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š In memoria di Felicetta e Gianni. Note sull’Autore Nicola Centofanti esercita la professione di avvocato in Cremona. Dal 1991 è iscritto all’Albo degli Esperti Comitato Edilizia Residenziale del Ministero dei lavori pubblici. È stato professore a contratto presso la Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano. Collabora con la scuola delle Autonomie Locali. È componente del comitato di redazione dei Quaderni di diritto urbanistico. Ha pubblicato: Il silenzio della pubblica amministrazione, Padova 1999; L’espropriazione per pubblica utilità, Milano 1999; La legislazione urbanistica, Padova 2000; Concessione, autorizzazione e denuncia di inizio attività in materia edilizia, Milano 2000; Il subappalto nel sistema dei lavori pubblici, Padova 2000; La patologia del contratto di appalto di opere pubbliche nella giurisprudenza, Padova 2000; La tutela ambientale nella giurisprudenza, Padova 2001. Scrive, fra l’altro, sulle seguenti riviste: Il Foro Amministrativo, Nuova Rassegna, La Voce, Rivista Giuridica dell’Edilizia, Il Consulente Immobiliare, Guida Normativa, Guida agli Enti Locali. Dello stesso Autore (e dello stesso editore): N. CENTOFANTI: Il formulario annotato di diritto amministrativo, 1994, € 12,91. N. CENTOFANTI, G. MONDINI: Il codice dell’edilizia, dell’urbanistica e delle espropriazioni, commentato con la giurisprudenza, 2002, in preparazione. N. ASSINI, N. CENTOFANTI, G. MONDINI: Il codice degli appalti, commentato con la giurisprudenza, 2002, in preparazione. N. CENTOFANTI, G. MONDINI: Il codice della giustizia amministrativa, commentato con la giurisprudenza, 2002, € 29,50. NICOLA CENTOFANTI IL FORMULARIO DEL DIRITTO AMMINISTRATIVO Aggiornato alla L. 31 dicembre 2001, n. 463 TERZA EDIZIONE CON CD-ROM ALLEGATO CASA EDITRICE LA TRIBUNA PIACENZA © Copyright Casa Editrice La Tribuna S.p.A. -– 2002 Via Don Minzoni 51, 29100 Piacenza Tel. 0523.46311 - Fax 0523.757219 ________________________________________________________________________ Sono riservati per tutti i Paesi la traduzione, l’adattamento totale o parziale, la riproduzione con qualsiasi mezzo (inclusi i microfilm, i film, le fotocopie), nonché la memorizzazione elettronica. PRESENTAZIONE L’opera esamina le principali funzioni espletate dalla pubblica amministrazione riportando le formule più usuali di tutela amministrativa e giurisdizionale. La materia è divisa in due parti per argomenti ordinati alfabeticamente.

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NICOLA CENTOFANTI Sono riservati per tutti i Paesi la traduzione, l’adattamento totale o parziale, la riproduzione con qualsiasi mezzo (inclusi i microfilm, i film, le fotocopie), nonché la memorizzazione elettronica. PRESENTAZIONE L’opera esamina le principali funzioni espletate dalla pubblica amministrazione riportando le formule più usuali di tutela amministrativa e giurisdizionale. La materia è divisa in due parti per argomenti ordinati alfabeticamente. Note sull’Autore š

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�š In memoria di Felicetta e Gianni. Note sull’Autore Nicola Centofanti esercita la professione di avvocato in Cremona. Dal 1991 è iscritto all’Albo degli Esperti Comitato Edilizia Residenziale del Ministero dei lavori pubblici. È stato professore a contratto presso la Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano. Collabora con la scuola delle Autonomie Locali. È componente del comitato di redazione dei Quaderni di diritto urbanistico. Ha pubblicato: Il silenzio della pubblica amministrazione, Padova 1999; L’espropriazione per pubblica utilità, Milano 1999; La legislazione urbanistica, Padova 2000; Concessione, autorizzazione e denuncia di inizio attività in materia edilizia, Milano 2000; Il subappalto nel sistema dei lavori pubblici, Padova 2000; La patologia del contratto di appalto di opere pubbliche nella giurisprudenza, Padova 2000; La tutela ambientale nella giurisprudenza, Padova 2001. Scrive, fra l’altro, sulle seguenti riviste: Il Foro Amministrativo, Nuova Rassegna, La Voce, Rivista Giuridica dell’Edilizia, Il Consulente Immobiliare, Guida Normativa, Guida agli Enti Locali. Dello stesso Autore (e dello stesso editore): N. CENTOFANTI: Il formulario annotato di diritto amministrativo, 1994, € 12,91. N. CENTOFANTI, G. MONDINI: Il codice dell’edilizia, dell’urbanistica e delle espropriazioni, commentato con la giurisprudenza, 2002, in preparazione. N. ASSINI, N. CENTOFANTI, G. MONDINI: Il codice degli appalti, commentato con la giurisprudenza, 2002, in preparazione. N. CENTOFANTI, G. MONDINI: Il codice della giustizia amministrativa, commentato con la giurisprudenza, 2002, € 29,50. NICOLA CENTOFANTI

IL FORMULARIO DEL DIRITTO AMMINISTRATIVO Aggiornato alla L. 31 dicembre 2001, n. 463 TERZA EDIZIONE CON CD-ROM ALLEGATO CASA EDITRICE LA TRIBUNA − PIACENZA © Copyright Casa Editrice La Tribuna S.p.A. -– 2002 Via Don Minzoni 51, 29100 Piacenza Tel. 0523.46311 - Fax 0523.757219 ________________________________________________________________________ Sono riservati per tutti i Paesi la traduzione, l’adattamento totale o parziale, la riproduzione con qualsiasi mezzo (inclusi i microfilm, i film, le fotocopie), nonché la memorizzazione elettronica. PRESENTAZIONE L’opera esamina le principali funzioni espletate dalla pubblica amministrazione riportando le formule più usuali di tutela amministrativa e giurisdizionale. La materia è divisa in due parti per argomenti ordinati alfabeticamente.

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La prima parte tratta in generale il sistema della giustizia amministrativa, la seconda parte analizza l’azione amministrativa nelle principali funzioni. Ogni singola voce riporta un commento e le formule che propongono schemi di tutela. Fanno parte della prima parte, fra le altre le seguenti voci: La voce Accesso al procedimento amministrativo tratta dell’intervento possibile fin nella fase preparatoria del procedimento amministrativo, secondo i disposti della L. 241/1990 con le modifiche intervenute colla L. 340/2000. La voce Giurisdizione amministrativa approfondisce le tematiche relative al processo amministrativo esaminando la riforma apportata dall’introduzione della giurisdizione esclusiva. Al norma consente ora di agire avanti al giudice amministrativo per il risarcimento degli interessi legittimi nelle materie indicate dal D. L.vo 80/1998 e dalla L. 205/2000. La voce Giurisdizione ordinaria illustra i criteri di ripartizione della giurisdizione fra giudice ordinario e giudice amministrativo, fonte, come è noto, di acceso dibattito giurisprudenziale. La voce Ricorsi amministrativi esamina il sistema dei ricorsi amministrativi gerarchico, in opposizione, improprio e straordinario al Presidente della Repubblica. Fanno parte della seconda parte, che analizza la tutela amministrativa per materia, fra le altre le seguenti voci: La voce Appalti pubblici delinea la nuova ripartizione della giurisdizione delineata dalla L. 109/1994 e dalle successive modifiche, dal relativo regolamento D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554 e dal capitolato generale di appalto approvato con D.M. 19 aprile 2000, n. 145. La voce Espropriazione per pubblica utilità analizza le norme introdotte testo unico sugli espropri (D.P.R. n. 327/2001) che chiarisce fra l’altro la distinzione fra la giurisdizione del giudice amministrativo e quella del giudice ordinario a cui sono riservate le controversie sulla determinazione dell’indennità. La voce Pubblico impiego illustra la riforma del contenzioso nel pubblico impiego di cui al D. L.vo 80/1998 successivamente modificato dal D.L.vo 165/2001. Esso attribuisce la giurisdizione al giudice ordinario, rimangono alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie in materia di concorsi. La voce Sanzioni amministrative illustra il procedimento sanzionatorio e le relative possibilità di tutela. La voce Urbanistica, aggiornata con il Testo unico sull’edilizia (approvato con D.P.R. 380/2001) analizza i procedimenti di pianificazione territoriale e il procedimento di rilascio di concessione edilizia tracciato dalla L. 493/1993, modificata dalla L. 662/1996. Un’opera indispensabile non solo per i tecnici che devono affrontare i problemi della giustizia amministrativa, ma anche per chi è interessato ad approfondire le tematiche più aggiornate in tema di diritto amministrativo. L’autore 10 PRESENTAZIONE

INDICE SOMMARIO INDICE SOMMARIO Presentazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 9 PARTE PRIMA IL SISTEMA DELLA GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA 1. Accesso al procedimento amministrativo Commento: 1. Atto, provvedimento e procedimento amministrativo . . . . . . . . . . . . » 35

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2. Le fasi del procedimento. La fase preparatoria . . . . . . . . . . . . . . . » 35 2.1. L’accesso al procedimento amministrativo. Il responsabile del procedimento . » 36 2.2. La partecipazione al procedimento amministrativo . . . . . . . . . . . . . » 37 2.3. L’acquisizione di pareri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 38 2.4. La denuncia di inizio di attività . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 39 2.5. La tutela dell’accesso da parte del giudice amministrativo . . . . . . . . . . » 40 3. L’accordo di programma . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 40 4. La conferenza di servizi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 41 5. La fase costitutiva . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 43 6. La fase integrativa dell’efficacia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 43 7. La classificazione dei procedimenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 44 7.1. La funzione autorizzatoria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 44 7.2. La funzione concessoria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 45 7.3. La funzione ablatoria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 46 7.4. La funzione certativa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 46 7.5. La funzione esecutiva . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 46 7.6. La funzione sanzionatoria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 47 7.7. La funzione di autotutela . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 47 7.7.1. L’annullamento d’ufficio. Revoca e decadenza . . . . . . . . . . . . . . » 47 7.7.2. L’approvazione e il controllo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 48 7.8. La funzione programmatoria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 48 8. Il difensore civico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 49 9. La tutela penale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 50 10. La semplificazione amministrativa nella L. n. 59/1997 . . . . . . . . . . . » 51 Formule: 1. − Controdeduzioni a provvedimento disciplinare . . . . . . . . . . . . . . » 55 2. − Richiesta di accesso. Procedimento di controllo relativo alla denuncia di attività » 56 3. − Richiesta di accesso. Diffida penale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 58 4. − Richiesta di accesso. Pubblico concorso . . . . . . . . . . . . . . . . . » 60 5. − Richiesta di accesso e di copia di provvedimento. Pubblico impiego . . . . . » 61 6. − Ricorso al T.A.R. per l’annullamento del provvedimento di sospensione dell’attività intrapresa a seguito di denuncia in materia di commercio . . . . . . . » 62 7. − Ricorso al T.A.R. per l’esibizione di documenti amministrativi . . . . . . . » 65 8. − Ricorso al Presidente T.A.R. per l’esibizione di documenti amministrativi in pendenza di ricorso giurisdizionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 67 9. − Omissione alla richiesta di accesso a pubblico concorso. Esposto penale . . . » 69 10. − Ricorso al T.A.R. per l’annullamento del provvedimento di annullamento di atto amministrativo. Provvedimento di annullamento di autorizzazione da parte del ministero per i beni culturali e ambientali . . . . . . . . . . . . . . . . . » 70 11. − Ricorso al T.A.R. per l’annullamento del provvedimento di annullamento di atto amministrativo. Provvedimento di annullamento di autorizzazione regionale per interventi in aree protette, ex art. 151, D.L.vo 29 ottobre 1999, n. 490 . . . . » 71 12. − Richiesta di intervento al difensore civico . . . . . . . . . . . . . . . . . » 74 13. − Modello di accordo di programma . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 75 2. Giurisdizione amministrativa Commento: 1. Diritti soggettivi ed interessi legittimi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 85 2. I criteri di ripartizione della giurisdizione . . . . . . . . . . . . . . . . . » 87 3. La competenza del giudice amministrativo . . . . . . . . . . . . . . . . » 88 3.1. La competenza per territorio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 89 3.1.1. L’istanza per regolamento di competenza . . . . . . . . . . . . . . . . . » 90 3.2. Legittimità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 90 3.3. Merito . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 91 4. Il giudizio di ottemperanza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 91 4.1. La esecuzione della sentenza di primo grado . . . . . . . . . . . . . . . . » 93 5. La giurisdizione esclusiva . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 93 5.1. La giurisdizione del giudice amministrativo dopo la riforma del D.L.vo 80/1998 e della L. 205/2000. Il risarcimento del danno causato da provvedimenti illegittimi » 94 5.1.1. Le controversie in materia di pubblici servizi . . . . . . . . . . . . . . . » 96 5.1.2. Le controversie in materia di urbanistica ed edilizia . . . . . . . . . . . . » 99 5.1.3. Le controversie in materia di espropriazione ed occupazione d’urgenza . . . . » 99 5.1.4. Le controversie in materia di pubblico impiego . . . . . . . . . . . . . . » 100 6. La tutela sul silenzio dell’amministrazione . . . . . . . . . . . . . . . . . » 100

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6.1. La tutela del silenzio disposta dall’art. 2, L. 205/2000 . . . . . . . . . . . . » 103 6.2. Il rilievo penale del silenzio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 104 7. Il contenuto del ricorso giurisdizionale. I motivi aggiunti . . . . . . . . . . » 105 7.1. Bolli e tasse . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 106 7.2. Le innovazioni portate dalla L. 23 dicembre 1999, n. 488 . . . . . . . . . . » 107 7.3. La notifica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 108 7.4. La riduzione dei termini del giudizio sui provvedimenti riguardanti le opere pubbliche nella L. 205\2000 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 109 14 INDICE SOMMARIO 7.4.1. Il rito speciale introdotto dalla L. 205/2000 . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 110 7.4.2. Le misure cautelari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 111 7.4.3. L’appello per i procedimenti oggetto di rito speciale . . . . . . . . . . . . » 112 8. Il controinteressato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 112 9. Il deposito del ricorso. L’instaurazione del giudizio. Il controricorso . . . . . » 112 9.1. Il ricorso incidentale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 113 9.2. L’intervento ad adiuvandum e ad opponendum . . . . . . . . . . . . . . . » 113 10. L’istruttoria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 114 10.1. La fissazione d’udienza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 115 11. Il giudizio. La rinuncia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 115 12. Pronunce dichiarative della cessazione del giudizio . . . . . . . . . . . . . » 116 13. Questioni incidentali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 117 14. Tutela cautelare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 117 14.1. Le misure cautelari introdotte dalla L. 205/2000 . . . . . . . . . . . . . . » 119 15. La sentenza. La forma semplificata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 120 15.1. L’arbitrato alternativo al giudice amministrativo . . . . . . . . . . . . . . » 121 16. I ricorsi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 122 16.1. Ricorso per revocazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 123 16.2. L’appello al Consiglio di Stato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 123 16.2.1. Gli effetti della sentenza di annullamento con rinvio . . . . . . . . . . . . » 124 16.3. L’opposizione di terzo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 125 17. Rimedi contro le sentenze del Consiglio di Stato . . . . . . . . . . . . . . » 125 17.1. Ricorso per revocazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 125 17.2. Ricorso per Cassazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 125 Formule: 14. − Ricorso per regolamento di giurisdizione in materia di edilizia residenziale pubblica » 129 15. − Istanza per regolamento di competenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 131 16. − Istanza di adesione al regolamento di competenza . . . . . . . . . . . . . » 133 17. − Istanza di riassunzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 134 18. − Ricorso al T.A.R. avverso silenzio rifiuto. Diffida a provvedere ex D.P.R. n. 2 del 1957, art. 25 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 136 19. − Ricorso al T.A.R. avverso silenzio rifiuto. Ricorso al T.A.R. avverso il silenzio su richiesta di espletamento concorso . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 137 20. − Ricorso al T.A.R. avverso silenzio rifiuto. Diffida ad adempire l’obbligo a provvedere accertato con sentenza, ex art. 2, L. 205/2000 . . . . . . . . . . . . » 140 21. − Ricorso al T.A.R. avverso silenzio rifiuto. Istanza per nomina commissario ad acta, ex art. 2, comma 2, L. 205/2000 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 141 22. − Ricorso al T.A.R. in materia di iscrizione universitaria . . . . . . . . . . . » 143 23. − Istanza di prelievo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 146 24. − Istanza di fissazione di udienza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 147 25. − Ricorso al T.A.R. per eccesso di potere. Ricorso al T.A.R. avverso delibera di assegnazione di area Peep . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 148 26. − Ricorso al T.A.R. per l’ottemperanza a giudicato. Atto di costituzione in mora » 150 27. − Ricorso al T.A.R. per l’ottemperanza a giudicato. Ricorso al T.A.R. per ottemperanza a decreto ingiuntivo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 151 28. − Ricorso al T.A.R. contro la determinazione comunale sulla tassa dei rifiuti . » 153 INDICE SOMMARIO 15 29. − Ricorso al T.A.R. avverso delibera comunale che concede permessi di accesso alle autovetture nel centro storico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 155 30. − Controricorso al T.A.R. per l’annullamento di ufficio di autorizzazione ad aprire una discarica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 157 31. − Ricorso incidentale al T.A.R. avverso ricorso per annullamento di bando di concorso » 160 32. − Istanza per l’applicazione di misure cautelari . . . . . . . . . . . . . . . » 163

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33. − Istanza per l’applicazione di misure cautelari . . . . . . . . . . . . . . . » 165 34. − La domanda di revoca delle misure cautelari . . . . . . . . . . . . . . . » 167 35. − L’opposizione ad ingiunzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 168 36. − La mancata ottemperanza al provvedimento cautelare . . . . . . . . . . . » 170 37. − La richiesta di consulenza tecnica d’ufficio . . . . . . . . . . . . . . . . » 172 38. − Istanza per l’arbitrato inerente posizioni di diritto soggettivo rientranti nella giurisdizione del giudice amministrativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 173 39. − Il ricorso contro il decreto che dichiara la perenzione del ricorso . . . . . . » 175 40. − Appello al Consiglio di Stato contro il provvedimento cautelare . . . . . . » 177 41. − Appello al Consiglio di Stato contro la sentenza di annullamento di diniego di concessione edilizia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 179 42. − Atto di rinuncia a ricorso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 182 43. − Atto di rinuncia a ricorso con richiesta di provvedere alle spese . . . . . . . » 183 3. Giurisdizione contabile della Corte dei Conti Commento: 1. La giurisdizione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 189 2. Il giudizio di conto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 190 2.1. Il carattere inquisitorio del giudizio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 190 2.2. L’opposizione ed il giudizio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 191 2.3. L’estinzione del giudizio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 191 3. Il giudizio di responsabilità amministrativa e contabile . . . . . . . . . . . » 191 3.1. La limitazione della responsabilità contabile . . . . . . . . . . . . . . . . » 192 4. Il giudizio in materia di pensione. Il giudice unico . . . . . . . . . . . . . » 193 4.1. Il ricorso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 194 5. La giurisdizione domestica e altri giudizi . . . . . . . . . . . . . . . . . » 195 6. I ricorsi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 195 6.1. L’appello alla Corte dei Conti. Sezioni Giurisdizionali Centrali. La sospensione della sentenza di primo grado . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 195 6.2. La revocazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 196 6.3. Il ricorso per cassazione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 196 Formule: 44. − Ricorso alla Corte dei Conti per il riconoscimento del diritto al riscatto del periodo legale di laurea . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 199 45. − Ricorso alla Corte dei Conti avverso il silenzio diniego. Diffida a provvedere ai sensi dell’art. 63 R.D. n. 1214 del 1934 . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 202 16 INDICE SOMMARIO 46. − Ricorso alla Corte dei Conti avverso il silenzio diniego. Ricorso alla Sezione Giurisdizionale della Corte dei Conti sul silenzio diniego alla richiesta di pensione . . pag. 204 47. − Opposizione al giudizio di responsabilità . . . . . . . . . . . . . . . . . » 209 48. − Ricorso in appello alle Sezioni Giurisdizionali Centrali della Corte dei Conti . » 211 4. Giurisdizione ordinaria. La responsabilità civile della pubblica amministrazione Commento: 1. La competenza del giudice ordinario. Limiti . . . . . . . . . . . . . . . . » 217 2. La tutela sull’operato dell’amministrazione iure privatorum . . . . . . . . . » 219 3. Le forme di responsabilità in rapporto al riparto di giurisdizione . . . . . . » 220 4. I requisiti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 221 5. Il soggetto responsabile . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 222 6. La tutela avverso omissioni e comportamenti . . . . . . . . . . . . . . . » 222 7. La tutela avverso provvedimenti illegittimi . . . . . . . . . . . . . . . . » 222 Formule: 49. − Citazione al giudice ordinario per risarcimento del danno per omessa manutenzione di strada pubblica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 227 50. − Citazione al giudice ordinario per reintegrazione a seguito di occupazione di immobile in carenza di provvedimento amministrativo . . . . . . . . . . . . » 230 5. Giurisdizione speciale dei tribunali delle acque pubbliche Commento: 1. Natura dei Tribunali delle acque pubbliche . . . . . . . . . . . . . . . . » 237 2. La giurisdizione sui diritti soggettivi del Tribunale regionale . . . . . . . . » 238 3. Il giudizio davanti al Tribunale regionale . . . . . . . . . . . . . . . . . » 238 4. La giurisdizione del Tribunale superiore . . . . . . . . . . . . . . . . . » 239 4.1. La giurisdizione di secondo grado . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 239 4.2. La giurisdizione sugli interessi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 239 5. Il giudizio davanti al Tribunale superiore . . . . . . . . . . . . . . . . . » 240

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6. I ricorsi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 241 6.1. Il ricorso per revocazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 241 6.2. Il ricorso per cassazione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 241 Formule: 51. − Ricorso al tribunale superiore delle acque pubbliche per annullamento di provvedimento di autorizzazione di lavori per grandi derivazioni . . . . . . . . » 245 INDICE SOMMARIO 17 6. Giurisdizione speciale della Comunità europea Commento: 1. Il sistema di tutela. Ricorsi alla Corte di giustizia . . . . . . . . . . . . . pag. 253 1.1. Avverso gli atti della Comunità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 253 1.2. Avverso gli atti degli Stati membri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 253 2. Ricorsi alla Commissione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 254 3. La Commissione europea per i diritti dell’uomo . . . . . . . . . . . . . . » 254 4. La riforma della L. n. 89/2001 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 255 Formule: 52. − Ricorso alla commissione delle Comunità europee per mancata osservanza del diritto comunitario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 259 53. − Richiesta di applicazione della Convenzione europea per i diritti dell’uomo . » 261 7. Giurisdizione speciale delle Commissioni tributarie Commento: 1. Il riparto della giurisdizione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 267 2. Il nuovo processo tributario disciplinato dal D.L.vo n. 546/1992 . . . . . . . » 268 2.1. Il contenuto del ricorso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 268 2.2. L’esame preliminare del ricorso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 269 2.3. Il procedimento cautelare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 269 2.4. L’appello alla Commissione tributaria regionale . . . . . . . . . . . . . . » 270 2.5. Il ricorso per cassazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 271 2.6. La revocazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 272 2.7. L’esecuzione delle sentenze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 272 2.8. Il giudizio di ottemperanza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 272 2.9. La fase transitoria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 273 3. Il procedimento di accertamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 273 4. La domanda di rimborso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 275 Formule: 54. − Ricorso alla Commissione tributaria provinciale contro l’accertamento IRPEF » 279 55. − Ricorso alla Commissione tributaria provinciale contro l’avviso di accertamento IRPEF . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 282 56. − Ricorso alla Commissione tributaria provinciale contro le rendite attribuite dal D.M. 27 settembre 1991 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 285 57. − Ricorso alla Commissione tributaria provinciale contro l’accertamento di valore » 288 58. − Ricorso alla Commissione tributaria provinciale avverso l’avviso di rettifica IVA » 291 59. − Rimborso di imposta. Istanza per rimborso di imposta ICI . . . . . . . . . » 294 60. − Ricorso alla Commissione tributaria provinciale avverso il silenzio sul rimborso » 296 61. − Istanza di sospensiva ai sensi dell’art. 47 del D.L.vo 31 dicembre 1992, n. 546 » 299 18 INDICE SOMMARIO 62. − Ricorso in appello alla Commissione tributaria regionale contro l’avviso di accertamento IRPEF . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 301 8. Patrocinio Commento: 1. Patrocinio legale del ricorrente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 309 2. Patrocinio legale della amministrazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 309 2.1. La capacità processuale degli enti pubblici . . . . . . . . . . . . . . . . » 309 2.2. L’avvocatura dello Stato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 310 Formule: 63. − Procura speciale alle liti conferita per scrittura privata nel giudizio civile . . . » 313 64. − Procura speciale alle liti conferita per scrittura privata nel giudizio amministrativo » 314 65. − Procura speciale alle liti conferita per scrittura privata nel processo tributario » 315 66. − Procura generale alle liti conferita per atto pubblico . . . . . . . . . . . . » 316 9. Ricorsi amministrativi Commento: 1. Il ricorso gerarchico, il ricorso in opposizione, il ricorso improprio . . . . . » 321 2. Il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica . . . . . . . . . . . » 321

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2.1. La direttiva 27 luglio 1993 del Presidente del Consiglio dei Ministri . . . . . » 322 2.2. La richiesta di sospensiva . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 323 3. Requisiti sostanziali dei ricorsi amministrativi . . . . . . . . . . . . . . . » 323 4. Requisiti processuali dei ricorsi amministrativi . . . . . . . . . . . . . . . » 325 5. La tutela nella fase preparatoria. Il diritto all’accesso . . . . . . . . . . . . » 326 6. La sospensiva . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 326 7. La tutela sul provvedimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 327 7.1. I vizi di legittimità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 327 7.2. L’incompetenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 327 7.3. La violazione di legge . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 327 7.4. L’eccesso di potere . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 328 8. I vizi di merito . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 328 9. Decisioni sul ricorso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 329 10. Il silenzio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 329 11. La tutela giurisdizionale sul ricorso gerarchico . . . . . . . . . . . . . . . » 330 11.1. La tutela giurisdizionale sul ricorso straordinario al Presidente della Repubblica » 331 11.2. Il ricorso per revocazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 332 Formule: 67. − Ricorso gerarchico avverso provvedimento disciplinare . . . . . . . . . . » 335 INDICE SOMMARIO 19 68. − Ricorso gerarchico improprio avverso l’assegnazione di incarico di insegnamento pag. 336 69. − Ricorso gerarchico improprio al prefetto contro la variazione anagrafica di ufficio » 337 70. − Ricorso in opposizione alla delibera di adozione di piano di zona . . . . . . » 339 71. − Ricorso in opposizione al prefetto avverso foglio di via . . . . . . . . . . » 341 72. − Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica avverso delibera di approvazione di piano particolareggiato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 342 73. − Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica avverso delibera di aggiudicazione di gara d’appalto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 344 74. − Istanza di sospensiva . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 346 75. − Atto di opposizione a ricorso straordinario . . . . . . . . . . . . . . . . » 347 76. − Richiesta di trasmissione di ricorso straordinario al Consiglio di Stato . . . . » 348 77. − Deposito di ricorso straordinario al Consiglio di Stato . . . . . . . . . . . » 349 20 INDICE SOMMARIO PARTE SECONDA RICORSI AMMINISTRATIVI E GIURISDIZIONE PER MATERIA 10. Appalti pubblici Commento: 1. La giurisdizione negli appalti pubblici . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 357 2. La legge quadro dei lavori pubblici. La programmazione dei lavori . . . . . » 357 2.1. L’organo competente all’approvazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 358 2.2. I contenuti. Rapporti con la programmazione urbanistica . . . . . . . . . » 358 2.3 Il procedimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 359 3. Il responsabile del procedimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 359 3.1. Le responsabilità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 360 4. L’attività di progettazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 360 5. Procedure di scelta del contraente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 361 5.1. Il pubblico incanto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 362 5.2. La licitazione privata. I requisiti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 362 5.3. I criteri di aggiudicazione nel pubblico incanto e nella licitazione privata . . . » 364 5.4. L’appalto concorso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 365 5.5. La trattativa privata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 365 5.6. La concessione e la gestione di opere . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 367 6. L’esecuzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 368 6.1. La direzione lavori. Il collaudo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 368 6.2. Le varianti in corso d’opera. Responsabilità del progettista . . . . . . . . . » 369 7. Il subappalto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 371 8. Le controversie sul contratto di appalto. La giurisdizione ordinaria e arbitrale » 373 8.1. Il mancato pagamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 375 8.2. La tutela sugli atti di gara. Il risarcimento del danno . . . . . . . . . . . . » 376 8.3. Le controversie in tema di revisione prezzi . . . . . . . . . . . . . . . . . » 378 Formule: 78. − Ricorso al T.A.R. per l’annullamento di gara d’appalto e contestuale richiesta di

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risarcimento del danno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 381 79. − Istanza per l’arbitrato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 384 80. − Atto di citazione al Tribunale per l’accoglimento di riserve . . . . . . . . . » 387 81. − Citazione al giudice ordinario per danni per illegittima sospensione dei lavori » 389 82. − Ricorso al T.A.R. avverso diniego di revisione prezzi . . . . . . . . . . . » 392 83. − Citazione al giudice ordinario per risoluzione del contratto di appalto per mancata consegna dei lavori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 395 84. − Citazione al giudice ordinario per risarcimento danni dovuto a ritardo nel pagamento degli acconti e saldo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 398 INDICE SOMMARIO 21 11. Beni pubblici Commento: 1. I beni demaniali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 405 2. I beni del patrimonio indisponibile . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 406 3. I beni del patrimonio disponibile . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 407 4. La privatizzazione dei beni pubblici. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 409 Formule: 85. − Citazione al giudice ordinario contro la classificazione ad uso pubblico di strada vicinale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 411 12. Commercio Commento: 1. La riforma del commercio nel D.L.vo 31 marzo 1998, n. 114. L’autorizzazione commerciale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 419 2. Strumenti urbanistici e piani commerciali . . . . . . . . . . . . . . . . . » 420 Formule: 86. − Ricorso al T.A.R. per l’annullamento di sospensione di autorizzazione al commercio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 423 13. Edilizia residenziale pubblica Commento: 1. La tutela giurisdizionale avverso il provvedimento di assegnazione . . . . . . » 429 1.1. Il riparto della giurisdizione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 429 1.2. La teoria che afferma la giurisdizione del giudice ordinario . . . . . . . . . » 430 1.3. Adesione alla teoria che afferma la giurisdizione del giudice amministrativo . » 431 1.4. La tutela nell’occupazione senza titolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 432 2. La tutela giurisdizionale avverso l’attività di diritto privato. Gli obblighi del locatore e del conduttore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 433 2.1. Il procedimento speciale per il recupero della morosità . . . . . . . . . . . » 434 2.2. Verifica dei limiti della giurisdizione del giudice ordinario . . . . . . . . . . » 435 3. La tutela del diritto alla cessione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 437 Formule: 87. − Ricorso al T.A.R. avverso graduatoria definitiva per l’assegnazione alloggi . » 441 88. − Ricorso al T.A.R. avverso delibera di decadenza . . . . . . . . . . . . . » 444 89. − Citazione al tribunale contro la delibera di decadenza . . . . . . . . . . . » 447 90. − Appello alla Corte d’Appello contro la delibera di decadenza . . . . . . . . » 449 91. − Ricorso al Tribunale per provvedimenti d’urgenza . . . . . . . . . . . . . » 452 22 INDICE SOMMARIO 14. Elezioni Commento: 1. Il riparto della giurisdizione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 459 2. Le controversie in tema di eleggibilità. La giurisdizione del giudice ordinario . » 459 2.1. L’azione popolare. Le parti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 460 2.2. Il ricorso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 461 2.3. La sentenza del giudice ordinario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 462 2.4. L’appello . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 462 2.5. Il ricorso in cassazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 462 3. Le controversie sulle operazioni elettorali. La giurisdizione del giudice amministrativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 463 3.1. Il procedimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 463 3.2. La sentenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 463 3.3. L’appello al Consiglio di Stato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 463 Formule: 92. − Ricorso al T.A.R. contro il deposito di simbolo elettorale . . . . . . . . . » 467 93. − Citazione al giudice ordinario per incompatibilità dell’eletto . . . . . . . . » 469

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94. − Ricorso al T.A.R. per l’annullamento delle elezioni comunali . . . . . . . . » 471 15. Enti locali Commento: 1. Il decentramento di funzioni e compiti dallo Stato alle regioni e agli enti locali » 479 1.1. Le funzioni statali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 479 1.2. Le funzioni regionali e degli enti locali . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 480 1.3. Gli atti di indirizzo e coordinamento delle funzioni amministrative regionali . » 481 2. L’ordinamento regionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 481 2.1. Il controllo sugli atti della regione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 482 2.2. Il controllo sugli organi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 483 3. Ordinamento degli enti locali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 483 3.1. Funzioni ed organi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 484 3.2. Le aree metropolitane . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 487 3.3. Il controllo sugli atti del comune e della provincia . . . . . . . . . . . . . » 488 3.4. Il controllo sugli organi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 490 Formule: 95. − Ricorso al T.A.R. per l’annullamento del provvedimento negativo di controllo da parte del comitato regionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 495 96. − Ricorso al T.A.R. per l’annullamento del provvedimento di affidamento di servizio ad azienda speciale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 498 INDICE SOMMARIO 23 16. Espropriazione per pubblica utilità Commento: 1. La giurisdizione nei procedimenti ablatori . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 505 2. Gli obiettivi e la natura innovativa del T.U. . . . . . . . . . . . . . . . . » 507 3. Il principio di legalità nella procedura di esproprio . . . . . . . . . . . . . » 508 4. La competenza all’emanazione degli atti di esproprio . . . . . . . . . . . . » 509 5. L’ufficio per le espropriazioni: il dirigente ed il responsabile del procedimento loro competenze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 512 6. La responsabilità contabile di amministratori e funzionari . . . . . . . . . » 514 7. La partecipazione degli interessati al procedimento . . . . . . . . . . . . . » 515 8. Applicabilità della L. n. 241/1990 al procedimento di espropriazione . . . . . » 516 9. Le novità del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 . . . . . . . . . . . . . . . . » 518 10. La pianificazione urbanistica. La progettazione delle opere pubbliche ed il loro rilievo ai fini della procedura di esproprio . . . . . . . . . . . . . . . . . » 518 11. Il silenzio assenso regionale nell’approvazione di variante di piano . . . . . » 520 12. I vincoli preordinati all’esproprio. L’indennizzo per i vincoli scaduti . . . . . » 520 13. La dichiarazione di pubblica utilità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 523 14. Termini. Proroga . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 524 15. Impugnazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 525 16. Determinazione dell’indennità provvisoria di esproprio . . . . . . . . . . » 526 17. La cessione bonaria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 527 18. Determinazione urgente dell’indennità provvisoria . . . . . . . . . . . . . » 527 19. Il pagamento o deposito dell’indennità . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 527 20. Determinazione dell’indennità definitiva . . . . . . . . . . . . . . . . . » 527 21. Il calcolo dell’indennità per area edificabile . . . . . . . . . . . . . . . . » 528 21.1. Le possibilità legali ed effettive di edificazione. Requisiti . . . . . . . . . . » 528 21.2. Le aree del piano per l’edilizia economica e popolare . . . . . . . . . . . . » 530 22. Il calcolo dell’indennità per area non edificabile . . . . . . . . . . . . . . » 531 22.1. Il calcolo dell’indennità per area edificata . . . . . . . . . . . . . . . . . » 532 23. I presupposti per l’emanazione del decreto di esproprio . . . . . . . . . . » 532 24. Le procedure di verifica e di controllo . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 534 25. L’occupazione preliminare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 535 26. L’occupazione strumentale. Caratteri . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 535 27. L’organizzazione del cantiere . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 535 28. La forza maggiore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 536 29. L’indennità di occupazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 537 30. La retrocessione dei beni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 537 31. La retrocessione parziale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 538 Formule: 97. − Ricorso al T.A.R. per l’annullamento del provvedimento di dichiarazione di pubblica utilità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 543 98. − Ricorso al T.A.R. per l’annullamento del decreto di esproprio . . . . . . . » 546

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99. − Citazione alla Corte di appello in opposizione alla stima . . . . . . . . . . » 549 24 INDICE SOMMARIO 100. − Citazione al tribunale per risarcimento del danno per illegittimità della procedura espropriativa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 553 101. − Citazione al giudice ordinario per retrocessione totale del bene per mancata esecuzione dell’opera pubblica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 556 17. Espulsione Commento: 1. Cittadinanza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 563 1.1. Diniego. La giurisdizione amministrativa . . . . . . . . . . . . . . . . . » 563 2. Permesso di soggiorno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 564 2.1. La disciplina dell’immigrazione nella L. 6 marzo 1998, n. 40. La giurisdizione ordinaria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 564 Formule: 102. − Opposizione al decreto di espulsione e richiesta di regolarizzazione . . . . . » 567 103. − Citazione al giudice ordinario avverso il provvedimento di espulsione . . . . » 568 18. Pubblico impiego Commento: 1. La giurisdizione nel pubblico impiego . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 575 1.1. La giurisdizione amministrativa. Limiti . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 576 2. I termini processuali nel D.L.vo n. 165/2001 . . . . . . . . . . . . . . . . » 577 3. La giurisdizione del giudice ordinario dopo la privatizzazione del pubblico impiego . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 578 4. La disciplina delle mansioni superiori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 579 5. Il procedimento disciplinare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 580 6. Il tentativo obbligatorio di conciliazione . . . . . . . . . . . . . . . . . » 580 7. Il ricorso al Tribunale del lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 581 8. L’interpretazione dei contratti collettivi . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 582 Formule: 104. − Istanza per tentativo obbligatorio di conciliazione per l’accertamento costitutivo del diritto all’inquadramento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 585 105. − Ricorso al Tribunale per l’accertamento costitutivo del diritto all’inquadramento » 586 106. − Ricorso al T.A.R. avverso il provvedimento che dispone la mobilità per riduzione pianta organica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 589 107. − Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica avverso graduatoria di pubblico concorso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 592 108. − Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica per assoggettamento a contributi previdenziali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 594 109. − Atto di citazione al tribunale contro la revoca della qualifica dirigenziale . . » 597 INDICE SOMMARIO 25 19. Sanità Commento: 1. Il riparto di giurisdizione nella tutela del diritto alla salute . . . . . . . . . pag. 605 2. Il servizio sanitario nazionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 606 3. Il rapporto tra pubblico e privato nella sanità nel D.L.vo n. 502/1992 . . . . » 606 4. La scelta delle prestazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 607 Formule: 110. − Ricorso al T.A.R. per l’annullamento del provvedimento di diniego e revoca di autorizzazione per convenzione per prestazioni sanitarie . . . . . . . . . . » 611 111. − Ricorso al T.A.R. per l’annullamento del provvedimento revoca di incarico a direttore amministrativo di un’azienda sanitaria locale . . . . . . . . . . . » 614 20. Sanzioni amministrative Commento: 1. Il potere sanzionatorio delle amministrazioni . . . . . . . . . . . . . . . » 621 2. Il procedimento sanzionatorio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 621 2.1. La fase preparatoria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 621 2.2. La fase costitutiva. La tutela . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 623 Formule: 112. − Opposizione ad ordinanza ingiunzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 627 21. Urbanistica Commento: 1. La giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo . . . . . . . . . . . . » 633 1.1. Il risarcimento del danno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 634

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2. Le osservazioni e le opposizioni al Piano Regolatore Generale . . . . . . . . » 636 2.1. Le impugnazioni agli strumenti urbanistici . . . . . . . . . . . . . . . . » 638 2.2. Vincoli di piano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 639 3. Il permesso di costruire. La riforma del T.U. n. 380/2001 . . . . . . . . . . » 642 3.1. Il procedimento di rilascio. Lo sportello unico . . . . . . . . . . . . . . . » 643 4. La denuncia di inizio di attività. Il procedimento di rilascio . . . . . . . . . » 645 5. Il potere di autotutela del responsabile del procedimento . . . . . . . . . . » 646 6. La tutela giurisdizionale sul procedimento e sul permesso di costruire . . . . » 647 7. Il silenzio assenso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 648 7.1. Il diniego . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 649 7.2. Effetti dell’annullamento giurisdizionale del diniego e del silenzio . . . . . . » 649 8. Le sanzioni urbanistiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 650 8.1. Sospensione dei lavori. Demolizione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 650 8.2. Acquisizione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 651 26 INDICE SOMMARIO 8.3. Sanzione pecuniaria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 653 8.4. Omesso versamento dei contributi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 653 9. La violazione delle norme sulle distanze. L’azione di riduzione in pristino . . » 653 9.1. L’azione risarcitoria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 654 9.2. La tutela dinanzi alla giustizia amministrativa . . . . . . . . . . . . . . . » 654 9.3. I rapporti tra l’azione civile e il giudizio amministrativo . . . . . . . . . . » 655 Formule: 113. − Ricorsi amministrativi nel procedimento di rilascio del permesso di costruire, ai sensi dell’art. 20, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380. Richiesta di accesso al procedimento di rilascio del permesso di costruire ai sensi dell’art. 20, comma 7, del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 659 114. − Ricorsi amministrativi nel procedimento di rilascio del permesso di costruire, ai sensi dell’art. 20, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380. Diffida ad adempiere nel procedimento di rilascio del permesso di costruire, ai sensi dell’art. 21, comma 1, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 661 115. − Ricorsi amministrativi nel procedimento di rilascio del permesso di costruire, ai sensi dell’art. 20, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380. Richiesta di intervento regionale sostitutivo per rilascio del permesso di costruire, ai sensi dell’art. 21, comma 2, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 663 116. − Ricorso al T.A.R. per dichiarazione di illegittimità del silenzio rifiuto su domanda di permesso di costruire . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 665 117. − Ricorso al T.A.R. L’annullamento del silenzio rifiuto del Presidente della giunta regionale sulla nomina del Commissario ad acta . . . . . . . . . . . . . . » 668 118. − Ricorso al T.A.R. per l’annullamento di diniego di concessione edilizia . . . » 671 119. − Ricorso al T.A.R. per l’annullamento del provvedimento di annullamento di concessione e risarcimento del danno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 674 120. − Ricorso al T.A.R. per rimborso di oneri di urbanizzazione non dovuti . . . . » 676 121. − Ricorso al T.A.R. per rimborso di oneri di urbanizzazione pagati in più . . . » 678 122. − Ricorso al T.A.R. per l’annullamento di ordine di demolizione e risarcimento del danno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 681 123. − Opposizioni al piano regolatore generale . . . . . . . . . . . . . . . . . » 684 124. − Ricorso al T.A.R. per l’annullamento del piano pluriennale di attuazione . . » 686 125. − Ricorso al T.A.R. per l’annullamento dei vincoli di piano regolatore generale per scadenza del quinquennio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 688 126. − Atto di citazione alla Corte d’appello per la determinazione dell’indennizzo per reiterazione del vincolo di piano regolatore . . . . . . . . . . . . . . . . » 691 127. − Ricorso al T.A.R. per l’annullamento della delibera di adozione di variante al piano regolatore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 694 128. − Ricorso al T.A.R. per l’annullamento della delibera di approvazione del piano regolatore limitatamente all’obbligo di piano di recupero e per dichiarazione di illegittimità del silenzio sulla richiesta della concessione edilizia . . . . . . . » 697 129. − Citazione al Tribunale per violazione della disciplina delle distanze . . . . . » 701 Indice delle principali disposizioni di legge . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 703 Indice analitico-alfabetico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 709 Indice analitico-alfabetico delle formule . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 715 INDICE SOMMARIO 27

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PARTE PRIMA IL SISTEMA DELLA GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA 1. ACCESSO AL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO IL COMMENTO 2 1. ACCESSO AL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO SOMMARIO: 1. Atto, provvedimento e procedimento amministrativo. − 2. Le fasi del procedimento. La fase preparatoria. − 2.1. L’accesso al procedimento amministrativo. Il responsabile del procedimento. − 2.2. La partecipazione al procedimento amministrativo. − 2.3. L’acquisizione di pareri. − 2.4. La denuncia di inizio di attività. − 2.5. La tutela dell’accesso da parte del giudice amministrativo. − 3. L’accordo di programma. − 4. La conferenza di servizi. − 5. La fase costitutiva. − 6. La fase integrativa dell’efficacia. − 7. La classificazione dei procedimenti. − 7.1. La funzione autorizzatoria. − 7.2. La funzione concessoria. − 7.3. La funzione ablatoria. − 7.4. La funzione certativa. − 7.5. La funzione esecutiva. − 7.6. La funzione sanzionatoria. − 7.7. La funzione di autotutela. − 7.7.1. L’annullamento d’ufficio. Revoca e decadenza. − 7.7.2. L’approvazione e il controllo. − 7.8. La funzione programmatoria. − 8. Il difensore civico. − 9. La tutela penale. − 10. La semplificazione amministrativa nella L. n. 59/1997. 1. Atto, provvedimento e procedimento amministrativo. L’atto amministrativo è qualunque atto imputabile all’amministrazione. L’atto può non comportare una incisione diretta su posizioni giuridiche di altri soggetti pubblici o privati, in tal caso si definisce mero atto; come, ad esempio, un rapporto interno con il quale l’amministrazione prende conoscenza di un determinato fatto. P. VIRGA, Diritto amministrativo, 1987, 4. Si definisce, invece, provvedimento l’atto col quale la pubblica amministrazione esprime la sua volontà di incidere su posizioni giuridiche di un soggetto che può essere pubblico o privato. M.S. GIANNINI, Diritto amministrativo, 1988, 672. Questa distinzione chiarisce anche gli aspetti della eventuale tutela; essa è ammessa solo per i provvedimenti che esauriscono, sotto il profilo procedurale, la fase preparatoria. Questa, infatti, non è soggetta ad impugnazione, che è possibile solo quando il provvedimento diventa definitivo. L’azione amministrativa si sviluppa attraverso una serie di atti e/o provvedimenti logicamente coordinati, al fine dell’adozione di un provvedimento finale, avente effetti esecutivi, che è espressione della volontà della pubblica amministrazione. La serie di atti che convergono nel provvedimento amministrativo, nella loro fase dinamica, costituiscono il procedimento amministrativo. I principi cui deve necessariamente ispirarsi il procedimento sono stati via via definiti dalla giurisprudenza e dalla dottrina. È mancata, infatti, in Italia fino alla L. 241/1990 una legge generale sul procedimento amministrativo. V. CERULLI IRELLI, Corso di diritto amministrativo, 1997, 423. 2. Le fasi del procedimento. La fase preparatoria. La fase preparatoria, che in precedenza è stata riservata esclusivamente alla amministrazione, viene codificata dalla L. 241/1990. La legge disciplina alcuni principi generali, già introdotti dalla giurisprudenza amministrativa. Il cosiddetto accesso al procedimento amministrativo, che consente al destinatario dell’atto di inserirsi nella fase preparatoria − prima esclusivamente riservata all’amministrazione − si articola nei seguenti punti: l’obbligo di comunicare la data dell’avvio del procedimento, la motivazione, la fissazione di un termine per provvedere e, infine, l’obbligo di nominare il responsabile del procedimento. S. CASSESE (a cura di), Diritto amministrativo generale, 2000, II, 988. 2.1. L’accesso al procedimento amministrativo. Il responsabile del procedimento. La L. 7 agosto 1990, n. 241 rivoluziona il procedimento amministrativo istituendo la possibilità di accedere al procedimento stesso fin dalla fase preparatoria, che in precedenza è stata riservata esclusivamente alla amministrazione. La comunicazione dell’avvio del procedimento. L’amministrazione è tenuta, ai sensi dell’art. 7 della L. 241, in presenza di una richiesta di accesso ai documenti amministrativi, ai sensi dell’art. 22 della L. 7 agosto 1990, n. 241, a dare notizia dell’avvio del procedimento al

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soggetto che, dalla autorizzazione alla visione dei documenti, potrebbe ricevere un pregiudizio. Conseguenza sostanziale è la possibilità di fare dichiarare illegittimo l’intero procedimento con ricorso alla giustizia amministrativa. La motivazione del provvedimento. L’art. 3, c. 3, della L. 7 agosto 1990, n. 241 non impone alla amministrazione di notificare o comunicare, unitamente al provvedimento, gli atti da cui risultino le ragioni della decisione, ma solo che detto atto sia indicato o reso disponibile. Perché la motivazione ob relationem soddisfi il generale obbligo di motivazione dei provvedimenti amministrativi l’organo emanante, oltre ad indicare in modo puntuale l’atto richiamato, deve renderlo contestualmente disponibile o allegandolo al provvedimento od indicando l’ufficio dove l’atto predetto è reperibile. Il termine a provvedere. L’art. 2 della L. 241/1990 sul procedimento amministrativo ribadisce l’obbligo dell’amministrazione a concludere i procedimenti entro termini tassativi. In carenza di termini già previsti per legge o fissati da regolamenti adottati dall’amministrazione, vige la scadenza dei 30 giorni. Il responsabile del procedimento. Viene fatto obbligo alle amministrazioni di indicare un responsabile del procedimento, che è il dirigente di ogni unità organizzativa, il quale può provvedere ad assegnare ad altro dipendente la responsabilità dell’istruttoria o di un’altra fase, ad esempio quella costitutiva o esecutoria, del provvedimento. S. CASSESE (a cura di), Diritto amministrativo generale, 2000, II, 997. Certamente, da un punto di vista organizzativo, appare una maggiore razionalizzazione della struttura sia nell’individuare i responsabili sia nello stabilire il passaggio necessariamente formale fra i soggetti che si occupano delle varie fasi. Si deve attuare una opportuna opera di organizzazione interna assegnando ai responsabili procedimenti tipici o segmenti di procedimento. 36 ACCESSO AL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO L’esigenza di partecipazione dei soggetti destinatari del procedimento implica, inoltre, che l’avvio dell’atto, oltre alla notifica individuale, debba di norma essere comunicato anche attraverso forme diverse di pubblicità, ad esempio a mezzo stampa, ai sensi dell’art. 7. 2.2. La partecipazione al procedimento amministrativo. La L. 7 agosto 1990, n. 241 sul procedimento amministrativo introduce l’obbligo per la pubblica amministrazione della conclusione dell’atto mediante l’adozione di un procedimento espresso, come sancisce l’art. 2, e l’obbligo della motivazione espressa. Le pubbliche amministrazioni devono precisare il termine entro cui i singoli procedimenti devono concludersi, fissando nel caso di carenza di dizione espressa il termine massimo di 30 giorni. Nell’ambito di tali termini si colloca l’attività del privato che può accedere alla fase preparatoria del procedimento prendendo visione degli atti e presentando memorie e documenti. L’istruttoria. La tipicità dell’azione amministrativa consente di ravvisare la presenza di una serie di operazioni e di atti nella procedura richiesta per l’emanazione dell’atto, che costituisce lo schema base del cosiddetto procedimento amministrativo. Questo si articola in varie fasi che hanno rilevanza o compressione in relazione alla specifica disciplina legislativa. La fase preparatoria, parimenti alla fase istruttoria nel processo, serve a raccogliere tutta la documentazione necessaria per fornire alla amministrazione gli elementi indispensabili alla redazione dell’atto. Gli atti di norma possono provenire direttamente dalla amministrazione ed in questo caso essa si attiverà prendendo l’iniziativa: si pensi ad esempio ad un piano urbanistico ove il procedimento inizi con l’incarico dell’amministrazione ai progettisti abilitati a redigerlo. Se l’atto è rilasciato su richiesta degli interessati, si pensi alla concessione edilizia, sarà il privato a fornire la documentazione necessaria per consentire l’emanazione dell’atto e la pubblica amministrazione si limiterà a verificare la rispondenza di quanto richiesto alle norme vigenti. Talora nel procedimento si innestano vari subprocedimenti che danno vita ad atti amministrativi autonomi, e come tali impugnabili direttamente, che costituiscono presupposti necessari al procedimento principale. Ad esempio il verbale di consistenza nell’espropriazione. In altri casi il subprocedimento produce atti che hanno una rilevanza interna per cui si

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esclude la loro autonoma impugnazione. Essi acquistano rilevanza giuridica nell’atto amministrativo di cui costituiscono il supporto. Ad esempio il parere della sovrintendenza nelle concessioni edilizie. In questa fase si può inserire la presenza dei destinatari dell’atto che partecipano a vario titolo. Possono verificarsi ipotesi in cui il contraddittorio è requisito sostanziale: quando la sua mancanza comporta un vizio dell’intero procedimento, ad esempio nel verbale di consistenza, oppure quando il privato è invitato a presentare semplici apporti di mera collaborazione, ad esempio nella relazione di piani urbanistici, ovvero quando la partecipazione dei destinatari è requisito stesso dell’atto amministrativo, come nei concorsi pubblici. COMMENTO 37 Il legittimato all’accesso al procedimento. Le norme della L. 7 agosto 1990, n. 241 disciplinano l’esercizio del diritto d’accesso subordinandolo a precisi requisiti. Sul piano soggettivo deve sussistere, in capo al richiedente, un interesse per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti, come precisa l’art. 22, c. 1, della L. 241/1990; sul piano oggettivo i documenti non devono rientrare tra quelli esclusi con apposito regolamento governativo, come indicato dall’art. 24; sul piano procedurale il diritto si configura solo dopo la presentazione di una richiesta motivata, ai sensi dell’art. 25, c. 2. Le limitazioni oggettive all’accesso. L’esclusione del diritto all’accesso può avvenire nei casi stabiliti con regolamento approvato dal D.P.R. 352/1992. Nell’ambito delle categorie generali fissate dal regolamento le amministrazioni possono, entro termini perentori, determinare i documenti da esse formati, o comunque rientranti nelle loro disponibilità, sottratti all’accesso. Le osservazioni nel corso del procedimento. Le osservazioni presentate nel corso del procedimento hanno acquistato ai sensi della L. 241/90 effetti particolari con obbligo per l’amministrazione di comunicare il responsabile del procedimento e di rispondere alle richieste del soggetto interessato al procedimento medesimo. Nella fase preparatoria il privato ha il cosiddetto diritto all’accesso al procedimento e può partecipare alla fase formativa del provvedimento in modo da eliminare, notiziando tempestivamente l’amministrazione, quegli elementi di vizio di legittimità ovvero di merito che si dovevano riscontrare, sempre che l’amministrazione lo ritenga opportuno. Evitando e correggendo eventuali errori nella fase preparatoria, si dovrebbe ridurre la successiva fase contenziosa nel provvedimento definitivo. Questa nuova impostazione legislativa innova quindi radicalmente quei procedimenti che attribuivano al privato un diritto all’accesso senza però sancire alcun obbligo all’amministrazione di rispondere, vedi ad esempio la procedura di formazione dei piani regolatori generali. In tali ipotesi vi é quindi l’obbligo per l’amministrazione di rispondere alle osservazioni motivando l’eventuale non recepimento, pena l’illegittimità della procedura. La fase partecipativa consente inoltre all’interessato di presentare memorie scritte e documenti. In accoglimento di tali osservazioni l’amministrazione può concludere, senza pregiudizio dei diritti dei terzi, accordi con gli interessati al fine di determinare il provvedimento finale ovvero in sostituzione di questo, ai sensi dell’art. 11 della L. 241/1990. Si formalizza così l’accordo sostitutivo di provvedimenti che diventa strumento possibile di intervento anche al di fuori delle ipotesi ora tassativamente previste, ad esempio nella cessione bonaria degli immobili oggetto di procedimento espropriativo. Gli spazi di tale istituto sembrano piuttosto angusti vista la tipicità procedimentale ed il contenuto obbligatorio dell’attività amministrativa, che sembrano lasciare una scarsa discrezionalità. 2.3. L’acquisizione di pareri. La fase preparatoria, che necessita di subprocedimenti tesi all’acquisizione di pareri, è regolamentata dall’art. 16 della L. 241/1990 che impone un termine tassativo di 90 giorni dal ricevimento della richiesta per esprimere il parere. 38 ACCESSO AL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO La mancata comunicazione, non dovuta ad esigenze istruttorie, esime il richiedente dall’acquisizione del parere. Tale ipotesi non si applica a pareri rilasciati da amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale e alla salute. L’art. 16, c. 3, e l’art. 17, c. 2, della L. 7 agosto 1990, n. 241 stabiliscono che le norme sulla

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semplificazione dell’azione amministrativa, contenute nei c. 1 e 2 dell’art. 16 e nel c. 1 dell’art. 17 stessa legge, non si applicano allorché pareri e valutazioni tecniche debbano essere rilasciati da organi o amministrazioni preposti alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale e della salute dei cittadini. S. CASSESE (a cura di), Diritto amministrativo generale, 2000, II, 1018. Il procedimento di acquisizione dei pareri è stato modificato dall’art. 17, c. 24, della L. 127/1997, che riduce i termini per esprimere il parere a 45 giorni per tutte le amministrazioni pubbliche statali e per gli enti pubblici anche non economici, come precisati dall’art. 2 della L. 29/1993. Viene ribadito il principio che, in carenza di comunicazioni anche istruttorie, l’amministrazione può procedere indipendentemente dal parere, salvo che si tratti di pareri rilasciati da amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistica, territoriale e della salute dei cittadini. La dizione sembra più estensiva della precedente: si pensi ad esempio al parere del CONI, che, stante la nuova norma, appare obbligatorio. 2.4. La denuncia di inizio di attività. Le previsioni dell’art. 19 della L. 7 agosto 1990, n. 241, come sostituito dall’art. 2, c. 10, della L. 24 dicembre 1993, n. 537, introducono la denuncia di inizio di attività. In tutti i casi in cui l’esercizio di una attività privata sia subordinato ad autorizzazione, licenza, abilitazione, nulla osta, permesso, od altro atto di consenso comunque denominato, ad esclusione delle concessioni edilizie e delle autorizzazioni, il cui rilascio dipenda esclusivamente dall’accertamento dei presupposti e dei requisiti di legge senza l’esperimento di prove a ciò destinate che comportino valutazioni tecniche discrezionali e senza che sia previsto alcun limite o contingente complessivo per il rilascio degli atti stessi, l’atto di consenso si intende sostituito da una denuncia di inizio di attività. La denuncia è presentata da parte dell’interessato alla pubblica amministrazione competente ed attesta l’esistenza dei presupposti e dei requisisti di legge. La denuncia è eventualmente accompagnata dall’autocertificazione dell’esperimento di prove a ciò destinate ove previste. La formale denuncia di inizio di attività assume il valore dell’esplicita autorizzazione amministrativa in tutti i casi in cui il formale rilascio di quest’ultima non è subordinato a positive valutazioni discrezionali della pubblica amministrazione e dipende esclusivamente dall’accertamento dei presupposti e dei requisiti di legge. S. CASSESE (a cura di), Diritto amministrativo generale, 2000, II, 1156. In tali casi spetta all’amministrazione competente entro e non oltre sessanta giorni dalla denuncia, verificare d’ufficio la sussistenza dei presupposti e dei requisisti di legge richiesti e disporre, se del caso, con provvedimento motivato da notificare all’interessato entro il me- COMMENTO 39 desimo termine, il divieto di prosecuzione dell’attività e la rimozione dei suoi effetti, salvo che, ove ciò sia possibile, l’interessato provveda a conformare alla normativa vigente detta attività ed i suoi effetti entro il termine prefissatogli dall’amministrazione stessa. 2.5. La tutela dell’accesso da parte del giudice amministrativo. Il diniego espresso o il rifiuto alla richiesta di esame o copia di documenti, che diventa impugnabile trascorsi trenta giorni dalla richiesta, trovano tutela nel particolare ricorso previsto dall’art. 25 della L. n. 241/1990. Il termine per ricorrere è di trenta giorni; il T.A.R. decide entro trenta giorni dalla scadenza del termine per il deposito, in camera di consiglio, sentiti i difensori che ne abbiano fatto richiesta. La decisione è appellabile entro trenta giorni dalla notifica al Consiglio di Stato, che decide con la medesima modalità e gli stessi termini. L’oggetto del ricorso è l’esibizione dei documenti richiesti, che è disposta dal giudice amministrativo, qualora accolga totalmente o parzialmente il ricorso. Se è già stato presentato un ricorso avverso ad un procedimento l’eventuale azione di accesso può essere proposta con istanza rivolta al Presidente del T.A.R. e depositata presso la segreteria cui è stato assegnato il ricorso previa notifica all’amministrazione ed ai controinteressati, ex art. 21, L. n. 1034/1971, mod. art. 1, L. n. 205/2000. Il ricorrente può stare in giudizio personalmente senza l’assistenza del difensore.

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L’amministrazione può essere rappresentata e difesa da un proprio dipendente, debitamente autorizzato, ex art. 4, L. n. 205/2000. 3. L’accordo di programma. Una forma di intervento nel procedimento amministrativo, che richiede l’azione coordinata di uno o più soggetti pubblici, quali comuni, province, regioni, amministrazioni statali e soggetti pubblici, è l’accordo di programma dapprima previsto dall’art. 27 della L. n. 142/1990 ed ora dall’art. 34 del D.L.vo 18 agosto 2000, n. 267. Il procedimento è previsto per la definizione e per l’attuazione di opere o di interventi che richiedano, per la loro completa realizzazione, l’azione integrata delle amministrazioni sopra menzionate. Qualora il procedimento amministrativo coinvolga in ulteriori sub-procedimenti autonomi l’attività di altre amministrazioni, i tempi dell’azione amministrativa possono allungarsi oltre misura in attesa che ogni amministrazione adotti gli atti necessari. A tal punto il presidente della regione, il presidente della provincia ed il sindaco, in relazione alla competenza prevalente sull’opera, di propria iniziativa, anche su richiesta di soggetti interessati all’intervento, promuove la conclusione di un accordo di programma. Si pensi ad esempio ad una cooperativa che abbia fruito di un contributo pubblico e che non possa iniziare i lavori in attesa di concessione edilizia. Il presidente della regione, e gli altri soggetti interessati, convocano una conferenza fra tutti i rappresentanti delle amministrazioni intervenute per cui i vari subprocedimenti sono 40 ACCESSO AL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO ricondotti ad uno solo, poiché il concorso delle varie amministrazioni viene approvato con un unico atto formale. Se l’intervento comporta variante agli strumenti urbanistici il consiglio comunale deve ratificare la adesione del sindaco entro trenta giorni, pena la decadenza dell’accordo medesimo, ex art. 34, comma 5, del D.L.vo 18 agosto 2000, n. 267. La modifica, introdotta dall’art. 17 comma 8, della L. n. 127/1997 attribuisce il potere decisorio ai massimi rappresentanti delle amministrazioni interessate. Siamo di fronte ad una svolta nel nostro sistema degli enti locali poiché agli organi collegiali si sostituisce il rappresentante dell’amministrazione eletto direttamente dai cittadini. La norma suscita perplessità di ordine costituzionale sia, in generale, per l’espropriazione di competenze proprie degli organi rappresentativi sia per l’invasione nell’ambito delle funzioni trasferite alle regioni, in materia di lavori pubblici di interesse regionale. Importanti effetti vengono attribuiti all’approvazione dell’accordo che comporta la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza delle medesime opere; tale dichiarazione cessa di avere efficacia se le opere non hanno avuto inizio entro tre anni. 4. La conferenza di servizi. La conferenza ha lo scopo di effettuare un esame contestuale dei vari interessi pubblici per acquisire intese, concerti, nulla osta o assensi di altre pubbliche amministrazioni al fine di consentire la più celere esecuzione delle opere pubbliche, ex art. 14 della L. n. 241/1990 così come modificato dall’art. 9 della L. 24 novembre 2000, n. 340. In tal modo si impedisce che il ricorso ad una serie di autorizzazioni presso enti diversi allunghi senza termini certi la durata dei procedimenti amministrativi di approvazione. La giurisprudenza ha precisato che l’applicabilità della nuova normativa alle altre conferenze di servizi previste dalle leggi vigenti è, pertanto, limitata alle leggi che configurano la conferenza dei servizi come strumento di composizione delle diverse volontà e non come strumento di deroga alla normativa o alla pianificazione vigenti. In tal modo sono state recepite le critiche di coloro che hanno temuto che tale strumento portasse una deregolamentazione della pianificazione territoriale per favorire l’esecuzione delle opere pubbliche. Le norme sulla conferenza dei servizi non possono essere applicate al procedimento di localizzazione delle opere pubbliche statali in deroga agli strumenti urbanistici di cui all’art. 81, D.P.R. n. 616 del 1977 ed al D.P.R. n. 383 del 1994. La conferenza deve sempre muoversi nel rispetto della normativa vigente non essendo ad essa conferito alcun potere di deroga rispetto ad atti amministrativi generali efficaci. Lo spazio all’interno del quale si muove la conferenza non è quello della deroga, ma quello della composizione delle discrezionalità amministrative e dei poteri spettanti alle amministrazioni

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partecipanti, ponendosi come momento di confluenza delle volontà delle singole amministrazioni, nel rispetto dell’ordinamento normativo e amministrativo vigente. Cons. Stato, sez. I, 5 novembre 1997, n. 1622, in Riv. giur. edil. 1998, I, 435. L’innovazione contenuta dall’art. 10, L. n. 340/2000 raccorda l’attività dell’organismo con la figura del promotore di lavori pubblici o di opere di pubblica utilità, ex art. 37 bis, L. n. 109/1994. COMMENTO 41 L’interessato all’esecuzione dei lavori può, infatti, richiedere la convocazione della conferenza prima della presentazione del progetto definitivo al fine di verificare le condizioni per ottenere il consenso alla realizzazione dell’opera. I tempi ed i costi relativi all’esame di un progetto si riducono drasticamente se l’autorità che deve approvarlo indica le direttrici nelle quali l’operatore deve muoversi. Analogamente, sulla scorta della presentazione del progetto preliminare, le amministrazioni preposte alla tutela ambientale devono indicare le eventuali condizioni per ottenere il consenso entro il termine di quarantacinque giorni dalla domanda. Il comma 3 dell’art. 10, L. n. 340/2000, cerca di dipanare i rapporti tra conferenza e autorità preposta alla approvazione della valutazione di impatto ambientale, imponendo alla conferenza di esprimersi entro trenta giorni dalla conclusione della fase preliminare di definizione dello studio di impatto ambientale. Il problema che si pone è, comunque, quello del valore giuridico da attribuire a tali pareri preliminari. La dottrina si è chiesta se la conferenza, cambiando componenti, possa cambiare i precedenti orientamenti. In tal caso il legislatore prevede tassativamente che le indicazioni fornite dalla conferenza possono essere motivatamente modificate o integrate solo in presenza di significativi elementi emersi nelle fasi successive del procedimento, ex art. 10, comma 4, L. n. 340/2000. La disciplina generale della conferenza di servizi, nella formulazione dell’art. 11, comma 2 della L. n. 340/2000, che modifica l’art. 14 ter della L. n. 241/1990, risponde alle finalità di raggiungere la massima celerità nell’esecuzione delle opere pubbliche. Il legislatore ha disciplinato, infatti, un percorso obbligatorio, che prescinde da soluzioni discrezionali, e che è predeterminato dalle amministrazioni partecipanti. Queste norme, avendo natura di norme quadro generali, si applicano alle altre conferenze di servizi disciplinate dalla legislazione speciale. Il procedimento acquista una scansione particolarmente celere. Viene regolamentata la modalità di convocazione, riducendo la possibilità di assenze attraverso un meccanismo in contraddittorio con le amministrazioni interessate, che devono concordare la data di convocazione in caso di impedimento. Le stesse tappe procedimentali sono scandite con rigidità temporale imponendo alla conferenza di definire nella seconda riunione i tempi per l’adozione della decisione conclusiva. Al fine di rendere più spedita la procedura che può proseguire anche con approvazione a maggioranza si richiede che i pareri contrari siano motivati. Il dissenso, per essere legittimo, deve essere espresso direttamente nell’ambito delle riunioni della conferenza, deve essere congruamente motivato e deve esprimere le indicazioni richieste perché il progetto sia oggetto di approvazione, ex art. 12, L. n. 340/2000, che modifica l’art. 14 ter, L. n. 241/1990. Nel caso in cui una amministrazione abbia dichiarato, anche nel corso della conferenza, il proprio motivato dissenso, l’amministrazione procedente può assumere la determinazione di conclusione positiva del procedimento. Analogamente l’amministrazione procedente può adottare la propria decisione se la conferenza non si è espressa nei tempi indicati. La determinazione è immediatamente esecutiva. 42 ACCESSO AL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO

Nel caso di dissenso motivato − è da ritenere che il dissenso non motivato equivalga ad assenso − di una amministrazione preposta alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, paesaggistico-ambientale, del patrimonio storico-artistico o della tutela della salute la decisione deve essere rimessa al Presidente del Consiglio dei ministri, ove amministrazione procedente o quella dissenziente sia una amministrazione statale; negli altri casi la decisione è

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presa dal Presidente della regione, dal Presidente della provincia o dal sindaco. L’autorità di controllo deve esercitare il suo potere nel termine tassativo di trenta giorni, salva la possibilità di prorogare l’istruttoria di sessanta giorni, dopo di che l’autorità procedente o il richiedente può adire la giustizia amministrativa per fare dichiarare la illegittimità del silenzio, ex art. 2, L. n. 205/2000 (vedi voce Giurisdizione amministrativa, par. 6). 5. La fase costitutiva. Nella fase costitutiva il responsabile del procedimento analizza gli elementi raccolti, li valuta ed acclara nel provvedimento la volontà dell’amministrazione. Vi è, praticamente, coincidenza delle due fasi là dove l’organo preposto alla fase preparatoria sia monocratico, ad esempio, il funzionario preposto all’atto determina la sua volontà contestualmente alla raccolta dei dati istruttori. Qualora si tratti invece di organo collegiale nella fase costitutiva si deve dare atto del modo in cui si determina la volontà ed, in particolare, della ritualità della convocazione, della verifica del numero legale, delle maggioranze previste per l’oggetto in discussione ecc. Lo schema procedimentale tende a complicarsi ulteriormente qualora nel procedimento si inseriscano più organi; in tale caso vi è il problema se l’atto non ancora perfetto possa esplicare effetti, ovvero se il procedimento debba attendere l’espletarsi di ulteriori subprocedimenti che ne condizionano l’iter, ovvero se più procedimenti, pur nella loro autonomia, possano esplicare effetti gli uni sugli altri. Nell’eventualità che più organi concorrano nel procedimento amministrativo, il principio generale afferma che l’atto non è perfetto fino a che le loro volontà non si sono manifestate; l’atto è, pertanto, impugnabile solo alla fine del procedimento. Esistono casi in cui l’adozione dell’atto da parte di un’autorità − ad esempio, l’adozione del piano regolatore − pur non essendo ancora approvata dall’organo regionale, esplica direttamente effetti sui privati interessati alle sue disposizioni, consentendo, nel caso in esame, l’applicazione delle misure di salvaguardia. L’atto è considerato perfetto, e come tale impugnabile, pur non essendo concluso il procedimento amministrativo. Se la regione non dovesse approvare il piano quelle norme non avrebbero alcun effetto ex tunc, con conseguente carenza di interesse all’impugnativa del ricorrente. 6. La fase integrativa dell’efficacia. L’esperimento della fase costitutiva rende l’atto valido, ma non sempre efficace. L’atto può essere operante nella sfera interna dell’amministrazione, ma non può conseguire effetti nei confronti dei soggetti passivi dell’atto. Alcuni atti, per potere essere efficaci, devono essere comunicati al soggetto passivo, ad esempio, attraverso la notifica del provvedimento. COMMENTO 43 La pubblicità integra l’efficacia dell’atto: essa può consistere nella pubblicazione in albi particolari, ad esempio nel Foglio annunzi legali, ovvero nella notifica, che di norma avviene a mezzo ufficiale giudiziario, per gli atti recettizi. Questi atti acquistano efficacia solo ove si dimostri che il soggetto cui l’atto è diretto ne sia venuto a conoscenza. Così, ad esempio, una diffida non può sortire effetti se non viene notificata e lo stesso avviene, di norma, per tutti gli atti che comportano effetti ablatori. La notifica integra l’efficacia dell’atto, già valido, poiché sussistono tutti i suoi elementi costitutivi. Altri atti, per potere essere efficaci, devono ottenere particolari approvazioni ovvero sottostare a particolari controlli. Il visto della Corte dei Conti sui contratti dello Stato che superano un determinato importo integra l’efficacia del contratto. Le delibere comunali devono essere inviate al Comitato regionale di controllo che ne certifica la presentazione e, solo dopo che siano trascorsi venti giorni senza che intervenga alcun provvedimento negativo od istruttorio, esse acquistano la loro piena efficacia. 7. La classificazione dei procedimenti. La dottrina classifica i procedimenti amministrativi secondo vari parametri. Ad esempio, con riguardo agli effetti, essi possono produrre esiti favorevoli, in tal caso sono denominati provvedimenti ampliativi, o limitativi, e allora sono denominati provvedimenti restrittivi delle posizioni giuridiche degli assegnatari.

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I procedimenti di rilascio di concessione o autorizzazione rientrano fra i provvedimenti ampliativi. P. VIRGA, Diritto amministrativo, 1987, II, 14. La ripartizione dei procedimenti amministrativi che seguiremo è quella che li classifica in rapporto alle varie funzioni esercitate. R. GALLI, Corso di diritto amministrativo, 1996, 524. Diversamente, altri autori fondano le classificazioni dei procedimenti sulla struttura degli stessi. R. VILLALTA, G. SALA, voce Procedimento amministrativo, in Dig. Disc. Pubbl., 1996, XI, 585. 7.1. La funzione autorizzatoria. I procedimenti autorizzatori hanno per oggetto la rimozione di un ostacolo al fine di consentire al soggetto richiedente di esercitare un potere. Oggetto del procedimento è il rilascio di una autorizzazione, che può essere permissiva o costitutiva, poiché essa è correlata al potere del soggetto; ad esso si riconosce un interesse legittimo al rilascio, tutelabile presso la giustizia amministrativa. Trattandosi della rimozione di un limite ad un potere che già esiste nel richiedente, la discrezionalità della pubblica amministrazione nell’esame della richiesta appare ridotta al controllo dei requisiti e vincolata alla legittimità del procedimento. Il procedimento si presenta con una struttura ben precisa: richiesta, verifica di legittimità, autorizzazione. Di nor- 44 ACCESSO AL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO ma, tale procedimento non prevede contraddittorio col richiedente poiché la richiesta deve essere coincidente con la tipicità delle previsioni normative per potere essere accolta. 7.2. La funzione concessoria. Nel procedimento concessorio la discrezionalità dell’amministrazione acquista maggior rilevanza. La richiesta del privato è, in questo caso, tesa ad ottenere un provvedimento costitutivo o traslativo di un potere che non appartiene al richiedente, come nel procedimento autorizzatorio, ma che è dell’amministrazione. Questo comporta non solo un più compiuto accertamento da parte dell’amministrazione nel disporre di un suo potere, ma anche un esame dei vari interessi che si manifestano, qualora vi siano più soggetti richiedenti. In taluni casi la concessione è rilasciata ad un soggetto predeterminato, come la R.A.I. per l’esercizio del servizio radiotelevisivo, ma anche in tale eventualità, pur in presenza di un solo richiedente ex lege, il procedimento concessorio non perde la sua tipicità. La peculiarità del potere della pubblica amministrazione, che sta alla base del procedimento concessorio, si manifesta nella relativa possibilità di gestione del medesimo potere con atti di verifica del corretto esercizio della concessione e nella possibilità di intervento, con la revoca della concessione, prima della sua scadenza. Oggetto del procedimento è un potere dell’amministrazione che può essere il più vario, come l’esercizio delle facoltà relative all’uso di un bene demaniale ovvero la concessione di un servizio pubblico di trasporto urbano o di informazione radiotelevisiva. È necessario precisare che per i beni demaniali la concessione si può rilasciare solo nei limiti di espressa riserva di legge poiché essi, per esplicita definizione, sono inalienabili e soggetti a pubblica destinazione. I richiedenti sono coloro che aspirano ad essere concessionari del bene e del servizio. Essi hanno un interesse legittimo al procedimento concessorio che deve svolgersi nel rispetto delle norme. La presenza di più richiedenti comporta una particolare attenzione alla scelta del soggetto che, in ogni caso, deve possedere i requisiti eventualmente richiesti. A tale punto il procedimento amministrativo di concessione deve essere distinto dalla concessione come mezzo per la realizzazione di opere pubbliche, che è, ad esempio, disciplinata dalla L. 80/1987 la quale prevede la scelta di concessionari che si assumano il compito di realizzare le opere ed eventualmente la loro gestione. Nel procedimento di concessione la scelta fra i concessionari è realizzata, di norma, attraverso un subprocedimento che deve garantire la massima trasparenza ed imparzialità. Si ricorre alla pubblicazione di bandi di concorso che prevedono tempi e modalità di presentazione delle domande; le scelte discrezionali devono essere motivate e sono soggette al sindacato di legittimità del giudice amministrativo. La concessione trova puntuale disciplina nella stipula di una convenzione contratto, come

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un diritto soggettivo perfetto. La presenza di posizioni di interesse legittimo e di diritto soggettivo ha portato il legislatore ad attribuirne la competenza esclusiva al giudice amministrativo che deve pronunciarsi, COMMENTO 45 quindi, anche su diritti soggettivi; salvo le questioni afferenti canoni od indennità relative alla concessione che rimangono attribuite al giudice ordinario. 7.3. La funzione ablatoria. La funzione ablatoria è esercitata nel rispetto dei principi fissati dall’art. 42 della costituzione repubblicana, che si preoccupa di fissare i limiti del diritto di proprietà, allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti. L’espropriazione può avvenire salvo indennizzo, che deve costituire un serio ristoro al sacrificio imposto al privato per motivi di interesse generale. I procedimenti ablatori reali tendono a trasferire alla pubblica amministrazione beni di proprietà privata per realizzare opere di pubblica utilità. Essi si sviluppano attraverso i procedimenti tipici − espressamente disciplinati dalla legge − della espropriazione, della requisizione e della occupazione. I procedimenti ablatori personali limitano l’esercizio dei diritti della persona. Sono, ad esempio, i limiti in materia sanitaria, le direttive in materia di tutela del lavoro, ecc. 7.4. La funzione certativa. Tale funzione è volta a provare l’esistenza di fatti al soggetto richiedente, che può utilizzare il documento che attesta la certificazione nei confronti di altri soggetti. Tale funzione si fonda su una prima attività tesa all’accertamento dei fatti ed in una seconda attività, che, appunto, si realizza nel dare rilevanza esterna a quanto precedentemente acquisito. I procedimenti certativi consistono nella mera certificazione dei dati in possesso dell’autorità amministrativa − ad esempio, dalla concessione edilizia rilasciata si acclara la dimensione di un fabbricato, ai fini di un pratica di condono edilizio − che dà certezza giuridica al richiedente. Se la certificazione attesta una particolare qualità del bene il procedimento certativo sfocia in un provvedimento che manifesta tale qualità − ad esempio dichiarandone la pubblica utilità − e gli fa assumere particolari configurazioni giuridiche. Nel primo caso l’atto, non essendo manifestazione di volontà, non è impugnabile; nel secondo la particolare degradazione del diritto soggettivo può essere oggetto di tutela. 7.5. La funzione esecutiva. Una delle caratteristiche del provvedimento è la possibilità che l’amministrazione lo porti in esecuzione direttamente, a differenza del privato che, per realizzare il pieno soddisfacimento dei suoi diritti o interessi, deve ricorrere all’autorità giudiziaria. Il procedimento esecutivo consente all’amministrazione di porre in esecuzione quei provvedimenti cui i destinatari rifiutino di ottemperare. La dottrina distingue i procedimenti di esecuzione diretta − ad esempio la presa di possesso di un immobile di cui sia disposta l’espropriazione − dai procedimenti di esecuzione in danno in cui l’amministrazione si sostituisce, direttamente o tramite terzi, al soggetto passivo nell’esecuzione del provvedimento amministrativo, addebitandogli le relative spese di esecuzione; ad esempio nel caso in cui l’amministrazione provveda direttamente a dare corso ad un ordine di demolizione. 46 ACCESSO AL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO 7.6. La funzione sanzionatoria. Col procedimento sanzionatorio la pubblica amministrazione reprime le violazioni di una norma o di un provvedimento amministrativo. L’attività repressiva trova fondamento nella potestà punitiva dello Stato che rinviene la sua fonte costituzionale nell’art. 25, c. 2; esso introduce il principio di stretta legalità, affermando che nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso. Nell’ambito di tale nozione base si ritrovano diverse categorie di sanzioni amministrative: sanzioni punitive, sanzioni ripristinatorie, sanzioni risarcitorie oltre ai provvedimenti di revoca o decadenza che hanno sicuramente caratteristiche sanzionatorie. C.E. PALIERO, A. TRAVI, Sanzioni amministrative, in Enc. dir., 1989, 355. 7.7. La funzione di autotutela. La pubblica amministrazione ha la possibilità di riformare i suoi atti, anche senza la richiesta del privato interessato al provvedimento, e può provvedere a risolvere i conflitti eventualmente insorgenti con altri soggetti nell’attuazione dei propri provvedimenti.

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Questo è considerato come uno dei poteri della pubblica amministrazione oltre a quelli di autonomia e autarchia. F. BENVENUTI, Appunti di diritto amministrativo, 1959, 152. L’autore ritiene l’autotutela una delle funzioni della pubblica amministrazione. Egli distingue una autotutela spontanea − che si manifesta negli atti di annullamento, revoca e abrogazione − da quella necessaria − che comprende gli atti sostitutivi e di approvazione − e da quella contenziosa che si verifica nel caso di ricorso amministrativo. Altri autori, nel classificare i procedimenti amministrativi, definiscono di secondo grado quelli che hanno ad oggetto altri procedimenti amministrativi. Nel procedimento di secondo grado l’amministrazione riprende in considerazione i provvedimenti già emanati per motivi di legittimità − annullamento − o di merito − revoca − ripercorrendo le fasi procedimentali previste a pena di illegittimità e dando, puntualmente, idonea motivazione del pubblico interesse che muove l’amministrazione nell’esercizio del suo potere. M.S. GIANNINI, Diritto amministrativo, 1988, 981. 7.7.1. L’annullamento d’ufficio. Revoca e decadenza. L’annullamento d’ufficio in un atto amministrativo inerisce all’essenza stessa della funzione svolta dalla pubblica amministrazione, che è quella del perseguimento del pubblico interesse. Qualora l’atto non sia conforme a questo obiettivo, l’Autorità che l’ha emesso, a prescindere da ogni intervento esterno, ha la possibilità di rimuovere l’atto stesso con efficacia ex tunc, annullandolo. Tale potere viene esercitato dalla amministrazione che ha emanato l’atto, salvo restando il potere degli interessati, sui quali cadono gli effetti dell’atto, di agire in sede amministrativa ovvero in sede giurisdizionale per ottenere dei provvedimenti o sentenze che impongano alla amministrazione un diverso comportamento. Non esistono però dei limiti logicamente precisi che obblighino la pubblica amministrazione a rivedere gli effetti dei suoi atti, per verificarne o meno la loro annullabilità, anche COMMENTO 47 perché normalmente gli atti amministrativi, attraverso il procedimento che devono seguire per la loro approvazione − ovvero attraverso il successivo riscontro di un eventuale organo consultivo o di controllo − normalmente dovrebbero garantire il rispetto di ogni requisito di legittimità. G. CORAGGIO, Annullamento d’ufficio degli atti amministrativi, in Enc. Giur., 1988, II, 1. L’eccezionalità è, infatti, il requisito principe caratterizzante detto potere della pubblica amministrazione, poiché esso deve manifestarsi solo qualora il procedimento amministrativo originario non abbia sortito gli effetti desiderati. Dato che l’amministrazione deve agire nel modo più idoneo per conseguire il pubblico interesse, essa dovrà tutelarsi proprio in quei casi eccezionali in cui i suoi provvedimenti non hanno sortito gli effetti desiderati. La dottrina, infatti, ritiene che, perché si possa esplicare il potere di autotutela, devono sussistere due requisiti fondamentali: deve verificarsi una illegittimità originaria dell’atto amministrativo e, conseguentemente, deve risultare l’interesse pubblico giustificativo dell’atto di autotutela. G. LANDI G. POTENZA, V. ITALIA, Manuale di diritto amministrativo, 1999, 276. Una certa dottrina, peraltro, ritiene che anche la inopportunità dell’atto giustifichi la procedura di annullamento d’ufficio. M.S. GIANNINI, Diritto amministrativo, II, 1988, 1060. Si inquadra nel potere di autotutela anche la revoca, che trova la sua diversa ratio nel potere generale dell’amministrazione di rivedere i suoi atti per motivi di merito. Tale potere, residuo di quello assoluto del sovrano, è temperato dalla necessità di motivazione e trova limite nelle posizioni giuridiche acquisite dai destinatati dell’atto che si intende revocare. Qualora esso diventasse provvedimento obbligatorio perderebbe le sue caratteristiche peculiari per diventare una seconda fase di un unico procedimento amministrativo. La decadenza è l’acclaramento compiuto da parte dell’amministrazione della perdita di efficacia dell’atto per decorso del termine o per sopravvenute situazioni di fatto o di diritto che comportano il riesame dell’atto precedentemente emanato. 7.7.2. L’approvazione e il controllo. L’approvazione è il provvedimento col quale l’autorità, gerarchicamente superiore o che detiene una funzione che deve necessariamente rapportarsi a quella esercitata dall’ente soggetto all’approvazione, consente all’atto di divenire definitivo.

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Il controllo presuppone, invece, un esame dell’atto limitato a motivi di legittimità ed, eccezionalmente, una valutazione nel merito. 7.8. La funzione programmatoria. L’ampliamento delle posizioni giuridiche soggettive, prima affidato ai provvedimenti autorizzatori e concessori, coll’intensificarsi dell’attività della pubblica amministrazione è sempre più basato sull’esame di situazioni complesse. Esse trovano naturale contemperamento nello studio comparato dei cosiddetti interessi diffusi dei soggetti destinatari dell’azione amministrativa. Le funzioni programmatorie trovano regolamentazione principale nella pianificazione urbanistica. 48 ACCESSO AL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO Il soggetto pianificatorio trova nel suo campo d’azione l’intervento necessario di più persone, ad esempio, il parere del genio civile − per le programmazioni in zone sismiche − e l’atto pianificatorio è spesso atto complesso ossia richiede l’intervento di un soggetto, diverso da quello pianificatore, che provvede all’approvazione del piano con possibilità di modifica, così da garantire altri interessi di grado più elevato. L’atto semplicemente adottato incide però da subito sulle posizioni soggettive, consentendo una tutela giurisdizionale sull’atto prima della sua approvazione definitiva. Il provvedimento programmatorio può essere considerato atto ampliativo poiché, ai sensi dell’art. 4, ultimo comma, della L. 10/1977, la mancanza di pianificazione consente indici di fabbricabilità meramente simbolici. Gli effetti ampliativi si verificano, a mio avviso, anche dove l’azione amministrativa rimanda necessariamente a futuri provvedimenti ablatori. L’attribuzione di una qualifica giuridica è, infatti, di per se stessa attività ampliativa. Se poi l’azione della p.a. prevede un’attuazione diretta dello strumento, vedi il piano di zona, a tale effetto ampliativo subentra, successivamente, un effetto ablatorio che, peraltro, in via di indennizzo, deve garantire un’equa riparazione della sottrazione forzosa del bene. Questa, tuttavia, nel nostro sistema rimane un’evenienza subordinata ad interventi di natura particolare. L’intervento programmatorio trova, infatti, normale attuazione attraverso provvedimenti amministrativi − come la concessione edilizia − o attraverso le convenzioni contratto − come ad esempio, la convenzione di lottizzazione, le convenzioni relative al piano di recupero e quelle inerenti al piano integrato di recupero. Il provvedimento amministrativo influenza l’azione del privato regolata da atti aventi contenuti contrattuali. Lo schema procedimentale, sempre troppo lento rispetto ai ritmi richiesti oggi dalle attività produttive, tenta di capovolgere questo schema, ribaltandolo. L’attività di proposta di intervento − il cosiddetto accordo di programma − infatti, tende a porre esso stesso l’avvio di meccanismi di variante allo strumento di programmazione. Invece che dal provvedimento pianificatorio si parte dall’accordo fra soggetti attuatori, che possono essere pubblici o privati, per intervenire eventualmente a modificare, in sede attuativa, la stessa programmazione. 8. Il difensore civico. Il difensore civico è stato istituito dal legislatore regionale con la funzione di intervenire, a richiesta del singolo cittadino o di associazioni, presso l’amministrazione regionale, e presso gli altri enti locali della regione o delegati di funzioni regionali, per assicurare che il procedimento amministrativo si svolga regolarmente e secondo i tempi previsti. L’istituto è stato successivamente disciplinato dall’art. 8 della L. 142/1990 e ora dall’art. 11 del D.L.vo 18 agosto 2000, n. 267. Egli esercita, più che una funzione di tutela, una funzione di stimolo alle eventuali inerzie della pubblica amministrazione nella fase preparatoria del procedimento. Teoricamente potrebbe anche stimolare l’esercizio del potere di autotutela della pubblica amministrazione sull’annullamento di atti viziati. COMMENTO 49 Sostanzialmente non si tratta di una vera tutela perché l’amministrazione può tranquillamente non dare evasione alle richieste del difensore civico, il quale può tutt’al più segnalarlo nella sua relazione annuale al consiglio regionale. Le funzioni del difensore civico sono state raccordate con la L. n. 241/1990 dall’art. 15, L. 24 novembre 2000, n. 340, che attribuisce poteri di tutela nel procedimento di accesso,

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potendo la parte richiedere l’intervento del difensore civico sul diniego o sul silenzio del responsabile del procedimento. A tal punto in caso di omissione appare ben più efficace la tutela penale. L’art. 17, comma 39, della L. 127/1997 e ora l’art. 127 del D.L.vo 18 agosto 2000, n. 267, attribuisce al difensore civico comunale e provinciale, dalla data di rispettiva istituzione, il controllo eventuale di legittimità, sollecitato dalle minoranze, sugli atti della giunta, nei casi previsti dallo stesso articolo. Al difensore civico comunale e provinciale, dove nominati, è affidato per legge il controllo eventuale, su richiesta delle minoranze, in materia di appalti e affidamento di servizi o forniture di importo superiore alla soglia di rilievo comunitario, e di assunzione del personale, di piante organiche e delle relative variazioni. La dottrina ha sollevato obiezioni, soprattutto per quanto riguarda l’effetto e l’efficacia del controllo, poichè è lo stesso ente locale, comune o provincia, controllato, che nomina il difensore civico e cioè che sceglie in qualche modo il proprio controllore. T. MIELE, Meno controlli sugli atti delle regioni, in Guida al Dir., Dossier, 1997, n. 5, 147. Il controllo eventuale, su sollecitazione delle minoranze, finisce essenzialmente per essere inutile perché, se la maggioranza non ritiene di aderire alle richieste della minoranza, a quest’ultima non resta, almeno in sede amministrativa, altro strumento di tutela. Infatti il difensore civico, se ritiene che la deliberazione sia illegittima, ne dà comunicazione all’ente, entro quindici giorni dalla richiesta, e lo invita ad eliminare i vizi riscontrati; in tal caso, se l’ente non ritiene di modificare la delibera, essa acquista efficacia se viene confermata con il voto favorevole della maggioranza assoluta dei componenti del consiglio. 9. La tutela penale. L’esercizio dell’azione penale non è di per sé rimedio avverso un provvedimento o comportamento della amministrazione. Qualora però il giudice penale riconosca l’esistenza del reato e pronunci la sentenza di condanna questa può comportare o direttamente come pena accessoria l’interdizione dai pubblici uffici, ai sensi dell’art. 28 c.p., ovvero l’intervento dell’amministrazione che è tenuta a provvedere in via amministrativa, con l’applicazione di sanzioni amministrative. Si pensi ad un pubblico dipendente condannato per abuso d’ufficio, o alla condanna per un reato urbanistico. Quindi l’esercizio dell’azione penale può indurre la pubblica amministrazione ad esercitare i suoi poteri in maniera conforme alla legge anche se l’ambito di applicazione delle due normative resta autonomo ed indipendente. Resta comunque il fatto che l’amministratore si trova a rispondere anche sotto il profilo penale per un atto amministrativo e che i confini fra le due azioni a volte non esistono per cui sono entrambe ammissibili. 50 ACCESSO AL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO Si pensi all’omissione di atti d’ufficio art. 328 c.p., modif. dall’art. 16, L. n. 86/90 oltre al procedimento di diffida ad adempiere, ex art. 25 D.P.R. n. 3/1957: il funzionario può essere denunciato penalmente. 10. La semplificazione amministrativa nella L. n. 59/1997. La L. 59/1997, detta Bassanini dal nome del suo presentatore, introduce un profondo rinnovamento nella vita amministrativa del nostro Paese dando delega al governo di attuare un ampio conferimento di compiti e funzioni amministrative alle regioni, alle province, ai comuni e agli altri enti locali. La legge, inoltre, dà delega al governo di riordinare la presidenza del consiglio dei ministri, i ministeri − anche attraverso la loro soppressione o fusione − e gli enti pubblici nazionali. La legge Bassanini pone all’art. 20 le modalità per procedere alla delegificazione di norme concernenti procedimenti amministrativi, individuando nell’allegato i procedimenti da semplificare. Il governo ha l’obbligo di presentare entro il 31 gennaio di ogni anno un disegno di legge che individua i singoli procedimenti; dopo l’approvazione della legge i regolamenti sono emanati dal Presidente della Repubblica, previa delibera del Consiglio dei Ministri su proposta del presidente, previa acquisizione del parere delle competenti commissioni parlamentari e del Consiglio di Stato. I regolamenti devono semplificare i procedimenti amministrativi in modo da: − ridurre il numero delle fasi procedimentali e delle amministrazioni intervenienti;

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− ridurre i termini; − procedere ad una regolamentazione uniforme per i procedimenti dello stesso tipo che si svolgono presso amministrazioni diverse; − individuare le responsabilità delle procedure di verifica e di controllo; − prevedere, per i casi di mancato rispetto dei termini del procedimento, di mancata o ritardata adozione del procedimento forme di indennizzo automatico e forfetario a favore dei soggetti richiedenti il provvedimento; contestualmente individuare le modalità di pagamento e gli uffici che assolvono all’obbligo di corrispondere l’indennizzo, assicurando la massima pubblicità e conoscenza da parte del pubblico delle misure adottate e la massima celerità nella corresponsione dell’indennizzo. Alla L. 59/1997 sono seguite la L. 127/1997 detta Bassanini bis e la L. 191/1998 detta Bassanini ter. Particolarmente rilevanti sono le innovazioni apportate dalla L. 127/1997 in materia di procedimento amministrativo, vedi voce Accesso al procedimento amministrativo par. 4, e in materia di controllo sugli enti locali, vedi voce Enti locali par. 2.1. COMMENTO 51 LE FORMULE ACCESSO AL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO Formula n. 1

1 . CONTRODEDUZIONI A PROVVEDIMENTO DISCIPLINARE 1

AL SIG. PRESIDE DELLA SCUOLA MEDIA . . . Oggetto: provvedimento disciplinare avverso Prof. Scuola Media . . . del . . . prot. . . . Insegnante di ruolo di . . . Controdeduzioni In relazione al provvedimento in oggetto si presentano le seguenti controdeduzioni. Preliminarmente vale la pena di esaminare la legittimità del provvedimento del Preside della Scuola, che disponeva la prestazione di servizio per attività non di insegnamento (rilevazione biblioteche varie), definite “esigenze di servizio”. Si fa presente che l’attività didattica si era conclusa, avendo, come prescritto dalla legge, regolarmente avuto termine le lezioni ed essendo stati successivamente tenuti i relativi esami di licenza, finiti il . . . Quindi il sottoscritto, come pure i suoi colleghi, non era legittimamente tenuto a prestare alcuna ulteriore attività. Né queste attività erano state correttamente programmate, ai sensi dell’art. 14, comma 5 del D.P.R. n. 399/1988, sentito il Collegio dei docenti. L’ordine di servizio appare dunque illegittimo per carenza di potere; esso è inoltre contrario agli stessi precetti costituzionali, ex art. 24. Ciò premesso, non appare legittimo neppure il metodo di controllo dell’orario. Non è stato contestato immediatamente il ritardo, ove sussistente, per consentire di dare spiegazioni, ove dovute; né si è consentito, ove del caso, di regolarizzare la posizione richiedendo nelle forme dovute brevi permessi, ai sensi del D.P.R. n. 209/1987 art. 18, stante che il tipo di attività poteva consentire una articolazione dell’orario e visto che il sottoscritto, in particolare, non ha usufruito del limite annuo previsto di 18 ore. Si chiede pertanto la revoca del provvedimento. Lì, . . . Il ricorrente . . . Formula n. 1 ACCESSO AL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO 55 ACCESSO AL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO Formula n. 2

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2 . RICHIESTA DI ACCESSO Procedimento di controllo relativo alla denuncia di attività 2

AL SIG. SINDACO DEL COMUNE DI . . . Oggetto: Richiesta di accesso nel procedimento di controllo relativo alla denuncia di attività presentata dal signor . . . Il sottoscritto . . . residente . . . proprietario confinante . . . chiede ai sensi dell’art. 5, L. 241/1990, che gli sia indicato il nome del funzionario responsabile del procedimento di rilascio al fine di conoscere: − se la denuncia di inizio lavori è corredata da fotografie e disegni che rilevino la situazione di fatto; − se l’istanza è stata autorizzata dal proprietario dell’immobile ovvero è a firma del conduttore; − fa presente che a suo avviso la stessa istanza non poteva essere accolta, risultando essere stati effettuati lavori di ampliamento bisognevoli di concessione. Infatti è stato ampliato il precedente manufatto, che, peraltro, sembra essere stato realizzato senza concessione. In particolare la costruzione preesistente era costituita da un manufatto di piccole dimensioni, 2,5 m per 2,5 m, con altezza di m 2 circa, collegato con un muricciolo di circa un metro di altezza a confine della mia proprietà. Orbene il manufatto ed il muricciolo collegato sono stati alzati in altezza ed è stato realizzato un unico vano di m 2,5 per circa 10 m, alto da m 2,80 a circa m 3,30, al colmo, con apertura di finestra verso la mia proprietà. Tale situazione può essere provata con fotografie e testimonianze mie e di mia madre e altri frequentatori della casa. 56 ACCESSO AL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO Formula n. 2 Sono in attesa di accedere al procedimento per conoscere i provvedimenti di sospensione dei lavori e di riduzione in pristino da parte del comune, in carenza sarò costretto a trasmettere gli atti alla magistratura competente. Distinti saluti. Lì, . . . Il richiedente . . . Formula n. 2 ACCESSO AL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO 57 ACCESSO AL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO Formula n. 3

3 . RICHIESTA DI ACCESSO Diffida penale 3

Raccomandata R.R. AL RESPONSABILE DEL SERVIZIO . . . DEL COMUNE DI . . . Il sottoscritto . . ., nato il . . ., a . . ., residente in . . . via . . ., n . . . premesso − che in data . . . racc. n. . . . (o: prot. n. . . . del . . .) ha presentato a questo ente domanda avente ad oggetto: . . .; − che a distanza di . . . mesi non ha avuto nessuna risposta in relazione alla suddetta richiesta; ciò premesso, a norma dell’art. 328 del codice penale, così come modificato dall’art. 16 della legge 16 aprile 1990, n. 86,

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diffida il responsabile del competente servizio a compiere l’atto del suo ufficio o ad esporre le ragioni del ritardo entro il termine di giorni trenta dalla ricezione della presente richiesta, con l’avvertimento che in difetto sarà presentato esposto alla competente autorità giudiziaria. Lì, . . . Il ricorrente . . . �Ÿ �Ÿ �Ÿ Si riporta il testo dell’art. 328 c.p. così come modificato dall’art. 16 della legge 16 aprile 1990, n. 86: 58 ACCESSO AL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO Formula n. 3 «328. (Rifiuto di atti d’ufficio. Omissione). Il pubblico ufficiale, o l’incaricato di un pubblico servizio, che indebitamente rifiuta un atto del suo ufficio che, per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica, o di ordine pubblico o di igiene e sanità, deve essere compiuto senza ritardo, è punito con la reclusione da sei mesi a due anni. «Fuori dei casi previsti dal primo comma, il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che entro trenta giorni dalla richiesta di chi vi abbia interesse non compie l’atto del suo ufficio e non risponde per esporre le ragioni del ritardo, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a € 1.032. Tale richiesta deve essere redatta in forma scritta ed il termine di trenta giorni decorre dalla ricezione della richiesta stessa». Formula n. 3 ACCESSO AL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO 59 ACCESSO AL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO Formula n. 4

4 . RICHIESTA DI ACCESSO Pubblico concorso Intimazione ex art. 328 c.p. 4

AL SIGNOR SEGRETARIO DELLA COMMISSIONE PER IL CONCORSO A SEGRETARIO COMUNALE Il sottoscritto . . . residente a . . ., avendo partecipato al concorso a segretario comunale indetto con . . . ed avendo avuto notizia dell’esito sfavorevole della prova, chiede ai sensi dell’art. 25 della L. 241/90: − che gli sia comunicato il verbale relativo alla correzione dei compiti di diritto costituzionale, amministrativo e di diritto per gli enti locali; − che sia consegnata copia degli elaborati onde accertare le motivazioni del giudizio sfavorevole al fine di presentare eventuale ricorso. Ai sensi dell’art. 328 del c.p. comma 2 chiede che si provveda nei termini di trenta giorni dalla ricezione della richiesta. Lì, . . . Il richiedente . . . 60 ACCESSO AL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO Formula n. 4 ACCESSO AL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO Formula n. 5

5 . RICHIESTA DI ACCESSO E DI COPIA DI PROVVEDIMENTO Pubblico impiego 5

AL SIGNOR PRESIDE DELLA SCUOLA DI . . . Il sottoscritto . . . residente a . . . professore nella Scuola di . . ., che ha prestato periodo di prova nell’anno scolastico appena concluso, ai sensi dell’art. 58 del

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D.P.R n. 417/1974, essendo stato notiziato dell’esito sfavorevole della prova, chiede ai sensi della L. n. 241/90 che gli sia indicato il nome del funzionario responsabile del procedimento e che gli sia trasmessa copia del provvedimento sfavorevole al fine di presentare opportuna memoria al Provveditore agli Studi, nel procedimento amministrativo in corso. Fa presente che il diritto all’accesso è stato riconosciuto pur in carenza del regolamento previsto dall’art. 24 della L. n. 241/1990 dalla giurisprudenza amministrativa; si veda T.A.R. Lombardia, sez. Brescia, 26 marzo 1991, n. 268. Lì, . . . Il richiedente . . . Formula n. 5 ACCESSO AL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO 61 ACCESSO AL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO Formula n. 6

6 . RICORSO AL T.A.R. PER L’ANNULLAMENTO DEL PROVVEDIMENTO DI SOSPENSIONE DELL’ATTIVITÀ INTRAPRESA A SEGUITO DI DENUNCIA IN MATERIA DI COMMERCIO 6

AL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ricorso Del signor . . . rappresentato e difeso come da mandato in calce del presente ricorso dall’avvocato . . . del Foro di . . ., il quale elegge domicilio presso la segreteria del T.A.R. adito contro Il Sindaco del comune di . . . per l’annullamento 1) del provvedimento di sospensione dell’attività commerciale intrapresa a seguito di denuncia, ai sensi dell’art. 7, D.L.vo 31 marzo 1998, n. 114, e dell’art. 19, L. 241/1990. Fatto e diritto Il ricorrente, a mezzo del suo costituito legale rappresentante, fa presente quanto segue. Il ricorrente ha proceduto a inoltrare comunicazione di denuncia di inizio di attività al comune di . . . per l’apertura di un nuovo negozio di vicinato avente una superficie massima inferiore ai 250 mq, trattandosi di comune con più di diecimila abitanti. Per tali richieste l’art. 7 del D.L.vo 31 marzo 1998, n. 114 prevede la procedura del silenzio assenso: l’esercente è tenuto ad una semplice comunicazione al comune competente per territorio. Trascorsi 30 giorni egli può procedere. Orbene, con il provvedimento del . . . il comune ha vietato l’attività e ha rimosso gli effetti della denuncia presentata, asserendo che mancano i requisiti previsti dalla normativa. 62 ACCESSO AL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO Formula n. 6 La giurisprudenza ha rilevato che la comunicazione, con cui il sindaco, alcuni giorni dopo aver ricevuto la dichiarazione d’inizio dell’attività, ai sensi dell’art. 19, L. 7 agosto 1990, n. 241, informa l’imprenditore interessato dell’insussistenza dei presupposti per il relativo svolgimento, costituisce non già diniego di licenza commerciale, bensì un atto di autotutela recante l’inibizione a continuare l’attività. Cons. Stato, sez. V, 11 maggio 1998, n. 554, in Foro amm., 1998, 1403. Ciò posto si impugna il provvedimento comunale al fine di consentire, ottenutone l’annullamento, il legittimo esercizio dell’attività, che deve intendersi solo temporaneamente sospesa, per i seguenti motivi: 1) Eccesso di potere e contraddittorietà della motivazione.

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L’art. 19, L. 7 agosto 1990, n. 241 attribuisce alla p.a. il compito di valutare tutti gli aspetti della vicenda che il privato le comunica con la dichiarazione d’inizio dell’attività, nel senso che le esigenze di semplificazione sottese a detta norma comportano che, entro il termine decadenziale e nell’ambito di un unico procedimento di verifica, sia riscontrata la sussistenza dei presupposti e dei requisiti di legge. Cons. Stato, sez. V, 11 maggio 1998, n. 554, in Foro amm., 1998, 1403. È pacifico, infatti, il principio secondo cui la pubblica amministrazione può legittimamente inibire un’attività vietata o preclusa dalla normativa di settore, ma, nel caso di specie, il provvedimento si basa su presupposti che non sono supportati dal rigido riscontro dei dati normativi. Il provvedimento è motivato dal fatto che l’attività, che si vuole iniziare, comporta un notevole disturbo al quartiere. Alcuni cittadini hanno, a tale proposito, richiesto la sospensione dell’attività medesima. Nessun elemento è fornito, inoltre, in relazione ad una eventuale incompatibilità urbanistica dell’attività che si intende realizzare con la normativa di piano. T.A.R. Liguria sez. I, 24 giugno 1998, n. 288, in T.A.R., 1998, 3160; Cons. Stato, sez. V, 11 maggio 1998, n. 554, in Foro amm., 1998, 1403. P.Q.M. Voglia l’Ill.mo T.A.R. adito accogliere le seguenti conclusioni: 1) annullare il provvedimento di diniego di sospensione dell’attività commerciale intrapresa a seguito di denuncia ai sensi dell’art. 7, D.L.vo 31 marzo 1998, n. 114, e dell’art. 19, L. 241/1990 e disporre il legittimo esercizio della medesima. Spese ed onorari rifusi. Si producono i seguenti documenti: 1) provvedimento di diniego. Formula n. 6 ACCESSO AL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO 63 2) denuncia di inizio di attività al comune di . . . Lì . . . Avv. . . . Delego a rappresentarmi ed assistermi nel presente giudizio, con tutti i poteri di cui all’art. 84 c.p.c., l’avvocato . . . eleggendo mio domicilio presso la segreteria del T.A.R. adito. Lì, . . . Il ricorrente . . . Per autentica Avv . . . RELAZIONE DI NOTIFICA A richiesta dell’avv. . . . io sottoscritto assistente UNEP addetto al Tribunale di . . . certifico di aver notificato il suesteso atto al Sindaco pro tempore del comune di . . . 64 ACCESSO AL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO Formula n. 6 ACCESSO AL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO Formula n. 7

7 . RICORSO AL T.A.R. PER L’ESIBIZIONE DI DOCUMENTI AMMINISTRATIVI 7

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE . . . Ricorso del signor . . . rappresentato e difeso come da mandato in calce al presente ricorso dall’avvocato . . . con studio legale in . . . via . . . presso il quale elegge il proprio domicilio contro l’amministrazione comunale di . . . in persona del sindaco legale rappresentante

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pro tempore . . . per l’esibizione di documenti amministrativi afferenti la concessione edilizia rilasciata a . . . Fatto e diritto Il ricorrente ha avuto notizia del rilascio di concessione edilizia rilasciata a . . ., proprietario confinante con la sua residenza, in attuazione di piano di recupero. Ad un primo esame la concessione apparve illegittima e pertanto, al fine di valutare se procedere ad impugnativa il ricorrente, procedeva a richiedere in data . . ., con raccomandata r.r., oltre al nominativo del responsabile del procedimento, il rilascio di copia della concessione e degli elaborati di progetto della convenzione di recupero. Poiché sono decorsi 30 giorni dalla richiesta senza avere ottenuto dal responsabile del procedimento alcuna risposta, il ricorrente impugna il silenzio rifiuto dell’amministrazione per il seguente motivo: 1) illegittimità per violazione di legge. L’art. 25 della legge n. 241/1990 prevede infatti l’obbligo dell’ammistrazione di esibire i documenti che non siano espressamente esclusi dal regolamento adottato dall’amministrazione medesima per i motivi espressamente previsti dalla legge n. 241/1990 citata. 3 Formula n. 7 ACCESSO AL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO 65 P.Q.M. voglia l’Ill.mo T.A.R. adito, in camera di consiglio, uditi i difensori del ricorrente che ne fanno espressa richiesta col presente ricorso, ed in accoglimento del presente ricorso ordinare l’esibizione dei documenti richiesti Si produce: 1) richiesta rituale di esibizione. Spese ed onorari rifusi. Lì, . . . Avv . . . Io sottoscritto . . . nato a . . . il . . . delego a rappresentarmi e difendermi nel presente giudizio, con tutti i poteri di cui all’art. 84 c.p.c. l’avvocato . . . presso il cui studio eleggo domicilio. Lì, . . . Il ricorrente . . . Per autentica Avv . . . RELAZIONE DI NOTIFICA A richiesta del signor . . . io sottoscritto assistente UNEP addetto all’ufficio notifiche esecuzioni e protesti del Tribunale di . . . certifico di aver notificato il suesteso atto al . . . 66 ACCESSO AL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO Formula n. 7 ACCESSO AL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO Formula n. 8

8 . RICORSO AL PRESIDENTE T.A.R. PER L’ESIBIZIONE DI DOCUMENTI AMMINISTRATIVI IN PENDENZA DI RICORSO GIURISDIZIONALE 8

PRESIDENTE TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Istanza Del sig. . . . rappresentato e difeso come da mandato in calce al presente ricorso

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dall’avvocato . . . con studio legale in . . . via . . . presso il quale elegge il proprio domicilio contro L’amministrazione comunale di . . . in persona del sindaco . . . legale rappresentante pro tempore . . . per l’esibizione di documenti amministrativi afferenti la concessione edilizia rilasciata a . . . Fatto e diritto Il ricorrente ha impugnato il piano di recupero approvato dal comune di . . . in data . . . con ricorso n. . . . giacente presso questa sezione del T.A.R. . . . Avendo avuto notizia del rilascio di concessione edilizia al proprietario confinante alla sua residenza in attuazione del piano di recupero impugnato ha provveduto a richiedere al Comune . . . i documenti amministrativi afferenti la concessione edilizia rilasciata a . . . e segnatamente il rilascio di copia della concessione , degli elaborati di progetto e di copia della convenzione di recupero, con raccomandata r.r., oltre al nominativo del responsabile del procedimento. È evidente lo scopo della richiesta che tende, ex art. 21, comma 1, L. 6 dicembre 1971, n. 1034, mod. art. 1, , comma 1, L. 21 luglio 2000, n. 205, a verificare la legittimità dell’atto per giungere, in caso contrario, all’impugnazione con motivi aggiunti del successivo provvedimento amministrativo. Poiché sono decorsi 30 giorni dalla richiesta senza avere ottenuto dal responsabile del procedimento alcuna risposta, il ricorrente impugna il silenzio rifiuto dell’amministrazione per i seguenti motivi. 1) Illegittimitàper violazione di legge. Formula n. 8 ACCESSO AL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO 67 L’art. 25 della L. 241/1990 prevede, infatti, l’obbligo dell’amministrazione di esibire i documenti che non siano espressamente esclusi dal regolamento adottato dall’amministrazione medesima per i motivi espressamente previsti dalla legge 241 citata. P.Q.M. Voglia l’ill.mo T.A.R adito , in camera di consiglio, uditi i difensori del ricorrente che ne fanno espressa richiesta col presente ricorso, ed in accoglimento del presente ricorso ordinare l’esibizione dei documenti richiesti Si produce 1) richiesta rituale di esibizione Spese ed onorari rifusi. Lì, . . . Avv. . . . Mandato Io sottoscritto . . . nato a . . . il . . . delego a rappresentarmi e difendermi nel presente giudizio, con tutti i poteri di cui all’art. 84, c.p.c., l’avvocato . . . presso il cui studio eleggo domicilio. Lì, . . . Il ricorrente . . . Per autentica Avv. . . . RELAZIONE DI NOTIFICA A richiesta del sig. . . . io sottoscritto ufficiale giudiziario addetto al tribunale di . . . certifico di aver notificato il suesteso atto all’amministrazione comunale ed al controinteressato. 68 ACCESSO AL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO Formula n. 8

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ACCESSO AL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO Formula n. 9

9 . OMISSIONE ALLA RICHIESTA DI ACCESSO A PUBBLICO CONCORSO. ESPOSTO PENALE 9

PROCURA DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI . . . Il sottoscritto . . . residente a . . . ha richiesto con nota al signor segretario della commissione per il concorso a segretario comunale che gli sia comunicato il verbale relativo alla correzione dei compiti di diritto costituzionale, amministrativo e di diritto per gli enti locali e ha diffidato espressamente il responsabile del procedimento ai sensi del art. 328, comma 2, c.p. Poiché, trascorso il termine di trenta giorni dalla richiesta, lo scrivente non ha ricevuto alcuna risposta si chiede alla S.V. di voler ravvisare, qualora ricorrano gli estremi, il reato di cui all’art. 328 c.p. Con osservanza. Lì, . . . Il richiedente . . . Allegati: 1) Diffida a provvedere . . . . . . Formula n. 9 ACCESSO AL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO 69 ACCESSO AL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO Formula n. 10

10 . PROVVEDIMENTO DI ANNULLAMENTO DI AUTORIZZAZIONE DA PARTE DEL MINISTERO PER I BENI CULTURALI E AMBIENTALI 10

MINISTERO PER I BENI CULTURALI E AMBIENTALI Visto l’art. 7 del D.L.vo 29 ottobre 1999, n. 490. Vista l’autorizzazione n. . . . del . . . della regione che consente la realizzazione di opere edilizie in zona soggetta a vincolo ambientale. Vista la comunicazione di avvio del procedimento, di cui all’art. 7, L. 7 agosto 1990, n. 241, per il procedimento di annullamento dell’autorizzazione da considerarsi obbligatoria. Viste le osservazioni fornite dal soggetto passivo del procedimento. Ritenuto che l’autorizzazione è illegittima poiché in contrasto col piano paesistico approvato dalla regione il . . . Dispone 1) l’annullamento della autorizzazione regionale; 2) la sospensione dei lavori; 3) si riserva di adottare gli opportuni provvedimenti di ripristino; 4) ordina la notifica del presente provvedimento al proprietario interessato, alla regione, al sindaco del comune di . . ., per i provvedimenti di competenza. Lì, . . . Il Ministro . . . 70 ACCESSO AL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO Formula n. 10 ACCESSO AL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO Formula n. 11

11 .

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PROVVEDIMENTO DI ANNULLAMENTO DI AUTORIZZAZIONE REGIONALE PER INTERVENTI IN AREE PROTETTE, EX ART. 151, D.L.VO 29 OTTOBRE 1999, N. 490 11

AL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ricorso Del signor . . . rappresentato e difeso come da mandato in calce al presente ricorso dall’avvocato . . . del Foro di . . ., il quale elegge domicilio presso la segreteria del T.A.R. Lazio contro Il Ministro per i beni culturali e ambientali per l’annullamento 1) del provvedimento di annullamento di autorizzazione regionale per interventi in aree protette ex art. 151, D.L.vo 29 ottobre 1999, n. 490. Fatto e diritto Il ricorrente, a mezzo del suo costituito legale rappresentante, fa presente quanto segue. Coll’autorizzazione n. . . . del . . . della regione sono state consentite la realizzazione di opere edilizie in zona soggetta a vincolo ambientale. Successivamente, il Ministro per i beni culturali e ambientali ha ritenuto che l’autorizzazione è illegittima poiché in contrasto col piano paesistico approvato dalla stessa regione il . . . ed ha intimato l’annullamento della autorizzazione regionale. Ad avviso del ricorrente l’annullamento della autorizzazione è stato disposto quando erano scaduti i termini assegnati perentoriamente dal legislatore per l’esercizio del potere sostitutivo, senza le dovute motivazioni, ma con generico rinvio a norme di legge. Formula n. 11 ACCESSO AL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO 71 Ciò posto si impugna il provvedimento del Comitato regionale di controllo per i seguenti motivi: 1) Violazione ed errata applicazione del procedimento, ex art. 151, D.L.vo 29 ottobre 1999, n. 490. Il provvedimento di annullamento dell’autorizzazione paesaggistica, rilasciata dalla regione ai sensi dell’art. 151, D.L.vo 29 ottobre 1999, n. 490, deve essere emanato nel termine perentorio di 60 giorni previsto dall’art. 151, D.L.vo 29 ottobre 1999, n. 490. Orbene, nel caso di specie, fra la effettiva comunicazione degli atti al Ministero e la adozione del provvedimento è trascorso un anno; il provvedimento stesso, pertanto, deve considerasi illegittimo. 2) Eccesso di potere per avere esercitato la funzione al di fuori dell’ambito di competenza. Le motivazioni che sorreggono il provvedimento di annullamento confermano che l’intervento ministeriale non è stato giustificato da interessi di tipo ambientale, ma dalla volontà di dare alla zona un assetto urbanistico diverso da quello previsto dalle disposizioni di piano. P.Q.M. Voglia l’Ill.mo T.A.R. adito accogliere le seguenti conclusioni: 1) annullare il provvedimento di annullamento; 2) disporre la revoca della sospensione dei lavori. Spese ed onorari rifusi. Si producono i seguenti documenti: 1) provvedimento di annullamento; 2) estratto di piano paesistico. Lì, . . . Avv. . . .

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Delego a rappresentarmi ed assistermi nel presente giudizio, con tutti i poteri di cui all’art. 84 c.p.c., l’avvocato . . . eleggendo mio domicilio presso la segreteria del T.A.R. adito. 72 ACCESSO AL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO Formula n. 11 Lì, . . . Il ricorrente . . . Per autentica Avv . . . RELAZIONE DI NOTIFICA A richiesta dell’avv. . . . io sottoscritto assistente UNEP addetto al Tribunale di . . . . certifico di aver notificato il suesteso atto al Ministro pro tempore per i beni culturali e ambientali. Formula n. 11 ACCESSO AL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO 73 ACCESSO AL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO Formula n. 12

12 . RICHIESTA DI INTERVENTO AL DIFENSORE CIVICO 12

AL DIFENSORE CIVICO DI . . . Il sottoscritto . . . residente a . . . esercente di agenzia di viaggio ha provveduto a versare all’atto della domanda di autorizzazione all’esercizio dell’attività la somma di euro . . . all’Assessorato Regionale per il Turismo. Successivamente, avendo cessato l’attività, ha richiesto al citato Assessorato la restituzione del deposito. Poiché a tutt’oggi il procedimento amministrativo di restituzione non si è ancora concluso chiede l’intervento di codesto spett.le ufficio del Difensore civico affinché voglia sollecitare l’amministrazione alla tempestiva conclusione del procedimento. Con osservanza. Lì, . . . Il richiedente . . . 74 ACCESSO AL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO Formula n. 12 ACCESSO AL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO Formula n. 13

13 . MODELLO DI ACCORDO DI PROGRAMMA 13

ACCORDO PER L’ATTUAZIONE DEL PROGRAMMA INTEGRATO NEL COMUNE DI . . . VIA . . . LOCALITÀ . . . L’anno 20. . . il mese di . . . il giorno . . . nella sede municipale del Comune di . . . tra il Comune . . . codice fiscale . . . rappresentato da . . . il quale interviene nella sua qualità di Sindaco del Comune predetto, autorizzato col presente atto con deliberazione del Consiglio Comunale n. . . . del . . ., esecutiva a termini di legge, e l’Impresa . . . con sede in . . . rappresentata dal signor . . . nato a . . . la Cooperativa . . . con sede in . . . rappresentata dal signor . . . nato a . . . il Consorzio . . . con sede in . . . rappresentato dal signor . . . nato a . . . premesso − che la Regione con deliberazione del Consiglio Regionale n. . . . del . . ., esecutiva a termini di legge, ha promosso la formazione di programmi integrati nell’ambito

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del programma di edilizia residenziale pubblica per il biennio, ai sensi dell’art. . . . della legge n. . . . (Bollettino Ufficiale della Regione n. . . .); − che il Comune, in esecuzione della sopracitata deliberazione, con propria delibera consiliare n. . . . del . . ., esecutiva a termini di legge, ha proposto alla Provincia il programma integrato relativo a . . . − che la Provincia ha ritenuto di proporre alla regione tale iniziativa nell’ambito del programma provinciale di localizzazione delle risorse dell’edilizia residenziale pubblica per il biennio, approvato con deliberazione del Consiglio provinciale n. . . . del . . ., controllata senza rilievi dal CORECO nella seduta del . . . prot. n. . . .: − che la Regione con delibera del Consiglio Regionale n. . . . del . . . controllata senza rilievi dalla . . . nella seduta del . . . prot. n. . . . pubblicata sul Bollettino Ufficiale della Regione n. . . . del . . . ha approvato il programma operativo regionale Formula n. 13 ACCESSO AL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO 75 degli interventi in cui, fra gli altri, risulta localizzato il sopraindicato programma comunale relativamente ai seguenti finanziamenti: intervento di euro . . . realizzato da . . . finanziato per euro . . . da . . . intervento di euro . . . realizzato da . . . finanziato per euro . . . da . . . tutto ciò premesso, tra le parti, come sopra individuate, si stabilisce quanto segue: Art. 1. − Il presente accordo di programma disciplina i rapporti conseguenti all’approvazione del programma integrato (approvato con deliberazione del Consiglio Comunale n. . . .) del . . . avente le caratteristiche di cui al punto . . . del paragrafo . . . della deliberazione del Consiglio Regionale n. . . . del . . ., in quanto trattasi . . . Art. 2. − Oggetto dell’accordo. Descrizione del programma integrato, relativi operatori e finanziamenti. Il presente accordo ha per oggetto l’attuazione del sottodescritto programma integrato. Il programma integrato consiste nei seguenti interventi: − i sopraindicati interventi saranno rispettivamente realizzati dai seguenti soggetti attuatori; − gli interventi medesimi saranno attuati con i seguenti finanziamenti: . . . . . . Art. 3. − Tempi di attuazione del programma integrato. Premesso che il programma integrato oggetto del presente accordo ha caratteristiche di unitarietà finalizzate a obiettivi di riqualificazione urbana e ambientale, i tempi della sua attuazione devono essere rigidamente i seguenti: per gli interventi assistiti dal contributo pubblico, i termini di realizzazione sono quelli previsti dai rispettivi provvedimenti concessori; in particolare, per quanto riguarda gli interventi citati nel programma operativo regionale, i tempi di attuazione per il conseguimento dei previsti benefici sono quelli ivi indicati. Per i restanti interventi dovranno essere osservati i medesimi tempi di attuazione degli interventi assistiti dal finanziamento regionale. 76 ACCESSO AL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO Formula n. 13 Art. 4. − Compiti del Comune. Ai fini del rispetto dei tempi e delle modalità di attuazione del programma integrato, il Comune si obbliga a: − sovraintendere, coordinare, vigilare in tutte le fasi la corretta attuazione del programma integrato approvato dal Consiglio comunale con la delibera sopracitata,

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anche assistendo, nell’ambito della propria competenza, gli operatori nello svolgimento dei compiti assegnati dall’art. 5; − reperire le convenzioni previste dalla legge in relazione a diversi tipi di interventi, eventuali contratti, per l’ulteriore disciplina dei rapporti tra Comune e singoli operatori, recependo anche i contenuti del presente accordo; − controllare la corretta esecuzione della convenzione con particolare riguardo ai prezzi di cessione e ai canoni di locazione degli alloggi fruenti di agevolazioni; − predisporre tutti gli atti necessari per la realizzazione delle opere indicate nel precedente art. 2. Ai fini della concreta realizzazione del programma, il Comune si impegna a: . . . Art. 5. − Obblighi degli operatori. Ai fini dell’attuazione del programma, gli operatori si obbligano, ciascuno per le parti di propria competenza, a: − predisporre i progetti esecutivi secondo quanto previsto dal programma integrato; − espletare e perfezionare ogni adempimento procedurale e documentale necessario all’attuazione degli interventi; − attuare il programma costruttivo secondo le modalità stabilite nel presente accordo; − curare i rapporti con la Regione e gli istituti mutuanti al fine del conseguimento dei benefici previsti; − stipulare con il Comune le prescritte convenzioni, o comunque appositi contratti, che disciplinino tempi, prezzi, modalità di esecuzione degli interventi e sanzioni per i casi di inadempienza. In particolare: l’Impresa si impegna a . . . la Cooperativa si impegna a . . . il Consorzio si impegna a . . . Art. 6. − Ulteriori impegni per l’attuazione del programma. Art. 7. − Regolamentazione di altre intese per l’assegnazione o cessione degli alloggi. Formula n. 13 ACCESSO AL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO 77 Art. 8. − Ritardi, inadempienze e sanzioni. Qualora l’attuazione del programma integrato proceda in difformità dalle modalità di cui al presente accordo di programma, dai contenuti e dalle finalità indicate in sede di programma operativo regionale, ovvero nella realizzazione degli interventi costruttivi non sono rispettati i termini previsti dalla vigente legislazione in materia di edilizia agevolata e sovvenzionata, per motivi imputabili ad uno o più soggetti attuatori, il Comune, a norma e per gli effetti di cui all’articolo 1454 del codice civile diffida il soggetto attuatore inadempiente, a mezzo lettera raccomandata con ricevuta di ritorno ad adempiere agli obblighi contratti entro . . . un termine stabilito, dandone notizia alla Regione. Trascorso inutilmente il termine fissato nella diffida, il Comune dichiara risolto l’accordo limitatamente alla parte inadempiente, salvo il risarcimento del danno, segnalando alla Regione tale provvedimento. Contestualmente propone, se possibile, la sostituzione del soggetto attuatore inadempiente, nel caso sussistano ancora le condizioni per l’attuazione del programma integrato, oppure propone uno stralcio del medesimo, purché permangano le caratteristiche di riqualificazione urbana ed ambientale precedentemente assicurate. La Regione esaminerà la delibera consiliare recante la proposta di modifiche del programma integrato e adotterà i provvedimenti conseguenti, procedendo alla revoca di tutti i finanziamenti, qualora non sussistano più i requisiti essenziali del programma medesimo, sanzionando altresì in tale sede l’esclusione del soggetto inadempiente da futuri benefici in materia.

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Art. 9. − Attribuzione benefici. Il finanziamento della Regione si intende al programma integrato approvato dal Comune e non dai singoli operatori. Pertanto i singoli operatori non potranno beneficiare delle agevolazioni conseguenti, se non nell’ambito dell’attuazione del programma integrato. Eventuali proroghe ai tempi di attuazione dell’intero programma integrato, non conseguenti alle cause indicate dall’art. 8, saranno richieste dal Comune alla Regione, la quale valuterà di volta in volta la concessione delle medesime. Art. 10. − Procedure per l’erogazione dei finanziamenti. L’erogazione delle agevolazioni e dei finanziamenti avverrà secondo quanto prescritto dalle norme vigenti in materia di edilizia residenziale. Art. 11. − Durata dell’accordo. L’accordo ha la durata di anni 5 ed è prorogabile ad anni 19 nel caso di interventi di particolare complessità. 78 ACCESSO AL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO Formula n. 13 Art. 12. − Registrazione. Le spese di registrazione del presente accordo e di tutti gli altri atti necessari per l’attuazione del programma sono a completo carico dei soggetti attuatori. Lì, . . . Firma delle parti . . . Formula n. 13 ACCESSO AL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO 79 2. GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA IL COMMENTO 2. GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA SOMMARIO: 1. Diritti soggettivi ed interessi legittimi. − 2. I criteri di ripartizione della giurisdizione. − 3. La competenza del giudice amministrativo. − 3.1. La competenza per territorio. − 3.1.1. L’istanza per regolamento di competenza. − 3.2. Legittimità. − 3.3. Merito. − 4. Il giudizio di ottemperanza − 4.1. La esecuzione della sentenza di primo grado. − 5. La giurisdizione esclusiva. − 5.1. La giurisdizione del giudice amministrativo dopo la riforma del D.L.vo 80/1998 e della L. 205/2000. Il risarcimento del danno causato da provvedimenti illegittimi. − 5.1.1. Le controversie in materia di pubblici servizi. − 5.1.2. Le controversie in materia di urbanistica ed edilizia. − 5.1.3. Le controversie in materia di espropriazione ed occupazione d’urgenza. − 5.1.4. Le controversie in materia di pubblico impiego. − 6. La tutela sul silenzio dell’amministrazione. − 6.1. La tutela del silenzio disposta dall’art. 2, L. 205/2000. − 6.2. Il rilievo penale del silenzio. − 7. Il contenuto del ricorso giurisdizionale. I motivi aggiunti. − 7.1. Bolli e tasse. − 7.2. Le innovazioni portate dalla L. 23 dicembre 1999, n. 488. − 7.3. La notifica. − 7.4. La riduzione dei termini del giudizio sui provvedimenti riguardanti le opere pubbliche nella L. 205\2000. − 7.4.1. Il rito speciale introdotto dalla L. 205/2000. − 7.4.2. Le misure cautelari. − 7.4.3. L’appello per i procedimenti oggetto di rito speciale. − 8. Il controinteressato. − 9. Il deposito del ricorso. L’instaurazione del giudizio. Il controricorso. − 9.1. Il ricorso incidentale. − 9.2. L’intervento ad adiuvandum e ad opponendum. − 10. L’istruttoria. − 10.1. La fissazione d’udienza. − 11. Il giudizio. La rinuncia. − 12. Pronunce dichiarative della cessazione del giudizio. − 13. Questioni incidentali. − 14. Tutela cautelare. − 14.1. Le misure cautelari introdotte dalla L. 205/2000. − 15. La sentenza. La forma semplificata. − 16. I ricorsi. − 16.1. Ricorso per revocazione. − 16.2. L’appello al Consiglio di Stato. − 16.2.1. Gli effetti della sentenza di annullamento con rinvio. − 16.3 L’opposizione di terzo. − 17. Rimedi contro le sentenze del Consiglio di Stato. − 17.1. Ricorso per revocazione. − 17.2. Ricorso per Cassazione. 1. Diritti soggettivi ed interessi legittimi. La tutela giurisdizionale nei confronti degli atti amministrativi è prevista in forma differenziata a seconda del tipo di lesione alle posizioni giuridiche del ricorrente; si suole distinguere fra diritti soggettivi ed interessi legittimi. Il diritto soggettivo trova diverso inquadramento nella dottrina: per taluni (VIRGA) consiste nella facoltà di agire, per altri (ALLORIO) si riscontra nella pretesa giurisdizionale che l’ordinamento gli riconosce, altri ancora (PUGLIATTI) intendono per diritto soggettivo il potere attribuito al soggetto dall’ordinamento giuridico così come disciplinato dalle norme. P. VIRGA, Diritto amministrativo. Atti e ricorsi 1987, 174. Il diritto soggettivo può riguardare i diritti reali, come il diritto di proprietà, ovvero i diritti sulla persona, come il diritto all’integrità fisica, ovvero i diritti obbligatori, come le

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obbligazioni che derivano dai contratti. Quando si fa questione su questi diritti le relative controversie vengono deferite al giudice ordinario anche se vi è interessata una amministrazione pubblica. È affidata al giudice ordinario la giurisdizione nelle controversie su diritti soggettivi, salvo l’ipotesi di giurisdizione esclusiva, nel qual caso il giudice amministrativo giudica congiuntamente anche sui relativi diritti soggettivi. L’interesse legittimo trova fondamento nella pretesa di legittimità dell’atto amministrativo (VIRGA); alcuni autori ne accentuano l’aspetto processuale identificandolo con l’interesse al ricorso (SATTA). P. VIRGA, Diritto amministrativo, Atti e ricorsi 1987, 176. Si qualifica interesse legittimo la posizione giuridica del privato sottoposta all’azione amministrativa sia in rapporto ad una particolare compressione del suo diritto soggettivo, che viene degradato ad interesse legittimo, sia in rapporto alla normale azione della pubblica amministrazione. Il diritto soggettivo sotto l’azione amministrativa subisce un affievolimento e viene limitato nella sua possibilità di esercizio e di tutela. Il soggetto titolare ha pertanto un interesse qualificato legittimo alla tutela in rapporto alle norme che guidano l’azione amministrativa. Ad esempio, il diritto del proprietario in rapporto alla procedura di pubblica utilità risulta affievolito ed il proprietario ha un mero interesse legittimo alla regolare attuazione del procedimento. Il concetto di interesse legittimo è di carattere generale. Esso è rapportato alla stessa azione amministrativa il cui esercizio fa sorgere degli interessi qualificati legittimi nei privati coinvolti anche a prescindere da diritti soggettivi preesistenti. Ad esempio, si pensi ad un pubblico concorso di assunzione che fa sorgere in chi vi partecipa l’interesse legittimo all’esercizio dell’azione amministrativa che si concretizza nel censurare i poteri dell’amministrazione; esso, in tal caso, coincide con l’interesse generale ad una corretta gestione delle pubbliche assunzioni. Del pari l’illegittima aggiudicazione di un appalto incide sull’interesse legittimo del concorrente e coincide coll’interesse generale alla buona amministrazione nell’affidamento dei lavori pubblici. Sono gli effetti stessi dell’azione della amministrazione sui vari soggetti che ne vengono coinvolti che qualifica la posizione di interesse. Non ogni provvedimento qualifica legittimo l’interesse del soggetto che ne risulta interessato. Ad esempio, nelle gare di appalto solo i partecipanti hanno posizioni di interesse legittimo, non le imprese che non hanno partecipato. I soggetti che pur risentono indirettamente degli effetti dell’azione amministrativa hanno un mero interesse alla legittimità dell’azione che non è azionabile. La distinzione fra mero interesse ed interesse legittimo richiede come requisiti per l’interesse legittimo la concretezza, l’immediatezza e l’attualità. Alla classificazione tradizionale fra interessi legittimi veri e propri e diritti soggettivi affievoliti a interessi legittimi per l’azione dell’amministrazione sono seguite altre per qualificare l’interesse legittimo e per evidenziarne le possibilità di tutela. Si distingue fra interessi oppositivi o statici per indicare quegli interessi che comportano l’affermazione di una pretesa ad un comportamento negativo dell’amministrazione; mentre si qualificano pretensivi, dalla definizione fornita dalla giurisprudenza, quegli interessi visti in chiave dinamica che sottintendono la richiesta di un comportamento positivo. Ad esempio, l’annullamento di un provvedimento negativo su di una richiesta di concessione edilizia comporta un interesse pretensivo ad una delibera comunale che recepisca gli indirizzi del T.A.R., qualora sia mutata la situazione urbanistica allora vigente. Agli interessi collettivi di cui sono titolari lo Stato e gli altri enti pubblici si contrappongono gli interessi diffusi di cui sono portatori soggetti od associazioni non determinati. 86 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA Si tenta così di allargare il concetto di personalità dell’interesse per consentire una maggiore possibilità di tutela nei confronti dei provvedimenti della amministrazione. Ad esempio la L. n. 349/1986 riconosce ad associazioni di protezione ambientale la possibilità di ricorrere contro i provvedimenti lesivi dell’ambiente. 2. I criteri di ripartizione della giurisdizione. La non sempre netta distinzione fra diritti soggettivi e interessi legittimi ha suggerito alla giurisprudenza

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taluni criteri di distinzione per rendere più chiara la giurisdizione di ciascun giudice. Là dove il confine fra interessi e diritti è più difficile da individuare vi è stata una attrazione nell’orbita del giudice amministrativo, attraverso l’individuazione di una giurisdizione esclusiva di questioni che, se deferite al giudice ordinario, avrebbero reso più complicata la tutela giurisdizionale. Ad esempio in tema di concessioni. Il criterio di ripartizione più diffuso è quello relativo alla distinzione fra norme di azione e norme di relazione enunciato brillantemente dalla migliore dottrina. E. GUICCIARDI, La giustizia amministrativa 1957, 10. Le norme di azione sono quelle che regolano l’azione amministrativa: gli interessati hanno solo un interesse legittimo alla censura dei procedimenti e dei provvedimenti, anche quando tale azione esplica effetti su diritti soggettivi che vengono compressi e affievoliti al rango di interessi legittimi. Le norme di relazione sono quelle che disciplinano i rapporti fra privati e amministrazione ponendoli su di un piano di sostanziale parità come se l’amministrazione agisse iure privatorum. Questo si verifica non solo quando l’amministrazione agisce nell’ambito di rapporti privati, regolati dal diritto civile. Il criterio enunciato presenta pur sempre una certa difficoltà visto che nell’ambito di una disciplina legislativa del procedimento amministrativo, ad esempio nell’espropriazione per pubblica utilità, si ravvisano norme di azione, quelle procedimentali, e norme di relazione, quelle che fissano l’indennità. In molti casi, opportunamente, il legislatore interviene fissando, in questa ipotesi espressamente, la competenza del giudice ordinario, nella specie la Corte d’Appello. È da notare che talvolta la differenziazione è estremamente complicata. Ad esempio, il ricorso per l’attribuzione di una qualifica nel settore del pubblico impiego comporta anche un risvolto di contenuto patrimoniale e discende da norme che potremmo definire di relazione, quali gli accordi di comparto. In questo caso il legislatore risolve il problema attribuendo la giurisdizione esclusiva al giudice amministrativo che giudica di diritti e interessi, salvi i diritti patrimoniali conseguenziali riservati al giudice ordinario. Un altro criterio si basa esclusivamente sulla definizione della causa petendi, nel senso che evidenzia a priori la natura della controversia e ciò a volte non appare sufficiente come criterio differenziatore. In alcune ipotesi la natura della controversia è condizionata dal criterio per la definizione della giurisdizione dalla stessa richiesta di tutela (petitum) fatta dall’attore per i diversi effetti che ne derivano. COMMENTO 87 Ad esempio se il proprietario di un immobile è leso nel suo diritto dal confinante che ha costruito in spregio alle norme sulle distanze, egli potrà richiedere al giudice amministrativo l’annullamento della relativa concessione, per violazione delle norme di azione, ossia delle norme di piano che regolano l’azione amministrativa, ovvero potrà richiedere al giudice ordinario il rispetto del suo diritto di proprietà, norme di relazione, attraverso la restituzione in pristino ed il risarcimento relativo. Si ritiene che non si debba neppure parlare di disapplicazione della concessione essendo garantita la tutela per violazione delle norme sulle distanze. La diversità della tutela accordata ha spinto taluni a riconoscere nella richiesta del privato il criterio stesso della ripartizione della giurisdizione. Questo criterio di distinzione è stato elaborato nella teoria della prospettazione secondo la quale è lo stesso ricorrente che individua la giurisdizione prospettando la lesione di un suo diritto ovvero di un suo interesse legittimo. Non appare accettabile tale criterio che si fonda sulla richiesta del ricorrente senza che sia ammessa una indagine sulla natura stessa del diritto o dell’interesse su cui si controverte. Il D.L.vo n. 80/1998 supera il criterio tradizionale di riparto della giurisdizione basata sulla distinzione fra diritti soggettivi ed interessi legittimi identificando per legge le materie oggetto della giurisdizione amministrativa e crea una giurisdizione generale di legittimità comprensiva dell’esame delle eventuali richieste di risarcimento del danno. V. CARBONE, Le nuove frontiere della giurisdizione sul risarcimento del danno da atto amministrativo illegittimo della P.A., in Corr. giur. 2000, 1142.

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3. La competenza del giudice amministrativo. Il giudice amministrativo ha una competenza differenziata nei confronti degli atti impugnati. P. VIRGA, Diritto amministrativo II, 1987, 273. Su tutti gli atti egli ha un controllo di legittimità, ossia di controllo che l’atto non sia viziato da incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge, che sfocia in una pronuncia di annullamento. Il giudice amministrativo non può sindacare gli atti che rientrano nella discrezionalità dell’amministrazione. Rientra in questa sfera anche la discrezionalità tecnica. Essa si differenzia da quella amministrativa solo con riferimento al suo oggetto.La prima attiene ad una potestà esercitata in conformità ad una scelta tecnica, ritenendo per tale, secondo l’uso corrente, qualsiasi giudizio espresso sulla base di una scienza specialistica, ad eccezione delle scienze giuridiche e dell’amministrazione. La seconda attiene, invece, ad una potestà esercitata in conformità ad una scelta di pura opportunità. Nessuna differenza tra i due tipi di discrezionalità sussiste, peraltro, per quanto riguarda i poteri del giudice amministrativo. Questi non può sindacare né il merito della scelta tecnica né il merito della scelta di pura opportunità, ma ben può sindacare entrambe sotto il profilo della loro intrinseca logicità e della loro formale congruenza rispetto al fine concreto che l’amministrazione intende perseguire. T.A.R. Sicilia, sez. II, Palermo, 30 novembre 1996, n. 1748, in Giust. amm. siciliana, 1997, 227. 88 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA Per alcuni atti è ammesso un controllo di merito, ossia il giudice può valutare il fatto in sé per sindacarne l’opportunità con possibilità di modifica dell’atto. Per altri atti è ammesso il sindacato anche sugli eventuali diritti soggettivi coinvolti dall’atto amministrativo per cui il giudice amministrativo ha competenza esclusiva, che può essere estesa nel merito. Non esistono criteri ermeneutici di ripartizione di queste competenze per cui è necessario ricorrere direttamente alle fonti normative. 3.1. La competenza per territorio. La L. n. 1034/1971 all’art. 3 stabilisce i seguenti principi per la ripartizione della competenza per territorio fra il Tribunale amministrativo del Lazio e i Tribunali amministrativi regionali. Il principio dell’efficacia dell’atto. Gli atti emessi da un organo centrale dello Stato o da enti pubblici a carattere ultraregionale la cui efficacia è limitata territorialmente alla circoscrizione del T.A.R. sono devoluti alla competenza di quest’ultimo. Ad esempio, le controversie relative all’impugnazione del diniego di concessione di cittadinanza italiana appartengono alla competenza del T.A.R. del luogo ove il destinatario ha la residenza o la stabile dimora, in quanto il provvedimento riguarda lo status di una sola persona e gli effetti dell’atto si producono in un luogo determinato. Cons. Stato, sez. IV, 23 aprile 1992 n. 443, in Foro amm. 1992, 757. Principio della sede dell’ente. Per gli atti emanati dagli enti pubblici a carattere regionale e a carattere ultraregionale la competenza è del Tribunale amministrativo regionale nella cui circoscrizione ha sede l’ente. Ad esempio, in materia di impugnazione della cartolina precetto di chiamata alle armi, i cui effetti sono territorialmente limitati, la competenza è del T.A.R. ove ha sede l’organo che l’ha emanata. Cons. Stato, sez. IV, 28 giugno 1988, n. 567, in Cons. Stato 1988, 619. Il principio della sede dell’ufficio nel pubblico impiego. Per gli atti relativi a pubblici dipendenti in servizio, alla data di emissione dell’atto, presso uffici aventi sede nella circoscrizione del T.A.R., la competenza è del tribunale amministrativo medesimo. Ad esempio, il provvedimento di approvazione di una graduatoria che ha effetti nella circoscrizione del T.A.R. regionale, deve essere impugnato presso quest’ultimo. Cons. Stato, sez. IV, 18 febbraio 1988, n. 85, in Foro amm. 1988, 70. Parimenti devono essere impugnati presso il tribunale amministrativo regionale competente localmente i provvedimenti singoli di trasferimento o disciplinari anche se emanati da una amministrazione statale. Il criterio che individua nella sede di servizio del dipendente pubblico la competenza del T.A.R. designato a pronunciarsi è destinato a cedere a quello della sede dell’ente che ha

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emesso il provvedimento, quando l’atto impugnato ha efficacia al di fuori dell’ambito territoriale del tribunale periferico. Cons. Stato, sez. VI, 22 giugno 1987, n. 434, in Cons. Stato 1987, 934. COMMENTO 89 3.1.1. L’istanza per regolamento di competenza. L’istanza per regolamento di competenza è un rimedio discrezionale, attribuito al controinteressato o all’amministrazione resistente, per spostare il giudizio su altro tribunale amministrativo regionale. In base al disposto dell’art. 31, L. 6 dicembre 1971 n. 1034, la competenza territoriale è derogabile con un accordo tra le parti; essa non é rilevabile d’ufficio. L’istanza è proponibile in termini tassativi. Il ricorrente ha due possibilità: aderire o non aderire. Nel caso di adesione il giudizio si radica − su accordo delle parti − presso il T.A.R. ritenuto competente. Il ricorrente deve riassumere la controversia presso tale tribunale, entro termini perentori, pena l’estinzione del giudizio. Ai sensi dell’art. 125 norme att. c.p.c. l’atto deve contenere: 1) l’indicazione del giudice davanti al quale di deve comparire; 2) il nome delle parti e dei loro difensori, con procura; 3) il richiamo all’atto introduttivo del giudizio; 4) il provvedimento del giudice che dispone la riassunzione. Questo è trasmesso al tribunale competente col fascicolo d’ufficio. Trattandosi di ricorso e non di citazione non deve essere indicata nell’atto, evidentemente, la data dell’udienza di comparizione; esso, inoltre, non va notificato poiché entrambe le parti hanno l’obbligo di costituirsi. Nel caso di mancata adesione all’istanza di regolamento di competenza, l’art. 9, comma 4, L. n. 205/2000, modifica l’art. 31, comma 5, L. n. 1034/1971, che prevedeva la sospensione del giudizio nell’attesa della decisione del Consiglio di Stato. Al fine di ridurre gli effetti dilatori che a volte l’istanza può portare, la norma prevede la fissazione di una immediata camera di consiglio per la sommaria delibazione del regolamento proposto. Se il collegio ne rileva la manifesta infondatezza respinge l’istanza e condanna il ricorrente alle spese; in caso contrario, dispone che gli atti siano trasmessi immediatamente al Consiglio di Stato con conseguente sospensione del giudizio. La giurisprudenza ritiene, peraltro, che − in ogni caso − le spese possano essere addebitate alla parte soccombente, secondo i principi generali. Il ricorrente deve riassumere il giudizio presso l’autorità giudiziaria ritenuta competente. L’istanza cautelare, non è preclusa dal regolamento di competenza, né preclude la proposizione di quest’ultimo. Cons. Stato, a. plen., 20 gennaio 1997, n. 2 in Foro amm. 1997, 100. Il T.A.R. addetto discuterà la sospensiva e successivamente trasmetterà gli atti per la discussione del merito al giudice competente. 3.2. Legittimità. La competenza di legittimità è di carattere generale su tutti gli atti amministrativi, ai sensi dell’art. 26, R.D. n. 1054/1924 sul Consiglio di Stato. 90 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA Questa competenza subisce delle evidenti limitazioni per quanto riguarda la valutazione dell’atto impugnato nel senso che è ammesso unicamente l’accertamento della legittimità del procedimento e la sussistenza dei requisiti essenziali dell’atto. È ammessa la verifica sul procedimento logico seguito nell’emanazione dell’atto. Si può accertare che i presupposti siano la logica premessa all’atto impugnato, ma è esclusa ogni indagine circa l’opportunità dell’emanazione dell’atto. Non potendo sindacare l’opportunità dell’atto il giudizio amministrativo subisce una limitazione nell’uso dei mezzi probatori, vedi infra n. 10. La competenza di legittimità mira all’annullamento dell’atto impugnato: non sono quindi ammesse pronunce di riforma o costitutive né di condanna tranne che per le spese. 3.3. Merito. La competenza di merito è eccezionale.

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Essa deve essere espressamente prevista per legge e si aggiunge alla competenza di legittimità in tema di diniego di approvazione della delibera a stare in giudizio degli enti locali, T.U. Consiglio di Stato, art. 27, di provvedimenti contingibili ed urgenti del sindaco, TU GPA, di ordinanze per la riduzione in pristino delle strade, LL.PP., di diniego di concessione edilizia, L. n. 10/1977, nel giudizio di ottemperanza. Per la dottrina tale competenza comporta un giudizio di opportunità, adeguatezza e convenienza dell’atto amministrativo (BENVENUTI), alcuni autori accentuano la differenziazione rispetto alla competenza di legittimità in rapporto ai maggiori poteri attribuiti al giudice amministrativo (VIRGA). Questo ha maggiori poteri di cognizione in ordine al fatto dedotto in giudizio che viene esaminato di per sé ed in rapporto al contenuto sostanziale della norma; ha maggiori poteri di istruzione essendo consentiti i mezzi di prova quali la prova testimoniale e la consulenza tecnica, non l’interrogatorio formale o il giuramento che contraddicono al principio del libero convincimento del giudice amministrativo; il giudice amministrativo ha maggiori poteri di decisione in quanto può annullare, riformare o nominare un commissario ad acta. Quando decide sul merito come nella competenza esclusiva il giudice può condannare l’amministrazione al pagamento di somme ai sensi dell’art. 26, L. n. 1034/1971. 4. Il giudizio di ottemperanza. Il giudizio di ottemperanza risponde all’esigenza di garantire che l’azione amministrativa si conformi ad una decisione vincolante del giudice amministrativo od ordinario. Nel giudizio di ottemperanza è ammesso l’esame nel merito ex art. 27, n. 4, R.D. n. 1054/1924. Il giudice deve approfondire anche i motivi di opportunità che possono meglio indicare le modalità per l’esecuzione del giudicato, poiché esso ha la funzione di individuare l’azione più opportuna fra quelle possibili con i limiti derivanti dai motivi di interesse pubblico che regolano l’azione amministrativa. Sono inammissibili le richieste di ottemperare, anche qualora vi siano effettive lesioni, che richiedano un sacrificio del pubblico interesse. COMMENTO 91 Ad esempio, nel caso di espropriazione illegittima, non è proponibile la richiesta di restituzione del fondo, dopo che sia stata eseguita l’opera pubblica che afferma il pubblico interesse in relazione al principio dell’accessione invertita. Giurisprudenza conforme: T.A.R. Lazio, 7 luglio 1987, n. 431, in Foro amm. 1987, 3447. Il giudizio di ottemperanza può sfociare nella nomina di un commissario ad acta che deve procedere, in via sostitutiva dell’amministrazione, a compiere quegli atti amministrativi disposti dal giudice amministrativo. L’attività del commissario è imputabile all’amministrazione sostituita. Contro di essa sono esperibili i rimedi giurisdizionali, ferma restando la competenza del giudice del giudizio di ottemperanza. L’attività del commissario costituisce logica prosecuzione del giudizio di ottemperanza, per cui non appare sostenibile la tesi di chi afferma che l’atto amministrativo è impugnabile di per se stesso. Il Regolamento di procedura del R.D. 17 agosto 1907, n. 642, art. 90, prevede come condizione di ammissibilità la preventiva messa in mora dell’amministrazione, a mezzo notifica; solo dopo trenta giorni si può presentare il ricorso. La L. 6 dicembre 1971, n. 1034, all’art. 37, fissa la competenza del T.A.R. e del Consiglio di Stato in relazione al fatto che l’attività svolta dall’autorità amministrativa chiamata a conformarsi sia o meno nei limiti della circoscrizione del T.A.R. Il T.A.R. è competente all’ottemperanza delle sue decisioni confermate in appello. Il giudizio di ottemperanza non è un giudizio di esecuzione, o quanto meno questo non ne è l’aspetto preminente, esso può pertanto definirsi giudizio di cognizione. Scopo del giudizio non è quello di esaudire forzatamente la pretesa su cui l’amministrazione è rimasta soccombente, ma deve dare al giudice la possibilità di decidere, in relazione al pubblico interesse, quale sia la forma più congrua per la esecuzione del giudicato. Se si incontrano dei limiti nella possibilità di condannare l’amministrazione è dichiarata la inammissibilità della domanda, salva l’azione civile di risarcimento. La giurisprudenza conferma che tale giudizio è possibile nel solo caso di sentenza definitiva.

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La parte che risulta vincere in primo grado non può ricorrere al giudizio di ottemperanza per ottenere l’attuazione della sentenza dichiarata provvisoriamente esecutiva dalla legge, artt. 33 e 37, L. n. 1034/1971, ma non passata in giudicato perché appellata. Non vi è, infatti, coincidenza tra ambiti di efficacia del giudicato, per il quale è predisposto il giudizio di ottemperanza e l’esecutività della decisione. La possibilità di una tutela cautelare nelle more del giudizio di appello è affermata dalla giurisprudenza che impone all’amministrazione di assicurare, nelle more, l’effettività della situazione giuridica del ricorrente, come definita dalla pronuncia giudiziale, e, ove ciò non accada, l’interessato può adire nuovamente il giudice di primo grado per ottenere provvedimenti idonei ad assicurare l’esecuzione interinale della sentenza. Cons. Stato, sez. IV, 3 maggio 1999, n. 767, in Foro amm. 1999, 967. 92 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA 4.1. La esecuzione della sentenza di primo grado. L’art. 10 della L. n. 205/2000 ha stabilito che siano applicabili anche per l’esecuzione della sentenza di primo grado le norme previste per il giudizio di ottemperanza. Secondo detta norma il giudice chiamato a dare concreta esecuzione alla sentenza ha i poteri inerenti al servizio di ottemperanza al giudicato. La dottrina ritiene che il giudizio di esecuzione della sentenza di primo grado non è un giudizio autonomo distinto da quello di cognizione O. FORLENZA, Sulle controversie non sospese ottemperanza al T.A.R., in Guida dir. 2000, n. 30, 84. La conseguenza è che non occorre seguire le norme di procedura relative al giudizio di ottemperanza, quale la diffida ad adempiere, ma soprattutto non bisogna instaurare un altro e diverso procedimento. Il ricorrente vittorioso in primo grado, dopo avere notificato la sentenza alla parte soccombente con istanza comunicata a tutte le parti del giudizio, può chiedere al giudice i provvedimenti opportuni per la sua esecuzione. 5. La giurisdizione esclusiva. Nelle materie attribuite alla sua competenza esclusiva il giudice amministrativo decide su questioni che afferiscono a interessi legittimi e a diritti soggettivi, che di norma sono attratti nella sfera della giurisdizione del giudice ordinario. Laddove la distinzione fra interessi e diritti è particolarmente complicata il legislatore, onde garantire una più efficace tutela giurisdizionale, ha posto la competenza a decidere sull’intera questione in capo al giudice amministrativo. La legge espressamente dispone se ed in quali casi si abbia anche una competenza di merito. La legge sui T.A.R., all’art. 7, richiama le materie già previste dal T.U. sul Consiglio di Stato e sulla GPA. Alcune di esse in tema di fiere, mercati, debito pubblico e spedalità hanno perduto attualità, altre, come quelle in tema di pubblico impiego, hanno grande rilevanza. In particolare la giurisprudenza ha distinto in questa materia fra atti amministrativi autoritativi a contenuto discrezionale e atti paritetici a contenuto vincolato. Questi sono gli atti che afferiscono alle pretese patrimoniali dell’impiegato. Nonostante le perplessità della dottrina (VIRGA) su questi atti paritetici si sono elaborati, per garantirne la tutela giurisdizionale, alcuni principi che differiscono dal normale processo. Sono ammesse sentenze dichiarative che acclarano situazioni giuridiche aventi origine dal rapporto di pubblico impiego e non da atti amministrativi, come l’accertamento di mansioni superiori che possono dare origine all’accertamento di una qualifica idonea. Si applica il termine di prescrizione quinquennale e non il termine di decadenza di 60 giorni che vale per il giudizio normale. Nella sentenza di condanna il giudice amministrativo può determinare gli interessi nella misura legale ed il maggior danno eventualmente subito dal dipendente per la diminuzione del valore del suo credito, condannando l’amministrazione al pagamento della somma relativa, con decorrenza dal giorno dell’inadempimento, conseguente al formarsi del silenzio-rifiuto, ai sensi del D.P.R. 3/1957, art. 25, ovvero dal giorno della presentazione del ricorso. COMMENTO 93 La rivalutazione non è nuova domanda, ma conseguenza dell’applicazione di un meccanismo di semplice conservazione del credito retributivo reale. Cons. Stato, Ad. Plen. 15 aprile 1985, n. 13, in Foro amm. 1985, 732, sez. VI, 25 giugno 1986, n. 464, in Foro amm. 1986, 787.

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La rivalutazione è computabile secondo gli indici ISTAT, elaborati ai fini della determinazione dell’indennità integrativa speciale. Cons. Stato, sez. VI, 12 aprile 1986, n. 318, in Foro amm. 1986, 787. Per i dipendenti di enti pubblici non economici, compresa l’amministrazione statale, va applicato il principio generale, art. 429 c.p.c., che prevede l’automatica rivalutazione monetaria. Cons. Stato, sez. VI, 1 dicembre 1986, n. 882, in Foro amm. 1986, 2745. È stato chiarito dalla Cassazione (Cass. civ., Sezioni Unite, 6 ottobre 1988) che la richiesta di rivalutazione del credito non ha natura di risarcimento, escludendo ogni competenza del giudice ordinario, ma è caratteristica del credito di prestazione di lavoro con funzione sanzionatoria. Dalla legge sui T.A.R. è stata introdotta, all’art. 5, la giurisdizione esclusiva in tema di concessioni contratto. La competenza si estende a tutte le concessioni contratto, ad esempio alla concessione in diritto di superficie delle aree di piano di zona, alle concessioni per l’uso di beni demaniali, non anche ad altri atti amministrativi quali autorizzazioni o ammissioni, ad esempio alle assegnazioni di case popolari in locazione, anche se gli atti amministrativi prevedono come obbligatoria la stipula di disciplinari o contratti. Sono escluse le controversie che si riferiscono alle relative indennità o ad altra prestazione pecuniaria che discende dal contratto che rientra nella ordinaria competenza del giudice civile. La L. n. 10/1977 prevede una competenza esclusiva in tema di concessioni edilizie. In questa materia la dottrina (VIRGA) rileva come il sindacato del giudice amministrativo in tema di concessioni sia di fondo una giurisdizione di legittimità mentre in tema di contributi di urbanizzazione e di sanzioni pecuniarie si tratti di giurisdizione esclusiva e di merito visto che l’art. 26, L. n. 10/1977 consente mezzi di prova, come le perizie, che sono proprie di tale giurisdizione. 5.1. La giurisdizione del giudice amministrativo dopo la riforma del D.L.vo 80/1998 e della L. 205/2000. Il risarcimento del danno causato da provvedimenti illegittimi. L’art. 11, c. 4, lett. g) della L. 15 marzo 1997, n. 59, attribuisce delega al governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali. Nell’ambito della riforma della Pubblica Amministrazione e perseguendo la semplificazione amministrativa, esso prevede la devoluzione al giudice ordinario della giurisdizione in materia di pubblico impiego e riforma la giurisdizione del giudice amministrativo. La delega consente al governo di: “devolvere, entro il 30 giugno 1998, al giudice ordinario, tenuto conto di quanto previsto dalla lettera a), tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, ancorché concernenti in via incidentale atti amministrativi presupposti, ai fini della disapplicazione, prevedendo: misure organizzative e processuali anche di carattere generale atte a prevenire disfunzioni dovute al sovraccarico del contenzioso; procedure stragiudiziali di conciliazione e arbitrato; infine, la contestuale estensione della giurisdizione del giudice amministrativo alle controversie aventi 94 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA ad oggetto diritti patrimoniali consequenziali, ivi comprese quelle relative al risarcimento del danno, in materia edilizia, urbanistica e di servizi pubblici, prevedendo altresì un regime processuale transitorio per i procedimenti pendenti”. Il D.L.vo n. 80/1998 supera il criterio tradizionale di riparto della giurisdizione basata sulla distinzione fra diritti soggettivi ed interessi legittimi identificando per legge le materie oggetto della giurisdizione amministrativa. S. CASSESE (a cura di), Diritto amministrativo speciale, IV, Il processo amministrativo 2000, 3251. La norma delinea i caratteri della nuova giurisdizione esclusiva in materia di pubblici servizi, di urbanistica ed edilizia e di espropriazione ed occupazione d’urgenza. Qualora, infatti, il giudice amministrativo sia investito della giurisdizione esclusiva sulla controversia, egli può disporre il risarcimento del danno ingiusto, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica. La dottrina è unanime sull’onere per il ricorrente di dimostrare la sussistenza e la consistenza delle aspettative lese dal provvedimento illegittimo secondo i principi dell’art. 1223 c.c., che individua le due componenti del danno nella perdita subita e del mancato guadagno. F. CARINGELLA, G. DE MARZO, F. DELLA VALLE, R. GAROFOLI, La nuova giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo 2000, 486. Il giudice amministrativo può disporre il risarcimento anche mediante il semplice rinvio

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a dei criteri, sulla base dei quali l’amministrazione pubblica o il gestore del pubblico servizio devono proporre all’avente titolo il pagamento di una somma entro un congruo termine. È evidente che, ove si tratti di impugnative aventi ad oggetto un provvedimento omissivo, il risarcimento potrà essere commisurato anche in relazione ai tempi di emanazione del provvedimento stesso. In carenza di un accordo è ammesso il ricorso in ottemperanza, previsto dall’art. 27 comma 1, n. 4 del R.D. 26 giugno 1924, n. 1054, per richiedere la somma dovuta. In tale eventualità appare evidente che le spese debbano essere addebitate, in caso di ulteriore omissione o di mancato rispetto delle modalità fissate dal giudice amministrativo, all’amministrazione soccombente. La determinazione del risarcimento comporta la possibilità dell’assunzione di mezzi di prova, in particolare, della consulenza tecnica di ufficio, mentre rimangono esclusi l’interrogatorio formale ed il giuramento, in quanto incompatibili con un giudizio sugli atti dell’amministrazione. I mezzi di prova devono essere evidentemente utilizzati in relazione alle esigenze di celerità e di concentrazione del giudizio amministrativo. I diritti patrimoniali consequenziali non sono più riservati alla giurisdizione del giudice ordinario. Questi sono entrati nella competenza del giudice amministrativo, risparmiando al ricorrente un ulteriore processo. Rimangono riservate al giudice ordinario le questioni pregiudiziali concernenti lo stato e la capacità dei privati individui, salvo la capacità di stare in giudizio e la risoluzione dell’incidente di falso. In un primo tempo l’art. 35, D.L.vo n. 80/1998, che ha sostituito l’art. 7, comma 3, primo periodo, L. n. 1034/1971, ha creato una giurisdizione esclusiva di legittimità in particolari materie tassativamente indicate − quali i pubblici servizi, l’urbanistica e l’edilizia − comprensiva dell’esame delle eventuali richiesta di risarcimento del danno. COMMENTO 95 La Corte costituzionale ha ravvisato un eccesso di delega nella formulazione dell’art. 33, D.L.vo n. 80/1998, nella parte in cui istituisce una giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di pubblici servizi, anziché limitarsi ad estendere, in tale ambito, la giurisdizione del giudice amministrativo alle questioni aventi ad oggetto diritti patrimoniali consequenziali, ivi comprese quelle relative al risarcimento del danno. Corte Cost. 11 luglio 2000, n. 292, in Guida dir. 2000, n. 28, 26. A tal punto il legislatore ha superato i rilievi sostanzialmente riconfermando con la L. 21 luglio 2000, n. 205 le disposizioni oggetto del D.L.vo n. 80/1998. In particolare l’art. 35, D.L.vo n. 80/1998 è stato modificato dall’art. 7, comma 1, lett. c), L. n. 205/2000 che allarga la giurisdizione a tutte le materie su cui il giudice amministrativo deve decidere. Poiché la Corte di cassazione − in base alla modifica apportata dall’art. 1, L. Cost. 23 novembre 1999, n. 2, all’art. 111 della Cost. − ha una competenza limitata ai soli ricorsi in materia di giurisdizione, la dottrina paventa che la sottrazione di una competenza della Corte di cassazione su diritti che comportano il risarcimento del danno comporti una possibile questione di costituzionalità. V. CARBONE, Le nuove frontiere della giurisdizione sul risarcimento del danno da atto amministrativo illegittimo della P.A., in Corr. giur. 2000, 1141. 5.1.1. Le controversie in materia di pubblici servizi. La delega è stata attuata dall’art. 33 del D.L.vo 80/1998, sostituito dall’art. 7, L. n. 205/2000 che afferma: “Sono devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo tutte le controversie in materia di pubblici servizi, ivi compresi quelli afferenti alla vigilanza sul credito, sulle assicurazioni, al mercato immobiliare, al servizio farmaceutico, ai trasporti, alle telecomunicazioni ed ai servizi di cui alla L. 14 novembre 1995, n. 481”. In particolare, già l’art. 2 comma 25 della L. 481/1995 attribuiva alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie contro i provvedimenti dell’autorità. La controversia − già pendente alla data del 30 giugno 1998 e, quindi, non soggetta − ex artt. 45, e 33, D.L.vo 31 marzo 1998, n. 80 − rimane affidata alla giurisdizione ordinaria. La giurisprudenza, in particolare, ha ritenuto che la rinuncia dell’impresa assicurativa, ai sensi dell’art. 65, D.L.vo 17 marzo 1995, n. 175, all’autorizzazione all’esercizio dell’attività assicurativa e riassicurativa, rilasciatale ai sensi dell’art. 9 dello stesso decreto n. 175 del 1995, costituisce l’espressione dell’esercizio di un diritto soggettivo perfetto dell’impresa stessa,

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dal quale doveva conseguire l’obbligatoria adozione, senza alcun margine di discrezionalità, da parte dell’Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni private e di interesse collettivo (Isvap), del provvedimento di decadenza dall’autorizzazione, avente natura dichiarativa. Cass. civ., Sezioni Unite, 27 gennaio 1999, n. 4, in Foro it. 1999, I, 458. La giurisdizione viene comunque ampliata poiché il testo della delega afferma chiaramente un ampliamento della giurisdizione in materia di servizi estendendola ai diritti consequenziali ed al danno ingiusto mentre il governo delegato ha esteso la delega comprendendo tutta una serie di controversie in materia di servizi pubblici. V. CARBONE, Risarcimento di interessi legittimi: la Corte costituzionale si astiene, il legislatore apre nuovi orizzonti, in Corr. Giur. 1998, 654. 96 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA La dottrina, peraltro, riduce la portata della norma ritenendo che l’esercizio di una delle attività nei settori tassativamente enunciati dall’art. 33, L. n. 80/1998, mod. art. 7, L. n. 205/2000, non consente di sostenere che si tratti di servizio pubblico. La giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo si radica solo qualora sussistano gli elementi − ricavabili dal dettato stesso normativo − che qualificano come servizio pubblico l’attività di cui si tratta. F. CARINGELLA, G. DE MARZO, F. DELLA VALLE, R. GAROFOLI, La nuova giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo 2000, 101. Detto art. 7, L. n. 205/2000 modifica lo stesso testo dell’art. 5 della legge sui T.A.R e regolamenta ex novo la giurisdizione del giudice amministrativo in materia di servizi pubblici. Il legislatore, in particolare, con classificazione esemplificativa, richiama le controversie: a) concernenti la istituzione, modificazione o estinzione di soggetti gestori di servizi pubblici, ivi comprese le aziende speciali, le istituzioni o le società di capitali anche di trasformazione urbana; la disposizione comprende qualunque individuo che sia divenuto gestore di un pubblico servizio, con conseguente estensione alla vita societaria del soggetto, quindi alla modificazione o all’estinzione. In particolare la dottrina si interroga sulla eventuale estensione della giurisdizione amministrativa alle procedure concorsuali. O. FORLENZA, Per servizi e urbanistica giudice unico è il T.A.R., in Guida al Dir., 1998, n. 16, 111; b) tra le amministrazioni pubbliche e i gestori comunque denominati di pubblici servizi; c) tra le amministrazioni pubbliche e i soci di società miste e quelle riguardanti la scelta dei soci; d) in materia di vigilanza e controllo nei confronti di gestori di pubblici servizi; e) aventi ad oggetto le procedure di affidamento di appalti pubblici di lavori, servizi e forniture, svolti da soggetti comunque tenuti all’applicazione delle norme comunitarie o della normativa nazionale e regionale; Va ravvisata l’estensione alla giurisdizione amministrativa di ogni procedura di affidamento governata da norme pubblicistiche, anche qualora la stessa sia affidata a soggetti privati. S. CASSESE (a cura di), Diritto amministrativo speciale, IV, Il processo amministrativo 2000, 3582. Vedi voce Appalti pubblici n. 8.3. La devoluzione della giurisdizione esclusiva comporta, ai sensi dell’art. 35 del D.L.vo 80/1998, mod. art. 7, L. n. 205/2000, la possibilità di disporre la reintegrazione in forma specifica ed il risarcimento del danno ingiusto, prima attribuito, ex art. 13 della L. 142/1992, al giudice ordinario dopo la declaratoria di nullità del provvedimento disposta dal giudice amministrativo. f) riguardanti le attività e le prestazioni di ogni genere, anche di natura patrimoniale, rese nell’espletamento di pubblici servizi, ivi comprese quelle prestate nell’ambito del servizio sanitario nazionale e della pubblica istruzione, con esclusione dei rapporti individuali di utenza con soggetti privati, delle controversie meramente risarcitorie che riguardano il danno alla persona e delle controversie in materia di invalidità. La giurisdizione amministrativa è stata confermata dalla giurisprudenza amministrativa nel caso di controversia fra il titolare di farmacia e l’ASL per il pagamento dei medicinali distribuiti agli assistiti; si tratta, infatti, di un rapporto concessorio di servizio pubblico. Cons. Stato, Ad pl. 30 marzo 2000, n. 1 ord., in Corr. Giur. 2000, 594. 4 COMMENTO 97 La giurisprudenza evidenzia la difformità di detta ipotesi da quella relativa al pagamento di forniture di prodotti sanitari e farmaceutici effettuate da case farmaceutiche all’ASL. La mancanza di un rapporto concessorio consente di affermare la giurisdizione del giudice

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ordinario. Cass. civ., Sezioni Unite, 30 marzo 2000, n. 71/00/S.U., in Corr. giur. 2000, 591. Alle stesse conclusioni giunge la dottrina in modo concorde. V. CARBONE, Sezioni Unite, Adunanza Plenaria T.A.R. Calabria a confronto sulla nuova giurisdizione esclusiva dopo il D.L.vo n. 80/1998, in Corr. giur. 2000, 602. Sono escluse, restando attribuite al giudice ordinario, le controversie relative ai contratti successivamente stipulati dai destinatari dei servizi e tutte le controversie in materia di infortuni relative a servizi di trasporto. In tal caso, resta preclusa al giudice ordinario, nell’esame della controversia, la giurisdizione sui provvedimenti generali − come ad esempio la determinazione delle tariffe − che soggiacciono alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. La giurisprudenza afferma la giurisdizione del giudice ordinario con riferimento alle controversie insorte tra medici convenzionati e aziende sanitarie. La dottrina appare invece contraria: S. PALMIERI, Medici convenzionati e riparto di giurisdizione: incertezze non sopite, in Corr. Giur. 2001, 181. La giurisprudenza, infatti, afferma che i rapporti cosiddetti «convenzionali», instaurati tra i medici di medicina generale e gli enti preposti all’assistenza sanitaria, in base alle disposizioni dell’art. 48 della L. n. 833 del 1978, e disciplinati da accordi collettivi resi esecutivi con decreti del Presidente della Repubblica, hanno natura privatistica di rapporti di prestazione d’opera professionale, svolta con carattere di parasubordinazione. Con riferimento a tali disposizioni l’ente pubblico opera nell’ambito esclusivo del diritto privato ed assume nei confronti del professionista gli obblighi che derivano da detta disciplina collettiva, senza essere titolare di alcun potere autoritario (al di fuori di quello di sorveglianza) e senza poter incidere unilateralmente, limitandole o degradandole ad interessi legittimi, sulle posizioni di diritto soggettivo nascenti per il professionista dal suddetto rapporto. Esso è definito dall’art. 1 dell’accordo collettivo, reso esecutivo con D.P.R. n. 314 del 1990, come «rapporto di lavoro autonomo, continuativo e coordinato». Ne consegue che le iniziative ed i comportamenti delle parti di detto rapporto vanno valutati secondo i principi regolatori dell’esercizio della privata autonomia e, pertanto, le controversie con le quali il medico lamenti la lesione, da parte dell’ente, delle proprie posizioni di diritto soggettivo appartengono alla giurisdizione del giudice ordinario. Tale giurisdizione non può essere eccepita per il fatto che sia messa in discussione la legittimità di atti o provvedimenti amministrativi dell’ente, riguardo ai quali spetta all’a.g.o. il potere di sindacarne la legittimità ed eventualmente disapplicarli. Alla stregua di tali principi le Sezioni Unite hanno dichiarato la giurisdizione del giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro, relativamente alla controversia con la quale un medico convenzionato, avendo ottenuto il trasferimento dagli elenchi dei medici convenzionati di un comune a quelli di altro comune nell’ambito territoriale di una stessa ASL., ed essendosi visto da quest’ultima cancellare tutti i suoi assistiti, nel presupposto che la scelta del medico di base debba avvenire nel comune di residenza degli assistiti, aveva chiesto il ripristino dell’iscrizione degli stessi, sostenendo che all’interno del territorio dell’ASL l’assi- 98 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA stito possa liberamente scegliere il medico di base. Cass. civ., Sezioni Unite, 22 novembre 1999, n. 813, in Giust. civ. Mass. 1999, 2315. Cass. civ., Sezioni Unite, 1 dicembre 2000, n. 1241/00/S.U., in Corr. Giur. 2001, 179. 5.1.2. Le controversie in materia di urbanistica ed edilizia. Le controversie relative ad atti, provvedimenti e comportamenti della pubblica amministrazione in materia di urbanistica ed edilizia sono attribuite dall’art. 34, D.L.vo 80 del 1998, come sostituito dall’art. 7, L. 205/2000, alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Tutti gli aspetti dell’uso del territorio rientrano nella materia urbanistica. L’ampliamento della sfera della giurisdizione amministrativa deriva dalla definizione del contenuto della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Il comma 1 dell’art. 35, del D.L.vo 80 del 1998, sostituito dall’art. 7, L. 205/2000, definisce i contenuti della stessa giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, che comprende la reintegrazione in forma specifica ed il risarcimento del danno ingiusto. Vedi voce Urbanistica n. 1.1. 5.1.3. Le controversie in materia di espropriazione ed occupazione d’urgenza. L’art. 34, comma 3, lett. b) del D.L.vo 80 del 1998, sostituito dall’art. 7, L. 205/2000,

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precisa che rimangono nella giurisdizione del giudice ordinario le controversie relative alla determinazione ed al versamento dell’indennità di espropriazione e delle indennità comunque conseguenti a provvedimenti ablatori. Poiché l’art. 34, comma 1, del D.L.vo 80 del 1998, demanda alla giustizia amministrativa tutte le controversie concernenti gli aspetti dell’uso del territorio si pone un problema di giurisdizione in ordine a quelle relative al risarcimento del danno derivante dalla cosiddetta accessione invertita e/o occupazione acquisitiva. La giurisprudenza ha, finora, distinto le controversie che attengono ad un provvedimento amministrativo, che si impugna come illegittimo, da quelle che nascono da comportamenti sine titulo dell’amministrazione. L’art. 34 del D.L.vo 80 del 1998, devolve al giudice amministrativo la giurisdizione esclusiva in materia di urbanistica ed edilizia anche sui comportamenti dell’amministrazione e dei suoi funzionari poiché, come recita l’art. 35 del D.L.vo 80 del 1998, il giudice amministrativo investito di giurisdizione esclusiva può decidere e quantificare il risarcimento da danno ingiusto. L’art. 53, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 devolve alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie aventi ad oggetto gli atti conseguenti all’applicazione del T.U., dall’1 gennaio 2002, confermando che la giurisdizione sui provvedimenti ablatori, quali la dichiarazione di pubblica utilità e il decreto di esproprio, il decreto di acquisizione del bene è affidata al giudice amministrativo, mentre al giudice ordinario − funzionalmente competente è la Corte d’appello − sono affidate le controversie relative all’indennità di esproprio e relative all’indennizzo per la reiterazione dei vincoli scaduti, vedi voce Espropriazione per pubblica utilità, par. 1. COMMENTO 99 5.1.4. Le controversie in materia di pubblico impiego. Nonostante il loro trasferimento al giudice ordinario, residuano al giudice amministrativo alcune controversie in materia di pubblico impiego. Restano sempre devolute al giudice amministrativo, come precisa l’art. 68 del D.L.vo 29/1993, sost. art. 63, quarto comma, D.L.vo n. 165/2001, quelle relative alle procedure concorsuali per l’assunzione dei dipendenti nelle pubbliche amministrazioni, con evidente eccezione per i dirigenti nominati direttamente, con rapporto privatistico, e per i dirigenti generali. La giurisdizione del giudice amministrativo viene conservata, in via di eccezione, dall’art. 2, comma 4, del D.L.vo 546/1993, che modifica l’art. 2 del D.L.vo 29/1993, per taluni rapporti di pubblico impiego e, in tali ipotesi, si tratta di giurisdizione esclusiva. L’art. 3, D.L.vo n. 165/2001, che modifica l’art. 2 del D.L.vo 29/1993, precisa che, in deroga alla privatizzazione del rapporto di pubblico impiego, rimangono disciplinati dai rispettivi ordinamenti, dopo l’ultima modifica portata dall’art. 2 del D.L.vo 80/1998: i magistrati ordinari, amministrativi e contabili, gli avvocati e procuratori dello Stato, il personale militare e delle Forze di polizia di Stato, il personale della carriera diplomatica e della carriera prefettizia, quest’ultima a partire dalla qualifica di vice consigliere di prefettura, nonché i dipendenti dagli enti che svolgono la loro attività nelle materie contemplate dall’art. 1 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 17 luglio 1947, n. 691, e dalle leggi 4 giugno 1985, n. 281, e 10 ottobre 1990, n. 287. Il rapporto di impiego dei professori e ricercatori universitari resta disciplinato dalle disposizioni rispettivamente vigenti. Vedi voce Pubblico impiego n. 1 e ss. 6. La tutela sul silenzio dell’amministrazione. Il silenzio della pubblica amministrazione si concreta nell’omessa decisione su una domanda dell’interessato o sul ricorso amministrativo che impedisce all’atto di divenire definitivo e quindi la sua impugnazione. Il legislatore elaborava una procedura particolare, cosiddetto silenzio rifiuto, per cui dopo 120 giorni dalla presentazione del ricorso la pubblica amministrazione veniva diffidata con istanza notificata a provvedere. Trascorsi ulteriori 60 giorni il ricorso si intendeva non accolto e scattavano i termini per il successivo ricorso contro il silenzio rifiuto dell’amministrazione ai sensi del R.D. n. 383/1934, art. 5. Successivamente il D.P.R. n. 1199/1971, all’art. 6, semplificando la procedura, ha disposto che, decorso il termine di 90 giorni dalla presentazione del ricorso senza che l’organo adibito abbia comunicato la decisione, il ricorso si intende rigettato, cosiddetto silenzio rigetto, a tutti gli effetti. Contro il provvedimento impugnato sono esperibili i relativi mezzi

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di tutela, decorso il termine di 90 giorni, dalla presentazione del ricorso, in carenza di decisione da parte della pubblica amministrazione, ex art. 20, L. n. 1034/1971. N. CENTOFANTI, Il silenzio della pubblica amministrazione ed i procedimenti sostitutivi 1999, 92. Altre norme speciali prevedono il formarsi del silenzio rigetto dopo un termine di 60 giorni dalla domanda, come nel caso di richiesta di concessione edilizia. 100 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA Nel mentre si afferma la generale validità delle norme relative al silenzio rigetto, Cons. Stato, sez. V, 26 febbraio 1982, in Foro amm. 1982, 183, alcune sentenze affermano la validità del procedimento del silenzio rifiuto. Ad esempio, il silenzio dell’amministrazione in relazione ad atti dovuti per accertarne eventuali responsabilità degli uffici deve essere preceduto dalla diffida a provvedere entro trenta giorni; solo successivamente, pena l’inammissibilità, si può proporre l’azione di risarcimento. Il Cons. Stato, Ad. Pl. 10 marzo 1978, n. 10, in Foro amm. 1978, 415 afferma la validità generale dell’art. 25 D.P.R. n. 3/1957. La nuova procedura consente il ricorso giurisdizionale direttamente alla formazione del silenzio, senza che debba attendersi l’esperimento dei possibili gravami amministrativi, ovvero senza alcuna preventiva diffida. In tal caso non è possibile la contestuale presentazione del ricorso amministrativo ai sensi dell’art. 20 della L. n. 1034/1971. Cons. Stato, Ad. Pl., 27 gennaio 1978, n. 2, in Foro amm. 1978, 20. Questa non è l’unica innovazione poiché mentre nella precedente procedura oggetto dell’impugnazione era il rifiuto a provvedere dell’amministrazione, nella nuova procedura ne è oggetto il provvedimento della pubblica amministrazione sulla quale si è formato il silenzio che equivale a rigetto dell’istanza. Poiché il provvedimento dell’amministrazione costituisce esso stesso decisione di rigetto non si ammette che l’amministrazione decidente possa emettere un nuovo atto per violazione del principio ne bis in idem, ossia si vieta all’amministrazione di ritornare sulla decisione già presa. Cons. Stato, Ad. Pl., 7 febbraio 1978, n. 4, in Foro amm. 1978, 23 contra Ad. Pl. 3 maggio 1960, n. 8. Inoltre cambia la funzione della giustizia amministrativa; la decisione relativa al silenzio rigetto oltre che accertare la illegittimità di tale comportamento può statuire in ordine al quomodo e al quando del successivo provvedimento da adottare. Cons. Stato, Ad. Pl., 10 marzo 1970, n. 10. Il giudizio sul silenzio si sposta quindi al giudizio sulla fondatezza della pretesa, non solo sull’obbligo dell’amministrazione di emettere il provvedimento richiesto. È diversa la stessa natura della decisione che non è meramente dichiarativa dell’illegittimità dell’inerzia dell’amministrazione, ma è di accertamento della pretesa fatta valere nella richiesta all’amministrazione nel successivo ricorso. La giurisprudenza non è concorde nell’estendere alla pronuncia dichiarativa dell’obbligo a provvedere anche l’accertamento giudiziale della fondatezza dell’istanza. Il primo indirizzo sostiene che il giudizio di legittimità sul silenzio rifiuto tende a stabilire la fondatezza della pretesa sostanziale fatta invano valere, poiché, se questa pretesa è infondata, non sarebbe utile imporre all’amministrazione l’obbligo di una pronuncia espressa. Cons. Stato, Ad. Pl., 10 marzo 1978, n. 10; Cons. Stato, sez. VI, 26 febbraio 1982, n. 92; Cons. Stato, sez. VI, 31 luglio 1987, n. 506. L’indirizzo pur sancendo che la decisione del giudice debba esprimersi oltre il mero obbligo di procedere, limita tale estensione ai soli casi in cui l’inerzia dell’amministrazione riguardi scelte o attività vincolate. T.A.R. Lombardia, Brescia, 12 giugno 1989, n. 649, in Foro amm. 1990, 1241. Il secondo indirizzo, più tradizionale, ritiene che il giudice in sede di impugnazione del silenzio rifiuto non è titolare del potere di giudicare la fondatezza della domanda sulla quale COMMENTO 101 la pubblica amministrazione ha omesso illegittimamente di provvedere, poiché l’accertamento giudiziale dell’obbligo di provvedere ha carattere meramente preliminare e procedimentale, a prescindere da ogni indagine sulle posizioni sostanziali. In tale fase si deve quindi accertare l’illegittimità del silenzio e l’obbligo conseguente a provvedere dopo di che o l’amministrazione sua sponte provvede o si dovranno esperire ulteriori ricorsi, ad esempio per l’ottemperanza al giudicato. Cons. Stato, sez. IV, 17 novembre

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1987, n. 657. Cons. Stato, sez. V, 9 marzo 1984, n. 230. R. GALLI, Corso di diritto amministrativo 1996, 497. La procedura del silenzio rifiuto deve ora collegarsi con le disposizioni di cui all’art. 2, L. n. 241/1990 sul procedimento amministrativo. La norma ha contenuto generale nel ribadire l’obbligo dell’amministrazione a concludere i procedimenti. La giurisprudenza amministrativa appare orientata nel senso della diretta incidenza dell’art. 2, L. 241/1990, sul procedimento di formazione del silenzio, consentendo la immediata impugnatività. Essa ritiene che il comportamento omissivo della pubblica amministrazione possa essere impugnato avanti al giudice amministrativo una volta che sia decorso il termine previsto per la conclusione del procedimento espressamente indicato, ovvero quello di trenta giorni previsto in via generale dallo stesso art. 2, L. 241/1990. Alcune sentenze hanno, pertanto affermato che a seguito dell’entrata in vigore della L. 7 agosto 1990 n. 241, di fronte al silenzio della P.A. non sono più necessarie, ai fini della proposizione del ricorso giurisdizionale, la diffida e la messa in mora di cui all’art. 25 T.U. 10 gennaio 1957 n. 3, atteso che, una volta decorso inutilmente il termine essenziale stabilito per l’espressa e motivata conclusione del procedimento amministrativo, l’inadempimento di tale obbligo da parte della P.A. procedente è in re ipsa, e può quindi essere immediatamente denunciato in via di azione. I primi tre commi dell’art. 2, L. 7 agosto 1990 n. 241 hanno introdotto nell’ordinamento, tra l’altro, un procedimento di formazione «automatica» del silenzio, notevolmente diverso rispetto alla duplice sequenza «istanza del privato − successiva diffida giudizialmente notificata », finora utilizzata: deve, quindi, concludersi, per la non necessità, dopo la L. n. 241 del 1990, dell’utilizzo dei meccanismi previsti dall’art. 25, T.U. imp. Cons. Stato (D.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3) e per la possibilità d’impugnare direttamente il silenzio-rifiuto in sede giurisdizionale una volta decorso il termine per la conclusione del procedimento. T.A.R. Puglia, Lecce, sez. I, 25 giugno 1996, n. 574, in Foro amm. 1997, 586. L’orientamento prevalente della giurisprudenza è, però in senso contrario. Esso ritiene che l’azione giurisdizionale non possa essere esperita senza che sia annunciata, mediante rituale notifica di un atto di diffida e messa in mora la volontà del ricorrente di adire il giudice amministrativo. La giurisprudenza ritiene che la suddetta messa in mora non sia una mera formalità. Essa è preordinata a fissare il termine ultimo entro il quale l’amministrazione può evitare il contenzioso emanando il relativo provvedimento richiesto, sia favorevole che contrario a quanto formulato dal ricorrente nella sua istanza. Il soggetto che intenda reagire contro l’inerzia della P.A. ha, pertanto, l’onere di seguire il rigoroso iter ordinario, caratterizzato, ai sensi dell’art. 25, T.U. 10 gennaio 1957, n. 3, dalla presentazione di un’istanza e dal silenzio protrattosi per almeno sessanta giorni dalla succes- 102 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA siva diffida a provvedere entro un congruo termine, comunque non inferiore a trenta giorni, notificata secondo la procedura prevista per gli atti giudiziari. Solo quando il procedimento è concluso e si è formato il silenzio − inadempimento, l’interessato ha facoltà di proporre ricorso giurisdizionale, entro sessanta giorni decorrenti dalla scadenza del termine assegnato con l’atto di diffida, non essendo consentita l’immediata impugnazione del silenzio conseguente alla mancata risposta all’istanza formulata dal privato, ma non seguita dalla formale diffida dell’Amministrazione. Cons. giust. amm. Sicilia, sez. giurisd., 23 dicembre 1999, n. 665, in Cons. Stato 1999, I, 2192. T.A.R. Campania, Napoli, sez. II, 4 gennaio 2000, n. 2, in Foro amm. 2000, 1938. La dottrina appare favorevole a tale orientamento giurisprudenziale. A. ROMANO, Commentario alle leggi sulla giustizia amministrativa 2001, 818. 6.1. La tutela del silenzio disposta dall’art. 2, L. 205/2000. Nel caso di silenzio della pubblica amministrazione l’art. 2, L. n. 205/2000, dispone un nuovo sistema di tutela. La norma, peraltro, disciplina i ricorsi avverso il silenzio della pubblica amministrazione non distinguendo fra le tipologie di silenzio evidenziate dalla dottrina: il silenzio accoglimento, il silenzio rigetto, il silenzio rifiuto o il silenzio inadempimento. La disposizione in esame non può che applicarsi esclusivamente al silenzio rifiuto o silenzio

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inadempimento in quanto le altre due ipotesi hanno un significato positivo di accettazione della domanda − il silenzio accoglimento − o di diniego della istanza − il silenzio rigetto. Non vi è, infatti, alcuna valida ragione di assegnare ai richiedenti una forma di tutela diversa da quella che la norma già garantisce. A. ROMANO, Commentario alle leggi sulla giustizia amministrativa 2001, 820. I ricorsi avverso il silenzio sono decisi direttamente in camera di consiglio, analogamente a quanto avviene in relazione alla richiesta di provvedimenti cautelari. La giurisprudenza ha precisato che l’esame della fondatezza della pretesa dell’interessato è necessario qualora l’istanza da questi presentata sia tesa ad ottenere un provvedimento che implichi da parte dell’amministrazione valutazioni discrezionali. Il processo instaurato innanzi al giudice amministrativo a seguito del silenzio rifiuto serbato dalla P.A. intimata ha per oggetto non la legittimità dell’inerzia in sé, ma l’accertamento della fondatezza sostanziale della pretesa posta dal privato a base della sua istanza e dedotta in giudizio. Ogni questione sul silenzio resta assorbita dalle valutazioni direttamente inerenti al merito della controversia, dal quale dipende, in ultima analisi, l’accoglimento o il rigetto del ricorso, indipendentemente dalla natura, discrezionale o vincolata, dei poteri che la P.A. può esercitare in relazione al bene della vita richiesto. Nella specie si tratta di una controversia relativa all’inquadramento dei dipendenti sanitari, ex L. 20 maggio 1985, n. 207; l’oggetto di tale accertamento resta la pretesa sostanziale. Cons. Stato, sez. V, 13 aprile 2000, n. 2211, in Foro amm. 2000, 1304. La norma conferma tale indirizzo giurisprudenziale ritenendo ammissibile per il giudice amministrativo fornire indicazioni in ordine alla fondatezza della pretesa sostanziale su cui si basa l’istanza del ricorrente. COMMENTO 103 La forma della decisione è quella della sentenza succintamente motivata, prevista dall’art. 9, L. n. 205/2000, vedi infra par. 16. La tutela risarcitoria − con l’estensione portata dall’art. 35, D.L.vo n. 80/1998, mod. art. 7, L. n. 205/2000 che la ha affidato al giudice amministrativo anche nei giudizi di legittimità − acquista una rilevanza notevole qualora si ravvisi il silenzio della pubblica amministrazione. Tale risarcimento si configura anche nell’ipotesi in cui successivamente l’amministrazione abbia legittimamente emanato un provvedimento di diniego sulla istanza. La giurisprudenza ha, infatti, precisato che, anche se il formalizzarsi del silenzio rifiuto non impedisce all’autorità amministrativa di provvedere negativamente sull’istanza, l’accertamento dell’inerzia può avere significativi riflessi sulla responsabilità risarcitoria quando l’amministrazione non opponga e non documenti attendibili ragioni (es. di eccessivo carico di lavoro) che possano aver determinato il ritardo; quando poi quest’ultimo resta addirittura collegato ad una sorta di «attesa» dirimente di ius superveniens (incompatibile con la pendente istanza), la responsabilità assume di per sé connotati significativi, anche a prescindere dalla legittimità del passaggio normativo sopravvenuto. Nel caso di specie è stata adottata illegittimamente una variante che ha ritardato il rilascio di una concessione edilizia. T.A.R. Lombardia, Milano, sez. II, 12 aprile 2000, n. 2793, in Urb. app. 2000, 985 nota PROTTO. A. ROMANO, Commentario alle leggi sulla giustizia amministrativa 2001, 818, vedi precedente par. 5.1. I termini da osservare per la decisione sono di trenta giorni a partire dalla scadenza del termine di legge per il deposito, che è di trenta giorni dall’ultima notifica del ricorso. Del pari sono previsti tempi strettissimi anche per l’appello che deve essere proposto entro trenta giorni dalla notifica o, in mancanza di questa, entro novanta giorni dalla comunicazione dell’avvenuta pubblicazione. La modifica sostanziale attiene alle possibilità totalmente nuove offerte al giudice amministrativo qualora persista il comportamento inerte dell’amministrazione. Nel caso di accoglimento definitivo − esperito l’eventuale gravame − totale o parziale del ricorso di primo grado il giudice amministrativo, su istanza del ricorrente, che ha invano preventivamente diffidato l’amministrazione a provvedere, ordina direttamente all’amministrazione di pronunciarsi entro un termine di trenta giorni. Qualora l’amministrazione resti inadempiente oltre detto termine, il giudice amministrativo, su richiesta del ricorrente, nomina un commissario che provveda in luogo della stessa amministrazione, accertando preventivamente che questa, nelle more della sua nomina, non si sia espressa, ex art. 2, terzo comma, L. n. 205/2000.

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6.2. Il rilievo penale del silenzio. Il silenzio può assumere rilievo penale, ex art. 328 c.p. modif. dalla L. n. 86/1990. Il legislatore distingue a tal proposito tra rifiuto da parte di pubblico ufficiale e incaricato di pubblico servizio di atti obbligatori per ragione di giustizia, sicurezza, ordine pubblico, igiene e sanità, e rifiuto di altri atti, i cui confini potranno essere sanciti solo dal giudice penale. Ma quale silenzio su di un atto da compiersi entro termini tassativi non concretizza una imparzialità della P.A. (ad esempio il rilascio di concessione edilizia)? 104 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA Qualche problema interpretativo lo pone la seconda ipotesi che prevede il caso del pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio che non compie un atto di ufficio dopo che sia pervenuta una rituale richiesta da parte di chi ne ha interesse e sia decorso il termine di trenta giorni dalla sua ricezione. Gli spazi interpretativi sono riservati al giudice penale sia nella determinazione di quali siano gli atti dovuti (da compiere senza ritardo), sia nel valutare se siano valide le argomentazioni atte a giustificare il ritardo. In tal senso è stato precisato che la consumazione del reato non consiste nella sola emissione di provvedimento, ma anche nella risposta sulle ragioni del ritardo. Vedi circolare 8 gennaio 1991, n. 60397-7/463 Ministro Funzione Pubblica in Gazz. Uff. 23 gennaio 1991, n. 19; sono dubbi gli effetti che tale circolare possa avere sul giudice penale che appartiene ad un potere autonomo. 7. Il contenuto del ricorso giurisdizionale. I motivi aggiunti. Il processo amministrativo è introdotto dal ricorso i cui elementi essenziali sono indicati dal Regolamento di procedura del Consiglio di Stato, nell’art. 6 R.D. 642/1907, per effetto del rinvio di cui all’art. 19 della L. n. 1034/1971. Il ricorso deve contenere: 1) l’indicazione del tribunale adito; 2) le generalità del ricorrente. È ammesso il ricorso collettivo di più ricorrenti avverso uno stesso provvedimento purché gli interessi dei ricorrenti non siano in contrasto tra loro ed il ricorso cumulativo contro più provvedimenti tra di loro connessi. 3) L’indicazione del provvedimento impugnato e la data della sua notificazione per accertare il rispetto dei termini di decadenza. Nel caso di ricorso contro il silenzio rifiuto si devono indicare gli estremi dell’atto di diffida. Si può anche ricorrere contro un comportamento dell’amministrazione per ottenere una sentenza di accertamento; in tal caso non vi è alcun provvedimento fisico oggetto di impugnazione. 4) L’indicazione del fatto e dei motivi precisando gli articoli che si ritengono violati. Il fatto ha una grossa rilevanza per identificare la successione degli avvenimenti che costituiscono il presupposto del provvedimento. Essi possono costituire eventuali vizi di legittimità, come nel caso di travisamento dei fatti su cui si fonda la motivazione del provvedimento. Vedi Ricorsi amministrativi n. 7. Sostanziale per l’impugnativa è l’indicazione dei motivi che devono essere portati a sostegno del ricorso. Non sono ammessi motivi nuovi se non nei termini di proposizione del ricorso a riconferma del principio di decadenza del termine di presentazione del ricorso. Motivi aggiunti possono essere prodotti solo se sopravvengono nuovi fatti, successivamente all’atto impugnato, ovvero se vengono prodotti nuovi documenti. Essi devono essere fatti valere con apposito atto notificato alle controparti. La prassi dell’assorbimento riteneva che il giudice di secondo grado potesse esimersi dall’esame dei motivi di ricorso ritenuti assorbiti, ossia non rilevanti, in primo grado. COMMENTO 105 La giurisprudenza ammette che il ricorrente richieda, in secondo grado, la pronuncia sui motivi assorbiti. I motivi di impugnazione devono trovare espresso sostegno negli articoli di legge che si ritengono violati. 5) Le conclusioni. Il petitum è elemento essenziale del ricorso. Esso può avere varia natura. Si possono avere richieste strumentali alla decisione.

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Le richieste istruttorie hanno per oggetto la produzione di documenti ovvero l’ammissione di prove testimoniali per la giurisdizione di merito. Sono richieste pregiudiziali quelle relative alla sospensione del giudizio per l’esame di una questione civile o alla richiesta di remissione degli atti alla Corte costituzionale. Sono richieste cautelari quelle relative alla sospensione degli effetti dell’atto impugnato. La richiesta qualificante è quella relativa all’annullamento dell’atto amministrativo, nel giudizio di legittimità. Essa può anche consistere nella richiesta di riforma o di ottemperanza o di condanna nel giudizio di merito. 6) La sottoscrizione del ricorso da parte del ricorrente o del suo procuratore speciale. La carenza di questi elementi ovvero l’incertezza assoluta sulla persona del ricorrente o sull’oggetto della domanda provoca la nullità del ricorso. È ammesso, ex art. 35, R.D. n. 1054/1924, e art. 6, n. 4, R.D. n. 642/1907, il litisconsorzio volontario da parte di più soggetti che hanno interesse ad impugnare un unico provvedimento. Il ricorso si dice in tal caso collettivo ed è caratterizzato da un’unica situazione sostanziale e processuale. Si ha invece il ricorso cumulativo quando esso è rivolto verso più atti. La giurisprudenza riconosce tale possibilità, anche nei confronti di atti provenienti da amministrazioni diverse, quando tra essi sussista un collegamento procedimentale che colpisce un unico interesse del ricorrente. Ad esempio il diniego di concessione edilizia basato su di una norma illegittima di piano ovvero una esclusione da una aggiudicazione di gara di appalto conseguente ad una norma illegittima del bando. S. CASSESE (a cura di), Diritto amministrativo speciale, IV, Il processo amministrativo 2000, 3307. L’art. 1, L. n. 205/2000, modifica sostanzialmente il modo di proporre ricorso contro tutti gli atti connessi all’oggetto del ricorso, precedentemente presentato, in pendenza del medesimo. Nella precedente dizione dell’art. 21, L. n. 1034/1971, detti atti dovevano impugnarsi con separati ricorsi, mentre ora è necessario proporre motivi aggiunti al ricorso principale. O. FORLENZA, Un processo ispirato al codice di procedura civile più funzionale alla tutela dei diritti soggettivi, in Guida dir. 2000, n. 30, 38. Ad esempio, se si impugna una variante di piano regolatore e, successivamente, il comune adotta un piano attuativo si porranno motivi aggiunti al ricorso principale qualora si voglia impugnare anche l’ultimo atto, con conseguente economia processuale. 7.1. Bolli e tasse. Il ricorso deve essere redatto in bollo. 106 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA L’importo della carta bollata è stato da ultimo fissato in € 10,33 dall’art. 20 dell’allegato A della Tariffa di cui al D.P.R. n. 642/1972 che disciplina l’imposta di bollo come risulta variata dal D.M. 20 agosto 1992, n. 15, delegato all’approvazione con l’art. 10 della L. n. 359/1992 e mod. successive. L’imposta di bollo per gli atti compiuti dal giudice e dal segretario, compresa quella per gli originali delle decisioni, è di € 92,96. Altri € 92,96 devono essere versate in caso di richiesta di sospensiva, per il T.A.R. ed il Consiglio di Stato. È soggetta al bollo la procura alle lite anche se prodotta in calce al ricorso già bollato, poiché è atto distinto dal ricorso, ai sensi dell’art. 20 allegato A citato. Sono espressamente esentati dall’imposta il ricorso in materia di pubblico impiego, ai sensi dell’art. 12 dell’allegato B della Tariffa di cui al D.P.R. citato e dell’art. 10 della L. n. 533/1973, e il ricorso in materia elettorale ai sensi dell’art. 19 comma 4 della L. n. 1034/1971. La mancata regolarizzazione ai fini del bollo non produce irricevibilità del ricorso, ma semmai l’obbligo del cancelliere di trasmette il ricorso all’ufficio del registro per la regolarizzazione, ai sensi dell’art. 19, comma 3, del D.P.R. n. 642 citato. La tassa di ricorso è prevista, dall’art. 4 della L. n. 283/1957 che modifica la L. n. 1018/1950, solo per il ricorso al Consiglio di Stato, in € 1,55 per il ricorso normale ed in € 3,10 per il ricorso per revocazione. La tassa è corrisposta in modo virtuale tramite versamento all’ufficio del registro di Roma. 7.2. Le innovazioni portate dalla L. 23 dicembre 1999, n. 488. L’art. 9 della L. 23 dicembre 1999, n. 488, sostituisce, a partire dal 1 luglio 2000, il sistema precedente basato sulle imposte di bollo, le tasse ed i diritti di segreteria, istituendo un contributo

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unificato di iscrizione a ruolo secondo la tabella riportata in calce alla stessa legge. Il termine è stato prorogato al 1° gennaio 2002 dall’art. 5, D.L. 30 giugno 2001, n. 246. Il valore della domanda, determinato in base all’ex art. 10 e ss. c.p.c., deve essere espresso in un’apposita dichiarazione, resa nell’atto introduttivo o nell’atto di precetto, ai sensi del comma 5 dello stesso art. 9. Se il valore della causa è indeterminabile la normativa stabilisce un contributo di € 309,87 o di € 154,94 se essa è di competenza del giudice di pace. In tutti gli altri casi il valore della causa deve essere dichiarato e a questo viene ragguagliato il contributo relativo, unificato in relazione allo scaglione di riferimento. Il pagamento deve, logicamente, essere effettuato prima o all’atto del deposito dei fascicoli per l’iscrizione a ruolo della causa, come avviene attualmente per il pagamento della tassa di iscrizione a ruolo; ne sono escluse le parti civili nel processo penale. Per l’atto di precetto si pone il problema solo quando esso non sia di pagamento somme. Qualora la domanda venga modificata in modo da aumentarne il valore, la parte deve dichiararlo e procedere al pagamento integrativo secondo le tabelle, pena l’improcedibilità della domanda. In questo modo si elimina il cosiddetto valore indeterminato, dato che si potrà sempre integrare successivamente un’eventuale differenza del valore espresso nella dichiarazione iniziale. COMMENTO 107 La sanzione dell’improcedibilità della domanda equivale, praticamente, all’attuale mancato pagamento delle tasse di iscrizione a ruolo. La norma prevede una tabella riguardante le spese per gli atti giudiziari abolendo tutti gli oneri attuali. La tabella, in particolare, per quanto inerisce ai procedimenti civili, penali ed amministrativi e, inoltre, per le materie tavolari, le procedure concorsuali e di volontaria giurisdizione, elimina le carte bollate e le relative marche, la tassa di iscrizione a ruolo, i diritti di cancelleria e di chiamata dell’ufficiale giudiziario. La normativa stabilisce, per i procedimenti indicati, ma con l’esclusione di quelli penali, il contributo unificato di iscrizione a ruolo, il cui contenuto è specificato nella tabella 1. Essa è suddivisa a scaglioni di valore delle cause, seguendo i criteri adottati per le tariffe professionali forensi. Tabella (1° comma). Nulla è dovuto per le cause fino a € 1.032,91. € 61,97 per le cause da € 1.032,91 a € 5.164,57. € 154,94 da € 5.164,58 a € 25.822,84. € 309,87 da € 25.822,85 a € 51.645,69. € 413,17 da € 51.645,70 a € 258.228,45. € 671,39 da € 258.228,46 a € 516.456,90. € 929,62 da € 516.456,91 senza limiti. Tabella (2°, 3°, 4°, 5°). Per i processi il cui valore sia indeterminabile il contributo è fissato in € 309,87 per quanto riguarda i processi civili ed amministrativi e in € 154,94 per quelli civili di competenza esclusiva del giudice di pace. Il contributo viene poi dimezzato per quanto attiene i procedimenti speciali previsti nel Libro quarto, titoli I e II c.p.c., ossia i procedimenti sommari e in materia di famiglia e di stato delle persone. Inoltre per il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo e per il giudizio di opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento. Non si deve pagare nulla per i procedimenti cautelari richiesti in corso di causa, art. 669 quater c.p.c. Il contributo è fissato in € 154,94 per i procedimenti di esecuzione immobiliare e in € 77,47 per quelli mobiliari. 7.3. La notifica. Il ricorso deve essere notificato tanto all’organo che ha emesso l’atto impugnato quanto ad almeno uno dei controinteressati, ossia di coloro a cui l’atto si riferisce, entro il termine di 60 giorni da quando l’interessato ne abbia ricevuto notifica o da quando ne abbia avuta piena conoscenza, ai sensi dell’art. 21 della L. n. 1034/1971. Per quanto riguarda gli atti per cui non sia prevista la notifica individuale il termine di

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sessanta giorni parte dal giorno della scadenza del termine di pubblicazione, se questa è prevista dalla normativa o da regolamento. Rimane l’obbligo di integrare tali notifiche con ulteriori notifiche agli altri controinteressati prescritte dal tribunale amministrativo regionale. 108 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA Qualora la notifica debba essere effettuata nei confronti di una amministrazione dello Stato, questa deve essere appoggiata presso l’ufficio dell’Avvocatura dello Stato. L’Avvocatura generale dello Stato, con sede in Roma Via dei Portoghesi 12, provvede alla rappresentanza e difesa delle amministrazioni nei giudizi davanti alla Corte costituzionale, alla Corte di cassazione, al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche ed alle altre supreme giurisdizioni, anche se amministrative, ed ai collegi arbitrali con sede in Roma, nonché nei procedimenti innanzi ai collegi internazionali e comunitari. Le Avvocature distrettuali provvedono alla rappresentanza e difesa in giudizio delle amministrazioni nelle rispettive circoscrizioni. Le funzioni dell’Avvocatura dello Stato sono estese alle regioni a statuto ordinario che decidano di avvalersene, ai sensi dell’art. 10 della L. n. 103/1979. La notifica è effettuata a mezzo dell’ufficiale giudiziario che non può ricusare gli adempimenti relativi senza indicarne per iscritto i motivi. L’ufficiale giudiziario è competente alla notificazione nell’ambito del mandamento ove ha sede l’ufficio cui è addetto, ai sensi dell’art. 106 del D.P.R. 5 dicembre 1959, n. 1229. L’ufficiale giudiziario deve avvalersi del servizio postale per gli atti in materia civile e amministrativa da eseguirsi fuori del comune ove ha sede l’ufficio, salvo la facoltà di delegare su richiesta il messo di conciliazione. La notifica deve essere effettuata mediante consegna al destinatario di copia conforme all’originale dell’atto da notificare, a norma degli artt. 137 e segg. del c.p.c. La ritualità della notifica deve essere verificata personalmente dal difensore pena la improcedibilità del ricorso, salva la riammissione in termini per errore scusabile. Le irregolarità formali danno luogo alla improcedibilità del ricorso a meno che non si sanino attraverso l’applicazione analogica dell’istituto della sanatoria, ex art. 56 c.p.c., per effetto della comparizione delle parti. 7.4. La riduzione dei termini del giudizio sui provvedimenti riguardanti le opere pubbliche nella L. n. 205/2000. L’art. 19 del D.L. 25 marzo 1997, n. 67, convertito, con modifiche, nella L. 23 maggio 1997, n. 135, prevede innovative disposizioni per i giudizi davanti ai T.A.R. e al Consiglio di Stato, che riguardano la realizzazione di opere pubbliche e di pubblica utilità e che afferiscono le relative procedure di espropriazione. Quanto mai opportuna appare la modifica apportata al c. 3 dell’art. 19, la quale dimezza i termini processuali. Poichè l’intero art. 19 appare improntato allo scopo di accelerare i tempi dei giudizi ne consegue che essa ne risulta la disposizione cardine. Tale riduzione, come è stato espressamente specificato in sede di conversione, concerne tutti i termini processuali, dimezzando sia i termini fissati per le parti sia quelli assegnati al giudice, a prescindere del carattere perentorio o meno che gli appartiene. Il c. 2 dell’art. 19 consente al T.A.R. di definire immediatamente nel merito il giudizio, nel caso che la valutazione discrezionale del giudice che esamina il ricorso in sede di sospensiva sia in tal senso e sia comunque ferma la richiesta della sospensione del provvedimento impugnato, con motivazione in forma abbreviata, non solo qualora si tratti di accertare l’infondatezza del ricorso, ma anche che il ricorso stesso sia da accogliere. In tale modo sono COMMENTO 109 state eliminate le illogiche diversità, prospettate dall’originaria formulazione del c. 2, tra le due ipotesi sopra menzionate, in quanto era consentita la definizione immediata del giudizio solo nel caso dell’accertamento dell’infondatezza o dell’irricevibilità o inammissibilità del ricorso. Il c. 1 dell’art. 19, che individua gli stessi giudizi che richiedono l’applicazione delle nuove disposizioni processuali, è stato anch’esso modificato in sede di conversione. Sono infatti stati aggiunti, a quelli previsti, i giudizi aventi a oggetto provvedimenti relativi a procedure di affidamento di incarichi di progettazione e attività tecnico-amministrative ad esse connesse. L’art. 19 ricomprende espressamente i giudizi che, impugnando i provvedimenti con i quali è attribuita la progettazione dell’opera pubblica, si pongono sia da un punto di vista

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logico che cronologico in una fase precedente quella dell’aggiudicazione e dell’affidamento dei lavori che è già ricompresa nel c. 1 dell’art. 19 come formulato dal D.L. 67/1997. Detta esplicita previsione chiarisce in modo inequivocabile l’applicabilità ai detti giudizi delle norme processuali formulate dall’art. 19; la stessa definisce però i giudizi, considerati nel c. 1, previsioni non assoggettabili a interpretazioni estensive o analogiche. Permane il dubbio se le disposizioni dell’art. 19 siano applicabili ai giudizi che riguardano provvedimenti concernenti la fase antecedente l’affidamento dei lavori e la realizzazione dell’opera, quali gli stessi bandi di gara o anche le esclusioni dalle gare. L’esigenza di sollecita definizione delle relative controversie, che ispira tutto l’art. 19, è particolarmente sentita per questi provvedimenti, più ancora che per quelli relativi all’affidamento dell’incarico di progettazione. L’art. 19, L. 135/1997, è stato abrogato dall’art. 4, L. 205/2000. 7.4.1. Il rito speciale introdotto dalla L. 205/2000. L’art. 4, L. 205/2000, stabilisce una speciale procedura per i giudizi innanzi al giudice amministrativo aventi ad oggetto determinati provvedimenti tassativamente indicati, introducendo l’art. 23 bis alla L. 1034/1971. S. MEZZOCAMPO, Rito speciale: scorciatoia verso la causa di merito, in Guida dir. 2000, n. 30, 56. Lo scopo è di accelerare la durata del processo in determinate materie sulla strada inaugurata dalla L. 135/1997 per le controversie in materia di gara d’appalto, che ora è abrogata e ridisegnata da detto articolo. La dottrina ha criticato questo diritto di precedenza di alcuni pubblici interessi nei confronti di altri; è evidente che la celerità degli uni allunga la durata del processo degli altri. I giudizi indicati hanno carattere tassativo e riguardano i settori afferenti alla rapida esecuzione degli appalti di opere pubbliche e, in particolare, i giudizi aventi ad oggetto i provvedimenti relativi a procedure di affidamento di incarichi di progettazione; i provvedimenti relativi alle procedure di aggiudicazione, affidamento ed esecuzione di opere pubbliche, nonché quelli relativi alle procedure di occupazione ed espropriazione delle aree destinate a dette opere; i provvedimenti relativi alle procedure di aggiudicazione, affidamento ed esecuzione di servizi pubblici e forniture. L’applicazione del rito speciale è stata ribadita dall’art. 53 del D.P.R. n. 327/2001, T.U. sugli espropri. 110 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA Sono assoggettati al nuovo rito i giudizi concernenti i provvedimenti di tutte le autorità amministrative indipendenti; è abrogata la L. 249/1997 che, all’art. 1, comma 27, affidava al giudice amministrativo i giudizi concernenti i provvedimenti dell’autorità per le garanzie nelle telecomunicazioni. La giurisprudenza ha confermato che la controversia insorta tra il privato titolare di emittente radiofonica, che abbia conseguito l’autorizzazione provvisoria all’esercizio della radiodiffusione in ambito locale a seguito di domanda di concessione all’esercizio stesso, e l’amministrazione, che abbia successivamente rigettato la predetta istanza, è devoluta alla giurisdizione del giudice amministrativo nell’ambito della sua generale giurisdizione di legittimità. Cass. civ., Sezioni Unite, 13 novembre 1999, n. 765, in Mass. Giust. civ. 1999, 2242. Sono soggetti al nuovo rito speciale i provvedimenti relativi alle procedure di privatizzazione o di dismissione di imprese o beni pubblici o di costituzione delle società, delle aziende e delle istituzioni comunali, ex art. 22, L. 142/1990. Sono soggetti al nuovo rito speciale i provvedimenti di nomina, ad esempio, alla presidenza di enti, istituzioni o aziende di cui alla L. 400/1988, che sono effettuati con decreto del Capo dello Stato previa delibera del Consiglio dei Ministri. Sono soggetti, infine, al nuovo rito speciale i provvedimenti di scioglimento degli enti locali e quelli connessi alla formazione e al funzionamento degli organi. La prima norma processuale riguarda la riduzione a metà dei termini processuali, escluso quello per la presentazione del ricorso. Essa risolve la disputa originata in precedenza dalla disposizione, che includeva anche il termine per ricorrere fra quelli processuali e ne imponeva la riduzione. La seconda si riferisce al termine di deposito del dispositivo che deve essere pubblicato entro sette giorni dalla data dell’udienza. Le altre modifiche riguardano le domande cautelari e l’appello. 7.4.2. Le misure cautelari.

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Al fine di accelerare la conclusione del processo, ove il giudice evidenzi ad un primo esame l’illegittimità del provvedimento impugnato egli deve fissare con ordinanza la data di discussione del merito alla prima udienza successiva al termine di trenta giorni dalla data del deposito dell’ordinanza. Solo il sospetto dell’illegittimità del provvedimento provoca la fissazione dell’udienza di merito al fine di decidere con tutta urgenza. Per converso la discussione dell’istanza cautelare fa conseguentemente presupporre che la stessa sia respinta. La volontà del legislatore di accelerare i tempi del processo si manifesta anche nel caso in cui il Consiglio di Stato riformi l’ordinanza di primo grado. In tal caso la pronuncia sull’appello è trasmessa al T.A.R. che deve fissare l’udienza di merito entro trenta giorni a decorrere dalla data del ricevimento dell’ordinanza da parte della segreteria. Il rigetto delle misure cautelari in appello configura quindi ex lege un congelamento del processo, che può essere, a tal punto, sollecitato dalle istanze di prelievo di parte. COMMENTO 111 7.4.3. L’appello per i procedimenti oggetto di rito speciale. L’appello può essere proposto con l’espresso fine di ottenere la sospensione dell’esecuzione della pronuncia di primo grado nel termine di trenta giorni dalla pubblicazione del dispositivo. I motivi dell’appello possono essere proposti successivamente negli ulteriori trenta giorni dalla notificazione dalla sentenza ovvero entro centoventi giorni dalla comunicazione della pubblicazione della stessa, ex l’art. 23 bis, comma 7, L. 1034/1971, mod. art. 4, L. 205/2000. 8. Il controinteressato. Il giudizio amministrativo non si instaura, come il giudizio civile, con una citazione a comparire ad udienza fissa avente data fissa, ma con un ricorso al giudice perché provveda ad annullare il provvedimento impugnato. Gli effetti sostanziali non cambiano, anche se proceduralmente si attribuisce al giudice un più esteso potere, almeno teorico, in ordine all’istruttoria con la possibilità di richiedere direttamente alla amministrazione documentazioni e certificazioni. Il principio del contraddittorio si realizza attraverso la notifica del ricorso alla amministrazione che ha emanato l’atto e a coloro ai quali l’atto direttamente si riferisce, ovvero almeno ad uno di essi. Chi ha interesse all’atto, il cosiddetto controinteressato, deve avere la possibilità di costituirsi in giudizio per far valere le sue ragioni a fianco dell’amministrazione resistente ovvero parallelamente al ricorrente per conseguire anche egli gli effetti del ricorso, ai sensi dell’art. 21 della L. n. 1034/1971. R. GALLI, Corso di diritto amministrativo, 1996, 980. 9. Il deposito del ricorso. L’instaurazione del giudizio. Il controricorso. Il ricorso, con la prova delle avvenute notifiche, e con copia del provvedimento impugnato, ove in possesso del ricorrente, deve essere depositato nella segreteria del tribunale amministrativo regionale, entro trenta giorni dall’ultima notifica. Il termine è perentorio, la sua inosservanza provoca la improcedibilità del ricorso. Nel termine stesso deve essere depositata copia del provvedimento impugnato, ove non depositata con il ricorso ovvero ove notificato o comunicato al ricorrente, e dei documenti di cui il ricorrente intenda avvalersi in giudizio. La mancata produzione da parte del ricorrente della copia del provvedimento impugnato e della documentazione a sostegno del ricorso non implica decadenza. In tal caso l’onere di produrre il provvedimento impugnato passa all’amministrazione, che deve effettuare il deposito entro sessanta giorni dalla scadenza del termine di deposito del ricorso. L’amministrazione ha la facoltà di produrre, inoltre, gli atti e i documenti in base ai quali l’atto è stato emanato, quelli in esso citati e quelli che l’amministrazione ritiene utili al giudizio. Dell’avvenuta produzione del provvedimento impugnato, nonché degli atti e dei documenti in base ai quali l’atto è stato emanato, deve darsi comunicazione alle parti costituite. 112 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA Ove l’amministrazione non provveda all’adempimento, il presidente, ovvero un magistrato da lui delegato, ordina, anche su istanza di parte, l’esibizione degli atti e dei documenti nel termine e nei modi opportuni, ex art. 21, L. 6 dicembre 1971, n. 1034, mod. art. 1, L. 21

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luglio 2000, n. 205. Il giudizio si instaura con il deposito del ricorso nella segreteria del tribunale adito. Nel termine successivo dei venti giorni rispetto a quello stabilito per il deposito del ricorso, l’amministrazione ed i controinteressati possono costituirsi in giudizio, ai sensi del successivo art. 22, L. n. 1034 citata. Il termine non è considerato perentorio; la costituzione delle parti è ammessa fino alla udienza in cui la causa passa in decisione con i limiti temporali previsti per la presentazione di memorie, ossia fino a dieci giorni prima dell’udienza, e di documenti, ossia fino a venti giorni prima dell’udienza, ai sensi dell’art. 23 comma 4 della L. n. 1034 citata. 9.1. Il ricorso incidentale. Il ricorso incidentale disciplinato dall’art. 37 del T.U. sul Consiglio di Stato, R.D. n. 1054/1924, ha sostanzialmente lo scopo di rimettere in termini il controinteressato che abbia, difformemente dal ricorrente, interesse a mantenere in vita il provvedimento amministrativo impugnato, ovvero ad impugnarlo per altre parti, a seguito del ricorso principale. È un ricorso che ha natura accessoria rispetto a quello principale e ne segue le sorti. L’inammissibilità o la rinunzia del ricorso principale fanno perdere efficacia a quello incidentale. Il ricorso incidentale non può modificare l’oggetto del giudizio principale avendo natura accessoria. Per questo il ricorrente in via incidentale ha un termine perentorio di 30 giorni, successivi a quello assegnato per il deposito del ricorso principale, per proporre ricorso che deve essere notificato alle altre parti ossia al ricorrente, presso il domicilio dell’avvocato che ha firmato il ricorso, e all’amministrazione. La mancata notifica all’amministrazione non è causa di inammissibilità per il T.A.R. Molise, 5 novembre 1985, n. 188, in T.A.R. 1986, 286. L’originale del ricorso incidentale con la prova delle avvenute notifiche e con i documenti proposti deve essere presentato in cancelleria nel termine di 10 giorni. Il termine fissato dall’art. 44 del Reg. R.D. n. 642/1907 per presentare memorie avverso tale ricorso è considerato ordinatorio, per cui entro dieci giorni dall’udienza possono presentarsi memorie ed entro venti documenti, ai sensi dell’art. 23, comma 4, della L. n. 1034 citata. 9.2. L’intervento ad adiuvandum e ad opponendum. Nel giudizio possono intervenire volontariamente i terzi che ne abbiano interesse. Il terzo può intervenire per aderire alle richieste del ricorrente ovvero per opporvisi. La domanda di intervento è notificata alle parti, nel rispettivo domicilio di elezione, e all’organo che ha emanato l’atto impugnato e deve essere depositata presso la segreteria del T.A.R. entro venti giorni dalla data di notificazione, ai sensi dell’art. 22 comma 2 della L. n. 1034/1971. L’intervento si può avere in ogni tempo poiché il termine di deposito non è stato considerato perentorio. COMMENTO 113 L’intervento è ammissibile se presentato prima dei venti giorni anteriori all’udienza di trattazione, interpretando estensivamente l’art. 23, comma 4, della L. n. 1034/1971. Difformemente al giudizio civile non è previsto che il giudice integri obbligatoriamente il contradditorio. Il processo amministrativo è generalmente definito accusatorio e di parte; a tale caratteristica del processo corrisponde il metodo istruttorio dispositivo, tipico dei processi che originano da un atto di citazione nei quali vi è perfetta parità delle parti nel processo. Sono le parti che debbono introdurre i fatti necessari a rendere fondate le loro ragioni e non il giudice che ha l’obbligo di giudicare secondo quanto provato e prodotto dalle parti. All’onere del ricorrente di affermare i fatti su cui si fonda la sua pretesa non corrisponde l’onere di provarli per cui sussiste un potere acquisitivo del giudice dei mezzi di prova. Viene trasferito dalla parte al giudice il potere di disporre dei fatti introdotti nel ricorso; la parte ha solo il compito di introdurli. In tal senso la L. n. 1034/1971. demanda al giudice il potere di ordinare l’esibizione da parte dell’amministrazione del provvedimento impugnato qualora non sia stato prodotto precedentemente in giudizio; nel caso in cui ritenga incompleta l’istruzione può ordinare qualunque altro mezzo istruttorio ai sensi dell’art. 44 del T.U. sul Consiglio di Stato. 10. L’istruttoria. Il processo amministrativo, di norma, si svolge su fatti documentati; pertanto la fase

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istruttoria è eventuale e non necessaria. Il ricorrente ha l’onere della prova, ma l’amministrazione resistente deve, su richiesta del giudice, esibire il provvedimento impugnato ed eventuali documenti. La richiesta in tal senso può essere posta o attraverso una ordinanza istruttoria del presidente del tribunale prima dell’udienza di trattazione, ovvero con ordinanza istruttoria del Collegio in sede di discussione della causa, ovvero con sentenza istruttoria, ai sensi dell’art. 23, comma 5, della L. n. 1034/1971, e dall’art. 14, R.D. n. 1054/1924. Il giudice amministrativo può ora disporre anche la consulenza tecnica, ex art. 44, R.D. n. 1054/1924, mod. art. 16, L. n. 205/2000. F. CARINGELLA, G. DE MARZO, F. DELLA VALLE, R. GAROFOLI, La nuova giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo 2000, 569. Ai sensi degli artt. 33 e 35, D.L.vo n. 80 del 1998, il T.A.R. può disporre in sede cautelare una consulenza tecnica d’ufficio in tema di trattamenti sanitari. La normativa di cui al richiamato D.L.vo 31 marzo 1998, n. 80, pare esprimere la regola che, al di fuori di ogni ipotesi in cui si tratti di valutare il perseguimento del pubblico interesse e di attuare, quindi, discrezionalmente la subordinazione degli interessi dei privati a quello pubblico indicato da una norma, la valutazione dei fatti e dei presupposti dell’azione dell’amministrazione ben può essere riprodotta nel processo a mezzo di consulenza tecnica d’ufficio. T.A.R. Lombardia, Milano, sez. III, 30 giugno 1999, ord. n. 204, in Riv. giur. ed. 1999, I, 1159. T.A.R. Abruzzo, sez. Pescara, 15 aprile 1999, ord. n. 157, in Studium Juris 1999, 893. I provvedimenti istruttori non sono suscettibili di impugnazione, poiché non formano giudicato. 114 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA L’istruttoria nel giudizio di legittimità è limitata alla produzione di documenti ovvero di chiarimenti semplici o documentali, ad esempio una relazione di progetto, e alla certificazione a mezzo di tecnici in contraddittorio con le parti, come dispone l’art. 26 del Regolamento di procedura del Consiglio di Stato. Nel giudizio di merito, avente ad oggetto anche il fatto, è ammesso qualsiasi altro mezzo di prova ex art. 27 regolamento, tra cui testimonianze, ispezioni, perizie; sono esclusi il giuramento e l’interrogatorio che contraddicono il principio del libero convincimento del giudice. Le memorie devono essere depositate in giudizio entro 10 giorni dalla fissazione dell’udienza e i documenti fino a venti giorni prima, ex art. 23, comma 4, L. 6 dicembre 1971, n. 1034. L’attività istruttoria effettuata oltre detti termini non può essere valutata agli effetti della decisione ove manchi l’esplicito consenso della controparte alla produzione tardiva. T.A.R. Campania, sez. Napoli, 16 gennaio 1997, n. 39, in T.A.R. 1997, 1090. La giurisprudenza ha giudicato tardivo il deposito dell’atto di intervento in causa che avvenga meno di venti giorni prima dalla data di discussione del ricorso, in quanto rende impossibile per le altre parti di fruire pienamente dei termini previsti dall’art. 23, L. 6 dicembre 1971, n. 1034 per la preparazione dell’udienza di trattazione. T.A.R. Abruzzo, sez. Pescara, 25 luglio 1998, n. 507, in T.A.R. 1998, 3785. L’intervento adesivo nel giudizio amministrativo non é soggetto a termini decadenziali e può dunque essere presentato in ogni momento purché sia rispettato il disposto dell’art. 23 L. T.A.R. Ne consegue che è inammissibile tale intervento ove manchino meno di venti giorni dalla data fissata per la discussione del ricorso. T.A.R. Emilia Romagna, sez. II, Bologna, 4 novembre 1997, n. 708 , in Foro amm. 1998, 2487. 10.1. La fissazione d’udienza. Il giudizio si svolge ad udienza fissa. Il ricorrente ha l’onere entro due anni dalla presentazione del ricorso di presentare la domanda di fissazione di udienza, la prassi ha aggiunto la richiesta motivata di prelievo del fascicolo. Il presidente fissa la data d’udienza. La discussione della causa inizia, di fronte al collegio, con una relazione del relatore, indi gli avvocati illustrano le questioni fondamentali. Il presidente dirige la discussione. Se non emergono richieste istruttorie o di rinvio la causa passa in decisione. È prevista la discussione in camera di consiglio per le pronunce dichiarative della cessazione del giudizio. 11. Il giudizio. La rinuncia.

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Il giudizio può cessare prima che venga emessa la relativa sentenza. La pronuncia dichiarativa della cessazione del giudizio è presa in camera di consiglio nei seguenti casi tassativamente previsti dalla legge. La rinuncia al giudizio da parte del ricorrente è effettuata a mezzo di atto scritto notificato alla controparte ovvero in udienza con dichiarazione del difensore munito di delega espressa da parte del ricorrente. COMMENTO 115 La rinuncia opera senza bisogno di accettazione. La cessazione della materia del contendere si ha qualora la pubblica amministrazione annulli o modifichi l’atto nei termini richiesti nel ricorso. Non è quindi solo necessario che l’atto sia eliminato, ma non vi deve essere neppure alcun effetto novativo con la ripresentazione di un provvedimento che riproponga la stessa situazione oggetto del ricorso. Devono essere eliminati gli effetti propri ab origine, è necessaria una revoca con effetto ex tunc e non una semplice abrogazione con effetti ex nunc. È da distinguere tale ipotesi dalla sopravvenuta carenza di interesse a ricorrere che riveste carattere di perdita di un requisito sostanziale del ricorso che determina la inammissibilità successiva del ricorso e che deve essere dichiarata con sentenza. La perenzione viene dichiarata qualora le parti non compiano atti procedurali; nei due anni successivi al deposito del ricorso deve essere obbligatoriamente richiesta la fissazione di udienza, ai sensi dell’art. 23 L. n. 1034/1971. Il termine è sospeso per adempimenti istruttori o per termini feriali. L’art. 9, L. 205/2000, prevede una ipotesi particolare di perenzione per i ricorsi ultradecennali. Essa si realizza quando siano decorsi dieci anni dalla data del deposito del ricorso e la parte ricorrente non abbia presentato, a seguito di apposito avviso da parte della segreteria del T.A.R., nuova istanza di fissazione d’udienza. L’istanza deve essere controfirmata oltre che dal difensore anche dalle parti e deve essere presentata entro sei mesi dalla data di notifica dell’avviso medesimo. L’intento di eliminare il numero dei ricorsi pendenti verificando in termini brevi l’effettivo interesse dei ricorrenti è evidente. La rinuncia al ricorso, la cessazione della materia del contendere, l’estinzione del giudizio e la perenzione sono pronunciate con decreto dal presidente della sezione competente o da magistrato da lui delegato. Il decreto è depositato in segreteria che a sua cura ne dà notizia alle parti costituite. Contro il decreto è possibile proporre opposizione con atto notificato a tutte le altre parti e depositato in segreteria entro dieci giorni dall’ultima notifica. Il termine per la decisione sull’opposizione è chiaramente ordinatorio ed è fissato in trenta giorni. I termini processuali per il ricorso in appello, invece, sono perentori e sono ridotti alla metà di quelli ordinari, ex art. 9, L. 205/2000. 12. Pronunce dichiarative della cessazione del giudizio. Qualora il processo sia sospeso per un evento interruttivo relativo al ricorrente, come la morte della parte, o per la soluzione di problemi incidentali all’oggetto della controversia, come, ad esempio perché sia sollevato ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione o per questione di illegittimità costituzionale, la causa deve essere riassunta entro sei mesi, vedi l’art. 24 L. n. 1034/1971. Scaduto il termine la decadenza deve essere eccepita. 116 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA Taluni ritengono che gli effetti della cessazione del giudizio debbono ricollegarsi in tal caso all’ipotesi di perenzione per cui si deve raggiungere complessivamente il termine di due anni di inattività. 13. Questioni incidentali. Il processo amministrativo può essere sospeso per la risoluzione di una serie di questioni che possono influire sullo svolgimento del processo medesimo e che vengono denominate incidentali. Il regolamento di giurisdizione, previsto dall’art. 30 L. n. 1034/1971, consente di ricorrere alle Sezioni Unite della Cassazione per avere una sentenza che definisca il giudice competente. Il ricorso è ammissibile fino a che la causa non venga discussa e comporta la sospensione del processo amministrativo.

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Sono sottratte al giudice amministrativo le questioni sullo stato e la capacità delle persone fisiche, come affermano gli artt. 7 e 8 della L. n. 1034/1971, che devono essere demandate al giudice civile con la relativa sospensione del giudizio amministrativo. Il giudizio penale pendente su di un fatto che ha rilevanza sul processo amministrativo comporta la sospensione di questo, ai sensi dell’art. 3 c.p.; così deve essere sospeso, per gli artt. 7 e 8 L. n. 1034/1971, se l’autorità giudiziaria deve risolvere un incidente di falso. L’incidente più noto è quello relativo alla proposizione di una questione di legittimità costituzionale. Se la questione è ritenuta ammissibile viene emessa ordinanza di rimessione degli atti alla Corte costituzionale ed il processo è sospeso. Parimenti nel caso di questione circa l’applicazione delle norme comunitarie essa deve essere rimessa alla Corte di Giustizia Comunitaria, ex art. 166 della L. n. 1203/1957. 14. Tutela cautelare. Il ricorso giurisdizionale non ha effetto sospensivo sul provvedimento impugnato. A tutela del ricorrente è ammessa la possibilità di chiedere la sospensione del provvedimento impugnato, ai sensi dell’art. 21 della L. n. 1034/1971. L’istanza è proposta o nello stesso ricorso giurisdizionale o con separata istanza che deve essere notificata e depositata. Dopo dieci giorni dall’ultima notifica l’istanza viene decisa nell’udienza immediatamente successiva. Il tribunale deve verificare che sussistano gli stessi presupposti che rendono ammissibile il giudizio cautelare. Il ricorso deve infatti avere il fumus boni iuris, ossia dimostrarsi fondato ad un primo esame, e dimostrare il pericolo di un danno grave ed irreparabile per il ricorrente derivante dall’immediata esecuzione del provvedimento. In questa sede il giudice amministrativo può disporre i provvedimenti di urgenza ordinando l’erogazione di somme di cui l’amministrazione risulti palesemente debitrice, ovvero in luogo della sospensione del provvedimento disporre il deposito di una cauzione. È ammessa la sospensione di atti negativi al fine di tutelare gli interessi cosiddetti pretensivi, ad esempio chi ha ottenuto un provvedimento negativo dall’Intendente di Finanza sulla sospensione del pagamento di un’imposta può chiederne la sospensiva al T.A.R. nel corso del giudizio COMMENTO 117 di impugnazione del silenzio, o chi è stato escluso da un esame può in sede di ricorso chiedere colla sospensiva del provvedimento l’ammissione con riserva all’esame medesimo. L’autonomia del giudice cautelare comporta la possibilità di impugnare in secondo grado le ordinanze di sospensione. In particolare la Corte costituzionale 1 febbraio 1982, n. 8 ha affermato il doppio grado di giurisdizione nel processo cautelare. L’applicazione delle misure cautelari nel processo amministrativo ha avuto una notevole estensione con l’entrata in vigore del D.L.vo. n. 80 del 1998 al fine di evitare una perdita di tutela effettiva delle situazioni giuridiche soggettive in contrasto con i principi costituzionali, ex artt. 24 e 113, Cost. La giurisprudenza ha così consentito, in sede di giurisdizione esclusiva, l’applicazione in via analogica di istituti e principi del processo civile, compatibili con quelli che informano il giudizio amministrativo e conseguentemente la pronuncia ex art. 186 ter, c.p.c. in relazione all’art. 21, L. n. 1034 del 1971. Può esser, pertanto, adottato un provvedimento cautelare atipico di condanna al pagamento del corrispettivo delle prestazioni di assistenza farmaceutica erogate dalle farmacie in regime convenzionale, quando sia provata documentalmente la sussistenza del credito. Tale provvedimento è giustificato anche della natura essenziale e pubblica del servizio farmaceutico nel cui contesto è sorto il diritto di credito, fatto valere con una domanda che non può rimanere insoddisfatta solo perché la giurisdizione è passata da un ordine giurisdizionale a un altro. T.A.R. Calabria, sez. Reggio Calabria, ord. 24 marzo 1999, n. 184, in Urb. app. 1999, 539. La devoluzione al giudice amministrativo della giurisdizione esclusiva in materia di servizi pubblici, di urbanistica ed edilizia, comporta fra l’altro che, in tali materie, possono trovare applicazione, per quanto non sia previsto dalle norme del processo amministrativo, anche le norme del c.p.c. e, quindi, anche l’art. 700, c.p.c. recante una residuale tutela cautelare

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atipica, per tutti i casi in cui non si dia luogo a una effettiva tutela provvisoria e cautelare delle situazioni giuridiche soggettive. T.A.R. Veneto, sez. I, ord. 19 marzo 1999, n. 356, in Giur. it. 1999, 1539. Apparendo sussistenti sia il fumus boni juris sia il danno grave ed irreparabile dedotti dagli avvocati ricorrenti ed istanti per la sospensione dell’efficacia dei provvedimenti di diniego alla trasmissione telematica delle dichiarazioni fiscali adottati nei loro confronti dall’ufficio finanziario competente, deve ordinarsi allo stesso ufficio finanziario di rilasciare ai ricorrenti, con riserva dell’esito del giudizio di merito, la richiesta abilitazione alla trasmissione telematica delle dichiarazioni fiscali entro dieci giorni dalla notificazione della relativa ordinanza del giudice amministrativo. La tutela degli interessi pretensivi che si assumono lesi da provvedimenti amministrativi di rigetto può essere, infatti, efficacemente realizzata in sede cautelare mediante l’adozione di misure d’urgenza di contenuto positivo, determinate autonomamente dal giudice, intese ad anticipare, in via meramente interinale, la produzione degli effetti del provvedimento richiesto dagli interessati e negato dall’amministrazione. T.A.R. Sicilia, sez. III, Catania, 21 luglio 1999, n. 1696, in Boll. trib. 1999, 1467. Per contro è stata dichiarata inammissibile l’azione cautelare proposta davanti al giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva, volta a ottenere nei confronti della P.A., proprietaria di bene pubblico, un provvedimento che le imponga un facere o un altro comportamento a tutela 118 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA della confinante proprietà privata. T.A.R. Friuli Venezia Giulia, ord. 21 agosto 1998, n. 154, in Giust. civ. 1999, I, 1228. La questione è stata successivamente rimessa all’Adunanza plenaria, per evitare ogni possibile conflitto ermeneutico al fine di valutare se il processo amministrativo appresti adeguate forme di tutela cautelare, sommaria ed anticipatoria dei crediti di cui il giudice amministrativo conosce nella sua competenza esclusiva. L’organo remittente pur riconoscendo che l’art. 21 L. T.A.R., sembra attribuire a quest’ultimo la potestà d’emanare ordinanze cautelari innominate ed atipiche, ha rilevato che tale soluzione in ogni caso implica necessariamente la definizione della controversia con il giudizio di merito e, come ogni altro giudizio cautelare, un gran dispendio di energie e risorse per il giudice adito. Cons Stato, sez. V, ord. 9 novembre 1999, n. 2440, in Foro amm. 1999, 2456. 14.1. Le misure cautelari introdotte dalla L. 205/2000. L’art. 3 della L. n. 205 del 2000 innova profondamente il processo cautelare modificando l’art. 21, comma 7, L. 1034/1971, risolvendo così le perplessità che erano sorte in giurisprudenza, vedi. G. CARUSO, Misure cautelari atipiche cancellano la sospensiva, in Guida dir. 2000, n. 30, 551. Esso cancella la cosiddetta sospensiva del provvedimento impugnato introducendo le misure cautelari vale a dire dei provvedimenti atipici che si configurano caso per caso secondo quanto richiesto dal ricorrente. Il ricorrente, nel tempo necessario perché sia pronunciata una decisione sul ricorso, può chiedere l’emanazione di quei provvedimenti che ritiene necessari per assicurare, nelle more, gli effetti della pronuncia sul ricorso, al fine di assicurarsi una giustizia sostanziale. Il tribunale amministrativo regionale si pronuncia sull’istanza con ordinanza emessa in camera di consiglio. Fra dette misure, che sono lasciate alla interpretazione giurisprudenziale, la norma comprende l’ingiunzione al pagamento di una somma. È risolto, in tal modo, anche il problema della tutela cautelare verso i provvedimenti negativi. Il giudice amministrativo può, infatti, ordinare all’amministrazione di provvedere nuovamente, fatto salvo l’esito finale del ricorso, ovvero può adottare un nuovo provvedimento in sostituzione dell’atto impugnato fino alla definizione nel merito della causa. Data la complessità che viene ad assumere il procedimento cautelare rispetto alla eccessiva semplificazione di quello precedente è evidente che l’esecuzione del provvedimento può essere oggetto di particolari impugnative relative a provvedimenti che la stessa amministrazione deve adottare in relazione al procedimento stesso. Detti provvedimenti devono essere impugnati nello stesso giudizio che ha dato loro origine, attraverso il nuovo strumento dei motivi aggiunti per dare modo sia al ricorrente sia agli eventuali controinteressati di contestare i provvedimenti adottati dall’amministrazione

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in esecuzione dell’ordinanza cautelare. Il giudice amministrativo può, inoltre, disporre il pagamento di una cauzione, anche mediante fideiussione, al quale subordinare la concessione o il diniego della misura cautelare qualora dall’esecuzione di tale provvedimento derivino effetti irreversibili. COMMENTO 119 Qualora la richiesta cautelare riguardi interessi sostanziali della persona, come il diritto alla salute, alla tutela dell’ambiente o ad altri beni di rilevanza costituzionale, la relativa concessione o il diniego non può essere subordinato a cauzione. L’ordinanza cautelare dà una motivazione in ordine alla valutazione del pregiudizio allegato ed indica i punti che, ad un sommario esame, inducono ad una ragionevole previsione sull’esito del ricorso. I difensori delle parti, se ne fanno richiesta, sono sentiti in camera di consiglio. In casi di estrema gravità ed urgenza, che non consentano di attendere neppure fino alla data in cui è stata convocata la camera di consiglio, il ricorrente può, contestualmente alla presentazione della domanda cautelare o con separata istanza notificata alle controparti − e quindi prima della trattazione della domanda cautelare − chiedere al presidente del tribunale amministrativo regionale o della sezione cui il ricorso è stato assegnato di disporre misure cautelari provvisorie. Il presidente provvede sulla richiesta di misure cautelari con decreto motivato anche in mancanza di contraddittorio con le parti. La mancata costituzione dell’amministrazione convenuta non impedisce l’emanazione del decreto. Spetta al giudice amministrativo la facoltà di integrare il contraddittorio anche per l’amministrazione non costituita nella fase cautelare, ex art. 21, comma 7, L. 1034/1971, mod. art. 3 della L. 205 del 2000. L’accoglimento della richiesta della misura cautelare comporta un’automatica priorità nella fissazione della data di trattazione del ricorso. Ciò, peraltro, non appare per nulla paritario nei confronti dei ricorrenti che si sono visti respingere la domanda cautelare e che non abbiano proposto ricorso in appello al Consiglio di Stato. Il Tribunale può, su domanda dei ricorrenti, dare all’amministrazione le opportune disposizioni attuative delle stesse misure in caso d’inadempimento totale o parziale. Contro le ordinanze che dispongono sulla richiesta di misure cautelari è ammesso ricorso in appello da proporre nel termine di sessanta giorni a partire dalla data della notificazione dell’ordinanza, ovvero di centoventi giorni dalla comunicazione del deposito dell’ordinanza in segreteria, riducendo a garanzia della celerità del processo il termine annuale prima vigente, ex art. 21, comma 8, L. 1034/1971, mod. art. 3, comma 2, L. 205 del 2000. 15. La sentenza. La forma semplificata. Il giudizio amministrativo ha come sua conclusione naturale la sentenza. In alcuni casi la sentenza ha natura strumentale. Ad esempio le sentenze interlocutorie che ordinano incombenze come la remissione degli atti alla Corte costituzionale ovvero le sentenze istruttorie. La decisione può avere ad oggetto i requisiti processuali dichiarando la irricevibilità o la improcedibilità del ricorso, ad esempio nel caso di ricorso tardivo ovvero la inammissibilità per carenza di presupposti dell’azione, ad esempio per vizi del ricorso come nel caso di carenza di sottoscrizione del ricorrente. Nel giudizio di legittimità se il ricorso è infondato la sentenza rigetta il ricorso. 120 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA Se il ricorso è accolto per motivi di competenza, la sentenza annulla l’atto e rimette l’affare alla autorità competente. Negli altri casi la sentenza annulla l’atto in tutto od in parte, salvi gli ulteriori provvedimenti dell’autorità amministrativa. Il giudice amministrativo non può sostituirsi all’amministrazione nel determinare il contenuto dell’atto, ai sensi dell’art. 26 della L. n. 1034/1971. L’amministrazione soccombente ha l’obbligo di ottemperare al dispositivo della sentenza, salva la possibilità del ricorrente di chiedere giurisdizionalmente l’ottemperanza al giudicato, vedi infra n. 4. Nel giudizio di merito la sentenza può riformare l’atto o sostituirlo. I commi 4, 5, 6 dell’art. 9, L. 205 del 2000 introducono le cosiddette sentenze brevi, in forma

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generalizzata di cui si sentiva fortemente la necessità sia da parte degli organi giudicanti sia dai difensori in giudizio come mezzo per semplificare ed accelerare il processo, particolarmente adatto a consentire di produrre un numero di sentenze maggiore e in modo più rapido. Da tempo, infatti, si era sviluppata l’idea che il giudice potesse verificare − in occasione dell’esame su istanza cautelare o in altre circostanze − che il ricorso fosse pacificamente da accogliere o da respingere, sia nel merito sia per ragioni di rito o processuali, e che ciò potesse portare all’immediata definizione del giudizio senza che fossero necessari ulteriori adempimenti processuali o nuovi esami a seguito di udienza pubblica, con conseguente inutile decorso di tempo. G. TERRACCIANO, Per le questioni chiare debutta la “sentenza breve”, in Guida dir. 2000, n. 30, 78. Tale idea era basata sul dato di esperienza ricavabile dall’esame delle decisioni dei giudici amministrativi, con riferimento e alle decisioni di inammissibilità dei ricorsi e riguardo alle sentenze relative a giudizi ripetitivi. Qualora il Tribunale Amministrativo Regionale o il Consiglio di Stato abbiano accertato la completezza del contraddittorio, si possono emettere le sentenze brevi successivamente alla decisione in camera di consiglio fissata per l’esame dell’istanza cautelare, ai sensi del comma 9, art. 21, L. 1034 del 1971, mod. dal comma 1, art. 3, L. 205 del 2000. Le sentenze brevi possono essere, inoltre, redatte nella camera di consiglio fissata d’ufficio in seguito all’esame istruttorio, ai sensi dell’art. 4, comma 2, R.D. 1054/1924, e tale procedura è applicabile anche al giudizio di primo grado. Nel caso di una decisione cautelare la controversia, se sussistono i presupposti normativi, è oggetto direttamente di decisione, in forma semplificata, presa in camera di consiglio. Nel caso di decisione di tipo istruttorio, l’esame consente al giudice di fissare con ordinanza e d’ufficio una camera di consiglio proprio per decidere in forma semplificata. 15.1.L’arbitrato alternativo al giudice amministrativo. L’art. 6, L. n. 205/2000 prevede espressamente la possibilità di risolvere le controversie inerenti alle posizioni di diritto soggettivo, che sono sotto la giurisdizione del giudice amministrativo, mediante arbitrato rituale di diritto. La normativa risolve in senso positivo le perplessità emerse dalla giurisprudenza che ha considerato nulle le clausole compromissorie che affidano ad arbitri controversie affidate alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. COMMENTO 121 Secondo questa giurisprudenza la compromissione in arbitri può trovare spazio unicamente per le questioni riservate all’autorità giudiziaria ordinaria ed è preclusa per quelle rientranti nella giurisdizione esclusiva del tribunale amministrativo. La sfera di competenza del giudizio arbitrale, derivante dalla volontà delle parti di derogare convenzionalmente alle attribuzioni del giudice civile, non può esorbitare rispetto all’ambito della giurisdizione assegnata a quest’ultimo, con conseguente nullità della clausola compromissoria eventualmente stipulata, per la parte in cui risulti in contrasto con le regole di riparto della giurisdizione. T.A.R. Campania, Napoli, sez. I, 1 ottobre 1998, n. 3071, in Foro amm. 1999, 853. La normativa elimina, quindi, le strade arbitrali non ortodosse, come l’arbitrato irrituale e l’arbitrato rituale secondo equità, dato che vi è coinvolta la parte pubblica, con i relativi interessi da soddisfare. Per quanto riguarda il risarcimento del danno per lesione di interessi legittimi si deve ancora verificare se sia preminente la posizione di base di interesse legittimo o il diritto soggettivo nascente, ex art. 2043, c.c., ovvero se sia rilevante il carattere meramente patrimoniale della controversia. La sentenza del Cons. Stato, Sezioni Unite n. 500/1999, ribadisce l’autonomia del diritto soggettivo al risarcimento rispetto alla posizione di interesse legittimo, la cui lesione rappresenta solo l’antefatto storico della richiesta di risarcimento. L’art. 6, L. n. 205/2000, stabilendo la possibilità, come già abbiamo detto, di ricorrere all’arbitrato rituale di diritto per le controversie riguardanti diritti soggettivi devoluti al giudice amministrativo, si pone in contrasto con il dettato dell’art. 7, L. n. 205/2000, che si propone effetti semplificanti con lo scopo di evitare che il processo per l’annullamento e quello per il risarcimento siano proposti davanti a diverse giurisdizioni. Il fatto che sia possibile la scissione fra il giudizio per l’annullamento dell’atto e il giudizio

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sul risarcimento, il primo è proponibile solo innanzi al giudice amministrativo, mentre il secondo è proponibile davanti al Collegio arbitrale, comporta conflitti pratici nei giudizi. I poteri degli arbitri, poi, dato che costituiscono via alternativa al giudizio amministrativo sul risarcimento, non vi è dubbio che dovrebbero essere esercitati nel giudizio risarcitorio con le caratteristiche proprie di quel giudizio amministrativo che sostituiscono. Da qui deriva l’anomala conseguenza che è possibile per gli arbitri conoscere incidentalmente un atto autoritativo ai fini risarcitori, come avviene per il giudice amministrativo e per il giudice ordinario chiamati a deliberare sul risarcimento di interessi legittimi, sulla base del modello presentato agli artt. 4 e 5 L. 20 marzo 1865, n. 2248, all. e). Per quanto riguarda un ricorso in appello contro i lodi arbitrali, la normativa attuale considera valido l’appello rivolto alla Corte d’appello in base al codice di procedura civile e non esamina la possibilità di un appello, più logico, portato al Consiglio di Stato. F. CARINGELLA, G. DE MARZO, F. DELLA VALLE, R. GAROFOLI, La nuova giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo 2000, 698. 16. I ricorsi. La sentenza di primo grado può essere impugnata presso lo stesso tribunale che l’ha pronunciata con ricorso per revocazione e con ricorso in appello al Consiglio di Stato. 122 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA 16.1. Ricorso per revocazione. I casi in cui è ammesso il ricorso per revocazione sono tassativamente stabiliti dall’art. 395 c.p.c. e riguardano l’ipotesi in cui la sentenza sia effetto del dolo, inteso come falsa rappresentazione della realtà di una delle parti, o sia l’effetto di prove false, o nel caso che successivamente si recuperino documenti precedentemente sottratti, o sia l’effetto di errore risultante dagli atti di causa, o sia decisione contraria a precedente giudicato o sia l’effetto del dolo del giudice. Il ricorso va proposto nei termini tassativamente stabiliti dagli artt. 325 e 326 c.p.c.che fissano i tempi per l’impugnazione ed il termine da cui decorre in rapporto alle singole fattispecie. Il ricorso va proposto entro trenta giorni dalla scoperta del motivo di revocazione nei casi di cui ai nn. 1), 2), 3) e 6) dell’art. 395 c.p.c. e dalla data di notifica della sentenza nei casi di cui ai nn. 4) e 5) dello stesso articolo. Il giudizio di revocazione deve accertare i presupposti che tassativamente lo ammettono prima di entrare nel merito del ricorso medesimo. Si distingue quindi il così detto giudizio rescindens, che accerta la sussistenza della stessa possibilità di instaurare il giudizio di revocazione, ed il giudizio rescissorium che decide sulla fondatezza dei motivi di ricorso. 16.2. L’appello al Consiglio di Stato. Le sentenze dei T.A.R. sono impugnabili con ricorso in appello al Consiglio di Stato, come prevede l’art. 28 della L. n. 1034/1971, o al Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Sicilia ai sensi del successivo art. 40. Al procedimento si applicano le norme che regolano il processo davanti al Consiglio di Stato previste dagli artt. 35 e ss. R.D. 1054/1924 e dagli artt. 1 e ss. del relativo regolamento R.D. 642/1907. Termine. L’appello deve essere proposto entro sessanta giorni dalla notifica della decisione che si intende impugnare. In mancanza di notifica trova applicazione la norma dell’art. 327 del c.p.c., in quanto è compatibile con il processo amministrativo, che fissa il termine di un anno dalla data di deposito della decisione. Notifica. Il ricorso va notificato a tutte le parti del precedente giudizio anche se non costituite. Non vi è sanzione di inammissibilità potendo il giudice disporre l’integrazione del contraddittorio, purché l’errore sia ritenuto scusabile. La notifica alle amministrazioni dello Stato e degli enti pubblici patrocinati dall’avvocatura dello Stato va effettuata presso l’avvocatura generale, ai sensi dell’art. 1, L. n. 260/1958 e dell’art. 10 della L. n. 103/1979. Deposito. L’originale del ricorso con la prova della eseguita notificazione, con l’atto di notificazione della decisione amministrativa, e con i documenti sui quali il ricorso si fonda, deve essere depositato nella segreteria del Consiglio di Stato entro i trenta giorni successivi alla data di notifica dello stesso ricorso.

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Il giudizio. COMMENTO 123 Il giudice di appello ha gli stessi poteri del giudice di primo grado anche in tema di competenza esclusiva o di merito. La giurisprudenza afferma che oggetto dell’appello è l’atto amministrativo impugnato per il cosiddetto effetto devolutivo, che affida l’intera questione all’esame del giudice di secondo grado. Il giudizio si estende anche all’esame dei vizi propri della sentenza impugnata. Il provvedimento impugnato può essere censurato nei limiti dei motivi dedotti in primo grado, si produce una sorta di decadenza dall’azione per i motivi non dedotti. Nuovi motivi possono essere presentati solo in relazione alla produzione di documenti, prima non noti, da parte dell’amministrazione. Il ricorso non sospende l’esecuzione della sentenza di primo grado ma può essere fatta istanza di sospensiva. L’interesse ad agire. Sono legittimati a proporre l’appello quei soggetti fra i quali si è instaurato il rapporto processuale di primo grado e sono rimasti soccombenti, ma non solo. Sono legittimati a proporre appello anche il controinteressato e l’amministrazione non costituitasi nel caso di annullamento del provvedimento impugnato. La sentenza. La decisione sull’intera controversia per la quale si è proposto ricorso di appello, come principio generale fissato dall’art. 35, comma 3, L. n. 1034/1971, spetta al Consiglio di Stato, stante la caratteristica del processo amministrativo che ha generalmente carattere impugnatorio ed è sottoposto a termini di decadenza. Le ipotesi di eccezione al principio, come tali soggette ad interpretazione restrittiva, sono precisate dai commi 1-2 dell’art. 35 citato. Sono quelle di annullamento della sentenza per errore nella pronuncia di incompetenza, per vizio di forma della sentenza stessa o per difetto di procedura, che non ha consentito lo svolgersi regolare del dibattimento, come il difetto di contradditorio. Cons. Stato, sez. IV, 25 novembre 1992, in Foro amm. 1992, 2510. In queste ipotesi nel caso si giunga all’annullamento il Consiglio di Stato deve disporre il rinvio al giudice di primo grado. Vedi il n. 7.3.2. L’appello per i procedimenti oggetto di rito speciale. 16.2.1. Gli effetti della sentenza di annullamento con rinvio. L’art. 35 della L. 1034/1971 dispone che, dopo il rinvio della controversia al giudice di primo grado, si debba effettuare la riassunzione del giudizio entro sessanta giorni dalla data della notifica della decisione al consiglio di Stato o, qualora non vi sia stata notifica, entro un anno dalla pubblicazione della decisione stessa. L’art. 11 della L. 205 del 2000, modificando detta norma, dispone, invece, che venga fissata d’ufficio l’udienza pubblica, che deve essere tenuta entro trenta giorni dalla data in cui è stata comunicata la sentenza con la quale si dispone il rinvio. La dottrina rileva l’importante cambiamento teso ad accelerare il processo ed a ridurre le incombenze di parte: E. STANIZZI, Trenta giorni dal rinvio per fissare l’udienza”, in Guida dir. 2000, n. 30, 87. 124 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA Finora la prosecuzione del processo era affidata all’iniziativa della parte interessata che aveva l’onere di riassumere il giudizio. Il nuovo testo elimina l’incombenza della parte; è compito del presidente del tribunale amministrativo fissare d’ufficio l’udienza di trattazione, dopo avere avuto comunicazione della sentenza che dispone il rinvio da parte degli uffici del Consiglio di Stato. Si verifica così una prosecuzione automatica ed obbligata avanti il T.A.R. dei giudizi rinviati dal grado di appello attraverso le sentenze di annullamento con rinvio, secondo modalità ispirate a principi di snellimento e soprattutto di accelerazione della procedura. 16.3. L’opposizione di terzo. Non era ammessa nel giudizio amministrativo l’opposizione di terzo in quanto non tassativamente prevista. Ora tale mezzo di impugnazione è consentito dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 177 del 17 maggio 1995, che ha dichiarato la illegittimità costituzionale degli artt. 28 e 36 della L. 6 dicembre 1971, n. 1034 nella parte in cui non prevedono tale impugnazione sia per

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le sentenze dei T.A.R. che del Consiglio di Stato. La dottrina rileva che se il giudice amministrativo annulla illegittimamente un provvedimento favorevole ad un terzo questi ha una duplice facoltà. Egli può impugnare la sentenza con rituale appello, se è nei termini processuali. Se la sentenza è passata in giudicato per il decorso del termine previsto dall’art, 327, c.p.c., il terzo può proporre opposizione di terzo allo stesso giudice che ha emanato la sentenza, nei modi previsti dall’art. 404, c.p.c., producendo la sentenza impugnata. S. CASSESE (a cura di), Diritto amministrativo speciale, IV, Il processo amministrativo 2000, 3381. 17. Rimedi contro le sentenze del Consiglio di Stato. Le sentenze del Consiglio di Stato possono essere impugnate o con ricorso per revocazione o con ricorso per Cassazione. 17.1. Ricorso per revocazione. Contro le sentenze del Consiglio di Stato è ammesso ricorso per revocazione, ai sensi dell’art. 36 della L. n. 1034/1971. Il ricorso va presentato alla stessa sezione che ha pronunciato la decisione nei casi previsti dagli artt. 395-396 c.p.c. Sono le stesse ipotesi esaminate trattando del ricorso per revocazione avverso la sentenza pronunciata dal T.A.R. a cui si rimanda, vedi n. 16.1 supra. 17.2. Ricorso per Cassazione. Il ricorso per Cassazione avverso le sentenze del Consiglio di Stato è ammesso unicamente per motivi attinenti alla giurisdizione, ai sensi dell’art. 36 della L. n. 1034/1971. Le principali fattispecie che si possono verificare sono le seguenti: COMMENTO 125 1) il giudice di appello ha giudicato in materia di altra giurisdizione sia essa ordinaria o speciale, come ad esempio del Tribunale delle Acque; 2) il giudice di appello ha dichiarato il difetto di giurisdizione in materia che si ritiene ad esso spettante; 3) il giudice di appello ha giudicato sul merito del provvedimento amministrativo, avendo, in quella materia, solo competenza di legittimità. Si applica la disciplina fissata dal c.p.c. Per quanto attiene ai termini di impugnazione si applicano gli artt. 325, che prevede che il ricorso debba essere presentato entro sessanta giorni dalla notifica della sentenza che si vuole impugnare, e 327, che in carenza di notifica della sentenza prevede che il ricorso debba presentarsi entro un anno dalla pubblicazione della sentenza medesima. 126 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA

LE FORMULE GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA Formula n. 14

14 . RICORSO PER REGOLAMENTO DI GIURISDIZIONE IN MATERIA DI EDILIZIA RESIDENZIALE PUBBLICA 14

ALLE SEZIONI UNITE DELLA CORTE DI CASSAZIONE . . . Ricorso del sindaco del comune di . . . rappresentato e difeso come da mandato speciale in calce al presente ricorso dall’avvocato . . . iscritto all’albo speciale dei patrocinatori in Cassazione . . . con studio legale in . . . via . . . presso il quale elegge il proprio domicilio contro l’assegnatario signor . . . elettivamente domiciliato presso l’avv. . . . nel suo studio in . . . per la dichiarazione del difetto di giurisdizione fatto il comune con delibera . . . ha dichiarato la decadenza dall’assegnazione ai sensi

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dell’art. 17 del D.P.R. n. 1035/1972 poiché l’alloggio non risulta occupato dall’assegnatario. Questo ha impugnato il provvedimento esponendo che l’art. 11 del D.P.R. citato afferma la competenza in tale materia del Tribunale chiedendo la prova testimoniale sul fatto che egli abita regolarmente l’alloggio contestando gli accertamenti documentali presentati dal comune. Costituitosi il comune eccepisce la validità delle argomentazione avversarie e preliminarmente il difetto di giurisdizione del giudice adito per i seguenti motivi. Si eccepisce il difetto di giurisdizione del Giudice ordinario sul provvedimento de quo in accoglimento del recente orientamento di cui Cass., sez. un., 12 luglio 1988, n. 4571, in Erp 1989, n. 33, 107, che afferma che, in tema di edilizia residenziale pubblica, i provvedimenti di annullamento ovvero revoca dell’assegnazione ex D.P.R. n. 1035/1972 quando si integra la fattispecie legislativa − nel nostro caso l’abbandono dell’alloggio − integra espressione di provvedimenti autoritativi ispira- 5 Formula n. 14 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA 129 ti al pubblico interesse e quindi inerisce su posizioni soggettive dell’assegnatario degradandole ad interessi legittimi. Ne consegue che le contestazioni dell’assegnatario avverso tali provvedimenti sono devolute alla giurisdizione di legittimità del Giudice amministrativo. Si fa infatti presente che l’art. 11 del D.P.R. n. 1035/1972 ove contempla il ricorso al giudice ordinario contro il provvedimento di decadenza per la non occupazione dell’alloggio dopo trenta giorni dalla consegna configura una disposizione eccezionale non estensibile alla diversa ipotesi di cui all’art. 17 del D.P.R. n. 1035/1972 del caso de quo o alle altre ipotesi di decadenza o di annullamento. P.Q.M. si chiede che questa Ecc.ma Corte voglia dichiarare il difetto di giurisdizione del Tribunale relativamente alla domanda di annullamento del provvedimento amministrativo di decadenza. Con rivalsa di spese e ogni altra conseguenza di legge. Lì, . . . Avvocato iscritto all’albo speciale dei patrocinanti in Cassazione . . . Io sottoscritto . . . nato a . . . il . . . delego a rappresentarmi e difendermi nel presente giudizio, con tutti i poteri di cui all’art. 84 c.p.c. l’avvocato . . . presso il cui studio eleggo domicilio. Lì, . . . Il ricorrente Per autentica Avvocato iscritto all’albo dei Cassazionisti . . . RELAZIONE DI NOTIFICA A richiesta del signor . . . io sottoscritto ufficiale giudiziario addetto al Tribunale di . . . certifico di aver notificato il suesteso atto al . . . e alla cancelleria civile del Tribunale di (dove pende la causa) . . . 130 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA Formula n. 14 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA Formula n. 15

15 . ISTANZA PER REGOLAMENTO DI COMPETENZA 15

AL CONSIGLIO DI STATO IN SEDE GIURISDIZIONALE Istanza per regolamento di competenza del signor . . . istante, rappresentato e difeso come da mandato in calce al presente

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ricorso dall’avvocato iscritto all’albo speciale dei patrocinatori presso la Cassazione . . . con studio legale in Roma (in alternativa deve essere eletto domicilio presso la segreteria del Consiglio di Stato) via . . . presso il quale elegge il proprio domicilio relativamente al ricorso proposto dal signor . . . ricorrente davanti al Tribunale amministrativo del . . . avverso il provvedimento di approvazione della graduatoria relativa al concorso di . . . approvata dal Ministro in data . . . Fatto e diritto il ricorrente ha partecipato al concorso bandito dal Ministero per la copertura di n. . . . posti di fascia. Il ricorrente non è stato nominato idoneo è pertanto non compare nella graduatoria che approva i risultati del concorso. Ritenendo illegittima la graduatoria il ricorrente ha impugnato il relativo provvedimento di approvazione presso il T.A.R. del . . . ritenuto competente, poiché il ricorrente è già dipendente pubblico presso ufficio che ha la sede nella circoscrizione del Tribunale adito ai sensi dell’art. 3, comma 2, della L. n. 1034/1971. Senonché il provvedimento è stato censurato per vizi suoi propri, quali la illegittima composizione della commissione d’esame, che sono tali da annullare in toto, se accolti, il provvedimento con pregiudizio dell’istante controinteressato nel giudizio di annullamento in quanto primo in graduatoria. La efficacia dell’atto è tale per cui non può essere limitata territorialmente interessando tutti gli idonei che sono in posizione utile per la collocazione nella nuova qualifica nel ruolo del Ministero. Pertanto a parere dell’istante deve essere dichiarata la competenza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio ai sensi dell’art. 3, comma 3, della L. n. 1034/1971, citata. Formula n. 15 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA 131 La efficacia dell’atto è territorialmente estesa e non limitata ad una singola circoscrizione, non può quindi trovare applicazione, nel caso in cui il controinteressato non abbia la propria sede di servizio nella stessa regione del ricorrente, il criterio di cui all’art. 3, comma 2, L. n. 1034/1971, ma bensì la regola generale che indica nel T.A.R. del Lazio l’organo competente a esaminare i ricorsi contro gli atti di autorità centrali dello Stato con efficacia ultraregionale. Cons. Stato, sez. IV, 18 febbraio 1988, n. 85, in Foro amm. 1988, 70. P.Q.M. si chiede che l’Ecc.mo Consiglio di Stato adito dichiari che la competenza a giudicare nel ricorso proposto spetti al Tribunale Amministrativo del Lazio. Lì, . . . Avv. . . . Io sottoscritto . . . nato a . . . il . . . delego a rappresentarmi e difendermi nel presente giudizio, con tutti i poteri di cui all’art. 84 c.p.c. l’avvocato . . . presso il cui studio eleggo domicilio. Lì, . . . Il ricorrente Per autentica Avvocato iscritto all’albo dei Cassazionisti . . . RELAZIONE DI NOTIFICA Io sottoscritto ufficiale giudiziario addetto all’ufficio notifiche del Tribunale di . . . certifico di aver notificato il suesteso atto al ricorrente . . . �Ÿ �Ÿ �Ÿ L’istanza è depositata presso il Tribunale adito dal ricorrente ed è trasmessa d’ufficio a cura della segreteria al Consiglio di Stato, ai sensi dell’art. 31 della L. n.

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1034/1971, citata. 132 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA Formula n. 15 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA Formula n. 16

16 . ISTANZA DI ADESIONE AL REGOLAMENTO DI COMPETENZA (art. 31, comma 4, L. n. 1034/1971) 16

AL PRESIDENTE DEL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE . . . Il sottoscritto avvocato . . . nella sua qualità di difensore della dott.ssa . . . nel ricorso avverso il Rettore pro tempore della Università degli Studi . . . per l’annullamento 1) del provvedimento di diniego di iscrizione al I anno di corso di laurea in Odontoiatria; 2) del provvedimento di diniego di iscrizione al II anno corso di laurea in Odontoiatria; 3) del bando di ammissione anno . . .; 4) del D.M. 11 giugno 1998, depositato il . . . presso codesto spett. T.A.R. Vista l’istanza per regolamento di competenza presentata dall’avvocatura distrettuale dello Stato . . . notificata il . . . Aderisce alla remissione del ricorso al T.A.R. del Lazio. Con perfetta osservanza. Lì, . . . Avv. . . . Io sottoscritto . . . nato a . . . il . . . delego a rappresentarmi e difendermi nel presente giudizio, con tutti i poteri di cui all’art. 84 c.p.c. l’avvocato . . . presso il cui studio eleggo domicilio. Lì, . . . Il ricorrente . . . Per autentica Avv. . . . Formula n. 16 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA 133 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA Formula n. 17

17 . ISTANZA DI RIASSUNZIONE (art. 31, comma 4, L. n. 1034/1971) 17

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE . . . Comparsa di riassunzione della dott.ssa . . . rappresentata e difesa come da mandato in calce al presente ricorso dall’avvocato . . ., con elezione di domicilio, nello studio di quest’ultimo in . . . Premesso che la ricorrente ha presentato ricorso n. . . . al T.A.R. della . . ., notificato il . . . contro il Rettore pro tempore della Università degli Studi . . ., rappresentata e difesa dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di . . ., per l’annullamento: 1) del provvedimento di diniego di iscrizione al I anno di corso di laurea in Odontoiatria. 2) del provvedimento di diniego di iscrizione al II anno di corso di laurea in Odontoiatria. 3) del bando di ammissione all’anno . . . 4) del D.M. 11 giugno 1998 del Ministero dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica limitatamente all’esclusione della ricorrente; − che Avvocatura Distrettuale dello Stato di . . . ha presentato l’istanza per regolamento di competenza, notificata il . . .; − che la ricorrente ha aderito alla remissione del ricorso al T.A.R. del Lazio all’udienza

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del . . .; − che il Presidente del T.A.R. . . . ha trasmesso al T.A.R. del Lazio il fascicolo d’ufficio con provvedimento del . . .; La ricorrente con la presente comparsa riassume il ricorso medesimo presso il T.A.R. del Lazio. Lì, . . . Avv. . . . 134 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA Formula n. 17 Io sottoscritto . . . nato a . . . il . . . delego a rappresentarmi e difendermi nel presente giudizio, con tutti i poteri di cui all’art. 84 c.p.c. l’avvocato . . . presso il cui studio eleggo domicilio. Lì, . . . Il ricorrente . . . Per autentica Avv. . . . Formula n. 17 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA 135 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA Formula n. 18

18 . RICORSO AL T.A.R. AVVERSO SILENZIO RIFIUTO Diffida a provvedere ex D.P.R. n. 3 del 1957, art. 25 18

Spett. Amministrazione, Sede . . . Premesso che con nota . . . il sottoscritto . . . aveva richiesto a questa spett.le amministrazione di voler procedere all’espletamento del concorso relativo al posto di . . . previsto dal regolamento organico dell’ente; Premesso che a tutt’oggi non è pervenuto allo scrivente alcuna comunicazione in merito. Il sottoscritto . . . diffida questa amministrazione ex art. 3, D.P.R. n. 3/1957 1) a voler comunicare il nominativo del responsabile del provvedimento ex L. 241/1990 2) a voler provvedere entro trenta giorni dalla notifica 3) in carenza nei successivi 60 giorni da tale ultimo termine si procederà a ricorso al TAR 4) si riserva ogni azione penale ex art. 16 L. 86/1990 per rifiuto di atti d’ufficio. Li, . . . Il ricorrente . . . RELAZIONE DI NOTIFICA Io sottoscritto assistente UNEP addetto all’ufficio notifiche esecuzioni e protesti del Tribunale di . . . certifico di aver notificato il suesteso atto a . . . residente a . . . via . . . consegnandone copia a mani. 136 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA Formula n. 18 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA Formula n. 19

19 . RICORSO AL T.A.R. AVVERSO SILENZIO RIFIUTO Ricorso al T.A.R. avverso il silenzio su richiesta di espletamento concorso 19

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE . . . Ricorso

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del sottoscritto . . . elettivamente domiciliato in . . . presso lo studio dell’avv. . . . giusto mandato in calce a questo atto, adisce codesto T.A.R. nei confronti dell’Amministrazione di . . . per la dichiarazione di illegittimità del silenzio rifiuto fatto il signor . . . ha presentato richiesta alla spett.le amministrazione . . . di voler procedere all’espletamento del concorso relativo al posto di . . . previsto dal regolamento organico dell’ente; in carenza di ogni risposta da parte dell’amministrazione, presentò diffida a provvedere ai sensi del D.P.R. 3/1957, art. 25, chiedendo, peraltro, che venisse indicato il funzionario responsabile per il procedimento ex L. 214/1990. Malgrado il decorso del termine di cui alla diffida nessun provvedimento è stato emesso. Il funzionario addetto risulta essere Tizio . . . Diritto anche se la dizione legislativa, L. 241/1990, art. 2, 3° comma, afferma il principio dell’obbligo a provvedere entro termini prefissati da regolamenti − o, in carenza, entro trenta giorni dalla domanda − l’interpretazione giurisprudenziale prevalente e una circolare del Ministero della funzione pubblica dell’8 gennaio 1991 n. 60397- Formula n. 19 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA 137 7/643, in G.U. 23 gennaio 1991, n. 19 ritengono ancora sussistere il silenzio inadempimento con la necessità della diffida, ai sensi dell’art. 25 del T.U. 3/1957, per cui la dottrina considera ininfluente la nuova normativa ai fini della tutela giurisdizionale. (N. CENTOFANTI, Il silenzio della pubblica amministrazione i procedimenti sostitutivi, 1999, 45). La giurisprudenza, in particolare, ha affermato che, in materia di interessi legittimi, ogni domanda presentata dal dipendente pubblico alla amministrazione datrice di lavoro − o ad altra pubblica amministrazione che ne esercita la vigilanza − e che non sia manifestamente infondata deve trovare, una volta instaurato il procedimento per l’accertamento del silenzio-rifiuto, tempestivo riscontro da parte della stessa autorità, indipendentemente dalla possibilità che la domanda possa essere, o no, accolta. Nella specie, è stato affermato che la regione è tenuta a provvedere sull’istanza di un dipendente sanitario in ordine all’attivazione di un concorso da parte dell’unità sanitaria locale, la cui autorizzazione spetta alla regione stessa, elemento, questo, che giustifica detto obbligo, pure qualora esso sia condizionato da un atto propulsivo di altro soggetto. Cons. Stato, sez. V, 10 marzo 1997, n. 241, in Foro amm., 1997, 783. Poiché il decorso del termine di trenta giorni indicato dal D.P.R. 3/1957, art. 25 porta inequivocabilmente alla formazione del silenzio rifiuto. Poiché tale silenzio risulta privo di ogni giustificazione e pertanto deve essere qualificato come illegittima omissione di pronuncia. Stante l’obbligo dell’amministrazione di definire il procedimento iniziato su istanza di parte P.Q.M. Il sottoscritto come rappresentato chiede che l’ecc.mo T.A.R. adito voglia: 1) dichiarare illegittimo il silenzio rifiuto; 2) accertare l’obbligo dell’amministrazione a provvedere entro trenta giorni del deposito della sentenza, ex art. 2, comma 2, L. n. 205/2000. Con rifusione di spese ed onorari.

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Si produce 1) Copia dell’istanza e dell’eseguita notifica all’amministrazione Li, . . . Avv. . . . 138 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA Formula n. 19 Il sottoscritto . . . delega l’avv. . . . a rappresentarlo e difenderlo nel presente giudizio eleggendo domicilio nel suo studio in . . . Il ricorrente Per autentica Avv. . . . RELAZIONE DI NOTIFICA A richiesta dell’avv. . . . il sottoscritto assistente UNEP addetto all’ufficio notifiche esecuzioni e protesti del Tribunale di . . . certifico di aver notificato il suesteso atto a . . . residente a . . . via . . . consegnandone copia a mani. �Ÿ �Ÿ �Ÿ I ricorsi avverso il silenzio dell’amministrazione sono decisi in camera di consiglio, con sentenza succintamente motivata, entro trenta giorni dalla scadenza del termine per il deposito del ricorso, uditi i difensori delle parti che ne facciano richiesta. Nel caso che il collegio abbia disposto un’istruttoria, il ricorso è deciso in camera di consiglio entro trenta giorni dalla data fissata per gli adempimenti istruttori. La decisione è appellabile entro trenta giorni dalla notificazione o, in mancanza, entro novanta giorni dalla comunicazione della pubblicazione. Nel giudizio d’appello si seguono le stesse regole. Art. 21 bis, comma 1, L. 6 dicembre 1971, n. 1034, ins. art. 2, L. 21 luglio 2000, n. 205. Formula n. 19 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA 139 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA Formula n. 20

20 . RICORSO AL T.A.R. AVVERSO SILENZIO RIFIUTO Diffida ad adempiere l’obbligo a provvedere accertato con sentenza, ex art. 2, L. 205/2000 20

Spett. Amministrazione, Sede . . . Premesso che il T.A.R. con la sentenza n. . . . depositata il . . . notificata a codesta spett.le amministrazione il . . . aveva ingiunto di provvedere all’indizione del concorso relativo al posto di previsto dal regolamento organico dell’ente; Premesso che, a tutt’oggi, non è pervenuto allo scrivente alcuna comunicazione in merito. Il sottoscritto ricorrente diffida codesta amministrazione ex art. 2, L. n. 205/2000: 1) a voler comunicare il nominativo del responsabile del provvedimento, ex L. 241/1990; 2) a voler provvedere entro trenta giorni dalla notifica; 3) in carenza nei successivi 60 giorni da tale ultimo termine si procederà ad inoltrare richiesta al T.A.R. per la nomina di commissario ad acta; 4) si riserva ogni azione penale, ex art. 16, L. 86/1990, per rifiuto di atti d’ufficio. Li, . . . Il ricorrente . . . RELAZIONE DI NOTIFICA Io sottoscritto assistente UNEP addetto all’ufficio notifiche esecuzioni e protesti del Tribunale di . . . certifico di aver notificato il suesteso atto a . . . residente a . . . via consegnandone copia a mani. 140 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA Formula n. 20

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GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA Formula n. 21

21 . RICORSO AL T.A.R. AVVERSO SILENZIO RIFIUTO Istanza per nomina commissario ad acta, ex art. 2, comma 2, L. 205/2000 21

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE . . . Ricorso del sottoscritto . . . elettivamente domiciliato in . . . presso lo studio dell’avv. . . . giusta mandato in calce a questo atto, adisce codesto T.A.R. nei confronti dell’Amministrazione di . . . per la nomina commissario ad acta, ex art. 2, comma 2, L. 205/2000 fatto il signor . . . ha presentato richiesta alla spett. amministrazione . . . di voler procedere all’espletamento del concorso relativo al posto di . . . previsto dal regolamento organico dell’ente; in carenza di ogni risposta da parte dell’amministrazione, presentò diffida a provvedere ai sensi del D.P.R 2/1957, art. 25, chiedendo, peraltro, che venisse indicato il funzionario responsabile per il procedimento ex L. 214/1990. Successivamente codesto spett. T.A.R. con la sentenza n. . . . depositata il . . . notificata a codesta spett. amministrazione il . . . aveva ingiunto di provvedere all’indizione del concorso e il sottoscritto ricorrente, dopo avere notificato la sentenza ha diffidato codesta amministrazione a voler provvedere entro trenta giorni dalla notifica dell’istanza. Malgrado il decorso del termine di cui alla diffida nessun provvedimento è stato emesso. Il funzionario addetto risulta essere Tizio . . . Diritto Poiché tale silenzio risulta privo di ogni giustificazione si chiede che il T.A.R. adito nomini un commissario ad acta che, accertato il persistente silenzio dell’am- Formula n. 21 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA 141 ministrazione, provveda in via sostitutiva all’indizione e all’espletamento del concorso. Le spese relative all’incarico P.Q.M. Il sottoscritto come rappresentato chiede che il T.A.R. adito voglia: nominare un commissario ad acta e provveda in via sostitutiva all’indizione e all’espletamento del concorso; voglia condannare l’amministrazione al pagamento delle spese relative all’incarico espletato dal commissario. Con rifusione di spese ed onorari del presente giudizio. Si produce 1) Copia dell’istanza e dell’eseguita notifica all’amministrazione Li, . . . Avv. . . . Il sottoscritto . . . delega l’avv. . . . a rappresentarlo e difenderlo nel presente giudizio eleggendo domicilio nel suo studio in . . . Il ricorrente Per autentica Avv. . . . RELAZIONE DI NOTIFICA A richiesta dell’avv. . . . il sottoscritto assistente UNEP addetto all’ufficio notifiche

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esecuzioni e protesti del Tribunale di . . . certifico di aver notificato il suesteso atto a . . . residente a . . . via . . . consegnandone copia a mani. 142 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA Formula n. 21 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA Formula n. 22

22 . RICORSO AL T.A.R. IN MATERIA DI ISCRIZIONE UNIVERSITARIA 22

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE . . . Ricorso della dott.ssa . . . rappresentata e difesa come da mandato in calce del presente ricorso dall’avvocato . . . del Foro di . . ., il quale elegge domicilio presso la segreteria del T.A.R. adito contro Il Rettore pro tempore della Università degli Studi per l’annullamento 1) del provvedimento di diniego di iscrizione al I anno di corso di laurea in Odontoiatria (all. 1). 2) del provvedimento di diniego di iscrizione al II anno di corso di laurea in Odontoiatria (all. 2). 3) del bando di ammissione all’anno (all. 3). 4) del D.M. 11 giugno 1998 del Ministero dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica limitatamente all’esclusione della ricorrente (all. 4). Fatto e diritto il ricorrente, a mezzo del suo costituito legale rappresentante, fa presente quanto segue. La dott.ssa . . . è laureata in medicina con tesi in Odontoiatria. Purtroppo la sua aspirazione di specializzarsi in odontostomatologia non ha potuto realizzarsi per la preventiva chiusura della scuola di specializzazione nel 1993 con decreto Colombo Garavaglia. La ricorrente ha comunque continuato negli stu- Formula n. 22 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA 143 di in tale senso - correlatrice di tesi di laurea, pubblicazioni, collaboratrice con studio dentistico per quanto di competenza, vedi fatture (all. 5). La ricorrente ha proceduto a richiedere iscrizione a Odontoiatria per il (all. 6) ottenendo un primo rifiuto. Ora per il secondo anno ha ottenuto due provvedimenti di rifiuto, il primo per non avere superato i test, che qui si impugnano con il bando ed il D.M. per i seguenti motivi: 1) Violazione di legge per contrasto colle norme del procedimento fissato dagli artt. 3, 6, L. 241/1990. I provvedimenti impugnati risultano privi di ogni indicazione circa l’autorità competente per l’impugnazione, art. 3, comma 4, difettano di motivazione, art. 3, comma 1, non indicano al richiedente un percorso procedimentale per l’accoglimento della sua domanda con riferimento alla sua documentata preparazione professionale, art. 6, lett. b. 2) Eccesso di potere per illogicità manifesta. I provvedimenti di diniego di iscrizione ed il bando di concorso, per la parte in cui non riserva alcuna iscrizione ai candidati in possesso di titoli e alla preparazione tecnica appaiono frutto di scelte illogiche e incongruenti rispetto all’interesse pubblico − fine concreto che l’amministrazione deve perseguire − di selezionare i soggetti migliori in relazione alla potenzialità della struttura universitaria. T.A.R. Lombardia, Milano, 5 settembre 1996, n. 1339. T.A.R. Lazio, sez. III, 3 aprile 1996, n. 763. In tale maniera non si dà la possibilità ad una candidata obiettivamente idonea,

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per il bagaglio culturale documentato, di iscriversi ad una Facoltà per la quale si pone il numero chiuso, rispetto ad altri che possono documentare una preparazione molto più modesta, accertata con sistemi di selezione generali rivelatisi, nel caso di specie, assolutamente inidonei. Accede più facilmente a odontoiatria un diplomato in agraria o un medico che collabora in studio dentistico da anni? 3) Violazione di legge per contrasto col D.P.R. 1980 n. 135 (all. 7). Il D.P.R. 1980 n. 135 nel istituire il corso di laurea in odontoiatria prevede l’iscrizione al secondo anno per i laureati in medicina subordinandola al trascorrere di un anno dalla laurea. Orbene l’attuazione di tale precetto che consente la possibilità di un accesso privilegiato per persone che dimostrano idoneità professionale non è minimamente previsto dai provvedimenti impugnati sub 2) 3) 4). Si nega così ogni possibilità di espansione al diritto allo studio e al lavoro per chi legittimamente ha confidato in questa possibilità professionale, dopo la laurea in medicina. La laurea in odontoiatria è l’unico modo per esercitare legittimamente la professione di dentista, dopo il decreto Garavaglia, che ha soppresso le scuole di specialità. La soppressione del diritto allo studio e al lavoro avviene attraverso procedimenti selettivi illogici che non valutano e quindi non riconoscono i requisiti e la preparazione del ricorrente. 144 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA Formula n. 22 P.Q.M. voglia l’Ill.mo T.A.R. adito accogliere le seguenti conclusioni: 1) annullare il provvedimento di diniego di iscrizione al I anno di corso di laurea in Odontoiatria. 2) annullare il provvedimento di diniego di iscrizione al II anno di corso di laurea in Odontoiatria. 3) annullare il bando di ammissione all’anno 1998/99, per la parte in cui non ammette iscrizioni di candidati professionalmente idonei. 4) annullare il D.M. 11 giugno 1998 limitatamente alla parte in cui non ammette iscrizioni di candidati professionalmente idonei. Spese ed onorari rifusi. Si producono i seguenti documenti: 1) Provvedimento. 2) Provvedimento. 3) Bando di ammissione. 4) D.M. 11 giugno 1998. 5) Certificato laurea. Tesi in Odontoiatria. Tesi. Pubblicazioni. 6) Iscrizione a Odontoiatria. 7) D.P.R. 1980 n. 135. Lì, . . . Avv. . . . Delego a rappresentarmi ed assistermi nel presente giudizio, con tutti i poteri di cui all’art. 84 c.p.c., l’avvocato . . . eleggendo mio domicilio presso la segreteria del T.A.R. adito. Lì, . . . Il ricorrente . . . Per autentica Avv . . . RELAZIONE DI NOTIFICA A richiesta dell’avv. . . . io sottoscritto assistente UNEP addetto al Tribunale di . . . certifico di aver notificato il suesteso atto al Rettore pro tempore della Università degli Studi presso l’Avvocatura Distrettuale dello Stato di . . .

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Formula n. 22 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA 145 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA Formula n. 23

23 . ISTANZA DI PRELIEVO 23

A S.E. IL PRESIDENTE DEL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE . . . Istanza di prelievo Il sottoscritto avv. . . . nella sua qualità di difensore di . . . nel ricorso avverso l’amministrazione di . . . depositato il . . . al n. . . . presso codesto spett.le T.A.R. chiede che l’E.V. Ill.ma si compiaccia di disporre il prelievo del fascicolo per la discussione del ricorso in oggetto per i seguenti motivi: il mancato inquadramento nella qualifica ingenera infatti una situazione obiettivamente paradossale, poiché il ricorrente assume responsabilità, in ordine alle mansioni affidategli, che non sono quelle attribuite dalla fascia, senza avere peraltro contrattualmente i diritti conseguenti (possibilità di coordinare il personale dell’ufficio, diritto alla retribuzione, diritto alla carriera), che derivano dal puntuale espletamento delle funzioni svolte. Si fa presente l’urgenza di fissare l’udienza nel termine dei sei mesi dalla data di costituzione delle parti. La presente situazione di illegittimità, infatti, oltre a comprimere attuali interessi e diritti del ricorrente comprime, procrastinandoli, futuri miglioramenti contrattuali. Con perfetta osservanza. Lì, . . . Avv. . . . 146 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA Formula n. 23 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA Formula n. 24

24 . ISTANZA DI FISSAZIONE DI UDIENZA 24

A S.E. IL PRESIDENTE DEL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE . . . Istanza di fissazione di udienza Il sottoscritto avv. . . . nella sua qualità di difensore di . . . nel ricorso avverso l’amministrazione di . . . depositato il . . . al n. . . . presso codesto spett.le T.A.R. chiede che l’E.V. Ill.ma si compiaccia di disporre la sollecita fissazione dell’udienza per la discussione del ricorso in oggetto. Fa presente che l’art. 28, comma 2, della L. n. 93/1983 (1), dispone che l’udienza di discussione in tema di ricorsi sul pubblico impiego, come nella presente fattispecie, debba essere fissata entro sei mesi dalla data di costituzione delle parti. Con perfetta osservanza. Lì, . . . Avv. . . . �Ÿ �Ÿ �Ÿ (1) L’articolo 28 della L. n. 93/1983 è stato abrogato dall’art. 74 del D.L.vo 3 febbraio 1993, n. 29. Formula n. 24 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA 147 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA Formula n. 25

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25 . RICORSO AL T.A.R. PER ECCESSO DI POTERE Ricorso al T.A.R. avverso delibera di assegnazione di area Peep 25

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE . . . Ricorso del signor . . . rappresentato e difeso come da mandato in calce al presente ricorso dall’avvocato . . . con studio legale in . . . via . . . presso il quale elegge il proprio domicilio contro l’amministrazione in persona del suo legale rappresentante pro tempore per l’annullamento della delibera del Consiglio Comunale di . . . di assegnazione di aree Peep per i seguenti motivi fatto premesso che il Consiglio Comunale con delibera procedeva ad assegnare un’area nel piano di zona alla cooperativa ai sensi dell’art. 35 della L. n. 865/1971; che il ricorrente procedeva ad impugnare la assegnazione con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica; che in accoglimento di detto ricorso la delibera veniva annullata con decisione . . ., che il Consiglio Comunale ha adottato delibera successiva in cui ha assegnato l’area de qua alla cooperativa nella stessa identica situazione precedente stante i vizi allora denunciati dal ricorrente. La delibera è illegittima per eccesso di potere per violazione del giudicato. La delibera del Comune esercita il potere discrezionale dell’amministrazione per porre nel nulla l’assetto di interessi che discende dal giudicato cui la pubblica amministrazione deve attenersi. Cons. Stato, Ad. Pl. 19 marzo 1984, n. 6, in Foro amm. 1984, 349; T.A.R. Sicilia, sez. Catania, 11 luglio 1989, n. 839, ivi 1991, 176. La mancata valutazione degli interessi che sorreggono la nuova deliberazione costituisce un vero e proprio espediente per vanificare la decisione di accoglimento del ricorso. 148 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA Formula n. 25 Il difetto di motivazione in rapporto ad una situazione che comporta un iter logico giuridico definito accoglimento del ricorso ovvero l’indicazione dei motivi che vi ostano realizza pienamente il vizio di eccesso di potere P.Q.M. si chiede l’annullamento della delibera. Si produce: 1) delibera comunale di assegnazione. Spese ed onorari rifusi. Lì, . . . Avv. . . . Io sottoscritto . . . nato a . . . il . . . delego a rappresentarmi e difendermi nel presente giudizio, con tutti i poteri di cui all’art. 84 c.p.c. l’avvocato presso il cui studio eleggo domicilio. Lì, . . . Il ricorrente Per autentica Avv. . . . RELAZIONE DI NOTIFICA A richiesta del signor . . . io sottoscritto ufficiale giudiziario addetto al Tribunale di . . . certifico di aver notificato il suesteso atto al signor sindaco del comune di . .

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. e al Presidente della cooperativa assegnataria (controinteressato). Formula n. 25 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA 149 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA Formula n. 26

26 . RICORSO AL T.A.R. PER L’OTTEMPERANZA A GIUDICATO Atto di costituzione in mora 26

ATTO DI COSTITUZIONE IN MORA DELL’UNITÀ SANITARIA LOCALE N. . . . DI . . . premesso − che il ricorrente amministratore unico della società ha stipulato un contratto di appalto con l’Unità Sanitaria Locale n. . . . di . . .; − che a fronte dei lavori eseguiti non sono stati pagati i corrispettivi maturati a tutto il . . .; − che è stato emesso decreto ingiuntivo divenuto esecutivo il . . . per mancata tempestiva opposizione, si diffida l’Unità Sanitaria Locale n. . . . di . . . ad adempiere al giudicato. Si fa presente che scaduti i trenta giorni dalla notifica del presente atto ai sensi dell’art. 90 del R.D. n. 642/1907 si provvederà ad inoltrare ricorso per l’esecuzione ai sensi dell’art. 27, n. 4, del T.U. n. 1054/1924. Lì, . . . Il ricorrente . . . RELAZIONE DI NOTIFICA A richiesta del signor . . . io sottoscritto ufficiale giudiziario addetto al Tribunale di . . . certifico di aver notificato il suesteso atto all’amministrazione finanziaria adita. 150 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA Formula n. 26 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA Formula n. 27

27 . RICORSO AL T.A.R. PER L’OTTEMPERANZA A GIUDICATO Ricorso al T.A.R. per ottemperanza a decreto ingiuntivo 27

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE . . . Ricorso del signor . . . rappresentato e difeso come da mandato in calce al presente ricorso dall’avvocato . . . con studio legale in . . . via . . . presso il quale elegge il proprio domicilio contro l’Unità Sanitaria Locale n. . . . di . . . per l’esecuzione dI decreto ingiuntivo. Fatto e diritto premesso che con diffida notificata tramite ufficiale giudiziario in data . . . l’amministrazione è stata messa in mora di provvedere; che trascorsi trenta giorni, ex art. 90 del R.D. n. 642/1907, non vi è stato alcun adempimento al giudicato. L’Unità Sanitaria Locale n. . . . di . . . non ha finora dato alcuna indicazione circa la volontà di adempiere alla sua obbligazione. La giurisprudenza conforme ritiene ammissibile il ricorso per l’esecuzione del

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giudicato quando il titolo fatto valere è un decreto ingiuntivo divenuto esecutivo per mancata tempestiva opposizione. T.A.R. Toscana, 21 aprile 1998, n. 154, in T.A.R. 1998, 2557. Cons. Stato., 15 febbraio 1998, n. 114, in Cons. Stato 1998, 198. Verificandosi quindi i presupposti necessari e sufficienti per l’esperibilità del ricorso per l’ottemperanza, ossia la pronuncia giurisdizionale passata in cosa giudicata e l’inadempimento della amministrazione agli obblighi nascenti dal giudicato. Formula n. 27 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA 151 P.Q.M. voglia l’Ill.mo T.A.R. assegnare un termine di trenta giorni alla amministrazione per disporre il conseguente pagamento, interessi compresi, dalla data del decreto; nominare per il caso di ulteriore inadempimento un commissario ad acta perché provveda in via sostitutiva. Spese ed onorari rifusi. Si produce: 1) diffida; 2) decreto ingiuntivo. Lì, . . . Avv. . . . Io sottoscritto . . . nato a . . . il . . . delego a rappresentarmi e difendermi nel presente giudizio, con tutti i poteri di cui all’art. 84 c.p.c. l’avvocato . . . presso il cui studio eleggo domicilio. Lì, . . . Il ricorrente Per autentica Avv. . . . �Ÿ �Ÿ �Ÿ Il ricorso per l’ottemperanza va depositato direttamente in segreteria del Tribunale adito con allegato l’atto di costituzione in mora. 152 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA Formula n. 27 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA Formula n. 28

28 . RICORSO AL T.A.R. CONTRO LA DETERMINAZIONE COMUNALE SULLA TASSA DEI RIFIUTI 28

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE . . . Ricorso del signor . . . rappresentato e difeso come da mandato in calce al presente ricorso dall’avvocato . . . con studio legale in . . . via . . . presso il quale elegge il proprio domicilio contro il comune di . . . in persona del sindaco pro tempore per l’annullamento della delibera n. . . . del . . . con la quale si sono determinate le nuove misure per la tassa per la raccolta dei rifiuti. Fatto e diritto il D.L.vo 15 novembre 1993, n. 507, all’art. 69, nell’introdurre la tassa per la raccolta dei rifiuti attribuisce ai comuni la possibilità di differenziare la misura della tassa rispetto alla destinazione dei locali cui si riferisce. La deliberazione comunale con la quale vengono stabilite le misure della tassa rapportate alle diverse situazioni di utilizzo del servizio è immediatamente lesiva e

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viene impugnata, nel termine di decadenza, per verificare il corretto uso del potere discrezionale riservato all’amministrazione comunale. Cons. Stato, sez. V, 8 ottobre 1992, n. 977, in Foro amm. 1992, 2792, in tema di determinazione dei canoni di concessioni governative. La delibera appare illegittima e la si impugna per i seguenti motivi: 1) eccesso di potere per travalicamento delle funzioni attribuite. La misura della tassa per la raccolta dei rifiuti solidi urbani può essere differenziata rispetto alla destinazione dei locali cui si riferisce: siano essi a destinazione Formula n. 28 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA 153 abitativa o produttiva con riferimento alla capacità di produrre rifiuti, ma non in relazione alla attività da essi esercitata. La obbiettiva sproporzione della tariffa fissata per gli esercizi commerciali, che è di tre volte superiore a quella fissata per le abitazioni, appare come motivo di illegittimità del provvedimento che l’ha stabilita avuto riguardo all’art. 69 del D.L.vo n. 507/1993. Le speciali agevolazioni concesse in relazione alle particolari condizioni locali devono essere specificate ed assentite in via del tutto eccezionale con congrua motivazione che le giustifichi. Cons. Stato, sez. V, 19 marzo 1991, n. 305, in Foro amm. 1991, 703. P.Q.M. voglia l’Ill.mo T.A.R. adito accogliere la seguente conclusione: 1) annullare la delibera di determinazione della tassa dei rifiuti nella misura indicata per gli esercizi commerciali. Spese ed onorari rifusi. Si produce: 1) delibera comunale che approva la misura della tassa dei rifiuti. Lì, . . . Avv. . . . Io sottoscritto . . . nato a . . . il . . . delego a rappresentarmi e difendermi nel presente giudizio, con tutti i poteri di cui all’art. 84 c.p.c., l’avvocato . . . presso il cui studio eleggo domicilio. Lì, . . . Il ricorrente Per autentica Avv. . . . RELAZIONE DI NOTIFICA A richiesta del signor . . . io sottoscritto ufficiale giudiziario addetto al Tribunale di . . . certifico di aver notificato il suesteso atto al sindaco del comune di . . . e ad un proprietario di fabbricato quale controinteressato. 154 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA Formula n. 28 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA Formula n. 29

29 . RICORSO AL T.A.R. AVVERSO DELIBERA COMUNALE CHE CONCEDE PERMESSI DI ACCESSO ALLE AUTOVETTURE NEL CENTRO STORICO 29

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE . . . Ricorso del signor . . . rappresentato e difeso come da mandato in calce al presente ricorso dall’avvocato . . . con studio legale in . . . via . . . presso il quale elegge il proprio domicilio contro il sindaco del comune di . . ., quale legale rappresentante pro tempore del consiglio

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comunale per l’annullamento della delibera del consiglio comunale di . . . che concede permessi di accesso alle autovetture nel centro storico. Fatto il ricorrente risiede nel centro storico del comune di . . ., opportunamente il consiglio comunale in relazione alle difficoltà di circolazione derivanti dalla ridotta carreggiata stradale ha provveduto a limitare la circolazione ai sensi del codice stradale, ex art. 7, D.L.vo n. 285/1992, nelle zone a traffico limitato definibili come quelle aree in cui l’accesso e la circolazione sono limitati ad ore prestabilite e/o a particolari categorie di utenti. La legislazione, anche in presenza di divieti e limitazioni permanenti alla circolazione in determinate zone, ha previsto la possibilità di concedere permessi in deroga ai divieti alle limitazioni stesse, richiedendo l’accertamento della effettiva necessità. Orbene il consiglio comunale ha fissato i criteri per il rilascio di permessi di accesso al centro storico del comune consentendo l’accesso a categorie di professionisti, a giudizio insindacabile del comune, a personale autorizzato dagli enti istituzionali, a medici per interventi urgenti. La delibera appare illegittima e la si impugna per i seguenti motivi: 1) eccesso di potere per difetto di motivazione ed arbitrarietà dei criteri formulati. In ordine alla concessione di permessi alla prima categoria di professionisti, non avendo qualificato i motivi che possono consentire il rilascio di una autorizzazione, il criterio si presenta del tutto arbitario. Formula n. 29 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA 155 Esso è tale da consentire il rilascio dell’autorizzazione a chicchessia senza il supporto di motivi imparziali che oggettivamente giustifichino la autorizzazione ad un soggetto piuttosto che ad un altro. Cons. Stato, sez. V, 4 novembre 1992, n. 1168, in Foro amm. 1992, 2540. In ordine al rilascio di permessi a persone autorizzate da enti istituzionali la delibera concede l’autorizzazione all’accesso con la semplice dichiarazione dell’interessato che attesti la necessità e la indispensabilità dell’uso del mezzo pubblico. T.A.R. Lazio, sez. II, 19 dicembre 1990, n. 2235. In ordine al rilascio di permessi a medici la delibera concede a tutti i medici, purché iscritti all’albo professionale, la possibilità di richiedere il permesso mentre la dizione legislativa prevede testualmente che siano accertate le necessità che devono essere quindi motivate con ragioni di servizio. P.Q.M. voglia l’Ill.mo T.A.R. adito accogliere le seguenti conclusioni: 1) annullare la delibera comunale e revocare i permessi di circolazione finora concessi. Si produce: 1) delibera comunale impugnata. Spese ed onorari rifusi. Lì, . . . Avv. . . . Io sottoscritto . . . nato a . . . il . . . delego a rappresentarmi e difendermi nel presente giudizio, con tutti i poteri di cui all’art. 84 c.p.c. l’avvocato . . . presso il cui studio eleggo domicilio. Lì, . . . Il ricorrente . . . Per autentica Avv. . . . RELAZIONE DI NOTIFICA

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A richiesta del signor . . . io sottoscritto ufficiale giudiziario addetto al Tribunale di . . . certifico di aver notificato il suesteso atto al . . . 156 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA Formula n. 29 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA Formula n. 30

30 . CONTRORICORSO AL T.A.R. PER L’ANNULLAMENTO DI UFFICIO DI AUTORIZZAZIONE AD APRIRE UNA DISCARICA 30

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE . . . Controricorso dell’amministrazione comunale di . . . in persona del sindaco signor . . . legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso come da mandato in calce al presente ricorso dall’avvocato . . . con studio legale in . . . via . . . presso il quale elegge il proprio domicilio avverso il ricorso del signor . . . legale rappresentante dell’impresa . . . per l’annullamento del provvedimento sindacale di annullamento di ufficio di autorizzazione ad una discarica. Col presente atto il comune si costituisce in giudizio e contesta le ragioni del ricorrente ritenendole illegittime e ne richiede il rigetto per i seguenti motivi: fatto e diritto il sindaco del comune di . . . a seguito della richiesta del signor . . . titolare dell’impresa . . . aveva autorizzato temporaneamente l’occupazione di una porzione di terreno di proprietà dell’impresa al fine di depositare rifiuti, relitti e rottami. Tale autorizzazione è perfettamente legittima in quanto la L.R. Piemonte 5 dicembre 1977 all’art. 56, consente tale atto qualora esso sia motivato dall’esigenza, fatta presente dall’impresa, di fare fronte ad urgenti necessità di stoccaggio. Il provvedimento deve considerarsi temporaneo in attesa che la regione localizzi, come di sua competenza, il sito, rispondendo all’idonea richiesta presentata dall’impresa. Con successivo atto la regione ha negato la localizzazione, perché il terreno ad un esame geognostico si è rivelato non idoneo. Esso è eccessivamente permeabile e sito in prossimità di falde freatiche. Formula n. 30 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA 157 Il sindaco, pertanto, ha provveduto ad annullare l’autorizzazione per sopravvenuta carenza di presupposti ex lege. L’impresa ha impugnato l’annullamento d’ufficio chiedendone l’annullamento. I motivi del ricorrente appaiono infondati e sono col presente atto contestati per i seguenti motivi. 1) Legittimità del provvedimento per congrua motivazione. Il provvedimento appare congruamente motivato sia sotto il profilo della motivazione sia sotto il profilo dell’attualità dell’interesse all’annullamento. La motivazione emerge dalla necessità che il sindaco si attenga alla ritualità del procedimento amministrativo. Esso, se consente la possibilità di concedere una autorizzazione temporanea ad una discarica, prevede poi che l’autorità competente alla localizzazione del sito abbia a manifestare esplicitamente il suo assenso con un atto presupposto, che condiziona la stessa legittimità della precedente autorizzazione sindacale. Questa, in carenza di quest’ultimo, necessariamente deve essere revocata per il dovuto rispetto dell’iter procedimentale. Cons. Stato, sez. V, 10 novembre 1992, n. 1265, in Foro amm. 1992, 2586. L’attualità dell’interesse non appare che abbia necessità di ulteriori argomentazioni, in quanto in primis il provvedimento di annullamento è contestuale all’atto di

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diniego di localizzazione dell’ente regionale, in secundis il chiaro riferimento alla tutela della salute dei cittadini che è insito nella normativa, ai sensi dell’art. 3 della L. n. 441/1987, acclara l’attualità dell’interesse medesimo. P.Q.M. voglia l’Ill.mo T.A.R. adito accogliere le seguenti conclusioni: 1) si respinga il ricorso; 2) si confermi il provvedimento impugnato. Si produce: 1) provvedimento regionale di diniego; 2) perizia tecnica sulla ineidonità del terreno. Spese ed onorari rifusi. Lì, . . . Avv. . . . 158 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA Formula n. 30 Io sottoscritto . . . nato a . . . il . . . delego a rappresentarmi e difendermi nel presente giudizio, con tutti i poteri di cui all’art. 84 c.p.c. l’avvocato . . . presso il cui studio eleggo domicilio. Lì, . . . Il ricorrente . . . Per autentica Avv. . . . �Ÿ �Ÿ �Ÿ Il controricorso va depositato in segreteria del T.A.R. adito con una copia per il ricorrente, oltre a quelle per l’ufficio entro il termine di venti giorni successivi a quelli stabiliti per il deposito del ricorso. Formula n. 30 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA 159 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA Formula n. 31

31 . RICORSO INCIDENTALE AL T.A.R. AVVERSO RICORSO PER ANNULLAMENTO DI BANDO DI CONCORSO 31

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE . . . Ricorso incidentale del signor . . . rappresentato e difeso come da mandato in calce al presente ricorso dall’avvocato . . . con studio legale in . . . via . . . presso il quale elegge il proprio domicilio contro il ricorso presentato dal signor . . . per l’annullamento del bando di concorso. Col presente atto il signor . . . si costituisce in giudizio per contrastare i motivi del ricorrente principale e per proporre i seguenti motivi di ricorso incidentale nel caso in cui sia accolto l’appello principale, stante il suo interesse al ricorso. Cons. Stato, sez. IV, 1 aprile 1992, n. 351, in Nuova Rass. 1993, 360. Fatto e diritto il signor . . . che ha partecipato al concorso indetto dalla provincia di . . ., è stato escluso con provvedimento del . . . n. . . . Egli ha impugnato il provvedimento di esclusione ed in subordine ha richiesto l’annullamento del bando di concorso. La delibera appare legittima ed il ricorso principale appare infondato per i seguenti motivi. 1) Legittimità del bando di concorso. Il bando di concorso appare legittimo in quanto la composizione della commissione

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giudicatrice è composta in prevalenza di esperti secondo il dettato della Corte costituzionale 15 novembre 1990, n. 453, in Cons. Stato 1990, II, 1416. In particolare non sono fondate le censure poste alla nomina del signor . . . poiché di estrazione politico-sindacale e non tecnica, in quanto lo stesso è laureato ed ha svolto negli anni . . . attività di ricerca presso l’Università di . . . 2) Illegittimità della richiesta di maggior punteggio per titoli, per violazione delle norme procedimentali. 160 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA Formula n. 31 Subordinatamente al mancato accoglimento della richiesta di annullamento, il ricorrente principale chiede l’ammissione al concorso ed il riconoscimento del punteggio per titoli relativi all’iscrizione ad albo professionale. La richiesta di ammissione al bando appare fondata, ma appare illegittima la richiesta di riconoscimento del titolo per iscrizione ad albo professionale, poiché emerge dagli atti di causa che i documenti giustificativi della richiesta di punteggio per titoli sono stati prodotti all’amministrazione dopo i termini prescritti dal bando. Quindi secondo le norme procedimentali da esso stesso fissate non deve essere attribuito nessun punteggio essendo gli stessi documenti irricevibili. Cons. Stato, sez. V, 19 luglio 1989, n. 415, in Cons. Stato 1989, 321. P.Q.M. voglia l’Ill.mo T.A.R. adito accogliere le seguenti conclusioni: 1) respingere il ricorso proposto dal ricorrente principale; 2) subordinatamente all’accoglimento parziale del ricorso principale di ammissione del ricorrente, non venga riconosciuto il maggior punteggio per iscrizione ad albo professionale. Si produce: 1) documentazione in ordine all’attività universitaria del signor . . .; 2) dichiarazione in ordine alla tardiva presentazione del certificato di iscrizione ad albo professionale. Spese ed onorari rifusi. Lì, . . . Avv. . . . Io sottoscritto . . . nato a . . . il . . . delego a rappresentarmi e difendermi nel presente giudizio, con tutti i poteri di cui all’art. 84 c.p.c. l’avvocato . . . presso il cui studio eleggo domicilio. Lì, . . . Il ricorrente . . . Per autentica Avv. . . . 6 Formula n. 31 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA 161 RELAZIONE DI NOTIFICA A richiesta del signor . . . io sottoscritto ufficiale giudiziario addetto al Tribunale di . . . certifico di aver notificato il suesteso atto al signor . . . presso l’avv. . . . e all’amministrazione provinciale nella persona del suo Presidente pro tempore. �Ÿ �Ÿ �Ÿ Il ricorso incidentale deve essere notificato all’avvocato che ha firmato il ricorso principale entro trenta giorni dal termine per il deposito del ricorso principale. Nel termine di 10 giorni dalla sua notifica il ricorso deve essere depositato in segreteria del T.A.R. con la prova dell’avvenuta notifica e relativa documentazione, ex art. 37, RD. 1054/1924. 162 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA Formula n. 31 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA Formula n. 32

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32 . ISTANZA PER L’APPLICAZIONE DI MISURE CAUTELARI 32

AL PRESIDENTE DEL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE . . . Istanza per l’applicazione di misure cautelari, ex art. 3, L. 205/2000 Il sottoscritto avv. . . . nella sua qualità di difensore di . . . nel ricorso avverso l’amministrazione di . . ., depositato il . . . al n. . . . presso codesto spett. T.A.R., per l’accertamento del debito dovuto dall’Azienda Sanitaria Locale nei confronti della farmacia in regime convenzionale di . . . Nell’attesa che questo spett. Tribunale adito pronunci sentenza di condanna di pagamento supportata dalle fatture allegate al ricorso, poiché dalle stesse note allegate dell’ASL risulta il riconoscimento del credito che conferma il fumus boni iuris dell’istanza. È evidente il grave pregiudizio economico che deriva al ricorrente dai mancati introiti che ne minano l’affidabilità economica e lo inducono a ricorrere al credito bancario. Chiede che, in relazione ai disposti dell’art. 3, L. n. 205/2000, il Presidente del Tribunale Amministrativo Regionale adito, previa audizione dello scrivente in Camera di Consiglio, voglia provvedere ad emettere decreto con cui si ingiunga all’amministrazione convenuta di pagare le somme dovute con i relativi interessi legali a partire dalla data della richiesta fino al momento del pagamento, essendo provata documentalmente la sussistenza del credito e in considerazione della natura essenziale e pubblica del servizio farmaceutico nel cui contesto è sorto il diritto di credito fatto valere con la domanda. Sussistono i requisiti di cui alla L. 6 dicembre 1971, n. 1034, art. 21 dal momento che al ricorrente deriverebbe grave ed irreparabile pregiudizio in mancanza di detto pagamento. Per quanto riguarda il fumus boni iuris è evidente la illegittimità dell’atto impugnato, come risulta dai vizi di legittimità illustrati nel ricorso presentato, per cui sussistono tutti i requisiti per l’accoglimento della presente istanza di concessione delle misure cautelari richieste. Con perfetta osservanza. Lì, . . . Avv. . . . Formula n. 32 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA 163 Io sottoscritto . . . nato a . . . il . . . delego a rappresentarmi e difendermi nel presente giudizio, con tutti i poteri di cui all’art. 84 c.p.c., l’avvocato . . . presso il cui studio eleggo domicilio, per tutti i gradi del presente giudizio. Lì, . . . Il ricorrente . . . Per autentica Avv. . . . RELAZIONE DI NOTIFICA A richiesta del signor . . . io sottoscritto ufficiale giudiziario addetto al Tribunale di . . . certifico di aver notificato il suesteso atto all’Azienda Sanitaria Locale in persona del legale rappresentante pro tempore . . . �Ÿ �Ÿ �Ÿ L’istanza può essere redatta anche in calce al ricorso, ex art. 36, R.D. 642/1907. Nel caso in cui dall’esecuzione del provvedimento cautelare derivino effetti irreversibili il giudice amministrativo può altresì disporre la prestazione di una cauzione, anche mediante fideiussione, cui subordinare la concessione o il diniego della misura cautelare. La concessione o il diniego della misura cautelare non può essere subordinata a cauzione quando la richiesta cautelare attenga ad interessi essenziali della persona quali il diritto alla salute, alla integrità dell’ambiente, ovvero ad altri beni di primario

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rilievo costituzionale. Art. 21, comma 7, L. 6 dicembre 1971, n. 1034, mod. art. 3, L. 21 luglio 2000, n. 205. 164 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA Formula n. 32 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA Formula n. 33

33 . ISTANZA PER L’APPLICAZIONE DI MISURE CAUTELARI 33

AL PRESIDENTE DEL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE . . . Istanza per l’applicazione di misure cautelari, ex art. 3, L. 205/2000 Il sottoscritto avv. . . . nella sua qualità di difensore di . . . nel ricorso avverso l’amministrazione di . . .,depositato il . . . al n. . . . presso codesto spett. T.A.R., per l’annullamento di gara d’appalto. Premesso che nelle more della fissazione dell’udienza di discussione dell’istanza di sospensiva l’amministrazione procedente ha fissato la stipula del contratto d’appalto relativo all’aggiudicazione che qui si impugna. Si ribadiscono i motivi, già dedotti nell’istanza di applicazione di misure cautelari che supportano il fumus boni iuris della richiesta. È evidente il grave pregiudizio economico che deriva al ricorrente dalla stipula del contratto che tende a elidere gli effetti della sentenza di annullamento richiesta a questo spett. T.A.R. Chiede che, in relazione ai disposti dell’art. 3, L. n. 205/2000, il Presidente del Tribunale Amministrativo Regionale adito, previa audizione dello scrivente in Camera di Consiglio, voglia provvedere ad emettere ordinanza tendente a procrastinare la stipula del contratto ovvero a fissare udienza di discussione delle misure cautelari prima di detta data. Sussistono i requisiti di cui alla L. 6 dicembre 1971, n. 1034, art. 21 dal momento che al ricorrente deriverebbe grave ed irreparabile pregiudizio dalla stipula di detto contratto come in precedenza precisato. Con perfetta osservanza. Lì,. . . Avv. . . . Formula n. 33 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA 165 RELAZIONE DI NOTIFICA A richiesta del signor . . . io sottoscritto ufficiale giudiziario addetto al Tribunale di . . . certifico di aver notificato il suesteso atto all’amministrazione provinciale in persona del legale rappresentante pro tempore . . . e ai controinteressati �Ÿ �Ÿ �Ÿ Il presidente provvede con decreto motivato, anche in assenza di contraddittorio. Il decreto è efficace sino alla pronuncia del collegio, cui l’istanza cautelare è sottoposta nella prima camera di consiglio utile. Art. 21, comma 7, L. 6 dicembre 1971, n. 1034, mod. art. 3, L. 21 luglio 2000, n. 205. 166 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA Formula n. 33 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA Formula n. 34

34 . DOMANDA DI REVOCA DELLE MISURE CAUTELARI 34

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE . . . Istanza per la revoca di misure cautelari, ex art. 3, L. n. 205/2000 Il sottoscritto avv. . . . nella sua qualità di difensore di . . . nel ricorso avverso

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l’amministrazione di . . . , depositato il . . . al n. . . . presso codesto spett. T.A.R., per l’annullamento di concessione edilizia. Premesso che questo spett. T.A.R. ha ritenuto di sospendere il provvedimento di rilascio di concessione, che nelle more del giudizio il ricorrente ha proceduto ad alienare, con atto rep. n. . . . notaio, la proprietà confinante con quella che è oggetto di richiesta di concessione edilizia, che questo fatto sopravvenuto comporta il venire meno dell’interesse al ricorso, ex art. 21, comma 7, L. 6 dicembre 1971, n. 1034, mod. art. 3, L. 21 luglio 2000, n. 205. Ciò posto, Chiede che il Tribunale Amministrativo Regionale adito, previa audizione dello scrivente in Camera di Consiglio, voglia provvedere ad emettere ordinanza di revoca della misura cautelare di sospensione del provvedimento. Sussistono i requisiti di cui alla L. 6 dicembre 1971, n. 1034, art. 21, comma 8. Con perfetta osservanza. Lì, . . . Avv. . . . RELAZIONE DI NOTIFICA A richiesta del signor . . . io sottoscritto ufficiale giudiziario addetto al Tribunale di . . . certifico di aver notificato il suesteso atto al ricorrente . . . e ai controinteressati Formula n. 34 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA 167 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA Formula n. 35

35 . L’OPPOSIZIONE AD INGIUNZIONE 35

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE . . . Opposizione ad ingiunzione di pagamento, ex art. 8, comma 1, L. 21 luglio 2000, n. 205. Il sottoscritto avv. . . . nella sua qualità di difensore della ditta nella persona del suo legale rappresentante nel ricorso avverso l’amministrazione di . . . , depositato il . . . al n. . . . presso codesto spett. T.A.R., per il pagamento di euro . . . dovute alla fornitura di medicinali all’A.S.L. di . . . Premesso che il Presidente del T.A.R. ha ingiunto il pagamento di euro . . . conseguenti alla richiesta formulata dalla ditta . . . per la fornitura di medicinali all’A.S.L. di . . . che peraltro la A.S.L. di . . . con nota del . . . ha contestato la fornitura effettuata in quanto i medicinali consegnati sono diversi da quelli ordinati, che il Presidente del T.A.R. ha, comunque, emanato ingiunzione di pagamento con provvediemto n. . . . del . . . ciò posto la ditta propone Opposizione all’ingiunzione di pagamento Per i seguenti motivi. 1) Infondatezza della richiesta di pagamento. La richiesta di pagamento è stata formulata sulla base di una fornitura che è stata contestata dall’A.S.L. in quanto i prodotti forniti sono diversi da quelli effettivamente ordinati. Tale difformità è stata fatta presente dall’A.S.L. alla ditta fornitrice con nota del . . . rimasta senza riscontro. Poiché l’A.S.L. ha manifestato la sua disponibilità alla restituzione del prodotto

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contestato si Chiede che il Tribunale Amministrativo Regionale adito voglia annullare l’ingiunzione di pagamento. 168 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA Formula n. 35 Con perfetta osservanza. Lì, . . . Avv. . . . RELAZIONE DI NOTIFICA A richiesta del signor . . . io sottoscritto ufficiale giudiziario addetto al Tribunale di . . . certifico di aver notificato il suesteso atto all’A.S.L. di . . . Formula n. 35 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA 169 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA Formula n. 36

36 . LA MANCATA OTTEMPERANZA AL PROVVEDIMENTO CAUTELARE 36

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE . . . Istanza per ottemperanza alle misure cautelari concesse, ex art. 3, L. n. 205/2000. Il sottoscritto avv. . . . nella sua qualità di difensore di . . . nel ricorso avverso l’amministrazione di . . . , depositato il . . . al n. . . . presso codesto spett. T.A.R., per l’annullamento di concessione edilizia. Premesso che questo spett. T.A.R. ha ritenuto di adottare quale misura cautelare la immediata demolizione del manufatto che comporta la chiusura dell’accesso alla strada vicinale e provoca danno grave ai proprietari confinanti, entro giorni sette dalla notifica del provvedimento all’amministrazione comunale delegata all’esecuzione del provvedimento, e che l’amministrazione comunale non ha provveduto nei termini alla demolizione e al ripristino dello status quo. Che è necessario provvedere al fine di imporre l’esecuzione delle misure cautelari col giudizio di ottemperanza, ex art. 27, comma 1, n. 4, R.D. n. 1054/1924, art. 21, comma 7, L. 6 dicembre 1971, n. 1034, mod. art. 3, L. 21 luglio 2000, n. 205. Che è necessario dare termine perentorio all’amministrazione comunale per porre in essere le misure cautelari della demolizione del manufatto che comporta la chiusura dell’accesso alla strada vicinale, trascorso il quale senza effetto si chiede che venga nominato un commissario ad acta che provveda a dare esecuzione ai lavori di demolizione. Ciò posto, Chiede che il Tribunale Amministrativo Regionale voglia: 1) dare termine perentorio di giorni quindici all’amministrazione comunale per porre in essere le misure cautelari della demolizione del manufatto che comporta la chiusura dell’accesso alla strada vicinale; 2) scaduto inutilmente detto termine provvedere a nominare un commissario ad acta che provveda, nel termine perentorio di giorni quindici, alla demolizione e al ripristino dello status quo, addebitando all’amministrazione comunale le spese del relativo procedimento. 170 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA Formula n. 36 Con perfetta osservanza. Lì, . . . Avv. . . . RELAZIONE DI NOTIFICA

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A richiesta del signor . . . io sottoscritto ufficiale giudiziario addetto al Tribunale di . . . certifico di aver notificato il suesteso atto all’amministrazione comunale nella persona del legale rappresentante . . . Formula n. 36 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA 171 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA Formula n. 37

37 . LA RICHIESTA DI CONSULENZA TECNICA D’UFFICIO 37

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE . . . Richiesta di consulenza tecnica d’ufficio, ex art. 7, comma 3, L. n. 205/2000. Il sottoscritto avv. . . . nella sua qualità di difensore di . . . nel ricorso avverso l’amministrazione di . . . , depositato il . . . al n. . . . presso codesto spett. T.A.R., per l’annullamento di concessione edilizia. Premesso che si rende necessaria l’assunzione di mezzi di prova in particolare la documentazione relativa ai pareri rilasciati dalla commissione edilizia del Comune di . . . , e l’espletamento della consulenza tecnica d’ufficio per determinare l’incompatibilità del progetto presentato con le disposizioni attuative del piano regolatore del Comune di . . . . Visto che gli artt. 26 e segg., R.D. 17 agosto 1907, n. 642, art. 35, L. 6 dicembre 1971, n. 1034, mod. art. 7, comma 3, L. 21 luglio 2000, n. 205, consentono tali adempimenti istruttori tenendo conto della specificità del processo amministrativo in relazione alle esigenze di celerità e concentrazione del giudizio, Chiede che il Tribunale Amministrativo Regionale adito voglia provvedere 1) ad ordinare al Comune di . . . di produrre la documentazione relativa ai pareri rilasciati dalla commissione edilizia; 2) a disporre la consulenza tecnica d’ufficio per determinare l’incompatibilità del progetto presentato con le disposizioni attuative del piano regolatore del Comune di . . . Con perfetta osservanza. Lì, . . . Avv. . . . 172 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA Formula n. 37 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA Formula n. 38

38 . ISTANZA PER L’ARBITRATO INERENTE POSIZIONI DI DIRITTO SOGGETTIVO RIENTRANTI NELLA GIURISDIZIONE DEL GIUDICE AMMINISTRATIVO 38

Istanza per arbitrato L’Impresa . . . con sede in . . . , in persona del suo titolare signor . . . assistita e difesa dagli avv.ti . . . , e presso lo studio di questi ultimi elettivamente domiciliata in . . . , come da mandato in calce al presente atto, premesso che l’Impresa ha costruito, per conto ed incarico del Comune di . . . , un parcheggio; che la costruzione è stata concessa in diritto di superficie alla stessa impresa costruttrice per anni 20 dalla data di ultimazione dei lavori decorrenti dal . . . in . . . ; che il contratto prevedeva, con apposita clausola compromissoria, che tutte le questioni relative alla gestione di detto parcheggio sono deferite ad una commissione

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arbitrale composta dai sigg. . . . ; visto che il comune ha provveduto ad aggiornare unilateralmente le tariffe del parcheggio, in ribasso rispetto ai parametri previsti dal contratto; che tali aggiornamenti tariffari hanno comportato un danno economico per la impresa di euro . . . . L’Impresa presenta . . . Istanza per arbitrato nei confronti del Comune di . . . , nella persona del suo legale rappresentante pro tempore, affinché il costituendo Collegio Arbitrale pronunci lodo arbitrale: a) di condanna dell’ente suddetto al pagamento a favore dell’Impresa della sotto elencata somma, per il risarcimento del danno economico provocato dagli aggiornamenti tariffari previsti dal Comune . . . , così determinati . . . P.Q.M. voglia l’Ill.mo Collegio Arbitrale accogliere le seguenti conclusioni: condannare l’Ente . . . , in persona del suo legale rappresentante pro tempore, e legale rappresentante, al pagamento a favore dell’impresa della complessiva somma di € . . . , con gli interessi legali fino all’effettivo saldo, nonché delle spese relative Formula n. 38 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA 173 al procedimento arbitrale, ivi comprese quelle per l’assistenza tecnica e legale dell’impresa appaltatrice . . . . Con riserva di ogni ulteriore domanda e deduzione e produzione Spese ed onorari rifusi Lì, . . . Avv. . . . Io sottoscritto . . . nato a . . . il . . . delego a rappresentarmi e difendermi nel presente giudizio, con tutti i poteri di cui all’art.84 c.p.c. e con facoltà di conciliare e transigere l’avvocato . . . presso il cui studio eleggo domicilio, per tutti i gradi del presente giudizio. Lì, . . . Il ricorrente . . . Per autentica Avv. . . . RELAZIONE DI NOTIFICA A richiesta del signor . . . io sottoscritto ufficiale giudiziario addetto al Tribunale di . . . certifico di aver notificato il suesteso atto al . . . 174 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA Formula n. 38 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA Formula n. 39

39 . IL RICORSO CONTRO IL DECRETO CHE DICHIARA LA PERENZIONE DEL RICORSO 39

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE . . . Il sottoscritto avv. . . . nella sua qualità di difensore della ditta nella persona del suo legale rappresentante nel ricorso avverso l’amministrazione di . . . , depositato il . . . al n. . . . presso codesto spett. T.A.R., per il pagamento di euro . . . dovute alla fornitura di medicinali all’A.S.L. di . . . Premesso che il Presidente del T.A.R. ha dichiarato la perenzione del processo per mancato rinnovo dell’istanza di fissazione di udienza, nel termine biennale di perenzione, successivamente all’esecuzione dell’istruttoria, ex art. 23, comma 6, L. T.A.R., ciò posto la ditta propone

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Opposizione al decreto che dichiara la perenzione del ricorso per i seguenti motivi. 1) Illegittimità del decreto per violazione di legge. L’istante ben conosce la giurisprudenza che, considerata la chiara formulazione dell’art. 23, comma 6, L. T.A.R., nonché il significato reso esplicito dalla sua collocazione sistematica, afferma l’obbligo di rinnovare l’istanza di fissazione di udienza successivamente all’esecuzione dell’istruttoria. T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. II, 8 giugno 1999, n. 1247, in Foro amm. 2000, 229. L’istante, però, fa presente che dell’avvenuta istruttoria non è stata data notizia alle parti, che non hanno avuto cognizione del momento di inizio del termine di decorrenza della perenzione e, pertanto, che la perenzione non poteva essere ritualmente dichiarata. Cons. Stato, , sez. IV, 14 ottobre 1991, n. 889, in Foro amm. 1992. Ciò posto, Chiede che il Tribunale Amministrativo Regionale adito voglia provvedere ad annullare il decreto che dichiara la perenzione. Si produce istanza di fissazione d’udienza di trattazione della causa. Formula n. 39 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA 175 Con perfetta osservanza. Lì, . . . Avv. . . . RELAZIONE DI NOTIFICA A richiesta del signor . . . io sottoscritto ufficiale giudiziario addetto al Tribunale di . . . certifico di aver notificato il suesteso atto all’amministrazione resistente. �Ÿ �Ÿ �Ÿ Il decreto che dichiara la perenzione è depositato in segreteria, che ne dà formale comunicazione alle parti costituite. Nel termine di sessanta giorni dalla comunicazione ciascuna delle parti costituite può proporre opposizione al collegio, con atto notificato a tutte le altre parti e depositato presso la segreteria del giudice adito entro dieci giorni dall’ultima notifica, ex art. 26, L. 6 dicembre 1971, n. 1034, mod. art. 9, comma 4, L. 21 luglio 2000, n. 205. 176 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA Formula n. 39 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA Formula n. 40

40 . APPELLO AL CONSIGLIO DI STATO CONTRO IL PROVVEDIMENTO CAUTELARE 40

CONSIGLIO DI STATO Ricorso il sindaco pro tempore del Comune di . . . rappresentato e difeso come da mandato in calce al presente ricorso dall’avvocato . . . , iscritto all’albo speciale dei patrocinanti in Cassazione, con studio legale in Roma (in alternativa deve essere eletto domicilio presso la segreteria del Consiglio di Stato) . . . via . . . presso il quale elegge il proprio domicilio propone appello avverso ordinanza n. . . . del . . . emessa dal T.A.R. che ha concesso le misure cautelari sulla richiesta di annullamento di piano di recupero del Comune di . . . su ricorso del signor . . . rappresentato e difeso dall’avv. . . . con studio in . . . per il suo annullamento Il ricorrente otteneva la concessione delle misure cautelari poiché censurava erroneamente il fatto che il piano di recupero incideva parzialmente su di un comparto

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edificatorio, disponendo, difformemente dalla normativa di piano, due diverse destinazioni d’uso dello stesso immobile. L’ordinanza che applica le misure cautelari della sospensione del provvedimento impugnato accoglieva tale tesi che qui si impugna per i seguenti motivi. 1) Eccesso di potere per travisamento dei fatti. Come appare dalla planimetria allegata e dalla relazione tecnica prodotta dall’estensore del piano di recupero si evidenzia che non si tratta di un unico comparto, ma di due distinti comparti fra di loro confinanti, aventi destinazioni urbanistiche diverse compatibili con quelle previste dal piano regolatore. P.Q.M. voglia l’Ill.mo Consiglio di Stato adito accogliere le seguenti conclusioni: Formula n. 40 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA 177 1) annullare l’impugnata ordinanza che dispone la sospensiva e dichiarare esecutivo il provvedimento impugnato Spese ed onorari rifusi. Si produce: 1) ordinanza impugnata Lì, . . . Avv. . . . Io sottoscritto . . . nato a . . . il . . . delego a rappresentarmi e difendermi nel presente giudizio, con tutti i poteri di cui all’art. 84 c.p.c. l’avvocato . . . presso il cui studio eleggo domicilio. Lì, . . . Il ricorrente . . . Per autentica Avv. . . . RELAZIONE DI NOTIFICA A richiesta del signor . . . io sottoscritto ufficiale giudiziario addetto al Tribunale di . . . certifico di aver notificato il suesteso atto al ricorrente e ai controinteressati �Ÿ �Ÿ �Ÿ Nel caso di appello con richiesta di sospensione della sentenza impugnata ovvero di impugnazione del provvedimento cautelare la parte ha diritto al rilascio di copia conforme dei documenti e degli atti prodotti senza oneri ad eccezione del costo materiale di riproduzione. Art. 23, comma 8, L. 6 dicembre 1971, n. 1034, ins. art. 1, comma 3, L. 21 luglio 2000, n. 205. 178 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA Formula n. 40 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA Formula n. 41

41 . APPELLO AL CONSIGLIO DI STATO CONTRO LA SENTENZA DI ANNULLAMENTO DI DINIEGO DI CONCESSIONE EDILIZIA 41

CONSIGLIO DI STATO . . . Ricorso il sindaco pro tempore del comune di . . . rappresentato e difeso come da mandato in calce al presente ricorso dall’avvocato . . ., iscritto all’albo speciale dei patrocinanti in Cassazione, con studio legale in Roma (in alternativa deve essere eletto domicilio presso la segreteria del Consiglio di Stato) via . . . presso il quale elegge il proprio domicilio propone appello avverso la sentenza n. . . . del . . . emessa dal T.A.R. che ha disposto l’annullamento del diniego di concessione edilizia su ricorso del signor . . . rappresentato e difeso

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dall’avv. . . . con studio in . . . per il suo annullamento. Fatto e diritto l’appellante comune in data . . . notificava provvedimento di diniego sulla domanda di concessione edilizia per i seguenti motivi: per l’esistenza di un vincolo paesaggistico; per mancanza di collegamenti fognari; per eccedenza di volumetria; per motivi ambientali. Orbene con l’impugnata sentenza il T.A.R. ha annullato il diniego e ha posto l’obbligo al comune di ottemperare alla domanda di concessione con riferimento alla situazione urbanistica esistente alla data della domanda di concessione. Ciò posto la sentenza appare censurabile per i seguenti motivi: 1) violazione delle norme relative al procedimento. Ad avviso dell’appellante il ricorso doveva dichiararsi inammissibile per violazione dell’art. 21 della L. n. 1034/1971, per mancanza di notifica dello stesso al controinteressato. Formula n. 41 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA 179 Dall’esame più approfondito degli atti risulta sì la notifica ad un ipotetico controinteressato, ma questi, in effetti, non risulta essere proprietario di immobili siti in zone direttamente confinanti con la proprietà ricorrente. Non essendo rituale la notifica il ricorso stesso doveva considerarsi inammissibile. 2) Si ripropongono i motivi del controricorso respinti dal T.A.R. insistendo per la legittimità del provvedimento di diniego e l’annullamento della sentenza. a) Il diniego per esistenza di un vincolo paesaggistico è congruamente motivato dall’allegato documento di vincolo rilasciato dalla sopraintendenza di . . . b) Il diniego per mancanza di collegamento fognario è motivato dal fatto che il privato nonostante numerosi solleciti non ha prodotto la richiesta fideiussione che garantisse la realizzazione diretta delle opere, ai sensi dell’art. 11 della L. n. 10/1977. c) Il diniego per motivi ambientali è motivato dal complesso di elementi oltre quelli sopra esposti che impediscono ad abundantiam la compatibilità dell’opera con l’ambiente circostante. 3) In subordine si impugna il dispositivo della sentenza nella parte in cui ha imposto al comune di ottemperare tenendo presente la situazione urbanistica alla data della domanda di concessione. Questa disposizione contrasta con quella che è la giurisprudenza prevalente che afferma come il provvedimento del sindaco debba tenere conto delle norme in vigore al momento della notifica della sentenza di annullamento. Senza contare che la mutata programmazione urbanistica consente un accoglimento parziale in termini di cubatura realizzabile della domanda di concessione. Cons. Stato, sez. IV, 17 febbraio 1992, n. 195, in Foro amm. 1992, 380. P.Q.M. voglia l’Ill.mo Consiglio di Stato adito accogliere le seguenti conclusioni: 1) annullare l’impugnata sentenza senza rinvio ai sensi dell’art. 34 della L. n. 1034/1971. 2) in subordine disporre che la concessione venga rilasciata con riferimento alla data di notifica della sentenza. Si produce: 1) sentenza impugnata. Spese ed onorari rifusi. Lì, . . . Avv. . . . 180 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA Formula n. 41 Io sottoscritto . . . nato a . . . il . . . delego a rappresentarmi e difendermi nel presente giudizio, con tutti i poteri di cui all’art. 84 c.p.c. l’avvocato . . . presso il cui

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studio eleggo domicilio. Lì, . . . Il ricorrente . . . Per autentica Avv. . . . RELAZIONE DI NOTIFICA A richiesta del signor . . . io sottoscritto ufficiale giudiziario addetto al Tribunale di . . . certifico di aver notificato il suesteso atto al Sindaco del Comune di . . . �Ÿ �Ÿ �Ÿ Il D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, all’art. 10 abroga l’istituto della concessione edilizia sostituendolo col permesso di costruire. Formula n. 41 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA 181 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA Formula n. 42

42 . ATTO DI RINUNCIA A RICORSO 42

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DI . . . Il sottoscritto . . . elettivamente domiciliato in . . . presso lo studio dell’avv. . . . giusto mandato in calce a questo atto, ricorrente nel procedimento n. . . . Reg. Gen., pendente innanzi a questo spett. T.A.R. nei confronti dell’Amministrazione di . . . dichiara di rinunziare al ricorso notificato in data . . . ed avente ad oggetto . . . per il quale è stata concessa la sospensiva in data . . ., per sopravvenuta carenza di interesse al ricorso medesimo. Spese compensate. Li, . . . Il ricorrente . . . Avv. . . . Io sottoscritto . . . nato a . . . il . . . delego a rappresentarmi e difendermi nel presente giudizio, con tutti i poteri di cui all’art. 84 c.p.c. l’avvocato . . . presso il cui studio eleggo domicilio. Lì, . . . Il ricorrente . . . Per autentica Avv . . . RELAZIONE DI NOTIFICA A richiesta dell’avv. . . . il sottoscritto . . . ufficiale giudiziario addetto all’ufficio notifiche presso il Tribunale di . . . ha notificato copia del presente atto all’Avvocatura dello Stato di . . . che difende il . . . 182 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA Formula n. 42 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA Formula n. 43

43 . ATTO DI RINUNCIA A RICORSO CON RICHIESTA DI PROVVEDERE ALLE SPESE 43

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DI . . . Il sottoscritto . . . a mezzo dell’avv. . . . domiciliato in . . . giusta mandato in calce a questo atto, ricorrente nel procedimento n. . . . Reg. Gen. pendente innanzi a

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questo spett. T.A.R. nei confronti dell’Amministrazione di . . . dichiara di rinunziare al ricorso notificato in data . . . ed avente ad oggetto l’annullamento di piani di recupero comunale. Si dà atto che l’amministrazione comunale ha proceduto, successivamente alla presentazione del ricorso, a riformare l’atto impugnato secondo i motivi di annullamento proposti dal ricorrente; si dichiara la sopravvenuta carenza di interesse al ricorso medesimo e si chiede a codesto spett. T.A.R. di provvedere sulle spese che si ritiene debbano essere accollate alla amministrazione resistente. Il provvedimento di soccombenza alle spese nei confronti dell’amministrazione appare dovuto in detta ipotesi, vista la fondatezza del ricorso secondo l’insegnamento della giurisprudenza che afferma come il giudice sia tenuto a decidere sulle spese del giudizio seguendo i normali criteri di attribuzione e liquidazione delle spese, eventualmente anche compensando in tutto o in parte le spese di giudizio, dopo aver valutato la ricevibilità, l’ammissibilità e la fondatezza del gravame. Cons. Stato, sez. II, 27 settembre 1995, n. 2128, in Cons. Stato, 1998, 521. La giurisprudenza ha definito questo tipo di soccombenza virtuale. Cons. Stato, sez. IV, 11 dicembre 1979, n. 1155, in Foro amm., 1979. A maggior ragione qualora la pretesa azionata in giudizio venga integralmente soddisfatta senza riserve o contestazioni, al giudice non resta che dichiarare la cessazione della materia del contendere e provvedere sulle spese del giudizio. Corte Conti, sez. II, 29 aprile 1985, n. 88, in Riv. Corte conti, 1985, 185. Li, . . . Il ricorrente . . . . Avv. . . . Formula n. 43 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA 183 Io sottoscritto . . . nato a . . . il . . . delego a rappresentarmi e difendermi nel presente giudizio, con tutti i poteri di cui all’art. 84 c.p.c. l’avvocato . . . presso il cui studio eleggo domicilio. Lì, . . . Il ricorrente . . . Per autentica Avv . . . RELAZIONE DI NOTIFICA A richiesta dell’avv. . . . io sottoscritto assistente UNEP addetto al Tribunale di . . . ha notificato copia del presente atto all’Avvocato difensore dell’amministrazione resistente. 184 GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA Formula n. 43 3. GIURISDIZIONE CONTABILE DELLA CORTE DEI CONTI IL COMMENTO 3. GIURISDIZIONE CONTABILE DELLA CORTE DEI CONTI SOMMARIO: 1. La giurisdizione. − 2. Il giudizio di conto. − 2.1. Il carattere inquisitorio del giudizio. − 2.2. L’opposizione ed il giudizio. − 2.3. L’estinzione del giudizio. − 3. Il giudizio di responsabilità amministrativa e contabile. − 3.1. La limitazione della responsabilità contabile. − 4. Il giudizio in materia di pensione. Il giudice unico.− 4.1. Il ricorso. − 5. La giurisdizione domestica e altri giudizi. − 6. I ricorsi. − 6.1. L’appello alla Corte dei Conti. Sezioni Giurisdizionali Centrali. La sospensione della sentenza di primo grado. − 6.2. La revocazione. − 6.3. Il ricorso per cassazione. 1. La giurisdizione. La Corte dei Conti, ai sensi dell’art. 103 della Costituzione ha la giurisdizione nelle materie di contabilità pubblica e nelle altre specificate dalla legge, oltre a funzioni di controllo di legittimità sugli atti che non rientrano in questa trattazione.

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La disciplina delle funzioni giurisdizionali e del relativo procedimento è dettata dal R.D. 12 luglio 1934 n. 1214 e dal regolamento di procedura approvato con R.D. 13 agosto 1933 n. 1038. La Corte dei Conti ha sede in Roma ed esercita la giurisdizione attraverso quattro sezioni ordinarie, cinque speciali, le sezioni riunite, e le sezioni regionali ove previste ad esempio in Sicilia ed in Sardegna. La L. n. 19/1994 all’art. 1 istituisce sezioni giurisdizionali in tutte le regioni, completando il decentramento di cui alla L. n. 203/1991. È attribuita alle sezioni giurisdizionali regionali, per espresso richiamo dell’art. 3 della L. n. 658/1984, che la determina per la costituita sezione della regione Sardegna, la giurisdizione in materia: di giudizi di conto e responsabilità contabile e i giudizi a istanza di parte in materia di contabilità pubblica riguardanti i tesorieri e gli altri agenti contabili gli amministratori e i funzionari e agenti della regione, province, comuni, degli altri enti locali e regionali; degli stessi giudizi di conto e di responsabilità riguardanti agenti contabili gli amministratori e funzionari impiegati e agenti di uffici e organi dello Stato e di enti pubblici aventi sede ed uffici nella regione; di giudizi sui ricorsi ed istanze in materia di pensioni, quando il ricorrente abbia residenza anagrafica nella regione; di giudizi interessanti la regione in materia contabile. Alla data dell’insediamento delle sezioni giurisdizionali regionali sono soppresse la II e la IV sezione ordinaria oltre le cinque sezioni speciali per le pensioni di guerra. A partire dal 1° gennaio 1995 i ricorsi, in mancanza della costituzione delle relative sezioni regionali, sono attribuiti alla sezione giurisdizionale regionale del Lazio. Dall’insediamento delle sezioni giurisdizionali regionali decorre il termine ordinatorio di venti giorni entro il quale sono trasmessi i fascicoli dei processi, per i quali non sia stata già fissata l’udienza di trattazione da parte della sezione giurisdizionale centrale. L’atto è recettizio e produce gli effetti dal momento dell’eseguita comunicazione al ricorrente. Questo ha tempo sei mesi per inviare al presidente della sezione regionale istanza per la prosecuzione del giudizio motivando il proprio interesse, ai sensi dell’art. 6 della L. n. 19/1994. Il termine è perentorio e la sua inosservanza comporta l’estinzione del giudizio. 2. Il giudizio di conto. Il giudizio di conto è disciplinato dagli artt. 44 e ss. del T.U. n. 1214/1934, con la L. n. 19/1994 la giurisdizione è esercitata dalle sezioni giurisdizionali regionali. La presentazione del conto costituisce in giudizio l’agente dell’amministrazione. Sono considerati agenti: i tesorieri, i ricevitori, i cassieri, gli agenti incaricati di riscuotere, di conservare, di maneggiare denaro pubblico o di tenere in custodia valori, anche se senza legale autorizzazione. Si tratta di una fase amministrativa che si può concludere col decreto di discarica. Questo atto impedisce l’inizio del giudizio di conto ai sensi dell’art. 84 della legge di contabilità approvata con R.D. n. 2440/1923. 2.1. Il carattere inquisitorio del giudizio. Il giudizio di conto si instaura su istanza del pubblico ministero, le cui funzioni nelle sezioni giurisdizionali regionali sono esercitate da un procuratore regionale, per decreto da notificarsi all’agente nei casi tassativamente previsti di cessazione dell’agente, di deficienze accertate, di ritardo nella presentazione del conto. Emerge il carattere inquisitorio del giudizio che nasce su iniziativa dei magistrati contabili inauditam alteram partem. Il segretario della sezione trasmette i conti al magistrato relatore. Questo istruisce la pratica chiedendo eventuali documenti che ritiene siano utili alla definizione del giudizio all’amministrazione o al contabile. Se il conto è regolare trasmette gli atti al procuratore regionale per il decreto di discarico, ossia per l’emissione del decreto che approva il conto non ravvisando alcuna responsabilità contabile da parte dell’incaricato. Qualora il relatore concluda per la condanna, ovvero nel caso in cui il procuratore non condivida l’approvazione del conto da parte del relatore, il presidente fissa con l’atto di

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citazione l’udienza per la discussione del giudizio di conto, iscrivendo il conto nel ruolo delle udienze, ai sensi dell’art. 33 del regolamento approvato con R.D. n. 1038/1933. Per gli addebiti inferiori agli € 2.582,28, come precisa l’art. 5 della L. n. 19/1993, si procede direttamente ad emettere un provvedimento di condanna, condizionato dall’accettazione del contabile che, in via alternativa, funge anche da citazione fissando la data d’udienza del normale giudizio di conto. 190 GIURISDIZIONE CONTABILE DELLA CORTE DEI CONTI 2.2. L’opposizione ed il giudizio. L’opposizione contabile si esercita nel termine di trenta giorni dalla decisione della sezione giurisdizionale regionale, ai sensi dell’art. 94 del R.D. n. 1038/1933. Il ricorso depositato in segreteria viene trasmesso al procuratore regionale per le sue conclusioni, che sono notificate giudizialmente all’opponente. Non esiste una fase istruttoria, in quanto è già stata esperita d’ufficio prima del giudizio da parte del magistrato relatore, essa viene acquisita agli atti processuali con l’emissione dell’atto di citazione. Il giudizio procede con il deposito della comparsa di risposta dell’opponente, che non può disporre di mezzi istruttori. Successivamente viene fissata l’udienza per il deposito delle conclusioni da parte del procuratore regionale. La sezione giurisdizionale regionale della Corte investita della decisione può sempre disporre di mezzi istruttori, ai sensi dell’art. 14 del R.D. n. 1038 citato. Se il conto è nel frattempo depositato, il relatore predispone la relazione sul conto che può concludersi con decreto di discarico o con la richiesta di condanna. In tal caso il presidente fissa l’udienza per la discussione del giudizio. All’udienza la sezione giurisdizionale regionale pronuncia la condanna del contabile, ovvero ordina la formazione del conto d’ufficio, con possibilità di alienare la cauzione di proprietà del contabile, ai sensi dell’art. 42 del Regolamento. 2.3. L’estinzione del giudizio. L’art. 2 della L. n. 20/1994 pone un termine al giudizio di conto, che si estingue decorsi cinque anni dal deposito del conto. In carenza di atti processuali, quali la relazione sul conto, prevista dall’art. 29 del regolamento R.D. n. 1038/1933, ovvero qualora non siano state elevate contestazioni sul conto da parte dell’amministrazione o degli organi di controllo, il giudizio si estingue. L’estinzione del giudizio non preclude le azioni di accertamento della responsabilità amministrativa o contabile. 3. Il giudizio di responsabilità amministrativa e contabile. La responsabilità amministrativa è caratterizzata: − da un rapporto di dipendenza o di servizio nei confronti dello Stato che ricomprende anche i funzionari onorari ed i ministri. Corte conti, sez. I, 12 novembre 1980 n. 106, in Foro it. 1981, III, 22. − da un comportamento anche solo colposo, derivante da negligenza o dalla inapplicazione della legge, che trova causa esimente solo nella forza maggiore, quale ad esempio la carenza organizzativa o l’organico insufficiente. Corte conti, sez. Reg. Puglia, 22 ottobre 1992 n. 9, in Foro amm. 1993, 1140. − da un danno erariale patrimoniale derivante all’amministrazione, che sia direttamente riconducibile all’evento. COMMENTO 191 Il danno non deve essere soggetto a compensazione col beneficio che l’amministrazione ne abbia eventualmente ricavato. Corte conti, sez. riun. 20 ottobre 1984 n. 386. Il giudizio non ha alcun rapporto con l’accertamento della illegittimità degli atti dell’amministrazione. I rapporti fra giudizio amministrativo e giudizio contabile sono di assoluta autonomia in quanto non sono previste né preclusioni, né precedenze. L’accertamento della responsabilità amministrativa contabile prescinde dall’accertamento dell’illegittimità degli atti dell’amministrazione. Il fatto illecito che provoca il danno nasce dagli effetti che l’atto amministrativo ha prodotto. Tali effetti si sono potuti produrre proprio perché l’atto non è stato annullato in sede di controllo o in sede giurisdizionale e conserva la sua presunzione di legittimità, anche dopo

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il giudizio di responsabilità amministrativa. Corte conti, sez. riun. 23 giugno 1992 n. 792, in Foro amm. 1993, 578. L’art. 1 della L. n. 20/1994 pone il termine di cinque anni per la prescrizione del diritto al risarcimento. Questi decorrono dalla data in cui si è verificato il fatto dannoso, ovvero dalla sua scoperta. Se la prescrizione si matura per omissione di denuncia la responsabilità per danni passa a chi non ha ottemperato all’obbligo di denunzia. La relativa prescrizione quinquennale decorre dalla data in cui si è maturata la precedente prescrizione. L’art. 5 della L. n. 19/1994 ponendo nuove regole di procedura coll’istaurazione delle sezioni giurisdizionali regionali tempera la natura inquisitoria del giudizio attraverso l’introduzione di una fase preparatoria. In questa fase preparatoria il procuratore regionale invita il presunto responsabile del danno a depositare entro trenta giorni dalla notifica della relativa comunicazione le proprie deduzioni ed eventuali documenti. Successivamente, il procuratore deve emettere l’atto di citazione a giudizio, ai sensi dell’art. 45 del R.D. n. 1038/1933. L’atto di citazione, a forma di ricorso, deve contenere il nome, cognome, domicilio, residenza o dimora dell’attore e del convenuto, la esposizione dei fatti e la qualità nella quale furono compiuti l’oggetto della domanda e l’indicazione dei titoli su cui è fondata, ex art. 1, R.D. n. 1038/1933. Già nella fase preparatoria il procuratore regionale può chiedere, ai sensi dell’art. 5 della L. n. 19/1994, il sequestro conservativo dei mobili e immobili del convenuto. Il presidente della sezione giurisdizionale regionale provvede con decreto motivato sulla richiesta contestualmente alla fissazione dell’udienza di trattazione con termine massimo di trenta giorni per la notifica. In carenza di tali adempimenti il decreto che dispone il sequestro è illegittimo. Il giudizio prosegue con le norme di trattazione esaminate nel giudizio di conto. 3.1. La limitazione della responsabilità contabile. La tendenza legislativa che aumenta il controllo interno di gestione, vedi ad esempio il D.L.vo 29/1993 che introduce il controllo sulla produttività e una maggiore responsabilità 192 GIURISDIZIONE CONTABILE DELLA CORTE DEI CONTI amministrativa, con conseguente valorizzazione della autonomia operativa, ha comportato una forte limitazione della responsabilità di conto degli amministratori, nonostante le proteste dei magistrati della Corte dei Conti, che hanno visto una conseguente riduzione del loro ruolo, colla riforma introdotta col D.L. 23 ottobre 1996, n. 543, convertito, con modificazioni, nella L. 20 dicembre 1996, n. 639. La limitazione della azione di responsabilità si articola sui seguenti punti principali. La responsabilità contabile è limitata ai fatti e alle omissioni commessi con dolo o colpa grave, ai sensi dell’art. 3 del D.L. 543/1996. La Corte invero ha limitato l’intervento del giudice contabile impedendo la sostituzione delle scelte proprie dello stesso giudice con quelle dell’autorità amministrativa, Corte Conti 3 giugno 1996, n. 30, ma la limitazione operata dal legislatore appare assai limitativa dell’operato della Corte, anche se è demandata ad essa medesima di determinare a livello interpretativo i suoi confini. È esclusa l’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori locali per la mancata copertura dei costi minimi dei servizi. È consentito procedere solo per gli atti successivi al gennaio 1994 nei confronti di amministratori responsabili di danni compiuti ad amministrazioni diverse da quelle di appartenenza. La responsabilità solidale opera verso i soli concorrenti che abbiano conseguito un illecito arricchimento o abbiano agito con dolo. 4. Il giudizio in materia di pensione. Il giudice unico. In materia di pensioni la Corte ha giurisdizione senza che vi sia riserva costituzionale. Un primo problema è quello di identificare l’esatto limite della giurisdizione che si trova a confinare con quella del giudice amministrativo. La giurisdizione riguarda tutte le controversie sui provvedimenti definitivi di liquidazione di pensioni a carico totale e parziale dello Stato ai sensi dell’art. 62 del R.D. n. 1214/1934.

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Questi provvedimenti possono incidere sia sull’an sia sul quantum del diritto a pensione. La Corte ha giurisdizione sulle questioni relative al riscatto dei servizi utili al calcolo della pensione. La giurisdizione riguarda anche provvedimenti che riducano o disconoscano il diritto a pensione, anche se adottati per recuperare emolumenti già liquidati. Cass. civ., 6 novembre 1989 n. 4623, in Cons. Stato 1990, II, 293. La Corte non ha giurisdizione sui provvedimenti amministrativi relativi al rapporto di impiego inerenti allo status dell’impiegato, divenuti definitivi per mancata impugnativa davanti al giudice amministrativo competente in via esclusiva su tali rapporti. La Corte può solo valutare l’idoneità di questi atti amministrativi per gli effetti che spiegano sul trattamento pensionistico. Cass. civ., 10 gennaio 1984 n. 168, in Foro it. 1984, 1304. Trattandosi di diritto imprescrittibile, salva la prescrizione quinquennale per i ratei maturati e non richiesti, il termine per ricorrere fissato dal legislatore è stato dichiarato illegittimo. Corte cost., 16 gennaio 1976, n. 8, in Riv. Corte conti 1976, 232. Allo scopo di soddisfare l’esigenza di eliminare l’arretrato accumulato è stato prevista, dall’art. 5, L. 205/2000, l’istituzione del giudice unico delle pensioni. 7 COMMENTO 193 In tale materia, pertanto, la Corte giudica in composizione monocratica, attraverso un magistrato assegnato alla sessione giurisdizionale competente per territorio in funzione di giudice unico. 4.1. Il ricorso. Il giudizio in materia di pensione è regolato dal T.U. agli artt. 63 e ss. ed è integrato dall’art. 6 della L. n. 19/1994. Il giudizio è introdotto dal ricorso che deve contenere a pena di inammissibilità l’indicazione della sezione giurisdizionale adita, l’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto su cui la domanda si fonda e le relative conclusioni. Il ricorso può essere proposto senza patrocinio legale, senza godere della discussione orale in udienza, ai sensi dell’art. 6, comma 5, della L. n. 19/1994. Esso deve essere presentato a pena di inammissibilità contro il provvedimento definitivo di liquidazione di pensione. Il termine di decadenza di presentazione del ricorso decorrente dal provvedimento di concessione o rifiuto di pensione è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo, poiché il diritto a pensione è imprescrittibile. Corte cost., 6 gennaio 1976, n. 8, in Riv. Corte conti 1976, 232. A seguito del deposito del ricorso, i cui termini non sono più perentori dopo l’intervento della suprema Corte, se l’amministrazione competente è statale, a richiesta della segreteria deve depositare, entro trenta giorni, i documenti in base ai quali è stato emesso il provvedimento impugnato. Se l’amministrazione è diversa dallo Stato, il ricorso deve essere notificato a questa ed a chi ne ha interesse, prima dell’udienza di trattazione, con rispetto dei termini di comparizione, a pena di improcedibilità, ai sensi dell’art. 81 del Regolamento. Ai sensi del precedente regolamento art. 75 il ricorso ed i documenti erano trasmessi al procuratore regionale, che svolte le indagini trasmetteva giudizialmente al ricorrente le proprie conclusioni, salvo poi richiedere la fissazione dell’udienza di trattazione. Anche nel giudizio pensionistico è prevista, dall’art. 6, L. 21 marzo 1953, n. 161, la fase cautelare nella quale è possibile chiedere, qualora vi sia pericolo di grave danno e il ricorso sia fondato, la sospensione del provvedimento impugnato. La giurisprudenza ha affermato che l’indagine affidata al giudice della sospensione, circa l’esistenza del fumus boni iuris del gravame consiste non tanto nell’esame della probabilità di esito favorevole del giudizio quanto nella valutazione sommaria della non manifesta infondatezza di esso. L’esercizio della tutela cautelare presuppone, infatti, l’instaurazione, con un grado minimo di attendibilità, del processo principale contro l’atto che si assume invalido. Corte Conti, sez. IV, 23 marzo 1992, n. 78816, in Riv. Corte conti 1992, 3, 155. L’art. 5, L. 205/2000, conferma, contraddittoriamente con l’introduzione del giudice monocratico la composizione collegiale nel caso di giudizio cautelare. La L. n. 19/1994 all’art. 6 comma 3 dispone, invece, che il presidente della sezione giurisdizionale regionale fissi l’udienza per la trattazione designando il magistrato relatore.

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194 GIURISDIZIONE CONTABILE DELLA CORTE DEI CONTI La data dell’udienza è comunicata a cura della segreteria con preavviso di almeno sessanta giorni alle parti costituite che possono produrre memorie e documenti fino a dieci giorni prima dell’udienza a pena di irricevibilità. La trattazione della causa si svolge secondo le norme del giudizio di conto, prima esaminate. L’art. 5, L. 205/2000, semplifica, inoltre, lo svolgimento del giudizio pensionistico rendendo operativi in tale giudizio gli artt. 420, 421, 429, 430, 431 c.p.c. in materia di controversie sul lavoro. In base a tali disposizioni il giudice delle pensioni può interrogare liberamente le parti, tentando la conciliazione della lite, ex art. 420, esercitare i poteri istruttori, assegnando termini per la regolarizzazione degli atti, e ammettere in qualsiasi momento i mezzi di prova, ex art. 421. Egli può pronunciare nella stessa udienza di discussione la sentenza, dando lettura del dispositivo sentenza, ex art. 429, e depositare la sentenza in segreteria entro quindici giorni dalla pronuncia con immediata comunicazione alla parti a mezzo della stessa segreteria, ex art. 430 e ex art. 431 c.p.c. T. MIELE, Sulle pensioni Corte dei Conti in monocratica, in Guida dir. 2000, 30, 61. 5. La giurisdizione domestica e altri giudizi. L’art. 3 del R.D. n. 1214/1934 attribuiva alla Corte la giurisdizione sui reclami del personale della Corte stessa. La cosiddetta giurisdizione domestica è stata abrogata dall’art. 12 della L. n. 425/1984, che ha attribuito questa materia alla giurisdizione dei tribunali amministrativi regionali. Rimangono di competenza della Corte, secondo il decentramento effettuato dalla L. n. 19/1994 alle sezioni giurisdizionali regionali, i ricorsi contro i provvedimenti definitivi delle Intendenze di Finanza (ora Ministero delle Finanze Direzione Compartimentale per la Regione ...), in materia di rimborso di quote d’imposta inesigibili ai sensi dell’art. 53 del Regolamento, i ricorsi contro ritenute a titolo cautelativo su stipendi ed altri emolumenti di funzionari ed agenti statali ai sensi dell’art. 57 del Regolamento. Sono di competenza della giurisdizione ordinaria i ricorsi dei funzionari ed agenti dipendenti dell’azienda delle Ferrovie dello Stato contro i provvedimenti amministrativi di addebito, ai sensi dell’art. 56 del Regolamento, dopo la trasformazione dell’ente in S.p.a. 6. I ricorsi. La decisione delle sezioni giurisdizionali regionali della Corte dei Conti può essere impugnata con appello alle Sezioni giurisdizionali centrali della Corte dei Conti, con revocazione e con ricorso per cassazione. 6.1. L’appello alla Corte dei Conti. Sezioni Giurisdizionali Centrali. La sospensione della sentenza di primo grado. Avverso le sentenze delle sezioni giurisdizionali regionali è ammesso appello alle sezioni giurisdizionali centrali, che giudicano con cinque magistrati. COMMENTO 195 Esso sostituisce l’appello alle sezioni riunite previsto dall’art. 67 del T.U. e dall’art. 98 del regolamento. L’appello è proponibile nel termine di sessanta giorni decorrenti per il procuratore regionale e per il procuratore generale dalla pubblicazione, per il convenuto dalla notificazione della sentenza. Nei successivi trenta giorni, deve essere depositata, nella segreteria del giudice di appello la copia notificata dell’atto unitamente alla copia della sentenza appellata. Alle sezioni centrali riunite sono riservate le decisioni sui conflitti di competenza e sulle questioni di massima deferite dalle sezioni giurisdizionali centrali e regionali, ovvero deferite a richiesta del procuratore generale, ai sensi dell’art. 1, comma 7 della L. n. 19/1994. La riforma, varata col D.L. 23 ottobre 1996, n. 543, convertito, con modificazioni, nella L. 20 dicembre 1996, n. 639, ammette l’appello anche in materia pensionistica, sia pure limitato alle sole questioni di diritto. Lo stesso D.L. 543/1996 precisa che costituiscono questioni da fatto quelle relative alla dipendenza di infermità lesioni o morte a causa di servizio o di guerra e quelle relative alla classifica o all’aggravamento delle lesioni. La esigenza di un doppio grado di giurisdizione in detta materia si è posta anche in rapporto al decentramento regionale della giurisdizione contabile. Il ricorso sospende l’esecuzione della sentenza impugnata. La sezione centrale su istanza del procuratore regionale competente o del procuratore generale, se ricorrono gravi motivi, dispone, con ordinanza motivata, sentite le parti, la provvisoria

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esecuzione della sentenza ex art. 1, comma 5 ter, L. 19/1994, mod. art. 1, L. 639/1996. L’art. 5 comma 2, L. 205/2000, modifica tale disposizione richiamando espressamente l’art. 431 c.p.c. Le sentenze del giudice sulle pensioni sono, come prima, provvisoriamente esecutive. Si può procedere all’esecuzione con la sola copia del dispositivo in pendenza del termine per il deposito, ma il ricorso in appello non sospende automaticamente l’esecuzione della sentenza. Vale la regola inversa nel senso che l’esecuzione può essere sospesa in sede di appello, su richiesta dell’appaltante, quando dall’esecuzione può derivare gravissimo danno all’altra parte, ex art. 431, comma 3, c.p.c. 6.2. La revocazione. Le decisioni della Corte possono essere impugnate per revocazione dinanzi alla stesso collegio che pronunciò la decisione impugnata come dispone l’art. 68 del T.U. I casi sono tassativamente previsti quando vi sia: errore di fatto e di calcolo; omissione o doppio impiego risultante dall’esame di altri conti; nuovi documenti rinvenuti dopo la decisione; giudizio su documenti falsi. L’azione si prescrive dopo tre anni dalla sentenza ovvero dopo un mese dalla scoperta nelle ultime tre ipotesi. 6.3. Il ricorso per cassazione. Ai sensi dell’art. 71 del T.U. e dell’art. 111 della Costituzione le decisioni della Corte possono essere impugnate davanti alla Corte di cassazione per motivi di incompetenza, di eccesso di potere o per motivi inerenti alla giurisdizione, secondo le norme del c.p.c. 196 GIURISDIZIONE CONTABILE DELLA CORTE DEI CONTI

LE FORMULE GIURISDIZIONE CONTABILE DELLA CORTE DEI CONTI Formula n. 44

44 . RICORSO ALLA CORTE DEI CONTI PER IL RICONOSCIMENTO DEL DIRITTO AL RISCATTO DEL PERIODO LEGALE DI LAUREA 44

CORTE DEI CONTI, SEZIONE III, PENSIONI CIVILI (ovvero Sezione giurisdizionale regionale della Corte dei conti del Lazio) Ricorso del signor . . . rappresentato e difeso come da mandato in calce al presente ricorso dall’avvocato . . ., iscritto all’albo speciale dei patrocinanti in cassazione, con studio legale in Roma via . . . presso il quale elegge il proprio domicilio contro l’Intendenza di Finanza (ora Ministero delle Finanze Direzione Compartimentale per la Regione . . .) di Roma . . . in persona del suo legale rappresentante pro tempore . . . per il riconoscimento del diritto al riscatto del periodo legale di laurea fatto e diritto il ricorrente . . ., dipendente del Ministero delle Finanze presso il centro regionale di servizio delle imposte dirette di . . ., successivamente all’inquadramento nella carriera direttiva presso il succitato centro regionale, conseguì il diploma di laurea. Ai sensi dell’art. 2 della L. n. 881/1982, chiese il riscatto, ai fini pensionistici del periodo di laurea. L’amministrazione adita oppose un diniego alla richiesta motivando che la laurea conseguita successivamente all’inquadramento nella carriera direttiva non poteva essere oggetto di riscatto. Il diniego appare illegittimo e lo si impugna per i seguenti motivi ai sensi dell’art. 62 del R.D. n. 1214/1934. 1) Eccesso di potere per violazione di legge. Il provvedimento di diniego poggia su di una interpretazione restrittiva della norma, di cui all’art. 2 della L. n. 881/1982, che non regge all’esegesi della stessa secondo

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i principi dell’interpretazione della legge ai sensi dell’art. 12 del codice civile. Formula n. 44 GIURISDIZIONE CONTABILE DELLA CORTE DEI CONTI 199 Il ricorrente è a conoscenza che, secondo alcune sentenze della corte, il riscatto del diploma di laurea da parte dei dipendenti, inquadrati successivamente in carriera direttiva, è ammissibile solo se tale titolo abbia avuto un collegamento concreto con lo sviluppo di carriera dell’interessato. Non è stato ritenuto sufficiente che il riscatto sia richiesto solo per una sua rilevanza economica. Corte conti, sez. III, pens. civ., 5 gennaio 1990, n. 63423, in Riv. Corte conti, 1990, n. 6, 144. Orbene la dizione testuale dell’art. 2 della L. 881/1982, citata, consente il riscatto a quanti, muniti del diploma di laurea, si trovino inquadrati in una carriera direttiva dello Stato anche se tale diploma sia stato considerato, ai fini degli sviluppi di carriera, successivamente alla immissione in servizio. La particella “anche se”, secondo i canoni dell’interpretazione letterale della legge, non ha un significato di conditio sine qua non, ma tuttaltro ha un significato concessivo ipotetico. Su tale interpretazione concordano altre sentenze della Corte, che ammettono il diritto al riscatto del periodo di laurea, indipendentemente dal fatto che sia stato condizione necessaria per l’ammissione nei ruoli della carriera conseguita dal ricorrente. Corte conti, sez. III, pens. civ. 9 marzo 1992, n. 68337, in Riv. Corte conti, 1993, n. 1, 161. P.Q.M. voglia l’Ill.ma Sez. della Corte dei conti adita accogliere le seguenti conclusioni: si dichiari illegittimo il diniego di riconoscimento del diritto al riscatto del periodo . . .; si accerti il diritto al riscatto del periodo di laurea. Si produce: 1) istanza di riscatto del periodo di laurea; 2) provvedimento di diniego dell’amministrazione. Spese ed onorari rifusi. Lì, . . . Il ricorrente . . . Avv. . . . 200 GIURISDIZIONE CONTABILE DELLA CORTE DEI CONTI Formula n. 44 Io sottoscritto . . . nato a . . . il . . . delego a rappresentarmi e difendermi nel presente giudizio, con tutti i poteri di cui all’art. 84 c.p.c. l’avvocato . . . presso il cui studio in . . . Roma eleggo domicilio. Lì, . . . Il ricorrente Per autentica Avv. . . . RELAZIONE DI NOTIFICA A richiesta del signor . . . io sottoscritto ufficiale giudiziario addetto al Tribunale di . . . certifico di aver notificato il suesteso atto al Dirigente del Ministero delle Finanze Direzione Compartimentale per la Regione Lazio presso l’Avvocatura Generale dello Stato, via dei Portoghesi 12, Roma. Formula n. 44 GIURISDIZIONE CONTABILE DELLA CORTE DEI CONTI 201 GIURISDIZIONE CONTABILE DELLA CORTE DEI CONTI Formula n. 45

45 . RICORSO ALLA CORTE DEI CONTI AVVERSO IL SILENZIO DINIEGO Diffida a provvedere ai sensi dell’art. 63 R.D. n. 1214 del 1934 45

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Al Direttore legale rappresentante pro tempore dell’Inpdap sede di . . . Premesso che il sottoscritto . . . ha presentato domanda di pensione di anzianità accettate in data antecedente al 28 settembre 1994 dal Consiglio di amministrazione dello . . .; − che successivamente, poiché il D.L. 654/1994 bloccando le pensioni di anzianità consentiva il rientro in servizio, ho chiesto di essere ammesso in servizio; − che successivamente ho rassegnato definitivamente le dimissioni a partire dal . . ., come risulta dal mod.sc 755/5/2 trasmesso a questo Spett. ente il . . . Chiedo l’erogazione del trattamento pensionistico a partire da tale data, ritenendo che il diritto maturato, a seguito della richiesta accettata anteriormente al blocco delle pensioni, configuri un diritto alla erogazione alla pensione, salvi ulteriori vizi di violazione del principio costituzionale di uguaglianza. Diffido questa spett.le amministrazione a provvedere ex art. 63 R.D. 1214/1934 entro sessanta giorni dalla notifica. In carenza di provvedimento si procederà a ricorso avverso il silenzio alla Corte dei Conti ai sensi dell’art. 63 del R.D. 12 luglio 1934, n.1214. Con perfetta osservanza Lì, . . . Il ricorrente . . . RELAZIONE DI NOTIFICA Io sottoscritto uff. giudiziario addetto al Tribunale di . . . certifico di aver notificato il suesteso atto al Direttore legale rappresentante pro tempore dell’Inpdap domiciliato per la carica in . . . consegnandone copia a mani di . . . 202 GIURISDIZIONE CONTABILE DELLA CORTE DEI CONTI Formula n. 45 �Ÿ �Ÿ �Ÿ Esente da bollo e tasse ai sensi dell’art. 12 del D.P.R. 642/1972 e dell’art. 10 della L. 533/1973. Formula n. 45 GIURISDIZIONE CONTABILE DELLA CORTE DEI CONTI 203 GIURISDIZIONE CONTABILE DELLA CORTE DEI CONTI Formula n. 46

46 . RICORSO ALLA CORTE DEI CONTI AVVERSO IL SILENZIO DINIEGO Ricorso alla Sezione Giurisdizionale della Corte dei Conti sul silenzio diniego alla richiesta di pensione 46

SEZIONE GIURISDIZIONALE DELLA CORTE DEI CONTI DELLA . . . Ricorso in materia di pensione del signor . . ., rappresentato e assistito da sé medesimo elettivamente domiciliato in . . . via . . . nei confronti del Direttore legale rappresentante pro tempore dell’Istituto Nazionale di Previdenza per i Dipendenti dell’Amministrazione Pubblica (Inpdap) sede di . . . per l’annullamento del silenzio diniego dell’atto di diffida notificato in . . . data . . . per dichiarazione che siano verificate nei confronti dell’istante signor . . . le condizioni per le quali secondo le leggi vigenti ed i principi costituzionali sorge il diritto a pensione di anzianità. Acclarata la giurisdizione della Corte adita visto che rientrano nella giurisdizione della Corte dei Conti tutte le controversie in materia pensionistica, Cass. sez. un. 26 aprile 1993, n. 4906, si fa presente quanto segue:

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fatto e diritto il sottoscritto ha presentato domanda di pensione di anzianità accettata in data antecedente al 28 settembre 1994 dal Consiglio di amministrazione di . . . 204 GIURISDIZIONE CONTABILE DELLA CORTE DEI CONTI Formula n. 46 Successivamente il ricorrente ha chiesto di essere ammesso in servizio, entro la scadenza utile prevista dalla legge del 31 dicembre 1994. Successivamente, per motivi di difficoltà ambientale, visto che le posizioni apicali dell’ente venivano affidate senza concorso a diplomati privi del titolo di laurea, il ricorrente ha rassegnato definitivamente le dimissioni. Ritiene il ricorrente per i motivi di ricorso sottoesposti che il trattamento di pensione per anzianità sia dovuto a far tempo dalla data del licenziamento, contrariamente a quanto afferma il foglio di liquidazione del trattamento provvisorio. 1) Accertamento del diritto al pensionamento di anzianità. L’approvazione di un provvedimento amministrativo rende lo stesso produttivo di effetti giuridici fra le parti e, nel caso di specie, la delibera del consiglio di amministrazione dello . . ., che ha accolto la domanda di collocamento a riposo del ricorrente ha concretizzato la nascita di diritti paritetici la cui lesione determina un danno giuridicamente rilevante per il soggetto; resta da esaminare se sia ammissibile una revoca o una abrogazione dell’atto amministrativo con sospensione degli effetti suoi propri. La dottrina qualifica la eventuale efficacia retroattiva della legge, esclusa quella penale ex art. 25 Cost., come eccezionale con l’augurio di non ricorrere a tali provvedimenti. S. PUGLIATTI, voce Abrogazione, Teoria Generale in Enc. Dir. 1958, I, 153. La dottrina amministrativa riconosce l’istituto della revoca, rectius abrogazione. E. CANNADA-BARTOLI, voce Abrogazione dell’atto amministrativo, in Enc. Dir. 1958, I, 159. Essa considera suo presupposto necessario la situazione di obbiettiva incompatibilità fra l’atto e la successiva situazione che si viene a creare e la giustifica col potere continuo e perenne che la pubblica amministrazione ha di provvedere con nuovi atti ad eseguire i bisogni che sorgono ex novo. Requisito necessario è che l’atto normativo espressamente identifichi la situazione di difformità che si vuol abrogare e disponga espressamente l’effetto retroattivo. Né si potrebbe pensare ad una ipotesi di invalidazione successiva, poiché per la migliore dottrina, P. VIRGA Diritto Amministrativo 1987, II, 113, è principio fondamentale che per la validità di un atto debba valutarsi la situazione di fatto e di diritto esistente al momento in cui l’atto stesso viene emanato. Nel caso di una nuova legge che abroghi o modifichi i contenuti obbligatori di un provvedimento amministrativo precedente si pone un problema di efficacia degli atti posti in essere precedentemente. Sulla immodificabilità del giudizio amministrativo è pacifica la giurisprudenza del Consiglio di Stato che testualmente afferma: «Sebbene la legge non penale possa avere efficacia retroattiva, tale retroattività, specialmente nel settore della cosiddetta interpretazione legislativa autentica, incontra limiti nelle singole disposizioni costituzionali e nei fondamentali principi dell’or- Formula n. 46 GIURISDIZIONE CONTABILE DELLA CORTE DEI CONTI 205 dinamento, tra i quali va annoverata l’intangibilità del giudicato in quanto il suo contenuto precettivo costituisce un modo di essere non più mutabile della realtà giuridica; pertanto, l’amministrazione non può esimersi ancorché sia intervenuta una nuova legge, nella specie, la L. 23 dicembre 1992 n. 498 art. 13, dall’ottemperare al giudicato, dovendosi anzi ritenere, onde non incorrere in censure di illegittimità costituzionale, che il legislatore, adottando la norma di interpretazione autentica, abbia comunque

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inteso escludere dalla sua applicazione le situazioni coperte dal giudicato». Consiglio Stato, Ad. Plen., 21 febbraio 1994, n. 4, in Foro amm. 1994, 352. Particolarmente interessanti le motivazioni della ineccepibile sentenza dell’Adunanza Plenaria che recita: «si deve, invero, osservare in via generale che il contenuto precettivo del giudicato amministrativo, come di quello civile, costituisce un modo di essere necessario e non più mutabile della realtà giuridica, oramai definitivamente cristallizzato nella pronuncia giurisdizionale, anche se questa abbia eventualmente travisato, ignorato o disapplicato le norme che era tenuta a considerare nel caso concreto; poiché l’amministrazione, parte del giudizio, ha l’obbligo di ottemperare al giudicato, senza che alla medesima possa riconoscersi alcuna discrezionalità sull’an e sul quando, ma, al più, solo sul quomodo». E che dire di atti amministrativi definiti regolarmente approvati dagli organi tutori (sic!). Si chiede pertanto l’accertamento del diritto. 2) In subordine si eccepisce il vizio di illegittimità costituzionale dell’art. 13 della L. 724/1994 laddove non prevede il diritto a pensione di anzianità per le domande già accettate dalle amministrazioni. Si eccepisce il vizio di illegittimità costituzionale della norma de quo per i seguenti motivi. Ben è noto che la giurisprudenza costituzionale ammette l’efficacia retroattiva delle disposizioni di legge, salvo però che non superino i limiti derivanti dall’art. 25 della Costituzione per la materia penale e da altri specifici disposti costituzionali, ad esempio il principio di uguaglianza, di cui all’art. 3 della Costituzione. Corte cost. 2 febbraio 1988 n. 125 in Foro amm. 1989, 913. La lesione del principio di eguaglianza è palese poiché, a parità di situazioni, vi è diversità di trattamento. In particolare non si capisce perché dal blocco sia esente, ad esempio la RAI, art. 13 comma 4 lett. f), e non i dirigenti i cui organici sono parimenti in riduzione, ai sensi dell’art. 31 lett. b del D.L.vo n. 29. Identici sono i soggetti che devono approvare le dimissioni, che sono sempre degli enti pubblici, identico è l’ente erogatore, che è l’Inpdap, identici sono i soggetti che richiedono il trattamento, i dipendenti pubblici, identico è il procedimento amministrativo che culmina con l’approvazione in tempi antecedenti alla normativa di blocco; l’unica difformità è la mera decorrenza della data delle dimissioni a cui la normativa non ha correlato effetti se non quelli dell’erogazione del trattamento. 206 GIURISDIZIONE CONTABILE DELLA CORTE DEI CONTI Formula n. 46 Il culmine del procedimento amministrativo, il fatto costitutivo del trattamento di quiescenza è, però, e rimane, il momento di approvazione delle dimissioni. Da tale approvazione scaturiscono gli obblighi per l’ente di previdenza, bloccare e sospendere tali obblighi comporta evidente lesione alla posizione, così come è stata definita dal soggetto richiedente. Tale intervento legislativo appare lesivo del principio di uguaglianza poiché, se l’approvazione delle dimissioni avviene nello stesso giorno da parte della stessa amministrazione, per dipendenti con identica anzianità contributiva, con decorrenza diversa, ad esempio «una al 1 di settembre, le migliaia di pensionati della scuola, e l’altra al 1 ottobre», quest’ultima viene bloccata ad avviso del ricorrente, con palese violazione del principio di uguaglianza. Nel caso in cui il provvedimento amministrativo determini, per espansione di interessi legittimi, posizioni di diritti soggettivi, ad esempio in materia di espropriazione per pubblica utilità, la giurisprudenza è rigorosa nel sancire la illegittimità costituzionale delle leggi nella parte in cui retroattivamente modifichino provvedimenti o, addirittura, procedimenti amministrativi in itinere, salvaguardando le posizioni pregresse.

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Testualmente, infatti, la Corte costituzionale afferma che «non appare irragionevole che il legislatore abbia omesso di considerare la situazione di quei soggetti che, già espropriati al momento di entrata in vigore della legge, hanno tuttavia ancora pendente il contenzioso relativo all’indennità». Per tali motivi la Corte ha dichiarato la parziale incostituzionalità dell’art. 5 bis della L. 359/1992. Corte costituzionale 16 giugno 1993 n. 283, in Riv. giur. edil. 1993, 747. Su posizioni precedentemente definite è stato stabilito dalla giurisprudenza che non è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 11, comma 9, della L. n. 413 del 1991, per violazione degli artt. 3 e 53 della Carta costituzionale, laddove dispone la retroattività della norma, perché la percezione dell’indennità per espropriazione, proprio per il valore riparatorio del sacrificio patrimoniale che ha sofferto l’espropriato, non può costituire elemento di capacità contributiva quando il fatto si è verificato in epoca antecedente al momento della sua imposizione fiscale e per l’irragionevole trattamento riservato agli indennizzi sugli espropri già percepiti e consumati in epoca antecedente all’entrata in vigore della legge. Comm. imp. distr.le Ravenna, 1 aprile 1993 n. 696, Boll. Trib. 1994, 339. Ciò posto il ricorrente ribadisce le seguenti conclusioni piaccia all’Ecc.ma Sezione Giurisdizionale della Corte dei Conti adita, in accoglimento del ricorso dichiarare: 1) Che venga accertato il diritto del ricorrente alla corresponsione del trattamento pensionistico per anzianità contributiva a far tempo dalla data dell’effettive dimissioni. Formula n. 46 GIURISDIZIONE CONTABILE DELLA CORTE DEI CONTI 207 2) In subordine eccepire il vizio di illegittimità costituzionale dell’art. 13 della L. 724/1994 per violazione del principio di uguaglianza, art. 3, e di imparzialità amministrativa, art. 97. Si allegano i seguenti documenti: 1) Atto di diffida notificato in . . . 2) Delibera del Consiglio di amministrazione dello . . . 3) Foglio di liquidazione del trattamento provvisorio. Lì, . . . Il ricorrente . . . RELAZIONE DI NOTIFICA Io sottoscritto uff. giudiziario addetto al Tribunale di . . . legale rappresentante pro tempore dell’Inpdap domiciliato per la carica in . . . consegnandone copia a mani di . . . �Ÿ �Ÿ �Ÿ Esente da bolli e tasse. Art. 12, D.P.R. 642/1972. Art. 10, L. 533/1973. 208 GIURISDIZIONE CONTABILE DELLA CORTE DEI CONTI Formula n. 46 GIURISDIZIONE CONTABILE DELLA CORTE DEI CONTI Formula n. 47

47 . OPPOSIZIONE AL GIUDIZIO DI RESPONSABILITÀ 47

SEZIONE GIURISDIZIONALE REGIONALE DELLA CORTE DEI CONTI DEL . . . Memoria a difesa del signor . . . Udienza del . . . Fatto e diritto con atto di citazione del . . . il procuratore regionale della Ecc.ma Sezione ha richiesto la condanna del signor . . . amministratore della USL per responsabilità amministrativa, quantificando il danno erariale in euro . . ., in quanto partecipò alla

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votazione della delibera dell’ente con la quale si approvò la corresponsione di emolumenti per attività svolte dal . . . al . . . a personale assunto irregolarmente. A tale richiesta ci si oppone per i seguenti motivi ai sensi dell’art. 94 del R.D. n. 1038/1933. 1) Ben ha presente il ricorrente che la giurisprudenza della Corte afferma la responsabilità degli amministratori di enti locali per il danno arrecato alle casse dei rispettivi enti per il pagamento di competenze a personale assunto irregolarmente. Corte conti, sez. II, 6 novembre 1992, n. 245 in Riv. Corte conti 1992, n. 6, 70. Peraltro è da rilevare che la stessa Corte ammette che la responsabilità degli amministratori vada esclusa qualora la stessa sia adottata da errore scusabile. Corte conti, sez. Giurisd. Campania, 2 dicembre 1992, n. 16/17, in Riv. Corte conti 1993, n. 1, 128. Nella presente fattispecie la delibera di inquadramento si presenta del tutto legittima sul piano formale. Infatti la delibera dell’USL è fondata su di una autorizzazione regionale, approvata dall’organo di controllo, e non sottoposta ad impugnazione. Il mancato recepimento dell’USL avrebbe comportato una possibile impugnativa al T.A.R., viste le diffide a provvedere pervenute dal personale dopo l’autorizzazione regionale concessa, con effetto di ulteriori spese di soccombenza tanto i comportamenti risultavano dovuti allo stato degli atti. Formula n. 47 GIURISDIZIONE CONTABILE DELLA CORTE DEI CONTI 209 P.Q.M. fatte salve le argomentazioni, che meglio si svilupperanno nella discussione orale, voglia la Ecc.ma sezione giurisdizionale regionale del . . ., adita assolvere da ogni responsabilità il convenuto. Si produce: 1) autorizzazione regionale all’inquadramento; 2) diffida a provvedere ritualmente notificata. Lì, . . . Il ricorrente . . . Avv. . . . Io sottoscritto . . . nato a . . . il . . . delego a rappresentarmi e difendermi nel presente giudizio, con tutti i poteri di cui all’art. 84 c.p.c. l’avvocato . . . presso il cui studio in . . . eleggo domicilio. Lì, . . . Il ricorrente . . . Per autentica Avv. . . . 210 GIURISDIZIONE CONTABILE DELLA CORTE DEI CONTI Formula n. 47 GIURISDIZIONE CONTABILE DELLA CORTE DEI CONTI Formula n. 48

48 . RICORSO IN APPELLO ALLE SEZIONI GIURISDIZIONALI CENTRALI DELLA CORTE DEI CONTI 48

ALLE SEZIONI GIURISDIZIONALI CENTRALI DELLA CORTE DEI CONTI Atto di appello dei signori . . . componenti della giunta municipale uscente rappresentati e difesi come da mandato in calce del presente ricorso dall’avvocato . . . del Foro di . . . ed elettivamente domiciliati nello studio del medesimo in . . . nei confronti

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del sindaco pro tempore del comune di . . . per l’annullamento e riforma della sentenza n. . . . del . . . emessa dalla sezione giurisdizionale regionale della Corte dei Conti di . . . Fatto e diritto I ricorrenti sono stati condannati con sentenza n. . . . del . . . emessa dalla sezione giurisdizionale regionale della Corte dei Conti di . . . in quanto hanno, nella loro qualità di componenti della giunta municipale, effettuato pagamenti per opere di manutenzione di un traliccio, di proprietà comunale, di ricezione radiotelevisiva per le reti private, effettuate in difetto d’impegno formale di spesa. Il relativo pagamento è avvenuto in ottemperanza a decreto ingiuntivo. L’appello è proposto ai sensi dell’art. 98, R.D. 13 agosto 1933, n. 1038 e dell’art. 1, comma 5 e 5 bis, L. 14 gennaio 1994, n. 19, che consentono di appellare le sentenze emesse dalle sezioni giurisdizionali nella materia di contabilità pubblica, depositando, nel termine di 60 giorni dalla notifica della sentenza ovvero entro un anno dalla sua pubblicazione, il proprio motivato gravame presso la segreteria del giudice di appello con la prova delle eseguite notificazioni e la copia autentica della pronuncia impugnata, giusta quanto dispongono gli artt. 98 e 99, R.D. 13 agosto 1933, n. 1038. Corte Conti sez. riun., 3 febbraio 1995, n. 13/Q, in Cons. Stato, 1995, II, 1420. Formula n. 48 GIURISDIZIONE CONTABILE DELLA CORTE DEI CONTI 211 Si impugna la sentenza, pertanto, per i seguenti motivi. 1) Violazione dell’art. 1, comma 1 bis, L. 14 gennaio 1994, n. 20. Il pagamento delle somme, per le quali è imputato il danno erariale, è avvenuto in ottemperanza a decreto ingiuntivo. Di fatto il beneficio ottenuto comporta la conseguente assenza di danno erariale. Esso trova integrale compensazione con il vantaggio conseguito dalla comunità locale attraverso la ricezione delle reti private che hanno inteso avvalersi del traliccio. Corte Conti Sicilia, sez. giurisd., 30 marzo 1998, n. 113, in Riv. Corte conti 1998, 3, 224. 2) Violazione dell’art. 1, comma 2, L. 14 gennaio 1994, n. 20 nel computo dei termini di prescrizione. I fatti si sono verificati dopo il gennaio 1994 e, pertanto, doveva considerarsi, trattandosi di responsabilità amministrativa, il termine di prescrizione quinquennale, vigente dopo l’entrata in vigore dell’art. 1, L. 14 gennaio 1994, n. 20. P.Q.M. piaccia alle Sezioni Giurisdizionali Centrali della Corte dei Conti adite, in accoglimento del ricorso dichiarare: 1) sospendere preliminarmente l’esecuzione della impugnata sentenza; 2) dichiarare l’avvenuta prescrizione del diritto al risarcimento; 3) dichiarare il ricorrente non responsabile di danno erariale a riforma della impugnata sentenza. Si allegano i seguenti documenti: 1) Sentenza impugnata Lì, . . . Avv. . . . Io sottoscritto . . . nato a . . . il . . . delego a rappresentarmi e difendermi nel presente giudizio, con tutti i poteri di cui all’art. 84 c.p.c. l’avvocato . . . presso il cui studio eleggo domicilio. Lì, . . . Il ricorrente . . . Per autentica Avv . . . RELAZIONE DI NOTIFICA A richiesta dell’avv. . . . io sottoscritto assistente UNEP addetto al Tribunale di .

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. . certifico di aver notificato il suesteso atto al sindaco pro tempore del comune di .

. . consegnandone copia a mani di . . . 212 GIURISDIZIONE CONTABILE DELLA CORTE DEI CONTI Formula n. 48 4. GIURISDIZIONE ORDINARIA. LA RESPONSABILITÀ CIVILE DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE IL COMMENTO 4. GIURISDIZIONE ORDINARIA LA RESPONSABILITÀ CIVILE DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE SOMMARIO: 1. La competenza del giudice ordinario. Limiti. − 2. La tutela sull’operato dell’amministrazione iure privatorum. − 3. Le forme di responsabilità in rapporto al riparto di giurisdizione. − 4. I requisiti. − 5. Il soggetto responsabile. − 6. La tutela avverso omissioni e comportamenti. − 7. La tutela avverso provvedimenti illegittimi. 1. La competenza del giudice ordinario. Limiti. La L. 20 maggio 1865, n. 2248 all. E che abolisce il contenzioso amministrativo, ha affermato la competenza del giudice ordinario in tutte le materie in cui si faccia questione di un diritto civile o politico comunque vi possa essere interessata la pubblica amministrazione. Le questioni afferenti gli interessi legittimi sono attribuite alla competenza del giudice amministrativo. Poiché la distinzione è tutt’altro che semplice sono stati elaborati dalla giurisprudenza i criteri sopra esaminati, per definire la spartizione della giurisdizione. F. SATTA, Giustizia amministrativa 1997, 72. La questione non riveste aspetti solo formali in quanto la tutela che ne consegue è sostanzialmente diversa. Il giudice ordinario non può che conoscere gli effetti dell’atto amministrativo senza incidere sull’atto stesso, che non può in questa sede essere annullato o revocato. Egli potrà emanare solo sentenze di condanna al risarcimento, ma non sentenze costitutive o di accertamento che incidono direttamente sull’atto amministrativo. I termini di decadenza dell’azione sono quelli normali della prescrizione del diritto che si assume leso. La pubblica amministrazione deve ottemperare alla decisione del giudice ordinario ma in caso di omissione il ricorrente può solo ricorrere alla giustizia amministrativa. Si tratta quindi di una tutela parziale. Il giudice amministrativo ha invece la possibilità di annullare e modificare l’atto amministrativo e sospenderne provvisoriamente gli effetti. Questa tutela più completa è soggetta ad un rigido termine di decadenza, sessanta giorni dalla conoscenza dell’atto. Il giudice amministrativo non può decidere sul risarcimento richiesto per la lesione dell’interesse legittimo salvi i casi di giurisdizione esclusiva, ex art. 33, D.L.vo 80/1998, vedi voce Giurisdizione amministrativa, par. 5. Né il giudice amministrativo potrebbe disporre l’ottemperanza a decisioni al di fuori dei limiti consentiti. Ad esempio è inammissibile la richiesta di restituzione di un fondo oggetto di espropriazione illegittima qualora sia realizzata l’opera pubblica per il principio dell’accessione invertita, in tal caso è unicamente ammessa la richiesta di risarcimento del danno da richiedersi al giudice ordinario, L. 27 ottobre 1988, n. 458. Il giudice ordinario deve limitarsi a conoscere gli effetti dell’atto amministrativo impugnato in relazione dell’oggetto dedotto in giudizio. L’atto amministrativo non potrà essere revocato o modificato se non ricorrendo alle competenti autorità amministrative, art. 4, L. n. 2248/1865. La pronuncia del giudice ordinario e la valutazione da questo compiuta circa la legittimità e l’efficacia dell’atto riguardano esclusivamente le parti e la fattispecie che hanno formato oggetto del processo. S. CASSESE (a cura di), Diritto amministrativo speciale, IV, Il processo amministrativo 2000, 3691. Soggiunge l’art. 5 che le autorità giudiziarie applicheranno gli atti amministrativi ed i regolamenti in quanto siano conformi alle leggi. La cognizione del giudice ordinario sull’atto amministrativo è dunque parziale; in tal

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senso risulta inammissibile per carenza di interesse un ricorso che non evidenzi la lesione in rapporto al diritto che si assume leso. L’atto può venire in esame solo per quanto attiene alla concreta lesione assunta dal ricorrente, con l’effetto di richiedere al giudice ordinario di disapplicare l’atto amministrativo illegittimo nel caso di specie. Il giudice ordinario non può agire sull’atto amministrativo, che continua ad esplicare gli effetti suoi propri nei confronti degli altri soggetti, per annullarlo o per modificarlo sia direttamente sia attraverso sentenze che impongano comportamenti all’amministrazione. La dottrina definisce disapplicazione principale il caso in cui la lite verta direttamente sull’atto o suoi effetti. La disapplicazione è incidentale quando la controversia ha come oggetto un diritto soggettivo rispetto al quale la disciplina amministrativa funge da presupposto; come, ad esempio, nell’ipotesi di una azione per violazione delle distanze che comporti l’annullamento di un atto pianificatorio illegittimo. La disapplicazione acquista un significato particolare dopo il D.L.vo 80/1998 che ammette la risarcibilità degli interessi legittimi. L’atto non deve essere annullato precedentemente dal giudice amministrativo, ma, se è illegittimo, il giudice ordinario disapplica l’atto amministrativo e condanna al risarcimento del danno. S. CASSESE (a cura di), Diritto amministrativo speciale, IV, Il processo amministrativo 2000, 3691. Con la riforma del D.L.vo 80/1998 introdotta dall’art. 7, L. 205/2000, che riscrive l’art. 7, L. 1034/1971, è demandata al T.A.R. la competenza sulle questioni relative all’eventuale risarcimento del danno per tutte le controversie nell’ambito della sua giurisdizione (non solo, quindi, per quelle rientranti nella giurisdizione esclusiva). Con le nuove disposizioni tutte le controversie sulla responsabilità della pubblica amministrazione per danno ingiusto appartengono al giudice amministrativo ed il giudice ordinario non deve sindacare la legittimità degli atti neppure per accertare una eventuale responsabilità per danni. V. CARBONE, Le nuove frontiere della giurisdizione sul risarcimento del danno da atto amministrativo illegittimo della P.A., in Corr. giur. 2000, 1142. 218 GIURISDIZIONE ORDINARIA. LA RESPONSABILITÀ CIVILE 2. La tutela sull’operato dell’amministrazione iure privatorum. Qualora il provvedimento amministrativo leda diritti soggettivi la amministrazione può essere condannata al risarcimento del danno arrecato. La giurisprudenza ha affermato che la pubblica amministrazione è soggetta ai procedimenti esecutivi come qualsiasi altro debitore. I beni dell’amministrazione sono soggetti a dei limiti di pignorabilità in relazione alla loro natura e destinazione, ex art. 823, c.c. Sono impignorabili i beni demaniali e quelli patrimoniali indisponibili, il creditore deve pertanto astenersi dall’iniziare la procedura su detti beni pena l’inammissibilità della stessa. Esistono, tuttavia, alcuni divieti legali al pignoramento di somme. Ad esempio, l’art. 1, comma 5, L. 67/1993, esclude che sia possibile sottoporre ad esecuzione forzata le somme dovute dalle unità sanitarie locali, nei limiti degli stipendi del personale. La Corte cost. 9 giugno 1995, n. 285 ha dichiarato la illegittimità della disposizione nella parte in cui non prevede che gli importi per le spese per il personale non siano preventivamente quantificati. L’art. 113, D.L.vo 77/1995, stabilisce la non pignorabilità delle somme dovute dagli enti locali, nei limiti degli stipendi del personale e dei ratei dei mutui per servizi indispensabili. La Corte cost. 20 marzo 1998, n. 69, ha dichiarato la illegittimità della disposizione nella parte in cui non prevede che la non pignorabilità sia inoperante se siano stati emessi mandati diversi da quelli vincolati. S. CASSESE (a cura di), Diritto amministrativo speciale, IV, Il processo amministrativo 2000, 3719. Più semplice appare la ricerca di somme iscritte nel bilancio preventivo anche se dal bilancio non può desumersi un vincolo di destinazione in senso tecnico, salvi i crediti nascenti dall’esercizio di funzioni pubbliche. Ad esempio i crediti aventi natura tributaria e quelli vincolati dalla legge al soddisfacimento di finalità pubbliche. Precedentemente la giurisprudenza valutava la semplice iscrizione a bilancio di somme

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per sancire la improcedibilità. Alcune sentenze tendono ad attribuire al giudice ordinario la giurisdizione nella fase esecutiva, mentre riservano il giudizio di ottemperanza al giudice amministrativo ogni qualvolta si ravvisi la necessità dell’espletamento di funzioni amministrative. Cass. civ., sez. un., 14 febbraio 1987, n. 1609, in Boll. trib. 1988, 1465 con nota contraria di M. MAFFEZZONI. Al di fuori delle sentenze di condanna, nei limiti sopra evidenziati, sono escluse le altre sentenze del giudice ordinario che indirettamente o direttamente possano portare all’annullamento, alla revoca o alla modifica dell’atto amministrativo come le sentenze di condanna ad un facere o a un non facere ad un dare ovvero alle sentenze costitutive. Questo principio è completamente sovvertito nel caso in cui l’amministrazione operi iure privatorum, ossia secondo negozi di diritto privato, su tali rapporti la cognizione del giudice ordinario non subisce pressoché limiti. S. CASSESE (a cura di), Diritto amministrativo speciale, IV, Il processo amministrativo 2000, 3699. Sono ammesse le sentenze di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto, come qualora sia riconosciuto un diritto soggettivo al riscatto dei beni del patrimonio indisponibile. COMMENTO 219 Sono ammesse sentenze di convalida di sfratto nei confronti dell’amministrazione che sia conduttrice di un immobile con contratto di locazione. In carenza della possibilità del giudice amministrativo di emettere provvedimenti d’urgenza ex art. 700 c.p.c. era ammessa la possibilità di richiederli al giudice ordinario. Questa possibilità è venuta meno con l’intervento della Corte costituzionale che ha dichiarato incostituzionali le norme art. 21, L. n. 1034/1971, che non consentono tali provvedimenti, abilitando così il giudice amministrativo ad emetterli e rendendo incompatibile l’azione del giudice ordinario. Corte cost., 28/6/1985, n. 190. Le azioni possessorie sono ammissibili solo nel caso l’illegittimo impossessamento sia avvenuto in base ad un atto privatistico, ovvero senza titolo ovvero abbia ecceduto i tempi consentiti come nell’espropriazione, tenendo conto però che l’inizio dell’opera comporta solo il risarcimento del danno. 3. Le forme di responsabilità in rapporto al riparto di giurisdizione. Si ha responsabilità da parte di una amministrazione, qualora un comportamento ad essa imputabile venga considerato lesivo di un interesse protetto dalla legge La responsabilità rileva sotto vari profili. Qualora il fatto configuri un’ipotesi di reato prevista tassativamente dalla legge penale si ha la responsabilità penale. Il principio sancito dall’art. 27 della costituzione che la responsabilità penale è personale comporta l’esclusione di una imputabilità penale per le amministrazioni pubbliche in quanto sono persone giuridiche. È l’attività illecita del singolo funzionario, che l’ha posta in essere, che rileva penalmente; pertanto è lo stesso funzionario il soggetto passivo della azione penale. Qualora la pubblica amministrazione nell’espletamento della sua attività realizzi un comportamento dannoso ad essa imputabile si può semmai configurare una responsabilità civile che comporta l’obbligo al risarcimento del danno. Si ha responsabilità contabile qualora l’amministrazione ponga in essere atti e comportamenti in contrasto con le leggi dello Stato che comportino un danno all’erario, del pari sono soggetti a responsabilità contabile coloro che abbiano per il loro ufficio funzioni contabili, per cui su di essi si impone la giurisdizione della Corte dei conti. Non si può parlare di responsabilità in senso tecnico se non vi è una lesione illecita della posizione giuridica di un determinato soggetto. Quindi non si può ipotizzare una responsabilità della pubblica amministrazione per atti validi, come ad esempio nell’ipotesi del pagamento dell’indennizzo a seguito di un regolare procedimento espropriativo. Nell’ambito della responsabilità civile si distingue fra responsabilità contrattuale, extracontrattuale o precontrattuale. Si ha responsabilità contrattuale quando la pubblica amministrazione viola un obbligo derivante da un rapporto contrattuale di diritto privato, ovvero da atti di diritto pubblico con effetti bilaterali. Se per esempio la pubblica amministrazione ha stipulato un contratto di locazione e non paga il canone o ha stipulato un qualsiasi altro contratto iure privatorum, e non lo rispetta,

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220 GIURISDIZIONE ORDINARIA. LA RESPONSABILITÀ CIVILE si applicano le norme generali del c.c. di cui agli artt. 1218 e ss., e quelle speciali quali la risoluzione del contratto di locazione regolata dall’art. 1571 e ss. del c.c. La responsabilità extracontrattuale ha come riferimento l’art. 2043 del c.c. che prevede come qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto obblighi colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno. 4. I requisiti. Il riconoscimento di responsabilità civile da parte della pubblica amministrazione prevede che sussistano alcuni requisiti. È necessario che il fatto sia imputabile alla pubblica amministrazione, ossia che il soggetto che lo ha commesso abbia un rapporto di riferibilità con la pubblica amministrazione, come ad esempio che agisca per conto di questa in relazione ad un rapporto di pubblico impiego, e che il fatto sia commesso nell’esercizio di questa funzione. Si è discusso se la responsabilità della amministrazione per i suoi agenti sia da considerarsi responsabilità diretta o indiretta. La dottrina meno recente ritiene che si tratti di responsabilità indiretta che si aggiunge a quella dei suoi agenti. La pubblica amministrazione, per il residuo di concezioni che escludevano comportamenti illeciti imputabili al “principe”, non poteva essere ritenuta responsabile della attività dei suoi agenti né poteva essere imputata per difetto di vigilanza. La dottrina più recente afferma contrariamente che la pubblica amministrazione risponde direttamente per l’operato dei suoi agenti in relazione al rapporto organico che la unisce con i suoi sottoposti, concezione ripresa dall’art. 28 della costituzione. L’art. 2043 richiede come requisito il dolo e/o la colpa dell’autore del fatto. Conformemente alla dottrina è da rilevare che l’elemento psichico vada comunque accertato; così ad esempio se l’atto è posto in essere per errore scusabile del soggetto che lo pone in essere non vi è responsabilità dell’ammnistrazione. A.M. SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo 1969, 673. Se il danno è arrecato nell’esercizio di una attività che comporta la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà il prestatore d’opera che agisce per la amministrazione e conseguentemente la stessa amministrazione non risponde se non in caso di dolo o colpa grave come sancisce l’art. 2236 del c.c. Tra comportamento dell’amministrazione e danno deve sussistere un rapporto cosiddetto di causalità adeguata. Il danno deve essere conseguenza diretta collegabile al comportamento dell’amministrazione. La lesione deve avere ad oggetto un diritto soggettivo perfetto, che è una particolare posizione giuridica del privato espressamente riconosciuta dall’ordinamento giuridico, che si impegna a tutelarla innanzitutto concedendo la tutela giurisdizionale contro la stessa pubblica amministrazione. Esso può riguardare i diritti reali come il diritto di proprietà ovvero i diritti sulla persona, come il diritto alla integrità fisica. COMMENTO 221 5. Il soggetto responsabile. L’art. 28 della Costituzione afferma che i funzionari ed i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili, amministrative, degli atti compiuti in violazione dei diritti, estendendo la responsabilità civile allo Stato ed agli enti pubblici. L’impostazione dottrinale innanzi indicata che prevede una responsabilità diretta dell’amministrazione trova una ulteriore conferma, mentre l’introduzione di una responsabilità diretta dei funzionari ha voluto sensibilizzare gli stessi ad agire in stretta conformità alle leggi vigenti. La responsabilità dell’amministrazione rispetto a quella dei funzionari è in relazione di solidarietà e concorrenza alternativa. Nel senso che il danneggiato può rivolgersi indifferentemente per richiedere il danno all’amministrazione o al funzionario, ma l’azione di risarcimento intrapresa nei confronti della amministrazione esclude quella nei confronti del funzionario e viceversa. La competenza è del giudice ordinario. La giurisprudenza ha precisato che il rapporto organico deve intendersi interrotto quando

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l’attività del funzionario è rivolta a realizzare propri fini, ma non è escluso dall’abuso dei poteri dello stesso funzionario quando questo appaia connesso, anche in maniera anomala ai fini istituzionali dell’ente. La responsabilità del giudice rileva ai sensi della L. n. 117/1988 in maniera speciale, data la natura della funzione giurisdizionale da questo esercitata. L’azione risarcitoria è esperibile dal danneggiato nei soli confronti dello Stato e non del magistrato che ha emesso l’atto, per tutelarne l’indipendenza, salva l’azione obbligatoria di rivalsa ai sensi dell’art. 7 della legge citata. 6. La tutela avverso omissioni e comportamenti. La diretta lesione di diritti soggettivi non è riconducibile a tipici procedimenti amministrativi, ma ad omissioni o comportamenti materiali dell’amministrazione non supportati da rituali procedimenti. La giurisdizione spetta al giudice ordinario che accerta la responsabilità dell’amministrazione, la lesione del diritto e quantifica l’ammontare del risarcimento. Ad esempio nel caso di espropriazione per pubblica utilità non supportata da un rituale procedimento amministrativo il privato può richiedere i danni al giudice ordinario. Allo stesso giudice può essere inoltrata istanza per risarcimento dei danni provocati da un incidente stradale causato da un veicolo di proprietà dell’amministrazione che non viaggiava per motivi di servizio. 7. La tutela avverso provvedimenti illegittimi. La giurisdizione è diversamente ripartita nel caso di azione di risarcimento per danni che derivino per lesione di interessi legittimi. L’interesse legittimo, è quella particolare posizione giuridica del privato sottoposto all’azione amministrativa, si pensi ad esempio all’interesse legittimo di un concorrente a pubblico concorso o del richiedente una concessione. 222 GIURISDIZIONE ORDINARIA. LA RESPONSABILITÀ CIVILE L’interesse legittimo si rinviene anche in quella compressione del diritto soggettivo che viene appunto degradato ad interesse legittimo in relazione all’azione amministrativa, si pensi ad esempio alla posizione di un proprietario di area destinata dal piano regolatore a opere pubbliche. Il diritto di proprietà è legittimamente compresso dall’azione amministrativa che comporta nei termini previsti l’indisponibilità del diritto ad edificare ed il mero interesse legittimo ad essere espropriato secondo la rituale procedura. L’affermazione di massima è che i danni arrecati con lesione di interessi legittimi non sono risarcibili. La dottrina più recente ammette a risarcimento danni subiti con lesioni di interessi legittimi qualificando diversamente la posizione giuridica del danneggiato, che viene fatta assurgere al rango di diritto soggettivo. È stato riconosciuto il risarcimento del danno al candidato di un pubblico concorso ritenuto inidoneo in base a criteri discriminatori, parimenti è stato riconosciuto il risarcimento al titolare di farmacia dopo l’annullamento del provvedimento che aveva comminato la decadenza della concessione. La tutela si realizza affidando la giurisdizione sull’atto al giudice amministrativo che deve dichiarare la illegittimità del provvedimento e determinare il danno nei casi di giurisdizione esclusiva, ex art. 35, D.L.vo 80/1998. Vedi voce Giurisdizione amministrativa n. 5.1. La Corte di cassazione, successivamente ha radicalmente mutato l’indirizzo, sostenendo che anche il giudice ordinario può disporre il risarcimento del danno per un atto illegittimo della pubblica amministrazione, che sia causa di un danno ingiusto, prima ancora che sia stato disposto l’annullamento del provvedimento dal giudice amministrativo. Cass. civ., sez. un., 26 marzo 1999, n. 500, in Guida dir. 1999, n. 31, 37. COMMENTO 223 LE FORMULE 8 GIURISDIZIONE ORDINARIA. LA RESPONSABILITÀ CIVILE Formula n. 49

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49 . CITAZIONE AL GIUDICE ORDINARIO PER RISARCIMENTO DEL DANNO PER OMESSA MANUTENZIONE DI STRADA PUBBLICA 49

TRIBUNALE CIVILE DI . . . Atto di citazione per il signor . . . rappresentato e difeso, come da mandato in calce al presente atto, dall’avv. . . . presso il quale elettivamente è domiciliato in . . . Fatto e diritto il signor . . . il giorno . . . procedeva a guida del suo automezzo sulla statale in direzione di . . . All’altezza del km . . . mentre procedeva usando la normale prudenza e nell’assoluto rispetto dei limiti di velocità si trovava nel bel mezzo di una strada dissestata senza alcun preavviso e senza poter prendere in precedenza alcun preventivo rimedio nella guida, non essendovi alcun segnale che indicasse l’improvviso pericolo. A fronte di questa circostanza l’automobile sbandava, usciva dalla carreggiata stradale ed urtava violentemente contro un muretto di contenimento riportando gravi danni la cui riparazione comportava un costo di euro . . . di cui si allega fattura. È costante in giurisprudenza l’affermazione che l’ente proprietario della strada, che sia aperta al pubblico transito, abbia l’obbligo di mantenerla in condizioni che non costituiscano per l’utente una situazione di pericolo nascosto. Si considera che l’utente faccia logicamente affidamento nella apparente agibilità della strada. Il pericolo sussiste qualora vi sia il requisito oggettivo della non visibilità e quello soggettivo della non prevedibilità del pericolo, il cui accertamento è riservato al giudice di merito (Cass. civ., 18 settembre 1986, n. 5677, in Giust. Civ. Rep. 1986, voce “Responsabilità civile” n. 5677). Il principio è applicabile anche qualora l’insidia derivi da lavori stradali che abbiano comportato insidia o trabocchetto, che hanno provocato il sinistro per mancanza di cartelli di segnalazione, anche se rimossi da terzi e per la conseguente impossibilità di vedere da parte del conducente lo stato della strada (Cass. civ., sez. I, 25 settembre 1990, n. 9702, in Mass. Giust. Civ. 1990, 1719). A tale scopo il signor . . ., come sopra rappresentato e difeso, col presente atto Formula n. 49 GIURISDIZIONE ORDINARIA. LA RESPONSABILITÀ CIVILE 227 cita l’ente che eseguiva i lavori di manutenzione in persona del legale rappresentante pro tempore signor . . . residente in . . . e l’appaltatore dei lavori nella persona dell’amministratore delegato della società S.p.A. signor . . ., residente in . . . a comparire davanti al tribunale di . . ., Sezione e giudice istruttore designandi, all’udienza del . . ., ore di rito, con l’invito a costituirsi nei modi e termini di legge e con espresso avvertimento che, in difetto, sarà dichiarato decaduto dai diritti di cui all’art. 167 c.p.c., per l’accoglimento delle seguenti conclusioni. Piaccia all’Ecc.mo Tribunale di . . ., disattesa ogni diversa istanza od eccezione, previo accertamento mediante consulenza, accogliere le seguenti conclusioni “si condanni l’ente che eseguiva i lavori in solido con l’appaltatore al risarcimento del danno per Lire . . . oltre agli interessi legali e rivalutazione monetaria dalla data della richiesta. Spese e onorari del giudizio a carico del convenuto. Previa, occorrendo, ammissione del teste agente della polizia stradale che ha rilevato l’incidente sulla seguente circostanza: “Vero è che, dagli accertamenti compiuti rilevando l’incidente, il conducente di

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automezzo non era in grado di rilevare lo stato di pericolo della strada e non vi erano segnali per segnalare il pericolo”. Con riserva di ulteriormente produrre, dedurre e chiedere mezzi istruttori. Si deposita: 1) fattura relativa alla riparazione. Lì, . . . Avv. . . . Io sottoscritto . . . nato a . . . il . . . delego a rappresentarmi e difendermi nel presente giudizio, con tutti i poteri di cui all’art. 84 c.p.c. e con facoltà di conciliare e transigere l’avvocato . . . presso il cui studio eleggo domicilio, per tutti i gradi del presente giudizio. Lì, . . . Il ricorrente . . . Per autentica Avv. . . . 228 GIURISDIZIONE ORDINARIA. LA RESPONSABILITÀ CIVILE Formula n. 49 RELAZIONE DI NOTIFICA A richiesta del signor . . . io sottoscritto ufficiale giudiziario addetto al Tribunale di . . . certifico di aver notificato il suesteso atto al legale rappresentante dell’ente al legale responsabile dell’impresa Formula n. 49 GIURISDIZIONE ORDINARIA. LA RESPONSABILITÀ CIVILE 229 GIURISDIZIONE ORDINARIA. LA RESPONSABILITÀ CIVILE Formula n. 50

50 . CITAZIONE AL GIUDICE ORDINARIO PER REINTEGRAZIONE A SEGUITO DI OCCUPAZIONE DI IMMOBILE IN CARENZA DI PROVVEDIMENTO AMMINISTRATIVO 50

TRIBUNALE DI . . . Il signor . . . rappresentato e difeso, come da mandato in calce al presente atto, dall’avv. . . . presso il quale è elettivamente domiciliato in. . . espone quanto segue Il ricorrente possiede un appezzamento di terreno sito in . . . identificato catastalmente dai seguenti estremi . . . partita . . . foglio . . . mappale . . ., in prossimità della strada comunale . . . Orbene il comune di . . . nell’effettuare lavori di contenimento e manutenzione della strada, in esecuzione della delibera del consiglio avente ad oggetto esclusivamente lavori di manutenzione, ha proceduto ad occupare parte del fondo. Ben è noto al ricorrente che al giudice ordinario è preclusa la condanna della pubblica amministrazione ad un solo facere, ai sensi dell’art. 4 della L. n. 2248 all. E/1865, ma questo comportamento dell’amministrazione è da qualificarsi illecito, ancorché diretto a finalità istituzionali, poiché concreta un mero comportamento che non è esecuzione di un provvedimento autoritativo. Questo in effetti non è mai stato adottato per la regolare occupazione temporanea di urgenza, anzi non è stato notificato alcun provvedimento amministrativo al proprietario ora ricorrente. La stessa giurisprudenza riconosce al proprietario la facoltà di adire il giudice ordinario con azione possessoria (Cass., sez. un. 2 ottobre 1989, n. 3950, in Mass. Ann. Cass. 1989). La carenza di un rituale procedimento di occupazione temporanea che identifichi i beni da occupare comporta la carenza di potere dell’amministrazione a porre in essere comportamenti giuridicamente legittimi. La relativa eventuale controversia essendo in tema di diritti soggettivi si radica nel

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giudice ordinario (Cass., sez. un. 29 maggio 1992, n. 6477, in Riv. giur. edil. 1993, 53). Il ricorrente intende ottenere al più presto la disponibilità del fondo, intende agire in via possessoria contro l’amministrazione comunale allo scopo di ottenere la reintegrazione nel possesso di cui è stato violentemente spogliato, avendo urgente disponibilità di disporre dell’immobile per la sua coltivazione. Poiché ricorrono gli estremi dell’art. 1168 c.c. e dell’art. 703 c.p.c. il ricorrente così come rappresentato 230 GIURISDIZIONE ORDINARIA. LA RESPONSABILITÀ CIVILE Formula n. 50 chiede che l’Ill.mo Tribunale adito voglia disporre l’immediata reintegrazione nel possesso del ricorrente nell’immobile sopra descritto di cui venne spogliato, con riserva della richiesta del risarcimento dei danni in separato giudizio. Spese ed onorari rifusi. Si produce: 1) titolo di proprietà. Lì, . . . Avv. . . . Io sottoscritto . . . nato a . . . il . . . delego a rappresentarmi e difendermi nel presente giudizio, con tutti i poteri di cui all’art. 84 c.p.c. e con facoltà di conciliare e transigere, l’avvocato . . . presso il cui studio eleggo domicilio, per tutti i gradi del presente giudizio. Lì, . . . Il ricorrente . . . Per autentica Avv. . . . RELAZIONE DI NOTIFICA A richiesta del signor . . . io sottoscritto ufficiale giudiziario addetto al tribunale di . . . certifico di aver notificato il suesteso atto al sindaco del comune di . . . �Ÿ �Ÿ �Ÿ Il giudice provvede con decreto e fissa l’udienza di comparizione delle parti entro un termine non superiore a quindici giorni assegnando all’istante un termine non superiore a otto giorni per la notificazione del decreto e del ricorso, ex art. 669 sexies c.p.c. Dal 30 giugno 2002, l’occupazione preliminare è stata soppressa. Competente a decidere sulla richiesta di risarcimento del danno è il giudice amministrativo. L’amministrazione può richiedere di acquisire al suo patrimonio indispensabile i beni immobili utilizzati per scopi di interesse pubblico, che siano stati già modificati, ossia trasformati con l’esecuzione di opere da parte della stessa pubblica amministrazione, ex art. 43 del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327. Formula n. 50 GIURISDIZIONE ORDINARIA. LA RESPONSABILITÀ CIVILE 231 5. GIURISDIZIONE SPECIALE DEI TRIBUNALI DELLE ACQUE PUBBLICHE IL COMMENTO 5. GIURISDIZIONE SPECIALE DEI TRIBUNALI DELLE ACQUE PUBBLICHE SOMMARIO: 1. Natura dei Tribunali delle acque pubbliche. − 2. La giurisdizione sui diritti soggettivi del Tribunale regionale. − 3. Il giudizio davanti al Tribunale regionale. − 4. La giurisdizione del Tribunale superiore. − 4.1. La giurisdizione di secondo grado. − 4.2. La giurisdizione sugli interessi. − 5. Il giudizio davanti al Tribunale superiore. − 6. I ricorsi. − 6.1. Il ricorso per revocazione. − 6.2. Il ricorso per cassazione. GIURISDIZIONE SPECIALE DEI TRIBUNALI DELLE ACQUE PUBBLICHE

1. Natura dei Tribunali delle acque pubbliche. Il T.U. del R.D. n. 1775/1933 sulle acque istituisce un sistema di giurisdizione in detta materia costituito dai Tribunali regionali e dal Tribunale superiore delle acque pubbliche. Le particolarità di tali controversie, caratterizzate dalla necessità di una particolare conoscenza

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tecnica, ha giustificato la composizione di tali collegi nei quali sono presenti gli esperti del settore. La dottrina prevalente attribuisce ai Tribunali regionali la qualità di sezioni specializzate delle Corti d’appello. La natura di organo della giurisdizione ordinaria è stata sostenuta anche per il Tribunale superiore. Tale costruzione consente di risolvere il problema della costituzionalità di questi organi, in relazione all’obbligo di cui all’art. 102 della costituzione di revisione degli organi speciali di giurisdizione. M. CONTE, voce Tribunali delle acque pubbliche, in Enc. Dir. 1992, XLV, 51. La peculiarità della materia ha fatto sorgere vari conflitti di giurisdizione. Conflitti di giurisdizione sono sorti fra il Tribunale superiore ed il giudice amministrativo, stante che questi giudicano sugli stessi atti amministrativi con la discriminante della materia delle acque pubbliche. Ad esempio si precisa che in materia di finanziamento di opere relative ad acque pubbliche è competente il giudice amministrativo, mentre in materia di progettazione il Tribunale superiore delle acque. T.A.R. Emilia Romagna, 27 luglio 1991, n. 271, in Foro amm. 1992, 1433. Cass. civ., Sezioni Unite, 26 luglio 1993, in Mass. Giust. civ. 1993, 1235. Conflitti di giurisdizione sono sorti fra il Tribunale Superiore ed i giudici ordinari in materia di interessi e diritti soggettivi. Ad esempio si precisa che in materia di ricorsi contro il decreto ministeriale di ripartizione del sovracanone fra i comuni ed a carico del concessionario, ai sensi dell’art. 53 del T.U., la giurisdizione è del Tribunale superiore delle acque trattandosi di interessi, mentre le questioni attinenti al pagamento rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario, essendo nel campo dei diritti. Cass. civ., 29 marzo 1989, n. 1542, in Mass. Giust. civ. 1989, 409. Conflitti di giurisdizione sono sorti tra il Tribunale superiore e i Tribunali regionali sempre in materia di interessi e diritti. Ad esempio si precisa che in materia di ricorsi avverso indennità di occupazione è competente il Tribunale regionale, trattandosi di diritti, mentre contro la legittimità dei provve- dimenti di occupazione, beninteso in materia di acque, è competente il Tribunale superiore. Cass. civ., 11 ottobre 1988, n. 5467. 2. La giurisdizione sui diritti soggettivi del Tribunale regionale. La giurisdizione dei tribunali regionali è tassativamente delimitata dall’elencazione contenuta dall’art. 140 del T.U. Sono devolute le controversie intorno alla demanialità delle acque; circa i limiti dei corsi e dei bacini, loro alveo e sponde; inerenti ai diritti relativi alle derivazioni o utilizzazioni di acqua pubblica. Cass. civ., Sezioni Unite, 22 dicembre 1987, n. 9562, in Foro amm. 1988, 3151. Trib. Sup. Acque 10 maggio 1984, in Foro amm. 1984, 1593. Sono altresì devolute le controversie riguardanti: la occupazione totale o parziale dei fondi e le relative indennità di esproprio, in conseguenza dell’esecuzione o manutenzione di opere idrauliche, di bonifica e derivazione o utilizzazione di acque; le indennità per espropriazione dei diritti esclusivi di pesca sulle acque del demanio marittimo ed idrico; gli indennizzi derivanti dai danni derivanti da modifiche fatte dallo Stato per motivi di pubblico interesse in materia di acque pubbliche, ai sensi dell’art. 48 del T.U. citato; le controversie relative al riparto provvisorio e definitivo delle spese sostenute dai consorzi obbligatori fra privati per l’utilizzazione delle acque pubbliche, ai sensi dell’art. 68 del T.U. citato. Il Tribunale regionale è giudice di appello sulle sentenze relative ad azioni possessorie e a denuncia di nuova opera nelle materie di cui al precedente art. 140, ai sensi dell’art. 141 del T.U. Non sono ammesse le azioni possessorie contro i provvedimenti della pubblica amministrazione confermando che anche per i Tribunali delle acque si applica il principio di cui all’art. 4 della L. n. 2248/1865 all. E che vieta al giudice ordinario di sindacare gli atti dell’autorità amministrativa. 3. Il giudizio davanti al Tribunale regionale. Il T.U. n. 1775/1933 detta, agli artt. 147 e ss., le norme procedurali davanti al Tribunale regionale richiamando il codice di procedura civile per quanto non espressamente previsto. L’atto di introduzione al giudizio viene nominato ricorso dall’art. 151 T.U., ma i contenuti indicati sono tipici della citazione di cui all’art. 163 c.p.c., in quanto si afferma che l’atto

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deve indicare la citazione a comparire davanti al giudice delegato. Non è richiesto l’obbligo di un procuratore la cui valutazione è lasciata al giudice delegato; il valore della causa non deve essere superiore a € 516,46 , ex art. 82 c.p.c. Vengono dettate norme in tema di notifica, di costituzione delle parti che non differiscono sostanzialmente dal giudizio civile. Il giudice delegato ha la direzione del processo, fissa le udienze ed in caso di mancata presenza delle parti per la trattazione può disporre la cancellazione della causa dal ruolo, a differenza dell’art. 309 del c.p.c., salva la possibilità di riassumere ad onere delle parti entro sei mesi. Il giudice delegato, attraverso il potere di emettere ordinanze, previste dall’art. 175 del T.U., dirige il processo, ai sensi dell’art. 186 del T.U. 238 GIURISDIZIONE SPECIALE DEI TRIBUNALI DELLE ACQUE PUBBLICHE Il giudice delegato ha inoltre il potere di ammettere d’ufficio prove testimoniali. Le indagini tecniche sono condotte dal giudice delegato con l’assistenza del membro tecnico, salva la possibilità di nomina del consulente tecnico, ai sensi dell’art. 167 T.U. 4. La giurisdizione del Tribunale superiore. 4.1. La giurisdizione di secondo grado. Il Tribunale superiore delle acque pubbliche è giudice in grado di appello di tutte le cause decise in primo grado dal Tribunale regionale, in tal caso la composizione del Tribunale superiore è determinata ai sensi dell’art. 142 del T.U. citato. La sentenza deve essere impugnata entro il termine di trenta giorni dalla notifica dell’estratto da parte del cancelliere, ai sensi dell’art. 183 del T.U. Per il giudizio di appello valgono in quanto compatibili le norme indicate per il giudizio davanti al Tribunale regionale, ai sensi dell’art. 190 del T.U. 4.2. La giurisdizione sugli interessi. La giurisdizione del Tribunale superiore delle acque pubbliche è in primo ed in unico grado sulle materie indicate dal T.U. Il Tribunale non ha una giurisdizione esclusiva nelle materie demandate che, attenendo al campo delle concessioni su beni pubblici, ricomprendono posizioni di diritto soggettivo ed interessi legittimi, a volta di difficile distinzione. Sono devoluti, ai sensi dell’art. 143 del T.U., i ricorsi per incompetenza, eccesso di potere e per violazione di legge avverso i provvedimenti definitivi presi dall’amministrazione in materia di acque pubbliche. Sono ricompresi i provvedimenti relativi a beni del demanio idrico, quali i progetti, i piani generali regolatori, i provvedimenti ablatori, relativi alla materia delle acque pubbliche. Sono pure ricompresi i provvedimenti emanati sulla base della L. n. 183/1989 che reca norme sulla difesa del suolo, ad esempio in materia di bacini idrografici. Rientrano nella giurisdizione del Tribunale superiore: I ricorsi aventi ad oggetto provvedimenti di concessione per le grandi derivazioni, salva la competenza del Tribunale regionale per le relative indennità, ai sensi dell’art. 18 del T.U. I ricorsi avverso i provvedimenti di tutela adottati dal Ministero dei Lavori Pubblici avverso la sospensione nelle grandi derivazioni, ai sensi dell’art. 54 del T.U. I ricorsi avverso gli atti di costituzione dei consorzi privati obbligatori per l’utilizzazione delle acque pubbliche, ai sensi dell’art. 63 del T.U. I ricorsi in materia di diritti esclusivi di pesca attualmente di fatto soppressi. I ricorsi in materia di acque pubbliche sotterranee. Su tali ricorsi la giurisdizione è di mera legittimità. Il Tribunale superiore ha la giurisdizione anche nel merito: Nei ricorsi avverso provvedimenti relativi ad opere particolari, ad esempio in materia di chiuse, previsti dall’art. 217 del T.U. COMMENTO 239 Nei ricorsi avverso i provvedimenti di autotutela che ordinano la riduzione al primitivo stato dei luoghi, dopo acclarate manomissioni, previsti dall’art. 221, salvo il ricorso gerarchico disposto dall’art. 379 della L. n. 2248/1865 all. F sui lavori pubblici. Sui ricorsi avverso le ordinanze di autotutela per opere dannose previste dall’art. 2 della L. n. 523/1904 sulle opere idrauliche. 5. Il giudizio davanti al Tribunale superiore.

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L’art. 208 del T.U. prevede per il giudizio davanti al Tribunale superiore l’applicabilità, ove compatibile delle leggi sul Consiglio di Stato. La definitività del provvedimento amministrativo, come requisito per l’ammissibilità dell’impugnazione, prevista dall’art. 194 del T.U. è stata dichiarata costituzionalmente illegittima per evidenti motivi di uguaglianza a seguito della Legge di riforma del processo amministrativo. Per gli stessi motivi la Corte ha dichiarato illegittimo l’art. 143 del T.U. per la mancata previsione del ricorso a seguito del silenzio rigetto da parte dell’amministrazione. Corte cost., 31 gennaio 1991, n. 42. L’art. 145 del T.U. dispone un termine per l’impugnazione decorrente dalla data della notificazione. La equivalenza fra conoscenza di diritto e conoscenza di fatto per la decadenza dell’azione è ammessa dalla giurisprudenza. Trib. Sup. Acque 20 settembre 1984, n. 18, in Cons. Stato 1984, II, 1082. L’art. 194 prevede il deposito del provvedimento impugnato, o in mancanza dell’atto di rifiuto accertato con verbale dell’ufficiale giudiziario o del notaio. Il ricorso, che ha contenuto di citazione a comparire ad udienza fissa, deve essere depositato almeno cinque giorni prima dell’udienza, ai sensi dell’art. 194 del T.U. La presentazione del ricorso non ha effetto sospensivo, ma ad istanza del ricorrente può chiedersi la sospensiva degli effetti del provvedimento impugnato, su di essa decide con ordinanza il giudice delegato. L’ordinanza non è impugnabile secondo la dottrina. E. REGGIO D’ACI, in Foro amm. 1984, 1595. È da segnalare la sentenza della Corte cost. 1 febbraio 1982, n. 8 che ammette il doppio grado nel giudizio cautelare. La principale differenza rispetto al giudizio amministrativo è costituita dalla figura del giudice delegato. Questo cura l’istruttoria del processo richiedendo documenti e memorie all’amministrazione, incaricando funzionari tecnici dello Stato per rilievi tecnici ai sensi dell’art. 196 T.U. Le norme di procedura di cui all’art. 180 e segg. del T.U. dispongono che il giudice delegato, dopo avere compiuta l’istruttoria e dopo la presentazione delle conclusioni all’udienza di spedizione rimette le parti al Tribunale, con possibilità di presentare memorie fino a sette giorni prima della discussione. La sentenza emessa dal Tribunale può essere di rigetto se il ricorso è infondato, o di annullamento dell’atto amministrativo, salvi gli ulteriori provvedimenti dell’autorità emanante, o di quella eventualmente competente. 240 GIURISDIZIONE SPECIALE DEI TRIBUNALI DELLE ACQUE PUBBLICHE 6. I ricorsi. 6.1. Il ricorso per revocazione. Il ricorso per revocazione è previsto dall’art. 199 del T.U. nei casi indicati dall’art. 395 del c.p.c. vigente. Il termine per l’impugnazione della sentenza è di trenta giorni, esso decorre secondo le prescrizioni degli artt. 325-326 del c.p.c. a seconda delle ipotesi di revocazione. Si rinvia alla voce Giurisdizione amministrativa per un più dettagliato esame delle singole ipotesi. 6.2. Il ricorso per cassazione. Il ricorso per cassazione può essere proposto sia avverso le decisioni del Tribunale superiore in tema di diritti soggettivi, ossia di secondo grado, sia a quelle emanate in unico grado in tema di interessi legittimi. Ai sensi degli artt. 200-201 del T.U. integrati dall’art. 111 della Costituzione oltre che per motivi attinenti alla giurisdizione possono essere proposti per violazione di legge o per vizi di motivazione. Vigono le norme di cui al c.p.c. COMMENTO 241 LE FORMULE GIURISDIZIONE SPECIALE DEI TRIBUNALI DELLE ACQUE PUBBLICHE Formula n. 51

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51 . RICORSO AL TRIBUNALE SUPERIORE DELLE ACQUE PUBBLICHE PER ANNULLAMENTO DI PROVVEDIMENTO DI AUTORIZZAZIONE DI LAVORI PER GRANDI DERIVAZIONI 51

TRIBUNALE SUPERIORE DELLE ACQUE PUBBLICHE DI . . . Ricorso del sindaco del comune di . . . rappresentato e difeso, come da mandato in calce al presente atto, dall’avvocato . . ., iscritto all’albo speciale dei patrocinanti in cassazione, presso il quale è elettivamente domiciliato in Roma . . . per l’annullamento del decreto del Ministero dei Lavori Pubblici di autorizzazione di lavori di ripristino per derivazione d’acqua. Fatto e diritto Il sindaco del comune di . . ., come sopra rappresentato, fa presente quanto segue a questo Ecc.mo Tribunale superiore la cui giurisdizione in materia è acclarata dalla giurisprudenza. Cons. Stato, sez. VI, 7 novembre 1992, n. 855, in Foro amm. 1992, 2681. Il Ministero dei Lavori Pubblici ha autorizzato con decreto in data . . . l’Ente Nazionale per l’Energia Elettrica ad effettuare determinati lavori a seguito della interruzione della concessione di grande derivazione d’acqua in località . . . ai sensi dell’art. 54 del T.U. n. 1775/1933. Orbene i lavori autorizzati all’ENEL non appaiono tali da mantenere la rimessione in pristino della situazione quo ante, ma sono tali da snaturare il corso del fiume creando opere non idonee a mantenere l’aspetto ambientale originario. I manufatti autorizzati creano una cementificazione del corso d’acqua con strutture in conglomerato cementizio che, oltre a non essere essenziali al mantenimento della funzionalità della grande derivazione, impediscono la fruibilità ai cittadini del Formula n. 51 GIURISDIZIONE SPECIALE DEI TRIBUNALI DELLE ACQUE PUBBLICHE 245 comune rivierasco delle rive e l’esercizo delle normali attività quali la pesca, e altre attività ricreative impedendo l’accesso al fiume. Il provvedimento appare illegittimo per il seguente motivo: eccesso di potere per contradditorietà e manifesta illogicità. Il Ministero con provvedimento impugnato doveva consentire all’ente la possibilità di eseguire le riparazioni necessarie e non permettere modificazioni dei luoghi che impediscono l’esercizio di altre attività prima esercitate a danno degli abitanti del comune rivierasco. Orbene il provvedimento va oltre i limiti previsti senza che vengano date opportune motivazioni in ordine alle varianti, sia in ordine all’effettiva necessità delle opere sia in ordine alla compatibilità delle stesse in relazione alla situazione quo ante. Per questi motivi il sindaco del Comune di . . ., come sopra rappresentato. Cita il Ministero per i Lavori Pubblici . . . nella persona del Ministro pro tempore, davanti al Tribunale superiore delle acque . . . A tale fine invita il convenuto a costituirsi in giudizio nel termine e nelle forme stabilite dall’art. 176 del T.U. n. 1775/1933 ed a comparire all’udienza del . . . dinanzi al giudice delegato ritualmente designato, con espresso avvertimento che, in difetto, sarà dichiarato decaduto dai diritti di cui all’art. 167 del c.p.c., per l’accoglimento delle seguenti conclusioni. Piaccia all’Ecc.mo Tribunale superiore delle acque . . ., disattesa ogni diversa

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istanza od eccezione, previa disposizione di rilievo tecnico che accerti lo stato dei luoghi, ai sensi dell’art. 196 del T.U. n. 1775/1933: 1) annullare il Decreto ministeriale impugnato. Spese ed onorari rifusi. Si depositano i seguenti documenti: 1) decreto Ministero dei lavori pubblici impugnato; 2) piantina relativa allo stato quo ante dei luoghi. Lì, . . . Avv. . . . 246 GIURISDIZIONE SPECIALE DEI TRIBUNALI DELLE ACQUE PUBBLICHE Formula n. 51 Io sottoscritto . . . nato a . . . il . . . delego a rappresentarmi e difendermi nel presente giudizio, con tutti i poteri di cui all’art. 84 c.p.c. l’avvocato . . . presso il cui studio eleggo domicilio Lì, . . . Il ricorrente . . . Per autentica Avv. . . . RELAZIONE DI NOTIFICA A richiesta del signor . . . io sottoscritto ufficiale giudiziario addetto al Tribunale di . . . certifico di aver notificato il suesteso atto al Ministro Lavori Pubblici pro tempore presso l’avvocatura generale dello Stato via Dei Portoghesi, 12 Roma . . . al legale rappresentante dell’ENEL. Formula n. 51 GIURISDIZIONE SPECIALE DEI TRIBUNALI DELLE ACQUE PUBBLICHE 247 6. GIURISDIZIONE SPECIALE DELLA COMUNITÀ EUROPEA IL COMMENTO 6. GIURISDIZIONE SPECIALE DELLA COMUNITÀ EUROPEA SOMMARIO: 1. Il sistema di tutela. Ricorsi alla Corte di giustizia. − 1.1. Avverso gli atti della Comunità. − 1.2. Avverso gli atti degli Stati membri. − 2. Ricorsi alla Commissione. − 3. La Commissione europea per i diritti dell’uomo. − 4. La riforma della L. n. 89/2001. 1. Il sistema di tutela. Ricorsi alla Corte di giustizia. 1.1. Avverso gli atti della Comunità. Gli atti emanati dagli organi comunitari si distinguono in regolamenti, decisioni e direttive, ai sensi dell’art. 189 del Trattato istitutivo della Comunità Economica Europea, ora denominata Comunità Europea (C.E.), ratificato in Italia con L. 14 ottobre 1957, n. 1203. E. PENNACCHINI, R. MONACO, L. FERRARI BRAVO, S. PUGLIESE, Manuale di diritto comunitario 1983, I72 e ss., 166 e ss. Le norme poste dai regolamenti sono direttamente obbligatorie per i soggetti della comunità che sono gli stati membri, senza che l’ordinamento di questi si debba adattare al contenuto degli stessi con apposito atto. Le decisioni sono atti la cui natura è amministrativa non normativa, avente contenuto obbligatorio per i destinatari da esse designati. Le direttive sono atti aventi contenuto normativo, che vincolano lo stato membro a raggiungere l’obbiettivo fissato lasciando alla facoltà dello stato la forma ed i mezzi per raggiungerlo. Le persone fisiche e giuridiche possono impugnare i regolamenti e le decisioni di cui sono destinatarie presso la Corte di Giustizia della Comunità, ai sensi dell’art. 173, L. n. 1203/1957. Qualora il ricorso risulti fondato la Corte nell’emettere la sentenza, dichiara nullo o pronuncia l’annullamento dell’atto ed impone all’organo in questione di adottare i provvedimenti atti a ripristinare la situazione preesistente alla emanazione dell’atto, ai sensi dell’art. 176. Principio quest’ultimo di portata dirompente se attuato completamente nel sistema italiano degli atti amministrativi. 1.2. Avverso gli atti degli Stati membri.

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Nel caso di contrasto delle norme della legislazione nazionale con la legislazione comunitaria, questo può essere fatto rilevare dal cittadino di uno degli stati membri ricorrendo direttamente alla Corte di Giustizia della Comunità per ottenere una sentenza interpretativa che vincoli il giudice nazionale, ai sensi dell’art. 177. Il ricorrente può porre la questione direttamente al giudice ordinario o amministrativo competente e proporre a quest’ultimo di ricorrere al procedimento pregiudiziale. Il giudice, qualora ritenga sussistente il contrasto fra le norme della legislazione nazionale e le norme del diritto comunitario, sospende il processo e chiede un parere sulla questione alla Corte di Giustizia della Comunità, che decide con sentenza. Il giudice nazionale deve conformarsi alle decisioni della Corte, ai sensi dell’art. 192, L. n. 1203/1957. In particolare la giurisprudenza della Corte ha affermato che, nel caso di direttive comunitarie che appaiono dal punto di vista del contenuto sufficientemente precise, ma che non sono state recepite nel diritto nazionale o che non siano state recepite in modo adeguato, i singoli possono farle valere direttamente dinanzi ai giudici nazionali chiedendone l’applicazione. La magistratura nazionale può quindi applicare direttamente al caso concreto quanto fissato dalla direttiva ancora prima che il legislatore nazionale abbia provveduto al recepimento. Corte Lussemburgo, 22 giugno 1989, n. 103, in Riv. giur. edil. 1990, 201, in tema di direttive sull’esclusione da gare di appalto di offerte anormalmente basse. 2. Ricorsi alla Commissione. Il contrasto fra la legislazione dello stato membro e le norme comunitarie può essere fatto valere tramite ricorso alla commissione. Questa non è un organo giurisdizionale, ma esecutivo, che ha peraltro la possibilità di intervenire presso lo stato membro affinché elimini il contrasto. In caso di mancata adesione dello stato interessato la stessa Commissione può adire direttamente alla Corte di Giustizia, ai sensi dell’art. 169, L. n. 1203/1957. Il ricorso può essere presentato da chiunque, purché sia redatto per iscritto, riguardi una disposizione di diritto comunitario, indichi lo stato membro e l’ente o l’impresa che operi in detto stato che non hanno rispettato il diritto comunitario, specifichi i rimedi amministrativi o giurisdizionali già esperiti, presenti i documenti giustificativi o produca i mezzi di prova a sostegno del ricorso, richieda specificatamente il tipo di intervento che si desidera ottenere. Sostanzialmente si tratta di un ricorso amministrativo, poiché diretto ad una autorità amministrativa e non giurisdizionale, teso a sollecitare il potere di vigilanza della Commissione sull’osservanza del diritto comunitario. Esso si esplica attraverso l’intervento della stessa Commissione presso lo stato membro per ottenere la eliminazione del contrasto. Non vi è alcun dovere della Commissione di emettere un provvedimento espresso, anche se è prevista l’informazione al ricorrente sulle varie fasi del ricorso e sulle eventuali azioni intraprese fino all’eventuale ricorso che la stessa Commissione può promuovere presso la Corte di Giustizia. 3. La Commissione europea per i diritti dell’uomo. La convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, ratificata dalla L. n. 848/1955, introduce a tutela dei cittadini degli stati che l’hanno ratificata un organo di giurisdizione 254 GIURISDIZIONE SPECIALE DELLA C.E. che è la Commissione europea per i diritti dell’uomo, che ha sede presso il Consiglio d’Europa BP-431-R6-F67008 Strasburgo, Francia. La Commissione può essere adita dopo l’esaurimento delle vie del ricorso interno ed entro un periodo di sei mesi a partire dalla data della decisione interna definitiva, come precisa l’art. 26 della legge di ratifica n. 848/1955. Il ricorso, che è presentato secondo formulari predisposti dalla stessa Commissione e senza il patrocinio legale, ha il compito di verificare i tempi impiegati dallo Stato membro per amministrare la giustizia. Non potendo sostituirsi nell’amministrazione della giustizia, la Commissione valuta i tempi e, se gli stessi sono ritenuti lesivi del diritto riconosciuto all’amministrazione della giustizia, lo Stato può essere condannato a pagare un risarcimento dei danni per l’attesa, qualora i tempi siano superiori di quattro anni. 4. La riforma della L. n. 89/2001.

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La legge n. 89/2001 − la così detta Legge Pinto − disciplina la previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell’art. 375 del c.p.c. Tale normativa ha decretato la possibilità di essere tutelati nell’ambito della magistratura interna. Il cittadino che ha subito un danno, patrimoniale o non patrimoniale, a causa della violazione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, in riferimento al mancato rispetto del termine ragionevole di cui all’art. 6, par. 1 della Convenzione, ha diritto a un’equa riparazione, art. 2, L. 24 marzo 2001, n. 89. In caso di un eccessivo protrarsi del processo, oltre il così detto termine ragionevole, con l’entrata in vigore della L. n. 89/2001 gli interessati possono richiedere l’accertamento e la condanna al risarcimento del danno, patrimoniale e non patrimoniale, nei confronti del Ministro della Giustizia per quanto riguarda i processi che spettano alla giurisdizione del giudice ordinario, che la norma individua nella Corte d’appello, art. 3, L. 24 marzo 2001, n. 89. La Corte deve formulare la propria decisione applicando la procedura camerale, con decreto immediatamente esecutivo, impugnabile in Cassazione. Fino all’emanazione di questa legge, invece, lo Stato italiano, per l’impegno assunto con la Convenzione della tutela dei diritti dell’uomo, presentava le proprie istanze inerenti la violazione dell’art. 6, par. 1 della Convenzione stessa presso la Corte europea dei diritti dell’uomo, in quanto mancava nell’ordinamento italiano un diritto di azione in funzione di accertare in sede giurisdizionale la tutela alla ragionevole durata del procedimento. A differenza della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, definita nell’ambito del Consiglio d’Europa nel 1950, comporta obblighi fra Stati e, in caso di denuncia di violazioni della stessa Convenzione, mette in funzione un meccanismo di controllo della condotta dello Stato implicato. Se all’interno del singolo Stato non esisteva una normativa riguardante rimedi interni, come accadeva per l’Italia prima della Legge Pinto, si poteva ricorrere in via sussidiaria alla Corte europea. Recentemente sono state emesse in merito alcune interessanti pronunce. COMMENTO 255 La Corte europea dei diritti dell’uomo recentemente ha decretato irricevibile un ricorso avente come oggetto la violazione dell’art. 6, par. 1 della Convenzione, motivando tale decisione con il mancato utilizzo del rimedio interno creato nell’ordinamento italiano dalla L. n. 89/2001. Corte Suprema dei diritti dell’uomo, sez. II, dec. ric. 6 settembre 2001 − ricorso n. 69789/2001, in Guida dir. 2001, n. 38, 13. Da notare che il ricorso in questione era stato presentato alla Corte stessa prima dell’entrata in vigore della così detta Legge Pinto. 256 GIURISDIZIONE SPECIALE DELLA C.E.

LE FORMULE 9 GIURISDIZIONE SPECIALE DELLA C.E. Formula n. 52

52 . RICORSO ALLA COMMISSIONE DELLE COMUNITÀ EUROPEE PER MANCATA OSSERVANZA DEL DIRITTO COMUNITARIO 52

MODULO DI RICORSO (pubblicato nella G.U. Com. 89/c 26/07) Nome del ricorrente . . . (La Commissione si impegna a rispettare le norme di riservatezza d’uso nel trattamento del fascicolo). Nazionalità . . . Indirizzo o sede sociale . . . Settore di attività . . . Stato membro; ente o impresa che non hanno rispettato il diritto comunitario. Fatto incriminato ed eventuale pregiudizio. Azioni intraprese presso le autorità nazionali o comunitarie.

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− Azioni amministrative. − Eventuali ricorsi giurisdizionali. Documenti giustificativi e mezzi di prova che possono essere forniti a sostegno del ricorso. �Ÿ �Ÿ �Ÿ La Commissione delle Comunità europee ha il compito, in base ai trattati, di vigilare sulla corretta applicazione delle disposizioni dei trattati nonché degli atti delle istituzioni comunitarie. Qualsiasi persona può presentare ricorso alla commissione per denunciare una pratica o una misura che considera in contrasto con una disposizione comunitaria. Il ricorso può essere presentato mediante il presente modulo. Esso può essere inviato direttamente a Bruxelles (Commissione delle Comunità europee, Rue de la Loi 200, B-1049 Bruxelles) o depositato presso uno degli uffici stampa o informazione della Commissione. Nei riguardi del ricorrente sono previste le seguenti garanzie di procedura: un avviso di ricevimento sarà inviato al ricorrente dopo la registrazione del ricorso; il ricorrente sarà informato del seguito dato al ricorso, in particolare delle azioni intraprese presso le autorità nazionali o le imprese in causa; Formula n. 52 GIURISDIZIONE SPECIALE DELLA C.E. 259 il ricorrente sarà informato di qualsiasi procedura d’infrazione che la Commissione promuoverà, in seguito al ricorso, contro uno stato membro e delle azioni che promuoverà nei confronti dell’impresa. Se del caso, il ricorrente sarà informato dei procedimenti già in corso riguardanti l’oggetto del ricorso. 260 GIURISDIZIONE SPECIALE DELLA C.E. Formula n. 52 GIURISDIZIONE SPECIALE DELLA C.E. Formula n. 53

53 . RICHIESTA DI APPLICAZIONE DELLA CONVENZIONE EUROPEA PER I DIRITTI DELL’UOMO 53

COMMISSIONE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO CONSIGLIO D’EUROPA STRASBURGO FRANCIA Richiesta di applicazione presentata in attuazione dell’art. 25 della Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo, e degli artt. 43 e 44 del regolamento interno della Commissione. I. Le parti A. Il richiedente (Informazioni da fornire concernenti il richiedente e il suo eventuale rappresentante) 1. Cognome . . . 2. Nome . . . 3. Nazionalità . . . 4. Professione . . . 5. Data e luogo di nascita . . . 6. Domicilio . . . 7. Telefono . . . 8. Indirizzo attuale . . . In caso esista 9. Cognome e nome del rappresentante . . . 10. Professione del rappresentante . . . 11. Indirizzo del rappresentante . . . 12. Tel. . . . B. La alta parte con cui si contratta

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(Indicare qui di seguito il nome dello Stato contro il quale la richiesta è diretta). 13. . . . II. Esposizione dei fatti. III. Esposizione della o delle violazioni alla convenzione allegate dal richiedente e degli argomenti che l’appoggiano. Formula n. 53 GIURISDIZIONE SPECIALE DELLA C.E. 261 14. . . . IV. Esposizione relativa alle prescrizioni dell’art. 26 della convenzione. 16. Decisione interna definitiva (data e natura della decisione, organo − giudiziario o altro − che l’ha emessa). 17. Altre decisioni (enumerate nell’ordine cronologico indicando, per ogni decisione, la sua data, la sua natura e l’organo − giudiziario o altro − che l’ha emessa). 18. Il richiedente disponeva di un ricorso che non ha esercitato? Se sì, qual è e per quale motivo non è stato usato. V. Esposizione dell’oggetto della richiesta. 19. . . . VI. Altre istanze internazionali che trattano o che hanno trattato l’affare. 20. Il richiedente ha sottomesso a un’altra procedura internazionale di investigazione o di regolamento le lamentele enunciate nella presente richiesta? Se sì, fornire delle indicazioni dettagliate a questo proposito. VII. Documenti allegati. 21. a) . . . b) . . . c) . . . VIII. Lingua richiesta per la procedura. 22. Io preferisco ricevere la decisione della commissione in: inglese/francese. IX. Dichiarazione e firma. 23. Io dichiaro in tutta coscienza e lealtà che le informazioni che figurano sulla presente formula di richiesta sono esatte e io mi impegno a rispettare il carattere confidenziale della procedura della Commissione. 24. Io desidero/io non desidero conservare l’anonimato presso il pubblico. Luogo . . . Lì, . . . Firma del richiedente o del suo rappresentante . . . 262 GIURISDIZIONE SPECIALE DELLA C.E. Formula n. 53 7. GIURISDIZIONE SPECIALE DELLE COMMISSIONI TRIBUTARIE IL COMMENTO 7. GIURISDIZIONE SPECIALE DELLE COMMISSIONI TRIBUTARIE SOMMARIO: 1. Il riparto della giurisdizione. − 2. Il nuovo processo tributario disciplinato dal D.L.vo n. 546/1992. − 2.1. Il contenuto del ricorso. − 2.2. L’esame preliminare del ricorso. − 2.3. Il procedimento cautelare. − 2.4. L’appello alla Commissione tributaria regionale. − 2.5. Il ricorso per cassazione. − 2.6. La revocazione. − 2.7. L’esecuzione delle sentenze. − 2.8. Il giudizio di ottemperanza. − 2.9. La fase transitoria. − 3. Il procedimento di accertamento. − 4. La domanda di rimborso. 1. Il riparto della giurisdizione. Il sistema di tutela del cittadino nei confronti della amministrazione finanziaria è da ricomprendersi nel sistema più generale di tutela nei confronti della pubblica amministrazione. F. BARTOLINI - M.L. REPREGOSI, Il codice del nuovo contenzioso tributario, Piacenza 1999. La giurisdizione è attribuita alle commissioni tributarie, che sono giudici speciali. L’attribuzione della giurisdizione è effettuata dal legislatore con specifiche disposizioni di legge su determinate imposte e sugli atti dei procedimenti amministrativi previsti dal diritto tributario.

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Le imposte sono: l’imposta sul reddito delle persone fisiche, l’imposta sul reddito delle persone giuridiche, l’imposta locale sui redditi, l’imposta sul valore aggiunto, l’imposta di registro, di successione, l’imposta sull’incremento di valore degli immobili, l’imposta ipotecaria, l’imposta sulle assicurazioni, l’imposta comunale sugli immobili. Gli atti sono: l’avviso di accertamento, di liquidazione, il provvedimento sanzionatorio, l’ingiunzione, il ruolo, l’avviso di mora ed il diniego di rimborso ai sensi degli artt. 2 e 19 del D.L.vo n. 546/1992. Le altre controversie in materia tributaria sono attribuite secondo i criteri generali al giudice ordinario e al giudice amministrativo. Sono attribuite al giudice ordinario quelle relative ai tributi non espressamente assegnati alla giurisdizione delle commissioni tributarie, ad esempio inerenti alla tassa comunale sulle insegne. In tal caso l’azione civile deve essere preceduta da un ricorso amministrativo all’amministrazione finanziaria a pena di inammissibilità. Sono inoltre di competenza del giudice ordinario le controversie che contestano la regolarità del titolo esecutivo o le opposizioni di terzi contro l’esecuzione esattoriale. Sono attribuite alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie sui provvedimenti amministrativi che non hanno ad oggetto il singolo rapporto di imposta, come ad esempio i provvedimenti amministrativi generali, che fissano i coefficienti di congruità stabiliti con D.P.C.M., ovvero i provvedimenti di fissazione del domicilio fiscale. In questa ipotesi il giudice amministrativo può annullare i provvedimenti dell’intendente e sospendere direttamente l’esecuzione dei provvedimenti impugnati. 2. Il nuovo processo tributario disciplinato dal D.L.vo n. 546/1992. Il D.L.vo n. 546/1992 innova profondamente il contenzioso tributario modificando gli stessi organi giudicanti. L’insediamento delle nuove commissioni, disposto per 1° ottobre 1994 dall’art. 69 del D.L. 30 agosto 1993, n. 331, è stato prorogato al 1° aprile 1996 dal D.L. 29 aprile 1994, n. 260, convertito nella L. 27 giugno 1994, n. 413 e successive modificazioni. Tralasciando i problemi interpretativi più complessi per i quali si rinvia a F. TESAURO, Le disposizioni transitorie del decreto legislativo sul nuovo processo tributario, in Boll. trib. 1993, 373 si osserva come gli organi della giurisdizione tributaria introdotti dalla riforma siano le commissioni tributarie provinciali e quelle regionali. La decisione della commissione provinciale può essere appellata alla regionale e contro le decisioni di queste ultime è ammesso, oltre al rimedio della revocazione, ricorso in cassazione. Mentre l’art. 19 conferma quelli che sono gli atti impugnabili e l’oggetto del ricorso, sono da rilevare alcune importanti innovazioni. 2.1. Il contenuto del ricorso. Per quanto riguarda il contenuto, previsto dall’art. 18 del D.L.vo 31 dicembre 1992, n. 546, il ricorso deve contenere l’indicazione della Commissione tributaria adita, del ricorrente e del suo legale rappresentante, la cui presenza è obbligatoria nel processo. Solo le controversie di importo inferiore a 5.000.000 possono essere proposte direttamente dalle parti, ai sensi dell’art. 12, comma 5, del D.L.vo 31 dicembre 1992, n. 546, come modificato dal D.L. 8 agosto 1996, n. 437, convertito, con modificazioni, nella L. 24 ottobre 1996, n. 556. Seguendo le regole proprie dall’impugnazione su ricorso l’atto deve essere prima notificato all’ufficio che ha emanato l’atto impugnato e successivamente depositato presso la segreteria della Commissione tributaria competente, attraverso la costituzione in giudizio del ricorrente in termini perentori. Il ricorso è consegnato all’Ufficio del Ministero delle finanze interessato mediante consegna dell’atto all’impiegato addetto che ne rilascia ricevuta o notificato o spedito per posta con raccomandata con ricevuta di ritorno senza busta, ai sensi dell’art. 16 del D.L.vo 31 dicembre 1992, n. 546. Nella successiva costituzione in giudizio, che deve avvenire entro trenta giorni dalla proposizione del ricorso, a pena di inammissibilità, nel caso di consegna o spedizione, la conformità dell’atto depositato a quello consegnato o spedito è attestata nell’atto medesimo dallo stesso ricorrente. L’amministrazione finanziaria, che è la parte resistente nel processo, deve costituirsi in

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giudizio entro sessanta giorni dalla notifica del ricorso. La produzione di documenti aggiunti provoca il rinvio della discussione, se essa è fissata almeno sessanta giorni prima della notizia del deposito. 268 GIURISDIZIONE SPECIALE DELLE COMMISSIONI TRIBUTARIE 2.2. L’esame preliminare del ricorso. Al presidente della commissione è affidato il potere di esaminare preliminarmente il ricorso, di dichiararne eventualmente l’inammissibilità manifesta nonché di pronunciare la sospensione, l’interruzione, l’estinzione del processo, ai sensi dell’art. 27 del D.L.vo 31 dicembre 1992, n. 546. L’esame preliminare avviene dopo la presentazione del fascicolo d’ufficio, che contiene quello del processo costituito dal fascicolo del ricorrente e delle altre parti con gli atti e documenti prodotti. Prima di fissare l’udienza di trattazione il presidente ha il potere di verifica delle eventuali inammissibilità. La inammissibilità è dovuta a carenza di presupposti sostanziali del ricorso che causano la irricevibilità o a carenza di presupposti processuali che ne causano la improcedibilità. Si ha mancanza dei presupposti sostanziali del ricorso nel caso di carenza dei contenuti obbligatori: ad esempio la mancata indicazione della Commissione tributaria ovvero l’omessa indicazione del difensore, per controversie superiori a € 2.582,28, ovvero nel caso di ricorso contro atti non impugnabili, in quanto non tassativamente previsti all’art. 19, ovvero la difformità dal ricorso presentato con quello notificato. Si ha carenza di presupposti processuali del ricorso se il ricorso è stato notificato dopo sessanta giorni dalla notificazione dell’atto impugnato ovvero se è stato notificato prima del termine di novanta giorni dalla data della notifica nel caso di silenzio sulla domanda di rimborso, ai sensi dell’art. 21 del D.L.vo 31 dicembre 1992, n. 546, ovvero se il ricorrente si è costituito in segreteria trascorsi trenta giorni dalla notifica del ricorso ovvero, nel caso di appello, qualora la sua notifica sia avvenuta dopo sessanta giorni dalla notifica della sentenza. È consentita la verifica di legittimità formale e sostanziale di questo provvedimento, attraverso la sua impugnazione alla Commissione mediante atto di reclamo. Il reclamo deve essere presentato con la stessa procedura relativa al ricorso entro il termine di trenta giorni dalla sua comunicazione da parte della segreteria. L’atto di reclamo deve contenere indicazioni relative al provvedimento impugnato ed ai motivi di impugnazione. Il reclamo deve essere depositato entro quindici giorni dall’ultima notifica presso la segreteria della Commissione adita. 2.3. Il procedimento cautelare. Altra importante innovazione è l’introduzione nel processo tributario del procedimento cautelare. Ai sensi dell’art. 47 il ricorrente può richiedere alla commissione provinciale competente a decidere il ricorso la sospensione dell’esecuzione dell’atto, nel caso gli derivi dallo stesso un danno grave ed irreparabile, con istanza motivata proposta nel ricorso o con atto separato, notificato alle altre parti e depositato in segreteria. Il collegio sentite le parti in camera di consiglio e delibato il merito, provvede con ordinanza motivata non impugnabile. COMMENTO 269 La sospensione può essere anche parziale e può essere subordinata a prestazione di garanzia da parte del ricorrente mediante cauzione o fideiussione bancaria o assicurativa. 2.4. L’appello alla Commissione tributaria regionale. I mezzi per impugnare le sentenze delle commissioni tributarie sono l’appello, il ricorso per cassazione e la revocazione. L’appello si propone alla Commissione tributaria regionale. È territorialmente competente la commissione regionale entro la cui giurisdizione ha sede la commissione provinciale che ha emanato la sentenza oggetto di ricorso. Il ricorso in appello deve contenere l’indicazione della Commissione tributaria presso cui è diretto, dell’appellante e delle altre parti nei cui confronti è proposto, gli estremi della sentenza impugnata, l’esposizione sommaria dei fatti, l’oggetto della domanda ed i motivi specifici dell’impugnazione.

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Il termine per impugnare la sentenza della Commissione tributaria è di sessanta giorni, salvo che la legge non disponga diversamente. La disposizione nella sua parte precettiva generale vale per l’appello, per il ricorso per cassazione e per la revocazione. Tale termine breve si contrappone al termine annuale che decorre dal termine di notifica della sentenza, senza necessità di alcuna attività di parte. Per fare decorrere il termine breve in questione è necessario che la parte notifichi al contraddittore la sentenza, ai sensi degli artt. 38 del D.L.vo n. 546/1992 e 137 e ss., c.p.c. L’appello si propone mediante notifica del ricorso alle controparti nei termini sopra indicati. Bisogna inoltre che, pena la improcedibilità per carenza degli adempimenti processuali, nei trenta giorni successivi alla notifica, l’originale o la copia autentica dell’atto originale notificato sia depositato nella segreteria della Commissione tributaria regionale. Dopo il deposito il procedimento d’appello procede d’ufficio. È la segreteria della commissione adita a richiedere alla segreteria della Commissione provinciale la trasmissione di fascicolo del processo e la copia autentica della sentenza. Come precisa la relazione ministeriale allo schema di decreto legislativo punto 5.3.2., l’appello opera come revisio prioris istantiae con rigorose limitazioni circa la proponibilità di nuove domande, eccezioni e prove; è solo fatta salva la possibilità di produrre nuovi documenti. La sentenza d’appello può respingere il ricorso contenendo la dichiarazione di inammissibilità o di rigetto del ricorso perché infondato. La sentenza d’appello può accogliere il ricorso in tutto o in parte e dichiarare la nullità della sentenza impugnata, in tal caso detta le disposizioni che conseguono alla pronuncia. La Commissione tributaria regionale decide nel merito ordinando, ove occorra, la rinnovazione di atti nulli compiuti in primo grado. La rinnovazione può riguardare l’acquisizione di prova o di una consulenza tecnica eseguita illegittimamente in primo grado. La Commissione tributaria regionale rimette la causa alla commissione tributaria provinciale che ha emesso la sentenza impugnata nei seguenti casi tassativamente indicati nella legge: 270 GIURISDIZIONE SPECIALE DELLE COMMISSIONI TRIBUTARIE

− quando la commissione regionale riforma la sentenza della Commissione provinciale che dichiari l’incompetenza o il difetto di giurisdizione del giudice tributario; − quando il contraddittorio fra le parti non è stato regolarmente costituito o integrato; − quando riconosce che la sentenza impugnata, erroneamente giudicando, ha dichiarato estinto il processo in sede di reclamo contro il provvedimento presidenziale; − quando riconosce che il collegio della commissione tributaria provinciale non era legittimamente composto, poiché ad esempio alcuni componenti si trovavano in posizione tale da essere ricusati; − quando manca la sottoscrizione della sentenza da parte del giudice di primo grado. 2.5. Il ricorso per cassazione. La riforma del processo tributario ha eliminato il ricorso alla Commissione tributaria centrale assegnando alla Corte di cassazione il grado successivo al ricorso in appello alla commissione regionale; il richiamo espresso ai motivi di cui al comma 1 dell’art. 360 del c.p.c. esclude la possibilità di ricorrere direttamente in Cassazione eliminando i gradi di appello. Si può ricorrere in Cassazione: 1) per motivi attinenti alla giurisdizione; 2) per violazione sulle norme sulla competenza; 3) per violazione o falsa applicazione di norme di diritto; 4) per nullità della sentenza o del procedimento; 5) per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile d’ufficio. Le modalità di redazione del ricorso e del procedimento sono disciplinate dal codice civile. Il ricorso per cassazione deve ritenersi esperibile in applicazione diretta dell’art. 111 della Costituzione ed è soggetto alle norme generali del codice di rito. La giurisprudenza ha precisato che: «Pertanto il termine di sessanta giorni previsto dall’art. 325 c.p.c. decorre dalla notificazione dell’intera decisione, ai sensi (ora) dell’ultimo comma dell’art. 49 del D.L.vo n. 546/1992, e la notifica deve eseguirsi, nei confronti dell’amministrazione finanziaria, presso l’ufficio dell’Avvocatura dello Stato dove ha sede l’autorità giudiziaria che ha pronunciato

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la sentenza. In mancanza di detta notifica o nel caso di notifica invalida, nella specie presso l’ufficio successioni, anziché presso l’ufficio dell’Avvocatura dello Stato competente a riceverla, torva applicazione il termine di un anno dalla pubblicazione della decisione previsto dall’art. 327 c.p.c.», Cass. civ., sez. I, 13 aprile 1987, n. 3678, in Mass. Giust. civ. 1987. La Cassazione può respingere il ricorso od accoglierlo. In tale secondo caso la Corte decide il ricorso nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., come modificato dalla L. n. 353/1990, se la sentenza è cassata per violazione o falsa applicazione di norme di diritto e non sono necessari accertamenti di fatto, negli altri casi la Corte cassa con rinvio della causa alla Commissione provinciale o regionale. L’istanza di riassunzione alla Commissione tributaria ai sensi dell’art. 63 del D.L.vo n. 546/1992 deve contenere gli elementi previsti per il ricorso alla Commissione provinciale e COMMENTO 271 deve dare atto del giudizio di cassazione, tanto che, a pena di inammissibilità, è previsto come allegato obbligatorio copia autentica della sentenza della Suprema Corte. 2.6. La revocazione. L’istanza di revocazione è la richiesta di un nuovo giudizio presso la Commissione tributaria che ha pronunciato la sentenza che si impugna. Essa è prevista qualora le sentenze determinino accertamenti di fatto e le stesse non siano impugnabili per scadenza dei relativi termini, limitatamente alle ipotesi di cui ai numeri 1-2-3-6 di cui al comma 1 dell’art. 395 del c.p.c. La revocazione è prevista tassativamente nel caso che: − la sentenza sia l’effetto del dolo di una parte a danno dell’altra; − si sia giudicato sulla base di prove dichiarate false dopo la sentenza; − siano stati trovati dopo la sentenza uno o più documenti decisivi che la parte non aveva potuto produrre in udienza per forza maggiore o per fatto dell’avversario; − se la sentenza è effetto del dolo del giudice accertato con sentenza passata in giudicato. 2.7. L’esecuzione delle sentenze. Se il ricorso viene respinto, dopo la sentenza della Commissione tributaria provinciale il tributo deve essere pagato per i due terzi del suo ammontare, salvo quanto è specificatamente previsto per le imposte suppletive e le sanzioni pecuniarie. Esse infatti sono riscosse soltanto all’esito del procedimento dinanzi alle commissioni. Dopo la sentenza della Commissione tributaria regionale, qualora anch’essa abbia respinto il ricorso, si riscuote il residuo ammontare dell’imposta oltre alle imposte suppletive e alle sanzioni pecuniarie. Se il ricorso viene accolto in primo grado, non si procede a riscossione rateale o frazionata. Se il ricorso viene accolto soltanto in parte, ad esempio accettando solo alcune delle voci di credito per una somma di minore entità o alcuni capi di domanda, si riscuote il tributo pari alla cifra dichiarata dovuta dalla sentenza, con il limite dei due terzi della somma totale che era in discussione. Per quanto riguarda le imposte suppletive e le sanzioni pecuniarie esse seguono una regola particolare. Esse infatti, come si è accennato, non rientrano nel computo delle somme da pagare frazionate, ma si possono riscuotere nel momento in cui viene a cessare il procedimento dinanzi alle Commissioni tributarie o perché l’unico mezzo di impugnazione esperibile è il ricorso in cassazione oppure perché la sentenza di primo grado non è stata impugnata per scadenza dei termini. La sentenza definitiva, in quanto sono scaduti i termini per la relativa impugnazione, costituisce titolo esecutivo. La parte può ottenerne dalla segreteria una copia munita di formula esecutiva, qualora la sentenza porti condanna al pagamento di somme da parte dell’amministrazione finanziaria resistente. 2.8. Il giudizio di ottemperanza. Altra innovazione è l’introduzione nel processo tributario del giudizio di ottemperanza ai sensi dell’art. 70, D.L.vo n. 546/1992. 272 GIURISDIZIONE SPECIALE DELLE COMMISSIONI TRIBUTARIE La parte interessata può chiedere, mediante ricorso da depositare in doppio originale alla commissione provinciale, nel caso di sentenza da essa pronunciata passata in giudicato, ovvero alla commissione regionale negli altri casi, l’ottemperanza agli obblighi derivanti dalla sentenza. Il ricorso è proponibile solo dopo la scadenza del termine previsto per l’adempimento dai regolamenti di attuazione della L. n. 241/1990, ovvero in carenza dopo trenta giorni dalla

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messa in mora a mezzo notifica tramite ufficiale giudiziario, pena l’inammissibilità dell’azione. Il collegio in camera di consiglio adotta con sentenza i provvedimenti indispensabili per l’ottemperanza, anche delegando un proprio componente o nominando un commissario ad acta. La sentenza è impugnabile con ricorso in cassazione solo per inosservanza delle norme sul procedimento. 2.9. La fase transitoria. Per la fase transitoria il D.L.vo n. 546/1992, all’art. 72, nel testo modificato dall’art. 69 della L. n. 427/1993 precisa che le nuove commissioni ereditano le controversie pendenti, alla data del loro insediamento, davanti alle commissioni prima operanti. Gli artt. 74-75 regolano le ipotesi delle controversie pendenti davanti alla Corte di appello e alla Commissione Tributaria Centrale le cui funzioni sono soppresse nel nuovo giudizio tributario. 3. Il procedimento di accertamento. Il procedimento di accertamento delle entrate tributarie ha per oggetto la verifica del maturarsi del presupposto del tributo, la determinazione della sua base imponibile e la quantificazione dell’imposta. Ogni procedimento di accertamento presuppone che si sia verificato il presupposto per l’applicazione del tributo. È ammessa davanti alle commissioni tributarie la verifica sul rispetto nel procedimento tributario dei principi costituzionali che vincolano il legislatore nel disegnare la fattispecie impositiva: quali il principio di uguaglianza, di capacità contributiva, del divieto di duplicazione dell’imposta, con la conseguente possibilità di richiedere alle commissioni di sollevare la questione di legittimità costituzionale della norma impugnata. Il procedimento presenta caratteristiche tipiche per ogni singola imposta, anche se è caratterizzato da principi comuni. Esso inizia con la dichiarazione del contribuente che deve obbligatoriamente denunziare la situazione che dà origine al presupposto impositivo attraverso appositi modelli predisposti dal Ministero delle Finanze. La dichiarazione non esaurisce l’attività obbligatoria del soggetto passivo dell’imposizione. Ad esempio, se questo è obbligato alla tenuta di libri contabili, la relativa omissione è oggetto di autonomo procedimento sanzionatorio a prescindere dal pagamento dell’impo- COMMENTO 273 sta, lo stesso avviene per i soggetti passivi dell’imposta sul reddito delle imprese che devono tenere il libro giornale, il libro degli inventari, i registri per l’imposta sul valore aggiunto, ecc. La tenuta dei libri contabili è oggetto di particolari controlli attraverso verifiche, accessi, ispezioni. L’evasione di imposta che superi il massimale di 100 milioni fa scattare l’ulteriore azione penale con l’obbligo, per l’autorità tributaria, che la accerta, di denunciare il fatto alla Procura della Repubblica, art. 1, L. n. 154/1991. La dichiarazione sortisce l’effetto di obbligare il contribuente all’autotassazione prima ancora che gli uffici effettuino i relativi controlli, come ad esempio nella denuncia dell’imposta sulle persone fisiche o sulle persone giuridiche o dell’imposta sul valore aggiunto. Diverso è l’accertamento nel caso dell’imposta di registro o di successione. Nel caso dell’imposta di registro essa viene liquidata al momento della presentazione dell’atto agli uffici competenti in relazione all’accertamemto compiuto dagli stessi uffici sulla reale natura dell’atto ad essi presentato. L’ufficio ha comunque la possibilità di rivedere la liquidazione effettuata con un accertamento successivo. Nell’imposta di successione la liquidazione dell’imposta avviene da parte dell’ufficio sulla scorta della dichiarazione presentata procedendo all’accertamento dei cespiti denunciati. Soggetto attivo dell’accertamento è l’amministrazione finanziaria e soggetto passivo è il contribuente. L’attività di accertamento è interamente imputabile alla amministrazione, mentre l’attività di autoaccertamento non si può qualificare attività amministrativa in senso sostanziale, ma bensì atto obbligatorio ad impulso di parte. Si afferma in tal senso la natura costitutiva dell’accertamento da cui discende la qualifica

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di natura di interesse legittimo della posizione giuridica del contribuente, tesi questa sostenuta da E. ALLORIO, contro la posizione precedente che definiva meramente dichiarativa la natura dell’accertamento, qualificandolo come diritto soggettivo, secondo l’insegnamento di A.D. GIANNINI. Se il soggetto passivo non provvede il procedimento è posto interamente in atto dall’amministrazione che, oltre a determinare la misura dell’imposta, ne applica le relative sanzioni. L’autoaccertamento rimane sempre nella sfera giuridica del contribuente e non implica alcuna attività preparatoria amministrativa da parte della amministrazione. Gli effetti sostanziali, che derivano dal mancato esercizio dell’azione amministrativa nel periodo di tempo prescritto dalla legge per le varie imposte, sono rilevanti. Il potere di accertamento dell’amministrazione si prescrive e l’attività del privato consegue gli stessi effetti definitori tipici dell’atto amministrativo, né l’amministrazione può agire successivamente neppure in sede di autotutela. L’attività è comunque sempre imputabile al privato che non è delegato all’esercizio di una attività amministrativa, ma al mero compimento di atti dovuti. La natura giuridica dell’attività del contribuente è dichiarativa delle situazioni che danno origine all’imposizione, mentre la natura giuridica dell’attività della ammnistrazione è costitutiva sia attraverso atti accertativi sia attraverso il silenzio sull’autoaccertamento, che ha in tal senso natura costitutiva. 274 GIURISDIZIONE SPECIALE DELLE COMMISSIONI TRIBUTARIE Il procedimento è caratterizzato dalla regola del contradditorio, l’atto di accertamento è recettizio. L’accertamento deve avvenire in modo analitico. L’amministrazione finanziaria deve documentare i redditi imponibili che intende porre a fondamento dell’obbligazione tributaria. All’obbligo del contribuente di fornire nella dichiarazione di imposta dati dettagliatamente documentati, corrisponde l’obbligo per l’ufficio impositore di procedere ad atti di accertamento con analoghi criteri di analiticità per documentare il reddito posseduto, ma non dichiarato, dal soggetto passivo del tributo, che dà luogo all’obbligazione tributaria. Il ricorso all’accertamento induttivo, ossia a determinare il reddito su presunzioni ricavate dal tenore di vita o da comportamenti del soggetto passivo, è legato ad ipotesi eccezionali previste dagli artt. 38, 39 e 41 del D.P.R. n. 597/1973, sostituiti dall’art. 52 del D.P.R. n. 917/1986, o dai DD.MM. che fissano coefficienti minimi di congruità della dichiarazione. L’attività dell’amministrazione ha carattere inquisitorio laddove sono previsti accessi, verifiche, ispezioni alle scritture contabili del soggetto passivo, che è del tutto eccezionale nei procedimenti amministrativi. L’attività dell’amministrazione è soggetta a termini di prescrizione che variano dai cinque anni, per l’imposta sul reddito delle persone fisiche, ai due anni per l’imposta di registro, con decorrenza dalla data di effettiva o mancata presentazione della relativa denuncia. 4. La domanda di rimborso. Le ipotesi nelle quali si verifica un credito nei confronti dell’amministrazione finanziaria sono molteplici. Vi sono i casi in cui il pagamento è stato fatto indebitamente o per mancanza di una previsione normativa o perché viene meno successivamente una norma con effetti retroattivi positivi per il contribuente. Si pensi ad una interpretazione del Ministero delle Finanze o del legislatore favorevole al contribuente, o alla dichiarazione di incostituzionalità della stessa norma che determinava il presupposto del tributo e con esso la nascita della obbligazione tributaria. Si pensi ad esempio agli effetti della dichiarazione di incostituzionalità della norma istitutiva dell’imposta locale sui redditi con riferimento ai redditi prodotti dai professionisti o della dichiarazione di incostituzionalità parziale dell’imposta comunale sulle attività produttive. La maggiore imposta può poi essere stata versata a seguito di un accertamento successivamente annullato in sede di ricorso alla commissione tributaria. In questa ipotesi è evidente la necessità del ricorso da parte del contribuente. Vi sono inoltre le ipotesi in cui il pagamento è stato effettuato in base ad una dichiarazione inesatta che comporta per gli uffici l’obbligo della restituzione della maggiore imposta versata.

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Il procedimento di rimborso inizia con una istanza dell’interessato, con alcune varianti a seconda delle imposte cui l’istanza si riferisce. COMMENTO 275 Per le ritenute dirette il ricorso è presentato all’intendente di finanza della provincia (ora Ministero delle Finanze Direzione Compartimentale per la Regione ...) in cui il ricorrente ha il domicilio fiscale. Esso deve esperirsi nel termine decennale di prescrizione ai sensi dell’art. 2946 del c.c. e dell’art. 37 del D.P.R. n. 602/1973. Per i versamenti diretti l’istanza di rimborso per errore materiale, duplicazione o inesistenza dell’obbligo del versamento dell’imposta, è presentata all’amministrazione entro 18 mesi dalla data del versamento ai sensi dell’art. 38 del D.P.R. n. 602/1973. Per le imposte indirette vige la regola che il rimborso deve essere richiesto entro tre anni dal pagamento, per l’imposta di registro si rinvia al disposto dell’art. 77, D.P.R. n. 131/1986. Per le somme corrisposte in base all’iscrizione a ruolo non vi è istanza di rimborso, ma ricorso contro il ruolo il cui annullamento legittima l’istanza di rimborso. All’istanza di rimborso segue l’accoglimento, il rigetto o il silenzio dell’ufficio. Il rigetto è impugnabile presso la commissione tributaria, ai sensi dell’art. 19 del D.L.vo 31 dicembre 1992, n. 546. Nel caso di silenzio sulla domanda di rimborso, che deve protrarsi per 90 giorni dalla presentazione dell’istanza, l’interessato può presentare ricorso alla commissione tributaria. L’azione in tal caso non è di impugnazione, ma di accertamento poiché il decorso dei 90 giorni è una condizione di procedibilità; ne consegue che l’eventuale ricorso posto prima della scadenza non è da dichiararsi inammissibile, ma solo temporaneamente improcedibile. Comm. Centrale, sez. XXVII, 19/2/1991, n. 1269/91, in Boll. trib. 1991, 1123. 276 GIURISDIZIONE SPECIALE DELLE COMMISSIONI TRIBUTARIE

LE FORMULE GIURISDIZIONE SPECIALE DELLE COMMISSIONI TRIBUTARIE Formula n. 54

54 . RICORSO ALLA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE CONTRO L’ACCERTAMENTO IRPEF 54

COMMISSIONE TRIBUTARIA DELLA PROVINCIA DI . . . E P.C. UFFICIO DISTRETTUALE DELLE IMPOSTE DIRETTE DI . . . Il signor . . . rappresentato e difeso, come da mandato in calce al presente atto, dall’avv. . . . presso il quale è elettivamente domiciliato in . . . ricorre contro l’avviso di accertamento n. . . . dell’Ufficio Distrettuale delle Imposte Dirette di . . . in materia di IRPEF per il suo annullamento fatto e diritto il sottoscritto signor . . . ha acquistato pro quota con contratto di assegnazione con patto di futura vendita, registrato a . . . il 1° gennaio 1975 per euro . . . un fabbricato in . . . Successivamente, con atto 1° gennaio 1986 rep., stipulava il successivo contratto di compravendita, indi, con atto 1 dicembre 1986 rep., rivendeva l’immobile per euro . . . L’ufficio ravvisava i presupposti della vendita speculativa nel quinquennio ex art. 81, lett. b) del D.P.R. n. 917/1986, poiché gli effetti traslativi si sono verificati al momento della vendita e non al momento del contratto di assegnazione con patto di futura vendita. 1) Tale interpretazione non tiene conto che il legislatore tributario ha espressamente riconosciuto che, in caso di vendita con riserva di proprietà e di locazione con clausola di trasferimento di proprietà vincolante per ambedue le parti, l’alienazione si considera avvenuta all’atto della stipula della vendita e della locazione ai sensi

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dell’art. 2, D.P.R. n. 643/1973 e modifiche. Il contratto di assegnazione con patto di futura vendita ha rilevanza fiscale quindi ai fini INVIM; ha rilevanza fiscale ai fini dell’imposta sui redditi, in quanto l’assegnatario deve denunciare ai fini IRPEF l’immobile da quel momento, così come risulta dalle Istruzioni Ministeriali al modello 740. Formula n. 54 GIURISDIZIONE SPECIALE DELLE COMMISSIONI TRIBUTARIE 279 Conseguentemente a tale interpretazione della legislazione fiscale il contratto di assegnazione del 1975 deve essere considerato come il momento di acquisto anche nella nostra ipotesi, con la conseguenza che non si concretizza l’operazione speculativa. 2) In secondo luogo la presunzione di legge deve considerarsi iuris tantum ossia deve potersi ammettere la prova contraria in questo caso il fatto che, come risulta dalle denunce dei redditi, il sottoscritto vive di pensione ed ha impiegato il provento della vendita per mantenersi. In subordine è evidente la violazione del principio costituzionale di uguaglianza e di capacità contributiva, poiché il soggetto passivo è tale per la fattispecie a lui sfavorevole (pagamento Irpef dal momento dell’acquisto) e non per quella favorevole (decorso effettivo del quinquennio). P.Q.M. Piaccia alla Ill.ma commissione tributaria adita accogliere la seguente conclusione: 1) annullare l’accertamento impugnato ed in subordine rimettere gli atti alla Corte costituzionale. Con vittoria di spese ed onorari del giudizio. A sensi dell’art. 33 del D.L.vo 31 dicembre 1992, n. 546, si chiede che la controversia sia discussa in pubblica udienza. Lì, . . . Avv. . . . All. 1 - Avviso di accertamento II.DD. Delego a rappresentarmi e difendermi nel presente processo tributario, con tutti i poteri di cui all’art. 84 del c.p.c. e con facoltà di chiedere la definizione preventiva della controversia, ai sensi dell’art. 48 del D.L.vo 31 dicembre 1992, n. 546, l’avvo- 280 GIURISDIZIONE SPECIALE DELLE COMMISSIONI TRIBUTARIE Formula n. 54 cato . . . del foro di . . . presso il cui studio sito in . . . via . . . eleggo domicilio, per tutti i gradi del presente processo. Lì, . . . Il ricorrente . . . Per autentica Avv. . . . �Ÿ �Ÿ �Ÿ Le controversie di importo inferiore a € 2.582,28 possono essere proposte direttamente dalle parti, ai sensi dell’art. 12 comma 5 del D.L.vo 31 dicembre 1992, n. 546 e modificazioni successive. Il ricorso è consegnato all’Ufficio del Ministero delle Finanze interessato mediante consegna dell’atto all’impiegato addetto che ne rilascia ricevuta o notificato o spedito per posta con raccomandata ricevuta di ritorno senza busta, ai sensi dell’art. 16 del D.L.vo 31 dicembre 1992, n. 546. Nella successiva costituzione in giudizio, nel caso di consegna o spedizione, la conformità dell’atto depositato a quello consegnato o spedito è attestata dallo stesso ricorrente. Formula n. 54 GIURISDIZIONE SPECIALE DELLE COMMISSIONI TRIBUTARIE 281 GIURISDIZIONE SPECIALE DELLE COMMISSIONI TRIBUTARIE Formula n. 55

55 .

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RICORSO ALLA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE CONTRO L’AVVISO DI ACCERTAMENTO IRPEF 55

COMMISSIONE TRIBUTARIA DELLA PROVINCIA DI . . . E P.C. UFFICIO DISTRETTUALE DELLE IMPOSTE DIRETTE DI . . . Il signor . . . rappresentato e difeso, da sé stesso, elettivamente domiciliato in . . . ricorre contro l’avviso di accertamento n. . . . dell’Ufficio Distrettuale delle Imposte Dirette di . . . in materia di denuncia 1991 IRPEF per il suo annullamento fatto e diritto il sottoscritto signor . . . nato a . . . e residente a . . . esercente la professione di avvocato in . . . codice fiscale . . . Premesso che l’ufficio delle Imposte dirette di . . . ha emesso avviso di accertamento relativo alla dichiarazione di imposta per le persone fisiche presentata per il 1991, poiché il reddito denunciato non appare congruo in relazione ai coefficienti di congruità o presuntivi di reddito o di corrispettivi sanciti dal decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 25 ottobre 1991, che con tale avviso si è proceduto a rettificare il reddito denunciato in euro . . ., che congiuntamente alla rettifica sono state applicate la pena pecuniaria per sanzioni per euro . . ., oltre agli interessi per ritardato versamento per euro . . . ricorre avverso il citato atto di accertamento chiedendone l’annullamento per i seguenti motivi: 1) eccesso di potere per difetto di motivazione. 282 GIURISDIZIONE SPECIALE DELLE COMMISSIONI TRIBUTARIE Formula n. 55 Il reddito dichiarato è quello che risulta dalla contabilità e dalle registrazioni regolarmente tenute ai fini dell’IVA e ai fini dell’IRPEF; orbene l’ufficio non contesta, non avendone motivo, la contabilità per omissione di registrazioni ed occultamento di redditi, ma semplicemente poiché il reddito denunciato è inferiore a quello che deriva dai coefficienti. Il provvedimento non risulta motivato se non per relazione ai citati coefficienti configurando il relativo vizio di illegittimità. 2) Eccesso di potere per contradditorietà manifesta. Gli stessi coefficienti così come enunciati dal decreto citato non sfuggono alle censure di illegittimità, in quanto partitamente l’utilizzo di un locale di modeste dimensioni presume compensi congrui mentre, con l’utilizzo dei coefficienti, appaiono ragionevolmente esagerati; ugualmente l’importo relativo a modesti consumi prevede con l’utilizzo dei coefficienti compensi ragionevolmente esagerati. Infine il coefficiente di anzianità nella professione presume compensi che non distinguono fra le differenti realtà economiche esercitate in aree metropolitane ad alto valore aggiunto e grosso giro di affari e in aree site in piccole comunità economicamente depresse con modesta attività; infine la maggiorazione, fissa per tutti, uguaglia il professionista affermato con quello che ha utili modesti. P.Q.M. Piaccia alla Ill.ma commissione tributaria adita accogliere la seguente conclusione: 1) annullare l’accertamento in quanto illegittimo per difetto di motivazione o comunque basato su coefficienti contradditori e irrazionali. Con vittoria di spese ed onorari del giudizio. Ai sensi dell’art. 33 del D.L.vo 31 dicembre 1992, n. 546, si chiede Che la controversia sia discussa in pubblica udienza. Si produce:

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1) avviso di accertamento. �Ÿ �Ÿ �Ÿ Le controversie di importo inferiore a € 2.582,28 possono essere proposte direttamente dalle parti, ai sensi dell’art. 12 comma 5 del D.L.vo 31 dicembre 1992, n. 546 e modificazioni successive. Il ricorso è consegnato all’Ufficio del Ministero delle Finanze interessato mediante consegna dell’atto all’impiegato addetto che ne rilascia ricevuta o notificato o spedito Formula n. 55 GIURISDIZIONE SPECIALE DELLE COMMISSIONI TRIBUTARIE 283 per posta con raccomandata ricevuta di ritorno senza busta, ai sensi dell’art. 16 del D.L.vo 31 dicembre 1992, n. 546. Nella successiva costituzione in giudizio, nel caso di consegna o spedizione, la conformità dell’atto depositato a quello consegnato o spedito è attestata dallo stesso ricorrente. 284 GIURISDIZIONE SPECIALE DELLE COMMISSIONI TRIBUTARIE Formula n. 55 GIURISDIZIONE SPECIALE DELLE COMMISSIONI TRIBUTARIE Formula n. 56

56 . RICORSO ALLA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE CONTRO LE RENDITE ATTRIBUITE DAL D.M. 27 SETTEMBRE 1991 56

COMMISSIONE TRIBUTARIA DELLA PROVINCIA DI . . . E P.C. UFFICIO TECNICO ERARIALE DI . . . Il signor . . . rappresentato e difeso, come da mandato in calce al presente atto, dall’avv. . . . presso il quale è elettivamente domiciliato in . . . ricorre contro l’attribuzione della rendita catastale all’immobile di sua proprietà sito in . . . per il suo annullamento fatto e diritto il ricorrente è proprietario in comune di . . . via . . . zona censuaria . . . di un immobile classificato nella categoria classe . . . con la consistenza di vani . . . destinato ad abitazione. In applicazione dei coefficienti approvati con D.M. Finanze 27 settembre 1991 in G.U. 30 settembre 1991, n. 229, recepiti da vari D.L. decaduti per mancata conversione, e da ultimo con l’art. 2 della L. n. 75/1993, è stata attribuita una rendita catastale di euro . . . Questa attribuzione di rendita si ritiene illegittima per i seguenti motivi: 1) Accertamento della competenza del giudice tributario ed interesse al ricorso. Le rendite attribuite con D.M. 27 settembre 1991 a seguito dell’annullamento operato dal Tar del Lazio 6 maggio 1992, n. 1184, in Boll. trib. 1993, 950, sono state recepite con l’art. 2 della L. n. 75/1993. Divenute obbligatorie per legge le rendite non sono più oggetto di disapplicazione da parte del giudice tributario e determinano la lesione diretta e immediata delle situazioni soggettive di cui al presente ricorso. Gli interessati intendono quindi impugnare la tariffa che ai sensi delle leggi citate è immediatamente operativa erga omnes. La competenza del giudice tributario a conoscere del presente ricorso discende sia dalla natura di avviso di liquidazione dell’imposta, che assume l’atto di classamento Formula n. 56 GIURISDIZIONE SPECIALE DELLE COMMISSIONI TRIBUTARIE 285 dell’immobile ai sensi degli artt. 61 e ss. del D.P.R. n. 1142/1949, sia della imprescindibilità della tutela giurisdizionale avverso gli atti dell’amministrazione finanziaria. L’interesse del ricorrente ad impugnare la tariffa sorge con l’entrata in vigore della legge medesima, che determina la variazione nell’accatastamento dell’immobile per effetto dell’automatico cambiamento dell’estimo, derivante proprio dalle disposizioni di legge citate.

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Diversamente da quanto avveniva col precedente procedimento, ai sensi degli artt. 14 e ss. del D.P.R. n. 1142/1949 citato, ove la stessa tariffa è determinata dall’amministrazione, il classamento dell’unità immobiliare è l’atto amministrativo unico impugnabile (Comm. Trib., II Grado Venezia, ord. 10 giugno 1993, in Boll. trib. 1993, 1097). 2) Violazione di legge nell’attuazione del procedimento di attribuzione della rendita. Il procedimento di attribuzione della rendita appare in contrasto con le norme che prevedono il principio del contraddittorio nelle procedure di tipo contenzioso. In particolare l’amministrazione finanziaria nell’attribuire i coefficienti ministeriali non procede ad alcuna verifica circa la reale situazione del fabbricato per accertarne a tutt’oggi la categoria o classe catastale. Inoltre l’attribuzione dei coefficienti è palesemente ingiusta in quanto le rendite da fabbricati adibiti ad abitazione sono più onerose di quelle provenienti da immobili adibiti a negozi e/o uffici che godono di coefficienti di riduzione. 3) In subordine si chiede la rimessione degli atti alla Corte costituzionale poiché non appare manifestamente infondata la questione di legittimità dell’art. 2 della L. n. 75/1993 per contrasto con gli artt. 3, 24 e 53 della Costituzione. La violazione dei principi di uguaglianza e capacità contributiva e di quello di progressività appare insita nello stesso sistema della tassazione. Questo è costruito sull’ipotesi di un rendimento del valore dell’immobile ricostruito sulla base di criteri di tipo patrimoniale e non sul reddito prodotto o producibile. È evidente la possibilità che gli immobili, concessi come in questo caso in locazione ad equo canone, diano un reddito inferiore a quello necessario al pagamento del tributo. Il carattere transitorio di applicazione delle tariffe disposto dall’art. 2 della L. n. 75/1993 concreta la violazione del principio della difesa là dove differisce, al periodo di imposta successivo all’entrata in vigore dei nuovi estimi, le istanze di recupero ed il relativo contenzioso. P.Q.M. la Ill.ma commissione tributaria adita, riconosciuta la propria competenza, voglia accogliere le seguenti conclusioni: 1) annullare l’accertamento impugnato; 286 GIURISDIZIONE SPECIALE DELLE COMMISSIONI TRIBUTARIE Formula n. 56 2) in subordine rimettere gli atti alla Corte costituzionale affermando non manifestamente infondata la questione di illegittimità dell’art. 2 della L. n. 75/1993 per violazione degli artt. 3, 24 e 53 della Costituzione. Con vittoria di spese ed onorari del giudizio. Ai sensi dell’art. 33 del D.L.vo 31 dicembre 1992, n. 546, si chiede che la controversia sia discussa in pubblica udienza. Si produce: 1) avviso di accertamento; 2) contratto di locazione; 3) certificato di rendita catastale. Delego a rappresentarmi e difendermi nel presente processo tributario, con tutti i poteri di cui all’art. 84 del c.p.c. e con facoltà di chiedere la definizione preventiva della controversia, ai sensi dell’art. 48 del D.L.vo 31 dicembre 1992, n. 546, l’avvocato . . . del foro di . . . presso il cui studio sito in . . . via . . . eleggo domicilio, per tutti i gradi del presente processo. Lì, . . . Il ricorrente . . . Per autentica

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Avv. . . . �Ÿ �Ÿ �Ÿ Le controversie di importo inferiore a € 2.582,28 possono essere proposte direttamente dalle parti, ai sensi dell’art. 12 comma 5 del D.L.vo 31 dicembre 1992, n. 546 e modificazioni successive. Il ricorso è consegnato all’Ufficio del Ministero delle Finanze interessato mediante consegna dell’atto all’impiegato addetto che ne rilascia ricevuta o notificato o spedito per posta con raccomandata ricevuta di ritorno senza busta, ai sensi dell’art. 16 del D.L.vo 31 dicembre 1992, n. 546. Nella successiva costituzione in giudizio, nel caso di consegna o spedizione, la conformità dell’atto depositato a quello consegnato o spedito è attestata dallo stesso ricorrente. Formula n. 56 GIURISDIZIONE SPECIALE DELLE COMMISSIONI TRIBUTARIE 287 GIURISDIZIONE SPECIALE DELLE COMMISSIONI TRIBUTARIE Formula n. 57

57 . RICORSO ALLA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE CONTRO L’ACCERTAMENTO DI VALORE 57

COMMISSIONE TRIBUTARIA DELLA PROVINCIA DI . . . E P.C. UFFICIO DEL REGISTRO DI . . . Il signor . . . nella sua qualità di legale rappresentante dell’immobiliare Srl., rappresentato e difeso, come da mandato in calce al presente atto, dall’avv. . . . presso il quale è elettivamente domiciliato in . . . ricorre contro l’avviso di accertamento relativo all’INVIM straordinaria n. . . . del . . . dell’Ufficio del Registro di . . . per il suo annullamento. Premessa La società ricorrente è proprietaria in comune di . . . via . . . zona censuaria 2 di un immobile classificato nella categoria . . . classe 4 con la consistenza di vani 5, destinato ad abitazione, e relativa autorimessa di mq . . . In applicazione dei coefficienti approvati con D.M. Finanze 27 settembre 1991 in G.U. 30 settembre 1991, n. 229, recepiti da vari D.L. decaduti per mancata conversione, e da ultimo con l’art. 2 della L. n. 75/1993, è stata attribuita una rendita catastale di € 51.645,69 all’appartamento e di € 10.329,14 all’autorimessa per l’INVIM straordinaria a fronte del suo valore venale dichiarato di € 41.316,55. Questa attribuzione di rendita si ritiene illegittima per i seguenti motivi: 1) violazione di legge nell’attuazione del procedimento di attribuzione della rendita e difetto di motivazione. Il procedimento di attribuzione della rendita appare in contrasto con le norme che prevedono il principio del contraddittorio nelle procedure di tipo contenzioso. In particolare l’amministrazione finanziaria nell’attribuire i coefficienti ministeriali non procede ad alcuna verifica circa la reale situazione del fabbricato per accertarne a tutt’oggi la categoria o classe catastale. 288 GIURISDIZIONE SPECIALE DELLE COMMISSIONI TRIBUTARIE Formula n. 57 Inoltre l’attribuzione dei coefficienti appare ingiusta in quanto le rendite da fabbricati adibiti ad abitazione sono più onerose di quelle provenienti da fabbricati adibiti a negozi e/o uffici che godono di coefficienti di riduzione. Inoltre il provvedimento di accertamento è carente di motivazione né fa alcuna menzione dello stato dell’immobile in relazione al valore accertato. 2) Gli interessati intendono quindi impugnare la tariffa, che ai sensi delle leggi citate è immediatamente operativa erga omnes. L’interesse del ricorrente ad impugnare la tariffa sorge per il ricorrente con l’entrata

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in vigore della legge medesima, che determina la variazione nell’accatastamento dell’immobile per effetto dell’automatico cambiamento dell’estimo, derivante proprio dalle disposizioni di legge citate. Diversamente da quanto avveniva col precedente procedimento ai sensi degli artt. 14 e ss. del D.P.R. n. 1142/1949, ove la stessa tariffa è determinata dall’amministrazione, il classamento dell’unità immobiliare è l’atto amministrativo unico impugnabile (Comm. Trib., II Grado Venezia, ord. 10 giugno 1993, in Boll. trib. 1993, 1097). La violazione dei principi di uguaglianza e capacità contributiva e di quello di progressività appare insita nello stesso sistema della tassazione. Questo è costruito sull’ipotesi di un rendimento del valore dell’immobile ricostruito sulla base di criteri di tipo patrimoniale e non sul reddito prodotto o producibile. È evidente la possibilità che gli immobili, concessi come in questo caso in locazione ad equo canone, diano un reddito inferiore a quello necessario al pagamento del tributo. P.Q.M. voglia la Ill.ma commissione tributaria adita accogliere la seguente conclusione 1) annullare l’accertamento in quanto illegittimo per difetto di motivazione o comunque basato su coefficienti contradditori e irrazionali. Con vittoria di spese ed onorari del giudizio. Ai sensi dell’art. 33 del D.L.vo 31 dicembre 1992, n. 546, si chiede che la controversia sia discussa in pubblica udienza. Si produce: 1) avviso di accertamento. Lì, . . . Delego a rappresentarmi e difendermi nel presente processo tributario, con tutti i poteri di cui all’art. 84 del c.p.c. e con facoltà di chiedere la definizione preventiva 10 Formula n. 57 GIURISDIZIONE SPECIALE DELLE COMMISSIONI TRIBUTARIE 289 della controversia, ai sensi dell’art. 48 del D.L.vo 31 dicembre 1992, n. 546, l’avvocato . . . del foro di . . . presso il cui studio sito in . . . via . . . eleggo domicilio, per tutti i gradi del presente processo. Lì, . . . Il ricorrente . . . Per autentica Avv. . . . �Ÿ �Ÿ �Ÿ Le controversie di importo inferiore a € 2.582,28 possono essere proposte direttamente dalle parti, ai sensi dell’art. 12 comma 5 del D.L.vo 31 dicembre 1992, n. 546 e modificazioni successive. Il ricorso è consegnato all’Ufficio del Ministero delle Finanze interessato mediante consegna dell’atto all’impiegato addetto che ne rilascia ricevuta o notificato o spedito per posta con raccomandata ricevuta di ritorno senza busta, ai sensi dell’art. 16 del D.L.vo 31 dicembre 1992, n. 546. Nella successiva costituzione in giudizio, nel caso di consegna o spedizione, la conformità dell’atto depositato a quello consegnato o spedito è attestata dallo stesso ricorrente. 290 GIURISDIZIONE SPECIALE DELLE COMMISSIONI TRIBUTARIE Formula n. 57 GIURISDIZIONE SPECIALE DELLE COMMISSIONI TRIBUTARIE Formula n. 58

58 . RICORSO ALLA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE AVVERSO L’AVVISO DI RETTIFICA IVA 58

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COMMISSIONE TRIBUTARIA DELLA PROVINCIA DI . . . E P.C. UFFICIO IVA DI . . . Il signor . . ., amministratore delegato della società, rappresentato e difeso, come da mandato in calce al presente atto, dall’avv. . . . presso il quale è elettivamente domiciliato in . . . ricorre contro l’avviso di rettifica n. . . . del . . . relativo alla dichiarazione dell’imposta sul valore aggiunto relativo all’anno . . . per il suo annullamento fatto e diritto a seguito di verifica l’ufficio IVA di . . . notificava il citato avviso di rettifica assumendo che alcuni lavori relativi all’opera di rappezzamento murario e consolidamento di superfici esterne di fabbricato e la loro relativa imbiancatura eseguiti dall’impresa ricorrente andavano assoggettati all’aliquota normale, anziché a quella ridotta. L’ufficio IVA considerava infatti quei lavori afferenti interventi di manutenzione ordinaria anziché straordinaria come affermato dal ricorrente. Questa attribuzione di rendita si ritiene illegittima per i seguenti motivi: 1) eccesso di potere per valutazione contraddittoria con i documenti presentati. La L. n. 891/1980 prevede l’applicazione dell’IVA con l’aliquota ridotta al 2% sugli interventi di recupero, di cui all’art. 31 della L. n. 457/1978, ad eccezione di quelli di cui alla lett. a) dello stesso articolo, che sono quelli relativi agli interventi di manutenzione ordinaria. Il Ministero delle finanze ha chiarito con risoluzione ministeriale 31 ottobre 1986, n. 363116 che rientra nelle competenze dei comuni precisare la tipologia dei lavori effettuati sugli immobili e rilasciare eventuali attestati in tal senso. I lavori, di cui al verbale di rettifica, hanno l’autorizzazione comunale in quanto sono dagli stessi comuni riconosciuti come di manutenzione straordinaria e pertanto possono legittimamente fruire dell’aliquota agevolata dell’IVA. Formula n. 58 GIURISDIZIONE SPECIALE DELLE COMMISSIONI TRIBUTARIE 291 Ogni valutazione sul merito relativa alla natura dei lavori appare preclusa all’ufficio in sede di rettifica poiché le conseguenze logico-giuridico sarebbero paradossali. Il contribuente, effettuati i lavori, per i quali è necessaria una autorizzazione amministrativa, si vedrebbe contestare da altro ufficio fiscale la legittimità di un provvedimento di natura urbanistica su cui esso non ha alcun potere o funzione di controllo. P.Q.M. voglia la Ill.ma commissione tributaria adita accogliere la seguente conclusione: 1) annullare l’avviso di rettifica. Con vittoria di spese ed onorari del giudizio. Ai sensi dell’art. 33 del D.L.vo 31 dicembre 1992, n. 546, si chiede che la controversia sia discussa in pubblica udienza. Si produce: 1) avviso di rettifica; 2) autorizzazione comunale. Delego a rappresentarmi e difendermi nel presente processo tributario, con tutti i poteri di cui all’art. 84 del c.p.c. e con facoltà di chiedere la definizione preventiva della controversia, ai sensi dell’art. 48 del D.L.vo 31 dicembre 1992, n. 546, l’avvocato . . . del foro di . . . presso il cui studio sito in . . . via . . . eleggo domicilio, per tutti i gradi del presente processo. Lì, . . . Il ricorrente . . . Per autentica

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Avv. . . . �Ÿ �Ÿ �Ÿ Le controversie di importo inferiore a € 2.582,28 possono essere proposte direttamente dalle parti, ai sensi dell’art. 12 comma 5 del D.L.vo 31 dicembre 1992, n. 546 e modificazioni successive. 292 GIURISDIZIONE SPECIALE DELLE COMMISSIONI TRIBUTARIE Formula n. 58 Il ricorso è consegnato all’Ufficio del Ministero delle Finanze interessato mediante consegna dell’atto all’impiegato addetto che ne rilascia ricevuta o notificato o spedito per posta con raccomandata ricevuta di ritorno senza busta, ai sensi dell’art. 16 del D.L.vo 31 dicembre 1992, n. 546. Nella successiva costituzione in giudizio, nel caso di consegna o spedizione, la conformità dell’atto depositato a quello consegnato o spedito è attestata dallo stesso ricorrente. Formula n. 58 GIURISDIZIONE SPECIALE DELLE COMMISSIONI TRIBUTARIE 293 GIURISDIZIONE SPECIALE DELLE COMMISSIONI TRIBUTARIE Formula n. 59

59 . RIMBORSO DI IMPOSTA Istanza per rimborso di imposta ICI 59

MINISTERO DELLE FINANZE DIREZIONE COMPARTIMENTALE PER LA REGIONE . . . Il signor . . ., nato a . . ., residente in . . . codice fiscale . . . Espone quanto segue. L’istante in data . . . come da quietanza rilasciata dall’ufficio postale di . . . n. . . . del . . . ha provveduto al versamento dell’imposta comunale sugli immobili, disciplinata dal D.L.vo n. 504/1992, relativamente ai fabbricati di sua proprietà siti nel territorio del comune di . . . L’imposta versata è stata determinata applicando le aliquote fissate dal comune di . . ., sulla base imponibile risultante dal valore catastale dell’immobile quale risulta dalle tariffe approvate dal D.M. 29 settembre 1991 e recepite dall’art. 2 della L. n. 75/1993; visto che la L. n. 75/1993 è stata rimessa alla Corte costituzionale (Comm. Trib. II Grado Venezia, ord. 10 giugno 1993, in Boll. trib. 1993,1097), visto che appare evidente l’inesistenza dell’obbligo di versamento dell’imposta comunale sugli immobili, che il sottoscritto ha effettuato in maniera essenzialmente cautelativa, visto inoltre che è stato prodotto ricorso da associazione di categoria, a cui l’istante è iscritto, avverso la delibera comunale di determinazione dell’aliquota ICI adottata dal comune di . . . in misura superiore al 4 per mille avanti il TAR del . . ., P.Q.M. l’istante, ai sensi dell’art. 38 del D.P.R. n. 602/1973, chiede il rimborso dell’imposta per euro . . ., ovvero della somma versata in eccesso rispetto alle rendite prima vigenti. Con perfetta osservanza. Si produce: 1) quietanza di pagamento dell’ufficio postale di . . .; 294 GIURISDIZIONE SPECIALE DELLE COMMISSIONI TRIBUTARIE Formula n. 59 2) ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale; 3) ricorso al T.A.R. Lì, . . . L’istante . . . �Ÿ �Ÿ �Ÿ L’istanza deve essere prodotta pena la decadenza entro 18 mesi dal pagamento. Formula n. 59 GIURISDIZIONE SPECIALE DELLE COMMISSIONI TRIBUTARIE 295 GIURISDIZIONE SPECIALE DELLE COMMISSIONI TRIBUTARIE Formula n. 60

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60 . RICORSO ALLA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE AVVERSO IL SILENZIO SUL RIMBORSO 60

COMMISSIONE TRIBUTARIA DELLA PROVINCIA DI . . . E P.C. UFFICIO TECNICO ERARIALE DI . . . E P.C. AL COMUNE DI . . . Il signor . . ., nato a . . ., residente in . . . codice fiscale . . ., rappresentato e difeso, come da mandato in calce al presente atto, dall’avv. . . . presso il quale è elettivamente domiciliato in . . . ricorre per il rimborso dell’imposta comunale sugli immobili di sua proprietà siti in . . . versata in data . . . con quietanza dell’ufficio postale di . . . per euro . . . fatto e diritto premesso che, ai sensi dell’art. 16, penultimo comma, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 e successive modificazioni, il ricorrente ha proceduto a richiedere all’Intendente di Finanza di (ora Ministero delle Finanze, Direzione Compartimentale per la Regione . . .) . . . con nota . . ., il rimborso di cui sopra; che trascorsi novanta giorni dalla spedizione di detta istanza non è stato notificato al ricorrente alcun provvedimento dell’amministrazione sulla stessa; l’istante ritiene illegittimo ed eseguito per ragioni essenzialmente cautelative il pagamento per i seguenti motivi: 1) violazione di legge nell’attuazione del procedimento di attribuzione della rendita. Il procedimento di attribuzione della rendita appare in contrasto con le norme che prevedono il principio del contraddittorio nelle procedure di tipo contenzioso. In particolare l’amministrazione finanziaria nell’attribuire i coefficienti ministeriali non procede ad alcuna verifica circa la reale situazione del fabbricato per accertarne a tutt’oggi la categoria o classe catastale. Inoltre l’attribuzione dei coefficienti è palesemente ingiusta in quanto le rendite da fabbricati adibiti ad abitazione sono più onerose di quelle derivanti da immobili adibiti a negozi e/o uffici che godono di coefficienti di riduzione. 2) In subordine si chiede la rimessione degli atti alla Corte costituzionale per contrasto dell’art. 2 della L. n. 75/1993 con gli artt. 3, 24 e 53 della Costituzione. 296 GIURISDIZIONE SPECIALE DELLE COMMISSIONI TRIBUTARIE Formula n. 60 La violazione dei principi di uguaglianza e capacità contributiva e di quello di progressività appare insita nello stesso sistema della tassazione. Questo è costruito sull’ipotesi di un rendimento del valore dell’immobile ricostruito sulla base di criteri di tipo patrimoniale e non sul reddito prodotto o producibile. È evidente la possibilità che gli immobili concessi come in questo caso in locazione ad equo canone, diano un reddito inferiore a quello necessario al pagamento del tributo. Il carattere transitorio di applicazione delle tariffe disposto dall’art. 2 della L. n. 75/1993 concreta la violazione del principio della difesa là dove differisce, al periodo di imposta successivo all’entrata in vigore dei nuovi estimi, le istanze di recupero ed il relativo contenzioso (Comm. Trib. II grado Venezia, ord. 10 giugno 1993, in Boll. trib. 1993, 1097. Comm. Trib. I grado Reggio Calabria, ord. 15 dicembre 1992, n. 290, ivi, 1993, 1099). P.Q.M. voglia la Ill.ma commissione tributaria adita accogliere le seguenti conclusioni: 1) disporre il rimborso dell’imposta versata ovvero in alternativa disporre il rimborso parziale fra quanto dovuto utilizzando le vecchie rendite e quello pagato utilizzando le nuove; 2) in subordine rimettere gli atti alla Corte costituzionale affermando non manifestamente

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infondata la questione di illegittimità dell’art. 2 della L. n. 75/1993 per violazione degli artt. 3, 24 e 53 della Costituzione. Con vittoria di spese ed onorari del giudizio. Ai sensi dell’art. 33 del D.L.vo 31 dicembre 1992, n. 546 si chiede che la controversia sia discussa in pubblica udienza. Si produce: 1) richiesta di rimborso al Ministro delle Finanze; 2) quietanza di pagamento; 3) certificazione catastale relativa alle nuove rendite, e alle vecchie rendite; 4) prospetto conteggi. Delego a rappresentarmi e difendermi nel presente processo tributario, con tutti i poteri di cui all’art. 84 del c.p.c. e con facoltà di chiedere la definizione preventiva della controversia, ai sensi dell’art. 48 del D.L.vo 31 dicembre 1992, n. 546, l’avvo- Formula n. 60 GIURISDIZIONE SPECIALE DELLE COMMISSIONI TRIBUTARIE 297 cato . . . del foro di . . . presso il cui studio sito in . . . via . . . eleggo domicilio, per tutti i gradi del presente processo. Lì, . . . Il ricorrente . . . Per autentica Avv. . . . �Ÿ �Ÿ �Ÿ Le controversie di importo inferiore a € 2.582,28 possono essere proposte direttamente dalle parti, ai sensi dell’art. 12 comma 5 del D.L.vo 31 dicembre 1992, n. 546 e modificazioni successive. Il ricorso è consegnato all’Ufficio del Ministero delle finanze interessato mediante consegna dell’atto all’impiegato addetto che ne rilascia ricevuta o notificato o spedito per posta con raccomandata ricevuta di ritorno senza busta, ai sensi dell’art. 16 del D.L.vo 31 dicembre 1992, n. 546. Nella successiva costituzione in giudizio, nel caso di consegna o spedizione, la conformità dell’atto depositato a quello consegnato o spedito è attestata dallo stesso ricorrente. 298 GIURISDIZIONE SPECIALE DELLE COMMISSIONI TRIBUTARIE Formula n. 60 GIURISDIZIONE SPECIALE DELLE COMMISSIONI TRIBUTARIE Formula n. 61

61 . ISTANZA DI SOSPENSIVA AI SENSI DELL’ART. 47 DEL D.L.VO 31 DICEMBRE 1992, N. 546 61

COMMISSIONE TRIBUTARIA DELLA PROVINCIA DI . . . UFFICIO I.V.A. DI . . . Il signor . . . amministratore delegato della società, rappresentato e difeso, come da mandato in calce al presente atto, dall’avv. . . . presso il quale è elettivamente domiciliato in . . . Premesso che ha presentato ricorso a questa spett. Commissione in data . . .; espone quanto segue l’ufficio IVA di . . . ha proceduto ad emettere verbale di accertamento n. . . . in data . . . contestando il fatto che in occasione della denuncia relativa all’anno . . . il sottoscritto rappresentante della società non ha firmato la dichiarazione di imposta. L’ufficio ha ritenuto che la carenza di firma concretizzi il fatto di evasione di imposta, conseguentemente ha proceduto a richiedere con l’accertamento di cui sopra l’imposta, già peraltro regolarmente versata, oltre che le relative sanzioni pecuniarie ed interessi, male interpretando l’art. 43, commi 1-3, del D.P.R. n. 633/1972

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e modificazioni. L’accertamento appare illegittimo e contro di esso è stato presentato ricorso alla competente commissione tributaria. È evidente il fumus boni iuris, visto che l’imposta è già stata corrisposta ritualmente nella misura dovuta, e che si tratta di un accertamento che viola il principio di capacità contributiva, oltre che a ingenerare un indebito arricchimento da parte dello Stato azionabile davanti al giudice ordinario. È evidente anche il grave pregiudizio a cui si trova esposta la società, che deve fare fronte ad una gravosa spesa non prevista e non prevedibile destinata a turbare l’equilibrio economico della gestione P.Q.M. voglia la S.V. Ill.ma disporre la sospensione della riscossione. Si produce: 1) verbale di accertamento. Formula n. 61 GIURISDIZIONE SPECIALE DELLE COMMISSIONI TRIBUTARIE 299 Delego a rappresentarmi e difendermi nel presente processo tributario, con tutti i poteri di cui all’art. 84 del c.p.c. e con facoltà di chiedere la definizione preventiva della controversia, ai sensi dell’art. 48 del D.L.vo 31 dicembre 1992, n. 546, l’avvocato . . . del foro di . . . presso il cui studio sito in . . . via . . . eleggo domicilio, per tutti i gradi del presente processo. Lì, . . . Il ricorrente . . . Per autentica Avv. . . . �Ÿ �Ÿ �Ÿ L’istanza può essere presentata contestualmente al ricorso o con atto a parte. Le controversie di importo inferiore a € 2.582,28 possono essere proposte direttamente dalle parti, ai sensi dell’art. 12 comma 5 del D.L.vo 31 dicembre 1992, n. 546 e modificazioni successive. Il ricorso è consegnato all’Ufficio del Ministero delle Finanze interessato mediante consegna dell’atto all’impiegato addetto che ne rilascia ricevuta o notificato o spedito per posta con raccomandata ricevuta di ritorno senza busta, ai sensi dell’art. 16 del D.L.vo 31 dicembre 1992, n. 546. Nella successiva costituzione in giudizio, nel caso di consegna o spedizione, la conformità dell’atto depositato a quello consegnato o spedito è attestata dallo stesso ricorrente. 300 GIURISDIZIONE SPECIALE DELLE COMMISSIONI TRIBUTARIE Formula n. 61 GIURISDIZIONE SPECIALE DELLE COMMISSIONI TRIBUTARIE Formula n. 62

62 . RICORSO IN APPELLO ALLA COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE CONTRO L’AVVISO DI ACCERTAMENTO IRPEF 62

COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DI . . . Atto di appello del signor . . . rappresentato e difeso, come da mandato in calce al presente atto, dall’avv. . . . presso il quale è elettivamente domiciliato in . . ., appellante, contro il Ministero delle finanze Ufficio imposte dirette, appellato, contro la sentenza n. . . . della Commissione Provinciale di . . . notificata il . . . Premesso che il ricorrente ha impugnato presso la Commissione Provinciale l’avviso di accertamento n. . . . dell’Ufficio Distrettuale delle Imposte Dirette di . . . in materia di denuncia relativa all’anno . . . IRPEF e ILOR per il suo annullamento. Premesso che la impresa è stata oggetto di avviso di accertamento per evasione

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parziale di imposta in quanto venivano accertati in un controllo presso altro contribuente dei movimenti bancari tra il contribuente e tale soggetto. Contro tale accertamento si proponeva ricorso alla commissione tributaria di primo grado. La richiesta era fondata sul difetto di motivazione dell’atto impugnato, in quanto, invece di documentare le operazioni per le quali si accertava la mancata fatturazione, l’accertamento ribaltava l’onere della prova al contribuente, non accontentandosi delle sue dichiarazioni che tali movimenti erano dovuti a prestiti fra i due soggetti. La sentenza che si impugna respingeva il ricorso. Tale decisione si manifesta evidentemente erronea in fatto e diritto in quanto in fatto non viene presentata alcuna concreta prova circa la reale prestazione di servizi fra la impresa . . . e la impresa . . . sia in rapporto alla natura dei lavori o dei servizi prestati, e ciò in contrasto palese con l’attività delle due aziende; in diritto il comportamento degli uffici è censurabile in relazione ai disposti dell’art. 41 del D.P.R. n. 633 del 1972. Ciò posto il ricorrente col presente atto propone Appello contro la sentenza di cui sopra e ne chiede la riforma per i seguenti motivi. Formula n. 62 GIURISDIZIONE SPECIALE DELLE COMMISSIONI TRIBUTARIE 301 1) Illegittimità per violazione di legge per contrasto con l’art. 41 del D.P.R. n. 633 del 1972. Nell’accertamento impugnato l’ufficio ha l’onere di provare, fornendo elementi dimostrativi della prestazione per la quale non è stata emessa la fattura. Nel nostro caso la prova delle prestazioni è affidata alle registrazioni bancarie, che risultano effettuate per motivi personali fra i soggetti accertati, mentre l’onere è stato invertito al soggetto passivo dell’accertamento che doveva fornire la prova di non avere effettuato attraverso i movimenti bancari operazioni soggette a fatturazione. Contrariamente a tale principio la Commissione Tributaria Centrale ha affermato che: «L’onere di provare la sussistenza del fatto stesso all’origine della trasgressione (nella specie la cessione per la quale non è stata inviata la fattura) incombe sull’ufficio; pertanto, non avendo l’ufficio fornito ulteriori elementi dimostrativi della cessione, oltre il processo verbale redatto nei confronti del cedente non può configurarsi la violazione dell’art. 41 del D.P.R. n. 633 del 1972», Comm. centrale imposte, sez. XIV, 14 novembre 1990, n. 7344, in Riv. dir. trib. 1991, II, 70. È illegittima l’irrogazione della pena pecuniaria di cui all’art. 41, comma 4, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, per acquisto di beni in evasione dell’I.v.a., qualora l’infrazione stessa risulti enunciata in un processo verbale riguardante altro soggetto, senza l’indicazione della data dell’acquisto, la specificazione dei beni acquistati o dei rapporti economici esistenti tra acquirente e venditore. Comm. centrale imposte, sez. XXIV, 15 giugno 1990, n. 4693, in Comm. trib. centr. 1990, I, 480. 2) Eccesso di potere per difetto di motivazione e per contraddittorietà manifesta. Il reddito denunciato è considerato inferiore per quello accertato per effetto di una presunzione che non è motivata in fatto adducendo la possibile attività eseguita per conto di una azienda. Fra l’altro volendo occultare dei movimenti fra le due ditte se fossero realmente avvenuti a seguito di prestazioni soggette a fatturazione sarebbe stato molto più semplice operare in compensazione fra crediti e debiti contrapposti senza eseguire trasferimenti in denaro. Lo stesso procedimento di accertamento per presunzione non sfugge alle censure di illegittimità, in quanto praticamente l’utilizzo di ditta di modeste dimensioni presume per l’anno di riferimento un giro di affari che appare ragionevolmente esagerato P.Q.M. la Ill.ma commissione tributaria regionale adita accogliere la seguente conclusione:

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1) annullare la sentenza impugnata ed il sottostante atto di accertamento. Con vittoria di spese ed onorari del giudizio. A sensi dell’art. 33 del D.L.vo 31 dicembre 1992, n. 546, 302 GIURISDIZIONE SPECIALE DELLE COMMISSIONI TRIBUTARIE Formula n. 62 si chiede che la controversia sia discussa in pubblica udienza. Si produce 1) Copia sentenza impugnata Lì, . . . Avv. . . . Delego a rappresentarmi e difendermi nel presente processo tributario, con tutti i poteri di cui all’art. 84 del c.p.c. e con facoltà di chiedere la definizione preventiva della controversia, ai sensi dell’art. 48 del D.L.vo 31 dicembre 1992, n. 546, l’avvocato . . . del foro di . . . presso il cui studio sito in . . . via . . . eleggo domicilio, per tutti i gradi del presente processo. Lì, . . . Il ricorrente . . . Per autentica Avv. . . . �Ÿ �Ÿ �Ÿ Il ricorso è consegnato all’Ufficio del Ministero delle finanze interessato mediante consegna dell’atto all’impiegato addetto che ne rilascia ricevuta o notificato o spedito per posta con raccomandata ricevuta di ritorno senza busta, ai sensi dell’art. 16 del D.L.vo 31 dicembre 1992, n. 546. Nella successiva costituzione in giudizio, nel caso di consegna o spedizione, la conformità dell’atto depositato a quello consegnato o spedito è attestata dallo stesso ricorrente. Formula n. 62 GIURISDIZIONE SPECIALE DELLE COMMISSIONI TRIBUTARIE 303 8. PATROCINIO IL COMMENTO 8. PATROCINIO SOMMARIO: 1. Patrocinio legale del ricorrente. − 2. Patrocinio legale della amministrazione. − 2.1. La capacità processuale degli enti pubblici. − 2.2. L’avvocatura dello Stato. 1. Patrocinio legale del ricorrente. Mentre l’art. 1 del D.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199, in materia di ricorsi amministrativi prevede che l’istanza sia presentata da chi ne abbia interesse, escludendo l’obbligo di difensore, la L. 6 dicembre 1971, n.1034, all’art. 19 prevede l’obbligo del patrocinio di avvocato o di procuratore legale nei giudizi dinanzi al Tribunale amministrativo regionale. Nei giudizi davanti al Consiglio di Stato l’avvocato, per poter patrocinare, deve essere ammesso al patrocinio in Corte di Cassazione, come recita l’art. 35 del R.D. 26 giugno 1924, n. 1054. Il mandato alle liti può essere conferito con procura speciale, con atto pubblico o scrittura privata autenticata, recante l’indicazione dell’oggetto dell’impugnazione, delle parti contendenti e dell’autorità adita. La procura può essere anche apposta in calce o a margine del mandato, ai sensi dell’art. 82 del c.p.c., in tal caso la firma del ricorrente deve essere autenticata dal legale. È sufficiente che il ricorrente firmi l’originale della procura, mentre la copia da notificarsi può essere firmata in originale solo dal difensore. 2. Patrocinio legale della amministrazione. 2.1. La capacità processuale degli enti pubblici. Prima di esaminare chi ha il patrocinio legale degli enti pubblici occorre individuarne la capacità processuale. La capacità di stare in giudizio dello Stato è riconosciuta al ministro in carica.

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La L. n. 260/1958 all’art. 4 riconosce l’eccezione per errore di identificazione dell’autorità competente da parte dell’Avvocatura dello Stato solo alla prima udienza di introduzione del giudizio con attribuzione, da parte del giudice, di termine per la regolarizzazione. Gli altri enti pubblici stanno in giudizio nella persona del legale rappresentante. La costituzione in giudizio del legale rappresentante deve essere preventivamente autorizzata con delibera dell’organo collegiale dell’amministrazione, che è sottoposta ai normali controlli. In caso di diniego a stare in giudizio si può ricorrere ed i termini del processo originario sono sospesi. 2.2. L’avvocatura dello Stato. La rappresentanza, il patrocinio e l’assistenza in giudizio della amministrazione dello Stato anche ad ordinamento autonomo spettano alla avvocatura dello Stato, ai sensi dell’art. 1 del R.D. n. 1611/1933, senza che necessiti alcun mandato. L’avvocatura dello Stato è costituita, come precisa l’art. 8 della L. n. 103/1979, dall’avvocatura generale, che provvede alla difesa delle amministrazioni davanti alle supreme giurisdizioni con sede in Roma, e dall’avvocatura distrettuale, che provvede alla difesa nelle rispettive circoscrizioni. L’avvocatura ha il patrocinio obbligatorio dello Stato, delle regioni a statuto speciale e di quelle a statuto ordinario, che adottino la delibera di conferimento del patrocinio prevista dall’art. 10 della L. n. 103/1979, e degli enti indicati dal R.D. 8 giugno 1940, n. 779 e dalle leggi speciali, ovvero ha il patrocinio facoltativo per gli altri enti che la legge prevede che possano farne richiesta. La conseguenza più evidente di tale patrocinio si manifesta nell’obbligo di notificare gli atti processuali all’avvocatura dello Stato nel cui distretto ha sede l’autorità giudiziaria adita. 310 PATROCINIO

LE FORMULE PATROCINIO Formula n. 63

63 . PROCURA SPECIALE ALLE LITI CONFERITA PER SCRITTURA PRIVATA NEL GIUDIZIO CIVILE 63

Mandato Io sottoscritto . . . nato a . . . il . . . delego a rappresentarmi e difendermi nel presente giudizio, con tutti i poteri di cui all’art. 84 c.p.c., ivi compreso quello di farsi sostituire da altri avvocati e procuratori, di effettuare transazioni e quietanzare, l’avvocato . . . presso il cui studio eleggo domicilio. Lì, . . . Il ricorrente . . . Per autentica Avv. . . . Formula n. 63 PATROCINIO 313 PATROCINIO Formula n. 64

64 . PROCURA SPECIALE ALLE LITI CONFERITA PER SCRITTURA PRIVATA NEL GIUDIZIO AMMINISTRATIVO 64

Delego l’avvocato . . . a rappresentarmi e difendermi nel presente giudizio, e nell’eventuale giudizio di ottemperanza, con tutti i poteri di legge in particolare ex art. 84 c.p.c., ivi compreso quello di farsi sostituire da altri avvocati o procuratori, conciliare e transigere, rinunciare agli atti del giudizio ed accettare rinunce, eleggere domicilio diverso da quello sottoindicato.

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Eleggo domicilio, presso la segreteria del T.A.R. di . . . via . . . Lì, . . . Il ricorrente . . . Per autentica Avv. . . . 314 PATROCINIO Formula n. 64 PATROCINIO Formula n. 65

65 . PROCURA SPECIALE ALLE LITI CONFERITA PER SCRITTURA PRIVATA NEL PROCESSO TRIBUTARIO 65

Delego a rappresentarmi e difendermi nel presente processo tributario, con tutti i poteri di cui all’art. 84 c.p.c. e con facoltà di chiedere la definizione preventiva della controversia ai sensi dell’art. 48 del D.L.vo 31 dicembre 1992 n.546, l’avvocato . . . del foro di . . . presso il cui studio sito in . . . via . . . eleggo domicilio, per tutti i gradi del presente processo. Lì, . . . Il ricorrente . . . Per autentica Avv. . . . �Ÿ �Ÿ �Ÿ Le controversie di importo inferiore a € 2.582,28 possono essere proposte direttamente dalle parti, ai sensi dell’art.12 comma 5 del D.L.vo 31 dicembre 1992, n.546 e modificazioni successive. Formula n. 65 PATROCINIO 315 PATROCINIO Formula n. 66

66 . PROCURA GENERALE ALLE LITI CONFERITA PER ATTO PUBBLICO 66

Repubblica Italiana. L’anno . . . il giorno . . . in . . . via . . ., nel mio studio, avanti a me . . . notaio iscritto al collegio notarile di . . ., alla presenza del signor . . . , nato a . . . il . . . e residente a . . ., e signor . . . nato a . . . il . . . e residente a . . ., testimoni aventi i requisiti di legge; È personalmente comparso il signor . . . nato a . . . il . . . residente a . . . di professione . . ., il quale costituisce e nomina suo procuratore generale alle liti l’avv. . . . nato a . . . il . . ., con studio in . . . via . . ., autorizzandolo espressamente a difendere e patrocinare lui medesimo nella qualità di mandante in tutte le cause attive e passive, iniziate o da iniziare, avanti i Giudici di pace, i Tribunali e le Corti di Appello della Repubblica, i Tribunali regionali amministrativi. La presente procura vale per tutti i gradi del processo ivi compresa la fase esecutiva, ove previsto per legge. Il mandante conferisce tutti i poteri di cui all’art. 84 del c.p.c. ivi compresa la facoltà di transigere. Con promessa di conferma e ratifica di quanto sarà compiuto dal procuratore in rappresentanza del mandante. Io notaio richiesto ho ricevuto il presente atto, da me redatto e scritto da persona di mia fiducia e su . . . pagine, e lo ho quindi letto, in presenza dei testimoni, al comparente che lo ha approvato e con me sottoscritto. Lì, . . .

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Il mandante . . . I testimoni . . . Il notaio . . . 316 PATROCINIO Formula n. 66 9. RICORSI AMMINISTRATIVI IL COMMENTO 9. RICORSI AMMINISTRATIVI SOMMARIO: 1. Il ricorso gerarchico, il ricorso in opposizione, il ricorso improprio. − 2. Il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica. − 2.1. La direttiva 27 luglio 1993 del Presidente del Consiglio dei Ministri. − 2.2. La richiesta di sospensiva. − 3. Requisiti sostanziali dei ricorsi amministrativi. − 4. Requisiti processuali dei ricorsi amministrativi. − 5. La tutela nella fase preparatoria. Il diritto all’accesso. − 6. La sospensiva. − 7. La tutela sul provvedimento. − 7.1. I vizi di legittimità. − 7.2. L’incompetenza. − 7.3. La violazione di legge. − 7.4. L’eccesso di potere. − 8. I vizi di merito. − 9. Decisioni sul ricorso. − 10. Il silenzio. − 11. La tutela giurisdizionale sul ricorso gerarchico. − 11.1. La tutela giurisdizionale sul ricorso straordinario al Presidente della Repubblica. − 11.2. Il ricorso per revocazione. 1. Il ricorso gerarchico, il ricorso in opposizione, il ricorso improprio. È possibile ricorrere all’autorità amministrativa contro gli atti non definitivi, ossia quegli atti avverso i quali sono previsti rimedi amministrativi, salva la potestà di richiedere all’amministrazione di esercitare il suo potere di autotutela. Vedi voce Accesso al procedimento amministrativo, par. 7.7. Dai ricorsi amministrativi, che presuppongono un interesse legittimo alla decisione, si distinguono le mere denunce, tese a sollecitare un riesame della decisione medesima. Ad esempio la denuncia presentata al comitato di controllo contro l’adozione di uno statuto comunale sortisce l’effetto della possibilità di una più accurata analisi della legittimità dell’atto, ma non dà qualificazione giuridica alla mera aspettativa del denunciante di una corretta azione amministrativa. Il ricorso amministrativo può essere presentato esclusivamente avverso un atto non definitivo ossia attraverso un atto per il quale l’ordinamento ammette l’esperimento dei ricorsi amministrativi. Fino alla scadenza del termine di presentazione l’atto di norma non ha efficacia, successivamente l’amministrazione può pronunciarsi sulla sospensiva. I ricorsi amministrativi si distinguono in ricorsi gerarchici, che si presentano all’autorità gerarchicamente superiore e ricorsi in opposizione, che si presentano alla stessa autorità che ha emanato l’atto. Ad esempio contro il provvedimento disciplinare della censura è ammesso ricorso contro il capo ufficio che l’ha emanato. Vi è poi il ricorso gerarchico improprio là dove non esiste un vero e proprio rapporto di gerarchia fra l’autorità che ha emanato l’atto e quella preposta alla decisione del ricorso. 2. Il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica. Il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica è il ricorso amministrativo avverso atti amministrativi definitivi, ovvero che abbiano già esperito gli ordinari ricorsi amministra- 11 tivi nell’ambito dell’amministrazione di appartenenza, ai sensi del D.P.R. n. 1199/1971, art. 8. Questo ricorso è rimedio concorrente, ma alternativo ai ricorsi giurisdizionali, salva la possibilità dei controinteressati di richiedere che il ricorso venga trasferito in sede giurisdizionale, con le relative incombenze obbligatorie del ricorrente, che deve costituirsi nel giudizio amministrativo in termini perentori, ai sensi del D.P.R. n. 1199/1971, art. 10. Il ricorrente ha l’obbligo di costituirsi in giudizio presso il T.A.R. competente e di darne comunicazione all’amministrazione ed al controinteressato entro sessanta giorni dalla notifica dell’opposizione. Il successivo ricorso tardivo, sia come autonomo ricorso giurisdizionale sia come atto di trasposizione in sede giurisdizionale dell’impugnazione già proposta come ricorso straordinario, è irricevibile. Cons. Stato, sez. V, 31 gennaio 1991, n. 95, in Foro amm. 1991, 68. Il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica è rimedio amministrativo abbastanza normale ed utilizzato, specie in materia di pubblico impiego, poiché consente di impugnare

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atti amministrativi, senza l’ausilio del difensore, direttamente al ricorrente. Per contro, l’istituto non presenta la necessaria caratteristica della celerità e difficilmente viene concessa la sospensiva del provvedimento impugnato. Trascorsi i centoventi giorni per la trasmissione del ricorso debitamente istruito dal Ministero competente, salvo l’autodeposito del ricorrente medesimo, si può ottenere il prescritto parere dal Consiglio di Stato nei successivi sei mesi, con conseguente possibilità di adottare entro l’anno la decisione con decreto del Presidente della Repubblica, ai sensi del D.P.R. n. 1199/1971, art. 11. In tal modo il ricorso straordinario diventerebbe un sistema estremamente efficace di tutela amministrativa. Col sistema dei ricorsi amministrativi è la stessa pubblica amministrazione che giudica sui suoi atti, mentre con i ricorsi giurisdizionali da presentare alla giustizia amministrativa (T.A.R. in primo grado e Consiglio di Stato in secondo grado), la decisione sugli atti dell’amministrazione è affidata ad organi esterni alla stessa P.A. che presuppongono una maggiore imparzialità. 2.1. La direttiva 27 luglio 1993 del Presidente del Consiglio dei Ministri. Il termine fissato dall’art. 11 del D.P.R. n. 1199/1971, che fissa 120 giorni per la chiusura della fase istruttoria e la trasmissione degli atti al Consiglio di Stato, è considerato meramente ordinatorio e difficilmente viene rispettato. Con l’entrata in vigore dell’art. 2 della L. n. 241/1990, che ribadisce il principio dell’obbligo della conclusione del procedimento amministrativo entro i termini preventivamente fissati, la situazione è destinata a mutare radicalmente. Come era conseguentemente deducibile la giurisprudenza ha affermato che l’obbligo alla conclusione del procedimento è da riferirsi anche alla fase endoprocedimentale, anche se condizionata dall’emanazione dei regolamenti da approvarsi dalle singole amministrazioni nei termini previsti dalla legge. La tutela amministrativa è rafforzata da quella penale per omissioni sancita dalla L. n. 86/1990. Cons. Stato, sez. VI, 9 settembre 1992, n. 630, in Foro amm. 1992, 1973. 322 RICORSI AMMINISTRATIVI L’obbligo al rispetto dei termini, come se non bastasse, è stato ribadito dalla direttiva 27 luglio 1993 del Presidente del Consiglio dei Ministri, in G.U. 29 luglio 1993, n. 176. Questa prevede che, in caso di deposito del ricorso ad opera del ricorrente presso il Consiglio di Stato, per l’inottemperanza del ministero, esso deve provvedere alla richiesta istruttoria del Consiglio entro trenta giorni. Esiste, a dire il vero, a temperare facili ottimismi, il problema che il Consiglio di Stato provveda tempestivamente alla richiesta istruttoria. La direttiva sancisce l’obbligo per i ministeri competenti di dare comunicazione ai ricorrenti della ricevuta della presentazione del ricorso, del nominativo del responsabile del procedimento, e del termine entro cui l’istruzione sarà presumibilmente completata, ai sensi del D.P.R. n. 395/1992, con il suggerimento di procedere a sanzioni disciplinari nei confronti dei funzionari inadempienti. 2.2. La richiesta di sospensiva. Nell’ambito del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica può essere concessa al ricorrente, ove siano documentati danni gravi ed irreparabili, la sospensione dell’atto impugnato, ex art. 2, comma 4, L. 205/2000. La sospensiva è disposta con atto motivato del Ministero competente, ai sensi dell’art. 8, D.P.R. 1199/1971, su conforme parere del Consiglio di Stato. L’intervento legislativo segue la prassi già esistente, ma sostanzialmente non elimina i dubbi che la mancanza di contraddittorio fa sorgere sulla possibilità di un’immediata percezione da parte dell’organo amministrativo adito dei reali interessi delle parti in causa; esse devono, infatti, affidarsi a memorie scritte che non possono essere illustrate oralmente. Non sono previste le misure cautelari che lo stesso articolo prevede, invece, per il processo amministrativo. 3. Requisiti sostanziali dei ricorsi amministrativi. Il ricorso amministrativo è atto di parte inteso a sollecitare un procedimento amministrativo destinato ad annullare o modificare un precedente provvedimento dell’amministrazione. R. GALLI, Corso di diritto amministrativo 1996, 879. Il ricorso deve contenere i requisiti sostanziali per poter produrre i suoi effetti ossia per

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poter imporre all’amministrazione di rivedere i suoi atti. La dottrina, A.M. SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo 1984, 1163, distingue fra presupposti di ammissibilità e presupposti processuali di procedibilità o irricevibilità. I requisiti sostanziali sono i seguenti. Indicazione dell’autorità adita. Il ricorrente ha l’onere di indicare l’autorità cui compete pronunciarsi sul ricorso, il che a volte presenta problemi considerevoli. L’errata indicazione non pregiudica il rigetto per incompetenza, poiché in relazione al carattere non rigidamente formale del ricorso è ammessa la possibilità di rinvio da parte dell’amministrazione che lo ha ricevuto a quella istituzionalmente competente. Generalità del ricorrente. COMMENTO 323 È sufficiente la sottoscrizione del ricorrente; non occorre, ai fini di notifica della decisione, né l’indicazione del domicilio, né la domiciliazione presso un avvocato, il cui patrocinio non è obbligatorio. Il ricorrente può notiziarsi delle decisioni dell’amministrazione adita presso la sua segreteria. Evidentemente con grave pregiudizio della possibilità di impugnare nei termini la decisione negativa. L’interesse al ricorso. La legge prevede che il ricorso può essere proposto solo da parte di chi ne abbia interesse ai sensi dell’art. 1, L. n. 1199/1971. È necessario che l’atto impugnato provochi materialmente un pregiudizio al ricorrente che sia in relazione al suo interesse alla decisione. Ad esempio, una promozione di un dipendente appartenente ad una qualifica meno elevata può ledere un interesse semplice, e come tale non tutelabile amministrativamente, alla organizzazione migliore della amministrazione, ma dall’annullamento dell’atto non deriva alcun interesse diretto al ricorrente che non ha partecipato al relativo concorso. L’interesse al ricorso si determina in relazione ad alcuni requisiti quali l’attualità, la personalità. Vi dev’essere un rapporto di immediatezza fra il ricorso ed il provvedimento impugnato, ad esempio chi non ha prodotto domanda per un bando di assegnazione di alloggi economici popolari non ha interesse ad impugnare la relativa graduatoria. Questo principio comporta la inammissibilità dell’impugnazione di un atto preparatorio, ad esempio un parere obbligatorio, che non esplica effetti sul destinatario fino a che non sia emanato il relativo atto amministrativo. L’interesse dev’essere personale, ossia strettamente legato alla persona del ricorrente. La legge ammette in casi particolari, come la legge elettorale ovvero la legge urbanistica, il ricorso popolare attribuendo a chiunque la possibilità di ricorrere data la rilevanza degli interessi. In questi casi prevale l’urgenza della verifica dell’azione amministrativa rispetto al principio di conservazione degli atti amministrativi. Il provvedimento impugnato. Questo deve essere esistente, ossia emanato da una autorità amministrativa, ed avere i requisiti minimi per potere essere considerato un provvedimento amministrativo; esso deve essere chiaramente individuato nel ricorso. Deve avere esaurito la fase procedimentale compresa quella integrativa della sua efficacia, ad esempio deve avere ottenuto i relativi controlli da parte della commissione regionale se atto comunale. Motivi del ricorso. Il ricorso deve obbligatoriamente contenere i vizi di illegittimità o di merito su cui si fonda. La carenza delle espresse censure non pone l’amministrazione in grado di svolgere la funzione di rivedere l’atto contro cui si ricorre poiché essa, rebus sic stantibus, non potrebbe che riconfermare l’atto impugnato, per cui il ricorso avrebbe solo degli effetti interruttivi che sono contro il principio della esecutorietà degli atti amministrativi. La presentazione del ricorso non esplica necessariamente effetti interruttivi: l’amministrazione può dichiarare il provvedimento esecutivo, non concedendo la sospensiva, e dichiarare successivamente il ricorso inammissibile per mancanza dei requisiti. 324 RICORSI AMMINISTRATIVI I motivi possono essere dedotti eccezionalmente anche successivamente alla presentazione del ricorso qualora il ricorrente venga a conoscenza di altri documenti o circostanze attinenti l’atto impugnato.

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In tal caso deve dare la prova della conoscenza tardiva. La forma del ricorso dev’essere quella scritta; non sono richieste forme tassative. Di norma dev’essere redatto in carta da bollo ai sensi del D.P.R. n. 643/1972, T.A.R. art. 5; sono previste esenzioni per ricorsi in tema di pubblico impiego. Per il ricorso straordinario è previsto il pagamento di una tassa, L. n. 283/1957, con esenzione per il pubblico impiego, L. n. 319/1958, come sostituita dalla L. n. 533/1973. 4. Requisiti processuali dei ricorsi amministrativi. I requisiti processuali attengono alla rispondenza alle norme di procedura che fissano tassative modalità di presentazione del ricorso in carenza delle quali il ricorso stesso è dichiarato irricevibile per carenza formale dell’atto introduttivo ovvero improcedibile perché alla regolarità del ricorso non sono seguiti gli adempimenti formali richiesti. I requisiti fissati a pena di irricevibilità, vista la semplificazione formale dei ricorsi, sono pochissimi. Ad esempio, nel caso in cui non si siano rispettate le norme fiscali sull’imposta di bollo; poiché è ammessa la regolarizzazione anche successiva, l’irricevibilità può essere pronunciata solo nel caso di inottemperanza alla richiesta di regolarizzazione. I requisiti di improcedibilità riguardano: l’osservanza del termine di presentazione del ricorso, che deve essere presentato entro trenta giorni dalla data o dalla conoscenza del provvedimento. Nel ricorso straordinario è prevista la notifica ad almeno uno dei controinteressati, ossia a quei soggetti che hanno un interesse tutelabile in relazione al provvedimento che si impugna e pertanto non possono essere esclusi dal relativo ricorso amministrativo; nel ricorso ordinario l’integrazione del contradditorio è ammessa d’ufficio. Altro requisito di improcedibilità è il deposito dell’eseguita notificazione al controinteressato, che deve essere disposta secondo le regole processuali del c.c. Nel caso di ricorso straordinario il deposito va effettuato, con la prova dell’avvenuta notifica, entro 120 giorni dal provvedimento, presso il Ministero se questo è gerarchicamente superiore all’autorità che ha emanato l’atto, ovvero alla Presidenza del Consiglio dei Ministri ai sensi degli artt. 9 e 11 del D.P.R. n. 1199/1971. La preventiva presentazione del ricorso in sede giurisdizionale rende improcedibile la presentazione del ricorso gerarchico con la rimessione in termini di chi aveva già proposto tale ricorso, art. 20, L. n. 1034/1971. La presentazione di atto di opposizione al ricorso straordinario è motivo per dichiararne la improcedibilità per cui il ricorrente deve costituirsi in sede giurisdizionale data la alternatività dei due gravami; non costituisce più requisito processuale la presentazione del provvedimento impugnato, tale onere è imposto all’amministrazione dall’art. 21 della L. n. 1034 cit. Il ricorso amministrativo è soggetto alla tassa sul bollo che attualmente è di lire 20.000 art. 17, L. 29 dicembre 1990, n. 405 e modif. COMMENTO 325 Sono esclusi dal bollo i ricorsi in materia di pubblico impiego D.P.R. n. 642/1972, art. 12, Tabella B. Il ricorso straordinario è inoltre soggetto al pagamento di una tassa fissa ex art. 7, L. n. 1018/1950 modif. art. 4, L. n. 283/1957 di lire 3.000, da cui sono esenti i ricorsi in materia di pubblico impiego L. n. 319/1958, come sostituita dalla L. n. 533/1973. 5. La tutela nella fase preparatoria. Il diritto all’accesso. La tipicità dell’azione amministrativa consente di ravvisare la presenza di una serie di operazioni e di atti nella procedura richiesta per l’emanazione dell’atto amministrativo che costituiscono lo schema base del cosiddetto procedimento amministrativo. Questo si articola in varie fasi che hanno rilevanza o compressione in relazione alla specifica disciplina legislativa. La fase preparatoria, parimenti alla fase istruttoria nel processo, serve a raccogliere tutta la documentazione necessaria per fornire all’amministrazione gli elementi indispensabili alla redazione dell’atto. Gli atti di norma possono provenire direttamente dall’amministrazione ed in questo caso essa si attiverà prendendo l’iniziativa. Si pensi, ad esempio, ad un piano urbanistico ove il procedimento inizia con l’incarico

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dell’amministrazione ai progettisti abilitati a redigerlo. Se l’atto è rilasciato su richiesta degli interessati, si pensi alla concessione edilizia, sarà il privato a fornire la documentazione necessaria per consentire l’emanazione dell’atto e la pubblica amministrazione si limiterà a verificare la rispondenza di quanto richiesto alle norme vigenti. Talora nel procedimento si innestano vari subprocedimenti che danno vita ad atti autonomi, e come tali impugnabili direttamente, che costituiscono presupposti necessari al procedimento principale. Ad esempio il verbale di consistenza nell’espropriazione. In altri casi il subprocedimento produce atti che hanno una rilevanza interna, per cui si esclude la loro autonoma impugnazione. Essi acquistano rilevanza giuridica nell’atto amministrativo di cui costituiscono il supporto. Ad esempio il parere della sovrintendenza nelle concessioni edilizie. In questa fase si può inserire la presenza dei destinatari dell’atto che partecipano a vario titolo. Possono verificarsi ipotesi in cui il contraddittorio è requisito sostanziale, comportando la sua mancanza un vizio dell’intero procedimento, ad esempio nel verbale di consistenza, oppure il privato è invitato a presentare semplici apporti di mera collaborazione, ad esempio nella redazione di piani urbanistici, ovvero la partecipazione dei destinatari è requisito stesso per l’esistenza dell’atto amministrativo, come nei concorsi pubblici. Per la tutela giurisdizionale vedi voce Giurisdizione amministrativa, n. 6. 6. La sospensiva. La presentazione del ricorso amministrativo non ha alcun effetto sull’azione amministrativa che prosegue il suo corso fino alla decisione definitiva. 326 RICORSI AMMINISTRATIVI Il ricorrente può presentare nel ricorso o con atto separato una istanza di sospensiva ai sensi D.P.R. n. 1199/1971 proprio per evitare che gli effetti dannosi del provvedimento possano prodursi. Requisiti dell’istanza sono quindi il danno grave del ricorrente e il fumus boni iuris. Difformemente dai ricorsi giurisdizionali nei ricorsi amministrativi non vi è una norma che preveda i tempi tecnici entro i quali la sospensiva venga decisa per cui il rimedio ha scarse possibilità di ottenere i suoi effetti, proprio perché non sono fissati i tempi tecnici entro cui la tutela cautelare deve esplicarsi. 7. La tutela sul provvedimento. 7.1. I vizi di legittimità. Si suole distinguere fra vizi di legittimità e vizi di merito. I vizi di legittimità si riscontrano allorquando l’atto amministrativo è contrario alle norme che regolano l’azione amministrativa. S. CASSESE (a cura di), Diritto amministrativo generale, 2000, II, 865. Tradizionalmente si distinguono in vizi di incompetenza, di violazione di legge e di eccesso di potere ai sensi della L. n. 1034/1971, artt. 3-7. 7.2. L’incompetenza. L’incompetenza si ha allorquando l’atto è emanato da un organo a cui non è data la autorità di emanarlo. S. CASSESE (a cura di), Diritto amministrativo generale, 2000, II, 885. Ad esempio, quando la legge prevede che l’organo competente è il consiglio comunale e l’atto è emanato dal sindaco. Pur essendo competente l’organo comunale vi è una incompetenza cosiddetta relativa che vizia l’atto. Se l’organo che emana l’atto appartiene ad una altra autorità si è nel campo dell’incompetenza assoluta e l’atto si classifica come inesistente. Il pubblico ufficiale che lo dovesse eseguire potrebbe rifiutarsi legittimamente a farlo. 7.3. La violazione di legge. La violazione di legge si ha allorquando non sono rispettate le norme procedimentali che regolano tipicamente l’emanazione dell’atto. Secondo lo schema procedimentale classico, il vizio può riscontrarsi nel soggetto, nel contenuto dell’atto, nella forma ovvero nel non rispetto della ritualità del procedimento. S. CASSESE (a cura di), Diritto amministrativo generale, 2000, II, 888. Il soggetto che emana l’atto (nel caso di organi collegiali) deve essere ritualmente convocato,

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deve avere la composizione prevista per potere deliberare, nel senso che devono essere rispettate le maggioranze previste per l’oggetto che si discute, nessuno dei componenti deve avere interessi particolari nell’oggetto dell’atto. Qualora ne abbia deve obbligatoriamente astenersi. COMMENTO 327 Il contenuto dell’atto deve essere possibile, determinato e lecito. Ad esempio un decreto di esproprio che non identifichi esattamente il bene da espropriare è viziato nel contenuto. La forma dell’atto deve rispettare, ove sia richiesta ad substantiam, quella prevista dalla legge; ad esempio le concessioni in diritto di superficie delle aree di edilizia residenziale pubblica devono essere rogate per atto pubblico. Qualora siano richiesti dei pareri obbligatori essi devono essere menzionati nell’atto. Il procedimento amministrativo deve essere rituale, ossia deve rispettare procedimentalmente le fasi previste dal legislatore. Ad esempio, la mancanza dell’instaurazione del contraddittorio nel soggetto sottoposto ai procedimenti ablatori vizia l’atto di esproprio. 7.4. L’eccesso di potere. L’eccesso di potere configura un vizio residuale che si manifesta nella essenziale contradditorietà fra l’azione della pubblica amministrazione ed il fine da raggiungere. S. CASSESE (a cura di), Diritto amministrativo generale, 2000, II, 872. Si tratta di una violazione della causa stessa dell’atto da non confondere con i vizi relativi al cattivo uso della discrezionalità amministrativa (vizi di merito). La giurisprudenza amministrativa ha evidenziato e classificato le varie fattispecie nelle quali questo vizio si manifesta. Lo sviamento di potere che si ha allorquando la potestà amministrativa è esercitata al di fuori degli ambiti suoi propri non attribuiti dall’ordinamento. Ad esempio l’esercizio del potere ablatorio al di fuori dei casi tassativamente previsti, come se, ad esempio, per realizzare attività alberghiere si effettuassero espropri con le modalità previste per l’attuazione di un piano di zona. La contradditorietà fra i contenuti della fase preliminare del procedimento e quella costitutiva. Ad esempio, nel caso di un parere obbligatorio positivo ed una decisione negativa non motivata, ovvero fra più atti della stessa pubblica amministrazione. La illogicità dell’atto rispetto ai risultati che si dovrebbero conseguire che contrasta sostanzialmente con l’obbligo di buona amministrazione. Ad esempio un sovradimensionamento di un piano di zona rispetto al fabbisogno documentato di alloggi. Il travisamento di fatti che costituiscono la premessa ed il presupposto dell’atto. Ad esempio l’accettazione di dimissioni che in realtà non sono state presentate. La disparità di trattamento che si ha allorquando, in violazione del principio dell’imparzialità dell’azione amministrativa, in situazioni analoghe si adottano provvedimenti diversi. Ad esempio nel caso di lievi infrazioni commesse da uno o più impiegati, l’amministrazione adotta delle censure solo per uno od alcuni di essi. 8. I vizi di merito. Il vizio di merito inerisce alla stessa discrezionalità amministrativa che consente all’organo di scegliere il comportamento ritenuto più consono per il raggiungimento dei fini pubblici. S. CASSESE (a cura di), Diritto amministrativo generale, 2000, II, 866. 328 RICORSI AMMINISTRATIVI Il merito è sempre censurabile nei ricorsi amministrativi, poiché è la stessa amministrazione o l’organo gerarchicamente superiore a sindacare l’atto. È censurabile solo ove espressamente previsto per legge nei ricorsi giurisdizionali. Ad esempio in sede di approvazione di un piano regolatore si possono censurare anche nel merito le scelte fatte dal consiglio comunale nella fase di adozione del piano, presentando osservazioni od opposizioni su cui decide lo stesso consiglio; non si possono censurare le scelte urbanistiche nel merito dopo la definitiva approvazione davanti al giudice amministrativo. 9. Decisioni sul ricorso. La presentazione del ricorso amministrativo comporta la possibilità delle seguenti decisioni da parte dell’autorità amministrativa, ai sensi dell’art. 5 del D.P.R. n. 1199/1971. Si ha decisione di improcedibilità per carenza dei requisiti processuali se il ricorso è irregolare

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e non viene regolarizzato. Si ha decisione di inammissibilità quando il ricorso è carente dei requisiti sostanziali, ad esempio qualora il provvedimento non sia impugnabile in via amministrativa come quando l’atto sia già definitivo e quindi soggetto ai gravami giurisdizionali ovvero per carenza di interesse del ricorrente. Nel caso in cui il ricorso sia procedibile ed ammissibile si avrà la decisione sul merito del ricorso che può essere di rigetto, di annullamento o di riforma. La decisione di rigetto ha l’effetto di confermare l’atto impugnato con possibilità di proseguire negli altri gravami amministrativi, qualora il provvedimento sia ancora non definitivo, ovvero con i gravami giurisdizionali successivamente alla definitività del provvedimento. La decisione di accoglimento può essere per motivi di incompetenza dell’autorità emanante ed in tal caso l’atto viene annullato e l’affare viene rimesso all’organo competente; se l’accoglimento è per motivi di legittimità si procede ad annullare l’atto impugnato; se l’accoglimento è per motivi di merito l’atto può essere annullato e riformato. Nelle decisioni di accoglimento del ricorso può essere disposto il rinvio all’autorità che lo ha emanato per i relativi adempimenti. La decisione ha natura di provvedimento amministrativo e come tale deve possederne i requisiti inoltre è atto recettizio e come tale deve, per poter produrre gli effetti suoi propri, essere notificata all’organo che ha emanato l’atto, al ricorrente e agli altri interessati da chi ne ha interesse. 10. Il silenzio. L’amministrazione decidente ha novanta giorni di tempo dalla data di presentazione del ricorso per comunicare la propria decisione. Il silenzio equivale ad una decisione negativa. N. CENTOFANTI, Il silenzio della pubblica amministrazione e i procedimenti sostitutivi 1999, 72. Il ricorso si intende respinto a tutti gli effetti, ai sensi dell’art. 6 D.P.R. n. 1199/1971. COMMENTO 329 Il silenzio parificato a decisione negativa consente di passare alla fase successiva del gravame che consiste o nel ricorso all’autorità giurisdizionale competente o nel ricorso straordinario al Presidente della Repubblica. È quindi necessario attivarsi tempestivamente in occasione della scadenza dei termini per non lasciare che il silenzio sul ricorso renda non più impugnabile il provvedimento amministrativo, che in ogni caso è immediatamente eseguibile salvo sospensiva (diversamente dalle ipotesi del silenzio rigetto e del silenzio rifiuto). La giurisprudenza amministrativa ha attribuito alla inerzia in materia di silenzio serbato dalla pubblica amministrazione su ricorso gerarchico, ai sensi dell’art. 6, D.P.R. n. 1199/1971, un contenuto meramente processuale. Al silenzio non corrisponde alcun procedimento decisorio, avendo il silenzio il ruolo di abilitare l’interessato ricorrente in via gerarchica alla immediata proposizione del ricorso nella sede giurisdizionale. La volontà di assicurare la più ampia tutela al privato nei confronti della inerzia della pubblica amministrazione ha imposto il superamento del precedente sistema di impugnazione del silenzio che ha determinato un incremento degli oneri anche formali posti a carico del cittadino che intendeva tutelarsi anche giudiziariamente nei confronti dell’amministrazione. Ne consegue che formatosi il silenzio l’autorità investita dell’istanza non perde la potestà di decidere, salve le responsabilità per il ritardo. Il privato ha la possibilità di ricorrere nei termini di decadenza contro il silenzio o successivamente contro l’eventuale decisione. Qualora abbia lasciato decorrere i termini di impugnazione non sarà esposto al rischio della perdurante inerzia dell’autorità decidente ,ma potrà ricorrere con i rimedi normali del silenzio rifiuto diffidando preventivamente l’amministrazione a provvedere ai sensi dell’art. 25, D.P.R. n. 3/1957. Cons. Stato, Ad. Pl., 27 novembre 1989, n. 16 in Foro amm. 1989, 2996, che cambia il precedente orientamento che attribuiva al silenzio effetti costitutivi del diniego. Il silenzio concretizza un mero atto di inadempimento cui è correlato l’obbligo per l’amministrazione di pronunciarsi. L’effetto precipuo di tale impostazione è che l’obbligo di provvedere non può farsi valere solo nel breve arco decadenziale dei sessanta giorni, ma finché dura per il privato l’interesse

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alla decisione. 11. La tutela giurisdizionale sul ricorso gerarchico. La proposizione del ricorso gerarchico non ha alcun effetto alternativo al rimedio giurisdizionale. Il ricorrente non ha il vincolo di attendere la decisione sull’originaria impugnativa; può, infatti, l’interessato rinunciando in tal modo al ricorso, impugnare il medesimo atto in sede giurisdizionale anche quando dal ricorso amministrativo non sia decorso il termine di 90 giorni per pronunciarsi e sempre che il ricorrente non abbia avuto notizia dell’intervenuta decisione. È solo necessario che il ricorso giurisdizionale sia fatto nei termini prescritti. Più complesso è il rapporto fra la decisione tardiva sul ricorso amministrativo ed il ricorso giurisdizionale eventualmente proposto. 330 RICORSI AMMINISTRATIVI Essa, se è favorevole al ricorrente, fa cessare la materia del contendere purché i controinteressati o l’amministrazione non abbiano impugnato la decisione stessa presso il giudice amministrativo. I due ricorsi, evidentemente connessi, vanno riuniti. Se la decisione non è favorevole i suoi effetti restano assorbiti del successivo ricorso giurisdizionale. Cons. Stato, Ad. Pl., 27 gennaio 1978, n. 2; T.A.R. Marche, 22 marzo 1989, n. 54, in Foro amm. 1989, 2821. La regola secondo cui l’esaurimento dei ricorsi amministrativi ordinari costituiva il presupposto per adire gli organi giurisdizionali ordinari della giustizia amministrativa è stata superata dall’art. 20, L. 6 dicembre 1971, n. 1034. Esso dispone che, nei confronti di atti o provvedimenti emessi da organi periferici dello Stato o da enti pubblici a carattere ultraregionale, è possibile l’impugnativa in sede giurisdizionale, in alternativa con quella amministrativa, anche quando sia ammesso nei loro confronti un ricorso gerarchico. La norma rimette all’interessato la scelta se percorrere o meno la via gerarchica prima di quella giurisdizionale e consente − in base alla regola della prevalenza del ricorso giurisdizionale − a chi abbia presentato un ricorso amministrativo di proporre successivamente, in via immediata, un’impugnativa giurisdizionale. La giurisprudenza ha evidenziato che in tal caso il primo ricorso diviene improcedibile. Si deve ravvisare, infatti, in detto comportamento una rinuncia implicita al ricorso amministrativo precedentemente proposto. (Cons. Stato, sez. II, 12 febbraio 1996, n. 88, in Cons. Stato 1998, I, 141). Nel ricorso giurisdizionale non possono essere proposti motivi non dedotti nel precedente ricorso amministrativo; esso deve ritenersi tuttora operante, anche in relazione alla disciplina contenuta nel D.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199 e nell’art. 20, L. 6 dicembre 1971, n. 1034, che comportano l’identità di contenuto ed il divieto di ampliare il thema decidendum. Cons. Stato, sez. IV, 14 luglio 1997, n. 711, in Cons. Stato 1997, I, 1001. 11.1. La tutela giurisdizionale sul ricorso straordinario al Presidente della Repubblica. La dottrina ritiene che il ricorso giurisdizionale contro il decreto del Presidente della Repubblica − che definisce il ricorso straordinario − non sia ammissibile in quanto quest’ultimo si è già pronunciato in sede di parere di legittimità dell’atto, talvolta addirittura in sede di adunanza generale. R. GALLI, Corso di diritto amministrativo 1996, 913. La Corte costituzionale ha respinto l’eccezione di incostituzionalità affermando che è manifestamente inammissibile, per difetto di rilevanza, la questione di legittimità costituzionale − sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 113 Cost., dal T.A.R. per l’Emilia Romagna, sez. Parma, con l’ordinanza emessa il 27 ottobre 1986, − dell’art. 10, comma 3, D.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199, nella parte in cui, in caso di ricorso straordinario al Presidente della Repubblica avverso un atto amministrativo definitivo, preclude ai controinteressati che non abbiano chiesto, nelle forme di cui al comma 1 dello stesso articolo, che il ricorso sia deciso in sede giurisdizionale, l’impugnazione dinanzi al Consiglio di Stato della decisione di accoglimento, salvo che per i vizi di forma o di procedimento. COMMENTO 331 Nella specie il ricorso straordinario è stato proposto dai controinteressati, che sono stati tutti presenti nel giudizio; pertanto, essi hanno effettuato in concreto l’opzione della quale lamentano la mancanza. Coste cost., 21 luglio 1988, n. 856, in Giur. cost. 1988, I, 4064.

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La giurisprudenza condivide le tesi dottrinali affermando che, in sede di impugnazione del decreto con il quale il Presidente della Repubblica decide sul ricorso straordinario, non possono essere dedotte censure che investano il parere emesso dal Consiglio di Stato, ai sensi dell’art. 11, D.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199, ma solo vizi di procedura relativi alla decisione, oltre al ricorso per revocazione previsto dal successivo art. 15, D.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199. Cons. Stato, sez. IV, 10 dicembre 1986, n. 836, in Cons. Stato 1986, I, 1872. 11.2. Il ricorso per revocazione. Contro la decisione sul ricorso straordinario può proporsi il ricorso per revocazione allo stesso Presidente della Repubblica, ex art. 15, D.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199. I casi di revocazione per i quali può attivarsi il ricorso sono quelli previsti dall’art. 395 c.p.c. 332 RICORSI AMMINISTRATIVI

LE FORMULE RICORSI AMMINISTRATIVI Formula n. 67

67 . RICORSO GERARCHICO AVVERSO PROVVEDIMENTO DISCIPLINARE 67

AL PRESIDE DELLA SCUOLA MEDIA DI . . . Il sottoscritto . . . prof. della Scuola Media . . . docente di ruolo . . . ricorre avverso il decreto n. . . . del Preside della Scuola Media Statale . . . con il quale è stata disposta la trattenuta di euro . . . per n. . . . ore di servizio non prestato. Premesso che si contesta la legittimità del provvedimento del Preside che disponeva la prestazione del servizio a decorrere dal . . . per un totale di . . . ore per attività non d’insegnamento, dopo che l’attività didattica nell’ambito dei corsi di cui il sottoscritto era incaricato, si era conclusa col termine delle lezioni (come prescritto dalla legge) e degli esami. Né peraltro questa attività è stata programmata ai sensi dell’art. 14, quinto comma, del D.P.R. n. 399/1988, sentito il Collegio dei docenti sulla scorta dei suoi indirizzi. L’ordine è peraltro illegittimo per carenza di potere. Il provvedimento sanzionatorio che ne deriva è conseguentemente illegittimo per lo stesso motivo. Risulta inoltre illegittimo per violazione di legge, poiché non esiste norma legittimante, e per falsità nei presupposti, poiché la nota del Provveditore agli Studi ivi citata è di tutt’altro tenore ed è relativa a diffida per censura, provvedimento non definitivo al quale sono state fornite idonee controdeduzioni. P.Q.M. si chiede il rigetto del decreto attraverso suo annullamento, la dichiarazione di illegittimità dell’ordine di servizio e conseguentemente il pagamento degli straordinari per le ore prestate pari a euro . . . oltre agli interessi legali e rivalutazione monetaria al . . . oltre le spese. Lì, . . . Il ricorrente . . . Formula n. 67 RICORSI AMMINISTRATIVI 335 RICORSI AMMINISTRATIVI Formula n. 68

68 . RICORSO GERARCHICO IMPROPRIO AVVERSO L’ASSEGNAZIONE DI INCARICO DI INSEGNAMENTO 68

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Ricorso gerarchico improprio alla Commissione ex art. 11 della L. n. 282/1969. Il sottoscritto . . . professore di Scuola media, residente a . . . inserito nella graduatoria definitiva per il conferimento di nuovi incarichi nelle scuole secondarie di cui alla L. n. 463/1978 ricorre avverso il provvedimento di incarico al prof. . . . ritenendolo illegittimo per il suo annullamento. Premesso infatti che il provvedimento assegna l’incarico al professore suddetto che appare collocato in graduatoria col punteggio di punti . . .; si fa presente che è stato attribuito un punteggio per avere compiuti due anni di servizio effettivo mentre consta che il servizio effettivo effettuato è di soli anni uno; che è stato attribuito un punteggio per avvicinamento al coniuge mentre risulta che il suddetto ha residenza presso altro Comune; che è stato attribuito un punteggio per figli a carico mentre il figlio è nato successivamente alla data di scadenza della presentazione della domanda P.Q.M. si chiede l’annullamento del provvedimento, con l’attribuzione dell’incarico al sottoscritto che segue in graduatoria. Lì, . . . Il ricorrente . . . 336 RICORSI AMMINISTRATIVI Formula n. 68 RICORSI AMMINISTRATIVI Formula n. 69

69 . RICORSO GERARCHICO IMPROPRIO AL PREFETTO CONTRO LA VARIAZIONE ANAGRAFICA DI UFFICIO 69

AL SIG. PREFETTO DI . . . Il signor . . . nato a . . . il . . ., residente a . . . in via . . . Premesso 1) che in data . . . il Comune di . . . rilasciava certificato notorio in cui veniva indicata quale residenza via . . ., con decorrenza . . ., anziché via . . ., dove il ricorrente ha la sua abitazione; 2) che in data . . . il Comune notificava atto di “adozione di provvedimenti d’ufficio a seguito di omessa dichiarazione” con cui ordinava il cambio di abitazione del ricorrente con decorrenza da via a via per trascorso biennio di permanenza presso la casa di riposo; Ciò premesso si propone ricorso avverso tale provvedimento per i seguenti motivi: l’ordinanza emessa dal Comune di . . . è illegittima in quanto non è stata rispettata la procedura prevista dal D.P.R. 30 maggio 1989, n. 223. Ai sensi dell’art. 10, della medesima legge, le mutazioni anagrafiche possono avvenire su istanza dell’interessato oppure d’ufficio, se non vengono dichiarate dalla persona, previo accertamento secondo quanto disposto dall’art. 15 (stessa legge) e dall’art. 4 della L. 24 dicembre 1954, n. 1228. L’art. 15, poi, dispone che, una volta eseguiti gli accertamenti, l’ufficiale dell’anagrafe debba invitare gli interessati a rendere le dichiarazioni prescritte dall’art. 13. Nel caso di mancata dichiarazione, l’ufficiale di anagrafe provvede ai conseguenti adempimenti e li notifica agli interessati entro 10 giorni. È evidente che tale procedura non è stata rispettata in quanto, anche ammesso e non concesso che la semplice certificazione di degenza rilasciata dalla Casa di Riposo possa integrare gli estremi di un accertamento effettuato ai sensi dell’art. 4 della L. 24 dicembre 1954, n. 1228 e dell’art. 15 del D.P.R. 30 maggio 1989, n. 223, sicuramente

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il ricorrente non è stato invitato a rendere la dichiarazione anagrafica né tantomeno può un provvedimento variare la residenza con effetto retroattivo. La residenza non può essere variata a discrezione dell’Ufficio, senza il rispetto della procedura prevista dalla legge, posta a garanzia dei diritti dei cittadini, ai quali possono derivare gravi pregiudizi dall’operato della pubblica amministrazione. Formula n. 69 RICORSI AMMINISTRATIVI 337 Anche la motivazione contenuta nel provvedimento notificato, per cui il trasferimento d’ufficio della residenza è stato effettuato “per trascorso biennio di permanenza presso la casa di riposo” appare in contrasto col disposto dell’art. 8, dove si legge che non può essere effettuata l’iscrizione anagrafica nel Comune, per trasferimento di residenza, nel caso di persone ricoverate in istituti di cura se non sono stati superati due anni di permanenza, ma non si legge che la residenza può essere variata d’ufficio automaticamente dopo il decorso di due anni. Il Comune non ha rispettato la procedura di cui agli artt. 10 e 15 perché, se avesse chiamato la ricorrente a rendere tale dichiarazione, sarebbe stato chiaro ed evidente che la dimora della ricorrente non era mutata. Vi è da precisare inoltre che l’art. 8 disciplina il caso di trasferimento da comune a comune e non nell’ambito dello stesso comune. Entrando nel merito della questione, non corrisponde al vero che il ricorrente non risieda abitualmente nella propria abitazione, in quanto vi trascorre ogni fine settimana e le festività in compagnia dei figli. Solo per alcuni giorni alla settimana, per motivi cautelativi e di prudenza, quando i figli sono assenti, essendo residenti altrove, viene ospitato presso la casa di riposo, per timore che possa accadere un infortunio, data la tarda età. Per i motivi sopra esposti il sottoscritto . . . chiede l’annullamento del provvedimento del Comune . . ., con ordine all’ufficiale dello stato civile di provvedere alla reintegra del signor . . . nella residenza . . ., con i provvedimenti conseguenti. Si allegano: − certificato storico anagrafico; − provvedimento comunale; − dichiarazione della Casa di Riposo. Lì, . . . Il ricorrente . . . 338 RICORSI AMMINISTRATIVI Formula n. 69 RICORSI AMMINISTRATIVI Formula n. 70

70 . RICORSO IN OPPOSIZIONE ALLA DELIBERA DI ADOZIONE DI PIANO DI ZONA 70

Ricorso in opposizione Il sottoscritto . . . residente a . . . proprietario di area ricadente nel piano di edilizia economica popolare adottato con delibera del Consiglio Comunale del . . . ricorre ai sensi dell’art. 6 della L. n. 167/1962 avverso detta delibera per il suo annullamento per i seguenti motivi. Premesso che il Comune è dotato di piano regolatore generale, che le aree destinate da detto piano ad interventi industriali sono state successivamente destinate ad edilizia residenziale pubblica; che peraltro le previsioni del piano di zona sono palesemente in contrasto con le

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proiezioni demografiche e con la richiesta documentata di alloggi popolari, la delibera di adozione del piano di zona appare illegittima per i seguenti motivi: a) violazione di legge in quanto l’art. 3 della L. n. 167/1962 prevede che il piano di zona non costituisca variante al piano regolatore solo ove le aree in esso localizzate insistano in zone di destinazione privata. Era quindi necessario deliberare precedentemente una variante al piano regolatore generale prima di poter adottare il piano di zona. b) Contraddittorietà ed illogicità manifesta. È pacifico che il piano di zona deve essere dimensionato in relazione al fabbisogno complessivo di edilizia abitativa nel decennio ai sensi dell’art. 2 della L. n. 10/1977. Il prevedibile fabbisogno deve essere computato calcolando il complesso di vani relativi alle abitazioni di lusso, e non di lusso che saranno costruite dai privati, il prevedibile incremento demografico e la eliminazione di case malsane oltre a determinare il numero delle persone che concorrono a determinare la domanda di nuovi alloggi, attraverso, ad esempio, i bandi di assegnazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica. Peraltro la relazione comunale fa riferimento al decremento demografico, non determina il numero della domanda di alloggi e in maniera contraddittoria fissa una notevole quota di alloggi da realizzare tramite il piano, il cui dimensionamento non risulta motivato, anzi sembra che non vi sia alcuna necessità di nuovi alloggi dato il decremento demografico come da dati ISTAT. Formula n. 70 RICORSI AMMINISTRATIVI 339 P.Q.M. si chiede l’annullamento del piano o in subordine il suo drastico ridimensionamento. Lì, . . . Il ricorrente . . . 340 RICORSI AMMINISTRATIVI Formula n. 70 RICORSI AMMINISTRATIVI Formula n. 71

71 . RICORSO IN OPPOSIZIONE AL PREFETTO AVVERSO FOGLIO DI VIA 71

ILL.MO SIG. PREFETTO Ricorso ex artt. 1 - 2 del D.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199 Il sottoscritto . . . nato a . . . il . . . ed ivi residente in . . . Premesso che in data . . . il Questore di . . . ordinava al ricorrente il rimpatrio a mezzo foglio di via obbligatorio e lo diffidava a non fare ritorno nel territorio del Comune di . . . per il periodo di anni tre. Che tale provvedimento era emanato poiché il Questore riteneva il sottoscritto persona pericolosa per la sicurezza pubblica essendo stato fermato in . . . in possesso di arnesi asseritamente atti allo scasso. Tale diffida è sicuramente illegittima e ingiustificata per i seguenti motivi: 1) il sottoscritto non rientra nella categoria di persone pericolose o abitualmente dedite alla delinquenza, né è mai stato condannato per altri delitti o contravvenzioni. A conferma di quanto sopra si rileva che in data . . . la stessa Procura della Repubblica presso il Tribunale di . . ., per i fatti in oggetto, non ha ritenuto ravvisarsi i reati di . . . di cui agli artt. 707 e 708 c.p. nei confronti del ricorrente in quanto incensurato (si allega copia provvedimento). 2) Gli arnesi trovati in possesso del ricorrente (trapano, guanti, coltello, torce) sono totalmente giustificabili poiché detenuti in relazione all’occupazione svolta dallo stesso; il sottoscritto è infatti impiegato presso il Settore educazione del Comune di . . .

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in qualità di istruttore di meccanica; tale occupazione è dimostrata dai documenti del Comune di . . . che si producono in copia. P.Q.M. Il sottoscritto . . . propone formale ricorso contro la diffida del Questore di . . . contestandone la legittimità e, nel merito, la fondatezza delle motivazioni addotte, chiedendo la revoca della diffida del Questore di . . . del . . . Lì, . . . Il ricorrente . . . Formula n. 71 RICORSI AMMINISTRATIVI 341 RICORSI AMMINISTRATIVI Formula n. 72

72 . RICORSO STRAORDINARIO AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA AVVERSO DELIBERA DI APPROVAZIONE DI PIANO PARTICOLAREGGIATO 72

Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica avverso piano particolareggiato Il signor . . . residente a . . . proprietario di area nel Comune di . . . ricompresa nel piano particolareggiato, approvato dall’amministrazione comunale con delibera . . . e notificato ricorre avverso la delibera di approvazione del piano chiedendo l’annullamento di detto piano. Premesso che il ricorrente è proprietario di un’area ricompresa nel piano particolareggiato contenente per la stessa un vincolo preordinato all’espropriazione per la realizzazione di servizi pubblici, si fa presente che, tra la data di approvazione del piano regolatore generale e la data di approvazione del piano particolareggiato, è trascorso più di un quinquennio e che pertanto il piano regolatore nella disposizione de qua risulta privo di effetti ai sensi dell’art. 2 della L. n. 1187/1968. Il mero decorrere del quinquennio fa decadere i vincoli di piano preordinato all’espropriazione se non interviene uno strumento esecutivo prima della scadenza. Se è ben vero che successivamente all’entrata in vigore della L. n. 47/1985, art. 24, che non assoggetta alla preventiva autorizzazione regionale le variazioni agli strumenti urbanistici, il piano particolareggiato, rispettando la procedura di variante, può imporre vincoli preordinati all’espropriazione, è certo che la relativa delibera doveva esplicitamente manifestare la volontà comunale di reiterare i vincoli di piano scaduti, adducendo la specifica motivazione della persistenza dell’interesse pubblico alla realizzazione dell’opera in quella stessa sede. Pertanto, la piena rispondenza del piano particolareggiato alla previsione di un vincolo di piano regolatore generale oramai scaduto non vale certo a convalidare il piano esecutivo fondato su una previsione programmatoria ormai inefficiente (Cons. Stato, sez. IV, 5 settembre 1990, n. 626, in Foro amm. 1990, 1994). P.Q.M. si chiede l’annullamento della impugnata delibera comunale. 342 RICORSI AMMINISTRATIVI Formula n. 72 Si produce: 1) delibera di approvazione del piano particolareggiato; 2) bollettino di versamento della tassa di ricorso. Lì, . . . Il ricorrente . . . RELAZIONE DI NOTIFICA Io sottoscritto ufficiale giudiziario addetto al Tribunale di . . . certifico di aver notificato il suesteso atto al sindaco del comune di . . .

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�Ÿ �Ÿ �Ÿ L’atto deve essere depositato presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, Roma, Palazzo Chigi, mediante raccomandata con ricevuta di ritorno. Formula n. 72 RICORSI AMMINISTRATIVI 343 RICORSI AMMINISTRATIVI Formula n. 73

73 . RICORSO STRAORDINARIO AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA AVVERSO DELIBERA DI AGGIUDICAZIONE DI GARA D’APPALTO 73

Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica avverso atto di aggiudicazione e con istanza sospensiva La ditta . . . residente . . . che ha partecipato alla licitazione privata in data . . . indetta dal Provveditorato Regionale ai Lavori Pubblici di . . . ricorre avverso il provvedimento di aggiudicazione chiedendone l’annullamento. Premesso che è stata indetta una licitazione privata dal Provveditorato Regionale ai lavori pubblici per la costruzione di . . . che alla gara hanno concorso oltre all’impresa ricorrente il raggruppamento di imprese . . . che è rimasto aggiudicatario; che la somma degli importi delle classifiche di pertinenza delle singole imprese raggruppate non raggiungeva l’importo dei lavori appaltati; che la qualificazione alla partecipazione al raggruppamento è stata riconosciuta applicando in suo favore l’art. 5 della L. n. 57/1962 (1) che istituiva l’albo nazionale degli appaltatori, che consente alle imprese di partecipare a gare di ammontare fino ad un quinto superiore all’importo corrispondente alla propria classifica di iscrizione all’albo. Il provvedimento di aggiudicazione appare illegittimo per violazione di legge e falsa applicazione dell’art. 5, L. n. 57/62 (1) in rapporto all’art. 21, L. n. 584/1977 assumendo che l’importo delle classifiche pertinenti alle imprese raggruppate possa intendersi aumentato ex lege di un quinto. L’assunto interpretativo risulta violare il dettato legislativo in quanto la L. n. 584/1977 che regola la riunione delle imprese ai fini della partecipazione alle gare di appalto non consente alcuna integrazione con la normativa alle singole imprese dato che la specialità dell’istituto della riunione comporta nei confronti delle imprese riunite una diversità di trattamento rispetto alle singole imprese. Le due norme regolano situazioni diverse. In particolare l’art. 21 della L. n. 584/1977 consente ad ogni impresa di partecipare al raggruppamento, solo purché possieda la classifica corrispondente ad un quinto dei lavori da appaltare. Appare illogico ammettere che il requisito della iscrizione nella classifica corrispondente ad un quinto dei lavori da appaltare possa considerarsi soddisfatto me- 344 RICORSI AMMINISTRATIVI Formula n. 73 diante la applicazione di un ulteriore coefficiente di aumento ex art. 5, L. n. 57/1962 (1), che si riferisce alla situazione di partecipazione di una singola impresa. Si vuole cumulare quindi due aspetti agevolativi della partecipazione ad una gara d’appalto che si riferiscono a situazioni differenti (Cons. Stato, Ad. PI. 27 novembre 1990, n. 10 in Foro amm. 1990, 2598). P.Q.M. si chiede l’annullamento della aggiudicazione. Lì, . . . Il ricorrente . . . �Ÿ �Ÿ �Ÿ (1) La L. n. 57/62 è stata abrogata dall’art. 8 della L. 11 febbraio 1994, n. 109, come modificata dall’art. 4 ter del D.L. 3 aprile 1995, n. 101, convertito nella L. 2 giugno

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1995, n. 216. Formula n. 73 RICORSI AMMINISTRATIVI 345 RICORSI AMMINISTRATIVI Formula n. 74

74 . ISTANZA DI SOSPENSIVA 74

Vista la situazione di grave danno per il ricorrente che l’aggiudicazione al raggruppamento comporta; visto che gli viene sottratta in presenza di una offerta, che si ritiene illegittima per i motivi specificati nel ricorso straordinario di cui sopra, la possibilità di aggiudicarsi l’appalto; vista la validità dei motivi addotti che interpretano la normativa secondo i dettati giurisprudenziali, si chiede ai sensi dell’art. 3, D.P.R. n. 1199/1971 la sospensiva del provvedimento impugnato. Lì, . . . Il ricorrente . . . Si allega: 1) verbale di aggiudicazione della gara; 2) tassa di ricorso art. 4, L. n. 283/57, € 1,55 Ufficio Registro Notifica. RELAZIONE DI NOTIFICA Io sottoscritto ufficiale giudiziario addetto presso l’ufficio notifiche del Tribunale di . . . a richiesta del signor . . . ho notificato il presente atto al legale rappresentante del raggruppamento di imprese (controinteressato); al provveditorato Regionale ai lavori pubblici (con la prova della notifica al controinteressato). �Ÿ �Ÿ �Ÿ L’atto deve essere depositato presso il Ministero dei lavori pubblici Porta Pia Roma (con la prova della notifica al controinteressato). 346 RICORSI AMMINISTRATIVI Formula n. 74 RICORSI AMMINISTRATIVI Formula n. 75

75 . ATTO DI OPPOSIZIONE A RICORSO STRAORDINARIO 75

Atto di opposizione a ricorso straordinario al Presidente della Repubblica Il sottoscritto . . . residente a . . . controinteressato nel ricorso straordinario al Presidente della Repubblica proposto dal signor . . . avverso il provvedimento del . . . dell’ente notificato il . . . chiede ai sensi dell’art. 10, D.P.R. n. 1199/1971 che il ricorso sia deciso in sede giurisdizionale invita il ricorrente a costituirsi in giudizio presso il competente Giudice amministrativo entro sessanta giorni dal ricevimento del presente atto con obbligo delle rituali notifiche. Lì, . . . Il controinteressato . . . RELAZIONE DI NOTIFICA Io sottoscritto ufficiale giudiziario addetto all’ufficio notifiche del Tribunale di . . . a richiesta del signor . . . ho notificato il presente atto al signor ricorrente . . . all’amministrazione (ovvero al controinteressato qualora l’opposizione sia presentata dall’amministrazione). �Ÿ �Ÿ �Ÿ Sono equiparati ai controinteressati le amministrazioni diverse dallo Stato (Corte cost., 29 luglio 1982, n. 148, in Giust.civ. 1982, II, 1287, L. MIGLIORINI, voce Ricorsi amministrativi, in Enc. Dir. 1989, 702).

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Formula n. 75 RICORSI AMMINISTRATIVI 347 RICORSI AMMINISTRATIVI Formula n. 76

76 . RICHIESTA DI TRASMISSIONE DI RICORSO STRAORDINARIO AL CONSIGLIO DI STATO 76

AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA Il sottoscritto . . . residente a . . . che ha presentato ricorso straordinario al Presidente della Repubblica avverso l’accordo di comparto relativo agli enti locali approvato con D.P.R. 17 settembre 1987, n. 494 notificato il . . . Visto che è scaduto il termine fissato per la presentazione di deduzioni da parte dei controinteressati ex art. 9, D.P.R. n. 1199/1971 chiede che ai sensi della L. n. 241/1990 sia indicato il nome del responsabile del procedimento; che il ricorso sia trasmesso al Consiglio di Stato per il parere; fa presente che nei successivi trenta giorni dalla notifica procederà al deposito del ricorso al Consiglio di Stato, salva ogni responsabilità per il responsabile del procedimento, ex art. 328 c.p. Lì, . . . Il ricorrente . . . RELAZIONE DI NOTIFICA Io sottoscritto ufficiale giudiziario addetto all’ufficio notifiche del Tribunale di . . . a richiesta del signor . . . ho notificato il presente atto al Presidente del Consiglio dei Ministri Palazzo Chigi, Roma. �Ÿ �Ÿ �Ÿ Esente da bollo e tasse ai sensi dell’art. 12 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 642, Tab. B e dell’art. 10 della L. n. 533/1973. 348 RICORSI AMMINISTRATIVI Formula n. 76 RICORSI AMMINISTRATIVI Formula n. 77

77 . DEPOSITO DI RICORSO STRAORDINARIO AL CONSIGLIO DI STATO 77

AL CONSIGLIO DI STATO . . . Il sottoscritto . . . residente a . . . che ha presentato ricorso straordinario al Presidente della Repubblica avverso il provvedimento . . . notificato il . . . visto che è scaduto il termine fissato per la presentazione di deduzioni da parte dei controinteressati di centoventi giorni ex art. 9, D.P.R. n. 1199/1971 ha richiesto, con atto notificato in data . . . che ai sensi della L. n. 241/1990 sia indicato il nome del responsabile del procedimento; che il ricorso sia trasmesso al Consiglio di Stato per il parere; essendo scaduti trenta giorni dalla ultima notifica senza alcuna comunicazione, deposita col presente atto copia del ricorso straordinario al Consiglio di Stato. Lì, . . . Il ricorrente . . . Formula n. 77 RICORSI AMMINISTRATIVI 349 PARTE SECONDA RICORSI AMMINISTRATIVI E GIURISDIZIONE PER MATERIA

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10. APPALTI PUBBLICI 12 IL COMMENTO 10. APPALTI PUBBLICI SOMMARIO: 1. La giurisdizione negli appalti pubblici. − 2. La legge quadro dei lavori pubblici. La programmazione dei lavori. − 2.1 − L’organo competente all’approvazione. − 2.2. I contenuti. Rapporti con la programmazione urbanistica. − 2.3. Il procedimento. − 3. Il responsabile del procedimento. − 3.1. Le responsabilità. − 4. L’attività di progettazione. − 5. Procedure di scelta del contraente. − 5.1. Il pubblico incanto. − 5.2. La licitazione privata. I requisiti. − 5.3. I criteri di aggiudicazione nel pubblico incanto e nella licitazione privata. − 5.4. L’appalto concorso. − 5.5. La trattativa privata. − 5.6. La concessione e la gestione di opere. − 6. L’esecuzione. − 6.1. La direzione lavori. Il collaudo. − 6.2. Le varianti in corso d’opera. Responsabilità del progettista. − 7. Il subappalto. − 8. Le controversie sul contratto di appalto. La giurisdizione ordinaria e arbitrale. − 8.1. Il mancato pagamento. − 8.2. La tutela sugli atti di gara. Il risarcimento del danno. − 8.3. Le controversie in tema di revisione prezzi. 1. La giurisdizione negli appalti pubblici. Al fine di determinare la giurisdizione negli appalti pubblici bisogna distinguere fra la fase amministrativa di scelta dell’aggiudicatario e quella più propriamente contrattuale privatistica che segue alla stipula del relativo contratto di appalto. Il giudice amministrativo è competente, ai sensi dell’art. 5, L. n. 1034/1971, nelle controversie relative ai provvedimenti di approvazione del bando di gara, di accettazione o esclusione delle offerte, di approvazione della aggiudicazione. Vedi la voce: Giurisdizione amministrativa, par. 7.3., per le modifiche introdotte ai termini processuali. N. CENTOFANTI, La patologia del contratto di appalto di opere pubbliche nella giurisprudenza 2000, 93. Le controversie che ineriscono al successivo rapporto contrattuale che si instaura fra amministrazione e aggiudicatario, esaurita la fase amministrativa, sono di competenza del giudice ordinario previsto dall’art. 34 del D.M. 145/2000 che approva il Capitolato Generale di appalto per le opere di competenza del Ministero dei lavori pubblici, salva la potestà della stazione appaltante e dell’appaltatore di escludere tale competenza a favore del Collegio arbitrale. L’art 32 della L. 216/1995 precisa che la definizione della controversia è affidata direttamente ad un arbitrato ai sensi degli artt. 806 e ss. del c.p.c., eliminando di fatto la possibilità per le amministrazioni di ricorrere, escludendo la competenza arbitrale, al giudice ordinario. L’art. 32 della L. 109/1994, come modificato dall’art. 10 comma 1, L. 415/1998, capovolge l’impostazione precedente considerando facoltativo il ricorso all’arbitrato e consente l’inserimento della clausola compromissoria, per differire il giudizio su tutte le controversie derivanti dall’esecuzione del contratto ad arbitri. A. CIANFLONE, G. GIOVANNINI, L’appalto di opere pubbliche 1999, 1067. 2. La legge quadro dei lavori pubblici. La programmazione dei lavori. La legge quadro dei lavori pubblici 11 febbraio 1994, n. 109 ridisciplina radicalmente il settore. L’entrata in vigore dell’intera normativa, si ha con approvazione del regolamento D.P.R. 554/2000. Con una norma destinata ad avere una applicazione futura le pubbliche amministrazioni sono obbligate alla programmazione dei lavori soprattutto per le sanzioni che ne derivano. Il programma deve essere infatti redatto, ai sensi dell’art.14 della legge 109 citata, secondo uno schema tipo da predisporsi dal Ministero dei lavori pubblici entro centottanta giorni dall’entrata in vigore della legge; il termine è chiaramente ordinatorio stante che, senza regolamento, non possono scattare le sanzioni previste dalla norma. 2.1. L’organo competente all’approvazione. L’organo competente all’approvazione del programma è il consiglio comunale o provinciale o l’organo competente della amministrazione aggiudicatrice. Lo stesso articolo definisce con una enunciazione tassativa la competenza del consiglio comunale e provinciale in materia di approvazione di progetti di opere pubbliche risolvendo le precedenti dispute. MIGNONE VIPIANA, Commento alla legge sulle autonomie locali 1993, I, 356. È da notare che la nuova dizione riserva al consiglio solo l’approvazione del progetto preliminare. 2.2. I contenuti. Rapporti con la programmazione urbanistica.

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Lo schema deve prevedere i contenuti stabiliti dalla legge che sono: l’elenco dei lavori per settore; le priorità di intervento; il piano finanziario complessivo e per settore con l’indicazione dei mezzi stanziati nello stato di previsione o nel bilancio nonché disponibili utilizzando contributi o risorse dello Stato e delle regioni; i tempi di attuazione degli interventi. I lavori per essere inseriti nel programma devono essere stati oggetto di progetto almeno preliminare, deve essere accertata la loro utilità deve essere verificata la stima dei costi e dei benefici economici e sociali conseguibili. È data priorità alla manutenzione e al recupero del patrimonio pubblico nonché al completamento dei lavori già iniziati. La novità è il necessario collegamento che deve sussistere fra la programmazione territoriale ed il programma dei lavori. In sede di approvazione si deve verificare che il programma sia redatto in conformità agli strumenti urbanistici previsti dalla legislazione vigente. In carenza di un valido intervento sostitutivo regionale si penalizza il comune carente di tali strumenti fino alla loro adozione, escludendo l’ente locale da ogni contributo o agevolazione dello stato in materia di lavori pubblici. Diversamente da prima, ove sostanzialmente la programmazione avveniva in termini di bilancio di previsione annuale e pluriennale e rimaneva atto interno dell’amministrazione privo di ogni effetto esterno, ora il programma è un atto esterno soggetto, oltre che a pubblicità, a rilevanti effetti. 358 APPALTI PUBBLICI Vi è l’obbligo quindi di rispettare il procedimento amministrativo tipico con il conseguente controllo del comitato regionale competente; l’atto è inoltre soggetto ad impugnativa presso il giudice amministrativo. 2.3. Il procedimento. Prima dell’adozione da parte del consiglio comunale o provinciale o degli organi competenti delle amministrazioni aggiudicatrici, il programma deve essere pubblicizzato mediante affissione nella sede dell’ente per sessanta giorni. Durante tale periodo chiunque può formulare sul programma osservazioni e proposte, ad esempio riguardanti il rispetto delle priorità relative al completamento dei lavori già iniziati, sulle quali l’organo competente si pronuncia. Il provvedimento definitivo dell’amministrazione è impugnabile presso la giustizia amministrativa da parte di chi ne abbia interesse. Si pensi all’appaltatore che abbia interesse a partecipare alla licitazione afferente ad un completamento di opera pubblica che, come abbiamo visto, è prioritaria nel programma. Si pensi al soggetto passivo di una occupazione d’urgenza o di un decreto di espropriazione. La mancata corrispondenza del programma agli strumenti urbanistici comunali, almeno adottati, comporta l’esclusione da ogni contributo pubblico, con una moratoria di un anno. Tale programma e le priorità in esso previste costituiscono requisito indispensabile per potere ottenere la concessione di finanziamenti da pubbliche amministrazioni. 3. Il responsabile del procedimento. L’art. 7 della L. 109/1994, come modificato dalla L. 216/1995, e dalla L. 415/1998 disciplina le funzioni del responsabile del procedimento. N. CENTOFANTI, La patologia del contratto di appalto di opere pubbliche nella giurisprudenza 2000, 175. Il responsabile del procedimento deve essere un tecnico, di norma deve far parte dell’amministrazione, colla possibilità di affidare compiti di supporto a detta attività a professionisti singoli od associati. Egli ha funzioni sia in relazione alla programmazione generale dei lavori sia in riferimento ai particolari tempi di svolgimento di un intervento, peraltro, sovrintendendo alla regolare esecuzione dell’opera nei tempi previsti. A. CIANFLONE, G. GIOVANNINI, L’appalto di opere pubbliche 1999, 218. Restano ferme le responsabilità dell’ingegnere capo e del direttore dei lavori, fino all’entrata in vigore del regolamento governativo che deve coordinare i rapporti fra detti funzionari. Si scinde nettamente la responsabilità politica degli amministratori di proporre le priorità politiche di intervento, che peraltro sono vincolate ai criteri enunciati per la formazione del programma dei lavori, e la responsabilità dei funzionari che hanno il compito di portare ad

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esecuzione i programmi. COMMENTO 359 Le funzioni di tale soggetto sono state precisate dall’art. 7 della L. n. 109 del 1994 e dall’art. 8 del regolamento D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554. 3.1. Le responsabilità. Il legame ed il condizionamento della classe politica rispetto ai funzionari appare ancora strettissimo poiché è evidente che chi non ha il gradimento dell’amministrazione si può trovare con un numero crescente di difficoltà organizzative, basti pensare che l’organico del servizio lo decide l’amministrazione. Appare difficile pensare ad una autonomia operativa avulsa da una autonomia di gestione e di organizzazione degli uffici. In particolare si pensi ad un amministratore che abbia un qualche interesse a pilotare la progettazione delle opere pubbliche al di fuori degli uffici dell’ente appaltante; non è, fra l’altro, prevista alcuna incompatibilità fra l’esercizio di una attività professionale e l’assunzione di un incarico attinente all’attività svolta. Inoltre, sono da tenere presenti le norme relative alla responsabilità dei dirigenti; i dirigenti sono responsabili del risultato dell’attività svolta dagli uffici, in relazione ai programmi ed ai progetti loro affidati. Il risultato ottenuto in difformità dal programma approvato, che non necessita neppure di particolari direttive, ove si accerti una negligenza colpevole, comporta l’applicazione delle sanzioni del collocamento in disposizione e della perdita del trattamento economico accessorio. 4. L’attività di progettazione. La legislazione precedente indicava due livelli di progettazione. Il progetto di massima è sostanzialmente disciplinato dall’art. 322 della legge sui lavori pubblici 25 giugno 1865, n. 2359 e dall’art. 1 del R.D. 422/1923 che stabiliscono come le opere pubbliche si eseguano in base a progetti regolarmente compilati ed approvati secondo un sistema di competenze disciplinato per legge. A. CIANFLONE, G. GIOVANNINI, L’appalto di opere pubbliche 1999, 330. Il progetto di esecuzione è menzionato dall’art. 5 del Regolamento approvato con R.D. 350/1895 che prevede una verifica in sede di consegna dei lavori dello Stato per verificare la rispondenza della progettazione di massima alla effettiva esecuzione dei lavori. L’art. 16 della L. n. 109, profondamente modificato dalla L. n. 216/1995, introduce tre livelli di progettazione. Appare comunque difficile tradurre in pratica i precetti normativi senza che il regolamento definisca le ulteriori norme tecniche di compilazione dei progetti, ai sensi dell’art. 3 lett. g). Il progetto preliminare definisce le caratteristiche qualitative e funzionali dei lavori. La relazione illustrativa deve fornire le ragioni della scelta della soluzione prospettata con riferimento alle varie soluzioni possibili. Il progetto definitivo individua compiutamente i lavori da realizzare rispettando i criteri stabiliti dal progetto preliminare. Esso contiene tutti gli elementi necessari per il rilascio delle prescritte autorizzazioni. Consiste in una relazione descrittiva che comprende le caratteristiche dei materiali, lo studio di impatto ambientale, ove previsto, i disegni generali dell’opera 360 APPALTI PUBBLICI comprese le fondazioni, i calcoli preliminari delle strutture e degli impianti, il disciplinare comprendente la descrizione delle prestazioni tecniche ed economiche, il computo metrico estimativo. Le indagini di tipo geognostico, sismico, biologico, chimico devono consentire i calcoli preliminari delle strutture e degli impianti. Il progetto esecutivo determina in ogni dettaglio i lavori da realizzare ed il relativo costo previsto consentendo l’identificazione di forma, tipologia, qualità, dimensione e prezzo di ogni elemento. Oltre alle relazioni tecniche devono far parte del progetto esecutivo il capitolato speciale di appalto, il computo metrico estimativo e l’elenco dei prezzi unitari. Il regolamento deve fornire le modalità per la redazione del piano di manutenzione dell’opera. Sostanzialmente diversi sono gli effetti che il legislatore fa derivare dai livelli di progettazione disciplinati dalla L. n. 109/1994. Il progetto preliminare consente di procedere alla fase di programmazione dell’opera. Il progetto preliminare corredato di capitolato, quindi sostanzialmente un progetto definitivo, consente di procedere all’affidamento in concessione, ai sensi dell’art. 20, L. n.

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109/1994. Il progetto esecutivo consente di procedere all’appalto dei lavori, ai sensi dell’art. 19, L. n. 109/1994. L’impatto di tale disposizione sugli appalti in corso è fortemente penalizzante poiché presuppone la necessità di adeguare la progettazione di massima ai disposti della progettazione esecutiva con conseguente blocco dell’aggiudicazione, considerando i tempi lunghi dell’adeguamento. Infine l’art. 17, comma 5, della L. n. 109/1994 pone più severi limiti al ricorso alla progettazione da parte di professionisti esterni, richiedendo che venga accertata una carenza di organico da parte del legale rappresentante dell’amministrazione. La legge definisce la possibilità di affidare la progettazione alle società di ingegneria, abolendo di fatto il divieto imposto dalla legge professionale n. 1815 del 1939, e ponendo fine alle dispute giurisprudenziali. L’unico limite è sancito dal successivo comma 9 che esclude le stesse società affidatarie di incarichi di progettazione dal partecipare all’esecuzione dei relativi lavori. Si prevedono incentivi al personale interno che rediga i progetti ai sensi del successivo art. 18, da definirsi in sede di contrattazione collettiva decentrata. 5. Procedure di scelta del contraente. La legislazione in materia di contratti dello Stato è regolata dagli artt. 3 e ss. del R.D. 2440/1923 che disciplina i sistemi di aggiudicazione: pubblico incanto, licitazione privata, trattativa privata e appalto concorso. Il sistema della concessione è stato introdotto dalla L. n. 1137/1929. Queste procedure sono state oggetto di profonda modifica da parte della L. 109/1994 sui lavori pubblici che considera come ordinario il ricorso al pubblico incanto e alla licitazione mentre pone delle limitazioni all’uso della trattativa privata e dell’appalto concorso. N. CEN- COMMENTO 361 TOFANTI, La patologia del contratto di appalto di opere pubbliche nella giurisprudenza 2000, 29. 5.1. Il pubblico incanto. Il pubblico incanto è il sistema più generale per l’aggiudicazione di contratti pubblici. Esso prevede la pubblicazione del relativo avviso, con invito a chiunque di partecipare alla gara. Lo scopo è quello di realizzare la massima pubblicità del contratto che si intende stipulare onde concedere a tutti la possibilità di parteciparvi, col conseguente effetto di ottenere per la pubblica amministrazione le migliori condizioni di contratto. Il procedimento per l’incanto è tassativamente disciplinato ai sensi degli artt. 63 e ss. del R.D. 827/1924. Sono fissati i contenuti obbligatori dell’avviso d’asta, autorità, luogo, giorno, oggetto d’asta, prezzo base, ecc., che devono consentire ai partecipanti di potere partecipare ritualmente. Elementi costitutivi del procedimento sono la pubblicità della pubblicazione dell’avviso e le modalità di esperimento, che devono esplicarsi secondo i riti della candela vergine. 5.2. La licitazione privata. I requisiti. La licitazione privata si caratterizza, rispetto al pubblico incanto, per la possibilità data alla stazione appaltante di selezionare i concorrenti. La specificità del contratto di appalto di lavori presuppone che i partecipanti siano qualificati ed idonei tecnicamente all’esecuzione del contratto. Il procedimento della licitazione si presenta con una duplicità di adempimenti e modalità di gara a seconda che l’importo di appalto sia inferiore o superiore a quello fissato dal D.L.vo 406/1991 che recepisce le direttive della Comunità Europea in materia. La L. 109/1994 all’art. 23 demanda al regolamento ulteriori criteri per la selezione dei concorrenti. Il procedimento amministrativo per le opere di importo inferiore inizia, secondo l’art. 89 lett. a) del R.D. 827/1924 modificato dalla legge 14/1973, con l’invito agli aspiranti concorrenti, ritenuti idonei dalla stazione appaltante, a presentare le offerte per la gara. Questa fase è preceduta da un autonomo procedimento nel quale gli aspiranti concorrenti vengono sollecitati con pubblici avvisi ad avanzare le richieste di essere invitati alla gara. La richiesta di invito non vincola l’amministrazione, non vi è necessità di motivazione

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nell’eventuale esclusione, anche se la giurisprudenza non è conforme. È unanimemente riconosciuta l’inammissibilità di azioni risarcitorie. L’esclusione dalla gara. La legislazione precedente ha affermato il principio della discrezionalità dell’amministrazione di scegliere i partecipanti alle gare d’appalto. I concorrenti che hanno presentato, ai sensi dell’art. 7 della legge 14/1973, la domanda di partecipazione alla gara sono legittimati ad impugnare il provvedimento con il quale l’amministrazione sceglie i partecipanti alla gara. 362 APPALTI PUBBLICI La discrezionalità dell’amministrazione, che non è vincolata alle richieste di invito, non elimina la facoltà di censurare provvedimenti di esclusione. Ad esempio è stato ritenuto illegittimo il provvedimento dell’amministrazione che sceglieva di invitare ad una gara solo cooperative. Il disposto dell’art. 45 della costituzione, che favorisce e promuove l’incremento della cooperazione, non può essere interpretato come il dovere per gli enti pubblici di escludere le imprese private dalle gare di appalto ove pervenga simultaneamente la richiesta di invito da parte di cooperative. Cons. Stato, sez. V, 20 giugno 1987, n. 394, in Foro amm. 1987, 1421. L’art. 23 della L. 109/1994, che ai sensi dell’art. 1 comma 5 L. 216/1995 è applicabile per gli appalti aggiudicati dopo il 3 giugno 1995, fissa il principio contrario dell’obbligo di invitare tutti coloro che ne fanno richiesta con la possibilità di escludere solo coloro che non siano in possesso dei requisiti di qualificazione previsti dal bando. I requisiti dell’offerta. I concorrenti devono ricevere uno schema di atto che contiene l’oggetto dell’appalto, le condizioni generali e speciali oltre alle modalità di presentazione dell’offerta, con l’invito a presentare la documentazione che abilita alla partecipazione all’appalto. L’amministrazione ha la facoltà di prescrivere con l’invito alla gara che le offerte dei concorrenti siano inviate esclusivamente per posta, in plico sigillato e raccomandato, in modo che pervengano all’ufficio appaltante non più tardi del giorno precedente a quello fissato per l’apertura delle schede e per l’aggiudicazione dell’appalto, ai sensi dell’art. 75 del R.D. 827/1924. L’invito di gara ha la natura giuridica di un provvedimento amministrativo che fissa i requisiti di ammissione e come tale deve garantire l’imparzialità della pubblica amministrazione, fissando le condizioni, le priorità eventuali per la scelta dei partecipanti ed i requisiti per la loro ammissibilità alla gara, con la impossibilità di fissare criteri discriminatori. Per essere dichiarata ammissibile l’offerta deve giungere con raccomandata con ricevuta di ritorno, o a mano, agli uffici della stazione appaltante entro il termine fissato dalla lettera di invito. Gli eventuali disguidi postali non possono essere imputati alla stazione appaltante. L’offerta deve indicare a quale gara di appalto si riferisce specificandone la data di aggiudicazione ed il relativo importo. La mancanza di questo requisito è rilevante ai fini dell’illegittimità dell’offerta qualora comprometta il corretto svolgimento delle operazioni. T.A.R. Liguria, 28 aprile 1986, n. 178, in Ed. Res. Pubbl. 1987, n. 25, 35. La giurisprudenza afferma il principio che l’irregolarità formale è rilevante ove comprometta lo svolgimento della gara e ne determini l’illegittimità, mentre la semplice difformità dalle prescrizioni, che non intacca le finalità del procedimento, costituisce una mera anomalia inidonea ad invalidare l’offerta. Costituisce ad esempio un mero vizio formale il non avere apposto il luogo e la data di nascita del sottoscrittore dell’offerta, in quanto dai documenti allegati si riesce ad individuare con facilità il sottoscrittore. Il vizio non può comportare l’esclusione dalla gara. Cons. Stato, sez. V, 12 giugno 1987, n. 380, in Foro amm. 1987, 1415. COMMENTO 363 La presentazione dell’offerta qualifica l’interesse del partecipante ad impugnare i risultati della gara. I requisiti del concorrente. A tutto il 31 dicembre 1999 il concorrente deve documentare l’iscrizione all’albo dei costruttori

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ai sensi dell’art. 8, L. 109/1994. Il nuovo sistema di qualificazione è ora disciplinato dal D.P.R. 25 gennaio 2000, n. 34. La partecipazione alla gara è subordinata alla presentazione del relativo certificato, salva la dichiarazione sostituiva ai sensi dell’art. 2 della legge 15/1968. L’impresa deve produrre idonea certificazione in bollo rilasciata dalla cancelleria commerciale del competente tribunale che essa non si trova in stato di liquidazione, fallimento o concordato preventivo fino al quinquennio precedente la gara, salvo la dichiarazione sostitutiva ai sensi dell’art. 2 della L. 15/1968. L’impresa deve produrre il certificato penale in bollo del casellario giudiziario per ogni titolare e direttore tecnico, per le imprese individuali o società di persone, e per gli amministratori muniti di rappresentanza per le società di capitali. L’impresa deve presentare, qualora risulti aggiudicataria dell’appalto, documentazione comprovante la non esistenza di procedimenti di cui all’art. 23 della legge antimafia 646/1982 e successive modifiche. L’assunzione di obblighi. Si riconosce alla stazione appaltante la possibilità di inserire nella lettera di invito clausole particolari che costituiscono elementi costitutivi dell’offerta. Il mancato rispetto di queste clausole comporta la legittima esclusione dalla gara. Si pensi ad esempio a clausole che limitano l’estensione dei lavori in carenza di un ulteriore finanziamento dell’opera ovvero l’impegno, nel caso di ulteriori accreditamenti, di proseguire i lavori alle stesse condizioni dell’offerta, senza possibilità di richiedere compensi o sovrapprezzi. L’ipotesi appare puramente di scuola con la nuova legislazione in materia di programmazione finanziaria di cui all’art. 14 della L. n. 109/1994. Cons. Stato, sez. IV, 10 luglio 1986, n. 496, in Ed. Res. Pubbl. 1986, n. 24, 119. 5.3. I criteri di aggiudicazione nel pubblico incanto e nella licitazione privata. I criteri di aggiudicazione, già previsti dall’art. 73 del R.D. 827/1924, sono stati sostituiti dall’art. 21, comma 1 bis, della L. 109/1994, che ammette tassativamente solo il criterio del prezzo più basso determinato mediante offerte a prezzi unitari, ed il criterio del massimo ribasso sull’elenco prezzi posto a base di gara nel caso di lavori di manutenzione periodica. Per le opere a corpo il prezzo è fisso e invariabile, per le opere a misura il prezzo varia secondo la quantità delle opere eseguite. Nel caso di offerte anomale, fino al 1° gennaio 1997, sono escluse le offerte che presentino una percentuale di ribasso che superi di oltre un quinto la media aritmetica dei ribassi di tutte le offerte ammesse. L’anomalia delle offerte deve essere valutata in base a percentuali di ribasso da emanarsi con Decreto del Ministero dei lavori pubblici per le opere aggiudicate per un prezzo superiore a 5 milioni di ECU, salve le giustificazioni fornite dall’offerente. 364 APPALTI PUBBLICI 5.4. L’appalto concorso. L’appalto concorso è un sistema di gara che viene utilizzato quando l’amministrazione ha la necessità di avvalersi della collaborazione di ditte che siano in grado di progettare opere di particolare complessità. Il procedimento si sviluppa attraverso l’indicazione di norme di massima dettate dall’amministrazione sulla base delle quali i concorrenti presentano progetti tecnici e le condizioni alle quali sono disposti ad eseguirli previa costituzione facoltativa di una commissione secondo i principi fissati dall’art. 4 del R.D. 2240/1923 e dall’art. 40 del R.D. 827/1924. Nelle forme stabilite dall’invito di gara si procede alla scelta del progetto a giudizio insindacabile dell’amministrazione, tenuto conto degli elementi economici e tecnici e delle garanzie di capacità e serietà dei concorrenti. A questo procedimento sono stati posti dei severi limiti dall’art. 20 comma 4 della L. n. 109/1994. Le stazioni appaltanti devono motivare la propria decisione per procedere a questo sistema di aggiudicazione, previo parere vincolante del Consiglio superiore dei lavori pubblici, per speciali lavori o per la realizzazione di opere complesse o ad elevata componente tecnologica. Lo svolgimento della gara è effettuato sulla base di un progetto preliminare e di un capitolato prestazionale corredato dall’indicazione delle prescrizioni, delle condizioni e dei requisiti tecnici inderogabili.

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Per il criterio di aggiudicazione si segue quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa prendendo in considerazione i seguenti elementi: prezzo; valore tecnico estetico delle opere; tempo di esecuzione dei lavori; costo di utilizzazione e di manutenzione oltre a quelli che la commissione giudicatrice riterrà opportuni in relazione alla tipologia dell’opera da realizzare. La costituzione della commissione è obbligatoria rispettando i requisiti professionali dei componenti. L’illegittima costituzione od i vizi nella procedura possono portare all’annullamento della conseguente aggiudicazione. 5.5. La trattativa privata. Il legislatore ha sempre considerato con sospetto l’istituto della trattativa privata come sistema di affidamento di lavori pubblici; solo qualora non si possa procedere a pubblici appalti o licitazioni private per speciali o motivate circostanze si può procedere a trattativa privata. L’istituto è disciplinato dall’art. 6 del R.D. 2240/1923. L’amministrazione interpella più imprese al fine di produrre un’offerta per determinati lavori. L’offerta giudicata dall’amministrazione più conveniente consente di aggiudicarsi l’appalto. La giurisprudenza amministrativa ha riconosciuto la potestà discrezionale dell’amministrazione considerandola vincolata alle proprie determinazioni procedimentali per la raccolta delle offerte. COMMENTO 365 Essa non è esonerata dall’obbligo di valutare le offerte pervenute nel rispetto della procedura da essa stessa instaurata e di esternare le ragioni poste a base del giudizio di convenienza. È ammesso il controllo giurisdizionale di logicità e di adeguatezza dei mezzi di accertamento. Successivamente alla presentazione delle offerte è stata dichiarata illegittima la richiesta di miglioramento formulata da uno solo dei partecipanti alla gara esplorativa. T.A.R. Lazio, sez. II, 22 luglio 1986, n. 1196, in Foro amm. 1987, 277. Nel caso di lavori di importo non superiore a trecentomila ECU, I.V.A. esclusa, nel rispetto delle norme di contabilità generale dello Stato e con particolare riferimento alle ipotesi contemplate dall’art. 41 del R.D. 827/1924, che prevede il ricorso alla trattativa privata nel caso di licitazioni deserte che presumibilmente andrebbero ancora deserte qualora vi fosse un nuovo sperimento. In tal caso l’interesse dei terzi ad impugnare la procedura di scelta del concorrente appare inesistente. Nel caso di lavori di importo superiore a trecentomila ECU, I.V.A. esclusa, nel caso di ripristino di opere esistenti e funzionanti, danneggiate e rese inutilizzabili da eventi calamitosi, qualora motivi d’urgenza rendano incompatibili altre procedure. In tal caso l’affidamento deve avere il carattere dell’immediatezza ed essere strettamente necessario per rendere fruibile l’opera, quindi la trattativa non è praticabile per sistemare un’opera non utilizzata al momento dell’evento calamitoso. Nel caso di lavori di importo non superiore a trecentomila ECU, I.V.A. esclusa, afferenti il restauro e la manutenzione di beni mobili e superfici architettoniche decorate che siano soggetti a vincolo da parte della sovrintendenza. Da notare che sembrano escluse, in quanto non tassativamente richiamate, le cose immobili i cui proprietari abbiano ricevuto la notifica della dichiarazione di notevole interesse pubblico a sensi della L. 1497/1939 sulla protezione delle bellezze naturali. L’articolo, seguendo l’indicazione del D.L.vo n. 406/1991, fissa un procedimento minimo ad evidenza pubblica che le pubbliche amministrazioni devono rispettare. Il responsabile del procedimento deve garantire, salva la sua personale responsabilità amministrativa e contabile, il rispetto delle procedure, che sono oggetto di una incisiva forma di pubblicità. Gli atti relativi all’affidamento a trattativa privata sono posti a libera visione di tutti coloro che li richiedano, quindi anche delle imprese o cittadini che non siano stati espressamente invitati, a cui si deve riconoscere l’interesse legittimo ad impugnare presso la giustizia amministrativa il procedimento di gara qualora risulti viziato da ipotetiche illegittimità. Sul punto la giurisprudenza ha precisato che nella categoria dell’evidenza pubblica vanno comprese quelle forme di contrattazione caratterizzate dal contemporaneo o alternato svolgersi di due procedimenti paralleli: il normale procedimento privatistico di formazione della

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volontà comune delle parti, che si svolge tra i contraenti, ed il procedimento amministrativo preordinato a mettere in evidenza il pubblico interesse alla stipulazione del contratto, che si svolge tra l’autorità procedente e l’autorità controllante e che può costituire anche fonte di interessi legittimi per i concorrenti. Pertanto, l’evidenza pubblica viene ad assumere il carattere di una struttura procedimentale di tipo generale applicabile sia alle forme di contrattazione destinate a concludersi con un sistema meccanico e vincolato sia a quelle destinate a 366 APPALTI PUBBLICI concludersi con un sistema di tipo negoziato e libero come la trattativa privata. Cons. giust. amm. Sicilia sez. giurisd., 1 agosto 1994, n. 281, in Foro amm. 1994, 1707. Nell’attuale prassi amministrativa la gara ufficiosa, che precede la vera e propria trattativa privata, ha raggiunto una dimensione tale che è possibile annoverarla, sia pure con specificità sue proprie, tra le forme di contrattazione ad evidenza pubblica. Cons. giust. amm. Sicilia, sez. giurisd., 1 agosto 1994, n. 281, in Foro amm. 1994, 1707. I dati devono essere trasmessi all’Osservatorio dei LL.PP., entro 15 giorni dalla definizione della trattativa, motivando le ragioni che hanno indotto l’amministrazione a ricorrere a tale procedura di gara, con le relative sanzioni previste all’art. 4, comma 17, della L. n. 109/1994. Il procedimento da un punto di vista oggettivo deve evidenziare che si sia proceduto artatamente a dividere i lavori in modo da effettuare più affidamenti per rientrare negli importi massimi fissati e che l’opera non faccia parte di un lotto già precedentemente assegnato a trattativa privata; si fa presente che in tal caso non esistono limiti temporali per cui il divieto deve intendersi in senso assoluto. La gara deve svolgersi, sia pure in modo informale, secondo le regole minime procedurali che impongono un numero minimo di quindici partecipanti, se sussistono soggetti che hanno la qualificazione necessaria per partecipare a tali lavori. I soggetti partecipanti devono possedere l’iscrizione all’albo costruttori per la qualifica corrispondente ai lavori affidati e per l’importo di competenza. 5.6. La concessione e la gestione di opere. Nella concessione di costruzione di opere pubbliche si ha il trasferimento dell’esercizio dei poteri dell’amministrazione concedente ad un concessionario che può realizzare direttamente l’opera ovvero può stipulare successivi contratti di appalto per realizzarla. Alla concessione di costruzione può essere aggiunta anche la concessione per l’esercizio dell’opera da parte del concessionario, come nel caso della costruzione e della gestione di una autostrada. Lo strumento della concessione, che consente la delega alla stessa progettazione dell’opera, trova la sua regolamentazione nella L. 1137/1929, che non disciplina in modo dettagliato il relativo procedimento concessorio limitandosi a prescrivere il parere obbligatorio del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici. Il procedimento concessorio deve identificare l’oggetto ed i requisiti essenziali della concessione, i tempi di esecuzione, i controlli da effettuarsi affidando ad un disciplinare la regolamentazione dei rapporti tra concedente e concessionario. In un successivo procedimento, autonomo rispetto al precedente, si individua il concessionario, determinando i requisiti che ne consentano la scelta, quando la stessa non sia disposta per legge. L’istituto ha vissuto un momento di interesse con la L. 80/1987, sia pure con termine al 15 marzo 1991, stante l’evidente contrasto con le procedure di libera concorrenza imposte dalla normativa della Comunità Europea. L’art. 20 della L. n. 109/1994 ridisciplina la materia fissando due principi che ne limitano il ricorso. COMMENTO 367 La concessione deve infatti obbligatoriamente prevedere oltre che la costruzione anche la gestione delle opere. I relativi lavori devono essere affidati a mezzo di licitazione privata, ossia richiedendo implicitamente il progetto definitivo; viene escluso che il concessionario abbia la facoltà di redigere il progetto medesimo. Per il criterio di aggiudicazione si segue quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa prendendo in considerazione i seguenti elementi: il valore economico e finanziario

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della controprestazione; il valore tecnico estetico delle opere; il tempo di esecuzione dei lavori; il rendimento; la durata della concessione; le modalità di gestione ed il livello delle tariffe da praticare all’utenza; oltre a quelli che la commissione giudicatrice riterrà opportuni in relazione alla tipologia dell’opera da realizzare. Il regolamento definisce i criteri di importanza dei singoli elementi con metodologie tali da consentire di individuare con un unico parametro numerico l’offerta più vantaggiosa. È obbligatoria la costituzione della commissione giudicatrice, nel rispetto dei requisiti professionali dei componenti. L’illegittima costituzione od i vizi nella procedura possono portare all’annullamento della conseguente aggiudicazione. Il sistema della concessione trova un notevole impulso dalla possibilità prevista dall’art. 37 bis della L. n. 109/1994, come introdotto dall’art. 11 della L. 415/1998, di consentire a tutti i soggetti ammessi alle gare di appalto di presentare, nella qualità di promotori, delle proposte relative alla realizzazione di lavori pubblici tramite appunto contratti di concessione. A. CIANFLONE, G. GIOVANNINI, L’appalto di opere pubbliche 1999, 84. La valutazione dell’amministrazione circa la individuazione delle proposte appare ad alto contenuto discrezionale, peraltro, sempre censurabile per motivi di legittimità. Per le proposte scelte dall’amministrazione vengono indette delle gare. Una prima gara che ha funzione di selezione delle due migliori offerte presentate; una seconda da esperirsi fra i presentatori di queste e il promotore. Al promotore compete, nel caso in cui non risulti aggiudicatario, un compenso rapportato al 2,5% del valore dell’investimento. Sulle convenzioni relative alla stipula delle concessioni è competente il giudice amministrativo, salvo che per i canoni e le indennità, ex art. 5, L. 1034/1971. 6. L’esecuzione. 6.1. La direzione lavori. Il collaudo. Viene fatto obbligo alle amministrazioni aggiudicatrici di istituire un ufficio di direzione dei lavori costituito da un direttore lavori ed eventualmente da assistenti. In carenza di organico la direzione è affidata ad altre amministrazioni, tramite convenzione, al progettista incaricato ai sensi dell’art. 17, comma 5, della L. 109/1994 o ad altri soggetti scelti con le procedure previste dalla normativa. N. CENTOFANTI, La patologia del contratto di appalto di opere pubbliche nella giurisprudenza 2000, 173. Le modalità del collaudo sono definite dal regolamento, mentre l’art. 28 della L. 109/1994 sancisce alcuni principi. 368 APPALTI PUBBLICI Il collaudo ha valore provvisorio, in quanto l’appaltatore risponde dei vizi dell’opera denunciati dal soggetto appaltante entro due anni dall’ultimazione, allorché il collaudo diventa definitivo, salvo l’art. 1669 del c.c. sui gravi difetti dell’opera. Il termine di sei mesi entro il quale deve aver luogo il collaudo ha pertanto natura ordinatoria. I collaudatori sono scelti dalle amministrazioni aggiudicatrici nella loro struttura organizzativa, salvo carenza d’organico; logicamente non devono aver partecipato ad attività relative all’opera da collaudare, né devono aver svolto alcuna attività nell’ultimo triennio con il soggetto che ha svolto i lavori. Il collaudo in corso d’opera è obbligatorio solo nei casi tassativamente previsti come ad esempio quando la direzione lavori non è interna all’amministrazione. 6.2. Le varianti in corso d’opera. Responsabilità del progettista. Il nuovo sistema di progettazione, imponendo una articolata progettazione esecutiva prima di procedere all’appalto, sicuramente limita di fatto il ricorso sistematico alla variante. N. CENTOFANTI, La patologia del contratto di appalto di opere pubbliche nella giurisprudenza 2000, 213. Il legislatore vede peraltro questo istituto come fonte di degenerazione del sistema, per cui pone delle severe restrizioni al ricorso alla variante. L’art. 25 della L. n. 109/1994 ammette le varianti in corso d’opera solo in casi tassativi: − per esigenze derivanti da sopravvenute disposizioni di legge e regolamenti; − per cause di forza maggiore che devono essere accertate secondo procedure stabilite dal regolamento o per l’intervenuta possibilità di utilizzare nuove tecnologie, non esistenti al momento della progettazione. In tal caso si deve pensare che debba risultare un fatto certo come il deposito del marchio o del brevetto, per consentire l’utilizzo di nuove tecnologie,

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salvo che l’utilizzo sia concesso in mancanza di aumento di costi per l’amministrazione; − se nel corso d’opera si manifestano difficoltà di esecuzione derivanti da cause geologiche, idriche e simili, non previste dalle parti, che rendano notevolmente più onerosa l’opera; − per il manifestarsi di errori ed omissioni nel progetto esecutivo. In tal caso il direttore dei lavori deve rilevare l’errore o l’omissione nella progettazione che dà luogo alla necessità di variante ed avvisare il responsabile del procedimento che ne dà notizia all’Osservatorio dei LL.PP., di cui all’art. 4 della L. 109/1994, e al progettista. Si instaura a tal punto un procedimento in contraddittorio, non disciplinato dalla legge, nel quale il direttore lavori presenta le varianti necessarie ed il progettista per contro difende il suo progetto, viste le sue responsabilità. Il responsabile del procedimento nella sua fase esecutiva deve infatti notiziare il progettista dell’errore od omissione nella progettazione e proporre le soluzioni tecniche che siano in grado di ridare funzionalità al progetto. Inutile dire che la procedura deve essere definita dal regolamento ai sensi dell’art. 3 lett. o) della L. 109/1994. Il legislatore ha disciplinato l’azione di responsabilità nei confronti del progettista per evitare che siano formulate proposte di variante per lucrare i compensi delle perizie supplet- COMMENTO 369 tive, ora al contrario il progettista è interessato a dimostrare la funzionalità del progetto, così come è stato redatto, per non incorrere nelle responsabilità di legge. Il progettista esterno è responsabile per i danni subiti dall’amministrazione aggiudicatrice in conseguenza di errori od omissioni nella progettazione. La precedente dizione estendeva la responsabilità anche ai costi di riprogettazione ed ai maggiori oneri che le amministrazioni devono sopportare in relazione all’esecuzione delle varianti, ferma restando la possibilità di esperire ulteriori azioni risarcitorie. Per i progettisti esterni la responsabilità va ricercata negli artt. 2222 e ss. del c.c. che regolano il contratto d’opera. Ma in tal caso la responsabilità è costruita sui vizi dell’opera che si manifestano coll’eseguita esecuzione della stessa, che deve venire accertata ai sensi dell’art. 2226 entro un anno dalla consegna, con obbligo di denunciare i vizi entro otto giorni dalla loro scoperta. Nella nostra ipotesi il vizio consiste nel maggior costo che si manifesta nel corso della realizzazione dell’opera che deriva da carenze che possono essere di vario genere, ma che il legislatore ritiene di addossare al progettista in una sorta di responsabilità civile oggettiva, temperata dal fatto che il regolamento deve dare delle indicazioni sulle cause impreviste od imprevedibili. Si pensi ad esempio alle maggiori spese per situazioni emerse nel corso di lavori di risanamento conservativo o ristrutturazione edilizia. Si noti come le disposizioni contrastano col principio che le prestazioni professionali sono obbligazioni di mezzo e non di risultato. La responsabilità del progettista è comunque destinata a stemperarsi nell’obbligo, posto alle amministrazioni aggiudicatrici dall’art. 30, comma 6, della L. n. 109, di verificare la qualità degli elaborati progettuali e la loro conformità alla normativa vigente, prima di iniziare le procedure per l’affidamento o per l’aggiudicazione. Che responsabilità ha l’ufficio tecnico dell’amministrazione o gli organismi di certificazione dei sistemi di qualità per non avere preventivamente verificato gli elaborati presentati dal progettista? Bisogna peraltro notare che la giurisprudenza più recente ha anticipato i contenuti proposti dalla legge quadro affermando la responsabilità del progettista. Si è ravvisata infatti una responsabilità amministrativa del progettista su cui sussiste la giurisdizione della Corte dei Conti. Poiché si vengono a cumulare nei suoi confronti le funzioni di progettista e direttore dei lavori, si deve intendere costituito tra il medesimo e l’amministrazione un rapporto di servizio. La corte ha affermato che il direttore dei lavori è agente dell’amministrazione, avuto riguardo non solo ai previsti doveri che assume con l’accettazione dell’incarico, ma anche con riferimento alle specifiche potestà a lui spettanti. Corte Conti reg. Puglia, sez. giurisd., 26 luglio 1993, n. 49, in Riv. corte conti 1993, 128. Come pure si è affermato che le carenze e le insufficienze della progettazione esecutiva di un’opera pubblica, che alterino in maniera significativa il quadro economico previsto dall’amministrazione committente, integrano l’ipotesi di responsabilità del progettista e direttore dei lavori il quale abbia indebitamente autorizzato l’esecuzione di lavori non previsti nel progetto. Corte Conti reg. Puglia, sez. giurisd., 26 luglio 1993, n. 49, in Riv. Corte Conti 1993, 128.

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In particolare per la fattispecie che qui interessa, relativa alla perizia di variante o suppletiva, si è affermato che essa è legittima se risponde obiettivamente a una reale esigenza della pubblica amministrazione, indipendentemente da un’indagine sulla prevedibilità delle circostanze in sede di progettazione. Tale indagine può essere, invece, rilevante ad altri fini, ed in particolare per accertare eventuali responsabilità del progettista per gli aggravi di spesa che 370 APPALTI PUBBLICI possono derivare dalla perizia. Deve, comunque, valutarsi con rigore la necessità della perizia, al fine di prevenire abusi e artificiose modificazioni di contratti già stipulati. Cons. Giust. Amm. Sicilia, sez. consult., 19 luglio 1993, n. 441, in Giur. amm. sic. 1993, 783. Diversa è la responsabilità dei progettisti interni delle amministrazioni che sono sottoposti al potere disciplinare dell’amministrazione a cui appartengono. Dopo il rapporto di servizio che li lega all’ente essi rispondono in termini di responsabilità amministrativa per il danno che cagionino allo Stato o ad altra amministrazione e sono sottoposti alla giurisdizione della Corte dei Conti, ai sensi dell’art. 52 del R.D. 1214/1934. Colla legge quadro l’azione nei confronti del progettista esterno diviene automatica e l’eventuale omissione è imputabile in termini di responsabilità amministrativa al responsabile del procedimento. Qualora il costo delle varianti superi complessivamente il 20% dell’importo originario, il contratto deve essere tassativamente risolto e deve essere indetta una nuova gara invitando anche l’aggiudicatario iniziale. La norma pone sicuramente dei problemi interpretativi poiché non appare sufficientemente chiarito il momento in cui si debba procedere alla risoluzione del contratto. Nulla esclude che, a prescindere dalla regolarità dei lavori, sia indifferente per la stazione appaltante risolvere il contratto al momento della scoperta dell’insufficienza della progettazione, secondo lo schema procedurale prima evidenziato, ovvero in un tempo successivo, qualora le carenze riscontrate non incidano sulla regolare esecuzione dei lavori. Alla discrezionalità lasciata al direttore dei lavori corrisponde un opposto interesse dell’impresa aggiudicataria al completamento dei lavori. Successivamente alla risoluzione del contratto si deve procedere ad una nuova aggiudicazione: alla gara deve essere invitato l’aggiudicatario iniziale. In tal caso si deve provvedere a redigere lo stato di consistenza del cantiere col relativo pagamento di lavori eseguiti e del valore dei materiali utili oltre al decimo dell’importo dei lavori non eseguiti, fino ai quattro quinti dell’importo del contratto. 7. Il subappalto. La disciplina del subappalto introdotta dall’art.18 della L. 55/1990 e modificata dall’art. 34 del D.L.vo 406/1991 viene rivista dall’art. 34 della L. n. 109/1994 con le modifiche apportate dall’art. 9, commi 65-72, L. 18 novembre 1998, n. 415. L’art. 18 della L. 55/1990 nel tentativo di prevenire fenomeni di delinquenza mafiosa afferma il principio del divieto di cessione del contratto di appalto, prima ammesso a discrezione dell’amministrazione dall’art. 339 della L. 2248/1865 all. F), e regola dettagliatamente la possibilità di ricorso al subappalto rendendo la procedura ad evidenza pubblica. La norma si applica per tutti gli appalti quindi anche a quelli soggetti alle direttive della Comunità Europea. Le condizioni per il ricorso al subappalto devono essere poste in essere sia dalla stazione appaltante sia dall’appaltatore. N. CENTOFANTI, Il subappalto nel sistema dei lavori pubblici 2000, 94. La stazione appaltante deve indicare nel progetto o nel bando di gara le categorie prevalenti e le altre categorie. COMMENTO 371 Tale adempimento è essenziale poiché se in linea di principio vi è la possibilità di subappaltare, vi sono dei precisi limiti per quelle che sono definite le categorie prevalenti. I divieti sono specificati solo per particolari ipotesi previste dalla normativa speciale. La quota subappaltabile è definita in misura non superiore al 30%. Un successivo regolamento può ulteriormente diversificare la percentuale secondo le varie categorie. Il principio vuole che l’appaltatore conservi la esecuzione principale dell’opera consentendogli, per una evidente necessità di specializzazione, di subappaltare nella loro totalità solo

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le categorie non prevalenti. È bene precisare che in ogni caso l’affidatario è tenuto a curare il coordinamento di tutte le imprese presenti in cantiere per le quali assume, in alcune ipotesi, anche responsabilità solidali. L’appaltatore per procedere ad affidare i lavori deve nell’offerta indicare i lavori che intende subappaltare ed i subappaltatori. L’appaltatore, prima di iniziare le lavorazioni, deve provvedere a depositare il contratto di subappalto presso la stazione appaltante, che ha tempo trenta giorni per il rilascio della relativa autorizzazione, dopo di che scatta il silenzio assenso, ex art. 9, c. 69, L. 415/1998. G. TERRACCIANO, Subappalto: termine certo per il silenzio-assenso, in Guida dir. n. 49, 1998, 97. Il subappaltatore deve essere iscritto all’albo nazionale costruttori per categorie e classifiche di importi corrispondenti ai lavori da realizzare in subappalto, ex art. 18, c. 3, n. 4, L. 55/1990. Il subappaltatore non deve essere incorso in misure di prevenzione, ex art. 10, L. 575/1965, che contiene disposizioni contro la mafia. Lo scopo della normativa è sicuramente quello di dare una autonoma dignità al subappaltatore che trova una serie di principi a sua tutela, che sicuramente lo garantiscono nei rapporti con l’appaltatore principale e con la stazione appaltante e che trovano attuazione nell’obbligo di stipulare il contratto di subappalto da trasmettere anche alla stazione appaltante. Oltre ovviamente ad identificare l’oggetto che deve essere limitato al 30% delle categorie prevalenti il contratto deve indicare il prezzo del subappalto che è ovviamente il prezzo di aggiudicazione. Vi è però un limite, particolarmente evidente nel nuovo sistema di gara, che si basa esclusivamente solo sul criterio del prezzo più basso determinato mediante offerte a prezzi unitari, e sul criterio del massimo ribasso sull’elenco prezzi posto a base di gara nel caso di lavori di manutenzione periodica, ex art. 18, c. 3, L. n. 55/1990. L’impresa appaltante deve infatti praticare gli stessi prezzi unitari con un ribasso non superiore al 20%. Orbene il significato della norma, scritta con la possibilità di ricorrere come criterio di aggiudicazione ai vari sistemi delle medie, acquista un significato particolare con le nuove disposizioni fino al punto di ipotizzare una esclusione dalla gara per chi proponga un tale ribasso per opere da affidare in subappalto. Il nuovo criterio ispiratore del sistema, che vuole porre sotto controllo dell’amministrazione il rapporto di subappalto, si manifesta in maniera evidente nella regolamentazione del sistema dei pagamenti, ex art. 18, c. 3 bis, L. n. 55/1990. 372 APPALTI PUBBLICI Il sistema suggerito è quello che il bando di gara preveda la corresponsione al subappaltatore dell’importo dei lavori eseguiti. A tal proposito deve sussistere un particolare controllo, a prescindere dal rapporto fiduciario, dell’appaltatore poiché questi è responsabile in solido con il subappaltante per i pagamenti relativi alle retribuzioni dei dipendenti, che non devono essere inferiori ai minimi tabellari. La legge dà all’appaltatore gli strumenti di controllo poiché è l’appaltatore principale a comunicare all’amministrazione la parte dei lavori eseguiti dal subappaltante con la specificazione del relativo importo e con la proposta motivata di pagamento. L’appaltatore inoltre deve ottenere dal subappaltatore copia dei versamenti contributivi, previdenziali, assicurativi e degli altri organismi previsti dalla contrattazione collettiva, quali ad esempio le casse edili, che devono essere trasmessi alla stazione appaltante. Se attraverso l’analisi della documentazione l’appaltatore rileva infrazioni per le quali ha una qualche responsabilità solidale nei confronti della stazione appaltante, egli ha un potere di diffidare la stazione appaltante a procedere direttamente a qualsivoglia pagamento, salva in ogni caso la sua personale responsabilità. Anche nel caso in cui la stazione appaltante non ritenga di procedere a pagamenti diretti nei confronti del subappaltatore vi è comunque un obbligo dei soggetti aggiudicatari di trasmettere copia delle fatture quietanzate relative ai pagamenti ricevuti con l’indicazione delle ritenute di garanzia effettuate. In caso di mancato pagamento al subappaltatore sembra comunque che le azioni nei confronti dell’appaltatore siano quelle civili, nulla essendo imputabile alla stazione appaltante

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se questa non ha tassativamente previsto il pagamento diretto al subappaltatore. Si può ipotizzare che il subappaltatore diffidi il responsabile del procedimento qualora eseguite le opere previste nel contratto dall’amministrazione non si sia proceduto al pagamento nei suoi confronti. A tal proposito sussiste sempre la possibilità di sequestro del credito dell’appaltatore nei confronti della stazione appaltante da parte del subappaltatore. Tale azione trova un limite nell’art. 351 della L. 2248/1865 all. F), che lo concede solo se la stazione appaltante riconosca che il sequestro non può nuocere all’andamento dell’opera. Stante che il pagamento afferisce a lavori che contribuiscono al buon andamento dell’opera i limiti di discrezionalità della stazione appaltante a non concedere il sequestro appaiono di molto ridotti, tanto più che il contratto di subappalto è autorizzato dalla stessa stazione appaltante. 8. Le controversie sul contratto di appalto. La giurisdizione ordinaria e arbitrale. La legge quadro sui lavori pubblici, legge n. 109/1994, reca nuove norme per regolare le controversie in materia di lavori pubblici, oltre a riformare profondamente il settore. Le controversie derivanti dall’esecuzione del contratto di appalto rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario, salvo il ricorso alla competenza arbitrale. L’obbligo dell’appaltatore di formulare le riserve tempestivamente è affermato dall’art. 165 del regolamento, D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554. Esse devono essere presentate alla firma del registro di contabilità. COMMENTO 373 Se l’appaltatore non firma il registro di contabilità nel termine perentorio di quindici giorni intimatogli dall’amministrazione ovvero firma ma non esplica le riserve scrivendo e firmando il registro di contabilità le corrispondenti domande di indennità ed indicando con precisione le cifre del presunto suo credito, egli decade dal diritto di fare valere in qualunque termine e modo le domande che ad esse si riferiscano. La giurisprudenza in vigenza dell’art. 54 del precedente regolamento di contabilità, R.D. 25 maggio 1895, n. 350, ha precisato che la valutazione della tempestività delle riserve, nei contratti di appalto di opere pubbliche, non si esaurisce in un mero accertamento di fatto rivolto alla individuazione dell’esatto momento in cui l’appaltatore ne ha effettuato l’iscrizione nel registro di contabilità, dovendosi invece stabilire se il momento della iscrizione rientri nell’ambito temporale normativamente stabilito (art. 54, R.D. 25 maggio 1895, n. 350), e dovendosi pertanto compiere un giudizio sul fatto alla stregua della disciplina legale. Cass. civ., sez. I, 6 dicembre 2000, n. 15485, in Giust. civ. Mass. 2000, 2551. L’art. 31, D.M. 19 aprile 2000, n. 145, precisa che la quantificazione della riserva è effettuata in via definitiva , senza la possibilità di successive integrazioni o incrementi rispetto all’importo iscritto. L’art. 31 bis, L. n. 109/1994, modifica il sistema delle riserve, introducendo un nuovo adempimento qualora l’importo economico dell’opera possa variare in misura sostanziale ed ogni caso non inferiore al 10%. Il responsabile del procedimento, in tal caso, deve acquisire la relazione riservata del direttore dei lavori deve proporre all’amministrazione un tentativo di soluzione della controversia attraverso un accordo bonario, entro novanta giorni dalla presentazione dell’ultima riserva. La conclusione della fase amministrativa deve essere approvata dall’amministrazione entro 60 giorni dalla domanda. Il silenzio è parificato a diniego sull’istanza. L’art. 32, D.M. 19 aprile 2000, n. 145, precisa che le riserve e le pretese dell’appaltatore, che in ragione del valore o del tempo di insorgenza non sono state oggetto della procedura di accordo bonario ai sensi dell’art. 31 bis della L. n. 109/1994, sono esaminate e valutate dalla stazione appaltante entro novanta giorni dalla trasmissione degli atti di collaudo effettuata ai sensi dell’art. 204, D.P.R. 21 dicembre 1999, n, 554 In carenza di collaudo l’appaltatore può chiedere che siano comunque definite le proprie riserve e richieste notificando apposita istanza. La stazione appaltante deve in tal caso pronunziarsi entro i successivi novanta giorni. Le determinazioni negative o il silenzio dell’amministrazione sono soggette ad impugnative entro il termine di decadenza di sessanta giorni, decorrente dal ricevimento della comunicazione dell’amministrazione di cui all’art. 149,

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comma 3, D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554, come precisa l’art. 33, D.M. 19 aprile 2000, n. 145. L’art. 32 della L. n. 216/1995 precisa che la definizione della controversia è affidata direttamente ad un arbitrato ai sensi degli artt. 806 ss. c.p.c., eliminando di fatto la possibilità per le amministrazioni di ricorrere, escludendo la competenza arbitrale, al giudice ordinario. La modifica successiva, apportata dalla L. n. 415/1998, dà la facoltà − l’arbitrato non è, quindi, obbligatorio − alle amministrazioni di inserire la clausola arbitrale. 374 APPALTI PUBBLICI L’esclusione della giurisdizione ordinaria è, comunque, subordinata alla predisposizione nel contratto o negli atti di gara di apposita clausola compromissoria, ex art. 34, D.M. n. 145/2000. Nel caso le parti abbiano scelto di deferire il giudizio ad arbitri, è prevista l’istituzione di un’apposita camera arbitrale presso l’autorità per la vigilanza sui lavori pubblici. La nomina degli arbitri, le norme di procedura e le tariffe devono essere regolamentate da un decreto da emanarsi da parte del Ministro dei lavori pubblici, di concerto col Ministro di grazia e giustizia, successivamente al regolamento governativo di attuazione della legge. Un indirizzo minoritario della giurisprudenza amministrativa afferma che spetta al giudice amministrativo la giurisdizione sulla controversia relativa alla risoluzione unilaterale del contratto da parte della pubblica amministrazione. T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, 27 gennaio.2000, n. 71, CG, 200, 602. La dottrina segue l’indirizzo giurisprudenziale prevalente che affida al giudice ordinario le controversie relative alla fase dell’esecuzione del contratto di appalto che attengono a posizioni di diritto soggettivo. V. CARBONE, Sezioni Unite, Adunanza Plenaria T.A.R. Calabria a confronto sulla nuova giurisdizione esclusiva dopo il D.Lvo. n. 80/1998, in Corr. Giur. 2000, 602. La giurisprudenza, infatti, afferma che, alla luce di una lettura costituzionale della relativa disciplina, deve escludersi che rientrino nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di pubblici servizi, introdotta dall’art. 33, D.L.vo n. 80/1998, le controversie attinenti al momento esecutivo di contratti di appalto di fornitura stipulati dal gestore del servizio pubblico per l’acquisizione dei beni e/o delle prestazioni strumentali proprie del servizio stesso. Cass. civ., Sezioni Unite, 30 marzo 2000, n. 72/00/S.U., in Corr. Giur. 2000, 592. 8.1. Il mancato pagamento. Nel caso di mancato pagamento la pretesa dell’appaltatore è azionabile, a mezzo di ricorso per decreto ingiuntivo, direttamente al giudice ordinario. L’obbligo di corrispondere gli interessi legali e moratori è stato ribadito dalla L. n. 109/1994. La norma non pone delle eccessive difformità rispetto alla normativa precedente. L’interesse di mora è fissato annualmente di concerto dai Ministeri interessati. Viene ribadita la possibilità di richiedere l’azione di risoluzione del contratto alternativamente alla giurisdizione ordinaria o agli arbitri, art. 26, L. n. 109/1994, sost. art. 9, L. 18 novembre 1998, n. 415. L’art. 116, D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554, conferma che il ritardo nel pagamento dei ratei di acconto e del saldo dell’importo comporta automaticamente il riconoscimento degli interessi moratori che devono essere liquidati nel certificato di pagamento successivo rispetto a quello nel quale sono stati maturati. L’appaltatore non ha alcuna limitazione nella costituzione in mora dell’amministrazione inadempiente in relazione al fatto che l’amministrazione prometta di erogare gli interessi arretrati nel successivo stato di avanzamento. Il regolamento rinvia alla disciplina del capitolato generale, D.M. 19 aprile 2000, n. 245, artt. 29 e 30, dato che il ritardato adempimento ha natura puramente negoziale. COMMENTO 375 Questo ha stabilito la seguente disciplina nel caso di ritardo nell’emissione del certificato di pagamento per ogni causa imputabile alla stazione appaltante: −fino a quarantacinque giorni dalla data di maturazione del pagamento l’appaltatore non ha diritto ad alcun compenso; −a partire da detta data per i primi sessanta giorni di ritardo spettano gli interessi legali; −successivamente spettano gli interessi di mora stabiliti dal ministero dei lavori pubblici

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col ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica. Tali interessi sono comprensivi dal maggior danno, a detta del legislatore, ma sul punto la giurisprudenza, finora, ha sempre oscillato nel riconoscere il risarcimento ulteriore all’appaltatore, che dimostri un maggiore nocumento. In secondo luogo è ammesso l’interesse di mora per i ritardi dovuti per predisporre il titolo di spesa nella seguente misura: −l’appaltatore non ha diritto ad alcun interesse per i primi trenta giorni dall’emissione del certificato di pagamento; −a partire da detta data spettano gli interessi legali per i primi sessanta giorni; −successivamente spettano gli interessi di mora stabiliti dal ministero dei lavori pubblici col ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica. La stazione appaltante deve predisporre il pagamento della rata di saldo entro novanta giorni dal collaudo o dal termine di presentazione della polizza fideiussoria se questa non è stata presentata prima o contestualmente al collaudo. 8.2. La tutela sugli atti di gara. Il risarcimento del danno. Il sindacato giurisdizionale sulla legittimità degli atti di gara è devoluto, ratione materiae, al giudice amministrativo. L’art. 13, L. 19 febbraio 1992, n. 142 che ha recepito nell’ordinamento l’art. 2, punto 1, lett. e), punto 5), direttiva Cee n. 89/665, in materia di procedimento di aggiudicazione di appalti a rilevanza comunitaria, ha introdotto nell’ordinamento nazionale il principio della risarcibilità del danno derivante dalla violazione di norme comunitarie o interne di recepimento in materia di appalti pubblici o forniture. T.A.R. Lazio, sez. III, 16 giugno 1998, n. 1393, in T.A.R. 1998, 2341. Successivamente alla pronuncia di annullamento, il giudice ordinario chiamato a decidere sulla pretesa di risarcimento ben può accertare che il danno subito dal privato per la condotta della P.A., autrice dell’atto illegittimo, è stato inferto non iure. Egli può accordare il risarcimento ex art. 2043 c.c. per la lesione di interesse legittimo. Trib. Rovereto, 17 luglio 1998, in Giur. merito 1999, 367. La disciplina portata dal D.L.vo n. 80 del 1998, prevedente, all’art. 33, mod. art. 7, L. n. 205/2000, la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, estesa anche al risarcimento del danno ingiusto, è applicabile solo a decorrere dall’1 luglio 1998. Da allora il giudice amministrativo in sede di annullamento dell’atto illegittimo può provvedere a determinare l’entità del risarcimento. Cass. civ., Sezioni Unite, 13 febbraio 1999, n. 64, in Giust. civ. 1999, 971. Le norme di cui all’art. 31 bis, L. 109/1994, in materia di ricorsi giurisdizionali, cercano di semplificare l’iter dei ricorsi in materia di affidamento dei lavori per i quali è stata pronunciata la sospensiva avanti al giudice amministrativo. 376 APPALTI PUBBLICI Il ricorrente, l’amministrazione e i controinteressati possono tutti richiedere che la questione venga decisa nel merito. Il presidente del T.A.R. o del Consiglio di Stato fissa l’udienza nei successivi 90 giorni; il termine è da considerarsi ordinatorio, ma è indubbio l’effetto acceleratorio che il processo amministrativo dovrebbe avere. Viene introdotta una ulteriore corsia preferenziale anche per i processi pendenti aventi ad oggetto controversie in materia di lavori pubblici per i quali viene richiesto nel ricorso un provvedimento d’urgenza, qual è la domanda di sospensiva. I controinteressati e l’amministrazione possono richiedere, anche all’udienza di discussione, che il ricorso venga deciso nel merito. Il presidente deve fissare l’udienza di discussione entro novanta giorni dal deposito dell’istanza o entro sessanta giorni dall’udienza, anche in tal caso i termini sono chiaramente ordinatori. Le parti possono produrre memorie e documenti fino a quindici giorni prima dell’udienza a pena di decadenza. La disciplina portata dal D.L.vo 80 del 1998, che sancisce, all’art. 33, mod. art. 7, L. n. 205/2000, la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, prevede la possibilità di disporre il risarcimento del danno ingiusto per tutte le cause introdotte con atto notificato a partire dal 1 luglio 1998. Il giudice ordinario vede modificata, così, la sua competenza a disporre il risarcimento. Esso può essere comminato direttamente dal giudice amministrativo, dopo avere verificato l’illegittimità dell’atto impugnato. T.A.R. Lombardia, sez. I, Milano, 10 luglio 1999, n.

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2585, in Urb. App, 1999, 1123. Il legislatore introduce con detto provvedimento legislativo una nuova tecnica processuale per la determinazione del danno. Il giudice amministrativo, invece di indicare l’esatta quantificazione dell’importo da corrispondere, può disporre i criteri in base ai quali l’amministrazione pubblica o il gestore del pubblico servizio devono formulare al danneggiato la proposta risarcitoria nel termine ad essi indicato. Più semplice appare il sistema della reintegrazione in forma specifica, che consiste nel porre il ricorrente nella sua posizione di legittimo aggiudicatario, riconoscendogli gli eventuali maggiori costi, dovuti per effettuare la prestazione, dato il decorso del tempo. N. CENTOFANTI, La patologia del contratto di appalto di opere pubbliche nella giurisprudenza 2000, 122. Il giudice amministrativo ha affermato il principio che l’annullamento degli atti di gara non determina una caducazione automatica del contratto già stipulato fra l’amministrazione e la ditta rimasta aggiudicataria. Il giudice ha, invece, riconosciuto il diritto al risarcimento per equivalente, collegato alla perdita di chance ossia alle probabilità che il ricorrente aveva di aggiudicarsi l’appalto nel caso fosse stata ripetuta la procedura di gara. Per la quantificazione del danno si devono tenere presenti i seguenti criteri: l’importo a base di gara, un utile presunto del 10% e un coefficiente di riduzione collegato alla probabilità di aggiudicazione. La colpa dell’amministrazione consiste nella sua grossolana disapplicazione della normativa comunitaria riguardo agli appalti. Tale colpa, in generale, potrebbe essere esclusa o limitata in caso di equivocità della normativa di riferimento o di novità delle questioni. T.A.R. Lombardia, 16 luglio 1999, n. 5049, in Guida dir. 2000, n. 4, 104. COMMENTO 377 8.3. Le controversie in tema di revisione prezzi. Il principio della fissità del prezzo contrattuale è derogato dall’istituto della revisione dei prezzi che consente l’aggiornamento degli stessi qualora si verifichino determinati presupposti. Le domande di revisione devono a pena di decadenza essere presentate prima della firma del certificato di collaudo dei lavori ai sensi dell’art. 2 del D.L.vo C.P.S. n. 1501/1947. Il meccanismo revisionale oggetto di continue modifiche che tendono a limitarne l’applicazione trova una prima interpretazione riduttiva nell’art. 33 della L. n. 41/1986. V. ELIA, La revisione prezzi contrattuali nelle opere pubbliche nella disciplina della legge finanziaria 1986, in Foro amm. 1986, 2940. Circolare LL.PP. 9 maggio 1991, n. 905/1 in G.U. n. 113/1991. La revisione dei prezzi è ammessa solo per i lavori che hanno durata superiore all’anno a prescindere dalla durata contrattuale, anche in relazione a fatti sopravvenuti, come i lavori aggiuntivi, le sospensioni o le proroghe concesse dall’amministrazione. Qualora l’importo complessivo della prestazione sia aumentato del 10% per effetto delle variazioni dei prezzi correnti intervenute successivamente all’aggiudicazione, l’appaltatore ha diritto alla maggiorazione per la parte della differenza eccedente la percentuale d’alea del 10%. I prezzi sono rilevati da apposite tabelle compilate da commissioni regionali, si fa riferimento a quella vigente alla data della aggiudicazione, anche se compilata successivamente. Dalla revisione devono escludersi i lavori già eseguiti nel primo anno e l’intera anticipazione ricevuta. La revisione può essere esclusa dall’ammnistrazione ricorrendo al prezzo chiuso, aumentando del 5%, per ogni anno intero previsto per l’ultimazione dei lavori, il prezzo del lavoro al netto del ribasso d’asta. Con l’art. 3 della L. n. 359/1992 è stato abrogato l’art. 33 della L. n. 41/1986 e con esso la possibilità di concedere la revisione dei prezzi; rimane la possibilità per l’amministrazione di prevedere il prezzo chiuso. Nuove disposizioni sono introdotte dall’art. 26 della L. n. 109/1994. Contro le determinazioni con le quali l’amministrazione nega o accorda parzialmente la revisione è ammesso ricorso che deve essere presentato al ministro competente per le amministrazioni statali. Il Ministro decide su parere di una commissione istituita presso il Ministero dei lavori pubblici

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Le norme in tema di silenzio, di cui art. 6, D.P.R. n. 1199/1971, che parificano a diniego il silenzio protrattosi oltre novanta giorni dalla domanda, non si applicano in tema di revisione, ex art. 17, L. n. 741/1981. Scaduti detti termini il ricorrente può dichiarare, nei sessanta giorni disponibili normalmente per il ricorso al T.A.R., di volersi avvalere della facoltà di ottenere il parere della Commissione, per cui i termini per l’impugnativa in caso di silenzio decorrono dalla comunicazione del parere stesso. Cons. Stato, Ad. Pl. 7 settembre 1984, n. 18, in Cons. Stato 1984, 976. Sulla competenza del giudice amministrativo in materia di revisione prezzi. 378 APPALTI PUBBLICI

LE FORMULE APPALTI PUBBLICI Formula n. 78

78 . RICORSO AL T.A.R. PER L’ANNULLAMENTO DI GARA D’APPALTO E CONTESTUALE RICHIESTA DI RISARCIMENTO DEL DANNO 78

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DI . . . Ricorso del sottoscritto signor . . . legale rappresentante della società . . . elettivamente domiciliato in . . . presso lo studio dell’avv. . . . giusta mandato in calce a questo atto, adisce codesto T.A.R. nei confronti dell’Amministrazione provinciale di . . . contro il sindaco del comune di . . . per l’annullamento della delibera del consiglio comunale di . . . che nega il riconoscimento della revisione dei prezzi. Fatto e diritto Il legale rappresentante della società, come sopra rappresentato, espone quanto segue. La società da lui rappresentata ha partecipato ad una gara di licitazione privata per aggiudicarsi l’appalto della costruzione di una strada sita in comune di . . . indetta il . . . dall’amministrazione provinciale di . . . L’impresa esclusa, a suo avviso illegittimamente dalla gara, propone ricorso amministrativo per l’annullamento dell’esclusione e per l’affermazione del suo interesse alla successiva aggiudicazione dell’appalto, per i seguenti motivi. 1) Illegittimità del provvedimento di esclusione per eccesso di potere. Il bando di gara non dava indicazioni particolari in ordine alla capacità tecnica delle imprese partecipanti, mentre in sede di aggiudicazione l’impresa ricorrente è stata esclusa per valutazioni discrezionali in ordine alle sue capacità tecniche, in relazione all’esecuzione dell’appalto, non supportate da argomentazioni da contestare la documentazione prodotta, quali bilanci e attestati delle opere eseguite, all. 1-2. 2) Si chiede, inoltre, che il Tribunale adito, dopo avere accertato l’illegittimità dell’intera procedura di aggiudicazione, esamini ed accolga la richiesta di risarcimento del danno. Formula n. 78 APPALTI PUBBLICI 381 Il ricorrente con il presente atto chiede il risarcimento dei danni derivatigli ai sensi degli artt. 1337 e 2043 del c.c. Il risarcimento per danni derivanti da atti illegittimi è, oramai, pacifico, a norma dell’art. 35, D.L.vo 80/1988, mod. art. 7, L. 205/2000. Si richiede il risarcimento del danno in forma specifica ossia che l’appalto venga aggiudicato all’impresa ricorrente successivamente all’annullamento della gara. Si richiede, inoltre, il risarcimento del danno in forma generica ossia che venga

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determinato l’ammontare del danno patrimoniale subito. Il risarcimento deve avvenire per equivalente. Esso deve essere collegato alla perdita di chance, ossia alle probabilità che il ricorrente aveva di aggiudicarsi l’appalto nel caso fosse stata ripetuta la procedura di gara. Per la quantificazione del danno si devono tenere presenti i seguenti criteri: le spese sostenute per la partecipazione alla gara di appalto, un utile presunto del 10% sull’importo a base di gara con un coefficiente di riduzione collegato alla probabilità di aggiudicazione; si chiede, pertanto, che venga quantificato in L. . . . (T.A.R. Lombardia, 16 luglio 1999, n. 5049, in Guida dir. 2000, n. 4, 104). P.Q.M. Il sottoscritto, come rappresentato, chiede che il T.A.R. adito voglia: 1) disporre l’annullamento della gara; 2) condannare l’amministrazione al pagamento del risarcimento del danno pari a euro . . . comprensivo delle spese sostenute e dell’utile d’impresa, pari al dieci per cento dell’appalto, comprensivo del coefficiente di riduzione collegato alla probabilità d’aggiudicazione; Con rifusione di spese ed onorari del presente giudizio. Si depositano i seguenti documenti: 1) bilanci; 2) attestati relativi alle opere eseguite. Lì, . . . Avv. . . . Io sottoscritto . . . legale rappresentante della società nato a . . . il . . . delego a rappresentarmi e difendermi nel presente giudizio, con tutti i poteri di cui all’art. 84 c.p.c., eleggendo domicilio presso la segreteria del T.A.R. adito. Lì, . . . Il ricorrente . . . Per autentica Avv. . . . 382 APPALTI PUBBLICI Formula n. 78 RELAZIONE DI NOTIFICA A richiesta del Signor . . . io sottoscritto assistente UNEP addetto al Tribunale di . . . certifico di aver notificato il suesteso atto al Presidente pro tempore dell’Amministrazione provinciale di . . . Formula n. 78 APPALTI PUBBLICI 383 APPALTI PUBBLICI Formula n. 79

79 . ISTANZA PER L’ARBITRATO 79

L’Impresa con sede in . . ., in persona del suo titolare Signor . . . assistita e difesa dagli avv.ti . . ., e presso lo studio di questi ultimi elettivamente domiciliata in . . ., come da mandato in calce al presente atto, premesso che in forza di contratto di appalto l’Impresa ha costruito, per conto ed incarico della . . ., alloggi ed autorimesse in . . . che, con lettera R.R. in data . . ., l’Ente comunicava all’Impresa di aver risolto, respingendola, in via amministrativa, l’istanza di maggior compenso avanzata, già inserita nel registro di contabilità, sussistendo controversia, Capitolato Generale di Appalto del Ministero dei lavori pubblici e dell’art. 32, L. n. 109/1994, mod. art. 10, L. n. 415/1998 l’Impresa presenta istanza per arbitrato nei confronti dello . . ., con sede in . . ., nella persona del suo presidente

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pro tempore, affinché il costituendo Collegio Arbitrale pronunci lodo arbitrale: a) di annullamento della delibera dell’ente, relativamente alla reiezione della riserva inserita nel registro di contabilità; b) di condanna dell’ente suddetto al pagamento a favore dell’Impresa della sottoelencata somma, per i titoli ed a risoluzione delle questioni meglio specificate qui di seguito. 1) Per quanto riguarda poi la reiezione della riserva n. 1, inserita nel registro contabilità e relativa agli ascensori, per un importo di euro . . ., sembra indiscutibile la illegittimità della reiezione di consimile richiesta quando è del tutto pacifica la fornitura e messa in opera degli ascensori da parte dell’impresa, fornitura e messa in opera degli ascensori che non rientravano certamente negli obblighi assunti dall’impresa nel capitolato d’appalto, quanto mai preciso e minuzioso, onde è impossibile una implicita fornitura e messa in opera di opere di così alto costo come quelle relative agli ascensori. 2) Per quanto riguarda la reiezione della riserva n. 2 inserita nel registro contabilità e relativa alle opere di urbanizzazione per un importo di euro . . . sembra indifordiram\ 384 APPALTI PUBBLICI Formula n. 79 scutibile la illegittimità di reiezione di simile richiesta, in quanto non rientravano certamente negli obblighi assunti dall’Impresa nel capitolato d’appalto, ma che forzatamente l’Impresa ha dovuto anticipare sia in denaro che in prestazioni per permettere l’esecuzione degli alloggiamenti, come l’ENEL (Ente erogatore) ha confermato. 3) Per quanto riguarda la reiezione della riserva n. 3 inserita nel registro contabilità e relativa alla incassettatura pluviali per un importo di euro . . . sembra indiscutibile la illegittimità della reiezione di simile richiesta, in quanto sui disegni di progetto i pluviali risultavano esterni e quindi privi di incassettatura: la stessa è stata ordinata verbalmente dalla Direzione lavori. 4) Per quanto riguarda la reiezione della riserva n. 4 inserita nel registro contabilità e relativa alla tinteggiatura faccia vista per un importo di euro . . ., sembra indiscutibile la illegittimità della reiezione di simile richiesta, in quanto nel capitolato d’appalto non è prevista l’esecuzione di tale opera che è stata concordata con la Direzione lavori. 5) Per quanto riguarda la reiezione della riserva n. 5 inserita nel registro contabilità e relativa agli arganelli finestre per un importo di euro . . ., non può essere messa in dubbio la illegittimità della reiezione di simile richiesta, in quanto risulta indiscutibile la miglioria del meccanismo dell’arganello al posto della prevista cinghia normale, come concordato con la Direzione lavori. 6) Per quanto riguarda la reiezione della riserva n. 6 inserita nel registro contabilità e relativa alla porta balcone in ferro per un importo di euro . . ., sembra indiscutibile la illegittimità della reiezione di consimile richiesta, in quanto a fronte dell’opera prevista dal Capitolato Speciale di Appalto (impianto di riscaldamento) che prevedeva solamente uno sportello in lamiera verniciata a contenimento della sola caldaia, è stata invece realizzata, a richiesta della Direzione lavori, una parete in ferro costituita da una porta con un dispositivo di chiusura e da una porta fissa posta a protezione sia della caldaia che dello scaldabagno e per nascondere i relativi tubi di esalazione, altrimenti visibili dalla strada. 7) Ha diritto infine l’impresa di ottenere il pagamento degli interessi bancari sulle somme che non le sono state corrisposte e cioè sulla complessiva somma di euro . . . P.Q.M. voglia l’Ill.mo Collegio Arbitrale accogliere le seguenti conclusioni: − disporre gli annullamenti richiesti; − condannare l’Ente, in persona del suo Presidente pro tempore, e legale rappresentante, al pagamento a favore dell’impresa della complessiva somma di euro . . .,

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con gli interessi bancari fino all’effettivo saldo, nonché le spese relative al procedimento arbitrale, ivi comprese quelle per l’assistenza tecnica e legale dell’impresa appaltatrice. 13 Formula n. 79 APPALTI PUBBLICI 385 Con riserva di ogni ulteriore domanda e deduzione e produzione. Spese ed onorari rifusi. Lì, . . . Avv. . . . Io sottoscritto . . . nato a . . . il . . . delego a rappresentarmi e difendermi nel presente giudizio, con tutti i poteri di cui all’art. 84 c.p.c. e con facoltà di conciliare e transigere l’avvocato . . . presso il cui studio eleggo domicilio, per tutti i gradi del presente giudizio. Lì, . . . Il ricorrente . . . Per autentica Avv. . . . RELAZIONE DI NOTIFICA A richiesta del Signor . . . io sottoscritto ufficiale giudiziario addetto al Tribunale di . . . certifico di aver notificato il suesteso atto al . . . 386 APPALTI PUBBLICI Formula n. 79 APPALTI PUBBLICI Formula n. 80

80 . ATTO DI CITAZIONE AL TRIBUNALE PER L’ACCOGLIMENTO DI RISERVE 80

TRIBUNALE DI . . . Atto di citazione L’Impresa . . ., con sede in . . ., in persona del suo titolare . . ., assistita e difesa, per procura in calce del presente atto, dall’avvocato . . ., e presso lo studio di questo elettivamente domiciliata in . . . premesso − che in forza di contratto d’appalto (doc. 1 e 2), l’Impresa ha costruito, per conto ed incarico dell’Ente, alloggi ed autorimesse in . . .; − che con lettera r.r. in data . . ., l’Ente (doc. 3) comunicava all’Impresa di aver risolto, in via amministrativa, respingendo le istanze di maggior compenso avanzate dall’impresa, già inserite nel registro di contabilità ex art. 149, comma 3, D.P.R. n. 554/1999 e art. 33, D.M. 19 aprile 2000, n. 145; − che quindi all’impresa non rimane che adire la competente autorità giudiziaria ordinaria per il riconoscimento dei propri diritti, al che provvede con il presente atto, inteso ad ottenere la condanna dell’ente al pagamento della complessiva somma di euro . . ., con gli interessi bancari sino al saldo effettivo, per i seguenti titoli e ragioni: . . . (vedi supra istanza per arbitrato). Tutto ciò premesso, l’Impresa come sopra assistita, difesa e domiciliata cita l’Ente con sede in . . ., in persona del suo Presidente pro tempore e legale rappresentante, a comparire avanti il Tribunale di . . ., all’udienza del giorno di . . ., ore . . ., con invito a costituirsi in giudizio, nei modi e termini di legge, ed a comparire alla suindicata udienza avanti il designando giudice istruttore, con avvertimento o diffida che in difetto sarà dichiarato decaduto dai diritti di cui all’art. 167 del c.p.c., per ivi sentire accogliere le seguenti conclusioni: − piaccia al Tribunale Ill.mo dato atto dell’infondatezza delle detrazioni e degli

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addebiti e del mancato accoglimento delle richieste avanzate dall’Impresa condannare l’Ente . . ., con sede in . . ., in persona del suo Presidente e legale rappresentante, Formula n. 80 APPALTI PUBBLICI 387 al pagamento a favore dell’Impresa . . ., in persona del suo titolare . . ., della complessiva somma di euro . . ., per i titoli e le ragioni esposte (nell’istanza di arbitrato), con gli interessi bancari fino all’effettivo saldo. Con rifusione di tutte le spese ed onorari di causa. Previa, al caso ed occorrendo, ammissione dei seguenti mezzi istruttori: 1) ispezione dei luoghi intesa ad accertare i maggiori lavori eseguiti rispetto alle indicazioni del capitolato speciale ed in particolare . . . 2) prova per testi sulle seguenti circostanze: “Vero è che l’impresa per ordine del direttore dei lavori ha effettuato i seguenti lavori . . . non indicati nel capitolato speciale”. Con riserva di indicare i testi. Si produce: 1) istanza per l’arbitrato; 2) atto di esclusione di arbitrato; 3) contratto di appalto; 4) capitolato speciale; 5) elenco delle riserve iscritte nel registro di contabilità. Lì, . . . Avv. . . . Io sottoscritto . . . nato a . . . il . . . delego a rappresentarmi e difendermi nel presente giudizio, con tutti i poteri di cui all’art. 84 c.p.c. e con facoltà di conciliare e transigere l’avvocato . . . presso il cui studio eleggo domicilio, per tutti i gradi del presente giudizio. Lì, . . . Il ricorrente . . . Per autentica Avv. . . . RELAZIONE DI NOTIFICA A richiesta del Signor . . . io sottoscritto ufficiale giudiziario addetto al Tribunale di . . . certifico di aver notificato il suesteso atto al legale rappresentante della stazione appaltante. 388 APPALTI PUBBLICI Formula n. 80 APPALTI PUBBLICI Formula n. 81

81 . CITAZIONE AL GIUDICE ORDINARIO PER DANNI PER ILLEGITTIMA SOSPENSIONE DEI LAVORI 81

TRIBUNALE SEZIONE CIVILE DI . . . Atto di citazione per il Signor . . . rappresentato e difeso, come da mandato in calce al presente atto, dall’avv. . . . presso il quale è elettivamente domiciliato in . . . Fatto e diritto L’impresa . . . è rimasta aggiudicataria dei lavori di costruzione di un’opera pubblica. Successivamente alla regolare consegna dei lavori e dopo che questi sono iniziati puntualmente la stazione appaltante tramite ordine di servizio del direttore dei lavori ha ordinato la sospensione dei lavori per ragioni di pubblico interesse dovute alla necessità di richiedere e perfezionare un finanziamento supplettivo. Poiché la sospensione può essere richiesta nei limiti di cui all’art. 24, D.M. 19

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aprile 2000, n. 145, ampiamente superati; la sospensione è da ritenersi illegittima poiché non sussistono le ragioni di pubblico interesse o necessità, ma i motivi della sospensione sono correlati a fatti imputabili all’amministrazione. Questa ipotesi è rapportata alla fattispecie di risoluzione per inadempimento di diritto comune (Cass. 17 marzo 1982, n. 1728, in Arch. Giur. Op. Pubbl., 1983, II, 48). La sospensione diviene illegittima quando ha durata più lunga di quella consentita. Successivamente con istanza notificata alla stazione appaltante il . . . è stato richiesto lo scioglimento del contratto senza indennità. L’amministrazione si è opposta allo scioglimento, in tal caso l’appaltatore ha diritto alla rifusione dei maggiori oneri spettanti dal prolungamento della sospensione oltre i termini. L’appaltatore ha inoltre inserito riserva non oltre il verbale di ripresa dei lavori pena la decadenza dal diritto (Cass. 17 marzo 1982, n. 1728, cit.). I maggiori oneri riguardano sia le spese generali di sede e di cantiere computate per l’intero periodo di ritardo oltre alle spese per il personale fisso impiegatizio e Formula n. 81 APPALTI PUBBLICI 389 salariato di cantiere, dell’immobilizzo delle attrezzature, delle guardianie nonché le spese fisse di cantiere, nonché il risarcimento per il maggiore improduttivo vincolo di macchinari e attrezzature ed in quanto provato, per il mancato utile. Con riferimento al maggiore improduttivo vincolo di macchinari e delle attrezzature esistenti in cantiere, che evidentemente essendo destinati al cantiere non possono essere utilizzate altrimenti, spetta all’impresa un indennizzo valutato sulla base dei coefficienti di ammortamento delle stesse macchine ed attrezzature. Costituiscono danno risarcibile le perdite subite dall’appaltatore a causa dell’esposizione alle intemperie delle armature utilizzate nel cantiere, essendo evidente il nesso di causalità adeguata tra colpevole condotta del committente e pregiudizio subito dalla controparte. Queste somme riconosciute all’impresa come risarcimento del danno sono suscettibili di rivalutazione monetaria in ragione della eventuale svalutazione intervenuta tra il verificarsi del ritardo che ha causato il danno ed il momento in cui tale danno viene quantificato ai fini della condanna. Sulle somme liquidate spettano all’impresa gli interessi nella misura legale (Lodo, 22 marzo 1982, n. 14, in Arch. giur. Op. Pubbl. 1982, III, 113). Per le obbligazioni pecuniarie per le quali sia stato liquidato il maggior danno ai sensi dell’art. 1124 c.c. relativamente a tutto il periodo di tempo intercorso tra la data della costituzione in mora, ossia dalla data della richiesta di scioglimento del contratto a quella della liquidazione della somma, deve escludersi che possano essere liquidati gli interessi legali. Gli interessi possono essere riconosciuti solo successivamente alla liquidazione del danno fino al pagamento, determinandosi diversamente una duplicità di integrazione (Cass. sez. I, 9 maggio 1989, n. 2395, in Riv. Giur. Ed. 1989, 898). Ciò posto il Signor . . ., come sopra rappresentato, . . . cita la stazione appaltante nella persona del suo legale rappresentante pro tempore davanti al Tribunale di . . . A tale fine invita i convenuti a costituirsi in giudizio nel termine e nelle forme stabilite dall’art. 166 c.p.c., con espresso avvertimento che in difetto sarà dichiarato decaduto dai diritti di cui all’art. 167 del c.p.c., ed a comparire all’udienza del . . . dinanzi al Consigliere Istruttore che sarà ritualmente designato. Per sentire accogliere le seguenti conclusioni: − piaccia all’Ill.mo Tribunale condannare la stazione appaltante ai maggiori oneri

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per spese generali e di cantiere per i giorni di illegittima sospensione determinati in euro . . . condannare la stazione appaltante al risarcimento di euro . . . per il deperimento e mancato utilizzo dei macchinari di cantiere 390 APPALTI PUBBLICI Formula n. 81 condannare la stazione appaltante al risarcimento di euro . . . per mancato utile poiché non si è potuto partecipare all’appalto di . . . per euro . . .; con rivalutazione monetaria dal momento del danno al momento della sentenza ed interessi legali dalla sentenza al pagamento. Spese ed onorari rifusi. Si depositano i seguenti documenti: 1) ordine di servizio; 2) richiesta di scioglimento; 3) copia della riserva inserita in contabilità; 4) prospetto di liquidazione del danno. Lì, . . . Avv. . . . Io sottoscritto . . . nato a . . . il . . . delego a rappresentarmi e difendermi nel presente giudizio, con tutti i poteri di cui all’art. 84 c.p.c. e con facoltà di conciliare e transigere l’avvocato . . . presso il cui studio eleggo domicilio, per tutti i gradi del presente giudizio. Lì, . . . Il ricorrente . . . Per autentica Avv. . . . RELAZIONE DI NOTIFICA A richiesta del Signor . . . io sottoscritto ufficiale giudiziario addetto al Tribunale di . . . certifico di aver notificato il suesteso atto al legale rappresentante della stazione appaltante. Formula n. 81 APPALTI PUBBLICI 391 APPALTI PUBBLICI Formula n. 82

82 . RICORSO AL T.A.R. AVVERSO DINIEGO DI REVISIONE PREZZI 82

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE . . . Ricorso del Signor . . . rappresentato e difeso come da mandato in calce al presente ricorso dall’avvocato . . . con studio legale in . . . via . . . presso il quale elegge il proprio domicilio contro il sindaco del comune di . . . per l’annullamento della delibera del consiglio comunale di . . . che nega il riconoscimento della revisione dei prezzi. Fatto e diritto In data 1 giugno 1988 la ricorrente impresa è rimasta aggiudicataria dell’appalto per la costruzione di . . . per l’importo di euro . . ., ha ottenuto anticipazione per euro . . . e nel primo anno della aggiudicazione sono stati eseguiti lavori per euro . . . Dal 1 giugno 1989 l’impresa ha richiesto revisione prezzi per tutto il periodo di durata dei terminati oltre il termine contrattuale al 1 giugno 1991, secondo le tabelle revisionali (D.M. 11 dicembre 1978) del 1 aprile 1992, vigente al momento della aggiudicazione. Il Comune ha respinto la richiesta affermando che gli importi revisionali non superano l’alea del 10% sull’intero importo dell’appalto; che in ogni caso l’importo

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revisionale deve essere calcolato alla data del 1 gennaio 1991, termine contrattuale di ultimazione; che le tabelle revisionali da prendere in riferimento sono quelle afferenti il periodo di aggiudicazione anche se non ancora pubblicate a quella data. La delibera di reiezione della richiesta di revisione appare illegittima e se ne chiede l’annullamento per i seguenti motivi. 1) Eccesso di potere per illogicità manifesta. È illogico ritenere che l’alea revisionale debba incidere sull’intero ammontare dell’appalto. La revisione prezzi è meccanismo inteso a riportare le prestazioni in posizioni paritarie in relazione agli indici di svalutazione non valutabili in sede di formulazione del prezzo di appalto. Il legislatore ha addossato il primo anno di svalutazione a totale carico dell’impresa. Ha riconosciuto la spettanza degli importi revisionali maturati successivamente. Secondo l’interpretazione del Cons. Stato, sez. II, 16 gennaio 1991, n. 392 APPALTI PUBBLICI Formula n. 82 1279/90 ripresa dal Ministero Ministero dei lavori pubblici circ. 9 maggio 1991 n. 905, l’alea percentuale va applicata sul totale dell’importo dei lavori al netto del ribasso d’asta, diminuito della somma concessa al titolo di anticipazione nonché di quella corrispondente ai lavori eseguiti nel primo anno. In caso contrario si riferirebbe l’alea revisionale ad importi che sono esclusi dalla revisione con palese illegittimità ed illogicità. 2) Eccesso di potere per contraddittorietà. È palesemente contradditorio far coincidere la durata dei lavori ai fini revisionali, con quella prevista contrattualmente, poiché a norma di legge la amministrazione può concedere proroghe e sospensioni per sue proprie esigenze. Gli eventuali maggiori costi per gli effetti inflattivi sono remunerati secondo il meccanismo revisionale. 3) Violazione dei principi generali dell’ordinamento. Non si può negare che alla data dell’aggiudicazione le ultime tabelle revisionali approvate erano quelle del . . ., poiché le nuove tabelle dovevano essere pubblicate. Poiché è solo con la pubblicazione che un atto amministrativo può esplicare i suoi effetti, l’impresa poteva effettuare i conteggi per produrre l’offerta solo attraverso le uniche tabelle revisionali regolarmente pubblicate. Non si vede come in sede di calcolo l’amministrazione voglia tenere conto delle tabelle che pur afferenti al periodo di aggiudicazione non erano al tempo ancora pubblicate P.Q.M. voglia l’Ill.mo T.A.R. adito annullare la delibera impugnata e fissare il conseguente obbligo dell’amministrazione di approvare i conteggi revisionali prodotti, con applicazione degli interessi legali dal tempo della domanda. Si produce: 1) domanda di revisione prezzi; 2) delibera di diniego; 3) conteggi revisionali. Spese ed onorari rifusi. Lì, . . . Avv. . . . Io sottoscritto . . . nato a . . . il . . . delego a rappresentarmi e difendermi nel presente giudizio, con tutti i poteri di cui all’art. 84 c.p.c., l’avvocato . . . presso il cui studio eleggo domicilio. Formula n. 82 APPALTI PUBBLICI 393 Lì, . . . Il ricorrente . . . Per autentica

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Avv. . . . RELAZIONE DI NOTIFICA A richiesta del Signor . . . io sottoscritto ufficiale giudiziario addetto al Tribunale di . . . certifico di aver notificato il suesteso atto al sindaco del comune di . . . 394 APPALTI PUBBLICI Formula n. 82 APPALTI PUBBLICI Formula n. 83

83 . CITAZIONE AL GIUDICE ORDINARIO PER RISOLUZIONE DEL CONTRATTO DI APPALTO PER MANCATA CONSEGNA DEI LAVORI 83

TRIBUNALE SEZIONE CIVILE DI . . . Atto di citazione del Signor . . . nella sua qualità di amministratore delegato della società . . ., rappresentato e difeso, come da mandato in calce al presente atto, dall’avv. . . . presso il quale è elettivamente domiciliato in . . . Fatto e diritto Il Signor . . . nella sua predetta qualità, come sopra rappresentato, fa presente quanto segue. In data . . . la società partecipava ad una licitazione privata indetta dal Ministero dei lavori pubblici aggiudicandosi la gara. Successivamente in data . . . veniva stipulato il relativo contratto di appalto. Essendo il contratto ritualmente registrato presso la Corte dei conti in data . . . ed essendo trascorsi quarantacinque giorni si provvedeva ad inoltrare istanza di risoluzione del contratto per mancata consegna dei lavori. Nonostante l’istanza di risoluzione l’amministrazione non ha proceduto ad accoglierla procedendo tardivamente in data . . . alla consegna dei lavori con evidente ritardo rispetto ai termini rituali. Il ritardo nella consegna dei lavori dovuto all’amministrazione, legittima la richiesta di recedere dal contratto, avendo l’amministrazione accolto l’istanza di recesso, ex art. 9, D.M. 19 aprile 2000, n. 145. La richiesta non è vincolante per l’amministrazione che può anche non accoglierla. La richiesta può essere formulata solo fino a quando si protragga il ritardo. Poiché la proposta di recesso è intervenuta prima della consegna è accertato il diritto al compenso per i maggiori oneri dovuti per il ritardo, stante che l’appaltatore rimane obbligato a ricevere la consegna dei lavori, anche se tardiva, nel giorno stabilito dall’amministrazione (Cass., sez. I, 21 aprile 1991, n. 4341, in Riv. giur. edil. 1991, 767). Poiché l’istanza di recesso non è stata accolta l’appaltatore ha diritto ad un compenso per i maggiori oneri dipendenti dal ritardo. Formula n. 83 APPALTI PUBBLICI 395 Questo diritto non è soggetto all’onere della riserva poiché il ritardo è un fatto storicamente accertato per il quale l’amministrazione non deve essere notiziata a pena di decadenza. Si chiedono i maggiori oneri derivanti dalle spese generali computate sull’itero importo contrattuale diminuito del ribasso d’asta con l’aggiunta delle spese generali per l’intero arco di tempo del ritardo, che si quantificano in euro . . . giornaliere per il numero di giorni di ritardo. Tali somme, riconosciute a titolo risarcitorio, costituiscono debito di valore, si chiede pertanto la rivalutazione monetaria. Gli interessi legali decorrono dalla data di domanda di arbitrato a quella della relativa pronuncia (Lodo, 18 febbraio 1982, n. 7, in Arch. Giur. Op. Pubbl., 1982,

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III, 33; Cass. civ., sez. I, 25 luglio 1990, n. 7536, in Mass. Ann. Cass. 1990, 1376). Per questi motivi il signor . . ., come sopra rappresentato . . . cita il Ministro dei lavori pubblici davanti al Tribunale di . . . A tale fine invita il convenuto a costituirsi in giudizio nel termine e nelle forme stabilite dall’art. 166 c.p.c. ed a comparire all’udienza del . . . dinanzi al Consigliere Istruttore che sarà ritualmente designato, con espresso avvertimento che, in difetto, sarà dichiarato decaduto dai diritti di cui all’art. 167 del c.p.c., per l’accoglimento delle seguenti conclusioni. Piaccia all’Ecc.mo Tribunale di . . ., disattesa ogni diversa istanza od eccezione; 1) condannare il Ministro dei lavori pubblici al risarcimento dei danni per euro . . . come sopra determinati con rivalutazione monetaria ed interessi legali. Spese ed onorari rifusi. Si depositano i seguenti documenti: 1) istanza di recesso; 2) verbale di consegna dei lavori. Lì, . . . Avv. . . . Io sottoscritto . . . nato a . . . il . . . delego a rappresentarmi e difendermi nel presente giudizio, con tutti i poteri di cui all’art. 84 c.p.c. e con facoltà di conciliare e transigere l’avvocato . . . presso il cui studio eleggo domicilio, per tutti i gradi del presente giudizio. Lì, . . . Il ricorrente . . . Per autentica Avv. . . . 396 APPALTI PUBBLICI Formula n. 83 RELAZIONE DI NOTIFICA A richiesta del Signor . . . io sottoscritto ufficiale giudiziario addetto al Tribunale di . . . certifico di aver notificato il suesteso atto al Ministro dei lavori pubblici presso l’Avvocatura Generale dello Stato in Roma . . . Formula n. 83 APPALTI PUBBLICI 397 APPALTI PUBBLICI Formula n. 84

84 . CITAZIONE AL GIUDICE ORDINARIO PER RISARCIMENTO DANNI DOVUTO A RITARDO NEL PAGAMENTO DEGLI ACCONTI E SALDO 84

TRIBUNALE SEZIONE CIVILE DI . . . Atto di citazione del Signor . . . nella sua qualità di amministratore delegato della società . . ., rappresentato e difeso, come da mandato in calce al presente atto, dall’avv. . . . presso il quale è elettivamente domiciliato in . . . Fatto e diritto Il Signor . . ., come sopra rappresentato, fa presente quanto segue. La società da lui rappresentata partecipava ad una licitazione privata indetta dal Ministero dei lavori pubblici aggiudicandosi la gara. Successivamente in data . . . veniva stipulato il relativo contratto di appalto. Rispettando i termini contrattuali la società ha provveduto ad eseguire i lavori secondo il Capitolato speciale di Appalto. Scaduto il termine fissato da detto capitolato, ha richiesto la emissione del certificato di pagamento. Trascorsi 45 giorni, dalla data in cui doveva essere emesso il certificato, ai sensi

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dell’art. 29 del Capitolato Generale di Appalto per le opere di competenza del Ministero dei lavori pubblici D.M. 19 aprile 2000, n. 145, ha diffidato l’amministrazione al pagamento, minacciando in caso contrario la relativa azione giudiziaria. Dato che l’amministrazione intimata non ha provveduto si chiede il relativo risarcimento, pari all’interesse legale sulle somme portate nel certificato, dalla data in cui doveva essere emesso per i successivi 90 giorni, e pari all’interesse di mora, che deve essere pari a quello praticato dagli Istituti di credito di diritto pubblico accertato dal decreto del Ministro del tesoro di concerto col Ministro dei lavori pubblici. Fa presente che la impresa esecutrice dei lavori ha compiutamente adempiuto alle prescrizioni di Capitolato speciale e di legge, per cui il ritardo non può essere ad essa imputabile (Cass., 15 giugno 1988, n. 4088; Cass. civ., sez. I, 29 novembre 1990, n. 11518, in Mass. Ann. Cass. 1990, 1967). Stante che il mancato pagamento deriva da colpa grave, ovvero negligenza dell’amministrazione si richiede il risarcimento del maggiore danno provocato all’imfordiram\ 398 APPALTI PUBBLICI Formula n. 84 presa pari a euro . . ., come risulta dagli estratti conto bancari relativi agli interessi passivi pagati per scoperture di cassa, anche se l’obbligazione pecuniaria agli interessi sancita dal Capitolato costituisce debito di valuta soggetto al principio nominalistico (Cass. civ., 12 luglio 1983, n. 4729, in Arch. Giur. OOPP. 1984, 171). Per questi motivi il Signor . . ., come sopra rappresentato, cita il Ministro dei lavori pubblici davanti al Tribunale di . . . A tale fine invita i convenuti a costituirsi in giudizio nel termine e nelle forme stabilite dall’art. 166 c.p.c. ed a comparire all’udienza del . . . dinanzi al Consigliere Istruttore che sarà ritualmente designato, con espresso avvertimento che, in difetto, sarà dichiarato decaduto dai diritti di cui all’art. 167 c.p.c., per l’accoglimento delle seguenti conclusioni. Piaccia all’Ecc.mo Tribunale di . . ., disattesa ogni diversa istanza od eccezione, 1) condannare il Ministero dei lavori pubblici al risarcimento del danno per ritardo nel pagamento determinato in euro . . . e al pagamento del maggior danno determinato in euro . . . Spese ed onorari rifusi. Si depositano i seguenti documenti: 1) atto di messa in mora; 2) estratto conto bancario relativo agli interessi passivi. Lì, . . . Avv. . . . Io sottoscritto . . . nato a . . . il . . . delego a rappresentarmi e difendermi nel presente giudizio, con tutti i poteri di cui all’art. 84 c.p.c. e con facoltà di conciliare e transigere l’avvocato . . . presso il cui studio eleggo domicilio, per tutti i gradi del presente giudizio. Lì, . . . Il ricorrente . . . Per autentica Avv. . . . Formula n. 84 APPALTI PUBBLICI 399 RELAZIONE DI NOTIFICA A richiesta del Signor . . . io sottoscritto ufficiale giudiziario addetto al Tribunale di . . . certifico di aver notificato il suesteso atto al Ministro dei lavori pubblici presso l’Avvocatura Generale dello Stato in Roma . . . 400 APPALTI PUBBLICI Formula n. 84 11. BENI PUBBLICI

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IL COMMENTO 11. BENI PUBBLICI SOMMARIO: 1. I beni demaniali. − 2. I beni del patrimonio indisponibile. − 3. I beni del patrimonio disponibile. − 4. La privatizzazione dei beni pubblici. 1. I beni demaniali. Gli enti pubblici possono avere dei beni a titolo di proprietà. Questi beni si distinguono in beni demaniali ed in beni patrimoniali indisponibili e in beni patrimoniali disponibili a seconda del loro regime giuridico. La dottrina non ha risparmiato critiche alla classificazione proposta dal c.c., che distingue le varie categorie di beni secondo un criterio meramente formale, ed ha formulato nuovi criteri per una classificazione più rispondente alle caratteristiche oggettive dei beni. M.S. GIANNINI, I beni pubblici, 1963, 29. Lo scopo della classificazione peraltro è sostanziale perché dalla diversa collocazione del bene in una delle menzionate categorie dipende il suo regime giuridico. I beni demaniali sono quelli che appartengono allo Stato o ad ente pubblico territoriale, quale comune, provincia e regione. Essi sono assoggettati al particolare regime di cui all’art. 822 del c.c. P. VIRGA, Diritto amministrativo vol. 1, 1995, 363. L’art. 822 del c.c. classifica come demaniali, distinguendo il demanio necessario che comprende i beni che fanno obbligatoriamente parte dal demanio accidentale che riguarda i beni che ammettono la proprietà privata. Fanno parte del demanio necessario i seguenti beni: il lido del mare, la spiaggia, le rade, i porti − che fanno parte del demanio marittimo ai sensi dell’art. 28 del c.n. − i fiumi, i torrenti, i laghi e le altre acque definite pubbliche dalle leggi in materia, l’art. 1 della L. 36/1994 ha esteso la riserva pubblica sulle acque, − che fanno parte del demanio idrico − le opere destinate alla difesa nazionale - che fanno parte del demanio militare. Il demanio necessario comprende: le strade, le autostrade − che fanno parte del demanio stradale − le strade ferrate − che fanno parte del demanio ferroviario − gli immobili, riconosciuti di notevole interesse storico, artistico o archeologico, ai sensi del D.L.vo 29 ottobre 1999, n. 490, e i beni mobili come le raccolte dei musei delle pinacoteche degli archivi e delle biblioteche − che fanno parte del demanio culturale −, gli aerodromi − che fanno parte del demanio aeronautico. Il regime dei beni demaniali è dettato dall’art. 823 del c.c. Essi sono inalienabili e non possono formare oggetto di diritti in favore di terzi, esse ad esempio non sono usucapibili. G. LANDI G. POTENZA V. ITALIA, Manuale di diritto amministrativo, 1999, 117. I beni demaniali non possono formare oggetto di contrattazione secondo gli schemi privatistici, ma semmai possono essere dati in godimento a terzi, compatibilmente con le esigenze di uso pubblico mediante provvedimenti amministrativi, ad esempio in concessione. È ammessa una doppia tutela. Quella amministrativa, ad esempio una ordinanza di rilascio di un bene pubblico illegittimamente occupato o la riduzione in pristino prevista per le opere pubbliche dall’art. 378 della L. 20 marzo 1865, n. 2248, all. f), che può essere impugnata presso la giustizia amministrativa. Alternativamente la pubblica amministrazione può avvalersi dei mezzi ordinari privatistici a difesa della proprietà o del possesso, su cui esercita la giurisdizione il giudice ordinario. 2. I beni del patrimonio indisponibile. I beni patrimoniali indisponibili appartengono istituzionalmente allo Stato e non potrebbero essere posseduti da altri essendo beni patrimoniali indisponibili per loro propria vocazione naturale. Essi sono le miniere, le acque minerali e termali, le cave e le torbiere, c.c. art. 826 c. 2, R.D. 29 luglio 1927, n. 1443, L. 6 ottobre 1982, n. 752; le cose di interesse archeologico, paleontologico ed artistico che una volta scoperte, da chiunque ed in qualsiasi modo, entrano a fare parte del patrimonio indisponibile dello Stato, D.L.vo 29 ottobre 1999, n. 490; e, da ultimo, la fauna selvatica, L. 27 dicembre 1977 n. 968. Le cave, in particolare, fanno parte del patrimonio indisponibile solo dopo l’atto della pubblica amministrazione che ne sottrae d’autorità la disponibilità al proprietario del fondo. Cass. civ., Sezioni Unite, 24 novembre 1989, n. 5070, in Dir. giur. agr. 1992. 102. Per altri beni la caratteristica della indisponibilità deriva dalla loro appartenenza al demanio.

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Essi sono le foreste demaniali dello Stato, art. 826 comma 2 del c.c., D.L. 30 dicembre 1923, n. 3267, ora trasferite al demanio regionale, D.P.R. 24 luglio, 1977, n. 616. Altri beni assumono il carattere della indisponibilità perché, oltre che appartenenti allo Stato, sono destinati ad una specifica funzione. Essi sono i beni destinati alla dotazione del Presidente della Repubblica L. 8 agosto 1948, n. 1077, ed i beni destinati alla difesa, art. 826 c.c. comma 3. Altri beni sono collocati nel patrimonio indisponibile comunale al fine di garantire una corretta destinazione del bene, in conformità alle disposizioni degli strumenti urbanistici, dopo che l’attività privata abbia utilizzato il bene per fini diversi da quelli stabiliti dalla programmazione territoriale. L’area e l’opera abusiva entrano a far parte, se non si procede alla tempestiva demolizione dei manufatti abusivi, del patrimonio indisponibile attraverso una ordinanza di acquisizione pronunziata dal sindaco. I beni devono essere utilizzati a fini pubblici, tra i quali sono compresi quelli dell’edilizia residenziale pubblica. Altri beni assumono il carattere della indisponibilità nel patrimonio pubblico per essere destinati ad un servizio pubblico dallo Stato o da enti pubblici. Essi sono le sedi e gli arredi degli uffici pubblici, i mezzi di trasporto adibiti a servizi pubblici, ecc. Essi sono gli immobili del patrimonio pubblico da destinare alla locazione a favore dei ceti meno abbienti realizzati con il contributo dello Stato. 406 BENI PUBBLICI La destinazione attribuita a questi beni comporta automaticamente la riserva di destinazione, che può essere cambiata ad esempio consentendone la cessione con una legge speciale, come ad esempio la L. 560/1993. La dottrina ha proposto una distinzione nell’ambito dei beni patrimoniali indisponibili al fine di caratterizzare il diverso regime giuridico dei due gruppi di beni. Si è notato che per alcuni beni la proprietà pubblica è collegata alla qualità intrinseca della cosa che è stata ritenuta dalla legge idonea a soddisfare pubbliche esigenze. L’attribuzione della qualifica avviene ab origine, indipendentemente da un atto amministrativo che la attribuisca; in ogni caso l’atto amministrativo non ha effetto costitutivo, ma solo dichiarativo poiché il bene appartiene al patrimonio indisponibile di per se stesso. G. LANDI, G. POTENZA, V. ITALIA, Manuale di diritto amministrativo, 1999, 118. Essi sono le miniere, le foreste, i beni di interesse culturale, la fauna selvatica. Gli altri beni vengono classificati come beni destinati a servizio o funzione pubblica. Essi appartengono al patrimonio indisponibile in forza di un atto o di un fatto della pubblica amministrazione che assegna concretamente il bene ad un servizio pubblico. Essi sono gli edifici destinati a sede di pubblici uffici, la dotazione della presidenza della Repubblica, le caserme, gli armamenti, gli edifici di edilizia residenziale pubblica, le aree di edilizia economica popolare. La distinzione proposta appare di grande significato poiché non è solo ricognitiva in ordine ai modi di acquisto e di cessazione della qualità dei beni, ma appare il punto di partenza per individuare le caratteristiche che derivano al bene alla luce del procedimento amministrativo che ne determina la qualifica. Se il bene nasce con una destinazione oggettivamente pubblicistica esso è identificabile dai terzi con le caratteristiche specifiche di questi beni: ossia l’impossibilità di alienazione, con la conseguente nullità degli eventuali atti, il non essere oggetto di possesso e quindi non acquisibile per usucapione. 3. I beni del patrimonio disponibile. In via residuale appartengono al patrimonio disponibile dello Stato e degli enti pubblici i beni che non sono compresi far i beni demaniali e quelli del patrimonio indisponibile. G. LANDI, G. POTENZA, V. ITALIA, Manuale di diritto amministrativo, 1999, 122. Il carattere dei beni disponibili è di aver prevalentemente un significato economico, consentendo all’amministrazione di svolgere la sua attività amministrativa, attraverso l’uso di tali risorse. Fanno parte del patrimonio disponibile quei beni che, non essendo destinati all’assolvimento di una funzione o di un servizio pubblico, possono essere utilizzati dall’amministrazione per la gestione corrente.

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I beni disponibili sono soggetti alle norme di diritto privato e pertanto sono alienabili, pignorabili, e possono essere acquisiti per usucapione dai privati. Si nota una tendenza da parte del legislatore ad incrementare i beni soggetti a tale regime. La L. 127/1997, all’art. 12, prevede, infatti, per comuni e province la possibilità di alienare il proprio patrimonio immobiliare previa emanazione di un regolamento che valuti le concorrenti proposte d’acquisto. COMMENTO 407 4. La privatizzazione dei beni pubblici. Il legislatore, per esigenze di risanamento della finanza pubblica, aveva predisposto una serie di provvedimenti intesi alla alienazione dei beni pubblici non destinati ad usi collettivi generali e di interesse ambientale e culturale, ex art. 9, sesto comma, L. 24 dicembre 1993, n. 537, abrogato dall’art. 3, comma 97, della L. 23 dicembre 1996, n. 662. Successivamente l’art. 32, sesto comma, L. 23 dicembre 1994, n. 724, prevede un censimento dei beni pubblici per valutare il loro attuale soddisfacimento di interessi pubblici. S. CASSESE (a cura di), Diritto amministrativo speciale, La cultura e i media, i beni pubblici e l’ambiente, i servizi pubblici, II, 2000, 1317. 408 BENI PUBBLICI

LE FORMULE BENI PUBBLICI Formula n. 85

85 . CITAZIONE AL GIUDICE ORDINARIO CONTRO LA CLASSIFICAZIONE AD USO PUBBLICO DI STRADA VICINALE 85

TRIBUNALE SEZIONE CIVILE DI . . . Atto di citazione dei signori . . . rappresentati e difesi, come da mandato in calce al presente atto, dall’avv. . . . presso il quale sono elettivamente domiciliati in . . . Fatto e diritto I signori . . ., come sopra rappresentati, espongono quanto segue. Essi sono proprietari dei fondi siti in comune di . . . che fiancheggiano una strada vicinale in località . . ., attraverso il conferimento di porzioni dei loro terreni si era proceduto alla costituzione di una comunione che aveva portato alla formazione di detta strada vicinale, di cui i proprietari dei fondi si servivano iure proprietatis e non iure servitutis. Il comune di . . . ha proceduto a redigere un elenco di strade vicinali di uso pubblico, fra l’altro approvato dalla giunta e non dal consiglio, includendo questa strada. Orbene detta classificazione per i ricorrenti è illegittima e se ne chiede l’annullamento da parte dell’Ill.mo Tribunale adito per i seguenti motivi: 1) è principio consolidato in giurisprudenza che la iscrizione di una strada negli elenchi formati dalla pubblica amministrazione delle vie gravate di servitù di uso pubblico non ha natura costitutiva o portata assoluta, ma riveste funzioni dichiarative della pretesa della amministrazione stessa. L’iscrizione in definitiva pone in essere una presunzione di sussistenza di un diritto di godimento da parte della collettività. Cass., sez. II, 24 aprile 1992, n. 4938, in Riv. Giur. Ed. 1992, 1908; Cass., 28 gennaio 1984, n. 676, in Arch. civ. 1984, 614. La presunzione è da considerarsi iuris tantum, ossia superabile con la prova contraria della inesistenza di un diritto di uso o godimento della strada da parte della collettività. 2) Né appare provato che su detta strada vicinale si sia consolidato un uso pubblico. Per aversi uso pubblico su di una strada che è nata come privata si richiede che sulla stessa il passaggio sia esercitato da una collettività indeterminata di persone per soddisfare un pubblico generale interesse.

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Formula n. 85 BENI PUBBLICI 411 Questo uso pubblico è da escludersi quando il passaggio venga esercitato da un gruppo limitato di soggetti per esigenze di coltivazione dei loro fondi. Cass., 16 novembre 1989, n. 4895, in Mass. Giust. Civ. 1989. Tutto ciò premesso i Sigg., come sopra rappresentati, citano il comune di . . . nella persona del sindaco pro tempore davanti al Tribunale di . . . A tale fine invita il convenuto a costituirsi in giudizio nel termine e nelle forme stabilite dall’art. 166 c.p.c. ed a comparire all’udienza del . . . dinanzi al Consigliere Istruttore che sarà ritualmente designato, con espresso avvertimento che, in difetto, sarà dichiarato decaduto dai diritti di cui all’art. 167 del c.p.c., per l’accoglimento delle seguenti conclusioni. Piaccia all’Ecc.mo Tribunale di . . ., disattesa ogni diversa istanza od eccezione, accogliere le seguenti conclusioni: 1) accertare la natura privata della strada vicinale in località . . .; 2) disapplicare la delibera comunale di . . . nella parte in cui dichiara di uso pubblico la strada vicinale sopra citata. Si richiede prova testimoniale sul seguente capitolo: “Vero è che la strada vicinale denominata in località è destinata ed usata esclusivamente dai proprietari e conduttori dei fondi confinanti e ciò da oltre un ventennio”. Si indica come testimone il Signor . . ., nato a . . . il . . ., residente in . . ., di professione . . . Spese ed onorari rifusi. Si depositano i seguenti documenti: 1) delibera comunale che elenca le strade vicinali di uso pubblico; 2) titoli di proprietà dei ricorrenti. Lì, . . . Avv . . . Io sottoscritto . . . nato a . . . il . . . delego a rappresentarmi e difendermi nel presente giudizio, con tutti i poteri di cui all’art. 84 c.p.c. e con facoltà di conciliare e transigere l’avvocato . . . presso il cui studio eleggo domicilio. Lì, . . . Il ricorrente . . . Per autentica Avv. . . . 412 BENI PUBBLICI Formula n. 85 RELAZIONE DI NOTIFICA A richiesta del Signor . . . io sottoscritto ufficiale giudiziario addetto al tribunale di . . . certifico di aver notificato il suesteso atto al sindaco pro tempore del comune di . . . Formula n. 85 BENI PUBBLICI 413 12. COMMERCIO IL COMMENTO 14 12. COMMERCIO SOMMARIO: 1. La riforma del commercio nel D.L.vo 31 marzo 1998, n. 114. L’autorizzazione commerciale. − 2. Strumenti urbanistici e piani commerciali. 1. La riforma del commercio nel D.L.vo 31 marzo 1998, n. 114. L’autorizzazione commerciale. La riforma del commercio, introdotta dal D.L.vo 31 marzo 1998, n. 114, ha disposto − dalla data della pubblicazione del decreto e per i successivi 12 mesi − la sospensione del rilascio di licenze di tutti i tipi.

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L’apertura di nuovi negozi di vicinato potrà avvenire soltanto per subentro di un altro commerciante. Il subentrante deve essere iscritto al Rec. È, però, possibile avviare nuove attività qualora più negozi di vicinato decidano di concentrarsi in uno più grande nello stesso comune. Per questo tipo di operazioni, la superficie non deve superare i 1500 mq. L’autorizzazione comporta la revoca dei titoli autorizzatori preesistenti. Le richieste di negozi non soggetti a nulla osta regionale, giacenti al momento della pubblicazione del decreto, sono esaminate dal comune. La riforma del commercio, introdotta dal D.L.vo 31 marzo 1998, n. 114, introduce tre tipi di attività al fini del rilascio del provvedimento autorizzatorio: i nuovi negozi di vicinato, le medie strutture, le grandi strutture. Per l’apertura di nuovi negozi di vicinato l’art. 7, del D.L.vo 31 marzo 1998, n. 114, prevede la procedura del silenzio assenso: l’esercente è tenuto a una semplice comunicazione al comune competente per territorio. Trascorsi 30 giorni egli può procedere. I negozi di vicinato possono avere una superficie massima di 250 mq., nei comuni con più di diecimila abitanti, e di 150 mq. in quelli con meno di diecimila. Le medie strutture, ai sensi dell’art. 8 del D.L.vo 31 marzo 1998, n. 114, sono soggette ad autorizzazione del comune competente che, verificati i requisiti e sentite le organizzazioni di consumatori e commercianti, può comunicare per iscritto, entro 90 giorni, l’eventuale diniego oppure affidarsi al principio del silenzio-assenso. Nei comuni con più di diecimila residenti la media distribuzione non può superare i 2500 mq., mentre, nelle città più piccole, il tetto è stabilito in 1500 mq. L’autorizzazione per nuove aperture di grandi strutture, ai sensi dell’art. 9 del D.L.vo 31 marzo 1998, n. 114, è affidata al comune, che convoca, entro 60 giorni dalla domanda, una conferenza di servizi. È comunque decisivo il parere espresso dal rappresentante della regione. Qualora non venisse comunicato il diniego entro i 120 giorni dalla data di convocazione della conferenza, le domande devono ritenersi accolte. L’esercizio dell’attività commerciale è consentito a tutti. Per il settore food svolgere tale attività è permesso a coloro che abbiano frequentato, con esito positivo, un corso professionale o abbiano esercitato l’attività − al dettaglio o all’ingrosso − per almeno due anni nell’ultimo quinquennio. Le regioni definiscono i corsi utili per l’accesso all’esercizio della professione commerciale. Il commercio al dettaglio su aree pubbliche può essere svolto su posteggi dati in concessione per dieci anni ovvero su qualsiasi area purché in forma itinerante, ai sensi dell’art. 20, comma 1, del D.L.vo 114/1998. Per entrambe le modalità d’esercizio − al dettaglio o all’ingrosso − come accadeva nella precedente normativa, è necessaria apposita autorizzazione, rilasciata dal sindaco previa domanda. La novità sta nel fatto che l’autorità comunale è, in ogni caso l’unica competente al rilascio del titolo autorizzatorio, mentre la precedente disciplina individuava detta autorità nel sindaco ovvero nel presidente della giunta regionale, a seconda proprio delle modalità d’esercizio. 2. Strumenti urbanistici e piani commerciali. L’art. 6 del D.L.vo 114/1998 fissa delle norme entro le quali le regioni devono definire uno schema di riferimento urbanistico commerciale entro un anno dalla pubblicazione del decreto, ossia entro il 24 aprile 1999. Tali norme costituiscono riferimento alla programmazione urbanistica comunale. Non sussiste, quindi, più il doppione programmatorio fissato con i piani di adeguamento e sviluppo della rete di vendita, di cui alla L. 426/1971. N. NITTI, Commento al D.L.vo 114/1998, in Nuova Rass., 1998, 1737. La normativa porta ad una liberalizzazione per la realizzazione delle piccole strutture e ad una maggiore difficoltà procedurale per l’attuazione delle medie e delle grandi. Tali strutture, infatti, trovare collocazione nella programmazione territoriale che deve programmare le aree idonee a tale destinazione. I grandi centri commerciali devono quindi trovare una collocazione preventiva nella strumentazione urbanistica e sono soggetti a una duplice verifica urbanistica e commerciale per

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il rilascio dei relativi atti abitativi, che devono essere contestuali, art. 6, comma 2, lett. c), D.L.vo 114/1998. Una particolare attenzione è dedicata agli esercizi commerciali siti nei centri storici, poiché le regioni devono prevedere la possibilità che il piano urbanistico detti norme che tutelino le strutture che hanno valore storico artistico, evitandone il processo di espulsione ora in atto. L’art. 31 del D.L.vo 114/1998, infine, prevede un potere sostitutivo − che peraltro appare di difficile attuazione − del Ministro dell’industria del commercio e dell’artigianato nel caso di mancato adempimento delle regioni. 420 COMMERCIO

LE FORMULE COMMERCIO Formula n. 86

86 . RICORSO AL T.A.R. PER L’ANNULLAMENTO DI SOSPENSIONE DI AUTORIZZAZIONE AL COMMERCIO 86

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE . . . Ricorso del Signor . . . legale rappresentante della Società commercio S.p.A. . . . rappresentato e difeso come da mandato in calce al presente ricorso dall’avvocato . . . con studio legale in . . . via . . . presso il quale elegge il proprio domicilio contro il sindaco del comune di . . . per l’annullamento del provvedimento del . . . di sospensione di autorizzazione al commercio. Fatto e diritto La società commercio S.p.A. aveva richiesto autorizzazione commerciale al comune di . . .; in data . . . era stata rilasciata la relativa autorizzazione che successivamente con provvedimento del . . . è stata sospesa. Il provvedimento sindacale di sospensione appare illegittimo e lo si impugna per i seguenti motivi: 1) eccesso di potere per sviamento delle funzioni attribuite. L’art. 22, L. n. 114/1998, dispone che l’autorizzazione commerciale è negata solo quando il nuovo esercizio o l’ampliamento risulta in contrasto con le disposizioni di piano o della legge medesima. Orbene il provvedimento di diniego è motivato dal fatto che la costruzione nella quale si intende esercitare l’attività è stata realizzata con concessione edilizia successivamente annullata. Ma in tal caso il comune doveva procedere col sistema delle sanzioni edilizie delineato dalla L. n. 47/1985 e non con la sospensione della licenza commerciale. Il provvedimento di sospensione dell’assentita licenza col dichiarato scopo di curare interessi edilizi costituisce uno sviamento di potere poiché è esercitato per finalità diverse da quelle indicate dalla legge. Formula n. 86 COMMERCIO 423 Sul punto la giurisprudenza appare conforme, T.A.R. Sicilia, Catania, sez. I, 15 ottobre 1990, n. 695, in T.A.R. 1990, I, 4481; in Cons. Stato, sez. V, 4 giugno 1985, n. 228, in Riv. Amm. 1986, V, 177. P.Q.M. voglia l’Ill.mo T.A.R. adito accogliere la seguente conclusione: annullare il provvedimento di sospensione. Si produce: 1) autorizzazione al commercio;

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2) provvedimento di sospensione. Spese ed onorari rifusi. Lì, . . . Avv. . . . Io sottoscritto . . . nato a . . . il . . . delego a rappresentarmi e difendermi nel presente giudizio, con tutti i poteri di cui all’art. 84 c.p.c., l’avvocato presso il cui studio eleggo domicilio. Lì, . . . Il ricorrente . . . Per autentica Avv. . . . RELAZIONE DI NOTIFICA A richiesta del Signor . . . io sottoscritto ufficiale giudiziario addetto al Tribunale di . . . certifico di aver notificato il suesteso atto al sindaco del comune di . . . 424 COMMERCIO Formula n. 86 13. EDILIZIA RESIDENZIALE PUBBLICA IL COMMENTO 13. EDILIZIA RESIDENZIALE PUBBLICA SOMMARIO: 1. La tutela giurisdizionale avverso il provvedimento di assegnazione. − 1.1. Il riparto della giurisdizione. − 1.2. La teoria che afferma la giurisdizione del giudice ordinario. − 1.3. Adesione alla teoria che afferma la giurisdizione del giudice amministrativo. − 1.4. La tutela nell’occupazione senza titolo. − 2. La tutela giurisdizionale avverso l’attività di diritto privato. Gli obblighi del locatore e del conduttore. − 2.1. Il procedimento speciale per il recupero della morosità. − 2.2. Verifica dei limiti della giurisdizione del giudice ordinario. − 3. La tutela del diritto alla cessione. 1. La tutela giurisdizionale avverso il provvedimento di assegnazione. 1.1. Il riparto della giurisdizione. Il procedimento di assegnazione nell’edilizia residenziale pubblica si divide in una fase amministrativa nella quale la pubblica amministrazione verifica l’idoneità del richiedente, in relazione alla sua posizione nelle pubbliche graduatorie, e in una fase privatistica che si concretizza nella stipula di un successivo contratto di locazione. L’accertamento definitivo dei requisiti del richiedente obbliga la amministrazione all’emanazione di un provvedimento ammissorio. Questi provvedimenti hanno natura amministrativa e la loro eventuale censura è di competenza del giudice amministrativo pur con i distinguo voluti dal legislatore, come analizzeremo nei paragrafi successivi. Così come sono di competenza del giudice amministrativo gli eventuali provvedimenti amministrativi che incidono sul rapporto amministrativo come l’annullamento la revoca la decadenza. Sulla tutela giurisdizionale avverso i provvedimenti amministrativi in materia di edilizia residenziale pubblica, si rinvia a N. CENTOFANTI, Edilizia residenziale pubblica 1995, 115. Con la successiva stipula del contratto di locazione il richiedente vede trasformarsi il suo rapporto avente natura pubblicistica con un altro di natura privatistica che inizia con la sottoscrizione del contratto. La regolamentazione del provvedimento amministrativo e le patologie dello stesso, quali la decadenza o l’annullamento comportano un riflesso diretto ed immediato anche sul rapporto privatistico. Il contratto deve ritenersi risolto di diritto ogniqualvolta venga meno il provvedimento amministrativo seguendone direttamente le sorti. L’effetto più evidente di questa impostazione consiste nella non applicabilità al contratto della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sancita espressamente dall’art. 4 della L. n. 1034/1971 in materia di concessioni contratto. Ne deriva che in materia di interpretazione contrattuale e di canoni locatizi la giurisdizione è del giudice ordinario. Non sembra proponibile una interpretazione estensiva della disciplina sulla giurisdizione in materia urbanistica ed edilizia alle norme sull’edilizia residenziale pubblica che seguono i

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criteri di riparto sopra esposti. F. CARINGELLA, G. DE MARZO, F. DELLA VALLE, R. GAROFOLI, La nuova giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo 2000, 304. 1.2. La teoria che afferma la giurisdizione del giudice ordinario. Il D.P.R. n. 1035/1972 nel regolare la giurisdizione sul provvedimento amministrativo di decadenza, annullamento o revoca della assegnazione di alloggio di edilizia residenziale pubblica non ha predisposto una disciplina uniforme. Solo nell’ipotesi di decadenza dell’assegnazione, per non avere occupato l’alloggio entro 30 giorni dalla consegna, è ammessa espressamente la tutela presso il giudice ordinario (art. 11 comma 13). Negli altri casi di annullamento dell’assegnazione, artt. 15 e 16, ovvero di revoca della stessa, art. 17, ovvero nel caso di provvedimento di rilascio degli alloggi occupati senza titolo, art. 18, il legislatore ha omesso di richiamare espressamente le norme relative al procedimento giurisdizionale di opposizione e non menziona alcun altro mezzo di tutela. Non appare sostenibile la teoria che ritiene di natura giurisdizionale i provvedimenti di annullamento, revoca e decadenza delle assegnazioni previsti dagli artt. 11, 16, 17 e 18 del D.P.R. n. 1035, essendo atti emanati da una autorità amministrativa. Si tratta di provvedimenti di natura amministrativa che incidono sulla posizione di interesse legittimo come gran parte degli atti della p.a. Indubbiamente la dizione legislativa favorisce gli equivoci in cui è caduta parte della giurisprudenza; l’introduzione del sistema di ricorso al giudice ordinario in caso di decadenza aveva portato, infatti, ad interpretazioni generalizzate di una ipotesi del tutto speciale per la quale, fra l’altro, non sembra sussistessero gli estremi per scostarsi dai principi generali. Parte della giurisprudenza ha ritenuto che questi provvedimenti contrastino con un diritto soggettivo dell’assegnatario e pertanto ricadano nella giurisdizione del giudice ordinario a prescindere da ogni riferimento letterale al testo legislativo. Cass. 24 novembre 1982, n. 6346, in G.C.N. 1982; Cass. civ., 22 ottobre 1980, n. 5685, ivi, 1980; Cass. civ., Sezioni Unite, 24 ottobre 1985, n. 5238. Altre sentenze ribadiscono lo stesso concetto sottolineando che l’attribuzione di efficacia di titolo esecutivo alla delibera del comune ha un suo preciso significato tecnico nel senso che a tale atto viene negata la qualifica della esecutorietà tipica dell’atto amministrativo. Pertanto se viene negata tale tutela in via amministrativa è segno che il legislatore ha voluto, sia pure in modo implicito, richiamare la regolamentazione processualistica civile dell’azione esecutiva. Si è venuta ad estendere la competenza funzionale del giudice ordinario in materia di locazioni: quasi che tutto ciò che deriva da rapporto amministrativo fra p.a.e assegnatario col provvedimento amministrativo di assegnazione si esaurisca dopo l’emanazione del provvedimento stesso e che il successivo contratto di locazione regoli l’intera materia. Si sono considerate le due fasi procedimentali sotto il profilo di una conseguenzialità rigidamente cronologica fino all’emanazione dell’assegnazione, fase amministrativa, successivamente fase privatistica. 430 EDILIZIA RESIDENZIALE PUBBLICA Si sono valutati gli effetti estintivi che l’eventuale atto di decadenza determina nel rapporto privatistico per fare discendere tale lesione direttamente nella sfera dei diritti soggettivi e per affermare conseguentemente la competenza del giudice ordinario. Indubbiamente la dizione letterale ha dato adito ad incertezze interpretative, facendo sorgere addirittura una questione di legittimità costituzionale. Ci si è chiesti se le norme che non ammettono la opposizione al giudice ordinario contro la delibera del comune siano lesive del principio di uguaglianza. Sennonché il ricorso è stato ammesso contro il provvedimento che dichiara la decadenza della assegnazione, ed è stata eccepita la mancata delega da parte del governo, ex art. 8, L. n. 865/1971, ad attribuire allora al presidente dello I.A.C.P. ora alle delibere comunali l’esercizio della funzione giurisdizionale con l’emanazione dei provvedimenti di annullamento e revoca. La Corte ha ritenuto amministrativa la natura dei decreti del Presidente I.A.C.P., ora delibera del Consiglio Comunale ai sensi dell’art. 95 del D.P.R. n. 616/1977, e non ha ravvisato una diminuzione di tutela nell’attribuzione della giurisdizione al giudice amministrativo. Non ha però risolto il conflitto di giurisdizione, anche perché non è di sua competenza il definirlo, ma semmai della Corte di Cassazione. Corte cost., 12 luglio 1979, 1 agosto 1979,

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n. 100. 1.3. Adesione alla teoria che afferma la giurisdizione del giudice amministrativo. Altra giurisprudenza ravvisa invece nel provvedimento di assegnazione l’esplicazione di funzioni pubbliche negando pertanto che il privato possa vantare diritti soggettivi in ordine ai fatti costitutivi od estintivi di detto provvedimento, con esclusione dell’ipotesi di decadenza per la quale l’art. 11, comma 13, D.P.R. 1035 assegnava al pretore la cognizione in ordine alle opposizioni a detti provvedimenti e riafferma la validità della giurisdizione del giudice amministrativo. A sostegno di questa interpretazione, per coloro che attribuiscono al provvedimento di assegnazione natura di concessione, appare inequivocabilmente la dizione dell’art. 5 della L. 6 dicembre 1971, n. 1034 istitutiva dei T.A.R. La norma devolve alla competenza dei tribunali amministrativi i ricorsi contro atti o provvedimenti relativi al rapporto di concessione di beni pubblici. La giurisprudenza non condivide, come lo scrivente, tale teoria e giunge ad analoghe conclusioni. Cass. 9 dicembre 1985, n. 6183, in Giust. civ. mass. 1985; Cass. 9 febbraio 1987, n. 1350 ivi 1987; Cass., Sezioni Unite, 12 luglio 1988, n. 4571, in Riv. giur. edil. 1988, 765. Non pare dubbio che si debba pienamente concordare con tale seconda teoria in quanto la migliore dottrina ha costantemente ravvisato due distinte fasi nel procedimento di assegnazione. La prima pubblicistica relativa al provvedimento di assegnazione. Ogni fatto costitutivo ed estintivo di detto provvedimento comporta la lesione di un interesse legittimo, la cui tutela può essere fatta valere davanti al giudice amministrativo. Mentre per quanto attiene al rapporto posto in essere dal successivo contratto di locazione, che instaura la seconda fase privatistica del rapporto, la competenza attiene al giudice ordinario. COMMENTO 431 Alla prima teoria che afferma la competenza del giudice ordinario si può pienamente obbiettare che le norme relative al provvedimento di assegnazione sono da classificarsi, secondo la tradizionale dottrina come “norme di azione” poste a regolare la attività della p.a. Le due fasi del procedimento non vanno valutate secondo una conseguenzialità meramente cronologica; nel senso che i rapporti che si verificano dopo l’assegnazione sono inquadrabili nella fase privatistica. Deve tenersi conto degli effetti, che derivano dall’atto di assegnazione e che comportano la successiva sottoscrizione del contratto di locazione, per rendersi contro della stretta interconnessione fra le due fasi. Nell’ipotesi che la pubblica amministrazione venga a conoscenza che l’atto di assegnazione è originariamente viziato da una circostanza, all’epoca ignota ma sussistente, che concretizza un motivo di annullamento, ovvero da un fatto successivamente verificatosi che comporta una azione di decadenza, essa ha il potere dovere di emettere quei provvedimenti autoritativi, rientranti nella potestà di autotutela, ispirati al pubblico interesse che incidono sull’atto di assegnazione. Con la conseguenza che l’emanazione del provvedimento di decadenza o annullamento determina l’estinzione del rapporto privatistico che sul provvedimento amministrativo si fonda. La lesione che deriva dal venir meno del rapporto privatistico, poiché dipende dall’atto amministrativo, è inquadrabile nella sfera degli interessi legittimi e la sua tutela è affidata al giudice amministrativo. Né l’affermare che l’atto amministrativo costituisca titolo esecutivo determina una diversa classificazione degli interessi che l’atto lede, ma significa che come tale può essere eseguito nelle forme del c.p.c. e non che la lesione sia relativa a diritti soggettivi. Ne consegue che le contestazioni dell’assegnatario avverso tali provvedimenti sono devolute alla giurisdizione di legittimità del giudice amministrativo. Si fa infatti presente che l’art. 11 del D.P.R. n. 1035/1972, ove contemplava il ricorso al Pretore, ora Tribunale, contro il provvedimento di decadenza per la non occupazione dell’alloggio dopo trenta giorni dalla consegna dell’alloggio, configurava una disposizione eccezionale non estensibile alla diversa ipotesi di cui all’art. 17, D.P.R. n. 1035/1972 del caso de quo o alle altre ipotesi di decadenza o di annullamento. 1.4. La tutela nell’occupazione senza titolo. Nelle controversie relative ai provvedimenti di rilascio di alloggi di edilizia residenziale

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pubblica occupati senza titolo, ossia senza un rituale provvedimento di assegnazione che legittimi l’attuale occupante alla stipula del relativo contratto di locazione, non si discute sulla legittimità di un provvedimento amministrativo, che manca nella fattispecie, ma di un comportamento illecito dell’occupante. Si concretizza evidentemente, non trattandosi di norme che regolano l’azione amministrativa, la giurisdizione del giudice ordinario che dovrà solo sindacare la legittimità dei singoli atti esecutivi, salvo che la fattispecie rilevi anche sotto il profilo penale concretizzando il reato di invasione di edifici, ai sensi dell’art. 633 del c.p. T.A.R. Campania, Salerno, 14 dicembre 1987, n. 423, in Foro Amm. 1988, 2584. T.A.R. Lazio, Latina, 10 novembre 1990, ivi 1992, 180. 432 EDILIZIA RESIDENZIALE PUBBLICA Diversa risulta la ripartizione della giurisdizione qualora l’occupante contesti la ritualità del procedimento amministrativo che ha accertato la sua posizione giuridica. Se l’occupante può dimostrare di essere in possesso dei requisiti necessari per la regolarizzazione del rapporto, ai sensi dell’art. 25 del D.P.R. n. 1035/1972 o delle successive leggi regionali di regolarizzazione, si rientra nel capo delle norme di azione amministrativa e la relativa posizione di interesse legittimo rientra nell’ambito della giurisdizione amministrativa. Cass., Sezioni Unite, 29 novembre 1985, n. 5932, in Giust. Civ. 1986, 722. 2. La tutela giurisdizionale avverso l’attività di diritto privato. Gli obblighi del locatore e del conduttore. Il riconoscimento della piena capacità di diritto privato della pubblica amministrazione comporta la possibilità per la stessa di operare iure privatorum. In tal senso la giurisprudenza ammette pacificamente la giurisdizione del giudice ordinario quando l’amministrazione agisce come soggetto privato oltre all’ipotesi in cui vi sia un’attività materiale della pubblica amministrazione lesiva dei diritti soggettivi (atto illecito), che non si inquadri in un tipico procedimento amministrativo. Si capovolge in tale ipotesi la più antica interpretazione del divieto imposto dall’art. 4 della L. 20 marzo 1865, n. 2248, all. E sul contenzioso amministrativo, che affermava che l’atto amministrativo non può essere revocato o modificato ricomprendendovi anche l’attività materiale dell’amministrazione. Ad esempio un’azione di sloggio intrapresa dall’ufficio senza alcun provvedimento amministrativo. Nell’attività di diritto privato che viene espletata dagli enti gestori Comuni e I.A.C.P. nella stipula dei contratti di locazione la competenza del giudice ordinario sussiste per il semplice fatto che l’amministrazione opera iure privatorum e questa attività fa nascere nei privati diritti soggettivi perfetti. Le norme che regolano i contratti di locazione di questi enti sono per definizione norme di relazione, ossia norme che attribuiscono all’amministrazione e al cittadino diritti soggettivi, poteri ed obblighi giuridici nei reciproci confronti. F. SATTA, La giustizia amministrativa, 1997, 34. F. MANGANARO, Pronunce del giudice ordinario ed obblighi di fare imposti alla pubblica amministrazione, in Dir. Proc. Amm., 1988, 288 e 291. Tutti gli obblighi del locatore troveranno tutela presso il giudice ordinario: come le controversie relative alla determinazione del canone di locazione che deve essere fissato secondo le disposizioni, aventi carattere di specialità, che regolano l’edilizia residenziale pubblica. In tal caso a mio avviso non sono applicabili le norme anche processuali dettate dalla legge sull’equo canone L. n. 392/1978, capitolo III. Si veda, inoltre, la L. n. 431/1998. Valgono infatti le norme del c.p.c. in particolare per i limiti di valore gli aggiornamenti di cui alla L. n. 399/1984. Questa impostazione è stata disattesa dalla giurisprudenza che ha sancito interpretando la L. n. 513/1977, che qualora vi sia un passaggio dal canone sociale alla normativa delle locazioni private perché l’assegnatario supera i limiti di reddito previsti per il canone sociale tutte le controversie in materia di accertamento del canone di locazione devono essere esperite col rito speciale, ai sensi dell’art. 45 della L. n. 392/1978, ora peraltro abrogato dalla L. n. 431/98. COMMENTO 433 In particolare le procedure di adeguamento di canone devono seguire ritualmente i dettami della legge che prevede la diffida all’assegnatario con la espressa determinazione del termine iniziale dal quale questi deve incominciare a corrispondere i canoni previsti dalla legge sulle locazioni private.

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Gli obblighi del conduttore sono del pari accertati dal giudice ordinario. Le controversie relative agli obblighi di mantenere l’immobile in buono stato locativo e i relativi provvedimenti d’urgenza. Le eventuali eccezioni di inadempimento ex art. 1460 c.c., come ad esempio il rifiuto del pagamento del canone in carenza di opere manutentive sull’immobile. Le controversie aventi ad oggetto il mancato pagamento del canone, che sono regolate dal procedimento speciale di cui al T.U. n. 1165/1938. 2.1. Il procedimento speciale per il recupero della morosità. La dizione legislativa esclude i Comuni dalla possibilità di utilizzare questo procedimento è consentito infatti solo agli IACP di esigere, con il procedimento speciale disciplinato dall’ art. 32 del T.U. 28 aprile 1938, n. 1165, lo sfratto dell’inquilino moroso. Il procedimento è dichiarato applicabile agli enti locali dalla normativa regionale cfr. L.R. Lombardia n. 91-92/1983, art. 30. Le norme attinenti alla giurisdizione non sono modificabili dalla legislazione regionale per l’art. 108 della Costituzione. Corte cost., 20 giugno 1988, n. 727, in Riv. giur. edil. 1988, 901. A tale scopo, essi devono presentare ricorso, formulato secondo le norme di procedure civile, al giudice di pace, o al presidente del tribunale competente. Ad esso deve venire allegata sia una dichiarazione del presidente dell’Istituto che affermi, sotto la propria responsabilità, la morosità dell’inquilino e che il contratto d’affitto è stato registrato. La mancanza di detta attestazione, che caratterizza il procedimento speciale, non consente la legittima emanazione del successivo decreto. Cass., sez. III, 21 ottobre 1976, n. 3721, in Riv. giur. edil. 1977, 767. A tale richiesta il giudice deve far seguire, mediante decreto in calce al ricorso, una ingiuzione al debitore di pagare quanto dovuto entro un termine di venti giorni dalla notificazione. È stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dei commi 3-7 dell’art. 32 del T.U. limitatamente alle parti in cui, per il pagamento dei canoni scaduti e per l’opposizione al decreto ingiuntivo, fissano termini diversi da quelli previsti dall’art. 641 c.p.c. per l’ordinario procedimento ingiuntivo. Corte cost., 22 dicembre 1969, n. 159, in Riv. giur. edil. 1970, 507 e in Giur. it. 1970, 444; Corte cost., 25 febbraio 1975, n. 38, in Giur. cost. 1975, 162. Il termine ultimo per il pagamento o per l’opposizione deve intendersi quello fissato dall’art. 641 in venti giorni. Scaduto tale periodo senza aver avuto soddisfazione è possibile procedere allo sfratto e al pignoramento dei beni mobili. 434 EDILIZIA RESIDENZIALE PUBBLICA Copia del ricorso e del decreto deve essere notificata al debitore mentre non è necessaria la notifica del precetto per procedere al pignoramento e allo sfratto, purché essi avvengano entro trenta giorni dal momento della notificazione del decreto. Il debitore può ricorrere contro il decreto entro venti giorni dalla notificazione. L’opposizione può far sospendere l’esecuzione dello sfratto fino alla decisione finale solo nel caso in cui il giudice preposto riconosca l’esistenza di motivi gravi e senza alcun pregiudizio per la decisione finale. Emergono sostanziali differenze col normale procedimento speciale di convalida di sfratto di cui agli artt. 657 e segg. c.p.c. In primis non è richiesta la convalida dello sfratto, che viene concesso salva opposizione del convenuto moroso. L’opposizione non sospende l’esecuzione di per se stessa, ma per ottenere la sospensiva è necessaria l’emissione, su richiesta del ricorrente, di un decreto di sospensione del decreto di sfratto fino all’esito del giudizio di opposizione. È evidente la presunzione di legittimità dell’azione civile della p.a. che risente della presunzione di legittimità degli atti della p.a. Il procedimento non ammette graduazioni o proroghe, anzi, se eseguiti nei trenta giorni il pignoramento e lo sfratto possono essere dati senza la previa notifica del precetto. 2.2. Verifica dei limiti della giurisdizione del giudice ordinario. Mentre è noto che nell’esercizio di attività amministrative il giudice ordinario può emettere solo sentenze dichiarative, ritenendosi escluse le altre sentenze del giudice ordinario che

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indirettamente o direttamente possano portare all’annullamento, alla revoca o alla modifica dell’atto amministrativo come le sentenze di condanna ad un facere o a un non facere ad un dare ovvero delle sentenze costitutive, tale principio è completamente sovvertito nel caso in cui l’amministrazione operi iure privatorum, ossia secondo negozi di diritto privato, su tali rapporti la cognizione del giudice ordinario non subisce pressoché limiti. Sono generalmente ammesse le sentenze di condanna: qualora l’amministrazione leda diritti soggettivi, che in tal caso derivano direttamente da un contratto privato. Essa può essere condannata al pagamento del danno arrecato. Come il danno per avere omesso di sottoscrivere un contratto di locazione che deve seguire obbligatoriamente all’atto di assegnazione (responsabilità precontrattuale). La giurisprudenza ha affermato che la pubblica amministrazione è soggetta ai procedimenti esecutivi come qualsiasi altro debitore. Essa tende ad attribuire al giudice ordinario la giurisdizione nella fase esecutiva mentre riserva il giudizio di ottemperanza al giudice amministrativo ogni qualvolta si ravvisi la necessità dell’espletamento di funzioni amministrative. Cass. civ., Sezioni Unite, 14 febbraio 1987, n. 1609, in Boll. Trib. 1988, 1465, con nota contraria di M. MAFFEZZONI. Evidentemente i beni della amministrazione sono soggetti a dei limiti di pignorabilità in relazione alla loro natura e destinazione. Sono impignorabili i beni demaniali e quelli patrimoniali indisponibili il creditore deve pertanto astenersi dall’iniziare la procedura su detti beni pena l’inamissibilità della stessa. COMMENTO 435 Più semplice appare la ricerca di somme iscritte nel bilancio preventivo anche se dal bilancio non può desumersi un vincolo di destinazione in senso tecnico, salvi i crediti nascenti dall’esercizio di funzioni pubbliche, ad esempio aventi natura tributaria e quelli vincolati dalla legge al soddisfacimento di finalità pubbliche. Precedentemente la giurisprudenza valutava la semplice iscrizione a bilancio di somme per sancirne l’improcedibilità. Sono ammesse le sentenze di condanna ad un facere, come ad esempio la amministrazione può essere condannata ad eseguire opere idonee a mantenere l’immobile in buono stato locativo. Su tal punto non vi è in dottrina una completa adesione alle pronunce in quanto si distingue fra prestazioni fungibili ed infungibili. Sono infungibili quelle prestazioni che hanno carattere strettamente personale in quanto non possono essere prestate che dalla stessa persona del debitore, mentre fungibili sono quelle prestazioni che possono essere eseguite anche da altri. L’esecuzione di obblighi di fare o di non fare ex artt. 2931 e 2932 c.c. è possibile in forma specifica solo quando questa sia fungibile, mentre se è infungibile si ha solo diritto al relativo risarcimento. Se per eseguire la sentenza di condanna è necessaria l’emanazione di un provvedimento amministrativo, non si può affermare l’obbligo di fare della amministrazione trattandosi di una prestazione infungibile. F. MANGANARO, Pronunce del giudice ordinario ed obblighi di fare imposti dalla pubblica amministrazione, in Dir. Proc. Amm., 1988, 303, 305. Ossia si giunge ad affermare la legittimità della condanna ma non la sua eseguibilità poiché contravverrebbe al principio della impossibilità del giudice ordinario di sostituirsi alla amministrazione. Contra ritiene possibile imporre degli obblighi di fare alla pubblica amministrazione in tema di diritti incomprimibili, ad esempio la salute. Cass., Sezioni Unite, 6 dicembre 1979, n. 5172. La sentenza di condanna non sarebbe data inutiliter poiché sull’amministrazione gravano le conseguenze civili e penali dell’eventuale inadempimento integrando se non altro la contravvenzione di cui all’art. 650 c.p. relativa all’inosservanza di provvedimenti dell’autorità. Mi sembra che il problema debba porsi in modo diverso nel senso che se si tratta di diritti soggettivi nascenti da contratti privati che la amministrazione può perfezionare nell’ambito della sua attività privatistica non vi deve essere dubbio. Per quanto riguarda le sentenze di condanna ad un facere il giudice ex art. 612 c.p.c. deve determinare le modalità dell’esecuzione, essendo questa ammissibile anche nei confronti della amministrazione. Per altro verso non ammettere la eseguibilità della sentenza perché nel caso di specie

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prevede l’adozione di un provvedimento di spesa, è contraddittorio rispetto all’indirizzo che afferma concordemente la possibilità di condanna al pagamento di una somma di denaro, che presuppone anch’esso l’adozione di un provvedimento di spesa. Ammettere che l’assegnatario debba eseguire i lavori che sono di competenza dell’ente proprietario/gestore per poi rivalersi sull’amministrazione è contrario al principio dell’effettività della tutela. Cass., Sezioni Unite, 10 gennaio 1984, n. 173, in Riv. giur. edil. 1984, 29. Né a senso ritenere che la tutela possa essere perseguita col cambio di abitazione; se il risarcimento in forma specifica è oneroso non è possibile richiedere in tale ipotesi un risarci- 436 EDILIZIA RESIDENZIALE PUBBLICA mento per equivalente ex art. 2058 c.c., poiché la portata della decisione va ben oltre la attività privata dell’amministrazione per costituire un diritto che può trovare invece origine in un provvedimento ampliativo di assegnazione, sul quale non è dato di interferire al giudice onorario. Affermata la giurisdizione del giudice ordinario, ossia la possibilità che la pubblica amministrazione sia condannata nell’ambito di una sua attività privatistica appare conseguenziale riconoscere anche la possibilità di richiedere al tribunale i provvedimenti di urgenza ex art. 700 c.p.c. La funzione del provvedimento di urgenza è quella di anticipare provvisoriamente gli effetti di una eventuale sentenza di condanna e se è ammissibile questa non si vede perché non sia ammessa tutela in via provvisoria cautelare. 3. La tutela del diritto alla cessione. Il diritto alla cessione degli alloggi è stato affermato, per chi ha presentato la relativa domanda entro un termine perentorio fissato dalla stessa legge dall’art. 28 della L. n. 513/1977. Il diniego o il silenzio dell’ente gestore sulla domanda di cessione, trattandosi di un diritto soggettivo, è tutelabile davanti alla giurisdizione ordinaria. È escluso che il silenzio equivalga ad accettazione. Cass., sez. I, 26 gennaio 1988, n. 667, in Edil. res. pubbl. 1989, n. 31, 99. La L. n. 560/1993 modifica sostanzialmente la natura del diritto al riscatto. La tutela dell’avente titolo al riscatto si esercita o nella fase procedimentale o successivamente alla emanazione del provvedimento che identifica gli alloggi cedibili. Nella fase procedimentale la posizione del privato è di mero interesse al giusto procedimento. L’art. 13 della L. n. 241/1990 vieta la possibilità di accesso al procedimento amministrativo per gli atti di programmazione per cui il richiedente non può richiedere di essere notiziato delle fasi del procedimento amministrativo. Poiché il procedimento di approvazione del piano da parte della Regione ha termine perentorio, un’ipotesi di tutela si può porre nei confronti degli enti proprietari. Scaduti i termini per l’approvazione dei piani l’ente proprietario deve fornire ogni indicazione utile per la presentazione della domanda. Deve quindi approvare il piano di cessione e determinare il prezzo. Il prezzo degli alloggi è costituito dal valore che risulta, applicando un moltiplicatore pari a 100, alle rendite catastali determinate dall’amministrazione del catasto a seguito della revisione disposta con decreto del Ministro delle finanze del 20 gennaio 1990 e di cui all’art. 7 della L. n. 359/1992. Il prezzo è ridotto in relazione alla oggettiva situazione dell’immobile dell’1% per ogni anno di anzianità di costruzione fino ad un massimo del 20%. Successivamente l’ente proprietario deve comunicare all’assegnatario le modalità di presentazione della domanda ed il termine per il pagamento e la redazione dei relativi atti di compravendita. In tale fase procedimentale l’assegnatario, che abbia titolo alla cessione perché ne ha i requisiti, anche se non ha notizia del suo inserimento nel piano di vendita, in carenza di atti COMMENTO 437 che consentano l’esercizio del suo interesse, può agire in via generale ai sensi dell’art. 25 del D.P.R. n. 3/1957, fino al momento in cui il rituale provvedimento amministrativo determini la alienabilità dell’immobile. Egli può diffidare l’amministrazione a provvedere appena scaduti i sessanta giorni dall’entrata in vigore della legge, poiché a tale data il piano deve essere approvato. Successivamente alla presentazione del piano di cessione da parte dell’ente proprietario la

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possibilità di tutela muta radicalmente. Il richiedente può domandare che gli sia comunicato il nome del responsabile del procedimento ai sensi dell’art. 4 della L. n. 241/1990, che egli può diffidare, ai sensi dell’art. 2 della stessa legge, a provvedere entro trenta giorni, ove l’amministrazione non abbia fissato con regolamento i termini per evadere l’istanza. Accertato il diritto alla cessione l’amministrazione ha l’obbligo a concludere il contratto che deriva dalla legge o dal provvedimento amministrativo. Si ritiene che, trattandosi di una fase privatistica, sia esperibile l’azione di esecuzione specifica potendosi chiedere al giudice il rispetto dell’obbligo di concludere il contratto ex lege. Si ritiene che gli stessi adempimenti, non posti in essere dall’amministrazione, possono essere eseguiti dal giudice in sede istruttoria, ex arg. 2932 c.c. Alcune sentenze negano che l’amministrazione negli atti compiuti prima della stipula del contratto operi nell’ambito di un rapporto privatistico. Si nota che manca la stipula di un preliminare e che si tratta di un rapporto con connotati pubblicistici. La forma di tutela ammessa è l’accertamento della proprietà, che ha indubbiamente effetti costitutivi (sentenza questa che non è ammessa ove la pubblica amministrazione operi nell’ambito di rapporti pubblicistici per i principi della legge sull’abolizione del contenzioso amministrativo n. 2248, all. E 1865), oppure l’azione risarcitoria per la riparazione del danno cagionato dalla mancata stipulazione. Cass., Sezioni Unite, 9 aprile 1984, n. 2263, in Edil. res. pubbl. 1984, n. 18, 90. Per contro l’azione di cui all’art. 2932 è ammessa qualora sussista già un contratto di promessa di futura vendita. Cass., Sezioni Unite, 7 dicembre 1983, n. 5838, in Edil. res. pubbl. 1983, n. 15, 144. L’azione di risarcimento per danni è teoricamente ammessa, anche se è difficile dimostrare il danno materiale, poiché il cessionario gode pur sempre dell’abitazione. Il lucro cessante è difficilmente riscontrabile dato che gli interessi derivanti dal mancato pagamento del prezzo compensano almeno in parte il mancato guadagno. Cass., sez. III, 6 giugno 1987, n. 4958, in Edil. res. pubbl. 1988, n. 29, 32. 438 EDILIZIA RESIDENZIALE PUBBLICA

LE FORMULE EDILIZIA RESIDENZIALE PUBBLICA Formula n. 87

87 . RICORSO AL T.A.R. AVVERSO GRADUATORIA DEFINITIVA PER L’ASSEGNAZIONE ALLOGGI 87

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE . . . Il sottoscritto avv. . . . con studio in . . . procuratore e domiciliatario del ricorrente signor . . . giusta delega in calce al presente atto ricorre nei confronti della Commissione Alloggi di . . . per l’annullamento della graduatoria di assegnazione pubblicata il . . . Fatto e diritto Premesso: che il ricorrente in data . . . presentava la domanda, rubricata al N. . . ., alla Commissione assegnazione alloggi di . . . presso l’I.A.C.P. di . . . avente ad oggetto la richiesta di assegnazione di alloggio; che veniva pubblicata nell’Albo del Comune di . . . il . . . la graduatoria definitiva; che da tale graduatoria emerge che il ricorrente è classificato al . . . posto con un punteggio totale di 8 punti; che in effetti il ricorrente ha diritto ad un punteggio complessivo di . . . punti così che lo stesso si troverebbe in graduatoria tra il . . . e il . . . posto; che il maggior punteggio di 3 punti gli deriva dalla circostanza che lo stesso coabita con persone non legate a lui da vincoli di parentela o affinità da oltre un anno;

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che tale circostanza era stata esattamente indicata dal ricorrente nella domanda presentata il . . ., ma che ciò non è stato tenuto, per ragioni a noi non note, nella dovuta considerazione; che il ricorrente risiede in . . . dall’. . . e coabita da tale data con altre 6 persone che non sono di lui parenti; che quanto indicato è documentalmente provato dagli uniti allegati; che le unite certificazioni anagrafiche comprovano che al ricorrente non è stato attribuito il punteggio previsto dall’art. 7, punto 6, lett. b) della L.R. Lombardia 5 dicembre 1983, n. 91; Formula n. 87 EDILIZIA RESIDENZIALE PUBBLICA 441 che, si ripete, il nucleo familiare del ricorrente coabita e coabitava con altro nucleo da più di un anno rispetto alla data di presentazione della domanda di assegnazione dell’alloggio; che la certificazione anagrafica del ricorrente è stata redatta correttamente dall’Ufficio Anagrafe del Comune di . . . su di un solo stato di famiglia poiché entrambe i nuclei familiari risiedono nel medesimo immobile; che tale procedura è dettata dalla circolare ministeriale n. 11 del 20 aprile 1984, successiva all’emanazione delle leggi regionali n. 91 e 92 del 1983, ma precedente l’indicazione del bando E.R.P. in oggetto; che il contenuto della circolare è stato poi ampiamente confermato dalle nuove normative relative alle certificazioni anagrafiche cosicché la documentazione è da considerarsi conforme alle norme di legge. Tutto ciò premesso il sottoscritto avvocato . . . ricorre all’Ill.mo Tribunale Amministrativo Regionale affinché voglia accogliere le seguenti conclusioni: in via incidentale sospendere la graduatoria definitiva relativa alle domande presentate per l’assegnazione di alloggi del Bacino della Provincia di . . . pubblicata a norma dell’art. 8 del D.P.R. n. 1035/1972, dell’art. 8, comma 9, delle LL.RR. Lombardia 91, 92 del 1983, pubblicata all’Albo del Comune di . . . In via principale annullare la sopraspecificata graduatoria poiché illegittima e redatta in violazione dei criteri di cui all’art. 7, L.R. 5 dicembre 1983, n. 91 e in particolare in riferimento al punteggio previsto al punto 6, lett. b). Spese ed onorari rifusi. Si produce: 1) graduatoria impugnata. Lì, . . . Avv. . . . Delego a rappresentarmi e difendermi in questa procedura, con tutti i poteri di cui all’art. 84 c.p.c. l’avv. . . . ed eleggo mio domicilio nel suo studio in . . . Lì, . . . Il ricorrente . . . Per autentica Avv. . . . 442 EDILIZIA RESIDENZIALE PUBBLICA Formula n. 87 RELAZIONE DI NOTIFICA Il sottoscritto ufficiale giudiziario addetto al Tribunale di . . . certifica di avere notificato il suesteso atto al Presidente della Commissione assegnazione alloggi della Provincia di . . . residente per la carica; al signor . . . primo in graduatoria (ovvero in posizione utile all’assegnazione quale controinteressato) residente a . . . Formula n. 87 EDILIZIA RESIDENZIALE PUBBLICA 443 EDILIZIA RESIDENZIALE PUBBLICA Formula n. 88

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88 . RICORSO AL T.A.R. AVVERSO DELIBERA DI DECADENZA 88

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE . . . Ricorso di . . . residente a . . . rappresentato e assistito, per mandato in calce al presente atto, dall’avv. . . . del Foro di . . . elettivamente domiciliato nel suo studio in . . . nei confronti del consiglio comunale di . . ., in persona del sindaco pro tempore . . . per l’annullamento della delibera di decadenza dall’assegnazione dell’alloggio sito in . . . assegnato al ricorrente Fatto e diritto Il ricorrente è assegnatario di un alloggio di edilizia residenziale pubblica di proprietà dell’Istituto Autonomo per le case popolari della Provincia di . . . Il ricorrente per motivi di lavoro si assenta dall’appartamento durante la settimana ritornandovi peraltro il fine settimana. Peraltro conserva la residenza nel comune ove è assegnatario dell’alloggio. Il Comune ritenendo che il fatto comporti la mancata occupazione dell’alloggio ai sensi dell’art. 17 del D.P.R. n. 1035/1972 e della L.R. Lombardia n. 91 e n. 92/1983, art. 22, lett. b), ha emanato la delibera di decadenza, che il ricorrente impugna presso questo spett.le T.A.R. per i seguenti motivi. Eccesso e sviamento di potere; vizio di motivazione ed illogicità del provvedimento; travisamento di fatto per avere ritenuto - contrariamente al vero e a quanto risulta documentato con le certificazioni del Comune di . . . - che il ricorrente non abiti stabilmente l’appartamento de quo. Il decreto di decadenza è così motivato: “. . . accertato che il signor . . . non ha occupato l’alloggio assegnatogli in . . ., via . . ., piano rialzato di proprietà dell’Ente per il periodo dal . . . al . . .”. Ora questa circostanza di fatto è documentalmente smentita dalle prodotte certificazioni dalle quali risulta non solo la residenza (dalla nascita) del ricorrente a . . ., ma anche la sua stabile dimora e abitazione, per cui non si comprende in che cosa consistano e su cosa siano fondati gli accertamenti dell’I.A.C.P. che hanno determinato il decreto di decadenza. Risulta dunque evidente l’errore ed il travisamento di fatto e comunque lo sviamento e l’eccesso di potere che viziano l’atto impugnato. 444 EDILIZIA RESIDENZIALE PUBBLICA Formula n. 88 P.Q.M. voglia l’Ecc.mo Tribunale Amministrativo Regionale della Sezione Staccata di . . ., in accoglimento del presente ricorso accogliere le seguenti conclusioni: dichiarare la nullità e l’inefficacia e comunque annullare il provvedimento di decadenza. Con rifusione delle spese ed onorari del presente giudizio. Si producono: 1) copia notificata dell’atto impugnato; 2) certificazioni anagrafiche del Comune di . . . Lì, . . . Avv. . . . Io sottoscritto . . . nato a . . . il . . . delego a rappresentarmi e difendermi nel presente giudizio, con tutti i poteri di cui all’art. 84 c.p.c. e con facoltà di conciliare e transigere l’avvocato . . . presso il cui studio eleggo domicilio. Lì, . . . Il ricorrente . . . Per autentica

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Avv. . . . ISTANZA PER SOSPENSIONE DELL’ESECUZIONE Ill.mo Signor Presidente, il sottoscritto difensore del ricorrente, chiede che l’Ecc.mo Tribunale adito, previa audizione dello scrivente in Camera di Consiglio, voglia sospendere l’esecutorietà dell’atto impugnato. Sussistono i requisiti di cui all’art. 21 ultima parte, della L. 6 dicembre 1971, n. 1034, dal momento che al ricorrente deriverebbe grave ed irreparabile pregiudizio se dovesse essere eseguita la pronunciata decadenza dell’assegnazione dell’alloggio. Formula n. 88 EDILIZIA RESIDENZIALE PUBBLICA 445 Per quanto riguarda il fumus boni iuris è evidente la illegittimità dell’atto impugnato per cui sussistono tutti i requisiti per l’accoglimento della presente istanza di sospensiva. Li, . . . Avv. . . . RELAZIONE DI NOTIFICA A richiesta del signor . . . io sottoscritto ufficiale giudiziario addetto al Tribunale di . . . certifico di aver notificato il suesteso atto al sindaco del comune di . . . 446 EDILIZIA RESIDENZIALE PUBBLICA Formula n. 88 EDILIZIA RESIDENZIALE PUBBLICA Formula n. 89

89 . CITAZIONE AL TRIBUNALE CONTRO LA DELIBERA DI DECADENZA 89

TRIBUNALE DI . . . Atto in opposizione all’esecuzione, ex art. 11, comma 13, D.P.R. 30 dicembre 1972, n. 1035 Il ricorrente . . ., residente in . . ., rappresentato e difeso, per mandato in calce al presente atto dall’avv. . . . elettivamente domiciliato nel suo studio in . . . espone con delibera del Consiglio Comunale di . . . è stato assegnato al signor . . . ricorrente, un alloggio di edilizia residenziale pubblica di proprietà dell’Istituto Autonomo per le case popolari della Provincia di . . . Poiché detto alloggio non è stato occupato entro trenta giorni dalla data della consegna il Consiglio Comunale di . . . ha deliberato la decadenza dell’assegnazione del ricorrente ai sensi dell’art. 11, D.P.R. n. 1035/1972. Diritto La delibera di decadenza accerta il mero decorrere del termine senza però acclarare che la situazione della mancata occupazione risponda ad un effettivo comportamento dell’assegnatario ricorrente. Questo ha concluso le operazioni di trasloco, ma, come da controdeduzioni prodotte agli uffici comunali, rientrava a tarda notte nell’alloggio dovendo prestare assistenza alla moglie ricoverata all’ospedale, né ha provveduto a trasferire la residenza per incuria peraltro giustificata da pressanti motivi di famiglia che hanno distolto il ricorrente dagli obblighi amministrativi a lui spettanti. Tutto ciò premesso, stante il grave ed irreparabile giudizio che deriverebbe al ricorrente dal provvedimento di decadenza dell’alloggio assegnatogli. Il sottoscritto avv. . . . cita il sindaco pro tempore del Comune di . . . a comparire avanti il Tribunale di . . . all’udienza del . . . ore di rito, invitandolo a costituirsi nei modi e termini di legge per sentir accogliere con espresso avvertimento che in difetto sarà dichiarato decaduto dai diritti di cui all’art. 167 del c.p.c. le seguenti conclusioni;

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Formula n. 89 EDILIZIA RESIDENZIALE PUBBLICA 447 voglia l’Ill.mo Tribunale, previa sospensione dell’esecuzione medesima dichiarare l’annullamento della delibera di decadenza per difetto di presupposti di fatto e di legge con riserva di ogni ulteriore difesa spese ed onorari rifusi. Lì, . . . Avv. . . . Io sottoscritto . . . nato a . . . il . . . delego a rappresentarmi e difendermi nel presente giudizio, con tutti i poteri di cui all’art. 84 c.p.c. e con facoltà di conciliare e transigere l’avvocato . . . presso il cui studio eleggo domicilio, per tutti i gradi del presente giudizio. Lì, . . . Il ricorrente . . . Per autentica Avv. . . . RELAZIONE DI NOTIFICA A richiesta del signor . . . io sottoscritto ufficiale giudiziario addetto al Tribunale di . . . certifico di aver notificato il suesteso atto al sindaco del comune di . . . 448 EDILIZIA RESIDENZIALE PUBBLICA Formula n. 89 EDILIZIA RESIDENZIALE PUBBLICA Formula n. 90

90 . APPELLO ALLA CORTE D’APPELLO CONTRO LA DELIBERA DI DECADENZA 90

CORTE D’APPELLO DI . . . Atto di citazione d’appello del comune di . . . in persona del sindaco pro tempore . . . rappresentato ed assistito, per mandato prodotto, dall’avv. . . . dell’ufficio legale presso il quale è elettivamente domiciliato in . . ., che espone quanto segue: come si legge nell’appellata sentenza il Comune di . . ., procedeva a revocare, con delibera . . ., l’alloggio del signor . . . sito in . . ., poiché esso non risultava occupato dal . . . al . . . Visti gli accertamenti effettuati dal comune, costituitosi in giudizio il . . . chiedeva di dichiarare nullo il decreto di revoca. Il ricorrente, a suffragio della sua richiesta, ha posto la deposizione del teste che ha dichiarato che l’assegnatario non lasciò mai l’appartamento per un periodo superiore ad un giorno. Sulla scorta di tale prova testimoniale il Tribunale ha dichiarato, con Sentenza n. . . ., depositata il . . ., nullo il decreto condannando il comune alle spese liquidate in euro . . . Tale sentenza appare ingiusta per il comune anche perché non ha tenuto in alcun conto il procedimento amministrativo che ha portato al provvedimento di revoca. Con il presente atto si invoca, pertanto, il riesame da parte di questo Ecc.ma Corte per i seguenti motivi. 1) Si censura la rilevanza attribuita alla prova testimoniale del signor . . . che, come messo in evidenza negli atti di causa, ha un vincolo di parentela con il signor . . . e la sua moglie . . ., essendo di lei figlio di primo letto ed avendo un evidente interesse nella causa, occupando un alloggio che, nell’accertamento prodotto, risulta essere di proprietà della moglie dell’assegnatario ed occupato da tutto il nucleo, sicché come risulta dagli accertamenti compiuti l’alloggio di edilizia pubblica è tenuto come seconda casa. Oltre quindi a porsi in contrasto con quanto affermato dai documenti amministrativi

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che sono atti effettuati da pubblici ufficiali con efficacia di piena prova fino a querela di falso, è da rilevare che l’accertata relazione di parentela è tale da produrre una vera e propria incapacità a testimoniare ex art. 246 c.p.c. 15 Formula n. 90 EDILIZIA RESIDENZIALE PUBBLICA 449 2) In secondo luogo la sentenza impugnata trascura in motivazione di dare alcuna rilevanza al procedimento amministrativo sia ai documenti prodotti (che sono frutto di accertamenti amministrativi che hanno in pratica gli effetti previsti dall’art. 2699 c.c. facendo fede delle dichiarazioni del pubblico ufficiale e dei fatti da questo accertati fino a querela di falso) sia alla procedura ritualmente seguita. In tal senso appare evidente che il giudice ordinario può sanzionare il procedimento amministrativo per vizi suoi propri non certo per vizi dedotti da testimoni qualora la prova testimoniale trovi evidente contraddizioni negli atti documentali prodotti. Non vi è dubbio che il giudizio sul procedimento amministrativo e sul relativo provvedimento se può censurare i vizi propri dell’atto deve anche giudicare del provvedimento in relazione alle leggi che lo disciplinano. In realtà la sentenza impugnata non deduce alcun vizio nel procedimento, assume invece accertamenti documentali prodotti da pubblico ufficiale secondo le disposizioni di cui all’art. 17 della legge n. 1035/1972, come fonti imprecisate e comunque non assunte in giudizio. Con tale schema interpretativo, ammessa la giurisdizione del giudice ordinario sul procedimento amministrativo, si deve dedurre che tutto il procedimento amministrativo con scansioni procedimentali affidate a pubblici ufficiali debba essere provato in giudizio a mezzo di testimoni. L’impostazione appare contraria alle norme vigenti che danno il valore di atto pubblico, che fa piena prova, agli atti posti in essere dal pubblico ufficiale ex 2699 c.c., per cui si chiede la riforma della sentenza impugnata. 3) La riforma della sentenza comporta ad avviso del ricorrente che le spese siano accollate alla parte soccombente. Per questi motivi e richiamata ogni altra argomentazione svolta nel giudizio di primo grado e relativa ai punti impugnati il sottoscritto avvocato . . . cita il signor . . . al domicilio eletto presso il suo procuratore avv. . . . in . . . a comparire avanti l’Ecc.ma Corte d’appello di . . . all’udienza del . . . ore di rito con invito a costituirsi in giudizio nei modi e termini di legge e a comparire nelle suddette udienze davanti al Giudice Istruttore con avvertimento che in difetto sarà dichiarato decaduto dai diritti di cui all’art. 167 c.p.c., per sentire accogliere le seguenti conclusioni: contrariis reiectis a riforma della sentenza impugnata n. . . . del Tribunale di . . . e in accoglimento dell’interposto appello respingasi la dichiarata nullità della delibera di decadenza del comune di . . . con rifusione delle spese ed onorari del doppio grado. Previa, occorrendo, ammissione di testi sulla seguente circostanza. 450 EDILIZIA RESIDENZIALE PUBBLICA Formula n. 90 Vero è che ad accertamenti compiuti da pubblico ufficiale risulta che il signor . . . non ha occupato l’alloggio per più di tre mesi per il periodo dal . . . al . . . Teste ufficiale accertatore comunale signor . . . Allegati: 1) fascicolo di primo grado; 2) copia autentica di sentenza di primo grado; 3) autorizzazione alle liti. Lì, . . . Avv. . . .

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Delego a rappresentarmi in questa procedura nonché in quella eventuale di opposizione l’avv. . . . dell’ufficio legale del comune eleggendo domicilio in . . . Li, . . . Il ricorrente . . . Per autentica Avv. . . . RELAZIONE DI NOTIFICA Io sottoscritto ufficiale giudiziario addetto al Tribunale di . . . certifico di aver notificato il suesteso atto a . . . presso lo studio del suo procuratore costituito avv. . . ., via . . . consegnandone copia a . . . Formula n. 90 EDILIZIA RESIDENZIALE PUBBLICA 451 EDILIZIA RESIDENZIALE PUBBLICA Formula n. 91

91 . RICORSO AL TRIBUNALE PER PROVVEDIMENTI D’URGENZA 91

TRIBUNALE DI . . . Ricorso ex art. 700 c.p.c. Il sottoscritto avv. . . . quale procuratore e domiciliatario, per mandato in calce al presente atto del signor . . . ricorrente, domiciliato in . . ., espone quanto segue. Il ricorrente è assegnatario di un alloggio di edilizia residenziale pubblica sito in . . . assegnatogli con delibera del . . . del Comune di . . . Il relativo contratto di locazione è stato sottoscritto in data . . . con l’I.A.C.P. di . . ., ente gestore. Con lettera raccomandata del . . . sono stati segnalati all’ente gestore degli alloggi le seguenti carenze manutentive . . . che attestano l’inadempimento dell’obbligo contrattuale del locatore al mantenimento in buono stato locativo dell’immobile in oggetto ex art. 1576 c.c. L’eventuale pronuncia di condanna dell’ente gestore ad un facere, ovvero alle indispensabili ed urgenti opere di manutenzione, non trova limiti in nessuna situazione di preminenza derivante dall’esercizio di una potestà pubblica, atteso che l’ente gestore agisce iure privatorum e che comunque la condanna ad un facere non coinvolge nessuna attività amministrativa discrezionale, ma importa un mero comportamento materiale, derivante dagli obblighi contrattuali assunti. Il pregiudizio imminente ed irreparabile che il ricorrente riceve dal vivere in un ambiente non idoneo nelle siffatte condizioni all’uso abitativo. Tutto ciò posto il ricorrente chiede che la S.V. facendo uso delle facoltà concesse dall’art. 700 c.p.c., del quale ricorrono gli estremi di un pregiudizio grave ed irreparabile, voglia ingiungere all’ente gestore di effettuare i provvedimenti manutentivi atti ad eliminare gli inconvenienti sopra esposti durante il tempo che sarà necessario al ricorrente per fare valere il suo diritto in via ordinaria. Lì, . . . Avv. . . . Delego a rappresentarmi in questa procedura nonché in quella eventuale di opposizione l’avv. . . . del Foro di . . . eleggendo domicilio nel suo studio in . . . 452 EDILIZIA RESIDENZIALE PUBBLICA Formula n. 91 Lì, . . . Il ricorrente . . . Per autentica Avv. . . . RELAZIONE DI NOTIFICA Io sottoscritto ufficiale giudiziario addetto al Tribunale di . . . certifico di aver

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notificato il suesteso atto a . . . presso lo studio del suo procuratore costituito avv. . . ., via . . . consegnandone copia a . . . Formula n. 91 EDILIZIA RESIDENZIALE PUBBLICA 453 14. ELEZIONI IL COMMENTO 14. ELEZIONI SOMMARIO: 1. Il riparto della giurisdizione. − 2. Le controversie in tema di eleggibilità. La giurisdizione del giudice ordinario. − 2.1 L’azione popolare. Le parti. − 2.2. Il ricorso. − 2.3. La sentenza del giudice ordinario. − 2.4. L’appello. − 2.5. Il ricorso in cassazione. − 3. Le controversie sulle operazioni elettorali. La giurisdizione del giudice amministrativo. − 3.1. Il procedimento. − 3.2. La sentenza. − 3.3. L’appello al Consiglio di Stato. 1. Il riparto della giurisdizione. Fanno parte del contenzioso elettorale tutte le controversie relative alla elezione dei componenti dei consigli comunali, provinciali e regionali. Sono escluse le controversie sull’elezione dei parlamentari che l’art. 66 della Costituzione attribuisce a ciascun ramo del parlamento. Il T.U. n. 570/1960, successivamente modificato dalla L. n. 1147/1966 e dalla L. n. 108/1968, all’art. 82/1 attribuisce alla giurisdizione del giudice ordinario le controversie relative alla ineleggibilità alla carica. L’art. 6 della L. n. 1034/1971 attribuisce al giudice amministrativo le controversie in materia di operazioni per le elezioni dei consigli comunali, provinciali e regionali. Tali controversie erano prima attribuite agli stessi consigli comunali e provinciali in primo grado ed in secondo grado alla Giunta Provinciale Amministrativa ed al Consiglio di Stato. La Corte costituzionale, con sentenza 27 dicembre 1965, n. 93, ha dichiarato illegittime le norme per violazione del principio di imparzialità del giudice. Parimenti la L. n. 1147/1966, che aveva introdotto delle sezioni speciali per il contenzioso elettorale presso i costituendi Tribunali Regionali Amministrativi, è stata dichiarata incostituzionale per violazione del principio di indipendenza del giudice dalla stessa Corte con sentenza 27 maggio 1968, n. 49. 2. Le controversie in tema di eleggibilità. La giurisdizione del giudice ordinario. Generalmente le cause di ineleggibilità trovano la loro ragione nell’intento di evitare indebite pressioni che i titolari di alcuni alti uffici possono esercitare sull’elettorato, altre cause trovano al loro ragione nella antinomia che si determinerebbe per la situazione di controllore, altre cause di ineleggibilità trovano la loro giustificazione nel fatto che una stessa persona si trova ad essere contitolare di più uffici. La giurisprudenza ha affermato, ad esempio, in tema di ineleggibilità del personale delle Usl, anche prima delle modifiche introdotte dalla nuova normativa contenuta nei decreti legislativi n. 502 del 1992 e n. 517 del 1993, al primario ospedaliero non poteva essere preclusa l’eleggibilità né in virtù della disposizione di cui al n. 8 dell’art. 2 della legge n. 154 del 1981, la quale riguardava i soggetti che, nell’ambito della Usl, svolgevano funzioni di direzione di tutto il personale, né di quella contenuta nel n. 11 dello stesso articolo, la quale non riguardava affatto il personale dipendente delle Usl. Cass. civ., sez. I, 15 maggio 1996, n. 4511, in Giust. civ. Mass. 1996, 733. Esse possono essere rimosse prima del giorno utile per la presentazione della candidatura P. VIRGA, Dritto Amministrativo, Amministrazione locale, III, 1988, 68. Le cause di incompatibilità trovano, invece, di regola la loro ragione giustificatrice in un potenziale conflitto di interessi con l’ente territoriale, l’eletto può rimuovere la causa di incompatibilità entro un termine che decorre dalla data di convalida dell’elezione dato che è in quella data che avviene l’effettivo inizio dell’esercizio della carica di consigliere comunale. Le controversie relative alla eleggibilità alla carica, come quelle concernenti la decadenza e la incompatibilità, sono devolute al giudice ordinario, in quanto attinenti a diritti soggettivi perfetti. Non comportano nessuna modifica al riparto della giurisdizione la disciplina introdotta dalla successiva L. n. 154/1981 sulla incompatibilità alla carica di consigliere comunale, provinciale e regionale, l’art. 1 della legge n. 16/1992, che ha introdotto un’ampia disciplina in

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tema di eleggibilità e di decadenza dalle cariche nelle regioni, comuni e province per delitti di particolare gravità. La giurisdizione del giudice ordinario deve essere affermata pure dopo l’entrata in vigore della L. 8 giugno 1990, n. 142, peraltro in parte abrogata dal D.L.vo 18 agosto 2000, n. 267, la quale ha mutato le procedure per la proclamazione degli eletti, ma non ha inciso sui criteri di riparto della giurisdizione. Cass. civ., Sezioni Unite, 10 febbraio 1992, n. 1459, in Giust. civ. mass. 1992. Non mutano le regole del riparto di giurisdizione neppure le norme di cui alle leggi n. 81/1993 e n. 415/1993, che hanno introdotto l’elezione diretta del sindaco del presidente della provincia, del consiglio comunale e del consiglio regionale. La giurisdizione del giudice ordinario a conoscere le controversie in tema di eleggibilità o di decadenza dalla carica di consigliere regionale, provinciale, comunale e circoscrizionale non trova limitazioni o deroghe per il caso in cui la questione di eleggibilità venga introdotta mediante impugnazione del provvedimento del consiglio di convalida degli eletti o di impugnazione dell’atto di proclamazione o d’impugnazione del provvedimento di decadenza. In tali ipotesi, la decisione verte non sull’annullamento dell’atto amministrativo, ma sul diritto soggettivo perfetto inerente all’elettorato attivo. La verifica della eleggibilità dei propri componenti spetta al neoeletto consiglio comunale; alla commissione provinciale di controllo spettano poteri sostitutivi, nell’ipotesi che il consiglio abbia omesso di pronunziarsi, nonché il potere di controllo formale sulla delibera consiliare; spetta al giudice ordinario il controllo di merito sull’eleggibilità dei consiglieri, su ricorso di qualsiasi cittadino elettore, del prefetto o del presidente della commissione provinciale di controllo. T.A.R. Sicilia, sez. III, Catania, 29 ottobre 1991, n. 448, 1991, 669. 2.1 L’azione popolare. Le parti. L’azione è detta popolare, a norma dell’art. 82 del D.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, poiché consente ad ogni elettore, iscritto nelle liste ed a chiunque altro ne abbia interesse, di agire in giudizio o di intervenire in quello da altri iniziato per invocare il controllo giurisdizionale sul rispetto delle norme in materia di ineleggibilità. 460 ELEZIONI La parte del giudizio è colui contro il quale il ricorso è diretto, anche se il giudizio è instaurato attraverso l’impugnazione della delibera del consiglio comunale che ha pronunziato al riguardo, e, quindi, anche in caso di notificazione al sindaco, ai sensi dell’art. 9 della L. 23 dicembre 1966, n. 1147, del ricorso introduttivo, il comune non assume la qualità di parte. Cass. civ., sez. I, 25 luglio 1992, n. 8979, in Giust. civ. mass. 1992. 2.2. Il ricorso. La deliberazione di convalida dell’eletto costituisce presupposto processuale dell’azione; ne consegue che la sua mancanza non solo rende inammissibile l’azione di impugnativa, ma preclude anche la possibilità di una sentenza dichiarativa di accertamento della ineleggibilità del candidato, non risultato eletto, per l’eventualità che gli venga in futuro attribuita la carica di consigliere regionale. Cass. civ., sez. I, 19 maggio 1992, n. 5986, in Giust. civ. mass. 1992. La delibera deve essere pubblicata all’albo pretorio. Dall’ultimo giorno di pubblicazione decorre il termine di trenta giorni entro il quale il ricorso deve essere depositato. Il ricorso va depositato presso la segreteria del Tribunale civile della circoscrizione territoriale in cui è ricompreso il comune capoluogo di provincia, ai sensi dell’art. 7, L. n. 1147/1966, per le elezioni comunali e provinciali ovvero del capoluogo di regione, ai sensi dell’art. 19, L. 17 febbraio 1968, n. 108, per le elezioni regionali. La procedura è disciplinata dall’art. 82 della L. n. 570/1960, modif. dall’art. 2 della L. n. 1147/1966. Il presidente del tribunale con decreto fissa l’udienza di discussione della causa in via di urgenza e provvede alla nomina del giudice relatore. La comunicazione del provvedimento presidenziale di fissazione d’udienza fa decorrere il termine perentorio di dieci giorni entro il quale deve essere notificato al controinteressato. Il preventivo deposito del ricorso presso la segreteria e successiva notifica ai controinteressati del ricorso stesso con il pedissequo decreto di fissazione d’udienza è dettata dall’esigenza di incardinare al più presto il giudizio al fine di consentire una sollecita definizione

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della controversia. Nel caso di proposizione dei motivi aggiunti, conseguenti ad una verificazione disposta dal giudice, questi vanno prima notificati ai controinteressati e poi depositati. Cons. giust. amm. Sicilia, 26 aprile 1996, n. 119, in Cons. Stato 1996, 685. Quanto alla qualifica di controinteressato la giurisprudenza ha precisato che parti necessarie del giudizio elettorale sono i candidati eletti e l’ente ai quali la consultazione si riferisce ma non anche i partiti politici. Ai fini della ritualità dell’impugnazione, quindi, è necessaria, entro il termine di decadenza, la notificazione del ricorso almeno ad uno dei controinteressati, salva la successiva integrazione nei confronti degli altri. Nella specie, stante la notifica ad un controinteressato, si è ritenuta non necessaria quella ad un partito. Cons. Stato, sez. V, 31 dicembre 1993, n. 1408, in Cons. Stato 1993, 1645. Il termine perentorio di 10 giorni, a partire dalla notificazione, per il deposito di copia del ricorso introduttivo con il decreto di fissazione dell’udienza, che l’art. 82/1 del D.P.R. 16 COMMENTO 461 maggio 1960, n. 570 (modificato dall’art. 1 della L. 23 dicembre 1966, n. 1147) prevede, a pena d’improcedibilita, rilevabile d’ufficio, decorre indipendentemente dall’eventuale mancanza, invalidità o tardività della comunicazione, con cui il cancelliere deve dare notizia alla parte istante del provvedimento di fissazione dell’udienza. Si deve comunque tenere conto che tale comunicazione è rivolta a consentire quella notificazione, di modo che la carenza od i vizi dell’una restano superati dall’effettuazione dell’altra. Cass. civ., sez. I, 14 novembre 1992, n. 12239, in Giust. civ. mass. 1992. Questa perentorietà non implica contrasto con l’art. 24 Cost., in quanto risponde ad esigenze di celerità di dette controversie, senza menomare l’esercizio del diritto di difesa. Cass. civ., sez. I, 27 maggio 1992, n. 6363, in Foro it. 1992, I, 2381. La parte contro la quale il ricorso è diretto, se intende contraddirvi, deve farlo mediante controricorso, da depositare in cancelleria, coi relativi atti e documenti, entro quindici giorni dalla data della ricevuta notificazione. 2.3. La sentenza del giudice ordinario. Il giudice ordinario può o respingere il ricorso o, in caso di accoglimento del ricorso medesimo, correggere il risultato dell’elezione stessa, sostituendo ai candidati illegittimamente proclamati coloro che hanno il diritto di esserlo o di porre nel nulla il provvedimento di decadenza, se emesso al di fuori delle condizioni che lo legittimano. Cass. civ., Sezioni Unite, 24 marzo 1993, n. 3518, Giust. civ. mass. 1993, 546. I pieni poteri di cognizione del giudice ordinario, comprendenti anche quello di correggere il risultato delle elezioni, non sono influenzati da eventuali provvedimenti del Consiglio comunale né il relativo procedimento amministrativo incide sulla procedibilità dell’azione giudiziaria. Cass. civ., sez. I, 12 febbraio 1990, n. 1009, in Giust. civ. mass. 1990. 2.4. L’appello. Le sentenze pronunciate dal tribunale possono essere impugnate con appello alla Corte d’appello territorialmente competente, ai sensi dell’art. 82 bis della L. n. 570/1960, modif. dall’art. 2 della L. n. 1147/1966. Anche in tale caso il ricorso deve essere depositato, entro 20 giorni dalla notifica dello stesso, nella Cancelleria della Corte. Il presidente fissa con decreto l’udienza di discussione e nomina il relatore. Entro 10 giorni dalla comunicazione l’appellante deve notificare ricorso o decreto di fissazione di udienza alle parti interessate. 2.5. Il ricorso in cassazione. Le sentenze pronunciate in secondo grado possono essere impugnate con ricorso in Cassazione entro 20 giorni dalla loro notificazione. Il Presidente della Corte di cassazione fissa con decreto l’udienza in calce al ricorso. Valgono le norme per il giudizio di Cassazione con termini ridotti della metà, ai sensi dell’art. 82 ter della L. n. 570/1960, modif. dall’art. 2 della L. n. 1147/1966. 462 ELEZIONI 3. Le controversie sulle operazioni elettorali. La giurisdizione del giudice amministrativo. Le controversie in materia di operazioni elettorali dei consigli comunali provinciali e regionali, ivi comprese quelle relative al computo dei voti, sono relative a posizioni di interesse

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legittimo con l’attribuzione della relativa giurisdizione al giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 6 della L. n. 1034/1971. Nei giudizi elettorali sono immediatamente impugnabili, ancora prima della proclamazione degli eletti, il decreto col quale vengono indette le elezioni e i provvedimenti di esclusione di candidati o di liste. Cons. Stato, sez. V, 3 aprile 1990, n. 322, in Cons. Stato, 1990, 553. 3.1. Il procedimento. In forza del richiamo contenuto nell’art. 19, comma 4, della L. 6 dicembre 1971, n. 1034, nei giudizi in materia elettorale trovano applicazione le norme di procedura di cui alla L. 23 dicembre 1966, n. 1147, recante modificazioni al D.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, pur essendo state dichiarate incostituzionali per difetto di imparzialità della Sezione per il contenzioso elettorale dalla Corte costituzionale 5 maggio 1968 n. 49; e per quanto non espressamente disciplinato, le norme procedurali per i procedimenti innanzi ai T.A.R. Il ricorso va proposto entro 30 giorni dalla proclamazione degli eletti. Il ricorso va depositato alla segreteria del T.A.R. Il Presidente, con decreto in calce al ricorso, fissa la data dell’udienza successivamente, entro 10 giorni dalla data del provvedimento presidenziale; il ricorso ed il decreto devono essere notificati alle parti che ne hanno interesse. Nei successivi 10 giorni si provvede al deposito con la prova dell’avvenuta notifica. 3.2. La sentenza. La sentenza può rigettare il ricorso ovvero dispone l’annullamento del provvedimento impugnato, con la conseguenza della rinnovazione del procedimento, inoltre nessun ostacolo di ordine sistematico sussiste a che il giudice amministrativo corregga, in via diretta ed autonoma, i risultati delle verbalizzazioni elettorali, come del resto è espressamente previsto dalla legge (art. 6, L. 6 dicembre 1971, n. 1034 e 84, T.U. 16 maggio 1960, n. 570). T.A.R. Sicilia sez. I, Catania, 2 novembre 1990, n. 729, in T.A.R. 1991, I, 380. La sentenza diviene esecutiva con il deposito in cancelleria entro dieci giorni dalla pronuncia e con la trasmissione in copia al Sindaco poiché provveda, entro 24 ore dal ricevimento, alla pubblicazione all’albo pretorio per 15 giorni, a cura del segretario che ne è responsabile. 3.3. L’appello al Consiglio di Stato. Il termine di venti giorni per l’appello al Consiglio di Stato decorre dalla notifica per i diretti interessati e dall’ultimo giorno di pubblicazione per ogni altro cittadino eletto o direttamente interessato. COMMENTO 463 Sul ricorso il Presidente firma con urgenza l’udienza di discussione. I termini per il procedimento di ricorso al Consiglio di Stato sono ridotti alla metà, come precisa l’art. 29 della L. n. 1034/1971. 464 ELEZIONI

LE FORMULE ELEZIONI Formula n. 92

92 . RICORSO AL T.A.R. CONTRO IL DEPOSITO DI SIMBOLO ELETTORALE 92

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE . . . Ricorso del signor . . . elettore iscritto nelle liste elettorali del comune di . . . domiciliato in . . . via . . . contro i presentatori della lista . . . per l’annullamento del decreto di approvazione delle liste elettorali Fatto Con decreto del . . . sono state approvate tra le altre le due liste elettorali presentate sulla base di due deleghe rilasciate contemporaneamente a soggetti diversi dal segretario provinciale di partito rappresentato in sede nazionale col simbolo così definito . . . Questo provvedimento è illegittimo e se ne chiede l’annullamento per il seguente

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motivo. Violazione di legge. L’art. 32 del D.P.R. n. 570/1960, prevede infatti che ogni lista debba avere un contrassegno elettorale e che lo stesso debba essere depositato con le formalità di legge. La presentazione di due liste con lo stesso contrassegno comporta vizio insanabile nelle modalità di presentazione con la esclusione delle liste, poiché le stesse sono state presentate contemporaneamente; non essendo possibile accertare quale delle due liste sia quella rappresentativa del partito si chiede la conseguente nullità parziale del provvedimento di approvazione delle stesse (Cons. Stato, sez. V, 27 aprile 1991, n. 673, in Foro Amm. 1991, 1154). Né il fatto che successivamente una delle due liste abbia modificato il simbolo con lievi differenziazioni ha effetti sananti sulla presentazione. P.Q.M. voglia l’Ecc.mo Tribunale adito 1) dichiarare la nullità parziale del decreto di approvazione delle liste; 2) disporre l’esclusione delle stesse dalla competizione elettorale. Si chiede l’esibizione del decreto di approvazione delle liste. Formula n. 92 ELEZIONI 467 La prova testimoniale è esclusa ai sensi dell’art. 44 del T.U. 26 giugno 1924, n. 1054. Spese ed onorari rifusi. Si produce: 1) decreto di fissazione di udienza. Lì, . . . L’elettore . . . RELAZIONE DI NOTIFICA A richiesta del signor . . . io sottoscritto ufficiale giudiziario addetto al tribunale di . . . certifico di aver notificato il suesteso atto al sindaco del comune di . . . e al rappresentante della lista il cui simbolo si impugna. �Ÿ �Ÿ �Ÿ In tema di contenzioso elettorale il mancato deposito in cancelleria del tribunale di copia del ricorso e del decreto di fissazione di udienza, con la prova dell’avvenuta notificazione ai controinteressati, entro dieci giorni dalla notifica stessa determina la improcedibilità del ricorso. L’avvenuto deposito nei termini prescritti, trattandosi di adempimento processuale deve risultare dall’attestazione ufficiale del cancelliere (Cons. Stato, 13 maggio 1991, n. 802, in Foro amm. 1991, 1442). 468 ELEZIONI Formula n. 92 ELEZIONI Formula n. 93

93 . CITAZIONE AL GIUDICE ORDINARIO PER INCOMPATIBILITÀ DELL’ELETTO 93

TRIBUNALE SEZIONE CIVILE DI . . . Atto di citazione per il signor . . . elettore iscritto nelle liste elettorali . . . del comune di . . . domiciliato in . . . via . . . Fatto e diritto Nella delibera di convalida degli eletti delle elezioni amministrative indette nel comune di . . . risulta eletto consigliere comunale il signor . . .

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Col presente atto si impugna la citata delibera per violazione di legge. L’art. 63, n. 4, del D.L.vo 18 agosto 2000, n. 267, dispone come causa di incompatibilità alla carica di consigliere comunale il fatto di avere una lite pendente in un procedimento civile o amministrativo con l’amministrazione nella quale si è stati eletti. La giurisprudenza ha precisato che il conflitto di interessi, per non avere rilevanza, non deve permanere nel momento della delibera di convalida dell’elezione ossia deve essere stato posto in essere in precedenza un atto idoneo a fare venire meno il conflitto fra amministrazione e consigliere quale la transazione o la rinuncia agli atti del giudizio. Cass. civ., 28 maggio 1988, n. 3678. Poiché alla data della delibera sussisteva fra amministrazione ed eletto un procedimento civile per risarcimento danni in relazione ad un contratto di appalto presso il tribunale di . . . la pronuncia di decadenza appare atto conseguenziale. Per questi motivi il signor . . . cita il signor . . . eletto consigliere comunale davanti al Tribunale di . . . per sentire dichiarare la decadenza dello stesso per incompatibilità. A tale fine invita il convenuto a costituirsi in giudizio nel termine e nelle forme stabilite dall’art. 82 del D.P.R. n. 570/1960, ed a comparire all’udienza che il Presidente del Tribunale vorrà fissare ai sensi del D.P.R. 16 maggio 1960, n. 570. Formula n. 93 ELEZIONI 469 Si depositano i seguenti documenti: 1) certificazione relativa alla causa civile di risarcimento; 2) decreto di fissazione di udienza. Spese ed onorari rifusi. Lì, . . . L’elettore . . . RELAZIONE DI NOTIFICA A richiesta del signor . . . io sottoscritto ufficiale giudiziario addetto al Tribunale di . . . certifico di aver notificato il suesteso atto al signor . . . consigliere comunale eletto. 470 ELEZIONI Formula n. 93 ELEZIONI Formula n. 94

94 . RICORSO AL TAR PER L’ANNULLAMENTO DELLE ELEZIONI COMUNALI 94

AL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DI . . . Ricorso del Signor . . . iscritto alle liste elettorali del comune di . . . rappresentato e assistito per mandato in calce al presente atto dall’avv. . . . del Foro di . . ., elettivamente domiciliato in . . . nei confronti del sindaco del comune di . . . per l’annullamento dei risultati delle elezioni comunali, delle operazioni elettorali e della proclamazione dei consiglieri eletti Fatto e diritto Si premette: il giorno . . . si sono tenute le elezioni comunali nel comune di . . . alle quali sono state presentate le seguenti liste. I risultati elettorali sono viziati da numerosi vizi di legittimità.

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In particolare della commissione elettorale ha fatto parte, con l’incarico di segretario, un candidato alle medesime elezioni. Alle votazioni hanno partecipato i seguenti sigg. . . . che sono stati assistiti nella votazione da altre persone, pur non ricorrendone i requisiti. Ciò posto si chiede l’annullamento delle votazioni comunali per i seguenti motivi: 1) Violazione ed errata applicazione dell’art. 23 lett. f), D.P.R. 16 maggio 1960, n. 570. L’art. 23 lett. f), D.P.R. 16 maggio 1960, n. 570 inibisce ai candidati alle elezioni comunali e provinciali di partecipare alle operazioni presso gli uffici elettorali di sezione in qualità, tra gli altri, di segretario della sezione, all’evidente scopo di evitare ogni possibile situazione di conflitto di interesse che possa impedire al compofordiram\ Formula n. 94 ELEZIONI 471 nente della sezione stessa di comportarsi con le dovute imparzialità e terzietà nello svolgimento dei propri compiti. Nelle elezioni comunali lo status di candidato a consigliere non cessa fino all’effettuazione del turno di ballottaggio, tranne nel caso in cui non si sia verificato il raggiungimento al primo turno di votazione del numero di suffragi necessari al raggiungimento del premio di maggioranza (60% dei seggi) o del 50% dei seggi. Il perdurare di tale situazione procrastina tutte le situazioni d’incompatibilità che la legge fissa per i candidati e, quindi, la giurisprudenza dichiara illegittima la partecipazione alle operazioni elettorali per il ballottaggio, in qualità di segretario della sezione, del candidato escluso dal primo turno di votazioni. Il mancato rispetto della norma comporta la conseguente invalidazione ed annullamento delle operazioni medesime e del relativo risultato (Cons. Stato, sez. V, 26 marzo 1996, n. 311, in Foro amm. 1996, 909). 2) Violazione di legge nell’applicazione dell’art. 9, L. 11 agosto 1991, n. 271. L’art. 9, L. 11 agosto 1991, n. 271, che ha modificato l’art. 41, D.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, ammette gli elettori fisicamente impediti al voto assistito solo in presenza di un certificato rilasciato da un medico dell’unità sanitaria locale. Detto certificato deve attestare che l’infermità fisica che affligge l’elettore è tale d’impedirgli di esprimere il proprio voto senza l’ausilio di un altro elettore, per cui è rimessa all’esclusiva valutazione tecnico-discrezionale del medico stesso l’accertamento del carattere impediente delle altre patologie di gravità analoga a quelle già espressamente indicate dalla legge. Tali sono, ad esempio, la cecità, la paralisi, l’amputazione delle mani per loro natura rilevabili ictu oculi e senza necessità di un certificato. Non può, pertanto, ammettersi al voto assistito chi produca un’autocertificazione che attesti un impedimento fisico (Cons. Stato, sez. V, 13 febbraio 1998, n. 167, in Foro amm. 1998, 423). Ai fini della legittimità dell’ammissione dell’elettore al voto assistito, si deve indicare nel verbale delle operazioni elettorali le generalità del medico della struttura pubblica che certifica la malattia dell’elettore, essendo irrilevante la più o meno diffusa notorietà delle infermità da cui costui è affetto (Cons. Stato, sez. V, 21 gennaio 1997, n. 75, in Foro amm. 1997, 152). P.Q.M. Piaccia al Tribunale Amministrativo Regionale di . . . in accoglimento del presente ricorso, annullare i risultati delle elezioni comunali, delle operazioni elettorali e della proclamazione dei consiglieri eletti. Con rifusione delle spese e degli onorari di giudizio. 472 ELEZIONI Formula n. 94 Si producano i seguenti documenti: 1) delibera comunale proclamazione eletti

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Lì . . . Avv. . . . Delego a rappresentarmi ed assistermi nel presente giudizio, con tutti i poteri di cui all’art. 84 c.p.c., l’avvocato . . ., eleggendo mio domicilio nel suo studio in . . . Lì, . . . Il ricorrente . . . Per autentica Avv . . . RELAZIONE DI NOTIFICA A richiesta dell’avv. . . ., procuratore e domiciliatario come in atti. Io sottoscritto assistente UNEP addetto al Tribunale di . . . certifico di aver notificato il suesteso atto al Sindaco pro tempore del comune di . . .; al consigliere eletto . . . Formula n. 94 ELEZIONI 473 15. ENTI LOCALI IL COMMENTO 15. ENTI LOCALI SOMMARIO: 1. Il decentramento di funzioni e compiti dallo Stato alle regioni e agli enti locali. − 1.1. Le funzioni statali. − 1.2. Le funzioni regionali e degli enti locali. − 1.3. Gli atti di indirizzo e coordinamento delle funzioni amministrative regionali. − 2. L’ordinamento regionale. − 2.1. Il controllo sugli atti della regione. − 2.2. Il controllo sugli organi. − 3. Ordinamento degli enti locali. − 3.1. Funzioni ed organi. − 3.2. Le aree metropolitane. − 3.3. Il controllo sugli atti del comune e della provincia. − 3.4. Il controllo sugli organi. 1. Il decentramento di funzioni e compiti dallo Stato alle regioni e agli enti locali. Il decentramento regionale, iniziato col D.P.R. nn. 1-11/1972 − che trasferisce alle regioni le funzioni attribuite dall’art. 117 della costituzione − è continuato col D.P.R. 616/1977. Esso, pur demandando alle regioni importanti funzioni amministrative conserva allo Stato la sua originaria struttura organizzativa, per cui il decentramento di risorse finanziarie e strutture organizzative appare solo parziale. Il decentramento amministrativo, operato in relazione al principio contenuto all’art. 5 della costituzione, è stato attuato solo con la delega contenuta nel capo primo della L. 15 marzo 1997, n. 59, in base alla quale l’esercizio delle funzioni e dei servizi deve essere collocato al livello di governo più prossimo ai cittadini utenti. V. CERULLI IRELLI, Corso di diritto amministrativo, 1997, 269. La L. 59/1997, detta Bassanini dal nome del suo presentatore, introduce un profondo rinnovamento nella vita amministrativa del nostro paese, dando delega al governo di conferire numerosi compiti e funzioni amministrative alle regioni, alle province, ai comuni e agli altri enti locali. La legge, inoltre, delega al governo il compito di riordinare la presidenza del consiglio dei ministri, i ministeri − anche attraverso la loro soppressione o fusione − e gli enti pubblici nazionali. La L. 59/1997 contiene un principio rivoluzionario, all’insegna del più completo decentramento. Essa, infatti, afferma, all’art. 3, che devono essere tassativamente elencate le competenze dello Stato, intendendo in questo modo che le residue siano trasferite alle regioni. Il D.L.vo 31 marzo 1998, n. 112, emanato a seguito della delega conferita, completa un percorso segnato da numerosi conflitti di attribuzione, che hanno ostacolato il pieno decentramento amministrativo. 1.1. Le funzioni statali. Il comma 3 dell’art. 1 della L. 15 marzo 1997, n. 59 di fatto determina le funzioni della amministrazione centrale, escludendo dalla delega le funzioni e i compiti riconducibili alle seguenti materie: a) affari esteri e commercio estero nonché cooperazione internazionale e attività promozionale all’estero di rilievo nazionale; b) difesa, forze armate, armi e munizioni, esplosivi e materiale strategico;

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c) rapporti tra lo Stato e le confessioni religiose; d) tutela dei beni culturali e del patrimonio storico artistico; e) vigilanza sullo stato civile e sull’anagrafe; f) cittadinanza, immigrazione, rifugiati e asilo politico, estradizione; g) consultazioni elettorali, elettorato attivo e passivo, propaganda elettorale, consultazioni referendarie escluse quelle regionali; h) moneta, sistema valutario e perequazione delle risorse finanziarie; i) dogane, protezione dei confini nazionali e profilassi internazionale; l) ordine pubblico e sicurezza pubblica; m) amministrazione della giustizia; n) poste e telecomunicazioni; o) previdenza sociale, eccedenze di personale temporanee e strutturali; p) ricerca scientifica; q) istruzione universitaria, ordinamenti scolastici, programmi scolastici, organizzazione generale dell’istruzione scolastica e stato giuridico del personale; r) vigilanza in materia di lavoro e cooperazione. Il successivo comma 4 dell’art. 1 della L. 15 marzo 1997, n. 59 riserva allo Stato: a) i compiti di regolazione e controllo, già attribuiti con legge statale ad apposite autorità indipendenti; b) i compiti strettamente preordinati alla programmazione, alla progettazione, all’esecuzione e alla manutenzione di grandi reti infrastrutturali dichiarate di interesse nazionale con legge statale; c) i compiti di rilievo nazionale del sistema di protezione civile, per la difesa del suolo, per la tutela dell’ambiente e della salute, per gli indirizzi, le funzioni e i programmi nel settore dello spettacolo, per la ricerca, la produzione, il trasporto e la distribuzione di energia. d) i compiti esercitati localmente, in regime di autonomia funzionale, dalle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e dalle università degli studi; e) il coordinamento dei rapporti con l’Unione europea e i compiti preordinati ad assicurare l’esecuzione a livello nazionale degli obblighi derivanti dal Trattato sull’Unione europea e dagli accordi internazionali. 1.2. Le funzioni regionali e degli enti locali. La delega deve essere espletata secondo principi fondamentali: a) il principio di sussidiarietà, con l’attribuzione della generalità dei compiti e delle funzioni amministrative ai comuni, alle province e alle comunità montane − secondo le rispettive dimensioni territoriali, associative e organizzative − con l’esclusione delle sole funzioni incompatibili con le dimensioni medesime, attribuendo le responsabilità pubbliche, anche al fine di favorire l’assolvimento di funzioni e di compiti di rilevanza sociale da parte delle famiglie, associazioni e comunità, alla autorità territorialmente e funzionalmente più vicina ai cittadini interessati; b) il principio di completezza, con la attribuzione alla regione dei compiti e delle funzioni amministrative non assegnati ai sensi della lettera a), e delle funzioni di programmazione; 480 ENTI LOCALI c) il principio di efficienza e di economicità, anche con la soppressione delle funzioni e dei compiti divenuti superflui; d) il principio di cooperazione tra Stato, regioni ed enti locali anche al fine di garantire un’adeguata partecipazione alle iniziative adottate nell’ambito dell’Unione europea; e) i princìpi di responsabilità ed unicità dell’amministrazione, con la conseguente attribuzione ad un unico soggetto delle funzioni e dei compiti connessi, strumentali e complementari, e quello di identificabilità in capo ad un unico soggetto anche associativo della responsabilità di ciascun servizio o attività amministrativa; f) il principio di omogeneità, tenendo conto in particolare delle funzioni già esercitate con l’attribuzione di funzioni e compiti omogenei allo stesso livello di governo; g) il principio di adeguatezza, in relazione all’idoneità organizzativa dell’amministrazione ricevente a garantire, anche in forma associata con altri enti, l’esercizio delle funzioni; h) il principio di differenziazione nell’allocazione delle funzioni in considerazione delle diverse caratteristiche, anche associative, demografiche, territoriali e strutturali degli enti riceventi; i) il principio della copertura finanziaria e patrimoniale dei costi per l’esercizio delle funzioni amministrative conferite;

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l) il principio di autonomia organizzativa e regolamentare e di responsabilità degli enti locali nell’esercizio delle funzioni e dei compiti amministrativi ad essi conferiti. Il D.L.vo 31 marzo 1998, n. 112 dà attuazione alla delega completando il trasferimento delle funzioni alle regioni e agli enti locali, attuando l’art. 4 della L. 59/1997, che prevede un ampio decentramento almeno in via programmatica delle funzioni regionali agli enti locali. 1.3. Gli atti di indirizzo e coordinamento delle funzioni amministrative regionali. L’art. 8 della L. 59/1997 prevede che gli atti di indirizzo e coordinamento delle funzioni amministrative regionali, gli atti di coordinamento tecnico, nonché le direttive relative all’esercizio delle funzioni delegate, sono adottati previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, o con la singola regione interessata. Qualora nel termine di quarantacinque giorni dalla prima consultazione l’intesa non sia stata raggiunta, gli atti di cui al comma 1 sono adottati con deliberazione del Consiglio dei Ministri, previo parere della Commissione parlamentare per le questioni regionali da esprimere entro trenta giorni dalla richiesta. La conferenza è stata completamente ristrutturata col D.L.vo 281/1997. Essa è organo dello Stato, ma, di fatto, è composta prevalentemente da esponenti delle regioni, poiché, oltre al presidente del consiglio è composta dai presidenti delle regioni ordinarie e speciali e delle province autonome, intervengono i ministri interessati agli argomenti all’ordine del giorno. 2. L’ordinamento regionale. Gli enti pubblici territoriali hanno come elemento costitutivo parte del territorio dello Stato ed ad essi appartengono tutti i soggetti residenti nel medesimo territorio, essi sono: le regioni, le province ed i comuni. 16 COMMENTO 481 La costituzione è fondamento e limite dei compiti delle autonomie locali. Essa, infatti, le riconosce e promuove, all’art. 5, e ne fissa le competenze e ne prevede il controllo, ai sensi degli artt. 114 e ss. Le regioni hanno autonomia legislativa nei limiti dei principi fondamentali fissati dalle leggi dello Stato, nelle materie tassativamente enunciare dall’art. 117 della costituzione. L’autonomia si manifesta, in particolare nella facoltà di approvare i propri statuti il cui contenuto è previsto dall’art. 123 della costituzione. Le leggi regionali non devono comunque contrastare con gli interessi dello Stato, con quelli di altre regioni e con gi obblighi internazionali dello Stato. I conflitti di attribuzione sembrano doversi ridurre con l’entrata in vigore della L. 59/1997 che contiene un principio rivoluzionario, all’insegna del più completo decentramento. Essa, infatti, afferma all’art. 3 che devono essere tassativamente elencate le competenze dello Stato, intendendosi le residue trasferite alle regioni. Il D.L.vo 31 marzo 1998, n. 112, emanato seguito della delega conferita, completa il pieno decentramento amministrativo. Lo statuto è deliberato dal consiglio regionale ed è approvato con legge dello stato. La dottrina ha rilevato come sia discutibile classificare gli statuti come atti normativi regionali, mentre l’approvazione delle camere ha natura di requisito di efficacia. La dottrina propende a considerare gli statuti come allegati alle leggi statali di approvazione. Nelle materie in cui hanno funzioni legislative le regioni esercitano anche le relative attività amministrative. Le regioni, inoltre hanno autonomia finanziaria che si esplica nella possibilità di applicare e riscuotere tributi nelle forme e nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato. Spettano alle regioni funzioni di controllo sugli enti locali che si esercita attraverso i comitati regionali di controllo, vedi il D.L.vo 18 agosto 2000, n. 267, in Suppl. ord. alla Gazzetta Ufficiale Serie gen. - n. 227 del 28 settembre 2000. 2.1. Il controllo sugli atti della regione. Bisogna innanzitutto distinguere il controllo sulle leggi regionali dal controllo sugli atti della regione. Il controllo sulle leggi regionali è direttamente disciplinato dall’art. 118 della Costituzione. Il commissario di governo ha la possibilità di rinviare la legge, che non si intende approvare, al consiglio regionale solo qualora essa ecceda le competenze del consiglio ovvero contrasti

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con gli interessi nazionali o con quelli di altre regioni, ovvero ha la possibilità di richiedere il giudizio di legittimità costituzionale. Il contrasto di interessi davanti alle camere non risulta essere stato finora sollevato. Il controllo sugli atti della regione, disciplinato dall’art. 125 della Costituzione, ha trovato, dopo la Legge Scelba n. 62/1953, una nuova disciplina col D.L.vo n. 40/1993, cui è seguita la Direttiva del P.C.M. 11 ottobre 1993. Viene abolito il controllo di merito e quello di legittimità è riservato agli atti tassativamente previsti dall’art. 1, che sono i regolamenti, gli atti di indirizzo economico, finanziario e di programmazione territoriale, i contratti di lavoro dei dipendenti. 482 ENTI LOCALI I controlli sono esercitati da una commissione la cui competenza è stata definita dall’art. 3 del D.L.vo n. 40 citato. Le deliberazioni diventano esecutive se la commissione di controllo non ne pronuncia l’annullamento entro venti giorni dal ricevimento ovvero se non vengono richiesti dei chiarimenti. Se si riscontra un vizio di legittimità la commissione pronuncia l’annullamento della delibera. L’annullamento può essere impugnato presso il TAR territorialmente competente. L’art. 17, comma 31, della L. 127/1997, prevede una drastica riduzione degli atti amministrativi delle regioni da assoggettare al controllo di legittimità. Esso dispone l’abrogazione, infatti, degli artt. 1, 2 e 3 comma 5 del D.L. 13 febbraio 1994, n. 40, come modificato dal D.L. 10 novembre 1993, n. 479. Tale disposizione di legge trae origine direttamente dal principio fissato dall’art. 125 della Costituzione che afferma, in linea generale, che il controllo sugli atti della regione deve essere limitato alla verifica della legittimità, con esclusione di ogni sindacato di merito. Il legislatore elimina sostanzialmente il controllo di legittimità sulla generalità degli atti amministrativi della regione. Il controllo che si esercita esclusivamente sui regolamenti, esclusi quelli inerenti alla autonomia organizzativa, funzionale e contabile dei consigli regionali, e, inoltre, sugli atti costituenti adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea. 2.2. Il controllo sugli organi. Il controllo sugli organi si esercita esclusivamente nei casi tassativamente previsti dalla Costituzione all’art. 126. Lo scioglimento del consiglio regionale è previsto nel caso di compimento di atti contrari alla Costituzione, e per gravi violazioni di legge, qualora lo stesso consiglio non risponda all’invito del governo di sostituire giunta o presidente che abbiano compiuto analoghi atti o violazioni, per dimissioni e per ragioni di sicurezza nazionale. In tal caso viene nominata una commissione che indice nuove elezioni e espleta la straordinaria amministrazione. 3. Ordinamento degli enti locali. La costituzione afferma all’art. 5 che la Repubblica una ed indivisibile riconosce e promuove le autonomie locali. Il precetto costituzionale appare realizzato solo colla legge sulle aut. loc. C. MIGNONE P. VIPIANA P.M. VIPIANA, Commento alla legge sulle autonomie locali, 1993, 25. Prima della L. 142/1990 e del D.L.vo 18 agosto 2000, n. 267, gli enti locali sono stati amministrati sulla base del principio dell’uniformità, stante che il legislatore non ha mai tracciato le norme quadro entro quale potere esplicare l’autonomia sancita dalla costituzione. L’autonomia statutaria è fissata ora dall’art. 6 del D.L.vo 18 agosto 2000, n. 267. Esso riconosce la possibilità dello statuto di disciplinare l’organizzazione ed il funzionamento di organi ed uffici dell’ente, con al possibilità di prevedere il difensore civico, art. 11 del D.L.vo 18 agosto 2000, n. 267. Gli aspetti più innovativi riguardano la partecipazione popolare, il COMMENTO 483 decentramento e l’accesso dei cittadini ai procedimenti, secondo le successive norme della L. 241/1990, che semplifica il procedimento amministrativo. L’autonomia comunale trova riconoscimento nell’assicurazione di risorse proprie e trasferite, sancita dall’art. 149 del D.L.vo 18 agosto 2000, n. 267, che consentono l’espletamento delle funzioni assegnate dallo statuto. 3.1. Funzioni ed organi. I comuni e le province hanno compiti di programmazione, nel loro rispettivo ambito

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territoriale, e di amministrazione attiva. Il ruolo del comune si è andato arricchendo di competenze in materia urbanistica, acquisendo un ruolo sempre più autonomo, anche nei confronti della regione tradizionale ente di controllo, di assistenza e beneficenza, di assistenza sanitaria, in materia commerciale, in materia di edilizia pubblica, sottraendo il ruolo centrale da organismi sovracomunali quali gli IACP, ora aziende territoriali. Anche il ruolo della provincia esce sostanzialmente rivalutato, accantonata l’esperienza dei comprensori, qualificandosi come ente territoriale intermedio tra comune e regione. Gli artt. 19 e 20 del D.L.vo 18 agosto 2000, n. 267, attribuiscono alla provincia funzioni di coordinamento e di programmazione economica e territoriale ambientale. Vengono attribuite alla provincia funzioni amministrative in materia di difesa del suolo e dell’ambiente, di tutela e valorizzazione delle risorse idriche ed energetiche, dei beni culturali, della viabilità e dei trasporti, di protezione della flora e della fauna, della caccia e della pesca, di protezione ambientale, dei rifiuti e degli scarichi delle acque ed emissioni atmosferiche, dei servizi sanitari. Viene sancita la competenza programmatoria della provincia. Le funzioni della provincia si esercitano sia in campo economico, concorrendo a determinare il piano regionale di sviluppo, sia in campo urbanistico, attraverso il piano territoriale di coordinamento che determina gli indirizzi generali di assetto del territorio provinciale. Il piano trova un limite programmatorio negli indirizzi regionali e nel relativo piano territoriale di coordinamento cui deve adeguarsi. La legge sulle aut. loc. ridisegna le competenze degli organi tradizionali del comune (consiglio, giunta e sindaco) e della provincia (consiglio, giunta e presidente). Il consiglio (comunale e provinciale) è definito organo di indirizzo e controllo politico amministrativo, dall’art. 42 del D.L.vo 18 agosto 2000, n. 267, la sua competenza è limitata agli atti fondamentali tassativamente indicati dallo stesso articolo. L’attribuzione delle funzioni è riservato alla giunta salvo quelle espressamente affidate al consiglio, contrariamente a quanto ha affermato l’art. 141 del T.U. 148/1915 che ha sancito la competenza esclusiva del consiglio, salvo gli atti espressamente attribuiti a giunta e sindaco. Il consiglio ha competenza limitatamente ai seguenti atti fondamentali, come precisa l’art. 42 del D.L.vo 18 agosto 2000, n. 267: a) gli statuti dell’ente e delle aziende speciali, i regolamenti, l’ordinamento degli uffici e dei servizi; b) i programmi, le relazioni previsionali e programmatiche, i piani finanziari, i programmi e di progetti preliminari di opere pubbliche, come precisa l’art. 15 L. 109/1994, i bilanci 484 ENTI LOCALI annuali e pluriennali e relative variazioni, i conti consuntivi, i piani territoriali e urbanistici, i piani particolareggiati e di recupero, come precisa l’art. 5, c. 5, L. 127/1997, i programmi annuali e pluriennali per la loro attuazione, le eventuali deroghe ad essi, i pareri da rendere nelle dette materie; c) le convenzioni tra i comuni e quelle tra comuni e provincia, la costituzione e la modificazione di forme associative; d) l’istituzione, i compiti e le norme sul funzionamento degli organismi di decentramento e di partecipazione; e) l’assunzione diretta dei pubblici servizi, la costituzione di istituzioni e di aziende speciali, la concessione dei pubblici servizi, la partecipazione dell’ente locale a società di capitali, l’affidamento di attività o servizi mediante convenzione; f) l’istituzione e l’ordinamento dei tributi, la disciplina generale delle tariffe per la fruizione dei beni e dei servizi; g) gli indirizzi da osservare da parte delle aziende pubbliche e degli enti dipendenti, sovvenzionati o sottoposti a vigilanza; h) la contrazione dei mutui e l’emissione dei prestiti obbligazionari; i) le spese che impegnino i bilanci per gli esercizi successivi, escluse quelle relative alle locazioni di immobili ed alla somministrazione e fornitura di beni e servizi a carattere continuativo; l) gli acquisti e le alienazioni immobiliari, le relative permute, gli appalti e le concessioni che non siano previsti espressamente in atti fondamentali del consiglio o che ne costituiscano mera esecuzione e che, comunque, non rientrino nella ordinaria amministrazione di funzioni

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e servizi di competenza della giunta, del segretario o di altri funzionari; m) la nomina, la designazione e la revoca dei propri rappresentanti presso enti, aziende ed istituzioni operanti nell’ambito del comune o della provincia ovvero da essi dipendenti o controllati. La giunta conserva la configurazione di organo esecutivo del governo locale. Essa è chiamata ad attuare gli indirizzi generali ed a svolgere l’attività propositiva o di impulso nei confronti del consiglio, a cui deve riferire annualmente in ordine all’attività svolta. La giunta compie tutti gli atti di amministrazione che non siano riservati dalla legge al consiglio e che non rientrino nelle competenze, previste dalla legge o dallo statuto, del sindaco o del presidente della provincia, degli organi di decentramento, del segretario o dei funzionari dirigenti, come precisa l’art. 48 del D.L.vo 18 agosto 2000, n. 267. L’organo di governo appare rafforzato nella sua attività di gestione da una sorta di prorogatio che ne consente, salvi fatti eccezionali la durata per tutto il mandato amministrativo. Non basta, infatti, il voto contrario ad una proposta di giunta per provocare le sue dimissioni, né è sufficiente il voto di revoca del consiglio, ex art. 148/1915 per provocare le dimissioni del sindaco del presidente della provincia e della giunta. Oltre che alla richiesta di revoca è necessaria una mozione di sfiducia costruttiva espressa per appello nominale con voto della maggioranza assoluta dei consiglieri assegnati al comune o alla provincia. La mozione deve essere sottoscritta da almeno un terzo dei consiglieri e può essere proposta solo nei confronti dell’intera giunta; deve contenere la proposta di nuove linee politico- amministrative, di un nuovo sindaco o presidente della provincia e di una nuova giunta, come precisa l’art. 52 del D.L.vo 18 agosto 2000, n. 267. COMMENTO 485 Sono evidentemente elementi di stabilità politica in contrapposizione alla crescente instabilità. L’opposizione ha, per contro, un ruolo che appare limitato dall’esigenza di consentire di governare, per cui il ruolo fondamentale è quello di tracciare programmi ed alleanze in vista delle future elezioni amministrative. La legge sulle autonomie locali riforma le funzioni del sindaco, del presidente della provincia e della giunta in rapporto alle funzioni dei dirigenti, dando ai primi le funzioni di indirizzo politico ad ai secondi le funzioni amministrative. Il comma 3 dell’art. 51, come modificato dall’art. 6 della L. 127/1997, sostituita dall’art. 107 del D.L.vo 18 agosto 2000, n. 267, precisa i compiti dei dirigenti. Ad essi sono attribuiti tutti i compiti di attuazione degli obiettivi e dei programmi definiti con gli atti di indirizzo adottati dall’organo politico, tra i quali, in particolare, secondo le modalità stabilite dallo statuto o dai regolamenti dell’ente: a) la presidenza delle commissioni di gara e di concorso; b) la responsabilità delle procedure d’appalto e di concorso; c) la stipulazione dei contratti; d) gli atti di gestione finanziaria, ivi compresa l’assunzione di impegni di spesa; e) gli atti di amministrazione e gestione del personale; f) i provvedimenti di autorizzazione, concessione o analoghi, il cui rilascio presupponga accertamenti e valutazioni, anche di natura discrezionale, nel rispetto di criteri predeterminati dalla legge, dai regolamenti, da atti generali di indirizzo, ivi comprese le autorizzazioni e le concessioni edilizie; g) tutti provvedimenti di sospensione lavori, abbattimento e riduzione in pristino di competenza comunale nonché i poteri di repressione dell’abusivismo edilizio e paesaggistico ambientale; h) le attestazioni, certificazioni, comunicazioni, diffide, verbali, autenticazioni, legalizzazioni ed ogni altro atto costituente manifestazione di giudizio e di conoscenza; i) gli atti ad essi attribuiti dallo statuto e dai regolamenti o, in base a questi, delegati dal sindaco. Al sindaco e al presidente della provincia spettano le funzioni di rappresentanza dell’ente di convocazione e presidenza degli enti, di direzione di controllo e vigilanza del corretto funzionamento degli uffici, nonché della esecuzione degli organi collegiali. Il sindaco e il presidente della provincia hanno, inoltre, un potere surrogatorio del consiglio in materia di nomine di competenza consiliare, dei rappresentanti presso enti, aziende ed istituzioni, ai sensi dell’art. 50 del D.L.vo 18 agosto 2000, n. 267. Ulteriori competenze sono attribuite al sindaco quale ufficiale di governo dall’art. 54 del

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D.L.vo 18 agosto 2000, n. 267, che riprende l’art. 152 del T.U. 148/1915, in materia di tenuta dei registri dello stato civile, di anagrafe elettorale, statistica, di leva militare, di pubblica sicurezza, di igiene pubblica, di sanità. Viene confermato il potere di emanare ordinanze contingibili ed urgenti, per gravi motivi di sicurezza pubblica, nelle materie di igiene e sanità, della polizia locale e dell’edilizia. Il potere più rilevante attribuito al sindaco e al presidente della provincia è quello relativo alla nomina dei responsabili degli uffici e dei servizi, e l’attribuzione e definizione gli incari- 486 ENTI LOCALI chi dirigenziali e quelli di collaborazione esterna, ex art. 13 della L. 81/1993, mod. dagli artt. 50, comma 10, 109 e 110 del D.L.vo 18 agosto 2000, n. 267. Tale innovazione, salutata come grande innovazione per consentire la governabilità, a mio avviso, appare norma viziata di illegittima per contrasto con l’art. 97 della costituzione. Il sistema di accesso ad incarichi di rilievo nell’amministrazione deve, secondo i principi costituzionali, essere programmato attraverso meccanismi di evidenza pubblica. Cosa succederebbe se per lo stesso principio i magistrati fossero nominato dal Ministro di grazia e giustizia e i professori universitari dal Ministro per la ricerca scientifica. Una società complessa presuppone una formazione dei dirigenti che si ha non certo attraverso nomine prive di ogni meccanismo di verifica delle competenze professionali, se non quello del collegamento temporale del funzionario con l’amministratore. 3.2. Le aree metropolitane. L’art. 22 del D.L.vo 18 agosto 2000, n. 267 ha previsto la costituzione di aree metropolitane nei comuni di Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Bari e Napoli; la funzione è stata attribuita alle regioni. L’istituto si differenzia dal consorzio di comuni per l’obbligatorietà di costituzione attraverso una legge regionale e la preminenza attribuita al comune maggiore che presiede il consiglio. La giunta del nuovo organismo amministra il territorio e, fra l’altro, sostituisce la provincia, sommando alle competenze di questo ente quelle nuove introdotte dall’istituto. I comuni di gronda mantengono le loro competenze, salvo quelle di carattere sovracomunale, che sono attribuite alla città metropolitana: le principali competenze in materia pianificatoria viene sostanzialmente ridisegnato il contenuto di un moderno piano territoriale di coordinamento. Sono attribuite alla città metropolitana, dall’art. 24 del D.L.vo 18 agosto 2000, n. 267 le funzioni di competenza provinciale, le funzioni normalmente affidate ai comuni quando hanno precipuo carattere sovracomunale o debbono, per ragioni di economicità ed efficienza, essere svolte in forma coordinata nell’area metropolitana, nell’ambito delle seguenti materie: a) pianificazione territoriale; b) reti infrastrutturali e servizi a rete; c) piani di traffico intercomunali; d) tutela e valorizzazione dell’ambiente e rilevamento dell’inquinamento atmosferico; e) interventi di difesa del suolo e di tutela idrogeologica; f) raccolta, distribuzione e depurazione delle acque; g) smaltimento dei rifiuti; h) grande distribuzione commerciale; i) attività culturali; l) orari degli esercizi commerciali. La regione deve individuare le singole competenze e ripartirle fra gli organi dell’area con propria legge, oltre che riordinare le circoscrizioni territoriali nell’area. In carenza di iniziative regionali sono previsti poteri sostitutivi del governo, che finora, per ovvie ragioni di rispetto dell’autonomia regionale, non sono stati esercitati. COMMENTO 487 3.3. Il controllo sugli atti del comune e della provincia. Gli artt. 124 e ss. del D.L.vo 18 agosto 2000, n. 267, disciplinano il controllo di legittimità sugli atti delle regioni e degli enti locali, eliminando gran parte dei controlli finora adottati e semplificandone il procedimento. Essa riconosce così maggiore autonomia agli enti locali, ponendosi nella prospettiva della realizzazione di una forma di stato federale. Scompare la possibilità di compiere una prima forma di controllo di legittimità sulle delibere di consiglio.

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A fronte di tale maggiore potere degli organi esecutivi si auspica una maggiore responsabilità diretta di coloro che ricoprono questi incarichi. L’art. 45 della L. 142/1990, sottoponeva obbligatoriamente a controllo preventivo di legittimità del Coreco tutte le deliberazioni dei consigli comunali e provinciali, controllo necessario, e, inoltre, quelle che gli stessi consigli e le giunte, di propria iniziativa, volevano sottoporre a controllo, controllo eventuale di confronto. L’art. 126 del D.L.vo 18 agosto 2000, n. 267 ora stabilisce che il controllo necessario del Coreco sia limitato agli atti essenziali dell’ente: lo statuto, i regolamenti di competenza del consiglio, esclusi quelli inerenti l’autonomia organizzativa e contabile, il bilancio annuale e pluriennale, e le relative variazioni, e il rendiconto di gestione (conto consuntivo). L’art. 127 del D.L.vo 18 agosto 2000, n. 267, disciplina una forma di controllo su esplicita richiesta della giunta, e non del consiglio, affinché la giunta possa avere il conforto del parere dell’organo di controllo sulla legittimità di deliberazioni che, per legge, non dovrebbero essere sottoposte a tale controllo. In tale modo si consente alla giunta di ricorrere al conforto dell’organo di controllo per atti particolarmente delicati o di dubbia legittimità e le si permette di prevenire l’azione e l’iniziativa delle minoranze per attivare il controllo eventuale su atti di giunta. Muta anche il ruolo del comitato regionale di controllo. Le regioni possono attivare, nell’ambito del comitato servizi di consulenza per gli enti locali. È previsto il controllo eventuale sugli atti della giunta. Esso può essere attivato dalle minoranze (un quarto dei consiglieri provinciali o un quarto dei consiglieri comunali, ove il comune superi i 15.000 abitanti, o un quinto nei comuni maggiori) che possono sollecitare il controllo di legittimità sulle delibere concernenti: a) appalti e affidamenti di servizi e forniture di importo superiore alla soglia di rilievo comunitario; b) assunzioni del personale; c) piante organiche. Per rendere possibile questo controllo l’art. 125 del D.L.vo 18 agosto 2000, n. 267 stabilisce che, contestualmente all’affissione all’albo, le deliberazioni adottate dalla giunta siano trasmesse in elenco ai capigruppo consiliari e i relativi testi siano messi a disposizione dei consiglieri nelle forme stabilite dallo statuto o dal regolamento. È evidente lo scopo di permettere ai gruppi di minoranza, e in generale a tutti i gruppi del consiglio, di prendere visione delle deliberazioni della giunta. E ciò affinché la funzione di controllo eventuale, che la legge conferisce alle stesse minoranze, possa essere esercitata. L’art. 133, comma 5, del D.L.vo 18 agosto 2000, n. 267, stabilisce che la Commissione statale di controllo (per gli atti della regione) ed il Coreco (per gli atti degli enti locali), nel 488 ENTI LOCALI caso in cui una decisione negativa di controllo sia stata annullata in sede giurisdizionale, non possono più riesaminare il provvedimento sottoposto a controllo. Il controllo di legittimità comporta, ex art. 133, comma 1, del D.L.vo 18 agosto 2000, n. 267, la verifica della conformità dell’atto alle norme vigenti ed alle norme statutarie specificamente indicate nel provvedimento di annullamento, per quanto riguarda la competenza, la forma e la procedura, e rimanendo esclusa ogni diversa valutazione dell’interesse pubblico perseguito. Il controllo di legittimità, per quanto attiene all’esame del bilancio preventivo e al rendiconto della gestione, verifica che gli atti abbiano coerenza interna e che i dati contabili corrispondano con quelli delle delibere nonché con i documenti giustificativi allegati alle stesse. Importanti funzioni di controllo sono poi affidate al difensore civico comunale e provinciale, ai sensi dell’art. 127 del D.L.vo 18 agosto 2000, n. 267. Vedi voce: Accesso al procedimento amministrativo, par. 8. Le disposizioni del D.L.vo 18 agosto 2000, n. 267 in materia di controllo di legittimità tendono a rafforzare la maggioranza e a realizzare le condizioni migliori per amministrare l’ente locale. In effetti, però, ridurre i controlli significa anche avere una minore tutela della buona amministrazione e un maggiore rischio di cattiva gestione della cosa pubblica e delle risorse economiche. T. MIELE, Meno controlli sugli atti delle regioni, in Guida dir., Dossier 1997, n. 5, 147. Qualora il Coreco non adotti un provvedimento di annullamento della delibera, nel termine di trenta giorni dalla trasmissione della stessa, e non ne dia comunicazione nel medesimo termine all’interessato, la deliberazione soggetta al preventivo controllo di legittimità diventa esecutiva, mediante una forma di silenzio-assenso. Se il Coreco, invece, comunica all’ente locale di non aver riscontrato vizi di legittimità,

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controllo in forma esplicita, le deliberazioni possono diventare esecutive anche prima del suddetto termine. Il controllo necessario sugli atti di competenza del consiglio, che la legge (statuto) indica espressamente, quali i regolamenti di competenza del consiglio, si esercita attraverso il contraddittorio con il comune. Il Coreco può richiedere l’audizione dei rappresentanti dell’ente deliberante o richiedere documenti o elementi integrativi di giudizio in forma scritta, entro dieci giorni dalla ricezione degli atti. In tale caso, il termine per l’esercizio del controllo viene sospeso e riprende a decorrere dalla data dell’audizione dei rappresentanti o della trasmissione di documenti od elementi integrativi. È previsto un potere sostitutivo nei confronti degli enti locali che non provvedano ad atti obbligatori per legge, per esempio il bilancio. Il Coreco può indicare all’ente locale interessato le modifiche da apportare al rendiconto della gestione, invitandolo ad adottarle entro il termine massimo di trenta giorni; il comma 44 dello stesso articolo afferma che nel caso di mancata adozione delle modifiche entro il termine suddetto, o di annullamento della deliberazione di deliberazione del rendiconto della gestione da parte del comitato di controllo, questo provvede alla nomina di uno o più commissari per la redazione del conto stesso. Qualora comuni e province, invitati a provvedere entro congruo termine, ritardino o omettano di compiere atti obbligatori per legge si addiviene alla nomina di un commissario ad acta da parte del difensore civico, ove costituito, ovvero del comitato regionale di controllo. COMMENTO 489 3.4. Il controllo sugli organi. Il controllo sugli organi degli enti locali è attribuito allo Stato che lo esercita attraverso un procedimento amministrativo, demandato al decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministero dell’interno; di norma il decreto fa riferimento per relationem ai motivi. La procedura di scioglimento è attribuita al prefetto dall’art. 141 del D.L.vo 18 agosto 2000, n. 267. Non è previsto l’intervento della regione in tale procedimento. La regione ha intessesse a partecipare al procedimento ai sensi della L. 241/190 sull’accesso al procedimento amministrativo. Le ipotesi sono tassativamente previste dall’art. 141 del D.L.vo 18 agosto 2000, n. 267 nei seguenti casi: a) Compimento di atti contrari alla Costituzione. L’ipotesi, che finora non è ancora in pratica configurata, prevede il rifiuto da parte del consiglio dei principi fondamentali; si pensi ad un consiglio che non voglia riconoscere l’unità della Repubblica italiana, in tal caso non è necessaria la previa diffida per addivenire allo scioglimento. b) Quando non possa essere assicurato il normale funzionamento degli organi e dei servizi. Le ipotesi sono tassativamente previste dall’art. 141, comma 1, del D.L.vo 18 agosto 2000, n. 267. Impedimento permanente. rimozione, decadenza, decesso del sindaco o del Presidente della provincia. Il sistema di elezione diretta del sindaco e del Presidente dell’amministrazione provinciale, disposto dalla L. 81/1993, presuppone un rapporto insostituibile fra i cittadini ed i vertici delle amministrazioni locali; ove questi non possano, per qualsiasi motivo, portare a termine il mandato loro attribuito si deve procedere allo scioglimento del consiglio per indire nuove elezioni. Dimissioni del sindaco o del presidente della provincia. La medesima soluzione è sancita nel caso di dimissioni, ad esempio, per candidarsi ad altro incarico incompatibile con la carica. Cessazione della carica per dimissioni di almeno la metà più uno dei consiglieri. In tale ipotesi, in attesa del decreto di scioglimento del Presidente della Repubblica, il prefetto può procedere alla sospensione del consiglio e alla nomina del commissario. Se non vi è contestualità nelle dimissioni è ammessa la surrogazione dei consiglieri dimissionari. Riduzione dell’organico assembleare per impossibilità di surroga alla metà dei componenti del consiglio. c) Mancata approvazione del bilancio. Il bilancio di previsione per l’anno successivo deve essere approvato entro il 31 dicembre, ai sensi dell’art. 151 del D.L.vo 18 agosto 2000, n. 267. La giunta deve approvare il relativo schema; in carenza il comitato di controllo nomina

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il commissario ad acta che predispone l’elaborato per sottoporlo al consiglio. Successivamente il comitato assegna al consiglio un termine di venti giorni per l’approvazione, con diffida notificata ai singoli consiglieri; in carenza viene nominato il commissario che approva il bilancio. Il provvedimento sostitutivo viene comunicato al prefetto che inizia la procedura di scioglimento, ex art. 141 del D.L.vo 18 agosto 2000, n. 267. 490 ENTI LOCALI Scioglimento per infiltrazione e condizionamento di tipo mafioso. Tale fattispecie è prevista dall’art. 143 del D.L.vo 18 agosto 2000, n. 267, quando emergono elementi su collegamenti diretti ed indiretti degli amministratori con la criminalità organizzata o su forme di condizionamento degli amministratori stessi, che compromettano la libera determinazione degli organi elettivi ed il buon andamento delle amministrazioni. L’iter è iniziato dal prefetto, lo scioglimento è disposto con decreto del Presidente della Repubblica su proposta del Ministro dell’interno e previa deliberazione del Consiglio dei Ministri. Mancata approvazione degli strumenti urbanistici. Tale fattispecie è stata introdotta dall’art. 4 del D.L. 495/1996, che, peraltro, non è stato convertito in legge e, pertanto, non è tuttora vigente. Il decreto di scioglimento può essere impugnato alla giustizia amministrativa per motivi di legittimità dai singoli consiglieri facenti parte del consiglio ora sciolto, ma non dal consiglio, che dopo il decreto ha perduto la sua personalità giuridica, né dai cittadini, carenti sull’interesse all’impugnativa, né dall’amministrazione regionale. COMMENTO 491 LE FORMULE ENTI LOCALI Formula n. 95

95 . RICORSO AL T.A.R. PER L’ANNULLAMENTO DEL PROVVEDIMENTO NEGATIVO DI CONTROLLO DA PARTE DEL COMITATO REGIONALE 95

AL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ricorso Del sindaco pro tempore del comune di . . . rappresentato e difeso come da mandato in calce del presente ricorso dall’avvocato . . . del Foro di . . ., il quale elegge domicilio presso la segreteria del T.A.R. adito contro Il Comitato regionale di controllo per l’annullamento 1) del provvedimento di diniego di approvazione della delibera di adozione dello statuto del comune di . . . Fatto e diritto Il ricorrente, a mezzo del suo costituito legale rappresentante, fa presente quanto segue. Il comune ha proceduto a inoltrare al Comitato regionale di controllo della regione la delibera di approvazione dello statuto del comune in data . . .; decorso il termine di trenta giorni dalla trasmissione della stessa al Comitato regionale di controllo, ai sensi dell’art. 17 comma 40 della L. 127/1997, sostituito dall’art. 149 del D.L.vo 18 agosto 2000, n. 267, non è stato esercitato il potere di annullamento dell’atto, ma, solo successivamente a detto termine, il Comitato ha provveduto ad adottare il provvedimento di diniego. Si rileva che l’annullamento delle specifiche disposizioni dello statuto è disposto senza le dovute motivazioni, ma con generico rinvio a norme di legge. In particolare, appare infondata la censura alla disposizione che attribuisce una

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indennità aggiuntiva al sindaco, rientrando tale materia nell’autonomia finanziaria dell’ente locale. Ciò posto si impugna il provvedimento del Comitato regionale di controllo per i seguenti motivi: Formula n. 95 ENTI LOCALI 495 1) Violazione ed errata applicazione dell’art. 17, comma 40, della L. 127/1997, sostituito dall’art. 149, del D.L.vo 18 agosto 2000, n. 267. Il procedimento di controllo degli atti dei comuni è disciplinato dall’art. 17, comma 40, della L. 127/1997, sostituito dall’art. 149, del D.L.vo 18 agosto 2000, n. 267, che impone al Comitato regionale una scansione procedimentale i cui termini devono intendersi ordinatori. La giurisprudenza ha rilevato che il controllo di legittimità sugli atti degli enti locali concerne esclusivamente ciascuno di essi in sé considerato, per cui, una volta che l’organo tutorio abbia comunque fatto decorrere inutilmente il termine decadenziale per l’esercizio del controllo su un dato provvedimento sottoposto al suo esame, esso consuma ogni potere su quest’ultimo e non può recuperarlo, in modo più o meno surrettizio, disponendo a carico della p.a. controllata adempimenti o censure come se detto termine non avesse alcun valore (Cons. Stato, sez. V, 2 novembre 1998, n. 1568, in Cons. Stato, 1998, I, 1759). 2) Eccesso di potere per difetto della motivazione. Il provvedimento di diniego non porta una motivazione che consenta di valutare le ragioni che hanno indotto al provvedimento negativo, ma dispone solo un generico richiamo a norme di legge. La giurisprudenza a tale proposito ha affermato che è illegittimo l’annullamento del Comitato regionale di controllo sugli atti degli enti locali, motivato con generico richiamo alla normativa vigente né l’obbligo di motivazione può ritenersi adempiuto attraverso la mera enunciazione del vizio di legittimità riscontrato, occorrendo, invece, una precisazione dei motivi per i quali il vizio sussiste, anche in relazione alle motivazioni che l’amministrazione ha posto a fondamento del provvedimento controllato (T.A.R. Toscana sez. I, 10 giugno 1998, n. 316, in T.A.R. 1998, 3227). 3) Violazione di legge nell’applicazione dell’art. 149 del D.L.vo 18 agosto 2000, n. 267. Non si condivide, inoltre, l’interpretazione giurisprudenziale che ritiene incompatibile l’attribuzione di indennità aggiuntiva agli amministratori locali. La giurisprudenza riteneva, infatti, che, ai sensi dell’art. 54, L. 8 giugno 1990 n. 142, correttamente il comitato regionale di controllo annulla la norma statutaria che prevede la possibilità per il consiglio comunale di attribuire al sindaco un’indennità aggiuntiva qualora egli opti per un’attività a tempo pieno, non rientrando tale materia nella competenza statutaria comunale (T.A.R. Friuli Venezia Giulia, 15 luglio 1996, n. 783, in Foro amm., 1997, 529). Ma tale interpretazione si scontra con l’autonomia finanziaria, riconosciuta agli enti locali, che consente loro, attraverso l’imposizione fiscale, di introitare tributi per l’adempimento di finalità pubbliche, ex art. 149 del D.L.vo 18 agosto 2000, n. 267. 496 ENTI LOCALI Formula n. 95 P.Q.M. Voglia l’Ill.mo T.A.R. adito accogliere le seguenti conclusioni: 1) annullare il provvedimento di diniego di approvazione della delibera che adotta lo statuto del comune di . . . Si producono i seguenti documenti: 1) provvedimento di diniego. 2) Statuto del comune di . . .

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Spese ed onorari rifusi. Lì, . . Avv. . . . Delego a rappresentarmi ed assistermi nel presente giudizio, con tutti i poteri di cui all’art. 84 c.p.c., l’avvocato . . . eleggendo mio domicilio presso la segreteria del T.A.R. adito. Lì, . . . Il ricorrente . . . Per autentica Avv . . . RELAZIONE DI NOTIFICA A richiesta dell’avv. . . . io sottoscritto assistente UNEP addetto al Tribunale di . . . certifico di aver notificato il suesteso atto al Presidente pro tempore del Comitato regionale di controllo della regione; al Presidente pro tempore della giunta regionale del . . . Formula n. 95 ENTI LOCALI 497 ENTI LOCALI Formula n. 96

96 . RICORSO AL T.A.R. PER L’ANNULLAMENTO DEL PROVVEDIMENTO DI AFFIDAMENTO DI SERVIZIO AD AZIENDA SPECIALE 96

AL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ricorso Del signor . . . legale rappresentante della società . . . rappresentato e difeso come da mandato in calce del presente ricorso dall’avvocato . . . del Foro di . . ., il quale elegge domicilio presso la segreteria del T.A.R. adito contro Il sindaco del comune di . . . per l’annullamento 1) del provvedimento di affidamento del servizio di erogazione di acqua ed energia ad azienda speciale istituita da altro ente pubblico da parte del comune di . . . Fatto e diritto Il ricorrente, a mezzo del suo costituito legale rappresentante, fa presente quanto segue. Il comune ha proceduto ad affidare il servizio di erogazione di acqua ed energia ad azienda speciale istituita da altro ente pubblico. L’atto di affidamento è avvenuto senza l’esperimento di procedura ad evidenza pubblica, poiché si sostiene che il servizio in oggetto deve intendersi fuori mercato. Esso è, infatti, affidato ad azienda municipalizzata, secondo lo schema normativo di cui all’art. 114 del D.L.vo 18 agosto 2000, n. 267, che prevede la assunzione da parte di tali organismi di servizi fuori del territorio del comune che li ha istituiti. Orbene, secondo la giurisprudenza prevalente, è riconosciuto ai soggetti operanti nel settore della distribuzione del gas, che abbiano o che non abbiano potuto partecipare al procedimento, un interesse strumentale ad impugnare l’affidamento della concessione per la distribuzione del gas e/o ad ottenerne l’annullamento e/o a far indire una gara pubblica per l’affidamento del servizio. 498 ENTI LOCALI Formula n. 96 Tale interesse qualificato può esser fatto valere in via d’azione avverso il procedimento attraverso cui la p.a. sia pervenuta alla scelta del contraente della convenzione per lo svolgimento di un pubblico servizio, indipendentemente dal fatto che essa abbia partecipato o meno al procedimento stesso (Cons. Stato, sez. V, 23 aprile

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1998, n. 475, in Foro amm., 1998, 1086). Ciò posto si impugna il provvedimento comunale di affidamento per i seguenti motivi: 1) Violazione ed errata applicazione dell’art. 113 del D.L.vo 18 agosto 2000, n. 267. La giurisprudenza prevalente ha rilevato che l’utilizzo, da parte di un Comune, di azienda speciale istituita da altro ente non è riconducibile alla previsione dell’art. 113 del D.L.vo 18 agosto 2000, n. 267 − che attiene alla gestione di servizi da parte del Comune mediante propria azienda speciale − bensì a quella della concessione a terzi, prevista dalla precedente lett. c), il cui rilascio è subordinato all’esperimento di apposita gara pubblica (T.A.R. Lombardia, sez. Milano, 18 aprile 1997, n. 493, in T.A.R., 1997, 2366). Sussistono decisioni contrarie che hanno dichiarato la legittimità della partecipazione dell’azienda speciale alle gare per l’assunzione di altri servizi, anche fuori dal comune di appartenenza (T.A.R. Veneto sez. I, 11 agosto 1997, n. 1304, in Giust. civ., 1997, 3252. T.A.R. Sardegna, 10 ottobre 1997, n. 1257, in Riv. trim. app., 1997, 771). In ogni caso, anche a voler considerare tale possibilità − poiché l’estensione dell’attività dell’azienda di servizi di un ente locale al territorio di altri enti, stabilita dall’art. 5, D.P.R. 4 ottobre 1986, n. 902, non è stata abolita per effetto dell’art. 114 del D.L.vo 18 agosto 2000, n. 267 − la giurisprudenza del Consiglio di Stato, nell’ammettere che i comuni e le province possano stipulare tra loro apposite convenzioni per svolgere in modo coordinato funzioni e servizi determinati, senza necessità di costituire al riguardo un consorzio, ai sensi del successivo art. 25, L. 142/1990, richiede come condizione che il servizio sia funzionalmente connesso con quello del comune cui appartiene l’azienda (Cons. Stato, sez. V, 23 aprile 1998, n. 475, in Foro amm., 1998, 1086). Condizione che nel caso di specie non sussiste. 2) Violazione ed errata applicazione dell’art. 5 lett. h), D.L.vo 17 marzo 1995, n. 157, dell’art. 11 della Dir. 93/38/C.E.E. 14 giugno 1993 dell’art. 1, lett. b), e della Dir. 92/50/C.E.E. 18 giugno 1992. L’art. 5 lett. h), D.L.vo 17 marzo 1995, n. 157, che regola gli appalti di pubblici servizi sulla base dei principi formulati dall’art. 11 della Dir. 93/38/C.E.E. 14 giugno 1993 e dell’art. 1 lett. b) della Dir. 92/50/C.E.E. 18 giugno 1992, prevede l’esplicita esenzione dall’applicabilità delle procedure d’appalto per gli appalti pubblici aggiudicati ad un ente che sia esso stesso un’amministrazione aggiudicatrice. Sulla base di dette disposizioni l’indizione di gara non sarebbe necessaria solo nel caso in cui l’azienda speciale fosse affidataria di un servizio nell’ambito del comune Formula n. 96 ENTI LOCALI 499 in cui essa è stata costituita (T.A.R. Lombardia sez. Milano, 18 aprile 1997, n. 493, in T.A.R., 1997, 2366). P.Q.M. Voglia l’Ill.mo T.A.R. adito accogliere le seguenti conclusioni: 1) annullare il provvedimento di affidamento della concessione per la distribuzione del gas, disporre l’esperimento di una gara pubblica per l’affidamento del servizio. Si producono i seguenti documenti: 1) provvedimento di affidamento Spese ed onorari rifusi. Lì, . . . Avv. . . . Delego a rappresentarmi ed assistermi nel presente giudizio, con tutti i poteri di cui all’art. 84 c.p.c., l’avvocato . . . eleggendo mio domicilio presso la segreteria del T.A.R. adito. Lì, . . .

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Il ricorrente . . . Per autentica Avv . . . RELAZIONE DI NOTIFICA A richiesta dell’avv. . . . io sottoscritto assistente UNEP addetto al Tribunale di . . . certifico di aver notificato il suesteso atto al Sindaco pro tempore del Comune di . . .; al Presidente pro tempore della azienda speciale. 500 ENTI LOCALI Formula n. 96 16. ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITÀ IL COMMENTO 16. ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITÀ SOMMARIO: 1. La giurisdizione nei procedimenti ablatori. − 2. Gli obiettivi e la natura innovativa del T.U. − 3. Il principio di legalità nella procedura di esproprio. − 4. La competenza all’emanazione degli atti di esproprio. − 5. L’ufficio per le espropriazioni: il dirigente ed il responsabile del procedimento loro competenze. − 6. La responsabilità contabile di amministratori e funzionari. − 7. La partecipazione degli interessati al procedimento. − 8. Applicabilità della L. n. 241/1990 al procedimento di espropriazione. − 9. Le novità del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327. − 10. La pianificazione urbanistica, la progettazione delle opere pubbliche ed il loro rilievo ai fini della procedura di esproprio. − 11. Il silenzio assenso regionale nell’approvazione di variante di piano. − 12. I vincoli preordinati all’esproprio. Le modalità dell’indennizzo per i vincoli scaduti ex art. 39, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327. − 13. La dichiarazione di pubblica utilità. − 14. Termini. Proroga. − 15. Impugnazione. − 16. Determinazione dell’indennità provvisoria di esproprio. − 17. La cessione bonaria. − 18. Determinazione urgente dell’indennità provvisoria. − 19. Il pagamento o deposito dell’indennità. − 20. Determinazione dell’indennità definitiva. − 21. Il calcolo dell’indennità per area edificabile. − 21.1. Le possibilità legali ed effettive di edificazione. Requisiti. − 21.2. Le aree del piano per l’edilizia economica e popolare. − 22. Il calcolo dell’indennità per area non edificabile. − 22.1. Il calcolo dell’indennità per area edificata. − 23. I presupposti per l’emanazione del decreto di esproprio. − 24. Le procedure di verifica e di controllo. − 25. L’occupazione preliminare. − 26. L’occupazione strumentale. Caratteri. − 27. L’organizzazione del cantiere. − 28. La forza maggiore. − 29. L’indennità di occupazione. − 30. La retrocessione dei beni. − 31. La retrocessione parziale. 1. La giurisdizione nei procedimenti ablatori. Conformemente al disposto dell’art. 5, L. n. 1034/1971 la giurisdizione sui provvedimenti ablatori, quali la dichiarazione di pubblica utilità e il decreto di esproprio, è affidata al giudice amministrativo, mentre al giudice ordinario sono affidate le controversie relative all’indennità di esproprio. Tale impostazione è stata ribadita dall’art. 53, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, che devolve alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie aventi ad oggetto gli atti conseguenti all’applicazione del T.U., dall’1 giugno 2002. Il T.U. si applica immediatamente per le fasi non ancora concluse dei procedimenti in corso. Vi è una certa difficoltà ad identificare le fasi della procedura non definite. È evidente la necessità per gli enti di chiudere le fasi relative all’occupazione d’urgenza che è stata abrogata dal T.U., salva la necessità di richiedere l’atto di acquisizione. Viene risolta così la questione relativa alla utilizzazione di un bene che non sia supportato da un valido provvedimento ablatorio. Il termine è stato così prorogato dall’art. 5, D.L. 23 novembre 2001, n. 411, conv. in L. 31 dicembre 2001, n. 463. Fino all’entrata in vigore del T.U. la giurisprudenza ha affermato che l’atto illegittimo ed il successivo comportamento illecito incidono su posizioni di diritto soggettivo perfetto determinando la competenza del giudice ordinario che può accertare il danno anche in carenza di una pregiudiziale sentenza del giudice amministrativo. Giurisprudenza conforme. Cass., sez. I, 10 gennaio 1991, in Ed. Res. Pubbl. 1991, n. 39, 46. A. VELA, Questioni sul riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministra- tivo nella giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte Suprema di Cassazione, in Giust. civ. 1990, 119. Qualora sia impugnato un provvedimento di esproprio ritenendolo illegittimo, e tanto più qualora manchi lo stesso decreto di esproprio, l’amministrazione non può più contare sull’istituto dell’occupazione con effetti appropriativi, ma è posta di fronte alla possibilità di restituzione del bene. Gli effetti dell’azione di restituzione possono essere paralizzati solo con la richiesta della

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pubblica amministrazione, nel caso di fondatezza del ricorso, di disporre la condanna al risarcimento del danno. Lo stesso art. 43, sesto comma, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, fissa le modalità di determinazione del risarcimento del danno agganciandole non all’indennità di espropriazione, ma al valore del bene utilizzato per scopi di pubblica utilità, oltre al computo degli interessi moratori a decorrere dal giorno in cui il terreno è stato occupato senza titolo, chiarendo, quindi, il valore transitorio delle disposizioni di cui all’art. 5 bis, settimo comma bis, L. 8 agosto 1992, n. 359. L’art. 55, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, risolve anche le questioni pendenti. Per i suoli occupati illegittimamente fino al 30 settembre 1996 si applicano le norme di cui all’art. 5 bis, settimo comma bis, L. 8 agosto 1992, n. 359, ossia si applica l’indennità fissata per gli espropri di terreni edificabili dal primo comma dello stesso articolo. Per le occupazioni avvenute dopo detta data si applicano i nuovi criteri che prevedono l’indennizzo pari al valore del bene, fissati dall’art. 43, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327. Si ribalta in tal modo lo schema della occupazione appropriativa, che non è neppure menzionata nel T.U., trattandosi di istituto costruito dalla giurisprudenza che trova un riconoscimento normativo nell’art. 3, L. 27ottobre 1988, n. 458, N. CENTOFANTI, Espropriazione per pubblica utilità 1999, 461. Non è più il privato che deve attivarsi per richiedere al giudice ordinario il risarcimento del danno per l’illegittima occupazione, con il rischio di vedersi dichiarare prescritta l’azione per il decorso del termine quinquennale, ma è l’amministrazione che deve procedere ad acquisire i beni o attraverso il procedimento di esproprio o attraverso l’atto di acquisizione. L’atto di acquisizione deve dare atto dell’avvenuto risarcimento ed è trascritto nei pubblici registri immobiliari. L’art. 4, L. n. 205/2000, stabilisce una speciale procedura per i giudizi innanzi al giudice amministrativo aventi ad oggetto determinati provvedimenti tassativamente indicati, ed in particolare i giudizi aventi ad oggetto i provvedimenti relativi alle procedure di occupazione ed espropriazione delle aree destinate a dette opere, introducendo l’art. 23 bis alla L. n. 1034/1971. Vedi voce Giurisdizione amministrativa n. 7.4.1. È stata mantenuta la competenza funzionale della corte di appello sulle controversie relative alla nomina dei periti, sulla determinazione dell’indennità, sulla stima fatta dai tecnici, sulla liquidazione delle spese di stima, ex art. 53, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327. Il ricorso può essere proposto decorsi trenta giorni dalla comunicazione del deposito della stima, ex art. 54, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327. Il termine di decadenza di trenta giorni per la proposizione del ricorso decorre, invece, dalla notifica del decreto di esproprio o dalla notifica della stima peritale, sempre che questa sia successiva alla notifica del decreto di esproprio. 506 ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITÀ L’art. 54, terzo comma, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, fissa delle regole processuali per il rituale formarsi del contraddittorio, precisando che l’opposizione alla stima da parte del proprietario deve essere notificata oltre che all’autorità espropriante, al promotore, al beneficiario dell’espropriazione e al concessionario dell’opera pubblica se è stato delegato al pagamento dell’indennità. L’opposizione alla stima da parte promotore dell’espropriazione deve essere notificata al proprietario oltre che all’autorità espropriante. 2. Gli obiettivi e la natura innovativa del T.U. Il Consiglio dei ministri, in data 31 maggio 2001, ha approvato lo schema di D.P.R. portante il T.U. delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazioni, dopo avere ricevuto il parere delle commissioni parlamentari competenti e del Consiglio di Stato. Il relativo D.P.R. è stato emanato, l’8 giugno 2001, n. 327, ed è stato pubblicato nel Suppl. ord. n. 211/L, della Gazzetta Ufficiale 16 agosto 2001, n. 189. L’art. 59, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 fissa la data di entrata in vigore per il 1° gennaio 2002. Tale data è stata prorogata al 30 giugno 2002 dall’art. 5 del D.L. 23 novembre 2001, n. 411, conv. con modif. nella L. 31 dicembre 2001, n. 463. Il T.U. si applica immediatamente per le fasi non ancora concluse dei procedimenti in corso, ex art. 57, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327.

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Vi è una certa difficoltà a determinare le fasi della procedura non definite, evidentemente il limite è che l’area non sia stata già regolarmente espropriata e l’indennizzo relativo accettato. È evidente la necessità per gli enti di chiudere le fasi relative all’occupazione d’urgenza che è stata abrogata dal T.U., salva la necessità di richiedere l’atto di acquisizione. Il T.U. ha il proprio fondamento nella delega conferita al governo, ai sensi dell’art. 7, primo e secondo comma, L. 8 marzo 1999, n. 50, mod. dall’art. 1, L. 24 novembre 2000, n. 340. L’all. 1, L. 24 novembre 2000, n. 340, n. 18, tassativamente prevede fra i procedimenti oggetto di delegificazione quello relativo alle espropriazioni per causa di pubblica utilità e alle altre procedure connesse disciplinate dalle L. 25 giugno 1865, n. 2359 e L. 22 ottobre 1971, n. 865. Il criterio da utilizzare da parte del governo nella operazione di semplificazione amministrativa è quello previsto dalla L. 8 marzo 1999, n. 50 che determina il riordino delle norme legislative e regolamentari. La legge delega altre volte assegna il solo potere di riordino dei procedimenti per cui la estensione della dizione del testo legislativo, che prevede il riordino delle norme legislative, è la più ampia. L’importanza di tale delega è evidente poiché, pur trattandosi della sistemazione in un testo unico − il che deve caratterizzare l’elaborato in senso prevalentemente compilativo del quadro normativo esistente − nondimeno consente la possibilità di innovare il testo legislativo per raggiungere la finalità del riordino. COMMENTO 507 L’operazione consiste nella riconduzione ad unità organica del materiale normativo disseminato in varie disposizioni di legge in modo da armonizzare tra loro istituti variamente introdotti e disciplinanti la materia delle espropriazioni. Il sistema ha, quindi, indotto il governo a ripensare la materia secondo lo schema guida dei principi fissati dalla L. 25 giugno 1865, n. 2359, coordinando con tale testo normativo tutte le altre disposizioni a carattere speciale che disciplinavano il procedimento espropriativo. Il T.U. definisce un unico procedimento espropriativo anche a favore dei privati relativo a beni immobili o a diritti relativi ad immobili per l’esecuzione di opere pubbliche o di pubblica utilità, T.U. art. 1. La L. 25 giugno 1865, n. 2359, diversamente demandava al legislatore ordinario la facoltà di emanare dei provvedimenti legislativi per regolamentare la possibilità di espropriare. Per quanto attiene alla determinazione dell’indennità di espropriazione viene mantenuto il sistema composito introdotto dalla legge per la casa, L. 22 ottobre 1971, n. 865, per le indennità riguardanti le aree agricole, mentre per le aree interne al centro edificato vengono assunti i criteri, peraltro transitori, fissati dall’art. 5 bis, L. 8 agosto 1992, n. 359. Il procedimento espropriativo disciplinato dal T.U. è l’unico mezzo per giungere all’espropriazione non essendo più prevista l’occupazione d’urgenza preliminare all’occupazione, rimane solo l’occupazione strumentale disciplinata dall’art. 49, n. 1, T.U., o quella caratterizzata dalla massima urgenza, come ad esempio nel caso di rottura d’argini e di alluvioni definita dall’art. 49, n. 5, T.U. Sono abrogate, oltre che la L. 25 giugno 1865, n. 2359, e il II titolo L. 22 ottobre 1971, n. 865, tutte le norme disciplinanti procedure speciali di esproprio con la dizione espressa del T.U. art. 59, n. 141, che dispone l’abrogazione di tutte le altre norme di legge e di regolamento, riguardanti gli atti ed i procedimenti volti alla dichiarazione di pubblica utilità di indifferibilità ed urgenza, all’esproprio o all’occupazione di urgenza, nonché quelle riguardanti la determinazione dell’indennità di espropriazione o di occupazione di urgenza. Il D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, all’art. 5, ripropone i principi fissati dall’art. 20, L. 15 marzo 1997, n. 59, mod. dall’art. 1, quarto comma, L. 24 novembre 2000, n. 340 ribadendo che le disposizioni del T.U. operano direttamente nei riguardi delle regioni a statuto ordinario e a statuto speciale fino a quando esse non si adeguino ai principi e alle norme fondamentali di riforma economico-sociale sanciti da detta disposizione. Vi è, pertanto, dal momento della sua entrata in vigore una prevalenza automatica delle disposizioni del T.U. 3. Il principio di legalità nella procedura di esproprio. Il principio di legalità in una sua prima enunciazione è stato concepito dalla dottrina nel

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senso che ogni atto od elemento di atto della pubblica amministrazione debba essere previsto tassativamente da una qualche ipotesi normativa. La norma di azione amministrativa deve quindi fissare le scansioni del procedimento amministrativo dalle quali la pubblica amministrazione non può discostarsi pena l’illegittimità di tutto o parte del procedimento. 508 ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITÀ Secondo tale concezione l’azione dell’amministrazione viene collegata nel suo svolgersi al dettato normativo, seguendo procedimenti formali predeterminati in contrapposto all’azione del soggetto privato che agisce secondo schemi completamente autonomi lasciati alla sua libera discrezionalità. M.S. GIANNINI, Diritto amministrativo 1988, 87. La dottrina è concorde nell’affermare che qualsiasi potere amministrativo, imputato a qualsivoglia autorità, produttivo di qualunque tipo di effetti, deve essere sempre previsto dalla legge secondo il principio di tipicità e nominatività dei poteri amministrativi. Non sussistono, pertanto, poteri atipici, che non siano cioè previsti da alcuna norma legislativa, il cui relativo esercizio dia luogo ad una attività giuridicamente inesistente. Anche se la dottrina più recente è orientata a configurare il principio di legalità in una accezione meno rigida ciononostante si ritiene che devono essere necessariamente previsti con norme di legge i poteri amministrativi incidenti unilateralmente e imperativamente su situazioni soggettive di terzi come per i procedimenti ablatori. V. CERULLI IRELLI, Corso di diritto amministrativo 1997, 87. Per tali procedimenti vale la riserva di legge, disposta dall’art. 23 Cost., che afferma come nessuna prestazione personale o patrimoniale possa essere imposta se non in base alla legge. Per il procedimento ablatorio l’art. 42, terzo comma, prevede una ulteriore riserva di legge, sancendo che la proprietà privata può essere, nei casi previsti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi di interesse generale. Il principio di legalità è stato, peraltro, in tema di espropri, ribadito dal legislatore sin dall’art. 1 della legge preunitaria, L. 25 giugno 1865, n. 2359, che richiede l’osservanza delle disposizioni portate da detto provvedimento per il procedimento ablatorio. Il D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, all’art. 2, ribadisce il principio di legalità affermando che l’espropriazione per pubblica utilità può essere disposta solo nei casi previsti da leggi e regolamenti ed, inoltre, introduce nuovi criteri a cui deve ispirarsi il procedimento ablatorio che deve seguire i seguenti principi: −di economicità: quindi il responsabile del procedimento deve evitare che l’illegalità procedimentale comporti maggiori oneri all’amministrazione; − di efficacia: col raggiungimento dello scopo arrivando al decreto di esproprio in tempi brevi; − di efficienza: evitando contrasti con altre amministrazioni qualora l’autorità procedente sia diversa da quella comunale, ad esempio verificando il rispetto della corretta pianificazione urbanistica; − di pubblicità: consentendo l’accesso al procedimento da parte dell’espropriante; − di semplificazione dell’attività amministrativa: evitando, ad esempio, il procedimento dell’occupazione preliminare. 4. La competenza all’emanazione degli atti di esproprio. L’attuazione dell’ordinamento regionale ha comportato che il prefetto permane titolare del potere espropriativo, attribuitogli da ultimo dall’art. 13 della L. n. 865/1971, soltanto in pochi casi. COMMENTO 509 L’espropriazione, pur non essendo espressamente contemplata come materia trasferita dall’art. 117 Cost., è stata considerata parte integrante d’altre funzioni quali l’urbanistica o i lavori pubblici che sono di competenza regionale. L’attribuzione della titolarità dei poteri al prefetto nel regime del procedimento espropriativo previgente era considerata una garanzia procedimentale per i soggetti passivi del procedimento. Il prefetto, infatti, quale organo estraneo all’amministrazione locale e, in ogni modo, non appartenente all’organizzazione centrale dello Stato preposta al procedimento ablatorio, assicura certamente una posizione del tutto imparziale al soggetto, sia esso pubblico o privato, che subisce la privazione della proprietà.

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La Corte costituzionale, investita della questione di legittimità della nuova procedura, che attribuiva ad organi − sicuramente parti del procedimento − la funzione espropriativa, ha ritenuto che essa rispettasse il principio di imparzialità della funzione amministrativa affermato dall’art. 97 Cost., dichiarando manifestamente infondata la questione. Corte cost. 21dicembre 1985, n. 355. L’art. 106 del D.P.R. n. 616/1977 ha trasferito alle regioni la potestà espropriativa in tutte le materie oggetto di trasferimento o di delega, riservando allo Stato la competenza solo per le opere pubbliche di sua spettanza. Agli enti locali, in particolare, sono attribuite le competenze concernenti le opere o gli interventi per la cui esecuzione l’espropriazione è strumentale, ex art. 106, D.P.R. n. 616/1977. La legislazione regionale ha provveduto ad attribuire la funzione espropriativa ai comuni ed agli altri enti locali. La giurisprudenza ha posto il problema della legittimità delle norme che stabiliscono quali siano gli organi comunali competenti ad emanare atti delle procedure espropriative essendo esse in contrasto con l’art. 128 Cost. La corte ha stabilito che il precetto costituzionale sottrae al potere legislativo delle regioni a statuto ordinario la disciplina dell’organizzazione degli enti territoriali, che è affidata esclusivamente al potere legislativo statale, ma non vieta alle regioni stesse di precisare quali, fra gli organi comunali previsti dall’ordinamento dello Stato, siano competenti a provvedere in ordine a materie delegate ai comuni. La Corte, pur ammettendo che l’art. 128 Cost. sottrae al potere legislativo delle regioni a statuto ordinario la disciplina dell’organizzazione degli enti territoriali, che è di competenza dello Stato, ha fondato la propria decisione sulla considerazione che la delega disposta con legge regionale non altera la tipologia dell’organizzazione comunale. Anzi le leggi regionali in questione, in aderenza al disposto dell’art. 118, terzo comma, hanno consentito alle regioni di esercitare le loro funzioni amministrative delegandole agli enti minori o valendosi dei loro uffici. Corte cost. 20 ottobre 1983, n. 319, in Riv. giur. ed. 1984, 821. La dottrina è contraria, condividendo la tesi delle decisioni di remissione. Si osserva, infatti, che se vi è delega non può la regione scegliere l’organo delegato, ma deve limitarsi ad attribuire i poteri all’ente, essendo la materia dell’individuazione delle funzioni degli organi comunali di pertinenza della legge statale G. LEONE, A. MAROTTA 1997, Espropriazione per pubblica utilità 1997, 30. 510 ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITÀ È stata, del pari, ritenuta infondata la censura relativa al fatto che siano accentrate nella figura del sindaco interessato al procedimento ablatorio più funzioni. T.A.R. Emilia Romagna, sez. I, Bologna, 15 novembre 1994, n. 829, in T.A.R. 1995, 1969. Le regioni hanno emanato norme legislative per quanto riguarda l’organizzazione e la spesa, nonché norme di attuazione sulla base dell’art. 7 del D.P.R. n. 616/1977 che ammette la competenza delle regioni nelle materie delegate e non solo in quelle trasferite. In particolare, l’art. 7, secondo comma, del D.P.R. n. 616/1977, ammette la possibilità di subdelegare a province, comuni ed altri enti locali l’esercizio di funzioni amministrative dello Stato. L’art. 106, D.P.R. n. 616/1977 precisa che sono attribuite ai comuni sia le funzioni amministrative concernenti le occupazioni temporanee e d’urgenza sia i relativi atti preparatori, attinenti ad opere pubbliche o di pubblica utilità, la cui esecuzione è di loro spettanza. In questo quadro legislativo nazionale le regioni hanno provveduto ad assegnare le funzioni relative al procedimento di occupazione ed a quello di espropriazione: alcune hanno delegato i singoli comuni interessati agli interventi, come ad esempio l’Emilia Romagna, altre, come la Lombardia, hanno ripartito le competenze a seconda del tipo di opera. Le opere di competenza regionale sono attribuite al presidente della giunta regionale, le opere di competenza di alcuni enti pubblici spettano ai presidenti delle comunità montane e delle province, le opere di competenza dei comuni o dei consorzi spettano ai comuni. Tralasciamo di esaminare specificamente la legislazione regionale, che si frantuma in ulteriori distinzioni per tipo di opere. Il problema delle competenze dell’organo comunale, qualora la funzione sia genericamente

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attribuita al comune, è risolta dalla giurisprudenza nel senso che la competenza del consiglio comunale in materia di espropriazione di beni immobili può essere delegata dal consiglio stesso al sindaco ed alla giunta. Tale delega, rimane valida ed efficace sino alla sua revoca espressa Cons. Stato, sez. IV, 2 febbraio 1998, n. 147, in Foro Amm.1998, 332. Alcune sentenze richiedono che la delega debba, però, essere supportata da una previsione normativa, ritenendo che la norma − di cui all’art. 106, terzo comma, D.P.R. n. 616/1977 − che attribuisce al consiglio comunale il potere di adozione del decreto di occupazione d’urgenza, non trovi applicazione se sussistono leggi regionali che assegnano al sindaco la competenza a provvedere. Cons. Stato, sez. IV, 11 giugno 1996, n. 795, in Riv. giur. ed. 1996, 950. T.A.R. Calabria, sez. Catanzaro, 5 settembre 1997, n. 540, in T.A.R. 1997, 4154. N. CENTOFANTI, L’espropriazione per pubblica utilità 1999, 38. L’art. 6, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, consacra il principio che il procedimento di espropriazione rientra nella competenza dell’autorità che deve realizzare l’opera pubblica, essendo definitivamente superato il problema di una eventuale parzialità di detto intervento. È prevista l’istituzione di un ufficio per le espropriazioni nelle amministrazioni statali regionali provinciali e comunali, ove non ne sussista uno a cui attribuire i relativi poteri. È il comune l’ente centrale per la realizzazione del procedimento espropriativo, ex art. 6 del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, esso, infatti, può espropriare: − le aree, individuate dal piano regolatore generale, inedificate o su cui vi siano costruzioni in contrasto con le destinazioni di zona o che abbiano carattere provvisorio e quelle di espansione, secondo quanto già previsto dall’art. 18, l.u. In tal caso deve essere dichiarata la pubblica utilità dell’opera non espressa nel provvedimento di approvazione del p.r.g. COMMENTO 511 − gli immobili ai quali va incorporata un’area inserita in un piano particolareggiato e non utilizzata quando il suo proprietario non intenda farne uso dopo l’avviso del dirigente dell’ufficio espropriazioni. In tal caso non deve essere dichiarata la pubblica utilità dell’opera implicita nel provvedimento di approvazione del p.p. L’esproprio deve essere effettuato nel termine decennale di validità del piano. 5. L’ufficio per le espropriazioni: il dirigente ed il responsabile del procedimento loro competenze. La legge n. 241/1990 fa obbligo alle amministrazioni di indicare un responsabile del procedimento, che è il dirigente di ogni unità organizzativa, il quale può provvedere ad assegnare ad altro dipendente la responsabilità dell’istruttoria o di un’altra fase, ad esempio quella costitutiva o esecutoria, del provvedimento. La struttura degli enti è destinata ad una razionalizzazione, sotto il profilo organizzativo. Si devono individuare i responsabili e si deve definire il passaggio, necessariamente formale, fra i soggetti che si occupano delle varie fasi. Le funzioni in materia di espropriazione sono particolarmente importanti poiché il procedimento deve necessariamente raccordarsi con quelli programmatori e quelli finanziari, che condizionano la stessa possibilità di addivenire ritualmente all’esproprio. Una più precisa definizione dei compiti del responsabile era attesa col regolamento di attuazione della L. n. 359/1992 mai, peraltro, emanato. Tali funzioni si devono raccordare con quelle del responsabile del procedimento ablatorio, peraltro enunciate dall’art. 6, L. n. 241/1990, che riguardano le stesse condizioni, sia sostanziali che procedurali, che valgono per l’emanazione del provvedimento, ex art. 6, L. n. 241/1990. Il responsabile, quindi, può avere funzioni sostanziali in ordine alla valutazione nel merito del progetto, proponendo modifiche, magari suggerite dalle osservazioni portate dagli interessati. Mentre l’art. 107 del T.U. delle leggi sull’ordinamento degli enti locali non attribuisce funzioni particolari ai dirigenti in materia di espropriazione l’art. 6, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, attribuisce al dirigente dell’ufficio per le espropriazioni funzioni costitutive in ordine al provvedimento di esproprio esso non è esplicito nell’individuare la competenza alla emanazione di determinati provvedimenti, indicando genericamente la competenza dell’autorità espropriante, come nell’ipotesi di occupazione temporanea, art. 49, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327. Il dirigente per le espropriazioni deve emanare ogni provvedimento conclusivo del procedimento

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decreto di esproprio, art. 23, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, o atto di cessione volontaria, art. 45, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, o il provvedimento di retrocessione del bene, art. 47, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327. Il responsabile del procedimento ha competenza per tutti gli atti preparatori e per gli eventuali subprocedimenti, come, ad esempio, nell’autorizzazione all’accesso ai fondi, art. 15, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, nella determinazione provvisoria dell’indennità di espropriazione, art. 20, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, nella comunicazione al proprietario per 512 ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITÀ richiedere se intenda avvalersi del procedimento di determinazione definitiva dell’indennità di espropriazione e nella relativa nomina dei tecnici (su indicazione dell’autorità espropriante) o nella richiesta di determinazione dell’indennità alla commissione, art. 21, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327; nel verbale di immissione nel possesso in esecuzione del decreto di esproprio, art. 24, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, nel pagamento dell’indennità di esproprio o relativo deposito presso la Cassa depositi e prestiti, art. 26, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327. Non sono ovviamente di sua competenza gli atti delegati all’autorità espropriante quali la dichiarazione di pubblica utilità, art. 12, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, o l’approvazione del progetto definitivo, art. 16, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327. Il responsabile del procedimento deve, inoltre, istruire il provvedimento finale che resta di competenza del dirigente dell’ufficio. In primis viene fatto obbligo agli enti locali di istituire un ufficio per le espropriazioni, anche comune ad altri enti, con a capo un dirigente o in sua mancanza un dipendente con la qualifica più elevata. Viene ribadito l’obbligo di designare per ogni procedimento un responsabile che dirige, coordina e cura tutte le operazioni e gli atti del procedimento; al responsabile sono di supporto e subordinati gli organi tecnici dell’ente. La necessità di concludere il procedimento entro tempi determinati comporta una evidente responsabilità del funzionario addetto in relazione alla sua mancata emanazione in tempo debito. Il ritardo può causare un danno all’amministrazione che soccomba sulla domanda di risarcimento formulata dalla proprietà o sulla richiesta di danni derivanti dall’esecuzione dell’esproprio. Un necessario coordinamento è sicuramente da effettuarsi con il responsabile del procedimento di attuazione dei lavori pubblici, disciplinato dall’art. 7, L. n. 109/1994, come mod. dall’art. 5, L. n. 415/1998. Il responsabile dell’attuazione dei lavori deve, infatti, segnalare eventuali disfunzioni, impedimenti e ritardi nella realizzazione degli interventi, accertando la disponibilità delle aree e degli immobili necessari. Il responsabile unico del procedimento, al fine di accelerare l’esecuzione dei lavori, può proporre all’amministrazione aggiudicatrice la convocazione di una conferenza di servizi o promuovere la conclusione di un accordo di programma, ex art. 7, settimo comma, L. n. 109/1994. Il regolamento di attuazione, D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554, all’art. 8 comma 1, lett. b) verifica in via generale la conformità ambientale, paesistica, territoriale ed urbanistica degli interventi e promuove l’avvio delle procedure di variante urbanistica. Nell’ambito di tali procedimenti è possibile esaminare le problematiche relative al procedimento ablatorio, qualora ineriscano alla sollecita esecuzione di lavori. N. CENTOFANTI, L’espropriazione per pubblica utilità 1999, 145. L’amministrazione può delegare in tutto o in parte i propri poteri espropriativi al concessionario che deve realizzare l’opera pubblica o di pubblica utilità, ex art. 6, ottavo comma, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327. Al fine di porre chiaramente i limiti delle responsabilità fra amministrazione e concessionario che hanno dato luogo a contrasti giurisprudenziali la norma impone all’amministra- 17 COMMENTO 513 zione di determinare chiaramente l’ambito della delega nella concessione, al fine di definire se detta amministrazione conserva un potere di indirizzo nel procedimento ablatorio. 6. La responsabilità contabile di amministratori e funzionari. La giurisdizione sui funzionari, sugli impiegati e sugli agenti civili e militari, che nell’esercizio

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delle loro funzioni cagionino danno allo Stato o ad altra amministrazione dalla quale dipendano, è attribuita alle sezioni giurisdizionali regionali della Corte dei Conti, art. 1, L. 14 gennaio 1994, n. 19. La responsabilità amministrativa è caratterizzata: da un rapporto di dipendenza o di servizio nei confronti dello Stato o dell’ente pubblico; da un comportamento anche solo colposo, derivante da negligenza o dalla mancata applicazione della legge, che trova giustificazione solo nella forza maggiore, quale, ad esempio, la carenza organizzativa o l’organico insufficiente; da un danno erariale patrimoniale derivante alla amministrazione, che sia direttamente riconducibile all’evento. Il giudizio non ha alcun rapporto con l’accertamento della illegittimità degli atti dell’amministrazione. I rapporti fra giudizio amministrativo e giudizio contabile sono di assoluta autonomia, in quanto non sono previste né preclusioni né precedenze. L’accertamento della responsabilità amministrativa contabile, in questo caso, non prescinde dall’accertamento dell’illegittimità degli atti dell’amministrazione, sempre che gli stessi abbiano provocato una danno economico all’amministrazione. La responsabilità è stata limitata alle omissioni commesse con dolo o colpa grave, art. 3, L. 20 dicembre 1996, n. 639. Deve essere affermata la responsabilità amministrativa del tecnico comunale che non abbia portato a termine il procedimento di espropriazione, omettendo la predisposizione degli indispensabili atti amministrativi e causando in tal modo un danno erariale conseguente al risarcimento civile dovuto ai proprietari ablati. Corte Conti, reg. Sicilia, sez. giurisd., 16 giugno 2000, n. 79, in Riv. Corte Conti 2000, f. 4, 84. Integra un’ipotesi di danno erariale la liquidazione dell’indennità di espropriazione per un’area acquisita da parte del comune in misura superiore a quella ritenuta congrua dall’ufficio tecnico erariale e disattendendo, senza motivo, le indicazioni dell’UTE stesso relative ai criteri di calcolo. Corte Conti, reg. Molise, sez. giurisd., 15 ottobre 1997, n. 484, in Riv. Corte Conti 1997, fasc. 6, 174. La giurisprudenza ha ravvisato che la mancata conversione in espropriazione di un provvedimento di occupazione d’urgenza di un suolo da parte di amministratori e funzionari comunali, con conseguente maggior erogazione di somme a titolo di svalutazione monetaria, interessi e spese legali, costituisce danno patrimoniale risarcibile. Il perfezionamento della cosiddetta occupazione acquisitiva non costituisce interruzione del nesso causale in caso di danno erariale derivante da ritardata emissione del decreto espropriativo. Corte Conti, Puglia, sez. giurisd., 12 febbraio 1997, n. 8, in Riv. Corte Conti 1997, fasc. 1, 124. Di tale illecito debbono essere chiamati a rispondere i soggetti predetti, per le omissioni di cui sono responsabili connesse alla mancata osservanza del termine quinquennale di durata dell’occupazione d’urgenza. Corte Conti, Puglia, sez. giurisd., 16 febbraio 1994, n. 3, in Riv. Corte Conti 1994, 136. 514 ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITÀ La dottrina ha rilevato gli scarsi effetti di tale azione che trova troppi esoneri alla responsabilità, dovuti ad una asserita complicazione del procedimento, che giustifica delle inammissibili omissioni: In caso di soccombenza della pubblica amministrazione, la responsabilità del sindaco per il mancato perfezionamento della procedura o, in generale, dei funzionari preposti è stata talora ritenuta insussistente, per assenza di colpevolezza, in ragione della complessità e delle dimensioni dell’intervento realizzando. F. CARINGELLA, G. DE MARZIO, Indennità di esproprio ed occupazione appropriativa 1997, 185. È stata riconosciuta dalla giurisprudenza l’esenzione dalla responsabilità dell’incaricato per il danno provocato se questo è dovuto alla disorganizzazione degli uffici. Deve essere esclusa la responsabilità dell’assessore comunale delegato alla materia delle espropriazioni per il danno erariale conseguente al protrarsi di occupazione di urgenza oltre i termini di legge, qualora tale situazione di illegittimità dipenda essenzialmente dall’incuria degli uffici amministrativi nel tenere aggiornate e nel segnalare le scadenze connesse all’occupazione medesima. Corte Conti, sez. II, 20 maggio 1993, n. 126, in Riv. Corte Conti 1993, 105. Del pari, è stata riconosciuta dalla giurisprudenza l’esenzione dalla responsabilità del sindaco in carica per i danni verificatisi nel corso di vari avvicendamenti nella carica stessa. Posto che il periodo di occupazione d’urgenza può protrarsi sino al limite di cinque anni, non può essere addebitata ai sindaci rimasti in carica per tale periodo la responsabilità per i

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danni, emersi in sede giudiziaria civile, derivati dal mancato perfezionamento nei termini anzidetti della procedura espropriativa, ove non si provi, attraverso l’acquisizione degli atti della procedura, una colpevole inerzia a carico dei sindaci stessi. Corte Conti Sicilia, sez. giur., 1 luglio 1993, n. 61, in Giur. Amm. Sic. 1993, 566. Nel caso di delega del procedimento le ipotesi possibili sono tre: l) è responsabile il delegante; 2) è responsabile il delegato; 3) vi è la responsabilità solidale del delegante e del delegato. 7. La partecipazione degli interessati al procedimento. La L. 7 agosto 1990, n. 241 sul procedimento amministrativo introduce l’obbligo per la pubblica amministrazione della conclusione dell’atto mediante l’adozione di un procedimento espresso e l’obbligo della motivazione espressa. N. CENTOFANTI, L’espropriazione per pubblica utilità 1999, 166. Le pubbliche amministrazioni devono precisare il termine entro cui i singoli procedimenti devono concludersi, fissando, qualora esso non sia specificato con dizione espressa, la scadenza massima di 30 giorni, ex art. 2, L. 7 agosto 1990, n. 241. La tipicità dell’azione amministrativa richiede la presenza di una serie di operazioni e di atti per l’emanazione del provvedimento, che costituiscono lo schema base del cosiddetto procedimento amministrativo. Questo si articola in varie fasi che hanno rilevanza o compressione in relazione alla specifica disciplina legislativa, ma che devono necessariamente adeguarsi ai principi generali sul procedimento disposti dalla L. n. 241/1990. Si pensi, ad esempio, alle possibili applicazioni nei casi di non definizione dell’indennità definitiva e, soprattutto, nella carenza di procedimento ablatorio a seguito della occupazione illegittima. COMMENTO 515 La fase preparatoria, parimenti alla fase istruttoria nel processo, serve a raccogliere tutta la documentazione necessaria per fornire alla amministrazione gli elementi indispensabili alla redazione dell’atto. Talora nel procedimento si innestano vari subprocedimenti che danno vita ad atti amministrativi autonomi, e come tali impugnabili direttamente, che costituiscono presupposti necessari a quello principale. Ad esempio il verbale di consistenza. In altri casi il subprocedimento produce atti che hanno una rilevanza interna per cui si esclude la loro autonoma impugnazione. In questa fase si può inserire la presenza dei destinatari dell’atto che partecipano a vario titolo. Possono verificarsi ipotesi in cui il contraddittorio è requisito sostanziale: quando, ad esempio, la sua mancanza comporta un vizio dell’intero procedimento. Al privato viene riconosciuto il diritto di accedere alla fase preparatoria del procedimento, prendendo visione degli atti e presentando memorie e documenti. L’amministrazione è tenuta, ai sensi dell’art. 7 della L. n. 241/1990, a dare notizia dell’avvio del procedimento al soggetto che, dalla autorizzazione alla visione dei documenti, potrebbe ricevere un pregiudizio, ex art. 7, L. n. 241/1990. Conseguenza sostanziale è la possibilità di fare dichiarare illegittimo l’intero procedimento, poiché l’omissione, da parte della amministrazione, della comunicazione dell’avvio del procedimento amministrativo nei confronti dei soggetti relativamente ai quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti, costituisce vizio che determina violazione legge. Il vizio è rilevabile, ai sensi dell’art. 8 della L. n. 241/1990, dal soggetto nel cui interesse la comunicazione è prevista, con conseguente illegittimità del provvedimento finale adottato. T.A.R. Veneto, sez. II, 13 maggio 1992, n. 442, in Giur. cost. 1993, I, 828. Cons. Stato, sez. IV, 26 novembre 1993, n. 1036, in Cons. Stato 1993, I, 1418. 8. Applicabilità della L. n. 241/1990 al procedimento di espropriazione. In relazione al principio della specialità procedimentale, un filone giurisprudenziale ha ritenuto che non sussista alcun obbligo per l’amministrazione di comunicare all’interessato, ai sensi degli artt. 7 ss. L. 7 agosto 1990, n. 241, l’avvio del procedimento espropriativo. Nella specie si trattava della mancata comunicazione della localizzazione di un’opera pubblica in difformità dagli strumenti urbanistici vigenti da parte di un’amministrazione statale, successivamente approvata con deliberazione regionale, ai sensi dell’art. 81, terzo

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comma, D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616. L’obbligo di comunicazione non ricorre nei casi nei quali il legislatore abbia previsto procedure specifiche per garantire tempestivamente la difesa del soggetto vulnerato dall’attività amministrativa posta in essere ovvero una forma di partecipazione, in senso lato, di quest’ultimo all’attività istruttoria. La comunicazione di avvio del procedimento non è necessaria in tutti quei casi in cui leggi speciali, predispongono strumenti partecipativi diversi e alternativi, comunque adeguati al fine, come avviene ad esempio nei procedimenti di espropriazione per pubblica utilità o di occupazione d’urgenza, in quelli disciplinari e in quelli di sospensione dei lavori. T.A.R. 516 ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITÀ Lombardia sez. Brescia, 17 marzo 1994, n. 133, in T.A.R. 1994, 1901. T.A.R. Friuli Venezia Giulia, 13 gennaio 1997, n. 17, in T.A.R. 1997, 997. La giurisprudenza ribadisce la possibilità di posporre le formalità procedimentali garantistiche che consentono una effettiva partecipazione, rendendola praticamente ininfluente ai fini della tutela. Tale interpretazione impedisce alla proprietà di porre osservazioni al progetto e consente, quindi, solo una azione risarcitoria. È stato affermato che l’approvazione di un progetto di opera pubblica, anche quando comporta la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza ex art. 1, L. 3 gennaio 1978, n. 1, non deve essere necessariamente preceduta dalle formalità garantistiche di cui agli artt. 10 e 11, L. 22 ottobre 1971, n. 865, fermo restando che queste formalità devono comunque essere compiute, anche se successivamente, nel corso del procedimento espropriativo. Cons. St., sez. IV, 2 febbraio 1998, n. 147, in Foro amm. 1998, 332. Cons. St., sez. IV, 23 ottobre 1998, n. 1368, in Riv. giur. ed. 19998, 328. Questo indirizzo assolutamente non convince poiché non appare in linea con i principi della L. n. 241/1990. Esso si fonda su un precedente orientamento che riteneva sussistesse la possibilità di rinnovare adempimenti procedurali, anche successivamente alla scansione logicamente prevista. La giurisprudenza ha affermato l’obbligo di seguire la procedura di cui all’art. 10 della L. n. 865/1971 solo qualora si debba richiedere una dichiarazione espressa di pubblica utilità. Cons. St., Ad. Pl., 9 ottobre 1986, n. 6, in Foro amm. 1986, 1010. La partecipazione dei privati al procedimento espropriativo è prevista negli artt. 5 e 17 della L. n. 2359/1865 e sostanzialmente tali principi sono ribaditi negli artt. 10 e 11 della L. n. 865/1971. La sequenza procedimentale richiede, infatti, un necessario contraddittorio con gli interessati. In via generale, la disciplina del procedimento amministrativo è portata dalla L. n. 241/1990 che accentua, anche in chiave di tutela, l’interesse del soggetto passivo dall’atto amministrativo al procedimento, inteso in senso dinamico, consentendo agli interessati una serie di verifiche, accertamenti, acquisizioni conoscitive. L’esclusione dall’applicazione della L. n. 241/1990 è espressamente disposta solo per atti di carattere generale per i quali sono dettate discipline speciali, in ordine anche alla riservatezza che deve tenere l’amministrazione fino all’adozione del provvedimento, art. 13, L. n. 241/1990. La dizione legislativa non include la materia espropriativa tra quelle ivi indicate con la conseguenza che per essa trova applicazione la disciplina della partecipazione, specificamente prevista dall’art. 8, L. n. 241/1990, che impone la comunicazione dell’avvio del procedimento ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti. Negare la partecipazione equivale contrastare la ratio ispiratrice della L. n. 241/1990 che prevede, in via generale, l’accesso al procedimento, ma anche la ratio della L. n. 865/1971 che ora regola puntualmente il procedimento ablatorio. È inaccettabile la costruzione tradizionale, secondo cui l’inadempimento delle formalità garantistiche, nel caso di approvazione del progetto di opera pubblica (anche con valore di COMMENTO 517 variante), legittimamente avrebbe potuto essere posposto al suddetto atto di approvazione. S. DE SANTIS, Dichiarazione di pubblica utilità implicita, formalità garantistiche e partecipazione al procedimento amministrativo, in Giur. civ. 1998, 3310. La giurisprudenza ha aderito alle posizioni dottrinali; modificando le affermazioni precedenti è stato dichiarato che nel caso in cui la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera

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consegua ex lege, e pertanto il proprietario inciso non abbia avuto modo di rappresentare le proprie ragioni nella fase di approvazione del progetto, è illegittimo il provvedimento di occupazione d’urgenza che sia stato adottato. Deve essere, infatti, data al privato la possibilità di interloquire quanto meno prima del materiale impossessamento del bene, specie se egli era in grado di prospettare soluzioni alternative. T.A.R. Campania, sez. V, Napoli, 21 dicembre 1996, n. 640, in T.A.R. 1997, 687. L’indirizzo non è, però, univoco stante che alcune pronunce ritengono non necessarie le garanzie procedimentali nelle procedure destinate alla dichiarazione di pubblica utilità implicita. La questione, pertanto, è stata deferita all’adunanza plenaria del consiglio di stato. Cons. St., sez. IV, 9 aprile 1999, n. 604, in Gazz. Uff. Giuffrè 1999, n. 22, 112. È esclusa, quindi, la possibilità di sanare l’omissione precedente con atti successivi, non restando che ripetere il procedimento. T.A.R. Abruzzo, sez. Pescara, 10 aprile 1997, n. 172, in Foro amm. 1997, 3214. 9. Le novità del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327. Nell’elaborazione dell’art. 11, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, si afferma il principio che il proprietario oggetto di esproprio può accedere al procedimento sin dalla fase della pianificazione territoriale. Fin dalla fase dell’istituzione del vincolo preordinato all’esproprio − che si concretizza con l’approvazione del piano urbanistico generale, ex art. 9, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 - anche se manca ancora la dichiarazione di pubblica utilità. L’obbligo non sussiste nel caso di adozione ex novo di uno strumento urbanistico o variante generale, ma sussiste nel caso in cui sia in corso l’adozione di una variante al piano regolatore per la realizzazione di un’opera pubblica, anche nell’ipotesi che la variante venga adottata mediante conferenza di servizi o accordo di programma che comporti variante allo strumento urbanistico, art. 10, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327. Al proprietario che risulti dai registri catastali va inviato l’avviso dell’avvio del procedimento venti giorni prima dell’adozione, art. 11, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327. Le osservazioni vengono valutate ai fini dell’approvazione dello strumento urbanistico e le relative determinazioni possono essere sottoposte al vaglio della giustizia amministrativa. Naturalmente il proprietario può censurare le scelte anche sotto il profilo urbanistico seguendo le norme che consentono di portare osservazioni e opposizioni al piano urbanistico. G. PAGLIARI, Corso di diritto urbanistico 1999, 106. 10. La pianificazione urbanistica. La progettazione delle opere pubbliche ed il loro rilievo ai fini della procedura di esproprio. 518 ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITÀ Con l’avvento della pianificazione territoriale comunale, che oramai ha raggiunto grande diffusione, l’esecuzione di un progetto di opera pubblica si deve confrontare con le previsioni urbanistiche esistenti. La L. n. 109/1994 sui lavori pubblici, inoltre, impone l’inclusione delle opere da realizzare in un piano triennale o nei suoi aggiornamenti annuali. Nell’ambito della programmazione triennale l’inclusione di un opera nell’elenco dei lavori da avviare nell’anno è subordinata alla previa approvazione della progettazione preliminare, art. 14, sesto comma, L. n. 109/1994. Poiché l’elenco annuale dei lavori costituisce un allegato allo schema di bilancio di previsione, unitamente alla relazione previsionale e programmatoria, ne consegue che il progetto preliminare di ogni singolo intervento costituisce una componente essenziale del programma complessivo e che la relativa spesa deve figurare tra gli stanziamenti previsti nel bilancio pluriennale. Il ruolo del progetto preliminare è determinante nella programmazione degli enti locali ed esso può essere realizzato solo se conforme alla programmazione urbanistica. Solo se l’opera è conforme alle previsioni dello strumento urbanistico o di una sua variante può essere disposta la dichiarazione di pubblica utilità, che sarà addirittura implicita nel caso si tratti di uno strumento urbanistico attuativo, come, ad esempio, del piano particolareggiato o del piano di zona per l’edilizia economico popolare, art. 12, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327. Se l’opera da realizzare non risulta conforme alle previsioni urbanistiche l’approvazione del progetto definitivo da parte del consiglio comunale costituisce adozione di variante allo

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strumento urbanistico, art. 19, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327. Il comune, con la approvazione dello strumento urbanistico generale, determina il sorgere del vincolo all’esproprio per le aree da destinare a servizi o opere pubbliche. I tempi per la realizzazione dell’opera non possono essere indeterminati, ma il procedimento, in ossequio al principio di legalità, deve rispettare delle scansioni temporali ben precise. Il D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, all’art. 9, disciplina gli effetti espropriativi dei vincoli dei piani regolatori generali fissando la loro durata in cinque anni. Lo stesso vincolo quinquennale può essere disposto, dando espressamente atto della sua natura mediante un atto di approvazione di progetto di opera pubblica che abbia carattere di variante allo strumento urbanistico, come ad esempio un provvedimento della conferenza di servizi, art. 10, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327. Se, nel termine di cinque anni dalla approvazione del vincolo, non viene emanata la dichiarazione di pubblica utilità, il vincolo decade, art. 9, terzo comma, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327. In tal caso il privato, liberato dal vincolo, può realizzare gli interventi consentitigli dalla normativa in carenza di pianificazione urbanistica. L’art. 4, ottavo comma, L. n. 10/1977, che funge da norma quadro per il legislatore regionale, fissa, in carenza di tale normativa, dei limiti rigorosi. Fuori dal perimetro dei centro abitato, l’edificazione a scopo residenziale non può superare l’indice di metri cubi 0,03 per metro quadrato di area edificabile, mentre, nell’ambito del centro abitato, sono consentite soltanto opere di restauro o di risanamento conservativo, COMMENTO 519 di manutenzione ordinaria e straordinaria, di consolidamento statico o di risanamento igienico. Tale norma è, peraltro, ripresa dall’art. 9 del progetto di T.U. dell’edilizia, approvato dal consiglio dei ministri in data 24 maggio 2001, dopo avere ricevuto il parere delle commissioni parlamentari competenti e del Consiglio di Stato. Anche per tale T.U. la data di entrata in vigore è prevista per il 30 giugno 2002. Esso è stato approvato successivamente al T.U. sugli espropri con D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380. (Il richiamo è, pertanto, improprio!) 11. Il silenzio assenso regionale nell’approvazione di variante di piano. Anticipando il T.U. sul procedimento per la formazione dei piani attuativi, previsto dalla L. 24 novembre 2000, n. 340, all. 1, n. 13, il T.U. sulle espropriazioni disciplina due fattispecie di silenzio assenso in materia urbanistica. La prima ipotesi di silenzio assenso regionale è relativa all’approvazione di variante del piano urbanistico generale nel caso di opera pubblica non conforme alle previsioni di p.r.g., ex art. 19, quarto comma, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327. L’approvazione del progetto di opera pubblica o di pubblica utilità da parte del consiglio comunale comporta, infatti, variante al piano regolatore. Il silenzio della regione o dell’ente competente all’approvazione, protratto per 90 giorni dalla ricezione della delibera del consiglio che adotta il piano, equivale ad assenso dopo che il consiglio comunale ne ha disposto l’efficacia. La seconda ipotesi di silenzio assenso riguarda la modifica del tipo di opera programmata, ex art. 9, quinto comma, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327. Nel corso della durata quinquennale del vincolo il consiglio comunale può motivatamente deliberare il cambiamento di tipologia dell’opera pubblica. La regione o l’ente preposto all’approvazione deve manifestare il proprio dissenso entro 90 giorni dalla ricezione della delibera comunale. Nel caso di silenzio si forma l’assenso sulla delibera trasmessa, dopo che il consiglio comunale ne ha disposto l’efficacia. Tale ipotesi modifica l’art. 1, quarto comma, L. n. 1/1978, ora abrogata. Esso prevede la possibilità di approvare opere pubbliche senza variare il piano urbanistico, quando sono destinate a servizi pubblici, anche se con diversa destinazione. A seguito di detta modifica, dal 30 giugno 2002 nel caso di varianti, considerate finora non varianti, si deve modificare il piano urbanistico attraverso l’approvazione del progetto definitivo dell’opera programmata da parte del consiglio comunale, ex art. 9, quinto comma, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327. 12. I vincoli preordinati all’esproprio. L’indennizzo per i vincoli scaduti.

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La reiterazione del vincolo da parte degli enti locali ha comportato una situazione di compressione a tempo indeterminato del diritto del proprietario in carenza di indennizzo. 520 ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITÀ L’art. 9, quarto comma, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, dispone la possibilità di reiterazione del vincolo dopo la sua durata quinquennale lasciando impregiudicata la questione della corresponsione dell’indennizzo per la proroga del vincolo. La questione è stata risolta, comunque, dalla Corte costituzionale che ha sancito la illegittimità della reiterazione dei vincoli di piano senza la corresponsione di un indennizzo. N. CENTOFANTI, La legislazione urbanistica 2000, 135. Il Consiglio di Stato ha rilevato la non manifesta infondatezza della questione richiedendo una determinazione espressa da parte del legislatore dei casi in cui la reiterazione dei vincoli costituisca espropriazione di valore e comporti, di conseguenza, la corresponsione dell’indennizzo; il giudice amministrativo, inoltre, ha affermato che devono essere previsti per legge i criteri di determinazione dell’indennizzo stesso. Cons. Stato, Ad. Pl., 25 settembre 1996, n. 20, in Riv. giur. ed. 1997, 254. La dottrina ha aderito a questa impostazione della giustizia amministrativa e propone, quindi, la corresponsione di un indennizzo alla scadenza del temine quinquennale ovvero, quanto meno, l’approvazione di una relazione di massima delle spese occorrenti per l’acquisizione delle aree. G. LAVITOLA, Trent’anni dopo: l’impatto delle sentenze della Corte Costituzionale 55 e 56 del 1968 sull’evoluzione successiva dell’ordinamento giuridico e dell’urbanistica, in Riv. giur. ed. 1998, 301. La Corte costituzionale ha accolto i rilievi formulati ed ha disposto l’indennizzo per i vincoli scaduti e reiterati dalle amministrazioni. Corte cost., 20 maggio 1999, n. 179, in Riv. giur. ed. 1999, 635. La Corte precisa i caratteri che devono distinguere il vincolo perché possa essere soggetto ad indennizzo: − il vincolo deve essere preordinato all’espropriazione o avere carattere espropriativo, nel senso di comportare come effetto pratico uno svuotamento di rilevante entità ed incisività, del contenuto della proprietà stessa, mediante imposizione, immediatamente operativa, di vincoli a titolo particolare su beni determinati comportanti inedificabilità assoluta, − il vincolo non deve superare la durata che il legislatore abbia fissato come limite, non irragionevole e non arbitrario, affinché il vincolo stesso risulti sopportabile da parte del singolo soggetto titolare del bene, − il vincolo non deve superare, sotto il profilo quantitativo, la normale tollerabilità secondo una concezione della proprietà regolata dalla legge per i modi di godimento ed i limiti preordinati alla sua funzione sociale. Non rientrano negli schemi del procedimento espropriativo, invece, i beni immobili aventi valore paesistico-ambientale, in virtù delle loro qualità oggettive che li inseriscono in particolari categorie di beni. Tali beni, infatti, sono sottoposti ad un particolare regime di utilizzo, secondo le caratteristiche intrinseche che li distinguono. Devono essere considerati come normali e connaturati alla proprietà i limiti non ablatori posti dai regolamenti edilizi e dalla pianificazione urbanistica e relativi alle norme tecniche, quali i limiti di altezza, di cubatura, di superficie coperta, quali le distanze tra edifici, le zone di rispetto relative a determinate opere pubbliche, gli indici di edificabilità e gli standard attinenti alle zone territoriali omogenee. La Corte non esclude che i vincoli decaduti possano essere reiterati in via amministrativa. COMMENTO 521 Possono, infatti, sussistere ragioni giustificative accertate e motivate con congruo provvedimento entro i limiti della ragionevolezza e della logicità. Qualora i vincoli assumano carattere patologico o quando vi sia una ripetizione o una proroga sine die o all’infinito attraverso una reiterazione di proroghe, che si aggiungano le une alle altre, o quando il limite temporale sia indeterminato e senza una previsione di indennizzo, il sistema si scontra con i limiti posti dalle norme costituzionali. È stato dichiarato incostituzionale il combinato disposto degli artt. 7, nn. 2, 3 e 4, e 40, L. n. 1150/1942 e art. 2, primo comma, L. n. 1187/1968 nella parte in cui consente alla amministrazione di reiterare i vincoli urbanistici scaduti preordinati all’espropriazione o che

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comportino l’inedificabilità, senza la previsione di indennizzo. Corte cost. 20 maggio 1999, n. 179, in Riv. giur. ed. 1999, 635. È stata pronunciata, quindi, l’illegittimità costituzionale non dell’intero complesso normativo, che continua a consentire la reiterazione dei vincoli, ma esclusivamente della mancata previsione d’indennizzo in tutti i casi di permanenza del vincolo urbanistico preordinato all’espropriazione o comportante l’assoluta inedificabilità oltre i limiti di durata fissati dal legislatore ove non risulti, in modo inequivocabile, l’inizio della procedura espropriativa. La Corte non giunge a fissare i criteri per la concreta liquidazione del quantum dell’indennizzo anche se pone le premesse per la loro definizione. Ravvisata nella procedura di determinazione del risarcimento una serie di variabili che sostanzialmente pongono la diminuzione di valore a seguito della reiterazione del vincolo in rapporto diverso con l’indennizzo relativo alla perdita della proprietà del bene, la Corte afferma che l’indennizzo per il protrarsi del vincolo è un ristoro non necessariamente integrale od equivalente al sacrificio, per una serie di pregiudizi che si possono verificare a danno del titolare del bene immobile colpito. Esso deve essere commisurato al mancato uso normale del bene ovvero alla diminuzione di prezzo di mercato rispetto alla situazione giuridica antecedente alla pianificazione che ha imposto il vincolo. Se spetta al legislatore ordinario fissare i criteri per l’indennizzo la Corte non esclude che, anche in caso di mancanza di tale intervento, il giudice competente sulla richiesta di indennizzo, una volta accertato che i vincoli imposti in materia urbanistica abbiano carattere espropriativo, possa ricavare dall’ordinamento le regole per la liquidazione di obbligazioni indennitarie, nella specie considerandole come obbligazioni derivanti dal pregiudizio subito a causa della rinnovazione o del protrarsi del vincolo. Le modalità di calcolo dell’indennizzo sono disciplinate dall’art. 39, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327. Si tratta di una normativa transitoria in attesa del T.U. sulla programmazione urbanistica attuativa. Il vincolo reiterato deve essere indennizzato attraverso la corresponsione di una indennità commisurata all’entità del danno effettivamente prodotto valutato in base al tempo della reiterazione. L’atto che reitera il vincolo deve prevedere la corresponsione dell’indennizzo. Il problema che si pone è se una variante generale di piano comporti la reiterazione del vincolo anche in presenza di mutamenti programmatori. 522 ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITÀ Si tratta evidentemente di verificare volta per volta se sostanzialmente il vincolo viene reiterato. Qualora l’amministrazione non provveda il privato può inoltrare domanda documentata di pagamento e corrispondere l’importo entro i successivi trenta giorni, pena la decorrenza degli interessi legali. Competente all’impugnazione della determinazione dell’indennizzo o a decidere in presenza di un silenzio dell’amministrazione sulla domanda è la Corte di appello. L’indennità è autonoma rispetto a quella corrisposta per un successivo esproprio. Per alcuni autori l’indennizzo dopo il sesto anno è commisurato all’interesse sulla futura indennità di esproprio. La dottrina lamenta come nel D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 manchi la possibilità per i proprietari di monetizzare destinazioni pubbliche con destinazioni private, operando attraverso comparti, perequazioni, trasferimenti di cubatura, accordi sulle aree da cedere o addirittura eseguendo essi stessi le opere pubbliche. Tale normativa evidentemente avrebbe costituito un eccesso di deroga anche se la giurisprudenza ha riconosciuto legittime le forme di perequazione contenute nella normativa di piano regolatore generale. G. SAPORITO, Pronto anche il testo unico degli espropri, in Ed terr. 2001, n. 23, 42. Vi sono, però, alternative al sistema degli indennizzi dei vincoli. La dottrina propone la fissazione di un indice virtuale di edificabilità per le aree ricadenti in ogni singolo comprensorio, dividendo la cubatura complessivamente consentita dal piano regolatore nel comprensorio per il numero dei metri quadri dell’intera superficie interessata dal comprensorio medesimo. In tal modo si identifica il diritto ad edificare di ogni singolo proprietario.

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Questo diritto reso commerciabile fra i privati e tra i privati e la pubblica amministrazione a prezzi concordati consentirebbe l’attuazione automatica del piano regolatore. Al legislatore restano da disciplinare le procedure coattive di attuazione del piano in caso di inottemperanza dei privati a realizzare le sue previsioni. G. D’ANGELO, Regime giuridico delle aree fabbricabili: necessità ed urgenza di una riforma legislativa, in Riv. giur. ed. 1999, 1184. 13. La dichiarazione di pubblica utilità. La dichiarazione di pubblica utilità costituisce un subprocedimento necessario che definisce una qualificazione giuridica del bene, rendendolo oggetto del procedimento ablatorio. Alla sua emanazione provvede l’autorità competente al procedimento ablatorio, ma essa può essere sollecitata dal soggetto anche privato che è interessato alla realizzazione dell’opera pubblica predisponendo gli elaborati previsti dall’art. 16, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327. La dichiarazione di pubblica utilità può essere emanata sulla base di diversi atti formali purché l’opera prevista sia conforme alle previsioni dello strumento urbanistico o della sua variante. Riprendendo quanto affermato dalle disposizioni normative in materia di pianificazione che attribuiscono efficacia di dichiarazione di pubblica utilità all’approvazione degli strumenti urbanistici attuativi l’art. 12, primo comma, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, contempla fra gli atti che comportano la dichiarazione di pubblica utilità: l’approvazione del progetto definitivo dell’opera pubblica, il piano particolareggiato, il piano di lottizzazione, il piano di COMMENTO 523 recupero urbano, il piano di ricostruzione, il piano delle aree da destinare a insediamenti produttivi e il piano di zona. Tale effetto non è riconosciuto agli strumenti urbanistici generali, ma a quelli attuativi ai quali è espressamente attribuita tale qualità al momento della loro approvazione, come, ad esempio, al piano particolareggiato o al piano di zona per l’edilizia economico popolare. Cass. civ., sez. I, 11 giugno 1993, n. 6546, in Giust. civ. Mass. 1993, 1024. La corrispondenza fra pianificazione urbanistica e dichiarazione di pubblica utilità deve essere piena. Il potere conformativo attribuito ai piani urbanistici non consente una localizzazione contrastante con la zonizzazione senza un preventivo adeguamento delle disposizioni di piano. T.A.R. Emilia Romagna, Bologna, sez. I, 8 gennaio 1997, n. 4, in T.A.R. 1997, 1010. 14. Termini. Proroga. Il limite all’emanazione della dichiarazione di pubblica utilità è la decadenza del vincolo quinquennale dal momento dell’approvazione dello strumento urbanistico generale; mentre per le aree interessate dalla pianificazione attutiva il limite è la relativa scadenza dei piani, ad esempio, decennale per il piano particolareggiato, ex art. 13, primo comma, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327. Il provvedimento che comporta la dichiarazione di pubblica utilità può stabilire il termine entro il quale il decreto di esproprio deve essere eseguito. Manca la distinzione fra scadenza relativo alle espropriazioni e scadenza relativo ai lavori che caratterizzava la dizione dell’art. 13, L. 25 giugno 1865, n. 2359 e che comportava la dichiarazione di illegittimità nel caso di mancata indicazione espressa dei termini, distintamente per le due attività. Cons. Giust. Amm. Sicilia, sez. giurisd., 28 gennaio 1998, n. 21, in Foro Amm. 1998, 1147. Se manca l’espressa determinazione del termine di esecuzione del decreto di esproprio esso può essere eseguito entro il termine di cinque anni, decorrente dalla data in cui diventa efficace l’atto che dichiara la pubblica utilità dell’opera. A differenza del disposto dell’art. 13, L. 25 giugno 1865, n. 2359, viene richiesta unicamente l’indicazione del termine finale premesso che il termine iniziale è determinato automaticamente fino alla scadenza della possibilità di emettere la dichiarazione di pubblica utilità. Cons. St., sez. IV, 24 ottobre 1997, n. 1228, in Urb. app. 1998, 201. Cons. St., sez. IV, 17 aprile 1998, n. 645, in Foro amm. 1998, 1034. Cons. St., sez. IV, 16 ottobre 1998, n. 1313, in Riv. giur. ed. 1999, 330. L’art. 13, quinto comma, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, consacra il principio fissato dalla giurisprudenza che consente la proroga dei termini nei casi di forza maggiore e per altre giustificate ragioni.

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I requisiti della proroga sono tassativi; essa deve essere disposta prima della scadenza del termine e non avere durata maggiore dei due anni. La giurisprudenza ha in precedenza ammesso la proroga dei termini che doveva essere, secondo i principi generali, congruamente motivata e approvata prima della scadenza. 524 ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITÀ È stato affermato che i termini possono essere prorogati per i casi di forza maggiore e per altri motivi indipendenti dalla volontà dell’espropriante, ma sempre fissando la relativa scadenza; l’inadeguata motivazione è fonte di illegittimità del relativo provvedimento. Non può ammettersi una proroga implicita del termine per l’espropriazione, da desumersi dalla sola proroga del termine per l’inizio ed il compimento dei lavori. Cons. Stato, sez. IV, 21 luglio 1997, n. 724, in Cons. Stato 1997, 1008. Cons. Stato, sez. IV, 8 ottobre 1985, n. 416, in Riv. giur. ed. 1986, 189. Solo in presenza di un accertato sopravvenuto evento che abbia rappresentato un obiettivo impedimento al completamento del procedimento ablatorio si può giustificare la proroga che rappresenta altrimenti una ingiustificata ulteriore compressione al diritto dei proprietari. La proroga dei termini già scaduti è illegittima poiché essa è in conflitto col principio costituzionale, fissato dall’art. 42 Cost., che prevede per la proprietà solo limiti a tempo determinato o comunque oggetto di indennizzo. È, invece, esclusa la possibilità di regolarizzazione di un provvedimento, nel quale sia omessa l’indicazione dei termini per l’inizio e il compimento dei lavori e delle procedure espropriative. Cons. Stato, Ad. Pl., 26 agosto 1991, n. 6, in Riv. amm. 1991, 1800. Con. Stato, sez. IV, 15 aprile 1997, n. 395, in Foro amm. 1997, 1069. Cass. civ., Sezioni Unite, 4 marzo 1997, n. 1907, in Riv. giur. ed. 1997, 504. L’atto amministrativo può naturalmente essere rinnovato. In tal caso la dichiarazione di pubblica utilità deve contenere una nuova indicazione dei termini svincolati da quelli originari, impone la riproduzione di tutti gli atti successivi alla precedente dichiarazione, secondo l’ordine logico del procedimento espropriativo, ma non anche di quelli precedenti. Trib. sup. acque, 29 novembre 1997, n. 84, in Cons. Stato 1997, II, 1829. Cons. Stato, sez. IV, 14 luglio 1997, n. 715, in Foro amm. 1997, 1941. 15. Impugnazione. Il subprocedimento è automaticamente impugnabile, senza necessità di attendere il successivo decreto di espropriazione. Il ricorso è teso ad acclarare la legittimità del procedimento di esproprio nella fase programmatoria che deve essere seria ed attendibile: La giurisprudenza ha affermato che è illegittima l’espropriazione di aree di proprietà privata non necessarie a soddisfare le attuali esigenze di pubblico interesse ma finalizzate ad obiettivi di là da venire per i quali non sussiste al momento alcuna progettazione neppure di larga massima e tanto meno l’impegno delle necessarie risorse finanziarie. T.A.R. Piemonte, sez. II, 4 aprile 1997, n. 180, in Foro amm. 1997, 3150. Nell’impugnazione non si può censurare il merito del provvedimento a meno che il vizio si manifesti nella assoluta carenza di logicità delle scelte effettuate dall’amministrazione. Così, ad esempio, la scelta delle aree da espropriare è rimessa all’apprezzamento della pubblica amministrazione e non è sindacabile in sede di giurisdizione di legittimità, salvo che il giudice non consideri l’illogicità ovvero l’inutilità ictu oculi della scelta effettuata. Cons. Stato, sez. IV, 14 luglio 1997, n. 715, in Cons. Stato 1997, I, 1002. COMMENTO 525 La giurisprudenza ha ammesso la possibilità di verificare la disponibilità finanziaria dell’amministrazione al fine della realizzazione dell’opera. Cons. Stato, sez. IV, 2 febbraio 1998, n. 147, in Foro amm. 1998, 332. Gli effetti della dichiarazione di pubblica utilità si riflettono sugli atti successivi del procedimento che perdono di conseguenza efficacia, anche se non sono stati impugnati. L’annullamento in sede giurisdizionale della dichiarazione di pubblica utilità dell’opera ha, infatti, effetti caducanti e non già invalidanti sugli atti ablatori successivamente assunti, quali il decreto di occupazione o il decreto di espropriazione, anche se non impugnati. T.A.R. Abruzzo, sez. Pescara, 10 aprile 1997, n. 172, in Foro amm. 1997, 3214. Sotto il profilo sostanziale la compressione effettuata dal procedimento espropriativo non estingue il diritto del proprietario.

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Il termine di impugnazione della dichiarazione di pubblica utilità differisce a seconda che essa provenga ex lege o sia esplicita. Qualora venga approvato uno strumento urbanistico la dichiarazione implicita di pubblica utilità deve essere impugnata avendo a riferimento i termini per la approvazione, mentre nel caso di dichiarazione esplicita il termine decorre dal momento della notifica del provvedimento. T.A.R. Puglia, sez. I, Bari, 30 maggio 1997, n. 375, in Foro amm. 1998, 555. 16. Determinazione dell’indennità provvisoria di esproprio. Atto preparatorio indispensabile all’emanazione del decreto di esproprio è la determinazione dell’indennità provvisoria. Successivamente all’efficacia dell’atto che dichiara la pubblica utilità − l’art. 20, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, indica un termine di 30 giorni che è da ricollegarsi alla durata quinquennale indicata dall’art. 13, quarto comma, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 − il responsabile del procedimento dell’ente promotore dell’espropriazione deve compilare l’elenco dei beni da espropriare con una descrizione sommaria e dei relativi proprietari, indicando le somme che offre come indennità di esproprio. L’atto è notificato con le forme degli atti processuali civili, ex art. 20, primo comma, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327. Il proprietario può, nei trenta giorni successivi, proporre osservazioni sui valori attribuiti ai beni espropriati. L’autorità accerta successivamente, in via provvisoria, la misura dell’indennità d’esproprio, ex art. 20, terzo comma, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327. Il proprietario ha due alternative: o accetta e addiviene alla cessione bonaria del bene o non accetta. La mancata accettazione dell’indennità proposta comporta la riduzione del 40% dell’indennità provvisoria se l’area è edificabile, ex art. 20, decimo comma, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327. Il responsabile del procedimento deve depositare la somma offerta entro trenta giorni presso al Cassa depositi e prestiti, ex art. 20, decimo comma, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327. L’indennità provvisoria non è soggetta ad impugnazione dovendosi attendere la determinazione dell’indennità definitiva. 526 ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITÀ 17. La cessione bonaria. Se il proprietario accetta, l’amministrazione espropriante è obbligata a concludere l’accordo di cessione del bene, che comporta per il proprietario i benefici economici previsti dall’art. 45, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327: − nel caso di indennizzo riguardante un’area edificabile non ha luogo la riduzione del 40%; − nel caso di indennizzo riguardante una costruzione legittima compete il valore venale ( non c’è aumento); − nel caso di indennizzo riguardante un’area non edificabile il valore agricolo di cui all’art. 40, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, è aumentato del 50 per cento; − nel caso di indennizzo riguardante un’area non edificabile coltivata dal proprietario il valore agricolo è moltiplicato per tre. L’accettazione deve essere effettuata entro i trenta giorni dalla notifica della proposta, ex art. 20, quinto comma, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327. La scadenza di tale termine segna la fine di ogni procedimento alternativo a quello di esproprio che resta l’unico possibile, in quanto non si ravvisa la possibilità di realizzare in termini successivi l’accordo bonario di cessione del bene. È evidente che gli effetti si ripercuotono anche nei confronti del responsabile del procedimento qualora esso acquisisca il bene senza procedere agli adempimenti procedimentali richiesti. 18. Determinazione urgente dell’indennità provvisoria. L’indennità provvisoria può essere determinata in casi di particolare urgenza senza specifiche indagini e formalità, art. 22, primo comma, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327. Il procedimento in tal caso permette la tempestiva emanazione del decreto di esproprio consentendo l’immissione nel possesso prima delle stesse determinazioni del proprietario sull’indennità proposta. Tale procedura si sostituisce al procedimento dell’occupazione d’urgenza, garantendo, a differenza di quest’ultima, la corresponsione dell’indennità che, nel caso di accettazione della

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proposta dell’amministrazione, è effettuata entro sessanta giorni dall’accettazione. 19. Il pagamento o deposito dell’indennità. La notifica dell’atto che determina l’indennità provvisoria comporta nel termine di trenta giorni il pagamento o il deposito dell’indennità al proprietario, purché questo assuma ogni responsabilità in ordine ai diritti di terzi, e può essere richiesta idonea garanzia; in caso contrario l’indennità provvisoria deve essere depositata presso la Cassa depositi e prestiti, ex art. 26, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327. 20. Determinazione dell’indennità definitiva. Contestualmente al deposito della indennità provvisoria il responsabile del procedimento deve richiedere entro venti giorni al proprietario se intende avvalersi del procedimento di COMMENTO 527 determinazione dell’indennità a mezzo di periti, previsto dall’art. 21, secondo comma, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327. Successivamente all’esperimento di determinazione dell’indennità a mezzo periti il responsabile trasmette la determinazione dell’indennità al proprietario, che ha trenta giorni per prenderne visione, e deposita l’indennità presso la cassa depositi e prestiti. Se, invece, il proprietario non richiede il procedimento di determinazione a mezzo periti l’indennità è richiesta dall’amministrazione alla commissione provinciale di cui all’art. 41, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, ex art. 21, quattordicesimo comma, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327. L’autorità espropriante dà notizia mediante raccomandata all’espropriato del deposito della relazione di stima che costituisce la determinazione definitiva dell’indennità di esproprio e ha tempo trenta giorni dalla notizia del deposito per autorizzare il pagamento dell’indennità ovvero per ordinarne il deposito presso la Cassa depositi e prestiti. 21. Il calcolo dell’indennità per area edificabile. Il sistema del calcolo dell’indennità è stato razionalizzato, seguendo le indicazioni giurisprudenziali che hanno dichiarato incostituzionale il sistema di indennizzo basato sul valore agricolo medio formulato dalla L. n. 865/1971. Rimane, quindi, la distinzione introdotta in via provvisoria dall’art. 5 bis della L. n. 359/1992 fra aree edificabili e aree non edificabili. L’indennità di espropriazione di un’area edificabile è determinata nella misura pari all’importo, diviso per due e ridotto del quaranta per cento, equivalente alla somma del valore venale del bene e del reddito dominicale netto, rivalutato ai sensi degli artt. 24 ss., D.L.vo 22 dicembre 1986, n. 917, e moltiplicato per dieci, art. 37, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327. Nonostante la Corte costituzionale abbia finora non accolto la dichiarazione di incostituzionalità della riduzione del 40%, Corte cost. ord. 19 luglio 2000, n. 300, la riduzione non si applica, oltre che nel caso di accettazione dell’indennità da parte dell’espropriando, qualora la cessione non sia stata conclusa per fatto non imputabile al proprietario o perché a questo sia stata offerta una indennità provvisoria che, attualizzata, risulti inferiore agli otto decimi di quella determinata in via definitiva. 21.1. Le possibilità legali ed effettive di edificazione. Requisiti. L’area è edificabile se sussistono le possibilità legali ed effettive di edificazione, valutando le caratteristiche oggettive dell’area, art. 37, sesto comma, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327. Le possibilità legali di edificazione non sussistono qualora l’area sia sottoposta a inedificabilità assoluta in base alla normativa o ad un atto di pianificazione territoriale, art. 37, quarto comma, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327. Il criterio dell’edificabilità di fatto ricorre in difetto della disciplina legale, in assenza cioè di un vigente piano regolatore generale o in caso di decadenza del vincolo quinquennale. 528 ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITÀ Le caratteristiche dell’edificabilità di fatto sono valutate in base alla effettive possibilità di edificazione fino alla redazione del regolamento demandato al Ministero LLPP, art. 37, quinto comma, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327. In carenza di regolamento valgono i criteri interpretativi fissati dalla giurisprudenza in primis, l’area può appartenere solo a queste due categorie: o è edificabile o non lo è. L’art. 5 bis, L. 8 agosto 1992, n. 359 ha introdotto una generale ed incondizionata bipartizione dei suoli, agricoli ed edificabili, che non ammette figure intermedie, ed è associata ad

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una verifica oggettiva e non legata a valutazioni opinabili, che può essere data solo dalla classificazione urbanistica dell’area in considerazione. Ne consegue che non può essere classificata come edificabile un’area che gli strumenti urbanistici non preordinati alla espropriazione assoggettino a vincolo di inedificabilità, o alla quale gli stessi attribuiscano destinazione agricola, dovendo, in tal caso, la relativa indennità di espropriazione essere determinata secondo il criterio agricolo tabellare di cui agli artt. 16 ss. della L. n. 865 del 1971. Al contrario, ove il piano regolatore o il programma di fabbricazione o altri strumenti equivalenti prevedano l’edificabilità della zona in cui è ubicato l’immobile, siffatta destinazione legale è sufficiente ad imprimere allo stesso detta qualità. Cass. civ., sez. I, 19 settembre 2000, n. 12408, in Giust. civ. Mass. 2000, 1956. Seguendo quanto previsto dal Min. Fin. circ. 10 ottobre 1995, n. 271/T, che si rifà all’indirizzo espresso dalla Corte cost. 16 dicembre 1993, n. 442, l’indirizzo giurisprudenziale prevalente afferma che per il riconoscimento della natura edificatoria del terreno non è necessario che ricorrano le due condizioni della edificabilità legale e della edificabilità di fatto. La norma viene intesa nel senso che anche una sola delle due condizioni sia sufficiente per considerare edificabile il terreno. L’inclusione di un terreno nella cosiddetta «zona omogenea», destinata dal piano regolatore generale alla espansione edilizia, ne comporta il riconoscimento, tout court, della natura edificatoria, indipendentemente da ogni ulteriore valutazione in ordine alle concrete condizioni di fatto del bene, che assumono rilevanza esclusiva nella sede della determinazione concreta dell’indennità di espropriazione. Si deve, in tal caso, tenere conto delle specifiche caratteristiche del suolo, influenti sull’apprezzamento economico di mercato, quali la posizione di contesto, le eventuali prescrizioni di distanze da costruzioni limitrofe o infrastrutture pubbliche, l’esistenza di opere di urbanizzazione, l’incidenza differenziata degli oneri di urbanizzazione, ecc., non dovendo in alcun modo concorrere, con il requisito della edificabilità legale, l’ulteriore, positivo accertamento di fatto circa le oggettive e concrete possibilità di edificazione dell’area espropriata. Cass. civ., sez. I, 28 agosto 1998, n. 8570, in Giust. civ. Mass. 1998, 1800. Né limita le possibilità edificatorie dell’area il fatto che la sua edificazione sia condizionata all’approvazione di strumenti attuativi. Lo strumento urbanistico attuativo, ancorché previsto dal piano regolatore generale, è necessario solo quando si tratta si asservire un’area non ancora urbanizzata (o parzialmente urbanizzata) ad un insediamento di carattere residenziale, mediante la costruzione di uno o più fabbricati che obiettivamente esigono, per il loro armonico raccordo con il preesistente aggregato abitativo, la realizzazione ed il potenziamento delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria. Nel caso di specie non è, pertanto, stato ritenuto applicabile ad area collocata all’interno di zona omogenea classificata come totalmente edificata «B1» l’even- COMMENTO 529 tuale disposizione del p.r.g. (nella specie quella del Comune di Ovada) che preveda l’edificabilità di aree, divenute libere in seguito alla cessazione di attività produttiva, solamente attraverso piani esecutivi obbligatori, con la conseguenza che, ai fini del calcolo dell’indennità d’espropriazione, il valore dell’area va determinato in base all’indice fondiario della zona in cui essa è collocata. Cass. civ., sez. I, 12 gennaio 2000, n. 277, in Giust. civ. Mass. 2000, 47. Per i proprietari coltivatori diretti l’art. 37, nono comma, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, prevede che l’area edificabile utilizzata per scopi agricoli sia indennizzata con una somma pari al valore agricolo medio corrispondente al tipo di coltura effettivamente praticato (quindi anche detta area deve considerarsi edificabile pur priva di opere di urbanizzazione). L’art. 37, settimo comma, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, ispirandosi al principio per il quale non può essere riconosciuta ad un soggetto una indennità di esproprio che abbia un valore superiore a quello dichiarato dalla stesso soggetto ai fini fiscali, prevede che l’indennità di esproprio deve essere ridotta ad un importo pari al valore denunciato nell’ultima dichiarazione ICI. Nel caso in cui il proprietario abbia dichiarato ai fini dell’ICI un maggior valore rispetto all’indennità corrispostagli, gli è dovuta una maggiorazione pari alla differenza fra l’importo dell’imposta pagata dall’espropriato, con riferimento all’ultimo quinquennio, e quello risultante dal computo dell’imposta effettuato sulla base dell’indennità, unitamente agli interessi legali, ex art. 37, ottavo comma, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327.

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21.2. Le aree del piano per l’edilizia economica e popolare. Con riguardo ad espropriazioni disposte per l’attuazione di un piano per l’edilizia economica e popolare non sussiste il problema della natura edificabile dell’area nell’ipotesi in cui l’inclusione di un’area nel piano di zona sia conseguenziale, perché meramente attuativa, di una previsione di p.r.g. In tal caso non si avranno modifiche nella destinazione urbanistica dell’area, né, di conseguenza, sulla sua valutazione ai fini del calcolo dell’indennità di espropriazione, non essendovi variazione sotto il profilo urbanistico, dato il carattere di edificabilità attribuito all’area già anteriormente alla pianificazione dell’intervento di edilizia sociale. Cass. civ., sez. I, 5 maggio 1998, n. 4498, in Giust. civ. Mass. 1998, 929. La giurisprudenza ha risolto invece il problema della natura edificabile dell’area nel caso in cui precedentemente all’approvazione del piano di zona il terreno abbia avuto destinazione non residenziale. La giurisprudenza ha stabilito che nella valutazione della natura edificabile del terreno secondo diritto, ai fini espropriativi − o ai fini risarcitori in una fattispecie di accessione acquisitiva − l’indicazione, contenuta nel p.e.e.p., di un terreno con riferimento alla sua destinazione all’edilizia economica e popolare è, di per sé, elemento giustificativo del carattere edificatorio ex lege del bene, sia pur nei limiti consentiti dal p.e.e.p. stesso. Non è, quindi, sufficiente fare riferimento al p.r.g. nella sua originaria formulazione (nel quale il terreno in questione sia eventualmente collocato in zona agricola), ma occorre anche tenere presente la destinazione che quel terreno abbia assunto nel p.e.e.p., che del p.r.g. o del piano di fabbricazione costituisce variante, ed in base ad esso riconoscerne la natura edificatoria e valutarne le caratteristiche. Cass. civ., sez. I, 21 settembre 1999, n. 10183, in Giust. civ. Mass. 1999, 1993. 530 ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITÀ

L’indennità di espropriazione dovuta − in base al criterio di cui all’art. 5 bis, L. 8 agosto 1992, n. 359 − con riferimento ad un terreno la cui edificabilità legale risulti dal piano di zona che abbia per esso previsto la destinazione ad edilizia economica e popolare, il valore venale del bene, secondo il criterio analitico deduttivo, deve essere determinato tenendo conto dell’indice di edificabilità previsto dal suddetto piano o, comunque, ad esso applicabile. Allo stesso criterio deve aversi riguardo per il computo degli oneri di urbanizzazione e per la valutazione dei tempi di realizzazione, da calcolarsi sulla base delle realizzazioni imposte dall’attuazione del piano, mentre del tutto illegittimo risulta il riferimento alla media di due diversi indici di edificabilità stabiliti per aree limitrofe. Cass. civ., sez. I, 18 aprile 1998, n. 3948, in App. urb. Ed. 1999, 364. Al fine di definire l’eventuale edificabilità dell’area si deve prescindere dalle limitazioni che derivino da misura di salvaguardia introdotte da norme regionali fino alla revisione con piani particolareggiati dei piani regolatori anteriori, atteso che il suddetto piano per l’edilizia va incluso fra i piani particolareggiati, i quali segnano il venire meno delle indicate misure temporanee. Cass. civ, sez. I, 22 novembre 2000, n. 15073, in Giust. civ. Mass. 2000, 2409. 22. Il calcolo dell’indennità per area non edificabile. Sono considerate come aree non edificabili quelle colpite da vincolo di inedificabilità assoluta, oltre che le aree agricole, quelle, ad esempio, destinate a verde nel piano regolatore generale anche qualora ad esse sia attribuito un modesto indice di fabbricazione per la realizzazione di strutture di servizio al verde, che sia espropriata per la realizzazione di un parco comunale, con progetto approvato, costituente vincolo preordinato all’esproprio. Cass. civ., sez. I, 16 novembre 2000, n. 14851, in Giust. civ. Mass. 2000, 2343. In tema di determinazione della indennità di esproprio, i terreni non legalmente edificabili, anche se suscettibili di una utilizzazione differente da quella agricola, devono essere valutati secondo parametri omogenei a quelli adottati per i terreni agricoli, non potendosi più sostenere, a seguito dell’intervento della Corte costituzionale con la sentenza n. 261 del 1997, la esistenza di un tertium genus, oltre quelli delle aree edificabili e delle aree agricole. Né assume, di per sé, alcun rilievo, in contrario, la circostanza che i terreni in questione, originariamente compresi, in base agli strumenti urbanistici, nella Zona E (agricola), abbiano successivamente ottenuto, in sede di variante al p.r.g., l’attribuzione della destinazione urbanistica Fb (attrezzature di interesse comprensoriale), ove tali attrezzature non siano idonee a far sorgere possibilità legali di edificazione, in assenza, tra l’altro, di un piano comunale particolareggiato. Cass. civ., sez. I, 15 febbraio 2000, n. 1684, in Giust. civ. Mass. 2000, 342.

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Qualora l’area espropriata non sia integralmente compresa nella zona omogenea di espansione urbana, rientrando parzialmente nella contigua zona a destinazione agricola; non può riconoscersi, valorizzando la situazione di fatto, anche per quest’ultima porzione il carattere decisamente edificatorio. La giurisprudenza afferma che la zonizzazione degli strumenti urbanistici conforma il diritto di proprietà delle aree comprese nelle differenziate zone omogenee, anche in funzione della suscettività edificatoria dei suoli; sicché, ai fini della determinazione dell’indennità di espropriazione, non può essere riconosciuta l’edificabilità di un’area (valutata in rapporto a speciali condizioni di fatto) in contrasto con la disciplina COMMENTO 531 urbanistica che neghi una tale utilizzazione del suolo, soccorrendo il criterio dell’edificabilità di fatto soltanto in difetto della disciplina legale, in assenza cioè di un vigente piano regolatore generale. Cass. civ., sez. I, 9 giugno 2000, n. 7874, in Giust. civ. 2000, 1258. L’art. 40, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, prevede che l’area non edificabile sia indennizzata con una somma pari al valore agricolo medio corrispondente al tipo di coltura effettivamente praticato. In tal caso si deve tenere conto del valore dei manufatti edilizi legittimamente realizzati per l’esercizio dell’azienda agricola. L’indennità è definita dalla commissione regionale competente per la relativa provincia, ex art. 41, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327. Al proprietario coltivatore diretto o imprenditore a titolo principale spetta una ulteriore indennità aggiuntiva determinata nella stessa maniera della precedente. Spetta una analoga indennità aggiuntiva, ex art. 42, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, al fittavolo o al compartecipante che, per effetto della procedura espropriativa sia costretto ad abbandonare l’area coltivata almeno un anno prima della dichiarazione di pubblica utilità. 22.1. Il calcolo dell’indennità per area edificata. L’art. 38, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, nel caso di espropriazione di una area edificata determina l’indennità in misura pari al valore venale dell’immobile. L’art. 16, nono comma, L n. 865/1971, distingueva fra valore dell’area, computata secondo il valore agricolo, ed il valore dell’edificio calcolato al valore venale. Tale criterio vale nel caso in cui la costruzione sia stata realizzata con regolare concessione. In caso contrario l’indennità è determinata solo con riferimento al valore dell’area secondo il principio prima vigente. La giurisprudenza ha confermato che il criterio di determinazione dell’indennità di espropriazione, stabilito dall’art. 16, nono comma, ultima parte della L. 22 ottobre 1971, n. 865, ha carattere inderogabile e natura sanzionatoria, concorrente con la demolizione e non conseguenziale ad essa. Cass. civ., sez. I, 7 dicembre 1999, n. 13656, in Giust. civ. 2000, I, 2020. 23. I presupposti per l’emanazione del decreto di esproprio. L’art. 6, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, attribuisce al dirigente dell’ufficio espropriazioni l’emanazione del provvedimento conclusivo del procedimento. Il decreto di esproprio è, quindi, emanato da un organo della stessa autorità competente alla realizzazione dell’opera. Il decreto è atto necessario per acquisire legittimamente un bene soggetto al procedimento ablatorio in caso contrario l’amministrazione che abbia occupato un bene deve procedere ad emanare l’atto di acquisizione corrispondendo il relativo risarcimento ex art. 43, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327. L’art. 23, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, fissa i presupposti per la legittima emanazione del decreto di esproprio che rende indenne la pubblica amministrazione emanante da ogni eventuale responsabilità contabile: 532 ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITÀ a) il decreto deve essere emanato nei termini di validità della dichiarazione di pubblica utilità (quinquennale dalla emanazione del vincolo o decennale dall’approvazione di piano particolareggiato o fissato nell’atto che dichiara la p.u.); b) deve essere emanato nell’ambito dei termini di validità del vincolo preordinato all’esproprio; c) l’indicazione della indennità provvisoria o urgente e gli estremi del pagamento del deposito presso la cassa depositi e prestiti; d) deve dare menzione dell’eventuale della nomina dei tecnici per l’emanazione dell’indennità

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definitiva; e) deve dare atto della sussistenza dei presupposti per la determinazione urgente della indennità provvisoria. Il decreto comporta il trasferimento del bene all’espropriante con la perdita di ogni diritto su di esso da parte dell’espropriato, anche nel caso in cui quest’ultimo abbia impugnato la determinazione dell’indennizzo. Ogni diritto dell’espropriato, infatti, può essere fatto valere, da tale momento, solo in rapporto alla determinazione dell’indennizzo. Il decreto deve essere notificato ai proprietari nelle forme degli atti processuali civili con l’indicazione Il decreto deve essere trascritto presso il competente ufficio dei registri immobiliari, ai sensi dell’art. 23, secondo comma, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327. Esso è presentato al catasto per la voltura agli effetti fiscali. Il decreto di espropriazione non è atto recettizio, ossia non deve pervenire al destinatario per produrre gli effetti suoi propri. La notifica non è, infatti, elemento essenziale del decreto anche se essa produce l’effetto di fare scattare i termini per l’impugnazione, che altrimenti restano sospesi. Cass. civ., sez. I, 20 novembre 1998, n. 11730, in Riv. giur. ed. 1998, 258. La Suprema Corte ha precisato che la mancata notifica del decreto di esproprio al proprietario effettivo, che non risulti tale dalla documentazione catastale, impedisce il decorso del termine di decadenza per l’opposizione alla stima, ma non costituisce motivo di carenza del potere espropriativo. La mancata notifica non è motivo di legittimità del procedimento ablatorio che legittimi il proprietario a chiedere il risarcimento del danno corrispondente al valore del bene, producendosi viceversa l’effetto traslativo della proprietà alla mano pubblica. Cass. civ., sez. I, 28 agosto 1998, n. 8580, in Giust. civ. Mass. 1998, 1803. L’art. 24, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, fissa il termine perentorio di due anni per l’esecuzione del decreto di esproprio: essa avviene con il verbale di immissione di possesso, secondo le precedenti indicazioni giurisprudenziali. Il provvedimento ablativo non determina, ex se, un mutamento dell’animus rem sibi habendi in animus detinendi in capo al proprietario espropriato, il quale, pertanto, può del tutto legittimamente invocare, nel concorso delle condizioni di legge, il compimento in suo favore dell’usucapione tutte le volte in cui (come nella specie) alla dichiarazione di pubblica utilità non siano seguiti né l’immissione in possesso, né l’attuazione del previsto intervento urbanistico da parte dell’espropriante, del tutto irrilevante manifestandosi, ai fini de quibus, l’acquisita consapevolezza dell’esistenza dell’altrui diritto dominicale. Cass. civ., sez. I, 22 aprile 2000, n. 5293, in Corr. giur. 2000, 1188 nota NASTI. COMMENTO 533 In tal caso il decreto decade e la procedura deve essere rinnovata, salvi gli effetti dell’indennità eventualmente corrisposta e depositata. La descrizione di beni espropriati deve essere effettuata redigendo stato di consistenza prima o dopo l’immissione nel possesso, ex art. 24, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327. 24. Le procedure di verifica e di controllo. Nell’attribuire al governo il compito di delegificare le norme procedimentali, l’art. 20, quinto comma, lett. g), L. n. 59/1997 esprime come uno dei criteri a cui deve uniformarsi l’azione riformatrice quello di individuare le responsabilità e le procedure di verifica e di controllo. L’art. 14, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, prevede delle procedure di verifica tendenti a costituire presso il Ministero LLPP per le opere di competenza statale e presso l’ufficio del presidente della regione per le opere di competenza regionale un archivio degli elenchi degli atti da cui deriva la dichiarazione d pubblica utilità. In particolare l’autorità espropriante deve notiziare l’ufficio dello stato del procedimento di esproprio tre mesi prima della scadenza degli effetti della dichiarazione di pubblica utilità; della regolare esecuzione del decreto di esproprio e delle eventuali impugnazioni degli atti del procedimento ablatorio. Non vi è al momento alcuna norma che preveda forme di controllo diretto o sostituivo. 25. L’occupazione preliminare. La dottrina prevalente distingue fra occupazione preliminare, ossia un procedimento volto ad acquisire il bene, anticipando gli scopi dell’azione amministrativa ablatoria cui è correlato,

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e l’occupazione strumentale, intesa come l’occupazione temporanea avente effetti suoi propri compatibili con l’apprensione temporanea del bene. Il legislatore preunitario ha ipotizzato vari tipi di occupazione che hanno procedure ed effetti diversi. In alcuni casi le occupazioni sono autonome rispetto al procedimento di espropriazione e non necessariamente presuppongono effetti ablatori definitivi. In altre ipotesi le occupazioni sono preliminari al procedimento ablatorio, che deve necessariamente seguire dato che il bene oggetto di occupazione è destinato a diventare di proprietà dell’amministrazione. Le occupazioni d’urgenza hanno avuto un notevole sviluppo poiché sono state ricollegate ad una particolare dichiarazione di indifferibilità ed urgenza dei lavori, che non si basa su situazioni oggettivamente urgenti, ma su di una urgenza per così dire convenzionale, che è affermata a priori per situazioni tassativamente determinate dal legislatore. Le occupazioni preliminari sono, quindi, diventate la norma nel procedimento ablatorio creando l’occasione di numerose vertenze nel caso in cui l’occupazione diventi illegittima per il mancato rispetto dei termini o per eventuali illegittimità del procedimento. Il T.U. non ha più previsto le occupazioni preliminari consentendo solo le occupazioni cosiddette strumentali. 534 ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITÀ 26. L’occupazione strumentale. Caratteri. L’occupazione ha carattere strumentale quando il provvedimento serve a realizzare alcuni scopi dell’amministrazione in modo compatibile con le caratteristiche dell’immobile e per un periodo di tempo determinato; ad esempio, per rendere più agevole la realizzazione di un’opera pubblica ovvero per restaurare monumenti, ex art. 92, D.L.vo 29 ottobre 1999, n. 490. Il provvedimento non è teso ad acquisire la proprietà del bene, nel senso che non è subprocedimento autonomo di un procedimento di espropriazione. La funzione di tali provvedimenti è di consentire alla pubblica amministrazione determinati atti che non siano antitetici all’esercizio futuro del diritto di proprietà dell’immobile. L’attività della pubblica amministrazione può coesistere con l’attività del privato, in quanto non può essere attuata una trasformazione irreversibile del fondo. L’art. 49, primo comma, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, consente all’autorità espropriante di disporre solamente la occupazione temporanea di aree che non siano soggette al provvedimento espropriativo. L’autorità deve, però, dimostrare che il provvedimento è necessario per la corretta esecuzione dei lavori. L’art. 49, terzo comma, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, richiede come requisito fondamentale la redazione dello stato di consistenza dei luoghi occupati che deve essere fatta come termine ultimo al momento della immissione del possesso. Il verbale deve essere redatto in contraddittorio con il proprietario; questi può rifiutarsi di partecipare in tal caso è necessaria la presenza di due testimoni che non siano dipendenti del soggetto espropriante, ex art. 49, terzo comma, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327. La illegittimità del decreto comporta evidenti ripercussioni nella misura di determinazione dell’indennità che deve essere ragguagliata per ogni anno di occupazione ad un dodicesimo del valore venale dell’area e non al dodicesimo dell’indennità di esproprio. La caratteristica dell’attività dell’amministrazione è, quindi, quella di esplicare funzioni compatibili con l’esercizio del diritto di proprietà, diritto che trova un limite solo temporaneo nell’esercizio delle funzioni indicate dal provvedimento. Da parte del soggetto passivo viene esercitato un controllo sull’esecutore dell’opera pubblica, che non consente che il terreno occupato sia utilizzato in modi non indicati dal decreto di autorizzazione. Se questo utilizzo arreca danni che non sono previsti nella determinazione dell’indennità di occupazione del fondo, il proprietario può agire per ottenere il risarcimento del maggiore danno, ai sensi dell’art. 2043 c.c. 27. L’organizzazione del cantiere. L’imprenditore può richiedere di occupare temporaneamente beni privati sia per problemi organizzativi di cantiere sia per utilizzare materiali estratti dal fondo occupato al fine

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dell’esecuzione dell’opera. La disposizione ha come caratteristica il fatto che il provvedimento è teso a consentire l’esecuzione di un’altra opera che sia dichiarata di pubblica utilità. COMMENTO 535 Elementi costitutivi del decreto sono: 1) la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera pubblica cui l’occupazione è strumentale; 2) l’indicazione dei beni da occupare; 3) la durata dell’occupazione; 4) la descrizione degli eventuali materiali che si intendono utilizzare; 5) la determinazione dell’indennità. Oggetto del decreto può essere l’occupazione del fondo o per esigenze organizzative del cantiere ovvero per potere raggiungere più facilmente il luogo dove si deve realizzare l’opera pubblica; si pensi, ad esempio, ad un fondo intercluso. La valutazione della superficie occorrente per la realizzazione di un’opera pubblica, ai fini dell’occupazione temporanea dei terreni ritenuti al riguardo necessari, attiene a profili tecnico- discrezionali, come tali insindacabili in sede di legittimità. Sono censurabili i vizi logici del procedimento non congruamente motivati. È stato dichiarato illegittimo il provvedimento con il quale il Prefetto, trascurando i risultati dell’istruttoria compiuta dall’Ufficio del genio civile e senza alcuna motivazione, dispone l’occupazione della totalità delle aree private, senza tenere conto di un’altra area indicata e messa a disposizione dal proprietario interessato che avrebbe comportato la liberazione di una parte dei terreni occupati. Il provvedimento, infatti, risulta chiaramente ispirato alla finalità di risparmiare all’esecutore dell’opera pubblica, occupante sine titulo dei terreni, i disagi e le spese necessari per liberare la predetta parte dei terreni abusivamente occupati e per trasferire altrove i baraccamenti occorrenti alle maestranze occupate nei lavori. Cons. Stato, sez. IV, 22 dicembre 1970, n. 1015, in Mass. Cons. St. 1970, 797. I materiali devono essere utilizzati nelle quantità indicate dal decreto. L’utilizzo non deve comportare il mutamento irreversibile della destinazione del fondo; il proprietario ha diritto al risarcimento del danno subito non previsto nella determinazione dell’indennità, la cui entità coincide con il valore stesso del fondo. Si pensi all’ipotesi limite di uno scavo che impedisca, per l’eccessiva profondità, l’utilizzo agricolo del fondo e ne muti la destinazione d’uso. L’uso non può avere come oggetto una radicale trasformazione del fondo per esecuzione di un’opera pubblica, perché tali lavori non previsti possono consentire, in quanto eseguiti sine titulo, un’azione di manutenzione o reintegrazione del possesso, salvo il diritto del proprietario di ottenere il risarcimento dei maggiori danni. La facoltà di emanare il provvedimento di occupazione è alternativa alle azioni civili, di cui all’art. 843 c.c., che consentono l’accesso al fondo per realizzare una costruzione o per riparare una cosa comune. Cass. civ., sez. II, 2 ottobre 1992, n. 10837, in Giust. civ. mass. 1992. 28. La forza maggiore. L’occupazione nei casi di forza maggiore e di assoluta urgenza e considerata ancora realizzabile dall’art. 49, quinto comma, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327. Tale occupazione è da considerarsi strumentale. R. GIANOLIO, Le occupazioni d’urgenza 1963, 90 ss. 536 ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITÀ L’autorità competente può ordinare l’occupazione temporanea dei fondi, che occorrono per l’esecuzione delle opere necessarie, nell’eventualità di rottura di argini, di rovesciamenti di ponti e negli altri casi di forza maggiore e di assoluta urgenza. Elementi costitutivi del decreto che legittimano l’occupazione sono: − la sussistenza di un fatto contingente che sia straordinario, imprevedibile e dannoso; − l’esatta identificazione degli immobili oggetto del provvedimento; − l’indennità; − la durata. G.B. VERBARI, Occupazione (dir. pubbl.), in Enc. dir., XXIX, 1979, 638. L’urgenza non può impedire che, prima dell’occupazione, sia redatto lo stato di consistenza. L’art. 49, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, fra i requisiti del provvedimento di occupazione non contempla quello della durata massima. Appare evidente che esso deve contenere i termini

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di efficacia del provvedimento, altrimenti verrebbe meno il requisito, stabilito dal legislatore, della temporaneità dell’occupazione. In tali casi non è applicabile la proroga, ma e necessario redigere un nuovo decreto. 29. L’indennità di occupazione. L’art. 50, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, prevede che l’indennità di occupazione sia ragguagliata a quella dovuta nel caso di esproprio dell’area nella misura pari per ogni anno di occupazione ad un dodicesimo di detta indennità e per ogni mese o frazione di mese ad una indennità pari ad un dodicesimo di quella annua. Si deve, pertanto, verificare di volta in volta se l’area in oggetto è da ritenersi edificabile o non edificabile. Se manca l’accordo sull’indennità proposta dall’amministrazione procedente questa è determinata dalla commissione provinciale. L’atto è notificato al proprietario dall’ente espropriante che può impugnarlo ala Corte d’appello seguendo le disposizioni di cui all’art. 54, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, sull’impugnazione dell’indennità di esproprio. Per determinare l’indennità in caso di occupazione illegittima bisogna, invece, fare riferimento all’art. 43, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327. 30. La retrocessione dei beni. La restituzione totale del bene è ammessa per mancata esecuzione dell’opera o per mancato inizio della sua realizzazione, ai sensi dell’art. 46, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327. Il nuovo testo normativo prevede, differentemente dalla normativa precedente, il termine di dieci anni decorrente dalla data in cui è stato eseguito il decreto di esproprio con l’immissione del possesso per potere inoltrare la richiesta. Gli espropriati, in quanto titolari, al riguardo, di uno ius ad rem di carattere potestativo a contenuto patrimoniale, possono chiedere che l’autorità giudiziaria pronunzi la decadenza della dichiarazione di pubblica utilità e che siano loro restituiti i beni espropriati. COMMENTO 537 Si tratta in ogni caso di un nuovo procedimento che deve concretizzarsi con un atto di trasferimento da parte dell’amministrazione espropriante ai precedenti proprietari. Cass. civ., sez. II, 20 febbraio 1998, n. 1776, in Giust. civ. mass. 1998, 380. La richiesta non può essere formulata se vi è stato un inizio di esecuzione dell’opera da parte dell’amministrazione. È stato affermato che non può ritenersi ineseguita l’opera quando, nel termine prescritto, essa sia stata realizzata nelle strutture essenziali. L’accertamento del requisito dell’esecuzione dell’opera nei termini sopra indicati, è riservato al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità, solo nei limiti di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c. Cass. civ., sez. I, 17 gennaio 1997, n. 458, in Giust. civ. mass. 1997, 80. Nel caso in cui l’intero immobile oggetto di espropriazione non sia più ritenuto di pubblico interesse, dato che la pubblica amministrazione non ha titolo per ritenerlo, esso deve essere restituito al privato precedente proprietario espropriato, ove venga richiesta la retrocessione, si deve però attendere la scadenza del termine decennale. Ad esempio, se le disposizioni del nuovo piano regolatore modificano radicalmente l’assetto territoriale prima programmato e gli immobili non utilizzati risultano giuridicamente sottratti, in modo irreversibile, alla destinazione loro impressa con la dichiarazione di pubblica utilità giustificativa della espropriazione, si determina una situazione di giuridica inutilizzabilità degli stessi, che attribuisce al privato il diritto di ottenere la retrocessione. Non è più possibile, infatti, dare agli immobili la destinazione prevista nel decreto di espropriazione e non attuata prima delle modifiche intervenute nella pianificazione. L’ente espropriante stabilisce il corrispettivo per la retrocessione che è pari alla determinazione attuale dell’indennità di esproprio, avendo presente la natura attuale di edificabilità o meno dell’immobile, con riferimento al momento del ritrasferimento. Se il richiedente non concorda sul corrispettivo della retrocessione può richiedere che esso sia determinato dall’UTE o dalla commissione provinciale prevista dall’art. 41, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327. Avverso la stima è sempre proponibile ricorso alla Corte d’appello del distretto in cui si trova il bene espropriato. Il richiedente la retrocessione deve corrisponderne il prezzo, entro il termine fissato

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dall’amministrazione, a pena di decadenza dal diritto. L’art. 48, terzo comma, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, prevede che, anche qualora le aree dichiarate di pubblica utilità non vengano utilizzate, i comuni possono esercitare il diritto alla prelazione entro 180 giorni dal momento in cui l’ente espropriante o il proprietario notificano al comune l’accordo relativo alla retrocessione indicante l’area ed il corrispettivo. 31. La retrocessione parziale. L’art. 47, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, distingue l’ipotesi di retrocessione parziale dalla restituzione totale del bene espropriato nel caso di mancato utilizzo dell’area legittimamente espropriata. Il diritto alla retrocessione sorge in capo all’espropriato solo nel caso in cui l’amministrazione espropriante dichiari che i beni non servono più per l’esecuzione dell’opera pubblica. A tal fine evidentemente deve essere stata realizzata l’opera pubblica o di pubblica utilità. 538 ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITÀ L’espropriato ravvisando la mancata utilizzazione di tutto l’immobile espropriato può richiedere la restituzione parziale. La retrocessione parziale ha luogo se, dopo l’esecuzione dell’opera pubblica, uno o più fondi espropriati non abbiano ricevuto, in tutto o in parte, la prevista destinazione. Cass. civ., sez. I, 17 gennaio 1997, n. 458, in Giust. civ. mass. 1997, 80. A tal punto il soggetto beneficiario della espropriazione con lettera raccomandata con avviso di ricevimento trasmessa la proprietario ed al comune nel cui territorio si trova il bene indica i beni che non servono all’esecuzione dell’opera e che possono essere ritrasferiti ed indica il relativo corrispettivo. Per potere procedere alla retrocessione l’amministrazione deve avere dichiarato che il fondo o i fondi non utilizzati non servono più alla realizzazione dell’opera. Solo la dichiarazione di inservibilità determina la trasformazione o dell’interesse legittimo del proprietario espropriato, interesse il quale non assurge ancora al rango di diritto di proprietà, assumendo invece consistenza di diritto potestativo. R. CARANTA, Questioni in materia di retrocessione dei beni espropriati, in Giust. civ. 1998, 978. Il diniego alla richiesta o la mancanza di tale dichiarazione ed il comporta un a lesione ad un interesse legittimo del richiedente che può essere tutelabile presso la giustizia amministrativa in relazione al difetto di motivazione o sulla logicità del provvedimento di diniego. Il soggetto espropriato, a seguito del riconoscimento che una porzione dell’area non serve all’esecuzione dell’opera pubblica − attraverso la dichiarazione di inservibilità − è titolare di una situazione giuridica qualificabile come diritto soggettivo e come tale tutelabile dinanzi al giudice ordinario. Cass. civ., Sezioni Unite, 13 novembre 1997, n. 11215, in Giust. civ. mass. 1997, 2154. L’effetto ex nunc del ritrasferimento del bene è riconducibile alla sentenza definitiva che, nel difetto dell’accordo delle parti, determini il prezzo della retrocessione, poiché solo con questa pronuncia − di natura costitutiva − viene meno il titolo legittimante la proprietà e il possesso nei confronti dell’espropriante. La sentenza che relativa alla domanda di determinazione del prezzo del bene, contestualmente, può constatare l’impossibilità della concreta attuazione del diritto alla retrocessione. È stato, logicamente, affermato che l’istituto della retrocessione parziale o dei relitti disciplinato negli artt. 60, 63, L. n. 2359/1865 non trova applicazione nell’ipotesi in cui sull’area espropriata sia stata realizzata l’opera pubblica per la quale era stato pronunziato il provvedimento ablatorio, anche se dopo la sua ultimazione l’opera abbia poi perso siffatta utilizzazione. Cass. civ., Sezioni Unite, 13 novembre 1997, n. 11215, in Giust. civ. 1998, 969. COMMENTO 539 LE FORMULE ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITÀ Formula n. 97

97 . RICORSO AL T.A.R. PER L’ANNULLAMENTO DEL PROVVEDIMENTO

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DI DICHIARAZIONE DI PUBBLICA UTILITÀ 97

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DI . . . Ricorso del signor . . . residente a . . . rappresentato e assistito per mandato in calce al presente atto dall’avv. . . . del Foro di . . ., elettivamente domiciliato in . . . nei confronti del sindaco del comune di . . . per l’annullamento del provvedimento di dichiarazione di pubblica utilità. Fatto e diritto Si premette: che il ricorrente è proprietario di un’area sita nel comune di . . .; che il piano regolatore disponeva la destinazione ad uso pubblico dell’area medesima; che il comune ha approvato il progetto di opera pubblica costituente dichiarazione implicita di pubblica utilità, ai sensi dell’art. 1 della L. n. 1/1978, con delibera del consiglio comunale del . . ., senza indicare i termini entro i quali devono compiersi le espropriazioni ed iniziarsi i lavori; che il ricorso è ammissibile anche in carenza di impugnazione delle norme di piano regolatore poiché il provvedimento di dichiarazione di pubblica utilità lede interessi legittimi del ricorrente autonomi rispetto al successivo provvedimento ablatorio. Questo provvedimento è impugnabile per vizi suoi propri anche ed indipendentemente dalle disposizioni di piano (Cons. Stato, Ad. Pl. 26 agosto 1991 n. 6, in Foro amm. 1991, 1935). Si chiede l’annullamento del provvedimento comunale per i seguenti motivi: 1) violazione di legge. L’art. 13 della L. n. 2359/1865, dispone che i termini entro i quali devono iniziarsi le espropriazioni e compiersi i lavori relativi all’opera pubblica sono stabiliti nell’atto nel quale si dichiara un’opera di pubblica utilità, secondo i modelli procedimentali della dichiarazione di pubbblica utilità ex lege o di quelle implicite ai sensi dell’art. 1 della L. n. 1/1978. Formula n. 97 ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITÀ 543 In applicazione di tale legge la giurisprudenza amministrativa ha sostenuto che la fissazione dei termini deve avvenire nel primo atto del procedimento nel quale tale indicazione sia possibile (Cons. Stato, sez. IV, 5 maggio 1981, n. 381, in Foro amm. 1981, 1063; Cons. Stato, 8 giugno 1992, n. 599, in Riv. giur. edil., 1992, 921). Ben è noto al ricorrente che solo nel caso dei provvedimenti pianificatori attuativi, come il piano di zona, che delimitano temporaneamente ope legis i tempi di efficacia delle espropriazioni, l’art. 13 citato non si applica (Cons. Stato, Ad. Pl. 23 maggio 1984, n. 11, in Sett. Giur. 1984, 163). Il provvedimento di dichiarazione di pubblica utilità negli altri casi deve contenere l’indicazione dei termini di inizio e di compimento dei lavori, per l’evidente necessità che non abbia a prodursi a tempo indeterminato l’incertezza sulla sorte dei beni oggetto di esproprio con danno sul valore commerciale dei beni e con evidente limitazione del diritto di proprietà. L’effettività e la concretezza delle esigenze che giustificano l’esproprio in relazione al sacrificio imposto alla proprietà è tanto più evidente se rapportato al principio costituzionale di cui all’art. 42, comma 3, come ha ribadito la Corte costituzionale, con sentenza n. 355/1985. In considerazione della funzione garantistica delle disposizioni che disciplinano i termini di inizio e di compimento del procedimento espropriativo, non è suscettibile di convalida o di successiva integrazione il provvedimento di approvazione del progetto privo dei termini (Cons. Stato, sez. IV, 10 dicembre 1991, n. 1078, in Riv. giur. edil. 1992, 925). Tutto ciò premesso il ricorrente, come sopra rappresentato, chiede e conclude: piaccia all’Ecc.mo Tribunale Amministrativo Regionale di . . .

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in accoglimento del presente ricorso, annullare la delibera comunale di approvazione del progetto. Con rifusione delle spese e degli onorari di giudizio. Si produce: 1) copia delibera comunale, Lì, . . . Avv. . . . Delego a rappresentarmi ed assistermi nel presente giudizio, con tutti i poteri di cui all’art. 84 c.p.c., l’avvocato . . . eleggendo mio domicilio nello suo studio in . . . Il ricorrente . . . Per autentica Avv. . . . 544 ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITÀ Formula n. 97 RELAZIONE DI NOTIFICA A richiesta dell’avv. . . ., procuratore e domiciliatario come in atti, io sottoscritto ufficiale giudiziario addetto all’Ufficio Unico Notifiche presso il tribunale di . . . ho oggi notificato copia del presente ricorso al sindaco del comune di . . . �Ÿ �Ÿ �Ÿ Dal 30 giugno 2002, i termini sono fissati ex art. 37 del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327. Il provvedimento che comporta la dichiarazione di pubblica utilità può stabilire il termine entro il quale il decreto di esproprio deve essere eseguito. Se manca l’epsressa determinazione del termine di esecuzione del decreto di esproprio può essere eseguito entro il termine di cinque anni, decorrente dalla data in cui diventa efficace l’atto che dichiara la pubblica utilità dell’opera. 18 Formula n. 97 ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITÀ 545 ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITÀ Formula n. 98

98 . RICORSO AL T.A.R. PER L’ANNULLAMENTO DEL DECRETO DI ESPROPRIO 98

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE . . . Ricorso del signor . . . residente a . . . rappresentato e assistito per mandato in calce al presente atto dall’avv. . . . del Foro di . . ., elettivamente domiciliato in . . . nei confronti dell’ente nella persona del suo presidente pro tempore della regione di . . . in persona del presidente pro tempore per l’annullamento del decreto di esproprio in data . . . n. . . . del presidente della regione di . . . Fatto Il ricorrente è proprietario di un terreno sito in comune di . . . così censito nel Nuovo Catasto Terreni Revisionato foglio n. . . . mappale n. . . . L’area indicata nel decreto di esproprio insiste in una zona con destinazione agricola che il comune ha espropriato per realizzare un’opera pubblica, che è stata successivamente prevista in una variante di piano adottata dal consiglio, ma non ancora approvata dalla regione. Il ricorrente, come sopra rappresentato, impugna in questa sede il decreto di esproprio citato per i seguenti motivi: 1) violazione di legge per carenza dei requisiti essenziali dell’atto. L’area indicata nel decreto di esproprio non è quella che effettivamente si vuole espropriare. I mappali indicati nel decreto, che sono oggetto di espropriazione in parte, come risulta dal tipo di frazionamento approvato dall’UTE di . . . in data . . .,

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non corrispondono, per errore materiale dei richiedenti alla porzione che si vuole espropriare. In particolare non sono stati indicati esattamente i confini che consentono l’esatta individuazione dell’area, ex art. 2826 c.c. Nel decreto di esproprio, inoltre, l’indennità di esproprio risulta essere calcolata in modo erroneo, in quanto la superficie che si intende espropriare risulta effettivamente di ha . . . e non di ha . . ., venendo meno il requisito essenziale del provvedimento espropriativo. 546 ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITÀ Formula n. 98 La proprietà dell’area, come risulta dalla copia autentica del contratto di vendita, a rogito del dott. notaio in . . . è di proprietà del sottoscritto ricorrente per la porzione afferente ai mappali n. . . . e non del signor . . . erroneamente indicato nel decreto. 2) Violazione di legge per contrasto con l’art. 10 della L. n. 1150/1942. Illegittimamente il comune procede all’acquisizione di un suolo occorrente per la realizzazione di un’opera pubblica senza che sussista la disponibilità urbanistica del suolo medesimo ovvero la compatibilità dell’opera progettata con le disposizioni di piano regolatore generale, o di sua variante, approvato e non soltanto adottato. Lo strumento urbanistico semplicemente adottato può produrre nei riguardi di un’area, per la quale è prevista l’espropriazione, soltanto l’effetto di salvaguardia della destinazione ad essa attribuita (Cons. Stato, sez. IV, 8 novembre 1990, n. 859, in Cons. Stato 1990, 1, 1309; Cons. Stato, sez. IV, 1 luglio 1992, n. 661, in Riv. giur. edil. 1992, 1167). Tutto ciò premesso il ricorrente, come sopra rappresentato, chiede e conclude: piaccia all’Ecc.mo Tribunale Amministrativo Regionale di . . . in accoglimento del presente ricorso, dichiarare la nullità e la inefficacia e, comunque, annullare il decreto n. . . . del Presidente della regione di . . ., stante che i lavori non sono ancora iniziati; ordinare all’amministrazione espropriante la restituzione dell’area. Con rifusione delle spese e degli onorari di giudizio. Si producono: 1) copia del decreto impugnato; 2) copia autentica del contratto di vendita; 3) certificato catastale ed estratto di mappa e tipo di frazionamento. Lì, . . . Avv. . . . Delego a rappresentarmi ed assistermi in questa procedura in ogni sua fase e grado l’avvocato . . . eleggendo mio domicilio nello suo studio in . . . Il ricorrente . . . Per autentica Avv. . . . Formula n. 98 ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITÀ 547 ISTANZA PER L’APPLICAZIONE DI MISURE CAUTELARI Ill.mo Signor Presidente, . . . il sottoscritto difensore del ricorrente chiede che l’Ecc.mo Tribunale adito voglia sospendere l’esecutorietà del provvedimento impugnato. Sussistono infatti i requisiti del pregiudizio grave ed irreparabile per il ricorrente, se dovesse essere eseguita l’espropriazione, richiesto dall’art. 21 della L. 6 dicembre 1971, n. 1034. Lì, . . .

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Avv. . . . RELAZIONE DI NOTIFICA A richiesta dell’avv. . . ., procuratore e domiciliatario come in atti, io sottoscritto ufficiale giudiziario addetto all’Ufficio Unico Notifiche presso il tribunale di . . . ho oggi notificato copia del presente ricorso al sindaco del comune di . . . e al presidente della giunta regionale di . . . �Ÿ �Ÿ �Ÿ Dal 30 giugno 2002, l’amministrazione può richiedere di acquisire al suo patrimonio indisponibile i beni immobili utilizzati per scopi di interesse pubblico, che siano stati già modificati, ossia trasformati con l’esecuzione di opere da parte della stessa pubblica amministrazione, in assenza di un valido ed efficace provvedimento di espropriazione, ex art. 43 del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327. 548 ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITÀ Formula n. 98 ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITÀ Formula n. 99

99 . CITAZIONE ALLA CORTE DI APPELLO IN OPPOSIZIONE ALLA STIMA 99

CORTE D’APPELLO SEZIONE CIVILE DI . . . Atto di citazione per il signor . . . rappresentato e difeso, come da mandato in calce al presente atto, dall’avv. . . . presso il quale è elettivamente domiciliato in . . . Fatto e diritto Il signor . . . è proprietario in comune di . . . dell’area così censita nel NCTR, foglio n. . . . mappale n. . . . Sull’area è stata localizzata dal piano regolatore la seguente opera, per la quale il Presidente della regione di . . . ha dichiarato la pubblica utilità e la indifferibilità ed urgenza ed ha indicato la misura provvisoria della indennità di espropriazione da corrispondere a titolo provvisorio ai proprietari degli immobili. Il ricorrente non ha accettato l’indennità proposta e la commissione provinciale, su proposta del presidente della regione di . . ., con verbale n. . . . del . . ., notificato ritualmente dall’ente espropriante al ricorrente, in data . . ., ha determinato l’indennità definitiva in euro . . . Il ricorrente a tal punto impugna la determinazione dell’indennità definitiva per i seguenti motivi: 1) violazione di legge in rapporto all’art. 37 del D.P.R. n. 327/2001. Il ricorrente non ritiene che la determinazione dell’indennità (che deve essere rapportata alla media del valore venale del bene e del reddito dominicale dell’ultimo decennio) sia stata correttamente determinata per quanto attiene alla determinazione del valore venale. In particolare il ricorrente rileva che è stato valutato, diminuendo di conseguenza il valore commerciale dell’area e il conseguente indennizzo, il vincolo di piano che impone l’esecuzione di un’opera pubblica. Si è ignorato completamente l’indirizzo giurisprudenziale che sostiene che si debba accertare l’attitudine edificatoria del terreno espropriato. Nella determinazione del valore del bene è irrilevante la concreta utilizzazione che di esso dia l’espropriante sia pure in relazione alle disposizioni di piano. Formula n. 99 ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITÀ 549 Se l’area è destinata alla realizzazione di interventi edilizi o se su di essa troveranno collocazione opere di urbanizzazione come strade o edifici di interesse pubblico è problema che non attiene alla determinazione del valore dell’area che deve essere valutata sempre come area edificabile (Cass., 28 giugno 1988, n. 4372).

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Né assume rilievo la destinazione urbanistica del piano attuativo, ad esempio del piano di zona, poiché il valore del bene, al fine della determinazione della indennità di espropriazione, va individuato sulla base della attitudine edificatoria preesistente al piano senza tenere conto dei limiti di edificabilità, conformazione e densità edilizia previste nel piano stesso. Queste limitazioni urbanistiche hanno carattere ablatorio stante la natura di strumento interamente espropriativo del piano di zona (Cass. civ., 12 maggio 1989, n. 2153; Cass. civ., sez. I, 15 novembre 1990, n. 11040, in Riv. giur. edil. 1991, 1975). Si precisa che, ad avviso del ricorrente, il valore del bene va individuato sulla base della attitudine edificatoria preesistente alla approvazione dei piani attuativi, ad esempio va tenuto conto del fatto che l’area sia stata precedentemente inclusa nelle zone di espansione del piano regolatore, per contro gli apporti infrastrutturali dovuti all’attuatore dell’intervento non devono accrescere il valore del bene (Cass. civ., sez. I, 23 aprile 1990, n. 3366, in Mass. Ann. Cass. 1990, 789). Tale interpretazione è stata confermata dalla stessa dizione dell’art. 37 del D.P.R. n. 327/2001, che precisa che si devono considerare le possibilità legali ed effettive di edificazione esistenti al momento dell’apposizione del vincolo preordinato all’esproprio. A sostegno di questa interpretazione militano gli stessi principi costituzionali. Argomentando a contrariis è evidente la violazione del principio di uguaglianza nel caso in cui si voglia negare la vocazione edificatoria di un terreno che un piano attuativo destina ad urbanizzazioni rispetto a quello del vicino destinato a residenza, poiché a beni aventi vocazione edificatoria sostanzialmente uguale si applicano indennizzi diversi. È noto al ricorrente che un diverso orientamento distingue tra vincoli conformativi ovvero vincoli che sono posti in via generale, che non sono indennizzabili, e imposizioni a titolo particolare relative a beni determinati, che sono indennizzabili. L’indirizzo parifica, agli effetti di escludere la possibilità edificatoria del terreno, i vincoli che derivano dalla natura stessa del bene, che lo sottrae a particolari destinazioni edilizie, come ad esempio i beni soggetti a vincolo archeologico ai sensi del D.L.vo 29 ottobre 1999, n. 490, alle fasce di rispetto stradali ai sensi dell’art. 19 della L. n. 765/1967 o cimiteriali ai sensi dell’art. 338 del R.D. n. 1265/1934, ai vincoli che derivano da destinazione di piano regolatore o meglio dagli strumenti attuativi della programmazione urbanistica generale come ad esempio il vincolo di piano regolatore per la realizzazione di una strada o i vincoli di urbanizzazione di un piano di zona (Cass. civ., sez. I, 16 gennaio 1992, n. 496, in Edil. res. pubbl. 1992, n. 42, 60). La parificazione non appare supportata da valide argomentazioni. Esiste una differenza di fondo fra il vincolo che deriva dalla natura stessa del bene, dalla sua stessa vocazione che l’ordinamento urbanistico acclara e protegge, ed il vincolo o 550 ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITÀ Formula n. 99 meglio gli indici di zona o i limiti imposti dall’amministrazione ad un bene per sia pur valide ragioni programmatorie, ma pur sempre legate a valutazioni contingenti che potrebbero mutare colla adozione di nuove scelte programmatorie. La pianificazione che è provvedimento discrezionale sia pure insindacabile sotto il profilo del merito attribuisce secondo tale ultima interpretazione una rendita nel calcolo dell’indennità di espropriazione. Non è la zonizzazione, che è pur sempre provvedimento a carattere generale, che attribuisce la nuova destinazione, ma la localizzazione che è provvedimento particolare a contenuto ancora più discrezionale e privo di congrue motivazioni. Ad esempio localizzare una strada o una piazza nell’ambito di un piano di zona, che si presenta sgombro di precedenti interventi edilizi sul mappale di . . . o di . . ., provoca una diversa determinazione dell’indennità di esproprio. Il proprietario del terreno gravato dall’ulteriore vincolo della localizzazione si trova conseguentemente con una indennità ridotta rispetto al proprietario di terreno

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destinato ad un intervento di edilizia residenziale pubblica, cita l’ente espropriante nella persona del suo legale rappresentante pro tempore . . . il presidente della regione di . . . davanti alla Corte d’appello di . . . per sentire accogliere le seguenti conclusioni: 1) aggiornare, in riforma della sopraindicata stima della commissione provinciale di . . ., l’indennità spettante per l’esproprio dell’area sopra indicata da euro . . . alla somma di euro . . ., come sarà definita dal consulente tecnico che si propone codesta spett.le Corte voglia nominare, onde acclarare il valore di esproprio dell’area in oggetto. A tale fine invita i convenuti a costituirsi in giudizio nel termine e nelle forme stabilite dall’art. 166 c.p.c. ed a comparire all’udienza del . . . dinanzi al Consigliere Istruttore che sarà ritualmente designato, con espresso avvertimento che, in difetto, saranno dichiarati decaduti dai diritti di cui all’art. 167 c.p.c. Si dichiara di nominare, ai sensi dell’art. 201 c.p.c. e dell’art. 91 att. c.p.c., consulente tecnico per l’attore il signor ing. . . . residente in . . . via . . . n. . . . Spese ed onorari rifusi Si depositano i seguenti documenti: 1) decreto di determinazione dell’indennità provvisoria; 2) avviso di determinazione dell’indennità definitiva. Lì, . . . Avv. . . . Formula n. 99 ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITÀ 551 Io sottoscritto . . . nato a . . . il . . . delego a rappresentarmi e difendermi nel presente giudizio, con tutti i poteri di cui all’art. 84 c.p.c. e con facoltà di conciliare e transigere l’avvocato . . . presso il cui studio eleggo domicilio, per tutti i gradi del presente giudizio. Lì, . . . Il ricorrente . . . Per autentica Avv. . . . RELAZIONE DI NOTIFICA A richiesta del signor . . . io sottoscritto ufficiale giudiziario addetto al tribunale di . . . certifico di aver notificato il suesteso atto al legale rappresentante dell’ente espropriante . . .; al presidente della giunta regionale . . . �Ÿ �Ÿ �Ÿ Dal 30 giugno 2002, l’indennità di esproprio è determinata ex art. 37 del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327. La riduzione del 40% non si applica oltre che nel caso di accettazione dell’indennità da parte dell’espropriando, qualora la cessione non sia stata conclusa per fatto non imputabile a questo o perché a questi sia stata offerta una indennità provvisoria che, attualizzata, risulti inferiore agli otto decimi di quella determinata in via definitiva. 552 ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITÀ Formula n. 99 ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITÀ Formula n. 100

100 . CITAZIONE AL TRIBUNALE PER RISARCIMENTO DEL DANNO PER ILLEGITTIMITÀ DELLA PROCEDURA ESPROPRIATIVA 100

TRIBUNALE CIVILE DI . . . Atto di citazione per il signor . . . rappresentato e difeso, come da mandato in calce al presente atto,

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dall’avv. . . . presso il quale elettivamente è domiciliato in . . . Fatto e diritto Il signor . . . è proprietario in comune di . . . dell’area così censita nel NCTR foglio n. . . . mappale n. . . . Sull’area è stata localizzata dal piano regolatore la seguente opera per la quale è stata disposta l’occupazione d’urgenza a favore dell’ente espropriante in data . . . Essendo trascorsi i due anni dalla data del decreto di occupazione la stessa deve intendersi decaduta, con conseguente illegittimità della procedura, ai sensi dell’art. 73 della L. n. 2359/1865. L’ente espropriante, peraltro, insistendo sulla cessione bonaria dell’area, non si è curato di attivare la procedura espropriativa. Né è stata notificata al proprietario espropriando alcuna determinazione per quanto attiene l’indennità di occupazione. Poiché, dopo l’immissione nel possesso del fondo, è stata realizzata l’opera pubblica, è preclusa l’istanza per ottenere la retrocessione dell’area, stante l’effetto appropriativo della realizzazione dell’opera pubblica (Cass. civ., sez. un., 26 febbraio 1983, n. 1464). La stessa giurisprudenza riconosce al soggetto passivo di una procedura espropriativa illegittima il diritto di ottenere l’indennizzo per il periodo di occupazione illegittima dal momento dell’immissione nel possesso. Tale somma sarà determinata con riferimento al valore del fondo, il cui risarcimento, per effetto della perdita del diritto di proprietà, è da commisurarsi in relazione al valore che il fondo aveva al momento della sua irreversibile destinazione, per effetto dell’ultimazione dell’opera pubblica avvenuta il . . . Si chiede che detta somma sia gravata degli interessi legali e rivalutata al momento del saldo coll’indice elaborato dall’ISTAT, salvo il maggior risarcimento per il danno subito per non avere utilizzato il bene in parte edificato ai fini edilizi. Formula n. 100 ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITÀ 553 A tale scopo il signor . . ., come sopra rappresentato e difeso, col presente atto cita l’ente espropriante in persona del legale rappresentante pro tempore signor . . . residente in . . . e la regione nella persona del presidente e legale rappresentante pro tempore signor . . ., residente in . . . a comparire davanti al tribunale di . . ., Sezione e giudice istruttore designandi, all’udienza del . . ., ore di rito, con l’invito a costituirsi nei modi e termini di legge e con espresso avvertimento che, in difetto, saranno dichiarati decaduti dai diritti di cui all’art. 167 c.p.c., per l’accoglimento delle seguenti conclusioni: piaccia all’Ecc.mo Tribunale di . . ., disattesa ogni diversa istanza od eccezione, previo accertamento mediante consulenza tecnica del valore del fondo al momento della realizzazione dell’opera pubblica ultimata il . . ., condannare l’ente espropriante a corrispondere il valore del fondo così come determinato, maggiorato degli interessi legali ed indicizzato secondo gli indici ISTAT vigenti al momento della sentenza; nonché a corrispondere l’indennità per il periodo di occupazione illegittima, dal momento di immissione in possesso, in data . . ., al momento dell’ultimazione dell’opera in data . . ., da commisurarsi in relazione al valore come sopra acclarato, dell’area; nonché il valore di quanto esistente sul fondo stesso, con le dovute rivalutazioni ed interessi dal dovuto al saldo; nonché i danni subiti per il non uso del fondo a scopi edilizi con le dovute rivalutazioni ed interessi dal dovuto al saldo. Con riserva di ulteriormente produrre, dedurre e chiedere mezzi istruttori. Si dichiara di nominare, ai sensi dell’art. 201 c.p.c. e dell’art. 91 att. c.p.c., consulente tecnico per l’attore il signor ing. . . . residente in . . . via . . . n. . . . Si deposita: 1) estratto del Piano regolatore;

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2) decreto di occupazione d’urgenza; 3) verbale di immissione nel possesso. Spese ed onorari rifusi. Lì, . . . Avv. . . . Io sottoscritto . . . nato a . . . il . . . delego a rappresentarmi e difendermi nel presente giudizio, con tutti i poteri di cui all’art. 84 c.p.c. e con facoltà di conciliare e transigere l’avvocato . . . presso il cui studio eleggo domicilio, per tutti i gradi del presente giudizio. 554 ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITÀ Formula n. 100 Lì, . . . Il ricorrente . . . Per autentica Avv. . . . RELAZIONE DI NOTIFICA A richiesta del signor . . . io sottoscritto ufficiale giudiziario addetto al Tribunale di . . . certifico di aver notificato il suesteso atto al legale rappresentante dell’ente espropriante . . .; al presidente della giunta regionale . . . �Ÿ �Ÿ �Ÿ Dal 30 giugno 2002, l’occupazione preliminare è stata soppressa. Competente a decidere sulla richiesta di risarcimento del danno è il giudice amministrativo. L’amministrazione può richiedere di acquisire al suo patrimonio indispensabile i beni immobili utilizzati per scopi di interesse pubblico, che siano stati già modificati, ossia trasformati con l’esecuzione di opere da parte della stessa pubblica amministrazione, ex art. 43 del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327. Formula n. 100 ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITÀ 555 ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITÀ Formula n. 101

101 . CITAZIONE AL GIUDICE ORDINARIO PER RETROCESSIONE TOTALE DEL BENE PER MANCATA ESECUZIONE DELL’OPERA PUBBLICA 101

TRIBUNALE SEZIONE CIVILE DI . . . Atto di citazione per il signor . . . rappresentato e difeso, come da mandato in calce al presente atto, dall’avv. . . . presso il quale è elettivamente domiciliato in . . . Fatto e diritto il signor . . ., come sopra rappresentato, fa presente quanto segue. Egli è proprietario di una area edificata sita nel comune di . . . via . . . di cui il piano particolareggiato disponeva la demolizione per la realizzazione di verde pubblico. Successivamente con variante al piano regolatore regolarmente approvata si disponeva la conservazione degli immobili alla loro funzione residenziale ritenendoli di interesse storico. A tal punto il ricorrente richiedeva al comune la retrocessione degli immobili e ne riceveva netto rifiuto. Il comune afferma che i fabbricati erano stati definitivamente acquisiti all’amministrazione per fini pubblici e che in ogni caso si sarebbe trattato di retrocessione parziale per cui la domanda non era accoglibile. La fattispecie realizza, ad avviso del ricorrente, l’ipotesi in cui è possibile richiedere la retrocessione totale del bene per mancata esecuzione dell’opera, ai sensi dell’art. 63 della L. n. 2359/1865. Occorre avere riguardo, per configurare detta ipotesi, al contenuto della dichiarazione

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di pubblica utilità insita nel piano esecutivo. Se l’opera pubblica è in via di realizzazione, essendo opere particolari in tutto o in parte eseguite, non si ha diritto alla retrocessione dell’immobile, ma nel caso in cui l’intero fabbricato nel suo complesso non è più ritenuto di pubblico interesse, dato che la pubblica amministrazione non ha titolo per ritenerlo, essa deve restituirlo al privato precedente proprietario espropriato, ove venga richiesta la retrocessione come nel presente atto (Cass. civ., sez. un., 6 febbraio 1984, n. 870, in Riv. giur. edil. 1984, 485; Cass. civ., sez. un., 30 maggio 1991, ivi, 1992, 85). 556 ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITÀ Formula n. 101 Le disposizioni del nuovo piano regolatore che modificano radicalmente l’assetto territoriale prima programmato comportano che gli immobili non utilizzati risultino giuridicamente sottratti in modo irreversibile alla destinazione loro impressa con la dichiarazione di pubblica utilità giustificativa della espropriazione. Non essendo più possibile dare agli immobili la destinazione prevista nel decreto di espropriazione e non attuata, prima delle modifiche intervenute nella pianificazione, si determina una situazione di giuridica inutilizzabilità degli stessi che attribuisce al privato il diritto di ottenere la retrocessione. Per questi motivi il ricorrente cita il comune di . . . nella persona del sindaco pro tempore . . . davanti al Tribunale di . . . A tale fine invita il convenuto a costituirsi in giudizio nel termine e nelle forme stabilite dall’art. 166 c.p.c. ed a comparire all’udienza del . . . dinanzi al Consigliere Istruttore che sarà ritualmente designato, con espresso avvertimento che, in difetto, sarà dichiarato decaduto dai diritti di cui all’art. 167 del c.p.c., per sentire accogliere le seguenti conclusioni: piaccia all’Ecc.mo Tribunale di . . ., disattesa ogni diversa istanza od eccezione: 1) disporre ai sensi dell’art. 6 della L. n. 2359/1865, la retrocessione della proprietà espropriata e non utilizzata. Si depositano i seguenti documenti: 1) decreto di esproprio; 2) stralcio nuove disposizioni piano regolatore; 3) lettera comunale di rifiuto alla retrocessione. Lì, . . . Avv. . . . Io sottoscritto . . . nato a . . . il . . . delego a rappresentarmi e difendermi nel presente giudizio, con tutti i poteri di cui all’art. 84 c.p.c. e con facoltà di conciliare e transigere l’avvocato . . . presso il cui studio eleggo domicilio, per tutti i gradi del presente giudizio. Lì, . . . Il ricorrente . . . Per autentica Avv. . . . Formula n. 101 ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITÀ 557 RELAZIONE DI NOTIFICA A richiesta del signor . . . io sottoscritto ufficiale giudiziario addetto al Tribunale di . . . certifico di aver notificato il suesteso atto al sindaco del comune di . . . �Ÿ �Ÿ �Ÿ Dal 30 giugno 2002, la restituzione totale del bene è ammessa per mancata esecuzione dell’opera o per mancato inizio della sua realizzazione, ai sensi dell’art. 46, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327. 558 ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITÀ Formula n. 101 17. ESPULSIONE

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IL COMMENTO 17. ESPULSIONE SOMMARIO: 1. Cittadinanza. − 1.1. Diniego. La giurisdizione amministrativa. − 2. Permesso di soggiorno. − 2.1. La disciplina dell’immigrazione nel D.L.vo 25 luglio 1998, n. 286. La giurisdizione ordinaria. 1. Cittadinanza. La cittadinanza italiana si acquista per nascita, per essere figlio di cittadino italiano, o per essere nato nel territorio della Repubblica italiana, ai sensi dell’art. 1 della L. n. 91/1992. La cittadinanza può essere acquistata per vari motivi, tassativamente indicati dalla legge 91 sopra citata, con un procedimento obbligato, indicato dall’art. 8 del D.P.R. 18 aprile 1994, n. 362. 1.1. Diniego. La giurisdizione amministrativa. Contro i provvedimenti che respingono la domanda di cittadinanza è ammesso ricorso al giudice amministrativo. I motivi di diniego sono tassativamente previsti dall’art. 6 della L. n. 91/1992. Essi sono: la condanna per uno dei delitti contro la personalità internazionale od interna dello Stato, ovvero contro i diritti politici del cittadini, ai sensi degli artt. 241-294 del c.p.; la condanna per un delitto non colposo per il quale la legge preveda una pena non inferiore, nel massimo, a tre anni; ovvero la condanna per reato non politico a pena detentiva superiore ad un anno da parte di autorità giudiziaria straniera. Tali motivi sono di una tale oggettività che escludono difficoltà interpretative. L’ultimo motivo prevede ragioni inerenti la sicurezza delle Stato. Sono stati giudicati validi motivi la frequentazione da parte del ricorrente di esponenti di organizzazioni che perseguono obiettivi politici con mezzi violenti. Quanto all’obbligo di motivazione, si ritiene chela stessa debba limitarsi ad indicare al destinatario le ragioni del diniego senza doversi diffondere su notizie che, in quanto attinenti alla sicurezza dello Stato, potrebbero in qualche modo compromettere l’azione preventiva e di controllo posta in essere dagli organi all’uopo proposti. Si deve contemperare l’obbligo di trasparenza dell’azione amministrativa con la riservatezza dell’attività informativa a conoscenza degli organi preposti alla sicurezza dello Stato; la L. n. 123 del 1983 ha attribuito al Consiglio di Stato, attraverso l’emanazione del parere obbligatorio, la verifica dell’imparzialità e trasparenza della condotta degli organi preposti alla istruttoria della domanda. T.A.R. Liguria, sez. II, 5 luglio 1993, in Foro amm. 1994. 2. Permesso di soggiorno. Il D.L.vo 25 luglio 1998, n. 286 regola la materia relativa ai permessi di soggiorno diventata di notevole attualità in relazione agli intensi flussi migratori da parte di cittadini provenienti da aree esterne alla Comunità Europea. I provvedimenti concernenti l’ingresso, il soggiorno e l’espulsione degli stranieri prevedono un contraddittorio con l’interessato. Contro i provvedimenti è prevista la tutela presso il tribunale amministrativo regionale del luogo del domicilio elettivo dell’interessato. 2.1. La disciplina dell’immigrazione nel D.L.vo 25 luglio 1998, n. 286. La giurisdizione ordinaria. L’immigrazione da paesi extra Comunità Europea è stata sostanzialmente disciplinata dal D.L.vo 25 luglio 1998, n. 286. La norma collega il rilascio del permesso del soggiorno e la sua validità alle necessità specificatamente documentate, fino ad un massimo di due anni, con possibilità di rinnovo, ai sensi dell’art. 4 del D.L.vo 25 luglio 1998, n. 286. Lo straniero, titolare di permesso di soggiorno che può dimostrare di avere un reddito sufficiente per il sostentamento proprio e dei propri familiari, può ottenere il rilascio della carta di soggiorno, che è a tempo indeterminato. Il controllo sui provvedimenti di espulsione e sul rilascio del permesso di soggiorno passa all’autorità di pubblica sicurezza, che ha il compito di contrastare le immigrazioni clandestine, ai sensi degli artt. 10 e ss. del D.L.vo 25 luglio 1998, n. 286. Il decreto di espulsione è adottato dal prefetto, nel caso di entrata nello Stato senza sottoporsi ai controlli di frontiera, o nel caso in cui lo straniero non abbia il permesso di soggiorno. Il decreto è eseguito dal questore. Contro di esso si può presentare ricorso al Tribunale

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entro il termine di 5 giorni. Residua la giurisdizione del giudice amministrativo, competenza funzionale del T.A.R. Lazio, qualora l’espulsione è adottata per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato, ai sensi dell’art. 12 comma 11 del D.L.vo 25 luglio 1998, n. 286. 564 ESPULSIONE

LE FORMULE ESPULSIONE Formula n. 102

102 . OPPOSIZIONE AL DECRETO DI ESPULSIONE E RICHIESTA DI REGOLARIZZAZIONE 102

AL PREFETTO DI . . . Oggetto: Opposizione al decreto di espulsione e richiesta di regolarizzazione. Premesso che il signor . . . è stato oggetto di decreto di espulsione in data . . . da parte del signor Prefetto di . . ., notificatogli personalmente in pari data; lo stesso lavora in Italia presso il signor . . . con qualifica di allevatore; è presso di lui ospite in . . . via . . . dal . . .; è in possesso di passaporto ordinario rilasciato dalle autorità e valido fino al . . .; è in procinto di presentare domanda di regolarizzazione potendo documentare a sensi di D.P.C.M. 16 ottobre 1998, artt. 3, 4, 5, 6, G.U. n. 249 del 24 ottobre 1998, la permanenza in Italia in data anteriore al 27 marzo 1998. Chiede alla S.V. la revoca del decreto di espulsione al fine di consentire la presentazione della richiesta di regolarizzazione. A disposizione per ogni chiarimento invio distinti saluti. Lì, . . . Il richiedente . . . Formula n. 102 ESPULSIONE 567 ESPULSIONE Formula n. 103

103 . CITAZIONE AL GIUDICE ORDINARIO AVVERSO IL PROVVEDIMENTO DI ESPULSIONE 103

TRIBUNALE . . . Ricorso del signor . . . rappresentato e difeso come da mandato in calce al presente ricorso dall’avvocato . . . con studio legale in . . . via . . . presso il quale elegge il proprio domicilio contro il Prefetto della Provincia di . . . per l’annullamento del provvedimento n. . . . del . . . che decreta l’espulsione del signor . . . ricorrente . . . Fatto e diritto Il ricorrente fa presente che in data . . . il Prefetto della provincia di . . . decretava la sua espulsione dal Territorio Nazionale poiché egli è cittadino straniero. La espulsione è motivata dal fatto che si assume che il ricorrente non è in grado di dimostrare la sufficienza e la liceità delle fonti di sostentamento e non ha motivo di soggiornare nella provincia di . . . Il ricorrente fa presente che vive con la moglie e i figli ed ha un decoroso lavoro:

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è quindi in grado di badare alle esigenze della famiglia. L’espulsione dal Territorio Nazionale del ricorrente, privandolo del lavoro attualmente svolto, causerebbe allo stesso un grave danno. Si chiede pertanto l’annullamento del provvedimento di espulsione per i seguenti motivi. 1) Illegittimità per violazione di legge e difetto di motivazione. Nella fattispecie non sussistono i presupposti di cui all’art. 5 del D.L.vo n. 286/98, in quanto non è stato preliminarmente revocato il permesso di soggiorno e lo stesso non è ancora scaduto alla data di presentazione del presente ricorso. Nella fattispecie non sussistono i presupposti di cui all’art. 16 del D.L.vo n. 286/98, infatti il ricorrente non ha riportato condanna penale per i reati tassativamente previsti dall’articolo citato. 568 ESPULSIONE Formula n. 103 Inoltre ogni provvedimento amministrativo, per l’espresso disposto dell’art. 3 della L. n. 241/1990, deve essere congruamente motivato mentre nel caso di specie la motivazione appare assolutamente generica e non documentata, P.Q.M. voglia l’Ill.mo Tribunale adito accogliere le seguenti conclusioni: annullare il provvedimento impugnato. Si produce: 1) provvedimento di espulsione; Spese ed onorari rifusi. Con osservanza. Lì, . . . Avv. . . . Io sottoscritto . . . nato a . . . il . . . delego a rappresentarmi e difendermi nel presente giudizio, con tutti i poteri di cui all’art. 84 c.p.c., l’avvocato . . ., presso il cui studio eleggo domicilio. Il ricorrente . . . Per autentica Avv. . . . Formula n. 103 ESPULSIONE 569 18. PUBBLICO IMPIEGO IL COMMENTO 18. PUBBLICO IMPIEGO SOMMARIO: 1. La giurisdizione nel pubblico impiego. − 1.1. La giurisdizione amministrativa. Limiti. − 2. I termini processuali nel D.L.vo n. 165/2001. − 3. La giurisdizione del giudice ordinario dopo al privatizzazione del pubblico impiego. − 4. La disciplina delle mansioni superiori. − 5. Il procedimento disciplinare. − 6. Il tentativo obbligatorio di conciliazione. − 7. Il ricorso al Tribunale del lavoro. − 8. L’interpretazione dei contratti collettivi. 1. La giurisdizione nel pubblico impiego. Il T.A.R. ha avuto giurisdizione esclusiva nelle controversie relative al rapporto di pubblico impiego, ai sensi dell’art. 7, comma 2, della L. n. 1034/1971 che rinvia all’art. 29 del T.U. n. 1054/1924. La giurisdizione non si estende al merito. L’espressa indicazione legislativa consentiva che il giudice amministrativo conoscesse in questo particolare tipo di controversie anche le questioni relative ai diritti che venivano attratte, stante la difficoltà di delineare una linea di ripartizione della giurisdizione con il giudice ordinario. L’art. 68 del D.L.vo 29/1993, sost. art. 63, D.L.vo n. 165/2001, dispone un radicale cambiamento della giurisdizione nel pubblico impiego, trasferendo, colla privatizzazione del rapporto di lavoro pubblico, al giudice ordinario le controversie relative al rapporto di lavoro

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alla dipendenza delle pubbliche amministrazioni. Restano sempre devolute al giudice amministrativo, come precisa l’art. 68 del D.L.vo 29/1993, le controversie in materia delle procedure concorsuali per l’assunzione dei dipendenti nelle pubbliche amministrazioni, fatta evidente eccezione per i dirigenti nominati direttamente con rapporto privatistico e per i dirigenti generali. La giurisdizione del giudice amministrativo viene conservata in via di eccezione dall’art. 3, D.L.vo n. 165/2001 che sost. l’art. 2 comma 4 del D.L.vo 546/1993, che modifica l’art. 2 del D.L.vo 29/1993, per taluni rapporti di pubblico impiego e, in tali ipotesi, si tratta di giurisdizione esclusiva. La norma precisa che, in deroga alla privatizzazione del rapporto di pubblico impiego, rimangono disciplinati dai rispettivi ordinamenti: i magistrati ordinari, amministrativi e contabili, gli avvocati e procuratori dello Stato, il personale militare e delle Forze di polizia di Stato, il personale della carriera diplomatica e della carriera prefettizia − quest’ultima a partire dalla qualifica di vice consigliere di prefettura − nonché i dipendenti degli enti che svolgono la loro attività nelle materie contemplate dall’art. 1 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 17 luglio 1947, n. 691, e dalle leggi 4 giugno 1985, n. 281, e 10 ottobre 1990, n. 287. Il rapporto di impiego dei professori e ricercatori universitari resta disciplinato dalle disposizioni rispettivamente vigenti. 1.1. La giurisdizione amministrativa. Limiti. L’art. 63, D.L. vo n. 165/2001 assegna le controversie riguardanti i rapporti di lavoro dipendenti da pubbliche amministrazioni alla giurisdizione del giudice ordinario. Vengono però previste le seguenti eccezioni: 1) sono escluse da tale giurisdizione, e permangono nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, le controversie riguardanti il personale di diritto pubblico, vale a dire magistrati, militari e altre categorie previste all’art. 5 del D.L.vo n. 165/2001; 2) permangono sotto la giurisdizione di legittimità del giudice amministrativo le controversie inerenti alle procedure concorsuali, che consistono essenzialmente nell’impugnazione con richiesta di annullamento di atti ritenuti illegittimi. L’origine della prima esclusione prevista dal legislatore è la distinzione fra personale cosiddetto contrattualizzato e personale cosiddetto non contrattualizzato, ora definito «in regime di diritto pubblico». La centralità riconosciuta al contratto collettivo − e anche a quello individuale − nella costituzione e regolazione degli aspetti del rapporto di lavoro, e il mutamento della fonte regolatrice del rapporto, esclude automaticamente ogni posizione di supremazia dell’amministrazione e, di conseguenza, ogni presenza di poteri pubblici esercitabili nel rapporto di lavoro. Esso è ora disciplinato da atti paritetici, vale a dire da quelli che sono prodotti da un incontro, su un piano di parità, della volontà della pubblica amministrazione e di quella del singolo soggetto, titolare a sua volta di posizioni di diritto soggettivo. Diverso è il caso del personale in regime di diritto pubblico; qualora, infatti, le particolari funzioni esercitate da tale personale confermino posizioni di supremazia dell’amministrazione, si afferma l’esistenza e l’esercizio di poteri pubblici e, quindi, di posizioni di interesse legittimo, unitamente a posizioni di diritto soggettivo. La conferma della giurisdizione del giudice amministrativo sulle controversie concernenti procedure concorsuali si basa sostanzialmente sul fatto che esiste un potere organizzativo della pubblica amministrazione nei confronti del quale è solo possibile configurare posizioni di interesse legittimo. Rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario, anche ai sensi dei commi 1 e 4 dell’art. 63, D.L.vo n. 165/2001, le controversie riguardanti rapporti di lavoro; ne restano, pertanto, escluse le procedure come i concorsi che hanno il solo scopo di individuare i soggetti con cui successivamente stipulare il contratto individuale di lavoro. Con il termine di concorso si definisce ogni procedura volta ad individuare soggetti con i quali si intende stabilire un rapporto di lavoro, anche a tempo determinato, con la pubblica amministrazione. L’art. 35 del D.L. vo n. 165/2001, oltre alla possibilità di utilizzare le liste di collocamento, stabilisce l’utilizzo di «procedure selettive volte all’accertamento della professionalità richiesta, che garantiscano in misura adeguata l’accesso dall’esterno» e, al comma 5, richiama i concorsi pubblici, facendo riferimento allo stato e agli enti autonomi.

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Con l’espressione «concorso pubblico» la normativa sembra, pertanto, definire le particolari procedure selettive con le quali si intende individuare i soggetti con cui stipulare un contratto di lavoro a tempo indeterminato, e la stessa interpretazione vale anche per il principio espresso nell’art. 97 della Costituzione. 576 PUBBLICO IMPIEGO L’espressione «procedure selettive», invece, comprende, oltre al concorso pubblico con il ruolo sopra descritto, anche le procedure cosiddette non concorsuali, volte alla formazione di rapporti di lavoro temporaneo. Tali procedure e le relative controversie sembra spettino alla giurisdizione del giudice ordinario. O. FORLENZA, Sui concorsi decide il giudice amministrativo, in Guida dir. dossier 2001, n. 5, 121. Il concorso interno innanzitutto, per sua stessa natura, presuppone l’esistenza di un rapporto di lavoro che costituisce il requisito fondamentale della stessa partecipazione al concorso. Non si cercano quindi nuovi soggetti con cui istituire un rapporto di lavoro, ma si cerca di individuare, nell’ambito di un rapporto lavorativo già contrattualizzato, i soggetti nei cui confronti procedere alla novazione di uno degli elementi del contratto di lavoro già in essere attribuendo una qualifica superiore. La giurisprudenza ordinaria si è espressa per la sussistenza della sua giurisdizione. Trib. Roma 11 ottobre 1999. Pretura Catanzaro 17 febbraio 1999. Contrariamente la giurisprudenza amministrativa ha ritenuto sussistere la sua giurisdizione sulla questione affermando che l’art. 68 comma 4, D.L.vo 3 febbraio 1993, n. 29, mod. dall’art. 29, D.L.vo 31 marzo 1998, n. 80 − nella parte in cui prevede che restano devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie in materia di procedure concorsuali per l’assunzione dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, deve intendersi riferito anche ai c.d. concorsi interni. T.A.R. Puglia sez. II, Lecce, 6 novembre 1999, n. 750, in Foro amm. 2000, 1948. 2. I termini processuali nel D.L.vo n. 165/2001. Dal 1° luglio 1998 il contenzioso passa al giudice ordinario, ex art. 68, D.L.vo n. 29/1993 mod. dall’art. 63, D.L.vo 30 marzo 2001, n. 165. Il legislatore, in materia di tutela giurisdizionale, ha confermato il passaggio al giudice ordinario delle controversie relative al rapporto di lavoro pubblico privatizzato; ciò deve essere realizzato improrogabilmente, sul piano operativo, a partire dal 1° luglio 1998. La competenza giurisdizionale del giudice del lavoro viene a coincidere con la stipula del secondo contratto collettivo nazionale di lavoro. G. MANZI, Privatizzazione in vista nel pubblico impiego: dal luglio 1998 contenzioso al giudice ordinario, in Guida dir., Dossier 1997 n. 3, 87. Al T.A.R. rimane la giurisdizione esclusiva solo per i dipendenti non interessati dalla privatizzazione. È comunque possibile per il Governo, in sede di esercizio della delega, prevedere procedure stragiudiziali di conciliazione e di arbitrato. Tali procedure erano state disciplinate dal D.L.vo 29/1993 solo per la fase transitoria di mantenimento della giurisdizione da parte del giudice amministrativo, in quanto era poi prevista l’applicazione della normativa sul processo del lavoro, ai sensi degli artt. 409 e ss. del c.p.c., che stabilisce la conciliazione obbligatoria stragiudiziale come istituto ordinario. Una delega in materia di giurisdizione del giudice amministrativo è stata attribuita al Governo, anche se in un contesto improprio, dall’art. 11 c. 4 lett. I) della cosiddetta legge COMMENTO 577 Bassanini. Essa può poi essere estesa anche in caso di annullamento degli atti amministrativi per accertare le eventuali conseguenti responsabilità patrimoniali. L’azione di risarcimento danni diventa in tal modo di competenza del giudice amministrativo e ciò è nell’interesse di un’efficiente amministrazione della giustizia, in quanto si attribuisce all’organismo competente per la richiesta principale anche l’accertamento dei diritti di natura patrimoniale che ne possono conseguire; mentre oggi per questo tipo di tutela bisogna prevedere un giudizio separato presso il giudice ordinario. 3. La giurisdizione del giudice ordinario dopo la privatizzazione del pubblico impiego. L’art. 63 del D.L.vo n. 165/2001, che modifica il testo dell’art. 68 del D.L.vo 29/1993, attribuisce al giudice ordinario la giurisdizione sulle controversie del pubblico impiego privatizzato,

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salvo alcune eccezioni. In tali eccezioni le controversie sono incluse quelle aventi ad oggetto la selezione e l’accesso al lavoro e le indennità di fine rapporto, comprese quelle del rapporto di lavoro dei dirigenti generali, ai sensi dell’art. 2 comma 2 del D.L.vo 80/1998, mod. dall’art. 2, D.L.vo n. 165/2001. Il trasferimento della giurisdizione avviene anche nel caso in cui vengano in questione atti amministrativi presupposti. L’atto amministrativo presupposto nella controversie deve venire disapplicato dal giudice ordinario. L’impugnazione dell’atto rilevante nella controversia, davanti al giudice amministrativo, non è causa di sospensione del processo. Il giudice ordinario deve prendere, nei confronti delle amministrazioni convenute, tutti i provvedimenti di accertamento, siano essi costitutivi o di condanna, richiesti dalla natura dei diritti tutelati. Le sue sentenze, nel caso sanciscano il diritto all’assunzione, hanno anche effetto costitutivo del rapporto di lavoro; qualora, invece, accertino l’illegittimità dell’assunzione, hanno effetto estintivo dello stesso. Sono attribuite al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, anche le controversie in materia di comportamento antisindacale e quelle inerenti le procedure di contrattazione collettiva; il ricorso in cassazione è concesso anche nel caso di violazione dei contratti o degli accordi collettivi. Il legislatore stabilisce così un criterio di ripartizione effettivamente per materia, con maggiori garanzie nell’applicazione concreta, secondo il quale il giudice ordinario ha piena giurisdizione in tutte le controversie relative al pubblico impiego cosiddetto privatizzato: ne sono escluse solo quelle che si riferiscono a procedimenti di concorso per l’assunzione. L’art. 7 del D.L.vo 80/1998, mod. dall’art. 12, D.L.vo n. 165/2001, invita le amministrazioni a organizzare la gestione del contenzioso del lavoro, anche creando appositi uffici, in modo da assicurare l’efficace svolgimento di tutte le attività stragiudiziali e giudiziali inerenti alle controversie e a sfruttare eventuali sinergie con amministrazioni omogenee o simili. Le nuove norme decorrono dal 1° luglio 1998 e riguardano le controversie relative a questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro successivo a tale data, ai sensi dell’art. 45, comma 1, del D.L.vo 80/1998. 578 PUBBLICO IMPIEGO Le controversie in essere e quelle concernenti questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro precedente il 1° luglio 1998 − che possono essere presentate fino al 15 settembre 2000 − restano invece assegnate al giudice amministrativo. 4. La disciplina delle mansioni superiori. L’art. 52 del D.L.vo n. 165/2001 disciplina le mansioni del dipendente pubblico, ribadendo che egli deve svolgere i compiti per i quali è stato assunto o quelli corrispondenti alla qualifica superiore che egli abbia conseguito in seguito a promozione per sviluppo di carriera o in seguito ad apposite procedure elettive e concorsuali. Non vi può essere un inquadramento del dipendente nella qualifica superiore prodotto dal solo fatto che egli svolga effettivamente mansioni superiori a quelle della propria qualifica. È molto dibattuto il problema di come disciplinare lo svolgimento di mansioni superiori e di quanto esso sia rilevante, ferma restando sempre la sua irrilevanza ai fini di un superiore inquadramento. Una diffusa interpretazione giurisprudenziale giudica irrilevante l’esercizio di compiti superiori a quelle della qualifica sia per quanto riguarda l’inquadramento sia per la retribuzione. Essa ritiene che ciò non sia di pregiudizio per i dipendenti interessati, in quanto essi non sono tenuti né legittimati a svolgere mansioni diverse da quelle che devono eseguire in base alla loro qualifica. Cons. Stato, sez. V, 8 luglio 1998, n.1036; Cons. Stato, sez. VI, 18 maggio 1998, n. 746. S. MEZZACAPO, Giudizio disciplinare: debutta anche l’arbitro unico, in Guida dir. dossier 2001, n. 5, 110. Il principio che l’esercizio di mansioni superiori, nell’ambito del pubblico impiego, è irrilevante sia da un punto di vista giuridico sia sotto l’aspetto economico − a meno che ciò si verifichi in seguito a una precisa disposizione normativa − è stato affermato anche dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato. Cons. Stato, Ad. Pl., 18 novembre 1999, n. 22, in Foro

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amm. 1999, 2376. Nessuna norma, infatti, prevede, in via di principio, che lo svolgimento di mansioni superiori sia retribuibile. Esistono invece, e danno sostegno alla suddetta tesi, specifiche e precise disposizioni che consentono la rilevanza, come espressa eccezione, come ad esempio, in campo sanitario, l’art. 29, D.P.R. n. 61 del 1979. L’art. 36 della Costituzione, che afferma il principio in base al quale la retribuzione deve corrispondere alla qualità e quantità del lavoro prestato, non è ritenuto applicabile dalla giurisprudenza, in quanto nel pubblico impiego concorrono altri principi di pari rilevanza costituzionale, vale a dire quelli del buon andamento e dell’imparzialità dell’amministrazione. In definitiva, il dipendente, nel pubblico impiego, viene retribuito in base alla formale qualifica che gli viene assegnata. L’art. 52 del D.L.vo n. 165 del 2001 consente di adibire eccezionalmente il pubblico dipendente a mansioni proprie della qualifica immediatamente superiore per obiettive esigenze di servizio o nel caso il posto in organico sia vacante − per non più di sei mesi, prorogabili a dodici se sono state iniziate le procedure di copertura del posto vacante − o nel caso si debba COMMENTO 579 sostituire un altro dipendente con diritto alla conservazione del posto − per la durata della relativa assenza. Nelle precedenti ipotesi è previsto, ai sensi dell’art. 52, comma 4, del D.L.vo n. 165 del 2001, il diritto del dipendente al trattamento economico spettante alla qualifica superiore. Ai sensi dell’art. 52, comma 5, del D.L.vo n. 165 del 2001, la differenza di retribuzione con la qualifica superiore spetta comunque al lavoratore anche se sia stato incaricato a svolgere mansioni superiori per motivi che non rientrano nelle ipotesi tassativamente previste dalla normativa e, quindi, vi sia un’espressa declaratoria di nullità di tale assegnazione. È il dirigente che ha deciso tale illegittima assegnazione, con dolo o colpa grave, che deve rispondere del maggior onere economico fatto sopportare all’amministrazione. 5. Il procedimento disciplinare. Il potere disciplinare incide sul rapporto di appartenenza del soggetto, in questo caso il pubblico dipendente, a un’istituzione e, di conseguenza, determina il sorgere di una varietà di principi giuridici che ne regolano l’esercizio. Ai sensi dell’art. 55, comma 3, D.L. vo n. 165/2001, la tipologia delle infrazioni e delle relative sanzioni è definita dai contratti collettivi. Il comma 2 dello stesso articolo contiene un’altra disposizione di particolare rilievo sull’argomento, in quanto si limita a dichiarare applicabili solamente l’art. 2106, c.c. e l’art. 7, commi 1, 5, 8, L. 20 maggio 1970, n. 500, senza rinviare integralmente alla normativa privatistica. Nel procedimento disciplinare previsto dal citato art. 55, l’interessato può impugnare il provvedimento disciplinare immediatamente davanti al giudice, prescindendo dal ricorso al collegio arbitrale, in modo analogo, peraltro, a quanto, ai sensi dell’art. 7, L. n. 300/1970, è consentito al dipendente privato. T.A.R. Piemonte, sez. II, 4 febbraio 1999, n. 58. È possibile, del resto, ricorrere al cosiddetto patteggiamento disciplinare, previsto nel nostro sistema normativo dal comma 6 del citato art. 55, D.L. vo n. 165/2001, che consente di ottenere la riduzione della sanzione non ancora irrogata in cambio della sua incondizionata accettazione. S. S. MEZZACAPO, Giudizio disciplinare: debutta anche l’arbitro unico, in Guida dir. dossier 2001, n. 5, 113. In base a tale disposizione, infatti, qualora vi sia il consenso dell’interessato, la sanzione applicabile può essere ridotta, senza che vi sia più però la possibilità di impugnarla. Il dipendente sotto accusa può solo chiedere e non pretendere che venga applicato il meccanismo riduttivo succitato, dato che è una facoltà discrezionale dell’amministrazione esercitarlo. T.A.R. Veneto, 9 febbraio 1999, n. 117; T.A.R. Milano, 10 novembre 1999, n. 3659. 6. Il tentativo obbligatorio di conciliazione. Il tentativo obbligatorio di conciliazione delle controversie individuali, di cui all’art. 65 del D.L.vo n. 165/2001, non ha avuto grande fortuna in campo privato e, probabilmente, è destinato ad aver ancor meno seguito nelle controversie di pubblico impiego. 580 PUBBLICO IMPIEGO La dottrina nota come tale tentativo non sia previsto nelle residue controversie di competenza del giudice amministrativo. G. NOVIELLO P. SORDI G.N. CARUGNO V. TENORE, Le

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controversie sul pubblico impiego privatizzato e gli uffici del contenzioso, 1999, 67. Il tentativo di conciliazione deve essere svolto, secondo le procedure previste dai contratti collettivi, davanti al Collegio di conciliazione istituito presso la Direzione provinciale del lavoro e della massima occupazione, nella cui circoscrizione si trova l’ufficio presso il quale il lavoratore è addetto. La richiesta di conciliazione, che può essere avanzata dal lavoratore o dalla stessa amministrazione deve essere spedita a mezzo raccomandata R.R. all’Ufficio di conciliazione e all’altra parte. L’art. 66, comma 8, D.L.vo n. 165/2001 prevede che la conciliazione della lite da parte di chi rappresenta la pubblica amministrazione, in adesione alla proposta formulata dal collegio di cui al primo comma, ovvero in sede giudiziale ai sensi dell’art. 420, comma primo, secondo e terzo del codice di procedura civile, non può dar luogo a responsabilità amministrativa. Qualora siano trascorsi inutilmente 90 giorni dalla presentazione della richiesta di espletamento del tentativo di conciliazione, è prevista dalla normativa la procedibilità della domanda giudiziale, ai sensi dell’art. 65, D.L.vo n. 165/2001. L’art. 56 del D.L.vo n. 165/2001, attribuisce al collegio di conciliazione la competenza a decidere eventuali impugnative delle sanzioni disciplinari da parte dei lavoratori, qualora nei contratti di lavoro non siano previste apposite procedure di conciliazione ed arbitrato. 7. Il ricorso al Tribunale del lavoro. Il ricorso al Tribunale del lavoro, con l’entrata in vigore del D.L.vo 19 febbraio 1998, n. 51, si sviluppa secondo il dettato dell’art. 414 c.p.c. Il ricorso deve indicare: − il giudice presso il quale si radica l’azione che, ai sensi dell’art. 413 c.p.c., è quello nella cui circoscrizione ha sede l’ufficio al quale il dipendente addetto o era addetto al momento della cessazione del rapporto; − il nome, il cognome nonché la residenza od il domicilio eletto nel comune in cui ha sede il giudice adito, la denominazione dell’amministrazione convenuta ed il suo domicilio; − la documentazione che dimostri l’esperimento del tentativo di conciliazione; − la determinazione dell’oggetto della domanda e l’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto sui quali si fonda la domanda con le relative conclusioni; − l’indicazione specifica dei mezzi di prova di cui il ricorrente intende avvalersi e, in particolare dei documenti che si offrono in comunicazione. Il ricorso è depositato nella cancelleria del giudice. Il giudice fissa con decreto la data dell’udienza. L’attore ha l’obbligo di notificare il ricorso unitamente al decreto entro dieci giorni dalla sua pronuncia all’amministrazione destinataria. La notifica, relativa a procedimenti contro amministrazioni dello Stato, va eseguita presso gli uffici dell’Avvocatura dello stato competente per territorio, art. 41 D.L.vo 80/1998. G. COMMENTO 581 NOVIELLO P. SORDI G.N. CARUGNO V. TENORE, Le controversie sul pubblico impiego privatizzato e gli uffici del contenzioso, 1999, 129. 8. L’interpretazione dei contratti collettivi. L’arbitrato previsto nei contratti collettivi sembra però avere la possibilità di funzionare come deterrente al contenzioso. L’art. 64 del D.L.vo n. 165/2001, dispone l’accertamento pregiudiziale sull’efficacia, sulla validità e sull’interpretazione dei contratti collettivi. Ne consegue che, qualora per definire una controversia sia necessario l’accertamento della regola esplicitamente definita dal contratto collettivo sul punto in esame, il giudice deve sospendere il processo e disporre la comunicazione degli atti della causa all’ARAN ed ai sindacati. G. NOVIELLO P. SORDI G.N. CARUGNO V. TENORE, Le controversie sul pubblico impiego privatizzato e gli uffici del contenzioso, 1999, 82. La norma consente di ottenere un’interpretazione autentica del contratto di lavoro. Entro trenta giorni l’ARAN deve convocare i sindacati; l’accordo deve poi essere raggiunto entro i successivi 90 giorni, trascorsi i quali si considera conclusa in modo negativo la procedura. Il giudice in tale caso decide solo sulla questione pregiudiziale, ossia, obbligatoriamente, con sentenza non definitiva.

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Questa è soggetta solo a ricorso per cassazione, che è fattibile anche per violazione o errata applicazione dei contratti o degli accordi collettivi, le cui parti contraenti possono non solo portare informazioni e osservazioni − come avviene nel rito ordinario del lavoro − ma anche intervenire nel processo, oltre i termini ordinari, ed impugnare la sentenza, facendo valere una loro autonoma e speciale legittimazione. Il giudice, poi, che non intenda adeguarsi al parere già formulato dalla Suprema corte su una determinata questione ha l’identico obbligo di pronunziarsi con sentenza immediatamente ricorribile per cassazione, ai sensi dell’art. 64, comma 7 del D.L.vo n. 165/2001. 582 PUBBLICO IMPIEGO

LE FORMULE PUBBLICO IMPIEGO Formula n. 104

104 . ISTANZA PER TENTATIVO OBBLIGATORIO DI CONCILIAZIONE PER L’ACCERTAMENTO COSTITUTIVO DEL DIRITTO ALL’INQUADRAMENTO 104

COMMISSIONE DI CONCILIAZIONE Direzione provinciale del Lavoro e della Massima Occupazione Raccomandata R.R. Oggetto: Tentativo obbligatorio di conciliazione. Il sottoscritto avv. . . . del Foro di . . . con studio a . . . in nome e per conto del Signor . . . dipendente del Comune di . . . chiede ai sensi dell’art. 410 c.p.c. che questa spett. Direzione esperisca il tentativo obbligatorio di conciliazione con l’amministrazione comunale entro sessanta giorni dalla presente richiesta, ai sensi dell’art. 410 bis c.p.c. sulla seguente controversia: accertamento costitutivo del diritto all’inquadramento. Si resta in attesa che questa spett. commissione provveda alla convocazione delle parti. Lì, . . . Il ricorrente . . . Avv. . . . Formula n. 104 PUBBLICO IMPIEGO 585 PUBBLICO IMPIEGO Formula n. 105

105 . RICORSO AL TRIBUNALE PER L’ACCERTAMENTO COSTITUTIVO DEL DIRITTO ALL’INQUADRAMENTO 105

TRIBUNALE DI . . . Ricorso del Signor . . . dipendente del . . ., rappresentato e difeso, come da mandato in calce al presente ricorso, dall’avv. . . ., con studio legale in . . ., via . . ., presso il quale elegge il proprio domicilio contro l’amministrazione comunale in persona del suo legale rappresentante pro tempore per l’accertamento costitutivo del diritto all’inquadramento nella fascia funzionale e per la fissazione del carico di lavoro. Fatto Premesso che ai sensi dell’art. 410 c.p.c. è stato esperito da parte del ricorrente il tentativo obbligatorio di conciliazione con l’amministrazione comunale presso la competente Commissione di conciliazione, senza raggiungere la definizione della controversia

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Il Signor . . . presta servizio presso l’amministrazione con la qualifica seguente . . . Con ordini di servizio in data . . . gli sono stati affidati i seguenti incarichi professionali . . ., regolarmente svolti. Diritto Vizi del rapporto. Illegittimità per violazione di legge. Illegittimità per contraddittorietà. Il comportamento dell’amministrazione si rivela contraddittorio rispetto a quanto deliberato in occasione del riconoscimento di qualifiche superiori in altri rapporti di pubblico impiego. 586 PUBBLICO IMPIEGO Formula n. 105 A parità di funzioni, ad altri richiedenti è stata riconosciuta con delibera n. . . . la qualifica funzionale superiore. Sulla rilevanza delle funzioni attribuite al ricorrente, ai fini del passaggio di qualifica, e sulla organizzazione degli uffici si richiede l’assunzione di prova per testi sui seguenti capitoli: “Vero è che al ricorrente sono state attribuite le seguenti mansioni da esso regolarmente svolte”. “Vero è che l’organizzazione dell’Ente è contraddittoria nell’attribuzione delle qualifiche nelle seguenti posizioni . . .” Testi chiamati a deporre: sul primo capitolo il Signor . . . capo ripartizione; sul secondo capitolo il rappresentante dell’organizzazione sindacale, ex art. 425 c.p.c., P.Q.M. si chiede che venga accertato il diritto all’inquadramento nella fascia funzionale richiesta ovvero, in subordine, che venga fissato il carico di lavoro in relazione alla qualifica attribuita, con rimozione delle mansioni non spettanti, con riserva di presentare documentazione e memorie aggiuntive. Si produce: 1) ordine di servizio n. . . . con l’indicazione delle mansioni da svolgere. Spese ed onorari rifusi. Chiede al Tribunale adito che sia fissata l’udienza di discussione a norma dell’art. 415 comma 2 del c.p.c. Lì, . . . Avv. . . . Io sottoscritto . . ., nato il . . . a . . ., dipendente del . . . delego a rappresentarmi e a difendermi nel presente giudizio, con tutti i poteri di cui all’art. 84 c.p.c. l’avvocato . . ., presso il cui studio eleggo domicilio. Lì, . . . Il ricorrente . . . Per autentica Avv. . . . Formula n. 105 PUBBLICO IMPIEGO 587 RELAZIONE DI NOTIFICA A richiesta del Signor . . . io sottoscritto ufficiale giudiziario addetto al tribunale di . . . certifico di aver notificato il suesteso atto all’amministrazione comunale nella persona del . . . �Ÿ �Ÿ �Ÿ Esente da bollo, ai sensi dell’art. 12, Tab. B), del D.P.R. n. 642/1972 e dell’art. 10 della L. n. 533/1973. Il ricorso è notificato contestualmente al decreto di fissazione di udienza ex art. 413 c.p.c. L’art. 52 del D.L.vo n. 165 del 2001 consente di adibire in ipotesi tassativamente indicate.

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Nei casi diversi l’assegnazione è nulla e ai sensi dell’art. 52, comma 5, del D.L.vo n. 165 del 2001, spetta, comunque, al lavoratore la differenza di retribuzione con la qualifica superiore. È il dirigente che ha deciso tale illegittima assegnazione, con dolo o colpa grave, che deve rispondere del maggior onere economico fatto sopportare all’amministrazione. 588 PUBBLICO IMPIEGO Formula n. 105 PUBBLICO IMPIEGO Formula n. 106

106 . RICORSO AL T.A.R. AVVERSO IL PROVVEDIMENTO CHE DISPONE LA MOBILITÀ PER RIDUZIONE PIANTA ORGANICA 106

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DI . . . Ricorso del Signor . . .. dipendente del . . ., rappresentato e difeso come da mandato in calce al presente ricorso dall’avv. . . ., con studio legale in . . ., via . . ., presso il quale elegge il proprio domicilio contro l’amministrazione provinciale in persona del suo legale rappresentante pro tempore, per l’annullamento della delibera n. . . . dell’amministrazione che dispone la mobilità. Fatto Con provvedimento n. . . . dell’ente il Signor . . . veniva posto in mobilità a far tempo dal . . . Il provvedimento veniva genericamente motivato dal fatto che si rendeva necessaria una ristrutturazione degli uffici e dei servizi, con conseguente revisione dell’organico, per cui si rendeva necessario procedere a mobilità esterna/ interna nei confronti del ricorrente. Diritto Vizi del procedimento. Illegittimità per violazione di legge. Il procedimento amministrativo è stato instaurato in assenza di un esperimento di contrattazione decentrata con le organizzazioni sindacali. Vizi del provvedimento. Illegittimità per contraddittorietà. Illogicità. Eccesso di potere. Il provvedimento è contraddittorio poiché la riduzione della pianta organica non corrisponde alla effettiva determinazione del carico di lavoro. Non vi è anzi alcuna verifica in termini quantitativi del carico di lavoro (anche in assenza di parametri nazionali) di ciascun dipendente, ma viene considerata la singola posizione del rifordiram\ Formula n. 106 PUBBLICO IMPIEGO 589 corrente. In particolare il carico di lavoro risulta accresciuto poiché le funzioni affidate al ricorrente risultano nel complesso aumentate. Il provvedimento è illogico poiché la pianta organica prevede parallelamente la costituzione di un altro ufficio, che si fa carico delle funzioni finora attribuite al ricorrente, per cui vi è un artificioso sostituirsi di persone, ma sostanzialmente le funzioni da esplicare rimangono inalterate. Il provvedimento è viziato per eccesso di potere, essendo adottato in carenza della determinazione degli standards di produttività a livello nazionale. Non sono stati, inoltre, fissati i carichi di lavoro per ogni singolo dipendente. Sull’organizzazione degli uffici si chiede l’ammissione della prova per testi sul seguente capitolo: “Vero è che la posizione sindacale è contraria alla eliminazione e creazione alternativa degli uffici non rispondenti ad obiettive necessità dell’ente”. Su tale capitolo si chiede venga assunto come teste il rappresentante sindacale, ex art. 425 c.p.c., P.Q.M.

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si chiede l’annullamento del provvedimento impugnato, con riserva di presentare documentazione e memorie aggiuntive. Spese ed onorari rifusi. Si produce: 1) provvedimento che impone la mobilità. Lì, . . . Avv. . . . Io sottoscritto . . . nato a . . . il . . . delego a rappresentarmi e difendermi nel presente giudizio, con tutti i poteri di cui all’art. 84 c.p.c. l’avvocato . . . presso il cui studio eleggo domicilio. Lì, . . . Il ricorrente . . . Per autentica Avv. . . . 590 PUBBLICO IMPIEGO Formula n. 106 RELAZIONE DI NOTIFICA A richiesta del Signor . . . io sottoscritto ufficiale giudiziario addetto al Tribunale di . . . certifico di aver notificato il suesteso atto all’amministrazione provinciale in persona del legale rappresentante pro tempore. �Ÿ �Ÿ �Ÿ Esente da bollo e tasse ai sensi dell’art. 12, Tab. B) del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 642, e dell’art. 10 della L. n. 533/1973. Formula n. 106 PUBBLICO IMPIEGO 591 PUBBLICO IMPIEGO Formula n. 107

107 . RICORSO STRAORDINARIO AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA AVVERSO GRADUATORIA DI PUBBLICO CONCORSO 107

AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA Ricorso straordinario del Signor . . ., nato a . . ., il . . ., residente a . . . avverso la delibera . . . che approva la graduatoria del concorso per Dirigente dello IACP di . . ., per il suo annullamento. Fatto Il presidente dello IACP . . . in esecuzione della delibera del Consiglio di amministrazione, emanava in data . . . un bando di concorso per un posto di Direttore dell’Ente II qualifica dirigenziale. Il sottoscritto partecipava alle prove scritte. Successivamente il Consiglio . . ., in data . . ., disponeva la esclusione dal concorso per non idoneità degli scritti, del sottoscritto unico partecipante. Diritto 1) Si ritiene che la composizione della commissione sia illegittima per violazione di legge. Il D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, fissa il principio generale che la maggioranza dei membri delle commissioni giudicatrici dei concorsi pubblici sia formata da esperti dotati di specifiche competenze tecniche rispetto alle prove previste dal concorso. La Corte costituzionale ha ribadito il valore della norma asserendo (fra l’altro attraverso una interpretazione riduttiva rispetto al testo della disposizione che prevede idonee qualifiche per tutti i componenti della commissione per i concorsi di personale con funzioni direttive) che la maggioranza dei componenti delle commissioni

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di concorso deve essere tecnica e non politica, ex art. 97 Costituzione (Corte cost. 15 ottobre 1990, n. 453, in Foro it. 11991, 935). 592 PUBBLICO IMPIEGO Formula n. 107 Nella composizione della commissione di detto concorso, a fronte di due tecnici, vi sono due politici, il Presidente ed il vice Presidente dell’ente, ed un sindacalista (peraltro non del sindacato dirigenti più rappresentativo in sede regionale ossia la CIDA, ma della CGIL) non aventi titolo idoneo per giudicare tecnicamente il candidato. 2) Si ritiene, in subordine, illegittimo per eccesso di potere l’operato della Commissione e del Presidente del Consiglio d’amministrazione, poiché il concorso veniva espletato in regime di prorogatio. Alla data dell’elezione dei Consiglieri Provinciali decadono gli amministratori ed è principio generale che in regime di prorogatio devono essere compiuti solo gli atti di ordinaria amministrazione e tale non sembra la nomina del direttore dell’ente. P.Q.M. Si chiede l’annullamento della delibera impugnata, con conseguente obbligo per l’amministrazione di nominare una idonea commissione, che dia esecuzione, ricostituito il consiglio con le nuove nomine, ai deliberati (Cons. Stato, sez. V, 8 aprile 1987, n. 236). Si produce: 1) graduatoria del concorso. Lì, . . . Il ricorrente . . . RELAZIONE DI NOTIFICA A richiesta del Signor . . . io sottoscritto ufficiale giudiziario addetto al tribunale di . . . certifico di aver notificato il suesteso atto all’amministrazione nella persona del suo legale rappresentante. Il deposito va effettuato presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri (essendovi dubbio sul ministero vigilante essendo gli IACP sotto la vigilanza regionale). �Ÿ �Ÿ �Ÿ Esente da bollo e tasse ai sensi dell’art. 12, Tab. B) del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 642, e dell’art.10 della L. n. 533/1973. Non essendovi altro concorrente non necessita la notifica al controinteressato. Formula n. 107 PUBBLICO IMPIEGO 593 PUBBLICO IMPIEGO Formula n. 108

108 . RICORSO STRAORDINARIO AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA PER ASSOGGETTAMENTO A CONTRIBUTI PREVIDENZIALI 108

AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA Ricorso straordinario del Signor . . ., residente a . . ., nei confronti del presidente pro tempore dell’amministrazione e del Ministero della funzione pubblica per l’annullamento della delibera del Consiglio di amministrazione di . . . e della circolare Ministero del tesoro 3 settembre 1991, n. 8 L.P. in Gazzetta Ufficiale 10 settembre 1991, n. 212, nella parte in cui dichiara non soggetta a contribuzione e non pensionabile l’indennità di funzione di cui all’art. 43 del D.P.R. n. 333/1990, per l’ente di cui al comparto soggetto a detto D.P.R., soggetto a vigilanza della Regione Lombardia. Premesso che la Regione Lombardia nel recepire l’accordo per il triennio 1988/1990 riguardante il personale dipendente dalla regione e dagli IACP, con L.R. n. 38/1990, disponeva

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all’art. 37, che l’indennità di funzione è commisurata allo stipendio iniziale con coefficienti da 0,1 a 1 e che le singole amministrazioni con i provvedimenti previsti dai rispettivi ordinamenti determinano in via preventiva i parametri di riferimento ed i criteri necessari per la individuazione dei coefficienti dell’indennità da attribuire alle diverse funzioni, garantendo obiettività e trasparenza nei comportamenti attuativi; che quindi la fonte normativa, onde valutare la pensionabilità dell’indennità di funzione, deve ritrovarsi per gli IACP nelle delibere del Consiglio d’amministrazione esecutive dopo l’approvazione regionale; che il criterio contributivo a cui l’ente deve ispirarsi deve essere quello delineato dalla giurisprudenza nella fissità, continuità, non modificabilità del trattamento economico che diventa così parte integrante della normale retribuzione (Corte dei conti, sez. III, 19 febbraio 1990, in Riv. Corte conti 1991, 144). Salva la possibilità di rimozione dalla funzione con perdita dell’indennità a norma dell’art. 38 della L.R. Lombardia n. 38/1990. 594 PUBBLICO IMPIEGO Formula n. 108 L’equivoco sta nel considerare precaria una indennità che, di fatto, è invece revocabile, ma, fino a che non viene revocata, deve essere considerata fissa e continuativa agli effetti pensionistici; che la delibera impugnata, recependo in toto detta circolare, detta un criterio di determinazione del trattamento contributivo, riduttivo dell’indennità, affermando che l’indennità di funzione è assoggettata a contribuzione solo per la parte non eccedente la misura minima comune dello 0,1, fissata per tutti i dirigenti dalla fonte normativa comune. Tale criterio è illegittimo e se ne chiede l’annullamento per i seguenti motivi: 1) Violazione di legge. La delibera impugnata, adeguandosi alla citata circolare, assume come fonte normativa il citato D.P.R. n. 333/1990, ignorando volutamente che per gli IACP la fonte normativa è la legge regionale e, secondo i disposti della Legge Lombardia, le delibere del singolo IACP. 2) Illogicità e contraddittorietà. La delibera impugnata, adeguandosi alla citata circolare, afferma che, per essere assoggettati a contribuzione, gli emolumenti devono essere fermi, non aleatori e predeterminati per tutti gli appartenenti alla stessa qualifica, con disposizione univoca che non tiene conto della fonte normativa dei singoli enti, e afferma che i requisiti di pensionabilità si rinvengono per la parte minima comune dello 0,1, come per tutti gli enti dipendenti dalla regione. È chiaro però che, ove l’indennità venga attribuita oggettivamente in relazione alla funzione ricoperta, non può esserci aleatorietà nella corresponsione dell’indennità e quindi, essendo fissa e continua la corresponsione, la contribuzione deve essere corrisposta sull’intero importo. 3) Disparità di trattamento. In subordine si chiede l’annullamento della circolare che, dopo aver sostanzialmente non riconosciuto che a posizioni apicali si possa riconoscere un’indennità di fatto fissa e quindi pensionabile per l’intero, riconosce per posizioni sostanzialmente analoghe del comparto della sanità (punto 4, lett. f), l’indennità di direzione per i direttori amministrativi; punto 4.2, lett. f), l’indennità per i direttori degli istituti zooprofilattici), la totale pensionabilità dell’indennità. Non si capisce perché i coordinatori generali o di servizio degli IACP, che percepiscono una indennità di funzione per la carica oggettivamente ricoperta, debbono essere oggettivamente discriminati. P.Q.M. Si chiede l’annullamento della delibera impugnata e, in subordine, della circolare per le parti in cui dichiara non pensionabile l’indennità di funzione per l’intero coefficiente

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riconosciuto secondo il suo oggettivo riconoscimento secondo le normative di settore. Formula n. 108 PUBBLICO IMPIEGO 595 Si produce: 1) delibera che revoca la corresponsione dei contributi sull’indennità; 2) circolare Ministero del tesoro. Lì, . . . Il ricorrente . . . RELAZIONE DI NOTIFICA Io sottoscritto . . . ufficiale giudiziario addetto all’ufficio notifiche presso il Tribunale di . . . a richiesta del Signor . . . ho notificato il suesteso atto al presidente pro tempore dell’amministrazione IACP. �Ÿ �Ÿ �Ÿ Esente da bollo e tasse ai sensi dell’art. 12, Tab. B) del D.P.R. n. 642/1972 e dell’art. 10 della L. n. 533/1973. Il ricorso va depositato presso il Ministero della funzione pubblica. 596 PUBBLICO IMPIEGO Formula n. 108 PUBBLICO IMPIEGO Formula n. 109

109 . RICORSO AL TRIBUNALE CONTRO LA REVOCA DELLA QUALIFICA DIRIGENZIALE 109

TRIBUNALE DI . . . Il sottoscritto . . ., rappresentato ed assistito dall’avv. . . ., con studio in . . ., come da mandato in calce al presente atto, ricorre contro lo IACP di . . . nella persona del Presidente pro tempore, per l’annullamento della delibera IACP di . . . che lo rimuove dalla direzione e revoca l’indennità di funzione e l’accertamento delle mansioni. Fatto e diritto Premesso che ai sensi dell’art. 410 c.p.c. è stato esperito da parte del ricorrente il tentativo obbligatorio di conciliazione con lo IACP di . . . presso la competente Commissione di conciliazione, senza raggiungere la definizione della controversia. Premesso che, ai sensi dell’art. 43 del D.P.R. n. 333/1990, è stata istituita l’indennità di funzione che compete ai dirigenti per l’effettivo esercizio della funzione, che, con l’art. 37 della Legge Regionale Lombardia n. 38/1990, sono state determinate le modalità per l’erogazione di detta indennità e che, con provvedimento del . . ., è stata determinata per il Signor . . . in misura pari allo stipendio iniziale (applicando il coefficiente 1): che, con successivo provvedimento, è stata valutata in termini negativi la funzione esercitata, rimuovendolo dalla direzione e revocando l’indennità di funzione, ex art. 17, L.R. n. 59/1988. Si fa presente che il sottoscritto dirige l’ufficio, preposto alle funzioni dell’edilizia residenziale pubblica, curando il contenzioso, la pubblicazione del bando di concorso, l’istruttoria delle domande, l’assegnazione degli alloggi, l’anagrafe dell’utenza. Per l’esercizio di tali compiti, non qualificabili preventivamente in quanto non è possibile conoscere in anticipo il numero dei morosi da perseguire tramite le procedure esecutive, il numero di domande da istruire, il numero di assegnazioni da effettuare con i relativi requisiti da controllare, né il numero dei documenti da esaminare per determinare, attraverso il controllo degli inquilini e dei loro redditi, il canone d’affitto. Per effettuare tali procedimenti amministrativi particolarmente complessi, perché ognuno di essi porta alla stipula di un contratto con conseguente responsabilità per

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il dirigente sulla verifica che le norme siano rispettate ed i canoni regolarmente rifordiram\ Formula n. 109 PUBBLICO IMPIEGO 597 scossi con eventuale responsabilità contabile, l’ufficio è dotato di un organico di . . ., si fa presente che il regolamento organico non prevede alcun carico di lavoro per ogni singolo dipendente ossia non specifica le quantità minime di pratiche e di competenze di ciascuno, che i dipendenti in congedo straordinario per malattia e maternità non sono stati debitamente sostituiti, che, con disposizione del coordinatore generale, i dipendenti in carico all’ufficio sono stati distaccati per effettuare pratiche di competenze di altri uffici. Si chiede quindi l’annullamento del provvedimento impugnato per i seguenti motivi. 1) Difetto assoluto di motivazione. Non appare giustificabile l’adozione di un provvedimento così determinante, che sanziona l’attività lavorativa di una persona senza fornire congrua motivazione. Non appare legittimo classificare in termini negativi l’attività esercitata senza porre in rilievo in termini descrittivi l’attività esercitata complessivamente dall’intero ufficio ed analiticamente per addetto né valutare un’attività in termini assoluti senza porla in relazione a parametri medi di produttività per addetto, desunti su medie nazionali e quanto meno concordate prima a livello locale. 2) Illogicità manifesta. Né peraltro risulta che la p.a. abbia mai risposto alle note presentate dal ricorrente, il quale faceva presente le difficoltà gestionali dell’ufficio per le accresciute competenze in termini di legge, per la scarsità del personale in organico, per le sostituzioni non effettuate, per l’uso del personale addetto a compiti presso altri uffici. Appare pertanto illegittimo il comportamento dell’amministrazione che non risponde alle esigenze di modifica dell’organico in relazione a compiti documentati non fissi, le quantità di lavoro per addetto e successivamente ponga in essere atti sanzionatori valutando in termini negativi le funzioni esercitate.ù P.Q.M. Voglia l’Ill.mo Tribunale adito annullare il provvedimento impugnato, reintegrando il ricorrente nelle funzioni, disporre che l’amministrazione proceda entro un termine prefissato ad accertare le mansioni di ogni singolo addetto all’ufficio, attribuendo il relativo carico minimo di lavoro. Si produce: 1) delibera di rimozione dalle mansioni; 2) nota del ricorrente relativa al carico di lavoro. Spese ed onorari rifusi. 598 PUBBLICO IMPIEGO Formula n. 109 Chiede al Tribunale adito che sia fissata l’udienza di discussione a norma dell’art. 415 comma 2 del c.p.c. Lì, . . . Avv. . . . Io sottoscritto . . . nato a . . . il . . . delego a rappresentarmi e difendermi nel presente giudizio, con tutti i poteri di cui all’art. 84 c.p.c. l’avvocato . . . presso il cui studio eleggo domicilio. Lì, . . . Il ricorrente . . . Per autentica Avv. . . . RELAZIONE DI NOTIFICA A richiesta del Signor . . . io sottoscritto ufficiale giudiziario addetto al Tribunale di . . . certifico di aver notificato il suesteso atto al Presidente dello IACP. �Ÿ �Ÿ �Ÿ

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Il ricorso è notificato contestualmente al decreto di fissazione di udienza ex art. 413 c.p.c. Formula n. 109 PUBBLICO IMPIEGO 599 19. SANITÀ IL COMMENTO 19. SANITÀ SOMMARIO: 1. Il riparto di giurisdizione nella tutela del diritto alla salute. − 2. Il servizio sanitario nazionale. − 3. Il rapporto tra pubblico e privato nella sanità nel D.L.vo n. 502/1992. − 4. La scelta delle prestazioni. 1. Il riparto di giurisdizione nella tutela del diritto alla salute. Il diritto alla salute è riconosciuto concordemente dalla giurisprudenza come diritto soggettivo alla cui tutela è preposto il giudice ordinario. Tale tutela è riconosciuta anche in via d’urgenza consentendo i provvedimenti da richiedersi al tribunale, ai sensi dell’art. 700 del c.p.c., al fine di rimuovere quegli ostacoli, come le situazione di pericolo che si vengano a creare per la salute del ricorrente sia nei rapporti di privati, come il datore di lavoro la cui organizzazione di lavoro presenti aspetti pericolosi sia nei confronti di provvedimenti o dinieghi della pubblica amministrazione. Inoltre ogni lesione a tale diritto può dare origine a richieste di risarcimento che vanno indirizzate al giudice ordinario. R. GALLI, Corso di diritto amministrativo, 1996, 124. Quello che più interessa nella nostra trattazione sono gli aspetti del diritto alla salute, che attengono all’azione amministrativa, posti in essere dagli organismi preposti dal legislatore all’attuazione del servizio sanitario nazionale, con particolare riferimento ai rapporti di convenzionamento che la pubblica amministrazione svolge con le strutture private che sono trattate dal legislatore in posizione di parità, almeno formalmente, con quelle pubbliche al fine dell’erogazione del servizio. Tali provvedimenti attengono alla sfera degli interessi legittimi e, secondo la regola generale contro i provvedimenti illegittimi è ammessa tutela presso la giustizia amministrativa. L’inadempimento, da parte dei soggetti pubblici convenzionati, di determinati obblighi di comportamento derivanti dalla convenzione, come tutti gli aspetti che derivano dall’applicazione del contenuto della convenzione sono devoluti alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 5 della Legge n. 1034 del 1971. Le convenzioni hanno natura di contratti di diritto pubblico e danno vita a rapporti che si inquadrano nello schema delle concessioni amministrative di pubblico servizio. La giurisdizione del giudice ordinario residua, ai sensi dell’art. 5 della Legge n. 1034 prima citata, esclusivamente per le questioni concernenti indennità, canoni o altri corrispettivi. Cass. civ., Sezioni Unite, 21 maggio 1992, n. 6132, in Foro it. 1992, I, 2670. Per quanto riguarda i rapporti tra le USSL e i dipendenti del servizio sanitario bisogna distinguere i rapporti instaurati sulla base di convenzioni nazionali previste dall’art. 48 della L. 833 del 1978 tra medici specialisti liberi professionisti ed i rapporti che configurano una dipendenza con la USSL. I rapporti del primo tipo si inquadrano nello schema dei rapporti di collaborazione di diritto privato. Essi si concretizzano in una prestazione d’opera continuata e coordinata prevalentemente personale anche se non a carattere subordinato, la cosiddetta parasubordinazione, ex art. 409 n. 3 del c.p.c., che determina che le relative controversie siano devolute alla giurisdizione del giudice ordinario. Cass. civ. Sezioni Unite, 12 aprile 1991 n. 3897, in Giust. civ., 1991, I, 875. Per configurare i rapporti del secondo tipo nel rapporto di pubblico impiego, è decisivo l’inserimento del lavoratore nell’organizzazione dell’ente pubblico. In tal caso le relative controversie sono demandate alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Cass. civ., Sezioni Unite, 13 aprile 1991, n. 3933, in Giust. civ. mass., 1991. 2. Il servizio sanitario nazionale. Il servizio sanitario nazionale è l’organizzazione preposta a tutela della salute dalla L. 833/1978. Tale riforma dell’organizzazione amministrativa ha avuto lo scopo di unificare le prestazioni prima erogate da numerosi enti pubblici; essa ha però creato un sistema criticato per

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l’eccessiva complessità da cui sono derivati costi non rapportati alle prestazioni erogate. L’attuazione del servizio sanitario nazionale è demandata dallo Stato alle regioni e agli enti locali che le esercitano attraverso strutture operative, autonome che sono le unità sanitarie locali. Lo Stato ha funzioni programmatorie di ripartizione fra le regioni delle risorse da destinare alla programmazione sanitaria, oltre che competenza primaria nelle materie riservate dall’art. 4 come inquinamento ed igiene. Le regioni hanno potestà legislativa nelle funzioni non attribuite allo Stato, inoltre le regioni hanno il compito di determinare gli ambiti territoriali delle unità sanitarie locali. Le regioni approvano, nell’ambito del piano sanitario nazionale, i propri piani sanitari regionali, ai sensi degli artt. 53 e ss. Alle regioni è riservato la vigilanza sulle farmacie e le condizioni per l’autorizzazione delle case di cura private e la vigilanza su di esse. La regione definisce le caratteristiche funzionali che tali istituzioni devono fornire onde assicurare livelli di prestazioni non inferiori a quelle fornite dalle strutture pubbliche, ai sensi degli artt. 43 e ss. Le strutture operative sono le unità sanitarie locali che in un primo tempo sono organizzate come strutture operative dei comuni, a cui appartiene la proprietà dei beni patrimoniali utilizzati dalle USSL, per la loro attività gestionale. Successivamente col D.L.vo n. 502/1992 le USSL diventano strutture operative della regione, vengono ridotte di numero per problemi evidenti di economicità, e la stessa struttura operativa dell’ente viene drasticamente ridotta al solo direttore generale, che deve essere nominato dalla regione tra gli iscritti ad un apposito elenco, come precisa l’art. 3 del D.L.vo citato. 3. Il rapporto tra pubblico e privato nella sanità nel D.L.vo n. 502/1992. La legge n. 833/1978 nel disciplinare all’art. 43 i rapporti fra le istituzioni sanitarie di carattere privato subordina alla autorizzazione e alla vigilanza regionale la possibilità di operare. 606 SANITÀ Il rapporto fra i soggetti privati e la sanità pubblica si concretizza attraverso la stipula di convenzioni redatte secondo schemi tipo, approvate dal consiglio dei ministri, su proposta del consiglio sanitario nazionale. Attraverso la stipula di tali convenzioni si attua l’inserimento della struttura privata nel sistema pubblico. Il sistema viene modificato dal D.L.vo n. 502/1992 che, all’art. 8, comma 4, prevede vengano definiti i requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi minimi richiesti per l’esercizio delle attività sanitarie e la periodicità dei controlli sulla permanenza dei requisiti stessi. Con il medesimo provvedimento sono fissati i termini per l’adeguamento delle strutture e dei presidi già autorizzati ed i criteri per l’aggiornamento dei suddetti requisiti minimi, nonché per la classificazione dei presidi e delle strutture in relazione alla tipologia delle prestazioni erogabili e per le attività obbligatorie in materia di controllo della qualità delle prestazioni. Nella ricerca del contenimento della spesa e nel miglioramento della qualità dei servizi le norme tendono a creare un sistema concorrenziale, a parità di parametri, tra pubblico e privato confermando la libertà di scelta nelle prestazioni del soggetto fruitore. Tale disciplina si applica anche alle corrispondenti strutture pubbliche. 4. La scelta delle prestazioni. Il sistema viene modificato dal D.L.vo n. 502/1992, all’art. 8, comma 5, secondo i seguenti principi. L’unità sanitaria locale assicura ai cittadini la erogazione delle prestazioni specialistiche, ivi comprese quelle riabilitative, di diagnostica strumentale e di laboratorio ed ospedaliere, contemplate dai livelli di assistenza secondo gli indirizzi della programmazione e le disposizioni regionali. Allo scopo si avvale dei propri presidi, nonché delle aziende di cui all’art. 4, delle istituzioni sanitarie pubbliche, ivi compresi gli ospedali militari, o private, ad integrazione delle strutture pubbliche, e dei professionisti con i quali intrattiene appositi rapporti fondati sulla corresponsione di un corrispettivo predeterminato a fronte della prestazione resa, con l’eccezione dei medici di medicina generale e dei pediatri di libera scelta.

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Ferma restando la facoltà di libera scelta del presidio o del professionista erogante da parte dell’assistito, l’erogazione delle prestazioni è subordinata all’apposita prescrizione, proposta o richiesta compilata sul modulario del Servizio sanitario nazionale dal medico di fiducia dell’interessato. Il soggetto convenzionato col servizio sanitario, ossia il medico di fiducia, deve solo accertare la necessità della prestazione, sia per tutelare la salute dell’assistito sia per una evidente economicità di gestione. COMMENTO 607 LE FORMULE 20 SANITÀ Formula n. 110

110 . RICORSO AL T.A.R. PER L’ANNULLAMENTO DEL PROVVEDIMENTO DI DINIEGO E REVOCA DI AUTORIZZAZIONE PER CONVENZIONE PER PRESTAZIONI SANITARIE 110

AL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ricorso Del Sig. . . . legale rappresentante della società . . . rappresentato e difeso come da mandato in calce del presente ricorso dall’avvocato . . . del Foro di . . ., il quale elegge domicilio presso la segreteria del T.A.R. adito contro Il presidente pro tempore della Azienda Sanitaria Locale per l’annullamento 1) del provvedimento di diniego e revoca di autorizzazione per convenzione per prestazioni sanitarie. Fatto e diritto Il ricorrente, a mezzo del suo costituito legale rappresentante, fa presente quanto segue. La società ha stipulato, ai sensi dell’art. 44, L. 23 dicembre 1978, n. 833, colla Azienda Sanitaria Locale una convenzione per fornire prestazioni sanitarie. Sulla base di tale convenzione essa ha richiesto di poter erogare altre prestazioni sanitarie oltre a quelle già convenzionate, non accettando un preventivo filtro di autorizzazione alla prestazione esercitato dalla stessa U.S.L. Ritenendo che tali ultime prestazioni non siano in linea con la tipologia dei servizi previsti dal piano sanitario regionale, la U.S.L. ha negato il convenzionamento ulteriore ed ha revocato la stessa convenzione preesistente considerando il complesso dei servizi offerti non in linea con gli standard regionali. Premesso che rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo la controversia nella quale si discuta della validità della convenzione per prestazioni specialistiche, stipulata, ai sensi dell’art. 44, L. 23 dicembre 1978, n. 833, tra una unità sanita- Formula n. 110 SANITÀ 611 ria locale e una casa di cura privata ovvero altra struttura minore privata, quali ambulatori, centri di diagnostica strumentale, laboratori, gabinetti specialistici (T.A.R. Campania sez. Napoli, 5 maggio 1997, n. 1147, in Rass. giur. sanità, 1998, f. 1-2, 28. Cass. civ., sez. un., 12 marzo 1999, n. 122, in Giust. civ. Mass., 1999, 546). Rilevato, in particolare, che essa, ex art. 33, comma 2, lett. f), D.L.vo 80/1998, rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Ciò posto si impugna il provvedimento di diniego e revoca di autorizzazione per i seguenti motivi. 1) Violazione ed errata applicazione dell’art. 44, L. 23 dicembre 1978, n. 833. In esito al diniego di effettuare prestazioni che non siano preventivamente autorizzate

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la giurisprudenza prevalente ha rilevato che il potere di controllo della U.S.L. non può spingersi a subordinare alla sua autorizzazione l’accesso degli assistiti alle strutture sanitarie estranee all’amministrazione e che tale potere è soggetto al controllo di legittimità del giudice amministrativo (Cass. civ., sez. un., 19 marzo 1999, n. 163, in Giust. civ. Mass., 1999, 610. Cass. civ., sez. un., 20 febbraio 1999, n. 88, in Giust. civ. Mass., 1999, 451). La revoca della concessione non può essere giustificata dalla mancata adesione a precetti imposti dalla U.S.L., al di fuori di un procedimento tipico, che impongano comportamenti contrari ai precetti di legge. Il piano sanitario non esclude la possibilità di offrire altre prestazioni sanitarie purché non siano inferiori a quelle erogate dai corrispondenti presidi e servizi della U.S.L. La revoca, inoltre, deve fare espresso riferimento ai motivi, supportati dall’indicazione normativa, che inducono a respingere l’offerta di queste prestazioni e non deve essere genericamente motivata sulla base della sufficienza dei servizi offerti dalle strutture pubbliche; il rapporto oggetto di convenzione non può ritenersi superato dalla rinnovata organizzazione della struttura pubblica. P.Q.M. Voglia l’Ill.mo T.A.R. adito accogliere le seguenti conclusioni: 1) annullare il provvedimento di diniego e revoca di autorizzazione Si producono i seguenti documenti: 1) convenzione per prestazioni sanitarie; 2) provvedimento di diniego e revoca di autorizzazione. Spese ed onorari rifusi. Lì, . . . Avv. . . . 612 SANITÀ Formula n. 110 Delego a rappresentarmi ed assistermi nel presente giudizio, con tutti i poteri di cui all’art. 84 c.p.c., l’avvocato . . . eleggendo mio domicilio presso la segreteria del T.A.R. adito. Lì, . . . Il ricorrente . . . Per autentica Avv . . . RELAZIONE DI NOTIFICA A richiesta dell’avv. . . . io sottoscritto assistente UNEP addetto al Tribunale di . . . certifico di aver notificato il suesteso atto al presidente pro tempore della Azienda Sanitaria Locale. Lì, . . . Avv. . . . Formula n. 110 SANITÀ 613 SANITÀ Formula n. 111

111 . RICORSO AL T.A.R. PER L’ANNULLAMENTO DEL PROVVEDIMENTO REVOCA DI INCARICO A DIRETTORE AMMINISTRATIVO DI UN’AZIENDA SANITARIA LOCALE 111

AL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ricorso Del dott. . . . già direttore amministrativo dell’azienda sanitaria locale di . . ., rappresentato e difeso come da mandato in calce del presente ricorso dall’avvocato . . . del Foro di . . ., il quale elegge domicilio presso la segreteria del T.A.R. adito

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contro Il direttore generale pro tempore della Azienda Sanitaria Locale per l’annullamento 1) del provvedimento di revoca di incarico a ricoprire la carica di direttore amministrativo dell’azienda sanitaria locale di . . . Fatto e diritto Il ricorrente, a mezzo del suo costituito legale rappresentante, fa presente quanto segue. La azienda sanitaria locale di . . . ha stipulato, in data . . . un contratto di lavoro di durata quinquennale, a norma dell’art. 3, comma 6, del D.L.vo 30 dicembre 1992, n. 502, col dott. ricorrente per attribuirgli la carica di direttore amministrativo dell’azienda. Successivamente, prima della scadenza dell’incarico, l’azienda ha provveduto a revocarlo. Premesso che rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo la controversia nella quale si discuta di prestazioni rese nell’espletamento di pubblici servizi da parte di una unità sanitaria locale e che questa, in particolare, ex art. 33, comma 2, lett. f), D.L.vo 80/1998, rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministra- 614 SANITÀ Formula n. 111 tivo dopo il 30 giugno 1998, data di entrata in vigore del provvedimento. Era invece competente il giudice ordinario per fattispecie anteriore al 1 luglio 1998 (Cass. civ., sez. un., 10 marzo 1999, n. 114, in Giust. civ. Mass., 1999, 530). Ciò posto si impugna il provvedimento di revoca per i seguenti motivi. 1) Violazione ed errata applicazione dell’art. 3, comma 6, del D.L.vo 30 dicembre 1992, n. 502. La causale delle risoluzione presuppone non già l’esercizio di poteri autoritativi discrezionali, ma l’esercizio di un potere operante su un piano paritetico e basato sull’accertamento di specifici inadempimenti. Non si tratta, infatti, della conferma o risoluzione dell’incarico al termine del primo anno dalla nomina, sulla base dei risultati amministrativi e di gestione, ai sensi dell’art. 1, comma 6, D.L. 27 agosto 1994, n. 512, ma il potere di revocare l’incarico deve essere congruamente motivato sulla base di specifici addebiti. Devono, infatti, sussistere gravi motivi, la gestione deve presentare grave disavanzo, deve esservi stata violazione di legge o dei principi di buon andamento o di imparzialità nell’amministrazione. La genericità delle motivazioni, che non si concretizzano in specifici addebiti che giustifichino l’esercizio del potere di revoca dell’incarico, comportano come conseguenza la dichiarazione di illegittimità del provvedimento. 2) Richiesta di determinazione del danno ingiusto, ex art. 35, comma 1, D.L.vo 80/1998 e mod. Stante la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo si chiede, inoltre, che venga determinato il danno ingiusto causato al ricorrente in misura pari alla retribuzione mensile corrispostagli precedentemente, dalla data di revoca dell’incarico fino alla data della reintegrazione dello stesso. P.Q.M. Voglia l’Ill.mo T.A.R. adito accogliere le seguenti conclusioni: 1) annullare il provvedimento di revoca dell’incarico; 2) determinare il danno ingiusto arrecato nella misura indicata al punto 2. Si producono i seguenti documenti: contratto di lavoro; provvedimento di revoca. Spese ed onorari rifusi. Lì, . . . Avv. . . .

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Formula n. 111 SANITÀ 615 Delego a rappresentarmi ed assistermi nel presente giudizio, con tutti i poteri di cui all’art. 84 c.p.c., l’avvocato . . . eleggendo mio domicilio presso la segreteria del T.A.R. adito. Lì, . . . Il ricorrente . . . Per autentica Avv . . . RELAZIONE DI NOTIFICA A richiesta dell’avv. . . . io sottoscritto assistente UNEP addetto al Tribunale di . . . certifico di aver notificato il suesteso atto al direttore generale pro tempore della Azienda Sanitaria Locale. 616 SANITÀ Formula n. 111 20. SANZIONI AMMINISTRATIVE IL COMMENTO 20. SANZIONI AMMINISTRATIVE SOMMARIO: 1. Il potere sanzionatorio delle amministrazioni. − 2. Il procedimento sanzionatorio. − 2.1. La fase preparatoria. − 2.2. La fase costitutiva. La tutela. 1. Il potere sanzionatorio delle amministrazioni. Il potere dell’amministrazione di infliggere una sanzione ad un soggetto, estraneo all’amministrazione medesima, che tenga un comportamento od una azione od una omissione contraria a disposizioni di legge o ad un comportamento dell’autorità è inquadrato da F. BENVENUTI, Appunti di diritto amministrativo, 1959, 155, nell’autotutela sui rapporti. I procedimenti sanzionatori sono disciplinati da specifiche disposizioni di legge, in relazione al disposto dell’art. 23 della Costituzione, che prevede la riserva di legge nel potere di imporre prestazioni ai cittadini. Tali comportamenti possono sfociare nell’illecito penale, ovvero le sanzioni possono afferire alla non completa esecuzione di un rapporto contrattuale, ovvero le sanzioni possono riguardare l’esecuzione non conforme di un provvedimento amministrativo, in tal caso si ha la competenza esclusiva del giudice amministrativo. 2. Il procedimento sanzionatorio. La legge n. 689/1981 ha dettato alcuni principi generali valevoli per tutte le sanzioni amministrative, disciplinando un procedimento che trova applicazione in carenza di leggi speciali, come quelle ad esempio che si è esaminato in precedenza. 2.1. La fase preparatoria. La fase preparatoria del procedimento inizia con l’accertamento della infrazione amministrativa, ai sensi dell’art. 13 della L. n. 689/1981. Contestualmente all’accertamento, si pensi alle contravvenzioni al codice della strada, può seguire la contestazione. In ogni caso essa deve seguire il più presto possibile, comunque non oltre 90 giorni dalla infrazione, pena la decadenza. A tal punto il contravventore può estinguere il procedimento mediante oblazione, prima ancora che si addivenga all’emissione del provvedimento definitivo. L’oblazione si effettua mediante pagamento, entro sessanta giorni dalla contestazione o successiva notifica, di una somma pari ad un terzo del massimo della sanzione prevista o, se più favorevole, di una somma pari al doppio del minimo, ai sensi dell’art. 16 della L. n. 689/1981. R. GALLI, Corso di diritto amministrativo, 1996, 702. In carenza di oblazione la fase preparatoria segue con la trasmissione del rapporto dell’eseguita contestazione e della sua notifica all’autorità competente, che può essere il Prefetto, il Sindaco od il Presidente della giunta provinciale, che provvede all’istruttoria della pratica esaminando gli eventuali ricorsi o le documentazioni fornite dai soggetti passivi del procedimento amministrativo. L’art. 18, L. 24 novembre 1981, n. 689, prevede, nel comma 1, che gli interessati possano far pervenire all’autorità amministrativa competente ad applicare la sanzione amministrativa “scritti

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difensivi e documenti e possono chiedere di essere sentiti dalla medesima autorità”. La disciplina conferisce all’interessato due facoltà nettamente distinte, quelle della difesa scritta e della difesa orale che possono essere esercitate anche congiuntamente. In correlazione a ciascuna delle due facoltà, il comma 2, art. 18 pone chiaramente i doveri procedimentali dell’autorità amministrativa, che vanno necessariamente osservati prima dell’esercizio della potestà di determinare o applicare la sanzione amministrativa. Si nota che la stessa autorità non dispone del potere di archiviazione del rapporto redatto dall’organo accertatore della violazione. Il citato comma dispone che “l’autorità competente, sentiti gli interessati, ove questi ne abbiano fatto richiesta, ed esaminati i documenti inviati e gli argomenti esposti negli scritti difensivi”, decide se l’accertamento è fondato o meno. L’autorità amministrativa ha il dovere sia di sentire gli interessati che ne abbiano fatto richiesta, sia di esaminare il contenuto della memoria difensiva, se essi hanno esercitato la facoltà difensiva anche nella forma scritta. L’inosservanza dei doveri correlati all’esercizio delle facoltà difensive dell’interessato costituisce un vizio del procedimento amministrativo predisposto dalla legge per l’esercizio della potestà sanzionatoria, con la conseguente illegittimità, per violazione di legge, della ordinanza-ingiunzione che ha applicato la sanzione amministrativa (Cass., sez. I, 16 maggio 1990, n. 4266 e 4 aprile 1990, n. 2792, Cass., sez. I, 10 novembre 1992, n. 12088, in Foro amm. 1993, 178). L’accertamento dell’illegittimità del provvedimento sanzionatorio, dedotta dall’interessato a motivo dell’opposizione, comporta l’annullamento di detto provvedimento, ai sensi dell’art. 23, comma 11, della L. n. 689 del 1981, con la conseguenza che viene reso irrilevante l’esame sulla sussistenza o meno dell’infrazione. La Corte di cassazione, sez. un., 19 aprile 1990, n. 3271 ha precisato che “al giudizio di merito sull’infrazione non è dato pervenire quando ricorrono determinati vizi in presenza dei quali il giudice deve arrestarsi all’invalidazione del provvedimento sanzionatorio”. Si ravvisa l’analogia col giudizio tributario. Cass., sez. I, 8 settembre 1986, n. 5468. Nella fase preparatoria si discute dell’ammissibilità di attribuire all’interno del giudizio valore di prova legale ai verbali redatti dagli agenti che accertano l’illecito, anche limitatamente alla provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, nonché alle dichiarazioni delle parti, ai sensi dell’art. 2700 c.c. Sul punto si è pronunciata anche la Corte costituzionale, 10 dicembre 1987, n. 504/ord., in Foro it., 1988, I, 2546, la quale ha dichiarato manifestamente infondata, in riferimento all’art. 24 Cost., che garantisce il diritto di difesa, la questione di legittimità dell’art. 23, L. n. 689 del 1981, integrato dall’art. 2700 c.c., circa il valore di prova legale conferito ai verbali. La Consulta ha ricondotto il riconoscimento dell’efficacia privilegiata di tali atti al superiore interesse della certezza giuridica dell’attività esercitata dai pubblici ufficiali e ha ritenuto il 622 SANZIONI AMMINISTRATIVE potere di proporre la querela di falso sufficiente baluardo del diritto di difesa del soggetto colpito da sanzione. La Cassazione, sez. un., 25 novembre 1992, n. 12545, in Giust. civ. mass. 1992, 1752 ha affermato la posizione tradizionale, secondo cui il verbale di accertamento fa piena prova fino a querela di falso, relativamente ai fatti attestati dal pubblico ufficiale come avvenuti in sua presenza e conosciuti senza alcun margine di apprezzamento o da lui compiuti, nonché alla provenienza del documento dal pubblico ufficiale stesso ed alle dichiarazione delle parti, specificando, comunque, che l’esperimento del rimedio della querela non è necessario qualora la parte intenda contestare la verità sostanziale di tali dichiarazioni o la fondatezza di apprezzamenti o valutazioni del verbalizzante. 2.2. La fase costitutiva. La tutela. La fase costitutiva del procedimento si concretizza con l’emanazione di un ordine di archiviazione di una ordinanza ingiunzione che, previa motivazione, anche per relationem all’articolo di legge violato, determina, entro i limiti di legge, la sanzione e le spese, indica l’ufficio cui deve essere eseguito il pagamento. L’ordinanza ingiunzione costituisce titolo esecutivo per il pagamento. L’eventuale opposizione all’ordinanza si deve presentare al Tribunale competente per territorio entro trenta giorni dalla notifica, ai sensi dell’art. 22 della L. n. 689/1981. Eccezionalmente si consente al giudice ordinario la possibilità, nel caso in cui consideri

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l’opposizione fondata, di annullare un provvedimento amministrativo contrariamente al principio generale che demanda tale funzione al giudice amministrativo. Il giudice ordinario può sia annullare per illegittimità l’atto sanzionatorio che modificarlo intervenendo sull’entità della sanzione. R. GALLI, Corso di diritto amministrativo, 1996, 704. L’ordinanza è provvedimento esecutivo, l’opposizione non ne sospende l’esecuzione. Essa può essere sospesa dal Tribunale per gravi motivi. La sentenza del Tribunale è ricorribile per cassazione, ai sensi dell’art. 23 della L. n. 689/1981. La competenza del giudice di pace in tema di opposizione ed ordinanza-ingiunzione è stata soppressa dall’art. 1 del D.L. 18 ottobre 1995, n. 432, convertito con modificazioni, nella L. 20 dicembre 1995, n. 534. Da ultimo, la legge 25 giugno 1999, n. 205, all’art. 1 disciplina la delega al Governo per attribuire la competenza al giudice di pace. L’art. 99, del D.L.vo 30 dicembre 1999, n. 507, che mod. l’art. 23, della L. 24 novembre 1981, n. 689, attribuisce la competenza in materia di ordinanze ingiunzione al giudice di pace Essa rimane al Tribunale per determinate materie tassativamente indicate dallo stesso articolo, quali la tutela del lavoro, la previdenza, l’urbanistica, la tutela dell’ambiente, l’igiene degli alimenti, le società finanziarie, i tributi, oltre al caso in cui la sanzione sia superiore a € 15.493,71. M. BARBUTO, Giudici di pace tornano le ordinanze ingiunzione, in Guida dir. Dossier, n. 11, 1999, 143. COMMENTO 623 LE FORMULE SANZIONI AMMINISTRATIVE Formula n. 112

112 . OPPOSIZIONE AD ORDINANZA-INGIUNZIONE 112

GIUDICE DI PACE DI . . . Il signor . . . rappresentato e difeso, come da mandato in calce al presente atto, dall’avv. . . . presso il quale è elettivamente domiciliato in . . . fa presente quanto segue. Fatto e diritto In data . . . all’opponente è stata notificata da parte di . . . contestazione per avere superato i limiti di velocità sul tratto di strada statale all’altezza del km . . ., ritenendolo alla guida di autoveicolo targato . . . L’opponente forniva in data . . . controdeduzioni asserendo di non essere proprietario di macchina avente tale numero di targa e di non essere stato in ogni caso in quel giorno ed in quell’ora alla guida dell’auto in questione, trovandosi al posto di lavoro, e chiedeva di essere sentito personalmente. Successivamente veniva notificata ordinanza-ingiunzione, che qui si impugna, di pagare la somma di euro . . . entro trenta giorni dalla notifica, all’ufficio del registro di . . ., dandone comunicazione all’autorità emanante l’ordinanza. L’ordinanza ingiunzione appare illegittima e la si impugna per i seguenti motivi; 1) Violazione di legge per vizio di procedimento. Innanzitutto l’opponente non essendo né proprietario né conducente dell’autoveicolo non può essere ritualmente soggetto passivo del procedimento. In secondo luogo si fa presente che non è stato seguito il procedimento previsto dall’art. 18 della L. 24 novembre 1981, n. 689. Infatti l’opponente ha fatto richiesta scritta di essere sentito ed ha presentato controdeduzioni che sono state respinte senza motivazione. L’inosservanza dei doveri correlati all’esercizio delle facoltà difensive dell’interessato costituisce un vizio del procedimento amministrativo con la conseguente illegittimità

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della ordinanza-ingiunzione (Cass. civ., sez. I, 16 maggio 1990, n. 4266, e 4 aprile 1990, n. 2792, Cass. civ., sez. I, 10 novembre 1992, n. 12088, in Foro amm. 1993, 178). P.Q.M. Voglia il Giudice di pace adito accogliere le seguenti conclusioni: Formula n. 112 SANZIONI AMMINISTRATIVE 627 1) annullare la ordinanza-ingiunzione impugnata; 2) sospendere l’esecuzione per gravi motivi, stante la infondatezza della pretesa sanzionatoria, dimostrata dall’opposizione ed il danno dell’opponente per l’esborso di somma che si ritiene non dovuta. Spese ed onorari rifusi. Si deposita: 1) ordinanza ingiunzione impugnata. Lì, . . . Avv. . . . Io sottoscritto . . . nato a . . . il . . . delego a rappresentarmi e difendermi nel presente giudizio, con tutti i poteri di cui all’art. 84 c.p.c. e con facoltà di conciliare e transigere l’avvocato . . . presso il cui studio eleggo domicilio, per tutti i gradi del presente giudizio. Lì, . . . Il ricorrente . . . Per autentica . . . Avv. . . . �Ÿ �Ÿ �Ÿ Il ricorso ed il decreto di fissazione d’udienza sono notificati all’autorità che ha emanato il provvedimento ed all’opponente dalla cancelleria, ex art. 23, L. n. 689/1981. L’art. 99, del D. L.vo 30 dicembre 1999, n. 507, mod. l’art. 23, della L. 24 novembre 1981, n. 689, attribuisce la competenza in materia di ordinanze ingiunzione al giudice di pace. La competenza rimane al Tribunale solo per i casi tassativamente previsti nello stesso articolo. 628 SANZIONI AMMINISTRATIVE Formula n. 112 21. URBANISTICA IL COMMENTO 21. URBANISTICA (*) SOMMARIO: 1. La giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. − 1.1. Il risarcimento del danno. − 2. Le osservazioni e le opposizioni al Piano Regolatore Generale. − 2.1. Le impugnazioni agli strumenti urbanistici. − 2.2. Vincoli di piano. − 3. Il permesso di costruire. La riforma del T.U. n. 380/2001. − 3.1. Il procedimento di rilascio. Lo sportello unico. − 4. La denuncia di inizio di attività. Il procedimento di rilascio. − 5. Il potere di autotutela del comune. − 6. La tutela giurisdizionale sul procedimento e sul provvedimento di concessione. − 7. Il silenzio assenso. − 7.1. Il diniego. − 7.2. Effetti dell’annullamento giurisdizionale del diniego e del silenzio. − 8. Le sanzioni urbanistiche. − 8.1. Sospensione dei lavori. Demolizione. − 8.2. Acquisizione. − 8.3. Sanzione pecuniaria. − 8.4. Omesso versamento dei contributi. − 9. La violazione delle norme sulle distanze. L’azione di riduzione in pristino. − 9.1. L’azione risarcitoria. − 9.2. La tutela dinanzi alla giustizia amministrativa. − 9.3. I rapporti tra l’azione civile e il giudizio amministrativo. 1. La giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. La legge n. 10/1977 all’art. 16 attribuisce alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie in materia di concessione edilizia di determinazione e liquidazione del contributo urbanistico e di irrogazione delle sanzioni. F. MARIUZZO, La giurisdizione esclusiva in materia edilizia, in Riv. giur. edil. 1989, II, 109. Sulle controversie sui provvedimenti espliciti, come il rilascio o il diniego, od impliciti, come il silenzio rifiuto, non sorgono problemi particolari. Sono provvedimenti amministrativi autorizzatori, che rientrano nella formulazione dell’art. 5, L. n. 1034/1971. Come rientrano nella competenza le pronunce sull’annullamento di concessione, di decadenza,

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di proroga o di voltura o di sanatoria, o di esenzione o riduzione del contributo. In particolare è innovativa la norma là dove attribuisce la competenza al giudice amministrativo in tema di contributi che sarebbero di per sé escluse dalla L. n. 1034/1971 sui T.A.R., art. 5. Questo articolo attribuisce al giudice ordinario la giurisdizione sulle controversie in tema di indennità, canoni ed altri corrispettivi. L’art. 34 del D.L.vo 80 del 1998, mod. dall’art. 7, L. n. 205/2000, attribuisce alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie relative ad atti, provvedimenti e comportamenti della pubblica amministrazione in materia di urbanistica ed edilizia. Il comma 2 dell’art. 34 del D.L.vo 80/1998 afferma che rientrano nella materia urbanistica tutti gli aspetti dell’uso del territorio. L’art. 7, L. n. 205/2000, che sostituisce l’art. 35, L. n. 80/1998, riconosce al giudice amministrativo operante in sede di giurisdizione esclusiva il potere di disporre di tutti i mezzi di prova previsti dal c.p.c. con l’unica eccezione delle prove legali, ossia del giuramento e della (*) L’entrata in vigore del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità, e del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, è stata prorogata al 30 giugno 2002, dagli artt. 5 e 5 bis del D.L. 23 novembre 2001, n. 411, conv. con modif. nella L. 31 dicembre 2001, n. 463. confessione. M.A. SANDULLI; Profili della nuova giurisdizione esclusiva del g.a. in materia urbanistica ed edilizia, in Riv. Giur. Ed. 2001, II, 87. Sui nuovi contenuti della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo si rinvia alla voce Giurisdizione amministrativa par. 5.1. 1.1. Il risarcimento del danno. Il giudice amministrativo, investito della giurisdizione esclusiva sulla controversia in materia di urbanistica ed edilizia, può disporre il risarcimento del danno ingiusto, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, ex art. 35, D.L.vo 80/1998, mod. dall’art. 7, L. n. 205/2000. L’obbligazione risarcitoria della pubblica amministrazione deriva da qualsiasi violazione del dovere funzionale dell’operatore pubblico, suscettibile di provocare danno a taluno e si può escludere il risarcimento solo ove non sia chiaro o provato il nesso causale tra lesione e nocumento, idoneo a trasformare quest’ultimo in danno. La norma distingue fra il giudizio di annullamento che accerta la illegittimità dell’atto e la sua potenziale risarcibilità emettendo i criteri cui il risarcimento deve ispirarsi e il giudizio di determinazione del risarcimento del danno. La seconda parte del comma 2 dell’art. 35, L. n. 80/1998, mod. dall’art. 7, comma 1, lett. c), L. n. 205/2000 dispone, infatti, se le parti non giungono ad un accordo, che, col ricorso previsto dall’art. 27, comma 1, n. 4, del T.U. 26 giugno 1924, n. 1054, può essere chiesta la determinazione della somma dovuta. Non è più necessario adire il giudice ordinario dopo avere ottenuto l’annullamento del provvedimento dal giudice amministrativo. La Corte di cassazione, inoltre, con una sentenza che ha radicalmente mutato l’indirizzo precedente, ha sostenuto che l’atto illegittimo della pubblica amministrazione, che sia causa di un danno ingiusto, comporta la possibilità di agire contro l’amministrazione per ottenere il risarcimento del danno, prima ancora che sia stato disposto l’annullamento del provvedimento dal giudice amministrativo. Cass. civ., Sezioni Unite, 26 marzo 1999, n. 500, in Guida dir. 1999, n. 31, 37. La sentenza è di grande importanza teorica, perché consacra il principio della risarcibilità degli interessi legittimi, ma di fatto è superata dal chiaro dettato legislativo che sottrae al giudice ordinario tale giurisdizione. Essa, infatti è stata attribuita per le cause successive al 30 giugno 1998 al giudice amministrativo almeno nelle principali materie, quali l’urbanistica ed i servizi pubblici, in cui ha giurisdizione esclusiva. Il giudice amministrativo può disporre il risarcimento anche mediante il semplice rinvio a dei criteri, sulla base dei quali l’amministrazione deve proporre all’avente titolo il pagamento di una somma entro un congruo termine. In carenza di un accordo è ammesso il ricorso in ottemperanza, previsto dall’art. 24, primo comma, n. 4, del R.D. 26 giugno 1924, n. 1054, per richiedere la somma dovuta. In tale eventualità appare evidente che le spese debbano essere addebitate, in caso di

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ulteriore omissione o di mancato rispetto delle modalità fissate dal giudice amministrativo, all’amministrazione soccombente. 634 URBANISTICA I diritti patrimoniali consequenziali non sono più riservati alla giurisdizione del giudice ordinario. Questi sono attratti nell’orbita del giudice amministrativo, risparmiando al ricorrente un ulteriore processo. Rimangono riservate al giudice ordinario le questioni pregiudiziali concernenti lo stato e la capacità dei privati individui, salve la capacità di stare in giudizio e la risoluzione dell’incidente di falso, ex art. 35, c. 4, D.L.vo 80/1998. La giurisprudenza ha precisato i limiti temporali del riparto della giurisdizione. Nelle materie già devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo la competenza a conoscere il risarcimento del danno è del giudice amministrativo se la domanda è proposta successivamente al 23 aprile 1998, data di entrata in vigore del D.L.vo 80/1998. T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, 10 marzo 1999, n. 307, in Guida al Dir. 1999, n. 23, 94. La quantificazione del danno spetta al ricorrente che non ha però l’onere di fornire la prova del risarcimento del danno e della sua quantificazione già nel ricorso introduttivo. Il giudice amministrativo può invitare la parte ad articolare i mezzi istruttori e a fornire documenti, rinviando ad altra udienza. È stato riconosciuto il danno derivante dall’annullamento di un ordine di demolizione. Nel caso di specie il giudice amministrativo ha riconosciuto il danno relativo all’impossibilità d’edificazione dalla data di sospensione dei lavori alla data del passaggio in giudicato della sentenza d’annullamento del provvedimento comunale. Tale danno è evidente e non abbisogna di particolare prova. T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, 12 maggio 1999, n. 617, in Guida dir. 1999, n. 23, 98. Il giudice amministrativo ha ordinato al Comune di proporre a favore del ricorrente il pagamento di una somma di denaro, indicando tempi e modi di corresponsione, commisurata al valore locativo medio dell’immobile, oggetto di processo per il periodo della sospensione dei lavori. Non sono stati riconosciuti i maggiori costi dedotti dal ricorrente dovuti all’illegittima sospensione dei lavori, ma non provati. È stato riconosciuto il danno in materia di diniego illegittimo su richiesta di lottizzazione. Va riconosciuto il risarcimento del danno in materia di convenzione di lottizzazione, rientrante negli ambiti di urbanistica ed edilizia, ora nella giurisdizione esclusiva del g.a., allorquando il comportamento della P.A. abbia causato un danno ingiusto ad un soggetto privato, pur essendo questi titolare di una posizione giuridicamente rilevante e qualificabile come interesse legittimo e non diritto soggettivo. Trib. Firenze, 28 febbraio 2000, in Urb. app. 2000, 684. La giurisprudenza ha previsto che, a seguito dell’annullamento dell’atto di diniego di approvazione del piano di lottizzazione, l’Amministrazione soccombente è tenuta a formulare alla parte vincitrice un’offerta di liquidazione dell’ammontare del risarcimento, secondo i criteri stabiliti nella sentenza di condanna, entro il termine stabilito nella stessa. In pendenza di quel termine l’Amministrazione potrà cercare un accordo transattivo col ricorrente, diretto al medesimo risultato. In caso di esito negativo o inconcludente, al ricorrente rimane aperta la possibilità di adire nuovamente il giudice che ha disposto l’annullamento, in via di ottemperanza. T.A.R. Veneto, sez. I, 22 giugno 2000, n,. 1212, in Giust. civ. 2000, I, 3059 nota CACCIAVILLANI. La sentenza del giudice amministrativo non di condanna, ma si esaurisce nell’accertamento della possibilità di esistenza dell’obbligazione risarcitoria e, conseguentemente, nell’ordi- COMMENTO 635 ne impartito all’amministrazione di proporre al danneggiato un’offerta d’indennizzo, determinata secondo le circostanze del caso ed eventualmente secondo i criteri stabiliti dalla sentenza. Essa introduce un procedimento amministrativo, diretto alla determinazione consensuale del quantum del danno, nel quale l’Amministrazione svolge una funzione propositiva normalmente svolta dal soggetto privato nel rapporto con essa. Le possibilità compositive lasciate dalla legge alla disponibilità delle parti sono amplissime. Non necessariamente, infatti, il risarcimento deve consistere in una somma di danaro; esso potrebbe aver luogo attraverso l’attribuzione di altri benefici. Secondo la giurisprudenza il quantum del danno va determinato sulla base della differenza

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fra il valore dell’area considerata come edificabile e il valore della medesima considerata non edificabile, nonché del tempo trascorso tra l’atto addotto come preclusivo dell’approvazione e annullato e la destinazione dell’area che risulterà a seguito dell’esecuzione del giudicato di annullamento dell’atto. T.A.R. Veneto, sez. I, 22 giugno 2000, n. 1212. 2. Le osservazioni e le opposizioni al Piano Regolatore Generale. I privati possono quindi intervenire nella fase della formazione dello strumento urbanistico, partecipandovi attivamente con i rimedi delle osservazioni e delle opposizioni. La natura dei due strumenti è diversa. Per quanto riguarda le prime sussiste una certa tendenza da parte della giurisprudenza a ritenerle mera forma di civica collaborazione, tanto che non occorre una motivazione giuridica qualora esse vengano respinte, il rigetto delle osservazioni non richiede una specifica motivazione. È sufficiente che esse siano state esaminate e ritenute in contrasto con gli interessi e le considerazioni generali poste a base della formazione del piano. La reiezione delle osservazioni può essere motivata per relationem con le controdeduzioni del comune, essendo sufficiente che le controdeduzioni ancorché sintetiche siano idonee a dimostrare che si è tenuto presente l’apporto collaborativo e critico dei privati. Cons. Stato, sez. IV, 3 luglio 1987, in Foro amm. 1987, 1353. Le opposizioni, che spettano solo ai proprietari degli immobili compresi nel piano stesso, hanno carattere di veri e propri rimedi giuridici, in quanto obbligano l’autorità competente ad esaminarle ed a decidere sulle stesse. Secondo altri invece, poiché si rivolgono contro un atto non ancora perfetto, sono dei semplici mezzi istruttori, che non pregiudicano i futuri rimedi giurisdizionali. Si discute, qualora le osservazioni e le opposizioni vengano recepite, sulla necessità di ripubblicare il piano con la medesima procedura e di porlo a disposizione del pubblico per nuove eventuali osservazioni, art. 9, L.U. n. 1150/1942. La giurisprudenza ha escluso la necessità di ripubblicazione dello strumento urbanistico adottato quando il progetto originario risulti modificato a seguito dell’accoglimento di osservazioni, anche nel caso in cui l’accoglimento incida sulle posizioni giuridiche di altri. Si ritiene unitario il procedimento di adozione del piano pur in presenza di più progetti diversi senza che quello successivo possa essere qualificato come una specifica variante fra 636 URBANISTICA adozione e approvazione del piano. Cons. Stato, sez. IV, 6 marzo 1989, n. 148, in Foro amm. 1989, 524. Diversamente la legislazione regionale della provincia di Trento prevede un vero e proprio subprocedimento amministrativo avente ad oggetto l’esame delle osservazioni. T.A.R. Trento, 17 dicembre 1991, n. 447, ivi 1992, 589. Il piano con le controdeduzioni comunali sarà trasmesso agli organi regionali competenti. La legge n. 241/1990 sull’accesso al procedimento amministrativo ha escluso la possibilità di partecipare al procedimento di formazione dei piani urbanistici senza modificare il sistema di intervento dopo l’adozione dello strumento da parte del consiglio comunale. Il D.P.R. 27 giugno 1992, n. 352 approva il Regolamento per la disciplina delle modalità di esercizio e i casi di esclusione del diritto di accesso ai documenti amministrativi ai sensi dell’art. 24, comma 2, della L. 7 agosto 1990, n. 241. Questa normazione consente la attuazione del più generale diritto sancito dagli artt. 7 e ss. della L. n. 241/1990 sulla partecipazione al procedimento amministrativo che si attua nel prendere visione degli atti compiuti dall’amministrazione e nel poterne estrarre copia. Soggetto attivo del diritto è chiunque abbia un interesse per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti, rispetto al testo legislativo il regolamento definisce ulteriormente tale interesse che deve essere personale e concreto, salve le richieste di accesso di portatori di interessi pubblici e diffusi quali amministrazioni, associazioni e comitati. Emerge dall’identificazione del soggetto anche l’ipotetico contenuto delle domande di accesso. Il privato che voglia esercitare il diritto all’accesso, ad esempio in tema di prendere visione della documentazione nella fase formativa di uno strumento urbanistico, non si troverà in una posizione giuridica dissimile da quella prevista dall’art. 9 della legge urbanistica, che prevede la possibilità di prendere in visione presso gli uffici comunali del progetto di piano.

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N. CENTOFANTI, La legislazione urbanistica, 2000, 138. Il comune non sottrarsi all’obbligo di consentire la visione del progetto di piano, neppure nella fase di nuova ripubblicazione dovuta a richieste modifiche da parte della regione in sede di approvazione. L’art. 24, comma 6 della L. n. 241/1990, che non consente l’accesso agli atti preparatori dei provvedimenti di pianificazione, non modifica, anzi lascia pienamente in vigore le altre disposizioni di legge, quali appunto la legge urbanistica, che disciplinano già un procedimento di accesso. Della L. n. 241 si può utilizzare il sistema di tutela presso la giustizia amministrativa. La richiesta può essere evasa direttamente, in via informale, mediante l’esibizione del documento o la estrazione di copia, ovvero in via formale mediante un procedimento puntualmente previsto dal regolamento, che inizia con rituale domanda e finisce con un provvedimento di diniego nei casi di esclusione di tale diritto tassativamente previsti, ad esempio per la sicurezza e difesa nazionale, per ragioni di politica monetaria, per ragioni di ordine pubblico o sicurezza di terzi, ovvero per salvaguardare esigenze di riservatezza dell’amministrazione. Il procedimento di accesso è affidato al responsabile del procedimento amministrativo, individuato ai sensi dell’art. 4 della L. n. 241. COMMENTO 637 Contro le determinazioni amministrative concernenti l’accesso o contro il silenzio rifiuto che si forma nei trenta giorni successivi alla presentazione della richiesta, è dato ricorso entro trenta giorni al T.A.R. che decide in camera di consiglio in termini abbreviati ai sensi dell’art. 25 della L. n. 241/1990. Questa azione ad exhibendum è stata espressamente riconosciuta in tema di accesso a procedimenti pianificatori dalla giurisprudenza. T.A.R. Lombardia, Brescia, 27 novembre 1991, n. 905, in Riv. giur. edil. 1992, 176. 2.1. Le impugnazioni agli strumenti urbanistici. Ha interesse ad impugnare il piano solo chi può ottenere un effetto utile all’accoglimento dell’impugnativa. Il proprietario di una area, la cui destinazione non sia toccata dal motivo di impugnazione non ha pertanto alcun interesse giuridicamente rilevante all’impugnativa della destinazione dei terreni diversi di quelli di sua proprietà ed il ricorso sarà dichiarato inammissibile per difetto di interesse. La legittimazione alle associazioni ambientalistiche all’impugnazione attribuita dagli artt. 13 e 18, L. n. 349/1986 è stata esclusa per provvedimenti urbanistici, ossia diretti alla gestione del territorio senza alcuna incidenza ai valori ambientali. Sono soggetti a censura solo quei provvedimenti che attengono ai profili naturalistici del territorio, come quelli che riguardano, ad esempio, parchi o riserve o che hanno attinenza ai problemi relativi all’inquinamento. Cons. Stato, sez. IV, 28 febbraio 1992, n. 223, in Foro amm. 1992, 402. Sussiste l’interesse ad impugnare l’approvazione di un piano regolatore per un vizio comportante l’annullamento dell’intero atto anche se l’illegittimità dedotta non incide specificatamente sul bene che la parte intende tutelare. Il piano urbanistico può essere impugnato presso il giudice amministrativo sia per motivi di legittimità del procedimento di approvazione sia per motivi sostanziali. Il procedimento approvativo è soggetto al sindacato del giudice amministrativo. Il principio generale che afferma che il provvedimento di approvazione può trovare impugnazione solo dopo che l’atto si sia perfezionato trova una evidente eccezione. Le norme di piano fin dalla loro adozione, pur se viziate da illegittimità producono immediatamente i loro effetti, imponendo la sospensione di ogni determinazione del sindaco al riguardo, per l’applicazione obbligatoria delle misure di salvaguardia. È ammissibile l’impugnazione in via pregiudiziale del piano regolatore semplicemente adottato relativamente a quelle disposizioni immediatamente lesive per il ricorrente. Le misure di salvaguardia sono provvedimenti cautelari con carattere sospensivo e non possono avere portata maggiore di quella che può legittimamente avere la previsione urbanistica. Il piano anche se soltanto adottato viene ad avere effetti giuridici pregiudizievoli per il privato autorizzando una deroga al principio che considera un provvedimento in itinere non impugnabile prima della sua approvazione definitiva.

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La delibera con la quale il comune adotta il piano regolatore costituisce l’atto presupposto del procedimento di approvazione. 638 URBANISTICA I due atti sono legati l’uno all’altro da un nesso di causalità inscindibile. L’atto di approvazione non può sussistere validamente qualora il provvedimento di adozione venga travalto in sede di annullamento giurisdizionale. Cons. Stato, sez. V, 27 febbraio 1990, n. 210, in Cons. Stato, 1990, 253. La natura di atto complesso del procedimento consente la censura del piano in sede di adozione ed in sede di approvazione. Sotto il profilo del contenuto il piano non è sindacabile nel merito delle sue scelte siano esse zonizzazioni o localizzazioni, purché queste scelte siano congrue e rispondenti al procedimento logico formativo del piano. Così ad esempio il futuro andamento demografico comunale che è supporto della elaborazione del piano può essere censurato solo per manifesta illogicità e irrazionalità dei calcoli effettuati. Cons. Stato, sez. IV, 6 marzo 1989, n. 148, in Cons. Stato, 1989, 259. Il piano può essere censurato, ove non venga oggetto di modifica in sede di approvazione regionale, qualora non rispetti le dotazioni minime inderogabili degli spazi pubblici e di quelli destinati ad attività collettive di cui al D.M. 2 aprile 1968, ovvero previsti dalla legislazione regionale. Gli eventuali effetti dell’impugnazione non hanno rilevanza sull’intero piano ma l’eventuale annullamento colpisce le previsioni di cui sia riconosciuta l’illegittimità. 2.2. Vincoli di piano. Il problema di come vincolare le aree attraverso gli strumenti urbanistici generali deve essere risolto dalla normativa urbanistica alla luce dei principi costituzionali che prevedono un congruo indennizzo per ogni limitazione al diritto di proprietà ed il pieno rispetto del principio di uguaglianza dei cittadini, evitando che alla creazione di rendite di posizione faccia riscontro l’espropriazione senza indennizzo. Per tali motivi la Corte costituzionale dichiarò l’illegittimità dell’art. 7 della legge urbanistica che prevedeva la possibilità di istituire vincoli senza indennizzo a tempo indeterminato. Per essere in sintonia col sistema, le disposizioni di piano devono trovare attuazione entro termini precisi, in modo che il potere ablatorio della pubblica amministrazione si accompagni alla corresponsione del risarcimento entro termini ben definiti. Corte cost., 29 maggio 1968, n. 55, in Riv. giur. edil. 1968, 777. Per rispondere alle censure della corte il legislatore approvò la L. n. 1187/1968 che all’art. 2 dispone la perdita di efficacia dei vincoli di piano entro cinque anni dalla approvazione dello strumento urbanistico, se non fossero stati approvati i relativi piani attuativi ovvero non fosse stato perfezionato l’esproprio delle aree interessate al vincolo. Naturalmente la programmazione esecutiva non è stata predisposta per tutte le aree vincolate ed il legislatore è stato costretto all’emanazione di numerose leggi tampone fino all’approvazione della legge sul regime dei suoli. Secondo alcuni essa comportava il superamento delle obiezioni fatte dalla corte costituzionale in quanto l’attività edificatoria è subordinata alla concessione rilasciata dalla pubblica autorità. Non vi sono vincoli che colpiscono la proprietà fondiaria poiché è impossibile esercitare lo ius aedificandi prima del rilascio della concessione edilizia ovvero dell’esercizio del potere COMMENTO 639 programmatorio comunale attraverso il programma pluriennale di attuazione. A. PREDIERI, La legge 28 gennaio 1977, n. 10, 1977, 337. Pareva priva di sostenitori la tesi di coloro che ritenevano che, pur con l’entrata in vigore della legge sul regime dei suoli, il sistema non fosse affatto perequato rimanendo di fatto il vincolo senza indennizzo a tempo determinato, poiché lo ius aedificandi pur con la nuova legislazione rimaneva in capo alla proprietà fondiaria. Gli stessi problemi si riproponevano fino a che la strumentazione urbanistica non avesse dato attraverso gli strumenti esecutivi o l’esproprio attuazione ai piani generali nei termini di legge. N. CENTOFANTI, La legislazione urbanistica, 2000, 131. La corte costituzionale ha avvalorato questa impostazione affermando che il principio del vincolo quinquennale fissato dalla L. n. 1187/1968 deve intendersi tuttora vigente, mentre la

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giustizia amministrativa ha dato delle ulteriori indicazioni in ordine agli effetti che derivano dalla scadenza del termine quinquennale dei vincoli. Le aree interessate al vincolo scaduto sono soggette alla disciplina prevista dall’art. 4, comma 8, L. n. 10/1977 per i comuni sprovvisti degli strumenti urbanistici generali. Corte cost., 27 aprile 1982, n. 92, in Nuova Rass. 1983, 2626. Cons. Stato, Ad. Pl. 2 aprile 1984, n. 7, in Riv. giur. edil. 1984, 317. Scaduto infruttuosamente il quinquennio la cessazione di efficacia del vincolo urbanistico comporta il venir meno della sua esecutorietà e della sua sussistenza quale previsione urbanistica a cui corrisponde la necessaria riespansione delle ordinarie facoltà del diritto di proprietà nei limiti dell’art. 4, L. n. 10 citata. Così ad esempio la presenza di un vincolo a parco oramai scaduto rende illegittima la delibera di approvazione del progetto del parco ed i conseguenti atti ablatori. Altra giurisprudenza legittima, pur con l’intervenuta decadenza l’attuazione delle previsioni di piano purché il proprietario, nei cui confronti il vincolo non è più opponibile, consenta o faccia acquiescenza alla realizzazione dell’opera pubblica, che in tal caso non può essere considerata illegittima, pur in presenza dell’intervenuta decadenza del vincolo, affermando quindi che la decadenza ha effetti dichiarativi e non costitutivi. Cons. Stato, sez. IV, 20 marzo 1992, in Riv. giur. edil. 1992, 441. I vincoli di inedificabilità che hanno perso efficacia per il decorso quinquennio dalla loro imposizione possono essere reiterati. La delibera impositiva dei vincoli deve essere congruamente motivata sull’asserità necessità e sul pubblico interesse che giustificano la riproposizione del vincolo (e perché non sulle ragioni della loro mancata attuazione). La deliberazione deve osservare la procedura prevista per l’adozione degli atti pianificatori quali ad esempio il deposito del progetto, la ricezione delle osservazioni e opposizioni da parte dei privati, pena l’illegittimità. Cons. Stato, sez. V, 28 gennaio 1992, n. 82, in Riv. giur. edil. 1992, 86. Non viene presa in considerazione l’obiezione che in tal modo le aree, comprese nel perimetro dei centri abitati, passano per effetto della caducazione del vincolo da un regime di inedificabilità temporanea ad un regime di inedificabilità permanente. Teoricamente i comuni sono obbligati a dotarsi di uno strumento urbanistico generale che ricopra l’intero territorio ed in tal senso si ritiene che l’inedificabilità di cui all’art. 4 citato sia solo provvisoria. 640 URBANISTICA In caso di inerzia del comune ad adottare la nuova programmazione il privato può sempre promuovere gli interventi sostitutivi della regione oppure agire in via giurisdizionale seguendo il procedimento del silenzio rifiuto per fare acclarare l’obbligo del comune di provvedere alla disciplina urbanistica della zona. In questo ipotesi spetta sempre al comune discrezionalmente la scelta della nuova destinazione da imprimere all’area mediante adeguata motivazione, e non si capisce perché gli amministratori debbano sconfessare precedenti scelte non confermando la destinazione precedente. Cons. Stato, sez. IV, 28 febbraio 1992, n. 226, in Riv. giur. edil. 192, 410. Ma questa tutela che la giustizia amministrativa si è sforzata di costruire non appare idonea a raggiungere l’effetto pratico che è in sostanza quello di far mutare l’originaria localizzazione per l’accertata inadempienza comunale a rispettare i tempi previsti dalle norme. La questione di legittimità delle norme che impongono un termine indeterminato o troppo lungo alle destinazioni di zona è stata rimessa alla Corte costituzionale. T.A.R. Sicilia, Catania, ord. 12 maggio 1992, n. 679, in G.U. 21 ottobre 1992, I serie speciale che censura di sospetta illegittimità la L.R. Sicilia 30/4/1991, art. 2 che proroga il limite di inedificabilità decennale imposto al piano regolatore dalla L.R. n. 39/1973. L’inadeguatezza della tutela del giudice degli interessi è stata rilevata dal giudice ordinario che ha affermato come la tutela amministrativa sia carente poiché, anche accertato l’obbligo del comune di provvedere alla disciplina urbanistica, non deriverebbe alcuna indicazione sul contenuto di tale sistemazione e quindi della modalità e tempi di utilizzo del terreno da parte della proprietà. Corte app. Firenze, ord. 28 febbraio 1992, in G.U. 7/10/1992, n. 42. Il giudice ordinario ribalta il problema verificando la legittimità costituzionale delle norme che, degradando il diritto soggettivo del proprietario a mero interesse, gli precludono la

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via di ottenere il risarcimento del danno per un atto sostanzialmente ablatorio e non supportato da vincoli imposti dal legislatore. La tutela risarcitoria trova un insormontabile ostacolo dal disposto dell’art. 4, L. n. 10/1977 che non fissando alcun termine perentorio dopo la scadenza del vincolo per l’adozione della strumentazione urbanistica consente al comune di mantenere a tempo indeterminato situazioni paragonabili alla inedificabilità assoluta con conseguenze patrimoniali pregiudizievoli per il proprietario a causa del protrarsi dell’inerzia a tempo indeterminato. Questo articolo osserva il giudice ordinario pare in palese contrasto con gli artt. 42, 3 e 24 della costituzione nella parte in cui non prevede che il protrarsi dell’inerzia dell’amministrazione dopo la scadenza del vincolo ed oltre un certo lasso di tempo non determini il diritto all’indennizzo per il proprietario. La Corte costituzionale con sentenza n. 185/1993 ha dichiarato la questione inammissibile poiché fissare i tempi e le modalità di indennizzo è di competenza del legislatore. La Corte costituzionale − successivamente all’entrata in vigore del D.L.vo 80/1988 che ammette il risarcimento del danno, vedi Giurisdizione amministrativa, par. 5 − ha dichiarato la illegittimità costituzionale della reiterazione dei vincoli ed ha disposto l’indennizzo per i vincoli scaduti e reiterati dalle amministrazioni. Corte cost., 20 maggio 1999, n. 179, in Guida al Dir. 1999, n. 22, 133. La Corte precisa i caratteri che devono distinguere il vincolo perché possa essere soggetto ad indennizzo. 21 COMMENTO 641 Il vincolo deve essere preordinato all’espropriazione o avere carattere espropriativo. Il vincolo non deve superare la durata che il legislatore abbia fissato come limite, non irragionevole e non arbitrario, affinché il vincolo stesso risulti sopportabile da parte del singolo soggetto titolare del bene. Il vincolo non deve superare, sotto il profilo quantitativo, la normale tollerabilità. La Corte non esclude che i vincoli decaduti possano essere reiterati in via amministrativa. Possono, infatti, sussistere ragioni giustificative accertate e motivate con congruo provvedimento entro i limiti della ragionevolezza e della logicità. Qualora i vincoli assumano carattere patologico o quando vi sia una ripetizione o una proroga sine die o all’infinito attraverso una reiterazione di proroghe, che si aggiungano le une alle altre, o quando il limite temporale sia indeterminato e senza una previsione di indennizzo, il sistema si scontra con i limiti posti dalle norme costituzionali. La Corte non giunge a fissare i criteri per la concreta liquidazione del quantum dell’indennizzo anche se pone le premesse per la loro definizione, ex art. 35, D.L.vo 80/1998. Vedi precedente par. 1.1. L’indennizzo per il protrarsi del vincolo è un ristoro non necessariamente integrale od equivalente al sacrificio, per una serie di pregiudizi che si possono verificare a danno del titolare del bene immobile colpito. Esso deve essere commisurato al mancato uso normale del bene ovvero alla diminuzione di prezzo di mercato rispetto alla situazione giuridica antecedente alla pianificazione che ha imposto il vincolo. La risaribilità dei vincoli di piano è stata sancita definitivamente dall’art. 39, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, vedi voce Espropriazione per pubblica utilità, par. 12. 3. Il permesso di costruire. La riforma del T.U. n. 380/2001. Il T.U. sull’edilizia approvato con D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, definisce le categorie di interventi che comportano una trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio e che sono soggetti al preventivo rilascio del permesso di costruire. Esso riduce a due i provvedimenti che consentono la realizzazione di opere edilizie: il permesso di costruire disciplinato dall’art. 10 ss., D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, e la denuncia di inizio di attività, regolata dall’art. 22, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380. Gli interventi per i quali è richiesto il rilascio del permesso di costruire sono i seguenti: a) gli interventi di nuova costruzione; b) gli interventi di ristrutturazione urbanistica; c) gli interventi di ristrutturazione edilizia che comportino aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti e delle superfici, ovvero che, limitatamente

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agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della distinzione d’uso. Tali definizioni sono ulteriormente precisate dall’art. 3 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380. Dette disposizioni operano direttamente nei riguardi delle regioni a statuto ordinario fino a quando esse non si adeguano al dettato normativo ex art. 2, terzo comma, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380. 642 URBANISTICA

Le leggi regionali − come ad esempio la L.R. Toscana 14 ottobre 1999, n. 52, e la L.R. Lombardia 18 novembre 1999, n. 22, confermata dalla L.R. Lombardia 16 febbraio 2000, n. 193, − che hanno notevolmente esteso l’ambito di efficacia della denuncia di inizio di attività in materia edilizia fino al punto di sostituire la concessione edilizia, P. MANTINI, L’urbanisatica tra riforma costituzionale incrementale e autonomia amministrativa, in Riv. Giur. Ed. 2001, II, 118 devono pertanto adeguarsi alla nuova normativa. 3.1. Il procedimento di rilascio. Lo sportello unico. Il procedimento di rilascio del permesso di costruire è previsto dall’art. 20, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380. Il T.U. trasforma in regolamenti alcune disposizioni prima legislative, coll’obiettivo di ridurre i tempi procedimentali secondo la delega di cui all’art. 72, secondo comma, lett. a), L. n. 50/1999, mod. art. 1, sesto comma, lett. e), L. n. 340/2000. In attuazione a tali criteri di semplificazione procedurale viene creato lo sportello unico per l’edilizia che deve essere istituito dalle amministrazioni comunali. Esso ha il compito di fornire al cittadino tutte le informazioni in materia di costruzioni e, soprattutto, di curare i rapporti tra l’amministrazione comunale, il privato e le altre amministrazioni chiamate a pronunciarsi sull’intervento edilizio, ex art. 5, secondo comma, lett. e), D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380. L’art. 5, quarto comma, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, identifica gli atti di assenso che devono essere acquisiti dall’ufficio dello sportello unico − come, ad esempio, l’autorizzazione regionale per le costruzioni in zone sismiche o gli atti di assenso previsti dal T.U. sui beni culturali ed ambientali. Fra i pareri obbligatori, non è più contemplato quello della commissione edilizia la cui formazione è condizionata dalle disposizioni del regolamento edilizio comunale. Lo sportello unico comunica entro dieci giorni il nominativo del responsabile del procedimento. La fase preparatoria al provvedimento è affidata al responsabile del procedimento che deve valutare la conformità del progetto alla normativa vigente e formulare una proposta di provvedimento entro sessanta giorni dalla presentazione della domanda, ex art. 20, terzo comma, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380. Tale impostazione appare in linea con quanto disposto dall’art. 107 del D.L.vo 18 agosto 2000, n. 267, che attribuisce ai dirigenti tutti i compiti di attuazione degli obiettivi e dei programmi definiti con gli atti di indirizzo adottati dall’organo politico, secondo le modalità stabilite dallo statuto e dai regolamenti dell’ente. Rientrano in tali compiti i provvedimenti di autorizzazione della concessione o analoghi, il cui rilascio presupponga accertamenti e valutazioni anche di natura discrezionale, nel rispetto di criteri predeterminati dalla legge, dai regolamenti, da atti generali di indirizzo, comprese le autorizzazioni e le concessioni edilizie. Il responsabile deve richiedere d’ufficio le modifiche necessarie a rendere conforme il progetto alla normativa vigente. Il termine relativo all’emanazione del provvedimento può essere interrotto una sola volta per richiedere integrazioni alla domanda. COMMENTO 643 La fase consultiva, ove sia necessaria, viene realizzata attraverso la convocazione di una conferenza di servizi. Essa deve essere convocata anche su richiesta del richiedente entro i termini previsti dall’art. 14, L. n. 241/1990. I termini per la conclusione del procedimento sono tassativi. Il responsabile del procedimento ha sessanta giorni dal momento della presentazione della domanda ovvero dalla data di integrazione della documentazione per curare l’istruttoria e formulare la proposta di provvedimento.

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La integrazione istruttoria può essere richiesta una sola volta ed entro 15 giorni dalla domanda; il termine appare di carattere ordinatorio, se fosse tassativo si incentiverebbe la presentazione di progetti carenti di documentazione. La fase costitutiva è demandata al responsabile del procedimento che deve valutare i pareri formulati dalle altre amministrazioni nella conferenza di servizio. Entro quindici giorni dalla scadenza del termine della formulazione della proposta o dall’esito della conferenza di servizio il responsabile del procedimento deve emanare il provvedimento conclusivo. Sembra esclusa ogni possibilità di diniego che non trovi motivazione in una tassativa disposizione di legge. Le ipotesi sono due: o entro il termine dei settantacinque giorni − sessanta per formulare la proposta e quindici per redigere il provvedimento − si addiviene alla rituale fase costitutiva della concessione con la firma del provvedimento da parte del responsabile e la notifica al richiedente o, scaduto il termine, si inizia la fase di tutela giurisdizionale o la fase sostitutiva da parte della regione. Pur cambiando la fase procedimentale non cambia la natura giuridica dello ius aedificandi e la qualificazione giuridica del richiedente che rimane di interesse legittimo e si espande solo coll’emanazione del provvedimento concessorio dell’amministrazione. Il silenzio sulla richiesta a provvedere non ha effetti costitutivi in ordine alla nascita di un diritto a costruire, ma consente l’avvio della tutela giurisdizionale davanti al giudice amministrativo o di procedure sostitutive. Decorso il termine per l’adozione del provvedimento la domanda di permesso di costruire si intende rifiutata, ex art. 20, nono comma, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, con la possibilità di impugnare il silenzio rifiuto richiedendo l’eventuale risarcimento del danno. Scaduto il termine per la emanazione del provvedimento il richiedente può attivare l’intervento sostitutivo della regione, inoltrando apposita domanda allo sportello unico affinché il responsabile del procedimento si pronunci entro quindici giorni. Tale domanda deve essere comunicata al sindaco al fine di consentirgli la verifica procedimentale onde evitare l’intervento sostitutivo. Decorso inutilmente anche questo termine l’interessato può inoltrare richiesta di intervento sostitutivo al competente organo regionale il quale, nei successivi quindici giorni, nomina un commissario ad acta che deve provvedere entro sessanta giorni. Trascorso detto termine si intende rifiutata anche la domanda di intervento sostitutivo, con conseguente possibilità di impugnativa giurisdizionale, ex art. 21, secondo comma, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380. 644 URBANISTICA 4. La denuncia di inizio di attività. Il procedimento di rilascio. La disciplina della denuncia di attività è stata introdotta dall’art. 19, L. n. 241/1990. Esso prevede che, in tutti i casi in cui l’esercizio di un’attività sia subordinato ad autorizzazioni, licenze, nulla osta, permessi o altri atti di consenso il cui rilascio dipenda esclusivamente dall’accertamento dei presupposti o dei requisiti di legge, senza la necessità che ai fini di tali accertamenti sia necessario esperire prove che comportino valutazioni tecnico discrezionali, l’attività medesima possa essere iniziata dal soggetto interessato con la presentazione di una denuncia alla autorità amministrativa competente, salvo il controllo successivo dell’amministrazione, vedi voce Accesso al procedimento amministrativo, par. 2.4. Contestualmente sono abrogate le norme di cui all’art. 48, L. n. 450/1978, relative all’autorizzazione ad edificare, così come integrate dall’art. 7 della L. n. 94/1982, le norme relative al silenzio assenso, di cui all’art. 8 della stessa L. n. 94/1982, e gli artt. 10 e 26 sull’asseverazione della L. n. 47/1985. L’art. 22 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, precisa che gli interventi edilizi realizzabili mediante denuncia di inizio di attività sono individuati in via residuale rispetto alle categorie espressamente previste e sottoposte a permesso di costruire, eventualmente integrate dalle ulteriori ipotesi individuate dalle singole regioni. L’indicazione degli interventi che comportano trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio rende inutile l’elenco degli interventi edilizi minori. Per questo tipo di opere non è prevista la corresponsione del contributo di costruzione. In tali ipotesi il procedimento di rilascio viene sostituito da un procedimento assolutamente

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semplificato, addossando al progettista la responsabilità di asseverare la conformità delle opere alle disposizioni di piano, o di regolamento edilizio ed il rispetto delle norme di sicurezza e di quelle igienico sanitarie. Il procedimento di rilascio prevede che la denuncia di attività sia presentata allo sportello unico almeno trenta giorni prima dell’inizio dei lavori, ex art. 23, primo comma, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380. Se il responsabile del procedimento, nel termine indicato, non riscontra una delle condizioni stabilite per la regolarità della denuncia notifica all’interessato l’ordine motivato di non effettuare l’intervento. Nel caso di silenzio i lavori possono iniziare regolarmente dopo la scadenza del termine. Quando l’intervento oggetto di denuncia è sottoposto a un vincolo la cui tutela compete all’amministrazione comunale il termine decorre dal rilascio del relativo atto di assenso. Qualora il vincolo sia di competenza di altra amministrazione il competente ufficio comunale convoca una conferenza di servizi. Il termine in tal caso decorre dal giorno dell’adozione del provvedimento da parte della conferenza. Il progettista ha la responsabilità di asseverare la conformità delle opere alle disposizioni di piano, di regolamento edilizio ed il rispetto delle norme di sicurezza ed igienico sanitarie. Il progettista ha l’onere di individuare esattamente l’estensione delle varie fattispecie tassativamente indicate dal legislatore. Il progettista vuole essere tutelato ad identificare fattispecie assolutamente certe. COMMENTO 645 Il progettista deve produrre una relazione accompagnata dagli elaborati progettuali, che non essendo indicati devono essere necessariamente stabiliti da un emanando regolamento comunale, che asseveri la conformità delle opere da realizzare agli strumenti urbanistici adottati od approvati ed ai regolamenti edilizi esistenti, nonché il rispetto delle norme di sicurezza e di quelle igienico sanitarie. L’invenzione è quella di attribuire al progettista la qualifica di incaricato di pubblico servizio ai sensi della legge penale. Le eventuali disattenzioni acquistano immediatamente rilevanza penale, realizzando il reato previsto dall’art. 481 c.p., che sanziona la falsità ideologica in certificato. Il comune che ritenga non veritiere le dichiarazioni presentate deve trasmettere opportuna comunicazione agli ordini professionali competenti per l’irrogazione delle sanzioni disciplinari. Gli ordini sono investiti da un numero imprecisato di comunicazioni ed a loro volta devono trasmettere i loro provvedimenti di censura, di sanzione pecuniaria ovvero di sospensione o addirittura radiazione nei casi più gravi agli altri ordini. La esecuzione delle opere in assenza della denuncia o in difformità della stessa o quando questa è difforme dagli strumenti urbanistici comporta l’applicazione di una sanzione pecuniaria pari al doppio del valore venale che l’immobile consegue per la realizzazione delle opere partendo dalla somma minima di un milione, ex art. 37, primo comma, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380. Se le opere iniziano prima della denuncia la sanzione si applica nella misura minima, sempre che le stesse siano conformi agli strumenti urbanistici. In ogni caso, essendo i lavori al di fuori delle fattispecie per le quali è necessario il rilascio di permesso di costruire, non si applicano le disposizioni di cui all’art. 44, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, essendo estranei alle categorie che possono concretizzare la realizzazione di reati urbanistici. La giurisprudenza non ha ritenuto mai applicabili le fattispecie penali dei reati edilizi. 5. Il potere di autotutela del responsabile del procedimento. Il responsabile del procedimento ha il potere di annullare d’ufficio il permesso di costruire che sia stato rilasciato per errore, in contrasto con le norme legislative e regolamentari, di piano regolatore generale o speciale. Questo potere rientra in quello normale di autotutela che consente all’amministrazione di modificare autoritariamente d’ufficio i suoi atti qualora ne riscontri, successivamente, la difformità rispetto a fonti normative. Tuttavia, quando è escluso il comportamento fraudolento e colpevole dell’interessato, il potere dell’amministrazione incontra un limite nella necessità di una approfondita considerazione

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della situazione e di una concreta valutazione degli effetti prodotti dall’atto. Cons. Stato, sez. V, 1° febbraio 1990, n. 50, in Cons. Stato 1990, 203. L’annullamento può essere dichiarato solo per vizi di legittimità che possono incidere sul procedimento formativo del permesso di costruire ovvero per la mancanza di ulteriori autorizzazioni che, pur essendo autonome ed indipendenti rispetto al procedimento, sono requisiti di legittimità dello stesso. 646 URBANISTICA Il provvedimento di annullamento deve ripercorrere l’intero procedimento che ha portato all’approvazione dell’atto che si intende annullare. Gli organi che hanno espresso eventuali pareri od atti di assenso devono indicare e motivare nel parere l’interesse pubblico concreto ed attuale che giustifica la rimozione della concessione. La motivazione non può limitarsi all’indicazione della mera esigenza di ripristinare la legalità violata, ma deve esternare le concrete ragioni che impongano di sacrificare l’interesse privato di conservazione della concessione a quello pubblico che ne esige l’annullamento. La motivazione è tanto più necessaria nel caso in cui il permesso di costruire che si vuole annullare abbia già avuto esecuzione con la realizzazione della costruzione, trattandosi di un interesse privato consolidatosi nel tempo. Cons. Stato, sez. V, 16 ottobre 1989, n. 641, in Cons. Stato 1989, 1193. L’annullamento del permesso di costruire in sede di autotutela o giurisdizionale non implica necessariamente l’adozione dei provvedimenti repressivi. L’amministrazione deve valutare la soluzione più idonea da adottare nel superiore interesse pubblico. Qualora non sia possibile la rimozione dei vizi delle procedure amministrative, che hanno portato all’annullamento, ovvero la riduzione in pristino il responsabile del procedimento applica una sanzione pecuniaria pari al valore venale delle opere o delle loro parti abusivamente eseguite, valutato dall’agenzia del territorio, ex art. 38, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380. I provvedimenti comunali che autorizzano interventi non conformi alle prescrizioni di piano possono essere annullati entro dieci anni dalla loro adozione da parte della regione, ex art. 39, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380. 6. La tutela giurisdizionale sul procedimento e sul permesso di costruire . Legittimati ad impugnare il permesso di costruire sono tutti coloro che si trovano in una situazione di stabile collegamento, che può derivare da un titolo di proprietà ovvero da un rapporto contrattuale di locazione, con la zona in cui si intende realizzare la costruzione, purché facciano valere un interesse di carattere urbanistico quale è quello dell’osservanza delle prescrizioni relative alla zona interessata. Cons. Stato, sez. V, 15 giugno 1988, n. 393, in Cons. Stato 1988, 653. In tal modo l’interpretazione giurisprudenziale ha sostanzialmente limitato la legittimazione a ricorrere, che l’art. 31 della legge urbanistica n. 1150/1942 − ora abrogato dall’art. 136 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 estendeva a «chiunque». Il termine chiunque è stato considerato come equivalente alla forma impersonale. La tutela comprende la verifica del rispetto dei tempi previsti dal rituale procedimento amministrativo. Dalla scadenza del termine previsto per l’emanazione del provvedimento decorrono i sessanta giorni per adire alla giustizia amministrativa per ottenere l’annullamento del diniego illegittimo. L’azione contro il silenzio diniego riveste oramai un carattere sussidiario rispetto ad altre azioni ipotizzabili. COMMENTO 647 Il richiedente ha la possibilità di agire per i danni arrecati a causa del comportamento inadempiente del responsabile del procedimento che è anche il soggetto competente all’adozione del provvedimento, secondo quanto previsto dall’art. 35 del D.L.vo n. 80/1998. La tutela amministrativa, almeno in questa fase, è destinata a concretizzarsi nel risarcimento del danno ingiusto. In tal senso si manifesta l’interesse ad ottenere l’annullamento del diniego. Questo non dà alcun diritto ad edificare, ma tutt’al più concretizza la possibilità di richiedere la nomina di un commissario ad acta. L’art. 21, primo comma, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 dichiara l’ammissibilità dell’intervento

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sostitutivo regionale anche qualora il richiedente si affidi alla giustizia amministrativa. Il provvedimento può essere impugnato da terzi al fine di ottenere l’annullamento del permesso di costruire. La causa più frequente di illegittimità è quella relativa al mancato rispetto della disciplina delle distanze. I privati danneggiati dalle costruzioni dei confinanti, che pure hanno ottenuto dal comune il permesso di costruire rilasciato facendo salvi i diritti di terzi, possono usufruire della cosiddetta doppia tutela. Essi possono adire il giudice ordinario per tutelare, ai sensi del secondo comma dell’art. 872 c.c., il loro diritto soggettivo perfetto alla riduzione in pristino delle opere realizzate in spregio alla disciplina delle distanze e al risarcimento del danno, vedi infra par. 9. Parallelamente essi hanno la possibilità di richiedere al giudice amministrativo l’annullamento della concessione che risulta illegittima per violazione delle norme sulle distanze. L’interesse del privato si è gradualmente spostato da posizioni di tutela essenzialmente diretta a salvaguardia della proprietà a posizioni che tendono a garantire il più ordinato assetto della città. Ad esempio, censurando i provvedimenti che consentivano l’installazione di una attività alberghiera o artigianale in zone destinate all’abitazione, ovvero che autorizzavano tipologie diverse da quelle previste dal piano. Spetta, comunque, al responsabile del procedimento l’adozione dei provvedimenti repressivi o di esecuzione dell’annullamento pronunciato dal T.A.R. Il ricorrente, in caso di omissione a provvedere, deve azionare un ulteriore ricorso per l’esecuzione del giudicato, ai sensi dell’art. 27, n. 4 del T.U. n. 1054/1924. 7. Il silenzio assenso. Solo in una ipotesi, tassativamente prevista, il silenzio del legislatore sulla domanda del richiedente acquista effetti positivi, dato che l’art. 136 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, ha disposto l’abrogazione del silenzio assenso sulle domande di autorizzazione, ai sensi dell’art. 48, L. n. 457/1978 del silenzio assenso sulle nuove costruzioni, disciplinato dall’art. 8 della L. n. 94/1982. L’unica ipotesi di silenzio assenso residua è disciplinata dall’art. 35, comma 12, L. n. 47/1985 sul condono edilizio. 648 URBANISTICA Il decorrere del termine di 24 mesi dalla presentazione dell’istanza di condono per opere oggettivamente sanabili ha come effetto che il silenzio dell’amministrazione equivale ad accoglimento. Si forma in capo al richiedente un diritto soggettivo perfetto, accertabile in sede di giurisdizione amministrativa che ha competenza esclusiva in tema di concessioni edilizie. Il pagamento delle somme dovute, una volta determinata in via definitiva l’oblazione, è condizione di efficacia per la formazione del silenzio assenso la cui validità è connessa invece al fatto che l’opera sia oggettivamente condonabile. L’accertamento dell’avvenuta formazione del silenzio accoglimento è affidato alla giustizia amministrativa. T.A.R. Lombardia, Brescia, 13 ottobre 1989, n. 959, in Riv. Giur. Ed. 1990, 987. Contra Cons. Stato, sez. V, 15 gennaio 1990, n. 23, in Riv. Giur. Ed. 1990, 366. 7.1. Il diniego. Alla richiesta di rilascio del permesso di costruire deve seguire un provvedimento comunale. L’art. 11 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, sancisce la obbligatorietà del rilascio del permesso di costruire. Col diniego il responsabile del procedimento comunica all’interessato gli eventuali pareri contrari espressi dagli organi consultivi il cui giudizio è obbligatorio per il rilascio. La comunicazione deve essere notificata all’interessato, ai fini della decorrenza dei termini per l’impugnativa. Per essere legittimo il provvedimento deve contenere una specifica esposizione dei motivi del rifiuto che devono trovare fondamento nella legge, o un atto pianificatorio. La motivazione del provvedimento deve consentire al giudice amministrativo di verificare la legittimità dell’atto impugnato. Sono illegittime le motivazioni assolutamente vaghe e generiche che fanno riferimento a imprecisate destinazioni di zona. Devono essere indicati i motivi di contrasto fra il progetto e la normativa vigente o le

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ragioni di pubblico interesse che ostano al rilascio del permesso di costruire. La pubblica amministrazione, in sede di motivazione del provvedimento negativo, deve giustificare l’esistenza di eventuali vincoli ambientali producendo il relativo provvedimento. In carenza di un rituale provvedimento di vincolo, la motivazione del diniego appare illegittima. Cons. Stato, sez. V, 12 settembre 1992, in Foro amm. 1992, 1919. Il generico giudizio negativo riguardo alla compatibilità dell’opera con l’ambiente, che giustifica il diniego del permesso di costruire, è giudizio altamente discrezionale; esso incide negativamente sulla sfera giuridica dell’interessato e concreta il vizio di carenza di motivazione, che ha come conseguenza logica e consequenziale la dichiarazione di illegittimità del diniego. T.A.R. Campania, Napoli, sez. I, 26 febbraio 1991, n. 298, in Foro amm. 1992, 2068. 7.2. Effetti dell’annullamento giurisdizionale del diniego e del silenzio. Per costante giurisprudenza il silenzio rifiuto è illegittimo, come il diniego non validamente motivato. COMMENTO 649 Il commissario ad acta nominato nel giudizio amministrativo provvede sulla richiesta. In tal caso si riduce il problema della tutela che ha provato in precedenza ostacolo nel fatto che, nel frattempo, la disciplina urbanistica è mutata in senso ovviamente restrittivo, impedendo la realizzazione di opere consentite preedentemente. La giurisprudenza prevalente si è attestata ad affermare che il provvedimento del sindaco, ora responsabile del procedimento, deve tenere conto delle norme in vigore al momento della notifica della sentenza di annullamento. L’amministrazione deve provvedere rispettando queste norme senza adottare successivamente nuove disposizioni programmatorie in contrasto col giudicato amministrativo. Al fine di riconoscere una effettiva tutela al giudicato si è riconosciuto in capo al ricorrente un interesse pretensivo, da fare valere con apposita istanza all’autorità titolare del potere di pianificazione. Il comune ha, quindi, l’obbligo di rivedere il piano vigente, non però di adeguarlo alle richieste, al fine di valutare se ad esso possa essere portata deroga che recuperi, compatibilmente con l’interesse pubblico, la previsione del precedente piano sulla quale si fondava la domanda di concessione che il T.A.R. ha riconosciuto legittima, annullando i provvedimenti comunali di diniego o di silenzio. Cons. Stato, Ad. Pl. 8 gennaio 1986, n. 1, in Foro amm. 1986, 19; Cons. Stato, sez. IV, 17 febbraio 1992, n. 195, in Foro amm. 1992, 380. 8. Le sanzioni urbanistiche . 8.1. Sospensione dei lavori. Demolizione. La sospensione dei lavori è sanzione amministrativa meramente cautelare solo per le infrazioni urbanistiche meno gravi ossia per la inosservanza delle norme, prescrizioni, modalità esecutive fissate dal permesso di costruire, ex art. 27, terzo comma, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380. Per le più gravi, quale l’assenza di permesso di costruire, si deve provvedere immediatamente con l’ordine di demolizione senza alcun provvedimento di natura cautelare. La sanzione è apparsa meramente dilatoria e destinata a dare tempi lunghi ai procedimenti sanzionatori, a tutto beneficio degli autori dell’abusivismo edilizio. La dottrina ha considerato ordinatorio e non perentorio il termine di quarantacinque giorni entro il quale devono essere adottati i provvedimenti definitivi, per cui la sospensione mantiene i suoi effetti fino alla adozione degli stessi, N. CENTOFANTI, L’abusivismo edilizio 1998, 36. La demolizione del manufatto abusivo è il rimedio normale contro l’abusivismo di più grave entità, ossia quello effettuato in carenza di permesso di costruire, ex artt. 27 e 31 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, e anche contro l’abusivismo minore, vale a dire quello relativo agli interventi di ristrutturazione edilizia in assenza o difformità di permesso di costruire, ex art. 33 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, o quello relativo ad opere eseguite in parziale difformità dal permesso di costruire, ex art. 34 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380. L’ordinanza di demolizione fissa il termine, non oltre 90 giorni, entro il quale le opere devono essere demolite a cura e spese dei responsabili dell’abuso, ex art. 21, secondo comma, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380. 650 URBANISTICA Tale rimedio è legittimo anche se non contiene la valutazione della fattibilità tecnica

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dell’intervento demolitorio che verrà presa in considerazione solo quando la demolizione sarà disposta, in caso di inottemperanza, d’autorità. Cons. Stato, sez. II, 2 maggio 1990, n. 1092/1989, in Riv. giur. ed. 1991, 117. È data la possibilità di sospendere la sanzione nel caso sia possibile richiedere l’accertamento di conformità dell’opera abusiva agli strumenti urbanistici esistenti, ex art. 36 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380. L’ordine di demolizione dato successivamente alla richiesta di conformità o prima dell’ultimazione dei lavori, nel caso di varianti in corso d’opera, è illegittimo. Cons. Stato, sez. V, 7 novembre 1990, n. 770. La demolizione è disposta con ordinanza dal responsabile del procedimento in caso di inottemperanza della diffida a demolire, dopo l’acquisizione dell’opera abusiva, ex art. 31, quinto comma, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380. 8.2. Acquisizione. Il procedimento di acquisizione è disposto dall’art. 31, quinto comma, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380. Soggetto attivo è il responsabile del procedimento il cui operato è soggetto a forme di pubblicità e controllo sostitutivo. Il segretario comunale è obbligato a redigere l’elenco dei rapporti comunicati dagli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria riguardanti opere o lottizzazioni abusive e deve trasmetterlo al presidente della giunta regionale, all’autorità giudiziaria competente e al Ministero delle infrastrutture e trasporti, ai sensi dell’art. 31, settimo comma, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380. L’organo regionale ritenuto competente può intervenire in via sostitutiva in caso di inerzia, dandone contestuale notizia all’autorità giudiziaria ai fini dell’esercizio dell’azione penale. Soggetto passivo del procedimento è, naturalmente, il proprietario dell’immobile. Se le opere sono state realizzate a sua insaputa, ad esempio per opera del conduttore, la Corte costituzionale ha affermato che il comune deve procedere, anche d’ufficio, ad eseguire l’ingiunzione nei confronti del responsabile, addebitandogli le relative spese, senza procedere all’acquisizione nei confronti del proprietario che risulti essere non colpevole dell’abuso. Corte cost., 24 maggio 1991, n. 215, in Riv. giur. ed. 1991, 537. L’oggetto del provvedimento di acquisizione sono le opere abusivamente eseguite su terreni sottoposti a vincolo di inedificabilità, le opere eseguite in totale difformità dal permesso di costruire, che comportano la realizzazione di un organismo edilizio diverso da quello indicato nel provvedimento o con varianti cosiddette essenziali rispetto al progetto approvato, così come determinate dalle regioni, ex art. 32, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380. L’oggetto dell’acquisizione, in carenza di permesso di costruire, può riguardare l’area di pertinenza per una metratura che può essere equivalente anche a dieci volte la complessiva superficie abusivamente realizzata, ai sensi dell’art. 31, terzo comma, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380. COMMENTO 651 In caso di abusivismo parziale l’oggetto dell’acquisizione è limitato all’opera abusiva e non può estendersi all’intero manufatto. Se si realizza abusivamente una sopraelevazione l’acquisizione non può estendersi al relativo edificio. Cons. Gius. Amm. Reg. Sic. 23 aprile 1991, n. 153, in Mass. Compl. Giur. Cons. Stato 1991, 320. Il procedimento amministrativo si sviluppa attraverso una fase preparatoria, che è costituita dall’accertamento effettuato dagli uffici tecnici comunali ed è intesa a definire esattamente le opere abusive che devono essere accuratamente descritte. Successivamente, vi è la verifica tesa ad attestare la difformità delle opere dalle norme e dalle disposizioni di piano regolatore e l’impossibilità di rilascio di permesso in sanatoria. La fase preparatoria non è autonomamente impugnabile; non è previsto alcun contraddittorio con chi ha realizzato le opere, anche se, ai sensi della L. n 241/1990, vi è la possibilità teorica di partecipare al procedimento sanzionatorio. Il primo atto procedimentale è costituito dall’ingiunzione a demolire che deve necessariamente identificare il soggetto passivo e l’oggetto dell’acquisizione. L’atto è impugnabile presso la giustizia amministrativa. Se il responsabile dell’abuso non provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei

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luoghi nel termine di novanta giorni dall’ingiunzione i beni e l’area sono acquisiti di diritto, gratuitamente, al patrimonio del comune. L’accertamento dell’inottemperanza alla ingiunzione a demolire nel termine di novanta giorni, previa notifica all’interessato, costituisce titolo per l’immissione nel possesso e per la trascrizione nei registri immobiliari che deve essere eseguita gratuitamente, ex art. 31, quarto comma, D.P.R. 6 giugno 2000, n. 380. L’acquisizione al patrimonio comunale è atto dovuto senza alcun contenuto discrezionale, subordinato unicamente all’accertamento dell’inottemperanza ed al decorso del termine di legge. L’accertamento dell’inottemperanza all’ingiunzione a demolire ha carattere dichiarativo e non costitutivo. Gli effetti della acquisizione sono direttamente collegati dalla norma alla inottemperanza del termine. Il successivo provvedimento svolge solo funzioni di verifica dell’esistenza dei due requisiti legali e di precostituzione di un titolo per l’immissione nel possesso e per la trascrizione. Cons. Stato, sez. V, 23 gennaio 1991, n. 66, in Riv. giur. ed. 1991, 118. La gratuita acquisizione al patrimonio indisponibile del comune dell’area sulla quale insiste la costruzione abusiva rappresenta la reazione dell’ordinamento al duplice illecito di chi dapprima esegue l’opera abusiva e poi non adempie all’obbligo di demolirla. L’acquisizione gratuita dell’area non è una misura strumentale per consentire al comune di eseguire la demolizione né una sanzione accessoria di quest’ultima, ma costituisce una sanzione autonoma che è conseguenza all’inottemperanza all’ingiunzione e che abilita poi il responsabile del procedimento ad una scelta fra la demolizione d’ufficio e la conservazione del bene già acquisito, al fine di destinarlo in presenza di prevalenti interessi pubblici a fini pubblici che devono essere dichiarati con deliberazione del consiglio comunale. L’opera non deve contrastare con rilevanti interessi urbanistici o ambientali. Il procedimento è stato dichiarato costituzionalmente legittimo. Corte cost., 15 luglio 1991, n. 345, in Riv. giur. ed. 1991, 535. 652 URBANISTICA 8.3. Sanzione pecuniaria. Se la demolizione non è possibile, nei casi di ristrutturazione, ex art. 33, secondo comma, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, o di parziale difformità, ex art. 34, secondo comma, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, per eventuali pregiudizi della parte dell’opera eseguita in conformità della concessione, sulla base di motivato accertamento da parte dell’ufficio tecnico comunale, il responsabile del procedimento applica una sanzione pecuniaria pari al doppio dell’aumento di valore dell’immobile nel caso di ristrutturazione, ovvero pari al doppio del costo di produzione nel caso di parziale difformità, stabilito in base alla L. n. 392/1978 o dall’agenzia del territorio, se si tratta di opere non residenziali. 8.4. Omesso versamento dei contributi. La mancata corresponsione dei contributi urbanistici è sanzionata dalle regioni in misura non inferiore a quella prevista dall’art. 42, del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, e non superiore al doppio della stessa. Il mancato versamento del contributo di costruzione comporta l’aumento del contributo: in misura pari al 20%, qualora il versamento sia effettuato nei successivi 120 giorni, al 50% se è fatto nei successivi 60 giorni, al 100% per i successivi 60 giorni. I contributi sono accertati e riscossi attraverso il sistema previsto dagli artt. 179 e 180 del D.L.vo n. 267/2000. 9. La violazione delle norme sulle distanze. L’azione di riduzione in pristino. L’art. 872 c.c. distingue le due ipotesi che conseguono dalla violazione delle norme di carattere speciale, che regolano l’attività edificatoria, da quelle derivanti dalle violazioni alle prescrizioni imposte dalle norme del c.c. La trasgressione delle norme del codice civile ovvero di quelle fissate dai regolamenti edilizi o dai piani − che vengono considerate integratrici di quelle prescritte dal codice civile − produce gli stessi effetti. Il privato in presenza di un illecito edilizio od urbanistico può chiedere al giudice ordinario l’abbattimento totale o parziale della costruzione abusiva al fine di conformarla alla disciplina delle distanze vigenti e il risarcimento del danno. Sul punto la giurisprudenza è conforme affermando che, a norma dell’art. 872, comma 2, e

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dell’art. 873 c.c., la violazione delle norme dei regolamenti edilizi comunali, integrative del codice civile, in materia di distanze tra le costruzioni abilita la parte interessata a richiedere e ottenere la riduzione e l’arretramento della costruzione (oltre al risarcimento dei danni). Ciò avviene anche quando è violata la norma di un piano regolatore comunale che in maniera assoluta e inderogabile prescriva una certa distanza delle costruzioni dal confine, così rendendo inapplicabili sia le disposizioni del codice civile sia la disciplina sulle costruzioni a dislivello. Cass. civ., sez. II, 2 ottobre 2000, n. 13007, in Dir e giust. 2000, f. 38, 76. Cass. civ., sez. II, 18 aprile 2000, n. 4980. Nel caso in cui si tratti di una violazione alle norme civilistiche è ammessa, oltre al risarcimento del danno, anche la riduzione in pristino attraverso la demolizione delle opere eseguite in contrasto colla normativa. G. PAGLIARI, Diritto urbanistico 1998, 298. COMMENTO 653 Al giudice non è consentita alcuna discrezionalità nella valutazione del danno prodotto perché la sola violazione della disciplina delle distanze è fonte automatica di responsabilità. Ove le distanze tra costruzioni siano prescritte da un regolamento edilizio, nessuna indagine deve essere svolta per accertare se dalla violazione della norma dello strumento urbanistico sia o meno derivato un danno per il fondo del vicino e se questo sia o meno edificabile, in quanto le disposizioni in materia di distacco delle costruzioni dal confine non lasciano al giudice alcun margine di valutazione in ordine ai pregiudizi prodotti dalla loro inosservanza, avuto riguardo alle finalità di natura pubblicistica cui dette disposizioni si ispirano. Cass. civ., sez. II, 27 febbraio 1995, n. 2294, in Giust. civ. mass. 1995, 469. Il giudice può ordinare alternativamente l’arretramento o la demolizione del manufatto illegittimo, a prescindere dalla richiesta dell’attore. La giurisprudenza ammette che non sussiste il vizio di ultrapetita se il giudice, richiesto dell’arretramento e riduzione in pristino di una costruzione, perché in violazione delle distanze legali, ne ordina la demolizione che è l’attività materiale necessaria per realizzare l’arretramento. Cass. civ., sez. II, 19 febbraio 1999, n. 1411, in Giust. civ. mass. 1999, 449. 9.1. L’azione risarcitoria. Nel caso in cui si tratti di una violazione alle norme portate dalle leggi speciali e considerate non integrative a quelle del codice civile l’unica tutela ammessa è quella del risarcimento del danno, ex art. 872, c.c. L. FRANCARIO 1991, Della proprietà edilizia, in Commentario al codice civile 1991, 162. Secondo la classificazione della dottrina è esclusa la possibilità di riduzione in pristino per le seguenti violazioni delle norme regolamentari riguardanti: a) le altezze interne degli edifici; b) l’ampiezza dei cortili interni dei fabbricati; c) la larghezza del fronte degli immobili, in base alla tutela dell’estetica; d) la sistemazione degli spazi intorno alle costruzioni; e) l’igiene degli abitati. Esclusa la violazione delle distanze e delle altezze esterne degli edifici ogni altra violazione di norme edilizia non può comportare il diritto del privato di ottenere la riduzione in pristino. G. C. MENGOLI, Manuale di diritto urbanistico 1997, 975. Detta azione è alternativa a quella ripristinatoria e deve essere specificatamente proposta dall’attore, documentando il danno ricevuto dall’opera abusiva. 9.2. La tutela dinanzi alla giustizia amministrativa. La violazione delle norme di piano o di regolamento edilizio consente la cosiddetta doppia tutela, nel senso che consente oltre alla azione presso il giudice ordinario, ex art. 872 c.c., anche quella presso il giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 5, L. 6 dicembre 1971, n. 1034. L’azione presso il giudice ordinario consente come visto in precedenza una tutela diversificata che va dalla remissione in pristino al risarcimento del danno a seconda che le norme violate siano integratrici delle norme civilistiche. L’azione è autonoma e può essere esercitata 654 URBANISTICA anche senza avere prima attivato il giudizio sulla legittimità dell’atto amministrativo che si ritiene lesivo o sulla legittimità della norma. La giurisprudenza è concorde nel ritenere che ove dette norme urbanistiche siano state violate, il diritto del vicino alla riduzione in pristino (o al risarcimento del danno) non trova deroga per il fatto che la costruzione sia stata realizzata in base a concessione edilizia e resta tutelabile davanti al giudice ordinario senza necessità di una preventiva decisione del giudice

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amministrativo in ordine alla legittimità o meno del provvedimento di concessione e senza che occorra neppure una deliberazione di detto provvedimento, in via meramente incidentale, da parte del giudice ordinario. Cass. civ., Sezioni Unite, 12 giugno 1999, n. 333, in Giust. civ. mass. 1999, 1343. L’azione amministrativa consente sia l’impugnazione dello strumento urbanistico fonte della disciplina pubblicistica, se esso viola le norme dell’azione amministrativa, sia l’annullamento della eventuale concessione edilizia illegittima che abbia autorizzato i lavori. Il giudice amministrativo, annullando il provvedimento illegittimo, impone alla pubblica amministrazione di esercitare i provvedimenti repressivi attraverso l’esecuzione della sentenza. L’azione amministrativa è sostanzialmente rivolta contro la pubblica amministrazione affinché tuteli le norme di azione amministrativa che si ritengono violate. Chi ritiene di essere danneggiato da un provvedimento amministrativo può quindi scegliere la tutela che ritiene più idonea nel caso di specie, ma in teoria potrebbe iniziare entrambe le azioni poiché esse hanno oggetti completamente diversi. 9.3. I rapporti tra l’azione civile e il giudizio amministrativo. L’azione prevista presso il giudice ordinario è autonoma rispetto a quella consentita pressa la giurisdizione amministrativa e a quella obbligatoria del giudice penale qualora sia accertato l’abusivismo edilizio. Le due azioni non sono alternative ed hanno scopi diversi. L’azione civile regola il conflitto fra privati per lesioni di diritti soggettivi rapportati alle norme civilistiche intese a tutelare il rispetto delle distanze. La dottrina evidenzia la mancata coesione delle due forme di tutela che possono portare a risultati contrapposti L. FRANCARIO, Della proprietà edilizia, in Commentario al codice civile 1991, 161. I due procedimenti hanno, a mio avviso, due finalità di tutela completamente diverse. La tutela amministrativa dà la possibilità, avuta notizia del provvedimento di concessione edilizia, di ottenere la sospensione del provvedimento impugnato che può essere censurato da coloro che ne abbiano interesse. La tutela civile, invece, presuppone necessariamente che le opere siano state realizzate. La giurisprudenza rileva che può configurarsi la lesione dei diritti del confinante in materia di distanze anche senza violazione delle norme urbanistiche. La rilevanza giuridica della licenza o concessione edilizia si esaurisce nell’ambito del rapporto pubblicistico tra p.a. e privato, richiedente o costruttore, senza estendersi ai rapporti tra privati dato che il conflitto tra proprietari, interessati in senso opposto alla costruzione, va risolto in base al diretto raffronto tra le caratteristiche oggettive dell’opera, in queste COMMENTO 655 compresa la sua ubicazione, e le norme edilizie che disciplinano le distanze legali, tra le quali non possono comprendersi quelle di cui agli artt. 31, L. 17 agosto 1942, n. 1150, e 4, L. 28 gennaio 1977, n. 10, concernenti rispettivamente la licenza e la concessione per costruire. Norme, queste, che riguardano solo l’aspetto formale dell’attività costruttiva e non contengono «regole da osservarsi nelle costruzioni», come richiesto dall’art. 871 c.c. Come è irrilevante la mancanza di licenza o concessione, quando la costruzione risponda oggettivamente a tutte le prescrizioni del c.c. e delle norme speciali senza ledere alcun diritto del vicino, così l’avere eseguito la costruzione in conformità della ottenuta licenza o concessione non esclude di per sé la violazione di dette prescrizioni e, quindi, il diritto del vicino, a seconda dei casi, alla riduzione in pristino o al risarcimento del danno. Cass. civ., sez. II, 14 ottobre 1998, n. 10173, in App. urb. espr. 2000, 94. A tal punto non è più necessario proporre un ricorso al T.A.R. per richiedere delle misure cautelari oramai non più utili, ma si può agire a tutela del diritto leso direttamente davanti al giudice ordinario in via di riduzione in pristino, senza la necessità di valutare la legittimità del provvedimento amministrativo, che viene rilasciato dalla pubblica amministrazione, salvo gli interessi dei terzi. 656 URBANISTICA

LE FORMULE URBANISTICA Formula n. 113

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113 . RICHIESTA DI ACCESSO AL PROCEDIMENTO DI RILASCIO DEL PERMESSO DI COSTRUIRE (art. 20, comma 7, del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380) (*) 113

AL RESPONSABILE DEL PROCEDIMENTO DI RILASCIO DEL PERMESSO DI COSTRUIRE DEL COMUNE DI . . . Oggetto: Richiesta di accesso al procedimento di rilascio del permesso di costruire nel Comune di . . . per la realizzazione di opere in . . . Premesso che il sottoscritto ha presentato domanda di rilascio del permesso di costruire ai sensi dell’art. 20, del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, per la realizzazione di opere in . . .; che è stato espresso parere favorevole condizionato alla presentazione di documentazione per adeguarla alle prescrizioni redatte dal responsabile del procedimento comunicato con nota . . . ; che agli adempimenti medesimi è stato ottemperato producendo la documentazione richiesta in data . . .; che in data . . . è stato trasmesso al comune il parere favorevole richiesto dal . . .; che sono scaduti i termini di 60 giorni (termini raddoppiati per i comuni con più di 100.000 abitanti) previsti dall’art. 20, comma 7, del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380; che il responsabile del procedimento ha rinnovato delle istanze istruttorie; chiede al responsabile del procedimento di essere notiziato sullo stato della pratica in particolare: 1) copia della relazione da curarsi da parte del responsabile del procedimento; 2) una copia della richiesta di parere del . . .; Formula n. 113 URBANISTICA 659 intima di provvedere a trasmettere la relazione col relativo parere sulla domanda di rilascio del permesso di costruire entro il termine di trenta giorni dal ricevimento della presente. La presente istanza costituisce diffida a provvedere ai sensi dell’art. 328, comma 2, c.p. Lì, . . . Il richiedente . . . RELAZIONE DI NOTIFICA A richiesta del Sig. . . . io sottoscritto ufficiale giudiziario addetto al Tribunale di . . . certifico di aver notificato il suesteso atto al responsabile del procedimento del comune di . . . �Ÿ �Ÿ �Ÿ (*) Ai sensi dell’art. 5 bis del D.L. 23 novembre 2001, n. 411, conv. con modif. nella L. 31 dicembre 2001, n. 463, il termine di entrata in vigore del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, è stato prorogato al 30 giugno 2002. 660 URBANISTICA Formula n. 113 URBANISTICA Formula n. 114

114 . DIFFIDA AD ADEMPIERE NEL PROCEDIMENTO

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DI RILASCIO DEL PERMESSO DI COSTRUIRE (art. 21, comma 1, del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380) (*) 114

ALLO SPORTELLO UNICO PER L’EDILIZIA DEL COMUNE DI . . . Oggetto: Diffida ad adempiere al responsabile del procedimento di rilascio del permesso di costruire nel Comune di . . . Premesso che il sottoscritto ha presentato domanda di permesso di costruire per la realizzazione di opere in . . .; che la stessa è stata sottoposta al parere di . . . in data . . .; che in tale sede è stato espresso parere favorevole condizionato alla presentazione di documentazione per adeguarla alle prescrizioni redatte dalla stessa commissione, comunicate con nota; che agli adempimenti medesimi è stato ottemperato producendo la documentazione richiesta in data. . .; che in data . . . è stato trasmesso al comune il parere favorevole richiesto; che sono scaduti i termini di 75 giorni (termini raddoppiati per i comuni con più di 100.000 abitanti) previsti dall’art. 20, comma 7, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 intima ad adempiere sulla domanda di permesso di costruzione entro il termine di trenta giorni dal ricevimento della presente. La presente istanza costituisce diffida a provvedere ai sensi dell’art. 328, comma 2, c.p. Lì, . . . Il richiedente . . . Formula n. 114 URBANISTICA 661 RELAZIONE DI NOTIFICA A richiesta del Sig. . . . io sottoscritto ufficiale giudiziario addetto al Tribunale di . . . certifico di aver notificato il suesteso atto allo sportello unico per l’edilia del Comune di . . . �Ÿ �Ÿ �Ÿ (*) Ai sensi dell’art. 5 bis del D.L. 23 novembre 2001, n. 411, conv. con modif. nella L. 31 dicembre 2001, n. 463, il termine di entrata in vigore del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, è stato prorogato al 30 giugno 2002. 662 URBANISTICA Formula n. 114 URBANISTICA Formula n. 115

115 . RICHIESTA DI INTERVENTO REGIONALE SOSTITUTIVO PER RILASCIO DEL PERMESSO DI COSTRUIRE (art. 21, comma 2, del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380) (*) 115

AL SIG. PRESIDENTE DELLA GIUNTA REGIONALE DI . . . Premesso che il sottoscritto ricorrente residente in . . . ha presentato domanda di permesso di costruire in data . . . prot. . . .; che è scaduto il termine di 75 giorni previsto dall’art. 20, comma 7, del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380; che è stata presentata con raccomandata con avviso di ricevimento allo sportello unico per l’edilizia del Comune di . . . diffida ad adempiere, ai sensi dell’art. 20, comma 1, del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (All. 1);

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che dopo la scadenza del termine suddetto non è stato adottato alcun provvedimento, essendo trascorso il termine di quindici giorni dato dalla norma per adempiere; si chiede di nominare nel temine di quindici giorni dalla presente richiesta un commissario ad acta per adottare il provvedimento dovuto, entro i successivi sessanta giorni, ai sensi dell’art. 20, comma 1, del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380. Oneri finanziari relativi all’attività del commissario a carico dell’amministrazione. Lì, . . . Il richiedente . . . Formula n. 115 URBANISTICA 663 RELAZIONE DI NOTIFICA A richiesta del Sig. . . . io sottoscritto ufficiale giudiziario addetto al Tribunale di . . . certifico di aver notificato il suesteso atto al Presidente della giunta regionale di . . . (o all’organo regionale designato) �Ÿ �Ÿ �Ÿ (*) Ai sensi dell’art. 5 bis del D.L. 23 novembre 2001, n. 411, conv. con modif. nella L. 31 dicembre 2001, n. 463, il termine di entrata in vigore del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, è stato prorogato al 30 giugno 2002. 664 URBANISTICA Formula n. 115 URBANISTICA Formula n. 116

116 . RICORSO AL T.A.R. PER DICHIARAZIONE DI ILLEGITTIMITÀ DEL SILENZIO RIFIUTO SU DOMANDA DI PERMESSO DI COSTRUIRE 116

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE . . . Ricorso del Sig. . . . rappresentato e difeso come da mandato in calce al presente ricorso dall’avvocato . . . con studio legale in . . . via . . . presso il quale elegge il proprio domicilio contro il sindaco del comune di . . . per la dichiarazione di illegittimità del silenzio della amministrazione sulla richiesta di permesso di costruire. Fatto e diritto Premesso che il ricorrente ha presentato domanda di costruire in data . . ., che, trascors il termine di 75 giorni previsto dall’art. 20, comma 7, del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (*), non è stata notificata al ricorrente alcuna determinazione del responsabile del procedimento comunale e che, pertanto, il silenzio dell’amministrazione è da parificarsi al rigetto dell’istanza. Il silenzio rigetto dell’amministrazione è pertanto illegittimo per violazione di legge e per eccesso di potere e per difetto di motivazione. Il D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, afferma che il responsabile del procedimento ha l’obbligo di provvedere sull’istanza entro 75 giorni dalla presentazione ed il richiedente deve, per la tutela del suo diritto di rilascio della concessione, impugnare il silenzio nei termini tassativi di sessanta giorni da detta scadenza. La stessa mancanza di ogni determinazione comunale al riguardo rende illegittimo il silenzio rigetto. Il ricorrente fa presente che il ricorso è stato presentato entro sessanta giorni dalla formazione del silenzio rifiuto, tenendo conto della interpretazione giurisprudenziale che l’impugnativa deve essere fatta perentoriamente nei termini poiché il silenzio ha valore di provvedimento implicito con contenuto negativo e con carattere defifordiram\ Formula n. 116 URBANISTICA 665 nitivo e risulta direttamente impugnabile senza esperimento di diffida. (Cons. Stato,

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sez. V, 21 gennaio 1992, n. 69, in Riv. giur. ed. 1992, 386). Alternativamente. Il ricorrente fa presente che il ricorso è stato presentato dopo il termine di sessanta giorni dal formarsi del silenzio conformemente all’indirizzo giurisprudenziale che considera il silenzio come mero fatto di inadempimento e non atto implicito a contenuto negativo e quindi impugnabile anche dopo il termine decadenziale. (T.A.R. Lombardia, sez. Brescia, 18 gennaio 1992, in Riv. giur. ed. 1992, 429. Cons. Giust. Amm. Reg. Sicilia, 7 febbraio 1990, n. 17, in Cons. Stato 1990, 331. Sulla scorta dell’indirizzo del Cons. Stato, Ad. Pl. 27 novembre 1989, n. 16 in tema di ricorso gerarchico). A causa del ritardo al rilascio del permesso di costruire il ricorrente ha dovuto sostenere gli oneri relativi alle spese di personale ecc. avendo programmato l’attività di carattere commerciale relativa all’immobile oggetto di provvedimento assentivo; si chiede pertanto che, sulla scorta dei costi sostenuti, il tribunale amministrativo adito voglia disporre il risarcimento del danno ingiusto, ex art. 35, D.L.vo n. 80/1998, mod. art. 7, comma 1, lett. c), L. n. 205/2000, salva l’ammissione di Consulente tecnico di ufficio. P.Q.M. Il ricorrente chiede che questo spett.le Tribunale Amministrativo voglia accogliere le seguenti conclusioni: 1) dichiarare illegittimo il silenzio; 2) fissare un termine entro il quale l’amministrazione comunale debba provvedere sull’istanza di concessione; 3) in caso di inottemperanza nominare un commissario ad acta per gli adempimenti relativi; 4) disporre il risarcimento del danno ingiusto. Spese ed onorari rifusi. Si allega: 1) copia della domanda di permesso di costruire con numero e data del protocollo di ricevimento comunale. Lì, . . . Avv. . . . 666 URBANISTICA Formula n. 116 Mandato Io sottoscritto . . . nato a . . . il . . . delego a rappresentarmi e difendermi nel presente giudizio, con tutti i poteri di cui all’art. 84 c.p.c., l’avvocato . . . presso il cui studio eleggo domicilio. Lì, . . . Il ricorrente . . . Per autentica Avv. . . . RELAZIONE DI NOTIFICA A richiesta del Sig. . . . io sottoscritto ufficiale giudiziario addetto al Tribunale di . . . certifico di aver notificato il suesteso atto al Sig. . . . sindaco del comune di . . . �Ÿ �Ÿ �Ÿ (*) Ai sensi dell’art. 5 bis del D.L. 23 novembre 2001, n. 411, conv. con modif. nella L. 31 dicembre 2001, n. 463, il termine di entrata in vigore del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, è stato prorogato al 30 giugno 2002. Formula n. 116 URBANISTICA 667 URBANISTICA Formula n. 117

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117 . RICORSO AL T.A.R. L’ANNULLAMENTO DEL SILENZIO RIFIUTO DEL PRESIDENTE DELLA GIUNTA REGIONALE SULLA NOMINA DEL COMMISSARIO AD ACTA 117

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE . . . Ricorso del Sig. . . . legale rappresentante della società . . . rappresentato e difeso come da mandato in calce del presente ricorso dall’avvocato . . . del Foro di . . ., il quale elegge domicilio presso la segreteria del T.A.R. adito contro il presidente della giunta regionale . . . per l’annullamento del silenzio rifiuto sulla nomina del commissario ad acta. Fatto e diritto Il ricorrente, a mezzo del suo costituito legale rappresentante, fa presente quanto segue. Il Sig. . . ., legale rappresentante della società, ha proceduto a inoltrare al presidente della giunta regionale in data . . ., richiesta di nomina del commissario ad acta. Successivamente alla scadenza del termine di quindici giorni dalla trasmissione della domanda, ai sensi dell’art. 21, comma 2, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (*), non è stato esercitato il potere di nomina, sulla scorta di controdeduzioni pervenute dal comune che richiedono, con intento dilatorio, ulteriori chiarimenti sull’istanza di concessione. L’istante, peraltro, ha provveduto a diffidare, scaduto il termine di legge, il presidente della giunta regionale ad adempiere entro trenta giorni, con diffida a mezzo r.r. del . . ., non ottenendo alcuna risposta. Ciò posto si impugna il silenzio per i seguenti motivi: 668 URBANISTICA Formula n. 117 1) Violazione del procedimento previsto dall’art. 20, comma 7, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380. L’art. 20, comma 7, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, disciplina il procedimento sostitutivo regionale per il rilascio di concessione edilizia. Esso impone al presidente della giunta regionale il termine perentorio di quindici giorni per la nomina del commissario ad acta a cui segue un termine altrettanto perentorio perché il commissario possa provvedere a spese dell’amministrazione comunale. La giurisprudenza ha rilevato − in una fattispecie riguardante il potere sostitutivo del presidente dell’amministrazione provinciale disciplinato dagli artt. 1 e 2, L.R. Campania 7 gennaio 1983, n. 11 − che, in caso di inerzia del sindaco a pronunciarsi su un’istanza di concessione edilizia, il potere sostitutivo comprende anche quello di valutare se il provvedimento posto in essere dal sindaco non costituisca un mero atto elusivo dell’obbligo di pronunciarsi, consentendo così di configurare l’inadempimento dell’autorità comunale. L’amministrazione regionale ha, quindi, il potere di nominare un commissario ad acta, non solo allorché il responsabile del procedimento si astenga dall’emanare una qualsivoglia decisione sull’istanza del privato, ma anche nel caso in cui egli si esprima in termini tali da far ritenere l’atto posto in essere tamquam non esset a fronte dell’obbligo di pronunciarsi (T.A.R. Campania, sez. Salerno, 11 giugno 1992, n. 209, in T.A.R. 1992, 3563). Si diffida il responsabile del procedimento del comune a provvedere a partire dalla data di notifica del presente ricorso, in quanto l’accertamento dell’illegittimità del

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silenzio dell’amministrazione regionale configura la perdita del potere a provvedere. La giurisprudenza ha precisato che la concessione edilizia, ora permesso di costruire, rilasciata dal sindaco, ora dal responsabile del procedimento, dopo la nomina di un commissario ad acta per tale scopo ed in pendenza del termine concesso a quest’ultimo, è illegittima, in quanto emanata in carenza di potere. (Cons. Stato, sez. IV, 26 gennaio 1998, n. 71, in Foro amm. 1998, 33). 2) Risarcimento del danno ingiusto ai sensi dell’art. 34 del D.L.vo n. 80/1998. In relazione al ritardo nell’emanazione del provvedimento il T.A.R. adito voglia disporre i criteri per il risarcimento del ritardo patito. Spese a favore del ricorrente nel caso di soccombenza dell’amministrazione regionale convenuta P.Q.M. Voglia l’Ill.mo T.A.R. adito accogliere le seguenti conclusioni: 1) dichiarare illegittimo il silenzio, intimando all’amministrazione regionale di provvedere nel termine di quindici giorni disponendo in via alternativa la nomina del commissario ad acta.; Formula n. 117 URBANISTICA 669 2) disporre il risarcimento del danno. 3) Spese ed onorari rifusi. Si producono i seguenti documenti: 1) richiesta di nomina del commissario ad acta; 2) diffida a provvedere. Lì, . . . Avv. . . . RELAZIONE DI NOTIFICA A richiesta dell’avv. . . . io sottoscritto assistente UNEP addetto al Tribunale di . . . certifico di aver notificato il suesteso atto al Presidente pro tempore del Comitato regionale di controllo della regione . . . al Sindaco pro tempore del comune di . . . �Ÿ �Ÿ �Ÿ (*) Ai sensi dell’art. 5 bis del D.L. 23 novembre 2001, n. 411, conv. con modif. nella L. 31 dicembre 2001, n. 463, il termine di entrata in vigore del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, è stato prorogato al 30 giugno 2002. 670 URBANISTICA Formula n. 117 URBANISTICA Formula n. 118

118 . RICORSO AL T.A.R. PER L’ANNULLAMENTO DI DINIEGO DI CONCESSIONE EDILIZIA 118

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE . . . Ricorso del Sig. . . . rappresentato e difeso come da mandato in calce al presente ricorso dall’avvocato . . . con studio legale in . . . via . . . presso il quale elegge il proprio domicilio contro l’amministrazione comunale in persona del sindaco pro tempore per l’annullamento del provvedimento di diniego di concessione edilizia. Fatto il ricorrente segnala che in data . . . presentava al comune di . . . rituale domanda di concessione edilizia e che riceveva in data . . . notificazione del provvedimento di diniego per i seguenti motivi: per l’esistenza di un vincolo paesaggistico; per mancanza di collegamenti fognari;

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per eccedenza di volumetria; per motivi ambientali; che qui si impugnano. 1) Il diniego per esistenza di un vincolo paesaggistico è viziato da eccesso di potere per contraddittorietà con precedenti provvedimenti dell’amministrazione. Dagli atti prodotti risulta infatti anche un certificato di destinazione urbanistica, precedentemente rilasciato proprio per richiedere la concessione, in cui non si dava atto di alcun vincolo paesaggistico, anzi si davano gli indici di edificabilità e la tipologia, a cui si è strettamente attenuta la richiesta di concessione edilizia. La pubblica amministrazione, inoltre, in sede di motivazione del provvedimento negativo, non si è data cura del contrasto emergente fra il certificato di destinazione urbanistica ed il provvedimento di diniego. Formula n. 118 URBANISTICA 671 Né si è data cura di motivare se esista o meno il vincolo, producendo il relativo provvedimento. Risulta pertanto che, in carenza di un rituale provvedimento di vincolo, la motivazione del diniego appare illegittima (Cons. Stato, sez. V, 12 settembre 1992, in Foro amm. 1992, 1919). 2) Il diniego per mancanza di collegamento fognario è viziato da violazione di legge. La legge impone al richiedente il pagamento degli oneri di urbanizzazione, che sono dovuti all’atto del rilascio della convenzione, e, a scomputo totale o parziale della quota dovuta, il concessionario può obbligarsi a realizzare direttamente le opere, prestando le garanzie stabilite dal Comune, ai sensi dell’art. 11 della L. n. 10/1977. Al privato deve essere quindi consentita la giuridica possibilità di esecuzione delle opere ove egli intenda realizzarle direttamente, con scomputo degli oneri di urbanizzazione. Negare tale possibilità e giustificare con questo il diniego della concessione rileva un vizio di legittimità per violazione di legge. 3) Il diniego per motivi ambientali è qui censurato come illegittimo per eccesso di potere dovuto a carenza di motivazione. Il generico giudizio negativo di compatibilità dell’opera con l’ambiente, che giustifica il diniego di concessione, è giudizio altamente discrezionale, che incide negativamente sulla sfera giuridica dell’interessato e concreta il vizio di carenza di motivazione, che ha come conseguenza logica e consequenziale la dichiarazione di illegittimità del diniego (T.A.R. Campania, Napoli, sez. I, 26 febbraio 1991, n. 298, in Foro amm. 1992, 2068). Ai fini dell’accertamento delle responsabilità dell’autore del procedimento e dell’autorità che ha emesso il provvedimento si fa presente che il parere del responsabile del procedimento è stato recepito in toto dall’autorità che ha emanato l’atto. P.Q.M. Voglia l’Ill.mo Tribunale adito accogliere le seguenti conclusioni: annullare il diniego, accertare la responsabilità del responsabile del procedimento e dell’autorità emanante il provvedimento essendo autonome e concorrenti. Spese ed onorari rifusi. Si produce: 1) richiesta di concessione; 2) provvedimento di diniego. Lì, . . . Avv. . . . 672 URBANISTICA Formula n. 118 Io sottoscritto . . . nato a . . . il . . . delego a rappresentarmi e difendermi nel presente giudizio, con tutti i poteri di cui all’art. 84 c.p.c., l’avvocato . . . presso il cui studio eleggo domicilio. Lì, . . .

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Il ricorrente . . . Per autentica Avv. . . . RELAZIONE DI NOTIFICA A richiesta del Sig. . . . io sottoscritto ufficiale giudiziario addetto al Tribunale di . . . certifico di aver notificato il suesteso atto al sindaco del comune di . . . �Ÿ �Ÿ �Ÿ L’entrata in vigore del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, che istituisce il permesso di costruire abolendo definitivamente la concessione edilizia e la L. n. 10/1977, è stata prorogata al 30 giugno 2002, dall’art. 5 bis del D.L. 23 novembre 2001, n. 411, conv. con modif. nella L. 31 dicembre 2001, n. 463. 22 Formula n. 118 URBANISTICA 673 URBANISTICA Formula n. 119

119 . RICORSO AL T.A.R. PER L’ANNULLAMENTO DEL PROVVEDIMENTO DI ANNULLAMENTO DI CONCESSIONE E RISARCIMENTO DEL DANNO 119

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE . . . Ricorso del Sig. . . . rappresentato e difeso, come da mandato in calce al presente atto, dall’avv. . . . presso il quale è elettivamente domiciliato in . . . nei confronti del sindaco del comune di . . . per l’accertamento dell’ammontare del risarcimento del danno per annullamento illegittimo di concessione Fatto e diritto L’attore ha richiesto e ottenuto concessione edilizia dal comune di . . . per la realizzazione di un condominio. I lavori sono regolarmente iniziati. Successivamente con ordinanza sindacale del . . . i lavori sono stati sospesi poiché la concessione è stata annullata con provvedimento sindacale. L’annullamento della concessione è illegittimo per violazione di legge e pertanto si chiede l’annullamento del provvedimento comunale ed il relativo risarcimento del danno subito per il mancato utilizzo della costruzione dalla data della sospensione alla data della sentenza d’annullamento. In materia urbanistica, la competenza a conoscere del risarcimento del danno spetta al giudice amministrativo se la domanda è proposta successivamente al 23 aprile 1998, data di entrata in vigore del D.L.vo 80/1998; essa è, invece, del giudice ordinario per le richieste in data antecedente l’entrata in vigore del detto D.L.vo 80/1998, dopo che sia stato disposto l’annullamento del provvedimento dal giudice amministrativo (T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, 10 marzo 1999, n. 307, Guida dir., 1999, n. 23, 94). Nella nostra fattispecie l’art. 35 D.L.vo 80/1998 ammette, visto che il giudice amministrativo ha giurisdizione esclusiva, la possibilità di esperire l’azione risarcitoria. Il rilascio della concessione edilizia configura nel soggetto che la ha ottenuta un pieno diritto soggettivo all’edificazione. 674 URBANISTICA Formula n. 119 Pertanto un successivo provvedimento amministrativo privo di qualsivoglia titolo si configura come illecito e come tale produttivo di danno economicamente rilevabile (Cass. civ., 29 novembre 1988, n. 6485, in Giust. civ. 1988, 2810). P.Q.M. Voglia l’Ill.mo Tribunale amministrativo: − dichiarare l’annullamento del provvedimento di annullamento di concessione;

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− condannare il sindaco al risarcimento del danno pari al mancato reddito per mancata ultimazione del fabbricato quantificato in euro . . . quale lucro cessante; − condannare il sindaco alla corresponsione degli interessi passivi pagati alla banca per la anticipazione per i lavori di costruzione, quale danno emergente. Il tutto con rivalutazione monetaria. Spese ed onorari rifusi. Si depositano i seguenti documenti: 1) concessione edilizia; 2) provvedimento di annullamento; Lì, . . . Avv. . . . Io sottoscritto . . . nato a . . . il . . . delego a rappresentarmi e difendermi nel presente giudizio, con tutti i poteri di cui all’art. 84 c.p.c. e con facoltà di conciliare e transigere l’avvocato . . . presso il cui studio eleggo domicilio. Lì, . . . Il ricorrente . . . Per autentica Avv. . . . RELAZIONE DI NOTIFICA A richiesta del Sig. . . . io sottoscritto ufficiale giudiziario addetto al Tribunale di . . . certifico di aver notificato il suesteso atto al sindaco del comune di . . . Formula n. 119 URBANISTICA 675 URBANISTICA Formula n. 120

120 . RICORSO AL T.A.R. PER RIMBORSO DI ONERI DI URBANIZZAZIONE NON DOVUTI 120

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE . . . Ricorso del Sig. . . . rappresentato e difeso come da mandato in calce al presente ricorso dall’avvocato . . . con studio legale in . . . via . . . presso il quale elegge il proprio domicilio nei confronti del sindaco del comune di . . . per l’accertamento dell’insussistenza dell’obbligo di corrispondere i contributi per il rilascio di concessione edilizia. Fatto e diritto Premesso che il ricorrente ha richiesto concessione urbanistica per l’ampliamento di un edificio unifamiliare esente, ex art. 9 della L. n. 10/1977, che il comune ha preteso i contributi urbanistici nonostante la fattispecie sia dichiarata esente dalla legge; che il richiedente ha pagato il contributo per poter ottenere la concessione edilizia ed iniziare i lavori; chiede che venga accertato il rapporto obbligatorio pecuniario dell’amministrazione, che è regolato dall’art. 9 della L. n. 10/1977, devoluto alla cognizione del giudice amministrativo dall’art. 16. Il ricorso è ritualmente presentato nel termine di prescrizione. Né il ricorso può essere dichiarato inammissibile poiché è stata emessa ingiunzione di pagamento, ai sensi del R.D. 14 aprile 1910, n. 639. L’ingiunzione è il mezzo per procedere ad esecuzione forzata per i crediti degli enti pubblici (equivalente alla formula esecutiva ed al precetto previsti per i titoli esecutivi dal c.p.c.) e non mezzo di accertamento del credito.

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Il mancato ricorso avverso l’ingiunzione precede eventualmente le contestazioni circa la legittimità della procedura esecutiva, ma non rende inammissibile il ricorso 676 URBANISTICA Formula n. 120 al giudice amministrativo per l’accertamento del credito (Cons. Stato, sez. V, 4 dicembre 1990, n. 810, in Foro amm. 1990, 2734). Poiché dall’estratto di mappa si evidenzia che l’immobile è un edificio unifamiliare e dalla concessione edilizia si evidenzia che l’ampliamento richiesto è inferiore al 20% della cubatura esistente, appare in pieno realizzata la condizione richiesta dall’art. 9, lett. d) della L. n. 10/1977. Né hanno rilievo le osservazioni comunali che ritengono non concedibile l’esenzione dato che l’immobile è sito nel centro storico. P.Q.M. Voglia l’Ill.mo Tribunale Amministrativo accogliere le seguenti conclusioni: accertare l’insussistenza del debito contributivo e condannare l’amministrazione comunale al rimborso di dette somme, oltre interessi dal giorno della domanda. Le spese ed onorari rifusi. Si produce: 1) provvedimento comunale di concessione che quantifica il contributo; 2) estratto di mappa e certificazione catastale. Lì, . . . Avv. . . . Io sottoscritto . . . nato a . . . il . . . delego a rappresentarmi e difendermi nel presente giudizio, con tutti i poteri di cui all’art. 84 c.p.c., l’avvocato . . . presso il cui studio eleggo domicilio. Lì, . . . Il ricorrente . . . Per autentica Avv. . . . RELAZIONE DI NOTIFICA A richiesta del Sig. . . . io sottoscritto ufficiale giudiziario addetto al Tribunale di . . . certifico di aver notificato il suesteso atto al sindaco del comune di . . . �Ÿ �Ÿ �Ÿ Il contributo di urbanizzazione è ora disciplinato dall’art. 16, D.P.R. n. 380/2001. Ai sensi dell’art. 5 bis del D.L. 23 novembre 2001, n. 411, conv. con modif. nella L. 31 dicembre 2001, n. 463, il termine di entrata in vigore del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, è stato prorogato al 30 giugno 2002. Formula n. 120 URBANISTICA 677 URBANISTICA Formula n. 121

121 . RICORSO AL T.A.R. PER RIMBORSO DI ONERI DI URBANIZZAZIONE PAGATI IN PIÚ 121

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE . . . Ricorso del Sig. . . . legale rappresentante della società . . . nella sua qualità di amministratore, rappresentato e difeso come da mandato in calce al presente ricorso dall’avvocato . . . del Foro di . . . con studio legale in . . . col quale elegge il proprio domicilio presso la segreteria di questo spett.le T.A.R. nei confronti del sindaco pro tempore del comune di . . . per l’accertamento dell’obbligo al rimborso dei contributi di urbanizzazione versati per il rilascio di concessione edilizia e per l’annullamento del provvedimento

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comunale di diniego. Fatto e diritto Premesso che il ricorrente ha ottenuto la concessione urbanistica n. . . . del . . . per la realizzazione di un edificio sito in . . . che sono stati pagati al comune di . . . i contributi di urbanizzazione per l’esecuzione delle opere per euro . . ., Si fa presente che nel corso dei lavori è stata richiesta l’ulteriore somma di euro . . . per l’esecuzione di opere di urbanizzazione, partitamente euro . . . per condotta acqua potabile e euro . . . per condotta gas metano (oltre ai contributi di allacciamento). L’esecuzione delle opere è stata disposta direttamente dal comune a mezzo dell’Azienda Municipalizzata a cui i suddetti contributi sono stati pagati con riserva in data . . . Alla richiesta di rimborso degli oneri in quanto già corrisposti il comune ha risposto negativamente con nota ai sensi dell’art. 6 della L.R. n. 60/1977 considerando l’onere relativo ad allacci. Il provvedimento di diniego appare illegittimo e lo si impugna per i seguenti motivi. 1) Violazione di legge. Il provvedimento ignora la natura delle opere, come risultano chiaramente definite dall’ente pubblico che le ha eseguite, e che rientrano nella categoria delle opere 678 URBANISTICA Formula n. 121 di urbanizzazione primaria di cui alla L. 24 settembre 1964, art. 4, lett. d) rete idrica, ed e) rete di distribuzione del gas. Per cui tali oneri dovevano essere corrisposti direttamente dal comune in via di partita di giro avendoli regolarmente percepiti dal richiedente. 2) Acclaramento del diritto al rimborso. La giurisprudenza riconosce il diritto allo scomputo dall’ammontare globale dei contributi delle spese relative agli oneri di urbanizzazione sostenuti direttamente (Cons. Stato, sez. VI, 12 ottobre 1990, n. 716, in Cons. Stato 1990, 1236. Cons. Stato, sez. V., 15 gennaio 1993, n. 64, in Riv. giur. ed. 1993, 317). A maggior ragione deve riconoscersi il diritto al rimborso là dove il contributo è stato richiesto indebitamente per due volte. Inoltre la giurisprudenza ha affermato che, essendo il contributo di urbanizzazione unico, a sensi dell’art. 3 della L. n. 10/1977, poiché la legge non opera alcuna distinzione tra opere di urbanizzazione primaria e secondaria, il rimborso del contributo corrisposto in più indebitamente deve essere effettuato nell’insieme delle due categorie strettamente connesse e concorrenti alle medesime finalità generali (Cons. Stato, sez. V, 4 dicembre 1989, n. 806, in Foro Amm. 1989, 3303. T.A.R. Toscana, 4 novembre 1987, n. 1293, in I T.A.R. 1988, 195). Il principio generale è che il concessionario non può essere chiamato a sopportare due volte lo stesso sacrificio, neppure parzialmente, T.A.R. Calabria, 17 maggio 1988, n. 205, in I T.A.R. 1988, 2386. Si chiede pertanto il rimborso del contributo di euro . . . essendo stato determinato e corrisposto il contributo di urbanizzazione dell’intervento in euro . . . P.Q.M. voglia l’Ill.mo Tribunale Amministrativo adito accogliere le seguenti conclusioni: 1) dichiarare illegittimo il diniego; 2) accertare l’obbligo del rimborso per euro . . . e dei relativi interessi legali, dalla data del pagamento. Spese ed onorari rifusi stante la palese illegittimità del comportamento comunale. Si produce: 1) concessione edilizia; 2) quietanze relative al pagamento degli oneri;

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3) quietanze pagamento oneri una seconda volta; 5) nota comunale di diniego. Lì, . . . Avv. . . . Formula n. 121 URBANISTICA 679 Io sottoscritto . . . legale rappresentante della . . . delego a rappresentarmi e difendermi nel presente giudizio, con tutti i poteri di cui all’art. 84 c.p.c., l’avvocato del Foro di . . . col quale elegge il proprio domicilio presso . . . Lì, . . . Il ricorrente . . . Per autentica Avv. . . . RELAZIONE DI NOTIFICA A richiesta dell’avv. . . . io sottoscritto ufficiale giudiziario addetto al Tribunale di . . . certifico di aver notificato il suesteso atto al sindaco del comune di . . . 680 URBANISTICA Formula n. 121 URBANISTICA Formula n. 122

122 . RICORSO AL T.A.R. PER L’ANNULLAMENTO DI ORDINE DI DEMOLIZIONE E RISARCIMENTO DEL DANNO 122

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE . . . Ricorso del Sig. . . . rappresentato e difeso come da mandato in calce al presente ricorso dall’avvocato . . . con studio legale in . . . via . . . presso il quale elegge il proprio domicilio nei confronti del sindaco del comune di . . . per l’annullamento dell’ordine di demolizione di opere edilizie (all. 1). Fatto e diritto Il ricorrente ha richiesto ed ottenuto concessione edilizia per la ristrutturazione di opere edilizie. Nel corso dei lavori ha presentato istanza di variante. A seguito di accertamento compiuto dai vigili urbani gli è stato notificato ordine di demolizione. Contro tale avviso ricorre per i seguenti motivi: 1) violazione di legge per vizi attinenti il procedimento amministrativo. La legge ammette che possano essere presentate prima della dichiarazione di ultimazione dei lavori delle varianti in corso d’opera e art. 15 della L. n. 47/1985, se esse sono conformi agli strumenti urbanistici e non comportano modifiche alla sagoma ed alle superfici, devono essere approvate senza applicazione delle sanzioni. Le sanzioni in materia urbanistica, in ogni caso, presuppongono una preventiva valutazione sia sotto il profilo qualitativo e quantitativo dell’abuso edilizio, con la possibilità di richiedere la concessione in sanatoria e art. 13 della L. n. 47/1985. Cons. Stato, sez. V, 18 febbraio 1991, n. 139, in Foro. amm. 1991, 372. In subordine l’ordine di demolizione è illegittimo per eccesso di potere e per carenza di motivazione. Dalle planimetrie (all. 2), infatti, risulta che il ripristino dello stato dei luoghi non appare possibile senza grave pregiudizio della statica della costruzione; le variazioni rispetto alla concessione appaiono inoltre di modesta entità. L’accertamento comunale non fa alcuna menzione di ciò, contrariamente a quanto impone l’art. 9 della L. n. 47/1985, che prevede in tali situazioni l’applicazione della sanzione pecuniaria; Formula n. 122 URBANISTICA 681 2) determinazione del risarcimento del danno ai sensi degli artt. 33 e 34 del

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D.L.vo 80/1998. Poiché la domanda è proposta successivamente al 23 aprile 1998, data di entrata in vigore del D.L.vo 80/1998, trattandosi di materia già devoluta alla giurisdizione del giudice amministrativo la competenza a conoscere il risarcimento del danno è del giudice amministrativo. La giurisprudenza è pacifica nell’affermare che sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo a decidere della controversia sul risarcimento de danno provocato da un illegittimo ordine di demolizione di opere edilizie poi annullato con sentenza antecedente al 1 luglio 1998 (T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, 10 marzo 1999, n. 307, in Giuda dir., n. 23, 94). La quantificazione del danno è determinata sui seguenti criteri, pur non però l’onere di fornire la prova del risarcimento del danno e della sua quantificazione già nel ricorso introduttivo. Si chiede il risarcimento del danno relativo all’impossibilità d’edificazione dalla data di sospensione dei lavori alla data del passaggio in giudicato della sentenza d’annullamento del provvedimento comunale. Si chiede il pagamento di una somma di euro . . . commisurata al valore locativo medio dell’immobile, oggetto di processo per il periodo della sospensione dei lavori (T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, 12 maggio 1999, n. 617, in Guida dir., n. 23, 98). Si chiedono i maggiori costi dedotti dal ricorrente dovuti all’illegittima sospensione dei lavori pari all’incremento dei costi rilevati nell’edilizia come da documentazione ISTAT (all. 3) sul prezzo dell’intervento determinato sulla base di contratto d’appalto (all. 4) per la somma di euro . . . P.Q.M. voglia l’Ill.mo Tribunale adito accogliere la seguente conclusione: annullare l’ordine di demolizione, fissare il risarcimento del danno nella somma di euro . . . Le spese seguano la soccombenza. Si produce: 1) ordine di demolizione; 2) planimetrie relative allo stato dei luoghi; 3) certificato ISTAT 4) contratto appalto. Lì, . . . Avv. . . . 682 URBANISTICA Formula n. 122 Io sottoscritto . . . nato a . . . il . . . delego a rappresentarmi e difendermi nel presente giudizio, con tutti i poteri di cui all’art. 84 c.p.c., l’avvocato . . . presso il cui studio eleggo domicilio. Lì, . . . Il ricorrente . . . Per autentica Avv. . . . RELAZIONE DI NOTIFICA A richiesta del Sig. . . . io sottoscritto ufficiale giudiziario addetto al Tribunale di . . . certifico di aver notificato il suesteso atto al Sindaco del comune di . . . Formula n. 122 URBANISTICA 683 URBANISTICA Formula n. 123

123 . OPPOSIZIONI AL PIANO REGOLATORE GENERALE 123

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AL SINDACO DI . . . Il sottoscritto . . ., residente a . . ., proprietario di area interessata alle disposizioni di piano regolatore adottato il . . ., dal consiglio comunale di . . . presenta opposizione alle seguenti disposizioni di piano ai sensi dell’art. 9 della L. n. 1150/1942: l’area interessata contraddistinta dal mappale . . . del foglio . . . è stata infatti localizzata per la realizzazione di un intervento di pubblica utilità a destinazione scolastica. Si fa presente che l’area è ora urbanizzata ed è destinata nella maggior parte ad edilizia residenziale. Il lotto da destinare a scuola appare non idoneo poiché la zona è residenziale estensiva ed un intervento di grossa proporzione come quello previsto verrebbe a modificare gli standards urbanistici di destinazione a verde, sottraendo l’intera area per la destinazione ad un intervento di grosse proporzioni. Da un punto di vista oggettivo mal si giustifica la costruzione di una scuola là dove la popolazione scolastica è in forte contrazione e le scuole tuttora esistenti appaiono congruamente idonee a fornire il servizio all’attuale popolazione scolastica e a quella futura, visto il calo delle presenze che si prospetta sulla base della natalità rilevata da proiezioni ISTAT sull’incremento demografico della popolazione, come da prospetti allegati. L’area è inoltre collegata da una viabilità che si presenta idonea per un intervento residenziale estensivo, visto che sono strade strette e tortuose, difficilmente collegabili con il centro e con la stazione dei mezzi pubblici, e comunque tuttora non allargate. L’intervento presenta quindi delle evidenti contraddizioni nella sua accessibilità dal centro, con evidente disagio degli studenti e con evidente contradditorietà sulla scelta di localizzazione. Non risulta infine alcuna indicazione finanziaria di come tale intervento possa essere realizzato, neppure di larga massima, e ciò in contraddittorio con la necessaria scadenza quinquennale del vincolo di piano che deve essere realizzato, pena l’annullamento del giudice amministrativo, 684 URBANISTICA Formula n. 123 P.Q.M. si chiede che, in accoglimento della presente osservazione, il vincolo di piano venga rimosso e che l’area in oggetto sia restituita alla sua destinazione originaria, che è quella residenziale estensiva. Chiede di venire notiziato dal responsabile del procedimento, ex L. n. 241/1990, di ogni determinazione, anche assunta in via istruttoria, relativa alla seguente opposizione. Lì, . . . L’opponente . . . Formula n. 123 URBANISTICA 685 URBANISTICA Formula n. 124

124 . RICORSO AL T.A.R. PER L’ANNULLAMENTO DEL PIANO PLURIENNALE DI ATTUAZIONE 124

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE . . . Ricorso del Sig. . . . rappresentato e difeso come da mandato in calce al presente ricorso dall’avvocato . . . con studio legale in . . . via . . . presso il quale elegge il proprio domicilio

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contro il sindaco del comune di . . . per l’annullamento della delibera di approvazione del piano pluriennale di attuazione Fatto il consiglio comunale di . . . ha adottato con delibera del . . . il piano pluriennale di attuazione per il periodo dal . . . al . . . che esclude dal piano pluriennale precedentemente adottato un’area precedentemente inserita, di proprietà del ricorrente. Il ricorrente che ha interesse alla corretta gestione del territorio impugna la delibera di adozione che lede immediatamente le sue posizioni giuridiche impedendo l’esercizio dello ius aedificandi, per i seguenti motivi. Si premette che la funzione propria del piano pluriennale di attuazione è quella di disciplinare nel tempo ed in modo coordinato e graduale gli interventi edilizi attuativi delle previsioni di piano regolatore al fine di evitare che l’utilizzazione urbanistica del territorio comunale avvenga in maniera episodica al di fuori delle immediate esigenze pianificatorie. Gli interventi consentiti dal piano regolatore sono legittimamente eseguibili salvo il potere dell’amministrazione di differirne nel tempo l’attuazione. Qualora in un precedente piano pluriennale sia riconosciuta l’immediata attuabilità dell’intervento la posizione soggettiva del privato viene ad assumere una particolare qualificazione e tutela. Queste posizioni sono riaffermate dalla legislazione regionale ad esempio L.R. Lazio, n. 35/1978, che dispone che avvenuta l’inclusione di un’area nel piano pluriennale il comune ha l’obbligo di inserirla nei piani successivi riconoscendo al prifordiram\ 686 URBANISTICA Formula n. 124 vato un’aspettativa fortemente garantita (Cons. Stato, sez. IV, 27 agosto 1991, n. 683, in Riv. giur. ed. 1992, 124). 1) Eccesso di potere per contradditorietà con precedenti atti dell’amministrazione comunale. È ben vero che l’amministrazione comunale ha la possibilità di rivedere la precedente programmazione, ove sopravvenute ragioni di pubblico interesse ovvero una più ponderata valutazione della situazione preesistente, anche alla luce delle esperienze acquisite nel periodo di efficacia dello strumento programmatorio, inducano ad una nuova scala di priorità, con inserimento di nuove aree e stralcio di altre. Vi è però l’esigenza per la stessa amministrazione di esplicitare le ragioni che rendono necessario il mutamento delle ragioni programmatiche tali da non porre in palese contradditorio le nuove scelte con quelle fatte precedentemente, effettuando una congrua comparazione fra i vari interessi in conflitto (Cons. Stato, sez. IV, 7 febbraio 1993, n. 73, in Riv. giur. ed. 1990, 365). P.Q.M. Voglia l’Ill.mo Tribunale adito accogliere la seguente conclusione: annullare il programma pluriennale di attuazione. Le spese seguano la soccombenza. Si produce: 1) delibera di adozione del programma pluriennale di attuazione. Lì, . . . Avv. . . . Io sottoscritto . . . nato a . . . il . . . delego a rappresentarmi e difendermi nel presente giudizio, con tutti i poteri di cui all’art. 84 c.p.c., l’avvocato . . . presso il cui studio eleggo domicilio. Lì, . . . Il ricorrente . . . Per autentica

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Avv. . . . RELAZIONE DI NOTIFICA A richiesta del Sig. . . . io sottoscritto ufficiale giudiziario addetto al Tribunale di . . . certifico di aver notificato il suesteso atto al sindaco del comune di . . . Formula n. 124 URBANISTICA 687 URBANISTICA Formula n. 125

125 . RICORSO AL T.A.R. PER L’ANNULLAMENTO DEI VINCOLI DI PIANO REGOLATORE GENERALE PER SCADENZA DEL QUINQUENNIO 125

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE . . . Ricorso del Sig. . . . rappresentato e difeso come da mandato in calce al presente ricorso dall’avvocato . . . con studio legale in . . . via . . . presso il quale elegge il proprio domicilio contro il sindaco del comune di . . . per l’annullamento del provvedimento di diniego di concessione e dichiarazione di decadenza dei vincoli di piano regolatore. Fatto e diritto Il ricorrente è proprietario di un’area sita nel comune di . . . che il piano regolatore approvato il . . . ha vincolato a servizi pubblici. Il vincolo secondo l’insegnamento della Corte cost., 27 aprile 1982, n. 92, in Nuova Rass. 1983, 2626, non può avere durata superiore al quinquennio. Entro tale data il comune deve approvare quanto meno la programmazione esecutiva che consenta la successiva esecuzione dell’opera pubblica. Il quinquennio è trascorso senza che il comune abbia adottato il piano particolareggiato di esecuzione. Il vincolo deve intendersi decaduto. Il ricorrente ha presentato istanza per la concessione edilizia di un edificio di civile abitazione, essendo l’area sita in zona residenziale intensiva. Conformemente alla interpretazione della giurisprudenza amministrativa, trattandosi di un’area sita al di fuori del perimetro del centro edificato così come definito dall’art. 17 della L. n. 765/1967, il progetto è stato impostato su di un indice di edificabilità dello 0,03 metri cubi per metro quadro, così come previsto dall’art. 4 della L. n. 10/1977 (Cons. Stato, sez. V, 3 ottobre 1992, n. 924, in Foro amm. 1992, 2216. Cons. Stato, sez. V, 22 ottobre 1992, n. 1058, ivi 1992, 2267). Il comune ha pronunciato provvedimento di diniego di concessione edilizia motivando che la richiesta di concessione è contro la previsione di piano regolatore e che l’amministrazione ha in corso l’adozione del relativo piano particolareggiato di attuazione. 688 URBANISTICA Formula n. 125 Ciò posto il ricorrente impugna il diniego di concessione per i seguenti motivi. 1) Illegittimità per violazione del principio costituzionale di interpretazione della L. n. 1187/1968. Pur dopo l’entrata in vigore della L. n. 10/1977 che introduce l’istituto della concessione edilizia lo ius aedificandi è da ritenersi inerente alla proprietà del suolo ed il vincolo quinquennale introdotto dalla L. n. 1187/1968, che vieta il vincolo di piano a tempo indeterminato senza indennizzo, deve ritenersi tuttora vigente. Il vincolo decade per mancata approvazione degli strumenti urbanistici esecutivi prima del decorso del quinquennio, dalla data di approvazione del piano regolatore generale, e l’amministrazione è tenuta al rilascio della concessione edilizia, nell’osservanza delle norme che regolano il rilascio della concessione in carenza di strumentazione

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urbanistica, che il ricorrente ha puntualmente rispettato. 2) Illegittimità per difetto di motivazione e contraddittorietà. Il comune motiva il diniego affermando che la decadenza dei vincoli di piano per il decorso quinquennio non sarebbe avvenuta poiché è in corso l’adozione dei piani attuativi. Appare evidente che l’unico atto giuridicamente rilevante prodotto è quello relativo all’incarico di redazione del piano attuativo all’architetto . . ., ma tale atto non ha natura di provvedimento pianificatorio attuativo, il solo che possa avere effetti tali da prorogare i vincoli di piano. Questi possono trovare ulteriore conferma solo da un provvedimento comunale di approvazione di piano di zona o di piano particolareggiato. P.Q.M. L’Ill.mo T.A.R. adito voglia accogliere le seguenti conclusioni: accertare la decadenza dei vincoli di piano regolatore; dichiarare l’annullamento del diniego di concessione edilizia; fissare un termine all’amministrazione comunale per l’adozione del provvedimento, salva l’azione sostitutiva con nomina del commissario ad acta; determini il risarcimento del danno in euro . . . Con rifusione di spese ed onorari. Lì, . . . Avv. . . . Si produce: 1) estratto di piano regolatore impugnato; 2) richiesta di concessione; 3) provvedimento comunale di diniego. Lì, . . . Avv. . . . Formula n. 125 URBANISTICA 689 Io sottoscritto . . . nato a . . . il . . . delego a rappresentarmi e difendermi nel presente giudizio, con tutti i poteri di cui all’art. 84 c.p.c., l’avvocato . . . presso il cui studio eleggo domicilio. Lì, . . . Il ricorrente Per autentica Avv. . . . RELAZIONE DI NOTIFICA A richiesta del Sig. . . . io sottoscritto ufficiale giudiziario addetto al Tribunale di . . . certifico di aver notificato il suesteso atto al sindaco del comune di . . . 690 URBANISTICA Formula n. 125 URBANISTICA Formula n. 126

126 . ATTO DI CITAZIONE ALLA CORTE D’APPELLO PER LA DETERMINAZIONE DELL’INDENNIZZO PER REITERAZIONE DEL VINCOLO DI PIANO REGOLATORE 126

CORTE D’APPELLO DI . . . SEZIONE CIVILE Atto di citazione Per il Sig. . . . rappresentato e difeso, come da mandato in calce al presente atto, dall’avvocato . . . presso il quale è elettivamente domiciliato in . . . Fatto e diritto Il ricorrente è proprietario di un’area sita nel comune di . . . che il piano regolatore approvato il . . . ha vincolato a servizi pubblici. Il vincolo secondo l’insegnamento della Corte Costituzionale 27 aprile 1982 n 92

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in Nuova Rass. 1983, 2626 non può avere durata superiore al quinquennio. Entro tale data il comune deve approvare quanto meno la programmazione esecutiva che consenta la successiva esecuzione dell’opera pubblica. Il quinquennio è trascorso senza che il comune abbia adottato il piano particolareggiato di esecuzione . Il vincolo deve intendersi decaduto. Il ricorrente a tal punto impugna la determinazione dell’indennità definitiva per i seguenti motivi. 1) Illegittimità del vincolo per violazione di legge e risarcimento del danno. Poiché il limite temporale risulta indeterminato e senza una previsione di indennizzo, esso si scontra con i limiti posti dalle norme costituzionali che precisano come sia incostituzionale il combinato disposto degli artt. 7, n. 2, 3 e 4, e 40, L. 1942, n. 1150 e art. 2, 1° comma, L. n. 1187/1968 nella parte in cui consente alla amministrazione di reiterare i vincoli urbanistici scaduti preordinati all’espropriazione o che comportino l’inedificabilità, senza la previsione di indennizzo. (Corte cost., 20 maggio 1999, n.179, Giuda Diritto 1999, n. 22, 133). È stata pronunciata, quindi, l’illegittimità costituzionale non dell’intero complesso normativo, che continua a consentire la reiterazione dei vincoli, ma esclusivamente la mancata previsione d’indennizzo in tutti i casi di permanenza del vincolo urbanistico preordinato all’espropriazione o comportante l’assoluta inedificabilità Formula n. 126 URBANISTICA 691 oltre i limiti di durata fissati dal legislatore ove non risulti in modo inequivocabile l’inizio della procedura espropriativa. La Corte non giunge a fissare i criteri per la concreta liquidazione del quantum dell’indennizzo anche se pone le premesse per la loro definizione. Ravvisate nella procedura di determinazione del risarcimento una serie di variabili che sostanzialmente pongono la diminuzione di valore a seguito reiterazione del vincolo in rapporto diverso con l’indennizzo relativo alla perdita della proprietà del bene. La Corte afferma che l’indennizzo deve essere commisurato al mancato uso normale del bene ovvero alla diminuzione di prezzo di mercato rispetto alla situazione giuridica antecedente alla pianificazione che ha imposto il vincolo. Se spetta al legislatore ordinario fissare i criteri per l’indennizzo la Corte non esclude che, anche in caso di mancanza di tale intervento, il giudice competente sulla richiesta di indennizzo, una volta accertato che i vincoli imposti in materia urbanistica abbiano carattere espropriativo, possa ricavare dall’ordinamento le regole per la liquidazione di obbligazioni indennitarie, nella specie come obbligazioni del pregiudizio subito dalla rinnovazione o dal protrarsi del vincolo. 2) Determinazione del danno ex art. 39, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 (*). Le modalità di calcolo dell’indennizzo sono state disciplinate dall’art. 39, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327. Si tratta di una normativa transitoria in attesa del t.u sulla programmazione urbanistica attuativa. Il vincolo reiterato deve essere indennizzato attraverso la corresponsione di una indennità commisurata all’entità del danno effettivamente prodotto commisurata al tempo della reiterazione. L’atto che reitera il vincolo deve prevedere la corresponsione dell’indennizzo. Poiché l’amministrazione non ha provveduto alla corresponsione dell’indennità il ricorrente ha inoltrato domanda documentata di pagamento con i relativi interessi legali. In presenza del un silenzio dell’amministrazione sul silenzio, decorsi trenta giorni dalla domanda si è presentato il presente ricorso. Si chiede che l’indennizzo dopo il sesto anno sia commisurato al danno effettivamente

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prodotto che deve intendersi pari al mancato guadagno relativo alla realizzazione di un immobile di cubatura pari a quella realizzabile nel comprensorio interessato che è da intendersi valutabile nel 10% del costo dell’intervento mq. per euro . . . Con riserva di nominare consulente tecnico di ufficio per la più precisa determinazione del danno. P.Q.M. al fine di ottenere giudizialmente la determinazione dell’indennizzo, il sig. . . . , come sopra rappresentato, . . . 692 URBANISTICA Formula n. 126 cita l’amministrazione comunale di . . . nella persona del sindaco davanti alla Corte d’Appello di . . . per sentire accogliere la seguente conclusione: determinare l’indennità spettante per la reiterazione dell’indennizzo di piano regolatore generale dell’area sopra indicata per la somma di euro . . . , come sarà definita dal consulente tecnico che si propone codesta spett. Corte voglia nominare, onde acclarare il valore di indennizzo del vincolo relativo all’area in oggetto. A tale fine invita i convenuti a costituirsi in giudizio nel termine e nelle forme stabilite dall’art. 166 c.p.c. ed a comparire all’udienza del . . . dinanzi al Consigliere Istruttore che sarà ritualmente designato, con espresso avvertimento che, in difetto, si procederà in loro contumacia. Si dichiara di nominare, ai sensi dell’art. 201 c.p.c. e dell’art. 91 att. c.p.c. , consulente tecnico per l’attore il Sig. Ing. residente in . . . Via . . . n. . . . Spese ed onorari rifusi Si depositano i seguenti documenti: 1) Richiesta di determinazione dell’indennizzo presentata all’amministrazione comunale di . . . in data . . . Lì, . . . Avv. . . Io sottoscritto . . . nato a . . . il . . . delego a rappresentarmi e difendermi nel presente giudizio, con tutti i poteri di cui all’art. 84 c.p.c. e con facoltà di conciliare e transigere l’avvocato . . . presso il cui studio eleggo domicilio, per tutti i gradi del presente giudizio. Lì, . . . Il ricorrente Per autentica Avv. . . . RELAZIONE DI NOTIFICA A richiesta del sig. . . . io sottoscritto ufficiale giudiziario addetto al tribunale di . . . certifico di aver notificato il suesteso atto al sindaco del comune di . . . �Ÿ �Ÿ �Ÿ (*) A norma dell’art. 5 del D.L. 23 novembre 2001, n. 411, conv. con modif. nella L. 31 dicembre 2001, n. 463, il termine di entrata in vigore del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, è prorogato al 30 giugno 2002. Formula n. 126 URBANISTICA 693 URBANISTICA Formula n. 127

127 . RICORSO AL T.A.R. PER L’ANNULLAMENTO DELLA DELIBERA DI ADOZIONE DI VARIANTE AL PIANO REGOLATORE 127

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE . . . Ricorso

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del Sig. . . . rappresentato e difeso come da mandato in calce al presente ricorso dall’avvocato . . . con studio legale in . . . via . . . presso il quale elegge il proprio domicilio contro l’amministrazione comunale di . . . in persona del sindaco Sig. . . . legale rappresentante pro tempore per l’annullamento della delibera di adozione di variante al piano regolatore generale adottata dal consiglio comunale in data . . ., ai sensi dell’art. 10 della L. n. 1150/1942. Fatto Il ricorrente è proprietario di un’area sita nella zona oggetto di variante. Tale zona aveva destinazione artigianale nel piano regolatore prima di essere oggetto di variante. Con successiva convenzione di lottizzazione realizzata in parte si ottenevano le prime concessioni edilizie per la realizzazione di capannoni destinati ad attività artigianale. La variante adottata e che si impugna modifica la destinazione urbanistica di zona che da artigianale passa a residenziale modificando la convenzione di lottizzazione prima sottoscritta, e spostando la zona artigianale in altra parte del territorio comunale per far fronte a richieste di gruppi economici che esigono una ben più vasta area artigianale. Poiché l’adozione della variante lede immediatamente con la applicazione obbligatoria delle misure di salvaguardia gli interessi del ricorrente si chiede l’annullamento dell’adottata variante per i seguenti motivi. 1) Eccesso di potere per difetto di motivazione. La scelta economica è tale, che senza tenere conto dei diversi interessi coinvolti nella pianificazione, indirizza una certa attività di impresa su specifiche e circoscritte aree con regole del tutto speciali ed istituisce dei vincoli ispirati dalla stessa particofordiram\ 694 URBANISTICA Formula n. 127 lare attività economica che si vuol fare insediare nel territorio senza proporre una omogenea pianificazione. L’illegittimità è ravvisata nell’esercizio di tale potere che, sia pure ascrivibile ad un gruppo industriale privato, è esercitato con la scelta acquiescente dell’amministrazione comunale, imponendo regole speciali in contrasto con quelle già fissate dal piano regolatore per quella zona del territorio, ed introducendo vincoli estranei alle possibilità concesse dall’ordinamento, quali ad esempio imponendo l’esercizio di una certa attività economica (Cons. Stato, sez. IV, 17 febbraio 1992, n. 201, in Cons. Stato 1992, I, 187). Si ravvisa il difetto di motivazione poiché il comune ha conformato acriticamente la strumentazione urbanistica alla pretesa delle parti private anche se portatrici di rilevanti interessi collettivi (T.A.R. Milano, Sez. Brescia, 27 giugno 1991, n. 490, in T.A.R. 1991, I, 2828). 2) Eccesso di potere per contradditorietà con precedenti scelte urbanistiche. Manca ogni motivazione che giustifichi come la trasformazione urbanistica voluta dalla variante sia intesa a coniugarsi con lo sviluppo industriale precedentemente ipotizzato e non risulta correttamente motivata l’esigenza di addivenire a conseguenti e motivate revisioni di precedenti zonizzazioni (T.A.R. Lombardia, Brescia, 2 ottobre 1992, n. 1041, in Riv. giur. ed. 1992, 1186). Le nuove scelte di piano proposte dalla variante risultano quindi contradditorie con le scelte fondamentali del piano regolatore precedentemente approvato. P.Q.M. Voglia l’Ill.mo Tribunale adito accogliere la seguente conclusione: annullare la delibera di adozione della variante al piano regolatore. Le spese ed onorari seguano la soccombenza.

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Si produce: 1) delibera comunale di variante al piano regolatore. Lì, . . . Avv. . . . Io sottoscritto . . . nato a . . . il . . . delego a rappresentarmi e difendermi nel presente giudizio, con tutti i poteri di cui all’art. 84 c.p.c., l’avvocato . . . presso il cui studio eleggo domicilio. Lì, . . . Il ricorrente . . . Per autentica Avv. . . . Formula n. 127 URBANISTICA 695 RELAZIONE DI NOTIFICA A richiesta del Sig. . . . io sottoscritto ufficiale giudiziario addetto al Tribunale di . . . certifico di aver notificato il suesteso atto al Sindaco del comune di . . .; e ad uno dei proprietari delle aree oggetto di variante nella qualità di controinteressato. 696 URBANISTICA Formula n. 127 URBANISTICA Formula n. 128

128 . RICORSO AL T.A.R. PER L’ANNULLAMENTO DELLA DELIBERA DI APPROVAZIONE DEL PIANO REGOLATORE LIMITATAMENTE ALL’OBBLIGO DI PIANO DI RECUPERO E PER DICHIARAZIONE DI ILLEGITTIMITÀ DEL SILENZIO SULLA RICHIESTA DELLA CONCESSIONE EDILIZIA 128

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE . . . Ricorso del Sig. . . . rappresentato e difeso come da mandato in calce al presente ricorso dall’avvocato . . . con studio legale in . . . via . . . presso il quale elegge il proprio domicilio contro l’amministrazione comunale di . . . in persona del sindaco Sig. . . . legale rappresentante pro tempore per l’annullamento della delibera di approvazione del piano regolatore generale adottata dal consiglio comunale in data . . . limitatamente all’obbligo di adozione del piano di recupero per dichiarazione di illegittimità del silenzio rigetto sulla richiesta di concessione edilizia. Fatto Il ricorrente è proprietario di un’area su cui insiste un fabbricato sita nel centro edificato del comune di . . . in zona territoriale omogenea B. Il piano regolatore ha previsto per intervenire nella zona in oggetto la previa redazione di piano di recupero ai sensi degli artt. 27 e ss. della L. n. 457/1978. Poiché nell’ambito di tale zona il comune non ha proceduto alla localizzazione delle zone specifiche nelle quali si deve effettuare i recupero edilizio il ricorrente ha presentato domanda di concessione edilizia. Essendo scaduti 60 giorni dalla richiesta senza che sia stato adottato alcun provvedimento da parte della amministrazione, il ricorrente presenta ricorso, chiedendo l’annullamento delle disposizioni di piano regolatore che impongono il piano di recupero per i seguenti motivi. Formula n. 128 URBANISTICA 697 1) Violazione di legge per quanto attiene alla necessità del piano di recupero.

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La giurisprudenza amministrativa ha evidenziato come il piano attuativo, ad esempio in tema di lottizzazioni, sia necessario a determinate condizioni. È necessario che la zona interessata allo strumento attuativo sia di notevoli estensioni e priva di opere di urbanizzazione. Essa deve essere per la prima volta interessata da una attività insediativa capace di provocare una profonda trasformazione socio economica oltre che strutturale della zona stessa. Nel caso in cui si tratti di una zona già urbanizzata deve essere edificato un complesso di notevoli dimensioni, in grado di mutare l’assetto territoriale e rendere così inadeguate le opere di urbanizzazione esistenti. La realizzazione di un singolo edificio in una area edificata ed adeguatamente urbanizzata, non può essere subordinato alla preventiva adozione di un piano di lottizzazione, ancorché ciò sia prescritto dalla normativa urbanistica di piano (T.A.R. Lombardia, Milano, sez. II, 12 novembre 1990, n. 864, in Riv. giur. ed. 1991, 158. Cons. Stato, sez. V, 28 febbraio 1987, n. 142, ivi, 1987, 292). Per quanto attiene più specificatamente alla necessità dell’adozione di un piano di recupero è necessario esaminare i requisiti che sono contenuti nell’art. 28 della L. n. 457/1978 e sono ribaditi dalla giurisprudenza. Essi sono quelli di ottenere il recupero del patrimonio edilizio ed urbanistico che si trovi in condizioni di degrado e presuppongono che la condizione di degrado sia riferita, non in modo indiscriminato e generico ad una vasta parte dell’aggregato urbano, agli immobili e complessi edilizi ed aree singolarmente individuate (T.A.R. Umbria, 13 dicembre 1989, n. 825, in I T.A.R. 1990, 725). Il secondo requisito è quello temporale. È previsto che l’approvazione del piano deve avvenire entro tre anni dalla localizzazione delle aree. In carenza di localizzazione a maggior ragione si manifestano gli effetti previsti per la carenza di approvazione di piano ai sensi dell’art. 28, comma 3, della L. n. 457/1978. L’individuazione del piano di recupero decade ad ogni effetto e si applica l’art. 27, comma 4, così come modificato dall’art. 14 della L. n. 179/1992. Si distingue fra due ipotesi. La prima riguarda le aree comprese nel piano di recupero non approvato dall’amministrazione entro i tre anni dalla localizzazione, per le quali non sono previste strumenti attuativi In tal caso si attuano gli interventi conformi agli strumenti urbanistici senza necessità di strumentazione esecutiva. La seconda ipotesi riguarda il caso in cui il piano regolatore individui la necessità di procedere attraverso strumenti urbanistici attuativi. In tal caso per le aree comprese nel piano di recupero, ove siano prescritti gli strumenti attuativi, è prevista una fattibilità limitata, ma comunque estensiva rispetto alla norma sostituita. 698 URBANISTICA Formula n. 128 Tale sostituzione è da mettere in relazione al fatto che i vincoli di piano decadono decorso il quinquennio. La Corte costituzionale ha avvalorato questa impostazione affermando che il principio del vincolo quinquennale fissato dalla L. n. 1187/1968 deve intendersi vigente pur successivamente all’entrata in vigore della L. n. 10/1977, mentre la giustizia amministrativa ha dato delle ulteriori indicazioni in ordine agli effetti che derivano dalla scadenza del termine quinquennale dei vincoli. Le aree interessate al vincolo scaduto sono soggette alla disciplina prevista dall’art. 4 della L. n. 10/1977 per i comuni sprovvisti degli strumenti urbanistici generali (Corte cost., 27 aprile 1982, n. 92, in Nuova Rass. 1983, 2626. Cons. Stato Ad. Pl., 2 aprile 1984, n. 7, in Riv. giur. ed. 1984, 317).

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Scaduto infruttuosamente il quinquennio la cessazione di efficacia del vincolo urbanistico comporta il venir meno della sua esecutorietà e della sua sussistenza quale previsione urbanistica a cui corrisponde la necessaria riespansione delle ordinarie facoltà del diritto di proprietà nei limiti fissati dalla stessa norma citata. Sono consentiti pertanto in attesa degli strumenti urbanistici attuativi gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, risanamento e ristrutturazione edilizia che riguardino singole unità immobiliari. Gli interventi sopracitati sono previsti anche qualora vi sia un vincolo sulla zona con destinazione a servizi naturalmente scaduto per decorso del quinquennio. Inoltre sono consentiti gli interventi di ristrutturazione edilizia che riguardino uno o più edifici anche se con tali interventi si modifichino fino al 25% delle destinazioni preesistenti. Ad esempio in un fabbricato di quattro piani residenziali se ne può ricavare uno a negozi od uffici. In tal caso il concessionario deve impegnarsi alla stipula di una convenzione col comune per determinare i prezzi di vendita. La lettura dell’articolo di modifica è particolarmente chiara per cui in carenza di obbligo fissato dal piano regolatore di strumentazione attuativa ovvero la decadenza dalla facoltà di approvare il piano fa scattare la legittima possibilità di eseguire le disposizioni di piano senza preventivi strumenti esecutivi. Taluno peraltro ritiene la impossibilità di effettuare interventi fino all’approvazione del piano del piano di recupero, senza una conseguente interpretazione letterale e logica delle norme (A. FIALE, Diritto urbanistico 1991, 457). La giurisprudenza sembra su posizioni restrittive, con una unica sentenza il Cons. Stato, sez. IV, 25 settembre 1992, n. 789 (in Mass. Cons. Stato 1992, 429, e Foro amm. 1992, 1885), ha affermato che il potere comunale di individuazione degli immobili non è soggetto a termini di efficacia, e che in ogni caso, qualora detti piani non intervengano nel termine di localizzazione rimane operante la disciplina della zona di recupero. 2) Violazione di legge in ordine alla procedura di rilascio di concessione edilizia. Il provvedimento di rilascio di concessione od il diniego motivato deve seguire, ai Formula n. 128 URBANISTICA 699 sensi dell’art. 31 della L. n. 1150/1942 e modificazioni, entro sessanta giorni dalla richiesta. Il silenzio è illegittimo ai sensi di legge. P.Q.M. Voglia l’Ill.mo Tribunale adito accogliere le seguenti conclusioni: 1) annullare la norma del piano regolatore che prevede l’attuazione del piano di recupero in carenza di localizzazione da parte del consiglio comunale delle relative zone di recupero; 2) dichiarare illegittimo il silenzio rifiuto sulla domanda di concessione; 3) fissare l’obbligo a provvedere entro congruo periodo di tempo pena la nomina di commissario ad acta. Le spese ed onorari seguano la soccombenza. Si produce: 1) delibera comunale di approvazione al piano regolatore generale nella parte in cui si impugna; 2) copia della domanda di concessione con protocollo di ricevimento. Lì, . . . Avv. . . . Io sottoscritto . . . nato a . . . il . . . delego a rappresentarmi e difendermi nel presente giudizio, con tutti i poteri di cui all’art. 84 c.p.c., l’avvocato . . . presso il cui studio eleggo domicilio.

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Lì, . . . Il ricorrente Per autentica Avv. . . . RELAZIONE DI NOTIFICA A richiesta del Sig. . . . io sottoscritto ufficiale giudiziario addetto al Tribunale di . . . certifico di aver notificato il suesteso atto al Sindaco del comune di . . .; e ad uno dei proprietari delle aree oggetto di piano di recupero nella qualità di controinteressato. 700 URBANISTICA Formula n. 128 URBANISTICA Formula n. 129

129 . CITAZIONE AL TRIBUNALE PER VIOLAZIONE DELLA DISCIPLINA DELLE DISTANZE 129

TRIBUNALE CIVILE DI . . . Atto di citazione per il Sig. . . . rappresentato e difeso, come da mandato in calce al presente atto dall’avvocato . . . presso il quale elettivamente è domiciliato in . . . Fatto e diritto L’attore sig. . . . è proprietario in comune di . . . dell’area così censita nel NCTR . . . foglio n. . . . mappale n. . . . di una palazzina di tre piani che confina col mappale n. . . . di proprietà del convenuto sig. . . . Tali immobili si trovano in area classificata dal piano regolatore come area C) di espansione Sull’area confinante è stata realizzata una costruzione a metri tre dal confine in spregio alla norme di attuazione del piano regolatore del comune di . . . che impone alle costruzioni una distanza di metri 5 dal confine in ottemperanza all’art. 9 D.M. 4 aprile 1968 che prescrive per i nuovi edifici. L’immobile è stato realizzato in conformità alla concessione edilizia rilasciata dal comune di . . . , secondo il ricorrente palesemente illegittima in quanto contraria alle disposizioni di piano regolatore e conseguentemente all’art. 873 c.c., di cui costituiscono parte integrante. Si chiede, pertanto, che il giudice adito voglia dichiarare la violazione delle norme di piano integratrici della disciplina del codice civile e conseguentemente condannare il convenuto alla riduzione in pristino ex art. 872 c.c. A tale scopo il sig. . . . , come sopra rappresentato e difeso, col presente atto cita il sig. . . . residente in . . . a comparire davanti al Tribunale di . . . , Sezione e giudice istruttore designandi, all’udienza del . . . , ore di rito, con l’invito a costituirsi in giudizio nel termine e nelle forme stabilite dall’art. 166 c.p.c. e con espresso avvertimento che, in difetto, saranfordiram\ Formula n. 129 URBANISTICA 701 no decaduti dai diritti di cui all’art. 167 c.p.c., per l’accoglimento delle seguenti conclusioni. Piaccia al Tribunale adito, disattesa ogni diversa istanza od eccezione, previo accertamento mediante consulenza tecnica della violazione della disciplina delle distanze condannare il convenuto sig. . . . alla demolizione e al parziale arretramento della costruzione realizzata. Spese e onorari del giudizio a carico del convenuto. Con riserva di ulteriormente produrre, dedurre e chiedere mezzi istruttori. Si dichiara di nominare, ai sensi dell’art. 201 c.p.c. e dell’art. 91 att. c.p.c., consulente

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tecnico per l’attore il Sig. Ing. residente in . . . Via . . . n. . . . Spese ed onorari rifusi. Si deposita: 1) estratto di mappa. 2) Concessione edilizia. Lì, . . . Avv. . . . Io sottoscritto . . . nato a . . . il . . . delego a rappresentarmi e difendermi nel presente giudizio, con tutti i poteri di cui all’art. 84 c.p.c. e con facoltà di conciliare e transigere l’avvocato . . . presso il cui studio eleggo domicilio, per tutti i gradi del presente giudizio. Lì, . . . Il ricorrente Per autentica Avv. . . RELAZIONE DI NOTIFICA A richiesta del Sig. . . . io sottoscritto ufficiale giudiziario addetto al tribunale di . . . certifico di aver notificato il suesteso atto al sig. . . . residente . . . �Ÿ �Ÿ �Ÿ L’azione civile è autonoma rispetto a quella contro l’annullamento della concessione edilizia ammessa presso il giudice amministrativo. Le due azioni non sono alternative. 702 URBANISTICA Formula n. 129