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eFacile

di Alberto Bonifazie Gabriele Troise

Come fare...Il controllo del conto corrente bancario nelle imprese

Nuove competenze per gestire il rapporto banca impresa

Tecniche e strumenti per controllare il conto corrente bancario

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PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA © 2012 Wolters Kluwer Italia S.r.l Strada I, Palazzo F6 - 20090 Milanofiori Assago (MI) ISBN: 978-88-217-44259 Il presente file può essere usato esclusivamente per finalità di carattere personale. I diritti di commercializzazione, traduzione, di memorizzazione elettronica, di adattamento e di riproduzione totale o parziale con qualsiasi mezzo sono riservati per tutti i Paesi. La presente pubblicazione è protetta da sistemi di DRM. La manomissione dei DRM è vietata per legge e penalmente sanzionata. L’elaborazione dei testi è curata con scrupolosa attenzione, l’editore declina tuttavia ogni responsabilità per eventuali errori o inesattezze.

Profilo degli autori

PROFILO DEGLI AUTORI

Alberto Bonifazi

Dottore in Economia e Commercio, specializzazione in finanza d’impresa (SDA – Bocconi). Master Specialistico in Programmazione e Controllo di Gestione. Pluriennale attività manageriale nel settore pubblico e privato. Ha matu-rato significative esperienze nella conduzione di enti di garanzia di prima-rio livello e nello sviluppo di sistemi esperti di controllo finanziario delle PMI, in partnership con Dun & Bradstreet Italia. Attualmente svolge at-tività di consulenza in materia di programmazione e controllo aziendale. Docente in corsi di formazione e specializzazione professionale. Autore di pubblicazioni e testi specialistici in materia di controllo di gestione ed analisi finanziaria. Email: [email protected]

Gabriele Troise

Dottore Commercialista e Revisore Contabile in Roma. Docente per Isti-tuti di preparazione Post Universitaria, è specializzato in Finanza d’impresa esercita prevalentemente consulenza alle PMI assistendo le a-ziende nella soluzione di problematiche di ordine finanziario. Membro della Commissione Finanza dell’Ordine di Roma collabora in partnership con primarie strutture di consulenza nella realizzazione di prodotti e servizi finanziari per le aziende e con primissimi istituti di cre-dito nazionali ed internazionali. Autore di diversi testi specialistici nell’area fiscale e finanziaria, collabora in maniera continuativa con le riviste più prestigiose nel campo della in-formazione professionale. Email: [email protected]

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Presentazione

PRESENTAZIONE

L’accesso al credito bancario costituisce un fenomeno fortemente critico per sostenere la gestione corrente e la crescita dell’impresa nel tempo. Le aziende levered spesso tendono ad aumentare il livello complessivo degli affida-menti bancari ampliando il numero degli istituti di credito affidatari per evitare un fe-nomeno di dipendenza finanziaria da singole banche (c.d. fenomeno del multi affida-mento). La capacità di monitoraggio dell’affidamento bancario può dunque costituire per l’impresa, un importante leva: - per gestire il credito erogato dalle banche; - per monitorare analiticamente le singole voci che compongono il costo complessivo

dell’affidamento; - per comparare le condizioni di offerta di diversi istituti di credito e valutare l’offerta

più conveniente. Da rilevare che in un periodo di depressione dei mercati finanziari, che si traduce in una sostanziale riduzione delle disponibilità di credito (credit crunch), elaborare un sistema informativo sull’esposizione debitoria, strutturato su più livelli di analisi del conto corrente bancario, rappresenta un importante strumento per la gestione ed il mo-nitoraggio periodico del credito erogato dagli istituti di credito. Infatti, l’estratto conto bancario racchiude preziose informazioni per le imprese. Quan-te aziende controllano e analizzano il proprio estratto conto bancario con l’obiettivo di: - conoscere la somma effettivamente corrisposta alla banca? - scoprire quanto incidono i giorni valuta? - attivare tecniche gestionali in grado di contenere i costi bancari? - monitorare il rapporto banca-impresa misurando le somme effettivamente corrispo-

ste all’istituto di credito? - produrre un report contenente, tra le altre, le seguenti informazioni: tasso reale ap-

plicato dalla banca e comparazione con benchmark di riferimento; incidenza dei giorni valuta; incidenza delle singole componenti di costo: interessi, spese e commissioni; indicazione degli interventi da attivare per ridurre gli oneri bancari; quantificazione del “valore bancario” dell’impresa?

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Nuove competenze per gestire il rapporto banca impresa 1.

1. NUOVE COMPETENZE PER GESTIRE IL RAPPORTO BANCA IMPRESA

1.1 Scenario di riferimento e ragioni della crisi Una serie di fenomeni di tipo evolutivo ed innovativo1 hanno, negli ul-timi anni, innescato profondi elementi di discontinuità nel funzionamen-to delle economie e soprattutto dei mercati e degli intermediari finanziari. Il sistema finanziario, il sistema bancario e le relazioni tra banche e clien-te sono diventati sempre più diversi da quelli che eravamo abituati a co-noscere.

I fenomeni del cambiamento

Globalizzazione dei mercati dell’economia reale e della finanza. Integrazione tra i mercati finanziari e gli intermediari finanziar. Trasformazione del rischio-paese in rischio-banca. Integrazione tra rischio di credito e rischio di liquidità. Creazione dei conglomerati assicurativo-finanziari. Integrazione tra banche di investimento e banche commerciali. Integrazione tra finanza di banca e finanza di impresa.

Uno di questi fenomeni, sicuramente il più evidente, è stato quello cono-sciuto come “globalizzazione” dei mercati dell’economia reale e della finanza. Ma non è stato il solo. Un secondo importante fenomeno è quello dell’integrazione tra i mer-cati finanziari e gli intermediari finanziari. Il sistema finanziario e, all’interno di esso, le banche, hanno attraversato una trasformazione rapida e profonda. Volume e numero delle transa-zioni finanziarie hanno conosciuto una crescita senza precedenti. Dal la-to dell’offerta, la deregolamentazione, il progresso tecnologico,                          

1 G. De Laurentis, Il credito alle imprese dopo la crisi, Bancaria Editrice (2011).

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l’innovazione finanziaria hanno enormemente ampliato la gamma di prodotti e strumenti offerti e le combinazioni possibili di rischio e ren-dimento, ridotto i costi di transazione, creato nuovi mercati e unito mer-cati prima segmentati. In tale contesto, la crisi che ha investito il settore finanziario internazionale negli ultimi anni ha generato una riflessione dell’intero mercato, investendo intermediari, investitori, autorità di vigi-lanza. Le indagini concordano nell’individuare nella finanza strutturata uno dei principali colpevoli, responsabile nell’aver innescato distorsioni nei meccanismi di intermediazione e una caduta nella fiducia nei con-fronti del mercato e nella capacità degli intermediari di far fronte a situa-zioni di instabilità diffuse e persistenti. La crisi mette dunque in discus-sione la trasformazione che ha investito l’operatività e le tecniche di in-termediazione finanziaria, nate dall’evoluzione da un sistema di “originate and hold” ad uno di “originate, repackage and sell”. Le critiche puntano il dito soprattutto contro il ricorso massiccio alle o-perazioni di securitisations, alla base delle quali c’è appunto il repackage: gli assets illiquidi presenti nel bilancio delle banche vengono “rimpacchetta-ti” in forma di strumenti destinati ad essere offerti e sottoscritti dagli in-vestitori presenti sui mercati secondari. Le operazioni di cartolarizzazio-ne hanno poggiato su una crescente complessità degli schemi e dei pro-dotti, determinando un’opacità informativa fonte di asimmetrie tra gli operatori coinvolti nel processo, soprattutto a discapito degli investitori finali. Inoltre, in un mercato finanziario ormai globalizzato, la securitisation ha determinato trasferimenti di rischio tra aree geografiche di mercato diverse, generando crisi di liquidità nel sistema bancario internazionale. Senza dubbio, il ricorso alle cartolarizzazioni da parte delle banche è sta-to nella prima fase guidato da una sequenza di obiettivi riconducibile in primo luogo ad esigenze di riequilibrio delle strutture finanziarie. Essa ha consentito infatti di trasferire rischi di credito e di liquidità (mismatching) agli operatori di mercato, di liberare capitale regolamentare, di attivare fonti alternative di liquidità. In questa prospettiva gli effetti economici si traducono prevalentemente in una riduzione dei costi delle risorse finan-ziarie (raccolta e capitale di rischio). Negli anni più recenti, un utilizzo in-tensivo del processo di cartolarizzazione, unitamente alla complessità delle strutture adottate, ne ha determinato la degenerazione ed ha costi-

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tuito un’importante determinante della crisi attuale. Priorità diverse sono emerse rispetto agli obiettivi “classici”: finalità di carattere reddituale, in-dividuabili sia nella ricerca di una differente composizione dei ricavi a fa-vore del non-interest income, con il fine di stabilizzare la redditività e di svincolarla dalla congiuntura dei tassi, sia nel vantaggio della componente fee based riconducibile agli impegni Off Balance Sheet generati dall’intervento nei processi con ruoli diversi dall’origination, nonché l’esigenza di ottimizzare la combinazione tra debito e capitale di rischio al fine di sfruttare maggiormente l’effetto di leva finanziaria. Quindi l’operazione di cartolarizzazione va inserita in un contesto bidi-mensionale: non solo cartolarizzazione intesa come operazione interna alla banca e dettata da esigenze di operatività e liquidità, ma anche stru-mento con il quale la banca si affaccia al mercato. Questa circostanza ha determinato una forte compenetrazione tra ban-che e mercati, ulteriormente rafforzata dall’innovazione regolamentare (con particolare riferimento alle normative in tema di fair value ed a Basi-lea 2 che ha consolidato il legame tra i rating dei debitori ed il fabbisogno di patrimonio regolamentare delle banche stesse) e, come accennato in precedenza, dall’innovazione gestionale, con cui i modelli di risk management trasformano rating e valori di mercato delle attività bancarie in rettifiche di valore da spesare in conto economico ed in fabbisogni di capitale. Un ulteriore fenomeno di integrazione, messo in luce dalla crisi greca e-splosa nel 2011, è la trasformazione del rischio-paese in rischio-banca. Al contrario di quanto osservato con la crisi finanziaria del 2008, in cui si era registrata la trasformazione del rischio-banca in rischio-paese a causa degli interventi di salvataggio e del crescente deficit pubblico in molti Stati (si pensi a quanto accaduto all’inglese Northern Rock, in cui la crisi della banca viene risolta attraverso la sua nazionalizzazione, e cioè a spe-se dei contribuenti dell’intero paese), attualmente assistiamo alle difficol-tà di un paese con il rischio-paese che si traduce in difficoltà e rischi per le banche (non solo locali, ma anche estere) che ne hanno acquisito i tito-li di debito.

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1. Nuove competenze per gestire il rapporto banca impresa

Un quarto fenomeno di integrazione è quello tra rischio di credito e ri-schio di liquidità, che viene ampiamente focalizzato all’interno della normativa di Basilea 3. La mancanza di liquidità può mandare in default banche ed imprese per altri versi anche solide. Nella normativa di Basilea 3 appare centrale il concetto in base al quale per ottenere la stabilità delle banche non basta-no patrimoni adeguati, ma occorrono anche consistenti livelli di liquidità, assistiti da norme prudenziali che ne stabiliscano standard minimi per e-vitare “a competitive race to the bottom2”. L’obiettivo di Basilea 3 in questo senso è molto ambizioso: stabilizzare il settore bancario ed il sistema economico globale, accrescendo la capacità del sistema bancario di assorbire shocks interni o esterni (resilienza) e ri-ducendo il rischio di contagio dal settore finanziario all’economia reale. Il Comitato di Basilea afferma che “these measures will help ensure that the bank-ing sector serves as a shock absorber, instead of a transmitter of risk to the financial system and broader economy”. L’ambito di intervento individuato dal Comitato di Basilea è quello di rafforzare la regolamentazione del capitale e della liquidità delle banche mediante: 1) aumento di qualità, quantità e trasparenza del patrimonio soprattutto

dei maggiori operatori bancari; (“…the quality, consistency, and tran-sparency of the capital base will be raised. This will ensure that large, internationally active banks are in a better position to absorb losses on both a going concern and gone concern basis. For example, under the current Basel Committee standard, banks could hold as little as 2% common equity to risk-based assets, before the application of key reg-ulatory adjustments”);

                         

2 Basilea 3: “A key characteristic of the financial crisis was the inaccurate and ineffec-tive management of liquidity risk”. 

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2) aumento del patrimonio minimo a fronte dei rischi di mercato e con-troparte, stimati sotto stress;

3) introduzione di un leverage ratio contro elusioni dei requisiti risk-based e per contrastare possibili rischi di modello;

4) accumulo di riserve patrimoniali per fronteggiare congiunture negative e accantonamenti forward looking (expected losses, non più incurred losses);

5) introduzione di due requisiti minimi di liquidità, rispettivamente a 30 giorni e ad un anno.

Un quinto fattore di integrazione concerne la creazione dei conglome-rati assicurativo-finanziari. In passato l’attività bancaria e l’attività assicurativa non avevano punti di contatto, sia per la natura dei rischi trattati (disomogenei ed interdipen-denti – a causa del ciclo economico - quelli delle banche; omogenei, in-dipendenti e di importo unitario basso quelli delle assicurazioni) che per le modalità di acquisizione dei rischi (analisi approfondita del merito in-dividuale dei debitori attraverso le filiali e quindi gestione attiva del por-tafoglio clienti, fino alla maturazione degli stessi per le banche; acquisi-zione dei rischi semi-automatica attraverso agenti e brokers autonomi e quindi gestione passiva del portafoglio clienti, che poi veniva ampiamen-te modificato con diverse opzioni di riassicurazione, per le compagnie assicurative). Oggi questa separazione sta collassando a causa di una crescente comu-nanza di prodotti, approcci gestionali e mercati di riferimento. Si pensi al successo delle polizze unit-linked, al mercato secondario dei prestiti, dei ti-toli cartolarizzati e dei derivatives, che aumentano le opportunità di ricom-posizione del portafoglio delle banche, come visto in precedenza, e rap-presentano ulteriori opportunità di investimento e diversificazione per le assicurazioni. Parimenti, il credito al consumo e i fidi ai micro-imprenditori sono gestiti oggi dalla banca con logica assicurativa, vicever-sa i grandi rischi assunti dalle compagnie sono gestiti con logica più ban-caria, con analisi individuali del rischio.

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1. Nuove competenze per gestire il rapporto banca impresa

Un’ulteriore integrazione è quella tra banche di investimento e banche commerciali, in cui le prime trasformano la “materia prima” (i crediti) acquisita dalle seconde. Tuttavia, la possibilità di rivendere il rischio, va-lutato dalle agenzie di rating con modelli solo di recentissimo sviluppo e validazione, ha affievolito l’attenzione alla valutazione dei rischio di cre-dito dei singoli debitori da parte delle banche commerciali e delle società finanziarie. Un ultimo fattore di integrazione è quello tra finanza di banca e finan-za di impresa. Va detto che, per diverse ragioni, le imprese oggi utiliz-zano sempre più i prodotti che le banche hanno sviluppato per gestire i propri rischi di tasso, di cambio e di credito (derivati). Basilea 2 ha modificato in maniera profonda le logiche del rapporto ban-ca impresa, aumentando la connessione, da un lato, tra il segmento di appartenenza dell’impresa, le sue performance, il suo rating e le garanzie che poteva offrire e, dall’altro lato, tra la disponibilità ed il prezzo del credito per il singolo debitore. Basilea 3, invece, incide molto di più sulla dimensione aggregata del credito disponibile, poiché aumenta in modo importante l’assorbimento di capitale a parità di attivo ponderato. La normativa di Basilea 2 ha cominciato ad essere adottata nell’Unione europea a partire dal 2007, un poco prima che si avviasse la crisi econo-mico-finanziaria del 2007, che ha avuto origine con la cosiddetta “crisi dei mutui sub-prime”. La Gran Bretagna, dove vennero ideati i mutui sub-prime, che poi furo-no adottati per la prima volta dagli Stati Uniti, fu il luogo di origine di ta-le crisi. Si premette che per mutui sub-prime si intendono i prestiti con-cessi dalle banche a quei soggetti che non percepiscono un reddito alto e/o stabile e quindi non sono nelle condizioni di corrispondere tassi di interesse particolarmente elevati. Il primo grande errore fu proprio quel-lo di concedere a questi soggetti, senza alcuna garanzia, ingenti capitali per finanziare l’acquisto di una casa, senza tener conto del rischio a cui si sarebbe andati. Chiaramente era una strategia di espansione commerciale da parte delle banche che miravano ad un incremento del giro d’affari, sostenuto da un andamento positivo del mercato immobiliare. La conseguenza diretta di

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questa azione fu che, a partire dal 2000 fino a metà del 2006, l’aumento del prezzo delle abitazioni salì al punto tale da stimolare le banche a con-cedere più mutui a tassi di interesse bassi. Nel 2004 venne commesso il secondo errore, quando le banche decisero di aumentare i tassi di interesse sui mutui sub-prime, costringendo così i clienti a pagare interessi troppo onerosi per il loro reddito, tanto che la maggior parte di loro risultarono insolventi (le famiglie americane si sono trovate esposte al 150% del proprio reddito per l’acquisto della casa e per il credito al consumo). Così, l’unico modo per le banche di recuperare il denaro perduto, fu quello di alienare le case dei clienti insolventi, creando così una cosiddetta “bolla immobiliare” che nell’autunno del 2006 pro-vocò il crollo dei prezzi delle abitazioni. Pertanto le banche, anche attra-verso la vendita forzosa degli immobili, a causa del crollo del mercato immobiliare, non riuscirono a recuperare il capitale investito. Ben presto la crisi superò i confini nazionali, investendo l’intero globo. E il motivo principale è da attribuirsi al fatto che prima della bolla immobi-liare, le banche riuscivano a rivendere i mutui sub-prime grazie alle società veicolo, che compravano il ”credito” dalle banche permettendo loro di re-cuperare liquidità continuando ad alimentare il circuito dei prestiti im-mobiliari. Queste, a loro volta, “spacchettavano” il credito e attraverso l’operazione di cartolarizzazione emettevano titoli che collocavano sui mercati finanziari chiedendo in prestito dei soldi con la garanzia di ripa-gare gli interessi con le rate dei mutui che avrebbe incassato in futuro. In questo modo le obbligazioni emesse dalle società veicolo intanto, favorite dal fenomeno della globalizzazione, raggiungevano tutti gli angoli del mondo. Così, quando le banche iniziarono ad avere troppi clienti insolventi e non riuscirono più a coprire le perdite con la vendita degli immobili, le società veicolo non ricevettero più le rate che gli spettavano, le obbligazioni perse-ro valore e tutti coloro che avevano acquistato quelle obbligazioni, perse-ro i loro capitali. Ed è così che si è passati da una crisi immobiliare ad una crisi finanziaria. Le cause della crisi finanziaria, che si è successivamente trasformata in economica, sono molteplici: l’incremento dei prezzi delle materie prime,

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1. Nuove competenze per gestire il rapporto banca impresa

iniziato nei primi mesi del 2008 e che ha visto salire il petrolio al prezzo record di 147$ al barile l’11 luglio 2008, la crisi alimentare mondiale e l’aumento del prezzo del grano, un’elevata inflazione globale, la minaccia di una recessione già nata nel 1991 in America e l’esplosione della bolla dei valori Internet del 2001. Inoltre, a partire dal secondo dopo-guerra, si era sviluppata una nuova tendenza da parte della popolazione: le economie capitalistiche iniziaro-no ad esaltare i vantaggi del credito facile per consentire alle famiglie di procurarsi ogni tipo di comodità, dalla casa all’automobile, dagli elettro-domestici ai viaggi, passando così da una forte propensione al risparmio a una fortissima propensione al consumo, il tutto rafforzato da un siste-ma di rinvio al futuro della spesa attraverso strumenti quali bancomat ed il pagamento a rate. Il livello di indebitamento, non lontano da quello di altri importanti pae-si, resta sui valori massimi degli ultimi dieci anni. I livelli contenuti dei tassi di interesse hanno finora contribuito ad arginare l’insorgere delle crisi aziendali (seppure favorendo un’espansione sistemica del livello di indebitamento) pur occorse in numero elevato rispetto al passato. La struttura finanziaria delle imprese, da sempre sbilanciata sul breve termi-ne e sull’indebitamento a tasso variabile, è esposta ai rischi derivanti da eventuali aumenti dei tassi di interesse. Il calo dei tassi di interesse ha consentito di ridurre il peso degli oneri finanziari che, pur restando eleva-ti rispetto alla media del decennio, sono scesi rispetto al MOL medio. Il basso costo del debito si sta rivelando un fattore essenziale per la tenuta delle condizioni finanziarie delle imprese. Ed è proprio partendo da questo profilo che si può entrare un poco più a fondo nelle ragioni di questa crisi economica. Il sistema bancario è fortemente interconnesso. Possiamo paragonare il sistema bancario ad un edificio , dove le mura sono rappresentate dai singoli istituti di credito. Se crolla un muro gli effetti si ripercuotono sull’intera struttura dell’edificio. Un vero e proprio effetto domino: la ca-duta di un pezzo della struttura trascina con sé tutti gli altri. Questo con-cetto dell’interconnessione è fondamentale per capire quello che è suc-

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cesso e sta succedendo e le ragioni di un utilizzo sempre maggiore della leva finanziaria. In un contesto di analisi macroeconomica è stata proprio la convinzione che la spinta dei consumi potesse favorire lo sviluppo o combattere la crisi o favorire lo sviluppo. America ed Europa hanno ecceduto nei consumi. Hanno consumato di più di quello che potevano, trasferendo il risparmio nel consumo. Che “pubblicità” è stata fatta al risparmio quando il mercato è stato sommer-so di carte di debito a tassi bassissimi che spingevano al consumo a fron-te di tassi attivi assolutamente svantaggiosi. Per quale motivo i privati, le famiglie dovrebbero destinare una parte del loro reddito al risparmio quando il risparmio non rende a fronte invece di opportunità di finan-ziamenti al consumo particolarmente convenienti? Ecco quindi che la crisi trae origine da uno squilibrio reale, ha manifesta-zioni finanziarie ma le conseguenze sono di natura reale: si è consumato più di quanto si è prodotto. In questa spinta al consumo la finanza ha agito da amplificatore poiché le banche, soprattutto statunitensi, hanno alimentato l’eccesso di domanda occidentale attraverso mutui immobilia-ri a basso costo e carte di credito. Il sistema bancario ha recepito questo messaggio: meno tassi, più prestiti. La causa principale della crisi risiede nello squilibrio tra la domanda e l’offerta nelle diverse aree del globo, in particolare nel diverso tenore di vita dei paesi occidentali rispetto a quelli emergenti (o “emersi”) con i quali avvengono gli scambi. Da questa crisi il mondo occidentale riemergerà con profonde differenze settoriali, geografiche e strutturali.

1.2 Basilea 3 La crisi finanziaria internazionale, iniziata ormai più di cinque anni fa, è stata per profondità e ampiezza la più grave della storia recente. Ad una prima fase di elevata instabilità dei sistemi finanziari dei principali paesi, originata nel settore subprime statunitense e poi rapidamente estesasi su scala globale, ha fatto seguito una seconda di fortissime tensioni, soprat-

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