(Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

318
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA CORSO DI LAUREA IN CONSERVAZIONE DEI BENI CULTURALI ATHYRMATA FENICIO-PUNICI: LA DOCUMENTAZIONE DI SULCIS (CA) Relatore Dott.ssa Ida Oggiano Candidato Antonio Sechi ANNO ACCADEMICO 2005-2006

Transcript of (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

Page 1: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA

FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA

CORSO DI LAUREA IN

CONSERVAZIONE DEI BENI CULTURALI

ATHYRMATA FENICIO-PUNICI: LA DOCUMENTAZIONE DI SULCIS (CA)

Relatore

Dott.ssa Ida Oggiano

Candidato

Antonio Sechi

ANNO ACCADEMICO 2005-2006

Page 2: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 2 -

Alla mia fidanzata

e

alla mia famiglia

Le foto dei reperti nel § 3 sono state eseguite dal Sig. Ugo Virdis presso i locali di Sant’Antioco della Soprintendenza Archeologica per le province di Cagliari e Oristano.

Page 3: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 3 -

INDICE

INDICE pagina 3

PREMESSA >> 5

1. INTRODUZIONE: SULCIS >> 7

1.1. Geografia, topografia e storia del sito >> 7

1.2. Storia delle ricerche >> 13

2. GLI ATHYRMATA DI SULCIS >> 19

2.1. Athyrmata della necropoli >> 19

2.2. Athyrmata del tophet >> 37

3. CATALOGO >> 53

3.1. Tomba 1 BLV PGM >> 53

3.2. Tomba 5 PGM >> 65

3.3. Tomba 6 PGM >> 71

3.4. Tomba 9 AR >> 82

3.5. Tomba 10 AR >> 94

3.6. Tomba 11 AR >> 98

4. ANALISI TIPOLOGICA >> 101

4.1. Gioielli >> 101

4.1.1. Bracciali >> 101

4.1.2. Elementi di collana >> 103

4.1.3. Pendenti >> 112

4.1.4. Orecchini >> 119

4.1.5.Anelli crinali >> 123

4.1.6. Anelli digitali >> 125

4.2. Amuleti >> 128

4.2.1. Amuleti a forma di mano >> 128

4.2.2. Serpenti urei >> 134

4.2.3. Occhi udjat >> 137

4.2.4. Ptah-pateci >> 141

4.2.5. Leone >> 149

4.3. Scarabei >> 150

Page 4: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 4 -

4.3.1. Scarabei in faïence e steatite >> 154

4.3.2. Scarabei in pietra dura >> 159

4.4. Varia >> 169

5. ASPETTI DI USO, PRODUZIONE E SCAMBIO >> 177

5.1. Uso >> 177

5.1.1. Gioielli >> 177

5.1.2. Amuleti >> 182

5.1.3. Scarabei >> 195

5.1.4. I destinatari >> 207

5.2. Produzione >> 213

5.2.1. Osso o avorio >> 215

5.2.2. Pietra dura semipreziosa >> 218

5.2.3. Faïence e steatite >> 227

5.2.4. Vetro o pasta vitrea >> 236

5.2.5. Oro, argento e altri metalli >> 240

5.2.6. Altri materiali >> 247

5.3. Scambio >> 249

6. CONCLUSIONI >> 265

BIBLIOGRAFIA >> 275

Periodici >> 275

Collane >> 279

Atti di incontri e opere enciclopediche >> 280

Monografie e singoli contributi >> 283

Risorse web >> 315

APPENDICE >> 317

Grafico 1 >> 317

Grafico 2 >> 317

Grafico 3 >> 318

Page 5: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 5 -

PREMESSA

Con il termine athyrmata si intendono quegli ornamenti ed oggetti di corredo

personale di piccole dimensioni che costituivano una componente importante del

corredo funerario dei defunti della civiltà fenicia e punica di Sardegna.

Scopo del presente lavoro è quello di analizzare nel dettaglio la documentazione

relativa al centro di Sulcis nell’isola di Sant’Antioco, uno dei più antichi insediamenti

della colonizzazione fenicia dell’Isola. Lo spunto per la presente ricerca è offerto dalla

disponibilità di materiale inedito rinvenuto in tre tombe di recente scoperta nella

necropoli di età punica1 e dalla necessità quindi di aggiornare lo stato della questione

posta in maniera preliminare nel 1991 da P. Bernardini2.

Il capitolo 1 avrà lo scopo di fornire una presentazione del sito nel suo contesto

geografico e storico (§ 1.1) e dello stato delle ricerche (§ 1.2) che con metodologia più

o meno scientifica lo hanno interessato dalla scoperta dei primi monumenti ad oggi.

Nel capitolo 2 verrà focalizzata l’attenzione sull’oggetto specifico della

presente ricerca. Gli athyrmata saranno infatti distinti in base al loro contesto di

rinvenimento in quelli provenienti dalla necropoli (§ 2.1) e quelli rinvenuti nel tophet

(§ 2.2).

Un ruolo fondamentale nel presente lavoro avranno i reperti inediti

sopramenzionati e quelli di altre tre tombe già oggetto di tesi di laurea, ma ancora

indisponibili alla comunità scientifica. A questi sarà dedicato un catalogo (§ 3) ed una

dettagliata analisi tipologica (§ 4) volta a riconoscerne i caratteri fondamentali e la

provenienza.

Lo studio dell’intera documentazione sulcitana si concretizzerà nel capitolo 5 in

cui saranno indagati quegli aspetti funzionali (§ 5.1), produttivi (§ 5.2) e commerciali

(§ 5.3) che meglio si adattano allo studio dei prodotti della cultura materiale di un

popolo, al quale rango sono da noi considerati gli athyrmata.

In un capitolo finale (§ 6) sarà offerta una sintesi conclusiva dei punti ora

descritti ed evidenziati eventuali spunti per una ricerca o approfondimento futuri.

1 Tombe 5 e 6 PGM, 1 PGM BLV. Colgo l’occasione per ringraziare il Dott. Paolo Bernardini per avermi accordato la visione e lo studio dei materiali, e per gli spunti e i suggerimenti fornitimi nel corso della ricerca.

2 Bernardini 1991.

Page 6: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 6 -

Page 7: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 7 -

1. INTRODUZIONE: SULCIS

1.1. GEOGRAFIA, TOPOGRAFIA E STORIA DEL SITO

L’antico centro di Sulcis sorgeva sulla costa nord-orientale dell’Isola di Sant’Antioco,

dove ora sorge il moderno centro omonimo. Questa è l’isola più grande tra quelle che

gravitano intorno alla Sardegna con circa 108 km2 di superficie.

L’isola di Sant’Antioco è costituita prevalentemente da rocce vulcaniche

(trachiti e basalti) e pietre calcaree. Sostanzialmente collinosa raggiunge la sua

massima altitudine sul colle Perdas de Fogu a m. 273 nel settore centro-meridionale

dell’isola ed è legata alla sua costa sud-orientale da una striscia di terra, un istmo,

creatosi nei secoli, insieme allo stagno di Santa Caterina, dai depositi alluvionali del

Rio Palmas, che ha il suo delta nella costa sarda antistante l’isola. L’istmo, composto

da un piccolo arcipelago esteso per una lunghezza di circa 4 km da Sant’Antioco

all’isola madre, doveva essere percorribile quasi completamente tra fine del IV e prima

metà del III millennio, per la presenza lungo di esso di due menhir detti su Para e sa

Mongia3, ma costante nel tempo dovette essere l’opera dell’uomo ai fini della sua

integrazione e corretta viabilità, come testimoniato da un ponte di età romana

completamente restaurato e visibile e un canale forse fenicio. Quest’ultimo in antichità

consentiva di sicuro la comunicazione dei due porti naturali situati uno a nord e l’altro

a sud dell’istmo.

Il moderno centro di Sant’Antioco, popolato da circa 12.000 abitanti, copre una

striscia di costa in direzione nord-sud stretta tra il mare e l’altura del Monte de Cresia

(m 80 s.l.m.) e limitata a meridione dall’area industriale prossima all’innesto

dell’istmo con l’isola. Il centro storico è costituito dall’estremità settentrionale e sotto

di esso sussistono ancora lembi della necropoli punico-romana e dell’abitato. Della

prima si contano circa 1500 tombe a camera ipogeica, per cui si è calcolato che

quest’ultimo dovesse ospitare, seppur approssimativamente, nel periodo di maggior

espansione circa 9.000/10.000 abitanti4, ovvero quasi la popolazione odierna.

3 Trad. “il frate e la suora”: Santoni 1989, p. 64. 4 Bartoloni 1995, p. 4.

Page 8: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 8 -

Nell’altura a nord nota col nome di Guardia de is pingiadas, in un’area scarsamente

edificata, è collocato il tophet: il santuario extraurbano fenicio che limita l’estensione a

nord dell’abitato antico. La città era verosimilmente corredata di due porti: uno

settentrionale sulla costa a stretto contatto con l’abitato, quello meridionale in una

vasta insenatura a sud dell’istmo protetta dal molo naturale di Punta de s’aliga5.

Nonostante la regione del Sulcis offra consistenti testimonianze di tempi

anteriori6, l’occupazione dell’isola da parte di genti autoctone, testimoniata da

monumenti e resti archeologici di varia natura, non risale oltre la fine del III millennio

ed ha inizio solamente con il Neolitico finale7. I resti più antichi della presenza umana

nell’isola, ascrivibili alla cultura di San Michele di Ozieri (3300-2480 ca. a.C.), sono i

complessi archeologici costituiti dagli scavi urbani del cronicario di Sant’Antioco, dal

quale provengono ceramiche e ossidiane8, dall’insediamento abitativo della piana di

Cannai nel sud dell’isola9. Resti monumentali del culto di questa fase preistorica sono

invece i due menhir sopra menzionati10, mentre a quella funeraria appartengono le due

grotticelle de Is Pruinis, sul versante orientale dell’isola a sud di Sant’Antioco,

riferibili ad un altro abitato non ancora individuato11. Alla successiva cultura

calcolitica di Monte Claro (2480-1855) appartengono resti ceramici rinvenuti presso

un nuraghe “a corridoio” in località Gruttiacqua12, presso il quale sono due circoli

megalitici di dubbia attribuzione alla medesimo orizzonte culturale13. Alla sfera

funeraria appartengono invece le c.d. domus de janas di Serra Nuarxis situate sempre

all’interno dell’estremità meridionale dell’isola14.

Decisamente più cospicua è la documentazione archeologica relativa all’età del

Bronzo, quando anche nel resto della Sardegna fiorisce la civiltà dei Nuraghi. Diversi

infatti sono i nuraghi, fortezze realizzate in grossi massi squadrati e dalla

5 Moscati 1982, p. 348; Moscati 1986a, p. 242. 6 Tronchetti 1988, p. 7. 7 Per la datazione delle culture protostoriche si fa riferimento al testo di G. Lilliu: Lilliu 2003, pp. 9-17. 8 Santoni 1989, pp. 67-68; Marras V. 1996, p. 87, bibliografia a nota 5. 9 Santoni 1989, pp. 68-73; Marras V. 1996, p. 87, bibliografia a nota 4. 10 Santoni 1989, pp. 63-64; Marras V. 1996, p. 87, bibliografia a nota 6; Lilliu 2003, pp. 98-99. 11 Santoni 1989, pp. 65-67; v. Marras V. 1996, p. 87, bibliografia a nota 7. 12 Marras V. 1996, p. 87. 13 Santoni 1989, p. 65. 14 Marras V. !996, pp. 87-88, tav. II.

Page 9: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 9 -

composizione semplice o complessa, concentrati come le altre testimonianze di età

preistorica nel sud dell’isola15.

Costituisce elemento di raccordo con la successiva fase fenicia di Sant’Antioco

il fondo di una capanna rinvenuto lungo le pendici del colle di castello, nel luogo

successivamente occupato dalla necropoli punica, ed i cui materiali di superficie

indicano una datazione al Bronzo Finale (fine XII – inizi IX secolo)16.

La frequentazione delle coste ad opera di micenei e ciprioti negli ultimi secoli del II

millennio ha come effetto archeologico una dispersione di materiale, principalmente

ceramico, che individua la valle del Campidano come asse preferenziale17. Da questa

diffusione appare al momento escluso l’intero Sulcis-Iglesiente, nonostante le sue

miniere siano da ritenere uno dei motivi delle presenze lungo la costa occidentale del

Golfo di Cagliari18. L’isola di Sant’Antioco non fa eccezione e rimane in silenzio

anche in relazione alla successiva fase della c.d. precolonizzazione fenicia, mentre la

frequentazione delle coste della regione sulcitana è postulata a spiegazione della

presenza di materiali in bronzo tra IX e VIII secolo nei siti periferici di Antas, Santadi

(grotta Pirosu – Su Benatzu) e Bithia19.

In Sardegna la presenza di genti orientali, e fenicie nella fattispecie, è

testimoniata esemplarmente dal contesto di Sant’Imbenia20, un villaggio nuragico sulla

costa nord-occidentale della Sardegna, che presente tracce di residenti fenici dai livelli

di fine IX - prima metà dell’VIII secolo21, ma è solo con il limite inferiore di questo

periodo che si traduce nella creazione di insediamenti urbani stabili. Ed è proprio nel

Sulcis ed a Sant’Antioco che ne cogliamo la presenza grazie alla ceramica rinvenuta

nel tophet e negli strati più antichi dell’abitato nell’area del cronicario. Di poco più

15 Marras V. 1996, p. 107, tav. I, lo studio dell’autrice è limitato al solo comune di Sant’Antioco, uno dei due

dell’isola omonima, ma occupante i due terzi circa della porzione sud-orientale della stessa. Nel comune di Calasetta questi tipi di resti comunque non mancano e pongono il problema della carenza documentaria nel comprensorio della città di Sant’Antioco, che si spiega più facilmente con una minore evidenza dovuta alla più intensa frequentazione nei secoli e millenni successivi.

16 Santoni 1989, pp. 76-77. 17 Bartoloni, Bondì, Moscati 1997, pp. 7-9. 18 Ibidem. 19 Ib., pp. 10-13. 20 Ib., pp. 17-18. 21 Sulla ceramica di Sant’Imbenia v. Oggiano 2000.

Page 10: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 10 -

antiche le tracce della necropoli ad incinerazione di San Giorgio di Portoscuso, il cui

abitato non è stato ancora individuato, che era in uso gia dalla metà del secolo,

collocata nella terraferma antistante l’isola di Sant’Antioco.

Il cronicario, che conserva gli unici strati archeologici abitativi arcaici finora

messi in luce del nostro centro, ha fornito associazioni di ceramiche locali e fenicie per

le fasi più antiche22. Ciò, in conformità con quanto emerso in altre parti dell’isola,

esclude che l’incontro delle due popolazioni sia stato conflittuale. I sardi in sostanza

dovettero integrarsi pacificamente all’interno della nuova comunità di Sulcis.

Sin dai primi momenti di vita della Sulcis fenicia compare il tophet, un’area

sacra extra-urbana a cielo aperto destinata alla operazione di rituali di varia natura, tra

i quali sacrifici animali e arsioni di bambini morti in età perinatale23. L’importanza del

santuario nel tessuto cittadino, nel nostro caso sopra un’altura a Nord dell’abitato,

risulta evidente anche da quanto rilevato negli altri centri fenici e punici occidentali.

Esso risorge sempre sullo stesso luogo a discapito del passare dei secoli24 e indica

l’importanza ricoperta dal centro sulcitano sin dal momento della sua fondazione.

La ceramica proveniente dai contesti noti e scavati a Sant’Antioco indica una

partecipazione ai traffici commerciali che interessavano anche le coste tirreniche della

penisola italiana, con quelle del Nord Africa e della Andalusia ed esprimono il clima

di benessere e ricchezza che dovette perdurare nel centro per oltre due secoli25. Già

intorno alla seconda metà dell’VIII secolo viene fondato sulla costa antistante l’isola di

Sant’Antioco, ma in posizione più elevata, un altro centro fenicio, Monte Sirai,

ritenuto un’emanazione sulla terra ferma del nostro centro26, e le cui espressioni della

cultura materiale tradiscono una continua ispirazione a quella sulcitana27.

La seconda metà del VI secolo è un periodo cruciale per il determinarsi degli

equilibri delle potenze del mediterraneo e in Sardegna vede l’avviarsi della politica di

conquista da parte di Cartagine, prima “una delle tante” colonie fenicie nel

22 Tra queste anche le caratteristiche pentole e i vasi bolli latte di tradizione nuragica del Bronzo Finale provenienti dal tophet: Bartoloni, Bondì, Moscati 1997, p. 53.

23 Sul tophet v. il fondamentale contribuito Ribichini 1987a; sui problemi della funzione recentemente riconsiderati v. Bernardini 2006.

24 Bartoloni 1989, p. 75. 25 Bartoloni, Bondì, Moscati 1997, p. 53. 26 Ibidem, p. 54, sebbene espresso con qualche dubbio. 27 Moscati 1986a, p. 273-282; Moscati 1996b.

Page 11: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 11 -

mediterraneo, ora una superpotenza militare in continua espansione. Intorno al 540

a.C. si combatte la battaglia di Alalia o “del Mare Sardonio”, che sebbene dall’esito

incerto contribuisce a fissare i limiti del controllo etrusco-cartaginese nel mare Tirreno

contro l’intraprendenza greca focese28, mentre in Sardegna il decennio 545-535 a.C. è

interessato dalle campagne di Malco che, subita la sconfitta per mano della resistenza

delle colonie fenicie di Sardegna, abbandona il campo. A questa spedizione seguirà

l’intervento dei figli di Magone, Asdrubale e Amilcare, negli anni 525-510 e che si

concluderà con la conquista dell’isola e l’integrazione forzata di essa nei territori

controllati da Cartagine29. La resistenza operata dai fenici fu pagata duramente da

centri come quello di Cuccureddus di Villasimius e Monte Sirai, che mostrano evidenti

tracce di distruzione, e con la recessione economica, cui segue in certi casi

l’abbandono, dai centri di Sulcis, Bithia e Santa Maria di Villaputzu30. Diversamente

dovette andare per quelli che avrebbero assicurato fedeltà ai conquistatori come

Tharros e Caralis, le cui necropoli forniscono l’evidenza di un periodo particolarmente

florido sin dai primi anni del V secolo31. Benché poche siano le tombe edite

esaustivamente32, la necropoli di Sulcis offre un quadro più povero di materiali rispetto

a quello dei due centri sopra menzionati e ciò, lo si vedrà più avanti, avrà un ricadere

nella documentazione relativa agli ornamenti personali. La ragione di questa crisi può

essere stata inoltre la non disponibilità di un vasto entroterra da destinare alle culture

cerealicole, che invece caratterizzava i due centri del basso e alto Campidano.

L’agricoltura e lo sfruttamento delle risorse minerarie erano comunque gli interessi

primari della presenza cartaginese in Sardegna, per il secondo dei quali Sulcis nella

fase precedente doveva svolgere un ruolo primario nel convoglio dei metalli estratti

dal bacino dell’Iglesiente, principalmente argento e piombo.

La conquista ha come conseguenza la deportazione dal Nord Africa di masse di

coloni allo scopo di popolare i territori appena conquistati, il che ha i suoi risultati più

28 Bartoloni, Bondì, Moscati 1997, pp. 67-69. 29 Ibidem, pp. 70-72. 30 Ib., p. 71. 31 Sulcis 1989, p. 17. 32 V. § 1.2.

Page 12: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 12 -

visibili nel cambiamento del rito funerario e nella cultura materiale33. Mentre nelle

città fenicie di Sardegna il rito praticato nella fase fenicia era prevalentemente

l’incinerazione, dalla fine del VI secolo in poi appare diffuso quello dell’inumazione

entro camera ipogeica34.

I segni della ripresa per il nostro centro iniziano a comparire nell’ultima fase

punica della Sardegna con gli inizi del IV secolo35, ciò nonostante si abbia notizia che

nel 379 fossero scoppiati in Sardegna e nelle province nordafricane moti insurrezionali

in seguito ad una pestilenza che colpì Cartagine36. A questa data si attribuisce la

costruzione della cortina muraria che cinge l’abitato dell’antica Sulcis al pari di altri

centri punici dell’isola37.

Il secolo e mezzo che segue vede nel mediterraneo centrale la crescita delle

grandi potenze romana e cartaginese. Le ostilità prendono forma apertamente

conflittuale nel 264 con l’inizio della I Guerra Punica in Sicilia e presto anche nelle

acque sarde. Nel 258 nel golfo di Palmas, porto meridionale di Sulcis, la flotta romana

al comando di Sulpicio Patercolo sconfiggeva quella cartaginese, composta di “Punici

e Sardi”, ivi stanziata e comandata dall’ammiraglio Annibale. La sconfitta costò la vita

all’ammiraglio cartaginese che fu punito dai suoi con la crocifissione entro le mura di

Sulcis38.

Tutta la Sardegna cadrà nel 238 sotto il dominio di Roma a seguito della

repressione dei moti dei mercenari punici qui stanziati: la civiltà dei cartaginesi

nell’isola si avvia ormai alla conclusione.

Sotto il dominio romano Sulcis ritrova splendore ma non prima del 47 d.C.,

quando appoggia Pompeo nella lotta con Cesare negli ultimi giorni della Repubblica,

ospitando nel porto una flotta pompeiana al comando di L. Nasidio, rifornendola di

truppe, e assicurando spedizioni di armi e metalli al pompeiano Q. Cecilio Metello Pio

Scipione. In seguito alla vittoria l’anno seguente Cesare trovandosi a Caralis punì i

33 Bartoloni, Bondì, Moscati 1997, pp. 71-72. 34 Per primo v. Bartoloni 1981. 35 Bartoloni, Bondì, Moscati 1997, p. 76. 36 Diodoro, Biblioteca Storica, XV, 24, 2 37 Sulcis 1989, p. 18. 38 Zonara VIII, 12, P. I 389, cit. in Sulcis 1989, p. 19; cit. anche in Bartoloni, Bondì, Moscati 1997, p. 100.

Page 13: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 13 -

Sulcitani con una multa di 100.000 sesterzi, la consegna di un’ottava parte del grano

invece della consueta decima e la vendita dei beni di alcune famiglie39.

Nel corso del I secolo d.C. Sulcis sarà elevata al rango di municipium, e forse

più precisamente sotto l’imperatore Claudio (41-54 d.C.), che nella regione disponeva

di numerosi possedimenti e sotto il cui regno furono eseguiti i numerosi ritratti della

famiglia Giulio-Claudia rinvenuti a Sant’Antioco40.

In questo periodo l’isola di Sant’Antioco era nota col nome di Plumbea41, non

per la presenza di risorse al suo interno quanto per la lavorazione del metallo che qui

avveniva allo scopo di estrarne l’argento. La vocazione commerciale del centro è

anche e ancora dimostrata dalle fonti archeologiche che iscrivono Sulcis negli stretti

contatti che intercorrono tra la Sardegna e le altre province romane del Nord Africa42.

In data non precisata si stabilisce un nucleo di popolazione di stirpe ebraica che pratica

i suoi culti nelle catacombe ricavate dall’adattamento di precedenti ipogei punici, ora

sotto le fondamenta della basilica di Sant’Antioco43. Nel II secolo d.C. è da porre poi

l’arrivo del santo che darà il moderno nome all’isola e che troverà la morte nel 125,

secondo la tradizione, prima dell’arresto da parte delle autorità romane44.

1.2. STORIA DELLE RICERCHE

La prima menzione di antichità e monumenti a Sant’Antioco si deve all’opera dei G.F.

Fara intitolata “Geografia della Sardegna” ed edita intorno al 158045, in cui si

descrivono resti di edifici, fortificazioni ed il ponte edificato con grossi macigni. Ma

bisognerà attendere il XIX secolo per un interesse più scientificamente attendibile.

Nel Dizionario Geografico dei comuni della Sardegna edito a cura di G. Casalis

tra il 1833 e il 1856 è descritto il borgo di Sant’Antioco allora (1849) popolato da circa

39 Bellum Africanum 98, 2; Sulcis 1989, pp. 19-20; Tronchetti 1989, pp. 12-13. 40 Tronchetti 1989, p. 13. 41 Tolomeo, Geografia III, 3, 8. 42 Tronchetti 1989, p. 15. 43 Ibidem. 44 Ib. 45 Fara G.F., a cura di Secchi P., (1972). Geografia della Sardegna. Quattromori, Sassari, cit. in Sulcis 1989, p.

21; si menziona anche la più recente Farae I.F., a cura di Cadoni E., (1992). In Sardiniae Chorographiam. Gallizzi, Sassari.

Page 14: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 14 -

2900 abitanti46. La parte più umile di questi, circa 500 individui, abitava gli ipogei

punici, dei quali allora ne erano noti circa 16047, ed era nota come gruttaius. Nel testo

sono inoltre menzionati seppur brevemente anche altri monumenti al tempo visibili48.

Il viaggiatore Alberto Ferrero Della Marmora in visita in Sardegna nella prima

metà del XIX secolo è l’autore di una prima edizione ragionata delle antichità

sulcitane49, ma è all’opera antiquaria del canonico G. Spano che dobbiamo la più

completa descrizione di Sulcis del secolo riportata sulle pagine del suo Bollettino

Archeologico Sardo tra il 1856 e il 185750. Trattando dei monumenti individuava per

la precisione tre necropoli, attribuendole a tre diverse “nazioni”: quella egiziana,

quella cartaginese e la romana51. Tenuta presente la conoscenza della civiltà fenicia e

di quella egizia che il canonico mostrava di possedere, e che era piena espressione del

suo secolo52, la prima delle tre è sicuramente da individuare nel tophet posto sull’altura

nota come Guardia de is pingiadas53. Lo Spano ne attribuiva la paternità agli egizi a

causa delle numerose stele che in quel periodo si raccolsero, ed in cui erano

rappresentati “a basso rilievo ora Iside, ora Osiride, ora una vacca, un obelisco, un

montone”54, ma sicuramente non per la presenza di amuleti o scarabei egiziani o

egittizzanti, i quali il canonico ben mostrava di conoscere perché rinvenuti in grande

quantità dagli scavi contemporaneamente condotti a Tharros, e che per diverse

circostanze non gli capitò di incontrare a Sulcis55. Quanto alle altre due necropoli,

quella cartaginese era individuata sulla base dell’analogia tra le sue tombe e quelle di

Tharros e Caralis56 e quella romana, situata sul versante occidentale del villaggio

dietro la basilica di Sant’Antioco, per la presenza di colombari paragonabili a quelli

46 Dizionario Angius/Casalis, vol. 14, p. 223. 47 Ibidem, p. 225. La necropoli è più esaustivamente descritta in ib., vol. 7, pp. 84-85. 48 Sulcis 1989, p. 21. 49 Ferrero Della Marmora A., (1826-1828, seconda edizione 1840). Voyage en Sardaigne ou description

statistique, physique et politique de cette île. Parigi, cit. in Sulcis 1989, p. 21. Si veda anche la traduzione in italiano: Della Marmora A., (1927). Viaggio in Sardegna. Fondazione il Nuraghe, Cagliari.

50 Spano 1856-1857. 51 Ibidem, p. 54. 52 Si veda al riguardo Scandone Matthiae 1991. 53 Trad. “vedetta delle pentole”, in chiaro riferimento alle urne cinerarie. 54 Spano 1856-1857, p. 54. 55 Ibidem, nota 1; altrove e più tardi ancora lo Spano indica come “in nessun altro sito dell’Isola si è potuto

scoprire uno scarabeo, non ostante le molte ricerche che si sono fatte”: Spano G., (1861). Notizie sull’antica città di Tharros. In BAS vol. 7, pp. 193, 195, nota 1, cit. in Scandone Matthiae 1991, p. 385.

56 Spano 1856-1857, p. 54.

Page 15: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

cagliaritani. Anche questi tuttavia dovranno essere identificati con le camere ipogeiche

di età punica, adattati successivamente a catacombe, per i motivi stessi riportati dallo

Spano: la loro frequentazione moderna da parte dei gruttaius, il rinvenimento

all’interno di elementi di

armatura e le tracce di

pittura rossa57.

Ai fini del presente

lavoro ricopre un

particolare interesse la

menzione, da parte dello

studioso, della grande

quantità di oggetti d’oro e

sigilli che al tempo erano

già conservati nei locali del R. Museo di Cagliari58, che venivano ancora indossati

dalle donne della moderna città o rinvenuti casualmente dai contadini e poi venduti a

stranieri59. La descrizione da un’idea della quantità di ornamenti inediti e scomparsi

che dovevano essere indossati dagli abitanti dell’antica Sulcis, tuttavia non è possibile

attribuire ad età punica almeno la gran parte di questi oggetti, e per la capacità già

menzionata dello Spano di scorgere l’elemento egizio che caratterizza i sigilli e gli

ornamenti punici, e per la stessa interpretazione grafica che egli stesso fornisce di

alcuni di questi, i quali agevolmente possono essere attribuiti al periodo romano

(fig. 1).

Figura 1. Sigilli da Sulcis (Della Marmora 1868, p. 122, nota 1).

Dopo quasi mezzo secolo di interruzione della ricerca archeologica a

Sant’Antioco Antonio Taramelli, direttore della Soprintendenza di Cagliari dal 1903 al

1934, redisse in quasi vent’anni una serie di contributi editi principalmente nelle

Notizie degli Scavi di Antichità della Regia Accademia dei Lincei60. In essi traspare

l’interesse nei confronti della tutela dei monumenti ed un atteggiamento non 57 Ibidem, p. 55, nota 1, invero queste ultime possono essere attribuite ad età posteriore. Per i gambali e gli elmi

di Sulcis v. Fenici 1988, pp. 133-134, datati al VI sec.; in generale sui riti funerari romani a Sulcis v. Tronchetti 1989a, pp. 81-83, e sulle catacombe: pp. 85-87.

58 Ora Museo Archeologico Nazionale. 59 Spano 1856-1857, pp. 52-53, nota 2. 60 Moscati 1977a, p. 13; Sulcis 1989, p. 21.

- 15 -

Page 16: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 16 -

esclusivamente antiquario61. In particolare nel contributo in cui presentava la notizia

dello scavo di due tombe ipogeiche di età punica, ma riutilizzate in epoca romana,

avvenuto nel tratto iniziale di Via Castello nel luglio 1906, deprecava la mancanza di

dati su cui ricostruire la topografia dell’antica città, mancanza ancora superiore a

quella disponibile cinquant’anni prima per “l’incremento edilizio” che nel frattempo

era intercorso62. Stupisce inoltre il fatto che si fosse persa l’esatta localizzazione del

tophet63, non ancora identificato come tale, ma come il luogo di provenienza delle

stele, per la quale peraltro lo Spano nel passo sopra ricordato non forniva più precise

informazioni.

Un altro fatto degno di nota è il rapporto di collaborazione con l’autorità locale,

nella persona dell’allora sindaco Giuseppe Biggio, che si tradusse nei fatti in una

strenua attività di tutela e nella costituzione di una raccolta di oggetti, recuperati in

circostanze casuali, che avrebbe dovuto costituire una collezione comunale64.

L’antica Sulcis destò l’interesse anche dei successivi Soprintendenti e ispettori

che si susseguirono nella tutela dei beni archeologici come P. Mingazzini65, S. Puglisi,

al quale si deve lo scavo di tre tombe ipogeiche in Via Belvedere66, e G. Lilliu, cui si

deve il primo studio sulle stele del tophet67, allora ancora dimenticato68.

Il 1954 è la data dell’avvio di ricerche sistematiche a Sant’Antioco ad opera

dell’allora soprintendente G. Pesce al quale si deve la riscoperta del tophet nel 1959 e

lo scavo di un lembo della necropoli punica69, la scoperta durante il suo mandato

dell’acropoli di Monte Sirai (1962), nonché l’avvio delle campagne di scavo in quel

sito70.

61 Ibidem. 62 Taramelli 1908, p. 146. 63 Ibidem, p. 147: “Le tombe a fossa, sormontate dalle stele, dovevano estendersi presso la chiesa parrocchiale;

ma sulla precisa posizione loro come sul luogo dove furono rinvenute […] non abbiamo esatta notizia”. 64 Ib., pp. 152, 155. Sull’attività della famiglia Biggio e sul rapporto con il Taramelli v. anche Moscati 1977a. 65 Mingazzini 1948a, in merito ai resti di un area sacra sopra la collina di Castello; Mingazzini 1948b, in cui

riferisce alcune osservazioni sui rituali funerari emersi dagli scavi del Puglisi. 66 Puglisi 1942b. 67 Lilliu G., (1944). Le stele puniche di Sulcis (Cagliari). ANL Memorie 40, pp. 293-418. 68 Sulcis 1989, p. 22. 69 Ibidem. Per alcune notizie sui primi scavi del tophet v. Pesce 1961, pp. 118-121, in cui fa una breve menzione

ad “amuleti, altri oggettini e cianfrusaglie varie” rinvenuti nella setacciatura del terreno: p. 120; Pesce 1963; per le tombe v. invece Pesce 1961, p. 160, figg. 44-45, 51-53; vedi anche la voce “Sulcis” in EAA, vol. 7, pp. 551-553, a cura dello stesso Pesce.

70 Zucca 2000.

Page 17: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 17 -

Dal 1967 il nuovo soprintendente F. Barreca prosegue gli scavi del tophet e

della necropoli, stringendo un’attiva collaborazione con S. Moscati ed il suo staff che

cura l’edizione di tutte le stele del tophet71, delle collezioni private Don Tore Armeni72

e Biggio73, degli amuleti rinvenuti nel tophet74, inaugurando così una nuova stagione

degli studi con attenzione puntuale all’edizione delle vecchie e delle nuove scoperte.

Al Moscati stesso si deve l’opera di sintesi delle ricerche fenicie e puniche in Sardegna

e non solo, concretizzata nel caso specifico di Sulcis in tre fondamentali contributi

editi tra il 1982 ed il 198875.

Dal 1983 P. Bernardini inoltre indaga un settore dell’abitato individuato in Via

Galeto (cronicario), i cui scavi sono tuttora in corso76, mentre proseguono altresì quelli

nel tophet e di alcune tombe della necropoli punica, della quale se ne appresta

un’edizione critica a cura dello stesso Bernardini77.

71 Moscati S., (1986). Le stele di Sulcis: caratteri e confronti. CSF 23, Roma. 72 Uberti 1971. 73 Biggio 1977. 74 Bartoloni 1973. 75 Moscati 1982; Moscati 1986a, pp. 240-262; esclusivamente per gli aspetti della cultura materiale Moscati

1988a. 76 Si veda da ultimo Bernardini 2000a. 77 Bernardini c.p.

Page 18: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 18 -

Page 19: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 19 -

2. GLI ATHYRMATA DI SULCIS

Il termine athyrmata78 verrà privilegiato nel menzionare l’oggetto di studio in questo

lavoro. Omero è il primo a farne uso definendo con disprezzo le tipiche mercanzie dei

Fenici del suo tempo, considerate al rango di “cianfrusaglie”79. Dal punto di vista

tipologico si tratta di oggetti di piccola taglia portati principalmente al collo o indossati

in altra maniera. Negli studi fenicio-punici è prevalsa la classificazione in gioielli,

amuleti e scarabei, che verrà rispettata in gran parte di questo lavoro, ma della quale

se ne terranno a mente i limiti. Essa riveste la mera funzione di agevolare la ricerca,

ma in nessun modo quella di ricalcare una suddivisione che fosse condivisa dal

primitivo possessore. Verranno altresì considerati altri oggetti, che rientrano più

probabilmente nella sfera dell’abbigliamento o dell’arredo e che raramente hanno

trovato posto nelle edizioni di scavo. Più latamente andrebbero compresi anche oggetti

che qui non sono stati valutati, se non per confrontarne la distribuzione con i pendenti

nello stesso materiale80, ovvero gli unguentari in vetro, e come essi altre classi di

materiali, che tuttavia a Sulcis non sono state ancora rinvenute, quali le uova di struzzo

dipinte ed i rasoi.

Allo scopo di fornire uno sguardo di insieme sullo stato delle ricerche, che

rientrino esclusivamente nell’edito, e di dare un’idea della presenza di athyrmata nelle

tombe puniche di Sulcis, proponiamo qui di seguito un elenco di oggetti ordinati per

tomba di appartenenza e, all’interno di questa, quando nota, per deposizione. L’intento

principale di questo elenco sarà quello di ottenere una stima, meno approssimativa

possibile ma provvisoria, della quantità e della qualità di questi rinvenimenti, dati che

ci saranno di estrema utilità nella sintesi finale di questo lavoro.

2.1. ATHYRMATA DELLA NECROPOLI

La maggior parte degli athyrmata di Sulcis proviene dalla necropoli, un’area che

originariamente era estesa per circa 6 ettari ed entro la quale erano scavate nel tufo

quasi 1500 tombe a camera ipogeica81. Il settore meglio noto e scavato è situato sulle

78 Sulla problematica della terminologia e sulla sua etimologia v. Moscati 1987, pp. 77-82. 79 Omero, Odissea XV, 416. 80 V. § 5.3. 81 Bartoloni 1995, p. 4.

Page 20: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 20 -

pendici orientali della collina di Castello, ed ancora meglio le tombe scavate dagli anni

ottanta nell’area dell’anfiteatro romano, nel terreno di proprietà di Agus Raffaele. Un

altro settore visitabile è accessibile dalla Basilica di Sant’Antioco e consta di alcune

tombe, riadattate nei primi secoli della nostra era come catacombe, che difficilmente

hanno preservato elementi del corredo originario. Il periodo di utilizzo è compreso tra

la fine del VI secolo e la fine del III e coincide con il dominio di Cartagine sulle città

fenicie di Sardegna ed il prevalere del rito dell’inumazione sulla precedente

incinerazione82. In prossimità della costa, e per la precisione in Via Peret, è stato

localizzato un nucleo della necropoli arcaica, ovvero in uso tra VIII e VI secolo83.

Tuttavia l’impossibilità di condurre scavi in quest’area ci priva della documentazione

degli athyrmata di questa fase di Sulcis. Inoltre quella proveniente dal tophet84 per la

maggior parte non ha conservato le associazioni con gli strati, non consentendo così

una datazione sicura degli ornamenti a questo o a quel periodo. In confronto la

documentazione della necropoli appare perciò molto più omogenea.

L’elenco che segue è nelle linee essenziali basato su quello fornito da G. Hölbl

in “Ägyptisches kulturgut im phönikischen und punischen Sardinien” del 1986 alle

pagine 56-5885, che abbiamo avuto cura di integrare con le nuove pubblicazioni dei

materiali nel frattempo comparse.

Tombe aperte da A. Taramelli e R. Loddo nell’estate 1906 nel tratto iniziale di via

Castello86:

Tomba 187:

82 Ibidem, p. 3; v. anche Bartoloni 1981. 83 Sulcis 1989, pp. 30-31. 84 V. § 2.2. 85 Hölbl 1986, pp. 56-58, v. comunque le pp. 54-59 per la trattazione del sito di Sulcis nell’economia del testo. I

numeri tra parentesi nel testo, quando presenti, si riferiscono ai numeri inventariali presenti sui pezzi al tempo della visita al Museo Archeologico Comunale di Sant’Antioco effettuata dall’autore nel 1979 (p. 59, nota 28). Negli anni successivi nuovi numeri sono stati attribuiti e riportati nella recente edizione di Savio, Lega, Bontempi 2004, verosimilmente basata sulle analisi e fotografie realizzate da E. Acquaro intorno al 1987: v. infatti Acquaro 1987a.

86 Taramelli 1908. Tra le due tombe scavate, ma visibilmente depredate in antico, solo la prima presentava resti di ornamenti personali, la seconda, all’interno dell’urna n. 6 di età imperiale romana, ha fornito alcuni frammenti di pisside in avorio e osso, tra i quali uno splendido “pappagallo che afferra col becco una foglia d’acanto” (pp. 156-157, fig. 11), a lungo ritenuto erroneamente prodotto di età punica: v. sintesi in Acquaro 1984, pp. 159-160, fig. 222.

87 Taramelli 1908, pp. 152-154. Scavata nei giorni 26-28 luglio 1906, la tomba conteneva almeno una inumazione di età punica, manomessa per far spazio a nove cassette litiche con resti di incinerati di età romana, la tomba è a camera del tipo con tramezzo centrale, perciò in uso dalla metà del V sec. La

Page 21: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 21 -

due vaghi baccellati in pasta vitrea88;

anellino digitale a staffa con castone ellittico in oro89.

Tombe aperte da S. Puglisi nel 1942 in via Belvedere90:

Tomba 291:

Camera A92:

2 orecchini a spirale con rosetta decorata a filigrana in oro su anima bronzea93;

2 orecchini a spirale semplice in oro94;

orecchino con estremità avvolte a spirale in oro95.

Tomba 396:

Area A97:

collana composta di 26 elementi98 tra i quali:

alcuni vaghi in pasta vetro;

scrofa che allatta i cuccioli;

5 divinità a testa animale99;

numerosi pateci bifronte100;

testa di ariete policroma in pasta vitrea;

scarabeo.

Area B101:

numerazione qui usata per le prime tre tombe, e non seguita dalla sigla in lettere, risponde alla numerazione data dall’editore della prima edizione e non al numero dato negli archivi della Soprintendenza

88 Ibidem, pp. 153 e 155, rinvenuti nel corridoio di accesso. 89 Ib., pp. 154-155, fig. 8. 90 Puglisi 1942b, p. 106. 91 Ibidem, pp. 107-110, fig. 1. La presenza di resti di incinerati entro un sarcofago nella camera B “contribuisce

a collocare la cronologia generale del sepolcro […] tra il IV e il III sec. a.C.”: Bernardini 1991, p. 196. 92 Conteneva i resti di due inumati: Puglisi 1942b, p. 109. 93 Ibidem, pp. 108-109, fig. 2 e 6, che li definisce “anelli crinali”; Quillard 1987, pp. 151-152, a confronto con il

n. 250, tav. XII, proveniente da Utica (tipo D7). L’autrice dimostra come potessero essere indossati al lobo (tav. XXXV, 1-2) e ne riferisce la datazione alla fine del IV secolo (p. 152), v. inoltre “tableau recapitulatif” IX; Pisano 1988b, p. 48; Bernardini 1991, p. 196.

94 Puglisi 1942b, p. 108, fig. 6, anche in questo caso l’autore riferisce “anelli crinali”, ma non c’è motivo di accettare tale definizione.

95 Ibidem, p. 109, fig. 6. 96 Puglisi 1942b, pp. 110-115; Bartoloni 1993a. 97 Puglisi 1942b, pp. 113-114, contenente i resti di un inumato e un incinerato. 98 Hölbl 1986, p. 56; Puglisi 1942b, fig. 6. 99 Chiamati dal Puglisi “Ammon” (ibidem, p. 114), potrebbero essere a testa di ariete: Hölbl 1986, p. 56. 100 Hölbl 1986, p. 56. 101 Puglisi 1942a, p. 114.

Page 22: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 22 -

2 anellini in oro;

anellino laminare in oro.

Area E102:

2 orecchini con legature in oro e anima d’argento.

Tomba 11:

19 pateci bifronte (nn. 1501-1504, 1506-1516, 1518-1520, 1525)103;

pateco molto più piccolo della stessa forma (n. 1522)104;

pateco bifronte con 3 fori (n. 1524)105;

udjat (n. 1526);

placchetta rettangolare con udjat su entrambi i lati (n. 1527).

Tomba 13:

Astuccio porta amuleti con protome leonina in lamina d’oro106.

Tomba 22 (“degli anelli crinali” o “delle bare di argilla”):

pateco(?) (n. 1561);

Shu (n. 1539)107;

divinità criocefala (n. 1564);

2 divinità a testa di falco (nn. 1533-1534108);

ariete più piccolo e accovacciato (n. 1551);

Falco (n. 1536)109;

3(?) Thoeris (nn. 1537110, 1554, 1565);

2 gatti (nn. 1535 con smalto verde acceso, 1552);

102 Ibidem, inumazione della quale gli orecchini costituiscono gli unici elementi di corredo recuperati. 103 Del tipo 5.2.A.3.2 di Hölbl: Hölbl 1986, p. 56, nota 18, tav. a colori III, 3 (n. 1513), tav. XIX, 7 (n. 1510);

nuovi numeri di inv.: 100218-100220, 100222-100233, 100235-10037, 100242 in Savio, Lega, Bontempi 2004, pp. 131-135, nn. 8, 27-28, 30-39, 41-46, figg. 25, 44-56, 59-63. Dal confronto dei due testi si nota che il vecchio n. di inv. 1504 presente nel primo studio non lo è nel secondo, e viceversa per il n. 1505.

104 Ibidem, p. 131, n. 19, fig. 36 (nuovo n.i. 100239). 105 Ib., p. 127, n. 1, fig. 18. 106 Hölbl 1986, tav. CLXV, 1; Fenici 1988, p. 692, n. 643, con datazione al V secolo (n.i. 103247); Sulcis 1989,

p. 134, fig. 55; Bernardini 1991, tav. IV, 3-4. 107 Hölbl 1986, tav. XXXV, 5, del tipo 11.A.1. 108 Hölbl 1986, tav. XLIV, 2 del tipo 18.2.b.3.A.3. 109 Savio, Lega, Bontempi 2004, p. 140, n. 62, fig. 60 (nuovo n.i. 100253). 110 Hölbl 1986, tav. LXII, 5 del tipo 27.A.1.4.

Page 23: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 23 -

2 udjat in faïence (n. 1528, 1550);

2 scettri wadj (n. 1566, 1567);

2 amuleti non identificati (n. 1553, 1569).

“tomba degli scarabei”:

Pateco (n. 1541)111;

2 pateci (n. 1517, 1523)112;

Scimmia (n. 1540);

Non identificati amuleti in faïence.

“tomba delle teste”:

Thot (n. 1538);

“tombe profanate della piazzetta Azuni” (scavi 1962-63):

4 pateci in faïence (nn. 2601113-2602114, 2613115, 2671116);

Isis in trono con Horus fanciullo (n. 2615) ;

2 Harpocrati (nn. 2608117-2609118);

Imhotep (n. 2659)119;

3 Horus a testa di falco (nn. 2606120, 2647, 2704121);

Divinità criocefala (n. 2653122);

2 thot (nn. 2603123, 2652);

Ureo in faïence (n. 2656);

Thoeris (n. 2655)124 ;

111 Ibidem, tav. XI, 1 del tipo 5.1.A.1.2. 112 Del tipo 5.2.A.3.2; Savio, Lega, Bontempi 2004, n. 40, fig. 57 (nuovo n.i. 100234), n. 12, fig. 29 (100240). 113 Hölbl 1986, tav. XV, 1, del tipo 5.1.A.4.1.5.2. 114 Ibidem, tav. XIII, 3, stesso tipo del precedente. 115 Ib., tav. X, 2, del tipo 5.1.A.1.1.2. 116 Del tipo 5.2.A.3.2; Savio, Lega, Bontempi 2004, n. 15, fig. 32 (n.i. 2071, nuovo n.i. 100820) senza

provenienza. 117 Hölbl 1986, tav. XXXIII, 1, del tipo 10.A.2. 118 Ibidem, tav. XXXIV, 2, stesso tipo del precedente. 119 Ib., tav. XXXIII, 2, del tipo 10bis. 120 Ib., tav. XLIV, 3, del tipo 18.2.b.3.A.2. 121 Ib., tav. XLIV, 1, del tipo 18.2.b.3.A.3. 122 Ib., tav. XXXIX, 3 del tipo 17.A.2. 123 Ib., tav. L, del tipo 19.A.2. 124 Savio, Lega, Bontempi 2004, n. 51, fig. 69 (n.i. 2055, nuovo n.i. 100804).

Page 24: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 24 -

2 falchi in faïence (nn. 2607 e 2641125) 126;

2 gatti in faïence (nn. 2604127-2605128);

lepre in faïence (n. 2679)129;

scimmia (n. 2673)130;

2 udjat in faïence (nn. 2693, 2700)

scettro wadj (n. 2701)131.

Tombe del fondo Don Tore Armeni (anni 1964-65, solo la 4 scavata nel 1967; sigla

DA):

Tomba 2 DA:

Nehebkau (n. 2644)132;

2 urei in faïence (n. 2657, 2658)133;

2 Thoeris in faïence (n. 2616, 2618)134;

Bue (n. 2611)135;

Cane (n. 2642)136;

2 udjat in faïence (n. 2612, 2685).

Tomba 4 DA:

9 pateci bifronte in faïence (n. 2610, 2614, 2619, 2624, 2625, 2626-2629)137;

Shu in faïence (n. 2646);

125 Hölbl 1986, tav. LVI, 1 del tipo 25.A.1.2 “punico”. 126 Entrambi sono editi in Savio, Lega, Bontempi 2004, nn. 61 (con bibliografia errata) e 65, figg. 79 e 83, che

mostrano invertite le immagini fotografiche (nn.i. 2007 e 2041, nuovi nn.i. 103312 e 100829). 127 Hölbl 1986, tav. LXV, 3, del tipo 31.A.1.1. 128 Ibidem, tav. LXV, 1, stesso tipo del precedente (errato il rimando alla tavola a p. 58). 129 Ib., tav. LXXI, 3, del tipo 35.A.3. 130 Ib., tav. LXXII, 4, del tipo 36.A.2.2. 131 Ib., tav. XC, 6 del tipo 55.2. 132 Ib., tav. LII, 1 del tipo 20.1. 133 Savio, Lega, Bontempi 2004, nn. 58 e 60, figg. 76-78, in cui sono diversamente riportati i vecchi numeri di

inv.: 2057-2058 (nuovi n.i. 100806-100807). 134 Ibidem, nn. 50 e 49, figg. 68 e 67 (nuovi n.i. 100765-100767). 135 Hölbl, tav. LXXVII, 3 del tipo 41.1.A.1. 136 Ibidem, tav. LXIV, 8 del tipo 29.A.2. 137 Ib., tav. XX, 4 (2628) del tipo 5.2.A.3.2, al quale appartengono almeno quattro a detta dell’autore;

sommariamente corrispondenti a Savio, Lega, Bontempi 2004, nn. 2-3, 10, 16-17, 23, 25, figg. 19-20, 27, 33-34, 40-42, che riportano nn. inv. con 26- iniziale (ad es. 2614 = 2014?), manca il 2626 ed è attribuito due volte il n. 2619 (o 2019) ai nn. di catalogo 16 e 17, nonché il 2629 (o 2029) al n. 2 e al n. 54 (ureo) (nuovi nn. inv. 100763, 100768, 100773, 100776-100778). Alla tomba 4 (sic) sono attribuiti i nn. 2010 e 2025 (= 2610 e 2625 ?): ibidem, nn. 29 e 20, figg. 46 e 37 (nuovi nn. inv. 100774 e 103315).

Page 25: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 25 -

Iside stante con corona hathorica (n. 2643)138;

ureo in faïence (n. 2620)139;

scimmia (2640)140;

Thoeris (n. 2645)141;

3 udjat in faïence (n. 2632-2633, 2635);

udjat in avorio (n. 2637)142;

2 scettri wadj in faïence (n. 2648-2649);

Corona del Basso Egitto in faïence (n. 2650)143.

Tomba 5 DA:

5 pateci bifronte (n. 2663, 2665, 2668, 2670, 2672)144;

2 udjat in faïence (n. 2694, 2696145).

Tomba 6 DA:

2 pateci a doppia figura in faïence (n. 2661, 2667)146;

Shu in faïence (n. 2680);

lepre in faïence (n. 2639)147;

falco in faïence (n. 2623)148;

udjat in faïence bianca (n. 2631).

Tomba 8 DA:

138 Hölbl 1986, p. 57 la definisce “dea stante con testa animale”; Savio, Lega, Bontempi 2004, n. 48, fig. 66

(2043, nuovo n.i. 100792). 139 Ibidem, n. 59, fig. 77 (2020, nuovo n.i. 100769). 140 Hölbl 1986, tav. LXXII, 5 del tipo 36.A.2.1. 141 Ibidem, p. 57, lo definisce “amuleto zoomorfo in faïence”; Savio, Lega, Bontempi 2004, n. 52, fig. 70 (2045,

nuovo n.i. 100794). 142 Hölbl 1986, tav. LXXXIV, 2 del tipo 49.C.1. 143 Ibidem, tav. LXXXIX, 6 del tipo 52.A.2. 144 Ib., p. 57, di cui almeno 4 del tipo 5.2.A.3.2 (il 2668 non fu trovato all’epoca ma è dello stesso tipo degli altri

4: v. p. 57, nota 23); corrispondenti a Savio, Lega, Bontempi 2004, nn. 11, 13, 18, 24 e 26, figg. 28, 30, 35, 41 e 43 (come già notato i nn. inv. cominciano per 20-, nuovi nn. inv. 100812, 100814, 100817, 100819, 100821) dei quali il n. 18 è attribuito alla tomba 4 (sic), v. supra nota 137.

145 Questo n.i. corrisponde a ibidem, n. 57, fig. 75 (con n.i. 2096 e nuovo n.i. 100845), ureo corrispondente a sua volta a Hölbl 1986, tav. LXIII, 4 a sinistra, uno di due amuleti per i quali l’autore non fornisce n.i. (si dovrà i intendere i due udjat come urei, o i due urei saranno da aggiungere al corredo della tomba 5 DA?).

146 Savio, Lega, Bontempi 2004, nn. 4 e 9, figg. 21 e 26 (nn.i. 2061 e 2067, nuovi nn.i. 100810 e 100816). 147 Hölbl 1986, tav. LXXI, 4, del tipo 35.A.3. 148 Savio, Lega, Bontempi 2004, n. 64, fig. 82 (n.i. 2023, nuovo n.i. 100772), sebbene il falco menzionato

dall’Hölbl fosse coronato (Hölbl 1986, p. 57).

Page 26: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 26 -

4 pateci bifronte in faïence (nn. 2662, 2664, 2666 e 2669)149;

divinità a testa animale (n. 2684);

falco (n. 2622)150;

2 arieti (nn. 2677-2678)151;

7 udjat (n. 2630152, 2688, 2690-2692, 2697-2698);

simbolo wadj (n. 2702).

Tomba 12 DA:

Shu in faïence brillante (n. 2681);

2(?) Thoeris (n. 2654, 2674);

ariete accovacciato (n. 2676);

gatto in faïence (n. 2621);

Scrofa in faïence con appiccagnolo sul dorso (n. 2675);

Bue (n. 2617)153;

7 udjat in faïence (n. 2634, 2636, 2686154-2687, 2689, 2695155, 2699);

placchetta rettangolare in faïence, udjat/vacca con vitello (n. 2660);

Corona dell’Alto Egitto (n. 2682)156.

Dallo stesso fondo, ma rinvenuta qualche anno prima, una collana157 composta di un

udjat, due vaghi in pasta vitrea con decorazione “ad occhi” e 7 vaghi cilindrici.

Una piastrella quadrangolare in piombo e ferro con incisione b‘ly proviene da una

tomba scavata negli stessi anni ed interpretata dall’editore come talismano, per il suo

rinvenimento presso il collo/torace del defunto158.

149 I nn. 2664 e 2669 del tipo 5.2.A.3.2; Savio, Lega, Bontempi 2004 ne menziona solo 3: nn. 6, 21-22, figg. 23,

38-39, (nn.i. 2062, 2064 e 2069, nuovi nn.i. 100811, 100813 e 100818). 150 Ibidem, n. 63, fig. 81 (n.i. 2022, nuovo n.i. 100771), contrariamente a quello menzionato da G. Hölbl non è

coronato. 151 Hölbl 1986, tav. LXXVII, 7-8, dei tipi 42.2.A.1 e -2. 152 Ibidem, tav. LXXXII, 1, del tipo 49.A.2.2.1. 153 Ib., tav. LXXVII, 2, del tipo 41.1.A.1. 154 Savio, Lega, Bontempi 2004, n. 66, fig. 84 (n.i. 2086, nuovo n.i. 100835). 155 Hölbl 1986, tav. LXXXII, 2 del tipo 49.A.2.2.1; a questo n.i. (2095) in Savio, Lega, Bontempi 2004

corrisponde il n. 5, fig. 22, pateco. 156 Hölbl 1986, tav. LXXXIX, 8 del tipo 53.A.1. 157 Ibidem, tav. LXXXII, 7, con indicazione inventariale “TOMBE “D.A.” 2-12-61”, udjat del tipo 49.A.2.2.2. 158 Barreca 1965, pp. 53-54, tav. I; Barreca 1986, p. 231, fig. 208, definito scapolare e datato al V sec.

Page 27: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 27 -

Tomba 2A159:

3 urei (nn. 3721-3723)160;

5 orecchini;

collana di vaghi in oro, ambra e pasta vitrea;

anello con castone figurato;

laminetta aurea161.

Tomba 3A162:

pateco (n. 3938)163;

anello in oro con castone romboidale inciso con rappresentazione di falco Horus,

munito di doppia corona e flabello, su fiore di loto164;

collana di vaghi in oro, ambra, pasta vitrea e corniola;

2 orecchini165.

Tomba 4A166:

2 astucci porta-amuleti a protome animale167.

Tomba 5A168:

159 Tomba a camera con tramezzo centrale (Sulcis 1989, p. 40, pianta E), e quindi con inizio d’uso non anteriore

alla metà del V sec., conteneva almeno una decina di deposizioni: Bernardini 1991, p. 195. 160 Savio, Lega, Bontempi 2004, nn. 53, 55-56, figg. 71, 73-74 (nuovi nn.i. 100699-100701); cfr. Hölbl 1986, p.

58, nota 26. 161 Bernardini 1991, p. 195. 162 Come la precedente, cfr. supra nota 159; Sulcis 1989, p. 91, attribuisce alla stessa tomba gli oggetti delle

vetrine 4-5 del vecchio Museo Comunale, afferenti a corredi in parte di V e IV secolo, da essa proviene anche una statuetta fittile di Astarte e due cembali bronzei forse rituali: ibidem, p. 135, fig. 57.

163 Savio, Lega, Bontempi 2004, n. 7, fig. 24; cfr. Hölbl 1986, p. 58, nota 26, che non ne identificò il tipo. 164 Pisano 1988b, pp. 48-49; Sulcis 1989, pp. 91, 135, fig. 58; Bernardini 1991, p. 205, nota 40, tav. V, 2, viene

indicata una datazione non anteriore al V secolo. 165 Ib., p. 195; Sulcis 1989, p. 91, menziona “alcuni anelli in ambra” da identificare più probabilmente con dei

vaghi anulari. 166 Tomba a camera con tramezzo centrale (ibidem, p. 40, pianta E), contente almeno sei deposizioni: Bernardini

1991, p. 195; Tronchetti 1989, p. 32, la inserisce tra le più antiche della necropoli per la presenza al suo interno di anfore databili alla fine del VI secolo, ma la descrizione della tipologia tombale (forse della tomba 4 DA, o anche 4 AR?) non corrisponde a quella desumibile dalla fig. 18, per la quale una datazione dalla metà del V secolo in poi è più opportuna.

167 Bernardini 1991, p. 195. 168 Cfr. supra nota 159. Tomba in uso dalla metà del V al I secolo, per il riutilizzo in età romana, conteneva

anche un’urna con spalla carenata a decoro metopale in stile geometrico, e una maschera fittile di sileno con barba e baffi, esposti al tempo nelle vetrine 6-7 del vecchio Museo Comunale di Sant’Antioco: Sulcis 1989, p. 93; per la maschera silenica v. anche Moscati 1986a, p. 256, tav. XXXIX, c; Fenici 1988, p. 684, fig. 594.

Page 28: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 28 -

collana di vaghi in ambra e pasta vitrea169.

Tomba 6A170:

4 anelli crinali in oro su anima bronzea171.

Dallo “sterro” della necropoli:

2 pateci bifronte in faïence (n. 2057172, 2059173);

Harpokrates(?) in faïence (n. 2543) ;

divinità ieracocefala (n. 1532);

Thot in steatite biancastra (n. 2058)174;

scrofa con cuccioli in faïence biancastra (n. 1546);

volatile in faïence bruno chiaro (n. 2053);

falco in steatite (n. 2056);

3 udjat in faïence (n. 1529, 2086175, 2638);

3 placchette rettangolari, di cui 2 in faïence (nn. 1531176 e 2085177) e una in steatite

biancastra (n. 1530178: udjat/vacca e vitello, sopra loto);

mano in faïence (n. 1547)179;

Altri 4 amuleti in faïence non identificati (n. 1545, 1548, 2061, 2091).

Al di fuori del summenzionato elenco, G. Hölbl riporta nel suo studio altri oggetti di

provenienza sulcitana, ma privi di precisa indicazione e numero inventariale:

2 urei in faïence dalla necropoli180;

leone di tipologia insolita e materiale non identificato, testa volta a destra di 90

gradi181;

169 Bernardini 1991, p. 195. 170 Tomba a camera di pianta irregolare (Sulcis 1989, p. 40, pianta E), conteneva oltre dieci deposizioni:

Bernardini 1991, p. 195. 171 Ibidem. 172 A questo n.i. corrisponde Savio, Lega, Bontempi 2004, n. 58, fig. 76, un ureo. 173 Del tipo 5.2.A.3.2. 174 A questo n.i. corrisponde Savio, Lega, Bontempi 2004, n. 60, fig. 78, un ureo. 175 A questo n.i. corrisponde ibidem, n. 66, fig. 84, l’udjat proveniente dalla tomba 12 DA, cfr. supra nota 154. 176 Hölbl 1986, tav. LXXXVI, 4, del tipo 51.A.1.9. 177 Ibidem, tav. LXXXVI, 5, stesso tipo della precedente. 178 Savio, Lega, Bontempi 2004, n. 47, figg. 64-65 (nuovo n.i. 100247). 179 Del tipo 64.2, mano chiusa che fa le fiche. 180 Hölbl 1986, tav. LXIII, 4, del tipo 28.A.1.4, forse dalla tomba 5 DA: v. supra nota 145.

Page 29: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

corona del basso Egitto in faïence182;

2 simboli wadj in faïence dalla necropoli183;

scarabeo in pasta dalla necropoli con geroglifici a lettura ‘3 mn R‘ 184;

2 scarabei in faïence con ureo probabilmente teriomorfo e alato, di cui uno solo di

sicuro dalla necropoli185;

scarabeo in faïence semivitrea con ureo (alato?) su neb alla base186;

scarabeo in pasta azzurro chiaro con motivo floreale alla base dalla necropoli187;

2 scarabei-amuleti in faïence senza base

piatta e con perforazione trasversale188;

scarabeo in diaspro verde scheggiato in due

punti con personaggio su trono, con scettro

e thymiaterion alla base189;

A G. Hölbl va inoltre dato il merito di aver

ricordato un altro amuleto in steatite a

forma di leone con iscrizione fenicia ‘bd’

alla base, rinvenuto intorno al 1840 a

Sant’Antioco190. Se ne riporta alla fig. 2 la

Figura 2. Amuleto a forma di leone con iscrizione

alla base (Della Marmora 1868, vol. 1, p. 124).

- 29 -

181 Ibidem, p. 94, tav. LXVII, 6 (n.i. 2506), unica attestazione del tipo 32.2.2, in materiale grigio-argento. Per

l’assenza dell’appiccagnolo non è assicurato che si tratti di un amuleto. 182 Ib., tav. LXXXIX, 5, del tipo 52.A.2. 183 Ib., tav. XC, 5 e 7, del tipo 55.2. 184 Ib., p. 226-227, tav. CXXIX, 2 (n.i. 1557, prossimo a quelli della tomba 22), con preciso parallelo conservato

a Leiden (p. 226). 185 Ib., pp. 216-217, tav. CXLI, 1-2 (quest’ultimo: n.i. 1559, cfr. nota prec.), per i quali l’autore nota paralleli

naukratiti di Taranto, per forme, materiale e motivo alla base (p. 217, nota 426). Si potrebbero infatti accostare al type XXVIII della Feghali Gorton: Feghali Gorton 1996, per il gruppo A p. 101, nn. 220-222 (da Taranto), per il gruppo B p. 104, nn. 120-124 (da Cartagine) e 125-138 (da Taranto).

186 Ib., pp. 216-217, tav. CXLI, 3, cfr. nota prec. 187 Ib., p. 248, tav. CXLV, 4 (n.i. 1558, cfr. nota prec.), asserisce trattarsi di un prodotto vicino orientale di una

tipologia diffusa nel mediterraneo centrale dal VIII secolo, tuttavia la provenienza necropolitana non consente di accettare una datazione così alta.

188 Ib., p. 253, tav. CXLVIII, 1-2 (quest’ultimo dalla necropoli: n.i. 1560, cfr. nota prec.). 189 Ib., p. 300, n. 120, tav. CLIV, 1, senza n.i. ma conservato tra i materiali del tophet. Una caratteristica degli

scarabei trovati nel tophet di Sulcis (sebbene siano 4 in tutto) è infatti quella di essere scheggiati o in frammenti: v. Bartoloni 1973, tav. LXIII, 9-12. Sia dal punto di vista iconografico che stilistico il confronto più vicino per questo pezzo è uno scarabeo rinvenuto nella tomba 11 di Monte Sirai: Bondì 1975, pp. 75-77, 88-90, n. 8, tav. VI, 8.

190 Spano 1864, tav. VII, 2; Della Marmora 1868, p. 124; Guzzo Amadasi 1967, Sardegna 2, p. 87, fig. 13; Hölbl 1986, pp. 59, 94, 133, nota 368, unica attestazione del tipo 32.2.1.3 (ovvero “con iscrizione fenicia alla base”, cfr. tipo 32.2.1.2 cui appartiene Uberti 1971, n. 44 da Sulcis).

Page 30: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 30 -

riproduzione dell’epoca.

Risultano ancora inediti i gioielli di cui P. Bernardini fornisce la sola rappresentazione

fotografica, indicando in didascalia la provenienza dalle tombe di Via Castello191, il

settore della necropoli punica tutt’oggi visibile ai turisti. Nelle immagini sono presenti:

5 fermatrecce o orecchini aurei, di cui uno con estremità legate a nodo “erculeo” e

avvolte a spirale, uno con corpo a maglia ingrossato ed estremità avvolte a spirale, uno

con una sola estremità avvolta e due con entrambe le estremità avvolte nonché il corpo

ingrossato192;

un orecchino ellittico ad arco ingrossato e un anello crinale in oro su anima di bronzo,

con una sola estremità avvolta a spirale193;

una collana composta di 36 vaghi tra cui numerosi in lamina d’oro con decorazione a

reticolo e almeno 3 in pasta vitrea con decorazione ad occhi194;

una collana composta di 26 vaghi in lamina aurea e decorazione a reticolo195;

pendente a phiale in oro196;

anello digitale con castone circolare decorato da rosetta a otto petali in filigrana e

intarsi di pasta vitrea197;

da una tomba di Piazza Azuni proviene un ben noto anello digitale con castone a

rosetta realizzato a godronatura in oro e pasta vitrea198.

Diverse collezioni private di antichità comprendono alcuni ornamenti probabilmente

provenienti dalla necropoli. La collezione Don Armeni199, appartenuta allo stesso

proprietario del fondo in cui dagli anni ’60 si scavarono le tombe puniche con sigla

DA, comprende i seguenti oggetti:

191 Bernardini 1991. È plausibile una loro provenienza dalle stesse tombe sin qui elencate. 192 Ibidem, p. 201, tav. I. 193 Ib., p. 202, tav. II, 1 e 3. 194 Ib., p. 203, tav. III, 1. 195 Sulcis 1989, pp. 91, 133, fig. 54, con datazione al V sec.; Bernardini 1991, p. 203, tav. III, 2. 196 Ibidem,, p. 204, tav. IV, 1. 197 Ib., p. 205, tav. V, 1. 198 Da ultimo ib., pp. 195-196, e relative note, p. 205, tav. V, 3-4, con datazione a IV – III secolo; v. anche:

Pisano 1988b, p. 48, con datazione al V secolo; Sulcis 1989, pp. 91, 132, fig. 53, con datazione al III sec.; Tronchetti 1989, p. 14, fig. 6, con datazione al IV secolo.

199 Uberti 1971. La località “Is Purixeddus (sic = pirixeddus)” è indicata come origine della totalità dei pezzi qui menzionati. Il nome, “i piccoli peri” in italiano, indica come a questo tipo di coltura fosse dedicata l’area, ancora non edificata in tempi moderni.

Page 31: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 31 -

scarabeo in steatite bianco-grigiastra, con geroglifici alla base200;

scarabeo in steatite biancastra con sfinge alata accovacciata tra piuma shu e neb alla

base 201;

scarabeo in diaspro verde con figura di Bes e due serpenti alla base202;

scarabeo in faïence turchese con satiro danzante e cane203;

2 Thoeris, una con copricapo204 e una senza205;

3 Thot206;

2 cinocefali stanti207;

Shu208;

Bes con corona di piume209;

figurina umana deforme (forse pateco)210;

7 pateci, di cui 5 schematici211 e 2 più naturalistici212;

Iside stante213 e kourotròphia214;

3 falchi, di cui uno coronato215e 2 senza corona (l’ultimo provvisto di ulteriore

montatura in oro, del tipo ad anello con estremità avvolte a spirale)216;

volatile (avvoltoio?)217;

leone passante in steatite con geroglifici alla base218;

200 Ibidem, p. 295, n. 17, tav. XLIV, 1-2; Feghali Gorton 1996, p. 38, n. 8, rientra nel type XIII diffuso intorno al

VII sec. a Ischia e Cartagine (p. 40). 201 Uberti 1971, p. 296, n. 18, tav. XLIV, 3-4; Uberti 1975d, p. 86, fig. 2; Feghali Gorton 1996, p. 50, n. 4,

rientra nel type XVI di produzione punica dal VI secolo in poi. 202 Uberti 1971, p. 296, n. 19, tav. XLIV, 5-6; Hölbl 1986, p. 308, n. 150; CPSC, n. 22/67. 203 Uberti 1971, pp. 296-207, n. 20, tav. XLIV, 7-8; Hölbl 1986, pp. 59, 251-252, tavv. CXLVII, 2-3, in cui

l’autore nota la corrispondenza iconografica con due esemplari inediti, forse tharrensi, conservati al Museo Archeologico Nazionale di Cagliari, i quali dalla Feghali Gorton inclusi nel type XXXIX del gruppo “Late punic workshops” diffuso e verosimilmente prodotto in Sardegna tra V e IV secolo: Feghali Gorton 1996, pp. 136-137, nn. 8-9.

204 Uberti 1971, p. 299, n. 21, tav. XLV, 1; Hölbl 1986, pp. 59, 92, del tipo 27.A.2.2. 205 Uberti 1971, pp. 299-300, n. 22, tav. XLV, 2-3; Hölbl 1986, pp. 59, 91, del tipo 27.A.1.1. 206 Uberti 1971, pp. 300-301, nn. 23-25, tav. XLV, 4-6; Hölbl 1986, pp. 59, 89, del tipo 19.A.3. 207 Uberti 1971, pp. 301-302, nn. 26-27, tav. XLV, 7-8; Hölbl 1986, pp. 59, 97, del tipo 36.A.2.1. 208 Uberti 1971, p. 302, n. 28, tav. XLVI, 1; Hölbl 1986, pp. 59, 87, del tipo 11.A.1. 209 Uberti 1971, p. 302, n. 29, tav. XLVI, 2; Hölbl 1986, pp. 59, 85, del tipo 6.1.A.1.1.3. 210 Uberti 1971, p. 303, n. 30, tav. XLVI. 211 Uberti 1971, pp. 303-304, nn. 31-35, tav. XLVI, 4-8; Hölbl 1986, pp. 59, 84, del tipo 5.2.A.3.2. 212 Uberti 1971, pp. 304-305, nn. 36-37, tav. XLVI, 9-10; Hölbl 1986, pp. 59, 83, del tipo 5.2.A.1.1.2. 213 Uberti 1971, p. 305, n. 38, tav. XLVI, 11. 214 Ibidem, p. 305, n. 39, tav. XLVI, 12. 215 Ibidem, p. 306, n. 40, tav. XLVII, 1; Hölbl 1986, p. 59, nota 32, simile ma non “corrispondente” a quello

della tav. LVI, 1. 216 Ibidem, p. 306, nn. 41-42, tav. XLVII, 2-3; Hölbl 1986, pp. 59, 90, del tipo 25.A.2.1.2. 217 Uberti 1971, pp. 306-307, n. 43, tav. XLVII, 4; Hölbl 1986, pp. 59, 91 (con disegno), unica attestazione del

tipo 26.

Page 32: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 32 -

leone accovacciato219;

ariete accovacciato220;

lepre221;

3 udjat222.

Altra importante collezione di antichità fenicio-puniche di sicura provenienza sulcitana

è quella appartenente alla famiglia Biggio, la cui costituzione fu iniziata nei primi

decenni del secolo scorso con oggetti provenienti in parte dall’area necropolitana223.

Per quello che riguarda gli athyrmata la collezione si compone dei seguenti oggetti:

grande scarabeo in steatite con geroglifici alla base224;

grande scarabeo in steatite con perforazione trasversale, motivo rappresentazionale di

nascita di Horus e iscrizione con nome e patronimico del proprietario (gr’šmn bn

mlk) alla base225;

scarabeo in faïence con sfinge accovacciata alla base226;

scarabeo in faïence con vacca che allatta vitello e simbolo astrale alla base227;

scarabeo in faïence con raffigurazione di difficile lettura alla base 228;

scarabeo in diaspro verde con immagine di personaggio regale o divino su trono alla

base229;

scarabeo in diaspro verde con vacca che allatta vitello alla base230;

218 Uberti 1971, p. 307, n. 44, tav. XLVII, 5-6; Hölbl 1986, pp. 59, 94, 161, fig. 21, del tipo 32.2.1.2. 219 Uberti 1971, p. 307, n. 45, tav. XLVII, 7; Hölbl 1986, pp. 59, 94, del tipo 32.1.A.2.2. 220 Uberti 1971, pp. 307-308, n. 46, tav. XLVII, 8; Hölbl 1986, pp. 59, 99, del tipo 42.A.3. 221 Uberti 1971, p. 308, n. 47, tav. XLVII, 9; Hölbl 1986, pp. 59, 96, del tipo 35.A.3. 222 Uberti 1971, pp. 308-309, nn. 48-50, tav. XLVII, 10-12; Hölbl 1986, pp. 59, 100, il primo del tipo 49.A.2.2.1,

il secondo del -2. 223 Biggio 1977; Moscati 1977a, p. 15. La località “Su Narboni”, un tempo tra la basilica di S. Antioco e il corso

Vittorio Emanuele, deve il suo nome alla pratica di mettere i campi a fuoco (“narbonare”) allo scopo di nettare e dedicare ad altra coltura, e fornisce la prova di come non fosse edificata sino a tempi moderni.

224 Uberti 1977a, pp. 37-39, n. 1, tav. XVI, 1; Acquaro 1984, pp. 74-75, figg. 85-86; Hölbl 1986, pp. 59, 175, fig. 22, “typentafel” I, n. 9; non repertoriato in Feghali Gorton 1996, ma verosimilmente da includere nel type V, “classical Egyptian types” per dimensioni e forte analogia con i nn. 2 e 5 (p. 16-18).

225 Uberti 1977a, pp. 37, 39-42, n. 2, tav. XVII, 2; Hölbl 1986, pp. 59, 175 (“typentafel” I, n. 11), 180. 226 Uberti 1977a, pp. 37-38, 42, n. 3, tav. XVIII, 3; Hölbl 1986, pp. 59, 242, fig. 44. 227 Uberti 1977a, pp. 38, 42-43, n. 4, tav. XVIII, 4; Hölbl 1986, pp. 59, 248, fig. 49. 228 Uberti 1977a, pp. 38, 43, n. 5, tav. XVIII, 5; Hölbl 1986, pp. 59, 250, fig. 51. 229 Acquaro 1977a, pp. 45, 47-48, n. 1, tav. XIX, 1, datato all’inizio del V secolo; la prima menzione della

gemma si deve ad Albizzati C., (1927). Sardus Pater: Il convegno archeologico in Sardegna, giugno 1926. Reggio Emilia, p. 104, fig. 11, cit. in ibidem, p. 45, che costituisce un terminus ante quem per il suo ingresso nella collezione; Acquaro 1984, pp. 82-85, figg. 102-103; Hölbl 1986, pp. 59, 298, nota 234; CPSC, n. 17/22; l’importanza del motivo e la qualità dell’incisione possono ben giustificare la menzione di questo oggetto in diversi studi tra i quali si riportano: Gubel E., (1987). Phoenician furniture. Leuven, p. 44, n. 19, tav. VIII, cit. in ibidem; Conti 2000b, pp. 51-52, fig. 1, 6.

Page 33: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 33 -

scarabeo in diaspro verde con guerriero stante in atteggiamento di difesa con scudo,

lancia e clamide alla base231;

scarabeo in diaspro verde con guerriero inginocchiato in atteggiamento di difesa con

scudo ad umbone configurato a faccia di Bes o satiro, clamide, elmo crestato e lancia

alla base e montatura ad anello con estremità avvolte a spirale232;

scarabeo in diaspro verde scheggiato con figura ellenizzante di “atleta”, poggiante

forse su asta e sulla gamba destra, flessa la sinistra, mano dietro e borsa o aryballos

davanti233;

scarabeo in diaspro verde con personaggio incedente che porta una coppa alle labbra, e

forse una lancia, alla base e montatura ad anello con estremità avvolte a spirale234;

scarabeo in “pietra dura cinerognola” con animale, forse bue, alla base235;

scarabeo in diaspro verde con personaggio femminile orante discoforo inginocchiato,

con oggetto a due sfere tra le mani, alla base e appiccagnolo a piccolo anello applicato

all’estremità frontale del foro236;

scarabeo in corniola con centauro che tiene un ramo alla base237;

anello digitale in oro con castone ellittico e volto femminile di tre/quarti con collana,

ai lati lettere aleph e nun238;

230 Acquaro 1977a, pp. 45, 48, n. 2, tav. XIX, 2, l’autore propone una datazione intorno alla metà del IV secolo;

Acquaro 1984, pp. 83, 86-87, figg. 104-105. 231 Acquaro 1977a, pp. 45-46, 49, n. 3, tav. XIX, 3, datato ai primi del V secolo; Acquaro 1984, pp. 88-89, figg.

106-107; Barreca 1986, p. 252, fig. 243, con datazione a V-IV sec.; CPSC, n. 28/5, con “pinched back”. 232 Acquaro 1977a, pp. 46, 49, n. 4, tav. XX, 4, datazione come il precedente; Acquaro 1984, pp. 92-93, figg.

108-109; CPSC, n. 28/47, con “pinched back”. È verosimilmente da ritenersi prodotto dalla stessa bottega del precedente, nonché di altri due scarabei tharrensi sui quali lo stesso personaggio è inciso con lievi differenze iconografiche: il primo conservato al museo di Cagliari (n.i. 19849: Moscati 1986b, p. 141, fig. 82; Fenici 1988, p. 696, n. 667) ed il secondo al Museo A. Sanna di Sassari (n.i. 2873: Acquaro 1987b, n. 27, pp. 238, 245, tav. VII).

233 Acquaro 1977a, pp. 46, 49, n. 5, tav. XX, 5, con ampia datazione tra V e IV secolo; Acquaro 1984, pp. 98-99, figg. 112-113; CPSC, n. 30/28, con “pinched back”.

234 Acquaro 1977a, pp. 46, 49, n. 6, tav. XXI, 6, datato a IV-III secolo; Acquaro 1984, pp. 96-97, figg. 110-111; CPSC, n. 30/13.

235 Acquaro 1977a, pp. 46-47, 49, n. 7, tav. XXI, 7, definito “ippocampo” per la forma insolita del treno posteriore, ritorto verso l’alto; CPSC, n. 40/19, repertoriato sotto la categoria B (“bulls, alone”) e per errore tra gli scarabei in diaspro verde. In effetti, per la criniera a trattini che a stento si nota sulla riproduzione fotografica, potrebbe trattarsi di un cavallo.

236 Acquaro 1977a, pp. 47, 49, n. 8, tav. XXII, 8, che vi legge un “personaggio ieracocefalo” in virtù di un’interpretazione della tecnica esecutoria come “a globulo”, dalla quale evince il III secolo come datazione: v. p. 49, nota 21; Acquaro 1984, p. 100, fig. 114; Hölbl 1986, pp. 59, 295, n. 102, il quale legge invece il personaggio come “Frauengestalt”; CPSC, n. 7/36.

237 Acquaro 1977a, pp. 47, 49, n. 9, tav. XXII, 9, eseguito a globulo e datato come il precedente al III secolo. 238 Uberti 1977b, pp. 51-51, n. 1, tav. XXIII, 1, che vi legge un volto maschile e propone su base iconografica e

paleografica una datazione a IV – III secolo; Acquaro 1984, p. 37, fig. 50; Quillard 1987, pp. 177, 213, nota

Page 34: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 34 -

2 orecchini ellittici in oro a corpo ingrossato239;

orecchino in oro con estremità avvolte a spirale240;

pendente in oro a goccia con decorazione geometrica a granulazione sul cilindro

superiore241;

pendente vitreo blu a doppia protome femminile242;

amuleto in oro a forma di “mano che fa le fiche” con ingabbiatura in filo d’oro243;

gatto seduto in faïence244;

Un’altra poco nota collezione santantiochense, perché non edita correttamente, è

quella di proprietà Gallus e si compone di 39 amuleti e di una campanella o astuccio

porta-amuleti in metallo, appartenuti alla stessa collana rinvenuta, a detta dell’editore,

in una tomba punica245.

Tra i materiali provenienti da Sulcis e appartenenti a collezioni private vanno

probabilmente considerati quelli della collezione Torno, tra i cui materiali annovera

una matrice ed alcune forme vascolari ceramiche, nonché una stele di certa origine

sulcitana246. Nonostante la situazione di incertezza, non risulta tuttavia inverosimile

una provenienza sulcitana anche per i quattro scarabei247 ed i 23 amuleti, che

1204, lo pone tra i confronti per analoghi anelli cartaginesi del tipo B3(a) e conferma la cronologia della Uberti: v. p. 166 e segg., “tableau recapitulatif” XI.

239 Uberti 1977b, pp. 51-53, nn. 2-3, tav. XXIII, 2-3, impossibilitata a dare una datazione l’autrice notava comunque l’insolita assenza di confronti in Sardegna: p. 52, nota 8; Quillard 1987, pp. 142-144, nota 712, del tipo A (“boucle en forme d’outre”) in cui nota che l’ellisse dei due esemplari sardi è particolarmente lunga, v. inoltre “tableau recapitulatif” IX.

240 Uberti 1977b, pp. 51, 53, n. 4, tav. XXIII, 4, con valida e ampia datazione a V – III secolo. 241 Ibidem, pp. 51, 53-54, n. 5, tav. XXIII, 5; Acquaro 1984, p. 19, fig. 6. 242 Uberti 1977c, pp. 57-58, n. 1, tav. XXIV, 1, propone sulla base di confronti una datazione a IV – III secolo;

Hölbl 1986, pp. 59, 87, del tipo 15 (Astarte?); Bernardini 1991, p. 194, tav. IV, 2, che riferisce il rinvenimento, nell’area del cronicario, di una matrice per oggetti dello stesso tipo in contesto stratigrafico di V sec.

243 Uberti 1977c, pp. 57-58, n. 2, tav. XXIV, 2; Acquaro 1984, p. 120, fig. 135. 244 Uberti 1977c, pp. 57-58, n. 3, tav. XXIV, 3; Hölbl 1986, pp. 59, 93, del tipo 31.A.1.1 che l’autore considera

come importazione egiziana: p. 132. 245 Pesce 1961, p. 304-305, fig. 139. Nient’altro è noto su questi amuleti ed è difficile dall’immagine farsi un

idea di tutte le tipologie e della contemporaneità dei tipi, che, se reale, costituirebbe una fonte di inestimabile valore per la conoscenza della loro cronologia relativa. Si intravedono comunque un leone, due urei, due scrofe che allattano i piccoli, un grande Nefertum al centro, un gatto, una lepre e diverse divinità sedute. v. anche Redissi 1991a, p. 104, nota 102, che individua (in alto a destra) tre udjat stilizzati datati a IV-III secolo.

246 Torno 1987; v. in particolare per i reperti qui in esame: Pisano 1987b, per gli scarabei, e Ciafaloni 1987, per gli amuleti.

247 Pisano 1987b, n. 1, pp. 15, 17-20, tav. I, 1 (in diaspro verde con nascita di Horus su fiore di loto alla base, datato a VI – V sec.), n. 2, pp. 15-16, 20-23, tav. I, 2 (in diaspro verde con volto femminile di profilo alla base, datato a fine V – inizio IV sec.), n. 3, pp. 16-17, 23-27, tav. II, 3 (in diaspro verde con bovide dalle

Page 35: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 35 -

ripropongono, questi ultimi, tipologie già note come l’udjat248, la dea ippopotamo

Thoeris249, il cinocefalo stante250, l’Horus ieracocefalo251, l’Amon-Ra criocefalo252, il

bovide coronato253, il leone accovacciato254, e l’ariete nella stessa posizione255. Fa

eccezione la sfinge alata in osso256 che manca di confronti in Sardegna e che per la

forma appiattita e la mancanza dell’appiccagnolo non permette un suo corretto

riconoscimento come amuleto, ma che ritroviamo in analoghe e più piccole

attestazioni tipologiche in pasta257. Gli athyrmata della collezione, insieme ai reperti

ceramici affini per datazione (V secolo)258, potrebbero aver costituito il corredo di una

o più tombe della necropoli di Sulcis.

Dagli scavi editi negli anni successivi alla ricognizione museografiche di G.

Hölbl, sino a tempi recenti, provengono:

Scavi effettuati in proprietà di Agus Raffaele (sigla AR), nel corso degli anni ’80:

Tomba 2 AR259:

anello crinale in lamina d’oro su anima bronzea con estremità avvolte a spirale260;

coppiglia bronzea261;

15 lingotti di piombo262;

sezione longitudinale sinistra di astragalo di bovino263.

zampe posteriori sollevate, datato al IV sec.), n. 4, pp. 17, 27-28, tav. II, 4 (in corniola con Pegaso in volo e datato a fine V sec.).

248 Ciafaloni 1987, nn. 1-9, pp. 49-52, 57, tav. XIV, 1-9. 249 Ibidem, nn. 10-12, 14, pp. 52-53, 57-58, tav. XIV, 10-12, 14. 250 Ib., n. 13, pp. 53, 58, tav. XIV, 13. 251 Ib., n. 15, pp. 54, 59, tav. XV, 15. 252 Ib., n. 16, pp. 54, 59, tav. XV, 16. 253 Ib., nn. 17-18, pp. 54-55, 60, tav. XV, 17-18. 254 Ib., n. 19, pp. 55, 60, tav. XV, 19. 255 Ib., nn. 20-22, pp. 55-56, 60, tav. XV, 20-22. 256 Ib., n. 23, pp. 56, 60-62, tav. XVI, 23. 257 V. ad es. Acquaro 1977b, nn. 822-833, tavv. XXXVII-XXXVIII. 258 Pisano 1987c, p. 97. 259 Bartoloni 1987a, scavata nell’autunno 1982 presentava al suo interno tre deposizioni susseguitesi entro il

primo quarto del V secolo. L’esiguità del corredo ornamentale del defunto si spiega con una depredazione avvenuta in tempi antichi (p. 61).

260 Ibidem, pp. 61-62, tav. X, c-d (2 AR/10). 261 Ib., pp. 61-62, tav. X, b (2AR/11), visibilmente manomessa e gettata lontano dal sarcofago cui apparteneva. 262 Ib., pp. 61-62, tav. X, e (2 AR/12/1-5), la loro menzione qui ha solo scopo di completezza, non rientrando

come le coppiglie bronze tra gli athyrmata propriamente detti. 263 Ib., pp. 62-63, tav. X, f (2 AR/13), dalla presunta funzione apotropaica.

Page 36: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 36 -

Tomba 6 AR264:

vago in pasta vitrea blu.

Tomba 9 AR265:

v. § 3.4.

Tomba 10 AR266:

v. § 3.5.

Tomba 11 AR267:

v. § 3.6.

Tomba 12 AR268:

Deposizione presso la parete S:

7 vaghi in pasta vitrea e corniola269:

2 placchette rettangolari con udjat su un lato e tre frammenti incomprensibili270;

frammenti di laminetta d’argento271;

264 Tronchetti 1990, scavata nel 1988. Sebbene l’editore riporti la sigla 6A, questa non è da confondere con

l’omonima tomba di via Castello (v. supra), dalla quale differisce per la pianta (cfr. ibidem, fig. 16 con Sulcis 1989, pianta E), e da intendersi come tomba 6 AR. Conteneva al suo interno almeno tre deposizioni ed è da datarsi al pieno V secolo sulla base del corredo ceramica, mentre la tipologia tombale restringe la datazione alla prima metà del secolo.

265 Tomba a camera unica contenente 10 deposizioni con periodo di utilizzo entro la prima metà del V sec., i monili appartenevano a solo tre deposizioni (1, 2 e 9), forse le più antiche della sepoltura: Bernardini c.p. Scavata da P. Bernardini nel 1989, e oggetto di una pubblicazione preliminare (Bernardini 1993, pp. 137-141, tavv. II-V), è stata tema di una tesi di laurea presso l’Università di Urbino, che non abbiamo potuto visionare. Abbiamo preso visione tuttavia degli ornamenti conservati ancora nel 2005 presso i magazzini della Soprintendenza di Sant’Antioco.

266 Tomba con tramezzo centrale della prima metà del V sec., i monili appartengono alla sola deposizione del vano destro, forse la più antica di tutta la sepoltura: Bernardini c.p. Scavata insieme alla precedente nel 1989. Relazione preliminare in Bernardini 1999, pp. 141-144, tavv. VI-VIII; studio esaustivo di tutto il corredo della tomba in Melchiorri 2002, non visionato a differenza dei materiali: v. § 3.4.

267 Tomba intensamente utilizzata tra seconda metà del V e primi decenni del IV sec. per la presenza di circa 20 deposizioni, di cui 5 con monili. Nel catalogo al § 3.6. è stato possibile includere i gioielli delle deposizioni 6, 18 e 19. Scavata nello stesso anno delle due precedenti: Bernardini 1991, p. 133, nota 1. Studio esaustivo del corredo in Melchiorri 2002.

268 Scavata nel 1989 da C. Tronchetti: Tronchetti 1997; Tronchetti 2002. Tomba a camera semplice in uso nella prima metà del V secolo, conteneva i resti di almeno tre deposizioni, di cui una priva di ornamenti.

269 Ibidem, p. 151, n. 16, tav. VI, 5, l’immagine non trova riscontro con la descrizione in cui si menzionano solo vaghi in pasta vitrea, mentre sono evidenti due vaghi in corniola, di cui uno a barilotto e l’altro sferico. Nella prima edizione dei materiali (Tronchetti 1997) i due vaghi in corniola sono espressamente ritenuti d’ambra: n. 303, p. 292.

270 Tronchetti 2002, p. 156, n. 51, tav. XIV, 2.

Page 37: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 37 -

Deposizione presso l’angolo NO:

bracciale in argento a sezione circolare272;

elementi di collana:

pendente circolare umbonato in oro;

vago a goccia;

4 vaghi cilindrici;

2 vaghi sferici;

4 dischetti;

2 frammenti a fiore di loto e uno a piumaggio di Bes;

vago a falce di luna273.

Frammenti di laminetta d’argento274.

Anche più recenti scavi, condotti a cura della Soprintendenza per i Beni Archeologici

delle Province di Cagliari e Oristano e per opera dei dipendenti del Parco Geo-

Minerario (sigla PGM), hanno interessato tombe di età punica, alcune delle quali

hanno restituito oggetti di nostro interesse. Tre tombe in particolare saranno oggetto di

analisi specifica in questo lavoro, rimandiamo quindi al catalogo nei § 3.1-3. per

l’elenco dettagliato dei rinvenimenti; si tratta della tombe 1 PGM BLV di Via

Belvedere e delle tombe 5 e 6 PGM.

2.2. ATHYRMATA DEL TOPHET

Numerosi oggetti di ornamento, non dissimili quanto a tipologia da quelli sin qui

elencati, provengono dal tophet ed erano solitamente contenuti entro le urne insieme ai

resti ossei inceneriti. Lo stato di conservazione, non sempre ottimale, dimostra una

loro continua esposizione agli agenti atmosferici e forse in qualche caso una loro

sottoposizione al fuoco275. Quest’ultima circostanza potrebbe essere indicativa di un

271 Ibidem, p. 154, n. 37, p. 156, n. 52. 272 Ib., p. 153, n. 27, tav. X, 1. 273 Ib., p. 153, n. 30, tav. XI, 2. Tutti i vaghi sono ritenuti d’ambra, fatto non verificabile dall’immagine in bianco

e nero. 274 Ib., p. 155, n. 41. 275 Cfr. Martini 2004, pp. 41-42, 80, per quanto proposto riguardo al n. 82, amuleto fuso con bracciale infantile;

diversa è l’opinione riguardo ai reperti rinvenuti più recentemente in Montis 2005.

Page 38: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 38 -

utilizzo in vita degli oggetti da parte del piccolo defunto, e in mancanza di analisi

antropologiche permetterebbe di distinguere tra incinerati umani ed animali, essendo

tuttavia possibile che in quest’ultimo caso la presenza di ornamenti permettesse di

rendere più verosimile il sacrificio di sostituzione.

Proviene dagli scavi effettuati non oltre il 1973, data della sua edizione276, un

gruppo di 126 oggetti così composto:

3 “mani che fanno le fiche” con braccio in osso277;

mano o piede in bronzo278;

organi genitali maschili in osso279;

amuleto a forma di tavoletta di difficile interpretazione (genitali maschili?) in osso280;

amuleto a forma di bocciolo di fiore di loto in osso281;

4 amuleti cordiformi282;

Bes in pasta vitrea283;

2 cinocefali accovacciati e discofori284;

testa con corona atef (Mahes?)285;

276 Bartoloni 1973, l’autore non specifica le annate di scavo ma informa che fu compiuto dall’allora

soprintendente Ferruccio Barreca: p. 181, nota 1. 277 Ibidem, p. 186, nn. 1-3, tav. LVI, 1-2, 4; i nn. 1 e 3 in Barreca 1986, p. 240, fig. 219, secondo e quinto da

destra; Ferrari 1994, p. 84, note 38-40, fornisce numerosi confronti. 278 Bartoloni 1973, p. 187, n. 4, tav. LVI, 7. Anche in questo caso è difficile dare un’interpretazione convincente

dell’oggetto costituito da una lamina triangolare, alla cui base quattro incisioni individuano 5 appendici simili a corte dita, al di sopra delle quali sono due incisioni oblique simili a quelle presenti su amuleti a forma di cippo (Acquaro 1977b, nn. 1263-1264, tav. LXI) o di tavoletta (Cintas 1946, p. 98, tav. XX, 134).

279 Bartoloni 1973, p. 187, n. 5, tav. LVI, 3; Hölbl 1986, p. 107, attribuisce al tipo 65.1.C (in osso) riferendosi erroneamente al n. 3; Barreca 1986, p. 240, fig. 219; Sulcis 1989, fig. 63, primo a sinistra (la didascalia riporta la datazione al IV sec.); Ferrari 1994, p. 84, indica il riscontro con esemplari da contesti databili dal V secolo.

280 Bartoloni 1973, n. 6, tav. LVI, 10; Ferrari 1994, p. 84. 281 Bartoloni 1973, p. 187, n. 7, tav. LVI, 8, da lettura come fallo; Sulcis 1989, fig. 63, al centro; Ferrari 1994,

pp. 88-89, nota 189, troverebbe un confronto in un esemplare ellenistico di Gezer. 282 Ibidem, pp. 187-188, nn. 8 (in bronzo), 9-10 (vetro), 11 (calcare). Mentre i primi tre rispettano il modello

egiziano, il quarto assume la forma convenzionale moderna dell’organo. Il n. 10 anche in Hölbl 1986, p. 106, tav. XCI, 7 (“materia porosa rossastra”), del tipo 63; Ferrari 1994, p. 87, esprime perplessità nella lettura del n. 11.

283 Bartoloni 1973, p. 188, n. 12, tav. LVI, 9; Hölbl 1986, pp. 85, 115, 162, tav. XXIV, a-b, del tipo 6.1.A.1.1.1, propone provenienza egiziana; da ultima Ferrari 1994, pp. 87-88, riscontra confronti puntuali in ambito cipriota di VIII – VII secolo e cartaginese di metà del VI.

284 Bartoloni 1973, p. 188, nn. 13-14, tav. LVII, 1 e 5. Il primo, in pasta vitrea azzurrastra, da intendersi importazione egiziana. Per il secondo, edito anche in Hölbl 1986, p. 97, tav. LXXV, 4, del tipo 38.1.A.2.1; Ferrari 1994, p. 86 (per il n. 13 propone l’appartenenza a modelli di XXII – XXIV dinastia - nota 95 - quindi databile tra i primi tre secoli del I millennio), p. 88 (per il n. 14 propone invece maggiore aderenza alla figura di Bes: nota 159).

285 Bartoloni 1973, p. 189, n. 15, tav. LVII, 4. In questo caso l’autore propone l’interpretazione come gatto-Bastet; Ferrari 1994, p. 88, propone invece l’appartenenza all’iconografia di Mahes (Petrie 1914, n. 192), tipo raro ma di certo non assente in ambito fenicio-punico.

Page 39: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 39 -

Horus Arpocrate286;

3 Horus ieracocefali, di cui rimane la sola parte superiore287;

Thoeris stante priva della testa288 e figura antropomorfa accovacciata priva della testa

(Thoeris?)289;

2 parti inferiori di divinità seduta in trono e stante290;

Sekhmet coronata e stante291;

Anubis di cui residua la sola parte superiore292;

2 urei293;

2 pateci294;

3 udjat295;

sfinge296;

animale in osso non identificato297;

simbolo wadj in osso298;

2 tavolette in osso299;

286 Bartoloni 1973, p. 189, n. 16, tav. LVII, 11; Hölbl 1986, p. 87, tav. XXXIV, 1, del tipo 10.A.2; Ferrari 1994,

p. 85, con riscontri in contesti cartaginesi di V – IV secolo (nota 83). 287 Bartoloni 1973, p. 189, nn. 17-19, tav. LVII, 2, 6 e 8; Ferrari 1994, p. 87, per la quale i tre amuleti

documentano la variante diffusa tra IV e III secolo. 288 Bartoloni 1973, pp. 189-190, n. 20, tav. LVII, 3; Hölbl 1986, tav. LXII, 1, tipo incomprensibile; Ferrari 1994,

p. 88. 289 Bartoloni 1973, p. 190, n. 21, tav. LVII, 12; Ferrari 1994, p. 88. 290 Bartoloni 1973, p. 190, nn. 22-23, tav. LVII, 9-10; Ferrari 1994, p. 88. 291 Bartoloni 1973, p. 190, n. 24, tav. LVIII, 1, interpretato come Anubis; Hölbl 1986, pp. 54, 80, 108, 420 segg.,

tav. VII, 1, che interpreta l’amuleto come divinità leontocefala (Sekhmet) del tipo 2.A.2, tramite il confronto con cinque amuleti di Tarquinia (Hölbl 1979, vol. II, n. 130, k-o, p. 44, tav. XXXVII, 4-8), e conferisce datazione alla seconda metà dell’VIII – prima metà del VII sec.: p. 108; Ferrari 1994, p. 88.

292 Bartoloni 1973, p. 190, n. 25, tav. LVII, 7; Ferrari 1994, p. 88, per la quale troverebbe confronti in tombe cartaginesi e tharrensi di VI secolo: nota 172.

293 Bartoloni 1973, p. 191, nn. 26-27, tav. LVII, 13-14; il primo corrispondente a Sulcis 1989, p. 134, fig. 56, in basso a sinistra; Ferrari 1994, p. 84, note 45-46 (per i confronti).

294 Bartoloni 1973, p. 191, nn. 28-29, tav. LX, 2 e 9; il 28 edito anche in Hölbl 1986, p. 84, tav. XIX, 6, del tipo 5.2.A.3.2; e corrispondente a Sulcis 1989, p. 134, fig. 56, in basso a destra; per entrambi v. Ferrari 1994, p. 85, e per i confronti v. nota 75.

295 Bartoloni 1973, pp. 191-192, nn. 30-32, tav. LIX, 11-13, di cui il 32 in osso e gli altri in pasta vitrea; il 31 anche in Sulcis 1989, p. 134, fig. 56, in alto a destra, e in Hölbl 1986, p. 102, del tipo 49.A.2.4.4; il 32 in Ibidem, p. 103, tav. LXXXIV, 3, unico esempio del tipo 49.C.2; Ferrari 1994, p. 84.

296 Bartoloni 1973, p. 192, n. 33, tav. LVIII, 5; Ferrari 1994, p. 87. 297 Bartoloni 1973, p. 192, n. 34, tav. LVIII, 2; Sulcis 1989, p. 134, fig. 56, in alto a sinistra. 298 Bartoloni 1973, p. 192, n. 35, tav. LVIII, 6 (il riferimento all’immagine è scambiato con quello del n. 36),

diversa l’interpretazione dell’autore come pilastrino (djed?); Ferrari 1994, p. 87, concorre all’interpretazione come w3dj, ma nota la mancanza di confronti puntuali.

299 Bartoloni 1973, pp. 193 e 196, nn. 36 e 54, tav. LVIII, 3 (cfr. nota prec. 278) e LIX, 10. Lo scarso sviluppo del primo in profondità non permette l’identificazione come pilastro djed, per il quale comunque mancano confronti con anello di sospensione così conformato. Il secondo è definito placchetta, ma è da notare come l’appiccagnolo non sia forato; Ferrari 1994, p. 87 (considera il n. 54 come tavoletta derivata da quelle con motivo dell’udjat e vacca con vitello), p. 88 (il n. 36 come cippo betilo, per il quale propone, come per i nn.

Page 40: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 40 -

2 cippi in osso300;

11 teste sileniche in pasta e talco301;

maschera grottesca (negroide?) in osso302;

maschera tragica in vetro blu303;

corona composita in piombo304;

placchetta rettangolare con udjat/vacca e vitello305;

2 dischi in piombo, uno con simbolo di Tanit su un verso306 e l’altro con segni forse

alfabetici307;

pendente discoide in oro frammentato308;

pendente laminare a ghianda con foro a losanga al centro in bronzo309;

pendente incompleto laminare in piombo di forma approssimativamente circolare310;

pendente incompleto in argento311;

pendente rettangolare in bronzo con quattro scanalature verticali312;

pendente informe in argento313;

37-38, datazione a V – II secolo). L’identificazione qui proposta è come “tavoletta da scrittura”, un tipo non tanto frequente tra gli amuleti punici ma di certo non assente: Cintas 1946, p. 98, tav. XX, 134; Fresina 1980, n. 32, p. 32, fig. III, 7, tav. VI, 32; per il motivo a croce presente su questi amuleti e già riscontrato nel n. 4 dal tophet cfr. supra nota 179.

300 Bartoloni 1973, p. 193, nn. 37-38, tav. LVIII, 8 e 9; Hölbl 1986, p. 106, del tipo 56.1; Ferrari 1994, p. 88: cfr. nota precedente.

301 Bartoloni 1973, pp. 193-195, nn. 39-49, tavv. LVIII, 4, 7, 10-14, LIX, 1, 3, 5-6; il n. 39 in Barreca 1986, p. 240, fig. 219, primo da destra; i nn. 39-40 e 46 anche in Sulcis 1989, p. 138, fig. 64, con didascalia riportante il VII secolo come datazione; Ferrari 1994, p. 83, nota 19, suddivide il gruppo in due: maschera di sileno con barba liscia (nn. 42-49) e barba con incisioni (nn. 39-41), indica inoltre il VII – inizi V secolo come periodo di diffusione della tipologia.

302 Bartoloni 1973, p. 195, n. 50, tav. LIX, 2; Ferrari 1994, p. 83, nota 13, indica il riscontro con un esemplare da una tomba cartaginese della metà del V secolo.

303 Bartoloni 1973, p. 195, n. 51, tav. LIX, 8. 304 Ibidem, p. 195, n. 52, tav. LIX, 7. Come affermato dallo stesso autore, si tratta di un elemento appartenente ad

un oggetto di maggiori dimensioni, forse una statuetta e quindi non di un amuleto. Si compone di disco solare umbonato, sopra il quale è la doppia corona egiziana, il tutto affiancato da quelli che l’autore definisce urei, ma potrebbero essere due corna, per assimilazione con il copricapo hathorico.

305 Ib., pp. 195-196, n. 53, tav. LIX, 9. Si tratta verosimilmente di uno degli esempi più tardi di questa tipologia per l’utilizzo della sola tecnica ad incisione: Ferrari 1994, p. 87.

306 Bartoloni 1973, p. 196, n. 55, tav. LX, 1, forato sulla superficie in tre punti, forse per il passaggio di chiodi. 307 Ibidem, p. 196, n. 56, tav. LX, 3, ayin su di un verso e sull’altro 11 tratti a raggiera su metà della

circonferenza. È interessante notare che i dischi hanno spessore diverso ma uguale diametro (22 mm). 308 Ib., p. 196, n. 57, tav. LX, 4. L’autore asserisce campito da una decorazione a disco solare alato, v. anche

Quillard 1979, p. 68, nota 335, che lo inserisce tra i confronti per il tipo “pendentif discoïde à décor égyptisante”, e nota la differente tecnica decorativa, che a differenza di quella più diffusa a granulazione e filigrana (“rapporté”), è qui a stampigliatura.

309 Bartoloni 1973, p. 196, n. 58, tav. LX, 12. 310 Ibidem, p. 196, n. 59, tav. LX, 7. 311 Ib., p. 197, n. 60, tav. LX, 6, con quattro linee incise al centro presso il bordo. 312 Ib., p. 197, n. 61, tav. LX, 5, per l’autore le incise sarebbero prodotte dagli spazi tra linee di granuli. 313 Ib., p. 197, n. 62, tav. LXI, 2, ossidato.

Page 41: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 41 -

testa di piccozza in piombo314;

testa di animale in pasta vitrea315;

placchetta a forma di cavallo in osso316;

testina di uccello (ibis?) in ceramica317;

pesce in osso incompleto318;

4 vertebre di pesce, di cui una in ceramica319 e 3 autentiche320;

2 opercoli di turbinide321;

10 pendenti a ghianda, di cui 2 in osso322 e 8 in bronzo323;

elemento vegetale in osso324;

3 dadi, di cui uno in avorio approssimativamente cubico con numerazione su tutte e sei

le facce325, due in ceramica prismatici con numerazione da 1 a 4 sui soli lati lunghi326;

4 campanelle327 e 4 battagli in bronzo328;

12 gasteropodi del tipo Cypraea Lurida329;

13 opercoli di turbinide di cui uno incastonato in filo d’argento330;

2 pendenti discoidali, di cui uno in argento e uno in elettro, con decorazione ocellata a

granulazione331;

314 Ib., p. 197, n. 63, tav. LX, 8, le ridotte dimensioni (lungh. 35 mm) possono giustificare un uso rituale. 315 Ib., p. 197, n. 64, tav. LXI, 1; richiamato in nota in Acquaro 1977b, p. 17, nota 29, a confronto con simili

amuleti dalla connotazione bovina: nn. 94 e 100; Ferrari 1994, p. 87, per la quale le incisioni testimonierebbero la tecnica dell’incastonatura (nota 141).

316 Bartoloni 1973, p. 197, n. 65, tav. LXI, 3, incompleto, con foro sulla spalla; Ferrari 1994, p. 89, nota la difficoltà di definizione tra equide o canide.

317 Bartoloni 1973, p. 198, n. 66, tav. LXI, 11. 318 Ibidem, p. 198, n. 67, tav. LXI, 5, l’autore attribuisce la rappresentazione ad un’esponente della famiglia degli

sparidi: nota 31; Ferrari 1994, p. 88. 319 Bartoloni 1973, p. 198, n. 68, tav. LX, 10, vi riconosce l’imitazione di una vertebre di un esponente della

famiglia degli scienidi. 320 Ibidem, pp. 201-202, nn. 93-95 tav. LXII, 11-13. 321 Ib., p. 198, nn. 69-70, tav. LXII, 5 e 8, opercoli di murex. 322 Ib., pp. 198, 200, nn. 71 e 80, tavv. LIX, 4 e LXI, 6; Ferrari 1994, p. 88, propone per il n. 80 appartenenza al

tipo del fiore di loto in boccio (nota 186). 323 Bartoloni 1973, pp. 199-200, nn. 72-79, tavv. LX, 11, LXI, 7-9, 13, LXII, 3-4, 6. 324 Ibidem, p. 200, n. 81, tav. LXI, 10; Sulcis 1989, p. 138, fig. 63, primo a destra; Ferrari 1994, p. 89, nota 195,

riferendosi erroneamente al n. 34, propone il confronto con Fresina 1980, p. 40, n. 38, fig. II, 15, tav. VII, provvisto di tre modanature sotto al foro di sospensione.

325 Ib., p. 200, n. 82, tav. LXI, 4; Barreca 1986, p. 240, fig. 219, terzo in alto da destra. 326 Bartoloni 1973, p. 200, nn. 83-84, tav. LXI, 12 e LXII, 9. 327 Ibidem, pp. 200-201, nn. 85-88, tav. LXII, 1-2, 10 e 14, solo la prima provvista di battaglio e anello di

sospensione. 328 Ib., p. 201, nn. 89-92, tav. LXII, 7 e LXIII, 1, 3-4. 329 Ib., p. 202, nn. 96-107, tav. LXIII, 2. 330 Ib., p. 202, nn. 108-120, tav. LXIII, 7-8. 331 Ib., p. 202, nn. 121-122, tav. LXIII, 5-6.

Page 42: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 42 -

scarabeo in diaspro verde incompleto con sistro hathorico con corona di disco e urei e

affiancato da urei discofori alla base332;

scarabeo in diaspro verde incompleto con testa di negro di profilo333;

scarabeo in diaspro verde incompleto con parte posteriore di leone accovacciato a

lettura orizzontale334;

frammento di scarabeo in diaspro verde335;

Scavi più recenti effettuati negli anni 1995 e 1998 hanno portato un’ulteriore

importante contributo alla conoscenza degli oggetti di ornamento deposti insieme alle

ceneri nelle urne del tophet336. La datazione delle urne in questo settore del tophet è

compresa indicativamente tra l’ultimo quarto del VII e fine del VI secolo337.

Le urne dei quadranti B-D 5-11, scavati nel 1995, hanno restituito i seguenti

corredi:

Urna 3338:

scoria di piombo339.

Urna 38:

orecchino in due frammenti di bronzo340.

Urna 45:

4 vaghi in pasta vitrea341.

Urna 48:

Vago anulare in corniola342.

Urna 50:

20 frammenti in bronzo pertinenti ad almeno 4 bracciali;

332 Ib., p. 202, n. 123, tav. LXIII, 9; Hölbl 1986, p. 314, n. 171, tav. CLIV, 2; CPSC, n. 1/8. 333 Bartoloni 1973, pp. 202-203, n. 124, tav. LXIII, 10; CPSC, n. 36/24. 334 Bartoloni 1973, p. 203, n. 125, tav. LXIII, 11, vi legge una sfinge; CPSC, n. 38/29. 335 Bartoloni 1973, p. 203, n. 126, tav. LXIII, 12. 336 Ringrazio la dott.ssa Ilaria Montis per avermi messo a disposizione una copia dell’articolo che, nel momento

in cui si scrive, è ancora inedito: Montis 2005. 337 Montis 2003. 338 Si intendano i numeri progressivi, che individuano l’urna in Montis 2005, sempre preceduti dalla sigla

SATH/U-. 339 Ibidem, n. 1, tav. II. Per l’interpretazione di materiali di questo tipo a Mozia v. Ciasca 1992, p. 143, la quale

proponeva l’appartenenza a pendenti in questo poco nobile metallo, liquefatto per l’esposizione all’olocausto funebre.

340 Montis 2005, n. 2, tav. II. 341 Ibidem, n. 3, tav. II. 342 Ib., n. 4, tav. II.

Page 43: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 43 -

astuccio porta amuleti, a testa piatta con appiccagnolo ad anello ed estremità inferiore

arrotondata, in bronzo;

3 vaghi in steatite;

orecchino con corpo a sanguisuga in oro;

piccola sfera d’argento;

2 amuleti non identificati343.

Urna 67:

vago anulare in materiale non identificato344.

Urna 82:

scoria di piombo345.

Urna 86:

vago anulare in materiale non identificato346;

anello crinale in bronzo347.

Urna 93:

scoria di piombo348.

Urna 121:

orecchino ad arco ingrossato in bronzo;

9 vaghi in pasta vitrea349.

Urna 145:

amuleto non identificato in 4 frammenti350;

2 frammenti di verga in bronzo351;

2 vaghi in pasta vitrea352.

343 Ib., nn. 4-11, tav. III. 344 Ib., n. 12, tav. II, baccellato. Da quanto è possibile apprendere dall’immagine, questo vago presenta una forte

analogia con quelle che dovrebbero essere le anime dei vaghi in lamina aurea decorata a reticolo. Diversi esemplari di questo tipo sono presenti nel nostro catalogo (v. § 3, nn. 10-11, 53), le cui dimensioni sono tuttavia di circa tre volte maggiori (12 mm contro i 4 del presente vago), rispettando così una, già rilevata e costante, differenza tra i gioielli del tophet e quelli destinati ai defunti delle necropoli.

345 Ib., n. 13, tav. II. Cfr. quanto proposto supra a nota 339 per il n. 1. 346 Ib., n. 14, tav. II. Analogo al n. 12 anche per dimensioni (Ø 4 mm) (cfr. quanto proposto supra a nota 344) ma

differisce leggermente per la decorazione: qui la baccellatura sembra essere costituita da solchi più ravvicinati.

347 Ib., n. 15, tav. II. 348 Ib., n. 16, tav. IV. Cfr. quanto proposto supra a nota 339 per il n. 1. 349 Ib., nn. 17-18, tav. II. 350 Ib., n. 19, tav. IV, forse un pateco. 351 Ib., n. 20, tav. IV, forse appartenenti ad un anello crinale. 352 Ib., n. 21, tav. IV.

Page 44: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 44 -

Urna 159:

vago in pasta vitrea353.

Urna 175:

9 vaghi, di cui uno in bronzo e i restanti in pasta vitrea354.

Urna 190:

orecchino ellittico ad arco ingrossato in argento;

amuleto udjat in steatite;

testa silenica in pasta;

pendente discoidale umbonato e margini rilevati in argento;

Cypraea Lurida;

Thoeris priva della testa in faïence;

Khonsu in faïence;

33 vaghi, di cui 5 bianchi in pasta vitrea, 15 piccoli e neri in vetro, 1 cubico in pasta

vitrea turchese, 1 con decorazione a quattro occhi e 1 in bronzo355.

Urna 200:

7 vaghi a forma di stella a quattro punte in argento;

2 vaghi in pasta vitrea356.

Urna 213:

Cypraea Lurida;

vago in bronzo357.

Urna 225:

2 vaghi in pasta vitrea, di cui uno discoidale;

anello crinale in bronzo;

2 teste sileniche in faïence;

piccola sfera d’argento358.

353 Ib., n. 22, tav. IV. 354 Ib., n. 23, tav. IV. 355 Ib., nn. 24-31, tav. V. 356 Ib., n. 32, tav. IV. Vaghi di forma stellare sono già noti dal tophet di Mozia, ma in terracotta e sia nella

variante a quattro che in quella a tre punte: Ciasca 1992, p. 143; sette in lamina d’oro, provenienti da Ibiza, sono anche conservati al Museo Arqueologico Nacional di Madrid, a quattro punte ma leggermente più grandi di quelli sulcitani e per i quali è proposta la funzione di adorno di indumenti o copricapi: San Nicolás Pedraz 1984, p. 30, fig. 7; Almagro Gorbea 1986, n. 179, p. 166, tav. LX. È da notare come gli oggetti riprodotti nell’immagine presentino due o tre fori al centro, mentre i nostri ne hanno uno solo.

357 Montis 2005, nn. 33-34, tav. VI. 358 Montis 2005, nn. 35-39, tav. VI.

Page 45: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 45 -

Urna 230:

4 vaghi in pasta vitrea bianca e azzurra;

anello crinale in bronzo359.

Urna 239:

4 vaghi, di cui 3 in pasta vitrea e uno in steatite;

pateco in pasta di tipo stilizzato con quattro fori ai lati del collo e delle gambe;

orecchino ad arco ingrossato in bronzo;

2 frammenti di verga in piombo360.

Gli scavi eseguiti nel 1998, che hanno interessato i quadrati del settore E, hanno

restituito i seguenti corredi:

Urna 265:

2 vaghi in pasta vitrea;

frammento di vago discoidale con 6 cerchi disposti a raggiera intorno ad uno centrale

in pasta vitrea361.

Urna 278:

vago in pasta vitrea362.

Urna 287:

2 vaghi in pasta vitrea di cui uno rosso363.

Urna 288:

Bes364.

Urna 289:

anello a sezione circolare in bronzo;

Cypraea Lurida365.

Urna 292:

anello crinale a spirale multipla in argento;

vago in steatite;

359 Ibidem, nn. 40-41, tav. VI. 360 Ib., nn. 42-45, tav. VII. 361 Ib., nn. 46-47, tav. VII. 362 Ib., n. 48, tav. VI. 363 Ib., n. 49, tav. VII. 364 Ib., n. 50, tav. VI. 365 Ib., nn. 51-52, tav. VII.

Page 46: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 46 -

frammenti di verghe di bronzo pertinenti ad almeno 3 bracciali;

due frammenti di 1 orecchino o anello in bronzo366.

Purtroppo privi dell’associazione con l’urna sono i seguenti oggetti:

2 teste sileniche in faïence;

vago in materiale non identificato;

pendente ad arco centinato con decoro geometrico in argento;

2 vaghi cubici in pasta vitrea turchese367.

Gli ultimi due gruppi di materiali sin qui elencati costituisce il lotto più numeroso di

gioielli e amuleti provenienti da un tophet che sia stato edito sinora. L’unico che

permetta perciò di stabilire delle relazioni e delle differenze con i materiali provenienti

dalla necropoli dello stesso centro. In primo luogo sorprende la notevole varietà di

tipologie, all’interno di ciascuna classe di materiali e nei confronti dei materiali già

noti nel resto del mondo punico. In questa varietà P. Bartoloni vi ha riconosciuto

giustamente la “testimonianza di un artigianato non chiuso da criteri informativi

standardizzati e non limitato ad una vieta e pedissequa esecuzione di copie”368, ma non

va sottovalutato il fatto che ci troviamo di fronte a reperti per la maggior parte privi di

una benché minima possibilità di datazione, anche a ragione di quanto detto pocanzi:

difficile stabilire datazioni su base stilistica quando la produzione non è standardizzata

e non riconosca quella impostazione che della stessa analisi stilistica è necessario

presupposto. Ma considerato il lungo periodo di vita del santuario sulcitano (dalla

fondazione nell’VIII secolo all’età romana repubblicana369) non dovrebbe sorprendere

di potervi ritrovare nei suoi corredi oggetti di svariate tipologie370. Questo vale di

sicuro almeno per gli oggetti dell’edizione del 1973, mentre il lotto tuttora inedito

degli scavi degli anni 1995 e 1998, ha fornito un quadro abbastanza preciso: tra gli

amuleti spicca l’alta percentuale di teste sileniche (5 su 13) a conforto della

366 Ib., nn. 53-56, tav. VIII. 367 Ib., nn. 58-62, tav. VIII. 368 Bartoloni 1973, p. 183. 369 Sulcis 1989, pp. 52-53. 370 Sulla presenza di tipologie riscontrate nel tophet di Sulcis ma non negli altri v. Ferrari 1994, p. 87.

Page 47: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 47 -

destinazione infantile, anche se di sicuro non esclusiva, di questa tipologia371. Questo

dato, già evidente nel 1973, ha portato lo stesso Bartoloni a considerare il tipo come

elemento distintivo del tophet372, considerazione che almeno a Sulcis trova conferma

dalla totale assenza della testa silenica tra gli amuleti della necropoli373. Anche la

frequenza della Cypraea Lurida374, conchiglia la cui forma ricorda il genitale

femminile, e per questo destinataria di interesse in numerose culture primitive375, è un

evento da non sottovalutare e forse da ricollegare a quel “gusto e […] sensibilità più

popolaresche e più immediate”376 che trovano nel santuario di Sulcis pieno

compimento. Ulteriore elemento distintivo del tophet è la dimensione dei gioielli: la

sensibile riduzione può essere traccia della pertinenza a individui di piccola taglia,

bambini per l’appunto, secondo una prassi documentata anche in ambito tombale377.

Ancora un tratto costitutivo del tophet in generale, che raramente è stato preso in

considerazione378 e al quale daremo il giusto risalto nel capitolo dedicato agli aspetti

funzionali degli athyrmata, è la presenza degli scarabei, ma soprattutto per quanto

riguarda Sulcis la qualità di questa presenza. Da quanto si può evincere dai resoconti

di scavo e dalle sintesi riguardanti i tophet, sorprende la totale assenza di questo tipo di

amuleto nei santuari, cosicché il cattivo stato di conservazione dei quattro scarabei in

diaspro di Sulcis potrebbe essere stato intenzionale e per motivazioni di tipo rituale. A

conforto della nostra ipotesi è il fatto che lo scarabeo edito dall’Hölbl come

probabilmente proveniente dal tophet sia anch’esso scheggiato379.

In margine all’elenco dei materiali provenienti dal tophet aggiungiamo quello degli

amuleti appartenenti alla collezione privata di proprietà di Emanuele Lai di

371 Ferrari 1994, pp. 83, 89-90; Montis 2005; vedi anche la presenza in contesti tombali infantili a Monte Sirai:

Bartoloni 1987b, pp. 154-155, tav. II, b e c (tomba 54, datata tra la fine del VII e gli inizi del VI secolo); Campanella, Martini 2000, nn. 11-12, 15, pp. 47, 54 (tomba 103, datata al secondo quarto del VI secolo).

372 Bartoloni 1993b, p. 156. 373 Non va tuttavia dimenticato lo scarto cronologico di tali attestazioni e silenzi: le teste sileniche sinora note e

datate provenienti da tophet appartengono alla fase arcaica (VIII-VI secolo: Ferrari 1994, p. 83), mentre la necropoli punica di Sulcis inizia ad essere utilizzata solo dalla fine del VI secolo.

374 12 esemplari provengono dai vecchi scavi e solo 3 da quelli nuovi. 375 Bartoloni 1973, p. 185, nota 23, con bibliografia. 376 Ibidem, p. 183. 377 Campanella, Martini 2000, p. 50. Per le dimensioni correlate a quelle del possessore: Bénichou-Safar 2004, p.

54, tav. XXXIII, 3; Montis 2005. 378 Martini 2004, p. 77; Montis 2005. 379 Hölbl 1986, p. 300, n. 120, tav. CLIV, 1. Cfr. supra nota 189.

Page 48: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 48 -

Sant’Antioco, per i quali si è proposta una provenienza analoga a quella degli oggetti

che precedono380. Alla collezione appartengono i seguenti amuleti:

8 pateci senza attributi381;

40 pateci con attributi, di cui 7 con Iside pterofora sul retro382, e 37 del tipo

dall’estrema schematizzazione383;

Horus-Ra gradiente a testa di falco384;

figura e protome di Bes coronato385;

4 Thot386;

2 divinità criocefale (Khnum-Ra)387;

Anubis388;

Sekhmet389;

3 amuleti a forma di Iside, di cui due stanti e una seduta kourotrophia390;

Shu391;

5 divinità antropomorfe stanti o gradienti non identificate392;

45 udjat, di cui quattro nella variante incisa e a traforo393, uno di lodevole qualità con

ureo sotto la pupilla394, due con i tratti incisi su un solo lato395 ed i restanti a semplice

380 Martini 2004. Sui modi di recente rinvenimento della collezione e sui motivi per cui si ritiene fosse composta

di reperti originariamente dal tophet v. p. 7. 381 Ibidem, nn. 1-8, pp. 22, 85-86, tav. I, a tutto il gruppo viene proposta una datazione di poco posteriore agli

inizi del IV secolo (p. 22). 382 Ib., nn. 9-15, pp. 23-24, 86-87, tavv. II-III. Per il n. 13 un confronto ibicenco fornisce la datazione alla fine

del V secolo (p. 24). 383 Ib., nn. 16-48, pp. 24-25, 87-92, tavv. III-V. 384 Ib., nn. 49-62, pp. 25-27, 92-94, tavv. V-VIII. Come limiti per la datazione del gruppo viene fornito il VI-V

secolo del n. 49, considerato di fattura egiziana, ed il secondo quarto del IV – fine del III secolo per quelli di fattura occidentale più schematica (p. 27).

385 Ib., nn. 63-64, pp. 27-30, 94-95, tav. VIII. Mentre per il primo la schematizzazione giustifica una datazione bassa, per il n. 64 è l’analisi stilistica che individua influssi della corrente “ellenizzante” punica per i quali si propone una datazione analoga a IV-III secolo (p. 30).

386 Ib., nn. 65-68, pp. 30-31, 95, tavv. VIII-IX. 387 Ib., nn. 69-70, pp. 31-33, 95-96, tav. IX. 388 Ib., n. 71, pp. 33-34, 96, tav. IX. 389 Ib., n. 72, pp. 34-35, 96, tav. IX. 390 Ib., nn. 73-75, pp. 34-38, 96-97, tav. X. 391 Ib., n. 76, pp. 38-39, 97, tav. X. 392 Ib., nn. 77-81, pp. 39, 97-98, tav. X. 393 Ib., nn. 82-85, pp. 41-42, 98, tav. XII, il n. 85 legato ad un piccolo bracciale d’argento per supposta

sottoposizione al fuoco incineratorio (p. 41). 394 Ib., n. 87, pp. 42, 98-99, tav. XII, che trova puntuale confronto in due amuleti del Museo di Cagliari: Acquaro

1977b, nn. 402-403, tav. XVI. 395 Martini 2004, nn. 118-119, pp. 43, 103, tav. XVII.

Page 49: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 49 -

incisione quando apprezzabile per lo più di bassa qualità o in cattivo stato di

conservazione396;

4 amuleti cordiformi in quattro diversi materiali: pasta di talco, osso, pasta vitrea e

vetro397;

“mano che fa le fiche” in osso398;

corona dell’alto Egitto399;

cinocefalo in trono400;

4 arieti accovacciati, di cui due dalla resa naturalistica e due schematica401;

bovide402;

10 amuleti rappresentanti il gatto/Bastet403;

4 amuleti del tipo della scrofa che allatta i piccoli404;

4 Thoeris, di cui due del tipo con corona405;

11 falconi406;

Ibis davanti alla piuma shu407;

2 urei408;

3 astucci porta-amuleti in osso e avorio409;

4 “simboli di Tanit” in osso410;

6 amuleti in forma di anforetta o piccolo vaso411;

396 Ibidem, nn. 86, 88-117, 120-124, pp. 42-43, 98-104, tavv. XII-XVII. Lo stato di conservazione richiama

“evidenti tracce di combustione” (p. 42). 397 Ib., nn. 127-130, pp. 44, 104-105, tav. XVIII. 398 Ib., n. 131, pp. 45, 105, non fornisce immagini ma assicura la somiglianza con Bartoloni 1973, nn. 1-2, p.

186, tav. LVI. 399 Martini 2004, n. 132. pp. 45-46, 105, tav. XVIII. 400 Ibidem, n. 133, pp. 47, 105-106, tav. XVIII. 401 Ib., nn. 134-137, pp. 48, 106, tav. XIX, i primi due in pasta di talco e i secondi in pasta silicea (p. 106). 402 Ib., n. 138, pp. 49-50, 106, tav. XIX, per il quale l’autrice propone una datazione a IV-III secolo (p. 50). 403 Ib., nn. 139-148, pp. 50-52, 106-108, tavv. XX-XXII. 404 Ib., nn. 149-152, pp. 53-54, 108, tav. XXII, per la resa schematica e sommaria dei dettagli propone una

datazione a fine IV – inizi III secolo. 405 Ib., nn. 153-156, pp. 55-56, 109, tavv. XXII-XXIII, i primi due con corona, per il n. 156, per il confronto con

simili amuleti cartaginese e cagliaritani, l’autrice propone una datazione a IV-III secolo (p. 56). 406 Ib., nn. 157-167, pp. 57-58, 109-111, tavv. XXIII-XXIV, per il gruppo viene proposta una datazione alla

prima metà del IV secolo, ad eccezione dei nn. 164-167 per i quali pare più opportuna una datazione a fine IV – inizi III secolo (p. 58). L’amuleto rappresentato con il n. 158 appare più vicino al gatto per la forma del corpo, attribuzione non inverosimile data la mancata conservazione della testa.

407 Ib., n. 168, pp. 59, 111, tav. XXIV, l’attribuzione trova conforto, nonostante lo stato lacunoso dell’oggetto, in un amuleto conservato al Museo di Cagliari (Acquaro 1977b, n. 1239, tav. LX). Al di là di questi due esemplari il tipo risulta assente tra gli amuleti sardo-punici.

408 Ib., nn. 169-170, pp. 59-60, 111, tav. XXIV. 409 Ib., nn. 171-173, pp. 61, 111-112, tav. XXV, il n. 172 in avorio. 410 Ib., nn. 174-176, pp. 63, 112, tav. XXV.

Page 50: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 50 -

9 cippi steliformi in osso412;

17 amuleti a forma di ghianda, di cui 5 in avorio ed i restanti in osso413;

14 esemplari di Cypraea Lurida414;

5 denti di ovino415;

3 frammenti amorfi416.

Alla collezione appartengono anche numerosi vaghi in pasta vitrea, bottoni in

osso, campanellini in bronzo, bracciali in argento e fibbie in bronzo, in parte già

studiati e in corso di pubblicazione417. Anche la tipologia di questi ultimi materiali

rende plausibile la provenienza dell’intero lotto dal tophet, ma sorprende tuttavia come

il gruppo sinora edito si riveli omogeneo ai fini di una datazione al IV - inizio del III

secolo418. Tenuto conto di questa datazione il dato delle tipologie riscontrate e

confrontate con quelle degli scavi 1995 e 1998, che hanno fornito corredi databili al

periodi arcaico, si presta ad alcune considerazioni. La tipologia della testa di sileno,

per la quale avevamo proposto una maggiore frequenza nel periodo arcaico non è

attestata nella collezione Lai, mentre lo sono maggiormente il pateco, con o senza

attributi, e l’udjat che raramente si incontrano in età arcaica. Anche se ciò non

permette di comprendere a fondo il valore e significato di questi oggetti, questo è

senz’altro segno che il passare de tempo e della storia abbia ripercussioni anche sulla

fruizione di questa categoria artigianale e che l’accettazione dei suoi prodotti non sia

nel complesso acritica.

411 Ib., nn. 178-183, pp. 64-65, 112-113, tav. XXVI. La proposta dell’autrice coinvolge altri amuleti in un

problema definitorio, per cui amuleti in pasta vitrea avrebbero aspetto maggiormente simile ad una mammella o una ghianda, mentre quelli in osso o in metallo (interessando così anche analoghi prodotti di oreficeria) sarebbero più simili ad un piccolo vaso: v. ad es. Bartoloni 1973, n. 80 (cfr. supra nota 322), repertoriato come ghianda).

412 Martini 2004, nn. 184-192, pp. 66, 113-115, tav. XXVI-XXVII. L’ambito cronologico per questa tipologia è esclusivamente punico con attardamento in età romana (V-II secolo) e, nonostante la mancanza di differenziazioni regionali, viene indicata la maggior rappresentatività di questa proprio a Sulcis, che il materiale stesso concorrerebbe ad indicare come luogo della sua produzione (p. 66).

413 Ibidem, nn. 193-209 (di cui i nn. 193-194, 200, 203, 208 in avorio), pp. 67-68, 115-117, tavv. XXVII-XIX. Anche per questi oggetti è proposta una cronologia tarda (p. 67) e la produzione in loco (p. 68).

414 Ib., nn. 210-223, pp. 69-70, 117-118, tav. XXIX, di cui otto (nn. 210-217) integri ed i restanti dal dorso asportato forse perché aderisse meglio al corpo quando indossati (p. 69).

415 Ib., nn. 224-228, pp. 70, 119, tav. XXX, con foro di sospensione attraverso la radice. 416 Ib., nn. 229-231, pp. 70, 119-120. 417 Ib., p. 7, nota 1, i bottoni e i vaghi in pasta vitrea sono in corso di pubblicazione a cura di Stefania Poveromo,

mentre i restanti materiali sono in corso di studio da parte di Francesca Ricci. 418 Ib., p. 79.

Page 51: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 51 -

Ancora limitatamente agli amuleti è possibile operare dei confronti sulla

frequenza delle tipologie presenti nel tophet e nella necropoli, che presentiamo stavolta

sotto forma di grafico419.

I due grafici relativi alle frequenze amuletiche nei due diversi contesti offrono

una visione sinottica delle singole tipologie, quadro che proponiamo come esempio di

come in futuro l’indagine possa essere condotta ed il dato quantificato. Sono state

epurate dall’elenco quelle tipologie che non hanno fornito almeno due esemplari, in

rispetto ad una necessità di economia di spazio, ed in taluni casi si è forzata la lettura

di amuleti non completamente comprensibili, o che non trovano puntuali confronti, per

farli rientrare in una determinata tipologia.

Per quanto riguarda il proposito di come una dettagliata quantificazione dei

materiali dovrebbe essere compilata sarà necessario fare alcune annotazioni. In primo

luogo si dovrà rivolgere puntuale attenzione anche ai gioielli: sebbene in questa sede

verrà tentata una sintesi della situazione inerente questa categoria artigianale, il dato si

presenta al momento in evidente incompletezza e lo stato di conservazione, sovente

disastroso, dei gioielli del tophet quasi mai consente un preciso riconoscimento

tipologico. In secondo luogo il quadro qui proposto è del tutto svincolato dalle

possibili, e di sicuro esistenti, articolazioni diacroniche, così da apparire in sincronia

l’intero contesto produttivo e delle credenze magico-religiose di un centro abitativo o

santuariale come quelli di Sulcis. I due grafici insomma sono qui presentati in maniera

leggermente più dettagliata, ma con lo stesso intento, di analoghi che accompagnano

alcune edizioni di amuleti conservati in collezioni museali420.

419 V. Grafici 1-2 in Appendice. 420 Per il Museo Archeologico Nazionale di Cagliari: Acquaro, Tore 1989, p. 145; per gli amuleti di Tharros

conservati al British Museum: Mendleson 1987, p. 109; per quelli delle collezioni spagnole: Fernandez, Padró 1986, pp. 91-100.

Page 52: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 52 -

Page 53: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

3. CATALOGO

3.1. TOMBA 1 PGM BLV

La tomba 1 PGM BLV di Via Belvedere è la più antica tomba a camera rinvenuta

sinora a Sant’Antioco. Il pessimo stato di conservazione non ha permesso di

riconoscere tutte le deposizioni e le relative associazioni con il corredo. Tuttavia deve

aver contenuto almeno 3 o 4 inumati e la posizione dei monili in fondo alla camera

potrebbe indicare la loro appartenenza alla fase più antica di utilizzo tra 500 e 480 a.C.

La ceramica indica invece una continuità di utilizzo della sepoltura ancora nel

ventennio successivo422.

1. non inventariato (giornale di scavo n. 39).

Deposizione 1.

Vetro blu. Fusione. Integra, iridescenza e perdita del colore superficiale su un lato. Ø 81 mm, sezione Ø 6,5 mm.

Armilla circolare costituita da una barra a sezione circolare, aperta alle estremità con intervallo di 24 mm.

(1:2)

- 53 -422 Bernardini c.p.

Page 54: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

2. non inventariato (giornale di scavo n. 70).

Deposizione 2.

Oro e forse bronzo. Laminazione e trafilatura. In tre frammenti, fortemente ossidato, aperto e con depositi.

Lungh. ricostruita 87 mm, largh. massima 24 mm, Ø della sezione superstite nel punto di massimo ingrossamento 2,5 mm, Ø alle estremità 1 mm.

Orecchino di forma ellittica allargata e corpo ingrossato in basso, costituito da una barretta a sezione circolare. Aperto su di un lato per l’inserzione nel lobo.

(1:1)

3. non inventariato (giornale di scavo n. 84).

Deposizione non nota.

Argento. Fusione. Incompleto, ossidato e corroso, presenti gli attacchi delle estremità del corpo dell’anello.

Lungh. 21 mm, largh. 7 mm, spessore al centro 2,5 mm, distanza tra gli attacchi del corpo dell’anello 9 mm.

Castone ellittico di anello in argento, probabilmente in origine del n. 4.

(2:1)

- 54 -

Page 55: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

4. non inventariato (giornale di scavo n. 25).

Deposizione non nota.

Argento. Fusione. Incompleto, ossidato e corroso, una estremità assottigliata, l’altra con bozzo.

Ø 30 mm, Ø della sezione nel punto mediano del corpo 6 mm.

Grande anello digitale in argento con corpo leggermente ingrossato, costituito da una barretta a sezione circolare. Era forse completato dal castone n. 3. (2:1)

5. non inventariato (giornale di scavo n. 74).

Deposizione 2.

Argento. Fusione. In due frammenti, incompleto, ossidato, corroso e con depositi, una estremità con bozzo.

Ø 20 mm, Ø della sezione 2/5 mm.

Anello in argento con corpo leggermente ingrossato costituito da una barretta a sezione circolare. (2:1)

- 55 -

Page 56: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

6. non inventariato (giornale di scavo n. 75).

Deposizione non nota.

Argento. Fusione. Incompleto, leggermente ossidato e superficie leggermente ondulata.

Lungh. della corda 21 mm, Ø della sezione nel punto di massimo ingrossamento 5 mm.

Frammento di anello a corpo ingrossato costituito da una barretta a sezione circolare.

(2:1)

7. non inventariato (giornale di scavo n. 77).

Deposizione non nota.

Oro. Laminazione, filigrana e granulazione. Integro.

Lungh. 15, largh. 9 mm, spessore 1 mm. Appiccagnolo: largh. 3 mm, Ø 2 mm.

Pendente di forma rettangolare con parte superiore ad arco centinato decorato su di un lato da una losanga costituita da nove granuli al centro e da sei triangoli di sei granuli, ciascuno con vertice verso il centro e base poggiante sulla cornice, quest’ultima costituita da due file di granuli intervallate da un sottile filo d’oro. L’altro lato è liscio e privo di decorazione. Appiccagnolo costituito da un rocchetto composto da un sottile filo d’oro che si avvolge a spirale per sette giri.

(2:1)

- 56 -

Page 57: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

8. non inventariato (giornale di scavo n. 82).

Deposizione non nota.

Oro. Laminazione a sbalzo, granulazione. Integro, leggermente deformato e consunto.

Lungh. 12 mm, largh. 9,5 mm, spessore 1 mm. Appiccagnolo: largh. 5 mm, Ø alle estremità 3 mm.

Pendente circolare decorato su due lati da un crescente lunare con corna verso il basso sopra disco solare. I contorni dei due astri sono evidenziati da una fila di granuli eccetto il margine inferiore di un solo lato. Il campo interno del disco solare invece doveva essere originariamente in rilievo: convesso su di un lato e concavo sull’altro. La raffigurazione su questo lato è leggermente obliqua. Appiccagnolo costituito da un rocchetto composto da otto cerchi di sottile filo d’oro, completato alle estremità da una vera di cinque piccole sfere d’oro rimartellate e schiacciate all’esterno.

(2:1)

9. non inventariato (giornale di scavo n. 86).

Deposizione non nota.

Elettro?. Laminazione a sbalzo, granulazione. Integro, leggermente deformato, incrostazioni di ossidazione.

Lungh. 10 mm, largh. 9, spessore 1 mm. Appiccagnolo: largh. 4 mm, Ø alle estremità 4 mm.

Pendente discoide come n. 8, ma di esecuzione più precisa. Crescente e disco solare in asse su tutti e due i lati e completamente marginati da una fila di granuli. Il campo del disco solare, anch’esso originariamente in rilievo, è rientrato e appiattito. Nel complesso l’aspetto discoide è fornito dai corni del crescente aggettanti rispetto al profilo del disco solare. Diverso è l’appiccagnolo: più stretto e costituito da un rocchetto composto da 5 cerchi saldati tra loro e completati alle estremità da due anelli più larghi a sezione quadrata.

(2:1)

- 57 -

Page 58: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 58 -

10. non inventariato (giornale di scavo n. 69).

Deposizione 1.

Oro. Laminazione a sbalzo, incisione. Leggermente deformato.

Ø 12 mm, largh. 8 mm.

Vago di collana di forma sferica schiacciata in lamina d’oro decorata da linee parallele incrociate a reticolo. Queste ricoprono la gran parte della superficie senza raggiungere i bordi del foro di sospensione.

(2:1)

11 (a-g). non inventariato (giornale di scavo n. 85).

Deposizione non nota.

Oro. Laminatura a sbalzo, incisione. Alcuni deformati e aperti.

Ø 11/12 mm, largh. 7/9 mm.

Sette vaghi di collana di forma sferica schiacciata in lamina d’oro come il n. 10 ma decorati da linee parallele incrociate a reticolo a maglie più larghe. La decorazione inoltre copre tutta la superficie del vago sino ai bordi del foro di sospensione.

(1:1)

Dettaglio (11 f) (2:1)

Page 59: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

12 (a-e). non inventariato (giornale di scavo n. 73).

Deposizione 2.

Oro, pasta vitrea. Laminazione e trafilatura (anello), fusione (vaghi). Integri, iridescenza (vaghi).

(2:1)

Anello: Ø 8 mm, largh. 2,5, spessore 1 mm. Vaghi: Ø 7/8 mm.

Cinque elementi di collana di cui un anellino in oro costituito da una barretta a sezione a D e quattro vaghi in pasta vitrea celeste, bianco e madreperla con decorazione a occhi: otto occhi su un esemplare e sette sugli altri tre. L’anellino era forse elemento di separazione.

13. non inventariato (giornale di scavo n. 78).

Deposizione non nota.

Argento. Fusione. Ossidato e corroso.

Ø 6 mm, Ø del foro 3 mm.

Anellino in argento a sezione piatta dalla superficie molto frastagliata, era forse completamento di un altro gioiello.

(2:1)

- 59 -

Page 60: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

14 (a-s). non inventariato (giornale di scavo n. 83).

Deposizione non nota.

Osso, corniola, pietra, ambra e pasta vitrea. Intaglio (osso, corniola, pietra e ambra), fusione su barra (pasta vitrea). Integri ma consunti.

Diciannove vaghi di collana di diverse materie, forma e dimensioni: a-b, q-r: in osso cilindrici (Ø 7/8 mm, lungh. 9 mm); c, p: in pietra sferici (Ø 5 e 8 mm); d-e, h-o: dieci in pasta vitrea sferici più o meno schiacciati di cui: d, i-j, l-o: sette (Ø 7/9 mm) bianchi e celeste iridescente con decorazione “a occhi” (uno a 5, uno a 6, uno a 7 e quattro a ad 8 occhi); k: uno celeste iridescente senza decorazione; e, h: in pasta silicea bianco, azzurro e celeste, sferici più o meno schiacciati entrambi a 7 occhi (Ø 10 e 13 mm); f: cubico in pasta silicea celeste (6 mm per lato); g: a barilotto in corniola (Ø 10 mm, lungh. 9); s: frammento di vago a barilotto in ambra (lungh. 9 mm).

(1:1)

- 60 -

Page 61: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

15. non inventariato (giornale di scavo n. 80).

Tomba 1 BLV PGM. Deposizione non nota.

Osso. Intaglio. Incompleto.

Lungh. 31 mm, largh. 24 mm, spessore 6 mm.

Amuleto a forma di mano distesa. Risulta mutilo della parte inferiore conservando almeno un terzo delle dita e il pollice sino all’unghia ma privo dell’attacco alla mano, e della parte superiore ovvero della metà del dorso comprensivo del polso in cui in analoghi amuleti è situato il foro di sospensione. La realizzazione è a tutto tondo ma solo il lato dorsale è intagliato mentre quello relativo al palmo è piatto. (1:1)

16. non inventariato (giornale di scavo n. 79).

Deposizione non nota, rinvenuto dentro la lucerna n. 49 del giornale di scavo.

Faïence o steatite. Modellazione o intaglio. Abraso.

Lungh. 13 mm, largh. 11 mm, spessore 8 mm.

Scarabeo totalmente illeggibile nel dorso. Su di uno dei fianchi si nota un alta base e una zampa. Labili tracce di raffigurazione a lettura orizzontale sulla base sembrano riferirsi ad un leone o una sfinge accovacciata e rivolta a destra. La rappresentazione è completata da esergo in basso e cornice a linea semplice lungo il bordo.

(2:1)

- 61 -

Page 62: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

17 (a-k). non inventariato (giornale di scavo n. 76).

Deposizione non nota.

Osso. Intaglio, levigatura e foratura. Integri.

Ø 11/13 mm, spessore 5/6 mm, Ø foro 4/5 mm.

Undici borchie piano-convesse con foro non passante alla base, eccetto che su un esemplare (j).

(1:1)

- 62 -

Page 63: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

18 (a-s). non inventariato (giornale di scavo nn. 71-72).

Deposizione 2.

Bronzo. Fusione. Ossidati, incompleti e in frammenti.

Occhielli: Ø 19,5/20,5 mm, fili: Ø sezione 7 mm circa.

Diciannove frammenti di strumenti in bronzo, di cui tre occhielli di coppiglia a sezione circolare e corpo ingrossato (a-c).

(1:1)

- 63 -

Page 64: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

19 (a-j). non inventariato (giornale di scavo n. 81).

Deposizione non nota.

Bronzo. Fusione. Ossidati, incompleti e in frammenti.

Occhielli:Ø 20 mm, fili:Ø sezione 5 mm. Chiodo: testa Ø 16 mm, corpo Ø sezione 5 mm, lungh. 24 mm.

Dieci frammenti di strumenti in bronzo, di cui un chiodo con testa a fungo (a) e due occhielli di coppiglia a sezione circolare e corpo ingrossato analoghi ai precedenti (b-c).

(1:1)

20. non inventariato (giornale di scavo n. 83).

Deposizione non nota.

Ocra rossa.

Quattro grumi di ocra di piccole dimensioni e dalla consistenza compatta.

(1:1)

- 64 -

Page 65: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

3.2. TOMBA 5 PGM

Tomba a camera unica423 in uso nei decenni compresi tra 480 e 450 a.C. circa. Gli

ornamenti appartenevano a due delle tre deposizioni ospitate al suo interno: il vago di

collana n. 22, rinvenuto presso la seconda deposizione, probabilmente apparteneva in

origine alla prima.

21 (a-c). non inventariato.

Deposizione 1.

Pasta vitrea. Fusione su barra. Integri.

Ø 11 mm, 8 mm, 8 mm.

Tre vaghi di collana sferici di cui due in pasta vitrea azzurra, blu e bianca con decorazione “a occhi” (entrambi a sette occhi) (a, c), e uno giallo, bianco e bruno iridescente decorato ad 8 occhi (b).

(2:1)

22. non inventariato.

Deposizione 2.

Pasta vitrea. Fusione su barra. Integro.

Ø 11,5 mm.

Vago sferico in pasta vitrea azzurra, blu e bianca con decorazione a 7 occhi.

(2:1)

423 Notizia preliminare in Bernardini 2004, p. 144.

- 65 -

Page 66: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

23. non inventariato.

Deposizione 1.

Faïence smaltata e dipinta di verde. Perso il colore verde, alcune crepe.

Altezza 13 mm, largh. 10 mm, spessore 5 mm.

Amuleto in forma di ureo su base con un foro di sospensione dietro il capo.

(2:1)

24. non inventariato.

Deposizione 1.

Faïence smaltata e dipinta di verde. Perso il colore verde, alcune crepe.

Altezza 14,5 mm, largh. 9 mm, spessore 4 mm.

Amuleto in forma di ureo su base con un foro di sospensione appena sopra il collo dell’animale.

(2:1)

- 66 -

Page 67: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

25. non inventariato.

Deposizione 1.

Faïence smaltata e dipinta di verde. Perso il colore verde.

Altezza 13,5 mm, largh. 10 mm, spessore 4 mm.

Amuleto in forma di ureo su base con un foro di sospensione alla seconda spirale.

(2:1)

26. non inventariato.

Deposizione 1.

Faïence smaltata e dipinta di verde. Perso il colore verde e scheggiato.

Altezza 12,5 mm, largh. 9 mm, spessore 3,5 mm.

Amuleto in forma di ureo su base e con pilastrino tra prima e seconda spirale, con un foro di sospensione sul piastrino da un lato e sulla seconda spirale dall’altro.

(2:1)

- 67 -

Page 68: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

27. non inventariato.

Deposizione 1.

Faïence smaltata e dipinta di verde. In due frammenti, perso il colore verde e lo smalto del fianco sinistro.

Altezza 14 mm, largh. 10 mm, spessore 5,5 mm.

Amuleto in forma di ureo su base con un foro di sospensione sulla seconda spirale.

(2:1)

28. non inventariato.

Deposizione 1.

Faïence smaltata e dipinta di verde. Perso il colore verde e scheggiato.

Altezza 9 mm, lungh. 11 mm, spessore 4 mm.

Amuleto in forma di occhio udjat.

(2:1)

29. non inventariato.

Deposizione 1.

Faïence smaltata e dipinta di verde. Perso il colore verde.

Altezza 9,5 mm, lungh. 12 mm, spessore 4,5 mm.

Amuleto in forma di occhio udjat.

(2:1)

- 68 -

Page 69: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

30. non inventariato.

Deposizione 1.

Faïence smaltata e dipinta di verde. Perso il colore verde e incompleto.

Altezza superstite 5,5 mm, lungh. 11 mm, spessore superstite 2 mm.

Amuleto in forma di occhio udjat.

(2:1)

31. non inventariato.

Deposizione 1.

Faïence smaltata e dipinta di verde. Consunto.

Altezza 19 mm, largh. 11 mm, spessore 9,5 mm.

Amuleto in forma di Ptah-pateco con ai lati due figure mal leggibili, sul retro Iside pterofora di profilo destro con disco solare sul capo. Sul capo scarabeo consunto e alla base i geroglifici shw e s rovesciato. (2:1)

(2:1)

- 69 -

Page 70: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

32. non inventariato.

Deposizione 3.

Steatite bianca dipinta di verde. Intaglio. Perso il colore e scheggiato.

Lungh. 17 mm, largh. 12 mm, spessore 8 mm.

Scarabeo dalla sommaria ma netta indicazione del dorso: basso protorace diviso da una linea semplice dalle elitre, anch’esse separate da una linea semplice; un’incisione a V indica lo scutellum. Il clipeo è ben definito cosi come sono ben distinti occhi e testa. Solchi paralleli sulle zampe anteriori e posteriori. Alla base raffigurazioni geroglifiche: ureo e civetta rivolti a destra, in alto disco solare alato con corna e in basso segno neb. Fa da cornice una linea semplice.

(2:1)

- 70 -

Page 71: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

3.3. TOMBA 6 PGM

Piccola tomba a camera unica424 in uso nel secondo quarto del V secolo e adiacente

alla tomba 5 PGM. I monili costituiscono il principale elemento di corredo della tomba

oltre agli scarsi reperti ceramici. La tomba era accuratamente dipinta e contrassegnata

da due betili schematici scolpiti a rilievo sulla parete di fondo.

33. non inventariato.

Deposizione 1.

Argento. Laminazione e trafilatura. In due frammenti, ossidato e corroso.

Lungh. della corda 62 mm, lungh. dell’arco 80 mm, Ø sezione 5/6 mm.

Due frammenti identici di bracciale in argento costituito da una barretta a sezione circolare.

(1:1)

34. non inventariato.

Deposizione 3.

Oro. Laminazione e trafilatura. Integro

(2:1)

Ø 11 mm, Ø sezione nel punto di massimo ingrossamento 2 mm, Ø sezione alle estremità 0,8 mm.

Piccolo anello a corpo ingrossato costituito da una barretta a sezione circolare aperta in alto per l’inserzione.

424 Notizia preliminare in Bernardini 2004, pp. 144-145.

- 71 -

Page 72: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

35. non inventariato.

Deposizione 3.

Oro e forse bronzo. Laminazione e trafilatura. Integro.

(2:1)

Ø 13,5 mm, Ø della sezione nel punto di massimo ingrossamento 4 mm, Ø della sezione alle estremità 0,5 mm.

Piccolo anello in oro dal corpo ingrossato e costituito da una barretta a sezione a D, le cui estremità avvolte a spirale.

36. non inventariato.

Deposizione 3.

Oro e forse bronzo. Laminazione e trafilatura. Integro.

(2:1)

Ø 13 mm, Ø della sezione nel punto di massimo ingrossamento 2 mm, Ø della sezione alle estremità 0,5 mm.

Piccolo anello in oro dal corpo ingrossato e costituito da una barretta a sezione circolare, le cui estremità avvolte a spirale.

- 72 -

Page 73: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

37 (a-n). non inventariato.

Deposizione 2.

Oro. Laminazione a sbalzo. Alcuni integri, altri deformati, aperti e tre frammenti.

Ø 9/10 mm, largh. 4,5/5,5 mm.

Undici vaghi di collana sferici schiacciati in lamina d’oro liscia., più tre frammenti.

(1:1)

Dettagli (2:1)

- 73 -

Page 74: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

38 (a-h). non inventariato.

Deposizione 2.

Pasta vitrea. Fusione su barra. Integri eccetto uno in due frammenti e uno incompleto.

Dettaglio (38 e) (2:1)

Otto vaghi di collana sferici in pasta vitrea e con decorazione “a occhi”, di cui uno (e) bianco e blu metallico a 4 occhi, adornato da piccole sfere gialle (se ne conservano solo 4) intorno ai bordi del foro di sospensione (Ø 11,5 mm). I restanti sette di colore azzurro, blu e bianco di cui tre a 7 occhi (Ø 8/10 mm) e quattro a 8 occhi (Ø 8/9 mm).

(2:1)

39. non inventariato.

Deposizione 1.

Faïence smaltata e dipinta di verde. Persa la metà longitudinale e parte di quella frontale, nonché gran parte del colore.

Altezza 11 mm, lungh. superstite 12 mm.

Amuleto in forma di occhio udjat.

(2:1)

- 74 -

Page 75: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 75 -

40. non inventariato.

Deposizione 1.

Faïence smaltata e forse in origine dipinta di verde. Integro, perdita del colore.

Altezza 11 mm, lungh. 12 mm, spessore 4 mm.

Amuleto in forma di occhio udjat.

(2:1)

41. non inventariato.

Deposizione 1.

Faïence smaltata e forse in origine dipinta di verde. Integro, perdita del colore.

Altezza 9 mm, lungh. 11 mm, spessore 4,5 mm.

Amuleto in forma di occhio udjat.

(2:1)

42. non inventariato.

Deposizione 1, rinvenuto dentro il piatto n. 4 del giornale di scavo.

Faïence smaltata e dipinta di verde. Alcune scheggiature e perso il colore verde in più punti.

Altezza 11 mm, lungh. 13 mm, spessore 5 mm.

Amuleto in forma di occhio udjat.

(2:1)

Page 76: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

43. non inventariato.

Deposizione 1.

Faïence smaltata e forse in origine dipinta di verde. Perso lo smalto sul lato destro.

Altezza 14,5 mm, largh. 9 mm, spessore 7 mm.

Amuleto in forma di Ptah-pateco con Iside pterofora di profilo sul retro, sorta di pilastri ai lati e scarabeo sul capo.

(2:1)

44. non inventariato.

Deposizione 1.

Faïence forse in origine smaltata e dipinta di verde. Molto consunto e friabile, persa la parte superiore della figura sul lato destro.

Altezza 13 mm, largh. 8 mm, spessore 6 mm.

Amuleto in forma di Ptah-pateco di profilo con Iside pterofora sul retro, sorta di pilastri ai lati.

(2:1)

- 76 -

Page 77: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

45. non inventariato.

Deposizione 1, rinvenuto all’interno del piatto n. 4 del giornale di scavo.

Faïence smaltata e dipinta di verde. Scheggiato nella figura di sinistra durante la produzione e in altri punti, consunto e perso lo smalto nella figura del retro.

Altezza 13 mm, largh. 9 mm, spessore 7 mm.

Amuleto in forma di Ptah-pateco con Iside pterofora di profilo con grande occhio sul retro, sorta di pilastri ai lati di cui uno scheggiato in fase di produzione. Quattro linee parallele incrociate con una trasversale ai 2/3 della superficie stanno ad indicare sul capo un abbozzo di scarabeo. Alla base motivo geometrico costituito da quattro linee incrociate a formare una stella a otto punte.

(2:1)

46. non inventariato.

Deposizione 1.

Faïence smaltata e dipinta di verde. Perso il colore verde su quasi tutta la superficie.

Altezza 15 mm, largh. 11 mm, spessore 8 mm.

Amuleto in forma di Ptah-pateco a doppia figura e figure simili a serpenti sui lati. Sul capo tre linee parallele su metà della superficie e quattro sull’altra sono separate da una trasversale costituendo un abbozzo di scarabeo. Alla base motivo geometrico a stella come il n. 45.

(2:1)

- 77 -

Page 78: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

47. non inventariato.

Deposizione 1.

Faïence smaltata e dipinta di verde. Perso il colore verde su quasi tutta la superficie.

Altezza 13 mm, largh. 9,5 mm, spessore 7 mm.

Amuleto in forma di Ptah-pateco a doppia figura e figure simili a pilastri sui lati. Sul capo tre linee parallele sono incrociate da una trasversale ai 2/3 della superficie costituendo un abbozzo di scarabeo. Alla base motivo geometrico a stella come i nn. 45 e 46.

(2:1)

48. non inventariato.

Deposizione 2.

Faïence smaltata e dipinta di verde. Perso il colore verde su quasi tutta la superficie.

Altezza 15 mm, largh. 9 mm, spessore 8 mm.

Amuleto in forma di Ptah-pateco a doppia figura e figure simili a pilastri o serpenti sui lati. Sul capo tre linee parallele sono incrociate da una trasversale ai circa la metà della superficie costituendo un abbozzo di scarabeo. Alla base motivo geometrico a stella quattro punte costituito da due linee incrociate in diagonale.

(2:1)

- 78 -

Page 79: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

49. non inventariato.

Deposizione 2.

Pietra dura bianca e cinorognola. Intaglio. Scheggiato.

Lungh. 11,5 mm, largh. 9 mm, spessore 7,5 mm.

Scarabeo con indicazione sommaria del dorso: una linea profonda divide protorace dalle elitre e un’altra analoga separa queste due. Una linea più sottile incornicia il protorace e le elitre lungo il loro margine curvilineo. Testa piccola, sporgente verso l’alto e senza clipeo, zampe indicate non indicate nel dettaglio. Alla base con lettura orizzontale è una figura ellenizzante di leone o cavallo che rotola retrospiciente a destra: la criniera è indicata da brevi tratti perpendicolari al corpo, la zampa anteriore sinistra e aderente al corpo in basso e all’andamento curvilineo del campo figurativo, la destra è coperta dal corpo e si nota la sola spalla sopra il dorso dell’animale. Le zampe posteriori sono divaricate simmetricamente e viste dall’alto nonché aderenti alla linea di contorno del campo figurativo. La coda è aderente al corpo in direzione curvilinea verso il basso. Spessa cornice cordonata.

(2:1)

- 79 -

Page 80: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

50. non inventariato.

Deposizione 3.

Corniola, oro e forse bronzo. Scarabeo: intaglio; anello: laminazione e trafilatura. Scheggiato e consunto lo scarabeo.

Scarabeo: lungh. 13 mm, largh. 11 mm, spessore 9 mm; Anello: lungh. 17 mm, largh. 15 mm, Ø sezione nel punto di massimo ingrossamento 3 mm, alle estremità 1 mm.

Impronta (2:1)

Scarabeo in corniola con indicazione sommaria del dorso, linea semplice tra le elitre e tra queste ed il protorace. Testa piccola senza clipeo ma molto consunta. Zampe indicate da bassissimo rilievo. Alla base raffigurazione ellenizzante a lettura verticale di figura maschile nuda in corsa con capigliatura a casco e riccioli sulla fronte e sulla nuca, tiene con la mano sinistra, il cui braccio è piegato dietro la schiena, un filo o ramo che corre lungo in bordo superiore del campo figurativo e termina con un fiore o un frutto rivolto verso il basso cui protende il braccio destro con mano aperta verso l’alto. Cornice cordonata. Ancora connesso alla montatura formata da un anello ritorto costituito da una barretta a sezione circolare in oro a corpo ingrossato le cui estremità più sottili, passate attraverso il foro di sospensione della gemma, si avvolgono a spirale sino a raggiungere il punto di torsione. Il corpo ingrossato dell’anello presenta sulla superficie interna due faccette.

(2:1)

- 80 -

Page 81: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

51. non inventariato.

Deposizione 1, rinvenuti all’interno del piatto n. 4 del giornale di scavo.

Ocra rossa.

Due grumi di ocra di piccole dimensioni e dalla consistenza compatta. (1:1)

- 81 -

Page 82: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

3.4. TOMBA 9 AR

52. inv. CA 143057.

Deposizione 2.

Oro e forse bronzo. Laminazione e trafilatura. Integro.

Lungh. 75 mm, largh. inferiore 23 mm, Ø sezione nel punto di massimo ingrossamento 4 mm, alle estremità 1 mm. Peso 4,9 g.

Orecchino di forma ellittica allargata e corpo ingrossato in basso, costituito da una barretta a sezione circolare. Aperto su di un lato per l’inserzione nel lobo.

Bernardini 1989, tav. II, 2. (1:1)

- 82 -

Page 83: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

53 (a-l). inv. CA 143058.

Deposizione 2.

Oro. Laminazione a sbalzo. Deformati.

Dettaglio (53 d) (2:1)

Ø 10/12 mm, largh. 6,5/7 mm.

Dodici vaghi di collana di forma sferica schiacciata in lamina d’oro decorati, come il n. 10, da linee parallele incrociate a reticolo a maglie strette. La decorazione inoltre copre tutta la superficie del vago sino ai bordi del foro di sospensione.

Bernardini 1989, tav. III, 3.

(1:1)

- 83 -

Page 84: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

54 (a-c). inv. CA 143060.

Deposizione non nota.

Argento. Fusione. Frammenti incompleti e ossidati.

(1:1)

Tre frammenti di gioielli in argento di cui: a: quattro sferette di 4 mm di diametro saldate tra loro a formare una vera di 10 mm di diametro superstite e in origine costituito da sei sfere; b-c: due sferette singole (Ø 4,5 e 5 mm).

55 (a-d). inv. CA 143058, 143060.

Deposizione 9.

Corniola. Intaglio. Integri.

(1:1)

Quattro vaghi di collana in corniola di cui: b-c: due sferici schiacciati (Ø 9 e 10 mm, largh. 7 mm); a, d: due a barilotto, uno più affusolato (Ø nel punto di massimo ingrossamento 6 mm, alle estremità 5 mm, largh. 5 mm) e uno meno (Ø nel punto di massimo ingrossamento 5,5 mm, alle estremità 5 mm, largh. 5 mm).

Bernardini 1989, tav. III, 3.

- 84 -

Page 85: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

56 (a-m). inv. CA 143058, 143060, 143894.

Deposizione 1.

Pasta vitrea. Fusione su barra. Tre in frammenti di cui due incompleti, i restanti integri.

Tredici vaghi di collana in pasta vitrea di cui: a, h-j: quattro sferici marrone, bianco e azzurro a 7 occhi (Ø 7/8mm); b-d: tre sferici azzurro, bianco e blu a 7 occhi (Ø 7/10 mm); e: uno anulare in vetro celeste (Ø 10 mm; largh. 3 mm); f: uno sferico schiacciato blu (Ø 15 mm, largh. 9,5 mm); g: uno sferico in pasta vitrea blu ma bruno in superficie con due scanalature su tutta la superficie (Ø 8 mm); k: uno in tre frammenti azzurro, bianco e blu con decorazione a 6 occhi; l: tre frammenti di vago bianco e marrone con decorazione a occhi; m: tre frammenti di vago azzurro, bianco e blu con decorazione a occhi

(1:1)

- 85 -

Page 86: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

57 (a-aq). inv. CA 143060.

Deposizione non nota.

Pasta vitrea. Fusione su barra. Integri e frammenti.

Ø 2,5/5 mm, largh. 3/5 mm.

Piccoli vaghi subsferici, più o meno schiacciati e affusolati, in pasta vitrea azzurra tra cui sei integri e trentacinque frammenti.

(1:1)

58 (a-ab). inv. CA 143060.

Deposizione 9.

Pasta vitrea. Fusione su barra. Integri e frammenti.

Ø 2,2/5,5 mm; largh. 3/5 mm.

Piccoli vaghi subsferici, più o meno schiacciati e affusolati, in pasta vitrea nera tra cui diciannove integri e sette frammenti.

(1:1)

- 86 -

Page 87: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

59 (a-i). inv. CA 143060, 143894.

Deposizione 2.

Pasta vitrea. Fusione su barra. Frammenti.

Vari frammenti di vaghi di cui: a-b: due di vago cilindrico bianco-celeste con una estremità affusolata (Ø 4,5 mm, lungh. superstite 15 mm) e due di vago cilindrico rosso (Ø 4 mm, lungh. 8 mm); c-d: due frammenti in osso (?); e: quattro frammenti di vago sferico schiacciato celeste; f-g: due frammenti di vaghi a occhi bianco e rosso; h: quattro frammenti di vago bianco; i: un vago a goccia forse incompleto con due fori passanti incrociati (lungh. 11 mm, largh. 7,5 mm);.

(1:1)

60. inv. CA 143060.

Deposizione 9.

Faïence o steatite dipinta di verde. Integro, perso il colore verde.

Altezza 9 mm, lungh. 12 mm, spessore 4 mm.

Amuleto in forma di occhio udjat.

(2:1)

- 87 -

Page 88: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

61. inv. CA 143069.

Deposizione 9.

Faïence o steatite forse originariamente dipinta di verde. Depositi e forse perso il colore verde.

Altezza 7 mm, lungh. 9,8 mm, spessore 3 mm.

Amuleto in forma di occhio udjat.

(2:1)

62. inv. CA 143894.

Deposizione 1.

Faïence verde-azzurro. Consunto.

Altezza 8 mm, lungh. 17 mm, spessore 4 mm.

Amuleto in forma di leone accovacciato su base e basso pilastro sul retro. Foro di sospensione passante attraverso i fianchi dell’animale.

(2:1)

- 88 -

Page 89: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

63. inv. CA 143894.

Deposizione 1.

Faïence smaltata e dipinta di verde. Alcune scheggiature e perso il colore verde.

Altezza 12 mm, largh. 7 mm, spessore 7 mm.

Amuleto in forma di Ptah-pateco a doppia figura e figure simili a pilastri o serpenti sui lati. Sul capo cinque linee parallele indicano le elitre, distinte per mezzo di uno spesso listello da un basso protorace, di uno scarabeo. Alla base il geroglifico di divinità forse femminile (“ntr.t”) rappresentato come figura umana seduta con croce ankh sulle ginocchia.

(2:1)

64. inv. CA 143060.

Deposizione non nota.

Pasta dura dipinta di verde. Incompleto e perso il colore verde.

Altezza superstite 4,5 mm, largh. 7 mm, spessore 6,5 mm.

Base di amuleto in forma di Ptah-pateco della cui figura rimangono solo gli attacchi delle gambe e delle figure laterali. Sulla superficie inferiore incisioni probabilmente alfabetiche.

- 89 -

Page 90: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

65. inv. CA 143892.

Deposizione 1.

Diaspro verde. Intaglio. Integro.

Lungh. 16 mm, largh. 12 mm, spessore 9 mm.

Impronta (2:1)

Scarabeo in diaspro verde con sommaria ma precisa indicazione del dorso: una linea semplice divide le elitre e queste dal protorace, una linea ulteriore incornicia il protorace lungo il suo margine curvilineo. La testa è piccola e triangolare con base convessa verso la parte anteriore, clipeo impreciso, forse consunto, con piccoli intagli ineguali sul margine frontale. Sulla base figura ellenizzante a lettura verticale di guerriero nudo inginocchiato, di schiena di ¾, con elmo alzato sulla fronte e che controlla la rettitudine della sua freccia. Arco in secondo piano dietro il ginocchio destro alzato, l’altro ginocchio a terra. Cornice cordonata.

(2:1)

- 90 -

Page 91: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

66. inv. CA 143891.

Deposizione 5.

Diaspro verde. Intaglio. In due frammenti.

Lungh. 16 mm, largh. 12 mm, spessore 9 mm.

Impronta (2:1)

Scarabeo in diaspro verde con indicazione sommaria e imprecisa del dorso: linee semplici e asimmetriche dividono in protorace dalle elitre, a loro volta divise da un'altra linea semplice. Testa bassa e non delineata, clipeo asimmetrico con piccoli intagli irregolari sul margine frontale. Ai lati zampe mal indicate da incisioni irregolari cui si somma una linea incisa perpendicolare alla base. Alla base figura egittizzante a lettura verticale di orante inginocchiato verso destra tra le cui mani lievita un oggetto non ben definibile. Preceduto da ureo rivolto anch’esso a destra. In alto crescente lunare con corni verso l’alto e in basso esergo reticolato a linee oblique, convergenti e irregolarmente parallele. Cornice a linea semplice.

(2:1)

- 91 -

Page 92: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

67. inv. CA 143893.

Deposizione non nota.

Diaspro verde. Intaglio. Integro.

Impronta (2:1)

Lungh. 15 mm, largh. 10 mm, spessore 8 mm.

Scarabeo in diaspro verde con indicazione sommaria del dorso. Intaglio affrettato delle superfici e segni di abrasione su quasi tutte. Testa piccola a forma di bozza triangolare, clipeo indicato da quattro spessi intagli disposti non simmetricamente. Dorso da contorno a giorno irregolare e internamente solcato da una sottile linea ovale, all’interno una doppia solcatura separa il protorace dalle elitre una più spessa divide queste ultime. Zampe male intagliate a giorno da linee imprecise. Alla base raffigurazione egittizzante a lettura verticale di Iside che allatta Horus: la dea è a sinistra e stende una sola ala (la sinistra) verso il basso a coprire e proteggere il figlio, ha sul capo un disco solare e sul petto una grossa mammella circolare da cui allatta Horus. Questi è stante davanti a lei, porta la corona stilizzata dell’alto e basso Egitto e flabello con la mano sinistra pendente dietro la schiena. In basso un piccolo esergo semplice e poggiante su di una spessa cornice cordonata. Questa limita il già ristretto campo figurativo al punto che i copricapi delle due divinità sbordano su di essa.

(2:1)

- 92 -

Page 93: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

68. inv. CA 143059.

Deposizione non nota.

Steatite o faïence smaltata verde. Integro, perso lo smalto su quasi tutta la superficie.

Lungh. 16 mm, largh. 11 mm, spessore 8 mm.

Scarabeo in pietra bruno chiaro smaltata di verde. Il dorso è indicato in modo semplice ma preciso: doppia linea tra protorace e elitre con indicazione dello scutellum e linea semplice tra la elitre. La testa presenta indicazione degli occhi, clipeo triangolare a base frontale con quattro intagli pressoché simmetrici su di essa. Anche il ventaglio delle fauci è indicato. Le zampe, anch’esse ben delineate a giorno da intagli precisi, sono completate dalle consuete linee parallele in quelle anteriori e posteriori. Alla base composizione geroglifica a lettura orizzontale: nome reale entro ovale (Men-heper-re in cui i primi due segni sono fortemente stilizzati e quasi irriconoscibili) al centro tra due piume shw rivolte verso l’esterno e ai lati due neb in verticale e con dorsi anch’essi verso l’esterno. Cornice a linea semplice.

(2:1)

- 93 -

Page 94: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

3.5. TOMBA 10 AR

69 (a-p). inv. CA 143938.

Deposizione 5.

Ambra e pasta vitrea. Intaglio (ambra) e fusione su barra (pasta vitrea). Integri e frammenti.

(1:1)

Vari vaghi di collana e frammenti di cui: a-d: quattro vaghi (uno in due frammenti) cilindrici in ambra (Ø 6 mm, lungh. 10/17 mm) e-n: dieci piccoli frammenti di vaghi come i precedenti; o: un frammento di vago in pasta vitrea bianca e rossa con decorazione “a occhi”; p: un vago sferico in pasta vitrea azzurra, bianca e blu con decorazione “a 7 occhi” (Ø 11 mm).

- 94 -

Page 95: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

70. inv. CA 143938.

Deposizione 5.

Faïence verde azzurra. Integro.

Altezza 9 mm, lungh. 13 mm, spessore 3,5 mm.

Amuleto in forma di occhio udjat.

(2:1)

71. inv. CA 143938.

Deposizione 5.

Faïence verde azzurra. Integro.

Altezza 9 mm, lungh. 13 mm, spessore 4 mm.

Amuleto in forma di occhio udjat.

(2:1)

- 95 -

Page 96: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

72. inv. CA 143938.

Deposizione 5.

Faïence verde azzurra. Integro.

Altezza 13 mm, largh. 8 mm, spessore 7 mm.

Amuleto in forma di Ptah-pateco, Iside pterofora di profilo e con disco solare sul capo sul retro, figure irriconoscibili sui lati. Sul capo quattro linee parallele indicano le elitre, distinte per mezzo di uno spesso listello da un basso protorace, di uno scarabeo.

(2:1)

73. inv. CA 143938.

Deposizione 5.

Faïence verde azzurra. Integro.

Altezza 13 mm, largh. 7 mm, spessore 6 mm.

Amuleto in forma di Ptah-pateco, Iside pterofora di profilo e con disco solare sul capo sul retro, figure irriconoscibili sui lati ma probabilmente antropomorfe. Sul capo solchi incomprensibili indicano forse uno scarabeo.

(2:1)

- 96 -

Page 97: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

74. inv. CA 143937.

Deposizione 5.

Steatite crema dipinta di verde. Intaglio. Scheggiata e perso il colore verde su quasi tutta la superficie.

Lungh. 17 mm, largh. 12 mm, spessore 8 mm.

Scarabeo in steatite con indicazione sommaria ma precisa del dorso: linea semplice tra la elitre e tra queste e il protorace. Testa unita al clipeo indicato sul margine frontale da tre intagli e fauci a piano emisferico. Zampe intagliate a giorno con precisione e completate, quelle anteriori e posteriori da linee parallele sulla superficie. Alla base composizione geroglifica a lettura verticale su due registri: sul primo civetta “m” tra due piume “shw” rivolte verso l’esterno, sul secondo cartiglio con nome reale di “Men-kheper-re” (ultimi due segni stilizzati come nel n. 68) tra due piume “shw” più grandi delle precedenti ma ugualmente rivolte verso l’esterno. Divide i due registri una linea incisa orizzontale. Cornice a linea semplice.

(2:1)

- 97 -

Page 98: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

3.6. TOMBA 11 AR

75. non inventariato.

Deposizione 18.

Oro e bronzo. Laminazione e trafilatura. Aperto, ossidato il bronzo.

(2:1)

Ø 15 mm, Ø sezione nel punto di massimo ingrossamento 2 mm, Ø sezione alle estremità 0,4 mm.

Piccolo anello in oro su anima di bronzo dal corpo ingrossato costituito da una barretta a sezione circolare, le cui estremità avvolte a spirale.

76. non inventariato.

Deposizione 19.

Oro e bronzo. Laminazione e trafilatura. Aperto, ossidato il bronzo.

(2:1)

Ø 15 mm, Ø sezione nel punto di massimo ingrossamento 2 mm, Ø sezione alle estremità 0,4 mm.

Piccolo anello in oro su anima di bronzo dal corpo ingrossato costituito da una barretta a sezione circolare, le cui estremità avvolte a spirale.

- 98 -

Page 99: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

77. non inventariato

Deposizione 6.

Argento. Laminazione e trafilatura. Fortemente ossidato, corroso e in due frammenti, incompleto.

(2:1)

Anello: Ø 25 mm, Ø sezione nel punto di massimo ingrossamento 6,5 mm, Ø sezione alle estremità 3 mm; castone: lungh. 27 mm, largh. 7,5 mm, spessore 2,5 mm, distanza tra gli attacchi delle estremità dell’anello 9 mm.

Grande anello digitale in argento con castone ellittico. È costituito da una barretta a sezione circolare dal corpo ingrossato.

- 99 -

Page 100: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 100 -

Page 101: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 101 -

4. ANALISI TIPOLOGICA

4.1. GIOIELLI

Sotto il termine gioielli verranno qui compresi tutti quegli oggetti di ornamento

personale come anelli, orecchini ed elementi di collana, realizzati in metalli preziosi e

vetro, o pasta vitrea.

È da notare, nonché più volte ribadito da studiosi di antichità puniche425, l’uso

totalmente arbitrario, almeno nell’ambito fenicio-punico, di una tale terminologia, che

si conforma ad un criterio selettivo comprensibile al lettore moderno e obbedisce alla

semplice necessita espositiva. È infatti presumibile che non corrisponda ad un’analoga

classificazione mentale dell’originario fruitore: può essere esemplificativo il fatto che

simboli rappresentati su pendenti in oro dovessero assolvere funzioni amletiche, così

come cosiddetti amuleti fossero utilizzati quali elementi di collane e d’altro canto per i

loro colori e qualità formali assolvessero indubbiamente una funzione estetica.

Verranno ora descritti i gioielli raggruppati per tipi universalmente riconosciuti,

cui in sede di confronto verrà fornita eventuale appartenenza a tipi riconosciuti da altri

studiosi.

4.1.1. BRACCIALI

Vanno considerati in questa sezione due oggetti in due distinti materiali: il n. 1, della

tomba 1 PGM BLV deposizione 1, in vetro blu e il n. 33, appartenente al corredo della

deposizione 1 della tomba 6 PGM, in argento. Per le dimensioni entrambi potrebbero

essere stati delle armille e perciò portati al braccio, appena al di sopra del gomito, o

anche delle cavigliere. La tipologia di entrambi è estremamente semplificata, ed il

bracciale argenteo troppo corroso, per fornirci qualche dato sensibile di discussione.

Nel caso di quella in vetro invece possediamo il confronto più stringente in un

bracciale conservato al Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia426 provvisto di

protomi leonine in oro che ne adornano le due estremità. Nel nostro bracciale sono

evidentemente assenti, ma non è escluso che ne fosse provvisto in origine. Appartiene

425 Tra tutti: Acquaro 1984, p. 13. 426 Oro degli Etruschi 1983, n. 174, p. 297 (inv. 59791). Il bracciale ha diametro di 84 mm, misura quasi identica

a quella del nostro n. 1.

Page 102: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 102 -

ad un tipo ben attestato in Etruria e proviene da una tomba con corredo di fine VI –

inizi V secolo sita nei pressi di Vulci, da una bottega del cui centro si ritiene fosse

prodotto nell’ultimo quarto del VI secolo427. Se il nostro bracciale fosse originario

della stessa bottega, circostanza non verificabile per l’assenza delle terminazioni auree,

si proporrebbe un esempio di continuità delle relazioni tra Sardegna ed Etruria durante

il dominio cartaginese428, altrimenti la datazione del bracciale dovrà essere posta ad

almeno la metà del VI secolo, immediatamente prima della conquista dell’isola.

Bisogna aggiungere che oltre all’esiguità delle attestazioni, anche un altro elemento

rende il problema più articolato: al Museo Archeologico Nazionale di Cagliari sono

conservate due protomi di leone in oro che, per dimensioni, per il trovarsi in coppia e

la similarità con quelle vulcenti, potevano svolgere la stessa funzione429. Le

dimensioni esterne rendono possibile l’accoglimento al loro interno di una verga della

stessa misura del bracciale e le coincidenze iconografiche tra le due coppie rendono

verosimile l’ipotesi: uguale la forma data alle orecchie e la criniera che incornicia il

volto. Ulteriore elemento a favore è la presenza di un bracciale incompleto in vetro blu

nelle collezioni del Museo cagliaritano430. La stessa patina madreperlacea presente sul

nostro, risultante dall’iridescenza provocata da simili condizioni conservative431, la

mancanza delle terminazioni e del numero inventariale indicano come ragionevole

l’appartenenza alle due protomi. Nulla osta la datazione ad età ellenistica fornita dalla

editrice che non giustifica con confronto alcuno432.

Tornando al confronto delle due coppie di protomi si rileva la differente tecnica

decorativa: a filigrana (spirali) nella coppia vulcente e a granulazione (triangoli) in

quella tharrense, con l’aggiunta in quest’ultima di un sottile anello filiforme tra le

fauci. Il dato stilistico suggerisce la realizzazione in bottega punica delle protomi

sarde, ma la tecnica della granulazione non era sconosciuta alle botteghe etrusche. Si

427 Ibidem, p. 297. 428 Per la fine delle importazioni etrusche cfr.: Bartoloni, Bondi, Moscati 1997, p. 71-72. 429 Pisano 1974, p. 117, nn. 180-181 (nn. inv. 9337-9338, collezione Spano), fig. 8, tav. XVII, che accredita una

provenienza tharrense; Fenici 1988, p. 691, n. 637, in cui è proposta la datazione a VII – VI secolo e la funzione di terminazione di bracciale; Pisano 1988b, p. 36, 81, fig. 38, in cui l’autrice suppone la funzione come terminazione di collana a maglie o bracciale.

430 Uberti 1993, n. 119 (senza n.i.), tav. XVII. 431 Prossimo è anche il riscontro dimensionale: diametro 82 mm, diametro sezione 7 mm: ibidem, pp. 105-106. 432 V. ib., p. 31 (datazione a III – I sec. a.C.).

Page 103: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 103 -

potrebbe pensare anche ad una diversa realizzazione da parte della stessa bottega per

soddisfare gusti differenti.

4.1.2. ELEMENTI DI COLLANA

E’ necessario premettere che non sono state rinvenute, durante lo scavo delle

sepolture, collane integre, i cui elementi dovevano quindi essere legati da un filo di

materiale deperibile. Questi ultimi quindi verranno trattati a seconda della materia con

cui sono stati realizzati (pasta vitrea e metallo, come oro e argento) e singolarmente.

Non ci sentiamo infatti di poter proporre dei raggruppamenti in collane o bracciali, che

risponderebbero ad un criterio selettivo di estetica personale e non troverebbe conforto

se non in rari esempi rinvenuti integri. In sede di documentazione fotografica si è

provvisto ad applicare i gruppi più consistenti su di un filo di rame per facilitarne

l’esposizione.

I vaghi di collana sono prevalentemente del tipo sferico policromo con

decorazione “a occhi” ottenuta con vari strati concentrici di pasta vitrea colorata e

bianca, per la maggior parte su di una matrice azzurra. Il tipo, diffusissimo in ambito

fenicio-punico e centroeuropeo è stato studiato più recentemente da E. Ruano Ruiz433,

di cui seguiremo la classificazione adottata per i vaghi in vetro del Museo

Archeologico di Ibiza e Formentera434.

Il materiale utilizzato è il vetro o pasta vitrea, uniti nella definizione dalla

medesima tecnica di realizzazione che prevede la mescolanza di silice (SiO2), ossidi

alcalini e carbonati di calcio, costituenti essenziali del vetro435. Diverse colorazioni

erano ottenute con l’aggiunta di altre componenti chimiche come il cobalto per il blu,

antimonio per il giallo e ossido di stagno per il bianco. Il vetro inoltre, per via della sua

stessa composizione, è soggetto ad alterazione in presenza di acqua con effetti che

possono interessare la superficie dell’oggetto con perdita di trasparenza, iridescenza e

opalescenza o più in profondità sino alla polverizzazione dell’intero manufatto436. Tali

alterazioni non sono visibili ad occhio nudo sui nostri esemplari se non nella porosità

433 Ruano Ruiz 1996. 434 Ibidem, p. 43 e segg.: i 1578 vaghi del Museo Archeologico Nazionale di Ibiza e Formentera sono classificati

per forma in 10 tipi e in varianti a seconda dei colori e della decorazione. 435 Ib., p. 33. 436 Savio, Ferrari, Croce 2004, p. 159 e sgg.

Page 104: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 104 -

superficiale e nell’iridescenza degli anelli di alcuni vaghi con decorazione ad occhi

delle tombe 1 PGM BLV e 5-6 PGM. Si può supporre quindi che tali vaghi in origine

non fossero dissimili da quelli meglio conservati della tomba 9 AR, i quali qui

avrebbero trovato un ambiente che ne ha permesso la migliore conservazione. Ad ogni

modo rimandiamo ad altra sede l’analisi microscopica dei materiali.

Forniamo qui di seguito una tavola sinottica dei vaghi in vetro437:

TIPOLOGIA TOMBA CAT. INV. MISURE OCCHI COLORI E NOTE ANELLI

AMORFO 9 AR 59 i 143060 Lungh. 11, largh 7,5 / B irid. - due fori incrociati /

ANULARE 9 AR 56 e 143894 Ø 10, largh. 3 / Celeste /

BARILOTTO 9 AR 59 h 143894 / Bianco, friabile in 4 frammenti /

CILINDRICO 9 AR 59 b 143894 Ø 4, lungh. 8 / Rosso, in 2 frammenti /

CUBICO 1 PGM BLV 14 f n.i.

(83) 6 x 6 x 6 / Turchese /

FUSIFORME 9 AR 59 a 143894 Ø 4,5, lungh. 15 / Celeste, in 2 frammenti,

incompleto /

SFERICO con occhi 1 PGM BLV/2 12.a n.i.

(73) Ø 7 7 AC, M, B irid. 4

SFERICO con occhi 1 PGM BLV/2 12 b n.i.

(73) Ø 8 7 AC, M, B irid. 2

SFERICO con occhi 1 PGM BLV/2 12 d n.i.

(73) Ø 8 8 AC, AS, B 4

SFERICO con occhi 1 PGM BLV/2 12 e n.i.

(73) Ø 8 7 AC, AS, B 4

SFERICO con occhi 1 PGM BLV 14 d n.i.

(83) Ø 9 7 AC, M, B irid. 3

SFERICO con occhi 1 PGM BLV 14 e n.i.

(83) Ø 10 7 AC, AS, B 3

SFERICO con occhi 1 PGM BLV 14 h n.i.

(83) Ø 13 7 AC, AS, B 6

SFERICO con occhi 1 PGM BLV 14 i n.i.

(83) Ø 9 8 M, B 3

SFERICO con occhi 1 PGM BLV 14 j n.i.

(83) Ø 8 5 AC, M, B irid. 2

SFERICO con occhi 1 PGM BLV 14 l n.i.

(83) Ø 8 6 AC, M, B irid. 1

SFERICO con occhi 1 PGM BLV 14 m n.i.

(83) Ø 7 8 AC, M, B irid. 2

SFERICO con occhi 1 PGM BLV 14 n n.i.

(83) Ø 7 8 AC, M, B irid. 2

SFERICO con occhi 1 PGM BLV 14 o n.i.

(83) Ø 7 8 AC, M, B irid. 2

SFERICO con occhi 5 PGM/1 21 a n.i. Ø 8 7 AC, AS, B 4

SFERICO con occhi 5 PGM/1 21 b n.i. Ø 8 8 G, AS, B 1

SFERICO con occhi 5 PGM/1 21 c n.i. Ø 11 7 AC, AS, B 5

SFERICO con occhi 5 PGM/2 22 n.i. Ø 11,5 7 AC, AS, B 4

SFERICO con occhi 6 PGM/2 38 a n.i. Ø 9 7 AC, AS, B 3

437 Legenda: AC (azzurro chiaro), AS (azzurro scuro), B (bianco), M (marrone), G (giallo), irid. (iridescente).

Page 105: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 105 -

SFERICO con occhi 6 PGM/2 38 b n.i. Ø 8 7 AC, AS, B 2

SFERICO con occhi 6 PGM/2 38 c n.i. Ø 10 7 AC, AS, B 4

SFERICO con occhi 6 PGM/2 38 e n.i. Ø 8 8 AC, AS, B 2

SFERICO con occhi 6 PGM/2 38 f n.i. Ø 9 8 AC, AS, B 3

SFERICO con occhi 6 PGM/2 38 g n.i. Ø 9 8 AC, AS, B 3

SFERICO con occhi 6 PGM/2 38 h n.i. Ø 9 8 AC, AS, B 2

SFERICO con occhi 9 AR 56 a 143060 Ø 7 7 B, M, AC 3

SFERICO con occhi 9 AR 56 b 143894 Ø 7 7 AC, AS, B 5

SFERICO con occhi 9 AR 56 c 143060 Ø 9 7 AC, AS, B 4

SFERICO con occhi 9 AR 56 d 143058 Ø 10 7 AC, AS, B 5

SFERICO con occhi 9 AR 56 h 143060 Ø 7 7 M, B, AC 4

SFERICO con occhi 9 AR 56 i 143894 Ø 7 7 M, B, AC 4

SFERICO con occhi 9 AR 56 j 143894 Ø 7 7 M, B, AC 4

SFERICO con occhi 9 AR 56 k n.i. framm. 6 AC, AS, B 2

SFERICO con occhi 9 AR 56 l n.i. framm. ? M, B 2

SFERICO con occhi 9 AR 56 m n.i. framm. ? AC, AS, B ?

SFERICO con occhi 9 AR 59 f 143894 framm. ? M, B NO

SFERICO con occhi 9 AR 59 g 143894 framm. ? M, B 4

SFERICO con occhi 10 AR/5 69 o 143938 framm. ? M, B 5

SFERICO con occhi 10 AR/5 69 p 143938 Ø 11 7 AC, AS, B 3

SFERICO monocromatico 9 AR 57 a-

aq 143060 Ø 2,5/5, largh. 3/5 Subsferici Blu, 6 integri e 35

frammenti /

SFERICO monocromatico 9 AR 58 a-

ab 143060 Ø 2,2/5,5, largh. 3/5 Subsferici Neri, 19 integri e 7

frammenti /

SFERICO monocromatico 9 AR 59 e 143894 framm. Sferico

schiacciato Celeste, in 4 frammenti /

SFERICO monocromatico

1 PGM BLV 14 k n.i.

(83) Ø 8 0 Celeste irid. /

SFERICO monocromatico 9 AR 56 f 143894 Ø 15, largh.

9,5 Sferico

schiacciato B /

SFERICO a occhi con protuberanze 6 PGM/2 38 d n.i. Ø 11,5 4 AS, B, G /

SFERICO scanalato 9 AR 56 g 143894 Ø 8 Sferico B, con due scanalature, M in superficie /

Tabella 1. Vaghi in vetro.

Procedendo con la classificazione dei vaghi possiamo notare subito che la prima classe

individuata da E. Ruano Ruiz, quella dei vaghi anulari438, è rappresentata qui da un

solo esemplare: nella variante monocroma in un vetro celeste trasparente. Il fatto

insolito che emerge dal confronto con l’insieme della documentazione ibicenca è la

scarsità di attestazione nelle nostre tombe di questo tipo di vago, che nel museo di

438 Ruano Ruiz 1996, p. 46.

Page 106: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 106 -

Ibiza e Formentera gode di un’altissima percentuale: su 1578 vaghi il 57,54% è di tipo

anulare439. Il che potrebbe essere il riflesso di una situazione feconda per la Spagna, o

di una produzione ivi localizzata e di una scarsa ricettività da parte di Sulcis, e forse

magari dell’intera Sardegna, per questa tipologia. Ancora può riflettere una differente

caratterizzazione cronologica dell’apice della sua produzione, sebbene Ruano Ruiz lo

ritenga il modello più antico e “atemporale”440. Il discorso non può tuttavia andare

oltre per la mancanza di dati di confronto e per lo scarso interesse dimostrato nelle

pubblicazioni, anche recenti, per questo genere di dati.

A 68 individui e 42 frammenti assommano invece i vaghi sferici di cui

forniamo nella tabella le singole caratteristiche. Si può notare che in questa tipologia la

variante più rappresentata è quella policroma con decorazione ad occhi. 37 sono infatti

gli esemplari che presentano 7 o 8441 occhi disposti su due file442. Due esemplari soli

(14 j e 38 d) appartengono a due diverse varianti: il primo presenta 5 occhi su di una

sola fila443 e il secondo ne presenta 4 con l’aggiunta di globetti gialli ai lati del foro di

sospensione444.

I 37 vaghi a 7 o 8 occhi, che potrebbero apparire come un gruppo omogeneo,

possono essere analizzati sotto due ulteriori punti di vista: il numero degli anelli

concentrici che formano “l’occhio” e le associazioni cromatiche. Queste ultime sono

variabili ma si trova una netta prevalenza di quella più semplice e diffusa, anche in

ambito spagnolo445, che alterna sulla matrice azzurro chiaro “occhi” azzurro scuro e

bianco, ed è presente su 20 esemplari. Gli occhi sono costituiti da strati concentrici di

colore diverso (nei nostri esemplari sono due soli alternati, uno bianco e uno scuro),

entro cui era inserita la sfera che formava la “pupilla”, e si possono trovare in numero

variabile, da uno a sei446. La loro variabilità non sembra essere legata alla policromia

scelta, quanto alle dimensioni del vago (i vaghi più grandi possono accogliere un

maggior numero di anelli) e alla perizia tecnica dell’artigiano. Altra associazione

cromatica presente su 9 vaghi, tutti di media taglia (7/9 mm di diametro) o

439 Ibidem, p. 45, grafico n. 1. 440 Ib., p. 46. 441 In un solo caso (56 k) 6 occhi. 442 Ib., p. 40, cuadro n. 2: tipo B. V. anche p. 49, fig. 6 e-f. 443 Ib., p. 40, cuadro n. 2: tipo A. 444 Ib., p. 40, cuadro n. 2: tipo C. 445 Ib., p. 48. 446 Per comodità abbiamo contato in questa sede i soli anelli scuri.

Page 107: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 107 -

frammentati, prevede l’uso del marrone e del bianco, ed eventualmente l’azzurro

chiaro per la pupilla. Questa policromia non sembra essere tra le più fortunate nella

Spagna preromana quanto quella che prevede il fondo giallo447, qui presente con un

solo vago (21 b).

Le due principali associazioni cromatiche qui rilevate sembrano più o meno

equamente distribuite tra le 5 tombe448, e ciò concorre a confermare la sostanziale

contemporaneità delle sepolture in esame. È necessario ricordare però che i vaghi di

collana, non costituiscono, allo stato attuale delle ricerche, elementi datanti, ma non è

escluso che lo possano diventare in futuro, nella speranza che il nostro lavoro

contribuisca seppure modestamente a raggiungere questo risultato. La stessa Ruano

Ruiz attribuisce ai vaghi “oculati” un arco cronologico che interessa, almeno per il

mediterraneo occidentale, tutta la storia della civiltà fenicio-punica senza possibilità di

scendere nel dettaglio449, se non per singole aree geografiche, i cui riferimenti non

possono senz’altro essere generalizzati.

Testimoniata da un solo esemplare (n. 56 g) è la variante con scanalature che

circondano il vago nel senso del diametro, che a differenza della documentazione

spagnola è qui monocroma, caratteristica non presente nel museo ibicenco. L’ambito

spagnolo è tuttavia povero di questa tipologia, maggiormente attestata negli altri siti

mediterranei tra cui la Sardegna450.

Più frequente nelle nostre tombe è invece l’altra variante dei vaghi sferici

studiati in ambito spagnolo: quella monocroma semplice, presente qui con i numeri 14

k, 56 f, 59 e, 57 e 58. Si nota subito una prevalenza della tomba 9 AR tra i contesti che

hanno restituito questa variante. In particolare gli ultimi due numeri sono costituiti da

alcune decine di piccolissimi vaghi che con tutta probabilità costituivano un'unica

collana, forse su due file sovrapposte o con un’alternanza di perle nere e blu.

Purtroppo il rinvenimento fuori contesto del n. 57 impedisce di accertarne la

provenienza dalla medesima deposizione, mentre di sicuro il n. 58 proveniva dalla 9

insieme ai vaghi in corniola (n. 55) e ai due udjat (nn. 60-61).

447 Ib., p. 48. 448 Solo la tomba 11 AR, non ha restituito vaghi di collana. 449 Ib., pp. 50-56 450 Ib., p. 56, dove cita Tharrica 1975, in cui abbiamo trovato un solo confronto in un vago della collana E 15: p.

112, p. 118, tav. XLIV, come noto priva di informazioni di contesto.

Page 108: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 108 -

Diversa situazione interessa gli altri vaghi in vetro che testimoniano la presenza

della tipologia cilindrica con 5 vaghi e 10 frammenti, prevalentemente di colore rosso,

forse ad imitazione della corniola, e provenienti per la quasi totalità dalla deposizione

del vano destro della tomba 10 AR (nn. 69 a-n).

La tipologia fusiforme è presente con un solo vago (n. 59 a) in pasta turchese,

così come quella a barilotto (n. 14 s) in vetro rosso opaco che suggerisce quanto detto

per i vaghi cilindrici dello stesso colore. Tale tipologia non è frequente infatti tra i

vaghi vitrei, mentre lo è maggiormente tra quelli in corniola, presente nei nostri stessi

corredi451.

Di un collier complesso faceva parte forse il n. 59 i452 per la disposizione

incrociata dei due fori passanti. Il vago è comunque incompleto e poteva essere

provvisto di appendici cilindriche in corrispondenza dei fori: il vago è per quanto

sappiamo privo di confronti.

Insolito è poi il vago cubico in vetro opaco turchese (n. 14 f). L’esemplare non

è tuttavia privo di confronti: tre analoghi sono stati rinvenuti nel tophet sulcitano e

attribuiti ad un contesto di fine VII-VI secolo453, e non sono inconsueti nelle collane

cartaginesi: quattro sono presenti nella collana n. 15 del catalogo della Quillard454,

proveniente verosimilmente da un settore della necropoli di Douimès datato al VII-VI

secolo. I quattro vaghi erano associati ad altri in corniola (sia a barilotto che sferici), in

pasta vitrea con decorazione ad occhi e in lamina d’oro con decorazione a reticolo, uno

dei quali ha miracolosamente preservato l’anima in pasta silicea455. Entro una tomba

palermitana della prima metà del VI secolo è stato rinvenuto un ulteriore cubo dalle

dimensioni prossime al nostro456 e appartenente ad una collana ricomposta con vaghi

affusolati e sferici ad occhi in pasta vitrea e quattro vaghi in corniola, rispettivamente

due cilindrici, uno sferico e uno biconico457. Altri vaghi cubici provengono anche dalle

451 V. più avanti. 452 Dalla stessa deposizione n. 2 provengono infatti i vaghi in lamina d’oro n. 53. 453 Montis 2005, p. 15, uno solo è attribuibile con certezza all’urna SATH/U190 (tav. VI, n. 55, di 6 mm di lato),

gli altri due rinvenuti fuori contesto (tav. VIII, n. 62, di 5 mm di lato). 454 Quillard 1979, pp. 19-20, n. 15, tav. XV, n. 15. 455 Ibidem, p. 20. 456 Palermo Punica 1998, p. 131, p. 189, n. cat. 39. Il vago misura 6 x 7 mm e proviene dalla tomba 218 aperta

nel 1954. 457 Ma numerose sono le analogie tra cui la presenza, nel corredo della medesima deposizione di un pendente ad

arco centinato simile al nostro n. 7, ma in argento e privo di decorazione, e di vaghi in lamina ma anch’essi in argento: ibidem p. 131.

Page 109: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 109 -

tombe tharrensi del British Musem458, ma per uno solo, il n. 21/47, è indicata la misura

del lato di 5 mm, prossima al nostro, nonostante l’interpretazione come conchiglia del

materiale utilizzato non consenta una corretta identificazione. Mentre gli altri sono in

“egyptian blue” o faïence e in minor misura di lapislazzuli. Per quanto possibilista sia

l’affermazione, quelli in faïence potrebbero essere attribuiti alla stessa produzione del

nostro. Il totale delle indicazioni cronologiche portate a confronto rientra nel pieno VI

secolo per cui pensiamo che il vago della tomba 1 PGM BLV possa essere ascritto agli

oggetti più antichi della sepoltura (forse del primo ventennio del V secolo).

Ma vediamo ora i vaghi negli altri materiali che, come detto prima, non è

escluso potessero ricorrere nelle stesse collane insieme a quelli in vetro.

TIPOLOGIA TOMBA/DEP. CATOLOGO INV. DIMENSIONI (mm) MATERIA

CILINDRICO 1 PGM BLV 14 a, b, q, r n.i. (83) Ø 8 Osso

SFERICO 1 PGM BLV 14 c, p n.i. (83) Ø 5 Pietra

BARILOTTO 1 PGM BLV 14 s n.i. (83) lungh. 9 Ambra

CILINDRICO 10 AR/5 69 a-d 143938 Ø 6, lungh. 10/17 Ambra

CILINDRICO 10 AR/5 69 e-n 143938 Piccoli frammenti Ambra

BARILOTTO 1 PGM BLV 14 g n.i. (83) Ø 10, lungh. 9, Ø foro 5 Corniola

BARILOTTO 9 AR 55 a 143060 Ø 5/6, largh. 5 Corniola

BARILOTTO 9 AR 55 d 143060 Ø 5/5,5, largh. 5 Corniola

SFERICO 9 AR 55 b 143058 Ø 9, largh. 7 Corniola

SFERICO 9 AR 55 c 143058 Ø 10, largh. 7 Corniola

Tabella 2. Vaghi in altro materiale.

Come accennato all’inizio di questa sezione, collane polimateriche non erano

inconsuete e alcuni di questi pezzi potevano essere, anzi dovevano, essere associati tra

loro: frequente a Cartagine è l’associazione di oro e corniola459 che troverebbe

458 Tharros BM 1987, nn. 21/47 (in “shell”), 22/16 (uno in egyptian blue e uno in lapislazuli), 26/16 (3 in

egyptian blue e uno in lapislazuli), 28/18 (3 in egyptian blue). 459 Quillard 1979, nn. 3, 4, 15 (gia menzionato più sopra: v. nota 454), 16-18 datati tra VII e VI secolo e 26-27

tra IV e III. v. anche Pisano 1988, p. 48, cit. in Bernardini 1991, p. 194, nota 33, per la ricomposizione delle collane a scopo didattico ed espositivo. Tra i corredi del British Museum solo 16 vaghi su 32 sono associati all’oro e in una collana ricomposta soltanto: Tharros BM 1987, n. 12/26, p. 174.

Page 110: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 110 -

conferma qui nella presenza dei due materiali nella tomba 1 PGM BLV (n. 14 g),

anche se non è possibile attribuire i due tipi di vaghi alla medesima deposizione, ma

non nella situazione della 9 AR i cui vaghi (55 a-d, dalla deposizione n. 9) non sono

appartenuti allo stesso inumato che portava al collo i vaghi in oro (n. 53, dalla

deposizione n. 2).

Alcune parole possono essere spese sui vaghi cilindrici in osso (n. 14 a, b, q e

r), materiale decisamente umile come costituente di collane o bracciali: potevano

assolvere un’altra funzione poco comprensibile ed è da notare come uno dei quattro (n.

14 r) non poteva essere infilato in un filo dal momento che manca di perforazione.

Ugualmente umili sono i due vaghi in pietra o pasta (n. 14 c e p) che potevano

essere rivestiti della lamina d’oro dei nn. 10 e 11 della stessa tomba.

In ambra i nn. 69 a-n pertinenti ad alcuni vaghi cilindrici (almeno 5) che

componevano una collana, insieme a due vaghi in pasta vitrea con occhi, indossata

dall’inumato della deposizione 5 nella tomba 10 AR. Il vago 14 s nello stesso

materiale testimonia invece la presenza, seppure isolata, della tipologia a barilotto

nella collana ricomposta della tomba 1 PGM BLV.

In lamina d’oro sono invece i vaghi presentati nella seguente tabella:

TOMBA/DEP. n. CATOLOGO n. INVENTARIO DIMENSIONI (mm) DECORAZIONE

1 PGM BLV/1 10 n.i. (69) Ø 12, largh. 8 Reticolo a maglie strette

1 PGM BLV 11 a-g n.i. (85) Ø 11/12, largh. 7/9 Reticolo a maglie larghe

6 PGM/2 37 a-n n.i. Ø 9/10, largh. 4,5/5,5 No

9 AR 53 a-l 143058 Ø 10/12, largh. 6,5/7 Reticolo a maglie strette

Tabella 3. Vaghi in lamina d’oro.

Anche i presenti vaghi si prestano ad alcune considerazioni. Tutti gli esemplari

appartengono alla tipologia del vago in lamina d’oro su anima in materiale deperibile.

Questa poteva essere composta da materiale più resistente come nel caso di un vago

cartaginese460 e di tre tharrensi461, ed in particolare di pasta vitrea.

460 Quillard 1979, n. 15. 461 Tharros BM 1987, nn. 12/26 (1 caso), 28/18 (2 casi), definito “composition core”.

Page 111: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 111 -

I confronti, più o meno puntuali in ambito sardo non mancano ma sono

purtroppo privi di indicazioni di origine462, ad eccezione di quelli appartenenti ai

corredi delle tombe tharrensi acquistati dal British Museum463. La relativa

pubblicazione tuttavia non offre quei dati metrici e fotografici sufficienti a stabilire

confronti puntuali e ragionati e tanto meno datazioni affidabili.

Qualche indicazione la fornisce invece B. Quillard che nel suo studio sulle

collane e i pendenti cartaginesi in oro individua non meno di 23 tipi di vaghi in oro, tra

i quali i nostri rientrerebbero nel tipo B del primo gruppo, quello dei vaghi privi di

decorazione, per il n. 37, e nel tipo J del secondo, quello con decorazione incisa, per

quanto riguarda i nn. 10, 11 e 53. Indicazioni cronologiche precise rimandano alla

seconda metà del VI secolo per il tipo B e al IV secolo per il tipo J464, anche se va

notato che le dimensioni di tutti i pezzi analoghi ai nostri sono di poco inferiori e le

incisioni sembrano essere sostituite dalla lavorazione a sbalzo che conferisce ai solchi

maggiore profondità. Tenuto conto del divario cronologico tra i reperti cartaginesi e i

nostri ben si spiegano le evidenti divergenze tecnico-stilistiche. Insufficiente è quanto

detto ai fini della localizzazione della una bottega artigiana che li ha prodotti, ma e va

tenuto conto anche della presenza, già segnalata in precedenza, di vaghi di questo tipo

nei corredi inediti delle tombe di Via Castello465, che indica in Sulcis un centro di

particolare ricezione di questa tipologia466.

Per ultimo va considerato un frammento argenteo (n. 54 a) composto da quattro

piccole sfere saldate a formare parte di una vera in origine forse composta da sei, del

diametro di 10 mm circa. Il vago così costituito è tipologicamente attestato nei corredi

delle tombe della necropoli fenicia di Monte Sirai, con datazione compresa nel VI

462 Vedi ad esempio Pisano 1974, bracciale n. 131, tav. XI, e collana n. 132., tav. XII. 463 Tharros BM 1987, nn. 1/39 (9 vaghi in oro), 1/40 (3 in argento), 4/24 (30 in argento di cui alcuni con

decorazione a reticolo), 9/24 (12 in argento tra cui molti con decorazione a reticolo), 15/18 (3 in argento), 20/23 (uno in argento), 28/18 (14 in oro di cui 10 con decorazione e 4 senza), figg. 23 e 40. Nulla è affermabile di sicuro sulla datazione di questi, essendo andate perse le associazioni con il corredo ceramico, anche datazioni basate su elementi più riconoscibili cronologicamente come i pendenti non sono accreditabili perché l’assemblaggio delle collane è avvenuto dopo il rinvenimento: cfr. ad es. p. 129, per la datazione a VI-IV secolo del n. 1/39 e p. 236, per la datazione del n. 32/47 sulla base di quella al IV secolo del pendente principale della collana.

464 Quillard 1979, tipo B: collana n. 17 dalla tomba 327 della necropoli di Ancona databile alla seconda metà del VI secolo; tipo J: collana n. 28-30 dalle tombe 20, 1 e 4 di Utica datate tutte al IV secolo.

465 V. § 2.1. 466 Bernardini 1991, p. 194.

Page 112: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 112 -

secolo a.C.467, e da un esemplare della necropoli di Pani Loriga della prima metà dello

stesso secolo468. Il tipo è presente anche nei corredi delle tombe di Tharros al British

Museum469 e tra i gioielli di probabile origine tharrense al Museo di Cagliari,

purtroppo privi di indicazione cronologica470.

4.1.3. PENDENTI

I pendenti potevano entrare nella composizione delle collane come semplice elementi

o esserne quello principale, oppure ancora far parte di orecchini.

La tomba 1 PGM BLV ci ha consegnato tre preziosi pendenti (nn. 7-9) in oro o

in una lega di oro e argento in quantità e natura che solo un analisi tecnico-scientifica

ci potrà dire con precisione.

Il n. 7 è di un tipo noto come “rettangolo con arco centinato” (tipo XI) nel

catalogo della Pisano471 e come “niche cintrée” nello studio della Quillard472 e noto

anche tra gli amuleti in pasta vitrea o faïence e derivati dalla c.d. “tavoletta da

scrittura” egiziana, o meglio “stela-shaped pendants”473, raramente rinvenuti in

contesti del mediterraneo occidentale. Viceversa esemplari di questo tipo in metallo

non sono frequenti nel mediterraneo orientale474, mentre conoscono una relativamente

maggiore diffusione in quello occidentale: in Sardegna, Sicilia e Nord Africa475. La

maggior parte degli esemplari finora editi, correttamente e non, proviene dalla

Sardegna, in particolare da Tharros, ed è omogenea dal punto di vista stilistico. Qui

troviamo due delle tre varianti iconografiche sinora note su questo tipo di pendente:

467 Campanella 2000, p. 134, nn. 3 (MSN 7, dalla tomba 2 del terzo quarto del VI sec.), 94 (MSN 138, dalla

tomba 32 del primo quarto del VI sec.); Bartoloni 2000a, p. 22, tav. IV, b (MSN 322, dalla tomba 88 del secondo quarto del VI sec.).

468 Tore 1975, p. 370, nota 18; Tore 2000, p. 344, fig. 8, f. 469 Tharros BM 1987, p. 182, fig. 29. 470 Pisano 1974, 178, nn. 540-574, tav. XXVI. 471 Ibidem, p. 32. 472 Quillard 1979, p. 55 e segg. 473 Vercoutter 1945, p. 278, nn. 902-904; Culican 1985, p. 122-123. 474 Quillard 1979, p. 64., note 317-319; Culican 1985, p. 122, per tale assenza propone un prestito diretto della

tipologia dall’Egitto. 475 Sono noti circa 40 esemplari, per la maggior parte considerati in Quillard 1979, p. 55 e segg.

Page 113: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 113 -

• raffigurazioni egittizzanti con il cosiddetto “idolo a bottiglia” (con corpo in risalto

e ricoperto di granuli) affiancato da due urei, sopra altare modanato a gola egizia,

su esemplari in oro e argento476;

• raffigurazioni semplici di tipo geometrico a decoro granulato con losanga centrale

e triangoli con base tangente il bordo, prevalentemente su esemplari in argento,

rinvenuti esclusivamente in Sardegna477;

• campo figurativo privo di decorazione, su esemplari in argento di provenienza

prevalentemente siciliana e nordafricana478.

Sulla base di pochi confronti datati con sicurezza le due autrici hanno

individuato per questa tipologia un periodo di diffusione compreso tra fine VII e VI

secolo, accordando preferenza all’ultimo dei due secoli, e non escludono possibilità di

attardamenti, peraltro riconoscibili qualitativamente. La grande concentrazione in

Sardegna, e in particolare a Tharros, unita alla omogeneità stilistica prima accennata,

non offrono particolari dubbi sull’attribuzione della produzione al centro

dell’Oristanese, attribuzione comune a diverse altre tipologie di gioielli. Non è escluso

comunque che potessero esistere altri centri di produzione e che la stessa Cartagine

ricoprisse una tale funzione, lasciando a Tharros quella di grande centro di

smistamento.

L’analogia di questa tipologia con la stele del tophet notata dalla Quillard479 e

dalla Pisano480 pare evidente non tanto per la sommità arcuata quanto per la

condivisione, tra le due categorie artigianali, dei medesimi temi iconografici

rappresentati all’interno del campo figurativo. Infatti solo tra III e II secolo compare in

Sardegna, ma limitatamente a Sulcis, il tipo di stele ad arco centinato481, che

costituisce la tipica forma egizia. Ciò indicherebbe come la forma arcuata della stele

egizia, nota peraltro anche nel Levante482, sia passata al pendente fenicio per il tramite

476 Per gli esemplari sardi provenienti da Tharros: Pisano 1974, nn. 162, 411-412; Pisano 1987a, nn. 4/24, 6/29,

9/27 e 16/22; Rulli 1950, p. 11, tav. B, n. 5, cit. in Quillard 1979, p. 57, nota 265. Per quelli di Pani Loriga v. ibidem, p. 57, nn. G, H e J, per i quali dava già notizia Tore 1975, p. 367, nota 8, p. 370, nota 18.

477 Quillard 1979, p. 65. 478 Ibidem; per un’esemplare sardo v. Pisano 1974, p. 169, n. 416, fig. 14, tav. XXIV. 479 Quillard 1979, p. 64. 480 Pisano 1988b, p. 35. 481 Moscati 1988a, pp. 49-52, tavv. XVI, 1-4; ancora in Moscati 1993a, p. 23, tav. XI, in cui vengono menzionate

due stele affini di Sousse che indicano in questo caso l’origine nordafricana della tipologia. 482 Si citano i due noti esempi della stele di Bar-Hadad, re di Damasco, eretta nel IX sec. e quella di Shadrafa da

Amrit della metà del VI sec.: Matthiae 1997, pp. 233-236.

Page 114: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 114 -

dell’amuleto egiziano. Diverso è il discorso per quanto concerne i simboli utilizzati

all’interno del campo figurativo del pendente che nulla hanno a che fare con

iconografie di tipo egizio.

La comparsa ad esempio del rombo nelle stele avviene non prima della fine del

VI e l’inizio del V secolo483, mentre appena precedente sembra quella dell’idolo a

bottiglia. Entrambi i motivi non sono però attestati a Sulcis né Monte Sirai484, che dalla

prima dipendeva nell’ambito della produzione lapidea, per cui il rapporto tra questa e

quella dei pendenti può dirsi inesistente, in quanto risulti legato alla sola sommità degli

oggetti che compare a Sulcis in un momento in cui i pendenti addirittura non sono

attestati. Incoraggiata è quindi l’ipotesi di una produzione tharrense del nostro

pendente: a Tharros infatti sarebbe stata possibile una tale connessione tra diverse

categorie artigianali, come già proposto tra stele e coroplastica in merito allo stesso

motivo iconografico del rombo485.

I nn. 8 e 9 appartengono invece ad un tipo più diffuso in occidente: si tratta di

due pendenti discoidi che presentano disco e crescente sovrapposti, dei quali

quest’ultimo con le punte rivolte verso il basso. L’iconografia cui si riferiscono è tra le

più note e semplici rappresentazioni dei due astri presenti in ambito orientale e si è

prestata nella gioielleria fenicio-punica a diverse elaborazioni486, tra la quali la nostra

rientra nel tipo IXB della Pisano487 e si avvicina ai nn. 2(D) e 4(C) del catalogo della

Quillard488, ma in particolare all’ultimo di uguali dimensioni. La tecnica di

decorazione è la medesima: il campo dei due astri è contornato da minuscoli granuli

d’oro e inizialmente doveva risaltare per la lavorazione a sbalzo.

483 Tore 1972a, pp. 191-192, sulla scorta di Bisi 1967, pp. 234-235; più di recente v. Moscati 1987, pp. 49-51 e

121. 484 Moscati 1987, p. 50. 485 Moscati 1987, p. 51. 486 Per la diffusione in occidente del tipo v. Botto 1995 e Botto 1996 con bibliografia; ancora utili le

classificazioni, che rispettiamo in questo lavoro, di Quillard 1979; Pisano 1974 e Pisano 1987a. 487 Pisano 1974, p. 31, cui appartengono nella collezione del museo cagliaritano i nn. 150-151 (p. 107, fig. 6, tav.

XIV), entrambi in oro, differenti dal nostro per le diverse proporzioni dei due elementi: le punte del falce lunare si allontanano dal disco, qui relativamente più piccolo, sebbene le dimensioni generali (8/10 mm. di larghezza) e la tecnica di lavorazione non si discostino dai nostri; Pisano 1987a, p. 89, per i due esemplari di sicura origine tharrense 4/24 e 6/29. Il primo in argento è analogo ai due cagliaritani, mentre il secondo in oro, dalle proporzioni analoghe ai nostri due pendenti, è privo della decorazione a granuli lungo il bordo esterno, presente solamente lungo la metà superiore del disco dove avviene la tangenza dei due simboli astrali. Per quest’ultimo v. anche: Moscati 1988b, p. 43, fig. 13, e.

488 Quillard 1979, p. 2, tav. III, n. 2(D), e pp. 6-7, tavv. VI-VII, n. 4(C), cfr. le pp. 87-91 per lo studio comparativo dell’intera tipologia.

Page 115: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 115 -

Due interessanti e stretti confronti si trovano in due pendenti provenienti uno

dalla necropoli ad incinerazione di Bithia e datato all’ultimo quarto del VII secolo489 e

l’altro da quella di Pani Loriga490. Gli esemplari, entrambi in argento491, sono prossimi

ai nostri per forma e dimensioni, sebbene lo stato di conservazione non permetta di

apprezzarne la tecnica e la disposizione dei grani. Tuttavia, prescindendo da questi

confronti seppur di poco più antichi, il richiamo dimensionale e la medesima tecnica di

produzione del n. 7, nonché il medesimo contesto di rinvenimento suggeriscono per i

nostri pendenti una datazione e origine analoga. Il centro di Tharros non può che

essere anche in questo caso il primo candidato nell’individuazione del luogo di

produzione. Tuttavia non si può non rilevare l’appartenenza ad una tipologia che trova

i più stretti confronti in siti della stessa regione e in un ambito cronologico che predata

quello della stessa tomba 1 PGM BLV. Già per il bracciale in vetro della medesima

tomba si è rilevato un link con la produzione etrusca attiva nella generazione

precedente492 ed una circostanza simile a quella dei pendenti in esame la si noterà per

gli orecchini ad arco ellittico493.

Tema ancora non sufficientemente chiarito è invece quello relativo al

significato del simbolo astrale in essi rappresentato. Se la sua origine è da collocarsi

nella Mesopotamia del III millennio494, nel mondo punico e neo-punico costituisce uno

dei motivi più diffusi tra diverse categorie artigianali: sulle stele, come nella glittica,

nei rasoi in bronzo e nelle monete, etc. Se sui rasoi, così come nella glittica, partecipa

ad evidenziare la sacralità rituale delle scene di offerta o di adorazione495, la presenza

sulle stele o come attributo di divinità sulle statuette di terracotta ibicenche non

consente di considerarlo come simbolo esclusivo di una sola divinità496, tanto meno

489 Marras 1996a, p. 131, 181-182, n. 151, tav. XI, 6 (lungh. 14 mm) dalla tomba 20 ad incinerazione. 490 Tore 1975, p. 370, nota 18 (n.i. 55412, dalla tomba 23) in cui l’autore propone per il settore della necropoli ad

incinerazione scavato entro il 1973 una datazione alla prima metà del VI sec.: p. 371; Tore 2000, p. 338, nota 38, fig. 8, b.

491 Culican 1985, p. 124, tav. Vd, aggiunge un interessante analogo pendente in oro da Mozia (n.i. 1686), per il quale non si possiedono tuttavia indicazioni cronologiche; anche in Marras 1996a, p. 131.

492 V. § 4.1.1. 493 V. § 4.1.4: questi scarni dati indiziano una continuità della facies degli athyrmata sulcitani che quindi non

conosce soluzione a discapito della conquista cartaginese avvenuta alla fine del VI sec. 494 Acquaro 1971, p. 113. 495 Ibidem, pp. 113-114. 496 Del Vais 1993, che costituisce uno studio statistico della presenza del simbolo sulle stele di Mozia, attraverso

il quale non è stato possibile neppure riconoscere un’evoluzione stilistica del motivo; San Nicolás Pedraz 1987, p. 60, in cui figura tra gli attributi di Baal Hammon come allusione alla sua natura celeste, ma non risulta suo simbolo esclusivo, essendo in altre occasioni associato alla dea Tanit.

Page 116: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 116 -

risulta chiaro se rappresenti il sole, la luna nei due aspetti di quarto e plenilunio o

l’insieme dei due astri, o ancora la luna e venere497.

Tra i pendenti andrà necessariamente annoverato lo scarabeo n. 50 della tomba

6 PGM, almeno per quanto concerne la sua montatura498. La gemma in corniola è

infatti provvista di una montatura “a staffa” in oro con anello ottenuto per torsione che

ne permetteva la sospensione al collo. La tecnica di realizzazione è stata ben illustrata

dalla Quillard che ne ha altresì riconosciuto una non lontana origine orientale499: un

unico filo d’oro, lungo non più di 10/15 cm, e ispessito al centro per avvolgere

probabilmente un’anima di bronzo, veniva ritorto in modo da formare l’anello e le due

estremità erano infilate attraverso il foro dello scarabeo e successivamente intrecciate

intorno all’altra parte del filo. In tal modo la gemma diveniva versatile e, impugnando

l’anello con le dita, rendeva possibile l’impressione del sigillo.

Questa tipologia di montatura, realizzata in una tecnica comune ad altri tipi di

gioielli punici come gli anelli crinali o orecchini del nostro stesso catalogo (nn. 35-36

e 75-76), è attestata su un numero notevole di scarabei correttamente editi. La Quillard

lo classifica come tipo II(b)2500 e lo riscontra su solo due scarabei in corniola,

conservati nel Museo del Bardo e datati al V secolo a.C. 501, e su almeno 17 scarabei

sardi502. Ad un esame più attento delle singole fonti usate dalla autrice, possiamo

notare l’esistenza di diverse sotto-varianti del tipo, individuabili sulla base dello

spessore del filo in corrispondenza dell’anello di sospensione o della larghezza

dell’anello stesso503. Al di là di queste sottili differenze, che potrebbero risentire della

realizzazione ad opera di botteghe diverse, l’incrocio dell’analisi di questo tipo di

montatura con la seriazione su base stilistica delle raffigurazioni alle basi delle gemme

497 Ibidem. 498 Per l’analisi dello scarabeo v. § 4.3.3. 499 Quillard 1987. Tecnica di assemblaggio denominata “ligature” p. 79, per l’analisi comparativa p. 114 e segg. 500 Ibidem, p. 114 e segg. 501 Ib., p. 21, nn. 67 e 68 provenienti rispettivamente da Utica (tomba non identificata) e dalla necropoli di Bordj-

Djedid (tomba 307). 502 Ib., p. 121, nota 572. L’autrice non distingue tra i tipi II(b)1, 2 e 3, ma afferma una maggiore rappresentatività

del tipo II(b)2 nei confronti degli altri, rispettivamente caratterizzati da un anello prodotto da una strozzatura del filo e da una giustapposizione di un anello saldato al filo. Le gemme sono state studiate dai relativi autori prevalentemente su base antiquaria e datate a non prima del VI secolo (v. anche ibidem, Tableau Recapitulatif V), datazione che la Quillard abbassa almeno alla fine di tale secolo. Tra i materiali editi successivamente si cita Acquaro 1987b, n. 45, p. 235, scarabeo in corniola attribuito alla prima metà del VI secolo.

503 V. ad es. Acquaro 1976, p. 168, tav. XXIV, 1, che presenta un anello molto più grande rispetto ad altri dello stesso tipo.

Page 117: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 117 -

consentirebbe di circoscrivere la datazione per quegli scarabei montati in questo modo,

che al momento risulta piuttosto ampia e coprire tutto l’arco di tempo dell’attività delle

botteghe tharrensi. L’attenzione a questo aspetto dell’analisi servirebbe a comprendere

e verificare l’ipotesi che l’incisione e la montatura non avvenissero nello stesso luogo

o centro504.

Va comunque aggiunto alla serie sarda un altro filo, montato in questo caso su

un vago cilindrico di corniola e conservato al Museo Sanna505. I suoi editori ne hanno

messo in evidenza la analogia con il sigillo di tipo cilindrico, per lo più sconosciuto nel

mediterraneo occidentale, fatto che legato alla sua presenza sul più diffuso sigillo

occidentale non fa che suggerire nuovamente l’origine della tipologia da Oriente.

A questo riguardo506, nella ripartizione geografica identificata dalla Quillard in

Oriente, il tipo di montatura in esame è rappresentato da due soli esemplari ciprioti507,

i quali invece presentano come castone due amuleti: una testa di pecora e un udjat

entrambi in oro. Il primo è stato datato al VI secolo da Marshall508, datazione poi

confermata dal Boardman509, il secondo invece all’inizio del V dal Karageorghis510. I

due hanno relazione cronologica molto stretta tra loro, con gli esemplari cartaginesi e

con il nostro, potrebbero essere quindi gli immediati predecessori della più larga

diffusione in occidente della tipologia511, oppure il segno di contatti tra Sardegna e

Cipro e forse di una mediazione cartaginese tra le due isole.

Per quanto concerne la datazione in ambito occidentale, la mancanza già notata

di precise indicazioni del contesto di provenienza per molti anni ha indotto gli studiosi

a fornire datazioni molto dilatate agli scarabei, onde per cui anche per questo tipo di

montatura ne consegue una datazione tra prima metà del VI512 e corso del IV secolo,

che la Quillard dal canto suo restringe al solo V secolo, datazione verosimile almeno

504 Come già proposto per gli scarabei cartaginesi: Quillard 1987, p. 129. 505 Iocalia punica 1987, D 24, tav. XXXII e datato dalla Pisano al VI secolo: Pisano 1988a, p 391, figura in alto a

sinistra. 506 V. anche Boardman 2003, p. 8 (type B), in cui traspare un certo dubbio sulla maggiore rappresentatività

occidentale di questa tipologia, forse risultato di uno stato parziale della ricerca. 507 Quillard 1987, p. 122. 508 Marshall 1911, n. 1599, fig. 46, tav. XXVI, cit. in ibidem. 509 Boardman 1968, pp. 154-155, n. 589, tav. XXXVII. 510 Salamis II 1970, tav. A, 1 e CLIII, 13. 511 Quillard 1987, p. 124. 512 Cfr. nota precedente 502.

Page 118: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 118 -

per i soli due esemplari del Museo del Bardo, di cui solo uno proveniente da contesto

noto513.

Il nostro esemplare, da contesto di V secolo sembrerebbe appartenere agli

esemplari più antichi, ed a tale datazione portano i confronti iconografici della gemma

che saranno trattati nel relativo capitolo. Lo stesso vale per quanto riguarda la

montatura che, lungi dal cimentarci in seriazioni tipologiche che meriterebbero uno

studio approfondito, trova puntuali confronti nella ben nota gemma tharrense

raffigurante alla base una barca di papiro con edicola al di sotto della quale è un

personaggio regale su trono affiancato da leoni514, in uno scarabeo in alabastro con

raffigurazione di rana da Tharros conservato nel Museo Sanna di Sassari515 ed in un

esemplare ibicenco, conservato al Museo Arqueologico Nacional di Madrid e

appartenente alla collezione Vives y Escudero, e perciò supposto provenire dalla

necropoli di Puig del Molins516. La datazione di quest’ultimo ad età ellenistica è

proposta acriticamente per la prossimità con il numero successivo della sequenza

catalogica517, ma non può trovare conferma data la mancata conservazione della

gemma e dell’indicazione del luogo di rinvenimento. Ancora a fine VI – inizi V secolo

rimanda uno scarabeo in corniola con montatura identica alla nostra rinvenuto nella

stessa necropoli ibicenca518.

Alla serie si possono aggiungere il n. 67 del catalogo di B. Quillard sempre in

corniola e con datazione al V secolo519 e uno scarabeo in diaspro conservato al Museo

Civico di Como datato anch’esso allo stesso secolo520. Insignificanti differenze nei

confronti del nostro sono i giri di spirale del filo d’oro della montatura: nel primo

raggiunge l’anello e ci si avvolge per 3/4 volte, mentre nel secondo non raggiunge

513 Cfr. nota precedente 501. Lo scarabeo era datato dal Vercoutter al V sec.: Vercoutter 1945, p. 238, n. 654,

tav. XVIII. 514 Acquaro 1994, pp. 2-3, 6, n. 1, in cui propone una datazione a fine VI – inizi V secolo e avanza dubbi

sull’importazione dalla Fenicia (p. 3). 515 Acquaro 1987b, n. 53, p. 236, tav. XIV, l’autore indica il VI secolo come datazione per il legame con la

glittica arcaica e nota la mancanza di confronti che, insieme al materiale impiegato, potrebbe indicare una produzione greca, così come supposto dal Boardman per il motivo del nostro scarabeo.

516 Almagro Gorbea 1986, p. 210, n. 267, tav. LXXII, n. 267. 517 Ibidem, p. 210, nn. 267-268. 518 Fernandez, Padró 1982, n. 46, pp. 136-137, fig. a p. 169. 519 Quillard 1987, p. 21, n. 67, tav. VIIb. 520 Pisano 1978, n. 4, pp. 44-45, tav. VI, 1

Page 119: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 119 -

neanche l’anello, indicando che la misura di partenza del filo fosse maggiore nel primo

caso e non nel secondo.

Per quanto concerne il luogo di produzione, se di uno solo si dovesse parlare,

per questa tipologia, la localizzazione dei rinvenimenti non permette di esprimersi con

sicurezza. Minimi dettagli, anche chimici o semplicemente metrici, potrebbero fornire

differenze per ora non riscontrabili nei soggetti appartenenti a questa tipologia che,

come già riscontrato da B. Quillard, è diffusa tra Cartagine, Sardegna e Spagna (Ibiza

e Villaricos)521, ma con maggior quantità di attestazioni nella seconda. Il luogo dove

veniva realizzata la montatura poteva inoltre e giustamente non coincidere con quello

dello scarabeo, per cui anche in questo caso un dato si sottrae all’analisi. Appare

piuttosto evidente invece che, almeno nel caso di scarabei con montatura, questi

dovessero seguire gli stessi percorsi dell’oreficeria, condividere gli intermediari, o per

lo meno confluire nelle mani di questi nel luogo dello smistamento. La montatura

tuttavia, costituita da un semplice filo, poteva essere avvolto attorno allo scarabeo al

momento della vendita522 e non richiedeva probabilmente l’intervento di un artigiano

particolarmente esperto. Data la mancanza di omogeneità stilistica o iconografica dei

soggetti delle gemme montate in questo tipo, ma di un livello qualitativo elevato,

l’ipotesi è che si potesse trattare di commercianti di gioielli e di scarabei realizzati

anche molto lontano (Levante o anche Grecia, ma nel nostro caso acquistati a

Tharros). Questi al momento della vendita al dettaglio avrebbero provveduto a

montare le gemme con montature, acquistate o realizzate in un primo momento,

aggiungendovi in collane, a seconda dei casi, anche altri vaghi o amuleti.

4.1.4. ORECCHINI

Possiamo comprendere entro questa categoria tre pezzi provenienti da tre diverse

tombe: i numeri 2, 34 e 52. Provenienti rispettivamente dalle tombe 1 PGM BLV, 6

PGM e 9 AR.

521 Quillard 1987, p. 121-122. 522 Secondo un opinione condivisa da diversi autori ad eccezione della Quillard in merito agli scarabei

cartaginesi: ibidem, p. 129.

Page 120: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 120 -

I numeri 2 e 52 appartengono ad un tipo noto con diversi nomi523 tra i quali

preferiamo quello di “orecchino ad arco ingrossato” aperto su di un lato, largamente

diffuso in ambito fenicio-punico per la semplicità della sua forma. Essa costituisce

infatti la base per gli orecchini compositi rinvenuti in maggior parte a Tharros e dotati

di decorazione o anello di sospensione saldati alla base dell’arco ingrossato524.

Lo scarso dettaglio dedicato all’esame della documentazione disponibile ha

portato le studiose, che hanno dato un contributo all’analisi di questa tipologia, a

limitarsi ad attestarne l’ampia diffusione sia nel mediterraneo orientale525 che in quello

occidentale, includendo in essa sia esemplari in oro, argento e bronzo che tra loro

dimensionalmente e formalmente difformi526. Per limitare il discorso al Sulcis-

Iglesiente, questa tipologia è attestata da esemplari in argento a San Giorgio di

Portoscuso datati al primo periodo arcaico527, in argento dalla necropoli fenicia di

Bithia528 e in oro da quella di Monte Sirai529, nonché da uno in bronzo di età tarda del

tempio di Antas530. A Sant’Antioco la tipologia è presente da diversi esemplari tra i

quali in particolare spiccano due orecchini rinvenuti recentemente nel tophet in

contesto di fine VII – fine VI secolo531 e due in oro appartenenti alla collezione

Biggio532. Gli esemplari del Sulcis in oro (tab. 4) tuttavia offrono la possibilità di

cogliere certe caratteristiche che non si riscontrano nel resto della documentazione

mediterranea.

523 Quillard 1987, p. 142, con bibliografia. 524 V. Pisano 1974, nn. 1-44, 210-280; Pisano 1987a, pp. 78-81, (orecchini dei tipi I-IV). 525 L’uso di questo tipo di orecchino è attestato ad Ur dal III millennio: ibidem, p. 144. La sua diffusione vicino-

orientale è stata oggetto di uno studio dettagliato (Les boucles d’oreilles en forme d’Aiskos) da parte di B. Van den Driessche in una tesi di dottorato inedita ma riassunta in Revue des Archèologues et Historiens d’Art de Louvain vol. III (1970), pp. 217-218, cit. in Quillard 1987, p. 142, nota 710.

526 V. ad es. Quillard 1987, p. 143; Pisano 1990, p. 61; Montis 2005. 527 Cinque orecchini in argento provengono dalla tomba 4 ad incinerazione di VIII secolo: Bernardini 1997a, pp.

55-57, n. 48 del catalogo generale, p. 237. 528 Marras 1996a, pp. 130, 181-182, n. 151 (BTH 591), tav. XI, 6. Si tratta di 6 esemplari, appartenenti al corredo

della tomba 20 databile entro l’ultimo quarto del VII secolo, incompleti in argento, per i quali l’autrice rifiuta la possibile appartenenza al tipo “a canestrello”, per la mancanza di tracce del caratteristico pendente (p. 130).

529 Campanella 2000, p. 124, n. 95 (MSN 139), tav. XLIII, c (tomba a incinerazione 32 del primo quarto del VI sec.); Bartoloni 2000a, MSN 323, p. 22, tav. II, b (tomba 88 degli scavi condotti nel 1997 e datata al secondo quarto del VI sec.

530 Antas 1997, pp. 105-113, n. 207 del catalogo generale, p. 272, in bronzo datato a IV-III secolo. 531 Montis 2005, n. 8, tav. III, in oro (dall’urna SATH/U50), n. 24, tav. V, in argento (dall’urna SATH/U190),

entrambi di dimensioni miniaturistiche. 532 Uberti 1977b, pp. 51-53, nn. 2 e 3, tav. XXIII, 2 e 3.

Page 121: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 121 -

PROVENIENZA TOMBA LUNGH. LARGH. SPESSORE PESO DATAZIONE BIBLIOGRAFIA

SULCIS ? 41 mm 16 mm 3 mm 4,8 g ? Uberti 1977b, n. 2

SULCIS ? 27 mm 11 mm 1 mm 1,7 g ? Uberti 1977b, n. 3

SULCIS 1 PGM BLV 87 mm 24 mm 1-2,5 mm inizio V ns. cat. n. 2

SULCIS 9 AR 75 mm 23 mm 1-4 mm 4,9 g inizio V ns. cat. n. 52

SULCIS SATH/U50 12 mm fine VII - fine VI Montis 2005, n. 8

M. SIRAI 32 res. 15 mm 15 mm 2 mm primo quarto VI Campanella 2000, MSN 139

M. SIRAI 88 secondo quarto VI Bartoloni 2000a, MSN 323

Tabella 4. Orecchini ellittici ad arco ingrossato in oro dal Sulcis.

La forma dell’ellisse è particolarmente lunga533 ed il loro rinvenimento, quando noto, è

singolo all’interno della tomba e limitato ad un periodo compreso tra VI – prima metà

del V secolo. La maggior parte inoltre sembra essere realizzata tramite laminazione e

trafilatura, tecniche che permettevano di ottenere un filo di metallo pieno, ma

probabilmente senza anima di bronzo534. Nel caso del n. 52 inoltre sembra

riconoscibile una linea di sutura al centro dell’arco inferiore, ad indicare quindi che qui

venivano saldati due fili. Che l’interno del filo nella parte ingrossata non fosse cavo è

suggerito, oltre che dalle stesse dimensioni, dal peso degli oggetti così misurati535.

Indizi di una differente tecnica di esecuzione si hanno nel piccolo orecchino del tophet,

che presenta un’ingrossatura più pronunciata forse cava all’interno, e nel n. 2 del

nostro catalogo, per lo stato di conservazione si induce a credere composto da oro e

altro metallo, forse placcato, o così degradato per via di una non conseguita

compattezza della lamina arrotolata.

Per l’individuazione del luogo di produzione il riconoscimento delle tecniche

non offre particolari suggerimenti, essendo sia l’espediente della lamina cava, sia il

533 Quillard 1987, p. 143, nota 712. 534 Campanella 2000, p. 124, ritiene l’orecchino MSN 95 ottenuto a getto, ovvero tramite fusione entro matrice, e

menziona due confronti cartaginesi ottenuti con due tecniche diverse (moulage e façonnage): Quillard 1987, n. 101-102, pp. 99-100, tav. X, per le tecniche v. pp. 75-76. Notare la confusione in Uberti 1977b, p. 52, per la quale i due orecchini sulcitani sarebbero ottenuti con entrambe le tecniche: “dalla sutura di due laminette cave, ingrossate verso il basso, verosimilmente lavorate per fusione a stampo”.

535 V. in particolare il n. 2 della collezione Biggio, che per dimensioni di molto inferiori ha peso solo di poco inferiore al nostro n. 52, e che l’editrice ritiene cavo all’interno: cfr. nota precedente.

Page 122: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 122 -

filo pieno usati per l’arco ingrossato tanto negli orecchini compositi di Tharros536 che

in quelli semplici e compositi di Cartagine537.

Tuttavia appare evidente come il tipo ben attestato nel VI secolo, e

caratterizzante la facies degli athyrmata del Sulcis, indizi la continuità della stessa

ancora nei primi decenni del V.

L’altro orecchino (n. 34) rinvenuto nella tomba 6 PGM invece, per la tipologia

notevolmente semplificata, risulta maggiormente diffuso. La tecnica di realizzazione è

la medesima dei due precedenti ma differisce, oltre che per le dimensioni

estremamente ridotte, per l’apertura tra le estremità collocata questa volta in alto, fatto

questo che ne ha fatto supporre una differente utilizzazione: come nezem. L’uso di

anelli nasali è menzionato in alcuni passi Biblici538 e in ambito più strettamente

punico, tra VI e V secolo, è attestato dalla loro presenza su maschere maschili539,

ghignanti540 e protomi femminili541, ma continua ancora tra IV e III secolo come

testimoniato dalle piccole maschere in pasta vitrea542. In realtà riteniamo che una

siffatta apertura dovesse renderne possibile lo scivolamento dal foro nella pelle tanto al

naso quanto al lobo dell’orecchio, tale quindi da non precludere questo o quell’uso. In

Sardegna, a differenza del resto del mondo punico, sono noti in questa sola forma e

dimensione, gli unici esemplari documentati provengono da Tharros e sono conservati

al Museo “G. A. Sanna” di Sassari543, che sebbene di poco più grandi presentano lo

stesso spessore. Singolare quindi risulta la scarsa ricezione sarda nei confronti di

questa tipologia che Cartagine rappresenta con 11 esemplari di dimensioni variabili544

e la Spagna, per fare un esempio, con dodici provenienti da un tesoretto nel sito di

536 Pisano 1974, nn. 1-2, 4-5, 13 (tipi I a-b, IV a, con sanguisuga composta da due lamine saldate lungo i bordi),

nn. 6-10, 14-43 (tipi I c-e, II a, IV b-c, filo assottigliatesi alle estremità); Pisano 1987a, pp. 78 e segg.: solo i tipi Ia-b, presenti con solo 3 orecchini, hanno sanguisuga cava, mentre i restanti tipi hanno filo pieno.

537 Quillard 1987, nn. 72-84, 85-93, 95- 98, (orecchini di vari tipi con spessore dell’arco non elevato, ma per i quali l’autrice non esprime giudizio sulla tecnica), 94, 101-102, (orecchino composito con pendente a ghianda e due semplici, i quali ultimi sarebbero eseguiti rispettivamente per fusione in stampo e sagomatura per martellatura: v. nota precedente 534).

538 Antico Testamento: Genesi 24,47, Isaia 3,21, Ezechiele 16,12. I portatori sono tanto uomini quanto donne. 539 Quillard 1987, p. 144, tav. XXXIV, fig. 1. Datata al VI secolo. 540 Moscati 1990, p. 124, fig. in basso a destra. Maschera ghignante da San Sperate (CA) datata tra VI e V

secolo. 541 Quillard 1987, p. 157, tav. XXXIV, fig. 2. 542 Seefried 1976, cit. in Quillard 1987, nota 157. Per ulteriori monumenti v. pp. 157-158. 543 Iocalia Punica 1987, p. 111, nn. D39-41, tav. XXIX. I tre anellini hanno diametro compreso tra i 12 e 13 mm,

e spessore di 2 mm. 544 Quillard 1987, nn. 105-115, tav. X, nn. 108 e 110.

Page 123: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 123 -

Tutugi-Galera nella provincia di Granada545. Altri siti contribuiscono, sebbene in

misura minore alla rappresentatività di questa tipologia che deve sottostare a dei limiti

editoriali notevoli. Nel presente discorso abbiamo tenuto infatti conto dei soli

esemplari aurei, che ci rendono possibile restringere il campo di indagine, ma bisogna

tener presente l’esistenza di innumerevoli esemplari in argento o materiali meno nobili

che, per questo motivo, sovente non sono considerati nelle edizioni e parimenti posso

sfuggire all’occhio dello scopritore o ancora superare le ingiurie dei secoli. Consci di

questa situazione, sulla base del relativo campione statistico a disposizione si può

avanzare un’ipotesi con beneficio di dubbio: la Sardegna punica dovette essere

scarsamente interessata da questa usanza, che sembra riscuotere maggiore successo a

Cartagine, forse centro propulsivo di questa moda o maggiormente rappresentativa

perché più popolata; nel primo caso il tesoretto di Tutugi potrebbe essere stato raccolto

e sepolto da un nucleo di genti provenienti direttamente da Cartagine. In secondo

luogo si può supporre che la scarsa diffusione di questa tipologia tra gli oggetti in oro

sia un segno di una relativa diffusione tra le classi sociali più elevate.

4.1.5. ANELLI CRINALI

Tra gli anelli crinali o fermatrecce, comprendiamo in questa sede i numeri 35 e 36,

dalla tomba 6 PGM, e 75 e 76 dalla tomba 11 AR, sebbene con qualche riserva. I

nostri quattro esemplari, sebbene in dimensioni leggermente diverse, sono realizzati

con la medesima tecnica: un filo d’oro ottenuto tramite laminazione e trafilatura

presenta le estremità assottigliate, sovrapposte per circa un quarto di giro e avvolte a

spirale attorno al corpo per formare un anellino di circa 13, nella prima coppia, e 15

mm nella seconda. Ulteriore differenza è l’anima di bronzo nella seconda coppia resa

evidente dall’apertura del rivestimento aureo.

Gli anelli in questione rientrano tra gli orecchini del tipo V della Pisano546,

ampiamente diffuso in tutto il mediterraneo punico occidentale547, e fanno la loro

545 Almagro Gorbea 1987, pp. 83-85, nn. 51-62, tav. XIV. In particolare il n. 58 che misura 11 mm di diametro è

pressoché identico al nostro. I dodici anelli, chiamati qui “pendientes” sono datati al V-IV sec. dagli altri oggetti del tesoretto.

546 Pisano 1974, pp. 49-50. In particolare i nostri appartengono ai sottotipi Va e Vb, distinti in base alla forma della sezione del corpo ingrossato: circolare nel primo caso e a D nel secondo. I limiti di questa distinzione sono espressi in Quillard 1987, nota 744, che invece li comprende nel type D1 – Anneaux à ligatures à simple révolution, pp. 146-148.

Page 124: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 124 -

comparsa nelle tombe cartaginesi alla fine del VI o all’inizio del V secolo e rimangono

in uso sino alla distruzione della città. Per questo lungo periodo di quasi quattro secoli,

secondo P. Gauckler548, venendo a sostituire il tipo fenicio dell’orecchino con croce

ansata549, evolvono in maniera molto limitata: aumentano leggermente le dimensioni,

il corpo ingrossato tende ad assottigliarsi e all’uso esclusivo o quasi dell’oro si

sostituisce il rivestimento o la placcatura di un anima di argento o bronzo.

I nostri esemplari sono tutti di dimensioni relativamente ridotte, ma in

quest’ottica un elemento di orientamento cronologico può essere l’anima di bronzo,

sicuramente presente nella coppia della tomba 11 AR550, e dal corpo meno ingrossato

della medesima. Indizi questi che suggeriscono la seriorità di questa coppia in

confronto a quella della tomba 6 PGM, senza che si possa desumere una datazione più

precisa551.

Quanto alla funzione di questi oggetti occorre qui esprimere chiaramente le

riserve accennate più sopra. Abbiamo qui definito i presenti esemplari come

fermatrecce per via dell’evidente difficoltà di una loro montatura all’orecchio552, che

tuttavia non dovette risultare impossibile. B. Quillard sostiene che anelli à ligatures

simili ai nostri potessero essere montati nel foro del lobo, in virtù del fatto che sugli

oggetti da lei studiati solo un’estremità avvolta risultava saldata, e descrive come

potessero essere inseriti e poi infine chiusi con l’avvolgimento della restante

estremità553. Anellini del nostro tipo potevano rendere necessaria una procedura

analoga con la differenza che nel nostro caso le estremità del bastoncello dovevano

essere avvolte entrambe dopo l’inserzione, oppure in alternativa una poteva essere

avvolta precedentemente. Sarebbe stato poi sfilato il bastoncello dal suo interno ancora

547 V. bibliografia in ibidem, pp. 147-148, e in Moscati 1988b, p. 48. 548 Gauckler P., (1915). Necropoles puniques de Carthage, vol II. Parigi, p. 533, cit. in Quillard 1987, p. 153. 549 Analogo nel corpo ai nostri numeri 2 e 52, ma completato da una croce ansata sprovvista del braccio

superiore e saldata all’estremità inferiore. 550 Il perfetto stato di conservazione della coppia della tomba 6 PGM non permette di riconoscervi il bronzo

all’interno. Qualche informazione in più potrebbe venire dalla pesatura, che non è stato possibile operare. 551 Della stessa opinione è lo scavatore delle due tombe: Bernardini c.p. La tomba 6 PGM dovette essere in uso

nel secondo quarto del V secolo, mentre la 11 AR, dalla quale provengono i nn. 75 e 76 da due distinte deposizioni, le più antiche della tomba, era in uso tra fine del V e inizi del IV secolo.

552 Seguiamo la definizione data a questo tipo di orecchini dal loro scopritore, ad esempio: Bernardini 1991, p. 193, nota 27; v. anche Iocalia Punica 1987, p. 95, cui si deve la messa in dubbio della funzione come orecchini. In realtà alcuni esemplari ivi pubblicati si adattano molto bene a questa funzione essendo le estremità del bastoncello avvolte per non più di un giro di spirale, tav. XXXIV, nn. D 49-51.

553 Quillard 1987, pp. 161-162, tav. XXXV, 2.

Page 125: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 125 -

rigido per essere reinserito di seguito al foro del lobo: restava in questo caso solo la

seconda estremità da avvolgere direttamente à demeure, di cui un segno potrebbe

essere la meno accurata chiusura di una delle spirali del n. 36554. Un tale procedimento

poteva risultare macchinoso e poco pratico, ma assicurava la tenuta dell’orecchino che

diventava in questo modo un elemento permanente (o quasi) di ornamento, è poteva

essere inteso con un significato simbolico quale quello dato ad esempio ai tatuaggi. Ad

una ricostruzione siffatta non osta la documentazione iconografica e letteraria, per

quanto sappiamo silenziosa riguardo all’uso di anelli crinali, e la circostanza che,

almeno nella tomba 6 PGM, siffatti anelli vengano ritrovati frequentemente in coppia.

Dobbiamo aggiungere inoltre che per nostra stessa osservazione il filo d’oro che

costituisce questi anelli, nel punto di massimo assottigliamento, non doveva essere

tanto rigido555, ed infine che su tutti gli esemplari noti di questa tipologia lo spazio

lasciato tra i due avvolgimenti a spirale è sempre di qualche mm tale che vi potesse

alloggiare il lobo dell’orecchio o qualche altra membrana del corpo forata.

4.1.6. ANELLI DIGITALI

Tra gli anelli digitali rientrano con certezza due esemplari: il frammento n. 3 della

tomba 1 PGM BLV ed il n. 77 della tomba 11 AR. Si tratta di due anelli in argento

molto simili, per lo meno per quanto riguarda il castone: il n. 3 è infatti privo del suo

corpo. Quanto lascia osservare il n. 77 è che si tratti della tipologia di un anello di

grandi dimensioni, con corpo a sezione circolare ingrossato e assottigliantesi alle

estremità, saldate queste ultime ad un castone di forma rettangolare con gli angoli

arrotondati imitante la forma del cartiglio egizio. Le dimensioni dei due castoni sono

di poco dissimili: appena tre mm di differenza, il che lascia intendere che pure i corpi

dei due anelli dovessero esserlo. Il frammento della tomba 1 PGM BLV che si

avvicina maggiormente a questa descrizione è il n. 4, un grosso anello dal corpo a

sezione circolare e con un’estremità ingrossata. Questo frammento tuttavia poteva

benissimo essere la montatura ad anello di uno scarabeo: in questo caso il n. 16.

Tornando all’anello con castone, la tipologia cui appartengono i nostri due

anelli corrisponde al tipo Id degli anelli della Pisano: “gold or silver rings with a

554 Cfr. nota precedente 552. 555 Osservazione eseguita sul n. 52 della tomba 9 AR, che si lascia piegare a mani nude.

Page 126: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 126 -

rectangular bezel with rounded corners; the hoop to which the bezel is soldered is

elliptical or round, and is made from e rod that is usually elliptical in section”556. A

questa tipologia appartengono 40 esemplari di origine tharrense conservati a

Cagliari557 e otto conservati a Londra558. Il tipo è meno diffuso nel Nord Africa e in

Spagna559, tra le quali il centro più rappresentativo è Cartagine con 24 esemplari560. Sia

la Pisano che la Quillard convengono su una datazione ad epoca fenicia, in particolare

quest’ultima afferma che l’anello non doveva essere più in uso dall’inizio del V

secolo561. Se una tale datazione è già di per se contraddetta dalla datazione dei contesti

dei nostri due esemplari562, alcuni elementi non considerati inducono cautela e

possibilità di abbassamento della cronologia: in principio l’affermazione del Cintas,

menzionata e ricusata dalla Quillard563, del rinvenimento di anelli di questo tipo in

ferro presso le tombe più recenti del settore dell’Odeon e del Teatro di Cartagine564 e

in secondo luogo l’evidenza che, ad una più attenta osservazione, i nostri esemplari

presentano una differenza rispetto ai trends più comuni della forma del castone. La

gran parte degli oggetti editi infatti presenta un castone che “de profil, c’est un épais

massif trapézoïdal de métal plein offrant une large échancrure destinée à épouser

l’arrondi du doigt.”565, e questo vale pure per la maggior parte degli anelli tharrensi

correttamente illustrati566, mentre i nostri nn. 3 e 77 presentano un castone costituito da

una semplice placchetta sotto la quale sono saldate le estremità del corpo dell’anello,

caratteristica che la stessa Quillard attribuisce ad un tipo più tardo di anelli in uso tra

IV e III secolo567.

556 Pisano 1987a, p. 83, tav. 39k. 557 Pisano 1974, p. 25, n. 110 in oro, fig. 3, tav. VIII, nn. 288-326 in argento, figg. 10-12, tav. XXI. 558 Tharros BM 1987, nn. 3/15, 10/16, 11/12, 19/16 (tav. XXXIX, k), 20/14, 28/11, 32/16-17. 559 Quillard 1987, p. 174-175. 560 Ibidem, pp. 42-44 e 171, nn. 268-271 in oro, tav. XVI, v. nota 910 per quelli in argento non analizzati. 561 Ib., p. 175. 562 La tomba 11 AR da cui proviene il n. 77 era in uso a cavallo tra V e IV secolo, in particolare la deposizione n.

6 che lo conteneva è la più recente. 563 Quillard 1987, nota 910. 564 Cintas 1976, p. 387. 565 Quillard 1987, p. 171, tav. XXXIX, fig, 1. 566 Si fa eccezione per i nn. 293 e 298: cfr. Pisano 1974, figg. 10-12. I nn. 300-323 e 325-326, a causa del cattivo

stato di conservazione non sono provvisti di illustrazione e la descrizione nel catalogo non ci è di aiuto per questo particolare.

567 Quillard 1987, p. 172. Si tratta del tipo B3 (a) cui si avvicina il n. 312, appartenente al invece al tipo B1 (c) (p. 171), con castone quadrato ad angoli arrotondati e raffigurazione di Horus infante, non estraneo al repertorio della glittica.

Page 127: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 127 -

Di nessun aiuto sono purtroppo le superfici dei castoni, troppo ossidate e

corrose per conservare tracce della originaria raffigurazione, sebbene nel n. 3 si

riconosca una semplice linea di contorno che in un lato potrebbe formare un neb molto

alto. Raffigurazioni incise su questi anelli sono la dimostrazione che potevano risultare

alternativi rispetto agli scarabei, con i quali condividevano il repertorio iconografico, e

le grandi dimensioni che talvolta raggiungono indicano che, al pari degli scarabei, non

sempre erano portati al dito.

Page 128: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 128 -

4.2. AMULETI

Il secondo gruppo di oggetti di adorno personale frequentemente rinvenuti nei corredi

delle tombe fenicio-puniche è costituito dagli amuleti. Questi oggetti in ambito punico

riflettono per la maggior parte tipologie e iconografie già note in Egitto, con un

margine relativamente scarso di rielaborazione a seconda del tipo.

I 29 amuleti rinvenuti in cinque delle sei tombe scavate rientrano nei tipi

dell’ureo, dell’occhio udjat e dello Ptah-pateco, e con una sola attestazione del leone

accovacciato, note da simili reperti egiziani. Un solo amuleto (n. 15), in osso, a forma

di mano presenta un iconografia, che sebbene all’origine egiziana, è probabilmente

oggetto di rielaborazione in ambito fenicio-punico.

4.2.1. AMULETO A FORMA DI MANO

Il n. 15 del catalogo è l’unico amuleto proveniente dalla tomba 1 PGM BLV. In osso,

esso è mutilo della parte superiore e di quella inferiore, ma ciononostante le

dimensioni e le incisioni sul dorso permettono di riconoscerne il tipo. Trattasi di una

raffigurazione della mano in forma allungata, ma all’interno di tale tipologia si

distingue per l’appartenenza ad una variante ben riconoscibile. Rappresenta infatti una

mano destra definita nel solo dorso, in quanto il palmo è lasciato piatto e liscio, dalle

dita particolarmente lunghe e affusolate separate da profonde incisioni, il pollice è reso

quasi a tutto tondo e leggermente estroflesso. Negli esemplari integri di questa variante

il polso è impreziosito da un bracciale realizzato tramite due coppie di incisioni

parallele. I confronti per il nostro amuleto sono ben dodici: quattro provengono dalla

Sardegna568, di cui due da Tharros, tre rinvenuti in Sicilia a Palermo e nella medesima

sepoltura569, altri quattro vengono inoltre da Utica570 e uno da Ibiza571. Le dimensioni

oscillano tra i 20 e i 25 mm di larghezza, tra i 5 e i 6 mm di spessore e tra i 70 e i 95

mm di lunghezza. Per lo stato frammentario del nostro esemplare possiamo asserire

che solo le prime due misure sono rispettate e tra valori di limite alto (largh. 24 mm,

spessore 6 mm).

568 Mendleson 1987b, p. 111, n. 23/23, tav. LXVIII, i; Acquaro 1977b, p. 44, nn. 64-66, tav. III. 569 Palermo Punica 1998, p. 154-155, p. 193, nn. 185-187. 570 Cintas 1970, tav. IV, fig. 13, rinvenuti in due diverse tombe (13 e 18). 571 Vives Y Escudero 1917, fig. 72.

Page 129: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 129 -

Può essere interessante soffermarsi sulla datazione dei confronti, dal momento

che questa tipologia di amuleto, in questo aspetto stilistico, può essere discretamente

delineata anche a livello cronologico. Se per i tre esemplari conservati al Museo

Nazionale di Cagliari non disponiamo di dettagliate informazioni del contesto di

rinvenimento, al di là di una generica origine tharrense per uno di essi572, l’esemplare

sempre da Tharros conservato al British Museum proviene da una tomba di età punica

che rimase in uso sino al I-II sec. d.C. circa, ma sicuramente non più antica della metà

del VI secolo573. Tuttavia che la tomba fosse in uso solo dalla metà del V secolo è

indicato dalla presenza nel corredo ceramico di un askos a figure rosse (430 a.C.) e di

un amphoriskos in vetro (secondo/quarto quarto del V secolo a.C.), mentre al VII-V

secolo rimandano solo indicativamente i numerosi gioielli574. Con più precisione

invece si possono datare i tre esemplari della sepoltura palermitana, il cui corredo

ceramico, attribuibile al cinquantennio a cavallo tra VI e V secolo, indica una chiusura

della tomba avvenuta sicuramente nei primi decenni del V secolo575. Poco più tardo il

nostro caso: il corredo ceramico permette di datare la tomba di Via Belvedere (1 BLV

PGM) alla prima metà del secolo (comunque non oltre il 460), sebbene i monili

possano attribuirsi alla fase più antica di utilizzo (500-480 circa)576. Datazione quindi a

metà strada tra quella della tomba tharrense e di quella palermitana, per cui la prima

metà del V secolo come ambito di diffusione dell’amuleto in Sicilia e Sardegna

sembra la più plausibile. Difficile invece è stato ritrovare conforto a tale datazione

negli altri cinque esemplari noti di questa categoria perché non correttamente editi: le

informazioni disponibili sulle tombe 13 e 18 della necropoli “de l’île” di Utica577, da

cui quattro amuleti di questo tipo provengono, indicano una datazione tra la fine del

VII e l’inizio del VI secolo, dati che ci riserviamo di mettere in dubbio alla luce di

quanto detto sinora. Il dubbio sulla datazione delle tombe di questa necropoli è stato

già espresso da Colette Picard578, alla quale sembra però sia sfuggita la pubblicazione

572 Acquaro 1977b, p. 44, n. 64, tav. III; Tharrica 1975, p. 83, n. C3, tav. XXVIII. 573 Cfr. Bartoloni 1981, pp. 13-30. 574 Tharros BM 1987, p. 208, nn. 23/8-10 e lo scarabeo 23/12 attribuito alla XXVI dinastia (VII-VI secolo). 575 Palermo Punica 1998, p. 112, p. 152-155. 576 Bernardini c.p., non fa testo il nostro amuleto che è stato rinvenuto in fase di setacciatura. 577 Cintas 1970, p. 305-306; Cintas 1954, pp. 89-154, p. 113 e 116, fig. 42. Ogni sepoltura ha fornito due

amuleti. 578 Picard 1995, pp. 289-295. p. 290.

Page 130: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 130 -

dei dati di scavo del 1954579. Infatti la presenza di un aryballos protocorinzio nel

corredo della tomba 13, sebbene dallo stesso Cintas ritenuto più antico degli altri

oggetti, sostanzialmente non cambia di tanto la datazione che abbiamo riportato. Tutto

ciò porta ad accettare il VI secolo come periodo di diffusione nel mediterraneo di

questo tipo di amuleto, i cui limiti andranno necessariamente sfumati: quello alto alla

fine del VII e quello basso alla prima metà del V.

Un’ulteriore annotazione va fatta a proposito della funzione di questi amuleti. In

Egitto amuleti a forma di mano580, così come raffiguranti altre parti del corpo, iniziano

a comparire nelle tombe dell’Antico Regno581 e sono considerati “amuleti di

assimilazione”, come tali si riteneva conferissero a chi li indossava i poteri di cui era

dotato l’oggetto, e in questo caso la parte del corpo, che rappresentavano. Le tipologie

che si riscontrano sono diverse, dalla mano provvista di braccio e avambraccio alle

sole due dita582, dal doppio braccio (ka) alla mano singola, aperta o chiusa (in pugno,

con il pollice tra indice e medio o nell’atto di indicare). Tra tutte queste tipologie la

cultura punica, in regime di sostanziale dipendenza iconografica da quella egiziana, ne

adotta solo alcune. Le ragioni di questa selezione riposano, sostiene E. Acquaro, su

fattori di certo culturali, ben tenendo conto della duplice articolazione degli amuleti

punici: quella della produzione locale e quella delle importazioni583. Ma va anche

tenuto conto che la nostra conoscenza del corpus degli amuleti egiziani, oltre che

ancora parziale, è generica soprattutto nei confronti della particolare articolazione

cronologica che dovette possedere. In sostanza l’acquisizione di modelli egizi dovette

avvenire in modi e tempi che siamo ancora lontani dal riconoscere correttamente.

Per quanto concerne la nostra categoria sono noti in ambito punico i seguenti

tipi:

(1) mano aperta con porzione più o meno lunga dell’avambraccio584;

(2) la “mano che fa le fiche”, ovvero con pollice serrato tra indice e medio585, nelle due

varianti: con intero avambraccio e con il solo polso.

579 Qui già menzionata alla nota 577, nella quale pubblicazione manca l’edizione del restante corredo vascolare. 580 De Chanteloup 1986, pp. 7-22; v. anche il capitolo relativo agli amuleti nel più ampio Sourdive 1984, pp.

437-460. 581 Andrews 1994, p. 70. 582 Hölbl 1986, p. 156. 583 Acquaro 1977b, p. 31. 584 Ibidem, p. 16, p. 44-45, nn. 65-69.

Page 131: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

Mentre per il tipo (2) il significato magico è assicurato dal richiamo all’unione

dei due organi sessuali, con lo scopo di proteggere dal malocchio, per via del legame

intimo tra nascita e vita eterna insito in questo gesto586, il reale valore magico del

primo non si coglie così facilmente. Secondo Petrie questo amuleto conferiva un

generico “potere di azione”587 e la capacità di riuscire in azioni con destrezza e

abilità588, nonché simbolo di generosità e liberalità secondo Wallis Budge, per il quale

la “mano di Fatima” non sarebbe che un residuo589. Non ci pare tuttavia che tali

interpretazioni, proposte ormai un secolo fa, si basassero su di una conoscenza precisa

degli aspetti culturali di tale simbolo, e sembrano tutt’al più poggiare su scarsi

confronti etnologici, se non addirittura osservazioni personali. L’argomento d’altronde

non ha goduto tutt’oggi di uno studio approfondito, né ci sentiamo di tentarne uno in

questa sede. Ci limiteremo invece ad aggiungere un elemento al dibattito con lo scopo

di fornire un interpretazione alternativa dell’oggetto in questione.

Il termine egiziano che indica la mano ( drt) deriva dalla stessa radice (dr)

utilizzata in parole con il significato intensionale o di “limite” e “limitare”590. Con la

funzione di porre un limite e di allontanare le forze del male poteva quindi essere usato

questo amuleto, e probabilmente per questo la parte sovente rappresentata non era il

palmo ma il dorso591. L’oggetto appeso e disteso sul corpo perciò mostrava alla vista la

sola parte esterna (il dorso), che, in analogia con il gesto naturale di allontanare

qualcosa con il dorso della mano, simbolicamente scacciava le forse negative, mentre

tratteneva celando con il palmo quelle positive ed il corpo stesso che proteggeva592. Ed

anche nella sfera protettiva dell’infanzia rientrava per gli egiziani l’amuleto a forma di 585 Ibidem, p. 16, p. 45, nn. 70-77. Da Sulcis proviene un prezioso esempio in oro di questa tipologia: Uberti

1977c, p. 57-58, tav. XXIV, n. 2. 586 Vàzquez Hoys 2000, p. 70. 587 Petrie 1914, p. 11. Nella classificazione di Petrie la mano, come quelli raffiguranti altre parti del corpo,

rientra tra gli amuleti homopoieici, le cui capacità spiegava con la “teoria del simile”, per mezzo della quale l’amuleto conferiva al possessore il potere dell’oggetto rappresentato (p. 2), un principio noto anche come “magia simpatetica” o “omeopatica”: v. al riguardo Frazer 1998, § 3.

588 Andrews 1994, p. 70. 589 Wallis Budge 1901; De Chanteloup 1986, p. 19, sebbene la «mano di Fatima», oltre ad un generico amuleto

contro il malocchio, rappresenti un simbolo di serietà e autorevolezza. Questa fu dimostrata, secondo la leggenda, dalla sorella di Maometto che si bruciò la mano senza mostrare sofferenza nell’apprendere che lo sposo Alì aveva sposato un'altra donna; v. anche Sourdive 1984, p. 459.

590 Gardiner 1927, p. 604. 591 Medesimo motivo per cui non potrebbe essere simbolo di generosità: il gesto del “dare” si effettua con il

palmo e non con il dorso.

- 131 -

592 Ulteriore significato intensionale è quello di “stringere”, che designerebbe meglio il carattere pratico di questo “utensile umano”: voce Hand in LÄ, vol. 5, coll. 938-943.

Page 132: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 132 -

mano: è quanto si apprende da un papiro della XVIII dinastia, una raccolta di rimedi

per infanti contro mali visibili e invisibili, nel quale si prescrive di unire vari amuleti

(sfere d’oro, anelli di ametista, uno scarabeo, un coccodrillo e una mano) con un filo

da appendere al collo del fanciullo593.

Nel mondo fenicio e punico tuttavia la sfera infantile non viene investita da una

tale credenza: lo dimostra la totale assenza degli amuleti così configurati nei tophet594.

D’altronde la frequenza di amuleti del nostro tipo nelle necropoli stesse non è

altissima. Difficile credere che al di là del suo uso si nascondesse una particolare

simbologia595, tanto meno possedesse una qualsivoglia finalità funeraria, per lo meno

in quanto amuleto. Risulta attestata invece nei santuari, ma nella tipologia del pugno

chiuso o “che fa le fiche”, ad indicarne la funzione “per i vivi”, in relazione ad una

qualche natura legata alla sfera del culto596.

Intendiamo in questa sede invece proporre una ipotesi alternativa per la quale la

funzione di tali oggetti, o della tipologia del nostro in particolare, potrebbe essere stata

diversa da quella di amuleto vero e proprio. A questa ipotesi ci hanno spinto alcune

caratteristiche dell’oggetto. In primo luogo la forma stessa: la fine lavorazione del

dorso non trova corrispettivo nel palmo, che infatti risulta non decorato e talmente

liscio da far pensare dovesse aderire ad una superficie altrettanto liscia. Insolito è

anche il foro di sospensione, troppo largo per il passaggio di un filo597 nonché

scomodo: gli esemplari egiziani, che erano amuleti per certo, dal momento che ne sono

stati trovati alcuni sulle mummie598, presentano un foro trasversale passante per il

polso, mentre nel nostro caso essendo frontale avrebbe consentito la sospensione

soltanto a mezzo di un nodo, situazione che rarissimi tipi di amuleti condividono. In

secondo luogo le circostanze di rinvenimento di almeno due rinvenimenti indicano che

593 De Salvia 1978, p. 1043, nota 80. Si tratta del papiro Ieratico di Berlino n. 3027 (“Incantesimi per la madre

ed il bambino”), in particolare il rimedio P = Rs. 2, 2-7, che si intitola: “Formula (da pronunciare) quando si lega (l’amuleto) per il bambino, giovane uccello”.

594 Ferrari 1994, pp. 83-115. 595 Di diverso avviso è S. Verga (Verga 1998, p. 413), la quale nel commentare i tre esemplari palermitani,

attribuisce la mano, quale simbolo apotropaico, alla dea Iside/Tanit di Cartagine, probabilmente sulla base della frequenza di questo simbolo sulle stele del tophet.

596 Antas 1969, p. 110, p. 113, nn. 7, 9-10; per altri amuleti rinvenuti presso il santuario v. Antas 1997. 597 Negli esemplari Palermitani è stato misurato risultando di 8 mm: Tamburello 1969, p. 277. 598 De Chanteloup 1986, p. 18. I vivi potevano portarlo appeso al collo, ma sulle mummie viene rinvenuto presso

il polso, come sorta di sostituzione della mano nell’oltretomba.

Page 133: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 133 -

non fossero indossati dal defunto599 ma che si trovassero ben distanti da esso ed

insieme ad altri oggetti del corredo. Come abbiamo già detto il rinvenimento del nostro

oggetto durante la setacciatura non permette di verificare questa condizione, che si

presenta in soli due contesti, ovvero la totalità di quelli correttamente conservati e

documentati.

Le circostanze sin qui presentate inducono quindi a credere che si trattasse di un

oggetto costitutivo di una pisside o di una scatola in materiale deperibile, e comunque

diversa da quella formalmente amuletica. In questo caso avrebbe condiviso la funzione

riservata in genere ad altri oggetti e elementi decorativi nello stesso materiale. Ed

inoltre con tali tipi di oggetti condivide anche l’iconografia: è nei lotti di avori vicino-

orientali infatti che troviamo iconografie che comprendono mani dalle dita allungate e

con bracciali al polso600, riscontri più puntuali di quelli appartenenti al corpus degli

amuleti egiziani o egittizzanti. La stessa G. Scandone Matthiae in una nota relativa ad

un motivo iconografico che completa i manici di alcune coppe metalliche rinvenute in

Spagna, Egitto, Cipro ed Ebla601, richiama l’evidente continuità stilistica di queste

realizzazioni, sebbene sulla lunga durata, con quelle del Palazzo Reale G di Ebla

Protosiariana602. Ma nell’economia del discorso queste coppe realizzate in bronzo o in

argento sono per noi molto importanti per alcune analogie: dal punto di vista

cronologico le coppe coprono lo stesso periodo che abbiamo delineato per la nostra

categoria. Le coppe più antiche rinvenute in Spagna ed Egitto risalgono infatti alla fine

del VIII – VII secolo, mentre le più recenti al V603. Dal lato pratico inoltre presentano

un foro al polso necessario all’innesto del manico di cui fanno complemento, e da

quello funzionale perché elementi decorativi di recipienti. Nello stesso arco

cronologico i nostri oggetti si rendevano mediatori di iconografie di origine orientale,

599 Le due mani della tomba 13 di Utica erano contenute insieme agli altri oggetti del corredo dentro ad una

grande giara interrata distante dal sarcofago (Cintas 1954,. p. 113), e i tre oggetti della tomba 1/1966 di Palermo si trovavano sulla copertura del sarcofago, come un piatto per le offerte e tre coppiglie bronze (Tamburello 1969, p. 277) del tipo rinvenuto nella stessa tomba 1 PGM BLV.

600 Decamps De Mertzenfeld 1954, tav. III, n. 16: elemento decorativo proveniente da Tell Ed-Duweir; tav. XXXIII, n. 299: cosmetic spoon a figura femminile distesa che sostiene una coppa con bracciali alle mani e tav. XXX, n. 336: elemento decorativo, provenienti da Megiddo. Barnett 1975, tav. L, n. S 91 a, b: doppia figura femminile che regge una coppa con tre bracciali per polso; tav. LI, n. S 93: come la precedente ma con due bracciali. È singolare e confortante che un oggetto simile a questi ultimi sia stato trovato nel XIX secolo proprio a Tharros: Hölbl 1986, pp. 400-402, fig. 76; Vagnetti 1993, pp. 29-33.

601 Scandone Matthiae 1982. 602 Ibidem, p. 4. 603 Ib., p. 2.

Page 134: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 134 -

e come queste coppe erano probabilmente prodotti nel Levante. Il foro dell’“amuleto”

probabilmente non serviva alla sospensione ma era attraversato da un chiodo, ligneo o

bronzeo, che non consentiva di fissarlo fermamente ad una superficie, ma forse di farlo

ruotare, e l’estremità arrotondata del polso si conforma a questa azione. L’oggetto

quindi potrebbe essere stato uno strumento per chiudere un cofanetto ligneo, che per la

deperibilità del materiale che lo costituiva non si è mai conservato. A questa

spiegazione si confà anche la quantità dei rinvenimenti in alcuni dei contesti: tre nella

tomba palermitana, e due in ognuna delle due tombe uticensi604, spiegabile col fatto

che per una scatola di dimensioni più grandi una sola chiusura non potesse bastare. Ad

ulteriore conforto di questa ipotesi va aggiunto anche il rinvenimento, insieme alle due

mani della tomba 18 di Utica, di un manico di cofanetto in bronzo605 e di coppiglie

bronzee simili a quelle usate per i sarcofaghi lignei nella tomba palermitana, le quali

non appartenevano di certo al sarcofago litico della sepoltura606, ulteriori complementi

del cofanetto.

Un semplice strumento per chiudere un cofanetto quindi, e non un amuleto

rivelatore di complesse credenze e superstizioni. Ma nell’immaginario del fruitore

quale sarebbe stata la forma da dare ad un oggetto che avrebbe dovuto proteggere i

suoi beni e allontanare eventuali curiosi o ladri se non quella propria di un amuleto con

le medesime caratteristiche simboliche? In questo contesto l’oggetto è pur sempre un

amuleto, al quale è aggiunta la funzione pratica di assicurare la chiusura.

4.2.2. SERPENTI UREI

Dalla deposizione n. 1607 della tomba 5 PGM provengono cinque amuleti che

propongono il tipo dell’ureo (nn. 23-27). Il motivo iconografico è, come la maggior

parte degli amuleti punici, di origine egiziana608: è rappresentato un serpente

incedente, o strisciante, nei due profili e frontalmente, il cui lato era quello a vista dal

momento che l’amuleto è forato nel senso dello spessore. Sui due lati quindi il

serpente è ripiegato in tre segmenti e frontalmente è descritto il petto dai cofani poco o

604 V. note 2, 8 e 27 precedenti. 605 Cintas 1954, p. 116. 606 Tamburello 1969, p. 277. 607 Fa eccezione il n. 27 che è stato rinvenuto durante la setacciatura, ma niente impedisce di credere che facesse

gruppo con gli altri quattro analoghi amuleti. 608 Petrie 1914, p. 18, n. 58.

Page 135: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 135 -

nulla dilatati nell’atteggiamento tipicamente aggressivo di questo animale, e sulla

superficie alcuni tratti incisi obliquamente convergono su una doppia linea verticale

che indica il corpo. L’intero corpo dell’animale poggia inoltre su di una base

parallelepipedica. Le misure sono comprese tra i 12,5 mm del n. 26 e i 14,5 mm del n.

24 di altezza, la profondità è di 9/10 mm e lo spessore massimo della parte frontale del

serpente compreso tra i 3,5 mm del n. 26 e i 5,5 mm del n. 27. L’aspetto stilistico trova

particolare confronto in due esemplari della collezione cagliaritana: i nn. 158 e 163609.

Mentre il secondo non ha indicazioni di provenienza, il primo è stato acquistato in

Egitto in tempi moderni, fatto che subito suggerisce per i nostri, se non si tratta di

importazioni egiziane, come almeno siano stilisticamente molto prossime ai prototipi

da cui derivano.

Riassumiamo nella seguente tabella le caratteristiche dei cinque amuleti:

CAT. TOMBA DEPOSIZIONE DESCRIZIONE MATERIA MISURE

23 5 PGM 1 AMULETO UREO PIETRA DIPINTA DI VERDE 13x10x5

24 5 PGM 1 AMULETO UREO PIETRA DIPINTA DI VERDE 14,5x9x4

25 5 PGM 1 AMULETO UREO PIETRA DIPINTA DI VERDE 13,5x10x4

26 5 PGM 1 AMULETO UREO PIETRA DIPINTA DI VERDE 12,5x9x3,5

27 5 PGM SETACCIO AMULETO UREO PIETRA DIPINTA DI VERDE 14x10x5,5

Tabella 5. Amuleti a forma di ureo. Nella classificazione di G. Hölbl essi rientrano nel tipo 28.A.1.2 degli amuleti in

faïence ed a quello 28.B.3.2 di quelli in steatite610. Per essi già E. Acquaro aveva

notato la caratteristica “componente canina” nella resa del capo e la mancanza di

copricapo hathorico611, che invece caratterizza la maggior parte degli urei rinvenuti in

Sardegna e nel restante mondo punico. Il tipo al quale appartengono i nostri cinque

amuleti quindi non è frequente tra gli amuleti-urei, fatto sorprendente vista la grande

diffusione e presenza di questa categoria nella Sardegna punica, e in proporzione a

Sant’Antioco612. Oltretutto gli esemplari di questa categoria sinora editi della necropoli

609 Acquaro 1977b, pp. 52-53, nn. 158 e 163, tav. VIII. 610 Hölbl 1986, pp. 92 e 131, tav. LXIV, 4 (in steatite). 611 Acquaro 1977b, p. 33, per i nn. 160-168. 612 Nel Museo Comunale di Sant’Antioco, secondo le stime di E. Acquaro, gli urei erano al terzo posto per

frequenza con 10 esemplari: Acquaro 1987a, p. 179. I rinvenimenti della tomba 5 PGM aumentano già solo del 50 % questo dato allora provvisorio.

Page 136: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 136 -

sulcitana613 sono di un tipo che può datarsi ai secoli IV-III a.C. secondo quanto ha

dimostrato T. Redissi per questo tipo “schematizzato”614. I due spazi verticali tra le

spire, modellati a giorno e dai bordi smussati nei nostri, nelle varianti più tarde sono

sostituiti da fori circolari indistinguibili da quello di sospensione secondo

un’“evoluzione” che trova riscontro anche negli amuleti raffiguranti lo Ptah-pateco.

Il nostro tipo trova un confronto più puntuale quindi nell’esemplare proveniente

dal tophet sulcitano ed edito da P. Bartoloni con il n. 26615. Sulcis così con soli sei

amuleti si pone al primo posto tra i siti da cui si possono con certezza attribuire

pendenti di questa variante. Nel Museo Archeologico Nazionale di Cagliari sono

presenti infatti solo undici urei di questo tipo616, ma se si esclude il n. 158 della

numerazione di E. Acquaro617 acquistato in Egitto in tempi moderni, ed i nn. 162 e

166, provenienti rispettivamente dalle tombe 117 e 109 della necropoli cagliaritana di

Tuvixeddu618, otto di questi non posseggono indicazione di origine619.

Come abbiamo notato in altri casi, il dato è troppo esiguo per effettuare

conclusioni, ma, tenuto conto di tale provvisorietà, possiamo notare come a Sulcis nel

V sec. si diffonda, intensamente ma non estensivamente620, una tipologia che avrà

fortuna nelle rese compendiarie dei secoli successivi, ma che in questo momento stenta

ad imporsi. Ibiza ad esempio, su 52 amuleti-urei621, non ne ha restituito uno solo di

questo tipo e Sulcis doveva probabilmente usufruire di un canale privilegiato. Perciò

comprendere quale fosse il centro di produzione di questi oggetti ci permetterebbe di

conoscere in dettaglio con quali centri il nostro fosse in maggior contatto. Il discorso

in questo momento non può tuttavia che restare inconcluso.

613 Savio, Lega, Bontempi 2004, pp. 137-140, nn. 53-60, figg. 71-78. 614 Redissi 1991a, p. 109-110. 615 Bartoloni 1973, p. 191, n. 26, tav. LVII, 13. Nella media dei nostri 5 anche il riscontro dimensionale: 14 x 9,5

x 5,5 mm. 616 Acquaro 1977b, pp. 52-53, nn. 158-168, tav. VIII. 617 Ibidem, p. 52. 618 Ib., p. 53, tav. VIII; il secondo in Hölbl 1986, tav. LXIV, 4. 619 Se infatti può essere proposta la provenienza da Tharros, sede di intensi ma non documentati scavi nel XIX

secolo, non può essere esclusa anche altra provenienza, come la stessa Sulcis o la necropoli di Nora, per fare due esempi.

620 I sei amuleti sulcitani, cinque dalla tomba 5 PGM e uno dal tophet, sono appartenuti a solo due individui in tutto.

621 Fernandez, Padró 1986, pp. 68-73, nn. 194-225.

Page 137: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 137 -

4.2.3. OCCHI UDJAT

Gli amuleti in forma di udjat sono undici e provengono da quattro diverse tombe: i nn.

28-30 (tomba 5 PGM, i primi due dalla deposizione 1), 39-42 (deposizione 1 della

tomba 6 PGM), 60-61 (tomba 9 AR, deposizione 9) e i nn. 70-71 (unica deposizione

del vano destro della tomba 10 AR).

Il motivo dell’udjat, o occhio di Horus, al pari del suo nome è di nota origine

egiziana, e dallo stesso Egitto ha origine la sua realizzazione in forma di amuleto622.

Secondo il mito più diffuso esso rappresenterebbe l’occhio “sano” di Horus ferito nella

lotta contro Seth, uccisore del padre nel mito Osiriaco. L’enorme importanza di questo

simbolo nella sua patria di origine costituisce un ottimo presupposto per la sua

diffusione nel mondo fenicio e punico d’occidente. E in quest’ultimo, come consueto

per altre tipologie amuletiche, non compaiono se non in minima parte, e segno quindi

di produzione allogena, i tipi più complessi come composti da più occhi udjat o

completati da altri elementi quali urei o altri simboli magici egizi623.

I caratteri essenziali con i quali si presentano i reperti del mondo fenicio-punico

sono i tratti caratteristici del simbolo egizio che ne permettono il riconoscimento senza

possibilità di fraintendimento: un occhio in prospettiva frontale sovrastato dal

sopracciglio, sovente campito da tratti obliqui, e al di sotto un appendice

subrettangolare campita da tre o più solchi verticali, che per alcuni rappresenta una

lacrima624. Dal punto di innesto di questa appendice con l’occhio si diparte un listello

diagonale arcuato in direzione divergente rispetto alla coda dell’occhio, terminante con

un ricciolo nei migliori esemplari, che starebbe ad indicare secondo la comune

interpretazione il residuo piumaggio del falco Horus o la macchia presente sul volto

del Falco Lanario (Falco Biarmicus)625. Qui si lega ad un pilastrino verticale che

chiude l’amuleto ed al quale si legano anche la coda dell’occhio e il sopracciglio.

Come nei nostri esemplari l’udjat è rappresentato su entrambi i lati, in modo tale da

poter essere utilizzato all’occorrenza come occhio destro o sinistro. Le tipologie

diffuse in Occidente, nella generale semplicità del motivo, si distinguono per l’uso del

622 Petrie 1914, p. 32-34. 623 Cfr. ad es. Andrews 1994, fig. 46, a e j; Petrie 1914, p. 33-34, nn. 139-142, tav. XIV, definiti dall’autore

“unusual types”, “multiple”, “with gods” e “inscribed”. 624 Martini 2004, p. 41 (che cita Kakosy, Roccati 1991, p. 82). 625 Andrews 1994, p. 43.

Page 138: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 138 -

traforo o della semplice incisione nella resa degli spazi tra i vari elementi del simbolo,

cosicché si possono trovare splendidi amuleti intagliati a giorno nei minimi dettagli626

o semplici sagome i cui tratti, spesso solo la pupilla e il sopracciglio, sono incisi o

anche solo dipinti627. Il foro di sospensione è ricavato nello spessore dell’amuleto, che

ne è attraversato all’altezza della pupilla, ma negli esemplari di miglior fattura, e forse

per questo motivo più antichi, che si possano ragionevolmente attribuire a produzione

punica, questo è ricavato all’interno di un’appendice rettangolare al di sopra del

sopracciglio.

I nostri 11 esemplari non presentano particolari differenze tra loro e

appartengono a quella tipologia piuttosto diffusa dell’udjat realizzato a traforo e

incisione628, ma presentano un elemento che discrimina l’appartenenza a due distinte

tipologie, cui nella mole degli studi su questo tipo di amuleto è stato dato risalto dal

solo G. Hölbl629. Trattasi di un’appendice posta al di sotto del globo oculare presso la

sua estremità nasale. Nella sua schematizzazione tipologica l’autore distingue infatti

all’interno delle due varianti in faïence e steatite (49.A e -B), tra tipologia con

“Uräeus” e senza (49.A.1 e -2, 49.B.1 e -2) interpretando così tale appendice come la

testa dell’ureo evidente in taluni esemplari e legata all’appendice centrale, che può

assumere un aspetto a fisarmonica tale da riconoscerne le spire del serpente630. Non ci

sentiamo qui di consentire con l’interpretazione dell’autore tedesco né tanto meno di

accettare la conclusione di D. Ferrari che ritiene “questa scelta iconografica […], più

che strutturalmente meditata, […] voluta solo come un arricchimento decorativo del

motivo a traforo”631. Se infatti gli elementi presenti sui nostri amuleti presentano una

forma a volte squadrata o appuntita, che suggerisce l’aspetto della protome animale,

ma che in nessun caso per motivi di proporzioni farebbe pensare a quella di un

serpente, crediamo di poter notare un suggerimento in un amuleto siciliano632.

Conservato nel museo J. Whitaker di Mozia l’udjat è in osso ed è lungo 18 mm, per

626 Cfr. ad es. Hölbl 1986, tav. LXXX, 2, da Olbia; seppur frammentario è degno di interesse l’amuleto della

Collezione Lai e forse proveniente dal tophet di Sant’Antioco: Martini 2004, tav. XIII, 87. 627 Cfr. ad es. Montis 2005, tav. V, 25, nel quale non è rimasta traccia di pittura. Il tipo è comunque già attestato

in Egitto, v. ad es. Petrie 1914, tav. XXV, 138, r e s. 628 Ferrari 1995, p. 54; v. in particolare la nota 23 per la diffusione in ambiente nordafricano. 629 Hölbl 1986, p. 100-103, n. 49 (“Udjatauge ohne einfassung”). 630 Cfr. gli esemplari a nota 626, nonché ibidem, tav. LXXX, 3. 631 Ferrari 1995, p. 54. 632 Fresina 1980, p. 38, n. 20, fig. III, 8, tav. IV (miss. 18x14x5).

Page 139: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 139 -

cui relativamente grande rispetto ad altri esemplari della stessa tipologia, come i nostri

ad esempio. L’appendice ha forma per lo più triangolare con una leggera incisione

diagonale che mette in risalto l’aspetto uncinato. L’impressione è che si possa trattare

di una testa di falco, la forma ad uncino è talvolta suggerita dalla stessa estremità

dell’occhio, laddove privo di tale appendice633. Quale miglior complemento di un

occhio di Horus d’altronde se non la testa dell’animale di cui il dio prende le

sembianze?

Segue nella tabella l’elenco degli amuleti rinvenuti nelle tombe sulcitane

oggetto di questo lavoro:

CAT. TOMBA DEPOSIZIONE DESCRIZIONE MATERIA MISURE

28 5 PGM 1 amuleto udjat faïence smaltata e dipinta di verde 11x9x4

29 5 PGM 1 amuleto udjat faïence smaltata e dipinta di verde 12x9,5x4,5

30 5 PGM SETACCIO amuleto udjat faïence smaltata e dipinta di verde 11x5,5x2

39 6 PGM 1 amuleto udjat faïence smaltata verde 12x11

40 6 PGM 1 amuleto udjat faïence smaltata verde 12x11x4

41 6 PGM 1 amuleto udjat faïence smaltata verde 11x9x4,5

42 6 PGM 1, PIATTO 4 amuleto udjat faïence smaltata verde 13x11x5

60 9 AR 9 amuleto udjat faïence senza smalto 12x9x4

61 9 AR 9 amuleto udjat faïence senza smalto o steatite 9,8x7x3

70 10 AR vano dx amuleto udjat faïence smaltata verde 13x9x3,5

71 10 AR vano dx amuleto udjat faïence smaltata verde 13x9x4

Tabella 6. Amuleti udjat. Come già accennato tutti e undici gli esemplari appartengono alla variante a traforo e

incisione. Si distinguono all’interno di questo gruppo i nn. 28-29, 61 e 70-71 privi

della suddetta appendice a testa di falco e dal globo oculare entro il quale i dettagli

sono incisi. Tale tipologia (tipo 49.A.2.2.1 di G. Hölbl634) risulta non priva di

confronti: in particolare l’autore propone tre amuleti sulcitani provenienti dal settore

della necropoli di proprietà Don Armeni635, nonché altri tre conservati al museo di

Cagliari ed appartenenti alla collezione Castagnino636, ma l’enorme quantità di altri

esemplari analoghi impedisce qui di renderne nota: basti accettare che per l’estrema

633 Cfr. ibidem, tav. IV, 21. 634 Hölbl 1986, p. 100, tav. LXXXII, 1-2 e 4-6. L’autore descrive così: “Pupille nur eingravierte, schräg

schraffierte Braue”. Tali caratteristiche non sembrano riscontrate su amuleti in steatite: v. pp. 102-103. 635 Ibidem, p. 100, 220, tav. LXXXII, 1 (n.i. 2630, dalla tomba 8DA, miss. 16x12x4), 82,2 (n.i. 2695, dalla

tomba 12DA, miss. 12x10x5) e p. 100; Uberti 1971, p. 308, tav. XVII, 11 (collezione privata Don Armeni, da tomba imprecisata, miss. 14x11x10).

636 Hölbl 1986, p. 100, tav. LXXXII, 4-6; Acquaro 1977b, nn. 280, 273 e 320, tav. XII-XIII.

Page 140: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 140 -

semplicità formale esso appartenga ad uno dei tipi maggiormente diffusi nel

mediterraneo637.

I quattro esemplari della tomba 6 PGM invece furono indossati dall’inumato

della deposizione 1 ed appartengono allo stesso tipo. L’appendice a testa di falco e la

resa dei dettagli all’interno del globo oculare (a giorno), li qualificano come tipo

49.A.1.2-3 degli esemplari in faïence638 e come il 49.B.1.1-2 di quelli in steatite639. Il

giusto riconoscimento di questa tipologia consente di distinguere un congruo numero

di esemplari sardi, che sebbene privi di datazione e indicazioni di provenienza potrà

servire in futuro a più complete analisi stilistiche e tipologiche e, perché no, a più

precise datazioni640. Per il momento la datazione fornita dal corredo ceramico della

tomba 6 PGM, al secondo quarto del V secolo, è il contributo più rilevante che sia

stato dato alla datazione di questa tipologia, per cui senza eccessive relativizzazioni, si

può proporre tutto il V secolo come periodo di diffusione del tipo. La definizione

geografica di questa diffusione, sebbene da ritenersi ancora incompleta nella sua

conoscenza, indica tuttavia un dato difficilmente ribaltabile: due soli esemplari

analoghi sono per ora noti a Mozia641 e Ibiza642, fatto che indicherebbe la Sardegna

come luogo di produzione. Come già rilevato la mancanza di sicure attestazioni di

provenienza per gli amuleti conservati al museo di Cagliari643 non consente in questo

caso di confermare l’opinione, condivisa in gran parte della letteratura scientifica,

637 Dissentiva G. Hölbl che al di fuori della Sardegna proponeva un solo esemplare Cartaginese conservato al

Louvre: Hölbl 1986, p. 145, nota 543. 638 Ib., p. 100, tav. LXXXI, 1; non riteniamo che le differenze tra i due tipi (-2 e -3) siano rilevanti: si limitano al

fatto che la pupilla sia più o meno distinta. I dettagli all’interno del globo oculare sono in entrambi i casi a giorno, cosicché ci sembra sia più da accettare la distinzione che l’autore compie tra dettagli interni solo incisi o a giorno, come nel caso dei tipi 49.A.2.2.1 e -2.

639 Ib., p. 102, tav. LXXXIV, 4 e 5; cfr. nota precedente per la differenza tra i due tipi. Per quanto concerne le due denominazione date dall’autore per il diverso uso del materiale, nonostante costituisca un tema che inerisce lo status dell’individuazione corretta di esso nelle pubblicazioni, si risolve tuttavia con un’indifferenza da parte del produttore dell’amuleto. Proprio riguardo al confronto tra i tipi 49.A.1.3 e 49.B.1.1-2 l’autore riconosce l’affinità e interdipendenza che in questo caso emblematico travalica la differenza di materiale (p. 144).

640 Cfr. Acquaro 1977b, nn. 213 (dalla necropoli occidentale di Cagliari), 251, 254, 261, 292, 307, 326, 337-338, 342, 344: Le dimensioni sono comprese tra i 8/16 mm di lungh., altezza tra 7/13 mm, spessore 4/5 mm; Acquaro 1982, pp. 23-24, nn. 45 (miss. 15x12x4) e 53 (miss. 10x8x3), tav. III, provenienti entrambi da Tharros; Tharros BM 1987, nn. 10/40, dalla tomba 10 in uso dalla metà del VI secolo.

641 Fresina 1980, n. 20. Cfr. nota 632, per le maggiori dimensioni rispetto alla serie cagliaritana questo amuleto potrebbe rappresentare il prototipo della tipologia.

642 Fernandez, Padró 1986, p. 43, n. 96, tav. VII (n.i. 6700, miss. 13x10x4). Cfr. anche Hölbl 1986, pp. 145-146. 643 Cfr. nota 636: tra i quattro amuleti di cui sia documentato il sito di rinvenimento tre provengono da Tharros e

uno da Cagliari. I nostri quattro, più l’esemplare della tomba 9 AR, costituiscono la maggior parte degli amuleti sardi di questo tipo per i quali sia nota l’origine.

Page 141: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 141 -

secondo cui il primo centro di produzione in Sardegna sarebbe stato Tharros644. Anche

ammettendo che Sulcis possedesse botteghe capaci di concorrere con i prodotti

tharrensi, nel presente caso gli amuleti non presentano differenze sostanziali rispetto

agli altri verosimilmente prodotti a Tharros, tale che questo assunto non sembra al

momento confermabile.

Gli ultimi due amuleti del tipo udjat provengono dalla tomba 9 AR e

appartenevano all’inumato della sepoltura 9. La datazione di questo sepolcro, che

conteneva ben 10 deposizioni è compresa entro tutta la prima metà del V secolo,

sebbene sia stata proposta per le deposizioni prossime all’ingresso (tra le quali rientra

la 9), una datazione più vicina al limite inferiore di questo periodo, cosicché la

datazione dei due udjat dovrà porsi entro il secondo quarto del secolo. Questo dato

cronologico, al pari di quello tipologico, accomuna i due amuleti a quelli rinvenuti

nelle tombe 5 e 6 PGM. Il n. 60 infatti rientra nella variante a traforo e incisione, con i

dettagli del globo oculare a giorno e con l’appendice “a testa di falco”, alla quale

appartengono i quattro amuleti udjat della tomba 6 PGM; uniche differenze sono la

qualità della materia impiegata e alcuni tratti orizzontali sul pilastrino verticale, che

qualificano l’oggetto come eseguito da altra mano. Il n. 61 appartiene invece alla

variante dai dettagli del globo incisi e priva di appendice, al pari dei due (o tre) amuleti

della tomba 5 PGM. La somma di queste circostanze fornisce il prezioso dato della

sostanziale contemporaneità delle due varianti.

4.2.4. PTAH - PATECI

Undici sono anche gli amuleti che ripropongono il tipo dello Ptah-Pateco, trattasi dei

nn. 31 (dalla tomba 5 PGM), 43-48 (tomba 6 PGM), 63-64 (tomba 9 AR) e 72-73

(tomba 10 AR). Con questo nome è chiamata la divinità cui si riferisce Erodoto nel

capitolo 37 del III libro delle sue storie645 nel quale descrive l’ilarità di Cambise

suscitata da questa divinità egizia nel suo tempio a Menfi. È Erodoto infatti a

descriverne le sembianze paragonandole a quelle dei Pigmei che gli stessi Fenici

rappresentavano sulle prore delle proprie navi. Sebbene altre diciture siano state usate,

644 Moscati 1988a, pp. 114-115. 645 Erodoto Storie III, 37.

Page 142: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 142 -

come quella di Ptah-Sokar o di Sokaris, o ancora di Pateco-panteo646 e “Divinità sui

coccodrilli”647, il termine Ptah-Pateco, oltre ad essere il più frequente dal principio

degli studi su questa iconografia648, appare giustificato in parte dalle iscrizioni che si

incontrano sulla base di alcuni originali egiziani. Esso designa una figura umana di

nano nudo e deforme con gambe piegate e piedi rivolti verso l’interno, sul capo è

generalmente rappresentato uno scarabeo e sotto i piedi calpesta due coccodrilli.

Ulteriori attributi sono due falconi sulle spalle e le divinità Iside e Nephtys ai lati.

Se in ambito punico e in Sardegna non manca la versione priva di tali

attributi649, di sicuro le tipologie e le varianti rappresentate non sono che un saggio di

quelle disponibili nella produzione egiziana650. Quella con attributi, il “Pateco-panteo”,

è senz’altro la più attestata e, nelle dimensioni ridotte, con un altezza media di 15 mm.

G. Hölbl nel suo studio sugli Aegyptiaca fenici e punici rinvenuti in Sardegna651,

distingue nell’ambito di questa sola tipologia, entro due principali suddivisioni in

“Pateco su un solo lato” e/o con Iside pterofora sul retro e in “Pateco a doppia figura”,

alcune decine di sottotipi individuati dalla presenza di attributi o su base stilistica652:

naturale presupposto per uno studio crono-tipologico ancora lungi dall’essere

effettuato. Sino a poco tempo fa d’altronde poteva essere ancora arduo operare una

distinzione netta tra importazioni egiziane o egittizzanti e produzioni fenicie, difficoltà

non del tutto superata e comune al resto degli amuleti egittizzanti. Hölbl stesso ha

recentemente proposto alcuni tratti distintivi tra le due categorie653: maggiore sarebbe

la geometrizzazione e lo schematismo, a volte estremo, negli esemplari punici

unitamente all’uso di un materiale, la Glassy Faïence, ben distinguibile dalla faïence

egiziana654. La banalizzazione e lo schematismo non erano d’altronde ignoti

all’Acquaro, cui si deve la pubblicazione del corpus degli amuleti conservati nei due

646 Fernandez, Padró 1986, pp. 16-17. 647 V. ancora di recente Mendleson 1987b, p. 110. La diversa definizione è qui utilizzata per distinguere il tipo di

figura isolata da quella con attribuiti. 648 Per una disamina bibliografica v.: Kition II 1976, p. 124, n. 6. 649 V. ad esempio i nn. 578-598 della collezione cagliaritana: Acquaro 1977b, p. 22, tavv. XXV-XXVI. 650 Manca al momento uno studio esaustivo sulla categoria, mentre è in preparazione un corpus dei pateci

conservati nelle collezioni egizie in Italia: Amenta 2002; per una recente indagine iconografica dell’essere divino v. Dasen 2006.

651 Hölbl 1986. 652 Ibidem, pp. 80-85. 653 Cfr. anche il lavoro di Redissi: Redissi 1991. 654 Hölbl 2004, p. 67.

Page 143: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 143 -

principali musei Sardi655, senza il quale il lavoro dell’Hölbl sarebbe stato impossibile.

Alla scuola dell’Acquaro è inoltre da attribuire un altro punto fermo della evoluzione

tipologica dello Ptah-Pateco, nonché un primo interesse nei confronti degli aspetti

materici costitutivi degli amuleti656: gli amuleti di Sulcis recentemente pubblicati

permettono infatti di riconoscere una linea evolutiva tra quattro gruppi stilistici, i primi

due in cui prossima è la realizzazione a tutto tondo troverebbero confronti in esemplari

di VI-V secolo657, mentre gli ultimi, in cui maggiore è invece lo schematismo e

vengono a mancare i fori che conferiscono volume alla figura, apparterrebbero ad un

momento successivo di IV-III secolo658. Si auspica in futuro di poter arrivare ad una

datazione più precisa, cui questo lavoro può dare il suo contributo. I nostri nove Ptah-

Pateci infatti, stilisticamente omogenei, presentano grande affinità con il primo659 e il

secondo gruppo660 e in particolare con i nn. 1-8 provenienti da tombe diverse (T. 11, 3

A, 4 DA, 6 DA, 8 DA, 12 DA).

Segue la tabella con le caratteristiche di ogni singolo reperto:

CAT. TOMBA DEPOSIZ. DESCRIZIONE MATERIA MISURE

31 5 PGM 1 pateco, iside sul retro, geroglifici alla base faïence o steatite dipinta di verde 19x11x9,5

43 6 PGM 1 pateco, iside sul retro faïence smaltata e dipinta di verde 14,5x9x7

44 6 PGM 1 pateco, iside sul retro faïence friabile 13x8x6

45 6 PGM 1, PIATTO 4 pateco, iside sul retro, croce alla base faïence smaltata verde 13x9x7

46 6 PGM 1 pateco bifronte, croce alla base faïence smaltata verde 15x11x8

47 6 PGM 1 pateco bifronte, croce alla base faïence smaltata verde 13x9,5x7

48 6 PGM 2 pateco bifronte faïence smaltata verde 15x9x8

63 9 AR 1 pateco bifronte faïence smaltata 12x7x7

64 9 AR NC base di pateco con geroglifici faïence o steatite 7x6,5

72 10 AR vano dx pateco, iside sul retro faïence smaltata verde 13x8x7

73 10 AR vano dx pateco, iside sul retro faïence smaltata verde 13x10x7

Tabella 7. Amuleti Ptah-Pateco.

655 Acquaro 1977b; Acquaro 1982. 656 Savio, Lega, Bontempi 2004. 657 V. anche il contributo di L.I. Manfredi: Manfredi 1986, pp. 163 e 165. 658 Savio, Lega, Bontempi 2004, p. 149. 659 Ibidem, pp. 127-128 e 130, nn. 1-6, figg. 18-23. 660 Ib., pp. 128-131, nn. 7-10, figg. 24-27.

Page 144: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 144 -

Come si può rapidamente osservare le dimensioni dei reperti integri permettono di

individuare un gruppo omogeneo costituito dai nn. 43-48 e proveniente dalla

medesima tomba (6 PGM). In questo le misure sono comprese tra i 13 e i 15 mm di

altezza e tra gli 8 e gli 11 mm di larghezza. Isolati i nn. 31 e 63: il primo è l’unico

amuleto di questo tipo proveniente dalla tomba 5 PGM e il più grande di tutta la serie,

il secondo è invece il solo Ptah-Pateco integralmente conservato della tomba 9 AR e al

tempo stesso il più piccolo della serie. Dalla stessa tomba proviene un frammento di

Ptah-Pateco costituito dalla sola base e piedi della figura, che non essendosi conservata

non permette di valutare i dati dimensionali o stilistici. Distinti inoltre i nn. 72-73 dalla

tomba 10 AR per la particolare condizione di conservazione che ci ha preservato degli

ottimi prodotti di faïence punica.

Tornando a parlare del gruppo della tomba 6 PGM è doveroso distinguere tra

esemplari del Pateco su entrambi i lati (nn. 46-48) e quelli che sul retro presentano

invece le divinità pterofora Iside (nn. 43-45). Il nano, pressoché identico quando

rappresentato su entrambi i lati, ha arti stilizzati e composti da masse geometriche

spigolose: gli avambracci portati al petto sono due parallelepipedi separati sul piano

mediano da un solco che in alcuni esemplari interessa anche il busto del dio (nn. 43 e

47). Gli arti inferiori ugualmente spigolosi non appaiono deformi nella prospettiva

frontale, ma in quella laterale è evidente l’eccessiva sporgenza delle ginocchia (come

nei nn. 46-47, altrove alla stessa altezza la sporgenza interessa il ventre). Il sesso del

dio è rilevato da due incisioni convergenti più o meno profonde e il volto presenta due

grossi occhi globulari ai lati di un ancora più grosso naso sub-triangolare, sotto il quale

nei migliori esemplari un lieve solco individua la bocca. La fronte è bassa, sporgente e

spigolosa, coincide con il contorno dello pseudo-scarabeo che come abbiamo detto è

un attributo quasi immancabile negli amuleti di migliore fattura e quindi

probabilmente più antichi. Nella serie della tomba 6 PGM sembra invece avere

raggiunto il limite della stilizzazione al punto di essere confuso con la capigliatura

stessa del dio: questa risulta schiacciata e ripartita longitudinalmente in quattro bande

da tre solchi e trasversalmente da un ulteriore solco a circa la metà/un terzo della

superficie, residuo della distinzione tra protorace ed elitre dello scarabeo. La dea

pterofora, sui tre esemplari in cui è presente (nn. 43-45), è invece appiattita e

rappresentata linearmente di profilo rivolta verso destra. Il corpo è un volume verticale

Page 145: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 145 -

e stretto senza particolari definizioni degli arti, da esso all’altezza delle spalle parte

obliquamente e verso il basso l’ala destra campita da tratti ravvicinati quasi verticali,

mentre quella sinistra alzata si lascia solo intuire dalla superficie ondulata dello sfondo

di fronte al volto della dea. Il volto non presenta definizione né particolari rilevanti se

non che nel n. 44 è separato tramite un solco verticale dal resto corpo e nel n. 45 il

solco individua rozzamente un grosso occhio appiattito in senso orizzontale. Sopra il

capo è riconoscibile un disco solare, attributo frequente della dea Iside, sebbene non

particolarmente delineato nei nn. 43 e 44 e schiacciato e spigoloso nel n. 45. Le figure

laterali, originalmente le dee Iside e Neftys, risentono della schematizzazione che le

porta a confondersi con l’andamento curvilineo dei serpenti e a formare un unico

corpo indefinito con i falconi sulle spalle661. Il livello di stilizzazione ha qui raggiunto

il punto limite: se i volti delle dee non sono neppure intuibili, i due solchi verticali

nella metà inferiore del corpo, retaggio di arti inferiori e superiori distesi ai lati, sono

appena percettibili ma mai assenti.

Interessanti inoltre le incisioni alla base. In tre casi (nn. 45-47) notiamo lo

stesso motivo: una croce o una stella ottenuta dall’intersecazione di quattro linee, due

perpendicolari e due oblique, esso rappresenta un elemento di chiara origine orientale

e si ritrova su sigilli babilonesi del I millennio662. Interessante soprattutto è notare

come il motivo faccia da ulteriore trait d’union tra Pateci a doppia figura e con Iside

sul retro. Si distingue invece l’amuleto della seconda deposizione (n. 48) per una croce

costituita dall’incrocio delle sole diagonali della base.

Gli amuleti di questo gruppo costituiscono, come abbiamo visto, un insieme

omogeneo con minime differenze: tra tutti il n. 44 si distingue per il materiale

dall’aspetto farinoso (faïence non perfettamente vetrificata) e dal peggiore stato

conservativo che tuttavia lascia notare una minore stilizzazione, notevole per le

dimensioni inferiori al resto della serie. Per i restanti è attestata la faïence rivestita di

smalto, lucido e verde quando meglio conservato (ad es. n. 45).

Il n. 44 differisce anche per un altro particolare: la figura del nano è contornata

da sette fori circolari. Ad esclusione del foro di sospensione visibile solo di profilo e

661 Acquaro 1977b, p. 35. 662 Invernizzi 1996, p. 806, fig. 9; per un esempio sulla base di uno scarabeo in pasta di Cartagine v. Vercoutter

1945, p. 172, n. 317, tav. XXII.

Page 146: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 146 -

passante per le tempie del dio, gli amuleti di questo tipo presentano, in conseguenza

della realizzazione a traforo, degli spazi che in relazione alla minore qualità esecutiva

si presentano come dei fori circolari. Non è escluso che avessero parte nel valore

simbolico o rituale di questi oggetti: è stato notato da tempo ormai come una classe di

amuleti simile alle tavolette da scrittura egizie sia derivata dall’amuleto Ptah-Pateco, e

costituite unicamente da una serie di fori663. Nella serie della tomba 6 PGM i fori sono

cinque: due sempre circolari si trovano ai lati del collo del dio disposti

simmetricamente, uno anch’esso sempre circolare è tra le gambe, e due

simmetricamente posti ai lati dei fianchi. Questi ultimi solitamente allungati in

verticale si trovano dall’aspetto circolare nel solo n. 45. È in questa posizione che il n.

44 presenta quattro fori in luogo di due, fatto legato alla diversa conformazione del

ventre: tondeggiante in questo caso e squadrato negli altri664.

Nel complesso i nostri sei amuleti rientrano nei tipi 5.1.A.4.2.2-3 dell’Hölbl

relativi agli esemplari in faïence e con Iside sul retro665, e a metà strada tra i tipi

5.2.A.1.1.1-2 per quanto riguarda i doppelte Patäken sempre nello stesso materiale666.

Gli esemplari con iscrizioni rispettano inoltre i parametri dei “Patechi raddoppiati” in

steatite per quanto riguarda le croci alla base e la stilizzazione delle figure laterali dei

tipi 5.2.B.2.2 e successivo667. Già l’Hölbl notava una maggiore diffusione in occidente

del tipo stilizzato dello Ptah-pateco, nel quale i nostri amuleti rientrano. L’assenza in

Oriente di alcuni tipi può essere imputata alla condizione di minoranza dell’edito, ma

non è da escludere la possibilità di una produzione locale in occidente668 che nel nostro

caso sarà da individuare in Tharros, il centro che tutt’oggi fornisce il massimo delle

evidenze di questa classe. Non mancano tuttavia esemplari dei tipi sopra menzionati a

Cartagine e Ibiza669, ulteriori candidate al ruolo di centri di produzione. In Sicilia, nella

generale scarsità di amuleti, cui non fa eccezione il pateco, troviamo un amuleto che

con i nostri nn. 46-48 presenta forti analogie. Rinvenuto in una tomba punica di

663 Cintas 1946, pp. 97-100. che le chiama “placchette divinatorie” o “domino”. È da notare tuttavia che nei

nostri amuleti non tutti i fori risultino passanti da parte a parte. 664 7 fori caratterizzano il tipo 5.1.A.4.2.3, nonché il tipo 5.1.A.4.4. 665 Hölbl 1986, p. 82. 666 Ibidem, p. 83. 667 Ib., p. 84. 668 Ib., p. 112. 669 Ib., pp. 110-111, tabella 1.

Page 147: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 147 -

Solunto670, con essi condivide l’aspetto formale, la resa dello scarabeo sul capo (più

prossima al n. 46), e l’incisione cruciforme della base, identica a quella dei nn. 46-47.

L’amuleto proviene da una tomba (n. 173) il cui corredo vascolare è in corso di studio,

ma ci resta la datazione generale al periodo tra fine VI-V secolo del settore della

necropoli punica da cui proviene671.

Il n. 31 della tomba 5 PGM rientra più puntualmente nei parametri del tipo

5.1.A.4.2.2 sopra menzionato, in virtù anche della forte analogia, ad eccezione delle

dimensioni, con un esemplare tharrense, datato dall’Acquaro tramite confronti al VI

secolo, con ammissione di possibili attardamenti672. Se il tipo corrisponde né più né

meno a quello degli amuleti 43-45 della tomba 6 PGM, alcuni dati stilistici indicano

una leggera distinzione: il corpo del dio è curato nel dettaglio, il volto e naturalistico,

ben visibile la bocca e due grosse orecchie ai lati. Ben staccate sono le forme

costitutive dell’amuleto e intuibili, anche se non più descritti, i due coccodrilli.

Se le dimensioni maggiori possono aver agevolato la cura dei dettagli673 come

la maggior naturalezza delle forme, di sicuro la delineazione dello scarabeo sul capo

non è un caso: ben distinto è il protorace a semicerchio dalle elitre rettangolari. Anche

la dea pterofora è descritta in maniera naturalistica e rivela una sapiente realizzazione

su piani diversi e sovrapposti a rilievo. Così il volto è a metà tra capelli e braccio che

regge l’ala destra e lo sfondo su cui ben si riconosce l’ala sinistra. Impossibile è invece

distinguere le dee laterali. Con l’amuleto tharrense condivide anche la scelta dei segni

incisi alla base, geroglifici: nel nostro caso una piuma shw e il segno s. Il secondo

segno è rivolto a sinistra e indica un errore ortografico compiuto evidentemente da un

non-egiziano.

Sulla base di questi elementi che crediamo discriminanti e tenendo conto della

sostanziale contemporaneità delle due sepolture, nell’ambito del secondo quarto del V

secolo, si può proporre qui una deposizione dell’amuleto della tomba 5 PGM all’inizio

670 Termini 1995, n. 4, pp. 102-103, tav. I, 4. 671 Ibidem, p. 104, nota 60. 672 Ib., p. 82, tav. XIII, 2; Acquaro 1975, p. 79, p. 88, tav. XXXI, inv. 476; Acquaro 1977b, p. 91, n. 612, tav.

XXVII. Dimensioni: 16 x 9 x 8 mm. 673 Il n. 31 è alto 4,5 mm in più del n. 43 e 6 mm dei nn. 44-45.

Page 148: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 148 -

di questo periodo e di quelli della 6 PGM alla fine, intorno all’anno 450, opinione

condivisa dallo stesso scavatore674.

Lo Ptah-Pateco della tomba 9 AR (n. 63) è come abbiamo visto il più piccolo

degli amuleti di questo tipo in catalogo675; ciò anche in questo caso può essere il

motivo di una minor cura nei dettagli, tuttavia sono di nota alcune scelte iconografiche

non trascurabili. Il tipo propone la divinità nella doppia rappresentazione, il volto è

piccolo e tondo ma volutamente teso allo scimmiesco, le braccia sono portate come di

consueto al petto ma i pugni risultano a contatto con le spalle come spinte in avanti. Le

figure laterali sono indiscernibili ma ben delineato è lo scarabeo sul capo, ancor più

che nel n. 31: uno spesso listello leggermente arcuato divide il protorace dalle elitre,

queste ultime campite da linee parallele ravvicinate. Scarse tracce del colore verde

originario sono visibili sulla base dove troviamo il geroglifico della dea seduta con

ankh sulle ginocchia accuratamente inciso.

La tomba 9 AR era in uso durante tutta la prima metà del V secolo, ma non è

escluso che questo amuleto vi fosse finito all’inizio di questo periodo.

Se l’interpretazione dei dati è corretta si profilerebbe un elemento importante e

discriminante ai fini della datazione degli amuleti raffiguranti lo Ptah-pateco: lo

scarabeo sul capo andrebbe scomparendo, tramite una forte stilizzazione, nel corso

della prima metà del V secolo, e in particolare nel corso del secondo quarto. Ulteriore

elemento sarebbe il passaggio dalla incisione di geroglifici ai segni geometrici alla

base di questi amuleti. La parzialità dei nostri dati e la possibilità di una pluralità di

centri di produzione inducono tuttavia ad accettare con riserva queste considerazioni.

Difficilmente determinabile in ottica evolutiva è invece l’uso di segni alfabetici,

cui forse corrispondono le incisioni del n. 64, sempre dalla tomba 9 AR. Va notato

come lettere alfabetiche non siano frequenti alla base di amuleti e per lo Ptah-pateco in

particolare: gli unici due casi menzionati dall’Hölbl sono entrambi sardi e tharrensi676.

Uno è conservato al British Museum, con numero di inventario 133457677, e il secondo

pubblicato per primo dallo Spano nel 1856678. All’occhio dell’Hölbl le iscrizioni

674 Bernardini c.p. 675 Misura appena 12 mm di altezza. 676 Hölbl 1986, p. 84, nota 6. 677 Tharros BM 1987, n. 10/31. 678 Spano 1856, pp. 72-74.

Page 149: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 149 -

parevano identiche in ogni particolare, ma in quest’ultimo il canonico vi notava le

lettere klb, che leggeva come Kalev, il termine che significa “cane” o un nome proprio

di persona, lettura già messa in dubbio dalla Guzzo Amadasi che proponeva hlb o

hlr679. D’altra parte l’iscrizione presente sul secondo è interpretato da C. Mendleson

come deformazione di yld (infante)680.

Quanto al nostro è difficile esprimersi: due sono le lettere di cui la prima simile

ad un aleph, mentre la seconda potrebbe essere un ’ayn.

Sempre in linea con l’attribuzione della sepoltura alla prima metà del V secolo

sono gli amuleti 72-73 della tomba 10 AR. Lo stato di conservazione e la tecnica di

esecuzione li rende partecipi delle stesse caratteristiche degli udjat 70-71 della stessa

deposizione, secondo una circostanza che caratterizza ad esempio gli urei e gli stessi

udjat della tomba 5 PGM o ancora gli udjat e i pateci della 6 PGM. Una simile

osservazione consente all’interno di una seriazione crono-tipologica di riconoscere

importanti dati di correlazione stilistica.

Dal punto di vista tipologico gli ultimi due presentano scarsi elementi che li

distinguano dai summenzionati pateci, tuttavia un elemento di recenziorità devono

essere considerati i fori passanti cui è affidata la delimitazione delle masse della figura,

questi sono 5 nel n. 72 e ben 7 nel n. 73, dato che lo imparenta con il n. 44 della tomba

6 PGM, del quale tuttavia non possiede la stessa morbidezza dei volumi ma con cui

condivide la datazione al secondo quarto del V secolo.

4.2.5. LEONE

L’unico amuleto riproducente il tipo del leone accovacciato proviene dalla tomba 9

AR e porta nel nostro catalogo il n. 62, apparteneva all’inumato della deposizione 1,

così come anche il Pateco bifronte n. 63, lo scarabeo n. 65 e i vaghi n. 56, con i quali

probabilmente componeva una collana. Il materiale si presenta alla vista come una

compatta faïence celeste tendente al verde e dalla superficie particolarmente consunta.

L’esame tipologico non offre purtroppo sicuri dati di confronto: l’unico a noi noto, ma

neppure tanto prossimo, è un amuleto conservato al Museo Archeologico Nazionale di

679 Hölbl 1986, p. 84, nota 6; Guzzo Amadasi 1967, Sard. 8, p. 90, fig. 13. 680 Tharros BM 1987, p. 167.

Page 150: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 150 -

Cagliari edito dall’Hölbl681. Questo è l’unico oggetto proposto dall’autore che

appartenga al tipo da lui indicato come “geometrisierter Typus” (32.1.A.3)682. Tuttavia

anche le dimensioni e il materiale di cui è composto non presentano grandi analogie

con il nostro683. La più forte sta sicuramente nella posizione del foro di sospensione: se

nel generale trend degli amuleti a forma di leone accovacciato il foro è ricavato in un

appiccagnolo posto al di sopra del dorso dell’animale684, nei due presenti casi esso

attraversa il corpo di quest’ultimo nel senso dello spessore in prossimità del ventre.

Questa circostanza, unita alla presenza del pilastrino posteriore, avvicina il nostro

amuleto a simili rinvenuti dal Petrie a Naukratis negli anni 1884-85685, ma provvisti di

iscrizioni alla base. Il centro del Delta doveva d’altronde essere per tutto il VI secolo il

principale produttore di amuleti di tutto il Mediterraneo e non dovrebbe stupire che

ancora agli inizi del V secolo se ne potessero trovare nelle tombe puniche d’occidente.

La presenza anche a Cartagine in contesti tombali di VII-VI secolo di oggetti di

fabbrica naukratita, e di questo tipo in particolare, non fa che aggiungere validità a

questo discorso686.

681 Hölbl 1986, tav. LXVII, 2; v. anche Redissi 1990, p. 186, portato a confronto dell’esemplare a tav. II, 16. 682 Hölbl 1986, p. 94. 683 Ibidem, vol. 2, p. 214: miss. 18,8x11x5,8, “Fayence mit kräftig grüner, ganz leicht blasiger Glasur”. 684 Cfr. ib., tavv. LXVI, 5-6, LXVII, 1, 3-5, che riproducono i tipi 32.1.A.1 e -2, -B.1, e 32.2.1.1; a questa

caratteristica si conforma anche l’amuleto pubblicato dal Redissi (cfr. supra nota 681) che si attribuisce alla fine del VII – inizio del VI sec. per la provenienza dalla tomba 61 di Dermech, ma manca tuttavia il piastrino posteriore: Redissi 1990, p. 186, tav. II, 16.

685 Petrie 1886, tav. XXXVII, nn. 69 e 104. 686 V. infatti Vercoutter 1945, pp. 206-207, nn. 510-512, tav. XIV, con prime tre lettere di psmtk (Psammetico), il

terzo dalla tomba 216 di Dermech I (VI secolo); Feghali Gorton 1996, p. 105, nn. 155-157, che li include nel type XXVIII B.

Page 151: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 151 -

4.3. SCARABEI

Lo scarabeo è il tipico amuleto egizio che riprende in più o meno ridotte dimensioni la

forma del coleottero scarabaeus sacer. Sin dall’origine del suo utilizzo nel periodo

Predinastico le materie impiegate sono diverse: da quelle più semplici come la pietra

tenera e la faïence a quelle semipreziose come l’agata, il lapislazzuli e la corniola. La

funzione dello scarabeo non è sempre stata univoca e nel corso della sua evoluzione ha

saputo raccogliere per chi lo portava al collo utilizzi diversi: da quello propriamente

talismanico, al sigillo e all’oggetto votivo687.

È prima che smettano di essere prodotti in Egitto dopo la XXVI dinastia, che i

fenici e le altre popolazioni levantine adottano intorno al IX secolo lo scarabeo o

scaraboide, in luogo del sigillo cilindrico di origine mesopotamica688, acquisendo al

pari la simbologia legata a questo tipo di amuleto-sigillo nel corpus delle credenze

magico-religiose. Con la “diaspora fenicia” in occidente scarabei in pasta e faïence

raggiungeranno tutte le coste mediterranee conoscendo grande apprezzamento negli

empori di Etruria, Iberia e Magna Grecia. Da questi intensi contatti con le popolazioni

levantine nel corso del VI secolo Greci e poi Etruschi, adotteranno, seppur per poco

tempo, la forma dello scarabeo per la produzione di gemme689 senza tuttavia

apprezzarne a fondo l’originario valore magico-religioso690.

Per quanto riguarda le materie prime impiegate nelle colonie fenicie in

occidente l’uso di materiali più semplici quali pasta e steatite sembrano prevalere nella

fase arcaica per poi lasciare il passo alle pietre semipreziose in epoca punica691. Si è

distinta così in Sardegna una iniziale fase fenicia, in cui erano preponderanti le

importazioni dall’Egitto dei prodotti finiti, e una seconda fase punica in cui la

produzione locale, in centri come Tharros, Cartagine e Ibiza, poteva esaurire sul

mercato almeno la gran parte della richiesta di questi oggetti. Il dibattito sulla

produzione tharrense di tutti o gran parte degli scarabei rinvenuti ivi e nel resto delle

687 Vercoutter 1945, pp. 44 e segg. 688 Matthiae 1997, pp. 246-7, 280-1. 689 Boardman 1968, p. 169. 690 Cfr. Feghali Gorton 1996, che si riferisce agli scarabei in pasta, la cui situazione non doveva essere dissimile

da quella di quelli in pietra. 691 Vercoutter 1945, p. 62-67.

Page 152: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 152 -

città puniche di Sardegna è ancora aperto692: da ultimo J. Boardman, che ha consacrato

una vita allo studio delle gemme greche e negli ultimi anni si è dedicato a quelle

“greco-fenicie”, ritiene che i principali centri di produzione siano da localizzare nel

mediterraneo orientale, il che comunque non esclude che Tharros potesse assolvere la

funzione produttiva e di smistamento, come già proposto per i gioielli.

Non meno degne di interesse, benché attestate da minor numero di esemplari,

sono le altre materie utilizzate nella produzione glittica di questo periodo: il

calcedonio, il serpentino e la corniola. Tutte varianti del quarzo, l’ultima delle quali è

la pietra privilegiata nella produzione Etrusca.

La produzione tharrense quindi, sebbene non perfettamente distinta e

individuata nella sua articolazione in scuole e botteghe, ma specializzata

prevalentemente nella lavorazione del diaspro verde e operante tra fine del VI e III

secolo a.C., avrebbe trasposto sulla base degli amuleti iconografie note in ambito

punico da altri supporti e di più o meno lontana origine egiziana e vicino-orientale.

Avrebbe inoltre presto adottato, al pari delle tecniche, iconografie greche diffuse anche

esse sulla glittica come su altri supporti (pittura parietale e vascolare). Nel 1978 G.

Pisano proponeva a titolo ipotetico693 una scansione cronologica dell’attività di queste

correnti o scuole, con la comparsa di poco più tarda di quella greca. L’anno seguente

Enrico Acquaro in una nota694 esprimeva la necessità di riporre la questione della

glittica “nel più vasto ambito artigianale punico”, in cui, come per gli amuleti,

l’utilizzo di tematiche eterogenee era sottoposto ad un processo di integrazione o

elaborazione originale e autonoma. È da rigettare perciò qualsiasi “indagine che parta

da rigide filiazioni delle esperienze occidentali puniche da quelle orientali, quando il

Mediterraneo centrale offre nella sua varietà culturale e nelle sue convergenze

commerciali la possibilità di comprendere e di quantificare in prima istanza i fenomeni

in esse prodotti”695. Impossibile è anche superare la semplice analisi iconografica per

raggiungere quella stilistica, un problema comune a tutta l’arte fenicia o della

disciplina che la studia. Ciononostante l’analisi iconografica, consci di questi suoi

limiti, può fornire un contributo essenziale agli studi e maggiormente se integrata

692 V. § 5.2.2. 693 Pisano 1978. 694 Acquaro 1979, cit. in Acquaro 1984. 695 Ibidem. p. 90.

Page 153: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 153 -

dall’analisi iconologica, con lo scopo di definire il contesto culturale in cui un motivo

o un tema iconografico era realizzato e recepito dal fruitore del prodotto artigianale.

Per quanto riguarda la tipologia dei dorsi in questa sede si rispetterà la

consuetudine degli studi di glittica punica nell’utilizzare la classificazione del

Newberry696 nonostante superflua: G. Matthiae Scandone697 ha infatti da tempo notato,

e J. Vercoutter prima di lei698, come la scarsa caratterizzazione delle morfologie non

consenta una classificazione che aiuti più dell’analisi delle iconografie alla base. Già

in ambito egiziano si ritiene come dal Nuovo Regno quella di rappresentare un

qualsiasi elemento dorsale fosse una scelta arbitraria dell’artigiano699.

Questi sono i termini dell’analisi che sarà tentata sui nove scarabei rinvenuti

nelle sei tombe, dopo un cenno sulle caratteristiche della produzione cui afferiscono

gli altri esemplari provenienti da Sulcis.

In un lavoro del 1988 sulla produzione artigianale Sulcitana700 Sabatino Moscati

contava 18 scarabei provenienti da due collezioni di antichità rinvenute a Sant’Antioco

(Don Armeni701 e Biggio702) ai quali andavano aggiunti i 4 rinvenuti nel tophet e

pubblicati da Piero Bartoloni nel 1973703. Le osservazioni tratte da questi 22 oggetti704,

di cui 14 in diaspro verde o altra pietra dura e 8 in steatite o pasta, confrontati con la

più larga documentazione tharrense, non permettevano di riconoscere una produzione

locale e non contraddicevano una origine tharrense per tutti gli oggetti. La scarsa

quantità di materiali e la mancanza di caratteristiche proprie inducevano quindi a

ritenere gli scarabei sulcitani importati “nell’ambito di un vasto circuito di cui Tharros

era il principale punto di riferimento”705.

696 Newberry 1907, cit. in Vercoutter 1945, p. 49 e 71-74. A differenza di altre classificazioni, come quelle di

Petrie e di Rowe, quella di Newberry presenta un minor numero di categorie, la sua praticità è il motivo della sua fortuna negli studi di glittica punica. È da dire che la stragrande maggioranza degli scarabei in materia semipreziosa rinvenuta nei siti punici, e dei nostri ad eccezione del n. 32 (tipo IVa), rientra nel tipo V per la resa del protorace arrotondato.

697 Matthiae Scandone 1975, p. 15. 698 Vercoutter 1945, p. 49, nota 2. 699 Andrews 1994, p.52. 700 Moscati 1988a, pp. 117-120, tavv. XXXI, 4-5. 701 Uberti 1971, pp. 277-312, tavv. XXXIX-XVII. 702 Biggio 1977. 703 Bartoloni 1973. 704 Probabilmente per una dimenticanza, o perché incompleti, il Moscati non considerava i 4 scarabei del tofet,

che tuttavia non avrebbero contraddetto le conclusioni tratte dagli altri esemplari. 705 Moscati 1988, p. 119.

Page 154: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 154 -

Una tale affermazione anche se non definitiva non può essere ribaltata, ma solo

in parte confermata, dai 9 scarabei provenienti dalle tombe puniche scavate nei 15 anni

seguenti quella pubblicazione e oggetto di questa tesi. Gli scarabei presentati nel

catalogo con i numeri 16, 32, 49-50, 65-68 e 74 sono eterogenei quanto a materiale

con una quasi paritaria attestazione della steatite e faïence, smaltata o dipinta di verde

(nn. 16, 32, 68 e 74) e del diaspro verde (nn. 65-67), questi ultimi costituenti un

gruppo omogeneo proveniente dalla medesima tomba (9 AR); restano isolati i nn. 49 e

50, rispettivamente in pietra bianco-grigia e in corniola, entrambi dalla tomba 6 PGM,

ma da due distinte deposizioni. Le materie prime sono in linea di principio quelle già

note nell’edizione del 1988, se si ipotizza una identità della pietra bianco-grigia del n.

49 con la pietra dura cinerognola del n. 7 della collezione Biggio706.

Passiamo ora all’esame morfologico dei reperti e delle iconografie

rappresentate alla base di questi:

4.3.2. SCARABEI IN FAÏENCE E STEATITE

Il n. 16, in pessimo stato di conservazione, è stato rinvenuto all’interno di una lucerna

(la n. 49 della documentazione di scavo), l’accensione della quale, attestata peraltro da

resti di terra e altro materiale combusto al suo interno, può aver causato la corrosione e

la deformazione dello scarabeo, rendendone così difficile e dubbiosa la lettura. La

superficie del dorso è infatti assente così come metà di quella della base e a malapena

su di un fianco si riconosce una zampa poggiante su alta base. Sulla base sembra

riconoscersi l’avancorpo di un animale accosciato rivolto a destra, ne rimane solo la

parte più profonda dell’incisione e per cui la sola sagoma, ma sembrerebbe trattarsi di

un leone. È questo infatti il soggetto tipico, insieme alla sfinge, di raffigurazioni di

animali in riposo, ma la difficoltà nel riconoscere il materiale e il pessimo stato di

conservazione non permettono di affermare altro. L’iconografia di animale accosciato

non è infatti una delle più diffuse sulle gemme puniche e la si ritrova su tre esemplari

di cui uno da Tharros, uno da Cipro e uno di provenienza sconosciuta707. Quest’ ultimo

è privo di altre indicazioni, mentre i primi due sono entrambi in corniola. Tutti e tre

706 Acquaro 1977a, p. 46, tav. XXI, 7. L’esemplare è analogo al nostro n. 49 anche per altri elementi che

verranno considerati più avanti. 707 CPSC, tipo 38 D, nn. 38/X8-10.

Page 155: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 155 -

presentano elementi di caratterizzazione ambientale come una foresta di papiri per gli

ultimi due ed una palma nel primo sullo sfondo dell’animale. La sola presenza

dell’esergo non è elemento sufficiente per un confronto quand’anche la tecnica e lo

stile, perché irriconoscibili, non sono utili al fine di una datazione. Lo stesso arco

cronologico fornito dai tre esemplari è troppo ampio e incerto per fornire una

conferma alla datazione della tomba.

Maggiore affidabilità di lettura presentano invece gli altri tre scarabei. Il n. 32

proveniente dalla deposizione 3 della tomba 5 PGM e realizzato in una steatite bianca,

dall’aspetto gessoso, e dipinta di verde. Esso presenta uno schema dorsale

corrispondente al tipo IVa di Newberry708. Una semplice linea separa il basso e piatto

protorace dalle elitre, a loro volta divise da una linea singola. Tra di esse in alto lo

scutellum e indicato da una V.

Il motivo alla base propone una combinazione di motivi o segni geroglifici su

tre registri a creare una iconografia di tipo rappresentazionale: nel primo registro è un

disco alato con corna, al centro un ureo e una civetta, o falco, rivolti verso destra, e in

quello inferiore, in esergo, un neb. Iconografia e stile non trovano puntuale riscontro

nel resto della documentazione sarda, cartaginese, orientale e tanto meno egizia, ma

combinazioni di questo tipo sono presenti su di una classe di scarabei in pasta e steatite

individuata da Andrée Feghali Gorton709 e ben rappresentata in siti punici. A conforto

di questa assegnazione possiamo addurre le analogie con il n. 12 del catalogo710,

conservato al Museo Nazionale di Cagliari, con il quale condivide i motivi del primo e

terzo registro, la profondità dell’intaglio e la resa dorsale.

Allo stesso tipo XII della Feghali Gorton possiamo attribuire anche gli altri due

scarabei in faïence (nn. 68 e 74), provenienti da due diverse tombe (rispettivamente

dalla 9 e dalla 10 AR) in una pasta color crema, grossolana nel primo caso e più fine

nel secondo. Entrambi presentano il cartiglio con il nome reale Men-kheper-Re,

sebbene nel primo in lettura orizzontale e affiancato da due piume shu e due neb,

mentre nel secondo in lettura verticale nel secondo registro affiancato dalle sole piume

shu. Identica nei due scarabei è la resa calligrafica del segno men, con tre tratti

708 Vercoutter 1945, p. 72. 709 Feghali Gorton 1996, p. 34-38, tipo XII, cfr. in particolare il n. 12, da Tharros. 710 Edito anche in Scandone Matthiae 1975, p. 81, G12, tav. XXII.

Page 156: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 156 -

verticali invece di sette711, e la semplificazione dello scarabeo kheper, più simile al

segno ib nel n. 74, così come la tecnica incisoria con la campitura a tratti delle piume

shu.

In questo caso l’attribuzione al tipo è confortata per il nostro n. 74 dal puntuale

confronto con il n. 10712 conservato anch’esso a Cagliari, assolutamente identico anche

nelle dimensioni e nella resa dorsale, ad eccezione dello scutellum assente nel nostro.

Meno puntuale per il peggiore stato conservativo è il confronto con un altro scarabeo

conservato nello stesso Museo sardo713, nel quale un segno nfr sostituisce il cartiglio

reale. Come è noto i tre scarabei qui addotti a confronto non posseggono indicazioni di

provenienza, ma contribuiscono a notare la diffusione in ambito sardo di questa

tipologia714.

Differente la situazione del n. 68 per il quale la studiosa non ci propone puntuali

confronti in questo tipo, sebbene i singoli elementi siano usati in differenti

composizioni a lettura sia verticale che orizzontale715. Una identica composizione, ma

con un diverso nome reale nel cartiglio (Men-ka-Re, in cui il segno ka sostituisce

kheper), la offre uno scarabeo rinvenuto a Cartagine716 e datato al V secolo; esso

rientra nel tipo XX della Feghali Gorton717, probabilmente opera di una bottega

cipriota e diffuso in occidente dal VI secolo in poi. Di poco dissimile è un altro

scarabeo sardo718, in cui al cartiglio si sostituisce un ankh e al neb di destra un nefer,

incluso nel tipo IX dalla Feghali Gorton719, di incerta origine e diffuso tra la seconda

metà del VIII e il VI secolo. Ma di sicuro il confronto più stretto lo abbiamo con uno

scarabeo appartenente alla collezione Matouk, i cui pezzi sono molto probabilmente di

origine levantina720. La mancanza di informazioni di provenienza, dimensionali,

materiali e della resa dorsale rendono il dato limitato nella validità, sebbene

711 Gardiner 1927, p. 534, Y 5. 712 Feghali Gorton 1996, p. 36, n. 10 senza illustrazione. Già edito in Scandone Matthiae 1975, tav. I, A4. 713 Scandone Matthiae 1975, tav. XXIII, G14. 714 Una altro interessante scarabeo sulcitano in steatite, sebbene di elevate dimensioni (40x28x19 mm) condivide

gli stessi motivi del tipo XII: Uberti 1977a, n. 1, tav. XVI, 1. 715 Cfr. Feghali Gorton 1996, p. 36, nn. 20 e 24. 716 Vercoutter 1945, p. 97, n. 22, tav. I. Rinvenuto nella tomba 328 di Douimes. 717 Feghali Gorton 1996, p. 58-59, n. 24. 718 Hölbl 1986, tav. 99/1. 719 Appartenente al gruppo 2 (“Late Egyptians Types and Local Imitations”), nel quale rientra anche lo stesso

tipo XII. 720 Matouk 1971.

Page 157: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 157 -

l’immagine che ci fornisce l’editore fornisca il confronto più puntuale sinora721. Lievi

le differenze: la grafia del segno kpr, sebbene alquanto stilizzato, lo rende più simile al

modello e il cartiglio presenta il consueto segmento orizzontale alla base. Restano

identiche le due piume e i due neb ridotti a puri riempitivi.

La tipologia cui pensiamo di poter attribuire i nostri tre scarabei comprende

prodotti di diversa qualità e dimensioni, sebbene tutti caratterizzati dall’uso di motivi

di ispirazione egiziana classica, come lo stesso nome Menkheperre, appartenuto a

Thutmosis III della XVIII dinastia. Il valore apotropaico di questo nome in particolare

sottostava alla sua scelta per essere rappresentato su scarabei e amuleti, e a questa va

aggiunta la fortuna che ebbe tra i faraoni dalla XXI alla XXVI, che, adottando il nome

di uno dei più potenti faraoni della storia egizia, della sua stessa gloria desideravano

essere partecipi722.

Gli esemplari della stessa tipologia che possono datarsi con certezza indicano

un periodo di diffusione tra VIII e inizio del VII secolo723, eccessivamente alto per i

nostri tre. Più che di un fenomeno di tesaurizzazione, riteniamo che i nostri tre scarabei

possano essere oggetto di una produzione locale, sarda o cartaginese, ad imitazione di

tipi egiziani classici.

Quanto alla tecnica di produzione si ritiene che gli scarabei in faience fossero

realizzati a stampo, specie quelli prodotti in massa nelle botteghe del Delta del Nilo,

dove matrici sono effettivamente state trovate724. Queste tuttavia venivano utilizzate

per conferire l’aspetto dorsale dell’animale o dello scaraboide, mentre il confronto tra

il nostro n. 74 e l’esemplare Cagliaritano inducono a pensare si potesse trattare almeno

in questo caso di un’impressione anche del motivo alla base. La steatite del n. 32

invece, per la consistenza gessosa, facilmente si adatta alla lavorazione a mano, ma il

fine delineamento delle figure non è seguito dalla rifinitura del fondo delle incisioni,

lasciato all’aspetto ruvido e grezzo, per cui non sembra possa essere stato l’oggetto

sottoposto a cottura.

721 Ibidem, p. 209, n. 274. 722 Un esempio della diffusione e sproporzione di questo nome reale sugli scarabei, egizi e non, si può notare in

Jaeger 1982. 723 Feghali Gorton 1996, p. 37-38. 724 Ibidem, p. 179, fig. 35.

Page 158: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 158 -

Tutti e tre gli esemplari inoltre conservano tracce di un rivestimento di pittura

verde (che nel n. 68 sembra trattarsi di smalto), perché conferisse all’amuleto un

aspetto verde smeraldo ad imitazione del diaspro verde o per una particolare

simbologia magico-religiosa legata a questo colore.

Va infine considerata la lettura crittografica dei geroglifici rappresentati su

questi scarabei: se infatti i motivi possono generalmente costituire formule di buon

augurio o composizioni acritiche di segni, disposti per lo più simmetricamente allo

scopo di poter essere letti sul sigillo e sulla sua impronta come un ancestrale

palindromo, un ulteriore significato nascosto si cela tra questi segni. E. Drioton per

primo ha compreso il significato di queste composizioni che celano generalmente lodi

e invocazioni al dio Amon, un giusto omaggio al suo nome che significa “colui che è

nascosto”725. Va notato ad ogni modo, come ha già fatto G. Matthiae Scandone che la

lettura crittografica non è argomento sufficiente per sostenere un origine egiziana degli

oggetti, dal momento che l’artigiano fenicio poteva copiare fedelmente un modello

egizio senza comprenderne il significato.

Il n. 32 può leggersi Amon-Ra (’Imn-R‘) dalla combinazione dei segni (iniziale

di ‘rt “ureo”), m rappresentato dal monolittero civetta, n (primo fonema del bilittero

neb) e dal disco solare che possiamo leggere R‘.

Il n. 68 offre la lettura di un invocazione neb Amon neb (nb ’Imn nb), da

tradurre come “signore Amon signore”, per la lettura invariata dei segni neb, tra i quali

la piuma shw si legge per analogia con il monolittero “foglia di giunco”, il cartiglio si

legge m (iniziale di mnš “cartiglio reale”) e la seconda piuma si legge n dall’iniziale di

n rt, la “dea” Maat che porta sul capo questa piuma come attributo. Sul principio della

specularità del palindromo sono basate le letture proposte per l’esemplare levantino

addotto a confronto: nmImn, ImnmI e non dissimile dalla nostra la lettura Imn nb

(Amon due volte signore?)726

725 Cfr. Scandone Matthiae 1975, p. 16, e relativa bibliografia a nota 5. 726 Matouk 1971, p. 56.

Page 159: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 159 -

Il n. 74 invece sui due registri il nome Amon (’Imn), per la lettura della piuma

alternativamente leggibile o n per i motivi sopra indicati, tra le quali nel primo

registro la civetta e nel secondo il cartiglio offrono la m727.

4.3.3. SCARABEI IN PIETRA DURA

Gli scarabei in pietra rinvenuti nelle sei tombe sono cinque e realizzati in tre differenti

pietre semipreziose: una pietra bianca e cenere, corniola e diaspro.

Il primo di questi materiali, non identificato e perciò non noto se utilizzato per

la realizzazione di amuleti e quanto diffuso in ambito punico, ci ha offerto lo scarabeo

n. 49 proveniente dalla seconda deposizione della tomba 6 PGM. Il dorso come

consueto presenta schema di tipo V del Newberry, il protorace qui particolarmente

arrotondato e delineato da una fine incisione, un’ulteriore incisione più profonda lo

separa dalle elitre, distinte a loro volta da una linea singola e delineate anch’esse da

una linea più sottile. Le zampe sono sommariamente incise così come la testa: nel

complesso si presenta di fattura ottima, considerate anche le dimensioni ridotte: con i

sui 11,5 mm è il più piccolo della serie.

Alla base presenta un motivo noto come “leone rotolante”, termine coniato da

Sir. John Boardman per giustificare la posizione di un leone rappresentato con zampe

posteriori divaricate e la testa con fauci spalancate rivolta indietro728 in lettura

orizzontale. Il felino è rappresentato sul nostro esemplare retrospiciente a destra, con le

fauci spalancate e la coda rivolta verso il basso, la criniera è resa con sette brevi tratti

incisi sul contorno della testa. Singolare è poi l’occhio disegnato con un ampio cerchio

inciso. Fanno da cornice due ovali concentrici riempite da trattini obliqui dalla

composizione non troppo fine: l’ovale interno è irregolare, inciso intorno all’animale

di modo da ridurre al massimo lo spazio vuoto.

Già il Boardman riteneva questo motivo insolito nel panorama della glittica

greca, in cui compare nella seconda metà del VI secolo, per essere poi ripetuto dagli

727 Cfr. ibidem, p. 19-20, A4, la cui lettura è confermata dal nostro esemplare in migliore stato di conservazione. 728 CPSC, tipo 38 E.

Page 160: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 160 -

artigiani fenici729. Nelle gemme greche arcaiche una tale postura è più spesso utilizzata

per rappresentazioni di cavalli, paragonata dal Boardman alla “Knielauf ” (corsa in

ginocchio) umana, e ritenuta la convenzione arcaica per la raffigurazione di un

animale in corsa730.

Gli esemplari “fenici” individuati dal Boardman su cui compare questo motivo

sono quattro, di cui tre in diaspro verde e uno in corniola731, ma nessuno sembra

prossimo stilisticamente al nostro. L’espediente della criniera a tratteggio invece trova

riscontro, oltre che nello scarabeo greco, in diversi esemplari che ritraggono il grande

felino in altre posizioni732 o in composizioni nell’atto di azzannare un cervide o un

cinghiale733, rinvenuti per la maggior parte in Sardegna. Questa grande

rappresentatività sarda a nostro parere suggerisce la possibilità di una realizzazione

sull’isola, ma va aggiunto un altro confronto: tra gli scarabei che la documentazione

sulcitana ci fornisce abbiamo individuato uno scarabeo che, non per iconografia, ma

per una serie di motivi si avvicina al nostro e potrebbe essere stato realizzato dalla

stessa mano. Si tratta di uno scarabeo in una pietra cinerognola, di cui abbiamo fatto

cenno sopra, leggermente più piccolo del nostro (11 x 8 x 6 mm) e con un animale

interpretato come un cavallo marino alla base734. L’amuleto, appartenente della

collezione Biggio, è stato datato da E. Acquaro su base stilistica al V-IV secolo735. Le

dimensioni estremamente vicine, e la scelta della taglia piccola, l’identica trattazione

del dorso, la resa approssimativa della cornice alla base e la scelta del motivo animale

su una pietra non comunemente usata nella glittica736, nonché l’abbinamento di stile e

tecnica che produce corpi arrotondati in pose innaturali e piccoli elementi sferici per

tradurre zampe, spalle del leone e muso del cavallo, ci sembrano elementi sufficienti

729 Boardman 1968, p. 128, n. 401, tav. XXIX, scarabeo in agata conservato al Louvre (Bj 1023). Le zampe del

leone sono rappresentate come viste dal basso ed il motivo è descritto qui come “leone che si ispeziona il sedere”.

730 Ibidem p. 147, nn. 502-505. 731 CPSC, n 38/50 da Ibiza, 38/51-52 da Tharros e 38/X11 dalla Sardegna. 732 Ibidem, nn. 38/26 e 38/28 seduto di profilo, 38/32 nell’atto di azzannare, rinvenuti in Sardegna, e 38/45 da

Agia Irini (Cipro). Tutti in diaspro. 733 Ibidem, nn. 39/31 e 39/33 da Ibiza, 39/36, 39/39, 39/42 da Tharros, 39/X7 da Tharros in corniola. Tutti in

diaspro verde eccetto dove indicato. 734 Come bovide in CPSC, n. 40/19, del tipo 40.B (Bulls, alone). 735 Acquaro 1977a, p. 46 e 49, tav. XXI, n. 7. 736 Insolito, più che il tipo di pietra utilizzata, è il colore. Un esame scientifico degli scarabei tharrensi conservati

al British Museum ha rilevato che non tutte le pietre verdi utilizzate sono diaspro. Caratteristiche compositive delle gemme non erano note agli antichi, i queli le utilizzavano principalmente per il loro colore e non coglievano sottili e inutili differenze chimiche.

Page 161: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 161 -

per il confronto. Non abbiamo conoscenza di altri esemplari che possano rientrare

nella stessa tipologia, ma non è possibile azzardare per questi scarabei l’ipotesi della

produzione locale, verosimile è comunque la loro realizzazione in Sardegna.

L’unico scarabeo in corniola (n. 50) proviene anch’esso dalla tomba 6 PGM,

compreso nel corredo della deposizione 3. Provvisto di montatura in oro a staffa di cui

abbiamo trattato nel capitolo 4.1.3, presenta una resa dorsale estremamente

semplificata, pur rientrando nel tipo V del Newberry. Un linea singola distingue

protorace dalle elitre e le medesime, non fluida e curvilinea come nei migliori

esemplari di questa serie bensì apparentemente affrettata e poco profonda. Le zampe

sono poco rilevate ed uno spesso listello fa da base. Nel complesso appare piuttosto

alto, in linea con la produzione etrusca nello stesso materiale.

Il motivo alla base ci fornisce la figura ellenizzante di un efebo nella tipica

posizione di “corsa in ginocchio” verso destra. Il giovane protende la mano sinistra

verso un oggetto, forse un fiore, legato ad una corda (o un ramo), che tiene con la

mano sinistra dietro la schiena, e che gli passa sopra la testa lungo il contorno interno

della cornice. La postura e la resa anatomica permettono subito di individuare

l’influenza dell’arte greca arcaica e quindi della glittica greca di questo periodo.

Il tipo di motivo rappresentato, atleta in corsa, non è sconosciuto alla glittica

punica che ci ha tramandato diversi esemplari con questo soggetto737, e a quella

greca738, ma un solo esemplare presenta un soggetto identico al nostro, talmente simile

da far ritenere opera dello stesso artigiano. Lo scarabeo in diaspro verde è stato

rinvenuto ad Ibiza ed è conservato al Museo Arqueologico Nacional di Madrid739.

Lievi sono le differenze: più sottile la forma del “fiore” e stretto nella mano del

giovane, mancanti i riccioli davanti e dietro la capigliatura a casco nel pezzo ibicenco.

In sede della sua prima pubblicazione furono apportati confronti che non ci sentiamo

di riproporre740, ma che comportano una datazione intorno all’anno 500 e che

condividiamo.

In diaspro verde sono realizzati tre scarabei (nn. 65-67) provenienti dalla tomba

9 AR, per l’ultimo dei quali l’assenza di indicazioni contestuali precise non permette

737 CPSC, tipo 30 A (Komasts). 738 Cfr. come esempio Boardman 1968, p. 82, n. 214, tav. XIV, in “Dry Style”. 739 Blazquez 1971, p. 319, n. 19, tav. III; Boardman 1984, n. 230. 740 Rimandiamo alla bibliografia in Blazquez 1971, nota 56.

Page 162: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 162 -

di comprendere a quale deposizione appartenesse, sebbene sia ben verosimile per tutti

una provenienza da tre distinte inumazioni.

Il primo di questa serie (n. 65) presenta una fattura accurata del dorso nel tipico

schema V e dal profilo piatto. Il protorace finemente modellato a giorno e

ulteriormente sottolineato da una sottile incisione ellittica aperta sul lato superiore, e

diviso dalle elitre da un ulteriore linea. Ancora una singola linea, ma più profonda

divide queste ultime. Nel complesso è il migliore della serie.

Raffinata è anche l’incisione del motivo ellenizzante alla base: la figura di un

arciere inginocchiato verso sinistra che esamina la propria freccia. Concorrono ad

impreziosire il motivo l’arco, in secondo piano dietro il ginocchio destro, e l’elmo,

provvisto di cresta e coda, alzato sul capo del guerriero.

Il motivo non è sconosciuto alla glittica punica741 benché nessuno scarabeo

attribuibile a mano sarda o levantina presenti i due elementi sopra menzionati.

Particolarmente fine e inimitabile è la resa della muscolatura delle gambe e del busto,

sebbene quest’ultimo denunci qualche esitazione nella composizione: le spalle sono

rappresentate di 3/4 mentre l’addome di profilo, scelta che conferisce alla schiena

aspetto sproporzionato e asimmetrico. Ma è proprio tale scelta che avvicina il nostro

esemplare al prototipo greco ed è presente su una sola gemma fenicia con figurazione

di arciere rinvenuta ad Atlit742. Il prototipo greco è rappresentato da tre gemme opere

di due diversi maestri incisori Greci che firmavano le loro pietre negli ultimi decenni

del VI secolo: Epimenes e Onesimos. Il primo è sicuramente uno dei più capaci

esponenti della glittica arcaica ed operava intorno al 500; una gemma in calcedonio a

lui attribuita è conservata al Metropolitan Museum di New York e proviene

probabilmente da Naukratis743, questa condivide con il nostro scarabeo la presenza

dell’arco e in parte la posizione della schiena, rappresentata qui completamente di ¾

con l’addome leggermente di profilo ma coerente con la verosimiglianza della postura.

Differisce invece per l’assenza dell’elmo, il braccio in secondo piano è coperto

dall’arciere ad eccezione della mano, e per le cosce ravvicinate e quindi sovrapposte su

due diversi piani. Inoltre l’arco è qui sapientemente inciso come appeso al polso. Tutto

741 CPSC, tipo 28 C (Bowman tests arrow). 742 Ibidem n. 28/X16 in corniola, che differisce tuttavia per l’assenza dell’elmo, di arco e frecce e la posizione

delle gambe: la sola postura in generale suggerisce l’identificazione con un arciere. 743 Boardman 1968, p. 93, n. 248, tav. XVI.

Page 163: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 163 -

ciò fa pensare all’opera virtuosistica di un abile artista nel copiare un modello non

originale già impresso sull’argilla, o che per dimostrare le proprie capacità capovolge

specularmente l’immagine qui rivolta a destra.

Più conforme al nostro modello è invece lo scarabeo di Onesimos in steatite

verde744: il guerriero ha elmo e gambe divaricate, l’arco è in secondo piano ma non

sembra poggiare sul polso; uniche differenza sono la postura del busto che è qui di

profilo, il che permette di vedere entrambe le braccia nella loro estensione, e l’elmo

provvisto di cresta ma senza coda. L’attività di Onesimos anticipa quella di Epimenes

ed è da porre alla fine del VI secolo, ma per le poche e lievi differenze pensiamo di

trovarci ancora al di qua della prima comparsa di questo motivo, che, se non di tanto,

doveva essere comunque più antica.

Il n. 66 ha dorso di tipo V ma con profilo carenato in corrispondenza del

protorace. Questo appare ben modellato con i fianchi spioventi e svasati in basso, per

quanto la divisione delle parti con una profonda singola linea appaia frettolosa. Ben

visibili qui, unico tra i nostri nove scarabei, sono due profonde incisioni verticali, una

su ogni fianco, che dividono zampe anteriori da quelle posteriori in corrispondenza

della cesura tra protorace e elitre. Elemento presente soprattutto su scarabei greci e di

incerta funzione745.

Alla imperfetta grafia dorsale corrisponde un motivo alla base di scarso livello

qualitativo: entro una cornice lineare un personaggio, apparentemente maschile,

schematicamente inciso in stile egittizzante è inginocchiato verso destra aprendo le

mani in alto tra le quali è un oggetto di difficile comprensione. Lo precede a destra un

ureo e in alto sovrasta la scena un crescente lunare con corna verso l’alto. L’alto

esergo è campito da tratti obliqui incrociati. La tecnica è mediocre e l’uso del trapano

grossolano: usato per creare grandi parti anatomiche come la testa e il bacino

dell’uomo, la testa e il collo del serpente e nell’oggetto tra le mani.

L’iconografia per la sua anonimità è ricca di confronti, tuttavia inutili a

comprendere l’oggetto tra le mani e l’identità del personaggio, sia perché non ci è noto

tra i confronti un oggetto paragonabile, sia perché tanti oggetti su simili iconografie

risultano ancora incomprensibili. È possibile comunque fare alcune ipotesi:

744 Ibidem p. 116-118, n. 346 (v. anche n. 347 senza illustrazione), tav. XXV. 745 Boardman 1968, p. 14-15, fig. 1.

Page 164: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 164 -

• Oggetto tra le mani: la gamma di oggetti rappresentati tra le mani di personaggi

inginocchiati sugli scarabei noti746 è molto varia, da fiori di loto a udjat, da animali

(scimmie e uccelli) a figure umane sedute (dea Maat) che difficilmente possono

caratterizzare allo stesso modo tutti i personaggi rappresentati in iconografie di

questo tipo. D’altro canto oggetti sferici dal significato oscuro sono frequenti e

vicini, almeno nella resa, al nostro.

• Identità del personaggio inginocchiato: se l’oggetto tra le mani e la mancanza di

attributi sul capo non ci permettono di identificare il personaggio, per lo meno

possiamo notare che uno o due urei sono rappresentati su otto scarabei con

iconografia simile. Cinque di questi hanno come figura un uomo a testa di falco e,

tra questi, quattro con un solo ureo. La testa di falco identifica generalmente nella

mitologia egizia il dio Ra o Horus e non è impossibile che il modello utilizzato per

il nostro scarabeo fosse una raffigurazione di questo dio.

• Identità e funzione dell’ureo: l’ureo compare nella glittica punica come elemento

principale con ali spiegate in atteggiamento di protezione747 e con disco solare sul

capo. In ciò sembra ricoprire la medesima funzione delle divinità femminili Iside e

Nephtys, raffigurate sovente nel medesimo atteggiamento nei confronti di Horus.

In posizione secondaria, oltre ai casi sopramenzionati, accompagna la sfinge

accovacciata senza ali e quella seduta con ali748, per la quale è stata proposta

l’identificazione con il dio levantino Horon e per il quale è noto il sincretismo con

Horus749.

Prescindendo dall’iconografia, che sembra seppur dubitativamente indicare il

personaggio inginocchiato come Horus, il livello tecnico e l’imprecisione qualificativa

di forme e personaggio non consentono di ritenere che si sia trattato di un opera di

prova o di uno scarto. Lo stesso contesto di rinvenimento indicano che l’opera fosse

stata correttamente commercializzata. Inoltre lo stile del presente scarabeo è

746 CPSC, tipo 7 (Kneelers) A (Falcon-headed), B (with other animal heads), C (with human heads). 54 scarabei,

prevalentemente in diaspro verde: 7/1-42, 7/X1-11. 747 CPSC 13 (“uraei”). 748 Ibidem, 14/6, 14/X1-4, 15/25 e segg. 749 Gubel 2002.

Page 165: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 165 -

genericamente definito a globolo dal Boardman, che ne rileva la origine orientale e la

non necessaria connessione con il più tardo stile della glittica etrusca750.

Il n. 67 in diaspro verde ripropone sul dorso la morfologia del tipo V del

Newberry come i precedenti scarabei dello stesso materiale, ma con una resa grafica

dei contorni. Il dorso, dal profilo carenato, è infatti marginato da una incisione ovale e

diviso tra protorace ed elitre da due linee parallele, il che avvicina il nostro esemplare

alla resa dorsale degli scarabei orientali. Lo stesso si può dire per le zampe che

appaiono disegnate da profonde incisioni più che modellate. La testa sporgente verso

l’alto e il clipeo invece lo riportano alla comune produzione in diaspro, per la forma

arrotondata e incisa da brevi tratti nel margine anteriore.

La raffigurazione a lettura verticale alla base ripropone un tema caro alla glittica

punica di Sardegna: due divinità stanti di cui una femminile, con un ala tesa verso il

basso porge con la mano destra il seno all’altra maschile. Attributi divini di quella

femminile sono il disco solare sul capo e di quella maschile la doppia corona dell’alto

e basso Egitto. La scena è generalmente interpretata come l’allattamento di Iside (Isis

Lactans) al figlio Horus e rappresenterebbe un episodio della mitologia egiziana751

relativa alla triade tebana, in cui Iside dopo essere stata miracolosamente fecondata dal

marito ormai morto e mummificato, cresce il figlio tra le foreste di papiro del delta

egiziano e al riparo dall’ira di Seth, fratello e assassino di suo marito. Il giovane Horus

così cresciuto sarà capace poi di vendicare la morte del padre uccidendo lo zio.

Diversamente dall’ambito fenicio-punico, nel quale come diremo gode di

grande fortuna, in Egitto questo motivo è diffuso su una grande varietà di supporti752,

ma con una scarsa attestazione della presente variante iconografica. Pertanto quella

fenicia sarebbe una variante selezionata tra le tante disponibili nel fecondo corpus

iconografico egiziano. I motivi di questa scelta possono essere ricercati nella origine

levantina di una loro prima diffusione, presupposto necessario alla dispersione in

occidente, sebbene nulla contraddica un contatto diretto con l’Egitto. Le varianti

750 Boardman 2003, p. 10; per alcuni esempi di stile a globolo vicino al nostro v. CPSC, nn. 6/32, 38, 40, 46, 63,

67, 77, 11/17, 49, 15/40, 17/31, 19/19, 39, 42, 27/08, di varia e ignota provenienza, ma per la maggior parte levantina.

751 La più recente traduzione letteraria di questo episodio è in Plutarco, De Iside et Osiride; accenni ad esso nella letteratura egiziana sono nei testi delle piramidi (Pyr. 734b, 1375a, 2089a, citt. in Tran Tam Tinh 1973, p. 4) e nei più tardi testi drammatici della stele Metternich: Bresciani 1999, pp. 498-506.

752 Tran Tam Tinh 1973, pp. 1-9, figg. 1-14.

Page 166: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 166 -

diffuse in ambito fenicio-punico orientale e occidentale possono essere raggruppate in

tre gruppi fondamentali, tutti noti dalla glittica: Iside e Horus in forma di vacca e

vitello, Iside in forma umana su trono con Horus infante tra le braccia e quello che li

raffigura entrambi stanti, come nel nostro caso. Mentre il primo gruppo è una

trasposizione simbolica chiaramente identificata sulla base dei confronti con analoghe

raffigurazioni egiziane, le altre due, anch’esse non prive di confronti in Egitto,

potrebbero rappresentare due stadi di crescita del dio: neonato prima e fanciullo poi, e

quindi due momenti distinti dello stesso episodio. A questi tre gruppi andrebbe inoltre

aggiunto un quarto che conosce una grandissima serie di varianti: quello che raffigura

come personaggi base la dea con due ali, tese una verso il basso e l’altra verso l’alto,

ad invitare o proteggere il giovane Horus. Le varianti possono andare dall’inclusione

di oggetti, come thymiateria, personaggi spettatori e urei ai lati della scena, alla

duplicazione simmetrica o meno della dea alata dall’altra parte del fanciullo che

occupa il centro. In questo caso viene interpretata come la dea Nephtys, sorella di

Iside, sposa di Seth e partecipe dell’allevamento di Horus. Tra le varianti descritte non

isolata si presenta quella in cui Horus è raffigurato nell’atto della nascita. Tale

iconografia, nota anche singolarmente nella glittica punica, presenta il giovane Horus

seduto su un fiore di loto e ci porta di conseguenza all’episodio iniziale della sua vita.

Emergono così quattro episodi della vita di Horus: nascita, protezione da parte della

madre (e della zia), allattamento e svezzamento. Episodi e iconografie che, come si

diceva in precedenza. non sono sconosciute ad altri supporti artistici fenici e punici: le

coppe in argento dell’orientalizzante, di produzione cipriota e occidentale, presentano

sovente nel tondo centrale scene tratte da questa saga e possono aver contribuito, sin

dalla prima fase della diaspora fenicia, alla diffusione di questi temi e tematiche

iconografiche753.

Tornando al nostro tema particolare, quello dell’allattamento in posizione

stante, abbiamo sottoposto le incisioni classificate sotto questa tipologia754 ad una

selezione accantonando tutte quelle varianti che comprendono elementi secondari che

di fatto nel nostro scarabeo non sono presenti. All’interno di questo nucleo abbiamo

753 Markoe 1985, pp. 43-45, e pp. 87-89, per il rapporto con la glittica “cipro-fenicia”. 754 CPSC, Tipo 11 C (Isis faces Horus, protecting him with a lowered wing, both standing); cfr. anche Hölbl

1986, Motiv VI.2 (Beide Gotthheiten stehen), che include nello stesso motivo le due iconografie in cui Iside è priva di ali o con un ala sola.

Page 167: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 167 -

riconosciuto tre ulteriori gruppi: i primi due sono stati individuati in base alla

differente posizione delle braccia della dea e sono attestati in Sardegna, mentre il terzo

a cui afferisce un solo esemplare ibicenco755 presenta una restrizione del campo visivo

limitata alla sola parte superiore delle divinità, inoltre non sono visibili le braccia: l’ala

di Iside inizia dalla spalla e cinge il busto di Horus non lasciando vedere il seno tanto

da poter mettere in dubbio la stessa rappresentazione dell’allattamento. Si tratta in

questo caso di una iconografia che non gode di confronti in Sardegna e porterebbe a

pensare ad una realizzazione concorrenziale locale. I primi due gruppi rappresentano

varianti di ambientazione per lo più sarda, anche se il secondo è costituito da due soli

esemplari di cui uno di provenienza ignota. La variante del primo gruppo è

caratterizzata da una distinzione dell’ala destra della dea dal braccio corrispondente ed

è incisa sul dorso di quattro scarabei sardi contro uno gibilterrano e uno di provenienza

ignota. In questi il braccio è piegato ad angolo leggermente acuto e la mano è portata

alla base o al fianco del seno dal quale Horus beve o ne è di poco distante. La variante

del secondo invece propone un braccio destro teso parallelo e tangente l’ala, e ci

sembra poter leggere dalle immagini che il braccio sinistro, dopo aver cinto il collo di

Horus, ritorna al seno lasciando inalterato l’azione di allattamento. Infine bisogna

notare come in entrambe le varianti l’ala ha inizio nel gluteo della dea e aderente ad

esso.

Da queste osservazioni appare evidente che un motivo come quello che

raffigura una dea dotata di una sola ala, di per se non originario e di certo frutto di

derivazione, dovette essere il risultato di una sperimentazione e di una ricerca:

nell’esigenza di rappresentare una sola ala e disponendo di due modelli, come due

immagini mentali (la dea con doppia ala e quella senza ali che allatta), la

preoccupazione principale dovette essere per l’artigiano quella di gestire il rapporto

con il braccio che sostiene l’ala e quello che porge il seno. La seconda variante

presentava un azione concettualmente comprensibile ma graficamente innaturale, cosa

che unita al fatto che di essa disponiamo solo di due gemme che sembrerebbero per lo

più identiche e perciò contemporanee, indicherebbe la scarsa fortuna goduta da questa

soluzione e il suo rapido abbandono.

755 Boardman 1984, n. 47 (Madrid 36981); CPSC, n. 11/54.

Page 168: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 168 -

Il nostro n. 67 apparterrebbe al primo gruppo, per la soluzione dell’arto

distaccato dall’ala, e con uno di questi scarabei avrebbe particolari analogie: il n. 11/68

del corpus del Boardman756 che purtroppo ha provenienza ignota ed è conservato al

Victoria & Albert Museum di Londra757. Ne è pubblicato il solo calco ma alcuni

importanti elementi sono pur sempre riconoscibili: la dimensione del seno ed il

piumaggio dell’ala reso con linee parallele radianti ma risparmiate lungo una fascia

nella parte superiore, nonché l’aspetto generale della testa della dea ed il volto non

curato ma reso con alcuni fori di trapano poco profondi. Comuni sono anche il basso

esergo costituito dalla sola linea del piano e la cornice cordonata. Poche le differenze

come la diversa inclinazione dell’ala e l’assenza del flabello come attributo di Horus

nell’esemplare londinese. Inesprimibile con sicurezza il tipo di corona sul capo del

dio: forse doppia sul nostro come sull’altro, almeno per quanto sostiene il

Boardman758.

La tecnica di esecuzione dei due esemplari è la stessa: frequente uso di linee

incise profondamente e uso del trapano tondo (drill holes) per limitate parti del corpo

come il mento di Horus, almeno nel nostro esemplare, il seno e il disco solare della

dea. Nel complesso tuttavia il nostro sembra essere più accurato e preciso, senza che

ciò escluda l’esecuzione dei due scarabei da parte della stessa mano o per lo meno

della stessa officina.

In mancanza di dati cronologici per l’esemplare londinese, come per esemplari

raffiguranti lo stesso tema, non si può cercare conferma cronologica per il nostro

scarabeo ma al più il contrario: fissata una possibile linea evolutiva dei cartoni e degli

intagli possiamo collocare il n. 67 in una posizione che gode di una sicura datazione e

che può contribuire alla datazione degli altri scarabei.

Quanto all’eventuale significato religioso espresso da questo tema iconografico

la dea protagonista del motivo è stata identificata sia con Tanit759 che con Astarte760,

nella prospettiva insomma di considerare l’elemento egizio come aspetto esteriore di

una scena e di una mitologia puramente fenicia.

756 CPSC, n. 11/68. 757 Rings V&AM 1930, n. 10, n.i. 408-1871. 758 CPSC, n. 11/68. 759 Picard 1969. 760 Garbini 1994, pp. 31-43, tavv. II-VI (cap. V, La dea di Tharros).

Page 169: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 169 -

4.4. VARIA

Entro questa categoria rientrano, per nostra scelta e per necessità di rispettare come

argomento principale di questo lavoro gli athyrmata, quegli oggetti che non soddisfano

pienamente questa denominazione. Appartengono tuttavia alla sfera degli ornamenti

personali due dei tre tipi qui presentati: i bottoni, per i quali proporremo tuttavia

un’altra funzione, e i frammenti d’ocra rossa, mentre strettamente funzionali, e quindi

non ornamentali, le coppiglie e gli altri frammenti di bronzo. A margine va solo

ricordato quanto proposto per il n. 15 che, nel caso non si trattasse di un amuleto,

dovrebbe trovare spazio in questo capitolo.

Gli undici oggetti che compongono il n. 17, hanno forma di calotta emisferica

con un foro alla base, non passante ad eccezione di un solo caso761. Sono tutti in osso e

appartennero verosimilmente ad un solo oggetto o deposizione, sebbene il

rinvenimento in setacciatura non permetta attribuzione alcuna. L’interpretazione

secondo la quale questi oggetti sarebbero stati dei bottoni è quella proposta dagli stessi

scavatori, sebbene a nostro parere non risulti ancora confermata dall’edito, si cercherà

perciò in questa sede di proporre alcuni confronti che possano illuminarci sulla loro

effettiva funzione.

Innanzi tutto occorre notare che, a discapito di quanto si evinca dall’edito, ci

troviamo di fronte ad un tipo di reperto estremamente frequente nelle tombe puniche di

Sardegna. Lo dimostra la grande quantità emersa dall’edizione dei corredi delle tombe

tharrensi conservati al British Museum762, onde per cui anche il Museo Archeologico

Nazionale di Cagliari ne dovrebbe essere provvisto in grande numero, sebbene l’unica

edizione di materiali in osso e avorio conservati in tale museo non ne comprenda

alcuno763. Ma se osserviamo più attentamente il lotto del British Museum764, ciò che

subito sorprende è la quantità di oggetti per tomba all’apparenza costante: in

particolare, se si escludono la tomba 12 e la 20 nelle quali ne è stato rinvenuto uno

solo, questa è compresa tra i 5 esemplari della tomba 30 e i 19 della tomba 24, con una

761 Nostro catalogo n. 17 j. 762 Tharros BM 1987, si sono contati 112 esemplari rinvenuti nei corredi delle tombe 11-13, 19-20, 22-25, 27 e

30. 763 Uberti 1975a, che contiene per scelta editoriale solo materiali inediti di sicura provenienza tharrense. 764 Grafico 3 in Appendice.

Page 170: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 170 -

media aritmetica di circa 12 per tomba765, numero che si avvicina a quello della tomba

1 PGM BLV. Pensiamo che oltre all’appartenenza alla medesima tipologia anche

questo dato concorra ad indicare per i gruppi di oggetti un medesimo aspetto

funzionale, ma c’è di più. Il grafico 3 in Appendice propone degli insiemi di oggetti

ravvicinati in base alla loro dimensione (in questo caso è stato possibile utilizzare il

solo dato del diametro fornito dall’edizione inglese), per cui si può notare che ogni

gruppo sia costituito da oggetti di diversa misura, ma che all’interno di ognuno dei

gruppi più consistenti si distacchi un sottogruppo dalla più densa concentrazione in cui

i valori dimensionali sono compresi tra gli 11 e i 13 mm di diametro. I 12 mm di

diametro sono infatti la misura che offre più attestazioni all’interno di tutto il lotto, con

ben 40 esemplari su 112, e qui si coglie la seconda analogia con il gruppo sulcitano le

cui dimensioni sono comprese tra gli 11 e i 13 mm766.

Tutto ciò contribuisce ad accentuare il confronto con i nostri esemplari ma non

fornisce dato alcuno in relazione alla funzione di questi oggetti. Tanto meno gli editori

anglosassoni hanno mostrato univocità nella loro definizione che nell’interpretazione

funzionale: vengono utilizzati infatti i termini inlay767, stud768 o semplicemente bone

disc769, dimostrando una diversa attenzione redazionale a seconda della tomba. In certi

casi è risultato difficile distinguere tra l’osso e l’avorio770 dal momento che, come i

nostri, presentano la superficie convessa polita. Caratteristica costante e discriminante

per il riconoscimento tipologico è il foro alla base, che in qualche caso attraversa

l’intera calotta771 come nel nostro 17 j. Se quest’ultima caratteristica può in certi casi

giustificare un’interpretazione come vago di collana772, dovrà ritenersi del tutto casuale

ed in un solo caso ricercata col tentativo di praticare un foro nel verso opposto773.

765 Per l’esattezza 12,2 periodico. 766 Non è possibile cogliere gli effetti cronologici di questa comparazione dal momento che le tombe di Tharros

non godono di una precisa datazione, sia per le modalità di rinvenimento che per l’uso continuato sino ad età romana degli ipogei. Per quanto caotica la datazione dei corredi ceramici indica che le 11 tombe tharrensi fossero già in uso durante il V secolo.

767 Cfr. Tharros BM 1987, p. 171, n. 11/36. 768 Cfr. ibidem, p. 195, n. 19/52. 769 Cfr. ib., p. 177, n. 13/38. 770 Ib., p. 199, n. 20/46. 771 Ib., nn. 12/33, 24/42 e 49, 25/31, 33 e 37, 27/39, 30/32. 772 Come per ib., p. 222, n. 27/32. 773 Ib., p. 216, n. 25/37.

Page 171: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 171 -

La proposta identificazione come pedina da gioco774, non essendo confortata dal

rinvenimento di alcuna tavola ludica, circostanza giustificabile dall’eventuale

materiale deperibile di cui poteva essere costituita, non è accettabile dal momento che

non offre alcuna giustificazione del foro alla base. Le pedine da gioco potevano inoltre

essere accompagnate da uno o due dadi, che servivano a completare la strumentazione

del gioco, mentre nelle tombe tharrensi in esame non ne era conservato alcuno775.

L’interpretazione corrente come bottoni, nel senso di accessori di

abbigliamento, pone invece il problema della nostra effettiva conoscenza di questa

categoria della cultura materiale fenicia e punica. Le fonti iconografiche disponibili

non fanno riferimento alcuno a questo tipo di oggetti776 mentre maggiori informazioni

sono disponibili ancora per il mondo greco ed etrusco, presso il quale erano presenti

sin dalla fine del VI secolo in forme e materiali differenti777. Erano tuttavia utilizzati in

numero ben inferiore allo scopo di chiudere sulle spalle o sotto le ascelle i lembi del

peplo e del chitone ionico. L’evidente disparità numerica e materica impone in questa

sede, seppur a titolo propositivo, la considerazione di una funzione alternativa per i

nostri oggetti.

Nella ricerca dei possibili confronti non è stato possibile ignorare, per l’identità

del materiale, quella classe artigianale diffusa nel Vicino Oriente e considerata

caratteristica dell’arte fenicia. Le pubblicazioni degli avori fenici e siriani, conservati a

loro tempo nei palazzi assiri, ed in particolare dalla stanza 37 del Forte Salmanassar778,

offrono infatti alcuni utili e non sottovalutabili confronti. Quattro elementi presentano

le stesse caratteristiche formali e dimensionali dei nostri e di quelli tharrensi779 ma in

774 Ib., p. 171, n. 11/36. Analoghe calotte, ma non forate, in vetro o pietra erano diffuse nell’Occidente greco ed

etrusco, ma erano in minor numero ed in diverse varietà di colori per servire al gioco: v. ad esempio le tre calotte in pietra e pasta vitrea rinvenute nella tomba 30 di Castel d’Asso (VT), di metà III – metà II sec., per le quali è proposta una simile funzione: Barbieri G., (2000). Castel d’Asso (Viterbo). – Recenti rinvenimenti di scavo nella necropoli. In ANLNS vol. IX-X, serie IX (1998-1999), p. 171, n. 42, non sembra tuttavia che siano provviste di foro alla base.

775 Alcuni sono noti al Museo Archeologico Nazionale di Cagliari (Uberti 1975a, nn. D41-45, tav. XL) e tre provengono anche dal tophet di Sulcis: Bartoloni 1973, nn. 82-84. Non si può escludere una tale funzione per alcuni elementi simili ai nostri ma in vetro e solo in qualche caso forati: Tharros BM 1987, nn. 8/41 (genericamente definito counter = calcolo), 11/34 (boss), 13/31 (inlay), 21/46 (counter), 23/29, 24/30 (forato e interpretato come whorl = fusaiola), 27/29-30 (in agata e conchiglia, forse castoni di anello), come si può notare però non ricorrono che raramente più di uno per tomba.

776 V. ad es. San Nicolás Pedraz 1983; San Nicolás Pedraz 1984. 777 Lippolis 1984. 778 Herrmann 1986. 779 Ibidem, p. 258, nn. 1561-1562 (Ø 14 e 13 mm, alt. 9 e 6 mm), 1563-1564 (Ø 31 e 31 mm, alt. 11 e 8 mm),

tav. CDXV, il 1562 inoltre presenta un piccolo foro sulla sommità del lato convesso.

Page 172: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 172 -

particolare un frammento di gamba di arredo presenta sette dowel holes di cui tre

conservano ancora in situ la testa del perno che nell’immagine appare identica ai nostri

oggetti780. Vista la datazione relativamente alta del lotto di Nimrud (metà IX – VIII

secolo)781, si potrebbe ritenere che la tecnica di utilizzare piccoli perni con teste a

calotta fosse in questo periodo non particolarmente apprezzata quanto lo sarebbe stata

nei secoli successivi in occidente.

Per quanto concerne il resto della Sardegna Monte Sirai ha fornito un lotto

piuttosto consistente di calotte in osso, sebbene il foro alla base di queste si presenti

leggermente più piccolo782, la superficie convessa non si presenti polita e le misure

siano comprese tra i 15 e i 34 mm. di diametro (oltre la media dei nostri e di quelli di

Tharros). I 116 “bottoni” furono rinvenuti nei pressi del sacello urbano, purtroppo

fuori contesto stratigrafico, insieme ad altri frammenti di lastrine in osso, tra le quali il

ben noto “Bes” ed una a forma di palmetta, nonché ad alcune terrecotte votive783. A

detta dello scopritore tutto il lotto proveniva da una ristrettissima area784, che poteva

costituire il residuo di una favissa o altro cumulo di ex-voto, per cui si potrebbe

proporre per tutti gli oggetti una datazione simile, che più recentemente è stata portata

al VII - VI secolo per le due note placchette785. Ma al di là della datazione, più alta dei

nostri oggetti, ciò che dimostra l’interpretazione corrente è il ritrovamento in un

contesto cultuale, nel quale non meglio si spiegherebbe la presenza di complementi di

vestiario, e l’accostamento ad oggetti come le lastrine per le quali non si potrebbe

proporre altro che la funzione di rivestimento per pissidi o altri elementi di arredo.

Altri due contesti inoltre forniscono una nuova conferma alla tesi proposta. La

tomba 59 della necropoli di Tuvixeddu a Cagliari conservava agli occhi dello

scopritore, ancora in buono stato di conservazione, il letto funebre composto da

diverse assi e tavole intarsiate, una di queste in particolare presentava ancora sparsi dei

780 Ib., p. 258, n. 1566, tav. CDXVI, non sono indicate le misure dei singoli “bottoni” ma solo quelle della gamba

(lungh. 256 mm, largh. 35 mm, spess. 5 mm). Non appare pertinente invece il confronto con i dischi in avorio posti a decorazione del trono e sgabello ∆ della tomba 79 di Salamina in Barnett 1987b, p. 46, i quali non sono del tipo piano-convesso, ma piani su entrambi i lati, e tanto meno forati: v. Salamis III 1974, p. 92, nn. 125-126, 520-529, tav. LXIV.

781 Ma conservati qui sino al VII secolo: Uberti 1988, p. 412. 782 Monte Sirai II 1965, p. 56, tav. XXX, 2. 783 Ibidem, p. 56. 784 Ib., pp. 52-53. 785 Moscati 1996b, pp. 47-50, fig. 7, tav. IX; per una datazione a VI – V sec. v. Uberti 1988, p. 418.

Page 173: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 173 -

“bottoncini d’osso”786. A Tharros invece il canonico G. Spano, nella seconda tomba

scavata nel 1850, rinveniva ai piedi di uno dei due inumati (forse una donna) diversi

oggetti tra cui 12 placchette d’avorio intarsiate e traforate e altrettanti bottoni

emisferici787. In entrambi i casi l’accostamento con altri elementi eburnei o di legno, e

nel secondo caso la posizione rispetto al corpo, indicano una funzione diversa da

quella dell’estetica personale.

Da questa serie di confronti ci sembra di poter ritenere, considerando possibili

eventuali smentite o proposte alternative, che le piccole calotte in osso o avorio, così

frequenti nelle sepolture puniche, costituissero borchie o teste di perni in materiale

deperibile788 utili al completamento o assemblaggio di elementi di arredo anch’essi

non conservati, condizione che quindi condividerebbe con la mano in osso (n. 15)

dalla medesima tomba 1 PGM BLV, secondo quanto proposto nel § 4.2.1. La scarsità

delle associazioni di “bottoni” con mani in osso non consente tuttavia di attribuire i

due allo stesso oggetto, ma la possibilità non è comunque da escludere789.

Probabile funzione ornamentale ebbero anche i frammenti di ocra: i due del n. 20,

rinvenuti in fase di setacciatura nella 1 PGM BLV, e quelli del n. 51 ancora all’interno

di un piatto della 6 PGM. Il termine ocra viene solitamente attribuito a tutte le terre

coloranti di colore rosso a base di ferro. La presenza di questo materiale nei contesti

funerari punici790, nel nostro caso allo stato di grumi informi, può essere spiegato con

la necessità di decorare, col colore rosso, le pareti della camera funeraria, il sarcofago

o anche il volto dello stesso defunto. Un recente studio791 ha apportato nuovi dati,

soprattutto sulla composizione chimica di questi reperti, utili in futuro alla conoscenza

dei modi di utilizzo e produzione, nonché dei percorsi di scambio, che non dovette

786 Taramelli 1912, col. 190, in effetti la descrizione risulta ambigua, rendendo plausibile l’idea che i

“bottoncini” fossero scivolati dalle vesti del defunto con la decomposizione e depositatisi sul fondo della bara. V. anche i 4 rinvenuti insieme ad un dado in pietra nella tomba 91: coll. 199-200, fig. 55.

787 Barnett 1987a, p. 31: vi erano inoltre un flauto terminante a zampa leonina, due orecchini di bronzo (forse occhielli di coppiglie), un piatto a vernice nera contente una vertebra di pesce, un amuleto in faïence di cinocefalo seduto ed un altro piatto contenente un cosmetico rosso (minio o cinabro).

788 Per alcuni esemplari tharrensi il perno poteva essere in metallo per le tracce di corrosione o colore verde rimasti alla base delle calotte: Tharros BM 1987, 19/64-65, 23/35-37, 24/35.

789 Dalla tomba 23 di Tharros infatti proviene una mano in osso e 15 “bottoni”, ma sono 11 quelli compresi tra gli 11 e i 13 mm. di diametro: ibidem, nn. 23/23 (mano), 23/30-44 (“bottoni”), pp. 209-210, tav. CXIX.

790 Per quanto riguarda Cartagine v. Bénichou-Safar 1982, p. 266. 791 Alatrache 2001.

Page 174: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 174 -

senz’altro mancare, tanto sulla breve quanto sulla lunga distanza. Su undici campioni

selezionati e provenienti da diversi contesti tombali tunisini di epoca punica, sottoposti

ad analisi microscopiche e spettrografiche, cinque sono risultati essere cinabro, ovvero

una sostanza selezionata e realizzata allo scopo di servire alla cosmesi del defunto,

ridandogli quel colorito sanguigno proprio dei viventi792 o per altri fini pittorici793.

L’ocra, riconosciuta in sei degli undici campioni, è costituita da sostanze mescolate in

una composizione reperibile in natura e pertanto non è che una materia prima, non

soggetta a preparazione alcuna794. La sua presenza in contesti funerari non può

comunque essere casuale e può essere spiegata solo con la necessità di preparare in

loco i coloranti795.

Ancora la tomba 1 PGM BLV ci ha fornito un tipo non insolito di reperto che di sicuro

non possedeva funzione ornamentale. I nn. 18 e 19 sono infatti costituiti da vari

frammenti bronzei, alcuni troppo piccoli e informi per comprenderne la forma

originaria, dato anche l’avanzato stato di ossidazione di tutti gli oggetti. Ciononostante

se gli occhielli (nn. 18 a-c, 19 b-c) dovevano far parte di coppiglie bronzee frequenti

nelle tombe puniche sulcitane e non solo796, gli altri piccoli frammenti potevano

verosimilmente costituire i fili a sezione circolare o circolare appiattita che formavano

le alette di queste coppiglie. La loro presenza nelle tombe a camera di età punica è

spesso associata a resti di sarcofaghi lignei797, per il cui assemblaggio si deduce

fossero destinati798. Più semplice, ma in effetti non alternativa alla prima, è l’ipotesi

che gli occhielli permettessero l’inserzione di maniglie799. La conservazione di

coppiglie e maniglie bronzee ancora in connessione fornisce validità alla

792 Pratica d’altronde tutt’ora comune; più remota la possibilità che venissero tracciati sul volto segni apotropaici

volti a spaventare gli spiriti dell’oltretomba. 793 Ibidem, p. 296. 794 Ib. 795 Sulla funzione delle uova di struzzo come contenitori di questa sostanza v. Savio 2004, p. 115. 796 Che si tratti di coppiglie almeno nel caso del n. 18 c è assicurato dalla conservazione di almeno metà

dell’oggetto, ma non è certo per gli altri quattro occhielli, seppur molto verosimile. 797 Taramelli 1908, p. 155, tratta verosimilmente della tomba 2. 798 Bartoloni 1987a, p. 60, descrive una possibile ricostruzione di questo assemblaggio dedotta dai resti lignei

della tomba 2 AR; Bartoloni 1989, p. 73-74, nota 49, spiega come la presenza delle coppiglie a Sulcis avesse portato in passato a credere che servissero alla sospensione dal soffitto dei letti funebri (Pesce 1961, p. 160).

799 Bénichou-Safar 1982, p. 251, fig. 127, 4.

Page 175: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 175 -

ricostruzione800 e la mancanza di queste ultime ha indotto a ritenere che si utilizzassero

più spesso al loro posto delle corde801. La prima possibilità è nella gran parte dei casi

da escludere per la mancanza di maniglie e dal momento che il numero delle maniglie

menzionato per le tombe cartaginesi, quattro per feretro802, presupporrebbe l’utilizzo, e

se possibile la presenza, di due coppiglie per maniglia, per un totale di otto. Se questa

circostanza non può essere verificata nel caso sulcitano per una carenza di

documentazione archeologica (solo cinque provengono dalla tomba 1 PGM BLV803 e

una “palesemente manomessa” era all’interno della tomba 2 AR804) o dell’edito,

ancora una volta sarà necessario dedicare attenzione all’edizione inglese dei corredi

tharrensi conservati al British Museum805. Il catalogo del 1987 comprende un totale di

57 coppiglie, due sole delle quali ancora connesse con una maniglia806, e in numero

compreso tra 1 e 7 esemplari per tomba, ma generalmente in gruppi di due o tre807. Si

nota quindi che non solo sono pochi i casi in cui il numero di esemplari per tomba è

pari, ma oltretutto non viene in nessun caso raggiunto quello di otto. Tenendo conto

della duplice possibile funzione di questi oggetti, quella relativa all’assemblaggio e

all’attacco di strumenti per il trasporto, nonché il mancato riconoscimento di essi

durante lo scavo, si può ritenere che il numero delle coppiglie per feretro non potesse

essere comunque fisso e che come ultima possibilità, menzionata solo genericamente

dalla stessa H. Bénichou-Safar808, le coppiglie potessero essere inserite lungo i fianchi

della bara a distanza irregolare per l’inserzione di funi. Questa spiegazione fornisce di

sicuro la giustificazione del numero variabile delle coppiglie ma non trova tuttavia

pieno conforto in quanto noto, o desumibile dai dati archeologici, del rituale funebre

punico. Le funi avrebbero costituito lo strumento per il trasporto del feretro, ma la

800 Ibidem; ma v. anche: Tharros BM 1987, n. 19/42, tav. CXI, n. 29/33, tav. CXXX; Padró 1980, vol. III, tav.

LXX, 13 (103), da Villaricos; per Sulcis v. Mingazzini 1948b, fig. 2, si notano 6 delle 8 maniglie ancora provviste di coppiglie appartenenti alla particolare deposizione della tomba 2 scavata dal Puglisi in Via Belvedere: Puglisi 1942b, p. 109.

801 Bénichou-Safar 1982, p. 251. 802 Ibidem, l’autrice riferisce genericamente l’uso di “cordages”. 803 Nn. 18-19, vari frammenti appartenenti ad almeno 5 coppiglie, come desumibile dal numero dei frammenti di

occhiello preservati; peraltro solo il n. 18 è con sicurezza attribuibile ad una sola deposizione: la n. 2. 804 Bartoloni 1973, p. 62, tav. X, b. 805 Barnett 1987b, p. 44 e segg.; è da notare come i 12 esemplari conservati al Museo Archeologico Nazionale di

Cagliari appartengano alla collezione Cara, autore degli scavi delle tombe i cui corredi furono acquistati dal British Museum nel 1851: Uberti 1975c, n. F 16, p. 128, tav. LI.

806 V. nota 800. 807 Barnett 1987b, p. 44. 808 Bénichou-Safar 1982, p. 251.

Page 176: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 176 -

pratica di questa operazione non doveva costituire la norma, per lo meno non sempre

l’ultimo giaciglio del defunto coincideva con il supporto utilizzato per il trasporto

all’interno della sepoltura: ciò è evidente nel caso dei sarcofagi litici e di un tipo di

sarcofago riscontrato per ora solo nel Nord Africa, sprovvisto del fondo e che ricopriva

il cadavere come una sorta di campana809. Inoltre in alcuni casi la ridotta larghezza del

portello di ingresso in certi casi difficilmente poteva consentire il transito del feretro:

in quello della tomba 2 AR infatti P. Bartoloni misurava un sarcofago di 90 cm di

larghezza e un ingresso di appena 65 cm810. Per quanto si possa dubitare della misura

del feretro, effettuata in avanzato stato di disfacimento del legno, quella dell’ingresso

rende difficile il passaggio di una stessa persona. In generale tuttavia la larghezza dei

varchi non doveva essere fissa e tanto meno quella dei feretri811, come dimostrato dalla

tomba 12 AR il cui portello era largo ben 90 cm812, e poteva ben consentire il

passaggio di letti o sarcofagi anche di poco più stretti. Ogni caso va quindi valutato

come unico senza escludere un eventuale altra funzione per le coppiglie, come

potrebbe il caso della tomba 2 AR: rinvenuta distante dal sarcofago, in una nicchia

laterale813, e divelta dal suo luogo originario poteva anche essere appartenuta ad un

cofanetto.

Una ricostruzione del rito funebre in uso nella necropoli punica di Sulcis è stata

avanzata ancora da P. Bartoloni in tempi relativamente recenti814. L’autore nota

innanzi tutto come il corpo del defunto disteso sopra il letto funebre non potesse essere

portato lungo la scalinata del dromos per l’eccessiva ristrettezza nel suo tratto iniziale,

ma dovesse essere calato dall’alto del piano di campagna nel pianerottolo antistante il

portello di ingresso. In questo modo le coppiglie erano indispensabili per

l’alloggiamento e lo scorrimento delle funi815. In qualche modo la barella era poi

introdotta all’interno della camera sepolcrale e qui se vi fosse stata l’esigenza poteva

essere assemblato il sarcofago con la medesima, anche riciclando le coppiglie, le cui

alette potevano essere ripiegate a mani nude.

809 Cintas 1970, vol. 2, p. 377; Bénichou-Safar 1982, p. 252. 810 Bartoloni 1987a, p. 60. 811 Bénichou-Safar 1982, p. 250, riporta le misure fornite da A.L. Delattre di una testata di bara larga appena 39

cm, il che la porta a valutare al più come pertinente ad un inumato infantile. 812 Tronchetti 2002, p. 143, tavv. II-III. 813 Bartoloni 1987a, p. 62. 814 Bartoloni 1995, p. 8 e segg. 815 A questo scopo erano funzionali anche le eventuali maniglie: ibidem, p. 8, fig. 1, B.

Page 177: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 177 -

5. ASPETTI DI USO, PRODUZIONE E SCAMBIO

Terminata l’analisi dei materiali inediti tenteremo ora di fornire un’immagine del

contesto a cui questi appartenevano. L’indagine sarà ora condotta seguendo i tre ambiti

disciplinari della storia della cultura materiale: i tre aspetti dell’uso, della produzione e

dello scambio816, fortemente interrelati tra loro.

5.1. USO

Definire l’ambito di utilizzo di gioielli e amuleti significa tentare di comprendere le

motivazioni principali e secondarie che portavano gli antichi fruitori ad indossarli,

muovendoci in questo caso tra le due possibilità del fine pratico, estetico e di quello

simbolico o magico-religioso. Sarà inoltre necessario ritornare alla distinzione

arbitraria già utilizzata tra le tre categorie di gioielli, amuleti e scarabei perché gli studi

precedenti non hanno potuto prescindere da questa suddivisione nella comprensione

degli aspetti funzionali.

5.1.1. GIOIELLI

Per quanto concerne i gioielli una funzione che andasse al di là dell’aspetto estetico

non è mai stata messa in dubbio, seppur quasi sempre sottaciuta. Nelle società

caratterizzate da un minor grado di complessità rispetto alla nostra, e tra queste quelle

antiche, la scelta di indossare gioielli non era dettata dalla sola esigenza di “apparire”,

ma anche da necessità di ordine simbolico. Alle caratteristiche estetiche, iconografiche

e materiche insieme, degli oggetti preziosi erano attribuite credenze proprie di un

popolo, di una società articolata nelle sue classi e di un determinato periodo della sua

storia.

Gli stessi termini moderni utilizzati per questa classe di materiali (gioielli,

bijoux e jewels) mostrano una derivazione dal latino iocalia, che traduce pienamente il

greco athyrmata col significato di “trastulli”, “giocattoli”, “ornamenti”. E già nelle

fonti relative alle civiltà classiche si coglie l’afferenza di questi oggetti alla sfera

simbolica ed il passaggio da elemento di significazione molteplice ad oggetto

816 Francovich, Manacorda 2000, pp. 99-104, voce “Cultura Materiale”.

Page 178: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 178 -

puramente decorativo817. Tale processo appare giunto alla sua compiutezza già nella

prima età imperiale, secondo quanto si evince dalle testimonianze di Plinio818 e

Macrobio819. Ma per quanto meglio riguarda il periodo in esame e la civiltà fenicio-

punica la scarsità e la qualità dei testi scritti relativi a quest’ultima ci è di poco aiuto. Il

glossario desumibile dai testi dell’Antico Testamento, spesso portato a supporto della

lacuna letteraria fenicia, presenta due termini principali per designare gli ornamenti:

‘ădî, traducibile con “oggetto da indossare” e kĕlî zāhāb o kesep che significano

“oggetto realizzato in metallo prezioso”820. Meno in generale i termini usati per ogni

singolo tipo di oggetto tendono a ridurlo alle sue specifiche caratteristiche materiche,

formali, di realizzazione, di funzione, di valore o di simbolismo821, e tra queste non

irrilevante dovette essere quella pertinente alla sfera religiosa e sacrale822.

L’aspetto materico impone ed ha imposto negli studi tipologici un ulteriore

distinzione in seno a questa categoria di athyrmata: gioielli in metallo e in materiale

non metallico. Se i metalli preziosi possono essere, e difatti lo erano, indicatori di uno

status sociale elevato non di meno erano attribuiti loro valori in virtù delle loro

proprietà chimiche o fisiche. Così da sempre l’oro è simbolo dell’incorruttibilità e

della purezza, al pari dell’argento che si presenta bianco nel suo stato naturale. Per gli

stessi motivi i due metalli possono trovarsi uniti in una lega, l’elettro, che conferiva

all’oggetto le due diverse caratteristiche823, o nella tecnica della placcatura, per cui

solo l’aspetto del metallo più nobile sarebbe risaltato. Inoltre quei gioielli che si

univano in maniera “forte” al corpo, tramite foratura del lobo o del naso, dovevano

possedere un altrettanto forte significato che ne giustificasse le motivazioni per cui

erano portati. Così ecco presentarsi l’aspetto rituale del gioiello: in tutte le culture,

anche le più complesse, i riti che segnano i passaggi da uno stato ad un altro (età,

condizione sociale, etc.) per rendere riconoscibile a tutti l’avvenuto passaggio possono

prescrivere l’uso di segni tra i quali rientrano tatuaggi e gioielli. Se per questi ultimi ci

817 Guaitoli 1997, p. 22. 818 Plinio Naturalis Historia, XXXIII, 8-41, sull’origine degli anelli e sul passaggio dalla destinazione funzionale

a quella di qualificazione dello sfarzo e del lusso, cit. in Guaitoli 1997, p. 22,. 819 Macrobio Saturnalia, VII, 13, 11-13, in cui si riporta per voce di Cecina Albino un frammento del giurista

Ateio Capitone, console nel 5 d.C., di argomento analogo al succitato passo di Plinio, cit. in Sfameni Gasparro 2003, p. 20.

820 Bénichou-Safar 1996, p. 525. 821 Ibidem. 822 Ib., p. 23. 823 È forse il caso del pendente n. 9.

Page 179: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 179 -

sono in qualche modo utili ed indicative le circostanze del rinvenimento archeologico,

la insufficiente nozione dei primi824 è di scarso aiuto nel tentativo di ricostruire le

modalità e le circostanze in cui questi riti potevano occorrere. La morte è senz’altro un

momento contrassegnato in tutte le culture dal rito e l’archeologia ce ne da l’evidenza,

nella provenienza quasi esclusivamente funeraria dei gioielli. La destinazione

esclusivamente funeraria degli ornamenti è un argomento che per essere formulato

dovrà tener conto anche delle caratteristiche degli altri tipi di oggetti, come amuleti e

scarabei, per i quali si rinvia alle pagine successive. Tuttavia nel 1994 G. Garbini in un

contributo dedicato all’escatologia funeraria dei fenici d’Occidente825, dopo aver

lamentato l’insufficienza dell’analisi storico-religiosa sino a quel momento condotta

sugli oggetti di ornamento fenicio-punici826, proponeva una destinazione “quasi”

esclusivamente funeraria in relazione ai gioielli827. L’analisi del Garbini era fondata

sul riconoscimento di alcune iscrizioni, su gioielli e non solo, che permettono di

riconoscere l’accettazione da parte dei cartaginesi, e così anche dei territori coloniali

da loro controllati, di credenze escatologiche di origine egiziana. I due gioielli da

questi analizzati erano costituiti da laminetta d’argento arrotolata entro un astuccio

rinvenuto in una tomba non identificata di Tharros e di un anello in oro con castone

circolare appartenente ad una collezione privata. Il primo oggetto828 appartiene ad una

tipologia ben nota nel mondo fenicio e punico829 e riportava, oltre all’iscrizione

fenicia830, secondo una prassi usuale su questo tipo di lamine un corteo di divinità

egiziane noti come “decani”. La recezione di queste figure e del loro significato da

parte dei fenici d’Occidente è stata recentemente analizzata da R. Ben Guiza831 che ha

riconosciuto la funzione di protezione per i vivi dai pericoli provocati dalla dea

824 Faccenna 1996. 825 Garbini 1994, pp. 83-118 (cap. XI: Iscrizioni funerarie ed escatologia). 826 Ibidem, p. 107. 827 Ib., p. 108. 828 Ib., pp. 93-96; Garbini 1982, pp. 462-463; per la bibliografia completa v. Ben Guiza 2005, pp. 65-66 (argent-

I). 829 Si v. da ultima Quillard 1987, pp. 86-110. 830 Se ne riporta qui la traduzione: “proteggi ‘bd’ figlio di Šmšy davanti ai possessori della bilancia”: Garbini

1994, p. 95. 831 Ben Guiza 2005.

Page 180: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 180 -

Sekhmet832. La destinazione “terrena” di questa tipologia di materiali è assicurata

inoltre dalla presenza di tracce di usura sulla superficie degli astucci833.

L’anello esaminato dallo studioso834 presenta invece nella metà superiore del

castone l’iscrizione tzk lr‘ ’yt tb šl (“illuminerai a Ra la sua venuta”835) ed in quella

inferiore una nave. L’iscrizione unitamente alla nave raffigurata sembrano tradire

un’elaborazione fenicia del culto solare e del pensiero escatologico egiziano836, inoltre

sul presente oggetto il Garbini notava la mancanza di tracce di uso a riprova di una

destinazione funeraria della categoria. L’anello tuttavia pone alcuni problemi già in

parte sollevati dalla Pisano allo scopo di metterne in dubbio l’autenticità837: per quanto

l’iscrizione assegni una datazione al 650-550 a.C., la tipologia dell’anello impone una

cronologia ben più tarda, da porre forse entro la prima metà del IV secolo838. L’oggetto

pare infatti composto di due parti distinte: il tondo su cui è l’iscrizione sarebbe stato

inserito successivamente nel castone dell’anello, la cui paternità della stessa oreficeria

punica è messa in dubbio dalla Pisano839, e potrebbe spiegare l’assenza di tracce

d’usura.

Queste considerazioni rendono pertanto molto debole un tentativo di ascrivere i

gioielli fenicio-punici alla sola sfera funeraria, quand’anche una seppur inferiore

presenza nei santuari sarebbe contraddittoria840, tentativo che costituirebbe un

completo rifiuto del significato “terreno” e della funzione decorativa che non può

comunque esser messa in dubbio per questi oggetti.

Peraltro durante la vita dovevano essere numerose le occasioni e le festività in

cui potesse esser prescritto l’uso di gioielli. H. Bénichou-Safar ha proposto, sulla base

di una personale lettura delle fonti bibliche e delle iscrizioni puniche, di individuare

nel tophet il luogo in cui il cittadino, o l’aspirante tale, si sarebbe “sottoposto al giogo”

832 Ibidem, p. 63. 833 Ib., p. 58; Quillard 1987, p. 103. 834 Garbini 1983, pp. 95-99; Garbini 1989; Garbini 1994, pp. 96-105, tav. VIII. 835 Ibidem, p. 101. 836 Ib., pp. 104-105. 837 Pisano 1995d, pp. 58-60, tav. VII 838 Pisano 1974, nn. 122-123 in argento e oro, 124 in oro (anelli tipo III b, con motivo della palmetta in

filigrana), v. anche p. 54 in cui menziona l’unico confronto datato in bronzo della I metà del IV sec. da Ampurias; il tipo è attestato anche a Sulcis da un anello in oro che presenta sul castone una rosetta a otto petali e intarsi in pasta vitrea: v. § 2.1.1; Bernardini 1991, tav. V, 1.

839 Pisano 1995d, p. 60. 840 Garbini 1994, p. 108, la quale attestazione giustifica il “quasi” nel testo: v. supra.

Page 181: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 181 -

della divinità841. Questo atto di profonda sottomissione sarebbe stato sancito

dall’indossare un giogo simbolico, come un gioiello: una collana, un orecchino o un

nezem842. In seguito a quanto detto a proposito degli orecchini ad estremità avvolte a

spirale843 e della modalità di inserzione nel lobo (o nel naso), pensiamo di poter

proporre questi come possibili protagonisti di questa cerimonia. La tesi dell’autrice, è

necessario notare, non ha goduto di particolare fortuna in ambito accademico, e il tema

dei riti praticati nei tophet è da tempo vexata questio dell’archeologia fenicio-

punica844, motivo per cui discutiamo qui il tema solo a scopo di completezza senza

prendere posizione in merito.

Tra i gioielli in materiale non metallico i vaghi in pasta vitrea con decorazione

“a occhi”, ottenuta dalla inserzione a strati di gocce di vetro di diverso colore,

possedevano un presunto valore apotropaico845. Il motivo dell’occhio è una costante

che ricorre nella cultura materiale di numerose civiltà846 e trova giustificazione nella

credenza che il potere dello sguardo di determinate divinità, forze ultraterrene o

comuni mortali (malocchio), potesse essere dannoso e che a questo potessero fare da

deterrente uno o più occhi sostitutivi847. Quali fossero i principali destinatari di tale

tipo di protezione non è possibile stabilire sulla base della documentazione sulcitana:

la maggior parte proviene infatti dalla necropoli punica e sembra così indicare una

prevalente componente di età adulta, d’altro canto lo stato di conservazione dei vaghi

rinvenuti nel tophet, e destinati a fruitori di età infantile, non consente spesso una

corretta identificazione. Peraltro la documentazione di Ibiza, seppur parzialmente

analizzata in maniera scientifica, indica come non esistesse una “marcada división a

nivel simbólico entre adultos y niños a pesar de la mayor riqueza aparente de los

ajuares de los primeros”848.

841 Bénichou-Safar 1993. 842 Bénichou-Safar 1996, in particolare pp. 530-531; e contestualizzazione nell’ambito del tophet: Bénichou-

Safar 2004, p. 54, nota 279. 843 NN. 35-36. 844 V. Bernardini 2006 come ultimo contributo edito al riguardo. 845 Ruano Ruiz 1996, pp. 79-81, relativamente alla situazione iberica in cui si riscontra una maggiore presenza

nelle sepolture infantili di età punica. 846 Vàzquez Hoys 2000, § 1.2; sul valore apotropaico dell’occhio di Horus (udjat) v. più avanti. 847 Ruano Ruiz 1996, p. 80. 848 Gomez Bellard C., Gomez Bellard F., (1989). Enterramientos infantiles en la Ibiza fenicio-púnica. In

Cuadernos de Prehistoria y Arqueologia Castellonenses vol. 14, pp. 211-239, p. 230, cit. in ibidem, p. 79.

Page 182: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 182 -

Sull’aspetto funzionale di alcuni gioielli illuminano il n. 3 del catalogo (da

integrare probabilmente con il n. 4) e quello rinvenuto nella tomba 11 AR (n. 77), i

quali testimonia l’uso di anelli “sigillari”. Per le loro dimensioni però difficilmente

potevano essere portati al dito, più facilmente invece al collo dimostrandosi così del

tutto analoghi agli scarabei, sui quali ritorneremo più avanti. Sarà solo doveroso

ricordare che nella glittica, così come sugli anelli, siano quasi sempre solo raffigurate

scene o iconografie, egittizzanti o greche, mentre siano ben più rare iscrizioni in

caratteri fenici: proporzionalmente queste sembrano essere più numerose sugli anelli,

si citano qui i due esempi sardi di un anello dalla tomba 26 di Nora849 e di quello

rinvenuto nel 1862 da A. Roych in località Villaperuccio (forse l’insediamento fenicio

di Pani Loriga)850.

5.1.2. AMULETI

Ulteriori e più numerosi spunti di discussione sono forniti invece dalla categoria degli

amuleti, sebbene in mancanza di fonti scritte il discorso rimanga per lo più ipotetico.

Partendo dall’etimologia si nota come il termine amuletum compaia per la prima volta

in Plinio851 derivato da una radice semitica ancora presente nell’arabo moderno

hamulet, usato per designare genericamente qualcosa “che viene indossato”852. Già il

Petrie proponeva di attribuire ai fenici, per il tramite di Cartagine, la diffusione del

termine in Occidente853, il quale avrebbe verosimilmente accompagnato gli oggetti che

designava.

In un ottica macroscopica le opinioni degli studiosi nei riguardi di questa

categoria artigianale si limitano nel riconoscere una più o meno forte valenza

magica854 se non addirittura a postulare un “somero conocimiento del valor

profiláctico de la imagen o el símbolo”855. Ma questa generale afferenza alla sfera

magico-religiosa non può che essere subordinata alla funzione di ogni singola

tipologia e iconografia. Se infatti gli amuleti egiziani ed egittizzanti rivelano la

849 Guzzo Amadasi 1967, sard. 33, p. 112, tav. XLIII; Chiera 1978, p. 76-77, tav. V, 3 (nome: ’zb‘l ) 850 Guzzo Amadasi 1967, sard. 11, p. 93, fig. 13; Garbini 1983, pp. 461-462 (nome: Bst’drt ). 851 Plinio Naturalis Historia, XXIX,4. 852 Per primo Petrie 1914, p. 1; da ultima Martini 2004, p. 15. 853 Petrie 1914, p. 1, in cui giustifica la deduzione sostenendo come questi fossero “l’unica fonte di termini

semitici nei mari occidentali prima del periodo romano”. 854 Scandone Matthiae 1988, p. 22. 855 Marin Ceballos 1998.

Page 183: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 183 -

diffusione di credenze magiche egiziane nel mondo punico, quelli legati invece alla

tradizione figurativa punica sono rivelatori di credenze autonome e proprie di tale

cultura. La fortuna della magia egizia in ambito punico è dovuta al fascino che questa

civiltà suscitò e suscita nel corso del tempo, e giustificabile, come spiega

esemplarmente S. Ribichini, con la frequente provenienza “estera” della magia in

numerose civiltà antiche e moderne856. In un tale assunto riteniamo tuttavia risieda un

duplice difetto: oltre al fatto di generalizzare in merito ad una categoria che conosce

una duplice articolazione di tipo tipologico-iconografico e di tipo spazio-temporale, ha

scoraggiato a lungo l’analisi particolareggiata delle valenze che sottostavano ad ogni

singolo tipo, simbolo o divinità rappresentata. È doveroso partire in questa analisi dalle

valenze che caratterizzano il singolo tipo nell’ambito di provenienza, tenendo conto di

differenti ambientazioni di classe sociale, età e sesso; considerare inoltre eventuali

contesti di transizione e infine quelli di destinazione857: in ambito occidentale, vista la

carenza di fonti scritte, i dati disponibili sono di tipo archeologico e prevalentemente

funerario. Ci troviamo quindi di fronte ad un vero e proprio fenomeno di

acculturazione858 particolarmente articolato, che probabilmente non raggiungeva le

sole classi privilegiate, ma anche strati più umili della popolazione. È perciò plausibile

che a differente livello sociale del fruitore corrispondesse una equivalente

consapevolezza delle caratteristiche dell’amuleto: una profonda conoscenza delle

formule profilattiche egiziane è riconoscibile negli astucci porta-amuleti e in

particolare nelle lamine di oro e argento che essi contenevano. Queste infatti

presentano iscrizioni in lingua punica che rispettano formulari egiziani, il che

presuppone un contatto diretto con la cultura egiziana e un’intima conoscenza delle

sue credenze859. Tali manufatti sono tuttavia realizzati in metallo prezioso, tale da

renderne possibile l’accesso ai soli personaggi abbienti860. I tipi di amuleti in materiali

856 Ribichini 1976, p. 150. Per la presenza di pratiche magiche in ambito punico v. anche: Ribichini 1987b. Per la

definizione di “magia” v.: Ribichini 1998; Brelich 1976. 857 De Salvia 1978, p. 1015, nota 24, in cui l’autore distingue il processo di questa particolare acculturazione in

una dinamica orizzontale o geografica e in una verticale o cronologica. 858 Per una definizione del concetto di “acculturazione” v. Signorini 1992, pp. 58-61. 859 Ribichini 1987b, p. 36; per la tipologia degli astucci porta-amuleto v. Quillard 1987, pp. 1-11, 86-110; per la

destinazione funeraria di questi come di altri tipi di gioielli v. supra; per le tracce di contatti diretti tra cartaginese ed egiziani fornite dall’epigrafia v. più avanti § 5.3.

860 Ben Guiza 2005, p. 58.

Page 184: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 184 -

meno pregiati, e disponibili anche nella versione aurea861, erano altresì portati dagli

stessi ma accessibili a più strati della popolazione. Sebbene questi amuleti siano per lo

più “muti” non mancano tuttavia iscrizioni alla base che oltre ad indicarne il generale

ambito di provenienza, quando redatte in geroglifici egiziani, gettano luce sulla

funzione stessa dell’amuleto862 e sull’acquisizione diretta dalla fonte egiziana della

credenza a quella funzione correlata. Iscrizioni presenti su importazioni egiziane, così

come su prodotti occidentali, riportano brevi formule augurali e nomi, sia regali che

privati, a testimonianza della conoscenza del valore benaugurale ad essi attribuito in

Egitto. Non mancano poi geroglifici riportati in maniera apparentemente acritica,

indiziari di una produzione extraegiziana, come nel n. 31 del nostro catalogo il cui

significato magico era garantito dal solo essere geroglifici, e la loro associazione,

frutto di una giustapposizione, non trova confronti nella lingua egiziana. Ad un terzo

livello, inteso in senso concettuale ma con una probabile corrispondenza cronologica,

sono da attribuire gli amuleti in cui gli attributi, iconografici e geroglifici, sono oggetto

di schematizzazione o sono resi in maniera geometrica. Ad essi si può attribuire una

deriva del significato intrinseco originario: nei nostri pateci ad esempio la perdita degli

attributi panteistici è la spia di un allontanamento dal pieno valore originario della

divinità863; ne fa da corollario la progressiva sostituzione delle iscrizioni geroglifiche

con motivi geometrici864 e occasionalmente qualche iscrizione in lingua fenicia865.

Un merito si deve riconoscere invece all’autrice di recenti pubblicazioni, che

nello studio di amuleti e gioielli rinvenuti nelle recenti indagini a Monte Sirai866 e di

quelli appartenenti ad una collezione sulcitana, ha focalizzato l’attenzione sulle

caratteristiche sensibili dell’ultimo fruitore di ogni singola tipologia, individuando

quelle maggiormente funzionali alla sfera infantile e femminile. Si illumina quindi un

aspetto importante e non scontato dell’uso di questa categoria: principali destinatari di

861 Per un esemplare in oro di pateco da Cadice v. per primo Marin Ceballos 1976; un altro cartaginese in

Quillard 1978; un pateco in avorio con appiccagnolo in oro in Vercoutter 1945, p. 294, n. 822, tav. XXII. 862 Conti 2000a. 863 Di diversa opinione è E. Acquaro (Acquaro 1984, p. 115) il quale ritiene che l’evoluzione figurativa trovi

“corrette ipotesi interpretative […] (in) una fenomenologia esclusivamente figurativa”. All’artigiano insomma al termine di questo processo sarebbero bastate poche incisioni per richiamare l’iconografia originaria, che non sarebbe andata persa nella mente del fruitore.

864 Conti 2000a. 865 Ibidem, p. 25-26; più attinenti il n. 64 del nostro catalogo e l’amuleto tharrense pubblicato dallo Spano in

BAS, anno II (1856), pp. 72-74; v. inoltre § 4.2.4. 866 Martini 2000.

Page 185: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 185 -

protezione dovevano essere quelle categorie di individui maggiormente soggetti a

pericoli come la mortalità infantile e quella per parto. L’associazione di amuleti e

gioielli, di cui abbiamo ricordato il valore profilattico, a sepolture infantili e femminili,

quando riconosciute come tali, parla chiaramente. Il fenomeno è documentato in

Sardegna867, in Spagna e a Cartagine868 sia in epoca arcaica che pienamente punica,

per quanto riguarda le sepolture infantili. La frequenza di athyrmata nel tophet

conferma questo status anche a Sulcis, ma la mancata conservazione dei resti ossei

nelle sepolture di individui adulti nella necropoli non consente di verificare la

destinazione ad individui di sesso femminile.

Ne risulta quindi un panorama che conosce una forte articolazione, la quale per

la maggior parte può essere solo presupposta. A questo problema di definizione dei

destinatari si aggiunga inoltre l’opinione di alcuni studiosi che interpretano le divinità

rappresentate dagli amuleti, o da alcuni di loro, come oggetto di culto o venerazione,

ma con atteggiamenti leggermente diversi:

• Alcune divinità egizie come Iside, Osiride, Horus, Bastet869, Apis e Ptah, sarebbero

state oggetto di un culto “individuale”, popolare o elitario, loro tributato870,

testimoniato dall’onomastica: i nomi teofori di divinità egiziane che attualmente

risultano generalmente diffusi solo nel Levante e a Cartagine871.

• L’ingresso di divinità egiziane a livello ufficiale nel pantheon fenicio-punico si

spiega con il carattere eclettico di questa religione, sebbene attenda ancora di

essere dimostrata la venerazione di divinità egiziane tout court in piena epoca

classica872.

867 Taramelli 1912, coll. 150-154. 868 Padró I Parcerisa J., (1981). Las divinidades egipcias en la Hispania Romana y sus precedentes. In AA.VV.,

(1981). La religión romana en Hispania. Madrid, p. 341-343, cit. in Martini 2000, p. 130, nota 28. 869 Nella presente ottica potrebbe essere considerata la diffusione levantina tra amuleti e avori dell’iconografia

della sfinge con testa umana. E. Gubel ne attribuisce la propagazione ai fenici impegnati nella costruzione del tempio di Bastet a Bubastis nel Delta egiziano, o comunque alla loro attività in questa regione: Gubel 1998, pp. 638, 644, per un esempio tra gli amuleti v. fig. 5.

870 Ribichini 1975, p. 13, 871 Per il Levante: ibidem; Lamaire 1984; per Cartagine: Halff 1965, p. 74; per la Sardegna si cita il nome teoforo

(Bst’drt = “Bastet è potente”) inciso sul castone di un anello aureo proveniente da Villaperuccio (sic = Pani Loriga?) e ormai perduto: v. Garbini 1983, pp. 461-462; Guzzo Amadasi 1967, Sard. 11, p. 93, fig. 13; cfr. nota 850.

872 È eloquente l’interpretazione del dio Sid (= Djed) venerato ad Antas proposta da Lipinski 1995, pp. 332-350, e la critica mossa in Minunno 2005, p. 276, nota 76. Per le altre divinità egizie v. Lipinski 1995, pp. 319 e segg. Più contenuta l’opinione di J. Padrò (Padrò 1999), che ammette per gli oggetti di adorno una giustificazione di “carattere magico o religioso” (p. 95) e si limita a riscontrare la continuità di presenza di alcune divinità in epoca romana-ellenistica come Bes, Amon (= Giove), e gli dei del ciclo di Osiride (p. 96).

Page 186: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 186 -

• Le iconografie egiziane rivelerebbero solamente l’aspetto esteriore di divinità

propriamente fenicie: un caso è quello di Iside/Astarte e forse quello del giovane

Horus873. L’Egitto insomma avrebbe messo “a disposizione le proprie iconografie

religiose”874.

Le tre opinioni proposte da eminenti autori sono rivelatrici di atteggiamenti

differenti nei confronti del rapporto tra la religione egizia e quella fenicia, in cui

potrebbe avere parte questa categoria artigianale, atteggiamenti che possono avere la

loro ragion d’essere se applicati a tipi, iconografie e situazioni o ambiti culturali

distinti. In questo momento più che mai è auspicabile un’analisi che verifichi le

caratteristiche di ogni singolo tipo amuletico, come abbiamo denunciato più sopra. In

questo lavoro tuttavia non è previsto un tale approfondimento, sarà invece data

attenzione ai tre tipi amuletici maggiormente rappresentati nel mondo punico,

sulcitano e delle ultime tombe scavate dello stesso centro: l’occhio udjat, lo Ptah-

pateco e il serpente ureo, nello specifico interesse di individuare un’eventuale funzione

funeraria per questi tipi.

L’udjat è uno dei simboli più noti dell’antico Egitto e la particolare frequenza

con cui incorre tra gli amuleti, e non solo, fenicio-punici ha senz’altro contribuito alla

sua fortuna e diffusione. Il significato del termine udjat (o wd3t) è quello di “occhio

sano di Horus”875: secondo il mito egiziano infatti durante la lotta con Seth, Horus

avrebbe perso l’occhio sinistro, miracolosamente salvato e “riempito” da Thot, dio

della luna876. Il carattere solare del dio Horus nella sua forma più antica è coerente con

una prima valenza magica dell’amuleto in funzione dei vivi: l’amuleto donava forza,

vigore fisico, buona salute, etc. al suo portatore, così come il sole, nell’immaginario

egiziano, forniva forza motrice al falco, animale del quale il dio Horus prendeva le

sembianze877.

In una versione più recente il mito vedeva Horus figlio di Osiride, dio dei morti,

vendicare la morte del padre nella consueta lotta contro Seth. L’aiuto del dio nei

confronti del padre, in coincidenza con la diffusione dell’osirizzazione a partire dal

873 Hölbl 2004, p. 78. 874 Ibidem. 875 Verga 1981, p. 23, nota 2. 876 Ibidem, p. 15. 877 Ib., pp. 15-16.

Page 187: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 187 -

Medio Regno, processo evolutivo religioso per quale il defunto si identificava con il

dio Osiride, avrebbe contribuito all’emergere della funzione funeraria dell’amuleto e

del simbolo rappresentato. Da questo momento il morto riponeva in esso le proprie

speranze per l’ascesa al mondo ultraterreno, a tal scopo il “Libro dei morti” al capitolo

CXL prescrive la realizzazione di un amuleto in lapislazzuli e oro, e di un secondo in

corniola. Al primo dovevano essere fatte offerte di “tutte le cose buone e pure”, mentre

l’ultimo andava posto su una parte del corpo878.

Un’ulteriore più semplice interpretazione vedrebbe nell’udjat la luna, l’occhio

sinistro di Horus, così come il destro rappresenta il sole. Così il carattere speculare

degli amuleti egiziani, e dei nostri punici incisi sui entrambi i lati, si adatta a tale

ambivalenza assicurando un più ampio spettro di protezione. In generale infatti,

prescindendo dalle complesse speculazioni e mitologie egiziane, che possono aver

suscitato curiosità nei non egiziani ed aver accompagnato la fortuna di questi amuleti,

si ritiene l’occhio rappresentato su amuleti e vaghi di collana879, ma anche sulla

ceramica880 e sulle uova di struzzo881, possegga un particolare valore apotropaico di

difesa dal malocchio, secondo il principio omopoietico della magia: contra similia

similibus882. Allo scopo di costituire un aiuto nel prevedere pericoli non altrimenti

visibili, gli occhi venivano anche dipinti o scolpiti sulla prua delle navi883.

La grande frequenza nelle tombe puniche degli udjat non deve trarre in inganno

su un carattere esclusivamente funerario, non mancano infatti attestazioni nei santuari,

sia orientali884 che occidentali885.

Il pateco invece, come già accennato nell’analisi tipologica dei nuovi esemplari

sulcitani886, è una divinità o genio protettore le cui individuazione si basa su un passo

delle Storie di Erodoto (III, 37) in cui l’autore descrive il disprezzo con cui Cambise

derise le immagini del dio Ptah-Efesto, simili a quelle dei “pateci fenici, che i fenici

878 Bresciani 2001, pp. 666. 879 V. supra. 880 Campanella, Martini 2000, p. 46, nota 54. 881 V. il recente studio in Savio 2004. 882 Vázquez Hoys 2000. 883 Bartoloni 2000b, p. 92. 884 Kition II 1976, tavv. XVI-XIX. 885 Antas 1997, p. 106; Phoinikes 1997, pp. 278-279, nn. 234-241. 886 V. supra.

Page 188: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 188 -

portano sulle prore delle triremi”887. Aggiunge inoltre che, per chi non li avesse visti,

somigliano ai pigmei888.

Un interesse non meramente tipologico ha mosso V. Dasen nell’intraprendere

uno studio sulla figura del pateco in Egitto889. L’autrice ne ha delineato lo sviluppo

iconografico e storico-religioso in Egitto, presupposto minimo per comprendere la

possibile funzione degli amuleti che lo rappresentano nel mondo fenicio occidentale890.

Una primo argomento di studio riguarda il nome: il termine pateco può risultare

scorretto. La sua etimologia non è del tutto chiara: l’ipotesi più affermata è che si tratti

di un diminutivo del nome del dio Ptah891, mentre non viene presa in considerazione la

possibilità che si tratti di una sua vocalizzazione alla greca. Un ulteriore ipotesi di

interpretazione vedrebbe il termine provenire da una radice fenicia e presente in greco

nel verbo πατασσω, col significato di “colpire” e “percuotere”, in riferimento

all’azione della prua della nave, sulla quale il pateco aveva funzione di polena892. Il

nome Ptah invece è giustificato dalle iscrizioni geroglifiche presenti sulle sue

rappresentazioni, nelle occasioni in cui fanno il nome della divinità893, ma non

mancano menzioni di Sokar894 e del dio Atum, che si celerebbe dietro i cosiddetti

“trigrammi panteistici” spesso presenti sulle basi895.

L’evoluzione iconografica è altrettanto poco definita, ma si avverte dal Terzo

Periodo Intermedio (1069-702 a.C. circa), sino a tutta la bassa epoca, un aumento della

complessità rappresentazionale nell’aggiunta di elementi e attributi quali la corona

atef, eventuali ali, i coccodrilli e i falconi sulle spalle, e dalla dinastia Saita in

particolare l’associazione alle divinità della triade Horus-Iside-Nephtys896. Più precisa

è invece la ricostruzione della sua evoluzione storico-religiosa dalla quale si

887 Erodoto Storie, III, 37.2. 888 Ibidem. 889 Dasen 1993; v. il più recente e sintetico contributo in Dasen 2005. 890 Cfr. la menzione di questo studio nel recente intervento di D. Gomez Lucas: Gómez Lucas 2004. 891 Ibidem p. 130. 892 V. Elayi, Elayi 1986, p. 4-5, nota 17. Secondo gli autori il termine pateco designerebbe la polena e non

l’oggetto rappresentato. 893 Gomez Lucas 2004, p. 130, nota 2. v. anche Koenig 1992, p. 127, nota 15, per il quale la relazione con il dio

Ptah si dimostra secondaria ai fini dell’interpretazione delle figurine. 894 Gomez Lucas 2004, p. 130; Amenta 2002, p. 164. 895 Ibidem; per i “trigrammi panteistici” v. Koenig 1992, p. 127; Ryhiner 1977. Questi rebus tuttavia sembrano

costituire un fenomeno di sincretismo che farebbe la sua comparsa in piena età ellenistica e che non pare comunque noto alle popolazioni fenicie occidentali.

896 Gomez Lucas 2004, p. 131-132.

Page 189: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 189 -

comprende come immagini di nani, presenti sin dall’epoca predinastica e connesse con

concetti di fertilità e protezione, vadano scomparendo nel Nuovo Regno per la

comparsa dello Ptah-pateco ed il sorgere a rango di divinità di Bes, prima relegato

esclusivamente alla sfera domestica ed al quale il pateco pare spesso associato. Al

concetto di fecondità si vanno ad aggiungere quindi quelli di rigenerazione del dio Ra,

del quale ad esempio porta lo scarabeo sul capo897, nonché di altre divinità del mondo

funerario quali Osiride, Min e Sokar898. Quali intermediari di queste divinità gli dei

nani svolgono infine una funzione apotropaica, come apprendiamo da un papiro del

Nuovo Regno che riporta la formula da recitare sopra un nano di terracotta in

occasione del parto di una donna899. Il valore apotropaico dello Ptah-pateco è

d’altronde sempre rimasto soffuso negli studi fenicio-punici sugli amuleti perché

affiancato da altre possibili funzioni di tale amuleto: non ultima quella che lo vuole

protettore dai morsi di serpenti o altri animali nocivi e quella che lo interpreta come

patrono di categorie artigianali, come orefici, metallurghi o minatori900. Per quanto

quest’ultima possibilità appaia suggestiva per l’ambientazione sarda e cipriota della

tipologia amuletica e non solo901, è in contrasto con quanto esposto da V. Dasen, la

quale argomenta con una casuale e precoce associazione tra i nani e le attività

artigianali nell’Egitto durante l’Antico Regno, associazione che non avrà fortuna nei

tempi successivi902. La possibilità non può essere del tutto accantonata tuttavia essendo

il pateco un’ipostasi di Ptah, il dio artigiano903. La prima invece trova riscontro in un

ambientazione nordafricana, nella cui regione serpenti e scorpioni costituivano un vero

flagello a detta di Plinio904, ma andrà ricusata sulla semplice osservazione che in

Sardegna, in cui è grande la frequenza di amuleti raffiguranti lo Ptah-pateco, di

serpenti, scorpioni o altri animali velenosi non vi è mai stata traccia.

Va notato che la presenza di questa divinità tra gli amuleti nella fase precedente

l’inizio della dominazione cartaginese in Sardegna non è cospicua come nella fase

successiva. La fine del VI secolo, e più in generale il V, in Sardegna, come nel resto

897 Ibidem, p. 138 e 141. 898 Ib., p. 142-143. 899 Papiro Leiden I, 348, cit. in ib. p. 140. 900 Kition II 1976, n. 6, p. 125. 901 Cfr. le figurine in terracotta diffuse a Cipro e in Fenicia: ibidem, p. 126. 902 Gomez Lucas 2004, p. 134. 903 Riteniamo si tratti comunque di un carattere secondario nella valenza profilattica dell’amuleto. 904 Plinio, Naturalis Historia, V, 7 e XI, 30, cit. in Ribichini 1987, p. 36, nota 6.

Page 190: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 190 -

del mondo fenicio-punico905, segna un notevole incremento nella presenza, e

naturalmente della richiesta, di questa tipologia così come di tutta la categoria

artigianale906. Il caso della necropoli arcaica di Monte Sirai, in generale e per quanto

concerne il Sulcis in particolare, è emblematico: tra i non numerosi amuleti rinvenuti

nelle sepolture sinora scavate i pateci figurano con un solo esemplare907. Delle

tipologie di pateci maggiormente diffuse in Etruria sino alla fine del VI secolo, quelli

con ventre prominente, braccia separate dal corpo, tempie sporgenti e con serpenti ai

lati908, e presenti anche a Cipro909, ad esempio non vi è traccia nelle collezioni sarde910.

Cartagine dovette avere quindi una certa responsabilità in questo cambiamento di

gusto: nel momento in cui si può riconoscere una produzione locale in Occidente, in

autonomia rispetto alle importazioni dall’Egitto o anche da centri vicino orientali, nella

ricca gamma delle tipologie egiziane disponibili vengono selezionati i tipi che più

rispondevano alle necessità di protezione richiesta a questo tipo di oggetti911. La nuova

madrepatria in sostanza impone, non dichiaratamente e senza coercizione si intende, il

proprio marchio all’offerta e alla domanda di oggetti profilattici della sfera personale,

così come in altri aspetti della cultura materiale912 e il pateco in questo ambito ha un

ruolo di primissimo piano. Alla base di questa selezione potrebbe essere un processo

che avrebbe portato all’ascesa di questa divinità o genio nella stessa madrepatria, e la

sua diffusione in Sardegna sarebbe avvenuta con lo spostamento di quegli stessi

individui che la veneravano, o meglio le dimostravano devozione, a Cartagine. A

verifica di tale ipotesi si potrebbe cercare di individuare se a Cartagine la massiccia

presenza di questi amuleti si riscontri gia prima dell’inizio della sua politica

905 Padró 1999, p. 94. 906 Campanella, Martini 2000, p. 51, nota 86. 907 Cfr. ibidem; Martini 2000; per il solo esemplare noto da contesto fenicio v. Bartoloni 2000a, tav. II, d, dalla

tomba 88 del secondo quarto del VI sec. 908 V. ad es. Principi Etruschi 2000, p. 136-137, n. 91: collana composta da 38 pateci di probabile origine

vulcente e datata al VII secolo. 909 Kition II 1976, p. 145, n. 772, p. 150-151, nn. 1015-1016, p. 162-163, n. 3361, tav. X. I primi tre amuleti

provengono da uno strato di VI-metà V secolo, il quarto è molto più antico: seconda metà del IX secolo (p. 11). Non è escluso si possa trattare di prodotti egiziani, almeno per quanto riguarda il n. 772, per via dei geroglifici alla base.

910 V. per la loro consistenza quella di Cagliari (Acquaro 1977b) e quella Sassarese (Acquaro 1982) 911 Campanella, Martini 2000, p. 51, nota 86. 912 V. la sostituzione del rito di inumazione a quello dell’incinerazione e la diffusione delle maschere virili e le

protomi femminili, nuove forme ceramiche e importazione di ceramiche attiche in luogo di quelle etrusche, nonché diffusione nel repertorio delle stele di iconografie e tipologie Cartaginesi. Sulla presenza cartaginese in Sardegna v.: Bartoloni, Bondì, Moscati 1997, p. 63 e segg.; in particolare per i cambiamenti nella cultura materiale dell’isola: ibidem, p. 71-72.

Page 191: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 191 -

espansionistica913 e quale livello avesse raggiunto l’Egitto contemporaneo nella loro

elaborazione, così da capire quali aspetti di questa divinità fossero noti ai loro fruitori

occidentali. Sembra per il momento evidente che in Occidente sfuggissero quelle

elaborazioni complesse che in Egitto portano ad intendere il pateco come una “divinità

‘pantea’”, o almeno i punici non si spinsero così lontano, “vale a dire frutto di

speculazioni alla ricerca dell’Uno e della sua manifestazione nella dimensione terrena,

tale da racchiudere la totalità delle manifestazioni del divino”914. Il disinteresse nei

confronti di complesse speculazioni teologiche è stato già messo in evidenza nella

sfera degli amuleti per l’assenza di altre particolari tipologie, come gli organi animali,

il segno sm3, il nodo isiaco, la squadra e la livella, o per la subordinazione di simboli

regali come la corona bianca e quella rossa915.

Ancora lontani siamo quindi dal definire l’ambito specifico di questa tipologia e

divinità, senza poter affermare più che un generale carattere apotropaico e profilattico.

Degli stessi fruitori ci sfugge la caratterizzazione sociale e il sesso. Esso compare tanto

nelle sepolture infantili916 che di adulti, nonché in contesti santuariali917, a riprova

della sua fortuna, evidente non solo dal numero delle presenze ma da quello dei

contesti stessi di presenza. È presumibile tuttavia che ad una così grande fortuna

portasse la capacità di soddisfare più esigenze e più categorie di fruitori, motivo per il

quale risulta difficile riconoscere una specifica sfera di profilassi.

A queste qualità potrebbe essere anche aggiunta una valenza funeraria,

richiamata in Egitto dall’associazione con Osiride, Min e Sokar918 e dallo stesso passo

di Erodoto sopra citato con i Cabiri919, divinità venerate sotto forma di nani a Tebe, ma

i cui santuari principali erano a Lemnos e Samotracia. Queste divinità erano oggetto di

culti misterici ed avevano numero variabile, quando più il loro numero verrà fissato in

913 Purtroppo i dati su Cartagine sono ancora sommari e non godono di datazioni affidabili, rimane ancora

insuperato il lavoro di Vercoutter (Vercoutter 1945) ad eccezione dell’articolo di T. Redissi (Redissi 1991) che propone tuttavia un’analisi stilistica non fondata su datazioni fornite dal contesto.

914 Amenta 2002, p. 163. 915 Ferrari 1998, p. 88. 916 Ferrari 1994, p. 85 e relative note. L’autrice fa riferimento ad esemplari rinvenuti nei tophet di Cartagine,

Tharros e Sulcis. Per quest’ultimo v.: Bartoloni 1973, p. 192, nn. 28-29, tav. LX, 2 e 9. Va aggiunto il pateco rinvenuto durante le campagne di scavo 1995-1998: Montis 2005, n. 43.

917 Ci si riferisce in questo caso al santuario cipriota di Kition (Kition II 1976, nn. 771, 1015-1016, 3361, cit.) e a quello di Antas nel Sulcis Iglesiente (Antas 1997, pp. 275-276, nn. 222-227).

918 V. supra. 919 Erodoto Storie, III, 37.3 in cui lo storico accosta nella narrazione, ma tiene distinte allo stesso tempo, le

immagini di Cabiri, figli di Ptah-Efesto, e (37.2) di Ptah-Efesto, simile ai pateci fenici.

Page 192: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 192 -

due, avverrà l’assimilazione con i Dioscuri. Come questi ultimi proteggevano i

naviganti dai pericoli del mare, ma inizialmente erano connessi con aspetti della

fertilità920. L’aspetto embrionale dei pateci d’altronde richiama concetti di

rigenerazione, reincarnazione e alla fecondità del suolo e della natura921. Ai primi due

concetti richiama per certo lo scarabeo che porta sul capo e sul cui argomento

ritorneremo più avanti nel trattare gli amuleti che portano questa forma.

Alle divinità ctonie, legate per definizione e competenze alla terra, poteva

essere richiesto di accompagnare i defunti, che in essa dimorano, nel viaggio verso

l’aldilà e di proteggerli dai pericoli del percorso. In virtù di questa probabile ulteriore

competenza i pateci trovavano un posto d’onore negli ornamenti personali dei defunti,

ai quali venivano posti indosso dopo essere loro appartenuti in vita.

L’ureo è il terzo tipo di amuleto che per frequenza incontriamo nelle tombe

sulcitane, condizione che condividono quelle cartaginesi922 e quelle ibicenche923. Il

motivo, come nel caso dell’occhio udjat si presta a diverse interpretazioni. In primo

luogo la divinità rappresentata può essere la dea Renenutet (Rnnwtt, la greca

Hermoutis), in origine protettrice delle messi e per estensione, dalla XVIII dinastia,

preposta all’allattamento dei bambini, che continua a proteggere anche dopo la nascita,

sebbene la dea cobra più popolare fosse Uadjet (W3dt), non dissimile dalla precedente.

Come Renenutet appare nel mito proteggere e allattare il giovane Horus nelle paludi di

Khemnis, dove è stato nascosto all’ira di Seth924. Come indica il suo nome (“la Verde”

o “la Vigorosa”925) è preposta anch’essa alla protezione del raccolto, ma in senso più

lato della vegetazione. Ma importante è nella sua figura il carattere regale, in quanto

protettrice della corona rossa del Basso Egitto, insieme alla paredra Nekhbet che

proteggeva invece la corona bianca dell’Alto Egitto. Entrambe le dee sul capo del

Faraone rappresentavano il dominio sulle due regioni unite.

920 La stessa introduzione del loro culto nell’Egeo era inizialmente attribuita ai primi frequentatori fenici (v. ad

es.: Mazzarino 1947, p. 259-260; ma soprattutto Pettazzoni R., (1909). Le origini dei Kabiri nelle isole del Mar Tracio. ANL Memorie, serie 5, anno CCCV (1908), Roma, cit. in Jesi 1962, p. 262, nota 5), ora proveniente dalla Frigia.

921 Kition II 1976, p. 125, nota 6. 922 Vercoutter 1945, p. 274. L’autore pone questo tipo al secondo posto nella sua trattazione, ma senza dichiarare

il numero degli esemplari. 923 Fernandez, Padró 1986, p. 93. La collezione del Museo di Ibiza e Formentera possedeva all’epoca 51

esemplari. 924 Tran Tam Tinh 1973, pp. 13-14. 925 Da w3d = papiro, la cui pianta è verde.

Page 193: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 193 -

Che gli aspetti della regalità egiziana e vicino-orientale fossero noti e apprezzati

nell’arte fenicia è fatto che non può essere messo in dubbio926, ma in quale misura e

modo fossero rappresentati sugli amuleti è ancora da chiarire. La difesa del raccolto e

dell’infanzia sono motivi sufficienti per spiegare la fortuna di questo amuleto, ma

secondo una proposta di J. Vercoutter l’ureo sarebbe un’ipostasi dell’udjat: secondo

una alternativa versione del mito riportato in precedenza927 Ra avrebbe trasformato il

proprio occhio in un serpente928 per difendersi dai propri nemici929. La grande quantità

di amuleti dei due tipi è sufficiente per permettere all’autore di notare che i cartaginesi

non importassero “au hasard” amuleti in Egitto, ma c’è di più: la proposta di

Vercoutter trova una conferma, seppur per quanto ci è noto isolata, nella collana della

tomba 5 PGM. Gli amuleti nn. 23-26 (e forse il 27 rinvenuto in setacciatura) in forma

di ureo e i nn. 28-29 (e forse il 30 rinvenuto in setacciatura), forse in posizione

alternata, componevano una collana appartenuta al defunto della deposizione 1. A

completamento della collana era un solo pateco e tre vaghi in vetro con decorazione ad

occhi. Gli amuleti più diffusi del mondo punico in una sola collana o su un solo

corpo930 dovevano costituire un sistema ormai collaudato contro i pericoli di ogni

sorta.

Sotto un’altra prospettiva l’ureo non è una ipostasi dell’udjat, ma tutt’al più il

contrario: secondo la studiosa spagnola A. M. Vázquez Hoys il cosiddetto “occhio di

Horus” è invece un aspetto complementare della dea-serpente, che a prescindere dalle

forme e denominazioni che assume, a partire dal Nuovo Regno è influenzata dal culto

solare. L’udjat sarebbe il “complemento femminile” di una divinità androgina, né

maschile né femminile, pura energia931.

La stessa autrice, da tempo dedita ad indagare gli aspetti religiosi e magici di

questo rettile, ha presentato una serie di aspetti sotto i quali era considerato nel mondo

926 V. al riguardo: Ciafaloni 1995b. In particolare p. 545 per il motivo dell’allattamento legato al culto del re. 927 V. supra. 928 L’associazione deve essere stata suggerita, o alla base, dalla analogia tra wd3t (= occhio di Ra) e w3dt (=

cobra). 929 Vercoutter 1945, p. 285. 930 Non è escluso infatti che l’inumato portasse più di una collana o che amuleti e vaghi entrassero nella

composizione di braccialetti. 931 Vázquez Hoys 2002; l’identificazione tra la dea Bastet/“occhio del sole” e l’ureo è anche nel testo del

racconto post-tolemaico intitolato I dialoghi filosofici della Gatta Etiopica e del Piccolo Cinocefalo o anche noto come Il mito dell’Occhio del Sole: Bresciani 2001, pp. 71-92, in particolare p. 76.

Page 194: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 194 -

vicino orientale e occidentale in età preromana932, per cui si comprende come in

generale potesse significare “tanto la vida como la muerte”933 ed il tema

dell’ouroboros, il serpente che si morde la coda rappresentava secondo Macrobio934 la

concezione fenicia dell’universo: simbolo del mondo che si nutre della propria

sostanza e ritorna su se stesso935.

Una dea serpente nota precedentemente da un’epigrafe ugaritica936, è stata

inoltre identificata in una tabella defixionum cartaginese937, la dea Hwt (da hiwia =

serpente) dal carattere ctonio e infernale938. Il serpente appare legato anche al dio

Horon, divinità cananea il cui culto era diffuso in Levante e in Egitto dal II millennio.

Il dio è invocato negli incantesimi contro i serpenti incisi su due tavolette ugaritiche,

nei due amuleti di Arslan Tash939, e noto per assicurare la protezione dagli animali

selvaggi in Egitto940. Sulle sue capacità terapeutiche illumina anche l’iscrizione

scolpita sulla base di una statua offerta al dio Sid nel santuario di Antas, cui farebbe da

pendant in epoca tarda la fascetta in argento trovata al dito di una donna, sepolta nei

pressi del tempio. L’anello reca inciso il disegno di un serpente tra le cui spire si legge,

in caratteri latini, il nome della divinità cui era tributato il culto nel santuario, ed alcuni

monogrammi di difficile interpretazione, forse cristiani941. L’aspetto salutare del

serpente non era sconosciuto nella religiosità greca perché legato al dio Asclepio,

presente ad esempio nel caduceo di Hermes, ma risulta essere comunque una costante

etnologica942: per il principio omeopatico della magia il serpente poteva proteggere dai

morsi di animali altrettanto velenosi; la loro assenza in Sardegna non può tuttavia

giustificare, perlomeno in maniera esclusiva, la presenza e la fortuna degli amuleti,

così come abbiamo segnalato a proposito del pateco.

932 Vázquez Hoys 1991. 933 Ibidem p. 426. 934 Macrobio Saturnalia, I.9, 12. 935 Ribichini 1995, p. 337. In un mito fenicio tramandato da Eusebio di Cesarea (Preparazione Evangelica I 10,

45, 53) era il dio serpente Ophion a sfidare l’armata di Kronos, in un conflitto primordiale assimilabile alla teomachia greca (ibidem).

936 Vázquez Hoys 1991, p. 428, frammento NK 12-201. 937 CIS I, 6068 in Ribichini 1976. 938 Critica la più recente posizione del Ribichini (Ribichini 1995b, pp. 19-20, e relativa bibliografia) che

considera opinabile la lettura del frammento epigrafico. 939 Vázquez Hoys 1991, p. 429. Sugli incantesimi di Arslan Tash v. anche Garbini 1981; da ultimo: Zamora

2003. 940 Xella 1972, p. 276. 941 Ibidem, p. 277, nota 26. Sulla fascetta di Antas v.: Cecchini 1969a, p. 158, tav. LXIII, 1. 942 Xella 1972, p. 284, nota 58.

Page 195: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 195 -

La difficoltà di identificare il carattere di ogni singolo amuleto è complicata

dall’assenza di specifiche fonti, sia epigrafiche che strettamente letterarie, inerenti

questa sfera della cultura punica. Se gli amuleti portano raramente sulla loro superficie

iscrizioni che ne suggeriscano l’identità e le caratteristiche, questo è perché si tratta di

oggetti che dovevano risultare eloquenti intrinsecamente, non necessitando di ogni

ulteriore specificazione. Si può d’altronde spiegare questa circostanza con la loro

appartenenza a individui, o ad una classe di individui, non particolarmente letterata: i

bambini appunto, e forse anche le donne. La difficoltà di trovare una funzione

specifica può essere invece non solo il riflesso di una scarsa documentazione, o della

sua oscurità, ma di una pluralità di funzioni, la quale meglio si addice a spiegare la

fortuna di queste tre tipologie appena esposte.

5.1.3. SCARABEI

Gli scarabei appartengono anch’essi ad una tipologia di amuleto egizio, senz’altro la

più diffusa entro e fuori l’Egitto. È nota la relazione dello scarabeo con il culto delle

divinità solari in Egitto, ispirata dal comportamento dello scarabaeus sacer943, che

avvolge le proprie uova in una pallina di escrementi paragonata all’astro solare944,

notizia riportata da autori classici come Plutarco e Horapollo945, i quali aggiungono la

convinzione della sua natura asessuata e che il periodo di incubazione delle uova fosse

di ventinove giorni, nel tentativo di collegarlo al ciclo lunare.

Le possibili funzionalità dello scarabeo sono state introdotte nell’ambito degli

studi fenicio-punici dall’opera del Vercoutter946 che, sulla scorta degli studi e dati

archeologici al tempo disponibili si muoveva tra le tre funzioni in una scansione

cronologica così schematizzabile:

943 F. De Salvia nota come, nonostante le fonti parlino del culto tributato ad almeno tre diversi tipi di coleottero

(Scaraboidi, Lucanidi e Rincofori), ogni tentativo di risalire al tipo rappresentato non abbia dato risultati rilevanti, sennonché risulti metodologicamente scorretto “desumere la natura dall’arte”:De Salvia 1978, p. 1009, nota 15.

944 Andrews 1994, pp. 50-51. L’autrice precisa che la forma sferica era data al cibo, mentre le larve crescevano all’interno di un agglomerato di escrementi ovini piriforme (p. 50).

945 Ibidem, p. 51. 946 Vercoutter 1945, pp. 44-49.

Page 196: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 196 -

Periodo Predinastico – VI Dinastia: amuleto funerario anepigrafo;

VI Dinastia – XVIII Dinastia: sigillo a valore amuletico;

XVIII Dinastia in poi: amuleto per i vivi,

amuleto per i morti, sigillo, e alternativamente oggetto votivo947;

Lo studioso notava come progressivamente lo scarabeo assommasse su di se sempre

più prerogative, che almeno in parte dovettero transitare nel mondo fenicio ed essere

note al fruitore.

Una recente analisi delle caratteristiche emiche di questo tipo di manufatto ha

evidenziato come alla ricchezza delle possibilità incisorie della base faccia da pendant

una pluralità di funzioni, intese come finalità di produzione e interpretazioni

ricettive948. Le basi iscritte degli amuleti propongono iconografie variamente

classificabili come regali, apotropaiche e divine, nomi e titoli personali e

rappresentazioni di tipo vicino-orientale, adottate e rielaborate, nonché motivi

geometrici, floreali e astratti. A queste iconografie difficilmente associabili ad una

univoca funzione si applicano due tipi di lettura: quella letterale/fonetica (nel caso si

tratti di geroglifici o di immagini di animali e personaggi leggibili come tali) e quella

crittografica949, entrambe non sempre univoche. La concomitanza di più fattori

suggerisce una “multi-layered function”, generata dallo spazio limitato del campo

figurabile che impone effetti di miniaturizzazione, abbreviazione e astrazione950.

Dal punto di vista produttivo si è riconosciuta la possibilità che alcuni oggetti,

specie quelli con iconografie regali, possano essere stati opera di botteghe regali a

scopo propagandistico. La faïence, materiale comune, ma di qualità e lavorazione ad

elevato livello tecnico, soddisfa infatti produzioni di massa difficilmente conducibili in

947 Ibidem, p. 47. 948 Cooney, Tyrrell 2005, pp. 2-12. 949 Proposta da E. Drioton (cit. in Scandone Matthiae 1975, p. 16, nota 5), si basa sul riconoscimento di lodi e

nomi divini, principalmente di Amon, rappresentati in base a principi di acrofonia e analogia tra segni geroglifici monolitteri.

950 Cooney, Tyrrell 2005, p. 4.

Page 197: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 197 -

botteghe private951. Questa produzione, specializzata in iconografie regali, poteva

influenzare e soddisfare una richiesta privata, ed essere apprezzata ed interpretata

senza scopi di propaganda: in altre parole dal punto di vista del fruitore poteva venire

frainteso il valore regale e apprezzato in quanto mediatore nei confronti della divinità,

per diventare simbolo di pietà personale.

Dal punto di vista semiotico lo scarabeo è un simbolo di rigenerazione: la

lettura fonetica (hpr) dello scarabeo è la stessa del verbo che significa “divenire”.

Rigenerazione del sole che sorge ogni mattina, del cuore del defunto che lo scarabeo

protegge nelle sale del giudizio oltremondano, e del potere politico nella persona del

faraone che succede a se stesso al trono952. Dal punto di vista antropologico è un

amuleto e come tale uno strumento di comunicazione tra l’individuo e le diverse sfere

dell’esistenza: i rapporti con il sovrano, la natura, la società, gli dei e le altre potenze

sovrannaturali, quali demoni e spettri953. Mentre psicologicamente è uno strumento di

guarigione per mezzo di intime emozioni e opera come una sorta di effetto placebo954.

In questa prospettiva lo scarabeo propone molteplici significati allo scopo di

ricoprire molteplici funzioni allo stesso momento955, tra le quali quella sigillare o più

propriamente glittica è del tutto secondaria. La sua considerazione deve essere

comunque valutata alla luce del discorso presentato sinora, immaginando che la

protezione che si richiedeva alla persona che indossa l’amuleto, nel caso del sigillo, si

richiedeva all’oggetto sigillato.

Quali di questi aspetti fossero noti e accolti dai fenici e dai cartaginesi in

particolare è cosa che può essere in parte compresa dai dati archeologici, qualora

disponibili. È d'altronde impensabile che questi avessero importato e prodotto un tale

tipo di amuleto “acriticamente”: essi dovevano infatti essere a conoscenza dei poteri e

significati di cui si faceva portatore lo scarabeo, senza però entrare nel dettaglio956.

Il ritrovamento frequente in contesti tombali di questi oggetti non dovrebbe

trarre in inganno, come abbiamo proposto per gli amuleti, in merito ad una

951 Ibidem, p. 5. 952 Ib., p. 8. 953 Ib., p. 9. 954 Ib., p. 10. 955 Ib., p. 12. 956 Sino a che punto di questo approfondimento arrivassero i Cartaginesi è cosa difficile da stabilire, ma si

forniranno alcuni spunti di ricerca in seguito.

Page 198: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 198 -

destinazione esclusivamente funeraria: il loro rinvenimento suggerisce infatti che

dovessero essere portati in vita. La distanza tenuta dai fenici nei confronti

dell’escatologia funeraria egizia, non era è vero eccessiva, e viene fornito a titolo di

esempio l’assenza nei corredi di oggetti egizi tipicamente funerari come lo scarabeo

del cuore, il peseshkef, pettorali naoformi, etc.957. Il rito dell’incinerazione infatti,

praticato in età arcaica, si adatta difficilmente a concetti di rigenerazione e vita eterna,

sebbene sia stato avanzato che il rito della cremazione sia legato alla purificazione dei

vivi, più che dei morti958. È nota d’altronde la grande complessità delle credenze

funerarie egizie959, ma di queste i fenici, sebbene ne potessero ben essere a

conoscenza, non sembra fossero arrivati ad emularle960. La conoscenza di formulari

connessi in Egitto al rituale funerario è generalmente messa in relazione con le

credenze magiche, ma potrebbe indicare una “forte impronta egiziana nelle concezioni

escatologiche fenicie”961.

La presenza in contesti santuariali è per ora relativamente scarsa e limitata a

Cipro, dove si rinvengono ad Agia Irini e Kition in età arcaica962, e alla Grotta di

Gorham nello stretto di Gibilterra, la cui funzione, santuario o necropoli, rimane

tuttora incerta963. Lo stato delle conoscenze non ci permette di trarre conclusioni, ma si

potrebbe supporre che lo scarabeo nel mondo punico assolvesse una funzione di tipo

principalmente “civile” e relativamente poco caratterizzata a livello religioso. Per

quanto riguarda il periodo arcaico la stessa Feghali Gorton nota una differenza di

utilizzo tra il mondo greco e quello fenicio-punico evidente sotto tre aspetti: la tecnica

di produzione di massa, l’iconografia e i luoghi di rinvenimento. Se quest’ultimo

indica un principale contesto templare per il mondo greco e funerario per quello

957 Vercoutter 1945, pp. 287 e 359; Cintas 1946, p. 115; Fresina 1980, p. 27. 958 Cfr. Hertz 1907; per la pratica della cremazione nel Levante e delle possibili implicazioni igieniche,

economiche o demografiche v. Bieńkowski 1982; per il mondo fenicio occidentale v. Gras, Rouillard, Teixidor 2000, pp. 187-195; per la Sardegna fenicio-punica v. Bartoloni 1981; Bartoloni 1989.

959 L’individuo per gli egizi è costituito da cinque elementi: l’ombra (doppio immateriale di ogni forma che l’uomo assume in vita), l’akh (principio solare che consente l’ascesa alle stelle alla morte), il ka (forza vitale che deve essere alimentata dalle offerte), il ba (altro doppio immateriale indipendente dal corpo) e il nome che trae vita dal solo essere nominato: v. Grimal 1988, pp. 138-139.

960 Cfr. quanto esposto al § 5.1.1. 961 Garbini 1982, p. 463. 962 Feghali Gorton 1996, pp. 175-176. Gli scarabei di Kition provengono dal Bothros 1, i cui depositi sono datati

fra il 600 e il 450 a.C.: Kition II 1976, pp. 9-10. 963 Feghali Gorton 1996, p. 153. L’uso della grotta è documentato dal VII al V secolo. Per il lotto di scarabei ivi

rinvenuti v. Culican 1972, pp. 110-120 e 134-136, figg. 1-5.

Page 199: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 199 -

fenicio, ma potrebbe derivare da uno stato parziale della ricerca, i primi due forniscono

un ulteriore spunto di antinomia. La produzione di massa degli scarabei greci infatti

predilige formule di buon augurio, nomi di divinità e motivi fondamentali dell’arte

egizia, mentre quelli di produzione punica presentano prevalentemente

rappresentazioni di divinità del pantheon egiziano, nomi comuni, reali e di divinità,

dimostrando una maggiore comprensione di ciò che veniva copiato e riflettendo quello

che sembra essere “a more personalized religious and magical significance”964.

Un aspetto spesso trascurato degli scarabei nel mondo punico, così come in

quello egiziano965, è stato richiamato ormai da qualche tempo da E. Acquaro ed appare

limitato dalla casuale mancanza di documentazione: la funzione sigillare966. Il

rinvenimento di un cospicuo lotto di cretule, impresse con temi propri della glittica

greco-fenicia, presso il Tempelarchiv di Cartagine967 si aggiunge a quelle gia note

provenienti dalla città e conservate in parte al Musée Lavigerie della stessa968, oltre

che a quelle rinvenute nell’acropoli di Selinunte ed edite dal Salinas nell’ultimo

ventennio del 1800969. Il fenomeno, non insolito a quanto pare, di sigillare i rotoli di

papiro con cretule di argilla su cui veniva impressa un’immagine incisa alla base del

sigillo è documentato in Egitto e in Palestina in età persiana e potrebbe costituire “the

sealing-type commonly used on documents belonging to the Persian administration in

Phoenicia”970. La comparsa dello scarabeo in Siria e Palestina è un fenomeno tutt’altro

che religioso: il suo avvento nel IX secolo971 è strettamente legato alla applicazione

della scrittura alfabetica al papiro come supporto972, il quale una volta arrotolato

veniva avvolto da un filo cui veniva apposta una cretula d’argilla di piccole

964 Feghali Gorton 1996, p. 185. 965 V. supra. 966 Acquaro 1994; Acquaro 1995a. La menzione di Salinas 1883 in Hölbl 1986, vol. 2, p. 106, nota 1, potrebbe

essere passata in osservata per la inaccessibilità dell’opera e per il richiamo in nota, sino all’osservazione di Acquaro.

967 Redissi 1991b (studio preliminare); Redissi 1999. 968 Vercoutter 1945, pp. 257-263; Vercoutter 1952. 969 Salinas 1883; Salinas 1898. Vanno aggiunte per completezza anche un’impronta su peso da telaio da Mozia

(Spanò Giammellaro 2000, p. 1381, tav. IX) e due bullae cipriote rinvenute nel deposito votivo di Kition, datato ad un periodo compreso tra 600 e 450 a.C.: Kition II 1976, pp. 114-116, nota 1 (cui si rimanda per una lista di referenze bibliografiche inerenti rinvenimenti in ambiente levantino). Da contesto funerario provengono tre cretule della tomba 76 di Rachgoun (Vuillemot 1955, p. 36 e 56) e due di una tomba Cartaginese nel settore di Santa Monica (Delattre A.L., (1905). La nécropole des Rabs, Prêtres et Prêtresses de Carthage, Deuxième année de fouilles. Parigi, p. 10, cit. in Vercoutter 1952, p. 39, nota 2).

970 Culican 1968, pp. 57-58. 971 Matthiae 1997, p. 246. 972 Ciafaloni 1995a, p. 501.

Page 200: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 200 -

dimensioni, e rese presto desueti i sigilli cilindrici che richiedevano di essere applicati

su superfici più ampie973.

Benché il gruppo selinuntino non possa godere, a causa delle circostanze di

rinvenimento, di dati stratigrafici né contestuali precisi974 l’analisi stilistica non

contraddice una datazione dei motivi ad un ampio arco cronologico: tra fine VI e IV

secolo975. I motivi rappresentati sono per la maggior parte di ispirazione greca, fatto

comprensibile in un insediamento di fondazione ellenica, e per la restante di

ispirazione egittizzante come consueto nella glittica punica976. Questa circostanza, per

altro analoga alla stessa presenza di motivi di diversa origine nella glittica “greco-

fenicia”, ha portato A. M. Bisi, sulla scorta di una proposta interpretativa delle cretule

cretesi del II millennio, ad interpretare i due diversi stili come indicatori della lingua

usata nel testo sigillato. In altre parole secondo l’autrice sigilli con impronta di stile

grecizzante avrebbero sigillato testi scritti in greco, quelli in stile egittizzante testi

scritti in fenicio977. La scomparsa della studiosa siciliana è una delle cause del mancato

approfondimento di questa linea di ricerca, sebbene a prima vista la proposta appaia di

difficile verificabilità. Infatti gli scarabei, se utilizzati con questa finalità, rivelerebbero

la diffusione in tutto il mondo punico del bilinguismo greco-fenicio, non altrimenti

dimostrabile.

Più semplicemente, seguendo l’Acquaro, possiamo intendere i motivi alla base

degli scarabei come “figurazioni che dovrebbero trovare […] una lettura più

squisitamente disegnativa e in sé conchiusa, meno debitrice di complesse

rappresentatività mitiche e testuali”978. Un fenomeno che si rende quindi precursore,

senza soluzione di continuità, della sfragistica romana. A verifica di tale approccio

possiamo suggerire la mancata coincidenza tematico-iconografica con una categoria

come quella degli amuleti indiscutibilmente carica di significato magico-religioso.

973 Questi tuttavia rimarranno in uso in Mesopotamia per tutta l’età achemenide, rivelandosi lo strumento di

sigillatura ufficiale dell’impero, in contrasto con quanto supposto dal Culican (v. supra): Matthiae 1997, pp. 261-263.

974 È nota la provenienza come dai dintorni del tempio C: Bisi 1986, p. 299. 975 Acquaro 1994, p. 4. La datazione non si accorda con le distruzioni della città avvenute nel 409 a.C. ad opera

dei cartaginesi e nel 249 a.C. ad opera di Siracusa, per cui l’incendio dell’archivio sarebbe potuto avvenire per cause non militari o militari non tramandate dalle fonti.

976 E. Acquaro propone confronti iconografici fra le cretule e gli scarabei sardi: Acquaro 1994, pp. 2-4; i motivi grecizzanti non sono tuttora stati fatti oggetto di indagine approfondita.

977 Bisi 1986, p. 302. 978 Acquaro 1995a, p. 186.

Page 201: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 201 -

Sebbene il differente supporto imponga di per se ben altre rappresentazioni, con

maggiori possibilità narrative negli ovali degli scarabei, quando si presentano figure

isolate quasi mai queste propongono divinità frequenti negli amuleti. Divinità tra le più

frequenti tra gli amuleti come il pateco non trovano spazio nella glittica se non nelle

gemme gnostiche ben più tarde979, e occhi udjat e urei non ricoprono che un ruolo

secondario e spesso riempitivo, come sembra logico per la loro natura di simbolo. Le

altre divinità come Iside e Horus, fanciullo o ieracocefalo, nonché Bes, trovano nella

glittica una frequenza che supera quella negli amuleti, mentre altre come il leone o la

sfinge alata possono considerarsi proporzionalmente paritarie, fatto che trova

giustificazione nella comune appartenenza alla medesima matrice culturale e

iconografica. Si potrebbe anche proporre una diversa attinenza magico-religiosa,

nonché un livello più colto, all’origine si intende visto che i destinatari delle due

categorie artigianali coincidono, fatto di per se evidente. Tuttavia dal punto di vista

iconografico i due tipi di “amuleti” differiscono se si pensa al filone al quale

appartengono: gli amuleti punici, egittizzanti e non, sono debitori degli amuleti egizi e

dei simboli religiosi e apotropaici fenici980, mentre nella glittica punica, la cui

produzione prende avvio alla fine del VI secolo, transitano motivi e iconografie

mutuati dagli ovali delle coppe orientalizzanti e dai complementi di arredo in avorio,

che a loro volta nel V secolo saranno acquisiti dalla numismatica981. La fonte e il

successivo destinatario iconografico sono “civili” per natura, ma mentre le coppe e gli

avori sono ornamentali per funzione, le monete sono uno strumento prodotto a scopo

amministrativo. Ma quest’ultimo aspetto sarà stato introdotto ex novo in esse o era in

parte presente nelle gemme? Ecco qui un altro indizio della funzione amministrativa

propria dello scarabeo nella sua eredità lasciata alle monete: dalla metà del V secolo le

città della costa fenicia e Cartagine adottano questo importante strumento, assumendo

ognuna un motivo che le contraddistingua nel ricco repertorio della glittica, senza

limitarsi esclusivamente ad uno solo. Le ragioni di questa selezione non sono evidenti,

non si può pensare che questa fosse già realizzata a monte nella glittica e tanto più per

il valore comunitario della moneta e individuale del sigillo. Ma se la funzione sigillare

979 In qualche modo rapportabile al pateco è il tema del Pantheos: una figura iconograficamente più assimilabile a Bes o al giovane Horus delle stele con i coccodrilli: SGG 2003, pp. 227-242.

980 Come il simbolo di Tanit e la maschera ghignante etc. 981 Gubel 1992; Markoe 1985, pp. 87-89; v. anche più di recente Acquaro 2003, p. 15.

Page 202: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 202 -

fosse stata la principale, l’iconografia sarebbe stata unica al punto da poterne garantire

l’irripetibilità e appartenenza al solo proprietario? La frequenza di immagini molto

vicine tra loro può essere uno dei motivi che hanno fatto dubitare per lungo tempo che

gli scarabei potessero assolvere la funzione sigillare, contrariamente a quanto accade

nel Vicino Oriente, dove i sigilli cilindrici per la maggiore ampiezza del campo

figurativo possono ospitare iconografie e scene di grande varietà, negli scarabei la

ristrettezza del campo impone iconografie molto simili tra loro, per di più in certi casi

il lapicida non sembra intenzionato a realizzare elementi evidenti di

differenziazione982. Così è poco probabile che una uguale iconografia su due scarabei

designi due componenti dello stesso gruppo familiare come ha proposto P. Bartoloni

per l’età arcaica983. In due diverse tombe a fossa di Monte Sirai, ma di uno stesso

agglomerato tombale che potrebbe rappresentare topograficamente rapporti di

parentela, furono infatti rinvenuti due scarabei di importazione egiziana con medesima

figurazione alla base984. Il carattere di routine, e la provenienza estera, come nota

l’autore, attenuano il dato proposto985. L’importazione infatti costituisce un grande

ostacolo alla definizione sigillare dello scarabeo: in età arcaica infatti praticamente

tutti gli scarabei diffusi nel Mediterraneo occidentale erano di provenienza egiziana,

levantina o rodia, per cui nel mondo greco e fenicio-punico il loro utilizzo come sigillo

è discutibile: la personale conoscenza della fonte di produzione è il logico presupposto

per il suo utilizzo, perché sola poteva fornire la garanzia che il prodotto fosse

irripetibile. In età propriamente punica invece botteghe artigianali sono state proposte

per i centri di Tharros, Ibiza e Cartagine, fatto che per Sulcis almeno avvicina il centro

di produzione e la possibilità per gli acquirenti di conoscere di persona la bottega, ma

si potrebbe anche ipotizzare l’esistenza di lapicidi itineranti che realizzavano ad hoc e

ad personam ogni singolo pezzo.

Tuttavia un ulteriore elemento si sottrae all’analisi: la mancanza o almeno la

grande scarsità di iscrizioni. Il nome unito al patronimico è il vero strumento per

designare l’individuo nel mondo fenicio-punico, come da sempre nel resto del mondo.

La sua presenza nei sigilli levantini non fornisce possibilità di dubbio sulla loro

982 Abbiamo notato come il n. 50 del nostro catalogo presenti una figurazione identica ad uno scarabeo ibicenco. 983 Bartoloni 1989, p. 71. 984 Studiati recentemente in Bondì 2000. 985 Bartoloni 1989, p. 72.

Page 203: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 203 -

funzione, mentre in Occidente la differenziazione sarebbe stata affidata unicamente

alle immagini. Nel caso del n. 50 del nostro catalogo abbiamo notato una assoluta

somiglianza con uno scarabeo in diaspro verde rinvenuto ad Ibiza e conservato a

Madrid986. L’esecuzione è da attribuirsi alla stessa mano, vista anche la mancanza di

ulteriori confronti iconografici, tuttavia la proprietà può associarsi alla stessa persona o

a due individui in grado di parentela tra loro? Ma perché ipotizzare un grado di

parentela su una così lunga distanza quand’anche nella stessa tomba non si trovano

mai due scarabei con figurazione simile987? È il caso infatti della tomba 9 AR, in cui

tre scarabei in diaspro, di cui almeno due provenienti da due differenti deposizioni,

presentano distinte incisioni, e della tomba 6 PGM, per la quale lo stesso può dirsi dei

due scarabei ivi rinvenuti e appartenenti a due distinte deposizioni. Lo scarabeo poteva

quindi al più designare un individuo, ma non il gruppo familiare: l’iconografia non era

uno stemma di famiglia, non apparteneva all’individuo, ma alla sua matrice culturale,

e per questo non poteva essere ereditato, così come non veniva ereditato lo scarabeo

stesso che accompagnava il defunto sino al suo letto di morte.

Ma non abbiamo risposto al perché manchino le iscrizioni. Si può ritenere che,

come per gli amuleti veri e propri, questi oggetti fossero intrinsecamente eloquenti: il

loro essere parlava da sé. La qualità dell’incisione era rappresentativa del costo

dell’oggetto, della accessibilità del possessore all’acquisto di tali beni, e garante quindi

del suo status sociale. In secondo luogo si può ritenere che dovendo sigillare solo testi

scritti, il nome del redattore del testo/possessore del sigillo non fosse necessario

essendo già presente sul foglio di papiro.

Che tipo di documentazione costituissero questi testi è difficile dirlo, tuttavia la

loro presenza negli archivi templari sembra indicare gli atti che accompagnavano

donazioni a vantaggio del tempio. Suggestiva è invece l’ipotesi del Vercoutter che si

possa trattare in certi casi, o perlomeno in quello da questi descritto, di documenti che

attestassero le necessarie caratteristiche possedute dalle vittime destinate ai sacrifici988.

Il lotto di cretule pubblicato dallo studioso presentava la caratteristica di essere

composto per circa la metà da impronte tra loro simili e per la restante da dissimili.

986 V. supra. 987 Si presuppone per assunto che le tombe a camera di età punica ospitassero membri dello stesso gruppo

parentelare: Bernardini 1991, p. 195. 988 Vercoutter 1952, p. 42 e segg.

Page 204: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 204 -

Quelle simili erano a decoro egittizzante con cartiglio di Men-kheper-re e le altre per

lo più con immagini di ispirazione greca989. Lo studioso francese ricollegava questa

circostanza ad un passo erodoteo in cui si descrive la pratica del sacrificio di bovini in

Egitto: una volta appurata la validità dell’animale lo si “contrassegna[va] con un

papiro, avvolgendoglielo attorno alle corna e poi, applicatagli la creta vi [si]

imprime[va] il sigillo”990. Lo studioso riteneva tuttavia che a Cartagine questa pratica

fosse applicata ai sacrifici dei fanciulli, così come tramandata dalle fonti classiche991.

Queste ultime non sono infatti in disaccordo sulla possibilità di una uccisione dal

carattere circostanziale, come sembra indicare questo lotto di cretule, realizzate in un

breve lasso di tempo. Tenuto conto infatti che il “sacrificio di fanciulli” avvenisse in

un area ad esso dedicata, il tophet, nulla osta che un’uccisione rituale potesse avvenire

al di fuori di questo spazio, e quindi la proposta del Vercoutter non possiede elementi

che ne impediscano la validità o la verosimiglianza992. Va tenuta tuttavia come

semplice proposta dal momento che nulla esclude che a Cartagine si svolgessero anche

altri tipi di sacrifici, e che si trattasse anche in questo caso ad esempio, come in quello

egiziano descritto da Erodoto, di un’ecatombe di bovini.

Ad ogni modo la comparsa dei sigilli in pietra dura, solo con l’età persiana in

Oriente e con l’avvio della politica imperiale cartaginese993 in Occidente avviene in un

momento ben preciso per le due metà del Mediterraneo. Da una parte, come proposto

da W. Culican994, gli scarabei sigilli erano uno strumento per le comunicazioni tra

membri dell’amministrazione imperiale, mentre dall’altra essendo lo sfruttamento

agricolo delle regioni conquistate l’interesse principale della madrepatria cartaginese,

si può associare questa comparsa alla nascita di una classe dirigente di ricchi

proprietari terrieri.

Ma a differenza dei Greci, che nel V secolo davano già diverse forme ai propri

sigilli, i fenici non abbandoneranno la forma dello scarabeo sino alla vigilia della

989 Ibidem pp. 43-44. 990 Erodoto Storie II, 38.3. 991 Vercoutter 1952, p. 43. Per una sintesi dei passi di autori classici sul sacrificio dei fanciulli nel mondo

fenicio-punico v. Ribichini 1987a, p. 28 e segg. 992 Usiamo qui la terminologia proposta da S. Ribichini (in Ribichini 1989, p. 48), e desunta dalle fonti dirette,

che distingue tra “sacrificio umano”, dal carattere regolare, e “uccisione rituale”, connessa a situazioni di particolare crisi (ibidem).

993 Il termine “imperiale” si usa qui con l’accezione più latamente espansionistica di tipo coloniale, essendo noto che Cartagine sino alla distruzione operata da Roma possedeva un ordinamento repubblicano.

994 Culican 1968, p. 57-58.

Page 205: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 205 -

distruzione di Cartagine. Per più di trecento anni, dalla fine del VI al III secolo, il

sigillo punico sarà sempre inciso sul dorso ad assumere la forma del coleottero

coprofago, ed il perché di questa fortuna risiede almeno in parte nel valore magico-

religioso di questo insetto995. La sua quasi assoluta associazione al diaspro verde e in

minor misura alla rossa corniola deve essere stata anche dovuta alle concezioni che

sottostavano a questi due colori, e non solo alla relativa reperibilità della materia prima

o alle proprietà fisiche delle pietre tramandate da autori classici996.

Un approfondito studio di F. De Salvia edito ormai diverse decadi fa, oltre a

dimostrare come l’evidenza del dato archeologico imponga un interpretazione critica

delle valenze magiche e culturali in generale di un amuleto, spiega la valenza attribuita

a questo amuleto nel contesto arcaico di Pitecussa, dove per un fenomeno di

“mischkultur ellenico-semitica” si rinvenivano scarabei in steatite e pasta nelle

sepolture infantili, oltre che in quelle femminili997. La validità della tesi dell’autore è

incoraggiata da alcune formule magiche egiziane che prescrivevano l’uso di scarabei,

o parti di essi, nella costituzione di rimedi per pericoli cui era soggetta l’infanzia o per

i dolori del parto998. Credenze connesse a queste formule, che in Egitto ricoprivano un

ruolo senz’altro secondario, avrebbero trovato un terreno fertile e forse già permeato di

credenze locali analoghe nella colonia euboica. Per quanto concerne il mondo punico

la sfera infantile non sembra sensibilmente interessata da questa prospettiva. Gli

scarabei infatti non mancano nelle sepolture infantili e nei tophet, ma vi sono attestati

in misura senz’altro minoritaria. Si limitano tra questi ultimi a soli 4 esemplari

provenienti proprio dall’area santuariale sulcitana999, mentre mancano totalmente a

Cartagine1000, Mozia e Tharros, nonché in quello di minor durata di Monte Sirai1001.

Circostanza che, previa possibile smentita, indicherebbe la destinazione di questo tipo

995 Lagarge 1976, pp. 167-171: pone invece l’accento esclusivamente sul valore magico-religioso e sul ruolo

cultuale a Cipro, legato verosimilmente alla dea locale della fecondità. 996 Plinio (Naturalis Historia, XXXVII, 105 e segg.) afferma che la corniola era la sola pietra cui non si

attaccava la cera quando vi si apponeva il sigillo: cit. in Vercoutter 1945, p. 75. 997 De Salvia 1983b; De Salvia 1978, p. 1028 e segg.. 998 Ibidem, p. 1041-1048. 999 Bartoloni 1973, nn. 123-126, tav. LXIII, 9-12. Cui forse si dovrà aggiungere un altro scarabeo in diaspro:

Hölbl 1986, p. 300, n. 120, tav. CLIV, 1. 1000 Bénichou-Safar 2004, p. 53-54: unica attestazione è uno scarabeo datato dal Cintas all’VIII secolo (Cintas

1970, p. 451). Più che per la prova di una credenza antica poi abbandonata, preferiamo in questo caso optare per un rinvenimento isolato e casuale.

1001 Mancano nelle edizioni degli scavi di questi ultimi tre tophet menzioni di rinvenimenti di scarabei tra gli amuleti.

Page 206: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 206 -

di amuleti ad un fruitore di età adulta1002. La frammentarietà dei quattro in diaspro del

tophet di Sant’Antioco potrebbe spiegarsi con una rottura rituale o come ex voto, un

fenomeno limitato quindi ad una particolare circostanza tale da non determinarne un

fatto generalizzabile. La rottura e più in generale la deformazione di un oggetto

costituisce un elemento ricorrente nelle offerte ai defunti e alla divinità1003, onde per

cui nel caso del tophet non costituisce un elemento utile per comprendere la sua

funzione come santuario o necropoli infantile. Dovrà essere tenuto conto tuttavia che

gli oggetti di corredo personale rinvenuti in associazione alle urne risultano

prevalentemente integri, e nel caso dei gioielli le dimensioni ridotte, più che un aspetto

rituale1004, assecondano più probabilmente la proporzione con il loro possessore

terreno, il bambino. Se intesi come oggetti di accompagno del defunto invece, gli

scarabei intenzionalmente infranti avrebbero perso le proprie capacità magiche1005: in

sostanza nell’eventualità che lo scarabeo fosse inteso dai fenici come simbolo di

rigenerazione nella vita ultraterrena, ai fanciulli sepolti nel tophet sarebbe stata negata

questa possibilità. Per quanto concerne il presunto tophet di Tiro inoltre il

rinvenimento di undici scarabei in pasta1006 potrebbe costituire un ulteriore argomento

per la sua identificazione come necropoli ad incinerazione di individui adulti1007.

Il contesto di rinvenimento per questi oggetti è quindi sostanzialmente di tipo

funerario, tale da non precludere un’analoga destinazione per essi. Tuttavia come in

Egitto la funzione funeraria non era esclusiva, né tanto meno predominante sulle altre,

così possiamo ritenere che a Cartagine e nelle sue colonie accadesse lo stesso.

L’affermazione di P. Gauckler secondo cui lo scarabeo, a volte l’unico elemento di

corredo nelle sepolture cartaginesi, costituisse una “sorte de carte d’identitè du

mort”1008 va rivalutata alla luce di quanto abbiamo esposto in precedenza a proposito

della funzione sigillare e della rappresentazione dello status sociale. Una tale

affermazione può assumere validità se ammesso che avesse una funzione analoga per

1002 Montis 2005. 1003 Segarra Crespo 1997. 1004 Ibidem, pp. 291-298. 1005 In analogia con quanto ritenuto per le armi in contesti tombali, per le quali si imponeva al defunto una

proibizione dell’uso nel mondo ultraterreno (ib., p. 295). Oppure più semplicemente si voleva con la rottura impedirne l’utilizzo ai vivi che successivamente avrebbero potuto impossessarsene.

1006 Ward 1991, pp. 89-93. 1007 Cfr. Moscati 1993b; Bartoloni 1993b. 1008 Cit. in Vercoutter 1945, p. 41, nota 1.

Page 207: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 207 -

l’individuo in vita. Inoltre la sua presenza costante nelle tombe puniche, ma non

assoluta, induce a ritenere che nei confronti degli altri amuleti occupasse una posizione

di rilievo, ma che al pari di essi non costituisse un elemento essenziale del corredo

funerario.

Pare quindi impossibile, oltre che metodologicamente scorretto, presupporre

una dicotomia nell’uso degli scarabei, tra funzione “pratica”, o sigillare, e “amuletica”,

o rituale e simbolica1009. Tali funzioni, oltre ad essere solo alcune tra le tante possibili,

potevano coesistere allo stesso tempo.

5.1.4. I DESTINATARI

Per quanto riguarda i destinatari finali di questi oggetti, risulta difficile allo stato

attuale individuare differenti classi sociali o di età allo scopo di capire tra quali di

queste fossero maggiormente diffusi. Si può presumere tuttavia che le tombe a camera

della necropoli punica di Sulcis fossero appartenute ai membri più importanti della

comunità, e per il corredo di indubitabile valore economico e per il valore della tomba

stessa, la cui realizzazione non doveva essere certo alla portata di tutti1010. Il metallo

prezioso, in specie l’oro e le pietre dure, di cui si componevano alcuni tra i gioielli

presentati in questo catalogo è un sicuro indizio di agiatezza economica, e doveva

esserlo a nostro avviso anche l’argento. Sebbene gran parte di quest’ultimo possa

essere stato estratto nelle vicine miniere dell’Iglesiente non condividiamo la posizione

per cui la vicinanza della fonte riduca il valore economico dell’oggetto1011, non in

modo eccessivo comunque. I costi di estrazione, trasformazione e lavorazione

potevano infatti rendere il metallo di fatto inaccessibile. L’oro d’altronde è quasi

completamente assente nelle tombe di età arcaica, quindi realmente inaccessibile, e

non può essere considerato come metro di agiatezza economica, ruolo che dovrà essere

ricoperto dall’argento. In età punica invece, con l’aprirsi degli orizzonti economici,

1009 Come riconosce lo stesso F. Poole in merito agli scarabei di Pontecagnano: Poole 1993, pp. 408-411. 1010 La ricerca archeologica in Sardegna non ha individuato per il momento differenze rituali funerarie attribuibili

a distinzioni di censo o classe sociale. È quindi da ritenere, sebbene poco verosimilmente, che la necropoli ipogeica di Sulcis fosse democraticamente aperta a tutti i cittadini e che quindi eventuali ruoli di indicatori sociali fossero riservati ad altre componenti del rito funebre, quali ad esempio proprio gli ornamenti o il corredo vascolare, o ancora altri oggetti di arredo e la decorazione della camera funeraria stessa.

1011 Campanella, Martini 2000, p. 50-51; Campanella 2000, p. 120-122.

Page 208: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 208 -

l’oro fa la sua comparsa in massa nelle tombe sulcitane1012, come anche in quelle

tharrensi, prendendo il posto dell’argento, ma senza sostituirlo completamente, nel

ruolo di status symbol. Lo scarabeo, anch’esso in particolare, riteniamo possa

rappresentare un segno distintivo dello status sociale, secondo quanto abbiamo tentato

di comprendere più sopra.

Per quanto concerne il sesso invece abbiamo sopra menzionato come infanti e

donne siano indicati come i principali possessori, nelle sepolture, di amuleti e gioielli

in generale: ciò si può spiegare con il fatto che queste fossero le categorie di individui

maggiormente soggette a pericoli quali la morte infantile, le insidie del parto e del

post-parto. Ma si può affermare che fossero i soli ad utilizzare questi oggetti? Da

quando gli archeologi hanno iniziato, più o meno scientificamente ad indagare le

necropoli fenicie e puniche in Occidente, ovvero da più di 100 anni a Cartagine e da

circa 150 in Sardegna, l’interesse antropologico fisico, sviluppato allo scopo di

conoscere semplicemente il sesso del defunto, è stato raramente dimostrato. A ciò si

aggiunga il disagio creato da terreni la cui acidità disintegra totalmente i resti ossei,

come è il caso della stessa necropoli di Sulcis. Ultimamente invece, raggiunta una

maggiore sensibilità nei confronti di queste tematiche, i tempi per lo svolgimento delle

analisi, resesi più complesse allo scopo di determinare non solo il sesso ma anche l’età

e le cause della morte, eventuali patologie sofferte in vita, le composizione della dieta

etc., nonché della successiva pubblicazione dei risultati rendono indisponibili i dati.

Ora, come da un secolo a questa parte, si corre il rischio di determinare il sesso del

defunto dal corredo, mentre lo stato degli studi non permette ancora di farlo. Al fine di

disporre di dati che consentano una maggior consapevolezza in questo senso

proponiamo di seguito una serie di sepolture, e delle singole deposizioni, che hanno

conservato oggetti di ornamento e del cui defunto sia conosciuto il sesso:

Sardegna: Senorbì, Monte Luna1013: TP. III, cella A (scavi 1981-82). La camera

ospitava quattro inumati adulti di cui due donne, le sole a possedere

ornamenti: un diadema, due orecchini e un anello digitale in argento per la

1012 Bernardini 1991, p. 193. 1013 Costa 1983, p. 228. Tutte le sepolture della necropoli punica scavate nella stagione 1981-82 possono essere

datate entro il V secolo (p. 230). Solo per la tomba TP. III è dichiarato il sesso degli inumati. Gli esami osteometrici e paleopatologici, affidati a due docenti dell’università di Cagliari non risultano ancora editi (p. 221).

Page 209: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 209 -

prima, un altro diadema, due orecchini e uno scarabeo montato in argento

per la seconda.

Monte Sirai: Tomba 95 della necropoli fenicia (scavi 1998)1014. La sepoltura

a fossa conteneva un inumato di sesso femminile accompagnato, oltre il

consueto corredo ceramico, da un amuleto udjat e un vago in vetro

policromo portati al collo e da un diadema in lamina d’argento rinvenuto

presso la scatola cranica1015.

Sicilia: Palermo, Vivai Gitto (scavi 1980)1016:

Tomba 111017. La tomba ospitava una sola deposizione di donna adulta entro

sarcofago monolitico1018, il quale presentava all’interno una parure composta

di numerosi orecchini con pendente a cestello, pendenti e bracciali argento, un

orecchino a croce isiaca e un pendente a ghianda in oro, nonché un collare a

maglia d’argento con capsule alle estremità in oro, legate ad un pendente

lenticolare in argento placcato in oro1019.

Tomba 631020. All’interno erano due sarcofagi: il primo (A) ospitava due

deposizioni, un uomo e una donna1021, il secondo (B), una donna1022 con

indosso una collana1023. Ulteriori oggetti di ornamento erano all’interno di una

brocca1024 che conteneva altresì i resti di un altro defunto infantile incinerato

di sesso indeterminato1025.

Palermo, Caserma Tuköry (scavi 1989)1026:

Tomba 1. La tomba a fossa scavata nella roccia conteneva un sarcofago litico

al cui interno era una inumazione infantile di sesso femminile1027,

1014 Bartoloni 1999b. La sepoltura è datata a prima della metà del VI secolo e ritenuta appartenere ad una donna

di origine cartaginese: pp. 193-194. 1015 Ibidem, pp. 199-200, MSN 345, 352, 351, tav. IX, b e c. 1016 Vivai Gitto 1998. 1017 Ibidem, pp. 196, 207-211, tomba a camera del 560-550 a.C.. 1018 Di Salvo 1998a, p. 244. 1019 Vivai Gitto 1998, pp. 207-209, 234-5, nn. VG 44-61; Spanò Giammellaro 1998, pp. 384, 386. 1020 Vivai Gitto 1998, pp. 197-198, 200-206. Tomba a camera in uso dalla seconda metà del V sec. al IV secolo. 1021 Di Salvo 1998a, p. 244. 1022 Ibidem. 1023 Vivai Gitto 1998, p. 205, n. VG 35. 1024 Ibidem, p. 203, n. VG 21 (elementi di collana) e VG 19 (brocca cinerario). 1025 Di Salvo 1998a, p. 244. 1026 Di Stefano 1998; Sarà 1998. 1027 Di Salvo 1998b, p. 262. La tomba è datata alla fine del VI – inizi del V secolo (Sarà 1998, p. 255).

Page 210: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 210 -

accompagnata da due vaghi di collana e da un amuleto in forma di figura

femminile stante in osso1028.

Tomba 41. Tomba a fossa contenente i resti di un inumato infantile di sesso

indeterminato1029, insieme al resto del corredo erano presenti tre amuleti udjat

in osso del tipo traforato come i nostri in catalogo1030.

Tomba 63 (scavi 1997)1031. Tomba a fossa con sarcofago monolitico che

conteneva i resti di un inumato di circa cinque mesi1032. Al collo erano 29

elementi di collana, di cui 12 vaghi e 17 amuleti di produzione punica1033

Ai fini dell’esposizione presso la mostra tenutasi a Palermo negli anni 1995-

1996, il materiale proveniente dagli scavi palermitani è stato selezionato, non abbiamo

quindi notizia di eventuali altri oggetti di ornamento rinvenuti durante gli scavi1034 ad

eccezione di due presentati in occasione di una precedente mostra tenutasi nello stesso

Museo Archeologico Regionale A. Salinas1035. Si tratta di due scarabei in faïence

rinvenuti in due differenti tombe dell’area della Caserma Tuköry: la tomba 15 e la

381036. Per il primo non è nota la deposizione di provenienza, data la presenza

all’interno della tomba di due inumazioni adulte, maschile e femminile, e un

incinerazione infantile1037, ma per il secondo è interessante rilevare come provenga da

una tomba a camera che conteneva una sola deposizione adulta maschile1038.

Come gli scarabei fossero portati sia da uomini che da donne, oltre al contributo

dato dalla coroplastica e dalla statuaria, fonte già menzionata per i destinatari di altri

gioielli1039, lo rivela la stessa Cartagine, per la quale la Quillard propone in nota alcuni

esempi di coppie seppellite che portavano scarabei al collo1040.

1028 Ibidem, p. 256, nn. CT 54-56. 1029 Di Salvo 1998b, p. 262. 1030 Sarà 1998, p. 252-253 e 257, nn. CT 22-24. Il resto del corredo concorre a datare la sepoltura agli inizi del V

secolo. 1031 Di Stefano 2002. 1032 Ibidem, p. 189. 1033 Ib., catalogo a p. 197 e segg. Lo scarno corredo vascolare consente una datazione tra fine VI e inizi V secolo

(p. 190). 1034 Gli scavi presso le due aree cimiteriali dei Vivai Gitto e della Caserma Tuköry non sono ancora stati editi

esaustivamente: raro caso di disponibilità dei dati antropologici e insufficienza di quelli archeologici. 1035 Catalogo della mostra: Di terra in terra 1993. 1036 Ibidem, p. 307, nn. 409 e 408. 1037 Di Salvo 1998b, p. 262. 1038 Ibidem. 1039 V. supra; per gli scarabei: Quillard 1987, p. 125, tav. XXX, 6, e XXXI, 5. 1040 Ibidem, p. 125, nota 602; non ci è stato possibile accedere ai resoconti di A.L. Delattre e P. Gauckler a cui si

devono i principali scavi delle necropoli cartaginesi a cavallo tra 1800 e 1900.

Page 211: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 211 -

Sebbene riteniamo che maggiore consapevolezza di questi dati debba essere

ancora acquisita, possiamo confermare a titolo ricostruttivo e parziale che principali

portatori di gioielli amuleti e gemme fossero le donne, almeno in contesti tombali di

individui adulti. Ad esse dovevano appartenere le parures più ricche e gran parte pure

degli amuleti. Così orecchini e anelli non dovevano essere insoliti indosso agli uomini.

Alla luce di quanto esposto sinora cercheremo di interpretare i dati archeologici

offerti dalle tombe puniche sulcitane oggetto di questo lavoro.

La tomba 5 PGM, come tutte le tombe sinora note a Sant’Antioco a camera

scavata nella roccia, ospitava tre deposizioni affiancate presso un angolo di fondo.

Ognuno dei tre feretri presentava delle caratteristiche proprie: posa di pietre sopra il

primo, sopraelevazione su blocchi di pietra per il secondo e su sostegni lignei per la

terza, le quali autorizzano a individuare un trattamento diversificato alla luce “di un

ruolo di particolare valenza sociale del defunto nella sua vita privata e pubblica”1041. I

monili provengono per la quasi totalità dalla prima sepoltura, quella prossima alla

parete laterale: i nn. 21, 23-26, 28-29 e 31. A questi possono aggiungersi gli amuleti

rinvenuti in fase di setacciatura nn. 27 e 30 per analogia con essi, e per ulteriore

analogia con i vaghi il n. 22, vago isolato attribuito alla deposizione 2 e forse

accidentalmente slittato in questa posizione. Questa deposizione si vedrebbe quindi

priva di ornamenti, fatto non desueto nelle tombe puniche, mentre dalla terza

deposizione, quella centrale e “fuoco centrale dello spazio funerario”1042, proviene lo

scarabeo in pasta n. 32. Tenendo conto della mancata conservazione dei resti ossei si

può tentare di conciliare il fatto rituale con la presenza dei monili: la prima

deposizione, quella cui era riservato il rito più semplice seppur caratteristico, sarebbe

appartenuta ad una donna, quella mediana forse ad individuo di sesso maschile, e la

terza e principale deposizione ad un uomo: il capo-famiglia, dalla parure

essenzialmente ridotta allo scarabeo.

La tomba 6 PGM pone un interessante problema ermeneutico: tre deposizioni in

una piccola camera sono addossate lungo i tre lati liberi senza particolari differenze di

corredo e di rito, ad eccezione di due pilastri rastremati, interpretati come betili dello

1041 Bernardini 2004, p. 144. 1042 Ibidem.

Page 212: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 212 -

scavatore1043, che inquadrano la deposizione 2 sulla parete di fondo, e della ceramica

che accompagna la sola deposizione 1: un piatto, brocca con orlo circolare espanso e

un anfora1044. I monili non offrono particolari indicazioni sebbene presenti in tipologie

diverse nelle tre deposizioni: il primo inumato portava un bracciale in argento (n. 33) e

una collana di nove amuleti (nn. 39-47: udjat e pateci), il secondo un’altra collana, ma

composta stavolta di vaghi in lamina d’oro e di vetro con decorazione “ad occhi” (nn.

37-38), un amuleto pateco (n. 48) e uno scarabeo in pietra dura con figura ellenizzante

di leone alla base (n. 49). La deposizione 3 infine presenta il restante corredo aureo

della tomba composto da due orecchini (nn. 35-36), un anello da naso (n. 34) e un

prezioso pendente costituito dallo scarabeo in corniola n. 50 con montatura a staffa. Ci

troviamo quindi davanti a tre inumazioni dal corredo omogeneo seppur con differenze

tipologiche, tra cui spicca la terza per la materia prima, presente comunque nei vaghi

della seconda. Nessuna connotazione sessuale sembra ricavarsi dagli oggetti, sebbene

gli amuleti delle prime due suggeriscano il sesso femminile, e quelli della terza non

contraddicano un analoga interpretazione. La suggestione degli elementi decorativi

della parete di fondo che ci si trovi di fronte a “personaggi importanti della

comunità”1045, e forse legati al culto ufficiale, induce la azzardata ipotesi che la tomba

ospitasse le deposizioni di tre sacerdotesse.

Poco permette di capire la situazione della tomba 1 PGM BLV, per la mancata

conservazione dei resti ossei e delle associazioni con i monili. Dei tre/quattro inumati

ospitati al suo interno uno (deposizione 1) possedeva di sicuro un armilla in vetro blu

(n. 1) e una collana di cui rimane un solo vago in lamina d’oro (n. 10)1046, e un altro

(deposizione 2) indossava un orecchino in oro a corpo ellittico (n. 2), forse un altro

orecchino in argento (n. 5) e una collana di vaghi in vetro con decorazione ad occhi (n.

12). La cospicua quantità di gioielli rinvenuti in fase di setacciatura non attribuibili, e

la mancanza di amuleti1047, non permettono di fare considerazioni sul rituale o sul

sesso dei defunti, sebbene si possa propendere per il sesso femminile della deposizione

2.

1043 Ib. 1044 Ib., p. 151, nota 53. 1045 Bernardini c.p.. 1046 Gli altri vaghi (n. 11) presentano una lieve differenza nella decorazione, che induce a pensare provenissero

da un’altra deposizione. 1047 Abbiamo proposto in precedenza di intendere la mano in osso n. 15 come complemento di arredo.

Page 213: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 213 -

5.2. PRODUZIONE

Gli aspetti produttivi, oggetto di questo capitolo, rientrano nella sfera di

competenza dell’archeologia della produzione, il cui fine ultimo è quello di ricavare “il

rapporto fra gli uomini e fra gli uomini e le cose”, occupando così un posto importante

nella storia della cultura materiale1048. Scopo ben più umile di questo capitolo è invece

quello di presentare l’aspetto della produzione degli oggetti rinvenuti nelle tre tombe

sulcitane, allo scopo di comprendere in quale contesto fosse collocato il centro punico

di Sulcis. A tal fine arriveremo presentando gli oggetti, suddividendoli nuovamente,

stavolta non per base tipologica, ma per materia impiegata, per ognuna di queste verrà

proposto uno o più possibili bacini di raccolta e centri di produzione, allo scopo di

comprendere quali tra questi fossero localizzati a Sulcis o nelle sue immediate

vicinanze. Il tema delle importazioni, ovvero di quei materiali, finiti o no, che non

potevano essere rimediati nella zona, verrà trattato in un capitolo specifico (§ 5.3).

La suddivisione tipologica adottata nel catalogo (§ 3) e nella precedente sezione

(§ 5.1)1049, si rivela inutile in questo momento dell’analisi, perché permette di

esaminare, e risponde meglio a, quegli aspetti funzionali che si è cercato di individuare

su base etica ed emica. La suddivisione su base materica che adottiamo in questo

capitolo risponde ad un’esigenza, esclusivamente etica, di razionalizzare l’oggetto

dello studio perché sia confrontabile con le risorse ambientali, che solo in tale maniera

possono essere studiate. Solo in un secondo momento dell’analisi, al termine di questo

capitolo, sarà possibile ritornare all’interpretazione emica, con lo scopo precipuo di

chiedersi se una distinzione su criteri chimico-fisici fosse nota e apprezzata dagli

antichi fruitori.

I materiali utilizzati nella produzione degli athyrmata sulcitane sono i seguenti:

• osso o avorio;

• pietra dura semipreziosa;

• faïence e steatite;

• vetro o pasta vitrea;

1048 Mannoni, Giannichedda 1996, pp. XVIII-XIX. 1049 Ovvero: Gioielli, Amuleti e Scarabei.

Page 214: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 214 -

• oro, argento e altri metalli1050;

• altri materiali.

È necessario inoltre premettere che l’approccio da noi utilizzato è il frutto di

un’attenzione accordata agli aspetti materici che costituisce una conquista recente

nell’ambito degli studi fenicio-punici, specie per talune categorie artigianali come per

gli amuleti e i vaghi di collana in vetro. Alcuni studi e analisi di laboratorio compiuti

negli ultimi anni1051 anticipano quella che potrebbe diventare una nuova stagione di

ricerca sulla civiltà e l’arte fenicio-punica, un nuovo atteggiamento analitico che possa

portare più rapidamente ad una nuova “età della sintesi”.

La sintesi operata da Sabatino Moscati ed edita in diversi lavori sino alla sua

scomparsa offrono un quadro che, per necessità espositiva, evidenziava una

caratterizzazione per classi artigianali dei centri fenicio-punici di Sardegna, laddove

questi mostrassero evidenti caratteri di autonomia e innovazione1052. In questa

prospettiva il centro di Sant’Antioco poteva ben dirsi produttore di ben poche classi,

quali quella scultorea e quella ceramica. Nella prima rientrano a pieno titolo le stele in

tufo trachitico per le quali il numero elevato rinvenuto (oltre 1500) e i caratteri di

originalità, e autonomia rispetto ad altri centri come Tharros e Nora, indicano la

produzione avvenuta in loco ed in un caso anche l’esportazione1053. Più isolati invece

gli altri prodotti scultorei tra i quali spiccano due statue colossali leonine, un tempo

poste a guardia di un complesso templare sull’acropoli, e l’altorilievo funerario

raffigurante un personaggio maschile egittizzante, con gonnellino e copricapo a klaft,

scolpito sul tramezzo di una tomba della necropoli punica1054. Questi ben si possono

1050 Il bronzo ricorre raramente nella composizione degli athyrmata: ne costituisce un elemento secondario, come

anima per rivestimento in metallo più nobile, o primario nella realizzazione dei gioielli più tardi o più poveri. Come il ferro era utilizzato per gli strumenti di uso quotidiano o funerario, v. ad es. le coppiglie bronzee di cui abbiamo qualche esempio nel nostro catalogo.

1051 Si citano alcune delle pubblicazioni utilizzate nel presente lavoro: Pisano 2000, contiene i dati sulle analisi compiute su alcuni gioielli di Ibiza; Savio, Ferrari, Croce 2004, su vetri e scarti di fornace di Tharros; Savio, Lega, Bontempi 2004, su alcuni amuleti di Tharros.

1052 V. in particolar modo Moscati 1996a, p. 10 sul metodo espositivo e di ricerca; Moscati 1993a, esclusivamente per l’età punica.

1053 Moscati 1986a, pp. 219, 247; Moscati 1988a, pp. 83-85, tav. XXVI, 1-2. 1054 Sui leoni v. Bernardini 1988, e datazione a metà del VI secolo (p. 20); per l’altorilievo funerario v. ibidem,

pp. 19-21, con datazione al 500 a.C.; da ultima Mattazzi 1996. Ma forse la cronologia dovrà essere abbassata, per la tipologia tombale a non prima della seconda metà del V secolo (Sulcis 1989, p. 44 e segg.). Un’altra lodevole esecuzione sulcitana è l’“Astarte” di Monte Sirai (Bernardini 1988, p. 17 e segg.), ritenuta di poco anteriore ai leoni, mentre il dubbio rimane circa la protome leonina in alabastro conservata presso il Museo Barracco di Roma e datata al IV secolo: Bartoloni 1999a, in particolare p. 125.

Page 215: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 215 -

tuttavia includere tra i prodotti eccezionali di botteghe attive nel centro e più

costantemente dedite alla realizzazione di prodotti di più largo utilizzo quali erano le

stele.

Anche la ceramica, come è logico supporre, godeva di ateliers stabili a Sulcis e

possedeva di un certo grado autonomo di sviluppo sin dalla fondazione della città1055.

Per gli athyrmata invece, sebbene una produzione locale non venisse e non

possa essere scartata a priori, rimaneva salda l’ipotesi di una sostanziale dipendenza

dalle importazioni dal centro punico di Tharros1056.

5.2.1. OSSO E AVORIO

Nella composizione di gioielli, amuleti e scarabei, ma anche di altri oggetti

come i bottoni1057, è frequente incontrare l’osso. Questa materia di origine organica era

alla portata di chiunque e reperibile quotidianamente, potendo essere ricavata dagli

stessi scarti del cibo. Viene generalmente valutata come indicatore di una produzione

locale, e nella fattispecie degli amuleti1058, essendo difatti naturale pensare che non ci

fosse motivo per importare da lontano un oggetto, od anche una serie di oggetti, che

fossero realizzati senza particolari abilità tecniche o capacità tecnologiche. Tale

deduzione, oltre che intrinsecamente debole, dovrà essere volte per volta valutata alla

luce di particolarità dell’oggetto in esame, essenzialmente di tipo stilistico, e del

corretto riconoscimento della materia prima, che può variare tra l’avorio vero e proprio

(zanne di elefante), l’osso (endoscheletro animale), il dente di ippopotamo e il corno di

cervide. Il caso dell’amuleto n. 15 del nostro catalogo può essere emblematico: tenuto

conto della possibilità che ad un’analisi chimica non si tratti di osso, ma di avorio in

cattivo stato di conservazione, e che si ritenga da parte nostra non trattarsi di amuleto

vero e proprio, la totalità dei confronti per esso disponibili in ambiti fenicio-punici

mediterranei è costituita da soli oggetti in avorio. Si dovrà optare in questo caso per

un’importazione, nonostante la facile reperibilità della materia prima. In presenza di

una non elevata qualità stilistica dell’oggetto in osso e in mancanza di puntuali

1055 Moscati 1988a, p. 125; Bartoloni 1983, pp. 21-54. 1056 Moscati 1988a, pp. 115 (per gli amuleti), 119-120 (per gli scarabei), 126 (note conclusive e in relazione ai

gioielli). 1057 V. § 4.4. 1058 Vercouttter 1945, cit. in Bartoloni 1973, p. 184.

Page 216: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 216 -

confronti sulla lunga distanza, si può allora giustamente supporre una produzione

locale. Non è d’altronde da escludere che anche a Sulcis, centro di una certa rilevanza

economica nel quadro della Sardegna punica, potesse aver luogo una bottega

specializzata nella produzione di oggetti di apprezzabile qualità e destinati alla

fruizione in loco, e non necessariamente all’esportazione1059.

Ma dopo questa premessa metodologica vediamo quali sono gli oggetti in

questo materiale provenienti dai corredi di Sulcis. Si tratta come abbiamo detto di

oggetti classificabili entro le quattro categorie precedentemente utilizzate: gioielli,

amuleti, scarabei e varia. In particolare tra i primi si annoverano quattro vaghi in osso

(n. 14 a-b, q-r1060), caso al momento unico nella documentazione sulcitana e non solo,

fatto che potrebbe trovare una motivazione nel disinteresse per l'edizione e studio di

materiale analogo proveniente da altri contesti archeologici. Tenendo in sospeso il

discorso si potrebbe comunque avanzare una plausibile esecuzione a Sulcis dei quattro

vaghi in questione e giustificare l’assenza nel corpus dei gioielli di elementi in osso

come una priorità di scelta accordata ad altri materiali ben più apprezzabili

esteticamente1061.

Tra gli amuleti sono invece da annoverare due udjat: il primo è in avorio e

proviene dalla necropoli, in particolare dalla tomba 4 A, mentre il secondo è in osso e

proviene invece dal tophet. G. Hölbl menziona entrambi gli amuleti, di tipo

schematico occorre dirlo, nel suo lavoro del 19861062, componendo una apposita

tipologia (49.C: “Kompakte Typen aus anderen Materialien”) per includere i due

amuleti che non possiedono confronti conosciuti negli stessi materiali1063. Questa

condizione, anche senza piena corrispondenza tipologica fra i due udjat, depone a

favore di una loro possibile esecuzione locale.

Dal tophet proviene inoltre il resto, nonché il massimo, delle attestazioni di

amuleti in osso. Si tratta per lo più di amuleti di tipologie poco o nulla diffuse, come

1059 Ibidem, p. 184; Martini 2004, p. 68. 1060 Per questi abbiamo già espresso il dubbio circa la loro effettiva funzione, a causa della mancata perforazione

del n. 14 r. 1061 A margine di questo discorso possiamo aggiungere che se si attribuisce anche ai gioielli una notevole

valenza profilattica (presupponendo per un momento che questa distinzione fosse accettata anche dall’antico fruitore), il materiale in cui fossero eseguiti i singoli elementi di una collana, in mancanza di un riferimento ad una iconografia specifica quale è il caso dei vaghi, avrebbe avuto la sua importanza, cosicché all’osso e all’avorio non sarebbe stato attribuito nessun potere magico o profilattico particolare.

1062 Hölbl 1986, p. 103, tav. LXXXIV, 2-3. 1063 Ibidem, p. 146.

Page 217: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 217 -

tavolette a forma di animale o di vegetale, o tipicamente puniche come il pendente a

ghianda, il cippo e la “mano che fa le fiche”, fatto che ancora una volta testimonia

quella tendenza, popolaresca e non standardizzata, della scelta di tipologie propria del

santuario di Sulcis. Le prime due di queste ultime sono anche notevolmente

rappresentate nella collezione Lai insieme al “simbolo di Tanit” e alla trasposizione in

osso dell’astuccio porta amuleti, che rientrano anch’essi nell’ambito delle tipologie

propriamente puniche1064. L’elevato numero delle attestazioni, ora reso disponibile

dalla recente pubblicazione di D. Martini, consente anche per questi amuleti di

considerare una produzione in loco ad opera di una bottega artigianale

specializzata1065. Nella medesima sede si propone inoltre di attribuire alla medesima

bottega anche l’esecuzione dei cosiddetti bottoni, dei quali numerosi esemplari fanno

parte della stessa collezione Lai1066. Sebbene di questi non sia data una descrizione è

ragionevole supporre che si tratti di oggetti dello stesso tipo di quelli appartenenti al

corredo della tomba 1 PGM BLV (n. 17)1067 e per i quali si sono forniti gli elementi

per un’identificazione come complementi di cofanetti lignei1068. Se quest’ultima

risultasse corretta, la produzione dei “bottoni” a Sulcis dovrebbe essere compresa tra le

fasi della produzione o assemblaggio di questi contenitori. Come per gli indumenti, il

mancato reperimento di questi non permette però di apprezzare la diffusione e gli

aspetti legati alla produzione, come la qualità stilistica che consente in certi casi di

riconoscere il centro di produzione. Tuttavia il mancato riconoscimento delle seppur

piccole tracce della loro presenza, in questo caso le calotte ossee, è un ulteriore

elemento che accentua la deriva documentaria riconoscibile, e al contempo provocata,

dalle condizioni di partenza del rinvenimento archeologico.

Ad ogni modo una produzione locale dei questi bottoni non è inverosimile1069,

sia che li si consideri come appartenenti ad indumenti o come elementi di cofanetti

1064 Si acquisisce così un’ulteriore indiretta conferma della provenienza dal tophet degli oggetti della collezione. 1065 Martini 2004, p. 68. 1066 Ibidem, pp. 7, 68, degli oggetti e di vaghi in pasta vitrea è indicata la prossima pubblicazione a cura di S.

Poveromo: p. 7, nota 1. 1067 La presenza nel tophet di questi oggetti ci è stata riferita dagli stessi scavatori del sito, ma in particolare la

provenienza di questi dal “luogo di arsione” del santuario ha dato l’idea che i fanciulli fossero vestiti nel momento del “passaggio per il fuoco”.

1068 V. § 4.4. 1069 Di altri numerosi oggetti di uso corrente in osso, che S. Moscati menzionava ormai più di trent’anni fa

(Moscati 1982, p. 554), ma tutt’oggi inediti, si dovrà tenere conto per completare il discorso qui solo affrontato in maniera preliminare.

Page 218: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 218 -

lignei, dal momento che per entrambe le categorie artigianali si può supporre

operassero botteghe specializzate nella loro produzione. In linea di massima l’arredo e

il vestiario sono prodotti per i quali non è difficile immaginare che un centro

importante come quello di Sulcis possedesse i presupposti per una realizzazione in

loco, quali la disponibilità delle materie prime ed una cospicua domanda, ma

importazioni anche di una certa consistenza di prodotti di elevata qualità potevano

completare il quadro degli scambi. Ebbene che i “bottoni” appartenessero a prodotti

locali o importazioni non è un’informazione che si possa acquisire al momento, dato

che anche l’estrema semplicità formale dei pezzi non ci consente di attribuirli con

certezza a questo o a quel centro di produzione.

Solo un cenno in conclusione va dedicato alle tecniche di produzione che in

qualche caso possono risultare utili ai fini del riconoscimento del contesto di

produzione e degli strumenti utilizzati. Nel nostro caso le tecniche sono quelle più

utilizzate1070: dalla segatura con lame dentate per ottenere un nucleo su cui intagliare

maggiori dettagli con un coltello, alla levigatura con pietre o polveri abrasive1071 e alla

rifinitura a tocchi di trapano1072. Per il traforo delle basi delle stesse calotte invece

sappiamo che venivano usati trapani con punte di diametro compreso tra i 4 e i 5 mm.,

mentre in mancanza di misurazioni dei fori di sospensione sugli amuleti del tophet e

della collezione Lai non è possibile esprimere alcun giudizio. La mano della tomba 1

PGM BLV (n. 15) invece non consente di verificare il tipo di trapano utilizzato perché

frammentaria, anche se l’unico confronto misurato è quello delle tre mani palermitane

il cui foro presuppone una punta di circa 8 mm di diametro1073, ma il dato non ci

sarebbe comunque di alcuna utilità dal momento che l’oggetto è verosimilmente un

prodotto allogeno.

5.2.2. PIETRA DURA SEMIPREZIOSA

Le principali materie semipreziose utilizzate nella produzione di athyrmata rinvenuti a

Sulcis sono il diaspro verde e la corniola, le quali appaiono strettamente legate alla

realizzazione di scarabei e, per la corniola solamente, anche ai vaghi di collana. Questa

1070 Mannoni, Giannichedda 1996, p. 109. 1071 Pacini 2004, p. 74. 1072 Martini 2004, p. 73. 1073 Tamburello 1966, p. 277.

Page 219: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 219 -

condizione è condivisa anche dalla documentazione archeologica di Tharros dove

secondo la tradizione degli studi era collocato il massimo centro di produzione di

scarabei in diaspro verde del mediterraneo antico1074. L’opinione comunemente

condivisa che vuole in Sardegna il centro produttore degli scarabei greco-fenici è

basata su due dati, uno quantitativo e l’altro qualitativo. Il primo è costituito dal fatto

che nel Museo Archeologico Nazionale di Cagliari sia conservato più di un migliaio di

scarabei1075, anche se non tutti in diaspro, appartenuti a collezioni costituite nel corso

del 1800 e per i quali si suppone un’origine da Tharros, nella quale scavarono i

costitutori di quelle collezioni. Ma il numero degli scarabei sicuramente attribuibili a

questo sito, per i quali sia infatti stato possibile individuare un riscontro editoriale o

inventariale, è notevolmente inferiore: appena 34 esemplari1076. Tuttavia la

provenienza sarda di questi non è dubitabile, tanto più che lo Spano registrava nel

1851 un numero di quattro volte superiore per quelli rinvenuti presso questo sito

archeologico in quegli anni1077 e poi in gran parte dispersi. Più affidabile, anche se

quantitativamente di molto inferiore, è invece il dato del British Museum, dal quale nel

1856 furono acquistati i corredi di più di trenta tombe scavate da Gaetano Cara a

Tharros: i più di 70 scarabei in pietra dura1078 conservano oltre all’indicazione del sito

anche quella della tomba di provenienza1079. A questo si aggiunge poi quello degli

scarabei conservati al Museo Nazionale Sanna di Sassari, in cui su 105 ben 85

presentano indicazione di origine tharrense1080. Queste tre stime, se confrontate con

quella degli scarabei di cui sia noto il rinvenimento nel Levante, in cui sarebbe da

1074 Da primo Vercoutter 1945, p. 344; Moscati, Costa 1982. 1075 Stima di quasi 1100 esemplari effettuata sui numeri di inventario forniti in Boardman 2003, p. 4. 1076 Acquaro 1975a, p. 52, nn. B 1, 3-26, 28-36, di cui il B 1 in pietra nerastra, il B 4 in pietra verde-chiaro, il B

31 in agata, il B 36 in giada. La cifra di 41 in Moscati, Costa 1982, p. 204, tiene conto di quelli anche in altri materiali.

1077 Spano G., (1851). Notizie sull’antica città di Tarros. Cagliari, cit. in Boardman 1987, p. 98, nota 1, la cifra sembra però riferirsi a tutti gli scarabei, compresi quelli in faïence, e la percentuale di quelli conservati al British Museum calcolata dal Boardman (meno del 10 %) non corrisponde con la somma di quelli editi nel catalogo del 1987, che sono in tutto 125.

1078 Anche in questo caso la maggior parte è in “diaspro”, sebbene le analisi chimico-fisiche abbiano individuato l’inesattezza della definizione materiale di cui si parlerà più avanti.

1079 Mendleson 1987b, per gli scarabei egittizzanti in faïence o vetro; Boardman 1987, per quelli egittizzanti e grecizzanti punici; analisi scientifiche in Baynes-Cope, Bimson 1987, in cui dall’elenco si evince che in 33 tombe gli scarabei, ad eccezione della 8 che ne era sprovvista, erano presenti in numero variabile da 1 a 10 per tomba.

1080 Moscati, Costa 1982, p. 205; cui va aggiunta la successiva pubblicazione degli scarabei in pasta: Iocalia Punica 1987, pp. 54-80, tavv. XXI-XXIX; Acquaro 1987b, per quelli in pietra dura, che sono in tutto 58, di cui 49 in diaspro verde: p. 229.

Page 220: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 220 -

collocare il più probabile alternativo centro di produzione, non offrono dubbi sulla

localizzazione anche in Occidente di botteghe.

Il dato qualitativo che permette di individuare in Sardegna il centro produttivo

si fonda sul confronto delle iconografie ricorrenti alla base delle gemme appartenenti

ai due maggiori gruppi di rinvenimenti: quello sardo e quello cartaginese. J.

Vercoutter, editore della prima sintesi sugli scarabei della metropoli nordafricana, nel

1945 notava infatti che se tutti i motivi cartaginesi si riscontravano su quelli sardi,

viceversa lo stesso non poteva dirsi per questi ultimi1081.

Nonostante i due dati godano di un forte valore probatorio, la loro validità è

stata e continua ad essere messa in dubbio in ambito anglosassone, da prima da D.

Harden1082 e in tempi recenti da J. Boardman. Quest’ultimo ha dedicato nel 2003 il

risultato di una ricerca, per sua stessa ammissione ancora allo stato iniziale1083, nel

quale ripropone la questione degli scarabei “greco-fenici”. Paragonando questa al caso

dei cosiddetti sigilli “Lyre Player”, per i quali il maggior numero di rinvenimenti

proviene dalla colonia euboica di Pitecoussa e ne è stata dimostrata la produzione

siriana1084, mostra scetticismo anche nei confronti del rinvenimento in Sardegna di

nuclei di diaspro e strumenti per la lavorazione1085, e della validità della stessa analisi

compiuta nel 1982 su due campioni di pietra grezza rinvenuti nel Mogorese e nell’area

del Monte Arci1086. Lo studioso inglese è infatti incline all’attribuzione di quasi tutta la

fabbrica in diaspro verde ad uno o più centri levantini, concedendo alla Sardegna un

solo gruppo di scarabei in serpentino il cui stile e motivi iconografici non sono attestati

al di fuori dell’isola1087.

L’intera questione appare quindi ancora aperta ed a questa solo la

localizzazione di una bottega, tramite materiale mobile che analisi scientifiche possano

attribuire ad un vicino bacino di raccolta, potrà fornire una seppur parziale

conclusione. A tenere la questione inconclusa contribuisce infatti l’insufficienza delle

analisi chimico-fisiche disponibili. Quella compiuta su due campioni rinvenuti

1081 Vercoutter 1945, p. 344; Moscati, Costa 1982, p. 203. 1082 Per una sintesi dello status questionis aggiornato al 1982 v. ibidem, pp. 203-206. 1083 Boardman 2003, p. 1. 1084 Ibidem, p. 14. 1085 Moscati 1975, p. 130; Moscati, Costa 1982, p. 204; citt. in Boardman 2003, p. 14. 1086 Moscati, Costa 1982. 1087 Boardman 1987, p. 99, tav. LIV, a-d; Boardman 2003, p. 14; tra i quali indica Acquaro 1977a, n. 7, tav. XXI,

della collezione Biggio ed ai quali forse è da attribuire il n. 49 del nostro catalogo .

Page 221: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 221 -

nell’entroterra di Tharros dimostra che il materiale è diaspro per la maggioritaria

presenza di silice o biossido di silicio (SiO2) e di provenienza da giacimento sardo, se

il rinvenimento non fosse sufficiente a dimostrarlo, per relativamente elevata

concentrazione di argento1088. Ma come auspicato allora purtroppo non è stata

compiuta l’analisi su pezzi finiti e tanto meno su eventuali giacimenti nei pressi di

Cartagine, per risolvere la disputa tra i due probabili centri occidentali1089. D’altro

canto le analisi effettuate sui 133 scarabei tharrensi del British Museum1090 hanno

indicato invece che di diaspro non si può parlare, data la forte impurità dei composti

pur sempre a base di silice, ma di Greenstone Facies, a sua volta suddivisa in due

gruppi a seconda della forma microcristallina dei silicati (come la cristobalite nel

gruppo (a) e come il quarzo nel (b)). Il Boardman, come abbiamo già affermato

piuttosto scettico nel localizzare in Sardegna i giacimenti di provenienza di queste

pietre1091, ritiene che le due varietà di pietra verde possano rappresentare insignificanti

differenze locali1092. Ma quel che colpisce maggiormente è la sua posizione nei

confronti delle registrazioni, ad opera di studiosi della seconda metà dell’ottocento

(“overanxious in their attempts to demonstrate local production”1093), di materiali non

finiti e strumenti per la lavorazione a Tharros e Cagliari, considerate da lui troppo

vecchie e non verificabili1094. Lungi dal portare un termine a quella che sembra

diventare una ricerca senza termine, che solo indagini scientifiche più precise potranno

1088 Moscati, Costa 1982, p. 209, il SiO2 è presente in percentuale del 95,66 % e 92,28 % nei due campioni, e

l’Ag rispettivamente 0,0018 e 0,0020 %. 1089 Ibidem, p. 210, A.M. Costa annuncia in questa sede il prossimo (ma non realizzato) compimento di analisi, a

cura dell’Istituto di Mineralogia dell’Università di Cagliari, su di un frammento di scarabeo rinvenuto nella necropoli punica Monte Luna di Senorbì; Moscati 1987, p. 114.

1090 Baynes-Cope, Bimson 1987. 1091 Acquaro 1975a, pp. 52-53, ricorda come i filoni più noti dell’antichità siano localizzati in Egitto (v. il più

recente Aston, Harrell, Shaw 2000, p. 29), dal quale proveniva diaspro verde utilizzato nella produzione di sigilli nell’area fenicia del Tardo Bronzo (Boardman 2003, p. 6, bibliografia a nota 9) e a Cipro, dove Plino registrava una varietà duram glaucoque pingui (Plinio Nat. Hist. XXXVII, 115). Nello stesso luogo l’autore menziona l’etimologia semitica del termine greco ’ίασπις: Acquaro 1975a, p. 53; Acquaro 1984, p. 91; Pacini 2004, p. 91. Sarà necessario includere a scopo di completezza la notizia, data dallo Spano, della presenza di giacimenti di diaspro rosso nell’isola di S. Pietro, distante pochi km di mare a nord di Sant’Antioco: Spano 1857, p. 53, nota 2; Moscati, Costa 1982, p. 208, nota 18.

1092 Boardman 1987, p. 99. 1093 Ibidem, p. 100. 1094 Ib., p. 100, 104, nota 24; le fonti sono: Pais E., (1881). La Sardegna prima del dominio romano. Roma, p.

91; Perrot G., Chipiez C., (1885). Histoire de l’art dans l’antiquité. Vol. III. Parigi, p. 660; Elena P.F., (1868). Scavi nella necropoli occidentale di Cagliari. Roma, p. 36, menziona uno scarabeo non terminato e uno strumento in ossidiana da Cagliari ed un pezzo simile da Tharros; Spano G., (1855). Intaglio degli scarabei. In BAS vol. 1, p. 83 e segg., per non terminati pezzi in corniola e altri materiali; Crespi V., (1868). Catalogo della raccolta di antichità sarde del signor Raimondo Chessa. Cagliari, p. 131, cit. in Acquaro 1975a, p. 52, nota 11.

Page 222: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 222 -

aiutare a completare, sarà doveroso riportare la tesi, condivisa dallo stesso

Boardman1095, per cui nuclei di materia grezza potevano essere importati anche da

lontano, specie viste le minime dimensioni dei pezzi finiti, di modo che i giacimenti

non indicano necessariamente il luogo di produzione. Schegge di lavorazione in

contesto di IV secolo sono note anche a Cartagine da una comunicazione di P. Cintas,

purtroppo non edita correttamente1096, ma considerata dall’autrice che la raccoglie

come la traccia dello spostamento degli ateliers a Cartagine dopo la conquista della

Sardegna.

Prescindendo anche da questo ultimo dato tutto da verificare, l’analisi sugli

aspetti produttivi degli scarabei in pietra dura è condotta praticamente solo su base

stilistica. Lo studio oltre-trentennale condotto da E. Acquaro sulle basi dei sigilli

punici porta ad individuare nei tre maggiori centri fornitori di questi oggetti

(Cartagine, Tharros e Ibiza) gli unici tre probabili ateliers del mediterraneo

occidentale1097. La sua attività di studio delle gemme puniche, disseminata in un

notevole numero di interventi1098, ha portato negli ultimi anni all’individuazione

dell’attività di botteghe sulla base di comuni elementi stilistici e tecnici1099. Le

botteghe afferenti ai tre macro-centri risultano esser state autonome quanto a stile e

tecnica, ma in una generale interdipendenza e scambio di iconografie. Una

osservazione fatta ormai diverso tempo fa da S.F. Bondì, sulle differenti tecniche di

lavorazione impiegate nei centri di Tharros e Cartagine1100, sembra poter godere

tutt’oggi di una certa validità1101: l’uso del trapano tondo nella tecnica definita drill-

hole, ovvero la pratica di fori della grandezza desiderata allo scopo di rendere le parti

1095 Boardman 1987, p. 100, confronta con l’importazione della corniola utilizzata per la coeva produzione

etrusca. 1096 Quillard 1987, p. 129. 1097 Acquaro 2003. Le più ampie sintesi sui materiali di questi centri sono Vercoutter 1945 per Cartagine,

Fernandez, Padró 1982 e Boardman 1984 per Ibiza, mentre manca il materiale di Tharros, disseminato nei musei di Cagliari, Sassari e Londra e altre numerose collezioni pubbliche e private è stato oggetto di puntiformi pubblicazioni, e tanto meno è auspicabile un catalogo omnicomprensivo. I materiali del Museo Nazionale A. Sanna di Sassari sono pubblicati in Acquaro 1987b, e quelli del British Museum in Tharros BM 1987, analizzati dal Boardman: Boardman 1987.

1098 V. bibliografia per quelli citati in questo lavoro. 1099 V. ad es. Acquaro 2003; nonché i vari interventi in Transmarinae Imagines 2003. 1100 Bondì 1975, p. 89 e segg. 1101 Ancora una volta la voce del dissenso viene dal Boardman secondo il quale la “greenstone facies”, rilevata

dalle analisi degli scarabei londinesi, rivela una considerevole varietà di durezza, per cui alcuni si sarebbero potuti lavorare con il solo coltello o con una punta appuntita, senza perciò l’uso del trapano, necessario invece per il diaspro (Boardman 2003, p. 6), che come il quarzo ha durezza 7.

Page 223: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 223 -

anatomiche o i dettagli, appariva precipua della produzione sarda e di quella della

madrepatria fenicia. Questa condizione potrebbe essere la prova della diretta filiazione

della prima dalla seconda, senza il concorso di Cartagine e quindi di una

subordinazione di questa nel quadro della produzione occidentale1102, o più

semplicemente, per dare ragione al Boardman, la prova della provenienza orientale dei

sigilli sardi. Posizioni sicure in merito non sembrano per il momento raggiungibili,

tanto meno appare prossima la possibilità di storicizzare l’intero fenomeno della

produzione glittica occidentale. Per raggiungere tale obiettivo dovrà essere continuata

l’analisi stilistica per l’individuazione delle botteghe e per ottenere seriazioni più

precise, magari supportate dai dati provenienti da nuovi rinvenimenti archeologici in

contesti stratigrafici più affidabili, quali quelli presentati in questo lavoro.

Un ulteriore elemento utile all’individuazione delle botteghe, e sovente

tralasciato nelle edizioni grafiche dei reperti, è il dorso degli scarabei. Il Boardman

non ritiene dal canto suo che possa essere un migliore indicatore di cronologia,

provenienza o magari di bottega, data la conservatività di quest’arte, pur tuttavia

qualsiasi discrepanza con i tipici trends della produzione può essere indizio di

contraffazione1103. Egli ricorda infatti come la produzione etrusca sia caratterizzata

dalla decorazione ai lati del plinto su cui poggia il coleottero, quella greca da un dorso

dal profilo molto sporgente o piano1104, mentre su gran parte di quelli punici ha

riscontrato quello che definisce il “pinched-back”, una piccola sporgenza ottenuta

attraverso due piccoli tagli ai lati della linea mediana che separa le elitre1105. Questo

elemento, sebbene non osservabile per carenza di rappresentazione fotografica, è stato

dallo studioso stesso riscontrato su alcuni scarabei orientali quale elemento comune

della produzione. Per questo motivo, e allo scopo di poter riscontrare ulteriori elementi

di confronto o dettagli utili ma non ancora individuati, si può ritenere che la maggior

disponibilità immagini possibili renda una edizione più completa e apprezzabile dalla

comunità scientifica. Con questo intento sono presentate le immagini fotografiche

degli scarabei sulcitani in questo lavoro.

1102 Bondì 1975, pp. 96-97. 1103 Boardman 2003, p. 7. 1104 Per la tipologia dei dorsi degli scarabei greci ed etruschi v. Boardman 1968, pp. 13-17. 1105 Boardman 2003, p. 7.

Page 224: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 224 -

Per quanto concerne lo sviluppo delle indagini future anche la ricognizione

degli aspetti dorsali degli scarabei potrà offrire un contributo all’indagine, pur sempre

subordinata a quella delle figurazioni alla base. Il corpus degli scarabei fenici classici

curato dal Boardman, presso il dominio web dell’Archivio Beazley dell’Ashmolean

Museum di Oxford1106, offre un facile accesso ad una documentazione altrimenti

dispersa, ma manca nella stessa progettazione delle immagini dei dorsi.

Il secondo materiale per frequenza utilizzato nella glittica punica in pietra semi-

preziosa è la corniola, una pietra traslucida rosso-arancio, come il diaspro variante del

calcedonio a sua volta forma microcristallina di quarzo1107. Il colore rosso è dato dalla

presenza in traccia di ossidi o idrossidi di ferro, mentre una tonalità più intensa poteva

essere ottenuta riscaldando la pietra, procedimento già noto agli antichi1108. Della

fortuna di questa pietra nella glittica Plinio dava una giustificazione sostenendo che

fosse la sola alla quale non rimaneva attaccata la cera dopo l’apposizione del

sigillo1109. Presso gli egizi era ritenuta preziosa al pari dell’argento, del lapislazzuli e

del turchese. Questi sfruttavano giacimenti presenti in Nubia e nel deserto orientale1110

e la chiamavano herset (= tristezza)1111.

La presenza minoritaria della corniola tra le pietre utilizzate nella glittica

punica1112 è senz’altro motivo dello scarso interesse nei confronti della ricerca di

possibili luoghi di approvvigionamento. D’altronde lo stesso scarso utilizzo della

pietra suggerisce che la materia prima non dovesse essere a facile portata, onde per cui

l’importazione di essa, magari dallo stesso Egitto, se non addirittura di prodotti finiti,

sembra un’ipotesi plausibile. In questa condizione la produzione punica troverebbe un

parallelo in quella etrusca coeva che importava lo stesso materiale per farne un uso

1106 CPCS. 1107 Baynes-Cope, Bimson 1987, p. 106. 1108 Aston, Harrell, Shaw 2000, p. 27; Pacini 2004, p. 92. 1109 Plinio Naturalis Historia, XXXVII, 105 e segg, cit. in Vercoutter 1945, p. 75. 1110 Aston, Harrell, Shaw 2000, p. 27. 1111 Gardiner 1927, p. 582. Il termine assume un doppio significato in età tarda a causa della dicotomia che per

gli egizi era insita nel colore rosso: legato da una parte al sangue e all’energia positiva e dall’altra al dio della tempesta e del disordine Seth: Andrews 1994, p. 102.

1112 Si forniscono alcune cifre indicative: tra gli scarabei di Tharros al British Museum la corniola figura con 8 esemplari contro i 62 in “diaspro” (Baynes-Cope, Bimson 1987), mentre tra quelli del Museo Sanna di Sassari, per la quasi totalità tharrensi il rapporto è di 4 : 49, e risulta sempre la seconda per frequenza: Acquaro 1987b, p. 229. Un rapporto simile d’altronde si evince dai pochi scarabei rinvenuti a Sant’Antioco (tab. 8): 2 in corniola contro 16 in diaspro.

Page 225: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 225 -

quantitativamente ben più rilevante1113. La corniola d’altronde percorreva traffici a

lunghissima distanza già nel III millennio, partendo da centri di produzione e

smistamento localizzati nella valle dell’Indo e in Iran1114, e una dimostrazione che gli

stessi lapicidi operassero su due diverse pietre, diaspro e corniola nel nostro caso, è

confermato dal confronto del n. 50 del nostro catalogo in corniola con uno scarabeo in

diaspro di Ibiza1115: i due sono stati eseguiti dalla stessa mano.

Un ulteriore indizio della preziosità presso i punici di questa pietra possono

essere considerati i vaghi di collana, realizzati in una gamma ridotta di forme

(principalmente a barilotto, sferici e cilindrici) a volte montati singolarmente con un

filo d’oro come fossero semplici pendenti o amuleti1116. Il fatto che venissero utilizzati

gli stessi vaghi usati altrove in collane e che la montatura non sia certo di elevato

livello tecnico dimostra da un lato come questi circolassero sotto forma di pezzo finito,

essendo ragionevole pensare che, se vi fosse stata la possibilità, sarebbe stata scelta

un’altra forma, e dall’altro come questi pendenti “improvvisati” fossero oggetto di un

artigianato di secondo livello, senz’altro diverso da quello degli scarabei, e magari

anche di un mercato di seconda mano.

Il serpentino è la pietra alla quale dubitativamente assegniamo il n. 49 del nostro

catalogo, per analogia con il tema iconografico e aspetto stilistico di una classe

riconosciuta dal Boardman1117, alla quale egli attribuisce, pur in mancanza di analisi

chimiche ed esame autoptico, lo scarabeo in pietra cinerognola della collezione

Biggio1118. Per la precisione gli esemplari tharrensi al British Museum appartengono

ad una varietà di serpentino chiamata clinocrisotile, un idrossido di silicato di

magnesio (Mg3 Si2 O5 (OH)4)1119. Il serpentino è tuttavia di colore verde, pur nelle sue

varianti, e deve il suo nome alla credenza che curasse dai morsi di serpenti: già dal

periodo tardo in Egitto era la principale pietra con cui erano realizzati i “cippi di

1113 Boardman 1987, p. 100. 1114 Pacini 2004, p. 93. Per i traffici di pietre rosse tra Cartagine e l’interno dell’Africa v. Desanges 1978, p. 57,

nota 38. 1115 Cfr. § 4.3.2. 1116 Per alcuni esemplari sardi v. Iocalia Punica 1987, nn. D 24-26, tav. XXXII; Pisano 1987a, n. 29/9, p. 82, tav.

XXXIX; da Ibiza: Almagro Gorbea 1986, nn. 237-238, pp. 194-195, tav. LXXIII. 1117 Boardman 1987, p. 99, tav. LIV, a-d; Boardman 2003, p. 14. 1118 Ibidem; Acquaro 1977a, n. 7, tav. XXI; CPSC, n. 40/19. 1119 Baynes-Cope, Bimson 1987. Il serpentino è particolarmente tenero: ha durezza compresa tra 2,5 e 4.

Page 226: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 226 -

Horus”, tipi di stele magiche che proteggevano dai morsi di animali velenosi1120. Il

basso grado di durezza di questa pietra (2,5 – 4) la rende inoltre facilmente lavorabile.

Per quanto concerne Sant’Antioco sarà necessario tenere conto della seguente

tabella che comprende gli scarabei editi e inediti:

n. Pietra Provenienza Motivo alla base Bibliografia

1. Diaspro Necropoli Bes con due serpenti Uberti 1971, tav. XLIV, 5-6

2. Diaspro ? Personaggio regale su trono Acquaro 1977a, tav. XIX, 1

3. Diaspro ? Vacca con vitello Acquaro 1977a, tav. XIX, 2

4. Diaspro ? Guerriero in difesa con scudo, lancia e clamide Acquaro 1977a, tav. XIX, 3

5. Diaspro ? Guerriero inginocchiato in difesa con scudo a faccia di Bes, lancia, elmo crestato e clamide

Acquaro 1977a, tav. XX, 4

6. Diaspro ? Atleta appoggiato ad asta con aryballos Acquaro 1977a, tav. XX, 5

7. Diaspro ? Personaggio incedente che porta coppa alle labbra Acquaro 1977a, tav. XXI, 6

8. Diaspro ? Personaggio femminile orante inginocchiato con sfera tra le mani

Acquaro 1977a, tav. XXII, 8

9. Serpentino? ? Bovide o equide inginocchiato Acquaro 1977a, tav. XXI, 7

10. Corniola ? Centauro con ramo Acquaro 1977a, tav. XXII, 9

11. Diaspro Tophet Sistro hathorico con corona e urei discofori Bartoloni 1973, tav. LXIII, 9

12. Diaspro Tophet Testa di negro Bartoloni 1973, tav. LXIII, 10

13. Diaspro Tophet Parte posteriore di leone accovacciato Bartoloni 1973, tav. LXIII, 11

14. Diaspro Tophet Non leggibile Bartoloni 1973, tav. LXIII, 12

15. Diaspro Tophet ? Personaggio su trono con scettro e thymiaterion Hölbl 1986, tav. CLIV, 1

16. Serpentino? Tomba 6 PGM Leone rotolante e retrospiciente Nostro catalogo n.

49

17. Corniola Tomba 6 PGM Efebo in corsa con ramo e fiore Nostro catalogo n.

50

18. Diaspro Tomba 9 AR Arciere che testa la sua freccia con arco ed elmo Nostro catalogo n. 65

19. Diaspro Tomba 9 AR Orante inginocchiato con oggetto tra le mani Nostro catalogo n. 66

20. Diaspro Tomba 9 AR Iside che allatta Horus con ala destra abbassata Nostro catalogo n. 67

Tabella 8. Scarabei in pietra dura da Sulcis.

1120 Osiris 1984, n. 52, p. 68. Per le fonti di approvvigionamento in Egitto v. Aston, Harrell, Shaw 2000, p. 56.

Page 227: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 227 -

La tabella evidenzia nella prima colonna le materie utilizzate nella produzione

degli scarabei in pietra dura rinvenuti a Sant’Antioco. Da ciò si nota la maggioritaria

frequenza del diaspro verde, o più cautamente della pietra verde: ben 16 su 20 oggetti.

Questo rapporto si conforma all’evidenza fornita da Tharros, suggerendo se non

proprio l’importazione degli oggetti da questo centro almeno la preferenza accordata

agli stessi materiali di un’analoga facies culturale. Il giudizio di S. Moscati espresso

quasi vent’anni fa sull’importazione, in particolare da Tharros, di oggetti di questa

classe artigianale1121 appare ancora valido per una serie di motivi: il numero quasi

irrilevante di attestazioni se confrontato con le cifre note o presunte di Tharros; il

riscontro delle stesse iconografie e, se non bastasse, degli stessi attributi stilistici

nell’ambito della produzione sarda. Unico caso, nello specifico di un motivo

estremamente insolito, è quello dello scarabeo in corniola della tomba 6 PGM (tab. 8,

n. 17), che trova riscontro in una sola gemma di Ibiza1122, ma la cui montatura a staffa

in oro suggerisce il passaggio per Tharros. In due casi invece (tab. 8, nn. 4-5) è

possibile riconoscere l’appartenenza ad una medesima bottega, i cui prodotti si trovano

anche a Tharros in pari numero1123.

Ancora dalle scoperte più recenti e dalle menzioni di autori del secolo XIX1124,

pur nella ragionevole dubitatività1125, appare l’evidenza di Sulcis come un centro che

di scarabei facesse un uso estremamente limitato. In linea con questa evidenza si pone

anche Monte Sirai1126, che con Sulcis doveva essere in rapporto di dipendenza

commerciale, e non solo. Onde per cui la localizzazione di una bottega lapicida

nell’antica Sulcis non può essere ancora minimamente affermata.

5.2.3. FAÏENCE E STEATITE

La faïence è un materiale ceramico non-argilloso invetriato costituito principalmente

di silice (SiO2), ossido di calcio (CaO) e alcali. Il suo uso è noto in Egitto già dal

periodo Predinastico (ante 3150 a.C.), da cui il nome Egyptian faience per distinguerlo

1121 Moscati 1988a, pp. 117-120; 1122 Cfr. § 4.3.2. 1123 V. § 2.1., nota 233. 1124 Spano 1857, p. 54, nota 1. 1125 Ibidem, pp. 53-54, lo Spano nota la grande quantità di pietre incise (di cui fornisce un esempio grafico,

rappresentante forse una gemma romana), ma asserisce anche la mancanza di scarabei che nello stesso tempo affioravano copiosamente dagli scavi di Tharros: v. quanto menzionato in § 1.2.

1126 Bondì 1975.

Page 228: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 228 -

dalla più tarda ceramica di Faenza, meglio nota come maiolica, il cui rivestimento era

costituito da un vetrina a base di stagno ed il nucleo di consueto materiale argilloso1127.

I suoi componenti principali coincidono, sebbene in quantità differenti, con quelli del

vetro (di cui si tratterà più avanti) e di un altro composto noto come blu egizio

(egyptian blue), nella composizione del quale poteva essere presente un’alta

concentrazione di rame. I tre materiali sono comunque da tenere distinti e da non

considerare come fasi di una stessa lavorazione1128, sebbene piccole variazioni nella

composizione potessero portare a materiali molto simili tra loro.

La faïence è costituita da un nucleo ottenuto cuocendo insieme silice, ossido di

calcio e soda. La prima forniva la massa del nucleo ed era ottenuta dalla macinazione

di cristalli di quarzo o dalla sabbia del deserto, abbondante in Egitto ma contenente al

suo interno anche altre sostanze, utili al processo di vetrificazione, o impurità dannose.

L’ossido di calcio o calce poteva essere ricavato dall’arenaria e dal gesso, o essere

inconsciamente aggiunto perché incluso tra le impurità della sabbia, mentre la soda

(Na2O) forniva gli alcali utili ad abbassare il punto di fusione del composto e

permetterne una lavorazione a basse temperature ed era ricavata dal natron, un

composto naturale disponibile nello wadi Natrun, un’oasi naturale a ovest del delta, e

nell’area di Elkab, a sud di Tebe nell’Alto Egitto1129. Sia la calce che la soda avevano

lo scopo di cementare insieme i grani di quarzo al momento della seccatura del

composto. Il processo di lavorazione, come sperimentato in laboratorio e sintetizzato

dagli studiosi, prevedeva il conferimento al nucleo della forma desiderata tramite

modellazione a mano libera, impressione in matrice o tramite tornitura, e successiva

abrasione a freddo della superficie1130. Ottenuta la forma seguiva l’invetriatura

proposta nei tre possibili e non alternativi procedimenti di efflorescenza, cementazione

e applicazione. Il primo metodo era ottenuto mescolando ai quarzi del nucleo sali

alcalini, che durante l’essicazione avrebbero raggiunto la superficie dell’oggetto

formando uno strato biancastro e, dopo la cottura, l’invetriatura supeficiale1131. Sul

pezzo finito il procedimento è riconoscibile dall’assenza di invetriatura lungo i bordi o

1127 Nicholson, Peltenburg 2000, p. 177. 1128 Ibidem, p. 178. 1129 Ib., p. 187. 1130 Ib., pp. 188-189. 1131 Ib., p. 189.

Page 229: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 229 -

nelle zone concave e ancora nel punto sul quale questo era poggiato ad asciugare1132.

La cementazione era invece ottenuta immergendo il nucleo in una polvere invetriante,

che sottoposta ad alta temperatura si fondeva all’oggetto per reazione chimica tra la

polvere e la superficie di esso. Sebbene il procedimento richieda un maggior tempo di

esposizione al fuoco si otteneva un rivestimento costante su tutta la superficie1133. Il

terzo metodo è l’applicazione di un impasto fluido, composto di silice, calce ed alcali

misti ad acqua, sul pezzo tramite immersione, gocciolatura o pennello.

La materia così ottenuta era impiegata in Egitto principalmente per la

produzione di vasellame, piccole statuette, amuleti e scarabei. Dal Terzo Periodo

Intermedio in poi (circa 1000 a.C.) erano attivi almeno tre centri di produzione e tutti

localizzati nel Delta: Naukratis, Memphis e Buto, individuati per la presenza di forni e

di altre tracce di lavorazione1134. L’ultimo sito tuttavia ha fornito queste ultime solo in

relazione alla produzione di vasellame.

In ambito fenicio-punico la faïence, oltre ad essere di una qualità ben inferiore,

è attestata nella sola produzione di amuleti, e per lo più solo di quelli egittizzanti.

L’osservazione delle tipologie e della loro distribuzione non offre dubbi che anche in

Occidente fosse localizzato un centro di produzione di faïence, ma la terminologia in

uso nelle pubblicazioni di amuleti sino a tempi molto recenti non consente di operare

una sintesi completa delle tecniche utilizzate o note agli artigiani punici1135. Solo nel

2004 è infatti stato introdotto il termine faenza silicea, come traduzione di faïence e

compromesso tra questo e il termine “pasta silicea”, in occasione dell’edizione di

alcuni amuleti conservati presso il Museo Comunale di Sant’Antioco e delle prime

analisi microscopiche compiute su amuleti punici1136. Gli oggetti sottoposti ad analisi

sono di provenienza tharrense mentre per quelli di Sulcis non è stato possibile ricorrere

all’osservazione scientifica, per cui nel catalogo si fa esclusivo riferimento

1132 Ib.. 1133 Ib., p. 190. 1134 Ib., p. 185-186. 1135 Si può tuttavia ragionevolmente ritenere che i termini “pasta silicea”e “pasta di talco” o “talcosa”, utilizzati

nelle principali edizioni italiane di amuleti (v. ad es. le principali: Acquaro 1977b; Acquaro 1982), corrispondano a faïence o faenza silicea e alla steatite (sebbene sia spesso usato anche il termine steatite). Meno utili sono le indicazioni in Vercoutter 1945, pp. 288-301, che usa “pate dure” e “pate friable”, mentre più affidabilità offre il catalogo degli amuleti di Ibiza (Fernandez, Padró 1982), che opera distinzione tra “pasta vidriada” e “esteatita”. L’analisi microscopica sarebbe tuttavia necessaria per dare coesione a questo patrimonio terminologico.

1136 Savio, Lega, Bontempi 2004, p. 141.

Page 230: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 230 -

all’eventuale presenza di smalto, ma nonostante ciò il contributo rimane di estremo

interesse. Questo ha permesso infatti di riconoscere entro 16 amuleti di produzione

punica, o per lo meno fenicia orientale1137, due gruppi distinti in base alla materia

utilizzata1138: il primo è costituito interamente da prodotti in faïence o faenza silicea,

per i quali si propone la foggiatura a stampo senza che però siano state indagate

ulteriormente le tecniche di invetriatura, ad eccezione del n. B, nel quale una macchia

di colore azzurro costituisce una traccia di “autosmaltatura” (v. efflorescenza sopra

descritta), non perfettamente riuscita1139. Il secondo gruppo è costituito invece da

oggetti in materiale lapideo, composti principalmente da silicati di magnesio,

assimilabile all’ensteatite o alla clinosteatite. Il primo di questi è solitamente ottenuto

tramite cottura della steatite, una pietra tenera disponibile in natura, allo scopo di

renderla più tenace o a seguito del processo di invetriatura1140. Per questi motivi

l’applicazione della vetrina sul corpo dell’amuleto o dello scarabeo, tramite

gocciolatura o con pennello, sembra il procedimento più adatto ad entrambi i tipi di

manufatti, quelli in faïence e in steatite. A questi poteva in definitiva anche essere

applicato del semplice colore non invetriante.

Gli scarabei egiziani o egittizzanti diffusi in tutto il mediterraneo nel corso del I

millennio sono per la maggior parte eseguiti in faïence e secondariamente in steatite e

fritta1141. Tra la Sardegna e Cartagine è stata riconosciuta l’attività di botteghe puniche

che trasponevano su scarabei in faïence motivi sia egittizzanti e geroglifici che di

ispirazione greca1142, trovando quindi un pendant alla coeva produzione in pietra dura.

I tre tipi individuati (types XXXVII-XXXIX) sono ampiamente attestati in Sardegna,

1137 Il n. Q (ibidem, n. Q, p. 127, fig. 15) è a nostro avviso di fabbrica levantina perché appartenente ad una

tipologia ivi diffusa e scarsamente attestato in Sardegna e Cartagine, dove si rinviene in contesti arcaici, quando riconoscibili.

1138 Ib., p. 141, primo gruppo: nn. B-F, H, O-Q e secondo gruppo: A, G, I-N, R. 1139 Ib., p. 141, fig. 25. Altri punti analizzati nel dettaglio hanno permesso di riconoscere di materiali amorfi,

come la fritta nei campioni D-F (p. 146), che potrebbe indicare ancora un non perfetto utilizzo delle tecniche di invetriatura.

1140 Baynes-Cope, Bimson 1987, p. 106, per gli scarabei di Tharros al British Museum; proposto anche in Savio, Lega, Bontempi 2004, p. 141.

1141 Feghali Gorton 1996, pp. 2-3. Nota l’uso nel testo di composition per faïence. Secondo l’autrice circa il 25% degli scarabei rinvenuti in Occidente erano realizzati in fritta o coloured pastes (p. 3).

1142 Ibidem, pp. 132-137, “Group 7, Late Punic Workshops”.

Page 231: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 231 -

ma gli ultimi due in particolare, e molto limitatamente, anche a Sulcis o nelle sue

vicinanze1143.

Fonti di approvvigionamento dei materiali utili alla produzione di amuleti e

scarabei in faïence o pietra erano senz’altro presenti nell’isola ma non sono state

oggetto di ricerca particolare per quanto concerne il periodo che stiamo trattando. In

età tardo-antica, quando si può riconoscere in Sardegna l’attività di botteghe

specializzate nell’arte vetraria, le materie utilizzate provenivano o dovevano essere

reperite nei pressi1144. La facile disponibilità della materia prima o la grande richiesta

di questo tipo di beni, o le due possibilità insieme, ben giustificano il sorgere di una

produzione sul luogo e in Sardegna nel nostro caso.

La steatite, varietà compatta del talco (Mg3 Si4 O10 (OH)2)1145, era senz’altro

disponibile nell’isola e poteva essere reperita presso cave di talco note nel nord

dell’isola, in due località non meglio precisate: una presso il Monte Plebi

nell’entroterra di Olbia e l’altra a Poglina (SS), lungo la costa nord-occidentale,

qualche km a sud di Alghero1146. Queste tuttavia, sulla base della distribuzione di

manufatti di varia natura nel comprensorio, non sembrano essere state attive nel

periodo che ci interessa, ma limitatamente al neolitico e non oltre l’eneolitico finale

per il secondo1147. Una cava di talco è anche presente sulla costa meridionale presso

Capo Teulada e quindi nel Sulcis a qualche decina di km da Sant’Antioco1148. Sulla

base del criterio utilizzato per i due precedenti giacimenti non sembra fosse nota in età

preistorica, mentre in età fenicio-punica la distribuzione dei manufatti in steatite indica

nel Sulcis la maggiore concentrazione e quindi l’utilizzo di un giacimento in esso

compreso per l’approvvigionamento della materia prima. Si può notare la debolezza di

una tale deduzione quando fosse dimostrata la funzione di Tharros come unico o

almeno principale centro di irradiazione di manufatti in steatite, seppure in posizione

1143 Ib., p. 135, type XXXVIII, n. 10 (da Monte Sirai), e type XXXIX, n. 8 (da Tharros), con motivo identico a

Uberti 1971, n. 20, p. 296 e segg., in “pasta silicea smaltata, fine e compatta, turchese”. 1144 V. § 5.2.4. 1145 Baynes-Cope, Bimson 1987, p. 106. 1146 Canino 1998, pp. 151-152, fig. 4, B-C. 1147 Ibidem, pp. 151-152, fig. 2, a-b. 1148 Ib., p. 144, 153, fig. 4, D. Dava notizia della presenza di cave di marmo sfruttate dai romani in località

Zafferanu gia G. Spano in BAS vol. 2 (1856), p. 16; cave puniche di materiale non indicato in località Piscini in Barreca 1986, p. 322; sulla presenza di resti pertinenti ad un centro di probabile fondazione fenicia v. Barreca 1974, pp. 23-24, 226-227; sui resti di sepolture e strutture sicuramente attribuibili ad età punica v. da ultima Cecchini 1969b, pp. 100-101 (Capo Teulada).

Page 232: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 232 -

decentrata nei confronti del Sulcis. In questo periodo infatti, e in generale durante tutto

il corso della storia antica della Sardegna, il principale luogo di approvvigionamento di

questa materia prima pare siano state le cave presenti nel territorio di Orani (NU). A

capo di questo comprensorio, ancora durante tutto il I millennio a.C., il nuraghe

Nurdole ospitava “un’aristocrazia militare e religiosa [che] controlla[va] la produzione

primaria e secondaria [e tra questa quella dello sfruttamento delle cave di talco], ne

centralizza i frutti esibendo pubblicamente tale capacità e dirigendo processi di

redistribuzione e circolazione della ricchezza […]1149”. Tharros sembra naturalmente

privilegiata nei contatti con questa regione tramite la via diretta del Tirso, ma non

dovrà essere sottovalutata la possibilità dello sfruttamento della cava di Teulada per

l’eventuale localizzazione a Sulcis di botteghe: d’altra parte la calce ivi reperita poteva

assumere largo impiego nell’edilizia per i rivestimenti di muri e pavimenti, cosa che ne

giustificherebbe la conoscenza e lo sfruttamento per uso diverso da quello della

produzione di amuleti.

Per quanto concerne gli altri amuleti e scarabei da Sulcis, si rileva la grande

varietà di tecniche e risultati che normalmente ci si aspetterebbe da una produzione

che copre un arco di tempo di quasi quattro secoli (dal VI al III) ed alla quale non può

essere assegnato un unico centro. Nella generale appartenenza, per lo più, alla classe

della faïence o pasta silicea si possono distinguere diversi risultati tecnici che

meriterebbero senz’altro di un analisi microscopica approfondita. Quanto desumibile

dalle immagini da noi realizzate a grande risoluzione sugli amuleti e scarabei allora

conservati presso i locali della Soprintendenza a Sant’Antioco e provenienti dalle

tombe recentemente scavate nello stesso centro, si realizza qui in alcune osservazioni

preliminari.

Gli amuleti-ureo della tomba 5 PGM (nn. 23-27) presentano un nucleo

compatto apparentemente in materiale lapideo rivestito da un’invetriatura, ormai

opacizzata e bianca o incolore, fortemente legata al nucleo. Alcuni lacerti sui nn. 23-24

indicano che gli amuleti dovessero essere inizialmente coperti di colore verde,

applicato però secondariamente al rivestimento. I tre udjat (nn. 28-30) che con i

precedenti componevano una collana presentano le stesse identiche caratteristiche e

1149 Madau 1997, p. 74.

Page 233: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 233 -

possono molto probabilmente attribuirsi alla stessa bottega. Il pateco (n. 31),

appartenuto alla stessa deposizione, presenta colorazione verde opaca su tutta la

superficie, ma non siamo in grado di stabilire se il nucleo sia in faïence o pietra,

sebbene gli spigoli, quando sia netti che smussati, possano suggerire il lavoro di un

intagliatore di pietra molto preciso. Diverso invece è il discorso per lo scarabeo n. 32

con geroglifici alla base. Questi sono ben delineati, pur nel generale corsivismo, così

come l’intaglio del dorso che si presenta molto vicino agli originali egizi, ai quali non

è escluso possa appartenere. Il materiale lapideo gessoso non è smaltato ma presenta

labili tracce di pittura verde in più punti scolorita, la mancata esposizione al fuoco può

quindi spiegare l’apparente tenerezza della pietra.

Analoghe considerazioni potrebbero essere affrontate per gli altri oggetti da noi

esaminati e rinvenuti nelle altre tombe sulcitane, ma alcuni amuleti emergono per

particolari caratteristiche tecniche. In particolare l’amuleto a forma di leone

accovacciato dalla tomba 9 AR (n. 62), che per motivi stilistici abbiamo imparentato

con simili amuleti di fabbrica naukratita diffusi anche a Cartagine, appare composto di

faïence, o forse anche fritta, molto consunta di colore turchese che ricorda da vicino

quella egizia. I due dati non fanno che confermare l’ipotesi che si tratti di un prodotto

di importazione. Diverso è invece il caso dei quattro amuleti della tomba 10 AR (nn.

69-73), appartenenti al corredo dell’unica deposizione del vano di destra dell’ipogeo,

raffiguranti due udjat e due pateci. Sebbene non presentino particolari divergenze

tipologiche con gli altri da noi esaminati, si presentano alla vista come composti di una

faïence verde brillante ottimamente riuscita. La superficie è perfettamente invetriata su

tutto il corpo, tale da far ritenere che in questo caso la tecnica di rivestimento utilizzata

possa essere stata la cementazione.

L’ipotesi di una localizzazione a Sulcis della produzione di amuleti è stata

espressa anche se non compiutamente da P. Bartoloni nel 19731150. In occasione della

pubblicazione dei primi amuleti rinvenuti nel tophet di Sant’Antioco lo studioso

rilevava la scadente qualità della gran parte degli oggetti e, in uno stadio delle

conoscenze che non consentiva di distinguere tra amuleti egiziani e tra quelli

egittizzanti punici, deduceva che data la facile accessibilità alla produzione egiziana,

1150 Bartoloni 1973, p. 183.

Page 234: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 234 -

dove i mercanti fenici avrebbero avuto grandi possibilità di scelta, difficilmente

avrebbero ivi acquistato prodotti di così basso livello qualitativo1151. Il confronto delle

tipologie puniche, ora sufficientemente note, con quelle di sicura produzione egizia, da

ragione a questo assunto fornendo la visione generale di una produzione punica

occidentale debitrice dei modelli egizi ma fondamentalmente autonoma quanto a

realizzazione. L’aggettivo “locale” nella preposizione di P. Bartoloni stava quindi a

rappresentare questa autonomia nei confronti di quanto proveniva dall’Egitto ed il

riferimento “ad un commercio e ad un consumo interni”1152, senza che si potesse dare

una fisionomia precisa al centro di produzione e tanto meno un’indicazione

cronologica dell’inizio di questa. Si ritiene oggi che una produzione propriamente

punica di amuleti abbia inizio con il V secolo e forse anche con la fine del precedente,

come dimostrato dalle tipologie riscontrate in Spagna1153 e dai recenti scavi in

Sardegna1154, in coincidenza quindi con l’inizio del controllo politico e commerciale di

Cartagine nel mediterraneo occidentale e della produzione sarda di scarabei. Per

analogia con quest’ultimo dato si è teso ad individuare in Tharros anche l’origine di

questa classe di ornamenti e così, una volta edita la documentazione del centro

oristanese (o almeno quella attribuita ad esso)1155, e fatto salvo il gusto popolaresco

della documentazione sulcitana nota, il termine “locale” ha assunto un’accezione più

ristretta, designando la possibilità che alcuni amuleti in faïence e steatite di tipo

egittizzante fossero realizzati a Sulcis1156.

Nel complesso gli amuleti da noi esaminati, nonché gli scarabei, con datazione

compresa nel V secolo, si allineano ai trends della produzione attribuita a Tharros1157 o

altro centro del mediterraneo occidentale, e non sono immuni da una certa generale

rozzezza e schematismo. Ma caratteri difformi sembrano risultare dai reperti più tardi,

e che per aspetti tipologico-stilistici sono stati datati ai secoli IV e III. Ci riferiamo in

particolar modo agli amuleti della collezione Lai provenienti dal tophet e recentemente

1151 Ibidem. 1152 Ib. 1153 Padró 1991, p. 72. 1154 Campanella, Martini 2000, p. 51. 1155 Acquaro 1975b; Acquaro 1977b; Acquaro 1982. 1156 Moscati 1986a, p. 257; più esclusivo il giudizio in Moscati 1988a, pp. 114-115, in cui rimanda

tassativamente a Tharros come centro di produzione, o almeno di raccolta e smistamento, e dato il carattere marginale delle eventuali produzioni sulcitane asserisce come queste non meritino neppure la definizione di officine locali.

1157 Ad es. Moscati 1996a, p. 121.

Page 235: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 235 -

editi1158 ed a quelli provenienti dalla necropoli, anch’essi editi di recente seppur non

integralmente1159. Facendo specifico riferimento alla tipologia più rappresentata, quella

dei pateci, la collezione Lai offre diversi esemplari “frutto delle più profonde

schematizzazioni del tipo” che trovano quantitativamente scarsi confronti nella

collezione del Museo di Cagliari e ad Ibiza1160. Lo stesso dato acquisisce maggior

forza se vi si aggiungono gli amuleti della necropoli1161: qui il tipo del pateco dalla

resa schematica, i cui volumi sono conferiti dall’incrocio di solcature senza fori

passanti, è presente con ben 36 esemplari. Anche il tipo dell’udjat, tra i più frequenti in

assoluto tra gli amuleti, nella sua resa compendiaria trova una forte attestazione nella

collezione Lai1162 e quasi nulla nel museo cagliaritano1163. Il dato quantitativo qui

esposto andrà confrontato con quello fornito da altre tipologie, il quale potrebbe

risultare meno indicativo data la loro minore attestazione. Quanto tuttavia sembra

emergere da questi dati è che la maggiore concentrazione a Sulcis degli amuleti più

tardi, perché frutto di “evoluzione” in direzione compendiaria, contro la localizzazione

a Tharros del principale centro di produzione, almeno nella fase iniziale, potrebbe

indicare lo spostamento o la nascita a Sulcis di una o più botteghe in grado di

rivaleggiare con esso nel corso del IV o del III secolo1164. In tale modo si

manifesterebbe ulteriormente quella differenza di gusto e committenza che era colta e

di alto livello a Tharros e più popolare a Sulcis. L’ipotesi di lavoro qui proposta

necessità comunque di essere verificata da un esame puntuale sugli oggetti1165, il quale

possibilmente faccia ricorso ad analisi di laboratorio.

1158 Martini 2004. 1159 Savio, Lega, Bontempi 2004, pp. 127-140. 1160 Martini 2004, p. 24, nota 23, ricorda che alcuni amuleti conservati a Cagliari, in mancanza di indicazioni

precise, potrebbero essere stati originariamente rinvenuti a Sant’Antioco. Al Museo Sanna di Sassari il tipo schematizzato senza fori passanti, eccetto quello di sospensione, è rappresentato da un solo esemplare e per di più senza indicazione di provenienza: Acquaro 1982, n. 119, p. 31, tav. VII.

1161 Savio, Lega, Bontempi 2004, p. 149, nn. 11-46. 1162 Martini 2004, nn. 86, 88-126, pp. 42-43, tavv. XII-XVII. 1163 Acquaro 1977b, n. 442, tav. XVII, unico amuleto paragonabile e senza indicazione di provenienza. A Sassari

il tipo si riscontra invece in 4 esemplari di Tharros: Acquaro 1982, pp. 24-25, nn. 58, 62-64, tav. III. Va notata la presenza anche a Cartagine di questo tipo di amuleto: Redissi 1991a, pp. 104-105, tav. III, 22.

1164 Mutamenti di produzione sono avvertibili anche in riferimento ad un’altra categoria artigianale di Tharros, quella delle terrecotte a stampo, che proprio dal IV secolo risente di forti influssi ellenizzanti: Moscati 1993a, pp. 27-36.

1165 Altra possibilità potrebbe essere la più stretta dipendenza di Sulcis in questa fase da un altro centro produttore o smistatore di amuleti, come doveva essere al di fuori della Sardegna ad esempio Cartagine: per quattro pateci schematizzati da quest’ultimo centro v. Gubel 1987, pp. 23-24, nn. 4-7.

Page 236: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 236 -

5.2.4. VETRO O PASTA VITREA

Il vetro è un composto artificiale composto da tre tipi di gruppi di elementi, che come

per la faïence sopra descritta, sono silicati, ossidi di calcio e alcali con le stesse

proprietà e finalità trattate in precedenza. Gli antichi, e Plinio che ne riporta la

voce1166, attribuivano la sua invenzione proprio ai fenici, ma sebbene tale notizia sia

contraddetta dai dati archeologici che ne registrano la comparsa in Mesopotamia alla

fine del III millennio1167, questa è senz’altro testimonianza del ruolo ricoperto da

queste genti nella produzione e se non altro nella diffusione dei prodotti.

Il tema della produzione di questo materiale ha goduto presso gli studi di

antichità di una maggior fortuna rispetto alla faïence in virtù della sua più vasta

distribuzione sia spaziale che cronologica. Nell’ambito degli studi fenicio-punici

manca tuttavia la disponibilità di un quadro completo che comprenda le varie categorie

di oggetti realizzate in questo materiale e che permetta di riconoscerne i centri di

produzione, le finalità e le modalità di scambio1168. Il motivo di ciò risiede nella

frammentarietà e parzialità della documentazione disponibile, che ha determinato

inoltre la settorialità degli studiosi che ai manufatti vitrei si sono dedicati. I principali

prodotti diffusi in ambito fenicio-punico sono infatti gli unguentari o piccoli

contenitori ad imitazione della più grandi forme ceramiche greche con decorazione

policroma, i grani di collana e le testine umane o animali, interpretate quest’ultime

come amuleti1169. È stato notato come il termine di “vetri preromani” sia il più

indicato1170, a causa della generica comunanza di tecniche utilizzate nel mondo

mediterraneo prima della invenzione della soffiatura nel I sec. a.C., ma soprattutto per

la difficoltà di individuare i centri di produzione di tipologie che conoscono un’enorme

diffusione e non sembrano caratterizzanti di una specifica etnia o facies culturale. La

diffusione mediterranea dei vasetti, suddivisi in tre gruppi a seconda delle forme

vascolari imitate e delle colorazioni adottate, è scandita in tre periodi distinti tra fine

del VI e inizi del I secolo a.C.. Il Primo Gruppo Mediterraneo diffuso tra fine VI e

prima metà del IV secolo aveva i suoi centri di produzione in area ellenica e

1166 Plinio Nat. Hist. XXXVI, 191. 1167 Sternini 1995, p. 11. 1168 V. alcune considerazioni in Ferrari 1996. 1169 Barthélemy 1995. 1170 Ibidem, p. 509, e bibliografia citata.

Page 237: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 237 -

probabilmente a Rodi o in un qualche centro della Grecia orientale continentale1171

mentre il Secondo e il Terzo, di datazione recenziore, rispettivamente nel

Mediterraneo Occidentale (Italia e area macedone) e nell’area siro-palestinese. Questa

pluralità di luoghi di produzione è la ragione della mancanza di omogeneità della

categoria, ma va anche aggiunto il dato relativo all’altro tipo di prodotto vitreo: i

pendenti configurati a testa animale o umana, studiati nella loro sistemazione

tipologica e diffusione geografica da M. Seefried1172. Anche per essi la scansione

cronologica è accompagnata dallo spostamento dei luoghi di produzione: in Egitto per

i pendenti più antichi, in Fenicia e Cipro, e forse anche a Cartagine per quelli di VII-V

secolo e con un ruolo predominante di Cartagine per quelli più tardi, per i quali

possibili centri erano anche a Rodi, Cipro ed Egitto1173. La distribuzione dei due tipi di

manufatti riproposta da D. Ferrari1174, relativa ai secoli centrali della produzione (VI –

metà del IV secolo), indica chiaramente come solo l’ultima delle due tipologie (quella

dei pendenti) sia ascrivibile all’area e alla cultura fenicia e punica1175. Qualche

ulteriore spunto di indagine potrebbe provenire dalla completa analisi distributiva dei

grani di collana, che mancano ancora di essere studiati in aree diverse da quella

iberica1176 e centro-europea.

Ai pendenti policromi d’altronde avremmo ritenuto di dover associare i vaghi di

collana rinvenuti nelle tombe e nel tophet di Sulcis: con essi infatti condividono la

tecnica di lavorazione e quella di decorazione. La prima è del tipo della “fusione su

barra” (rod-formed glass), concettualmente vicina a quella usata per i vasetti (“fusione

su nucleo” o core-formed glass). Mentre per gli ultimi il materiale vitreo fuso era

disteso sulla superficie di un nucleo dalla forma desiderata e composto di sabbia,

argilla e materiali vegetali1177, nel caso dei vaghi di collana il nucleo era costituito

dalla stessa asta o barra metallica (mandrino) il cui spessore determinava, dopo il

distacco, la larghezza del foro di sospensione1178. Perché dopo un lieve raffreddamento

del vetro il distacco non fosse traumatico, la barra prima dell’operazione di

1171 Ferrari 1996, p. 10. 1172 Seefried 1976; Seefried 1982. 1173 Ferrari 1996, p. 10. 1174 Ibidem, p. 12, fig. 1. 1175 Ib., p. 11. 1176 V. i lavori di E. Ruano Ruiz: ad es. Ruano Ruiz 1996; Ruano Ruiz 1997. 1177 Sternini 1995, pp. 99-100. 1178 Ibidem, p. 100; Silvano 1988, pp. 65-66.

Page 238: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 238 -

modellazione veniva ricoperta di una sostanza che consentisse la separazione.

Esperimenti e analisi consentono di scegliere tra una certa gamma di sostanze

(prevalentemente calcite o argilla1179), ma solo l’analisi chimica diretta sui campioni

può fornire un’indicazione precisa. La seconda analogia dei pendenti con i vaghi è

costituita senz’altro dalla tecnica di decorazione “ad occhi”, quando presente. Questi

occhi sono costituiti da due o più strati concentrici di vetro di colore diverso

(generalmente blu e bianco) la cui sovrapposizione e inserzione all’interno del nucleo

del vago poteva essere ottenuta tramite colatura a caldo di gocce1180, di volta in volta

di dimensioni inferiori. Perché venissero assorbite completamente dal nucleo era

sufficiente avvicinare ogni volta il vago alla fonte di calore, ma poteva essere operata

una certa pressione sulla goccia o sfera, ottenendo così un risultato ben riconoscibile e

qualitativamente inferiore1181.

L’accostamento dei due tipi di prodotti vitrei è qui proposto solamente su base

qualitativa. Solo un’analisi dei contesti di rinvenimento, e possibilmente anche una di

tipo chimico, potrà indicare se i due tipi fossero prodotti negli stessi centri. La

difficoltà nell’individuazione di questi è senza dubbio accentuata dalla scarsità, e

sostanziale assenza, di indicatori archeologici di produzione del vetro nel mediterraneo

occidentale e in particolare relativamente a questo periodo. Alcune scorie rinvenute a

Tharros nel cosiddetto “quartiere artigianale”, sottoposti recentemente ad analisi

chimica hanno fornito la conferma di attività metallurgiche nel centro, vanificando

tuttavia la possibilità di riconoscervi, almeno per il momento, quelle del vetro1182.

L’archeologia sperimentale e la documentazione etnoarcheologica applicata

all’industria vetraria indica come per produrre perle e pendenti non siano necessarie

strutture di grandi dimensioni come le fornaci, molto ben riconoscibili

archeologicamente1183. La produzione poteva avvenire infatti in due fasi distinte:

produzione di vetro grezzo e successiva lavorazione dei lingotti. I forni per

1179 Ibidem, p. 65; Bellintani 2003, pp. 325, 329, ricorda l’uso in India di strofinare un pezzo di salgemma su un

mandrino d’acciaio riscaldato producendo, per reazione chimica, uno strato di ossido di ferro. Per la lavorazione delle perle al lume si usa invece verghe di rame trattate con argilla in sospensione liquida (barbottina).

1180 Ibidem, p. 319. 1181 Stern, Schlick-Nolte 1994, p. 186, n. 33. 1182 Savio, Ferrari, Croce 2004, n. 10, tab. 3, pp. 165-166. 1183 Bellintani 2003, p. 321 e segg..

Page 239: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 239 -

quest’ultima sono di dimensioni decisamente inferiori1184, ma seppur nella maggior

sfuggevolezza al rinvenimento archeologico, non sono i soli auspicabili indicatori di

attività produttiva: il vetro grezzo e scarti di produzione, ad esempio, mancano per ora

all’appello sia a Tharros che altrove per l’età fenicia e punica.

Il continuo riferimento a Tharros anche in questa sezione è suggerito da altri

indicatori, non tecnici, di provenienza delle classi artigianali comprese negli athyrmata

e dalla mancanza o scarsità di questi stessi indicatori in altri siti della Sardegna1185.

L’individuazione a Tharros di una o più botteghe vetrarie presenterebbe d’altronde i

precedenti in età arcaica di una produzione che possiede una più chiara evidenza in età

tardo-antica a Cornus, già insediamento punico a qualche km a nord di Tharros1186. Va

tuttavia ricordata la presenza di indicatori di produzione in altri due centri fenici e

punici di Sardegna: Nora e la stessa Sant’Antioco. Nel primo centro del Sulcis G.

Pesce riveniva i resti di un piccolo fabbricato interpretato, in base alla presenza di

scorie vitree, come un’“officina fusoria”1187, e quindi come una fornace. La datazione

rientra tuttavia nella tarda età romana repubblicana per l’assenza di ceramica romana

imperiale negli strati di fondazione della struttura1188, ma non è escluso che potesse

anche essere in uso anche tempo prima. Lo scavo dell’area urbana del cronicario a

Sant’Antioco ha fornito invece una matrice in terracotta il cui utilizzo è stato collegato

alla produzione di pendenti in vetro a protome femminile1189. L’oggetto, rinvenuto

durante la campagna di scavi 1987-1988 all’interno di uno strato di colmatura di una

cisterna, era datato preliminarmente intorno al V secolo per l’associazione alla

ceramica punica dipinta a motivi oculari1190. Il reperto e il materiale della cisterna sono

tuttora inediti, ma la presenza di ceramica di IV secolo1191 all’interno del contesto e

l’osservazione antiquaria della capigliatura, a riccioli e raccolta sopra il collo, portano

1184 I forni utilizzati nelle sperimentazioni della produzione di Frattesina sono a cupola e a due piani, ad

imitazione di quelli ipotizzati per l’oreficeria etrusca: ibidem, p. 328, fig. 25. 1185 V. Moscati 1987. 1186 Stiaffini 1993, p. 72, menziona come elementi per la localizzazione della produzione in Sardegna la “vasta

presenza di sabbie” e che in antichità essa dovesse “essere ancora molto boscosa”, e per Cornus in particolare i “settantacinque frammenti relativi a scorie di fusione”; Sternini 1995, p. 181.

1187 Pesce 1972, pp. 68-69, fig. 28; Sternini 1995, p. 182, riporta la notizia, di seconda mano, limitata ad una sola rappresentazione fotografica.

1188 Pesce 1972, p. 68. 1189 Bernardini 1991, p. 194, tav. IV, 2. 1190 Ibidem, p. 198, nota 37; per alcuni esemplari di questa classe ceramica v. Bartoloni 1983, p. 45, fig. 2, h-j. 1191 Bernardini c.p.

Page 240: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 240 -

più prudentemente ad attribuirla almeno alla prima età ellenistica. Considerata anche

l’eventuale appartenenza ad altro tipo di industria della matrice (quella del metallo ad

esempio), non è noto il contesto originale di provenienza, ovvero l’officina vera e

propria che pur doveva trovarsi nelle vicinanze.

Pertanto le tracce della produzione vetraria in Sardegna in età punica sono

alquanto labili e per il momento non arrivano a coprire il V secolo1192, periodo al quale

appartengono i vaghi di collana da noi osservati. Sino a quando non sarà possibile

verificare la presenza di officine di produzione in Sardegna, e nello specifico a Sulcis,

l’ipotesi dell’importazione di oggetti anche così minuti dovrà ritenersi la più valida.

5.2.5. ORO, ARGENTO E ALTRI METALLI

I metalli preziosi era utilizzati tra gli athyrmata quasi esclusivamente per la

realizzazione di gioielli come orecchini, anelli e pendenti, e per la montatura degli

scarabei. Va notato come la definizione di gioiello per i pendenti sia restrittiva quando

va tenuto conto che anche i pendenti dovettero assolvere una funzione simile a quella

degli amuleti egittizzanti1193. Tra i pendenti-amuleti di ascendenza punica, nel caso

specifico di Sulcis, dovrebbero essere considerati ad esempio quelli a ghianda, in

oro1194 o bronzo1195, le campanelle bronzee1196 e la “mano che fa le fiche” in oro della

collezione Biggio1197. Funzione non esclusivamente estetica avevano anche i pendenti

discoidali e quelli ad arco centinato, elaborazione punica in metallo di un tipo egiziano

in faïence1198.

Metalli più umili come il bronzo e il piombo trovavano applicazione anche nella

realizzazione di pendenti e orecchini, destinati con tutta probabilità a consumatori di

inferiore disponibilità economica, ma la loro corretta definizione tipologica spesso non

1192 Il IV secolo invece era stato individuato come un momento di particolare industrializzazione per Cartagine

ed altre città del mediterraneo occidentale: Fantar M.H., (1972). Le verre en Tunisie. In BAIHV vol. 6, pp. 15-27, cit. in Ruano Ruiz 1996, p. 83. Sulla presenza di una bottega e di un forno per il vetro a Cartagine v. Krandel Ben Younès 1995b, p. 118.

1193 Tra questi sono rari sono i casi in metallo: v. ad es. Marín Ceballos 1976; Pisano 1990, p. 74. Più frequenti gli astucci porta-amuleti a protome animale, generalmente in oro. Per quelli rinvenuti a Sant’Antioco v. § 2.1.: Sulcis 1989, fig. 55, dalla tomba 13; Bernardini 1991, p. 195, dalla tomba 4A;

1194 V. § 2.1.: Uberti 1977b, n. 5. 1195 V. § 2.2.: Bartoloni 1973, nn. 72-79. 1196 V. § 2.2.: ibidem, nn. 85-88, e i battagli nn. 89-92. 1197 Uberti 1977c, n. 2. 1198 V. § 4.1.2.

Page 241: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 241 -

è agevolata dalle condizioni di rinvenimento e dallo stato di conservazione. È questo il

caso dei grumi amorfi di massa liquefatta di piombo rinvenuti all’interno delle urne del

tophet, per i quali A. Ciasca propone l’identificazione con pendenti sottoposti al fuoco

dell’olocausto funebre1199, ma che potevano anche essere all’origine oggetti e vasi in

miniatura ben attestati e riconoscibili nei tophet di Nora e Tharros1200. Dalla necropoli

di Sulcis l’unico pendente noto è una piastrella quadrangolare con iscrizione, per la

quale non vi sono tuttavia indicazioni cronologiche e di provenienza precise1201.

Diversi e diversamente caratterizzati erano i luoghi di approvvigionamento

delle materie prime metalliche utilizzate per gli ornamenti fenici e punici. Queste sono

a pieno titolo considerate come uno dei principali motori della espansione fenicia

all’inizio del I millennio1202, come riportato dalle stesse fonti classiche1203, e tra gli

interessi della politica di controllo del mediterraneo da parte di Cartagine a partire dal

VI secolo. I fenici, e dopo di loro i cartaginesi, potevano avere accesso diretto, o per

tramite delle popolazioni locali, alle risorse dei territori toccati dalla loro

espansione1204. L’oro infatti era ricavato dai ricchi giacimenti iberici1205 e in parte

dall’interno del Nord Africa, sebbene sia stata avanzato che queste risorse non

dovessero diventare rilevanti se non dalla fine del IV secolo nel commercio

cartaginese1206. Le fonti sud-sahariane tuttavia potevano e dovevano essere una delle

mete che condizionarono l’esplorazione delle coste atlantiche da parte dei fenici1207.

L’oro d’altronde costituiva una delle merci privilegiate nei commerci patrocinati dal

palazzo di Salomone e del re di Tiro e diretti al paese di Ophir, che recentemente E.

Lipinski propone di identificare con l’Africa centrale, raggiungibile attraverso le vie

1199 V. § 2.2.: Ciasca 1992, p. 143. 1200 Barreca 1986, p. 270: manufatti di questo tipo, ma in ferro, provengono dalla necropoli di Santa Monica a

Cartagine in tombe di IV secolo, e sempre in piombo dai livelli tardo-punici e romano-repubblicani del tophet di Sousse.

1201 V. § 2.1.: Barreca 1965, pp. 53-54, tav. I. 1202 Bondì 1988, p. 46. 1203 In particolare Diodoro Siculo Biblioteca Storica, V 35, 5, cit. in Zucca 1993, p. 39. 1204 Per quanto concerne il Sulcis-Iglesiente v. Zucca 1993, pp. 39-41. 1205 La penisola iberica è indicata come la maggior fonte di approvvigionamento di questo metallo per il

Mediterraneo occidentale: Pisano 1988a, p. 184. Qui la maggior disponibilità della materia prima ha contribuito al fiorire in età orientalizzante del ricco artigianato tartessico, per i più lodevoli prodotti dell’oreficeria v. ibidem, pp. 392-393.

1206 Desanges 1978. 1207 Inestimabile fonte letteraria di tale esplorazione è il Periplo di Annone, redatto nel VI o nel V sec. E

preservato da una traduzione greca del IV. Per una recente considerazione del tragitto che vi viene descritto v. Lipinski 2004, pp. 435-475.

Page 242: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 242 -

carovaniere tran-sahariane che partivano dall’Egitto ed eventualmente dall’immediato

entroterra libico1208. Quest’ultima possibilità non presume quindi una dipendenza per

l’approvvigionamento di Cartagine dall’Egitto, per il quale la Nubia ed le altre miniere

del deserto orientale costituivano per millenni una fonte inesauribile d’oro1209.

L’argento poteva essere reperito nella stessa Sardegna ed estratto dal piombo

argentifero delle miniere del Sulcis Iglesiente, presso le quali vi sono sicure tracce del

passaggio di punici per il rinvenimento di due lucerne di V secolo1210. Il rame e lo

stagno, indispensabili per la fusione del bronzo, provenivano ancora dalla Spagna1211,

sebbene fonti di questi metalli siano presenti anche in Sardegna. In mancanza di

documentazione archeologica, come strumenti o altri oggetti lasciati in loco dagli

antichi minatori, o magari di piccole strutture abitative nei pressi dei giacimenti1212,

l’individuazione delle risorse sfruttate in antichità si può fondare agevolmente sulla

base della distribuzione degli insediamenti nel territorio. Così, in modo molto

semplicistico, la maggior distribuzione dei centri abitati di età fenicia e punica del

Sulcis-Iglesiente fornisce la controprova della conoscenza di quei giacimenti da parte

di queste popolazioni.

Che una prima lavorazione dell’argento avvenisse nella regione è poi un dato

che si può desumere dagli stessi procedimenti che seguono l’estrazione. Il fatto che

raramente si rinvenga allo stato nativo, a differenza dell’oro, ma prevalentemente entro

minerali di piombo, come è il caso dei giacimenti sardi, determina una serie di attività

obbligate per la sua estrazione dal minerale meno nobile che lo contiene1213.

L’arrostimento per eliminare lo zolfo, la fusione, l’ossidazione tramite coppellazione

per la separazione del piombo erano procedimenti che andavano effettuati in loco se si

voleva rendere possibile l’esportazione del metallo. Che questi avvenissero a Sulcis,

almeno in età romana, è poi suggerito dal rinvenimento a Sulcis di scorie di piombo1214

1208 Ibidem, pp. 189-223. 1209 Ogden 2000, pp. 161-162. 1210 Zucca 1993, p. 40, ora conservate al Museo Minerario di Iglesias. 1211 Bondì 1988, p. 46. 1212 L’intensa attività di sfruttamento iniziata nel 1800 in Sardegna ci ha di sicuro privato di molta della

documentazione al tempo disponibile. 1213 Francovich, Manacorda 2000, pp. 94-95. 1214 Bartoloni 1999a, p. 116.

Page 243: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 243 -

e dallo stesso nome dell’isola (Melibodes Nesos) ricavato dalle fonti classiche1215. Il

passaggio dal riconoscimento di attività estrattiva e di prima lavorazione nell’isola a

quello della produzione di piccoli oggetti di gioielleria non è tuttavia scontato, per

quanto verosimile, e necessita quindi di una verifica.

Il discorso relativo ai gioielli è sinora stato basato tuttavia sulla documentazione

in oro, per la maggior riconoscibilità delle tipologie, dovuta alla migliore

conservazione della materia utilizzata. Questa è la sola per cui sia d’altronde

disponibile uno studio complessivo dei materiali di Cartagine1216, necessario

complemento di un’indagine che faccia uso di confronti. Ma la totale esclusione da

questi dei gioielli in argento1217, che non dovevano mancare ed anzi dovevano anche lì

presentarsi in numero proporzionalmente maggiore, rende estremamente limitata la

validità delle teorie proponibili, ad esempio in merito alla dipendenza commerciale di

Sulcis nei confronti di Tharros e Cartagine o addirittura circa la possibilità di

riconoscere a Sulcis la presenza di botteghe locali1218.

Nonostante la limitatezza della documentazione sulcitana un suo esame è stato

condotto qualche tempo fa, in seguito alle posizioni espresse dal Moscati1219, ed è

presente nel fondamentale contributo presentato da P. Bernardini nel 19911220. Sulla

base dei dati disponibili, sensibili ora di aggiornamento, lo studioso rilevava per la fase

punica una scarsa acquisizione di gioielli nella prima metà del V secolo ed una

maggiore e di “particolare raffinatezza e accuratezza” a partire solo dalla seconda metà

di quello successivo1221. Proponeva inoltre una maggiore dipendenza della facies degli

athyrmata sulcitani da Cartagine, pur notando che alcune tipologie dovevano

provenire da Tharros, “come gli orecchini configurati, gli anelli con castone figurato e

gli astucci a protome leonina”1222. Indizi particolari di produzione locale erano

considerati il rinvenimento di una matrice per pendenti a protome femminile in vetro e

1215 Il nome si ricava in Tolomeo, Geografia III, 3, 8, come traduzione del latino Insula Plumbea o Plumbaria:

Zucca 1993, p. 39. 1216 Quillard 1979; Quillard 1987. 1217 Ibidem, p. XVIII. 1218 Non è di ostacolo alla localizzazione in Sardegna delle botteghe orafe di Tharros la scarsa presenza del

metallo nell’Isola, per la quale si veda Ugas 1993, p. 30 e l’addenda bibliografica a p. 35. 1219 V. sopra: Moscati 1988a, p. 126. 1220 Bernardini 1991. 1221 Ibidem, p. 195-196. 1222 Ib., p. 195.

Page 244: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 244 -

due circostanze: “la concentrazione particolare di orecchini ad arco ingrossato” e la

“presenza […] di monili […] privi di riscontro in ambito sardo”1223.

I dati proposti da P. Bernardini a distanza di quindici anni sono ancora validi,

tanto più perché gli scavi eseguiti nel frattempo non hanno fornito elementi che li

contraddicano. Tuttavia sono necessari alcuni aggiornamenti: da una parte la matrice

rinvenuta nel riempimento di un pozzo durante le campagne di scavo 1987-19881224

può essere forse meglio datata al IV secolo1225, senza che ciò pregiudichi le

conclusioni finali. L’orecchino ad arco ingrossato ancora meglio gode di una maggior

attestazione grazie ai più recenti rinvenimenti1226. Ai nostri due nuovi gioielli sulcitani,

si aggiunge anche quello proveniente dalla necropoli di Monte Sirai, che meglio limita

l’ambito cronologico di diffusione al VI1227 - inizi del V secolo. Tuttavia all’interno

della comune tipologia1228 sono state riscontrate due varianti, distinte dallo spessore

dell’arco ingrossato. La sutura di due lamine cave consentiva un maggior volume, e

contestualmente un minor peso, e si può ipotizzare solo per l’orecchino del tophet, che

per minor definizione cronologica potrebbe essere anche il più antico. La restante

documentazione è costituita da un filo ispessito, ma pieno anche nel punto di massimo

ingrossamento, nel rispetto del trend di produzione delle officine tharrensi. Così

sintetizzato il contributo di questo tipo di orecchini non consente di riconoscere con

sicurezza a Sulcis o nella sua regione una bottega artigianale, dal momento che questi

oggetti non differiscono da quelli tharrensi se non per la mancanza della decorazione o

dell’anello per la sospensione di pendenti compositi. Il fatto indizia invece con

certezza una selezione all’interno del mercato delle tipologie più semplici, ma sui

modi di acquisizione di questi oggetti un altro tipo di orecchino fornisce un indizio. Se

fosse esatta l’inclusione tra gli orecchini degli anelli con le estremità avvolte a spirale,

a volte ritenuti fermatrecce per la complessità della chiusura1229, si dovrebbe pensare

che la loro montatura indosso al lobo del portatore fosse effettuata in loco da un

1223 Ib., p. 194. 1224 Ib., p. 194, nota 37, tav. IV, 2. 1225 V. § 5.2.4. 1226 V. § 4.1.4. 1227 Tende a sollevare il limite alto alla fine del VII sec. l’orecchino del tophet, il cui contesto è datato

indicativamente tra ultimo quarto del VII – fine VI sec.: Montis 2005. 1228 Caratteristica del Sulcis è la forma ellittica allungata data all’intero filo dell’orecchino: v. anche Quillard

1987, p. 143, nota 712. 1229 v. Iocalia Punica 1987, p. 95; Bernardini 1991, p. 193, nota 27.

Page 245: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 245 -

artigiano o dal commerciante. Vista la grande diffusione della tipologia in tutto il

periodo punico si potrebbe pensare ad artigiani itineranti o commercianti che

viaggiassero con lamine d’oro da trafilare all’occorrenza o fili già tagliati. Questo

presupposto si adatterebbe anche ad altri tipi di gioielli come le montature degli

scarabei, che ad essi potevano essere legate ovunque al momento della vendita, e a

spiegare la scarsa diffusione delle tipologie più complesse, come gli orecchini

compositi. La diffusione nel Sulcis degli orecchini ellittici precederebbe di poco

questo fenomeno, che si iscrive nella piena età punica, e proseguirebbe per altri

cinquant’anni sino alla metà del V secolo circa. Questa lettura si affianca, amplia e

indirettamente verifica quella relativa all’assemblaggio di collane, del tutto verosimile,

proposta da P. Bernardini1230.

La produzione in argento gode invece di un più chiaro sostegno alla sua

localizzazione nella regione, come affermato in precedenza, grazie alla estrema

vicinanza delle fonti di approvvigionamento della materia prima. Appare singolare

quindi il fatto che non si sia faticato ad ipotizzare la presenza di botteghe artigiane

specializzate nella produzione di gioielli in argento quanto quelle in oro1231, sebbene

alcuni dubbi ancora permangano1232. In particolare il presupposto di localizzare nel

medesimo luogo la lavorazione estrattiva e quella artigianale non è supportata dalla

documentazione epigrafica di Cartagine, la sola sufficientemente esplicita, che

distingue tra la posizione di un fonditore (nsk, pron. nousek) e un artigiano o

fabbricante ( rš, pron. ouresh e p‘l, pron. pouel)1233. Tuttavia proprio quella stessa

documentazione cartaginese fa scarsa o nulla menzione di lavorazione dell’argento

nella metropoli.

Nel nostro caso l’esame delle tipologie sulcitane non ci è di aiuto, dal momento

che non ne emerge alcuna che possa dirsi con sicurezza locale, per cui si può solo

riconoscere una generale omogeneità di questa classe artigianale nel mondo fenicio e

punico. La maggioritaria presenza di monili d’argento, e quasi nulla d’oro, nelle

necropoli fenicie di Sardegna, sia sud (Monte Sirai, Pani Loriga e Bithia) che a nord

1230 Ibidem, p. 194. 1231 Ib., p. 193; Zucca 1993, p. 40; Campanella 2000, pp. 121-122. 1232 G. Savio infatti attribuisce a Cartagine l’intero monopolio della lavorazione artigianale di questo metallo,

riservando alle province solo quella produttivo-estrattiva: Acquaro, Savio 1999, p. 9. 1233 Sznycer 1995, pp. 18, 25.

Page 246: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 246 -

(Tharros1234 e Othoca) del bacino minerario dell’Iglesiente non è di per se significativa

poiché qui più intensa è stata la ricerca.

Un caso particolare di concentrazione di orecchini “a canestrello” in argento

non indossati dal defunto è quello rilevato nella tomba 88 della necropoli fenicia di

Monte Sirai, e per la quale è stata proposta una funzione di tipo premonetale1235. Data

la singolarità del rito inumatorio, in una necropoli in cui prevale il rito

dell’incinerazione, e la ricchezza e monumentalità della sepoltura potrebbero ben

indicare il defunto come un personaggio di origine cartaginese. Storicamente il fatto

possiede una certa importanza dal momento che potrebbe essere un segno

dell’interesse di Cartagine nei confronti di una regione alla vigilia della sua

conquista1236. Rimane tuttavia da individuare, per quanto ci riguarda, se gli orecchini

fossero realizzati sul posto e non importati, cosa che potrebbe rappresentare una partita

pronta per l’esportazione o un “gruzzolo” acquistato anch’esso a Cartagine.

Per quanto concerne la fase punica avanzata di Sulcis, attestata dai ritrovamenti

della necropoli1237, i gioielli che hanno destato un certo interesse per la particolare

raffinatezza, e giustamente attribuiti a questo periodo, non possono essere stati eseguiti

a Sulcis1238. Si tratta in particolare di un anello1239 e due orecchini1240 realizzati e

decorati con una raffinatissima tecnica che fa uso della filigrana e della godronatura.

Stile e tecnica richiamano la corrente greco-ellenistica che interessa ora tutto il

mediterraneo, e trovano confronti, anche puntuali in simili oggetti rinvenuti ad Utica e

Cadice1241, mentre da queste caratteristiche pare esclusa la produzione di Tharros.

Sembra poter quindi individuare nei primi due centri i probabili produttori di questa

nuova corrente1242, ma questo giudizio non è tuttavia sufficiente ad escludere la

1234 Zucca 1989, p. 99. 1235 Bartoloni 2000a, p. 23, v. in particolare nota 33, per altre attestazioni di tesoretti di orecchini “a canestrello”

in Nord Africa e a Mozia. Sono forse pertinenti anche i due casi di Bithia: Marras 1996a, nn. 145 (almeno 3 orecchini), 151 (4 orecchini, ma non “a canestrello”), p. 129-130. È da rilevare tuttavia come la coniazione di moneta non prenda avvio in Sardegna se non dal 300 a.C. in poi come concessione cartaginese, e comunque mai in argento: Acquaro 1988, p. 225.

1236 La tomba si data al secondo quarto del VI secolo: ibidem, p. 17. Le campagna di Malco in Sardegna si datano al 545-535 a.C. Per lo scenario di queste come della “battaglia del Mare Sardonio” v. i vari contributi in Máche 2000.

1237 Bernardini 1991, pp. 195-196. 1238 Pisano 1995a, p. 63. 1239 Da una tomba di P.zza Azuni: v. § 2.1.1 1240 Dalla tomba 2, camera A, aperta dal Puglisi in Via Belvedere: v. § 2.1. 1241 Per i confronti di Utica v. Quillard 1987, nn. 250-255; per quelli Gaditani v. Perea Caveda 1985, tav. III. 1242 Per alcune considerazioni sulla bottega di Cadice v. Perea Caveda 1992.

Page 247: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 247 -

possibilità che botteghe sulcitane producessero gioielli di non elevata qualità nello

stesso periodo ed in quello precedente.

Non offre particolari ostacoli la localizzazione a Sulcis del luogo di produzione

degli amuleti in bronzo rinvenuti nei vecchi scavi del tophet1243. Sebbene le tipologie

riscontrate (prevalentemente “ghiande” e campanelle) siano già note in altri contesti

fenici e punici, la lavorazione del bronzo doveva godere di sicuro di officine fusorie a

Sulcis per la realizzazione di strumenti di uso quotidiano. Sempre prodotte localmente

devono essere state le coppiglie bronzee, che pur analoghe a quelle tharrensi e

cartaginesi erano elementi costituenti di sarcofaghi e barelle lignei che non potevano

che essere realizzati in loco. Anche in questo caso l’argomento dell’autosufficienza del

centro di Sulcis, se non totalmente probante, possiede una forte validità probatoria.

5.2.6. ALTRI MATERIALI.

Tra i materiali meno utilizzati nella produzione di ornamenti personali rientra l’ambra.

Attestata nelle edizioni di scavo come materia usata esclusivamente per vaghi di

collana tra i corredi delle tombe 2, 3 e 5 del settore A e della tomba 12 del settore

AR1244. Per i primi corredi non si dispone al momento di un edizione dei materiali,

mentre è più affidabile quella dei corredi della tomba 12 AR. I vaghi d’ambra di

quest’ultima compongono una collana, di cui faceva parte anche un pendente discoide

con umbone centrale1245. Tuttavia l’immagine in bianco e nero riportata nell’edizione

non permette di appurare l’effettiva qualità del materiale dichiarato. Interessanti sono

comunque le tipologie, perché poco o nulla note, che potrebbero riferirsi in alcuni casi

a intarsi in pasta vitrea e non a vaghi1246.

I vaghi da noi osservati invece sono quelli della tomba 10 AR (stesso settore

della tomba sopra citata), con n. 69 a-n nel nostro catalogo, ed il frammento di vago

della tomba 1 PGM BLV (n. 14 s). I primi sono riconducibili alla tipologia cilindrica

con i bordi delle basi arrotondati, mentre il vago della tomba 1 è del tipo a barilotto. Le

possibili forme dei vaghi in ambra non differiscono da quelle utilizzate per gli

analoghi in pasta vitrea, e come per essi non si dispone di uno studio che presenti i dati

1243 V. § 2.2.: Bartoloni 1973. 1244 V. § 2.1. 1245 Tronchetti 2002, n. 30. 1246 V. in particolare l’elemento a “piumaggio di Bes” e i due fiori di loto: ibidem, tav. XI, 2.

Page 248: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 248 -

della loro distribuzione nell’area del Mediterraneo. I traffici che avevano in questo

materiale il loro protagonista sono ben noti e studiati per l’Età del Bronzo

continentale1247, ma meno per l’età del ferro avanzata. Una crisi nel commercio

dell’ambra è attraversata proprio nel V secolo, in concomitanza della crisi dell’Etruria,

in progressiva caduta sotto l’imperialismo romano, e di Atene con la guerra del

Peloponneso1248. Con la crisi di queste potenze vengono meno i meccanismi di

scambio che dagli sbocchi delle vie dell’ambra nell’Italia continentale diffondevano i

manufatti in questo materiale lungo le coste del Mediterraneo. Tuttavia questi

fenomeni sono meglio caratteristici della fine del secolo (la guerra con Sparta occupa

Atene solo nell’ultimo terzo del V secolo), per cui la presenza, anche se non

abbondante, di vaghi in ambra si coglie maggiormente nelle tombe della prima metà di

questo secolo1249.

È difficile, in questo caso ancora di più, esprimersi sulla probabile produzione

locali dei vaghi. Da una parte è noto che i giacimenti più utilizzati in antichità fossero

quelli sulle coste del Mar Baltico, ma ambre cosiddette “simetiti” erano disponibili

anche lungo il corso del fiume Simeto in Sicilia1250. La scarsità dei dati a disposizione

non permette quindi di avanzare ipotesi sulla provenienza dei vaghi che comunque è

improbabile potessero essere stati realizzati in Sardegna, e tanto meno a Sulcis.

1247 Bortolotti 1993. 1248 Ibidem, p.456. 1249 La tomba 10 AR si data alla prima metà del V secolo, ma forse la deposizione 5 è la prima; la 12 AR si data

cautamente alla prima metà anche se il corredo ceramico non scende oltre l’inizio del secolo: Tronchetti 2002, p. 148; la tomba 1 PGM BLV si data entro i primi quarant’anni del V secolo: Bernardini c.p.; per le tombe del settore A della necropoli non è disponibile una datazione precisa, seppur la tipologia tombale di quelle in esame, per la presenza del tramezzo centrale, indizi una loro realizzazione in età punica avanzata (dopo il 450 a.C.): v. § 2.1.

1250 Bortolotti 1993, p. 445.

Page 249: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 249 -

5.3. SCAMBIO

I processi di scambio di oggetti come gli athyrmata possono essere individuati solo

dopo che si siano riconosciuti con una qualche certezza i centri di produzione. In

sostanza solo una volta noto il punto di partenza si possono analizzare le alternative

vie attraverso le quali i nostri prodotti sono giunti a destinazione, riconoscerne i

mediatori e i centri di smistamento. Per questo motivo il presente capitolo non può che

costituire un argomento aperto e solo futuri studi potranno consentire di riscriverlo.

Si tenterà ad ogni modo, considerato lo stato attuale delle conoscenze, di fare

alcune considerazioni col fine di delineare i processi di scambio e gli interlocutori

impegnati in questi, facendo continuo ricorso ai dati noti relativi ad altre categorie

artigianali, tra cui in primis la ceramica.

Nell’ambito degli athyrmata di Sulcis è difficile individuare gli oggetti più

antichi perché, come abbiamo già avuto modo di dire, non sono disponibili gli

strumenti per una precisa e corretta datazione, tuttavia anche se decontestualizzati

taluni reperti si prestano ad una datazione sulla base dei confronti, che seppur non

affidabile al cento per cento può fornire qualche elemento di discussione.

Per quanto concerne il primissimo periodo della storia di Sulcis, ovvero quello

che segue la sua fondazione ad opera dei fenici intorno alla metà dell’VIII secolo, non

abbiamo fonti archeologiche che ci descrivano correttamente la concezione entro la

quale erano tenuti in conto gli oggetti magico-religiosi, e la realtà dei commerci che li

vedevano protagonisti. Manca per tutta l’età arcaica di Sulcis un contesto di

riferimento, quale può essere ad esempio una necropoli o uno palinsesto stratigrafico,

che ci permetta di seguire nel corso del tempo l’acquisizione di ornamenti personali.

Lo scavo del tophet solo recentemente ha fornito i dati relativi alla provenienza degli

oggetti dall’urna di appartenenza e solo per un periodo compreso tra fine VII e fine VI

secolo1251. Rivestirebbe invece un certo interesse il riconoscimento della primissima

facies culturale fenicia relativa agli athyrmata non solo di Sulcis. Per questo momento

della storia del centro è stato supposto un coinvolgimento di greci euboici nella

formazione della comunità cittadina sulcitana1252. Infatti non solo le ceramiche di

1251 Montis 2005. 1252 Si v. al proposito: Bernardini 1989, p. 101; Bernardini 1997b.

Page 250: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 250 -

importazione dall’emporio di Pitecussa e dalla madrepatria euboica, ma le stesse

influenze del tardo-geometrico greco sulla cultura materiale ceramica di Sulcis1253

suggeriscono uno stretto rapporto tra il nostro centro e coloni euboici di Pitecussa.

Tuttavia i dati relativi agli athyrmata di questa fase non sono sufficienti a riconoscere

ed istituire confronti utili: i corredi della necropoli dell’isola di Ischia sono ancora in

via di pubblicazione ma il primo volume, relativo agli scavi di più di 700 tombe

realizzati negli anni 1952-1961, è disponibile da diverso tempo1254 e consente

un’ottima panoramica sulla cultura materiale ed i riti funerari che caratterizzavano

l’emporio pitecusano nella sua prima fase di vita. Per quanto riguarda gli ornamenti

personali risulta evidente l’abbondanza di scarabei in steatite e faïence, rinvenuti quasi

esclusivamente in sepolture femminili e infantili1255, la cui circostanza è ritenuta la

risultante dei rapporti commerciali intrattenuti negli empori levantini e in loco tra le

comunità residenti di greci e di orientali nell’isola1256. Circa la precisa provenienza di

questi ultimi il dibattito è ancora aperto e non è da escludere che tra questi vi fossero

anche individui e famiglie di fenici. Sebbene la loro presenza non sia necessaria per

spiegare la presenza di scarabei e altri oggetti egittizzanti nell’isola1257, questa rende

plausibile lo stretto scambio culturale che sarebbe potuto intercorrere tra euboici di

Pitecussa e fenici di Sulcis. Tra le tipologie di scarabei presenti ad Ischia va notato che

la maggior parte è sì presente in Sardegna, ma tutte sono attestate anche a

Cartagine1258. Prima di supporre un ulteriore intermediazione di questa nei rapporti tra

Sulcis e l’emporio euboico sarà necessario attendere il rinvenimento della necropoli

arcaica e dei suoi sepolcri più antichi, dove sarà più facile vedere gli scarabei che, per

le ragioni che abbiamo proposto1259, non potremmo trovare nel tophet. Tra gli amuleti

la Sekhmet dei vecchi scavi1260 può essere confrontata con un analogo di Pitecussa da

una sepoltura infantile a fossa del periodo Tardo Geometrico II1261. Al di fuori di

Sulcis la vicina necropoli fenicia ad incinerazione di San Giorgio di Portoscuso le cui

1253 Bernardini 1989, p. 101. 1254 Pithekoussai I 1993. 1255 Per i reperti egittizzanti dagli scavi 1952-1961 v. De Salvia 1993b. 1256 De Salvia 1978; De Salvia 1983b. 1257 Per la diffusione di prodotti nord-siriani e la frequentazione degli empori della costa levantina da parte degli

euboici v. Boardman 1990, p. 179 e segg. 1258 Feghali Gorton 1996, per le tipologie di Pitecussa pp. 159-160. 1259 V. § 5.1.3. 1260 Bartoloni 1973, n. 24. 1261 De Salvia 1993b, n. 696 – 12, fig. 10.

Page 251: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 251 -

tombe furono utilizzate negli anni intorno alla metà dell’VIII secolo1262 ha fornito uno

scarabeo rinvenuto purtroppo fuori contesto1263. Il motivo composto da geroglifici alla

base e la peculiare forma del dorso, caratterizzata da due profonde linee parallele di

separazione delle elitre, permettono il paragone con uno scarabeo in steatite dall’area

etrusca conservato ora ai Musei Vaticani1264, ma per quanto meglio ci riguarda ad

un’altro scarabeo, anch’esso in steatite, dalla necropoli di San Montano ad Ischia1265. I

paragoni, isolati in una situazione di generale divergenza delle due facies culturali, da

soli difficilmente possono dar prova di relazioni più strette di quelle di tipo

commerciale, quand’anche si postulasse un comune ambito di riferimento delle

credenze magico-religiose1266. Tuttavia per Pitecussa è già stato proposto che eventuali

tracce di residenti orientali nell’isola vadano cercate nei rituali funerari piuttosto che

nei corredi funerari stessi1267.

Nel proseguo della vita del nostro centro la principale provenienza degli oggetti

arcaici è ancora il tophet, ma solo in pochi casi è possibile asserire una datazione

arcaica, come indicata dai confronti. Tra questi verosimilmente vi sono alcuni amuleti

e in particolare il Bes in faïence edito da P. Bartoloni1268 deve ritenersi prodotto da una

bottega orientale (cipriota o forse anche egiziana)1269, così come per la Sekhmet dagli

stessi scavi, per entrambi i quali G. Hölbl indicava una datazione alla dinastia Saitica

(672-525 a.C.) o addirittura a quella Libica1270 (945-730 a.C.). Se quest’ultima

valorizza il confronto proposto per la Sekhmet con un amuleto pitecusano1271, almeno

per il Bes più cautamente l’attribuzione alla XXVI dinastia sarà da preferire, tuttavia i

reperti con sicurezza attribuibili alla fase arcaica non sono sufficienti ad argomentare

1262 Bernardini 1997a, p. 55; Bernardini 2000a, p. 30. 1263 Bernardini 2004, p. 154, fig. 3, 2. 1264 Hölbl 1979, II, pp. 135-136, n. 551, tav. XCIII, 1, conservato al Museo Gregoriano Etrusco con n.i. 15948,

collezione Falcioni (miss.: 13,5x10x6,8 mm). 1265 Hölbl 1979, II, pp. 190-191, tav. CVII, 1, tav. a colori VIII, 1, datato all’ultimo quarto dell’VIII sec.; De

Salvia 1993b, pp. 802, 804, n. 684-6 (miss.: 12,4x8,6x5,8 mm), fig. 8, tav. CLXXXVI, dalla tomba a enchytrismos 684 del Tardo Geometrico II: Pithekoussai I 1993, pp. 662-663.

1266 Ad altro tipo di credenze, quelle legate alla sfera del simposio, condivise con il mondo greco ed etrusco, richiamano le testimonianze archeologiche della fase fenicia in Sardegna e di San Giorgio di Portoscuso in particolare: Bernardini 2004, pp. 131-141.

1267 Docter 2000, p. 148, nota 43. 1268 Bartoloni 1973, n. 12, tav. LVI, 9. 1269 Appare puntuale il confronto con un Bes e un frammento di copricapo della stessa tipologia rinvenuti a

Kition in contesto stratigrafico di VIII-VII sec.: Kition II 1976, nn. 2952 e 2952A, p. 161, tav. IX. 1270 Hölbl 1986, p. 162. 1271 V. supra.

Page 252: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 252 -

correttamente con quali interlocutori il centro di Sulcis intrattenesse relazioni

commerciali in questo periodo. Anche il resto della Sardegna fenicia durante la fase

arcaica non conosce di per se una grande concentrazione di athyrmata nei contesti

funerari e santuariali, almeno a confronto con quella di età punica, e se da una parte

per i gioielli in argento può essere valida la tesi di una loro produzione locale, per gli

amuleti e gli scarabei si pone con maggior forza il problema dell’importazione. Per i

primi G. Hölbl rilevava alcune analogie con simili prodotti diffusi anche nell’Italia

peninsulare1272 mettendo così in dubbio l’onnipresenza fenicia e il loro necessario

coinvolgimento nel commercio delle “cianfrusaglie”. D’altra parte il più recente studio

di A. Feghali Gorton sugli scarabei in pasta e steatite nota la maggior diffusione

nell’isola delle tipologie propriamente fenicie, alcune delle quali basate sull’imitazione

di prototipi della XIX dinastia, la scarsità di quelle naukratite e l’assenza di quelle

attribuite a produzione greca di massa1273. L’analisi dell’autrice è basata su un

campione di circa 1400 esemplari, selezionati in base alla migliore attribuzione a

tipologie di facile confronto, ma ciò non è sufficiente ad inficiarne la validità.

Dovranno essere aggiunti ai pochi esemplari censiti i due scarabei di fabbrica

naukratita recentemente editi nel volume sugli scavi della necropoli di Monte Sirai1274

e provenienti da due diverse tombe datate alla metà del VI secolo1275. Alla stessa

fabbrica ci è parso possibile attribuire l’amuleto a forma di leone in faïence (n. 62)

rinvenuto entro la tomba 9 AR, il cui corredo si data però ai primi decenni del V

secolo1276. I suddetti esempi non fanno che aggiungersi ai prodotti di origine greco-

egiziana che nella madrepatria cartaginese si trovano in quantità più cospicua. Se a

questa vi arrivassero direttamente o per tramite greco è un argomento per il quale si è

parlato e si continuerà a discutere: già nel 1945 J. Vercoutter dopo aver passato in

rassegna le possibili vie di acquisizione di oggetti egiziani da parte di Cartagine1277

concludeva ammettendo una pluralità di fonti di importazione. In particolare, tenuto

conto di fornire solo dei trends indicativi, rilevava una rilevanza maggiore

1272 Hölbl 1986, p. 162. 1273 Feghali Gorton 1996, pp. 155-157. 1274 Bondì 2000, nn. 133, 183, giustamente compresi dall’autore nel type XXVIII B: Feghali Gorton 1996, pp.

93-107. 1275 Bondì 2000, tombe 50 e 66 scavate negli anni 1985-1986. 1276 V. § 4.2.5. 1277 Vercoutter 1945, pp. 349-356.

Page 253: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 253 -

dell’intermediario fenicio nell’VIII – inizio del VII secolo, un accesso diretto di

Cartagine all’Egitto dall’inizio del VII al VI secolo, mentre dal VI in poi il tramite

greco sarebbe stato preponderante1278. Le teorie dell’egittologo francese dovevano

rivelarsi metodologicamente deboli per continuare ad essere accettate, tuttavia a

distanza di quarant’anni un’intuizione “pionieristica” si rilevava di indubbio interesse

in un contributo di S. Moscati: la via che da Naukratis portava a Cartagine passava per

la Sicilia1279. Questa intuizione il Moscati epurava tuttavia dal ruolo dei Greci, della

cui mediazione non era necessario postulare il contributo1280. Più recentemente il ruolo

greco e cipriota è risultato determinante nella diffusione dell’“orientalizzante” e

naturalmente di manufatti egittizzanti nel mediterraneo occidentale1281. Tanto più sarà

determinante il fatto che si ritenga che le più note fabbriche di manufatti vitrei, entro i

quali si comprendono gli amuleti egittizzanti, fossero in mano a maestranze di

nazionalità greca. Naukratis era una città del delta del Nilo presso la quale una

comunità greca molto eterogenea era stanziata dalla fine del VII secolo, e prima di

questa una cipriota1282. Altro centro rilevante nella produzione in faïence durante l’età

arcaica era Rodi1283, la cui attività si riconosce già da prima della metà del VII secolo

ed alla quale si affianca col tempo quella di Naukratis.

La partecipazione dei fenici alla produzione che avveniva nei due centri è in

parte suggerita oltre dalle influenze artistiche, trasmissibili tuttavia altresì attraverso i

canali costituiti dagli empori levantini come Al Mina frequentati da greci1284, anche dai

dati archeologici che indicano una seppur debole presenza fenicia a Rodi1285.

1278 Ibidem, pp. 356-357. 1279 Moscati 1985a, p. 625. 1280 Ibidem, pp. 626-627. 1281 Al proposito v. Hölbl 1979; De Salvia 1983a; De Salvia 1993; sul ruolo della Sicilia v. De Salvia 1997. 1282 Boardman 1986, pp. 126-143, contrariamente all’affermazione erodotea di una fondazione sotto il regno di

Amasis, sesto faraone della XXVI dinasta stitica (570-526 a.C.), la ricerca archeologica ha attestato la presenza di un insediamento greco già dal 630-620 a.C.: p. 129. Sulla preesistenza ed il ruolo dei ciprioti nella produzione in faïence v. De Salvia 1997, pp. 78-79 e relativa bibliografia. Per una panoramica dei rinvenimenti dai primi scavi inglesi v. Petrie 1886. Per i tipi di scarabei prodotti v. Feghali Gorton 1996, pp. 91-131, 177-180.

1283 Webb 1978; per quanto riguarda gli scarabei in pasta e faïence a produzione rodia è attribuito il type XXII: Feghali Gorton 1996, pp. 63-72, 171-172, 181 e segg.

1284 Webb 1978, pp. 10-11. 1285 Ci si riferisce nello specifico alle sepolture ad enchytrysmos delle necropoli arcaiche di Camiros e Ialysos ed

al frammento di ceramico con iscrizione fenicia, datato al 630-600 a.C., rinvenuto nella tomba 37 di quest’ultimo centro: Lipinski 2004, p. 146.

Page 254: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 254 -

I rapporti diretti tra Cartagine e l’Egitto sono d’altronde testimoniati, al di là

delle influenze artistiche e delle importazioni, anche dalla presenza nell’una e

nell’altro di individui riconoscibili dall’epigrafia. Gli antroponimi Mesry e Mesret,

presenti con una certa frequenza sulle stele di Cartagine, designano individui di

nazionalità, o appartenenti a famiglie di originaria provenienza egiziana1286. Per

contro, anche se in età più tarda, è attestata anche l’evidenza opposta da una dedica di

un cartaginese in caratteri neo-punici incisa sul dorso di una sfinge rinvenuta da

Mariette nel Serapeo di Saqqara1287.

Per quel che riguarda Sulcis abbiamo menzionato la difficoltà di riconoscervi

manufatti naukratiti, ma che seppur non numerosi non mancano di certo. Già lo studio

di A. Feghali Gorton ha messo in evidenza come la distribuzione spaziale di manufatti

attribuibili a botteghe naukratite (Group 6) interessi la Sardegna, o almeno il centro di

Tharros1288. È interessante notare che sebbene tutti i tipi (XXVIII-XXXVI) siano

attestati a Cartagine, solo alcuni (XXVIII, XXX-XXXI, XXXIV-XXXV) raggiungano

la Sardegna.

La produzione rodia era invece specializzata principalmente nell’esecuzione di

contenitori sia in vetro che in faïence. I prodotti erano principalmente unguentari

riproducenti forme vascolari greche o configurati di varie forme. Tra quelli del

secondo tipo sono caratteristici e facilmente riconoscibili gli spargi-profumo che

riproducono un personaggio femminile inginocchiato, con copricapo a forma di papiro,

che tiene le mani sulla spalla di un grosso otre al di sopra del quale è una rana. La

nebulizzazione si otteneva soffiando dentro ad un foro in prossimità del capo del

personaggio, mentre il profumo fuoriusciva dai fori di emissione presso la bocca della

rana. In Sardegna in particolare sono attestati due identici oggetti di questo tipo a

Tharros e proprio a Sulcis1289 che, benché privi dell’associazione con il contesto

stratigrafico da cui provengono, possono essere datati sulla base dei confronti al

1286 Halff 1965, p. 82; Fantar 1994, p. 207 e segg. 1287 Bresciani 1987, p. 73, la testimonianza è tuttavia tarda e rientra tra i ben più riconoscibili contatti intercorsi

in età ellenistica per i quale si rimanda a Huss W., (1979). Die Beziehungen zwischen Karthago und Aegypten in hellenistischer zeit. In Ancient Society vol. 10, pp. 119-137, cit. in ibidem, p. 78, nota 19.

1288 Ibidem, pp. 91-131. 1289 Webb 1978, nn. 64 e 64a; Hölbl 1986, p. 399, tavv. II (Sulcis) – III (Tharros); quello sulcitano proviene dal

tophet ed edito anche in Tronchetti 1989, p. 14, fig. 7; Sulcis 1989, p. 95, fig. 66, entrambi gli autori danno il VI sec. come datazione.

Page 255: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 255 -

periodo tra pieno VII e gli inizi del VI secolo1290. A Rodi è inoltre localizzato uno dei

centri di produzione dei vasetti vitrei del cosiddetto “Primo Gruppo Mediterraneo”1291,

del quale non mancano esemplari in Sardegna1292, ma che copre l’arco di tempo più

recente tra metà del VI e inizi del IV secolo. A questa classe di reperti non sfuggono

l’amphoriskos e l’oinochoe di ottima fattura dalla necropoli punica di Sulcis1293, che

per questo motivo non possono essere più antichi della fine del VI secolo, e

l’alabastron della tomba 12 AR in contesto di primo V secolo1294.

Differente è la situazione per quel che riguarda oggetti rodii di taglia più piccola

come amuleti e scarabei. Dei primi non sono state studiate in particolar modo le

tipologie1295, motivo per il quale non se ne può apprezzare la distribuzione in

Sardegna, ma per gli scarabei si ripete in maniera più accentuata la situazione relativa

alle produzioni naukratite. Dei tre tipi frequenti in siti greci (Group 4, types XXII-

XXIV)1296, solo il primo (XXII), caratteristico di una mass-production, è attestato da

qualche esemplare anche a Cartagine1297 e corrisponde alla prima fase della produzione

rodia individuata dalla Webb1298, entro la quale vanno pure considerati i due

nebulizzatori sopra descritti.

Sembra quindi di poter notare che dovette esistere un mercato “greco” cui

questi prodotti erano destinati, e che solo occasionalmente questi raggiungessero i siti

fenici della Sardegna, passando sicuramente prima per la Sicilia e Cartagine. Per gli

scarabei d’altronde sono stati riconosciuti alcuni tipi distribuiti principalmente nel

mediterraneo occidentale e quindi appartenenti ad un mercato “fenicio”, il che rende

valida l’affermazione che i fenici fossero autosufficienti in merito

all’approvvigionamento di questi oggetti, che dovevano essere appositamente prodotti

e selezionati. Rispondono a queste caratteristiche i tipi del gruppo 3 (“Phoenician

types”, tipi XV-XXI)1299, diffusi tra la fine dell’VIII ed il III secolo. In particolare

1290 Hölbl 1997, p. 51, tav. III. 1291 V. Ferrari 1996, p. 10, nota 13, con bibliografia. 1292 Uberti 1993, pp. 34-35. 1293 Ibidem, pp. 35, fig. 2, n. 5, nota 17 (propone la provenienza da Monte Sirai), fig. 4, n. 3; l’ultimo anche in

Sulcis 1989, p. 91, fig, 52, datazione al V sec. 1294 Tronchetti 2002, pp. 146, 153, n. 28, tav. X, 2. 1295 Webb 1978, p. 9, v. testo a nota 96 per quelli attribuiti alla stessa produzione dei vasi. 1296 Feghali Gorton 1996, pp. 63-79. 1297 Ibidem, pp. 63-71. 1298 Ib., p. 181; Webb 1978, pp. 6-8, fig. 4. 1299 Feghali Gorton 1996, pp. 43-62.

Page 256: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 256 -

Sulcis è interessata solo indirettamente per quanto riguarda il tipo XV, dalla presenza

di uno scarabeo di questo tipo nella tomba 11 di Monte Sirai1300, e direttamente dallo

scarabeo in steatite della collezione Don Armeni compreso entro il tipo XVI1301.

Lo studio di A. Feghali Gorton ha il merito sicuramente di aver messo un certo

ordine in una documentazione dispersa, tuttavia non tutte le tipologie possono godere

di precisi agganci cronologici. I tipi individuati si profilano quindi come prodotti da

processi della durata di qualche secolo, non valgono quindi probabilmente ad

individuare un unico centro di produzione. Oltretutto l’ultimo oggetto da noi

menzionato rientra in piena età punica ed esula dal discorso sin qui esposto e relativo

al periodo arcaico della presenza fenicia in Sardegna.

Tornando ai manufatti egittizzanti la distribuzione di quelli di origine greca o

naukratita, accomunati qui per la padronanza delle medesime tecniche e stili, indicano

una maggiore attestazione a Cartagine, anche se non analiticamente quantificata.

Inferiore, sia quantitativamente che qualitativamente, è la presenza a Tharros e ancor

più a Sulcis. Emerge così il quadro di una dipendenza della Sardegna da Cartagine

anche per quanto riguarda l’età arcaica, ovvero prima che avvenga la conquista

militare dell’isola. Quanto questo fenomeno vada posto in là nel tempo non è possibile

affermare con certezza, inoltre appare limitato agli oggetti di categorie suntuarie e di

piccola taglia. Se poi il rapporto con Cartagine avvenisse in maniera diretta o per

tramite di Tharros è difficile definire, da una parte la posizione geografica di Sulcis

porterebbe a ritenere valida la prima possibilità, dall’altra la maggior concentrazione di

athyrmata a Tharros non necessariamente qualifica il centro come principale

smistatore dell’isola, a meno che non fosse anche quello produttore, e questo vale in

teoria solo per i manufatti del mercato “fenicio”. D’altra parte la stretta relazione tra

Tharros, la qart-hadasht di Sardegna, e la metropoli africana1302 è un fatto che può

dare una spiegazione ulteriore. Nel Sulcis invece, di un’ingerenza di tipo commerciale

da parte della grande colonia tiria si è già notato qualche probabile indizio nella

1300 Ibidem, p. 47, n. 9. 1301 Ib., p. 50, n. 4, l’autrice rivela l’omogeneità degli esemplari e la datazione compresa entro la metà del VI ed

il IV sec.; v. anche § 2.1.: Uberti 1971, n. 18. 1302 Bernardini 1997c, p. 100; si veda in particolare al riguardo Acquaro 1995b.

Page 257: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 257 -

presenza di individui di origine cartaginese sepolti nella necropoli fenicia di Monte

Sirai1303.

Una terza area di provenienza di athyrmata doveva essere la costa levantina con

la quale la Sardegna e tutto il mondo fenicio occidentale seguitava a tenere rapporti a

seguito dei primi moti colonizzatori che dalla prima erano partiti. Data la minore

conoscenza della documentazione di quest’area, la sua esistenza può essere più

presunta che reale, e postulata come determinante nell’acquisizione di athyrmata in età

fenicia arcaica per la Sardegna ed il Mediterraneo occidentale. Per quanto concerne gli

scarabei lo studio di A. Feghali Gorton ha rilevato solo tre tipi di produzione nord-

siriana o fenicia (types XV, XVII, XIX)1304, dei quali solo il primo (type XV) conosce

una diffusione capillare in tutto il mediterraneo1305 ed anche a Monte Sirai, con

l’esemplare summenzionato dalla tomba 11 di età punica1306. Il tipo tuttavia è presente

in contesti datati dalla fine dell’VIII sino al IV-III secolo1307, per cui non è escluso

possedesse più centri di produzione. Il type XVII è attestato in Sardegna solo a

Tharros e la datazione è data da un solo esemplare spagnolo su quattro al VII-VI

secolo, ma l’attribuzione alla produzione orientale è data dubitativamente vista la

mancanza di riscontri in quest’area1308. L’ultimo tipo di produzione orientale (type

XIX)1309 rappresenta il cosiddetto “Greco-Phoenician style”, per l’indiscusso rapporto

stilistico con la glittica in diaspro verde, e per i contesti in cui è rinvenuto non può

essere più antico della fine del VI secolo.

Questa scarsità documentaria trova un parallelo ancora più emblematico negli

amuleti: gli oggetti noti in Oriente non differiscono tanto da quelli egiziani ed in

quest’area dovette operare la distribuzione delle botteghe naukratite e rodie.

Ciononostante G. Hölbl ha messo a punto i criteri stilistici per il riconoscimento

individuando uno “stile unitario” (Einheitsstil) che contiene in nuce quegli effetti di

banalizzazione e schematizzazione che caratterizzano la produzione sicuramente

1303 Cfr. § 5.1.4. e 5.2.: tomba 88 (Bartoloni 2000a) e tomba 95 (Bartoloni 1999b). 1304 Feghali Gorton 1996, p. 183. 1305 Ibidem, pp. 43-48. 1306 Ib., p. 47, n. 9, lo scarabeo trova un preciso riscontro nel n. 8 da Tharros. Sulla tomba 11 v. Amadasi,

Brancoli 1965; per gli scarabei il più recente Bondì 1975; per la datazione della tomba ad età punica Bartoloni 1981, p. 25.

1307 Feghali Gorton 1996, p. 48. 1308 Ibidem, pp. 50-51. 1309 Ib., pp. 55-57.

Page 258: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 258 -

occidentale1310. Lo stile unitario definito dall’Hölbl non sarà sufficiente comunque a

comprendere tutta la produzione orientale, che pur doveva essere ampia e attende

ancora di essere riconosciuta tra gli amuleti rinvenuti in Sardegna. Tra gli oggetti che

riteniamo esclusi da questo criterio, ma che plausibilmente non erano prodotti in

Occidente è il pateco del tophet caratterizzato da uno scarso sviluppo in profondità1311.

Scarsi i confronti in Sardegna, tra i quali l’analogo del tophet di Tharros1312, uno

conservato al Museo Archeologico Nazionale di Cagliari1313 ed un altro al Museo

Sanna di Sassari1314. Alla stessa tipologia si conforma anche il pateco dei più recenti

scavi del tophet di Sulcis1315 e quello che accompagnava il defunto della tomba 88 di

Monte Sirai1316, entrambi da contesto arcaico e più precisamente del secondo quarto

del VI secolo per l’ultimo, il quale soffre tuttavia di una pronunciata schematizzazione.

Il tipo si enuclea oltre che per la scarsità di attestazioni, in paragone alla grande

quantità di pateci da contesti funerari fenici e punici sardi, per la già menzionata

proporzione dei volumi e per la costante rappresentazione su entrambi i lati1317.

Evidente è inoltre la conformazione delle braccia della figura che descrivono un

angolo retto tra braccio e avambraccio, mentre l’ipotenusa riecheggia la posizione dei

coltelli ormai irriconoscibili. I confronti in Oriente non sono numerosi1318 ma

qualitativamente indicativi perché testimoniano il grado avanzato di sviluppo verso la

schematizzazione che toccherà i limiti con l’amuleto-domino forse proprio con la

traslazione della produzione in qualche centro occidentale1319.

1316 Bartoloni 2000a, p. 22, tav. II, d.

1310 Hölbl 1986, pp. 159-160; Hölbl 2004, pp. 66-67; per i precedenti studi di E. Acquaro sulla documentazione sarda v. sintesi in Acquaro 1984, pp. 107-149.

1311 V. § 2.2.: Bartoloni 1973, n. 28. 1312 Acquaro 1978, p. 68, nota 20, tav. XIV, 1. 1313 Acquaro 1977, n. 734, tav. XXXII, con la serie dei nn. 735-738 che offre le ulteriori schematizzazioni del

tipo sino all’“amuleto-domino”. 1314 Acquaro 1982, n. 112, tav. VII, con la serie dei nn. 113-118: cfr. nota prec. 1315 Montis 2005, n. 43.

1317 Manca infatti il tipo con Iside pterofora sul retro. 1318 V. Herrmann 2002, pp. 100-101, 170, n. 84, da Akko ma con datazione a prima età ellenistica (IV-III sec.);

da aggiungere anche Herrmann 1994, p. 461, nn. 635-363, tav. XL, da Akhsiv e Akko, per la conformazione triangolare di braccia e coltelli e datazione più alta (Ferro II B-C: 925-586 a.C.), sebbene non riproducano la stessa immagine sui due lati; Tell Keisan 1980, pp. 344, 350, n. 65, tavv. CVI, CXXXVIII; due vengono anche da Amatunte a Cipro: Clerc 1991, pp. 93-94, nn. 338/7.3-4 (il secondo più stilizzato, ma il primo è praticamente identico a Bartoloni 1973, n. 28) dalla tomba 338, il cui contesto è indicativamente datato tra Cipriota Arcaico e Cipriota Classico.

1319 Per le presenze al di fuori della Sardegna in ambito mediterraneo occidentale v. anche Hölbl 1686, p. 111, che tuttavia suddivideva gli esemplari sardi in due diversi tipi: 5.2.A.1.2 (p. 83), per la presenza da 4 a 5 fori, e 5.2.A.3.2, entro il quale era compreso l’esemplare dai vecchi scavi del tophet; per gli esemplari cartaginesi

Page 259: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 259 -

Per quanto riguarda i rapporti con l’Etruria questi solo limitatamente si colgono

nell’ambito degli athyrmata. Andrà richiamata ancora una volta la Sekhmet del

tophet1320, per la quale sono stati trovati cinque confronti appartenenti ad una collana

rinvenuta a Tarquinia in contesto di inizi VII secolo1321, ma che data la fattura rodia

non indica certamente l’esistenza di contatti diretti tra il nostro centro e questa regione,

anzi almeno per questo manufatto si può supporre una mediazione greca. Il quadro

delle importazioni ceramiche nell’isola indica che con l’area etrusca i contatti diretti si

incrementano dalla fine del periodo orientalizzante per risultare assestati negli ultimi

anni del VII secolo. La maggiore articolazione del repertorio vascolare, in crescita sino

al 540, documenta un rapporto diretto tra i centri fenici e le metropoli costiere

dell’Etruria meridionale1322, ed a questa condizione non esula Sulcis1323. Il 540 a.C.

segna tuttavia un’interruzione delle importazioni di bucchero, che solo parzialmente si

spiega con una contrazione del commercio etrusco in questo momento1324 e meglio con

la particolare situazione politica che si delinea nel tirreno tra la battaglia di Alalia e il

trattato di Roma e Cartagine del 509 a.C.1325. A questo periodo e alla presenza di

individui etruschi nelle città fenicie di Sardegna richiama la nota tessera ospitalis in

avorio conformata a leoncino rinvenuta nel santuario di S. Omobono a Roma1326. La

placchetta1327 riporta sul lato non decorato lungo il bordo il nome del possessore, tale

araz silqetenas spurianas (al genitivo), il quale porterebbe un gentilizio interpretato a

suo tempo dal Colonna come “il sulcitano”1328. La datazione invece si pone col

generale consenso intorno al 540-530, anche per l’attestazione del secondo gentilizio a

Tarquinia nel 530 a.C. circa, e potrebbe rappresentare la permanenza di un mercante

Etrusco in Sardegna, da che gli sarebbe derivato il gentilizio, in un quadro in cui

minoritaria doveva essere la partecipazione diretta degli etruschi al commercio con le

v. Vercoutter 1945, nn. 816, 818-820, tav. XXII, tutti con datazione troppo ampia (VII-III sec.). Degna di nota la presenza del segno ankh inciso alla base degli ultimi tre e non riscontrato su altri: p. 293.

1320 V. supra. 1321 Hölbl 1979, II, p. 43, n. 130, k-o, tav. XXXVII, 4-8; Principi Etruschi 2000, p. 294, n. 390, dalla “tomba di

Bocchoris” con datazione al 700-690 a.C. 1322 Tronchetti 2000, p. 349; v. anche Tronchetti 1988. 1323 Bernardini 1989, p. 102. 1324 Tronchetti 2000, p. 351. 1325 Ibidem. 1326 Ib., p. 350. 1327 Cristofani 1990, p. 21, n. 1.6. 1328 Opinione non unanimemente condivisa: v. ib.

Page 260: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 260 -

città fenicie di Sardegna1329. Affianco a questa vanno inoltre ricordate la tessera

ospitalis rinvenuta nella necropoli di Santa Monica a Cartagine e l’iscrizione su di un

blocco di arenaria locale rinvenuto a Oristano e databile alla fine del VII – inizi del VI

secolo1330.

È interessante notare che l’unico oggetto di ornamento riferibile all’area etrusca

rinvenuto a Sulcis sia databile tramite confronti alla fine del VI secolo1331, proprio

quando vengono meno i ben più riconoscibili buccheri in Sardegna. L’armilla circolare

in vetro blu da noi esaminata (n. 1) proviene da un contesto di poco più tardo (tomba 1

PGM BLV, inizi del V secolo), ma può essere benissimo esser stata indossata in vita

nei decenni precedenti sino a risalire alla data dei confronti etruschi. Abbiamo inoltre

rilevato come il reperto non sia isolato ma trovi un puntuale riscontro nel Museo

Archeologico Nazionale di Cagliari, sebbene privo di indicazioni di provenienza e

originariamente provvisto di terminazioni auree conformate a protome di leone.

L’oggetto originario è stato scorporato cosicché le protomi leonine risultano edite nel

catalogo dei gioielli “di Tharros” di G. Pisano del 19741332, mentre il corpo vitreo del

bracciale è stato pubblicato in quello dei vetri preromani di M.L. Uberti del 19931333.

La curiosità sta nella sostanziale somiglianza tra le protomi rinvenute in Etruria e le

due sarde, tale da suggerire una realizzazione ad opera della stessa bottega: il tipo di

bracciale sembra essere caratteristico del solo centro di Vulci1334. La tecnica di

decorazione tuttavia differisce tra le due coppie: a filigrana in quella etrusca e a

granulazione in quella sarda. Sebbene quest’ultima tecnica fosse ben conosciuta agli

artigiani etruschi, la maggiore dimensione dei granuli sembra essere più in linea con il

gusto dell’artigianato tharrense, onde per cui ci sembra di poter riconoscere le tracce di

un artigiano etrusco che per accontentare un committente fenicio avrebbe lavorato

seguendo il suo gusto o addirittura operato nel centro dell’Oristanese lontano dalla sua

patria. Ad ogni modo i due bracciali sono rivelatori di una realtà ormai in

cambiamento: di un’estromissione degli etruschi dai contatti diretti con l’isola, di una

1329 Bernardini 2000b, p. 179. 1330 Ibidem, pp. 184-5, nota 34. 1331 V. § 4.1.1. 1332 Pisano 1974, pp. 117-118, nn. 180-181, fig. 8, tav. XVII (nn. inv.: 9337-9338, collezione Spano) 1333 Uberti 1993, n. 119, pp. 105-106, tav. XVII (senza n.i.). 1334 V. § 4.1.1.

Page 261: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 261 -

circolazione di merci etrusche limitata ai soli oggetti di lusso quali gioielli o avori1335 e

per Sulcis della impossibilità di intrattenere relazioni commerciali in autonomia e

perciò, se l’ipotesi dell’artigiano etrusco a Tharros fosse valida, la riprova della

generale mediazione tharrense nello scambio di athyrmata.

Il periodo punico documenta quindi una situazione di presunta chiarezza:

l’ingresso di Sulcis entro l’orbita di Cartagine nell’ultimo quarto del VI secolo,

avvenuto in maniera affatto pacifica, segna un periodo di crisi economica e di

conseguenza una contrazione delle importazioni1336. Circa cento anni saranno

indispensabili alla ripresa del nostro centro: tra la fine del VI ed i primi venti anni del

V secolo sono infatti rari e circoscritti i casi di importazioni, qualificati come di scarso

pregio e di produzione corrente1337, tra i quali rientrano i due lekythoi e lo skyphos di

fabbrica attica della tomba 12 AR1338, mentre si fanno più abbondanti nel proseguo del

secolo1339. In questo periodo la dipendenza commerciale da Cartagine produce i suoi

evidenti effetti anche sull’acquisizione di ornamenti personali. Per gli amuleti Tharros

sembra essere il punto di riferimento e per i gioielli, data la scarsa ricezione di tipi, non

sorprende che si sia proposta la produzione locale dell’orecchino ellittico ad arco

ingrossato come debole dimostrazione di autosufficienza del centro. In merito a questo

tipo si è supposta da parte nostra l’attività di artigiani itineranti1340, che avrebbero

svolto quindi una prima operazione di selezione degli oggetti commerciabili ed

avrebbero prodotto in loco quelli di minore qualità tecnica. La regola tuttavia sarà di

qui in avanti la mediazione di Cartagine per tutte le importazioni.

Ciò che maggiormente contraddistingue l’età punica da quella precedente

nell’ambito degli athyrmata è tuttavia l’inizio della produzione locale, che consentirà

alla Sardegna e all’Occidente punico di svincolarsi dalle importazioni, ritenute

1335 Martelli 1985, p. 237, figg. 58-60, in cui alcune placchette di rivestimento di scrigni rinvenute a Tharros e

Nora (tomba 26) sono attribuiti al terzo gruppo individuato dall’autrice e di produzione vulcente, per la datazione del gruppo al primo/secondo quarto del V secolo: p. 235. Condivide inoltre l’opinione di G. Chiera di una provenienza tharrense degli esemplari norensi: nota 58, p. 245.

1336 Sulcis 1989, p. 17. 1337 Bernardini 1989, p. 102. 1338 Tronchetti 2002, nn. 26, 33 e 35, tavv. IX, 1-2, XI, 3-4. Dallo stesso contesto è l’alabastron di probabile

fabbrica rodia summenzionato: n. 28, tav. X, 2. 1339 Bernardini 1989, p. 103. 1340 V. § 5.2.5.

Page 262: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 262 -

determinanti in età fenicia1341. Abbiamo già rilevato altrove come il termine locale

debba assumere un’accezione più ampia a comprendere uno o più centri di produzione

siti nel mediterraneo occidentale1342, ma quel che sembra rilevante è la sensibile

diminuzione delle importazioni, si parla principalmente di amuleti e scarabei, come

conseguenza di un’incapacità di reperire all’esterno degli oggetti che una rinnovata

domanda richiedeva in quantità eccessiva. Abbiamo già proposto come l’aumento

della domanda si possa spiegare con il nascere di un ceto sociale che necessitava degli

scarabei come sigilli per fini amministrativi, e che gli amuleti egittizzanti

rappresentino un rinnovato affidamento alle forze occulte della magia e della religione

egizia1343, ma non è da escludere che alcuni dei canali e dei centri di produzione

orientale fossero entrati in crisi in seguito all’inizio della dominazione persiana1344.

Il V secolo, ma più correttamente si dovrà parlare della sua prima metà1345, è

come abbiamo detto per Sulcis un periodo di crisi, il che vale a spiegare la ridotta

acquisizione di gioielli in metalli preziosi e la scelta rivolta a tipologie semplificate

come l’orecchino ellittico ad arco ingrossato ed i vaghi in lamina d’oro su anima in

pasta1346. Per tipologie più complesse, nel complesso rare a Sulcis, e tra le quali sono

da porre i tre piccoli pendenti decorati a granulazione della tomba 1 PGM BLV (nn. 7-

9), si è invocato il ruolo di Tharros. Nel complesso questo periodo presenta una facies

tutto sommato abbastanza definita per Sulcis, con una generale esiguità dei corredi, in

relazione a quelli riscontrati a Tharros nello stesso periodo, per i più ricchi dei quali si

dovrà escludere la produzione locale ed accettare la mediazione di Tharros o della

stessa Cartagine, sia che fossero prodotti in Sardegna, di importazione orientale o

dell’area etrusca.

Il IV secolo segna il momento della ripresa per Sulcis e le altre colonie sarde

che si erano opposte alla politica militare di Cartagine e nel nostro centro l’oreficeria

1341 Sintetizzato in Padró 1991, pp. 67, 72, in riferimento alla situazione ibicenca; ripreso anche in Campanella,

Martini 2000, p. 51, nota 86, per quanto concerne la Sardegna. 1342 V. § 5.2.3. 1343 V. § 5.1.2. 1344 Dopo il 525 a.C. La comunità greca di Naukratis in Egitto, dovette risentire dell’occupazione persiana e se

ne colgono le conseguenze nella crisi delle esportazioni di scarabei verso l’area greca, ma in generale l’uso di scarabei si riduce sensibilmente a partire da questa data: Feghali Gorton 1996, p. 184. Per la scomparsa di oggetti egittizzanti in Grecia, Italia peninsulare ed Etruria alla fine del VI sec. v. De Salvia 1983a, p. 139; Hölbl 1979, I, p. 233.

1345 Bernardini 1991, p. 195. 1346 V. § 5.2.5.

Page 263: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 263 -

raggiunge, anche se solo con importazioni, il punto di più alto livello. Gli orecchini e

l’anello digitale con decorazione a rosetta con intarsi di pasta vitrea di gusto

ellenistico1347 ancora una volta presuppongono Cartagine come milieu, mentre Tharros

sembra privata del ruolo ricoperto precedentemente. A cominciare da questo periodo

negli amuleti abbiamo riscontrato una maggior presenza a Sulcis, seppure il livello

qualitativo sia inferiore rispetto ai periodi precedenti, ma coerentemente con quello

degli altri centri punici, come Cartagine, Ibiza e la stessa Tharros. In rapporto a

quest’ultima tuttavia il dato quantitativo sembra dare ragione al nostro centro,

lasciando adito ad una maggiore competitività tra i due e di un ormai compiuta ripresa

economica.

Nel rilevare i dati utili al discorso degli scambi in Sardegna relativamente a Sulcis,

abbiamo integrato quando presente la documentazione con quella rinvenuta a Monte

Sirai. Questo risulta corretto data la sostanziale identità di facies, evidente non solo

negli athyrmata ma anche, e soprattutto, nella ceramica1348. Ne deriva nella trattazione

la considerazione come un solo unico centro onde per cui descrivere gli scambi tra

l’uno e l’altro renderebbe il discorso tautologico. Per quanto concerne gli altri centri

del Sulcis-Iglesiente non sono stati espressi dagli scavi quei dati quantitativi che

permettano una decisa ricognizione della facies degli athyrmata1349, ma la posizione

geografica di Pani Loriga e in minor misura Antas e Bithia, più decentrate, permettono

di supporre la funzione di Sulcis come redistributore della ragione.

Una notazione a margine merita anche una classe di materiali che, repertoriata

nell’analisi degli oggetti in catalogo, non è stata considerata ai fini del riconoscimento

dei processi di scambio: i vaghi in pasta vitrea. Nella sezione dedicata agli aspetti della

loro produzione si è proposta una serie di indizi che permetta di riconoscere seppur

dubitativamente un centro di produzione in Sardegna, tuttavia la capillare distribuzione

che oggetti di questo tipo, e nella fattispecie quelli maggiormente presenti a Sulcis

1347 Bernardini 1991, pp. 195-196, tav. V, 1, 3-4. 1348 Bartoloni 1983, pp. 35-54. Un discorso a parte è quello relativo alla produzione locale che, pur in autonomia,

risente di forti influssi dalla vicina Sulcis e in alcuni casi anche di importazioni: Moscati 1993a, p. 87 e segg. 1349 Scavi ad Antas, Pani Loriga e Bithia non hanno messo in luce sequenze di tombe paragonabili a quelle di

Sulcis e Monte Sirai, né quantità di oggetti che permettano reiterabili confronti.

Page 264: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 264 -

ovvero quelli con decorazione ad occhi, nonché lo stato delle ricerche in aree diverse

da quella iberica e centro europea, non ci hanno permesso di andare oltre una semplice

campionatura1350. Eppure questi tipi di oggetti sono quelli che storicamente, e un po’

semplicisticamente, rappresentavano i primi contatti tra i fenici e le popolazioni locali

delle coste del mediterraneo, attratte dai vivaci colori di quelle che potevano essere

scambiate per pietre preziose. Più analiticamente tuttavia possono essere considerati

come una veloce e facile merce di scambio tra le città fenicie della costa e i villaggi

indigeni dell’interno. Un primo tentativo di classificazione dei manufatti vitrei

rinvenuti in contesti prenuragici e nuragici è stato effettuato diverso tempo fa1351 ma

dovrà essere, oltre che implementato da più recenti dati di scavo e indicazioni

cronologiche, confrontato con i manufatti presenti nei centri fenici e punici dell’isola.

1350 V. § 4.1.3, tab. 1. 1351 Melis 1989.

Page 265: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 265 -

6. CONCLUSIONI

In conclusione del presente lavoro offriremo una sintesi dei dati rilevati nel corso della

ricerca allo scopo di ottenere un quadro quanto più sinottico dell’intera

documentazione sulcitana e di evidenziare eventuali spunti per la ricerca futura.

Nella prima parte del lavoro abbiamo mostrato a scopo introduttivo le tappe

della storia di Sulcis. In particolar modo è stato messo in risalto il periodo compreso

tra la metà dell’VIII e la fine del III secolo a.C., in cui l’isola di Sant’Antioco ed il

resto della Sardegna conoscono per la prima volta la frequentazione stabile da parte di

genti estranee. A questo periodo è infatti attribuibile una facies archeologica autonoma

distinta a livello cronologico dalla conquista delle precedenti colonie fenicie da parte

della crescente potenza politica cartaginese. Questa conquista appare ormai compiuta

alla fine del VI secolo e permette di distinguere in Sardegna tra una precedente fase

fenicia e una successiva punica. Se per la prima i dati archeologici solo ultimamente

permettono di delinearne lo sviluppo, l’avvio della seconda fase comporta certamente

per il nostro centro un periodo critico in cui verrà meno la sua autonomia. La ripresa di

cospicue importazioni e quindi della stessa economia di Sulcis avviene dopo circa un

secolo e durerà sino alla conquista romana, che interessa tutta l’Isola nel 238 a.C.

Questa data segna il limite temporale della nostra indagine, ma non della presenza di

ornamenti personali a Sulcis, dal momento che lo Spano nel XIX secolo ne rilevava a

Sant’Antioco la cospicua presenza per l’età romana. Questa documentazione ci è

completamente ignota ed andrà ricercata nei magazzini del Museo Archeologico

Nazionale di Cagliari ed altrettanto nelle collezioni private cittadine. Il proliferare di

questo di tipo di collezionismo a Sant’Antioco, di cui sono noti e forniti per gli

athyrmata almeno quattro esempi, può dare un primo e non valutabile conto della

differenza tra il nostro centro e quello di Tharros, vittima per secoli di scavi clandestini

e della dispersione internazionale dei suoi reperti1352. In futuro solo un recupero di

questa documentazione, fortunatamente più alla portata rispetto a quella tharrense,

consentirà un approccio più consapevole nei confronti della questione degli athyrmata

sulcitani.

1352 Uberti 1977b, p. 55.

Page 266: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 266 -

Allo Spano d’altronde era sfuggita quella di età fenicia e punica, della quale

rilevava semmai l’insufficienza nei confronti dei più cospicui rinvenimenti che nello

stesso periodo interessavano il centro di Tharros. Solamente il secolo successivo, con

l’inizio di ricerche intensive e programmate nell’area occupata dalla necropoli

ipogeica e dal tophet, inizierà a colmare, seppur parzialmente, questa lacuna

documentaria.

Nella seconda parte abbiamo fornito i dati per una quantificazione e

qualificazione di questa documentazione. È stata presentata infatti sotto forma di

elenco tutta la documentazione sinora edita relativa agli athyrmata di Sulcis. Le

motivazioni che sottostanno ad una tale presentazione del materiale sono l’evidente

difficoltà di riprendere in maniera analitica lo studio degli oggetti ormai dispersi, ma

allo stesso tempo di evidenziare i limiti ed il superamento dei dati ottenuti con le prime

pubblicazioni.

La ripresa di tutte le definizioni tipologiche ci ha permesso di completare il

quadro con due tabelle sinottiche che illustrano la presenza delle tipologie,

limitatamente agli amuleti, rinvenute nella necropoli e nel tophet. La suddivisione del

materiale in due gruppi, a seconda dell’area di rinvenimento (necropoli e tophet), ha

senz’altro il vantaggio di permettere di individuare all’interno di ognuno quelle

tipologie che più erano adatte allo specifico fruitore ed esecutore dei riti che nell’area

avevano luogo. Ma ancora più evidente emerge il deficit della documentazione

sulcitana: da una parte motivazioni di ordine pratico non permettono di scavare nella

zona in cui è stata individuata la necropoli arcaica, per cui gli athyrmata necropolitani

appartengono alla sola fase punica dell’insediamento. L’integrazione con la

documentazione arcaica di Monte Sirai sarebbe per contro solo limitatamente

fruttuosa. La necropoli di questo centro interessa infatti un periodo non anteriore alla

metà del VII secolo, per cui il primo secolo di storia di Sulcis non sarebbe coperto, ma

soprattutto la quantità di oggetti di ornamento, eccetto qualche lodevole eccezione, è in

generale alquanto scarna, seppur consona ad altre situazioni evidenziate nelle altre

necropoli della regione sulcitana. L’intera sequenza cronologica dalla metà dell’VIII al

periodo romano, potrebbe d’altronde essere coperta a Sulcis dal tophet, i cui scavi

tuttavia non ci hanno fornito le associazioni degli oggetti di corredo con le urne, più

facilmente databili. A questa situazione fanno eccezione gli scavi del 1995 e del 1998

Page 267: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 267 -

che hanno interessato un’area del santuario in uso tra fine del VII e fine VI secolo,

sommariamente coincidente con l’insieme delle tombe più antiche di Monte Sirai. Il

confronto delle due facies così forzatamente limitate non consente di andare oltre il

riconoscimento della presenza di poche simili tipologie, come l’orecchino ad arco

ingrossato, e la comune condivisione della scarsa attestazione di monili in oro a fronte

di una stragrande quantità di questi in argento, riscontrata peraltro in altri centri del

Sulcis come Bithia e a Tharros.

Da una siffatta circostanza si chiarisce l’omogeneità della documentazione

necropolitana di Sulcis con una capillare attestazione di tutte le tipologie amuletiche

note nel mondo punico, ma con la predilezione di alcune come il pateco, l’udjat e

l’ureo o ancora la maggior presenza dello scarabeo a fronte della quasi assenza nel

tophet. D’altro canto il tophet fornisce una documentazione piuttosto eterogenea,

quanto a tipologie e qualità di realizzazione. Ciò non può esser solo dovuto alla

conduzione dello scavo, che ci ha fornito un insieme di oggetti non databili con

precisione, ma trova giustificazione più probabilmente nel fatto di dover soddisfare

una committenza di gusto più popolaresco e spiega la presenza di tipologie amuletiche

e di gioielli maggiormente legate alla religione o al simbolismo fenicio-punico.

L’analisi dei reperti inediti e parzialmente editi afferenti a sei tombe di recente

scoperta a Sant’Antioco, la cui disponibilità ha dato lo spunto alla presente ricerca, è

stata proposta nei capitoli 3, sotto forma di catalogo, e 4, che contiene una dettagliata

analisi tipologica. Quest’ultima ha dato ragione alla datazione ottenuta separatamente

tramite lo studio della ceramica, che colloca l’uso delle tombe nel corso della prima

metà del V secolo, ad eccezione della 11 AR, in uso tra seconda metà del V e l’inizio

del IV.

Si è rilevato però come in numerosi casi le tipologie ornamentali di per se,

specie se non criticamente esaminate, non possiedano quei caratteri che consentano

l’attribuzione di una precisa datazione. D’altra parte il conservatorismo, che interessa i

gioielli ad esempio, e la possibilità, sebbene più remota, di una loro trasmissione anche

per alcune generazioni, rende i materiali in esame di per se poco affidabili per una

datazione dei contesti. Quest’ultima necessita di quell’affidabilità che può essere

fornita allo stato attuale solo dalla seriazione delle forme ceramiche.

Page 268: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 268 -

Un problema a parte è poi quello dell’individuazione dei centri di produzione

degli athyrmata delle sei tombe: se per la maggior parte dei reperti la semplicità

formale non può essere di aiuto, tanto da suggerire in taluni casi anche la realizzazione

locale, per alcuni prodotti di singolare raffinatezza di esecuzione, come i tre pendenti

della tomba 1 PGM BLV, gli scarabei in diaspro della 9 AR o quello in corniola della

6 PGM, non si può non pensare al grande centro produttore e collettore di Tharros. Lo

stesso vale d’altronde per il bracciale in vetro della tomba 1 PGM BLV, per il quale,

sebbene di origine etrusca, alcuni confronti indiretti fanno supporre una mediazione

tharrense.

Alcuni elementi innovativi della presente ricerca emergono proprio dall’analisi

tipologica di alcuni reperti. La provenienza museale della maggior parte dei confronti

disponibili ha imposto infatti un riesame della documentazione relativa a quelle

tipologie e dei dati desumibili dai contesti di provenienza, quando nota. Così per il

pendente con sommità ad arco centinato, tra i tre sopra menzionati della tomba 1 PGM

BLV, appartenente ad una tipologia per la quale era stata già avanzata l’analogia con

le stele del tophet, ma limitatamente al tipo di raffigurazione presente all’interno del

campo figurativo, è emerso ancora più fortemente il rapporto con il centro di Tharros.

Qui il tipo della losanga e dell’idolo a bottiglia figurano sulle stele, mentre risultano

sconosciuti a Sulcis e Monte Sirai. Si auspica pertanto una maggior attenzione in

futuro a tutte le caratteristiche, non solo iconografiche, ma anche metriche, materiche

osservabili ad occhio nudo in mancanza di analisi scientifiche specifiche, e contestuali.

La ricerca di confronti per il bracciale in vetro, ancora dalla tomba 1 PGM

BLV, non limitata ai soli oggetti rinvenuti in contesti fenicio-punici, ci ha permesso di

riconoscere in Etruria il centro di produzione. Altresì ad un analogo oggetto

conservato al Museo Archeologico Nazionale di Cagliari è stato possibile individuare

l’appartenenza di due protomi leonine auree, che ne costituivano l’ornamento delle

estremità e per le quali si ignorava la precisa funzione.

L’analisi delle caratteristiche formali di un oggetto a forma di mano in osso

della medesima tomba ha inoltre suggerito una funzione alternativa a quella di

amuleto, generalmente accettata per i suoi confronti. Per alcuni di questi infatti le

circostanze di rinvenimento non consentono di ritenere che fossero indossati dal

Page 269: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 269 -

defunto, ma che avessero una relazione, forse come sistema di chiusura, con

contenitori realizzati in materiale deperibile.

Ad analoga destinazione è stato inoltre attribuito un gruppo di undici calotte

piano-convesse con foro alla base, per le quali è sovente proposta la identificazione

come bottoni. La conoscenza disponibile sull’abbigliamento fenicio-punico, l’evidenza

delle circostanze del rinvenimento di oggetti simili e alcuni confronti in posizione

originaria suggeriscono infatti una funzione di rivestimento di perni per

l’assemblaggio di cofanetti o di altri arredi lignei, e quindi distante da quella

dell’ornamentazione personale.

Gli oggetti analizzati quindi rientrano a pieno titolo tra le tipologie già note in

ambito sulcitano e permettono con maggior convinzione il riconoscimento di una

facies degli athyrmata sulcitana. Alcuni oggetti in particolare come l’orecchino

ellittico ad arco ingrossato si aggiungono ad analoghi già noti da diverso tempo,

durante il quale non sono venuti alla luce in altre parti della Sardegna. Altri gioielli

come i pendenti circolari con crescente e disco solare richiamano, pur nel metallo più

nobile, analoghi oggetti in argento da Bithia e Pani Loriga di VI secolo. Benché con

l’impossibilità di definire con certezza un centro di produzione nella regione sulcitano,

questi elementi contribuiscono ad individuare una facies, ancorché caratterizzata dalle

sole importazioni, che si estende senza soluzione di continuità almeno per tutto il VI e

gli inizi del V secolo, superando quel limite cronologico imposto dagli eventi politici

della fine del VI.

Ma il principale contributo alla ricerca è stato fornito nella sezione successiva

(capitolo 5), col quale le categorie artigianali in esame (gioielli, amuleti e scarabei)

sono state sottoposte ad un’analisi che le osservasse da tre punti di vista differenti e

considerasse al rango di esponenti della cultura materiale fenicia e punica.

Con la parte dedicata all’uso o alla funzione (§ 5.1) si è focalizzata l’attenzione

su quelli che potevano essere i possessori degli ornamenti ed i destinatari delle virtù,

non solo estetiche ma anche simboliche o magico-religiose, che permeavano questi

oggetti. Sappiamo dalle immagini fornite dalla coroplastica e dalla statuaria che i

gioielli, come orecchini e collane, potevano essere indossati tanto da uomini quanto da

donne, e le misure ridotte di quelli del tophet inducono a ritenere che le dimensioni

fossero proporzionate a quelle di colui che li indossava. È altresì probabile che

Page 270: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 270 -

costituissero elementi fondamentali del rito, così come quello ricostruito

ipoteticamente del tophet e quello ben più reale e tangibile della morte. Non c’è

motivo di ritenere tuttavia che alcuni ornamenti fossero realizzati esclusivamente per

quest’ultimo rito, ma che anzi il defunto fosse sepolto con quelli che aveva indossato

in vita.

Gli amuleti d’altro canto, suddividibili in egiziani o egittizzanti e di ascendenza

punica, mostrano un più chiaro legame con la magia, sia essa egizia o più

genuinamente punica. Tralasciato il problema se si debba parlare di magia o di

religione, dal momento che si ritenga da parte di alcuni studiosi che fossero venerate

nel mondo fenicio-punico alcune divinità egizie, o fosse mostrata ad esse una più

semplice devozione, le tipologie amuletiche di ascendenza egizia selezionate dai fenici

e dai punici presentano un più forte legame con il mondo dei vivi e con la protezione

dalle insidie terrene, che non ultraterrene. Che amuleti fossero portati in vita è

mostrato dalla stessa consunzione, osservata anche su alcuni di quelli sulcitani,

provocata dal continuo contatto del corpo di coloro che li indossavano. Non è stato

possibile tuttavia, data l’esiguità dei dati di scavo sensibili a questa tematica,

individuare quelle tipologie più consone a soddisfare un determinato tipo di

committente o fruitore, ripetendosi anche qui la situazione notata per i gioielli.

Lo scarabeo invece, “amuleto anomalo”, con i suoi contesti di rinvenimento ha

offerto maggiori spunti di riflessione. Da una parte la quasi assoluta assenza nel

tophet, e non solo in quello di Sulcis, di questo tipo di oggetti consente di ritenere un

fruitore privilegiato l’individuo di età adulta. Entro questa categoria di individui

tuttavia non è possibile operare distinzioni di sesso dal momento che Sulcis non ce ne

offre l’occasione e perché questo, dove noto, sia riconoscibile tanto come maschile

quanto femminile. Rimane aperta e valida la differenza di censo, suffragata anche dal

fatto che cospicui rinvenimenti di cretule impresse a Selinunte e a Cartagine

consentono di attribuire allo scarabeo il ruolo principale di sigillo e quindi una

funzione “civile”, per lungo tempo negata o ignorata a vantaggio di una prevalente

funzione amuletica o funeraria. Anche in questo caso quindi l’amuleto con valenze

funerarie in Egitto, si scarica nell’Occidente fenicio di questo ruolo per servire ai vivi

solamente ed accompagnarli sino al letto funebre, ma senza andare oltre.

Page 271: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 271 -

Un ulteriore sezione dedicata ai destinatari di tutti e tre i tipi di ornamenti ha

permesso di rilevare la carenza documentaria costituita dai rinvenimenti necropolitani.

Se infatti il tophet con l’esclusiva presenza umana di individui di età infantile

perinatale consente di individuare in questi validi fruitori di athyrmata e della

protezione magica ad essi connessa, tra gli individui adulti non è possibile individuare

eventuali differenze connesse al sesso o alla condizione sociale. Solo in parte infatti

questa è desumibile dalla documentazione extra-sulcitana. Sono stati tuttavia effettuati

alcuni tentativi di individuazione del sesso e di altre caratteristiche degli inumati nelle

tre tombe non completamente edite 1 PGM BLV, 5 e 6 PGM.

Nella sezione dedicata agli aspetti produttivi (§ 5.2) abbiamo presentato quegli

indicatori di produzione che facciano riferimento a Sulcis come centro di origine dei

manufatti, o di valutare quelli relativi ad altri, tra i quali in Sardegna Tharros gode di

una posizione di assoluta preminenza negli studi. Suddivisi per materie prime

utilizzate gli athyrmata non hanno fornito però chiare e sicure indicazioni. L’osso per

la sua facile reperibilità poteva esser lavorato sul posto, ma la scarsa caratterizzazione

delle tipologie realizzate non consente distinzioni con la documentazione di altri

centri. La pietra dura utilizzata per le gemme non sembra essere stata disponibile sul

posto e tanto meno il numero e la qualità delle attestazioni di prodotti finiti a Sulcis

consentono di avanzare ipotesi sulla produzione in loco. Per gli scarabei in particolare

la letteratura scientifica è interessata da oltre un secolo dalla disputa riguardante la

localizzazione del centro di produzione, il quale ancora verosimilmente dovrà essere

individuato in Tharros per la notevole quantità delle attestazioni. La faïence e la

steatite sono stati considerati insieme non tanto per la tecnica di lavorazione, a

modellazione o a stampo per la prima e a intaglio per la seconda, quanto per il

medesimo tipo di prodotti finali (amuleti egittizzanti per lo più), e per la comune

materia prima: la steatite o talco è una componente della miscela da cui si ottiene la

faïence. Di questa materia prima è noto come principale bacino estrattivo in Sardegna

il territorio di Orani (NU), il che suggerisce, per la facile via di accesso costituita dal

fiume Tirso, lo sfruttamento da parte di Tharros, ma è nota una cava di talco anche nei

pressi di Teulada, presso il quale era uno stanziamento di età punica individuato in

regime di ricognizione. La facile accessibilità di tale risorsa a Sulcis non è neanche in

questo caso argomento sufficiente all’ambientazione di una produzione locale, pur

Page 272: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 272 -

tuttavia scarsi indizi, da sottoporre a verifica, potrebbero suggerire il fiorire di botteghe

in età punica avanzata (IV-III secolo) capaci di concorrere con Tharros.

I metalli sono stati considerati invece separatamente. Il piombo e l’argento

erano reperibili nella regione e quindi più a buon mercato, l’oro invece presuppone

l’importazione del prodotto finito e meno probabilmente della materia prima. Se da

una parte il piombo offre maggiori possibilità di produzione locale, perché da esso

doveva essere estratto l’argento e quindi sicuramente oggetto di una prima

lavorazione, l’argento soggetto logicamente alle stesse fasi operative era sottoposto

invece a diverse regole di commerciabilità. Difatti il piombo, come anche il bronzo, si

ritrova con facilità nei corredi del tophet dove costituiva forse pendenti o altri oggetti

funzionali al rito di sostituzione e comunque rispettava quel gusto popolaresco

caratteristico del santuario sulcitano. Ancora l’argento frequente nei gioielli della fase

arcaica dei centri fenici del Sulcis, contro una ben inferiore attestazione dell’oro, non

può essere necessariamente connesso ad una produzione locale per la scarsa

caratterizzazione delle tipologie rappresentate. In età punica inoltre si ritiene che

Cartagine monopolizzasse la produzione artigianale di questo metallo lasciando alla

provincia (in questo modo meritatamente definito il Sulcis) la sola lavorazione

necessaria all’estrazione. L’oro d’altro canto indica, con la tipologia dell’orecchino

ellittico ad arco ingrossato, una diffusione senza soluzione di continuità tra VI e inizi

del V secolo cui potrebbe essere data spiegazione con l’attività di orefici itineranti, che

non avrebbero avuto motivo di stanziarsi saldamente sul posto data la scarsa domanda

di beni. Ma anche in questo caso bisognerà attendere gli eventuali dati della necropoli

arcaica di Sulcis per completare il giudizio.

Tra gli altri materiali è stata considerata l’ambra di cui è nota la provenienza

europea settentrionale e per la quale il rinvenimento in età punica è da associare ai

commerci, anche se non direttamente, intrattenuti tra Cartagine e gli empori del

tirreno etrusco o dell’adriatico settentrionale.

Sebbene quindi non sia possibile nella maggior parte dei casi verificare una

produzione locale di athyrmata, resta salvo il concetto dell’autosufficienza di un

centro che dimostra una certa vivacità economica e che di certo non dipendeva da altri

centri per alcune categorie artigianali come quella ceramica o quella delle stele del

Page 273: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 273 -

tophet, entro la quale sono noti i caratteri di autonomia delle rappresentazioni e rari

sono gli stessi casi di importazione/esportazione.

Nell’ultima parte analitica del presente lavoro (§ 5.3) abbiamo ripercorso la

storia dei rapporti del centro fenicio-punico con le altre aree o regioni produttrici di

athyrmata seguendo la falsa riga fornita dagli studi sulla ceramica. In una prima fase

corrispondente al periodo tardo-geometrico ed orientalizzante sono cospicuamente

attestati i rapporti con l’area della colonizzazione euboica e con Pitecussa in

particolare, per i quali fanno riscontro l’amuleto raffigurante Sekhmet rinvenuto nel

tophet fuori contesto e lo scarabeo in steatite, anch’esso sporadico ma da un gruppo di

tombe della metà dell’VIII secolo, rinvenuto in località San Giorgio di Portoscuso,

sulla costa sarda antistante Sant’Antioco. Questi elementi non sono sufficienti a

suffragare di certo la possibilità di stanziamenti di Greci nell’insediamento coloniale

fenicio, ma sono testimoni dei diffusi scambi che interessavano il mediterraneo

occidentale e che non si limitavano alle sole merci, ma si estendevano anche a

credenze e rituali come quello del simposio ed ora anche della sfera magico-religiosa.

La successiva fase, quella fenicia avanzata sino alla conquista cartaginese, non

offre particolari dati di diversificazione rispetto ad altri centri fenici della Sardegna, va

anche nuovamente ricordato come pochi siano gli athyrmata con certezza assegnabili a

questo periodo. Tra essi i più cospicui sono quelli di produzione rodia e naukratita, che

a Sulcis, allo stato attuale delle conoscenze compaiono tra VII e inizi del V secolo. In

questo modo ancora Sulcis appare interessata dagli intensi traffici che legavano le due

sponde del mediterraneo, e per i quali un tramite importante doveva essere la Sicilia.

Tuttavia la minoritaria attestazione di tali prodotti, ancora solamente da postulare in

mancanza della documentazione della necropoli fenicia, sembra indicare in Tharros o

in Cartagine stessa i principali centri di smistamento di queste mercanzie e una

posizione soltanto secondaria di Sulcis.

Il successivo periodo della storia sulcitana si apre con la conquista militare della

Sardegna da parte della metropoli africana. I nuovi e vecchi dati sostanzialmente non

contraddicono l’osservazione effettuata sulle importazioni ceramiche, la cui

contrazione è stata attribuita ad una sorta di pena inflitta per l’opposizione alla

conquista cartaginese. Sulcis e la sua regione ricopriranno nel V secolo un ruolo

decisamente marginale nello sviluppo della Sardegna punica, per il quale

Page 274: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 274 -

maggiormente determinante doveva essere la valle del Campidano. Rispetto ai corredi

delle tombe di Tharros e Caralis, e in minor misura anche Nora, è scarsa la presenza e

la qualità dei gioielli, così come quella degli scarabei, che con il “ruolo civile” già

evidenziato indicano ulteriormente la subordinazione politica ed economica del nostro

centro.

Gli ultimi due secoli di storia presi in esame (IV e III secolo) e immediatamente

precedenti la conquista romana dell’Isola, rappresentano il momento di ripresa di

Sulcis. I gioielli dal punto di vista qualitativo e gli amuleti da quello quantitativo

sembrano indicare anche nei confronti di Tharros che il nostro centro abbia ritrovato

l’antico splendore, ma senza che si possa con certezza individuare una produzione

locale di athyrmata.

È stata così esposta la situazione relativa alla documentazione degli athyrmata

di Sulcis. Sono state messe per essa in evidenza le lacune che si spera possano essere

presto colmate, non tanto da nuovi scavi e scoperte, quanto da una maggiore

attenzione ai dati di contesto e dall’analisi multi-settoriale, qui proposta in maniera

preliminare. Per contro Sulcis possiede una condizione di assoluto vantaggio rispetto

ad altri centri punici della Sardegna e Tharros in particolare: la conservazione intatta di

un lembo della necropoli punica e del tophet, che ancora attendono di essere

interamente scavati e quelle indicazioni di associazione dei reperti con le tombe

puniche scavate negli anni passati, che meriterebbero un’edizione critica complessiva.

Ciononostante Sulcis allo stato attuale della ricerca rivela una facies peculiare e

sufficientemente definita, della quale restano ancora da meglio acclarare le

articolazioni cronologiche. In generale tuttavia, e per quanto riguarda la fase punica

del centro in particolare, non si può che consentire con P. Bernardini il quale

osservava, ormai quindici anni orsono, da parte di Sulcis “una differenza ed

un’articolazione qualitativa (e quantitativa) nella recezione […] di athyrmata”1353 nei

confronti di Tharros, da leggere quindi semmai come una vocazione al consumo di

questa categoria di materiali più che alla produzione finalizzata all’esportazione.

1353 Bernardini 1991, p. 191.

Page 275: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 275 -

BIBLIOGRAFIA

PERIODICI

Abstracta: Abstracta. Roma.

AEA: Archivo Español de Arqueología. Consejo Superior de

Investigaciones Científicas. Istituto Español de

Arqueología, Instituto Diego Velázquez. Madrid.

Aegyptus: Aegyptus: Rivista italiana di egittologia e di papirologia.

Scuola di Papirologia, Università Cattolica del Sacro

Cuore. Milano.

Agoge: Agoge: Atti della Scuola di Specializzazione in

Archeologia. Scuola di Specializzazione in Archeologia,

Università di Pisa. Pisa.

AION: Annali dell'Istituto Universitario Orientale di Napoli.

Dipartimento di Studi del Mondo Classico e del

Mediterraneo Antico. Sezione filologico-letteraria.

Quaderni. Roma.

AION ASA: Annali di Archeologia e Storia Antica. Dipartimento di

Studi del Mondo Classico e del Mediterraneo Antico,

Istituto Universitario Orientale. Napoli.

AJBA: Australian Journal of Biblical Archaeology. Australian

Society for Biblical Archaeology University of Sydney,

Department of Semitic Studies. Sydney.

ANLMA: Monumenti Antichi. Accademia nazionale dei Lincei.

Milano - Roma.

ANLNS: Atti della Accademia Nazionale dei Lincei. Notizie degli

Scavi di Antichità. Roma.

ANLR: Atti della Accademia Nazionale dei Lincei. Rendiconti.

Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche. Roma.

ANSMN: Museum Notes. American Numismatic Society. New

York.

AO: Aula Orientalis. Universidad de Barcelona, Instituto de

Estudios Orientales. Editorial AUSA, Sabadell.

Page 276: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 276 -

AS: Antichità Sarde: Studi e Ricerche. Università degli Studi

di Sassari. Istituto di Antichità, Arte e Discipline

Etnodemologiche. Sassari.

BA: Bollettino di Archeologia. Ufficio Centrale per i Beni

Ambientali, Architettonici, Archeologici, Artistici e

Storici. Editore Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato,

Libreria dello Stato, Roma.

BAIHV: Bulletin de l’Association Internationale pour l’Histoire du

Verre. Liège.

BAS: Bullettino Archeologico Sardo: Raccolta dei monumenti

antichi in ogni genere di tutta l'isola di Sardegna. Cagliari.

Berytus: Berytus: Archaeological Studies. Faculty of Arts and

Sciences, American University of Beirut. Beirut.

BMRAH: Bulletin des Musées Royaux d’Art et d’Histoire.

Bruxelles.

BN: Bollettino di Numismatica. Istituto Poligrafico e Zecca

dello Stato, Roma.

CB: Cahiers de Byrsa. Tunisi.

CEDAC: CEDAC Carthage. Bulletin. Institut National

d'Archéologie et d'Art de Tunisie. Centre d'Etudes et de

Documentation Archéologique de la Conservation de

Carthage. Tunisi.

EVO: Egitto e Vicino Oriente. Università degli Studi, Pisa.

Dipartimento di Scienze Storiche del Mondo Antico.

Sezione di Egittologia e Scienze Storiche del Vicino

Oriente. Giardini, Pisa.

GE: Giornale Economico della CCIAA. Camera di Commercio

Industria e Artigianato di Venezia. Venezia.

HA: Huelva Arqueologica: Diputación Provincial de Huelva

Instituto de Estudios Onubenses Padre Marchena. Huelva.

Habis: Habis. Universidad de Sevilla. Secretariado de

Publicaciones. Siviglia.

HBA: Hamburger Beiträge zur Archäologie. Buske, Amburgo.

Page 277: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 277 -

IJCS: International Journal of Cosmetic Science. Society of

Cosmetic Scientists. Blackwell Scientific Publications

Limited, Oxford.

Isis: Revista de Egiptología – Isis. Málaga.

Karthago: Karthago: Revue d'archéologie méditerranéenne.

Université de Paris – Sorbonne, Centre d’études

archéologiques de la méditerranée occidentale. Parigi.

Levant: Levant. British School of Archaeology in Jerusalem,

British Institute at Amman for Archaeology and History.

Londra.

Lybica: Lybica. Archéologie – Épigraphie. Service des Antiquités

de l’Algérie. Algeri.

MI: Metallurgia Italiana. Associazione Italiana di Metallurgia.

Milano.

NBAS: Nuovo Bullettino Archeologico Sardo. Sassari.

OA: Oriens Antiquus. Centro per le Antichità e la Storia

dell'Arte del Vicino Oriente. Roma.

OCNUS: OCNUS. Quaderni della scuola di specializzazione in

archeologia. Università degli studi di Bologna. Istituto di

archeologia. Bologna.

OJA: Oxford Journal of Archaeology. Basil Blackwell Publisher

Limited, Oxford.

ONS: Orientalia Nova Series. Pontificio Istituto Biblico. Roma.

Papyri: Papyri. Bollettino del Museo del Papiro. Istituto

Internazionale del Papiro, Siracusa. Napoli.

QCA: Quaderni della Soprintendenza Archeologica per le

Provincie di Cagliari e Oristano. Quartu Sant’Elena.

QPGM: Quaderni. Periodico dell’Associazione per il Parco

Geominerario Storico e Ambientale della Sardegna.

Iglesias.

REAC: Ricerche di Egittologia e di Antichità Copte. Università

degli studi, Bologna. Dipartimento di storia antica. Imola.

Page 278: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 278 -

REPPAL: R.E.P.P.A.L. Revue des études Phéniciennes-Puniques et

des antiquités libyques. Centre d'Etudes Phéniciennes-

Puniques et des Antiquités Libyques. Tunisi.

RÉ: Revue d’Égyptologie. Société Française d'Égyptologie.

Parigi.

RHR: Revue de l'Histoire des Religions. Musée Guimet. E.

Leroux, Presses Universitaires de France, Parigi.

RPARA: Atti della Pontificia Accademia Romana di Archeologia,

Rendiconti. Roma.

RSF: Rivista di Studi Fenici. Istituto per la Civiltà Fenicia e

Punica «Sabatino Moscati» di Roma. Istituti Editoriali e

Poligrafici Internazionali, Pisa – Roma.

SA: Sicilia Archeologica. Ente provinciale per il turismo.

L'Erma di Bretschneider, Trapani.

SCBA: Sardinia, Corsica et Baleares Antiquae. An International

Journal of Archaeology. Istituti Editoriali e Poligrafici

Internazionali, Pisa – Roma.

SE : Studi Etruschi. Istituto Nazionale di Studi Etruschi ed

Italici, Firenze

SEAP: Studi di Egittologia e di Antichità Puniche. Università

degli Studi, Bologna. Dipartimento di Storia Antica. Pisa.

SEL: Studi Epigrafici e Linguistici sul vicino Oriente Antico.

Verona.

Sicilia: La Sicilia: rivista periodica di scienze, lettere, arti e

politica. Palermo.

SS : Studi Sardi. Università degli Studi, Cagliari. Istituto di

Studi Sardi. Sassari.

Transeuphratène: Transeuphratène. Recherches pluridisciplinaires sur une

province de l'empire Achéménide. Gabalda, Parigi.

Universo: L’Universo. Rivista di divulgazione geografica. Istituto

Geografico Militare, Firenze.

VA: Varia Aegyptiaca. Van Siclen. San Antonio, Texas.

VO: Vicino Oriente. Istituto di Studi del Vicino Oriente,

Università degli Studi La Sapienza. Roma.

Page 279: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 279 -

Zephyrus: Zephyrus: Crónica del seminario de arqueología y de la

sección arqueológica del Centro de Estudios

Salamantinos. Universidad de Salamanca. Facultad de

Filosofía y Letras. Salamanca.

COLLANE

ANL Memorie: Atti dell’Accademia Nazionale dei Lincei. Memorie.

Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche. Roma.

CEC: Collection des Études Classiques. Sociétés des Études

Classiques, Namur.

CEFR: Collection de l’École Française de Rome. École Française

de Rome, Roma.

CSF: Collezione di Studi Fenici. Collana a cura del CNR,

Istituto per la Civiltà Fenicia e Punica «Sabatino Moscati»

di Roma. Istituti Editoriali e Poligrafici Internazionali,

Pisa – Roma.

ÉPROER: Etude Préliminaires aux Religions Orientales dans

l’Empire Romain. E.J. Brill, Leiden.

ERS: Edizioni della Regione Siciliana. Regione Sicilia,

Palermo.

Guide e Itinerari: Guide e Itinerari. Carlo Delfino editore, Sassari.

Itinerari: Itinerari. Ministero per i Beni Culturali e Ambientali,

Comitato Nazionale per gli Studi e le Ricerche sulla

Civiltà Fenicia e Punica. Libreria dello Stato, Istituto

Poligrafico e Zecca dello Stato. Roma.

OBO: Orbis Biblicus et Orientalis. Universitätsverlag Freiburg

Schweiz, Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen.

OLA: Orientalia Lovaniensa Analecta. Uitgeverij Peeters en

Department Oosterse Studies. Leuven – Parigi – Dudley,

Ma.

PHAAUCL: Publications d’Histoire de l’Art et d’Archéologie de

l’Université Catholique de Louvain. Institut Supérieur

d’Archéologie et d’Histoire de l’Art, Louvain-La-Neuve.

Page 280: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 280 -

Sardò: Sardò. Atlante della Sardegna Fenicia e Punica. Collana di

informazione scientifica. Chiarella, Sassari.

Studi Semitici: Studi Semitici. C.N.R., Centro di Studi per la Civiltà

Fenicia e Punica. Roma.

Studia Punica: Studia Punica. Dipartimento di Storia, Università degli

Studi Tor Vergata. Roma.

TMAEF: Treballs del Museu arqueològic d'Eivissa i Formentera

(Trabajos del Museo Arqueológico de Ibiza y

Formentera). Museu Arqueològic d'Eivissa i Formentera.

Ibiza – Madrid.

ATTI DI INCONTRI E OPERE ENCICLOPEDICHE

ACEAOP 3: Fernández Jurado J., García Sanz C., Rufete Tomico P., (a

cura di) (2003). Actas del III Congreso Español de

Antiguo Oriente Pròximo. Huelva, del 30 de Septiembre al

3 de Octubre de 2003. In HA vol. 20.

ACFP 1: AA. VV., (1983). Atti del I Congresso Internazionale di

Studi Fenicio-Punici: Roma, 5-10 novembre 1979. CSF

16, Roma.

ACFP 2: AA. VV., (1991). Atti del II Congresso Internazionale di

Studi Fenici e Punici: Roma, 9-14 novembre 1987. CSF

30, Roma.

ACFP 3: Fantar M.H., Ghaki M., (a cura di) (1995). Actes du IIIe

Congrès International des Etudes Phéniciennes et

Puniques. Tunis, 11 - 16 novembre 1991. Institut national

du patrimoine, Tunisi.

ACFP 4: Aubet Semmler M.E., Barthelemy M., Del Álamo E., (a

cura di) (2000). Actas del 4° Congreso Internacional de

Estudios Fenicios y Punicos: Cadiz, 2 al 6 de Octubre de

1995. Universidad de Cadiz, Cadice.

ACIECMO 2: Galley M., (a cura di) (1978). Actes du II Congrès

International d’Etude des Cultures de la Méditerranée

Occidentale. Société Nationale d’édition et de diffusion,

Algeri.

Page 281: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 281 -

ACIS 1: Bartoloni P., Campanella L., (a cura di) (2000). La

ceramica fenicia di Sardegna: dati, problematiche,

confronti. Atti del Primo Congresso Internazionale

Sulcitano. Sant’Antioco 19-21 settembre 1997. CSF 40,

Roma.

ACM 1 Vetro: Piccioli C., Sogliani F., (a cura di) (1999). Il vetro in Italia

meridionale e insulare. Atti del Primo Convegno

Multidisciplinare. Napoli 5-6-7 marzo 1998. De Frede,

Napoli.

ACMA: Cunchillos J.A., Galán J.M., Zamora J.A., Villanueva de

Azcona S., (a cura di) (1998). Actas del Congreso “El

Mediterraneo en la Antiguedad: Oriente y Occidente”.

Sapanu. Publicaciones en Internet II

(http://www.labherm.filol.csic.es).

ACSRS: AA.VV., (1963). Atti del Convegno di Studi Religiosi

Sardi. Cagliari, 24-26 maggio 1962. CEDAM, Padova.

AGNS Vetro: Ferrari D., Meconcelli Notarianni G., (a cura di) (1996).

Atti della I Giornata Nazionale di Studi: Il vetro

dall’antichità all’età contemporanea, Venezia 2 dicembre

1995. In GE vol. 5, suppl.

ANAM 1995: Trousset P., (a cura di) (1995). L’Afrique du Nord Antique

et Médiévale. Productions et exportations africaines –

Actualités archéologiques. VI colloque international sur

l’histoire et l’archéologie de l’Afrique du Nord, Pau,

octobre 1993 – 118° congrès des sociétés historioques et

scientifiques. CTHS, Parigi.

Archeologie Sperimentali: Bellintani P., Moser L., (a cura di) (2003). Archeologie

sperimentali. Metodologie ed esperienze fra verifica,

riproduzione, comunicazione e simulazione, Atti del

convegno. Comano Terme – Fiavè (Trento, Italy), 13 – 15

settembre 2001. Trento.

ASITF 3: Gonzalez Prats A., (a cura di) (2004). El mundo funerario.

Actas del III Seminario Internacional sobre Temas

Page 282: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 282 -

Fenicios. Guardamar del Segura, 3 a 5 de mayo de 2002.

Homenaje al prof. D. Manuel Pellicer Catalan. Alicante.

CIE VI: AA.VV., (1992-1993). Sesto Congresso Internazionale di

Egittologia: Atti. (Torino 1991). Voll. I-II. Società Italiana

per il Gas p.A., Torino.

Commercio etrusco arcaico 1985: Cristofani M., (a cura di) (1985). Il commercio etrusco

arcaico. Atti dell’incontro di studio (5-7 dicembre 1983).

Quaderni di Archeologia etrusco-italica 9. CNR, Roma.

Dizionario Angius/Casalis: Angius V., Casalis G., (a cura di) (1833-1856). Dizionario

Geografico-Storico-Statistico-Commerciale degli Stati di

S.M. il Re di Sardegna. Torino. Riedito in La Sardegna

paese per paese dal Dizionario Angius/Casalis. L’Unione

Sarda, Cagliari (2004).

EAA: AA.VV., (1958-). Enciclopedia dell’Arte Antica Classica

e Orientale. Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma.

Egitto fuori dall’Egitto 1991: Morigi Govi C., Curto S., Pernigotti S., (a cura di) (1991).

L’Egitto fuori dall’Egitto. Dalla riscoperta

all’Egittologia. Atti del Convegno Internazionale,

Bologna 26-29 marzo 1990. CLUEB, Bologna.

JAFP I-IV: Fernandez Gomez J.H., (1991). I-IV Jornadas de

Arqueología Fenicio-Púnica (Ibiza 1986-89). TMAEF

vol. 24, Ibiza.

JAFP VI: AA.VV., (1992). Producciones artesanales fenicio-

púnica: VI Jornadas de Arqueología Fenicio-Púnica

(Ibiza 1991). TMAEF vol. 27, Ibiza.

JAFP XII: Costa B., Fernandez Gomez J.H., (a cura di), (1999). De

Oriente a Occidente: Los dioses fenicios en las colonias

occidentales. XII Jornadas de Arqueología Fenicio-

Púnica (Eivissa, 1997). TMAEF vol. 43, Ibiza.

LÄ: Helck W., Eberhard O., (a cura di) (1975-1992). Lexikon

der Ägyptologie. Wiesbaden.

Numismatica Lovaniensa 1987: Hackens T., Moucharte G., (a cura di) (1992).

Numismatique et histoire économique phéniciennes et

puniques: Actes du Colloque tenu à Louvain-la-Neuve,

Page 283: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 283 -

13-16 Mai 1987. Numismatica Lovaniensia 9, Studia

Phoenicia 9, Louvain-la-Neuve.

RAI 1983: Veenhof K.R., (a cura di) (1986). Cuneiform archives and

libraries. Papers read at the 30° Rencontre

Assyriologique International. Leiden, 4-8 July 1983.

Leiden.

Religio Phoenicia 1984: Bonnet C., Lipinski É., Marchetti P., (1984). Religio

Phoenicia: Acta Colloquii Namurcensis habiti diebus 14

et 15 mensis decembris anni 1984. CEC 1, Studia

Phoenicia 4, Namur.

S. Antioco 1986: AA.VV., (1989). Riti funerari e di olocausto nella

Sardegna fenicia e punica. Atti dell’incontro di studio – S.

Antioco 3-4 ottobre 1986. QCA vol. 6, suppl..

MONOGRAFIE E SINGOLI CONTRIBUTI

Acquaro 1970: Acquaro E., (1970). Note su una classe di amuleti punici.

In OA vol. 9, pp. 65-73, tav. II.

Acquaro 1971: Acquaro E., (1971). I rasoi punici. C.N.R., Roma.

Acquaro 1975a: Acquaro E., (1975). I sigilli. In Tharrica 1975, pp. 51-71,

tavv. XXIV-XXVII.

Acquaro 1975b: Acquaro E., (1975). Gli amuleti. In Tharrica 1975, pp. 73-

92, tavv. XXVIII-XXXIII.

Acquaro 1976: Acquaro E., (1976). Componenti etrusco-ioniche nella

glittica Tharrense. In RSF vol. 4, pp. 167-170, tav. XXIV.

Acquaro 1977a: Acquaro E., (1977). Gli scarabei in pietra dura. In Biggio

1977, pp. 45-49, tavv. XIX-XXII.

Acquaro 1977b: Acquaro E., (1977). Amuleti egiziani ed egittizzanti del

Museo Nazionale di Cagliari. CSF 10, Roma.

Acquaro 1978: Acquaro E., (1978). Lo scavo del 1977. In Tharros IV

1978, pp. 63-68, tav. IX-XIV.

Acquaro 1979: Acquaro E., (1979). Ancora sulla glittica punica di

Sardegna. In OA vol. 18, pp. 277-80.

Page 284: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 284 -

Acquaro 1982: Acquaro E., (1982). La collezione punica del Museo

Nazionale “Giovanni Antonio Sanna” di Sassari – Gli

amuleti. In RSF vol. 10, suppl., pp. 1-46.

Acquaro 1984: Acquaro E., (1984). Arte e cultura punica in Sardegna.

Sardegna Archeologica, Studi e Monumenti 2. Delfino,

Sassari.

Acquaro 1986: Acquaro E., (1986). Motivi iconografici negli scarabei

ibicenchi. In Los Fenicios 1986, pp. 105-110.

Acquaro 1987a: Acquaro E., (1987). Gli amuleti punici della necropoli di

Sant’Antioco. In QCA vol. 4, I, pp. 179-180.

Acquaro 1987b: Acquaro E., (1987). Gli scarabei in pietra dura del Museo

Nazionale "G.A. Sanna" di Sassari. In ANLR serie 8, vol.

41, pp. 227-252.

Acquaro 1988: Acquaro E., (1988). Sardegna; Appendice: La moneta

nella Sardegna punica. In Fenici 1988, pp. 210-225.

Acquaro 1994: Acquaro E., (1994). Note di glittica punica: cretule e

scarabei. In Blázquez Homenaje 1994, pp. 1-13.

Acquaro 1995a: Acquaro E., (1995). I Fenici, Cartagine e l’Egitto. In RSF

vol. 23, 2, pp. 183-189.

Acquaro 1995b: Acquaro E., (1995). Tharros, Cartagine di Sardegna. In

ANLR vol. 6, serie 9, pp. 523-541.

Acquaro 2003: Acquaro E., (2003). Note di glittica punica: Cartagine,

Tharros e Ibiza. In Transmarinae Imagines 2003, pp. 1-23.

Acquaro, Fantar 1969: Acquaro E., Fantar D., (1969). Gli amuleti. In Antas 1969,

pp. 109-115, tavv. XL-XLI.

Acquaro, Savio 1999: Acquaro E., Savio G., (1999). L’argento della Cartagine

punica: appunti per una ricerca. In OCNUS vol. 7, pp. 7-

11.

Acquaro, Savio 2004: Acquaro E., Savio G., a cura di (2004). Studi iconografici

nel Mediterraneo antico: iconologia e aspetti matrici.

Sarzana.

Acquaro, Tore 1989: Acquaro E., Tore G., (1989). La civiltà fenicio-punica.

Arte e cultura. In MAN Cagliari 1989, pp. 147-154.

Page 285: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 285 -

Alatrache 2001: Alatrache A., Mahjoub H., Ayed N., Ben Younes H.,

(2001). Les fards rouges cosmétiques et rituels a base de

cinabre et d’ocre de l’époque punique en Tunisie:

analyse, identification et caractérisation. In IJCS vol. 23,

pp. 281-297.

Almagro Gorbea 1986: Almagro Gorbea M.J., (1986). Orfebreria fenicio-punica

del Museo Arqueologico Nacional. Madrid.

Almagro Gorbea 1994: Almagro Gorbea M.J., (1994). Influencias egipcias en la

iconografía religiosa fenicio-púnica de la península

Ibérica. In Blázquez Homenaje 1994, pp. 15-35.

Amadasi, Brancoli 1965: Amadasi M.G., Brancoli I., (1965). La necropoli. In

Monte Sirai II 1965, pp. 95-121, figg. 3-7, tavv. XXXVI-

XLIX.

Amathonte V 1991: Karageorghis V., Picard O., (a cura di) (1991). La

Necropole d'Amathonte: tombes 110-385. Études

Chypriotes 13, Nicosia.

Amenta 2002: Amenta A., (2002). Progetto per un Corpus dei patechi

delle collezioni egiziane in Italia e relativo studio della

figura del «Grande Nano» nei testi magici egiziani. In

Aegyptus vol. 83, pp. 157-168.

Andrews 1994: Andrews C., (1994). Amulets of Ancient Egypt. British

Museum Press, Londra.

Antas 1969: AA.VV., (1969). Ricerche puniche ad Antas. Rapporto

preliminare della missione archeologica dell'Università di

Roma e della Soprintendenza alle antichitá di Cagliari.

Studi Semitici 30. Roma.

Antas 1997: Bernardini P., Manfredi L.I., Garbini G., (1997). Il

santuario di Antas a Fluminimaggiore: nuovi dati. In

Phoinikes, pp.105-113.

Aston, Harrell, Shaw 2000: Aston B.G., Harrell J.A., Shaw I., (2000). Stone. In

Nicholson, Shaw 2000, pp. 5-77.

Barnett 1975: Barnett R.D., (1975, 2 ed.). A catalogue of the Nimrud

ivories with other examples of ancient Near Eastern

ivories in the British Museum. Londra.

Page 286: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 286 -

Barnett 1987a: Barnett R.D., (1987). The excavations at Tharros. In

Tharros BM 1987, pp. 30-37, tavv. I-IV.

Barnett 1987b: Barnett R.D., (1987). The burials: a Survey and Analysis.

In Tharros BM 1987, pp. 38-48.

Barreca 1965: Barreca F., (1965). Nuove iscrizioni fenicie da Sulcis. In

OA vol. 4, pp. 53-57, tavv. I-II.

Barreca 1974: Barreca F., (1974, I edizione). La Sardegna fenicia e

punica. Storia della Sardegna antica e moderna 2.

Chiarella, Sassari.

Barreca 1986: Barreca F., (1986). La civiltà fenicio-punica in Sardegna.

Sardegna Archeologica, Studi e Monumenti 3. Delfino,

Sassari.

Barthélemy 1995: Barthélemy M., (1995). L’art verrerie. In Krings 1995,

pp. 509-515.

Bartoloni 1973: Bartoloni P., (1973). Gli amuleti punici del tofet di Sulcis.

In RSF vol. 1, pp. 181-203, tavv. LVI-LXIII.

Bartoloni 1981: Bartoloni P., (1981). Contributo alla cronologia delle

necropoli fenicie e puniche di Sardegna. In RSF vol. 9,

suppl., pp. 13-30.

Bartoloni 1983: Bartoloni P., (1983). Studi sulla ceramica fenicia e punica

di Sardegna. CSF 15, Roma.

Bartoloni 1987a: Bartoloni P., (1987). La tomba 2 AR della necropoli di

Sulcis. In RSF vol. 15, pp. 57-73, tavv. VII-XIV.

Bartoloni 1987b: Bartoloni P., (1987). La tomba 54 della necropoli arcaica

di Monte Sirai. In QCA vol. 4, 1, pp. 153-159.

Bartoloni 1989: Bartoloni P., (1989). Riti funerari fenici e punici nel

Sulcis. In S. Antioco 1986, pp. 67-81.

Bartoloni 1993a: Bartoloni P., (1993). In margine ad una tomba punica di

Sulcis. In QCA vol. 10, pp. 93-96.

Bartoloni 1993b: Bartoloni P., (1993). Considerazioni sul «tofet» di Tiro. In

RSF vol. 21, pp. 153-156.

Bartoloni 1995: Bartoloni P., (1995). La necropoli di Sulcis. Edizioni

Archeotur, Sant’Antioco.

Page 287: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 287 -

Bartoloni 1999a: Bartoloni P., (1999). Un leone sulcitano a Roma. In RSF

27, pp. 115-126, tav. VI.

Bartoloni 1999b: Bartoloni P., (1999). La tomba 95 della necropoli fenicia

di Monte Sirai. In RSF vol. 27, pp. 193-205, tavv. IX-X.

Bartoloni 2000a: Bartoloni P., (2000). La tomba 88 della necropoli fenicia

di Monte Sirai. In ACIS 1, pp. 17-27.

Bartoloni 2000b: Bartoloni P., (2000). Le navi della Battaglia del Mare

Sardonio. In Máche 2000, pp. 85-96.

Bartoloni, Bondì, Moscati 1997: Bartoloni P., Bondì S.F., Moscati S., (1997). La

penetrazione fenicia e punica in Sardegna trent’anni

dopo. ANL Memorie 9, serie 9, Roma.

Baynes-Cope, Bimson 1987: Baynes-Cope A.D., Bimson M., (1987). Scarabs and

Seals: Scientific Examination. In Tharros BM 1987, pp.

106-107.

Bellintani 2003: Bellintani P. (a cura di), Cesaretto M., Residori G.,

(2003). Progetto “I materiali vetrosi nella protostoria

dell’Italia del Nord”. Archeologia, archeometria,

etnoarcheologia e approccio sperimentale. In Archeologie

Sperimentali, pp. 311-335.

Ben Guiza 2005: Ben Guiza R., (2005). A propos des décans égyptiens et de

leur réception dans le monde phénicienne et punique. In

Transeuphratène vol. 29, pp. 49-81, tavv. I-IV.

Bénichou-Safar 1982: Bénichou-Safar H., (1982). Les tombes puniques de

Carthage. Topographie, structures, inscriptions et rites

funéraires. Parigi.

Bénichou-Safar 1993: Bénichou-Safar H., (1993). Le rite d'entrée sous le joug.

Des stèles de Carthage à l'Ancien Testament. In RHR vol.

210, pp. 131-143.

Bénichou-Safar 1996: Bénichou-Safar H., (1996). De la fonction des bijoux

phénico-puniques. In Moscati Studi 1996, pp. 523-533.

Bénichou-Safar 2004: Benichou-Safar H., (2004). Le Tophet de Salammbô à

Carthage. Essai de reconstitution. CEFR 342, Roma.

Bernardini 1988: Bernardini P., (1988). I leoni di Sulcis. Sardò 4, Sassari.

Page 288: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 288 -

Bernardini 1989: Bernardini P., (1989). Le importazioni greche a Sulci

(VIII-IV sec. a.C.). In Sulcis 1989, pp. 99-105, 140-143.

Bernardini 1990: Bernardini P., (1990). Sant’Antioco (Cagliari). Abitato

fenicio e necropoli punica di Sulcis. In BA vol. 3, pp. 149-

152.

Bernardini 1991: Bernardini P., (1991). I gioielli di Sulci. In QCA vol. 8, 1,

pp. 191-205.

Bernardini 1997a: Bernardini P., (1997). La necropoli fenicia di San Giorgio

di Portoscuso. In Phoinikes 1997, pp. 55-57.

Bernardini 1997b: Bernardini P., (1997). L’insediamento fenicio di Sulci. In

Phoinikes 1997, pp. 59-61.

Bernardini 1997c: Bernardini P., (1997). Cartagine in Sardegna. In

Phoinikes 1997, pp. 98-103.

Bernardini 1999: Bernardini P., (1999). Sistemazione dei feretri e dei

corredi nelle tombe puniche. Tre esempi da Sulcis. In RSF

vol. 27, pp. 133-146, tavv. I-VIII.

Bernardini 2000a: Bernardini P., (2000). I Fenici nel Sulcis: la necropoli di

San Giorgio di Portoscuso e l’insediamento del cronicario

di Sant’Antioco. In ACIS 1, pp. 29-61.

Bernardini 2000b: Bernardini P., (2000). I materiali etruschi nelle città

fenicie di Sardegna. In Máche 2000, pp. 175-194.

Bernardini 2004: Bernardini P., (2004). I roghi del passaggio, le camere del

silenzio: aspetti rituali e ideologici del mondo funerario

fenicio e punico di Sardegna. In ASITF 3, pp. 131-170.

Bernardini 2006: Bernardini P., (2006). Per una rilettura del santuario tofet

- I: il caso di Mozia. In SCBA vol. 3 (2005), pp. 55-70.

Bernardini, Tronchetti 1984: Bernardini P., Tronchetti C., (1984). Sant’Antioco

(Cagliari). In SE vol. 52, pp. 528-530, tav. XCIV, e.

Bieńkowski 1982: Bieńkowski P.A., (1982). Some remarks on the practice

of cremation in the Levant. In Levant vol. 14, pp. 80-89.

Biggio 1977: Acquaro E., Moscati S., Uberti M.L., (1977). La

collezione Biggio: Antichità puniche a Sant’Antioco. CSF

9, Roma.

Page 289: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 289 -

Bisi 1967: Bisi A.M., (1967). Le stele puniche. Studi Semitici 27,

Roma.

Bisi 1980: Bisi A.M., (1980). Da Bes a Herakles (a proposito di tre

scarabei del Metropolitan Museum). In RSF vol. 8, pp.

19-42, tavv. III-V.

Bisi 1986: Bisi A.M., (1986). Un cas très rare d’emploi des

“cretulae” dans le milieu phénicien d’occident. Essai

préliminaire d’étude et d’interprétation. In RAI 1983, pp.

296-304.

Bitia 1996: Bartoloni P., (a cura di) et Al., (1996). La necropoli di

Bitia – 1. CSF 38, Roma.

Blazquez 1971: Blazquez J.Ma., (1971). Escarabeos de Ibiza. In Zephyrus

voll. 21-22, pp. 315-319, tavv. I-III; In Cervantes.

Blázquez Homenaje 1994: Mangas Manjarrés J., Alvar J., (a cura di), (1994).

Homenaje a José Ma. Blázquez. Vol. 2. Madrid.

Boardman 1968: Boardman J., (1968). Archaic Greek gems. Schools and

Artists in the Sixth and Early Fifth Centuries BC. Londra.

Boardman 1984 : Boardman J., et Al., (1984). Escarabeos de piedra

procedentes de Ibiza. Ministerio de cultura, Madrid.

Boardman 1986: Boardman J., (1986). I Greci sui mari. Traffici e colonie.

Giunti, Firenze.

Boardman 1987: Boardman J., (1987). Scarabs and Seals: Greek, Punic

and Related Types. In Tharros BM 1987, pp. 98-105, tavv.

LII-LXV.

Boardman 1990: Boardman J., (1990) Al Mina and history. OJA vol. 9/2,

pp. 169-190.

Boardman 2003: Boardman J., (2003). Classical Phoenician Scarabs. A

catalogue and study. Studies in Gems and Jewellery 2.

Oxford.

Bondì 1975: Bondì S.F., (1975). Gli scarabei di Monte Sirai. In Saggi

Fenici 1975, pp. 73-98, tavv. IV-VII.

Bondì 1988: Bondì S.F., (1988). La colonizzazione mediterranea. In

Fenici 1988, pp. 46-53.

Page 290: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 290 -

Bondì 2000: Bondì S.F., (2000). Gli scarabei. In Monte Sirai 2000, pp.

131-132. Roma.

Bonnet, Xella 1995: Bonnet C., Xella P., (1995). La religion. In Krings 1995,

pp. 316-333.

Bortolotti 1993: Bortolotti G., (1993). L’oro del Nord: commerci e

diffusione dell’ambra nell’antichità. In Universo anno 72,

vol. 4 (luglio-agosto 1993), pp. 442-458.

Botto 1995: Botto M., (1995). Studi iconografici sulla gioielleria del

Latium Vetus di ispirazione orientale. In AION ASA vol.

2 NS, pp. 1-6.

Botto 1996: Botto M., (1996). I pendenti discoidali: considerazioni su

una tipologia di monili di origine orientale presente nel

Latium Vetus. In Moscati Studi 1996, pp. 559-568.

Brelich 1976: Brelich A., (1976). Tre note. In Magia Garosi 1976, pp.

103-110.

Bresciani 1987: Bresciani E., (1987). Fenici in Egitto. In EVO vol. 10, pp.

69-78.

Bresciani 1999: Bresciani E., (1999, III edizione). Letteratura e poesia

dell’antico Egitto. Einaudi Tascabili – Letteratura 586,

Einaudi.

Bresciani 2001: Bresciani E., (2001). Testi religiosi dell’antico Egitto. I

Meridiani Mondadori, Milano.

Bresciani Studi 1985: AA.VV., (1985). Dall’Egitto a Cartagine: Studi in onore

di Edda Bresciani. Pisa.

Campanella 2000: Campanella L., (2000). I Gioielli. In Monte Sirai 2000, pp.

119-125.

Campanella, Martini 2000: Campanella L., Martini D., (2000). Monte Sirai: una

sepoltura infantile di età fenicia. In RSF vol. 28, pp. 35-

56, tavv. III-VI.

Canino 1998: Canino G., (1998). Il patrimonio archeologico del bacino

minerario di Orani (NU) e la diffusione dei manufatti in

steatite in Sardegna. In QPGM vol. 1-2 (1998), pp. 137-

165.

Page 291: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 291 -

Carballo Torres 2000: Carballo Torres C., (2000). Objetos de adornos

personales fenicios en materiales no metállicos. In ACFP

4, pp. 1467-73.

Carthage 1995: AA.VV., (1995). Carthage. L'histoire, sa trace et son

écho. Les Musées de la ville de Paris, Musée du Petit

Palais, 9 mars-2 juillet 1995. Parigi.

Cecchini 1969a: Cecchini S.M., (1969). Appendice: Sondaggi al villaggio.

In Antas 1969, pp. 147-159.

Cecchini 1969b: Cecchini S.M., (1969). I ritrovamenti fenici e punici in

Sardegna. Studi Semitici 32, Roma.

Cecchini 1970: Cecchini S.M., (1970). Sull’iconografia del rombo nelle

stele puniche. In OA vol. 9, 3, pp. 245-247.

Cecchini 1995: Cecchini S.M., (1995). L’art «arts mineurs». In Krings

1995, pp. 527-534.

Chiera 1978: Chiera G., (1978). Testimonianze su Nora. CSF 11, Roma.

Ciafaloni 1987: Ciafaloni D., (1987). Gli amuleti. In Torno 1987, pp. 49-

62, tavv. XIV-XVI.

Ciafaloni 1995a: Ciafaloni D., (1995). L’art glyptique. In Krings 1995, pp.

501-508.

Ciafaloni 1995b: Ciafaloni D., (1995). Iconographie et iconologie. In

Krings 1995, pp. 535-549.

Ciasca 1992: Ciasca A., (1992). Mozia: uno sguardo d’insieme sul

tofet. In VO vol. 8/2, pp. 113-155.

Ciasca Memoria 2002: Amadasi Guzzo M.G., Liverani M., Matthiae P., (a cura

di) (2002). Da Pyrgi a Mozia. Studi sull'archeologia del

Mediterraneo in memoria di Antonia Ciasca. VO

Quaderno 3.

Ciattini 1992: Ciattini A., (1992). Religione e religiosità. In I modi della

cultura 1992, pp. 229-276.

Cintas 1946: Cintas P., (1946). Amulettes puniques. Tunisi.

Cintas 1954: Cintas P., (1954). Nouvelles recherches a Utique. In

Karthago vol. 5, pp. 89-154.

Cintas 1970: Cintas P., (1970). Manuel d’Archéologie Punique. Vol. 1.

Histoire et Archéologie Comparées. Chronologie des

Page 292: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 292 -

Temps Archaïques de Carthage et des Villes Phéniciennes

de l’Ouest. Vol. 2. La civilisation carthaginoise. Les

réalisations matérielles. Parigi.

Clerc 1991: Clerc G., (1991). I. Aegyptiaca. In Amathonte V 1991, pp.

1-157.

Conti 2000a: Conti O., (2000). Una lettura dei segni incisi sulla base

degli amuleti punici della Sardegna. In REAC vol. 2, pp.

9-101. tavv. I-XIV.

Conti 2000b: Conti O., (2000). Studi e ricerche di glittica punica: il

motivo del personaggio in trono. In OCNUS vol. 8, pp.

47-68.

Cooney, Tyrrell 2005: Cooney K.M., Tyrrell J., (2005). Scarabs in the Los

Angels County Museum of Art. Part I. Distributed

propaganda or intimate protection?. In PalArch 4, 1.

Costa 1980: Costa A.M., (1980). Santu Teru – Monte Luna (Campagne

di scavo 1977-79). In RSF vol. 8, pp. 265-270.

Costa 1983: Costa A.M., (1983). Santu Teru – Monte Luna (Campagne

di scavo 1980-82). In RSF vol. 11, pp. 223-234, tavv.

XLI-XLII.

Cristofani 1990: Cristofani M., (a cura di) (1990). La grande Roma dei

Tarquini. Catalogo della mostra, Roma, palazzo delle

Esposizioni, 12 giugno-30 settembre 1990. L’Erma di

Bretschneider, Roma.

Culican 1968: Culican W., (1968). The iconography of some phoenician

seals and seal impression. In AJBA vol. 1, pp. 50-103.

Culican 1972: Culican W., (1972). Phoenician remains from Gibraltar.

In AJBA vol. 2, 1, pp. 110-145.

Culican 1985: Culican W., (1985). West Phoenician luxury items: some

critical notes. In HBA, vol. 12,pp. 119-145, tavv. III-XII.

Dasen 1993: Dasen V., (1993). Dwarfs in Ancient Egypt and Greece.

Oxford Monographs on Classical Archaeology. Clarendon

Press, Oxford.

Dasen 2006: Dasen V., (2006, 2 febbraio). Pataikos. In IDD.

Page 293: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 293 -

De Chanteloup 1986: De Chanteloup J., (1986). Amulettes représentant la main

dans l’Égypte ancienne. In VA vol. 2, 1, pp. 7-22.

De Salvia 1978: De Salvia F., (1978). Un ruolo apotropaico dello

scarabeo egizio nel contesto culturale greco-arcaico di

Pithekoussai (Ischia). In Vermaseren Omaggio 1978, pp.

1003-1061.

De Salvia 1983a: De Salvia F., (1983). La presenza culturale egizia

nell’Italia preellenistica: considerazioni su una recente

pubblicazione. In OA vol. 22, pp. 137-140.

De Salvia 1983b: De Salvia F., (1983). Un aspetto di mischkultur ellenico-

semitica a Pithekoussai (Ischia): I pendagli metallici del

tipo a falce. In ACFP 1, pp. 89-95.

De Salvia 1993a: De Salvia F., (1993). Cipro, Grecia e l’«Egittizzante

cipriota». In ACFP 2; in SEAP vol. 12, pp. 65-75.

De Salvia 1993b: De Salvia F., (1993). I reperti di tipo egittizzante. In

Pithecoussa I 1993, pp. 761-811

De Salvia 1997: De Salvia F., (1997). Sicilia preromana ed Egitto. I.

Akragas e l’Egittizzante cipro-naucratide. In Papyri vol. 2,

pp. 75-83.

Decamps De Mertzenfeld 1954: Decamps De Mertzenfeld G., (1954). Inventaire

commenté des ivoires phéniciens et apparentés découverts

dans le Proche-Orient. Parigi.

Del Vais 1993: Del Vais C., (1993). La simbologia astrale delle stele

votive di Mozia: osservazioni preliminari. In SA vol. 81,

pp. 51-73.

Della Marmora 1868: Della Marmora A., (1868). Itinerario dell’Isola di

Sardegna. Tradotto e compendiato dal Can. Spano. Voll.

1-3. Ristampa anastatica: Edizioni Trois, Cagliari.

Depalmas, Melis 1989: Depalmas A., Melis M.G., (1989). Materiali e monumenti

d’età prenuragica e nuragica. Seminario 1988. In AS vol.

2.

Desanges 1978: Desanges J., (1978). Remarques critiques sur l’hypothèse

d’une importation de l’or africain dans le monde phénico-

punique. In ACIECMO 2, pp. 52-58.

Page 294: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 294 -

Dessy 1987: Moscati S., Bartoloni P., (1987). Reperti punici figurati

della collezione Dessy. In ANLR serie 8, vol. 42, pp. 197-

223, tavv. I-XV.

Di Salvo 1998a: Di Salvo R., (1998). Nota antropologica e

paleopatologica del gruppo umano dei Vivai Gitto. In

Palermo Punica 1998, pp. 238-245.

Di Salvo 1998b: Di Salvo R., (1998). Nota antropologica e

paleopatologica del gruppo umano di Caserma Tuköry. In

Palermo Punica 1998, pp. 258-263.

Di Stefano 1998: Di Stefano C.A., (1998). Scavi nell’area della Caserna

Tuköry (1989). In Palermo Punica 1998, pp. 246-249.

Di Stefano 2002: Di Stefano C.A., (2002). Un corredo funerario tardo-

arcaico dalla necropoli punica di Palermo. In Ciasca

Memoria 2002, pp. 189-199, tavv. I-II.

Di terra in terra 1993: AA.VV., (1993). Di terra in terra: nuove scoperte

archeologiche nella provincia di Palermo: 18 aprile 1991,

Museo archeologico regionale di Palermo. Catalogo della

mostra. Palermo.

Docter 2000: Docter R.F., (2000). Pottery, graves and ritual I:

Phoenicians of the first generation in Pithekoussai. In

ACIS 1, pp. 135-149.

Elayi, Elayi 1986: Elayi J., Elayi A.G., (1986). The Aradian Pataecus. In

ANSMN vol. 31, pp. 1-5.

Faccenna 1996: Faccenna D., (1996). Alcuni segni facciali nel Medio e

Vicino Oriente. In Moscati Studi 1996, pp. 695-706.

Fantar 1994: Fantar M., (1994). Présence égyptienne à Carthage. In

Leclant Hommages, pp. 203-211.

Feghali Gorton 1996: Feghali Gorton A., (1996). Egyptian and Egyptianizing

Scarabs. A Typology of steatite, faience and paste scarabs

from Punic and other Mediterranean sites. Oxford.

Fenici 1988: AA.VV., (1988). I Fenici. Milano.

Fenici 1995: AA.VV., (1995). I Fenici: ieri oggi domani: ricerche,

scoperte, progetti (Roma 3-5 marzo 1994). CNR, Roma.

Page 295: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 295 -

Fernandez, Padró 1982: Fernandez J.H., Padró J., (1982). Escarabeos del Museo

Arqueológico de Ibiza. TMAEF 7, Madrid.

Fernandez, Padró 1986: Fernandez J.H., Padró J., (1986). Amuletos de tipo egipcio

del Museo Arqueologico de Ibiza. TMAEF 13, Madrid.

Ferrari 1994: Ferrari D., (1994). Gli amuleti del tofet. In SEAP vol. 13.

pp. 83-115.

Ferrari 1995: Ferrari D., (1995). L’occhio wd3t nel mondo punico:

importazione e imitazione. In SEAP vol. 14, pp. 53-62.

Ferrari 1996: Ferrari D., (1996). Vetri in contesti fenicio-punici: note

preliminari. In AGNS Vetro, pp. 9-12.

Ferrari 1998: Ferrari D., (1998). Gli amuleti dell’antico Egitto. La

mandragora, Imola.

Francovich, Manacorda 2000: Francovich R., Manacorda D., (2000). Dizionario di

archeologia. Bari.

Frazer 1998: Frazer J.G., (1998, trad. italiana). Il ramo d’oro: Studio

sulla magia e la religione. Gli Archi. Bollati Boringhieri,

Torino.

Fresina 1980: Fresina A., (1980). Amuleti del Museo J. Whitaker di

Mozia. In SA vol. 43, pp. 27-50.

Garbini 1981: Garbini G., (1981). Gli incantesimi fenici di Arslan Taş. In

OA vol. 20, pp. 277-294.

Garbini 1983: Garbini G., (1983). Iscrizioni funerarie puniche in

Sardegna. In AION vol. 42, pp. 463-466.

Garbini 1989: Garbini G., (1989). Un’iscrizione fenicia su un anello

d’oro. In RSF vol. 17, pp. 41-53.

Garbini 1994: Garbini G., (1994). La religione dei Fenici in occidente.

Studi Semitici Nuova Serie 12, Roma.

Gardiner 1927: Gardiner A., (1927, III edizione rivista 1957). Egyptian

Grammar. Being an introduction to the study of the

Hieroglyphs. Oxford.

Gòmez Lucas 2004: Gòmez Lucas D., (2004). Bes, Ptah y Ptah-Pateco. In

ACEAOP 3, pp. 127-148.

Page 296: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 296 -

Gras, Rouillard, Teixidor 2000: Gras M., Rouillard P., Teixidor J., (2000, ed. italiana).

L’universo fenicio. Einaudi Tascabili – Saggi 691.

Einaudi, Torino.

Grimal 1988: Grimal N., (1988, ed. italiana 1998). Storia dell’antico

Egitto. Laterza, Bari.

Guaitoli 1997: Guaitoli M.T., (1997). Moda e significati simbolico-

taumaturgici dell’ornamento e delle sue materie prime

nelle fonti classiche. In Ori delle Alpi 1997, pp. 19-54.

Gubel 1987: Gubel E., (1987). Antiquités carthaginoises aux Musées

Royaux d’Art et d’Histoire à Bruxelles: Les amulettes

puniques. In BMRAH vol. 58, 2, pp. 19-36.

Gubel 1992: Gubel E., (1992). La glyptique et la genèse de

l’iconographie monétaire phénicienne – I. In

Numismatica Lovaniensa 1987, pp. 1-11, tavv. I-IV.

Gubel 1998: Gubel E., (1998). E pluribus unum: Nubian, Lybian and

Phoenician “Baste”-sphinxes. In Quaegebeur Memory

1998, pp. 629-645.

Gubel 2002: Gubel E., (2002). The anthroponym ‘ r: new light on the

iconography of the god Horon?. In Ciasca Memoria 2002,

pp. 269-279, tavv. I-II.

Guzzo Amadasi 1967: Guzzo Amadasi M.G., (1967). Le iscrizioni fenicie e

puniche delle colonie in Occidente. Studi Semitici 28,

Roma.

Halff 1965: Halff G., (1965). L’onomastique punique de Carthage. In

Karthago vol. 12 (1963-1964), pp. 61-146.

Herrmann 1986: Herrmann G., (1986). Ivories from Room SW 37 Fort

Shalmaneser. Vol. I – Commentary and Catalogue; Vol. II

– Plates. British School of Archaeology in Iraq, Ivories

from Nimrud (1949-1963) IV, 1-2. Londra.

Herrmann 1994: Herrmann C., (1994). Ägyptische Amulette aus

Palästina/Israel I. Mit einem Ausblick auf ihre Rezeption

durch das Alte Testament. OBO 138, Göttingen.

Herrmann 2002: Herrmann C., (2002). Ägyptische Amulette aus

Palästina/Israel II. OBO 184, Göttingen.

Page 297: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 297 -

Hertz 1907: Hertz R., (1907). Contributo a uno studio sulla

rappresentazione collettiva della morte. In Hertz 1994,

pp. 53-136.

Hertz 1994: Hertz R., (1994). La preminenza della destra e altri saggi.

Torino.

Hölbl 1979: Hölbl G., (1979). Beziehungen der Ägyptischen Kultur zu

Altitalien. I – Texteil. II – Katalog. ÉPROER 62, Leiden.

Hölbl 1986: Hölbl G., (1986). Ägyptisches Kulturgut im Phönikischen

und Punischen Sardinien. I – Texteil. II – Anmerkungen,

Indizes und 188 Tafeln. ÉPROER 110, Leiden.

Hölbl 1997: Hölbl G., (1997). Vorbericht über die Arbeiten an den

ägyptischen und ägyptisierenden Funden im Museo

Archeologico Regionale «Paolo Orsi» von Syrakus in

März 1997. In Papyri vol. 2, pp. 49-74.

Hölbl 2004: Hölbl G., (2004). Iconografie egiziane e documenti

archeologici dell’Italia punica. In Acquaro, Savio 2004,

pp. 65-82.

I modi della cultura 1992: Signorini I., (a cura di) et Al., (1992). I modi della cultura.

Manuale di etnologia. Roma.

Invernizzi 1996: Invernizzi A., (1996). Stelle e rosette tra le impronte di

sigilli degli archivi di Seleucia al Tigri. In Moscati Studi

1996, pp. 801-811.

Iocalia Punica 1987: Moscati S., Uberti M.L. (1987). Iocalia punica: La

collezione del Museo Nazionale G.A. Sanna di Sassari.

ANL Memorie 29, serie 8, Roma.

Jaeger 1982: Jaeger B., (1982). Essai de classification et datation des

scarabées Menkhéperrê: prix de la Confédération

internationale des négociants en oeuvres d'art 1979.

OBO, Series Archaeologica 02. Friburg.

Jesi 1962: Jesi F., (1962). Bes e Sileno. In Aegyptus vol. 42, pp. 257-

275.

Joyas prerromanas de vidrio 2000: Ruano Ruiz E., Pastor P., Castelo Ruano R., (2000). Joyas

prerromanas de vidrio. Catàlogo de la exposiciòn

organizada por la Real Fabrica de cristales de La Granja.

Page 298: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 298 -

Fundaciòn Centro Nacional del vidrio y Museo

Arqueologico de Ibiza y Formentera. Ibiza.

Karthago III 1999: Rakob F., (a cura di) (1999). Karthago III. Die deutschen

Ausgrabungen in Karthago. Von Zabern, Mainz am

Rhein.

Kirova 1993: Kirova T.K., (a cura di) (1993). L’uomo e le miniere in

Sardegna. Della Torre, Cagliari.

Kition II 1976: Clerc G., Karageorghis V., Lagarce E., Leclant J., (1976).

Fouilles de Kition II. Objets égyptiens et égyptisants:

scarabées, amulettes et figurines en pâte de verre et en

faïence, vase plastique en faïence. Sites I et II, 1959-1975.

Nicosia.

Koenig 1992: Koenig Y., (1992). Les patèques inscrits du Louvre. In RÉ

vol. 43, pp. 123-132.

Krandel Ben Younès 1995a: Krandel Ben Younès A., (1995). Nouvelle lecture des

documents relatifs à l’artisanat punique à Carthage. In

ANAM 1995, pp. 27-37.

Krandel Ben Younès 1995b: Krandel Ben Younès A., (1995). L’artisanat du verre et

des bijoux à Carthage. In Carthage 1995, pp. 118-127.

Krings 1995: Krings V., (a cura di), (1995). La civilisation Phénicienne

et Punique. Manuel de recherché. Leiden.

Lagarce 1976: Lagarce E., (1976). Remarques sur l’utilisation des

scarabées, scaraboïdes, amulettes et figurines de type

égyptien à Chypre. In Kition II 1976, pp. 167-182.

Leclant Hommages 1994: Berger C., Clerc G., Grimal N., (1994). Hommages à Jean

Leclant. Vol. 3, Études Isiaques. Bibliothèque d’Étude

106, 3. Institut Français d’Archéologie Orientale, Cairo.

Lemaire 1984: Lemaire A., (1984). Divinités égyptiennes dans

l’onomastique Phénicienne. In Religio Phoenicia 1984,

pp. 87-98.

Lilliu 2003: Lilliu G., (2003, IV edizione). La civiltà dei Sardi dal

Paleolitico all’età dei nuraghi. Il Maestrale, RAI ERI,

Torino.

Page 299: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 299 -

Lipinski 1995: Lipinski É., (1995). Dieux et déesses de l’univers

phénicien et punique. OLA 64, Studia Phoenicia 14,

Leuven.

Lipinski 2004: Lipinski E., (2004). Itineraria Phoenicia. OLA 127,

Studia Phoenicia 18, Leuven.

Lippolis 1984: Lippolis E., (1984). Abbigliamento. In Ori di Taranto

1984, pp. 332-335.

Los Fenicios 1986: Aubet Semmler M.E., Del Olmo Lete G., (a cura di),

(1986). Los Fenicios en la peninsula Iberica. Vol. 2.

Epigrafia y lengua. Glíptica y numismática. Barcellona.

Máche 2000: Bernardini P., Spanu P.G., Zucca R., (a cura di) (2000).

Máche. La battaglia del Mare Sardonio. Studi e ricerche.

La Memoria Storica – Mythos, Cagliari – Oristano.

Madau 1997: Madau M., (1997). Fenici e indigeni a Nurdole di Orani.

In Phoinikes 1997, pp. 70-75.

Magia Garosi 1976: Xella P., (a cura di), (1976). Magia. Studi di storia delle

religioni in memoria di Raffaela Garosi. Roma.

MAN Cagliari 1989: Santoni V., (a cura di) (1989). Il Museo Archeologico

Nazionale di Cagliari. Banco di Sardegna, Sassari.

Manfredi 1986: Manfredi L.I., (1986). Amuleti punici di Cagliari. In

AION vol. 46, pp. 161-166.

Mannoni, Giannichedda 1996: Mannoni T., Giannichedda E., (1996). Archeologia della

produzione. Biblioteca Studio 36. Einaudi, Torino.

Marín Ceballos 1976: Marín Ceballos M.C., (1976). En torno a un amuleto del

museo arqueologico de Cadiz. In Habis vol. 7, pp. 245-

249, tavv. V-VI.

Marín Ceballos 1998: Marín Ceballos M.C., (1998). Presupuestos Teoricos para

un Estudio Historico-Religioso de las Iconografias

Egipcias y Egiptizantes en el Mundo Fenicio-Punico. In

ACMA.

Markoe 1985: Markoe G., (1985). Phoenician Bronze and Silver Bowls

from Cyprus and the Mediterranean. Los Angeles.

Page 300: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 300 -

Marshall 1911: Marshall F.H., (1911, II edizione 1969). Catalogue of the

Jewellery, Greek, Etruscan and Roman in the departments

of antiquities, British Museum. Londra.

Marras 1996a: Marras L.A., (1996). I gioielli. In Bitia 1996, pp. 129-132.

Marras 1996b: Marras L.A., (1996). Gli amuleti. In Bitia 1996, pp.133-

134.

Marras V. 1996: Marras V., (1996). Emergenze archeologiche extraurbane

di età preistorica nel territorio del Comune di

Sant’Antioco. In QCA vol. 13, pp. 87-110.

Martelli 1985: Martelli M., (1985). Gli avori tardo-arcaici: botteghe e

aree di diffusione. In Commercio etrusco arcaico 1985,

pp. 207-248.

Martini 2000: Martini D., (2000). Gli amuleti. In Monte Sirai 2000, pp.

127-130.

Martini 2004: Martini D., (2004). Amuleti punici di Sardegna. La

collezione Lai di Sant’Antioco. Unione Accademica

Nazionale, Roma.

Matouk 1971: Matouk F.S., (1971). Corpus du scarabée égyptien vol. 1

Les Scarabées Royaux. Beirut.

Mattazzi 1996: Mattazzi P., (1996). Sull’altorilievo funerario di Sulcis. In

Moscati Studi 1996, pp. 863-879.

Matthiae 1997: Matthiae P., (1997). Storia dell’arte dell’Oriente Antico. I

primi imperi e i principati del ferro (1600 – 700 a.C.).

Milano.

Mazzarino 1947: Mazzarino S., (1947). Fra Oriente e Occidente. Firenze.

Melchiorri 2002: Melchiorri V., (2002). Le tombe 10 AR e 11 AR di Sulcis

(S. Antioco, CA): studio di due contesti tombali della

necropoli punica. Tesi di Laurea presso la Facoltà di

Conservazione dei Beni culturali dell’Università degli

Studi della Tuscia di Viterbo, A.A. 2001-2002.

Melis 1989: Melis M.G., (1989). Studio tipologico delle perle in vetro

e faience rinvenute in Sardegna. In Depalmas, Melis

1989, pp. 63-91.

Page 301: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 301 -

Mendleson 1987a: Mendleson C., (1987). Scarabs and Seals. Egyptian and

Egyptianising. In Tharros BM 1987, pp. 96-97, tavv.

XLVIII-LI.

Mendleson 1987b: Mendleson C., (1987). Amulets. In Tharros BM 1987, pp.

108-117, tavv. LXVI-LXXI.

Mingazzini 1948a: Mingazzini P., (1948). Resti di santuario fenicio in Sulcis.

In SS vol. 8, pp. 73-80.

Mingazzini 1948b: Mingazzini P., (1948). Alcuni particolari del culto

funerario punico notati a Sulcis. In SS vol. 8, pp. 81-85.

Minunno 2005: Minunno G., (2005). Considerazioni sul culto ad Antas. In

EVO vol. 28, pp. 269-285.

Monte Sirai II 1965: AA.VV., (1965). Monte Sirai – II. Rapporto preliminare

della Missione archeologica dell’Università di Roma e

della Soprintendenza alle Antichità di Cagliari. Studi

Semitici 14, Roma.

Monte Sirai 2000: Bartoloni P., (a cura di) et Al., (2000). La necropoli di

Monte Sirai – 1. CNR, Roma.

Montis 2003: Montis I., (2003). Le urne del settore orientale del Tofet di

Sulcis: aspetti tipologici e funzionali. Tesi di Laurea in

Conservazione dei Beni Culturali presso la Facoltà di

Lettere dell’Università degli Studi di Pisa, A.A. 2002-

2003.

Montis 2005: Montis I., (2005). Tofet di Sulcis: oggetti di corredo

personale rinvenuti negli scavi 1995 e 1998. In Agoge

vol. 2/2005 (in c.d.s.).

Moscati 1975: Moscati S., (1975). Anecdota Tharrica. In Tharrica 1975,

pp. 129-133.

Moscati 1977a: Moscati S., (1977). La collezione. In Biggio 1977, pp. 13-

15.

Moscati 1977b: Moscati S., (1977). Conclusioni. In Biggio 1977, pp. 69-

72.

Moscati 1982: Moscati S., (1982). Sulcis colonia fenicia in Sardegna. In

RPARA voll. 53-54, pp. 347-367.

Page 302: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 302 -

Moscati 1985a: Moscati S., (1985). Dall’Egitto a Cartagine. Bresciani

Studi 1985, pp. 355-361.

Moscati 1985b: Moscati S., (1985). Una bottega artigianale a Sulcis. In

RSF vol. 13, pp. 233-236.

Moscati 1986a: Moscati S., (1986). Italia punica. Milano.

Moscati 1986b: Moscati S., (1986). L’arte della Sardegna punica. Milano.

Moscati 1987: Moscati S., (1987). Le officine di Tharros. Studia Punica

2, Roma.

Moscati 1988a: Moscati S., (1988). Le officine di Sulcis. Studia Punica 3,

Roma.

Moscati 1988b: Moscati S., (1988). I gioielli di Tharros: origini, caratteri,

confronti. CSF 26, Roma.

Moscati 1990: Moscati S., (1990). L’arte dei fenici. Fabbri, Milano.

Moscati 1993a: Moscati S., (1993). Il tramonto di Cartagine. Scoperte

archeologiche in Sardegna e nell’area mediterranea.

Torino.

Moscati 1993b: Moscati S., (1993). Non è un tofet a Tiro. In RSF vol. 21,

pp. 147-152.

Moscati 1996a: Moscati S., (1996). La bottega del mercante. Artigianato e

commercio fenicio lungo le sponde del Mediterraneo.

Torino.

Moscati 1996b: Moscati S., (1996). Artigianato a Monte Sirai. Studia

Punica 10, Roma.

Moscati, Costa 1982: Moscati S., Costa A.M., (1982). L’origine degli scarabei

in diaspro. In RSF vol. 10, pp. 203-210.

Moscati Studi 1996: Acquaro E., (a cura di) (1996). Alle soglie della classicità:

il Mediterraneo tra tradizione e innovazione: Studi in

onore di Sabatino Moscati. Roma.

Mozia VII: AA.VV., (1972). Mozia VII. Rapporto preliminare della

campagna di scavi 1970. CNR, Roma.

Newberry 1907: Newberry P., (1907). Catalogue général des antiquités

égyptiennes du Musée du Caire. Scarab shaped seals.

Cairo.

Page 303: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 303 -

Nicholson, Peltenburg 2000: Nicholson P.T., Peltenburg E., (2000). Egyptian faience.

In Nicholson, Shaw 2000, pp. 177-194.

Nicholson, Shaw 2000: Nicholson P.T., Shaw I., (a cura di) (2000). Ancient

Egyptian Materials and Technology. Cambridge.

Ogden 2000: Ogden J., (2000). Metals. In Nicholson, Shaw 2000, pp.

148-176.

Oggiano 2000: Oggiano I., (2000). La ceramica di Sant’Imbenia (Alghero

– SS). In ACIS 1, pp. 235-258.

Ori delle Alpi 1997: Endrizzi L., Marzatico F., (a cura di) (1997). Ori delle

Alpi. Trento.

Ori di Taranto 1984: De Juliis E.M., (a cura di) (1984). Gli ori di Taranto in età

ellenistica. Brera 2, Milano, dicembre 1984 – marzo

1985. Mondadori, Milano.

Oro degli Etruschi 1983: Cateni G., Rizzo M.A., a cura di Cristofani M., Martelli

M., (1983). L’oro degli Etruschi. Novara.

Osiris 1984: Brunner-Traut Z., Brunner H., Zick-Niessen F., (1984).

Osiris, Kreuz und Halbmond. Die drei Religionen

Ägyptens. Mainz am Rhein.

Pacini 2004: Pacini A., (2004). Studi ed esperimenti su preziosi

policromi antichi. Montepulciano.

Padró 1980: Padró I Parcerisa J., (1980, 1983, 1985). Egyptian-type

documents from the Mediterranean littoral of the Iberian

peninsula before the Roman conquest. I - Introductory

survey; II - Study of the material (from western

Languedoc to Murcia); III - Study of the material

(Andalusia). ÉPROER 65, I-III, Leiden.

Padró 1991: Padró J., (1991). Divinidades Egipcias en Ibiza. In JAFP

I-IV, pp. 67-76.

Padró 1992: Padró J., (1992). La glíptica fenicio-púnica y los

escarabeos de Ibiza. In JAFP VI, pp. 65-74.

Padró 1999: Padró J., (1999). La aportación Egypcia a la Religión

fenicia en occidente. In JAFP XII, pp. 91-102.

Page 304: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 304 -

Palermo Punica 1998: AA.VV., (1998). Palermo Punica. Museo Archeologico

Regionale Antonino Salinas, 6 dicembre 1995 – 30

settembre 1996. Palermo.

Perdigones Moreno, Pisano 1990: Perdigones Moreno L., Pisano G., (1990). La necrópolis

fenicio-púnica de Cádiz, siglos VI-IV a. C.. Studia Punica

7, Roma.

Perea Caveda 1985: Perea Caveda A., (1985). La orfebreria punica de Cádiz.

In AO vol. 3, 1-2, pp. 295-322.

Perea Caveda 1992: Perea Caveda A., (1992). El taller de orfebreria de Cádiz

y sus relaciones con otros centros coloniales e indígenas.

In JAFP VI, pp. 75-87.

Pesce 1961: Pesce G., a cura di Zucca R., (1961, 2000 II edizione).

Sardegna punica. Bibliotheca Sarda 56, Ilisso, Nuoro.

Pesce 1963: Pesce G., (1963). La scoperta del tophet di Sulcis. In

ACSRS, pp. 15-19.

Pesce 1972: Pesce G., (1972, II edizione). Nora. Guida agli scavi.

Fossataro, Cagliari.

Petrie 1886: Petrie W.M.F., et Al. (1886). Naukratis. Part I, 1884-5.

Londra.

Petrie 1914: Petrie, W.M.F. (1914). Amulets. Londra.

Petrie 1917: Petrie, W.M.F. (1917). Scarabs and Cylinders with

Names. Londra.

Phoinikes 1997: Bernardini P., D’Oriano R., Spano P.G., (a cura di)

(1997). Phoinikes B Shrdn. I Fenici in Sardegna. Nuove

acquisizioni. Oristano.

Picard 1969 : Picard C., (1969). Tanit courotrophe. In Renard

Hommages 1969, pp. 474-84, tavv. CLXX-CLXXIV.

Picard 1995: Picard C., (1995). Utique et Carthage. In Fenici 1995, pp.

289-295.

Pisano 1974: Quattrocchi Pisano G., (1974). I gioielli fenici di Tharros

nel Museo Nazionale di Cagliari. CSF 3, Roma.

Pisano 1978: Quattrocchi Pisano G., (1978). Dieci scarabei da Tharros.

In RSF vol. 6, 1, pp. 37-56, tavv. V-VII.

Page 305: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 305 -

Pisano 1985: Pisano G., (1985). Nuovi studi sull’oreficeria Tharrense.

In RSF vol. 13, pp. 191-210, tavv. XVIII-XX.

Pisano 1987a: Pisano G., (1987). Jewellery. In Tharros BM, pp. 78-95.

Pisano 1987b: Pisano G., (1987). Gli scarabei. In Torno 1987, pp. 15-28,

tavv. I-IV.

Pisano 1987c: Pisano G., (1987). Note conclusive. In Torno 1987, pp. 95-

97.

Pisano 1988a: Pisano G., (1988). I gioielli. In Fenici 1988, pp. 370-393.

Pisano 1988b: Pisano G., (1988). I gioielli fenici e punici in Italia.

Itinerari 2, Roma.

Pisano 1990: Pisano G., (1990). I monili. In Perdigones Moreno, Pisano

1990, pp. 57-77.

Pisano 1995a: Pisano G., (1995). Considerazioni sui gioielli fenici alla

luce delle nuove scoperte. In SEAP vol. 14, pp. 63-73,

tavv. I-III.

Pisano 1995b: Pisano G., (1995). L’art orfèvrerie. In Krings 1995, pp.

494-500.

Pisano 1995c: Pisano G., (1995). Riflessioni sull'oreficeria. In Fenici

1995, pp. 519-524.

Pisano 1995d: Pisano G., (1995). Varia Iocalia. II. Veri o falsi?. In RSF

vol. 23, 1, pp. 55-60, tavv. VI-VII.

Pisano 2000: Costa B., Fernandez J.H., Gauzzi F., Montanari R., Pisano

G., Scudieri F., Volterri R., (2000). Analisi

archeometriche di gioielli fenicio-punici provenienti dal

Museo Archeologico di Ibiza (Spagna). In MI vol.

10/2000, pp. 31-36.

Pithekoussai I 1993: Buchner G., Ridgway D., (a cura di) (1993). Pithekoussai

I. La necropoli: tombe 1-723, scavate dal 1952 al 1961.

ANLMA, Serie Monografica 4. Bretschneider, Roma.

Poole 1993: Poole F., (1993). Scarabs from the Necropolis of

Pontecagnano. In CIE VI, pp. 407-414.

Principi Etruschi 2000: AA.VV., (2000). Principi etruschi tra Mediterraneo ed

Europa. Venezia.

Page 306: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 306 -

Puglisi 1942a: Puglisi S., (1942). Sardinia. Cagliari. Scavi nella

necropoli punica a inumazione di S. Avendrace. In

ANLNS serie 7, vol. 3, pp. 92-106.

Puglisi 1942b: Puglisi S., (1942). Sardinia. S. Antioco. Scavo di tombe

ipogeiche puniche. In ANLNS serie 7, vol. 3, pp. 106-115.

Puig des Molins 1997: AA.VV., (1997). Vidrios del Puig des Molins (Eivissa):

La colección de d. José Costa "Picarol". TMAEF 37.

Ibiza.

Quaegebeur Memory 1998: Clarysse W., Schoors A., Willems H., (a cura di) (1998).

Egyptian Religion. The Last Thousand Years. Studies

Dedicated to the Memory of Jan Quaegebeur. OLA 84-85,

Leuven.

Quillard 1978: Quillard B., (1978). Remarques sur un pendentif

carthaginois en or en forme de Ptah-Pateque. In Karthago

vol. 18 (1975-1976), pp. 138-143, tav. XXXII.

Quillard 1979: Quillard B., (1979). Bijoux Carthaginois I. Les colliers.

D’après les collections du Musée National du Bardo et du

Musée National de Carthage. PHAAUCL 15, Aurifex 2,

Louvain-La-Neuve.

Quillard 1987: Quillard B., (1987). Bijoux Carthaginois II. Porte-

amulettes, sceux-pendentifs, pendants, boucles, anneaux et

bagues. D’après les collections du Musée National du

Bardo et du Musée National de Carthage. PHAAUCL 32,

Aurifex 3, Louvain-La-Neuve.

Redissi 1990: Redissi T., (1990). Les amulettes de Carthage

représentant les divinités léontocéphales et les lions. In

REPPAL vol. 5, pp. 163-216, tavv. I-IV.

Redissi 1991a: Redissi T., (1991). Etude de quelques amulettes punique

de type égyptisant. In REPPAL vol. 6, pp. 95-139.

Redissi 1991b: Redissi T., (1991). Les empreintes de sceaux égyptiens et

égyptisants de Carthage. In CEDAC bull. 12, pp. 13-24.

Redissi 1999: Redissi T., (1999). Étude des empreintes de sceaux de

Carthage. In Karthago III 1999, pp. 4-92.

Page 307: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 307 -

Renard Hommages 1969: Bibauw J., (a cura di) (1969). Hommages a Marcel

Renard. Vol. III. Collection Latomus 103, Bruxelles.

Ryhiner 1977: Ryhiner M.L., (1977). A propos de trigrammes

panthéistes. In RÉ vol. 29, pp. 125-137.

Ribichini 1975: Ribichini S., (1975). Divinità egiziane nelle iscrizioni

fenicie d’Oriente. In Saggi Fenici 1975, pp. 7-14.

Ribichini 1976: Ribichini S., (1976). Un episodio di magia a Cartagine

nel III secolo a.C.. In Magia Garosi 1976, pp. 147-156.

Ribichini 1987a: Ribichini S., (1987). Il Tofet e il sacrificio dei fanciulli.

Sardò 2, Sassari.

Ribichini 1987b: Ribichini S., (1987). Magia a Cartagine. In Abstracta vol.

15, pp. 30-37.

Ribichini 1988: Ribichini S., (1988). Le credenze e la vita religiosa. In

Fenici 1988, pp. 104-125.

Ribichini 1989: Ribichini S., (1989). Il sacrificio di fanciulli nel mondo

punico: testimonianze e problemi. In S. Antioco 1986, pp.

45-66.

Ribichini 1995a: Ribichini S., (1995). Les mentalités. In Krings 1995, pp.

334-344.

Ribichini 1995b: Ribichini S., (1995). Flebili dee fenicie. In RSF vol. 23, 1,

pp. 3-35.

Ribichini 1998: Ribichini S., (1998). La magia nel Vicino Oriente Antico.

Introduzione tematica e bibliografica. In SEL vol. 15

(Magic in the Ancient Near East), pp. 5-16.

Rings V&AM 1930: Oman C.C., (1930). Victoria and Albert Museum.

Catalogue of Rings. Londra.

Rowe 1936: Rowe A., (1936). A catalogue of scarabs in the Palestine

archaeological museum. Cairo.

Ruano Ruiz 1996: Ruano Ruiz E., (1996). Las cuentas de vidrio

prerromanas del Museo Arqueològico de Ibiza y

Formentera. TMAEF 36, Ibiza.

Ruano Ruiz 1997: Ruano Ruiz E., (1997). Las cuentas de collar. In Puig des

Molins 1997, pp. 101-119, 130, tav. VIII.

Page 308: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 308 -

Rulli 1950: Rulli V., (1950). Oggetti d’ornamento dell’Antiquarium

Arborense d’Oristano. Tesi di Laurea presso la Facolta di

Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Cagliari,

A.A. 1949-1950.

Saggi Fenici 1975: AA. VV., (1975). Saggi Fenici – I. CSF 6, Roma.

Salamis II 1970 : Karageorghis V., (1970). Excavations in the Necropolis of

Salamis, vol. II. Salamis 4, Nicosia.

Salamis III 1974: Karageorghis V., (1973). Excavations in the Necropolis of

Salamis, vol. III. Salamis 5, Nicosia.

Salinas 1883: Salinas A., (1883). Cretule di Selinunte conservate nel

Museo Nazionale di Palermo. In ANLNS anno 1883, pp.

287-314. In Salinas Scritti Scelti 1977, pp. 11-49.

Salinas 1898: Salinas A., (1989). Nuove cretule selinuntine. In ANLNS

anno 1898. In Salinas Scritti Scelti 1977, p. 50.

Salinas Scritti Scelti 1977: Salinas A., (1977). Scritti scelti. Vol. 2. ERS 10, Palermo.

Salvia 2000: Salvia D., (2000). Tomba su tomba: indagini di scavo

condotte a Tuvixeddu nel 1997. Relazione preliminare. In

RSF vol. 28, pp. 57-78, tavv. VII-XXIII.

San Nicolás Pedraz 1983: San Nicolás Pedraz M.P., (1983). La indumentaria punica

representada en las terracotas de Ibiza. In AEA vol. 56,

pp. 67-108.

San Nicolás Pedraz 1984: San Nicolás Pedraz M.P., (1984). La indumentaria

representada en las terracotas de Ibiza. In AEA vol. 57,

pp. 15-46.

San Nicolás Pedraz 1987: San Nicolás Pedraz M.P., (1987). Las terracotas figuradas

de la Ibiza púnica. CSF 25, Roma.

Santoni 1989: Santoni V., (1989). La preistoria e la protostoria. In

Sulcis 1989, pp. 63-78.

Sarà 1998: Sarà G., (1998). Catalogo Scavi 1989. In Palermo Punica

1998, pp. 250-257.

Savio 2004: Savio G., (2004). Le uova di struzzo dipinte nella cultura

punica. Bibliotheca Archeologica 22, Studia Hispano-

Phoenicia 3. Real Academia de la Historia, Madrid.

Page 309: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 309 -

Savio, Ferrari, Croce 2004: Savio G., Ferrari D., Croce M., (2004). Vetri preromani

da Tharros: letture archeometriche. In Acquaro, Savio

2004, pp. 155-169 e 195.

Savio, Lega, Bontempi 2004: Savio G., Lega A.M., Bontempi E., (2004). Amuleti punici

di Tharros: tipi e metodiche analitiche. In Acquaro, Savio

2004, pp. 125-153.

Scandone Matthiae 1975: Scandone Matthiae G., (1975). Scarabei e scaraboidi

egiziani ed egittizzanti del Museo Nazionale di Cagliari.

CSF 7, Roma.

Scandone Matthiae 1982: Scandone Matthiae G., (1982). Sull’origine di un motivo

ornamentale fenicio. In RSF vol. 10, pp. 1-4, tavv. I-V.

Scandone Matthiae 1988: Scandone Matthiae G., (1988). Egitto e Sardegna contatti

fra culture. Sardò 3, Sassari.

Scandone Matthiae 1991: Scandone Matthiae G., (1991). L’Egitto antico nell’opera

del canonico Giovanni Spano. In Egitto fuori dall’Egitto

1991, pp. 384-390.

Seefried 1976: Seefried M., (1976). Les pendentifs en verre façonnés sur

noyau du Musée National du Bardo et du Musée National

de Carthage. In Karthago vol. 17(1973-1974), pp. 37-67.

Seefried 1982: Seefried M., (1982). Les pendentifs en verre sur noyau des

pays de la Méditerranée antique. CEFR 57, Roma.

Segarra Crespo 1997: Segarra Crespo D., (1997). La alteridad ritualizada en la

ofrenda. In Habis vol. 28, pp. 275-298.

Sfameni Gasparro 2003: Sfameni Gasparro G., (2003). Le gemme magiche come

oggetto d’indagine storico-religiosa. In SGG 2003, pp.

11-47.

SGG 2003: Mastrocinque A., (a cura di) (2003). Sylloge Gemmarum

Gnosticarum. Parte 1. BN Monografia 8.2.I, Roma.

Signorini 1992: Signorini I., (1992). Razza, cultura e i meriti del pensiero

antropologico. In I modi della cultura 1992, pp. 11-61.

Silvano 1988: Silvano F., (1988). Tecnologie e fabbriche del vetro

nell’Egitto faraonico. In Vie del vetro 1988, pp. 58-69.

Sourdive 1984: Sourdive C., (1984). La main dans l’Egypte pharaonique.

Peter Lang, Liebefeld.

Page 310: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 310 -

Spano 1856: Spano G., (1856). In BAS anno 2, vol. 3, pp. 72-74.

Spano 1856-1857: Spano G., (1856-1857). Descrizione dell’antica Sulcis.In

BAS anno 2 (1856), vol. 3, pp. 23-24, 41-42, 48, anno 3

(1857), vol. 4, pp. 49-55, vol. 5, pp. 77-80, vol. 6, p. 81.

Spano 1864: Spano G., (1864, ristampa anastatica 1971). Mnemosine

sarda, ossia ricordi e memorie di varii monumenti antichi

con altre rarità dell'isola di Sardegna. Cagliari.

Spanò Giammellaro 1998: Spanò Giammellaro A., (1998). Gioielli, vetri e uova di

struzzo. In Palermo Punica 1998, pp. 371-409.

Spanò Giammellaro 2000: Spanò Giammellaro A., (2000). Scavi nella “zona K” di

Mozia. L’ottava campagna di scavo (maggio – luglio

1994): i materiali. In ACFP 4, pp. 1377-1395.

Stern, Schlick-Nolte 1994: Stern E.M., Schlieck-Nolte B., (1994). Early glass of the

Ancient World. 1600 B.C. – A.D. 50. Ernesto Wolf

Collection. Verlag Gerd Hatje, Ostfildern.

Sternini 1995: Sternini M., (1995). La Fenice di sabbia. Storia e

tecnologia del vetro antico. Biblioteca Archeologica 2.

Edipuglia, Bari.

Stiaffini 1999: Stiaffini D., (1999). Produzione e diffusione del vasellame

vitreo in Sardegna fra IV e VII secolo. Testimonianze

archeologiche. In ACM 1 Vetro, pp. 71-77.

Sulcis 1989: Bartoloni P., et Al., (1989). Sulcis. Itinerari 3, Roma.

Sznycer 1995: Sznycer M., (1995). Les sources épigraphiques sur

l’artisanat punique. In ANAM 1995, pp. 13-25.

Tamburello 1969: Tamburello I., (1969). Palermo. Necropoli: rinvenimenti

del Dicembre 1966. In ANLNS serie 8, vol. 23, pp. 277-

315.

Tamburello 1982: Tamburello I., (1982). Magia e religiosità a Palermo

Punica. In SA voll. 49-50, pp. 45-56.

Tamburello 1998a: Tamburello I., (1998). Rinvenimenti e storia degli scavi.

In Palermo Punica 1998, pp. 107-118.

Tamburello 1998b: Tamburello I., (1998). Osservazioni sui corredi funerari.

In Palermo Punica 1998, pp. 119-126.

Page 311: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 311 -

Taramelli 1908: Taramelli A., (1908). Sardinia. S. Antioco. Scavi e

scoperte di antichità puniche e romane nell’area

dell’antica Sulcis. In ANLNS serie 5, vol. 5, pp. 145-162.

Taramelli 1912: Taramelli A., (1912). La necropoli punica di Predio Ibba

a S. Avendrace, Cagliari (scavi del 1908). In ANLMA

vol. 21, coll. 45-218.

Tell Keisan 1980: Briend J., Humbert J.B., (a cura di) (1980). Tell Keisan

(1971-76). Une cité phénicienne en Galilèe. OBO, Series

Archaeologica 01. Friburg.

Termini 1995: Termini A., (1995). Amuleti della necropoli di Solunto. In

SA vol. 28, pp. 97-106.

Tharrica 1975: Acquaro E., Moscati S., Uberti M.L., (1975). Anecdota

Tharrica. CSF 5, Roma.

Tharros IV 1978: Acquaro E., Fedele F., Moscati S., Santoni V., Uberti

M.L., (1978). Tharros – IV. In RSF vol. 6, pp. 63-99.

Tharros BM 1987: Barnett R.D., Mendleson C., (a cura di) (1987). Tharros: a

catalogue of material in the British Museum from

Phoenician and other tombs at Tharros, Sardinia. Londra.

Tore 1972a: Tore G., (1973). Due cippi-trono del tophet di Tharros. In

SS vol. 22 (1971-1972), pp. 99-248.

Tore 1972b: Tore G., (1973). Su alcuni amuleti di Tharros. In SS vol.

22 (1971-1972), pp. 249-268.

Tore 1975: Tore G., (1975). Notiziario archeologico. Ricerche

puniche in Sardegna: I (1970-1974). Scoperte e scavi. a)

Pani Loriga – Santadi (Cagliari). In SS vol. 23 (1973-

1974), pp. 365-374.

Tore 2000: Tore G., (2000). L’insediamento fenicio-punico di

Paniloriga di Santadi (Cagliari). In ACIS 1, pp. 333-346.

Torno 1987: Ciafaloni D., Pisano G., (1987). La collezione Torno:

materiali fenicio-punici. Studia Punica 1, Roma.

Tran Tam Tinh 1973: Tran Tam Tinh V., (1973). Isis Lactans. Corpus des

monuments gréco-romains d’Isis allaitant Harpocrate.

ÉPROER 37, Leiden.

Page 312: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 312 -

Transmarinae Imagines 2003: Acquaro E., Callieri P., (a cura di) (2003). Transmarinae

Imagines. Studi sulla trasmissione delle iconografie tra

Mediterraneo ed Asia in età classica ed ellenistica. Studi

e ricerche sui Beni Culturali 5. Agorà edizioni, Sarzana.

Tronchetti 1988: Tronchetti C., (1988). I Sardi. Traffici, relazioni, ideologie

nella Sardegna arcaica. Biblioteca di Archeologia 9.

Longanesi, Milano.

Tronchetti 1989: Tronchetti C., (1989). S. Antioco. Guide e itinerari 12,

Sassari.

Tronchetti 1989a: Tronchetti C., (1989). Sant’Antioco romana. In Sulcis

1989, pp. 79-88, 126-130, figg. 37-45.

Tronchetti 1990: Tronchetti C., (1990). Sant’Antioco (Cagliari). La tomba

6A della necropoli punica di Sulcis. In BA vol. 3, pp. 152-

153.

Tronchetti 1991: Tronchetti C., (1991). Note di oreficeria punica. In QCA

vol. 8, 1, pp. 183-190.

Tronchetti 1997: Tronchetti C., (1997). La tomba 12 (A.R.) della necropoli

punica di Sant’Antioco. In Phoinikes 1997, pp. 114-117.

Tronchetti 2000: Tronchetti C., (2000). Importazioni e imitazioni nella

Sardegna fenicia. In ACIS 1, pp. 347-353.

Tronchetti 2002: Tronchetti, C. (2002). La tomba 12 AR della necropoli

punica di Sant’Antioco. In QCA vol. 19, pp. 143-171.

Uberti 1971: Uberti M.L., (1971). La collezione punica don Armeni

(Sulcis). In OA vol. 10, pp. 277-312, tavv. XXXIX-XVII.

Uberti 1975a: Uberti M.L. (1975). Gli avori e gli ossi. In Tharrica 1975,

pp. 93-108, tavv. XXXIV-XL.

Uberti 1975b: Uberti M.L. (1975). I vetri. In Tharrica 1975, pp. 109-121,

tavv. XLI-XLVIII.

Uberti 1975c: Uberti M.L. (1975). I bronzi. In Tharrica 1975, pp. 123-

128, XLIX-LI.

Uberti 1975d: Uberti M.L., (1975). Uno scarabeo da Alcacer do Sal. In

RSF vol. 3, pp. 85-87.

Uberti 1977a: Uberti M.L., (1977). Gli scarabei in steatite e pasta. In

Biggio 1977, pp. 37-43, tavv. XVI-XVIII.

Page 313: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 313 -

Uberti 1977b: Uberti M.L., (1977). I gioielli. In Biggio 1977, pp. 51-55,

tav. XXIII.

Uberti 1977c: Uberti M.L., (1977). Gli amuleti. In Biggio 1977, pp. 57-

58, tav. XXIV.

Uberti 1988: Uberti M.L., (1988). Gli avori e gli ossi. In Fenici 1988,

pp. 404-421.

Uberti 1993: Uberti M.L., (1993). I vetri preromani del Museo

Archeologico Nazionale di Cagliari. Unione Accademica

Nazionale, Roma.

Ugas 1993: Ugas G., (1993). La metallurgia del piombo, dell’argento

e dell’oro nella Sardegna prenuragica e nuragica. In

Kirova 1993, pp. 25-35.

Usai 1981: Usai E., (1981). Su alcuni gioielli della necropoli di

Monte Luna – Senorbì. In RSF vol. 9, suppl., pp. 39-47,

tav. III.

Vagnetti 1993: Vagnetti L., (1993). La «nuotatrice di Tharros». In RSF

vol. 21, suppl., pp. 29-33.

Vàzquez Hoys 1991: Vàzquez Hoys A.M., (1991). Aproximación a la serpiente

como motivo religioso y mágico en el próximo oriente y

egypto. In ACFP 3, pp. 424-442; in VH web, n. III, 45.

Vàzquez Hoys 2000: Vàzquez Hoys A.M., (2000). La magia de las cuentas y de

los colgantes de vidrio fenicios. In Joyas prerromanas de

vidrio 2000, pp. 53-72; in VH web, n. II, 2.

Vàzquez Hoys 2002: Vàzquez Hoys A.M., (2002). Ojo derecho, ojo izquierdo.

Sobre el amuleto Ojo de Horus. In ISIS vol. 4, Settembre;

in VH web, n. III, 64.

Vercoutter 1945: Vercoutter J., (1945). Les objets égyptiens et égyptisants

du mobilier funéraire carthaginois. Parigi.

Vercoutter 1952: Vercoutter J., (1952). Empreintes de sceaux égyptiens à

Carthage. In CB vol. 2, pp. 37-48, tavv. I-V.

Verga 1979: Verga S., (1979). Scarabei e scaraboidi del Museo

Nazionale Pepoli di Trapani. In SA vol. 40, pp. 27-36.

Page 314: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 314 -

Verga 1981: Verga S., (1981). Considerazioni in margine al significato

magico-religioso e alla tipologia dei “ugiat” conservati

nel Museo J. Whitaker di Mozia. In SA vol. 45, pp. 15-24.

Verga 1986: Verga S., (1986). Scarabei in pietra dura nel Museo

Archeologico Regionale di Palermo. In RSF vol. 14, pp.

153-180, tavv. XXV-XXVII.

Verga 1998: Verga S., (1998). Amuleti e scarabei. In Palermo Punica

1998, pp. 410-16.

Vermaseren Hommages 1978: De Boer M.B., Edridge T.A., (a cura di) et Al., (1978).

Hommages à Maarten J. Vermaseren. Vol. III. ÉPROER

68, Leiden.

Vie del vetro 1988: AA. VV., (1988). Le vie del vetro, Egitto e Sudan.

Convegno – Mostra, Pisa maggio – giugno 1988. Pisa.

Vivai Gitto 1998: Camerata Scovazzo R., Castellana G., (1998). Scavi

nell’area dei Vivai Gitto (1980). In Palermo Punica 1998,

pp. 196-237.

Vives y Escudero 1917: Vives y Escudero A., (1917). Estudio de Arqueología

Cartaginesa. La necrópoli de Ibiza. Blass, Madrid.

Vuillemot 1955: Vuillemot G., (1955). La nécropole punique du phare

dans l’île Rachegoun (Oran). In Lybica vol. 3, pp. 7-76.

Wallis Budge 1901: Wallis Budge E.A., (1901). Egyptian Magic. Londra.

Ward 1991: Ward W.A., (1991). The scarabs, scaraboid and amulet-

plaque from Tyrian cinerary urns. In Berytus vol. 39, pp.

89-99.

Webb 1978: Webb V., (1978). Archaic Greek Faience. Warminster.

Xella 1971: Xella P., (1971). Per una riconsiderazione della

morfologia del dio oron. In AION vol. 22, pp. 271-285.

Zamora 2003: Zamora J.A., (2003). Textos magicos y trasfondo

mitologico: Arslan Tash. In SEL vol. 20. pp. 9-23.

Zucca 1989: Zucca R., (1989). La necropoli fenicia di S. Giovanni di

Sinis. In S. Antioco 1986, pp. 89-107.

Zucca 1993: Zucca R., (1993). Miniere e metallurgia in Sardegna dai

Fenici ai Greci di Bisanzio. In Kirova 1993, pp. 39-44.

Page 315: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 315 -

Zucca 2000: Zucca R., (2000). Prefazione; Nota biografica; Nota

bibliografica. In Pesce 1961, pp. 7-44.

RISORSE WEB

Cervantes: Biblioteca Virtual Miguel De Ceravantes: http://www.cervantesvirtual.com/,

(data di accesso: 10 mag. 2006)

CPSC: Classical Phoenician Scarab Corpus:

http://www.beazley.ox.ac.uk/Gems/Scarabs/Script/Scarab1.htm, (data di

accesso: 10 mag. 2006)

IDD: Eggler J., Uehlinger Ch., (a cura di). Iconography of Deities and Demons in

the Biblical World, Electronic Pre-Publication:

http://www.religionswissenschaft.unizh.ch/idd/, (data di accesso: 28 nov.

2005).

OJA online: Oxford Journal of Archaeology. Blackwell Publisher, Humanities:

http://www.blackwellpublishing.com/journal.asp?ref=0262-5253, (data di

accesso: 26 apr. 2006).

PalArch: Webbased Netherlands Scientific Journal:

http://www.palarch.nl/Archaeology/archaeology.htm, (data di accesso: 10

mag. 2006)

VH web: Dra. Ma Vázquez Hoys Curriculum Vitae: http://www.uned.es/geo-1-

historia-antigua-universal/CURRICULUM/curriculum05_5_06.htm, (data di

accesso: 19 mag. 2006)

Page 316: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

- 316 -

Page 317: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

APPENDICE

0 10 20 30 40 50 60 70 80

patecoudjat

scarabeoureo

Thoerisfalcone

wadjThot

Horus-Ra ieracocefalogatto

placchetta rettangolareariete accovacciato

Shucinocefalo

Isideastuccio porta amuleti

Horus Arpocratelepre

leone accovacciatobovide

corona del basso EgittoKhnum-Ra

scarabeo-amuletoscrofa

mano che fa le fiche

Holbl 1986

Uberti 1971

Biggio 1977

Area AR

Scavi PGM

Grafico 1. Frequenza delle tipologie amuletiche della necropoli.

0 10 20 30 40 50

patecoudjat

cypraea luridaghianda

testa di silenofalcone

cippogattocuore

Thoerisanforetta o piccolo vaso

dente di ovinoariete accovacciato

scrofasimbolo di Tanit

Thotastuccio porta amuleti

Bes coronatoureo

Horus-Ra ieracocefalomano che fa le fiche

scarabeoIside

cinocefaloKhnum-Ra

AnubisIbis davanti alla piuma shu

Sekhmetaltra maschera

tavoletta

60

Bartoloni 1973

Martini 2004

Montis 2005

Grafico 2. Frequenza delle tipologie amuletiche del tophet.

- 317 -

Page 318: (Ebook - Ita - Archeologia) A Sechi - Athyrmata Di Sulcis - Tesi Di Laurea Università Di Pisa

11 11 11 11 11 11 11

1313 13

1313

1922

2222

22 2222

22 22

23 23 23 2323

2324

24 24

2525 25 25 25

30to

mba

30

tom

ba 2

5

tom

ba 2

4

tom

ba 2

3to

mba

22

tom

ba 1

1

tom

ba 1

9to

mba

12

13 1319

27

tom

ba 2

727

tom

ba 1

3

tom

ba 2

0

051015202530

020

4060

8010

012

0

quan

tità

diametro in mm.

Grafico 3. Presenza e dimensioni dei bottoni in osso nei corredi delle tombe di Tharros al British Museum.

- 318 -