, la famiglia discreta di quelle chesi trovano realmente. Sembra un cattivo inizio per un nuovo tentativo in questadirezione, che esso cominci con l’accrescere il numero delle soluzioni, il suo ordinedi grandezza trascendente, invece che diminuirlo.

Invero anche il problema della dinamica classica si puo ammantare nella vestedi un’equazione alle derivate parziali , cioe proprio nell’equazione differenziale allederivate parziali di Hamilton. Ma la molteplicita delle soluzioni del problema non

corrisponde alla molteplicita delle soluzioni dell’equazione di Hamilton. Una qual-siasi soluzione “completa” dell’equazione di Hamilton risolve interamente il pro-blema meccanico; qualunque altra soluzione completa produce le stesse traiettorie,solo con un’altro modo di riassumere la varieta dei cammini.

Per quanto ora concerne il timore espresso riguardo all’equazione (18) comefondamento della dinamica atomica, non sosterro affatto che ulteriori condizioniaggiuntive non debbano intervenire in questa equazione. Esse pero non hanno piupresumibilmente un carattere cosı totalmente strano e incompreso come le prece-denti “condizioni quantiche”, ma sono di quel tipo, che ci aspetteremmo in fisicaper un’equazione differenziale: condizioni iniziali o al contorno. Esse non risul-tano in alcun modo analoghe alle condizioni quantiche. Pero si dimostra in tutti

i casi della dinamica classica, che io finora ho studiato, che l’equazione (18) porta in se le condizioni quantiche. In certi casi, e in particolare in quelli per i qualil’esperienza parla in questo senso, essa seleziona spontaneamente certe frequenzeo livelli d’energia come i soli possibili per processi stazionari, senza nessun’altraipotesi aggiuntiva riguardo alla funzione ψ oltre al requisito quasi ovvio per unaquantita fisica: che essa sia in tutto lo spazio delle configurazioni ad un sol valore,finita e continua.

Il timore espresso si muta cosı nel suo opposto, tutte le volte che si ha a chefare con i livelli d’energia o, diciamo piu cautamente, con le frequenze. (Infattiche cosa si intenda con “energia delle oscillazioni” e una questione a parte; nonci si deve dimenticare che solo nel caso del problema ad un corpo si ha a chefare con qualcosa che ammette direttamente il significato di oscillazioni nello spazio

tridimensionale reale). La determinazione dei livelli quantici non avviene piu in duetappe sostanzialmente distinte: 1. determinazione di tutte le orbite dinamicamentepossibili. 2. Rigetto di una stragrande parte delle soluzioni ottenute sub 1. eselezione di alcune poche mediante condizioni particolari; invece i livelli quanticisono determinati in un colpo solo come gli autovalori dell’equazione (18), la qualeporta in se le proprie condizioni al contorno naturali.

In che misura in tal modo nei casi complicati si ottenga anche una semplificazioneanalitica, ancora si sottrae al mio giudizio. Ma tendo a supporlo. La maggior partedegli analisti ha la sensazione che nel procedimento a tappe descritto sopra sub1. si dovrebbe richiedere che la soluzione di un problema complicato sia fatta invista del risultato finale: energia funzione razionale per lo piu assai semplice dei

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numeri quantici. E noto che gia l’applicazione del metodo di Hamilton-Jacobi portauna grande semplificazione, in quanto il calcolo effettivo della soluzione meccanicaviene aggirato. Basta valutare gli integrali che rappresentano gli impulsi, inveceche con un estremo superiore variabile, solo per un cammino d’integrazione chiuso

in campo complesso, cosa che richiede molta meno fatica. Se la soluzione com-pleta delle equazioni differenziali alle derivate parziali di Hamilton dev’essere pursempre nota, cioe rappresentata mediante quadrature, l’integrazione del problemameccanico dev’essere fatta in linea di principio per valori iniziali arbitrari.

- Nella ricerca degli autovalori di un’equazione differenziale si procede altresınella prassi per la maggior parte dei casi cercando in primo luogo la soluzionesenza tener conto di condizioni al contorno o di continuit a, e dalla forma dellasoluzione si desumono quei valori dei parametri per i quali la soluzione soddisfa lecondizioni suddette. Un esempio al riguardo lo da la nostra prima comunicazione.Ma si riconosce anche in questo esempio - cosa tipica per i problemi agli autovalori- che la soluzione, che in generale era data solo in forma analitica assai difficile

da ottenere [Eq. (12), loc. cit.], per gli autovalori corrispondenti alle “condizionial contorno naturali” si semplifica moltissimo. Non sono abbastanza informato sulfatto se gia oggi siano stati elaborati dei metodi diretti per il calcolo degli autovalori.E noto che cio accade per la distribuzione degli autovalori con numero d’ordinegrande. Ma questo caso limite qui non c’interessa proprio, esso corrisponde allameccanica classica, macroscopica. Per la spettroscopia e per la fisica atomica ingenerale interessano proprio i primi 5 o 10 autovalori, gia il primo da solo sarebbe ungrande risultato, esso determina il potenziale di ionizzazione. Per l’idea acuta, per laquale ogni problema agli autovalori si puo porre come problema di massimo-minimosenza un riferimento diretto all’equazione differenziale, mi sembra assai probabileche si debbano poter trovare metodi diretti per il calcolo almeno approssimato

degli autovalori, qualora ve ne fosse la necessita urgente. Quanto meno dovrebbeesser possibile trovare in singoli casi se autovalori noti numericamente con tutta laprecisione desiderabile soddisfino al problema oppure no. -

Non potrei a questo punto passare sotto silenzio il fatto che attualmente da partedi Heisenberg, Born, Jordan e di qualche altro eminente scienziato16 e in corso untentativo di rimuovere la difficolta dei quanti, che ha gia portato a risultati cosınotevoli, che sarebbe difficile dubitare che esso contenga comunque una parte diverita. Come tendenza il tentativo di Heisenberg e assai vicino al presente, delquale abbiamo gia parlato prima. E diverso nel metodo cosı toto genere, che nonsono riuscito finora a trovare l’anello di congiunzione. Coltivo la speranza del tuttodeterminata che questi due tentativi non si combattano tra loro, ma che, proprioa causa dell’enorme diversita del punto di partenza e del metodo, si completino avicenda, di modo che l’uno aiuti a procedere dove l’altro fallisce. La forza del pro-gramma di Heisenberg sta nel fatto che si propone di dare le intensita delle righe,una questione che noi qui abbiamo finora tenuto lontano. La forza del tentativopresente - se mi e consentito esprimere un parere in proposito - sta nel punto divista fisico di guida, che getta un ponte tra gli eventi meccanici macroscopici equelli microscopici, e che rende comprensibile l’apparentemente diversa modalitadi trattamento che essi richiedono. Per me personalmente c’e un particolare fa-

16W. Heisenberg, ZS. f. Phys. 33, 879, 1925; M. Born e P. Jordan, ibidem 34, 858, 1925; M.Born, W. Heisenberg e P. Jordan, ibidem 35, 557, 1926; P. Dirac, Proc. Roy. Soc. London 109,642, 1925.

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17

scino nell’idea delle frequenze emesse come “battimenti”, menzionata alla fine dellacomunicazione precedente, riguardo alla quale credo anche che permettera una com-prensione intuitiva delle formule dell’intensita.

§3.Esempi di applicazione.

.

.

.

.

Zurich, Physikalische Institut der Universitat.

(ricevuto il 23 febbraio 1926)

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Sul rapporto della meccanica quantistica di Heisenberg-Born-Jordan

con la mia mia1

Erwin Schrodinger....

§5. Confronto delle due teorie.

Prospettiva di una comprensione classica dell’intensita e della

polarizzazione della radiazione emessa.

Nel caso che le due teorie - potrei convenientemente usare anche il singolare -nella loro forma presentemente espressa si dovessero rivelare come durevoli, cioecome la corretta generalizzazione anche per casi complicati2, ogni discussione sullasuperiorita dell’una o dell’altra in un certo senso ha un oggetto fasullo, poiche essesono interamente equivalenti e si puo trattare solo del problema fondamentalmentesecondario della comodita di calcolo.

Vi sono oggi non pochi fisici che, esattamente nel senso di Kirchoff e Mach,vedono il compito della teoria fisica esclusivamente in una descrizione matematicail piu possibile parsimoniosa della relazione empirica tra quantita osservate, cioein una descrizione che riproduce la relazione il piu possibile senza l’intromissionedi elementi inosservabili per principio. Con una tale impostazione l’equivalenzamatematica ha quasi lo stesso significato dell’equivalenza fisica. Al massimo sipotrebbe nel caso presente vedere una certa superiorita nella rappresentazione con le

matrici, perche essa a causa della sua completa mancanza di intuibilita non fuorviaa formare un’immagine spazio-temporale dei processi atomici, che forse deve restareincontrollabile per principio. In relazione a questo e tuttavia in ogni caso d’interesseil seguente completamento della dimostrazione di equivalenza prima data: l’equi-valenza esiste davvero, esiste anche nel senso opposto. Non solo si possono, comemostrato sopra, costruire dalle autofunzioni le matrici, ma anche a rovescio dallematrici date numericamente le autofunzioni. Queste ultime non costituiscono quindipiu o meno un “rivestimento carnale” arbitrario e particolare, che appaga il bisognodi intuibilita, del nudo scheletro delle matrici; cosa che di fatto stabilirebbe unasuperiorita epistemologica di queste ultime. Si immagini che nelle equazioni

(33) qikl =

qlui(x)uk(x)dx

1Uber das Verhaltnis des Heisenberg-Born-Jordanschen Quantenmechanik zu der meinen, An-nalen der Physik 79, 734-756 (1926).

2Esiste una ragione particolare per porre questo in dubbio. Entrambe le teorie assumonoprovvisoriamente la funzione dell’energia dalla meccanica solita. Nei casi finora trattati l’energiapotenziale consiste nell’interazione di punti materiali, dei quali forse almeno uno a causa dellasua grande massa puo essere assunto come puntiforme anche dal punto di vista della meccanicaondulatoria (vedi A. Einstein, Berl. Ber. 1925, p. 10). Si deve tenere in conto la possibilitache l’assunzione della legge per l’energia potenziale dalla meccanica solita non sia piu consen-tita quando entrambe le “cariche puntiformi” siano in realta stati di oscillazione estesi che sicompenetrano.

1

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2

i primi membri siano dati numericamente, e che si cerchino le funzioni ui(x). (N.B.:la “funzione densita” e intenzionalmente tralasciata, le ui(x) devono essere per ilmomento di per se funzioni ortogonali). Allora mediante moltiplicazione di matrici,nella quale del resto non c’e bisogno di nessun “giro”, cioe di integrazione per partes,

si puo calcolare l’integrale

(34)

P (x)ui(x)uk(x)dx,

dove P (x) indica un qualche prodotto di potenze di ql. L’insieme di questi inte-grali, per i e k fissati, costituisce quello che si chiama l’insieme dei “momenti”

della funzione ui(x)uk(x). E si dimostra che sotto ipotesi assai generali una fun-zione e fissata univocamente dall’insieme dei suoi momenti. Poiche tutti i prodottiui(x)uk(x) sono fissati univocamente, lo sono percio anche i quadrati ui(x)2, quindianche le ui(x) stesse. La sola arbitrarieta consiste nella separazione supplementaredella funzione densita ρ(x), cioe r2 sinϑ in coordinate spaziali polari. In questa nonabbiamo in ogni caso da temere nessun faut pas epistemologico.

Del resto tuttavia alla tesi che l’equivalenza matematica abbia lo stesso significatodell’equivalenza fisica si puo riconoscere in generale solo validita limitata. Si pensiper esempio alle due espressioni per l’energia elettrostatica di un sistema di con-duttori carichi, come integrale spaziale (1/2)

E2dτ e come somma sui conduttori

(1/2)

eiV i. Per l’elettrostatica le due espressioni sono del tutto equivalenti, l’unasi puo ottenere dall’altra mediante integrazione per partes. Tuttavia preferiamocome significativa la prima e diciamo che questa localizza l’energia nello spazioin modo corretto. Certamente non si puo fondare questa preferenza sul terrenodell’elettrostatica, ma solo sul fatto che la prima espressione rimane utilizzabile inelettrodinamica, la seconda no.

A quale delle due nuove teorie dei quanti spetti la superiorita sotto questo puntodi vista, non lo si puo oggi decidere con certezza. Come naturale sostenitore di unadi esse non mi si dovrebbe tuttavia rimproverare se io apertamente - e forse senzapoter evitare una certa parzialita - espongo gli argomenti che parlano a suo favore.

I problemi che, oltre alle pure questioni ottiche, hanno importanza per l’ulteriorecostruzione della dinamica atomica, ci sono presentati dalla fisica sperimentale informa assai intuitiva, come per esempio: come rimbalzano due atomi o due molecoleche si urtano, come vengono deviati un elettrone o una particella α, quando ven-gono scagliati attraverso l’atomo con una data velocita e con un dato parametro dicollisione? (“perpendicolare dal nucleo alla traiettoria iniziale”) Per trattare det-tagliatamente questi problemi e assolutamente necessario avere una chiara visione

d’assieme della transizione continua tra la meccanica macroscopica intuitiva e la mi-cromeccanica dell’atomo. Ho esposto di recente3 come penso questa transizione. Lamicromeccanica si presenta come un raffinamento della macromeccanica, che e resonecessario dalla piccolezza geometrico-meccanica dell’oggetto e che e esattamentedello stesso tipo della transizione dall’ottica geometrica all’ottica fisica; quest’ultimasi presenta quando la lunghezza d’onda non e piu molto grande rispetto alle dimen-sioni degli oggetti studiati o rispetto a quelle separazioni spaziali, entro le quali sidesidera ottenere un’informazione precisa sulla distribuzione della luce. - Mi pareestremamente difficile affrontare problemi del tipo su indicato se ci si sente obbligatiper ragioni epistemologiche a sopprimere nella dinamica atomica l’intuizione e ad

3Ann. d. Phys. 79, 489 (1926).

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3

operare solo con concetti astratti come probabilita di transizione, livelli d’energia esimili.

Una questione particolarmente importante, forse la questione cardinale dell’in-tera dinamica atomica, e notoriamente la questione dell’accoppiamento tra i pro-

cessi della dinamica atomica ed il campo elettromagnetico, o quello che s’ha daconsiderare al posto di quest’ultimo. Non solo si ha qui a che fare con l’interocomplesso di problemi della dispersione, della radiazione di risonanza e secondaria,e della larghezza di riga naturale, ma la designazione di certe quantita atomichecome frequenze di emissione, intensita di riga etc. acquista un significato piuttostodogmatico, soprattutto quando l’accoppiamento e descritto matematicamente inuna qualche forma. La rappresentazione matriciale della dinamica atomica ha por-tato alla supposizione che di fatto anche il campo elettromagnetico si debba rap-presentare diversamente, cioe in forma matriciale, perche si possa formulare mate-maticamente l’accoppiamento. La meccanica ondulatoria mostra che per questo nonvi e alcuna necessita, poiche lo scalare di campo meccanico (da me indicato con ψ)

e pienamente idoneo ad entrare nelle equazioni invariate di Maxwell-Lorentz tra ivettori del campo elettromagnetico come “sorgente” degli stessi; cosı come inver-samente i potenziali elettrodinamici possono entrare nei coefficienti dell’equazioned’onda, che determina lo scalare di campo meccanico4. Vale la pena in ogni caso,per trovare la rappresentazione dell’accoppiamento, di introdurre come tetracor-

rente nelle equazioni di Maxwell-Lorentz invariate un tetravettore derivato in modoopportuno dallo scalare di campo meccanico ψ del moto degli elettroni (forse conl’intervento dei vettori di campo stessi o del potenziale). Esiste perfino una certasperanza di poter presentare l’equazione d’onda per ψ come conseguenza delleequazioni di Maxwell-Lorentz, cioe come equazione di continuita dell’elettricita.- La difficolta, che si presenta subito per il problema a piu elettroni, che ψ e una

funzione nello spazio delle configurazioni , non nello spazio reale, non deve restareinosservata. Tuttavia posso nel caso di un elettrone spiegare un po’ piu in dettagliocome sarebbe possibile dare in questo modo un’interpretazione straordinariamenteintuitiva dell’intensita e della polarizzazione della radiazione.

Consideriamo la descrizione secondo la meccanica ondulatoria dell’atomo diidrogeno in uno stato in cui lo scalare di campo meccanico ψ e dato da una se-rie di autofunzioni discrete:

(35) ψ =k

ckuk(x)exp2πiE kt

h

(x sta qui per le tre variabili r, ϑ, ϕ; pensiamo i ck reali, e a destra si deve prenderela parte reale). Facciamo ora l’ipotesi che la densita spaziale dell’elettricita sia data

dalla parte reale di

(36) ψ∂ ψ

∂t.

4Analoghe idee esprime K. Lanczos in una nota interessante apparsa da poco (Zeitschr. f.Phys. 35, 812 (1926)), che parimenti contiene il prezioso riconoscimento che la dinamica atomicadi Heisenberg e passibile anche di un’interpretazione continua. Per il resto tuttavia il lavoro diLanczos ha pochi punti di contatto diretti con il presente, come si puo capire a prima vista. Ladeterminazione del sistema di formule di Lanczos, provvisoriamente lasciate del tutto indefinite,non va cercata nella direzione di identificare il nucleo simmetrico K (s, σ) di Lanczos con la funzionedi Green della nostra equazione d’onda (21) o (31), poiche questa funzione di Green, quando esiste,ha per autovalori i livelli quantici stessi. Dal nucleo di Lanczos si deve invece richiedere che essodebba avere per autovalori i reciproci dei livelli quantici.

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4

La soprasegnatura indichera qui il complesso coniugato. Si calcola allora per ladensita spaziale

(37) densita spaziale = 2π(k,m)

ckcmE k −E m

h uk(x)um(x)sin

2πt

h (E m −E k),

dove la somma include ogni combinazione (k, m) solo una volta. Nella (37) com-paiono come frequenze soltanto le differenze dei termini. Queste sono cosı piccoleche le corripondenti lunghezze d’onda dell’etere sono grandi rispetto alle dimensioniatomiche, ossia rispetto a quella regione all’interno della quale la (37) e in generalesensibilmente diversa da zero5. La radiazione puo pertanto essere semplicementeattribuita al momento di dipolo, che l’atomo come un tutto possiede secondo la(37). Moltiplichiamo la (37) per una coordinata cartesiana ql e per la “funzionedensita” ρ(x) (nel caso presente r2 sinϑ) e integriamo sull’intero spazio. Secondola (13) otteniamo per la componente del momento di dipolo nella direzione ql

(38) M ql = 2π(k,m)

ckcmqkml

E k −E mh

sin2πt

h(E m −E k).

Si ottiene quindi in effetti uno “sviluppo di Fourier” del momento elettrico dell’a-tomo, nel quale compaiono come frequenze soltanto le differenze dei termini. Neicoefficienti gli elementi di matrice di Heisenberg qkml compaiono in modo taleche la loro influenza determinante sull’intensita e sulla polarizzazione della cor-rispondente parte della radiazione emessa e perfettamente comprensibile in baseall’elettrodinamica classica.

Lo schema su esposto del meccanismo di radiazione e per il momento non com-

pletamente soddisfacente e di certo non definitivo. L’ipotesi (36) fa uso in modoalquanto libero dell’apparato di calcolo complesso per eliminare componenti dell’o-scillazione indesiderate, la cui radiazione non si puo trovare dalla via semplicedel momento di dipolo dell’atomo complessivo, poiche le corrispondenti lunghezzed’onda dell’etere (circa 0,01 A) stanno molto al di sotto delle dimensioni atomiche.Inoltre la densita spaziale (37), quando si integri sull’intero spazio, da per la (5) zero,e non, come si deve richiedere, un valore finito indipendente dal tempo, che dovrebbeessere normalizzato alla carica dell’elettrone. Infine per completezza bisognerebbecalcolare la radiazione magnetica, poiche e possibile irraggiamento da parte di unadistribuzione spaziale della corrente elettrica, anche se un momento elettrico noncompare affatto, per esempio in un’antenna a quadro.

Tuttavia appare assai giustificata la speranza che per mezzo del meccanismoanalitico assai intuitivo qui schematizzato si possa raggiungere una reale compren-sione della natura della radiazione emessa.

(ricevuto il 18 marzo 1926.)

5Ann. d. Phys. 79, 371 (1926).

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Quantizzazione come problema agli autovalori1

E. Schrodinger(quarta comunicazione2)

Sommario: §1. Eliminazione del parametro dell’energia nell’equazione delle oscillazioni. La

vera equazione d’onda. Sistemi non conservativi. - §2. Estensione della teoria perturbativa a

perturbazioni che contengono esplicitamente il tempo. Teoria della dispersione. - §3. Complementi

al §2: atomi eccitati, sistemi degeneri, spettro continuo. - §4. Discussione del caso della risonanza.

- §5. Generalizzazione per una perturbazione arbitraria. - §6. Generalizzazione relativistico-

magnetica delle equazioni fondamentali. - §7. Sul significato fisico dello scalare di campo.

§1. Eliminazione del parametro dell’energia nell’equazione delle oscil-

lazioni. La vera equazione d’onda. Sistemi non conservativi

L’equazione d’onda (18) ovvero (18”) di pag. 510 della seconda comunicazione

(1) ∆ψ −2(E − V )

E 2∂ 2ψ

∂t2= 0

ovvero

(1’) ∆ψ +8π2

h2(E − V )ψ = 0,

che costituisce ilfondamento

dei nuovi principi della meccanica tentati in questa se-rie di comunicazioni, soffre dell’inconveniente che essa non esprime la legge di varia-zione dello “scalare di campo meccanico” ψ univocamente e in generale. L’equazione(1) contiene infatti il parametro dell’energia o della frequenza E , ed e, come espres-samente notato nel luogo citato, valida per un valore fissato di E per processi chedipendono dal tempo esclusivamente attraverso un fattore periodico fissato

(2) ψ ≈ P · R ·

exp±

2πiEt

h

.

L’equazione (1) e quindi in realta non piu generale dell’equazione (1’), che il calcoloproduce nella circostanza ora menzionata e che non contiene piu il tempo.

Quando abbiamo chiamato incidentalmente l’equazione (1) o (1’) “equazionedelle onde”, e stato propriamente scorretto, avremmo dovuto chiamarla equazionedelle “oscillazioni” o delle “ampiezze”. Trovavamo con essa le ampiezze, poichea queste si riferisce il problema agli autovalori di Sturm-Liouville - proprio comenel problema matematicamente del tutto analogo delle oscillazioni libere di corde emembrane - e non alla vera equazione d’onda.

Abbiamo finora sempre assunto che l’energia potenziale V sia funzione soltantodelle coordinate e non dipenda esplicitamente dal tempo. Si ha tuttavia la necessita

1Quantisierung als Eigenwertproblem, Annalen der Physik 81, 109-139 (1926).2vedi Ann. d. Phys. 79, 361, 489; 80, 437 (1926); inoltre sulla corrispondenza con la teoria di

Heisenberg: ibidem 79, 734.

1

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2

stringente di estendere la teoria a sistemi non conservativi , perche solo in questomodo si puo studiare il comportamento del sistema sotto l’azione di forze esterneassegnate, per esempio un’onda luminosa o un atomo esterno che sopraggiunge.Ma se V dipende esplicitamente dal tempo e evidentemente impossibile soddisfare

l’equazione (1) o (1’) mediante una funzione ψ che dipenda dal tempo solo secondola (2). Non si tratta piu di trovare le ampiezze con l’equazione delle ampiezze, mabisogna attenersi alla vera equazione d’onda.

Essa si ottiene facilmente per sistemi conservativi. La (2) e equivalente a

(3)∂ 2ψ

∂t2= −

4π2E 2

h2ψ.

Dalla (1) e dalla (3) si puo eliminare E per differenziazione e si ottiene, con scritturasimbolica facilmente comprensibile

(4)

∆ − 8π2

h2 V 2

ψ + 16π2

h2 ∂ 2

ψ∂t2 = 0.

Quest’equazione deve essere soddisfatta da ogni ψ che dipenda dal tempo secondola (2), ma con E arbitrario; quindi anche da ogni ψ che si possa sviluppare inserie di Fourier rispetto al tempo (naturalmente con funzioni delle coordinate comecoefficienti). L’equazione (4) e pertanto evidentemente l’equazione d’onda unica egenerale per lo scalare di campo ψ.

Essa e, come si vede, niente di piu rispetto al tipo semplicissimo della membranavibrante; inoltre e del quart ’ordine e di un tipo assai simile a quella che interviene3

in moltissimi problemi di teoria dell’elasticita. Non c’e da temere nessuna eccessivacomplicazione della teoria, ne la necessita di una revisione dei metodi dati prima,

connessi all’equazione (1’). Se V non dipende dal tempo si puo, a partire dalla (4),introdurre l’ipotesi (2) e dividere l’operatore nella (4) nel modo seguente:

(4’)

∆ −

8π2

h2V +

8π2

h2E

∆ −

8π2

h2V −

8π2

h2E

ψ = 0.

Si puo tentativamente dividere quest’equazione in due equazioni connesse da un“aut-aut”, cioe nell’equazione (1’) e in un’altra, che si distingue dalla (1’), perchein essa il parametro dell’autovalore risulta meno E invece che piu E , cosa che perla (2) non porta a nuove soluzioni. La suddivisione della (4’) non e necessaria,perche per gli operatori non vale la legge, che “un prodotto si puo annullare solo

se si annulla almeno un fattore”. Questa mancanza di necessarieta e strettamenteinerente ai metodi per la soluzione delle equazioni differenziali alle derivate parziali.Il procedimento trova la sua giustificazione a posteriori con la dimostrazione della

completezza delle autofunzioni trovate come funzioni delle coordinate. E possibilesoddisfare condizioni iniziali arbitrarie per ψ e per ∂ψ/∂t, grazie al fatto che nonsolo la parte reale, ma anche la parte immaginaria della (2) soddisfa l’equazione(4).

Vediamo quindi che l’equazione d’onda (4), la quale contiene la legge della disper-sione, puo essere assunta come fondamento della teoria finora sviluppata dei sistemi

3per esempio per una piastra vibrante: ∆∆u + ∂ 2u/∂t2 = 0. Vedi Courant-Hilbert, Cap. V,§8, pag. 256.

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conservativi. La sua generalizzazione per il caso di una funzione potenziale variabilenel tempo richiede pur sempre una certa precauzione, poiche possono compariretermini con derivate temporali di V , riguardo ai quali l’equazione (4), per il modoin cui e stata ottenuta, non ci puo dare naturalmente alcuna informazione. Difatto

ci si distoglie dal tentativo di estendere l’equazione (4) cosı com’e a sistemi nonconservativi per complicazioni che appaiono derivare da un un termine con ∂V/∂t.Nel seguito ho considerato una via alquanto diversa, che dal punto di vista deicalcoli e straordinariamente piu semplice e che ritengo essenzialmente corretta.

Non occorre elevare l’ordine dell’equazione d’onda fino al quarto per eliminarein essa il parametro dell’energia. La dipendenza della ψ dal tempo richiesta per lavalidita della (1’) si puo esprimere, invece che con la (3), con

(3’)∂ψ

∂t= ±

2πi

hEψ.

Si arriva allora ad una delle due equazioni

(4”) ∆ψ −8π2

h2V ψ

4πi

h

∂ψ

∂t= 0.

Richiederemo che la funzione d’ onda complessa ψ soddisfi una di queste due equa-

zioni. Poiche poi la funzione complessa coniugata ψ soddisfa all’altra equazione,si potra considerare come funzione d’onda reale (quando sia necessario) la partereale di ψ. - Nel caso di un sistema conservativo la (4”) e essenzialmente identicaalla (4) poiche, se V non contiene il tempo, l’operatore reale si puo decomporre nelprodotto di due complessi coniugati.

§2. Estensione della teoria perturbativa a perturbazioni che con-

tengono esplicitamente il tempo. Teoria della dispersione

L’interesse principale non si rivolge a sistemi nei quali l’ordine di grandezza dellevariazioni temporali dell’energia potenziale V sia lo stesso che per le variazionispaziali, ma piuttosto a sistemi che, in se conservativi, siano perturbati per l’aggiuntadi una piccola funzione assegnata del tempo (e delle coordinate) all’energia poten-ziale. Poniamo quindi

(5) V = V 0(x) + r(x, t)

dove x, come ripetutamente prima, sta a rappresentare il complesso delle coordinateconfigurazionali. Diamo per risolto il problema agli autovalori imperturbato (r =0). Allora il problema perturbativo si puo risolvere con quadrature.

Non tratteremo tuttavia il problema generale, ma nel gran numero di sviluppiimportanti, che rientrano nel problema su impostato, a causa del suo particolaresignificato, sceglieremo quello che in ogni caso merita una trattazione separata,il problema della teoria della dispersione. L’azione perturbante provenga da uncampo elettrico alternato che oscilla in modo omogeneo e sincrono nella regionedell’atomo; dobbiamo quindi, quando si tratti di luce monocromatica polarizzatalinearmente di frequenza ν , assumere per il potenziale perturbativo:

(6) r(x, t) = A(x)cos2πν t

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4

quindi

(5’) V = V 0(x) + A(x)cos2πνt.

Qui A(x) e il prodotto cambiato di segno dell’ampiezza della luce per quella fun-zione delle coordinate che secondo la meccanica consueta rappresenta la compo-nente del momento elettrico dell’atomo nella direzione del vettore elettrico dellaluce (−F

eizi, dove F e l’ampiezza della luce, ei, zi sono le cariche e le coor-

dinate z dei punti materiali, e la luce e polarizzata nella direzione z (prendiamola parte variabile nel tempo della funzione potenziale dalla meccanica solita conaltrettanta o altrettanto poca ragione, come prima quella costante, per esempio nelproblema di Keplero)).

Con la posizione (5’) l’equazione (4’) si scrive:

(7) ∆ψ −8π2

h2(V 0 + Acos2πνt)ψ

4πi

h

∂ψ

∂t

= 0.

Per A = 0 queste equazioni con la posizione:

(8) ψ = u(x)exp±2πiEt

h,

(che ora non va intesa come “pars realis”, ma nel senso vero) si trasformanonell’equazione delle ampiezze (1’) del problema imperturbato, e si sa (vedi §1)che in questo modo si trova la totalita delle soluzioni del problema imperturbato.Siano:

E k ed uk(x); k = 1, 2, 3 . . .

gli autovalori e le autofunzioni normalizzate del problema imperturbato, che as-sumiamo noti , e che per non smarrirci in questioni ulteriori, che richiedono unatrattazione particolare, assumeremo discreti e distinti (sistema non degenere senzaspettro continuo).

Le soluzioni del problema perturbato le dobbiamo cercare, proprio come nel casodi un potenziale di perturbazione indipendente dal tempo, in prossimita di ogni

possibile soluzione del problema imperturbato, quindi in prossimita di una combi-nazione lineare arbitraria a coefficienti costanti degli uk(x) [a cui vanno aggiuntisecondo la (8) i corrispondenti fattori temporali exp(±2πiE kt/h)]. La soluzionedel problema perturbato in prossimita di una determinata combinazione lineareavra fisicamente il significato, che essa e quella che si realizza subito, quando

all’arrivo dell’onda luminosa le oscillazioni proprie libere presentano esattamentequesta determinata combinazione lineare (forse con piccole variazioni dovute alla“testa d’onda”).

Poiche anche l’equazione del problema perturbato e omogenea - questo difettonell’analogia con le “oscillazioni forzate” dell’acustica va sottolineato! - basta evi-dentemente cercare la soluzione perturbata nell’intorno di ogni singola

(9) uk(x)exp±2πE kt

h,

ed esse possono poi essere combinate linearmente ad libitum, esattamente come lesoluzioni imperturbate.

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5

Poniamo quindi per la soluzione della prima equazione (7)

(10) ψ = uk(x)exp2πiE kt

h+ w(x, t).

[Il segno inferiore, cioe la seconda equazione (7), lo lasciamo perdere d’ora in poi,perche non darebbe niente di nuovo]. Il termine aggiuntivo w(x, t) lo si consi-derera piccolo, e il suo prodotto con il potenziale di perturbazione sara trascurabile.Sostituendo la (10) nella (7) e tenendo conto che uk(x) ed E k sono autofunzione edautovalore del problema imperturbato, risulta:

∆w −8π2

h2V 0w −

4πi

h

∂w

∂t=

8π2

h2Acos2πνt · uk exp

2πiE kt

h

(11) =4π2

h2Auk exp

2πit(E k + hν )

h

+ exp2πit(E k − hν )

h .

Questa equazione si soddisfa semplicemente ed essenzialmente solo con la posizione:

(12) w = w+(x)exp2πit(E k + hν )

h+ w−(x)exp

2πit(E k − hν )

h,

ove le due funzioni w± soddisfano rispettivamente alle due equazioni

(13) ∆w± +8π2

h2(E k ± hν − V 0)w± =

4π2

h2Auk.

Questo risultato e essenzialmente unico. In un primo momento parrebbe possibileaggiungere alla (12) una combinazione arbitraria di oscillazioni proprie impertur-bate. Ma questa combinazione deve risultare piccola del prim’ordine (poiche si efatta questa ipotesi per w) e non presenta per il momento alcun interesse, poicherichiede tutt’al piu perturbazioni del second’ordine.

Troviamo finalmente nelle equazioni (13) delle equazioni non omogenee, che pote-vamo aspettarci di incontrare - malgrado il summenzionato difetto nell’analogia conle vere oscillazioni forzate. Questo difetto nell’analogia e straordinariamente im-portante e si manifesta nelle equazioni (13) con le seguenti due circostanze. In

primo luogo compare come “secondo membro” (“forza eccitatrice”) non soltanto

la funzione perturbante A(x), ma il suo prodotto per l’ampiezza di oscillazione li-

bera. E irrinunciabile, per render conto correttamente dei fatti fisici, che la reazionedell’atomo ad un’onda luminosa incidente dipenda in modo essenziale dallo stato

nel quale l’atomo si trova, mentre le oscillazioni forzate di una membrana, di undisco, eccetera, sono notoriamente del tutto indipendenti da eventuali oscillazioniproprie sovrapposte, e dunque produrrebbero una descrizione del tutto inadatta.In secondo luogo al primo membro della (13) appare al posto dell’autovalore, cioecome “frequenza d’eccitazione” non solo la frequenza ν della forza perturbante, main un caso questa sommata, nell’altro caso questa sottratta a quella dell’oscillazionelibera. Anche questo e un requisito irrinunciabile, perche altrimenti le frequenzeproprie, che corrispondono alle frequenze dei termini , agirebbero da frequenze di

risonanza , e non come bisogna richiedere, e come l’equazione (13) realmente d a,le differenze delle frequenze proprie, e, come inoltre si riconosce con soddisfazione:

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solo le differenze tra una frequenza propria, che e realmente eccitata , e tutte le altre,non le differenze tra coppie di frequenze, delle quali nessuna sia eccitata.

Per comprendere questo piu precisamente, terminiamo il procedimento di solu-zione. Con metodi noti4 troviamo come soluzioni uniche della (13):

(14) w±(x) =1

2

∞n=1

aknun(x)

E k − E n ± hν

con

(15) akn =

A(x)uk(x)un(x)ρ(x)dx.

ρ(x) e la “funzione densita”, cioe quella funzione delle coordinate per la qualel’equazione (1’) va moltiplicata, per farla diventare autoaggiunta. Le un(x) sonoassunte normalizzate. Si assume inoltre che hν non coincida esattamente con nes-

suna delle differenze degli autovalori E k−E n. Di questo “caso risonante” si parlerain seguito (vedi §4).

Costruiamo ora dalla (14) secondo la (12) e la (10) l’oscillazione complessivaperturbata; si ottiene:

ψ = uk(x)exp2πiE kt

h

(16) +1

2

∞n=1

aknun(x)

exp 2πit(Ek+hν)

h

E k − E n + hν +

exp 2πit(Ek−hν)h

E k − E n − hν

.

Nel caso di perturbazione quindi assieme a ciascuna oscillazione libera uk

(x) oscil-lano con piccola ampiezza tutte quelle oscillazioni un(x) per le quali akn = 0. Sonoproprio quelle che, quando coesistono con uk come oscillazioni libere, danno luogoad una radiazione che (totalmente o parzialmente) e polarizzata nella direzione dipolarizzazione della radiazione incidente. Ma akn e proprio, a meno d’un fattore,nient’altro che la componente dell’ampiezza in questa direzione di polarizzazionedel momento elettrico dell’atomo secondo la meccanica ondulatoria , oscillante conla frequenza (E k − E n)/h, che compare per la coesistenza5 di uk e di un. - Leoscillazioni aggiuntive non si trovano pero alla frequenza propria E n/h originariadi queste oscillazioni, e neppure alla frequenza ν della luce, ma in corrispondenzadella somma o della differenza di E k/h (cioe della frequenza della singola oscillazionelibera esistente) e di ν .

Come soluzione reale si puo considerare la parte reale o la parte immaginariadella (16). - Opereremo tuttavia nel seguito con la soluzione complessa.

Per riconoscere il significato dei nostri risultati per la teoria della dispersionesi deve cercare la radiazione che origina dalla coesistenza delle oscillazioni forzateeccitate con l’oscillazione libera preesistente. Allo scopo costruiamo secondo ilprocedimento prima usato6 - una critica segue nel §7 - il prodotto della funzione

4vedi III comunicazione §§1 e 2, testo dall’equazione (8) alla (24).5vedi il seguito e il §7.6vedi Ann. d. Phys. 79, 755 (1926); inoltre il calcolo delle intensita dell’effetto Stark nella

terza comunicazione. Nel primo luogo citato veniva proposta invece di ψψ la parte reale di ψ ∂ψ∂t

.Era una mossa falsa che e stata corretta nella terza comunicazione.

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d’onda complessa (16) per il valore complesso coniugato, quindi la norma dellafunzione d’onda complessa ψ. Teniamo conto che i termini perturbativi sono piccoli,cosicche i loro quadrati e i prodotti tra loro si possono trascurare. Si ottiene conuna facile riduzione7:

(17) ψψ = uk(x)2 + 2cos 2πνt∞n=1

(E k − E n)aknuk(x)un(x)

(E k − E n)2 − h2ν 2.

Secondo l’ipotesi euristica sul significato elettrodinamico dello scalare di campo ψ,che nel caso dell’effetto Stark dell’idrogeno ci ha portato alle corrette regole diselezione e di polarizzazione e ad una soddisfacente descrizione dei rapporti delleintensita, la presente quantita - a meno di una costante moltiplicativa - rappresentala densita dell’elettricita in funzione delle coordinate spaziali e del tempo, quando xrappresenta solo tre coordinate, cioe quando si tratta del problema a un elettrone.Con generalizzazione sensata di questa ipotesi - sulla quale ulteriormente al §7

- consideriamo ora, come densita dell’elettricita che e “accoppiata” con uno deipunti materiali della meccanica classica, o che “deriva da esso”, o che “ad essocorrisponde secondo la meccanica ondulatoria”, quanto segue: a meno di una certacostante moltiplicativa, uguale alla “carica” classica del punto materiale conside-rato, l’integrale di ψψ esteso a tutte quelle coordinate del sistema, che determinanosecondo la meccanica classica la posizione dei restanti punti materiali. La densitadi carica complessiva in un punto dello spazio sara rappresentata dalla somma deisuddetti integrali estesa a tutti i punti materiali.

Per trovare una qualche componente spaziale del momento di dipolo complessivosecondo la meccanica ondulatoria in funzione del tempo, secondo questa ipotesi sideve moltiplicare l’espressione (17) per quella funzione delle coordinate, che secondo

la meccanica classica da il corrispondente momento di dipolo in funzione dellaconfigurazione dei punti del sistema, ossia per esempio per

(18) M y =

eiyi,

quando si tratti del momento di dipolo nella direzione y. Poi si deve integrare sututte le coordinate configurazionali.

Eseguiamo. Poniamo per abbreviazione

(19) bkn =

M y(x)uk(x)un(x)ρ(x)dx.

Esplicitiamo inoltre la definizione di akn secondo la (15), ricordando che, quando il

vettore elettrico della luce e dato da

(20) Ez = Fcos2πνt,

A(x) significa

(21) A(x) = −F · M z(x), dove M z(x) =

eizi.

7Assumiamo per semplicita, come sempre prima, che le autofunzioni un(x) siano reali, maosserviamo che in certi casi risulta assai piu comodo lavorare con combinazioni complesse delleautofunzioni reali, per esempio nel caso delle autofunzioni del problema di Keplero con exp(±mϕi)invece che con cosmϕ e con sinmϕ.

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Si ponga, in analogia con la (19)

(22) akn = M z(x)uk(x)un(x)ρ(x)dx,

allora akn = −F akn e si trova, eseguendo l’integrazione progettata:

(23)

M yψψρdx = akk + 2Fcos2πνt

∞n=1

(E n − E k)aknbkn(E k − E n)2 − h2ν 2

per il momento elettrico risultante, che va attribuito alla radiazione secondaria , allaquale da origine l’onda incidente (20).

La radiazione deriva naturalmente solo dalla seconda parte variabile nel tempo,mentre la prima rappresenta il momento di dipolo costante nel tempo, al qualee eventualmente associata l’originaria oscillazione libera. Questa parte variabile

e del tutto ragionevole e puo soddisfare tutti i requisiti che si suole imporre aduna “formula di dispersione”. Si consideri tra l’altro la comparsa anche di queitermini cosidetti “negativi” che - secondo il consueto modo di esprimersi - cor-rispondono alla possibilita di transizione ad un livello piu profondo (E n < E k) edalla quale per primo Kramers8 sulla base di considerazioni di corrispondenza harivolto l’attenzione. Va sottolineato soprattutto che la nostra formula - malgradola notazione e l’interpretazione assai diverse - e formalmente identica alla formuladella radiazione secondaria di Kramers. L’importante connessione tra i coefficientidella radiazione secondaria e i coefficienti della radiazione spontanea akn, bkn eposta in evidenza e inoltre la radiazione secondaria e descritta correttamente ancheriguardo ai suoi stati di polarizzazione9.

Per quanto riguarda il valore assoluto della radiazione reirraggiata ovvero del

momento di dipolo indotto, posso credere che anch’esso sia dato correttamentedalla formula (23), sebbene esista la possibilita di un errore di fattore numericonell’assunzione dell’ipotesi euristica prima introdotta. La dimensione fisica e sen-z’altro quella giusta, quindi, poiche l’integrale del quadrato delle autofunzioni enormalizzato ad uno, gli akn, bkn sono secondo le (18), (19), (21), (22) momentielettrici. Il rapporto tra il momento di dipolo indotto e quello spontaneo, quandoν e lontano dalla frequenza di emissione considerata, e come ordine di grandezzauguale al rapporto tra l’energia potenziale aggiuntiva F akn e il “termine d’energia”E k − E n.

§3. Complementi al §2: atomi eccitati, sistemi degeneri, spettro con-

tinuo

Per chiarezza nel paragrafo precedente si sono fatte alcune assunzioni speciali esi sono tralasciate alcune questioni, che ora vanno considerate.

8H.A. Kramers, Nature 10 maggio 1924; ibidem 30 agosto 1924; H.A. Kramers e W. Heisenberg,Zeitschr. f. Phys. 31, 681 (1925). La descrizione secondo il principio di corrispondenza dellapolarizzazione della luce diffusa (Eq.27) data nell’ultimo luogo citato e formalmente quasi identicaalla nostra.

9E quasi superfluo dire che le due direzioni, che abbiamo contrassegnato come “direzione z”e “direzione y”, non vanno intese come necessariamente perpendicolari. Una e la direzione dipolarizzazione dell’onda incidente, l’altra corrisponde alla componente della polarizzazione di cuici si occupa.

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In primo luogo: che cosa accade, quando l’onda luminosa incontra l’atomo inuno stato nel quale non e eccitata, come prima assunto, una sola oscillazione li-bera uk, ma piu d’una, diciamo stavolta due, uk ed ul? Come osservato prima,nel caso perturbativo le due soluzioni perturbative (16) corrispondenti agli indici

k ed l vanno semplicemente unite additivamente, dopo averle dotate di coefficienticostanti (eventualmente complessi), che corrispondono alle intensita preassegnateper le oscillazioni libere e al rapporto di fase delle loro eccitazioni. Si vede subito,senza fare effettivamente il calcolo, che allora nell’espressione per ψψ e anchenell’espressione (23) per il momento elettrico risultante non compare soltanto lacombinazione lineare dei termini che si ottenevano prima, cioe delle espressioni(17) e rispettivamente (23), scritte una volta con k, una seconda volta con l, macompaiono inoltre dei “termini di combinazione”, e in particolare in primo luogo,all’ordine di grandezza piu alto, un termine con

(24) uk(x)ul(x)exp[2πi(E k − E l)t/h]

che rappresenta la radiazione spontanea , associata alla coesistenza delle due oscil-lazioni libere; in secondo luogo dei termini perturbativi al prim’ordine, che sonoproporzionali all’ampiezza del campo perturbante e corrispondono all’azione con-giunta delle oscillazioni forzate associate a uk con l’oscillazione libera ul - e delleoscillazioni forzate associate a ul con uk. La frequenza di questi nuovi termini checompaiono nella (17) e rispettivamente nella (18), come si vede anche senza eseguireil calcolo, non e ν , bensı

(25) |ν ± (E k − E l)/h|.

(Non compaiono tuttavia in questi termini nuovi “denominatori di risonanza”). Si

ha quindi a che fare con una radiazione secondaria la cui frequenza non coincide necon la frequenza della luce eccitante, ne con una frequenza spontanea del sistema,ma con una frequenza combinazione di queste due.

L’esistenza di questo tipo singolare di radiazione secondaria e stato per la primavolta postulato da Kramers e Heisenberg nel luogo citato in base a considerazionifondate sul principio di corrispondenza, e poi da Born, Heisenberg e Jordan inbase alla meccanica quantistica di Heisenberg10. Per quanto mi risulta, non ven’e in alcun caso prova sperimentale. La presente teoria consente ora anche diriconoscere assai chiaramente che la comparsa di questa radiazione e associata acondizioni particolari, che richiedono esperimenti da realizzarsi apposta per questoscopo. In primo luogo devono essere fortemente eccitate due oscillazioni proprie

uk e ul, di modo che si eliminano tutti gli esperimenti che sono stati compiuticon atomi nello stato fondamentale - e questi sono la stragrande maggioranza.In secondo luogo deve esistere almeno un terzo stato di oscillazione propria un

(s’intende possibile, non occorre che sia eccitato), che in combinazione sia con uk checon ul dia luogo a emissione spontanea robusta. Allora il prodotto dei coefficienti diemissione spontanea in questione (aknbln e alnbkn) e proporzionale alla radiazionediffusa straordinaria da trovarsi. La combinazione (uk, ul) non dovrebbe di perse emettere fortemente, non nuocerebbe se - nel linguaggio della vecchia teoria -questa fosse una “transizione proibita”. In pratica si deve aggiungere anche questacondizione, che la linea (uk, ul) durante l’esperimento sia fortemente irraggiata,

10Born, Heisenberg e Jordan, Zeitschr. f. Phys. 35, 572 (1926).

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poiche questo e veramente il solo mezzo per assicurarsi che davvero siano eccitatefortemente entrambe le oscillazioni proprie, e in particolare in uno stesso individuoatomico, e per un numero sufficiente di questi. Se si pensa ora che nelle serie ditermini forti e piu studiate, cioe nelle solite serie s−, p−, d−, f −, i rapporti per

lo piu sono tali che due termini, che si combinano fortemente con un terzo, nonlo fanno tra loro, appare davvero necessaria una scelta particolare dell’oggetto dasperimentare e delle condizioni dell’esperimento, per potersi aspettare con certezzala radiazione diffusa di cui si parla, in particolare perche essa ha un’altra frequenzarispetto alla luce incidente e percio non da luogo a dispersione o a polarizzazionerotatoria, ma puo essere osservata solo come luce diffusa in ogni direzione.

La succitata teoria della dispersione quantomeccanica di Born, Heisenberg eJordan non consente, per quanto vedo, malgrado la sua grande somiglianza formalecon la presente, nessuna considerazione del tipo ora introdotto. Essa parla solo diun modo di reagire dell’atomo alla radiazione incidente. Essa tratta l’atomo comeun tutto senza tempo e non permette finora di dire come questo fatto indubitabile,

che l’atomo a tempi diversi si puo trovare in stati diversi e quindi come e statodimostrato reagisce in modo diverso alla radiazione incidente11, si puo esprimerenel suo linguaggio,.

Ci rivolgiamo ora ad un’altra questione. Nel §2 tutti gli autovalori sono statiassunti discreti e tra loro distinti . Lasciamo cadere la seconda ipotesi e chiediamo:che cosa cambia quando intervengono autovalori multipli , cioe quando si ha degene-

razione? Ci si aspetta forse che compaiano complicazioni analoghe a quelle che siincontrano nel caso di una perturbazione costante nel tempo (terza comunicazione,§2), cioe che in primo luogo si debba determinare con la soluzione di una “equazionesecolare” un sistema di autofunzioni dell’atomo imperturbato adattato alla parti-colare perturbazione, e lo si debba usare nell’esecuzione del calcolo perturbativo.

Questo capita infatti nel caso di una perturbazione arbitraria r(x, t) come e stataassunta nell’equazione (5), ma proprio nel caso di perturbazione mediante un’ondaluminosa, Eq. (6), cio non accade, almeno nella prima approssimazione preceden-temente sviluppata e purche ci si attenga all’ipotesi che la frequenza ν della lucenon coincida con nessuna delle frequenze di emissione spontanea che intervengono.Allora infatti il parametro nella doppia equazione (13) per l’ampiezza della parteperturbativa delle oscillazioni non e un autovalore e la coppia di equazioni ha sem-pre la coppia unica di soluzioni (14), nelle quali non compare alcun denominatorenullo, anche quando E k e un autovalore multiplo. Inoltre i termini della sommaper i quali E n = E k non vanno soppressi, esattamente come per il termine n = kstesso. E notevole che tramite questi termini - quando compaiano realmente, ossiacon un akn non nullo - anche la frequenza ν = 0 appaia tra le frequenze di risonanza.Questi termini non danno certamente contributo alla “consueta” radiazione diffusa,come si riconosce dalla (23), poiche E k − E n = 0. La semplificazione, che non sidebba dedicare particolare attenzione ad una eventuale degenerazione, almeno inprima approssimazione, vale sempre, come mostreremo nel seguito (vedi §5), comenel caso dell’onda luminosa, quando il valor medio temporale della funzione pertur-bante e nullo oppure, il che e lo stesso, quando il suo sviluppo temporale in serie diFourier non contiene un termine costante, cioe indipendente dal tempo.

11Su questa difficolta a comprendere l’evoluzione temporale di un processo, si consideri inparticolare la conclusione nella piu recente presentazione fatta da Heisenberg della sua teoria,Math. Ann. 95, 683 (1926).

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Mentre la nostra prima ipotesi sugli autovalori - che siano semplici - si e rivelatauna precauzione superflua, l’abbandono della seconda - che essi siano tutti discreti -non produce modificazioni di principio, ma modifiche importanti nella forma este-riore del calcolo, in quanto si aggiungono nelle (14), (16), (17), (23) alle somme

discrete degli integrali sullo spettro continuo dell’equazione (1’). La teoria di unatale rappresentazione integrale e stata sviluppata da H. Weyl12, anche se soltantoper le equazioni differenziali ordinarie, ma essa si puo estendere a quelle alle derivateparziali. In tutta brevita il problema e il seguente13. Quando l’equazione omogeneaassociata all’equazione non omogenea (13), cioe l’equazione delle oscillazioni (1’) delsistema imperturbato, possiede accanto ad uno spettro discreto anche uno spettrocontinuo, che puo andare da E = a ad E = b, una funzione arbitraria f (x) non puopiu evidentemente essere sviluppata con le sole autofunzioni normalizzate discreteun(x):

(26) f (x) =

∞n=1ϕn · un(x) con ϕn =

f (x)un(x)ρ(x)dx,

ma si deve aggiungere uno sviluppo integrale sulle autosoluzioni u(x, E ) che cor-rispondono agli autovalori a ≤ E ≤ b:

(27) f (x) =∞n=1

ϕn · un(x) +

ba

u(x, E )ϕ(E )dE,

dove per sottolineare l’analogia scegliamo intenzionalmente per la “funzione deicoefficienti” ϕ(E ) la stessa lettera che per i coefficienti discreti ϕn. Si sia ora nor-

malizzata l’autosoluzione u(x, E ) una volta per tutte moltiplicandola per un’oppor-tuna funzione di E in modo che

(28)

dxρ(x)

E+∆

E

u(x, E )u(x, E )dE = 1 oppure 0,

a seconda che E appartenga o meno all’intervallo E , E + ∆; allora nello sviluppo(27) si deve porre sotto il segno d’integrale:

(29) ϕ(E ) = lim∆=0

1

ρ(ξ)f (ξ) ·

E+∆E

u(ξ, E )dE · dξ,

dove il primo segno d’integrale come sempre si riferisce al dominio del gruppo divariabili x14. Supposto che la (28) possa essere soddisfatta e che lo sviluppo (27)esista, il che, come detto, e stato dimostrato da Weyl per le equazioni differenziali

12H. Weyl, Math. Ann. 68, 220 (1910); Gott. Nachr. 1910. Vedi anche E. Hilb, Sitz.-Ber. d.Physik. Mediz. Soc. Erlangen 43, 68 (1911); Math. Ann. 71, 76 (1911). Ringrazio H. Weyl nonsolo per questi riferimenti, ma anche per ammaestramenti verbali assai prezioni su queste cose perniente facili.

13Per l’esposizione qui data ringrazio E. Fues.14Come mi comunica E. Fues, assai di frequente nella pratica si puo eliminare il processo di

limite e scrivere al posto dell’integrale piu interno u(ξ, E ); e questo sempre, se

ρ(ξ)f (ξ)u(ξ, E )dξ

esiste.

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ordinarie - la determinazione della “funzione dei coefficienti” secondo la (29) apparealtrettanto immediata della ben nota determinazione dei coefficienti di Fourier.

Il problema piu importante e piu difficile nei singoli casi concreti e l’esecuzionedella normalizzazione di u(x, E ), cioe la ricerca di quella funzione di E per la quale

va moltiplicata l’autofunzione dello spettro continuo, perche possa poi soddisfarela condizione (28). Anche per questo problema pratico i lavori prima citati di Weylcontengono una guida preziosa ed alcuni esempi calcolati. Un esempio relativoalla dinamica atomica e esposto in un articolo di Fues sulle intensita dello spettrocontinuo che appare contemporaneamente su questi Annalen.

Rivolgiamoci ora al nostro problema, cioe alla soluzione della coppia di equazioni(13) per le ampiezze w± della parte perturbativa delle oscillazioni, alla quale comeprima assumeremo che corrisponda la singola oscillazione libera eccitata uk dellospettro discreto. Sviluppiamo il secondo membro della (13) secondo lo schema (27)

(30)

4π2

h2 A(x)uk(x) =

4π2

h2

∞n=1 a

knun(x) +

4π2

h2 ba u(x, E )α

k(E )dE,

dove akn e dato dalla (15) ed αk(E ) secondo la (29) da

(15’) αk(E ) = lim∆=0

1

ρ(ξ)A(ξ)uk(ξ) ·

E+∆E

u(ξ, E )dE · dξ.

Si pensi lo sviluppo (30) sostituito nella (13), si sviluppi poi anche la soluzionecercata w±(x) in modo del tutto analogo con le autosoluzioni un(x) ed u(x, E ), esi tenga conto che per queste ultime funzioni il primo membro della (13) assume ilvalore

8π2

h2(E k ± hν − E n)un(x)

oppure8π2

h2(E k ± hν − E )u(x, E ),

allora “uguagliando i coefficienti” si trova come generalizzazione della (14)

(14’) w±(x) =1

2

∞n=1

aknun(x)

E k − E n ± hν +

1

2

ba

αk(E )u(x, E )

E k − E ± hν dE.

Gli ulteriori sviluppi sono del tutto analoghi a quelli nel §2. Si trova in definitiva

come termine aggiuntivo alla (23)

(23’) +2 cos 2πν t

dξρ(ξ)M y(ξ)uk(ξ)

ba

(E k − E )αk(E )u(ξ, E )

(E k − E )2 − h2ν 2dE.

Qui non si puo sempre senz’altro scambiare l’ordine di integrazione, perche l’inte-grale in ξ e possibile che non converga. Si puo tuttavia - un surrogato intuitivo

del limite esatto, che qui si puo sostituire - suddividere l’integrale ba

in moltiintervalli piccoli, diciamo di lunghezza ∆, abbastanza piccoli perche tutte le funzionidi E che compaiono si possano assumere costanti su ognuno di tali intervalli, conl’eccezione di u(x, E ), per la quale, come segue dalla teoria generale, e impossibile

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ottenere la suddivisione in intervalli indipendente da ξ. Si possono allora estrarrele restanti funzioni dagli integrali sugli intervalli, e si ottiene infine esattamentecome termine aggiuntivo al momento di dipolo dell’irraggiamento secondario (23)il seguente risultato:

(23”) 2F cos2πνt

ba

(E − E k)αk(E )β k(E )

(E k − E )2 − h2ν 2dE

con

(22’) αk(E ) = lim∆=0

1

ρ(ξ)M z(ξ)uk(ξ) ·

E+∆E

u(ξ, E )dE · dξ

(19’) β k(E ) = lim∆=0

1

∆ ρ(ξ)M y(ξ)uk(ξ) ·

E+∆

E

u(ξ, E )dE · dξ

(prego di osservare la completa analogia con le formule contrassegnate con lo stessonumero, ma senza apice, del §2).

Il presente schema di calcolo non puo evidentemente essere nient’altro che uninquadramento generale, si deve dimostrare che la molteplice influenza dello spettrocontinuo sulla dispersione, che sperimentalmente appare esistere15, e richiesta dallapresente teoria proprio nella forma che ci si aspetta, e bisogna tracciare la stradaper la quale il problema puo essere affrontato dal punto di vista del calcolo.

§4. Discussione del caso della risonanza

Abbiamo finora assunto che la frequenza ν dell’onda luminosa incidente noncoincida con nessuna delle frequenze di emissione che intervengono. Assumiamoora che sia circa

(31) hν = E n − E k > 0,

e che si ritorni, per semplificare il discorso, alle ipotesi restrittive del §2 (autovalorisemplici e discreti, una sola oscillazione libera uk eccitata). Nella coppia d’equazioni(13) il parametro dell’autovalore assume quindi il valore

(32) E k ± E n E k =

E n2E k − E n

Per il segno superiore compare pertanto un autovalore, cioe E n. - Allora sonopossibili due casi. O il secondo membro di questa equazione moltiplicato per ρ(x)e ortogonale alla funzione un(x), cioe

(33)

A(x)uk(x)un(x)ρ(x)dx = akn = 0

15K.F. Herzfeld e K.L. Wolf, Ann. d. Phys. 76, 71, 567 (1925); H. Kollmann e H. Mark, DieNaturwissenschaften 14, 648 (1926).

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14

ovvero, dal punto di vista fisico: uk ed un, se coesistessero come oscillazioni libere,o non darebbero luogo ad alcuna emissione spontanea, o ne produrrebbero unapolarizzata perpendicolarmente alla direzione di polarizzazione della luce incidente.In questo caso anche l’equazione critica (13) possiede come prima una soluzione,

che come prima e data dalla (14), ove il termine catastrofico e nullo. Cio significadal punto di vista fisico - nel vecchio linguaggio - che una “transizione proibita” nonpuo essere eccitata per risonanza, oppure che una “transizione”, anche quando none proibita, non puo essere eccitata da luce, che oscilla ortogonalmente alla direzionedi polarizzazione di quella luce, che sarebbe emessa per “transizione spontanea”.

Nel secondo caso invece la (33) non e soddisfatta. Allora l’equazione criticanon ammette soluzione. L’ipotesi (10), che assume una oscillazione, che solo poco

- per quantita dell’ordine dell’ampiezza F della luce - si discosti dall’oscillazionelibera originariamente esistente, e che sotto questa ipotesi sia la piu generale pos-

sibile, non ci fa raggiungere lo scopo. Non esiste nessuna soluzione che si discostidall’oscillazione libera originariamente esistente per quantita dell’ordine F ; la luce

incidente ha quindi sullo stato del sistema un altro effetto, che non e in alcun rap-porto col valore dell’ampiezza della luce. Quale? Anche questo si puo valutare senzaun nuovo calcolo, se noi passiamo al caso, che la condizione di risonanza (31) non siasoddisfatta esattamente, ma solo in modo approssimato. Si vede allora dalla (16)che un(x) a causa del denominatore piccolo viene eccitata a compiere un’oscillazioneforzata assai ampia e che - cosa non meno importante - la frequenza di questa oscil-lazione si approssima alla frequenza propria naturale E n/h dell’oscillazione propriaun. Tutto cio e assai simile, ma tuttavia in un modo caratteristico diverso daquanto accade negli altri fenomeni di risonanza noti, altrimenti non ne parlerei cosıestesamente.

Con il graduale approssimarsi alla frequenza critica l’oscillazione propria un che

prima non era eccitata, la possibilita della quale e responsabile della crisi, si ec-cita sempre piu fortemente e contemporaneamente si avvicina sempre piu alla suafrequenza vera. A differenza di quanto succede nei consueti fenomeni di risonanzaarriva tuttavia, quando si sta per raggiungere la frequenza critica, un momentonel quale la nostra soluzione non descrive piu lo svolgimento dei fatti, almenonell’ipotesi che la nostra legge delle onde, evidendemente “priva di smorzamento”,sia proprio esatta. Noi abbiamo infatti assunto che l’oscillazione forzata w fossepiccola e [nell’equazione (11)] abbiamo trascurato un termine quadratico.

Credo che le presenti considerazioni lascino gia intravvedere con sufficiente chia-rezza che la teoria nel caso della risonanza dara realmente quei risultati che devedare, per essere in accordo con il fenomeno della risonanza di Wood: un riaggiusta-mento dell’oscillazione propria un che da luogo alla crisi a valori finiti confrontabilia quelli della uk esistente originariamente, da cui poi naturalmente deriva “emis-sione spontanea” della riga spettrale (uk, un). Non posso tuttavia a questo puntocercare di sviluppare realmente il calcolo per il caso della risonanza, perche il risul-tato sarebbe soltanto di scarso valore, dal momento che la reazione della radiazioneemessa sul sistema emittente non e tenuta in conto. Una siffatta reazione deve esi-stere, non solo perche non c’e alcuna base per fare una distinzione di principio tral’onda luminosa che arriva dall’esterno e l’onda luminosa emessa dal sistema stesso,ma anche perche altrimenti in un sistema lasciato a se stesso, quando fossero simul-taneamente eccitate piu oscillazioni proprie, l’emissione spontanea continuerebbesenza fine. L’accoppiamento reattivo da richiedersi deve far sı che in questo caso, colprogredire dell’emissione luminosa, le oscillazioni proprie piu alte si smorzino pro-

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gressivamente e rimanga solo alla fine l’oscillazione fondamentale, che corrispondeallo stato normale del sistema. L’accoppiamento reattivo e evidentemente propriol’analogo della forza di reazione della radiazione 2e2v/3mc3 per l’elettrone clas-sico. Questa analogia placa anche la crescente apprensione per il fatto che si e

trascurata finora la retroazione. L’effetto del termine in questione verosimilmentenon piu lineare nell’equazione d’onda dovrebbe essere in generale piccolo, propriocome nel caso dell’elettrone la forza di reazione della radiazione e in generale assaipiccola rispetto alla forza d’inerzia ed alle forze del campo esterno. Tuttavia nelcaso della risonanza - proprio come nella teoria dell’elettrone - l’accoppiamento conl’onda luminosa propria dovrebbe essere dello stesso ordine di grandezza di quellocon l’onda incidente, e dovrebbe essere tenuto in conto quando si volesse calcolarecorrettamente la “condizione d’equilibrio” tra le diverse oscillazioni proprie, che siinstaura con una radiazione assegnata.

Osservo tuttavia espressamente: per evitare la catastrofe della risonanza il ter-mine di accoppiamento reattivo non sarebbe necessario! Una tale catastrofe non

puo avvenire in ogni caso, perche secondo la legge della persistenza della norma-lizzazione introdotta in seguito nel §7 l’integrale sullo spazio delle configurazioni diψψ risulta sempre normalizzato allo stesso valore anche sotto l’azione di forze e-sterne arbitrarie - e in modo del tutto automatico, come conseguenza delle equazionid’onda (4”). Le ampiezze delle oscillazioni ψ non possono crescere senza limite, essehanno “in media” sempre lo stesso valore. Quando una oscillazione propria vieneeccitata, un’altra deve di conseguenza diminuire.

§5. Generalizzazione per una p erturbazione arbitraria

Se si ha a che fare con una perturbazione arbitraria , come si e assunto nell’Eq.

(5) all’inizio del §2, si sviluppa l’energia di perturbazione r(x, t) in una serie diFourier o in un integrale di Fourier rispetto al tempo. I termini di questo sviluppohanno allora la forma (6) del potenziale perturbativo di un’onda luminosa. Si vedeimmediatamente che si ottengono semplicemente al secondo membro dell’ equazione(11) due serie o eventualmente integrali con esponenziali a esponente immaginarioal posto dei soli due termini. Se nessuna delle frequenze eccitatrici coincide con unafrequenza critica, la soluzione si ottiene esattamente nel modo descritto nel §2, ecome serie di Fourier o eventualmente integrale di Fourier del tempo. Non c’e scopoa scrivere qui gli sviluppi formali, ed una trattazione dettagliata di problemi parti-colari esce dall’ambito della presente comunicazione. Tuttavia si deve menzionareuna circostanza importante che e stata toccata nel §3.

Tra le frequenze critiche dell’equazione (13) figura in generale anche la frequenzaν = E k − E k = 0. Allora risulta in questa come parametro dell’autovalore a primomembro un autovalore, ossia E k. Se nello sviluppo di Fourier della funzione pertur-bativa r(x, t) appare la frequenza 0, cioe un termine indipendente dal tempo, nonsi raggiunge il risultato per la via di prima. Si riconosce tuttavia facilmente comesi debba modificare il procedimento, poiche il caso di una perturbazione costantenel tempo ci e noto da prima (vedi terza comunicazione). Si ha allora un piccolospostamento ed eventualmente una suddivisione dell’autovalore o degli autovaloridelle oscillazioni libere eccitate da considerare, cioe si deve scrivere al posto diE k negli esponenti degli esponenziali del primo termine a secondo membro: E kpiu una piccola costante, la perturbazione dell’autovalore. Questa perturbazionedell’autovalore, proprio come descritto nei §1 e 2 della terza comunicazione, e deter-

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minata dalla condizione che il secondo membro della componente di Fourier criticadell’attuale Eq. (13) sia ortogonale ad uk, eventualmente: a tutte le autofunzioniche corrispondono a E k.

Il numero di questioni particolari che cadono nell’ambito della formulazione del

problema del presente paragrafo e assai grande. Con la sovrapposizione delle pertur-bazioni dovute ad un campo elettrico e magnetico costante e ad un’onda luminosa siarriva alla doppia rifrazione magnetica ed elettrica, e alla polarizzazione rotatoriadovuta a un campo magnetico. Anche la radiazione risonante in un campo ma-gnetico deriva da qui, si deve quindi allo scopo prima fornire una soluzione esattadel caso della risonanza discusso nel §4. Inoltre si puo trattare nel modo prima datol’interazione di un atomo con particelle α o elettroni incidenti16, quando l’incontronon e ravvicinato, in modo che si possa calcolare la perturbazione di ciascuno deidue sistemi dal moto imperturbato dell’altro. Tutti questi problemi sono una puraquestione di calcolo, purche gli autovalori e le autofunzioni del sistema impertur-bato siano note. Si deve davvero sperare che si riesca a determinare queste funzioni

almeno in modo approssimato anche per gli atomi complessi, in analogia con la de-terminazione approssimata delle orbite di Bohr che appartengono a tipi di terminidiversi.

§6. Generalizzazione relativistico-magnetica delle equazioni fonda-

mentali

In connessione con i problemi fisici citati da ultimi, per i quali il campo magnetico,finora trascurato in questa serie di comunicazioni, gioca un ruolo importante, possofare qui un cenno assai breve sulla possibile generalizzazione relativistico-magneticadelle equazioni fondamentali (4”), sebbene solo per il problema ad un elettrone esolo con grandissime riserve. Queste ultime per due ragioni. In primo luogo la gene-ralizzazione si fonda per ora su una pura analogia formale. In secondo luogo essa,come si e ricordato nella prima comunicazione17, nel caso del problema di Kepleroporta formalmente alla formula di struttura fine di Sommerfeld e con quanti radialie azimutali “seminteri”, come oggi in generale si ritiene corretto; manca soltanto ilnecessario completamento per riprodurre in modo numericamente corretto le suddi-visioni delle righe dell’idrogeno, che nella rappresentazione di Bohr si ottengono conil momento angolare dell’elettrone di Goudsmit-Uhlenbeck. L’equazione differen-ziale alle derivate parziali di Hamilton per l’elettrone di Lorentz si puo scriveresemplicemente nella forma seguente:

(34)∂W

∂ct +

eV

c2

−∂W

∂x −

e U x

c2

−∂W

∂y −

e U y

c2

∂W

∂z−

e U zc

2

− m2c2 = 0.

Qui e, m, c sono la carica, la massa dell’elettrone e la velocit a della luce; V , U

sono i potenziali elettromagnetici dei campi elettromagnetici esterni nella posizionedell’elettrone. W e la funzione d’azione.

16Un tentativo assai interessante e coronato da successo di trattare l’interazione con particellecariche incidenti, tramite lo sviluppo in serie del loro campo, come interazione con onde luminose,si trova in: E. Fermi, Zeitschr. f. Phys. 29, 315 1924.

17Ann. d. Phys. 79, 372 1926.

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Dall’equazione classica (relativistica) (34) cerco ora di derivare l’equazione d’on-

da per l’elettrone con il seguente procedimento puramente formale che, come sivede facilmente, porterebbe alle equazioni (4”) se venisse applicato all’equazionedi Hamilton per un punto materiale, che si muova in un campo di forza arbitrario

della meccanica solita (non relativistica). - Sostituisco nella (34) dopo aver fatto iquadrati le quantita

(35)

∂W

∂t,

∂W

∂x,

∂W

∂y,

∂W

∂z,

rispettivamente con gli operatori

±h

2πi

∂t, ±

h

2πi

∂x, ±

h

2πi

∂y, ±

h

2πi

∂z.

L’operatore lineare doppio cosı ottenuto, applicato ad una funzione d’onda ψ, lopongo uguale a zero:

(36)

∆ψ −1

c2∂ 2ψ

∂t2

4πie

hc

V

c

∂ψ

∂t+ U grad ψ

+4π2e2

h2c2

V 2 − U

2 −m2c4

e2

ψ = 0.

(I simboli ∆ e grad hanno qui il significato elementare tridimensionale). La coppiadi equazioni (36) sarebbe la presunta generalizzazione relativistico-magnetica della(4”) nel caso di un elettrone singolo e sarebbe da intendere sempre nel senso che lafunzione d’onda complessa deve soddisfare l’una o l’altra equazione.

Per l’atomo di idrogeno si puo ottenere dalla (36) la formula di Sommerfeldcon il metodo descritto nella prima comunicazione, e parimenti si possono derivare(trascurando i termini con U 2) l’effetto Zeeman normale, ed anche le ben note regoledi selezione e di polarizzazione assieme alle formule delle intensita; esse derivanodalle relazioni integrali tra le funzioni sferiche citate alla fine della terza comuni-cazione.

Per le ragioni addotte al primo capoverso di questo paragrafo rinuncio provviso-riamente a riportare per esteso questi calcoli e mi attengo anche nei seguenti para-grafi conclusivi alla versione “classica” e non all’incompleta versione relativistico-magnetica della teoria.

§7. Sul significato fisico dello scalare di campo

Nel §2 l’ipotesi euristica prima introdotta per il problema ad un elettrone sul si-gnificato elettrodinamico dello scalare di campo ψ e stata generalizzata senz’altro adun sistema qualsiasi di punti materiali carichi e si e promessa una discussione piu ap-profondita di questo procedimento. Abbiamo la calcolato la densita dell’elettricitain un punto qualsiasi dello spazio nel modo seguente: si sceglie un punto materiale,si tiene fissa la terna di coordinate che determina la posizione di questo secondola meccanica solita, si integra ψψ su tutte le rimanenti coordinate del sistema e simoltiplica il risultato per una data costante, la “carica” del punto materiale scelto;nello stesso modo si procede con ciascun punto materiale (terna di coordinate),attribuendo al punto materiale di volta in volta scelto sempre la stessa posizione,

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ovvero la posizione del punto dello spazio, nel quale si vuole conoscere la densita dielettricita. Quest’ultima e uguale alla somma algebrica dei risultati parziali.

Questa prescrizione e equivalente alla seguente interpretazione, che fa megliorisaltare il vero significato di ψ. ψψ e in un certo senso una funzione peso nello

spazio delle configurazioni del sistema. La configurazione del sistema secondo lameccanica ondulatoria e una sovrapposizione di molte, a rigore di tutte le configu-razioni cinematiche possibili secondo la meccanica dei punti. Ogni configurazionedella meccanica dei punti contribuisce con un certo peso alla configurazione verasecondo la meccanica ondulatoria, peso dato da ψψ. Se si amano i paradossi, sipuo dire che il sistema si trova in un certo senso contemporaneamente in tutte leposizioni pensabili dal punto di vista cinematico, ma non in tutte “con ugual in-tensita”. Nei moti macroscopici la funzione peso si ritira in pratica in un piccolodominio di posizioni praticamente indistinguibili, il cui baricentro nello spazio delleconfigurazioni percorre traiettorie macroscopicamente percettibili. Nei problemi delmoto microscopici interessa comunque anche, e per certe questioni perfino in primo

luogo, la distribuzione variabile sul dominio.Questa diversa interpretazione puo a prima vista lasciare interdetti, poiche ab-

biamo finora spesso parlato in un modo concreto cosı intuitivo di “oscillazioni ψ”come di qualcosa del tutto reale. Qualcosa di percepibile come realta sta tuttaviaalla base anche della presente interpretazione, ossia le assai reali, elettrodinamica-mente attive fluttuazioni della densita elettrica nello spazio. La funzione ψ deve nepiu ne meno essere o agire come cio che permette di governare e prevedere la to-talita di queste fluttuazioni mediante una sola equazione differenziale alle derivateparziali. Che la funzione ψ stessa in generale non si possa interpretare direttamentein uno spazio tridimensionale, sebbene il problema di un elettrone molto induca aquesto, perche essa in generale e una funzione nello spazio delle configurazioni, non

nello spazio reale, e stato rilevato ripetutamente

18

.Da una funzione peso nel senso prima esposto si desidera che il suo integralesull’intero spazio delle configurazioni sia costantemente normalizzato ad un valorefisso, preferibilmente uno. Infatti ci si persuade facilmente che cio e necessarioperche secondo le definizioni precedenti la carica totale del sistema risulti costante.E questa condizione va naturalmente imposta anche per sistemi non conservativi.Evidentemente la carica di un sistema non puo cambiare, se per esempio arrivaun’onda luminosa, dura per un certo intervallo di tempo e poi cessa. NB: cio valeanche per i processi di ionizzazione. Una particella estratta va considerata ancoranel sistema finche l’estrazione non sia realizzata anche logicamente, - mediantesuddivisione dello spazio delle configurazioni.

Ci si domanda ora se la persistenza della normalizzazione da richiedersi sia

davvero garantita dalle equazioni d’evoluzione (4”), alle quali ψ deve soddisfare.Che questo non succedesse, sarebbe per l’intera nostra interpretazione abbastanzacatastrofico. Fortunatamente succede. Costruiamo

(37)d

dt

ψψρdx =

ψ

∂ ψ

∂t+ ψ

∂ψ

∂t

ρdx.

Ora ψ soddisfa ad una delle due equazioni (4”), ψ all’altra. Pertanto il presenteintegrale vale, a meno di una costante moltiplicativa:

(38)

ψ∆ψ − ψ∆ψ

ρdx = 2i

(J ∆R − R∆J ) ρdx,

18Ann. d. Phys. 79, 526, 754, 1926.

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dove per il momento si e posto

ψ = R + iJ.

L’integrale (38) si annulla identicamente per il teorema di Green; la sola condizioneche le funzioni R e J per questo devono soddisfare - che vadano a zero abba-stanza rapidamente all’infinito - non significa fisicamente nient’altro, che il sistemaconsiderato e praticamente racchiuso in una regione finita.

Si puo sviluppare altrimenti quanto precede se non si integra sull’intero spaziodelle configurazioni, ma soltanto si trasforma la derivata temporale della funzionepeso in una divergenza mediante la trasformazione di Green. Si arriva a conoscerecosı il comportamento della corrente, in primo luogo della funzione peso e, tramitequesta, dell’elettricita. Si moltiplichino le due equazioni

(4”)

∂ψ

∂t=

h

4πi∆ −

8π2

h2V ψ

∂ ψ

∂t= −

h

4πi

∆ −

8π2

h2V

ψ

rispettivamente per ρψ e per ρψ e le si sommino:

(39)∂

∂t

ρψψ

=

h

4πiρ ·

ψ∆ψ − ψ∆ψ

.

Per eseguire la trasformazione del secondo membro in extenso, bisogna ricordarsidella forma esplicita del nostro operatore laplaciano multidimensionale non eu-clideo19:

(40) ρ∆ =k

∂qk

ρT pk

ql,

∂ψ

∂ql

.

Si trova facilmente con una piccola trasformazione:

(41)∂

∂t

ρψψ

=

h

4πi

k

∂qk

ρψT pk

ql,

∂ψ

∂ql

− ρψT pk

ql,

∂ ψ

∂ql

.

Il secondo membro appare come la divergenza di un vettore reale multidimensionale,che si interpreta evidentemente come la densita di corrente della funzione peso

nello spazio delle configurazioni. L’equazione (41) e l’equazione di continuita dellafunzione peso. Da questa si puo ottenere l’equazione di continuita dell’elettricita ,e in particolare ne vale una singolarmente per la densita di carica che “deriva daogni singolo punto materiale”. Consideriamo l’α-esimo punto materiale, sia eα lasua “carica”, mα la sua massa, il suo spazio delle coordinate sia per semplicita

19Ann. d. Phys. 79, 748 1926, equazione (31). La quantita la contrassegnata con ∆−1/2p

e la nostra“funzione densita” ρ(x) (per esempio r2 sinϑ per una terna di coordinate polari). T e l’energia cinetica in funzione delle coordinate spaziali e dell’impulso, l’indice in T significa laderivata rispetto ad una coordinata dell’impulso. - Nelle equazioni (31) e (32) del luogo citato peruna svista purtroppo si adopera l’indice k due volte, una come indice di sommatoria, l’altra comeindice rappresentativo nell’argomento delle funzioni.

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descritto con coordinate cartesiane, xα, yα, zα. Indichiamo per brevita il prodottodei differenziali delle restanti coordinate con dx. Integriamo su di esse l’equazione(41), con xα, yα, zα fissi . Con questa integrazione spariscono al secondo membrotutti i termini salvo tre, e si ottiene:

(42)

∂t

ψψdx

=

heα4πimα

∂xα

ψ

∂ψ

∂xα

− ψ∂ ψ

∂xα

dx

+heα

4πimα

∂yα

ψ

∂ψ

∂yα− ψ

∂ ψ

∂yα

dx

+ . . .

=heα

4πimα

divα

ψ gradα ψ − ψ gradα ψ

dx

.

In questa equazione div e grad hanno il consueto significato tridimensionale euclideoe xα, yα, zα si devono interpretare come coordinate cartesiane dello spazio reale.

Questa equazione e l’equazione di continuita della densita di carica che “deriva dalpunto materiale α-esimo”. Costruendo analogamente i termini restanti e somman-doli tutti si ottiene l’equazione di continuita complessiva. Si deve sottolineare che,come sempre in questi casi, l’interpretazione degli integrali al secondo membro comecomponenti della densita di corrente non e obbligatoria in assoluto, poiche si puoaggiungere un vettore a divergenza nulla.

Per dare un esempio, nel problema conservativo ad un elettrone, quando ψ edata da

(43) ψ =k

ckuk exp(2πiν kt + iϑk) (ck, ϑk costanti reali)

si ottiene come densita di corrente J

(44)J =

he12πm1

(k,l)

ckcl (ul grad uk − uk grad ul)

· sin [2π (ν k − ν l) t + ϑk − ϑl] .

Si vede, e cio vale in generale per sistemi conservativi - che quando una sola oscil-lazione propria e eccitata le componenti della corrente sono nulle e la distribuzionedell’elettricita e costante nel tempo; quest’ultima circostanza si nota immediata-mente, poiche ψψ e costante nel tempo. Questo accade anche quando siano eccitatepiu oscillazioni proprie, ma tutte corrispondano allo stesso autovalore. Non occor-rera piu allora che la densita di corrente si annulli, ma potra esservi e in generalevi sara una distribuzione di corrente stazionaria . Poiche nello stato fondamen-tale imperturbato succede sempre o l’una o l’altra cosa, si pu o parlare in un certosenso di un ritorno a un modello atomico elettrostatico e magnetostatico. L’assenzadi radiazione dello stato fondamentale trova altresı in questo modo una soluzionesbalorditivamente semplice.

Spero e credo che le presenti ipotesi si rivelino utili per spiegare le proprietamagnetiche degli atomi e delle molecole e inoltre per spiegare la corrente elettricanei corpi solidi.

Una certa difficolta si trova senza dubbio nell’introdurre una funzione d’ondacomplessa . Se essa risultasse fondamentalmente inevitabile, e non una pura agevo-lazione per il calcolo, vorrebbe dire che esisterebbero fondamentalmente due equa-zioni, che soltanto insieme danno informazioni sullo stato del sistema. Questo

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sviluppo un tantino antipatico ammette, come credo, l’interpretazione assai piusimpatica, che lo stato del sistema e dato da una funzione reale e dalla sua derivatarispetto al tempo. Che su questo punto noi non possiamo dare per ora nessunaspiegazione piu precisa dipende dal fatto che abbiamo nella coppia di equazioni

(4”) soltanto il surrogato - per il calcolo tuttavia straordinariamente conveniente -di un’equazione d’onda reale probabilmente del quart’ordine, la cui determinazionetuttavia nel caso non conservativo non m’e riuscita.

Zurich, Physikalischen Institut der Universitat.

(ricevuto il 21 giugno 1926)

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Sull’effetto Compton1

E. Schrodinger

E noto che secondo la teoria ondulatoria della luce tutte le variazioni della fre-quenza e della normale d’onda si possono prevedere in base a considerazioni assaisemplici e generali sulla fase, senza introdurre un qualsivoglia dettaglio del processo.Penso a considerazioni del tipo seguente: un’onda luminosa con la fase

2πν

t − n

c(αx + βy + γz )

incida dalla direzione degli z positivi sul piano x, y, che costituisce la superficie diseparazione di due mezzi con indici di rifrazione n (per z > 0) e n (per z < 0). Siassuma l’onda rifratta con la fase

2πν

t −n

c (α

x + β

y + γ

z) + δ

e si richieda per z = 0 una differenza di fase costante, cioe indipendente da x,y ,t;si ottiene

ν = ν, nα = nα, nβ = nβ,

ossia la legge della rifrazione di Snellius. Il procedimento e cosı generale, che peresempio esso vale immutato anche per i cristalli. Esso si puo estendere senz’altroa superfici di separazione in moto. Un esame dettagliato del processo elettro-magnetico sara pur sempre necessario quando ci si interessi anche delle intensita (formule di rifrazione di Fresnel).

Poiche ora ci si aspetta di trovare nelle onde di de Broglie uno strumento pariall’ottica ondulatoria per dominare quei processi, che prima si erano interpretati e-sclusivamente come moti corpuscolari, bisogna aspettarsi e richiedere che sulla basedi considerazioni di fase assai semplici del tipo prima introdotto si possano renderecomprensibili le variazioni di direzione e di frequenza delle onde d’etere che interven-gono nell’effetto Compton in connessione con le variazioni di velocit a dell’elettrone.Anche queste ultime, secondo l’idea di de Broglie, sono descrivibili come variazionidi direzione e di frequenza di un’onda, ossia dell’onda di de Broglie. Un esamepiu approfondito della meccanica ondulatoria del processo, come recentemente hacondotto con pieno successo W. Gordon2, e necessario per la determinazione delleintensita. Poiche quest’ultimo e considerevolmente lungo e intricato, la trattazionesemplice ed intuitiva comunicata nel seguito, che da tutto fuorche l’intensita, puo

essere in ogni caso assai desiderabile.Partiamo da un risultato dell’ottica classica. “Quando in un mezzo trasparente,

omogeneo e isotropo, il cui indice di rifrazione dipenda dalla densit a, un raggioluminoso di lunghezza d’onda λ incrocia un’onda di compressione (onda sonora)di lunghezza d’onda Λ, come ha mostrato L. Brillouin3 con un calcolo puramenteclassico, il raggio luminoso viene riflesso parzialmente in modo regolare dai piani

1Uber den Comptoneffekt, Annalen der Physik 82, 257-264 (1927).2W. Gordon, Zeitschr. f. Phys. 40, 117 (1926). Gordon e stato cosı gentile, da consentirmi una

visione del suo manoscritto, dal quale sono stato portato alla semplice rappresentazione seguente,che in nuce sta alla base anche della trattazione di Gordon.

3L. Brillouin, Annales de Phys. 17, 88 (1923).

1

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2

delle onde sonore, purche tra le due lunghezze d’onda e l’angolo di illuminazione ϑsussista la relazione di Bragg ben nota nella teoria della riflessione dei raggi Rontgen

(1) 2Λ sin ϑ = λ

per la riflessione al prim’ ordine (= λ, non = kλ). Questo si trova in approssi-mazione, quando la velocita della luce puo essere considerata molto grande rispettoalla velocita del suono. Detto piu precisamente, succede come per uno specchioin moto: l’angolo di riflessione non e esattamente uguale all’angolo di incidenza,il raggio luminoso subisce spostamento Doppler, e anche la (1) va corretta, comeavverrebbe per un cristallo in moto”.

Queste leggi sono ricavate in un altro lavoro4 nel quale poi si mostra con soddi-sfazione che il risultato di Brillouin si puo ottenere anche dall’ipotesi di uno scambioquantizzato di energia ed impulso. Si era allora dell’opinione, che l’intera nostraspiegazione della natura si dovesse costruire in fin dei conti con siffatti bilanci

quantici e ci si rallegrava ogni volta che un risultato classico degno di fede si potevatrasferire agevolmente dalla vecchia alla nuova base. Prendiamo adesso per cosı direla via opposta. Mostriamo che in stretta analogia con il risultato di Brillouin suricordato si puo dare un’interpretazione secondo la meccanica ondulatoria delle re-lazioni di Compton, che non e per nulla meno semplice della trattazione quantisticadell’impulso e dell’energia. Un’onda piana

(2) ψ ≈ e

2πi

h

hνt−

h

√ν2−ν

2

0

c(αx+βy+γz)

,

dove

α2 + β 2 + γ 2 = 1, ν 0 = m0c2/h

(m0=massa a riposo dell’elettrone, h=costante di Planck, c=velocita della luce),

soddisfa nello spazio privo di campi l’equazione d’onda-ψ proposta negli ultimitempi da molte parti5

∆ψ − 1

c2ψ − 4π2ν 20

c2ψ = 0,

e si riferisce secondo de Broglie ad un elettrone che si muova con energia hν nelladirezione α,β,γ . Da questa si calcola in modo noto che

c ,h ν 2

−ν 2

0c · α,h ν 2

−ν 2

0c · β,h ν 2

−ν 2

0c · γ

e il tetravettore “energia-impulso” del corrispondente elettrone. Dal punto di vistadell’onda lo chiameremo “tetravettore di propagazione” e indicheremo con questaespressione i coefficienti di ct, −x, −y, −z nella fase (tralasciando il fattore 2π/h)per un’onda piana sinusoidale del tutto arbitraria , sia essa un’onda ψ, sia un’onda

4E. Schrodinger, Physik. Zeitschr. 25, 89 (1924).5O. Klein, Zeitschr. f. Phys. 37, 895 (1926); E. Schrodinger, Ann. d. Phys. 81, 109 (1926);

V. Fock, Zeitschr. f. Phys. 38, 242 (1926); Th. De Donder e H. van den Dungen, Compt. rend.,5 luglio 1926; L. de Broglie, Compt. Rend., 26 luglio 1926; J. Kudar, Ann. der Phys. 81, 632(1926); W. Gordon, opera citata.

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3

d’etere, o qualcos’altro. Il “vettore di propagazione” e un concetto puramente dellacinematica delle onde ed ha le componenti

(3) hc· frequenza, hα

lunghezza d’onda, hβ

lunghezza d’onda, hγ

lunghezza d’onda,

dove α,β,γ sono i coseni direttori della normale d’onda. Per un’onda d’etere questequantita coincidono pure con i valori dell’energia e dell’impulso secondo la teoria deiquanti. Tuttavia questi richiami a grandezze quantistiche servono solo ad agevolarealla fine l’identificazione del nostro risultato con quello di Compton - operiamo conil concetto puramente della cinematica delle onde (3) di vettore di propagazione. -Per vettore di propagazione tri dimensionale intendiamo naturalmente la proiezionespaziale, cioe il vettore (3) dopo aver tralasciato la prima componente.

Secondo l’ipotesi sempre finora confermata della meccanica ondulatoria non si

associa significato fisico alla funzione ψ stessa, ma al quadrato del suo valore asso-luto, e in particolare il significato: densita di elettricita6. Una sola onda ψ del tipo(2) genera quindi una distribuzione di densita costante nello spazio e nel tempo.Se tuttavia ne sovrapponiamo due - le costanti della seconda siano ν , α, β , γ − siriconosce facilmente che dalla loro azione congiunta si forma una “onda di densit aelettrica” con un vettore di propagazione che e la differenza vettoriale dei vettoridi propagazione delle due onde ψ costituenti. Se chiamiamo simbolicamente questidue vettori A, A, quello dell’onda di densita e7

(4) D = A− A.

Quest’onda di densita e ora quel la che compare al posto dell’onda sonora di Bril-louin. Se facciamo l’ipotesi che da essa un’onda luminosa sia riflessa come da unospecchio in moto, purche sia soddisfatta la legge di Bragg, le nostre quattro onde,cioe le due onde ψ, A ed A, l’onda luminosa incidente e l’onda luminosa riflessa,come mostreremo, stanno proprio nel rapporto di Compton. La differenza rispettoal caso di Brillouin della riflessione da un’onda sonora e solo quantitativa, perchein generale la velocita della nostra onda di densita D non e piccola rispetto allavelocita della luce; si possono avere valori arbitrari fino alla velocita della luce (mamai sopra la velocita della luce, come si verifica facilmente).

La dimostrazione della nostra affermazione si ottiene facilmente. Non occorreinfatti trovare davvero la riflessione da uno specchio in moto. Poiche tutte e quattrole onde e naturalmente anche i loro vettori di propagazione sono invarianti per

trasformazioni di Lorentz, possiamo con una di queste trasformare a riposo l’ondadi densita. La prima componente (temporale) del suo vettore di propagazionesara allora nulla. Inoltre allora la frequenza (e la lunghezza d’onda) dell’ondaluminosa non cambiano per riflessione, cioe la componente temporale del vettore dipropagazione di questa risulta invariato per riflessione. In conclusione la relazione diBragg vale proprio nella forma (1), dove λ e la lunghezza d’onda dell’onda luminosa,Λ quella dell’onda di densita, ϑ l’angolo di illuminazione. Essa si puo porre nellaforma:

6Il raffinamento relativistico nel nostro caso non cambia questa ipotesi. (W. Gordon, luogocitato).

7Il segno e di poca importanza, perche scambia soltanto i ruoli delle due onde ψ.

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La legge dell’energia e dell’impulso delle onde materiali1

E. Schrodinger

Il principio di Hamilton , dal quale si puo derivare2 l’equazione differenzialerelativistica esatta delle onde di de Broglie, pare pienamente giustificare le spe-ranze che io avevo riposto3 in un’intima fusione della meccanica ondulatoria conl’elettrodinamica classica. Se si aggiunge all’integrando (“funzione di Lagrange”)la ben nota funzione di Lagrange del campo elettromagnetico in assenza di cariche,ossia H2 − E2, si ottengono allo stesso tempo, quando si varı oltre alla funzioneψ anche il potenziale, le quattro equazioni d’onda per quest’ultimo, ossia l’interaelettrodinamica. Cio si deve alla circostanza per primo notata da Gordon (op.cit.), che la funzione di Lagrange delle onde di de Broglie, derivata rispetto aduna componente del potenziale, da la componente corrispondente della tetracor-rente. Come la piu importante conseguenza ulteriore si ottiene la legge dell’energia

e dell’impulso per il campo totale, dalla quale si puo derivare il contributo dellecariche, cioe della funzione ψ, al tensore d’energia e impulso. Mi e interamentechiaro che tutto cio dev’essere in qualche modo contenuto nelle formulazioni assaigenerali di O. Klein4 e di de Donder5. Non mi pare tuttavia superfluo esporrequesta unione nella forma piu semplice possibile, senza rapporti con la teoria dellagravitazione e con l’interessante quinta coordinata, specialmente con riguardo aduna frattura assai importante, che pur sempre si apre tra questa bella teoria dicampo in se chiusa e l’esperienza (vedi la conclusione di questa Nota).

Sviluppiamo l’equazione delle onde ed il principio di Hamilton nella forma in-trodotta da Gordon. La prima si scrive (si somma sempre da 1 a 4 sugli indiciripetuti due volte):

(1)

∂xα+ iϕα

∂xα− iϕα

− k2

ψ = 0,

dove s’e posto:x1, x2, x3 = x, y, z; x4 = ict

ϕ1, ϕ2, ϕ3 =2πe

hc· U x, U y, U z ; ϕ4 =

2πe

hc· iV

(2) k2 =4π2m2

0c2

h2.

U , V sono i potenziali; e, m0, c , h le consuete costanti universali, i =√−1. Va

notato in particolare che con l’introduzione di tetravettori con quarta componenteimmaginaria non si distruggono le proprieta di realta. Si tratta solo di un mezzoformale di calcolo, per non dover scrivere in tutte le somme il quarto termine

1Der Energieimpulssatz der Materiewellen, Annalen der Physik 82, 265-272 (1927).2O. Klein, Zeitschr. f. Phys. 37, 895 (1926); V. Fock, ibidem 38, 242 (1926); J. Kudar, Ann.

d. Phys. 81, 632 (1926); W. Gordon, Zeitschr. f. Phys. 40, 117 (1926).3Ann. d. Phys. 79, 754 (1926).4op. cit.5Th. de Donder e H. van den Dungen, Compt. rend. 5-7-1926.

1

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2

in particolare con il segno cambiato. Il passaggio al complesso coniugato percioriguarda solo le i che appaiono esplicitamente e la funzione ψ.

Secondo Gordon (loc. cit.) la (1) e derivabile da un integrale di Hamilton conla funzione di Lagrange (reale)

(3) Lm = (ψα + iϕαψ)(ψα − iϕαψ) + k2ψψ.

Barra = complesso coniugato. Per abbreviazione si e posto

(4) ψα =∂ψ

∂xα, ψα =

∂ ψ

∂xα.

L’indice α va quindi eseguito dopo la barra. Per eseguire le derivate variazionalisi devono, come ha notato Gordon, variare ψ e ψ come indipendenti . Si riconoscefacilmente che si arriva allo stesso risultato che se si variassero indipendentementela parte reale e la parte immaginaria di ψ (come e propriamente giusto). Cosı una

derivata variazionale si scrive

(5)∂

∂xα

∂Lm

∂ ψα

∂Lm

∂ ψ= 0,

in accordo con la (1); l’altra non da niente di nuovo. Se si moltiplica la (5) per ψsi ottiene facilmente

(6)∂

∂xα

ψ

∂Lm

∂ ψα

= ψα

∂Lm

∂ ψα

+ ψ∂Lm

∂ ψ= Lm,

quest’ultima come Lm e omogenea di primo grado rispetto alle cinque quantita ψe ψα. Se si passa al complesso coniugato, il secondo membro non cambia, e quindi

per sottrazione

(7)∂

∂xα

ψ

∂Lm

∂ ψα

− ψ∂Lm

∂ψα

= 0.

Questa e per Gordon l’equazione di continuita dell’elettricita . Si riconosce che

(8) ψ∂Lm

∂ ψα

− ψ∂Lm

∂ψα

= i∂Lm

∂ϕα

.

Definiamo la tetracorrente come

(9) sα = −λ∂Lm

∂ϕα

,

dove λ e una costante universale da determinarsi. Intendiamo con sα le quattroquantita, che nella teoria di Lorentz si scrivono

(10) s1, s2, s3 = ρv

c, s4 = iρ.

Completiamo ora la nostra funzione di Lagrange (3), com’e possibile secondo la(9), in modo che per variazione di ϕα si ottengano da essa le leggi del campoelettromagnetico. Poniamo

(11) Le =1

4f αβf αβ =

1

4

∂ϕβ

∂xα−

∂ϕα

∂xβ

∂ϕβ

∂xα−

∂ϕα

∂xβ

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3

con l’abbreviazione

(12) f αβ =∂ϕβ

∂xα−

∂ϕα

∂xβ.

Secondo la (2) e le formule consuete si ha

(13)f 14 = −

2πe

hciEx, f 24 = −

2πe

hciEy, f 34 = −

2πe

hciEz;

f 23 =2πe

hcHx, f 31 =

2πe

hcHy, f 12 =

2πe

hcHz;

dove E, H rappresentano il campo nelle unita solite. Assumiamo ora come funzionedi Lagrange

(14) L = Lm + Le

e otteniamo per variazione rispetto a ϕβ nel modo noto

(15)∂f αβ∂xα

=∂L

∂ϕβ

= −sβλ

.

Con il valore della costante

λ =hc

8π2e

la (15) reppresenta la cosidetta seconda quaterna delle equazioni di Maxwell -

Lorentz , mentre la prima e per la (12) soddisfatta identicamente. Con la (12) e conla condizione aggiuntiva di Maxwell (∂ϕα/∂xα = 0) la (15) diventa l’equazione delpotenziale

(15’)∂ 2ϕβ

∂xα∂xα= −

sβλ

.

Dalla (15) (e dalla condizione aggiuntiva di Maxwell) e facile verificare che

(16)∂T ρσ∂xσ

= −f ρσsσ

λ,

dove

(17) T ρσ = f ραf σα − δρσLe

e il noto tensore degli sforzi, dell’impulso e dell’energia di Maxwell (a meno diuna costante universale). Il secondo membro della (16) indica secondo Lorentzl’energia o l’impulso sottratto dall’elettrone al campo. Questo secondo membro sipuo per mezzo della (9) e dell’equazione d’onda (5) di ψ parimenti esprimere comedivergenza di un tensore, il tensore d’energia-impulso della carica (ovvero della“materia”). Si ottiene immediatamente

(18) −f ρσsσ

λ=

∂ϕσ

∂xρ−

∂ϕρ

∂xσ

∂Lm

∂ϕσ

=∂Lm

∂ϕσ

∂ϕσ

∂xρ−

∂xσ

ϕρ

∂Lm

∂ϕσ

,

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4

l’ultima per la conservazione della tetracorrente [Eq. (7) e (8)]. Si trova inoltre

(19)∂Lm

∂xρ=

∂Lm

∂ϕσ

∂ϕσ

∂xρ+

∂Lm

∂ ψψρ +

∂Lm

∂ψψρ +

∂Lm

∂ ψσ

∂ ψσ

∂xρ+

∂Lm

∂ψσ

∂ψσ

∂xρ.

Ma per la (4)

(20)∂ψσ

∂xρ=

∂ψρ

∂xσetc.,

cosı e possibile trasformare gli ultimi due termini come in un’integrazione per parti,con la quale trasformazione quattro termini si cancellano per la (5). Si ottiene

(21)∂Lm

∂xρ=

∂Lm

∂ϕσ

∂ϕσ

∂xρ+

∂xσ

ψρ

∂Lm

∂ ψσ

+ ψρ

∂Lm

∂ψσ

Sottraiamo questa dalla (18) e otteniamo

(22)

−f ρσsσ

λ=

∂Lm

∂xρ−

∂xσ

ψρ

∂Lm

∂ ψσ

+ ψρ

∂Lm

∂ψσ

+ ϕρ

∂Lm

∂ϕσ

=∂

∂xσ

δρσLm − ψρ

∂Lm

∂ ψσ

− ψρ

∂Lm

∂ψσ

− ϕρ

∂Lm

∂ϕσ

= −∂S ρσ∂xσ

,

dove introduciamo il tensore dell’energia delle cariche o della “materia”:

(23) S ρσ = ψρ∂Lm

∂ ψσ

+ ψρ∂Lm

∂ψσ

+ ϕρ∂Lm

∂ϕσ

− δρσLm.

Dalla (16) e dalla (22) si ottiene

(24)∂

∂xσ(T ρσ + S ρσ) = 0

come complessiva legge di conservazione dell’energia e dell’impulso per il campoelettromagnetico e per il campo d’onda di de Broglie presi insieme.

Il calcolo fornisce il tensore S ρσ simmetrico. Si trova facilmente come espressione

esplicita

(25) S ρσ = ψρψσ+ψσψρ+iϕσ(ψρψ−ψρψ)+iϕρ(ψσψ−ψσψ)+2ψψϕρϕσ−δρσLm,

ovvero la seguente, modellata piu strettamente sulla forma (3) di Lm:

(25’) S ρσ = (ψρ + iϕρψ)(ψσ − iϕσψ) + (ψσ + iϕσψ)(ψρ − iϕρψ) − δρσLm.

Lo scalare di Laue (somma diagonale) S σσ non e nullo, a differenza di T σσ . Si trovainoltre facilmente

(26) S σσ =−

2(Lm + k2ψψ).

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5

Il tensore complessivo ammette la seguente rappresentazione, ben nota in casianaloghi, mediante la funzione di Lagrange complessiva

(27) T ρσ+S ρσ =

∂L

∂ ∂ϕρ∂xα

∂ϕσ

∂xα +

∂L

∂ ∂ϕα∂xρ

∂ϕα

∂xσ +

∂L

∂ ψρ

¯ψσ+

∂L

∂ψρψσ+

∂L

∂ϕρ ϕσ−δρσL,

nella quale il parallelo e con la rappresentazione della funzione di Hamilton mediantela funzione di Lagrange nella meccanica del punto.

Si deve ricordare che le nostre componenti dei tensori S ρσ e T ρσ hanno la dimen-sione fisica cm−4. Devono essere moltiplicate per la costante

h2c2

32π3e2,

con la dimensione del quadrato di una carica, per rappresentare fisicamente l’e-

nergia, l’impulso e gli sforzi (n.b.: ulteriori difetti dimensionali possono essere no-toriamente ripianati con potenze di c).

Se ci si chiede ora, se questa teoria di campo in se chiusa - a prescindere dallaprovvisoria mancata considerazione dello spin dell’elettrone - corrisponda alla realtanel modo come per l’innanzi si sperava da teorie simili, la risposta e negativa . Gliesempi calcolati, per tutti l’atomo di idrogeno, mostrano infatti che nell’equazioned’onda (1) non si e sostituito quel potenziale, che risulta dalle equazioni del poten-ziale (15’) con la tetracorrente (9). Invece e noto che per l’atomo di idrogeno siintroduce nella (1) per ϕα il potenziale prefissato del nucleo ed eventuali campielettromagnetici “esterni”, e si risolve l’equazione per ψ. Dalla (9) si calcola poila distribuzione delle correnti “prodotta” da questa ψ, da questa secondo la (15’)

il potenziale da essa prodotto. Questo da poi, con l’aggiunta del potenziale prefis-sato, il potenziale con il quale l’atomo opera all’esterno come un tutto. Si trova cosı(con un’opportuna normalizzazione della ψ, per la quale in verita manca inoltre ilfondamento nella teoria di campo ) da un lato la neutralizzazione della carica delnucleo a grande distanza, dall’altro la radiazione. Per quanto riguarda il tentativonaturale di sostituire il potenziale ora trovato nell’equazione (1) e di calcolare una“seconda approssimazione”, si deve dire: con il potenziale di neutralizzazione non sipuo procedere affatto in questo modo, si modificherebbero completamente i valoridei termini, percio sarebbero necessari molti ulteriori passi di approssimazione che,quando il procedimento converge, senza alcun dubbio non riportano ai corretti ter-mini dell’idrogeno, ma (con carica nucleare 2) ai termini dell’ atomo di elio. Invece,quando si trattassero i potenziali radiativi nel modo descritto, si dovrebbe ottenerela necessaria correzione radiativa 6, almeno quando si assuma che una vibrazionenormale sia eccitata fortemente, e tutte le rimanenti assai debolmente.

Proprio la proprieta di chiusura delle equazioni di campo appare spezzata inmodo singolare. Oggi questo non si riesce a capire interamente, ma lo si puocollegare alle due cose seguenti.

1. Lo scambio di energia ed impulso tra il campo elettromagnetico e la “materia”non avviene in realta nel modo continuo, come la legge di campo (24) fa credere.

2. Anche nella teoria di Lorentz nelle equazioni di moto di un elettrone si deveintrodurre solo il campo degli altri elettroni, non il campo proprio. La reazione di

6vedi Ann. d. Phys. 81, 129 (1926).

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Scambio d’energia nella meccanica ondulatoria1

E. Schrodinger

La nota seguente e immediatamente connessa con una serie di comunicazioni2

apparse in questi Annalen, e impieghiamo qui la “meccanica ondulatoria” nellaforma multi dimensionale la quasi completamente elaborata, che si puo portare inaccordo con la meccanica quantistica di Heisenberg e Dirac, non in quella formatetra- (o secondo O. Klein penta-) dimensionale3, che corrisponde all’originaria con-cezione di de Broglie e possibilmente coglie meglio l’essenza della questione, ma peril momento e solo un programma, poiche con essa non si e in grado ora di formulareil problema a piu elettroni. - Devo chiedere il permesso di sviluppare qui daccapoalcune cose importanti, che da allora sono state esposte in altri lavori (Heisenberg,Dirac, Jordan). Potro cosı rendere comprensibili anche quelle che nei nuovi sistemidi numeri (matrici, q-numeri) utilizzati da quegli autori non sono state ancora ela-

borate4.

§1. Il metodo della variazione delle costanti5

Per il problema perturbativo risolto in Q III (§§1 e 2) si sono da allora sviluppatidei metodi piu generali6 per molti scopi ampiamente superiori. Consideriamo unsistema conservativo, la cui equazione d’onda [Q IV, equazione (4”)]

(1) ∆ψ −8π2

h2V ψ −

4πi

hψ = 0

abbia le autosoluzioni normalizzate

(2) ψke2πiEkt

h ,

dove ψk dipende solo dalle coordinate del sistema7. ψk soddisfa quindi all’equazioneindipendente dal tempo

(3) ∆ψk +8π2

h2(E k − V )ψk = 0.

1Energieaustausch nach der Wellenmechanik, Annalen der Physik 83, 956-968 (1927).2“Quantisierung als Eigenwertproblem”, comunicazioni dalla prima alla quarta; questi Annalen

79, 361, 489; 80, 437; 81, 109. (1926); citate nel seguito con Q I - IV.3O. Klein, Zeitschr. f. Phys. 37, 895 (1926); W. Gordon, ibidem 40, 117 (1926); Q IV, 131;

E. Schrodinger, Ann. d. Phys. 82, 257 e 265 (1927); e altri.4Si puo paragonare la difficolta generalmente percepita con la seguente. Se qualcuno per esem-

pio prima sviluppasse la vecchia teoria con azione a distanza dell’elettricita in coordinate carte-siane e poi passando alla teoria di Maxwell introducesse insieme il calcolo vettoriale, l’ascoltatoreavrebbe molta difficolta a distinguere tra il contenuto fisicamente nuovo e la nuova forma . (Cosıpuo facilmente sfuggire in P.A.M. Dirac (Proc. Roy. Soc. A114, 250, §3) che qui si e introdottauna ipotesi fisica totalmente nuova, ossia un uso “scalato” o “raddoppiato” di quel processo cheHeisenberg chiama “passaggio alle matrici”, Dirac “passaggio ai q-numeri”, ed io “passaggio allameccanica ondulatoria”).

5P.A.M. Dirac, Proc. Roy. Soc. A112, 674 (1926).6vedi in particolare M. Born, Zeitschr. f. Phys. 40, 172 (1926).7La funzione d’onda ψ dev’essere essenzialmente complessa. Solo per semplicita delle formule

poniamo reale la funzione delle coordinate ψk.

1

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2

La soluzione generale della (1) e

(4) ψ = k

ckψke2πiEk

t

h ,

dove i ck sono costanti arbitrarie in generale complesse, che chiamiamo ampiezze (ei quadrati dei loro valori assoluti per brevita quadrati delle ampiezze).

Introduciamo ora una leggera perturbazione, temporalmente costante, cioe sosti-tuiamo nella (1) V con V +r, dove r e ovunque una funzione piccola delle coordinate.Cerchiamo di soddisfare l’equazione cosı perturbata ancora con la (4), considerandole ampiezze come funzioni lentamente variabili del tempo. Per questa dipendenzatemporale si ottiene, sostituendo la (4) nell’equazione (perturbata) (1) e tenendoconto della (3)

(5) −8π2

h2 rk

ckψke

2πiEkt

h −4πi

hk

ckψke

2πiEkt

h = 0.

Come condizione necessaria e sufficiente per l’annullarsi del primo membro usia-mo la condizione che esso sia ortogonale ad ogni funzione del sistema ortogonalecompleto ψl. Otteniamo cosı le infinite equazioni

(6) cl =2πi

h

k

εklcke2πi(Ek−El)t

h

con

(7) εkl =

rψkψldx.

L’equazione (6) non implica alcuna approssimazione.Siano ora tutte le differenze degli autovalori grandi rispetto agli “elementi della

matrice di perturbazione” εkl, allora ogni ck (k = l) puo essere considerato ap-prossimativamente costante durante il periodo del fattore esponenziale associato;tutti questi termini producono quindi solo piccole perturbazioni oscillatorie su cl.Solo per il termine della somma k = l cio non vale, perche in questo caso il fattoreesponenziale e 1. A prescindere da quelle piccole oscillazioni si ha quindi

(8) c·l =2πi

h

εllcl; cl = c0l e2πiεllt

h .

I moduli delle ampiezze risultano quindi (in questa approssimazione) essenzialmenteimmutati, solo le loro fasi subiscono variazioni secolari (che si possono anche con-siderare come perturbazioni degli autovalori , vedi Q III).

Se nel sistema imperturbato compaiono differenze degli autovalori, che sianoconfrontabili con le quantita perturbative εkl o piccole rispetto ad esse, allora leampiezze di tutte quelle oscillazioni proprie, che appartengono al gruppo di auto-valori vicini, sono tramite le equazioni (6) nell’approssimazione prima consideratatra loro accoppiate in modo tale che non piu il singolo quadrato dell’ampiezza ecostante, ma solo la somma di essi. - Lo si dimostra cosı. Consideriamo in partico-lare il caso di un autovalore di molteplicita α. cl sia l’ampiezza di una oscillazione

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3

propria corrispondente. Allora vi saranno nel secondo membro della (6) α fattoriesponenziali uguali a 1, rimangono nell’approssimazione considerata α termini se-colari, e proprio relativi alle ampiezze, che corrispondono al medesimo autovalore.Si devono pertanto considerare tutte le α equazioni (6), nel primo membro delle

quali compaia una di queste ampiezze. Otteniamo quindi per la loro determinazioneil sistema di equazioni finito, chiuso in se

(9) cl =2πi

h

αk=1

εklck; l = 1, 2, . . . α ,

dove abbiamo numerato per semplicita le α ampiezze che intervengono con 1, 2, . . .α. Si trova quindi in generale uno scambio tra ampiezze che appartengono aduno stesso autovalore α, - nell’approssimazione considerata - solo tra quelle. Se simoltiplica la (9) per il complesso coniugato c∗

l, si prende la parte reale e si somma

su tutti gli l, si trova a secondo membro (a causa della simmetria di εkl) zero, cioe

(10)α

k=1

clc∗

l = cost.

e un integrale della (9). Del resto le equazioni sono naturalmente assai facili daintegrare, poiche gli εkl sono costanti. Ci si riconduce alla trasformazione agli assiprincipali riportata in Q III, pag. 453. La soluzione e in accordo con la “soluzioneperturbativa approssimata d’ordine zero”, connessa con gli “autovalori perturbatiin prima approssimazione” di cui la si parla.

§2. La spiegazione secondo la meccanica ondulatoria

degli scambi d’energia quantizzati

La situazione assai semplice prima delineata, come hanno notato Heisenberg8 eJordan9, fornisce la spiegazione secondo la meccanica ondulatoria di quel fatto, chesi puo ben indicare come il fondamento empirico della teoria quantistica, il fattocioe che tutti i fenomeni in un sistema fisico si influenzano tra loro solo quandocoincidono rispetto ad una “differenza di livelli”, o approssimativamente coincidono,e che l’influenza riguarda sempre solo i quattro livelli critici e cio sempre in modoche uno dei due sistemi si sposta verso il suo livello piu alto a spese dell’altro, chesubisce uno spostamento “equivalente” in senso opposto.

Consideriamo due sistemi con le equazioni d’onda

(11) ∆1ψ −8π2

h2V 1ψ −

4πih

ψ = 0

(autofunzioni: ψk corrispondenti a E k)

(12) ∆2ϕ −8π2

h2V 2ϕ −

4πi

hϕ = 0

(autofunzioni: ϕl corrispondenti a F l)

8W. Heisenberg, Zeitschr. f. Phys. 38, 411 (1926); 40, 501 (1926).9P. Jordan, ibidem 40, 661 (1927).

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e uniamoli concettualmente (“con accoppiamento nullo”) in un sistema, di modoche l’equazione d’onda di questo, come facilmente si ricava, sar a

(13) (∆1 + ∆2)Ψ −8π2

h2 (V 1 + V 2)Ψ −4πi

h Ψ = 0

con le autofunzioni ψkϕl corrispondenti agli autovalori E k + F l. Aggiungiamo comenel §1 a V 1 + V 2 un piccolo termine di accoppiamento r. Succedera che a causadell’unione concettuale compariranno o meno nuove degenerazioni, ovvero degene-razioni approssimate (cioe autovalori multipli o molto vicini). Se cio non succede,cioe se tutti gli autovalori E k + F l sono abbastanza nettamente separati, i duesistemi non si influenzano reciprocamente nella prima approssimazione trattata al§1. Ma se nella (13) compaiono nuove degenerazioni, si trova invece uno scambiosecolare delle ampiezze.

Sia per esempio per quattro valori particolari k, k, l , l

(14) E k + F l

= E k

+ F l

(cio richiede che nei due sistemi coincida la differenza d’energia E k−E k = F l−F l).Allora all’autovalore (14) corrispondono le due autofunzioni

(15) ψkϕl e ψkϕl.

Se le loro due ampiezze sono c1, c2, tra di esse avviene uno scambio secondo leequazioni

(16)c1 =

2πi

h(ε11c1 + ε12c2),

c2 =2πi

h(ε12c1 + ε22c2),

dove le costanti εik sono definite da un opportuna generalizzazione dell’equazione(7) §1.

Evidentemente bisogna aspettarsi per esempio un accrescimento dell’ampiezzacorrispondente a ψkϕl a spese della seconda nel senso duplice che in un sistemal’ampiezza di ψk si accresce a spese di quella di ψk , mentre nell’altro sistemal’ampiezza di ϕl si accresce a spese di quella di ϕl. La situazione si puo pensarecosı: la funzione d’onda del sistema complessivo descrive d’un colpo sia lo statodel primo sistema (quando si trascuri il piccolo accoppiamento e l’esistenza delsecondo sistema) sia anche il vice versa. Certo allora appaiono come ampiezze nonpiu semplici numeri, ma combinazioni lineari delle autofunzioni dell’altro, quindisecondo questa interpretazione, di un sistema completamente esterno. Ma questo

non disturba particolarmente. Per il calcolo di una qualche quantita fisica cheriguarda il sistema considerato e semplice eliminare per integrazione le coordinatedel sistema esterno, in modo analogo a come e stato descritto in Q IV, §7. Si trovacosı per esempio per il quadrato del l’ampiezza di ϕl la somma dei quadrati delleampiezze di tutte quelle autofunzioni del sistema totale che contengono ϕl

10.

10La scomodita, che nell’ambito del metodo di calcolo semplice qui sviluppato non ci si possaliberare definitivamente delle autofunzioni esterne, cioe che non si possa dare semplicementel’ampiezza complessa di ϕl nel sistema isolato, appare stare all’essenza della situazione. None infatti possibile una reale eliminazione dell’accoppiamento senza prendere in considerazione unulteriore sistema, ossia la radiazione (ovvero l’“etere”). Per descrivere correttamente la situazione:i termini di accoppiamento coulombiano si sentono a lungo prima che diventino trascurabili, e deb-bano essere sostituiti dall’interazione radiativa.

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Troviamo quindi che, senza presupporre livelli di energia discreti e scambi dienergia quantizzati, e in particolare senza che si debba considerare altro significatodegli autovalori che quello di frequenze, possiamo dare una semplice spiegazione delfatto che una interazione fisica abbia luogo in modo del tutto preferenziale tra quei

sistemi, nei quali secondo la vecchia interpretazione “interviene lo stesso elementod’energia”. Si tratta, come ha ben rilevato Heisenberg, di un semplice fenomeno dirisonanza con battimenti, come nel cosidetto pendolo simpatico. Senza il postulatodei quanti si perviene ad una situazione, che e esattamente come se il postulatodei quanti valesse per davvero. Questa situazione “come se” non e per noi nientedi nuovo. Anche le frequenze emesse spontaneamente si comportano come se gliautovalori fossero livelli di energia discreti e valesse la condizione delle frequenze diBohr.

Non ci costringono i principı della ricerca in generale tenuti per giusti ad unaestrema prudenza, potrei quasi dire a diffidare del postulato dei quanti - a pre-scindere interamente dalla sua incomprensibilita come assioma? E psicologicamente

cosı chiaro: dal momento che una volta si e introdotta l’interpretazione dei “ter-mini” come livelli d’energia discreti, si vede in ogni fenomeno di scambio di nuovascoperta una conferma di questa interpretazione, anche quando in natura non suc-cede di fatto nient’altro che il suddetto fenomeno di risonanza. Non si obbietti: maproprio l’interpretazione dei termini come livelli d’energia, se non da altro, non esostenuta oltre ogni dubbio dagli esperimenti di urto di elettroni ; non vorrai metterein dubbio, che la differenza di potenziale attraverso la quale cade misura l’energiacinetica del singolo elettrone? - Replico: mi chiedo se non sia molto piu giustoportare in primo piano, al posto del concetto “energia cinetica del singolo elet-trone”, quello della frequenza dell’onda di de Broglie. E noto che per queste ondeavviene, all’attraversamento di una differenza di potenziale, proprio quella vari-

azione di frequenza che corrisponde all’energia cinetica ricevuta, e che l’equazioned’onda da proprio quei cammini curvati dei raggi, che si osservano di fatto nelladeterminazione di e/m e di v. -

Non posso reprimere l’impressione: lasciare il postulato quantico accanto alfenomeno di risonanza richiede di accettare due spiegazioni per lo stesso fatto.Ma allora succede come per le scuse: una e certamente falsa, di solito tutt’e due.-Nell’ultima sezione alla situazione “come se” di cui abbiamo parlato qui ne aggiun-geremo una ulteriore.

§3. Ipotesi statistica

Se si prova ad ottenere dalle equazioni (9) una asserzione circa la ripartizionemedia delle ampiezze per un’interazione continuata, non si riesce, come nel casoanalogo della meccanica classica, senza una particolare ipotesi aggiuntiva di carat-tere statistico. Come le equazioni fondamentali della meccanica, anche le equazioni(9) sono evidentemente insensibili ad un cambiamento di segno del tempo, poicheesso puo essere compensato da uno scambio di i con −i (cambiamento di segno ditutte le fasi, corrispondente al cambiamento di segno di tutte le velocita in mec-canica classica). Cio mostra che nel processo di risonanza non e insita nessuna“tendenza all’equilibrio”. Infatti il calcolo mostra che i valori medi temporali deiquadrati delle ampiezze dipendono in generale dai loro valori iniziali. Per ottenereaffermazioni statistiche e necessaria quindi un’ipotesi sulla probabilita a priori deivalori iniziali. Si mostra che solo una ipotesi e possibile, quando si impongano lecondizioni:

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1. L’ipotesi dev’essere indipendente dall’istante per il quale essa e introdotta,cioe la probabilita di determinati valori delle ampiezze non deve mutare nel corsodel tempo a causa dell’azione delle equazioni (9).

2. Essa dev’essere indipendente da quale si scelga degli infiniti sistemi ortogonali,

che vanno l’uno nell’altro mediante un’arbitraria sostituzione ortogonale riguar-dante le autofunzioni appartenenti allo stesso autovalore. (Vedi Q III, pag. 448 eseguenti).

Ci si persuade facilmente che sotto queste condizioni non e possibile altra ipotesiche questa: la densita di probabilita in uno spazio, nel quale si riportino le partireale ed immaginaria delle ampiezze come coordinate ortogonali e funzione solo dellesomme dei quadrati delle ampiezze corrispondenti ad autovalori numericamentedistinti.

Quest’ipotesi ha per conseguenza che i valori medi dei quadrati delle ampiezzeche corrispondono allo stesso autovalore sono uguali per simmetria, ovvero che ognisomma parziale e essa stessa proporzionale al numero di termini della somma. Uti-

lizzeremo nel seguito solo questa conseguenza, solo nel caso di una degenerazioneestremamente elevata e solo per somme parziali con un numero di termini estrema-mente grande.

Si deve rinunciare al tentativo di presentare questi valori medi, secondo unaqualche analogia con l’ipotesi quasi ergodica, come vere medie temporali. E chiaroche le equazioni (9) fanno cadere una tale ipotesi (esse possiedono almeno α integraliolomorfi indipendenti, ossia i quadrati delle ampiezze delle “oscillazioni normali”).Il caso appare del tutto analogo a quello del corpo rigido ideale, per il quale lacostanza dei quadrati delle ampiezze delle oscillazioni normali pare escludere a

rigore ogni applicazione della statistica.Non posso trascurare di dire che nell’effetto Stark la stessa ipotesi riguardo ai

quadrati delle ampiezze delle oscillazioni proprie corrispondenti ad un medesimoautovalore e necessaria per ottenere i corretti rapporti di intensita delle componentidella struttura fine (vedi Q III, pag. 465).

§4. Sistema arbitrario in un bagno termico

Ritorniamo alle considerazioni del §2. Assumeremo ora che nel sistema totalesi debba considerare (e d’ora in poi) eccitato solo l’autovalore (14). Inoltre assu-meremo ora che i quattro autovalori di cui si parla dei sistemi parziali E k, E k , F l,F l , che abbiamo assunto tacitamente nel §2 come semplici , abbiano le molteplicitaαk, αk , αl, αl . L’autovalore (14) ha allora molteplicita αkαl + αkαl, quindi alposto di due autofunzioni degeneri (15) compaioni due gruppi con αkαl ovvero

αk

αl componenti. Secondo l’ipotesi statistica del §3 la somma dei quadrati delleampiezze del primo gruppo sta a quella del secondo gruppo come

(17) αkαl sta a αkαl.

Per quanto detto alla fine del §2 e questo anche il rapporto tra la somma deiquadrati delle ampiezze di tutte le oscillazioni proprie corrispondenti ad E k e lasomma dei quadrati delle ampiezze di tutte le oscillazioni corrispondenti a E k nelprimo sistema considerato da solo.

Secondo la nostra ipotesi statistica l’interazione con il sistema esterno forza quelloin esame da un rapporto indeterminato tra i quadrati delle ampiezze corrispondentiad autovalori distinti ad un valore fissato, quello determinato dai prodotti “in croce”

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dei gradi di degenerazione. (In croce significa: si deve far corrispondere al livello“superiore” del sistema in esame quello inferiore del sistema esterno, e viceversa).- Per brevita indicheremo d’ora in poi la somma dei quadrati delle ampiezze cor-rispondente ad un autovalore come la sua intensita di eccitazione.

Trattiamo ora un caso un po’ piu complicato. Manteniamo fisso che nel sistemacomplessivo sia costantemente eccitato un solo autovalore, che chiamiamo E . Ma ilsecondo sistema (ϕl, F l), che ora chiameremo bagno termico, sia un sistema estre-mamente grande con uno spettro di autovalori estremamente denso, di modo cheper ciascun E k del primo sistema, che chiameremo termometro, esista sempre unautovalore del bagno termico F l , che soddisfi la condizione

(18) F l = E − E k;

e inoltre F l abbia una elevata molteplicita.Pertanto le intensita d’eccitazione di tutti gli autovalori E k del termometro

stanno tra loro in rapporti interamente fissati, essi si comportano cioe come ilprodotto

(19) αkαl .

I rapporti degli αl si possono determinare in modo del tutto generale. La domandacirca la molteplicita αl dell’autovalore F l del bagno termico, cioe circa il numero diautofunzioni essenzialmente distinte del bagno termico che corrispondono a questoautovalore e infatti evidentemente identica alla domanda: in quanti modi essen-zialmente distinti si puo collocare l’energia F l nel bagno termico, qualora questofosse “quantizzato in energia”. Ma questa e proprio la domanda che porrebbe lastatistica quantistica di Planck per il calcolo dell’entropia del bagno termico, cheessa assume uguale a k volte (k =costante di Boltzmann) il logaritmo della quantitain questione. La sola differenza11 e che per noi basta porre la domanda nella formadi un periodo ipotetico - il risultato del conteggio e naturalmente indipendente daltipo di interpretazione adottata.

Esso richiede che siak lg αl = S (E − E k),

dove il secondo membro e l’entropia che risulta avere il bagno termico di energiaE − E k secondo la statistica di Planck. Per la (19) le intensita di eccitazione degliautovalori E k del termometro si comportano come le quantita

(20) αke1kS(E−Ek)

(si perdoni la comparsa della lettera k con significati diversi). Se il bagno termicoe molto grande, si puo porre

(21) S (E − E k) = S (E ) −

∂S

∂E

E

· E k = S (E ) −E kT

,

11Intervengono naturalmente le ben note piccole differenze nella determinazione particolaredei “livelli di energia” della nuova meccanica quantistica rispetto alla vecchia (quantizzazione“semintera”, eccetera). Si nota inoltre: riguardo a cio che oggi si ama chiamare il tipo di statistica

(di Bose-Einstein, di Fermi, eccetera), nulla e pregiudicato dalle considerazioni assai generali deltesto. Esso interviene quando si applichi alle autofunzioni un principio di esclusione di Pauli odi Heisenberg, cioe quando si considerino nel conteggio di Planck essenzialmente distinte o menocerte distribuzioni dell’energia.

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dove T indica la temperatura del bagno termico calcolata secondo Planck perl’energia E . Cio significa che al posto della (20) si puo usare

(22) αk

e

−Ek

kT

.

Abbiamo pertanto ottenuto l’importante risultato:Le intensita di eccitazione medie degli autovalori di un sistema in un bagno

termico stanno tra loro come - secondo la vecchia statistica quantistica - le frequenzerelative dei membri di un insieme canonico che si trovino in uno stato singolopensato quantizzato. Inoltre le molteplicita degli autovalori del sistema consideratosi comportano come “pesi quantici”.

Possiamo liberarci dell’ipotesi, fatta inizialmente, che nel sistema totale sia daconsiderarsi eccitato un singolo autovalore E . Questo procedimento corrispondeesattamente a quando nella statistica classica si parte da un insieme microcanonicoe si assume che un piccolo sistema parziale sia distribuito canonicamente nello

spazio delle fasi. Se si vuole, si puo sempre successivamente imporre anche alsistema complessivo una distribuzione canonica; il risultato per il sistema parzialeresta immutato. Anche ora naturalmente accade la stessa cosa.

Il risultato (22) puo in linea di principio bastare per trasportare pari pari nellanuova teoria tutti i risultati importanti della vecchia statistica quantistica, innanzi-tutto la statistica dei gas, della materia condensata e dell’“hohlraum” (formuladella radiazione di Planck), che possono tutti essere fondati su questa formula;naturalmente, con le modifiche grandi o piccole ricordate nell’ultima nota. Checio sia possibile, anche senza appoggiarsi al postulato dei quanti, lo vorrei porre inparticolare evidenza.

Se si vuole, si puo intendere tutto quanto e stato detto in questa nota secondo

l’interpretazione di Born12

, che mantiene il postulato e interpreta i quadrati delleampiezze non come intensita ad uno stesso tempo per un sistema singolo, masoltanto come probabilita (frequenze relative) degli stati quantici discreti in uninsieme virtuale. Ho tentato di stabilire se in questo modo si possa evitare l’ipotesistatistica del §3. Risulta che questo non accade. Secondo Born la variazione tempo-rale del “campo di probabilita” e governata deterministicamente (“causalmente”)dall’equazione d’onda, quindi la variazione temporale delle “ampiezze di proba-bilita” deterministicamente dalle equazioni (9). La reversibilita menzionata nel §3riguarda adesso la variazione temporale delle ampiezze di probabilita. Cosı prevedoche non si possa mai giungere ad un’evoluzione unidirezionale (irreversibile) senzaun’ipotesi aggiuntiva sulla probabilita relativa delle diverse possibili distribuzioniper i valori iniziali delle ampiezze di probabilita. Rifuggo da questa concezione,non tanto per la sua complicazione, quanto perche da una teoria che postula unaprobabilita assoluta, primaria come legge di natura si dovrebbe pretendere che aquesto prezzo per lo meno ci liberasse dalle vecchie “difficolta ergodiche”, e per-mettesse di capire l’evoluzione unidirezionale dei processi naturali senza ulterioriipotesi aggiuntive.

Zurich, Physikalische Institut der Universitat.

(ricevuto il 10 giugno 1927)

12M. Born, Zeitschr. f. Phys. 37, 863; 38, 803; 40, 167 (1926).

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La situazione attuale nella meccanica quantistica.1

E. Schrodinger, Oxford.

Sommario

§1 La fisica dei modelli.§2 La statistica delle variabili del modello nella meccanica quantistica.§3 Esempi di predizioni probabilistiche.§4 Si possono attribuire alla teoria degli insiemi ideali?§5 Le variabili sono davvero indeterminate?§6 Il cambiamento intenzionale del punto di vista epistemologico.§7 La funzione ψ come catalogo delle aspettative.§8 Teoria della misura, prima parte.§9 La funzione ψ come descrizione dello stato.

§10 Teoria della misura, seconda parte.§11 La soppressione dell’intreccio. Il risultato indipendente dalla volonta dellosperimentatore.§12 Un esempio.§13 Prosecuzione dell’esempio: tutte le misure possibili sono univocamente in-

trecciate.§14 La variazione dell’intreccio col tempo. Riflessioni sulla posizione speciale del

tempo.§15 Principio di natura o artificio di calcolo?

§1. La fisica dei modelli.

Nella seconda meta del secolo scorso dai grandi sviluppi della teoria cinetica deigas e della teoria meccanica del calore e sorto un ideale della descrizione esattadella natura, che come coronamento di ricerche secolari e compimento di una spe-ranza millenaria costituisce un vertice, e lo chiamiamo classico. Questi sono i suoilineamenti.

Degli oggetti naturali, il comportamento osservato dei quali si voglia compren-dere, si costruisce, appoggiandosi ai dati sperimentali che si possiedono, ma senzaimpedire di farsene l’immagine intuitiva, una rappresentazione, che e elaborataesattamente in tutti i dettagli, molto piu esattamente di quanto possa garantire

qualsiasi esperienza, tenendo conto del suo ambito limitato.La rappresentazione nella sua determinatezza assoluta e uguale ad una strutturamatematica o ad una figura geometrica, che puo essere calcolata in tutto e per tuttoda un certo numero di elementi determinanti ; come per esempio in un triangoloun lato e i due angoli ad esso adiacenti, come elementi determinanti, fissano ilterzo angolo, gli altri due lati, le tre altezze, il raggio del cerchio inscritto e cosıvia. La rappresentazione differisce per natura da una figura geometrica solo peril fatto importante che essa e chiaramente determinata, oltre che in ognuna delletre dimensioni dello spazio, anche nel tempo come quarta dimensione. Cio vuol

1Die gegenwartige Situation in der Quantenmechanik, Die Naturwissenschaften 23, 807-812,823-828, 844-849 (1935).

1

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dire che si tratta (com’e evidente) sempre di una struttura che muta nel tempo,che puo assumere stati diversi; e quando uno stato e reso noto mediante il numeronecessario di elementi determinanti, allora non solo sono dati insieme anche tuttigli altri elementi a questo istante (come spiegato prima nel caso del triangolo), ma

anche tutti gli elementi, lo stato esatto, ad ogni determinato tempo successivo; allostesso modo come le proprieta d’un triangolo alla base determinano le sue proprietaal vertice opposto. E proprio della legge interna della struttura che essa muti inmodo determinato, cioe, quando la si abbandoni a se stessa in un determinatostato iniziale, che percorra con continuita una determinata sequenza di stati, deiquali ciascuno e raggiunto ad un tempo esattamente determinato. Questa e la suanatura, questa e l’ipotesi che, come ho detto sopra, si pone in base ad un’immagineintuitiva.

Naturalmente non si e cosı ingenui da pensare che in tal modo si indovini comerealmente vanno le cose nell’universo. Per indicare che non lo si pensa, il surrogatomentale esatto che si e creato lo si chiama un’immagine o un modello. Con la

sua chiarezza senza indulgenze, che non si puo introdurre senza arbitrio, si e solotralasciato il fatto che un’ipotesi del tutto determinata puo essere controllata nellesue conseguenze, senza dar spazio a nuove arbitrarieta, per mezzo di calcoli lunghie difficili, mediante i quali si derivano le conseguenze. Si hanno itinerari limitati e sicalcola veramente solo quello che un tipo sveglio leggerebbe direttamente dai dati!Si sa per lo meno dove si insinua l’arbitrarieta e dove si deve migliorare quandonon si ha accordo con l’esperienza: nelle ipotesi iniziali, nel modello. Si dev’esseresempre preparati a questo. Quando in molti esperimenti di tipo diverso l’oggettonaturale si comporta davvero come il modello, ci si rallegra e si pensa che la nostraimmagine e conforme alla realta nei tratti essenziali. Ma se in un esperimento dinuovo tipo o per raffinamento della tecnica di misura non si ha piu accordo, non

e detto che non ci si rallegri. Perche in fondo e questo il modo col quale si puoraggiungere gradualmente un adeguamento sempre migliore dell’immagine, cioe deinostri pensieri, ai fatti.

Il metodo classico del modello preciso ha lo scopo principale di tenere rigorosa-mente isolata l’inevitabile arbitrarieta nelle ipotesi, potrei quasi dire come il corpocol plasma germinale, per il processo di adattamento storico al progredire dell’espe-rienza. Forse il metodo si fonda sulla convinzione che in qualche modo lo statoiniziale determina davvero univocamente l’evoluzione, ovvero che un modello com-pleto, che coincida del tutto esattamente con la realta, permetterebbe di calcolarein anticipo il risultato di tutti gli esperimenti in modo del tutto esatto. Ma forseal contrario questa opinione si fonda sul metodo. Tuttavia e molto probabile chel’evoluzione del pensiero riguardo all’esperienza sia un processo infinito e che “mo-

dello completo” implichi una contraddizione in termini, all’incirca come “massimonumero intero”.

Una chiara idea di cio che s’intenda per un modello classico, per i suoi elementi determinanti , per il suo stato, e il fondamento per tutto cio che segue. Innanzituttoun determinato modello e uno stato determinato dello stesso non devono essereconfusi. Un esempio servira nel modo migliore. Il modello di Rutherford dell’atomodi idrogeno consiste di due punti materiali. Come elementi determinanti si possonoper esempio utilizzare le due per tre coordinate ortogonali dei due punti e le dueper tre componenti delle loro velocita nelle direzioni degli assi coordinati - quindidodici in tutto. Al posto di queste si potrebbero anche scegliere: le coordinate ele componenti della velocita del baricentro, inoltre la distanza dei due punti, due

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angoli , che fissano la direzione della loro congiungente nello spazio, e le velocita (=derivate rispetto al tempo), con le quali variano nell’istante considerato la distanzae i due angoli; ovviamente sono ancora dodici. Non appartiene al concetto “modellodi Rutherford dell’atomo di idrogeno” il fatto che gli elementi determinanti debbano

avere valori numerici determinati. La chiara visione d’assieme sulla totalita deglistati possibili - ancora senza relazione reciproca - costituisce il “modello” ovvero “ilmodello in uno stato qualsiasi ”. Ma al concetto di modello appartiene allora di piuche semplicemente: i due punti assegnati in una posizione arbitraria e con velocitaarbitrarie. Ad esso appartiene ancora il fatto che per ogni stato e noto come essomutera col tempo, fintanto che non abbia luogo alcun intervento esterno. (Per unameta degli elementi determinanti l’altra fornisce informazioni, ma per l’altra le sidevono dare prima). Questa conoscenza e latente nell’asserzione: i punti hanno lemasse M , e le cariche −e e +e, e si attirano percio con la forza e2/r2, quando laloro distanza e r.

Queste indicazioni, con determinati valori numerici per m, M ed e (ma natural-

mente non per r) appartengono alla descrizione del modello (non gia a quella di unostato determinato). m, M ed e non sono elementi determinanti. Invece la distanzar lo e. Nel secondo “gruppo” che prima abbiamo presentato a mo’ d’esempio, essainterviene come settimo. Quando si utilizza il primo gruppo, r non e un tredicesimoelemento indipendente, esso si puo calcolare dalle 6 coordinate ortogonali:

r =

(x1 − x2)2 + (y1 − y2)2 + (z1 − z2)2.

Il numero degli elementi determinanti (che spesso si chiameranno anche variabili in opposizione alle costanti del modello come m, M , e) e illimitato. Dodici sceltiopportunamente determinano tutti i rimanenti ovvero lo stato. Nessun gruppo di

dodici ha il privilegio di costituire gli elementi determinanti. Esempi di altri ele-menti determinanti particolarmente importanti sono: l’energia, le tre componentidel momento angolare rispetto al baricentro, l’energia cinetica del moto del bari-centro. Quelli ora nominati hanno ancora una proprieta particolare. Essi sonovariabili , cioe hanno in stati diversi valori diversi. Ma in ogni sequenza di stati,che col passar del tempo siano realmente attraversati, essi mantengono lo stessovalore. Essi si chiamano percio anche costanti del moto - a differenza delle costantidel modello.

§2. La statistica delle variabili del modello nella meccanica quantistica.

A cardine del’attuale meccanica quantistica sta una concezione, che forse subira

ancora qualche reinterpretazione, ma che, ne sono fermamente convinto, non cesseradi costituire il cardine. Essa consiste nell’idea che modelli con elementi determi-nanti che si determinano reciprocamente in modo univoco, come quelli classici, nonpossono render conto della natura.

Verrebbe da pensare che per chi creda cio i modelli classici abbiano esaurito illoro ruolo. Ma non e cosı. Invece si utilizzano proprio quelli , non solo per esprimerela negazione della nuova concezione; invece anche la determinazione reciproca atten-uata, che tuttavia ancora rimane, sara espressa come sussiste tra le stesse variabilidello stesso modello che era utilizzato prima. Nel modo seguente.

A. Il concetto classico di stato va perso, poiche al piu si possono assegnare valorinumerici determinati ad una meta ben scelta di un gruppo intero di variabili; per

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esempio nel modello di Rutherford alle 6 coordinate ortogonali oppure alle com-ponenti della velocita (sono possibili anche altri raggruppamenti). L’altra metaresta allora del tutto indeterminata, mentre elementi soprannumerari possono e-sibire i gradi piu diversi di indeterminazione. In generale in un gruppo completo

(nel modello di Rutherford dodici elementi) potranno essere noti tutti solo in modoimpreciso. Sul grado di imprecisione si puo dare informazione nel modo migliore se,seguendo la meccanica classica, nella scelta delle variabili ci si preoccupi che esse sidispongano in coppie cosidette canonicamente coniugate, per le quali l’esempio piusemplice e: una coordinata di posizione x di un punto materiale e la componente

px, valutata nella stessa direzione, del suo impulso lineare (cioe massa per velocita).Le due si limitano mutuamente nella precisione con la quale possono essere notesimultaneamente, poiche il prodotto delle loro ampiezze di tolleranza o di variazione(che si usa indicare con un ∆ anteposto alla quantita) non puo scendere sotto ilvalore di una certa costante universale2, cioe

∆x · ∆ px ≥ h

(relazione di indeterminazione di Heisenberg).B. Se in ogni istante tutte le variabili non sono piu determinate da alcune di

esse, non lo saranno ovviamente in un istante successivo a partire dai dati ottenibilidi un istante precedente. Si puo chiamare questo fatto una rottura con il prin-cipio di causalita, ma rispetto ad A non e niente di sostanzialmente nuovo. Sein nessun istante e fissato uno stato classico, esso non puo neppure cambiare inmodo obbligato. Cio che cambia sono le statistiche ovvero le probabilita, le quali restano obbligate. Singole variabili possono diventare precise, altre imprecise. Ingenerale si puo affermare che la precisione complessiva della descrizione non cambia

col tempo, il che discende dal fatto che le restrizioni imposte con A sono le stessein ogni istante. -

Che cosa significano ora le espressioni “impreciso”, “statistica”, “probabilita”?In proposito la meccanica quantistica da l’informazione seguente. Essa contienesenz’altro l’intero campionario infinito delle variabili concepibili, o elementi di de-terminazione del modello classico e interpreta ogni elemento come direttamente mi-surabile, misurabile proprio con precisione arbitraria, quando si tratti di esso da solo.Se ci si e procurati mediante un numero ristretto opportunamente scelto di misureuna conoscenza obbiettiva di quel tipo massimale, che secondo A e proprio ancorapossibile, l’apparato matematico della nuova teoria offre il mezzo per assegnareper lo stesso istante o per uno successivo ad ogni variabile una distribuzione stati-stica completamente determinata, cioe un’informazione, secondo quale percentualesi avra a che fare con questo o con quel valore, in questo o in quell’intervallino (cosa

che si chiama anche probabilita). E questo cio che si intende quando si dice chequesta sia di fatto la probabilita che la variabile considerata, quando la si misurinell’istante considerato, si trovi con questo o quel valore. La giustezza di questapredizione probabilistica si puo verificare con la massima approssimazione con unsolo esperimento quando essa sia abbastanza netta, cioe quando dichiari solo unpiccolo intervallo di valori come in genere possibile. Per verificarla completamentesi deve ripetere molte volte l’intero esperimento ab ovo (cioe includendo le misure di

2h = 1, 041 · 10−27 ergsec. Nella letteratura per lo piu si indica con h il prodotto di questa per2π(6, 542 · 10−27 ergsec) e al posto del nostro h si scrive un h con una lineetta trasversale.

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orientamento o di preparazione), e si possono utilizzare solo i casi nei quali le misuredi orientamento abbiano dato esattamente gli stessi risultati. In questi casi si con-fermera poi con la misura la statistica calcolata in precedenza per una determinatavariabile a partire dalle misure di orientamento - questa e l’idea.

Bisogna guardarsi dal criticare quest’idea per il fatto che e espressa in modo cosıpesante; cio dipende dal nostro linguaggio. Ma si insinua un’altra critica. Difficil-mente un fisico dell’epoca classica, immaginando un modello, si sarebbe azzardatoa credere che i suoi elementi determinanti fossero misurabili su oggetti di natura.Solo conseguenze ben piu indirette del modello erano di fatto accessibili alla verificasperimentale. E secondo ogni esperienza si poteva esser certi: molto prima che ilprogresso nell’arte di sperimentare avesse superato l’abisso, il modello si sarebbenotevolmente modificato con un adattamento graduale ai nuovi fatti. - Invece orala nuova teoria dichiara incompetente il modello classico, riformula la connessionemutua degli elementi determinanti (per quanto hanno inteso i suoi ideatori), maritiene altresı opportuno orientarci su che cosa sia in linea di principio eseguibile

come misura sull’oggetto di natura considerato; cosa che a quelli che hanno con-cepito la struttura sarebbe apparsa un’incredibile allargamento del loro espedientedi pensiero, un’anticipazione sventata di uno sviluppo futuro. Non e stata armoniaprestabilita allo stato puro, il fatto che il ricercatore dell’epoca classica che, comeoggi si sente dire, non sapeva ancora che cosa fosse propriamente misurare, ci abbiaugualmente lasciato in eredita a sua insaputa uno schema d’orientamento, dal qualedi deve desumere tutto quello che si puo fondamentalmente misurare, per esempioin un atomo di idrogeno?!

Spero di chiarire in seguito che la concezione dominante e nata dall’imbarazzo.Per ora proseguo nella sua esposizione.

§3. Esempi di predizioni probabilistiche.

Quindi tutte le predizioni si riferiscono come prima a elementi determinanti diun modello classico, a posizioni e a velocita di punti materiali, ad energie, momentiangolari e altra roba simile. Non classico e solo il fatto che si possano predire soloprobabilita. Consideriamo cio piu precisamente. In via ufficiale si tratta sempre delfatto che per mezzo di alcune misure eseguite ora e dei loro risultati si ottengonole indicazioni probabilistiche migliori possibili che la natura consente sui risultatida aspettarsi di altre misure, che seguiranno o subito o dopo un certo tempo. Macome appare la faccenda realmente? In casi importanti e tipici nel modo seguente.

Se si misura l’energia di un oscillatore di Planck, la probabilita di trovare un

valore tra E ed E

e forse diversa da zero solo se tra E ed E

cade un valore dellasequenza

3πhν, 5πhν, 7πhν, 9π h ν , . . . . . . .

Per ogni intervallo che non contiene nessuno di questi valori la probabilita e zero.Per dirla chiara: altri valori della misura sono esclusi. I numeri sono multiplidispari della costante del modello πhν (h = numero di Planck, ν = frequenzadell’oscillatore). Succedono due cose. In primo luogo manca il riferimento a misureprecedenti - esse infatti non sono necessarie. In secondo luogo: l’affermazione nonsoffre davvero d’una eccessiva mancanza di precisione, ma tutto all’opposto, essa epiu precisa di quanto possa mai essere una qualsiasi misura reale.

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Un altro esempio tipico e l’ammontare del momento angolare. In Fig. 1 M e unpunto materiale in moto, la freccia rappresentera il suo impulso (massa per velocita)in grandezza e direzione. O e un qualsiasi punto fisso nello spazio, diciamo l’originedelle coordinate; quindi non un punto con significato fisico, ma un punto di riferi-

mento geometrico. Come valore del momento angolare di M rispetto ad O la mec-canica classica designa il prodotto della lunghezza della freccia dell’impulso per la

lunghezza della perpendicolare OF .Nella meccanica quantistica c’e per il valore del momento angolare una situazione

del tutto analoga a quella dell’energia dell’oscillatore. Di nuovo la probabilita e zeroper ogni intervallo che non contenga nessun valore della successione seguente:

0, h√

2, h√

2 × 3, h√

3× 4, h√

4 × 5, . . .

cioe puo risultare solo uno di questi valori. Cio vale di nuovo senza alcun riferimento

a misure precedenti. E si puo ben capire come sia importante quest’affermazioneprecisa, molto piu importante del sapere quale valore o quale probabilita per ognu-no di essi si abbia in realta nel caso singolo. Ma inoltre qui succede che del puntodi riferimento non si parla proprio: comunque lo si scelga, si trovera un valore diquesta successione. Per il modello quest’asserzione e priva di senso, infatti la per-pendicolare OF varia con continuita se si sposta il punto O, e la freccia dell’impulsoresta invariata. Vediamo da questo esempio come la meccanica quantistica utilizziil modello per desumere da esso le quantita che si possono misurare e riguardo allequali si sosterra quali predizioni prendere per significative, mentre esso deve esseredichiarato incompetente ad esprimere l’interconnessione di queste quantita.

Non si ha in entrambi i casi la sensazione che il loro contenuto essenziale, comee stato enunciato, solo con un certo sforzo si lasci comprimere nello stivaletto spa-gnolo di una predizione sulla probabilita che si trovi questo o quel valore per unavariabile del modello classico? Non si ha l’impressione che qui si abbia a che farecon le proprieta fondamentali di nuovi gruppi caratteristici, che con quelli classicihanno in comune ancora solo il nome? Non si tratta affatto di casi eccezionali, pro-prio le asserzioni veramente importanti della nuova teoria hanno questo carattere.Si hanno anche situazioni che si avvicinano al tipo sul quale il modo di esprimersi epropriamente tagliato. Ma esse non hanno neanche lontanamente la stessa impor-tanza. E quelle che in modo ingenuo si costruirebbero come esempi didattici non cel’hanno per niente. “Sia data la posizione dell’elettrone nell’atomo di idrogeno altempo t = 0; si costruisca la statistica della sua posizione ad un tempo successivo.”Questo non interessa a nessuno.

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A parole tutte le affermazioni si riferiscono al modello intuitivo. Ma le affer-mazioni importanti sono rispetto ad esso poco chiare, e le sue caratteristiche chiaresono di poco valore.

§4. Si possono attribuire alla teoria degli insiemi ideali?

Il modello classico gioca nella meccanica quantistica un ruolo proteiforme. O-gnuno dei suoi elementi determinanti puo in certe circostanze divenire oggettodell’interesse e conseguire una certa realta. Ma mai tutti insieme - talvolta sonoquesti, talaltra quelli, e sempre al massimo la meta di un gruppo completo di varia-bili, che permetterebbe un’immagine chiara dello stato istantaneo. Come vanno lecose di volta in volta per le rimanenti? Esse allora non hanno alcuna realta, forse(sit venia verbo) una realta sfumata; oppure l’hanno sempre tutte ed e soltantoimpossibile, secondo la regola A del §2, la loro conoscenza simultanea?

La seconda interpretazione e straordinariamente familiare per chi conosce il si-

gnificato della trattazione statistica che e sorta nella seconda meta del secolo scorso;tanto piu se si pensa che alla vigilia del nuovo da essa , da un problema centraledella termologia statistica (teoria di Max Planck della radiazione termica, dicem-bre 1899), sarebbe nata la teoria dei quanti. L’essenza di questa linea di pensieroconsiste proprio nel fatto che in pratica non si conoscono mai tutti gli elementi deter-minanti del sistema, ma solo molti meno. Per la descrizione di un corpo reale in undato istante non si utilizza quindi uno stato del modello, ma un cosidetto insieme di Gibbs. Con cio s’intende un insieme di stati ideale, cioe solamente immaginato, cherispecchi esattamente la nostra conoscenza ristretta del corpo reale. Il corpo si com-portera allora come uno stato estratto a piacimento da quest’insieme. Quest’ipotesiha ottenuto il piu grande successo. Costituiscono il suo massimo trionfo quei casi

nei quali non tutti gli stati che intervengono nell’insieme fanno prevedere le stesseproprieta osservabili del corpo. Il corpo cioe si comporta allora davvero certe voltein un modo, certe altre in un altro, proprio come previsto (fluttuazioni termodi-

namiche). E ragionevole cercare se le affermazioni sempre imprecise della meccanicaquantistica si riferiscano anch’esse ad un insieme ideale di stati, dei quali nel singolocaso concreto esiste uno ben determinato - ma non si sa quale.

Che cio non succeda ce lo mostra proprio l’esempio del momento angolare, unoper tanti. Nella Fig. 1 si pensi di portare il punto M nelle posizioni piu diverserispetto ad O, e di dotarlo delle frecce d’impulso piu diverse, e si riuniscano tuttequeste possibilita in un insieme ideale. Poi si possono scegliere le posizioni e lefrecce in modo tale che in ogni caso il prodotto della lunghezza della freccia per lalunghezza della perpendicolare OF abbia uno o un altro dei valori ammessi - rispettoal punto fisso O. Ma per un altro punto O arbitrario risultano evidentemente valorinon ammessi. L’introduzione dell’insieme non aiuta quindi a fare alcun passo avanti.- Un altro esempio e l’energia dell’oscillatore. Si dia il caso che essa abbia unvalore preciso, per esempio il piu basso 3πhν . La distanza dei due punti materiali(che costituiscono l’oscillatore) risulta allora assai indeterminata . Perche questaaffermazione si possa riferire ad una collezione statistica di stati, in questo casola statistica delle distanze dovrebbe essere per lo meno limitata superiormente inmodo netto, a quella distanza per la quale l’energia potenziale gia raggiunge osupera il valore 3πhν . Ma cio non succede, intervengono perfino distanze arbitraria-mente grandi, sebbene con probabilita fortemente decrescente. E questo non eun risultato di calcolo marginale, che puo essere evitato in qualche modo senza

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colpire al cuore la teoria: su questo comportamento si fonda, assieme a moltealtre, la spiegazione quantomeccanica della radioattivita (Gamow). - Gli esempisi potrebbero moltiplicare all’infinito. Si osservi che non si e parlato affatto divariazioni temporali. Non sarebbe d’alcun aiuto consentire al modello di evolvere

in modo del tutto “non classico”, eventualmente di “saltare”. Gia per l’istantesingolo non va bene. Non esiste in nessun istante una collezione di stati del modelloclassico con la quale s’accordi l’insieme delle asserzioni quantomeccaniche per questoistante. La stessa cosa si puo anche esprimere cosı: se io volessi associare al modelloin ogni istante un determinato stato (a me soltanto non conosciuto esattamente)o (il che e lo stesso) a tutti gli elementi determinanti valori numerici fissati (a mesoltanto non conosciuti esattamente), non sarebbe pensabile alcuna ipotesi su questivalori numerici che non fosse in contraddizione con una parte delle asserzioni dellateoria dei quanti.

Questo non e esattamente cio che ci si aspetta quando si sente dire che le as-serzioni della nuova teoria sono sempre imprecise rispetto a quelle classiche.

§5. Le variabili sono davvero indeterminate?

L’altra alternativa consiste nell’associare realta solo agli elementi determinantidi volta in volta precisi - o detto piu in generale, ad ogni variabile un modo tale direalizzarsi che corrisponda esattamente alla statistica quantomeccanica di questevariabili nell’istante considerato.

Che non sia impossibile esprimere il grado e il tipo dell’indeterminazione ditutte le variabili in un’immagine completa chiara risulta gia dal fatto che la mecca-nica quantistica possiede ed usa realmente un tale strumento, la cosidetta funzioned’onda o funzione ψ, chiamata anche vettore del sistema. Di essa si parlera an-

cora molto. Che essa sia un costrutto matematico astratto non intuitivo e unascrupolo che sorge quasi sempre davanti agli espedienti concettuali nuovi, e nonavrei molto da dire. In ogni caso e un oggetto concettuale che riproduce in ogniistante l’indeterminatezza di tutte le variabili in modo altrettanto chiaro ed esatto,come il modello classico i suoi valori precisi. Anche la sua legge del moto, la leggedella sua variazione temporale, fin tanto che il sistema e lasciato a se stesso, nonsta indietro nemmeno d’uno iota per chiarezza e definizione alle equazioni del motodel modello classico. Dunque la funzione ψ potrebbe apparire proprio in questa po-sizione, purche l’indeterminatezza si limitasse alle dimensioni atomiche, sottratteal controllo diretto. Di fatto dalla funzione si sono derivate delle rappresentazionidel tutto intuitive e comode, per esempio la “nuvola di elettricita negativa” at-torno al nucleo positivo e simili. Seri dubbi sorgono tuttavia quando si osserviche l’indeterminazione raggiunge cose ben tangibili e visibili, per le quali la conno-tazione di indeterminatezza e semplicemente falsa. Lo stato di un nucleo radioattivoe presumibilmente indeterminato a tal punto e in tal modo che non sono determi-nati ne l’istante del decadimento ne la direzione nella quale abbandona il nucleola particella α che ne fuoriesce. All’interno del nucleo atomico l’indeterminazionenon ci disturba. La particella uscente sara descritta, se la si vuole intendere intuiti-vamente, come un’onda sferica, che viene emanata dal nucleo in tutte le direzionie continuamente, e che colpisce uno schermo luminescente vicino continuamentein tutta la sua estensione. Pero lo schermo non mostra affatto una luminescenzasuperficiale costante e debole, ma lampeggia in un istante in un punto - o meglio,a onor del vero, lampeggia talvolta qui, talvolta l a, poiche e impossibile eseguire

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l’esperimento con un solo atomo radioattivo. Se si usa invece dello schermo lumi-nescente un rivelatore esteso in volume, come un gas, questo sara ionizzato dalleparticelle α, e si trovano le coppie di ioni disposte lungo colonne rettilinee3, che pro-lungate all’indietro raggiungono il granello di materia radioattiva dalla quale esce

la radiazione α. (tracce di C.T.R. Wilson, rese visibili dalle goccioline di nebbiache condensano sugli ioni).

Si possono anche costruire casi del tutto farseschi. Un gatto sia chiuso in unacamera d’acciaio assieme alla seguente macchina infernale (che dev’essere protettadall’accesso diretto del gatto): in un contatore di Geiger si trova una minuscolaquantita di materiale radioattivo, cosı poco che nel passare di un’ora forse unodegli atomi decade, con probabilita pari a quella che non ne decada alcuno; seaccade, il contatore risponde e aziona su un relais un martellino che frantuma unafialetta con acido prussico. Se si e lasciato a se questo intero sistema per un’ora,si dira che il gatto e ancora vivo, se nel frattempo nessun atomo e decaduto. Ilprimo decadimento atomico l’avrebbe avvelenato. La funzione ψ del sistema intero

esprimerebbe cio col fatto che in essa il gatto vivo e il gatto morto (sit venia verbo)sono mescolati o pasticciati in parti uguali.

Tipico di questo caso e il fatto che un’indeterminazione originariamente ristrettaal dominio atomico si converta in un’indeterminazione percepibile in grande, che sipuo quindi risolvere mediante osservazione diretta. Cio ci impedisce di far valere inmodo cosı ingenuo un “modello indeterminato” come descrizione della realta. Essanon conterrebbe di per se niente di oscuro o di contaddittorio. C’e differenza trauna fotografia mossa o sfocata, e una che riprende nuvole e lembi di nebbia.

§6. Il cambiamento intenzionale del punto di vista epistemologico.

Nella quarta sezione abbiamo visto che non e possibile assumere il modello cosıcom’e ed attribuire ugualmente alle variabili di volta in volta non note o non noteesattamente dei valori determinati, che noi semplicemente non conosciamo. Nel §5abbiamo detto che l’indeterminazione non e neppure un’indeterminazione reale, in-fatti esistono sempre dei casi nei quali un’osservazione facilmente eseguibile procurala conoscenza mancante. Che cosa ci rimane allora? In questo dilemma assai diffi-cile la concezione dominante si aiuta o ci aiuta facendo ricorso all’epistemologia. Civien detto che non si deve fare alcuna distinzione tra lo stato reale dell’oggetto dinatura e quello che io ne so in proposito, o forse meglio, quello che ne potrei saperein proposito, qualora me ne dessi la pena. Reali - cosı si dice - sono propriamentesolo percezione, osservazione, misura. Se io mi sono procurato per mezzo di questead un dato istante la conoscenza migliore possibile dello stato dell’oggetto fisico

che e conseguibile secondo le leggi di natura, posso allora rigettare come priva di significato ogni domanda ulteriore che salti fuori circa lo “stato reale”, in quantosono convinto che nessuna osservazione ulteriore possa estendere la mia conoscenzain proposito - per lo meno non senza che essa simultaneamente diminuisca da unaltro punto di vista (cioe per il cambiamento dello stato, ecc.).

Cio getta ora un po’ di luce sulla genesi dell’affermazione, che ho indicato allafine del §2 come qualcosa di grande portata: che tutte le quantita del modellosiano in linea di principio misurabili. Non si puo fare a meno di questo articolo di

3Per illustrazione si possono utilizzare le Fig. 5 o 6 a pagina 375 dell’annata 1927 di questarivista; o anche la Fig. 1 a pagina 734 dell’anno scorso (1934); ma queste sono tracce del camminodi nuclei d’idrogeno.

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fede, poiche nelle difficolta della metodologia fisica ci si vede costretti a chiamareal soccorso come dittatore il summenzionato postulato filosofico, al quale, come aldifensore supremo di tutta l’empiria, nessuno capace di intendere neghera il rispetto.

La realta si oppone all’imitazione mentale mediante un modello. Percio si lascia

andare il realismo ingenuo e ci si appoggia direttamente alla tesi indubitabile chereali (per il fisico) siano in fin dei conti solo l’osservazione, la misura. Quindi d’orain poi tutto il nostro pensiero fisico avra come unica base e come unico oggetto irisultati delle misure eseguibili in linea di principio, e ad un altro tipo di realt a oad un modello il nostro pensiero dovra ora espressamente non far piu riferimento.Tutti i numeri che intervengono nei nostri calcoli fisici dovranno essere intesi comenumeri corrispondenti a misure. Ma poiche non veniamo al mondo belli freschi acominciare a costruire di bel nuovo la nostra scienza, ma abbiamo a disposizione unapparato di calcolo ben definito, dal quale dopo i grandi successi della meccanicaquantistica potremmo sempre meno separarci, ci vediamo costretti a prescrivere atavolino quali misure siano in linea di principio possibili, cioe debbano essere pos-

sibili, perche il nostro schema di calcolo stia abbastanza in piedi. Esso consenteun valore preciso per ogni variabile del modello presa individualmente (financo perun “mezzo gruppo”), e quindi ciascuna individualmente dev’essere misurabile conprecisione arbitraria. Non possiamo accontentarci di meno, poiche abbiamo persola nostra innocenza intuitivo-realistica. Non abbiamo niente, nel nostro schema dicalcolo, per stabilire dove la natura tracci i limiti dell’ignorabimus, cioe quale sia lamiglior conoscenza possibile dell’oggetto. E non potremmo, inoltre la nostra realtamisurata dipenderebbe ancora molto dall’abilita o dalla pigrizia dello sperimenta-tore, dall’informarsi con quanta cura egli si sia applicato. Dobbiamo quindi dirgliin anticipo fino a che punto potrebbe arrivare se solo fosse abbastanza abile. Altri-menti sarebbe seriamente da temere che egli si mettesse ancora a cercare qualcosa

di interessante laddove noi proibiamo ricerche ulteriori.

§7. La funzione ψ come catalogo delle aspettative.

Procedendo nell’esposizione della dottrina ufficiale, applichiamoci alla funzioneψ gia menzionata prima (§5) . Essa e ora lo strumento per la predizione della pro-babilita dei numeri misurati. In essa e incorporato il sommario via via raggiuntodelle aspettazioni per il futuro teoreticamente fondate, raccolte proprio come in uncatalogo. Essa e il ponte di collegamento e di condizionamento tra misura e misura,com’era nella teoria classica il modello e lo stato ad esso via via corrispondente.Con questo la funzione ψ ha altresı molto in comune. Essa sara, in linea di prin-cipio, determinata univocamente da un numero finito di misure sull’oggetto scelteopportunamente, la meta di quelle che sarebbero necessarie nella teoria classica.Cosı verra scelto per la prima volta il catalogo delle aspettazioni. Da qui essocambia col tempo, proprio come lo stato del modello nella teoria classica, in modoobbligato e univoco (“causale”) - l’evoluzione della funzione ψ sara governata daun’equazione differenziale alle derivate parziali (del prim’ordine nel tempo e risoltarispetto a ∂ψ/∂t). Cio corrisponde al moto imperturbato del modello nella teoriaclassica. Ma cio vale solo finche non si esegue di nuovo una qualche misura. Adogni misura e necessario attribuire alla funzione ψ (= al catalogo delle predizioni)un singolare, alquanto repentino mutamento, che dipende dal numero trovato nella misura , e che percio non si puo prevedere; da questo solo e gia chiaro che questosecondo tipo di variazione della funzione ψ non ha proprio niente a che fare con la

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sua evoluzione regolare tra due misure. La variazione brusca mediante la misura sicollega strettamente alle cose dette nel §5 e ce ne occuperemo ancora a fondo, essae il punto piu interessante di tutta la teoria. E esattamente il punto che richiede larottura con il realismo ingenuo. Per questo non si puo porre la funzione ψ diretta-mente al posto del modello o della cosa reale. E non gi a perche da una cosa realeo da un modello non ci si possano aspettare variazioni improvvise e impreviste, mapoiche dal punto di vista realistico l’osservazione e un processo di natura come ognialtro e non puo di per se provocare un’interruzione dell’evoluzione regolare dellanatura.

§8. Teoria della misura, prima parte.

Il rigetto del realismo ha conseguenze logiche. Una variabile non ha in generalealcun valore determinato prima che io la misuri: allora misurarla non significa

trovare il valore che essa ha. Ma allora che cosa significa? Dev’esserci tuttaviaun criterio secondo il quale una misura sia giusta o sbagliata, un metodo buonoo cattivo, preciso o impreciso - perche insomma si meriti il nome di procedimentodi misura. Un giocherellare qualsiasi con uno strumento indicatore in prossimitad’un altro corpo, quando poi si faccia una volta o l’altra una lettura, non puo tut-tavia essere chiamato una misura su questo corpo. Ora, e abbastanza chiaro; senon e la realta a determinare il valore misurato, almeno il valore misurato devedeterminare la realta, esso deve essere realmente presente dopo la misura nel solosenso che ancora puo essere riconosciuto. Cioe, il criterio richiesto puo essere soloquesto: ripetendo la misura si deve ottenere di nuovo lo stesso risultato. Ripe-tendola spesse volte posso verificare la precisione del procedimento e dimostrareche non sto semplicemente giocando. E divertente il fatto che questa prescrizionecoincida esattamente colla procedura dello sperimentatore, al quale pure il “valorevero” non e noto fin dall’inizio. Formuliamo l’essenziale nel modo seguente:

L’interazione eseguita in modo pianificato di due sistemi (oggetto misurato estrumento di misura) si dice una misura sul primo sistema quando un indicatorevariabile direttamente percettibile del secondo (posizione di un indice) si riproducesempre, entro certi limiti d’errore, in seguito alla ripetizione immediata del processo(sullo stesso oggetto di misura, che nel frattempo non puo esser sottoposto ad alcuna influenza ulteriore).

A questa spiegazione si dovrebbero aggiungere ancora alcune cose, essa non euna definizione impeccabile. L’empiria e piu complicata della matematica e non silascia catturare cosı facilmente in proposizioni semplici.

Prima della prima misura puo valere per essa una certa predizione della teoriadei quanti. Dopo di essa vale sempre la predizione: all’interno dei limiti d’erroreancora lo stesso valore. Il catalogo delle predizioni(= la funzione ψ) sara quindicambiato dalla misura in relazione alla variabile che misuriamo. Quando si conoscegia da prima che il processo di misura e affidabile, allora gia la prima misura riducel’aspettazione teorica, entro i limiti d’errore, al valore trovato stesso, qualunquepossa esser stata prima l’aspettazione. Questa e la tipica variazione brusca dellafunzione ψ con la misura, della quale si e parlato prima. E non solo per le variabilimisurate il catalogo delle aspettazioni cambia in generale in maniera imprevedibile,ma anche per altre, in particolare per quelle ad esse “canonicamente coniugate”.Se prima esisteva una predizione abbastanza precisa per l’impulso di una particella

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§9. La funzione ψ come descrizione dello stato.

Il rifiuto del realismo comporta anche delle complicazioni. Dal punto di vistadel modello classico il contenuto di asserzioni momento per momento della funzioneψ e assai incomprensibile, esso racchiude solo il 50% di una descrizione completa.Dal nuovo punto di vista questa dev’essere completa per motivi che gi a sono statiaccennati alla fine del §6. Dev’essere impossibile aggiungere ad essa nuove asserzionigiuste senza peraltro modificarla; altrimenti non si ha il diritto di designare comeprive di significato tutte le domande che vadano oltre ad essa.

Da cio segue che due diversi cataloghi che valgano per lo stesso sistema in cir-costanze diverse o a tempi diversi possono ben coincidere parzialmente, ma maiin modo tale che uno sia contenuto interamente nell’altro. Perche altrimenti uncompletamento con ulteriori asserzioni giuste sarebbe possibile, cioe con quelle perle quali l’altro lo supera. - La struttura matematica della teoria soddisfa automati-camente questa prescrizione. Non esiste alcuna funzione ψ che dia esattamente le

stesse risposte di un’altra, ed ancora alcune di piu.Percio, quando la funzione ψ di un sistema cambia, sia per conto suo, sia in

seguito a misure, nella nuova funzione devono sempre mancare delle asserzioni cheerano contenute nella precedente. Nel catalogo non possono essere avvenute solodelle nuove registrazioni, devono aver avuto luogo anche delle cancellazioni. Oradelle conoscenze possono ben essere acquisite, ma non perse. Le cancellazioni signi-ficano quindi che le affermazioni che prima eran giuste ora sono divenute sbagliate.Un’affermazione giusta puo divenire sbagliata solo se cambia l’oggetto alla qualeessa si riferisce. Ritengo inoppugnabile esprimere cosı queste conclusioni:

Legge 1: Quando si hanno funzioni ψ diverse il sistema si trova in stati diversi.Se si parla solo di sistemi per i quali si ha in generale una funzione ψ, l’inversa

di questa legge si scrive:Legge 2: Per funzioni ψ uguali il sistema si trova nello stesso stato.Quest’inversa non discende dalla legge 1, bensı, senza utilizzo della stessa, diret-

tamente dalla completezza o massimalita. Se con egual catalogo delle aspettazionifosse ancora possibile una differenza, significherebbe che quello non da risposta atutte le domande legittime. - Le parole di quasi tutti gli autori danno per buone ledue leggi precedenti. Esse costruiscono ovviamente un nuovo tipo di realta, ritengoin modo del tutto legittimo. Esse non sono del resto trivialmente tautologiche, nonpure spiegazioni a parole di “stato”. Senza l’ipotesi della massimalita del cata-logo delle aspettazioni la variazione della funzione ψ potrebbe essere prodotta dallasemplice richiesta di nuove informazioni.

Potremmo incontrare tuttavia ancora un’obiezione contro la derivazione dellalegge 1. Si potrebbe dire che ognuna individualmente delle asserzioni o conoscenzeche essa tratta e tuttavia un’asserzione sulle probabilita, che le categorie giusto osbagliato non si applicano rispetto al caso singolo, ma rispetto a una collezione chesi realizza preparando mille volte il sistema nello stesso modo (per poi far seguire lastessa misura; vedasi il §8). Cio va bene, ma dobbiamo assicurare che tutti i membridi questa collezione abbiano la stessa giacitura, poiche per ciascuno vale la stessafunzione ψ, lo stesso catalogo delle aspettazioni, e noi non possiamo aggiungeredifferenze che non siano espresse dal catalogo (vedasi il fondamento della legge2). La collezione consiste quindi di casi individuali identici. Se un’affermazioneriguardo ad essa e sbagliata, anche il caso singolo dev’essere cambiato, altrimentila collezione sarebbe ancora la stessa.

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§10. Teoria della misura, seconda parte.

Ora e stato poc’anzi detto (§7) e spiegato (§8) che ogni misura sospende la

legge che governa normalmente la variazione temporale continua della funzione ψe introduce al posto di essa una variazione del tutto diversa, che non e governatada nessuna legge, ma e dettata solamente dal risultato della misura. Pero duranteuna misura non dovrebbero valere altre leggi di natura che quelle normali, infatti,considerata oggettivamente, essa e un processo naturale come ogni altro, e non puointerrompere il corso regolare della natura. Poiche essa spezza quello della funzioneψ, quest’ultima non puo - cosı abbiamo detto nel §7 - valere come immagine ditentativo di una realta obbiettiva come il modello classico. Ma nell’ultima sezioneessa si e tuttavia un po’ cristallizzata.

Cerco di nuovo, rimarcando le parole chiave, di porre in rilievo che: 1. Il saltodel catalogo delle aspettazioni all’atto della misura e inevitabile, infatti se la misuradeve avere un qualche senso, dopo una buona misura si deve avere il valore misurato.

2. La variazione col salto non origina certamente dalla legge obbligatoria validanormalmente, infatti essa dipende dal valore misurato, che e imprevedibile. 3. Lavariazione infine (a causa della massimalita) determina anche perdita di conoscenza,ma la conoscenza non puo essere dimenticata, quindi deve mutare l’oggetto - anchecon variazioni per salti e in essi anche in modo imprevedibile, diversamente dalsolito.

Come si concilia questo? La cosa non e per niente facile. E il punto piu dif-ficile e piu interessante della teoria. Dobbiamo evidentemente cercare di capirel’interazione tra oggetto misurato e strumento di misura. Bisogna premettere al-cune considerazioni molto astratte.

Il problema e questo. Se per due corpi completamente separati, o per meglio dire,

per ciascuno di essi individualmente esiste un catalogo completo delle aspettazioni- un sommario massimale della conoscenza - una funzione ψ - allora la si possiedeevidentemente anche per i due corpi insieme, cioe quando si pensa che non ognunodi essi preso singolarmente, ma i due insieme costituiscano l’oggetto del nostrointeresse, delle nostre domande riguardo al futuro4.

Ma l’inverso non e vero. La conoscenza massimale di un sistema complessivonon include necessariamente la conoscenza massimale di tutte le sue parti, neppurequando le stesse sono tra loro completamente separate e al momento non si influen-zano vicendevolmente. E infatti possibile che una parte di cio che si sa si riferiscaa relazioni o condizioni tra i due sistemi parziali (ci limiteremo a due), nel modoseguente: quando una determinata misura sul primo sistema ha questo risultato,

per una determinata misura sul secondo vale la statistica delle aspettazioni cosı ecosı; ma se la misura considerata sul primo sistema ha quel risultato, allora per ilsecondo vale una cert’altra aspettazione; se per il primo s’ottiene un terzo risultato,per il secondo vale un’altra aspettazione ancora, e cosı via, alla maniera di una di-sgiunzione completa di tutti i numeri misurati, che la misura di volta in volta presain considerazione sul primo sistema puo in generale produrre. In tal modo un certoprocesso di misura o, cio che e lo stesso, una certa variabile del secondo sistemapuo essere collegata al valore ancora incognito di una certa variabile del primo,

4Evidentemente. Potrebbero non mancare asserzioni riguardanti la relazione mutua dei duecorpi. Ma cio sarebbe, per lo meno per uno dei due, qualcosa che interviene nella sua funzione ψ.E cio non puo accadere.

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e ovviamente anche viceversa. Quando succede che tali proposizioni condizionalisiano presenti nel catalogo complessivo esso non puo essere massimale riguardo alsistema singolo. Poiche il contenuto di due cataloghi individuali massimali gia diper se costituirebbe un catalogo complessivo massimale, non potrebbero intervenire

anche le proposizioni condizionali.Queste predizioni condizionate non sono peraltro una cosa che ci piove qui inat-

tesa. Esistono in ogni catalogo delle aspettazioni. Se si conosce la funzione ψe si fa una certa misura e questa ha un certo risultato, si conosce la nuova fun-zione ψ, voila tout. Solo nel caso presente, quando il sistema complessivo consistedi due parti completamente separate, la faccenda risalta come qualcosa di singo-lare. Poiche in tal modo acquista un senso distinguere tra misure sull’uno e misuresull’altro sistema parziale. Cio procura a ciascuno di essi il pieno diritto ad aspi-rare ad un catalogo massimale privato; rimane pero possibile che una parte dellaconoscenza complessiva ottenibile venga per cosı dire dissipata in proposizioni con-dizionali che giocano tra i sistemi parziali, e cosı lasci inadempiute le aspirazioni

private - sebbene il catalogo complessivo sia massimale, cioe sebbene la funzione ψdel sistema complessivo sia nota.

Fermiamoci per un istante. L’affermazione nella sua astrattezza dice propria-mente gia tutto: la conoscenza migliore possibile di un tutto non implica neces-sariamente la stessa cosa per le sue parti. Traduciamo cio nel linguaggio del §9: iltutto e in un certo stato, le sue parti prese per conto loro no.

- Ma come? Un sistema deve pur essere in qualche stato.= No. Stato e la funzione ψ, e il sommario massimale delle conoscenze. Non

devo essermelo procurato, posso esser stato pigro. Allora il sistema non e in nessunostato.

- Bene, ma allora anche la proibizione agnostica delle domande non vale e posso

nel nostro caso pensare: il sistema parziale e gia in un qualche stato (= funzioneψ), soltanto non lo conosco.= Alt. Purtroppo no. Non vale nessun “soltanto non lo conosco”. Infatti per il

sistema complessivo esiste la conoscenza massimale. -L’insufficienza della funzione ψ come sostituto del modello deriva esclusivamente

dal fatto che non la si ha sempre. Quando la si ha, essa puo valere in tutto e pertutto come descrizione dello stato. Ma talvolta non la si ha in casi nei quali ci sipotrebbe aspettare d’averla facilmente. E non si puo postulare allora che “in realtaessa sia gia determinata, solo che non la si conosce”. Il punto di vista scelto unavolta per tutte lo proibisce. “Essa” e infatti una somma di conoscenze, e conoscenzeche nessuno conosce non sono niente. -

Andiamo avanti. Che una parte della conoscenza si libri nella forma di propo-

sizioni condizionali disgiuntive tra due sistemi non puo certo accadere se andiamoa prendere i due agli estremi opposti dell’universo e li giustapponiamo senza inte-razione. Allora infatti i due non “sanno” nulla l’uno dell’altro. E impossibile cheuna misura su di uno possa fornire un appiglio su che cosa ci si debba aspettaredall’altro. Se esiste un “intreccio delle predizioni”, esso puo evidentemente ori-ginare soltanto dal fatto che una volta in passato i due corpi hanno costituito un sistema in senso proprio, cioe sono stati in interazione, ed hanno lasciato traccel’uno sull’altro. Quando due corpi separati, che individualmente siano conosciuti inmodo massimale, vengono in una situazione nella quale interagiscono tra loro, e siseparano di nuovo, allora si verifica di regola la situazione che prima ho chiamatointreccio della nostra conoscenza circa i due corpi. Il catalogo delle aspettazioni

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complessivo consiste dapprincipio di una somma logica dei cataloghi individuali;durante il processo esso evolve in modo obbligato secondo la legge nota (di misurainfatti non si parla). La conoscenza resta massimale, ma alla fine, quando i corpisi sono separati di nuovo, non si e scomposta nuovamente in una somma logica di

conoscenze circa i corpi singoli. Cio che di queste si e ancora conservato puo esserdiventato sottomassimale, eventualmente in modo assai forte. - Si osservi il grandedivario rispetto alla teoria modellistica classica, nella quale ovviamente con statiiniziali noti e con un’interazione nota gli stati finali sarebbero individualmente notiin modo esatto.

Il processo di misura descritto nel §8 cade ora esattamente sotto questo schemagenerale, se lo applichiamo al sistema complessivo oggetto misurato + strumentodi misura. Se in tal modo ci costruissimo un’immagine oggettiva di questo pro-cesso, come di un altro qualsiasi, potremmo sperare di spiegare gli strani salti dellafunzione ψ, se non addirittura di accantonarli. Quindi adesso un corpo e l’oggettomisurato, l’altro lo strumento. Per evitare ogni intervento dall’esterno, facciamo sı

che lo strumento si inserisca nell’oggetto automaticamente mediante un’orologeriaincorporata, e allo stesso modo si ritragga. Differiamo la lettura stessa, poichevogliamo studiare in primo luogo cio che accade “oggettivamente”; lasciamo cheil risultato si registri automaticamente nello strumento per un utilizzo successivo,proprio come oggi spesso si fa.

Come vanno le cose ora, con una misura eseguita automaticamente? Possediamocome prima un catalogo delle aspettazioni massimale per il sistema complessivo. Ilvalore registrato della misura ovviamente non vi e compreso. Rispetto allo stru-mento il catalogo e quindi assai incompleto, esso non ci dice neppure dove il penninoha lasciato la sua traccia. (Ci si ricordi del gatto avvelenato!) Succede che la nostraconoscenza e sublimata in proposizioni condizionali: se il segno e alla graduazione

1, allora per l’oggetto misurato valgono questo e questo, se e alla 2, allora valgonoquesto e quello, se e alla 3, allora una terza cosa, e cosı via. Ma la funzione ψdell’oggetto misurato ha fatto un salto? Si e evoluta secondo la legge obbligatoria(secondo l’equazione differenziale alle derivate parziali)? Ne l’una cosa ne l’altra.Essa non esiste piu. Secondo la legge obbligatoria per la funzione ψ complessiva , sie ingarbugliata con quella dello strumento di misura. Il catalogo delle aspettazioni dell’oggetto si e suddiviso in una disgiunzione condizionale di cataloghi delle aspet-tazioni , come un Baedeker che venga suddiviso a regola d’arte. In ogni sezione vi einoltre ancora la probabilita che essa abbia luogo - copiata dal catalogo delle aspet-tazioni originario dell’oggetto. Ma quale abbia luogo - quale parte del Baedeker siada usare per la prosecuzione del viaggio, lo si puo trovare solo mediante l’ispezionereale del segno.

E se noi non controllassimo? Supponiamo che sia stato registrato fotografica-mente e che per disgrazia la pellicola abbia preso luce prima di essere sviluppata.Oppure abbiamo inserito per sbaglio della carta nera al posto della pellicola. Al-lora con la misura sfortunata non solo non abbiamo appreso niente di nuovo, maabbiamo perso della conoscenza. Cio non e sorprendente. A causa d’un interventoesterno la conoscenza che si ha di un sistema sara ovviamente sempre rovinata. Sideve predisporre l’intervento in modo molto cauto perche la si possa recuperare inseguito.

Che cosa abbiamo ottenuto con questa analisi? In primo luogo l’intuizione dellasuddivisione disgiuntiva del catalogo delle aspettazioni, che ancora si ottiene inmodo del tutto continuo, e che e resa possibile dall’immersione di strumento e

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oggetto in un catalogo comune. Da questo amalgama l’oggetto puo esser di nuovoliberato solo mediante il fatto che il soggetto vivente assume conoscenza reale delrisultato della misura. Prima o poi questo dove succedere, se cio che ha avutoluogo si deve chiamare davvero una misura, - per quanto ci possa stare a cuore di

analizzare il processo nel modo piu oggettivo possibile. E questa e la seconda intu-izione che otteniamo: solo con questa ispezione, che risolve la disgiunzione, succedequalcosa di discontinuo, con un salto. Si e indotti a chiamarlo un atto mentale,poiche l’oggetto e gia staccato e non viene piu influenzato fisicamente; cio che glidoveva capitare e gia avvenuto. Ma non sarebbe proprio giusto dire che la funzioneψ dell’oggetto, che altrimenti varierebbe, indipendentemente dall’osservatore, se-condo un’equazione differenziale alle derivate parziali, adesso cambia con un saltoa seguito di un atto mentale. Infatti essa era andata persa, non c’era piu. Cio chenon c’e non puo neanche cambiare. Essa viene ricreata, rifatta, viene districata dallaconoscenza ingarbugliata che si possiede mediante un atto di percezione, che di fattonon determina piu un’azione fisica sull’oggetto misurato. Dalla forma nella quale

si conosceva da ultimo la funzione ψ a quella nuova, nella quale essa riappare, nonporta nessuna via continua - ci si va tramite la sparizione. Se si confrontano le dueforme, la cosa sembra un salto. In realta sono intervenuti accadimenti importanti,cioe l’interazione dei due corpi, durante la quale l’oggetto non possedeva nessuncatalogo delle aspettazioni privato e non aveva neppure alcuna pretesa riguardo adesso, poiche non era indipendente.

§11. La soppressione dell’intreccio. Il risultato dipendente dalla vo-

lonta dello sperimentatore.

Ritorniamo sul caso generale dell’“intreccio”, senza avere direttamente sott’oc-

chio il caso particolare di un processo di misura, come sopra. I cataloghi delleaspettazioni di due corpi A e B siano stati intrecciati da un’interazione prece-dente. Ora i corpi siano di nuovo separati. Allora ne posso prendere uno, sia B,e completare la mia conoscenza divenuta sottomassimale di esso mediante misurein successione fino ad una massimale. Affermo: solo quando ci saro riuscito per laprima volta, e non prima, l’intreccio sara risolto, e in secondo luogo mediante lemisure su B, utilizzando le proposizioni condizionali che esistono, avro conseguitouna conoscenza massimale anche di A.

Infatti in primo luogo la conoscenza del sistema complessivo resta sempre massi-male, poiche non sara in ogni caso rovinata da misure buone e precise. In secondoluogo: proposizioni condizionali della forma “se per A . . . .., allora per B . . . ..”,non possono piu esistere, dal momento che abbiamo ottenuto un catalogo massi-

male di B. Allora esso non e condizionato e in esso non puo piu intervenire nulla direlativo ad A. Terzo: proposizioni condizionali in direzione inversa (“se per B . . . ..,allora per A . . . ..”) si trasformano in proposizioni riguardanti solo A, poiche tuttele probabilita per B sono gia note in forma incondizionata. L’intreccio e quindi ri-mosso senza residui, e poiche la conoscenza del sistema totale e rimasta massimale,puo solo consistere nel fatto che oltre al catalogo massimale di B se ne trova unosimile per A.

E non puo succedere che A sia conosciuto indirettamente, mediante le misure diB, gia in modo massimale, prima che lo sia B. Infatti allora tutte le conclusionifunzionerebbero in senso inverso, cioe anche B lo sarebbe. I sistemi sono conosciutiin modo massimale allo stesso tempo, come affermato. Si nota inoltre che cio

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varrebbe anche se non si restringessero le misure proprio ad uno dei due sistemi.Ma l’interessante e proprio che ci si possa restringere ad uno dei due; che in questomodo si raggiunga lo scopo.

`E lasciato completamente all’arbitrio dello sperimentatore quali misure vadanocompiute su B ed in quale sequenza. Egli non ha bisogno di scegliere variabili

particolari per poter usare le proposizioni condizionali. Puo tranquillamente fareun piano che lo porterebbe ad una conoscenza massimale di B anche se su B nonconoscesse proprio nulla. Non puo arrecare alcun danno che egli porti questo pianoalla conclusione. Quando egli considera dopo ogni misura se ha gia raggiunto loscopo, lo fa solo per risparmiarsi dell’altro lavoro superfluo.

Quale catalogo di A si ottenga indirettamente in tal modo, dipende evidente-mente dai numeri misurati che risultano su B (prima che l’intreccio sia del tuttorisolto; dai successivi non piu, nel caso che fossero superfluamente rimisurati). Sisupponga ora che io abbia in un certo caso ottenuto in tal modo un catalogo di A.Allora posso riflettere e pensare se forse ne avrei trovato un altro, se avessi messoin opera un altro piano di misura su B. Ma tuttavia, sia che abbia influenzatoil sistema A nel modo reale o nell’altro modo pensato, le asserzioni dell’altro ca-talogo, quali che possano essere, devono pure essere giuste. Devono quindi esserecompletamente contenute nel primo, poiche il primo e massimale. Ma lo dovrebbeessere anche il secondo. Quindi esso dev’essere identico al primo.

Stranamente la struttura matematica della teoria non soddisfa affatto in modoautomatico questa prescrizione. Anzi peggio, si possono costruire degli esempi neiquali la prescrizione e necessariamente violata. Invero si puo in ogni esperimentoeseguire di fatto solo una sequenza di misure (sempre su B!); allora quando cio eavvenuto l’intreccio e risolto e con ulteriori misure su B non si apprende piu nullasu A. Ma esistono casi di intreccio nei quali per le misure su B sono proponibili

due programmi determinati , ciascuno dei quali 1. deve portare allo scioglimentodell’intreccio, 2. deve portare ad un catalogo di A, al quale l’altro non puo assolu-tamente portare - quali che siano i numeri misurati che possono risultare nell’unoo nell’altro caso. Succede infatti semplicemente che le due sequenze del catalogodi A, che si possono ottenere con l’uno o con l’altro programma, sono nettamenteseparate e non hanno un singolo termine in comune.

Questi sono casi particolarmente esasperati, nei quali la conclusione appare cosıevidente. In generale ci si deve riflettere piu attentamente. Quando vengono pre-sentati due programmi per le misure su B e le due sequenze del catalogo di A allequali essi possono portare, non basta affatto che le due sequenze abbiano uno oalcuni termini in comune per poter dire: toh, allora uno di questi si presentera sem-

pre - e quindi sostenere che la prescrizione e “presumibilmente soddisfatta”. Cionon basta. Infatti si conosce la probabilita di ogni misura su B, considerata comemisura sull’intero sistema, e con molte ripetizioni ab ovo ciascuna si deve realizzarecon la frequenza ad essa destinata. Le due sequenze del catalogo A dovrebberoquindi coincidere termine a termine e inoltre le probabilita in ciascuna sequenzadovrebbero essere le stesse. E cio non solo per questi due programmi, ma per cia-scuno degli infiniti che si possono escogitare. Ma non se ne parla minimamente.La prescrizione che il catalogo A che si ottiene debba essere sempre lo stesso qualiche siano le misure su B con le quali lo si porti alla luce, questa prescrizione non esoddisfatta proprio mai.

Esporremo ora un semplice esempio “esasperato”.

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§12. Un esempio.5.

Per semplicita consideriamo due sistemi con solo un grado di liberta ciascuno.Cioe ognuno di essi sara caratterizzato mediante una coordinata q ed un impulso pad esso canonicamente coniugato. L’immagine classica sarebbe quella d’un puntomateriale mobile solo lungo una retta, come le palline di quel giocattolo col quale ibambini imparano a far di conto. p e il prodotto massa per velocita. Per il secondosistema indichiamo i due elementi determinanti con Q e P maiuscole. Se i due siano“infilati sullo stesso filo”, non abbiamo da dirlo nel nostro discorso astratto. Ma seanche lo fossero, puo tuttavia esser comodo non calcolare q e Q dalla stessa origine.L’equazione q = Q non deve significare necessariamente coincidenza. I due sistemipossono malgrado cio essere del tutto separati.

Nel lavoro citato si mostra che tra questi due sistemi pu o esistere un intreccio,che in un dato istante, al quale tutto il seguito si riferisce , si indichera in breve conle due equazioni

q = Q e p = −P.

Cioe: io so che se una misura di q da un certo valore sul primo sistema, una misuradi Q eseguita subito dopo sul secondo dara lo stesso valore e vice versa; so inoltreche se una misura di p sul primo sistema da un certo valore, una misura di P eseguita subito dopo dara il valore opposto e vice versa.

Una singola misura di q o di p oppure di Q ovvero di P leva l’intreccio e rendeentrambi i sistemi noti in modo massimale. Una seconda misura sullo stesso sistemaora modifica solo la risposta riguardo ad esso, e non insegna piu nulla riguardoall’altro. Quindi non si possono verificare entrambe le equazioni con un esperimentosolo. Si puo pero ripetere l’esperimento ab ovo mille volte; si puo riproporre semprelo stesso intreccio; a capriccio si puo verificare o l’una o l’altra equazione; cio chedi volta in volta ci si degna di verificare lo si trova confermato. Supponiamo checio sia accaduto.

Se poi al milleunesimo esperimento vien voglia di rinunciare a verifiche ulteriorie, al posto di esse, di misurare sul primo sistema q e sul secondo P , e si trova

q = 4, P = 7;

si puo allora dubitare che

q = 4, p = −7

sarebbe stata una giusta predizione per il primo sistema, oppure

Q = 4, P = 7

una giusta predizione per il secondo? Non verificabili nel loro pieno contenuto conun esperimento singolo, queste non sono affatto predizioni quantistiche, ma giuste,poiche chi si ostinasse non si esporrebbe ad alcuna delusione, qualunque meta avessepur scelto di verificare.

Non si possono aver dubbi in proposito. Ogni misura e sul suo sistema la prima.Le misure su sistemi separati non possono influenzarsi direttamente, ci o sarebbe

5A. Einstein, B. Podolsky e N. Rosen, Physic. Rev. 47, 777 (1935). La comparsa di questolavoro ha dato lo stimolo per la presente - la chiamer o relazione o confessione generale?

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magia. Non puo trattarsi di numeri casuali se da mille prove risulta che le misureeseguite la prima volta coincidono.

Il catalogo delle predizioni q = 4, p = −7 sarebbe ovviamente ipermassimale.

§13. Prosecuzione dell’esempio: tutte le misure possibili sono univo-

camente intrecciate.

Ora secondo la dottrina della meccanica quantistica, che seguiamo qui fino allesue ultime conseguenze, una predizione in questa circostanza non e possibile. Moltimiei amici si tranquillizzano cosı e spiegano: cio che un sistema avrebbe rispostoallo sperimentatore, se... , - non ha niente a che fare con una misura reale e perci odal nostro punto di vista epistemologico non ci porta a nulla.

Ma rendiamoci la faccenda ancora una volta del tutto chiara. Concentriamol’attenzione sul sistema contrassegnato dalle lettere minuscole p, q, chiamiamoloper brevita quello “piccolo”. La faccenda sta certamente cosı: al sistema piccolo,

mediante misura diretta su di esso, io posso porre una delle due domande, o quellariguardo a q oppure quella riguardo a p. Prima di farlo posso, se voglio, con unamisura sull’altro sistema completamente separato (che considereremo come appa-rato ausiliario) essermi procurato la risposta ad una di queste domande, oppureposso avere l’intenzione di procurarmela dopo. Il mio sistema piccolo, come unostudente all’esame, non puo affatto sapere se io l’abbia fatto e per quale domanda,ovvero se e per quale io abbia intenzione di farlo dopo. Con un numero sufficiente-mente grande di esperimenti preliminari so che lo studente risponde sempre giustoalla prima domanda che io gli pongo. Da cio segue che egli conosce in ogni caso larisposta a entrambe le domande. Che il rispondere alla prima domanda che mi evenuto voglia di porre abbia stancato o confuso lo studente in modo tale che le sue

risposte successive non siano valide non cambia proprio niente riguardo a questaverifica. Nessun direttore di ginnasio, qualora questa situazione si ripetesse conmigliaia di studenti di ugual provenienza, giudicherebbe diversamente, tanto egli sichiederebbe stupito che cosa renda tutti gli studenti cosı stupidi o renitenti dopoaver risposto alla prima domanda. Non gli verrebbe in mente che la consultazioneda parte sua, dell’insegnante, di un manuale suggerisca allo studente la rispostagiusta, o, nel caso che l’insegnante abbia voglia di controllare dopo la risposta sod-disfacente dello studente, che la risposta abbia mutato il testo del taccuino a favoredello studente.

Il mio sistema piccolo contiene quindi per la domanda su q e per la domanda su p una risposta del tutto determinata gia nel caso che essa sia la prima che gli siponga direttamente. Questa prontezza non puo cambiare d’un briciolo per il fatto

che io misuri Q sul sistema ausiliario (nella metafora: che l’insegnante cerchi unadelle domande nel suo taccuino e inoltre pero rovini con una macchia d’inchiostrola pagina dove sta l’altra risposta). Il meccanico quantistico sostiene che dopouna misura di Q sul sistema ausiliario al mio sistema piccolo spetta una funzioneψ nella quale “q e del tutto preciso, ma p e completamente indeterminato”. Etuttavia, come detto prima, non e cambiato d’un briciolo il fatto che il mio sistemapiccolo abbia gia anche per la domanda su p una risposta del tutto determinata, eprecisamente la stessa di prima.

Ma la faccenda e ancora molto piu malmessa. Non solo il mio studente sveglioha gia sia per la domanda su q che per la domanda su p una risposta del tuttodeterminata, ma anche per mille altre, e senza che io possa minimamente indovinare

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la tecnica mnemonica con la quale egli ottiene ci o. p e q non sono le sole variabiliche io posso misurare. Anche ad una qualsiasi combinazione di esse, per esempio

p2 + q2

corrisponde secondo il punto di vista della meccanica quantistica una misura deltutto determinata. Ora si mostra6 che anche per questa la risposta si puo stabilirecon una misura sul sistema ausiliario, cioe con la misura di P 2+Q2, e che le rispostesono esattamente uguali. Secondo regole generali della meccanica quantistica perquesta somma di quadrati puo risultare solo un valore della successione

h, 3h, 5h, 7h , . . . . . . .

La risposta, che il mio sistema piccolo ha gi a per la domanda su p2 + q2 (nel casoche questa debba essere la prima che si affronti) dev’essere un numero di questasuccessione. - Esattamente allo stesso modo succede con la misura di

p2 + a2q2,

dove a dev’essere una qualsiasi costante positiva. In questo caso secondo la mecca-nica quantistica la risposta dev’essere un numero della successione seguente:

ah, 3ah, 5ah, 7a h , . . . . . . .

Per ogni valore numerico di a si ottiene una nuova domanda, per ciascuna il miosistema piccolo contiene gia una risposta presa dalla successione (costruita con ilcorrispondente valore di a).

La cosa piu sorprendente e ora: non e possibile che queste risposte stiano traloro nella relazione data dalle formule! Infatti sia q la risposta che si e gia avutaper la domanda su q, p la risposta per la domanda su p; allora non e possibile che

p2 + a2q2

ah

sia uguale ad un numero intero dispari per valori numerici determinati p e q,e per ogni numero positivo arbitrario a. Ma questo non e solo un operare connumeri immaginati, che non si possono misurare realmente. Due dei numeri sipossono procurare davvero, per esempio q e p, uno mediante misura diretta, l’altromediante misura indiretta. E allora ci si puo convincere del fatto (sit venia verbo)

che l’espressione precedente costruita con i numeri misurati q

e p

e con un aarbitrario, non e affatto un numero intero dispari.A prima vista il difetto nella connessione delle diverse risposte tenute pronte

(nella “tecnica mnemonica” dello studente) e completo, il buco non potra esserecolmato da un’algebra della meccanica quantistica di nuovo tipo. Il difetto e tantopiu sorprendente perche si puo dimostrare altresı: l’intreccio e gia fissato univoca-mente dalle prescrizioni q = Q e p = −P . Se sappiamo che le coordinate sono ugualie che gli impulsi sono uguali ma di segno opposto, secondo la meccanica quantisticarisulta una corrispondenza biunivoca completamente determinata di tutte le misurepossibili sui due sistemi. Per ogni misura sul “piccolo” si puo ottenere il valore

6E. Schrodinger, Proc. Cambridge philos. Soc. (in stampa).

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numerico mediante una misura opportunamente predisposta sul “grande”, ed ognimisura sul grande orienta parimenti sul risultato che un certo tipo di misura sulpiccolo dara o ha dato. (Naturalmente nello stesso senso come sempre finora: suogni sistema conta solo la misura vergine.) Se abbiamo portato i due sistemi nella

situazione che essi (per dirla in breve) coincidano in coordinata ed impulso, essicoincidono (per dirla in breve) anche rispetto a tutte le altre variabili.

Ma come i valori numerici di tutte queste variabili dipendano l’uno dall’altro inun sistema non lo sappiamo, sebbene il sistema per ognuna debba averne gia prontouno ben determinato: infatti se vogliamo possiamo venirlo a sapere mediante ilsistema ausiliario e lo troviamo poi sempre confermato con misura diretta.

Poiche non sappiamo nulla sulla relazione tra i valori delle variabili predisposti inun sistema, si dovra ora pensare che non ne sussista alcuna, che possano verificarsicombinazioni largamente arbitrarie? Cio significherebbe che a un siffatto sistemacon “un grado di liberta” non sarebbero necessari per una descrizione adeguata solodue numeri, come vorrebbe la meccanica classica, ma molti di piu, forse infiniti.

Ma e tuttavia sorprendente che due sistemi coincidano sempre in tutte le variabili,se coincidono in due. Si dovrebbe quindi assumere in secondo luogo che cio dipendadalla nostra inettitudine; si dovrebbe pensare che noi non siamo praticamente ingrado di portare due sistemi in una situazione nella quale essi coincidano rispettoa due variabili senza introdurre, volenti o nolenti, la coincidenza anche per tutte levariabili rimanenti, sebbene cio non sia di per se necessario. Si devono fare questedue ipotesi, per non avvertire la mancanza totale di comprensione della relazionetra i valori delle variabili all’interno di un sistema come un grosso guaio.

§14. La variazione dell’intreccio col tempo. Riflessioni sulla posizione

speciale del tempo.

Forse non e superfluo ricordare che tutto cio che e stato detto nelle sezioni 12 e13 si riferisce ad un solo istante. L’intreccio non e invariabile nel tempo. Permanecertamente un intreccio biunivoco di tutte le variabili, ma la corrispondenza cambia.Cio significa quanto segue. Ad un tempo t successivo si puo ben venire a sapere dinuovo, con una misura sul sistema ausiliario, il valore di q o di p che si ha allora ,ma le misure che a questo fine si devono fare sul sistema ausiliario sono diverse.Quali siano, lo si puo vedere facilmente in un caso semplice. Naturalmente ora si hadipendenza dalle forze che agiscono all’interno dei due sistemi. Assumiamo che nonagisca alcuna forza. Per semplicita porremo che la massa sia uguale per i due e lachiameremo m. Allora nel modello classico gli impulsi p e P resterebbero costanti,poiche sono dati dalle velocita moltiplicate per le masse; e le coordinate al tempo

t, alle quali per distinguere apporremo l’indice t (qt, Qt), si calcoleranno da quelleiniziali, che chiameremo ancora q, Q, nel modo seguente:

qt = q +p

mt, Qt = Q +

P

mt.

Parliamo in primo luogo del sistema piccolo. Il modo piu naturale per descriverloclassicamente al tempo t e dando la coordinata e l’impulso a questo tempo, cioemediante qt e p. Ma si puo fare anche diversamente. Al posto di qt si puo dareanche q. Pure q e un “elemento determinante al tempo t”, e proprio ad ogni tempot, e precisamente uno che non cambia col tempo. Cio e molto simile al fatto cheio posso dare un certo elemento determinante della mia stessa persona, cioe la mia

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eta, o mediante il numero 48, che cambia col tempo e che nel caso del sistemacorrisponde a dare qt, oppure col numero 1887, come e usuale sui documenti, e checorrisponde a dare q. Ora, per quanto sopra si ha

q = qt − pm

t.

Analogamente per il secondo sistema. Introduciamo quindi come elementi determi-nanti

per il primo sistema qt − p

mt e p,

per il secondo sistema Qt − P

mt e P.

Il vantaggio e che tra questi si mantiene in permanenza lo stesso intreccio:

qt −p

m t = Qt −P

m t, p = −P,

o risolvendo:

qt = Qt −2t

mP ; p = −P.

Cio che cambia col tempo e quindi solo questo: la coordinata del sistema “pic-colo” non sara determinata semplicemente mediante una misura della coordinatasul sistema ausiliario, ma attraverso una misura dell’aggregato

Qt − 2t

mP.

Al riguardo pero non ci si deve proporre di misurare Qt e P , infatti cio non danulla. Ma si deve pensare, come sempre si deve pensare nella meccanica quantistica,che si ha un procedimento di misura diretto per questo aggregato. Per il resto valeper ogni istante, con questo mutamento, tutto cio che e stato detto nelle sezioni 12e 13; in particolare esiste in ogni istante l’intreccio biunivoco di tutte le variabiliassieme alle sue male conseguenze.

Le cose vanno esattamente cosı anche quando all’interno di ogni sistema agisceuna forza, ma allora qt e p si intrecciano con variabili che si compongono con Qt eP in modo piu complicato.

Ho spiegato questo in breve perche possiamo riflettere su quanto segue. Chel’intreccio cambi con il tempo ci rende un poco meditabondi. Tutte le misure dicui s’e parlato devono forse essere eseguite in un tempo brevissimo, propriamentein modo istantaneo, senza durata, per giustificare le inesorabili conseguenze? Sipuo scacciare lo spettro facendo presente che le misure richiedono tempo? No.In ogni singolo esperimento e necessaria solo una misura su ogni sistema; vale soloquella vergine, le successive sarebbero comunque irrilevanti. Quanto a lungo duri lamisura non occorre che c’interessi, poiche non ne vogliamo far seguire una seconda.Si devono solo allestire le due misure verginali in modo tale che esse producanoi valori delle variabili per lo stesso preciso istante a noi noto in precedenza; notoin precedenza, perche dobbiamo indirizzare le misure sulla coppia di variabili cheproprio in quell’istante e intrecciata.

- Forse non e possibile indirizzare le misure in questo modo?

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= Forse. Lo sospetto addirittura. Solo: l’attuale meccanica quantistica deverichiedere cio. Infatti essa e ora cosı sistemata che le sue predizioni son fatte sempreper un determinato istante. Poiche esse si devono riferire a valori misurati, nonavrebbero alcun contenuto se non si potessero misurare per un istante determinato

le variabili in questione, sia che la misura duri molto, o poco.Quando apprendiamo il risultato ci e ovviamente del tutto indifferente. Cio ha

dal punto di vista teorico cosı poca rilevanza come il fatto che si impieghi un meseper integrare le equazioni differenziali del tempo per i prossimi tre giorni. - Ilparagone drastico con l’esame dello studente e alla lettera inesatto in alcuni punti,ma lo spirito e giusto. L’espressione “il sistema sa” forse non viene ad avere piu ilsignificato che la risposta sgorga dalla situazione di un istante, essa puo forse essereattinta da una successione di situazioni che si estende per un spazio di tempo finito.Ma anche se fosse cosı non avremmo bisogno di preoccuparci, purche il sistema inqualche modo attingesse da se la sua risposta senza un altro aiuto, come quandogli diciamo (mediante il dispositivo sperimentale) a quale domanda desideriamo

che risponda; e purche la risposta stessa sia associata univocamente ad un istante;cosa che bene o male si deve presupporre per ogni misura di cui parla la meccanicaquantistica odierna; altrimenti le predizioni quantomeccaniche non avrebbero alcuncontenuto.

Ma nella nostra discussione ci siamo imbattuti in una possibilita: Se si potesseintrodurre l’ipotesi che le predizioni quantomeccaniche non o non sempre si rife-riscano ad un istante precisamente determinato, non si avrebbe bisogno di richiedercio neanche dai numeri misurati. In tal modo, poiche le variabili intrecciate cam-biano col tempo, la comparsa di affermazioni antinomiche sarebbe resa straordinar-iamente piu difficile.

Che la predizione temporalmente netta sia un passo falso e probabile anche

per altri motivi. Il numero misurato del tempo e come ogni altro il risultato diun’osservazione. E possibile consentire che si faccia un’eccezione proprio per lamisura da un orologio? Non si riferira essa come ogni altra ad una variabile che ingenerale non ha un valore preciso e che in ogni caso non lo puo avere contempo-raneamente ad ogni altra variabile? Quando si predice il valore di un’altra per undeterminato istante, non si dovra temere che i due non possano essere conosciutisimultaneamente con precisione? Entro la meccanica quantistica attuale questotimore non si puo proprio studiare a fondo. Infatti il tempo e a priori assunto comenoto sempre con precisione, anche se si dovrebbe ammettere che ogni guardar l’oraperturbi l’avanzare dell’orologio in maniera incontrollabile.

Devo ripetere che non possediamo una meccanica quantistica le asserzioni dellaquale valgano non per istanti esattamente determinati. Mi sembra che questo

difetto si manifesti proprio in quelle antinomie. Con cio non intendo dire che essosia l’unico difetto che si manifesti in loro.

§15. Principio di natura o artificio di calcolo?

Che il “tempo preciso” sia un’incongruenza all’interno della meccanica quanti-stica e che inoltre, per cosı dire indipendentemente da cio, la posizione particolaredel tempo costituisca un serio ostacolo per l’adeguamento della meccanica quan-tistica al principio di relativita , negli ultimi anni l’ho fatto notare ripetutamente,purtroppo senza poter fare neppure l’ombra di una controproposta praticabile7.

7Berl. Ber. 16 April 1931; Annales de L’Institut H. Poincare, p. 269 (Paris 1931); Cursos de

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Osservando nel complesso l’intera situazione attuale, come ho cercato di delinearlaqui, si fa largo anche un’osservazione di tutt’altro tipo riguardo alla “relativiz-zazione” della meccanica quantistica, cosı strenuamente perseguita, ma non ancorarealmente raggiunta.

La singolare teoria della misura, i salti apparenti della funzione ψ e infine le “anti-nomie dell’intreccio” scaturiscono tutti dal modo semplice col quale l’apparato dicalcolo della meccanica quantistica consente di fondere concettualmente in uno solodue sistemi separati; per la qual cosa esso sembra proprio predestinato. Quandodue sistemi entrano in interazione, come abbiamo visto, non entrano in interazionele loro funzioni ψ, ma esse cessano immediatamente di esistere e al loro posto necompare una sola per il sistema complessivo. Essa consiste, per ricordarlo in breve,prima semplicemente nel prodotto delle due funzioni singole; il quale, poiche unafunzione dipende da variabili del tutto diverse da quelle dell’altra, e una funzione ditutte queste variabili ovvero “ha gioco in una regione con un numero di dimensioniben piu alto” che le funzioni singole. Non appena i sistemi cominciano ad inter-

agire la funzione complessiva cessa di essere un prodotto, e neppure quando essisi sono di nuovo separati si suddivide di nuovo in fattori che si possano assegnareindividualmente ai sistemi. Cosı si dispone provvisoriamente (finche l’intreccio nonvenga risolto mediante una reale osservazione) solo di una descrizione complessiva dei due in quella regione con un numero di dimensioni piu alto. Questo e il mo-tivo per il quale la conoscenza dei sistemi singoli puo calare al minimo, propriofino a zero, mentre quella del sistema complessivo resta costantemente massimale.La conoscenza migliore possibile di un tutto non include la conoscenza migliorepossibile delle sue parti - l’incubo si basa interamente su questo.

Chi su cio rifletta deve poi valutare con ponderazione i seguenti fatti. La fusioneconcettuale di due o piu sistemi in uno solo si scontra con grandi difficolta non ap-

pena si cerchi di introdurre nella meccanica quantistica il principio della relativit aspeciale. P.A.M. Dirac8 ha risolto il problema di un solo elettrone gia da sette anniin modo sbalorditivamente semplice e bellamente relativistico. Una serie di con-ferme sperimentali, che vanno sotto le espressioni rotazione dell’elettrone, elettronepositivo e creazione di coppie, non possono lasciare alcun dubbio sulla fondamentalecorrettezza della soluzione. Ma in primo luogo essa si pone pero assai fortementeal di fuori dello schema concettuale della meccanica quantistica9 (quello che ho quicercato di delineare), in secondo luogo ci si scontra con una resistenza ostinata nonappena, a partire dalla soluzione di Dirac, si cerchi di progredire nel problema dipiu elettroni secondo il modello della teoria non relativa. (Cio dimostra gia chela soluzione fuoriesce dallo schema generale, infatti in questo, come ricordato, lafusione di sistemi parziali e semplicissima.) Non azzardo alcun giudizio sui tentativiche esistono in questa direzione10. Che essi abbiano raggiunto lo scopo non lo credogia per il fatto che gli autori non lo sostengono.

Le cose stanno in modo analogo con un altro sistema, il campo elettromagnetico.

la universidad internacional de verano en Santander, 1, p. 60 (Madrid, Signo, 1935).8Proc. roy. Soc. Lond. A, 117, 610 (1928).9P.A.M. Dirac, The principles of quantum mechanics, I ed., p. 239, II ed., p. 252. Oxford:

Clarendon Press 1930 e 1935.10Ecco alcuni dei riferimenti piu importanti: G . Breit, Physic. Rev. 34, 553 (1929) e 616

(1932). - C. Møller, Z. Physik 70, 786 1931. - P.A.M. Dirac, Proc. roy. Soc. Lond. A 136, 453(1932) e Proc. Cambridge philos. Soc. 30, 150 1934. - R. Peierls, Proc. roy. Soc. Lond. A 146,420 (1934). - W. Heisenberg, Z. Physik 90, 209 (1934).

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Le sue leggi sono “la teoria della relativita incarnata”, una trattazione non relativae assolutamente impossibile. Tuttavia questo campo, che come modello classicodella radiazione termica ha dato il primo impulso alla teoria dei quanti, e statoil primo sistema ad essere “quantizzato”. Che cio si potesse ottenere con mezzi

semplici deriva dal fatto che si ha la vita un pochino pi u facile perche i fotoni, gli“atomi di luce”, non interagiscono affatto tra loro11, ma solo per l’intermediazionedelle particelle cariche. Oggi non possediamo ancora una teoria quantistica real-mente ineccepibile del campo elettromagnetico12. Si arriva davvero lontano con lacostruzione a partire da sistemi parziali secondo il modello della teoria non relativa(teoria della luce di Dirac13), ma non proprio alla meta.

Forse il procedimento semplice che la teoria non relativa possiede in propositoe soltanto un comodo artificio di calcolo, che pero oggi, come abbiamo visto, haottenuto un’influenza straordinariamente grande sul nostro atteggiamento fonda-mentale riguardo alla natura.

Per l’agio avuto nella stesura di questa relazione devo ringraziare caldamente

Imperial Chemical Industries Limited, London.

11Ma cio succede probabilmente solo in modo approssimato. Vedi M. Born e L. Infeld, Proc.roy. Soc. Lond. A 144, 425 e 147, 522 (1934); 150, 141 (1935). Questo e il tentativo piu recentedi un’elettrodinamica quantistica.

12Ecco di nuovo i lavori piu importanti; in parte il loro contenuto si riferisce anche all’argomentodella citazione precedente: P. Jordan e W. Pauli, Z. Physik 47, 151 (1928). - W. Heisenberg e W.Pauli, Z. Physik 56, 1 (1929); 59, 168 (1930). - P.A.M. Dirac, V.A. Fock e B. Podolsky, Physik.Z. d. Sowj. 6, 468 (1932). - N. Bohr e L. Rosenfeld, Danske Videnskaberne Selskab, math.-phys.Mitt. 12, 8 (1933).

13Un’ottima relazione: E. Fermi, Rev. modern physics 4, 87, (1932).

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Tentativo di un’applicazione generale unitaria della teoria dei quanti,

e di una teoria quantistica della dispersione1

Adolf Smekal

(comunicazione provvisoria)

Le applicazioni fatte finora dei postulati dei quanti (I. esistenza di stati stazionari,II. condizione delle frequenze di Bohr, III. principio di corrispondenza, IV. stabilitadello stato quantico piu basso) si limitano solo ad oggetti pensati come isolabili

in linea di principio, consistenti di cariche elementari positive e negative (atomi,molecole, cristalli singoli). Tutte le interazioni tra questi oggetti si dovranno quindiconsiderare sotto certe circostanze come trascurabilmente piccole, ed in particolarelo spostamento relativo di questi oggetti come sottoposto a leggi classiche, mentrele strutture di questi oggetti sono di per se fondamentalmente diverse, devono perl’appunto obbedire alle leggi quantistiche. La fondamentale uguaglianza di tutte lecariche che costituiscono gli oggetti suddetti vieta tuttavia una siffatta separabilit ain linea di principio degli oggetti l’uno dall’altro. Ma se si sottopongono ai postulatidei quanti anche queste interazioni degli oggetti di solito pensati come indipendenti(atomi, molecole, ioni, cristalli singoli) si deve lasciar perdere questa consueta, piuo meno arbitraria suddivisione degli oggetti, e considerare il moto di tutte le caricheelementari in una regione dell’universo arbitrariamente grande come un problemaquantistico in linea di principio unico. Allora la natura dei singoli stati quanticidiscreti si manifesta analoga a quella d’un atomo, molecola o cristallo arbitraria-mente complicato: in ogni caso si tratta di soluzioni particolari del corrispondenteproblema meccanico del moto, che ammettono uno sviluppo in un numero finito diperiodi indipendenti di una serie di Fourier multipla, la cui scelta precisa e deter-

minata dalla forma di Schwarzschild delle condizioni quantiche e dal principio dicorrispondenza. Le cariche dei singoli atomi, molecole, ioni ora non sono piu legatetra loro puramente dalle prescrizioni quantiche; tuttavia le proprieta elettriche diquesti oggetti hanno per conseguenza che i legami quantici intermolecolari mutanoin generale le frequenze proprie di questi solo impercettibilmente rispetto a quellecalcolate per gli oggetti pensati isolati. Questi scostamenti diventano percettibilisolo nell’allargamento delle righe spettrali, nella dispersione e nella diffusione. Lefrequenze dei legami quantici intermolecolari riempiono la totalita dei valori po-sitivi concepibili, in pratica dense oltre ogni limite dappertutto. Tenendo conto diquesta circostanza l’applicazione proposta dei postulati dei quanti rende possibileuna spiegazione completamente unificata di tutti i fenomeni spettrali a partire dagli

spettri a righe e a bande fino agli spettri continui e a quello della radiazione ter-mica. Essa si dimostra di portata fondamentale anche in altre questioni sulle qualinon ci si puo addentrare qui; essa contiene in se l’importante teoria delle velocitadi reazione di M. Polanyi come conseguenza particolare. Se si cerca di affrontarela questione della propagazione della luce in base all’applicazione unitaria propostadella teoria dei quanti, appaiono in forma piu acuta le vecchie difficolta della teoriadei quanti precedente, prima tra tutte l’assenza di radiazione degli stati stazionarie la localizzazione difettosa dell’emissione della luce. La rete in linea di principioindivisibile dei legami quantici intermolecolari rende possibile - come gia, pero in

1Versuch einer allgemeinen, einheitlichen Anwendung der Quantentheorie und einer Quanten-theorie der Dispersion, Anzeiger der Akademie der Wissenschaften zu Wien 10, 79-81 (1922).

1

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2

tutt’altra forma, W. Schottky ha cercato di delineare - un’interpretazione secondo lateoria dei quanti della rappresentazione di Lorentz-Ritz di tutti i processi di campodella teoria di Maxwell, che faccia riferimento esclusivamente alle variazioni delleinterazioni delle particelle materiali (delle cariche elementari). Le interazioni degli

elettroni positivi e negativi non possono piu a rigore essere assegnate mediante lalegge di Coulomb ad azione istantanea, ma con potenziali ritardati; la necessaria as-senza di radiazione delle orbite quantiche richiede pero allora deviazioni dalla formaesatta della legge di Coulomb nell’immediata vicinanza (10−12 cm) delle caricheelementari, e gia con le considerazioni di W. Lenz e dell’autore sul contenuto ener-getico dei nuclei atomici si e cominciato a fare i conti con questa possibilita. Se daqualche parte nell’universo si verifica una “transizione quantica”, la perturbazionecosı originata, da intendersi come “locale” solo in un certo senso, si propaga conla velocita della luce sulla rete dei legami quantici intra- e intermolecolari in modotale che dopo il passaggio di un certo tempo-luce, misurato da una determinata ca-rica elementare di riferimento, questa perturbazione finisce, poiche il quanto di luce

emesso sara riassorbito mediante una cert’altra “transizione quantica”. I concettidi etere e di campo risultano del tutto superflui per questa rappresentazione delmodo di propagarsi della luce. La dispersione normale e anomala (e analogamentela diffusione) trovano la loro spiegazione nelle diversita di quei legami quantici chequantitativamente saranno piu di tutti interessati dalla propagazione di quella per-turbazione, che corrisponde all’emissione ed al riassorbimento di un quanto di luceda parte dell’universo.

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L’elettrodinamica del vuoto sulla base

1della teoria quantistica dell’elettrone

V. Weisskopf

Una delle conseguenze più importanti nel nuovo sviluppo della

teoria dell’elettrone è la possibilità di trasformare energia dicampo in materia. Per esempio un quanto di luce in presenza di

altri campi elettromagnetici nello spazio vuoto può essere

assorbito e mutato in materia, con la comparsa di una coppia di

elettroni di carica opposta.

La conservazione dell’energia richiede, nel caso che il campo

nel quale avviene l’assorbimento sia statico, che il quanto di

luce assorbito fornisca l’intera energia necessaria per la

generazione della coppia di elettroni. La sua frequenza deve

2 2quindi soddisfare la condizione h

=2mc + ¡ + ¡ , dove mc è1 2

l’energia di riposo di un elettrone, ed ¡ e ¡ le restanti1 2

energie dei due elettroni. Questo caso si verifica per esempio con

la generazione di una coppia di elettroni mediante un quanto ¢ nel

campo coulombiano di un nucleo atomico.

L’assorbimento può anche accadere in campi che derivano da

2altri quanti di luce, sicchè in questo caso l’energia 2mc + ¡ + ¡

1 2

dei due elettroni dev’essere uguale alla somma di tutti i quanti

di luce assorbiti nel processo. Il fenomeno dell’assorbimento

della luce nel vuoto richiede un sostanziale scostamento

dall’elettrodinamica di Maxwell. Il vuoto dev’essere infatti

liberamente penetrabile per un’onda di luce indipendentemente dai

campi che vi regnano, di modo che campi diversi, secondo le

equazioni di Maxwell, a causa della linearità delle stesse,

possono sovrapporsi liberamente.

E’ già comprensibile senza ulteriore approfondimento della

teoria che anche nei campi che non possiedono la necessaria

energia per dar luogo ad una coppia di elettroni si devono avere

deviazioni dall’elettrodinamica di Maxwell: se luce di alta

£ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £

1Kongelige Danske Videnskabernes Selskab, Mathematisk-fysiske

Meddelelser XIV, No. 6 (1936).

1

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estrarre in modo univoco da una somma infinita un termine finito,

e di attribuire a questo realtà. La soluzione di questi problemi è

stata sviluppata da Dirac e da Heisenberg, e fornisce un metodo

privo di contraddizioni, per valutare la parte fisicamente

significativa degli effetti degli elettroni di vuoto. Si mostra

nel seguito che questa valutazione è del tutto esente da ogni

arbitrarietà, poichè essa assume in modo conseguente comefisicamente prive di significato solo le seguenti proprietà degli

elettroni di vuoto:

1) l’energia degli elettroni di vuoto nello spazio privo di

campi.

2) Le densità di carica e di corrente degli elettroni di

(I) vuoto nello spazio privo di campi.

3) Una polarizzabilità elettrica e magnetica del vuoto

indipendente dal campo, costante nello spazio e nel

tempo.

2Queste quantità si riferiscono solo al vuoto privo di campi, e

può essere considerato di per sè evidente, che esse non hanno

alcun significato fisico. Tutte e tre le quantità si comportano

sommando sui contributi di tutti gli elettroni di vuoto come somme

divergenti. Si deve aggiungere che una polarizzabilità costante

non sarebbe accertabile in alcun modo, ma che le cariche e le

intensità di campo sarebbero tutte moltiplicate per un fattore

costante.

Sulla base di queste ipotesi calcoleremo nella prossima

sezione le proprietà fisiche del vuoto in presenza di campi, che

variino lentamente nello spazio e nel tempo. Consideriamo nel

seguito dei campi F, che su tratti della lunghezza ¤ /mc e su tempi

2 3di durata ¤ /mc varino solo di poco e pertanto soddisfino alle

condizioni

£ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £

2Le ipotesi di considerare 1) o 2) o 3) come prive di significato

saranno nel seguito indicate con I , I o I .1 2 3

3¤ è la costante di Planck divisa per 2 ¥ .

3

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2(1) ( ¤ /mc) grad F § F , ( ¤ /mc ) © F/ © t § F .

In presenza di campi siffatti non appariranno in generale delle

coppie, poichè i quanti di luce corrispondenti hanno poca energia.

Escluderemo dalla trattazione il caso estremo, nel quale la

densità di radiazione è così elevata, da consentire l’azione

congiunta di moltissimi quanti, o nel quale il campo

elettrostatico dà luogo a differenze di potenziale superiori a

22mc (in questo caso si avranno delle coppie in base al paradosso

di Klein). Sotto queste condizioni le proprietà elettromagnetiche

del vuoto si possono rappresentare mediante una polarizzabilità

elettrica e magnetica dipendente dal campo dello spazio vuoto, che

porta per esempio ad una rifrazione della luce in campi elettrici

o ad una diffusione della luce da parte di luce. Il tensore

dielettrico e della permeabilità hanno allora per intensità di

campo deboli la seguente forma approssimata (E,H,D,B sono le

4quattro quantità per il campo elettromagnetico )

D = ¡ E , H = Bi k ik k i k ik k

4 4 7 2 2(2)

¡

=

+(e¤

/45¥

m c )[2(E -B )

+7B B ]ik ik ik i k

4 4 7 2 2 = +(e ¤ /45 ¥ m c )[2(E -B ) -7E E ]

ik ik ik i k

=1, i=k, =0, i k.ik ik

Il calcolo di queste espressioni è stato compiuto da Euler e

5 6Kockel e poi da Heisenberg e Euler . Nella prossima sezione si

svilupperanno tuttavia dei metodi notevolmente più facili. Inoltre

si calcoleranno le proprietà del vuoto sulla base dell’equazione

d’onda relativistica scalare di Klein e Gordon. Questa equazione

£ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £

4Si userà la notazione in grassetto per le quantità vettoriali

solo dove è possibile confusione.

5H. Euler e B. Kockel, Naturwiss. 23, 246, 1935; H. Euler, Ann.

d. Phys. V. 26, 398.

6W. Heisenberg e H. Euler, ZS. f. Phys. 38, 714, 1936.

4

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7d’onda produce secondo Pauli e Weisskopf l’esistenza di

particelle positive e negative, e la loro generazione e

annichilazione mediante campi elettromagnetici senza alcuna

particolare ipotesi aggiuntiva. Tuttavia queste particelle non

possiedono spin e seguono la statistica di Bose, pertanto questa

teoria non è applicabile agli elettroni reali. E’ tuttavia

notevole che anche questa teoria porti a proprietà del vuoto chenon possono avere alcun significato fisico. Si ottiene ancora per

esempio una polarizzabilità del vuoto infinita costante nello

spazio e nel tempo. Trescurando il termine corrispondente si

ottengono risultati analoghi a quelli della teoria di Dirac del

positrone. Le proprietà fisiche del vuoto derivano in questa

teoria dall’"energia di punto zero" della materia, che anche in

assenza di particelle dipende dai campi esterni e quindi produce

un termine in aggiunta alla pura energia di campo di Maxwell.

Nella terza sezione trattiamo le conseguenze della teoria del

positrone di Dirac per il caso di un campo esterno generale e

mostriamo che in base alle menzionate tre ipotesi sull’effetto

degli elettroni di vuoto si arriva sempre a risultati finiti e

univoci. Le prescrizioni di sottrazione di Heisenberg si

dimostrano identiche a queste tre ipotesi e appaiono quindi

significativamente meno arbitrarie di quanto ammesso finora nella

letteratura.

Tutti i calcoli seguenti non considerano esplicitamente gli

effetti mutui degli elettroni di vuoto ma trattano separatamente

ogni singolo elettrone sotto l’azione di un campo dato. Con questo

procedimento le azioni mutue non sono tuttavia completamente

trascurate, perchè non si può separare il campo esterno da quello

che è prodotto dagli stessi elettroni di vuoto, sicchè il campo

introdotto nel calcolo include implicitamente in parte le azioni

degli altri elettroni di vuoto. Questo procedimento è analogo al

calcolo di Hartree degli orbitali elettronici di un atomo nel

campo che è modificato dagli elettroni stessi. Per il calcolo

esplicito delle azioni mutue si deve sviluppare l’elettrodinamica

quantistica, cioè si deve introdurre la quantizzazione del campo

£ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £

7W. Pauli e V. Weisskopf, Helv. Phys. Acta. 7, 710, 1934.

5

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d’onda. Essa notoriamente porta a divergenze anche senza

l’assunzione di un numero infinito di elettroni di vuoto e non

sarà considerata ulteriormente nel seguito.

.

.

.

.

6

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Sull’ottica quantistica1

Gregor Wentzel a Monaco

(Ricevuto il 2 febbraio 1924)

Dal tempo della derivazione di Einstein della legge della radiazione di Plancksi procura di assegnare nella statistica quantistica dei processi di emissione e diassorbimento certe probabilita, senza tuttavia fare su di esse affermazioni piu pre-cise. Proporremo qui un’ipotesi generale su queste probabilita, che appare adatta acontribuire a superare le contraddizioni che finora esistono in ottica teorica - teoriaondulatoria dell’interferenza e della polarizzazione da un lato, teoria quantisticadelle righe spettrali dall’altro. Interpretiamo le interferenze come espressionidi leggi della statistica dei quanti che ne stanno alla base. La trattazioneoffre inoltre un significato quantistico alla fase della luce della teoria delleonde.§1. La fase. Consideriamo il cammino di un raggio di luce da un sistema

atomico emittente E ad un sistema atomico assorbente A. Per la teoria ondulatoriadell’interferenza e essenziale la fase:

(1) ϕ =

AE

ds

λ=

ν

c

AE

nds

(ν =frequenza, λ=lunghezza d’onda, n=indice di rifrazione, ds = elemento di cam-mino). Affermiamo che la fase ϕ puo essere intesa quantisticamente come una puraquantita meccanica.

Si puo ben considerare come il fondamento piu importante della teoria dei quanti

la legge che un sistema atomico non puo irradiare finche si trova in stati meccanici,cioe che assorbimento ed emissione di radiazione sono sempre collegate a “tran-sizioni” non meccaniche. Ma non solo gli atti di emissione e di assorbimento devonoessere non meccanici; anche lungo il suo intero cammino la luce causera continua-mente negli atomi del mezzo interposto perturbazioni non meccaniche. Per fornireuna misura invariante alla grandezza di queste perturbazioni, cioe alle deviazionidalla meccanica hamiltoniana dei moti interni all’atomo, si descrivano i moti ditutti i sistemi atomici che risultano coinvolti dal processo di propagazione dellaluce mediante un sistema di coordinate canoniche d’impulso e di posizione αk, β k,nel caso piu semplice uno tale che i suoi impulsi αk siano costanti negli stati mecca-nici (αk =costanti di integrazione della equazione differenziale alle derivate parziali

hamiltoniana del sistema totale). La misura desiderata per le deviazioni dalla mec-canica e allora l’integrale Σkβ kdαk, che va esteso su tutti i processi non meccanici,cioe su tutte le variazioni di αk. Affermiamo che la fase ϕ, a meno di un fattoredimensionale universale h, il quanto d’azione di Planck, e identica a quell’integrale:

(2) ϕ =1

h

β kdαk.

E noto che secondo Jacobi si puo introdurre come una delle coordinate dell’im-pulso (α1) l’energia W ; detto piu precisamente, l’energia totale di tutti i sistemi

1Zur Quantenoptik, Zeitschr. f. Phys. 22, 193-199 (1924).

1

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2

atomici partecipanti, poiche noi li consideriamo tra loro accoppiati in linea di prin-cipio. Poiche la coordinata di posizione β 1 coniugata a W e il tempo, risulta inluogo della (2):

(3) ϕ =1

h

tdW +

2

β kdαk

.

Trattiamo ora anzitutto i sistemi E ed A da soli, cioe consideriamo il caso dellapropagazione della luce nel vuoto. Si assumera provvisoriamente che sia l’atto diemissione che quello di assorbimento avvengano istantaneamente. Al tempo tE haluogo l’emissione, cioe una diminuzione di energia (in E ) di un certo ammontare−∆W ; al tempo tA il sistema deve, in conformita al principio dell’energia, ritornarealla sua energia originaria con la riassunzione dell’ammontare d’energia +∆W (inA). La (3) da quindi:

(4) ϕ =1h

∆W (tA − tE) +2

β kdαk

.

Ma tA − tE e uguale alla lunghezza del cammino della luce l divisa per la velocitadella luce c (nel vuoto). Di conseguenza:

(5) ϕ =∆W

hc· l +

1

h

2

β kdαk =

l

λ0+ · · ·,

dove

(6) λ0 =hc

∆W =c

ν

indica la lunghezza d’onda nel vuoto corrispondente al principio hν di Bohr.L’ipotesi dell’istantaneita dell’emissione e dell’ assorbimento e inessenziale; basta

evidentemente assumere che ogni elemento infinitesimo d’energia dW impieghi iltempo l/c ad andare da E ad A; allora la (5) segue dalla (3). La sola proprietaqui essenziale dei “quanti di luce” e quindi la loro velocita di propagazionec.

Se si prescinde dai contributi dei gradi di liberta k = 2, 3, · · ·, dei quali ci occupe-remo piu in particolare nel §3, la (5) coincide con la (1) per n = 1. Se identifichiamola (1) con la (2) anche per mezzi dispersivi arbitrari otteniamo, tenendo conto della

(6):

(7) n =c

∆W ·d

ds

1

β kdαk.

L’indice di rifrazione misura quindi quantisticamente le deviazioni dalla mecca-nica per unita di cammino e di energia. La sua dipendenza da ∆W e dal mezzocostituisce l’oggetto di una teoria quantistica della dispersione, che K.F. Herzfeldpubblichera2 prossimamente in questo giornale. Il principio di Fermat δ

nds = 0

2L’autore deve alle discussioni con Herzfeld sulle possibilita di una teoria quantistica dell’inter-ferenza e della dispersione molti suggerimenti per questo lavoro.

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3

possiamo scriverlo δ

β kdαk = 0 e dunque affermiamo che lungo i cammini dellaluce dell’ottica geometrica la deviazione totale dalla meccanica e minima.§2. La formula dell’interferenza. Sostituendo la fase classica dell’onda con la

nostra fase quantistica, risulta ora facile tradurre la formula dell’interferenza della

teoria ondulatoria nel linguaggio della statistica dei quanti: se il quanto di luce haa disposizione diversi cammini s da E ad A, la probabilita che esso giunga ad Alungo uno qualsiasi dei cammini s e che ivi sia assorbito non e uguale alla sommadelle probabilita a priori dei singoli cammini della luce s, ma e J volte tanto, dove

(8) J =FF|F0|2

,

(9) F0 =

sfs, F =

sfs exp(2πiϕs).

Qui i ϕs indicano le fasi (2) prese sui singoli cammini s, e le fs le ampiezze vettorialidelle onde classiche, sul significato quantistico delle quali ritorniamo nel §3. Incoordinate rettangolari x, y, z il fattore J si scrive:

(10)

J =(Σfsx cos ϕs)2 + (Σfsx sinϕs)2

(Σfsx)2 + (Σfsy)2 + (Σfsz)2+

(Σfsy cos ϕs)2 + (Σfsy sinϕs)2

(Σfsx)2 + (Σfsy)2 + (Σfsz)2

+(Σfsz cosϕs)2 + (Σfsz sinϕs)2

(Σfsx)2 + (Σfsy)2 + (Σfsz)2

La coincidenza formale del numeratore con il quadrato delle ampiezze delle onde

sovrapposte assicura alla prescrizione (8) una validita senza eccezioni per quantoriguarda le descrizione di un qualsiasi fenomeno di interferenza. Rispetto alla teoriadelle onde la nostra prescrizione ha tuttavia il vantaggio di garantire fin dall’iniziol’identita delle “lunghezze d’ onda” misurate mediante l’ interferenza e me-diante l’ effetto fotoelettrico. Che queste lunghezze d’onda mostrino anche ilcorretto spostamento Doppler, quando i sistemi E ed A siano in moto, lo hamostrato Schrodinger3.

Essenziale per la nostra ipotesi e l’assunzione che il sistema emittente e il sistemaassorbente siano in linea di principio accoppiati tra loro, secondo una tesi generaleda poco formulata da Smekal4.

In primo luogo abbiamo dovuto assumere nel §1 un accoppiamento meccanico,

per poter porre univocamente in relazione mutua l’evoluzione temporale nei diversisistemi atomici. Inoltre la formula (8) pone in dipendenza mutua i processi quan-

tistici in sistemi diversi. E particolarmente degno di nota che secondo la nostraconcezione la presenza del sistema assorbente A e irrinunciabile per il verificarsi diuna qualche interferenza; nel vuoto essa non solo non e accertabile, ma per princi-pio non succede. Un’intensita della luce misurata mediante il numero dei “quantidi luce” per unita di tempo e di superficie non potrebbe mai rivelare interferenzetrasversalmente al cammino della luce, come si riconosce facilmente nell’esempiodelle onde stazionarie.

3Phys. Zeitschr. 23, 301 (1922).4Wiener Anzeiger 1922, Nr. 10, p. 79.

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Secondo la nostra concezione le emissioni di due atomi distinti E , E sono evi-dentemente in linea di principio incoerenti, a meno che un qualche cammino dellaluce che tocchi tutti e tre gli atomi E , E , A non giochi un ruolo particolare5.§3. Sulla teoria degli spettri. Tratteremo ora in particolare la dipendenza

del fenomeno d’ interferenza dal carattere dell’atomo emittente E . Per questo as-sumeremo in particolare che il sistema E sia condizionatamente periodico, e chequindi l’equazione differenziale alle derivate parziali che gli si riferisce sia separa-bile. Come coordinate di posizione β k assumiamo ora in conformita allo scopo lecosidette variabili angolari wk, che a prescindere della loro linearita nel tempo sonodeterminate dal fatto che il sistema e periodico in wk con il periodo 1. Le costantidell’impulso ad esse coniugate αk = I k sono com’e noto identiche agli “integrali difase”

pkdqk

della teoria dei quanti.

Per decomporre la fase ϕ anche in queste coordinate secondo l’Eq. (3), facciamouso della relazione

(11) wk = t ·

∂W

∂I k + uk,

dove gli uk indicano quantita di fase indeterminate. Allora l’espressione (2), perquanto riguarda il sistema E , si scrive:

(12) ϕ =1

h

wkdI k =

1

h

tdW +

ukdI k

.

Si assumera ora che le quantita di fase uk durante le transizioni (cioe quando gli I kcambiano di ∆I k) rimangano invariate6. Allora la (12) da

(13) ϕ = (1/h) tdW +uk∆I k + · · ·

5Si puo tener conto della lunghezza finita di coerenza dell’emissione di un atomo mediante unpostulato aggiuntivo. Le differenze di fase che compaiono nella (8) e nella (9) per ogni coppia dicammini s ed s si possono scrivere:

ϕs − ϕs = ∆W/hc

nds,

dove l’integrale va esteso alla curva scelta E → s → A → s → E . Esigeremo ora che questa curvasia chiusa non solo spazialmente, ma anche temporalmente, nel senso che il quanto d’energia ∆ W anche nei tempi tEs − tEs ovvero tAs − tAs sia presente nel sistema, cioe sia depositato nelsistema E ovvero A. Per questo e necessario che

|tEs − tEs | < τ E, |tAs − tAs | < τ A,

quando τ E ovvero τ A significano il tempo di permanenza del quanto ∆W nell’atomo E ovvero A.In generale ∆W/h non sara nessuna frequenza propria del sistema A, τ A sara quindi praticamentenullo. I tempi di assorbimento tA da sostituire nella (4) devono quindi praticamente coincidere,il che corrisponde alla circostanza, che nella teoria ondulatoria interferiscono i treni d’ onda chearrivano simultaneamente in A. D’altra parte interferiscono solo quei raggi s, s i cui tempid’emissione tE differiscono per meno di τ E . La durata media dello stato iniziale di E gioca quindiil ruolo di una durata di coerenza. Di fatto l’equazione: Lunghezza di coerenza=durata × velocitadella luce si accorda bene con i dati noti: 102cm= 10−8sec ·1010cm/sec.

6Richiediamo quindi che, nel sistema di coordinate angolare, dei due sistemi di equazionihamiltoniane

I k = cost., uk = cost.,

il secondo risulti valido anche durante le transizioni non meccaniche. Dobbiamo espressamente

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Per valori assegnati di ∆I k la transizione puo pur sempre aver luogo con valoridiversi di uk. Di conseguenza dobbiamo generalizzare la nostra ipotesi sulla pro-babilita (§2) in modo che la probabilita di una transizione per un qualche valore diuk sia diversa dalla somma delle singole probabilita di nuovo per un fattore J , nel

quale ora si deve prendere la media non solo sui cammini della luce s, ma anchesulle quantita di fase uk. Per i coefficienti vettoriali fs [nella (9)] possiamo scriverein generale:

(14) fs = Es(uk)du1du2 . . .

Al posto della (9) risulta quindi:

(15)

F0 =s

· · ·

du1du2 . . .Es (uk) ,

F = s

· · · du1du2 . . .Es (uk)exp 2πiΣuk∆I k/h + tdW/h + · · · .Ma il sistema intero E e per ipotesi periodico con periodo 1 nei wk e quindi per la(11) anche negli uk. La funzione Es (uk) si deve poter quindi sviluppare in serie diFourier nel modo seguente:

(16) Es (uk) =nk

D(s)nk

exp[−2πiΣnkuk]

(nk intero). Si sostituisca la (16) nella (15) e si integri su tutti gli uk da −∞ a +∞;sotto l’ipotesi

s

D(s)0 = 0

l’espressione (8) della probabilita sara nulla, a meno che tutti i ∆I k non siano mul-tipli interi di h. La nostra formula risulta quindi in accordo con la nota condizionequantica dei sistemi separabili, che l’impulso I k salti solo di multipli interi di h:

(17) ∆I k = nk · h.

Un atomo “quantizzato” una volta passera dunque sempre ad un ulteriorestato quantizzato.

Sostituendo la (17) nella (15) ovvero nella (8), otteniamo una misura della proba-bilita di transizione tra stati quantizzati, cioe per l’ intensita della riga spettralecorrispondente. Perche in virtu delle (16) e (17) l’intero integrando della (15) eperiodico in uk, basta estendere l’integrazione sul cubo elementare 0 ≤ uk ≤ 1; siottiene allora:

(18) F =s

D(s)nk

exp

2πi

tdW/h + · · ·

=s

D(s)nk

exp

2πi

ds

λ

.

limitare questa condizione alle transizioni spontanee; se la estendessimo per esempio anche aiprocessi che la luce genera negli atomi di un mezzo rifrangente (§1), l’indice di rifrazione (7)risulterebbe sempre uguale a 1. In contrapposizione a quelli spontanei si possono considerare iprocessi adiabatici, nei quali gli I k sono mediamente costanti su tempi lunghi, ma gli uk sono ingenerale variabili (nota aggiunta durante la correzione).

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6

Il coefficiente D(s) che interviene qui e l’ampiezza di una data oscillazione armonicanella (16), cioe quella di ordine nk = ∆I k/h. La formula (18) e quindi identica alprincipio di corrispondenza di Bohr per l’ intensita e per la polarizzazione,quando si identifichi il vettore Es nella (14) e nella (16) con il vettore dellaluce della teoria ondulatoria, che e irraggiato dal sistema E nella posizionewk = uk sul cammino s verso A. Secondo Bohr resta indeterminato se la ra-diazione classica (16) si debba calcolare per lo stato iniziale, per lo stato finale oper uno stato intermedio. Se l’ampiezza D dell’oscillazione armonica considerata euguale a zero per tutti gli stati intermedi, il principio di corrispondenza si rafforzain una regola di selezione.

Ora l’espressione (18) coincide interamente dal punto di vista formale con il vet-tore della luce periodico classico; soltanto, la frequenza meccanica e sostituita dallafrequenza quantistica ∆W/h, quella che risulta dall’integrazione su uk, e questaviene introdotta tramite la legge di probabilita. Nella formula d’interferenza (10) si

possono sostituire direttamente i vettori fs con le ampiezze classiche della luce D(s)nk .

Cio offre la possibilita di introdurre le condizioni al contorno classiche per D(s) sullesuperfici di separazione di mezzi diversi (superfici di discontinuita di n) secondo ilprincipio di corrispondenza; allora evidentemente valgono le leggi della rifrazione,della riflessione, della doppia rifrazione (polarizzazione) proprio come nella teoriaondulatoria. Di fatto il principio di Huygens si fonda proprio sull’interferenza.

L’estensione delle presenti considerazioni ad un sistema E non periodico si scon-tra per ora con la difficolta, che in questo non si puo definire facilmente un si-stema privilegiato di coordinate di posizione analogo alle variabili angolari. Siavrebbe bisogno soltanto di fissare univocamente un sistema di coordinate normali,le cui costanti di fase uk (vedi sopra) durante la transizione restassero costanti.L’autore ha pensato di discutere prossimamente questo problema in un altro lavoro

nell’esempio di uno spettro Rontgen continuo.Mentre nella teoria quantistica considerata finora si fa uso del quanto d’azione diPlanck h in due punti essenzialmente distinti, cioe nel principio hν e nelle condizioniquantiche, qui e stato introdotto solo una volta, cioe nell’espressione (2) per lafase ϕ. Abbiamo ottenuto qui il principio hν , le condizioni quantiche ed ilprincipio di corrispondenza dalla sola espressione (2) assieme alle leggi diprobabilita (8, 15); il principio hν senza ipotesi restrittive, le condizioni quantiche eil principio di corrispondenza con l’assegnazione del sistema di coordinate angolari.

Munchen, Institut fur theoretische Physik, gennaio 1924.

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1La teoria quantistica dello spettro di frenamento Röntgen

Gregor Wentzel a Monaco

Con quattro figure. (Ricevuto il 24 luglio 1924)

I postulati fondamentali di Bohr della teoria dei quanti (assenza

di radiazione degli stati stazionari, emissione ed assorbimento

nelle transizioni secondo il principio h

) sono applicabili anche

a sistemi non periodici; rispetto ai sistemi periodici sussiste

tuttavia la differenza che gli stati stazionari non costituiscono

una molteplicità discreta, ma continua, come si manifesta nella

contrapposizione spettro a righe - spettro continuo. Solo nel caso

periodico la determinazione delle frequenze e la determinazione

delle intensità si possono trattare come problemi distinti; gli

spettri continui invece sono espressamente problemi di intensità.

L’autore ha precedentemente dato una regola, che riunisce in sè

formalmente le prescrizioni quantiche per la determinazione delle

frequenze (condizioni quantiche, principio h

) e delle intensità

(principio di corrispondenza di Bohr) per gli spettri a righe.

Previa la relativa generalizzazione questo postulato si rivela

adatto anche per la trattazione di problemi non periodici; esso dà

la distribuzione di intensità dello spettro Röntgen continuo al

variare della tensione del catodo e del materiale dell’anticatodo

2in accordo preciso con le misure di Wagner e Kulenkampff .

§1. La storia del problema. Da più parti si è posto il

problema, come si possa estendere il principio di corrispondenza

di Bohr dagli spettri a righe agli spettri continui. Dal punto di

vista matematico si tratta del passaggio dalla serie di Fourier

all’integrale, dal sistema periodico a quello non periodico. Al

problema periodico più semplice, il moto ellittico di un elettrone

attorno ad un nucleo, come si realizza nell’atomo di idrogeno,

¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡

1Zeitschr. f. Phys. 27, 257 (1924).

2H. Kulenkampff, Ann. d. Phys. 69, 548, 1922.

1

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corrisponde come sistema non periodico più semplice il moto iper-

bolico attorno ad un nucleo, com’è eseguito dai raggi catodici

negli atomi di un anticatodo, e che si ritiene responsabile

dell’emissione dello spettro di frenamento Röntgen. Quest’analogia

tra serie di Balmer e spettro di frenamento ha condotto Sommerfeld3

e Pauli alla trattazione seguente. Lo spettro classico di un’el-

lisse di Keplero consisterebbe di righe esattamente equidistanti esi estenderebbe all’infinito (Fig. 1, a); invece il limite della

serie per la serie di Balmer (Fig. 1, b) è al finito (ad 1/4 della

frequenza di Rydberg R). Il principio di corrispondenza assimila

l’una all’altra nella loro intensità la riga classica e quella

della teoria dei quanti; si può formulare la sua azione anche nel

fatto che le armoniche superiori classiche si spostano in blocco a

frequenze minori con intensità immutate. Analogamente anche lo

spettro di frenamento calcolato classicamente si estende all’infi-

nito (Fig. 1, c), mentre sappiamo dall’esperienza (legge di Duane

- Hunt) che lo spettro di frenamento reale (Fig. 1, d) ha un limi-

te netto a

= eV /h. Anche qui il principio di corrispondenza agi-0

sce quindi con uno spostamento in blocco. Ma Sommerfeld e Pauli

non hanno potuto fissare univocamente la legge di questo sposta-

mento in blocco in modo analogo a quella per la serie di Balmer.4

Invece la teoria dello spettro di frenamento di Kramers

lascia perdere l’analogia con la serie di Balmer; Kramers taglia

semplicemente lo spettro classico a

= eV /h e dice: per

<

0 0

l’intensità della teoria dei quanti è uguale a quella classica,

per > è nulla. Inoltre il modo in cui Kramers tiene conto della0

perdita di velocità dei raggi catodici nell’anticatodo non

corrisponde al processo reale; ritorneremo in seguito (§ 5) su

questo punto.5

In un lavoro precedente l’autore ha dato una formulazione

del principio di corrispondenza della quale è possibile una

¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡

3Lezione del Prof. Sommerfeld a Monaco, semestre invernale

1920/21.

4H.A. Kramers, Phil. Mag. 46, 836, 1923.

5G. Wentzel, Zeitschr. f. Phys. 22, 193, 1924.

2

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trasposizione a sistemi non periodici. Riesporremo tuttavia la

teoria generale nell’Appendice e ci faremo guidare ora solo

dall’analogia con l’atomo di idrogeno.

§ 2. Il principio di corrispondenza nel moto ellittico ed

iperbolico. Nella teoria classica è noto che il campo elettro-6

magnetico di un elettrone accelerato si scrive:

e e¢

= ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ [ £ [ £ ¤ ]] , ¦ = - ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ [ £ ¤ ] , (1)2 2

c r c r

con la notazione seguente:

e = carica dell’elettrone,

c = velocità della luce,

r = distanza elettrone - punto corrente,

£

= versore nella direzione del raggio,

¤

= accelerazione dell’elettrone al tempo ritardato (t-r /c).

Per la decomposizione spettrale del campo si deve distinguere

tra moti periodici e non periodici. Discuteremo prima il caso noto

periodico e poi tenteremo una conclusione per analogia riguardo al

caso non periodico.

Sia § la frequenza angolare dell’elettrone; allora ¤ si può

scrivere in funzione del tempo t con la seguente serie di Fourier:

+ ¨

ik§

t¤ = ¤ e . (2)kk = - ¨

Quindi per la (1) la decomposizione di Fourier del campo si

scrive:

+ ¨ + ¨

2 © ik § t 2 © ik § t¢

=

¢

e , ¦ = ¦ e , (3)k k

k = - ¨ k = - ¨

dove

e e¢

= ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ [ £ [ £ ¤ ]] , ¦ = - ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ [ £ ¤ ] . (4)k 2 k k 2 k

c r c r

¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡

6 avedi M. Abraham, Theorie der Elektrizität, Vol. 2, 3 ed., p. 61,

Eq. (54), (54a). Leipzig 1914.

3

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L’energia irraggiata in direzioni diverse è data dal vettore di

Poynting

= (c/4 © )[¢

¦ ] ;

per la (3) la sua media temporale è:

+ ¨ ¨

-

= (c/4©

)

[

¢

¦

] = (c/4©

) 2

[

¢

¦

] . (5)k -k k -kk = - ¨ k =0

Esprimendo i vettori con la (4) si ottiene dalla (5):

¨

- 2 2 3 ~

= ( £ /4 © r ) J , J = (2e /c )([ £ ¤ ][ £ ¤ ] (6)k k k k

k =0

~( ¤ = - ¤ indica il valore complesso coniugato di ¤ ).

k k k

La teoria dei quanti si fonda nel principio di corrispondenza

sull’idea che i singoli contributi d’energia, che sono rappre-

sentati dai termini della serie (6), vengano di fatto emessi nei

salti quantici; la radiazione emessa dovrà in media temporale

comportarsi per intensità e polarizzazione come la radiazione

elettromagnetica (6) ovvero (4); solo essa non dovrà avere le

frequenze k § come nella (3), ma piuttosto dovrà comportarsi nelle

sue interferenze come il campo

i

t 2©

i

=

¢

e k , ¦ = ¦ e k , (7)k kk k

dove h rappresenta la cessione d’energia in un salto quantico

k

"corrispondente":

1

= ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ (W - W ) . (8)k h a e

Nel problema dell’idrogeno, cioè quando un elettrone ruota

attorno ad un nucleo di carica Z e, s i h a

2 2 2 2W = - RhZ /n , W = - RhZ /n , (9)

a a e e

dove n , n indicano i numeri quantici degli stati iniziale ea e

finale, ed R rappresenta la frequenza di Rydberg. Armoniche

superiori e salti quantici sono mutuamente associati in modo tale

4

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che

1/2 -1/2 -1/2

k = n -n = Z(Rh) (-W ) - (-W ) . (10)a e a e

Il principio di corrispondenza dà quindi nel caso dell’ellisse di

Keplero la prescrizione seguente: per la determinazione dell’in-

tensità e della polarizzazione della riga spettrale che cor-risponde alla transizione n n , si ponga nella (4) e nella (6)

a e

1 / §

-2 © i

’t¤ = § ¤ e k dt , (11)

k

0

dove

2 3/2 -1/2 -1/2

’ = k § = ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ (-W ) (-W ) - (-W ) . (12)h

a e

La (11) è infatti l’inversa della (2), k è dato dalla (10), e §

nel caso dell’idrogeno è:

3 1/2§ = (2R/Z)(-W /Rh) . (13)

Si pensi W dato; allora per la (8) è W = W + h , e quindi

e a e

l’equazione (12) fornisce la trasformazione delle frequenze

classiche

’ nelle frequenze quantistiche

, che formula anali-k k

ticamente lo "spostamento in blocco" dello spettro menzionato nel

§ 1. Per esempio le righe classiche

’= ¨ (W = 0) vengono spostatek a

in blocco nel limite della serie

=W /h. Se inoltre si hak e

W -W "

W ,a e e

si ottiene sviluppando la (12) (W è un valor medio tra W e W ):a e

1

’ = ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ (W - W ) =

.k h a e k

Per piccole frequenze lo spettro classico e quello quantistico

quindi coincidono.

La prescrizione del principio di corrispondenza non è univoca

ancora in un punto. Per quale orbita si devono introdurre ¤ e W

nelle (11) e (12)? Per l’orbita iniziale (W =W ), o per l’orbitaa

finale (W = W ), oppure infine per una certa orbita intermedia? Èe

naturale a questo riguardo estendere tentativamente il principio

5

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di corrispondenza con la prescrizione seguente: si assuma quel-

l’orbita per la quale

’ = , (14)k k

cioè si assuma secondo le (8) e (12):

2/3$

W - W %

1 a e-W =¡ ¡ ¡ ¡' ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡

. (15)2 -1/2 -1/2(

(-W ) - (-W ) )

a e

Si dimostra facilmente che quest’orbita giace tra l’orbita

iniziale e quella finale (W >W >W ). Se imponiamo una siffattaa e

uguaglianza tra la frequenza meccanica

’ = k§ e la frequenza

k

quantistica , il campo classico (3) e il "campo quantistico" (7)k

saranno formalmente identici; sussiste solo la differenza che le

singole ampiezze (4) si calcolano mediante la (11), nel caso

classico per l’orbita stessa, nel caso quantistico tutte per

orbite diverse (15).

Tratteremo adesso la controparte non periodica del problema

dell’idrogeno, il moto iperbolico. Al posto delle (2), (3) abbiamo

ora integrali di Fourier:

+ ¨

2 © i

t¤ = 0 d

¤ e , (2’)

- ¨

2 © i

t 2 © i

= 0 d

¢

e , ¦ = 0 d

¦ e , (3’)

- ¨ - ¨

e e¢

= ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ [ £ [ £ ¤ ]] , ¦ = - ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ [ £ ¤ ] . (4’)

2

2

c r c r

Dirigiamo ora la nostra attenzione sull’integrale temporale

del vettore di Poynting:

+ ¨ + ¨ + ¨ + ¨ + ¨

2 © i(

+

’)t0 dt

= (c/4© ) 0 dt[¢

¦ ] = (c/4 © ) 0 dt 0 d

0 d

’[¢

¦ ]e .1

’- ¨ - ¨ - ¨ - ¨ - ¨

Poichè secondo il teorema di Fourier

+ ¨ + ¨

2 © i(

+

’)t0 dt 0 d

’ ¦ e = ¦ ,

’ -

- ¨ - ¨

6

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risulta

+ ¨ + ¨ ¨

0 dt

= (c/4© ) 0 d [

¢

¦ ] = (c/4 © ) 2 0 d [

¢

¦ ] . (5’)

-

-

- ¨ - ¨ 0

Con la (4’) questa dà:

+ ¨ + ¨

2 2 3 ~0 dt

= ( £ /4 © r ) 0 d

J , J = (2e /c )([ £ ¤ ][ £ ¤ ] . (6’) 2

- ¨ 0

L’inverso dell’integrale (2’) si scrive:

+ ¨

-2 © i

’t¤ = 0

dt¤

e . (11’)

- ¨

Abbiamo qui scritto nell’esponente ’ al posto di , per sottoli-

neare che nella teoria quantistica la frequenza vera della luce,

come si manifesta nell’interferenza, non necessariamente coincide

con la frequenza meccanica

’. Assumeremo ora che la formula (12),

che rappresenta la frequenza meccanica

’ per il moto ellittico,

corrispondente alla transizione W W , si trasponga immutata per a e

il moto iperbolico, e possa esser sostituita nelle (11’), (4’),

(6’). Poichè in questo caso W (come energia cinetica) è positiva,

’ per la (12) si scrive:

2 3/2 -1/2 -1/2

’ = ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ (W ) (W ) - (W ) . (12’)

h

e a

Dimostriamo nell’Appendice che l’ipotesi (11’), (12’) è effettiva-

mente nella direzione di una generalizzazione coerente del prin-

cipio di corrispondenza di Bohr a sistemi non periodici.

Se W è dato, risulta W = W - h

, e la (12’) rappresenta dia e a

nuovo la legge dello spostamento in blocco. Per frequenze piccole

sarà di nuovo

’= . La parte secondo la teoria classica

infinitamente dura dello spettro (

’=¨

, W = 0) sarà ricondottae

entro il limite naturale

= W /h, in accordo preciso con la leggea

di Duane-Hunt.

Nella scelta dell’orbita intermedia W nelle (11’) e (12’) ci

faremo guidare come per il moto ellittico dalla legge fondamentale

7

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7(14) ossia (15), che qui meglio si scrive :

2/3$

W - W %

1 a eW = ¡ ¡ ¡ ¡' ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ . (15’)

2 -1/2 -1/2(

(W ) - (W ) )

e a

Introducendo la frequenza limite

= W /h (16)0 a

le formule (12’), (15’) si scrivono:

3 1/2 -1/2 -1/2

’ = 2(W /h) (

-

) - (

) , (17) 0 0

2/3$

%

/2W = h ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ . (18)

-1/ 2 -1/2(

( - ) - ( ) )

0 0

.

.

.

.

Appendice

La teoria quantistica dei sistemi non periodici in generale

Approfondiremo qui la connessione tra le nostre ipotesi del

§ 2 per la radiazione del moto iperbolico e la formulazione delprincipio di corrispondenza, che l’autore ha proposto nel lavoro

precedente prima (§ 1) citato.

Secondo questa interpretazione il principio di corrispondenza

inteso in generale afferma che la luce emessa da un sistema

atomico si comporta nei suoi fenomeni d’interferenza come un campo

di radiazione elettromagnetico (1); soltanto non si può, come

nella teoria di Hertz, identificare nella (1) ¤ con le accele-

razioni orbitali reali; ¤ risulta invece da queste ultime mediante

una certa media nello spazio delle fasi.

¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡

7Altre regole per determinare l’orbita intermedia [per esempio

-W 0 dI = 0 WdI, vedi Appendice (76)] non muterebbero sostanzialmente

il risultato finale per lo spettro di frenamento.

8

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Descriviamo il moto del sistema emittente mediante coordinate

di posizione u e coordinate d’impulso I , che siano coniugate nelk k

senso della meccanica hamiltoniana. Come impulsi I scegliamo ink

particolare un sistema di costanti d’integrazione dell’equazione

differenziale alle derivate parziali del problema meccanico. Negli

stati stazionari, senza radiazione, il moto del sistema soddisfa

le equazioni di Hamilton, che integrate nel nostro sistema dicoordinate danno:

4

W u = ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ t -

5

,5

= cost. , I = cost. , (61)k

4

I k k kk

(W = costante dell’energia espressa in funzione di I ). Unk

processo di emissione o di assorbimento sarà invece caratterizzato

da variazione temporale di 5 e di I . Costruiamo la "fase" carat-k k

teristica per una "transizione" non meccanica:

$

%

5 = (2 © /h) 0 5 dI = (2 © /h) t 0 dW - 0 u dI , (62)k k

(

k k )

k k

dove gli integrali vanno estesi dall’uno fino all’altro stato

stazionario ed h indica il quanto d’azione di Planck. Sostituiremo

ora ogni volta nella (62) 0 u dI con u 0 dI , cioè per u intendiamok k k k

il suo valor medio sulla transizione. Sarà allora:

5 = -2 © (

t + j u ) , (63)k k

k

dove per brevità si è posto:

= -(1/h) 0 dW , j = (1/h) 0 dI . (64)k k

è la "frequenza quantistica" secondo il principio h , j rap-

k

presenta una misura per il k-esimo "salto quantico". Se W come

funzione di I è nota, si conosce in funzione degli I deglik k

stati iniziale e finale, ovvero come funzione di j e di I solok k

dello stato iniziale. Se tutti i salti quantici j sono cosìk

piccoli che tutte le4

W /4

I non variano percettibilmente nellak

transizione, sarà

4

W 4

W = -(1/h)

¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ dI = - j ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ; (65)

4

I k k4

Ik k k k

in questa regione di j dipende quindi sostanzialmente in modo

k

9

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lineare omogeneo da j .k

Proponiamo ora la seguente relazione tra l’accelerazione

apparente ¤ da sostituirsi nella (1) e l’accelerazione orbitale.

reale 8 : in un certo sistema di coordinate assegnato u , I , chek k

indicheremo come "sistema normale", dovrà essere:

. -i 5

¤

=0 0

dj dj0 0

du du8

(u )e . (66)1 f 1 f k

.Qui 8 (u ) indica l’accelerazione orbitale di un elettrone, più in

k

generale la somma vettoriale di tutte le accelerazioni del sistema

in una certa orbita intermedia, in funzione delle coordinate di

posizione u . Sulla dipendenza dell’orbita intermedia da j ilk k

principio di corrispondenza di per sè nel caso periodico ci lascia

all’oscuro; non abbiamo provato a generalizzare la regola (14)

proposta nel testo per un grado di libertà. Le integrazioni su uk

e su j nella (66) vanno estese sull’intero loro intervallo dik

variabilità, quindi in generale da - ¨ a + ¨ ..

Perchè ¤ sia identico a 8 è necessario e sufficiente che W

sia lineare in I , ovvero che sia lineare omogeneo in j . Se in-k k

fatti sostituiamo la (65) nella (66), l’esponente nella (66) sarà

$

4

W %

-i 5 = 2 © i j u - t ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ;k

(

k4

I )

k k

8per il teorema di Fourier sarà quindi

.4

W ¤ = 8 (u ) per u = ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ t

k k4

Ik

e per la (61) questa è direttamente l’accelerazione orbitale in

funzione del tempo t. In questo caso quindi lo spettro quantistico

coincide con quello classico (esempio: oscillatore armonico). In

generale la (65) vale però solo per piccoli salti quantici j ;k

solo questi irraggiano quindi in modo quasi classico; altrimenti

lo spettro classico è distorto.

Ci convinciamo ora del fatto che la (66) per sistemi

periodici condizionati coincide con il principio di corrispondenza

¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡

8

+ ¨ + ¨

2 © i(u-v)jf (v ) = 0 dj 0 duf (u)e .

- ¨ - ¨

10

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di Bohr. Effettueremo la transizione dai sistemi non periodici a

quelli periodici partendo da un sistema periodico smorzato che, in

quanto a rigore ancora non periodico, può essere trattato con le

formule di cui sopra, e ponendo infine uguale a zero la costante

di smorzamento. Assumiamo:

. - @ u (2 © in + A )8 = B e k k k . (67)

nn kk

Si pensi ad un sistema periodico condizionato che, a causa del suo

tempo di vita limitato, è dotato del fattore di smorzamento

- @ A u -t @ A

4

W /4

Ie k k = e k k k ; (68)

t va dall’istante dell’eccitazione (t=0) fino a ¨ . Se il segno di

I è normalizzato in modo che4

W /4

I >0, anche tutte le u vanno dak k k

0 a¨

, e leA

nella (67) devono essere positive. Se sik

sostituisce la (67) nella (66), l’integrazione su u dà:k

dj djE

1

f 2 © i

t¤ = B

¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ e . (69)F

n A

+2©

i(n -j ) A

+2©

i(n -j )n k 1 1 1 f f f

k

Se le costanti di smorzamento A sono numeri assai piccoli, glik

integrandi hanno dei massimi netti per salti quantici interi

j = n . In prossimità di un tale punto reticolare j = n lek k k k

quantità4

W /4

I sono però sensibilmente costanti, e si puòk

sviluppare secondo la (64):

4

W - = -

¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ (j - n ) . (70)n

4

I k kk k k

Se questa si sostituisce per

nella (69) e si tien conto che4

W /4

I >0, l’integrazione su j (nel modo più semplice complessak k

attorno al polo j = n + A /2 © i) dà con approssimazione adeguatak k k

-2 © i

.t -t. @ (4

W/4

I ). A

¤

= B e n e k k . (71)n kn k

k

Prescindendo dal fattore di smorzamento (68) si ottiene quindi una

somma di oscillazioni armoniche con le frequenze proprie ,n

k

corrispondenti ai salti quantici interi j = n , le cui ampiezzek k

11

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coincidono con quelle delle armoniche superiori "corrispondenti"

nella (67). Ciò è in accordo completo con la teoria quantistica

delle righe spettrali se si assume che come "sistema di coordinate

normali" (vedi sopra) nel caso periodico condizionato vada preso

il sistema di variabili angolari, le costanti d’impulso I delk

quale sono i cosidetti integrali di fase ( 0 p dq ).k k

Per eseguire ora la decomposizione spettrale del vettore¤

secondo la (2’) basta introdurre, nell’integrazione sullo spazio

j della (66), come variabile d’integrazione. Poichè è unak

funzione di j , = cost. rappresenta un’ipersuperficie nellok

spazio j . Indichiamo con dF l’elemento di superficie di questa,k

allora l’elemento di volume dello spazio j saràk

d

dF dj dj dj = ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ . (72)

1 2 f 1/2 2

(4

W /4

I ) k

k

Se si sostituiscono la (63) e la (72) nella (66) e si confronta

con la (2’), risulta

dF . 2 © i @ j u¤ = ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ du du 8 (u )e k k . (73)

1/2 1 f k 2

(4

W /4

I ) k

k

Questa, sostituita nelle (3’), (4’), (6’), dà quindi l’analisi

spettrale della radiazione quantistica.

Nel caso di un singolo grado di libertà (f =1) resta nella

(73) soltanto una integrazione; secondo la (61) introduciamo come

variabile d’integrazione

u/(dW /dI) = t ;

allora la (73) si scrive

. 2 © i(dW/dI)jt¤ = dt 8 e , (74)

dove ora si può scrivere l’accelerazione orbitale immediatamente

come funzione di t..

Se per 8 nella (73) si fa in particolare l’ipotesi (67), si

può eseguire l’integrazione nella (73) in modo approssimato,

analogamente a come si fa nelle (69), (71), per quei punti reti-

12

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colari n che giacciono vicini all’ipersuperficie

=cost. Sik

ottiene allora come contributo di queste frequenze proprie :n

k

E 1¤ = B

¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ . (75)

F

nn k 2 © i( - ) - (

4

W /4

I ) A

k n k kk k

Se si sostituisce questa nella (2’) e si integra su

si ritornanaturalmente alla (71). Si osservi la coincidenza formale del

denominatore nella (75) con i denominatori risonanti della teoria

della radiazione in prossimità delle frequenze proprie [l’equazio-

ne (75) è derivata solo per queste]. Forse a partire da qui si

possono ottenere degli spunti per una teoria quantistica coerente

della dispersione, nella quale le frequenze quantiche appaianon

k

automaticamente come posizioni di risonanza.

Per applicare le ipotesi precedenti a problemi particolari è

decisiva la questione riguardo al sistema di coordinate normali

u , I . Nel caso di sistemi periodici condizionati si possiedek k

come sistema privilegiato quello delle variabili angolari. Nei

problemi non periodici, che possiedono anche soluzioni periodiche

condizionate, è naturale assumere le variabili angolari dei moti

periodici come coordinate normali per quelli non periodici. Questa

è la via che abbiamo intrapreso con successo nel caso del moto

iperbolico.

Infatti: nel caso dell’ellisse di Keplero la variabile

angolare è

u = (1/2©

)(R

sinw - w ) ,

dove w è l’anomalia eccentrica, e la coordinata d’impulso ad essa

coniugata è

3 1/2I = Z(-Rh /W ) .

Nel caso dell’iperbole assumiamo corrispondentemente

3 1/2u = (1/2© )( R

inw - w ) , I = Z(Rh /W ) . (76)

Inoltre è

13

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dW 2 3 1/2¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ = - ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ (W /h) .dI 1/2

ZR

D’altra parte per la (64) e la (76) è

1/2$

-1/2 -1/2 %

j = Z(Rh) W - W . (77)(

e a )

Di conseguenza

dW 2 3/2$

-1/2 -1/2 %

¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ j = - ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ W W - W . (78)dI h

(

e a )

Ma le formule (74) e (78) coincidono completamente con le formule

(11’) e (12’), che abbiamo posto a base del calcolo dello spettro9

di frenamento .

Riassunto. Si è proposto un "principio di corrispondenza" per

le probabilità di transizione tra orbite iperboliche in stretta

analogia con il principio di corrispondenza di Bohr per le ellissi

di Keplero (problema dell’idrogeno) (§ 2, 3). Eseguendo la media

sulle diverse iperboli che i raggi catodici descrivono penetrando

in un anticatodo (massiccio) (§ 4) si ottengono le leggi dello

spettro di Röntgen continuo, in accordo con le misure di

Kulenkampff (§ 5). La teoria richiede che lo spettro in prossimità

del limite sia indipendente dalla direzione d’emissione. Vengono

inoltre predette le proprietà di uno spettro generato conanticatodo molto sottile (§ 6). In un’Appendice si mostra che la

legge di corrispondenza per la radiazione del moto iperbolico è

nella direzione di una generalizzazione coerente del principio di

corrispondenza a sistemi non periodici arbitrari.

München, Institut für Theoretische Physik, luglio 1924.

¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡

9

Se in luogo della (76) si ponesse I = W, sarebbe j = -

, u = t, e

si arriverebbe allo spettro classico. Kramers ha in linea di

massima intrapreso questa via; essa è più insoddisfacente, poichè

il limite per piccole lunghezze d’onda è cacciato dentro con

un’ipotesi posticcia. Il limite risulta invece automaticamente

quando I è infinito per W = 0, come accade nella (76).

14

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1Dispersione e principio di corrispondenza

Gregor Wentzel a Monaco

Per quanto finora il problema della dispersione è stato discusso

dal punto di vista dei quanti, sembra in generale dominare

l’opinione che le formule di dispersione della teoria classica

dell’elettrone siano perfettamente corrette in ogni circostanza e

che quindi si debbano derivare in qualche modo anche secondo la

teoria dei quanti. Sebbene non si possa dare per ora una teoria

quantistica conseguente della dispersione, il principio di

corrispondenza sembra suggerire una deviazione dalle formule di

dispersione classiche; di fatto anche il materiale sperimentale

mostra una deviazione nella direzione aspettata.

Nella teoria classica la dispersione si realizza nel modo2

seguente : l’onda piana primaria eccita degli oscillatori armonici

(frequenza propria /2 ¡ ) ad oscillare; le onde secondarie emesse0

da questi si sovrappongono all’onda primaria in un’onda piana

risultante, che si propaga con velocità di fase mutata c/n ;

l’indice di rifrazione dipende dalla frequenza della luce /2 ¡ .

Gli sviluppi di Fourier del campo elettrico¢

e del momento

elettrico £ da esso generato siano:

¥

i t¥

i t¢

= d

¢

e , £ = d

£ e . (1)¦

¦

- ¤ - ¤

Allora è

n =1+2¡ N £ /¢

, (2)

dove N è il numero di oscillatori per centimetro cubo; questi

ultimi sono assunti indipendenti l’uno dall’altro (gas rarefatto).

£ si calcola classicamente come oscillazione forzata (con lo

¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨

1Zeitschr. f. Phys. 29, 306 (1924).

2Si confronti la presentazione di Herzfeld, Zeitschr. f. Phys. 23,

341 (1924).

1

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smorzamento © ):

2 1£ =(e /m)

¢

¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ . (3)

2 2 - +2i ©

0

Di conseguenza sarà:

22 ¡ Ne

n = 1 + ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ . (4)

2 2m(

-

+2i ©

)0

Nella teoria quantistica si potrà mantenere la formula (2),

quando si riesca ad ottenere un analogo quantistico della

polarizzazione £ , cioè a determinare £ secondo il principio di

corrispondenza. La chiave per lo sviluppo di questo ci pare

consista nella circostanza, che la formula (3) per ©

è

identica all’integrale:

+ ¤

-( © +i )

£

=(e

¢

/m

) d

sin

e . (5)

0

0

Infatti, se si scompone qui sin

in funzioni esponenziali e si0

2integra, tralasciando © si ritorna alla (3). Secondo la (1) si

può quindi rappresentare £ con il seguente integrale doppio:

+ ¤ ¤

¥ ¥

i (t- )£ =(1/2 ¡ ) d d £ ’ e , (6)¦ ¦

- ¤ 0

dove

22 ¡ e

¢

- ©

£ ’= ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ sin

e . (7)m

00

Con le posizioni:

= u , / = j , © / = (8)0 0 0

invece di queste si può anche scrivere:

+ ¤ ¤

¥ ¥

i( t-ju)£

=(1/2¡

) dj du£

’ e , (9)¦ ¦

- ¤ 0

22 ¡ e

¢

- u£ ’= ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ sin u e . (10)

m

0

2

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Le variabili di integrazione u, j definite nelle (8) hanno il

seguente significato: u/2¡ è la "variabile angolo" (nel senso di

Schwarzschild), che descrive l’oscillazione non smorzata

dell’oscillatore. Se si assume inoltre nel senso della teoria di

Bohr come misura della variazione di energia in un salto

quantico, allora il numero j misura la grandezza del salto

quantico corrispondente:

=2 ¡ W/h , j=2 ¡ I/h (11)

(W=energia, 2 ¡ I=integrale di fase). Infatti risulta immediatamente

dalla (11) e dalla seconda equazione (8) che per un oscillatore

armonico si ha, com’è noto:

W= I , W=

I .0 0

Si noti che non restringiamo il salto quantico j a valori interi.L’equazione (9) è in accordo formale completo con la relazione che

il principio di corrispondenza richiede tra un moto meccanico

"effettivo" £ ’ ed il corrispondente vettore £ , che è determinante3

per l’intensità e per la polarizzazione della luce emessa .

Considereremo dunque l’equazione (9) (per problemi con un grado di

libertà) come una formulazione adeguata del principio di

corrispondenza, e si pone ora la questione del significato

quantistico del vettore £ ’, cioè dell’influenza della luce sulla

cinematica del modello atomico. Lasceremo qui aperta la questione

e ci atterremo piuttosto al seguente punto di vista. Nel caso

dell’oscillatore armonico, nel quale W è lineare in I, la teoria

dei quanti deve dare lo stesso risultato della teoria classica.

Considereremo quindi l’espressione (10) per £ ’ come obbligatoria

in quel caso particolare e cercheremo di generalizzarla per gli

altri casi. Bisogna prima di tutto tenere in conto la possibilità

di oscillazioni armoniche superiori; poniamo quindi al posto della

(10) una serie:

¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨

3Si confronti G. Wentzel, Zeitschr. f. Phys. 27, 279 (1924),

equazioni (66) e (63).

3

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22 ¡ e

¢

p

k - u£ ’= ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨

¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ sin ku e k . (12)m

k k (d /dj)

I pesi p corrispondono ai numeri d’elettroni della teoriak

classica; per l’oscillatore armonico è p =1, p =p =...=0, di modo1 2 3

che la (12) in virtù della (8) (d = dj) ridà la (10).0

Per il calcolo dell’indice di rifrazione (2) dobbiamo

decomporre spettralmente il vettore £ (9) in conformità alla

seconda delle equazioni (1):

¤

¥

-iju£ =(1/2 ¡ )(dj/d ) du £ ’ e . (13)

¦

0

Si sostituisca qui la (12) e si integri; si ottiene:

p2 k

£ =(e /m)¢

¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ . (14)

2 2 2k (d /dj) [k -(j-i ) ]k

2Si porti questa nella (2) e si trascuri ; si ottiene infine:

k

p2 k

n = 1 + ( 2 ¡ Ne /m)

¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ . (15)

2 2 2k (d /dj) (k -j +2i j)

k

Questa formula significa quanto segue: se si conosce lo stato

fondamentale dell’atomo e la meccanica del modello (cioè W in

funzione di I,

in funzione di j) si può facilmente calcolaredalla (11) per ogni frequenza incidente il salto quantico

corrispondente j. d /dj misura la pulsazione meccanica di

un’orbita, che sta tra l’orbita iniziale e quella finale, ma che

non è ulteriormente determinata dal principio di corrispondenza.

Nella formula (15) il carattere risonante della formula classica è

mantenuto: la risonanza appare per salti quantici interi (j=k),

come deve richedere la teoria dei quanti. Malgrado ciò esiste

rispetto alla formula classica una differenza essenziale, poichè

nei denominatori risonanti non compaiono le frequenze

,

, ma i0

numeri dei salti quantici k, j.

Nei gas monoatomici le righe di assorbimento stanno di regola

nell’ultravioletto; misure di n si fanno per lo più solo nella

regione visibile, cioè per

ovvero per j 1. Allora è0

4

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abbastanza preciso porre (d /dj) j= , e la (15) dà:

p2 k

n = 1 + (2 ¡ Ne /m)

¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ (16)

2 2k

’ -

0

dove si è posto

(d /dj) k= ’ . (17)

0

La (16) è formalmente di nuovo la formula di dispersione classica,

ma con una frequenza propria apparente ’, che può essere molto0

4diversa dalla frequenza . La giustezza della formula di

0

dispersione (15) presuppone che da misure di n nel lato rosso

rispetto alla serie di assorbimento si ricaverebbero con la

formula classica (4) delle frequenze di assorbimento falsate ( ’

0

invece di

), e più precisamente, come si comprende facilmente,0

per spettri idrogenoidi sempre nel senso delle frequenze

d’assorbimento ultraviolette ( ’>

). Più alto il termine della0 0

serie, più grande sarà l’errore; per il limite della serie (k= ¤ )

infine ’ diventa infinito.0

Questa conseguenza della nostra formula (15) risulta5

completamente confermata dall’esperienza . Per esempio per l’elio

si calcola dalle misure esistenti secondo la formula classica una

lunghezza d’onda di risonanza tra 500 e 400 Å, mentre la riga di

assorbimento più intensa sta a 584 Å e le altre stanno tra 600 e

6500 Å . Analogamente succede negli altri gas nobili e nel

mercurio.

A rigore dovrei naturalmente trattare gli atomi nominati come

problemi a più gradi di libertà ed estendere le formule precedenti

¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨

4 ’ è la frequenza meccanica "corrispondente ad

. (Per o 0

l’oscillatore armonico sarà

’=

.) Il principio di corrispondenza0 0

esercita la sua azione di "riaggiustamento" non solo sulle righe

spettrali, ma anche sull’intera curva di dispersione.

5Ringrazio Herzfeld dell’indicazione al riguardo. Si confronti la

Münchener Dissertation di L. Wolf (in stampa).

6Th. Lyman, Science 56, 167 (1922).

5

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7di conseguenza ; su questo tuttavia non mi addentrerò qui. In gas

con spettri di assorbimento semplici la formula (15) potrebbe

risultare per il momento sufficiente.

München, Institut für theor. Physik, agosto 1924.

¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨ ¨

7Suggerimenti su come si possa ottenere tale generalizzazione si

trovano a pagina 308 del lavoro citato dell’autore. Forse per

salti quantici negativi (k<0), come per esempio secondo Bohr si

verificano nelle righe di assorbimento principali di Zn, Cd, Hg,

bisogna aspettarsi delle complicazioni, come lo scambio della

dispersione normale e anomala in prossimità delle righe di

assorbimento. Non pare tuttavia che finora la dispersione di

questi vapori in ultravioletto sia stata misurata.

6

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Una generalizzazione delle condizioni quantiche

1ai fini della meccanica ondulatoria.

Gregor Wentzel a Monaco

(ricevuto il 18 giugno 1926)

In questa nota verrà sviluppato un metodo per risolvere i problemi

agli autovalori della "meccanica ondulatoria" di Schrödinger

mediante approssimazioni successive a partire dal caso limite

della meccanica classica (ossia della vecchia teoria dei quanti).

Questo procedimento di approssimazione può in molti casi essere

così semplificato da terminare dopo pochi passi. Applicazioni

(atomo d’idrogeno ed effetto Stark) si trovano nella parte

conclusiva.

1. L’equazione differenziale di Riccati che corrisponde alla

2funzione d’onda. Sia data l’equazione d’onda di Schrödinger per

un problema con un grado di libertà:

2 24

’’+ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

¡

= 0 , (1)2

h

2 p =2m[E -V (x)] . (2)

Con la sostituzione

¡

= exp[(2

i/h) £ ydx] (3)

è noto che si ottiene un’equazione differenziale di Riccati

equivalente:

h 2 2¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ y ’= p - y . (4)2

i

Nel caso limite h=0 essa diviene un’equazione algebrica, e in

particolare, se si pone

¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

1Zeitschr. f. Phys. 38, 518 (1926).

2E. Schrödinger, Ann. d. Phys. 79, 489, 1926, in particolare

p. 510.

1

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lim y = y = dS/dx , (5)0

h = 0

essa rappresenta l’equazione differenziale di Hamilton della

meccanica classica:

dS ¥ 2 2¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ = y = p . (6)¦

dx § 0

Poichè y ’ compare solo con il coefficiente "piccolo" h/(2

i), per

la soluzione esatta dell’equazione differenziale (4) si offre ora

la possibilità di considerare y come una serie di potenze rispetto

al quanto di Planck h:

¨

©

¤

h ¥

y = ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ y . (7) ¦

2

i §

=0

Partendo dalla soluzione classica y = p si ottiene una formula di0

ricorrenza, che si scrive:

©

y ’ + y y = 0 . (8) -1

-

=0

Si calcola così la serie

2y ’ y ’+ y

0 1 1y = - ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ , y = - ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ , ... (9)

1 2y 2 2y 0 0

In questo modo si ottengono univocamente due soluzioni particolari

dell’equazione differenziale (4), che (purchè sia y 0) per h=00

vanno con continuità nell’impulso meccanico p (positivo o nega-

tivo). L’integrale generale si può costruire da queste in modo

noto; tutti gli integrali al di fuori dei due dati dalla (7)

degenerano per h=0 (h=0 è per essi un punto singolare essenziale).

Riguardo a possibili preoccupazioni circa l’esistenza delle due

soluzioni (7) ovvero circa la convergenza dello sviluppo rispetto

ad h si osservi che abbiamo bisogno delle soluzioni (7) solo

nell’intorno dei punti singolari dell’equazione differenziale,

dove esse forniscono per lo meno soluzioni asintotiche della (4)

(nella forma di serie di potenze semiconvergenti).

2

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necessaria. Com’è noto, ogni autofunzione è caratterizzata dal

numero dei suoi nodi (punti di zero) e in particolare questi nodi,

per una legge nota ("teorema d’oscillazione") stanno sempre nella

regione accessibile di x. Ma in ciascuno di questi nodi la

funzione¡

’/¡

ha un polo semplice con residuo 2

i. Se si eseguek k

l’integrale £ ydx lungo un cammino chiuso attorno ad una regione

nella quale stiano tutti i nodi dell’oscillazione, per la (10)risulta come valore di quest’integrale semplicemente il numero dei

nodi moltiplicato per h:

"

#

ydx = k h (k = numero intero = numero dei nodi). (11)$

Per il teorema di Cauchy quest’equazione vale anche se si sposta

il cammino d’integrazione e lo si fa girare, invece che attorno

alle posizioni dei nodi, attorno ai rimanenti poli di y , che sono

i punti singolari dell’equazione differenziale. Ma negli intorni

di essi per quanto sopra detto y è sempre data da una delle

soluzioni (7), (8) e l’integrazione è quindi eseguibile immediata-

mente. La somma dei residui di queste soluzioni nei punti

singolari deve quindi essere un multiplo intero di h. Questa

condizione basta per fissare gli autovalori E della costantek

dell’energia. Naturalmente una corrispondente relazione integrale

(11) vale anche per le¡

non autofunzioni, se il loro numero di

nodi è finito, tuttavia con un altro integrando y ; solo nel caso

delle autofunzioni y coincide in entrambi i punti singolari con la

soluzione dell’equazione di Riccati da calcolarsi secondo le (7) e

(8), sicchè al posto della (11) si può anche scrivere

¨

©

¤

h ¥

"

¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

#

y dx = k h. (12) ¦

2

i §

$

=0

5Nel caso limite h=0, poichè y = p , questa condizione non è

0

¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

5L’integrale attorno alla regione dei punti di zero della

¡

è il

pendant dell’integrale di Sommerfeld attorno alla sezione di

biforcazione della funzione a due valori y = p, che caratterizza0

la regione del cammino classico. Infatti, come ha rilevato

Schrödinger, il processo oscillatorio si svolge principalmente

nella regione del cammino classico. Che di fatto tutti i nodi si

4

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6nient’altro che la prescrizione quantica di Sommerfeld :

"

#

pdx = k h.$

Inoltre l’equazione (12) insegna che la "condizione quantica" ed

il metodo dei residui impiegato da Sommerfeld per la sua analisi

mantengono il loro significato, purchè l’impulso meccanico p venga

¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

trovino in questa regione (o nelle immediate vicinanze di questa)

lo si riconosce dalla nostra formula (3), se vi si sostituisce la

soluzione y assegnata dalla (7); questa è infatti immaginaria pura

2al di fuori della regione dell’orbita classica (p < 0), e di

conseguenza¡

si smorza da entrambi i lati in modo monotono ek

senza punti di zero. Invece all’interno della regione dell’orbita

y è complessa, sicchè la parte reale di¡

oscilla ivi allak

maniera d’un coseno, ma con ampiezza e lunghezza d’onda variabile;

il significato dell’"integrale di fase" come numero di nodi è

allora chiaro all’intuito. Nel caso che (classicamente) per una

data energia E siano possibili due cammini meccanici (due sezioni

di biforcazione nella regione accessibile), l’ampiezza dell’oscil-

lazione si smorza in modo altrettanto rapido da un lato nella

regione tra i due cammini, di modo che sebbene in linea di

principio i due processi ondulatori siano realizzati simultanea-

mente, tuttavia uno dei due lo è solo con ampiezza infinitamente

minore (in particolare nel caso limite h=0). Del resto secondo la

nostra concezione presente il metodo dei residui è applicabile

anche in questo caso, cosa che non succedeva nella vecchia teoria

dei quanti, poichè l’integrale di fase andava esteso sempre solo

attorno ad una delle sezioni di biforcazione.

6W. Pauli m’ha reso noto per lettera che nel caso limite della

meccanica classica¡

torna in se stessa dopo un giro attorno alla

sezione di biforcazione di y (vedi nota precedente) se e solo se0

il modulo di periodicità della funzione d’azione"

#

y dx$

0

è un multiplo intero di h. Quest’osservazione, che Pauli a sua

volta riconduce ad O. Klein, è stata uno dei punti di partenza

della mia indagine.

5

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sostituito dalla soluzione assegnata dell’equazione di Riccati. Lo

sviluppo in serie (12) permette una determinazione degli auto-

valori per approssimazioni successive; questo sviluppo del resto

in molti problemi (vedi sez. 5, 6) termina, sicchè allora si può

ottenere la soluzione esatta del problema agli autovalori mediante

un numero finito di approssimazioni.

3. La connessione con il problema agli autovalori delle7

matrici. In un lavoro precedente ho dato una soluzione del

corrispondente problema agli autovalori della meccanica delle

matrici di Heisenberg, che pure risulta da un’estensione del

8 9metodo dei residui di Sommerfeld. Poichè Schrödinger e Pauli

hanno stabilito la completa identità del problema delle matrici da

un lato e di quello delle onde dall’altro, deve evidentemente

sussistere una connessione più stretta tra quelle due soluzioni

del problema agli autovalori. La scoperta di questa connessione è

desiderabile in particolare perchè il fondamento di allora del

10metodo delle matrici era assai lacunoso .

Subito un’osservazione più formale. Se si passa dalle

variabili x,y , p introdotte nella sezione 1 ad analoghe matrici

x,y, p, l’equazione differenziale di Riccati (4) si scrive

h 2 2¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ y’= p - y . (13)2

i

Ora nella meccanica delle matrici vale la relazione di commuta-

zione, ovvero quantica

h¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ 1 = p x - x p (14)2

i

e di conseguenza per la funzione y=y(x)

h¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ y’ = p y - y p . (15)2

i

Ma allora l’equazione (13) diventa

¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

7G. Wentzel, Zeitschr. f. Phys. 37, 80, 1926.

8E. Schrödinger, Ann. d.Phys. 79, 734, 1926.

9Comunicazione epistolare.

10G. Wentzel, l.c., vedasi in particolare la nota 1, pag. 83.

6

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(y + p)(y - p) = 0 ;

questa sarà soddisfatta da

2 2y =

p , y = p , y’= 0 . (16)

Quindi come matrici y e p sono identiche.

Quest’identità si dimostra più rigorosamente se si parte

dalla costruzione di Schrödinger-Pauli delle matrici a partire

dalle autofunzioni¡

. Allora si hak

"

h"

(x) = x¡ ¡

dx , ( p) = ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

¡ ¡

’dx . (17)ij

$

i j ij 2

i$

i j

Dalla "relazione di completezza" per le autofunzioni¡

:k

"

©

" "

fgdx = f ¡

dx g ¡

dx$ $

k$

kk

11si dimostra allora facilmente che in primo luogo le quantità (17)

si moltiplicano come matrici, che in secondo luogo la relazione di

commutazione (14) è soddisfatta, e che in terzo luogo la matrice

dell’energia è una matrice diagonale (cioè costante nel tempo) e

che i suoi elementi sono identici agli autovalori E . Ma ink

seguito alla prima di queste asserzioni la matrice corrispondente

ad y (come funzione della sola x) è uguale a

"

(y) = y

¡ ¡

dx .ij$

i j

Se in questa si sostituisce in particolare la soluzione y che

corrisponde all’autofunzione j-esima¡

, per le definizioni (10) ej

(17) risulta semplicemente

h"

(y) = ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

¡ ¡

’dx = ( p) , (18)ij 2

i$

i j ij

come dovevasi dimostrare.

Nella sezione 2 è stato dimostrato che la somma dei residui

di y dev’essere uguale a k h, mentre con il metodo precedente la

somma dei residui della matrice p veniva posta uguale a (k+

)h. I

¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

11identificando volta a volta f e g con x

¡

o con¡

’.i i

7

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12due metodi sono evidentemente identici , purchè la costante

prima lasciata indeterminata sia posta uguale a zero. Con ciò è

fissata anche la normalizzazione assoluta dei numeri quantici, che

nel mio procedimento precedente restava ancora aperta.

4. Generalizzazione per più gradi di libertà. Per sistemi

separabili il procedimento dato nella sezione 1 di approssimazioni

successive dalla meccanica classica a quella dei quanti è sempreeseguibile; solo le formule si scrivono in generale in modo un po’

diverso. Al posto della (1) si ottiene per il singolo grado di

libertà un’equazione del tipo

24

¡

’’+ f (x)¡

’ +¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

g (x)¡

= 0 . (1’)2

h

Questa, mediante la sostituzione (3), diventa l’equazione diffe-

renziale di Riccati un po’ più generale

h h 2¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ y ’= g (x) - ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ f (x)y - y (4’)2

i 2

i

e si deriva immediatamente una formula di ricorrenza analoga alla

(8), (9) (vedansi sezioni 5, 6). Le considerazioni della sezione 2

hanno validità individualmente per ogni grado di libertà.

5. Applicazione all’atomo di idrogeno. Per dimostrare la

semplicità del nuovo procedimento di calcolo trattiamo come primo

esempio il problema dell’atomo di idrogeno. L’equazione d’onda,

13dopo la separazione dell’equazione delle funzioni sferiche , si

scrive qui:

2 2 22 4

'

2me¤

h ¥ l(l+1) )

¡

’’+ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

¡

’ + ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ 2mE + ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ + ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢0 ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

¡

= 0 , (19)r 2 1 r

¦

2

i § 2 2

h r

14l = 0,1,... .

¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

12Infatti gli elementi delle matrici diagonali che compaiono nello

sviluppo di y in potenze della matrice x-x sono identici ai coef-0

ficienti numerici dello sviluppo di y in potenze di x-x .0

13E. Schrödinger, Ann. d. Phys. 79, 361, 1926.

14Rispetto a Schrödinger ho scambiato le lettere n, l, per restare

in accordo con la notazione ora consueta per i "numeri quantici".

Vedansi in proposito: Grimm e Sommerfeld, Zeitschr. f. Phys. 36,

8

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Con le abbreviazioni di Sommerfeld

22

¤

lh ¥

A = 2mE , B = me , C = ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

¦

2

i §

l’equazione differenziale di Riccati (4’) si scrive:

1/2h

'

2 C )

'

2B C ) 2¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ y ’+ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ y - ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ = A + ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ + ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ - y . (20)

2

i1

r 22 1

r 22

r r

Per h=0 sarà

1/2¤

2B C ¥

y = A +¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

+¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

r 2 §

r

e gli sviluppi nei poli r =0 ed r =¨

si scrivono:

1/2C

per r=0: y = ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ + ...0 r

1/2 -1/2 1per r =

¨

: y = A + BA ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

+ ...0 r

Se si sostituisce la serie (7) nella (20), la prima approssi-

zione si scrive:

1/21

'

2 C )

y = - ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ y ’+ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ y - ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ .1 2y

1 0 r 0 2 2

0 r

Ma dalla serie presente per y si vede facilmente che y si0 1

comporta regolarmente per r =0 (i poli che originano dai tre

termini si cancellano mutuamente), e che lo sviluppo di y per r =¨

1

comincia con

1y = - ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ + . . . .

1 r

y h/(2

i) dà quindi alla somma dei residui il contributo (-h).1

Tutte le correzioni superiori y , y eccetera si comportano rego-2 3

larmente sia per r =0 che per r = ¨ . Poichè inoltre le correzioni y ,1

y ,... danno solo un contributo intero alla somma dei residui, la2

condizione quantica generale (12) si riduce a quella di

Sommerfeld:

¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

1926, p. 37, nota 5, oppure F. Hund, Zeitschr. f. Phys. 36, 657,

1926, p. 658, nota 2.

9

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"

#

y dr = numero intero, (21)$

0

quindi la correttezza della formula di Balmer nella meccanica

ondulatoria è verificata.

2Se si introduce nell’energia potenziale un termine c/r il

calcolo procede in modo del tutto analogo, quando si determini C

mediante l’equazione quadratica:

2h 1/2

¤

h ¥

C + ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ C = ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ l(l+1) + c .2

2

i §

Allora risulta una formula per i termini con "numero quantico

azimutale" semiintero l+1/2:

2

i -1/2 2 1/2¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ BA = n - (l+1/2) + [(l+1/2) - cost.]

h

(generalizzazione dalla formula di Balmer a quella di Rydberg).

Ci vogliamo infine ancora persuadere che le soluzioni (10)

dell’equazione d’onda appartenenti agli autovalori E cosìnl

trovati non presentino di fatto nessuna singolarità per r =0 e per

r = ¨ . Se si sostituiscono gli sviluppi or ora derivati di y nella

(10), risulta immediatamente:

lper r =0:

¡

= cost.r + ...,nl

1/2 n-1per r=

¨

= cost.exp[-(2

/h)(-2mE ) r ] (r + ...),nl

che coincide con l’espressione completa per¡

già data danl

15Schrödinger .

6. Applicazione all’effetto Stark.

¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

15l.c. p. 369, Eq. (18).

10

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Sommario

1. L’equazione differenziale di Riccati associata all’equa-

zione di Schrödinger si può integrare con una serie di potenze

crescenti di h in modo tale che l’approssimazione zero corrisponda

alla meccanica classica ovvero alla vecchia teoria dei quanti,

mentre l’introduzione delle potenze superiori di h consente diottenere un approssimarsi progressivo alla meccanica nuova, quan-

tistica ovvero ondulatoria.

2. Le condizioni quantiche di Sommerfeld

"

#

ydx = k h$

rimangono valide, purchè si sostituisca al posto di y (invece del-

l’impulso p) la soluzione dell’equazione differenziale di Riccati

ottenuta nella sezione 1.

3. La soluzione qui presentata del problema degli autovalori

è matematicamente identica al metodo dei residui prima introdotto

dall’autore nella meccanica delle matrici; la normalizzazione

assoluta dei numeri quantici allora lasciata aperta risulta ora

univocamente.

4. Il metodo sviluppato nelle sezioni 1 e 2 per un grado di

libertà si generalizza a sistemi separabili arbitrari.

5. L’applicazione all’atomo d’idrogeno dà una derivazione

molto semplice della serie di Balmer.

6. Il calcolo dell’effetto Stark conferma la formula nota per

l’effetto lineare; invece la formula di Epstein per l’effetto al

second’ordine risulta modificata. Nel caso di H questa differenza4

per la componente di mezzo è teoricamente del 19%, sperimental-

mente del 20%. Per lo stato fondamentale l’effetto quadratico

risulta 4,5 volte maggiore che secondo Epstein, cosa interessante

per una futura teoria dello spettro d’arco dell’elio.

München, Institut für theoretische Physik, giugno 1926.

11

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Due osservazioni sulla diffusione dei raggi corpuscolari

1come fenomeno di diffrazione.

G. Wentzel a Lipsia

(ricevuto il 19 novembre 1926)

1. Nel caso limite della meccanica classica il quadrato dell’am-

piezza delle onde materiali di Schrödinger è identico alla densità

di volume dei punti materiali di una corrente corpuscolare

stazionaria. 2. Nel problema particolare della diffrazione che

corrisponde alla diffusione dei raggi

il primo passo di un

procedimento di approssimazione dato da Born fornisce esattamente

la distribuzione angolare di Rutherford.

2§ 1. Born ha di recente proposto, in analogia con note idee

sulla natura della luce, di trattare l’onda materiale¡

di

Schrödinger come un campo guida virtuale (privo d’energia) per gli

elettroni ed i protoni, mentre la vera energia materiale va

pensata concentrata in questi. Il quadrato dell’ampiezza dell’onda¡

determina allora la densità di volume dei punti materiali in un

corrispondente fascio di radiazione corpuscolare. Born ha usato

questa ipotesi come base per una teoria degli urti elastici e

anelastici; la diffusione dei raggi catodici e dei raggi risulta

il più semplice dei problemi da trattare con questo metodo.Sorge ora la domanda: che relazione c’è tra questa teoria e i

vecchi calcoli di quella diffusione che si fondano sulla meccanica

classica e sul calcolo delle probabilità? Si pensi per esempio

alla teoria di Rutherford della diffusione dei raggi , che ha

trovato sempre nuove conferme sperimentali, ed è servita perfino

alla determinazione quantitativa del numero di cariche atomiche. È

possibile dimostrare che in certi casi limite le asserzioni della

vecchia teoria corpuscolare e della nuova teoria ondulatoria

risultano identiche?

Possiamo rispondere affermativamente a questa domanda per il

¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

1Zeitschr. f. Phys. 40, 590 (1927).

2M. Born, Zeitschr. f. Phys. 37, 8 6 3 e 38, 803, 1926.

1

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caso limite della meccanica classica. È noto che il passaggio al

limite corrispondente è analogo a quello dall’ottica ondulatoria

all’ottica dei raggi; si compie con la sostituzione

¡

= Aexp[2 £ iS/h] , (1)

dove A ed S sono funzioni del punto "lentamente variabili"

(S = iconale ovvero funzione d’azione). Per h abbastanza piccolo

dall’equazione d’onda di Schrödinger si ottiene in prima appros-

simazione l’equazione differenziale alle derivate parziali di

Hamilton per S, in seconda approssimazione la seguente equazione

differenziale per la funzione d’ampiezza A ( ¤ / ¤ n = derivata nella

direzione del "cammino meccanico" gradS):

¤ 1 ¥ S¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ logA = - ¢ ¢ ¢ ¢¦ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ . (2)

¤ n 2 gradS

D’altra parte ci si persuade facilmente con l’applicazione del

teorema di Gauss

¨

¤ S¨

d ©

¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ = d ¥

S

¤ n

ad un tratto infinitesimo di un "tubo di traiettorie" di sezione

q , che vale sempre:

¤ ¥ S¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ log(q gradS ) = ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ . (3)

¤

n gradS

Confrontando la (2) e la (3) risulta:

¤ 2¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ (A q gradS ) = 0 , (4)

¤ n

ovvero, poichè gradS significa l’impulso meccanico mv :

2A qv = cost. (5)

3 2lungo ogni traiettoria . Ma se si identifica A , come sopra prean-

nunciato, con la densità di volume di una corrente corpuscolare,2

A qv significa la massa delle particelle che attraversano la

sezione q in un secondo, e l’equazione (5) garantisce quindi la

¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

3Per una via alquanto diversa L. de Broglie (C.R. 23 agosto 1926)

deriva una relazione analoga per quanti di luce, tuttavia in

questo caso la velocità v è più o meno ipotetica.

2

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richiesta conservazione del numero di particelle.2

Appare perciò giustificato identificare A con il numero

medio di particelle per centimetro cubo anche al di fuori del

dominio di validità della meccanica classica.

§ 2. Il solo caso di diffusione corpuscolare nel quale teoria

ed esperimento siano confrontabili quantitativamente è quello

della diffusione dei raggi

già menzionato all’inizio. Poichè èdubbio se questo processo abbia luogo interamente nel dominio di

validità della meccanica classica è assai raccomandabile trattare

lo stesso per una volta anche come problema di diffrazione, ed

applicare un altro tipo di approssimazione rispetto a quella che

deriva dalla meccanica classica.

Secondo un procedimento proposto da Born (l. c.) integriamo

l’equazione d’onda2

8 £ m¥

¡

+ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ (W - V )¡

= 0 (6)2h

mediante una serie:¡

+ , (7)0 1

dove¡

indica l’onda primaria:0

2 £ 1/2¡

= exp[ik( )] , k =2 £ / = ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ (2mW ) , = 1 . (8)0 0 h 0

Si calcola la serie¡

,... con l’integrale di volume1 2

2 £ m¨

exp[ik - ’ ]¡

= - ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ d ’ V ( ’)¡

( ’) ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ . (9)i 2

i-1 - ’h

Allora risulta infatti

¡

+ k¡

= 0 ,0 0

22 8 £ m

¥

¡

+ k¡

= ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ V ¡

, (i = 1,2,...)i i 2 i-1

h

ed equazione differenziale e condizione al contorno sono sod-

disfatte. È tuttavia essenziale per la convergenza del proce-

dimento che il potenziale V vada a zero all’infinito almeno come-2

r . Il puro campo coulombiano V = eE /r quindi non va bene, ma si

deve tener conto per lo meno qualitativamente della schermatura

dovuta al guscio elettronico esterno. L’ipotesi più comoda è

3

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eE V = ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ exp[-r /R] , (10)

r

dove R è dell’ordine di grandezza del raggio atomico. Infatti

allora l’atomo (10) è all’esterno (r

R) completamente neutro, e

all’interno (r ! R) si aggiunge al campo del nucleo semplicemente lo

"schermatura esterna":

eE eE V =¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

-¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

+ .r R

Si dimostrerà che la scelta particolare della funzione espo-

nenziale nella (10) è del tutto irrilevante per il risultato

finale; essa offre solo il vantaggio di assicurare nel modo più

semplice la convergenza del procedimento.

Si esegue ora la prima approssimazione. Poichè ci si può li-

mitare a una distanza grande dall’atomo, si può porre nella (9):

( ’)

-

’ =

-¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

= r - (

’)

( = vettore unitario nella direzione del "raggio secondario"). Di

conseguenza sarà per la (8):

2 £ meE exp[ikr ]¨

d ’ % ’ '

¡

= - ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢¦ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢( ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ exp - ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ + ik( - , ’) . (11)1 2 r

’ ) R 0 1

h

L’integrazione si compie nel modo più semplice in un sistema di

coordinate polari ( 2 ,3 , 4 ) il cui asse giaccia parallelo al vettore

(

-

):0

2 £ £ 6

2 £ meE exp[ikr ]¨ ¨ ¨

% 2 '

¡

= - ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢¦ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ d 4 d 3 sin 3 d 2 " 2 exp - ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ + ik - 2 cos3

1 2 r

) R 0 1

h0 0 0

exp[ikr ] eE 1= ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢¦ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢¦ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ . (12)

r W 2 1 - + ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

0 2 2k R

Se si introduce ora l’angolo di diffusione A compreso tra ed ,0

risulta

- = 2sin(A /2) ,0

di conseguenza:

exp[ikr ] eE 1¡

= ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢¦ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢¦ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ , (13)1 r 4W 2 1

sin ( A /2) + ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

2 24k R

4

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e il rapporto delle intensità tra radiazione diffusa e radiazione

primaria sarà:

21 1 B eE C 1

¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ = ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢D ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢D ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ . (14)2 2 E 4W F 2¡

r B 2 1 C

0 sin ( A /2) + ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢

E 2 2 F

4k R

Ma kR è dell’ordine di grandezza: raggio atomico diviso lunghezzad’onda, cioè un numero assai grande. A prescindere dagli angoli di

diffusione A piccolissimi la (14) coincide quindi esattamente con

l’espressione di Rutherford per la distribuzione angolare delle

particelle diffuse:

21 B eE C 1¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢D ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢D ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ ¢ .

2 E 4W F 4r sin ( A /2)

Perciò in questo caso¡

è l’onda che corrisponde esattamente0 1

alla soluzione della meccanica classica. Non ho potuto stabilire

se questo derivi da un caso o da una connessione più profonda.

Solo il termine successivo della serie (7),¡

, sarà quindi2

caratteristico della meccanica ondulatoria, cioè rappresenterà il

vero fenomeno di diffrazione. Resta ancora da capire sotto quali

condizioni esso risulti dimostrabile in pratica.

Leipzig, Institut für theoretische Physik, novembre 1926.

5

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1La misura di operatori quantomeccanici

E.P. Wigner

(ricevuto il 24 maggio 1952)

La consueta ipotesi dell’interpretazione statistica della

meccanica quantistica, che tutti gli operatori hermitiani rappre-

sentino delle quantità misurabili, viene riconosciuta in generale

come una comoda idealizzazione matematica, non come un’espressione

di un dato di fatto. Si mostra qui che già la validità delle leggi

di conservazione per grandezze quantizzate (come la legge del

momento angolare o la legge per la conservazione della carica

elettrica), che governano l’interazione tra oggetto di misura e

apparato di misura, permette la misura della maggior parte degli

operatori solo come caso limite. In particolare è probabile che

non si possano soddisfare le condizioni per la misura di operatori

che non siano commutabili con la carica totale. Lo stesso può

valere per operatori che non siano commutabili con il numero di

particelle pesanti.

1. L’idea fondamentale dell’interpretazione statistica della

meccanica quantistica è stata espressa per la prima volta da2

Born . Le sue idee sono state approfondite nella direzione

fisico-intuitiva e ulteriormente sviluppate dalle ricerche di3

Heisenberg e di Bohr . La formalizzazione matematica della teoria4

si deve principalmente alle ricerche di von Neumann . Una pietra

1Zeitschr. f. Phys. 133, 101 (1952).

2Born, M.: Z. Physik 37, 803 (1926). "Il moto delle particelle

segue leggi probabilistiche, ma la probabilità si propaga in

accordo con la legge causale".

3Heisenberg, W.: Z. Physik 43, 172 (1927). - Die Physikalischen

Prinzipien der Quantenmechanik. Leipzig 1930. - Bohr, N.: Nature,

Lond. 121, 580 (1928). - Naturwiss. 17, 483 (1929) e un altro

articolo nel numero dedicato a Max Planck di Naturwissenschaften.

Vedi anche Mott, N.F.: Proc. Roy. Soc. Lond. 126, 79 (1929) e

Bohr, N. e Rosenfeld, L.: Phys. Rev. 78, 794 (1950).

4Neumann, J. v.: Matematische grundlagen der quentenmechanik, in

1

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angolare della teoria consiste nell’ipotesi che a ogni operatore

autoaggiunto Q corrisponda una grandezza fisica misurabile. Il

risultato della misura è sempre un autovalore dell’operatore Q ;

contemporaneamente la misura porta il sistema nello stato che

viene descritto dall’autofunzione del risultato della misura. Sia

¡ la funzione di stato originaria del sistema, e indichiamo gli

autovalori e le autofunzioni di Q con q , q ...risp. con¢

,1 2 1

¢ ... .Allora la misura dà il risultato q con la probabilità2 £

2 5( ¢ , ¡ ) e il sistema dopo la misura si trova nello stato ¢ .

£ £

Con (¢

, ¡ ) si indica il prodotto scalare hermitiano di¢

e ¡ . Si£ £

può qui ancora osservare che un operatore I che lasci invariate

sia le probabilità di transizione che la variazione temporale del

sistema non può neppur influire sullo stato dello stesso. Espresso

in termini concreti, se per tutte le ¡ e ¢ si ha sia2 2

( ¢ ,¡

) = ( ¢ ,I¡

) , sia (I¡

) =I(¡

) (dove l’indice t connota lat t

variazione temporale del sistema), gli stati ¡ e I¡ sono

completamente indistinguibili. Nella formulazione ortodossa della

teoria gli I sono numeri complessi di valore assoluto 1.

La gran debolezza del formalismo su delineato sta nel fatto

che non contiene alcuna prescrizione su come la misura del-

l’operatore Q possa essere eseguita. Invero lo schema di una6

prescrizione siffatta si dà facilmente : si unisce l’oggetto

misurato ¡ con uno strumento di misura, la funzione di stato del

quale si può indicare con¥

. Lo strumento di misura è così fattoche la funzione di stato del sistema complessivo ¡

¥ , consistente

dell’oggetto misurato e dello strumento di misura, dopo un certo

tempo diventa

particolare cap. 6, Berlin 1932.

5Nel caso che l’autovalore q sia degenere e comprenda più auto-

£

stati ¢ , ¢ ,..., la probabilità di q è uguale a£ 1 £ 2 £

2w =¦ ( ¢ , ¡ )£ k £ k

-1/2e lo stato dopo la misura è ¦ w ( ¢ , ¡ ) ¢ .

k £ £ k £ k

6Neumann, J. v.: Matematische Grundlagen der Quantenmechanik, in

particolare cap. VI, Berlin 1932.

2

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¡

¥ ¨ ¦ ( ¢ , ¡ ) ¢ , (1)£ £ £

£

dove i sono stati macroscopicamente distinguibili dello£

strumento di misura: lo stato notifica il risultato q della£ £

7misura . Ma questa prescrizione rimane puramente formale finché

non si indichi come si faccia a disporre lo strumento di misura

nello stato ¥ . Un’ulteriore difficoltà della teoria, epistemo-

logicamente ancor più profonda, si cela nelle parole "stati

macroscopicamente distinguibili". Questo punto è già stato

discusso da Heisenberg ampiamente, e per quanto per ora possibile,

completamente. Non sarà più ripreso qui. Il problema che si

discuterà si riferisce invece alla possibilità d’una interazione

tra oggetto e strumento di misura, come risulta simboleggiato

dalla (1). Da ciò otterremo soltanto condizioni necessarie per la

misurabilità di una grandezza. Anche quando un’interazione che

corrisponde alla (1) non contraddice alcun principio noto è ben

possibile che o ¥ sia in linea di principio irrealizzabile, oppure

che i siano inaccessibili a una distinzione macroscopica£

8diretta o anche indiretta. Infatti la (1) sposta solo il problema

della distinguibilità degli ¢ in quello della distinguibilità dei£

, e si studieranno qui solo le condizioni e la possibilità di un£

tale spostamento.

7Si riconosce dalla (1) anche la causa del carattere hermitiano

degli operatori che corrispondono a qrandezze osservabili. Il

passaggio dal primo membro della (1) al secondo viene realizzato

mediante un operatore unitario. Esso porta ¢ ¥ , risp. ¢ ¥ in ¢ ,£ £ £

risp. ¢ . Ma queste ultime funzioni sono tra loro ortogonali,

poichè le , in quanto macroscopicamente distinguibili, devono

essere tra loro ortogonali. A causa dell’unitarietà della

transizione ciò risulta allora anche per le ¢ ¥ , cioè anche per le£

¢ , che costituiscono il sistema di autofunzioni di Q. Poichè£

inoltre le q come risultati di una misura sono reali, ne segue il£

carattere autoaggiunto di Q.

8Vedi Heisenberg, W.: l.c. e Neumann, J, v.: l.c., specialmente

pp. 223, 224.

3

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2. Finché si rimane nell’ambito della teoria generale

espressa dalla (1) non si può fare sulla misurabilità alcuna

affermazione concreta che vada oltre la Nota (7). Infatti lo

strumento di misura della (1) in generale potrebbe essere un

sistema assai semplice ed elementare, in un esempio di Heisenberg9

esso consiste di un solo quanto di luce . Ma se si tira in ballo

il postulato dell’invarianza relativistica dovrebbe essereampiamente noto che almeno un operatore I è commutabile con tutte

1

le grandzze osservabili Q . L’operatore I lascia invariati tutti1

gli stati con momento angolare intero, ma moltiplica per -1 tutti

gli stati con momento angolare semiintero. L’osservazione di una

grandezza, il cui operatore non sia commutabile con I [come1

quella delle ampiezze quantizzate ¢ (x,y ,z)+ ¢ (x,y ,z)*] renderebbe

possibile distinguere tra stati che per la teoria della relatività10

devono rimanere indistinguibili . Questa restrizione dell’osserva-

bilità è indipendente dalla teoria della misura, com’è espressa

nella (1). Ma parleremo qui di una restrizione d’altro tipo, che

ha la sua origine nelle leggi di conservazione delle grandezze

quantizzate e che si fonda su una discussione della possibilità

della rappresentazione (1). Questa restrizione non risulta così

forte come quella su menzionata e avrà solo per conseguenza che lo

strumento di misura dev’essere molto grande nel senso che esso

deve contenere con probabilità considerevole un ammontare assai

grande della grandezza quantizzata soggetta a conservazione, conl’operatore della quale il suo operatore sia non commutabile.

3. Grandezze quantizzate soggette a conservazione del tipo su

menzionato sono per esempio la componente del momento angolare in

una certa direzione, la carica elettrica complessiva del sistema,

il numero delle "particelle pesanti" in esso. Da ora l’indice in

9Heisenberg, W.: l.c., capitolo II, 2, esempio b.

10Questo punto sarà discusso ulteriormente in modo alquanto più

divulgativo in un lavoro di Wick, Wightman e Wigner che apparirà

tra breve. Lo scritto presente deve la sua origine ad un’imposta-

zione del problema che è emersa durante la stesura del lavoro su

menzionato.

4

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basso di una funzione di stato darà il numero di quanti ( , e,

ecc.) che lo stato descritto dalla funzione di stato contiene. Per

evitare indici frazionari si accrescerà tuttavia l’indice di

1/2 quando necessario. Inoltre per ora la (1) sarà assunta nella

sua forma originaria; altre definizioni della misura saranno

discusse alla fine di questa esposizione.

Nel caso più semplice le autofunzioni di un operatore tipicoche non è commutabile con la grandezza da conservarsi hanno la

1/2 1/2forma ( ¢ + ¢ )/2 e ( ¢ - ¢ )/2 . Quando per esempio la grandezza

0 1 0 1

da conservarsi è il momento angolare nella direzione Z,¢

e0 1

¢ - ¢ sono autofunzioni della componente X dello spin di una0 1

particella. L’operatore associato a questa componente è eviden-

temente non commutabile con il momento angolare nella direzione Z.

L’equazione (1) afferma

( ¢ + ¢ ) ¥ ( ¢ + ¢ ) , ( ¢ - ¢ ) ¥ ( ¢ - ¢ ) ’, (2)0 1 0 1 0 1 0 1

dove ( , ’)=0, e la freccia indica una trasformazione lineare

unitaria, commutabile con l’operatore della grandezza conservata.

Se sommiamo e sottraiamo le due equazioni (2) e contemporaneamente

suddividiamo + ’ e - ’ nelle parti e rispettivamente che£ £

rappresentano stati con un valore precisamente determinato della

grandezza da conservarsi

1/2 1/2( + ’)/2 =¦ , ( - ’)/2 =¦ , (3)

£ £

otteniamo

1/2¢ ¥ ¨ ( ¢ ¦ + ¢ ¦ )/2 , (4a)

0 0 £ 1 £

1/2¢ ¥ ¨ ( ¢ ¦ + ¢ ¦ )/2 . (4b)

1 0 £ 1 £

Che l’apparato di misura debba contenere una quantità infinita

della grandezza da conservarsi risulta chiaro già dalle (4). Per

le (4) il valore d’aspettazione della quantità da conservarsi è

uguale per i due stati che sono rappresentati dai secondi membri

delle (4). Il suo valore d’aspettazione per l’oggetto della misura

è in entrambi i casi 1/2, il suo valore d’aspettazione per lo

strumento di misura è in entrambi i casi la media aritmetica dei

valori d’aspettazione per ¦ e per ¦ . Dopo la misura l’ogget-£ £

to misurato e lo strumento di misura sono di nuovo separati e il

contenuto complessivo del sistema per quanto riguarda la quantità

5

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da conservarsi si compone in modo additivo a partire dai contenuti

dell’oggetto di misura e dello strumento di misura. Ma il valore

d’aspettazione della quantità da conservarsi è evidentemente più

grande di 1 per il primo membro della (4b) rispetto al primo

membro della (4a).

Si può ancora acutizzare questa contraddizione se si osserva

che dalle (4) e dalla legge di conservazione discendono leequazioni

1/2 1/2¢ ¥ ¨ ( ¢ + ¢ )/2 , ¢ ¥ ¨ ( ¢ + ¢ )/2 , (5)

0 £ 0 £ 1 £ -1 1 £ -1 0 £ 1 £ -1

dove le ¥ sono le componenti di ¥ in autofunzioni della quantità£

da conservarsi

¥ =¦ ¥ . (6)£

Assumiamo ora

( ¥ , ¥ )=x , ( , )=s , ( , )=t ; ( , )=a +ib , (7)£ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £ £

(x ,s ,t ,a ,b reali); allora le equazioni£ £ £ £ £

x =(1/2)s +(1/2)t , x =(1/2)t +(1/2)s , (8a)£ £ £ -1 £ -1 £ £ -1

0=a -ib +a +ib (8b)£ £ £ -1 £ -1

esprimono il carattere unitario della transizione indicata dalla

freccia delle (5),

¦ x =¦ s =¦ t =1, ¦ a =¦ b =0 (9)£ £ £ £ £

la normalizzazione di ¥ , , ’ e l’ortogonalità di e ’. Dalle

(8b) e (9) segue tuttavia immediatamente a =b =0, dalla (8a) segue£ £

x -(1/2)s =(1/2)t =x -(1/2)s ,£ +1 £ +1 £ £ -1 £ -1

cioè sia x -(1/2)s che anche x -(1/2)s sono indipendenti2 £ +1 2 £ +1 2 £ 2 £

da £ . Ciò vale allora anche per t , cosa che però è incompatibile£

con la (9). Quindi a rigore una misura che porti alla separazione

di ¢ + ¢ da ¢ - ¢ è impossibile. Lo stesso si può dimostrare per0 1 0 1

mezzo di un’algebra un po’ più minuziosa, che però non è

essenzialmente diversa dalla precedente, anche per gli stati- -

%

¢ + & ¢ e - & ¢ + %

¢ , dove % e & sono numeri complessi arbitrari.0 1 0 1

Poichè una misura della componente dello spin è possibile in

pratica, deve anche esser possibile modificare la trattazione

precedente in modo che essa dimostri la possibilità di una

6

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siffatta misura con precisione arbitraria. A questo scopo

indichiamo con

( ¢ + ¢ ) ¥ ¨ ( ¢ + ¢ ) +( ¢ - ¢ ) ' , ( ¢ - ¢ ) ¥ ¨ ( ¢ - ¢ ) ’+( ¢ + ¢ ) ' ’, (10)0 1 0 1 0 1 0 1 0 1 0 1

gli stati nei quali ( ¢ + ¢ ) ¥ e risp. ( ¢ - ¢ ) ¥ sono trasportati dal0 1 0 1

processo di misura. Se allora ( , ’)=0, ( ' , ' ) ed ( ' ’, ' ’) possono

essere resi piccoli a piacere, e determinando gli stati e ’

dello strumento di misura si può in quasi tutti i casi decidere

dello stato dell’oggetto misurato.

Possiamo disporre in modo tale che ' =- ' ’ e anche ( ' , )

=( ' , ’)=( , ’)=0. Ciò significa che la misura può avere tre1/2 1/2

risultati: lo stato è ( ¢ + ¢ )/2 , lo stato è ( ¢ - ¢ )/2 , lo0 1 0 1

stato è indeterminato. Tuttavia la probabilità di ottenere

l’ultimo risultato è ( ' , ' ) e, come vedremo subito, questa si può

rendere arbitrariamente piccola. Per ottenere ciò occorre altresì

che la scomposizione della¥

secondo la (6) abbia moltissime

componenti.

Assumiamo che il loro numero sia n e che lo strumento di

misura possa contenere non meno di una e non più di n unità della

quantità da conservarsi. Allora le ¥ si annullano meno che per£

0< £ ( n. Introduciamo inoltre per brevità:

2 =2 + ) + , 2 ’=2 - ) - , 2 ' =-2 ' ’= - ) . (11)

Questo per la (10) dà

¢ ¥ ¨ ¢ + ¢ ) , ¢ ¥ ¨ ¢ + ¢ . (12)0 0 1 1 0 1

Analogamente alla (6), le , , ) si possono allora scrivere come

una somma di autofunzioni di quantità da conservarsi. Tra le

£

hanno valore finito solo quelle con 0<£ ( n, ) resta invece finito,0

mentre ) già si annulla. Viceversa =0, mentre è finito.n 1 n+1

L’ortogonalità dei secondi membri della (12) porta a

( , )+( ) , )=0, (13)£ £ £ -1 £ -1

la condizione di normalizzazione è

( ¥ , ¥ )=( , )+( ) , ) )=( , )+( , ). (13a)£ £ £ £ £ -1 £ -1 £ £ £ +1 £ +1

Da qui vengono le condizioni

7

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( ¥ , ¥ )= ¦ ( ¥ , ¥ )=1, (14a)£ £

( , ’)=4 ¦ ( , )-¦ ( ) + , ) + )=0, (14b)£ £ £ £ £ £

e poichè ( , ' )=( ’, ' )=0

¦ ( , - ) )=0, (14c)£ £ £

¦ ( + ) , - ) )=0. (14d)£ £ £ £

Si possono soddisfare queste equazioni in molti modi. La scelta

più semplice - che tuttavia non porta al valore di ( ' , ' ) più

piccolo possibile - è quella per la quale

( , )=( , ) )=0 (15)£ £ £ £

per ogni valore di £ . Così le (13) e (14c) sono soddisfatte. Poi

per quei £ , per i quali sia ) che possono essere finiti, si£ £

può assumere

) = (1< £ ( n-1), (15a)£ £

e dare la stessa norma

()

,)

)=(

,

)=c’. (15b)£ £ £ £

a tutti i ) ed i che non si annullano. Allora la (14d) è soddi-

sfatta, ed anche la (13a), quando la si utilizzi per determinare

( ¥ , ¥ ).£ £

Infine si può anche assumere

( , )=c (15c)£ £

indipendentemente da £ (per 0< £ ( n). Risulta quindi anche

( ¥ , ¥ )=c+c’, e per la (14a)£ £

n(c+c’)=1. (16a)

Ci rimane ancora la (14b). Essa dà

4nc=( ) , ) )+( ) , ) )+( , )+( , )+0 0 1 1 n n n+1 n+1

n-12

+ (2 ) ,2 ) )=4c’+4(n-2)c’=4(n-1)c’. (16b)3

£ £

£ =2

Dalle (16a) e (16b) si calcola c’=1/(2n-1). Quando infine si

calcola ('

,'

), per la (15a) i termini per£

=2,3,...,n-1 si cancel-

lano e si ottiene

8

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( ' , ' )=c’=1/(2n-1). (17)

Questo tende a zero quando n diventa abbastanza grande. Con una

scelta più vantaggiosa di , , ) si sarebbe potuto ottenere che2

( ' , ' ) andasse a zero come 1/n . Ciononostante ¥ dovrà avere un

numero molto grande di componenti, e quindi l’apparato di misura

un valore assai grande della grandezza da conservarsi, se si vorrà

avere una grande sicurezza che l’interazione tra oggetto misurato

e apparato di misura porti ad una misura. In particolare, se si

vuol misurare la differenza di fase tra parti della funzione di11

stato che corrispondono a cariche totali diverse , la carica

elettrica dell’apparato di misura - quando una misura siffatta è

possibile - dev’essere assai indeterminata.

4. Ci si chiede ancora se la descrizione della misura

contenuta nella (1) o nelle (2) non sia troppo piena di pretese.

Si dimostra però che, sebbene ciò sia probabilmente vero, anche

una definizione considerevolmente più lasca del processo di misura

porta a risultati analoghi.

La generalizzazione più importante delle (2) consiste nel

permettere una variazione dello stato dell’oggetto della misura

anche quando esso sia originariamente in uno dei due stati ¢ + ¢ o0 1

¢ - ¢ . Nel caso che la misura debba soltanto distinguere tra loro0 1

questi due stati, lo stato finale dell’oggetto della misura rimane

privo d’importanza (vedansi anche parecchi degli esempi nella Nota

(3)). È già stato notato che la stessa distinzione tra ¡ + ¡ ’ e ¡ - ¡ ’

è inammissibile quando¡

descrive uno stato con momento angolare

intero, ¡ ’ uno stato con momento angolare semintero.

Se cambiamo le (2) in modo tale da sostituire soltanto ai

secondi membri ¢ e ¢ con ¢ ’ e ¢ ’, le considerazioni precedenti0 1 0 1

non cambiano per nulla. Infatti il soddisfacimento delle equazioni

così ottenute porta con sè anche il soddisfacimento delle (2)

11Questo punto sarà discusso ulteriormente in modo alquanto più