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COMMISSIONECULTURAASI 44 | LaManovella | agosto 2016 NEL NUOVO APPUNTAMENTO DEL CICLO DI CONVEGNI “1886-1906 DALLA CARROZZA SENZA CAVALLI ALL’AUTOMOBILE” ORGANIZZATA DALLA COMMISSIONE CULTURA DELL’ASI, LA STORIA DI PANHARD & LEVASSOR, PRIMO COSTRUTTORE INDUSTRIALE DI VEICOLI di Lorenzo Morello E NACQUE L’INDUSTRIA DELL’AUTOMOBILE La prima P2 del 1890; René Panhard è alla guida, Émile Levassor sul sedile posteriore .

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NEL NUOVO APPUNTAMENTO DEL CICLO DI CONVEGNI “1886-1906DALLA CARROZZA SENZA CAVALLI ALL’AUTOMOBILE” ORGANIZZATA

DALLA COMMISSIONE CULTURA DELL’ASI, LA STORIA DI PANHARD & LEVASSOR, PRIMO COSTRUTTORE INDUSTRIALE DI VEICOLI

di Lorenzo Morello

E NACQUE L’INDUSTRIA DELL’AUTOMOBILE

La prima P2 del 1890; René Panhard è alla guida,

Émile Levassor sul sedile posteriore .

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PL, Panhard & Levassor, fu il primo costruttore euro-peo di automobili in grado di stabilire una produzio-ne di carattere industriale nel 1892, superando già

nel 1902, ancora primo in Europa, la soglia di mille automobili vendute in un anno. Si pone l’accento sul fatto che tale record era limitato all’Eu-ropa, poiché due costruttori americani, Columbia e Locomobile, avevano superato questo traguardo circa un anno prima costruendo automobili elettriche e a vapore. Fu ancora merito di PL, se la tecnologia dei motori a scoppio di Daimler fu trapiantata in Francia, dando avvio a sviluppi in campo tecnico e industriale che contribuirono alla diffusione dell’au-tomobile, in misura certamente maggiore di quanto avrebbero potuto fare da soli i costruttori tedeschi. Nonostante questi importanti primati, la PL rischia di essere sconosciuta a chi non ha varcato la soglia dei ses-santa anni - l’azienda cessò di produrre automobili nel 1969 - o non è un appassionato conoscitore di automobili d’epoca; rimane un ricordo delle molte innovazioni introdotte dal marchio solo nel nome della barra, impiegata ancora oggi, per migliorare l’ancoraggio trasversale delle sospensioni ad assale rigido. La radice da cui si sviluppò la PL fu un’officina di lavorazione del le-gno, fondato a Parigi nel 1846 da Jean-Louis Périn; dopo aver rag-giunto dimensioni industriali, grazie all’utilizzazione di attrezzature avanzate per quel tempo, i prodotti dell’officina si concentrarono sulle macchine per falegnameria. L’azienda si sviluppò anche grazie all’assunzione di un giovane ingegnere, René Panhard (1841 - 1908), che presto mostrò le sue capacità, ottenendo buoni risultati in campo commerciale; come riconoscimento fu associato da Périn nel 1867. All’azienda, sempre più fiorente, si aggiunse nel 1872 un nuovo socio, anch’egli ingegnere, Émile Levassor (1843 - 1897), particolarmente incline a progettazione e innovazione. La morte di Périn, privo di eredi, fece acquisire per intero la società ai soci superstiti nel 1886, che da allora assunse il nuovo nome. L’idea di avviare l’attività mo-toristica nacque dall’amicizia di Levassor con Edouard Sarrazin, rap-presentante per la Francia della Deutz, la ditta fondata nel 1876 da Nikolaus Otto per la produzione di motori a scoppio, e della Daimler, attiva nello stesso settore dal 1883; l’incarico di Sarrazin compren-deva anche la vendita di licenze per la costruzione di questi moto-ri. Tramite Sarrazin, Levassor comprese le potenzialità dei motori a scoppio per il comando delle loro macchine da segheria; questi avrebbero sostituito i ben più costosi motori a vapore, o i poco pratici mulini ad acqua, vincolati a zone limitate del territorio e ai capricci delle stagioni; vennero così stabiliti contatti istituzionali fra PL e Daimler. L’esposizione di Parigi del 1889, nel centenario della rivoluzione francese, permise anche a Levassor di ammirare personalmente la vettura di Benz, maturando però l’opinione che essa richiedesse molti miglioramenti e che il motore Daimler fos-se più adatto a quest’applicazione per la sua superiore leggerezza. Con queste idee e dopo aver convinto il socio, Levassor iniziò a concepire un’automobile diversa, servendosi del motore Daimler.

Levassor svolse il suo progetto non solo per interesse scientifico, ma an-che con un preciso obiettivo industriale. Il primo motore fabbricato su licenza lasciò l’officina all’inizio del 1890 e, poco dopo, fu costruito il primo prototipo. Era una dog-cart, con stile simile a quello delle omonime carrozze leggere, in cui quattro passeggeri sedevano rivolgendosi la schiena; questa disposizione fu preferita per-ché lasciava al centro del veicolo lo spazio necessario per l’istallazione del motore a due cilindri a V. Il motore, con una cilindrata di 921 cm3 e una potenza di 2 CV, era contrassegnato dalla sigla P2; nel lessico Pan-hard, la lettera designava il tipo di motore, la cifra il numero di cilindri, altre lettere erano aggiunte per denotare la versione; per qualche tempo, la sigla del motore identificò anche le vetture. Un’immagine ritrae questo prototipo con Émile Levassor alla guida e René Panhard sul sedile poste-riore. L’automobile nella versione definitiva aveva, tuttavia, il motore in posizione anteriore, noto come tipo P2D.

P2D dog-cart del 1892 (Museo dell’automobile di Mulhouse).

René Panhard (1841-1908).Émile Levassor (1844-1897).

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Essa fu posta in vendita dal 1891 e prodotta in 6 esemplari nel corso di quell’anno; nell’anno successivo la produzione crebbe a 16 unità e alla dog-cart venne affian-cata la wagonnette, che siamo in grado di meglio descrivere essendo sopravvissuti numerosi esemplari e sufficiente documentazione. Il diverso stile della carrozzeria di questa P2D del 1894, con cilindrata aumentata a 1.184 cm3 e potenza di 3,5 CV dimostra una concezione del progetto radicalmente diversa dal paradigma propo-sto da Benz e adottato da Daimler e Peugeot, che prevedeva il motore in posizione posteriore, dietro il sedile di guida. Questa sistemazione era richiesta dall’impiego, previsto dai due inventori tedeschi, di un’ingombrante trasmissione a cinghia. Se-condo Levassor, il motore doveva trovarsi, invece, davanti al guidatore, nella zona anteriore del veicolo; le ruote motrici, che non potevano che essere collocate po-steriormente, in considerazione dell’assale anteriore sterzante, erano collocate, in questo modo, in una posizione più idonea all’istallazione della trasmissione a ingra-naggi e catene fra il motore e le ruote. La manovella d’avviamento era supportata dalla traversa anteriore del telaio e collegata al motore mediante una catena. La notevole altezza della vettura era condizionata da quella del motore, posto in posi-zione verticale, che costringeva, inoltre, a realizzare l’assale anteriore con una trave piegata ad arco capovolto.Tuttavia, con questa nuova disposizione, il motore era facilmente accessibile per le operazioni di manutenzione; la tipica apertura del cofano a due battenti, mostra in primo piano i due bruciatori a benzina, per il preriscaldamento delle candele di accensione a incandescenza, da eseguirsi prima di ogni avviamento; sono visibili,

nell’immagine, i vassoi per contenere il combustibile necessario all’operazione, ali-mentati per caduta dal serbatoio del combustibile.S’intravedono, dietro i bruciatori, i due cilindri pitturati in rosso, realizzati mediante un’unica fusione, dotata d’intercapedine, che permetteva di raffreddare il motore mediante acqua; un serbatoio nella parte posteriore della vettura, sotto la pan-chetta dei passeggeri, conteneva invece l’acqua necessaria per il raffreddamento. Occorre notare che l’acqua raffreddava il motore evaporando, non essendo previsto alcun radiatore; da dati noti dell’automobile di Benz, equipaggiata di un simile siste-ma, si conoscono consumi dell’ordine di 150 litri d’acqua ogni 100 chilometri. No-tiamo, infatti, come il serbatoio dell’acqua sia ben più ingombrante di quello della benzina, posto sul cruscotto. La trasmissione, era completamente diversa da quelle sviluppate da Benz e Daimler, comprendendo una frizione a cono, che poneva in rotazione un cambio ad ingranaggi in cascata; a sua volta, esso aziona un rinvio ad ingranaggi conici e, mediante un’unica catena, il differenziale sospeso con l’assale posteriore. La catena, come nelle precedenti applicazioni, consentiva i movimenti di sospensione fra carrozzeria e assale posteriore, pur assicurando la trasmissio-

ne fra i due elementi. Il cambio di velocità a ingranaggi, realizzato con ruote dentate fuse in bronzo, era uno dei primi a essere applicato a un’automobile e comprendeva quattro marce; il motore comandava l’al-bero inferiore, sul quale poteva scorrere un grappolo di ruote dentate poste in rotazione da una linguetta. Potevano, in questo modo, essere ottenuti i diversi rapporti; l’albero superiore comandava il rinvio a in-gaggio conico, sempre in bronzo, che, a sua volta, comandava, attra-verso il differenziale, la catena della trasmissione finale. Il movimento dell’albero scorrevole era comandato mediante una leva e richiedeva nell’uso molta cautela. Il cambio a cinghia dei tedeschi era facile da comandare, essendo assimilabile nell’uso a un cambio semiautomatico, ma era scarsamente affidabile, per le frequenti rotture delle cinghie. Il cambio PL era certamente più durevole, ma presentava come incognita la non scontata accettazione da parte dei guidatori, posti per la prima volta di fronte all’uso combinato di frizione e cambio. La miglior sinte-si delle qualità di questo cambio fu fatta in un commento di Panhard, dopo la prima prova del veicolo: “C’est brutale, mais ça marche!” Il posto di guida, dominato dalla presenza del serbatoio della benzina, era ca-ratterizzato dallo sterzo a timone (battezzato dai francesi a “queue de vache”) che comandava il movimento delle ruote anteriori direttamen-te, senza riduzioni meccaniche; i pedali, simili a quelli di un pianoforte, comandavano acceleratore e frizione, mentre due leve il cambio di mar-

cia ed i freni. L’impianto di frenatura prevedeva due dispositivi: freni a ceppi, sulle ruote posteriori e una barra, che, sganciata dal suo sostegno e lasciata strisciare sul suolo, facilitava le partenze in salita, impedendo l’arretramento in caso di arresto del motore. La stessa figura mostra parte del serbatoio dell’acqua, la catena di trasmissione e la predella per l’accesso ai posti posteriori. Due assali rigidi erano sospesi su bale-stre a ellisse completa per l’assale anteriore e semiellittiche per quello posteriore: le ruote erano in legno, con cerchiatura di ferro; a richiesta si potevano ottenere cerchiature in caucciù, con un supplemento del 10% sul prezzo. Il telaio principale era realizzato con travi di legno, ricoperte con lamiera d’acciaio, con rinforzi locali di ferro e ghisa per le parti più sollecitate. Un secondo telaio metallico, posto nella sola parte ante-riore forniva il sostegno al motore, al volano con frizione e ai sopporti degli alberi, garantendone il corretto allineamento. Si noti, ancora, il montaggio del ponte posteriore, libero di muoversi in senso longitu-dinale per la presenza di biscottini alle due estremità delle balestre; il

Fig. 5. P2D wagonnette del 1894. (Museo dell’automobile di Mulhouse)

Particolare delle lampade per il preriscaldamento delle candele a incandescenza.

Frizione, cambio e trasmissione a catena.

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movimento longitudinale era impedito da puntoni, di lunghezza regolabile con dadi e controdadi, per applicare alla catena la corretta tensione anche con il progredire dell’usura.La frizione era realizzata con una superficie conica cava, tornita nel volano, e una superficie complementare esterna, rivestita in cuoio, posta all’estre-mità dell’albero primario. Quest’ultimo era a sezione quadrata, allo scopo di trasmettere il movimento al grappolo di ruote dentate lasciandolo libe-ro di scorrere; esso stesso era, a sua volta, libero di scorrere sul sopporto posto all’estremità opposta al motore, per inserire e disinserire la frizione per mezzo del pedale. Lo spostamento del grappolo d’ingranaggi avveniva mediante un comando sequenziale a leva, richiedendo molta perizia, sia per individuare la posizione delle varie marce, sia per cambiare senza grattate. Le ruote dentate erano completamente esposte alle intemperie. La vettura, a quattro posti disposti su due file a fronte marcia, prevedeva la rotazione della parte destra della panchetta posteriore per l’accesso; questo dettaglio funzionale fu ripreso anche da altri costruttori. I prezzi di vendita variavano, secondo le versioni, da 3.500 a 5.000 Franchi, circa lo stipendio annuo di un dirigente d’industria.Nel 1893, per dimostrare il valore del prodotto, il figlio di Panhard, Hippolyte, compì un’impresa memorabile, raggiungendo Nizza da Parigi, attraverso Marsiglia, in poco più di cinque giorni, senza inconvenienti meccanici di ri-lievo.

In questo stesso anno fu mostrato a Levassor, presso il centro di ricerca Daimler di Bad Cannstatt, il nuovo motore Phoenix, che per la sua architet-tura in linea poteva facilmente raggiungere maggiori cilindrate (in versione a due cilindri, con alesaggio di 130 mm e corsa di 160 mm raggiunse 4.245 cm3, con una potenza di circa 10 CV). Anche questo motore entrò nel pacchetto di licenze concesse alla PL. Era dotato anche di un carburatore a getto a livello costante, e un blocco a canne gemellate, che permetteva di ridurre le dimensioni esterne; era possibile realizzare, da questa unità, anche motori a quattro cilindri.Il Petit Journal organizzò, nel 1894, una corsa sul percorso Parigi - Rouen, alla quale parteciparono dodici vetture, di cui quattro PL; il primo premio fu attribuito ex equo alla PL e alla Peugeot, poiché dotate dello stesso tipo di motore. Per la precisione, due vetture della squadra Peugeot arrivarono seconda e terza, una guidata da Panhard arrivò quarta, quella di Levassor quinta, battute da un trattore a vapore De Dion-Bouton. Tuttavia, il trattore a vapore fu squalificato, perché compì la gara con un secondo conduttore

a bordo, il fuochista, non permesso dal regolamento che prevedeva un solo guidatore. Nell’anno successivo, la corsa Parigi - Bordeaux, organizzata dal ne-onato Automobile Club de France, ottenne un’attenzione anche maggiore; fu vinta da una PL, guidata dallo stesso Levassor, che compì il percorso di 1.175 km alla velocità media di 24,6 km/h, arrivando sei ore prima del secondo ed undici prima del terzo. La corsa segnò anche la vittoria del motore a combu-stione interna, rappresentato dal nuovissimo motore Phoenix da 4 CV, rispetto ai suoi antagonisti a vapore. Le corse furono il motivo del successo della PL ma anche della prematura scomparsa di Levassor. Durante la corsa Parigi - Marsiglia - Parigi del 1896, Levassor, alla testa del gruppo dei concorrenti, per evitare un cane, improvvisamente saltato in mezzo alla strada, dovette de-viare bruscamente, causando il ribaltamento del veicolo. In seguito alle ferite riportate morì per embolia nell’anno successivo. Poco prima dell’incidente, la PL avviò la produzione di serie del motore bici-lindrico Phoenix, con la sigla M2. Rispetto ai modelli precedenti, si apprez-zano le linee più tondeggianti, il più moderno profilo del cofano, le ruote rivestite in caucciù. La distribuzione dei volumi della carrozzeria era sostan-zialmente immutata, come pure la posizione dei serbatoi e dei comandi; unica differenza, i sedili posteriori erano disposti sui lati, per consentire un più facile accesso dal centro della vettura. Le più importanti novità erano concentrate nella meccanica; il nuovo motore Phoenix, aveva ora due cilin-dri in linea, ma era ancora dotato di candele a incandescenza e bruciatori

di preriscaldamento. Era caratterizzato da un basamento di forma sferica, diviso sul piano dei sopporti di banco; la parte bassa serviva come coppa dell’olio, la parte alta come elemento di unione al blocco, recante la canna e la testa emisferica, ricavate da un pezzo unico. Le valvole di aspirazione erano automatiche, collegate a un piccolo collettore, sul quale era montato il carburatore. Le valvole di scarico erano comandate da un asse a camme, per mezzo di aste e punterie; oltre la velocità massima stabilita per il motore, le punterie ruotavano sui loro perni, per effetto delle masse centrifughe, in modo da non attuare più l’apertura delle valvole di scarico e mantenere in questo semplice modo la velocità del motore costante. La valvola di scarico, con comando a punteria con molla di chiusura, rappresentò un sicuro miglio-ramento; gli esemplari precedenti avevano, come si ricorderà, la valvola co-mandata da una guida desmodromica ed è lecito pensare che dopo un certo periodo, le valvole, non regolabili, iniziassero a sfiatare. Anche la trasmissio-ne fu radicalmente rivista. Si noti che il nuovo gruppo cambio-differenziale era ora racchiuso in una scatola, al riparo da fango e polvere.

Particolare del posto di guida e del serbatoio della benzina.

Particolare della frizione a disco conico.

Schema dell’autotelaio della P2D.

Nella parte posteriore sono evidenti il serbatoio dell’acqua, i freni a ceppi e la barra anti arretramento.

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Il meccanismo del cambio non era molto diverso da quello della prima so-luzione. Fu introdotta, tuttavia, la retromarcia, realizzata in modo alquanto insolito, facendo scorrere, trasversalmente alla vettura e nei due sensi, l’al-bero solidale con la scatola del differenziale, in modo da invertire il moto. Comparve, con questo nuovo cambio, anche un terzo pedale che agiva su un freno a nastro, posto sul tamburo; al differenziale era così affidato anche il compito di ripartire la forza frenante sulle due ruote. L’autotelaio completo, non corrisponde in tutto alla vettura della fotografia; di poco successivo, presenta alcuni elementi migliorativi, come le coperture pneumatiche e i freni posteriori a nastro; si nota anche l’introduzione del volante con scatola guida a vite e rullo in luogo dello sterzo diretto a queue de vache. Le catene di trasmissione alle ruote sono ora una per lato. Nella parte posteriore del

telaio, risalta ancora l’enorme serbatoio per l’acqua. Nell’immagine si può no-tare la disposizione dei comandi: il pedale O è per l’acceleratore; il pedale N comanda il freno della trasmissione, mentre il pedale M comanda la frizione. Il giunto Z posto fra questi due pedali fa sì che attuando il freno si disinnesti anche la frizione, per evitare di arrestare involontariamente il motore con la vettura. Questa particolarità è presente in molte automobili di quegli anni e denota la non completa assuefazione dei clienti all’uso della frizione. Le tre leve sulla destra sono il freno a mano M, sulle ruote posteriori, il cambio N, di tipo sequenziale e l’inversore O; quest’ultima leva ha un particolare not-tolino di blocco in posizione O’; esso è rivolto in avanti, quando è inserita la marcia avanti, in alto quando l’inversore è in folle, all’indietro in retromarcia. La citata corsa Parigi - Marsiglia decretò anche il trionfo del motore Phoe-nix, che ottenne il primo posto con una vettura con il motore M4 (a quattro cilindri) da 2.402 cm3 e 8 CV, seguita da due altre con il motore M2 da 6 CV.Dopo la scomparsa di Levassor, la direzione tecnica dell’azienda fu asse-gnata ad Arthur Krebs. A lui si attribuiscono molti sviluppi tecnici, quali il primo carburatore automatico e i famosi motori SS (sans soupapes) senza valvole, con distribuzione a foderi, che PL adottò dal 1910, per circa trenta anni. Nel 1899, accaddero due eventi, la decadenza dei brevetti Daimler e la cessazione della fornitura a Peugeot, che divennero occasione per svi-luppare, questa volta internamente, una nuova famiglia di motori; essa fu denominata commercialmente Centaure, con le sigle O4 e O2, secondo il numero di cilindri. Gli elementi innovativi consistettero nell’eliminazione del regolatore di velocità sulle punterie di scarico e nell’adozione del nuovo car-buratore automatico brevettato da Krebs; inoltre, un accordo commerciale

con un produttore di componenti permise di introdurre una nuova accensio-ne a magnete, in luogo di quella ad incandescenza. Il punto forte del nuovo carburatore risiedeva nel fatto che la depressione, utilizzata per aspirare il combustibile nel carburatore, era resa proporzionale alla portata d’aria, per cui la dosatura della benzina era controllata in modo automatico, senza ne-cessità di un comando aggiunto all’acceleratore. Le cilindrate scelte furono inizialmente le stesse del motore Phoenix: 1.201 e 1.648 cm3, per la versione a due cilindri, 2.402, 3.296 cm3 per la versione a quattro cilindri. Più tardi si aggiunsero altre versioni da 4.387, 5.313, 6.898 e 8.620 cm3, che permisero di toccare la potenza di 60 CV, importante per le applicazioni sportive. Questa crescita delle cilindrate a valori irragionevoli fu un tratto comune del mer-cato di questi anni. L’elevato prezzo rendeva le vetture accessibili esclusiva-

mente a clienti con reddito elevato, che cercavano nell’automobile non tanto un economico mezzo di trasporto, quanto un emblema della loro posizione sociale; inoltre, la popolarità delle corse contribuì a diffondere l’interesse per prestazioni e cilindrate sempre più elevate. Paradossalmente, in questi anni si sviluppò maggiormente il mercato delle automobili di grande cilindrata rispetto a quello delle utilitarie. Con i nuovi motori, alquanto più pesanti dei precedenti, fu necessario rivedere completamente le trasmissioni e irrobu-stire i telai, impiegando strutture in profilati metallici saldati. Il tonneau del 1902 testimonia questi cambiamenti. Esso è dotato di un motore a quattro cilindri di 2.402 cm3 che eroga la potenza di 10 CV. Si nota l’introduzione di coperture pneumatiche, del radiatore, di freni del tipo a nastro sulle ruote posteriori, del volante di guida e, soprattutto, di un robusto telaio in profilati metallici. Inoltre, tutti i sedili sono disposti nel senso di marcia. Il divano po-steriore è diviso in tre parti; quella centrale è montata su cardini e permette l’accesso alla parte posteriore. Il nuovo circuito di raffreddamento comporta-va anzitutto la presenza di una pompa di circolazione; essa spingeva l’acqua, dal serbatoio alla parte bassa del blocco; qui, dopo aver provvisto al raffred-damento, usciva, facilitata dalla diminuzione di densità, dalla sua parte alta. Attraversato il radiatore in senso opposto, per sfruttare l’aumento di densità che il raffreddamento comportava, rientrava nel serbatoio. La quantità di va-pore dispersa all’esterno era considerevolmente ridotta; il consumo d’acqua poteva ridursi a circa un decimo dei valori precedenti. Per quanto riguarda il radiatore, si tratta di un tubo avvolto a serpentina, sostenuto da un traliccio formato da tiranti verticali e traversine di legno; la dispersione del calore era facilitata da una lamiera di rame ondulata di forma elicoidale, avvolta sul

M2F break del 1895, con motore Phoenix a 2 cilindri da 6 CV; vettura simile a quella impiegata nella corsa Parigi - Marsiglia - Parigi del 1896.

(Musée Malartre)

Particolare del posto di guida.

Motore bicilindrico Phoenix,

caratterizzato dal regolatore di velocità che

disattiva la punteria della valvola

di scarico.Sotto, viste in pianta

dell’autotelaio di una M2F con

motore Phoenix 6 HP, prodotta fra

il 1896 ed il 1902.

Cambio di velocità con retromarcia sulla riduzione finale conica.

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tubo. La pompa dell’acqua era posta in rotazione per attrito dal volano del motore, per mezzo di una ruota gommata. La tenuta dell’albero rotante era realizzata con un premistoppa, compresso da una molla, impedita di ruotare da una traversa; era possibile arretrarla, agganciandola su un risalto, per la sostituzione periodica della stoppa consumatasi.Il cambio di queste vetture presentava un nuovo montaggio delle ruote dentate, poste sull’albero di uscita; esse ingranavano sempre in presa con le ruote dell’al-bero d’ingresso, mosso dalla frizione, ma erano libere di ruotare sul relativo albero. Il calettamento sull’albero della ruota prescelta avveniva facendo impegnare un chiavistello con un risalto posto nel mozzo della ruota; esso era spinto esternamen-te da una camma, spostata lungo l’albero dal comando ad asta. In questo modo si evitava almeno la rottura di denti causata da innesti errati.

LA PANHARD DEL MARCHESE GINORI LISCI Il Marchese Carlo Ginori Lisci (1851-1905), assiduo frequentatore di Parigi, ebbe modo di venire a contatto con le prime vetture a gaz di petrolio. In quella città conobbe Emile Levassor, di cui divenne amico, e con lui provò una delle sue au-tomobili. Entusiasta per la novità, a fine 1893, ordinò alla Panhard & Levassor una vettura dog-cart, al prezzo di 5.300 Franchi, allora circa equivalenti alle Lire. Fu consegnata a metà febbraio 1894 a Nizza, dove salpò per La Spezia al seguito del nuovo proprietario; da qui, arrivò a Firenze per ferrovia. La vettu-ra aveva, come le altre, un cambio a tre velocità (7 km/h, 14 km/h, 21 km/h) senza retromarcia; si consigliava, nel libretto d’uso e manutenzione, l’istalla-zione di un secondo deposito di petrolio, mentre la riserva d’acqua era ritenuta sufficiente, permettendo un’autonomia di circa due ore di viaggio. Sempre sul libretto, si consigliava di far scendere i passeggeri, dovendo percorrere salite dall’8 al 10%.Il viaggio inaugurale avvenne il 28 febbraio 1894 verso il parco delle Cascine, la prima apparizione di un’automobile nel territorio del comune di Firenze. La Nazione del 28 febbraio 1894 riportava la notizia in questi termini: Una nuova carrozza. Stamane alle dieci e trenta il Marchese Carlo Ginori è uscito dalla sua scuderia con la nuova carrozza che è mossa da gaz di petrolio. È una carrozza a quattro posti che corre quanto un’altra tirata da due cavalli al trotto… Le prove sono riuscite benissimo; la carrozza può anche montare per una stra-da che salga il dieci per cento. Molte signore vollero salire sulla carrozza… Il marchese Ginori fu il primo a portare in Italia le lance a petrolio; oggi è stato il primo a far vedere ai fiorentini la carrozza a petrolio. Per tutto dove la carrozza è passata, ha destato la più viva curiosità. Tuttavia, nel maggio 1894, Ginori scriveva a Levassor lamentando che i passeggeri dovevano scendere e spin-gere la vettura per superare i ponti sull’Arno e proponeva di montare uno dei motori a tre o quattro cilindri usati per i battelli, dando suggerimenti per come sistemarlo sul telaio. La Panhard rispose ringraziando e dicendo che il motore richiesto sarebbe stato istallato sulla vettura a sei posti in fase di progetto, impegnandosi tuttavia a inviare un nuovo motore del 15% più potente, per una spesa di altri 2.600 Franchi. Nell’autunno 1894, si sa che la stessa automobile svolse con successo un lungo viaggio fino al lago di Massaciuccoli, alla villa della Piaggetta, dove fu mostrata a Vittorio Emanuele, allora ancora Principe di Napoli, e a Giacomo Puccini.

Tonneau del 1902, con motore Centaure O4E a 4 cilindri da 10 CV.

(Museo dell’automobile di Mulhouse)

Tre pedali (da destra: acceleratore,

freno, frizione) e tre leve (da destra:

freno a mano, cambio, direzione di marcia)

costituiscono, insieme al volante, i controlli principali

del veicolo.

Particolare della pompa dell’acqua con premistoppa a molla.

Sopra, il contratto tra l’azienda e Ginori per l’acquisto della vettura.Qui a fianco, la lettera di sdoganamento.

Cambio a ingranaggi sempre in presa con innesti a chiavistello.

Radiatore a serpentina montato con un motore M4E, a 4 cilindri da 10 CV.