“È la tomba di Murat” In Calabria la caccia ai resti del ... · versità di Camerino, il...

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LA STAMPA MERCOLEDÌ 9 MARZO 2016 . Primo Piano . 15 LA SCIENZA E I GIALLI DEL PASSATO “È la tomba di Murat” In Calabria la caccia ai resti del re di Napoli Vibo Valentia, migliaia di ossa e calcinacci in una cripta G iuseppe Pagnotta, sti- mato commercialista di Pizzo Calabro, è l’uomo che sta scatenando una delle più appassionanti e beffarde ricerche storiche de- gli ultimi tempi, la caccia ai resti di Gioacchino Murat, il re di Napoli fatto fucilare dai Borbone proprio nella cittadi- na calabrese. Del coraggioso cognato di Napoleone qualcuno sostiene che le ceneri siano state spar- se in mare dopo la morte. Nel cimitero di Père Lachaise a Parigi una targa afferma che i resti sono andati persi o di- strutti. A Pizzo Calabro, inve- ce, assicurano che si trovano nella cripta del Duomo. Cita- no testimonianze e documen- ti e hanno anche fatto realiz- zare lapidi e targhe ma la ve- rità è che in questa storia nes- suno ha certezze. Alla fine dell’Ottocento la famiglia di Murat provò a en- trare nella cripta per recupe- rare la salma e portarla in Francia ma non fu possibile. La vicenda sarebbe stata del tutto dimenticata se non ci si fosse messo d’impegno Giuseppe Pagnotta, presi- dente dell’associazione Mu- rat onlus. Da sette anni è a caccia dei resti e non si fer- merà finché non li avrà trova- ti. E’ partito con un solo pun- to fermo: la testimonianza del canonico che diede l’estrema unzione a Murat. Il prelato raccontò che le spo- glie erano nella cripta. Alcuni anni fa, però Pagnotta ha sco- perto che nel 1976 era stato rifatto il pavimento del Duo- mo. Durante i lavori erano state aperte due delle 12 bo- tole che portano alla cripta. E erano state scattate delle fo- to. Dopo una lunga ricerca ha scovato le immagini in un ar- chivio. Le ha fatte ingrandire, le ha passate a setaccio con l’aiuto di tanti esperti - o an- che solo semplici appassiona- ti - della figura del re di Napo- li presenti in tutto il mondo. E alla fine hanno trovato quella che sembrava una traccia più sicura di altre, la foto di una bara in legno appoggiata a una delle pareti della cripta, in mezzo ad una montagna di ossa prive di segni di ricono- scimento, quasi del tutto ri- dotte in polvere. Dalla cassa uscivano delle strisce di stof- fa pregiata, un dettaglio pre- zioso, perfettamente corri- spondente al racconto del ca- nonico: la bara di Murat era in legno e avvolta da un man- to di stoffa in taffetà nero. Da quel momento la caccia ha avuto un’accelerazione. Un anno fa è stato costituito un comitato tecnico-scienti- fico dal comune in collabora- zione con l’associazione Mu- rat onlus. Del comitato fanno parte anche la Sovrintenden- za ai Beni Archeologici, l’Uni- versità di Camerino, il parro- co del Duomo e il Ris dei Ca- rabinieri. Un mese fa è stata aperta per la prima volta la cripta ma solo per un rapido sguar- do sulle condizioni dell’am- biente. Ieri la botola è stata di nuovo sollevata, stavolta gli operai di una ditta specializ- zata sono scesi all’interno per la prima vera ricognizione. E si è capito che la caccia è ancora lunga. La cripta si presenta come un deposito di ossa, ce ne sono migliaia in uno spazio lungo dieci metri, largo cinque e alto circa tre. Dopo Murat sono finiti li an- che le centinaia di corpi delle vittime del colera del paese che hanno reso il luogo più af- follato e la ricerca estrema- mente più complicata. Ma non solo. Osservando la foto la cassa sembra trovarsi in un luogo molto più stretto della cripta aperta ieri. Nel Duomo ci sono altri ambienti sotterranei dove sono state sepolte persone ma solo uno è stato aperto durante i lavori del 1976 quando fu scattata la foto, è la cripta dedicata alle spoglie dei sacerdoti, come ha rivelato ieri Antonio Lico, uno degli operai che quaran- t’anni fa partecipò ai lavori . «Impossibile che sia stato messo lì, i religiosi non avreb- bero mai usato un luogo de- stinato a uomini di fede per una persona fucilata», è l’obiezione di don Pasquale Rosano, parroco del Duomo. «E’ matematico – replica Pagnotta – soltanto li possono trovarsi. Non possono esserci dubbi a questo punto». Ha ra- gione lui? Mistero risolto? Macché. Ieri è stata aperta anche questa botola ma inve- ce della cripta piena di ossa è apparsa una buca piena di calcinacci, i materiali di rifiu- to dei lavori del 1976. Se l’in- tuizione di Pagnotta è giusta, se la sua caccia ha permesso di mettere in fila tutti i tasselli del puzzle, la verità è che le spoglie di Murat rischiano di rimanere per sempre sepolte sotto una montagna di mate- riale di scarico. c BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI FLAVIA AMABILE INVIATA A PIZZO CALABRO (VIBO VALENTIA) La storia In posa Gioacchino Murat fu re di Napoli dal 1º agosto 1808 al 3 maggio 1815 La lapide che ricorda Murat L’apertura di un passaggio verso la cripta Gli scavi La cripta del Duomo di Pizzo Calabro è lunga dieci metri, larga cinque e alta tre: laggiù finirono anche le centinaia di corpi delle vittime del colera che colpì il paese La condanna a morte La lettera La lettera della Commissione Militare che condannò Murat. I «giudici» applicarono il Codice Penale promulgato dallo stesso Murat, che prevedeva la pena di morte per chi avesse compiuto atti rivoluzionari «R isparmiate il mio volto, sparate al cuore, fuoco!». Così - sembra - Gioacchino Murat, generale francese, re di Napoli e maresciallo del- l’Impero grazie a Napoleone Bonaparte, lasciò il mondo davanti al plotone d’esecu- zione. Era il 13 ottobre 1815: fu centrato da sei pallettoni su dieci. Aveva 48 anni. A venti aveva sterzato la propria vita, lui, nato a Laba- stide-Fortunière (Midi-Pire- nei) undecimo figlio di alber- gatori: i genitori lo avrebbero voluto vedere conquistare le ecco ben presto fama, gloria e gradi. Ma Murat, per quanto gran- de, gravitava inesorabilmente attorno a Napoleone: lo so- stenne contro l’insurrezione lealista del 1795 (e diventò ge- nerale), fu attivissimo nel col- po di Stato del 18 brumaio 1799 (e diventò comandante della guardia del Primo console). Fedele almeno in parte al mot- to che aveva fatto incidere sul- la lama della sua spada («L’onore e le donne»), fu chi- rurgico nella scelta della mo- glie: Carolina Bonaparte, figlia minore del piccolo-grande Corso. Napoleone gli offrì un altro gradino verso la Storia nominandolo re di Napoli. Mu- rat portò il Codice Napoleoni- co, fondò di fatto quella che di- ventò la prima facoltà di Inge- gneria d’Italia e in un blitz cac- ciò gli inglesi da Capri. Sempre pronto alla battaglia, durante la (sciagurata) campagna di Il figlio dell’albergatore che portò la corona grazie a Napoleone Sposò la figlia, perse tutto tradendo il suocero de più né moglie né figli. Murat fuggì a Cannes ma Napoleone non lo volle tra i suoi fedelissi- mi (con tardivo pentimento), a Waterloo. Il 28 settembre 1815, braccato, con una taglia sulla testa, il re senza più corona partì per riprendersi Napoli con 250 uomini. Una tempesta lo dirottò da Salerno in Cala- bria e un soldato lo tradì. Fu arrestato e condannato a mor- te. Non si fece bendare. c BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI MARCO SARTORELLI TORINO Personaggio gerarchie ecclesiastiche (pote- re e onori), Gioacchino era pe- rò di un’altra pasta. Meglio il divertimento e le spese facili. Una bella vita durata poco per- ché il padre non gradiva per nulla. Tra la disciplina imposta a casa e quella del noviziato scelse quella della caserma e si arruolò. Temperamento foco- so, audace, non tentennò e finì in un reparto «scelto»: dodice- simo reggimento di cacciatori a cavallo (una sorta di corpo speciale per l’epoca), e addio all’albergo e alla chiesa. Il coraggio non gli mancava, forse ne aveva persino troppo: Russia di Napoleone arrivò con sua colonna di cavalli sotto il Cremlino. Ma intuì presto l’inizio della fine e, dimenti- cando l’onore inciso sulla scia- bola, lasciò la casacca francese per quella austriaca. Tradi- mento, con quasi immediato ritorno tra i napoleonici. Bat- tuto sul campo dagli ex alleati vide crollare il suo regno e sva- nire la sua famiglia: la «conse- gna» di Napoli agli inglesi fu fatta dalla regina. Così non vi- La ricerca della «verità» n Sette anni fa Giuseppe Pagnotta, com- mercialista, presidente dell’associazio- ne Murat onlus, inizia a dare la caccia ai resti di Murat: crede che siano nella cripta del Duo- mo di Pizzo Calabro n Pagnotta parte da un dato storico: la testi- monianza del canonico che diede l’estrema unzione a colui che era stato re di Napoli n Il commer- cialista scopre che nel 1976 è stato rifatto il pavimento del Duomo: grazie alle foto indivi- dua una bara di legno dalla quale escono strisce di stoffa pregiata n Nella botola che avrebbe dovuto conte- nere la bara sono stati trova- ti calcinacci e materiale di rifiuto dei lavori svolti nel 1976. Il mistero conti- nua

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LA STAMPAMERCOLEDÌ 9 MARZO 2016 .Primo Piano .15

LA SCIENZA E I GIALLI DEL PASSATO

“È la tomba di Murat”In Calabria la caccia

ai resti del re di NapoliVibo Valentia, migliaia di ossa e calcinacci in una cripta

G iuseppe Pagnotta, sti-mato commercialistadi Pizzo Calabro, è

l’uomo che sta scatenandouna delle più appassionanti ebeffarde ricerche storiche de-gli ultimi tempi, la caccia airesti di Gioacchino Murat, ilre di Napoli fatto fucilare daiBorbone proprio nella cittadi-na calabrese.

Del coraggioso cognato diNapoleone qualcuno sostieneche le ceneri siano state spar-se in mare dopo la morte. Nelcimitero di Père Lachaise aParigi una targa afferma che iresti sono andati persi o di-strutti. A Pizzo Calabro, inve-ce, assicurano che si trovanonella cripta del Duomo. Cita-no testimonianze e documen-ti e hanno anche fatto realiz-zare lapidi e targhe ma la ve-rità è che in questa storia nes-suno ha certezze.

Alla fine dell’Ottocento lafamiglia di Murat provò a en-trare nella cripta per recupe-rare la salma e portarla inFrancia ma non fu possibile.

La vicenda sarebbe statadel tutto dimenticata se nonci si fosse messo d’impegnoGiuseppe Pagnotta, presi-dente dell’associazione Mu-rat onlus. Da sette anni è acaccia dei resti e non si fer-merà finché non li avrà trova-ti. E’ partito con un solo pun-to fermo: la testimonianzadel canonico che diedel’estrema unzione a Murat. Ilprelato raccontò che le spo-glie erano nella cripta. Alcunianni fa, però Pagnotta ha sco-perto che nel 1976 era statorifatto il pavimento del Duo-mo. Durante i lavori eranostate aperte due delle 12 bo-tole che portano alla cripta. Eerano state scattate delle fo-to. Dopo una lunga ricerca hascovato le immagini in un ar-chivio. Le ha fatte ingrandire,le ha passate a setaccio conl’aiuto di tanti esperti - o an-che solo semplici appassiona-ti - della figura del re di Napo-li presenti in tutto il mondo. Ealla fine hanno trovato quellache sembrava una traccia piùsicura di altre, la foto di unabara in legno appoggiata auna delle pareti della cripta,in mezzo ad una montagna diossa prive di segni di ricono-scimento, quasi del tutto ri-dotte in polvere. Dalla cassauscivano delle strisce di stof-

fa pregiata, un dettaglio pre-zioso, perfettamente corri-spondente al racconto del ca-nonico: la bara di Murat erain legno e avvolta da un man-to di stoffa in taffetà nero.

Da quel momento la cacciaha avuto un’accelerazione.Un anno fa è stato costituitoun comitato tecnico-scienti-fico dal comune in collabora-zione con l’associazione Mu-rat onlus. Del comitato fannoparte anche la Sovrintenden-za ai Beni Archeologici, l’Uni-versità di Camerino, il parro-co del Duomo e il Ris dei Ca-rabinieri.

Un mese fa è stata apertaper la prima volta la criptama solo per un rapido sguar-do sulle condizioni dell’am-biente. Ieri la botola è stata dinuovo sollevata, stavolta glioperai di una ditta specializ-zata sono scesi all’interno perla prima vera ricognizione.

E si è capito che la caccia èancora lunga. La cripta sipresenta come un deposito diossa, ce ne sono migliaia inuno spazio lungo dieci metri,largo cinque e alto circa tre.Dopo Murat sono finiti li an-che le centinaia di corpi dellevittime del colera del paeseche hanno reso il luogo più af-follato e la ricerca estrema-mente più complicata. Manon solo. Osservando la fotola cassa sembra trovarsi inun luogo molto più strettodella cripta aperta ieri. NelDuomo ci sono altri ambientisotterranei dove sono statesepolte persone ma solo uno èstato aperto durante i lavoridel 1976 quando fu scattata lafoto, è la cripta dedicata allespoglie dei sacerdoti, comeha rivelato ieri Antonio Lico,uno degli operai che quaran-t’anni fa partecipò ai lavori .«Impossibile che sia statomesso lì, i religiosi non avreb-bero mai usato un luogo de-stinato a uomini di fede peruna persona fucilata», èl’obiezione di don PasqualeRosano, parroco del Duomo.

«E’ matematico – replicaPagnotta – soltanto li possonotrovarsi. Non possono essercidubbi a questo punto». Ha ra-gione lui? Mistero risolto?Macché. Ieri è stata apertaanche questa botola ma inve-ce della cripta piena di ossa èapparsa una buca piena dicalcinacci, i materiali di rifiu-to dei lavori del 1976. Se l’in-tuizione di Pagnotta è giusta,se la sua caccia ha permessodi mettere in fila tutti i tassellidel puzzle, la verità è che lespoglie di Murat rischiano dirimanere per sempre sepoltesotto una montagna di mate-riale di scarico.

c BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI

FLAVIA AMABILEINVIATA A PIZZO CALABRO (VIBO VALENTIA)

La storia

In posaGioacchino 

Murat fu re di Napoli dal1º agosto 

1808 al3 maggio 

1815

La lapide che ricorda Murat 

L’apertura di un passaggio verso la cripta 

Gli scaviLa cripta del Duomo di Pizzo Calabro è lunga dieci metri, larga cinque e alta tre: laggiù finirono anche le centinaia di corpi delle vittime del colera che colpì il paese

La condanna a morte

La letteraLa lettera della Commissione Militare che condannò Murat. I «giudici» applicarono il Codice Penale promulgato dallo stesso Murat, che prevedeva la pena di morte per chi avesse compiuto atti rivoluzionari

«R isparmiate il miovolto, sparate alcuore, fuoco!».

Così - sembra - GioacchinoMurat, generale francese, redi Napoli e maresciallo del-l’Impero grazie a NapoleoneBonaparte, lasciò il mondodavanti al plotone d’esecu-zione. Era il 13 ottobre 1815:fu centrato da sei pallettonisu dieci. Aveva 48 anni.

A venti aveva sterzato lapropria vita, lui, nato a Laba-stide-Fortunière (Midi-Pire-nei) undecimo figlio di alber-gatori: i genitori lo avrebberovoluto vedere conquistare le

ecco ben presto fama, gloria egradi.

Ma Murat, per quanto gran-de, gravitava inesorabilmenteattorno a Napoleone: lo so-stenne contro l’insurrezionelealista del 1795 (e diventò ge-nerale), fu attivissimo nel col-po di Stato del 18 brumaio 1799(e diventò comandante dellaguardia del Primo console).Fedele almeno in parte al mot-to che aveva fatto incidere sul-la lama della sua spada

(«L’onore e le donne»), fu chi-rurgico nella scelta della mo-glie: Carolina Bonaparte, figliaminore del piccolo-grandeCorso. Napoleone gli offrì unaltro gradino verso la Storianominandolo re di Napoli. Mu-rat portò il Codice Napoleoni-co, fondò di fatto quella che di-ventò la prima facoltà di Inge-gneria d’Italia e in un blitz cac-ciò gli inglesi da Capri. Semprepronto alla battaglia, durantela (sciagurata) campagna di

Il figlio dell’albergatoreche portò la coronagrazie a Napoleone

Sposò la figlia, perse tutto tradendo il suocerode più né moglie né figli. Muratfuggì a Cannes ma Napoleonenon lo volle tra i suoi fedelissi-mi (con tardivo pentimento), aWaterloo. Il 28 settembre 1815,braccato, con una taglia sullatesta, il re senza più coronapartì per riprendersi Napoli con 250 uomini. Una tempestalo dirottò da Salerno in Cala-bria e un soldato lo tradì. Fuarrestato e condannato a mor-te. Non si fece bendare.

c BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI

MARCO SARTORELLITORINO

Personaggio

gerarchie ecclesiastiche (pote-re e onori), Gioacchino era pe-rò di un’altra pasta. Meglio ildivertimento e le spese facili.Una bella vita durata poco per-ché il padre non gradiva pernulla. Tra la disciplina impostaa casa e quella del noviziatoscelse quella della caserma e siarruolò. Temperamento foco-so, audace, non tentennò e finìin un reparto «scelto»: dodice-simo reggimento di cacciatoria cavallo (una sorta di corpospeciale per l’epoca), e addio all’albergo e alla chiesa.

Il coraggio non gli mancava,forse ne aveva persino troppo:

Russia di Napoleone arrivòcon sua colonna di cavalli sottoil Cremlino. Ma intuì prestol’inizio della fine e, dimenti-cando l’onore inciso sulla scia-bola, lasciò la casacca franceseper quella austriaca. Tradi-mento, con quasi immediatoritorno tra i napoleonici. Bat-tuto sul campo dagli ex alleativide crollare il suo regno e sva-nire la sua famiglia: la «conse-gna» di Napoli agli inglesi fufatta dalla regina. Così non vi-

La ricercadella

«verità»

nSette anni fa Giuseppe Pagnotta, com­mercialista, presidente dell’associazio­ne Murat onlus, inizia a dare la caccia ai resti di Murat: crede che siano nella cripta del Duo­mo di Pizzo Calabro

nPagnotta parte da un dato storico: la testi­monianza del canonico che diede l’estrema unzione a colui che era stato re di Napoli

n Il commer­cialista scopre che nel 1976 è stato rifatto il pavimento del Duomo: grazie alle foto indivi­dua una bara di legno dalla quale escono strisce di stoffa pregiata 

nNella botola che avrebbe dovuto conte­nere la bara sono stati trova­ti calcinacci e materiale di rifiuto dei lavori svolti nel 1976. Il mistero conti­nua