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“È VOSTRO, È VOSTRO, È VOSTRO!!” (Cit. A. Stramaccioni)

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“È VOSTRO, È VOSTRO, È VOSTRO!!”

(Cit. A. Stramaccioni)

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INDICE

CAP 1: Introduzione e scopo del lavoro (pag. 1);

CAP 2: Inquadramento geologico e idrologico (pag. 3);

-Evoluzione Litologica.

-Unità tettoniche riconoscibili nell’area e aspetti

geologici/petrografici delle principali unità.

-Idrologia.

CAP 3: Descrizione generale delle principali tecniche di campionamento (pag.

14);

-Procedure di campionamento.

-Trasporto e conservazione del campione.

CAP 4: Analisi svolte per parametri labili e stabili (pag. 16);

-Procedimenti analitici.

-Dati ottenuti.

CAP 5: Formazione del metano (CH4), aspetti generali (pag. 29);

-Metano nelle acque profonde.

-Tipi di Metano in natura.

CAP 6: Acque sodio-bicarbonatiche (NaCW)– caratteri e relazioni (pag. 34);

-Caratteri generali delle acque sodio-bicarbonatiche.

-Scambio cationico tra Na e Ca.

-Composizione isotopica delle acque meteoriche.

-Diagramma di comparazione per la classificazione delle acque

Langelier-Ludwig.

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CAP 7: Vulcani di fango e accumuli di idrocarburi - Introduzione parametri che

aiutano a spiegare meccanismi di salinizzazione (pag. 46);

-I vulcani di fango (mud volcanoes) legati ad emissioni

di CH4.

-Brine Differentiation Plot.

-Diagramma Boro vs. Cloro come conferma del mixing

tra acque Na-bicarbonatiche, salamoie Ca-clorurate o

vulcani di fango.

CAP 8: Acque salate del bacino di avanfossa dell’Appennino Settentrionale

(NAF) associate a metano ed altri idrocarburi (pag. 55);

-Acque dell’ Avanfossa dell’Appennino Settentrionale

(Northern Appennine Foredeep, NAF).

-Acque salate del bacino NAF associate a metano ed

altri idrocarburi.

-Diagramma cloro vs. bromo: caratteristiche principali

delle acque studiate.

CAP 9: Gas naturali e primari associati al Metano (pag. 61);

-Manifestazioni superficiali di gas naturali e processi

migrazionali.

-Gas Primari.

-Studio degli isotopi del metano.

CAP 10: Caratterizzazione geochimica del metano - maturazione e migrazione

(pag.70);

-Accumulo superficiale di metano: scenari possibili

-La teoria applicata a diagrammi di mixing/diffusione

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-Considerazioni riguardanti esempi naturali

-Trend di mixing/diffusione applicato a dati studiati

Conclusioni (pag. 77)

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Introduzione e scopo del lavoro 2013

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CAP. 1 INTRODUZIONE E SCOPO DEL LAVORO

(Fig 1.1 Inquadramento geografico delle principali sorgenti da cui sono stati prelevati

i campioni analizzati)

Lo scopo del presente lavoro di tesi è quello di investigare i processi geochimici in

gioco nella genesi delle acque sodio-bicarbonatiche (Na-bicarbonatiche da ora in

avanti) presenti in una vasta area dell’Appennino Settentrionale tra le province di

Reggio Emilia e Parma (Fig.01)

In particolare si è cercato di capire: i) il possibile legame tra queste acque, a

chimismo del tutto peculiare, e i fluidi profondi formazionali a chimismo calcio-

clorurato (Ca-clorurato da ora in avanti) ad elevata salinità (salamoie); ii) l’origine

del metano disciolto, sempre presente in queste acque, e le possibili connessioni con i

giacimenti di idrocarburi.

Spesso le acque Na-bicarbonatiche sono associate esclusivamente alle aree costiere in

cui sono in atto processi di ingressione marina, ed il cui peculiare chimismo è da

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Introduzione e scopo del lavoro 2013

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mettere in relazione a processi di scambio cationico con le argille (e.g. Appelo e

Postma, 2005). Tuttavia occorre notare che acque con un simile chimismo sono

spesso state anche rilevate nelle aree continentali. E’ infatti noto sin dai primi anni

’50 che le acque associate agli idrocarburi sono principalmente di due tipi (Kartsev et

al., 1954): Ca-clorurate, come le salamoie sopra descritte, e Na-bicarbonatiche. Già in

quel periodo, infatti, a proposito di queste ultime acque gli autori scrivevano:

“Apparently, most of the soda in waters of oil-bearing sediments was formed by

oxidation of soil substances”.

Appare quindi evidente come la presenza in superficie di sorgenti Na-bicarbonatiche

risultino indicative, in una qualche maniera, della presenza di idrocarburi ed essere

pertanto di aiuto nelle operazioni di prospezione. Tuttavia, nonostante queste

interessanti premesse, gli studi su queste acque non sono stati ulteriormente

approfonditi, salvo qualche eccezione (Boschetti, 2011; Toran e Saunders, 1999;

Venturelli et al., 2003).

Nel presente lavoro di tesi si è quindi prefissato lo scopo di capire, con la costruzione

di opportuni grafici, se nella zona appenninica tra le province di Reggio Emilia e

Parma vi sia un legame e quindi un trend di mescolamento tra le acque sodio-

bicarbonatiche superficiali ed acque salate più profonde legate ad idrocarburi.

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Inquadramento geologico e idrologico 2013

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CAP 2 INQUADRAMENTO GEOLOGICO E IDROLOGICO 2.1 Evoluzione litologica

(Fig 2.1 Geologia dell'Appennino Settentrionale)

Il bacino del Po (Nord Italia, Fig.2.1) copre un’area approssimativamente di 46,000

km2 ed è contornata a N dalle Alpi, a SW dagli Appennini ed a E dal mare Adriatico.

Di seguito, la descrizione sintetica dei principali domini geologici, l’evoluzione

litologica e tettonica della catena appenninica, sono riportate come base

fondamentale in supporto all’investigazione geochimica riportata in questo lavoro.

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Inquadramento geologico e idrologico 2013

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Va innanzitutto precisato che l’Appennino Settentrionale è il risultato della

sovrapposizione tettonica di due grandi insiemi, diversi per litologia, struttura ed

origine paleogeografia: un insieme esterno Umbro-Toscano ed un insieme interno

Ligure-Emiliano.

L’insieme esterno è costituito da uno zoccolo continentale, appartenente alla Placca

Apula, su cui poggiano, anche se scollate e deformate, le successioni mesozoiche-

terziarie, rappresentanti l’originale copertura sedimentaria.

L’insieme interno è formato da una serie di unità tettoniche, che per la presenza di

ofioliti (rocce ignee basiche ed ultrabasiche tipiche della litosfera oceanica), si sono

originate in un oceano, estendendosi anche sulla parte più assottigliata dei margini

continentali adiacenti.

La catena appenninica può essere descritta inoltre come una cintura di thrust e pieghe

composta da più unità, omogenee strutturalmente, che si sono formate verso N-NE

dal Cretacico inferiore al presente durante la chiusura dell’oceano Ligure-Piemontese

e la collisione tra le placche Europea ed Adria (riferimenti citati in Boschetti et al.,

2011).

Nella parte NW dell’Appennino le unità alloctone delle Liguridi interne e le

soprastanti unità Epiliguri, rappresentano il livello strutturale superiore che trasla

sull’avanfossa, raggiunge l’avanpaese e sovrascorre sulle torbiditi più recenti

dell’avanfossa (e.g. Argnani e Ricci Lucchi 2001).

Nell’anticlinale di Salsomaggiore, i depositi Serravalliani-Langhiani sono stati

sovrascorsi nel messiniano e recentemente esposti nel Plio-Pleistocene (Artoni et al.

2004).

Il livello strutturale più basso degli Appennini corrisponde alle unità Tosco-Umbre

consistenti in rocce cristalline del basamento Paleozoico metamorfico e sedimenti

Mesozoici (evaporiti triassiche e dolomie). Le rocce del dominio toscano sono

esposte in alcune finestre tettoniche delle unità Liguri, come ad esempio a Bobbio in

provincia di Piacenza.

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Le formazioni torbiditiche dell’Oligo-Miocene sono correlate a fasi di riempimento

verso est (migrazione) dell’avanfossa di fronte al progredire della pila orogenica

appenninica delle falde.

Mentre nel settore ovest dell’Appennino Settentrionale la formazione del Macigno

caratterizza il top della falda toscana, l’Appennino Romagnolo è principalmente

composto dalla formazione torbiditica della Marnoso-Arenacea (Langhiano-

Tortoniano: Ricci Lucchi 1981) posto sopra il basamento dei carbonati miocenici, e

sotto il Macigno, il Modino e le torbiditi del Cervarola nella parte interna (dorsale

appenninica).

Depositi Messiniani-Pleistocenici (immersione N-NE) coprono la formazione

Marnoso-Arenacea lungo la zona pedemontana NE dell’Appennino (Roveri et al.

2003).

Il fronte più esterno dell’Appennino settentrionale (diverse anticlinali orientate

WNW-ESE) è sepolto da sedimenti marini Plio-Pleistocenici sotto la superficie della

pianura del Po (referenze citate in Boschetti et al., 2011).

(Fig 2.2 Sezione dell'Appennino parmense)

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2.2 Unità tettoniche riconoscibili nell’area e aspetti geologici/petrografici delle

principali unità

Per il sondaggio esplorativo API di Miano si hanno precise indicazione circa le

litologie attraversate durante il sondaggio (Heinicke et al., 2010); Miano è locato

giustappunto su un basamento a sovrascorrimento (Boschetti et al., 2011; Toscani et

al., 2001 e referenze citate) che è sismicamento attivo.

Le principali unità tettoniche riconoscibili nell’area sono:

1. Unità della Falda Toscana (Giurassico-Oligocene sup.)

2. Unità di Canetolo (Oligocene sup.)

3. L’unità del Monte Caio (Cretacico sup.-Paleocene)

4. l’unità del Monte Sporno (Paleocene sup.-Eocene medio)

5. La successione Epiligure (Oligocene-Messiniano)

2.2.1 Unità della falda toscana

CSE, CALCARI SELCIFERI : Calcari micritici con abbondanti noduli e liste di

selci in strati, sovente mal distinguibili, da sottili a spessi. Vi si intercalano circa 8

metri di calcari nodulari rosati silicei con Ammoniti (Deroceras); colore d’insieme

grigio con selci nere. Al tetto calcari grigio chiari e selci azzurrognole. Potenza di

circa 50 metri.

Lias medio-superiore-Malm (Società Geologica Italiana, 1994).

DSD, FORMAZIONE DEI DIASPRI : Lenti radiolaritiche spesse da pochi

centimetri a circa un metro, rosso-vinate, verdastre per alterazione, stratificamene al

tetto di CSE.

Dogger-Malm (Società Geologica Italiana, 1994).

SPP, SCAGLIA: Marne calcaree e calcari marnosi rossastri in strati generalmente

medi e sottili, argilliti di colore rosso cupo e verde chiaro; bancate torbiditiche di

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calcareniti spesse anche quattro metri e calcari marnosi scuri, biancastri per

alterazione. Potenza di circa 200 metri. Contatto su CSE.

Eocene (Società Geologica Italiana, 1994).

MAC, MACIGNO : Arenarie torbiditiche quarzoso-feldspatiche grigie, da medie a

microconglomeratiche, in strati spessi e molto spessi.

Potenza da 800 a 2000 metri.

Oligocene-Miocene inferiore (Società Geologica Italiana, 1994)

2.2.2 Unità di Canetolo

CGV, CALCARI DI GROPPO DEL VESCOVO : Torbiditi calcaree e calcareo-

marnoso in banchi a base calcarenitica ricchi in bioclasti; colore bianco o grigio

chiaro.

Potenza da 0 a 200 m.

Eocene medio (Società Geologica Italiana, 1994).

ACC, ARGILLE E CALCARI DI CANETOLO : Peliti prevalentemente nere

alternate a calcilutiti grigio scure, calcareniti gradate, brecciole organogene e calcari

marnosi a base calcarenitica, in strati da medi a molto spessi. Localmente arenarie

fini in straterelli sottili. Il rapporto fra calcari e peliti è minore di 1.

Potenza massima di circa 300m.

Paleocene-Eocene (Società Geologica Italiana, 1994).

ARB, ARENARIE DI PONTE BRATICA : Torbiditi arenaceo-pelitiche con

arenarie fini quarzoso feldspatiche e micacee e peliti. I minerali dominanti sono

quarzo, feldspati, miche. Potenza massima di circa 100m.

Paleocene-Eocene (Società Geologica Italiana, 1994).

APE, ARENARIE DI PETRIGNACOLA : Arenarie torbiditiche in grossi banchi di

composizione tufitica (andesiti), subordinatamente conglomerati e siltiti. Pebbly

mudstone e slump associati. I minerali dominanti sono silicati vari.

Potenza massima di circa 300m

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Eocene (Società Geologica Italiana, 1994).

2.2.3 Unità di Monte Caio

CIN, COMPLESSO INDIFFERENZIATO : Complesso costituito dall’associazione

di argilliti grigie o varicolori e brecce poligeniche ad elementi di dimensioni da

centimetriche a metriche prevalentemente calcarei, ma anche ofiolitici e granitici, in

matrice politica molto abbondante.

Potenza massima di circa 300m. I minerali dominanti sono gli argillosi e la calcite.

Cretaceo (Società Geologica Italiana, 1994).

OST, ARENARIE DI OSTIA : Arenarie torbiditiche micacee a frustoli carboniosi,

in strati da sottili a spessi, alternate a peliti grigie e localmente rosse. Le rocce

presenti sono generalmente arenarie quarzose a grana fine.

Potenza variabile da zero ad alcune decine di metri.

Cenomaniano-Turoniano (Società Geologica Italiana, 1994).

CAO, FLYSCH DI M.CAIO (vedi paragrafo 2.2.6)

MOV, FORMAZIONE DI MONTE VENERE : Torbiditi calcareo-marnose in strati

da spessi a molto spessi, costituite da una porzione basale carbonatica, arenaceo-

calcarea, fine e media, passanti a calcari marnosi e marne scheggiose, a luoghi

sormontate da argilliti nerastre siltose emipelagiche. In alternanza singoli strati o

pacchi di torbiditi arenaceo-pelitiche in strati da sottili a medi.

Potenza massima di circa 100m.

Cretaceo sup.-Paleocene (Società Geologica Italiana, 1994)

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2.2.4 Unità del Monte Sporno

Si presenta come unità torbiditica calcareo-marnosa e pelitico-marnosa suddivisa in

sottounità. Bacino profondo a sedimentazione torbiditica prevalente su quella

emipelagica. Tale unità è è suddivisibile in tre membri:

MEMBRO DI CALESTANO : Marne e marne argillose grigie a frattura da concoide

a poliedrica e marne siltose fogliettate, grigio scuro-verdastre, in strati spessi e molto

spessi , intercalate a set di strati sottili e medi di areniti medie grigio-nocciola e peliti

brune. Alla base degli strati marnosi sono talora presenti calcari e calcari marnosi

color crema, in strati medi laminati ben stratificati. Rari livelli marnosi rosati verso il

tetto del membro. Contatto graduale sul Membro di Armorano.

Potenza massima stimata 350m circa.

Luteziano (Società Geologica Italiana, 1994).

MEMBRO DI ARMORANO : Calcari marnosi e calcari chiari in strati da medi a

molto spessi, a base spesso calcarenitica grigio-verde e marne argillose grigio-

nocciola, alternati ad areniti e peliti marnose grigio scure in strati sottili e medi. Sono

presenti alcuni livelli marnosi rosati. I calcari presentano talora livelli o liste di selce

bruna, come pure base biocalcarenitica grigio-verde, con lamine parallele e ripples,

localmente biocalciruditica con numerosi macroforaminiferi (Nummuliti e Orbitoidi).

Localmente presente una facies caotica spessa poche decine di metri, costituita da

argille scagliettate grigie e rossastre, inglobanti caoticamente lembi di calcare fine,

chiaro, ed arenarie fini e medie, nocciola.

Spessore parziale massimo di 1200m.

Ypresiano-Luteziano (Società Geologica Italiana, 1994).

MEMBRO DI RIO BRUGNARA : Marne e marne argillose grigie a frattura da

concoide a poliedrica e marne siltose fogliettate, grigio scuro-verdastre, in strati

spessi e molto spessi, intercalate a set di strati sottili e medi di areniti medie grigio-

nocciola e peliti brune. Alla base degli strati marnosi sono talora presenti calcari e

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calcari marnosi color crema, in strati medi laminati ben stratificati. Rari livelli

marnosi rosati verso il tetto del membro.

Potenza parziale di circa 200m.

Paleocene sup (Società Geologica Italiana, 1994).

2.2.5 Successione Epiligure

Nel 1960 viene proposta la suddivisione litostratigrafia in (dal basso): Marne di

M.Piano (Oligocene sup.-Miocene inf.), Tripoli di Contignaco (Oligocene sup.-

Miocene inf.), Arenarie di Bismantova (Mocene inf. e medio), cui sono aggiunte le

Marne del Termina (Tortoniano).

Inoltre è stata riconosciuta la presenza d’unità caotiche alla base della successione,

formata per colate sottomarine (olistostromi, brecce argillose, melanges sedimentari),

che sembrano rappresentare l’appoggio stratigrafico della Successione Epiligure.

MMP, FORMAZIONE DI MONTE PIANO : Argilliti ed argilliti siltose rossastre,

rosate e grigio-verdine, talora a stratificazione maldefinita; contiene strati sottili di

torbiditi politiche, a base siltoso-sabbiosa, grigi chiare e verdastri. Verso il tetto

compaiono anche arenarie calcaree con patine manganesifere.

Potenza massima 100m.

Eocene medio-superiore (Società Geologica Italiana, 1994).

RAN, FORMAZIONE DI RANZANO (vedi paragrafo 2.2.6)

ANT, FORMAZIONE DI ANTOGNOLA : L’unità si presenta eterogenea, ed è

suddivisa in membri caratterizzati da litologie ben diversificate, attribuibili nel loro

insieme all’ambiente di scarpata e conoide sottomarina. Le rocce presenti sono

arenarie, marne, peliti, selci, mentre i minerali dominanti sono i minerali argillosi e la

calcite.

Potenza massima circa 1500m.

Oligocene sup.-Miocene inf. (Società Geologica Italiana, 1994).

ABI, FORMAZIONE DI BISMANTOVA (vedi paragrafo 2.2.6)

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FORMAZIONE DEL TERMINA : Unità costituita da depositi essenzialmente

pelitici (Marne del Termina) di piattaforma esterna, affioranti solo in alcune località

dell’Appennino.

La potenza massima è di alcune centinaia di metri.

FCO, FORMAZIONE A COLOMBACCI : Si tratta di un’unità costituita da peliti,

arenarie, conglomerati.

I minerali prevalenti sono smectite, illite, calcite, dolomite e minori fasi silicatiche

(feldspato).

Messiniano (Società Geologica Italiana, 1994).

FGS, FORMAZIONE DI RIO GISOLO : Considerando un caso specifico della

località di Tabiano Bagni, le litologie prevalenti sono arenarie e conglomerati, con

intercalazione politiche e siltose.

2.2.6 Petrografia delle principali formazioni geologiche presenti nei siti di

campionamento

Da un punto di vista petrografico le formazioni geologiche affioranti in prossimità

dei siti di campionamento sono le seguenti:

-CAO, FLYSCH DI MONTE CAIO (Unità di Monte Caio) : Torbiditi calcareo-

marnose grigio-chiare in strati spessi e molto spessi a base calcarenitica separati da

interstrati pelitici. Localmente sequenze arenaceo-pelitiche in strati sottili e medi.

Potenza massima intorno ai 200 m. I minerali dominanti sono gli argillosi e la calcite.

Cretaceo sup. (Società Geologica Italiana, 1994).

Questa formazione geologica riguarda le zone di Roccaferrara (F3) e Bedonia-Rio

Monti (F6)

-ABI, FORMAZIONE DI BISMANTOVA (Successione Epiligur e): Arenarie di

colore nocciola chiaro, i cui granuli sono per la maggior parte di natura calcarea.

Sono rocce che sedimentarono nel corso del Miocene inferiore medio (circa 15

milioni di anni fa) su fondali marini profondi poche decine di metri, dopo che una

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importante fase orogenetica aveva causato un nuovo sollevamento dei bacini e quindi

un cambiamento radicale del tipo di sedimentazione. Queste rocce appartengono alla

formazione di Bismantova, a cui sono riferite le più recenti marne grigie (13-10 MA),

che sono esposte nei calanchi di Marzabotto. Queste marne, a cui si intercalano sottili

strati di arenarie torbiditiche, documentano invece un successivo approfondimento

dei fondali.

Potenza massima oltre i 1000m.

Burdigaliano sup.(?)-Serravalliano (Società Geologica Italiana, 1994).

La formazione geologica sopra descritta è caratteristica della zona studiata di

Castelnuovo Monti – Vezzolo (F8) e del pozzo/sondaggio esplorativo Vetto – ENE

Maiola (F10)

-RAN, ARENARIE DI RANZANO (Successione Epiligure): La zona su presenta

arenaceo-conglomeratica e fa parte della successione epiligure ed è costituita da più

corpi sedimentari originati prevalentemente dalle torbiditi. Lo spessore complessivo

dell’unità è molto variabile passando dai pochi metri agli oltre 1500 m. Ha avuto

origine dall’Eocene superiore all’Oligocene inferiore e si estende per oltre 200 Km

lungo la catena nord appenninica. La formazione di Ranzano presenta vari membri:

Membro di Pizzo d’Oca; Membro della Val Pessola; Membro di Varano de’

Melegari.

Potenza massima circa 600m.

Eocene sup.-Oligocene inf. (Società Geologica Italiana, 1994).

Questa formazione geologica riguarda la zona di Varano Melegari, Case Mazzini

(F3).

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Inquadramento geologico e idrologico 2013

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2.3 Idrologia

L’ idrologia superficiale della regione dell’Emilia Romagna è formata da fiumi che

drenano l’Appennino con le sue conoidi alluvionali. Queste ultime che formano la

Pianura Padana sono intercalate, e la loro estremità N è connessa a sedimenti

quaternari del fiume Po.

Le acque sotterranee sfruttate per la fornitura di acqua potabile, sono classificate in

tre principali unità idrostratigrafiche; le due più profonde, conosciute come acquifero

B (da 0.35-0.45 a 0.65 Ma) e acquifero C (da 0.65 a 3.9 Ma), sono poste in fasce

parallele nella pianura centrale e vicino gli Appennini.

L’acquitardo basale (>3.9 Ma), che caratterizza il fondo dell’unità più profonda, non

è sfruttato per la sua potabilità a causa della grande profondità ed eventuale

mescolamento con acque saline, oggetto di questo lavoro.

Importante è sottolineare che in Emilia Romagna, gli interessi che riguardano

l’idrogeologia e l’idrochimica, sono focalizzati principalmente sulle acque del

sottosuolo della Pianura Padana (e.g., Martinelli et al., 1998), mentre meno

attenzione è stata data alle acque della vicina cintura appenninica, nonostante siano

un’importante risorsa ambientale (Venturelli et al., 2000).

Le acque dominanti presenti nell’area appenninica delle province di Parma e Reggio

Emilia sono Ca-carbonatiche e, meno frequenti, Ca-solfate.

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Descrizione generale delle principali tecniche di campionamento 2013

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CAP 3

DESCRIZIONE GENERALE DELLE PRINCIPALI TECNICHE

DI CAMPIONAMENTO

Nel lavoro di campionamento in questione, l’attenzione è stata rivolta ad una zona

relativamente ampia che riguarda zone nelle vicinanze del fiume Taro (PR), del fiume

Parma (PR) e del fiume Enza (RE), dal quale sono stati prelevati ed analizzati diversi

campioni d’acqua da relative sorgenti nei sei luoghi indicati da Fig.1.1.

Durante il campionamento delle acque sono stati misurati in situ i parametri labili

(rif. cap 4) tra cui Eh, pH, conducibilità elettrica, temperatura e sono stati prelevati

campioni per le analisi di laboratorio sia dei costituenti disciolti in forma liquida sia

gassosa. Aspetto fondamentale da considerare è che le acque Na-bicarbonatiche

contengono non solo metano ma anche ammonio (NH4) e acido solfidrico (H2S).

Dato che la concentrazione di queste specie è soggetta a deterioramento a causa

dell’ossidazione post-campionamento, i due parametri sono stati inseriti tra i

parametri labili analizzati e descritti nel campitolo successivo.

3.1 Procedure di campionamento

I campionamenti e le successive analisi hanno interessato principalmente sei aree

distinte, ubicate nella zona Appenninica delle province di Parma e Reggio Emilia, tra

le quali: Miano di Corniglio, Roccaferrara, Monti Bedonia, Casa Mazzini, Maiola e

Vezzolo.

Per quel che concerne le specie gassose, i campioni sono stati posti in bottiglie di

pyrex da 200 ml (Kimble) e chiuse con appositi setti in Viton con ghiera in alluminio

mediante crimpatrice. Allo scopo di prevenire il deterioramento delle concentrazioni

dei costituenti gassosi disciolti da parte dell’attività batterica, nel contenitore pieno di

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Descrizione generale delle principali tecniche di campionamento 2013

15

acqua appena prelevata e prima della chiusura sono stati aggiunti 3-4 ml di idrossido

di potassio (KOH) 1 M.

Importante sottolineare la fase di campionatura e analisi dell’ammonio (NH4) e

l’acido solfidrico (H2S): questi due parametri nei vari step, sono stati analizzati con

uno strumento specifico che emette un raggio con la lunghezza d’onda (λ) desiderata

per il campione che si vuole analizzare. Un raggio di luce colpirà dunque un cubetto

contenente la soluzione, misurando le diverse concentrazioni. Più alto sarà il picco

che andremo a leggere e più la mia soluzione sarà concentrata dell’elemento

analizzato.

3.2 Trasporto e conservazione del campione

Non tutti i parametri considerati necessitano di essere analizzati direttamente nel

punto di prelievo delle acque; alcuni infatti non sono parametri labili. Si prenda ad

esempio l’alcalinità: è un parametro fondamentale e si effettua con titolazione

acidimetrica con HCl e dovrebbe essere analizzato entro 24-48 ore dal

campionamento.

I campioni sono stati suddivisi in due aliquote: 200 ml per l’analisi dell’alcalinità,

ammonio, solfuri e cloruri; 50 ml per l’analisi di altri costituenti disciolti quali cationi

maggiori e in traccia. Come contenitori delle due aliquote sono state utilizzate

bottiglie in polietilene (PE) con doppio tappo: tappo interno a pressione e tappo

esterno con chiusura a ghiera.

A tal proposito il trasporto e la conservazione del campione prima dell’analisi devono

essere accurati perchè possono comportare problemi di sicurezza e di mantenimento

delle caratteristiche chimiche e fisiche del campione.

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Analisi svolte per parametri labili e stabili 2013

16

CAP 4

ANALISI SVOLTE PER PARAMETRI LABILI E STABILI

Innanzitutto va specificato che un parametro labile è quel parametro che risulta

instabile ovvero che necessita di un’analisi in situ, come la temperatura o il pH. Di

fatto queste proprietà se analizzate in laboratorio rischiano di mostrare valori errati.

Altri parametri, per evidenti esigenze logistiche e strumentali, devono

necessariamente essere analizzati in laboratorio (metano disciolto, δ13C, δD, ecc.).

I risultati delle analisi svolte sono schematizzati in tabella 1 e 2. La prima riguarda i

parametri labili e stabili mentre la seconda i dati chimici ed isotopici con valori in

percentuale riferiti al volume totale di gas estratto

4.1 Procedimenti analitici

Per investigare i processi geochimici in gioco nella genesi delle acque Na-

bicarbonatiche ed arrivare a capire, come step conclusivo, se effettivamente tali acque

sono connesse a giacimenti di idrocarburi, è necessario effettuare analisi preliminari

per comprendere al meglio le caratteristiche chimico-fisiche dei campioni in esame.

Pertanto, considerate le finalità di questo lavoro, le misure dei parametri più soggetti

a variazione dopo il prelievo del campione (i cosiddetti parametri labili) sono state

effettuate direttamente in campagna:

- Temperatura;

- Attività degli ioni idrogeno (pH);

- Potenziale di ossidoriduzione, riferito ad un elettrodo standard di idrogeno

(Eh);

- Conducibilità elettrica;

- Alcalinità totale [tAlk];

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Analisi svolte per parametri labili e stabili 2013

17

- Specie ridotte come N (- III) e S (- II)

Le aliquote dei campioni prelevati per le analisi chimiche sono state filtrate con filtri

di cellulosa, pori di 0.45 µm, della National Scientific Company; per l’analisi dei

“cationi”, una porzione del campione è stata acidificata con acido nitrico 65%

Suprapur® Merck (1 cm3 HNO3 per 100 cm3 di campione).

4.1.1 Temperatura

Si riferisce al dato medio in gradi centigradi (°C), rilevato sul campo utilizzando le

termocoppie elettriche associate alle sonde di pH, Eh e conducibilità.

4.1.2 Attività ioni idrogeno (pH)

L’attività degli ioni H+ definisce il carattere acido e basico di una soluzione e si

esprime in scala logaritmica per ottenere un confronto migliore tra i valori che si

studiano.

L’acidità o la basicità di una soluzione acquosa, a cui viene attribuito il simbolo pH,

viene cosi espressa mediante il logaritmo in base dieci negativo dell’attività degli ioni

idrogeno:

pH = -log10H+

Alle condizioni di P = 1 bar e T = 25°C

Kw = H+ OH- / H 2O = 10-14

Una soluzione si dice neutra; dal punto di vista acido-base (neutralità acido-base),

quando si ha H+ = OH-. Assumendo che H2O = 1, per P = 1bar e T = 25°C:

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Analisi svolte per parametri labili e stabili 2013

18

H + = OH- = 10

-7 = 7

Sotto tali condizioni, una soluzione si definisce acida quando il valore di pH è minore

di 7, basica, invece, per valori superiori al 7.

- pH < 7 Soluzione acida, cioè H+ > 10-7

- pH > 7 Soluzione basica, cioè H+ < 10-7

Per la misura di pH si è utilizzato lo strumento ORION 250° a compensazione

automatica di temperatura equipaggiato con elettrodo di Ross ® combinato ORION

(risoluzione 0.01 unità di pH). La calibrazione è stata effettuata in situ con due

soluzioni standard a pH noto (pH=7 e pH=10) tenendo conto della loro temperatura.

Il valore di pH riportato in tabella 2 è riferito alla temperatura dell’acqua

all’emergenza.

Si ricorda che la misura del pH sul campo si rende necessaria per ottenere il valore

alla temperatura di emergenza e prima che esso sia eventualmente modificato da

reazioni redox (tipo con l’ossidazione di H2S) e degassamento di CO2.

4.1.3 Potenziale redox (Eh)

Le condizioni ossido-riduttive sono legate allo stato di ossidazione degli elementi

della soluzione stessa; queste condizioni possono essere definite tramite il potenziale

di ossido riduzione o potenziale redox.

Una generica reazione:

Ψox OX + ne- = Ψrid RID (1)

dove Ψ rappresenta i coefficienti stechiometrici, OX i componenti ossidati, RID i

componenti ridotti e “n” il numero di moli di elettroni, è caratterizzata da una certa

variazione di energia libera di reazione ∆Gr

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Analisi svolte per parametri labili e stabili 2013

19

∆Gr = ∆Gr° + RT ln RIDΨrid / OX Ψox (2)

dove ∆G° è l’energia libera di reazione allo stato standard per la reazione (1), R la

costante dei gas, T la temperatura.

Considerando che in condizioni di reversibilità della cella elettrochimica risulta

∆Gr = -nEF

dove n = numero di moli di elettroni scambiati nella reazione redox, E = forza

elettromotrice nel circuito esterno della cella, F = costante di Faraday, abbiamo:

Eh = Eh° + (RT / nF) ln OXΨox / RID Ψrid

dove Eh è il potenziale redox, Eh° è il potenziale redox allo stato standard.

Più è elevato il valore di Eh delle coppie redox nella soluzione, più essa ha capacità

ossidanti. Si ricorda tuttavia che le coppie redox in una soluzione sono in

disequilibrio (cioè non hanno tutte lo stesso Eh) e che pertanto il valore di Eh

misurato in soluzione esprime una media ponderata dei diversi valori di Eh delle

singole coppie redox.

Il potenziale redox è stato determinato mediante lo strumento ORION 250A.

Il potenziale redox deve essere misurato su campo facendo in modo che l’acqua non

interagisca con l’aria. Infatti, alcune specie chimiche presenti in soluzione

potrebbero ossidarsi provocando un incremento del valore del potenziale redox

misurato. Tuttavia, quand’anche fossero assunte queste precauzioni, per motivi di

cinetica elettrochimica, di caratteristiche chimico-fisiche delle soluzioni e di

disequilibrio tra le diverse coppie redox presenti nella soluzione, i valori del

potenziale redox misurati in genere non si riferiscono esattamente ad alcuna coppia

redox presente nella soluzione, e pertanto ad essi non può essere attribuito alcun

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Analisi svolte per parametri labili e stabili 2013

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significato termodinamico. La mancanza di significato termodinamico del valore

misurato di potenziale redox in conseguenza del disequilibrio fra le coppie redox può

essere facilmente compresa. Ammettendo, ad esempio, che nella soluzione siano

presenti le coppie dello zolfo HS- / SO4

2-, del carbonio CH4 / HCO3

- e dell’azoto

NH4+

/ N2; mediate le attività delle specie, per ogni coppia potremmo definire un

valore di potenziale redox. In genere, i valori definiti per ogni coppia risulterebbero

tra loro diversi al di là degli errori analitici sulle concentrazioni e sui coefficienti di

attività delle diverse specie indicando un disequilibrio. Nonostante questi limiti, il

valore di potenziale misurato può fornire un’indicazione qualitativa delle condizioni

redox medie nella soluzione.

4.1.4 Conducibilità elettrica

La conducibilità elettrica esprime la capacità della soluzione a condurre corrente

elettrica, capacità che dipende:

- dalle specie ioniche in soluzione;

- dalla temperatura.

Essa rappresenta il reciproco della “resistenza misurata tra facce opposte di un

centimetro cubo di soluzione a una certa temperatura”.

La resistenza elettrica (R) di un conduttore è data dalla relazione:

R = ρl / s

dove “l” indica la lunghezza del conduttore, “s” la sezione del conduttore

normalmente alla direzione di l e “ρ” è detta resistenza specifica.

La conducibilità specifica (K = 1/ρ) è l’inverso della resistenza specifica e viene

misurata in Siemens Ω-1cm-1.

Nelle misure riguardanti le acque, in luogo di Siemens cm-1 si usa il microSiemens

cm-1 (µS/cm).

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Analisi svolte per parametri labili e stabili 2013

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La conducibilità dipende da diversi fattori:

- Se aumenta la concentrazione degli ioni entro certi limiti, aumenta la capacità

di trasporto di elettricità e pertanto aumenta la conducibilità;

- Tra due ioni della stessa specie aventi diversa valenza, lo ione a valenza

maggiore contribuisce maggiormente alla conducibilità;

- Il maggior contributo alla conducibilità è fornito dagli ioni aventi massa e/o

dimensioni minori;

- L’aumento di temperatura della soluzione provoca diminuzione di viscosità e

di idratazione degli ioni e pertanto contribuisce ad aumentare la conducibilità.

4.1.5 Alcalinità

Genericamente l’alcalinità si definisce come la capacità di una soluzione di

neutralizzare un acido forte.

Analizzando un campione d’acqua naturale, è possibile notare che in esso sono

disciolti vari anioni deboli quali: HCO3-, CO3

2-, H3SiO4

-, HS

-, B(OH)4

-, anioni

organici e, inoltre, cationi di basi forti e anioni di acidi forti quali Na+, K

+, Ca

2+,

Mg2+

e Cl-, NO3

-, SO4

2- rispettivamente.

Se la somma dei cationi – la somma degli anioni > 0, si dice che la soluzione

possiede alcalinità: l’alcalinità totale [talk] della soluzione è definita da:

[alk] = [Na+] + [K

+] + 2[Ca

2+] + 2[Mg

2+] – [Cl

-] – [NO3

-] – 2[SO4

2-] = [HCO3

-] +

2[CO32-

] + [H3SiO4-] + [HS

-] + [B(OH)4

-] + [Equivalenti / dm

3 di altri anioni di acidi

deboli inorganici ed organici] +… [OH-] – [H

+]

Se invece abbiamo la somma dei cationi – la somma degli anioni < 0, si dice che la

soluzione possiede acidità. E’ possibile inoltre definire un’alcalinità carbonatica [c-

alk]:

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Analisi svolte per parametri labili e stabili 2013

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[c-alk] = [HCO3-] + 2[CO3

2-] = [alk] - [H3SiO4

-] - [HS

-] - [B(OH)4

-] - [Equivalenti /

dm3 di altri anioni di acidi deboli inorganici ed organici] -…- [OH

-] + [H

+]

Nella tabella dei dati analitici, l’alcalinità totale è stata espressa come mg*dm-3

di

HCO3-, ossia:

HCO3- (mg*dm

-3) = [alk] (mg*dm

-3) x 61.02

dove 61.02 rappresenta il peso molecolare di HCO3-.

L’alcalinità totale [tAlk] può essere determinata mediante titolazione con HCl

(soluzione 0.01 o 0.02 N). Tale procedimento si avvale dell’utilizzo di due elettrodi

opportunamente calibrati con due soluzioni a pH 4 e pH 7; successivamente si mette

una quantità di campione in un beaker con costante misurazione di pH e T°.

Passaggio successivo prevede l’aggiunta di HCl (Acido cloridrico, acido forte) 0.01

N, e mescolando, il pH scende fino ad un livello di stabilità. Questo procedimento

permette di segnare i valori in ml di HCl aggiunto a pH stabilizzato. Dopo aver

immesso una certa quantità di HCl, il pH diminuirà più velocemente rispetto

all’inizio del processo di analisi. Questa quantità raggiunta indica il punto di flesso di

una curva “v” (ml) su (V +v) x 10-pH

dove “v” = acido aggiunto in ml e “V” = volume iniziale del campione in ml.

Tale funzione è detta Funzione di Gran.

Anche l’alcalinità va determinata immediatamente sul campo o nel più breve tempo

possibile dopo il prelievo del campione. Infatti processi redox o precipitazioni di fasi

possono variare sensibilmente il suo valore.

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Analisi svolte per parametri labili e stabili 2013

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4.1.6 Ammonio totale (NH4)

L’ammonio totale si riferisce alla somma delle concentrazioni in moli di NH4+ e NH3

°

(ammoniaca indissociata in soluzione), ossia [NH4] = [NH4+] + [NH3

°].

Il metodo colorimetrico utilizzato è detto del blu di indofenolo. In ambiente

fortemente basico, l’azoto ridotto si trasforma in monocloramina per mezzo

dell’aggiunta di un agente clorante (in genere ipoclorito); tale composto, reagendo

con timolo, forma un derivato blu di indofenolo il quale può essere determinato

spettrofotometricamente.

La determinazione è stata effettuata sul campo utilizzando il kit MERK

Spectroquant® 1.14752 e il fotometro portatile MERK SQ300 con filtro a 690 nm,

ricalibrato mediante standards (intervallo di concentrazione da 0.13 a 3.48 mg/l di

NH4 con cuvetta da 10 mm; da 0.06 a 1.74 mg/l di NH4 con cuvetta da 20 mm).

4.1.7 Solfuro totale disciolto

Il solfuro totale disciolto si riferisce alla somma delle concentrazioni in moli di H2S°

(acido solfidrico indissociato in soluzione), HS- e S

2-, ossia [H2S] = [H2S

°] + [HS

-] +

[S2-

].

La determinazione è stata effettuata sul campo mediante il metodo colorimetrico del

blu di metilene utilizzando il kit MERK Spectroquant® 1.14779 e il fotometro MERK

SQ 300, ricalibrato con soluzioni analizzate in iodometria (4500-S2- F) e con filtro a

660 nm (intervallo di concentrazione da 0.02 a 4.00 mg/l di HS con cuvetta da 10

mm; da 0.02 a 1.65 mg/l di HS con cuvetta da 20 mm).

Il principio consiste nel far reagire lo zolfo ridotto con N.N’-dimetil-1.4-

fenilendiammodicloruro. Il composto ottenuto (un metilene incolore) viene poi

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Analisi svolte per parametri labili e stabili 2013

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ossidato con solfato ferrico, formando il blu di metilene. Prima della determinazione

viene aggiunto acido solfammico per limitare le interferenze dovute ai nitriti.

4.1.8 Cloruri (Cl-)

Per l’analisi dei cloruri (Cl-) nelle acque Na-bicarbonatiche è stato usato il metodo

fotometrico mentre per quanto riguarda le acque di Miano che presentano un’alta

salinità, è stato usata la titolazione di Mohr o metodo argentometrico.

La fotometria si indirizza alla misurazione di ampie bande di lunghezze d’onda;

quando viene misurata la distribuzione spettrale della radiazione, e non solamente la

sua intensità, viene usato il termine spettrofotometria. Questa può fornire

informazioni sul totale dell’energia emessa dall’oggetto, la sua dimensione, la

temperatura e altre proprietà fisiche.

Il metodo argentometrico invece è adatto per l’uso in acque salmastre, saline e

salamoie, cioè dove la concentrazione in cloruri è superiore ai 100 mg/l, e che non

presentino colorazioni di sorta dovute, ad esempio, agli ioni ferro in soluzione. In una

soluzione neutra o leggermente alcalina il cromato di potassio può indicare il punto

finale della titolazione di cloruro di nitrato di argento. Il cloruro di argento precipita

prima della formazione del cromato d’argento.

Bisogna procedere utilizzando 100 ml di campione al quale, se molto colorato,

aggiungere 3 ml di allumina. Mescolare, lasciare a riposo e infine filtrare. Importante

durante la titolazione è ricordarsi di portare il pH del campione a 7-10 con H2SO4 e

NaOH, utilizzando un pH-metro. Successivamente aggiungere 1 ml di K2CrO4 come

indicatore della soluzione titolando poi con AgNO3 sino ad un colore rosato.

Infine si standardizza AgNO3 titolante e stabilendo il valore del bianco del reagente

con il metodo di titolazione appena descritto.

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4.1.9 Silice (SiO2)

In soluzioni a pH ≤ 9, si trova in soluzione principalmente come acido ortosilicico

(H4SiO4), mentre le altre specie (che frequentemente danno origine a composti

colloidali) sono presenti in quantità molto ridotte. La determinazione della silice

totale è stata effettuata in laboratorio utilizzando il kit MERK Spectroquant® 1.14794

e il fotometro MERCK SQ 300 con filtro a 660 nm (intervallo di concentrazione da

1.1 a 10.7 mg/l di SiO2 con cuvetta da 10 mm; da 0.54 a 5.35 mg/l di SiO2 con cuvetta

da 20 mm). In ambiente acido gli ioni di silicio formano con gli ioni molibdato un

composto di colore blu (β-silicomolibdeno), la cui intensità è proporzionale alla

concentrazione.

Tabella 1: “Parametri labili e stabili”

4.1.10 Analisi dei cationi

I cationi analizzati sono stati determinati in Canada dal laboratorio di servizio

“Acmelabs” il quale usa sia ICP-AES, sia ICP-MS per determinare gli elementi. Il

metodo prevede l’analisi di 70 elementi maggiori e in traccia, inclusi alcuni elementi

che in soluzione si presentano in forma anionica quali Cl, Br, P, S. Il dato del cloruro

è stato mediato con quello ottenuto per via fotometrica.

L’ ICP-AES (spettroscopia di emissione atomica) è una tecnica spettroscopica di

emissione utilizzata in analisi chimica. Essa sfrutta l’emissione di energia

relativamente elevata tanto da provocare la dissociazione in atomi e l’eccitazione di

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Analisi svolte per parametri labili e stabili 2013

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questi ultimi. In base alla lunghezza d’onda emessa è possibile risalire alla specie

incognita, dato che gli spettri di ciascuna sostanza sono caratteristici, mentre

misurando l’intensità dell’emissione si può effettuare anche l’analisi quantitativa.

L’ ICP-MS (spettrometria di massa) si basa invece sull’utilizzo della spettrometria di

massa abbinata al plasma accoppiato induttivamente. È una tecnica molto sensibile e

in grado di determinare diverse sostanze inorganiche metalliche e non metalliche

presenti in concentrazioni inferiori a un ppb. Come l’ICP-AES, sfrutta l’utilizzo di

una torcia al plasma ICP per produrre la ionizzazione (generazione di uno o più ioni a

causa della rimozione o addizione di elettroni da una entità molecolare neutra) e di

una spettrometro di massa per la separazione e rilevazione di ioni prodotti.

4.1.11 Gas disciolti e rapporti isotopici del metano

Le concentrazioni dei gas disciolti ed i rapporti isotopici del metano nei campioni

prelevati sono stati analizzati mediante metodica GC-IRMS presso il laboratorio di

servizio ISOTECH LABORATORIES INC. (Champaign, Illinois;

http://www.isotechlabs.com/). La tecnica prevede la determinazione qualitativa e

quantitativa con gas-cromatografo (GC) e la successiva determinazione on-line dei

rapporti isotopici δ13C(CH4) e δ2H(CH4) con spettrometro di massa (IRMS). Il

metodo è risultato idoneo per tutti i campioni tranne per il campione F13 a causa

della bassa concentrazione di metano riscontrata (0.2%). Tuttavia, in quest’ultimo

caso, è stato possibile determinare il δ13C(CH4) utilizzando una maggiore quantità di

campione, il sistema di pre-arrichimento del metano e la linea di analisi utilizzata nei

laboratori dell’Università della California-Davis.

(http://stableisotopefacility.ucdavis.edu/ch4.html)

La notazione delta del carbonio è riferita allo standard internazionale V-PDB mentra

quello dell’idrogeno al V-SMOW (vedi paragrafo successivo).

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Analisi svolte per parametri labili e stabili 2013

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4.1.12 Analisi isotopica dell’acqua (δ2H e δ

18O)

La composizione isotopica degli isotopi stabili leggeri viene espressa di solito in δ

(‰), intesa come rapporto di abbondanza della specie isotopiche considerate riferito

a quello di uno standard internazionale moltiplicato per 1000:

δ (‰) = [(Rcampione/Rstandard)-1] *1000

dove Rcampione esprime il rapporto di abbondanza isotopo pesante/leggero nel

campione specifico (se consideriamo l’isotopo dell’ossigeno nell’acqua andremo a

valutare 18

O/16

O) mentre Rstandard è il rapporto di abbondanza isotopo

pesante/leggero in uno standard internazionale di riferimento.

L’analisi degli isotopi dell’acqua è possibile essendo noti con buona precisione i

fattori di frazionamento isotopico CO2/H2O e H2/H2O. La tecnica di preparazione ed

analisi dei campioni d’acqua per la determinazione dei suoi isotopi (δ2H e δ

18O) si

basa sul principio originale proposto da Epstein e Mayeda (1959) e Moplen (1991) di

equilibratura tra il campione e certe quantità di CO2 e H2.

L’analisi è stata eseguita presso il laboratorio di Geochimica Isotopica dell’Università

degli Studi di Parma, mediante un sistema automatizzato che prevede l’utilizzo di un

bagno termostatico FINNIGAN GLF – 1086 per l’equilibratura dei gas – acqua; esso

è posto in linea con uno spettrometro di massa Finnigan Delta Plus. La reazione di

equilibratura idrogeno-acqua necessita di un catalizzatore di platino che viene inserito

all’interno di ognuno dei portacampioni.

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Tabella 2: “ Dati chimici ed isotopici dei gas disciolti”

4.2 Dati ottenuti

Grazie alla creazione di opportune tabelle con il programma microsoft office excel

(tabelle 1 e 2), è stato possibile capire le caratteristiche principali delle acque studiate

e fare analisi iniziali che hanno reso note le principali caratteristiche delle sorgenti di

campionatura. Ad esempio, elementi come Litio (Li), Boro (B), Bromo (Br),

Manganese (Mn) e Fosforo (P), misurati in µg*dm-3

, possono essere associati anche

ad acque fossili contenenti idrocarburi. La determinazione di Ca, Mg, Na, K, e di Cl,

SO4 e alcalinità, per ogni sorgente studiata, ha permesso la classificazione delle acque

da un punto di vista composizionale tramite la costruzione del diagramma di

Langelier-Ludwing (vedi cap6. Acque sodio-bicarbonatiche (NaCW), caratteri e

relazioni)

L’analisi dei parametri chimico-fisici ed isotopici ha permesso dunque di capire non

solo l’origine del metano presente nelle acque ma anche i fenomeni cosiddetti di

“mixing” delle diverse acque prese in considerazione.

Aspetto importante degli studi dei dati ottenuti, è stato quindi quello d’aver trovato

metano nelle acque Na-bicarbonatiche.

La domanda che è subito sorta è stata se queste acque potessero essere dei potenziali

indicatori della presenza in profondità di acque formazionali e saline e se il metano in

superficie è geneticamente simile al metano presente in profondità.

Isotech Sample Sample GC Field He H2 Ar O2 CO2 N2 CO C1 C2 C2H4 C3 C3H6

Lab No. Name Date Date Name % % % % % % % % % % % %

248650 F6 16/05/2012 22/05/2012 Monti bedonia (PR) na nd 1,66 3,93 nd 67,62 nd 26,78 0,0074 nd nd nd248651 F13 16/05/2012 22/05/2012 Casa Mazzini (PR) na nd 1,97 2,93 nd 94,89 nd 0,206 nd nd nd nd244355 F3 04/04/2012 16/04/2012 Roccafer rara (PR) na nd 1,19 7,43 nd 62,52 nd 28,85 0,0101 nd nd nd244356 Miano 04/04/2012 16/04/2012 Miano d i Corniglio (PR) na nd 0,665 13,04 0,57 53,83 nd 31,89 0,0011 nd nd nd248648 F8 08/05/2012 22/05/2012 Vezzolo (RE) na nd 1,97 0,19 nd 94,93 nd 2,91 0,0043 nd nd nd248649 F10 08/05/2012 22/05/2012 Maio la (RE) na nd 0,297 0,061 nd 9,08 nd 90,52 0,0413 nd nd nd

Isotech Sample Sample GC Field iC4 nC4 iC5 nC5 C6+ MS 13C1 DC1 Speci fic BTULab No. Name Date Date Name % % % % % Date ‰ ‰ Gravity cc/L mg/L248650 F6 16/05/2012 22/05/2012 Monti bedonia (PR) nd nd nd nd nd 31/05/2012 -38,46 -146,4 0,869 271 6,8 4,5248651 F13 16/05/2012 22/05/2012 Casa Mazzini (PR) nd nd nd nd nd 0,979 2 0,047 0,031244355 F3 04/04/2012 16/04/2012 Roccafer rara (PR) nd nd nd nd nd 02/05/2012 -61,33 -195,6 0,863 292 11 7,5244356 Miano 04/04/2012 16/04/2012 Miano d i Corniglio (PR) nd nd nd nd nd 02/05/2012 -38,54 -172,5 0,859 323 15 9,9248648 F8 08/05/2012 22/05/2012 Vezzolo (RE) nd nd nd nd nd 25/05/2012 -61,2 -33 0,964 30 0,63 0,42248649 F10 08/05/2012 22/05/2012 Maio la (RE) nd nd nd nd nd 29/05/2012 -60,14 -201,7 0,594 918 40 26

Dissolved CH4

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Formazione del metano, aspetti generali 2013

29

CAP 5

FORMAZIONE DEL METANO, ASPETTI GENERALI

5.1 Metano nelle acque profonde

Il metano è un gas che si trova in ambienti naturali che vanno da zone crostali

profonde e bacini sedimentari a suoli, acque di superficie e atmosfera. Come un

componente fondamentale dell’evoluzione dei carbonati nell’acqua del sottosuolo, il

metano partecipa al ciclo del carbonio e contribuisce in forma gassosa all’effetto

serra (Clark e Fritz, 1997). Il metano può essere considerato come un contaminante

generato in discariche ed in alcune falde di approvvigionamento idrico e può

diventare pericoloso se situato in sistemi di distribuzione di acque.

Importante specificare che la solubilità del metano nell’acqua a pressione atmosferica

si aggira intorno a 2.6 mmoli/L a 0°C sino a 1 mmole/L a 50°C, decrescendo

approssimativamente dell’ 1% per grado di temperatura che aumenta. L’aumento

della salinità, gioca anch’essa un ruolo importante, diminuendo la solubilità dello

0,7% per ogni parte per mille (‰) di aumento di solidi totali disciolti (TDS).

Tuttavia, in acquiferi confinati profondi, la pressione crescente permette che le

concentrazioni di metano disciolto sia più alta prima dello sviluppo di una fase di gas

separato (Clark e Fritz, 1997).

5.2 Tipi di Metano in natura

Tra i principali tipi di metano che possiamo trovare in natura, distinti sulla base dei

diversi processi di formazione, troviamo il metano avente origine biogenica o biotica,

legato cioè a processi che possono coinvolgere substrati sia inorganici che organici e

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Formazione del metano, aspetti generali 2013

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in diversi regimi di temperatura. Solitamente viene definito metano biogenico quello

derivato dalla conversione della materia organica, definendo cosi sia il metano

batterico (o microbico), sia il metano formatosi da decomposizione termica del

substrato organico (metano termogenico).

I diversi tipi di metano biogenico sono distinti in funzione del substrato inorganico o

organico, e pertanto, anche sulla base dei differenti organismi e delle loro relative

reazioni associate ai processi di metanogenesi. I batteri associati al cosiddetto

metabolismo autotrofico producono metano da substrato inorganico in quanto

prevedono la riduzione della CO2 e ossidazione di H2 (Fasoli F, 2012, Tesi di

Laurea). Diversamente, i batteri che attuano un metabolismo di tipo eterotrofico

decompongono un substrato di tipo organico con fermentazione principalmente di

acetato (reazione definita anche come reazione di dismutazione):

CH3COO- + H2O CH4 (aq) + HCO3

-

Solitamente questi processi sono catalizzati da procarioti Archea il cui DNA è stato

ritrovato in alcune sorgenti Na-bicarbonatiche (e.g. F3 Roccaferrara; Palma, 2012 –

Tesi di Laurea).

Tra le varietà di metano genesi, alcune supportano le fermentazione di acetato per

produrre metano e anidride carbonica:

CH3COOH CH4 + CO2

Anche la CO2 può essere trasformata in metano secondo il cosiddetto processo di

Fischer-Tropsch

CO2 + 4H2 CH4 + 2 H2O

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Formazione del metano, aspetti generali 2013

31

In questa reazione, il carbonio inorganico è rappresentato come CO2, sebbene

quest’ultimo sarà naturalmente idratato e dissociato a formare bicarbonato a pH in

equilibrio con l’ambiente circostante, così come avviene nella maggior parte delle

acque sotterranee.

Questi tipi di metanogenesi avvengono rispettivamente a basse temperature del

sedimento e a temperature maggiori quando la fermentazione diviene il percorso

preferenziale per lo sviluppo di tale gas. L’effetto combinato della variabile

temperatura con l’età, controlla quale dei due processi prevalga nella formazione del

metano.

(Fig 5.1 Distribuzione di 13

C tra CH4 e CO2 per acque del sottosuolo fresche e

salmastre con differenti origini di metano)

Importante è specificare che il metano creato dai batteri (biogenico) favorisce gli

isotopi leggeri (Fig 5.1. Clark e Fritz, 1997). Questo comporta che il metano

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Formazione del metano, aspetti generali 2013

32

biogenico nell’acqua del sottosuolo ha valori di δ13

C impoverito di circa -50 a -80

‰, permettendo così di distinguere il metano biogenico dall’abiogenico per mezzo

dei rapporto isotopico del carbonio.

Anche i frazionamenti degli isotopi stabili dell’idrogeno possono aiutare a

caratterizzare la fonte di metano (Clark e Fritz, 1997). Durante la metanogenesi, la

composizione isotopica del metano dipende dall’originario rapporto isotopico δ2H del

substrato organico e dalla composizione isotopica della molecola d’acqua. Tuttavia i

fattori di frazionamento sono generalmente superiori per lo scambio in equilibrio tra

CH4 e H2O.

(Fig 5.2 Origine del metano nelle acque del sottosuolo in accordo con la

composizione di δ13

C- δ2H)

La combinazione tra δ2H e δ

13C può essere quindi usata per distinguere metano

biogenico dalle altre fonti (Fig 5.2. Clark e Fritz, 1997)

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Formazione del metano, aspetti generali 2013

33

A tal proposito è tradizionalmente accettato che il metano è prodotto dalla

fermentazione dell’acetato in acqua dolce e da riduzione di CO2 in sedimenti marini.

Il metano termogenico di cui sopra, si forma per decomposizione termica del

cosiddetto “kerogene” conosciuto come una massa amorfa, nella quale, in condizioni

di scarsa ossigenazione, la materia organica derivata da accumulo di resti di

organismi viventi nella roccia madre non viene ossidata e può essere seppellita con il

graduale accumulo dei sedimenti. Essa costituisce anche il prodotto di reazione di

partenza nella formazione sia degli idrocarburi che degli oli minerali. Per il metano e

gli altri omologhi superiori la cosiddetta finestra del gas, temperatura diagenetica

della roccia madre alla quale si ha la decomposizione del kerogene in idrocarburi più

o meno volatili, si attesta intorno ai 150-200°C (Fasoli F, 2012, tesi di laurea).

Come mostrato in FIG 5.2, e sopra riportato, la combinazione di δ13C impoverito e

δ2H nel metano aiutano a distinguere metano biogenico da metano termogenico.

Infine, per una completa distinzione isotopica e di formazione delle diverse tipologie

di metano, è importante specificare che il metano abiogenico è quello la cui

formazione è attribuita a reazioni inorganiche superficiali o profonde e pertanto

associato a reazioni di serpentinizzazione in condizioni idrotermali oceaniche o in

corrispondenza di sorgenti di temperatura relativamente bassa e associate ad ammassi

ofiolitici. La firma isotopica δ13C compreso tra -18 e -15‰ posiziona infatti questo

tipo di metano al di fuori dell’intervallo in cui sono compresi i gas classificabili come

biogenici (Fasoli F, 2011, tesi di laurea) (Fig. 9.4 cap 9).

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Acque sodio-bicarbonatiche (NaCW) – Caratteri e relazioni 2013

34

CAP 6

ACQUE SODIO-BICARBONATICHE (NaCW) – CARATTERI

E RELAZIONI

6.1 Caratteri generali delle acque sodio-bicarbonatiche

Le acque Na-bicarbonatiche (d’ora in avanti NaCW) sono definite come acque aventi

[Na tot] ≥ ([K tot] + 2[Ca tot] + 2[Mg tot]);

([HCO3 tot] + 2[CO3 tot]) ≥ ([Cl-] + 2[S tot]);

[Na tot] > [K tot]

dove i valori tra parentesi quadra sono concentrazioni molari.

Si ritiene che il metano contenuto nelle acque Na-bicarbonatiche sia di origine

prettamente biogenica (la zona pedeappenninica è caratterizzata da numerosi

giacimenti a gas di tipo biogenico) ovvero in condizioni di temperatura e pressione

alquanto basse (Borgia et al., 1985). Inoltre, la concomitante presenza di metano e

bicarbonato in acque, può essere spiegata con la degradazione di acidi alifatici a

catena corta (meno di 6 atomi di carbonio per molecola), cioè della sostanza organica

presente nei sedimenti e rappresentata come ione acetato (Cap 5), il quale è

solitamente la specie dominante in questo tipo di composti.

Queste acque sodiche sono il prodotto di interazione acqua-roccia con dissoluzione di

Na-silicati in presenza di fillosilicati e calcite (Venturelli et al., 2003).

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Acque sodio-bicarbonatiche (NaCW) – Caratteri e relazioni 2013

35

In base alla pressione parziale dell’anidride carbonica (pCO2) è possibile distinguere

queste NaCW in due grandi gruppi:

- acque con pCO2 più alto di 10-0,5

bar, presentano un’alta salinità (∑ioni > 80

mEq/L) e basso pH (<7). Queste acque mostrano una correlazione tra Na e Cl,

il che suggerisce una quantità di componenti NaCl che può essere riferita non

solo ad acque di formazione ricche in NaCl ma anche alla dissoluzione di

salgemma e al rilascio di NaCl dal fluido durante l’interazione acqua-roccia;

- acque con pCO2 più basso di 10-0,5

bar, presentano una bassa salinità (∑ioni <

40 mEq/L) ed un variabile ma comunque alto pH (>9,7).

Il susseguirsi di analisi e prove su campo hanno evidenziato che le NaCW non sono

relazionate a specifiche litologie e che, di fatto, possono circolare in differenti tipi di

rocce e in aree ove altri tipi di acque sono dominanti.

L’origine e l’evoluzione di queste acque dunque possono essere considerate in base

alla situazione locale. Gli aspetti fondamentali concernenti la loro genesi sono

(Venturelli et al., 2003 e referenze citate):

- L’eccesso del carbonio inorganico disciolto rispetto a calcio e magnesio è

relazionato ad un’aggiunta di CO2, il quale viene generato dall’ossidazione di

materia organica durante la riduzione batterica di zolfo (SVI) ;

- Una significativa dissoluzione di silicati di sodio, resa possibile da aggiunta di

CO2, durante una fase di interazione roccia/acqua;

- L’arricchimento in sodio è dovuto all’interazione dell’acqua con rocce

vulcaniche ricche in alcali;

- NaCW sono acque generate dalla dissoluzione progressiva di minerali silicatici

(albite), sotto condizioni di saturazione rispetto ad altre fasi silicatiche

argillose. Processo che arriva a spiegare la formazione di acque fortemente

ridotte nell’Appennino Settentrionale (Toscani et. al., 2001);

- Il carattere sodico di queste acque può essere dovuto ad uno scambio ionico

che coinvolge argille ricche in sodio rilasciando Na e acquistando calcio (Ca).

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Acque sodio-bicarbonatiche (NaCW) – Caratteri e relazioni 2013

36

Ognuno di questi processi appena descritti può contribuire a descrivere la produzione

di NaCW nelle differenti aree.

6.2 Scambio cationico tra Na e Ca

Andando a considerare le acque facenti parte dell'area investigata per lo specifico

lavoro di tesi, si evince che le acque Na-bicarbonatiche risultano meno comuni delle

Ca-bicarbonatiche, ma sono considerate migliori indicatori della presenza di

idrocarburi poco profondi (Boschetti, 2011 e referenze citate)

In questo contesto lo scambio cationico tra Ca e Na potrebbe aver avuto un ruolo

fondamentale; uno scambio di questo tipo, suggerito da numerosi autori, propone un

rilascio di Na e aquisizione di Ca da parte di fillosilicati, durante l'interazione

acqua/roccia, il tutto si accorda con una specifica reazione:

0.5Ca2+ + Na+Rargilla → (Ca2+) 0.5Rargilla + Na+

dove R indica il fattore di scambio delle argille (Toscani et al., 2001). Tuttavia,

l’abbondanza delle Ca-bicarbonatiche rispetto alle Na-bicarbonatiche è dovuto

semplicemente al fatto che le prime rappresentano le normali acque a scorrimento più

superficiale e, quindi, anche il precursore geochimico delle Na-bicarbonatiche. Come

infatti si evince dal grafico degli isotopi della molecola d’acqua δ18O(H2O) e

δ2H(H2O) (FIG 6.1), queste acque sodiche sono principalmente di origine meteorica,

pertanto possono essere considerate come acque Ca-bicarbonatiche evolute a seguito

della interazione con albite, fasi argillose e silicatiche con conseguente acquisizione

di Na e perdita di Ca per deposizione di calcite. Queste acque sono caratterizzate da

rNa/rCl >> 0.86 dove “r” esprime la concentrazione in mEq/L. L’origine dell’eccesso

del Na/difetto del Ca nelle acque Na-bicarbonatiche è dovuta ad interazione con

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Acque sodio-bicarbonatiche (NaCW) – Caratteri e relazioni 2013

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silicati di sodio come albite e da precipitazione della calcite. Nell’avanfossa

dell’Appennino Settentrionale inoltre, le acque del sottosuolo salmastre mostrano una

composizione isotopica simile ai vulcani di fango con un estremo eccesso di Na che

rappresenta un tipico end-member per le acque sovrassature.

6.3 Composizione isotopica delle acque meteoriche

...

(FIG 6.1)

Per quanto concerne il grafico degli isotopi dell'acqua, oltre ad aiutarci a capire

l'origine delle acque investigate, può fornire un aiuto fondamentale per ottenere

informazioni per studi metereologici e idrologici.

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Acque sodio-bicarbonatiche (NaCW) – Caratteri e relazioni 2013

38

Il grafico sopraccitato descrive dunque le relazioni correnti tra gli isotopi dell'acqua,

δ18O(H2O) e δ2H(H2O) con riferimento particolare alle relazioni esistenti tra le

sorgenti campionate nello studio della tesi. Tale grafico è rappresentato da valori

isotopici espressi in “‰ vs V-SMOW”(Vienna Standard Mean Ocean Water); col

termine V-SMOW quindi si specifica l'utilizzo di uno standard usato per l'ossigeno e

per l'idrogeno. Esso corrisponde fisicamente ad un'acqua conservata presso

l'International Atomic Energy Agency di Vienna (IAEA), che presenta i seguenti

rapporti di abbondanza isotopica, 2H/1H = (155.76 ± 0.05)*10-6 e 18O/16O = (200.20 ±

0.45)*10-6 (Boschetti, 2003, tesi di dottorato).

La costruzione del medesimo grafico ha previsto il disegno della GMWL (Global

Meteoric Water Line; Craig, 1961) e della NIWL (North Italian Water Line;

Longinelli & Selmo, 2003). La prima rappresenta acque di precipitazione campionate

a livello globale. La posizione dei punti lungo la retta riflette la stagionalità e la

latitudine e, di conseguenza, i frazionamenti che gli isotopi stabili di ossigeno e

idrogeno nella molecola dell'acqua insieme subiscono a seguito delle variazioni di

temperatura. Per quanto concerne invece la NIWL, questa rappresenta le

precipitazioni dell’Italia Settentrionale. La caratteristica dominante nella parte sud

della pianura del Po, per presenza della dorsale Appenninica, è il cosiddetto Effetto

Ombra che influenza i valori isotopici analizzati nelle acque, i quali si presentano più

bassi rispetto alla media della zona, media che lungo tutta la penisola è funzione

dell’altitudine.

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Acque sodio-bicarbonatiche (NaCW) – Caratteri e relazioni 2013

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(FIG 6.2)

La retta in fig 6.2 mostra per l'appunto, le precipitazioni dell'area del Nord Italia

dislocate su una retta avente come formula Y = 7.7094x + 9.4034 (Longinelli A,

Selmo E, 2003). Questa retta è stata divisa da quella del Centro e del Sud Italia dato

che queste ultime due sono influenzate dal circostante bacino mediterraneo.

Come è possibile dunque notare dalle due rette, queste presentano leggere ma

sostanziali differenze nella pendenza, ma ciò che risalta di più è la posizione dei

campioni analizzati in questo lavoro; di fatto le acque salate di Miano (MI/12) e

quelle di Maiola (F10/12) si presentano leggermente scostate verso destra rispetto alle

due rette e a differenza degli altri campioni analizzati, i quali risultano ubicati in

prossimità delle due linee. Se considero l'acqua ricca in sale, questa è una possibile

evidenza di interazione di acqua meteorica con livelli evaporitici. Il punto è che nella

zona studiata di Miano, perforazioni atte a studiarne la litologia, non hanno trovato

strati evaporitici significativi; l'alta salinità di queste acque quindi può essere dovuta

a mixing in profondità con piccola quantità di acqua ipersalina fossile legata a

serbatoi di idrocarburi. Queste ultime sono state trovate in molti pozzi profondi

dell'Appennino Settentrionale e della valle del Po legati alla presenza di idrocarburi

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Acque sodio-bicarbonatiche (NaCW) – Caratteri e relazioni 2013

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(Heinicke et. al., 2010). Detto questo quindi è possibile dedurre che la sensibilità ad

eventi sismici di Miano può essere attribuita al circuito idrologico profondo, alla

condizione semi-confinata del serbatoio e alla miscelazione con un componente di

acqua meteorica non profonda (fase gassosa di origine profonda e rilasciata perchè di

migrazione verticale dell'idrocarburo sepolto).

Il campione di Miano dunque può essere spiegato ipotizzando un mescolamento con

acque formazionali tipo salamoie profonde mentre per quanto riguarda Maiola, lo

shift nel grafico può essere spiegato sia dal mescolamento con acque formazionali

profonde, come per Miano, sia dalla possibilità di essere un'acqua puramente

meteorica con lunghi tempi di residenza (paleo-acqua).

Quest'ultima ipotesi può essere confermata dall'analisi del Trizio, analisi non svolta

per questo lavoro.

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Acque sodio-bicarbonatiche (NaCW) – Caratteri e relazioni 2013

41

6.4 Diagramma di comparazione per la classificazione delle acque: Langelier-

Ludwig

(Fig 6.3)

Dopo aver parlato delle acque meteoriche, come principale origine delle NaCW ma

anche delle CaCW, risulta utile descrivere un diagramma di comparazione che

utilizza, a differenza di molti altri stili di schematizzazione, i costituenti maggiori

disciolti.

Con riferimento particolare alle acque campionate in questo lavoro di tesi quindi, un

metodo fondamentale per la classificazione delle acque prevede l'utilizzo del

diagramma di comparazione di Langelier-Ludwig (LLP d'ora in avanti) che esprime

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Acque sodio-bicarbonatiche (NaCW) – Caratteri e relazioni 2013

42

la variazione del contenuto in mEq/L degli elementi maggiori in termini dei seguenti

rapporti (Fig 6.3):

asse X : 50*(tAlk)/(tAlk + Cl- + SO42-)

asse Y : 50*(Na+ + K+)/(Na+ + K+ + Ca2+ + Mg2+)

In forma grafica tali equazioni esprimono sul lato sinistro del diagramma un

andamento crescente verso l’alto del contenuto di (Na+K) mentre a destra un

andamento crescente verso il basso di (Ca+Mg). I valori dell’ascissa invece

esprimono in basso un andamento crescente dell’alcalinità totale come HCO3- verso

destra, mentre in alto un andamento crescente verso sinistra di solfato sommato a

cloruri. Essendo un tipico diagramma di caratterizzazione, il LLP (Langelier-Ludwig

Plot) permette sia di visualizzare più campioni su di un solo grafico, sia di classificare

e denominare la tipologia d’acqua in funzione della suddivisione in 4 campi (vedi

Fig. 6.3).

Oltre a questo la disposizione dei campioni in termine di allineamenti o spostamenti

verso i suddetti campi permette di individuare possibili fenomeni quali processi di

mescolamento a due (andamento rettilineo) o più componenti, ma anche processi

evolutivi dell’acqua legati all’allontanamento o l’avvicinamento verso i campi

individuati.

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Acque sodio-bicarbonatiche (NaCW) – Caratteri e relazioni 2013

43

(Fig 6.4)

Per ciò che attiene nello specifico i dati del presente lavoro di tesi, per semplificare la

visualizzazione dei dati storici raffrontati a quelli raccolti è possibile notare che in

Fig. (6.4) si sono rappresentati solo i campi delle acque sodio-potassiche (o alcaline)

e cloruro-solfatiche, mentre a destra il campo delle alcalino-bicarbonatiche.

Le linee tratteggiate rappresentano mescolamenti binari di acque che, in alto a sinistra

racchiudono il campo di acque in sovrappressione (Boschetti, 2011).

Tra i dati storici presenti in figura le croci rappresentano acque salmastre provenienti

dal margine appenninico padano. Le croci più spesse si riferiscono all’acqua delle

Terme della Salvarola (SALV), campione rappresentativo delle acque in

sovrappressione. Le croci nere e grigie simboleggiano invece altri campioni che

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Acque sodio-bicarbonatiche (NaCW) – Caratteri e relazioni 2013

44

subiscono rispettivamente il mescolamento tra acque Na-bicarbonatiche e Ca-

clorurate formazionali/fossili (triangoli neri) o le suddette acque in sovrappressione.

Le acque generate dai vulcani di fango sono formate dal mescolamento tra i tre

componenti SALV, vertice delle Na-bicarbonatiche e l’estremo superiore delle acque

Ca-clorurate formazionali. Per le Na-bicarbonatiche, per i vulcani di fango e per le

acque in sovrappressione, l’eccesso di sodio è dovuto molto probabilmente alla

dissoluzione di albite, mentre il calcio risulta impoverito per la precipitazione di

calcite (Boschetti 2011, Venturelli et al, 2003).

Oltre ai punti sopra descritti, nel grafico riportato in Fig 6.4 sono rappresentate anche

acque saline di origine formazionale (triangoli grigi), che risultano essere diluite o

dalle acque meteoriche (CaCW) o dalle acque NaCW. Le acque saline per

dissoluzione di evaporiti (cerchi bianchi, Fonti di Poiano) si trovano invece

all’estremo del triangolo di mescolamento, più scostate verso il campo delle acque

Ca-solfatiche non rappresentato.

Andando a vedere il posizionamento dei dati studiati è possibile notare come le acque

Na-bicarbonatiche (F3, F6, F8, F10, F13) si posizionino a destra del grafico. Questo

aspetto sottolinea l'alto e il basso contenuto rispettivamente di Na e Ca mentre le

acque saline campionate a Miano (MI) si posizionano a sinistra, nella zona delle

acqua Na-clorurate, e lungo la linea di delimitazione del campo dei vulcani di fango,

cioè lungo la congiungente il punto delle acque in sovrappressione (SALV) e

l’estremo superiore delle acque Ca-clorurate. Tale posizione dell’acqua di Miano è

sicuramente dovuta alla sua diversa genesi e al contenuto in Cl nettamente superiore

alle acque Na-bicarbonatiche.

Preciseremo dunque che questo grafico aiuta a suddividere e classificare le diverse

acque che possono contenere idrocarburi e che si trovano comunemente nei bacini

sedimentari (Salamoie Ca-clorurate, sovrappressioni e vulcani di fango e acque sodio

bicarbonatiche) e aiuta a capirne i processi genetici e i possibili mixing tra i vari end-

members.

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Vulcani di fango e accumuli di idrocarburi 2013

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CAP 7 VULCANI DI FANGO E ACCUMULI DI IDROCARBURI 7.1 I vulcani di fango (mud volcanoes) legati ad emissioni di CH4

I vulcani di fango (d’ora in avanti MV) sono un fenomeno superficiale geologico in

cui una complessa mistura di gas (soprattutto CH4), materiale liquido e solido sono

continuamente esposti o espulsi in superficie per lo più in ambiente sedimentario,

dovuto alla pressurizzazione dei fluidi in profondità (Tassi et al., 2012).

Questi vulcani di fango sono il risultato di estrusione di fango, clasti e fluidi di alta

pressione intrappolati in profondità ed associati ad un rapido seppellimento per

subduzione di sedimenti ricchi di materiale organico, localizzati lungo margini

convergenti o, in ogni caso, in aree soggette a compressione come i thrust

appenninici.

L’origine dell’acqua scaricata dai MV è connessa alla migrazione di acque di

formazione, salamoie, acque nelle quali avvengono reazioni di disidratazione o

dissociazione di gas idrato, oppure associate ad acque meteoriche .

La fase gassosa invece è formata principalmente da CH4, in secondo luogo da CO2 e

in misura minore da altri idrocarburi leggeri.

Considerando l’Appennino Settentrionale, questa zona è caratterizzata da un sistema

di cinture di Thrust, nella quale torbiditi silico-clastiche hanno riempito il bacino di

avanfossa che è cresciuto di fronte alla zona di avanzamento della catena. Nello

specifico, considerando l’Appennino Emiliano, i vulcani di fango dominanti sono

quelli di piccola taglia, strettamente associati alla presenza di unità Liguri in

affioramento, caratterizzati per la maggior parte da metano termogenico(Tassi et. Al,

2012 e riferimenti citati).

Le impostazioni strutturali dell’Emilia Romagna aiutano dunque a capire l’origine

della tipologia di gas del MV, la cui parte gassosa si è arricchita interagendo con la

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Vulcani di fango e accumuli di idrocarburi 2013

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marnosa arenacea e dolomie del triassico superiore. La Marnosa Arenacea, per la sua

permeabilità, ospita fluidi nei serbatoi sigillati dall’unità Ligure. Questi MV infatti

sono indicati in un area dove la Marnosa Arenacea è sollevata da un’anticlinale

piegata (Anticlinale di Sassuolo) (Tassi et al., 2012) e lo spessore dell’unità ligure è

solo di un km. Questo spiega il motivo per il quale affiorano molti MV nella zona

stessa; le condizioni strutturali del luogo, altrimenti, non lo permetterebbero (Tassi et

Al., 2012).

L’accumulo di idrocarburi simili a quelli presi in analisi è quindi il risultato della

tettonica neogenica avvenuta durante l’orogenesi appenninica.

L’ossidazione-biodegradazione di questi idrocarburi risulta comunque minore

dell’idrolisi Na-silicatica che avviene nei vulcani di fango.

Risulta importante sottolineare che i vulcani di fango (che si presentano nel grafico

LLP in zona di sovrappressione) forniscono la principale fonte di metano. Circa il

77% del gas è localizzato lungo una banda tra il fronte orografico e la linea esterna

dell'avanfossa. Di questo, l'82% risulta biogenico, solo il 3% termogenico ed il 15%

risulta un mix. Un altro 10% del gas lo possiamo trovare nell'avanpaese e il 13%

nella catena. A tal proposito va comunque specificato che questi valori appena

descritti (Etiope et al., 2007) non possono che essere sommari e approssimativi,

considerando che è difficile calcolare tali valori in termine percentuale. Oggigiorno

molte migrazioni e filtrazioni di gas sono inattive e il flusso del gas è

significativamente ridotto rispetto al passato (Etiope et al., 2007). Tutti i processi di

migrazione-filtrazione possono pertanto essere correlati ad eventi tettonici. In ogni

caso è fondamentale sottolineare che i sedimenti sotto-compattati e in

sovrappressione, insieme ad acqua salmastra e argilla, possono portare alla

formazione di vulcani di fango (Etiope et al., 2007).

Parlando di “filtrazioni” per la fuoriuscita di metano è possibile introdurre il concetto

di filtrazione secca caratterizzata da emissione di gas senza la fuoriuscita di acqua.

Non è il caso di Miano che, vedendo il grafico LLP (Cap 6 Fig 6.3), proietta i dati del

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Vulcani di fango e accumuli di idrocarburi 2013

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2012 e gli storici nella stessa zona dei vulcani di fango. Le acque di Miano, come

acque saline si trovano inoltre in una posizione relativamente differente rispetto alle

altre acque saline (triangoli grigi) e salmastre (triangoli neri); di fatto queste ultime

due si trovano in uno spazio contenente le salamoie Ca-clorurate che sono state in

principio definite acque con qNa/qCl<1 e q(Cl-Na)/qMg<1 dove q è l'equivalente in

%. Ultimamente però la definizione di queste acque è stata rivista come

rNa/rCl<0,86+-0,05 (rapporto acqua di mare) e rCa/r(SO4+HCO3)>1. La

composizione chimica ed isotopica rivela che le salamoie Ca-clorurate derivano dalle

acque di mare del Miocene evaporate fino ad una fase tra la saturazione del gesso e

dell'halite, poi diluite dalle acque di origine meteorica del Miocene o dei giorni nostri

e modificata dal l'integrazione acqua-roccia (Boschetti et al., 2011).

7.2 Brine Differentiation Plot Come sottolineato in precedenza, le acque Na-bicarbonatiche, pur essendo meno

comuni delle acque Ca-bicarbonatiche, sono comunque considerate migliori

indicatori della presenza di idrocarburi poco profondi. Infatti queste acque hanno una

salinità caratteristica che va da quella di acque fresche a salmastre, ma soprattutto,

rappresentano un'evoluzione delle acque Ca-bicarbonatiche di origine meteorica (Cap

6) e interazione con argille, fasi silicatiche e albite con il risultato finale che prevede

acquisizione di Na e perdita di Ca da deposizione di calcite (Venturelli et al., 2003).

Se se si considera il diagramma LLP (Fig 6.3 e Fig. 6.4), vengono utilizzati i

maggiori costituenti disciolti che però risultano insufficienti per distinguere i

meccanismi di salinizzazione (evaporazione marina) e la dissoluzione salina dato che

le acque di diversa origine cadono nello stesso campo Na-clorurato. Per questo

motivo è stato proposto un grafico definito “Brine differentiation Plot” (Diagramma

di differenziazione delle salamoie) per discriminare appunto le origini differenti di un

certo numero di campioni di salamoie.

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Vulcani di fango e accumuli di idrocarburi 2013

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(Fig 7.1 Brine differentiation plot per la differenziazione delle salamoie)

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Vulcani di fango e accumuli di idrocarburi 2013

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Il “Brine Differentiation Plot", indicato con l’acronimo BDP d’ora in avanti, ovvero il

diagramma che permette di differenziare l’origine delle salamoie utilizzando i

costituenti maggiori espressi come Eq/L o moli/L così come indicato da Boschetti

(2011 e referenze citate). Sull'ordinata è rappresentato il rapporto Ca/(Ca+SO4)

mentre sull'ascissa il rapporto Na/(Na+Cl).

I dati storici diagrammati in Fig 7.1 sono relativi a: acque provenienti dall'avanfossa

nord-appenninica (Boschetti, 2011); con specifici rapporti riguardanti l'acqua di

mare: Na/(Na+Cl)=0,46 e Ca/(Ca+SO4)=0,26 mentre le acque Na-clorurate,

provenienti dalla dissoluzione di evaporiti (Fonti di Poiano, Reggio Emilia, Boschetti,

2011), si collocano esattamente al centro del grafico perchè la dissoluzione di gesso-

anidrite e salgemma sono la principale fonti dei sali disciolti. Le salamoie Ca-

clorurate dell’avanfossa appenninica ricadono inoltre nel cosiddetto campo delle 'oil-

field brine' che, non si collegano all'area delle evaporiti (al contrario dell'originale

rappresentazione del BDP di Hounslow), e il contributo della dissoluzione di queste

ultime non risulta manifesto nelle salamoie sopraccitate. Di fatto queste ultime

derivano dall'evaporazione dell'acqua di mare fino alla precipitazione del gesso

seguita da variazioni nella concentrazione cationica dovuta a processi di sepoltura

diagenetica profonda, in particolare a processi di albitizzazione del plagioclasio e/o

zeolitizzazione.

In questo BDP i vulcani di fango (quadrati bianchi) si collocano in prossimità della

parte centrale, a destra della linea verticale tratteggiata avente Na/(Na+Cl)=0,5,

mentre le acque Na-bicarbonatiche sono disposte in prossimità della parte destra del

grafico avente Na/(Na+Cl)=1. E’ importante altresì notare come sia nei vulcani di

fango che nelle acque Na-bicarbonatiche il rapporto Ca/(Ca+SO4), è ampiamente

variabile su tutto il range 0-1. Tale ampia variazione può essere principalmente

dovuta alla riduzione di solfato, che ne causa una perdita, e successiva eventuale ri-

ossidazione nei livelli più superficiali connessa a precipitazione di calcite.

È possibile notare che molte delle acque saline Na-clorurate associate a vulcani di

fango ricchi in CH4 cadono in un campo intermedio tra acque Ca-clorurate e Na-

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Vulcani di fango e accumuli di idrocarburi 2013

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bicarbonatiche, ma con rapporto ∑rNa + K/∑rcationi alto. Per l'appunto, fluidi da vulcani

di fango consistono in acque formazionali diluite da disidratazione delle argille,

causati da sovrappressione che produce fluidi profondi con eccesso di sodio

(Boschetti, 2011) combinato al depauperamento di calcio.

In questo grafico, come nel LLP, alcuni campioni sono verso il campo degli alcali-

clorurati anche se nel BDP questo andamento è ingrandito. Per quest'ultimo è però

impossibile distinguerne un end-member (nel LLP distinto da eccesso di Na).

Per ciò che concerne nello specifico i valori delle acque Na-bicarbonatiche oggetto di

questa tesi (F3, F6, F8, F10, F13), queste si posizionano per alti valori di Na nella

parte destra del grafico per valori tra gli 0,9 e 1 (espressi in mEq/L). Rispetto agli

altri campioni, la sorgente F10 (rombo verde in figura 7.1) presenta uno spostamento

verso la parte centrale del grafico, così come i dati storici, probabilmente a causa di

un maggior contributo di acque Ca-clorurate formazionali.

In riferimento ai dati di Miano (dati storici e dati campionati nel 2012) possiamo

notare come questi si posizionino tutti nella zona dei mud volcanoes e delle acque

saline in sovrappressione, rimanendo comunque distanziate dalle salamoie Ca-

clorurate. Anche se si tratta di campioni provenienti dalla stessa area, possiamo

notare un lieve scostamento dei dati nel tempo; di fatto i dati di Miano dal 2006 al

2008 presentano valori di solfato (SO42-) minori delle stesse acque campionate

nell’anno 2012. Ciò può significare una ripresa dei valori di solfato proprio negli

ultimi anni.

Tali variazioni sono comunque in linea con quanto descritto per le acque che

ricadono in questo campo.

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Vulcani di fango e accumuli di idrocarburi 2013

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7.3 Diagramma Boro vs. Cloro come conferma del mixing tra acque Na-

bicarbonatiche, salamoie Ca-clorurate o vulcani di fango

(7.2 Diagramma B - Cl)

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Vulcani di fango e accumuli di idrocarburi 2013

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Il diagramma sopra riportato è una rappresentazione del rapporto B-Cl delle acque

Na-bicarbonatiche (rombi colorati per la rappresentazione delle acque studiate in tesi

e rombi bianchi per i dati storici) e acque saline di Miano (triangolo marrone).

Le variabili analizzate nel presente grafico sono in scala logaritmica, per meglio

rappresentare l’evoluzione e i vari trend di mescolamento che caratterizzano le acque.

Le acque sodio-bicarbonatiche sono situate, come da figura, nella parte a sinistra in

basso per minori contenuti di Boro e Cloro rispetto a valori più elevati per le acque

salate, salamoie e vulcani di fango. Le frecce esprimono basse quantità di Boro per

basse temperature (freccia verso il basso) per assorbimento da parte delle argille e

alte quantità di Boro per alte temperature (freccia verso l’alto) per rilascio sempre da

parte di argille. L’assorbimento del Boro da parte di queste ultime avviene

preferibilmente nella fase fluida in un ambiente profondo ove sia la tettonica che la

temperatura sono maggiori con un massimo arricchimento di fase fluida (Boschetti,

2011 e riferimenti citati). Inoltre il rilascio di Boro durante la trasformazione

smectite-illite, è accompagnata da riduzione di salinità dovuta a disidratazione il che

spiega anche la composizione isotopica dell’acqua dei vulcani di fango (Boschetti et

al., 2011).

Alla sinistra di queste frecce vi sarà una zona rappresentata per lo più da vulcani di

fango e acque salmastre (vedi anche grafico LLP) . Spostandoci sempre più a sinistra

si troveranno inoltre acque con bassi valori di Cl e alti in B che possono essere

relazionate a degassamenti geotermali e/o a separazioni di fasi seguite da

condensazione di fluidi in superficie (Boschetti 2011 e referenze citate).

L’investigazione effettuata mediante l’uso di isotopi del Boro quindi può essere usata

per determinare al meglio gli effetti di innalzamento delle temperature in profondità,

le differenti sorgenti di fluidi e la trasformazione da smectite a illite.

Notando la disposizione delle acque studiate in questo lavoro di tesi è quindi

possibile notare come le acque sodio-bicarbonatiche siano arricchite in B e Cl. Ciò

può essere dovuto, per quanto concerne solo il B, a fenomeni di rilascio da argille ma

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Vulcani di fango e accumuli di idrocarburi 2013

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possibilmente anche a fenomeni lievi di mescolamento o altro tipo di migrazione (per

es., diffusione) di entrambi gli elementi dalle acque formazionali o dai fluidi che

costituiscono vulcani di fango.

Le acque di Miano si trovano invece, essendo saline, verso mixing binario con

composizioni di B e Cl più elevate. Trovandosi su questa linea di mixing è quindi

possibile ipotizzare un arrichimento di boro per solo mescolamento con acque

formazionali Ca-clorurate; tuttavia, la forte componente termale delle acque di Miano

suggerisce che il B potrebbe essere rilasciato direttamente dalle argille in condizioni

di profondità/temperatura relativamente elevate.

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Acque salate del bacino di avanfossa dell’Appennino Settentrionale (NAF)

associate a metano ed altri idrocarburi

2013

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CAP 8

ACQUE SALATE DEL BACINO DI AVANFOSSA

DELL’APPENNINO SETTENTRIONALE (NAF) ASSOCIATE

A METANO ED ALTRI IDROCARBURI

8.1 Acque dell’ Avanfossa dell’Appennino Settentrionale (Northern Appennine

Foredeep, NAF)

Nei precedenti capitoli abbiamo visto come il Na e il Ca abbiano un ruolo

fondamentale per la caratterizzazione e la formazione di acque NaCW, come questi

elementi si scambino e si rendano protagonisti della formazione di queste acque.

Un aspetto che va ora considerato è la presenza non solo di sodio nei bacini di

avanfossa dell’Appennino Settentrionale (d’ora in avanti NAF), ma anche di cloro

(Cl-); la presenza di quest’ultimo elemento infatti è evidenza di origine connata-

formazionale di queste acque ed, eventualmente, di un’origine termogenica del

metano associato. Quest’ultima evidenza è suggerita guardando i dati della tabella 2

(Cap 4): è possibile infatti notare che la quantita in mg*dm-3

di cloro nelle acque

salate di Miano di Corniglio è molto più elevata (2284 mg*dm-3

) rispetto alle acque

con impronta Na-bicarbonatica (da un minimo di 4,9 mg*dm-3

per Monti-Bedonia

F6/12, ad un massimo di 148 mg*dm-3

per le sorgenti di Maiola F10/12), questo

porta all’ipotesi che il cloro si identifica come elemento caratterizzante di un’acqua

salata ed è quindi fondamentale per riconoscere l’origine dei due differenti tipi di

acque studiati in questa tesi.

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Acque salate del bacino di avanfossa dell’Appennino Settentrionale (NAF)

associate a metano ed altri idrocarburi

2013

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Nel bacino di NAF, dato che Na+ e Cl

- sono gli ioni più abbondanti, le acque saline e

le salamoie sono classificate come Na-clorurate, ma anche Ca-clorurate se andiamo a

considerare il rapporto rCa/(rHCO3+rSO4), dove r in mEq/L (Rosenthal, 1997).

8.2 Acque salate del bacino NAF associate a metano ed altri idrocarburi

Per investigare e studiare le acque salate del bacino di avanfossa dell’Appennino

Settentrionale sono stati utilizzati costituenti maggiori, elementi in tracce quali Ca,

Mg, Na, Li, B, Br, Cl ma anche isotopi stabili dell’acqua e degli alogenuri (Boschetti

et al., 2011).

Lo studio di questi componenti suggerisce che l’evaporazione dell’acqua di mare, che

avviene tra il punto di precipitazione del gesso quello della salgemma (Halite), sia

uno dei principali processi che ha dato origine alla salinità delle salamoie, mentre le

acque saline e salmastre sono formate da mixing di acqua di mare evaporata e acqua

di origine meteorica (Boschetti et al., 2011).

Lo studio delle acque formazionali salate nell’avanfossa dell’Appennino

Settentrionale (bacino del Po) è di fondamentale importanza data la loro associazione

con il metano ed altri idrocarburi; i diagrammi di Cl vs. altri alogeni tipo Bromo (Br)

possono essere utili per investigare i caratteri della componente salina.

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Acque salate del bacino di avanfossa dell’Appennino Settentrionale (NAF)

associate a metano ed altri idrocarburi

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8.3 Diagramma cloro vs. bromo: caratteristiche principali delle acque studiate

(Fig 8.1)

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Acque salate del bacino di avanfossa dell’Appennino Settentrionale (NAF)

associate a metano ed altri idrocarburi

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Nel grafico sopra riportato sono espressi i valori di Br- e Cl- delle acque analizzate

per il lavoro della tesi e di dati storici in mg/L, rappresentati rispettivamente

sull’ordinata e sull’ascissa. La scala che viene utilizzata è quella logaritmica e le

unità sono espresse in notazione scientifica, cioè l’asse dei cloruri va da 1.E+00

(ovvero 1 ) a 1.E+06 (cioè 1000000), mentre l’asse che stabilisce le quantità di

Bromo va da 1.E-03 (0,001) a 1.E+04 (10000).

I dati derivati dallo studio di tesi e dalla letteratura sono comparati in suddetto grafico

con: acque interstiziali Mioceniche derivate dalla parte W del Mediterraneo

(rappresentate dai diamanti gialli); con la traiettoria di evaporazione dell’acqua di

mare (G e H rappresentanti punti di precipitazione del gesso e della halite); mixing

binario tra acqua meteorica e le acque formazionali tipo salamoie (brine alta

concentrazione del rapporto Br/Cl); mixing binario tra acqua meteorica e un’acqua

che ha disciolto salgemma.

L’acqua di origine meteorica che interagisce con le evaporiti mesozoiche

dell’Appennino Settentrionale, cambia la sua composizione da Ca-Bicarbonatica a

Ca-solfatica (cerchi) o Na-Cl (Triangoli), a causa alla dissoluzione del gesso/anidride

o salgemma. È possibile notare che alcune di queste acque sono rappresentate vicino

alla linea di mixing che unisce le acque bicarbonatiche (bassi valori di Br-Cl) con

acque marine sature in salgemma.

Altre acque rappresentate in figura (SALMIN, BERG, PM, BOB, F15) mostrano un

basso rapporto di Br/Cl con un trend che va verso il campo delle acque con salgemma

disciolta. Questo fatto si presenta a supporto della tesi di un importante dissoluzione

di minerali evaporatici del Triassico nella loro evoluzione (Boschetti et al., 2011 e

referenze citate).

Molte salamoie sono rappresentate sul grafico tra i punti di precipitazione del gesso e

della salgemma; l’elevata concentrazione di Bromo, in alcune acque salate e

salamoie, è spiegato dalla decomposizione di materia organica di origine marina

(Boschetti et al., 2011 e referenze citate).

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associate a metano ed altri idrocarburi

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Importante è specificare che le acque interstiziali del mediterraneo con contenuto di

solfato basso, sono rappresentate vicino alle salamoie del bacino del Po. Questo è il

prodotto della perdita del solfuro dovuto alla riduzione del solfato in ambiente

anaerobico, tipico di acque marine durante il fenomeno della diagenesi. (Boschetti et

al., 2011 e referenze citate).

Le acque salmastre (nel grafico rappresentate con valori del rapporto Br/Cl alti) con

una bassa salinità hanno un’impronta meteorica; con l’aumento della salinità, i valori

degli isotopi del Cl e del Br si avvicinano allo standard dell’acqua di mare (0‰;

Boschetti et al., 2011).

Si è dunque potuto notare che nel grafico, spostandoci verso il basso potremmo

trovare le acque con contenuti Br/Cl bassi e quindi saranno presenti le nostre acque

Na-bicarbonatiche che abbiamo analizzato. Tutte le acque tranne il campione di

Roccaferrara, che si trova nel grafico vicino alla zona di dissoluzione della

salgemma, sono poste nelle vicinanze della linea di mixing tra acque piovane e

salmastre e con valori elevati del rapporto Br/Cl. Tale andamento è in linea con i

contenuti dell’acqua della Salvarola (SALV) e dei vulcani di fango (mud volcanoes)

che, come le acque sodio-bicarbonatiche, possiedono anche elevati valori Na/Cl

probabilmente a seguito della disidratazione delle argille in condizioni di

sovrapressione (Boschetti et al., 2011 e referenze citate) e/o dissoluzione dell’albite

(alto pH).

Importante da specificare in questo contesto è il trend che assumono i campioni delle

acque saline di Miano; questa zona di fatto si trova su un basamento a

sovrascorrimento (Heinicke et al., 2010 e riferimenti citati) che è sismicamente

attivo. A tal proposito, la sismicità (che nella nostra zona ha valori di magnitudo

M<3) può avere effetto sulla variazione di pressione nei pori delle rocce ma non ha

effetto su variazione di emissione dei fluidi.

Col tempo infatti si può notare che il Cloro presente nelle acque di Miano è presente

in quantità costante; a variare è il Bromo che, come detto precedentemente può essere

prodotto dalla decomposizione di materia organica durante la sepoltura e la diagenesi.

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Acque salate del bacino di avanfossa dell’Appennino Settentrionale (NAF)

associate a metano ed altri idrocarburi

2013

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Quest’ultima responsabile anche di una possibile formazione di Idrocarburi. Le acque

di Miano si collocano quindi prima nelle vicinanze degli altri campioni di acqua Na-

clorurate che hanno disciolto salgemma, probabilmente per interazione con le unità

triassiche toscane presenti in profondità, subendo poi con il tempo (MI-07/04, MI-

10/04, MI-03/05) un trend evolutivo verso le acque formazionali.

Particolare attenzione va data ai vulcani di fango presenti nel grafico vicino alle

acque SALV; per entrambe infatti , oltre alla composizione chimica, anche la loro

composizione isotopica supporta la loro origine simile, sebbene un minor

arricchimento di 2H delle acque dei vulcani di fango del bacino del Po può essere

ereditato da scambio isotopico con il metano (Boschetti et al., 2011).

La composizione isotopica dei vulcani di fango analizzati in questo grafico, e delle

acque salmastre di simile origine (SALV), possono essere spiegate da un mix ternario

tra acqua di mare, acqua meteorica e componenti legati diageneticamente derivati

dalle argille e gesso disidratati (Boschetti et al., 2011).

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Gas naturali e primari associati al metano 2013

60

CAP 9

GAS NATURALI E PRIMARI ASSOCIATI AL METANO

9.1 Manifestazioni superficiali di gas naturali e processi migrazionali

La presenza di queste manifestazioni superficiali di gas naturale nell’Appennino

Settentrionale pone svariati ordini di problemi che possono essere ricondotti a due

questioni fondamentali:

- Sviluppo di sempre più innovativi criteri per la valorizzazione di una risorsa;

- L’interesse che tali manifestazioni suscitano come possibili indizi di più

ingenti risorse poste a maggiore profondità; di fatto le manifestazioni

superficiali possono essere viste come “indizi” della possibile presenza di una

più vasta e profonda area alimentatrice.

Le manifestazioni di cui sopra, sono per lo più ubicate lungo allineamenti tettonici ad

andamento appenninico (Borgia et. Al., 1985).

Gli elementi conoscitivi oggi disponibili, frutto di tecniche di indagine recentissime,

paiono orientate ad avvalorare l’ipotesi di fenomeni migrazionali, ma soprattutto la

genesi e la presenza di manifestazioni di idrocarburi liquidi e gassosi nell’Appennino

Emiliano escono ora e definitivamente dal loro ristretto ambito tradizionale per essere

inserite nell’articolato contesto di un modello interpretativo alla scala regionale.

I gas naturali possono essere indagati, per quel che riguarda la loro genesi, possibile

migrazione e accumulo, principalmente per mezzo di 4 parametri:

- δ13C nel CH4;

- δ2H nel CH4;

- Contenuto in idrocarburi superiori (C2+);

- δ13C nell’etano (C2H6)

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Gas naturali e primari associati al metano 2013

61

È vero che sia gas secchi che gas associati ad olio possono essere distinti per mezzo

delle rispettive composizioni in C2+, tuttavia, in una classificazione basata

esclusivamente sulla composizione chimica, anche un gas termogenico associato ad

olio (To) – originariamente ricco di omologhi superiori – può dare luogo ad errori, in

dipendenza a ciò che ha subito durante un processo migrazionale.

La migrazione di un gas è un processo di movimento fisico dalla fonte al serbatoio.

Un criterio per vedere che un gas non ha migrato (gas indigeno) è la correlazione di

parametri di maturità interna con la maturità dell’ambiente.

Un gas indigeno quindi sarà quel gas per cui la maturità isotopica stimata da δ13

C del

metano è uguale alla maturità dell’ambiente dove è stato incontrato (Schoell, 1983).

Apprezzabili cambiamenti nei gas durante la migrazione sono visti quando due gas si

mischiano durante questo processo. La concentrazione di C2+ può cambiare durante la

migrazione, cosa che non accade per δ13

C del metano (Fig 9.1)

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Gas naturali e primari associati al metano 2013

62

(Fig 9.1 Concentrazione di Idrocarburi C2+ nei gas in relazione a 13

C del metano )

Dipendentemente dalla profondità, la migrazione di metano può avere due effetti

(Schoell, 1983):

1. -Migrazione in profondità: il metano entra in contatto con zone caratterizzate

da formazione di olio; migrando attraverso queste aree fungono da vettore per

idrocarburi C2+ mediante fase gas-liquido equilibrata;

2. -Migrazione superficiale: caratterizzato da impoverimento di C2+ perché gli

idrocarburi superiori in questione o risultano essere segregati o vengono

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Gas naturali e primari associati al metano 2013

63

spogliati durante il passaggio del gas attraverso sedimenti meno permeabili

possibilmente non consolidati).

Proprio riguardo quest’ultimo processo è importante sottolineare che la zona

pedeappenninica è caratterizzata da giacimenti a gas biogenici, formati da sedimenti

immaturi a bassa temperatura con metano a carattere isotopico particolare (Borgia et

al., 1985), ma è anche caratterizzata dalla presenza di serbatoi miocenici ove si

rinvengono gas isotopicamente più pesanti (Termogenici) talvolta associati ad olio.

Questi ultimi possono essere stati originati da materia organica matura in condizioni

termodinamiche più spinte e sarebbero poi migrati per lo più verticalmente attraverso

vie preferenziali.

Condizioni geologiche particolari possono quindi aver agito quali fattori di controllo

della migrazione del gas termogenico, provocandone l’accumulo in siti in cui lo

stesso gas termogenico (alloctono) può mescolarsi in varia proporzione a gas

biogenico (autoctono), dando luogo ad accumuli di tipo misto (Borgia et. Al., 1985).

9.2 Gas Primari

Seguendo il diagramma di Schoell (Schoell, 1983; Fig 9.2) è possibile dedurre che i

gas primari sono originati dai due processi principali di formazione dei gas: riduzione

batterica (biogenici) e alterazione termale di precursori organici liquidi o solidi

(termogenico).

Il gas biogenico (B) formato in sedimenti immaturi tramite mineralizzazione

anaerobica di sostanza organica.

Il gas termogenico invece può formarsi tramite due differenti fasi:

- Durante o immediatamente dopo la formazione di olio che si trova in gas

associati con petrolio immaturo (T);

- Dopo lo stadio principale di formazione del petrolio che risulta da gas secchi o

gas secchi profondi (TT).

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Gas naturali e primari associati al metano 2013

64

(Fig 9.2 Illustrazione schematica di formazione di gas naurali e petrolio in relazione

alla maturità della materia organica)

A tal proposito è necessario aprire una parentesi per quanto riguarda i gas associati e

non associati; di fatto, i primi sono prodotti quando l’olio esiste come fase separata

nel serbatoio, a differenza dei gas non associati quando vi è solo la fase gassosa

presente.

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Gas naturali e primari associati al metano 2013

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Parlando di gas associato, questo è originato principalmente da fenomeni di cracking

del petrolio; tuttavia se il petrolio si trova in profondità per processi di seppellimento,

l’alterazione idrotermale in ambiente eccessivamente maturo può condurre alla

formazione di gas secchi e kerogene (vedi cap 5) (Schoell, 1983).

I costituenti di un gas primario sono chiamati cogenetici quando i suoi composti

risultano dallo stesso processo batterico e termochimico allo stesso livello di

alterazione termale di materia organica (Schoell, 1983).

9.3 Studio degli isotopi del metano

Quando si parla di composizione isotopica del metano è interessante poter notare (fig

9.3) il risultato dei processi di mixing tra i due rispettivi end-member;le

concentrazioni di entrambi gli isotopi cambiano in stretta relazione con il rapporto di

miscelazione; il mix di varie proporzioni di due gas si traduce in una variazione

lineare nella loro composizione isotopica (Schoell, 1983). Questo può essere usato

per stimare gli end-members di alcuni valori intermedi di diversa proporzione di

mixing che sono noti.

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Gas naturali e primari associati al metano 2013

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(Fig 9.3 Vari processi e le conseguenti variazioni composizionali nei gas naturali)

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Gas naturali e primari associati al metano 2013

67

L’uso degli isotopi stabili del carbonio e del deuterio nel metano nella

caratterizzazione genetica dei gas naturali è il più potente mezzo d’indagine di cui

oggi si possa disporre.

Come già accennato nei capitoli precedenti, l’analisi isotopica del metano svolge

inoltre un ruolo chiave nel discriminare le diverse fonti di metano. I diversi processi

di frazionamento connessi alle reazioni di metanogenesi possono essere infatti

introdotti in diversi range di composizione isotopica δ13

C (CH4) e δ2H (CH4)

(Fig 9.4 Diagramma binario che schematizza i processi di metanogenesi)

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Gas naturali e primari associati al metano 2013

68

Il grafico di cui sopra mostra quindi, con un’attenzione particolare ai dati in analisi

per questo lavoro di tesi, i processi di metanogenesi che evidenziano le acque

dell’Appennino e quelle analizzate da altri autori (Mattavelli et al., 1983, Borgia et

al., 1985 Etiope et al., 2007 Tassi et al., 2012).

La prima cosa che risalta è la mancanza di due sorgenti oggetti di questo studio

ovvero quella di Vezzolo, RE (F8/12) e Casa Mazzini, PR (F13/12); per la seconda

non è stato possibile misurare gli isotopi del metano a causa della bassa

concentrazione, per quanto concerne la prima invece il valore delle analisi di δD

ottenute era troppo alto (δD = -33‰) rispetto agli altri valori, probabilmente a causa

di un fenomeno di frazionamento e/o contaminazione da parte dell’aria durante il

campionamento.

Come suggerito da Schoell (Schoell, 1983), il diagramma δ13

C(CH4) vs. δ2H(CH4) in

Fig. 9.4, permette di visualizzare come i dati riguardanti le acque e i sondaggi

esplorativi effettuati in area appenninica mostrino un’evidenza prettamente

termogenica a differenza delle acque e dei sondaggi AGIP che si trovano nella

Pianura Padana e che si presentano per lo più nel campo del metano autotrofico-

biogenico (cap 5).

Per le sorgenti analizzate nello studio di questo lavoro di tesi, le analisi isotopiche

hanno mostrato come acque a composizione Na-bicarbonatica (rombi in Fig. 9.4) si

trovino per lo più in un campo che riguarda il metano biogenico, a differenza invece

della posizione della sorgente di Miano e Bedonia (F6) le quali presentano una firma

isotopica formazionale più prossima al metano termogenico. Come detto nei capitoli

precedenti infatti Miano ha caratteristiche differenti rispetto agli altri tipi di acque.

L’evidenza termogenica suggerisce che il metano si sia formato da decomposizione

termica del substrato organico e che sia stato interessato da processi migrazionali e

mixing con acque formazionali profonde.

Del tutto singolare risulta il campione di Roccaferrara (F3), il quale pur trovandosi in

prossimità della zona di Miano (metanogenesi termogenica), presenta una

composizione biogenica del metano e quindi in una posizione nel diagramma (Fig

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Gas naturali e primari associati al metano 2013

69

9.4) del tutto separata dalla zona termogenica. Nel complesso è possibile notare come

i campioni di acqua Na-bicarbonatica abbiano un andamento composizionale del tutto

simile a quello dei vulcani di fango. Ciò supporta ulteriormente l’ipotesi che le acque

Na-bicarbonatiche costituiscano una importante componente della frazione liquida

dei vulcani di fango mentre , come in questi ultimi, la componente gassosa può

provenire da diverse profondità e quindi avere diversa genesi.

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Caratterizzazione geochimica del metano (maturazione e migrazione) 2013

70

CAP 10

CARATTERIZZAZIONE GEOCHIMICA DEL METANO

(MATURAZIONE E MIGRAZIONE)

10.1 Accumulo superficiale di metano: scenari possibili

Negli ultimi anni di studio è stato dimostrato che il metano di origine batterica ha la

stessa firma isotopica di quella trovata in molti accumuli di gas per lo più superficiali,

ove l’attività batterica è possibile, ma soprattutto è stato scoperto che la migrazione

potrebbe non indurre un frazionamento isotopico misurabile (Prinzhofer e Pernaton,

1997).

Il metano batterico è solitamente arricchito in 12

C e 2H rispetto al metano connesso

con alterazione termica della materia organica, che prova, similmente alla migrazione

per diffusione, come il metano possa essere altamente frazionato (Prinzhofer e

Pernaton, 1997).

È stato dimostrato inoltre che il metano che ha subito processi di diffusione, ha una

composizione isotopica del carbonio δ13

C più impoverita rispetto a come si trova

nella sorgente; un arricchimento di 12

C infatti è trovato in molte e differenti accumuli

di gas il che può avere due fondamentali interpretazioni (Prinzhofer et. Al., 1997):

1. -Mixing tra idrocarburi di origine termogenica e batterica;

2. -Trend diffusivo durante la migrazione.

Pertanto la regola secondo la quale il metano con composizione δ13C < 50‰ sia

esclusivamente di origine batterica potrebbe non essere più valida. Inoltre la presenza

di metano isotopicamente leggero trovato a grandi profondità, e finora di difficile

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Caratterizzazione geochimica del metano (maturazione e migrazione) 2013

71

spiegazione da un punto di vista genetico, potrebbe essere motivato da un

frazionamento per migrazione/diffusione.

Rimane comunque il problema di distinguere il metano batterico e quello per

diffusione.

10.2 La teoria applicata a diagrammi di mixing/diffusione

Per vedere se le due ipotesi di accumuli del metano, ovvero generazione batterica e

frazionamento per diffusione, sono realistiche, è possibile usare un diagramma

logaritmico etano/metano vs. rapporto isotopico del carbonio del metano δ13C(CH4) o

δ13C(C1).

(Fig 10.1 Modello di calcolo di trend di mix e diffusione in un diagramma C2/C1

(etano/metano) vs. δ13

C)

Le rette di diffusione sono calcolate partendo da una sorgente di metano termogenico

avente composizione δ13C(C1) = -35‰ e C2/C1 = 0.3 ed un frazionamento degli

isotopi di carbonio nel metano pari ad α = 0.995; i numeri indicano i differenti

rapporti di permeabilità dei due gas, variabili da 0.5 a 0.9

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Caratterizzazione geochimica del metano (maturazione e migrazione) 2013

72

Questo diagramma, espresso in scala semilogaritmica, mostra un andamento

logaritmico dei processi di mixing e rettilineo per quelli di diffusione, mostrando

anche l’andamento dei valori di maturazione espressi dalla freccia.

Per testare dunque ipotesi di mixing con metano batterico, è stato suggerito di usare

un diagramma etano/metano, la cui rappresentazione C2/C1 esprime rispettivamente il

numero di atomi di carbonio di etano e metano rispetto al δ13

C del metano

(Prinzhofer e Pernaton, 1997; Fig 10.1). In questo caso, la nozione delta è una

funzione del rapporto che riflette solo le variazioni di 13

C/12

C. Dato che la quantità di

13C è intorno all’ 1% nei campioni terrestri, il denominatore del rapporto

13C1/

12C1

rappresenta il 99% dell’intero metano (Prinzhofer e Pernaton, 1997).

Dopo svariati studi è stato inoltre appurato che l’uso della differenza isotopica del

carbonio per ogni gas, è utile per determinare la maturità della roccia madre

(Prinzhofer et al., 2000), ovvero quelle rocce e sedimenti che costituiscono l’origine

degli idrocarburi. Sono rocce caratterizzate da abbondanza di materia organica in

condizioni di scarsa ossigenazione. In tali condizioni la materia organica non viene

ossidata e può essere seppellita con il graduale accumulo dei sedimenti dando cosi

origine ad una massa amorfa definita kerogene (vedi cap.5).

Tornando al rapporto isotopico del carbonio del metano che viene utilizzato per il

grafico in fig. 10.1, importante è affermare che tale rapporto si arricchisce in 13

C

quando la maturazione del gas stesso cresce (Prinzhofer et al., 2000).

La firma isotopica del metano, inoltre, distingue i processi di segregazione durante la

migrazione da una possibile contaminazione di gas batterico o da un semplice trend

di maturità.

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Caratterizzazione geochimica del metano (maturazione e migrazione) 2013

73

Il diagramma in figura 10.1 rende dunque possibile distinguere 3 trends:

1. Se considero una scala semilogaritmica avrò una curva concava negativamente

per il mixing di due end-member (termogenico e batterico);

2. Considerando una scala logaritmica come in figura, il processo di diffusione

sarà rappresentato da linee rette;

3. Il trend di maturazione dei gas si presenta con una pendenza opposta a quella

di un mixing verso gas batterici o dei frazionamenti per diffusione (Prinzhofer

et al., 2000).

A tal proposito è importante sottolineare che esistono dei parametri relazionati alla

maturazione tra i quali il fatto che i gas diventano arricchiti in CH4 con una sempre

più crescente maturazione termica. L’aumento di maturazione inoltre sarà

responsabile dell’aumento del peso isotopico del carbonio per ogni idrocarburo

(metano CH4, etano C2H6, propano C3H8; Prinzhofer et al., 2000).

10.3 Considerazioni riguardanti esempi naturali

(Fig 10.2 Diagramma di mixing C2/C1 vs. δ13

C in scala logaritmica della valle del Po)

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Caratterizzazione geochimica del metano (maturazione e migrazione) 2013

74

Nell’esempio riportato in figura 10.2 di fatto è possibile notare come i valori da dati

storici concernenti la valle del Po (referenze citate in Mattavelli et al., 1983) si

adattino ad una curva di mixing in scala semilogaritmica (come da fig 10.1).

Va specificato comunque che nel lavoro di Prinzhofer e Pernaton (1997 e Fig. 10.2) i

valori presenti sull’ordinata sono rappresentati in modo scorretto poiché, per avere

dei mixing come curve logaritmiche e delle diffusioni come rette così come

rappresentato in figura, tale asse avrebbe dovuto prevedere l’utilizzo di “log (C2/C1)”

ovvero del logaritmo del rapporto etano/metano anziché il semplice rapporto C2/C1.

Come si vede dalla figura 10.2, i dati relativi alla Pianura Padana rappresentati

riflettono una variazione isotopica e composizionale dei gas, imputabile

principalmente ad un processo di mixing tra un gas termogenico e un gas batterico;

tuttavia, per alcuni campioni le composizioni sono attribuibili ad un frazionamento

per diffusione (Prinzhofer et e Peranton 1997).

Di fatto, è possibile ipotizzare che nei bacini dove la diffusione è il processo

principale di migrazione del gas si dovrebbe vedere una distribuzione caratteristica di

riserve di gas accumulate vs. composizione isotopica del carbonio del metano, con i

gas isotopici più leggeri divenire via via volumetricamente meno significativi.

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Caratterizzazione geochimica del metano (maturazione e migrazione) 2013

75

10.4 Trend di mixing/diffusione applicato a dati studiati

(Fig 10.3 Grafico C2/C1 vs. δ13

C che rappresenta sia dati storici sia dati studiati in

questo lavoro)

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Caratterizzazione geochimica del metano (maturazione e migrazione) 2013

76

Il grafico del rapporto etano/metano vs δ13

C(C1) confronta alcune delle acque Na-

bicarbonatiche studiate nel presente lavoro di tesi con i valori di letteratura dei gas da

sondaggi esplorativi AGIP effettuati nella pianura padana (Mattavelli et. Al., 1983) e

in prossimità del versante appenninico (Borgia et. Al., 1985), e dei gas provenienti

dai vulcani di fango.

In primo luogo, risulta interessante sottolineare come i dati di Borgia provenienti da

sorgenti appenniniche (Borgia et. Al., 1985) assumano un trend interpretabile come

“maturazione dei gas” il cui termine estremo sembra essere proprio il pozzo di Miano

analizzato in questo lavoro.

Nel complesso, i gas delle acque Na-bicarbonatiche, come per quelli di vulcani di

fango, possono essere misti oppure subire frazionamento di metano diversi e

complessi.

Più in dettaglio, alcuni campioni come Maiola (F10), Vezzolo (F8) e Roccaferrara

(F3) si posizionano in prossimità del trend che rappresenta una migrazione dei gas

per diffusione (retta in Fig. 10.3). Altri come il campione Monti Bedonia (F6)

presentano un gas con una firma termogenica e matura, così come il gas proveniente

da Miano.

È importante notare come il valore del rapporto di etano/metano e la composizione

isotopica del carbonio possano distinguere gli effetti di maturazione, diffusione e di

mixing. E’ pertanto verosimile che nelle acque Na-bicarbonatiche siano in atto tutti e

tre i processi di frazionamento del metano. La composizione isotopica sarà via via più

arricchita in 13C passando da un’acqua Na-bicarbonatica ad una salata, con la

possibilità di avere un gas arricchito in CH4 con il progredire del trend di maturazione

(maggiore contributo di gas termogenico). La diffusione si potrebbe avere al

passaggio/accumulo dei gas nelle diverse unità geologiche a diversa permeabilità.

Inoltre, dato che il gas è maggiormente sensibile ai frazionamenti per diffusione dove

gli accumuli di gas risultano meno cospicui (Prinzhofer et e Peranton 1997), le acque

Na-bicarbonatiche che presentano tale frazionamento risulterebbero meno interessanti

da un punto di vista della prospezione per idrocarburi.

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Conclusioni 2013

77

CONCLUSIONI

Nel presente lavoro di tesi sono state dunque analizzati alcuni campioni di acqua Na-

bicarbonatica ed un campione di acqua salmastra provenienti da un’area compresa tra

la provincia di Parma e Reggio Emilia.

Tra le due tipologie di acque esistono delle differenze sostanziali: le acque

campionate a Miano di Corniglio (PR) risultano essere più saline (salmastre con TDS

= 4 g/L), caratterizzate da una composizione Na-clorurata e classificabili come acque

originate per sovrappressione di fluidi, mentre le acque Na-bicarbonatiche sono dolci

(TDS < 1 g/L). Ciononostante, entrambe le acque sono accomunate da un rapporto

Na/Cl > 1 mEq/L, cioè ben più elevato rispetto alle salamoie Ca-clorurate

formazionali dell’area (Na/Cl < 0.86 meq/L).

Altra differenza caratterizzante è stata quella di aver trovato nelle acque Na-

bicarbonatiche metano con una origine molto variabile (biogenico, termogenico e

misto). Per quel che concerne la frazione biogenica del metano, la sua presenza, così

come quella del bicarbonato, può essere spiegata con la degradazione degli acidi

alifatici a catena corta, cioè dalla sostanza organica presente nei sedimenti e

rappresentata principalmente come ione acetato, il quale può formarsi ad opera dei

procarioti Archaea.

Ad esempio, l’acqua Na-bicarbonatica di Roccaferrara con sigla F3/12, pur essendo

localizzata in prossimità del campione di Miano, caratterizzato da metano

termogenico, presenta una firma isotopica del metano di tipo biogenico. Infatti,

nonostante in passato si sia notato nei gas provenienti dai sondaggi esplorativi, una

marcata differenza metanogenetica tra la Pianura Padana e la zona appenninica (di

fatto verso l'appennino il metano si presenta di origine termogenica, a differenza del

metano presente nelle acque della zona del Po che ha caratteristiche formazionali

prettamente biogeniche), la localizzazione delle acque Na-bicarbonatiche non

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Conclusioni 2013

78

esprime tale caratteristica, anche se sarebbero necessari maggiori campioni per avere

una casistica più significativa.

Ciononostante è possibile notare diversi trend di maturazione e di frazionamento

isotopico del metano sapendo infatti che il gas biogenico si presenta con trend di

immaturità mentre il termogenico ha valori di maturazione più elevata (es. Miano),

riscontro che è stato appurato grazie alla costruzione del grafico etano/metano vs.

δ13C1. La vicinanza di queste due acque totalmente diverse può essere dunque

spiegata grazie anche a diversi processi concomitanti, ovvero diffusione e/o riduzione

batterica (Roccaferrara) e mixing con acque formazionali profonde (Miano).

Detto questo è importante sottolineare come, nel complesso, i campioni di acqua Na-

bicarbonatica abbiano un andamento composizionale del tutto simile a quello dei

vulcani di fango. Ciò supporta ulteriormente l’ipotesi che le acque Na-bicarbonatiche

costituiscano una importante componente della frazione liquida dei vulcani di fango e

come, per entrambi, la componente gassosa possa provenire da diverse

profondità e quindi avere diversa genesi o subire diversi frazionamenti.

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