e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi...

428
maria accascina e il giornale di sicilia 1934-1937 salvatore sciascia editore

Transcript of e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi...

Page 1: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

maria accascinae

il giornale di sicilia1934-1937

salvatore sciascia editore

Page 2: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione
Page 3: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Maria Accascinae il Giornale di Sicilia

1934-1937

Cultura tra critica e cronache

I

a cura diMaria Concetta Di Natale

Salvatore Sciascia Editore

Page 4: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Si ringrazia sentitamente l’Associazione ProvincialeOrafi Gioiellieri Argentieri Orologiai ed affini della Provincia di Palermo:

Silvano Barraja Presidente

Enrico De Franchis, Emilio Longo Vice Presidenti

Fabrizio Fecarotta, Ugo Fecarotta,Paolo Ganci, Francesco Geraci,Giuseppe Giglio, Francesco Nanìa Consiglieri

Salvatore Ciulla Segretario

per aver voluto collaborare alla presente pubblicazionedella raccolta degli articoli di Maria Accascina.

Un particolare ringraziamento al Direttore dott. Gaetano Gullo,alla dott. Giuseppina Sinagra e al personale tuttodella Biblioteca Centrale della Regione Siciliana “A. Bombace”.Si ringrazia il prof. Gianni Puglisi, Presidente della Società Siciliana di Storia Patria,e il personale tutto.Un sentito ringraziamento al Direttore dott. Giovanni Pepi,alla dott. Giada Li Calzi, al dott. Francesco Marottae al personale tutto del Giornale di Sicilia.

RedazioneSalvatore Anselmo, Filippo Gerbino,Paola Lazzara, Rosalia Francesca Margiotta.

Con la collaborazione diElena Alfonso, Lucia Ajello, Erica Di Garbo Santolo, Iolanda Di Natale,Valeria Manno, Valentina Messina, Tiziana Piazza, Gabriele Romeo, Carmela Zizzo.

Progetto grafico e copertinaEnzo Brai, Palermo

ImpaginazioneAldo Latino

StampaOfficine Tipografiche Aiello & Provenzano, Bagheria (Palermo)

Copyright © 2006 by Salvatore Sciascia EditoreCorso Umberto I, 11193100 CaltanissettaTelefono 0934 21946 - 0934 551509Fax 0934 551366E-mail: [email protected] 88-8241-235-0

Page 5: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

5

L’Associazione Provinciale Orafi Gioiellieri Argentieri Orologiai ed affini diPalermo ha contribuito con grande entusiasmo alla pubblicazione di questo primovolume che contiene tutti gli articoli di Maria Accascina scritti sul “Giornale diSicilia” di Palermo dal 1934 al 1937.

L’Accascina è stata la prima a studiare sistematicamente l’ oreficeria e l’argente-ria siciliana, dando grande spazio al lavoro di questi artisti e iniziando una minu-ziosa ricerca dell’attività della maestranza, nonché rilevando i punzoni che veniva-no usati per bollare le opere in argento e in oro.

La nostra Associazione vuole legare le sue origini al 1447, quando nasce laMaestranza degli orafi e argentieri di Palermo, che in seguito si consolidò con l’isti-tuzione della Confraternita di S. Eligio.

La Maestranza nel passato ha avuto il compito da un lato di garantire l’acqui-rente della bontà della lega del metallo dell’opera acquistata e dall’altro dell’assi-stenza agli orafi e argentieri e ai loro familiari.

Dal 1870 il potere di verifica e di controllo sugli oggetti in argento e in oro èstato demandato all’autorità statale.

Oggi l’Associazione Orafi e argentieri di Palermo si occupa di difendere il set-tore e di pubblicizzare ed incentivare l’acquisto del manufatto in oro e argento rea-lizzando mostre, campagne promozionali, ricerca di nuovi modelli, aggiornamentidi mode.

Tutto questo può anche essere riscoperto attraverso la lettura di testi di arte chepossono stimolare la ricerca di nuove forme e nuove mode attraverso la conoscen-za del passato e i testi di Maria Accascina risultano di fondamentale importanzaanche da questo punto di vista.

Riteniamo che l’artigiano o il committente possa trarre spunto inventivo oltreche dai disegni antichi di oggetti preziosi anche dalla lettura di testi specifici. Gliarticoli dell’Accascina pubblicati dal “Giornale di Sicilia” non a caso privilegianospesso le opere d’oreficeria e d’argenteria. Da essi si possono trarre ancora oggi inte-ressanti idee per l’esecuzione di nuovi manufatti in oro o argento.

Nell’ottobre 1975, la Società Siciliana di Storia Patria tenne un CongressoStorico internazionale in occasione del Centenario della sua Fondazione dal tema

Maria Accascina e l’Associazione degli orafi e argentieridi Palermo

Page 6: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

6

«La presenza della Sicilia nella cultura degli ultimi cento anni», in cui intervenneanche Maria Accascina che significativante asserì:

Non presumo di inserirmi in competenze non specifiche ma prendo la parola non perosservazioni e critiche ma soltanto per esprimere il mio entusiastico consenso a quanto ilprof. Caronia ha detto sui periodi “stellati” quelli in cui si inserisce validamente l’artigia-nato. Il consenso nasce dal convincimento che proprio l’artigianato sia il tessuto connetti-vo e spesso formativo di tutta la civiltà artistica siciliana.

Collettività operanti, coralità artigianali, si trovano in varie regioni d’Europa, maper la Sicilia fatto nuovo è il ripetersi nello spazio temporale di tre millenni in una terraarata o calpestata da gente diversa di una persistente potenzialità germinativa con unprocesso di lievitazione a volte lentissimo ma altre volte rapido ed esplodente.

Questa coralità artigianale appare in Sicilia già nel VII secolo avanti Cristo differen-ziata in nuclei diversi che operano nella Sicilia Orientale ed in quella Occidentale, nucleiche subiscono o accettano respingono incontri con altri artigiani di diversa provenienzama riescono a mantenere il proprio accento e timbro e per la loro continuità nel tempo rie-scono a far prevalere la loro volontà di esprimersi e perciò pervenendo a risultati diversi.

Questi artigiani mantengono una ricettività pronta ma non passivamente imitativama presto mediata dalla individuale e permanente attenzione realistica e da una caricaromantica di espressività, apporto costante di permanenze tenaci in alcuni centri e inaltri, invece, quasi scomparsi. (…)

Attraverso l’artigianato la corrente d’arte ellenistico-romana si è infiltrata nei centricome Solunto, Palermo, Lilibeo ancora tenacemente legati alle permanenze dell’arte deifondatori: Fenici, Punici, Elimi. Gli artigiani scavano canali, creano ponti sotto e sopra ilsolco che divideva recisamente la Sicilia Orientale ellenizzata da quella panellenica: attra-verso gli artigiani giunsero dall’Africa le prime lucerne cristiane; le edicole di Lilibeo, itondi e le terracotte di Centuripe, la villa di Piazza Armerina testimoniano fino al V, VIsecolo la grande validità dell’artigianato siciliano continuamente vivificato da vari enuovi incontri che sovrapponevano nuove esperienze al più antico substrato. (…)

E come si svolgeva il lavoro nei cantieri di Palazzo Reale di Palermo con cambi escambi di tecniche e di esperienze e di gusto, di tradizioni avite e di acquisizioni recentitra artigiani diversi di provenienza: Siriaci, Armeni, Latini, Islamici, Lombardi, didiversa religione, maomettani o cristiani, e come questo lavoro - dal manto ricamato diRuggero II, agli smalti, alle oreficerie, ai tessuti, alla Cappella Palatina, al duomo diCefalù – riuscì a mantenere uno stesso timbro di voce in perfetta aderenza al luogo,all’ambiente storico in cui si svolgeva , ho cercato di mostrare nel volume recentementepubblicato sull’oreficeria. (…)

Per questa mia attenzione sempre avuta alla validità dell’artigianato siciliano sperovenga giustificato il mio intervento per esprime il consenso alla conferenza del prof.

Page 7: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

7

Caronia ed anche la speranza che i giovani studiosi di arte siciliana guardino con atten-ti occhi legandole alla propria terra le opere di questi artigiani che sono riusciti a mante-nere, anche nei periodi più nefasti per invasioni, per lotte fratricide, per violenze dellanatura, sempre viva la voce dell’arte.

Queste parole di Maria Accascina sul lavoro degli artigiani e quindi anche degliorafi e argentieri, ci hanno spinto a contribuire alla pubblicazione di questi scritti,poiché gli argomenti inerenti l’ arte possono proficuamente accompagnare l’orafo el’argentiere nella sua attività.

Come l’Associazione incentiva il disegno attraverso scuole e corsi di specializza-zione, utili ai fini della realizzazione delle opere d’arte in oro o in argento, di cui laSicilia e l’Italia tutta sono capofila, così abbiamo ritenuto che la pubblicazione diquesti articoli dell’Accascina possa essere spunto di utile riflessione e fonte di ispi-razione per gli artefici dell’oro e dell’argento, nonchè per i loro committenti.

Proprio ai giorni d’oggi, in un mondo in cui predomina una concorrenza dovu-ta ai bassi costi di produzione di diverse nazioni, solo l’inventiva e la creatività ita-liana in generale e siciliana nello specifico, possono rilevarsi di vitale importanza perribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione agli studi del nostro passato.

Ringrazio quindi, come presidente il consiglio dell’Associazione Orafi, per que-sta opportunità data agli appassionati e studiosi del mondo dell’arte e agli arteficidell’oro e dell’argento, la prof. Maria Concetta Di Natale e i suoi allievi dellaFacoltà di Lettere dell’Università di Palermo che hanno contribuito alla stesura diquesto importante e utile strumento di lavoro per operatori del settore, studiosi eappassionati d’arte.

La nostra gratitudine alla grande studiosa Maria Accascina era stata manifesta-ta già nel novembre 1975, all’indomani della pubblicazione del fondamentale volu-me Oreficeria di Sicilia dal XII al XIX secolo del 1974, quando Ella, invitata, inter-venne personalmente ad un incontro in suo onore organizzato dall’AssociazioneOrafa di Palermo con l’allora Presidente Gino Matranga e i vicepresidenti MarioGiglio e Franco Longo. L’anno dopo nel 1976 avrebbe pubblicato l’ultima suaimportante fatica, il libro dedicato ai Marchi delle argenterie e oreficerie siciliane, solodue anni prima della morte.

Silvano Barraja

Page 8: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione
Page 9: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

9

“Tutto da studiare, tutto da indagare, tutto da salvare. La Sicilia dorme, Ferraravede allineate sulle pareti del Palazzo dei Diamanti tutte le gioie della pittura fer-rarese, ben duecento cinquanta opere, richiamate dai più lontani musei; a Napoli staper sorgere la Casa dell’Artista perché siano possibili sempre e facilmente le mostred’arte retrospettiva e di arte moderna, di Firenze, di Venezia, di Roma sarebbelungo citare le iniziative continue per alimentare l’amore dell’arte, unica bellezzadella vita; ma forse a Messina danarosa e spendereccia qualcuno pensa ad organiz-zare una mostra delle pitture di Antonello da Messina o forse a Palermo s’organiz-za una mostra delle arti decorative siciliane o una mostra del nostro ottocento oforse sta per sorgere un Palazzo d’Arte che offra sale adatte per le varie espressionie sia richiamo e premio agli artisti? Domande retoriche”. Così scriveva MariaAccascina nel “Giornale di Sicilia” il 7 aprile 1934, ed è proprio per reagire all’im-mobilismo siciliano, alla Sicilia che “dorme”, che la studiosa dalla forte personalitàs’impegnava in qualità di critico d’arte per il quotidiano palermitano1.

Maria Accascina, nata il 28 agosto 1898 a Napoli da famiglia originaria diMezzojuso, aveva studiato a Palermo dove si era laureata nel 19222. Tra le tappe piùsignificative del suo percorso di studiosa si ricorda la frequenza alla Scuola diPerfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna dell’Università diRoma, di cui conseguiva il diploma nel 1927, dove aveva avuto per maestro AdolfoVenturi. Duraturo diviene il legame con il grande studioso, come lascia trasparirein un articolo del “Giornale di Sicilia” del 1939 dedicato a Libri d’arte. Michelan-gioleschi siciliani, con esplicito riferimento: “La Storia dell’Arte di Adolfo Venturiprocede con un fervore che il tempo e le gravi vicende non interrompono, con unardore di ricerca che non si placa ad ostacolo, con una diligenza che mai diminui-sce. Quando un nuovo periodo storico viene affrontato nella sua complessità e stu-diato nelle varie opere d’arte che lo illuminano, da Adolfo Venturi, allora avvieneun improvviso chiarimento, come un dipanarsi di arruffata matassa, come un illu-minarsi improvviso di tutti gli angoli più scuri. I due ultimi volumi sulla Scultura delCinquecento, rappresentano la prima sintesi della plastica italiana nel 500, in quelperiodo di tempo in cui il genio di Michelangelo dominò e parve offuscare ognialtra personalità di artista. Tutti gli altri scultori, tranne il Sansovino e il Cellini, for-

Dalle pagine del Giornale di Sicilia:l’osservatorio culturale di Maria Accascina

Maria Concetta Di Natale

Page 10: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

10

mavano infatti una massa indistinta, classificata col nome di manieristi, nome chenon era pronunziato senza dispregio, forse perché pareva un tempo che la perfettaconoscenza del mestiere non avesse alcun pregio. Il manierismo plastico cinquecen-tesco si illumina invece di una luce così potente, di una dignità così grande da benmeritare un acuto e intelligente esame come quello fattone da Adolfo Venturi”.3

Fu proprio il Venturi ad assegnarle una tesi sull’oreficeria medievale, segnandol’inizio delle ricerche per uno dei suoi settori artistici prediletti.

Negli stessi anni aveva insegnato Storia dell’Arte al Liceo Umberto di Palermo.La predilezione per gli studi di argenteria siciliana, in cui la studiosa ha segnato

la strada da vera pioniera, ha spinto l’Associazione degli orafi e argentieri diPalermo, guidata dal presidente Silvano Barraja, a collaborare, in segno di profon-da stima, alla pubblicazione della raccolta di tutti gli articoli scritti da MariaAccascina sul “Giornale di Sicilia” negli anni 1934-37, che la stessa ritagliava e con-servava gelosamente, realizzata in occasione del Convegno di studi in suo onore. Èuna significativa parte di tutta la serie degli articoli scritti dalla studiosa per il quo-tidiano palermitano, il cui completamento, fino al 1941, è in programma di pubbli-cazione. Non a caso, tra questi articoli, numerosi sono quelli dedicati alle arti deco-rative in genere e all’oreficeria e all’argenteria in particolare. Questi spesso, già baseper pubblicazioni in riviste scientifiche nel corso degli anni4, hanno la loro organi-ca conclusione nei due fondamentali volumi Oreficeria di Sicilia dal XII al XIX seco-lo del 1974 e I Marchi delle oreficerie e argenterie siciliane del 19765, ultima faticadopo una lunga vita dedicata allo studio e alla ricerca sul campo.

Nel 1927 Maria Accascina era stata assunta nella Real Amministrazione delleBelle Arti in qualità di ispettore addetto al Real Commissariato per la tutela deglioggetti d’arte in Sicilia. Impegno morale mai tralasciato dall’instancabile studiosanella sua lunga vita e che traspare in numerosi suoi articoli del “Giornale di Sicilia”.

Questo incarico le consentiva di poter individuare e studiare numerose impor-tanti opere d’arte che pubblicava in riviste specializzate6.

Dal 1928 al 1930 le era assegnato l’incarico di ordinare la sezione delle opered’arte medievali e moderne del Museo Nazionale di Palermo, ancora altri elemen-ti per nuovi suoi articoli specialistici7. Negli stessi anni insegnava Storia dell’Artenel Liceo Artistico di Palermo.

Si giunge così agli anni Trenta in cui l’Accascina collaborava con il “Giornale diSicilia”, in qualità di storico e critico d’arte, e precisamente dal 1934 al 1941, conqualche sporadica presenza in periodi successivi.

Sofia Cuccia, ordinando le “carte” di Maria Accascina sottolinea come “le anno-tazioni relative all’attività giornalistica, in qualità di critico militante del Giornale diSicilia (…) mettono in evidenza il vivace rapporto con il pubblico: della partecipa-

Page 11: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

11

zione a tutte le mostre nazionali, regionali e sindacali, informava i lettori e segnala-va paesi sconosciuti della Sicilia, e tesori, ed opere identificate nelle assidue ricogni-zioni, e artisti poco noti, e libri d’arte e monumenti che necessitavano di restauro”8.

Gli articoli offrono anche un significativo spaccato della società dell’epoca. Sonouna pagina di storia sociale che lascia emergere usi, tradizioni, abitudini del perio-do fascista in Sicilia e in Italia. Si evince chiaramente il ruolo affidato dal regimeall’arte sia del passato che della contemporaneità e il suo fine educativo e propagan-distico nel panorama culturale. Si percepisce la volontà della studiosa di legare laSicilia all’Italia in una unità anche culturale. La visione della critica d’arte di MariaAccascina sembra andare al di là per taluni aspetti del periodo storico in cui vive eopera, pur se talora resta inevitabilmente imbrigliata entro i limiti dell’era di cui èfiglia e di cui condivide emotivamente gli ideali.

Il taglio giornalistico conferito ai suoi articoli risulta fortemente incisivo e dal-l’effetto comunicativo-divulgativo. Tra i suoi meriti è certamente anche quello diaver fatto conoscere, tramite un quotidiano, strumento di comunicazione di massa,ai suoi lettori contemporanei tematiche non solo di storia, ma anche di critica d’ar-te e di tutela di tutto quel patrimonio che oggi viene definito dei beni culturali insenso lato, di cui la studiosa percepiva l’inscindibile globalità, informazioni altri-menti destinate solo ad un pubblico elitario.

Nei suoi articoli passava con straordinaria disinvoltura da argomenti di artedecorativa e arte sacra nelle Madonie ad altri monografici su pittori dell’Ottocentosiciliano, da quelli sul patrimonio artistico isolano, ad esempio sull’arte ericina e tra-panese, a quelli che recensivano mostre d’arte regionali o di rilievo nazionale, comeBiennali, Triennali, Quadriennali, da quelli sui grandi pittori del Rinascimento, adaltri di archeologia. Gli articoli erano sempre arricchiti da fotografie, segno dell’im-portanza che la studiosa attribuiva al sussidio fotografico per la conoscenza, ladivulgazione e lo studio dell’opera d’arte. Non è stato possibile per scelta editoria-le inserire nella presente raccolta tutte quelle interessantissime immagini fotografi-che che arricchiscono, impreziosiscono e completano gli articoli della studiosa.

Coinvolgente risulta quando negli articoli rievocava ambienti che riusciva a ren-dere concretamente percepibili ai suoi lettori che voleva costantemente spingere aduna nuova consapevolezza e sensibilità nei confronti del proprio patrimonio artisti-co per una migliore tutela, salvaguardia, valorizzazione dello stesso.

Auspicava che le opere d’arte venissero preservate da comuni fattori di deterio-ramento, quali umidità, polvere, insetti; denunciava la necessità di urgenti interven-ti di restauro e non taceva della mancata tempestività degli organi competenti odella cattiva qualità, oggi diremmo mancata “scientificità”, di alcune operazioni direstauro.

Page 12: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

La studiosa concludeva abilmente i suoi articoli con frasi incisive spesso ironi-che o polemiche, tendenti a spingere i lettori a momenti di riflessione sulle temati-che affrontate. La sua prosa forbita risultava legata ancora all’uso di terminologielinguistiche tipiche dell’epoca e ormai spesso non più utilizzate e con la tendenzaspesso a italianizzare i nomi di persona in conformità alle direttive politiche delregime fascista.

Principale linea guida era la forte consapevolezza di una specificità culturale pro-pria della Sicilia. La studiosa era particolarmente sensibile al fascino delle radici,delle origini, delle tradizioni, della memoria. Passando con estrema versatilità da unargomento all’altro, dalle recensioni di libri a quelle di mostre in cui tendeva a valo-rizzare nuovi talenti locali e espressioni artistiche, alla scoperta e analisi di opered’arte, dall’architettura, alla pittura, alla scultura, alle arti decorative tutte, affronta-va le tematiche diverse con la profonda convinzione dell’assoluta pari dignità ditutte le varie espressioni artistiche al di là di forme e materie. Il suo metodo di ricer-ca e di studio si evince anche dagli articoli sul giornale: indagine sul campo e visio-ne diretta delle opere, che particolarmente l’appassiona, ricerca di fonti manoscrit-te, documenti d’archivio, e testi a stampa, confronto con opere d’arte della stessatipologia e di settori diversi, per rilevare analogie di stili e influenze.

Già nel 1934 iniziava a scrivere nel “Giornale di Sicilia” articoli dedicatiall’Ottocento siciliano, notando che “se un giorno o l’altro una mostra dell’ottocentosiciliano si facesse in Italia, sarebbe ben certa l’esclusione della Sicilia, così comeessa fu esclusa alla mostra del settecento svoltasi or sono pochi anni a Venezia. Néci sarebbe da muover querela, dato che l’ottocento siciliano è così scarsamenteconosciuto pur entro i confini dell’isola (…). Fino a quando non sorgano monogra-fie illustrative fino a quando non siano studiati i rapporti fra la nostra arte e quelladelle altre regioni d’Italia, l’arte dell’ottocento resterà ai margini della critica d’artee sarà condannata alla dimenticanza, ancora una volta facendo apparire la Siciliastaccata dal ceppo italiano nei movimenti artistici e culturali”9. Queste ultime frasiesemplificano la sua convinzione del legame artistico tra l’isola e la penisola chenecessita di essere maggiormente evidenziato.

La sua attenzione per la pittura dell’Ottocento siciliano, e la visione dei passi dacompiere verso lo studio sistematico della stessa, che, partendo da singole mono-grafie degli artisti, giungesse alla globale visione, appare chiara sin da questi primiarticoli. Così nel 1935, ricorda i cinquan’anni passati dalla morte di Salvatore LoForte e riporta il necrologio del pittore apparso sul “Giornale di Sicilia”: “Di lui lastoria dirà un giorno quello che a me non è lecito dire, cioè come egli dopo ilNovelli fosse il più degno continuatore di quella scuola che il grande Monrealeseportò in Sicilia, e come egli avesse fra noi rinnovata l’arte del dipingere nei primor-

Page 13: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

13

di di questo secolo guasta e corrotta da folli ingegni e come egli meriti che il suonome venga tramandato ai posteri con lettere d’oro”. E commentava: “Ma cin-quant’anni son passati senza che il nome di Salvatore Lo Forte sia passato nel libroaureo della storia dell’arte siciliana, e da questo nell’altro dell’arte italiana, senzaportare uno studio compiuto, senza una raccolta dei suoi quadri, ma tutto avvolgen-do nel velo grigio della noncuranza, tristissimo, come il tarlo e la polvere sulle coseamate che credemmo eterne”10. Il suo esplicito apprezzamento per la pittura del LoForte emerge dal malcontento per la mancata attenzione alla sua opera.

Scrivendo del pittore garibaldino Filippo Liardo, appassionatamente concludeva:“Speriamo che presto altri quadri si aggiungano ai pochissimi illustrati e che la per-sonalità di questo maestro possa gradatamente risultare più chiara. Ma intanto c’èanche da studiare e da ammirare tutti i disegni e gli acquarelli eseguiti durante lecampagne garibaldine che hanno un grande valore d’arte, così rapidi ed efficacicome sono, così vibranti ed immediati, e poiché hanno anche un valore storico dieccezione sarebbe desiderabile che passassero alla Galleria di Palermo, con il dupli-ce scopo di contribuire alla ricostruzione storica della vita dell’artista e di illustrarenel modo più sincero ed efficace le varie giornate di quella epica marcia di libera-zione, di vittoria”11. Ancora una volta appare evidente la sua attenzione non solo aivalori dell’arte, ma anche a quelli inscindibili della storia, al conseguente traman-darsi della memoria verso una costruttiva fruizione. I disegni del Liardo, ricordatidall’Accascina, sono passati alle collezioni pubbliche e si trovano oggi al Museo delRisorgimento di Palermo.

Restando in tema di Ottocento siciliano, titolo che premetteva sempre ad ogniarticolo che trattava di quel periodo storico anche nel corso di più anni, scrivendodi Giuseppe Pataria, notava che “la sua pittura piaceva molto ai suoi tempi, e lecommissioni fioccavano da tutti i paesi di Sicilia; era nota ed elogiata financo inAmerica ed anche in Francia, dice il Gallo, l’amicone che gli stava sempre ai fian-chi, suonando il piffero ad ogni opera del maestro. Era naturale quindi che moltigiovani frequentassero lo studio di Giuseppe Patania apprendendovi l’ossequio atutte le divinità vecchiotte dell’Olimpo, il disegno sui disegni dei grandi maestri esulle stampe oltre che sui gesti, a piallare il colore con ogni diligenza e lustrarlo allaperfezione a copiare trine, collaretti e boccoli, scarpe nere con fibbia di metallo. E,una volta capita la pittura del maestro, si sforzarono di imitarla non dando sover-chio valore a quella riforma che il Patania veniva operando nella ritrattistica, rifor-ma che si afferma con il superbo ritratto di sacerdote nella Galleria Municipale diPalermo. Ma credo che neanche lo stesso Patania se ne rendesse conto continuan-do sincronicamente a quel quadro a dipingere i soliti quadretti mitologici, deliziadel Gallo, che li commentava con poesie mielate e zuccherate”. Concludeva: “L’arte

Page 14: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

14

non procede mai coi discepoli fedeli ma con gli infedeli. L’arte siciliana progredìinfatti con Salvatore Lo Forte, con Luigi Lojacono, con Filippo Liardo, con queipittori che sentirono il bisogno di allontanarsi dal maestro e di fuggire altrove aguardare il mondo, a vivere altre esperienze”12. La studiosa, pur intuendo la qualitàe la novità di alcune opere del Patania, ribadisce la sua predilezione per la pitturadel Lo Forte e di altri artisti meno fortunati.

In un articolo del 1937, a proposito di una Mostra al Castello Sforzesco, escla-mava: “Fortunato sempre quel Giuseppe Patania! In vita, onori e glorie, un amicosempre pronto a batter la grancassa, come Agostino Gallo, quadri e quadretti, gran-di e piccini, da Carini ad Acireale, da Trapani a Ragusa; dopo morto un collezioni-sta intelligente delle sue opere come Empedocle Restivo, qualche antiquario intel-ligente, qualche buon artista: insomma, alla resa dei conti, un fortunato”13.

Ancora interessanti commenti si possono rilevare sull’emergenza solo di alcunefigure di artisti nel panorama dell’Ottocento siciliano: “Si vedrà qualche paesaggiosiciliano alla XXI Biennale di Venezia? Forse di si, perché il nome di Francesco LoJacono è giunto ad oltrepassare quel cerchio ferrigno di indifferenza o di dimentican-za che chiude in abbandonato recinto i pittori dell’ottocento siciliano; ed essendo eglirimasto legato nell’ispirazione alla sua terra e avendo costantemente guardato ulivi,valli assolate e marine, è divenuto alla fine l’esponente, unico, del paesaggio siciliano,così come le tre colonne e il frammento di trabeazione del tempio di Castore e Pollucesono diventati, merito o immerito, l’emblema di tutta la terra agrigentina”14.

Dei miniaturisti dell’Ottocento scriveva che “romantica è la miniatura: tutta la dili-genza dell’artista che in pochi centimetri di avorio o di pergamena ha stabilito rap-porti di volumi e di tinte, con pazientissima mano e preciso occhio, quel suo ardorecontenuto e paziente, quell’intelligente sguardo che sa cogliere il bello e trascurare ilmediocre” e, dopo un’interessante rassegna di opere ed artisti, conclude: “Ma le avevatrascurate anche «il chierico Di Marzo», con sommo rincrescimento di AgostinoGallo, diligentissimo nel seguire i valori locali. E questa volta, nell’acre rimprovero,Agostino Gallo aveva ragione”15. Maria Accascina conosceva bene i testi a stampa e imanoscritti allora inediti degli studiosi dell’Ottocento siciliano16 e padroneggiava lefonti locali in genere per l’arte siciliana, tanto da farle ancora dialogare tra loro e con-versare lei stessa argutamente con esse in una sapiente dialettica.

Notava le differenze culturali e stilistiche, dovute a diverse influenze, della pit-tura dell’ottocento catanese rispetto a quella palermitana e in prosito nel 1937 scri-veva: “Tutta la pittura catanese nella seconda metà dell’ottocento, forma un bloccocompatto nella storia della pittura siciliana; è pittura tragica, austera, dominata piùda finalità didascaliche, da presupposti sociali, piuttosto che da intenti edonistici;pittura sconsolata e grigia. A Palermo, i pittori avevano trovato nello studio del pae-

Page 15: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

15

saggio un mezzo di evasione e nel colore, nella luce, nello spazio, nella pitturainsomma un mezzo lirico. A Catania, niente paesaggio, quel paesaggio tutto verdetrapunto di fiori d’oro, lambito dagli azzurri del mare e dai candori dell’Etna, nien-te incantevoli ozi nella contemplazione incantata della natura, come i pittori diPosillipo insegnavano: a Catania si pensa alla società e al popolo. Domenico Morelliimperava con una pittura ricca di contenuto, insegnava ad interessarsi del contenu-to, e tutti i pittori catanesi furono morelliani”17.

Il 4 dicembre 1937 narrava come Andrea D’Antoni s’infiammasse alle letture diDante fatte dal Perez e che “i fantasmi danteschi si ricomponevano in lui comealtrettante voci di libertà e di vendetta. Disegnatore espertissimo, con un disegno cheaveva fatto le sue prime prove negli studi di anatomia, guidato dall’ardore dantesco,sostenuto dal Perez, egli divenne l’illustratore della Divina Commedia e l’illustrò fer-mando il contenuto più drammatico, la scena più didascalica”. Continuava ancora“Nell’arte, da bravo romantico, egli, il D’Antoni, non vedeva che questo: la finalitàmorale e politica, i fatti illustri, e le forti passioni purché ci sproni a virtù o smasche-ri infamia e vendichi i danni di noi stessi e dell’intera umanità. La Divina Commediagli offriva, quindi, larghissima messe di soggetti: l’inferno, il Purgatorio, il Paradiso,canto per canto, offrivano sempre i soggetti desiderati: virtù premiata, vizio punito,scene terrificanti di odio e di amore”. Continuava: “Disegni e disegni, quanti, ne ven-nero fuori dalla sua espertissima mano, così precisi e taglienti, che par siano da pas-sare nel rame o nel cristallo di rocca, minuti e precisi, che danno tutto, corpo emuscoli, spirito e cuore, con un calore di vita che mai il D’Antoni raggiunse nellepitture di soggetto dantesco o storico e con una perfezione che lo stesso Lo Forte,pur allievo del Camuccini, mai eguagliò o vinse”. Concludeva infine: “Nei disegnidella Divina Commedia, fu sempre eguale a se stesso, perché eguale era sempre il suoentusiasmo, eguale la sua passione per Dante, primo assertore di Italianità”18.

Gli articoli sulla pittura dell’Ottocento in Sicilia fornirono la base per la pubbli-cazione nel 1939 del suo volume Ottocento siciliano. Pittura19.

Dall’Ottocento passava a guardare il mondo artistico a lei contemporaneo, e nel1934 si entusiasma per l’attualità pittorica di Francesco Camarda che si esprime con“parole semplici e chiare: l’amore alla verde terra, al frutto, al bimbo, al mistero eter-no e divino del mondo che si rinnova, al cielo percorso di nuvole, allo spazio, libe-razione e gioia dello spirito, estrema purificazione. Parole semplici e belle che tro-vano il ritmo più aderente, il colore più schietto e sincero. Piccolo mondo , ma adentrarvi si sorride e si gioisce”20.

Per la mostra delle opere di Antonio Ugo, tenutasi al Circolo artistico, il 20novembre 1934, in occasione dei suoi cinquant’anni d’arte, scriveva: “Antonio Ugoappartiene a quella famiglia assai numerosa di artisti italiani cui natura amica largì

Page 16: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

16

il dono di spontanea arte come largisce all’allodola il canto, alla rondine il volo; cuile mani ancora giovanetto furono toccate dalla grazia e rese capaci di modellarenella creta il primo sogno di forma, senza pene e tormento; a quelli che procedonodirittamente nella via ed hanno lieve il passo e non conoscono stanchezza”21.

Informata sull’arte contemporanea, visitava personalmente le mostre che recen-siva. Viaggiò molto nella sua lunga vita, mirando a vedere direttamente tutto quel-lo che riguardava i suoi studi rivolti all’arte.

Non mancava di fermare la sua attenzione alle mostre dei pittori Futuristi e il20 marzo 1935 scriveva: “L’aeropittura non è l’arbitraria novità lanciata dalla sma-niosa mente di pochi futuristi; non è reazione colma di violenza, non è invenzio-ne isolata, avulsa dalla tradizione; ma essa è veramente la fatale evoluzione di unlunghissimo ciclo di esperienze, è la rapida giornata di marcia in un cammino datempo intrapreso”. Commentava poi che “si prevedono subito le accuse” e tra que-ste “che il dominio del cielo è riservato ad una minima parte degli uomini e che leesperienze sensibili che alimentano la fantasia dell’aeropittore non sono ancorauniversali. Martinetti risponderebbe: volate, alimentate di azzurro la vostra fanta-sia, e comprenderete l’azzurro”22.

Nel panorama del Novecento, analizzando le più diverse figure di giovani arti-sti, non poteva non individuare le qualità disegnative di Lia Pasqualino Noto e pit-toriche di Renato Guttuso, ricordando alla II Quadriennale d’arte del 1935 tredisegni della prima e il dipinto dal titolo “Tre donne” del secondo, dalle figure“disposte nello spazio in una originale architettura e in una asproccia ma simpaticacomposizione cromatica”23.

La consapevolezza delle diverse realtà artistiche del Novecento emerge peraltrochiaramente dalle innumerevoli recensioni delle diverse Mostre d’arte contempora-nea. L’attenzione al mondo contemporaneo spaziava inoltre a tutte le espressioniartistiche così nel 1934 a proposito di Arte decorativa siciliana. La prima mostra deiprodotti artigiani scriveva, prendendo come eloquente esempio della situazione laproduzione siciliana dei “mobili”: “Esiste una vera tradizione di mobilio siciliano,eseguito cioè in Sicilia, con legni di Sicilia, da artisti siciliani, con caratteri stilisticioriginali. Non ha vanto di remota antichità come a Firenze e a Siena: fu nel quat-trocento legata ad imitazioni catalane, ma nel seicento fu veramente bella per gusto,per trovate ornamentali, per turgide movenze, esuberante, ma non soffocante perl’ornamento intagliato o sovrapposto; raffinatissima fu nel settecento, con una gra-zia più contenuta e sobria dei mobili di Venezia, con una tecnica meno raffinata maugualmente ricca di risorse dei mobili francesi; ebbe nell’ottocento tutti i difetti del-l’epoca, ma con pregi di solidità e di praticità. Una tradizione continua e maestran-ze espertissime, attrezzamento opportuno. Si poteva essere all’avanguardia nella

Page 17: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

17

produzione moderna. E invece no. La mania dell’imitazione dell’antico, comincia-to nel postguerra degli arricchiti, è rimasta in Sicilia con tenace presa, spingendo gliartisti e gli artigiani a mantenere immutato quel repertorio a base di zampe di leoni,di volute di acanto, di modanature quattrocentesche e via di seguito e insistere nellaimitazione dello stile Luigi XV e Luigi XVI. Cosicché, mentre le industrie mobi-liere nordiche sono molto attive e partecipano alle mostre nazionali e cercano con-tinuamente di lanciare nuovi tipi, nuove combinazioni di legni, le siciliane si sonoritirate da ogni gara e ristagnano in una pigra immobilità. Fu gran fortuna vederealla mostra triennale di Milano alcuni mobili, modernissimi ed originali, mandatidallo Istituto d’Arte di Palermo che, presieduto dal Commendatore Ziino e diret-to da Paolo Bevilacqua in pochissimo tempo si è posto all’avanguardia per l’educa-zione delle nuove maestranze. Ma si tratta di rara eccezione”24. Nel panorama varie-gato delle diverse espressioni artistiche siciliane, si districava con disinvoltura attra-verso settori al suo tempo solitamente non conosciuti o indagati, come la storia delmobile siciliano.

È sorprendente quale già fosse nel 1934 la sua competenza nella Storia dell’ar-genteria siciliana. Scrivendo infatti di Oreficeria barocca in Sicilia.L’urna di S. Rosaliapresentava un magistrale excursus: “A frugare nei tesori delle chiese di Sicilia sipassa da una sorpresa ad una gioia. Il tesoro della Cattedrale di Enna è il più favo-loso, ricco come è dei più rari esempi d’oreficeria classica e delle più belle orefice-rie barocche. Quivi si conserva la corona della Madonna, testimonianza della piùraffinata esperienza degli orafi palermitani. La bella corona è tutta a fregi smaltatie sui fregi si appuntano qua e là diamanti, rubini balasci; cornici di diamanti circon-dano piccoli rilievi smaltati con i fatti della vita della Vergine e angeli, mentre sboc-ciano dai fregi sirenette dorate. Due furono gli orafi che compirono nel 1652-53 indieci mesi questo prodigio di oreficeria: Leonardo Montalbano e MicheleCastellani, ambedue palermitani. L’opera ha infatti a Palermo i più immediati pre-cedenti: l’ostensorio di argento dorato tutto ad intagli del tesoro di San Domenicoa Palermo, il calice a smalti del tesoro della Cappella Palatina, i frammenti delsuperbo ostensorio di S. Ignazio martire di Palermo, eseguito con le gemme dona-te dalla contessa di Maino, Donn’Anna Graffeo, (Palermo - Museo). Ma quanteopere belle anche negli altri tesori di Sicilia; a Messina c’è un ostensorio in oromagnifico, a Mazara un altro ostensorio incantevole per linea, per ornato ed unpaliotto d’argento fra i più belli di Sicilia; a Caccamo una mazza originalissima conmotivi decorativi tratti dallo stemma della città; a Trapani nel Museo opere ricchedi coralli e di smalti; a Noto un piatto d’argento sbalzato; a Catania, a Palermo aSiracusa i tesori traboccano di opere d’arte. E quante urne reliquiarie. Non vi fuchiesa di Sicilia che nel seicento non volle custodire le ceneri del Santo protettore”.

Page 18: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

18

Passava così a ricordare come nel 1625 “il cardinale Giannettino Doria, commossoper il rinvenimento del corpo di Santa Rosalia ordinava che si costruissero due urneuna provvisoria di argento e cristallo e l’altra tutta di argento per custodire le reli-quie della Santa. L’urna d’argento fu completata al 1631”. Concludeva affermando:“La cassa è unica per bellezza nella storia dell’oreficeria barocca d’Italia ed è stret-tamente palermitana”25.

Negli articoli degli anni 1934-35 prediligeva, anche, più volte temi d’arte sacradei paesi delle Madonie, territorio allora pressocchè inesplorato. Nel 1934 scrivevaNote d’arte siciliana. Quadri, argenti e stoffe a Petralia Sottana, ricordando la figuradell’artista di Gangi, Giuseppe Salerno “pittore non fortunato che, trascinandosidietro quel soprannome di Zoppo di Gangi pare sia condannato in eterno a zoppi-care dietro Pietro Novelli l’unico maestro ben noto del nostro seicento. E invecenella storia della pittura siciliana, io non saprei additare pittore più fervido di inge-gno e più desideroso di novità”. Passando con la sua usuale disinvoltura dalla pittu-ra alle arti decorative, continuava: “tutte le oreficerie che si conservano nel tesorodella Chiesa Madre di Petralia Sottana portano il marchio palermitano (…). Visono opere assai belle e vi è soprattutto un magnifico calice (…), tipico esempio dicalice siciliano del cinquecento con base stellata a foglie di cardo (…). E se ognipaese della Sicilia custodisse le opere d’arte con il fervore che oggi anima PetraliaSottana e se, per contributo di popolo, venissero eseguiti quei minimi lavori direstauro che risparmiano la distruzione altrimenti inevitabile dell’opera d’arte, cosìcome Petralia Sottana, animosa e fascista, si propone di fare per la chiesetta di SanFrancesco, molta parte della nostra storia dell’arte, che è anche storia della civiltà,sarebbe salva”26. Emerge da queste frasi l’importanza riconosciuta dall’Accascina alvalore educativo dell’arte, secondo peraltro le direttive del regime, che, anche infunzione di tale finalità, deve essere trasmessa ai posteri. La studiosa è pienamenteconvinta che ciò sia realizzabile solo con la consapevolezza e il diretto coinvolgi-mento dei cittadini, quei lettori ai quali direttamente si rivolge.

Di Un Giudizio finale in tono minore, scrivendo il 27 giugno 1935, osservava: “C’èsi sa un Giudizio finale in tono maggiore: quello dipinto da Michelangelo nellaCappella Sistina negli anni 1534-1541. Ma c’è anche un Giudizio finale in tonominore dipinto da Giuseppe Salerno detto Lo Zoppo lo Gangi nell’anno 1629 (…).Tolta la polvere il quadro mi si rivelò allora di una imponenza e di una novità vera-mente confortevole”. E commenta: “Sono passati esattamente settanta anni daquando Michelangelo compì sulla parete della Cappella Sistina, l’immenso affrescoche certamente il Salerno vide e ammirò nel suo soggiorno a Roma avvenuto tra il1585 e il 1593. Ma accingendosi anch’egli a dipingere (…) l’immensa tela di egua-le soggetto non volle imitarla (…) manifestando chiaramente il proposito di cor-

Page 19: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

19

reggere tutti i presunti difetti già malevolmente rinvenuti da molti presunti criticinell’eroica opera michelangiolesca. (…) Nella rappresentazione dell’inferno l’artistapaesano non ha pensato di imitare la mirabile sintesi michelangiolesca, ha volutoinvece spiegare chiaramente ai suoi concittadini quali peccati sono particolarmentepuniti”. Conclude notando che: “si tratta di un inferno spiegato e semplificato perl’uso paesano. (…) Pietro Aretino aveva notato con moltissimo sdegno cheMichelangelo (…) ha mostrato (…) i Santi privi di ogni celeste ornamento. Edecco Giuseppe Salerno preoccuparsi (…) del celeste ornamento dando bei vestiti,bei colori a tutti i Santi”27. Rileva, dunque, il movente didascalico del GiudizioUniversale dello Zoppo di Gangi, che peraltro bene risponde alle indicazioni con-troriformistiche.

La conoscenza della scultura marmorea del Quattrocento e del Cinqucento deipaesi delle Madonie balza evidente dall’articolo del 1935 su Nove autori in cerca distatue: “I nove autori in cerca delle loro opere plastiche lasciate a Polizzi in queltardo Quattrocento e in quella prima metà del Cinquecento, così ansiosi di opered’arte e di sontuosa bellezza, sono: Domenico Gagini, Giorgio da Milano, GiulianoMancino, Bartolomeo Berrettaro, Pierpaolo Di Paolo romano, Luigi di Battistapalermitano, Francesco del Mastro carrarese, l’anonimo di una Madonna colBambino datata 1473 e l’anonimo del sarcofago di Francesco Notarbartolo. Totalenove. I nomi sono poco conosciuti ove si tolgano i Gagini, maestri che per averlavorato tutti, il padre Domenico, il figlio Antonello, i nipoti Giandomenico,Antonio e Giacomo, i nipoti Fazio, Vincenzo e Nibilio, con opere buone, mediocrie noiose in quasi tutte le città e i paesi dell’isola, sono divenuti di una grande noto-rietà”28. Quello della scultura di età rinascimentale in Sicilia fu un altro dei filonidi ricerca particolarmente cari all’Accascina, che tuttavia non vide mai una sua pub-blicazione complessiva29.

A proposito della sua visita a San Mauro Castelverde nel 1935 scriveva: “ Giunsia San Mauro col cuore in festa . Da Petralia Sottana fino a raggiungere il mare, erastata una corsa tra campi e declivi gonfi d’oro, un fuggire di neri sugheri e di aceriannosi; poi nel risalire dal mare all’aspriccia rocca di San Mauro, un trasmutare con-tinuo di paesaggi di limpido verde macchiato da ciuffi di gerani, ed un’ascesa facilee lieve nell’ampio spazio dove le cime più alte venivano incontro ad umiliarsi, facen-do una rapida ronda intorno e poi separandosi in presta fuga. (…) Andavo a SanMauro ubbidendo a due richiami: quello di una Madonna di Domenico Gagini, del-l’unico scultore a me caro fra i tanti di quella terribile ed invadente famiglia, e alrichiamo di un reliquiario bellissimo in argento dorato e smalto, forse opera di esper-tissimo orafo lombardo del tardo 400. C’era poi anche la speranza dell’ignoto, ficca-to nei magazzini ben colmi di ragni, nelle chiese abbandonate, nelle funebri sacre-

Page 20: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

20

stie”. Concludeva amaramente: “Vedevo nelle chiesette odorose di gelsomini muo-versi le candide lane delle suore Domenicane ed ascoltavo un po’ distratta le parole.La cassaforte era dinanzi a me e fra poco si sarebbe aperta. E invece la cassafortenon si aprì. Avevo atteso per sei anni che il compimento della strada automobilisti-ca per San Mauro mi consentisse la gita, avevo preparato per l’illustrazione dell’ope-ra appunti e note, avevo fatto novanta chilometri al sole nel torrido luglio, inutilmen-te. Tutto per colpa forse di un pisolino del Podestà. Così è la vita”30. Questo branofornisce l’esempio di una tra le più frequenti difficoltà incontrate dalla studiosa nellaricerca sul campo per quell’indispensabile visione finalizzata allo studio scientificodelle suppellettili liturgiche d’argento. Maria Accascina visitò moltissimi luoghi allaricerca di opere d’arte inedite e verso la visione personale di altre note, avendo chia-ra la necessità della conoscenza diretta di ogni prodotto del fare umano, indispensa-bile per una corretta ed esaustiva analisi che doveva tuttavia essere completata conraffronti stilistici e opportuna ricerca di fonti e studi.

Gli articoli sull’arte madonita del 1935 culminano con quello sulla Mostra d’ar-te sacra nelle Madonie, organizzata dalla studiosa stessa e realizzatasi presso un con-vento di Petralia Sottana nel 1937. Con la sua usuale prosa accattivante scriveva:“Sono passati molti anni, ma la meraviglia e l’incanto che ebbi quando a GeraciSiculo l’Arciprete aprì il vecchio armadio nella sagrestia della Chiesa Madre permostrarmi quel ricchissimo tesoro, io non li ho più riprovati neanche dinanzi aitesori più favolosi di Roma o di Assisi, di Vienna o di Londra” così MariaAccascina iniziava il suo articolo e più avanti precisava: “Sorse allora per la primavolta l’idea di una mostra dei tesori delle Madonie, ma appena sorta la rimandaisubito nel regno dell’impossibile. Ritornò ancora quando a Gangi vidi altre stoffeed oreficerie ed una stupenda portantina settecentesca e quando ad Isnello vidi unasfilata di magnifici calici del cinquecento siciliano ed una pianeta trapanese di raraeleganza; divenne insistente quando, a Petralia Sottana, vidi l’ampia sacrestia col-marsi di velluti, di broccati, di damaschi e dagli armadi uscire ininterrottamenteopere belle d’oro e d’argento; più ancora a Petralia Soprana, ove, tra i molti emagnifici oggetti, s’impose alla meraviglia una pianeta della fine del quattrocentotutta ricamata a punto arazzo su disegno, pareva di un antonelliano; si approfondi-va sempre più nel desiderio a Polizzi Generosa davanti ad un superbo reliquiario inargento, una delle opere più caratteristiche dell’argenteria siciliana e davanti al piùperfetto, al più armonioso calice del rinascimento palermitano; a Collesano peralcuni quadri della fine del quattrocento di massimo interesse; a Castelbuono dovestoffe e oreficerie mostravano la loro superba gamma di colori e di forme e dove sitrovano alcuni pezzi di eccezione come il paliotto della cappella di S. Anna e il reli-quiario gotico catalano della Chiesa Madre”31. La studiosa continuava ancora sof-

Page 21: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

21

fermandosi su sculture marmoree, lignee e architetture settecentesche, mostrandocome conoscesse l’arte tutta, indistintamente, di quell’area montana della suaSicilia.

La figura carismatica e appassionata di Maria Accascina riusciva, con la sua pre-senza costante e partecipativa, ad essere fortemente coinvolgente anche con i per-sonaggi più semplici della popolazione, come è evidente nell’articolo del 1937 dedi-cato alla Mostra dell’Arte sacra delle Madonie: “Zona di terra ricca d’arte e di leggen-de, viva oggi, tra le più vive di Sicilia. Di questa sua vitalità diversa nel passato que-sta mostra è l’indice: testimonia la comprensione di molte parole, l’adeguazione amolti esempi, l’ubbidienza a molte esortazioni. Si prepara in silenzio, con ardore econ una segretissima anzia che non osa farsi parola. Ma ogni contadino che passa efa solecchio per guardare l’opera che si compie grida: Festa granni signuredda! Festagrande nel cuore e nelle cose”32. La “Signorina” Maria Accascina era ormai perfet-tamente inserita nell’ambiente, era una vera cittadina della Madonie.

Nel 1937, dopo la realizzazione della Mostra madonita sognava ad occhi apertiuna Mostra d’Arte siciliana a Palazzo Abatellis: “A domandare perché mai, in tantofervore di mostre in tutte le regioni d’Italia non sia mai stata organizzata in Sicilia,terra di arte, una retrospettiva con quella grandiosità e quella serietà di intenti chedistinguono tutte le mostre italiane, si risponde immancabilmente accusando leinerzie locali o riversando la colpa su presunti favoritismi. Ma, forse, la causa realeè da trovarsi in una opinione tenace, immutabile ostinata che in Sicilia stessa ha lapiù salda radice e in tutta Italia estende tutti i suoi rami: l’opinione che in Sicilia,al di fuori del teatro greco di Siracusa e di Castello Eurialo, dei templi di Agrigentoe di Segesta, delle rovine di Selinunte, all’infuori dei musei archeologici dove ordi-nariamente frammenti e ceramichette monete e sculture sono egregiamente espo-ste, all’infuori di tutto quanto ricordi l’antico di epoca greca, altro non occorra divedere, di studiare, di salvare, di fotografare”. E continuava: “Se la ricerca effettua-tasi in appena dieci paesi delle Madonie per coraggiosa iniziativa dell’ente turisticodi Palermo ha consentito di radunare in questo convento ben seicento opere d’arte,quale magnificenza di ori, di broccati, di legni si potrebbe riunire se da Monreale,da San Martino, da Naro, da Randazzo, da Agira, da Sutera, da Sciacca e poi daMarsala, da Mazzara, da Trapani, da Enna, da tutte le città e dai paesi di Sicilia sirichiamassero le opere più splendide che non i Greci, ma i Siciliani hanno esegui-to, i Toscani, i Lombardi, i Genovesi, i Romani”. Così concludeva: “Ma la prima edimmancabile difficoltà che si mette avanti solo per nascondere inerzie e pigrizie, èla difficoltà del locale. Ma non sarebbe tempo di superare questa eterna scusa chevieta di fare una mostra d’arte, vieta di creare un ambiente di studio, vieta ogni pos-sibilità di richiami turistico culturali? E non sarebbe tempo di risolvere, in stile

Page 22: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

22

fascista, cioè rapidamente e bene, la vecchia, trentenne questione di PalazzoAbbatelis e la questione della Pinacoteca di Palermo, la questione del Museo dellearti decorative siciliane che in Sicilia non vi è mentre nel tarlo, nell’umido sidistruggono capolavori di arte nostra, la questione della mancanza assoluta di foto-grafie, di mezzi di studio e di ricerca e degli archivi che si macerano nel fango? Esono state del tutto esaminate le varie soluzioni che possono essere offerte dalPalazzo Abbatellis e da tutti i locali che lo fiancheggiano sia per ospitare laPinacoteca e il Museo delle arti decorative, sia per ospitare una mostra d’arte sici-liana? Un concorde sforzo da parte del Ministero dell’Educazione Nazionale, delProvveditorato delle Opere Pubbliche, di tutti gli enti turistici di Sicilia, la volontàdi pochissimi e attivi studiosi non potrebbe consentire, nella primavera del ’39 unamagnifica rassegna d’arte siciliana nel Palazzo Abbatellis, capolavoro delRinascimento siciliano?”33. Invano attese la soluzione del problema “in stile fasci-sta”. La studiosa, che aveva curato il riordinamento delle collezioni d’arte medioe-vale e moderna dell’allora Museo Nazionale, più volte insiste sulla realizzazione aPalazzo Abatellis di un Museo dove potessero essere esposti non solo i dipinti, male opere d’arte decorativa tutte. Emerge anche da questo desiderio l’importanza chela studiosa riconosce a tutte le più diverse espressioni aristiche per le quali proponeun’adeguata esposizione per una degna fruizione.

Il 19 novembre 1937 scriveva ancora di Musei vivi e Musei morti, lamentandoche “non troverai mai in Sicilia, grande o piccolo un museo di arte medioevale emoderna che sia un organismo vivo, non soltanto per le ragnatele dondolanti trauna guglietta gotica e un fregio rococò! Mai un museo di arte medievale e moder-na che sia centro di studi di ricerche, mai una galleria ordinata, ridente, lieta e gioi-sa sosta della vita affaristica e dinamica, mai una classificazione esatta, una datacerta, un commento sicuro”. Continuava amaramente: “Da ricordare in modo spe-ciale Palermo e il suo museo a Palazzo Abbatellis: trent’anni di discussioni e discus-sioni, di chiacchere e chiacchere e intanto le più belle collezioni di ceramiche, diricami, di intagli, di stampe di monete, di francobolli, assicurate dai Direttori pas-sati Salinas, Gabrici, Brunelli, comprate a spese dello Stato, tutte giacciono affastel-late alla polvere, all’umidità, ai tarli”34. Continua a sostenere la necessità di unamaggiore attenzione nei confronti dei musei d’arte medievale e moderna, rispetto aa quelli privilegiati di archeologia.

La sistemazione della splendida Galleria di Palazzo Abatellis ad opera di CarloScarpa, nel 195435, ha realizzato solo in parte il sogno di Maria Accascina poichènon ha visto ancora la luce a Palermo un Museo per le arti decorative siciliane.

A proposito di Artigianato trapanese nel 1935 notava: “Non è facile trovare neiMusei esteri molti ricordi dell’arte decorativa siciliana, – escluso il complesso

Page 23: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

23

magnifico del Kunsthistoriches Museum a Vienna – se uno ve n’è, è assai facile chesia un prodotto dell’artigianato trapanese, una stoffa, un corallo, un cammeo, unaMadonna in alabastro, un gioiello smaltato, un pastorello di legno o di avorio, unapiccola e fragile cosa che il flutto del tempo e degli eventi ha staccato dalla sinuosaterra e trasportata altrove per divenire messaggera della patria lontana”. E continua-va “Ed ogni materia fu uguale: il corallo gareggiò con la cera, la pietra d’agata, lacorniola, il lapislazzuli furono morbidi come lamina d’argento, l’oro fu tenero quasipiù dello stucco, il marmo, l’alabastro, cedevoli come il legno, il legno non ebbe mairesistenze o asprezze, tutte le gemme, rubini, topazi, granati, balassi, acquemarine,diamanti, turchesi, zaffiri, furono frammentati al minimo, legate nell’oro, con gioie,esaltate nel loro colore vicino alla perla pallida e dolce”36. Appare ampia e globale lasua visione conoscitiva di quel variegato artigianato artistico trapanese, che spazia-va dalla lavorazione del corallo a quella dei più svariati materiali, noto e presentenelle più prestigiose collezioni europee, grazie a quella singolare operazione didivulgazione attraverso i secoli operata dai pellegrinaggi che conducevano allaMadonna di Trapani schiere di visitatori, molti di alto rango, che non mancavanodi portare via un manufatto raffigurante la Vergine taumaturga del Santuariodell’Annunziata. Non a caso nello stesso articolo l’Accascina sottolineava che “quel-la Madonna l’artigianato trapanese l’ebbe nella mente e nel cuore e sempre l’ebbesulla punta delle agili dita industriose e pazienti che non conobbero mai resistenzanella materia, dura che fosse, piccola che fosse, per modellarvela ed eternarla”37.

Dell’arte del trapanese scriveva ancora nel 1936 soffermandosi sull’architettura:“da questa originalità architettonica (…) scaturì una originalità decorativa che simanifesta in una ricerca intelligentissima di effetti cromatici sia con la decorazio-ne a mischio nel trapanese raffinatamente elegante, sia con la decorazione a stuc-co, ad alabastro, in legno, minuta, fragile, scarsamente legata all’architettura, ma diper sé raffinata e sontuosa. Architettura e piccola arte sono nel trapanese le formevive ed eterne: quella manifestandosi in edifici rimasti incolumi in tanto tramuta-re di eventi, questa in una quantità di piccole opere sparse ovunque in Sicilia.Fondamentale sempre la tendenza al colore, come nell’architettura così nella pic-cola arte: nel corallo scalfito e bulinato, per aumentare le possibilità cromatiche,nelle gemme incluse nell’oro, nei legni intagliati e colorati, nelle maioliche accesedi giallo o di azzurro, nei ricami veramente polifonici. La diffusa tendenza al deco-rativismo policromo finisce con l’annullare la pittura vera e propria”38. La policro-mia è chiaramente percepita dalla studiosa come elemento caratterizzante delle artidecorative trapanesi in particolare e siciliane in generale, compresa molta decora-zione architettonica dell’isola tutta. L’Accascina, nello stesso articolo, segnalando illibro di Francesco De Felice sull’Arte trapanese39, mostra la sua vasta conoscenza

Page 24: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

24

non solo della produzione artistica della zona, ma anche delle fonti locali, checostituiscono un imprescindibile e basilare punto di riferimento. Scrive infatti: “Illibro non tratta né dell’architettura, così schietta e gagliarda, né della bellissimascultura del Rinascimento, ma soltanto delle arti minori e della pittura, e non delTrapanese, ma di Trapani. Tuttavia, esso è interessante come sintesi diligente eintelligente di quelle notizie numerose già fornite da studiosi di arte trapanese,come il Di Ferro, il Fogalli, il Rocca dei quali è seguito anche il metodo, ma in unaprosa chiara ed elegante da colto letterato”40. Non può in oltre non ricordare il suopersonale contributo allo studio dell’arte trapanese notando che “si tratta di unprimo apporto, che è interessante, anche per quanto riguarda la storia dell’orefice-ria trapanese sulla quale, oltre i richiami del Sorrentino, dell’Accascina – che sco-prendo il marchio trapanese è venuta a documentare l’indigena tradizione locale –di Emilio Lavagnino, studiosi tutti che hanno anche illustrato le opere di orefice-ria del trapanese non esiste ancora un saggio totalitario che può essere scritto soloquando saranno frugati tutti i tesori di Sicilia, visti i molti esemplari di quest’arte,esaminati gli inventari, comprese le diverse influenze”41. Viene qui chiaramenteesplicitato ancora una volta il metodo della ricerca scientifica di Maria Accascina:indagine sul campo e visione diretta delle opere, ricerca di fonti manoscritte, inven-tari e pubblicazioni, confronto con altre opere d’arte.

Sofia Cuccia sottolinea come “l’attenta ricognizione e la schedatura (…) cheestese alle opere di architettura, scultura e pittura e ai prodotti delle cosiddette artiminori, legno, miniatura, avorio, ceramica, etc., possono dirsi il seme di quel farestoria dell’arte e dell’artigianato fianco a fianco con la stessa valenza secondo ununico sviluppo. Da qui il germe del formarsi nell’Accascina della coscienza di sto-rico delle arti nel senso di ricercatore di tutta quanta la cultura artistica siciliana(…). Avere attribuito uguale valore estetico a tutte le manifestazioni, nella accezio-ne di una critica integrale delle arti figurative che non riduce all’anonimato le per-sonalità artigiane ma le esalta, le consentì di pervenire ad una posizione metodolo-gica processuale e dialettica”42.

A proposito del reliquiario a busto di Sant’Agata nel 1936 scrive: “Il bustodovette essere ornato da una corona splendente di gemme, da collane, da anelli, dauna croce, ma in questi elementi ornamentali, molti restauri, molte trasformazionisono avvenute (…) perché il popolo catanese mai si arrestò nel suo fervore di offer-ta”. Precisa: “Anche il seicento volle lasciare (…) il suo ricordo e furono offerti altrigioielli colmi di gemme ed altri ne portò il settecento, e altri ancora l’ottocentogravi e massicci. E così, a poco a poco il capolavoro di cesello eseguito da Giovannidi Bartolo scomparve sotto questa fitta rete e molti smalti, prodigio di arte senesefurono guasti. Sarebbe veramente opera di grande amore per l’arte togliere questa

Page 25: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

25

rete di gioielli e i gioielli esaminare nel loro pregio artistico e in altro modo espor-re, aprire la cassa reliquiaria dove tutto fa sperare che vi sia custodita altra piccolaopera di Giovanni di Bartolo, rendere più agevole la visione di queste rare e magni-fiche opere d’arte di questo tesoro unico in Sicilia tra i più preziosi del mondo”43.Nel 1910 i monili donati a Sant’Agata erano stati rimossi dal Reliquiario a bustodella Santa per volontà dell’Arcivescovo di Catania Giuseppe Francica Nava, perconsentire ad Enrico Maceri di vedere l’opera non più occultata dai suoi gioielli44.Questi tuttavia nel 1915 vennero nuovamente e definitivamente sistemati sul busto.Tale fortunata circostanza non si ripetè per Maria Accascina. Il desiderio, infatti, dalei espresso nel 1937, relativo allo studio dettagliato e analitico dei gioielli, tra cuisono gli esemplari più antichi in assoluto tra tutti quelli conservati nei principalitesori dell’isola, è stato in anni recenti solo parzialmente realizzato, mentre la loroauspicata fruizione insieme a quella dell’opera dell’orafo senese sembra essere anco-ra oggi un sogno lontano e irraggiungibile.

In tema di salvaguardia delle opere d’arte siciliane l’ironia della studiosa esplodeamara e pungente nell’articolo del 1937 in cui scrive: “Cuba, Scibene, Zisa, Favara,palazzetti reali del dodicesimo secolo appunto perché esempi di architettura civileè perché non vi è guida che non ne parli, storia dell’arte che non li esamini, anticapoesia che non li canti, descrizione di viaggio in Sicilia che non li ricordi, sarannoindubbiamente meta del turista spinto a visitarli anche da un ricordo incerto digiardini, di palmizi, di splendori orientali, di fiabeschi incantesimi. Per la Cuba nonsarà facile penetrare dentro la caserma di artiglieria, ma alla fine il turista vedràapparire nel cortile il bel palazzetto, reggia di Guglielmo II (1180) con le sue murasottili, appena increspate da archeggiature concentriche e sarà subito tratto a com-piere il giro intorno. Ma non gli sarà facile perché sulla parete di destra egli trove-rà un abbeveratoio con i cavalli a sorseggiare e se, coraggiosamente, vorrà avanzaretroverà qualcosa di peggio per le sue narici. (…) Andrà via e cercherà di raggiunge-re allora nel fondo De Cara le rovine del castello dello Scibene (…) e di quella chie-setta pur essa di epoca normanna recentemente restaurata. Se non sono cadutepioggie abbondanti ed il giardino non è allagato, se i cani da guardia sono un po’distratti, egli potrà senza dubbio pervenire dentro l’esedra e potrà ammirare qual-che elemento architettonico raro e raffinato, anche se i ragni, la muffa, il muschiocerchino di coprirli di velluti smeraldini. Ma se vorrà visitare la predetta chiesa (…)egli si vedrà costretto, ospite come egli è, di disturbare i proprietari che, alla fine,cortesemente, tra sollecite raccomandazioni, lo introdurranno nel sacro, un dì,recinto dove oggi vive una onesta famiglia di porci”. Concludeva con costruttiveosservazioni: “Vi sono programmi massimi e programmi minimi; i primi, spessevolte costituiti da restauri o ricostruzioni romantiche dei monumenti sono perfet-

Page 26: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

26

tamente inopportuni in questo momento, né sono sempre utili; ma i secondi, con-sistenti in quel minimo restauro, in quel minimo decoro, di nettezza, di pulizia,sono attuabili sempre e sono indispensabili in una città che senta il rispetto delleproprie memorie e voglia potenziare le proprie risorse turistiche. Perché il Pontedell’Ammiraglio, sacro al cuore dei Siciliani, non si trasformi in pubblica latrina,perché non sia ricovero di immondizie l’angolo di Palazzo Abbatellis, perché i pre-detti monumenti non siano in tali vergognose condizioni non occorrono alte cifrema la collaborazione sollecita e l’educazione del popolo al rispetto delle tradizio-ni”45. Chiara è qui la funzione educativa e di sensibilizzazione dei cittadini nei con-fronti del proprio patrimonio storico-artistico che la studiosa intende svolgereattraverso la sua attività giornalistica. Evidente è pure la sua propensione verso ilrestauro conservativo, verso quegli orientamenti del restauro scientifico che saran-no teorizzati da Cesare Brandi46, piuttosto che per gli interventi ispirati ancoraall’ideologia del restauro di ripristino, cui fa rapido cenno definendoli “ricostruzio-ni romantiche” e non “sempre utili”.

Gli articoli risultano spesso di fondamentale importanza perché fornisconoanche il quadro di stato di conservazione delle opere di architettura e di tutti i rela-tivi elementi decorativi, mai trascurati dalla studiosa, nonchè l’ubicazione delleopere d’arte mobile negli anni Trenta in cui scrive, prima della nuova situazione,talora drammatica, che si venne a creare con l’ultima guerra mondiale e con i bom-bardamenti che colpirono anche la città di Palermo. Fornisce un esempio la tavo-letta trecentesca dell’Abramo e i tre Angeli che la studiosa nel 1937 descrive ancoranella Chiesa della Magione di Palermo47 e che, a causa della guerra, venne ricove-rata nel Museo Diocesano e scelta come immagine per la copertina della Guida delMuseo da Mons. Filippo Pottino nel 195248, divenendo l’immagine emblaticamen-te simbolica di quel Museo di Palermo.

Non trascura di fornire al lettore informazioni, talora anche in qualche modo dicarattere privato, come dell’importante raccolta di disegni assicurata alla città di Paler-mo nel 1936: “Una collezione di circa seicento disegni di maestri siciliani apparte-nuta al compianto Avv. Alfano e formata intorno ad un cospicuo numero di dise-gni provenienti dalla raccolta di Agostino Gallo che li aveva ricevuti da VitoD’Anna, è stata recentemente acquistata, nella sua totalità, salvandola da inevitabi-le dispersione, dal Barone Lo Monaco Sgadari, sempre vigile ed attento ad ogniopera di bontà e di bellezza. La collezione è pregevolissima sia per la rarità – nonesistono che pochi disegni di maestri siciliani in altre collezioni private – sia per ilnumero veramente rilevante che riesce a illustrare tutta l’ attività pittorica sicilianadal seicento all’ottocento”49. Nel 1957, alla morte del Barone, la collezione è stataassicurata alla città di Palermo, passando alle raccolte di Palazzo Abatellis50.

Page 27: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

27

A Maria Accascina non sfuggivano neanche le più particolari e rare opere d’ar-te siciliane, anche se custodite in riposte casse, ad esempio il Presepe di VitoD’Anna di casa Mazzarino, che descrive come “un mondo tutto di cartone dipin-to, circa quattrocento cartoni, grandi e piccini, che riuniti e posti l’uno dietro l’al-tro, scenograficamente rappresenterebbero un grande giardino con templi adestra e fontane, gentildonne, pastori, Magi, asini, buoi, alberi, fiori. Ritagliatitutti in cartone e il cartone è dipinto, ma come dipinto!”. E conclude: “Si pensiquale valore acquisti, anche per quest’apporto alla scenografia settecentesca, ilPresepe di Vito D’Anna, ben diverso da tutti gli altri presepi di Matera, eseguitocon una tecnica che se non è nuova è rara, per i Presepi, ed esempio, fino ad oggiunico, di scenografia settecentesca”51. Il presepe, proveniente dalla Casa dei PadriFilippini dell’Olivella, passò alla famiglia Mazzarino, dopo la soppressione deibeni degli ordini monastici del 1860 e recentemente ad un’altra raccolta privatapalermitana.

Maria Grazia Paolini dichiara la sua affettiva “comprensione della sua lungavicenda di studiosa forse anche ricca di soddisfazioni, e però faticosa, travagliata,anche per una quantità di fatti oggettivi: non ultimo quello di essere una donna conun certo tipo di aspirazioni e di ingegno, e di avere operato nell’ambiente dellaricerca scientifica, ritenuto allora di quasi esclusiva competenza maschile.Naturalmente non mancavano le eccezioni, ma se ripercorriamo la vicenda dellastoria dell’arte in Italia, e anche in Europa e in America, quante donne sono emer-se o si è loro permesso di emergere compiutamente in tale ambito?, nessuna forse,almeno a lei coetanea, si è impegnata con la dedizione, la costanza e la vastità deirisultati da lei ottenuti. Può in questo averle giovato il fatto di essersi dedicata a uncampo pochissimo esplorato quale la storia dell’arte siciliana, ma chi conosce econosceva bene la Sicilia sa quanti ostacoli di natura oggettiva, difficoltà di sposta-menti, di documentazione, di contatti con organi proprietari degli oggetti d’arte,erano riservati a chi si applicava in semplici imprese di reperimento e di cataloga-zione”52.

Gli articoli di Maria Accascina offrono ancora oggi, dunque, innumerevoli spun-ti ricchi d’interesse non solo culturale ma anche sociale per gli svariati aspetti in cuisono trattati i più diversi argomenti storico-artistici e spingono verso importantimomenti di attenta riflessione, su problematiche talora ancora attuali. I suoi scrittisegnano una pagina della nostra storia che resta indelebile nella memoria, indican-do ieri come oggi un cammino da percorrere, ancora accompagnati dalle sue paro-le, “da chiesetta a chiesetta la strada era impervia e il sole allucinava. Non c’era altrasperanza che il magnifico tesoro, meta certa del mio viaggio. Ma per quel tesoro viera da svolgere un enigma…”53.

Page 28: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

28

note al testo

1 M. Accascina, Per l’Ottocento siciliano, in “Giornale di Sicilia” , 7 aprile 1934.2 Per la biografia di M. Accascina cfr. M.E. Alajmo, Nota biografica di Maria Accascina, in Le arti

in Sicilia nel Settecento. Studi in memoria di M. Accascina, Palermo 1985, pp. 7-10.3 M. Accascina, Libri d’arte. Michelangioleschi siciliani, in “Giornale di Sicilia”, 26 marzo 1936.

La studiosa fa riferimento al volume di A.Venturi, Storia dell’arte italiana, vol. X, Milano 1935-37.4 M. Accascina, Oreficeria siciliana. Il tesoro di Enna, in “Dedalo”, agosto 1930; L’oreficeria senese

in Sicilia, in “La Diana” Rassegna d’arte e di vita senese, a. V, fasc. III, 1930; Oreficeria italiana nel

Victoria and Albrt Museum di Londra, in “Emporium”, giugno 1933; Arte decorativa siciliana – Le ore-

ficerie, in “Rassegna Primavera siciliana”, febbraio 1935.5 M. Accascina, Oreficeria di Sicilia dal XII al XIX secolo, Palermo, Flaccovio 1974 e I Marchi delle

oreficerie e argenterie siciliane, edizione a cura della Banca Sicula di Trapani, Trapani 1976. Si ricor-

dano inoltre i suoi seguenti studi: L’oreficeria italaiana, Nemi, Firenze 1938; Le argenterie marcate del

Museo Nazionale di Messina, in “Archivio Storico Messinese”, III serie, vol. II, 1949-50; I marchi del-

l’argenteria siciliana, in “Antichità viva”, a. I, n. 6, luglio-agosto 1962; Pietro Juvara e gli altri orafi

di casa Ruffo a Messina, in “Antichità viva, a. I, n. 2, febbraio 1962; I marchi dell’argenteria messinese,

in “Antichità viva”, a. I, n. 8, ottobre 1962; Orafi e argentieri messinesi in Sicilia e nel mondo, in

“Mezzagosto messinese”, 1963, a. XXX.6 Cfr. M. Accascina, Oreficeria bizantina e limosina in Sicilia, in “Bollettino d’arte del Ministero

della Pubblica Istruzione”, novembre 1928.7 M. Accascina, L’ordinamento delle oreficerie nel Museo Nazionale di Palermo, in “Bollettino d’ar-

te del Ministero della P. I.”, novembre 1929; Il riordinamento della Galleria nel Museo Nazionale di

Palermo in “Bollettino d’arte del Ministero della P. I.”, marzo 1930; Per la pittura del settecento nel

Museo Nazionale di Palermo-Nuovi acquisti, in “Bollettino d’arte del Ministero della P. I.”, maggio

1930; Pitture senesi nel Museo Nazionale di Palermo, in “La Diana”, Rassegna d’arte e di vita senese,

1930, fasc. I.8 S. Cuccia, Le “carte di Maria Accascina”, in Le arti in Sicilia nel Settecento…, 1985, p. 591.9 M. Accascina, Per l’ottocento siciliano, in “Giornale di Sicilia” 7 Aprile 1934.10 M. Accascina, Ottocento siciliano. La celebrazione di Salvatore lo Forte, in “Giornale di Sicilia”

12 gennaio 1935.11 M. Accascina, Ottocento siciliano. Un Garibaldino pittore Filippo Liardo, in “Giornale di Sicilia”

28 Dicembre 1935.12 M. Accascina, Ottocento siciliano. I tre allievi di Giuseppe Patania, in “Giornale di Sicilia” 13

marzo 1936. Per Agostino Gallo, fonte fondamentale per lo studio della pittura dell’Ottocento sici-

liano, che Maria Accascina ben conosce, cfr A. Gallo, Articolo delle Belle Arti in Sicilia, in “Giornale

di Scienze Lettere ed Arti per la Sicilia”, Palermo 1824, t. VI, fasc. 16; Saggio sui pittori vissuti fino

al 1824, in Prose di Agostino Gallo, Palermo 1824; Notizie di artisti siciliani, ms del XIX sec., ai segni

XVH20 della Biblioteca Centrale della Regione Siciliana; Saggio sui pittori siciliani vissuti dal 1800

al 1842, in G. Capozzo Memorie sulla Sicilia, vol. III, Palermo 1842.13 M. Accascina, Stampe siciliane nel Castello sforzesco, in “Giornale di Sicilia” 10 febbraio 1937.14 M. Accascina, Per la XXI Biennale di Venezia. Il paesaggio siciliano, in “Giornale di Sicilia” 18

giugno 1937.15 M. Accascina, Ottocento siciliano. I miniaturisti, in “Giornale di Sicilia” 4 dicembre 1936.16 G. Di Marzo, Delle Belle arti in Sicilia dai Normanni sino alla fine del secolo XIV, vol. I, 1858.

Page 29: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

29

17 M. Accascina, Ottocento siciliano ai Pittori catanesi noti e ignoti , in “Giornale di Sicilia” 19 gen-

naio 1937.18 M. Accascina, Ispirazioni dantesche. Andrea D’Antoni pittore, patriota e cospiratore, in “Giornale

di Sicilia” 4 dicembre 1937.19 M. Accascina, Ottocento siciliano. Pittura, Fratelli Palombi, Roma 1939. Il volume è stato

ristampato nel 1982 a Palermo a cura della Fondazione Whitaker.20 M. Accascina, Attualità pittorica di Francesco Camarda, in “Giornale di Sicilia” 13 novembre

1934.21M. Accascina, I cinquant’anni d’arte di Antonio Ugo, in “Giornale di Sicilia” 20 novembre 1934.22 M. Accascina, Mostra d’arte futurista, in “Giornale di Sicilia” 20 marzo 1935.23 M. Accascina, La II Quadriennale d’ arte: I Siciliani, in “Giornale di Sicilia” 7 marzo 1935.24 M. Accascina, Arte decorativa siciliana. La prima mostra dei prodotti artigiani, in “Giornale di

Sicilia” 8 giugno 1934.25 M. Accascina, Oreficeria barocca in Sicilia.L’urna di S. Rosalia, in “Giornale di Sicilia” 19 luglio

1934.26 M. Accascina, Note d’arte siciliana. Quadri, argenti e stoffe a Petralia Sottana, in “Giornale di

Sicilia” 8 dicembre 1934.27 M. Accascina, Un Giudizio finale in tono minore, in “Giornale di Sicilia” 27 giugno 1935.28 M. Accascina, Nei paesi delle Madonie. Nove autori in cerca di statue, in “Giornale di Sicilia” 1

agosto 1935.29 Fondamentale punto di partenza per gli studi sulla scultura di età rinascimentale siciliana costi-

tuivano per l’Accascina i volumi di G. Di Marzo, I Gagini e scultura in Sicilia nei secoli XV e XVI.

Memorie storiche e documenti, Palermo voll. I 1880, II 1883. In questo studio Gioacchino Di Marzo

fornisce pure importanti notizie su orafi e argentieri siciliani, anch’essi basilari per le successive ricer-

che sul settore dell’Accascina.30 M. Accascina, Nei paesi delle Madonie . Cose Maurine viste e non viste, in “Giornale di Sicilia” 8

agosto 1935.31 M. Accascina, Mostra d’arte sacra nelle Madonie, in “Giornale di Sicilia” 12 ottobre 1935.32 M. Accascina, Tesori d’Arte in Sicilia. La Mostra d’Arte Sacra delle Madonie, in “Giornale di

Sicilia” 23 luglio 1937.33 M. Accascina, Mostra d’arte siciliana a Palazzo Abatrellis, in “Giornale di Sicilia” 15 ottobre 1937.34 M. Accascina Musei vivi e Musei morti, in “Giornale di Sicilia” 19 novembre 1937. Fa riferi-

mento a A. Salinas, Del Museo Nazionale di Palermo e del suo avvenire, Palermo 1873; Breve guida del

Museo Nazionale di Palermo, Palermo 1901 e E. Brunelli, La Galleria di Palermo e il Museo di Trapani

nel biennio 1927-28, in “L’Arte” luglio 1908.35 G. Vigni, La Galleria Nazionale della Sicilia, in “Bollettino d’Arte”, 1955. Riporta l’ordinamen-

to degli anni Cinquanta, peraltro tuttora pressocchè immutato, la guida di R. Delogu, La Galleria

Nazionale della Sicilia, Roma 1962.36M. Accascina, Artigianato trapanese, in “Giornale di Sicilia” 21 settembre 1935.37 Ibidem.38 M. Accascina, Arte del trapanese, in “Giornale di Sicilia” 19 dicembre 1936.39 F. De Felice, Arte trapanese. Pittura e Arti minori, ed. I.R.E.S., Palermo1936.40 M. Accascina, Arte del trapanese, in “Giornale di Sicilia” 19 dicembre 1936. L’Accascina cita le

fonti trapanasi: G. M. Di Ferro, Guida per gli stranieri in Trapani, Trapani 1825; Biografia degli uoi-

Page 30: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

30

mini illustri trapanasi dall’epoca normanna sino al corrente secolo, voll. 3, Trapani 1831; G.M. Fogalli,

Memorie biografie degli illustri trapanasi per santità, nobiltà, dignità, dottrina ed arte, ms del 1840 ai

segni 14 C8 della Biblioteca Fardelliana di Trapani, P. M. Rocca, I Salatarello orefici siciliani del seco-

lo XVI, in “Archivio Storico Siciliano”, N.S., a. IX, fasc. III e IV, 1884.41 Ibidem. L’Accascina fa riferimento ai testi di A. Sorrentino, Opere d’arte inedite del Museo Pepoli

di Trapani, in “Bollettino d’arte “ 1915, pp. 331- 344.42 S. Cuccia, Le “carte di Maria Accascina”, in Le arti in Sicilia nel Settecento…, 1985, p. 591.43 M. Accascina, Tesori di Sicilia. Il capolavoro di Giovanni di Bartolo a Catania, in “Giornale di

Sicilia” 26 febbraio 1936.44 Cfr. E. Mauceri, Il busto di Sant’Agata e i suoi gioielli, in “Siciliana”, I, n. 11-12, nov-dic., 1923.45 M. Accascina, Arte e turismo. I sollazzi dei re normanni e… del turista, in “Giornale di Sicilia”

24 marzo 1937.46 C. Brandi, Teoria del restauro, Torino 1991.47 M. Accascina, Per l’arte e per il turismoin Sicilia. Il chiostro derelitto, in “Giornale di Sicilia” 28

Aprile 1937.48 F. Pottino, Il Museo Diocesano di Palermo, Palermo 1952.49 M. Accascina, Una importante raccolta di disegni assicurata alla città di Palermo, in “Giornale di

Sicilia” 21 giugno 1936.50 I disegni sono oggi bene conservati e resi disponibili alla consultazione degli studiosi nella

Galleria Regionale della Sicilia di Palazzo Abatellis, dove giunsero nel 1957 per lascito testamenta-

rio del Barone Sgadari di Lo Monaco. Una parte della collezione era stata dallo stesso destinata alla

Pia Opera di P. Messina.51 M. Accascina, Il presepe di Vito D’Anna, in “Giornale di Sicilia”, 25 dicembre 1937. Il presepe,

attualmente in collezione privata palermitana, meriterebbe di essere acquisito dalle raccolte pubbli-

che e reso fruibile.52 M.G. Paolini, La figura e l ’opera di Maria Accascina, in Le arti in Sicilia nel Settecento…, 1985,

p. 613.53 M. Accascina, Cose maurine…, 8 agosto 1935.

Page 31: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Maria Accascinae il Giornale di Sicilia

Cultura fra critica e cronache

Page 32: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Gli articoli sono stati riportati fedelmente dal “Giornale di Sicilia”. Si è ritenuto opportuno intervenire solosui più evidenti errori tipografici.Tutti gli articoli sono corredati da fotografie che per scelta editoriale non è stato possibile inserire nella pre-senta raccolta dei testi.Gli asterischi (*) segnalano agli orafi e argentieri, particolarmente interessati ad argomenti specifici, gliarticoli dedicati alle arti decorative.

Page 33: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione
Page 34: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione
Page 35: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

1934

21 Febbraio 1934 - RITORNO A MASACCIO

Ventotto anni di vita sull’alba del quattrocento e la morte lo prese sul «bel del fio-rire». Breve la sua vita mortale ma in cambio ebbe la ricompensa più alta che uomopossa avere: l’eternità che è sola degli dei e degli eroi. Dipinse dal 1426 al 1427 nellacappella Brancacci nella chiesa del Carmine a Firenze, un ciclo di affreschi: Adamoed Eva, il Tributo, S. Pietro che battezza le folle S. Pietro che risana i malati col-l’ombra, S. Pietro che distribuisce ai poveri l’elemosina, la Resurrezione del figliodell’Imperatore.Quando si guardano tali affreschi si resta colpiti dall’estrema facilità dall’estremocandore di questa pittura, cupa di tono, scarsa di ornato, quasi povera. Le figure sidispongono nell’ambiente con naturale movenza, come per una spontanea accolta.Hanno un loro corpo che saldo sotto le vesti pesanti, si muovono con lento passo,guardano con lucidi occhi, respirano nel largo spazio. Sembrano a prima vistauomini del volgo, operai, pescatori, ferrai, nessuno aristocratico segno è sui lorovolti, nessuna bellezza naturale. Capelli scompigliati. Anche la pittura ci stupiscecon la sua estrema facilità. Una pittura in cui si alternano zone di luce e zone chia-roscurate in cui i colori si distendono lentamente su vaste superfici, una pitturasenza indugi descrittivi, senza particolarismi fotografici, pittura antigotica pereccellenza, umile e dimessa. E quando abbiamo guardato a lungo queste pittureMasaccesche: l’affresco del tributo, di S. Pietro che distribuisce l’elemosina, Adamoed Eva, ecc., e ci siamo ben convinti di aver compreso tutto, e ci pareva tanto faci-le comprenderlo, ci meravigliamo di restare ancora avvinti alla visione pittorica,timorosi di esserci ingannati nel giudizio, di dovere altro guardare e capire. E peg-gio, se riguardiamo la realtà che ci circonda, gli uomini e le cose intorno a noi,abbiamo il senso che anche su questa realtà tangibile, visibile ci siamo ingannati.Allora ritornando alla pittura. Era così facile ed ora ci tormenta, ce la guardiamoaccanto alla realtà: una vita eroica, grave, sacerdotale, una potenza oscura ma immi-nente, un respiro ampio e profondo sono colti in quella pittura e la vita non è arre-stata, non pietrificata come negli affreschi di Arezzo ma affluisce sempre con l’eter-no fluire delle cose.Quegli uomini hanno della realtà tutta l’apparenza ma la loro sostanza è più viva ela sentiamo eterna.Ora ci sembrano sacerdoti romani nell’atto di scrutare gli auguri, ma le loro pupil-le sono velate da cristiana e struggente malinconia. Il pensiero è nello sguardo vivi-

35

Page 36: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

do, acceso, pronto e si diffonde per tutto il mobile volto. Mai tanta concentrazionedi energie vitali fu resa pittoricamente. Negli affreschi della cappella Sistina diMichelangelo, la vita erompe, le forme sono schiantate nella violenza del tumulto,il contenuto di passione sgorga dall’animo, sconvolge il sangue, gonfia i muscoli. Elo schianto della natura sotto la bufera. Negli affreschi di Masaccio invece questaviolenza è in potenza ma non in atto è dominata da una volontà imperiosa che serrale bocche e ferma nel moto le membra. Tanta contenuta passione è resa in unaforma sobria e serrata nell’affresco di Adamo ed Eva cacciati dal Paradiso Terrestre.Negli affreschi di Piero della Francesca ad Arezzo più accentuata è la ricerca delvolume, ma essa si risolve nell’atto ad un congelamento di sensibilità. Ogni figurain un quadro di Piero della Francesca vive in terribile solitudine glaciale, dalle altrenon prende, alle altre non dona. Negli affreschi di Masaccio invece, ciascuno è unindividuo psicologicamente descritto e formalmente concluso si lega all’altro confraternità umana, con calore di simpatia, e lo spazio non separa ma unisce e serragli uomini al comune e doloroso destino.La pittura di Masaccio apparve ad un contemporaneo di gran rilievo universale esenza ornato. Meravigliò ai suoi tempi, fu scuola anche a Michelangelo, maravigliaancora oggi. È una pittura senza precedenti.L’arte di Giotto è storicamente spiegabile attraverso gli affreschi romani, attraver-so Cimabue e Cavallini, ma tutti questi maestri e gli altri della seconda metà deltrecento e Masolino, Filippo Brunelleschi e Donatello non riescono a spiegareMasaccio. Una intuizione di vita così lucida e perfetta, un interesse così serio allospirito umano, una constatazione così ovvia della realtà non fu mai vista, né mai siebbe tale ricerca ansiosa di corporeità, una determinazione così solenne dello spa-zio, una penetrazione così totale della tecnica chiaroscurale.Oggi la pittura moderna ritorna a Masaccio, a Piero della Francesca. Quale lungocammino è stato percorso per ritornare nell’ombra della Cappella Brancacci o nellachiesa di Arezzo! Dopo Masaccio che spontaneamente, per virtù di genio sintetiz-za tutte le qualità e tutte le possibilità della pittura italiana quante ricerche per otte-nere il volume, lo spazio, la luce, il chiaroscuro, lo sfumato, l’accordo tra forma ecolore, il dinamismo, quante audacie, quanta esperienza, e poi quali smarrimenti,quali violenze di reazione, quali tenebrosi giri, maledicendo il ricordo dei patri perpoi ecco ritornare umili alla terra abbandonata per chiederne ancora alimento! Chivide gli affreschi della Triennale di Milano comprese come in quasi tutti gli artistil’aspirazione più fervida, cosciente o incosciente fosse quella di ritornare alla pittu-ra di Masaccio profondamente italiana ed universale. Vide nuovamente una pittu-ra tutta volume a larghe e semplici zone senza indugi descrittivi e senza minuzioseindagini, vide una pittura che voleva essere anche espressione di una intuizione di

36

Page 37: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

vita. Tutto questo apparve e fu grande gioia ritrovarlo, ma non apparve la dignità,l’eroica vita, la sacerdotale bellezza della pittura di Masaccio.

3 Marzo 1934 - CLASSICO E ANTICLASSICO NEL CHIOSTRO DI MONREALE

Dei capitelli del chiostro di Monreale, calici eretti sull’esile stelo delle binate colon-ne, uno solo porta la firma dell’autore, un povero capitello a foglie di acanto scar-nificato e disseccato, con incerte volute. Quivi è scritto: Ugo Romanus, FiliusCostantinus, Marmurarius.Ma non fu certo la fantasia di Costantino a creare tanta varietà di ornati, tanta ric-chezza di forme nel mirabile chiostro. Non vi fu artista che impose un tema e for-mulò un ritmo iniziale e non vi fu una fantasia che disciplinò i vari elementi edinsieme li cementò: la più caotica, più rivoluzionaria libertà fu concessa a questiscalpellini che lavorano guardando la terra fiorita e l’infinito azzurro della collinamonrealese ma ciascuno compose nella chiesa arenaria il suo versetto, scrisse l’im-magine che gli fioriva nell’animo e senza apporvi il nome, ebbe l’eterno.Attingevano ad un repertorio vastissimo, formato da detriti innumerevoli di remo-te e prossime civiltà che cementati fra di loro nel letto ove la fiamma dei secoli liaveva fatto giacere, assumevano parvenze comuni, ma erano diversi: vuote spogliealcuni, altri prossimi a spegnersi, altri custodivano ancora una germinalità intatta,una feconda possibilità di crescenza.Mirabile era questo repertorio decorativo, fiume di mille rivoli pervenuto alla reg-gia dei normanni: lo formavano elementi arabi, elementi sassanidi e copti, elemen-ti bizantini, elementi pugliesi e lombardi, elementi nordici. Giungevano i ritmiornamentali, con le belle stoffe, con gli smalti, con gli avori, con le miniature, congli intagli lignei, con i gioielli e giunti in Sicilia, nel terreno più fertile d’Italia, simoltiplicavano e formavano canti.Tutti gli scalpellini attinsero a questo repertorio, ciascuno raccolse un motivo lo tra-dusse nella sua lingua e collaborò a scrivere nel Chiostro di Monreale la sua vastaenciclopedia della coltura decorativa siciliana.Varietà di contenutoIn alcuni capitelli, uccelli beccano avidamente le volute, aquilotti spiccano l’ampiocerchio delle ali; leoni s’accalcano su morbide foglie, draghi strisciano sui fiori gira-no foglie come spinte da turbini s’attaccano funi, si distendono viticci colmi digrappoli; cervi bevono alla fonte, fagiani spiegano il volo: oppure vi è lotta senzaquartiere tra uomini e belve aspre contese di mostri, guerriglie di arcieri. In altricapitelli vi è invece tutta la storia della prima colpa umana da Adamo espulso a

37

Page 38: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Caino ucciso, la vita di Giacobbe ed il suo angelico sogno: la vita di Giuseppe, dalpozzo alla reggia, la vita di Sansone, la vita del Battista. Poi l’annuncio, la visitazio-ne; e lì presso Ercole in lotta con il leone Nemeo e le altre sue dure fatiche, mentrenon lungi un’odalisca riposa fra intrecci di rami.Varietà di stiliA volte l’artista appare dominato dalla materia e nella lotta tra il pensiero e la pie-tra egli non è vincitore, ma vinto. Allora appaiono corpi grossi, enormi teste dagliocchi sgusciati, forme grevi e inerti: altre volte non s’ingaggia la lotta e l’artista scol-pisce con una visione pittorica e non plastica, abolisce i volumi, dissecca le forme,scava solchi di pieghe, ghirigori di ornati, non modella, disegna piuttosto. Ma altrevolte domina la materia, la modella con estrema potenza e le comunica violento edimpetuoso il palpito della vita, non si arresta alla superficie delle cose ma ne scrutal’essenza; se intreccia volute, ha sicura mano e se scolpisce foglie d’acanto le rendesuccose e morbide, se rappresenta vigneti, gonfia i grappoli tra i viticci e le fogliedense di linfe, se rappresenta mostri, li anima di rabbiosa potenza e se modella figu-re di donne, le unisce in ritmo lieve di danze e le adorna di morbidi veli. E sempreo guardi il mondo vegetale nella molteplicità della sue forme o il mondo zoomor-fico, egli ricerca nella propria fantasia, non fuori di sé la forza che vince la materia,che le comunica l’eternità della vita.Classico ed anticlassicoLa grande varietà di stile ha suggerito molteplicità di opinioni sugli artisti esecuto-ri di tale difforme poema: Michele Amari pensò a scultori arabi, il Di Marzo a scul-tori settentrionali, probabilmente lombardi, Adolfo Venturi a scultori campani,Pietro Toesca a scultori provenzali, pugliesi, borgognoni, il Borteaux a una scuolaindigena, formatasi per la confluenza di elementi arabi, bizantini e classici. Tutte leopinioni sono possibili ed i raffronti innumerevoli con altre sculture. Ma se attra-verso questa varietà di stili che è tutta superficiale, noi guardiamo più affondo nellasostanza nucleare di tutta l’ornamentazione classica del chiostro di Monreale, noivediamo determinarsi con una limpidità cristallina due filoni di arte. Sotto la vita-lità di queste mille forme, zappando nella terra che le alimenta noi troviamo duesole correnti: una corrente che è di arte classica, l’altra che è di arte anticlassica.Anticlassica era l’arte araba che per tre secoli dominò la Sicilia. Era l’arte dellaBerberia mussulmana, appena arricchita da elementi mesopotamici e siriaci, un’ar-te indifferente alla natura e alle sue forme vitali. La scultura vi ebbe valore pura-mente decorativo, ma non quello di creare un commento plastico alle linee archi-tettoniche né un alterno gioco di luci e di ombre tra le masse sporgenti e le deter-minate cavità, ma di sovrapporre sui piani una trama di linee intersecantisi. Con unlavoro rodente e continuo gli artisti arabi procedevano alla scarnificazione di ogni

38

Page 39: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

elemento per ridurlo a superficie geometrica, al disseccamento degli elementi vege-tali per trasformarli in semplici elementi lineari. Il processo partiva dal volume perraggiungere la linea. Avendo ricevuto anch’essi parte della classica eredità: la vite, lafoglia di acanto, il fiore di granato, il palmizio fecero agire su questi elementi l’aci-do dissolvente del loro sofismo e ne distrussero ogni sostanza carnosa ed ogni fre-schezza. Al mondo della natura, ricco di mille forme piene di sangue e di linfe sosti-tuiscono un altro mondo svuotato di contenuto, infinitamente povero e scarno.Questa arte anticlassica si diffuse in Sicilia e dal secolo X al secolo XIII fu rigoglio-sa. Ma verso il mille, quando i Normanni vincitori furono vinti dai vinti, ponendo-si però sotto l’egida orientale, era il tempo in cui Bisanzio, protettrice dei reNormanni, rifioriva cercando alimentare di nuove sostanze le antiche classicheradici: era il tempo in cui Bisanzio distribuiva modelli di tutte le arti a tutto ilmondo, modelli suggeriti da una prima fioritura del vecchio ceppo che ancora piùvolte doveva vedere primavere aulenti, del vecchio ceppo romano mai inaridito estanco: erano modelli ripresi dall’arte classica e riportati ora nelle belle cassettine diavorio, nelle oreficerie, nei bronzi, nelle miniature. Partivano da Bisanzio ed arriva-vano nel convento di Hildsheim, nelle officine di Saint-Benoit, di Chartres, diLimoges, di Montecassino. Questi oggetti portavano in giro contenuti del mondomitologico classico ma soprattutto dinanzi agli occhi indeboliti nella lunga vigiliabarbarica, riportarono visioni di classico stile; riportavano l’amore al volume armo-nioso e concluso, l’amore al ritmo, suprema qualità dello spirito classico. Siffattimodelli giunsero anche in Sicilia. Altrove, dove il substrato classico era di minorespessore, questi semi classici ebbero una fioritura di stagione, qui e nell’Italia meri-dionale, penetrarono sotto alla stratificazione araba, giunsero nell’humus e vi ger-minarono con una potenza di crescita veramente rigogliosa. Si formarono così duecorrenti nell’arte romanica siciliana, opposte, non parallele e per questo intersecan-tisi. Da una parte, resta l’estremo amore arabo per la decorazione pittorica e l’archi-tettura, la pittura, la scultura sono piegate alla violenza di questo amore, dall’altraparte risorge, nella terra dei templi, l’amore al classico, che è sopratutto amore allaforma, al finito, al ritmico. L’arabo era il pittorico e l’indeterminato, il classico è ilplastico ed il concluso. Allora, mentre gli artieri arabo-siculi sono spinti alla sop-pressione del volume nella rappresentazione figurativa e a preferire le rappresenta-zioni zoomorfiche e vegetali con scarso rilievo, traendole dagli intagli lignei, i neo-classici, coscienti o incoscienti, partendo dai rilievi dei sarcofagi, dai capitelli roma-ni, sono riportati a guardare la natura, a ricercare il volume e il ritmo. Questi ulti-mi, sono i maestri che decorano le colonnine con tralci di vite e che ci ridonanoquelle «columnas vitineas» in uso nel mondo romano: sono quelli che modellanocon potenza romana figure di giganti, quelli che muovono in ritmica danza le fan-

39

Page 40: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

ciulle sulla coppa della fontana; sono quelli che scandiscono le superfici e dispon-gono l’ornato con misurato equilibrio. Spesso essi tentano, non raggiungono lameta, lottano con quella oscura riottosità della materia che faceva ostacolo ai greciarcaici ma che anche allora s’intuiva facilmente dominabile, anch’essi hanno qual-che volta una visione interiore che non aderisce alla materia, ma sempre il loro spi-rito è pronto, l’emozione costante, la ricerca animata di speranza.Questo dissidio tra spirito classico e spirito anticlassico si determina per la primavolta con perfetta evidenza nel chiostro di Monreale e resta, ed è sempre visibile intutta la storia dell’arte di Sicilia.Una sola volta è apparso mirabilmente composto: nello spirito e nell’arte diAntonello da Messina.

7 Aprile 1934 - PER L’OTTOCENTO SICILIANO

Ottocento. Parola tutta tonda che precipita in mezzo, a suscitare il malcontento, ladiffidenza o il rimpianto; parola che si scaglia contro i giovani artisti desiderosi diuna originale espressione, come agli altri che restano rannicchiati come testugginisotto la scorza della tradizione, parola pronunziata con un sospiro da parte dei vec-chi e con beffardo sorriso da parte dei giovani; ma i vecchi lo rimpiangono spessosenza amarlo e i giovani lo odiano spesso senza conoscerlo.Se un giorno o l’altro una mostra dell’ottocento italiano si facesse in Italia, sarebbeben certa l’esclusione della Sicilia, così come essa fu esclusa alla mostra del sette-cento svoltasi or sono pochi anni a Venezia. Né ci sarebbe da mover querela, datoche l’ottocento siciliano è così scarsamente conosciuto pur entro i confini dell’iso-la. Mentre in altre città si organizzano mostre retrospettive perché non sia maiinterrotta nella conoscenza il filo della tradizione e perché sia possibile determina-re alla luce della nostra sensibilità le varie personalità pittoriche e quindi appaionoriunite, amorosamente scelte, ora le opere del Cabianca o di Telemaco Signorini oradel Fattori o del Sartorio, non capita mai che in Sicilia si veda una rassegna delleopere di alcuni dei nostri grandi artisti così presto dimenticati ed obliati. Le mostreretrospettive offrono possibilità di studio perché consentono la contemporaneavisione delle opere e il controllo dei vari rapporti; per mezzo dei cataloghi diffon-dono fotografie e notizie; richiamano l’attenzione dei collezionisti su qualche operadegna di essere salvata, alimentando l’amore per il patrimonio artistico. Non bastache alcuni collezionisti amorosi e colti cerchino di adunare nella Galleria diPalermo qualche opera del nostro ottocento. Fino a quando non sorgano monogra-fie illustrative fino a quando non siano studiati i rapporti fra la nostra arte e quella

40

Page 41: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

delle altre regioni d’Italia, l’arte dell’ottocento resterà ai margini della critica d’artee sarà condannata alla dimenticanza, ancora una volta facendo apparire la Siciliastaccata dal ceppo italiano nei movimenti artistici e culturali.E non sarebbe giustizia. Se vi fu un secolo nella storia dell’arte nostra, in cui tuttele correnti artistiche fluirono nella Sicilia e dalla Sicilia rifluirono, in cui tutti imovimenti artistici furono vivacemente seguiti e non indegnamente, questo fu l’ot-tocento.Il neo-classicismo non ci trovò pigri e indolenti come ci trovò purtroppo il razio-nalismo nel nostro secolo; né fu tra noi importazione nordica rimasta senza adesio-ne nello spirito siciliano; non furono necessarie le aspre querele del Milizia controi furori del barocco e del settecento né le peregrine affermazioni del Winkelmann,perché a Palermo, dove con sobria misura aveva operato fra Giacomo Amato, sicontinuasse la tradizione classica. Proprio nel settecento la Sicilia aveva dato all’ar-chitettura italiana due grandi maestri: Filippo Juvara che porta nella TorinoGuariniana, tutta curve e svolazzi il classico e riposato ritmo di palazzo Madama,della Basilica di Superga, di S. Teresa e di S. Trinità, e che, per avere lavorato alNord, è ben conosciuto e lodato come il più neo-classico degli architetti settecen-teschi, e Venanzio Marvuglia che per avere operato entro l’anello azzurro che l’iso-la circonda è invece quasi obliato e negletto, mentre fu grande ed è nostro doverenon farlo dimenticare.Neo-classici fummo dunque prima che il neo-classicismo fosse moda o legge, equando tale divenne, fu da noi familiari al tempio di Segesta e al tempio dellaConcordia spontaneamente seguita e con slancio ubbidita. Al teatro Massimo diPalermo si giunse con un procedere logico e fatale, così come a Roma con interrot-ta catena si legava il portico di S. Pietro del Bernini alla facciata di S. GiovanniLaterano di Alessandro Galilei, il protiro di Villa Borghese al monumento delSacconi.Romantici fummo in architettura in pieno imperversare di neo-classicismo quandoVenanzio Marvuglia creava la casina “La Favorita” orientaleggiante: appena poi ilromanticismo architettonico, il più letale tra i vari romanticismi, infierì in Italia dis-seminando castelli medioevali e archetti ogivali, la Sicilia mentre da una parte resta-va fedele al rigore neo-classico, dall’altra parte si abbandonava nuovamente al goti-co catalano e per le tombe, come per le scuole, come per le ville apparvero archi agiogo e minuzie ornamentali. Tutti gli stili architettonici furono accolti ed elabora-ti anche il liberty che pareva occhieggiasse al linearismo arabo, anche l’eclettismoumbertino rimasto questo ben sodo e con pretese giovanili fino ad oggi, anno XIIdell’Era Fascista.Sicché nell’ottocento per l’architettura si procedette di pari passo e gagliardamente

41

Page 42: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

con il resto d’Italia; avemmo le nostre febbri, ma il buon clima ci salvò dai deliri,avemmo le nostre sincopi di gusto ma il buon Dio ci salvò dalla morte; procedem-mo bene e gagliardamente per sostare poi improvvisamente stanchi, alle soglie delnovecento indifferenti e pigri al vasto movimento architettonico mondiale che puraveva avuto come fulcro ed araldo un italiano audace e ribelle, un genio, Antonio diSant’Elia.Il neo classicismo pittorico siciliano non fu peggiore né migliore di quello napoli-tano o piemontese; fu tutto orientato verso Roma dove l’accademismo imperavasotto le nuove divinità: Filippo Agricola e Vincenzo Camuccini, Gaspare Landi eTommaso Minardi. Lì nelle sale dell’Accademia di S. Luca accorrevano i pittori diSicilia i quali ora restavano fuori patria a lavorare insieme e come gli altri, come quelGiuseppe Errante trapanese amicissimo del Bossi, come Francesco Manno e NataleCarta, ora ritornavano subito in patria a portare i nuovi precetti accademici lavo-rando con ardore e ad altri comunicando la sapienza acquisita.Ma di questi neo-classici vissuti in provincia o altrove non sarebbe interessantevedere e studiare le opere e specialmente i ritratti per dedurne qualche giudizio piùgiustificato ed esatto?È già dimostrato come alcuni pittori neo-classici, dall’Appiani al Benvenuti aLattanzio-Querena posti dinanzi al modello umano riuscissero a dimenticare i pre-cetti intellettualistici commovendosi sinceramente ed esprimendo questa commo-zione in ritratti spigliati ed agili veri capolavori fra i ritratti dell’ottocento. E nonsarebbe da estendere questa indagine anche ai siciliani e al nostro Patania il qualecompie un capolavoro assoluto di immediatezza, di naturalismo, di sincerità pitto-rica nel «Ritratto di sacerdote» della Galleria di Palermo? E quivi fra i ritratti del-l’ottocento recentemente e amorosamente salvati dall’oblio non troviamo straordi-narie sorprese degne veramente di attenzione e di studio? E non è tutto da studia-re il nostro Giuseppe Velasques ed il nostro Salvatore Lo Forte di cui un altro capo-lavoro: il ritratto di giovane del Museo Nazionale di Palermo ci fa sostare disorien-tati dinanzi all’improvviso cambiamento dell’artista che qui lasciando il disegno peraltro fermo ed accuratissimo dei suoi consueti ritratti, passa ad un impasto cosìmorbido e raffinato di colore ed ad una indagine psicologica così profonda e rara?E non sarebbe anche da indagare dove e quale sia l’opera di Giuseppe Cammaranodi Agrigento (1766-1850) che imperversando il neo-classicismo osava dipingereall’aria aperta con una trepidazione ed un amore verso le cose naturali quale verrànell’arte solo parecchi decenni più tardi?A metà dell’ottocento quando la Sicilia ebbe il suo lavacro di sangue non vi fu cer-tamente un movimento complesso come quello svoltosi al caffè Michelangiolo aFirenze o a Napoli con Filippo Palizzi e Giacinto Gigante, ma non per questo sono

42

Page 43: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

da trascurare isolate personalità di artisti che sentirono la necessità di ritornare allanatura e questa studiarono, amarono e resero con lirismo commosso. Fra tutti ricor-diamo Francesco Loiacono che combatté ad Aspromonte e ritornato alla sua terracon mezzi pittorici raffinati alla scuola di Filippo Palazzi cominciò ad interrogarlazona per zona con quella stessa curiosità ansiosa e desiderio di possesso che portòil Segantini a pellegrinare per i Grigioni e per l’Engadina. C’è un’opera in una col-lezione privata a Roma che rende la vasta solitudine assolata di Sicilia dove anchela soverchia luce ed il grande calore sembrano una pena per le montagne, per le val-late, per i ciottoli, per i fili d’erba e la rende con tanta emozione lirica da porsiaccanto alle più rinomate pitture di paesaggio e non d’Italia soltanto.E non parliamo della scultura dell’ottocento per cui improvvisamente la Sicilia, cheaveva avuto una tradizione plastica assai scarsa e insincera, si pone avanti con artisticelebratissimi come Benedetto Civiletti, Domenico Trentacoste, Mario Rutelli,Antonio Ugo ed altri espertissimi. Ma se oggi la plastica siciliana è rappresentata cosìnobilmente da giovani e da giovanissimi, quanto di tale nobiltà spetta ai nostri mae-stri della seconda metà dell’ottocento che tanto donarono di sapienza e di amore allamateria e alla forma da non permettere più ai loro discepoli dimenticanze nocive omodernismi di tecniche nordiche per nulla adatte al nostro spirito mediterraneo?Tutto da studiare, tutto da indagare, tutto da salvare. La Sicilia dorme, Ferrara vedeallineate sulle pareti del Palazzo dei Diamanti tutte le gioie della pittura ferrarese,ben duecentocinquanta opere, richiamate dai più lontani musei; a Napoli sta persorgere la Casa dell’Artista perché siano possibili sempre e facilmente le mostre diarte retrospettiva e di arte moderna, di Firenze, di Venezia, di Roma, sarebbe lungocitare le iniziative continue per alimentare l’amore all’arte, unica bellezza della vita;ma forse a Messina denarosa e spendereccia qualcuno pensa ad organizzare unamostra delle pitture di Antonello da Messina o forse a Palermo s’organizza unamostra delle arti decorative siciliane o una mostra del nostro ottocento o forse staper sorgere un Palazzo dell’Arte che offra sale adatte per le varie espressioni e siarichiamo e premio agli artisti? Domande retoriche.

27 Aprile 1934 - IL TRIONFO DI CESARE DI ANDREA MANTEGNA

Hanno destato vivido consenso e fervore di studio i restauri compiuti recentemen-te al Trionfo di Cesare di Andrea Mantegna, custodito nel castello di HamptonCourt, presso Londra. Anche il trasporto delle tele in ambiente più luminoso hapermesso la completa valorizzazione di quest’opera, tributo dell’Italia umanistica aRoma imperiale.

43

Page 44: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Sono nove tele dipinte a tempera che formano, se poste accanto, un fregio di 27 metridi lunghezza e metri tre di altezza. Un corteo sfila compatto, solenne e triste dinanzial carro di Cesare trionfante. Incedono nella prima tela i tibicini, i portatori di inse-gne, i portatori di stendardi con pitture che ricordano le imprese eroiche, le città asse-diate, i villaggi distrutti. Altri portano nella seconda tela le spoglie dei templi,un’enorme statua di giove, busti di divinità, altri portano trofei, scuri, corazze, cera-miche, coppe cesellate; tutta la terza e quarta tela son piene dei ricordi dei templidevastati dagli eroi vinti, delle città dominate. Poi seguono i candidi buoi e procedo-no monumentali elefanti, portando vivide fiaccole; dinanzi al carcere Mamertino pas-sano i vinti, i pesanti trofei, la turba degli schiavi, ostile e beffarda. In ultimo, pressol’arco di Tito, sopra l’ornato carro tratto da bianchi cavalli, si avanza Cesare incoro-nato dal genio della vittoria tenendo fra le mani la palma e lo scettro. Sventola nelcielo, l’insegna incorniciata di lauro, che porta le parole eterne: Veni, Vidi, Vici.Grandi sono le tele, ma lo spazio sembra angusto per contenere così grandi cose.Scelto come centro di visibilità il punto più immediato al corteo, limitato lo spazioalla sommità della più alta insegna, chiuso l’orizzonte da architetture e colline mol-tiplicando e variando di continuo i piani prospettici, Andrea Mantegna, il prospet-tico insigne, riesce a cogliere con mezzi nuovi, di fotografica evidenza, la densitàdella folla, la compattezza serrata e soffocante, il lento ed impaziente cammino. Lafolla ha pochi corpi, pochi volti, ma il costruttore sapiente, l’erede del plasticismodonatelliano li ha modellati con mano sicura ed eroica, ora idealizzando le formesulla base delle antiche statue e gemme, ora aderendo alla realtà e frugando nell’ani-mo l’origine di ogni gesto, dal trionfante riso di un vincitore o dal crucciato sgo-mento dei vinti. Il Mantegna era stato sempre oscillante tra il neo classicismo ed ilrealismo, tra il neo classicismo arruffato ed ingenuo del maestro Squarcione o pit-torico ed elegante di Iacopo Bellini, ed il potente realismo affermatosi a Padova daquando Donatello aveva eretto l’altare del santo, corrusco di bagliori, colmo di vitaed aveva immobilizzato nella sua marcia eroica, lì, nella piazza del Santo il condot-tiero di tutte le audacie, Erasmo di Gattamelata.Gli estremi di questa incertezza sono dati dai primi affreschi compiuti agliEremitani a Padova (1448-1454) specialmente dall’affresco rappresentante S.Giacomo condannato a morte, dove l’arco di trionfo, i costumi e le corazze rievo-cate dall’antico sono la preoccupazione più cocente dell’artista e la tavola rappre-sentante il Cristo morto, nella Pinacoteca di Brera (1501) dove la realistica inter-pretazione del modello in una giacitura insolita e prospetticamente difficile costi-tuisce l’unico interesse.Mentre Sandro Botticelli rimase sempre sentimentalmente indeciso tra l’epicurei-smo mediceo e il fanatismo religioso, pervenendo però nell’arte ad una liberazione

44

Page 45: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

di questo tormento, Andrea Mantegna, pittore razionalista, rimase vincolato estretto fra i due mondi formali: classico e reale e non poteva trovare liberazione senon trasformando il reale nel classico come Donatello aveva insegnato. Questoavvenne nel Trionfo di Cesare.L’interesse alla ricerca archeologica già apparso nel giovanetto allievo delloSquarcione e sempre esercitatosi nella ideale ricostruzione di antiche architetture,si accrebbe nell’uomo adulto ed esperto che a Roma, chiamatovi da Innocenzo VIIIpoté guardare i classici rilievi e le classiche forme nell’ambiente proprio ancora vivi-do di ricordi e di voci. Allora l’interesse archeologico si illuminò di una luce diamore, quello che non avvenne mai o almeno che non si tradusse mai nell’arte deineo-classici germanici trapiantatasi a Roma. La fantasia riscaldata in questa nuovaatmosfera di esaltatrice bellezza riuscì ad una sintesi perfetta dei vari elementi, aduna rievocazione originale e potente del Trionfo di Cesare.L’artista attese al lavoro per diciotto anni dal 1474 al 1492, dovette studiare moltis-simo: lesse e ricordò la descrizione del trionfo di Cesare fatta da Svetonio, guardòforse i rilievi traianei, gli altri già da tempo trasportati dall’arco di Marco Aurelionell’attico dell’arco di Costantino celebranti il trionfo di Marco Aurelio, vide forsealcuna delle coppe cesellate con trionfi di imperatori sul tipo rimasto nel tesoro diBoscoreale, copiò fregi, loriche, calzari da rilievi dell’arco di Costantino, raccolsequanto poteva di indicazioni e compose la sua marcia trionfale fedelmente attenen-dosi ai testi per l’ordine della sfilata, facendo seguire la consueta via che dal campusmartius, attraverso il circo Flaminio giungeva alla porta Carmentalis e poi attraver-so il circus martius per la sacra via del forum arrivava al Campidoglio.Tutto questo è molto ed è interessante ma avrebbe potuto darci una gelida ricostru-zione dell’antico come faranno più tardi un Costanzo Angelini o un FedericoMaldarelli. E invece Andrea Mantegna seppe della romanità assorbire lo spiritoonde le figure rievocate sulla tela hanno la dura fierezza, la dignità, l’umanità, tuttoil carattere di una razza invincibile per diritto. Si paragoni questa sfilata di trionfa-tori con l’altra di Pierino del Vaga nel trionfo di Scipione nel palazzo Doria aGenova dove le figure sfibrate camminando tentennano come asse che stia per crol-lare. Il disegno incisivo e tagliente, il chiaroscuro sommario ma efficace modella leforme a tutto tondo, le anima di un moto vitale, ne descrive la varietà fisionomica.Ora è una magnifica testa di mulatto che sembra modellata nel basalto da uno scul-tore mentifico, ora è il giovanile corpo di un adolescente reso con una purezza neoattica, ora è il bimbo che si impaura al tocco della zampa di un cucciolo sudicetto espelacchiato, ora è una giovane e fiorente madre colma di latte, posta fra i prigio-nieri umiliati e la turba dei buffoni, nel centro della tela indifferente a tutto se nonal figlio; come una sorgente di vita e di bellezza immutabile ed eterna.

45

Page 46: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Oltre il mondo umano c’è poi il mondo delle cose anch’esso animato e vibrantesullo sfondo chiaro di cielo: le corazze pare trattengano ancora il fremito dei maschipetti che li sostennero, gli elmi ricordano visi accigliati e fieri, i trofei, le picche, ibaluardi riuniti in fascio scomposto riescono a rievocare lo scompiglio della mischial’urlo degli assalti.Dalle cose agli uomini, dagli uomini alla cose scorre la vita.Così Andrea Mantegna a Roma guardando l’antico seppe trasformare il classiconella realtà ed elevare la realtà alla bellezza classica. A Londra vi è già da alcuni anniun grande fervore di studio per l’arte romana. Ora è stato compiuto con moltoamore il restauro a quest’opera immensa di Andrea Mantegna.Non ci dispiace per questo che essa sia ospite nella terra di Bretagna dove Cesareportò il fascio e la scure.

13 Maggio 1934 - LA PITTURA MODERNA ALLA XIX BIENNALE VENEZIANA

Nei giardini o nel palazzo dell’esposizione a Venezia si è fatta primavera.Una primavera assai dolce con soffi tiepidi e odorosi e fiorite di ortensie, e nuvolet-te smarrite e ferme nel cielo.Una quiete, una conciliazione fra le più estreme tendenze, un ritmo unico, un colo-re di speranza che riposa.Così abituati alle discussioni violente, alle reazioni eccessive, alle audacie pittoriche,ora ci si sente sgomenti in questa dolce e serena aurea.Già nel fatto che la Mostra dell’arte moderna italiana viene sontuosamente accom-pagnata dalla materna pittura dell’800, già da questa grave e severa compagnia erada trarre moltissimi auspici.E infatti la generale impressione della Mostra è confortevole, accogliente, sorriden-te, come se, organizzata da due uomini facili al sorriso e alla cortesia: S. E. Marainie Roberto Papini, ogni particolare sia di quel sorriso impregnato, e di quella garba-ta cortese affermazione. Il lavoro è stato tenace, diligentissimo, accorto, amoroso sequesti sono gli effetti.Positività e negativitàIl primo avvertimento piacevole che si riceve da una sommaria visita alla Mostra edi una complessiva serietà di ricerca e di ottima preparazione pittorica. Ogni arti-sta espositore ha sentito la necessità di dare il meglio e il più, la necessità di unosforzo di meditazione e di sincerità espressiva.Si osserva in tutti e innanzitutto, uno spiccato interesse alla pittoricità che si attuanella ricerca di gradazioni di trapassi e con armonie di contrapposti, la risoluzione

46

Page 47: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

di abbandonare le tinte sgradite e bituminose i colori acerbi e crudi, per ottenere ilpiacevole cromatico anche a scapito di altri elementi indispensabili alla pittura.E pare strano osservare come dalla riforma cubista, dal novecentismo, dal razionali-smo architettonico sia venuta fuori una pittura la quale rinunzia quasi completamen-te al volume, al possesso della sostanza delle cose per appagarsi del post – impressio-nismo pittorico vale a dire della superficie e della apparenza sensibile delle cose.Invece di una pittura che si riattacchi alla tradizione tipicamente italiana che è diforma – colore, quale attendevamo, ci è parsa una pittura teneramente cromatica,delicatissima, ma anti – volumetrica.Certamente mancano nella Mostra molti artisti che dovrebbero rappresentare nobil-mente il contrario indirizzo ma non si può tenere conto del numero di artisti che quiespongono e che si riconnettono tutti a questa ricerca di principio cromatico.Sono assai scarsi i quadri nei quali è affrontata una composizione di figure o unaccordo tra figura e paesaggio, o figure e ambiente. I pittori restano quasi tutti lega-ti ad un solo elemento o figura o natura morta, o paesaggio.Anche questo estraneo notare se si pensa che tutta la pittura italiana è stata domi-nata da una ricerca di ritmo compositivo che era di per sé elemento di bellezza eche sosteneva una intera decorazione pittorica anche quando i particolari non eranostudiati o quando le possibilità pittoriche e formali erano del tutto scadenti.Tutta la pittura italiana, senese e fiorentina della seconda metà del 300 si salva uni-camente per valori di composizione, molti quadri del 500 italiano riaffermano que-sta tradizione e sempre nella pittura del 600 e del 700 il quadro fu dominato oalmeno studiato sopra una base di architettura e di equilibrio di rapporti tra formae spazio.Ora invece pare una notevole paura ad affrontare la composizione di parecchie figu-re, di tentare nuovi accordi, nuove sistemazioni spaziali, e riducendo tutto l’interes-se del quadro ad una sola figura, ad un piccolo lembo di paesaggio, ad un frutto, adun fiore, si rinunzia alla bellezza del periodo per la proposizione, della sinfonia peril motivo, e ne risulta anche una certa povertà ed una uniformità stancante data lasuperproduzione pittorica che è il più grande male del secolo.Indizio di povertà a noi sembra l’insistenza di tutti i pittori per le nature morte,oggi, che il nostro ritmo di vita accelerato e violento non ci consente che assai rara-mente l’amoroso sguardo sulle piccole cose che ci circondano e non ne sentiamo piùné il fascino né la bellezza. E infatti malgrado tutta la pittura moderna riferentesialla frutta o alle umili cose, noi ricordiamo con nostalgia la pittura del 600 napole-tano, non perché sia più esperta di tecnica, ma perché era più sincera e risultava daun vero interesse alle piccole cose della natura, dopo la stancante pittura accademi-ca raffaellesca o michelangiolesca.

47

Page 48: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

È doloroso riconoscere negli artisti una specie di inerzia intellettuale e forse il pudo-re di affrontare nuovi temi per timore di cadere o nel romantico o nel lirismo; se temimoderni si affrontano spesso non è moderna e chiara e giovanile la fantasia che lo ela-bora. Madonna fantasia se ne è ita e non sappiamo più dove ritrovarla. Dal nord alsud d’Italia per diverse che siano le tradizioni pittoriche le influenze della natura,caratteri delle regioni il risultato è eguale per quanto riguarda la scelta di un elemen-to del reale su cui concentrare l’attenzione, e non è possibile distinguere una pitturadi Venezia da una pittura Siciliana con la stessa facilità con cui ai bei tempi si distin-gueva un Bellini da un De Vigilia, un Piazzetta da Vito d’Anna.Quanto si dice può essere ritenuto un bene come affermazione di una conformeunità dello spirito italiano al di sopra delle differenze regionali, ma allora una mag-giore ricchezza di motivi, una varietà di contenuti dovrebbe derivare da questa col-leganza e fusione di spiriti, non una povertà.E soprattutto perché del nostro stato d’animo infinitamente diverso da quello diieri, di questa nostra vita sentimentale complessa turbata pervasa da orgogli, daincertezze, da miserie, e da nobiltà, di questa nostra vita, perché non dobbiamovederne il riflesso nell’arte, nello stesso modo per cui tutto il misticismo medioeva-le si concentrava negli affreschi gotici e tutto l’ardore e la pienezza di vita Venezianasi esaltava nella pittura di un Tiziano e di un Tiepolo?Questo disimpegno assoluto di ogni attenzione a quella parte del reale che è l’ani-ma umana, questa indifferenza ad ogni ricerca spirituale, per cui tutti, sulle telemoderne, appaiono astratti, disattenti, questo disgusto a rappresentare il sentimen-to della vita è ancora un resto di reazione anti romantica che vorremmo prestoscomparisse senza per questo cadere nel romanticismo.Perché dobbiamo rinunciare alla qualità più divina dell’uomo? Non ci esalta il solocontenuto degli affreschi della basilica di San Francesco d’Assisi né il contenutodegli affreschi della cupola di Parma o della cappella Sistina, ma indubbiamentevive e si eterna in noi questa pittura perché essa ha saputo fermare non soltanto lamateria del reale, ma ha saputo fermare l’anima della materia.Non sono queste conclusioni pessimistiche. Tutt’altro. Solo quando si vede unaconforme volontà di studio, una attenzione vigile e pronta quando l’aria è serena, sipuò parlare con sincerità di quello che l’anima desidera e chiede all’arte.Tutto il maggese è stato fatto nella buona terra, e zappate sono state le zolle e scel-to il grano più fecondo per la semina e slanciato con ritmo eguale, propiziati gli deicon le offerte, perché dunque non dovrebbe arrivare il giorno della messe feconda?Ora più difficile è scegliere fra tanti valori quelli assoluti, indicare l’opera comple-ta, affermare le compiute conquiste.Proprio sui grandi nomi la discussione è accanita, le conclusioni più discordi. Carrà

48

Page 49: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

e Soffici ad esempio, nomi notissimi nella pittura contemporanea italiana si presen-tano con un gruppo di opere dinanzi a cui la critica è varia. Ma di Carrà, noi cheammiriamo convinti la sua penetrazione critica specialmente nella rievocazione enella spiegazione dell’arte giottesca, noi che abbiamo seguito con estrema speranzaquella rinascita di forma - colore e di armonia tra forma e spazio che egli ha tenta-to e attuato nobilmente in altre opere, noi che abbiamo veramente atteso l’avventodi una maggiore determinazione formale e di una più garbata scelta del reale, noiconfessiamo candidamente di non essere stati questa volta appagati in tutto nell’at-tesa né ricompensati delle vive speranze.E appunto perché fondamentalmente amiamo una pittura salda, plastica, architettoni-camente spaziata, ci troviamo perplessi dinanzi ad un quadro di Soffici rappresentantela «Processione» dove manca certamente la plasticità delle forme ma dove però altrivalori: in rapporto equilibratissimo tra contenuto e colore, uno studio amorevole diequilibrio compositivo un lirismo contenuto ma evidente, ci interessano e ci avvincono.Raffinato, aristocratico, elegantissimo appare Felice Casorati il più musicale dei pit-tori. Intona i colori con belliniana dolcezza e ne trae tutte le possibilità con un sensomusicale e sinfonico che c’incanta, rea intorno a noi una seduzione di musiche lievie incantatrici le quali smorzano ogni discussione e immagine critica.Siamo presi da una magia cromatica talmente forte da non pensare più ad altri ele-menti e non sentirne il bisogno.Le opere esposte rappresentano nobilmente tutte le tecniche di F. Casorati omeglio, tutto il suo mondo pittorico che non è cristallizzato e chiuso ma mutevolesempre e variando l’emozione lirica varia l’espressione restando però sempre visibi-le e dominatrice la raffinata sensibilità cromatica. Egli è pittore e la realtà e tutte leinfinite forme vi appaiono «sub specie coloris».Altri pittori in diverso modo restano legati al colore. I più, e non riusciamo adintenderne la causa, sono rimasti ad una visione impressionistica della forma ad undisegno spesso accurato e rivelatore entro cui si distende il colore. Qui è la moder-na sensibilità dell’artista che lo scompone in toni e semitoni smorzati e chiarissimied anche del fondo del quadro riprende gli stessi toni e forma una pittura che èquasi il consumato tono degli affreschi umidicci dove le infiltrazioni dell’acqua cor-rodono e smorzano le tinte. In un modo siffatto o meglio con eguale stato liricosono dipinte molte opere: una giovanetta di Dante Montanari, «La bimba malata»di Alfio Paolo Graziani alcune opere di Giovanni Costetti; hanno s’intende valorediverso ma si uniscono con altre opere di Ferruccio Terrazzi, di Alessandro Pomi inquesto amore di superficie pittorica e di ricerca insistente di colore.È raro trovare qualche pittore che del colore si serva anche per costruire con volu-me la forma e che riesca a dominare tutti gli altri elementi del quadro: ambiente,

49

Page 50: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

spazio, rapporti degli oggetti riuscendo ad una sintesi armoniosa e definitiva.Questo è il caso della sola opera esposta da Oppo «Eugenia in grigio» in cui unabimba riposando inerte sul divano consente all’artista un delizioso studio di lilla edi rosa nella veste soffice e una delicatissima fusione di forme nell’ambiente.Vi sono anche alcuni costruttori di volume e sono interessati Pompeo Borra, AldoCarpi, Giannino Marchig, Anacleto Margotti. Anche Pippo Rizzo è già da tempoin questa ricerca ma ora s’interessa anche allo spazio, alla luce. Fra i molti quadriresta evidente il ricordo dei «Tuffatori».Il mondo pittorico di Felice Carena è assai ricco di voci diverse, ma vi domina unamalinconia quasi disperata, lo struggimento ansioso di conquistare e rendere tuttoil vasto sensibile, ma soprattutto è mondo di pena e di rinunzia. Fra tutte le opereesposte ci appare sincera, lirica, assai bella la tela rappresentante «Teatro popolare»dove stanno uomini e donne del popolo, affratellati da una comune miseria di vesti,da una magrezza di fame e di rinunzia, da una stanca e morbosa fissità nello sguar-do, una pittura condotta a piani graduati con scarse rifrangenze cromatiche, unapittura di rinunzia ma per questi straordinariamente sincera e commuovente.Questa spietata ricerca della desolazione fisica, appare pure nell’altro quadro rap-presentante lo «Studio del pittore», ma qui la coesione dei vari elementi è meno ser-rata. E tra la pittura rappresentante «l’estate» che è tutta una dimostrazione di espe-rienze cromatiche, riuscitissime preferiamo il piccolo quadro rappresentante«l’Angelo e Tobia» capolavoro di immediatezza e di sensibilità pittorica.Giudizi assai vari sono riportati sopra un’altra tela di vaste dimensioni di ManlioGiarrizzo. Anche in questa è affrontata una vasta composizione, ed è lodevole nota-re questo desiderio di afferrare una più larga porzione del mondo. È veramentel’opera che s’intitola: «Il Duce a Littoria» è un quadro di largo respiro: una terrafeconda di spighe, case lontane e sul piano dorato solerti garzoni, donne e lattanti,sospendendo il lavoro fecondo, pare guardino e invochino un assente. C’è nel qua-dro un impeto di vita, una calda luce solare che emana dalla terra bionda, dalledonne forti, dai bimbi sani e robusti, un senso di sanità e di sincerità che piace, eparticolari vistosi e attraenti, ma nell’affrontare problemi nuovi di composizioni edi ritmo l’artista ha avuto qualche perplessità e qualche paura e questo disgrega varielementi del quadro i quali non appaiono in una serrata cementata unità.Soluzioni assai interessanti di rapporti tra figure e ambiente ed affermazioni assaigustose di forma colore si hanno nelle pitture di Rosai dove anche appare un sotti-le compiacimento quasi umoristico nella scelta di argomenti non comuni: carabi-nieri che si allontanano nel fondo di una via e non sono che ombrose macchie, pretiche battono alla parete della chiesa come calabroni insistenti nel bucare il biancodella parete, fiaccherai cogitabondi riuniti in crocicchio.

50

Page 51: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Una certa sprezza di colore, un certa tendenza a raggrumare i bruni vicino gli azzur-ri, un desiderio visibile di essere antigrazioso ci mostra una volontà e un presuppo-sto che si risolve in soluzioni non sempre accettabili.In altro modo è pittore Massimo Campigli nell’affresco rappresentante la famigliadi Gio Ponti.È una pittura senza volume, senza rilievo, senza colore, come alcuni affreschi discuola romana.Eppure con tante rinunzie l’artista riesce a fermare la vita in uno sguardo e a ren-dere immobile nell’eterno irreale.Forse dalle composizioni ritmiche dei bizantini, forse dagli affreschi romani egli hatratto molte esperienze.Anche nel grandioso affresco di Milano egli si imponeva con doti rare di composi-zione che pur qui si affermano ma unendosi a ben altri colori.È nota la consueta formula che si adotta quando di altri artisti non ci si sente spin-ti a parlare o perché non hanno imposto nuovi valori e sono ripetitori del passato operchè sono ancora in una ricerca, in un tentativo.Allora si dice «dovrei parlare dei seguenti artisti ma non parlo per mancanza di spa-zio». E non è vero, perché lo spazio si trova sempre se la pittura è riuscita a trovarespazio nella nostra fantasia.La pittura di paesaggioLa meraviglia dell’uomo davanti alle cose naturali, la gioia di ridurre l’infinito spa-zio nel campo di una piccola tela, assumendosi la facoltà demiurgica di creazione,l’inevitabile amore di fermare una tra le molte impressioni cromatiche che ci dà lanatura spinge sempre i pittori allo studio del paesaggio. E in questa mostra, biso-gna convenirne, la pittura di paesaggio ha un valido posto ed è quasi tutta assainobile.Via via nel giro delle sale queste piccole tele sono un riposo e un godimento, sonoun invitante richiamo ad una sosta.L’inverno di Zurigo, di Ettore Cosomati paesaggi di De Pisis, tutte le opere diLuigi Bracchi e di Carlo Prada mostrano un vasto e ricco modo di interpretare lanatura. Bracchi dipinge a toni staccati ma intonati con grande sensibilità ed accen-tua il desiderio dell’infinito lasciando sfuggente il limite del quadro.«La salute» grigia, umidiccia, felpata di ombra, sul verde e sull’azzurro è un quadroche piace assai.Scibezzi, giovanissimo, ha ritrovato un buon impasto di colore per rendere il cele-ste serico della laguna, e costruendo il quadro sopra rettilinee e svolgentesi in pro-fondità, slarga all’infinito lo spazio: Anselmo Bucci ci richiama con una «stalla»dove vivono vaccarelle magre e grigie; Lo Castro con una vacca e vitello disegnati

51

Page 52: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

con un garbo, altri artisti come De Bernardi, Dalla Zorza Carlo, Memo Vagagini,Donato Fisini, Umberto Villoni, Arturo Tosi, Orazio Amati, Trombadori ed altrisono interpreti efficaci, e spesso deliziosi della bellezza naturale. E fra le cose mortedella natura richiamano con voce di desolata malinconia le vecchie anfore dipinteda Orazio Pigato, con toni grigi su fondo grigio, e i «fiori» di Mario Maffai tremo-li e oscillanti in cerca di aereo respiro tra rocce inesorabili, altre nature morte diPirandello, artista interessatissimo e da segnalare appena passeranno alcune stra-nezze inesplicabili, e poi ancora altra natura morta di Alberto Bevilacqua il qualepresenta pure un caporale tutto composto in verde chiaro, sgomento, inerte e spau-rito riprese di un motivo già caro all’ottimo e pigro pittore palermitano.La mostra degli aereopittori futuristi italianiOra che i futuristi sono passati dalla terra al cielo e ippogrifi novelli vanno ricercan-do il senno smarrito nelle ragioni iperboree, e ora, che hanno trasportato colori epennelli nella carlinga degli aeroplani ora, essi fanno da padroni.Senza controllo, senza rimbrotti ed accuse dei poveri bipedi terrestri, essi aquilottigagliardi possono muovere a tutte le conquiste. L’azzurro è il loro mondo e dall’al-to, tra le nuvole mostruose e dinamiche essi possono guardare e rendere città capo-volte, campanili cascanti, alternanze di luci e saettanti colori. Sulla terra erano esal-tati e pazzi, ma nel cielo diventano savi – variato il punto di osservazione, capovol-to il centro di visibilità, guardando dall’alto il basso, mentre per tutti i secoli abbia-mo guardato dal basso all’alto, che cosa ci darà questa pittura che ha per palazzouna carlinga, per tendine le nuvole, per motore il vento? Ora Carlo Cocchia sidiverte a trapanare il suo cielo, Crali fa la rivoluzione dei mondi. Dibotto fa le visio-ni sintetiche e simultanee dei paesaggi italiani Oriani un paesaggio iperplanetario euna sintesi cosmica, Prampolini, inutile dirlo si accinge alle trasfigurazioni deipaesi, all’autoritratto cosmico, alla metamorfosi geologica, e se resta in terra, fa ilmimetismo di oggetti.Valgano i titoli delle opere e le intenzioni. Le intenzioni sono approvabili e susci-tano il più entusiastico consenso basta con questa terra dove è assegnata all’uomo lasua stretta via, basta con questa realtà ormai conosciuta fino all’esasperante certez-za; ma su per i cieli nell’azzurro infinito del mondo del mutevole e del sogno!!!Ma, sulle pareti colme di pitture dove ci allegra la multiforme gradazione di azzur-ri e squarci di luce noi, ancora bipedi statici, non riusciamo ad intendere che pochiquadri ed accettiamo con compiacenza il quadro di Tato: Me ne frego.Il titolo spavaldo e irruente è dato ad una vasta tela dove un veivolo, grigia massametallica capovolgendosi inoltra e si attuffa in un anello di azzurro che è voragineimmensa. Il quadro fu dipinto pensando ad un squadrista ma questa non ci interes-sa, ci interessa il rendimento di questa brutalità di materia che piomba nell’infinito

52

Page 53: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

suggerito con due toni di azzurro e di verde in un modo così rapidamente sinteticoquale troviamo soltanto nella pittura orientale.Tato ha altri quadri: «Splendore meccanico, Il Gigante e Pigmeo, Il Calabrone», edè in tutti questo contrasto tra l’acciaio e l’aria, tra la materia che pesa ed aggrava, ilfluido atmosferico. In questo modo la aereopittura è accettabile e in verità preferi-bile al consueto laghetto ed alberello sbilenco e collinetta verdeggiante.Incerto tra gli estremi futuristi e la tradizione, ma dotato di qualità pittoriche gra-devolissime appare Gerardo Dottori, assai gradevole sì rende valli e laghi, sì rendepaesi visti dall’alto con una limpidità di tinte forse eccessive. Interessante è il giuo-co di nuvole che si avanzano come aerei serpenti soffici e bianchi nell’infinito, nel-l’opera di Benedetta.Frammentaria invece l’opera di Fillia che passa dalle costruzioni metafisiche quin-di incomprensibili che ricavano un altro ordine di studio alle visioni pittoriche delcastello di Lerici o di altre aereopitture anche queste audaci e interessanti. Certo S.E. Martinetti ha aperto un immenso campo di studi e di ricerca, ma speriamo siafatta con serietà e gusto e sia resa ogni emozione con sincerità e con evidenza e siaricercata, in quel mondo dell’infinito, altra fonte di infinita bellezza.Non vedrei male una mostra di aereopittori a Palermo. Non sarebbe una buonafolata di vento, per far cadere qualche ultima foglia dimenticata sui rami? Con i futuristi si termina il giro della mostra, ma la parte centrale di essa è costi-tuita dalla interessantissima mostra del ritratto italiano dell’800.Ma questo a domani.

18 Maggio 1934 - ALLA XIX BIENNALE VENEZIANA - LA SCULTURA ITALIANA

AFFERMA IL PRIMATO DI BELLEZZA E DI GRAZIA

Orgoglio di italianità, intimo compiacimento, consenso pronto ed entusiastico sug-gerisce la visita alla Biennale di Venezia per quanto riguarda le opere plastiche.Antonio Maraini per le sue qualità nobilissime di scultore, oltre a quelle di perfet-to organizzatore, è riuscito ad offrire una rassegna nobilissima, confortevole, esal-tante della scultura italiana.Un riconoscimento speciale di lode va fatto per l’idea di esporre un considerevolenumero di opere di Libero Andreotti così presto rapito al lavoro e alla vita. L’artistaoperoso che alla Biennale Veneziana dava sempre il primo frutto di una ricerca con-tinuamente rinnovatasi, il Maestro fervido ed animatore che seppe creare una scuo-la, meritava questo tributo di ammirazione. E lo meritava soprattutto la qualità spi-rituale della sua arte che in questi primi decenni del secolo tormentato ha saputo

53

Page 54: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

mantenere una miracolosa qualità di bellezza e di grazia onde essere conforto egioia alta ed eterna al nostro spirito e darci la certezza che il genio italiano mai sioscura e si spegne. Molte opere sono esposte di Libero Andreotti e in tutte egli ciappare il discepolo ideale di Donatello, erede immediato della tradizione di umani-tà e grazia che fu sempre dell’arte Toscana.Ci richiama da tutte le opere una grazia diffusa, una vitalità erompente e contenu-ta, per cui tutte le sculture ascendono con grazia di stelo, respirano l’azzurro delcielo. Perfette e vibranti nella loro magrezza esse offrono il miracolo di essere uma-namente respirate e vibrate e nel tempo stesso, divinamente irreali ed astratte. Inaltra sala sono esposte le opere degli allievi di Libero Andreotti e nella scuola nonsi disperde l’alta parola del Maestro, alcuni l’hanno elaborata per una via di mag-giore plasticità come Rivalta, altri sono ancora più legati e non riescono a vincere ilgrande fascino di imitarla.Antonio Maraini presenta alla Mostra una sola opera: Crocefissione.Riprendendo un’antica tradizione quattrocentesca egli rappresenta Cristo sullaCroce ed ai lati due rilievi rappresentanti da una parte un angelo e dall’altra Mariasostenuta da una pia donna. Più che dalla figura di Cristo modellata con evidenzarealistica, attira la figura della Vergine, che non ha corpo modellato in pieno, ma èsoltanto un ritmo doloroso di linea, un’angoscia fatta forma, un dolore fatto mate-ria. Originalissima nella tecnica questa figura di donna merita di essere posta fra lepiù alte rappresentazioni della Vergine dolente di cui l’arte italiana – da Cimabueai Lorenzetti, a Tintoretto, ha saputo darci esempi inobliabili. L’arte di AntonioMaraini si afferma sempre più nella ricerca della umanità e della bellezza.Lo stesso diciamo di Romano Romanelli che presenta tre opere: «Ritratto»,«Donna sdraiata», modello per la statua equestre a Giorgio Washington.Quest’ultima, architettata con classico rapporto di volumi, modellata con sobrietà esommarietà dopo un’indagine che s’indovina media e costante, armoniosa ed auda-ce nel movimento ondeggiante del cavaliere, è degna di entrare nella famiglia nobi-lissima di statue equestri di cui Donatello e il Verrocchio furono i capostipitiimmortali.Una impressione di discontinuità creativa appare invece dinanzi al superbo bronzodi Martini rappresentante «Tobiolo» perché qui fra le varie parti della bella statua èun lento disperdersi della potenza creativa iniziale ed un avanzarsi di tecnicità par-ticolaristico.È come una mancanza di unità tonale, avvertibilissima dalla nostra sensibilità esteti-ca e non raziocinante, come quella che si prova dinanzi ad opera classica cui sia fattoun completamento arbitrario. Il gruppo di Armodio ed Aristogitone ad esempio.Originale assai interessante fra le opere di Giovanni Brini, ci è apparsa «Una colon-

54

Page 55: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

na funebre» modellata in bronzo e bronzo dorato con rilievi sparsi sulla superficiecilindrica. Sullo sfondo oscuro le grandi macchie dorate squarciano un lembo divisibilità ed appaiono raggruppate con ritmo musicale le figure che compongono letragiche scene. Nell’interesse decorativo non si attenua la commozione dell’artistache rievoca le tragiche cose con lieve e commosso tocco. Così è anche modellata la«Malatina» testina di bimba fasciata e dolente.La materia è stata invece un po’ sorda nel rendere la creazione di Benedetto Delisi.L’anticoro di tono argenteo e serico non consente un rendimento troppo accuratodella superficie e lascia gelida e rigida la forma. Questo è un elemento di negativi-tà nella sua opera che rappresenta una «Nuotatrice» salda, maschia, moderna, sdra-iata sulla sabbia e puntellata a guardare in un movimento difficile di torsione risol-to però con impeccabile dominio. Più cedevole ad accogliere la ispirazione dell’ar-tista è il bronzo in cui egli ha fuso un pastore con la sua capretta nascosta nel grem-bo, opera tutta raccolta ed intima di sentimento, felicissima nella totalità plasticacome nel dettaglio.Ottimo rendimento cromatico offre la ceramica verde muschiosa di cui DanteMorozzi si è servito per modellarvi un «David» figura salda e ispirata; così purebene ha reso la rugiadosa freschezza della carne femminile la maiolica bianca usatada Rosita Cocchiari per una «Venere» e buona opera ha fatto anche in cementoarmato Giulio Giordani nelle «Danzatrici». La terracotta ha numerosi artisti ed èdocilissima nelle mani di Alfredo Bigini e di Lelio Gelli, di Gaetano Martinez.Questo ultimo, un pugliese modesto e autodidatta, pare rifletta nelle sue operequella romanità classicheggiante che è il carattere della scultura pugliese. Egli scol-pisce a massa compatta e ferma, senza ricerche di superfici ma rendendo anchel’anima. Dalle quattro sculture che egli espone in terracotta lievemente porosa ecolorata, una rappresenta con precisa intuizione il tipo della popolana romana mistodi forza fisica e di umana beltà ed è opera assai buona ma più interessa una «Testinadi convalescente», smarrita e malinconica modellata con una commozione costanteed una esperienza felicissima di sfumato sotto la fronte sporgente in modo che negliocchi sia una densità di ombra e di lacrime. Una ricerca più approfondita e perso-nale dovrebbero condurre Sever Verther, Angelo Rigetti, Giorgio Giordani, Vitalia-no Martini, un po’ troppo cedevole ad effetti di sfumato pittorico, BernardoMarescalchi che riesce al particolare bellissimo della testa di una «Donna dormien-te», Ercole Drei un po’ troppo neoclassico, Antonio Bonfiglio messinese, che nelritratto del Signor Marigo pure costruito assai saldamente, non conferma tutte lequalità altissime già apparse nel «Cieco» della Galleria di Palermo.Altri giovani sono segnalabili invece proprio per questa ricerca di personalità con-dotta nel clima sano della bellezza: Francesco Wildt cui difficile deve essere uscire

55

Page 56: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

dall’incanto dell’arte paterna eppure vi riesce nella statua «Magna parens frugum»,dolce e sano e musicale corpo di donna piegato verso due spighe, FrancescoMessina in due bronzi: Giovanetto nuotatore e Napoli; Marino Marini con ritrattinobilissimi a forma magra asciutta, immediata. Sono interessanti assai un gruppodi sculture ispirate ad animali di Silvio Tafanari, che sarebbero più efficaci se man-tenute in piccole proporzioni, belle sono le opere di Venanzio Crocetti in cui la vigi-le osservazione del naturale è dominata da una sintesi di creazione artistica.Interessantissima è la saletta delle medaglie dove espongono Albano Bertolino,Mercante, Morbiducci, Papi, Romagnoli, Sgarlata e altri; Bertolino portano unaricerca di ritmi riposanti e quieti ottenuti con ampi spazi ed è armoniosa laMedaglia rappresentante la Fuga in Egitto; Morbiducci è invece violento, agitato,vibrante e tutto, anche i caratteri, respirano l’impronta di questa forte personalità diartista; Mascherini offre una serie deliziosa di bronzetti da porsi accanto ai bron-zetti piceni per il loro gusto, quasi caricaturale e per l’agilità nervosa di cui sono ani-mati. Filippo Sgarlata si mostra originalissimo nella ricerca di nuove composizioniritmiche e modella con un rilievo preciso e sicuro della forma cui infonde empitodi nobile vita. «Il Trionfo della Fede» e «La caccia al cinghiale» sono opere da porsiaccanto ai capolavori più eterni della medaglistica italiana.Molte altre si dovrebbero segnalare: «La primavera» salda e fresca di NapoleoneMartinuzzi una «Figura di giovanetta» di Guido Galetti con la testina eretta a guar-dare il cielo ed il corpo acerbo e saldo inclinato nell’audace cammino che ci richia-mò alla mente nel modellato vibrante delle reni il bronzo dell’Efebo di Selinunte equella asciutta e concisa modellazione. Altre qualità hanno le opere di Lazzaro arti-sta che porta nella plastica un gusto pittorico di superfici tremule, un toccheggiareirrequieto della materia, perché tutta vibri e respiri pur restando sotto le vesti incre-spate. Egli rappresenta una «Vergine tamburina» e un Ritratto di Perotta in terracotta in cui la materia più morbida e cedevole giustifica più che nel bronzo in cuil’altra e fusa questa tendenza di increspare la superficie per lasciare quasi trasudantel’epidermide più viva e vitale la forma. Lazzaro è tra le migliori attuazioni della pla-stica siciliana ed è merito di Antonio Maraini averne riconosciute le grandi riserve.Confortevole è dunque questa visione della scultura italiana, e tale da apporre ai bia-scicatori di eterne querele e agli immutevoli scontenti dell’arte nostra, la realtà infal-libile che non c’è sosta per noi nel cammino ascendente dell’arte.

56

Page 57: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

27 Maggio 1934 - ALLA QUINTA MOSTRA DEL SINDACATO BELLE ARTI DI SICILIA

MOLTI PERCHÉ SENZA RISPOSTA

Nel regolamento della Mostra firmato dal Commissario Ministeriale BenedettoDelisi, si leggono parole simili a quelle che Antonio Tradeletto poneva nelloStatuto delle «Biennali Veneziane»: «La Mostra si basa sul criterio di accogliere conla massima obiettività ogni tendenza o scuola, ma respinge quelle opere che perbanalità o per dilettantismo si dimostrino artisticamente insufficienti». E infatti, trale seicento e più opere presentate, ne sono state respinte circa quattrocento. Le cifremostrerebbero una estrema severità della Commissione, mentre invece, la Mostra,di fatto, testimonia il contrario. Essa accoglie il banale e il dilettantismo. Ci trovia-mo subito al primo bivio: o la produzione artistica siciliana è talmente mediocre daspingere i Commissari ad abbandonare l’ottimo criterio proposto per radunare, conl’aiuto anche di questi saggi scolastici e di queste pitturine di buona famiglia, ilminimo necessario per una Mostra sindacale, o, mantenendolo in teoria, sia man-cato in atto per ragioni di ordine esteriore, comuni purtroppo a tutti i paesi. Poichéuna Mostra sindacale si differenzia delle altre Mostre in quanto le opere vengonosottoposte ad un’esame da parte della Commissione giudicatrice, ed allora fra noi egli espositori si pone questo giudizio della Commissione. A quale malinconica con-fortevole deduzione dobbiamo venire sicuri, come siamo, della competenza, dellaserietà dei commissari? Questo è dunque il livello dell’arte siciliana?Comunque, non possiamo in tutto giustificare la Commissione. Se essa ha l’obbli-go di benevolenza verso i giovani che tentano per la prima volta questo agone, per-ché essi sono sempre una speranza, un candore una fiamma di volontà e di fede nonne ha alcuno a favore di quei dilettanti che espongono per mero capriccio persona-le senza aver fatto alcuna individuale ricerca.Per partecipare ad una mostra sindacale non basta saper disegnare o colorare, nonbasta sapere ritrarre la mela cotogna, l’arancio, il mandarino con la foglietta verde,o fare ritratto del nonno con il gattino di porcellana, o del paesaggio e la casettabianca, come se fare ogni allievo di una qualsiasi accademia o di un reale educato-rio, non bastano esperienze tecniche ma occorre altro, occorre che l’artista porti unanuova parola, il frutto di una nuova ricerca, di una nuova intuizione del mondo;occorre che avanzi sul cammino dell’arte e proceda sempre senza indugio senza per-plessità, e indaghi il reale e il mondo e l’eterna vicenda umana con fantasia com-mossa e vibrante e dica parole nuove ma in un linguaggio sempre chiaro ed univer-sale, sempre italiano cioè, armonioso limpido e chiaro.In questo campo è necessario il giudizio dei competenti perché essi soli possonosapere quanto è stato detto e quanto è nuovo, essi possono intuire tra le molte paro-

57

Page 58: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

le le frasi schiette e pure. Non può questo fare il pubblico perché il pubblico è oggistanco di urli, di bestemmie, di forme spasmodiche e chiede ansiosamente unaparola di gioia e di conforto perché di bellezza ha bisogno come dell’aria e dellaluce, e può illudersi di trovarla oggi proprio là dove non è che una gesuitica appa-renza, una pittura disonesta, in altro modo ingannatrice e falsa. Questo è il compi-to di una Commissione di Mostra sindacale, questo debbono sapere tutti gli artistie tutti gli espositori.Una Mostra sindacale deve essere considerata con la massima serietà, col massimoimpegno. È serio agone. Primo degli altri. I vincitori rappresenteranno, in eterno enell’arte, la Patria.Gli artisti (e dico gli artisti e non espositori) lo sanno. E perché mai alcuni che ali-mentarono ieri le nostre speranze per avere esposto in altro tempo e in altro luogoopere degnissime, ora si presentano con opere di bottega, passatiste e superficiali,aumentando in tal modo lo sconforto, l’uggia già per tanti saggi scolastici accresciu-ta? Parlo di Silvestre Cuffaro di cui «Il sogno del pastore» aveva alimentato tantesperanze, parlo di Antonio Bonfiglio che a Venezia come a Palermo non procede diun passo su quella buona via dove lo trovammo con la bella «Testa di cieco», parlodi Alberto Bevilacqua che continua a scherzare con se e con gli altri, parlo di PaoloBevilacqua e poi ancora di Eustachio Catalano, di Ezio Buscio, di Lia PasqualinoNoto, artisti tutti che lavorano con serietà con gusto, con ricerca costante e che a que-sta Mostra sindacale non hanno offerto il meglio della loro produzione mentre ilmeglio bisogna proprio offrire alla Sindacale regionale, come si offre il più sereno sor-riso alla nostra famiglia, la fatica più cara alla madre. Chi ha esposto altrove e nonebbe tempo, chi prese quadretti di riserva, chi mise su, frettolosamente, qualche lavo-ro, chi non si degnò neanche di rispondere all’appello insistente del vigile segretario.Il risultato è questo: una mostra grigia, melanconica, passatista.Ed il pubblico è lì, pronto a criticare a deridere, come ieri e come sempre.Ma il pubblico può veramente scagliare la prima pietra contro tutti gli artisti?Noi siamo certi che una causa di questa indifferenza e inerzia sia da ricercare nellosconforto che vince vedendo la propria città dura e matrigna nel concedere un inco-raggiamento, una lode, un premio, un semplice aiuto, anche quando sono faticosa-mente meritati.Che si fa per l’arte di oggi che si disprezza, e che si fa per l’arte di ieri che si dicedi amare? È stata fatta una Mostra del Settecento a Venezia e la Sicilia non viapparve: è stata fatta una mostra del ritratto dell’ottocento, e la Sicilia non vi appar-ve; non esiste un circolo artistico, non esiste una biblioteca d’arte, non esiste unlocale adatto per le esposizioni. A Venezia giungevano proprio in quei giorni leCommissioni per procedere alla scelta delle opere per le gallerie, ed erano sempre

58

Page 59: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

preferite le opere dei propri artisti, ma da Palermo nessuno giunse a vedere se maiin quella mostra qualche siciliano meritasse un riconoscimento di lode. Si bandi-scono concorsi e non si effettuano i progetti: il lavoro si accentra nelle mani dipochissimi. La chiesa è ostinata nel preferire all’opera moderna la statuetta di gessocolorata e le cornicine di carta velina, e l’oleografia patetica e straziante. Pochissimiartisti dipingono per commissione. Questo è il clima che dovrebbe alimentare lamagra pianticella dell’arte siciliana?Così continuando, noi saremo condannati in eterno agli ultimi righi di tutti imanuali scolastici di Storia dell’Arte Italiana.Ed ora veniamo alle opere. Ignorano forse i nostri artisti che è finita se Dio vuole,l’epoca della deformazione del reale, del caricaturale, della metafisica? E perché Alberto Bevilacqua, primo a saperlo, colto e intelligente com’è, ci presen-ta quei «Giardini pubblici» di un gusto gallico ormai da tempo superato e vinto? eperché Vittorio Corona, delicatissimo nella ricerca cromatica, ci scontenta per quel-le teste così allungate e strette? e perché Giovanni Barbera nelle «Figure» sforma inmodo così sgradevole braccia e mani di quei due miserelli intontiti? E perché leorecchie della «Margherita» scivolano verso il mento, e perché piedi e gambe delnudo Schmiedt, sono lasciati in sospeso mentre nel resto dell’indagine è compiuta?Non certamente perché non sappia disegnare o modellare, ma per un atto di volon-tà. E perché si deve volere così? Se è per fare il moderno, proprio non occorre, per-ché il moderno è ben altro. Già nel 1924 Mussolini diceva «L’arte va sottratta adesercitazioni cerebrali e portata a contatto delle moltitudini che ad essa, come allareligione domandano un sovraumano conforto». e su questa via già l’arte procede.E proprio qui in Sicilia, la terra della sanità e della bellezza si attardano queste cor-renti esotiche di pessimismo giusto? E quale conforto noi possiamo trarre dallanostra arte, se ci presenta questi nudi sbilenchi e grami queste donnine sparute edaffamate, questi fanciulli miserelli, ancora oggi, quando tutte le reazioni al belloaccademico sono state già fatte, e l’arte si spinge ancora una volta, alla ricerca deivalori eterni? Il primo uomo che disegnò o incise la pietra, scelse a modello l’ani-male più bello, la donna più cara, il fiore più ricco di colore, cercò di rendere le cosereali più belle del reale.Noi fummo dimentichi di questo, e ci avventurammo per tenebrose vie nordiche eci smarrimmo. Ora basta. Ora bisogna ritornare alla nostra tradizione, che è statasempre di umanità e di bellezza da quando Duccio di Boninsegna filò il più fulgi-do oro per i capelli dei suoi angioli, da quando Giotto scelse i più teneri colori dellaalba dei suoi affreschi, da quando Ambrogio Lorenzetti scelse la più carnosa donnaper raffigurare la Pace nel palazzo pubblico di Siena.Altro risultato del cerebralismo imperante nelle arti figurative è questo: i pittori

59

Page 60: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

hanno perduto il gusto al colore, alla luce, allo spazio; dipingono senza una intui-zione coloristica sia alla base, ma soltanto una visione lineare o volumetrica. Se purquesta c’è.È il caso di Leo Castro il quale contorna con disegno grasso la forma e poi disten-de razionalmente il colore senza alcuna commozione o ricerca: è il caso di Schmiedtnel quadro «Operai pontieri» di gran lunga inferiore del bel disegno: è il caso diPiera Lombardo, che affronta animosamente una «Composizione» all’aria libera,ma non studia le varietà tonali del colore sotto la luce, come ha saputo fare in quel«Nudino» già apparso alla Mostra dei giovanissimi, l’opera migliore di questa gio-vane seria e studiosa.Eustachio Catalano, assai gradevole nei monotipi, insiste in una ricerca coloristicanel quadro «Composizione» ma troppo fredde restano le tinte del prato se il corpodella donna è così arrovellato di sole, ed è inutile l’ombra proiettata dal corpo, per-ché nel quadro il corpo non c’è.Da Lia Pasqualino Noto attendevano un approfondimento delle ricerche coloristi-che. Questa giovane pittrice che da alcuni anni studia il reale con volontà decisa, eserietà pensosa, è giunta ad una buona comprensione lineare della forma, un po’intellettuale e fredda, quasi fiorentina.Ora sarebbe il momento di abbandonare queste ricerche, per guardare il mondoanche sub specie coloris. Vorremmo vederla più intenta alla sua anima ed al suo sen-timento, più sensibile, più amorosa verso la natura, più fresca, più giovane, più spon-tanea. Meno intelletto, più fantasia, più commozione. Attendiamo molto da lei.Restando nella sala II, bisogna additare una gemma: «La nascita di Venere» diManlio Giarrizzo, opera d’arte, meta raggiunta e non soltanto tentata. La vedem-mo alla interregionale di Firenze tra opere degnissime, e ci apparve bella, per unacommozione lirica che sta di base al mistero di questo tenero corpo di fanciulla, diquesti occhi svagati e pensosi, di queste tenerissime membra sorrette da colori diazzurro e di bianchi e di grigi intonati in sommessa sinfonia. L’opera serba lo incan-to del tema, e si pone, tutta nostra e moderna, accanto alle celebrate opere del pas-sato. Gli altri due quadri più recenti mostrano l’artista dedito a nuove ricerche diforme colore, di ambiente, di composizione. Il quadro «Intimità» è già una ricercacosì approfondita e serie di nuovi rapporti cromatici e di volumi da lasciare intra-vedere come prossima, altre opere di bellezza.Comunque Giarrizzo è il solo artista che riveli in questa mostra un serio impegno,una meditazione costante sul fatto dell’arte, con risultati notevolissimi.Di Antonio Guarino è inutile parlare. Egli resta un pittore di qualità coloristiche dieccezione. La bottega di Sidi-Ben è proprio un diletto.Per un buon rendimento di forma colore e per elegante composizione cromatica, si

60

Page 61: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

guardano con piacere i quadri di Peppina Piccolo mentre una grande facilità pitto-rica, ma orientata verso la illustrazione, mostra il quadro di Amorelli «Al caffè». Neipaesaggi gli artisti sono più interessati al colore, come Varvaro, Gemma D’amico,Topazia Alliata, Guttuso, Balastrelli, Castronovo, Giarrizzo Maria Pirrone, ancheLuigi Epifanio, che nell’altra opera «Mater gaudiosa» rivela invece un intellettuali-smo di tipo fiorentino cinquecentesco ed una prevalenza di studio, di tesi, di pre-supposti che totalmente annullano ogni interesse dell’opera. Assai noiose sono ingenere, le nature morte le quali rappresentano spesso o una esercitazione scolastica,oppure un rifugio dell’artista quando è annoiato e pigro. Qui, si guardano i«Gamberi reali» e i «Pesci» di Adele Giarrizzo gustosi nel colore e nella forma.Per la scultura, ritorniamo alle considerazioni generali già fatte, a proposito diBonfiglio e di Cuffaro. Sempre bene Delisi, presenta ovunque, attivo sempre masegretamente oscillante tra una scultura di espressione e una scultura decorativa.Elegantissima è la sua «Fontanina», meno elaborata e la terracotta rappresentante il«Falciatore» che può essere sottoposta a ulteriori ricerche. Il gruppo «Teseo eArianna» resta un po’ troppo legato ad esemplari plastici dell’arcaismo maturo. Nelcampo della più aggraziata scultura restano la «Primavera» e lo «Enigma» di NinoGeraci. Una discontinuità di modellato presenta invece «L’Arciere» di Geraci elle-nistico per tutto il corpo, arcaico per la testa, ma opera egregia per ritmo composi-tivo, per impeccabile equilibrio architettonico. Anche «La sirena» di Cottone, pocoallettatrice, e più modellata per metà del corpo e per metà lasciata con durezzaeccessiva. Più omogenea è invece la modellazione del «Cristo» di Cottone, operache potremmo vedere tradotta in marmo per adornare qualche altare delle nostrechiese. E forse nel marmo acquisterebbe colore. «Il Santone» in gesso annerito nonci sembra né spiritoso né moderno. Ma Cottone tenta ora anche l’acquaforte e conmoltissima esperienza; se riuscisse ad un contrasto più evidente di bianchi e di neriotterrebbe maggiori effetti, i quali sono molti e belli nella xilografia e rappresentan-te un «Paesaggio industriale».Egregiamente, come a Venezia, si presenta Lazzaro con un bel «Risveglio» solida-mente costruito e con un delicato lavoro di superficie; meno bene Andrea Parini acausa di una tecnica di un effetto poco gradevole. Abbiamo guardato con interessealcune opere dei giovani: di Licari, buona promessa, di Barbera, di Perrotta, di LiMuli, di Gambino, di Scattareggia, di Tortorici, di Cavalieri, anche della GiuseppinaBarbaro e vorremmo vedere presto altre opere più sincere e più meditate.Tra i disegni ne troviamo due, delicatissimi, di Topazia Alliata (N. 94 e N. 95) doveuna tremula linea contorna e rivela le forme e determina un incendio di freschezzae di commozione che innamora. Giovanni De Caro invece assesta pugni e calci inalcuni carboni, risoluti, efficacissimi nell’alternanza brutale del bianco e nero, men-

61

Page 62: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

tre cede a lusinghe coloristiche di ottimo gusto in due acquerelli. Indubbiamentesuperiori alle pitture sono i carboni di Schmiedt. Buoni i monotipi di Grita, undisegno della Cavarretta Mazzoleni, ottimi per tecnica, per originalità, le xilografiedi Piero Parini. In generale tutta la sala del bianco e nero si guarda con piacere, mal-grado il broncio del «Fante» di Salvatore Castagna.Dei cartoni di Paolo Bevilacqua non parliamo perché ci occuperemo tra poco degliaffreschi corrispondenti del Palazzo della Poste. Ma avremmo preferito una parte-cipazione più adatta e più efficace anche a questa mostra, se la sua opera è così nobi-le ed alta nella Mostra dell’artigianato. Lo stesso diciamo a Rosa Lojacono, che puradditiamo ad esempio alle giovani pittrici per la sua attività e partecipazione al rin-novamento del vecchio repertorio di motivi ornamentali che ancora indugia nellenostre arti decorative.E proprio nella mostra dell’artigianato, troviamo un po’ di conforto. Ma quando celo darà la pittura nostra?A quando l’avvento della fantasia, del gusto del colore, della luce, dello spazio? Eun tantino di pensiero a quando? E un pizzico di cuore a quando?

8 Giugno 1934 - ARTE DECORATIVA SICILIANA. LA PRIMA MOSTRA DEI

PRODOTTI ARTIGIANI *

È più propriamente, un saggio di mostra, una mostra in miniatura. Ma tutti gli ogget-ti esposti sono graziosi, ben fatti, di gusto e non è a dire quanto si preferisca la quali-tà alla quantità. Poi di questa mostra, bisogna intendere il valore più intimo. I pochioggetti esposti: argenti, mobili, tappeti, ricami, lacche, merletti, bastano a dimostrarecome in una terra la tradizione dell’arte decorativa non si disperde quando è statatenace e nobilissima; e come basti la volontà e l’ardore di pochi animatori a rinnovar-la; e come alcuni artigiani abbiano saputo conservare immacolate quelle riserve di tec-nica, di pazienza, di amore alla materia che in altri sono state soffocate dalla miseria.La mostra è stata voluta dal Segretario interprovinciale della Federazione artigianaLuigi Maggi in accordo con il Segretario del Sindacato Benedetto Delisi che né haaffidato l’organizzazione al delegato dell’ENAPI, Gino Frattani, pittore. Ospitedella nostra città egli ha saputo in breve tempo ricercare l’artigiano virtuoso mode-sto ed esperto, incoraggiarlo al lavoro, ma ad un lavoro disciplinato, sopra disegnimoderni da altri offerti: ha saputo sollecitare gli artisti locali ad offrire nuovi moti-vi decorativi, a suggerire nuove tecniche, a collaborare fraternamente coll’artigiano.Così, favorendo tali nobili amicizie, circondandosi di quei pochi artisti che già daanni son isolati e lodevolissimi sforzi dedicano al rinnovamento del repertorio

62

Page 63: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

decorativo siciliano come: Pietro, Alberto Bevilacqua, Paolo Bevilacqua, ha orga-nizzato questa piccola mostra, simpatica al pubblico e a noi interessante per molteconsiderazioni che ci suggerisce.Quando noi parliamo di una tradizione siciliana di arte decorativa, non intendiamoriferirci soltanto a quella fioritura veramente prodigiosa dell’epoca normanna, nonrievocare quelle stoffe di tecnica e di fantasie miracolose oggi visibili soltanto aRoma, a Londra, a Vienna, né quelle oreficerie, maraviglia del mondo, né quei cofa-netti di avorio intagliato e dipinto, né quei legni, quelle miniature, quelle vetrate,perché quella fioritura è sì, l’esordio trionfale della nostra vita artistica, ma è giàtroppo lontana per aver lasciato semi ancora vitali, intendo invece parlare di altro,cioè di alcune produzioni rimaste fertili fino a un trentennio di anni fa, ed oggiridotte al minimo, oppure immobilizzate nella ripetizione di tipi canonici. Bisognache tutto l’interesse dell’ENAPI si volga a queste tradizioni locali che con pocosforzo possono rifiorire e nel tempo stesso bisogna, studiando i prodotti locali sug-gerire altri sviluppi di produzione.Primo esempio: i mobili. Esiste una vera tradizione di mobilio siciliano, eseguitocioè in Sicilia, con legni di Sicilia, da artisti siciliani, con caratteri stilistici origina-li. Non ha vanto di remota antichità come a Firenze e a Siena: fu nel quattrocentolegata ad imitazioni catalane, ma nel seicento fu veramente bella per gusto, per tro-vate ornamentali, per turgide movenze, esuberante, ma non soffocante per l’orna-mento intagliato o sovrapposto; raffinatissima fu nel settecento, con una grazia piùcontenuta e sobria dei mobili di Venezia, con una tecnica meno raffinata ma ugual-mente ricca di risorse dei mobili francesi; ebbe nell’ottocento tutti i difetti dell’epo-ca, ma con pregi di solidità e di praticità. Una tradizione continua e maestranzeespertissime, attrezzamento opportuno. Si poteva essere all’avanguardia nella pro-duzione moderna. E invece no. La mania dell’imitazione dell’antico, cominciato nelpostguerra degli arricchiti, è rimasta in Sicilia con tenace presa, spingendo gli arti-sti e gli artigiani a mantenere immutato quel repertorio a base di zampe di leoni, divolute di acanto, di modanature quattrocentesche e via di seguito e insistere nellaimitazione dello stile Luigi XV e Luigi XVI.Cosicché, mentre le industrie mobiliere nordiche sono molto attive e partecipanoalle mostre nazionali e cercano continuamente di lanciare nuovi tipi, nuove combi-nazioni di legni, le siciliane si sono ritirate da ogni gara e ristagnano in una pigraimmobilità. Fu gran fortuna vedere alla mostra triennale di Milano alcuni mobili,modernissimi ed originali, mandati dallo Istituto d’Arte di Palermo che, presiedu-to dal Commendatore Ziino e diretto da Paolo Bevilacqua in pochissimo tempo siè posto all’avanguardia per l’educazione delle nuove maestranze. Ma si tratta di raraeccezione.

63

Page 64: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Il gusto e la produzione mobiliera siciliana sono ancora orientati verso l’epocaumbertina.Si può sperare un accordo tra architetti e artigiani per ammodernare il nostro mobi-lio anche in alcuni centri più ottocenteschi, a Trapani, per esempio, dove esistonomaestranze espertissime? Questi mobili esposti: un salottino di Salvatore DiBenedetto, un disegno di Benedetto del Giudice, altri di D’Agostino su disegni diGino Frattani, il tavolo di legno intarsiato di Paolo Amante su disegno di AlbertoBevilacqua, mostrano tutti come la collaborazione tra artisti e artieri possa produr-re anche da noi risultati assai buoni.Per l’oreficeria la situazione è diversa. Non si tratta soltanto di passatismo, si trattache sono da contare a dito gli artigiani ancora capaci di sbalzare, di cesellare, dibulinare con sicurezza impeccabile e con gusto. Il prodotto di fabbrica ha invaso inegozi di oreficeria. La macchina ha sostituito l’uomo. E se un oggetto viene ese-guito per commissione, avrà immancabilmente la rosellina, la ghirlandetta, la con-chiglietta, per quell’amore allo stile Luigi XV intermittente ma insistente come lafebbre malarica. C’è in Sicilia una tradizione di otto secoli di oreficeria. Il suo esor-dio fu prodigioso e le botteghe palermitane gareggiarono con le officine diHildesheim e Conques; una parentesi di assorbimento di forme pisane, fiorentine esenesi del trecento: nel quattrocento si formano le corporazioni a Palermo ed aCatania, col proprio statuto, col proprio marchio e la produzione, pur ispirandosi amodelli catalani riesce a mantenere una schietta originalità locale: nel cinquecento,con molto ritardo entrano i motivi decorativi del rinascimento, e subito sono spin-ti dal vento barocco; nel seicento l’argenteria ha un suo sviluppo superbo: PietroNovelli, Fra Giacomo Amato, Giacomo Serpotta, Antonino Grano, PietroDell’Aquila, Filippo Iuvara collaborarono con gli orefici e con gli argentieri per unaproduzione profana e sacra, gran gusto; nell’ottocento avviene anche nelle botteghesiciliane l’introduzione dei mezzi meccanici, l’introduzione dei prodotti del similo-ro e della placcatura e ciò causa la massima decadenza. Ma, mentre già da un decen-nio l’oreficeria mondiale risponde al richiamo novecentista di novità e di originali-tà ed è venuta assumendo nuove forme e nuovi ornati con ricerca insistente e conrisultati spesso encomiabili, l’oreficeria siciliana non ha partecipato come la vene-ziana e la lombarda a questo sforzo di superamento di forme passatiste ma anzi alpassato si lega con rinnovato fervore. E, a poco a poco, si è dispersa l’esperienzamirabile dei nostri artigiani, di quei trapanesi che modellavano il corallo con tantagioia, di quei palermitani che smaltavano con tanto gusto, di quei gioiellieri, orefi-ci, argentieri che a Siracusa, a Catania, a Messina erano infaticabili creatori.Si può sperare una ripresa di tradizione? Piacentini e Di Giovanni si affermano,nelle opere esposte, tecnici espertissimi ed esecutori vigili ed accorti dei disegni di

64

Page 65: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Salvatore Castagna e di Paolo Bevilacqua. E poi? I Fecarotta, i La Villa, Barrajaperché sono assenti?I merletti esposti, eseguiti dalla Scuola Professionale Femminile IV Novembre daMaria Rumbolo su disegno di Eugenio Fecarotta, altri da Francesca Salaroli, daMaria Spanò su disegni di Eugenio Fecarotta, Rosa Lojacono e di Ernesto Puppo;i ricami della Scuola Professionale di Economia domestica, di Manuela Milazzo;sono di fine esecuzione e graziosi per disegno.Ma in questo campo l’unione tra gli artisti e gli artigiani dovrebbe volgere al tenta-tivo di inventare qualche tipo originale di ricamo che possa stare a pari per la varie-tà delle applicazioni a quel nostro magnifico quattrocento che alla tenda, alla coper-ta, come alla tenera camicina del bimbo può portare la deliziosa alternanza diombra e di luce, il fregio geometrizzato ed elegante; o del nostro punto a croce diapplicazione così gustosa nella biancheria da tavola. Era possibile in questo campouna maggiore varietà e ricchezza; potevano essere offerti esempi di scialli, sciarpe,borsette di esecuzione originale; altri tentativi potrebbero essere fatti nel ricamo inoro e seta, ricordando quali miracoli di pittoricità e di perfezione tecnica furono inostri ricami siciliani nel seicento e nel settecento. Rinnovare il repertorio figurati-vo per il sacro vestiario, potrebbe essere utile. C’era un tempo in cui i Pollaiolo e lostesso Leonardo, offrivano disegni alle ricamatrici. Quante giovanette potrebberotrovare lavoro se la Chiesa si decidesse a mettere da parte le vistose ma non sempreeleganti stoffe di falso damasco?A Venezia abbiamo visto stoffe tessute a mano dalla contessina Pia Valmarena,erano semplicissime e di effetto assai gustoso e ci chiediamo perché mai la Siciliaabbia perduto quella tradizione di stoffe documentata dal 1000 al 1200 (stoffe col-lezione Sangiorgi, manto di Ruggero a Vienna, stoffe nel Victoria and AlbertMuseum) e dal 500 al 700 (damaschi, broccati e broccatelli nel tesoro della catte-drale di Petralia, di San Martino delle Scale, di Cefalù, nel Monastero di PalmaMontechiaro, nel Museo Nazionale di Palermo ecc.).Vorremmo fare ritornare al telaio le nostre donne e far ritornare i tempi di Penelope fida?Alcuni oggetti rappresentano graziosissime novità: le scatole di lincustra, di PietroLa Parola su disegni di Paolo Bevilacqua, gli oggetti in madreperla intarsiata diAlessandro Franceschini su disegni di Paolo Bevilacqua, Tommaso Buzzi, GinoFrattani. In una prossima mostra di artigianato potranno essere sviluppate alcunesezioni e colmate altre lacune: i ferri, le vetrate, i cuoi incisi, le rilegature. La tradi-zione del ferro non è antica in Sicilia, ma nel seicento e nel settecento ebbe una fio-ritura di cui le nostre chiese portano ancora innumerevoli esempi. Quella manierasettecentesca di lavorare il ferro riducendolo in lamina sottilissima e battendola perottenere foglie e fiori, modo assai adatto al gusto di quell’epoca, è rimasto con una

65

Page 66: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

fedeltà grandissima nelle botteghe siciliane ed è avvenuto che a poco a poco il ferrobattuto è stato esiliato nelle cappelle funebri, fra le morte cose. Recentemente allaTriennale di Milano e alla Mostra dell’Istituto d’arte di Palermo furono espostialcuni ferri battuti, di tutt’altro tipo, modernissimi nella lavorazione adatta allamateria e con soluzioni decorative di estrema semplicità ed effetto. Anche in que-sta mostra ne appaiono esempi offerti dall’Istituto d’Arte di Palermo che offreanche modelli di carta da parato originali e gustosi.Assai piacevole è la mostra fotografica con saggi offerti da Grassi, Cappellani,Seffer, Interguglielmi, i quali portano nella scelta del paesaggio e della luce, lo stes-so gusto e lo stesso amore dei primi paesisti macchiaioli. In questo reparto avrem-mo desiderato ritrovare qualche esempio di riproduzione di opere d’arte siciliana,così scarsamente note quando non giungono in Sicilia Andersen o Alinari! In conclusione, la piccola mostra dell’artigianato fa sperare come possibile, se nonimmediata, una rifioritura delle arti decorative siciliane qualora convergano a que-sto scopo i collettivi sforzi degli artisti, degli artigiani e dell’ENAPI. Sarebbe desi-derabile per il prossimo anno una mostra regionale dell’artigianato allo scopo di ali-mentare nelle altre città e nei piccoli centri quelle produzioni locali già quasimorenti, di sollecitare la collaborazione più intima fra artisti ed artigiani d’interes-sare validamente i comuni al problema dell’artigianato fondamentale per il progres-so artistico ed economico dell’isola.

23 Giugno 1934 - G.B. VACCARINI E L’ARCHITETTURA DEL SETTECENTO IN

SICILIA*

È ancora possibile trovare per l’arte di Sicilia zone di indagine totalmente inesplo-rate, indeterminate, personalità di artisti, opere d’arte ignote o mai note. Colpa dialcuni granelli di araba indolenza rimasti nel nostro circuito sanguigno, colpa discarsi mezzi scientifici, colpa di una moderna inquietudine che allontana dagliarchivi polverosi e malinconici colpa di tutti e colpa di nessuno, sta di fatto che scar-se regioni d’Italia riservano immacolati campi di studio coma la Sicilia. Per questo,un compiacimento assai vivo non disgiunto da una certa maraviglia suscita l’operadell’architetto Francesco Fichera edita dalla R. Accademia d’Italia e dedicata a G.B. Vaccarini e all’architettura del settecento in Sicilia.Il libro è in due volumi: il primo di testo, ricostruisce sulla base di documenti la per-sonalità di molti architetti e decoratori catanesi: di Fra Liberato, di Alfonso DiBenedetto, di Carlo Norimberg, del Battaglia e soprattutto di G. B. Vaccarini prin-cipe dell’architettura catanese del settecento e dei suoi epigoni; il secondo di illu-

66

Page 67: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

strazione, presenta trecentocinquantadue fotografie, una sfilata veramente sontuo-sa di palazzi, di chiese, portali, finestre, tribune, piazze, archi, portoni, esedre, can-torie, altari, pannelli decorativi di Catania ed anche di Palermo, di Trapani eMarsala, di Messina, di Caltagirone, di Siracusa, di Noto, di Modica, Ragusa eComiso, di Francofonte. Questo secondo volume è di per se un atto di amore cosìgrande, e testimonia una ricerca così insistente e tenace, da meritare pieno consen-so ed elogio. Dalla semplice visione resta un accrescimento notevole di conoscenzae resta anche nello studioso siciliano, l’orgoglioso compiacimento della nostra terrache di tante opere d’arte s’ingemma.Il libro è dunque costruito con due materiali solidissimi più del cemento e del ferro;le fotografie da una parte, i documenti dall’altra. Eppure, tra le due materie dure,riesce a sbocciare una fioritura di gerani, con tale empito di vitalità da far pensareche uno strato di humus umidiccio e assai fertile sia rimasto fra gli interstizi.Malgrado la serenità scientifica il libro è straordinariamente soggettivo direi quasilirico perché l’autore non riesce a liberarsi da un ardore, da una passione di polemi-ca da un tantino di catanese vanità che, mentre conferiscono indubbiamente vivaceinteresse alla trattazione, pure causano qualche lacuna, alcuni postulati un po’ dog-matici, alcune deduzioni un po’ troppo estremiste. Se un peccato vi è in questa bellaopera dell’architetto Fichera è un peccato di amore, di amore fiammeggiante vera-mente etneo per la sua terra.Questo elemento di natura etnea non consente all’autore alcun indugio nella enu-merazione delle tesi fondamentali del suo libro le quali vengono subito sillabate achiara voce ed alta con la gioia dell’araldo che nella tragedia greca annunzia la con-quista della città assediata.Il barocco è un’arte, una rielaborazione e una esaltazione del ritmo classico qualco-sa come un classico fiammeggiante. Più oltre acutamente osserva: «il barocco nonfu un vero stile, in quanto i suoi artisti se pure avevano da esprimere una nuovaanima, un nuovo ideale sociale, non erano riusciti a foggiarsi una nuova legge, unnuovo organismo costruttivo; esso ebbe quindi soltanto i caratteri esterni - diespressione e di propagazione - di uno stile».Non è esatta l’affermazione di Corrado Ricci per cui lo stile borrominesco abbiaraggiunto la sua espressione frenetica a Catania.Il barocco catanese subisce l’influenza del barocco spagnuolo ma se ne diversifica.L’architettura catanese segue tre tempi dei quali il moderato sarebbe stato battutodal Vaccarini.G. B. Vaccarini fu uno dei più grandi architetti del 700.La grande fiumana barocca costituisce alla base dell’Etna il suo vortice più serrato,più vivo e caratteristico.

67

Page 68: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Queste sono le premesse, tutte accettabili, tutto il resto del libro né è la documen-tazione e la dimostrazione.L’autore dedica due capitoli a G. B. Vaccarini: uno alla vita e uno alla opera. La vitacomincia ad essere illustrata solo dall’anno 1735 quando cioè l’architetto nato aPalermo nel 1702, a 33 anni diventa cittadino catanese.Vaccarini è Vaccarini solo quando diventa catanese. Della sua educazione aPalermo, dell’ambiente in cui maturò il suo ingegno architettonico, degli artistipalermitani che contemporaneamente operavano e con opere di estremo interesse,l’autore non parla. Sembra veramente strano il costante e tenace silenzio circa per-sonalità di artisti di prim’ordine come Paolo Amato e Giacomo Amato; ricorronoparagoni tra Vaccarini e il Fuga, il Vanvitelli e Filippo Iuvara ed altri; sono ricorda-ti i maestri della Sicilia orientale, ma di Palermo, vera culla del più armonioso edelizioso settecento, non è ricordata che la Villa Palagonia, e dei maestri palermi-tani nessuno. Pure i contatti tra il Vaccarini da una parte e gli architetti palermita-ni dall’altra dovettero essere continui anche quando il Vaccarini si stabilì a Catania.«Palermo lo aveva ammirato sommo in conferenze di retorica e teologia e per i suoistrumenti idraulici e matematici con decreto di quel senato era stato chiamatoarchitetto primario».Più volte egli è chiamato a Palermo dal Duca de la Vieifel, dalla deputazione delregno, dal tribunale del R. Patrimonio, ond’egli si fece sostituire nell’ufficio disovraintendente dell’almo studio dal Palazzotto. Sia dunque per tali testimoniatirapporti, sia anche perché il lavoro si intitola «G. B. Vaccarini e l’architettura delsettecento in Sicilia» mi sembra giustificatissima l’attesa di una trattazione un po’meno limitata alla Sicilia orientale ed estesa anche a Palermo. Già nel 1582 PaoloAmato aveva creato quella chiesa del SS. Salvatore di pianta centrale che è fra lecostruzioni più originali dell’architettura palermitana e nel 1698 cominciava a sor-gere quel capolavoro di architettura gesuitica che è la chiesa di S. Maria della Pietà,una fra le molte costruzioni di Giacomo Amato, architetto del Senato, costruttoreed ideatore dei più bei palazzi e delle più belle chiese di Palermo: palazzo Tarallo,palazzo Spaccaforno, chiesa di S. Rosalia, di S. Teresa del Noviziato dei Crociferi;architetto che tenne il campo di tutta l’arte decorativa della Sicilia occidentale,offrendo disegni per oreficerie, scenari, mobili, ceramiche, torcieri, cantorie. E inquel primo trentennio del settecento vi era a Palermo un fervore di studi di archi-tettura quale mai era apparso: Biagio Amico, ingegnere del patrimonio del regno diSicilia operosissimo a Trapani, a Monte San Giuliano, a Marsala, scriveva un trat-tato sull’«Architetto pratico». Nel 1714 si era pubblicato un «Trattato dell’architet-tura secondo le regole di Iacopo Barozzi, Andrea Palladio, Vincenzo Scamozzi» ilquale testimonia verso quali modelli di classicismo si orientasse lo spirito palermi-

68

Page 69: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

tano e conferma altresì principi già affermati da Paolo Amato in un libro pubblica-to post mortem. Altri si interessavano di architettura militare, come Benedetto diCastrone e Tommaso Napoli. Era insomma un’attività eccezionale, un fervore di stu-dio e di opera che trasformava e abbelliva Palermo dove il barocco aveva mantenutouna grande sobrietà strutturale sotto la pittoricità decorativa e mai si era abbando-nata all’eccesso di decorazione, a quella indisciplina dei decoratori catanesi.L’importanza di G. B. Vaccarini, nella storia dell’architettura catanese è stata attiva-mente rivelata dall’autore: essa consiste nell’ordine, del metro introdotto coll’esem-pio di una città dove campeggiava il disordine anche se piacevole e gustoso e l’arit-mico anche se gaio e fastoso; di avere usato la ronca per togliere spine ed erbacce.Ma quest’ordine, questa disciplina, questa rinnovata classicità erano già da un tren-tennio le qualità fondamentali dell’architettura palermitana ed il Vaccarini, paler-mitano, aveva dovuto sentirne il valore. L’autore insiste per stabilire questa egua-glianza: Firenze sta al Rinascimento come Catania sta al barocco. Senza dubbionon vi è città della Sicilia e dell’Italia in cui il barocco sia veramente tale come aCatania e se l’autore desidera togliere a Lecce questa priorità non vi è da far querela,ma non so se compiacimento o rammarico si possa trarre da una simile asserzione.Questo dipende dal gusto personale e, come pare, l’autore è molto incline, molto sim-patizzante verso quei tali maestri come Nicoloso Giovanni e Andrea Amato respon-sabili del più turgido e veemente ornato catanese. In un grido di entusiasmo egli dice:tu mi parli al cuore o Andrea Amato, il Vaccarini mi fa pensare benedetto cuore! Equesto che spinge l’autore a destare quella eguaglianza, la quale mi pare inaccettabileperché se Firenze sta al rinascimento, Roma non Catania, sta al barocco e cioè comeFirenze ha dato i natali ai più grandi architetti del Rinascimento e si adorna delle piùleggiadre e geniali costruzioni del Rinascimento, così Roma ha maturato il più trion-fale sviluppo dell’architettura classica in architettura barocca o meglio del «classicofiammeggiante» - secondo la felice espressione dell’autore - mentre Catania spinge ilclassico fiammeggiante tanto oltre, da rasentare l’anticlassico.Ed è sempre per colpa di soverchio entusiasmo che alla fine del libro, proprio alleultime pagine di un capitolo denso di dottrina degli epigoni del Vaccarini, propriolì, ci troviamo dinanzi all’inatteso paragone tra il Vaccarini e il Dudok, riconferma-to da un raffronto fotografico tra la biblioteca del convento dei Benedettini diCatania e la scuola elementare di Hilversum. E appena introdotto il paragone eccoche si giunge all’estremo ed il Vaccarini diventa un precursore del Razionalismo. Epiù oltre ancora: «G. B. Vaccarini ha fatto architettura più funzionale che nonDudok». Il capitolo finisce e se no, dove saremo arrivati? Ma tranne le lacune precedentemente notate che si risolvono in una certa oscuritàsul periodo di formazione spirituale del Vaccarini ed alla ingiusta missione di un

69

Page 70: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

nucleo importantissimo di arte settecentesca siciliana, tranne un certo oscillare fracritica storica e critica estetica evitabile, se fossero state riunite in un capitolo leargute osservazioni sull’arte dell’architetto, tranne questi ardori di entusiasmo uma-namente per altro giustificabili, il libro dell’architetto Fichera resta fondamentaleper lo storico dell’architettura barocca di Sicilia, e non di Sicilia soltanto.

30 Giugno 1934 - ALLA XIX BIENNALE DI VENEZIA. LE ARTI DECORATIVE *

Senza i vetri e i cristalli la sezione delle arti decorative alla XIX Biennale diVenezia, sarebbe una malinconia. Ma i vetri e cristalli che delizia! A vederli,Rinaldo penserebbe a qualche incantamento della maga Armida che avesse tocca-to con gelide dita «acque stagnanti, mobili cristalli, fior vari e varie piante, erbediverse».I muranesi non hanno rivali. Essi che hanno atteso per secoli all’opera di fiamma edi passione, eredi dei primi Barovier e di quei Seguso, maestri vetrari immaginificied esperti, rinnovano prodigi: grappoli d’uva, rose e orchidee, pavoni iridescenti,quadrighe al galoppo, ranocchi grigi, anfore e coppe: colori intraducibili nella paro-la, bellezza creata col respiro e col gesto, primo segno della vita umana. Altre coppesplendenti di argento, sembrano soffiate nella materia lunare; altre hanno il coloreverde limo, opaco, malaticcio come di quei vetri fenici rimasti nelle tombe pressol’origliere del defunto, altre sembrano soffiate nell’ametista liquida ed hanno unabocca larga, delizia per il fiore che vi respira e vi muore. Prodigi, inutili e belli, di unabellezza che costa di nulla: di una forma, di un colore, di un respiro di bocca viva.Gareggiano fra di loro molte ditte di Murano: la Vetreria Barovier, la dittaA.V.E.M., la ditta Moretti, Andrea Rioda, Frero Toso, ma tutte superano per tec-nica, per fantasia le altre ditte espositrici di Vienna, di Haida, di Parigi.Poi vi sono i cristalli, alcuni sono lavorati all’antica, secondo forme curvilinee e confregi opachi sul cristallino, come li amava Valerio Vicentino e Matteo del Nassaro;altri sono tutti nuovi di forma e di ornato. Restano nel solco della tradizione adesempio, i cristalli di De Matteis (Firenze); ubbidiscono alla nuova moda i cristallidella Ditta Moser, della Ditta Orrefors, della cristalleria di Baccarat e della«Fontana Arte» di Milano. La moda è di rispettare nel cristallo la sua anima puris-sima e rigida, tutta spigoli e tagli e di formarlo lasciando una rigidità geometrica euna bellezza puramente naturale. Cubismo applicato alla cristalleria. Originali rie-scono per un gioco di rifrangenze di luci ottenuto variando con una estesa ondula-zione le superfici, i cristalli della ditta Marinot, ed egualmente belli gli altri dellacristalleria di Orrefors.

70

Page 71: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Questa indipendenza del cristallo dalla decorazione figurativa divenuta invadente ascapito della ricerca del volume, era l’inevitabile reazione ad un genere che si avvia-va alla decadenza e alla ricerca di ottenere effetti di pittoricità solo mediante la luceindica un progresso di raffinatezza e di tecnica.I gioielli di vetro colorato presentati da privati e da alcune ditte veneziane, interes-sano molto le signore ma non so quanta praticità vi sia in questi fragili e preziosiornamenti. Ma vi sono dei cammei in vetro della S.A.L.I.R. su disegno di VittorioZecchini in verde tenero a figure appena rilevate, imprecise nel dettaglio di unasemplicità e di una grazia che incanta dopo il gelido particolarismo descrittivo deicammei neo-classici.La sezione vetri e cristalli è in generale esauriente e chiara: le più notevoli ditte visono rappresentate con opere pregiate; si affermano le nuove tendenze accanto alletradizionali, tutte raggiungono alto grado di nobiltà. Si deve essere grati agli ordi-natori Beppe Ravà e Pietro Chiesa, di questa oculata scelta, di questa interessanterassegna.Parole eguali non si possono dire invece per l’altra sezione della Mostra che com-prende gli smalti ed è così scarsa, magra, inefficace. Tentativi, ricerche e nulla più.Non si riesce a vaticinare come prossima né la magica limpidità degli smalti diBisanzio che pur ispirandosi alla figura umana mantennero una rigidità di contor-no decisamente astrattiva e grandemente decorativa e furono i più belli se ancoraoggi guardiamo con tanto rapimento la croce di Capua, la croce di Cosenza, la palad’altare di S. Marco a Venezia, né la perfetta eleganza di quegli smalti traslucidi cheGuccio da Mannaia senese insegnò a tutti gli orafi d’Italia e Ugolino da Vieri eGiovanni Di Bartolo diffusero nel mondo oltre Provenza, nella Spagna, inInghilterra e in Ungheria. Né ancora si vede una nuova applicazione ornamentaledello smalto ad alveolo incavato che possa avere valida diffusione come quellainventata dagli artieri tedeschi e limosini e riuscita a dominare i mercati europei dalsecolo XII al secolo XIII, e neanco di quella tecnica della pittura a smalto che lafamiglia Penicaud seppe applicare con tanta ricercatezza anche a piatti e bicchieri,rievocando favole virgiliane e mitiche per i raffinati dell’epoca rinascimentale. Glismalti moderni quasi tutti dipinti, ondeggiano fra il tipo bizantineggiante cioèincluso tra linee geometriche, e (…) nati che l’Istituto d’arte industriale di Veneziaespose alla Triennale di Milano si accostavano al primo tipo; al secondo si accosta-no gli smalti di Paolo de Poli. Ma quando lo smalto usurpa alla pittura tutto il suoregno, di poco se ne avvantaggia nello stesso modo delle vetrate che vogliono gareg-giare con la pittura. Migliore via batte la «Scuola d’arte di Vienna» la quale presen-ta un gruppo di smalti dove è studiata una fantastica compenetrazione di colori for-temente decorativa. Ma il fatto vero è che una ripresa degli smalti è possibile solo

71

Page 72: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

riportando lo smalto nel campo dell’oreficeria sacra e profana naturale sua sede disviluppo, riunendolo all’oro, compagno ed aiuto.Gli smalti di per se stante, presentano una scarsa possibilità di sviluppo anche nelcampo di puro godimento estetico. Sempre in funzione ornamentale fu applicato losmalto dagli orefici ellenistici romani che lasciarono esempi in tutte le terre da loroconquistate, esempi guardati dai barbari che riuscirono a trarre nuove e gustoseapplicazioni anche nella gioielleria. Nell’oreficeria sacra dell’epoca gotica gli smaltitraslucidi sono l’ornamento indispensabile e sostituiscono assai bene l’uso dellegemme, delle paste vitree, delle pietre dure applicate nella oreficeria romanica; nellagioielleria del Rinascimento la pittura a smalto ha un valore grandissimo per accre-scere vivacità, policromia a quei minuscoli prodigi decorativi creati da un Cellini, daun Caradosso, da un Antonio da S. Marino, sempre la funzione dello smalto è statasubordinata all’oggetto e al gioiello ed è in tal modo che andrebbe rinnovata.Più interessante la Mostra delle lacche. Ne presentano Brugier, Jean Durand,Rajmond Templier; egualmente raffinate sono le lacche italiane presentate da AliceLevi, Livia Cadorin, Ferruccio dal Bon, De Matteis, Pietro Micheli, UmbertoNordio, Gustavo Pulitzer, Pasquale Tennoso. Per i tessuti, ultima delle quattrosezioni curate quest’anno dalla Biennale di Venezia, siamo costretti a fare molteriserve. Espongono le più notevoli ditte: Bianchini Ferier, Rodier di Parigi,Bernheimer di Monaco, Bevilacqua e Rubelli di Venezia, Borghi di Bologna, Figlidi Livio Croff, Corsini di Milano, Guido Ravasi di Como, Tessoria di Asolo; visono stoffe tessute a mano di Pia di Valmarana, altre di Annita Pittori, di BiceLazzari, un arazzo di Pio e Silvio Eroli, e non si discute sulla eleganza, sulla varie-tà di motivi dei saggi esposti ma si nota che questa mostra di tessuti nulla aggiun-ge in più e in meglio a quella apparsa alla Triennale di Milano mentre doveva esse-re assai più ricca e chiarificatrice; e si fa qualche riserva circa il modo con cui sonodisposti i tessuti che fanno da sfondo agli altri oggetti, cioè ai cristalli, ai vetri, aigioielli e sono disposti a monticelle a vallatelle come il sughero nei presepi sicilianicosì che non si possa seguirne il disegno né goderne il colore né gustarne la trama.Le conclusioni circa la mostra delle arti decorative di Venezia non sono diverse daquelle che abbiamo potuto trarre, ma sorretti da una esemplificazione più totalita-ria ed efficace alla Triennale di Milano.L’Italia va riprendendo posto nella storia della piccola arte; riesce ad eguagliare lesingole industrie artistiche di altre regioni, non è ultima né seconda, ma non èprima. Eguale con le altre regioni con una produzione simile per motivi e forma.Nel campo decorativo si afferma ancora quel carattere di internazionalismo post-bellico che si va superando nella pittura, nella scultura, nell’architettura.E invece bisogna riprendere in tutto le situazioni conquistate in altro tempo, nel

72

Page 73: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

tempo in cui all’Italia si chiedeva la stoffa più rara, la coppa più armoniosa, il vetropiù limpido, il gioiello più raro, il cuoio più ornato, il ferro battuto, il bronzo e tuttociò che toccava la mano dell’artiere italiano portava un’impronta inconfondibile digrazia, di armonia, di bellezza, segno di una elevatezza di gusto, di una nobiltà, diun amore alla materia che era del popolo. Era un primato indiscusso che alimenta-va nel tempo stesso il commercio e l’industria, primato mantenuto appieno nelRinascimento, limitato ma non perduto nel settecento, secolo in cui sorse unapotente rivale, la Francia a contendere il dominio primato trascurato invece nell’ot-tocento, secolo in cui tutte le regioni ci contesero e ci vinsero in molte industrie arti-stiche e in cui la macchina a poco a poco distrusse quell’artigianato che era in Italiaelemento indispensabile per la sua originale produzione.Bisogna riprendere le posizioni perdute e l’esempio bisogna attenderlo dall’archi-tettura, madre di tutte le arti.

19 Luglio 1934 - OREFICERIA BAROCCA IN SICILIA. L’URNA DI S. ROSALIA*

Come nell’architettura barocca la Sicilia trovò la compiuta espressione di quel suoinnato amore all’ornato già visibile nelle decorazioni fittili dei templi greci, e piùnella decorazione delle basiliche romaniche, così nell’oreficeria barocca, essa trovòlibera zona per una gioiosa fantastica manifestazione del suo amore all’immaginifi-co e alla pittoricità. L’oreficeria barocca in Sicilia si ricongiunge quasi direttamen-te al gotico rimasto nelle arti decorative siciliane fino al tardo cinquecento, comeafferma quella custodia di Paolo Gili ad Enna eseguita nel 1535 ancora con gugliee pinnacoli e proporzioni immense alla maniera delle custodie spagnole di JuanD’Arphè e come dimostrano altre opere gotiche dell’ultimo cinquecento nel tesorodi Geraci Siculo.Il gotico ritardava nella terra luminosa e pittoresca; il Rinascimento si infiltrava astento nell’architettura e nell’arte decorativa ed era inascoltato nel suo comando dirinunzia all’ornato; il barocco invece entrò rapidamente e si diffuse con la violenzadi certi venti sciroccali che alzano a mulinello le più inerti cose. Presto, sui pochimotivi portati da Roma fu tessuta la più vasta orchestrazione di ritmi decorativi contale fervore, quanto non si ebbe in altra regione d’Italia. La solidità costruttiva restaalla base di tutte le opere di oreficeria siciliana e l’ornato vi fiorisce con l’innataspontaneità del fiore sul fusto. Mai troppa, mai retorica, mai goffa è la decorazio-ne. Per riconoscerne la sobrietà bisogna paragonar il barocco di Sicilia al barocco diSpagna. Tutte le ricerche sono attuate per ottenere dinamismo e pittoricità. Ladolce lamina di argento è battuta, martellata, violentata ed essa si gonfia e s’incur-

73

Page 74: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

va, si distende e s’inturgida, offrendo una mutabilità di superficie che accoglie erespinge la luce creando effetti pittorici. Diventa tutta animata e vibrante ed allorai tagli, le spezzature, le volute hanno il valore della sincopi, delle arsi e tesi del tri-metro giambico; esprimono questa ansia questo tormento della materia frugata,violentata nella sua più intima fibra. Senza questo tormento però non sarebbe statopossibile la ondulazione ritmica dell’oreficeria settecentesca. Per ottenere pittorici-tà non fu indispensabile l’uso delle gemme, lo sbalzo, l’elemento plastico sovrappo-sto alla superficie, portano, un chiaroscuro così efficace da superare il colore. E,quando si vuole il colore allora le gemme gli smalti si accordano per virtù di con-trasto. La siciliana fantasia è inestinguibile nell’offrire risorse. Se paragoniamo leopere barocche di Sicilia a quelle toscane del tesoro della chiesa di S. Lorenzo vitroviamo la stessa differenza che passa tra i mosaici pavimentali eseguiti dalle mae-stranze siciliane durante il regno dei Normanni e quelle eseguite dai Cosmati aRoma: questi uniformi, composti su pochi motivi, quelli variabilissimi e fantasiosi.Anche quando il particolare risulta tecnicamente imperfetto la totalità ha sempre ilfascino dell’originale, dell’ardito, dell’imprevisto. A frugare nei tesori delle chiese diSicilia si passa da una sorpresa ad una gioia. Il tesoro della Cattedrale di Enna è ilpiù favoloso ricco come è dei più rari esempi d’oreficeria classica e delle più belleoreficerie barocche. Quivi si conserva la corona della Madonna, testimonianza dellapiù raffinata esperienza degli orafi palermitani. La bella corona è tutta a fregi smal-tati e sui fregi si appuntano qua e là diamanti, rubini, balassi; cornici di diamanticircondano piccoli rilievi smaltati con i fatti della vita della vergine e angioli, men-tre sbocciano dai fregi sirenette dorate. Due furono gli orafi che compirono nel1652-1653 in dieci mesi questo prodigio di oreficeria: Leonardo Montalbano eMichele Castellani, ambedue palermitani. L’opera ha infatti a Palermo i più imme-diati precedenti: l’ostensorio di argento dorato tutto ad intagli nel tesoro di S.Domenico a Palermo, il calice a smalti nel tesoro della Cappella Palatina, i fram-menti del superbo ostensorio di S. Ignazio martire di Palermo, eseguito collegemme donate dalla contessa di Maino Donn’Anna Graffeo, (Palermo-Museo).Ma quante opere belle anche negli altri tesori di Sicilia; a Messina c’è un ostenso-rio in oro magnifico, a Mazzara un altro ostensorio incantevole per linea per orna-to, ed un paliotto di argento fra i più belli di Sicilia; a Caccamo una mazza origi-nalissima con motivi decorativi tratti dallo stemma della città; a Trapani nel Museoopere ricche di coralli e di smalti; a Noto un piatto d’argento sbalzato; a Catania, aPalermo, a Siracusa, i tesori traboccano di opere d’arte. E quante urne reliquiarie!Non vi fu chiesa di Sicilia che nel seicento non volle custodire le ceneri del Santoprotettore, l’uso ne era antichissimo: ne avevano dato esempio gli orafi renani limo-sini e bizantini dell’alto medio evo, più ancora gli orafi gotici che ad eternare il

74

Page 75: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

ricordo dei santi costruivano immense arche tutte a trafori e a guglie come la cassadi S. Taurin ad Evreux, l’arca di S. Geltrude a Nivelles, di Notre Dame a Tournal,l’arca della cattedrale di Genova, la cassa reliquiaria di S. Agata nella cattedrale diCatania a cui per cento anni le più sensibili mani di orafi siciliani donarono elegan-za di ornati. Anche nel cinquecento gli orafi siciliani attesero a costruire casse reli-quiarie. Paolo Gili maestro eclettico lavorò per molti anni con altri argentieri allabella arca di S. Cristina che servì di esempio all’arca di S. Lucia a Siracusa, all’arcadi S. Corrado a Noto. Ma nel seicento in Sicilia un fervore fanatico spinse quasitutte le città a compiere l’arca del Santo Patrono onde portarla in giro durante leprocessioni turbolente e fastose, e tutti gli orafi siciliani piccoli e grandi furonoimpegnati all’opera di Pietà religiosa e di umano orgoglio. Giovanni Artale Pattiorafo messinese eseguì l’arca reliquiaria di S. Placido; Lucio De Arizzì artista modi-cense eseguì l’arca di S. Angelo a Licata, anonimi maestri eseguirono la cassa di S.Onofrio a Sutera, la bella cassa di S. Gerlando ad Agrigento. Il 3 Marzo 1625 ilcardinale Giannettino Doria commosso per il rinvenimento del corpo di S. Rosaliaordinava che si costruissero due urne una provvisoria di argento e cristallo e l’altratutta di argento per custodire le reliquie della Santa. L’urna di argento fu comple-tata al 1631 e vi lavorarono Giuseppe Oliveri, Francesco Rivela, Giancola Vivianoe Matteo Lo Castro. Ma chi guarda l’eleganza e la originalità dell’arca e chi pensaquale dominio esercitò sulle arti decorative nel primo quarantennio del settecentoil nostro Pietro Novelli pittore e architetto, chi vide nella collezione Alfani purtrop-po dispersa certi disegni di Pietro Novelli per casse reliquiarie potrà accettare l’ideache il disegno di quest’opera appartenga a Pietro Novelli. Vi è infatti nella cassaun’eleganza, un equilibrio con le alette espanse, ora balzano irrequieti dall’orlo infe-riore della cassa. Chi mai poteva dare ad opera architettonica, un movimento cosìarmonioso e ritmico da suggerire il nome di un grande maestro. Lo stesso nomesuggerisce l’allegro sciame di bimbi che ora sostengono l’urna, ora si appoggianoirrequieti e scivolano dai pilastrini che dividono i piani, ora seggono raccolti sullevolute del fastigio, chiudendone i vuoti, architettata così sobriamente, tanta graziainfantile se non Pietro Novelli l’artista per cui non fu mai tela senza raggio dibimbo? La cassa è unica per bellezza nella storia dell’oreficeria barocca d’Italia ed èschiettamente palermitana, in questo rapido e armonioso movimento di massa, inquesto musicale ritmo di elementi decorativi per questo vivace sorriso di infanzia.Pare sorta senza fatica in un momento di felicità ornamentale come un improvvisoinno di gioia per la fanciulla santa dal nome tessuto di rose e di ali.

75

Page 76: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

27 Luglio 1934 - ALLA XIX BIENNALE. PERIPLO PITTORICO INTERNAZIONALE

C’è aria di restaurazione in Europa. Nel silenzio venuto dopo molte parole e con-tese si leva un solo motivo ora variato con una modulazione raccolta e intima damusica da camera, ora con una orchestrazione vasta e armoniosa e si diffonde dalReno alla Senna e più oltre fino ai laghi Laurenziani: Ritorno alla terra.In ogni regione l’arte cerca di ancorarsi nel più quieto porto, nel più intimomuschioso verde, ricercando la fune a cui si legava in altri tempi per le brevi sostedel navigare. Vuole riannodarsi alla tradizione della propria terra e dimenticare laperegrinazione dolorosa e farla dimenticare a chi lungamente ha atteso. Rinnoval’eterna fiaba di Ulisse.Questa è l’aspirazione mondiale. Ma il ritorno alla terra non può essere soltantoatto di volontà ma deve essere atto di amore.Tanto la nuova e comune finalità, tanto la comune esperienza di ieri, conferisconoalla pittura internazionale un carattere uniforme sicché ove si volesse fare una car-tina geografica segnando con diverse tinte le varie scuole pittoriche assai pochicolori sarebbero necessari: la tinta con cui si volesse determinare la Francia potreb-be servire per la Cecoslovacchia, per la Grecia, per l’Austria, per gli Stati Uniti, eun po’ anche per la Germania; un bel rosso porporino potrebbe indicare la Russia equalche tinta assai vicina alla francese, la Svizzera e il Belgio.Ricordo di Arturo Giacometti, geniale pittore svizzero recentemente scomparso,che preparava una storia dell’arte italiana solo segnando accuratamente i colori pre-feriti da ogni scuola attraverso i secoli. Quale registrazione pittorica sarebbe statascelta per questo trentennio del novecento che ha esperimentato tutti i colori, tuttele varietà tonali, tutti eguali in tutti i luoghi? Quale orientamento avrebbe seguitoin questo cosmopolitismo pittorico?Ieri nella rivolta del surrealismo oggi nella restaurazione, tutte le nazioni sono comebarche che partono in frotta per la pesca concordemente pronte ad alzare e adabbassare le vele al vento che le spinge e sembrano eguali a chi le guardi nel lorosollecito movimento anche se ognuna di esse abbia il suo colore e la sua forma e ilsuo nominativo amoroso come le maioliche iridate di Casteldurantino.Gli artisti hanno indossato al posto del costume sgargiante post bellico fatto dibrandelli cuciti col fil di ferro il nitido costume da mattina comprato ai magazziniparigini; ma alcuni mantengono pur sotto l’eguale abito quella inconfondibile anda-tura di grazia che è di quei gentiluomini i quali hanno molti antenati e sono statiper molte generazioni latinamente educati, altri invece, si sforzano a portarlo condisinvolta convinzione. Ma ad evitare equivoci è sempre bene leggere l’iscrizioneapposta ad ogni padiglione che ha la stessa importanza delle epigrafi funebri e cioè

76

Page 77: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

attira la nostra memoria e suscita il nostro ricordo, perché senza quel richiamo dinome passeremmo oltre, senza commozione e senza lacrime.Un po’ di cifreLe cifre hanno sempre un chiarissimo linguaggio: le nazioni espositrici sono tredi-ci; gli artisti stranieri 447, 1117 le opere di pittura, 279 le opere di scultura, oltre leincisioni, le medaglie, i disegni. E si tenga conto che gli ordinatori delle variemostre seguendo il consiglio di Antonio Maraini hanno presentato pochi artisti conun discreto numero di opere e che ad esempio la scultura francese è rappresentatasoltanto da cinque artisti e la pittura svizzera da due soli maestri. Le opere espostea Venezia rappresentano quindi un decimo della produzione attuale ed una statisti-ca in questo campo sarebbe di grande interesse.Mentre la chiesa resta fondamentalmente inerte al fatto delle arti, mentre la casanordica preferendo le ampie vetrate offre scarse superfici da decorare con i quadri,mentre le fotografie sostituiscono quella pittura di paesaggio commissionata soloper ricordare il luogo già visto, mentre i nostri giovani preferiscono una palla ad unquadro, e le nostre signore una macchina ad una scultura, mentre insomma larichiesta diminuisce, la produzione aumenta a dismisura.Austria e GreciaCominciamo dalle nuove arrivate.L’Austria prima ospite del padiglione della Germania, ora ha voluto affermare lasua indipendenza artistica esponendo in un proprio padiglione sorto in due mesiper opera degli architetti Josef Hoffmann, Robert Kramreither. Posti a scegliere tracontenente e contenuto, noi siamo inclini a riconoscere in questa bella architetturalimpida, razionale, armoniosa un valore più alto di modernità e di unità espressivache non riusciamo a cogliere nella pittura, chiara lieta luminosa ma ancora fram-mentaria ed ancora legata all’impressionismo francese.Per la Grecia che si presenta anche quest’anno per la prima volta nei giardini diVenezia con un padiglione di stile neo bizantino, di gusto assai discutibile, architet-tato da Papandreou, non vi è che accordare la benevolenza invocata, nella prefazio-ne al catalogo pensando che si tratta di una prima manifestazione. Qui si è prefe-rito esporre poche opere di parecchi artisti e questo rende difficile una nitida affer-mazione di valori positivi. Certamente i quadri di Epaminonda Thomopulos, ate-niese hanno un respiro vasto di orizzonte ed una georgica commozione e buonisono alcuni ritratti di Demetrio Dimas e di Andrea Georgiadis, ma non è possibi-le ancora vedere l’orientamento sicuro nella pittura greca e neanche nella sculturaora troppa legata al passato ora tormentata da desideri di modernità che si attuanoin ricerche di fusione plastica senza determinazione realistica veramente coraggio-se nella terra di Mirone e di Prassitele.

77

Page 78: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Belgio e OlandaCon una nobiltà di eccezione si presenta il padiglione dell’arte belga. La mostraretrospettiva di Armand Rassenfosse morto nel 1933 serve a far conoscere nella suacompletezza uno dei più eleganti e solidi maestri di Liegi. Sono visibili i legami conla pittura dell’ottocento, ma ciò non toglie merito alle sue opere definite per via dicolore morbido fuso come “La servente”, “La ragazza” e più si affermano le sue qua-lità pittoriche nei disegni, acqueforti, punte secche perché ivi il suggerimento colo-ristico è dato solo dalla linea e dall’ombra padroneggiati con somma esperienza.Ottima e convincente è la pittura di Jean Van Den Eckhoudt tanto nei ritratti comenei paesaggi ariosi e mattinali. Un mobilissimo ritratto di re Alberto opera di LuisBusseret, alcune pitture sensibilissime di Logelain, i nudi di Leon Devos così sof-fici e spumeggianti, le opere di Renè Depauw salde e forti ed altre ancora di PeiserKurt, di Perin Magni, di Verburgh hanno qualità di sicura ricerca, di sensibilità pit-torica, di schietta ispirazione che onorano il Belgio.Anche la scultura mitigando l’impressionismo rodiniano offre alcuni ritratti diRombaux e altri di Rousseau, di un buon ottocento e bronzetti dei giovanissimiDebonnaires e De Meester, questi ultimi ispirati agli animali, suggeriti da una sanae sincera modernità di ricerca.L’Olanda pittorica e plastica non sta a pari dell’Olanda architettonica. Non è pos-sibile additare tra questi artisti espositori individualità creative come il Dudok,l’Oud, il Brinkmann. Quella pittura olandese serenamente panteistica, amorosa,quieta, lucida, precisa, matematica, quella pittura incantevole di paesaggio e diinterni che per tre secoli seppe vivere amando e sfuggendo l’arte italiana, consape-vole ma orgogliosa dei suoi pregi e dei suoi difetti, quella pittura che da Luca diLeida a Rembrandt, da Franz Hals a Ruisdael fino a Ptiloo, seppe mantenersi com-patta e serrata nei suoi elementi, uniforme nella sostanza e molteplice nei suoiaspetti quella pittura è scomparsa sotto la raffica del cosmopolitismo. Non c’è piùla tradizione, e non c’è ancora la nuova pittura olandese. Vi sono buoni pittori eprimo fra tutti il notissimo Israels, vi è molta eleganza disegnativa nelle opere diGidding, molta solidità costruttiva nelle opere di Koos, di Roling, di Van der Hem,dei buoni ritratti di Sluter ma non vi è ancora una pittura olandese con caratteriunitari ed originali come l’ha l’architettura olandese.Inghilterra, Francia e SpagnaSe vi è un padiglione nel quale entrando si possa subito riconoscere a quale regio-ne appartengano le opere esposte è proprio il padiglione dell’Inghilterra. I pittoriinglesi interessati al paesaggio hanno mantenuto costante quel rapporto di egua-glianza tra l’uomo e la natura che è fondamentale nella pittura dell’ottocento ingle-se. Nel paesaggio pittorico italiano il sentimento dell’uomo resta sempre dominan-

78

Page 79: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

te e investe e trasfigura le cose; nel paesaggio olandese questo sentimento pare siritiri gelosamente per lasciare tutte le parole alle cose, nel paesaggio inglese l’uomosi pone allo stesso piano della natura, da e riceve con calma e con eguale misura, conun perfetto equilibrio tra fantasia e ragione. Come fu ieri la pittura di Constableeoggi è la pittura di un Condall o di un Dunlop. Eguale il rapporto, eguale i mezzipittorici.Tutta l’Europa fu percorsa da una necessità rivoluzionaria ma l’Inghilterra non ebbemotivo di partecipare a questa rivoluzione; sarebbe stata insincera e perfettamenteinutile. La sua pittura era giovane, si sviluppava con regolare crescenza alle esigen-ze spirituali inglesi. D’altra parte non è giusta l’accusa di tradizionalismo fattaall’Inghilterra. Se si pensa che il gotico vi rimase sino al seicento e il neo classici-smo fino a ieri, fa meraviglia vedere come l’arte inglese sia stata capace di porsiaccanto alle altre regioni nella marcia verso il futuro. Il recentissimo palazzo delleferrovie sotterranee a Londra è tra i capolavori di architettura razionalista; le scul-ture architettoniche di Giel e di altri maestri meritano la massima attenzione: lapittura ha avuto già da tempo affermazioni notevoli di coraggiosa intraprendenza.Dieci anni fa si rideva della passatista Inghilterra; ma oggi, osservando gli scarsieffetti del surrealismo e del cubismo, pensiamo che in fondo la lenta Inghilterra haavuto ragione di non intorbidare i suoi limpidi laghi per inutili tentativi di ipoteti-che pescagioni. I pittori inglesi sono stati sempre espertissimi disegnatori. Nonhanno mai perduto il possesso intellettualistico della forma; sono stati sempreacquerellisti famosi, coloristi armoniosi e diligentissimi. Essi non hanno perdutooggi nessuna di queste qualità e ciò mostrano i quadri di Inners, gli acquarelli deli-ziosi di Rushbury, i bianche e neri di Orovida, di Withe Ethelbert, di Dunlop. Lesculture di Dick agilissime e scattanti, fusione di libertà e di tradizione sono tra lepiù belle affermazioni della plastica inglese.A girare nel padiglione della Francia si resta un po’ disorientati. Tutto quieto e chia-ro e buono sulle rive della Senna? Anche lì questo zefiretto dolce che spira inOriente? Non per nulla i pittori sono passati dalla vecchia e affumicata osteria diMontparnasse alla luminosa e moderna Montmartre. Tutto vi è limpido e chiaro,proprio come nei collegi dopo la visita dell’ispettore arcigno. I francesi si sono pre-sentati accompagnati dal grande Manet e in tale compagnia chi può non guardarlicon rispetto e con ammirazione profonda? Chi può non pensare alla nobiltà di quel-la pittura che per un secolo ha dominato il mondo? Nel breve giro delle altre sale,fermo restando negli occhi, il sorriso invitante di Nina De Callias e l’armonia di certiaccordi coloristici di cui il Manet fu compositore indimenticabile, riescono adimporre una sosta le opere di due donne Alix Ives e Louise Evrieux. I disegni dellaErvieux dedicati alle farfalle, alle conchiglie, ai pesci, richiamano quelli dei nostri

79

Page 80: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

grandi toscani del Rinascimento e c’è un tale abbandono francescano nella osserva-zione del naturale e tale femminile intuizione cromatica delle cose da restare avvin-ti. Alix Ives si presenta invece con sei quadri di ritratti e paesaggi, dove ferma intui-zioni velocissime con rapidità di colore. Una nobiltà che si rinnova sempre nel tempohanno le nature morte e i paesaggi del pittore Dunoyer de Segonzac, maestro assaiesperto nel fermare l’aria locale e il respiro più intimo dei paesaggi ritratti. La scul-tura francese è rappresentata da cinque artisti non giovani; c’è il grande Maillon condue opere le quali affermano la sua ben nota conquista di una forma statica calma,riposante, soda; c’è Philippe Besnard con opere nervosette e spumeggianti, c’èFrançois Paul Niclausse, Robert Wlerick, Louis Dejean, i quali non aggiungononulla al consueto. La Spagna non riesce a interessare grandemente. Ioaquin Sorolla,Eduardo Chicarro, Josè Gutierez Solana sono pittori già affermati e già noti; gli altripiù giovani mancano di concentrazione e di intimità. La scultura ha un valore piùalto della pittura. Le opere di Josè Clarà e Mariano Beniliure, di Francisco Perez, diAugustin Ballester hanno qualità originali e interessanti.Danimarca, Cecoslovacchia, Polonia, Stati Uniti e Germania La Danimarca offre come rappresentanti della sua arte sette pittori i quali mostra-no un disorientamento notevole pur avendo ottime qualità pittoriche.Pittoricamente la Danimarca è stata dominata dalla Francia e dalla Germania e unavittima di questo ibrido dominio, è Arald Giersing divenuto il più accreditato mae-stro danese. Scarsamente originale il Giersing ha pure esercitato un vasto dominiosu tutti i giovani pittori orientandoli verso l’arte straniera.La Cecoslovacchia tende ad una pittura unitaria e nazionale ma fino ad oggi essa sipresenta come una provincia francese. Vi è ancora una permanenza di surrealismointesa soltanto come astrazione, Nowark, il Filla, il Fulla, Adolf Offmeister sono irappresentanti della rivoluzione cubista mentre Vojtech Sedlacek e Vlastimil Radarappresentano il ritorno alla terra. Tra gli scultori, anche essi dominati dalla influen-za francese i più lodevoli sono Karel Dvorak, Karel Kotrba e Jan Lauda. Anchenella Polonia come avverte il delegato del governo polacco, vi sono due correntiprincipali: la prima che richiamandosi alle antiche tradizioni tiene all’esattezza dellacomposizione e alla purezza della linea e alla solidità tecnica del mestiere; la secon-da moderna per eccellenza che reca l’impronta più forte o più debole ma ad ognimodo incontestabile de «l’Ecole de Paris». Vi sono anche i rappresentanti dellaConfraternita di S. Luca formatasi nel 1925 col principio di «dipingere bene vale adire dipingere in una maniera forte ed accurata con la conoscenza del mestiere deimaestri antichi membri delle confraternite artistiche medioevali». Come si vede ilmovimento artistico della Polonia è assai attivo e vi sono affermazioni notevoli.Sono segnabili ad esempio Dadles Pawel, Jan Gotard; interessanti i ritratti di

80

Page 81: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Michalek, i bei nudi di Niesio Cowschi, gli auto-ritratti di Podoski, le «Tre grazie»di Zamoyski. Anche la scultura ha rappresentanti lodevolissimi come Alfons Karny,Stanislao Azecki che riesce a conferire alla materia una pittoricità delicatissima e ilgrande Wittig seriamente legato alla tradizione michelangiolesca.Gli Stati Uniti hanno partecipato alla Biennale di Venezia con opere scelte dalla col-lezione permanente di arte del museo Whitney, istituzione che vuole diffondere laconoscenza dell’arte americana. Ma in questo padiglione appaiono una o due opereper ogni artista e non riesce possibile additare qualche notevole personalità. In gene-rale l’arte degli Stati Uniti si mostra frazionaria, cosmopolita, di scarsa originalità. Ilsuo sforzo è stato fino ad oggi quello di mettersi a pari con le correnti europee,domani potrà riuscire con una maggiore meditazione a dire una parola diversa e sua.Questo domani non sembra imminente per l’arte tedesca. Tra gli artisti neo-roman-tici, tra i neo-positivisti non vi è da fare scelta. Regna il caotico, l’imparaticcio, ilpessimo gusto. Né si può sperare che al di fuori di questo padiglione possano tro-varsi in Germania valori d’arte più schietti perché il dottor Haftaengl ordinatoredella mostra dichiara: «questa volta si è voluto porre in evidenza il già affermatopiuttosto che il problematico ossia un quadro della formazione politica ormai rag-giunta ma della quale si attende ancora la grande e matura espressione artistica».Attendiamo anche noi.SvizzeraUna piccola oasi rappresenta il padiglione svizzero dove sono esposte le opere didue soli artisti: Cuno Amiet pittore ed Herman Haller scultore. Educatosi a ParigiCuno Amiet è riuscito a mantenere immacolata la sua emozione dinanzi alla natu-ra, alla vita semplice e modesta alla georgica riposante letizia delle sue valli. Anchele sculture di Herman Haller per quanto legate all’insegnamento di Maillon, rie-scono ad un felice connubio di plasticità e pittoricità ed ad una delicata intuizionedella bellezza femminile. In questo padiglione avremmo voluto vedere opere diArturo Giacometti, originalissimo decoratore e pittore e creatore delle più bellevetrate moderne.Ungheria Avverte il Cav. Ervino Vbl nella prefazione al catalogo. I rapporti tra le arti figura-tive: pittura, scultura, architettura sono diventati più stretti, segno questo che nelcampo delle arti siamo alle soglie di un periodo costruttivo.Se vi è un augurio da formulare per la pittura ungherese è quello che essa raggiun-ga al più presto questa costruttività e si liberi da ogni resto di impressionismo aereoed iridato che per eccesso, nuoce.Domina la pittura di paesaggio e in questo genere il posto più alto occupa StefanoSsok che rende alcune visioni del lago di Balaton con vera emozione lirica, poi ven-

81

Page 82: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

gono Stefano Bosznay, Edmondo Màrffy, Stefano Szönyi. Nella scultura si affer-mano le opere di Ladislao Mészàros e la Danzatrice di Francesco Medgyetssy.RussiaSolo nel padiglione dell’U.R.S.S. si ha l’avvertimento che la reazione non sia statavana e che è diverso il valore e quindi l’effetto di un movimento rivoluzionario sortoda un collettivo ed imperioso bisogno che travolge tutto lo spirito e sconvolge tutto illinguaggio artistico da quelle reazioni insincere che sorgono soltanto per imitazione eper una fallace ed immaginaria necessità spirituale. Buona parte delle regionid’Europa imitarono le reazioni pittoriche russe senza convincimento e senza necessi-tà sicché l’espressionismo divenne una curiosa esercitazione di moda, nuova accade-mia accanto alla vecchia accademia. Se oggi girando per i padiglioni delle varie regio-ni di Europa si resta perplessi a vedere in quale borghese tranquillità si sono rifugiatibuona parte di quegli artisti che ieri gridavano e scuotevano fiammanti vessilli, ciò èdovuto al fatto che le reazioni artistiche sono come le rivoluzioni dei popoli, sono utilicioè quando sono suggerite da un ardore, da una convinzione, da una fede.Tutto inte-ressa nel padiglione dell’U.R.S.S. La scultura è potente, originalissima con un respirovasto di umanità. La «Contadina» di Vera Mouchine è, io credo, la più bella tra tuttele sculture di questa mostra internazionale, gli animali di Ivan Efimov possono pas-sare nel più severo Museo; le xilografie di Staronossov originalissime di tecnica di unaplasticità e luminosità eccezionale, occupano il primo posto; le pitture di PietroWilliams sono giunte al miracolo di affermare l’infinito e lo spazio; il ritratto di gio-vinetta di Petrov Vodkine ha una solidità di costruzione e una nobiltà da ricordare lanostra più grande pittura toscana, le opere di Gherassimov e di Deyneka sono docu-menti di psicologia umana, altare dello stesso Deyneka sono composizioni musicali.Anche altri pittori come Bogoroski, come Brodsky, come Samo Khalon mantengononel contenuto e nella forma una sana e schietta modernità.E veniamo alle conclusioni. C’è buona speranza che lo spirito umano ritorni a ricer-care e ad amare i valori eterni ed universali, legati all’istinto e all’intelligenza? C’èsperanza che l’uomo ritorni a scavare nella propria anima il nucleo più vitale e sap-pia mostrarlo se c’è senza falsità e senza miseria? Possiamo sperare che l’arte offrapossibilità di conforto e di gioia? Sì, è da sperarlo e non ci fa velo l’ambizione nel dire che di questa savità, di questanuova meditazione, di questo volere vivere nella tradizione, procedendo nello spa-zio e nell’altezza con i virgulti nuovi sui vecchi ceppi di questo nuovo amore allaterra, la nota prima, l’esempio più alto è partito da Roma. Ma questo non basta alnostro orgoglio. Noi vorremmo potere ripetere le parole di Michelangelo «Se pergran miracolo uno straniero riuscisse a dipingere bene, tutto ciò che si potrebbedire, anche se non imitasse l’Italia, sarebbe soltanto che dipinge come un italiano».

82

Page 83: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

3 Agosto 1934 - GIACINTO GIGANTE

Novecento appena nato, fece le smorfie a papà ottocento, urlò, pianse serrando ipugni. Poi lo guardò un giorno, in quel viso largo e onesto, malinconico e pensosoe si decise a sorridergli e ad amarlo.Cominciarono le mostre dell’ottocento: mostra retrospettiva a Firenze 1910, aNapoli 1922, a Venezia 1923 e contemporaneamente gli studi critici del Cecchi,dell’Oietti, del Somarè, le valorizzazioni critiche dei singoli artisti: del Piccio, delFattori, del Costa, del Segantini ecc., via via fino ad oggi, con la mostra del ritrat-to dell’ottocento a Venezia, con la collezione Mondadori sui pittori dell’ottocento,col grande dizionario Comanducci. Tale revisione critica oltre ad essere una neces-sità del nostro spirito chiarificatore, oltre a stabilire in quale misura e con qualiriserve si debba parlare di un rapporto con l’arte francese della nostra arte - che nonfu mai schiava, né passiva imitatrice, né sospirosa romantica, di straniere forme - halo scopo di fermare i giovani artisti alla contemplazione delle opere del passato, nonper diminuirne, ma per aumentarne il gagliardo desiderio di un nuovo linguaggioche sia aderente al tempo e alla nostra anima come fu allora in quei tempi, acri dipugne e di contese.Fra i pittori napoletani dell’Ottocento Giacinto Gigante ha richiamato a gran vocela critica. Di ieri, le belle pagine di Sergio Ortolani e di Biancale, di oggi un volu-me di Mattia Limoncelli edito elegantemente da Gaspare Casella libro ricco diquaranta tavole di dati biografici, di un elenco cronologico di cinquecento opere iltutto preceduto da un’armoniosa prosa liricizzante commossa di entusiasmo e diammirazione. L’autore non dice cose nuove, ma il già noto espone con molta con-vinzione e bene.Chi fu Giacinto Gigante? Un pittore nato a Napoli nel 1806 con l’amore alla pit-tura e al paesaggio nel sangue; un allievo di Antonio Spunk van Ptiloo, un ricerca-tore vigile e attento, un grande improvvisatore e un grande lirico. La vita gli sorri-se, quei disegni, quel vedere della sua Napoli si trasformavano in onori e in ricchez-za; fu amato dall’imperatore delle Russie, da Ferdinando II, da Francesco II, fu esal-tato dagli amici. Quanti disegni e quanti paesaggi la sua mano abilissima fermò conla rapidità della stessa intuizione? Cento, mille, duecentomila… Pozzuoli, Pesto,Sorrento, Napoli, Roma; golfi e anfratti, baie ed isole, templi e villaggi, colori diver-si al mutare dell’ora, e ora diversa al mutare del cuore, attimi che si vorrebbero eter-ni, tutto gli fu materia di canto.Uno di quei pittori del grande ceppo italico, instancabili e felicissimi di mano, comeTiziano, come Tiepolo. Ma questo pittore che andava per le campagne assolate,spiando con gli occhi acuti tra il verde e l’azzurro la visione più armoniosa e for-

83

Page 84: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

mando con immediatezza l’immagine, innamorato senza mai languori della suaterra favolosa di bellezza e di leggenda, ostinato nemico delle accademie, della pare-te, delle chiuse mura, questo rondinotto insaziato di aria e di azzurro, compiva senzasaperlo una delle più grandi rivoluzioni pittoriche.Egli trasformava il paesaggio classico appena rinfrescato dalla sensibilità naturali-stica degli olandesi, il paesaggio ben composto con l’alberello e il tempio classico ela ninfa, noioso come un’oleografia, ed uniforme come i grani del rosario, a tintelevigate e verdine, ad alberi e foglie minuziosamente ritratte, quel paesaggio che staal sentimento come lo sbadiglio sta all’intelligenza, in un paesaggio fresco ed ario-so, vibrante, intriso di umanità, di fervore, di amore e di sgomento. Pennellata chetocca la tela e procede paurosa di perdere la sua immediatezza, tocco arguto edescrittivo, macchia meditativa ed evocatrice. Luce, aria, spazio, elementi fluidi emisteriosi, divengono schiavi in questa mano demoniaca, pronta a ghermire senzapietà, a stringere il molteplice nell’unità, l’infinito nei pochi centimetri di tela. Erala pittura ad aria piena, il famoso plenarismo della scuola di Fontainebleau cheappariva sincronicamente anche a Napoli. Lì a Parigi erano Corot, Daubigny, Diaz,Rousseau che partivano a scoprire la natura seguendo l’avvertimento di GorgeMichellon; qui, a Napoli,era Giacinto Gigante che appena ricevuto qualche precet-to del suo maestro Ptiloo, tutto solo compiva a Napoli la stessa opera di semplifi-cazione riattaccandosi alla tradizione italiana del paesaggio. Corot era riuscito adintendere la composizione coloristica dei grigi crepuscoli e felice di questa scoper-ta annegava i suoi paesaggi in una nebbia di argenteo grigiore e dava alle cose l’im-mobilità stanca e trasognata dell’ultima ora della vita e pur cercando e frugandoaspetti sempre nuovi della natura, non riusciva a guardarli con sentimento diversoonde una certa uniforme cadenza di ritmo elegiaco nella sua opera.Giacinto Gigante, invece meno aristocratico di Corot e degli altri maestri francesie inglesi è assai più ricco di fantasia, più immedesimato panteisticamente nelle cosenaturali, svagato, turbato, meravigliato e stordito di quella bellezza che sotto gli occhisi rinnova, magicamente. Quando entra nei cortili, nelle vecchie case, nelle chieseabbandonate, allora quelle pietre, quelle umili cose, sembrano straniere al suo spiritoe gli danno uno sgomento, una paurosa angustia, quasi un terrore di tomba. Fuori,nella campagna egli è limpido e lieto, ma se un rudere gli appare o un vecchio tem-pio, allora sembra invaso da una struggente malinconia e ne vengono pitture così tra-giche come se l’artista sentisse e non riuscisse a comporre il dissidio tra l’eternità dellanatura e la temporaneità dell’opera umana. Così il suo spirito vaga dalla gioiosa con-templazione della natura ad una cupa meditazione eraclitea sul vagare delle cose e lasua pittura registra ogni più lieve variare di sensazione. Essa va dall’Acqua di Forra«dove» il tocco ancora esornativa sa pur dare carattere ed emozione di moto e di fre-

84

Page 85: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

scura veramente acquatici in modo già tutto diretto e nostro, di lirica intuizione e nonsa di dove è risorta l’ombra misteriosa nera azzurra e la tremante luce lunare dei cara-vaggeschi napoletani del seicento alla pittura rappresentante l’Abside di S. LorenzoMaggiore (1856) dove sarcofagi, statue, edicole, pilastri, e il frate che si avanza nel-l’ombra hanno tutti l’inconsistenza fluida delle allucinazioni. Allora si ripensa aSalvator Rosa a Magnasco e più oltre spingendosi si arriva agli affreschi romanidall’Esquilino alla biblioteca vaticana a Roma.Ai maestri del settecento veneziano Giacinto Gigante si ricongiunge per l’amorevigile ed accorto verso la propria terra. Di questo amore il Limoncelli ha descrittoassai bene il valore «Napoli rivive in quell’arte, respira nelle ampiezze panoramiche,nella ubertosa magnificenza degli aranceti nelle vigne o negli ulivi, si fa querula neimeandri di quelle strade, liturgica nei timpani e sotto le volte delle chiese, misterio-se nelle penombre, assolata nelle spiagge, ariosa e leggiadra nei poggioli, in quellestradette fuori mano ove nell’ora del tramonto un tabernacolo votivo fermò il passoal pellegrino».Per tale aderenza alla sua terra la pittura di Giacinto Gigante è oggi di una attuali-tà senza pari ed acquista un significato che trascende anche quello strettamenteartistico e «avere fermato il perduto incanto» di quella Napoli ottocentesca oggidistrutta in parte e rinnovata.

30 Agosto 1934 - ARTE D’OGGI. LE PORTE DELLA BASILICA DI SAN PAOLO *

Ricchi signori di Amalfi, Pantaleone e Leone commisero nel sec. XI a Bisanzio,emporio celebre di ori, di gemme, di bronzi e di avori, erede fortunata ed accortadel ricchissimo patrimonio artistico ellenistico romano, porte di bronzo per ador-nare chiese e basiliche allora sorgenti. Per esperta nobiltà di fattura, per complessaornamentazione era famosa la porta della Basilica di S. Paolo eseguita nel 1070 daun tal Staurachios, di tanto orgoglioso della sua bella opera da ricordare il proprionome in una iscrizione apposta sulla stessa porta. Erano il vanto della BasilicaOstiense e tale rimasero anche quando sull’esempio bizantino, ad imitazione dellemolte porte venute da Costantinopoli per Amalfi, Salerno, Venezia, S. Michele alGargano, Montecassino, altre ne furono fatte per la chiesa di S. Savino da Roggierodi Melfi, per la Cattedrale di Troia da Odrisius Beraudus, per la Cattedrale di Pisae di Monreale da Bonanno Pisano, per Trani Ravenna Monreale da Barisano. Ildiverso mistero di quelle chiese medioevali, aurei scrigni ingemmati, veniva chiusoda quelle porte magnifiche, dinanzi alle quali il pellegrino riaccendeva nel cuore lasua candela di amore e di fede. Ma un incendio scoppiato nella notte dal 15 al 16

85

Page 86: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Luglio 1823 distrusse la Basilica di S. Paolo e irreparabilmente guastò le porte dibronzo, fatica di Staurachios. Le scarse reliquie si conservano oggi nella sacrestia diS. Paolo ma per chi voglia ricostruire la porta nel suo complesso iconografico nonresta che un disegno riprodotto nella storia dell’arte di Seroux d’Angicourt. È sfug-gita finora un’altra fonte assai interessante per la ricostruzione ideale della portadella Basilica Ostiense e cioè un trittico di rame e smalto che si conserva nel MuseoNazionale di Palermo. I tre sportelli del piccolo trittico sono divisi in nove rettan-goli ciascuno e le rappresentazioni sacre vi sono ottenute riservando nel rame dalfondo smaltato azzurro le varie figure, mentre le teste sono state fuse a parte nelrame e poi sovrapposte con quella tecnica comunissima dei prodotti tardivi dellebotteghe di Limoges. Ma a chi guardi, esperto dei prodotti limosini e della varietàdelle tecniche medioevali, questo strano oggetto del Museo Nazionale di Palermo,non sfugge un senso di disagio spirituale, una perplessità intraducibile in parola marealissima, quella che è sicuro avvertimento di falso.C’è soprattutto un dislivello tra l’epoca testimoniata dall’iconografia e poi ancheuna tale dispersione nell’intento compositivo ed una titubanza di disegno, da faregiustificare e condividere l’opinione di un critico francese circa l’autenticità di taleoggetto.Ma ecco che a giustificare il sospetto, soccorrono le distrutte porte di S. Paolo.Paragonando il trittico a smalti del Museo Nazionale di Palermo con il disegnodella distrutta porta di S. Paolo, ecco che appare la spiegazione di quel dislivellocronologico notato. L’orefice ha copiato alcune forme della porta di S. Paolo ed hausato la tecnica comune ai prodotti limosini del sec. XII mentre l’iconografia dellerappresentazioni è quella della porta e cioè del sec. XI. L’esecutore del trittico nonha voluto eseguire un piccolo oggetto di devozione di ricordo come sono oggi adesempio le basiliche di S. Pietro in alabastro, le piccole statuette di S. Pietro, ma havoluto far credere trattarsi di opera originale ed ha sostituito infatti l’esecuzionedella porta di S. Paolo, in cui si esalta quell’opera e quell’autore, con altra in cui siesalta la propria opera.Nessun ricordo delle antiche porte di S. Paolo si trova invece nella nuova e bellaporta di bronzo a geminata di argento, che Antonio Maraini eseguì dal 1929 al1931 per sostituire la porta lignea temporaneamente posta invece della porta bron-za di Staurachios. L’opera moderna e nostra supera quella antica bizantina.Nell’antica porta erano 54 scomparti ed il contenuto era caotico: profeti, evangeli-sti, apostoli, fatti di Gesù e Maria, tutto il vecchio e trito repertorio iconograficobizantino a cui attingevano i mosaicisti come i miniaturisti, gli orafi, gli smaltato-ri, i bronzieri; qui invece nella porta di Antonio Maraini dieci e grandi riquadri asimilitudine della terza porta del Battistero di Firenze, - spartiti, e nel tempo stes-

86

Page 87: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

so unificati da una croce formata da viticci fra cui si ingemmano i ritratti degli apo-stoli. Vi sono rappresentati i fatti della vita di S. Pietro e di S. Paolo ma solo quel-li essenziali, rimasti eterni nel ricordo, nell’amore, nella fede del popolo. Storia cheha un contenuto di tanta bellezza che diventa leggenda, miracolo, poesia. Lo spiri-to chiarificatore dell’artista illuminato dallo studio dei testi sacri, ma più dalla com-prensione dell’animo del popolo, ha scelto nella vita di Pietro e di Paolo i momen-ti risolutivi, non per la loro vita umana e mortale ma per la vita eterna della Chiesacristiana, e le rappresentazioni di tali momenti, furono disposti parallelamente, per-ché i fatti della vita dell’uno risultassero simili negli effetti e nelle cause a quellodella vita dell’altro.La crocifissione di Pietro e la decapitazione di Paolo, sono posti in alto sotto i brac-ci traversi della croce: rappresentano non la conclusione della vita dei due apostolima il principio della vita eterna. Più in basso, da una parte è ricordato Gesù cheappare a Pietro sulla via Appia: – Quo Vadis Domine - dall’altra, parte Paolo prigio-niero tra i pretoriani.Più in basso nella zona più immediata all’occhio di chi guarda sono rappresentatele due apparizioni miracolose: Gesù che da le chiavi a Pietro e Gesù che appare aPaolo sulla via di Damasco. Le iscrizioni con le parole di Gesù rendono più com-prensibili le scene. Negli altri riquadri sono rappresentati: Pietro che fonda la sedepapale a Roma; Paolo che predica e converte in Trastevere; Pietro battezza nellecatacombe; Paolo giunge a Roma per giustificarsi dinanzi all’imperatore.Come l’intelletto chiarificatore dell’artista ha saputo scegliere i momenti più eternidella vita degli apostoli e tutta l’opera appare stretta in una semplice unità concet-tuale, così la fantasia ha ordinato e disciplinato i vari elementi decorativi e l’operarisulta nel suo complesso unita in una perfetta unità artistica. Appare visibile unacostante ricerca, diremmo ghibertiana di rapporti fra gli elementi figurativi e gli ele-menti compositivi, di equilibrio tra i vari gesti, tra i piani e i rilievi, tra le superficiombrate e quelle battute dalla luce.Come nella bella porta di Bonanno Pisano si incurvano i fusti dei palmizi, oscilla-no i rami degli alberi in accordo alle curve dei drappi; colonne e case si bilancianoin altezza con le figure; un gesto richiama l’altro con classica rispondenza. Qua e làalcuni particolari sono tratti da rilievi ellenistici. La figura del giovanetto portatoredi pietre nel riquadro rappresentante la ricostruzione della basilica; la donna cheallontana la tenda per ascoltare la parola di Paolo rievoca mosaici bizantini ed avoridell’epoca macedone. Altre volte questo ritmo di composizione è ottenuto a scapi-to del modellato: come nel martirio di Paolo, ad esempio, Antonio Maraini non èuno spirito novatore e inquieto. Egli resta nel solco della tradizione per istinto e pervolontà. Ma per questa opera che doveva accordarsi ad una costruzione del più geli-

87

Page 88: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

do neo-classicismo che doveva sostituire una porta eseguita all’epoca macedone, ispi-rata alla più dogmatica iconografia bizantina, che doveva avere un contenuto didasca-lico e una finalità decorativa, il rispetto l’ubbidienza alla tradizione sono preferibili.Le novità della tecnica, anche queste derivate dagli antichi esempi, sono assai felici.L’uso della geminatura acquista qui un valore di commento spirituale. Nei riquadrirappresentanti l’apparizione di Gesù a Pietro e a Paolo le figure di Gesù in argento,sul cupo fondo bronzeo, acquistano uno splendore lunare, si tramutano in sogno, invisione miracolosa. La croce formata dal fregio ageminato che corre lungo i battentie si unifica nello spazio compreso tra i due ultimi riquadri porta i simboli degli evan-gelisti e le figure degli apostoli. Anche qui la rispondenza decorativa il gusto dellacomposizione superano il modellato incerto e piatto.L’arte bizantina, i rilievi toscani quattrocenteschi, le varie interpretazioni artistiche deifatti della vita degli apostoli hanno offerto molti spunti all’artista, ma tutta sua è lanobiltà che sta alla base dell’opera, la religiosità che ispira la dignità che la sovrasta.

23 Settembre 1934 - PITTURA DI GUERRA ALLA KUNSTLERHAUS DI VIENNA

Il vecchio adagio di Eraclito mai come oggi mi è apparso in tutta la sua malinco-nia ed umana evidenza nel suo contenuto che trascende dal significato materialisti-co dell’eterno mutare di tutte le cose al significato ideale dell’eterno mutare di tuttoil pensiero, come oggi, guardando la mostra alla Kunstlerhaus di Vienna.Tutto scorre, diceva Eraclito: molte acque sono passate sotto i ponti, torbide e nere,dense di fanghiglia limacciosa, molto fragore di spuma si è spento in un lieve fru-sciare di limpida acqua. Oggi guardando questa pittura di guerra, di soldati chefurono nemici e colpirono e furono colpiti, noi e da noi, con pacato e sereno animoe riusciamo a vederla, nel suo contenuto, come documento di umanità sofferente nelsuo valore grande universale ed eterno.Gli ordinatori della mostra hanno obbedito più a criteri politici che a criteri esteti-ci; non per nulla la mostra fu aperta al pubblico pochi giorni prima della inaugura-zione del Monumento ai Caduti di guerra, con cui l’Austria oggi onora i suoi morti,accendendo due are dinanzi all’arco trionfale già eretto dopo la battaglia di Lipsia ecustodendo in una cripta la lapide commemorativa delle sue vittorie e pregando ognigiorno per un milite noto morto in guerra. Le due inaugurazioni hanno eguale scopopolitico: sono orientamenti verso la riaffermazione dell’indipendenza di uno statoche per fortificare l’animo patriottico dei suoi cittadini, ha bisogno d’attingere nellatradizione millenaria e di additare il grande sforzo compiuto tra il 1914 e il 1918come conclusione d’una preparazione storica e garanzia d’una difesa avvenire.

88

Page 89: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Le pitture esposte sono state tutte eseguite tutte in guerra, da pittori dellaConfederazione austriaca e sono divise nelle varie stanze a secondo il fronte dovefurono eseguite: Tirolo, Isonzo, Serbia, Montenegro, Albania, Russia, Romania,Bulgaria, Macedonia, Turchia. Non si tratta che raramente, di pittura di battaglie,cozzo di cavalli e cavalieri tra nuvole di polvere e di fumo, come poteva dipingerlaSalvator Rosa ed il Borgognone; gia del resto Michelangelo aveva preferito sacrifi-care la totalità della battaglia che sopprime la descrizione pittorica del doloreumano a vantaggio d’un particolare della battaglia stessa, in modo da concentraretutto lo interesse pittorico e intellettualistico sull’episodio e quindi sull’uomo. Edallora avviene che, frammentariando in pittura la vasta azione, componendola nelleinnumerevoli immagini formative non si ritrova più quella battaglia, di quel popo-lo, su quel fronte, ma soltanto un frammento di paesaggio, un ferito, una casa diroc-cata, elementi comuni ed universali.Così intesa, la pittura da guerra corre due grandi pericoli: il pericolo del romanticoe il pericolo dell’illustrativo: quando si vuole parlare unicamente al cuore, si rischiadi fare un recitativo drammatico, efficacissimo ma di scarso interesse estetico. E nonsi può dire che da questi due pericoli siamo scampati i migliori artisti che qui appa-iono rappresentati in due mostre retrospettive e sono Carl Kàssmann e CarlPippich, né i più giovani e viventi Fahringer, Backl, Prinz; il quadro che s’intitola«L’ultima» di Federico Gruz commuove più i nostri sensi che la nostra fantasia edil compiacimento, solito a provarsi dinanzi alle illustrazioni di Beltrami, si provadinanzi al quadro «La Messa» di Hans Temple.Ove si pensi che all’epoca di questi dipinti: 1914-1918, ed alle particolari condizio-ni dell’Austria rispetto al movimento pittorico internazionale, di quei tempi, tuttociò non fa meraviglia ma giustifica un particolare moto di simpatia verso quegliartisti che seppero dimenticare ogni affanno nell’arte, superare la contingenza perl’eterno. Sono i più rari e tra questi ricordiamo un pittore: Rudolf Kanopa. Eglilavorò sul fronte tirolese e pare come se l’italianità del paesaggio rappresentatoabbia conferito al suo spirito italiano qualità di ritmo. Paesaggi ariosi e limpidi, ditratti solidamente costruiti, gli appartengono, e mai si sbaglia nell’attribuirne tantola sua personalità è forte è chiara. Anche Oskar Larsen procede verso una interpre-tazione puramente soggettiva e lirica della natura togliendo alla materia ogni con-sistenza plastica alle forme ogni limite di contorno, tutto rappresentando un colo-re sfumato e morbido come fiocco di nube anche Wichelm Rachaner rinuncia alfotografico rendimento della natura per dire diversamente e meglio.Ma più che sue le pitture è fra i disegni la possibilità di felici ritrovamenti. Il dise-gno, del resto, nella sua immediatezza e spontaneità riesce sempre più efficace peri ricordi di guerra; è più lirico e meno retorico.

89

Page 90: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Hanno una levità di segno quasi orientale certi disegni lievemente acquerellati diRichard Faulhammer: scoppio di Shrapnels, fuga di soldati, ammassamento di trin-cee, tutto diventa un gioco, una fiaba di bimbi; invece hanno potenza costruttiva idisegni di Hans gli acquarelli di Bertold Loeffler, l’impida serenità di missionequelli di Bertold Lossler.I viennesi girano la mostra con reverente anima e con pazienza amorosa aspettano ilturno di ingresso nella cripta del monumento ai Caduti. Una guardia regola la visi-ta, conta i minuti di preghiera. A me, che incurante di turno, corsi a farmi la prima,borbottò in gola, come una teiera inglese. Tacque, vedendo il mio saluto romano.

29 Settembre 1934 - INEDITO DI BENVENUTO CELLINI AL MUSEO DELLE ARTI

INDUSTRIALI DI VIENNA*

Prepotente in vita, Benvenuto Cellini continua ad esserlo dopo morte. Solo cheun’opera attribuibile a Cellini sia posta in una vetrina di museo, ecco che tutto l’in-teresse si puntualizza su quell’opera e su quel nome ed ecco passar subito ai secon-di piani ogni altro raffinatissimo prodigio di orafo.Ora si tratta di un progetto di saliera di Benvenuto Cellini esposto in una piccolamostra di disegni per opere di oreficeria, ordinata al Museo delle Arti Industriali diVienna, disegno che fa parte di una collezione cospicua già da tempo acquistata edora soltanto in via di ordinamento e di catalogazione. Sono disegni di coppe, dianfore, di porta dolci, alcuni traducibili nella materia, altri sono veri e propri giuo-chi decorativi; sono circa 100, una metà appartenuti a maestri italiani, altra metà amaestri tedeschi, francesi, fiamminghi. In questo, un disegno di baculo pastorale diHans Holbein il vecchio, ricchissimo di ornato, un disegno di fodero di pugnale diHans Holbein il giovane con una rappresentazione di trionfo di Cesare fatta conarcheologica rievocazione di particolari – tipo «Trionfi» di Mantengna adHampton Court – e poi un disegno di Virgilio Solis ed altro del grande e famosis-simo Cristoforo Jamnitzer, molti altri di Jacques Androuet du Cerceau, sono digrandissimo interesse.Fra i disegni dei maestri italiani si notano alcuni disegni di coppe e di vasi copertida una ricca efflorescenza decorativa minuta e fragile, caratteristica a Polidoro daCaravaggio, altri disegni di purissimo ritmo, opera di Pierino del Vaga, e poi anco-ra altri di un interesse estetico massimo, dovuto a Francesco Salviati, pittore fioren-tino del Rinascimento.Incredibile la grazia armoniosa di quelle coppe e di quei vasi ideati da FrancescoSalviati, tirati da Maestro, con una sola linea di contorno, decisa ed agile come un

90

Page 91: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

canto mattinale, con pochi ornati, così spontanei e schietti, come modulazione diquel canto, con un equilibrio ineffabile di proporzione architettonica. Sono circauna trentina questi disegni attribuiti a Francesco Salviati e l’eleganza, la fresca idea-zione, la gentilezza dell’eloquio toscano, sono pregi di tutti. Sono stati questi dise-gni tradotti in opera? Fra quelle deliziose coppe in pietra dura o tra i vasi d’oro spar-si tra i musei di New York di Berlino, di Londra, di Vienna, di Firenze, potrannotrovarsi quelli corrispondenti a tali disegni offerti dall’elegante discepolo diMichelangelo? O furono semplicemente disegni mai tradotti nella materia ma chepur educavano ed ispiravano quegli artieri rinascimentali che toccavano e modella-vano porfido e oro con la potenza formatrice quasi ereditata dallo spirito divino? Tutto da studiare, da ricercare, da confrontare. Ma ogni attenzione converge sopraun disegno di Benvenuto Cellini. È un disegno a penna e a seppia, di una di quel-le saliere che erano il vanto delle mense reali e principesche e di cui restano scarsiesemplari, qualche disegno e molte descrizioni negli inventari dei vari tesori degliEstensi dei Medici e degli Sforza.Fu eseguita per commissione del Duca di Toscana come dimostra la corona ducaleslargata e bassa. Il disegno appartenne forse alla collezione del Conte Gelozzi diTorino, come fa pensare la marca C. G. e fu acquistato nel 1866 dal Museo perventi ducati.Ma si tratta veramente di un’opera di Benvenuto Cellini? Dichiaro di aver trovatosubito un notevole scontento e non riesco a precisare se per la gravità architettoni-ca dell’opera o per il ritmo capovolto e appesantito di quelle volute di delfini for-manti la parte centrale. Ma quando l’occhio si ferma sopra il giovanetto faunescoche forma l’apice dell’alta piramide e ne osserva il carnoso e plastico modellato, lascattante vitalità del corpo disposto a spirale, di così schietta derivazione michelan-giolesca, allora le qualità stilistiche celliniane si vanno con più chiarezza afferman-do. E ritornando ad analizzare lo scontento iniziale provato, ci si ricorda comeeguale impressione suscitava in noi la visione in fotografia della famosa saliera diBenvenuto, impressione che totalmente scomparve quando vedemmo ieri l’operanell’incanto della sua materia aurea, gradinata, cesellata e smaltata con tale accortaesperienza di modo che il colore e il chiaro-scuro conferiscano all’opera una indi-cibile pittoricità decorativa.L’opera vista in fotografia ci sembrava un compromesso tra scultura e oreficeria,vista nella materia ci apparve come una deliziosa e totale opera di oreficeria. Questaesperienza così immediata si fa presente ora nel giudicare tale disegno e ci esorta adessere cauti nel giudizio e di non fare dello squilibrio e della grevità architettonicaun elemento di accusa a Benvenuto Cellini oppure un elemento di incertezza perl’attribuzione.

91

Page 92: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

È probabile che l’opera sia stata soggetta ad altre elaborazioni e che poi nella lavo-razione della materia nella eventuale toccheggiatura dello smalto, venisse acqui-stando maggiore levità ed eleganza di forme. Fu tradotto il disegno nella materia?Noi non sappiamo, sia perché non ne abbiamo notizia nell’autobiografia diBenvenuto Cellini, sia perché fra le molte opere attribuite a Benvenuto Cellini nonne ricordiamo per ora alcuna riferibile a questo disegno.Ma disegno di Benvenuto Cellini è si, con molta probabilità se non vogliamo direcon assoluta certezza, vi è tutto il particolare repertorio decorativo, vi è la divisionearchitettonica in tre ordini, ritrovabile nella saliera di Francesco I vi è una reale affi-nità di fattura con i pochissimi disegni certamente attribuibili al grande maestro.Sicché può essere tale disegno altro documento assai interessante per la ricostruzio-ne dell’attività di questo Orafo, bizzarro presuntuoso vanaglorioso, omicida, che insua vita e dopo morto è riuscito a suscitare sempre tanto interesse da offuscare lafama di quella serie gloriosa di Orafi: Antonio da S. Marino, Sarocchi Milanesi,Caradosso, l’anonimo divino maestro della saliera Rospigliosi, e di tanti altri, cuifortuna nacque disperdendo notizie ed opere.

21 Ottobre 1934 - ALLA II MOSTRA REGIONALE DI NAPOLI. PITTURA

COLONIALE ITALIANA

Il villaggio arabo costruito da Florestano di Fausto nel fossato che cinge il MaschioAngioino, il gruppo di plastici presentati dall’Architetto Picconato, stabilizzanoanche nei più malinconici sospiratori del passato, la idea che esista un’architetturacoloniale pervenuta ad un tale accordo di funzionalità espressiva ed estetica dameritare l’attributo di italiana con quel sott’indicato non soltanto di indicazioneregionale ma decantativa sempre nel tempo e nello spazio.Certo, l’architettura che nella terra affonda le radici e spinge le foglie nel cielo ed ècome l’albero e l’uomo, in un rapporto miracoloso di necessità e di bellezza spin-gendo e condannando gli artisti allo studio del suolo, della luce, dello spazio, dellatradizione e della civiltà, li pone nelle condizioni privilegiate per creare opere eter-ne. La pittura invece, per essere apparentemente più libera e sciolta, più disimpe-gnata dal reale, direi quasi astratta se essa può con i suoi mezzi ricreare il mondo el’infinito spaziale, pone gli artisti in attuazione tanto più agevole quanto più peri-coloso. Il pittore può dipingere di memoria e di fantasia: come il poeta può crearel’inferno ed il paradiso, l’oriente e l’occidente.Stanno qui a riprova questi mirabili quadri che costituiscono una mostra retrospet-tiva elettissima di arte coloniale quale poteva preparare il solerte amore di Michele

92

Page 93: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Bancale. Qui è possibile vedere come un Carpaccio, un Tiziano, un Veronese riu-scissero a dipingere la più calda e orientale pittura, solo guardando la folla venezia-na da una bifora di palazzotto cinquecentesco o un venditore di tappeti, o soltantoche fossero, amabilmente compiacenti a posare nello studio dell’artista. Nella saladi Carlo V sono esposti i quadri di altri maestri, di Domenico Morelli, orientalistaa memoria di Cercone, di Delleani e di altri pochi ma supera per interesse la mostraretrospettiva di Michele Cammarano, morto a Napoli nel 1920, inviato dalGoverno Italiano nel 1887-91 con un decreto firmato dal Ministro Boselli perandare a glorificare il valore dei soldati morti a Dogali. Questo pittore che è unodei primi e dei più grandi insieme al Biseo all’Ussi, al Cercone, dei nostri pittori diAfrica, è una rivelazione della moderna critica d’arte. Ma in generale questi pittorinon si liberarono mai, specialmente se napoletani, da una certa partenopea curiosi-tà e tendenza aneddotica, e se, toscani, da quel loro linguaggio coloristico così ade-rente al loro immutato spirito. Oggi dall’arte moderna si vorrebbe un rendimentodiverso di osservazione e di commozione, si vorrebbe una certa amorosa e disinte-ressata ricerca che non fosse suggerita né da romantica inquietudine tipo Delacroix,né da reazione anticlassica tipo Morelli, né da fobia antieclettica tipo Gauguin. Ungrande amore, una immersione totale nella vita orientale e non soltanto nella natu-ra, ma anche nell’anima di quei pochi popoli lontani e fratelli, questo dovrebbeessere la prima base per la nuova pittura coloniale.Elogiabile l’idea di una mostra di arte coloniale, più elogiabile ancora il fatto che acura dell’Ente Autonomo Fiera di Tripoli, siano stati inviati speciali nelle colonieben noti artisti, Nomellini, Casciaro, Cascella, Surdi, De Bernardi, Bocchetti eColucci. Molti altri hanno risposto all’invito della Mostra, ma hanno lasciatoimmutato il loro spirito mutando soltanto l’obbietto: una epidermide nera invece diuna epidermide bianca, un corpo grasso e flaccido invece dell’esile corpo europeo,una banana invece di una arancia, una moschea invece di un tempio. Ma anche pergli artisti che sono stati inviati a Tripoli il risultato non è stato eguale perché alcu-ni hanno mantenuto inerte la loro sensibilità mentre invece per altri la nuova terra,il nuovo sole sono stati suggeritori di emozioni liriche vivissime. In alcuni di que-sti pittori come in altri che spontaneamente già da tempo lavorano nelle Colonie,l’influenza più evidente dell’Oriente si manifesta in una accentuazione di colore edi luminosità spaziale. In questo senso le conquiste migliori, il senso più solareabbandonato e malinconico della terra africana è reso da Cesare Cabras, che dallasua terra Sarda aveva già tratto uno spirito arguto di osservazioni ed un grandeamore alla verginità elementare della natura. L’Africa fu per lui, sensibilissimo, unaterra di continue conquiste ed il risultato è chiaro nelle molte tele esposte con stu-dio di paesaggi ed interni mentre la sua potenza plastica sommaria ed energica è

93

Page 94: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

chiaramente notabile nella pittura: studio di negro che si può mettere a paragonenon senza interesse coi negri del Castiglioni. Questa commozione alla luminositàdella terra è da notare anche in altri pittori come per esempio in Cascella il qualeinclina ad un larghissimo uso di bianchi per ottenere lo spegnimento dei colori el’esaltazione della luce; in Oprandi, che abbassa di molto la linea di confine, inmodo che il cielo sovrasti e poi scalfisce sommariamente profili di case e palmizicome se preparasse la decorazione di sfondo di un accurato niello, altrove cercamotivi nei rapporti cromatici continuamente diversi della sabbia in contatto con laluce solare. Anche Casciaro rivela finezze cromatiche più accorte del consueto, sic-ché nuvole, cielo e mari, sono resi con stupefacenti accordi coloristici.Altri pittori concentrano tutta la loro attenzione sui nuovi tipi di umanità africana.Gigi Brondi in questo campo di osservazione umana dà risultati ottimi, perché èsaldo, schietto, potente e sempre desideroso di documentare con sobrietà il reale piùche di abbandonarsi a inutili descrittività. La sua «Donna del Camerun», è da addi-tare alla pubblica attenzione. Anche i bellissimi studi di Romano Dazzi, come certiritratti di Gaetano Bozzetti sono da guardare con molto interesse. Altri pittori nonsfuggono ad una interpretazione ironica di quella realtà, e in questo campo la piùbrutale e ironica ma potentissima rievocazione plastica è data dalle negre di Tato dicui anche altri due o tre disegni, «I quattro negri di Rabat», ad esempio, sono di unachiara efficacia. Vi è anche Luigi Surdi, «abituale deformatore di una umanità sulpunto di decadenza» che introduce questo ironico realismo in alcuni interni tripo-lini e ne trae tipi non trascurabili come l’«Ebreo» e «L’Argentaro». Per altri, nienteironia, ma una disinvolta e vivace osservazione con rendimenti diversi. CosìPieretto Bianco, Angelo Vannetti, Caprino, Migliaro.Da tutti diversa perché legata al decorativismo grafico dell’arte persiana, è l’arte diAlessio Issupoff, il passo che della vita del Turckestan ha già presentato moltissimistudi. A chi guardi queste pitture non sfuggono raffinatezze estreme di modellazio-ne per via di tocchi delicatissimi di bianchi su bruni, come si vedono negli evange-liari bizantini, e certe incurvature melodiose di linee, e certi contrapposti di leviga-ti colori, che creano una gradevolissima musicalità decorativa. Alcune sue operecome «Zaptiè», hanno una sobrietà grandissima; altre mostrano prevalentemente latendenza decorativa e sembrano modelli da tradurre in arazzi o ceramiche o perillustrazioni di libri di fiabe. Ma già alcuni nomi abbiamo notato e altri se nepotrebbero notare, non molti certo, ma che bastano a farci sciogliere le vele dellasperanza di una futura arte coloniale più solida e forte, e questo basta, con tutto ilresto di bello che c’è nella mostra, i prodotti artigiani delle colonie italiane, delCongo Belga, delle Colonie Portoghesi, la bellissima Mostra retrospettiva e moder-na dell’arte coloniale francese ed ancora la mostra di architettura mussulmana –

94

Page 95: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

questo basta non soltanto a farci compiacere totalmente di questa seconda mostracoloniale di Napoli, ma anche ad intenderne e ad accettare l’invito fondamentale.L’invito è di staccare al più presto la paranzella della nostra vita ancorata con ferrilimacciosi al piccolo quieto porto, e muoverla con quell’animo ardente e vagabon-do dei nostri genitori romani, pisani, e veneziani, per cui l’onda era terra e patria ilmondo e spingerla verso l’Africa nostra.

28 Ottobre 1934 - ARTI FIGURATIVE

Rispondeva Ciriaco D’Ancona a chi gli domandava ragione di quel suo lungo pere-grinare in terra lontana ricercando lapidi e monete: io faccio resuscitare i morti. Efu veramente con l’aiuto dei morti, che l’arte italiana riuscì a liberarsi delle catenegotiche internazionali e rinverdendo la sua sostanza classica rimasta immutata, creòla cupola di S. Maria, gli affreschi di Masaccio, il Condottiero audace di Donatello.Ora anche noi facciamo risuscitare i morti. Ma mentre il Rinascimento fu pieno diardore nel rievocare le antichità romane il Fascismo italiano ha un ardore di collet-tività che ben supera i singoli entusiasmi di un Ciriaco e di un Poggio Bracciolini,e non ha limiti e non ha riserve e pause, ma tutta l’arte investe nei suoi valori piùalti ed eterni: l’antica italica arte dei colli laziali e l’arte romanica ebbe per patriaRoma e il mondo, l’altra che visse nel chiostro e nelle celle, durante la barbaria, el’altra che fiorì ridente e gioiosa nei castelli e nei palazzi, l’arte barocca, l’arte delSettecento, l’arte dell’Ottocento nostro. Ardore di conoscenze, amore di restauroche all’ostacolo e al tempo si accresce ignorando pausa e fine. La nostra compren-sione d’arte è straordinariamente approfondita e allargata. Di ogni forma di bellez-za noi intendiamo il valore. Non esiste passato. Tutte le opere lontanissime neltempo sono miracolosamente respinte ad unico piano e offerte al nostro sguardo eal nostro amore in questo solo anno XII l’insegna Littoria è sorta sulla «Casa ita-liana» costruita sull’acropoli di Festos.Si ricostruisce il tempio italico di Paestum che si libera armoniosa mole delMausoleo di Adriano incoronandolo di cipresseti verdi sull’orlo dell’ampio fossatoche lo circonda. Risorge la chiesa di S. Maria Donna Regina a Napoli del più armo-nioso gotico italiano ed ivi sotto la volta baracca distrutta appare l’austera romanabellezza degli affreschi di Pietro Cavallini, pur ieri risorta a capo ad affermare comedall’arte bizantina anonima e immota, il genio passò di un colpo d’ala e l’arte ed indi-vidualistica ed umana. Sulle rive del golfo partenopeo innalzano oggi nel cielo le lorocorone le liberate cinque torri del Maschio Angioino dove Roberto di Angiò inco-ronava Petrarca: sulla vallata che la lava feconda, risorge ricostruito pietra per pietra

95

Page 96: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

restaurato con ogni amore nel suo posto di vedetta, di offesa e di difesa, il CastelloUrsino, mirabile opera di architetto siciliano, che costruiva il Castello con la stessaseverità del più esperto architetto romano. Mentre si scorgono gli affreschi bizanti-ni in S. Maria Vescovo, si restaura la dolce maestà di Simone Martini nel palazzopubblico di Siena e di nuovo decoro si adornano gli appartenenti di Eleonora nelpalazzo ducale di Mantova e si riordina il camposanto di Pisa.Il rispetto alla tradizione, l’amore al passato si trasforma in essenza vitale di amore perl’arte moderna. Nessun mecenate mai, da Amenophis a Pericle, ad Alessandro, adAugusto, a Lorenzo il Magnifico generò clima d’arte più favorevole di questo.L’amorosa cura con cui si assiste alle mostre regionali, l’impegno a cui si richiamanogli artisti nelle pubbliche opere, le Mostre individuali e collettive regionali e interna-zionali sono l’incitamento continuo alla gara, il richiamo incessante al lavoro.Nell’Anno Dodicesimo ci basta ricordare le tre manifestazioni d’arte di importanzamondiale: la Biennale Internazionale d’Arte a Venezia, la Coloniale internazionale diNapoli, la Mostra dei progetti del Palazzo Littorio a Roma. Della Biennale venezia-na il valore più alto non fu dato dalla quantità o qualità delle opere esposte ma fu datodall’osservare come si sia diffuso in tutta l’arte del mondo il fascistico ideale di un’ar-te libera da intellettualismi surrealisti, aderenti alla terra espressione di un ideale dibellezza, di lavoro e di pace, unico conforto al travaglio diuturno. Il ritorno alla terrae alla tradizione costante in tutta la pittura fu richiamo partito dalla Roma di Virgilioe dalla Roma di oggi. Pure si vide a Venezia come nella plastica l’Italia stia nuova-mente al timone e come nella pittura artisti degnissimi si affermino continuatoridegnissimi di una tradizione unica al mondo per continuità e qualità. Cammino restaancora da percorrere e molto, ma riconoscerlo è gioia per la certezza che si ha dell’im-mediato trionfo. Ma il conforto più alto di quest’Anno Dodicesimo ci fu dato dallamostra dei progetti del Palazzo Littorio, arduo cimento a cui moltissimi parteciparo-no, idealmente confrontandosi con sereno coraggio all’anonimo architetto delColosseo e all’altro della Basilica di Massenzio. Quivi l’orgoglio non fu suggerito dallabellezza delle singole opere, quanto dalla italianità di ogni singolo progetto. I tentati-vi inevasi, compiuti negli altri anni da molti architetti per liberarsi da una internazio-nalità stilistica troppo a lungo rimasta nella nostra architettura che seppe in altritempi elaborare i moduli gotici con tale accorta sapienza e gli esemplari francesi contale italiana misura, in questa mostra invece appaiono scomparsi, ed una espressionearchitettonica già libera quasi completamente da accentuazioni nordiche appare giàformata per la gioia dei nostri occhi, per la gloria della nostra Patria. Perché quandol’architettura giunge ad essere voce di un popolo questo popolo non conoscerà morte.Tale auspicio fu tratto da chi vide i settanta progetti presentati per l’edificazione delPalazzo Littorio nella via dell’Impero. Così dunque noi guardiamo all’antico ma cor-

96

Page 97: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

riamo audacissimi verso il futuro e l’amore del passato si trasforma in volontà di gara.Veramente oggi noi viviamo preparando la Patria nostra come si prepara di amoree di premura la casa nell’attesa degli sposi, tutto restaurando e tutto rinnovandonella più eletta cornice ponendo il ritratto degli avi ricamando nell’ombra i candi-di veli del nascituro! Tutta la Patria è divenuta una dolce casa dove l’ansia dell’amo-re non ha pace ma è bellezza di vita che non muore.

7 Novembre 1934 - ANTONIO ALLEGRI DETTO IL CORREGGIO

Avremmo dovuto commemorare Antonio Allegri ai primi di Marzo quando il fustos’ingemma e il grano tallisce, perchè in quel mese dell’anno 1534, l’anno stesso incui la luce di Raffaello si spense, egli moriva a Parma.Ma noi non commemoriamo i nostri morti con il rigore rispettabilissimo dell’eredeche trae alla ricorrenza il pallido cero e la corona metallica per riporla appena dopo, manoi ci accostiamo ad essi sempre memori e l’offerta del nostro ricordo non lascia maialtari dimenticati in questo augustissimo tempio del nostro passato dove entriamo ognigiorno per adorare, chiedendo alimento di forza al nostro gagliardo procedere.Questo soavissimo pittore emiliano si firmò «Laetus» e chiamò «Laetitia» la figliadel suo amore; sentì sempre il bisogno di affermare la sua grande gioia di vivere e dicreare, nè ebbe paura degli invidi, né bisogno di canti fascennini. Visse in queidecenni del cinquecento quando operavano Raffaello, Leonardo, Michelangiolo,Tiziano, ma ascoltando così diverso parlare pittorico ed osservando tante particola-ri ricerche egli resta profondamente libero e sa mantenere fermo ed alto ed immu-tato il proprio canto. Una facilità estrema di assorbimento, una spontaneità di elabo-razione, furono le doti più salienti del suo spirito. Accanto ad Andrea Mantegna,spirito tormentato tra un naturalismo agreste ed un intellettualismo archeologico,egli ne apprende le risorse della nuova tecnica dello scorcio, ma subito la spinge allepiù alte mete: non soltanto il rendimento del moto nello spazio ma del moto avulsodalla zona di partenza: posto vicino a Leonardo, creatore del chiaroscuro egli trasfor-ma questa tecnica pittorica in un mezzo di espressione lirica di una molteplicità dieffetti, miracolosa; accanto a Michelangelo osservando le eroiche forme dellaCappella Sistina, egli le riprende, per trasportarle però in quel suo mondo di estasi esogno. Il chiaroscuro fu la sua innovazione e fu il mezzo perfetto per rendere il suomondo pervaso, vinto, dominato dall’amore. Non fa meraviglia se tanto si assomigli-no nel languido sguardo estasiato S. Francesco che fissa gli occhi alla Vergine nellaPala d’altare di Dresda e il giovinetto Cupido che guarda la nube d’oro calante suldolce grembo di Danae, (Galleria Borghese) e i fanciulletti che roteano intorno a

97

Page 98: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Maria ascendente nella cupola di Parma, e il faunetto sospiroso che contempla lacalda nudità di Antiope dormiente (Louvre), ed Io che patisce di dolcezza (Vienna),e S. Caterina che trema di amore (Napoli Museo Nazionale). Tutte le creature hannobocche frementi ed arcuate, fulgidi occhi amorosi, sorriso tiepido, dolce, cedevole;tutte piegano ad unica legge che è legge di amore, pagano e cristiano che sia, maamore sempre, che scolora il viso e accende lo sguardo. È da guardare la figura diCristo che ascende nel cielo, nell’affresco della cupola di San Giovanni Evangelistaa Parma. Tutta l’arte ha reso il patimento di Cristo morente sulla Croce, ma soloCorreggio ha saputo rendere l’amoroso gaudio, l’ebbrezza del volo, la gioia infinitadel conquistatore che ascende negli spazi infiniti dove lo attendono gli eroici aposto-li anche essi ardenti nella gioia dell’amorosa visione. È da guardare nella «Zingarella»di Napoli la dolcezza amorosa di quella Madre che si incurva sul Bimbo nell’ombraumida del boschetto, nel silenzio delle foglie immote. È da guardare il visetto trepi-do e dolce del Bimbo che offre l’anello a S. Caterina nel quadro del MuseoNazionale di Napoli e l’amoroso gaudio dei bimbi e degli apostoli intorno a Mariain gloria (Duomo di Parma); e come sviene di amore Maddalena dinanzi al Cristorisorto (Prado-Madrid) e come di amore sogni la bella Antilope nel boschetto gale-otto (Louvre); e come l’amore attenda Danae tra nuvole d’oro (Roma GalleriaBorghese). Tra mondo umano, mondo divino e mitico non vi è distacco. Tuttod’amore. Non vi è posto per il tormento spirituale di Sandro Botticelli né per l’intel-lettualismo gelido di Leonardo né per il tormento implacabile di Michelangiolo.Ma ecco che noi parlando dell’arte di Correggio siamo stati tratti subito a dire piùdel contenuto che della forma come certamente non avremmo fatto se avessimoparlato degli affreschi di S. Francesco ad Arezzo o degli affreschi della CappellaBrancacci al Carmine. Ma è impossibile dinanzi alla sua opera abbandonarsi sol-tanto alla contemplazione dei puri valori pittorici ed osservare soltanto come nel-l’ombra chiaroscurale gli smalti dei colori ferraresi si spengano e i rossi diventinofelpati e bruni, e i verdi odorino di muschio e gli azzurri diventino notturni cometutto si smorzi, si plachi, mormori adagio, in quella luce unica; impossibile osserva-re solo con quale sapiente accorgimento le forme siano disposte nell’atmosfera conla più spontanea scenografia spaziale e come gli avvolgimenti sinuosi dei corpi crei-no ritmi concordi e mutevoli come respiri e vibri e tremi l’epidermide umana al bat-tito della luce. Ogni mezzo pittorico, ogni risorsa di tecnica è legata al contenuto enon può da questo essere avulso. Non può essere dimenticato, lì un dolce sorriso lìun tenero gesto, qui un patetico sguardo; e se rievochiamo gli affreschi dellaCamera di S. Paolo, ecco venirci incontro quelle coppie di bimbi sorridenti e biri-chini che egli solo per primo seppe fermare con tale spontaneità e grazia che solo ilnostro Serpotta potè imitando gareggiare se ricordiamo la cupola del Duomo di

98

Page 99: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Parma, ecco avanzarsi flotte di giovanetti maliziosi ed ingenui dall’agile corposinuoso, e maschi gagliardi ed impetuosi e poi ancora donnine tenere, dolci, mor-bide, create per l’amore. Certo egli è un pittore inattuale dato il nostro amore diforme volumetriche salde e gagliarde, il nostro amore di costruzione logica e serra-ta ma egli, rievocatore di un mondo di amore, trovò che soltanto il chiaroscuro ecioè l’indefinito, l’impreciso potesse valere a rendere il mistero di questo sentimen-to che non muta gli elementi lineari del viso come l’ira e il dolore, eppure tutto ilviso trasforma ed illumina come fuoco in alabastro che non è forza e violenza ester-na, eppure schianta e distrugge. Il chiaroscuro fu il metro più perfetto e più aderen-te al suo mondo, per questo avvenne che tra contenuto e forma si è stretta una ser-rata unità, per questo una emozione profonda, un tenero gaudio, una gioia di sensie di spirito ci prende dinanzi alle sue opere. Come una blandizia, come un dolceinvito, come un’amorosa lusinga. Colore, linea, spazio, forma tutti gli elementi con-cordano a creare questa ammaliante pittura.Quest’arte edonistica, mirabilmente spontanea pur nella sua raffinatissima forma,suscitò risonanze continue ma non fu compresa né elaborata da alcuno dei discepo-li del Correggio: né dal Parmigianino intellettualistico ricercatore di eleganze for-mali, né dal figlio Pomponio Allegri, né da Francesco Rondani, né daMichelangiolo Anselmi. Gli accademici bolognesi del seicento lo proposero amodello e gli artisti che andavano in pellegrinaggio a Parma riportavano inutilmen-te ricordo di sorrisi e di arcuate movenze. Gli eredi di Antonio Allegri sono daricercarsi più oltre, nel tempo e nello spazio; furono in Francia, Boucher prima e poiPrudhon, il dolcissimo autore della «Petite Nimphe juant avec des amours e del’Enlevement de Psichè».Così l’arte di Antonio Allegri ha avuto continuità di echi, e sempre li avrà, avendoegli parlato con tale dolce metro pittorico, con tale accordo chiaroscurale misuratointimo e piano delle cose esterne: dei bimbi sorriso della vita, dell’amore, vita delsorriso.

13 Novembre 1934 - ATTUALITÀ PITTORICA DI FRANCESCO CAMARDA

L’arte di Francesco Camarda maraviglia anzitutto per la sua attualità. Attuale sem-bra, per un amore quasi religioso alla natura, alla vita sana ed eterna che vivono gliuomini, gli alberi e gli animali nella concorde ubbidienza alla suprema legge difecondità e di rinnovamento per una commossa maraviglia dinanzi al diurno mira-colo che trae il fiore dal fusto e il frutto dal fiore.Oggi che tutta l’arte del mondo – dalla Russia all’America – vuole essere aderente

99

Page 100: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

alla terra e vuole esserlo l’arte italiana come sempre fu – da quando Cimabuecominciò a narrare la vita di S. Francesco e Ambrogio Lorenzetti «L’effetto delbuon governo» e Benozzo Gozzoli i fasti della corte Medicea via via sempre legataalla società tra cui sbocciava – ricca sempre di un contenuto epico lirico o sacro oggil’arte di Francesco Camarda è di una estrema attualità come se anch’egli avesseubbidito ad un comando esteriore.Giovane ma non giovanissimo Francesco Camarda è attuale perché egli ha predi-letto sempre un suo mondo pittorico dove un prato verde ed una capretta ed uncielo azzurro e un bimbo e una madre erano il nucleo primo di ispirazione. Quandola rivolta del surrealismo si propagò come fiamma di fieno per tutti i campi arsiccidi Europa e parve spegnere ogni facoltà germinativa nel più intimo senso dellaterra, in quel subbuglio, giovani artisti ebbero varietà di gesto come sincerità detta-va. Alcuni convinti alimentarono la fiamma, altri vi restarono arsi, altri si ritiraronoin un chiuso recinto ed aspettarono immobili. Erano allora i tempi dei quadri for-mati da francobolli di stoffa, da fili di ferro, da tavolette di sughero. Quelli del chiu-so recinto non uscirono più fuori e si appagarono di arare il proprio campicello,aspettando il sereno. Così Francesco Camarda rimase fermo sulla sua zolla, sotto ilcielo nuvoloso, mentre surrealismo e futurismo imperavano. E non fu mai inclinead ascoltare altra voce se non quella che dal semplice cuore si partisse ed era diamore per la sua terra. Lunga vigilia di anni, solitudine amata e mantenuta.Ora è ritornato il sereno.Piccolo è il mondo di Francesco Camarda. Vi è un nudo bimbo stretto alla mammae giovanetti che allacciano le membra nel primo riso di amore, alberi colmi di frut-ta e donne colme di bimbi, umane coppie nell’eterna e dolcissima lotta, conchigliache sorge dal mare e porta la donna sorgente dalla vita. Caprette, bimbi, donne,donne amorose, donne madri, terra feconda, eretti fusti, spazio di cielo. Questomondo pittorico non ha gran ricchezza di colori. Il colore come il metro, se è mezzoespressivo, non può variare se non varia l’ispirazione. Così i colori sono assai spes-so uniformi: bianchi sopra azzurri, verdi, tocchi di rossi. Rinunziando alle vesti e aidrappi per questo sincero amore al corpo umano, bellissimo fiore di natura, eglirinunzia a molte gioie coloristiche. Né l’interesse si accentua sulla varietà fisiono-mica, che anzi resta concentrato sopra un solo tipo come è avvenuto, assai spessoanche a grandissimi maestri legati ed ubbidienti alla forma creata. Anche il corponon è che pura epidermide, calda, rosea, sanguigna, al modo dei grandi secentistifiamminghi. La ricerca continua si svolge in un campo di ritmo compositivo e diarchitettura spaziale. Il rapporto tra la forma e lo spazio che la circonda, il ritmo deimovimenti, concordi e discordi, la totale architettura del quadro è il valore semprenuovo, assai spesso altissimo della pittura di Francesco Camarda.

100

Page 101: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Si guardi quanto rendimento dia lo spazio studiato e ricercato sempre fin dalleprime opere, quando circondava e faceva spaurire l’agnello belante che restava iso-lata macchia di bianco e di rosa tra i verdi e gli azzurri infiniti. Lo spazio stesso creal’ambiente lirico, trasporta le forme in un mondo irreale e le isola.Questa ricerca di valori spaziali e compositivi raggiunge meta perfetta in alcuni qua-dri composti con un ritmo impeccabile, con una sensibilità classica di rapporto. Siguardi come nel quadro «La vita» in tre parallele siano disposti il corpo della ignudadonna e la linea azzurra del mare e il fusto grigio dell’albero e come, nel concorderitmo si esprima il contenuto rappresentativo che è di concordia fra terra ed alberoche si infronda, tra mare e donna prona al gioco dei bimbi, si guardi nel quadro «Ilpomo» quanta lirica aggiunga la solitudine spaziale dietro i giovinetti ingordi; si guar-di ancora nella «Primavera» quanto aggiunga di fascino la composizione architettoni-ca al quadro e quanto nel quadro «Presso la riva» il ritmo equilibrato dei corpi.Né si limita alla ricerca del ritmo e dello spazio la pittura di Francesco Camarda;essa vuole avere un intento edonistico: vuole offrire gioia come forma e come con-tenuto; vuole avere un intento anche espositivo. Ricerca pericolosa, che può ripor-tare ad effetti romantici solo quando si sovrappone ad altra pittorica ispirazione,non quando sorge in serrata sintesi con l’altra dei puri valori pittorici.Nel primo caso veramente la pittura corre anche il pericolo di pervenire ad effettiillustrativi, come nel quadro «Sirena» o «Sotto le stelle» nel secondo caso si creanoespressioni compiute, piccoli mondi perfetti. «Bacco infante» è un gioiello tanto quiil colore, l’architettura e la luce aderiscono al contenuto creando un trionfale cantoedonistico.Anche per questa ricerca di «Motivi» e cioè di intenti contenutistici, ieri scompar-si completamente e non soltanto per violenta reazione al neo romanticismo maanche per l’influenza della dottrina estetica di origine germanica della «Pura visibi-lità», l’arte di Francesco Camarda è oggi attuale. Che oggi, non vi è gara di arte laquale non abbia imposto un tema e sia «La terra» e sia «Il porto di Genova» o l’esal-tazione di un popolo o di un eroe. Giustissima cosa, perché veramente la pittura ita-liana è stata sempre la più divina pittura del mondo, avendo «detto» qualcosa alcuore e alla mente e sia nel metro pacato e ritmico di Raffaello e sia nel metro sin-copato e brusco di Michelangiolo e sia nel dolcissimo canto del Correggio.Camarda vuol «dire» parole semplici e chiare: l’amore alla verde terra, al frutto, albimbo, al mistero eterno e divino del mondo che si rinnova, al cielo percorso dinuvole, allo spazio, liberazione e gioia dello spirito, estrema purificazione.Parole semplici belle che trovano il ritmo più aderente, il colore più schietto e sin-cero. Piccolo mondo, ma ad entrarvi si sorride e si gioisce.

101

Page 102: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

20 Novembre 1934 - I CINQUANT’ANNI D’ARTE DI ANTONIO UGO

Antonio Ugo appartiene a quella famiglia assai numerosa di artisti italiani cui natu-ra amica largì il dono di spontanea arte come largisce all’allodola il canto, alla ron-dine il volo; cui le mani ancora giovanetti furono toccate dalla grazia e rese capacidi modellare nella creta il primo sogno di forma, senza pene e tormento; a quelliche procedono dirittamente nella via ed hanno lieve il passo e non conoscono stan-chezza, e riposano procedendo, e pare non abbiano mai una meta ultima.Se egli può celebrare nozze d’oro con Madonna arte avendo ancora mano gagliar-da ed occhio vivido, non meraviglia, che sempre nel ceppo della nostra italiana artesi rinnova il miracolo di quei rami longevi che ebbero e mantennero spontanea fio-ritura. Maraviglia sarebbe però se si fossero riunite insieme tutte le opere modella-te nei cinquanta anni della sua operosa fedeltà all’arte; se tutte le creature foggiatedalla sua mano instancabile fossero oggi intorno a lui come lo sono i figli e i nipo-ti a ringraziarlo del dono della vita componendo bianca ghirlanda di corpi e di maniintorno alla sua fluente canizia. Ma le statue e i quadri sono i figli più immemori erubata la vita vanno per un loro cammino fra gente diversa in altri luoghi e nonritornano al padre. Così oggi solo una minima parte della famiglia marmorea si riu-nisce intorno ad Antonio Ugo; ma tutte le opere lontane nel tempo e nello spazio,il piccolo Bartolini, e quella che nel Museo di Recanati ricorda Giacomo Leopardi,quelle che nei paesi di Sicilia, celebrano i caduti eroi e quelle più lontane diPietrogrado, di Buenos Aires, di Londra, di Vienna, e tutti, dalla bimbetta chemuove i «primi passi» all’altro che guarda incuriosito «la zappa», alla giovinetta che«Pubescit», alla madre umana o divina che stringe la sua creatura, all’eroe, al geniodella Vittoria, agli uomini illustri nel bronzo e nel marmo eternati, tutte e tutti ogginoi rievochiamo col pensiero e le mettiamo presenti accanto alle sorelle. A richia-marle dalle regie e dai musei, dalle piazze e dalle tombe, esse sarebbero tante cheogni spazio di sala sarebbe angusto e in verità occorrerebbe collocarle soltanto sullaterra e sotto il cielo come natura dispone le sue opere eterne.Sul ramo forte di robusto ceppo i venti e le tempeste passano e non intaccano lascorza dura. Egli, è come quei nostri ulivi isolati nelle campagne, inghirlandati sem-pre da foglie scintillanti anche quando la campagna perde la messe bionda ed hal’arsura, o quando nella terra gli sterpi si avanzano nell’intrico delle pietre grigie.Alberi che offrono il riposo dell’ombra, a chi un giorno forse, lì guardò deridendo.Nella nostra terra questa solitudine degli artisti è frequente e spesso molti hannocostruito da soli la loro opera schietta e spontanea e quando parevano antiquati inverità conservavano i buoni germi e li mantenevano fertili. Fino al 1860 la Siciliamantenne sempre nell’arte un suo originale carattere perché gli artisti grandi o pic-

102

Page 103: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

coli rimasero legati alla loro terra e preferirono guardare dentro la propria anima,più che guardare ed imitare fuori. Ma nella seconda metà dell’ottocento, nel fervo-re di amore con cui la Sicilia si protese all’Italia tutta, l’arte siciliana diventò italia-na e parve d’un tratto fiorire più gagliardamente nella nobile gara.La giovanile attività di Ugo si iniziò proprio in questa stagione d’oro della sculturaquando erano fervidamente operosi artisti che si chiamavano Leonardo Bistolfi,Pietro Canonica, Ettore Ferrari e Vincenzo Gemito, Benedetto Civiletti ed EttoreXimenes, Mario Rutelli e Domenico Trentacoste, artisti tutti nati verso metà del-l’ottocento, nel tempo in cui la Patria si unificava nella politica e nell’arte. C’era lagrande scultura monumentale e la piccola scultura da salotto, c’era il neo classico edil neo romantico mentre il verismo spuntava nella terra di Sicilia; c’era l’enfatico,c’era l’«Altare» della patria e la terracotta di Vincenzo Gemito. Vie ampie e picco-li sentieri: difficile era decidersi a trovare la propria via.Ugo seguendo quello che «il cuore detta dentro» seppe trovare il proprio sentiero ein quello è rimasto per cinquanta anni e non sarebbe da stupirsene tanto, se questianni non fossero stati così densi di rivoluzioni artistiche. Per istinto, per volontà eper amore Ugo è rimasto sempre nella tradizione.Nella mostra delle opere che oggi si inaugura al Circolo Artistico per celebrare ilcinquantenario della sua attività vi sono in massima parte opere degli ultimi anni,ma ve ne sono anche alcune che rappresentano gli inizi della sua attività: ilDormiente e il ritratto del Cardinale Celesia. Nel 1881 erano stati pubblicati i«Malavoglia», il verismo cominciava a fiorire e in plastica il verismo porta al piùscrupoloso rendimento del particolare epidermico. Ugo mostra nelle due opereesposte – purtroppo in gesso – di avere iniziato la sua carriera con tale diligentericerca veristica, ma già con un istintivo senso di misura e di equilibrio. Procedendonel tempo, sempre mantenendosi nella sua via, Ugo è passato ad una modellazionemeno particolaristica e più sintetica a piani più larghi e modellati, direi quasi ad unostile più classico, e fermandosi in soste di eccezione – come nel «Ritratto dellaPrincipessa di Cutò» (1910), e giunto a formarsi uno stile cioè una visione perso-nale della forma, che è perfettamente sincrono al moderno e purificato gusto. Cosìsenza avere partecipato a rivolte e subbugli egli è pervenuto alla stessa meta a cuisono pervenuti oggi i rivoluzionari di ieri, ma con tanta diversa esperienza e con unasomma di conquiste personalissime. Dal «Dormiente» alla «Testa di Cristo» si com-pie felicemente tutto un ciclo di lunghe e serie ricerche: dal particolare all’eterno.La passione vera, il più schietto ardore era modellare, toccare, scavare, incidere, pie-gare, ammorbidire, carezzare la materia. Amore schietto e istintivo dello scultorenato e infatti quando si piega ad ubbidire soltanto a questa voce egli ha creato sem-pre dei capolavori: i bimbi ad esempio modellati da Ugo resteranno nella storia del-

103

Page 104: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

l’arte italiana inconfondibili come quelli di Serpotta. Perché la testina di un bimboè tutta morbida, tutta trapassi dolcissimi di piani e intorno agli occhi c’è un epider-mide così fine e tenera che a renderla nel marmo è una delizia e lo scultore se nerende conto ed osserva studia tale incanto di natura per renderlo nella materia. Eccoin quest’ultima produzione la piccola «Imbronciata», «Pellicetta bianca», «Manodella mamma», «Pronta per la posa», deliziose sculture che a guardarle la manosubito si protende per la carezza per sentire il morbido cadere dei piani, l’ondula-zione tenera della superficie.Quest’amore al modellato mantenuto in una atmosfera di religiosa pietà ha suggeri-to un’opera «Cristo dormiente» che sarà eterna fra le più recenti sculture. L’opera vivein una atmosfera sacra ed è veramente degna di un altare, di una fiamma, di un fiore.Altra perfetta opera è «La capretta» impegnata nel pascolo difficile. In altre scultu-re l’interesse dell’artista è spostato verso altre ricerche: c’è un po’ il gusto della dif-ficoltà da superare, della «bravata» plastica: il difficile equilibrio di un corpo rag-giunto miracolosamente con una spontaneità ed un brio da bronzetto ellenisticonella «Vendemmia», il penoso e difficile appiombo di un saldo corpo maschile nelmartirio di S. Sebastiano, l’incurvarsi angoscioso di un corpo di donna a difendereil bimbo sotto la tormenta. Studi di equilibri, di ritmi, di masse; prove e riprovedella propria esperienza.Una vera conquista, frutto di queste ricerche è la «Famiglia rurale» che si imponeper la costruzione piramidale di tipo toscano cinquecentesco ma trattata conmoderno gusto di modellato e con ampiezza di piani.In ultimo una somma di nuovi e grandiosi problemi testimonia il Monumento aMussolini architettato con equilibri di masse, monumento di cui è esposto un par-ticolare: la grande e imperiosa figura del Duce.Tutta l’opera di Ugo si mantiene a dignità grande, ad un alto livello e quando sem-bra indulgere alla ricerca di effetti patetici, c’è sempre un particolare o un ritmogenerale che rivela sicuro e padrone di tutti i mezzi plastici.La bella mano è ancora operosa, vigile e gagliarda, la famiglia di opere biblica.Grande questa alta ricompensa al lungo lavoro, potere contemplare la fatica di cin-quanta anni, il mondo creato nel marmo ed avere ancora negli occhi tanto scintil-lio di luce e nella mano tanta forza operosa e nel cuore l’orgogliosa certezza d’ave-re certa nel tempo, più oltre la continuità della vita.

1 Dicembre 1934 - NOTE D’ARTE. AGGIUNTE A GIORGIONE

Architettando e ornando la loggetta della Piazza S. Marco a Venezia, Iacopo

104

Page 105: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Sansovino volle porvi in alto la statua di Apollo per significare quanto grande fosseil talento musicale dei Veneziani. Tardi era entrata la cultura umanistica a Venezia,ma ne fu rapida la diffusione. Nel 1500 Giorgio Valla era pubblico lettore di grechelettere nell’ospedale, in Piazza S. Marco nel 1508 Luca Pacioli spiegava nella chie-setta di S. Bartolomeo a molti patrizi convenuti i libri di Euclide; in pubblica cat-tedra veniva commentato ed oppugnato l’averroismo aristotelico. I testi classici especialmente le Metamorfosi e l’Eneide, alcuni già stampati da Aldo Manuzio,erano letti e commentati. Nella pittura la semenza umanistica era stata importatada Andrea Mantegna, nell’architettura i Lombardo introducevano l’amore allesuperfici intere e all’armonia architettonica mentre Antonio Rizzo trionfalmente eclassicamente architettava la «Scala dei giganti». Gran folla si radunava estasiatanella cappella ducale della basilica di S. Marco ad ascoltare l’organo suonato daPietro de Fossis; grandi onori erano dati a Marco dell’Aquila che sapeva toccare illiuto con dita leggere ed accorte, al «Cieco d’Adria» e a Franceschina Bellamano.Per la laguna e nei campielli risuonavano le «fantasie», i «ricercari», i «contrappun-ti», i «madrigali», le «toccate». In questo ambiente visse e si educò all’arte Zorzi daCastel Franco. Fu allevato in Vinegia – scrive il Vasari – e dilettosi continuamentedelle cose di amore e piacquegli il suono del liuto, mirabilmente e tanto, che eglisuonava e cantava nel suo tempo tanto divinamente, che egli era spesso per questoadoperato a diverse musiche e radunate di persone nobili.«Attese anche al disegno – dice il Vasari – e non voleva mettere in opera cosa chedal vivo non ritraesse». Era dunque musicista e pittore. Primo ed unico concepì lapittura come musica: modulò il colore a toni e semitoni con pause di chiari e di scurie si creò accordi di colori personalissimi ed eletti; dispose le forme nello spazio conritmo naturale, perfetto e non si trattò soltanto di accordarle tra di loro – questo erastato già fatto – ma di accordarle con la natura, con gli alberi, con le montagne e leacque, tutte cose che vivono la stessa vita dell’uomo. Così egli si trovò a creare lapittura di paesaggio anticipando di tre secoli la pittura di Daubigny e di Corot. Ilsuo spirito musicale riusciva a conciliare la natura e l’individuo, la fantasia e laragione. C’era anche da indagare, da esprimere con i colori uno stato d’animo chealtri non aveva espresso: era il rapimento e l’estasi che dalla musica viene all’uomo.Non mutano linee al volto ma lo trasformano come fa l’ombra e la luce battendosul prato verde. Allora egli espresse con il contrasto dei chiari e degli scuri questostato lirico dell’anima umana. E fu anche in questo primo ed unico.Il Giorgionismo nella scultura.Ad indicare tutte le conquiste di Giorgione si è creato ed ha avuto grande fortunala parola «Giorgionismo» ma quando si è voluto ricercare il diffondersi delGiorgionismo nella pittura del cinquecento, si è vista la difficoltà e l’inutilità di

105

Page 106: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

ridurre in cifra un complesso di elementi indefinibili per ritrovarla sempre mutatain altre composizioni. Pure fino a ieri si è parlato solo di Giorgionismo nella pittu-ra, si è cercato cioè di seguire nella pittura della prime età del cinquecento a Veneziale influenze dell’arte di Giorgione, ora si parla anche di Giorgionismo nella scultu-ra. È stata vista l’influenza dell’arte di Giorgione prima nell’opera di Tullio eAntonio Lombardo e nell’opera del Riccio, poi in un piccolo gruppo di opere fra lequali vi è un delizioso bassorilievo della collezione Donà Delle Rose con la rappre-sentazione di Mercurio e Argo: Mercurio che suona la siringa ed Argo che ascoltarapito mentre Io trasformata in giumenta pare che ascolti rapita.Questa moderna indagine è interessante sia come illustrazione di alcune opere scar-samente note sia perché rivela altre manifestazioni di arte suggerite dalla culturaumanistica e musicale di Venezia nel primo cinquecento.Il restauro della pala di Castelfranco.Tutta l’attenzione è stata rivolta oggi alla pala di Castelfranco per alcun tempo ospi-te alla soprintendenza di Milano per essere sottoposta ad un delicatissimo restauroed ora restituita a Castelfranco. Fu dipinta questa pala nel 1504 per commissione diTullio Costanzo, figlio di Muzio, ammiraglio e viceré di Cipro. Era l’anno in cuiLeonardo e Michelangelo disputavano a Palazzo Vecchio dinanzi agli occhi giova-netti di Raffaello sceso dai colli Umbri.Questa pala è interessante come affermazione di tutta l’originalità di Giorgione.Nelle pale di altare del 400 erano rappresentati la Vergine e i Santi in mite colloquionel vano di un’abside. E Giorgione trovò assai meglio trasportare il colloquio nellanatura e innalzarlo nel cielo, ma la distanza è anche nel colore, perché toni di grigioe di marrone sono in basso, mentre in alto nell’atmosfera che respira la Vergine sonotoni di gaudio: vermigli, rosa, celesti. Le persone del quadro sono tutte assorte maisolatamente ad uno stesso pensiero. Pare che ascoltino le voci di un organo.Le nuove attribuzioni.Altre aggiunte sono state fatte alle opere di Giorgione: «La Madonna Laura» nelKunst Historich Museum di Vienna ed un quadro rappresentante Enea ed Anchisenella collezione Donà delle Rose. Il ritratto di Madonna Laura era stato pubblica-to da Adolfo Venturi come opera di Boccaccio Boccaccini, ma dietro al quadro fuletta dal dottor Wilde a Vienna una iscrizione che testimonia l’appartenenza delquadro a Giorgione. Degno di Giorgione è certamente il morbido impasto colori-stico che ha toni di velluto verde scuro nel manto e toni argentei nel velo e coloredi ambra sull’epidermide: degna di Giorgione è la fantasia delle foglie di lauro,verde raggiera dietro la testa della donna e quel suo sguardo assorto, pensoso, dolce,beffardo ad un tempo. L’altro quadro recentemente attribuito a Giorgione era statoindicato da Marcantonio Michiel nel manoscritto della biblioteca Marciana fra i

106

Page 107: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

quadri da lui visti nella casa di Taddeo Contarini. «Una tela grande a olio de l’in-ferno cum Enea ed Anchise». Tale quadro è stato riconosciuto per opera diGiorgione da Giorgio Sangiorgi che lo ritrovò nella collezione Donà delle Rosedove era pervenuto da una soffitta dell’antica villa Garzoni a Ponte Casale.Ma ogni restauro, ogni nuova interpretazione, notevole è quella proposta recente-mente per la «Tempesta» il famoso quadro passato dalla collezione Giovannelli alleGallerie di Venezia. Ogni fortunata ricerca di quelle opere annotate dal Vasari e dalMichiel e solo in parte da noi possedute non smorzano mai l’interesse la curiositàassillante, la perplessità strana e inspiegabile che si ha dinanzi all’opera di Giorgione.

8 Dicembre 1934 - NOTE D’ARTE SICILIANA. QUADRI, ARGENTI E STOFFE A

PETRALIA SOTTANA*

A Petralia Sottana non vi sono opere d’arte d’interesse nazionale e mondiale; in que-sto aspetto essa potrebbe vantare soltanto un bel polittico del secolo XV, racchiuso inelegante incorniciatura gotica di legno dorato a trafori già sapientemente illustrato daEnrico Brunelli, ed alcune stoffe di eccezionale bellezza. Vi sono invece, molte operedi arte siciliana le quali offrono grande interesse a chi voglia tentare l’indagine di alcu-ne trascurate personalità artistiche oppure dell’arte decorativa siciliana.C’è ad esempio una personalità di artista che ha bisogno di un estremo chiarimen-to: quella di Giuseppe Salerno nato a Gangi nel 1570 e ivi morto nel 1623. Pittorenon fortunato che, trascinandosi dietro quel soprannome di «Zoppo di Gangi» paresia condannato in eterno a zoppicare dietro Pietro Novelli, l’unico maestro ben notodel nostro seicento. E invece, nella storia della pittura siciliana, io non saprei addi-tare pittore più fervido di ingegno, più desideroso di novità, più angustiato da unacontinua e assillante ricerca, più curioso, più mutevole e vario di Giuseppe Salerno.Fa di tutto: del manierismo raffaellesco e depaviano e quando occorre, del miche-langiolismo; imita Iacopo Bassano e Filippo Paladino e quindi alterna elementiveneziani ad elementi fiorentini; eclettico ad oltranza, ora composto, serio, attento,bene educato, ora sgarbato e zoticone.Egli ha lavorato molto nelle Madonie, a Isnello per esempio nella Chiesa Madre visono due quadri: «La Pietà» e «I santi quaranta martiri» che mostrano evidenti deri-vazioni dell’arte di Vincenzo Da Pavia con l’aggiunta di una drammaticità spinta allimite della caricatura; invece, nella Natività della chiesa dell’Annunziata, sempread Isnello, vi è un principio di orientamento verso l’arte di Filippo Paladino nellagrande tela della chiesa madre di Gangi, rappresentante il Giudizio finale – spirito-sa ed interessante opera – egli rievoca e sembra voler correggere Michelangelo.

107

Page 108: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

A Petralia Sottana sono diverse opere di questo eclettico maestro, alcune di tonominore ed assai guaste per restauri o per infiltrazioni di umido, altre di tono cosìalto da imporre attenzione. Nella Chiesa Madre sono custoditi i più bei quadri diGiuseppe Salerno orientato verso il manierismo fiorentino del tardo cinquecento:«La Deposizione» e il «Trionfo dell’Eucarestia»; quadri che mostrano un equilibriodi composizione, una raffinatezza di particolari, una originalità nella gamma diagghiacciati colori, da capovolgere quel tanto che di certo si poteva pensare sulla suaarte. Nel quadro di S. Francesco nella chiesetta omonima – quadro che richiamamolto l’omonimo della sacrestia della Pietà a Palermo – l’artista appare, invece, assaiinteressato al paesaggio, che tratta con una rara verità d’osservazione e una gustosamorbidità di impasto cromatico.Ma nella chiesetta di S. Francesco attira l’attenzione anche la ricca decorazione adaffresco purtroppo oggi assai guasta, perché la chiesa, gioiello di arte settecentescasiciliana, è abbandonata ai ragni e alla polvere. A guardare la paraste e gli sguancidelle finestre, si resta sorpresi per una elegantissima decorazione a fiori ed uccelli ecome ogni fiore ed ogni uccello è studiato e reso con immenso amore, quale pote-va suggerire S. Francesco cui la chiesa si nomina. Tanta insolita grazia spinge adosservare meglio gli affreschi del vano absidale e qui si trovano due leggiadre com-posizioni: il «Presepe» e «L’adorazione dei Magi» dove le figure vivono all’aria aper-ta, disinvolte nel gesto e nel movimento, eleganti nel colore chiaro delle vesti e dovelo spazio e la chiarezza primaverile sono resi con una esperienza, con un gusto dagrande maestro. Anonimo è il pittore, come anonimo è l’altro maestro che ha lascia-to nella Chiesa Madre un quadretto con la rappresentazione della «Buona pastora»gentilissima figura femminile, tutta piegata con settecentesca grazia verso bimbi epecorelle; maestro che si ritrova nella decorazione di un magnifico altare in legnoscolpito della chiesa dei Cappuccini, in altro quadretto visto in casa privata, edancora in un quadro recentemente esposto alla vendita Florio. Delizioso maestrocertamente siciliano, che interpreta con una sua particolare originalità di accordicromatici su tono azzurro, alcuni moduli di Vito D’Anna e li interpreta con unagrazia leggermente rusticana ma assai gradevole. Tutto il gruppo di pitture potreb-be essere opera di quel maestro Gaetano Mercurio che lavorò molto a Palermo edintorni e di cui la personalità è ancora scarsamente definita.Ori, Argenti, Stoffe.Tutte le oreficerie che si conservano nel tesoro della Chiesa Madre di Petralia Sottanaportano il marchio palermitano: l’aquila e le sigle R.V.P. sicché potrebbero bastare,con quelle della Chiesa Madre di Enna a far seguire il progressivo sviluppo della ore-ficeria di Palermo nei quattro secoli di sua magnifica fioritura. Vi sono opere assaibelle: vi è anzitutto un magnifico calice che per tradizione si diceva venuto a Petralia

108

Page 109: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Sottana dopo il sacco di Roma, ed è invece un tipico esempio di calice siciliano delcinquecento, con base stellata a foglie di cardo riservate sulla superficie liscia dalla gra-dina del fondo, e corona di foglie di cardo intorno alla coppa; poi vi sono altre argen-terie, nelle quali si alternano le agili fantasie, i contrasti studiatissimi di ombre e diluce, le graziose ingenuità decorative, che rendono di grande interesse le oreficerie delsecolo XVIII, secolo trionfale per tutta l’arte decorativa siciliana.Poi ancora vi sono nel tesoro della Chiesa Madre di Petralia Sottana stoffe di grandebellezza; un postergale di velluto rosso secentesco morbidissimo e bello di tinta, unbroccato veneziano rosso ed oro, un velluto controtagliato tessuto a dragoni piccoli esinuosi e colori alternati di giallo e di viola, piviali di broccato con perfetti ricami, altriin reticella d’oro, tutta ricamata a filo d’oro; una quantità e una qualità assai rara a tro-varsi in una chiesa dell’interno dell’isola. Tutto è custodito con molto amore, emostrato con fervore di entusiasmo. Buona parte dei ricami sono siciliani sicchè, aparte del loro valore estetico è utile osservare l’abilità delle maestranze siciliane delsettecento, secolo in cui veri capolavori di arte tessile dovettero uscire dalle botteghepalermitane. Bisogna anche guardare nella Chiesa Madre come nelle altre chiese, ilavori in legno: il pulpito nella chiesa di S. Francesco d’Assisi, l’altare dell’Addoloratae i seggi vescovili nella Chiesa Madre, l’altare in legno della Chiesa dei Cappuccini enon dimenticare che tutto questo era opera di oscuri artieri certamente locali, i qualilavoravano nel gelo di quei paeselli isolati, non conoscendo forse la città vicina per ledifficoltà enormi del viaggio, per l’Imera tortuoso e ostile, per le strade impervie emalsicure. Essi sapevano lasciare nelle stoffe come nel legno come nel marmo, il segnoinconfondibile di una razza sensibilissima all’ornato e per lunga tradizione raffinata-mente decorativa. Se un giorno o l’altro si costituisse a Palermo il Museo di arte deco-rativa siciliana, quale contributo non si troverebbe in Sicilia non mai togliendo allechiese che le hanno amorosamente custodito, le opere preziose, ma soltanto radunan-do quello che è inusato e trascurato, quello che è abbandonato al tarlo e alla polvere! E se ogni paese di Sicilia custodisse le opere d’arte con il fervore che oggi animaPetralia Sottana, e se per contributo di popolo venissero seguiti quei minimi lavoridi restauro che risparmiano la distruzione altrimenti inevitabile dell’opera d’artecosì come Petralia Sottana, animosa e fascista, si propone di fare per la chiesetta diS. Francesco, molta parte della nostra storia dell’arte che è anche storia della civil-tà, sarebbe salva.E sarebbe tempo, perché, di come si debba amare la propria terra e la propria sto-ria e la propria arte, non manca oggi né l’esempio né il precetto.

109

Page 110: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

19 Dicembre 1934 - NOTE D’ARTE. I QUADRI DI PIETRO LONGHI ASSICURATI

ALL’ITALIA

Il più schietto giudizio di Pietro Falca detto il Longhi (1702- 1785) è stato dato dalGoldoni in un sonetto che fa parte dei «Componimenti poetici per le felicissimenozze di Catarina Contarini» il sonetto che comincia: «Longhi tu che la mia musasorella – Chiami del tuo pennel che cerca il vero».Tutta l’arte del Longhi è definita proprio in quelle poche parole: «un pennel checerca il vero». Poiché egli veramente non ricercò la bellezza, ma la verità, una veritàintima, borghese, casalinga, un po’ odorante di cipria e un po’ di racchiuso e di cuci-na; la verità della vita che si svolgeva intorno a lui, ingenua e maliziosa, facile e tri-ste tra sorrisi e minuetti. In quel settecento gaio e malinconico, tutta l’arte venezia-na pareva invasa dal desiderio di arrestare e di eternare la realtà della vita; c’era comeun’ansia di fermare tutto quello che viveva intorno, con l’animo sospeso di chi assi-sta ad una bella fiaba e tema che la fiaba finisca e con essa l’incanto. Tutti i pittoripiccoli e grandi avevano gli occhi intenti al cielo, alle acque, alle pietre, ai palazzi, allefeste di Venezia, di Venezia soltanto, di Venezia bellissima. Gabriele Bella registrava«l’ultimo giorno di Carnevale» sulla piazza S. Marco, o «La festa della vecchia» inCampo S. Luca; Francesco Zuccarelli, Giuseppe Zais si ispiravano alle feste campe-stri; Francesco Guardi il più assorto, stava a spiare con l’anima attenta il mistero diquella luce di Venezia soffice, morbida, luce che ha sostanza e respiro come cosa viva,a guardarla sulle acque, sulle mura, sul profilo di una gondola, sul dorso curvo di ungondoliere, il Canaletto osservava invece lagune, piazze, palazzi, e chiese e come learchitetture perdevano volume e peso in quella atmosfera, e sembravano così fragilie inconsistenti, come il loro riflesso nelle acque; Tiepolo poi tutto guardava e tuttotrasportava nel cielo, decorando le volte delle chiese e dei palazzi.Tutti erano attenti a ritrarre il volto di Venezia, ma chi era dotato di qualità creati-ve lo trasfigurava. Dotato di minore fantasia Pietro Longhi invece riuscì a fotogra-farlo; restò fedele alla realtà, servo e non padrone, ubbidiente non dominatore, eriuscì a coglierla con la più schietta obiettività, senza che mai un particolare proble-ma pittorico distraesse il suo spirito da questa vigile osservazione. Per questo avven-ne che la sua opera acquistò un valore illustrativo come nessun altra.Ed oggi, se rievochiamo la vita settecentesca veneziana, la ritroviamo come cristal-lizzata in una serie di quadri: «il minuetto», «la conversazione del ridotto», «l’indo-vina», «la lezione di ballo» , «il baciamano», «la toletta», «la lezione di musica», e viavia in tanti quadri isolati, che sono proprio i quadri di Pietro Longhi. E, riunendo-li insieme allora le persone vi si muovono e vivono nel loro gesto e nel loro sorriso,irreali e presenti, come in un film.

110

Page 111: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

S’intende quindi perché, al solo pericolo di una eventuale esportazione di quindiciquadri di Pietro Longhi appartenenti alla collezione Donà delle Rose, siano sortisubito ad offrire aiuto con ammirevole prontezza alcuni enti veneziani: «il R.Istituto di Scienze Lettere e Arti, la Fondazione Querini Stampalia, la Cassa diRisparmio e il Banco di S. Marco» acquistando i quindici quadri per collocarliaccanto ad altri diciotto quadri dello stesso autore, nella quadreria QueriniStampalia a S. Maria Formosa.Non si trattava di quadri di altissimo valore estetico, come ad esempio la Tempestadel Giorgione, ma soltanto di pitture rappresentanti alcune pagine di vita venezia-na, pagine che meritavano di essere custodite con grande amore. Giova segnalarequesto esempio in particolare modo a noi siciliani, che spesso lasciamo disperderecon la più disinvolta incuranza quadri, disegni, manoscritti, opere di arte decorati-va nella perfetta convinzione che sia di scarso interesse tutto quanto sia siciliano econvenga solo custodire, quanto siciliano non sia.I quindici quadri di Pietro Longhi acquistati e donati alla raccolta QueriniStampalia, hanno un diverso interesse. Due rappresentano i ritratti della famigliaMicheli e della famiglia Sagredo e sono interessantissimi specialmente dopo glistudi del Fiocco e di Planiscig per mostrare tutte le possibilità del Longhi comeritrattista; altri sette compongono la serie assai famosa della «Caccia in valle» . Sonola narrazione vivace e sincera dei vari momenti della caccia: «L’arrivo in valle delPatrizio» elegantissimo e burbero tra il mite ossequio dei contadini, poi «lo scaricodelle provviste», poi «l’estrazione del nome dei cacciatori», che si svolge con la massi-ma gravità intorno ad un tavolo; quindi «i preparativi della caccia», «la partenza per lacaccia», «l’appostamento in botte» e infine «la spartizione del bottino di caccia».Così il ricordo di quelle partite predilette dai patriziati veneziani e il modo, i costu-mi e le armi, tutto è rimasto fissato sullo schermo, per opera di Pietro Longhi.Ancora di caccia si interessano altri due quadri: «la caccia alla lepre» a cui prendeparte una damina che tiene il fucile come un coscritto di prima chiamata e «la cac-cia con l’arco alle anitre selvatiche» quadretto assai grazioso questo, per l’ansia, lacuriosità, la malizia che anima i gondolieri, i quali sospendono di remare mentre ilsignore punta l’arco verso l’anitrella.Altri spunti di vita veneziana sono fermati negli ultimi quattro quadri. In uno vi è larappresentazione della «furlana» il ballo popolare che insieme alla «manfrina» costi-tuiva il ballo prediletto fatto nei «Campi» e nei «campielli» al suono di tamburi, dipifferi, di cimbali, di chitarre; in un altro vi è «una scena di ridotto» con maschere egiocatori, nel terzo «una passeggiata in piazzetta» e infine una «cena di contadini».Quindici quadri, undici momenti di vita veneziana fermati sul quadrante del tempo.Con Pietro Longhi la pittura era già entrata nella casa, nell’ambiente, nel popolo.

111

Page 112: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Senza la moda esotica del neo-classicismo, senza quel vento ponentino che agghiac-ciò la vita dell’arte, senza quell’inutile viaggio tra i ruderi di Grecia e di Roma, la pit-tura di un Favretto, la pittura di un Nono, sarebbe stata anticipata di un secolo.

25 Dicembre 1934 - IL NATALE NELL’ARTE. LA NATIVITÀ DI MATTIA STOMER

Nel palazzo comunale di Monreale, si custodisce gelosamente un quadro di MattiaStomer rappresentante «La Natività». La pittura interessa subito per la vivida luceche emana dal corpo del Bambino Gesù, centro spirituale, centro della composizio-ne figurativa, centro della illuminazione. Essa unifica i vari elementi che altrimen-ti resterebbero slegati; trae dall’ombra zone di colore grumoso e vivido; azzurromarezzato, rosso, bruno, giallo; non modella ma descrive, con una certa estremaattenzione fiamminga, le figure e le cose. Le figure sono di gagliardi pastori conbocche larghe, aperte al sorriso e bei denti sani, di un giovanetto bronzeo bellissi-mo, del vecchio S. Giuseppe; le cose sono un cestello, il candido lino; poi vi sono glianimali: una capretta bianca, un asinello, il bue.Essa, la luce, è l’animatrice di tutto il quadro e lo spiritualizza. E poiché non vienedall’alto, né dalla finestra aperta, né da candela accesa, ma viene tutta dal corpo diGesù che è come una massa incandescente, come un piccolo sole, né risulta chetutto il valore del quadro è nell’avere espresso con mezzi di pura pittura, un altoconcetto religioso: Gesù è luce del mondo.Bellissimo il motivo, ma non è stato creato da Mattia Stomer. Egli l’ha derivato daun quadro del suo maestro, Gherardo Hontorst, cioè della famosa «Natività» dipin-ta nel 1621 (Galleria degli Uffizi) e che si può considerare come il capolavoro diquesto maestro.Ma neanche Gherardo della Notte fu l’ideatore di questo felice motivo. Il contempo-raneo di Gherardo, Giulio Mancini, scrivendo di Gherardo e delle sue opere notava:adesso conduce una «natività» di Nostro Signore che le figure pigliano il lume delCristo Nato, che, ancorché questa invenzione sia del Correggio e dopo fatta daAnnibale Carracci con molta arte, non di meno questa ancora ha il suo luogo.Al grande maestro emiliano, al Correggio, al grande poeta dell’infanzia, al pittoredella luce e del più lirico chiaroscuro, appartiene questa felice creazione tecnica diuna luce centrale, formatrice ed animatrice di tutto il quadro, luce che si unifica colBambino Gesù. Fu nella divina «Natività» della Galleria di Dresda, dipinta verso il1530 che non ha rivale nel fascino della luce e nel colore neanco nella più affasci-nante pittura di Rembrandt.Mattia Stomer è un maestro che si ricongiunge per due volte alla storia della pittu-

112

Page 113: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

ra siciliana. Da una parte egli fu discepolo di Gherardo Hontorst, più comunemen-te detto Gherardo della Notte, pittore che per quanto nato ad Utrecht si formò spi-ritualmente a Roma dove visse dal 1610 al 1620 elaborando a suo modo la riformadettata da Michelangelo Merisi da Caravaggio, grandissimo maestro che, control’eclettismo, predicò il ritorno alla realtà, e contro il colore arbitrario degli eclettici,predicò la rinunzia al colore e la formazione plastica delle forme per via della luce.In questo senso, come allievo di un immediato discepolo del Caravaggio, MattiaStomer, olandese, si ricongiunge strettamente alla storia dell’arte italiana, ma piùdirettamente egli entra nella storia della pittura siciliana poiché appartiene a quelgruppo di artisti che vennero in Sicilia e vi trovarono entusiasmo di discepoli ecommissioni di lavoro, pittori che valsero ad accrescere con le importazioni dellaloro pittura di origine diversa, quella tendenza all’ecclettismo che era innata nellapittura palermitana. Nella prima metà del seicento erano venuti a PalermoMichelangelo Merisi da Caravaggio, che lasciò nell’Oratorio di S. Lorenzo un qua-dro della «Natività» troppo rivoluzionario per essere compreso; Antonio Van Dyckche nell’oratorio di S. Domenico lasciò opera diventata fondamentale per i pittorisiciliani che amassero studiarvi eleganze coloristiche e Filippo Paladino, fiorentinoche impostò il più schietto manierismo toscano.La presenza di Mattia Stomer a Palermo non è documentata – come è invece docu-mentata la sua presenza a Messina verso il 1641 – sicché qualche critico ha potutometterla in dubbio. Ma essa è incontrovertibile, sia perché molte opere abbiamovisto con il tipico carattere stomeriano di una luce razionale centrale diffusa, opereche non riusciremmo in altro modo a spiegarci, sia perché il numero delle opere delmaestro è rilevante e più lo era nel passato.Le tre opere infatti del museo di Catania: «La morte di Catone, Tobia, SenecaMorente», erano a Palermo perché quivi furono visti da padre Fedele da S. Biagionel 1781; passarono poi nella collezione del Giureconsulta Finocchiaro che li donòcon molti altri quadri (un totale di 124) al comune di Catania secondo notizie edocumenti diligentemente raccolti da Girolamo Ardizzone. E lo stesso PadreFedele da S. Biagio afferma che, oltre ad alcuni quadri appartenenti ad aristocrati-ci, «ve ne sono altri appartenenti, originali, in vari monasteri e conventi ed in casediverse per i quali i possessori possono vantarsi di avere opere si belle e di tanto pre-gio». E, infatti, in parecchie case private sono ancora esistenti belle opere di MattiaStomer: nel Palazzo Trabia, nel palazzo Villafranca, nel Palazzo Galati, ecc.Resta ancora da parlare della decorazione dell’Oratorio di S. Domenico alla qualeparteciparono tutti i più grandi artisti: Antonio Van Dyck con il quadro di altare,così luminoso e raffinato, Pietro Novelli, Giacomo Lo Verde; quivi «la Flagella-zione» è sicuramente di mano dello Stomer, mentre eseguito da un suo diretto disce-

113

Page 114: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

polo sembrano «La caduta di Cristo» e «L’Incoronazione di spine». Poi ancora c’è daricordare il capolavoro di Mattia Stomer: «S. Isidoro Agricola» a Caccamo e il deli-zioso bozzetto di casa Lo Faso a Termini. Se a questo aggiungessimo l’elenco di tuttele opere d’influenza stomeriana da noi conosciute, avremo ancora una riprova dellagrande attività svolta da Mattia Stomer a Palermo, attività rimasta non isolata, maper mille fili ricongiungendosi alla vita pittorica palermitana della prima metà delseicento. Il quadro del Municipio di Monreale afferma dunque anche un interessestorico perché è altra certa riprova della permanenza di Matteo Stomer a Palermo.La bella pittura era prima nel convento dei Cappuccini di Monreale e la fu vista edamata ed ammirata nel settecento, da Padre Fedele da S. Biagio, l’unico grande pit-tore critico della nostra storia dell’arte siciliana. Egli scriveva: L’autore … fa vedereche veramente dallo splendore del Santo Bambino tutte le figure ricevono il lumecon naturalezza di degradazione ond’io, per quante volte l’ho veduto, mai mi sonosaziato di mirarlo e maggiormente nella mattina, che dalla finestra collaterale riceveil lume ben proporzionato.Ancor oggi, la guida umile e colta che mostra il quadro si ferma ad additare questavivida luce del quadro e la naturalezza del gesto di ciascuno dei pastori e le rughedei volti senili e la dolcezza del sorriso della Madonna. Il pittore ha trovato un lin-guaggio così semplice e chiaro che parla subito al cuore.E piace, dopo aver ascoltato nella vicina Cattedrale il trionfale canto di quella deco-razione musica, la musica aulica di quelle forme architettoniche, piace guardarequesta pittura di Mattia Stomer, intimo gradevole e dolce, come un canto di zam-pogna, nella notte di natale.

114

Page 115: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione
Page 116: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione
Page 117: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

1935

9 Gennaio 1935- MOSTRA D’ARTE AL CIRCOLO DELLA STAMPA “UMBERTO

VALENTINO”

Una vita ancor breve ma già ricca di molte dolorose esperienze, lunghi e penosi annidi lavoro in America, vagabondaggi senza meta per il mondo lieti solo di una telao di un pane, tenace lotta contro la sorte ingenerosa avendo a compagni figliolettiimplumi, questo forma la sostanza di umanità che alimenta l’arte del pittoreValentino che oggi espone al Circolo della Stampa. Forse per questo, il grigio domi-na in due ritratti dell’espositore: «L’autoritratto» e il quadretto intitolato «Solo» cheha valore di una pagina autobiografica, rappresentando un albero sul ciglio di uncolle, al vento e alla tempesta.Egli espose prevalentemente ritratti i quali formano il più difficile tra i vari «generi»d’arte, perché impongono all’artista da una parte, l’aderenza assoluta al reale in mododa suggerire subito a chi guarda l’identificazione del modello, dall’altra la liberazio-ne parziale di questa stessa realtà, onde evitare il fotografico e il particolare.Dinanzi al ritratto: specialmente quando i modelli sono ben noti il pubblico si sentepiù autorizzato e più pronto a profferire un giudizio che si ferma sempre sulla«simiglianza» del quadro al modello ritratto. E, se questo fosse l’elemento unico evalevole a rendere il ritratto opera d’arte, si dovrebbe senz’altro dire che i quadriesposti lo sono, essendo inoppugnabile la somiglianza fisica ai modelli nei ritratti diFederico De Maria, dell’ing. Caronia, di Carlo Battaglia, di Elettra Petri, dellasig.na Rosselli e in altri.Perché Valentino ha in buona misura la facoltà intuitiva che riesce spesso felice-mente a cogliere nella continua mutabilità dell’espressione del volto il momento piùopportuno e rivelatore. Possedere tale facoltà è sicuramente grande pregio ma essanon costituisce la qualità unica perché altrimenti procedendo per contraddizione ilritratto di Giuliano dei Medici nella sacrestia di S. Lorenzo non potrebbe essere uncapolavoro. Occorre anche possedere un linguaggio proprio di colore e di forma peresprimere l’intuizione ricevuta dal modello ed è questo il più difficile valore da con-seguire, in tale campo la posizione di Valentino è più di ricerca che di attuazione;ora egli tenta di legare la figura all’ambiente per via di una colorazione uniforme trail vestito e lo sfondo del quadro, ora invece crea contrasti violenti; ora leviga lasuperficie; ora la tormenta con colpi di luce; ora accenna a ricerche di puro colore;ora a ricerche di sola espressione. Ma di tanto in tanto, la ricerca perviene alla metacome nel quadro intitolato «L’idolo» dove un bimbetto creato con felice spontanei-

117

Page 118: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

tà balza con potenza di vita dalla tela ed ammicca e sorride nel barbarico arruffio dicolore ricco di significati spirituali; come nel quadro intitolato «Il pane» dove lanobiltà dell’idea si mantenne nel disegno garbatissimo e nel colore.Qualità di disegno Egli possiede in buona misura ed è felice nella composizione delquadro; nel resto Egli compie una ricerca seria ed ornata che può venire ad ottimerealizzazioni se insiste sul colore, sul volume e sullo spazio.Mentre oggi sono molti i pittori che si giudicano grandi artisti applicando solo suglialtri la più affilata critica. Umberto Valentini è tra i pochi a riconoscere i difetti dellasua pittura ed è tale l’umiltà del suo accento parlando di Arte, tale il senso di scon-forto per quello che ancora non è stato conseguito, da far mutare subito in parolaanimatrice ogni eventuale parola di critica. Accostarsi all’Arte con tale religiosoanimo, consacrarle tutti i momenti della vita contesa dal lavoro e dal disegno, esse-re scontenti e sempre desiderare del meglio: questo implica una serietà, una formadi buon volere, uno studio che offrono molta garanzia per il futuro.

12 Gennaio 1935 - OTTOCENTO SICILIANO. CELEBRAZIONE DI SALVATORE LO

FORTE

Compiono oggi cinquant’anni precisi dalla morte di Salvatore Lo Forte, cinquan-t’anni da quando sulle colonne di questo stesso giornale, lo scrittore che ne dava iltristissimo annunzio, elogiando la sua opera, concludeva con prudente riserva: “Dilui la storia dirà un giorno quello che a me non è lecito dire, cioè come egli dopo ilNovelli fosse il più degno continuatore di quella scuola che il grande Monrealeseportò in Sicilia, e come egli avesse fra noi rinnovata l’arte del dipingere nei primor-di di questo secolo guasta e corrotta da folli ingegni e come egli meriti che il suonome venga tramandato ai posteri con lettere d’oro”.Ma cinquant’anni sono passati senza che il nome di Salvatore Lo Forte sia passatonel libro aureo della storia dell’arte siciliana, e da questo nell’altro dell’arte italiana,senza portare uno studio compiuto, senza una raccolta dei suoi quadri, ma tuttoavvolgendo nel velo grigio della noncuranza, tristissimo, come il tarlo e la polveresulle cose amate che credemmo eterne. Ma quando la sua gloria altrui sconosce etrascura, allora siamo pronti a sorgere in armi, offesi. Come fa la donna del popoloche impreca terribilmente al figlio, e poi urla e piange se un bimbo compagno lie-vemente l’offende.Salvatore Lo Forte ebbe la vita uniforme e grigia del buon professore di Accademia;la illuminavano una bontà dolce e operosa, l’amore ai suoi giovani allievi e la suaArte che egli amava religiosamente. Gli anni giovanili trascorsero dapprima in lotta

118

Page 119: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

disperata contro il padre che voleva farne «un barbiere cerurico salassatore»; poi stu-diò nell’Oratorio dei padri Filippini; ottenuta quindi dal Municipio di Palermo unagrama pensioncina si recò a Roma e fu allievo del grande, del magnifico baroneCamuccini. Bravo, buono, bello, lavorava con accanita insistenza se più la vitagrama lo tormentava, divenendo il prediletto allievo del maestro che in Sicilia ebbecommittenti e amici. Poi, sia per il desiderio di rivedere la famiglia, sia perché ilCamuccini gli passò l’incarico ricevuto da S.S. di dipingere una Madonna dandoglilibero ingresso nei monasteri di Sicilia per trovarvi la modella più adatta, egli ritor-nò in patria, e trovata la modella in una giovane educanda, non fece più il quadro esposò la modella.Divenuto, giovanissimo, direttore dell’Accademia del nudo nella R. Università erassodata la situazione pratica con 110 onze all’anno, egli alternava l’insegnamentoalla pittura. Dipingeva con lentezza, con somma cura, non poneva cifre esorbitantiper i suoi quadri, ma il giusto prezzo sosteneva con orgogliosa fermezza.Scriveva al padre Melchiorre Galeotti che lo rappresentava presso il Monastero diSanta Chiara a Noto per un quadro da collocare nella chiesa di quel Monastero, qua-dro di cui aveva chiesto la somma di onze 200: «ella conosce il mio modo di dipin-gere e se mai posso nell’arte tradire la mia coscienza negando alla mia professionequanto ne abbisogna per l’esecuzione di un lavoro d’importanza». E più oltre infa-stidito forse del consueto paragone col Patania, paragone che dovette perseguitarloin vita come lo perseguita dopo morte, scriveva: «comprendo gli sforzi e le lotte cheha dovuto sostenere per informare e indurre cotesti signori amministratori al prezzosignificatomi e sono sicuro che ella non ha trasandato di fare osservare che Pataniadipingeva in quel modo che tutti sanno, di guisa che i suoi quadri che per avventu-ra si rivendono, trovano prezzi così miserabili da fare arrossire l’Arte medesima.Forse dei miei non credo sia così: e il ritratto del Barone Riso e altri rivenduti hannotrovato un prezzo di stima come opera d’Arte». Ebbe molti allievi e figli e nipoti.Morì senza lunga malattia il giorno 11 Gennaio 1885.Quando Salvatore Lo Forte ritornò a Palermo era l’anno 1837. Il giovane avevaventotto anni.Già dal 1834 aveva finito di lavorare perché colpito di apoplessia Vincenzo Riolo,ma già si imponeva all’attenzione della critica e del pubblico Andrea D’Antoni, pre-sentando il «Timoleonte»; Natale Carta e Camillo Guerra concorrevano per la cat-tedra vacante di pittura delle R. Scuole di Napoli trattando il tema: Adone che sidiparte da Venere per andare a caccia; su tutti era celebre Giuseppe Patania, amato,lusingato, massime dall’amico e allievo Agostino Gallo, celebrato da tutti come «ilpittore delle grazie». Proprio in quel tempo Patania dipingeva: due paesaggi, l’unocon «Eros seduto accanto al poeta» l’altro con «Saffo che si butta dalla rupe di

119

Page 120: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Leucade» (casa privata - Alcamo) paesaggini ancora composti e studiati con acca-demismo estremo, un ritratto femminile in grigio di casa Restivo, un ritratto in casaTurrisi, ambedue levigatissimi, lucidi e uniti di colore. Si era in pieno classicismo,in pieno mondo di Venere e di Adoni, di Eros, di Ninfe e di Sirene. Senza qualchebuon ritratto, sa Iddio dove saremmo arrivati con tutte quelle frigidità, e con tutti inumerosi discepoli di Patania.Come Salvatore Lo Forte, allievo di Camuccini, pieno zeppo delle famose teorieromane sul «bello ideale» esercitatosi nella scuola sui gessi o sui marmi alla copia-tura e alla ricopiatura dell’antico, respirante la stessa aria gessosa che respiravano glialtri, un Agricola e un Podesti ad esempio, venendo in un ambiente gelido comequello di Palermo abbia potuto avere la fantasia, il coraggio, il vigore, l’audacia didipingere quel suo primo quadro per la chiesa di S. Ignazio dell’Olivella, comune-mente detto «Il povero» è cosa che mi domando meravigliata. Quel quadro che rap-presenta «Il miracolo del Beato Valfrè» mostra un tale studio serrato e intenso delmodello umano, una tale forza plastica, una colorazione così studiata sul vero daanticipare di un cinquantennio tutte le più energiche conquiste, non dico delromanticismo che stilisticamente mantenne per altri anni alcuni difetti del classici-smo, ma del più crudo realismo.Il quadro è un programma tutto nuovo, una rivolta silenziosa ma attuata senza pre-annunzi di vane teoriche, una dimostrazione senza postulati. Sconvolgeva le teori-che del neo classicismo, riportava l’arte alla natura. Qualcuno ebbe a definire il LoForte «L’Hayez» di Sicilia e questo può valere solo per indicare che il Lo Forte fuun reazionario, come in un certo senso fu l’Hayez, ma non per indicare tutto il valo-re della sua opera, la sua novità, il suo slancio.E in questo stesso anno ecco il Lo Forte dar vita ad una serie interessantissima diritratti dove i modelli sono interpretati con una acutezza di sguardo, con disegnofermo e preciso, con colore graduato di toni. Per citarne qualcuno, ricordiamo pro-prio di questo anno, un ritratto rimasto incompiuto di Andrea D’Ondes Reggio, ilritratto di Romualdo Trigona principe di Santa Elia e, di due o tre anni dopo, ese-guito verso il quaranta, il ritratto di Paolo Giudice in casa Restivo dove l’artista, nonsoltanto individua il carattere ma per rendere meglio il volume, pone la figura con-tro luce e la immerge in una atmosfera di grigi azzurri che gli sarà poi sempre gra-ditissima. Un dietro l’altro seguono molti ritratti, fra tutti bellissimo di una graziainsuperabile di composizione è il ritratto di Caterina Moncada (Casa B. Lo Forte),di cui la prima stesura resta in un quadretto di casa Tasca, fresco, limpido, imme-diato che è una gioia a guardarlo. Si giunge così al 1852, anno in cui Egli dipingeil Miracolo di S. Nicola da Bari nella stessa chiesa dell’Olivella, quadro che nonsegna un progresso rispetto al primo quadro ma che ha nel giovinetto contro la luce,

120

Page 121: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

nella figura della donna scarmigliata e del bimbo, particolari di rara bellezza. Tuttoin questo quadro fu studiato dal reale; modelli erano stati alcuni dei familiari, l’am-biente ricomposto con somma difficoltà.Il quadro suscitò entusiasmi e polemiche. Anche Agostino Gallo che tutto intentosempre a soffiar buccine per il suo venerato maestro pare non si accorga mai del LoForte, trovò la composizione ardita ed originale e che lampeggia di una certa novi-tà toccante. Un articolo di Melchiorre Galeotti altro apparso sul giornale «Il BuonGusto» esaltano l’opera dell’artista. Due anni dopo, è la volta di un altro grandequadro rappresentante S. Benedetto e S. Scolastica per la chiesa del Monastero diS. Chiara in Noto. Le lettere che egli scrisse in questa occasione al P. MelchiorreGaleotti sono un documento validissimo per testimoniare la sua straordinaria serie-tà di lavoro, la sua particolare cura dei minimi particolari, della tela che faceva veni-re da Roma e teneva un anno a stagionare, dell’uso del lapislazzulo per otteneresolidità alla tinta, del grande studio della distribuzione della luce nella cappella doveera da porsi il quadro; e poi nelle lettere, c’è un entusiasmo per l’argomento da trat-tare, un giusto orgoglio per il bozzetto fatto, una sicura coscenza del valore dell’ope-ra e una dignità che formano documento della personalità nobilissima dell’artista.Purtroppo per cause non determinabili, le tinte si sono alterate e tutta la sinfonia digrigi in cui appare concepito l’incontro della santa col fratello appare smorzata eopaca. Splendente di colore, dipinta gagliardamente è invece l’Immacolata nellaChiesa del Crocefisso a Noto che si può attribuire al Lo Forte, sia per la qualità distile, sia perché documentata.Dal 1850 in poi, dopo questo quadro celebratissimo che fu visto e ammirato nelbozzetto dell’Hayez, continua la serie dei ritratti. Pare che tutta la ricerca dell’arti-sta siasi fermata sul tono e sul colore. Ne vengono ritratti che non hanno più l’im-mediatezza delle prime opere; la descrizione realistica vi è anzi molto diminuita.Secondo i primissimi biografi dell’artista, le critiche malevoli, le invidie preoccupa-rono tanto l’artista da rallentarne l’attività. E forse un desiderio di non muoversicontro corrente lo portò ad arrestare quell’impeto reazionario che in pieno accade-mismo lo pone tra i più grandi e geniali pittori per affinare invece, estremamente lasua tecnica. Sono da segnalare fra molte altre opere il «Ritratto di bimbo» in casadell’ingegnere Vergara, condotto con eleganza rara di colorazione, un ritratto incasa Bracco che è tutto un delicatissimo accordo di grigi su grigi e di azzurri sugrigi. Sempre più rara diviene l’opera del maestro nell’ultimo periodo della vita edancora non è facile ricostruirla; ma sui cinquanta morto il Patania, egli rimase ilsignore della vita artistica Palermitana. A tutti egli insegnò qualche cosa: se ponia-mo a riscontro i ritratti del Patania prima del ritorno di Lo Forte a Palermo conquelli eseguiti dopo, dal 1840 al 1852 vediamo come per opera sua il più strenuo

121

Page 122: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

difensore del classicismo, sia diventato attento e vigile studioso della natura; LuigiLojacono paesista, molto si giovò dell’aiuto del maestro; quasi tutti i pittori che fio-rirono nella seconda metà del secolo e furono grandi, anche se, ancora misconosciu-ti furono della scuola di Salvatore Lo Forte.Ma ora veramente il suo posto non è solo da affermare fra i pittori dell’ottocentosiciliano che è il primo su Giuseppe Patania e Giuseppe Gandolfo, ma è da ricer-care nell’ottocento italiano e tra i più grandi artisti.

19 Gennaio 1935- MOSTRE D’ARTE. GIUSEPPE CASCIARO

Simpatia ed ammirazione hanno accompagnato costantemente la pittura della«Scuola di Napoli» anche quando pareva che l’arte italiana si orientasse verso modeesotiche e verso forme del tutto insolite e avulse dalla tradizione.L’iniziale atteggiamento rivoluzionario di questa scuola contro le rigidità accademi-che, il suo programma semplicissimo di ritornare alla natura, le qualità altissimedegli artisti che l’hanno rappresentato – come Giacinto Gigante e Filippo Palazzi– la miracolosa bellezza della natura che ne è ispiratrice : Napoli e la stupenda coro-na gemmata dei suoi paeselli e delle sue isole intorno, tutto questo ha mantenutonel pubblico e nella critica, un costante interesse ed un favore di eccezione.Tra gli ultimi epigoni di questa scuola vi è Giuseppe Casciaro venuto tra noi peruna Mostra alla Galleria Sarno. Allievo di Filippo Palazzi, compagno di Dalbono,egli è riuscito a mantenere nella giovinezza una chiara personalità, e nella maturitàcompresa in quest’ultimo ventennio del Novecento è dura da mantenere immutatala propria legge di vita artistica cioè il costante diretto stadio della natura immuta-to in tanto ingarbuglio di lingue il suo chiaro linguaggio espressivo partenopeo. Nési è appartato e chiuso in sdegnosa solitudine. Egli è stato presente a tutte le mostrebiennali di Venezia, fino alla penultima ha fatto molte esposizioni personali, ha par-tecipato alla Coloniale di Napoli con una intera sala di opere eseguite nel suo recen-tissimo viaggio in Africa rispondendo con un ardore del tutto giovanile all’invito diandare a trarre da quella terra ispirazione diversa.Già dal 1897 alcuni suoi pastelli sono passati alla Galleria Nazionale di Napoli; nel1901 furono ammiratissimi «Il bosco», «I Contrasti»; nel 1903 i suoi paesaggiromani e napoletani; nel 1905 di Anacapri di Camaldoli, di S. Pietro al Tanagro;via via ad ogni Biennale, ad ogni altra esposizione i suoi mirabili pastelli hannoavuto sempre un posto di onore.Diciamo subito però che qui nella mostra della Galleria Sarno non appare tutto ilmeglio della sua ultima produzione. Ma non si può di questo fare un torto all’arti-

122

Page 123: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

sta ove si pensi la nostra impossibilità di ospitare convenientemente gli artistirestando irresoluto il costante problema della erezione di una «Casa dell’arte» consale razionali per le esposizioni e ove si pensi l’isolamento culturale in cui viviamoper questo, e per una nostra congenita pigrizia.Se io ho avuto un successo, dice il buon Maestro, l’ho avuto perché io ho cercatosempre di non annoiare le persone. Ho dipinto con gioia, e ho voluto rendere que-sta gioia. Infatti, raggiunta una perfezione di tecnica veramente di eccezione e quin-di una grande immediatezza nell’espressione, egli è riuscito a liberare la sua pitturada ogni pena, da ogni ansia di ricerca, a farla apparire facile quieta, riposante. E perquesto in fondo finisce col piacere a tutti, e a quelli che considerano la pittura dipaese soltanto come un lieto e riposante accordo di colore e un suggerimento dibella natura, e agli altri che amano vedervi una interpretazione soggettiva e quindilirica.Giuseppe Casciaro ha preferito sempre il pastello perché in questo mezzo attuavae rendeva la sua visione di natura. Per mezzo di granelli di polvere variopinta, com-posti, scomposti e sovrapposti, egli riesce a creare un mondo morbido, soffice,disfatto, che un soffio può disperdere, irreale e immediato come il sogno. Le case, imonti, gli alberi, non hanno più peso di materia ferma. Tutto vi appare scompostoin molecole, oppure accennato da una linea scura di contorno sopra un fuoco mobi-le di colore. E poiché gli piacciono, e può col pastello rendere le tinte fuse e chiare,allora egli preferisce spesso interpretare il paesaggio in certe ore del giorno in cuinuvole e nebbie sfioccate nell’atmosfera raggiungono la terra e colmano lo spaziotra le cose e regna l’indistinto e l’impalpabile; oppure certe marine in cui tra la sab-bia umida e gialliccio e la prima onda di chiaro verde e la seconda di lieve azzurroe l’ultima scurissima, corrono continue intese sicchè tutta la superficie marina vibradi un fremito continuo oppure certi minacciosi cieli colmi di nuvole grigie e rossic-ce che vanno sciogliendosi in fumida nebbia.Vi sono certe strade umidicce e melmose che si allungano pigramente tra campa-gne scarse di vita e come spiagge fangose nel grigio della nebbia dove il pastelloarriva a delicatezze ineffabili d’impasto cromatico. Rari cespugli fioriti ma assaibelli, rare certe montagne color ardesia sotto la caligine nera. Piace il colore che nonha nome ed è grigio e verde, sabbia ed è avorio, tutto fuso e tepore che smorza.Se vi è una macchia di colore vivido finisce col perdersi in questo indistinto comeun trillo di rondine dispersa.La natura parla sommessa al cuore dell’artista.Egli l’ascolta e ne ferra la parola. È così semplice questo, ed è così raro.

123

Page 124: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

6 Febbraio 1935 - LA II QUADRIENNALE D’ARTE NAZIONALE

RomaLo stilobate su cui sorge questo spirituale edificio della II Quadriennale Romana,di cui ogni artista è come elemento necessario – e sia pietra o colonna o fiorito capi-tello – lo stilobate, altezza comune per tutti, è costituito dalla serietà di ricerca, dalladisciplina di spirito, dalla volontà di vittoria.A questa collettiva altezza sono tutti arrivati spontaneamente, con la spontaneità acui arriva il germoglio al seme che trova il terreno colmo di succhi, e ben prepara-to con accorta sapienza. È da ricordare infatti che questa mostra rappresenta la con-clusione di una serie di mostre: le regionali, la interregionale, la biennale, svoltesi inquattro anni di vita fascista con la somma di ammaestramenti, di consigli, di esem-pi, che tale vita ci offre, è da ricordare che sempre il clima storico opportuno, ilmecenatismo intelligente, hanno portato con lentezza ma immancabilmente i lorofrutti.Certo, non suoneranno tutte le campane sospese in questo dolce azzurro limpidocielo di Roma – mai come oggi così terso e puro – per osannare alla rinascita del-l’arte nostra italiana, non si canteranno epinici per esaltare il vincitore di questonobile convegno, di questa tra le contese la più maschia e gagliarda, non squilleran-no le trombe per accompagnare gli artisti trionfanti in Campidoglio.Questo momento non è ancora giunto. Noi non discendiamo la scalinata del Palazzodell’Arte con la perplessità commossa e pensosa che ci accompagna dopo la visita diuna Galleria dove si raccolgano i capolavori adunati dai secoli, ma discendiamo ani-mati nella discussione, meravigliati di molte sorprese, colmi di sicure speranze. E por-tiamo anche negli occhi l’immagine di una pittura, di una statua, d’un disegno, comePaolo Doni portava quella degli uccelli prediletti, con molto desiderio di possesso. Eda quanto tempo, ci domandiamo, uscendo da una mostra, abbiamo provato per simi-le causa, pena e scontento? Disciplinata varietà di tendenze.Il criterio estetico dell’on. Oppo segretario generale di questa II Quadriennaled’Arte Nazionale, non fu il rigido metro a cui tirando e accorciando venne ridottal’altezza di ogni singolo espositore, come il mistico letto di pena, si da farne risul-tare una malinconica uniformità di livello, ma esso stesso al contrario fu tanto ela-stico da subire, con facilità priva di sforzo, ogni distensione e ogni accorciamentoper giungere a tutti i livelli.A ciascuno insomma fu lasciato il suo metro e il suo canto purchè non vi fosserobalbettamenti e deliri equivoci o ripetizioni. Né risulta una grande varietà di paro-le senza che la varietà si risolva in caotico linguaggio.

124

Page 125: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Allora si rende possibile in ambiente così tranquillo e sereno ascoltare tutto e tutti:ascoltare la nuova parlata campestre fresca e spontanea di Cecchini ed il raffinatoeloquio di un Cagli, la sobria e convincente parola di Colao, la musica sommessa etormentata di Pirandello ed il georgico idillio di De Rocchi, seguire la parola diMafai e quella concisa di Tozzi, ascoltare con rinnovato piacere il grande Caceme eRomanelli, e Carrà e Casorati, conversare con tutti, con i vecchi maestri, con i piùgiovani artisti. Ed alla fine, dopo questi lunghi colloqui è possibile trarre alcuneconclusioni nitide e precise.Zavorra a mare.Prima di tutto si rende possibile misurare esattamente quanta zavorra è stata but-tata. Certe minacce di naufragio sono una vera salvazione, perché liberano dalsoverchio, dal pseudo indispensabile, dal bagaglio inutile e dannoso. E poi, quandosoffia il vento e il mare sale e la morte cammina con passo lieve sulle creste candi-de, allora ci si guarda bene sul volto e dentro l’animo. Quelli che restano poi, pos-sono camminare con passo sicuro.Oggi dunque appaiono definitivamente scomparsi i molti sacchi di zavorra che por-tavano le etichette di simbolismo, surrealismo, infantilismo, espressionismo, e via diseguito e se per caso qualcuno se ne trovasse, servirebbe come curiosità storica,come racconto o come la scritta cave canem.Appaiono caduti falsi idoli, sembrano dissipati molti equivoci, si vedono disciolti inpoche stille di acqua certi palloni variopinti che volavano dritti nel cielo senza nubi.La nuova pittura.Noi pensavamo madonna pittura chiusa e serrata in un vicolo cieco; ci sembravaimpigrita e riposante presso acque stagnanti e così grigia e così uniforme di gesti edi atteggiamenti da farci temere assai di quel silenzio senza vita. Pur ieri ci appar-ve orientata verso un incomprensibile neo-impressionismo ottocentesco e per quel-la via c’era possibilità di sosta e di ristagno; oggi la ritroviamo incamminata per viamaestra e tutta viva e fresca e nuova e nostra.Ci meravigliamo soprattutto di ritrovarla diretta alla sua casa e al suo campo dopo tantiimpazzir per vie aeree e per tortuosi sotterranei, trovarla cioè pittura di colore e di tono.L’interesse, l’amore, la gioia del colore e della forma appare visibile in tutti. Bisognavedere quale varietà, quale delicatezza, quale novità di accordi tonali moltissimi pittoriraggiungono, quante scoperte, quante ricerche; e come il colore costruisca la forma involume o in superficie, e come descrive marine ed uccelli e case e monti figure sobria-mente ed efficacemente e come sia lirico.Alla forma colore, conquista prima di Giotto, di Masaccio, di Piero, pochi ed osti-nati artisti erano rimasti fedeli – Carrà primo fra tutti – ora invece sono molti iseguaci. Alcuni lasciano ancora imprecisato il dettaglio – dita senza falangi, volti

125

Page 126: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

senza determinazione fisionomica – ma in compenso guardano, studiano, ricerca-no, il colore con una passione tutta nuova, con una maraviglia tutta giovane e fre-sca; altri invece più giustamente mantengono l’interesse fermo contemporanea-mente all’uno o all’altra, al colore e alla forma e compiono sintesi perfette.La pittura ridiventa pittura, cioè linguaggio di colore e di temi. Questo è il campoaperto per le nuove conquiste. E diventa spesso anche armonie di forme, architet-ture di elementi compositivi. È la via maestra. Per fare la pittura nuova non occor-reva sostituire l’automobile al biroccio, il nudo sbilenco e magro della maschietta, etanto meno il brutto al bello e alla grazia, l’astrazione e il capriccio al concreto e alpensato, ma si trattava di esprimere con altri accordi di colore, come il musicista conalti accordi di note, il mutato animo, lo spirito nostro rinnovellato.Questa è dunque la via maestra. Vedremo chi la percorre.

15 Febbraio 1935- LA II QUADRIENNALE D’ARTE: LA PITTURA

«L’arte è per noi un bisogno primordiale ed essenziale della vita» MussoliniLe 62 sale della Quadriennale si girano senza stanchezza per la frequenza dellemostre personali, per gli aggruppamenti vari e sapienti, per la luce calma e riposan-te; le 1800 opere esposte, si guardano con mantenuta attenzione e alla fine, com-piendo via via l’inevitabile selezione di pittori che mediocremente ci hanno interes-sato, si può procedere a snodare il filo del proprio pensiero con molta serenità pernulla essendo costretti a pietose acrobazie verbali o a retoriche consolatrici.Pittura di tono e di composizioneSi è già notato, in una rapida prima visita alla Mostra, come la nuova pittura, omeglio, la pittura d’oggi, pare segni il ritorno del gusto al colore e al tono comemezzo primo d’espressione lirica. Vi sono tra i giovani, alcuni tecnici espertissimialcuni modulatori instancabili di pochi accordi coloristici interessati però anche allafigura umana – senza deformazioni! - e alla composizione formale.Il più incantato dinanzi alle varietà del tono dei colori grigi e sabbia, il più macera-to dell’ansia di comunicare soltanto col mezzo cromatico il suo mondo spirituale, èFausto Pirandello, siciliano, che ha 36 anni e qui espone con mostra personale dopoParigi, Vienna, Roma, Milano. È, la sua, una pittura tutta molle, composta su pochicolori mutanti continuamente nel tono anche per via della tecnica, cioè coll’alter-nanza della spazzola e del pennello, pittura rivelatrice di una sensibilità di eccezio-ne. Solo quando riesce ad interessarsi anche della forma, a concretare cioè, ferman-dola plasticamente, qualche immagine del suo mondo di parvenza e di sogno comenelle «Donne del Lazio», in «Maria», nelle «Bagnanti», arriva già ad altezze note-

126

Page 127: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

voli che lasciano però intravedere superiori e, spero, immediate conquiste. Un altrogiovane, valoroso, si afferma con solo tre opere che comunicano subito un piacerevisivo, profondo e continuo sia per alcuni toni di colore introvati fino ad oggi, -delicatissime certe foglie di magnolia secca sui fondali di sabbia! - sia per l’equili-brio impeccabile della forma nello spazio, sia per la determinazione elegante, raffi-nata di ogni particolare. È Luigi Trifoglio.Nello stesso campo di ricerca, ancora però con minori risultati stanno: Mafai eZiviero, il primo - notissimo per certi suoi fiori sospesi nel colore di sfondo - ha unamostra personale che non gli giova perché rivela come quella sua tenuità di colore,quel suo ridurre in superficie le cose non diano nel grande quadro gli stessi effettiche nel piccolo quadro; il secondo giovanissimo, ha ancora un ingenuo e semplicevocabolario di colore ma ne trae di già poesie limpide e piane. Come FrancoGentilizi, già intonato compositore.Cavalli e Capogrossi sono accoppiati e nella sala e nel giudizio del pubblico, perchéveramente essi arano la stessa terra con eguale aratro ma con diversa forza, piùCavalli, meno Capogrossi. Hanno toni chiarissimi – questo è l’anno del color sab-bia! - e un gusto speciale di accordare con nuovi ritmi le zone di colore con le figu-re nello spazio.Nella «Sposa» di Cavalli, la commozione intima e contenuta per l’atto che si com-pie, è tradotta assai bene dal concordato ritmo fra le zone di colore verticale e leforme fra il tono sommesso del colore e il gesto lento e sobrio. Tutta la scena ha lanobiltà di un rito.E sempre ancora nella pittura di tono, troviamo i più raffinati tecnici appartenentialla «Scuola di Parigi».Filippo de Pisis e Gino Severini- Hanno ambedue, due mostre personali e piace sentir parlare così Gino Severini:«Ogni possibilità umana per il pittore deve finire per risolversi nella pittura e nonal di fuori e contro di essa, altrimenti saremmo nel campo della illustrazione o dellaletteratura»; «la questione del mestiere si posa in modo imperativo e spesso, i pitto-ri, correndo dietro la linea, si dimenticano il colore e se trovano il colore perdono iltono senza contare gli errori di composizione».Parla così bene ed opera meglio nelle «nature morte» veramente eccezionali, più chenei ritratti per i quali forse non basta unicamente la tecnica.Anche De Pisis parla bene consigliando ai giovani l’osservazione del vero, attraversouna commozione sincera cioè lirica. E a lui basta infatti un bicchiere con pochi fiori eun po’ di colore marrone e bianco o una «Natura morta con ghiandaia» o una «Naturamorta col cappello di paglia» per creare piccoli poemi indimenticabili di colore.

127

Page 128: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Pittura decorativaNotissimo è Massimo Campigli e non ha bisogno di presentazione specialmentedopo il discusso affresco della Triennale di Milano, e però la sua pittura è sempresottoposta alla domanda: Che dice? Domanda solita quando il pittore si serve di unlinguaggio non bene intelligibile, o sgradevole, o frammentario. Vi sono qui, inun’ampia sala che si adorna di plastiche creazioni di Mario Tozzi, un po’ sgarbatenel colore, di un commento spiritoso a Carpaccio fatto da Levy Moses, di certe pit-turine un po’ disfatte e inconcludenti di Leonor Funi però delicatissime di toni - diopere di Renato Paresce, di Gabriel Mucchi e di Mario Sironi, vi sono tre grandiquadri ad olio. «Nozze», «Bagnanti», «Le spose dei marinai».Il quadro «Le spose dei marinai» è formato così: un piano unito di tenero color sab-bia e in questo cinque aggruppamenti coloristici: uno nel centro, formato da duedonne sotto l’ombrello, visto da retro, altri due a destra e a sinistra sul primo piano,altri si avanzano verso il fondo, procedendo dall’ultimo piano. C’è qualche tonoassai bello di colore. Le figure non hanno alcuna determinazione plastica – sono allimite opposto di quelle di Tozzi, poste là di fronte - sono pura superficie e nondescritta – niente particolari del volto, delle mani, dei capelli. Pure l’effettodell’«attesa» esiste, esiste un accordo di forme, ma tutto questo interessa poco, per-ché è veramente poco, è come un appunto di un quadro che deve poi essere medi-tato e svolto.Campigli, a capo delle maestranze ravennate del sesto secolo avrebbe certamentecreato capolavori perché il suo interesse è costantemente rivolto alla decorazionepiù che alla pura pittura, come Corrado Cagli, che nella bella sala della rotonda del-l’architetto Pietro Aschieri, ha 4 grandi quadri cioè una «Protasi e Tre cronache deltempo» e poi 12 tempere a cera nella sala di Carrà. Par fatto apposta: dinanzi ai piùplastici i meno plastici.Dai quadri di Cagli, il primo richiamo che si diparte è costituito da un colore sola-re assai piacevole e originale nel quale si trovano poi certi altri gruppi di verdi, digialli o altre tinte, armonizzati bene. I contorni delle cose sono definiti e le scenesono complesse: «I Sabaudiesi» i «Neofiti», la «Notte di S. Giovanni» ecc., ma perquanto si guardi ci si accorge di non essere interessati all’azione, come dinanzi a tar-sie raffinate o come dinanzi a certe ceramiche greche con rappresentazioni mitichenon comprensibili, le quali ci incantano, non per il contenuto che non riesce a chia-rirsi, ma solo per il rapporto delle stesure rosse sui neri e per il disegno impeccabile.Cagli resta per ora, mi pare, nel più originale campo decorativo, ma potrà di moltoprocedere perché molto ha già raggiunto.Pittura di colore, di volume e di spazio.Volendo ora passare ad altro gruppo – ed è assai ricco, il più ricco anzi – di quei pit-

128

Page 129: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

tori che si interessano non solo a ricerche di colore e di composizione, ma alla rap-presentazione totalitaria della natura che ha colore e forma, e spazio, ed ha il defi-nito accanto all’indefinito, ed ha l’azione e il riposo, la gioia e il dolore, ci s’imbat-te subito, procedendo per ordine di giovinezza in un pittore oggi assai discusso.Gisberto Ceracchini, nato nella provincia di Arezzo, contadino fino a 17 anni, poipittore. Non sapeva né leggere né scrivere ma ora ha imparato molto, anche a scri-vere bene. «Stimo la pittura oltre un fatto morale un’aspirazione religiosa anzi sacrae se dovessi dire tutto, mi piacerebbe dire che la pittura risolve in contemplazionel’architettura, la forma, la materia».Presenta 15 quadri con scene di contadini e di campi. A guardarli pare di vederloancora adoperare l’ascia e il legno per mettere su certe forme durissime comemarionette siciliane, con gesti bruschi e improvvisamente fermati. Le figure sonoannodate però, spesso, in magiche cadenze e col paesaggio, piallato e pulito e nel-l’atmosfera limpidissima e chiara vivono in accordo ma questo accordo però riescelirico solo nei piccoli quadri - nel «Pastore dormiente» ad esempio, in altri quadrigrandi, no. E, per il domani, c’è il pericolo che tutto diventi cifra.Quanto Ceracchini è aspriccio nel colore, tanto raffinato è nel colore AntonioBonghi che leviga tutte le figure e i paesaggi fino a ottenere effetti di marmo poli-cromo. I paesaggi di Toscana sono assai belli: la «Bagnante» è di un rigore neoclas-sico d’eccezione. Anche Virgilio Guidi ricerca «chiarezze plastiche» ed ha unamostra con 34 opere; anche Carlo Socrate definisce con diligenza la forma e GianniVagnetti anch’egli peregrino in Francia ed ora italianissimo nella sua pittura, ha un«Ritratto della fattoressa» in bianco, che è un’opera d’arte. Altri invece, pur definen-do assai bene la forma colore, non amano tale nitidezza di superfici restando forsepiù, nel campo della pittura di tono: Pietro Barillà e Colao.Già esperto in ogni campo di ricerca appare Enrico Paolucci genovese, a 34 anni,con opere nelle Gallerie di Roma, di Torino, di Genova, di Malta, di Mosca. Siguarda con perplessità il suo presente tanto maraviglia trovarlo così accorto, cosìsicuro e intelligente di tutte le golosità del pubblico, così equilibrato padrone di tuttii mezzi pittorici, nel paesaggio, nella figura e nella natura morta. Non fu così GinoBonichi (Scipione), il giovanissimo artista, scomparso dalla vita e dall’arte, presen-te in questa mostra con un gruppo di disegni magnifici e 22 quadri nei quali appa-re sempre una fantasia turbata, che trovava nel mondo forme, espressioni, rapporti,intimità spirituali, con acuta dolorosa quasi profetica penetrazione. Il suo mondo hatinte sanguigne, forme paurose e strane: è sempre Roma Vaticana vista con occhiallucinati. Nell’opera in cui il tormento si placa: «Il Ritratto della Madre» il giova-ne artista ha raggiunto la meta più alta. Per altri, la pittura è, invece, svago e dilet-to come ad esempio, per Arturo Dazzi e per Giorgio De Chirico.

129

Page 130: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Una sosta nella «limpida e dolce Versilia» trasformò lo scultore Dazzi in pittore. Neisuoi quadri appaiono certi pesci enormi, da pesca miracolosa, posti a catasta suampie spiagge, stillanti e freschi, certa frutta superba venuta dagli orti Esperidi, ebel colore e ricco e vario da far invidia a qualche fiammingo o a qualche napoleta-no, e poi d’un tratto, altre forme discese dal Paradiso illustrato da Dorè: fanciulledormienti in candidi veli su spiagge fiorite, colloqui di giovani donne nella luce del-l’alba; un azzurro, un incanto, un riposo, una dolcezza tutto buono per lui, scalpel-latore indomito e potente, ma che non aggiunge nulla all’arte nostra. E nullaaggiunge all’arte, la mostra personale di Giorgio De Chirico presente con tutto ilsuo teatrino di cavallucci e colonnine doriche, gladiatori e dioscuri con l’aggiunta diuna prima donna che dorme patetica sulla sabbia e di qualche ritratto degli avi. MaDe Chirico lo dichiara, è stato sempre attirato dal mestiere, ed il mestiere c’è, anco-ra, in larga misura.Valori immobiliSi può anche osservare che il grande quadro di Felice Carena «Meriggio Estivo»non abbia la stessa fluidità di colore dell’altro esposto alla Biennale e vi siano alcu-ni toni un po’ aspri, ma ciò non toglie nulla al valore di questo nostro unico indi-scusso artista che continua la più nobile tradizione dell’arte italiana. Qui tutto sorgedalla fantasia dell’artista, compatto e unito: colore e tono, forma e volume, spazio eatmosfera, tutto è natura ed arte. Anche il «Ritratto» dove il colore azzurro e il gial-lo si sbiancano al contorno, avvolgendo la figuretta in un alone di luce, mantieneferme le altissime qualità pittoriche e costruttive dell’artista.Sulle opere di Primo Conti – bella la «Maternità» - sui nudi soffici, luminosi, dora-ti di Romagnoli, su alcuni paesaggi di De Rocchi, incantevoli di trasparenza e ditono; sui quadri di Oscar Chiglia; sulle nature di Mario Broglio, di Siro Penagini;su una deliziosa figura di Orazio Orazi; sopra un Pierrot di Cesare Monti; sui fioridi Pasqua Rosa; su d’un ritratto di Nicola Fabbricatore e su altro di AlbertoCodigiani, il pubblico si ferma compiaciuto e quieto come dinanzi alle altre operedi Silvio Pucci e di Baccio M. Bacci, di Americo Bartoli.A Rosai, si può notare a difetto, quella immutabilità di tono azzurro scuro, ma apregio quella sua appassionata ricerca di tipi popolari e quel suo arguto spirito nelrappresentarli; a Carlo Carrà, che ha due paesaggi stupendi, vorremmo chiedererispettosamente perché mai si costringe ancora a tanta dolorosa rinunzia al colore ealla maggiore precisione della forma, rinunzia che era necessaria e coraggiosa quan-do si trattava di impostare e di risolvere il problema del volume nello spazio, pro-blema dimenticato assai dall’impressionismo decadente, ma che ora non è piùnecessario proprio in virtù della sua tenace e nobilissima opera.A Casorati invece che va sempre più disfacendo i volumi e ricercando tonalità di

130

Page 131: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

colore diverso, di cui poi si serve per le cose più disparate per la carne, come per ilcielo ad esempio, a Casorati si può dare il consenso o negarlo ma la sua arte è giànella storia. Così al quadro di Pietro Gaudenzi «Modelli ed Anticoli» - e ancheall’altro di Enrico Gaudenzi - si può domandare perché tanto d’untuoso e nericciosia alla superficie - dato che i Gaudenzi sono coloristi di prim’ordine.Altri pittori vi sono da notare, ed è bello vedere il giovane Casciaro rispettoso del-l’arte paterna – anche qui rappresenta e bene - ma inquieto di nuove ricerche; vede-re altri pittori interessanti con tanto impegno al ritratto – meglio ritratto che natu-ra morta! – come Nino Bertocchi, come Giorgio Settala, come Roberto Melli, comeGiannino Marchig e con tanto plenarismo al paesaggio – De Grada, Silvio Puccidi Cabras, Antonio Barrera – vedere altri affrontare quadri grandi di contenutosimbolico o illustrativo come «Le 3 semine» di Arnaldo Carpanetti di cui solo qual-che particolare è buono come «La raccolta del grano» di Montanari, duro e legno-so però nei corpi, e come «Ulisse» di Santagata, ottimamente costruito.Ci sono anche gli astrattisti, i futuristi, gli aeropittori ma i primi non interessanopiù, i secondi sono diventati ormai passatisti e i terzi che potrebbero continuare afare rivelazioni interessanti, appaiono questa volta nella stessa posizione conquista-ta a Venezia. Ricco d’invenzioni è il «Polittico Fascista» di Gerardo Dottori. Tra idisegni, le xilografie, le acquaforti, si trovano molte opere e belle e interessanti.Restano indimenticabili i disegni a punta d’argento di Alberto Gerardi, diafani,morbidi, assai eleganti, gli altri originalissimi e inquieti di Luig Spazzapan, gli altridi Alessandro Cervelloti, di Orfeo Tamburi, di Lea Colliva e le espertissime edargute acqueforti di Mino Rosi. Indimenticabile resta anche tutto il mondo evoca-to da Luigi Bartolini, incisore e poeta.

22 Febbraio 1935-LA II QUADRIENNALE D’ARTE: LA SCULTURA

Ripensavo guardando le molte opere di scultura esposte alla Quadriennale diRoma, a tutte le sottili e argute questioni poste da Leonardo per dimostrare l’infe-riorità della scultura rispetto alla pittura, eccelsa, per lui, su tutte le arti, anche sullapoesia e sulla musica.«Perché la scultura – dice Leonardo – in sé finisce, dimostrando all’occhio quel chequello è, e non dà alcuna ammirazione come la pittura che in piena superficie, perforza di scienza, dimostra la grandissima campagna, ed i lontani monti. E la pittu-ra crea da sé la luce e l’ombra, mentre la pittura la ricava in massima parte dallanatura, e la pittura abbraccia e restringe in sé tutte le cose possibili, cioè la distan-za, le nebbie, le piogge, i fiumi, i pesci, le stelle e questo la scultura non può farlo,

131

Page 132: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

neanco nel bassorilievo, perché la scultura manca della bellezza del colore, mancadella prospettiva dei colori, sicché conclude «la pittura è scienza, la scultura è artemeccanicissima».Pure Leonardo osservava, con molto acume, di quel numero maggiore di elementisi può giovare la pittura: «che egli ha dieci vari discorsi e cioè: luce, tenebre, colore,corpo, figura, sito, remozione, propinquinta, moto, e quiete, mentre lo scultore èsolo da considerare corpo, figura, sito, moto e quiete».Un campo assai limitato, scarsissimi mezzi, ha certamente la scultura, terribilmen-te legata alla realtà, e di tutto il reale al corpo umano, e di questo al volume.Eppure egli ha saputo popolare d’innumerevoli fantasmi le chiese romaniche e lechiese gotiche, decorare i serdab ed i palazzi, le ville e i cimiteri, ed esprimere sem-pre in ogni secolo, il mutato spirito, la mutata civiltà.Essa, la scultura, la meno astratta fra tutte le arti, la più scarsa di mezzi e di risor-se, la più povera ed umile, essa sola riesce a compiere cosa divina, a dare vita allamateria, la vita che genera il gesto e l’espressione.Tutta la storia della scultura in ogni luogo e tempo segue in eguale sviluppo: sicomincia dalla superficie, si perfeziona la spoglia, poi si passa al cuore della mate-ria. In Egitto, come in Grecia, come in Cina, come in Italia, il cammino della scul-tura è uniforme: trasformare l’inerte materia in una massa vitale, giungere a darel’illusione della sua funzione biologica. Più oltre è tutto il resto: il ritmo dei voluminello spazio, la grazia del gesto, la concordia tra la espressione ed il movimento.Quanto minore è il numero dei mezzi di cui essa scultura può servirsi, tanto siaccresce il pregio se perviene ad opera d’arte. Per giungervi la perfezione della tec-nica è indispensabile. La meccanica, come direbbe Leonardo, entra in grande misu-ra; quando si disperde la tecnica, la lotta contro la materia continuamente ingaggia-ta, riesce più acre e più lunga, quando si mantiene, può avere soluzioni improvviseed inopinate. Se la scultura ha mantenuto nei tempi moderni un posto più altorispetto alla pittura, ciò si deve al fatto che la tecnica è stata mantenuta anzi, è stataaccresciuta, mediante i molti studi sull’arte orientale e egizia o africana, sicchèanche quando il fatto creativo era più raro, restava sempre il raffinatissimo fattomeccanico indispensabile al primo.La scultura di oggi rispetto alla scultura del passato ha la superiorità d’una tecnicavariabilissima, ricca di tutte le risorse: le ricerche che nella pittura sono attuali, nellascultura sono già state compiute: per la creatività il cammino è già sgombro, e sonogià molti gli artisti che lo percorrono.Moltissime tecniche ha ereditato ed elaborato ad es. Marino Marini, tra i più gio-vani e i più ammirati scultori della Mostra; egli riesce a lavorare la cera, il gesso, ilmarmo, il bronzo, la pietra dura, con eguale disinvolta bravura, ascoltando di ogni

132

Page 133: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

materia la voce e ad essa ubbidendo; in alcuni gessi mantenendo l’esperienza reali-stica degli scultori egiziani della corte di re Amenophis, nella pietra, il modellatopotente della scultura romanica; nella cera il tocco lieve e appena modulato dei pla-sticatori meridionali. A volte egli si arresta ad opere di pura tecnica, ma a volte pro-cede più oltre ed allora afferma una parola propria, del tutto individuale.Altre molte esperienze mantiene Francesco Messina, giovane siciliano, già perve-nuto a notevole fama. «Trassi dagli antichi ardore ed insegnamento», egli scrive conmolta verità. E tra gli antichi, pare preferisca quegli scultori romani che vollero conpiù fedele rispetto aderire alla natura anche nei minimi particolari fisionomici, scal-pellando minutamente la superficie, cercando l’effetto dell’ombra, come nelle opereadrianee e nelle più tarde, come nel ritratto di Lucio Varo nel Museo Capitolino adesempio, al quale rimanda il suo «Giobbe». Altre volte sembra più immediato al suospirito il verismo analistico del tardo ottocento e per eccesso di descrizione non rie-sce a mantenere serrata la composizione; altre volte però avviene il passaggio dallascultura come opera di tecnica, alla scultura come opera d’arte, ed allora ogni ricor-do storico scompare, e troviamo che l’opera è tutta nuova, tutta aderente al nostrospirito, alla nostra sensibilità. Tale, ad es., ci sembra l’opera intitolata «Ragazzaincinta» tra le più belle della Mostra per una modellazione larga e sensibilissimanella parte dell’esile corpo già gonfio, come del grano quando tallisce, e nel voltofanciullo, sbigottito e dolorosamente perplesso.Una maggiore unità nella espressione artistica mi pare mantenga in tutta le sueopere Quirino Ruggeri, anch’egli giovane, che si presenta con un'altra mostra per-sonale. Egli ha una visione esclusivamente e rigidamente plastica della forma, e nonriesce ad interessarsi che del volume, riducendo al minimo ogni descrizione disuperficie, per timore di dispersioni come chi, volendo dire cose profonde e gravi,tema di usare l’immagine. E poiché le vesti e gli altri ornamenti sono pur necessa-ri, egli li trasforma in lamine aderentissime al volume e levigatissime, in modo danon distrarre con effetti decorativi. Ne risulta una monumentalità mobilissima edaustera mantenuta in ogni opera in eguale misura, una scultura naturale e viva senzache sia impressionistica, composta e rigorosa, senza che sia neoclassica. La sua tec-nica è personalissima, è come il tono di una voce, la consuetudine di un gesto.Qualità siffatte di originalità espressiva si ritrovano anche nelle opere di VenanzioCrocetti, artista che già alla biennale alimentò speranze e consensi e che qui con-ferma le prime e i secondi. Un modellato a larghe zone superficialmente inerte, mainvece percorse nel sotto piano da una vitalità, una costruzione semplicissima divolumi ed una descrizione ugualmente semplice di superficie, presentano tutte leopere del Crocetti: «Fabiola, il Dormiente, il Pescatorello, la Gravida», creatureaffratellate per un senso di vita assorta e sbigottita. La Gravida ha la maestà e l’im-

133

Page 134: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

penetrabilità del mistero di natura; richiama alla mente le terracotte votive del tem-pio di Demetra, Malophores a Selinunte.Come Venanzio Crocetti molti altri scultori hanno sentito le risorse della terracot-ta: Vignoli Farpi per «Un guidatore di sulki» audace slancio di volumi nello spazio;Andrea Spadini per una «Testa di Bimbo», ancora un po’ debole, ma già interessan-te, come gli altri due bronzi: Italo Criselli per due opere: «L’ora meridiana el’Annunciazione» nelle quali si alternano acerbità di arte primitiva con raffinatezzeimpressionistiche; Attilio Terresini Giovanni Prini, tra i più affermati scultori.Nella terracotta ha lavorato per quasi tutte le sue opere Giovanni Romagnoli, faen-tino, sui quaranta che può ricordare ora con compiacimento, di essere stato boccia-to nel 1911 all’Accademia di Belle Arti di Bologna, di avere patito anni duri e tri-sti. La mostra personale del Romagnoli è tra le più ricche, composta come è, di 38opere fra pitture e sculture. Come la sua pittura riesce piacevolissima per colore, perspontaneità, per eleganza e sembra una propaggine della pittura veneziana, cosìanche la scultura di un impressionismo delicatissimo, riesce quanto mai gradevole,così armonicamente architettata, così nobile ed ispirata.Non eguale consenso ha invece l’opera di Arturo Martini, quanto mai discussa ecommentata con frasi spiritose e mordaci. Molte ne ha raccolte «Ippolito Nievo»,chiuso in un immenso loculo, ora compiuto per questa triste fine, ora paragonatoad un immenso pollo arrosto, altre ne ha raccolto la «Giovinetta nella tomba» para-gonata all’ultima anguilla in boatta: frasi queste che possono se mai riguardare l’in-ventività dell’artista ma non riguardano il fatto dell’arte. Questo vi è ed è incontro-vertibile più nelle altre opere: nel «Sonno» dove è mantenuta la commozione del-l’artista per il bel corpo e grande, colmo di ricchezze vitali, placato dal dolcissimosonno, e dove una gradinatura espertissima di superficie richiamando ed irradian-do la luce, genera delicatissimi effetti pittorici: nei «Leoni» scultura non facile, noncomune, non ignobile, che quei leoni non somigliano per nulla a quelli da baraccadel periodo umbertino, né sono ispirati dai marmi romanici dove la forza è inpotenza, ma non in atto, ma sono leoni passanti in modo pauroso e lento che si con-tinua nello spazio, e sono gravi famelici, inesorabili. Nessuno che io sappia, ha maiscolpito leoni con tanta bellezza.Una sola opera presenta Antonio Maraini ed è opera nobilissima: è una targa dibronzo per i caduti Fascisti in Santa Croce, intitolata «Presente» in cui troviamoriconferma le sue impeccabili doti di classico ritmo, di nobiltà formale; un’altra nepresenta Romano Romanelli: Ercole ed il Leone, gruppo di bronzo, di perfetta tec-nica, che però non aggiunge nulla alla grande fama dell’artista più originalmenterappresentato dalle opere esposte alla Biennale.Ma è naturale, nel rapido susseguirsi di queste Mostre, trovare nell’attività creativa

134

Page 135: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

degli artisti arrestamenti ed incertezze, trovare che alcuni scultori danno meno del-l’attesa come Guido Galletti che presenta oltre ad una «Testa di Bimbo» un«Prometeo liberato» interessante per l’equilibrio dei volumi, e che altri danno piùdell’attesa, come Napoleone Martinuzzi di cui una «Testa di donna» in pietra,gareggia in quanto ad energica modellazione ai più bei ritratti egizi in granito; edaltri che mantengono immutato il loro valore, come Sirio Tofanari, di cui una«famiglia» composta di uno scimmiotto, di una scimmia, di uno scimmioncino riu-niti tutti in un dolcissimo amplesso, resta come una pagina gustosissima sulla vitadi questi animali; e come Antonio Corsi di cui un «Antilope» elegantissima, siafferma nel campo della scultura decorativa.Restano poi, isolate nella memoria, molte opere e prima fra tutte la bellissima«Adolescente» di Arturo Dazzi, modellata in cera; i rilievi rappresentanti la«Danza» e la «Tempesta» di Pericle Fazzini, con forme vitali, ma ancora non disci-plinate; le opere di Attilio Torresini; la «Donna accoccolata» di Filippo Tallone; labella «Laila» di Jenne Cavazzoni, l’«Orfeo» di Morozzi, l’«Auriga» di GaetanoAntoci, il «Duce» di Cleto Tomba, il «Pulcino» di Salvatore Cozzo, i «Rurali» diDomenico Ponzi, le opere di Franco Girelli.Molte opere sono disseminate nelle varie sale, e se in tutte appare quella serietà digusto e di ricerca mantenutasi viva nella scultura italiana, non in tutte può appari-re l’intuizione originale, la spiccata qualità di tecnica. Ma ad una conclusione si puòvenire oggi, come ieri alla Biennale e cioè che la scultura italiana mantiene nelmondo il suo primato di bellezza e di grazia.

28 Febbraio 1935 - ARTI ORIENTALI: LA SCULTURA E LA PITTURA CINESI

La conoscenza dell’arte cinese, già penetrata nel mondo artistico occidentale allafine del medioevo, ebbe larghissima diffusione, per via di quelle porcellane legge-rissime e preziose, di quei bronzi di animale fantastici, colmi di slancio vitale, diquelle sete variopinte, morbide al tatto e dolci di colore, di quelle lacche vivide esanguigne, che nel periodo Ts’ing (1644-1912) si diffusero per tutto il mondo. Epoiché appunto a diffonderne la conoscenza e a favorirne la imitazione sono statiquesti oggetti di arte decorativa, si è tratti a ritenere che tutta l’arte cinese sia statadominata da una finalità prevalentemente decorativa e fosse priva di ogni contenu-to religioso ed etico.Della pittura cinese ci piace il rendimento dello spazio, protagonista di ogni com-posizione, spazio infinito, in cui si disperdono animali e rocce e nebbie e formeumane, spazio che livella l’albero all’erba, la montagna al granello di polvere, l’uo-

135

Page 136: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

mo dall’insetto, spazio che spaura ed esalta; ci incantano i motivi tratti dalla prima-vera, fiori di prugno e di mandorlo, ciangallegre pigolanti fermi sul fusto, draghiscattanti nelle nuvole, figurine in riposo sul ciglio di un monte, cadute di acque, edesili bambù: ci meravigliano i colori accostati sempre con gusto perfetto. Della scul-tura, ci piacciono molto quei bronzi che rappresentano animali, animali che nonappartennero mai ad alcuna fauna, eppure naturali e vitali.Ma se da questa generica conoscenza si passa ad un più attento studio, si restameravigliati nel conoscere quale altissima funzione venne affidata alla pittura, qualiimmutabili leggi estetiche la dominarono, quale norma austera di vita fu imposta aipittori. E siamo molto grati ad Osvald Sirèn, che tale studio abbia fatto ed esposto,con tanta chiarezza e tanta novità offrendoci non soltanto una storia dell’arte cine-se, ma anche una visione dell’estetica cinese in modo da potere anche giudicare leopere secondo un punto di vista orientale, e secondo il giudizio degli stessi cinesi.(Osvald Sirèn, La scultura e la pittura cinesi. Istituto Italiano per il Medio edEstremo Oriente - Roma 1935).Il periodo di maggiore fioritura dell’arte cinese, fu il periodo di tempo occupatodalla dinastia Tang cioè dall’anno 620 all’anno 907, corrispondente al tempo in cuiin Italia e nelle altre regioni di Europa avveniva il conflitto tra i popoli barbarici ei latini, e l’arte ne subiva, in maggiore o minore misura le conseguenze.In questi secoli, che erano per la pittura occidentale di estrema decadenza, veniva-no invece ripresi e discussi in Cina i 6 principi della pittura che un grande e vene-rato critico d’arte aveva già nel V secolo stabilito e che rimasero sempre canoniimmutabili.Il primo e il più importante di questi principi era reso con due parole: ch’ìyu-n she-n’g-tung, che vanno presso a poco tradotte con risonanza dello spirito e movimen-to della vita. Gli altri principii che riguardano l’uso del pennello, la somiglianza,l’applicazione del colore, la composizione, lo studio dei modelli, sembravano, diecisecoli più tardi, facilmente apprendibili, ma il «ch’i yun» il primo principio dovevaessere innato nel pittore: «cresce nel silenzio dell’animo proprio inconsciamente einnato come un dono del cielo». Era la facoltà di comunicare lo spirito a tutte lecose, di renderle vive e vitali, partecipi dello spirito universale; non era frutto di tec-nica, non era dipendente dalla rassomiglianza della pittura colle cose ritratte, erauna qualità misteriosa per un attimo donata all’artista, forse proveniente dal cielo,forse dall’anima stessa dell’artista.Ma per rendersi degni di questo dono miracoloso era necessario lo studio, necessariala perfetta pratica, ma soprattutto necessaria la purificazione dell’anima dalle miserieterrene: «Se i pensieri mondani ronzano nella mente, e non ne sono del tutto levativia, si giungerà, malgrado la contemplazione quotidiana di monti e di valli e il conti-

136

Page 137: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

nuo copiare grandi pitture, a qualche cosa che appena si potrà distinguere dal lavorofaticoso dei verniciatori e dei muratori».Per questo, veniva elogiato un pittore che si costruiva un edificio elevato per farneil suo studio di pittura, ed essere anche materialmente staccato dalle cose monda-ne. E bisogna nutrire nel cuore bontà e gentilezza perché si possa cogliere i variaspetti del dolore e della gioia umana.Quando in modo siffatto, l’artista si rende degno, allora era anche possibile l’atti-mo di grazia, l’improvvisa luce. Ma quando essa appariva come un bagliore inatte-so l’artista doveva immediatamente rendere questo battito di vita. Allora occorre-vano le riserve della tecnica e quelle della macchia d’inchiostro sulla carta, era la piùdifficile ma la più istantanea, quella che registrava tutte le vibrazioni dello spirito.Allora ogni pennellata doveva essere definita e non era possibile più nessuna corre-zione. La pittura si formava dentro lo spirito; una volta colta sulla punta del pen-nello, non era possibile più alcun pentimento.Questa tecnica diventò norma di vita e, un poeta scriveva: la vita è una pittura d’in-chiostro, che deve essere seguita una volta e per sempre, senza esitazione, senza pro-cedimenti intellettuali, e nessuna correzione è permessa o possibile. Ogni pennella-ta rifatta una seconda volta si risolve in una macchia. Così è della vita. Non possia-mo mai ritrarre ciò che una volta abbiamo consegnato ai fatti; più ancora ciò cheuna volta è passato attraverso la nostra conoscenza, non può venire cancellato mai.I più grandi e celebrati pittori cinesi furono pittori di paesaggi, di fiori, di uccelli.Famoso fu, nel sec. XIII, un monaco: Mù- ch’i, pittore rimasto insuperato nel ren-dimento della profondità spaziale, della vita dei fiori e degli uccelli; famoso Chen-Iung, pittore di draghi sbucanti e scivolanti come folgori tra mobili nuvole, (Museodi Boston), Tzù-Wen, specialista nella pittura di rami di vite, Huang-Kuag, di pru-gni fioriti.Ma dipingere due aironi sulle rocce, e dipingere una passeretta sperduta nello spa-zio, e un ramo di prugno fiorito, questo esigeva nei pittori cinesi uno sforzo di con-centrazione eroica, non diverso da quello necessario a Leonardo per la testa di Cristodel Cenacolo. Era ritenuto indispensabile un completo annientamento dell’artistadalla natura, una penetrazione profonda nell’anima delle cose rappresentate. Di ungrande pittore di bambù, un critico cinese narrava: «Quando dipingeva bambù; egliaveva coscienza soltanto del bambù, e non di se stesso, quale uomo. Non solo perde-va la conoscenza della propria forma umana, ma col cuore dolente lasciava il propriocorpo e questo si trasformava in bambù di inesauribile freschezza».«Il vecchio pittore Huà-Hang, era amantissimo di prugni. Egli piantò un grandis-simo numero di questi alberi nel tempio solitario e allorché erano in fiore traspor-tava il suo giaciglio sotto gli alberi e si coricava là, a cantar poesie tutto il giorno.

137

Page 138: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Quando splendeva la luna non poteva dormire, ma guardava il giuoco delle ombrefelici e amabili sulla finestra imitandone la forma col pennello. Quando veniva ilmattino i suoi alberi erano colmi di pensieri della luce lunare». E un altro criticodice della sua pittura: «mi danno l’impressione di camminare in un mattino frescoin mezzo a sereni poderi. Solo l’odore manca».Anche nella scultura cinese il Sirèn dà notizie ed osservazioni di grande interessesoprattutto definendo limpidamente la differenza che passa tra la plastica occiden-tale e la plastica orientale la quale fu dominata da concetti simbolici e non diedealcun valore al naturalismo né all’idealismo delle forme, ma soltanto all’idea religio-sa da queste espresse. Gli esempi più interessanti di scultura religiosa sono nel SansiSettentrionale a Yung-ang, dove restano statue colossali di Buddha e di Borhisattvadi cui una raggiunse l’altezza di 15 metri. Il drappeggio appare scarsamente segna-to con la rigidità consueta nell’arcaismo; il volto appena animato da uno sbigottitosorriso.L’iconografia era immutata e immutabile, ma nei drappeggi, nelle decorazioni, loscultore poteva introdurre qualche lenta modifica. Allora anche la scultura cineseseguì la stessa evoluzione seguita dalle forme plastiche occidentali, passando da unmodellato di superficie sempre più approfondito ad un rendimento di espressionespirituale.Ma la scultura presto cedette alla pittura: i modelli già posti furono ripetuti adoltranza, specialmente per la scultura di animali. In questa gli artisti avevano rag-giunto una rara perfezione fin nel periodo arcaico riuscendo ad animarli di una scat-tante vitalità che l’arte occidentale non riuscì ad esprimere se non molto più tardi.Ma l’espressione più viva ed immediata e sincera dello spirito cinese più che nellaarchitettura e nella scultura fu nella poesia e nella pittura. E poesia e pittura furo-no intimamente legate.

7 Marzo 1935- LA II QUADRIENNALE D’ARTE: I SICILIANI

La sala ventitreesima della II Mostra Quadriennale Nazionale comprende soltantoopere di artisti siciliani; ma non di tutti. Di altri, le opere si trovano sparse qua e lànelle molte sale, specialmente al secondo piano. Pure senza che alcuno l’abbiaimposto, la sala ventitreesima è detta la sala dei «siciliani». E cominciano da qui gliequivoci.Che, se la parola «siciliani» vuole indicare artisti nati in Sicilia, allora dovrebbe esse-re estesa anche a quelli che svolgono la loro attività fuori di Sicilia, per esempio aFausto Pirandello e a Francesco Messina, due tra i più discussi e interessanti artisti

138

Page 139: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

della mostra, ambedue siciliani; se vuole indicare artisti egualmente orientati,dovrebbe limitarsi soltanto a due o tre pittori perché per il resto l’unità spiritualenon è assolutamente visibile.Di una scuola siciliana non si può parlare perché tutti gli artisti seguono isolatericerche chi in un campo chi in un altro; né l’uno si avvantaggia delle conquiste fattedall’altro, né si compiace di offrire al comune vantaggio la meta raggiunta.L’isolamento è stato del resto abitudine consueta agli artisti siciliani. Anche nell’ot-tocento, mentre in Italia si formavano tanti gruppi e scuole diverse, in Sicilia nonfu mai possibile una scuola, anzi un disorientamento generale, come se lo sforzo diunirsi alla madre patria, avesse determinato negli artisti il desiderio di uscire fuoridell’isola e di peregrinare anche spiritualmente per tutte le scuole pittoriche d’Italia.La conseguenza non è stata felice, perché le singole conquiste sono dimenticateassai più facilmente delle conquiste collettive, e perché una collettività di ricerchedisciplinata e concorde porta sempre a raggiungimenti più immediati e più concre-ti, senza che questo annulli la personalità degli artisti.Ora a guardare le opere dei maestri siciliani racchiuse nella sala ventitreesima, e lealtre sparse nelle molte sale, si ha vivo il disagio di questa dispersione di energie, diquesta mancanza di unità spirituale.Molti sono anche gli assenti e senza volere sindacare il giudizio della Commissionegiudicatrice, bisogna pur dire che qualche dimenticanza e qualche rifiuto sono dan-nosi e non meritati. Citiamo il caso di Archimede Campini e Filippo Sgarlata. Néalla Biennale, né in questa Quadriennale abbiamo visto opere di Campini, di que-sto nostro mobilissimo, serio e severo scultore che sino a pochi anni or sono gareg-giò e degnamente con Libero Andreotti per il monumento alla Madre Italiana inS. Croce (e la bella opera è rimasta nello studio mentre avrebbe dovuto e potutoornare il nostro Pantheon); e non sappiamo di questa assenza spiegarci la causa; nésappiamo spiegarci l’esclusione di Filippo Sgarlata che suscitò a Venezia molti con-sensi e lodi per un gruppo di ottime medaglie proprio da questa mostra in cui l’ar-te della medaglia è così miseramente rappresentata.La sala 23ªNella sala 23ª ci accolgono, con garbato sorriso, le «Sorelle» di Benedetto Delisi duedonne ignude sedute in posa complicata, ma armoniosa. Classico non per volontàma per istinto, Benedetto De Lisi mostra in questa opera come in altre della suaproduzione che è sempre attiva, un gusto perfetto nel sistemare i volumi dentro lospazio in un accordo piacevolissimo nella sua calma armonia. Certo non c’è caloredi vita nei bei corpi, non c’è possibilità di moto in queste forme placide e mansue-te, incantate, cristallizzate quasi, per opera di una terribile Medusa. Meglio sareb-be stato per esprimere questa pura armonia di volumi, il candido marmo che De

139

Page 140: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Lisi lavora con tanta accorta sapienza, ma che spesso abbandona per materie cheegli non gode con altrettanta sincerità. Presso le «Sorelle» di Benedetto Delisi indo-lentemente sdraiata sta «L’infedele» di M. Lazzaro nell’atto di togliersi l’anello daldito. Indimenticabile l’ha detta Odetti, ma bisogna pur dire perché. Per quellamodellatura ferma, saldissima sotto i veli impressionisticamente segnati per il ren-dimento della compatta carnosa sostanza del corpo indifferente ed inerte, indimen-ticabile essa è, ma non per quel suo volto dove gli elementi fisionomici trattati colminimo del modellato non concentrano, ma disperdono l’impressione di vita sug-gerita dal corpo.Molto si può temere per Lazzaro, che egli ritenga indispensabile per mantenere lasua personalità – che invece inconfondibile – di non rinunciare ad un certo suorepertorio di labbra incollate, di occhi cisposetti, di epidermide untuosa e sudicet-ta, che egli si è formato e al quale a quanto pare, non vuole rinunziare neanche nellepitture. E non si intende perché dei corpi siano studiati la materia, il moto e l’ada-giarsi nello spazio, ed anche il loro assorbire di luce, e non i volti, che restano ine-spressivi ed inefficaci. Di volontaria deformazione della realtà non credo si debbapiù parlare oggi. E allora?Lazzaro e Delisi sono ai due estremi. Se un poco di calore dai potenti corpi diLazzaro riuscisse a trasfondersi alle nordiche statue di Delisi, e se molta eleganzadelle opere del Delisi passasse a quelle di Lazzaro, non vi sarebbe un comune van-taggio? Tra l’opera di De Lisi e l’opera di Lazzaro vi è un «Bassotto» ed una grande«Veduta» di Giovanni Niccolini, opere scolastiche di scarso interesse.Le pitture esposte in questa sala ventitreesima non sono molte. Di ManlioGiarrizzo vi sono quattro opere: «Pomeriggio a S. Nicola», «Donne al balcone», «Ingiardino», «Lavandaie delle Eolie». Il più interessante fra tutti è il quadro«Pomeriggio a S. Nicola» dove i problemi di costruzione, di composizione, e di sin-tetismo tra forma e colore, sono risolti con maggiore sapienza di come non appari-vano risolti nel grande quadro rappresentante «Il Duce a Littoria» esposto allaBiennale. Qualche elemento negativo si trova nel colore, in un che di falso e nellospazio che non si gode e nell’aria che non si respira. Si capovolgono i pregi e i difet-ti nell’altro quadro «Lavandaie delle Eolie» dove le modulazioni coloristiche sonoin contrasto con la volgarità dei tipi e con il brusco comporsi dei gesti; si equilibra-no nel quadro «Donne al balcone» delicato, arioso, armonioso, meno intellettuali-sticamente curato dall’artista e forse per questo più spontaneo e vivo. ManlioGiarrizzo, progredisce sempre in una ricerca tenace e intelligente; se un augurio eun consiglio c’è da fare, è che egli ponga da parte la volontà e sia più immediato,più disinvolto, più commosso nel rendimento della realtà.

140

Page 141: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

E forse questo improvviso abbandonarsi ad un ben celato ma esistente lirismo dellapropria anima ha suggerito al battagliero Pippo Rizzo una voce nuova in un picco-lo quadro: «Ricordo di Venezia» ammirato dai critici e dal pubblico.È un quadro fatto di nulla: una colombella bianca e una nera in idillio sopra unabalaustrata e in fondo, nell’indistinto colore della laguna, morbidissimo e fuso, l’iso-la di Torcello, pochi toni più cupi sulla diffusa tonalità di base. Ma il complesso èarmonioso, lirico, piacevolissimo. Nell’altro quadro «Il risveglio dell’Etna» la preoc-cupazione intellettualistica di rendere la scena, sacra e paurosa insieme, si risolve inuno smorzar di colore forse eccessivo, in una rigidità soverchia di linee, in un ritmoforse monotono, sicché l’opera non risulta convincente e persuasiva come l’altra.Ma Pippo Rizzo ha il grande dono di una ricchezza inesauribile di energie; può darcida un momento all’altro l’insignificante e l’interessante, il bello e il brutto; inquietosempre e sempre inappagato batte tutti i sentieri e quando si è posato un po’ estati-co a guardare la divina laguna veneta trova una voce calda e appassionata. Questaesperienza gli può giovare. Resta invece in un mondo un po’ ironico ed amaroAlberto Bevilacqua di cui una «Sartoria per signora» con un solo manichino rivesti-to di un raffinato tessuto cromatico in azzurro e in grigio, o un altro quadro «I mari-nai» e un altro «Donne tunisine» come i «Calciatori» e i «Pugilatori» riconfermanole sue qualità di colorista e di plastico che ci auguriamo tra poco vedere notevolmen-te arricchite. Anche il pittore Leo Castro nel quadro «All’aperto» mostra di sentirecome moltissimi altri artisti moderni l’interesse alla varietà tonale del colore e per-viene, nella campagna e nelle vesti delle donne, ad una delicata e armoniosa fusionedi tinte. Nel quadro di simile soggetto di Alfonso Amorelli vi è invece una osserva-zione prevalentemente psicologica dei vari tipi, resa più col disegno che col colore.La sua straordinaria facilità a cogliere in pochi tratti di penna il caratteristico dellescene e dei personaggi gli toglie oggi il gusto di meditare, di approfondire la realtànei suoi elementi più esclusivamente pittorici.Dei giovanissimi si trovano in questa sala tre disegni appartenenti a Lia PasqualinoNoto e un quadro «Tre donne» di Renato Guttuso e una «Plaia» di Antonino Villanimediocre. I disegni dicono più di quanto sappiamo, su questa giovane pittrice.Sappiamo che la pittura di Lia Pasqualino ha il suo grande pregio in un disegnoimpeccabile da fare invidia al più rigido artista neo classico, e un difetto in una altret-tanta gelidità neo classica di colore. Ora questi disegni sono come un gesto di prote-sta contro il suo stesso rigore elegantissimo di disegno; sono rapide linee buttate in unpredominante verticalismo parallelo in modo da suggerire più che determinare lefigure. Come una reazione, un rinnegamento a quella concisione lineare che le erapropria. Dove la porterà questa attuale inquietudine? Confesso di avere guardato conmolta perplessità questi disegni nel timore che ella disperda per amore del nuovo le

141

Page 142: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

buone qualità già conquistate, prima di unirle a quelle doti di colore che ameremmoacquistasse prestissimo. Molti incoraggiamenti e simpatie ha ricevuto RenatoGuttuso per il suo quadro dove tre donne, sono disposte nello spazio in una origina-le architettura e in una aspriccia ma simpatica composizione cromatica.Ma c’è pericolo che per queste lodi e per questo consenso dovuti anche molto allasua giovanile età, egli continui a dare alle sue donne quei corpi di legno e a tutti iquadri un interesse limitato più ad una semplice ricerca, che a una attuazione?Vedremo alla prossima regionale.Nelle altre sale Fuori dalla sala ventitreesima, abbiamo ricercato subito con commosso cuore, le xilo-grafie di Salvatore Cottone. Egli aveva recentemente visto a Venezia alcune belle xilo-grafie russe e si era mostrato entusiasta di questi accorgimenti di tecnica che le ren-dono così suggestive. Frutto di quest’entusiasmo e di un grande studio sono questedue xilografie che egli preparò per la quadriennale, ultima delle sue opere. Le zonecandide traversate da linee scure e le zone nere percorse da linee chiare si alternanocon tale accorta vicenda da formare un tessuto di velluto bianco e nero di grande bel-lezza, di cui si ammantano le figure in «Riposo» e le «Maschere». Ma l’elogio per aversaputo in così breve tempo gareggiare e superare i modelli preposti, oggi non raggiun-ge che una tomba.Si farà alla prossima regionale una mostra retrospettiva della xilografia e delle scul-ture di Salvatore Cottone? Lo chiediamo al segretario del Sindacato.Una xilografia ha anche presentato Salvatore D’Amore «L’attesa» e un olio «Pescatorisiciliani» ; l’uno e l’altro parlano di serietà e di studio, linguaggio comune anche al qua-dro di Elio Romano «Due bambine di campagna» dipinto con serietà e con garbo. Piùche le tre monostampe avremmo desiderato vedere di Antonio Guarini qualche qua-dro. Le monostampe sono intitolate «Casolare» , «Il forno», «La modella». Le variecose della realtà sono disciolte in una fluidità massima di colore con alcuni toni di vio-laceo originali e gradevolissimi.Nella sala XXXIX troviamo i quadri di Trombadori. Tutta la sala pare prenda luceda quella sua «Fanciulla nuda» di cui il bel corpo è modellato con amore di perfettoscultore, mentre il quadro di paesaggio posto a sfondo e dipinto in due toni di verdemostra, anzi vanta, la sua esperienza pittorica accanto a quella plastica. FrancescoTrombadori lavora da parecchi anni fuori di Sicilia e con onore, ma nella Galleria diPalermo non vi è ancora un suo quadro.In tema di acquistiMa quali acquisti ha fatto la Galleria Municipale di Palermo alla Biennale diVenezia? Nessuno. Quale acquisto si propone di fare alla quadriennale di Roma?Mentre tutte le Gallerie Municipali mandano commissioni per la scelta, che è par-

142

Page 143: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

tito da Palermo per assicurare un buon acquisto alla Galleria? Avviene che al nostrodisinteresse di acquistare le opere dei pittori e degli scultori siciliani che degnamen-te figurano alle Mostre internazionali corrisponde il disinteresse da parte delle altreGallerie. E allora quale sarà la ricompensa spirituale e pratica di chi fra i nostri arti-sti ha lavorato, ha lottato e ha vinto?Altri scultori Resta ancora da dire di altre opere di scultura. Una piccola «Maternità» di EnzoAssenza che abbiamo faticosamente ricercato nel desiderio di conoscere questo gio-vane scultore su cui tante speranze sono state recentemente poste, ci ha un po’ delu-so perché minuta, fragile, scolastica ancora; una opera in cera: «La pazza» diPeppino Mazzulla è ha un modellato troppo superficiale ma un approfondito inte-resse umanitario la «Bambina dormiente» di Antonio Bonfiglio opera in cui la testainteressa subito e commuove perché di perfetta fattura e vi è il rendimento natura-listico del sonno greve dell’infanzia ed è così colma di vita che il resto del corpo,meno studiato in molti particolari, sembra gelido e morto. Ultima, non di menoperò, è l’opera in bronzo di Tommaso Bartolino «Primo giorno di Sabaudia» tuttapervasa di quattrocentesca grazia.Conclusioni e speranze Ove si guardino queste poche opere dei maestri siciliani accanto alle altre espostealla Quadriennale per stabilire nel confronto una graduatoria di valori si deve subi-to giungere alla onesta conclusione che essi non sono gli ultimi e che ciascuno diloro trova molti eguali compagni nel campo della ricerca intrapresa e che tenendoconto della particolare situazione in cui vivono questi nostri giovani artisti, il risul-tato delle loro fatiche è assai più ricco di quanto potrebbe razionalmente essere. Enon bisogna dimenticare, ripeto, che tra gli assenti vi sono artisti degnissimi i qualiavrebbero potuto sostenere ed elevare il tono generale della mostra dei «Siciliani».Potremo vederli tutti riuniti giovani e adulti in concorde e serrata schiera alla pros-sima regionale?E potremo veder qualche opera di artista siciliano alla prossima internazionale diParigi e nell’altra di Bruxelles?O saremo dimenticati, come lo furono i nostri ottocentisti alla mostra internazio-nale dell’ottocento e i nostri settecentisti alla mostra internazionale del settecento?

14 Marzo 1935- INTRODUZIONE ALLO STUDIO DELL’ARCHEOLOGIA

Tra le discipline cui il fascismo ha conferito un aumento notevolissimo di valore ècertamente l’archeologia chiamata a collaborare alle questioni spirituali più nobili

143

Page 144: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

ed alte: all’indagine attuale e vitale sulle origini e gli sviluppi della razza italica, sullaoriginalità dell’arte romana e della diffusione del mondo e della sua persistenza neltempo chiamata ad offrire i documenti più irrefutabili sulla civiltà nostra, non pertrarne indolenti compiacimenti, ma per dedurne sentimento di orgoglio e volontàdi superamento. Era prima una disciplina di privilegio e di geloso amore per pochi,disciplina che si dibatteva tra due metodi assurdi di cui l’uno, era terribilmente lega-to al materialistico, al pratico, al «coccio», misurato per il lungo e per il largo descrit-to con particolarismo inutile, monotono, insistente che serviva solo a riempire certivolumi che ad averli una sola volta tra le mani si giura di non riprenderli mai più,tranne il caso di indispensabile bisogno come i sacchi di ossigeno ad esempio, e l’al-tro invece che, staccandosi dal «coccio» e prendendo le mosse da una copia di sta-tua, da una pittura da una ceramica e da una frase innocente detta da un Luciano oda un Pausania, via via passando dall’una copia all’altra, e poi arzigogolando e dedu-cendo riusciva a metter su, senza avere una sola opera originale, personalità di arti-sti, a determinarne l’opera, i caratteri estetici, le deduzioni e le influenze con quel-la sincera credenza e quel convinto accenno che hanno ancora i contastorie popo-lari, nel parlare di Astolfo e Ferrau. Ora, un eccesso di metodologia che non perve-nendo mai ad una sintesi non informava il pubblico del risultato di uno scavo, eraun metodo così astratto, così arbitrario che finiva col falsificare la storia dell’arteproprio in virtù di quella fedeltà storica che si voleva in larga misura attuare.Comunque, l’archeologia fino a pochi lustri or sono, era assai vecchietta, ossuta e nodo-sa, scontrosa alle folle, e per strapparle un sorriso bisognava chiamarla «fraubein».Ora invece eccola a cantar giovinezza, a far da padrona su architetti ed impresari,eccola con le sue scoperte a valorizzare e ad abbellire città e campagne, ecco sem-pre, sui films e sui giornali, esposto il chiaro risultato di ogni scavo intrapreso e neilibri dei dotti ecco apparire un amore all’esame critico estetico fondato sulle operee non sulle copie o una tendenza alla sintesi geniale italiana in cambio dell’analisisonnolenta germanica.Anche l’iniziazione a quello studio, era assai grave. Al Liceo non si parlava di artegreca e di arte romana; si parlava sì, della tripodia catalettica in sillaba, ma non deltempio; della tartaruga sulla testa di Eschilo ma non del Partenone; molto si ripetevail famoso verso di Orazio «Grecia capta ecc» ma non si diceva delle terme, dei teatri,degli acquedotti, dei palazzi, delle ville, degli archi trionfali, delle navi romane.L’insegnamento di storia dell’arte non c’era nei Licei, con quella minima prepara-zione allo studio dell’archeologia che essa offre. Sicché a penetrare all’Università ead assistere ad una prima lezione di archeologia, pareva di passeggiare alle undiciall’Hide-Park a Londra quando indiani e cinesi espongono le ultime novità delleloro meditazioni su fatti completamente sconosciuti al pubblico.

144

Page 145: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Ora ecco qui, un libro di iniziazione allo studio dell’archeologia così completo, cosìsemplice e chiaro che a leggerlo non ci si libera subito né da una sottile invidia pergli studenti universitari di oggi che con tanta facilità possono trovare quello che noidovevamo chiedere a molti libri, né ci si libera dalla tentazione di proporlo anche aiLicei e agli Istituti d’arte (solo che fosse corredato da scelto materiale fotografico)così grande è la difficoltà di trovare per i giovani studiosi di arte un libro dove sianoriunite tante utili notizie e indispensabili per l’orientamento nel mondo antico.È un libro di Biagio Pace «Introduzione allo studio dell’archeologia» (NapoliRiccardo Ricciardi editore. L 18) «un libretto di poche e assai modeste pretese, natonella scuola» come dice semplicemente l’autore. Ricco di pregi però, e il pregio piùgrande non è nella chiara raccolta degli elementi necessari alla conoscenza della sto-ria dell’archeologia classica «dei periodi e delle sue fasi», «della classe e della tecni-ca dei monumenti», della chiara organicità in cui il vasto materiale è diviso di queipregi insomma indispensabili in un libro di sintesi, ma il pregio vero è nell’esseretutto pervaso da una chiara luce di italianità che permeando tutte le complesse que-stioni, illumina l’apporto italiano a ciascuno di esse, il contributo italiano a tutti gliscavi, a tutti gli studi, additando sempre scientificamente, ma italianamente il par-tito migliore per le varie soluzioni.Nel libro appaiono ricordati nomi di scienziati italiani assai spesso sconosciuti edimenticati; appaiono rimessi al giusto foco di obiettivo molti oggetti che ne eranostati spostati.Ma vi sono altre questioni più delicate in cui piace rilevare l’atteggiamento dell’au-tore e ricordare che esso non era diverso quando nella Università italiana dominavalo spirito germanico e si assisteva alla costante mortificazione della nostra genialitàlatina. Se oggi Pace dichiara con molta risolutezza che «il concetto di ritenere l’artee la civiltà romana come un capitolo di quella ellenica va rifiutato», non fa maravi-glia ascoltarlo, perché questa è oggi opinione comune, ma fa piacere ricordare chequeste parole erano animosamente dette nell’aula universitaria parecchi anni or sono,quando pochissimi altri le dicevano; anche in altro campo, se egli oggi, dopo quan-to si è scritto recentemente a proposito dell’indipendenza della pittura romana dallapittura ellenistica, determina con tanta cautela il valore da attribuire alle copie, biso-gna pure ricordare che in altri tempi identica fu la sua opinione quando segnalava ipericoli di una esegesi estetica basata sulle copie, pur notando gli opportuni vantag-gi da trarre dal metodo di raffronto. Certamente su tale argomento di vitale impor-tanza per la conoscenza dell’arte greca e romana si possano avere oggi idee più chia-re sia perchè altri li hanno maturati, sia perchè il nuovo imperativo della critica este-tica di ricercare valori unicamente negli elementi di pura visibilità, affinando lanostra sensibilità, ci ha reso completamente indifferenti alle copie.

145

Page 146: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Interessa molto notare nel libro di Biagio Pace il grande valore conferito all’artebizantina custode e continuatrice dell’arte classica e quanti elementi egli sappia trar-re dalla sua approfondita conoscenza di tale arte per il chiarimento di alcune delica-te questioni di attribuzionismo. Giova moltissimo al Pace la sua vivacità di spirito, ilsuo interesse spostabile dal mondo antico al mondo moderno, la sua sensibilità sol-lecita e pronta a vedere il fatto dell’arte che è del resto uno ed universale e deve esse-re considerato con una sola ed uguale legge, alla chiarezza di una stessa luce.Il libro è veramente pregevole, organico e limpido; gradevole nella lettura quantopossono permetterlo i vari argomenti trattati, utilissimo agli studiosi e non agli stu-diosi soltanto. Ma è, soprattutto, il libro di un archeologo italiano.

20 Marzo 1935 - MOSTRA D’ARTE FUTURISTA. AEROPITTURA

L’aeropittura non è l’arbitraria novità lanciata dalla smaniosa mente di pochi futu-risti; non è reazione colma di violenza, non è invenzione isolata, avulsa dalla tradi-zione; ma essa è veramente la fatale evoluzione di un lunghissimo ciclo di esperien-ze è la rapida giornata di marcia in un cammino da tempo intrapreso.Aeropittura è pittura di aria, cioè di spazio, cioè di infinito, cioè di cielo, è pitturadi colore e del colore più fluido e più musicalmente graduato e più disciolto e libe-ro dalla forma; è pittura di audace prospettiva e di audacissimi scorci. Ma è anchepittura lirica volendo esprimere la gioia, l’ebbrezza, la paura dell’uomo che traversavelocemente lo spazio infinito che scivola fra le nubi che respira l’azzurro. Dedaloha offerto le ali alle Muse. Come canteranno le belle Pleiadi lontane dalle nevosecime dell’Olimpo sospese nello spazio infinito?Sviluppi alla tradizioneSi pensa e si può facilmente dimostrare come l’aeropittura apporti alla tradizioneun magnifico e impensato sviluppo.La pittura antica non ebbe la visione intellettiva dello spazio; incerto che la abbia avutala pittura greca ma dovremmo negarlo a guardare le ceramiche dove le forme appaio-no inconsistenti e lievi, mere parvenze di sogno, improvvisamente rapprese sulle ade-scanti superfici nel loro struggente cammino; è incerto fino a qual punto si sia spintal’intuizione che ne ebbero i Romani, di tutto miracolosamente intuitivi. Ma certo è chedopo i Romani, nessuno seppe maturare la loro iniziata conquista e non fu visto nellapittura rendimento alcuno di spazio né di paesaggio né di volume che anzi la pitturabizantina, tenace dominatrice tenne per sette secoli incollati sulla lamina d’oro, d’orogravati, d’oro circonfusi, senza spazio senza aria senza luce, uomini e santi mentre l’orodell’Impero Romano crollato, serviva a fare collare da mastini per i barbari re.

146

Page 147: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Solo il pittore del Rinascimento italiano pervenne alla scoperta del mondo spazia-le e fu felice trepidante commosso quando sulla piccola tela poté rappresentare ilgraduare delle collinette lontane sul pallido cielo. Vide dapprima lo spazio comesemplice distanza fra se e l’orizzonte, poi vide e rese anche lo spazio che circonda esovrasta. E per due secoli di ricerche e di studi, di tentativi e di lotte, si giunse aidue grandi divinizzatori dello spazio a Piero della Francesca, a Raffaello. Ed eccodopo un secolo di sosta nella conquista spaziale ma di progresso nella conquistadinamica, giungere alla futuristica impresa di un Domenico Tiepolo, che slancia frale nuvole voli di angioli e sposta il consueto punto di vista, ponendosi in basso sullaterra ma guardando in alto nel cielo, come Mantegna e Correggio avevano insegna-to. Si pensi accanto a Paolo Uccello la pittura di Domenico Tiepolo.Giunti a questo punto nello sviluppo del rendimento spaziale non restava che l’ultimagrande marcia. Il capovolgimento dell’oggetto rispetto al soggetto: non più l’artista lega-to alla terra che tutto vede e intuisce e misura e percepisce soltanto intorno a se e sopradi se, ma l’artista trasportato nei cieli, circonfuso di spazio che vede dall’alto nuvole enebbie, montagne e laghi tracciare un meraviglioso arabesco sulla crosta terrestre. Lasensazione ordinata e disciplinata che egli aveva sulla terra diventano esotiche, pazze-sche: la terra è il fondo di un abisso, il fondo di un immane pozzo sul cui orlo gira vor-ticosamente e nel fondo castelli e campanili, mausolei, colossei, chiese, azzurri verdi gial-li, come frammenti cartacei sul fondo di un caleidoscopio si uniscono e si sovrappongo-no e si separano creando e distruggendo subito l’immagine disciolta appena colta. Comepuò l’uomo divenuto conquistatore di questo nuovo mondo rinunziare alla tentazionedi fermare sulla tela un attimo solo, il più bello di questa realtà che sembra paradossaleed è invece vera, più vere di tutte il cosiddetto vero dell’ottocento.Si prevedono subito le accuse. La prima e la più costante è che i futuristi nell’aero-pittura come nell’arte sacra manifestano certamente una ricchissima inventività maessi compongono e scompongono gli elementi della realtà in modo così complica-to e con un simbolismo così intellettualistico, da non riuscire a destare risonanze dicomprensione nel pubblico il quale resta a guardare dinanzi ai quadri mortificato edeluso come dinanzi ad una lettera in arabo o in cinese che pur vorrebbe e amereb-be decifrare. In questo caso l’unico interesse del quadro resta nel colore che può,infatti, avere un altissimo valore – come lo hanno per indicibili e deliziose novità ditono i quadri di Benedetta – ma non sempre lo ha; allora si resta esclusi dalla com-prensione e quindi dalla possibilità di giudizio.Marinetti risponderebbe chiedendo quanti anni i nostri giovani studiano la DivinaCommedia e quanti commenti sono necessari per la interpretazione di quel poema;quanto si studi la simbologia cristiana, quanto la simbologia romanica e come sianecessario quindi sempre uno sforzo intellettivo per comprendere l’arte.

147

Page 148: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

E si dirà, ancora, che il dominio del cielo è riservato ad una minima parte degliuomini e che le esperienze sensibili che alimentano la fantasia pittorica dell’aereo-pittore non sono ancora universali. Marinetti risponderebbe: volate, alimentate diazzurro la vostra fantasia, e comprenderete l’azzurro.E si può ancora dire che mutare fisicamente il punto di vista cioè dipingere dalsopra in giù invece che dal sotto in giù per progresso di meccanica, questo non com-porta né di attribuire un grande valore come io ho fatto alla conquista spaziale,aerea, stratosferica – già fatta in oriente ma non in occidente – né ammettere chesolo per questo si possa creare un’opera d’arte. Non bastano esperienze tecniche,bisogna che alla tecnica si aggiunga sempre l’aspirazione così come non sarebberovalse le ricerche di prospettiva, di chiaroscuro di spazio di ferma colore ove non fos-sero giunti gli artisti di genio a trasformare la tecnica in arte a dare un valore uni-versale alle particolari conquiste.Ma sette anni di ricerca sono assai pochi quando si tratta di arte: ove si pensi comeabbisognarono di moltissimi secoli i pittori per creare la prospettiva di cui Giotto ePaolo Uccello si valsero e tanti anni perché si potesse passare dalla visione planime-trica della figura ad una visione volumetrica e poi ad una concezione centrica dellospazio e poi ad una concezione dinamica onde offrire il più perfetto linguaggio aMasaccio, a Raffaello, a Tiepolo. Sette anni di vita dell’aereopittura sono sette atti-mi al confronto. Per cui se un’opera sola ha già conquistato totalità di perfetta tec-nica, si può già essere contenti.In questa Mostra futurista che la «Primavera Siciliana» offre al pubblico palermita-no siffatte opere sono più di una.Non si possono accusare di oscurantismo le pitture di Gerardo Dottori che ha unasua inconfondibile personalità per la sapiente alternanza di zone cromatiche verdicon cui rende i bei paesaggi umbri; e tanto meno le pitture di Enrico Prampolini,inattesamente chiare come se questo modesto e audace pioniere pensoso e spiritua-lissimo artista abbia scelto per i nostri occhi meno adusi le più semplici e naturalicomposizioni. Egli tocca il colore con religioso amore, spazia in tutti i mondi senzariserve. Si guardino «Le apparizioni dolomitiche» e «La sintesi di aeropaesaggio» e«I faraglioni» e si riconosca almeno l’assoluta originalità della visione, la perfezionecromatica della sua pittura.Scarsamente è rappresentato nella mostra perché impegnato alla secondaQuadriennale nazionale l’aereopittore Tato che gode della corposità ferriccia di unmotore e gode slanciare e sprofondare velivoli nell’azzurro con foga di demiurgo.Avremmo desiderato molto di più da questo originale e intraprendente artista.Il complesso di opere presentato da Pippo Oriani è invece del tutto soddisfacente:impone rispetto ed ammirazione per il meditato ritmo della composizione del tutto

148

Page 149: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

originale del quadro; nella efficacia del simbolo, nella ricchezza di invenzioni masoprattutto per l’aristocratico gusto con cui compone certe sinfonie di azzurri e digrigi per nebulosi e misteriosi cieli. Egli ci appare non soltanto audace pioniere ericercatore, ma anche un’interessantissima personalità di artista.Si veda come egli componga di bianco e di nero in paesaggi devastati isolate figu-re umane plastiche e forti portanti un’anima dolorosa e appenata anche se nessunparticolare fisionomico quest’anima rifletta, pittura un po’ ancora aspriccia di tonie ancora non del tutto personale è quella di E. Vottero; audace «La virata» diBruschetti; più suscettibili ad interiori chiarificazioni le pitture di A. Dal Bianco, diCosta, di Saladino, di Carrera.Instancabile nelle invenzioni è l’aereopittore Fillia. Ove qualche elemento non fosseintromesso restandovi estraneo nella sua pittura, dinanzi ad alcune di esse come«Sintesi del golfo della Spezia», «Castello di Lerici», «Lerici» si resterebbe più pia-cevolmente sorpresi a notare le belle e nuove visioni, e fresche ed ariose che la terra,le case e gli azzurri compongono sotto i suoi occhi.Arte Sacra Ove si parla di pittura sacra futurista il sorriso sfiora su tutte le bocche come se i ter-mini sacro e futurista fossero tra di loro antitetici. E di certo avendo noi in partico-lar modo molta consuetudine a vedere nelle nostre bellissime chiese tante statuettedi gesso colorato e dipinto col patetico sguardo e coroncine di carta velata, riusciràassai ardua la comprensione delle purissime ed astratte pitture come quelle di PippoOriani, di Fillia, di Carrera o della «Sacra famiglia» di Nino Rosso. Abituati ad unaconcezione antropomorfica di Dio e dei Santi e non come riuscirono a farla i nostrigrandissimi artisti, ma come la volgarizzarono deturpandola le molte fabbriche di«Cuori di Gesù» di «Santa Teresa» di «S. Antonino» si debbono per forza guardarecon preconcetta ostilità queste visioni sacre. Pure, alla nostra sensibilità moderna,nutrita di esperienze scientifiche, dominata dal razionalismo, più si adatterebbe unsuggerimento simbolico e astratto della divinità anzicché una rappresentazione rea-listica o deformatrice della realtà. Io credo di non aver visto da parecchi anni una pit-tura eguale per spirituale bellezza alla «Crocifissione» di Pippo Oriani. Essa sugge-risce la preghiera perché la preghiera è una conferma di fede e invita alla fede e guidanei regni dell’infinito quest’opera in cui le forme sono pure di colore così chiare eincorporee, così libere da ogni relazione con la terra. Altre opere come «La costru-zione della Croce» e la «Sintesi sacra» di Fillia possono vivamente interessare comeil «S. Antonio» di Ugo Pozzo.Ottenere per via di colore e di fluide forme un suggerimento e un consiglio allameditazione divina: questo è campo mobilissimo di ricerca.In generale questi artisti, tecnici e ricercatori, inventori che in (sohiera) compatta

149

Page 150: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

guidati, animati, cementati da F. T. Marinetti, inesauribile creatore ed animatoredebbono essere guardati con rispetto e con ogni simpatia. L’esperienza che tuttiabbiamo fatto di quel futurismo che bistrattato, deriso, odiato, in ventisei anni harinnovato il volto d’Italia ed ha originato la nostra moderna architettura, la nostramoderna arte decorativa, deve insegnarci ad essere assai prudenti nel rifiuto di oggi;più ricchi di sensibilità e più spiritualmente dinamici e soprattutto più sinceramen-te orgogliosi che la genialità italiana sia in continua marcia, anzi in continuo volo.

9 Aprile 1935 - BARTOLOMEO PINELLI E LA ROMA DEL TEMPO SUO

Bartolomeo Pinelli per chi ancora non lo sapesse, fu un incisore romano anzi tra-steverino, morto il primo Aprile 1835.Fu da piccolo, una piccola birba; quando per innata virtù trasmessagli dal padrescalpellino cominciò a modellare nella creta e a disegnare, nessuno gridò al miraco-lo. Però questa precoce intelligenza e abilità gli valse l’aiuto di alcuni signori diBologna, città dove, recitando in un teatrino ambulante, guadagnò molti onori econobbe l’amore. Amore tormentoso però che finì con un vaso da fiori scagliatosulla testa della giovane amante e con il ritorno a Roma ospite dell’abate Levizzari.Vivendo in un palazzo signorile e allievo dell’Accademia di S. Luca l’ardente gio-vinetto quindicenne rischiava diventare una persona seria se la buona aria trasteve-rina respirata dall’infanzia, non gli avesse mantenuto il sangue ardente e l’immagi-nazione vivace per almanaccare burle a danno dei passanti. Una parrucca tirata rapi-damente da un cappio invisibile, una cordicella tesa sulla via per far cadere il not-turno passante, erano scherzi che divertivano molto il giovane Pinelli, non peròl’abate Levizzari che finì col licenziare il promettente ma irrequieto ospite.Cominciò la carriera del Pinelli in un caffè presso l’arco dei Carbognani carrierainterrotta subito da una sosta in guardina per aver riprodotto, e venduto in largamisura, alcune stampe assai licenziose di Marcantonio Raimondi. Ma fin quì ilPinelli tranne che con le chiacchiere al caffè, non aveva partecipato alla vita politi-ca di Roma in quel tempo assai ricca di mutamenti.Ma finalmente eccolo vestito da fantoccino con schioppo e daga a far parte di unalegione di volontari romani al servizio del generale Champoniet per aiutare i fran-cesi nell’assedio di Civitavecchia. Fu impresa eroica che durò precisamente duegiorni, dopo i quali spinto dalla stanchezza, dalla nostalgia di Roma, da un certoscontento di aiutare i francesi, quatto quatto lasciò le file e si decise ad accettareospitalità presso alcuni briganti, compagni assai amorevoli con cui passò giornateidilliache nel lavoro e nella campagna. Quando poi la resa di Civitavecchia lo assi-

150

Page 151: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

curò di una buona accoglienza, ritornò a Roma e lì col suo magnifico eloquio, narròtante volte le sue mirabolanti imprese, da finire col crederle veramente compiute.Gaia era diventata la vita con l’elezione di Pio VII e gaia era la vita di BartolomeoPinelli col bere dolce vinelli all’osteria del Gabbione e col vagabondare insieme alvedutista Kaisermann che lo stipendiava per far le figure nei suoi acquarelli. Tuttoandò bene fino a quando il Kaisermann si accorse che fra i tipi dei «buffi caricatu-rali dal Pinelli» c’era proprio lui riprodotto in mille guise.Cominciò da allora un periodo di grande attività per il Pinelli. Creò in quel tempoquei «cinquanta costumi pittoreschi incisi all’acquaforte da Bartolomeo Pinelli,romano di Roma» portanti la data 1809 che gli dettero grande fama; preparò lescene per certe rappresentazioni sacre che si davano nei cimiteri; e dopo soste diattività e meditazioni bacchiche, ecco creare quel capolavoro di brio e di festivitàche fu l’illustrazione del «Meo Patacca» poema in ottava rima, pubblicato daGiuseppe Berneri dell’Accademia degli infecondi nel 1685, che narrava le vicendedi «Meo Patacca» ardente difensore della libertà di Vienna contro l’assedio deiTurchi. Una certa simpatia per questo eroe, la possibilità di sfruttare il lungo studiogià fatto sui costumi e sui tipi romani, tutto contribuì a fargli compiere l’opera piùoriginale e perfetta. Tale non poteva essere invece per ovvie ragioni il commentoillustrato alla Divina Commedia; buone furono invece le stampe «i colli di Roma».La sua attività cominciò a divenire sbalorditiva: settantadue stampe illustrano la«Gerusalemme liberata», settantacinque il «Don Chisciotte» altre ancora «L’asinod’oro» di Apuleio, le «Stazioni della Via Crucis», i «Principali fatti della storiaromana», «La storia degli imperatori», «I fatti memorabili nella storia greca». Ma inqueste incisioni spesso l’ironia si tramuta in trivialità, il brio in volgarità, i tipi siripetono con grande frequenza, il disegno è sgarbato e inespressivo. Quando peròegli ritorna ai suoi motivi prediletti e cioè alle Usanze romane in cinquantasettestampe, egli ritorna a fare opera d’arte. Lavorava con grandissimo ardore anche adacquarelli, a terrecotte, anche alle decorazioni del palazzo dell’Ambasciata spagnuo-la. Ma intanto, la gaia vita romana napoleonica, veniva sopraffatta dalla grigia vitaborghese e la gaiezza di Bartolomeo Pinelli finiva con essa. Incideva le tavole del«Maggio romanesco» quando giunto in agonia scrisse sulla decima tavola: «morto èPinelli ed è sua tomba il mondo». Non era vanteria. La sua mano agile e prontaaveva fermato in eterno la Roma dei suoi tempi, papale, rivoluzionaria e napoleo-nica. Roma con i suoi difetti e le sue virtù, con i suoi eroismi e le sue indolenze.Anche quando le sue incisioni non hanno valore di arte, hanno sempre, come isonetti di Gioacchino Belli, il valore di rievocare le vicende di Roma e rievocarleattraverso l’amore, l’arguzia, lo spirito del più vagabondo e attivo, del più dissipatoe generoso, del più popolare artista trasteverino.

151

Page 152: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Questa vita di Bartolomeo Pinelli ha narrato con una prosa semplice, quasi confi-denziale e piena di arguzie, Renato Pacini in un libro: Bartolomeo Pinelli e la Romadel tempo suo (Fratelli Treves L. 15) che è da considerare come il più valido con-tributo offerto all’incisore in questo rinnovato periodo di sua celebrità. L’autore si èmesso dietro a Bartolomeo Pinelli con aria apparentemente distratta e bighellonaed osservare ad un tempo le vie e i costumi di Roma, gli eventi turbinosi della vitapolitica romana. Ma non c’è mai pericolo che lo studioso, lo storico, prendano ilsopravvento e che egli si metta a narrare con aria dottrinale. Avrebbe paura certo,che Bartolomeo Pinelli voltandosi, gli facesse uno sberleffo. I fatti sono rievocatinella loro fedeltà ma con «tono minore» serio e divertente; gli eventi gai e faceti,lieti o dolorosi, scorrono sotto i suoi occhi con rapido moto ed egli si diverte a guar-darli, sempre dietro al suo Pinelli che glieli ricorda. L’una e l’altra vita, quella del-l’incisore e quella dei suoi tempi, egli osserva e descrive con eguale priorità e umanasimpatia. Giunti alla fine del libro si resta come i bimbi quando la nonna interrom-pe una bella favola. Si vorrebbe saperne di più. E ci si accorge allora che anch’Egliha fatto come Bartolomeo Pinelli una grande incisione dove con giusta prospettivaed equilibrio di bianchi e neri ha rappresentato tutti i personaggi di quell’epoca dalPapa Pio VII al Conte Cagliostro al generale Champomiet e i luoghi di quell’epo-ca: i caffè, le osterie, le fontane a getto di vinelli, Piazza del Popolo con le pecorepascolanti a Campo dei Fiori, con le sue forche, Roma di allora, con tutte le suegrandezze e le sue miserie cara infinitamente al nostro animo che al paragone del-l’oggi si esalta.

20 Aprile 1935 - LA MOSTRA DELLE OPERE DEL CORREGGIO A PARMA

La mostra delle opere di Antonio Allegri detto il Correggio sarà inaugurata il 21Aprile a Parma, città prescelta perché all’artista diede il continuo lavoro e la cele-brità e perché custodisce la serie mirabile dei suoi affreschi e un gruppo di opere dieccezionale valore.Richiamando dagli altri musei d’Italia e di Europa le altre più perfette opere Parmapuò vantarsi di offrire al mondo degli studiosi e degli artisti tutti gli elementi per laconoscenza completa dell’arte del grande maestro.Ebbe Antonio Allegri una vita semplice di lavoro e di amore. Nacque a Correggio,fu a Modena allievo del pittore emiliano Bianchi Ferrari, a Mantova fu aiuto diAndrea Mantenga nella cappella di S. Andrea ed ebbe la protezione di IsabellaD’Este come a Corteggio quella di Veronica Gambara; poi fu chiamato a Parma perla decorazione del monastero di S. Paolo; nel 1519 sposò la giovinetta Girolama, nel

152

Page 153: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

1523 si trasferì per sempre a Parma allontanandosi per una gita a Roma ondeammirare le opere di Raffaello e di Michelangiolo. Al 1530 aveva acquistato unpoderetto nella sua Correggio e lì morì a quarantanni il 5 Marzo 1534.Il Correggio non fu un teorico non stabilì programmi, non scrisse trattati, fu lon-tano dal rigore scientifico di Piero Della Francesca, dall’eclettismo intellettualisti-co di Leonardo, dall’umanismo del Mantegna; più che intorno a sé guardò dentrodi sé e il suo sentimento ricchissimo e la sua ricchissima sensibilità coloristica furo-no alimento continuo alla sua arte. Se fosse stato poeta ci avrebbe dato la poesia liri-ca più intima e dolce.Come già aveva fatto Sandro Botticelli egli trasse ispirazione ai miti pagani e ai fattireligiosi ma l’aspro dissidio fra i due mondi che tormentava Sandro Botticelli sicompose nell’arte di questo privilegiato pittore emiliano eticamente per via di unsentimento che è invincibile e l’universale dominatore dell’uno e dell’altro mondo:l’amore, formalmente per via del chiaroscuro.Tutte le creature di Correggio: Io o Magdlantiope o Caterina, hanno occhi brillan-ti di gaudio, bocche arcuate al sorriso, visi dolci e amorosi; così tenere e fragili edelicate hanno bisogno di ombra, di boschetti silenti, di tinte smorzate ed opache.Tutti i pittori avevano posto sul trono la vergine tra velluti e damaschi, solo AndreaMantegna l’aveva inghirlandata di frutta e di fiori, ma nei quadri del Correggio laVergine e i Santi scendono dai troni, si nascondono nei più ombrosi recessi, siaccoccolano a terra, si stringono l’uno all’altro amorosi, si toccano con lievi gesti,con tenere carezze. Nel quadro della Galleria del Prado, la Vergine, sembra sfuggi-ta nell’angolo di un giardino per contemplarsi meglio il suo Bimbo e il piccoloGiovanni; in campagna in una tremula luce di tramonto avviene lo sposalizio di S.Caterina (Galleria di Napoli) nel silenzio e nella solitudine di un bosco la Madonnaallatta il bimbo nel quadro Borromeo; in un bosco fitto di alberelli Maddalena rico-nosce Gesù (Galleria del Prado) nei boschi nell’aperta campagna avvengono gliidilli di Antiope, di Leda, di «Io» di Ganimede.In questo mondo di creature dolci e silenziose, la luce non può battere violenta e icolori non possono brillare alla maniera emiliana con terse luci di superfici; ma laluce si gradua, si smorza, si vela a seconda del sentimento degli astanti e il loroanimo; l’ombra si addensa o si sgrana compiacente alla dee in amore, alle teneremadri; si velano di ombre i verdi brillanti e diventano morbidi velluti; l’azzurro siin grigia il rosa dilegua il pallido avorio; i colori sfumano nell’atmosfera velata; ogninitido contorno fiorentino si annulla come insegnava Leonardo; le figure restanoimmerse in una atmosfera tepida di colore a volte in una mite ombra. Sorridonotutte le creature di Correggio ma sorridono senza enigmi. Un sorriso dolce teneroumano della vita appagata. Ricorda Prassitele.

153

Page 154: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Alla mostra di Parma sono state richiamate due fra le opere più belle del Correggio:«l’Antiope» dal Louvre e «la Zingarella», dal museo di Napoli. Là in un boschetto, nelpiù intimo recesso, sdraiata su morbida pelle dorme la bellissima Antiope mentreGiove mutato in fauno sorridendo la contempla e un piccolo Eros raggomitolato dor-micchia. Tiepida aria solare entra nel chiuso boschetto; tiepido è il corpo della dea,bruciato dal sole è il corpo del fauno. Una intimità ardente e dolce è nella scena, nelsonno languido della dormiente, nello sguardo amoroso del giovane dio. Dalla terraal cielo i gialli si accendono e si indorano ed ardono in un canto trionfale di natura.Qua nella «Zingarella» pure in un boschetto lontana dal mondo, siede sull’erba laVergine tutta curva sul figlio, in una intimità dolce e commossa cui partecipa sol-tanto un coniglietto bianco ad un angiolo, note di argento nella felpa dell’ombra.Idillio cristiano e idillio pagano si svolgono ambedue nella luce tenera e dolce in uncommovente silenzio.Altre volte il chiaroscuro correggesco serve ad esprimere l’umano tormento, quelloperò che non fa gesticolare, ma fa impallidire il volto e piega le ginocchia e rendeesangue le labbra. Si veda nella «Deposizione della Galleria di Parma» come il chia-roscuro diventi mezzo di espressione elegiaca: granuli di ombra si addensano nelcavo degli occhi, scendono sulle guance smarrite, si aggrumano intorno alla boccadolente nel volto di Cristo deposto sul grembo, tutto ombra, della Madre divina.L’ombra è il dolore: la luce è il gaudio. Nella «Natività» i Dresda il bimbo è tuttaluce; nella «Madonna di S. Girolamo», l’altro quadro bellissimo della Galleria diParma, l’intimità amorosa del gruppo si accresce per l’unità della luce che si diffon-de su tutti i volti, lieve, più lieve delle carezze tra Caterina e Gesù. Nella stessamostra un altro quadro offrirà altro esempio della sapienza luministica delCorreggio : «La Giuditta» proveniente dal Museo di Strasburgo. Il modello perquel quadro fu dato dal Mantegna ma l’alternanza d’ombre e di luci, l’atmosferafantastica in cui si svolge la scena è tutta creazione dell’artista.Questo pittore così lirico, intimo e dolce che ha creato un suo linguaggio chiaro-scurale inimitabile e inimitato seppe nei cicli di affreschi a Parma pervenire ad unagrandiosità, ad un impeto eroico che altri non conobbe anticipando di un secolonell’audace slancio delle figure, nella maestria prospettica, nella raffinata decorazio-ne i grandi decoratori barocchi. Chi conosca semplicemente i quadri, non puòintendere tutto il valore dell’arte del Correggio. Il valore della mostra di Parma siaccresce e si completa con gli affreschi del Ministero di S. Paolo, nella Chiesa di S.Giovanni Evangelista e nella cupola della Cattedrale di Parma. Nello affresco lanovità è grandissima, l’apporto infinito: dalla decorazione della «Camera deglisposi» a Mantova, primo esempio di pittura dal sotto in su, a quella della Cattedraledi Parma la distanze è di pochi anni e sembra di secoli.

154

Page 155: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

La volta della camera della Badessa nel Monastero di S. Paolo fu decorata nel 1518dal Correggio che la divise a spicchi e in ognuno di questi pose medaglioni con nudie paffuti corpi di bimbi intenti nella lotta e nel gioco e lunette dove si alternano die-tro suggerimento di Giorgio Anselmi, scene pagane. Nella cupola di S. GiovanniEvangelista egli passò da questo schema ancora quattrocentesco ad altro più origi-nale. Immaginò cumuli di nubi entro cui si dispongono a ronda apostoli e cherubi-ni intorno alla figura di Cristo che ascendendo s’immerge nello spazio infinito. Unavisione prospettica, un sapientissimo rendimento di spazio e di luce, un’affascinan-te mobilità fluttuante di nuvole e di corpi nella luce chiara dell’alba.E in quella figura di Cristo estasiato ed ebbro, e in quegli eroici corpi di atleti, inquella flotta garrula di bimbi, nel chiaroscuro e nel colore, un arte grandissima chesi mette accanto a quella di Raffaello e di Michelangiolo.Nella cupola ottagonale del Duomo il Correggio giunge al più alto segno della suaarte. Sulla finta balaustrata a base della cupola ottagona, procedono rapidi, animo-si, vibranti nella luce efebi bellissimi, procedono bruciando incensi; altri sostanoebbri, santi gagliardi girano intorno, guardano abbracciati il miracolo che avvienenell’alto. In un vortice di nubi angioli, cherubini, santi in un groviglio di corpi e dimembra, di nuvole e drappi sta Maria come rapita di un turbine di vento che lescompiglia le vesti e i capelli e la isola più alto slanciandola.Turbine di movimento mai reso nell’arte, moto avulso dalla zona di partenza e checontinuato si accresce con impeto, forme umane travolte da quel turbine e rese conla più audace inimitabile prospettiva.Tutta la pittura decorativa barocca, tutti gli affreschi di Tiepolo derivano da questiaffreschi di Parma.L’arte di Antonio Allegri come quella di Paolo Veronese è ricca di anticipazione.Non sono gli immediati discepoli che la continuano, non il Parmigianino, non ilfiglio di Pomponio, non il Rondani, non l’Anselmi, non i Caracceschi. Lo spiritoedonistico di quelle arti raffinatissime continua nel settecento elegante, ricco di sor-risi di bimbi, di colori teneri e dolci, nel settecento prospettico che aprirà su tuttele cupole, sfondo di cielo per celebrare tripudio di angioli e di santi.Il 21 Aprile sarà inaugurata la mostra del Correggio a Parma, il 25 la mostra di Tizianoa Venezia; passare dall’una all’altra sarà come vedere un lungo e dolce sogno mattinale.

28 Aprile 1935 - RIEVOCAZIONE DI UN ARTISTA IMMORTALE: TIZIANO VECELLIO

Tiziano Vecellio visse novantanove anni e fu un continuo ascendere da un onoreall’altro onore, fu nella vita un trionfante procedere.

155

Page 156: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Fanciullo, dicono cominciasse a tentare la pittura dipingendo con succo dei fiori sullepareti di una chiesa; se fu vero, questo fu come un preannunzio della sua pittura percui tutti i colori dei fiori e dei cieli pare egli abbia liquefatto, impastato e disciolto edella sua vita per cui fu spremuto ogni succo di bene di ricchezza, di onore.Nel 1513, nell’anno in cui Raffaello lavorava nelle stanze del Vaticano eMichelangiolo nella Cappella Sistina, Pietro Bembo forse a nome del Papa LeoneX, invita Tiziano a Roma; ma Tiziano rifiuta la corte pontificia, ma se ne fa vantoper chiedere di essere al servizio della Serenissima volendo dipingere nella sala demaggior Consiglio. Rifiuta ogni compenso ma chiede la senseria del Fondaco deiTedeschi, buon affare che gli sarà dato e tolto per invidia dei competitori GiovanniBellini e Carpaccio e che si trascinerà a lungo senza che Tiziano lavori al promes-so «Teller della battaglia».Vita trionfaleQuando con i suoi assistenti Tiziano passa alla corte di Ferrara comincia il periodotrionfale dell’artista; Alfonso D’Este non gli dà pace: è li a chiedere sempre per ilsuo studio il quadro del «Baccanale» - ideato dall’Ariosto; chiede disegni, chiede ilritratto di una bellissima gazzella, vuole e tra pittura rappresentante Bacco edArianna. Tiziano è occupatissimo ed Alfonso grida minaccia, implora per averlo aFerrara, cerca di sedurlo con ducati e promesse divenendo servo nel desiderio delrude maestro cadorino.Dopo Alfonso ecco Federico II re a Mantova sollecito a mandargli un giubbone permezzo di un ambasciatore onde propiziarsi l’artista, mentre continua ad insistereper averlo a corte dove egli finalmente si reca con un seguito di ben cinque assisten-ti e il duca scrive al doge di Venezia per ringraziarlo «de la gratia che ella m’ha fattodi lasciarmi usare l’opera di Tiziano questo tempo che è stato meco» .Nel 1530 si iniziano i rapporti con Carlo V; i duchi di Mantova per ingraziarsi ilre, rendono servigi al suo favorito Davalos del Vasto per cui fanno eseguire daTiziano il ritratto della bella Cornelia da questi amata, al Covo a cui mandano indono una Maddalena. L’entusiasmo per ogni opera cresce a dismisura ed ecco CarloV nominare Tiziano conte del Palazzo Laterano, del Consiglio Aulico e delConcistoro, col titolo di conte palatino e tutti i privilegi derivanti da questi titoli.Tiziano riceve pure il grado di cavaliere dello sperone d’oro e gli viene dato il pri-vilegio di entrare a Corte.Ora non vi è grande d’Italia e di Spagna che non brami di posare davanti a Tiziano:Davalos del Vasto dopo la vittoria sui Turchi si fa rappresentare assistito dallaVittoria, da Amore e da Imene; il Cardinale Ippolito dei Medici, Isabella D’Este,il Duca Alfonso di Ferrara, il Duca di Urbino e la moglie Eleonora, Agostino diLando, Vincenzo Cappello, Don Diego di Mendoza, papa Paolo III Farnese,

156

Page 157: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Guidobaldo da Urbino e l’Ariosto e il Bembo ed Elisabetta Quirini e molti altriancora, posano dinanzi all’artista divino. E seguono altri trionfi. Nel 1546 ilMunicipio di Roma gli conferisce la cittadinanza romana, un anno dopo è arrivatoa Corte dall’imperatore Carlo V. Il vecchio Tiziano a settanta anni passa adAsburgo dove - scrive l’aretino al cancelliere Granvella «è stato bellissimo testimo-nio della sua vita vedere subito che si seppe la richiesta del pittore divino correre leturbe a popolo per essere della sua arte partecipi». Ad Asburgo l’operosità di que-sto vecchio sa di prodigio: tutti della corte passano dinanzi a lui, Maria d’Ungheria,Federico di Sassonia, Filippo d’Assia, Re Ferdinando e i suoi figli, EmanueleFiliberto di Savoia, il duca d’Alba, Maurizio di Sassonia e di nuovo Carlo V eFilippo II. Continua la sfilata dei superbi magnati dinanzi al vegliardo.Ritorna a Venezia e riprende attivi rapporti con Filippo II cui manda una serie dibellissime opere. Il Re scrive impaziente, raccomanda diligenza nello invio dei pac-chi, e Tiziano risponde, promette, seguitando a dipingere capolavori su capolavoriper altri principi.La Repubblica veneta investe finalmente Tiziano dell’ambita senseria dello ufficiodel Sale e gli concede il monopolio per la fabbricazione di alcune stampe delle suestesse pitture.Più guadagna e più si accresce la ingordigia dell’oro. Scriveva Gargia Sans adAntonio di Peny, dando notizia di un quadro rappresentante «Cristo nella scena»che Tiziano non voleva consegnare: «quantunque egli sia già si vecchio, esso lavorae può lavorare e se vedesse denaro farebbe di più di ciò che la sua età richieda». Aottantasei anni si reca nella natia Cadore per trarre impegno con alcuni discepolidella decorazione della chiesa della Pieve e riceve come primo acconto cinquantacarichi di legname per costruzione. Nella stessa epoca lavora per la volta della gran-de sala del palazzo pubblico di Brescia, continuando sempre a lavorare per FilippoII chiedendo denaro insistendo nella sua miseria fino al Febbraio del 1575, datadella sua ultima lettera a Filippo II. Muore il 27 Agosto 1576. Vita instancabile,operosità prodigiosa, cammino veramente trionfale.Il canto dell’oroInutilmente si accesero sul cielo dell’arte per Tiziano le grandi luci di Raffaello, diLeonardo, di Correggio. Accese furono per lui altre luci e l’accompagnarono l’unadietro l’altra per tutta la lunghissima vita: Giorgione, Michelangiolo, Tintoretto.Quella, la prima, lo seguì fino a quarant’anni e si spense a tratti ma quando si acce-se gli alimentò opere bellissime.Insegnava quel divino maestro Giorgione a concepire la pittura come lirico accordo ditono e Tiziano fu subito del colore il più accorto e spontaneo e gioioso interprete deltono, variando e modulando con la spontaneità della rondine all’alba rubando ai cieli

157

Page 158: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

di Venezia, alle montagne cadorine, alle lagune, il tramutare delle tinte, i vividi colori.Ma fra tutti i colori, dell’oro fu ebbro. Forse a lungo dovette guardare incantato quel-la Basilica di S. Marco eretta dal doge Orseolo, scrigno d’oro, del pallido oro traspor-tato dalle galee veneziane, da tesori di Bisanzio, dall’altro oro arsiccio, splendente nel-l’ora meridiana sulle cupole opulente, dell’altro che colava dalle superfici dei mosaicie pareva ingordarsi tra i pallidi visi smagriti delle sante e dei vescovi; guardava sem-pre oro, oro di cieli al tramonto, oro di morbide chiome, oro palpitante nei corpi fio-renti delle donne veneziane. E lo rese pulviscolo fine e lo cosparse sul corpo di quel-le bellissime ignude morbide carnose, cedevoli alla carezza e al bacio; di oro cosparsei lisci capelli e i biondi riccioli dei bimbi, d’oro colorò i mantelli e vesti, d’oro accesei cieli nei meriggi estivi, nell’oro fece rapire la Vergine Santa.Nella pittura di Tiziano l’oro si accende si infiamma, arde, si smorza si spegne viavia esprimendo tutta la sua vita, dal trionfo della sua calda e sana giovinezza, altrionfante meriggio di corte, alla tristezza fatale della tarda vecchiezza.Fu il canto dell’oro.Armonie di natureMa Giorgione aveva dato altro insegnamento nella sua famosa Venere di Dresda.Aveva insegnato a porre le figure nel paesaggio a stabilire tra l’una e l’altra un accor-do perfetto e Tiziano riprende e svolge con sontuosa magnificenza la tesi. Sarà davedere in quel magnifico quadro della Galleria Borghese «Amor sacro e amore pro-fano» questa sacra armonia tra le figure assorte eleganti, colme di vita, calde di colo-re e di sole e il paesaggio pur esso colmo di vita nelle fresche piante, nella calda lucedell’opulento tramonto; e sarà da vedere come folleggiano le nubi ed arde il cielosull’ardente tripudio di «Bacco ed Arianna» o come fosco si imbrunì nel quadro di«David e Golia», come si ingrigì nel desolato crepuscolo dietro la stanca figura diCarlo V e come luminoso risplenda tra filari di alberelli riecheggiando il ritmo ver-ticale delle splendenti canni d’organo accanto alla bella Venere indolente nei qua-dri del Prado, e come tragico, plumbeo, solcato da lampi vermigli rifletta l’angosciadel Cristo morente nella «Crocifissione» dell’Escurniale.Sempre tra figura e sfondo sarà un magnifico, insuperato accordo. In sintesi perfet-ta si fondano tutti i vari elementi e mai avviene poter pensare di un quadro di Tizianoisolatamente all’una o all’altra figura ma tutte che vi sono, balzano insieme, creature,alberi, paesaggi, cieli, vesti e monili come scaturiti in un solo attimo, legati l’uno all’al-tro come si lega il mallo alla polpa, il colore al succo nel frutto polposo.E in ultimo Giorgione gli insegnò ad immergere le figure in una assorta meditazio-ne a farle sognare e pensare. Ma dei tre insegnamenti questo era il più antitetico alsuo spirito, operoso, pratico, anticontemplativo. Ma come anche questo apprende èvisibile nel «Concerto» nella Galleria Pitti a Firenze.

158

Page 159: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Ma quando Giorgione muore e Tiziano passa alla corte di Ferrara il maestro si libe-ra dal mite incatenamento giorgionesco e procede ad altra ricerca tutta sua, la ricer-ca del moto, delle forme espresso per via del colore. Sorge così quella «Madonna deiFrari» slanciata fra le nuvole in una ronda di puttini ebbri di luce sullo scompigliodei discepoli sgomenti, che è un capolavoro per dinamica intensità di vita, quel«Baccanale» quella «Festa di Venere» quel quadro di «Bacco ed Arianna» che sonoall’opposto della ricerca giorgionesca, e sono esaltazione di forza, di impeto di tra-volgente energia. Era naturale che andando a Roma, guardando gli affreschi dellaCappella Sistina, Tiziano dovesse restare avvinto dall’arte di Michelangiolo.Ma era intanto sorto un altro genio; Jacopo Robusti detto il Tintoretto, quegli chesi era imposto il più gagliardo programma pittorico: unire il colore di Tiziano aldisegno di Michelangiolo; ed allora avvenne che Tiziano imitato imitò a sua voltaquello che di suo aveva elaborato unendolo ad elementi michelangioleschi. JacopoRobusti, ed ancora una volta, con la divina spontaneità del suo spirito egli intendee supera ogni altrui conquista. Allora il colore si sfalda, si sgrana in un alone di luce,di luce e di ombre come Tintoretto, compose i suoi ultimi quadri.Così avviene che dalla prima all’ultima opera non vi è mai tregua né sosta nella

conquista di bellezza. Nel secolo che egli visse tramontarono re e imperatori, muta-rono gli eventi politici, mutò la religione e lo spirito, Tiziano è per tutti in ogni ora,attuale e presente.La sua arte è un’eterna gioia. Gioia universale che il papa gode e il servo, l’artista el’incolto, il bimbo e l’adulto, gioia limpida e pure di colore, di fiorente carne umanadi morbidi bimbi, di campagne fiorite, di cieli splendenti.Gioia calma e profonda come dinanzi all’opera di natura, al bimbo alla stella, allamesse matura.Gioia eterna ed universale.

9 Maggio 1935- LIBRI D’ARTE

Si prevede subito, leggendo il titolo di un nascente libro di Marco Tinti:L’architettura delle case coloniche in Toscana con trentadue disegni di OttoneRosai (Rinascimento del libro L. 10) il passaggio dall’argomento enunciato all’altrodell’architettura razionale moderna; anche si opina eventualmente, che il libro stauna illustrazione dei tipi costruttivi toscani, rusticani, da servire a modello per lecase popolare moderne.Nel campo dell’architettura moderna l’autore passa infatti come era previsto, manon parte dall’architettura razionale per additare le affinità con le architettura colo-

159

Page 160: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

niali toscane come fare ricerca di parentela sana e onesta all’erede decadente, mavuole dimostrare al contrario «il divario assoluto antitetico, sostanziale dell’odiernorazionalismo e funzionalismo architettonico, tecnoacustico, tecnico e vorrei direlogaritmico, dalla razionalità e funzionalità della nostra casa colonica».Questa dimostrazione è il vero intento del libro, l’occupa più della metà. Il fervoree la passione di una polemica ideale l’irradia, gli comunica un ardore vitale.Riassumere gli argomenti di questa dimostrazione non è facile, perché il libro stes-so sembra architettato come le antiche case toscane con sobria misura, con l’indi-spensabile, con l’anti teoretico.La prima differenza è vista in una «saggezza» che è soprattutto esperienza, esperien-za diremo soggettiva del popolo stesso che crea i suoi edifici: non esperienza impo-sta da altri se essa è razionale, lo è per ragioni pratiche, perché deve rispondere a tuttele funzioni per cui sorge e per la vita che vi si dovrà vivere e lo è anche per ragionietiche «perché il rapporto tra uomo e natura, fra agricoltore e terra è eterno e levarianti che la civiltà di ogni tempo poté operare incidendo su questa costante nonfurono che di ordine secondario».«Ma non basta che un edificio soddisfi a tutti i bisogni pratici dell’uomo» il passopiù grande e decisivo verso una nuova classicità non potrà essere compiuto cheattraverso una revisione ed un giudizio rigoroso dei bisogni dell’uomo cosiddettomoderno, e quindi in ultima analisi attraverso una revisione del concetto di moder-nità. Una edilizia preoccupata sopratutto a servire tutte le quisquilie dell’igiene e lemeticolose decadenti raffinatezze del comfort, non assurge ad espressioni architet-tonicamente poetiche e semplicemente umane ciò per la ragione che è anti – poe-tica e disumana una società preoccupata soltanto dalla soddisfazione più comoda edagevole dei propri bisogni materiali. Una edilizia così fatta non specchia in sé lacondizione ed il momento in cui l’uomo si affranca dominandola o non curandosidi essa, della parte già umiliante della propria natura, condizione e momento chesono appunto quella della creazione artistica». Parole queste assai aderenti almodernissmo orientamento spirituale già determinatosi verso una architettura «lin-guaggio universale dello spirito». Questo è il nucleo vitale del libro, coerente alleidee altre volte espresse dall’autore.Perché l’autore si riferisca alla casa colonica della Toscana e non di altre regioni èspiegato dal fatto che le case dei Toscani sono rimaste esenti da influenze, hannoserbato intatto fino ai nostri giorni quel sentimento di rusticità che doppiamente adesse deriva dall’essere rurali e dall’essere toscani e che Toscani, dopo i romani hannomantenuto la tradizione tecnica della casa rurale come dimostra il poemetto diLuigi Alemanni: La coltivazione ed un libretto stampato a Firenze l’anno 1770 diFerdinando Morozzi delle case e dei contadini.

160

Page 161: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Ma l’autore non avrebbe bisogno di giustificare perché faccia assurgere la casa colo-nica toscana ad esemplare ideale di tutte le case coloniche: s’intende che quella abbiascelto perché quella ama, perché quella egli vede nella bella campagna toscana e rive-de nei quadri del Beato e di Benozzo: non per altre ragioni, perché quasi tutte le casemediterranee coloniche hanno motivi eguali e qualità eguali ed anima e respiro egua-le. Quel carattere ad esempio di una vivida policromia che il Tinti ritiene peculiareall’architettura rusticana toscana si ritrova anche in altre regioni, in Sicilia, ad esem-pio, nei paesi sulla riva si vedono tutte le case allineate sulla stessa fila con facciatinerosso cupo e azzurro indaco cioè nelle tinte predilette a templi greci: quella attrazio-ne della casa rusticana dalla terra dal suo colore è ritrovabile in tutte le case monta-nine perché il gusto alle pittoricità diminuisce costantemente dalla riva verso il cen-tro specialmente nei luoghi più aspricci e solitari e la legge del minimo sforzo nelcostruire è costante: la varietà di forme dell’architettura rurale è di tutte le regioni edappunto per questo eguali tipi sono segnalabili in molte regioni.L’interno di casa di Via Faentina a Firenze presenta ad esempio stretta affinità congli interni delle case ad Erice, paese di Sicilia che può essere additato come il piùricco ed esemplare nel campo dell’architettura popolare e rusticana. Lì, su lunghe erette vie si dispongono in armonioso e mutevole ritmo, volume di pietra grigia,parallelepipedi e cubi retrocedono e si avanzano, si umiliano e si ergono come ubbi-dendo ad una volontà di accordo; lì nel calcare grigio del monte, un demiurgo sof-fiando con buccine immense formò chiese, torri e castelli affindandoli al vento per-ché li colorasse del fiore sbocciato dal seme.La descrizione dei tipi delle case coloniche è affidato nel libro ai disegni di OttoneRosai e non poteva esser scelto collaboratore più adatto per l’amore che lo ricon-giunge alla terra toscana. Sfogliare le ventisette tavole del libro che non ne sono uncompimento illustrativo ma una parte indispensabile e viva, e veramente un lungopiacere visivo, un continuo eccitamento a raffronti, a deduzioni, a meditazioni.Ma anche leggere le belle pagine di Mario Tinti sulla casa coloniche, sulla santità,sulla sua bellezza è come una sosta dello spirito, come un riposo presso una fontefresca.Indipendentemente dal valore della trattazione, il libro di Anna Maria Puarello “Ladecorazione a mischio in Sicilia nei secoli XVII e XVIII”, presenta notevole inte-resse perché riguarda una delle forme più originali dell’arte decorativa siciliana sullaquale fino ad oggi non è stata compiuta alcuna intelligente indagine.All’interesse dell’argomento si unisce a buona edizione curata da Prilla con ottimitipi e buona illustrazione: essa fa sperare che a Palermo si vada formando un picco-lo centro editoriale di libri d’arte, in tal modo colmando una lacuna gravissima perlo sviluppo della critica storico-artistica.

161

Page 162: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Passando alla lettura del libro si notano subito alcuni elementi positivi: un metododi ricerca già serio ed intelligente; vivace prontezza nel trarre deduzioni da scarsiindizi, un giusto equilibrio nell’architettura dei capitali. Le osservazioni vanno fattenon su quello che c’è, perché la giovane autrice ha trattato l’argomento soltanto daun punto di vista storico curando di stabilire la cronologia delle varie cappelle orna-te ad intarsio marmoreo e a questa dando un valore assoluto e non un valore di baseper procedere all’altra e più interessante relativa allo sviluppo dei motivi decorativi.C’è nella scrittrice una preoccupazione un po’ eccessiva di entrare in alcuni proble-mi d’arte: ad esempio, essa si rende conto della importanza di stabilire le origini ditale forma decorativa, ma rimette ad altri l’indagine; ritiene errata l’affermazione dialcuni storici che la cappella di Santa Rosalia di Palermo sia stato il primo esempiodi tale decorazione ma non indaga seriamente quali poterono essere i precedenti: adelle intuizioni giustissime circa gli autori di alcune decorazioni, ma non le svolge.Il fregio ornamentale non viene interrogato e non ha parola per l’autrice non hainteresse la storia di questo linguaggio che passa dalle forme geometriche alle formevegetali e poi dalle forme miste- vegetali- zooformiche, alle ultime del contestoespressivo. Ne l’autrice ha pensato di trarre vantaggio dalle altre forme di arte deco-rativa, da una specialmente che ebbe nel seicento e nel settecento un grandissimosviluppo in Sicilia e cioè l’arte tessile; ne il problema di un esame stilistico dellevarie opere è svolto. L’interesse si limita a determinare con l’aiuto della guida delMongitore o di manoscritti inediti la cronologia delle varie cappelle, trattazionequesta che poteva essere posta nelle note per procedere ad un esame stilistico dellemagnifiche decorazioni. Vero si è, che il problema delle origini di tali decorazionidei rapporti con le altre forme di arte decorativa e l’analisi estetica esigono librid’arte assolutamente introvabili a Palermo ed una esperienza visiva non facile a for-marsi, ma il tentativo poteva essere fatto con buone speranze di riuscita estenden-do le indagini anche fuori di Palermo.È però una pessima abitudine nel dare notizia di libri, fermare a notare l’interessedegli argomenti non trattati, invece che fermarsi a considerare quanto è stato fatto.Ma quando il libro rivela come ho già detto tante buone qualità e quando si sa chel’autrice è alla sua prima prova, quando si dice non ha valore di critica ma soltanto diincoraggiamento fervidissimo a completare uno studio così egregiamente iniziato.

12 Maggio 1935- LA IV MOSTRA SICILIANA D’ARTE. PRIME SEGNALAZIONI

Se pur la presente Mostra Sindacale non presentasse alcuna opera di certo interes-se e di indiscutibile valore, essa avrebbe il merito di segnare un notevole progresso

162

Page 163: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

sulla precedente sia in quanto ai criteri ordinativi, sia a serietà di ricerca e a miglio-rati raggiungimenti artistici.Seguendo l’esempio dell’attuale Quadriennale Nazionale Romana non è stata fattadifferenza alcuna di esposizione alle opere di artisti più noti o meno, ne si è proce-duto ad una aprioristica determinazione degli eletti e dei reprobi, aggruppando iprimi nelle sale migliori e riserbando ai secondi le pene delle salette oscure e deicorridoi; opere buone si alternano con le opere ancora incerte ed inefficaci ma dal-l’immediato contrasto deriva immediato ammaestramento agli artisti e maggiorevivacità alla Mostra stessa; gruppi di opere consentono ampia documentazione dellaattività di alcuni espositori; una mostra retrospettiva di Salvatore Cottone recente-mente scomparso alla stima dei buoni, testimonia come non siano dimenticati gliartisti che seppero lavorare e creare; infine la mostra dell’artigianato rende varia,pittoresca, utile ed interessante tutta la mostra. Non si può non dare elogio alSegretario del Sindacato scultore Benedetto Delisi dell’opera serena, limpida enobile di giudizio e di organizzazione.Gli elementi negativi che vi si possono riscontrare non appartengono ad insuffi-cienza organizzativa. Il primo dipende da insufficienza dei locali essendo ancoradolorosamente insoluto il progetto di quel famoso ‹‹Palazzo dell’arte›› più miticodel palazzo Alcinoo e di Armida, materia di assai lunghi discorsi e non mai diattuazione con gravissimo danno del movimento artistico regionale, il secondodipende da una estrema produttività pittorica dilettantesca che non può essere deltutto arginata.Si aggiunge una terza deficienza anche questa non dipendente dal segretario Delisied è la persistente assenza di una mostra di architettura, mostra che sarebbe di gran-de interesse anzitutto come spinta al lavoro e anche come parziale ricompensa ditanti concorsi inevasi (il concorso per la sistemazione urbanistica di Monreale adesempio) sia per stabilire contatti tra il pubblico e gli architetti, contatti di cui sisente particolare bisogno in Sicilia dove l’architettura resta ancora forma d’arte iso-lata nel complesso movimento artistico, sia per l’apporto che lo sviluppo di unamaggiore sensibilità architettonica dà ai pittori e agli scultori. Se vi è infatti unacrisi nella pittura, essa è crisi di sensibilità architettonica cioè di armoniosa qualitànel comporre le figure nello spazio, di equilibrio e di studio dei volumi, capacitàcompositiva che salva e rende interessante almeno metà della produzione rinasci-mentale. Senza Filippo Brunelleschi non potrebbe intendersi tutta la pittura tosca-na del quattrocento.Come, opportunamente, si unisce alla mostra della pittura e della scultura la mostradell’artigianato, così le si dovrebbe sempre unire la mostra dell’architettura che è infondo, fra tutte le arti, la più nobile e di tutte le arti generatrice.

163

Page 164: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Ma ritornando alla mostra sindacale di pittura e di scultura, bisogna pur dire chequesta volta ogni espositore ha cercato di dare il suo meglio e si è posto al lavorocon serietà di impegno. Non c’è naturalmente, come è stato già osservato, un climaspirituale unico, non vi è omogeneità di ricerca, tuttavia risolutamente si afferma ilpredominio della scultura sulla pittura. Essa mostra una quasi totale liberazione deiricordi nostalgici dell’ottocento e dalla tendenza decorativa di derivazione barocca;riflette una sensibilità del tutto nostra e del nostro tempo; affronta bene o male ilproblema della pura scultura cioè di forme isolate nello spazio che abbiano il finedi eternare realtà fermandola in aspetti più universalmente piacevoli. A tale predo-minio della scultura ha dato certamente il suo contributo la gagliarda tradizioneottocentesca mantenutasi vivacissima cui si deve se la scultura dei giovani è rimastasobria, ostile ad esotismi, seria nella ricerca e nello studio. In questa sindacale regio-nale più che nella Quadriennale e nella Biennale la scultura siciliana si afferma conuna ricca varietà di tendenze e con alcuni esemplari già segnalabili al pubblico.Merita di essere segnalato un artista – già ben noto a Venezia – che per la primavolta si presenta alla nostra sindacale con due sculture, «S. Giovanni Battista» e«Ritratto», e poi anche un ricco medagliere, un artista che vive isolato all’estremolembo di Termini tra il verde dei campi e l’azzurro avvolgente del mare e del cieloin solitaria e appena nata vigilia: Filippo Sgarlata. Di quell’arte raffinata e musica-le a pochi prediletta ma di cui già gli artisti più famosi sono stati italiani, cioè lamedaglistica, Filippo Sgarlata è appassionato cultore, il migliore di Sicilia e fra ipochissimi in Italia. Non è chi l’eguagli nella precisione del rapporto tra piani erilievi, nel modellato accorto ed intelligente dei piani degradanti, del tocco somma-rio ed evocatore. Passando alla scultura l’artista vi porta lo stesso amore di sintesi,di perfetto equilibrio. Lo dimostra il suo S. Giovanni trattenuto nel limo della terracome da morsa implacabile mentre tutto il corpo aspira a procedere e sul volto sidiffonde la stanca ma non la doma volontà di lotta. Opera bella in cui forma ed anima si unificano, scultura dettata da una sincera commozione ed elaborata convibrante fantasia. Queste qualità spirituali che nobilitano la materia senza per altrospingere l’opera né al romantico, né all’idealismo neo-classico palesano «la visionedi Apostolo» «il cantastorie›› ‹‹il ritratto di ragazzo» di Antonio Cuffaro. Tutte e trele opere in terracotta lievemente colorata, sono legate dalle stesse qualità di tecni-ca, cioè da una modellazione piana e sinteticamente descrittiva, da un misurato rea-lismo. È quello di Cuffaro un mondo poetico biblico e pastorale rievocato con dolceabbandono, con serena maraviglia. Nell’opera Cantastorie l’abbandono delle figureesprime l’abbandono del cuore dell’artista, il ritmo con cui esse si dispongono nellospazio esprime il sommesso canto del suo cuore.Anche Buonfiglio di Messina si presenta bene con tre opere «Ciclope»,

164

Page 165: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

«Colapesce», «Ritratto» bene come sempre ma non ottimamente come c’è da atten-dersi da lui, fra i migliori. Anche Lazzaro ci sembra un po’ troppo uniforme nellasua produzione e va notata nelle sue opere una certa discontinuità di tecnica per cuispesso si passa da superfici sensibilissime e vibranti a superfici inerti, tese come peruna enflatura malaticcia. Nella scultura intitolata ‹‹Viaggio›› la gonfia pesantezzadelle braccia interrompe l’incanto della spiritualissima testa. Le braccia e le manisono per Lazzaro un incubo come per il caporale dinanzi all’obiettivo fotografico:non riposano mai bene, non si equilibrano nello spazio. C’è ancora nell’opera diLazzaro un quid che sfugge, come una rima inadatta, una nota sola non musicale.Ma forse l’esigenza nostra si va aumentando più egli si avvicina alla meta. Certo egliè già un caposcuola e la sua influenza è segnalabile in molti artisti, in Pirrotta adesempio di cui il «Ritratto di Lazzaro» fra le tre opere esposte è ferma e decisa, otti-ma di impianto: nell’«Autoritratto» di Francesco Ramo di Catania.Il gruppo di opere presentato da Barbera consente una chiara comprensione dell’at-tuale qualità del giovane scultore. C’è una grande discontinuità nella «Donna sedu-ta» assai bene modellata. La «testa di ragazzo» vivacissima ed espressiva e le altrenon tutte felici nell’invenzione come «L’arrampicatore» ad esempio, né bene equi-librata come «Il pescatore», né eleganti nell’uso dell’argentatura, inutile tentativo diconferire preziosità. Egli mostra una buona e sicura padronanza di tecnica, la volon-tà e la possibilità di affrontare problemi plastici di una certa difficoltà.Le opere di Franchina, giovanissimo, anch’egli formatosi nell’attuale clima spiritua-le, lasciano invece assai perplessi. Descrivono esseri malaticci, magri, stirati, sparu-ti, di inetti e di deficienti mondo penoso, che non riesce per nulla ad interessare per-ché troppo realistico, perché privo di un qualche afflato poetico o di una qualcheumana simpatia.Franchina è ricco di ingegno, ma se il suo stato d’animo è per ora questo, dobbia-mo sperare che la sua giovinezza meglio si accordi presto nel ritmo entusiastico del-l’oggi e tragga dal mondo in cui egli ha la fortuna di vivere ispirazione diversa.La sola opera ‹‹Adamo›› che espone Rosone, ritornato ora alla scultura dopo dueanni di assenza ci rivela qualità più sane di spirito e di studi. Bene egli ha espressonella materia il lento e penoso staccarsi del corpo dell’uomo dalla terra che lo gene-ra e lo riprende, la faticosa liberazione dello spirito nella testa protesa verso la luce.Non tutte le parti della scultura sono trattate con eguale pregio ma nella totalitàl’opera di Rosone merita di essere segnalata.Così pure le opere di Romano Leonardo da Messina, la «Vigilia» di Rimmaudo daMessina, la «Testa di monaco» di Pelleriti da Bagheria. Giovane è pure EnzoAssenza e già dotato, pare, di buona conoscenza di mestiere, indeciso però ancoratra vari insegnamenti e tra vari modelli.

165

Page 166: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Altre opere sono nella mostra: interessanti alcune come quella di Andrea Parini dicui la personalità si rivela più efficace nelle belle acqueforti, di Licari da Taorminaeleganti anche se un po’ gelide, di Carlo Abate, di Adele Gloria, assai meno quelledi Sutera e di Giordano.Vi sono anche tra le opere di Benedetto Delisi, il bozzetto in anticorodal del S.Sebastiano del Palazzo della Posta, una bella e gagliarda Nuotatrice che ameremmotanto vedere circondata di papiri in qualche villa pubblica, un gruppo di Castore ePolluce di un impeccabile equilibrio architettonico. Esse confermano in tutte lequalità della sua arte nobile severa equilibratissima che ha avuto eguale consenso daPalermo a Roma, da Venezia a Bruxelles. Le gnificate soltanto dalle sue opere matutte l’organizzazione della mostra non facile, ma per volontà riuscita al meglio.Opere buone, opere mediocri sono state accolte, come le rose e i rosolacci nel giar-dino dell’esperto agricoltore. Il tempo farà la potatura e lascerà vivere quelle pianteche alla vita hanno più diritto, perché la vita stessa più e meglio esprimono.

17 Maggio 1935- LA VI MOSTRA REGIONALE DI BELLE ARTI

In questa «Sesta mostra sindacale belle arti» quanto la scultura è confortevole tantila pittura disanima e preoccupa, non per l’abitudine di fare geremiache lamentazio-ni, perché mai tanta fede custodimmo nel trionfo dell’arte italiana, ma perché vede-vamo ripetersi anno per anno nelle mostre sindacali i due gravi, fondamentali difet-ti di cui altre mostre vanno liberandosi: la superproduttività e il dilettantismo.Mentre costantemente diminuisce l’esigenza di quadri come ornamento dellenostre case, mentre gli altari delle nostre chiese si adornano piuttosto di statuette digesso colorato anzicché di moderne pitture, mentre l’uso de marmi policromi sop-prime la pittura ad affresco, mentre insomma diminuisce in ogni modo la richiestadi pitture, la produzione aumenta a dismisura ed ogni anno centinaia di quadri (sol-tanto a Palermo) battono alle porte di tutte le mostre. Più si constata la difficoltà divendere ai pittori di professione, e più aumenta la concorrenza dei dilettanti che ilquadretto dipinto fra una fumatina e l’altra, tra un ballo e un te espongono allemostre per soddisfare velleità a se inutili e agli altri dannosa.Che faremo per liberarci di questi mali? Organizzeremo ogni mese una mostra didilettanti, sperando che almeno si abbia la modestia di ritenersi tali di esporre, inve-ce di attendere le sindacali? Si dovrà aumentare il prezzo della tela e dei colori, vistoche indubbiamente una regione di minore produzione per scultura è proprio dovu-to all’alto prezzo del marmo del bronzo?Vi è forse un solo rimedio: attendere che si maturi e che si diffonda in tutte le

166

Page 167: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

coscienze il principio di etica fascista, principio di un maggior senso di responsabi-lità, di serietà, di misura e conoscenza delle proprie forze, di una più mediata con-sapevolezza del compito che ciascuno nella vita si assegna.Dilettantismo e superproduttività sono i difetti generali che qui accentuano le loroconseguenze perché accanto i quadri di scarsissimo interesse, sono pochi, pochissi-mi quelli che affermano una originalità di visione, una serietà e continuità e logici-tà di ricerca, una commozione unica, un aderenza allo spirito della nostra terra e delnostro tempo.Pittura di volontà, pittura di moda, pittura di opportunità, pittura di capriccio e nonmai pittura di aspirazione, pittura lirica, pittura nuova di spiriti nuovi.Noi non abbiamo una grande tradizione da continuare – e sia pur sincero il ricono-scerlo – ma appunto per questo sarebbe desiderabile il crearla; una ne abbiamo peròche è stata continua per secoli e secoli, con un crescendo di nobiltà, di fantasia e ditecnica: la tradizione della pittura murale, quella che è la più eterna, la più univer-sale forma di pittura. Quella che in Sicilia si sostituì ai mosaici d’oro nella Basilicadi S. Francesco e nella Cattedrale di Agrigento, quella che continuarono mirabil-mente Tommaso De Vigilia e il Novelli e il Salerno e i grandissimi del settecento edell’ottocento, dal Vasta al Lo Coco, da Vito D’Anna allo Sciuti, da PietroMartorana al Velasques. Come potremmo continuare questa tradizione se la pittu-ra continua ad interessarsi soltanto al frammentino della realtà, alla traglia e alpomo, ripetendo continuamente gli stessi motivi, senza più affrontare problemi dicomposizione, problemi spaziali, problemi di espressione? C’è veramente una crisidi inventività che un tempo si chiamava fantasia ed era qualità molto lodata ed oranon più. E noi ne avevamo tanta per eredità dei nostri nonni arabi, che sempre lacustodimmo e nelle nostre costruzioni gotiche e in quelle barocche, nelle quali lapittura non lasciò stesura senza la gaia immagine di un motivo ornamentale. Ed orasiamo costretti se ci spinge desiderio di tributare omaggi a una donna, fantasia disostare nella saletta dei cartellonisti dove almeno le arance e il pomodoro, gliocchiali e il caffè moka hanno suggerito ad alcuni giovanetti qualcosa di nuovo e diimpensato. Crisi di inventività non soltanto nei soggetti, ma anche nei colori, neirapporti di figura e spazio, nell’architettura ed equilibrio delle forme. E crisi anchedi buon gusto, che è un sesto senso di somma utilità nella vita e potrebbe suggeri-re ai pittori di cercare rapporti meno terrosi, meno torbidi e corpi umani meno sbi-lenchi e grami e realtà più ricca di interesse. Noi siamo pervenuti ancora una voltaal desiderio di un’arte trasfigurazione della realtà, creatrice di bellezza, esaltatrice divita, non vogliamo più una deformazione della realtà, un immiserimento, una pena;vogliamo che l’arte sia linguaggio del nostro spirito che è diverso certamente daquello che creò la decorazione pittorica di S. Francesco e del Cappella Riccardi,

167

Page 168: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

delle Stanze e della chiesa del Gesù del Palazzo reale di Monza e del Parlamento,ma non certamente meno ricco di valori religiosi etici ed artistici.Poche opere e pochi artisti possiamo segnalare.Molte buone speranze ci alimenta la pittura di un giovane di Catania: CarmeloComes che ha scritto con studiata pittura di tono un «Cantiere a mare» delicatissi-mo di gradazioni coloristiche in grigio e azzurro e un «Deposito di zolfo» anchequesto visto con molto interesse di colore; altre ci conferma il pittore Schmiedt conla pittura «Cemento armato», la più interessante fra le tre esposte per l’equilibrioarchitettonico trovato fra uomini ed aste ferrigne nello spazio così ampio, sotto uncielo così morbido di nuvole.Vi sono paesaggi gradevoli, quelli ad acquerello di De Caro studiati dal vero conuna delizia di pennellate fresche, gaie vivacissime e con una luminosità di atmosfe-ra che invece non riesce assolutamente a cogliere Pina Cali, quelli di Leo Castro dicui uno assai interessante come documentazione storica e più come diligente stu-dio di rapporti di colori, altri di Topazia Alliata, ricca di gusto e di possibilità maancora distratta a guardare nel mondo più che nella propria anima, altri ad acque-rello di Giovanni Fazio Scalia.Immobili marine e pietrificate cose nello spazio di un atmosfera senza vibrazioni, eun «Pescatore siciliano» l’uno e l’altro sostenendo con eguale convinzione e soprattut-to con eguale gioia del compiuto; moderna, ultra moderna vorrebbe essere la pitturadi Lia Pasqualino Noto e lo è nella ricerca di certe luminosità cromatiche, di nuovedelicatissime composizioni di colori vera e rapida conquista dopo le prime opere cosìaride, ma non lo è in quel neo primitivismo così decisamente oggi bandito.Tra il quadro «Scirocco» dove sarebbe stato consigliabile maggiore gusto negli acco-stamenti dei colori e un maggiore discernimento nella scelta del soggetto e il qua-dro «Crisantemi» ci da più a sperare questo per il modo sintetico e gustoso di ren-dere la massa cromatica dei fiori; così tra le opere delle sorelle Giarrizzo che hannodifetti e pregi uguali, preferiamo perché meno antiquata «La scrittrice Rita Franco»di Adele e «Le amiche» di Maria; e tra le opere di pura decorazione di PaoloBevilacqua sempre originali ed eleganti è questa «Nascita di miti di Sicilia», prefe-riamo la prima pur lodando il desiderio di volere passare come questo affrescodimostra, dalla pura decorazione alla pura pittura.Interessano come rendimento di visioni della realtà non precisata, ma coloristica-mente intense viva le due opere di Guttuso, così pure i quadri di Pippo Giuffrida euna Scena campestre di Rita Ponte spiritosa e piena intelligente osservazione dellanatura; con molto piacere si guardano le acqueforti di Andrea Parini e di Rosa LoJacono, una xilografia di Mario Biancorosso ed i monotipi di Bovastelli e diCatalano.

168

Page 169: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Superiore a tutti, per serietà di pittura perfettamente unificatasi oggi come forma ecolore è l’opera di Gianrizzo, il solo pittore siciliano chiamato ad esporre allaMostra di Bruxelles con Delisi e Sgarlata scultori.È basta perché a continuare spinti dal desiderio di volere trovare qualche cosa dibuono e cominciando ad abituarci alla mediocre aura, finiremo anche col lodarequel disegnino rappresentante una serva che prega vicino alla scopa e al secchio.Facciamola continuare a pregare per la pittura di Sicilia.

22 Maggio 1935 - INIZIATIVA DEL REGIME. LA SECONDA MOSTRA

DELL’ARTIGIANATO SICILIANO*

La seconda Mostra dell’artigianato è assai diversa dalla prima. La prima fu unamostra di vari oggetti raffinati ed eleganti, prototipi (potevano esserlo, di una pro-duzione a serie): questa invece offre l’arredamento completo di una casa: ingresso,salotto, stanza dei bambini, stanza della signorina, stanza da pranzo, cucina, studio,veranda, stanza da letto, stanza dello studente. Una casa moderna con mobili sem-plicissimi solidi, eleganti nella proporzione e nella qualità del legno, oggetti deco-rativi assai preziosi, massime i laccati, tappeti, argenti, ceramiche tutto opera dimaestranze siciliane. La prima risultanza da trarre è che il nostro artigianato siapervenuto a quel grado di modernità, di razionalità e di buon gusto che già da undecennio si è raggiunto al Nord Italia. Grande successo questo, ove si pensi alla resi-denza passiva, tenace, decennale che le arti minori siciliane hanno offerto alla intro-duzione delle forme moderne, la lotta accanita impegnatasi fra gli ultimi ghirigoridel barocchetto locale, petulanti ed ostinati e le semplici e le schiette linee dello stilenovecento, l’ostinata preferenza per il mobilio tarlato e inadatto purché antico, tuttala paccottiglia di argenteria, di stoffa, di ceramica, ordinate a serie, preferita sempreal prodotto moderno. Il successo è dovuto alla costante attività dei Bevilacqua a cuisi è aggiunta da alcuni anni la collaborazione di Gino Frattani, delegatidell’E.N.A.P.I. organizzatore della prima e della seconda Mostra artigiana, elogia-bile nell’intelligente costanza con cui affronta il problema non facile dello sviluppodell’artigianato, girando per i paesi della Sicilia, cercando di ‹‹scoprire›› l’umileartiere, favorendo il contatto tra artisti e artigiani, questi pazientemente e amorosa-mente seguendo nella loro opera. Tutta la mostra è un chiaro esempio di come l’ar-tigianato siciliano sia sensibile all’educazione e all’aiuto.Nella stanza da pranzo vi è ad esempio un piccolo gruppo di scatole ad intarsio dimadreperla eseguite da un umile artigiano di Ognina a cui Gino Frattani ha offer-to alcuni disegni di artisti e propri: ottima ne è l’esecuzione, notevole la grazia con

169

Page 170: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

cui è stato tratto partito dalla pittoricità raffinate delle madreperle; nello «studio» visono mobili di Vincenzo Pelleriti, un artigiano di Monreale a cui Gino Frattani hafatto passare disegni da Alfio Scuderi allievo del R. Magistero d’arte di Palermo edi mobili sono risultati ottimi nell’esecuzione e perfettamente moderni. Tutto ilmobilio del resto è elogiabile: il divano e le poltrone in cuoio eseguiti da SalvatoreSpanò, i mobili di Manfrè su disegni di Fegarotti quelli di Tommaso Bertolini sudisegno di Giuseppe Spatrisano, gli altri di Piero D’Agostino, gli altri di VincenzoPianelli, di Salvatore Di Benedetto tutti insomma rappresentano assai bene il gradodi perfezione a cui si può giungere con un po’ di buona volontà e di studio. Anchele argenterie eseguite da Giuseppe Piazza, dai Fratelli Di Giovanni e da Piacentinisono inappuntabili nella esecuzione, solo che maraviglia vedere la corporazionedegli argentieri che un tempo – dal 1300 al 1800 – contava numerosissimi artieriridotta ad essere rappresentata soltanto da tre; come pure maraviglia pensare disper-sa in Sicilia la continua e bella produzione di ceramiche, fonti di ricchezza per lecittà di Caltagirone, di Trapani e di Sciacca, tradizione che è ora unicamente rap-presentata dai prodotti della scuola di S. Stefano di Camastra e dei fratelli Gerbinocon prodotti assai graziosi nella loro semplicità rusticana. I ricami di FrancescaSalaroli, di Beatrice Ortolani, di Maria Rumbolo, della Scuola Femminile IVNovembre e della scuola superiore Turrisi Colonna confermano la fiducia nell’arti-gianato femminile e vien fatto di chiedersi vedendo così raffinati prodotti, per qualmotivo le tende del palazzo della Posta, che costarono cifre enormi, furono esegui-te dalla ditta Iesurum invece che dalle artigiane locali in fama fino ad ieri, tra le piùesperte del mondo. Meno bene è rappresentato l’artigianato femminile – sartorie,modesterie, ecc, - e mentre è elogiabile questo primo tentativo di offrire al pubbli-co un saggio delle possibilità e delle risorse locali, si sente il bisogno di un maggio-re sviluppo sia in quantità che in qualità. Sarebbe a questo riguardo assai desidera-bile che molte signorine pittrici offrissero o eseguissero alcuni di quegli inutili egraziosissimi oggetti che completano il vestiario femminile, sciarpe, borsette, cuoi,veli, fiori, gioielli, collaborando con disegni ed esempi allo sviluppo dell’artigianatofemminile.Le belle fotografie dei Cappellani e di Incorpora, i festosi mobili e i gai tappeti chedecorano la veranda, l’ambiente più siciliano e più gaio – rallegrata dal centro dainumerosi uccellini non fabbricati ma alimentati da La Spina, i violini di AntonioSgarbi, di Di Leo, degli Averna, i cuoi di Barone, le parrucche rendono assai gra-ziosa e pittoresca la mostra.Il problema dell’artigianato è problema artistico, economico e turistico. Bisogna ali-mentare in ogni modo le industrie artistiche di Sicilia, riprendere le nostre superbetradizioni nel ricamo, nei legni, nelle oreficerie, nelle ceramiche, non soltanto a

170

Page 171: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Palermo sviluppandole, ma a Trapani, ad Erice, a Caltagirone, a Taormina, altre farnesorgere sfruttando le abilità e i prodotti locali.Fino ad ieri la Sicilia è stata percorsa in lungo e in largo da antiquari per devastarele chiesa e i monasteri di tutti gli oggetti di arte decorativa siciliana.I più ostinati turisti di Sicilia sono stati gli antiquari e gli amatori di arte. Ora, pernostra disgrazia, questo richiamo è finito o quasi; sarebbe il caso di iniziarne unaltro costituito da moderni oggetti di arte decorativa, manufatti dalle industrie arti-stiche paesane. Come già ebbe a dire l’on. Bonomi al Congresso Turistico diSiracusa, bisogna che il forestiero sia spinto a comprare e, in Sicilia oggi il forestie-ro non compra che il solito carrettello siciliano, la ceramichetta rustica e il fazzolet-tino a sfilato.Allo sviluppo dell’artigianato possano contribuire le mostre solo quando sono benorganizzate e dirette dagli organi competenti ma debbono anche e sopratutto con-tribuire le scuole. La collaborazione, tra artisti e artieri, ottima in un primo tempoper incoraggiare e per educare al nuovo gusto, l’artigiano non dovrebbe continuareperché l’artiere deve raggiungere la capacità di essere ad un tempo ideatore ed ese-cutore, altrimenti egli lavora senza entusiasmo, con una passività che nuove all’ope-ra con un’esecuzione gelida, e monotona. Egli che ha nelle mani la materia e sialegno o argento, ceramica o stoffa egli deve nuovamente apprendere ad ascoltarnela voce e a seguirla. Se gli scalpellini che lavorano al chiostro di Monreale non aves-sero avuta concessa libertà di ideazione e di lavoro, non avremmo avuto la stupen-da e ricca pittoricità di quel chiostro, se le maestranze del settecento non fosserostate di per se educatissime all’arte non avremmo avuto quella stupenda fioritura diarte decorativa che è una delle glorie più alte della Sicilia.Esistono già in Sicilia scuole di tipo artigiano a Caltagirone per esempio, ma la lorovita è assai grama e spesso alla direzione di queste scuole non sono persone adatte; svi-luppare, rendere moderne quale già strutture di somma urgenza; altre dovrebbero sor-gere piccole ma attive, capaci di perfezionare le operosità.Ad Erice per esempio le industrie assai attiva dei tappeti potrebbe avere ulteriorisviluppi; a Trapani sarebbe indispensabile la creazione di una scuola per l’artigiana-to tenendo conto del grande posto che Trapani tiene nella tradizione per la lavora-zione del corallo, del legno, della ceramica e per l’importanza che questa cittàpotrebbe assumere come porto di commercio tra la Sicilia e l’Africa. Unico Istitutoin tutta la Sicilia è l’Istituto d’Arte di Palermo che corrisponde in modo perfettoalle esigenze per cui è sorto, educando gli allievi con un insegnamento pratico e spi-rituale a disegnare ed eseguire qualsiasi tipo di oggetto. La stanza dello studente,che fa parte dell’arredamento presentato in questa mostra è un saggio dell’abilità,delle eleganza raggiunta dagli allievi di tale scuola, alla quale sarebbe indispensabi-

171

Page 172: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

le unire la sezione della ceramica, delle rilegatorie, della stampa e dell’oreficeria.Come l’Istituto d’Arte di Palermo, come la più piccola ma attiva e ben organizzatascuola di Comiso dovrebbero sorgerne molte altre specialmente le scuole rivolte allosviluppo dell’artigianato femminile (e invece, l’unica scuola di carattere professio-nale femminile è in via di soppressione!) allo scopo di richiamare la donna da lavo-ri penosi e dannosi alla salute – specialmente nel periodo della maternità – ad unlavoro più gradevole e adatto. In tutti i modi bisognerebbe incontrare lo sviluppodell’artigianato ed il compito più vasto appartiene al pubblico. Bisogna rieducarsiall’amore per l’oggetto ‹‹unico›› e non per l’oggetto a serie, preferire il gioiello crea-to ed eseguito dall’orefice al grosso e barbarico brillante, il corredo eseguito dalleartigiane espertissime a quello ritirato «dalla famosa casa di Parigi o di Bruxelles»,il mobile adatto al proprio gusto anziché quello eseguito a serie. Il piccolo oggettonuovo per inventività, a quello consueto esposto in tutte le vetrine, seguire insom-ma con ogni simpatia il tentativo dell’artista e dell’artigianato, con simpatia e conpratico aiuto.La gioia più alta dell’uomo non è soltanto lavorare, ma anche offrire lavoro.

6 Giugno 1935- IL MUSEO AGRIGENTINO

Piccole e grandi città, paesi e paeselli di Sicilia, tutti aspirano all’onore di avere unMuseo, sia pur formato da una polverosa stanza o da un immenso e sconosciutolocale, sia pur costituito da mediocrissime tele sudicette. Il museo ci deve essere,come il salotto nell’angusta casa borghese, che accoglie il sofà, la specchiera, la lupadi Roma, la gondola di Venezia.Ci deve essere. E ci sono. Indecorosi, malinconici; polverosi, inutili, dove la raraopera di arte viene soffocata tra le volgari cose. Museo di Castelvetrano ad esem-pio Museo di Enna, Museo di Termini, Museo di Caltagirone, Museo di Cefalùecc. Dal vivo in questi musei non c’è che qualche topo indigeno e forestiero di pas-saggio che fa una capatina tra uno svolazzo di statuetta barocca e una piega di pivia-le, o striscia sopra una tavoletta fondo-oro, come uno storico dell’arte in ricerca divalori tattili. Era così, un po’ meglio di così, il Museo di Agrigento. Possedeva peròuna quantità di materiale venuto dai recenti scavi, frammenti architettonici, terra-cotte, ceramiche, sicché era veramente indispensabile l’ordinamento.Buona volontà da parte del Comune che ha ceduto alcuni locali scolastici, validointeressamento del Podestà, moltissimo zelo ed amore nel direttore Zirretta, intel-ligente assorbimento dei principi fascisti, ed il miracolo è stato fatto ed è venuto suun Museo piccolo, ma tutto lindo, luminoso, ricco di interessanti sorprese.

172

Page 173: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Laggiù, nella valle ondulata e vellutata dove tra gli ulivi e i mandorli si elevano conl’armoniosa spontaneità dello stelo le colonne e i capitelli di biondo colore di spigamatura, tra le are inghirlandate e le rovinate pietre, in quella cestina e avvolgenteluce, tra rami e foglie inframmezzati di azzurro, difficile è l’analisi, l’osservazione,la ricostruzione, l’indagine.Ma quando si passa al Museo e si vedono terracotte sorridenti e pensose, lastretombali e ceramiche e si ha la testimonianza materiale di una vita che come lanostra fu amorosa di ornati, e come la nostra colpita da morte, allora quel mondodi fiaba della vallata fiorita diventa al nostro ricordo lontano, e a questi oggetticustoditi dal Museo si chiede tutto, chi li compose e quando, a che servirono e dove.Allora ritorna e si accentua la curiosità di sapere l’ardore dell’indagine storica ildesiderio di emozioni estetiche.Tutto questo suscitano appena si entra tre grandi teste appartenenti ai Telamoni delTempio di Giove Olimpico di Agrigento, una, antica ospite, le altre de recentemen-te dissepolte negli ultimi scavi. Sono immense: e subito la grandezza ce li rendeestranee e lontane. Ferite e corrose dal tempo, i loro elementi fisionomici si ricom-pongono a stento. Ma appena entrati fra di loro, l’interesse è richiamato subito dallostrano sorriso, malizioso e doloroso ad un tempo, di una di queste teste che ha barbaaguzza ed è espressione così arguta da farci pensare come suo ultimo discendente ilvecchietto malizioso antonelliano nel Museo di Cefalù. Allora il suo sorriso acco-gliente ci spinge a guardare anche le teste vicine: una ha il naso schiacciato, slarga-to, capelli ondulati sotto la «stephane» ma una bocca perfetta di linea con labbraarcuate e carnose, sfiorate appena dal sorriso: l’altra, quella ricostruita dal Politi, ègiovane, sbarbata con bocca chiusa. Una vita diversa è in loro che appena cominciaad affiorare dall’indistinto della massa e però già si fa diversa, ed è anima ed è spi-rito diverso.Esse avevano anche il corpo, ma uno solo è ricomposto sull’erba nella valle deitempi, gli altri, recentemente scoperti sono rimasti enormi cumuli di massi.Un piede, un solo piede è stato trovato ed è qui al Museo. Tre teste, un piede e lag-giù a valle, agli immensi corpi a pezzi. Immane carneficina più di quella che Giovefece.Il tempio ribelle, - Questi immensi giganti ornavano il tempio di Giove Olimpico, ilpiù grande l’immenso tra i nove tempi che gli agrigentini, desiderosi di eternità eres-sero tutto in un secolo, in un impeto di fervore che poteva essere ricompensato dagliDei solo con l’immortalità. La cella non fu circondata da peristilio ma da immensomuro in cui si fondevano mezze colonne, all’esterno, pilastri all’interno; tra le super-fici emisferiche delle colonne, poggiati al muro, nel compito di sorreggere l’epistiliostavano questi telamoni alti più di sette metri con le braccia alzate nella fatica del sop-

173

Page 174: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

portare, con volti gravi e giovanili e corpi appena modellati con scalpellature somma-rie e indispensabili. Ma dove poggiava questi immensi giganti?Sopra un ingrossamento del muro stesso o non piuttosto sopra mensole di sostegnosu tipo di quella scoperta recentemente? Ma c’era poi bisogno di poggiare i piedi suqualche sostegno se i telamoni stessi erano architettonicamente in funzione di men-sole? Quel piede ritrovato, modellato anche sulla pianta non permette più di pensarealla mensola – soluzione che era stata cautela – e lascia il problema nell’incertezza.Più ancora, perché nessun esempio; nessuna tradizione esiste anteriore a questi tela-moni negli altri tempi, e nel tesoro dei Cnidi a Delfi, ben altra la funzione dellecariatidi.Il tempio fu veramente opera di un architetto ribelle. Non si può segnalare in tuttala storia dell’architettura un esempio più tipico di reazione al canonico, alla legge,al costume di quella compiuta dall’anonimo architetto agrigentino. Diverso era neltempio la pianta, originali questi telamoni.Moderno ci appare l’architetto anche oggi, di razionalità invidiabile, che egli avevaconcepito la immensa decorazione plastica non sovrapposta come nei tempi egizi,ma architettonica e nell’architettura strettamente inclusa. Al confronto la decora-zione plastica gotica e barocca non sembra che un irrequieto arabesco sulla super-ficie murata.Scultura così aderente, da suggerire l’impressione di una naturale modellazionedella materia stessa.Così le stupende teste leonine del tempio di Demetra che in funziona di docceornavano la sima dei tempi, rivelano il diligente studio di accordare la massa plasti-ca con la superficie di base, nella scelta di questa, fra tutte le teste di animali la piùsimile all’umana per armonioso rapporto fra le tre dimensioni. Bellissime accanto aquelle che si conservano al Museo di Palermo e al Museo di Siracusa, sono questenel Museo agrigentino, di una austerità nobile e grandiosa.E nel riconoscere in ogni opera plastica tanti interessanti problemi mi si accentuail rimpianto di quello che il tempo ci ha tolto guardando con somma gioia, in com-penso, la ricca serie di statuette in terracotta che bene ci illuminano su questomisterioso popolo che il divino e il terrestre, il religioso e l’umano alternava con siaccorta misura.Che delizia quella statuetta in terracotta della balia che allatta il bimbo, così carnosada fare invidia alla più grassa opera di Maillol; che interesse in tutta la serie di statuet-te fittili che dalle stipi sacre sono state tratte ed ora esposte, inefficaci copie alcune,ma altre così suggeritrici di gioia per chi le contempla e sa ritrovarvi la parola nuovae spontanea del plasticatore agrigentino, che spiritosa invenzione in quel «muletto diDionisio», petulante ed offensivo come la battuta di commedia ateniese!

174

Page 175: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

In quegli armadi, illuminati dalla calda luce che viene dalla valle, le piccole cose dimateria diventano colme di un contenuto ricchissimo spirituale; voci fresche e vivesulle quali impone silenzio; austero, severissimo come dolente della sua mutilazio-ne, l’Efebo agrigentino.

16 Giugno 1935- ARTE SARDA

L’arte sarda è un’arte prevalentemente decorativa e popolare. Essa appare domina-ta da un grande amore per l’ornato e per il colore: un ornato che riduce tutte leforme della vita reale massose, morbide, carnose a pura linea geometrica con ango-li definiti e netti, con spigoli precisi, con rarissime curve, semplice, schematica,essenziale ma immancabile su qualunque oggetto l’uomo posi la sua mano o ilsguardo, sul mobile come sull’utensile, sulla zeppa come sul gioiello, sulla veste,come sulla panca. Questi ornati sardi non hanno storia perché non hanno evoluzio-ne: parrebbero a prima vista, ornamenti dell’epoca barbarica e alcuni appartengonoinfatti a quell’epoca, ma altri sono di ieri, altri di oggi; alcune decorazioni sonorimaste immutate come se il popolo, avendo creato dietro suggerimento del reale unpiccolo mondo tutto geometrico ridotto a quei motivi zoomorfici e vegetali assolu-tamente indispensabili, avesse poi ritenuto inutile modificarlo come non si modifi-cano le forme essenziali della natura: delle montagne che stringono i boschi selvag-gi, delle scogliere che includono il mare, degli alberi nella foresta. Per questo avvie-ne che l’arte di Sardegna è espressione di popolo non di individuo ed essa è preva-lentemente opera della donna, meditativa, operosa, silente, donna che vive nel chiu-so recinto della casa. Tappeti e ricami sono l’assiduo eterno lavoro della donnasarda; le incisioni su legno, gli ornati sulle armi, sugli utensili, le ceramichette, i gio-ielli i cestini, costituiscono il lavoro e lo svago degli uomini; l’uno e l’altro lavoro sitramanda da madre a figlia, da padre a figlio come il linguaggio, come la preghie-ra, come il costume. Lavoro senza slancio e senza inquietudini, ritmico, sereno, assi-duo, uniforme. Lavoro che ha creato però e crea una somma di piccoli oggetti cheuscendo fuori dell’isola si sono trasformati in tutti i mercati d’Europa in messagge-ri simpatici ed eloquenti di questo popolo isolano pertinace, onesto, rigido, austero.L’arte sarda non ha grandi nomi. Non vi sono nella sua storia grandi architetti négrandi scultori. Essa è antiplastica per eccellenza.Il periodo aureo dell’architettura sarda è il periodo romanico ma non si ebbe in que-sto tempo un’originale elaborazione di forme locali. Pisa espertissima e dominatri-ce mandò nell’isola le sue maestranze e queste diffusero il bel romanico toscanoschietto e puro che trovò nel substrato romano della isola, nelle rovine di porto

175

Page 176: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Torres e di Cagliari altre ispirazioni. Ricca era l’isola di materiale costruttivo: c’erail bel granito di S. Teresa di Gallura, il basalto di Ardara, l’arenaria di Dolianova ele maestranze pisane largamente se ne giovarono; costruirono però senza sfarzo,come rispettando la nativa sobrietà di quel popolo, molte chiese da quella di S.Gavino a quella di Porto Torres da quella di S. Maria di Tergu a quella bellissimadi Inglesias.Quando nel 1326 il dominio degli Aragonesi potè di fatto stabilirsi nella isola,entrarono allora le forme gotiche di Spagna, con archetti a giogo, con multipli e tritiornamenti, un po’ grame, ma tenaci, anche se con scarse risonanze e scarsissime ela-borazioni indigeni.Da allora si cominciano a segnalare i rapporti dell’arte di Sardegna con l’arte dellaSicilia: rapporti derivati dall’eguale avvenuta elaborazione nell’una e nell’altra terradi elementi gotici catalani, così come nella pittura del trecento i rapporti vengonofavoriti dall’influenza dell’arte pisano-senese-catalano e più tardi nel secolo XV piùesclusivamente catalane. Anche le arti minori in questi due secoli, trecento e quat-trocento, presentano affinità notevoli nelle due isole, poiché dai comuni modellivenuti dalla Spagna tanto gli orafi sardi, quanto gli orafi di Sicilia trassero ispira-zione. Può mettersi infatti a paragone la bellissima croce aurea della Cattedrale diMazara, tutta ornata di una minuta e fragile decorazione gotica con l’altra croceeseguita di maestranze sarde che si trova nella chiesa di Iglesias ambedue derivanoda modelli catalani. Ma le affinità fra le due isole, per quanto riguarda la produzio-ne artistica non continuano nel tempo, perchè in Sicilia si passava sempre ad un ela-borazione originale delle forme di importazione e sempre si riusciva ad affermare lapropria voce limpida ed alta fra le mille venute da oltre mare. Come nel periodo deiRe normanni, accogliendo ed elaborando voci diverse dalla Normandia e daBisanzio e dal Cairo si creò un romanico meraviglioso che non ha pari in tutto ilmondo per la soluzione ingegnosa ed estetica di problemi costruttivi, per armoniae pittoricità così anche nel periodo aragonese si portò il gotico, già superbo nelperiodo federiciana ad espressione originale e bellissima attraverso il genio diMattea Maria Carnelivari. E così anche nella pittura accogliendo come la pitturasarda tanti elementi catalani si potè giungere in Sicilia all’espressione originale edeterna dell’arte di Antonello da Messina. Più aperta alle varie correnti di arte, piùricca di tradizione, la Sicilia seppe trarre partito di tutte le altrui conquiste, alimen-tando le proprie risorse che favorivano poi le reazioni e le elaborazioni. Ma in cam-bio la Sardegna, rimasta chiusa e serrata ai contatti con l’esterno ha potuto mante-nere sino a oggi una tradizione artistica più umile; più uniforme, più originale, piùfedelmente conservatrice della purezza e limpidità dello spirito popolare.Continuando nei secoli i rapporti artistici fra la Sicilia e la Sardegna diminuiscono

176

Page 177: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

perché il barocco, che, dopo la breve parentesi rinascimentale entrò nell’una e nel-l’altra isola non vi ebbe eguale sviluppo: mentre in Sicilia riuscì ad una affermazioneimponente, lussuosa, che dai grandi centri di Palermo, di Messina, di Catania si dif-fuse nel più intimo dell’isola, nelle più chiuse contrade e nei più lontani paeselli,modificando totalmente la tradizione popolare goticheggiante e rinnovando tutto ilrepertorio decorativo, e non giunse a rinnovare il geometrico rettilineo rigido reper-torio decorativo se non nei centri di maggiore cultura. Indifferente alla novità ilpopolo continuò a ripetere i consueti fregi scarsamente, modificandoli sui tappeti, suiricami, sui mille oggetti della vita pratica. Anche l’architettura popolare è rimastaindifferente alle influenze dell’architettura aulica ma essa ha avuto sempre una riccavarietà di forme intorno ad un nucleo centrale di immutabili elementi.La più ricca documentazione dell’architettura sarda popolare è presentata oggi daun magnifico volume edito dai Fratelli Treves opera di C.U. Arata e di G. Biasi cheha preparato le sedici tavole a colori le quali, aggiunte alle 274 tavole in nero e alle62 figure nel testo formano la più accurata e scelta illustrazione di tutta l’arte sarda.Rapporti che l’autore segnala fra il tempio etrusco e la casa sarda, sono del tuttoaccettabili ed è bella questa permanenza di una tradizione costruttiva schiettamen-te italica.«Umili nel loro equilibrio, queste costruzioni hanno una struttura semplicissima e trac-ciata con accorgimenti pratici in cui tutto è adeguato e contigente, nulla è superfluo.Un muro che recinge un giardino o un cortile per lo più rettangolare, un portico dilegno che i sardi chiamano «lolla»; tre o quattro vani di abitazione disposti su uno stes-so piano e sopraelevati di pochi decimetri rispetto al livello del cortile; il forno a palla,il pozzo ad unica apertura situata nel punto centrale del muro di cinta che fronteggiail portico sono le linee fondamentali che costituiscono la più tipica delle case campi-danesi; singolare ed austera dimora chiusa agli sguardi profani ed alle tentazioni dellavita esteriore e dove l’occhio estraneo non penetra mai».Questa è la casa popolare sarda che spesso nella sobrietà e nel rapporto fra i vari ele-menti riesce ad avere la religiosità del tempio e la sacra malinconia del recinto cimite-riale.Anche certi casolari di Oliena, di Desilo e certi strani comignoli di Fonni, diOrgosolo, di Oristano e una chiesetta campestre di Mamoiada, bellissima e moder-na e certi interni pittoreschi di casolari sono di grandissimo interesse per chi amastudiare i rapporti infiniti che passano tra la natura e l’uomo e tra l’uomo e le cosee ritrovare in questi rapporti le voci eterne dell’umanità.Dalla casa umile al ricco costume, dai superbi gioielli che da stoffe e dai ricami,dalle ceramiche a tutti mille oggetti che circondano l’uomo, è possibile vedere inquesto libro che onora l’arte editoriale italiana, esempi sceltissimi.

177

Page 178: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Il testo che precede la raccolta del materiale fotografico non vuole essere esplicati-vo nel senso di chiarire lo sviluppo storico delle varie forme di arte o di studiare irapporti e le influenze o anche di riassumere già da altri studi ottenuti, vuole esse-re un commento garbato, intelligente ma generale sulla ricca produzione sarda. Laraccolta fotografica anche delle armi dei coltelli da caccia, delle chiavi, dei corni, ditutto ciò che la mano dell’uomo ha illeggiadrito, è testimonianza di una appassio-nata ricerca di un intenso amore ed è di tale interesse scientifico da far superaresubito ogni tentativo di critica scarsamente benevole.Tanto ci sembra bello ed utile il libro e le belle tavole a colori di Basio che anzi beneinterpretano la religiosità austera di quel popolo, da augurarci assai vivamente che iFratelli Treves possano al più presto offrire il libro siffatto anche alla Sicilia, l’isolasorella e maggiore.

21 Giugno 1935 - POSTILLA ALLA SINDACALE REGIONALE SICILIANA

LA MOSTRA RETROSPETTIVA DI SALVATORE COTTONE

C’e una saletta alla Mostra Regionale Siciliana in cui sono state riunite dalSegretario della Sindacale alcune sculture in marmo, in gesso e in legno ed alcuneincisioni di un artista scomparso recentemente e silenziosamente, lasciando dietroa sé una piccola scia di rimpianto: Salvatore Cottone. Poco, anzi nulla si è scrittosulla sua opera, niente squilli di trombe, niente verbosità oratorie. Umilmente comevisse, umilmente egli si allontanò dalla vita il primo Gennaio del nostro anno. IlSegretario della Sindacale e i pochi amici artisti, hanno voluto che egli fosse pre-sente anche in questa mostra come lo era sempre alle sindacali, alle Interregionali,alle Biennali e alle Quadriennali, hanno voluto ricordare al pubblico tutta la suaopera.Non si può dire brevemente della sua arte senza ripensare alle sue qualità che quel-la illuminavano tutta di luce calma e diffusa. C’era un aderenza assoluta tra il suomondo spirituale e il suo mondo artistico; ogni opera d’arte era penetrata o permea-ta dalle sue qualità umane e la sua umanità era tutta annobilita dall’arte. Era unabontà limpida e quieta, una grande serenità di spirito, un vero rispetto religioso perl’arte, una modestia sincera e nobile. Qualità non eroiche eppure rare; e lo rendeva-no caro a tutti, e spingevano a guardare con rispetto e simpatia le sue opere. E l’ope-ra non deludeva anzi manteneva e rafforzava la stima e il rispetto; era sempre one-stissima, studiata, approfondita, curata in ogni particolare, seriamente lavorata. Nonriuscì mai a Salvatore Cottone di abbandonarsi a esotismi, mai a piegarsi ad un’ar-te che fosse semplice esercitazione tecnica oppure inutile tentativo di reazione.

178

Page 179: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Come seguendo la sana e nobile tradizione della plastica siciliana non gli fu maipossibile pensare ad una scultura abbozzata o deformata o trascurata, solo peramore di malinteso modernismo. Nel solco della tradizione preferì restare, e prefe-rì l’eventuale accusa di ‹‹passatista›› alla lode di essere all’avanguardia, se per esser-lo fosse stato necessario abiuare ai principi fondamentale della sua arte. Per questole sue sculture raggiungono sempre una grande dignità di modellazione e sobrietàe compostezza, doti non troppo facili a segnalarsi in quel decennio 1925 – 1935 incui cominciò a lavorare e a guidare nel lavoro i suoi giovani allievi.Ma accanto al prestigio e alla dignità della tecnica c’era nella sua opera una ispira-zione di base e quindi un contenuto spirituale che riuscivano ad animarla di unimpulso vitale. Un contenuto non tragico, non eroico, non innovatore, ma un con-tenuto religioso, mite, piacevole. A volte Egli sembra uno scultore quattrocentescosmarritosi nella folla audace del novecento. Di quell’epoca, spesso riesce a rievoca-re la dolce religiosità, intima e serena come in quella «Madonna col bimbo» dellafacciata del collegio Pio X a Messina, quasi gaginiana diremmo, nel candore e nelladolcezza dell’espressione, ma tutta moderna nella modellazione estremamentesobria; come nello ‹‹Agnello smarrito›› in bronzo presentato alla XVII esposizioneinternazionale di arte a Venezia, opera equilibratissima. Quando poi egli si dedica-va ad opere prevalentemente decorative riusciva sempre ad un equilibrio così per-fetto, di volumi, ad un ritmo così serrato nella composizione da porsi, risolutamen-te nel campo della più classica decorazione. Si vedano ad esempio i pannelli deco-rativi nel salone della Banca d’Italia di Palermo; oppure la bella fontanina in bron-zo rappresentante una sirena con un bimbo. Se una colpa vi è nella sua scultura èquella di restare qualche volta in qualche particolare troppo legato al particolarismoveristico ottocentesco, frutto questo del suo grande studio, del suo grande rispettoper i maestri, quasi la impossibilità di liberarsi da un ricordo troppo gradito. Ciòorigina, di tanto in tanto, improvvisi arretramenti nella sua produzione. Ma questoavviene soltanto nel marmo e nel bronzo. Quando egli lavora il legno, allora riescead ottenere sempre una perfetta unità nella modellazione, a rispettare sempre lamateria, ad essere moderno senza sforzo, ponendosi risolutamente nella esiguaschiera di quegli scultori che hanno saputo rinnovare la bella tradizione della scul-tura lignea in Sicilia.Avere perduto, il buon legno, tutta la sua nobiltà, camuffato come appariva nel primodecennio del novecento in mille modi bizzarri, ora piegato ad imitare il marmo orala cera, ora il ferro, e verniciato e colorato e dorato; sempre o spesso disprezzato. Lagloriosa tradizione, che dal magnifico crocifisso del Museo di Messina, agli armadiagli stalli corali quattrocenteschi, ai magnifici mobili barocchi, alle superbe e raffina-te cantorie settecentesche ai solidi e pomposi mobili ottocenteschi ininterrottamen-

179

Page 180: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

te si era svolta in Sicilia, indugiava anche nel secondo decennio del novecento nellevecchie forme. Salvatore Cottone fu fra i primissimi a restituire tutta la dignità allegno a lavorarlo con un amore degno della tradizione, a rinnovare la tecniche e poi-ché la sua opera teorica e pratica svolgeva nel R. Istituto d’Arte dove insegnava eglipotè veramente esercitare una grande influenza sulla rinascita delle sculture lignee aPalermo. Basta guardare, a riprova, la piccola ‹‹Annunciazione›› esposta alla Mostradove la materia si annobilisce per la tecnica perfetta e la composizione risulta intimae armoniosamente fusa: «Alla Fonte» in cui le due figure sembrano scalpellate nelfusto di un albero includendosi in un modo perfettamente ritmico nell’ideale formacilindrica; e nel «S. Francesco» opere tra le più ispirate tra le più vibranti di una dif-fusa pietà religiosa. Era spiritualmente adatto - così buono e così dolce di animo, asentire tutta la poesia francescana, a comprendere il santo dell’ardore della povertà,e quest’opera dovette maturarsi senza fatica mantenendo un entusiasmo, una com-mozione, che sempre si comunicano a noi ogni volta la si guarda.In un altro campo si svolse con ottimi risultati l’attività dell’artista, attività particolar-mente gradita, come è gradito il giardino silenzioso dopo la lunga giornata di lavoro.Con infinito amore egli si era dedicato alla incisione: aveva cercato nuove tecniche,sognava perfezionamenti continui, guardava con somma attenzione quanto altri riu-sciva a conquistare per trarne esempio di esperienza. In questi ultimi anni egli era piùattratto a vedere la realtà come suggerimento di incisione che come suggerimento diforme plastiche. Se a Firenze, a fondo di una via apparivano torrette medioevali vel-lutate nell’ombra, egli sostava a contemplarle, sognandole già incise nel rame in quelcontrasto di luce e di nero che le rendeva bellissime; se a Roma osservava case caden-ti al piccone audace, sostava per vedere quei contrasti tra le varie superfici alla luce, esegnava, con pochi gesti nell’aria, il suo compiacimento per la visione ricevuta chesuggeriva «molto da fare». Quando alla Biennale di Venezia visitò la Mostra delleincisioni nel padiglione della Russia il suo entusiasmo fu grandissimo come non si eramai manifestato dinanzi ad un’opera di scultura, l’incatenava la tecnica perfetta diKassian e soprattutto quel suo modo di rendere le ombre così felpate, morbide comedi velluto e quel modo di farne risaltare la bellezza, sottolineando gli scuri con un lievealone di luce. Era pronto a sentire la grandezza degli altri, ma accoglieva subito den-tro di sé la giustificata audacia di mettersi al cimento con i più esperti. Frutto di que-sta gara ideale furono le xilografie che egli espose a Roma, alla QuadriennaleNazionale e che non potè purtroppo contemplare. Quando tra le molte altre le desti-na nella Galleria del bianco e nero e le osservai così perfette nella tecnica tutta nuovache era riuscito a formarsi modellando l’ombra con tale accorta sapienza, alternando-la con la luce in poetico ritmo, intesi che nella gara iniziatasi a Venezia dinanzi alleopere dell’acquafortista russo, era riuscito ad essere emulo se non vincitore.

180

Page 181: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Nella xilografia come nelle incisioni egli ha lasciato esempi assai belli ed è riuscitoa rinnovare a trasformare a dare esempi da seguire.Solo che la nativa modestia fosse stata in minor misura, solo che la sua esperienzafosse riuscita ad interessare qualche studioso, la xilografia di Salvatore Cottonesarebbe già segnalata nella storia della moderna incisione, così come qualche suabella opera lignea sarebbe passata ad ornare qualche museo di arte decorativa.Ma la sua vita fu semplice e così dedita all’insegnamento, che non gli restava tempodi farsi propaganda. Dieci anni di insegnamento: un piccolo esercito di allievi cheebbero guidata la mano nella opera di bellezza, che ebbero insegnato il rispetto reli-gioso all’arte, la serietà al lavoro, la tecnica diligentissima, l’entusiasmo che sostie-ne ogni fatica. Questa è l’opera che si continuerà ancora per una generazione, l’al-tra compiuta nel marmo, nel legno, sul rame, vivrà più a lungo.

27 Giugno 1935 - UN “GIUDIZIO FINALE” IN TONO MINORE

C’è, si sa «Un Giudizio Finale» in tono maggiore: quello dipinto da Michelangelonella Cappella Sistina negli anni 1534 – 1541: ma c’è anche e non si sa «UnGiudizio Finale» in tono minore dipinto da Giuseppe Salerno detto «lo Zoppo diGanci» nell’anno 1629. Tra queste due date tutta la vita italiana era diminuita ditono: alla libertà il servilismo, alla grande lirica, i sonetti dell’Achillino, all’OrlandoFurioso la Moscheide, al Giudizio Finale di Michelangelo il Giudizio Finale diGiuseppe Salerno.È una grande tela posta sulla parete destra del Cappellone della Chiesa madre diGangi. È uno di quei piccoli paesi acquattati nelle Madonie, grigi sul grigio dellapietra ma inghirlandati di boschi; umidi e pigri ma ricchi di tesori d’arte nelle chie-sette dove un arco gotico, un campaniletto medievale, una porta rinascimentaleimpongono una sosta e una ricerca. Là in quei paeselli, è possibile trovarvi tutto:una Madonna lauranesca e un polittico fiammingo dei più raffinati, il calice aureosiciliano e il raffinato smalto lombardo, il velluto controtagliato genovese e il bru-catelo veneziano, l’intaglio gotico ed il seggio barocco, la Tavola fondo oro bizanti-neggiante e il più delizioso affresco settecentesco, echi dell’arte di catalogna, diSiena, di Roma affievolite ma ancora ascoltabili, e oltre a questo l’umana semplici-tà popolare, il religioso rispetto alla terra.Su quel quadro della Cattedrale di Gangi, di un contenuto così severo una bellafamiglia di ragni vi si era stabilita operosamente intrecciando sulla tela un fitto tela-io. La fauna e la flora di Sicilia è sempre in buona alleanza – si sa – coll’opera d’ar-te e non stupisce di trovare porcelli nella chiesetta dell’Uscibene, caprette brucanti

181

Page 182: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

nel castello di Favara, gatti romantici nel Chiostrino della Magione e qualche topomorente nel Castello della Zisa. Della flora – la selvatica e spinosa – vi sono ricchiesemplari dappertutto; i ragni hanno dunque cercato di fare sui dannati quello cheDaniele da Volterra fece sui nudi di Michelangelo per volontà di Paolo IV. Tolto iltelaio e tolta la polvere, il quadro mi si rivelò allora di una imponenza e di una novi-tà veramente confortevole. La tela è firmata e datata: anno 1629. Sono passati esat-tamente settantanni da quando Michelangelo compì sulla parete della CappellaSistina, l’immenso affresco che certamente il Salerno vide e ammirò nel suo sog-giorno a Roma avvenuto tra il 1585 e il 1593. Vide e ammirò, ma accingendosianch’egli a dipingere pochi anni prima della morte l’immensa tela di eguale sogget-to, non volle imitarla anzi pose ogni cura di liberarsi da qualsiasi imitazione mani-festando chiaramente il proposito di correggere tutti i presunti difetti già malevol-mente rinvenuti da molti presunti critici, nell’eroica opera michelangiolesca. AncheSalvator Rosa, che pur un briciolo di senno l’aveva, scrisse: questo che voi pingeteè un gran Giudizio; ma di Giudizio voi ne avete poco; e non parliamo per ora diPietro Aretino.Nella parte inferiore del quadro è rappresentata la Resurrezione dei morti; nella

parte destra vi è Caronte che traghetta le anime all’inferno. Nella seconda zona, asinistra gli eletti, a destra i dannati. Qui tutto vuole essere più. Nella CappellaSistina gli eletti hanno corpi giganteschi, turgidi, massosi, e sono penosamente tira-ti verso il cielo ed altri si arrampicano, si contorcono con tale grave cipiglio da sem-brare anch’essi dannati. Lo Zoppo nostro non fa così: si può vedere nell’annessafotografia, in qual modo la bella schiera degli eletti- divisa a squadroni come unordinata processione paesana inframmezzata da qualche angioletto variopinto, pro-ceda garbatamente verso le porte del Paradiso. E lì, da perfetto cerimoniere S.Pietro con le chiavi pendenti dal polso come una manopola, lì accoglie con ampiogesto amoroso. Tutto chiaro, ordinato, preciso. Nella rappresentazione dell’inferno,l’artista paesano non ha pensato di imitare la mirabile sintesi michelangiolesca, havoluto invece spiegare chiaramente ai suoi cittadini quali peccati sono particolar-mente puniti tra le terribili fiamme anzi, non soltanto quali sono i peccati ma addi-rittura quali classi di cittadini sono meritevole di eterna punizione. Sicché accantoad ogni dannato vi è una piccola iscrizione. Presso un corpo capofitto nel fuocol’iscrizione dichiara che questa è a punizione per la lussuria: la meretrice bruciaseduta sul fuoco, l’omicida è crocifisso al palo, l’invida è distesa sul pensato, alme-no in questo, di imitare l’illustre predecessore lasciando l’autoritratto ai suoi concit-tadini.L’opera è dunque ricca di pregi ed è un’aggiunta assai notevole alla conoscenza diquell’artista siciliano tra i più abbandonati dalla critica storica di questo pittore di

182

Page 183: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

cui neanco il nome oltrepassa Scilla e Cariddi e che fu invece così ricco di vivacitàinventiva, di risorse, di eclettismi; paesano non sempre incivilito, ma capace del belgesto e della bella parola, eclettico ma anche geniale, disegnatore audace e qualchevolta elegantissimo, colorista non senza gusto. Questo quadro di Gangi, per la vasti-tà della composizione, per l’insistente volontà della composizione, per l’insistentevolontà di liberarsi da ogni imitazione michelangiolesca, per l’equilibrio, per alcuniparticolari coloristici, è assai degno di studio ed è fra i più importanti nella vastis-sima produzione del pittore delle Madonie.Gli alti squilli di tromba che il vegliando fiorentino aveva suonato col petto dolo-rante dall’angoscia per la patria devastata, la tragica epopea scritta a cupi colori sullaparete della Cappella Sistina, tutte le eroiche voci, si erano affievolite tra le valli e iboschi delle Madonie. Il Michelangelo era divenuto il buon oratore del villaggioche predica bene cioè che predica a livello spirituale dei buoni compaesani. Buoncreatore si rivela Giuseppe Salerno e non gli manca di sfogare anche un po’ di iraraggrumata, un po’ di malcontento, un po’ di tristezza. Quando si ha un inferno adisposizione e Dante Alighieri ne ha dato l’esempio, come poteva GiuseppeSalerno, Michelangelo in minore rinunziare a punire macellai e farmacisti nelletenebre fonde dell’inferno?

6 Luglio 1935 - CINQUE BOZZETTI E UN’OPERA D’ARTE

L’opera d’arte è a Pisa, in quella magnifica Cattedrale,«tutta di candido marmosorta in tutto per l’ingegno» che i pisani, ambiziosi, audaci, battaglieri ed astuti,eressero se è vera tradizione, con il bottino di sei navi saracene catturate nel portodi Palermo, dandone l’incarico a Buschetto, l’architetto mirifico che aveva saputoerigere nuovamente l’obelisco vaticano ed aveva saputo fare in modo che «un pesocui a stento avrebbero potuto smuovere mille coppie di bovi insieme e a stento unanave portò dieci fanciulle riuscirono a sollevarlo». È un’immensa tela più di quattrometri quadrati opera celebratissima eseguita a Roma da Corrado Giaquino. Aricordarla nella chiusa ombra del tempo marmoreo vien subito dinanzi agli occhiun fluire rapidissimo di colori limpidi, chiari, come le acque dei ruscelli al mattino,un formarsi di vortici di azzurro e di rosa, di cascatelle fruscianti, uno scoppiettìodi faville lucenti, un brillare continuo di luci. Poi nel ricordo l’immagine del coloreprende anche una forma e si vanno ricomponendo alla fantasia gli atteggiamentidelle varie figure strette intorno a guardare estatiche l’infante e si ricostruisce inscena della «Natività», concordata nel modo più pittoresco settecentesco tutta lan-guori e frusci di passi lievi e deliziosi abbandoni. Un capolavoro insomma di

183

Page 184: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Corrado Giaquino (1699 – 1765) l’eccellentissimo maestro, scolaro a Napoli diFrancesco Solimena, a Roma di Sebastiano del Conca, vissuto anche a Torino, allacorte di re Carlo, accanto a maestri egregi come il Beaumont, il Ricci, il De Mura,il Varloo. Maestro fra i migliori appena in secondo piano appena dopo il Tiepolodotato di fantasia, di un garbo compositivo che innamora, di una briosità e di unagrazia coloristica di eccezione, un misto in pittura, di napoletano e di francese. Perquell’opera della Cattedrale di Pisa egli dovette studiare molto per non venir menoné alla magnificenza del luogo né alla sua fama già alta.Nessuno sa fino ad oggi che il primo, il più delizioso bozzetto di questo magnificoquadro di Corrado Giaquinto si trova nella pinacoteca Nazionale di Palermo.Occorre un po’ di storia.Vito d’Anna, il nostro espertissimo pittore settecentesco, dalla scuola di PietroVasta ad Acireale, passato a Roma, fu da Olivio Sozzi, presentato a CorradoGiaquinto e ne divenne il discepolo preferito tra gli altri siciliani accorsi ad erudir-si presso il geniale maestro. Ci doveva essere tra questi Giuseppe Crestadoro, quelpittore di cui ebbi a scoprire nella chiesa di S. Pietro ad Agrigento tutta una deco-razione – datata 1785 – di tipo giaquintesco di cui un riquadro anzi, è perfettamen-te copiato sull’affresco rappresentante S. Giovanni Battista e la Trinità della chiesadi S. Lorenzo in Damaso a Roma.Erano in parecchi alla scuola di Corrado Giaquinto; ma il discepolo prediletto fuproprio Vito D’Anna e come l’allievo sia sia dimostrato degno della fiducia del suomaestro e in quanta misura egli ne abbia assorbito l’insegnamento, stanno a dimo-strare gli affreschi stupendi di Santa Caterina e di S. Matteo per dire il più e ilmeglio, e come l’insegnamento di Corrado Giaquinto attraverso l’elaborazione diVito D’Anna abbia esercitato influenza sulla pittura siciliana lo dimostrano i moltiaffreschi delle chiese di Sicilia.Data la grande amicizia che legava maestro e allievo è naturale che le opere d’artedi Corrado Giaquinto, disegni e bozzetti, siano passati da Roma a Palermo.Quasi tutte la collezione delle opere e dei disegni posseduti da Vito D’Anna passa-rono ad Agostino Gallo uno dei più appassionati collezionisti, storici e critici d’ar-te dell’ottocento siciliano. Molti quadri, e disegni di Corrado Giaquinto si trovanoinfatti annotati nell’elenco delle opere della collezione Gallo fatto dallo stesso pro-prietario e da Gregorio Raimondo Granata che quella collezione visitò e descrisse.Alla morte di Agostino Gallo, cento fra le più belle opere passarono al MuseoNazionale di Palermo, altre alla Biblioteca Comunale, acquisiti dal compianto avv.Eduardo Alfano insieme ad altri, preziosi manoscritti relativi ai nostri artisti delsettecento. Fra i disegni della collezione Gallo ve ne sono di Corrado Giaquintorappresentante la natività, argomento che a quanto pare molto piacque al maestro.

184

Page 185: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Il bozzetto del Museo Nazionale di Palermo, proveniente dalla collezione Gallo equindi da Vito D’Anna è un piccolo prodigio di una grazia e di una levità di tocco,di una trasparenza di impasto cromatico, di un gusto di tono, di una gradazione cosìstudiata di piani coloristici, come in un nessun altro bozzetto della stessa opera chevia via lo studiò e il caso ci hanno posto sotto gli occhi, abbiamo mai riscontrato. Ècome se una luce rosata e cerulea venga proiettata sul gruppo, delle deliziosi donneassorte nella contemplazione; di una proiezione luminosa, il colore ha tutta l’insta-bilità, tutta l’inconsistenza. Si arriva a pensare alla ‹‹macchia ›› toscana, all’impres-sionismo magari senza paura di anacronismi, che, tanto l’impressionismo è tecnicaassai antica fra di noi e la conobbero assai bene i Romani e i nostri Veneziani delcinquecento, se si guardano i secondi piani di alcune pitture di Lorenzo Lotto eprimi piani di alcuni quadri di Tiziano.Un piccolo capolavoro.Un più grande bozzetto simile a quello di Palermo fu trattenuto all’ufficio diEsportazione di Firenze nel 1931 ma aveva qualità coloristiche diverse. Più che unbozzetto sembrava una piccola copia, eseguita dallo stesso Giaquinto, della suagrande opera di Pisa. L’immediatezza, la rapida fluidità del colore, che sono le qua-lità principali del quadretto di Palermo non si riscontrano in quello passato alleGallerie di Firenze.Ma la storia dei bozzetti non è finita. Visitando ad Oxford la libreria della ChristChurch vidi un quadretto attribuito alla scuola veneziana rappresentante la«Natività». Era ancora un altro bozzetto rappresentante la ‹‹Natività›› di Pisa. Postoa paragone col bozzetto di Palermo, rivelava subito una maggiore elaborazione nellacomposizione, nell’aggruppamento delle figure, nell’ampiezza dell’ambiente, nelleforme più ondulate, una maggiore quantità di elementi decorativi a scapito subitodella sintesi sobria del bozzetto palermitano. Il colore era anche più opaco.Ancora un altro bozzetto nel Museo S. Martino a Napoli, ancora un altro nellaGalleria Nazionale di Roma. Continuando a girare per il mondo ne troveremoancora? È bene ricordare che Corrado Giaquinto visse nel settecento ed era l’epo-ca in cui i Caracceschi e massimamente Luca Giordano avevano insegnato la pit-tura tutto slancio e tutta improntitudine, avevano insegnato a far presto riponendoanche motivo di vanto nella celerità della esecuzione. Eppure quanta distanza anco-ra fra quella facilità e prestezza e quella di molti pittori contemporanei per i qualiuna semplice linea sul bianco della carta – e fosse ben tirata! Un acquerellino timi-do, una pitturina grama grama rappresentano opere compiute da presentare nellemostre, con molta borea e con molte pretese.Altri tempi.Di Corrado Giaquinto esiste un'altra opera assai bella nella Chiesa di S. Gennaro

185

Page 186: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

a Napoli e di quel quadro anche a Palermo, esiste un bozzetto. A paragonare l’unoall’altro tutto l’entusiasmo passa al secondo perché ha doti eccezionali di eleganza:nella collezione Alfano esiste il disegno.Vorrò anche di questo quadro di Corrado Giaquinto, andare inseguendo per ilmondo altri bozzetti ed altri disegni? No di certo. Mi basta per ora avere richiama-to l’attenzione su due opere del tutto ignorate, o quasi, della nostra Pinacoteca e diavere ricordato quei rapporti tra la pittura di Corrado Giaquinto e Vito D’Anna chesono da tenere sempre presenti nelle studio della nostra pittura siciliana del sette-cento, studio veramente ricco di interessanti problemi.

17 Luglio 1935- NEI PAESI DELLE MADONIE: GIACOMO LI VARCO, IL

PITTORELLO DI COLLESANO

L’ho conosciuto così: Ero entrata nella chiesetta dell’Annunziata costruita pervolontà di Susanna Gonzaga a Collesano – il primo paesello delle Madonie, allun-gatosi pigramente tra un declivio verde ed una rupe brulla – per porgere il primosaluto a Donna Elvira Moncada che giace dal 1406 in un bel sarcofago candido, conle mani sul grembo, la testa affondata nei cuscini, gli occhi serrati, la bocca ancoraimperiosa e crucciata, i lineamenti marcati e decisi. La chiesa dove, distruttasi perfrana, l’antica, era stato trasportato nel 1665 il bel sarcofago – tra i primi saggi discultura siciliana del 400, era tutta gelida, con gli altari senza quadri, i torcieri senzaceri; solo un quadro, sulla parete destra, mandava, alla luce che l’investiva certe notecosì calde, gaie di colore da disturbare, pareva, il sonno crucciato della «Comitissadi Collesano».Rappresentava, il grande quadro, la scena della Circoncisione e vi assisteva un buonnumero di persone alcune con doni – una donna a destra con un cestino di colom-belle – altre no, ma tutte vestite in gran pompa e bene, un po’ preoccupate sembra-vano, di trovarsi in quel luogo, con quel magnifico tappeto tutto brillante di colori,che dall’altare scendeva fino a terra.Erano tipi assai graziosi, con nasi piccoli e sottili, visi stretti, con piccolo mentosporgente e, a parte la differenza di età, si assomigliavano tutti, come quelli di unastessa famiglia. Gli angioletti erano discesi dall’alto e si erano fermati a giustadistanza, guardando con sguardo serio ed assorto.C’era nel quadro una grazia un po’ paesana, ma c’erano anche qualità notevoli dicolore e di composizione e, in quel generale manierismo di origine Zoppesca che intutto il quadro imperava, apparivano di tanto in tanto battute nuove.Il Reverendo Li Pira che mi accompagnava pronunzia un nome: Giacomo Li Varco

186

Page 187: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

da Collesano e mi guarda un po’ stupito che io non l’abbia riconosciuto subito.Cerco nella mia memoria, ma tra tanti pittori e pittorelli antichi e moderni,Giacomo Li Varco non c’è, proprio non c’è.Le notizie sul quadro, le leggo subito nel Libro Rosso, opera di un anonimo croni-sta che diligentemente raccolse, sui primi del settecento tutte le notizie più interes-santi sulle chiese e sulle opere d’arte di Collesano «fu fatto per mani del nostro pae-sano, quel famosissimo pittore Giacomo Li Varco, l’anno 16… che fu discepolo diquel tanto ammirabile e pregiatissimo pittore Gaspare Vazano detto lo Zoppo diGangi».Fortunati in tutti questi pittori siciliani; tra Zoppo di Gangi numero uno, e Zoppodi Gangi, numero due e «orbo di Recalmuto», si finisce col confonderli l’uno conl’altro e col ritenere che tutti, zoppi ed orbi, possano aspirare più ad un convalescen-ziario che al tempio dell’arte!Gaspare Vazano, fra i tre, è il più infelice, in quanto ha ereditato l’infermità diGiuseppe Salerno.Lì, a due passi, nella vicina Chiesa Madre ricca di opere di arte è subito possibilevedere l’opera del maestro Vazano accanto a quella dell’allievo. Il Vazano decoròtutto il cappellone l’anno 624 con una decorazione ricca, ed armoniosa. Sulle pare-ti rappresentò i fatti della vita di S. Paolo e S. Pietro: «La Crocefissione di Pietro»e «La pesca miracolosa» il richiamo di S. Paolo sulla via di Damasco e il martirio;sul soffitto, in una ellissi centrale, in trapezi ed oculi separati da cartocci e da figu-re a monocromato, dipinse scene varie: Il Presepe, la SS Trinità, la Tentazione, IlBattesimo, la Resurrezione, la Circoncisione, l’Adorazione dei Magi; lateralmenteall’altare, in ultimo Gesù nel tempio, e Gesù che fustiga i profanatori del tempiostesso.Sulle paraste poi che dividono i vari riquadri e nel sottarco, vi sono medaglioni configure di Santi e Sante.Piacciono molto i paesaggi, ariosi, cerulei, dipinti con fresca sensibilità; piaccionomolto i medaglioncini decorativi dominati da un color biondo di spiga e nelle scenecomplesse non si può negare al pittore molta bravura disegnativi, la possibilità disaper fare un audace scorcio.Manierista è il Vazano come lo furono tutti i pittori del seicento, rimasti estraneialla riforma del Caravaggio, ma meno ricco di fantasia di Giuseppe Salerno. Il suoallievo, questo Li Varco fino ad oggi sconosciuto, mostra a volte di superare il mae-stro. Lo supera in quei frammenti di affresco fortunatamente rimasti, nella chiesadi S. Maria La Vecchia, l’antica chiesa costruita in epoca normanna e ricostruita nel1664, frammenti preziosissimi in cui il pittore, nel narrare i fatti della vita dellaVergine, mostra un garbo, una grazia del tutto impensabile. Lo dimostrano soprat-

187

Page 188: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

tutto alcuni riquadri, i frammenti preziosissimi, in cui il pittore, nel narrare i fattidella vita della Vergine, mostra un garbo, una grazia del tutto impensabile. Lodimostrano soprattutto alcuni riquadri, i frammenti rimasti dell’Annunciazione –un frusciante morbidissimo drappeggio della Vergine e tutta la figura acefala del-l’angiolo; della Natività di Maria, una figuretta di donna ancora in costume cinque-centesco che porge un drappo bianco, plastica, fresca di colore.Nei due affreschi alle pareti, in cui le figure appaiono troppo vicine all’osservatoree sono di grandi proporzioni, si disperdono i pregi delle decorazione del soffitto, perquanto le scene abbiano sempre una buona architettura e qualche particolare assaielegante. Un affresco rappresenta «Lo Sposalizio della Vergine», l’altro rappresenta«La Morte di Maria». In ambedue c’è l’amore al particolare, al dettaglio narrativo:i pretendenti adirati, quello che spezza le verghe, l’altro con le labbra livide, e poimolto fervore, molta concitazione nei gesti. Nella Chiesa Madre l’opera del LiVarco fu secondaria rispetto a quella del maestro. Egli decorò due belle cantorie confregi bianchi sul fondo nero, simulando gli intarsi di madreperla, con riquadridipinti rappresentanti tre momenti della educazione di Maria, S. Cecilia e S.Agnese e due Santi ai lati, nell’una e nell’altra una sfilata di apostoli e salmisti cosìnobili, da consentire subito all’attribuzione – sostenuta dalla tradizione – che al LiVarco appartengano anche due belle tele infisse alle pareti della cappella laterale allamaggiore in cui sul fondo in una nicchia ombrata appaiono le figure della Verginee di S. Giuseppe.C’è una nobiltà, una sapienza di colore, una sobrietà così grande nella pittura rap-presentante la vergine, da farci molto riflettere sulle qualità artistiche di questo pit-tore da Collesano.E allora, dando uno sguardo complessivo alla sua opera si accentua il desiderio dimeglio conoscerlo, e ci si domanda se altri affreschi e quadri che decorano le chie-se delle Madonie, non siano sua opera, gli affreschi della chiesa di S. Francesco aPetralia Sottana, ad esempio, qualche anonimo quadro come la fuga in Egitto data-ta 1620 in S. Maria degli Schiavi a Polizzi, ed altre opere.Ma, a girare per queste chiesette delle Madonie, i quesiti di arte sorgono ad ogniistante; quando, arrampicandosi sugli altari o facendosi tirare coll’argano, si arriva aconquistare la parte inferiore del quadro e, togliendo una buona stratificazione dipolvere, che è la sorella consanguinea di tutte le opere d’arte di Sicilia, si arriva ascoprire una firma, si resta poi perplessi, dinanzi a tanti nomi ignoti, ripetendo lasolita domanda di don Abbondio per Carneade. Chi, ad esempio ha tenuto in contoquel pittore degli affreschi della sagrestia di Petralia Soprana, tal Domenico Manzopalermitano, seguace di Vito d’Anna? Chi ha notizie di quel maestro RaffaeleVisalli, che ha firmato una bella Madonna del Rosario nel monastero di S. Trinità

188

Page 189: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

o di quel Kreuzer del convento dei Cappuccini a Petralia Sottana, o di quelLapuczana da Piazza, che ha firmato una vivacissima e drammatica Crocefissionedei Santa Quaranta Martiri nella Chiesa dei Minori Riformati a Petralia Soprana,e di tanti altri pittori, pittorelli, pittoruncoli assai superiori spesso, a molti pittorid’oggi che vediamo ben rappresentati nelle eleganti sale delle mostre, mentre que-sti, infelici, sono sempre nella polvere, nell’umido, ai venti, sotto i tetti crollanti,sdruciti e laceri, quando non c’è un prete misericordioso come questo Padre Li Piradi Collesano che ha rattoppato lui stesso, il povero Li Varco della Chiesa dell’An-nunziata!Pur queste tele, bene o male, respirano e per quanto possono, i santi e gli angioliche vi sono dipinti vedono la luce.Ma a Polizzi, ingenerosa con le sue opere d’arte, è avvenuto di peggio.Un gruppetto di santi in marmo di Antonello Gagini è chiuso da venti anni in uncarcere murato e inesorabile.Era sull’altare della parete destra di una bella chiesa dedicata a S. Francesco. Cadutoil soffitto, abbandonata la chiesa ai rovi e alle macerie quel trittico dovette essereuna spina all’occhio. Che farne? Lasciarlo allo scoperto non si poteva, trasportarloin altra sede, era fatica, ed allora si murò la cappelletta. Nessuno lo vede, e, se laparete casca, come è giusto, il trittico subirà la stessa sorte e sarà tutto a posto.Cose vere, tutte vere.Giacomo Li Varco, in fondo, può essere contento della sua sorte.

25 Luglio 1935 - NEI PAESI DELLE MADONIE. BAROCCHETTO MADONITA

Madame de Pompadour «La Marrane du Rococò» sarebbe ben lieta di un viagget-to nelle Madonie, nel ritrovare anche qui, in questi paeselli solitari, quel suo stileleggiadro elegantissimo, che al marmo, al bronzo, all’oro ed al legno impose inchi-ni e riverenze.Non vi è qui un’architettura popolare, rusticana, né un’architettura colonica: mise-ra è la casa del contadino, senza ornati, senza sorriso di colore, tutta grigia, sul gri-gio della roccia, ma vi è un’architettura borghese e religiosa sovente aristocratica eraffinata, improntata a due stili: il gotico ed il barocchetto. Il gotico nel periodo feu-dale elevò castelli, palazzi, cappelle patrizie; il barocchetto penetrò nel 700 con unenorme forza vitale e si propagò dappertutto, nelle chiese, nei collegi, negli oratori,con le sue linee curve, le sue conchigliette, le sue colonnine tortili, fregi e svolazzi.Un barocchetto così fragile, così elegante, e cittadino da far pensare a maestranzepalermitana, se la quantità degli oggetti e qualche nome di decoratore indigeno non

189

Page 190: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

affermasse l’esistenza di maestranze locali. Erano maestranze abilissime. Bisognavedere come intagliavano, scolpivano doravano il legno: vedere ad esempio, l’im-mensa custodia della chiesa di S. Maria della Grazie a Polizzi, prodigio di tecnica,l’altra più piccola ma egualmente bella nella chiesa di Petralia Soprana, il pulpitotutto scoppiettante d frastagli d’oro nella chiesa di S. Francesco a Petralia Sottana,gli armadi stupendi delle sacrestie, i seggi, le cassapanche, gli sgabelli, le innumere-voli cornici, sparse ovunque, per ammirare questi umili artieri che isolati tra le mon-tagne nevose sapevano con tanta grazia attendere alla loro modesta arte e sapevanolavorare il legno, questo buon legno che da il fuoco e l’ombra, la casa e la tomba,con tutte le tecniche e tutte le risorse. Meno esperte o meglio, meno ricche di fan-tasia delle maestranze palermitane, furono nella lavorazione dello stucco.Preferirono una decorazione a minuti rami e foglie, tutta sparsa, con la spontanei-tà che ha in natura, sul candido stucco; appena appena la interruppero con qualchefiguretta. Solo Polizzi, nella sacrestia del Collegio dei Gesuiti vi è un esempio didecorazione in stucco ricca, pomposa, da far ricordare la maestranza palermitana.Più originale è la decorazione in pietra, intagliata minutamente, un po’ piatta, spes-so anche ricca di figura; è come un intaglio in legno con simile durezza nei contor-ni, di effetto assai gradevole e ben adatto come ornato nelle chiese di campagna.Due esempi assai interessanti offrono la chiesa dei Riformati a Petralia Soprana ela chiesa dei Gesuiti a Polizzi. Ma il più delizioso, il più raffinato barocchetto è inquegli armadi di noci che stanno nelle sacrestie sfarzose: là si conservano le stoffepiù preziose, i ricami d’oro perfetti, i bei calici, gli ostensori, i reliquiari, tesori inde-scrivibili, visione d’oro che abbaglia più dell’immensa vallata bionda, tizianesca, chesplende al sole nel cerchio ceruleo dei monti.L’architettura del 700 ebbe a Palermo, più che a Catania, un cenno elegantissimo diappena elaborazioni; da Palermo belle forme si diffusero nella provincia e non mera-viglierebbe trovarne esempi anche in questi paesi; se si trattasse del comune tipo dibarocchetto. Ma vi sono alcuni esempi qui di architettura del 700 di tanta grandio-sità e bellezza costruttiva, da far pensare a progetti e a disegni di architetti romani odei più nobili fra gli architetti palermitani. A Petralia Soprana il nome di architettoche viene sulle labbra con massima spontaneità è quello di Francesco Borromini.Appena si guarda il portale della chiesa del Collegio di Maria un po’ rosa dal tempo,si resta subito perplessi dinanzi a quel motivo di testina di cherubi tra alette incro-ciate posto a decorare, sul centro, le cornici verticali della porta ed a seguirne di que-sta il sinuoso contorno. All’interno la chiesa è ellittica e la forma ci richiama ancorauna volta alla mente il chiostrino di S. Carlino alla Quattro Fontane. Questa delCollegio è una piccola chiesa, graziosamente ornata di fregi d’oro; più grande,magnifica con una complicata ma intelligentissima pianta e invece la chiesa del S.

190

Page 191: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Salvatore a Petralia Soprana, vera gemma dell’architettura madonita.La facciata è incompiuta. Erge a destra un campanile a tre ordini, che non ha ilcompagno di sinistra; la superficie della facciata è ondulata con la porta dal contor-no mistilineo, fiancheggiata da pilastri posti l’uno sull’altro a gradi sottili per ada-giarsi lievemente sulla parete. All’interno, su pianta ellittica, otto immensi pilastrisorreggono il peso della bellissima cupola aperta per otto finestrelle rettangolari allaluce del cielo infinito. E sorreggono anche, disposte a raggiera le arcate che unen-dosi alla parete, formano le cappelle, di forma divisa, profonda e misteriosa per l’al-tare maggiore, meno profonde ma sempre absidate le due laterali, a fondo piattoquelle centrali. Un’ampia trabeazione a multiple cornici aggettanti ha il compito diserrare in una bella unità tutti i vari elementi: passa sui capitelli e forma aggettan-te ed alto pulvino, passa sulle arcate e raggiunge le pareti per formare decorazionealle cappelle.L’equilibrio perfetto delle proporzioni, lo slancio elegante della cupola, la diffusio-ne gradevolissima della luce, che nel vano ellittico crea effetti chiaroscurali disapienza borrominiana rendono estremamente gradevole la contemplazione di que-sta bellissima chiesa. Nella sacrestia, un’elegante decorazione in stucco già ottocen-tesca, decora il soffitto a botte, incorniciando piccole tele degne di studio, mentresulle pareti, tra i molti quadri ignoti, una bella fuga in Egitto ed una SantaMargherita, quest’ultima di Giuseppe Salerno, alternano le vivaci note di colore conil candore dello stucco. Quanto all’interno la chiesa appare raffinata ed elegante,tanto l’esterno è semplice e rozzo. A vederla, fra i primi edifizii che si arrampicanosul declivio sembra un’antica costruzione barbarica colla sua cupola piatta e la rag-giera dei rustici contrafforti. O rimase incompiuta, o l’architetto volle lasciarla così,sorella nell’ambita di pietra grigia, alle rustiche case che si umiliano intorno.Un altro capolavoro di architettura del 700 è la chiesa di S. Maria di Loreto a piccosull’immensa conca della vallata. La chiesa si erge sopra un’alta gradinata dal movi-mento sinuoso ed elegante e sorge stretta fra due campanili che ne fermano l’ondu-lazione della superficie. Modanatura mistilinee e timpano spezzato incorniciano labella porta adorna di una sobria decorazione e i pilastrini piatti l’uno sull’altrodigradanti commentano come sempre l’ondulazione della superficie. Entrando, nonsi ritrova la consueta pianta rettangolare preferita da tutta l’architettura settecente-sca ma una complessa pianta a croce greca con quattro cappelle agli angoli dellacroce, ed una bella cupola impostata su quattro pilastri centrali; sulla parte e sullacupola si slancia libera, spietata, sommamente decorativa, una quantità di rami lun-ghissimi di stucco dorata con minute foglie, con fiorellini pur essi dorati e questotoccheggiare sapiente di oro sulle pareti dalla cupola e dalle cappelle dove luce edombra si alternano per la complicata ed accorta struttura da una grazia vivace un

191

Page 192: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

po’ paesana alla sapiente architettura. Più vasta di tutte, con uno slancio di cupolaformidabile se si pensa al luogo dove sorge è la chiesa del Collegio dei Gesuiti aPolizzi Generosa la più bella chiesa e la più abbandonata tra queste delle Madonie.Altari devastati, cortine d ragnatele, tele opache di polvere, cornici bellissime spez-zate, organo distrutto dal vandalismo spensierato dei soldati, fanno prevedere perquesta chiesa capolavoro di architettura una sorte simile a quella della chiesa di S.Francesco, ora senza soffitto e cadente. Il fervore e l’amore dei cittadini non puòbastare a fornir mezzi per il restauro della bella chiesa, lontana, e quanto, dalMinistero Educazione Nazionale!Ignoro se negli altri sei paesi che appartengono al mio itinerario Madonita esista-no chiese a pianta centrale ed ellittica con eguale sapienza architettate, ma già que-ste basterebbero a chi volesse studiare spirito e forme dell’architettura «paesana» del700 in Sicilia che attende ancora una bella ed esauriente illustrazione.Ma molte cose si attendono, girando in questi paesi, inesplorate miniere di tesoro.

1 Agosto 1935- NEI PAESI DELLE MADONIE. NOVE AUTORI IN CERCA DI STATUE

Polizzi Generosa, Luglio.I nove autori in cerca delle loro opere plastiche lasciate a Polizzi in quel tardo 400e in quella prima metà del 500 così ansiosi di opere d’arte e di sontuosa bellezza,sono: Domenico Gagini, Giorgio Di Milano, Giuliano Mancino, BartolomeoBerrettaro, Pierpaolo Di Paolo Romano, Luigi di Battista Palermitano, Francescodel Mastro Carrarese, l’anonimo di una Madonna col Bambino, datata 1473, el’Anonimo del sarcofago di Vincenzo Notarbartolo. Totale nove. I nomi sono pococonosciuti ove si tolgano i Gagini, maestri che per aver lavorato tutti, il padreDomenico, il figlio Antonello, i nipoti Gian Domenico, Antonio e Giacomo, inipoti Fazio, Vincenzo e Nibilio con opere buone, mediocri, e noiose in quasi tuttele città e i paesi dell’isola, sono divenuti di una grande notorietà.Tutto in Sicilia è Gagini e tutti, in un paese, li conoscono: il ricevitore del registro,il farmacista, il cerusico salassatore, il sagrista e financo l’ispettore dei monumenti.Una qualsiasi Madonna col Bambino in marmo; un qualsiasi santo e tutte le icone,sono immancabilmente opere dei Gagini.Si tira un respiro qui, a Polizzi Generosa nel trovarsi questa comitiva di illustri ebuoni scultori quasi completamente sconosciuta.Nove autori, per testimonianza dei documenti, hanno lavorato a Polizzi e molteopere plastiche sono disseminate nelle Chiese e nei magazzini, miracolosamentescampate a quel ciclone di devastazione che cominciò nella seconda metà del sette-

192

Page 193: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

cento e continuò con un crescendo sempre più furioso nell’ottocento, per poi risol-versi in una quiete accidiosa e malinconica.Centodiciotto erano le chiese di Polizzi, città che allora voleva gareggiare permagnificenza di opere alla capitale. Se i Palermitani avevano affidato a Tommasode Vigilia l’esecuzione di una grande icona da mettere nella Chiesa Madre, essi, iPolizzani, si raccomandavano ad Antonello de Cresenzio per averne altra in tuttopiù bella; se Giorgio di Milano aveva costruito una grande icona per la Cattedraledi Enna, essi si rivolgevano a Giorgio di Milano e ne commissionavano un’altrapurché fosse di quella più sontuosa e più perfetta; se Antonio Graffeo, il delicatis-simo pittore della Visitazione di Taormina, aveva altrove compiuta opera lodata,essi chiamavano Antonio Graffeo a dipingere un’enorme Croce per la Cattedrale ea decorare tutto il tetto. L’ambizione era ben grande allora, quasi quanto l’odiernaindolenza. Naturalmente, delle centodiciotto chiese, ne restano, pochissime chepossano chiamarsi Case di Dio; le altre sono divenute, qui come altrove, interessan-ti ricoveri di ragni di tutte le specie, di stratificazioni di polvere con un tipo di inset-to amante di riposo e di sudiciume.Nove artisti dunque, lavorarono a Polizzi e vi sono ritornati con me alla ricerca delleloro opere.Accompagniamo, per primo, Domenico Gagini, il dolce e umile Domenico, chenella sua vita e dopo la sua morte dovette essere tormentato dalla fama diFrancesco Laurana, il buon Domenico che va a Polizzi alla ricerca della sua arca diS. Gandolfo. Egli l’aveva lavorata tutta in alabastro, l’aveva fatta alta circa quattrometri, con molti fatti della vita del santo e statue, tutta con somma perfezione. E,in fondo, egli è il più fortunato perché, appena entrato nella chiesa, il sagristaseppe indicargli subito la sua opera. Ma ahimè! Egli non trova che una lastra mar-morea infissa in un altare con la figura del Santo e pochi rilievi rappresentanti isuoi miracoli, tutto un po’ appiattito dal tempo, ma ancora di un modellato cosìsensibile e formativo da dargli un po’ di orgoglio e di compiacimento. Che è suc-cesso però di tutta l’arca? Noi che lo accompagniamo, povero Domenico, non glidiciamo la triste storia, né gli raccontiamo di aver letto in un antico documento,mostratoci da una nobile studiosa di Polizzi, che nella seconda metà del 700 gliultimi pezzi che componevano l’arca furono sotterrati, come pietra inutile sotto lacappella dell’Assunta e che quella stessa lastra che egli vide era stata messa sul pro-spetto della chiesa e solo per pietà rientrata alla fine dell’800. Che dirgli poveroDomenico Gagini?Giorgio Da Milano, non mi parve più fortunato. Appena si presento a chiederenotizie della sua opera, tutti lo guardarono sbigottiti.Giorgio Da Milano? E invece quest’artista nel 1496 aveva costruito una magnifica

193

Page 194: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

custodia per la chiesa madre, tutta in marmo lucido perfetto fino e bianco alta quasiquattro metri, proprio bella e sontuosa.Ma, avvicinandosi al cappellone, ecco su due pilastri, due statue inginocchiate diprofeti Mosè ed Elia; poi nella cappella di S. Giuseppe una statua di Gesù. E poi,cerca e ricerca in un magazzino della Cattedrale, lì tra i ciarpami, ecco venir fuorialtri tre santi inginocchiati di cui uno, di assai giovanile aspetto e gentilissimo diprofilo: S. Pietro, S. Giacomo e San Giovanni. È il vero caso di dire che la buonavolontà vien sempre premiata. Il Di Marzo ci aveva assicurato che la sua custodianon esisteva più, mentre il Di Giovanni in quel suo prezioso manoscritto ce l’ave-va descritta come ancora esistente all’epoca in cui scriveva: «Questa custodia esi-ste attualmente, ed esprime la trasfigurazione di Gesù Cristo nel monte Taborre.Nella parte inferiore del mezzo è situata l’intera statua di Gesù Cristo all’in piedie a i lati le statue di Mosè, di Elia in ginocchio che guardano Gesù Cristo. Nellaparte inferiore si vedono le tre statue di S. Pietro, S. Giacomo, S. GiovanniApostoli in ginocchio che guardano Gesù Cristo giusta l’espressione del S. evan-gelo che leggesi nel giorno della Trasfigurazione. Ecco dunque, o Giorgio DaMilano, ritrovata tutta la tua bella opera e in merito tuo i tre Apostoli passano dalmagazzino ad una piccola stanza annessa alla sagrestia in attesa tutti di un mira-colo più grande della Trasfigurazione, e cioè che si ricostruisce tutta l’opera».Ora si avanzano, stretti in una affettuosa lega, Giuliano Mancino e BartolomeoBerrettaro. Giuliano Mancino trova subito la sua statua della Madonna col Bambinoeseguita nel 1508 nel cappellone della Madre Chiesa. Un po’ alta veramente, né sem-pre visibile per quella cara consuetudine di elevare dietro all’altare e proprio dinanzial quadro o all’icona – che è sempre la più importante – qualche enorme baldacchi-no. Ma qui a Polizzi ci era per fortuna un organo ed io e Giuliano Mancino ci siamofatti trarre su animosamente per leggere la data. Lo sport più proficuo si esercita inSicilia nelle chiese e nelle sagrestie, per vedere le opere d’arte.Dunque, Giuliano Mancino fu subito contento; ma quando insieme a Berrettaro,che continuò la sua opera e a quel Pier Paolo e Luigi di Battista, che sostituirono ilBerrettaro, tutti insieme, ed io con loro, ci mettemmo in giro per cercare quellafamosissima custodia per la Cappella del Sacramento, a cui lavorarono dal 1509 epiù oltre il 1522, alternandosi l’opera con soverchi litigi, allora la cosa fu diversa.Nel portico della cattedrale al muro, chiusi, in trappola come topi, c’erano alcuniframmenti marmorei con rilievi, rappresentanti la Cena, il bacio di Giuda e laResurrezione di Cristo, più un pilastrino messo sottosopra ed un frammento di pre-della con Gesù e Maria e gli Apostoli. Quando, dopo parecchie secche d’acqua, irilievi furono visibili, risultarono abbastanza scadenti, bruttini anche.Il Di Marzo li ha affibbiati al Berrettaro e agli altri maestri, ma avvenne che nes-

194

Page 195: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

suno dei cinque volle riconoscerne la paternità ed io veramente non seppi compor-re in questo caso il litigio.Giuliano Mancino e Bartolomeo sono andati anche in cerca di altra opera eseguitain Polizzi per i Signori Notarbartolo nella chiesa di S. Francesco, un’opera un po’disgraziata perché il Mancino morì due anni dopo di aver fatto il contratto e ilBerrettaro pare si sia affidato per l’esecuzioni delle statue di S. Francesco, di Mariae di S. Antonio ad altro maestro, Francesco del Mastro Carrarese.Gira e rigira non era possibile trovar nulla, perché la chiesa di San Francesco è inparte diruta e senza soffitto, e quindi gli altari erano del tutto vuoti.Fu per qualche indiscrezione locale che i suddetti scultori ed io venimmo a sapere chetutta la loro cappella era stata murata alla parete della chiesa diruta.Fu una notizia inattesa, che fece impallidire i poveri scultori e che mi costrinsero afarli avvicinare in podesteria per chiedere aiuto al Podestà, Umberto Gagliardo inottima fama e agli altri pochi amici, il Sacerdote Invidiata, l’Ispettore onorario edaltri, cercando di riassicurare quei poverini e di fare aprire una breccia al muro, sì dapotere, almeno, dare un’occhiata li dentro ed assicurarsi che l’opera vi fosse.Così fu aperta una breccia e si era fatta folla intorno, vecchi, bimbi e donne.Guardammo tutti, e la meraviglia fu grande e con essa l’ammirazione, per una sta-tua di san Francesco così ben composta, così finemente scolpita, così dolce e bene-vola al viso qual proprio non si aspettava.Allora, avvenne il contrario di prima e cioè: tutti affermavano di essere l’autore dellabella cappella e con molta efficacia d’argomenti l’affermava, sopratutti quel maestrodi Carrara che era il più sconosciuto e cioè Francesco del Mastro che aveva lavora-to in altri pesi delle Madonie e si vantava di avere anche eseguito la bella icona mar-morea della Cattedrale di Petralia Sottana, datata 1521 ed altri lavori. Così si acce-se la discussione ed altra ve ne fu, tra gli astanti, circa il luogo dove passare la bellacappella. Quest’ultima, credo, continuerà a lungo, fino a che sopraggiungerà l’inver-no e dalla breccia entrerà il maestrale.Ad ogni modo, Giuliano Mancini, Bartolomeo Berrettaro e Francesco del Mastroche, per documento, avrebbero l’uno dopo l’altro preso l’incarico della cappella, sidichiarano soddisfatti e guardavano con molto rincrescimento il poveroGiandomenico Gagini, il quale affermava che anche lui aveva fatto per Polizzi unabella cappella nella chiesa madre, e l’aveva fatta in pietra della cava di PetraliaSottana ed era stato a Polizzi nel 1542, a lavorare con tanto ardore. Nulla egli avevatrovato della sua grande icona.C’erano vicini un po’ più vecchiotti, due scultori: una diceva di essere l’autore dellastatua datata 1473, e l’altro del bel sarcofago, con un giovane giacente, che tuttiaffermano dovere essere Vincenzo Notarbartolo. Chi fossero questi due ignoti non

195

Page 196: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

fu possibile saperlo, e anche quando si andò tutti in Cattedrale per andare a vederequesta cappella Notarbartolo e a leggere le epigrafi, le questioni si riaccesero, inu-tilmente.Saliva dal fondo della valle la nebbia, velava le vallate e i monti, il sole, trasforman-dolo in palloncino di bimbo. Tutti eravamo un po’ tristi: pareva che una diversa neb-bia fosse penetrata nella cattedrale ad avvolgere tutte le memorie del passato.

8 Agosto 1935 - NEI PAESI DELLE MADONIE. COSE MAURINE VISTE E NON VISTE

Giunsi a San Mauro col cuore in festa. Da Petralia Sottana fino a raggiungere ilmare, era stato una corsa tra campi e declivi gonfi d’oro, un fuggire di neri sugherie di aceri annosi; poi, nel risalire da mare all’aspriccia rocca di San Mauro, un tra-smutare continuo di paesaggi di limpido verde macchiato da ciuffi di gerani, edun’ascesa facile e lieve nell’ampio spazio dove le cime più alte venivano incontro adumiliarsi, facendo una rapida ronda intorno e poi separandosi in presta fuga.Appena arrivata, mi salutarono il campanile della chiesa di San Mauro che aveva unberrettino a maiolichette verdi e rosse messo un po’ a sghimbescio per un colpettodatogli dal fulmine, ed una comitiva di schiamazzanti gallinelle, petulanti intorno aun porcellino fasciato di bianco e di nero che brontolò fuggendo, inospitale.Andavo a San Mauro ubbidendo a due richiami: quello di una Madonna diDomenico Gagini, dell’unico scultore a me caro fra i tanti di quella terribile edinvadente famiglia, e al richiamo di un reliquiario bellissimo in argento dorato esmalto, forse opera di espertissimo orafo lombardo del tardo 400. C’era poi anchela speranza dell’ignoto, ficcato nei magazzini ben colmi di ragni, nelle chiese abban-donati, nelle funebri sagrestie.Santa Maria dei Fracchi, la chiesa che ospita la Madonnina di Domenico Gagini eproprio a due passi dall’ingresso del paese. Vi entrai subito.Nella grande luce meridiana, la chiesa era solitaria e triste. Sulle pareti c’erano telenere con santi-lividi, sarcofagi policromi sotto gli altari, chiazze di muffa e di grigio.Un Patania trovato anche lì non mi diede gioia, anch’esso così funebre e nero e nep-pure la grande icona sull’altare maggiore, piena di santi accigliati e stanchi. Ma adestra, nella cappella laterale, velata d’ombra, in una candida nicchia mi apparve final-mente la statua di Domenico Gagini, prima meta del mio viaggio per quel paeserupestre, nido di aquilotti, informe groviglio di pietre grigie tra viuzze scoscese indedalo intricato, senza filo di Arianna. Era lì, nelle nicchia senza un fiore sull’altare,senza un cero. Indietreggiava un poco, quasi paurosa, socchiudeva gli occhi come pertrattenere un pianto, stringeva la bocca piccolissima di birba crucciata. Era seria e

196

Page 197: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

grave dimentica di tutto, anche del Figlio che si appoggiava al petto guardandolaansioso, dimentica dell’altro Bimbo che si aggrappava all’orlo della sua veste e parevatremasse tutto, guardando ancora indietro, come per un corso pericoloso. Sgomentoe paura stringeva quei corpi di marmo, ma tutti colmi di vita, essi soli, tra le cosemorte dell’immensa chiesa. L’arista aveva modellato tutti e tre quei corpi con manolieve e commossa e ovunque la materia aveva ricevuto palpito e vita: il drappeggio fru-sciante che cascava ai piedi sulle teste minuscole dei piccoli cherubi, lievi lievi cometestine di uccelli implumi, la tunichetta appiccicata sul morbido corpicino del Bimbo,i capelli tutti lievi e serici alle tempie, le mani magrissime e vive. Il marmo aveva iltono caldo dell’epidermide al sole; una pallida indoratura era soltanto ai capelli. Lagiovinetta era bellissima, colma di una grazia, di una ingenuità commuovente. Sullabasetta poligonale il rilievo era sciupato, ma come nell’arca di S. Gandolfo a Polizzi,era sempre chiaramente distinguibile: nella ghirlandetta di sinistra vi era inginocchia-to l’angelo annunziante, con un ardente flessione di tutto il corpo e un grande slan-cio di vita nelle lunghissime ali, a destra la Vergine, indistinta sotto la caduta dei drap-pi; nel centro la rappresentazione del presepe. Le aureole staccate dal fondo, la model-lazione imprecisa nel particolare e pur straordinariamente efficace, richiamavanosubito alla memoria l’arca di S. Gandolfo poi anche improvvisamente, i rilievi dell’ar-ca di Giovanni Montaperto a Mazzara, una piccola basetta in marmo di casa Pirrottaed altre opere viste nel tempo immediato o lontano. Si svolgevano i pensieri chiara-mente, restando nell’ombra della nicchia, seduta ai piedi di quella Madonna giovinet-ta che pareva reggere, come me, un peso troppo grave di vita dura. La personalità diDomenico Gagini, rimasta sempre soffocata vicina a quella prepotente di FrancescoLaurana si andava illuminando; mi pareva che, da allora in poi, mi sarebbe statoimpossibile non distinguerla tra molte e diverse.Tutto il resto della chiesa non ebbe per me interesse, tranne un torcere in bronzodel tardo 700; né si accese altro entusiasmo girando per alcune chiesette abbando-nate e sparute tranne che in Santa Sofia per un quadro rappresentante laCrocifissione che pareva di un novecentista convinto ed era opera di un pittorelocale un tal Montoro del 1899, assai disprezzato in patria, tant’è vero che i com-paesani non avevano più voluto entrare in quella chiesa ma non tale però da nonpenetrare in qualche sindacale ragione con la scusa del sintetismo e della deforma-zione surrealista. Né la grande chiesa di S. Giorgio, ricca di marmi policromi, riu-scì a ravvivare qualche entusiasmo con la sua icona in marmo, mediocrissima operadi bottega cinquecentesca o con la decorazione ad affresco di un tal Pietro Bernadel 1733, tutta fastosa di fregi ed oscura nel significato simbolico.Solo nella chiesa di San Mauro, una gentilissima Madonna col Bimbo, ben adornadi capelli fluenti e di morbide vesti, richiamò il mio fervore e più la basetta che le

197

Page 198: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

era stata adattata di un cinquantennio anteriore che portava una data di grandeinteresse: 1477 ed aveva due testine di cherubi e profeti svolgenti un rotulo di talmodellato, da farne subito pensare a Domenico Gagini. Da chiesetta a chiesetta lastrada era impervia e il sole allucinava. Non c’era altra speranza che il magnificotesoro, meta certa del mio viaggio. Ma per quel tesoro vi era da svolgere un enig-ma, l’enigma della tre chiavi.Per chi non lo sapesse, ogni tesoro che si rispetta è chiuso in armadio con tre chia-vi. Una la detiene l’arciprete, l’altra l’autorità giudiziaria, la terza il Podestà. Le chia-vi viaggiano con le persone a cui sono state affidate e può darsi il caso che l’arcipre-te sia andato sul dorso dell’asinello a dare un’occhiata ai campi, il pretore sia anda-to per doveri di ufficio, il Podestà sia in villeggiatura a venti o trenta chilometri dalpaese. La cassaforte resta immobile. Le tre chiavi girano intorno per un’ampia tra-iettoria; il turista ingenuo può insistere, può ribellarsi, ma invano. Se tutte e tre lechiavi non si fermano contemporaneamente dinanzi alla cassaforte, egli potrà resta-re anche una settimana in un paese senza riuscire a vedere il tesoro. Ma non era ilmio caso. Tutti erano stati informati per lettera, per telegramma. Alle tre precise,nella chiesetta del Collegio tutta limpida e odorosa, la riunione era quasi al com-pleto intorno alla cassaforte ermetica, grigio metallica, posta lì nell’abside, perchétutti potessero ben vederla e all’occorrenza in una buona serata di fulmine e di neb-bia, mentre le candide domenicane dormono il sonno della bontà e della pace esse-re asportata. Mancava soltanto la chiave dei Podestà.Il tesoro della cassaforte mi era ben noto attraverso una serie di fotografie fatte ese-guire da Antonio Salinas: un bel calice settecentesco con angioletti impazienti sulnodo e vivaci volute sulla base; una mazza vivace di ornato per quanto non fine difattura del tardo cinquecento; un magnifico ostensorio di argento dorato di stileimpero e, oltre a pezzi di secondaria importanza, un superbo reliquiario in argentodorato e smalti e pietre preziose che costituiva, ho detto, il secondo richiamo mau-rino. L’oggetto presentava una mirabile proporzione architettonica ed una fatturairreprensibile nelle piccole sfinge che ornavano la base, negli smalti rettangolari, nelnodo, con baccellature, nelle volute, che sorreggevano il reliquiario.Un grande smalto rappresentante la Crocifissione ed altro rappresentante laRisurrezione circondati da una fascia a filigrana e perle, costituivano la parte o piùsplendente e interessante dell’opera. Il fregio che si svolgeva intorno a pigne fioritee tutta la forma, lo dichiaravano lombardo e la perfetta esecuzione facevano sperareche si trattasse di un’opera di uno di quegli orafi lombardi espertissimi che vivevanoalla corte di Ludovico il Moro o di qualche altro orafo passato alla corte papale ingara, come il Cellini attesta, coi più esperti orafi toscani. Occorreva vedere il tipodegli smalti, esaminarne la tecnica vederne i colori, osservarne i disegni. Si trattava

198

Page 199: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

di smalti traslucidi italiani o di smalti opachi di scuola francese? Era una gammacoloristica di gusto senese fiorentino, oppure prevalentemente rossa, di tipo lombar-do? Quale artista poteva aver dato il disegno di quella Crocifissione, in cui la figuradi Giovanni era di tanta nobiltà? I più grandi nomi venivano al pensiero, non si prof-ferivano per l’abitudine al controllo e allo studio ma si era certi che la visione del-l’oggetto avrebbe fornito elementi estremamente utili per procedere alla determina-zione dell’orafo per chiarire qualche interessante problema di oreficeria rinascimen-tale. Tutte le altre opere di oreficeria sparse nei tesori della Madonie mi erano tuttenote e chiare: erano tutte o quasi, opere di orafi palermitani; soltanto la base del-l’ostensorio di Geraci Siculo, e l’elegante piccolo reliquiario di Petralia Sopranaaffermavano chiaramente la loro origine toscana ma poiché l’uno e l’altro sono del300, del secolo in cui i contatti con l’arte toscana erano continui nell’oreficeria comenella pittura e nella scultura, esse opere non rappresentavano una importazione stra-na nella oreficeria Madonita. Ma questo reliquiario smaltato, bellissimo di forma edi tecnica per la novità dell’origine oltre che per la sua bellezza era di estremo inte-resse e ben degno di richiamare un turista a San Mauro perché, dopo la contempla-zione della Madonna di Domenico Gagini, dolce e umana opera del 400 religioso,ammirasse il reliquiario lombardo splendente testimonianza del 400 munifico.Vedevo nelle chiesette odorose di gelsomini muoversi le candide lane delle suoreDomenicane ed ascoltavo un po’ distratta le parole. La cassaforte era dinanzi a mee fra poco si sarebbe aperta.E invece la cassaforte non si aprì. Avevo atteso per sei anni che il compimento dellastrada automobilistica per San Mauro mi consentisse la gita, avevo preparato perl’illustrazione dell’opera appunti e note, avevo fatto novanta chilometri al sole neltorrido Luglio, inutilmente.Tutto per colpa forse di un pisolino del Podestà.Così è la vita.S. Mauro Castelverde, Agosto.

18 Agosto 1935 - LA PRIMA MOSTRA AGONALE D’ARTE

Perché alla sincerità e all’ardore con cui i giovani del G. U. F. hanno organizzato neilocali del Dopolavoro al Teatro Massimo una piccola Mostra di pittura scultura earchitettura con il preciso intento di preparare i colleghi ai prossimi Littoriali noncorrisponda una critica falsamente lusingatrice, bisogna subito dire che essa Mostralascia nell’animo sconforto e preoccupazione. Espongono venticinque giovani inmassima parte allievi del R. Liceo Artistico, del R. Istituto d’Arte, della R.

199

Page 200: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Accademia, giovani, anzi giovanissimi. Ma per due terzi la loro pittura non è gio-vane e pecca non per acerbità, ma per senilità precoce. È una pittura che si orientaverso il passato e precisamente verso quell’ottocentismo continuatosi nel novecen-to, che già allora appariva una stasi del pensiero piuttosto che animoso procedere.Naturale che i giovani seguino i consigli dei maestri e che le prime opere sianostrettamente legate a quelle della generazione precedente, naturale che essi nonpossano affermare una propria indipendenza ed originalità in un periodo di vitacosì giovanile. Ma alcune pitture di questa Mostra riportano ad un romanticismolezioso tipo Rapisardi, ad un tipo patetico e solo lesinato di quel neo- romantici-smo tardivo ed oleografico quale si vede agli ultimi anni dell’ottocento, ad una tec-nica ormai superata ed a un contenuto più che superato. Ci si domanda come maiquesta pittura che sembra tolta da un magazzino di Galleria, possa rappresentarel’aspirazione, la fede dei nostri giovani che vivono in questo torrido e appassionan-te clima fascista, si dubita se la colpa sia della cera o non piuttosto del suggello chel’impronta, cioè se nelle nostre accademie si faccia equivoco tra passantismo e ritor-no alla tradizione, tra esercitazione tecnica e composizione, tra copia e creazione.Né si può fare torto agli organizzatori di una soverchia libertà nell’accettazione: gliagonali debbono essere aperti a tutti, perché tutti esercitano le proprie forze. È elo-giabile anzi questo tentativo di primo raduno di forze giovanili e desiderabile cheprossimamente sia più vasto e completo. Elogiabile in particolar modo l’intento diriunire anche alcuni disegni di architettura, cosa rara a Palermo, come se l’architet-tura non appartenesse alle arti ma fosse semplicemente retaggio di capomaestri, dicostruttori e di tecnici, oppure di filosofi ed esteti. Elogio all’intento di una Mostradi architettura più che agli architetti espositori. Ma chi oserebbe rimproverare que-sti giovani di scarsa originalità di passantismo, se lì, a due passi della Mostra, si vedequel parallelepidedo bucherellato, ultimo esempio dell’architettura novecentistapalermitana? Nella pittura è possibile fare qualche segnalazione. Si può segnalare Guido Piquatoper alcuni ritratti vivacissimi e per certe raffinatezze cromatiche decorative cheappaiono e scompaiono nel quadro «Venere»; si può segnalare Angiolo Campanellaper un pastoso e vivacissimo impasto cromatico che gli serve assai bene per rende-re un mercato variopinto ed alcune barche al sole; un «Interno dello studio» di LinaPalamara; i disegni a penna di Mario Bracciante, i bianchi e neri di ElsaCarpentieri, i paesaggi arabi di Carlo Di Stefano. Nella scultura Giuseppe DiChiara appare preoccupato di ubbidire alle esigenze accademiche e Barresi si trovaindeciso tra il vecchio ed il nuovo. Segnalabili i giovani Puccio ed Enzo Varrica, giànotevole per un certo garbato ritmo nella composizione e un buon gusto nella scel-ta dei soggetti.

200

Page 201: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Pochi nomi ma è anche vero che pochi sono gli espositori. Pure così come essa è lapiccola Mostra va elogiata per la somma degli ottimi intenti che si propone diattuare e perché ogni gara, ogni agone rappresentano un desiderio di allenamentouna volontà di vincita, e una fede nello avvenire, presupposti degni della giovinez-za fascista.

22 Agosto 1935- NEI PAESI DELLE MADONIE DUE “ANTONELLI” IN CASTIGO*

Già la Matrice vecchia di Castelbuono, col suo portale gotico a foglie rampanti sullagroppa dell’arco e la torretta campanaria e il portico ombroso anticipa subito al turi-sta la gioia di qualche opera d’arte, che lì dentro si custodisca. Ma appena entrati,si resta perplessi al contrasto tra la candida e la povera semplicità della chiesa su unquadro immenso posto sull’altare maggiore che è come un arazzo regale tutto tra-punto di oro e di stelle, sfolgorante di colori e di luci, alla luce solare che vi battevivida ed accesa.L’occhio preferisce subito riposarsi a guardare la chiesa e a poco a poco, sotto lapovera veste di calcina che l’eguaglia alla corsia di un ospedale e alla cella di un con-dannato, scopre il bel corpo gotico elegante ed armonioso, motivi decorativi origi-nali ed interessanti, forme architettoniche trecentesche ancora schiette e pure. Sialternano i pilastri e le colonne sorreggendo la bella arcata di ampiezza e di propor-zione chiaramontana; alla sommità delle colonne, ornati mostruosi sembrano pro-nunziare le prime parole di una decorazione plastica romanica; il soffitto a travatarivela ancora qualche traccia di decorazione policroma ed una di esse, in fondo, vici-no all’abside, incatena lo sguardo col il suo fregio di guerrieri in lotta a tinta grigiasul fondo purpureo che rievoca raffinati avori di Bisanzio. Nobile è la struttura dellachiesa eretta probabilmente alla metà del 1300: ove si sopprimesse la navata didestra, aggiunta posteriore e si ricostruisse il muro al posto indicato dalla piantastessa della chiesa, essa risorgerebbe graziosissima con le sue tre navate gotiche.Alcune opere belle che l’adornavano sono passate alla magnifica Chiesa Madre; vi sonorimasti però i marmi: una Madonna col bimbo datata 1500, un po’ inerte e duretta,altra Madonna più umana e dolce di tipo palermitano cinquecentesco e infine un cibo-rio magnifico alto più di quattro metri che richiama alla mente subito il ciborio diCollesano e fa pensare che non sia proprio questa l’opera che Giorgio, da Milano, com-pagno di Domenico Gagini eseguì per la Matrice di Castelbuono come consta da undocumento citato dal Di Marzo a proposito di altra opera, «come quella eseguita aCastelbuono» che l’artista si impegnava a fare per la chiesa Madre di Polizzi (ed è quel-la da me ricostruita durante la mia recente sosta nell’ospitale Polizzi).

201

Page 202: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Ma per opere belle che vi siano, la chiesa non vive, non trae fama e splendore se nondall’immensa opera di Antonello De Saliba. Quadro immenso: misura metri setteper metri cinque; il suo trasporto da Messina a Castelbuono fatto da FrancescoPollichino per ordine del Marchese Don Simone Ventimiglia al primo Ottobre1520, costò tre onze e tarì quindici.Non vi è quadro di quell’epoca in Sicilia in conservazione così perfetta e di cosìgrandiose proporzioni.Sulla predella del quadro, pensano e meditano, ciascuno sorreggendo i propri sim-boli i dodici apostoli posti a destra e a sinistra di Cristo tra angioli che sta nelloscomparto centrale. Più in alto nel centro la Madonna col bimbo, a destra SanPaolo e S. Agata, a sinistra S. Pietro e S. Lucia, più in alto ancora l’angiolo annun-ziante e l’annunziata S. Lucia e S. Anna e in due piccole tavolette San Gioacchinoe S. Giuseppe.Più in alto ancora l’Eterno benedicente in legno dorato, come in legno dorato sonodue statuette di profeti posti sulla predella e tutta l’incorniciatura delle singole tavo-lette, splendenti d’oro.Madonne e Santi, o Santi e Apostoli, non sono uniti insieme in un ambiente cam-pestre o chiesastico come già da tempo si faceva, ed Antonello il grande avevaesemplato nella grandiosa pala di S. Cassiano in parte ricostruita al KunstHistorische Museum o come Giovanni Bellini, Giorgione avevano già fatto, mavivono ancora separati l’uno dall’altro, isolati nello sfolgorio d’oro, senza spaziointorno. Ma le forme sono plastiche e di un mitigato realismo, con begli accordi diverdi e di rossi nei morbidi e fruscianti drappeggi e nei volti con quella riposata ecalma bellezza che gli artisti di Venezia amarono nel primo ventennio del cinque-cento. Vi è nell’opera la fortunata serenità del pittore esperto, libero da ogni tor-mento, ben pago di tutte le conquiste fatte dal grande Antonello, ed ancora peròincantato dai fondi di oro, dai trapunti splendenti del bel gotico catalano. Tutto unminuto lavoro di intaglio gotico doveva essere infatti l’edicoletta oggi scomparsa,sulla tavola centrale rappresentante la Madonna col Bimbo.Come nel quadro, cosi le stesse forme gotiche tardive appaiono in un ostensorioeseguito da Bartolomeo Tantillo nel 1532, per la stessa Chiesa, ostensorio che è unodei capolavori della oreficeria siciliana. Vi appare un’architettura semplice ed ario-sa: sulla base polilobata si eleva il fusto, asse intorno a cui si aprono due terrazze;sulla prima, coperta da un minuscolo loggiato gotico stanno apostoli in ampi drap-peggiamenti classici, sulla seconda due angioletti alati adorano la sacra Ostia sottoil baldacchino, su cui trionfa il globo reggicroce. L’orafo non dimentica per vanitàdi architetto e di scultore il fine del suo prezioso oggetto e l’Ostia, nell’aureola dora-ta raggiante con scoppiettii di faville, resta tutta offerta agli occhi dei fedeli. Vi è

202

Page 203: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

nell’opera una delicata fragilità di filigrana negli intrecci dei virgulti sotto gliarchetti nella minuscola siepe di foglie che gira intorno alla base nella decorazionedi gigli sulla torricella esagonale. Una trepida cura di mano monacale si sente inquell’altarolo tutto adorno di foglie cadenti sulla basetta, quasi il timore di lasciareverghetta di oro senza amoroso ricamo.Ma Antonello De Saliba sembra in castigo. La sua opera, così perfetta di conserva-zione dopo l’ottimo restauro eseguito dal Prof. De Bacci, così sfarzosa e magnificacosì rara nella nostra Sicilia devastata, meriterebbe una dignità maggiore nella chie-sa che da quattro secoli l’ospita. E veramente meriterebbe che si provvedesse al rin-forzo del soffitto della chiesa che lascia trasparire oggi, la luce, e domani se GiovePluvio vuol far vendetta, può far passare la pioggia a battere e a spegnere quel gran-de ardore di luce e di colore.Se si è restaurato il quadro perché non restaurare la chiesa che l’accoglie?Pure, da un punto di vista di un quadro che abbia tendenze statiche e gli piacciarestare sempre al suo posto e nel suo paese e sull’altare dove fu per la prima voltaesposto in piena meraviglia di tutti, questo quadro di Antonello De Saliba può bendirsi fortunato. L’altro quadro invece, detto di Antonello da Messina, anch’essotutto splendente d’oro e di gotici trafori, ha avuto sorte diversa e di gran lunga peg-giore. Anzi, la sua storia molto romanzata, potrebbe offrire qualche spunto aWallace per esercitazioni poliziesche. Un quadro di grande interesse era questo diAntonello, o meglio di un antonelliano, tanto che malgrado fosse custodito nel san-tuario di S. Guglielmo a cui si accede per una ripida stradetta montanina, esso rap-presentava sempre un notevole richiamo per i turisti e per gli studiosi.Il santuario di S. Guglielmo era sorto verso il 1280 per volere di AntoninoVentimiglia e per operare del Beato Guglielmo da Polizzi Generosa in un luogoincantevole tra un declivio tutto verde e una roccia brulla e conserva ancora unchiostro desolato, qualche sala di struttura gotica ed una minuscola chiesa del tuttosettecentesca (tranne il portale gotico d’ingresso) dove era posto il quadro. Ma il belquadro oggi non è più sull’altare. Da quando ho messo piede a Castelbuono, tuttimi hanno parlato del quadro che non c’è.Con vero ed appassionato rammarico ne parlano il Podestà il Rev.mo Arciprete e ilVicario, interessati al patrimonio artistico e prodighi allo studioso di ogni sinceracortesia, con molta loquacità inconcludente i più con un certo sgomento ed unacerta commossa maraviglia i contadini e i sacristi.Il fatto assai semplice è avvenuto così: erano pervenute molte denunzie circa l’inco-lumità del quadro ed allora quando il quadro fu tolto dal santuario di S. Guglielmoe ritirato per un po’ di tempo al Museo Nazionale di Palermo. Quando fu tolto dallacassa e posto in luce i fondi aurei erano così splendenti e lucidi e tutto il quadro

203

Page 204: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

appariva di una conservazione così miracolosa, da far restare perplessi e paurosicome per una oscura minaccia e infatti il prof. De Bacci potè assicurarsi subito chele tavolette antiche erano state sostituite con tavolette moderne, lasciando comple-tamente intatta l’incorniciatura gotica dei singoli quadretti.Come e quando è avvenuta la sapientissima sostituzione? Chi aveva atteso al furtoespertissimo? Come mai per così lungo tempo il pittore certamente bravo avevapotuto copiare i vari riquadri, senza che nessuno se ne accorgesse? E le tavolette ori-ginali, dove sono?Non si è fatta alcuna inchiesta, nessuna ricerca. Tutto tace.Quel di Castelbuono rivogliono il quadro del Museo. Parlano e gridano. E perchénon chiederlo alla cortesia del direttore del Museo che sarebbe ben lieto credo, diliberare il povero Antonello da castigo del magazzino e di rimandarlo a S.Guglielmo, così come è, cornice vera e quadri falsi?C’è caldo a Castelbuono e forse la volontà si discioglie.

31 Agosto 1935- NEI PAESI DELLE MADONIE. CHIESETTE AL CORSO DI

PETRALIA SOTTANA

Quei paeselli delle Madonie, a tarda sera, sembrano tutti sciami di farfalle d’oroappuntati sopra un’immensa coltre di velluto nero, chi più in alto chi più in bassocome seguendo il capriccio dell’ago.Petralia Sottana è diversa. I lumi ascendono sul declivio a zone parallele come unimmenso vivaio di fiori d’oro che l’occhio continua nell’infinito a raggiungere lestelle. Paese di Sicilia come tanti altri, nelle sue casette grigie, nelle piccole e tor-tuose vie; ma come di notte esso si distingue per quella fila di archi luminosi e tuttaquella luce a zone ordinate, così nel giorno si distingue per un ardore di vita più altoche altrove, per una aspirazione al meglio, per una volontà di grandezza e di pro-gresso. In quell’unica strada che tutta la traversa e si chiama pomposamente «ilcorso» che accoglie l’ospite all’ingresso e lo conduce sull’immensa terrazza dellaChiesa Madre presso Dio e presso il cielo, la vita non si arresta mai, tra i cantinostalgici dei carrettieri e il rombo continuo delle macchine, tra il chiacchierio som-messo degli aristocratici al circolo intorno a quel Podestà magro e lungo, roso, paredalla volontà di azione e le parole e i gridi di vendita. Fluisce e rifluisce continua-mente la vita, come acqua negli argini di un fiume.Si aprono su questo Corso Paolo Agliata cinque chiesette, come cinque stazioni peril turista vagabondo. Piccole chiese, senza pompa di ornati all’esterno: un archettogotico o un portale secentesco appena rivelano la loro presenza. Reginetta fra tutte è

204

Page 205: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

la chiesa di S. Francesco. Nel Settecento quando le pareti e il soffitto erano ricoper-ti da affreschi vivacissimi e i festoni di rose, oggi in parte distrutti scendevano fra-granti ai lati delle finestre, inghirlandando gli oculi, e i fregi a grottesca su fondod’oro sembravano galloni di broccato stesi su damasco del fondo, e le volute a mono-cromato inghirlandavano gli affreschi grandi sul soffitto e sulle pareti e i piccoli cam-mei sulle finestre e dai pulpiti, dalle cornici l’oro fluiva e tutto era splendore d’artericchezza di ornato stupendo accordo di colore e di fregi, questa chiesetta ricchissi-ma eretta in gloria alla povertà di S. Francesco doveva essere la gemma delleMadonie. Chi abbia creato quella decorazione floreale e figurativa così nobile, frescae vivace nell’abside, chi la decorazione del soffitto e delle pareti da quella diversa, ionon potrei oggi dire con certezza, che, nel campo delle attribuzioni è meglio proce-dere con lentezza. Ma di una scuola di Giuseppe Salerno, si può parlare e con mag-giore precisione si potrebbe accennare a quel Giacomo Li Varco da Collesano affre-scante, non indegno allievo di Gaspare Vazano. Quanta parte il maestro e gli aiutiabbiano avuto nella decorazione della chiesetta non mi è facile per ora dire, ma essaè talmente pregevole come esempio di quel barocchetto madonita per nulla provin-ciale e gravoso, (…) di risorse e di eleganze da fare vivamente desiderare un inter-vento di S. E. il Vescovo di Cefalù, né fra tante disgrazie, questa fortuna si ha, di unVescovo che attenda, oltre al nobilissimo suo ufficio anche all’arte e alla bellezza.Vicino a S. Francesco, un’altra chiesetta tutta semplice e linda S. Maria della Fontanapare vantarsi accanto alla sorella in veste sfarzosa della sua umiltà. Ma è falsa appa-renza. Sugli altari essa mostra alcune sculture in candido marmo di grandissimo pre-gio. Già in tutti i paesi delle Madonie, da Collesano a Polizzi, a S. Mauro, la scultu-ra del tardo quattrocento e della prima metà del cinquecento è rappresentata con talesfarzo, con tale novità di forme, con un tal numero di forme da imporre un sistema-tico studio a chi volesse occuparsi della scultura siciliana tra tutte le arti è la più tra-scurata. Tre marmi preziosi si custodiscono in questa chiesa; un alto rilievo rappre-sentante la Vergine che tiene sulle gambe il figlio morto racchiuso in una incornicia-tura marmorea datata 1519 e delicati fregi cinquecenteschi assai più ampia e tardadel rilievo che ha pare, una ingenuità e un sintetismo ancora quattrocentesco.Sull’altare maggiore vi è una Madonna col Bimbo posta sopra una basetta ottagona-le ornata da rilievi; sull’altare di destra un ciborio in marmo con angioli adoranti ailati e un raffinato fregio che l’incornicia. Al solito nessun nome, come nessun nomedi autore si legge in quella magnifica icona marmorea posta nella chiesa di S. Trinità,nessun nome sull’altare raffazzonato con vari pezzi nella chiesa di S. Giorgio Battistae nei preziosi marmi della Chiesa Madre: la Pietà, il Presepe, la grande icona sull’al-tare, marmi tutti datati dal 1490 al 1540, tutti, in misura maggiore o minore di gran-de interesse, come gli altri della chiesa di S. Pietro e i frammenti ritrovati nel magaz-

205

Page 206: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

zino della Chiesa Madre. Come a Polizzi – dove la scultura si impone sopra ognialtra forma d’arte per numero e per qualità – anche a Petralia Sottana un complessodi statue riportano lo spirito a problemi di grande interesse artistici alcune notizie,tratte da antichi documenti proiettano un po’ di luce per la loro soluzione.A Petralia Sottana esisteva una cava di pietra assai in fama presso gli scultori del-l’epoca. Gian Domenico Gagini, figlio di Antonello e nipote del grande Domenico,nel 1542 si era impegnato ad eseguire a Polizzi Generosa una icona in pietra diPetralia Sottana «come quella che erasi di già eseguita nella Badia di PetraliaSottana». Tale notizia, se interessa molto per quanto riguarda l’esistenza di unacava, più interessa perché consente di attribuire Gian Domenico Gagini la superbaicona della Chiesa della Trinità che è infatti in pietra ed è di stampo gaginesco epuò anche valere ad indicare come doveva essere l’altra di Polizzi inutilmente ricer-cata in quel mio girovagare tra chiese e magazzini.C’è anche un’altra notizia di un certo interesse, ed è che Giorgio da Milano – quel-lo scultore di qui a Polizzi abbiamo ritrovato i frammenti di una grandissima icona– nel 1503 nominava un tale ad esigere alcuni pochi danari e a derogarli per l’eri-gendo ospedale. Giorgio da Milano dunque, aiuto di Domenico Gagini, fra imigliori scultori del Rinascimento Siciliano, aveva lavorato a Petralia Sottana.Quale la sua opera? Vi aveva anche lavorato Francesco del Mastro carrarese, artista largamente noto, mache pur dovette avere fama ai suoi tempi. Egli si era impegnato nel 1513, ad ese-guire una custodia per l’Eucarestia a Termini, e a non interrompere il lavoro se nonper ultimare un tal quadro in marmo che stava eseguendo per la Confraternita di S.Maria in Petralia Sottana. Di quale quadro si parla? Della «Pietà» o della«Custodia»? Sarà possibile decidersi solo quando la personalità artistica diFrancesco del Mastro sarà più definita.In una terza chiesetta sul corso, la chiesetta della Misericordia, c’è un’altraMadonna col Bambino posta sopra una basetta pur essa in marmo, che si fa avantia chiedere il suo autore e, così pure tutte le altre opere marmoree già ricordate nellaCattedrale e altrove avrebbero la stessa curiosità. Molte opere e tre scultori: Giorgioda Milano, Francesco del Mastro, Gian Domenico Gagini. Ottimo campo per leesercitazioni di tipo morelliano. E quasi non bastassero le opere in marmo, ci sonopoi le opere in legno: una piccola Santa Cecilia nella Chiesa Madre della fine delquattrocento, che par continui la tradizione senese – catalana, un San MicheleArcangelo del secolo XVIII pur nella Chiesa Madre, vivace ed elegante è qui, nellastessa chiesetta di Santa Maria della Misericordia, una Madonna in legno partedorato e parte colorato in azzurro, di una tale grazia e fluidità di tocco da imporreanch’essa la ricerca dell’esperto autore.

206

Page 207: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Nella quinta chiesetta del Corso, non c’era speranza di ritrovamenti perché la chie-setta è già da tempo chiusa al culto. Ma pur lì, nella sagrestia abbandonata, i vecchiarmadi vollero pur essi mostrare all’ospite esigente, i resti di un corredo chiesasticoveramente magnifico. Dai tiretti, ad uno ad uno, tirati fuori dal Reverendo Billini– instancabile compagno di ricerca – venivan fuori broccatelli e damaschi, ricami etessuti e qualche calice e qualche ostensorio. Ad uno ad uno apparivano, cometimorosi a mostrarsi in tutta quella polvere e quell’abbandono. Anche lì dove nullasi sperava di trovare ecco la bella stoffa, la bella opera di oreficeria a ricordare la pas-sata grandezza e l’epoca in cui si adorava Dio scegliendo ed offrendogli il marmopiù raro, l’opera d’arte più bella, l’oggetto più prezioso. Cinque chiesette, cinquepiccole soste al turista.Ma quando saranno tutte aperte e calde di luci ed odorose di fiori freschi, semplicie nitide e quando fra esse risplenderà del tutto restaurata, la chiesetta di S.Francesco?A Petralia Sottana si può chiedere, sicuri di una risposta.

21 Settembre 1935- ELOGIO ALL’ANTICO. ARTIGIANATO TRAPANESE

Non è facile trovare nei musei esteri molti ricordi dell’arte decorativa siciliana, – maescluso il complesso magnifico del Kunsthistorisches Museum a Vienna – se unove ne è, è assai facile sia un prodotto dell’artigianato trapanese, una stoffa, un coral-lo un cammeo, una Madonna in alabastro, un gioiello smaltato, un pastorello dilegno o di avorio, una piccola e fragile cosa che il flusso del tempo e degli eventi hastaccato dalla sinuosa terra e trasportata altrove per divenire messaggera della patrialontana.Instancabile messaggera è la Madonna di Trapani. In corallo, in alabastro, inmarmo, in cera, in pittura o in incisione, in tutte le materie in tutte le misure, intutti i modi ripetuta, purchè rievochi quella umana maternità di sorriso che nell’ori-ginale in marmo della Cappella dell’Annunziata a Trapani affascinò gli occhi gio-vinetti ed entrò nel cuore e quivi si confuse col sorriso della propria madre, colladolcezza della madre terra, con l’amore per l’infanzia lontana.Quella Madonna, l’artigianato trapanese l’ebbe nella mente e nel cuore e semprel’ebbe sulla punta delle agili dita industriose e pazienti che non conobbero mai resi-stenza nella materia, dura che fosse, piccola che fosse, per modellarvela ed eternarla.Forse fu la consuetudine alle lunghe attese del navigare o la nativa inclinazione aduna vita meditativa ed operosa, o lontana eredità dello spirito agile ed industriosodei fenici, certo è che l’artigianato trapanese del seicento e del settecento si distin-

207

Page 208: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

se non soltanto per la sua abilità a lavorare in mille guise tutte le materie ma per lapazienza lunga, assidua che lo porta a ricercare le più grandi difficoltà: la scultura apiccolissime figure nel più piccolo pezzetto di corallo e di avorio, la rappresentazio-ne più minuta e più complessa nella materia più dura, la decorazione a mischio piùframmentaria e più ricca di marmi, l’intaglio in legno più complicato e serrato.Ed ogni materia fu uguale: il corallo gareggiò con la cera, la pietra d’agate, la cor-niola, il lapislazzulo furono morbidi come lamina d’argento, l’oro fu tenero assai piùdello stucco, il marmo, l’alabastro, cedevoli come il legno, il legno non ebbe mairesistenze ed asprezze, tutte le gemme, rubini, topazi, granati, balassi, acquemarine,diamanti, turchesi, zaffiri furono frammentati al minimo, legate nell’oro, con gioie,esaltate nel loro colore vicino alla perla pallida e dolce.Scultore miniaturistico, l’artigiano trapanese non conobbe mai impazienza qualun-que materia avesse tra le mani dalla più raffinata alla più umile; la palpò, la model-lò con la stesso amore, con la stessa trepida gioia, con la stessa tenace passione concui nell’epoca rinascimentale Caradosso Caradossi, Agnolo di Faenza, Antonio S.Marino, Francesco Francia, bulinavano l’oro, incidevano il cristallo di rocca scolpi-vano le pietre dure.Basta sostare per una mezz’ora nel silenzio della chiesa dei Gesuiti di Trapani e fer-mare l’occhio su quella decorazione a mischio, e guardare quel pulpito capolavorodi architettura, di scultura e decorazione; e sostare dinanzi alle paraste dove comegrandi cammei sono incisi in marmo, in miniaturistiche dimensioni, fatti e miraco-li; o passare in sacrestia e guardare gli armadi in legno scolpiti con una minuzia eduna grazia che sbalordisce; o più oltre nella chiesetta della Congregazione delSacramento gettare una occhiata tutto intorno, dal pavimento al soffitto; o fermar-si in quella magnifica stanza del tesoro del Museo di trapani; o avere soltanto labuona ventura di incontrare in un salotto qualche bella patrizia ornata di gioielliantichi; basta assai poco, per osservare quella tangibile esperienza dell’artigiano tra-panese, quella instancabile pazienza, quella indomita tenacia che gli fa trasformareogni materia in un miracolo pazienza e di amore.Allora, ripensando altre cose viste in altri luoghi di Sicilia vien fatto subito di para-gonare questo artigianato trapanese all’artigianato catanese per vedere come e inquanti modi diversi lo spirito del popolo siciliano si appella, qui con l’amore alminuto, al perfetto al miniaturistico che stupisce e incuriosisce, là con l’amore all’af-fetto pomposo, alla superficie più che alla sostanza all’illusione all’apparenza.Questo in tutto e sempre pazienti, vigili, controllati, quelli in tutto e sempre baroc-chi. Quelli lavorano poco per figurare molto, questi lavorano molto per figurarepoco, ma per ottenere molto alla fine. Catania e Trapani: l’Etna e la Salina, la pas-sione e la pazienza, lo scatto e l’attesa. Sta nel mezzo Palermo. Palermo che ha

208

Page 209: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

avuto le più antiche corporazioni, Palermo che gareggiò nel Medioevo con le offi-cine di Conques e Hildesheeim, Palermo che offriva ai Re Normanni i manti dibroccato e le spade smaltate, alle bionde regine le cuffiette tramate di filigrana,sparse di perle e di rubini, Palermo che nel trecento ereditò e fuse tutte le esperien-ze senesi e fiorentine e nel quattrocento elaborò tutte le raffinatezze catalane emandò i suoi prodotti quali esempi in tutta la Sicilia, Palermo che riesce a fonderesempre le più opposte tendenze e che mantiene nello spirito e nell’arte decorativaanche provinciale una misura, un garbo, un giusto limite di eccezione.Dell’artigianato trapanese non si può dire in un articolo ma in un volume, in unarticolo se ne può additare l’importanza che è massima.Trapani ebbe un artigianato femminile di primo ordine e per riconoscerne il prima-to basta guardare i paliotti e le pianete del Museo di Trapani o quel magnificopaliotto della sacrestia della cappella di S. Anna al castello di Castelbuono inarriva-bile per la fusione dei toni gialli dell’oro e rossi del corallo, o quella pianeta cospar-sa a fiori di corallo ad Isnello, gentilissima nel disegno e nella esecuzione. Duròl’esperienza fino alla prima metà dell’ottocento e non fu vanto solo di artigiane maanche di patrizie se è vera la notizia pubblicata dai Passalacqua di quella baronessaPiombo che riceveva per i suoi ricami lodi e regali dalla moglie di Francesco I, e diquella di Maria Luisa marini «una delle antiche principali egregie maestre di tuttasorta di ricamo in seta, oro ed argento».Ebbe una scuola di maioliche per ottima tecnica egregia, si da rivaleggiare qualchevolta con i migliori prodotti faentini. Ebbe una scuola di orafi espertissimi comequel Nicolò Mineo o quel Bartolini; ebbe un intagliatore di cammei perfetto inGiuseppe Laudicina; intagliatori in legno espertissimi come quel Giovanni Materaora famoso a Monaco, o in avorio, come quel pazientissimo Andrea Tipa scultori inlegno perfetti e fantasiosi come quegli Orlando, decoratori di armadi.Ebbe una folla di artigiani abilissimi guidati e dominati dall’artigiano, artista checreava i modelli che offriva esempio a tutti nell’esperienza e nell’ardore del lavoro.E non sarà mai che Trapani ricca, operosa, intelligente richiami ed aduni tutti itesori sparsi in Sicilia e in Italia e dia le prove a noi ed ai forestieri di questa super-ba affermazione dell’artigianato trapanese? E non sarebbe questo un richiamo turi-stico assai più valido di qualsiasi cartellone reclame affisso sulla parete di una lugu-bre grigia stazione ferroviaria e non potrebbe spingere a far toccare la punta di que-sta falce d’argento, ai forestieri usi a fermarsi soltanto sulla costa orientale, e spin-gerli al monte Erice, rivale in bellezza al monte Tauro?E non potrebbe eventualmente suggerire, questa mostra di arte decorativa trapane-se, il proposito di far continuare se non tutte, almeno alcune di queste belle tradi-zioni con grande vantaggio dell’industria e del commercio trapanese?

209

Page 210: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Guardare e tutelare le glorie del passato non dovrebbe servire oltre che ad unaromantica contemplazione, anche ad una spinta per gare e per superamenti?

28 Settembre 1935 - ORIGINALITÀ DELL’ARCHITETTURA ERICINA

Certamente un architetto ciclopico costruì monte Erice a gradi precisi, con ordinee misura dalla piana di Bonagia elevandolo fra le nuvole e l’azzurro, preparando unapiattaforma regale; gli altri non fecero che continuarne l’esempio elevando templi,chiese, case e muri sempre stringendo fra natura ed arte un accordo perfetto.Architettura originalissima, è questa di Erice. Appare come una elaborazione diforme gotiche e di forme del Rinascimento e l’elaborazione è da intendersi comeuna semplificazione estrema per ridurre tutti gli elementi al massimo candore einsieme fonderli, si che l’occhio più aduso non riesca a riconoscerne le origini.Consta di calcolo e di fantasia, di praticità e di arte: è moderna ed eterna. Aderiscestrettamente all’ambiente e all’uso ed è per questo razionale e moderna. Conta sututti, gli elementi esteriori di natura: gli alberi, i fiori, il verde cupo di una pineta,l’azzurro del mare, il monte Cofano ad elmetto lucente, le saline diafane, la fiammadel tramonto e la chiarezza lunare, le mura sono fondali nelle mani di un espertoscenografo che li dispone per accrescere in ogni luogo l’incanto; quelle vecchie, del-l’antica cinta, formano la prima magnifica cinta che si avanza sul monte ora for-mando quattro torrette, ora aprendosi in archi acuti, quello di Porta Spada, a tuttosesto quello di Porta Trapani e Porta del Carmine; le altre quella della città ebreaabbandonata, formano recinti dove il verde si assiepa; le altre ancora erette del quar-tiere formano un rudere romantico sullo sfondo del mare, la altre piccole e basse cherecingono i cortili fanno parapetto a chiome di alberi, tutte le mura disposte adangoli retti o acuti sapientemente alternati a vani aperti sulla natura, o con alberi efiori, formano una scenografia raffinatissima e pur naturale e spontanea. Tutto inquei luoghi sembra preparato per lo svolgimento di un dramma, tutto aumenta divalore. Se nella Piazza della Matrice la folla si aduna tra il portico gotico «cupod’ombra e la torre campanaria grigia superba sulla vetta dei pini, e attende che dalvano della profondità sacra della chiesa appare l’immagine benedetta, se nella soli-tudine mattinale un’ombra nera sbuca dal fondo del vicolo e procede strisciandosulla parete come in un quadro del Rosai e se un giovinetto appaia sull’orlo dellemura e si scagli nel levigato azzurro, se donne si radunano avvolte in manti neripresso una luce o un bimbo si muove tra le vecchie mura verdeggianti o una donnasi profila nel centro di una arco, ogni gesto, il più semplice e solito, prende un valo-re diverso, pare si accompagni al recitativo di un dramma.

210

Page 211: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Questo, se l’azzurro e l’oscuro dominano il cielo. Ma se dalla vallata verde sale la neb-bia, e sommerge la chiesetta di S. Giovanni e il campanile di S. Giuliano e rapida vaocchieggiando tra merli e pini, lasciando a ricordo sparsi fiocchetti, o se, nell’ora deltramonto il disco solare resta come una patena luccicante sull’alto di una colonnad’oro eretta dal mare al cielo mentre intorno invisibili mani distendono veli di rosa edi viola, o se nell’ora notturna la luna colma di luce il vecchio castello, allora la scenasi muta e di dramma ha per ambiente l’Olimpo. Si aspettano ninfe ed eroi.Protagoniste sono ad Erice le mura Mura e mura: grigio e grigio. Mai un tonachino, mai un fregio. Ma se un vano si apresulla valle d’oro o sul verde, o sull’azzurro o sul rosso del tramonto, quel grigio, colo-re di vecchiezza e di malinconia diventa la base tonale più aristocratica nella pitturavivida che si forma. Mura grigie e pietose che accolgono tra pietra e pietra le chioc-ciolette piatte, le case dei ragni, accolgono il seme errabondo che vi fiorisce ed il ciuf-fo di verde che si forma - tenerezza del vecchio muro- prospiciente e dondolante,sembra un fazzoletto ricamato che sbuchi dall’orlo di una giacca nera.Mura grigie, squadrate, semplici, severe, a contorno rettilineo, a spigoli precisi, confinestre quadre, porte rettangolari spesso architravate con metope triglifi. Cubi eparallelepipedi, disposti sulle vie a quinte chi più avanti chi più indietro, chi più inlato chi più in basso. La bellezza nasce dalla semplicità di quelle stesure grigie, dal-l’armonia di quei volumi innalzati nello spazio in ritmo perfetto, nasce da quell’as-senza di ogni retorica decorativa. Domina la rettilinea e la squadra. È un rinasci-mento, portato alla schiettezza della sua origine romana.Di medievale c’è ancora la pianta, complicata, labirintica, con svolte improvvise, conimpensate soluzioni, con inattese trovate: ora le strade scendono rapidamente avalle, lunghe e tortuose, ora una piazza le interrompe con un albero o un cespuglioangolare; ora stradette strettissime con pareti inclinate pare si toccano nel fondo,ora vie piccole girano a meandri senza una porta e senza una finestra; ora archi discarico congiungono una chiesa a una casa; spesso porte quadrate aperte sul verdee sull’azzurro. Non vi è dell’architettura moderna, la regolarità della pianta che con-senta il rapido moto; qui domina ancora l’inatteso, il mistero.Originalissima, razionale è invece la casa.La porta di ingresso dalla via immette in un cortile che due o tre alberi e moltepiante trasformano in un giardinetto pittoresco e misterioso. Sulla parete di fondosi aprono le stanze terrane. Una scaletta esterna conduce al secondo ordine dovesono le altre stanze e spesso una terrazza. Sui gradini della scala la piante, sulla ter-razza fiori. Tutti gli ambienti prendono luce da questa verdeggiante oasi e da qual-che finestra aperta sulla via. Se vi è una finestra, vi è anche un fiore. In quel corti-letto gemmato, si svolge tutta la vita ericina ancora intima, pudica, raccolta, opero-

211

Page 212: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

sa. Questo non avviene in altri paesi di Sicilia. Di solito la stanza terrena si apresulla via; quivi spesso, è il forno, la cucina è una scala interna che conduce allaseconda stanza. Se si tratta di una casa ampia, vi sarà anche un terzo piano e la mas-saia avrà un bel da fare a salire e scendere scale in questa casa a scatolette sovrap-poste. Ma la vita si svolge sempre nella stanza terrena, anzi più propriamente, sullastrada dinanzi alla porta: lì si pettinano i bimbi, lì si squarciano i fichi per essiccar-li e si spalma sulle tavole la fiammante salsa. Lì, si litiga e si ama, lì si chiacchierasempre. Ad Erice invece un silenzio di chiostro, una solitudine immensa, una casaintima, raccolta, razionale nella distribuzione dei vani adatta al clima severo, unanettezza per le vie e nelle case che sbalordisce, nelle chiese un nitore che incanta.Il barocco non giunse ad Erice. Se pur vi è qualche portale o qualche finestra pom-posamente adorni di sontuosi fregi, se pur qualche interno di chiesa ostenti, svolazzi,fregi, conchigliette e coroncine di tipo rococò, il barocco resta sempre un ospite dipassaggio in questa città così semplice pura, così amorosa dell’essenziale costruttivo.Certo salirono da Trapani maestranze espertissime e nel settecento lavorarono edifi-cando chiese e palazzi con le norme del nuovo stile, ma queste opere restano isolatenell’architettura rusticana, rinascimentale che domina ad Erice. Forse la grandiosità ela bellezza dei ruderi, greci e romani, forse la bellezza degli edifici costruiti nel tardoquattrocento determinarono questi moduli architettonici rimasti invariati.Ma forse inutile che lo studioso pensi per quali eredità del passato, la vita qui siadiversa che altrove, inutile che cerchi modelli ed esempi di queste vie e piazze, dellecasette, dei cortili, delle cupolette candide e bianche, nell’architettura gotica diSpagna e del Rinascimento, e rievochi ora l’atrio romano, ora il patio catalano inu-tile forse l’indagine scientifica.È avvenuto soltanto questo ad Erice: il popolo ha saputo esprimere con la pietra lasua anima, ha saputo eternarvi il suo canto.Tutto suo, inconfondibile ed alto.

12 Ottobre 1935 – MANIFESTAZIONI SICILIANE. LA MOSTRA DELL’ARTE SACRA

DELLE MADONIE

Sono passati molti anni, ma la maraviglia e l'incanto che ebbi quando a GeraciSiculo l'Arciprete aprì il vecchio armadio nella sagrestia della Chiesa Madre permostrarmi quel ricchissimo tesoro, io non li ho più riprovati neanco dinanzi ai teso-ri più favolosi di Roma o dì Assisi, di Vienna o di Londra.Angusta era la sagrestia e povera. Tutta la parete era occupata da un vecchio arma-dio nero e tarlato in cui erano disposti i calici e gli ostensori, le navette, i turiboli, i

212

Page 213: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

reliquiari; di fronte c'era una finestra che guardava a picco nella vallata tutta d’oroondulata, come una immensa lamina martellata scintillante al sole meridiano. Solose il vento passava sulle spighe, un'ondata rapidissima di ombra strisciava su quelpiano ardente e ne opacizzava lo splendore. Pulviscolo d'oro era nell'aria, saliva daquella immensa fucina, entrava nella sagrestia grigia, penetrava negli armadi. Qui,foglie di cardo d'oro stringevano le coppe dei calici, ramuncoli d'oro si arrampica-vano sulle aste dei reliquiari, fiori d'oro contornavano gli ostensori. A valle, tutte lemontagne erano d'oro e d'oro le spighe. Tutto pareva plasmato da una sola mano,pareva soggetto allo stesso midiaco incantesimo.Mai più stretto rapporto mi era apparso tra natura ed arte come in quella sagrestiainfissa sulla rocca indomita del Conte di Geraci.Sorse allora per la prima volta l'idea di una mostra dei tesori delle Madonie, maappena sorta la rimandai subito nel regno dell'impossibile. Ritornò ancora, quandoa Gangi vidi altre stoffe ed oreficerie ed una stupenda portantina settecentesca equando ad Isnello vidi una sfilata di magnifici calici del cinquecento siciliano eduna pianeta trapanese di rara eleganza; divenne insistente quando, a PetraliaSottana, vidi l'ampia sagrestia colmarsi di velluti, di broccati di damaschi e dagliarmadi uscire ininterrottamente opere belle d'oro e d'argento; più ancora a PetraliaSoprana ove tra molti e magnifici oggetti si impose alla maraviglia una pianeta dellafine del quattrocento tutta ricamata a punto arazzo su disegno, pareva, di un anto-nelliano; si approfondiva sempre più nel desiderio a Polizzi Generosa davanti unsuperbo reliquiario in argento, una delle opere più caratteristiche dell'argenteriasiciliana e davanti al più perfetto, più armonioso calice del rinascimento palermita-no; a Collesano per alcuni quadri della fine del quattrocento di massimo interesse,a Castelbuono dove stoffe ed oreficerie mostravano la loro superba gamma di colo-ri e di forme e dove trovano alcuni pezzi di eccezione come il paliotto dellaCappella di S. Anna e il reliquiario gotico catalano della Chiesa madre; si acuì ildesiderio a S. Mauro per non aver visto uno dei più ricchi tesori della Sicilia.Ovunque, girando, anche ad Alimena, anche a Calcarelli, era facile trovare una stof-fa, un oggetto che meritasse di essere visto e studiato.La ricerca frattanto si estese oltre che alle arti minori anche alla pittura primitiva sele Madonie non offrono molti esempi di pittura primitiva (soltanto il bel politticodi Petralia Sottana di scuola sicula-marchigiana, il trittico della Chiesa di S. MariaLo Piano a Polizzi il crocifisso in legno di Castelbuono, la tavoletta bizantina diCasa Carapezza) offrono però un piccolo numero di quadri del Rinascimento avan-zato non tutti di scuola siciliana ma tutti meritevoli di essere esposti, ed offronosoprattutto un ricco materiale di conoscenza per la pittura del seicento e del sette-cento in Sicilia. Soprattutto veniva imponendosi uno studio più accurato e una

213

Page 214: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

documentazione fotografica dell'opera del grande pittore delle Madonie, lo Zoppodi Gangi, cioè Giuseppe Salerno che ad Isnello, a Polizzi e nelle Petralie ha lascia-to un numero rilevante di opere tali da consentire la completa definizione della suaarte piena di interesse, specialmente negli affreschi della chiesa di S. Maria dellaCatena a Gangi.Oltre a ciò, gli armadi delle sacrestie, i seggi, le cornici, i pulpiti, i cassoni, gli alta-ri in legno scolpito, intagliato, intarsiato svelavano un barocchetto leggiadro e inte-ressante che per la sua diffusione testimoniava la presenza di un artigianato localeassai esperto. E anche la scultura lignea famosa nel trapanese, mostra nelle Madonieopere di affascinante ingenuità oltre ai patetici e ben noti crocifissi di frate Umile.Ed oltre a questo e a qualche capolavoro di architettura settecentesca, c'è un nume-ro rilevante d'interessanti sculture; magnifiche icone, statue e rilievi quasi tutti dallafine del quattrocento e della prima metà del cinquecento quando lavoravano insie-me Domenico Gagini, Laurana e i Lauraneschi, Giorgio da Milano, GiulianoMancino, il Berrettaro e altri maestri tutti degni di studio.Dalla prima visita al tesoro di Geraci a questa visita cortesemente favorita dalComune di Petralia Sottana, sono passati alcuni anni. Ricordo bene l’ostilità sorda,il sospetto, la paura che sorgeva allora verso di me che pur romanticamente andavapreparando la mia tesi, frugando nei tesori di Sicilia; e invece le accoglienze cordia-li che vedevo fare agli antiquari nazionali ed internazionali che andavano a ritirarecon i carri le opere d’arte delle chiese e dei privati: paura e sospetto che aumenta-rono quando ritornai per incarico del Ministero a compilare cataloghi: ora invecedappertutto ho avuto affabili accoglienze, ho visto in tutti l’ardore di far conoscereagli altri per meglio conoscere le varie opere, il desiderio in tutti ad averle illustra-te e valorizzate. Molti dei Podestà si sono resi conto della necessità di una docu-mentazione fotografica e hanno graziosamente insistito per una divulgazione gior-nalistica, qualche articolo apparso sul «Giornale di Sicilia» è stato ripubblicato inriviste e giornali locali. Un nuovo ardore, un amore più alto e nobile verso il pro-prio paese ha invaso gli animi. C’è ancora forse in questi paeselli delle Madonie, unpiccolissimo detrito di partigianerie feudali ma in fondo piace sentir discutere acca-nitamente sulla nobiltà maggiore o minore delle proprie origini e sentire i retrogra-di un po’ invidiosamente parlare dei progressi degli altri.È avvenuto allora che via via girando e parlando e suscitando interesse per il patri-monio artistico di ogni paese, quella timida e paurosa idea venuta su, nella sagrestiadi Gangi, prese coraggio, e nutritasi di ardore passando nella direzione del Gigliodi Roccia e nella Podesteria di Petralia Sottana divenne più che un'idea un vero pro-getto. L’altissimo consenso di S. E. il Vescovo di Cefalù e di S. E. il Prefetto diPalermo diede al progetto le ali, gli fece toccare il Ministero di Propaganda e

214

Page 215: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Stampa dove fu subito approvato. Il Podestà di Palermo ha promesso aiuti per l’ar-redamento delle sale, il «Giornale di Sicilia» collaborerà col Comune di PetraliaSottana per l’ottima riuscita della mostra che si farà ai primi di Febbraio in concor-danza con la gara sciistica del «Trofeo delle Madonie». Quando gli immensi campidi neve richiameranno i giovani sportivi alla contemplazione della natura, le tiepi-de sale del Palazzo del Comune offriranno con una rassegna sceltissima delle opered’arte delle Madonie una sosta piena di sorprese e di fascino.Non avrà questa mostra soltanto il valore scientifico di riunire opere d’arte comple-tamente ignote che fanno parte del più scelto patrimonio artistico nazionale, né sol-tanto un valore estetico per le magnifiche opere di oreficeria, per le sete, i broccatistupendi, gli intagli, i quadri che vi saranno esposti; nè soltanto il valore turistico dirichiamare nelle Madonie molti siciliani che mai si sono spinti in queste nostrebelle montagne e di contribuire allo sviluppo economico dei singoli paesi per lemolti gite che vi saranno organizzate, ma avrà ancora questa mostra un delicatissi-mo valore spirituale varrà a far scomparire le ultime piccole ostilità paesane e strin-gere tutti i comuni delle Madonie in un serrato fascio di energie per la valorizza-zione artistica e turistica della regione.

19 Ottobre 1935- IL BAROCCO IN PALERMO

Un libro sull’architettura in Palermo si attende per varie ragioni. Anzitutto perché,libera da tutti i legami di una concezione estetica irrigidita dai geli neo classici,siamo riusciti ad estendere il nostro entusiasmo anche alla vilipesa architetturabarocca: secondariamente perché ci siamo accorti con l’aiuto degli altri che nellamagnifica e irruenta fioritura barocca latina, la Sicilia trova un posto di prim’ordi-ne; in ultimo, perché un libro recentemente apparso su G.B. Vaccarini, esaltando inmodo etneo l’originalità e la bellezza dell’architettura barocca di Catania ha lascia-to il desiderio di un esame limpido e sereno di tutte le altre forme barocche diSicilia e soprattutto di una valutazione sicura di un gruppo di architetti palermita-ni che diedero il tono di misura e di equilibrio a tutta l’architettura di Palermo edella provincia.Se, infatti, il barocco di Palermo è strettamente congiunto- in quanto e semplicearchitettura – al barocco romano, di qui si serba la severità classica, esso è inveceoriginale nelle forme decorative ed assume per questa una tipicità di aspetto che vastudiata e collegata con tutta la tradizione architettonica decorativa della Sicilia. Unprospetto di chiesa come quello di Casa professa può ritrovarsi in molte altre cittàdi Italia ma un interno come quello, no; oratori simili a quelli di Palermo, di Carini,

215

Page 216: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

di Castelbuono non si vedono in altre regioni; un interno simile a quello di dellaChiesa di S. Salvatore non trova molti compagni.La razionalità e la classicità delle strutture architettoniche, l’eleganza, il garbo, lamisura, l’originalità, la molteplicità di risorse del barocco palermitano, il modo concui esso riesce a farsi guardare anche infilandosi dentro la Cattedrale di Monrealee a S. Maria dell’Ammiraglio, il modo con cui riesce a vivere, a vibrare in questa lucee sotto questo cielo sono tutti elementi da guardar, da osservare, da studiare.L’annunzio quindi di un libro dell’architetto Caronia sul barocco di Palermo (egre-giamente edito da Ciuni) sia per l’argomento sia per il nome dell’autore – che è frai più intelligenti e colti architetti di Palermo – dava a sperare che tale lacuna nellastoria dell’arte siciliana venisse finalmente colmata. Non è così. L’autore ha pubbli-cato semplicemente alcune note, interessanti senza dubbio, ma non fuse nella orga-nicità di un libro prese nello anno 1918. Da allora non ha ritenuto opportunoaggiornarla, o meglio, non ha potuto come egli stesso dichiara nella onestissimaprefazione del libro. Dal 1918 al 1935 il contributo agli studi dell’architetturabarocca è stato però notevole tanto da poter offrire molti elementi di raffronto tral’architettura barocca di Palermo e quella di Roma e da consentire una precisa indi-viduazione delle varie personalità di artieri come il Bernini, il Maderna, ilBorromini ecc. la quale individuazione molto serve a far misurare l’altezza a cuigiunsero gli architetti palermitani che alla scuola di Roma furono tutti in modomaggiore o minore legati; sono stati dati piccoli ma interessanti contributi alla sto-ria del barocco in Sicilia da alcune caratteristiche forme di decorazione baroccaquale il bugnato e la decorazione a mischio, sono stati migliorati i mezzi fotografi-ci e, a parte di questo dal 1918 ad oggi si è radicalmente trasformata la critica d’ar-te. Nessuno oggi pensa che possa bastare per lumeggiare la personalità di un artistauna raccolta di dati biografici sulla vita e un semplice elenco delle opere compiute.Nella relazione del primo convegno della sezione storica del Sindacato NazionaleFascista Architetti, Gustavo Giovannoni, ha ben chiaro quale debba essere il meto-do dello studio della storia dell’architettura: è studio complesso che riguarda soprat-tutto l’opera, dal documento di archivio all’esame del materiale costruttivo, dallostudio della pianta e del particolare decorativo all’analisi estetica. Solo attraversol’analisi della opera si può si può ricostruire la personalità dell’architetto. Per giun-gere a determinare il valore del barocco di Palermo ad una sintesi, quindi, di valoriestetici, era indispensabile, al punto dei nostri studi, procedere da una studio anali-tico dei vari monumenti. Chiese e palazzi, oratori, monasteri, ville debbono esserestudiati nella loro struttura e nelle loro decorazioni ed è indispensabili il corredo dipiante di spaccati, di rilievi, di fotografie degli interni. L’architetto Caronia avreb-be saputo offrirci tutto ciò, se avesse voluto.

216

Page 217: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Senza dubbio anche le notizie sulla vita e l’elenco delle opere sono di grande interes-se perché le notizie siano ricche e l’elenco delle opere sia il più possibile completo.Fra Giacomo Amato, ad esempio, lavorò anche molto per il monastero delle Verginiinteressandosi con Antonio Grano anche alla decorazione di stucco della chiesa deiparticolari decorativi del mobilio; architettò il palazzo Tarallo ed il prospetto di talpalazzo si può vedere riprodotto ad una stampa annessa a un libretto di Pietro Vitale«Sullo arrivo, acclamazione e coronazione della R.M. Vittorio Amedeo e AnnaOrleans»; stampa che unita a vari disegni del palazzo ci consente di ricostruire nelsuo primitivo stato quest’altra opera di Fra Giacomo; lavorò anche per la facciatadella casa del Marchese Spaccaforno dirimpetto al Monastero di Valverde e tutti idisegni che potevano essere studiati, lavorò a Casa Professa, a S. Nicolò degli Scalzi.Oltre alla attività di architetto sarebbe stato interessante seguire tutta la sua attivitàche si svolse sia durante il viceregno di Giovanni Francesco Paceco Duca di Uzeglioe quello di Pietro Celon Duca di Veragnos. Anche l’attività di scenografo – date lescarse notizie che si hanno sulla scenografia siciliana – poteva essere studiata aven-done fortunatamente molti mezzi. Ma era soprattutto da osservare e da illustrarenell’opera di questo magnifico artista, la raffinata unità tra architettura, decorazioneed arredamento d’ambienti dato che egli curava tutto in un edifizio dal prospetto allacassapanca dall’interno al torcere. Si può osservarla e illustrarla questa unità, in quelcapolavoro che è la chiesa della Pietà a Palermo dove tutto è stato disegnato dall’ar-tista: la decorazione interna e le grate, i ferri battuti e le cantorie in legno, il pavi-mento e la decorazione del soffitto, ogni particolare, in modo che nella opera irichiami, le risonanze, gli echi tra le varie modanature architettoniche e i fregi traquesti e gli arredamenti compongono una totalità musicale di bellezza. Con la per-sonalità di Fra’ Giacomo Amato così resta ancora da approfondire la personalità diFra’ Paolo e quella di Gian Biagio Amico e quanto al barocco in Sicilia e a Palermoresta da indagarne meglio le origini, i procedimenti, le forme le caratteristiche.Interessante è il capitolo sulla tecnica muraria degli architetti barocchi. L’autore farilevare il contrasto tra la raffinata decorazione degli edifizi e la trascurata e miseracostruzione, tra la ricchezza delle superfici e la povertà della struttura. Purché l’au-tore non abbia esteso a tutta l’architettura civile alcune deficienze che possono esse-re state in un singolo palazzo – costa infatti quanta cura, i grandi architetti paler-mitani riposero nella scelta del materiale – le osservazioni fatte dal Caronia sono dimolta utilità. Più ricco di osservazioni e di notizie giovevoli per la Storia dell’archi-tettura in Sicilia è il capitolo in cui è data notizie della preparazione scientifica eculturale degli architetti barocchi, dei loro studi, del loro entusiasmo per il classicodella loro profonda convinzione di essere i più schietti seguaci delle regole diVitruvio e del Palladio.

217

Page 218: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Questa è la parte più viva e più interessante del Libro che ci lascia un sincero rim-pianto per quello che non è stato fatto ma anche la viva speranza che in prossimotempo sia seguito da un altro il quale porti nello studio e nella illustrazione dellanostra architettura il mutato spirito, la rinnovata sensibilità, i messi più progreditidella scienza e della critica moderna.

20 Dicembre 1935 - PITTURA E PITTORI IN ABISSINIA

La pittura abissina sta alla pittura italiana come la pittura dei carri siciliani sta agliaffreschi della Cappella Sistina grande.Una sola piccola tavola dipinta che cada al nostro sguardo può valere a rivelarci di quel-l’autore e di quel popolo più di ogni enfatico proclama di pseudo civiltà.Le pitture, quasi mai di cavalletto, sono divise a zone e le figure vi appaiono sovrap-poste, non immerse nell’atmosfera spaziale ma allineate e piatte su di unico piano.Questo fa ricordare a prima vista gli affreschi egiziani, ma nella pittura egiziana,dalla più arcaica alla più progredita è sempre visibile una austera regolarità, unasemplicità ieratica, una cadenza lineare e coloristica i quali pregi la rendono espres-sione d’arte anche senza la conquista della prospettiva e dello spazio. Il ritmo, laproporzione, appaiono sempre nell’espressione artistica dei popoli promessi allaciviltà: ritrovabili nelle ceramiche cretesi-micenee, come nelle ceramiche protoco-rinzie. L’era di Samo pur essa arcaica, ha già nel corpo appena modellato, un divi-no ritmo di forme. Questi pregi mancano completamente nella pittura modernaabissina, la quale non si può mettere a paragone neanco colle più arcaiche espres-sioni artistiche dei popoli antichi. La decorazione non è basata sulla coordinazionedei vari elementi figurativi zoomorfici vegetali nel sopra una stilizzazione originalee fantastica degli elementi offerti dalla natura ma è una ingenua e spesso caoticasovrapposizione di varie forme oppure è una narrazione più che una decorazione.L’artista bissino narra volentieri fatti storici, fatti religiosi e partite di caccia, narracome può farlo un ingenuo cantastorie popolare con il gusto al particolare, all’ana-lisi, tutto a dispetto del totale della sintesi e con una drammaticità esasperata. Nellescene di caccia, i cacciatori hanno bestie e visi neri su cui brilla il bianco della scle-rotica; portano cartucce e fucili e sparano alle belve feroci assumendo atteggiamen-ti assai buffi per la persistente capacità che ha il pittore le gambe in accordo tra diloro e il loro movimento con l’azione che si rappresenta. Ingenuo è il modo disegnare l’ambiente perché come è ovvio i pittori abissini sconoscono completamen-te la prospettive come se tutte le conquiste italiane ed europee compiutesi in talecampo non fossero mai state fatte. Essi dunque rappresentano una foresta con qual-

218

Page 219: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

che alberello formato da un fusto e quattro foglie e ponendoli l’uno sopra l’altro oseparandoli da una linea nera hanno già significato ambiente e spazio. Più espertiappaiono nelle rappresentazioni della fauna mostrando di averne osservato laforma, le movenze, più di quanto non abbiano fatto per gli uomini. Questi infattihanno sempre un viso eguale, sembrano dipinto a stampo e la massima differenzaè data dai capelli a volte lisci bene incollati altre volte ritti come per terrore; le belveinvece hanno atteggiamenti umani di odio, di paura, di audacia. Se un cacciatore hacolpito un leone, questo digrigna le zanne e torce gli occhi con l’atteggiamentopatetico di una eroina di melodramma se un cinghiale è minacciato dalle canne deifucili si arresta subito sgomento e posa le zampe delicatamente sopra il cacciatoregià ucciso e che rimane in dolce abbandono. La lotta che si ingaggia tra uomini ebelve risulta sempre di scarso interesse artistico sia per l’ingenuità del disegno siaper la mancanza di rapporto tra la drammaticità della scena che si vorrebbe rappre-sentare e la sua complessità, con la indifferenza degli atteggiamenti e la sommarie-tà della rappresentazione. I colori sono naturalmente di una vivacità straordinariama non graduati nel tono ne studiati nella loro varietà.Così dipinge di scene di caccia e di scene religiose Ato Belaschu pittore di corte, mae-stro fortunato e caposcuola il quale movendo da così scarsa sapienza prospettica edisegnativa ha dovuto compiere un grandissimo sforzo in quel ritratto di Ras Tafaritutto agghindato e parato di stoffe preziose, seduto in trono con due vigili custodi ailati, ritratto in cui il pittore vuole certamente gareggiare con gli aristocratici e raffina-ti pittori bizantini. Ma anche in Abissinia un grande pittore come Atu Belaschu – chepotrebbe essere un buon aiuto dei nostri artieri di Bagheria e del Catanese, non puòvivere in pace un altro pittore Agenhu Ingida cerca di gareggiare con lui riportandola pittura a una maggiore severità di forme ma sopprimendo quella ingenuità e quel-la spontaneità che possono in qualche modo interessarci nella pittura di Belaschu.Anzi, senza dubbio, tale pittura e quella assai simile dei suoi discepoli, pochi anni orsono al tempo del surrealismo e della così detta deformazione volontaria del reale, altempo cioè in cui i pittori traevano esempi e modelli dagli scarabocchi dei bambini odalle statuette e dalle pitture del Sudan con la scusa della ingenuità espressiva, sareb-be stata assai imitata ed apprezzata. Il parlamento di Addis Abeba è stato decorato daAgenhu Ingida e dai suoi allievi. Arte povera e grama. Riappaiono strazi di intelli-genza ma soffocati da una nebulosa ignoranza; appaiono compromessi tra una sostan-za strettamente barbarica ed una apparenza che vuole essere civile e raffinata. Quandoi pittori abissini cercano di riattaccare alla tradizione non fanno che frantumare o gua-stare o pessimamente trasformare gli ultimi relitti dell’arte bizantina passata colCristianesimo nell’abissinia e li rimasta fino al XVIII secolo con forme statiche.Poiché l’arte abissina non è senza tradizione. Dal primo secolo a.C. fino al settimo

219

Page 220: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

d. C. ci giunse in quella lontana terra qualche raggio della civiltà greca e romana. IlCristianesimo penetrato rapidamente ad Axum si diffuse con la simbologia e l’ico-nografia ellenistica bizantina. Queste rimasero come un substrato tenace anche neiperiodi di grande barbarie e cioè nel primo medioevo e negli ultimi secoli prece-denti al nostro.Nel Sogno di un vecchio pellegrino manoscritto di Filippo Meztènes nellaBiblioteca di Parigi scritto nel secolo XIV, la regina Verità che sta ricercando lamoneta con segno della croce greca cioè il «Biesant», la trova nell’Etiopa, paesericco d’oro e di pietre preziose ed i cui abitanti sono «neri splendenti per la forzadel sole, magri di corpi e di flebile complessione». Tali notizie mi gli erano statedate da un italiano un certo Bragadino forse veneziano che visse per sette anni inquel luogo. Pittura ancora bizantineggiante dovette introdurre nell’Abissinia ilmonaco pittore veneziano Francesco Brancaleone che verso il 1150 giunse inEtiopia e vi rimase a lavorare come aveva fatto un altro pittore italiano, AntonioBartolo che fu poi scelto dal Negus Davit I come ambasciatore presso la Repubblicadi Venezia portando per il doge e per la signoria: «liopardi, armati et certe alienespiscibiles» e che fondò di ritorno in Abissinia una piccola scuola italiana alla cortedel Negus.Naturalmente le forze bizantine non si mantennero in Etiopia con la stessa raffina-ta grazia e con quel perfetto disegno con cui si mantennero fino al Seicento avan-zato in Oriente. A paragonare, ad esempio, la rappresentazione di S. Giorgio assaifrequente nelle miniature etiopiche del secolo XVI con quelle tavolette russe diidentico soggetto dipinte nel tardi cinquecento si vede subito la derivazione da unastessa fonte per quanto riguarda l’iconografia, ma un elaborazione assai diversa chenella prima va verso un imbarbarimento nella seconda procede verso un elaborazio-ne incosciente ma raffinatissima dei particolari. Le pitture murali su tela della chie-sa di Debbra Brahan (Gondar) sono complesse e dense di simbolismi ma le figurevi stanno affastellate, senza ordine e ritmo disegnate rozzamente.Sempre più decade l’arte bizantineggiante alla fine del secolo XVII fino a spegner-si quasi del tutto.In venti secoli, quei popoli non sono stati capaci di trovare una parola originale eschietta ne di mantenere una debole tradizione artistica importata; in venti secolidurante i quali l’arte in Italia è stata come una canna al vento.

220

Page 221: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

28 Dicembre 1935 - OTTOCENTO SICILIANO. UN GARIBALDINO PITTORE: FILIPPO

LIARDO

Incerto è il luogo di nascita, a Leonforte per alcuni, a Termini per altri; certa è inve-ce la sua grande bruttezza e la sua costante ed ostinata miseria.Brutto era, anche a venti anni: iroso e violento, pronto a dar di mano a chi lo beffasse«un saraceno originalissimo e di molto ingegno con i baffi enormi e nerissimi che glicoprivano la faccia e quasi gli uscivano dagli occhi, che guardavano con fissità orienta-le ironica e felina». Così lo descrive Telemaco Signorini.Era anche povero. A Termini vendeva bambagia e lo chiamavano «u mattularu», aPalermo per vivere e comprar colori, faceva intagli di legno; a Napoli si offriva perservo a Domenico Morelli, a Parigi morì sopra un letto di paglia.Giovanissimo però egli dovette attirare l’attenzione perché sul giornale «Il vapore»del 1958 – quando cioè l’artista aveva appena diciott’anni apparve un lungo artico-lo sul pittore, articolo che è la prima e più importante fonte per la ricostruzionedella sua biografia.Studiò a Palermo, ma non sappiamo con quale guida. A quell’epoca, verso il sessan-ta, era in pieno fervore Salvatore Lo Forte che aveva già compiuto il quadro di SanNicola all’Olivella, suscitando entusiasmo e polemiche; il Pataria era già morto.All’esposizione del 1956, alla quale parteciparono anche il Carta, EugenioFormisani, Salvatore Di Bartolo, il Tripi, il Sottile, il Riolo, il Nizzola, ed altriminori, il suo nome non appare. Era dunque ancora a Termini, forse a vendere bam-bagia. Al ’58 era a Napoli insieme a Domenico Morelli, «che non lo trattò comeservo ma come allievo e fratello lo tenne e gli fu prodigo di molte cure». Dopoalquanti mesi, dice il suo biografo, egli compì un ritratto al signor Marello e taleritratto aveva molti pregi, ma anche un certo di trascurato e di esagerato nel colo-rito proveniente, a quanto pare, da una certe eccessiva imitazione morelliana.Dal pennello alle armi.Nel 1860, quando Garibaldi cominciò in Sicilia la vermiglia epopea, Filippo Liardoventenne indossava, la camicia rossa, combatte con ardore e con fede e, quando puòosserva, scruta, uomini e forme, dipinge.Ritornato a Napoli, vi rimase pochi anni per passare subito a Firenze dove nel ’65 feceuna esposizione personale e nello stesso anno, a Parigi, partecipando all’esposizionecon il quadro «Il Bombardamento di Palermo», vi acquista improvvisamente unagrande fama e diviene il disegnatore presso l’Illustrazione di Londra e «Le MondeIllustre» di Parigi. Ma al di sopra di ogni successo personale, egli pone sempre l’inte-resse della patria sicché ancora una volta obbedì al richiamo di Garibaldi e sotto laguida dell’eroe continuò combattere, fermando spesso, su pochi centimetri di carta,

221

Page 222: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

spunti di guerra, visioni di battaglia e ricordi personali in modo da formare un librodi memoria quanto mai interessante al nostro cuore di italiani e al nostro gusto di stu-diosi.Un disegno ricorda il combattimento del 21 Luglio 1866 a Bezecca, un altro il tra-sporto di Garibaldi ad Aspromonte, un altro ancora ricorda un combattimento aDesenzano. Nel settanta egli era a Roma ed espose, secondo il Fiduccia che ha rac-colto buone notizie sul pittore, tre ritratti di principesse di casa Borghese. Il suosoggiorno a Parigi fu dunque interrotto spesse volte; nel ’78 era di ritorno a Roma;vecchio ritornò in Sicilia e fu per qualche tempo a Catania. Ritornò a Parigi e vimorì in miseria a settanta anni.Noi, di tutto questo girare e lavorare e ricercare la bellezza e l’arte, e di questo ardo-re di patria, e di questa volontà di lavoro, non abbiamo che scarsi ricordi: un grup-po di disegni e tre quadri, assai poco, ma sufficienti per spingere alla ricerca di altreopere e per fare affermare subito che Filippo Liardo fu uno dei nostri più grandipittori e che egli merita un posto di primo ordine nella storia dell’impressionismoitaliano.Il primo dei tre quadri che conosciamo è quella della Galleria di Palermo rappre-sentante «La sepoltura di un garibaldino», quadro datato e firmato 1865. l’artista èsui venti anni; ha combattuto con Garibaldi, ha vissuto ore di ansia e di audace fol-lia, ha temuto e gioito. Dovette dipingere questo quadro con una grande emozione,certo, il cuore gli si inteneriva al ricordo dei compagni perduti vi dipinse due fan-ciulle che sospirano dinanzi ad una cassa funebre.Il Romanticismo non è qui un movimento cerebrale, ma è uno stato d’animo sin-cerissimo, un modo di esteriorizzare una vivida emozione; lo stile è neoclassico conun disegno impeccabile, con una definizione accurata della forma e una grande pre-cisione nel particolare. Tutto minutamente l’artista indugia nel disegno ma con lafissità malinconica di chi, insistendo sul reale cerca di distrarsi di una intima pena:ogni particolare, la bandiera tricolore, i pali legati in croce, la coroncina di rose, lecandeline spente, le trecce disfatte sono disegnate con un indugio che non è soltan-to il risultato di un attento studio della forma ma è anche una insistenza dolorosadel pensiero. Tutto il colore partecipa ad esprimere questo stato d’animo, colore conpreferenza di grigio e di terra immerso in una luce opaca senza vibrazioni; un accor-do basso, in sordina dimodocché il tocco rosso nel berretto garibaldino, sulla cassalignea che ne conserva il corpo diventa il fulcro cromatico e spirituale del quadro.Pochi guardano quest’opera della galleria Municipale di Palermo, ma essa è tra lepiù sincere e le più interessanti del Romanticismo storico siciliano.Nello stesso luogo si conserva un altro quadro di Filippo Liardo: «Il ritratto delpadre». Vi è tra i due quadri una differenza grandissima di tecnica. In questo ritratto

222

Page 223: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

il colore graduato di tono in tono con una sensibilità acutissima ed è tutto morbido,lavorato con la spatola, lasciato tutto nella sua immediatezza nel suo spontaneo ada-giarsi sulla tela. I capelli fluidi, la pelle floscia e cadente, la stoffa dura e gonfia sonouna meraviglia di realtà ottenuta con mezzi ben diversi. L’accostamento alla scuola diNapoli e di Firenze è già avvenuto: l’artista ha appreso come una pennellata possaavere una funzione plastica e descrittiva senza subordinarsi per nulla al disegno. Laterza opera è stata recentemente acquistata dal Senatore Libertini ed è quella che uncritico d’arte Paolo Murato rintracciò a Parigi. Porta la firma e la data F. Liardo 1878,su tavola, e vi è scritto dietro «Rocca di Papa, Italia, Goupil». È un quadro preziosis-simo perché è l’unico a testimoniarci il compiuto accostamento dell’arte del pittorealla scuola dei Macchiaioli toscani e l’assorbimento di alcune eleganze della scuolaimpressionista francese. E ormai del tutto scompare la descrittività del primo quadro.Con un pennello intriso di bianco l’artista rende un campo di neve poi, con sovrap-posizione di altri colori scuri e vivaci, fa balzare colme di vita figure di viandanti chelentamente o frettolosamente si avanzano e se stesso fra i primi, con quei baffi neriappuntiti, che Telemaco Signorini ricordava. Una fulmineità di visione segnata e fer-mata con una rapidità eccezionale. L’artista ha compiuto il lungo cammino, si è impa-dronito della nuove tecniche con una rapidità eccezionale; quella sua giovanile inda-gine al colore, non si è perduta ma gli ha offerto anzi, un mezzo sicuro di mettersi allapari dei grandi toscani.Speriamo che presto altri quadri si aggiungano ai pochissimi illustrati e che la per-sonalità di questo maestro possa gradatamente risultare più chiara. Ma intanto, c’èanche da studiare e da ammirare tutti i disegni e gli acquarelli eseguiti durante lecampagne garibaldine che hanno un grande valore d’arte così rapidi ed efficacicome sono, così vibranti e ed immediati, e poiché hanno anche un valore storico dieccezione sarebbe desiderabile che passassero alla Galleria di Palermo con il dupli-ce scopo di contribuire alla ricostruzione storica della vita dell’artista e di illustrarenel modo più sincero ed efficace le varie giornate di quella epica marcia di libera-zione di vittoria.

223

Page 224: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione
Page 225: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione
Page 226: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione
Page 227: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

1936

4 Gennaio 1936 – OPERE D’ARTE NELLA CHIESA DI S. CITA

La porta chiusa della chiesa di S. Cita, per chi ha la nostalgia dei ricordi, era moti-vo di un continuo rimpianto. E chi osava penetrar dentro e ricercarvi le belle opered’arte, aveva la visione di un abbandono senza limiti: vuoti gli altari e spenti di luci,velati di ragnatele sui pochi quadri rimasti, muffa sulle pareti, sconnessi i delicatiintarsi marmorei delle balaustrate dappertutto l’infinita tristezza nella casa di Dioabbandonata, più grande della tristezza di una casa diruta, di una scuola senza fan-ciulli, di una culla vuota di bimbo. Durante la guerra la chiesa di S. Cita era dive-nuta deposito di grano, poi era stata trasformata in corte di assisi, sicché erano sortidinanzi all’altare di Dio i palchi degli imputati e tra i candidi stucchi che avevanoaccolto soltanto voci di preghiera e di umiltà risuonarono voci di accusa di odio diimprecazione. Poi finalmente era stata abbandonata e chiusa. Ma restava sempre,annesso alla chiesa qual raffinato gioiello d’arte che è l’oratorio, tutto candore distucchi, tutto sorrisi di bimbi ed eleganza di morbidissime statue. Grande era ilcontrasto che risultava tra la chiesa e l’oratorio come a vedere una bimba ingioiel-lata presso la madre lacera e inferma.Oggi la chiesa si è riaperta al culto e l’opera di S. E. l’Arcivescovo di Palermo deveaccogliere tutto il plauso del popolo che è opera di amore verso Dio verso la Patriaverso l’Arte.Tutta la storia della chiesa può essere ricostruita veritevolmente in base a notiziemanoscritte del Mongitore e del Costa notizie raccolte dal diligentissimo NinoBasile.La prima pietra per la odierna chiesa di S. Cita fu posta il cinque Aprile del 1607e la costruzione continuò sino al 1637. Nella nuova chiesa per costruire la quale siera distrutta la chiesetta dei Santi 40 Martiri dei Pisani, passarono non tutte, ma ingran parte, le belle opere d’arte che appartenevano all’ex chiesa di S. Cita. Questaavevano origini trecentesche e si era ingrandita mediante l’annessione della chiesadi S. Vincenzo che era sorta, con proporzioni perfettamente eguali, nel 1438.Durante il cinquecento si era poi arricchita di molte sculture di Antonello Gaginie di quadri assai belli; poi divenne angusta ed allora si pensò di erigere, in altroluogo vicino, altra più vasta chiesa. Cominciata nel 1607, già nel 1624 la chiesa siadornava, di un magnifico organo, opera di Antonio La Valle con sportelli dipintida Baldassare di Benedetto da Forlì. Nel 1701 Antonio Grano, il collaboratore el’amico di Fra Giacomo Amato, decorò con insolito garbo nel disegno e con fre-

227

Page 228: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

schezza e vivacità di tinte le quattro vele. Nel 1641 si era stabilito di decorare amarmi la Cappella del Rosario, che, riuscita a salvarsi attraverso tante sciagure, ènella chiesa il complesso decorativo di maggiore interesse, la decorazione a mischiè di estrema perizia: il disegno è minuto, l’accostamento dei marmi fatto con gran-de gusto, le tinte sono fuse come in un arazzo teso a far di sfondo ai rilievi diCandido Manno rappresentanti i Misteri gaudiosi che eseguì Giacomo Vitalianosu disegno di Giacomo Serpotta. In alto, tra stucchi preparati da FrancescoChiaramonici, vi sono le accese pitture di Piero Dell’Aquila rappresentanti iMisteri Gloriosi.Ma i capolavori pittorici che decoravano la chiesa di S. Cita sono passati al Museo,alcuni esposti, altri in magazzino. Alla chiesa di S. Cita apparteneva, e ne era gran-de vanto, la bella opera di Vincenzo De Pavia rappresentante la Deposizione diCristo dalla Croce opera eseguita nel periodo in cui l’artista lombardo era entusia-sta della pittura raffaellesca. Di tal quadro, la predella era ritenuta già dagli antichiopera di massimo pregio e lo è infatti, per la fluidità della pennellata e per una som-marietà efficacissima nella determinazione della scena. Appartenevano pure allachiesa di S. Cita ed ora è esposta al museo la grande e interessante tavola rappre-sentante la Disputa di S. Tommaso D’Aquino opera anonima, esempio assai raro dielaborazione palermitana dei canoni antonelliani. Sovente, nel secolo XVIII, dinan-zi a questo quadro allora posto in sede si adunava l’accademia di buon gusto perdiscutere della filosofia di S. Tommaso o per fare discorsi celebrativi sul grande teo-logo. Due capolavori di Pietro Novelli l’uno rappresentante S. Anna e la piccolaMaria, l’altro rappresentante la comunione di Santa Maria Maddalena, oggi nellasala Novelli della Pinacoteca, ornavano gli altari della Chiesa di S. Cita, come pureuna S. Caterina da Siena opera di Filippo Paladino, pittore fiorentino che ha tantoinfluito in certe raffinatezze disegnative di Giuseppe Salerno detto lo zoppo diGanci del quale fino ad oggi è rimasto in sede un quadro rappresentante S.Vincenzo.Basterebbe il ricordo di questi capolavori della pittura siciliana per dimostrarequanto grande fosse l’importanza della chiesa che se ne adornava.L’antica chiesa di S. Cita doveva essere straordinariamente interessante anche perla quantità delle opere che Antonello Gagini vi aveva scolpito. Era stata come unagara tra le più nobili famiglie dell’epoca di commettere allo scultore in fama cap-pelle e sarcofagi e l’artista non era venuto meno alle speranze poste nella sua opera,nella sua abilità e nella sua fantasia. Ma nel passaggio all’antica chiesa all’odiernamolte opere vennero distrutte: si distrusse il sepolcro dei magnifici FrancescoZuppetta rimanendone un solo rilievo quadrato con la rappresentazione di CristoRisorto che libera i Santi Padri; si distrusse l’arco della Cappella del Giureconsulto

228

Page 229: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Blascolancia prima del 1524; si distrusse il monumento di Frisina Branciforti conl’icona rappresentante la Vergine del Rosario; si distrusse il monumento al BaroneFontana Fredda.Ma altre opere rimasero e sono oggi il vanto della chiesa di S. Cita. La più antica èuna pila firmata Bartolomeo Dallechime è datata 1450 originariamente apparte-nente alla chiesa di S. Giacomo alla Marina: la più bella è la icona di AntonelloGagini contrattata nel 1503 e compiuta nel 1517 quando lo scultore era nel pienofiorire. La bella opera riprende e sviluppa motivi iconografici offerti da FrancescoLaurana nella Cappella Mastrantonio in S. Francesco, motivi di cui ancheDomenico Gagini ampliamente si servì nel ciborio di Collesano: Antonello si giovòdi tutte le esperienze già fatte ma aggiunge, di suo, un modellato morbido e pieno,una delicata ingenuità nei volti e nei gesti, una tecnica accurata nel particolare, pregiche rendono piacevolissima la complessa opera, dove i vari rilievi con rappresenta-zioni diverse sono distribuite in buono equilibrio intorno al riquadro centrale rap-presentante la natività di Maria nel tripudio di angioli festanti.Dell’antica chiesa giunse anche un rilievo marmoreo rappresentante la Pietà che alDi Marzo parve ingiurioso attribuire ad Antonello, pensando piuttosto al Macinoe al Berettaro che ebbero la disgrazia di non essere ben compresi dall’illustre stori-co. L’opera ha pregi notevolissimi e se anche non fosse opera di Antonello ma diGiuliano Mancino non perderebbe per questo il suo interesse estetico e storico;venne anche, dall’antica chiesa parte della sontuosa Cappella Platamone tra le piùricche create da Antonello. Il grande arco marmoreo con figure di re e patriarchi, lastatua di S. Eustachio Martire sono particolari della grande opera. Giunse anche ilsepolcro di Antonio Scirotta formato da una urna con delicati fregi cinquecenteschie sopra, fra i pilastri in rilievo la storia di S. Antonio a cui appare il mostro di S.Girolamo in penitenza; e giunse infine piccolo resto di qualche altra superba deco-razione il rilievo quadrato rappresentante la Resurrezione.Di arte più tarda è il monumento rappresentante la Religione con Giuseppe LanzaBranciforte e Pietro Lanza, scolpito da Giuseppe Obici; di interesse minore ma nondispregevoli sono poi altri quadri sparsi nella chiesa e in sagrestia di cui sarà prestopossibile uno studio più accurato per la identificazione dell’autore.Certo, molto occorre ancora perché la chiesa di S. Cita ritorni ad essere comeprima, ma intanto qualche opera d’arte potrebbe ritornare sugli altari. Se è giustoinfatti che restino nella Pinacoteca per migliore custodia, quadri di grande interes-se, come la deposizione. «La disputa di S. Tommaso», le opere di Pietro Novelli,sarebbe anche giusto che le altre non composte e di difficile esposizione per le pro-porzioni grandiose e quindi condannate alla stanza dei restauri – come il quadro diVito D’Anna rappresentante S. Pietro che rinnega Cristo, o il quadro della

229

Page 230: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Madonna del Rosario Olivio Sozzi e qualche altro di Antonio Manno – siano ricol-locati alla primitiva sede.E se la pietà del popolo riuscirà ad esprimersi in continua opera di restauro, senzadisperdersi nell’acquisto di moderne indecorose opere di fabbrica, e sarà in questosempre sorretta e illuminata dalla volontà di S. E. l’Arcivescovo di Palermo la chie-sa di S. Cita ritornerà ad essere un tempio dell’arte.

10 Gennaio 1936 – IN TEMA DI MOSTRE

Due pareti nella sala del Circolo della Stampa ospitano, da domenica, quadri di unpittore bresciano, Arturo Verni; pitture sono, ispirate al lago di Garda, tutte a colo-ri fusi e gradevoli, spesso intonate sul grigio con gusto certo ed accorto, pitture chesi guardano con pronto compiacimento e si dimenticano pure con eguale prontez-za.Il Circolo della Stampa ha ripreso quindi la sua attività nel campo artistico con unamostra di pittura moderna (la pittura si sa è la privilegiata fra tutte le arti: e di tuttie per tutti come la storia dell’arte fra le varie discipline).Alla base di queste mostre d’arte c’è la buona volontà da parte della direzione, diinformare il pubblico, di interessarlo costantemente al fatto dell’arte, di stabilire ilrapporto tra gli artisti nostri e gli artisti settentrionali, di offrire a qualche dimen-ticato la possibilità di esporre. Volontà iniziale elogiabilissima ma che, nella attua-zione, è facile a perder di ardore, è facile a perder la meta. Sono apparse infatti, nelloscorso anno, mentre di pitture ottocentesche, vere e proprie mostre di pitture retro-spettive, sono apparse pitture di ordine esclusivamente domestico decorativo, pittu-re di ordine puramente commerciale.La mirabile organizzazione Sindacale Fascista delle Belle Arti esclude oggi il peri-colo dei geni incompresi, e bastano, allo scopo di valorizzare gli artisti e di educareil pubblico, le mostre nazionali. Ma d’altra parte è vero che poche regioni d’Italiasuperano la Sicilia per l’indifferenza ai problemi dell’arte, sicché può essere vera-mente utile, a mitigarla, il richiamo costante e vivace da parte dei circoli cittadini.Ma, allora, bisogna evitare l’uniformità per evitare la noia, e soprattutto bisognaevitare di presentare al pubblico come fresche della mattina, ciambelle ammuffite.Bisogna evitare che proprio il Circolo della Stampa diventi un vivaio di decadenti-smi e di pseudo modernismi.Molti vari tipi di mostre assai utili alla cultura del pubblico, potrebbero essere orga-nizzate facilmente, col semplice consenso delle autorità con l’aiuto dei pochi com-petenti e con l’adesione dei vari proprietari delle opere; citiamo ad esempio come

230

Page 231: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

possibile una mostra delle stampe di Palermo antica, una mostra di pittura garibal-dina, una mostra retrospettiva e moderna del paesaggio siciliano, una mostra dibianco e nero, una mostra di costume attraverso le pitture. E non parliamo della uti-lità e della gioia che potrebbero offrire piccole mostre di arte retrospettiva, vederriuniti, ad esempio, di tanto in tanto una decina di ritratti di Salvatore Lo Forte, oalcune scene marine di Antonino Leto o di altri artisti più dimenticati – che oggiguarderemmo però con molta sorpresa – del Tripi, di Luigi Lo Jacono, delGiarrizzo, dello Sciuti e via di seguito.E, ove si volesse insistere soltanto sull’arte moderna, si potrebbe anche dare fre-quente ospitalità agli architetti per l’esposizione dei progetti fatti per i vari concor-si, (chi ha visto per esempio i progetti fatti per la sistemazione urbanistica diMonreale?) esposizioni che avrebbero il doppio fine di incoraggiare i nostri archi-tetti in un cammino che è ancora in Sicilia assai impervio, stretto com’è, fra lemuraglie che si chiamano pseudo tradizionalismo e incomprensione e di richiama-re sui problemi dell’architettura moderna l’interesse del pubblico, del povero pub-blico che vede sorgere tra le mura dilette certi casermoni mostruosi e certe chiese aguazzabuglio di stili o qualche palazzotto goticheggiante o qualche costruzione digusto umbertino, tuttavia è sempre, bollato come moderno «moderno moderato»anzi meglio «andantino moderato ma non troppo».Sempre restando nel campo dell’arte moderna si potrebbe di tanto in tanto invita-re qualcuno di questi artisti siciliani che altrove si fanno moltissimo onore e sonoqui completamente sconosciuti o quasi, dico artisti come Francesco Messina, comeFausto Pirandello, come Francesco Trombadori ed altri, dei quali la galleria d’artemoderna avrebbe pure il dovere di acquistare qualche opera a preferenza di quellerecentemente acquistate di assai incerto valore (non si poteva aspettare ancora qual-che anno per i quadri di Cagli e Campigli, visto che ancora non sono entrati inGalleria, opere di Libero Andreotti, di Carlo Carra, di Wildt e di altri, valori ormaicerti nella storia della arte italiana?).Altri artisti romani e settentrionali potrebbero essere invitati purché siano scelti traquelli veramente capaci di portare un soffio di aria fresca tra i palmizi siciliani, didire una parola nuova, di dare una speranza nuova e un nuovo sogno. Ed, ancora,mostre di disegni, di xilografie, di illustrazioni, potrebbero essere alternate allemostre di pitture. Perché sempre pitture e perché sempre pitture mediocri e medio-cri pitture? Si dirà il solito, che i mezzi non sono sufficienti e che le possibilità sonolimitate e si risponderà allora, che è meglio insistere sulla qualità delle mostre e nonsulla quantità. Farle, ma bene, non farle se sono inutili o dannose.L’arte, in regime fascista, è cosa seria.

231

Page 232: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

24 Gennaio 1936 – LA TERZA MOSTRA DEI PRELITTORIALI DELL’ARTE

Si può dunque sperare che venga restituito il grado gerarchico all’architettura datempo condannata a far da Cenerentola alle sorelle d’arte? Si può sperare che fini-scano inutili compromessi con l’antico e con gli accomodamenti neghittosi perlusingare le commissioni ingrigite? Possiamo farlo per due fatti: uno di ieri e uno di oggi; di ieri, è il concorso per lacasa dei mutilati che ci ha dato tre progetti, tutti seri e moderni che nel giusto meri-to di graduatoria sono: il progetto Epifanio, il progetto Ziino e il progettoSpatriano; il secondo è di oggi, ed è questa mostra dei gufino, nella quale sono statipresentati otto svolgimenti del tema: progetto per caserma di artiglieria divisiona-le, razionale, equilibrati, modernissimi tutti.Si va formando quindi una piccola schiera di giovani e giovanissimi dalla quale pos-siamo aspettarci la rinascita totalitaria della architettura di Palermo perché fino adoggi gli sforzi isolati sono rimasti assai spesso sopraffatti. Il che si vede chiaramen-te passeggiando dai Propilei in costruzione al Monumento ai Caduti.Il tema di architettura era notevolmente difficile ma la difficoltà si è risolta in van-taggio perché i giovani sono stati costretti a risolvere i problemi di tecnica e di fun-zionalità costruttiva prima dei problemi di estetica. Per giudicare i vari progettisarebbero necessari maggiori particolari di piante e di ambiente ma, se ammettia-mo che l’esterno di un edifizio – come intuiva Leone Battista Alberti e come esi-geva la critica di oggi – sia la rivelazione e il chiarimento dello scopo dell’edificiostesso e nella sua movenza di masse e contrappunto di volumi e ritmo di ornatoesprime l’accordo e il disaccordo di tutta la struttura degli ambienti, così come laschiettezza e bellezza del corpo umano palesa la perfetta efficienza di tutti gli orga-ni che ne compongono, allora anche questi progetti di esterni e la pianta possonofornirci chiari elementi di giudizio.L’applicazione del concetto albertiano ci porta a far subito delle riserve sul proget-to di Piero Bevilacqua intelligentissimo ma del quale non riusciamo a giustificare –dovendo sorgere un clima mediterraneo e solare – la funzione di quelle lunghissi-me vetrate e la ragione spirituale di quel suggerimento di liberazione di materia chene deriva come effetto. L’applicazione di questo concetto schiettamente gotico dicircoscrizione dello spazio mediante scarsissima massa è stato rinnovato dall’archi-tettura moderna nordica con molte opportunità per convalescenziari e case di sole.Ma la vita nella caserma si svolge quasi sempre all’aperto sicché nelle stanze e neivari uffici se occorre la luce non occorre l’esaltazione della luce né può essere piace-vole il calore che deriva dal battito costante del sole sui vetri.Intelligentissimo è il progetto, ma è come un bel «fuori tema» che lascia persuasi

232

Page 233: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

sulle ottime capacità del giovane che l’ha scritto e dolenti di non poter dare la lode.Agli antipodi del progetto Bevilacqua c’è il progetto Giacalone. Qui la massa pren-de il sopravvento ed è modellata con estrema severità a lunghissimi parallelepipediin colore grigio chiaro e più scuro e in color verde nella copertura per essere nellasua totalità confondibile alla terra su cui si distende.Però se è vero che la parola caserma suggerisce sempre una idea di collettività chevive una vita in cui l’ordine è legge, legge il riposo e il movimento, legge la distri-buzione del tempo e dello spazio e per ciò è giustificata questa forma chiusa impe-netrabile e l’uniformità nel ritmo dei vari elementi, è pur vero ed è giusto ricorda-re costruendo la caserma che questa collettività è anche una collettività di roventigiovinezza, di esacerbate forze frenate nello scatto, di eliche in moto, di vita chepulsa al ritmo delle palle.Severa e triste invece, nel suo uniforme distendersi dei volumi a cui il colore nonfarebbe che accrescere l’impressione di gravità e di peso, la caserma di artiglieriaarchitettata dal giovane Mario Giacalone è concepita come un carcere mentre inve-ce all’interno la chiara ripartizione dello spazio ridona all’anima il senso della liber-tà anche se disciplinata. L’unico difetto del progetto equilibratissimo e veramentematuro del giovane Giacalone, si ripete ma per ragione inversa, nel progetto Todaroche si è ricordato troppo del concetto di casa implicito nella parola caserma ed haprogettato con un certo garbo un progetto di casa coloniale.Invece nel progetto Caruso-Tortorici scompaiono tutte le riserve fatte. La severitàdella massa viene mitigata da lievi movimenti e dal distendersi ed elevarsi propor-zionatamente del corpo centrale sulle ali laterali, dall’uso della terracotta che trovia-mo elogiabilissimo, dal ritmo delle finestre arcuate sulla stesura levigata del pro-spetto e dall’uso di quell’arco slargato alla base che rievocando simpaticamente l’ar-chitettura indigena riesce a mutare il consueto tipo di portico. Ma quanto la pian-ta a ventaglio possa adattarsi al vario movimento delle truppe alle varie esigenzequesto non è chiaramente visibile mentre lo è senza dubbio, anche ad un rapidosguardo, l’interno del progetto Bevilacqua o del progetto Giacalone.L’interpretazione un poco romantica di fortezza quasi medioevale data al tema daigiovani Airoldi e La Cavera non dispiace, ed elogiabile ed anche qui, lo studio accu-ratissimo delle varie esigenze della caserma e l’adattamento armonioso delle variecostruzioni.Aggiungendo a questi progetti quello di Mario Campanella studiato con diligenzaquello di Giovanni Beghini, il progetto Cerniglia – ancora troppo giovane – si potràdedurre come sia importante questa piccola mostra la quale rivela la preparazionediligentissima, il fervore e le buone capacità dei concorrenti. Essa consente di ali-mentare speranze e di accendere orgogli per il domani e di ricordare come la volon-

233

Page 234: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

tà e lo studio possono aumentare la efficienza di quelle naturali doti di ingegno e difantasia indispensabili per il vero architetto.Pittura, scultura, arti minoriPoche sono le opere di scultura ed è fortuna per il tono della mostra che abbia esposto ilgiovane Giovanni Rosone da poco licenziato dall’Accademia ma già noto al pubblico.Il rilievo che egli espone intitolato «Combattere e resistere» presenta uno studioprospettico controllato perfettamente nel riquadro centrale ed un perfetto equili-brio di masse e di vite mentre la costruzione dello spazio in alto, si risolve in unaccrescimento di potenza, di energia, di vitalità nelle varie figure che hanno volumiconclusi e per se stanti e libere per ogni possibilità di moto. Giovanni Rosone haavuto segnata una via certa e vi procede ad ogni passo.Così vorremmo dire del giovane De Caro che presenta un rilievo intitolato«Redenzione» ancora scolastico, nel quale il contrasto tra modernità di tecnica epassatismi di decadimentissimo verismo ottocentesco distrae e disorienta, si direb-be che egli modelli a memoria ma con una memoria scarsamente esercitata. Ma egliè così giovane come il suo compagno Manzo (di cui ci duole di non aver visto l’ope-ra) che ogni speranza nel loro avvenire è ancora giustificata.Questo ci può dire in massa per i pittori. Si segnala Silvestro Costanzo per qualitàancora timide nell’espressione, ma certe, e Guido Pignato che presenta un quadro«Ricostruire» in cui l’accordo mitissimo dei colori riesce a creare un’atmosfera dirito nel paesaggio e a conferire molta solennità al gruppo dei manovali ma dove lafigura del picconiere in una esagerata e quasi caricaturale stilizzazione vi apparecome una smorfia inopportuna a metà di un discorso intelligente e serio. Non siintende chiaro quale sia stato lo scopo di Lucio Finocchiaro nel dipingere il suo «2Ottobre» perché ove si trattasse di una semplice composizione di figure sarebbestato desiderabile maggiore equilibrio e garbo, se di uno studio di un momento divita un maggiore realistico studio dei modelli, se pittura, uno studio maggiore dicolore. Lo stesso si può dire del quadro di Gaetano Peralta.Due elegantissimi manifesti di propaganda coloniale hanno creato Bracciante eFranzò allievi dell’Istituto d’Arte di Palermo; bene ideato è anche il cartellone«Roma rivendica l’impero»; scarsa ed insignificante la mostra delle fotografie, men-tre l’illustrazione del libro ha nel suo unico rappresentante, il Matranga, che illustratre momenti dei diari di guerra di Mussolini, un rappresentante pieno di garbo piùnella fantasia compositiva che nelle tecnica.Non c’è da trarre da questa mostra alcuna conclusione, ma c’è soltanto da misurarela mostra di oggi con quella di ieri: essa appare migliorata in tutto nella organizza-zione, per merito di Peppino Basile e di Mario Giacalone e nelle qualità delle opereesposte. Questo è l’importante: che l’oggi dia sempre il meglio.

234

Page 235: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

31 Gennaio 1936 – FILIPPO JUVARA L’ARCHITETTO DEI RE E IL RE DEGLI

ARCHITETTI*

L’Abate Don Filippo Juvara messinese, ebbe stima, favori ed onori da quattro re:Vittorio Amedeo II che da Messina lo condusse a Torino per dare grandiosità rega-le al suo nascente regno, Carlo Emanuele III continuò ad amarlo e a proteggerloaffidandogli opere sontuose, Giovanni V re di Portogallo che lo volle a Lisbona eFilippo V re di Spagna che lo chiamò a Madrid.Ma il primo, Amedeo II, fu nella sua vita come l’apparizione del mago nella fiaba deibimbi. Prima del 1714 la vita era stata oscura a Messina, nella bottega del padre; avevacesellato calici ed ostensori con quel rilievo minuto e fragile ricchissimo di voluteinquietissimo che appare nella bella pisside del Museo di Trapani firmata dal padrePetrus Juvara; aveva imparato a toccare materie splendide e rare. La bottega familia-re era però angusta alla vastità del sogno.A Roma a trent’anni, dopo una breve sosta a Napoli passò dalla lamina argentea alcartone, al gesso, alla tela; dall’oreficeria passò alla scenografia. Le materie eranoassai più umili ma esse si piegavano ad ogni capriccio di creazione. Egli così creavapalazzi e prigioni, castelli e giardini. Servivano per l’illusione di un’ora nel teatrinodei burattini del Cardinale Ottoboni, ma, per creare agli altri quella illusione e a sestesso egli alzava la sua fantasia, la piegava a tutte le audacie, la spingeva a tutte leconquiste. E intanto guardava Roma, si alimentava di romanità augustea e di roma-nità costantiniana; guardava le parafrasi berniniane, ascoltava e canterellava estasia-to la musica nuova di Francesco Borromini. Aveva per maestro il Fontana che cer-cava di arginare quella esuberante fantasia, ma egli continuava a costruire regge ecastelli di gesso e cartone aspettando il tocco magico che traducesse il sogno in real-tà. Questo avvenne nel 1714: a Messina egli si presentava al re Vittorio Amedeo IIcon una lettera del Cardinale Ottoboni e il re gli dava incarico di un palazzo sulporto di quella città. Il disegno piacque ed entusiasmò il re, che lo accolse subito alsuo seguito e lo volle a Torino. E la sorte fu decisa.Per ventun anni dal 1714 al 1735, non vi fu architettura regale che non fosse archi-tettata o disegnata o consigliata da Filippo Juvara, non sorse chiesa o palazzo senzaconsiglio di Filippo Juvara non vi fu celebrazione o commemorazione senza l’ope-ra di Filippo Juvara.Il re sognava di trasformare il Piemonte in una reggia e l’architetto era lì pronto einesauribile a trasformare in pietra il desiderio regale. Iniziava contemporaneamen-te la sua attività torinese con un esordio trionfale tale da bastare alla gloria di unsecolo: Basilica di Superga, Castello di Rivoli, Palazzi Birago di Borgaro e Martinidi Cigala; assegnava a se e a tutta l’architettura torinese modelli indimenticabili.

235

Page 236: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Continuava immediatamente nel 1716, con la Cappella di Venaria, nel 1718 con laChiesa di S. Croce e la Cappella del Seminario di Torino; al 22 architetta la Chiesadi S. Filippo e la Chiesa del Carmine mentre ordina i giardini della Venaria; dal 25in poi Palazzo del Seminario Arcivescovile di Torino, il Palazzo Guarena, PalazzoMadama, la Palazzina di caccia di Stupinigi. E intanto, dà disegni per altari, perlampade, per ostensori. Venti anni: uno scoppio di fantasia e di attività che nonconosce requie. Ne esce completamente trasfigurata, divenuta reggia la capitale delpiccolo Regno.Onori sopra onori. È disputato in altre città. È chiamato a Lisbona; dà i disegni peril palazzo reggio e diviene cavaliere di Cristo; va a Madrid e dà il disegno per ilpalazzo reale. Ed a Madrid muore, il 31 Gennaio 1736 l’architetto dei re.Il re degli architettiQuando giunse a Torino, Filippo Juvara, il cesellatore, il creatore di scenografie peril teatro dei burattini, salì sui due colli di Superga e a Rivoli alti sui piani verdi e sulgrigio delle mura, e guardando e misurando terra e spazio sotto gli archi dei cielicominciò idealmente a recingerli tra rette e curve, tra piacenti superfici curvilineeed inesorabili cupole. Divenuta immensa la volta del suo teatro egli dovè cercare perprima cosa nuovi accordi tra forma e spazio. Prima di essere architetto egli è statosempre scenografo. Questo spiega come e perchè l’enorme massa della Basilica diSuperga si distende con tanta armoniosa movenza sul colle, questo spiega come eperchè la massa del Castello di Rivoli dovendo includere in se parte del vecchioCastello gotico riedificato a metà del seicento, era stato concepito alto sopra unacollina a ripiani degradanti a quattro padiglioni angolari legati da bracci al corpocentrale con una circoscrizione rettilinea dello spazio mirabilmente pittoresca nellasua serrata unità.Adattata la forma allo spazio, e tra la massa serrato il vuoto, l’architetto era poi ine-sauribile nel frazionarlo, mortificarlo, esaltarlo con l’alternanza dei pieni. Tutti gliesempi degli architetti romani gli stavano nella mente e nel cuore: a Piazza delPopolo a Roma, era bello tra i luoghi vuoti delle strade in ombra il blocco di cupo-la e pronao architettato da Carlo Rainaldi; magnifico era l’interno a pianta centra-le di S. Andrea del Quirinale e dell’Arriccia architettati dal Bernini, musicalissimala pianta ellittica della chiesa di S. Carlino; c’erano soluzioni infinite di archi sullecolonne, di timpani rotti di trabeazioni spezzate, di alternanze tra curve e piani,c’erano molti modi di suggerire colore con marmi ed ori, con stucchi e statue.Esempi ce n’erano a Roma, moltissimi, ma tutto era per lui come il repertorio deco-rativo cinquecentesco nelle mani di Benvenuto Cellini: le immagini, le soluzioni, isuggerimenti, tutto aveva raccolto la vivida fantasia e l’aveva fatto proprio e molti-plicato a dismisura. Una nuova soluzione architettonica suggerita dal nuovo

236

Page 237: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

ambiente, generava altre eleganze decorative; una nuova immagine decorativa,generava per trovar sostegno, una nuova forma architettonica. La decorazione sboc-ciava dall’architettura e l’architettura dalla decorazione, con uno sboccio continuo,con una spontaneità senza limiti. Borromini è sì, il suo maestro; Borromini è infat-ti il creatore di questo nuovo linguaggio, ma Filippo Juvara è il discepolo più fede-le e di una fedeltà che può rassomigliarsi a quella di Masaccio verso Giotto: fedel-tà assoluta al nuovo comando che sostituiva in architettura il moto, alla stasi e vole-va una stretta unità tra architettura pittura e scultura. Tutti gli altri discepoli delBorromini, dai Vaccarini al Guarini, sembrano aridi e stentati e parchi accanto aFilippo Juvara.C’era a Torino, in arte, una austerità provinciale e inflessibile; quando il barocco viera entrato, si era ammantato di nero e di oro ed era diventato funebre cosicchè seMadame de Pompadour fosse venuta subito dopo a lanciare i vezzi del Rococò,avrebbe trovato visi accigliati e grevi. Filippo Juvara sconvolse Torino, la affascinòcon il suo caldo musicalissimo eloquio meridionale, mostrò un barocco che parvediverso a tutti, anche al severo Milizia, il quale, mentre per l’arte del Guarini si servedella parola «delirio» per l’arte di Filippo Juvara non sa trovare altra colpa che quel-la di essere poco amante della semplicità e della correttezza. Un barocco che erasapientissimo classico nella struttura degli edifizi «sapiente – scriveva il Maffei –nell’adottare al fine preposto la condizione ed il sapere nel non uscire dalle regole,nel non appartarsi dai buoni artisti». Un barocco senza frastuoni di fregi e di colo-ri: stucchi candidi e fregi alternati a zone di colore di pallida tinta come hanno pureamato i nostri decoratori da Gioacchino Martorana ad Elia Interguglielmi; sparti-zioni geometriche dello spazio con fregi di sobrietà augustea accanto a ghirigori ecurvilinei di vivacità borrominiana; ampie arcate a tutto sesto ed archi rotti, oabbassati al centro dal peso delle statue o incorniciate di festoni e di fiori avvolti involute come onde in tempesta; pilastri scanalati che ascendendo si slargano a sor-reggere con umanità il peso delle vele; balconate che frenano l’impeto delle mura;slanci audacissimi di volte su altissimi pulvini. Sempre, e in tutto, una varietà, unaeleganza, una audacia da perfetto costruttore congiunta alla più raffinata delicatez-za di orafo. Come Tiepolo, egli raccolse tutta l’eredità di parecchie generazioni d’ar-tisti e fermò un secolo nella storia.Fu chiamato, per questo il re degli architetti.

237

Page 238: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

7 Febbraio 1936 – LIBRI D’ARTE. VITA D’ARTISTA DI ENRICO SACCHETTI

Questa vita di Libero Andreotti scritta da Enrico Sacchetti pubblicata da Treves epremiata è cosa assai diversa di quelle vite che si chiamavano più giustamente«elogi» scritte dai critici o dai letterati dell’ottocento, tutte serie e gravi, noiose escolorite come elogi funebri di prima classe. Qui tutto è nuovo, vivo e vivace, tuttosi agita e prende colore, racconto emozione memoria e realtà. E non si sa anzituttocome spartire la propria simpatia e quanta ne tocchi al protagonista. LiberoAndreotti, astratto, nobile affamato è quanto all’autore che gli sta da presso conquella sua aria scanzonata ed arguta, sapiente nel dire e nel tacere, sicché l’interes-se è mantenuto desto ed il desiderio di saperne ancora, costante.È un libro strano, che è biografia ed autobiografia insieme, un libro in cui protago-nista e autore appaiono per un bel po’ sullo stesso piano, or l’uno avanti e l’altro die-tro come nei rilievi romani e poi a metà del libro, il rilievo è disposto in prospetti-va e una figura grandeggia bellissima e l’altra, quella dell’autore, resta nel fondo soloper additarla e per darle risalto.Resta nel fondo, ma sempre viva ed il suo spirito colora la narrazione con tocco cosìrapido e fermo che tutto resta lì appiccicato in eterno: persone, cose, odori, anche gliodori chè anche certi odori di stufatino e di grasso e di unto sono rimasti indelebili.I protagonisti sono due, Andreotti e Sacchetti più un terzo, di natura astratta e purreale, più viva delle cose vive: la fame. Essa è sempre presente e vigile e muove l’azio-ne, sollecita e persuade, aizza l’ingegno e istruisce, suggerisce scene deliziose, burleserene, inizia e conclude assai spesso l’azione. Molte di esse finiscono con «e quellasera mangiammo» oppure «e per un po’ mangiammo» conclusioni che hanno la gra-vità del «sic locutus est» di Virgilio. Ma è fame vera, onesta, senza romanticheria eghirigori, naturale compagna dell’artista che non si meraviglia della sua presenza enon la discute né poi a ricordarla prende il volto del martire incompreso.E tra un’impresa e l’altra per superarla, va scorrendo la vita dei due e si va forman-do, con il mistero delle crescite vegetali il genio di Libero Andreotti. La sua vita tra-scorre a Palermo, dove egli è un piccolo impiegato a far illustrazione per i libri editida Remo Sandron e qui trova protezione ed ospitalità in casa Tasca; poi a Firenze,per bisogno di libertà e di fame, e va dipingendo all’aperto e fa certi disegnini colo-rati per illustrare un catalogo di inchiostri da stampa d’una notissima ditta tedesca.Naturalmente è bocciato all’Accademia e però diviene «non avendo meglio da fare»un preraffaellita, un de caroliano ad oltranza. Di creta, di marmo nessun bisogno:di scultura niente. Finalmente, quando comincia, fa certe statuine minuscole di ter-racotta policrome che vende prima a Milano poi, aiutato per la vendita da AlbertoGrifocy. Ma scultore diventa a Parigi, lodato, ammiratissimo fino a che si stanca di

238

Page 239: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

arte di maniera e contentando se stesso con una scultura più studiata e severa stan-cò e deluse il pubblico francese. Poi venne in Italia, divenne professoreall’Accademia di Firenze, presso l’albero di fichi che aveva custodito i suoi sonniall’aperto all’epoca della fame, divenne in fama. A cinquantotto anni in piena operamorì. A chi volesse sapere le idee di Libero Andreotti sull’arte, e come egli sia giun-to alla plastica per via dei disegni colorati e ad essere quel grande e nobilissimo arti-sta, e perché preferisse quella tecnica o l’altra, tutto questo non è detto e non vi sonopagine di oratoria critica sullo «sviluppo psicologico» dell’artista, né meditate elu-cubrazioni sull’estetica. Ma di Libero Andreotti ricordando la sua nascosta mode-stia, e la sua timidezza feroce, la sua semplicità e nobiltà non si poteva scriveremeglio di così.Cesare Ferro di Ernesto LugaroDa quando nel 1870 si firmò il trattato di amicizia tra l’Italia e il Siam, l’opera diingegneria e d’arte degli italiani fu tenuta in grande stima in quel paese. Ingegnericostruirono ferrovie, un architetto Mario Tamagna costruì il palazzo del Trono incollaborazione all’architetto Rigotti ed altri italiani. Decoratore ne fu un pittoreCesare Ferro nato a Torino nel 1880. Quaranta stanze furono decorate da questoartista oltre immensi quadri che ricordano le leggende del Siam. Lo spirito raffina-tamente decorativo colto nell’arte e nella letteratura, esperto di tutte le tecniche,aveva trovato alimento nell’arte del Siam ma era rimasto schiettamente italiano. Laesposizione che egli fece poi a Torino dei suoi disegni, pastelli, acquarelli, bozzetti,memorie di quei paesaggi e di quelle impressioni fu una delle più interessanti. Eglinon aveva soltanto decorato palazzi ed eseguito ottimi ritratti ma aveva anche pre-parato disegni per servizi da tavola in porcellana e dato il modello per monete inoro e in argento. Un ritorno nel Siam gli fu negato dal desiderio di vivere la guer-ra che egli combatté in prima linea come tenente nella 166ª compagnia zappatori.Dopo la guerra riprese il suo lavoro e rinunciando all’invito di andare in Australiacercò nell’amore il conforto della vita. L’amore fu Andreina Gritti, compagna, ispi-ratrice e modella.Ma la terra del Siam e la speranza di guadagni l’attirarono ancora una volta e nel1923 egli partì per decorare il Palazzo principesco di Norachum. Alla bella operadecorativa egli attese negli otto mesi che rimase nel Siam ed un quadro grandiosorappresentante «La morte del cervo» pare sia stato di quel periodo il capolavoro.Tormentato dal ricordo della famiglia e da malattia tropicale egli ritornò in patrianegli anni seguenti attese ad opere grandiose: la decorazione del Palazzo Madama,gli affreschi della Cappella dei Conti Ricciardi, e la superba decorazione del Palazzodi Imperia.La vita serena, tra la dolcezza e della famiglia e dell’assiduo lavoro fu interrotta bru-

239

Page 240: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

scamente per un incidente automobilistico. Ad Usseglio la dolce compagna fece eri-gere una cappella funeraria per eternarne la memoria.A questo pittore ha dedicato un magnifico volume edito con la consueta perfezio-ne dall’Istituto Italiano d’Arti Grafiche di Bergamo – un illustre scienziato cheonora la medicina italiana: Ernesto Lugaro.Egli non appartiene – dichiara nella prefazione – alla classe dei critici d’arte è sol-tanto l’amicizia fraterna, l’ammirazione profonda, per Cesare Ferro lo ha spinto adillustrare la personalità del pittore e soprattutto a rivelare la nobiltà dell’uomo chegli fu amico. Egli ha dunque seguito passo per passo la vita dell’artista, non riuscen-do a nascondere la sua costante e giustificata ammirazione per la dignità, la rettitu-dine, la bontà del pittore per le sue idee estetiche, i suoi convincimenti morali.Nessuno più di un tenero ed affettuoso amico può meglio dire di un artista dalpunto di vista biografico e una biografia così diligente è un ottimo contributo aglistudi.Ma questa rara e bella amicizia costituiva un pericolo nel riguardo all’analisi criticaed è avvenuto infatti che l’autore nel capitolo dedicato all’arte di Cesare Ferro, piùche procedere ad un esame critico della pittura inquadrandola nello svolgimentostorico dell’epoca e determinando quanta sia la parte effettivamente conquistata equanto l’acquista e quale il suo valore, preferisce assumere la difesa dell’amico perliberarlo dalle accuse di preraffaellismo, dall’accusa di salottiere, di irreligiosità, dieclettismo.L’eclettismo non è un difetto osserva l’autore (che ha tanto buon gusto da accorger-si che questa è la più seria tra le accuse) ma un difetto diviene se esso non giungead essere superato e vinto: diviene difetto di originalità e quindi di arte perché l’ar-tista se tale, sa trovare sempre dopo tutti, una parola diversa. L’arte di Cesare Ferrosi svolse in questi trentacinque anni del secolo nostro, anni in cui vi è stato tantomutare di spirito, tanta ricerca di vita nuova, tanto ardore di nuova conquista. Essaè rimasta astratta dalla vita e dal secolo. A sfogliare le belle tavole policrome si restaspesse volte perplessi: non s’intende per esempio il passaggio da certa severità fio-rentina cinquecentesca della determinazione lineare, a certi improvvisi toccheggia-ri di colori del più perfetto impressionismo, o una tendenza preraffaellita a una ten-denza momparnassiana. C’è una inquietudine di ricerca che non si è mai risolta inuna conquista.Ma il libro corredato da un diligentissimo elenco delle opere del pittore, ricco diillustrazioni, ha raggiunto pienamente il suo scopo, quello di far conoscere al pub-blico l’attività di un nobile pittore italiano che in terre lontane seppe con la suaopera, non deludere l’attesa.

240

Page 241: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

26 Febbraio 1936 – TESORI DI SICILIA. IL CAPOLAVORO DI GIOVANNI DI

BARTOLO A CATANIA*

A Roma e ad Avignone, alla corte papale, visse il più grande orafo del trecento:Giovanni Di Bartolo.Il pubblico non lo conosce; conosce, di orafi, soltanto Benvenuto Cellini, il grande,il divino Cellini e gli attribuisce tutte le opere più diverse per epoca e per fabbrica,veneziane e toscane, francesi e nordiche, del primo e del più tardi cinquecento, pur-ché siano belle e degne della sua grandissima fama. Tutti gli altri orafi che pur furo-no grandi, e che pur eseguirono opere superbe ed ammiratissime, sono rimasti nel-l’indistinto del ricordo lontano. E la ragione è questa: che di Benvenuto Cellini èrimasta quella sua autobiografia, colma di notizie e di fanfaronate, e di sincerità edi sfacciate menzogne, che, scritta in quella prosa scapigliata, ma vivida di immagi-ni e fresca d’immediatezza ha conquistato sempre tutte le simpatie dei lettori chehanno finito col credere a tutte le eroiche imprese ivi narrate, e degli altri orafi inve-ce, sono rimaste poche ed aride notizie di archivio o fugaci cenni che rendono dif-ficile ed incerta la ricerca delle opere e la comprensione della loro personalità.Così è per Giovanni Di Bartolo, che non ha pensato, come Benvenuto Cellini, adescriverci il suo viaggio ad Avignone a registrare tutte le parole di lodi che il Papae gli aristocratici francesi e spagnoli tributavano a ogni sua opera né l’entusiasmo ditutto il popolo romano quando furono esposti, nella Basilica di S. Giovanni, i reli-quiari di S. Pietro e di S. Paolo da lui eseguiti, nell’ammirazione costante di PapaGregorio XI succeduto ad Urbano V, né l’invidia di tutti gli altri orafi espertissimiche lavoravano ad Avignone, e per di più poi ha avuto anche la crudele sorte divedere bruciati e dispersi tutti i suoi preziosissimi reliquiari, e distrutte le rose d’oroche egli modellava con tanta grazia!Ad Avignone egli visse dal 1364 al 1368 ed era «l’argentario della corte papale».Eseguì in quegli anni, scodelle d’oro e rose d’oro di cui una prodigio di grazia e diricchezza il Papa mandò in regalo alla regina Giovanna di Sicilia. Ma ritornato aRoma, al seguito del Papa, egli ricevé l’incarico di eseguire due reliquiari per custo-dire la testa e il busto di S. Pietro e di S. Paolo, due reliquiari di tale sontuosità e bel-lezza da commuovere il popolo incollerito. Giovanni Di Bartolo compì l’opera; nonvi è esempio a ricordo di oreficerie classiche, barbariche o carolingie da porre a raf-fronto per ricchezza di gemme.I busti reliquiari furono eseguiti a grandezza naturale, in argento dorato, con lievepatinatura di smalto sul volto e sulle mani poggiavano ambedue su un’alta baseornata di magnifici smalti translucidi con fatti della vita degli apostoli. Le borduredei manti e delle vesti erano splendidamente ornate di pietre preziose, S. Pietro

241

Page 242: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

aveva un grosso zaffiro nel quale era intagliata la figura del Salvatore ed una pietrabianca sul petto con la figura di Nerone; un giglio d’oro sul petto con rubini ed altregioie, una spada di argento alla damascena, un libro d’argento smaltato, la chiave,tutto era adorno di rarissime gemme; S. Paolo aveva il triregno con perle, rubini,smeraldi, scaramazzi e zaffiri, altre gemme, rarissime per proporzioni e qualità for-mavano la croce, le chiavi e il giglio d’oro.Uno splendore, una ricchezza, uno sfarzo senza pari, erano i pregi di queste sontuo-se opere che furono distrutte, purtroppo dall’incendio che nel 1791 devastò lasuperba basilica di S. Giovanni.Il busto reliquario di S. AgataQuanto si è detto vale a dimostrare qual valore artistico, religioso, storico assumaun’altra opera di Giovanni Di Bartolo, simile ai due reliquiari scomparsi, è rimasta,unica al mondo, a testimoniare la somma arte dell’oreficeria italiana anche nel tre-cento, periodo in cui pareva che i maestri nordici tenessero il campo.Quest’opera, il busto reliquario di S. Agata, si custodisce nel tesoro della Cattedraledi Catania. Poiché è visibile soltanto per la festa della Santa, essa resta assai poconota agli studiosi e ai turisti, ed inoltre, per essere tutta ricoperta da una fitta retedi gioielli, è resa assai difficile l’osservazione della cesellatura del manto e dei bel-lissimi smalti che l’adornano. Catania, che con intelligenza ed amore cerca dipotenziare al massimo le proprie risorse turistiche, non dovrebbe trascurare ilmagnifico ed eccezionale tesoro della Cattedrale.Il reliquiario di S. Agata venne eseguito da Giovanni Di Bartolo ad Avignone per inca-rico dei Vescovi Marziale ed Elia nel 1376. Il busto della giovinetta, presentato ai fede-li da due angioletti, poggia su una base esagonale adorna di smalti, sopra un alto zocco-lo in argento eseguito, più tardi, a Catania da Paolo Guarna. Un ricco manto, a tralci divite eseguiti a colpo di ceselletto dal dritto e dal rovescio ricopre la veste che s’intravedesul davanti del petto, ornata da ricca bordura a cesello. Nelle mani, ricche di gioielli, laSanta porta una croce ed una targhetta con la nobile risposta data da Quinziano. Il visoricoperto da una leggera tempera bianco rosato, è circondato dai capelli che cadono aboccoli sul petto e a cordone dietro le spalle. L’alto arco sopraccigliare, la bocca ferma alsorriso, gli occhi sbarrati, comunicano alla giovane santa l’espressione di giovanile auda-cia e di fissità sorridente. L’opera trova richiamo nella scultura di legno prediletta a Sienadecorativa e ne serba l’acerba durezza, ma dalla pittura senese traspaiono le raffinate ele-ganze, le ghirlandette, le vesti bordate, il ricchissimo manto, la bionda caduta dei capel-li, pur restando opera di oreficeria non di pittura e non di scultura. Anche gli smalti cheadornano la base sono tra i più belli che Siena produsse con quella nuova tecnica deltranslucido scoperta da un orafo senese, Guccio da Mannaia, e che si sostituì subito inEuropa, alla tecnica bizantina e a quella limosini.

242

Page 243: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Vi appaiono pochi colori, ma tutti brillanti e gioiosi; azzurri di trasparenza acquo-se, verdi di prato gialli di sole, rosa di petali, il disegno è nitido, tagliente, preciso,tutto vibrante della nuova arte di Simone Martini e del Lorenzetti. I fatti che visono rappresentati; la tortura ordinata da Quinziano, l’apparizione dell’Apostolo incarcere per medicare il petto della Vergine, perdono il loro contenuto drammaticoin quell’ambiente, in quel colore diventano fatti di fiaba; i ritratti del vescovoMarziale ed Elia in preghiera, su sfondi di arazzetti splendenti, ornati da esili ramispinosi, ultima riduzione di ornati limosini, diventano irreali visioni.Il busto dovette essere ornato da una corona splendente di gemme, da collane, daanelli, da una croce, ma in questi elementi ornamentali, molti restauri, molte tra-sformazioni sono avvenuti. La corona ad esempio che si dice donata da RiccardoCuor di Leone, per quanto abbia la forma gigliata trecentesca è stata soggetta amolti rifacimenti; bella e rara è la collana in oro e smalti eseguita a spese dellaMaramma elegante la crocetta aurea che splende tra le mani della Santa. Perché ilpopolo catanese mai si arrestò nel suo fervore di offerta, e già prima del 1476 si eracostituita a Catania una «opera scrinel» allo scopo di provvedere a rendere semprepiù ricco di gioielli il busto reliquiario, e di far eseguire una magnifica e sontuosacassa reliquiaria per porvi le altre reliquie della Santa Cassa, alla quale lavoraronoper cento anni i più famosi orafi siciliani e che riuscì di una sontuosità senza pari,gioielli che furono eseguiti lungo il quattrocento e il cinquecento con deliziosafinezza di ornati, di perle e di smalti.Ma poi anche il seicento volle lasciare sul corpo della Santa il suo ricordo, e furonoofferti altri gioielli colmi di gemme ed altri ne portò il settecento, tutti a perle, edaltri ancora l’ottocento, grevi e massosi.E così, a poco a poco, il raro lavoro di cesello eseguita da Giovanni Di Bartoloscomparve sotto questa fitta rete di gioie e molti smalti prodigio di arte senese furo-no guasti. Sarebbe veramente opera di grande amore per l’arte togliere questa retedi gioielli e i gioielli esaminare nel loro pregio artistico e in altro modo esporre,aprire la cassa reliquiaria dove tutto fa sperare che vi sta custodita altra piccola operadi Giovanni Di Bartolo, rendere più agevole la visione di queste rare e magnificheopere d’arte di questo tesoro unico in Sicilia e tra i più preziosi del mondo.

13 Marzo 1936 – OTTOCENTO SICILIANO. I TRE ALLIEVI DI GIUSEPPE PATANIA

Aveva il naso un po’ storto, Giuseppe Patania, un po’ antiaccademico, ma era affi-dabile, buon parlatore, modesto e desideroso di compagnia, dato che per una brut-ta malattia contratta in giovinezza non poteva uscire di casa. Si vantava di essere

243

Page 244: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

stato un autodidatta perché il suo maestro, Giuseppe Valasques, acidulo, invidiosoe scontroso poco gli aveva insegnato e questo poté anche contribuire a fargli assu-mere assai volentieri la parte del dittatore nell’ambiente artistico siciliano nellaprima metà dell’ottocento.Poi, inutile negarlo, la sua pittura piaceva molto ai suoi tempi, e le commissionifioccavano da tutti i paesi di Sicilia; era nota ed elogiata financo in America edanche in Francia, dice il Gallo, l’amicone che gli stava sempre ai fianchi, suonandoil piffero ad ogni opera del maestro. Era naturale quindi che molti giovani frequen-tassero lo studio di Giuseppe Patania apprendendovi l’ossequio a tutte le divinitàvecchiotte dell’Olimpo, il disegno sui disegni dei grandi maestri e sulle stampe oltreche sui gesti, a piallare il colore con ogni diligenza e lustrarlo alla perfezione acopiare trine, collaretti e boccoli, scarpe nere con fibbia di metallo.E, una volta capita la pittura del maestro, si sforzarono di imitarla non dando sover-chio valore a quella riforma che il Patania veniva operando nella ritrattistica, rifor-ma che si afferma con il superbo ritratto di sacerdote nella Galleria Municipale diPalermo. Ma credo che neanco lo stesso Patania se ne rendesse conto continuandosincronicamente a quel quadro a dipingere i soliti quadretti mitologici, delizia delGallo, che li commentava con poesie mielate e inzuccherate. E così avenne che,mentre il citato quadro della Galleria Municipale sembra affermare il trionfo del«verismo», gli allievi continuavano ora al modo neoclassico ora con qualche incon-sapevole innovazione romantica. I discepoli furono molti, e cristallizzarono la pit-tura in modo tale che appena le bombe del ’60 poterono rompere quel ghiaccio.Un solo anno rimase nello studio del Maestro Francesco Vaccaro, nato aCaltagirone il 7 Maggio, autore di moltissimi quadri nelle chiese della sua cittànatale e presso gli eredi oltre di quelli presso collezionisti privati.A Palermo conobbe Salvatore Lo Forte e Luigi Loiacono, ma egli non ebbe occhiche per la pittura di Giuseppe Patania e di Pietro Novelli. Ritornato a Caltagironerimase tutta la vita a pregare dinanzi a questi due numi. Erano maestri assai diver-si in verità, ma in provincia si sa, i compromessi sono più facili e il cappello a tubasi può anche portare con le scarpe di fustagno.Era nipote di quel famoso Vaccaro, plasticatore, che modellò tipi siciliani con unaespressività e con un realismo gustosissimo, e forse da lì gli viene quella casalingareligiosità che gli fa concepire i quadri religiosi come scene di genere, scene di vitaassai umili diffusa da un patetismo benevolo e mite, affettuoso e onestissimo chemolto gli assicurava il consenso dei buoni concittadini ed anche dei zelanti com-mittenti. Consenso gli valse molte commissioni a Caltagirone specialmente, maanche ad Acireale a Bronte, a Fieri, a Mineo, a Catania, a Siracusa sicché egli fu ilpiù autorevole rappresentante del neoclassicismo nella Sicilia Orientale. Un neo

244

Page 245: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

classicismo un po’ strano però, che non rinunziava per nulla al colore, all’atmosferaombrata, ad un realismo borghese e si orientava verso il verismo ma non per mezzodi una nuova personale conquista, ma per mezzo di una diretta ispirazione ai qua-dri del seicento, di Pietro Novelli, di Jacopo Ligozzi, di Giovanni Lis che egli avevapotuto vedere e studiare. Così il quadro rappresentante Gesù tra i dottori aCaltagirone è chiaramente derivato dall’omonimo quadro di Pietro Novelli nel-l’oratorio di San Domenico a Palermo e il quadro di Gesù nell’oratorio nella chie-sa di Belpasso si ispira moltissimo al dipinto di Giovanni Lis nella collezioneBeriam di Trieste.Aveva scarsa fantasia, il buon Vaccaro e poche risorse non personali, ma non erasenza interesse questo orientamento verso la pittura del seicento, a metà dell’otto-cento, pochissimo tempo dopo alle terribili imprecazioni scagliate in tutte il mondocontro i furori del barocco. In circoscritta zona neoclassica vi rimase invece un altrodiscepolo di Giuseppe Patania assai più fedele al maestro: con ostinata ammirazio-ne per la sua pittura, ed è Giuseppe Bagnasco.Pochissime notizie ancora abbiamo sulla sua vita, ma egli dovè svolgere la sua opero-sità a metà dell’ottocento poiché un disegno in casa Salaparuta è datato 1880 ed unbel quadro in casa del Conte Mazzarino è del 1858. Un bel ritratto quest’ultimo, incui il Bagnasco gareggia con il maestro, morto in quell’anno, per accuratissima defi-nizione del particolare aggiungendovi una festosa tonalità di colori che commenta lagrazia della bella duchessa di Castrofilippo pronta al sorriso. È drappeggiata alla grecala nobile dama, ed ha in mano la lira, forse per rappresentare una Musa, così come,sottoforma di Cerere, si era fatta rappresentare la Marchesa Rudiny. Gli aristocraticierano pienissimi alla cultura classica, a metà dell’ottocento.Alle tragedie greche, agli eroi romani, si ispirava ancora in quel tempo AntoninoBonanno in quattro quadri di cui vennero anche eseguiti le incisioni e di cui la«Rivista scientifica, letteraria ed artistica per la Sicilia» dell’anno 1885 tesseva glielogi. S’intitolavano «Edipo nel bosco delle Eumenidi», «Eteocle e Polinice», «Lamorte di Lucrezia», «Muzio Scevola». Era il vecchio bagaglio che continuava a gio-vare agli artisti anche se logoro e rotto. Ci vollero le barricate del ’60 per distrug-gerle ed infatti lo stesso Antonino Bonanno, che al ’50 si mostra ancora legato allatradizione neoclassica, al ’62 circa si interessava di illustrare le imprese diAspromonte.Non male che il Bonanno si sia allontanato da Palermo, studiando e osservandoquanto si faceva a Napoli e a Firenze. Agostino Gallo, che fu il più autorevole cri-tico, o meglio esaltatore delle pitture di Giuseppe Patania scrisse che egli si formòmeditando le carte del maestro rimaste in gran numero agli eredi e in parte com-prati da Agostino Gallo e poi dal compianto avv. Alfano. Erano rimasti, alla morte

245

Page 246: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

del Patania, circa 400 disegni; alcuni dovevano servire per l’illustrazione del«Telemaco» e vennero infatti incisi a Parigi, altri furono applauditi dal celebreCamuccini. Su questi disegni del suo «immortale» maestro e sulle stampe dei valen-tuomini, meditando, egli imparò le leggi della composizione. Così dice il Gallo, enon sono, queste notizie assai adatte per disporre l’animo ad un benevolo interesseverso questo fedelissimo discepolo del neoclassico Patania.L’arte non precede mai con i discepoli fedeli ma con gli infedeli.L’arte siciliana progredì infatti con Salvatore Lo Forte, con Luigi Loiacono, conFilippo Liardo, con quei pittori che sentirono il bisogno di allontanarsi dal maestroe di fuggire altrove, a guardare il mondo, a vivere altre esperienze.

26 Marzo 1936 – LIBRI D’ARTE. MICHELANGIOLESCHI SICILIANI

La Storia dell’Arte di Adolfo Venturi procede con un fervore che il tempo e le gravivicende non interrompono, con un ardore di ricerca che non si placa ad ostacolo,con una diligenza che mai diminuisce. Quando un nuovo periodo storico vieneaffrontato nella sua complessità e studiato nelle varie opere d’arte che lo illumina-no da Adolfo Venturi, allora avviene un improvviso chiarimento, come un dipanar-si di arruffata matassa, come un illuminarsi improvviso di tutti gli angoli più scuri.I due ultimi volumi sulla Scultura del Cinquecento, rappresentano la prima sintesidella plastica italiana nel ’500, in quel periodo di tempo in cui il genio diMichelangelo dominò e parve offuscare ogni altra personalità di artista. Tutti glialtri scultori, tranne il Sansovino e il Cellini, formavano infatti una massa indistin-ta, classificata col nome di manieristi nome che non era pronunziato senza dispre-gio, forse perché pareva un tempo che la perfetta conoscenza del mestiere non aves-se alcun pregio.Il manierismo plastico cinquecentesco si illumina invece di una luce così potente,di una dignità così grande da ben meritare un acuto e intelligente esame come quel-lo fattone da Adolfo Venturi. Bisogna anche essere grati ad Ulrico Hoepli che hacontinuato a pubblicare l’opera del Maestro nella solita elegantissima edizione,malgrado la crisi assai grave che si attraversa. Nel secondo volume che è quello direcente apparso alla luce, domina la figura di Michelangelo, come una immensaquercia sotto cui si rifugiano una infinità di allievi come alberelli e fuscelli che diquella vita cerchino alimentarsi e a quelle radici, infisse nella terra, legare le proprieper renderle più salde. Tra questi numerosissimi artisti su cui si concentra l’atten-zione dell’Autore ve ne sono quattro che riguardano assai da vicino la storia dell’ar-te siciliana e rappresentano non soltanto i migliori artisti del cinquecento in Sicilia

246

Page 247: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

ma anche gli introduttori della corrente d’arte toscana accanto a quella lombardaaffermatasi con il Gagini.Iacopo del DucaIl più fedele, il più devoto tra i vari discepoli di Michelangelo fu un siciliano: Iacopodel Duca. Espertissimo fonditore di bronzo, fu per questo assai caro a Michelangeloche lo tenne vicino a sé, ed egli dichiarava assai umilmente: «io me ne vergogno didire che se sono qualche cosa, et sono nente, ma quel poco che sono tenuto, et laconoscenza che ho in Roma, l’ho per essere stato all’ombra di Messere». La suamigliore fatica fu il ciborio del Museo Nazionale di Napoli che il Vasari ritenne ese-guito su modello e su disegno di Michelangelo, quelli che erano stati fatti per ilciborio di S. Maria degli Angioli mentre il Venturi lo rivendica tutto al maestro sici-liano.Il bel ciborio, ricco ed ornato come opera di oreficeria, garbatamente compostonella sua linea architettonica, con otto formelle decorate da rilievi rappresentanti lestorie della passione di Cristo, fu amatissimo dal Cardinale Farnese e passò poidalla collezione Farnese al Museo di Napoli. La decorazione dei rilievi è assai diver-sa di valore, ma non si può negare come dimostra il Venturi, che alcune di esseabbiano una rara vibrazione di modellato e siano animate da un soffio tragica vitamichelangiolesca.Iacopo del Duca non si ispirò, per queste formelle, al Michelangelo giovanetto chescalpellava energicamente la forma ma all’ultimo Michelangelo quello della dolo-rosissima Pietà Rondanini appena toccata e modellata, sembra, da mani arse di feb-bre. Pare che nella «Deposizione» e «nella Crocifissione» di questo ciborio il disce-polo fedele abbia avuto l’anima percorsa dallo stesso brivido di morte sicché le figu-re si stringono disfatte dall’angoscia sotto lo spazio che grava come un incubo.A Iacopo del Duca il Venturi attribuisce un rilievo, la Pietà (Roma, BibliotecaVaticana) che era una volta attribuita a Michelangelo e poi a Pierino del Vaga.«L’immagine viene da Michelangelo, i putti, il Cristo ne derivano pure, ma nonsono nella forma agghindata e pettinata di Pierino da Vinci, bensì nella crudamaniera di Iacopo del Duca, che era stato sotto l’ombra di Messere».Il Montorsoli e il CalameccaVicino a Michelangelo nei lavori della sagrestia e della libreria di Firenze, ebbevarie riprese di attività, Giovanni Antonio Montorsoli (1507-1563) non siciliano,ma toscano, operoso in Sicilia, essendo stato chiamato nel 1547 per costruire la fon-tana dell’Orione nella piazza di Messina, città in cui rimase fino al 1556, con lacarica di capomastro scultore del duomo e dove lasciò le sue opere maggiori: la fon-tana del Nettuno, la statua di S. Pietro, il monumento Staiti, la fontana dell’Orione.Ove si mettano, a raffronto le opere che il Montorsoli eseguì ad Arezzo: il sepolcro

247

Page 248: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

di Padre Angelo Aretino, le tombe del duomo di Genova e di Volterra, quelle ese-guite in Sicilia, si deve riconoscere che qui, libero e padrone di ampi spazi e lavo-rando in quella luce e in quella costa sacra a tutti i miti e a tutte le leggende, l’arti-sta toscano ha trovato forme magniloquenti quali mai trovò prima o dopo.Ricomposte nelle piazze dopo il terremoto, illuminate dalla luce solare o da lucediffusa nel gioco delle polle animatrici, le superbe fontane, opera di una vividaimmaginazione, di un fantastico slancio, di un esuberante impeto decorativo, sem-brano l’introduzione magnifica del barocco. Ebbero lavoro dal Montorsolo per laCattedrale di Messina, due altri scultori michelangioleschi Domenico ed AndreaCalamecca. Andrea fu per tre anni, proto maestro e scultore della Cattedrale diMessina, città in cui la sua presenza è documentata fino al 1589, anno di morte.Restano ivi tre opere: il pulpito della Cattedrale «dove l’artista, dice bene il Venturi,adatta alla fiorita maniera del Gagini, senza rinunciare alle definite caratteristichedel suo stile», la tomba del Cibo, nel Museo di Messina, è il monumento a donGiovanni d’Austria.Francesco CamillianiMentre così Messina si adornava di opere michelangiolesche di notevole importan-za, anche Palermo affidava la decorazione della Piazza del Municipio ad altro disce-polo di Michelangelo: Francesco Camilliani. La ricca fontana che oggi adorna lapiazza pretoria era stata eseguita da Francesco Camilliani per Don Luigi di Toledoed era, dice il Vasari «cosa stupendissima». Comprata dai deputati di Palermo, nellanuova piazza, essa doveva adattarsi in modo diverso che nell’antico giardino e adadattarla fu il figlio di Francesco Camilliani, Camillo, il quale compì l’opera, manon bene, che troppo slargò i confini della fontana del tutto invadendo la piccola echiusa piazza. All’antica fontana appartengono le statue rappresentanti il fiumeArno e il Mugnone, elogiatissimi dal Vasari, una terza, pure di fiume è firmata daFrancesco Camilliani, una quarta dal Naccherino.Ma altre ne furono aggiunte, dato che il disegno della fontana era stato ingranditoe in queste statue aggiunte – in alcune non in tutte – il Venturi vede un’arte deri-vata dal Bandinelli, «ma notevole per morbidezza e per accarezzata fattura: le formefluiscono dolcemente scorrono facili, benché ampie e grandiose», e suggerisce ilnome di Michelangelo Naccherino fiorentino, fervidamente attivo a Napoli nellaseconda metà del cinquecento.Caratteri artistici eguali, il Maestro vede nelle statue rappresentanti la Nereide, ilTritone, la Dovizia, la Ninfa presso Pegaso, Mercurio, Ercole, Bacco, Diana, Orfeo,Cibale, Venere, le quali statue appunto egli attribuisce al Naccherino. Delle altre,firmate Francesco Camilliani, le rare fotografie consentono, più che le statue stes-se, di ammirarne l’eleganza.

248

Page 249: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Con questa opera, densa di difetti e di pregi, si chiude l’attività dei michelangiole-schi diretti in Sicilia e si inizia quella degli indiretti, anonimi seguaci a cui appar-tengono una serie di opere dignitose e interessanti spesso nascoste in paeselli dellapiù interna Sicilia, opere che attendono lo studioso che seguendo la via tracciata dalVenturi, le classifichi e le renda note.Accanto a questi scultori di cui particolarmente abbiamo parlato altri ve ne sonoche presentano grandissimo interesse, scultori di secondo ordine, naturalmente, mache pure di tanto in tanto riescono ad accendere grandi fiamme alimentando favil-le del genio di Michelangelo. Tutto il libro risulta quindi dedicato a questo magni-fico artista della nostra razza, sia per la parte che è tutta dedicata all’opera del gran-de e che ha pagine bellissime, sia per quella dedicata ai discepoli che diffusero nellospazio e nel tempo le risonanze quella tragica arte. E tutto il libro, ricco di magni-fiche illustrazioni, lascia nell’animo il desiderio vivissimo, che si aggiunga ad altriper completare la storia dell’Arte Italiana, la più nobile ed eterna fra tutte le operedi Adolfo Venturi.

2 Aprile 1936 – NELLA VOLONTÀ DEL REGIME. L’ARCHITETTURA MINIMA

SICILIANA ALLA TRIENNALE DI MILANO

Tra le esposizioni che saranno aggiunte alla prossima Triennale di Milano, ve nesarà una di grande interesse, quella dell’architettura minore in Italia e specialmen-te nel bacino del Mediterraneo. Tale mostra di rilievi e di fotografie intende esor-tare gli architetti allo studio diligente degli edifici non monumentali, popolari, pae-sani o rurali, e non per un romantico riguardo al passato, ma per un accrescimentodi esperienza.Ad una siffatta mostra di architettura minore mediterranea la Sicilia avrebbe dovu-to partecipare in larga misura e con maggiore comprensione della utilità dellamostra. Solo alcuni giovani della facoltà di ingegneria di Palermo hanno rispostoall’invito, pochi giovani animosi, alimentati nel fervore e nell’opera dall’ingegnereCaracciolo assistente alla Cattedra di «Elementi delle fabbriche». Un primo grup-po di giovani composto da Airoldi, Indovina e Lanza, hanno preso alcuni rilievi dicasette a Boccadifalco, a Sferracavallo, ad Isola delle Femmine e sono stati felicinella scelta e nel rendimento, un altro, formato da Rimi e Marini hanno rilevatocase di Tommaso Natale. Sono stati esposti, nella sede dell’Istituto Fascista diCultura, un totale di nove tempere, un acquarello, quattro geometrici, sei tavole, ela documentazione fotografica. Assai poco naturalmente, ma senza questi giovaniche hanno capito il valore delicatamente etnico e fascista dell’invito della Triennale

249

Page 250: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

di Milano, la Sicilia, perla del Mediterraneo non sarebbe stata rappresentata nellasua architettura minore.C’è anzitutto da domandarsi: esiste in Sicilia una architettura minima, cittadina,paesana, rurale, con forme peculiari il cui studio possa offrire agli architetti moder-ni esempi di soluzione logiche ed armoniose? La Sicilia è una terra di eccezioni inuna estensione di chilometri quadrati 25.738 essa ha tutte le varietà del suolo.Percorsa dai Peloritani, dai Nebrodi, dalle Madonie, dagli Erei, dominata dall’Etna,solcata da fiumi e da fiumare, ricchi di golfi, di penisole, di pianure sabbiose, essapresenta una estrema varietà: ha spiagge dolcissime e solari, pianure feconde, pae-selli nevosi, altipiani zolfiferi, colline felpate di verde e dalla varietà del suolo nederiva una varietà di prodotti, dalla vite al sughero, dal mandorlo alla manna, dal-l’ulivo allo zolfo, dal castagno al marmo. Dalla varietà dei prodotti ne deriva unadiversità di vita per gli abitanti e quindi diverse esigenze. Esiste allora, un’architet-tura paesana che si adatta alle diverse qualità del suolo ed ubbidisce alle esigenzamutevoli del Siciliano, a volte pescatore, a volte minatore, o contadino, o pastore,una architettura dotata di risorse costruttive e di una funzionalità interessanteanche se empirica, una architettura che possa suggerire motivi di ispirazione ainostri architetti? Alla domanda non si può rispondere, perché nessuna ricerca, sull’argomento, è statafatta.A prima vista le case popolari di Sicilia si possono dividere in due gruppi: un grup-po è formato dalle case dei paeselli marini case, che presentano una semplicità mas-sima costruttiva ed una ricca pittoricità all’esterno. Sono case ad un piano con unaporta che serve per l’ingresso e per dare luce alla stanza terrena ed una scalettainterna che conduce alla seconda stanza. La vita si svolge nello spazio dinanzi allaporta, proprio sulla strada. Lì si fa il bucato, si stendono le robe al sole, o si dissec-cano i fichi e la salsa del pomodoro, si fila e si chiacchiera. Sono case nitide, ma tal-mente elementari da non offrire che scarso interesse. Vi è poi un gruppo formatodalle case dei paeselli di origine feudale, case incerte e paurose ibride e irrazionali.Hanno spesso una stanza terrena, riservata al forno, alla stanza, al desco, e, a notteal giaciglio dei figli; nel primo piano hanno la stanza coniugale, nel terzo la stanzadelle provviste. Le stanze sono sovrapposte l’una sull’altra con grande irrazionalità.Quando le case sono costruite sul declivio può ben capitare di vedere il ciuco affac-ciato alla finestra. Sono disposte senza ordine, su stradette tortuose, anguste; sem-brano soffocate di terrore, come vecchiette sdentate e paurose in una notte di neb-bia. Case grigie, come la roccia che li sostiene, tutte immerse in quel grigio di colo-re e di vita. Non hanno un volume definito, non mostrano mai il più elementarerapporto tra spazio e massa, non presentano nessuna geniale soluzione. Queste case

250

Page 251: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

dicono soltanto parole di soffocata angustia. In questi paesi di Sicilia gli architettinostri dovrebbero entrare ma per dare prototipi di costruzioni semplicissime, igie-niche, razionali ed insegnare alle maestranze locali che si può con eguale spesacostruire nel modo migliore. E bisogna entrarvi con profonda e umana simpatia erispetto per questo popolo siciliano il più eroico per la sobrietà, per la rinuncia, perl’amore che tutto dona e nulla chiede.Ma c’è un paese di Sicilia che avrebbe potuto offrire una serie interessantissima dirilievi, e motivi estetici e pratici, un paese unico, inconfondibile, quello che untempo fu sacro ad Afrodite: Erice.L’architettura romana lasciò alcuni elementi all’architettura del rinascimento chealtri ne mantenne dal gotico catalano, e si creò alla fine del 400 un tipo di casa cheda allora è rimasta immutata e così semplice e razionale e graziosa, da conferire alpaese una aspetto del tutto originale.Caratteristica ne è un cortiletto chiuso, che lascia libere e solitarie le stradette, cor-tile dove si svolge la vita della famiglia ed è piccolo, ombroso, delizioso di pittorici-tà, con alberelli e gerani fioriti. Si aprono in questi cortili due o tre stanze terrene,vi si svolge una bassa scaletta gotica con balaustrate formate a conci alternate agrata, alla sommità vi è spesso una piccola terrazza, ed il pianerottolo di ingressoalle altre stanzette.Ogni casa è un volume chiuso, ermetico, cubo o parallellepipedo, con spigoli preci-si, con tagli netti. Poste sulle vie lunghe è strette per difese ai venti e alle nebbie, oraavanti, ora indietro tra le magnifiche e severissime mura, compongono ritmi travolumi è spazio, piacevolissimi al nostro gusto.Ed in queste case di Erice v’è una così perfetta aderenza al carattere degli abitantioltre che alla natura del suolo, ed un tale gusto alla decorazione naturale alla sem-plicità e comodità costruttiva, da potere veramente offrire agli architetti spunti edesempi.La piccola mostra ieri inaugurata ha in questo il suo valore: è una promessa ad unprincipio di interessamento ai problemi di architettura popolare che in Sicilia deveessere, in modo particolare, oggetto di studio.

24 Aprile 1936 – LA PRIMAVERA DELL’ARTE A SIRACUSA. LE MOSTRE D’ARTE.ARTE E POPOLO

Tre mostre sono state inaugurate ieri a Siracusa: la VII Mostra d’arte del sindacatointerprovinciale Fascista delle belle Arti di Sicilia, la Mostra storica del costume, laMostra delle arti popolari organizzata dall’O. N. D. di Siracusa. Ciascuna di esse ha

251

Page 252: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

un valore proprio, nella ideazione e nella attuazione, ciascuna palesa un orienta-mento diverso e pur concorde. Tutte insieme sono l’attuazione di un programmaideale che nel Fascismo prende forza ed alimento.È un complesso di valori spirituali che Siracusa offre oggi a noi e al mondo: men-tre volteggiano gli aquilotti romani sulla terra della nostra conquista, e non vi ècolpo che li raggiunga o insidia che li tradisca, qui, in questa terra veramente sacra,in un teatro millenario, al posto stesso di quei nostri avi che incivilirono il mondo,ascoltiamo la passione di Fedra, nel dramma di Euripide, liberiamo di angoscia ilnostro spirito al canto di Sofocle il purificatore, restiamo astratti dalla vita, incan-tati da magie di parole eterne. Ritorniamo al passato, ma vi ritorniamo con uno spi-rito diverso da quello umanistico o da quello neoclassico. Ci sentiamo profonda-mente mutati dai nostri dotti dell’ottocento che ricercarono nel mondo greco sicu-lo un rifugio romantico alle loro pene, e si accanirono nella ricerca di quelle anti-chità che meravigliano il mondo – da quelle scoperte del principe di BiscariaCatania, a quelle di Landolina a Siracusa, e quelle di Serradifalco a Selinunte – e lericercavano desiderosi di trovare una patente di nobiltà, una patria, una tradizioneindigena, da opporre ad un presente di servitù, doloroso, anche se sopportato daparecchi anni. Noi guardiamo il passato con animo libero e limpido, lo guardiamocon gioiosa aspirazione, di godimento e di superamento.Così possiamo ascoltare Sofocle ed Euripide, e possiamo vedere altre cose eterne,dal Castello Eurialo, alle monete di Eveneto, alla bianca Afrodite, colma di sanguee di vita.Contemporaneamente si inaugura la VII Mostra Sindacale di Arte regionale, ordi-nata serena senza squilibri di tendenze, senza rivolte dello spirito, pacificata concor-de. Non vi sono grandi opere, non vi sono nuove affermazioni di personalità arti-stiche, ma vi è di notevole un rialzo totalitario di quota, una dignità generale, unacollettiva volontà di miglioramento. E questa mostra regionale, innestandosi al ciclodelle mostre in cui si attua l’organizzazione sindacale fascista, indica la volontà ret-tilinea di conquistare patrimonio nostro di bellezza, di non spegnere mai questamiracolosa lampadoforia del genio italiano; e in particolare, a vederla, oggi, così,indica che anche gli artisti siciliani sanno mettersi nell’avanguardia, se li spronavolontà di cimento, ed ogni anno segna un progresso o una conquista. E, se il ritor-no alla tradizione è segno della nostra nobiltà, la volontà di un’arte nostra è segnodi orgoglio e di potenza.Contemporaneamente si inaugura la Mostra storica del costume, che è un ritornoal passato, in una forma più immediata ed umana, legata al corpo e allo spirito.Antichi costumi siciliani e moderni, sete variopinte ed umili panni, sono stati rac-colti ed esposti con ordine ad arricchire con il loro interesse folcloristico e croma-

252

Page 253: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

tico la mostra regionale. Dall’arte si passa al popolo. L’affermazione superba dellacreatività del popolo siciliano, delle sue infinite risorse ornamentali e industriali èdata dalla mostra organizzata in modo del tutto elogiabile dalla N. B. di Siracusa.Mostra affascinante; va dagli esempi di architettura minima interessantissimi pervarietà di tipi, alle barche da pesca e ai velieri, affermazioni moderne di Siracusamarinara, dai papiri sottili e decorati, ai tappeti rustici, dalle ceramiche eseguitesotto gli occhi dei visitatori, ai drappi tessuti da fanciulle in variopinto costume, daipaladini superbi, e vivi, alle scene rusticane, dai lavori di paglia allo zufolo del pasto-re. Una mostra viva, direi, tanto mantiene le voci diverse del popolo, il suo slancioverso l’ornato, il suo amore al pittoresco utilitario, e tutte le sue qualità etiche, diuna sobrietà senza pari.Questa mostra indica allora un terzo orientamento del nostro spirito, una terzaubbidienza alla volontà del Duce: e andare verso il popolo, ascoltare tutte le vocidella sua vita, per intenderlo e amarlo. Arte e popolo. Tre mostre, tre orientamenticoncordi del nostro spirito.Come annullate tutte le regole di prospettiva, come sulle ceramiche greche sidispongono dèi, uomini e cose, tutto è venuto su di unico piano: passato e presen-te e immediato futuro.Ma noi ci ricordiamo dei nostri avi, mettiamo i loro ritratti nelle nostre case, quan-do sentiamo di non dovere impallidire al ricordo, ci ricordiamo del popolo, ne ricer-chiamo la sua parola onesta, quando ci sentiamo privi di rimorsi oligarchici possia-mo creare opere d’arte, quando il cuore è commosso e la fantasia vibrante. Le tremostre allora acquistano nella loro totalità un valore altissimo, il primo che deveessere indicato.

29 Aprile 1936 – LA PITTURA DI PAESAGGIO E LA CRISI DI FANTASIA

Dimentichiamo la valle verde e morbida su cui si eleva la tragica reggia di Trezene,e l’Anapo mite nascosto tra i docili papiri, e la città serena accanto al suo vastoporto, ed entriamo a visitare la settima mostra Sindacale Belle Arti ben ordinata nelPalazzo degli Studi.Luogo pericoloso Siracusa, per una Mostra d’arte moderna. Se da una finestra piùoltre si propende lo sguardo nel cielo invaso da veli di nubi o sulla campagna riccadi verdi o sui mari colmi di azzurro, e si ritorna all’interno a guardare tutta questapittura di paesaggio, qui largamente rappresentata, nella gelidità che il cuore strin-ge, nell’inappagato sguardo, nella irrequietezza con cui altro si cerca e altro si vuole,ci accorgiamo subito come tale pittura resti quasi tutta nella esercitazione dilettan-

253

Page 254: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

tesca e nella composizione intellettualistica, scarsa di ogni vibrazione spirituale.Tutti o molti presentano paesaggi, ma è miracolo se di tanto in tanto un soffio di ariafresca passi dalla natura alla tela, se una visione di incanto, trasmutata da una fantasiacommossa resti eternata nel piccolo quadro. Bastava a Tiziano una sola nuvola sospe-sa nell’aria o battuta dai venti in un lembo di cielo per riempire di aria e di infinitospazio i suoi quadri, ma non bastano invece piani prospettivamente definiti ed ampicieli per dare il senso spaziale e la commozione della natura a molti quadri di pittoriche affrontano il paesaggio come tipo di pittura assai facile in cui in cui il misurarsinecessiti e sia facile il vincere. Ci sono sì, alcuni paesaggi di Nino Scandurra, pittorecatanese che vediamo procedere verso una pittura tonale studiatissima e sensibilissi-ma; altri ve ne sono di Pippo Giuffrida, seriamente studioso della natura, uno ve ne èdi Topazia Alliata con un ardente contrasto di gialli, di rossi e di azzurro che rievocala vivida gioia dei nostri campi; e anche gli acquarelli di De Caro vi sono, al solitovibratissimi di colore, e le malinconiche tele di Smithe, e altri paesaggi di AdeleGiarrizzo intelligentissima, di Varvaro, di Leo Castro, di Ida Campanella, ma infondo, una pittura siciliana di paesaggio che ricordi ed eterni il fascino di questa terrae di tanta limpida luce e dinastica ebbrezza sospesa tra mare e cielo, questa non vi è.Una pittura che sia la voce di quest’isola inanellata di azzurro che sia il verso e non laparola, l’infinito e non il frammento, la sintesi e non l’analisi. Questa non vi è. Ciòporta il discorso ad un altro argomento, alla crisi di fantasie che è della pittura di pae-saggio e di ogni altro genere di pittura. La crisi di fantasia è gravissima e bisognereb-be in ogni modo provvedere: è una sorta di mancanza di elasticità creativa, di reale eintelligente interesse alle mille forme della realtà una specie di inerzia spirituale percui una volta trovato un motivo come la vacca e il vitello tipo De Castro, i fichidin-dia tipo Catalano, le mura gialliccie tipo Di Giorgi, una volta trovato una proporzio-ne corretta una rima gradevole si resta continuamente a ripeterle con una insistenzache non è prova di serietà di studio, quale era quella dei nostri grandi maestri, ma èprova spesso di povertà creativa. Ad accrescere queste povertà si aggiunge il fatto chespesso compaiano nelle varie mostre le opere d’arte già presentate al pubblico o noteper pubblicazione fotografica, quadri di riserva, che risorgono ad ogni mostra immu-tati come il cilindro nelle varie occasioni. Chi fa questo, non intende naturalmente ilvalore fascista delle mostre le quali non sono vetrine dove si possono riportare mercedi magazzino o mobili usati con fresche vernice, ma sono osservatori artistici dove sisegnalano continuamente le oscillazioni spirituali, sicché la segnalazione deve esserefatta su dati nuovi, non suoi vecchi, altrimenti è statistica inutile. Privando la pitturadi ogni varietà di contenuto, si restringe il suo interesse alla sua tecnica la quale puòavere un valore relativo ma non assoluto. Spesso infatti, si tratta di un vecchio espres-sionismo decadente; spesso, facendo nuovi tentativi, si cade in una confusione fra le

254

Page 255: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

tecniche delle varie arti cui, invece che quadri, si presentano mattonelle maiolicatecome ha fatto Giulio D’Anna, oppure intarsi lignei, Lia Pasqualino Noto che ha poiun altro quadro rappresentante «Tre chierichetti», dove liberatasi delle pernicioseinfluenze di Cagli è riuscita trovare la sua consueta ed acuta osservazione psicologicae buone qualità di colore.Grave è la crisi di fantasia e in questa mostra di arte siciliana è resa più evidente perla vicinanza con la mostra di arte popolare la quale invece testimonia, per il delizio-so ornato di tutti gli oggetti, dallo zufolo all’asse del carro, la qualità fondamentaledello spirito siciliano che era appunto la sensibilità decorativa e la ricca fantasia.Ma c’è, per fortuna, un grande miglioramento: ed è la diminuzione del dilettanti-smo; diminuzione, non abolizione, perché vi sono sempre sale di ingresso e corri-doi con i quadri derelitti e sopportati. C’è anche una notevole diminuzione delbrutto che in arte è l’analitico e l’inconcludente, e, in ultimo, v’è una notevole sop-pressione di quella corrente d’arte che si chiamò deformazione, la quale era soltan-to una misera inerte riproduzione della realtà senza nessuna particolare tecnica esenza alcun afflato lirico.A tale deformazione resta dolorosamente legato un giovane artista: il Franchina conuna costanza che veramente preoccupa, come di una malattia senza rimedio.Accanto alle sue sculture si vedono con molto piacere, per contrasto, quelle diGiovanni Rosone salde e nobili, e più le altre di quegli scultori che ormai afferma-no a tutte le mostre e con estrema dignità la plastica di Sicilia, intendo dire diBenedetto Delisi, di M. M. Lazzaro, di Filippo Sgarlata, di Antonio Bonfiglio, diSilvestro Cuffaro; piccola schiera a cui seguono Tino Perrotta – che ha scolpito unasoave testa di S. Giovannino – Guglielmo Volpe, che presenta una maternità assaigrave nel corpo, illuminata di una grande spiritualità nella testa, Andrea Parini, cheha un buon ritratto della madre e una terracotta policroma interessantissima. Lascultura è in generale seria ed onesta e si possono citare molti nomi anzi tutti,Carruba, Ballarò, Bellonia, Campisi, Vasta, Cinturino, Finocchiaro, Paglieri,Mazzullo, Cafiero, Schiliro perché tutti hanno in misura maggiore o minore quel-la esperienza di base la quale potrà, se alimentata, far pervenire a qualche opera dimaggiore interesse. C’è anche una scultrice ungherese Sacha Cucchetti, la qualepresenta due risolute maschere del Re e del Duce, una vibrante statuetta «Tenebre»oltre ad acquerelli e disegni e sembra la più certa promessa fra i nuovi, tanto è riccoil suo mondo spirituale e comandevole il tocco delle sue dita sulla materia.Ma la scultura ha anche il suo pericolo nella frammentarietà: troppe teste e pochicorpi. La scultura non è soltanto modellazione, ma è anche rapporto tra volume espazio, è anche architettura, cioè equilibrio di massa. È da seguire quindi l’esempiodi Benedetto Delisi che nel gruppo «Castore e Polluce» e nell’altro intitolato

255

Page 256: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

«Moglie di pescatore» non dimentica mai tale studio pur compiendo opera inten-samente in quella «Mistica» tutta pervasa di religiosità.La schiera degli scultori è già notevole, quella dei pittori è invece ancora scarsa.Sempre procede e procede, Manlio Giarizzo con una pittura saldamente plastica,architettata benissimo, equilibrata sapientemente in una atmosfera calma e serena.Il quadro rappresentante «Racconto» è la più bella e salda pittura della presentemostra. Non potrebbe ora aggiungere alla scienza l’arte intesa come ispirazione,come immediata espressione lirica? Non potrebbe dal rigore, passare allo slancio,dalla disciplina alla libertà? Il suo procedere è stato rettilineo, sicché la sua meta ècerta; con molte dispersioni invece, con molte peregrinazioni tra le abiure ed i «meaculpa» è giunto in ottimo sentiero Pippo Rizzo, tanto che ora resta sempre la paurache egli non muti, ora che sembra rinsavire. È certamente un completo rinsanire ilquadretto intitolato «Tevere» tramato sottilmente ed elegantemente con fili di rosae di giallo chiari, con un tessuto cromatico finissimo di colore e con una solidità diimpianto prospettico che rende nel piccolo, l’infinito spazio. Anche nel «Ricordo diRoma» (che meglio sarebbe senza i gatti appunta-spilli che stanno nel primo piano)e nell’«Alba a Venezia», appare la stessa tecnica diligentissima e la identica tonalitàcoloristica, cose che assai meravigliano poste lì vicino al grande cartellone tenebro-so rappresentante il Duce che parla ai Balilla. Durerà questa migliorata pittura e lequalità plastiche e i vari accorgimenti nel trapasso dei colori da cui tutto il corpodella donna nel quadro intitolato «Nudo» prende vita ed eleganza? C’è anche Guarino con una pittura rappresentante «Tracce rosse» lodatissimo eammirato, c’è il nostro Amorelli così arguto illustratore specialmente nel quadrorappresentante Clowin; ci sono Camino Comes, il Giuffrida, la Gemma D’Amicocon quadri di affermato gusto coloristico. Vi sono altri, fra i quali Mario Folisi,Mario Giarizzo, Vito Crita, S. Castagna che certo non si impongono con decisequalità, ma per una diligenza ed una serietà di ricerca di cui occorre tener conto. Diun giovane allievo dell’Accademia di Belle Arti di Palermo, Gian Becchina, il qua-dro intitolato «Composizione» manifesta qualità musicali di accordi che, studiateed accresciute, possono condurre a buon meta. Dove possa arrivare Guido De Paceproprio non sappiamo, sicché per ora, possiamo fare soltanto l’elogio alle pie inten-zioni, così per Guido Gregorietti, per Dorotea Cavarretta, mentre delle sanguignedi Dixitdomino, di alcuni carboni di Sacha Cucchetti e di un’acquaforte d’AndreaParini, il Santo, c’è da dire molto bene.Le conclusioni dunque, non sono diverse dalle premesse: la mostra non affermanuovi e ignorati valori d’arte, non presenta novità di orientamenti, non rivela pae-saggi incantati. Il suo valore è più nelle negatività che nelle positività, più nei vizimancanti che nelle virtù che si affermano.

256

Page 257: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Però, quando il suolo è arato ed umido, e senza sterpi, la sementa può fiorire.Sarebbe tempo.

8 Maggio 1936 – LA I MOSTRA ARTIGIANA DI SIRACUSA. ETERNITÀ DI

TRADIZIONE*

Che c’è di nuovo in questa «Prima Mostra Artigiana di Siracusa» ordinata nelnuovo Palazzo degli studi, fra i primi che s’incontrano ritornando dall’Acropoli,sulla strada incisa tra il verde campo e l’azzurro marino?Che vi è di nuovo, se non che essa è tutta viva, e sa di acqua marina e di terra, disospiri e di canti, di attese e di conquiste, di povertà e di ricchezza, di campo e dicielo?Vi sono molti oggetti, ma non troppi o inutili, oggetti di pesca e di lavoro, di donne,di bimbi, di pastori, di ave, ma stanno in questa piccola mostra senza desolata iner-zia, senza malinconia polverosa, legati ancora, pare, alla mano che seppe crearli,all’uso a cui valsero, alla gioia, all’utilità che offrirono. E non soltanto l’oggetto, maanche l’uomo che lo esegue e il modo: la tessitrice dinanzi al suo telaio, l’opera deipupi, la bottega del papiro; un esperimento questo che può essere ripetuto in piùlarga scala tanta vivacità conferisce, e umanità e sincerità alla mostra stessa.Là in una sala, sopra un’alta predella, sta il vasaio di Lentini, seduto dinanzi al tor-nio. All’invito prende la creta, la batte fra le mani, seguendo un ritmo, una caden-za perfetta, un battito che sa di musica e di cuore; poi la precisa sul tornio e men-tre il piano ruota, la mano esperta, modella, carezza, castiga, allunga, slarga la cede-vole materia, forma e distrugge le mille forme, e altre ne crea inesauribile nel gioco.Allora i secoli scompaiono e l’anima concorda il presente al passato, e ritrova, ope-rante, il ceramico greco, come appare nelle ceramiche attiche, e nei vasi che egli vaformando riconosciamo la kolpide e il cratere, l’ariballo sottile e lo stanno, tutte lebellissime forme della ceramica greca. La sua mano ignara e fedelissima, ritrova igesti degli antichi maestri, e altri ne aggiunge come quelli armoniosi.Quando egli arresta il tornio e stacca il vaso, e con gesto di Turiddu, l’offre, mi trovotra le mani una piccola anfora, dalla coppa ondulata, come una campanula, vibran-te di soffio e di vento. Godiamo di questa eternità di tradizione. Come nel teatro,ascoltando la parola di Sofocle noi la ritrovammo vasaio di Lentini ha ritrovatonella in noi viva ed eterna, così l’umile sua mano il gesto antico e musicale.Nell’altra sala, la scena muta: sta nel centro un modello di tonnara, e tutt’intornostanno barche e velieri. Vi sono i «varchitti del lago di Lentini» tessuti di giunchi,una di forma elementarissima, su cui il marinaio si sdraiava aderendo col cuore sul

257

Page 258: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

cuore della barca, l’altra di forma più progredita, a remi; vi sono modelli di barcheampie e solide e modelli perfetti di velieri. L’industria marinara di Siracusa, è testi-moniata con ottimi esempi ed anche la fantasia del suo popolo. Chè qui, nel sira-cusano non soltanto si dipingono i carretti, ma anche le barche, e non a fasce, comea Palermo, ma con diversi ornati a prua e a poppa. Né il colore vi è casuale, ma ubbi-disce ad un rito, ha un simbolo, come nella iconografia medioevale. Sono il verde diSanta Lucia, il rosso di San Sebastiano di Melilli, il bianco di Santa Sofia diSortino, l’azzurro dell’Immacolata. Solo i ribelli alla tradizione seguono le altretinte, l’arancione, quello usato dai pescatori dell’Adriatico, per le vele delle loro bar-che o il tenero azzurro.Né il simbolo è soltanto nel colore ma anche nell’ornato. C’è il pesce, antichissimo esacro simbolo cristiano, ma c’è anche il corno di corallo dipinto, contro la iattura, e c’èanche il polipo dagli occhi sgusciati, come nella ceramica cretese micenea ed a pruavi sono girali e corridietro, sul fondo azzurro forte, e raggi azzurri sul fondo biancointorno ai fori di uscita delle acque. Una decorazione interessantissima per questafusione di elementi greci e cristiani, religiosi e superstiziosi, sacri e profani, una deco-razione che è forse caratteristica del siracusano, perché non ricordo di aver visto nien-te di simile nella città più innamorata della barca, datrice di tutta la sua ricchezza ecioè a Trapani, che pur offre alla sua Madonna, in lamina d’argento tutte le forme piùdiverse di barche e le modella anche in corallo e le tesse di filigrana d’oro.Ma anche il Carretto è nel siracusano, più che in altri luoghi un prodigio di ornato.Vi è un pezzo di carro con sirene uscenti dal gorgo, intagliate nella fascia di legnobianco tra uno scoppiettìo di fregio battuto in ferro, che è un miracolo di grazia,moltissime aste vi sono, e sportelli con ornati immagini più belli. Non senza intel-ligenza sono stati raccolti dal professore Tropia, studiosissimo di folcklore, i varitipi, quelli semplici, dipinti con una pittura semplice detta alla Massariota, domi-nati dalla linea e da un geometrismo elementare, come nelle arcaiche ceramiche,tutte a mille righe, rosse e nere a rettangolo negli sportelli, serpeggianti nelle aste,perpendicolari nelle ruote, con appena un cavallino nero in corsa, o un canestro difiori o il nodo di Salomone o una stella o una foglia; gli altri invece, i più ricchi, esu-beranti di ornati ovunque, nell’asta, nello sportello, nel mascellaro, con una varietà,una fantasia, dinanzi alla quale impallidiscono Simone da Corleone e Cecco diNaro, i progenitori di questa pittura, a colori uniti e violenti, di contenuto dramma-tico e potente, di immaginazione lampeggiante.In tutto questo popolo siciliano sparge colore violento e crudo come quello che scor-ge in natura, in questa natura pazza di colore e di luce. Bisogna vedere ad esempio,i tappeti di Sortino che sembrano intrecciati di sulla e zafferano. Le donne che li tes-sono sono là, presso ai telai. Parlano, non rallentando il lavoro delle mani agilissime,

258

Page 259: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

spiegano come esse stesse facciano i colori con ricette ereditate dalle nonne, e vannoper le campagne a raccogliere le erbe e ne traggono il succo e lo rafforzano con calceed allume. C’è un colore giallo violentissimo e offensivo ma c’è un colore violetto fel-pato, un azzurro cupo, un viola tetro che si accordano spesso col garbo bizantinodelle tuniche regali.Figli direttissimi di Ernesto Puzzo sono i pupi per «l’opra»: Carlomagno edAngelica e il furioso Orlando, e i paladini senza macchia e senza paura, tutti appe-si al muro, sospesi tra la terra e il cielo, morti e vivi ad un tempo. Quando si muo-vono sulla scena ritrovano il gesto aguzzo e violento delle figure nelle ceramiche distile severo, esprimono la loro passione con una austerità scattante e tragica.Ma la nostra, pur così, piccola e onestissima, non esaurisce in questo che si è dettotutto il suo interesse e ciò è prova dell’intelligenza e dell’amore con cui è stata orga-nizzata dal Comitato centrale per le Arti popolari, presieduto dal SegretarioFederale, animato dal fervore del Segretario Di Lorenzo, dalla competenza dei pro-fessori Malerba e Tropia, vigilata da Emma Bona segretaria del ComitatoNazionale Arti popolari. Ci sono, in un corridoio molti acquerelli e fotografie ripro-ducenti case popolari, e v’è nel fondo una bottega di papiri.Nell’architettura minima di questa regione, nei papiri sospirosi, carezzevoli e fru-scianti, c’è ancora esempio di eternità di tradizione.Siracusa, Maggio.

14 Maggio 1936 – ALLA PRIMA MOSTRA ARTIGIANA DI SIRACUSA

INTERVISTIAMO IL PAPIRO*

A vederlo, sulle rive dell’Anapo col suo fusto eretto e sottile, con i racemi verdi lun-ghi, scapigliati, dondolanti al vento, immerso nella luce o nell’acqua immota, isola-to nella atmosfera smeraldina o in fitta schiera custode dell’ultimo romanticismodel mondo e di tutti i languorosi sospiri, non si pensa ad indagare come viva, comee quando i suoi compiti, le sue risorse, le sue mete e i suoi sogni.Così estatico e smagato sulle sponde del fiume, in eterno colloquio con l’acquacheta ai sui piedi e la luce che si infiltra carezzevole tra i fili sottili delle sue chio-me, chi osa disturbare il poeta dell’Anapo?Ma alla prima mostra artigiana di Siracusa, il papiro languoroso e sospiroso, hamesso bottega, e richiama gran numero di ammiratori, attenti e curiosi di vederlotrasformare in carta, raffinata, serica, venata di trame sottili, carta che ricorda anti-che favole egizie, poesie greche, leggi romane, cose nobilissime ed eterne.Il suo rappresentante, il professore Malerba, compie alla richiesta l’operazione sem-

259

Page 260: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

plicissima: prende il papiro, ne recide la parte inferiore, toglie al fusto la corteccia,ne svela il corpo bianco e sottile, lo taglia a strisce finissime, eguali di spessore conmano che non trema, poi sovrappone le strisce ai fondi conditi di carta assorbente,in linea verticale accostandole l’una all’altra, in perfetto combaciare, e alle strisceverticali sovrappone strisce orizzontali, poi le preme sotto un torchio. I lembi dellestrisce combaciano perfettamente, le orizzontali aderiscono alle verticali ed eccoformata la famosa carta papiro ancora umidiccia e bianca ma che si asciutterà pre-sto, e si colorerà di tenero gialliccio.Plinio, il naturalista, se fosse con noi, non si meraviglierebbe per nulla, che egli hagià vista questa operazione e l’ha descritta. Ma ai nostri tempi, non si conosceva,pare il papiro, siracusano importato, e non si sa chiaramente da dove, se dall’Egittoo dall’isola di Creta. Non lo ricordano infatti, gli antichi prosatori e poeti, néTeocrito Siracusano, e neanco Ovidio quando canta della ninfa Aretusa, disperatae dolente del ratto di Persefone: e neanco sulle monete siracusane esso è posto,accanto alla dolce e imperiosa testa di Aretusa, e neanco in altre monete che pur sifregiano della pianta utile e cara, dell’olivo o della rosa, dell’edera o della vite. E leprime notizie, le più antiche, che si hanno in Sicilia sul papiro, non riguardano ilpapiro di Siracusa, ma il papiro di Palermo, che rigogliosamente cresceva in quellalocalità fino ad oggi chiamata papireto, e già indicata come «massa papyriensis» inuna lettera di S. Gregorio Magno e particolarmente descritta dall’arabo Ibn Hawqalgià come datrice di carta papiriace. Produzione questa, di cui parlano successiva-mente tutti gli storici e i cronisti, da Ugo Falcando al Falzello fino a quando, nel1558 per una epidemia di febbre malariche, si decretò per consiglio del medicoIngrassia, la distruzione del papireto, ritenuto origine del male.Più tardi l’esistenza del papiro è segnalato in molti luoghi, alla Favara, a Fiumefred-do, a Melilli, fino a che, unico rifugio del papiro, è rimasto Siracusa.Ma non serve che ad ornare le acque del mitico fiume, e non è più come nell’anti-co disputato per mille usi i più inverosimili.Su di un naviglio tessuto di papiri, Iside andò cercando il compianto figlio, sulleacque del Nilo; barche formate in egual modo si trovano eternate nei rotuli; di cal-zari formati da strisce di papiro intrecciate si servivano i sacerdoti; vele, abiti, stuo-ie, corde, cappelli, lucignoli, corone per gli dei, sostanze alimentari, a tutti gli usi,serviva il papiro presso gli egizi. Non senza ragione lo elevarono a simbolo e lo tra-sformarono in pietra, per decorare, da colonna, i loro sacri templi.Ma il più costante, uso fu certamente, per scrivervi, ridotto a carta, le loro storie ele loro poesie, i loro inviti e i loro canti, le loro preghiere e i loro comandi peraccompagnare con un rotulo di preghiere i loro morti, ponendoli tra le fasce, o nellecassette delle stanze sepolcrali. Sapevano e speravano che quei rotoli formati da

260

Page 261: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

fogli di papiri, incollati nel lungo, sarebbero stati eterni, come l’anima di cui segui-vano le sorti. E, infatti, questi serici fogli del fragile papiro, hanno vinto i secoli, cihanno conservato, con le pietre scolpite, tutta la vita del popolo egiziano, il lorocanto e il canto dei greci e la poesia e la scienza e la legge dei romani. Quando unapiccola biblioteca di rotuli, forse appartenenti ad un tal Filodemo, venne scopertanel 1572, nell’antica Ercolano, alla profondità di 27 metri, sembrò una raccolta dicarbone, tanto la forma dei rotoli e il nero colore, traevano in inganno. Inevasi iprimi tentativi di spiegarli al sole, di intenderne la scrittura, molti di essi vennerodistrutti per colpa degli uomini, mentre la sorte e il tempo li avevano salvati, fino aquando, dopo molte esperienze, il Padre Antonio Piaggi non riuscì ad inventare unasemplice macchina che consentiva di svolgere il rotolo con somma delicatezza, si danon rompere il foglio, incollato, dopo tanto tempo, l’uno sull’altro e da non cancel-lare i caratteri. Operazione difficilissima alla quale si aggiunge l’altra non menopenosa, della lettura e della trascrizione dei testi, ore ben superata specialmentedalla diligentissima pazienza dei tedeschi. I ritrovamenti di molti papiri a Onirico,quanti canti greci non ci hanno rivelato, oltre ad infiniti documenti di vita di reli-gione di scienza dell’Egitto!Piccoli segni neri sulla carta rosa del tempo ci hanno portato il canto dolcissimo diSaffo, quel tenero distacco dall’amica che è un incanto di limpida poesia, quell’esor-tazione al fratello, severa e buona, quelle parole alla natura semplici ed eterne; quelpapiro bacchilideo ritrovato pure in Egitto e portato al British Museum lacerato induecento frammenti ci ha svelato epinici e ditirambi, di Bacchilide, cesellati comeori, levigati come cammei, composti con una grazia ineffabile, preziosissimi, anchese diversi da quelli dell’immenso Pindaro. Poesia e legge, canto e comando degliegizi, dei greci, dei romani, ci ha portato il papiro, questa preziosissima pianta, cheora sulle sponde dell’Anapo, sospira al vento, piegandosi mite ad ascoltare solo isospiri degli amanti, arruffando i frammenti sottili delle sue ombrelle, per protegge-re nell’ombra verde, la barca lenta che procede alla fonte del Ciane, con gli estetivagabondi e le romantiche donnine! E non è pago di questo: osa affermare che ancheesso vuole riconquistare il suo antico impero, che in epoca di sanzioni, invece dellapergamena, in gran parte importata dalla Francia, bisognerebbe usare il papiro, ricor-da che sul papiro gli imperatori romani scrivevano le loro leggi che dominarono ilmondo, ricorda e vanta l’eternità delle sue fibre, la bellezza dei suoi prodotti, si addi-ta come fonte di ricchezza industriale per Siracusa fedelissima, esalta infine il tenta-tivo di Francesco Saverio Landolina che per primo ricompose l’antica carta deiPoliti, della Naro e infine di questo diligentissimo ed animoso professore Malerba,rimasto unico a continuare la tradizione, formando i papiri e scrivendoli, copiandomagistralmente gli antichi testi per la mostra della Romanità, dipingendoli, ornan-

261

Page 262: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

doli con molto gusto, additando gli infiniti usi. Lo ascoltavamo meravigliati e sor-presi tanto era convincente il suo parlare. Ma gli altri papiri quelli che erano rimastisulle sponde del fiume, quelli dondolavano il capo, inerti e dubbiosi.

22 Maggio 1936 – CONCORSO PER LA DECORAZIONE PLASTICA DELL’INGRESSO

MONUMENTALE DI PALERMO

Diceva il buon Parini che ad esortare gli artisti più giovasse chiamarli ad opere dipubblico interesse che dentro le aule di Accademia, e giovasse il cimento reale piùche il fittizio, il controllo diretto del pubblico più che le cincie degli ammiratori edei critici. In realtà, se non vi fossero di tanto in tanto i concorsi nazionali per operedi pubblico interesse, gli artisti finirebbero col ritenere unica loro meta il dipingerepochi centimetri di tela e scolpire qualche figuretta da porre nelle mostre in attesadi vendita, come piatti di tartufi in vetrina. E ci sarebbe il pericolo di dimenticarele vere origini e la vera funzione della pittura e della scultura, sorte sempre legateall’architettura per scrivervi le parole di Dio e di patria, come sempre è avvenutoqui, in Italia, col primo affresco tutto romano nella tomba all’Esquilino, a quelli inS. Francesco e al Vaticano, dal rilievo sulla colonna Traiana a quelli della Cattedraledi Orvieto.Il concorso per una decorazione di sei statue da porre negli edifici costituenti l’im-bocco monumentale di via Roma, concorso bandito nel Dicembre 1935 e scadutonel Marzo 1936, non poteva essere più adatto nel grave momento che viviamo perincitare gli artisti al lavoro.I temi del concorso sono i seguenti:Palermo nel periodo arabo. – L’arte tessile (900-1061)Palermo nel periodo normanno. – L’architettura (1130-1189)Palermo nel periodo aragonese. – L’umanesimo (1394-1471)Palermo nel periodo spagnolo.– La scultura (1656-1732)Palermo nel Risorgimento. – La rivolta (1848-1860)Palermo nell’Era Fascista. – Il lavoro (1935)Felici i temi, come indicazione delle varie forme d’arte più importanti fiorite inSicilia, ma duole che essi mantengono il costante uso di indicare lo svolgimentoartistico, coi nomi delle varie dominazioni, uso che in se stesso ingenuo, ha porta-to e porta conseguenze antistoriche circa il problema assai delicato e vitale dell’esi-stenza o no dell’arte siciliana. Continuamente ripetendo:«arte del periodo arabo», «arte del periodo normanno» si è pasati all’abbreviatura:«arte araba», «arte normanna», «arte sveva», la quale ha finito col far credere a noi e

262

Page 263: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

agli altri, che l’arte siciliana sia stata sempre, a volte, l’arte dei nostri dominatori.Di arte veneziana, di arte piemontese si parla, anche se ricche di molteplici influen-ze, di arte siciliana, no.È veramente assai strana la paura che si ha nel proferire questa parola che i nostridotti dell’800 pronunciavano con infinito orgoglio e che i nostri nonni pronuncia-vano lacrimando, quando la ribellione al governo li spingeva esuli dalla Sicilia;anche parlando del periodo d’arte più glorioso, quello in cui con massimo gustofurono elaborati motivi arabi, motivi bizantini, normanni e romanici, si continua adusare la denominazione arabo normanna che è la più errata. Tutta la storia dell’ar-te siciliana è invece, a studiarla sulle opere e non sui libri, tutta animata da un segre-to e costante aspirare a forme originali, diverse da quelle dei popoli dominatori; aquesta ansia, questo costante desiderio di unirsi per l’arte all’Italia e non alla Spagnao all’Austria e non alla Normandia, è la sua nota costante, bellissima e nobilissimache non è lecito trascurare. Appunto per questo non si intende, perché, a ricordarePalermo nel periodo arabo, sia da porre «la tessitura» se questa forma d’arte, dal1000 al 1200 fu vanto esclusivo dei siciliani sì, che le loro opere conquistaronoanche i porti levantini dove erano diffuse stoffe arabe e bizantine, e furono, in tuttoil mondo desiderate ed ambite. Ed erano chiamate «ciciliane» e, come un sogno dibellezza, erano cantate da trovieri e trovatori.E non si intende perché, a ricordare Palermo nel periodo spagnolo, sia da porre lascultura, se la scultura di quell’epoca è tutta indipendente da quella di Spagna, ed ètutta rappresentata da Giacomo Serpotta, l’artista più siciliano, più classico, piùantispagnolo che vi sia.Tuttavia, per merito di queste determinazioni di periodi storici, vedemmo moltiscultori, in biblioteca sfogliare trattati sulla storia del costume e ci domandammonon stesse per ricominciare un nuovo verismo storico, dopo tanto terribile lottare afavore del surrealismo, e ci domandammo se l’ombra dell’intransigente David nonsorridesse beata vedendo ancora una volta gli artisti studiosi del simbolo e delcostume. Ma poiché per fortuna gli artisti sono giovani, giovani sul serio, si sonopersuasi individualmente, tutti, che non era il caso di siffatte preoccupazioni, edhanno svolto più liberamente i temi senza tenere conto né di periodi né di limita-zioni storiche. Tessitura, Architettura, Umanesimo, Scultura, Rivolta, Lavoro.Alcuni di questi motivi decorano il Campanile di Giotto eretto l’anno 1337.Nella scelta dei simboli non si può dire che gli artisti siano stati moderni, che tuttihanno imitato i modelli iconografici antichi e raramente hanno fatto una sculturache esprima di per sé, senza tenere vanga o rotulo, brando o fuso, l’attività spiritua-le che vuole significare.A molti bozzetti, si può impunemente cambiare l’attributo senza che nessun dissi-

263

Page 264: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

dio si determini con l’atteggiamento e l’espressione. Ma alcune opere mostrano unameditazione più profonda sui temi ed il desiderio di fare una scultura più architet-tonica, a piani larghi, modellati con serena sobrietà, e con un’espressività sincera efalice. In questo senso, sta prima, l’opera «Il lavoro» di Filippo Sgarlata, il medagli-sta ormai noto, che ora si cimenta e gagliardamente, nella scultura. Quell’uomopossente, forte di una forza fisica indomabile, ma con una volontà, serena più tena-ce della sua forza, non può che esaltare la terra e il lavoro, e il modo come è reso,con una sommarietà estrema, senza virtuosismi muscolari, a larghissimi piani, purmorbidi e carnosi, non lascia dubbi sui pregi dello scultore di buona razza cheaffronta ed elabora quel tema che trova reale rispondenza nel proprio spirito.Questo non è avvenuto per tutti. La rappresentazione della Rivolta ad esempio, puòassai spesso essere scambiata per la «disperazione» o per l’«assassinio», e le interpre-tazioni plastiche di questo tema che mantengono una garbata composizione ed uncerto equilibrio architettonico, sono assai poche escluse quelle di Lazzaro e diCuffaro. Questi ha pensato di rappresentare «La Rivolta» come un uomo forte, chespezza il laccio stretto ai polsi, ma tranquillo, con muscoli fermi come se la decisio-ne fosse ancora interiore, ma inflessibile. Lazzaro invece ha pensato una figurinafemminile armata e vibrante. Bene l’uno e l’altro, anche se Lazzaro non ci dia unosviluppo più chiaro della sua opera come è quello di Cuffaro, che assai garbatamen-te ha affrontato altri due temi: l’Umanesimo e l’arte tessile.Con tutta la dignità che esige il suo nome già affermato, partecipa al concorsoanche Benedetto Delisi, con due bozzetti e lo sviluppo di uno di essi rappresentan-te la Tessitura, scultura questa dominata da un visibile concetto edonistico che sisvolge col gradevole gesto delle braccia, con riposante distendersi dei larghi piani,che modellano il corpo saldo e morbido della donna.Due bozzetti ha presentato, pure il giovane Rosone, il più giovane credo, tra i con-correnti, già segnalato ai Littoriali, e più volte alle mostre regionali.Studioso e serio, ha egli voluto che l’architettura esprimesse di per sé, massa e squa-dro, forza e regola, e ha immaginata una figura femminile che si sviluppa natural-mente da un’abside romanica siciliana, chiusa nel suo manto e severa. Solo chemeglio sia sviluppato il particolare della testa, nessun altro bozzetto ci presenta unasoluzione del tema in modo più originale ed efficace. Anche l’Umanesimo, è unascultura ben meditata come equilibrio.Tutti i sei temi ha anche affrontato, spavaldamente, Nino Geraci, il che è provadella sua facilità nel modellare, ed è riuscito bene nella rappresentazione dell’archi-tettura, e più nella «Scultura», immaginata come una florida donna a cui ridono duebimbi, ricordo evidente della scultura serpottiana, nel quale tutta l’opera si avviva eprende qualità di freschezza e di grazia.

264

Page 265: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Il resto non è il meglio, ma le opere di Bartolini hanno la consueta garbata elegan-za e De Caro avrebbe potuto assai meglio.

31 Maggio 1936 – LA XX BIENNALE DI VENEZIA LA PITTURA

Il leone di S. Marco, che sta prigione sul capitello al sommo del fusto eretto tra ilPalazzo Ducale e la loggia del Sansovino, tra pali e prue di gondole sollevati dallemani acquatiche delle sirene e dei tritoni, sepolti nel fondo di questa laguna, il leoneche frena costantemente il suo impeto, e pare rabbioso e famelico di dominio, si èimpuntato a guardare verso il Palazzo dell’Esposizione e sembra pietrificato nelgesto della attesa impaziente. Pur ha visto passare più alto un volo di aquile, e nelladeclinante chiarezza di un giorno, che aveva tutte le speranze dell’alba, entrò, nelbronzeo suo cuore, l’urlo di una folla plaudente che si partiva dalle mura di Roma;e seppe di una conquista d’impero; e non è consolato ancora, ed ancora attende.Attende un diverso impero: quello che Venezia tenne e l’Italia tutta, in tutti i tempi,l’impero della bellezza e della grazia. Guarda la Biennale, ed è rabbioso dell’indu-gio perché è certa la sua attesa.Nel regno del colore A ripensarla, ora, tutta la pittura esposta nel padiglione centrale (1662 opere)Italiano, libera da nomi, come un canto senza bocche, ci pare di vedere dinanzi agliocchi, un tessuto cromatico di incomparabile novità, tessuto coi fili più diversi, sot-tili come capelli di bimbo, attorti e duri come le filigrane carolingie, rozzi e grevicome fumi, colorati di ogni colore spremuto dalle erbe, dalle alghe, dai fiori, dallaterra, dal cielo, un tessuto cromatico ricco di risorse, piacente e divertente. Subitol’occhio vi coglie le zone create da Felice Carena, nella grande e negata Battaglia diDogali, e non si riesce a pensare per quale liquefazione lunare siano cadute sullaterra rossiccia, tali colate di argento purissimo, e dove sia bianchezza più felpata diquell’ala candida di «Angiolo» che lotta col demone; e guardando le zone di GinoSeverini, si ripensa ad azzurri scolorati di sete antiche, o di santi aureolati limosini,e a quello di Carlo Carrà, si ripensa il cadere della ceralacca, pigrissimi e certi bron-zi incipriati, per scherzo. Colore e colore, sempre, ora levigatissimo, come nellemaioliche imbambolate di Donghi, ora ligneo come nei burattini addormentati diCeracchini, ora fusi, dolcissimi, come negli elegiadri quadri di Pippo Rizzo, orapercorso di brividi fiammanti come nel quadro di Guttuso aspricci come nel qua-dro di Castro, ora impastato di terra e di crema come nei quadri di Pirandello, oraaccostati a zone piatte, in confini elementarissimi e ingenui, eppure rievocatrici direaltà, come nei quadri incerti fra il gioco e il serio di Massimo Campigli, ora vivi-

265

Page 266: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

do e brillante come nelle nature di Cagli, passato «la bella pittura» dell’accortointarsio di ieri, ora pallidissimo, di sete cinesi, di Trifoglio, che più ci piacque l’an-no passato, ora cerulei, scenografici, di Spazzapan, ora molli e disfatti di De Pini,non si vede che colore, non si pensa che colore. Basta questo?Secondo l’insegnamento di una teoria estetica estremista, che ripone tutto il valoredell’opera d’arte in valori visivi o tattili e la considera la somma perfezione delmestiere e la libera da ogni ricerca di valore spirituale, questo dovrebbe bastare e senon basta, bisogna che la teoria moderna, assuma la sua parte di responsabilità inquesta temporanea sosta di creatività pittorica.Per alcuni anni avendo esaltato accorgimenti, esperienze, conquiste tecniche siamoriusciti a riacquistare una somma veramente rilevante di raffinatezze cromatiche,una sensibilità acuta, penetrante del colore, una esatta comprensione dei confinidella pittura che deve esprimersi per via di colore. E siamo riusciti ad avere unmagnifico assortito campionario di stoffe multicolori. Ora ci accorgiamo che neces-sita il corpo e quando il corpo c’è (valore plastico), occorre lo spirito.Bisogna riformare la teoria estetica.Il nuovo binomio: colore formaLa Quadriennale ci indusse a bene sperare per la varietà e nobiltà di ricerche tona-li, questa Biennale ci mostra un capovolgimento del binomio cinquecentesco: formacolore, nell’altro: colore forma. In tanta varietà di indizi, questo mi pare sia il piùdeciso e il più grato ed è quello che contengono i quadri nobili, piacevolissimi diVagnetti, di Salietti, di Paulucci, di Monti, di Cadorin, di altri.A questa meta, perseguita da anni con sforzo tenace è pervenuto Manlio Giarrizzoche si presenta con cinque quadri, con pittura costruita sapientissimamente e dà lacertezza della materia, di una materia tutta colore, dotata di un respiro calmo nella«Dormiente», nelle «Sorelle», colorate in rosa, in verde con una certezza e una bel-lezza non comune. E nell’altro grande quadro «Altalena», non una sola pennellatadiscorde spezza l’incanto di quel bosco, felpato di verde in cui si arresta il moto del-l’altalena, per non disturbare la calma vita delle cose. Bella pittura di cui il pubbli-co si accorge e che finalmente possiamo additare come la conquista più certa del-l’arte siciliana.Mentre Giarrizzo è riuscito a cementare con giusta compattezza le varie cellule cro-matiche, Fausto Pirandello le slarga, le intride di luce, le rende molli al tocco, maquando poi sono nello spazio questi corpi hanno una limitazione, un peso e unalevità ad un tempo; questo stupisce, stupisce il modo come si muovono o sostano,corpi fisicamente brutti e pur fuori dalla realtà.In questo salutare ritorno al colore forma, hanno influito certamente anche sui piùincredibili gli insegnamenti che con la sua pittura solida ed architettonica, ha dato

266

Page 267: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Carlo Carrà, di cui i paesaggi sono assai belli mentre gli altri quadri, con toccate dibiacca sui corpi bronzei, hanno uno sgarbo di tinte che inutilmente ci offende. Mai paesaggi, e specialmente «La bonifica della Garanna» restano a ricordare qualetemperamento di artista egli sia.Il paesaggio moderno va acquistando sempre caratteri più decisi di originalità e nonera facile dopo tutte le conquiste sapientissime del tardo e del primo ottocento.Paesaggi vi sono, che hanno la novità del taglio di una prospettiva non rigidamen-te frontale, ma posta su diversi assi, paesaggi che limitano volutamente lo sguardoper suggerire ampiezza libera al sogno e infinita, paesaggi lirici e paesaggi descrit-tivi. Nel paesaggio moderno, non c’è, costante, una ricerca dello spazio, quella cheparve tanto sorprendente creazione di Filippo Brunelleschi, né la ricerca alla spa-zialità, appare negli altri generi di pittura. Ed è strano questo generale gusto dellimitato, del concluso, figure e cose riescono ad ottenere soltanto il minimo dellospazio intorno: un immediato fondale li respinge ai nostri occhi con una violenzache ci fa male per darci il loro colore e la loro forma e imporci la loro esistenza.Altro non ci danno e non ci dicono. Colore, materia. Si guardino i quadri di Pigato.Quest’uomo moderno, che domina l’infinito, quando dipinge dimentica l’infinito ele mille forme che vivono intorno a noi e respirano e vibrano; pochissime ne sce-glie, e su queste appunta tutta la sua attenzione non per un rendimento fotograficotipo fiammingo, ma per crearne altre simili ma individuali, nelle quali anche il colo-re può essere irreale e crearle dalla più intima cellula alla più esterna, crearle emostrarle tutte fatte di molecole di colore, e nel colore sfogare tutte le sue risorse.E poiché la realtà appare «sub specie coloris» essa non ha valore diverso e sia corpoumano o una giovenca o un bue – come stupendi di peso sono quei buoi nel qua-dro di Perrazzi – o un fiore o una piuma, con un interesse cosmico che finisce col-l’offendere l’uomo abituato, finora, ad essere il nucleo vitale dell’Arte. Da una parteil finito nello spazio, dall’altra il limitato amore a pochissime cose: l’intessere all’uo-mo è limitato alla pittura di ritratti. E ve ne sono di belli e degnissimi «La venezia-na» di Giannino Marchig, altri di Salietti, di Paulucci, di Fabbricatore, del nostroTrombadori, di Gagliardo e molto eleganti, sono quelli della Leonora Fini, e pla-stici di dura sistanza cromatica come quelli di Guidi, quelli di Vagnetti. Ma oltreche nei ritratti, l’uomo non interessa più l’artista! Forse da questo disinteresse nasce la monotonia, l’uggia della pittura moderna. Lascultura, rimasta fedelissima all’uomo, si è forse salvata per questo.La sala degli affreschiMa anche a questo disinteresse alla vita umana, si è voluto apporre, un rimediorichiamando all’affresco un gruppo di giovani con temi di contenuto sociale. Sullepareti di una sala sono stati affrescati alcuni riquadri tutti trattati con una tecnica

267

Page 268: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

già perfetta. Dominano quelle oscillazioni fra il presente e l’arcaico, tra la frase giàfatta e l’altra tentata, che sono inevitabili: e palese in alcuni lo sforzo, rimasto inva-no di stringere in unità la composizione come nell’affresco di Italo Giorgi rappre-sentante «La redenzione della terra» di cui la parte superiore è concepita come adun arazzo e la parte inferiore, invece ha forme plastiche, con una indecisione tra ildecorativismo puro e il pittorico che appare anche nella «Vita Agreste» di GoffredoTrovarelli; è troppo visibile la preoccupazione di risolvere problemi di pura pitturanell’affresco di Barbisan «I nostri migliori amici sono i rurali» che mostra qualitànotevoli, inclina verso un ridimensionamento sentimentale l’affresco di TutiCafiero «Opera assistenziali» in una sconsolata malinconia di colore, e verso uncontenuto drammatico l’affresco, con buoni particolari di Ezio Buscio «Il Martiriodi Berta »; ma tra pregi e difetti, appare il risultato di una mancanza di reale com-mozione e di reale interesse per al tema trattato e sempre una maggiore preoccupa-zione per i problemi di tecnica che fa i valori di espressione.Vogliamo allora ritornare alla pittura sociale, romantica del primo ottocento? No dicerto, ma vorremmo ritornare alla pittura che sa esprimere le paure, le ansie, legioie, gli slanci, gli ardori di tutto un popolo, quella che nel frammento sa crearel’universo.Il leone di S. Marco l’attende.

4 Giugno 1936 – ALLA XX BIENNALE DI VENEZIA. SCULTURE ED OPERE D’ARTE

ITALIANA

Per la scultura, il giudicare è più semplice: o l’opera ha un nucleo vitale da cui laforza irraggia e in cui ritorna tutta la materia animando e facendola colma di vitache è lancio di corpi nello spazio, e continuità fluttuante di modellazione, o se no,priva della cellula base dovuta alla fantasia umana, non può aspirare mai ad esserecompleta e vitale. E completa e vitale. E perché essa è sempre legata alla fatica fisi-ca, al sudore dell’uomo, raramente cade nel dilettantissimo puro, e poiché è lotta dispirito di materia, resta legata all’uomo, alla sua passione e non a tutta la realtàcosmica. Così dunque avviene che le nazioni più ricche di umanità, di simpatia, difraternità, creano la scultura più nobile ed alta come l’ebbero i Greci, come iRomani, come gli Italiani, come i Francesi dell’ottocento, ed avviene che oggi, lascultura è all’avanguardia del rinnovamento proprio in Italia, procedendo, di annoin anno con eroico slancio.Validamente e universalmente fu documentata la bellezza e la novità e la eternitàdella plastica italiana moderna, dalla XX Biennale Veneziana e dalla Quadriennale

268

Page 269: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

e se questa ventesima Biennale sembra alle precedenti mostre inferiore, non riescead intaccare né la realtà che è questa, né l’opinione.Una casualità un po’ ostile l’ha forse dominata per cui senza responsabilità di alcu-no non è pari, per qualità di opere, alle altre.O forse la responsabilità è dei singoli artisti, che spesso non possono o non voglio-no offrire il meglio della loro opera, o lieti dei mietuti allori si abbandonano a tem-poranee soste, o perdono, o attenuano la volontà di creazione. Questo è il caso diMarino Marini che nella presente mostra espone nove opere delle quali una sola èdegna della sua fantasia e della sua fama: un «Ritratto virile» così straordonariamen-te vitale, che la fissità di quello sguardo perseguita come forza magnetica e la pos-sibilità di pensiero di quella vasta fronte pare sovrasti la nostra. Non si può chericordare l’eternamente vivo ritratto in legno del museo del Cairo, o qualche ritrat-to imperiale romano. Questa è un’opera d’arte, le altre sono tentativi, frasi plastiche,annotazioni. La più ricca e matura è forse «L’uomo che guardò» che ha un corpoequilibrato e sensibilissimo ed anche l’opera «Maschera» tranne che al viso cheinterrompe il sereno godimento, la più imprecisa e inutile è l’opera «Cavaliere» checi trasporta in tentativi dorici di rapporti di masse.Non si parla di dorismo, ma il pubblico parla di «cavalluccio e cavaliere» di legno:il pubblico, si sa, quando non accetta, è ignorante. Come i critici d’arte, grandi selodano, stupidi se biasimano.Quale casualità, invece, ha spinto Antonio Maraini a scolpire la sua Vittoria inbronzo appuntata come una farfalla, su di un asta, a metà della sala prima non sap-piamo e tanto è l’alto rispetto che abbiamo alla sua arte, che non ci può permette-re una lusinga. Si tratta in lui, forse di temporanei imprigionamenti nella tradizio-ne ottocentesca o di reale impossibilità di mediazione per tanta e tale attività che inaltri campi si svolge o di improvvisa sosta che alimenta più gagliardo cammino.La casualità ostile spesso domina, e per altro esempio, citiamo il caso di un artista cheva movendo i suoi passi sulla via maestra: Filippo Sgarlata di Termini, che è qui rap-presentato da una serie di medaglie armoniosissime, ma non è rappresentato comesculture, come meriterebbe per aver recentemente dato prova di esserlo, e in modo, disicura promessa. E citiamo altro esempio in Silvestro Cuffaro di cui in una saletta di«passi perduti », fra rilievi neoclassici e un gruppo interessante di rilievi di TommasoBartolino posti intorno ad una fuggente «Diana» cacciatrice che, grossa com’è, nonriesce per nostra disgrazia a fuggire dalla porta, né dalla finestra, ci apparve una pic-cola terracotta, rappresentate una bimbetta, tutta vestita a festa, col viso appoggiatoalle mani e con una tale vibrante commozione nello sguardo e un tale tremito di vitanella modellazione della testina, da farci subito pensare al canto della nostra terra,dolce triste ad un tempo. Non fu visto e notato che egli meritava qualcosa di più?

269

Page 270: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Ma noi vogliamo accennare al pubblico soltanto le opere d’arte, ed allora, dopo laprima sosta nella sale di Marino Marini passiamo subito nella sala XIX, la più bellae gradevole per la scultura.Adocchia il sole il «Nudo» di Benedetto Delisi; indietreggia in un subitaneo sgo-mento, un S. Giovannino di Bonfiglio, opera d’arte, anche se legata, come l’altra difronte appartenente a Crocetti, alla tradizione individuabile però, è suscitatrice dimolto interesse, specialmente per il ritmo diverso del suo equilibrio nello spazio eper la fattura accorta, carezzata dal visino sgomento e sostenuto.Ma qui, c’è anche nella stessa sala «Il Concerto» di Crocetti, così musicale cheascoltarlo è dolce, nell’ora meridiana stanchi del lungo girare fra le cinquanta sale.È un concerto di forme come le amava Giorgione. È un’ascensione lieve di corpifemminili, nello spazio, uniti nell’incanto della musica: musicalmente si concordain loro il gesto della braccia, il sospiro delle bocche, la sospensione nel sogno. Laterracotta, è cedevole al tocco di questo giovane scultore, tra i più lirici d’oggi.E piace, oggi, la terracotta a molti scultori. Vi ha fermate alcune espressioni di vec-chie dame, uno scultore segnalabile: Di Mote Lecconi, e, se pur legate ad esempla-ri impressionistici, pure una novità palesano, per la forza di rievocazione fisionomi-ca e per una gran fermezza di massa sotto la fluidità superficiale di tocco. In terra-cotta sono pure alcuni ritratti di un signore fatti da Antonio Lucarda, altri diBartolo Sacchi; in bronzo, sono bei ritratti di Antonio Berti ed altri di M. Guerasi.Il ritratto sempre resta l’agone da tutti tentato, e da non pochi virilmente superatoe citiamo ancora un ritrattino in cera di Manziù, sfumato delicatissimo e gli altri interracotta, piacevolissimi di Quinto Martini.Ma c’è anche qualche scultura in bronzo di ampie forme, con reminescenze lette-rarie, con zone troppo inerti e sono due sculture, una rappresentante il «Legionario»e l’altro «Pastore in riposo», scultura che dovrebbe essere più gustata come model-lazione.Nel giusto contemperamento di un misurato lirismo e di una sintetica modellazio-ne è tutta l’opera di Giovani Prini, artista equilibrato, sereno, che si rinnova senzafatica, si arricchisce senza volontà, con la naturalezza felice che hanno le cose dinatura di crescere con spontanea aderenza alle leggi. Le due fanciulle «Le stelle»,«Al balcone» ed anche «Alba» Americo Sarfatti, sono opere senza tormento, sem-plici, composte con una massa giustamente indagata con sobria misura.Sono tutte le virtù che mancano ad Arturo Martini, vivace, burliero, arguto, con uneloquio ora realistico etrusco, ora arcaico, ora modernissimo novecentesco, inesau-ribile nelle trovate, disputato dalle brigate se fosse stato un novelliere trecentesco.Presenta un gruppo di bozzetti, di piccole proporzioni e, se si guarda la statuetta«Salomone», si resta entusiasti del mondo come la figura si slancia nell’aria, con una

270

Page 271: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

forza che par giunga all’estremo della lama, e se guardi la figura accoccolata in terratutta aguzza, ti offende quella sua scomposta, maleducata e pur sincerissima posa ese guardi il «Ratto delle Sabine» dà peso reale sulla schiena la schiena della donnae se guardi certe testine, appena toccate, trovi, espressa la vita con una sinceritàparadossale. Così è Martini: arguzia e scherzo, inventività e commozione, indisci-plinatezza che può divenire eroismo o può cacciare in galera. Artista vivo però, chealmeno, se imita, trasforma, se scherza, sorride, se piange, sa nascondere la lacrima.Mano abilissima poi, che, se sfiora, accende la materia.Questa possibilità di affermare la propria personalità anche assorbendo tutte leesperienze, non riesce ad averla Alfredo Bigini, che in ognuna delle 16 piccoleopere, si propone un problema nuovo e con nuovi modi li risolve, di ora in ora pas-sando dal realismo romano, un po’ particolaristico alla grazia quattrocentesca, da unverismo delicatissimo egizio, ad un neoclassicismo studiatissimo.Incertezze restano, ma piacevoli, in un gruppo di tre opere di Lelio Gelli di cui, una,rappresentante Anita, sdraiata e dormiente, figura di donna classica nel morbidofluire della veste in concorde armonia delle linee del corpo aderente al letto comeperla al suo guscio, nella definizione di tutti i volumi, nella carezzevole modellazio-ne dei piani. Bella opera che resta, negli occhi piacevolmente.Un’altra figura femminile, vi è nella mostra sdraiata, e riposante, e riposate, sul suolettino di pietra ed è quella che rappresenta il «Sogno» di M. M. Lazzaro, artista diCatania, notissimo a Venezia, ignoto forse a Palermo.Si dice che egli imiti Martini, forse per il titolo o forse perché non si conosce tantodi lui, da intendere come questa sua scultura non sia maniera e imitazione, ma sialirismo e spontaneità. Conosco in realtà pochi scultori moderni, che sappiano comeLazzaro sospendere i corpi nello spazio con tale incantesimo, sappiano trovarearmonia chiusa di equilibri. Si discute sul particolare della sua opera, ma il gestodella braccia della dormente intorno al viso amagato di sogno, è di una bellezzasenza pari.Bisogna riconoscere che i Siciliani si fanno onore, tutti i pittori Giarrizzo, Rizzo,Castro, Buscio intelligentissimo, Guttuso, miglioratissimo, Amorelli, Guarino, di cuisi dirà a parte e qui fra gli scultori, Pirrotta, che ha una testa di stampo ormai noto, epuò fare tanto meglio, come si è visto alla Sindacale, il piccolo Enzo Assenza se rie-sce a vincere questa sparuta modellazione e su tutti, il sicilianissimo, anche se altrovevive, Francesco Messina, sempre saldo, schietto, sicuro, modellatore che ci fa tremaresoltanto per la sua fermezza che potrebbe trasformarsi in quiete sonnacchiosa.Ancora un’altra opera bella: «Creta », di Bruno Innocenti, modellata aristocratica-mente e «Paride» di Carlo Rivalta. E poi i «cuccioli» di Tafanari e i mostri marinidi Maina.

271

Page 272: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

E le citate possono bastare perché ogni pessimismo si disciolga nella gioia orgoglio-sa di sentirsi all’avanguardia nel cammino dell’arte.

11 Giugno 1936 – ALLA XX BIENNALE DI VENEZIA. IN CARLINGA SUI

PADIGLIONI STRANIERI

Sanzioni? Ma chiedete ai colombi di piazza S. Marco volteggianti tra sbattute disole e folate di pioggia da quante diverse mani di fanciulle essi ricevono la fugge-vole carezza battendo la luce con il fremito delle loro mani e quali e quanti gridi digiubilo accompagnano la loro schiera sciamante tra le guglie fiorite e le pensose sta-tue dei Sansovino! O sostate, per attimi, presso una cerube siepe di ortensie fioritenel giardino della esposizione e ascoltate in quante lingue diverse si esprime il com-piacimento, il commento agli artisti e alle opere!Dodici Stati partecipano a questa magnifica adunata, nella città italiana che hamandato in tutto il mondo, in tutti i tempi ambasciatori magnifici e raccolto espe-rienze che si chiamavano Bellini o Tiziano, Paolo Veronese e Tiepolo e Guardisenza i quali l’umanità priva della sua più perfetta gioia visiva e la pittura del mondoavrebbe avuto ben diverso e spiacevole corso! Dodici Stati: Austria, Francia,Ungheria, Germania, Grecia, Olanda, Polonia, Spagna, Svizzera, Cecoslovacchia,Belgio, Danimarca, ed ora nel padiglione riservato agli artisti stranieri residenti inItalia un gruppo nuovo di opere inglese! E si pensa in qual tempo il lavoro di alle-stimento presieduto sempre magnificamente dal Conte Volpi e da Antonio Marainie quale contrasto fra i concilii di Ginevra e questo merito dell’Arte, e quanta nobil-tà e quale valore ha assunto oggi la Mostra internazionale, che richiama qui tra lemura fiorite di ricordi marmorei delle più lontane imprese di Venezia, ieri repub-blica potente, oggi una delle molte e stupende città del regno e dell’impero italia-no, i rappresentanti della più alta cultura e quelli dell’arte! E quale taciuto, ma evi-dente monito dà la figura di Venezia, che sta sull’alto soffitto del Palazzo Ducale,continuando a sorridere tra nubi di luci e corone di ali e petali di fiori alle divinitàche la guardano tra fruscianti carezze di vesti e al tempo vegliardo che non imbian-ca la sua eterna giovinezza bionda!Il ritorno al classicismoPiù che guardare le singole opere esposte nei vari padiglioni, perfettamente ordina-ti dai singoli commissari, prodighi di cortesie, più che fermarci ad una particolareanalisi delle pitture e delle sculture, dei disegni e delle stupende incisioni, ci piacecogliere i risultati più intimi di queste varie mostre e quali sono attualmente le aspi-razioni dell’arte e quali le conquiste e le soste.

272

Page 273: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Il primo avvertimento, sensibilissimo più al cuore che al cervello, è quello di unritorno al valore eterno dell’arte, che è la bellezza, conforto e gioia dello spiritoumano, ritorno alla natura per guardarla con occhi di serena contemplazione edaltra crearne più nobile ed alta, ritorno alla forma armoniosa e bella in cui la natu-ra si compiace, ritorno al ritmo, alla misura, al classico, legge del mondo!Nel padiglione ungherese i trionfatori sono gli artisti che hanno studiato a Roma,ivi pervenuti spesso dopo Parigi, lo scultore più intriso di classicismo è EugenioAbony di Budapest, giovanissimo, creatore di una S. Elisabetta di Ungheria e diritratti, opere larghe di serena bellezza; giovanissimi sono anche Tiberio Wildt eDosza, ed ambedue si accordano in una scultura senza verismo, equilibratissima edesperta di classiche eleganze. Né questo orientamento verso Roma è casuale, masincera, lo dichiara l’ordinatore della mostra Tiberio Gerevich, che ben coglie l’af-finità tra la moderna arte ungherese e l’arte italiana nel comune desiderio di giun-gere ad una poetica trasposizione del reale. Né questo vieta a Borberhei, per tre annipensionato a Roma, di elaborare con tutta originalità gli insegnamenti, restandoattento agli insegnamenti della sua terra.Dopo l’Ungheria, la GreciaAnche nel padiglione greco, dove la pittura è ancora ad uno internazionalismo unpo’ fiacco di risonanze individuali, non senza qualche eccezione come ad esempiola pittura di Giorgio Comodopulos, la scultura, che nell’ultima biennale si volevaavviare verso un astrattismo formale appare oggi orientata verso la più schietta rie-vocazione de classico nell’opera dello scultore che la rappresenta, CostantinDimitriadis dell’Accademia di Belle Arti di Atene. Questi è un artista che, since-ramente convinto dell’importanza che possono e debbono avere nella cultura deigiovani, la natura e l’arte classica, sta preparando, con l’aiuto del Governo, la for-mazioni di piccole pensioni per gli artisti e per i giovani più bravi delle Accademie,nei posti più famosi della Grecia per un si retto studio di quella natura che suggerìl’arte più bella e di questa arte che creò la natura più eterna! È un greco, conoscito-re espertissimo di arte italiana, ammiratore di Roma, sinceramente convinto che lasalvezza deve venire dal classico, valore mondiale dell’arte. Ed è per questo che eglimodella un corpo di donna, senza testa, uscente dal blocco di marmo che imprigio-na, con un’ondata di vita fluente nel dolcissimo corpo ricurvo, e mantiene senzaripetere, quelle qualità di moderazione sensibilissima, quel gusto del bello che ebbe-ro gli scultori della sua terra. Si guardi il «Ritratto di donna» eseguito in un magni-fico marmo tutto caldo e sereno e si guardi anche l’altro ritratto che da romaneesperienze veristiche sa descrivere tanta osservazione della realtà.La Spagna si orienta verso l’Italia Al neo classico, con una scarsa vibrazione individuale, ma con una tecnica espertissi-

273

Page 274: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

ma, si lega pure il più famoso scultore della Spagna: Iose Clara; più particolarmentealla pittura italiana si avvicina la pittura quando non si sofferma a riprese di arte loca-le. La stessa tendenza di alcuni pittori italiani ad una pittura idilliaca, graduata di toni,a certe accortezze musicali tenere e sfatte, appare qua e là nella pittura di Spagna, sìche spesso vien fatto di ripetere nomi di artisti nostri e non soltanto moderni, ma anchedi ieri. Qua è un ritratto di Ruiz Cristobal che ci fa pensare all’arte italiana, qua è un«Nudo» di Limona Rafael che ricorda i soffici nudi di Romagnoli, là sono certe cru-dezze alla Tito, certe decorazioni alla Irolli o certe piogge di colore alla Novellini. Ma,più che la pittura, si impongono due incisioni di Antonio Viladense plasticissime,mentre gradevolmente si guardano le sculture di Eva Ageerhol, le quali rievocano scul-ture popolari e le altre di Mariano Benliure concepite fortemente e poi troppo minu-tamente decorate e, infine, meravigliandosi di tante superbe possibilità cromatichemale impiegate a romanticismi rappresentativi, si guardi la pittura di Gonzales:«l’Incatenato», paurosamente sospeso in un cielo nero sopra una campagna nera!L’AustriaDi gran lunga superiore a quella della XIX Biennale, questa mostra d’arte austria-ca ordinata da S. E. Nicola Post, riesce a testimoniare, efficacemente lo sforzocostante, elogiabilissimo, dell’arte austriaca di pervenire ad una espressione lirica, aduna parlata libera dalla solite influenze parigine, e dalle solite esagerazioni espres-sionistiche germaniche. Originalissimi sono certi disegni acquerellati diBartolomeo Stefferi, eseguiti a grandi tratti di nero su zone decisamente biancheche scavano solchi di ombra sulla luce componendo scene religiose, di una nobiltàe tragicità senza pari. Ma molto vi è interessante: la scultura di Erlich presenta caldee armoniose qualità di plastica e altre sculture come la testa del compiantoCancelliere Dollfus e della giovane Pauli Rottler; mostrano un dominio della mate-ria ed una esecuzione ritrattistica assai acuta.Nella pittura accanto a continuazione di forme tradizionalistiche, e non vivificateda particolare esperienza, si trova anche una pittura di presupposto decorativo, maoriginale e piacevolissima come quella di Zenritisch, ammiratissima, e quella diZûlow con una spiritossissima assemblea di cani che si potrebbe intitolare«Ginevra», mentre una fresca pittura di tono ci offrono i quadri di Sergio Pausar.Una pittura seria, volta a ricerche plastiche, coloristiche ci sembra quella di AlfredoWickenburg anche se non riesce a mantenere nello stesso quadro eguali qualità. Nelquadro intitolato «Rincasando» la potenza costruttiva della parte inferiore, si atte-nua di molto nella parte superiore il che avviene anche nella pittura di Bockl, pre-potentissima di colore, con particolari plastici di rara bellezza e poi improvvisamen-te ritornante ad espressioni sincere. La pittura austriaca, anche se con poche operein ottimo sentiero.

274

Page 275: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

In Germania: I vecchi fan de giovaniStrano è il fenomeno della Germania che nel suo padiglione ordinato da EberhardHanfstangl, direttore della Galleria di Berlino, accoglie quadri che dovrebberotestimoniare «la mancanza di uniformità nella concezione artistica» dei quali, i piùvalidi e giovani, sono quelli degli artisti più vecchi e famosi: di Leo von König, adesempio, mentre quelli dei più giovani, sono di un passatismo tra il romantico ed ilcartolinistico, che non può, credo, essere una sincera espressione delle energie con-tinuamente rinnovatesi della Germania. Le quali forze si esprimono infatti nellascultura di Joachim Utech, il migliore fra tutti che presenta sculture in granito, vera-mente poderose, e in quelle di Richard Scheibe, assai accorte.Nel padiglione svizzero e nel belgaSperavamo trovare, quest’anno, l’annunciata Mostra del pittore, purtroppo scom-parso, Arturo Giacometti, di cui la pittura originalissima è, forse, tra le glorie piùpure della Svizzera, troviamo, invece, una pittura di giovani ancora non orientata inuna ricerca di costruzione pittorica e di espressione individuale, una pittura un po’disfatta di colore o semplicemente illustrativa e quindi di scarsa importortanza, sic-chè il ricordo delle due personalità di artisti presentati nella Biennale passata, CunoAmiet ed Ermanno Haller, resta come un godimento e un rimpianto.C’è visibile in molte opere un certo pigro procedere e dubbioso, una grande incer-tezza di afferrare un indirizzo, come se il fatto della arte non debba essere il piùricco e il più sincero ed il più indipendente da mode.Nel Belgio, ad esempio, s’ingorga una pittura imbastardita di elementi francesi par-nassiani e di un tardo espressionismo tedesco, che non approda a nulla se non adarricchire le botteghe dei mercanti. Vi sono, naturalmente, eccezioni: Anto Cante,ad esempio, che ha una bella tendenza a formare colore in un’atmosfera di fiaba, eCharles Le Bon con ottimi paesaggi, e Leon Navez ed Hery Logelain, e ArthurDeleu, e sempre piacevole, Devos e ancora, attivo ma uniforme, Isidoro Opsomer.Superiore a tutti - e sembra il più giovane ed è il più vecchio – è, invece, Tygate tragli scultori, Wansart, Verbanck e Delstanche tra gli acquerellisti, sono i nomi che siricordano con quello di De Bruyer, interessante incisore.Nel padiglione della CecoslovacchiaContano e valgono molto gli acquarelli. Questo fa intendere perché la scultura siatanto fiacca. Prevale un gusto al coloristico, tenue, fuso, dolce negli acquarelli diFleissner, di Sedlacek e tra gli scultori non c’è che Iosef Kubrack a dire parola nuova.Assai meno si può dire della Danimarca di cui i nomi degli organizzatori superanoin quantità e qualità quelli degli espositori. Ma la scultura che merita essere ricor-data, e in modo speciale, è quella di Iohannes Bjerg, interessantissima ricercatricedi nuovi ritmi, di nuove costruzioni sempre nello ordine classico.

275

Page 276: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Nel padiglione della Polonia sono state presentate due mostre retrospettive: quelladi Tadeus Marowski e l’altra di Friderich Pausch.Francia e Italia: concorde ricercaEcco nel padiglione Francese, accogliere il visitatore con un sorriso ancora più ama-bile di quello del Signor Hautecour, ordinatore della mostra e parlando in perfettoeloquio nostrano, il grande Degas che nell’architettura romana pare abbia derivatol’impostazione stupenda delle figure, nel quadro La Famiglia Belelli; Degas, italia-no e francese, che in Italia guarda e studia i nostri pittori, Degas ritrattista di ecce-zione, disegnatore, educatosi sui disegni di Pisanello, qui sta per testimoniare l’ope-ra di un grandissimo artista dell’impressionismo francese e quanto può in fantasiesensibilissime l’apporto della tradizione. Accanto a Degas, vi sono gli artisti d’oggi:scultori famosi come Landowski, che mantiene in tutte le sue opere la sana qualitàlatina di un realismo moderato e di un sereno classicismo, come Despiau, della stes-sa epoca, con ritratti assai belli e con un ritratto in bronzo dorato di vecchia ancorgagliarda signora che è veramente un capolavoro; poi Henrj Arnold e Poisson, ePomier, che fanno tutti e tre una scultura tradizionalista. Ma tutti sono intornoall’80 e quindi le tendenze estreme non appaiono rappresentate. Neanche in pittu-ra. Si direbbe che il «marainismo» cioè quel modo di fare apparire dalle mostrequanto possa turbare il pubblico, con estreme violenze, sia stato ereditato da tutti icommissari e dal Signor Hautecour in ispecie. Non sarebbe stato interessante vede-re, ad esempio, l’ultima produzione di Ricasso, ed anche di altri giovani oltre dellepitture di Marie Laurencin che viene dal futurismo, di cui altro non conserva peròche il gusto di piani coloristici in contrasto, affinato da parigina sensibilità femmi-nile. C’è, sì, la pittura di Gromaire, veramente violenta, indisciplinata, ma bastaguardare quel quadro rappresentante, con toni grigi e marroni, compatti e durissi-mi, le case ostinate e sole nella pianura nevosa, per farci vedere che egli ha possibi-lità stupende per una pittura lirica e solo per reazioni o per volontà faccia l’altra pit-tura, indisciplinata e stridente.Manca la pittura di avanguardia, appunto perché mancano i giovanissimi e c’è unapittura, prevalentemente di paesaggio, con la ricerca di accordi miti e sereni, e qual-che figura anch’essa studiata come tono. Anche Chapelain fa questo, che è il piùgiovane. Tutta la pittura francese, insomma, sembra disciplinata.L’Olanda: patria del bianco e neroGli Olandesi l’hanno pensato bene ed hanno allestito una mostra di litografie, dise-gni e incisioni, punte secche e acqueforti, che è una delizia a guardare ed utile perfar concludere che il bianco ed il nero sono i colori che riescono a dare o a sugge-rire tutti i colori e che riescono a tutte le accortezze della scultura, della pittura, delpastello, dell’acquarello. Sono un incanto e se nella pittura ci fossero tante novità di

276

Page 277: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

tecniche e di spirito, saremmo veramente beati. Certe stampe sul legno di Esserssono stupende per lo spirito poetico che le domina e per il contrasto fra i solchi inci-si e neri e le ombre vellutate e misteriose. Altre di Echer ottengono con ampie riser-ve sul bianco, effetti di luminosità spaziale, altre incisioni di Dijstria colorate, sug-geriscono visioni campestri di affascinante rusticità; le litografie di Berg, stupende,rievocano pescatori e paesaggi con lirico abbandono, le incisioni in legno diRozendal descrivono con una tecnica particolarissima i misteri dei fiori e quelli diVoerman riescono a suggerire tutto il peso e le varietà coloristiche dei frutti.Contenuto diverso e nuovo, slancio lirico a cui la tecnica espertissima offre tutte lepossibilità di espressione, aderenza tra la tecnica e lo stile, potenza di suggerimen-to coloristico e plastico,questo mostrano le opere degli artisti olandesi, degnissimieredi di Luca van Leidas e di Rembrandt.Gli stranieri in ItaliaNel padiglione della Gran Bretagna sono stati ospitati gli artisti stranieri residentiin Italia e gli stessi inglesi, occuperanno fra giorni alcune salette dell’esposizione.L’Italia ha voluto offrire così la prova più evidente di cordiale ospitalità.Tra i giovani compositori, che seguendo la tradizione vengono a studiare a Roma,ricordiamo in modo particolare Luca Gyelmia con una pittura forte, decisa e pla-stica, Guido Caprotta spagnolo, per certe patetiche scenografie e Guttierez diSpagna, per certe durezze di composizione e di forma che lasciano sperare una pos-sibilità futura di migliorare elaborazione plastica, Cecilia Sturt, per certi delicatis-simi fiori di pesco e Maria Bodker, per una piacevole natura morta; mentre, tra gliscultori, va posto in prima, il polonese Iadwga.ConclusioneCompiendo il giro dei vari padiglioni e soffermandoci a pensare e a meditare suquesta esposizione internazionale due domande urgono allo spirito.Le singole esposizioni ci danno veramente il meglio della produzione europea e checosa cerca l’arte del mondo?La prima domanda non ha risposta affermativa. Non è possibile, ad esempio, che lapittura francese, la pittura spagnola siano in due anni passate a questa disciplina;non è possibile che quest’aria di collegio circoli in tutte le sale. Concorde, pare, iltimore per la pittura di avanguardia, che invece deve essere preferita alla pittura diripetizione piena di pigrizia muffita, o alla pittura bene educata, completamenteinutile e sonnacchiosa che sa tutte le grazie e le convenienze internazionali ed èdistaccata dalla propria terra. Nella biennale di ieri pareva visibile l’orientamento aun’arte regionale più aderente al gusto e allo spirito delle singole regioni, ora inve-ce riappare quell’internazionalismo alberghiero corretto e garbato che è fatto diimpressionismo e di meditazioni superficialissime della natura. Anche le mostre

277

Page 278: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

retrospettive, nei padiglioni stranieri, dovrebbero essere più limitate, non più di una,ad esempio, per lasciare più spazio ai giovani. E se giovani non vi sono, di spirito edi arte, e se artisti non vi sono, non è proprio indispensabile che le pareti dei singo-li padiglioni debbano essere riempite di pitture mediocrissime. La dignità e l’inte-resse di queste mostre internazionali sono diverse da quelle di una regionale o diuna nazionale. Spiriti occorrono, parole nuove, e scambio di reali conquiste, fusio-ne di effettive potenze, e, in tutti, l’orgoglio di offrire il meglio del proprio paese.Ma c’è veramente in tutti gli ordinatori e in prepotente misura lo spirito patriotti-co ardente e puro che consente di superare tutte le particolaristiche ambizioni?Veramente la partecipazione alla Biennale di Venezia si considera con la stessa par-tecipazione ad una contesa, ad una gara?I giardini dell’esposizione sono i giardini d’Olimpo o semplici sale da te per lechiacchiere internazionali? Sono domande che si fanno per noi e per gli altri, nonper la realtà di oggi, ma per la paura di domani. Perché l’arte ritorni sugli altari ènecessario formare la nuova milizia. La milizia è vigilia e pugna. È anche fede.

14 Giugno 1936 – ALLA TRIENNALE DI MILANO. TRA ORI E SPLENDORI*

La cristallina gelidità della grande Sala dei Tesori di oreficeria italiana mi investì emi offese come una gettata di aghi aguzzi sul viso, come una ghiacciata improvvisasull’ansia fiammante. Sulle assicelle, le bare cristalline si allineano terse e polite incorteo popolare, custodite da gialli custodi, silenziosi e arcigni come i giudei nelgiorno della processione sacra del venerdì santo nell’isola mia lontana. La perples-sità dello spirito si accese però di improvvise fiaccole ritrovando in quella cristalli-na trasparenza improvvisi splendori. La realtà scomparve; come sostenuti da maniinvisibili, sopra altari incorporei, realtà sognata, rievocata per benevole magia dallesagrestie ombrose e vellutate, dai neri sepolcri, dai velluti, dalle sacrestie bizantine,apparivano calici, ostensori, croci, ampolline, reliquiari, paliotti, turiboli, coppe,anfore, faci.Oro-oro-oro-oro, gonfio di smeraldi, di cammei, di lapislazzuli, di perle, di topazi,di smeraldi, di rubini, di acquemarine, di carbonchi, di smalti opachi, di smalti tra-slucidi, oro pallido, acceso, vermiglio, oro imprigionato da filigrane barbariche,avvolgenti come capelli femminili, aguzzo di guglie gotiche, sepolto da girali e daviticci, oro modellato in rilievi rinascimentali, in ondulazioni settecentesche; orobattuto, cesellato, inciso, bulinato, graffito; oro tormentato, frugato, ferito, carezza-to, baciato.Da quante mani etrusche, greche, romane, in quanta diversa gioia la lamella aurea

278

Page 279: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

fu toccata e segnata per manifestare la civiltà di un popolo, il suo amore alla bellez-za; quanti secoli di storia diversa, storia cristiana, comunale, rinascimentale, baroc-ca, furono segnate in queste materie preziose e come lo spirito italiano è riuscito amanifestare ed ad eternare se stesso anche in queste opere, eterne tanto quanto laCappella Sistina, il Tempio malatestiano, gli affreschi della Segnatura. Arte mino-re che diventa maggiore, che diventa espressione di una razza privilegiata, di unpopolo sempre segnato al destino più alto.Dall’arte etrusca all’arte romana Gli etruschi, come i greci, toccarono l’oro con mani esangui; essi che sapevano muo-vere massi enormi e voltare archi, seppero granularlo, incinderlo con delicatezza dolcee persuadente. Qui sono venuti a ricordare la loro esperienza i gioielli etruschi di ValleGiura, alcuni specchi famosi del Museo Archeologico di Firenze, e tra le più rare coseuna cintura d’oro, tutta a lionelli e sfingi allineati in corteo, piccoli, miniaturistici,infantili, deliziosi, esempio di quella esperienza nel lavorare l’oro che, arricchita dellealtre ellenistiche, passò ai romani divenuti subito abilissimi a lavorare di sbalzo perornare le coppe adatte al buon Faleno. Con mano gagliarda, senza la fragilità etruscae greca, i Romani nell’epoca augustea eseguirono magnifiche opere di argenteria e quisono a rappresentarle belle coppe provenienti dalla casa di Menandro, e gioielli e fibu-le pesanti e, oggetto più raro, la bella coppa di Lovere, romana, eseguita a lieve sbal-zo con un motivo decorativo di pesci guizzanti attorno al pescatore assorto, di unagrazia e modernità decorativa incomparabile.La storia dei romani e la diffusione della loro arte nello spazio e nel tempo puòessere indicata anche da altre opere: sta ad esempio a ricordarla il grande scudoArcaburio (434 d.C.) con figure ancora di classicità intrise, malgrado si tratti diopera compiuta nel V secolo, all’inizio della barbarie. I barbari ereditarono dairomani una grande somma di esperienze che essi cercarono mantenere con grandesfarzo, presto però rinunciando alla fatica e abbassandosi a più semplici effetti dicolore con l’uso dei mosaici vitrei, delle pietre, in grossi castoni, delle incisioni geo-metriche. Anche di oreficeria barbarica la mostra presenta alcuni oggetti non certofra i migliori che Monza assai gelosamente vuol custodire; mentre di argenteria cri-stiana appaiono due opere di grande interesse: le Capselle del Duomo di Gradolavorate in pallido argento con forme romano-bizantine, che sempre più dileguano,sopraffatte dall’impeto barbarico, nella Capsella del Duomo Cividale del X secoloancora decorata però a classici cammei.Ottimamente sono stati riuniti ed esposti nella stessa sala alcuni esemplari bellissi-mi di oreficeria romanica. L’aspirazione al concreto, al massoso, alla espressioneumana, che è nella scultura romanica si trasporta anche nell’oreficeria che amacomporre crocifissi in oro crucciati di umanità dolorosa e potenti simboli di evan-

279

Page 280: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

gelisti e accanto a questi, ama delicatissimi smalti e filigrane, esperienze carolingiee bizantine. Appaiono opere di una rarità eccezionale: la coperta di Evangeliario delDuomo di Capua, con le sue minute filigrane d’oro sulle quali si accendono smaltied alveoli conclusi di colori inarrivabili per trasparenza, per vivido splendore; lacoperta di Evangelario del Duomo di Chiavenna, la Croce di S. Leonzio, altreopere, che allo studioso come al pubblico offrono un durevole incanto.L’oreficeria di Sicilia Ma non c’è alcuna opera che ricordi l’oreficeria siciliana del periodo romanico, inquel periodo cioè in cui al Palazzo Reale di Palermo, da artisti arabi e bizantini,esperti di tutte le mondiali esperienze, furono compiute opere che il nome di Siciliaportarono nei luoghi più lontani. Non c’è la cuffia di Costanza imperatrice, non c’èil superbo manto regale oggi a Vienna, quei sandali, quei guanti, quella spada chetestimoniano il fasto di una corte eccezionale, la corte dei Re Normanni in Sicilia.Non vi è ricordo dell’oreficeria romanica e non vi è ricordo dell’oreficeria gotica chepur ebbe magnifico splendore e di cui i tesori di Palermo, di Geraci, di Nicosia, diPetralia, di Catania, di Trapani conservano esemplari numerosi a non ricordare idue capolavori di Pietro palermitano custoditi nel Monastero di S. Martino delleScale presso Monreale. Tutta l’oreficeria siciliana che dal 1000 al 1700 ebbe unosviluppo originalissimo è rappresentata in questa mostra soltanto da due opere trale più incerte e le più insignificanti.Le mostre vanno organizzate con moltissima competenza, ma specialmente conmolto amore di patria, con l’impegno di una gara ideale, con l’entusiasmo di offri-re l’inatteso, la gioia di valorizzare l’ignorato, con l’orgoglio di dare il meglio e il più,soprattutto con sincero spirito di italianità.Chi ebbe per la Sicilia queste qualità? E per la Sardegna chi le ebbe?Cose vecchie e consuete. Fa meraviglia che ci resti ancora la voglia di ribellione aquesta costante denigrazione, trascuratezza ed ignoranza dei valori artistici diSicilia. Colpa nostra si intende.Anche Cataluzio da Todi borbottaCataluzio è, per chi non lo sapesse, il più grande orafo che nell’Umbria ha elabora-to le magnifiche esperienze gotiche senesi.L’oreficeria senese è rappresentata si nella mostra, non però in modo da offrire suf-ficiente risalto all’importanza che essa ebbe, in quel periodo in cui maestri francesie tedeschi contendevano il campo, per aver saputo modulare le varie frasi gotichecon originale accento, e per la originale invenzione degli smalti translucidi cheebbero diffusione nel mondo e furono da tutti imitati. Non era facile, comprendia-mo bene, esporre le opere d’Ugolino e di Giovanni di Bartolo. C’è però il magnifi-co calice di Cataluzio da Todi con la sua patena splendidamente adorna di smalti.

280

Page 281: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Ma la patena è giù nel primo piano dell’armadio, così vicina alla terra che guardar-la, studiarla, è cosa veramente penosa e spesso, tentando di osservarla, abbiamo sen-tito il buon Cataluzio borbottare perché mai in tanto razionalismo di esposizionegli sia toccata la sorte comune alla oreficerie, nei vecchi, ammuffiti musei ottocen-teschi.Né è il solo a parlare: c’è anche il paliotto di Città di Castello che si lamenta del-l’ombra, e la mitra del Duomo di Ravello perché è posta così in alto, che inutilmen-te fa scintillare lo splendore dei suoi smalti. Ma noi ci chiedevamo piuttosto perquali ragioni non sia stato seguito un ordine cronologico nelle esposizioni delle ore-ficerie, perché, ad esempio, le opere di Cataluzio siano tanto lontane tra di loro, per-ché si alternino opere etrusche e romane e cristiane, romaniche e gotiche con tantafrequenza, e perché la Croce di Brescia, eccezionale pezzo di oreficeria, sia posta inmodo che per guardarla dal dritto e poi dal rovescio bisogna percorrere tanto cam-mino. Così impegnati a domandarci perché il razionalismo scientifico della esposi-zione non sia stato mantenuto in tutta la sala e per tutti i pezzi non ascoltammo ilborbottio di Cataluzio da Todi che stava lì in basso a piagnucolare citando la sala eil modo con cui splendidamente esposto sta un piatto di Faenza.Fasti della oreficeria rinascimentale Benvenuto Cellini, si sa, è sempre fortunato, ed eccolo qui, a vantarsi ancora dellastupenda saliera di Vienna, ed eccolo circondato da numerose opere come il piattoe la coppa di Modena e i gioielli magnifici della Collezione Rotschild un tempo alui attribuiti.Tutta l’oreficeria del Rinascimento è però bene rappresentata anche da altre opereappartenenti al Museo degli Argenti a Firenze e un tempo appartenenti a Lorenzode’Medici; di altre opere sontuose e ben note come la cassettina in cristallo diValerio Belli, che alimenta il sogno come una notte lunare, delle magnifiche ampol-line di cristallo, in argento smaltato e cristallo di Rocca, di una grazia incompara-bile per l’ascesa agile dei rami sullo splendore vitreo, appartenenti al Museo delLouvre; per la pace di Enrico VII e stupendamente adorna di smalti e gemme, pre-ziosissima opera di oreficeria lombarda, anch’essa nel Museo di Parigi, per laCassetta Farnese del Museo Nazionale di Napoli eseguita da Antonio Manno eGiovanni di Castel Bolognese, maestri che gareggiarono nella bellezza e fantasia diornato e nella euritmia architettonica con Benvenuto Cellini.Fu il 400 ed il 500 l’epoca più interessante per la storia dell’oreficeria italiana: in alcu-ne regioni restavano le forme gotiche, in altre si infiltravano le forme classiche; sialternano spesso le une e le altre con grazia incomparabile. Venezia ebbe nel quattro-cento orafi inarrivabili nel lavorare l’oro e qui sta a dimostrare la loro esperienza unmagnifico calice tutto a fregi gotici con una ronda di angioletti intorno alla coppa che

281

Page 282: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

richiama assai da vicino il motivo decorativo dell’ostensorio di Capodistria probabil-mente eseguito insieme con il calice del Museo di Londra e i candelieri di CristoforoMoro nel Tesoro di Venezia dello stesso orafo magnifico ed esperto. C’è pure nellamostra un esemplare di oreficeria abruzzese, un esemplare solo, poco, per tanta gusto-sa e spontanea fioritura di oreficeria: una croce di Nicola di Guardiagrele, il grandemaestro abruzzese, il provinciale dotto di tutte le esperienze e pronto a sfoggiarleanche senza occasione; c’è anche la magnifica croce astile della Chiesa dell’Incoronataa Lodi, opera dei fratelli Rocchi milanesi, c’è una croce tutta pesante, tutta splenden-te con alternanze di ori e di argenti opera di Gerolamo delle Croci che in tutte le chie-se di Brescia e della Valle Camonica, lasciò ricordo della sua straordinaria perizia; c’èil reliquiario del Duomo di Spoleto un po’ grave e pesante anche se armoniosamentearchitettato. Alcune pauci di scuola toscana e lombarda del secolo XV, alcuni cristal-li di Rocca stupendamente lavorati e gioielli, e altre opere testimoniano l’incompara-bile perfezione raggiunta durante il quattrocento e il cinquecento dall’oreficeria ita-liana che fu in quell’epoca erede raffinata di tutte le esperienze romane, greche-roma-niche, carolingie lavorazione delle pietre preziose, dello smalto, dei cammei, dei cri-stalli. Fu quella l’epoca aurea, quando Michelangiolo e Raffaello davano i disegni agliorafi e quando orafi furono il Francia, il Botticelli, il Verrocchio, il Pollaiolo, e quan-do ogni più piccola opera volle esprimere una fantasia e un sogno di bellezza e gra-zia.Oreficeria barocca in castigoCon tutti quegli ornati, con tutte quelle prepotenze di colore, la oreficeria barocca, sicapisce non poteva entrare in questa accolta di grandissime autorità dell’oreficeria ita-liana. Dunque, in castigo. Appena appena un oggetto napoletano e una pace trapane-se. Neanche il settecento si dichiara fortunato che senza alcuni pezzi assai belli, maassai francesi di argenteria da tavola, sarebbe stato del tutto condannato fuori dallaporta, come un adolescente vizioso. Sarebbe stato opportuno invece rappresentare unpo’ meglio, in questa sintetica storia dell’oreficeria italiana, proprio l’oreficeria baroc-ca, che nel suo impeto ornamentale, nel suo slancio immaginifico, nelle nuove trova-te teoriche, nelle nuove ricerche architettoniche, nei suoi ondulamenti di materia, nelsuo gusto al pittorico, allo scenografico, riuscì ad offrire ancora altri originali esempia tutto il mondo e riuscì a preparare l’avvento a quella fioritura francese settecentescache di molti italiani motivi seppe intelligentemente giovarsi.Un po’ affrettata, un po’ scarsa questa mostra, ma le opere che vi sono, veramentebelle, sono tali da offrire al visitatore una visione di eccezionale bellezza.

282

Page 283: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

21 Giugno 1936 – UNA IMPORTANTE RACCOLTA DI DISEGNI ASSICURATA ALLA

CITTÀ DI PALERMO

Una collezione di circa seicento disegni di maestri siciliani appartenuta al compian-to Avv. Alfano e formata intorno ad un cospicuo numero di disegni provenienti dallaraccolta di Agostino Gallo che li aveva ricevuti da Vito D’Anna, è stata recentemen-te acquistata, nella sua totalità, salvandola da inevitabile dispersione, dal Baron LoMonaco Sgadari, sempre vigile ed attento ad ogni opera di bontà e di bellezza. Lacollezione è pregevolissima sia per la rarità – non esistono che pochi disegni di mae-stri siciliani in altre collezioni private – sia per il numero veramente rilevante che rie-sce a illustrare tutta l’attività pittorica siciliana dal seicento all’ottocento.Vi si aggiunge un piccolo numero di disegni di Corrado Giaquinto, di FrancescoSolimena e del Piazzetta, sicchè nella sua totalità la collezione merita di essere sal-vata così come meriterebbe di essere assicurata alla Biblioteca Comunale o allaStoria Patria, una collezione di manoscritti sui nostri maestri siciliani del settecen-to, preziosissimi per ricostruire la loro via e i loro rapporti, anche questi raccolti dili-gentemente dall’Avv. AlfanoDal Novelli al PataniaI disegni di Pietro Novelli non sono molti, in cambio, offrono una interessantedocumentazione sull’attività dell’artista morrealese sia nel campo dell’architetturasia nel campo delle arti minori. Accanto a disegni di porte e finestre vi è un dise-gno di cassa reliquiaria che richiama quella di S. Rosalia nel Duomo di Palermo eun disegno rappresentante un superbo vaso secellato sul tipo di quelli immaginatida Polidoro da Caravaggio e da Pierino del Vaga, sparsi nel Museo di Londra o nelMuseo Storico di Vienna.Del prediletto discepolo di Pietro Novelli cioè di Giacomo Lo Verde vi è un solodisegno che rappresenta la SS. Trinità e angioli; di Pietro Dell’Aquila intelligentis-simo pittore, incisore, decoratore del seicento ne restano tre, di cui uno, rappresen-tante la Madonna col bimbo a tocchi di penna rapidissimi e lievi, è un prodigio diincantevole grazia. Qualche altro elemento di conoscenza sull’arte del disegno nelsecolo XVII si può ritrovare nelle collezioni private: in casa Bordonaro, ad esempio,esiste il libro di disegni posseduto da Agostino Gallo con interessanti bozzetti diPietro Novelli; in casa Agnello esiste un disegno di grande interesse già catalogatoe illustrato da Agostino Gallo.Per l’arte del settecento invece la raccolta di Alfano presenta un complesso vera-mente significativo per quantità e per qualità. Vi stanno anche con molta opportu-nità alcuni disegni di Corrado Giaquinto, uno che rappresenta «La Natività» ed èil primo schizzo graziosissimo del bozzetto che si trova nel Museo di Palermo e che

283

Page 284: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

servì per la grande Natività della Cattedrale di Pisa, un altro, pregevolissimo, perqualità di stile, rappresenta il Trasporto delle Reliquie di S. Gennaro e servì per ilgrande quadro della chiesa di S. Gennaro a Napoli di cui il bozzetto luminosissi-mo, scoppiettante di colori, si trova pure nel nostro Museo; dico con opportunitàperché essi valgano a testimoniare pure i rapporti di Corrado Giaquinto e quelli diVito D’Anna – alcuni in carta azzurrina con tocchi di biacca, veramente piacevoli– può giovare a far riconoscere verso quali tendenze fortemente plastiche si orien-tasse Vito D’Anna, mentre i disegni di Elia Interguglielmi per le sovrapporte delPalazzo del Governo o del Palazzo S. Marco mostrano una maggiore fedeltà albarocchetto decadente napoletano.Dei tre Sozzi: Olivio (1690-1765), Francesco, Agatino (ai quali si deve aggiungereun altro Olivio, figlio del grande, e vissuto a Palermo fino al 1835) v’è un discretogruppo di disegni tra i quali quelli di Olivio, il Catanese, suocero di Vito D’Annasono i più belli, audacissimi di disegno, e fermi; di Agatino sono alcune spiritosecaricature, di Francesco, meno originale, soffocato tra l’arte di Vito D’Anna e l’ar-te di Olivio, alcuni spunti per decorazioni di soffitto.Più di cinquanta disegni illustrano anche l’attività dei Manno, di Antonino, diFrancesco, di Vincenzo, una triade operosissima a Palermo, a Trapani, a Siracusa, aNapoli, a Malta; maestri non originali ma garbati, piacevolissimi interpreti delgusto dell’epoca e dell’arte di Vito D’Anna.Rari e veramente deliziosi sono alcuni disegni di Ignazio Marabitti a penna, a pic-coli piccoli tratti, con una levità di segno che meraviglia pensando alla solidità pla-stica delle sue opere, alcuni importanti dal punto di vista storico, altri dal punto divista estetico. C’è ad esempio, il primo disegno a penna del gruppo rappresentanteS. Martino che distribuisce il mantello ai poveri del Monastero di S. Martino delleScale, che mostra ancora slegata la sua visione, un altro, fatto per la stessa opera,rivela una maggiore coesione tra i vari elementi, mentre un disegno dal vero dellatesta di cavallo, mostra la diligenza della sua preparazione; v’è il disegno della sta-tua del cavallo marino eseguito per il principe di Paternò nella sua casa dellaFieravecchia ed oggi alla piazza omonima, vi sono i disegni di quattro statue deco-rative, due a penna, due a matita, di una nobiltà classica veramente notevoli, e infi-ne quattro disegni uno con la Madonna in gloria tra testine di angioli, l’altro configurine allegoriche, il terzo con la figura di un santo Vescovo, l’ultimo con l’Eterno,diafani, lievi, di una soavità che incantano.Anche gli altri artisti minori del settecento, sono rappresentati nella bella raccolta:Filippo Randazzo, il Coppolino, Gaspare Serenario, il La Bruna del quale, ultimo,esiste un disegno già maturo di un grande sipario per Quaresima, fatto per Trapani.Per l’ottocento vi sono più di duecento disegni: cento quasi, appartengono a

284

Page 285: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Giuseppe Patania: in massima parte sono di contenuto storico narrativo, altri sonola copia degli affreschi in gran parte distrutti di Pietro Novelli in S. Francesco, nellacappella S. Anna a Casa Professa, della ex sala del parlamento del Palazzo Reale,un ultimo disegno rappresenta un paesaggio ed è grandemente interessante. Tuttigli altri artisti della prima metà dell’ottocento, Giuseppe Valasquez, VincenzoRiolo, Giuseppe Scaglione, Giuseppe La Farina, Mario Vaccaro, FrancescoOgnibene, Michele Giarrizzo, Paolo Calascibetta, Giuseppe Renna, tutti hannolasciato il loro ricordo. Tutte le conquiste, insomma, tutte le inesperienze, le graziee le gelidità del secolo, e anche tutta la fervida operosità appare in questa serie didisegni che sarà il vanto della collezione Lo Monaco.

25 Giugno 1936 – ALLA VI TRIENNALE DI MILANO. I PASSATISTI IN CROCIERA

COME SI ARCHITETTA NEL MONDO

Se ancora esistono passatisti convinti, golosi protettori di tortellini umbertini egelatina di campagna formati di zucchero filato, pan di Spagna, caffè, caramelle:gotico, rinascimento, barocco e settecento, bisogna guidarli per la guarigione, allaTriennale di Milano e precisamente al Padiglione, bianco azzurro e tutto luce,architettato da Pagano, che ospita fotografie e plastici di tutte le più interessanticostruzioni del mondo in due sezioni, una dedicata alla architettura italiana, l’altraalla architettura straniera, ordinate sotto la diligente e intelligentissima guida diAgnol Domenico Pica.In breve tempo, e poca fatica, facendo scivolare gli sguardi sulle pareti e sui telai, sipossono contemplare officine, case, sanatori, cliniche, università, ville, stadi, pisci-ne, collegi di ogni parte del mondo e, ben guardando e tutto ben osservando, ai pas-satisti in crociera non resterebbe altro che recitare la canzone degli addii.Addio colonne e colonnine gonfie e pasciute, che imperaste per millenni dal tem-pio di Karnak al Partenone, dal chiostro di Monreale alla chiesa di S. Spirito, dalportico berniniani al monumento Sacconiano; colonne grosse e sottili, scanalate oliscie, fiorite di capitelli o senza, colonne e colonne, amoroso spirito di Ugo Oietti;addio timpani curvi e spezzati che per vari secoli con intermittente amore ritorna-te dalla Casa di Diocleziano ai Propilei di Palermo; addio stucchi e stecchetti, fregie fastoncini, ghirlandette, bugnati e bugnatelli, merletti e ricamini, punti a croce epunti a stella, sparsi a piene mani con capriccioso disordine sulla superficie deipalazzi; addio archetti ogivali, e cornicetta a gioco; e saloni con fregi dorati di zuc-chero filato, e cucinetta e lavandino puzzanti: addio torricelle e cupolette, merli egugliette, addio!

285

Page 286: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Finiti i compromessi, le transizioni, il passato moderno, il moderno moderato, l’an-dantino ma non troppo, il moderno «ma però », finite le figure retoriche, le reticen-ze, i punti esclamativi, gli interrogativi, tutto è rettilineo, levigato, piallato, geome-trico, cristallino, sillabato, scandito, chiaro, inequivocabile.Al paradiso dei passatistiMa se il cuore vi duole, o passatisti, guardate bene, come da Napoli in giù non appa-ia testimonianza nel padiglione italiano di alcuna costruzione moderna. Il che provache nulla siasi costruito nell’ultimo triennio o che sia mediocre o che sia ignorato.E non si riprenderà, per questo, il tono geremiaco usato per la mostra dell’orefice-ria antica che non accolse i tesori dell’oreficeria siciliana per locale indolenza oignoranza o malizia, mentre bene accolse per l’attività intelligente degli addetti allaSopraintedenza campana, i tesori medioevali di quella regione; non si starà a muo-ver querela contro gli ordinatori di questa mostra di architettura che è la più bella,la più italiana nel gusto e nell’ardore, ma semplicemente si proporrà che sia aggiun-to al padiglione dell’architettura moderna un padiglione di conforto, di gioia, diconsolazione pei passatisti in crociera e questo sia un padiglione tutto dedicato allaSicilia, alla Sicilia, paradiso dei passatisti.Che vi stiano ben allineati, con tutti i particolari, il campanile, le chiese, i palazzi diMessina, stupenda, infelice città che poteva divenire il centro della più perfettaarchitettura funzionale, ed è divenuta invece il trionfo dell’eclettismo parolaio, labottega dei pasticcetti ammuffiti, la gazzarra delle discordie architettoniche. E visiano anche plastici e fotografie di tutti i palazzi e palazzoni sorti a Palermo, nelcuore della città, nella zona di risanamento del rione Conceria, e gli altri che zittizitti sbucano fuori al fondo di via Libertà e stanno costituendo nel quartiere medioe-vale intorno al castello gotico Rutelli, o le altre che vanno crescendo, ingenuamente,qua e là in Sicilia, regione dove non si concede ai giovani altro che la fatica e l’ono-re di far concorsi che non sono mai attuati e si fiacca la loro volontà si distrugge illoro ingegno, si condannano a compromessi per vivere, mentre pochi, e non semprei più degni, spadroneggiano impuniti, imbarbarizzando la nostra isola civilissima!E poiché raramente si dà incarico ai nostri architetti siciliani di costruire un edifi-cio nell’Italia settentrionale, si potrebbe pregare lo architetto Mazzoni, che ripeta,per il padiglione, il prospetto del Palazzo delle Poste di Palermo, specialmente quel-le colonne di cemento armato coperte di billiemi, belle, bellissime colonne, a noisiciliani educati col tempio della Concordia e di Segesta, a noi tanto care!Un padiglioncino solo, dove siano allineate le fotografie dei frontoncini, alla classi-ca, delle cornicette alla gotico-catalana, dei merli, guelfi e ghibellini, delle parastesettecentesche, delle colonne barocche, di tutti gli ornamenti che appaiono sullecostruzioni di pessimo gusto eppur dette di stile novecento!

286

Page 287: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Coraggio, passatisti in crociera, puntate la prua della vostra caravella verso la Sicilia;da Taormina, rifugio di tutto il romanticismo del mondo, passate a Messina e aPalermo.Evviva, evviva il gotico e il rococò!Come si architetta nel mondo?Gli innamorati miopi stiano allegri: l’architettura si orienta verso l’orizzontalismo;in tutto il mondo, ma specialmente in Italia pare abbandoni i grattacieli spavente-voli, i caseggiati-torre, i getti pietrificati di case, i parallelopipedi immensi buche-rellati, i pantagruelici edifizi; pare abbandoni il verticalismo eccessivo non sorrettoda una casualità mistica, ma empirica, l’inutile gara con le nuvole, con i corvi, con icomignoli. L’architettura ritorna a sdraiarsi sulla dolce e materna terra. Si va deter-minando la necessità di una modificazione essenziale dei vari tipi moderni costrut-tivi in adattamento alla latitudine di una città, per cui il verticalismo, funzionale neiluoghi privi di luce? là dove l’abete cresce alto e sottile anch’esso spinto da egualenecessità? non lo è più nei luoghi mediterranei, là dove il vigneto si distende sullaterra, riparando il frutto sotto il fitto fogliame.È la ripresa di quella logica costruttiva che senza molte teorie applicarono i nostrimaestri gotici, da Arnolfo da Cambio che moderava l’ascesa delle arcate in S.Croce, ed esaltava la massa nel Palazzo Vecchio, a Lorenzo Maitani, che equilibra-va con tanto musicale spirito le dimensioni e le decorazioni nella Cattedrale diOrvieto.Ma già nell’insistenza con cui si parla da qualche tempo di architettura mediterra-nea, e nell’attenzione con cui, alla triennale stessa, è stata fatta una piccola mostradi tipi costruttivi popolari, già in questo studio amorevole delle vere necessità delpopolo, diverse dal nord al sud, era da trarre auspicio di una revisione totalitaria del-l’architettura popolare.Ormai l’esperimento delle case enormi, divise a piccoli quartierini si può ritenerefallito, sia per l’agglomeramento pericoloso, sia perché, in terre meridionali, il popo-lo, che ha la gioia della bella natura e del clima dolce, preferisce il riposo all’aperto,nel cortiletto della casa o nel giardino.Chi potrebbe persuadere un contadino siciliano ad abitare una stanza, la più como-da, ma al decimo piano di una costruzione in cemento armato, se egli è contento didormire col mulo, col porcello, coi figli e la moglie in un unico ambiente per poterrestare qualche ora dinanzi alla porta della sua casetta che colora due volte all’an-no, differenziandola in qualsiasi modo anche con una grasta di basilico, da quellavicina? E non soltanto in Italia, ma in tutte le regioni del mondo le case popolaririsentono forme diverse da quelle fino ad oggi usate: più piccole, più armoniose epiù adatte alle necessità e al gusto popolare sono nella Spagna e in Ungheria. A

287

Page 288: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Budapest è piacevolissima la casa costruita dall’architetto Gabor e in generale sonoquasi tutte interessanti le costruzioni, prevalentemente orizzontali e sempre equili-brate, di Farkas Molnar e di Cyla Rimanoczy. Anche in Austria non soltanto le casepopolari, ma anche altri tipi di costruzione presentano un orientamento verso laclassicità cioè verso l’equilibrio, la misura e il ritmo-orientamento che interpretia-mo come la conseguenza più nobile dei rapporti di simpatia culturale con la Italia,e che, preannunziato da Hoffmann nel padiglione costruito nel ’34 a Venezia, vieneora confermato da altri edifici nei quali anche quando la tradizione offre elementie frasi architettoniche decorative, l’interpretazione è sempre originale e senza ecces-si. Tanto le opere di Ernest Plischke, come le altre di Clemens Holzmeister e lealtre di Boltenstern e di Schimdt palesano qualità che non sono soltanto di inge-gneria e di edilizia, ma anche di buona architettura.Qua e là in tutto il mondo si comincia a rivedere qualche casa riposante e quietaalternanza di volumi e una semplicità estrema, ma non meccanica e gelida. La casadi ritiro ad Heerlen dell’architetto Peutz, il ginnasio a Nauclia di PatroclosKarantinos, la casa di Alejo Matinez a Buenos Aires, una cappella commemorativadi Erich Briggman in Finlandia queste e molte altre si guardano con gioia.Nella Svizzera invece permane e si diffonde un’architettura da sanatori; nellaCecoslovacchia il complesso più interessante è la diga dell’impianto idroelettricosull’Elba di Ian Zazvorka. Nella Spagna, invece, è chiaramente visibile come inItalia il gusto dell’architettura piccola popolare in cui Rafael Bergamin dà le inter-pretazioni migliori.Nella Romania restano i soliti ballatoi esterni come unico elemento di decorazionedelle case, ma non mancano piacevolissime costruzioni come quella villa a Costanzadell’architetto Giorgio Matteo Cantacuzene ed originali tipi di costruzioni indu-striali come il progetto per il palazzo dei monopoli di stato a Bucarest di DuilioMarcu, tutto serrato ed ermetico.Nella Francia, le due tendenze verso il verticalismo eccessivo e verso l’orizzontali-smo si alternano anche in uno stesso complesso architettonico come quello creatodagli architetti Le Corbousier e Ianneret a Drancy, e non privo d’interesse; il gusto,che ora potremmo dire antiquato, ai caseggiati enormi senza elaborazione fantasti-ca o alle costruzioni sui trampoli, staccate dalla terra, si alterna con una più latinavisione dell’architettura. La quale è prevalentemente visibile in due opere da segna-lare per felicità di elaborazione: la piscina Municipale di Bordeaux di LouisMadeline e lo stadio in progetto che si costruirà a Parigi nel 1937 per opera di ungruppo di architetti: Greber, Mallet-Stevens, Pinguisson, Rotivall.Pseudofunzionalismo e universalismoMentre, in generale, si può notare un’effettiva ubbidienza di precetti insiti alla paro-

288

Page 289: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

la funzionalismo per quei tipi di architettura che non hanno precedenti immediatinella storia dell’architettura, e cioè per le costruzioni di ordine scientifico, o indu-striale, perché in queste l’architetto, senza preoccupazioni culturali e timori di ubbi-dienze involontarie, agisce con maggiore libertà di movenze, per atri tipi di costru-zione non sempre la parola funzionale può essere applicata. Non sempre appareopportuno l’uso delle vetrate, utile la costruzione di una torre, o chiaramente visi-bile all’esterno il probabile uso di un edificio come ci si dovrebbe attendere non sol-tanto ricordando le varie difese del funzionalismo, ma anche rievocando i precetti,che furono sul proposito i primi, italianissimi, quelli di Leon Battista Alberti.È proprio certo che tra la casa di Molnar e l’edificio industriale di Rimaniczj vi siauna grande differenza formale come diverso è l’uso? E che in Francia, con l’uso deipalazzi a tessuto cellulare vi sia un notevole criterio di distinzione, tra case popola-ri e stabilimenti per ospedali o per industrie? E tra il palazzo del comune diBologna, architettato da Garnier e Debat Ponsan e l’ospedale a Salagnac diForestier, sono visibili le differenze che dovrebbero esservi dato il diverso uso a cuigli edifici sono adibiti? C’è dunque ancora uno pseudo funzionalismo; c’è pure, notevolissimo, il fenomenodell’universalismo architettonico.L’architettura non aderisce alla regione, alla razza, al popolo: eguali i tipi costrutti-vi al nord e al sud, eguali i motivi ornamentali se rotti a finestre, a porte, a ballatoi,se rotti i legami col passato, se annullate le esigenze della fantasia. Ma si può evita-re l’universalismo? Ed è fenomeno moderno o antico?Si pensi al periodo barbarico, in cui elementarissimi motivi decorativi, scarnificatie geometrici, divennero padroni di tutto il mercato del mondo, e opere di scarsointeresse, come le fibule d’oro, potevano imporre motivi nelle regioni più diverseanche per tradizione; si pensi al periodo gotico, che ebbe forme plastiche pittorichearchitettoniche e decorative internazionali, anche se in alcune regioni furono elabo-rate e modificate, si pensi al valore di diffusione che ebbero contatti provvisori frapopoli, quali si ebbero nelle Crociate, l’importanza che l’espansione commerciale diPisa poté aver per la diffusione del romanico pisano, si pensi ancora all’internazio-nalismo del neo classico o dell’impressionismo.Si potrà giungere a una differenza, più precisa fra architettura meridionale e nordi-ca, di spiaggia e di montagna, di industria o di riposo, ma perché al posto dell’uni-versale ci sia il particolare, occorre che il genio intervenga.Quando Fidia penetra nell’ambiente architettonico greco terribilmente uniforme,porta subito la rivoluzione, e quando Michelangelo opera nell’architettura toscano-romana cristallizzata già in uno stile definito, trasforma radicalmente tutto e dàvoce nuova a tutte le pietre.

289

Page 290: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Soltanto l’opera del genio può essere universale e individuale.L’Italia ha dato al mondo il numero maggiore di parlate architettoniche e di geni. Ilsuo posto, nella storia mondiale dell’architettura è di privilegio e di responsabilità.Come si architetta, oggi, in Italia?

8 Luglio 1936 – UN QUADRO DI RAFFAELLO A PALERMO?

Un quadro di Raffaello, indiscusso e indiscutibile, c’era si, a Palermo nella chiesa diS. Maria dello Spasimo. Poi fu donato alla Real Maestà Cattolica di Filippo IV e anoi rimasero soltanto copie, copie, copie.Ma l’ottocento, in compenso, si illuse di aver trovato un’opera di Raffaello nellachiesa di S. Ignazio Martire dell’Olivella. Era una pittura rappresentante la Vergine,S. Giovannino e il bambino Gesù. L’adorarono tutti, tutti i puristi e i puristelli,offrirono osanna e mirra, incensi e lodi, prose, poesie, descrizioni, commenti, elogi.E non era che un quadro di Lorenzo di Credi, fra i più mediocri – ora riposa inPinacoteca, con la malinconia, forse, degli attori vecchi.Ora eccone un altro. Si trova in casa del dottor Bonelli, a Palermo, ed è una bellatavola, ottimamente conservata, dipinta a tempera verniciata di dimensioni 0,93 x0,74 rappresentante la Vergine che tiene sul grembo il Bambino Gesù e di lato, S.Giovannino. Nel retro del quadro si leggono le seguenti iscrizioni:«Questa tavola proviene dall’insigne galleria de Marchesi Ricci ora appartenentealla galleria di Monsignor Alessandro del Magno ‘820». La iscrizione è fiancheg-giata da un suggello di ceralacca col cappello cardinalizio e più sotto è riportata lafirma di Mons. Alessandro del Magno 1841.Una seconda iscrizione dice:«passato nel marchese Maria Giuseppe Durazzo, l’anno 1850». E vicino v’è un’al-tro stemma gentilizio forse del Durazzo. Altri suggelli, più antichi, ma non intelle-gibili, appaiono sulla tavola.Per il matrimonio di una Durazzo con il Marchese Spinola, il dipinto poi passò incasa Spinola, nel Castello di Pasturana in quel di Alessandria da dove passò in casaBonelli a Palermo.Il dipinto non è stato mai edito, e non è noto al mondo degli studiosi. Nel contrat-to di vendita, il proprietario dichiarava di aver sentito sempre parlare di operaappartenente a scuola di Raffaello. Me ne fu mostrata la fotografia, in un mattinodi Aprile da un signore a me sconosciuto. Poi vidi il quadro, lo videro autorità arti-stiche locali, e cosa rara, fummo d’accordo nel giudizio.Nel quadro, il colore alterna rossi e azzurri vividi, l’ombra smorza e accende il tono,

290

Page 291: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

descrive sulle superfici tornite gli elementi fisionomici sostituendosi alla linea pre-cisa, e fiera di tutti i pittori preleonardeschi, colma gli spazi, impigra il movimentolentissimo dei gesti, stringe in sé le creature vive, ne calma il respiro lievissimo dellebocche serrate. La ammirazione nostra, dubitosa, guardinga, lenta, ansante, scorresulle tre figure poste in diagonale, come luce che cerchi il suo obiettivo e si arrestasempre in ogni percorso, sul volto della Vergine, bellissimo, dolce, umano, divino,augusto e materno. Se da quello si diparte e scende al Bambino a S. Giovanninosminuisce l’ardore, l’incanto si spegne; se in quello si sofferma riprende, come sere-nata dolce e pacata, e tranquillità gioiosa di calmi meriggi. Il nome di Raffaello sipronuncia allora con dolcezza commossa ed appena il pensiero formula la parola,subito l’approva il cuore che ha i suoi occhi ed è sensibile a certi misteriosi richia-mi delle cose che non hanno voce eppure dicono parole più alte e ferme delle cosedette. Raffaello, Raffaello giovane, Raffaello che superando e non dimenticando ilPerugino guarda il chiaro-scuro di Leonardo le diagonali di S. Bartolomeo? Quellapurezza di elementi, quella vita calma e penosa, angusta e dolce, e quella umanadivinità di forme, chi seppe creare in eugual misura se non Raffaello?Il nome sosta sulle labbra, un attimo; appena che lo sguardo passa agli altri elemen-ti, scompare e dal fondo della mente ecco avanzarsi i giudici dell’areopago, i mem-bri del tribunale grigio d’inquiszione, ecco l’incertezza ondulante come biscia, ilsospetto, il pessimismo, l’ironia, la beffa, spiritelli maligni vestiti di nero.Si precipitano sul Bambino Gesù e sul S. Giovannino e il loro dito unghiato, sega-ligno, indica qua e là nell’uno o nell’altro, implacabile, l’attacco dell’orecchia, laspalla grossa, la mano gonfia, la carne dura, il collo obeso, le dita che l’ombramozza, la tunica che pesa, il nasino storto; su e giù quel dito implacabile, rivelaincertezza, ed errori, con la severità acre del giudice che nega il premio di bellezzaa due bimbi che il popolo addita. Raffaello? Raffaello? Ma Raffaello rappresenta lamedaglia d’oro, la perfezione suprema, la perfetta bellezza, il perfetto disegno, ilperfetto colore. Raffaello? Il gran nome, il nome che gli uomini del cinquecento pronunciarono adorando, chei manieristi, i neoclassicisti, i puristi, i puristelli, di tutto il mondo incisero nel cielodell’ideale, il gran nome come si potrà pronunziare? Ma i bimbi, si difendono bene, si difendono nel consueto modo dei bimbi, cioè accu-sando gli altri, colpevoli anch’essi, eppure non puniti, anzi elogiati. Ricordano la paladi Pierpont Morgan al Metropolitan Museum, il S. Giovannino di quella pala che sitrascina sul corpo gonfio, obeso, ed ha il volto grasso sul collo taurino; ricordano ilquadro della Galleria di Berlino e quel Bambino Gesù con gli occhi strabici, col pan-cino gonfio e le carni dure; ricordano l’altra pala della galleria di Berlino con laVergine tra S. Girolamo e S. Francesco e con un Bambino Gesù anch’esso gonfio e

291

Page 292: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

l’orecchia bassa; ricordano incertezze ed errori, anch’essi divenuti implacabile, accor-ti professoroni di disegno, che considerano cose, figure, volumi col centimetro e losquadro.Dati certiAlcuni dati sono certi e incontrovertibili. Il quadro è originale e non copia; il qua-dro è stato dipinto tra il 1505 e il 1508; il quadro è opera di un maestro educato allascuola umbra, ma fiorentino o influenzato da fiorentini, da Leonardo da Vinci, daFra Bartolomeo della Porta. Dati certi questi, per chi ha conoscenza di tecniche evariazioni iconografiche, dimostrabili ad ogni modo in altra sede. Ma la data portasubito ad escludere la scuola di Raffaello se per scuola si voglia indicare quei disce-poli, che lavorarono, sui cartoni di Raffaello o sui quadri di Raffaello, su sempliciindicazioni e abbozzi quando il pittore a Roma, colmo di plausi e di commissioni,non poteva più da solo aderire alle molte richieste.La scuola di Raffaello, in quel tempo, elabora gli schemi e le forme conquistate cheRaffaello nel periodo romano, più maturi, più belli, non elabora quelli giovanili delperiodo umbro o fiorentino. Giulio Romano (1499-1546), il Fattore (1488-1528),Giovanni da Udine (1487-1564) sono maestri operosi a Roma, ma un decennio piùtardi dell’epoca del quadro Bonelli, ed esso elaborarono e svilupparono spingendo-la nel manierismo, l’arte di Raffaello.Esclusa la scuola romana, si potrebbe pensare ad una scuola di Raffaello nel perio-do di sua vita fiorentina, ma è incerto che Raffaello, giunto a Firenze ventenne,mentre Leonardo, Michelangiolo, Fra Bartolomeo, Pinturicchio e il Perugino, acitare i grandissimi, imperavano ed egli era tutto incantato e distratto da tante stu-pende voci, abbia avuto una vera scuola o non piuttosto sia rimasto libero e solo, adascoltare tutte quelle voci diverse che trovavano tanta eco nella sua fantasia. Fuquello, un periodo di formazione che maturò improvvise gemme, ma che ebbeanche le sue incertezze, le sue ansie, le sue soste; fu il periodo di umanità, nell’artedivina di Raffaello. Egli potè avere aiuti, condiscepoli, garzoni che preparavano icartoni o le tavole, i colori, ma non sappiamo di discepoli maturi ed esperti.Eppure la città deve essere quella: Firenze; quello il tempo: 1505-1508; quella lacerchia: umbro-fiorentina; e, d’altra parte vi sono stringenti affinità di tecnica, dicolore, di modello, tra la Vergine di Casa Bonelli e la Vergine dell’Incoronazionedella Pinacoteca Vaticana, e quella del frammento del Museo di Pepoli, e laMadonna Diotallevi del Museo Federico di Berlino, e la Madonna Degli Ansideidella Galleria Nazionale di Londra e quella di S. Antonio o Pala Morgan delMetropolitan Museum.Si vorrà pensare a un condiscepolo di Raffaello o ad altro maestro minore dellaschiera umbro-fiorentina? Si potrà, ma fino ad oggi, né Eusebio di S. Gigio, auto-

292

Page 293: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

re dell’adorazione dei Re Magi della Pinacoteca Vaticana, né Fra Paolino, né altri,né il Sogliari, né il Bugiardini, né Ridolfo del Ghirlandaio presentano con l’anoni-mo pittore del quadro Bonelli affinità maggiore di quanto l’anonimo del quadroBonelli ne presenta con Raffaello stesso.Frutto di innata musicalità e di costante ricerca, l’arte di Raffaello conobbe pure leincertezze, gli smarrimenti, gli entusiasmi e le meditazioni sulle alte forme d’arte,le derivazioni e le elaborazioni, le felicissime interpretazioni e le prove inevase, laconquista e il tentativo; conobbe nel periodo giovanile il travaglio umano della crea-zione e anche nel periodo beato, delle stanze Vaticane, mantenne l’ansia di supera-mento, il desiderio di conquistare tutti gli altri aspetti sensibili della bellezza che iveneziani e Michelangelo gli offrivano. La sua arte giunse all’empireo come vi giun-se Dante, percorrendo tutti i cieli della Volontà e della Fede, della sapienza umanae teologica, con una miracolosa facilità di comprensione che pareva annullasse, nellaconquista, ogni ricordo di volontà e di fatica. Ma le sue opere giovanili e le ultime,sono là, a significarci, questa volontà, questa fatica, sono le prove dell’umanità e delgenio più caro e più interessanti dell’opera d’arte compiuta. Questa ci fa dimenti-care l’uomo e il suo soffrire, e ci dà soltanto gioia limpida e pura, quelle ci fannocomprendere come del miracolo ci si fa degni con lo studio, la volontà, la fede.Metteremo il quadro Bonelli tra le opere giovanili di Raffaello non esenti da mol-tissimi difetti o vorremmo pavidamente indicarlo come quadro di scuola? Potrà essere deciso da altri, ma l’incertezza nulla toglie al quadro, non spegne la lucedi quel volto di Vergine Immacolata, la bellezza di quel ritmo formale, l’incanto diquel silenzioso dolore umano e divino. Su quel volto almeno, o la mano o lo spiri-to di Raffaello si è fermato.Anche questo è per me un dato certo.

21 Luglio 1936 – L’ARCHITETTURA ITALIANA ALLA VI TRIENNALE DI MILANO

Nel padiglione dell’architettura italiana di una luminosità naturale e spirituale dieccezione, sono esposte le fotografie delle opere costruite in quest’ultimo triennioin Italia, fino a Napoli (mancano l’Italia Meridionale e la Sicilia). Si tratta di circacentocinquanta edifizi che esprimono in un linguaggio murario solido, ferrigno,austero e conciso i capisaldi dell’etica fascista: educazione spirituale e fisica dellarazza. Il numero maggiore di edifizi è dato da istituti, collegi, scuole; poi seguonole costruzioni popolari, le colonie marine, gli stadi, le chiese, le ville, le case. Bisognasegnalare subito la grandiosità veramente romana delle costruzioni, ricordare che ilcomplesso della città universitaria, latinamente ideato e attuato da Marcello

293

Page 294: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Piacentini con la collaborazione degli architetti Aschieri, Calza Bini, Pagano, Ponti,Michelucci, Foschini, Rapisardi, Fasulo, Muratori, Minuccio, Montuosi, occupaun’area di 222.000 mq. E comprende ventun edifici; ricordare quali difficilissimiostacoli sono stati affrontati perché sorgessero Sabaudia e Aprilia e come esse sor-sero e perché, bisogna meditare sulla stessa Mostra della Triennale organizzata dal-l’infaticabile presidente Barella nel pieno affermarsi del sanzionismo neghittoso einsidioso e poi, riguardando l’antico, ricercare presso qual popolo e quale epocafurono compiute, in soli tre anni, opere di tanta varietà e di tanta utilità. Gli agri-gentini per celebrare le vittorie elevarono undici templi agli dei, noi esaltiamo lanostra vittoria elevando templi non soltanto alle Divinità, ma anche alla sapienza,alla bontà e alla forza.Si tratta però di vedere oltre la quantità, la qualità, vedere se tanti edifici esprimo-no uno stato di coscienza particolaristica nazionale, se aderiscono alla nostra terra,alla nostra tradizione, vedere il posto che occupa l’Italia il cosiddetto cosmopoliti-smo dell’architettura moderna.Già la pianta di questi complessi architettonici e la loro sistemazione nello spazio èstato studiato secondo le norme dell’urbanistica romana-italiana che considera le cit-tadine sorgenti come organismi in pieno sviluppo che hanno bisogno di un cuore edi un cervello da cui alle membra si diffonda ogni calore di vita fisica e spirituale.Aprilia che è in costruzione, si svilupperà intorno ad una piazza centrale che ha la suachiesa e il palazzo del Podestà; la città universitaria è stata concepita per volontà diMarcello Piacentini secondo una pianta schiettamente latina. Le sistemazioni circo-lari ed ellittiche di cui hanno dato saggio gli architetti stranieri e per quelle terre vera-mente razionali in quanto consentono una totalitaria illuminazione degli ambienti,ben opportuna per i climi nordici, sono state scartate, come quelle che si sono trasfor-mate, in irrazionali data la quantità di luce che batte sulla nostra terra.Quanto agli edifici, sia in queste nuove città sia altrove, essi sorgono attuando unaricerca, che è costante, anche se non coronata da esito positivo, una ricerca di pro-porzione e di ritmo tra altezza e ampiezza dei volumi architettonici, ricerca che èalimentata dalla consuetudine italiana di considerare l’architettura come un collo-quio musicale tra pieno e vuoto che ora si accorda su note vicine e ora su note lon-tane e opposte.I grattacieli, le case-torri, che si possono considerare come gridi della terra al cielo,pietrificazione di rivolte umane, aneliti disperati di una spazialità purificatrice nonhanno avuto in questo triennio di attività fascista alcuna applicazione in Italia dovela concorde e serena operosità laboriosa, l’amore sempre crescente per la terra nutri-ce, la simpatia sempre più intima per il popolo esigono espressioni architettonicheben diverse da quelle che ha suggerito Le Corbousier.

294

Page 295: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

La violenza di dominio da parte del cemento-armato è cessata, la pietra buona edocile ed eterna, le mattonelle agili e modeste ritornano a fare intendere la loro pra-ticità e utilità eguali a quelle del cemento armato tutti e tre si dividono i campicostruttivi con fraterno consenso; la decorazione, medicata con rabbiosa e giustifica-ta violenza, come una malattia cutanea ed escrescenza infettiva del corpo è totalmen-te scomparsa e le superfici murarie nitide, terse, polite sono una affermazione di igie-ne costruttiva che dall’interno si propaga all’esterno; il colore, non più ottenuto conbugnato, con stucchetti rococò si tenta in due modi: con il rivestimento dei marmi odelle piastrelle di lito-ceramica e con lo stucco a colore mentre la insistenza sul rilie-vo plastico decorativo sull’affresco, sul mosaico, dimostra che qualora un artista digenio riuscisse a trovare un nuovo repertorio decorativo plastico e pittorico aderen-te alla nuova architettura nessun preconcetto lo esilierebbe, come è dimostrato per lasala del Palazzo del Comune di Aprilia ideata dal futurista Prampolini.Non si fa guerra alla decorazione che è l’immagine nella poesia, il fiore nella casa, ilsorriso nella donna, ma si fa guerra al travestimento carnevalesco dell’edificio, accon-ciato ora alla moda romantica o gotica o settecentesca o umbertina.Ma le reazioni violente sono in linea generale cessate. L’ubbidienza alla tradizione ècapita nello stesso modo come la sentirono i primi uomini della rinascita che misu-ravano e scandivano e studiavano rapporti e misure, cioè come studio di essenzialitàclassica non come copia di motivi ornamentali o strutturali non adatti; la ricerca dellamodernità è intesa come ricerca di tradizione che in Italia fu sempre creativa e nonmai ripiegamento e neghittosità.Le lotte sono rimaste alla periferia dove le ondate rivoluzionarie arrivano con len-tezza, dove poco si costruisce, dove i giovani non riescono a collegarsi in fraternitàcombattiva e non si ribellano alla volontà dei pochi e al gusto corrotto del pubbli-co. Il quale a sua volta ha scarsa possibilità di educazione architettonica perché maialcuna mostra di architettura appare insieme alle innumerevoli mostre di pittura escultura. E invece, cento vedutine di meno e dieci progetti di più, cinquanta scultu-re di meno e dieci rilievi di più potrebbero valere a poco a poco a formare il gustodel pubblico che ancora, in alcuni luoghi fa le più amene confusioni sull’argomen-to di capitale importanza.Poiché in verità l’architettura è la più indispensabile tra le arti non soltanto per ilvalore che essa ha come il più universale linguaggio dello spirito ma per il contri-buto che essa dà alla formazione della pittura e della scultura.Si pensi alla conquista della prospettiva di Filippo Brunelleschi e alla sua risonan-za nella pittura di Masaccio e di Piero della Francesca.Le lotte, ripetiamo, sono rimaste nelle terre di periferia.A Roma, a Milano, a Firenze, i tre cuori d’Italia, le battaglie sono vinte.

295

Page 296: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

La chiesa di Cristo Re a Roma, di Marcello Piacentini, che suscitò infinite polemi-che, oggi invece vien posta fra le più belle costruzioni sacre per la dignità estremadei suoi rapporti costruttivi e per quella nobiltà francescana raggiunta con la sem-plicità ornamentale; la stazione di Firenze, disputatissima, è divenuta il luogo pia-cevole di convegno dei più riottosi fiorentini. Non tutte le costruzioni piacciono, siintende, ma perché non tutte le costruzioni rappresentano un raggiungimento, unasintesi ma più spesso un tentativo e una esperienza. Può non piacere ad esempio laCasa del Fascio di Giuseppe Terragni o la villa Gamberini – architettata da ItaloGamberini e la Colonia marina di Luigi Lenzi e la casa degli scapoli di GuidoFiorini o la chiesa di Carlo Dainieri, o la casa-torre a Genove di Giuseppe Rosso,ma non si può non additare per nobiltà costruttiva il modello della stazione dell’ae-roporto di Milano dell’architetto Giordano, il convitto a Biella dell’architettoPagano, la chiesa delle Crocifisse di Mario Labò che rievoca per mezzo di alte arca-te il senso di liberazione della materia e l’interessante progetto dello StadioMassimo di Roma fatto da Nervi e Valle e il monumento ai Caduti Fascisti fattoda Levi Montalcini e il Palazzo delle Poste di Napoli di Giuseppe Vaccaro dove –a non parlare della luminosità delle sale – si può scrivere comodamente un tele-gramma senza fare gli acrobatismi, indispensabili nel Palazzo delle Poste diPalermo, la Casa Condominiale a Fiume, l’Italia architetta da Agnol DomenicoPica. Si possono additare e sempre compiaciuti le costruzioni di Enrico del Debbiodi Aschieri, di Libera, di De Renzi e di Manzutti, Vietti, Samonà.In tutte vi è il giusto equilibrio tra ragione e fantasia, e v’è una modernità che nonoltrepassa il buon gusto, una semplificazione che non è povertà, elaborazione indi-viduale che non sono imitazioni. E in tutte, quella ricerca già illustrata di una armo-nia serena di volumi, uno sviluppo dell’orizzontalismo, un’aderenza sincera allaterra, uno studio diligente e intelligente delle necessità umane. Se esiste indubbiaaffinità tra l’architettura italiana e l’architettura europea, affinità fatale data la mol-teplicità di sforzi collettivi di reazione al passatismo, data la possibilità di rapidavisione con il cinematografo, con le fotografie, con le stampe, affinità che fu anchenel passato pur con diversi mezzi di comunicazione, è pur vero che in questo lin-guaggio cosmopolita l’Italia comincia a portare modulazioni schiette e vive. OggiRoma riprende la sua antica funzione nel campo delle arti. Essa che assimilò subi-to tutte le conquiste etrusche ed orientali che comprava o predava i capolavori del-l’arte greca per copiarli mille e mille volte, ed onorava le sue divinità con i templi ele immagini dei popoli vinti, essa che copiava, imitava senza pudori quanto le pia-cesse e le giovasse, seppe nel magnifico clima augusteo maturare tante e diverseesperienze in arte originale ed universale. La sua arte fu sintesi di tutte le arti orien-tali ed occidentali e fu nel tempo stesso originale conquista. Sempre mantenne

296

Page 297: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Roma questa funzione di assimilare, di sintetizzare, di originalmente elaborare.Oggi riprende ancora una volta il suo compito nella politica come nell’arte.L’architettura moderna italiana ha molto ricevuto e molto dato, parla anch’essa unlinguaggio cosmopolita, ma oggi, questo linguaggio, va sempre più diventando,ovunque, linguaggio latino.

30 Luglio 1936 – ALLA XX BIENNALE DI VENEZIA. IL FUTURISMO E LA PITTURA

DI GUERRA

Saggezza o follia, il futurismo vive e trionfa. Appena riecheggiò per l’aria un bisbigliodi un’accusa di pigrizia e di ripetizione, ecco Marinetti gagliardo spingere la sua schie-ra e cercare nuovi campi di inventività ed ecco l’altra rimasta procedere verso elemen-ti plastici e pittorici con infaticabile animo riuscendo tutte a presentarsi alla XX bien-nale di Venezia con un gruppo di opere di interesse molteplice e di grande valore.Il futurismo si afferma sempre più come un campo sperimentale, un vivaio, un labo-ratorio: si tenta, non si raggiunge; si semina, non si raccoglie; si grida, non si è ascol-tati; ciò non importa: la gioia, l’utilità il conforto è sempre in questo tentare, in que-sto lavoro, in questo gridare; nell’attività che non si placa nell’entusiasmo che noncede, nello sforzo che non stanca. Quando poi di tanto in tanto fra cento semi unone sboccia, si aggiunge allora l’altra gioia dello scopo raggiunto, della vittoria con-seguita ma se questo non capita il futurismo procede, alacre della lotte che vince,alacre della lotta che perde.Ora a vedere le opere esposte alla XX biennale si avverte una chiara novità ed essaè un iniziale realismo che si sostituisce sull’astrattismo, la staticità che si sostituisceal dinamismo, l’isolamento delle figure nello spazio che si sostituisce alla compene-trazione degli elementi. Il linguaggio di tutti si chiarifica, va prendendo accentua-zioni di umanità. Dal surrealismo si ammainano le vele e si procede lentamenteverso il reale.Il mondo dispregiato, schernito, beffato, riprende a cantare il suo canto per questiUlissi vagabondi. Non sono compromessi, ma accordi, non sono rivolte, ma sono per-suasioni; le parole cambiano tono, diventano placate e convincenti.C’è si, un tubo di rame che termina con un giglio e con un piattello da tazzina percaffè e questo si intitola «S. Antonio» ma c’è accanto un’altra opera «Legionari inmarcia» di Dibotto che è plastica e realistica pur senza alcuna descrittività fotogra-fica, come «Velocità di pesce» di Thayaht; c’è si, un «Andamento di forme» di NinoRosso che è un corpo seduto in atteggiamento musicale ma costituito da elementiche potrebbero servire, architettati in altro modo, tanto per un cammello quanto per

297

Page 298: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

uno stivale ma quando si sta attenti alla parola del pittore e al suo proponimento diaccostarsi alla realtà almeno nella sua linea strutturale, sentite che in fondo se lapazzia c’è, la saggezza c’è pure e dove finisce l’una non si sa che l’altra cominci. Chearte questa non sia pur si sa, ma non importa, importa il tentativo che potrà esserearte domani. Per questo interessa la pittura di Nino Costa, anche egli sedotto dalcorpo umano nella sua stasi apparente e nella sua fluidità di vita interiore, per quel-la intelligenza ed efficacia nell’accennare ad un problema pittorico certo non nuovoma sempre tentato in modo nuovo.E nel campo del neorealismo Pippo Oriani ormai ci sta, da padrone, tanto che, sefuturista significasse soltanto, secondo la vulgata, incomprensibile, audace, diver-tente, egli non dovrebbe chiamarsi futurista, ma dovrebbe appartenere alla schieradei migliori pittori italiani, di quelli per cui il colore è una gioia stupenda degliocchi e del cuore, di quelli che raggiungono la più violenta espressività, componen-do e scomponendo il colore. Nei suoi quadri in massima rievocanti terre africane,vi è come un panteismo pittorico, come una voluttà che stringe in amorosi richia-mi la terra, il mare, il cielo, le rocce, le femmine, suggeriti da una linfa di colore chepassa calda e veemente nella materia e la unifica in gioiosa fusione. La «Fantasia diDubat» composta con due note di rossiccio e di bianco cadenzate come nelle nenieafricane lamentose e voluttuose, il «Pomeriggio coloniale» accordato stupendamen-te con un richiamo efficacissimo tra la fluidità sanguigna delle montagne e la san-guigna nudità delle donne. «L’interno plastico» in cui un accordo preciso è ottenu-to fra le cose eterne e le caduche, con brani coloristici di eccezione, sono tutti qua-dri che possono essere ricordati fra le migliori pitture di ispirazione africana dell’ot-tocento e novecento francese e italiano.Anche Benedetta suggerisce la realtà, ma la suggerisce con una parola che diventapoesia, è così dolce che, quando si arresta, il cuore la continua e la porta nel sogno.Guardando il «Paesaggio mistico» la porta al di là degli alberi, eretti come ostenso-ri verdi smeraldini, nel cielo infinito, guardando «Cime arse di solitudini» la portapiù oltre delle più alte cime.Essa fa pensare molto ai bizantini, la loro arte di suggerire appena appena la realtàe mormorando colore, svelare alla fantasia mondi diversi.Aeropittura e pittura sacraL’aeropittura e la pittura sacra, non sono nuovi esperimenti ma sono insistentisegnalazioni ai pittori della retroguardia perché entrino anch’essi a considerare leinfinite possibilità di ispirazione che la conquista dello spazio ha dato ai pittori e aconsiderare l’indecorosa produzione dell’arte sacra meccanicizzata della litografia edella statuetta di stucco colorata col fiorellino di carta velina. Le segnalazioni dura-no già da tempo, incomprese, ma all’ultima mostra futurista di arte sacra del ’35 a

298

Page 299: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Palermo la città più refrattaria e dove non vi è chiesa, la più bella e ricca ed ornatadi opere d’arte, che non abbia la stretta di cartapesta e di stucco colorato, con il rea-lismo volgarissimo della barba di stoppa o del Bambino Gesù che apre gli occhi eli chiude – volgarità offensive che pur si ammettono anche in chiese modernamen-te architettate - esse riuscirono a meritare nella loro altissima spiritualità il consen-so del pubblico che, posto a decidere fra gli eccessi di una iconografia naturalisticae volgare e la pittura spiritualissima di un Fillia, dovette riconoscere la grande supe-riorità e dignità di questa pittura futurista. Anche in questa mostra giudicandosenza preconcetti non si può negare elogio alla Pietà di Alessandro Bruschetti né sipuò gridare all’offesa della tradizione, ricordando tutta la scrittura romanica nordi-ca o il simbolismo bizantino.Dottori anzi è giunto all’estremo dei compromessi con il gusto del pubblico nelquadro «La Madonna del Balilla», la quale è così chiara e raggiante di luminosità,nella degradazione azzurrina dell’aureola, da essere ben intellegibile e pregabile alcuore del Balilla più della cartapesta o dell’oleografia da sagrestia.Vero si è che la nostra arte sacra in questo fu bella ed eterna in quanto seppe esse-re umana e divina al tempo stesso, e legata al reale e tuffata nell’ideale, ma è purvero che ancora ostinatamente restando l’arte sacra (almeno nelle terre di periferia)legata ignominiosamente al patetismo stucchevole e commerciale, e d’altra parteprocedendo l’architettura sacra verso una mistica semplicità costruttiva, si esige lareazione futurista anche quando essa appaia come una semplice reazione e noncome in Fillia e altri, spontanea e originale e mistica creazione.Né la via additata dagli aeropittori che in questa mostra sono Tato, Ambrosi, Bezzi,Diulgheroff, Crali, Gambini, Korompay è stata battuta da altri pittori meno futuri-sti, né in verità, gli stessi aeropittori hanno approfondito la loro ricerca aggiungen-do nei loro quadri al pregio dell’inventiva il pregio della elaborazione fantastica.Il pittore novecentista preferisce ancora il suo studio interno alla carlinga dell’aero-plano. Si dirà del resto, che non è il luogo che fa l’artista ma è pur vero che moltaarte latina e italiana e straniera è legata all’incanto di Napoli.La pittura di guerraEsperimenti: riescono, o non riescono, non importa, essi rappresentano una formadi attività, una ginnastica una esercitazione. In pittura c’è crisi di inventività, pigri-zia di fantasia: i pittori futuristi, almeno, sono instancabili di trovate, instancabiliavventurieri. Il mondo ha avuto sempre bisogno dell’avventura. L’ultima, è stata, perMarinetti, per Menin, Balla, Baldassari la guerra Africana. Non solo teoricamente,ma anche praticamente costanti nel più ardente e combattivo amor di Patria, i futu-risti hanno voluto vivere la magnifica guerra e vivendola, hanno voluto ricordarla inpoesia e in pittura futurista.

299

Page 300: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Che pittura è questa pittura di guerra Africana? Cavalli e cavalieri, gentilmente bar-dati come nella battaglia di Paolo Uccello, o pietrificati per magico incanto comenegli affreschi di Piero della Francesca, o animati di focoso impeto in un largo edescritto combattimento come nell’affresco di Giulio Romano e involti nel fumo etoccheggiati di luce come nei quadri di Borgognone o di Salvator Rosa, o somma-riamente descritti dalla larga rosseggiante pittura di Delacroise? O è la pittura diguerra tipo espressionista tedesca macabra catasta di membra distrutte? Né cavalli,né cavalieri, ma pennellate di violetto sul fondo giallo, pennellate ordinate a schie-ra, precedute da altre, in fila dello stesso colore colonne di pennellate scure sullaterra gialla veemente, tintorettesca, bruciante, scottante arsa di luce: e intorno fascidi luce violacea, scoppi di razzia che buttano faville, un divampare di luci nella mon-tagna e nel cielo, indistinti nella tonalità gialla che li forma.Cosa difficile, la pittura di guerra. Marinetti pensava di potere riscrivere tre proble-mi:1. Problema: esprimere il dinamismo continuo del combattimento.2. Problema: intuire e fissare le forme plastiche dei diversi fragori e relativi riecheg-giamenti che i calibri diversi di cannoni, mitragliatrici, fucili producono.3. Problema: esprimere l’eccitante simultaneità gonfia di lirismo che caratterizzauna battaglia Africana dove si compenetrano intrepide camicie nere, barbarici assal-ti alla scimitarra con lo scudo di pelle di ippopotamo, perfezionatissimi meccanismiultramicidiali, comunicazioni radiofoniche, telefoniche, eliografi, macchine da scri-vere, sole torrido, migliaia di mosche, migliaia di cadaveri umani, innumerevolicarogne in putrefazione.Problemi difficili come apparire, ed è più facile stabilirli che risolverli, letteralmen-te giudicando possibile quello che nella pittura sarà sempre impossibile. Nella pit-tura o il particolare o l’universale, o l’uomo e la sua angoscia e il suo sgomento e lasua ira e il suo tormento, oppure la collettività informe ma coloristicamente inte-ressante, pur senza rendimenti particolaristici di umanità. Nel Palazzo Vecchio, dal-l’uno e dall’altro artista che dovevano celebrare combattimenti gloriosi di Firenze,la guerra fu preferita come episodio, non come totalità. Questa pittura di guerraafricana fatta dai futuristi ha potuto risolvere soltanto il secondo problema, cioè ilrendimento cromatico di una guerra combattuta in una natura violenta e con mezziluministici violenti. I pittori futuristi non potevano vederla che così come purocolore, e l’originalità non difetta, né nel taglio del quadro, né nella rapidità dell’an-notazione coloristica, né nel rendimento cromatico. E può essere interessante ilparagone tra il quadro di Felice Carena «Dogali» e «Il combattimento di Debram-bà» oppure «Il combattimento dell’Uork Amba» di Menin.Due mondi diversi in pochi centimetri di tela.

300

Page 301: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

13 Agosto 1936 – ALLA TRIENNALE DI MILANO. LA SALA DELLA VITTORIA E LA

SALA DI APRILIA

C’è una sala nel Palazzo della Triennale di Milano entrando nella quale i passi sirallentano, le voci si abbassano, lo sguardo si fa incantato e vago. Sa questa sala diacqua e di alba, di cose immacolate, di acqua cristallizzata, di alba estiva senza nubi.Esercita agli occhi e alla fantasia un fascino sottile e strano. Si fa silenzio, si pene-tra in un bagno di luce. L’occhio cerca intorno scivolando sulla parete e sul soffittola ragione di questo incanto, da dove si diparte, come si forma e non trova nulla.Bianco, piano, rettangolare il soffitto; intorno alle pareti nudi ed esili pilastri forma-no un gioco di quinte: levigatissimo il pavimento; non un ornato, ma soltanto ilbianco e il nero della Cattedrale di Siena duro, definito, determinato nel contrasto,come il male e il bene, la bontà e la colpa e così orizzontale da spezzare l’illusionedi una ascensione mistica dal gotico suggerita, ma è un bianco e nero che dà gioiaall’anima perché il bianco è una sostanza, una materia, un finito e il nero è inveceun’ombra impalpabile, facilmente fugabile appena che la luce entri. Da dove vengala luce non si vede, scende dall’alto bianchissima, fresca, immacolata. Nessun colle-gamento orizzontale tra il pavimento e il soffitto ma soltanto la linearità verticaledei pilastri che fanno ascendere l’animo senza portarlo all’infinito e al mistico masoltanto al piano al raggiunto, al concluso; nessuna arcata, nessuna superficie curva:tutto è rettilineo, preciso, conciso, tacitiano. È una vittoria raggiunta, chiara inequi-vocabile. Questa sala è stata ideata dall’architetto Persico ed è un’opera d’arte. Èperfettamente razionale, è di una semplificazione estrema ma tutto è numero, cal-colo, ritmo. Ed è al tempo stesso opera di fantasia perché riesce ad esprimere unostato d’animo individuale e uno stato d’animo collettivo. È veramente la sala dellaVittoria, la nostra Vittoria.La conoscenza della tradizione plastica riporta invece molti ricordi e immaginiquando si guarda da vicino, isolatamente il grande gruppo della Vittoria opera delloscultore Fontana. Esso è formato da una donna sottile, altissima, lievemente model-lata; audace e pensosa ad un tempo e dietro a lei due cavalli, grassi, pingui che fati-cosamente alzano le zampe anteriori protendendo la sottile testa verso l’alto. I ricor-di vengono alla memoria. Altri cavalli, altre vittorie e ci si domanda il perché di queigrassi cavalli pasciuti se non vogliano significare come l’audace spirito della Vittoriariesca a spingere verso l’alto anche la grassa animalità. La donna si accorda nel pro-cedere lieve dal passo e nell’eretta persona al verticalismo dei pilastri se fosse solasul parallelepipedo di base, così slanciata, ardita e pensosa l’ameremmo di più.Sopra un pilastro laterale si scorgono mosaici quadrati che rappresentano quattrocondottieri romani: Scipione, Cesare, Augusto, Traiano eseguiti dal pittore Nizzoli.

301

Page 302: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

La decorazione plastica e la decorazione pittorica restano un passo indietro nell’ori-ginalità dell’architettura della sala.L’accordo tra la decorazione e l’architettura è del resto ancora un problema grave enon sempre risoluto. Qua e là del resto nella sala delle Triennale si vedono esempidi affreschi il che mostra l’insistenza sul problema decorativo che è di grandeimportanza e per cui occorre risolverlo una speciale preparazione che non è soltan-to quella pittorica. Lo dimostra il grande affresco del pittore Saetti pittore di ritrat-ti e di piccoli quadri eleganti e luminosi, coloristicamente piacevoli, il quale affre-sco è stato concepito come un arazzo formato da tanti quadratini di stoffa diversacon figure diverse, fra loro slegate senza coordinazione di argomento, né di ritmolineare né di ritmo coloristico. Anche il grandioso affresco di Mario Sironi in tintagrigio nera, fumosa, da caverna o da tomba, se una certa nobiltà nella parte supe-riore della figura la disperde nella parte inferiore, tutta piatta, rigida, geometrica,sgarbata, inutilmente arcaica; affresco più adatto per una Mastaba di Faraone adepoca romana. Né affascinanti sono i due grandi affreschi di Carpineto nel salonedi ingresso, frettolosi, arruffati, stancanti, nel colore e nella composizione; più sim-patico il grande affresco di Cagli con un contenuto storico interessante ed espres-sivo (un episodio della guerra del ’59) decorativamente narrato a mo’ di fiaba dacerti azzurri di notte e verdi muschiosi opachi e fusi.Supera tutti la tempera di Carlo Carrà «L’industria del marmo» in tre tempi, com-posti con monumentale solennità. Anche se lo spazio vi è chiuso, l’uomo e il suogesto grandeggiano nel contrasto di colore, si genera un’atmosfera eroica. La deco-razione dovrebbe in verità essere vista sempre nell’ambiente in cui sorge e in cui sileva con la materia a cui si unisce con la luce con cui collabora. Per questo risulta digrande interesse la sala per il palazzo comunale di Aprilia che, auspice l’OperaNazionale Combattenti ha compiuto Enrico Prampolini l’intelligenza più inventi-va del movimento futurista con la collaborazione degli scultori Nino Rosso eDibotto, e per gli intarsi di Ambrosi, Andreoni, Dottori fra i più vividi e schiettiingegni futuristi.Dominano in questa sala che sarà tutta ricostruita nel palazzo comunale di Apriliail legno e il travertino, come due note insistenti e persistenti, in accordo semplice echiaro, onesto, rurale; senza infingimenti e travestimenti, le mattonelle diventanoornato, i grandi arazzi lignei decorano in giusta misura e diventano indispensabilinell’ambiente stesso. Con la rettilineità e la semplicità che ben si adatta alla scultu-ra lignea è rappresentato nei riti della fondazione di Roma, con Romolo che trac-cia il solco con l’aratro e il rito meccanico e dinamico della fondazione di Aprilia,il primo con un pannello a rilievo piatto, opaco di colore sì da allontanarsi ai nostriocchi, il secondo a rilievo più forte a colore più forte sicché resti immediato e pre-

302

Page 303: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

sente. Umile la materia che costruisce, umile la materia che adorna, e di cui si for-mano seggi, tavoli, ornati, e pure la linearità che le domina, il preciso ordine con cuisi alternano il significato simbolico delle iscrizioni, conferiscono alla sala l’impron-ta di un’austerità benevola e di una semplicità incoraggiante.La sala della Vittoria e la sala del Comune di Aprilia indicano due mete raggiunte,due conquiste compiute con le armi con lo spirito, con l’amore verso il popolo conl’arte. In ambedue si esalta il nostro orgoglio di italiani.

23 Agosto 1936 – ALLA XX BIENNALE DI VENEZIA. LE ARTI DECORATIVE *

Nella grande luce meridiana la bianchezza assolata del padiglione delle arti decora-tive non invita il visitatore a lasciare il sedile ambrato su cui si riposa stanco, ma seanimoso vi entra, il conforto è immediato, di frescura, per l’ombra mite che vi è dif-fusa e di compiacimento per le opere che vi stanno, poche, bellissime, di materiapreziosa, di arte perfetta. Nell’immediato e violento contrasto, la stanza delle orefi-cerie di Ravasco, tutta buia e notturna, con poche bacheche luminose, in cui stan-no gli oggetti preziosi di stranissime forme, richiama l’acquaria di Napoli, e i colo-ri di queste pietre dure, di questi coralli e gemme, che mano dell’orafo ha foggiatosecondo la fantasia, ridanno il senso di delizioso sgomento che destano in quelluogo le forme medusee che azzurre scivolano nell’azzurro.Ravasco, orafo ormai celebre, certo rinnova, tutte le fantasie e le esperienze del pienorinascimento italiano, tanta è la sua esperienza nell’intagliare e accordare le pietredure, nell’unire le perle ai coralli, nel sovrapporre le malachiti, le agate, i lapislazzu-li, i cristalli di rocca, a zone coloristiche graduate o alternate, o sfumate o contrastan-ti; tanto è il suo accorgimento nel semplicizzare per raffinatamente ornare, nel com-plicare per elegantemente risolvere; tanta è la sua cultura nel trarre forme e motiviinventati nelle antiche botteghe monastiche, dalle carolinge alle renane, alle limosi-sine; tanta è infine la sua fantasia nel creare motivi decorativi e fogge e tipi nuovi,architetto nel comporre con misura, pittore nella scelta dei colori, scultore nel garbodel modellato.Egli presenta opere di una rarità di materie e di una preziosità di gemme qualipochi orefici possono concedersi di impiegare sicchè veramente la sua è arte aulica,medicea.Qui si vede tra gli oggetti di gusto più impeccabile e di graziosa inventività una sca-tola scavata nell’agata grigia, con un pesce in corallo inciso e uno zampillo di perleorientali: un accordo delizioso di grigi lunari, di rosei rosseggianti, di bianchi per-lacei e nel rendimento delle squame, quanta esperienza e lavoro, degno di Valerio

303

Page 304: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Vicetino, intagliatore perfetto delle pietre dure! In altra opera un centro da tavola,una base di lapislazzuli sorregge affiancata da due tacchini di smalto una coppa dicristallo di rocca con fiori di corallo sull’orlo in un insieme gustosamente barocco;in altra, un cofanetto in malachite, domina un rigore geometrico razionale, unasemplicità estrema, perché l’orefice conta sulla naturale decorazione della pietrastessa, ondulata di strie, bianche su lo sfondo verde e introduce appena un ornatonei piedini del cofanetto un gruppetto di smeraldi e rubini, e sul coperchio pone, acoronamento di fantasia, un gruppo di pesci inciso in un grosso smeraldo. La rari-tà, la preziosità della materia è sfruttata con quella ingegnosità che raccomandavaBenvenuto Cellini unendovi quasi sempre una felicità di trovate inestinguibile.Anche quando linee e forme tradizionali sono accettate, come nell’elegante caliceche è esposto – una decorazione nuova, un accoppiamento nuovo di gemme, unoslancio più ardito modifica, trasforma, elabora l’apporto della tradizione.Ricco di inventività e di fantasia, ricchissimo di esperienze Alfredo Ravasco è arti-sta già fermo nella storia dell’oreficeria italiana. Nella oreficeria, la reazione moder-na, il geometrismo, la semplificazione estrema, il rigore architettonico, non ha potu-to dominare o sopprimere la fantasia del tutto italiana, la grazia, il gusto dell’orna-to, eredità trionfante degli espertissimi maestri toscani e lombardi del rinascimen-to, quando, a detta del Vasari, «non era ritenuto perfetto architetto e scultore e pit-tore, chi non fosse perfetto orafo».Accanto ad altre preziosità in corallo di Mario Cirillo, o di Ferdinando d’Amato, e diPirro Piccini, a due cammei bellissimi per un elegante accoppiamento di gialli e bian-chi, opera di Ciro Scognamiglio, ad uno spillone di Francesco Sorrentino, opere tuttein cui la materia stessa suggerisce agli artisti innumerevoli ispirazioni vanno ricorda-te quelle opere in cui un semplice filo, passato tra le mani sottili di una donna è riu-scito a comporre innumerevoli armonie, fantasie sottili, trame inarrivabili di sogni.Anche la mostra dei ricami è quest’anno perfetta: i merletti e i ricami di Asta Olgasono talmente rari per l’esecuzione e originali per elegantissimo disegno da eguaglia-re in preziosità le altre opere di Ravasco esposte in questa sala. Un merletto che rap-presenta Venezia e la gondola di Maria Sagata, alcuni Burani di Olga Marinuzzi, imerletti della scuola Regina Margherita, altri modelli di Mario Zennaro e dellaScuola Artigiana, costituiscono la selezionata, vagliata mostra dei ricami, una presen-tazione delle più preziose fantasie create col filo, dal sogno e dalle dita di donna.Vetri e libriPoi vi sono gli oggetti creati col respiro delle bocche vive e il tocco delle mani, visono i vetri soffiati, antica e mobilissima tradizione veneziana, mai interrotta espenta. Incredibile è come si rinnovino sempre i tipi e le qualità e le sostanze vitreein queste officine che portano il nome gloriosissimo del Barovier. Vi sono alcune

304

Page 305: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

coppe di Ferro Tosi Barovier in cui il colore, a gocce, è imprigionato nella sostanzastessa del vetro, si che pare una colata di topazi interrotta, cristallizzata e imprigio-nata nel liquido candido. Si è intitolato poeticamente «Autunno gemmato», forseperché ricordano nel colore le cadute foglie autunnali. La preziosità coloristica arri-va al massimo delle opere di Barovier, Seguso e Ferro che hanno riflessi di pulvi-scolo d’oro, opacità seriche di madreperle, riflessi azzurrini e verdi incantevolisplendori gemmei.Il capolavoro è un canestro verdino, in cui il colore ha raffinatezze cromatiche indi-cibili. Oggetti splendidi, per reggie di fate.I vetri musivi, presentati dalla ditta Salviati e ideati da Guido Bin si presentano conmaggiore semplicità e direi quasi con una certa rusticità, ma nelle coppe, nei vasi,nelle ciotole, è più gradevole che resti sempre il gioco della luce attraverso il vetroanziché l’opacità variopinta del vetro a mosaico. Le coppe e gli specchi incisi delladitta De Matteis, i prodotti di Fontana Ars e della Cristalleria Nazionale di Napoli,dell’A.V.E.M. di Murano e della S.A.L.I.R. di Murano presentano tutte splendidequalità di tecnica.Tra ori e gemme, ricami e vetri soffiati, hanno largo posto nel padiglione delle artidecorative, i libri illustrati. Essi non compromettono l’aristocratica compagnia anzile conferiscono il più alto decoro sia per la rilegatura bellissima e di materie nobiliche li racchiudono e sia per la qualità stessa della stampa e delle illustrazioni. Sonostati adunati qui da Tamarro De Marinis alcuni capolavori di libri stranieri con illu-strazioni originali. Il loro pregio sta spesso, nell’aderenza, nella intercomunicanza fralo spirito del poeta e lo spirito dell’artista che ha illustrato il libro o con disegni o conacquerelli o acquaforti. Non si direbbe ad esempio che vi sia una certa affinità spiri-tuale tra la poesia di Ovidio grassa, carnale e la decorazione ideata da Maillo configure piene, massose, raccluse nel segno perfetto di contorno, musicalissimo comeun endecasillabo ovidiano? E tra la poesia di Baudelaire e la illustrazione ideata daMariette Lydis non si stringono ideali contatti per il comune gusto al cromatismoraffinato e morboso all’immaginazione protesa in un mondo ambiguo di perversitàe di dolcezze? E tra Mallarmé e Matisse non vi è lo stesso accordo?Appaiono qui tutti i più grandi nomi della pittura europea: Despiau, Denis, Latour,Degas, Novak, Libermann, Picasso, De Chirico, Severini, Chagall e molti altri conopere di un interesse grandissimo si che alla fine il desiderio più schietto, è quellodi avere i libri nelle mani e poterli sfogliare e rileggere la prosa o la poesia che quel-la illustrazione ha suscitato e le altre vedere nascoste tra le altre pagine del libro.Elogio particolarissimo a questa commissione del libro a Beppe Rava che la presie-de, per avere saputo adunare tanti esemplari rarissimi con un ammaestramento pernoi italiani, eredi di Aldo Manuzio, è sempre opportuno e giovevole.

305

Page 306: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

1 Settembre 1936 – ALLA VI TRIENNALE DI MILANO. LA CASA IN FESTA

I fuoriusciti, colore ed ornato, rientrano in Patria. Respinti a grandi urli, dalla porta,coraggiosamente rientrano dalla finestra. Più il colore, meno l’ornato.In colore ormai, sono tutte le case moderne; tutti i colori: dai più intensi, - qualineanco i Dori di Sicilia usarono, - per le terracotte di rivestimento, ai meno inten-si, di rossi arancioni, ai pallidi celesti; dai grigi, ai rosa; dai neri, agli azzurri e nonuno, ma due o tre colori si alternano nello stesso edificio, a zone parallele o alter-nandosi alle fasce intorno alle finestre e alle porte; spesso, dovuti alle mattonelle dilitoceramica in grande uso, qualche volta, a marmi, altre volte, al tipo del lateriziodi costruzione, altre volte, alle tempere. Gli effetti sono vari, s’intende, e può capi-tare, accanto a uno accordo di per se armonioso, uno strillo inatteso di colore pro-veniente da un palazzo vicino e può capitare anche, il disaccordo, ma, se gli effettifossero studiati nella loro complessità d’insieme, come ad esempio nella Città uni-versitaria, i risultati potrebbero essere sempre buoni. Ma il colore c’è intanto, e se visi aggiunge l’azzurro violento del cielo meridionale, o i celestini pallidi dei cieli nor-dici, il verde chiaro dei prati e delle valli, la festa degli occhi è al completo.Casa in festa, come il cuore degli Italiani.All’interno, i mezzi usati per suggerire colore sono i più semplici e i più raffinati edè piacevole, utile specialmente alle signore, osservare in una visita alla Triennalecome si possa raggiungere un ambiente di graziosa e simpatica cordialità di velatacivetteria, di sobria austerità cambiando tipo di tende e tappeti, e colori di cerami-che e di pavimenti senza per nulla cadere negli eccessi di cattivo gusto. L’alluminioche al mobilio, conferiva ineluttabilmente un ricordo di clinica, va scomparendo;per le poltrone, per le sedie e spesso per le pareti, ritornano i velluti, i percalli, i linie altre tappezzerie, di cui alcune per qualità e per colore piacevolissime. Da ricor-dare ad esempio il tessuto grigio sniafiocco dello scalone d’onore.E l’ornato, anch’esso si fa strada, nei mobili, per raffinatissimi intarsi sulle pareti,per affreschi, sulle poltrone, per qualche timido lavorino. Tutto levigato ancora, manon tutto geometrico, claustrale, gelido.Le maggiori concessioni, sono state fatte – forse troppe – alle signore, nel salotto diOsvaldo Bolsani e nella Camera da letto dell’Architetto Guido Frette: assai simpa-tica, nella semplicità del materiale usato e la stanza di soggiorno dell’ArchitettoPollini e Figini che vuole essere considerata come una reazione agli eccessi dello spi-rito meccanico, uno studio di ritorno al «naturale».La novità è costituita dal fatto che in unico ambiente si trovano tavolo e sedie impa-gliate di tipo schiettamente popolare, con un alberello, un quadro, una scultura euna pittura che rappresenterebbero «le esigenze dello spirito». Piacevole è la sem-

306

Page 307: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

plicità rusticana che deriva dall’impressione di fresco di mattinale, tratta dal miteaccordo di colore.Tutt’altro effetto deve raggiungere la sala d’attesa per lo studio di un medico, benlo raggiunge quell’architettata da Bottoni e Pucci. I progettisti hanno voluto reagi-re a quei salottini di vecchie case, dove gli ammalati sono introdotti col peso dellaloro malinconia o della loro pena, ad attendere, accanto ad altri malati, sfogliandorassegne, toccate da molte mani, divagando lo sguardo sulle pareti sul quadrettino,sul ritratto di famiglia e più attenti, per la posizione stessa delle poltrone, rivolteverso la porta d’ingresso, a chi entra, che verso la porta del gabinetto medico. Inquesta sala tutto è semplificato e alla distrazione dei clienti si provvede con unacquario. Soluzione impensata, come si vede ma non priva di fascino. Anche unabella esposizione di fiori, o di piantine grasse, o di minerali potrebbe servire all’uo-po. Ma la malinconia, alla fine, resterebbe uguale.L’Architetto Pica, invece, ha allestito una stanza per il collezionista d’arte, e sugge-rimenti di questi tipi sono assai utili massime in Sicilia, dove la mania dell’antico,mette in tanta confusione per la esposizione delle molte maioliche o per altri ogget-ti d’arte raccolti, si che sarebbero da studiare i rari sistemi per custodire e valoriz-zare, in appartamenti del tutto moderni, le belle opere di arte antica.Un armadio che molti vorrebbero possedere è quello architettato da Gibelli ed ese-guito e presentato dalla ditta Pozzi, che fa da armadio, da specchiera, da stanza pertoletta un prodigio di comodità. Già gli armadi oggi, hanno assunto una grandeimportanza. Abbiamo visto dapprima, gli armadi a muro, ora vediamo anche arma-di, che, invece di essere appoggiati a muro, formano essi stessi, mezzo di divisionedi ambiente rivestendosi all’esterno con mattonelle oppure con stoffe, oppure deli-mitano essi stessi un piccolo vano adattabile ad altro uso. Modo di utilizzare spazioquesto, più simpatico del letto sospeso in aria nella stanza, proposto dall’ArchitettoFranco Albini.Ma qui, nella mostra di arredamento, mobili, tappeti, tendaggi, ceramiche, sonoquasi tutti di materiale scelto e prezioso, si che non sono adatte per tutte le catego-rie di persone. Nella mostra dell’abitazione, invece, si sono considerati «tre tipi dialloggi, corrispondenti a tre categorie sociali ben distinte: l’operaio, l’impiegato, ilprofessionista» e per questi tipi sono offerti suggerimenti di arredamento moderno,semplice, con possibilità di limitata spesa e di comodità. Vi è ad esempio la presen-tazione di una stanza adatta per soggiorno e per riposo dove può essere interessan-te un tipo di libreria tavolino armadietto, assai semplice ed ingegnoso; v’è un tipodi alloggio per quattro persone, non strettamente economico, ma con soluzioni dirisparmio spazio, ottenute con armadi riservati nel muro e con pareti di vetro checonsentono la divisione degli ambienti senza togliere la luce, elemento che è la

307

Page 308: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

costante ricerca, insieme a quella dell’igiene, di tutte le costruzioni moderne.Le pareti possono essere anche mobili, in modo che ciascun inquilino possa dispor-ne il collocamento nel modo più opportuno, secondo le proprie esigenze; nel pro-getto di casa popolare, presentata dall’Umanitaria, appare la suddetta soluzione chepuò essere applicata a vantaggio della comunità e del risparmio.Anche la testata del letto, a volerla considerare, può essere utilizzata in vario modoed ecco che in un progetto di abitazione per professionista, l’unico ambiente puòservire a tutti gli usi perché quivi una scaffalatura sola comprende libreria, scritto-io, mobile per lavori femminili, bar, radio grammofono; una tenda nasconde il lettomatrimoniale che può far da divano e la testata del letto serve, divisa in vari scom-parti, a tutti gli usi; due armadi determinano un piccolo vano in cui è una piccolavasca da bagno e un lavabo. Tutto in una stanza.Anche per il pasto da consumare in ufficio, dato l’orario unico, è stato creato un tipospeciale di mobile anzi, è stato presentato addirittura, dall’Architetto Bottoni unufficio per piccole aziende ad orario unico, come non deve essere, e cioè con paretiscure, macchiabili e finestre mal disposte, e mobili pesanti, difficilmente trasporta-bili, inadatti per consumare il pasto, e l’arredamento come deve essere per l’illumi-nazione razionale, per pareti lavabili, per mobili adatti anche a trasformare in tavo-lo e armadio per pranzo. Esempi di altri ambienti per studenti, per professionistisono offerti in questa parte della mostra, che è frequentatissima, tanta è la curiosi-tà, non scevra di desiderio di possesso, per queste case semplici, comode, così pro-fondamente diverse dai piccoli alloggi, piccoli, bui, colmi di inutile e inadatto mobi-lio delle costruzioni del tardo ottocento.Se poi da queste stanze si passa nel grande salone che contiene le opere presentatedall’E.N.A.P.I., ceramiche, mobili, ricami, vetri, scatole, fiori ricami e argenterie,eseguite da molte ditte e da artigiani artisti (la Sicilia è rappresentata da lavori diRosa Loiacono, di Pietro Bevilacqua, della scuola di S. Stefano di Camastra, daFrancesco De Giovanni, da Francesca Salaroli, da Antonino Tomaselli, da MiceliGiuseppe e da Mirada Filippo) allora dall’interesse di ordine pratico si passa all’in-teresse di ordine estetico, perché il grazioso disegno, la forma armoniosa, il mobileperfetto appaiono di frequente e dimostrano come, anche nel campo artigiano,l’Italia vada sicuramente riaffermando il suo tradizionale primato.

17 Settembre 1936 – ITINERARI CADORINI. TIZIANO IN CASA

Pieve di Cadore, SettembreMa dunque, questa è la tua casa, Tiziano, così grigia, semplice, squadrata, stretta dal

308

Page 309: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

ballatoio nero, come da una cinghia, gravata dal pesante soffitto, nero come unincubo? Me l’additò per primo una vecchietta tutti intagli e rughe che falciava erbepresso il bosco di Pieve, e cioccolava basso basso, e pareva parlasse alla sua terra unvecchio e familiare discorso mai interrotto con le erbe e gli insetti. Sulla via che daSottocastello introduce a Pieve, la si ritrova subito appena si abbia consuetudine aqueste case cadorine tipiche, nella loro semplicità costruttiva fatta di pietra e dilegno, senza un colore, senza un ornato, con qualche inferriata che ridona la tela deiragni nerissimi qui, più che altrove operosi, e qualche intaglio nel legno dei ballatoie delle scale così infantile, che sembra intagliato per gioco da mani inesperte. Casecadorine, che hanno già la tristezza delle case nordiche e parlano di una vita sobria,onesta e buona in ritmo concorde con la terra.Popolari o signorili, la loro forma è eguale la pianta, se non le diversifica «la statua»a piano terreno, dove si riunisce nei giorni di festa la famiglia con gli ospiti illustri.E qui c’è la stua, ampia, severa perchè nobile era la famiglia di Tiziano e ricca efedelissima alla Magnifica Comunità Cadorina; c’è la stua, e ci sono le camerette diabitazione a primo piano con le finestrelle quadre di un timido rinascimento mon-tanino, e c’è la cucina grigia e spenta. La cucina. Io vi cercavo il focolare variopin-to e il rame lustro e fiammante e i piatti maiolicati e smeraldini, delle nostre cam-pagne, e vi trovo invece un gradino quadrato, sotto una cappa cupa d’ombra e duetorcieri senza fiamme, e due seggioloni vuoti all’estremità del sedile che gira intor-no alla parete presso l’alare funebre come un’ara. E tu stavi proprio qui, seduto inuno di questi seggioloni, chiudendo il cerchio dei familiari, mentre la fiamma rubiz-za accendeva il tuo volto da cadorino, e il buon vinello caldo dalla fiammata, accen-deva il tuo sguardo arguto e immobile nel rosseggiare delle legna? E in questa stan-zetta semplice e piccola tu lavoravi, nei riposi alla vita di città e di corte? È diffici-le rievocare qui la tua pittura così magnifica e gloriosa le alcove vellutate in cuidistendevi le tue belle donne, i velluti, le sete, i broccati, gli ori e i gioielli che ver-savi sulle tue tele, la sontuosa ricchezza di quei palazzi che tu architettavi, tuttoquell’ardore di vita aulica, pagana, trionfante di grazia e di forza. Hanno adunato inqueste umili i segni della tua potenza mortale, e, proprio nel tuo studio, dove rive-devi i conti forse del legname che commerciavi, qui c’è l’originale decreto di CarloV dal re stesso firmato che ti nomina conte Palatino e vi sono i tuoi sigilli, e unalettera di Pietro Aretino, che cominciando da un elogio ai galli selvatici finisce conun guardingo discorso di letteratura. Poi vi sono le copie fotografiche di tutti i tuoiquadri, gramo compreso, e qualche libro prezioso in tuo elogio.Ma è pur semplice e austera, questa casetta che è stata liberata da ulteriori sovrap-posizioni devastatrici dai restauri voluti dal Comune, guidati da una stampa pub-blicata nel libro dell’Abate Cadorin e che si intitola «Dello Amore ai Veneziani di

309

Page 310: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Tiziano Vecellio, delle sue case in Cadore e in Venezia della vita dei suoi figli»stampato nel 1883 – pur così, anzi proprio così, come essa illumina quello spiritosodo, tranquillo portato al vero piuttosto che al nuovo – quello spirito che formasiccome i veri letterati, così i veri pittori, che gli lodava il Lanzi e che gli permiseuna vita sempre sobria, onesta, equilibrata nei suoi affari, accorta tenace nei suoiaffetti, previggente ha da fargli dipingere a 97 anni la tragica Pietà dei Frari perpagarsi il suo posto nella tomba.Si partì da questa sua casa a dieci anni col fratello Francesco per andare a studiarea Venezia che gli fu cara come Patria, ma qui egli ritornava per il riposo del cuoree per accudire ai suoi affari, a quelli della sua terra, e vi ritornò fino ad 88 anni perdifendere ancora i suoi diritti, compiendo un viaggio allora, in zattera per il Pieveo su a cavallo assai impervio.Tempra di Cadorino fortificatosi tra la neve e il sole come gli arbusti della foresta.L’arte di Tiziano, la realtà che l’ispirava, bisogna andare a cercarla fuori nella cam-pagna nelle vallette in cui celiando si nascondono le acque e vanno gorgogliando trai fili d’erba o per i declivi coperti di abeti come da coltri di nero stinto o per le cimeche sbucano, all’alba rosee e ridenti e poi si annebbiano leste, e scompaiono, o per icieli che hanno sempre faunesche guerriglie con le nuvole gonfie di luce. Bisognaandare a cercarla fuori, nel bosco presso la sua casa, dinanzi alle Marmarole ceruleeal di la della felpa verde del Trezene.Hanno le Marmarole cime aguzze, saettanti, come campanili gotici sopravvissuti adevastazioni demoniache, o guglie di templi abbandonati.Le nebbie al mattino, quando si sollevano, lievi, morbide ondulanti lasciando allecose un ricordo di candida cipria, a stento si districano dai denti aguzzi di quellecrode, prigioniere fino a che il sole già tardo non le soccorra. Allora restano, nellachiarezza solare così cerulee dietro il verde nero degli abeti da far sognare traspa-renze miracolose se lassù si riuscisse a portarsi. Tutto il cerchio delle montagneintono alla Valle del Piave ha peso e materia e severità grave ha la vettadell’Ontelao, e il duplice giogo del Pelmo, ma esse, le Marmarole sembrano soffia-te in vetrerie muranesi da buccine enormi.Non si dimenticano, e non le dimenticava Tiziano, se dipingeva lontano dalla suaPieve la Presentazione al Tempio di Maria. Allora dietro il palazzo a marmi rosati,aprì largo sfondo di cielo e nel cielo il profilo delle Marmarole e di quel colore diazzurro lieve vestì la piccola Maria, che ascenda sulla scala, in un alone di luce. Ese dipingeva la guerra del Cadore riapparivano le guglie irte aguzze, come alabardeprotese spade acute e sguainate. Ma tutto quel verde della valle e dei monti accesoè spento nel gioco vario della luce, come doveva stargli fermo negli occhi se dipin-geva campagne e colline o filari di alberi dietro la calda nudità delle donne. Quel

310

Page 311: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

verde, che ad ogni passo si muta se la falce è passata da un’ora o da un giorno e quiè smeraldo puro e qui è duro come malachite e s’incupa se i pini si stringono inmutate coorte su per le vette o si sfiocca e s’intenerisce nelle foglie dei larici e siannera negli abeti solenni e composti e s’indora nelle pannocchie fruscianti, quelverde terso, cristallino, muschioso, felpato, serico, quel verde di tutti i toni mutevo-le sempre come le voci della campagna a notte, ma benevolo e mite all’anima cheplacata si ferma quel verde, camice sacro della terra, quante volte dovette apparirglidipingendo velluti di vesti ed ombre felpate di boschi!Pur qui, nel quadro che egli dipinse per la sua Chiesa parrocchiale, che egli stessopose sull’altare «La Madonna e S. Tiziano» pur qui egli avvolse di un verde di erbatenera ed innocente la compiacente Madre che nutre il suo Bimbo e di bianco e dirosso i santi che le stanno a lato, mentre egli, Tiziano stesso sta in ginocchio con losguardo febbrile e intenso a guardare la Vergine.Quelle tre note di colore, qui nella chiesa di Pieve che vide per due volte soldata-glia tedesca a bombardare castelli e distruggere case, e uccidere uomini, poste sul-l’altare, prendono valore di una promessa e di un simbolo.

2 Ottobre 1936 – IL MUSEO DEL RISORGIMENTO A VENEZIA

Più che un ricordo della storia di Venezia tessuta, dalla fine del settecento alla primametà dell’ottocento, di battaglie, di sconfitte e di vittorie il Museo delRisorgimento, inauguratosi recentemente a Venezia, serba il ricordo vivo di tutti isentimenti che gli eventi determinarono e mutarono, serba il sorriso e la lacrima,l’ironia e lo scherno, tutto il respiro di vita, tirato fino al cuore, di quegli uominieroici che la Patria congiunsero e salvarono. Riesce così, per la sua chiarezza, utilea tutti: agli storici, che vi trovarono elementi nuovi di studio, al popolo, che vi trovapure il particolare aneddottico, le illustrazioni caricaturali e le incisioni illustrative,agli studiosi d’arte che scoprono nelle varie sale, alcune opere d’arte o di interesseartistico, poco note. C’è ad esempio, un morbido e vibrante bozzetto della statua diPio VII esistente nella basilica di S. Pietro a Roma di Antonio Canova, che parserbi ancora il calore della mano che il sugello gli diede di vita; ci sono i deliziosiacquerelli di Ippolito Caffi, un disegno rappresentante un ritratto di Eugenio diBeauharnais, sottolineato di un chiaro scuro ambrato si che sembra inciso nell’oni-ce, e certi tragici disegni di Bucci, che costituiscono le più gradite sorprese, alle qualisi aggiungono quelle offerte da certi disegni e stampe e incisioni che serbano ricor-do di opere d’arte distrutte: la statua di Napoleone I, di Domenico Banti eretta nel1813 e demolita nel 1814, il fregio del palazzo napoleonico da cui ora manca la sta-

311

Page 312: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

tua di Napoleone, distrutta alla caduta dell’impero, per citare le cose più importanti.In ogni sala, l’evento politico che trasformò la vita della fiera repubblica, è ricorda-to dal proclama ufficiale; tutte le risonanze nel popolo sono ricordate per via di cari-cature spesso volgari ma efficaci e spesso spiritose. Quando Pantalone edArlecchino appaiono con il loro popolare buon senso a commentare gli eventi, lecaricature diventano malinconicamente ironiche. Dopo il patto di Campoformio,appaiono, in una incisione, il Generale Bonaparte, il Principe Carlo e l’oste cheescono da una trattoria, e l’oste domanda: - Chi pagherà? Bonaparte risponde: -Non tocca a me. Il Principe Carlo soggiunge: Non ho denaro.Il Pantalone, che sta ad ascoltare, dice all’oste: Amigo, pago mi. E pagò per davve-ro. In un’altra incisione, della stessa epoca, mentre il leone di S. Marco è portato via,Arlecchino dice a Pantalone: - Amigo Pranzè, sbragè quanto volè, no ghe più ilcaso, xe finia; per el passà arè ridestu, adosso a mi, adesso tocca a mi, rider de vu.E Arlecchino rideva nella temporanea illusione: il popolo veneziano ballava intor-no all’albero della libertà - come appare in un disegno acquerellato di GiacomoGuardi – ballava intorno a Napoleone onorandole l’entrata a Venezia il 23Novembre 1807 con un corteo magnifico che altre stampe ricordano di peote e dibissone nel Canal Grande. E intanto altre rare stampe, ricordano l’ingresso delleopere d’arte italiana a Parigi, e i cavalli di S. Marco collocati sopra i pilastri dellacancellata delle tuilleries e il leone di S. Marco posto ad ornamento di una fontanaa Parigi, proprio quel Lionello fremente di libertà che ci dà il primo saluto aVenezia presso la Basilica fatta d’ombra e di oro.Dalla IV sala in poi, cominciano i ricordi vivi dell’insofferenza al giogo e comincia-no le testimonianze delle tragiche reazioni. I solchi delle lacrime sono più visibilidelle smorfie del riso.«Meglio morire libero sul palco o con le armi alla mano, che vivere tranquillo edisonorato dalla schiavitù» affermava Emilio Bandiera e le parole, ricordate in unatarga, sembrano tutto il nuovo programma del popolo veneziano. La maturazionedi questo programma di eroismo e di sacrificio si segue in tutte le belle lettere deiFratelli Bandiera, di Silvio Pellico, di Daniele Manin, di tutti gli altri eroi, anche inquelle, poco note, di Bernardo de Canal.Lettere semplici, sincere, nelle loro umiltà, eroiche. In una lettera di Silvio Pellicoscritta a pochi minuti dalla partenza per lo Spielberg, egli si raccomanda per averele rime di Cavalcanti, la Vita Nova, il Convivio, la Rime di Dante: in altra letterascriveva: «Più medito sulla mia sciagura, e più mi persuado che debbo ringraziareIddio perché esso mi ha fatto ricorrere ad un bene inestimabile: la Religione».Lettere, ricordi di Daniele Manin, stampe, costumi, incisioni, esistevano al MuseoCorrer; era un patrimonio prezioso che si era venuto formando con lasciti e doni,

312

Page 313: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

da quello di Pietro Marsich che aveva partecipato come generale comandante alladifesa di Venezia del 48, a quello di Federica Elisabetta Planat de le Faye, che conbenevole amicizia curò nell’esilio Daniele Manin e la figlia Emilia all’altro, prezio-sissimo, di Giorgio Manin, all’altro ancora costituito da tutti i Bandi e Proclamiufficiali dei vari Governi che si succedettero a Venezia dal 1797 sino al 1866; condonazione della Biblioteca Cortes e con acquisti. Aveva avuto ordinamento edesposizione, già prima della grande guerra, in una vecchia casa a S. Stae ma poi pergiusta prudenza, durante la guerra era stato custodito in altri luoghi fino ad oggiche la volontà di S. E. De Vecchi si è attuata con l’opera del Podestà di Venezia, econ lo studio del dottor Lorenzetti, direttore del Museo Correr e di MarioBrunetti. Studio diligentissimo è stato posto per il nuovo ordinamento del riccopatrimonio, in un’ala del Museo Correr, studio di semplificazione e di chiarimento,studio, di parlare al popolo, ma con parola sempre nobile ed alta. Di sala in sala, lastoria diventa azione, l’azione dramma e il popolo, è sempre attore non dimentica-to. Ed è ben giusto ed esemplare non dimenticare l’uomo, non strappare l’evento inuna zona di fatalità, non rimetterlo ad una casualità benevola ed avversa ad unaEumenide o ad una Erinni.

29 Ottobre 1936 – ALLA MOSTRA DELLA PITTURA NAPOLETANA

DELL’OTTOCENTO. PITTURA MEDITERRANEA

Se un paesaggio di Salvatore Rosa, con vermiglia atmosfera e pietre avvampate dabruciamenti tellurici e alberi scapigliati e angosciati per raffiche temporalesche,fosse stato posto nell’antisala della mostra della pittura dell’Ottocento napolitana aNapoli, sarebbe stato ovvio anche per il pubblico, il nesso ormai inequivocabile pergli studiosi, tra la pittura napolitana del tardo Seicento e Settecento e quelladell’Otto.Tra la pittura di Salvatore Rosa e quella di Gabriele Smargiassi, che allievo delnostro Giuseppe Cammarano e del Pitloo fu applauditissimo paesaggistadell’Ottocento napolitano, la tirata di rete è così breve da suscitare l’impressione diuno stesso tessuto cromatico. Sicchè, quando si vedono i piccoli quadri di AntonioPitloo al quale si è sempre escritto il merito di iniziare la scuola di paesaggio a Napolie si contempla in tali quadri quella maniera assai frigida di curiosare olandese, e poisi guardano dello stesso pittore gli altri quadri più tardi, che hanno un modo pitto-rico completamente diverso suggerito da un’insolita espansività di meridionale, ci sidomanda spontaneamente se a creare la pittura di paesaggio napoletano, fu proprioil Pitloo o se piuttosto non fu l’immediata tradizione naturalistica paesistica del

313

Page 314: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Seicento e del Settecento napolitano a determinare nello spirito del maestro olande-se e in tutti i suoi immediati scolari, questo entusiasmo per il paesaggio.Quesito già posto e risolto da Oietti a Ortolani, e che però trova, in questa piccolama avvincente mostra, una chiara e popolare dimostrazione. La quale soprattuttoconverte sulle belle e chiare e riposanti qualità di tale pittura napolitana tutta domi-nata dal sole e dalla terra, tutta fatta di colori caldi e morbidi, tutta piena di abban-dono orientale. Deuteragonista, appare, in tale pittura, il paesaggio con monti evalli, ma anche un semplice tronco d’albero squarciato da una raffica, un grovigliodi rami, un declivio di colle, poche zone di terre umidiccia, un fascio di erbe, reci-tano la loro parte dignitosamente, in questo mondo in cui l’uomo si impicciolisce escompare, lasciando sola protagonista, ammiratissima, la luce solare.Se a questa pittura napolitana si aggiunge la pittura siciliana scarsamente nota, senon nei suoi due più notevoli rappresentanti, il Lo Jacono e il Leto anch’essi inva-si da questa aspirazione costante al rendimento della materia assolata e tepida si puòveramente parlare di una pittura mediterranea ottocentesca come sarebbe il caso dideterminare con egual nome la pittura dell’Italia Meridionale e della Sicilia, dellaprima metà del Quattrocento, misteriosa nelle sue elaborazioni pittoriche, ma riccadi risultati. Pittura mediterranea così come esiste un’architettura mediterranea,legata alla terra senza slanci mistici, pittura che è tutta permeata di luce e di unaluce che pare non colpisca soltanto il senso visivo, ma anche il tattile, in riferimen-to alle calorie e alle frigorie che essa emana. Originalissimo vi appare, quel rendi-mento di permeazione solare nella materia più occulta nei più labirintici anfratti,che è una cosa del tutto diversa dal luminismo anteriore, o da quella inerte diffu-sione solare dei paesaggi inglesi, da Turner in poi, quel rendimento di cosmicaebbrezza che è in tutto il paesaggio meridionale da Capri a Taormina a Erice.Vedutisti furono chiamati questi pittori meridionali, e pare sia colpa, aver tratto ispi-razione da questa natura o sia colpa in loro di inerzia fantastica. Ma, solo che si guar-di, in questa mostra organizzata con intelligenza, quel «paesaggio» di GabrieleSmargiassi dove una cascatella di foglie gialle dall’albero schiantato e rovescio, scen-de sulla dura compattezza della roccia, o si guardi, quell’autentico capolavoro che èla «Barca» di Consalvo Carelli, funebre sotto la variopinta tenda e sprofondata nel-l’ombra di misteriosi neri, così avvincente per la bellezza vivida del colore e per lapoesia che suggerisce, o la «Marina con barche» di Antonio Van Pitloo accesa e ver-miglia per vedere quante qualità di fantasia oltre che di tecnica riuscivano ad averequesti pittori, anche minori. I quadri di Giacinto Gigante, di Filippo Palizzi, Nicolae Giuseppe Palizzi posti nella sala III, la sala centrale, sono poi una sfilata di operedi tanta originalità che soffocano nella loro italiana cadenza la parlata dei due stra-nieri: Duclere e Pitloo; come, il colorito linguaggio partenopeo soffoca gli accenti di

314

Page 315: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

una qualsiasi conversazione straniera. Ma dei Giganti e dei Palizzi non è più da direin modo storico e erudito ma da ammirare con complessa gioia quella loro indivi-dualità potente che riesce sempre ad esprimersi alternando l’epico all’idillico; è davedere come Filippo Palizzi dipinge il paesaggio d’Abruzzo immerso in una gelidachiarità luminosa con un rapporto di grigi scuri e verdi che è un pieno incanto, ocome egli renda un «Avvicinarsi dell’uragano» dipingendo l’ultimo furore solare sullaterra entro cui vibrano cose e animali e figure con un trepido sgomento, comeGiuseppe Palizzi renda la mirabile luce del bosco di Fontainebleau. Scompare l’in-dagine critica e prevale nei visitatori la quiete di un compiacimento estetico giustifi-cato da tanto magistero di colore. Pittura naturalistica, fatta di gioioso abbandonoalla bellezza delle cose ma anche fatta di una reale commozione per le cose dellanatura la quale riesce a dare anche ai piccoli maestri, come ad Alessandro La Volpeo a Guglielmo Giusti, a un Punto, a un Campliani, accenti interessanti. Ma quandonella sala V appaiono i quadri di De Nittis, di Mancini, di Michele Cammarano, diFederico Rossano allora si ha l’impressione che il linguaggio mediterraneo della pit-tura napolitana sia diventato universale nella sua vasta risonanza di echi mondiali enella sua magnifica originalità. E se piace accanto a due quadretti di Giuseppe DeNittis dipinti nel periodo napolitano con la compattezza plastica e una chiarità sola-re di tipico modo partenopeo, mettere a paragone gli altri quadri dipinti a Parigi,disfatti e sapienti, e piace tra i quadri di Antonio Mancini la stupenda «Scala dellaSapienza» della raccolta Chiarandà ascesa di gridi nella chiarità pallida del cielo, ipatetici paesaggi di Federico Rossano, qui nella sala V non soltanto; piace ma diso-rienta, per il suo altissimo valore di universalità, la pittura di Michele Cammarano,la forma demiurgica che egli consegue componendo di ebano e spuma quei «legna-iuoli» (rac. Chiarandà) stupendi nel loro plastico e irrevocabile piantarsi accanto altronco d’albero abbattuto in una austerità di tono che trasforma la scena in un rito.Con quella violenza originalissima di Michele Cammarano si conclude la stupendaascesa della pittura napolitana dell’ottocento, il suo trasferirsi dalla baia di Porticiall’infinito, dalla campagna partenopea all’universo.E si conclude il valore di questa mostra che pur nell’esiguo numero di opere e inun apparente, più che sostanziale disordine storico ha il merito insolito di lasciarenon stanchi, non sazi, né attivamente cupidi di maggiore conoscenza intellettivaed estetica.

315

Page 316: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

4 Novembre 1936 – OTTOCENTO SICILIANO. PITTORI DIMENTICATI: CUMBO E

COFFA

Un dimenticato, Ettore Cumbo e non soltanto dalla critica ma dai Siciliani stessisicché a domandarne notizia a Palermo e a Firenze o altrove, era come scenderedagli scaffali ammuffiti un libro senza titolo. Pure, qualche notizia raccolta segna-lava un pittore di un certo merito che, nato nel 1833 a Messina e trasferitosi aFirenze aveva partecipato a moltissime mostre di pitture, di paesaggio ottenendoqualche onore, una medaglia di argento alla Mostra Nazionale di Palermo, la nomi-na a socio dell’Accademia di S. Luca e dell’Accademia Fiorentina, la partecipazio-ne alla mostra internazionale di Londra. Ma dove si trovano opere infruttuose lericerche nella Galleria Municipale di Palermo, della Galleria Nazionale di Firenzee di Roma, e nelle più importanti raccolte private nessun quadro segnalava la suafirma. Ritrovare presso la famiglia Cumbo a Firenze un discreto numero di pitture,riconoscerne alcune di grande interessate, tutte poi opera di un diligentissimo arti-sta, è stata la ricompensa più larga alla lunghissima inchiesta.Domina nella produzione di questo, come di altri artisti siciliani dell’ottocento, daAntonino Gandolfo a Calcedonio Reina dallo Scuti all’Attanasio una mutabilitàestrema come una inquietudine implacabile sicché accanto a pitture di scarso inte-resse altre ve ne sono di improvvisa genialità, di rara esperienza, ma quando ci siabitua al meglio, subito si è tratti al peggio e al mediocre. Pittura di volontà di ricer-ca, di onestà più che pittura di fantasia, mestiere espertissimo, che riesce a toccareil limite dell’arte e spesso una onesta mediocrità che non cerca onestamente rive-stirsi, delle penne del pavone Ettore Cumbo e tra questi pittori egli cominciò la suaattività verso il 1872 quando da Napoli a Firenze si era già formata la zona fresca esensitiva della pittura ottocentesca, alcuni paesaggi di quel periodo, ispirati quasitutti al paesaggio toscano con declivi di colline verdi e cieli annuvolati, riportanoallo spirito della pittura toscane più che a quella mediterranea. Più tardi, al suo spi-rito che si rileva quieto e casalingo, studioso appunto di questi paesaggi toscani mitinei bassi ondulamenti e nelle smorzate colorazioni dovettero presentarsi degni diattenzione alcuni angoli remoti della antica Firenze, alcuni posticini umidi oggiscomparsi, dove il colore compone certi adagi di poche note così fatti di grigio, dimarrone di sabbia con una spontaneità piena di entusiasmo. Riuscì allora a crearecerti quadretti gradevolissimi, uno rappresenta la «Piazza del mercato vecchio» conl’imbocco di Via Strozzi, un altro un angolo di «Piazza del Pesce», un altro ancoraun «Angolo di Firenze» dove un gruppetto di calzolai attende al lavoro sfoggiandonei vestiti certe tonalità azzurrine e rosse e giallo dorato che brillano tra il grigio delselciato e il giallo delle mura. Le quali tonalità assai calde di colore si accrescono in

316

Page 317: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

numero e intensità nelle nature morte assai vivide e belle anche se non originali, esi smorzano come tanti insegnavano nel dipingere marine. Di queste alcune, le piùpiccole di dimensioni sono assai accorte e dedicate e se è scomparsa «La marina inburrasca» che una fotografia ritrovata negli scarti di Brogi segnava appartenente allaGalleria Moderna a Firenze probabilmente all’ex Galleria Pisani è rimasta una«Piccola marina» in Casa Foligno a Firenze, forse bozzetto di un quadro passato aMonaco che è un piccolo capolavoro nella fusa e accorta gradazione di grigi e diverdi, qualche volta induriti fino a diventare metallici altre volte sfumati comedipinti di pastelli. Un piccolo quadretto che può porsi tra le più suggestive marinedella pittura ottocentesca in tono minore tra Ciardi e Bianch.Ed un’altra piccola marina, certo bozzetto, con una fuga di vele grigie sul maremostra che il pittore fosse delicatissimo e immediato nelle prime impressioni pit-toriche, ma non riusciva a mantenere tale qualità nei grandi quadri con effetti ditramonto tra i rami o sulle acque, di gusto ancora antiquato e remoto.Artista non grande Ettore Cumbo, ma per quelle sue vedute di Firenze antica e percerta nature morte eleganti nella fresca vivacità di colori, e per questi bozzetti. Lidimarine, egli non merita il totalitario silenzio. Come non lo merita Antonio Coffa,tra i primi impressionisti siciliani, vissuto in un primo tempo a Napoli forse pressoMancini, come dimostra qualche tavoletta in Casa Restivo di Palermo di cui una,rappresentante un contadinello che è di schietta derivazione manciniana.E basta, tra i quadretti di Casa Saluparuta, osservare la spigliata grazia con cui sonorappresentanti alcuni «Tacchini sotto la pioggia» per avere subito molto interessedelle qualità del pittore che a Firenze, verso il 1886, suscitava l’entusiasmo di uncritico, Chiaro Chiari, il quale, descrivendo una visita alla Galleria Pisani, doveerano pregevoli quadri dei più grandi macchiaioli, si fermava in modo speciale aparlare di un quadretto rappresentante una contadina al sole di cui riproduciamo lafotografia ritrovata nello scarto Brogi. Era entusiasta il Chiari, e mentre contrappo-neva il nostro Leto al Toma diceva così di Coffa: «Artista originale poiché in tuttii suoi lavori vi è quella sua impronta talmente sentita che lo riconoscereste fra mille.È un paesista di tinte limpide è pulite, direi che vede la natura in modo aristocra-tico ma però l’accento che riproduce è solo della verità. Se è bella una tela di unaveduta di Firenze per la tinta locale indovinata non sono interiore certo per granmerito altri suoi lavori specie una «Ricreazione in campagna» ove l’abbarbaglio deicolori non disturba l’effetto generale anzi fa ammirare la grande perizia dell’artistache ha saputo ritrarre con vita e colore i più minuti particolari senza recare distur-bo alla massa totale del quadro». A noi il quadretto purtroppo non visto, rivela unartista di scuola mediterranea, studioso di chiarità solare, fraternamente unito con imaestri della Scuola di Portici un altro della schiera dei naturalisti semplici e schiet-

317

Page 318: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

ti. Pittura di risonanza questa di Coffa e di Cumbo, più arguta più capace di elabo-razione originale quella di Coffa rimasta però senza plauso e senza ricordo.Ma ritrovando tanti fili diversi e intrecciandoli, si va formando una grossa fune laquale congiunge la Sicilia e Napoli, tenuti fili ma anche resistenti e interessanti.

14 Novembre 1936 – ANTICO ARTIGIANATO SICILIANO. CORALLI E CORALLARI

TRAPANESI*

Se caso o ricerca porta nello studio di Alfredo Ravasco dinnanzi ad alcune di quel-le sue fiabesche preziosissime opere composte alternando poesia a pittura e scultu-ra, in cui il corallo sia stato scelto come elemento ornamentale, si rinnova sempre ilrimpianto vedendo tanta possibilità di adattamenti, tante fantastiche trovate, che aTrapani, proprio nella terra madre dell’industria e dell’arte corallifera il corallo nonsi cerchi più, non si lavori più.Lo ricercarono per primi, gli antichi trapanesi in quel mare che avvince in azzurraguaina la loro terra falcata e le spiagge care a Virgilio e più oltre, in altri mari piùlontani. Se lo ritrovavano S. Lucia li aveva guidati nell’opera, miracolosa e benevo-la, amica come a Dante. Quando lo ritrovarono nel 1513 proprio a ponente dell’iso-la di Marettimo fu grande festa e più tardi andarono a deporre due lapidi su pila-stri della chiesetta della santa e vi apposero i graffiti rappresentanti i banchi coral-lini e la barca privilegiata con l’iscrizione:«L’anno del Signore MDCLI. Li pescatori di Trapani ritrovarono una sicha dicorallo quindeci miglia per maistro di lo caporosso di Levanso per libeccio la sca-nalata in cima della torre di Maretimo; per scirocco il Capogrosso di Levanso e laCava di S. Teodoro; e per Levante il Balaticcio di Bonaria e le colline delleMontagne di Baida chiamate li Pagliaretti: e li medesimi fecero questo scritto mar-moreo a memoria e benefitio delli posteri S. Lucia».(Coeva all’iscrizione una barchetta in lamina di argento appesa ad un rosario chetrovasi nel piccolo tesoro della Congregazione di carità a Trapani e pure coeva l’im-pugnatura graffita su bellissimo ramo di corallo purtroppo spezzato che secondo latradizione sarebbe il primo, pescato nei mari di Trapani).Essi i trapanesi, che già avevano avuto accordato da Federico II di Aragona i privi-legi di libero traffico, furono anche i primi a inventare lo strumento della pesca chechiamano «insegna»: una croce greca di ferro di circa un metro con forti retiall’estremità dei bracci e un peso di parecchi chilogrammi al centro. La barca neiposti coralliferi, i pescatori calano lo strumentale, reti si impigliano tra i rami delcorallo e, allo strappo delle reti i rami si spezzano. Così sale alla superficie del mare

318

Page 319: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

antozoo, il fiore vivo, il magico corallo che Ovidio pensava molle nell’acqua, duroalla superficie del mare. Magico era ritenuto già nei tempi antichissimi che iRomani ne riponevano pezzi nelle culle e i Galli se ne ornavano gli scudi e financoil Bambino Gesù sulle tavolette trecentesche porta appeso al collo il cornetto dicorallo, buon augurio. Magico e medicamentoso: tonico, astringente, diuretico.Una volta pescato il corallo, i trapanesi per primi impararono a bulinarlo oltre chespezzarlo, a limarlo, a levigarlo. Così l’attività divenne triplice, attività di pescagio-ne, attività di lavorazione attività di esportazione. 45 botteghe erano occupate alavorare corallo, mentre cinquanta barche trapanesi partivano ogni anno per lapesca. L’industria favorì l’arte: espertissimi divennero nella lavorazione sicché, aBarcellona, nessuno che non fosse trapenese poteva lavorarlo e dappertutto massi-me in Inghilterra, giungevano le piccole opere cesellate nel «fiore di sangue».Altrove si lavorava, ma in piccoli ornati in piccoli bottoni, a Trapani già nel 1500 «imaestri corallari lavorando fanno così onorata mostra che altra tale in tutta la Sicilianon si vede né in Italia. Lavorano essi il corallo con legiadrissimo artificio, politez-za, intagliandovi vaghissime immagini come della Vergine Santissima e si manda-no in lontanissimi paesi per presentarsi a grandi principi». Testimonianza autorevo-le, perché coeva e riconfermata del resto dal magnifico arazzo rappresentante laBattaglia di Lepanto tutto in seta e corallo in Casa del Conte di Mazzarino.Che si guardino a Trapani i gioielli di Casa D’Alì Staiti ove il corallo ha preso tuttele più fantastiche forme e gli altri bellissimi del museo di Trapani e gli altri del teso-ro della chiesa dell’Annunziata: il corallo è sempre protagonista nella gioielleria tra-panese.’ntr’ Trapani sunnu li russi curaddi e a lu Munti li picciotti beddi Ridotto in piccolissime rose cesellate con accorgimento trepido nello accarezzare ipetali ridotto in spighe, ciliegie, grappoli d’uva, testine di cherubini; o lasciato agrandi bottoni semplici e rasati; ho scolpito a piccole figure; o incluso, a fregi sulamine dorate esso non cedette mai l’impero ad altra materia se non all’oro e nelsettecento prevalendo il gusto per le perle il corallo seppe, smorzando il suo vermi-glio tono in pallido rosa, unirsi mirabilmente all’aristocratica compagna. Dalla gio-ielleria passò all’oreficeria: in quel tempo in cui a Trapani sessanta e più maestriargentieri lavoravano, non fu lasciato mezzo intentato per adattare i coralli ai lavo-ri di «grosseria» come li chiamava Benvenuto Cellini, per farne ornato di coppemesci-acqua, fruttiere, oltre che ad usarlo per quei pomposi paliotti composti conquel gusto scenografico architettonico che l’architetto Amico insegnava, oppure percalici ostensori e pissidi.Gli scultori lo rubarono agli orafi, e scolpirono figure alcune, prodigiose per gran-dezza, come quel crocifisso di Matteo Bavera nel Museo di Trapani, altre per le loro

319

Page 320: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

estreme piccolezza come le riproduzioni della Madonna di Trapani; le ricamatriciinfine se ne servirono per ornare pianete, piviali, paliotti, fermando sulla seta con ifili variopinti, i granelli fiammanti.Né il classicismo ridusse il potere del corallo che anzi, rinnovando il repertoriodecorativo, lo adottò ad altri usi, facendo lacche a rilievo con l’immagine di divini-tà pagane imitando quelle che il pazientissimo Michele Laudicina incideva mira-colosamente nell’alabastro.Alla seconda metà dell’ottocento la decadenza si inizia, procede rapida ai primi annidel novecento, verso il 1920 non esiste più a Trapani una bottega di corallo, né ilcorallo si pesca più in quei mari. Oggi si additano già come testimonianza di unaindustria finita, certi pavimenti di mattonelle maiolicate in cui l’ignoto artiere, consomma diligenza e fedeltà rappresentò Trapani, le sue case e il suo bel porto con lebarchette e i pescatori che hanno calato l’insegna nel mare, si additano come pagi-ne di storia, mentre, fino ad alcuni anni fa l’ultimo dei corallari, teneva in bottegalo strumento di pesca di cui i suoi avi si erano serviti.Storia dunque. Ed è storia anche la splendida fioritura di tutte le altre arti minori,dell’oreficeria che per tre secoli occupò una quantità di espertissimi artieri e artisti,della scultura in legno che diede mobili di elegantissima esecuzione le parò di stu-pendi colori e armadi e cantorie tutte le chiese della Sicilia e diede piccole sculturein legno e grandi, tutte con un verismo, una vivacità, un gusto che incantano, dellaceramica che interessò anche molti artieri già dalla fine del quattrocento e diedeopere splendenti tali da gareggiare con i prodotti faentini. Tutto storia e appuntoperché il riguardare le pagine del passato potrebbe far sorgere la buona idea di con-tinuare la tradizione di non fermare l’industria, di non soffocare il gusto all’ornato,alla decorazione, gioie e svago della vita, si era proposta una mostra di arte decora-tiva trapanese, rimasta inascoltata, come inevaso restò il tentativo di una mostradella pittura dell’ottocento a Palermo e l’altro di una mostra di oreficerie sacre neipaeselli delle Madonie. C’è si da osservare, che il corallo non è più del tutto in modache basta la scuola di Torre del Greco alla richiesta ma in moda sono sempre i gio-ielli e le decorazioni ed Alfredo Ravasco dimostra sufficientemente di quanta gra-zia possa essere compimento in qualsiasi opera di oreficeria un pezzo di corallo.Che gusto in certi pesciolini scolpiti in corallo che vengono fuori zampillando per-line ad adornare coppe di agate o di malachite, che delicata grazia in certe roselli-ne appuntate sull’orlo di cristalli di rocca! E moderno, e sempre il gusto alle maio-liche, il gusto alle statue religiose, che purtroppo entrano nelle chiese, ancora oggi,ma non eseguite dell’artista trapanese, potente, drammatico, come quello che scol-pì la serie dei Misteri a Trapani, e dagli altri che lavorarono per Enna, bensì dallefabbriche dominate dal pessimo gusto umbertino in cui a serie si stampano S.

320

Page 321: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Antonio di Padova e S. Teresa del Bambin Gesù, in cartapesta, da chiudere in sca-rabattole per ricamo per parare le chiese nelle quali i nostri padri diedero soltantomarmi raffinati, ori e argenti, legni e ferro, tutto però lavorato inciso e scolpito dal-l’amore e dall’esperienza dell’artista!L’artigianato in Sicilia è storia. Il corallo, è di questa storia, neanco scritta una dellepagine interessanti. Ma chi la legge?

4 Dicembre 1936 – OTTOCENTO SICILIANO. I MINIATURISTI

Miniature: un fascino sottile e inesistente, come bimbi, una melanconica dolcezzacome fiori spenti e pallide fotografie, una pacata e dolce voce, come lettere di anti-chi amori.Romantica è la miniatura: tutta la diligenza dell’artista che in pochi centimetri diavorio o di pergamena ha stabilito rapporti di volumi e di tinte, con pazientissimamano e preciso occhio, quel suo ardore contenuto e paziente, quell’intelligentesguardo che sa cogliere il bello e trascurare il mediocre, tutto esprime l’amore, ilpatetico interesse, la gelosia, la familiare dolcezza di chi la miniatura volle e la pre-dilesse nella sua fragilità preziosa. Guerrieri o dame, pur se austeri, gravi e barbogi,acquistano nelle miniature un’umanità confidenziale, un’intimità cordiale da salot-tino felpato, chiaroscurato da basse cortine. Romantica è la miniatura, sicchè nelsecolo del romanticismo essa ebbe tutto il suo trionfo. Miniaturisti creatori e minia-turisti copiatori, in fitta schiera, diligentissime e galanti, registrarono tutte le umanecaducità, anche la trina prediletta dal vecchio ammiraglio, il monocolo prezioso delgalante salottiere e con un buccoletto, un vestito pomposo, una catenella d’oro, aiu-tarono anche la vecchia dama a restare nel tempo.Miniaturisti sicilianiInnovatore della miniatura siciliana venne salutato Giuseppe Scaglione, povero pit-tore di Mistretta, allievo di Vincenzo Riolo che mai nella pittura riuscì a trovare unapittura nuova ma che fu, nella miniatura, «il primo tra noi che abbandonando ilbrutto metodo di condurla a punta di pennello, preferì quella a tratti artificiosa-mente sfumati tra loro e le diede la gagliardia, l’unione e la sfumatura dell’olio(«Vapore»1857)».Ma vero creatore, capace di non disperdere il cordiale e umano interesse al model-lo, di non smorzare mai l’intelligenza della forma plastica, fu un palermitano,Giovanni Nizzola. Il suo nome appare tra i vincitori nella premiazione della Mostradel 30 Maggio 1843, quella famosa esposizione che permise a Francesco PaoloPerez un audace discorso contro il neoclassicismo di derivazione romana, contro

321

Page 322: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

l’ignavia dei nobili e il malgusto imperante – e riappare nell’altra esposizione del 30Maggio 1856. Datata 1841 è una miniatura rappresentante un giovane signore incasa Restivo, a Palermo. Vale ricordare che in quegli anni Salvatore Lo Forte davaun definito volume, una plastica sistemazione ai personaggi dei suoi quadri sosti-tuendo all’unito fondale neoclassico un ambiente. Il Nizzola, pare, segue il grandepittore nel modo risoluto di impiantare la forma nello spazio, e il rilievo che essadeve prendere, il rendimento dell’espressione, sono quesiti di pura pittura che eglisi impone e risolve, non però a scapito degli altri valori prettamente miniaturisticie cioè il compiuto disegno, il fuso colore. Anche nell’altra miniatura rappresentan-te Francesco Pistone composta con due toni diversi di bianco, quale gagliardo risal-to non prende la figura vestita soltanto da un camiciotto candido quale accortafusione di colore nella bella miniatura di Casa Volpes, nelle altre di Casa Pasqualinoe di Casa Mazzarino!Meno plastico ma più idillico è invece Francesco Sacco, elogiatissimo miniaturistache alla esposizione del 30 Maggio 1841, giudici Giuseppe Pataria e ValerioVillareale, ebbe il premio per la miniatura. Vivono le belle dame, i gentiluomini soprasfondo chiaro grigio, immobili, disanimati, ma non vi è bianchezza di capelli e soffi-ce eleganza di tinta e preziosità di gioielli che egli non ritragga e tutti i colori e smor-za delicatamente: i grigi s’imbiancano e diventano perlacei, gli azzurri impallidisconoe s’ingrigiano, i rossi muoiono, i verdi s’inteneriscono. Ogni colore è già passato neltempo, prende il tono minore, il più pallido il più stanco. Molti aristocratici palermi-tani passarono sotto il suo diligentissimo occhio ed egli riuscì sempre, qualunque fosseil suo modello, a conferire a tutti eleganza anche al Pasqualino che apre la porta perfar la comparsa (miniatura Casa Restivo). Delicatissime di tinta sono le sue miniatu-re, da quelle di Casa Villarosa Palermo rappresentante la Duchessa di Villarosa, all’al-tra di Caterina Del Bosco principessa di Belvedere in Casa Mazzarino, all’altra diDonna Teresa Spoto, in Casa Monreale Milano. Paziente, raffinato, galante,Francesco Sacco si è presentato occhialino tra le mani nell’autoritratto della GalleriaMunicipale di Palermo. Altri miniaturisti ebbero fama accanto al Nizzola e al Sacco:alla stessa esposizione del 43 a Palermo, con un tal Andrea Mangerua, ancora a noiignoto, si presentava Savatore Cento, palermitano, di cui le qualità appaiono chiare inuna miniatura in Casa Restivo, rappresentante una giovane donna che sorge biancaed estatica in un paesaggio di umbra dolcezza.Purista egli sembra forse segace di quel Giuseppe Meli che proponeva l’imitazionedelle pitture raffaellesche ed insegnava che le figure dovessero sempre porsi nel pae-saggio dando dalle sue teorie la riprova in quel quadro del Museo del Risorgimentoa Palermo che è veramente concepito come una grande miniatura. C’era ancheAngelo Gentile che in un autoritratto (casa Restivo) si rivela assai interessato ai

322

Page 323: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

valori espressivi e forse dovette emigrare in Germania perché un altro ritratto digiovane signore porta la firma, la data (1826) e il luogo (Dresda). Emigraronoanche Pasquale Tresca, che passò a Napoli Salvatore Tresca che visse a Parigi,Guglielmo Faia che passò in Inghilterra. E altri ve ne furono, espertissimi, comequel G. B. Coppa che in una miniatura di giovane prelato (Casa Restivo) gareggiacol Sacco nel delicato smorzare di tinta amaranto o come G. Maggiore, che in dueritratti di Casa Gramignani mantiene alte le belle qualità delle miniature siciliane.Dalla miniatura al quadroAccanto ai miniaturisti creatori vi sono poi i miniaturisti che cercano umilmente diridurre in piccole proporzioni il grande quadro che ha ottenuto pubblico consensoo per commissione privata o pubblica vendita. Queste miniature, eseguite spesso asmalto, possono diventare una preziosa fonte di studio quando la sorte fa smarrireo distruggere l’opera da cui la miniatura fu tratta.Fra i nostri pittori dell’ottocento il più fortunato che vide i suoi quadri disputati daincisori e miniatori, fu il trapanese Giuseppe Errante che a Milano, dove giunse conun bagaglio di colorazione settecentesca e con forme fluide, chiaroscurate di tipocorreggesco, ebbe una gran fama.Esiste nella Galleria Municipale di Milano una miniatura di Adele Chavasien ese-guita per commissione per il Conte di Sommaria, la quale riproduce un quadrodell’Errante oggi sperduto, rappresentante Napoleone pacificatore, una di quellecreazioni enfatiche che ben si adattavano al secolo.Più che alla qualità della miniatura e smalto interessa il preciso ricordo del quadrodell’Errante oggi smarrito. Qualità di arte dovette invece avere la miniatura esegui-ta dal Cigoli sopra un altro quadro che rappresentava Amore risvegliato da Psiche.Di fantasia inesauribile il maestro trapanese commentatore dei libri di Apuleio offrìanche all’incisione motivi di Ispirazione.Ma l’incisione come la miniatura sono state completamente trascurate, come la sce-nografia tra noi validissima per la stupenda ereditarietà lasciate dal settecentoimmaginifico e fastoso.Ma le aveva trascurate anche «Il chierico Di Marzo», con sommo rincrescimento diAgostino Gallo, diligentissimo nel segnalare i valori locali. E questa volta, nell’acrerimprovero, Agostino Gallo aveva ragione.

19 Dicembre 1936 – ARTE DEL TRAPANESE*

Per tutto il Trapanese irraggiò l’arte di Palermo ma, introducendosi in quella costamarinara tormentata dai flutti africani, prese forme diverse ed, elaborate, impoveri-

323

Page 324: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

ta arricchita e trasfigurata giunse a toccare a volte il massimo della originalità, avolte il minimo dai valori dell’arte.Massima nell’architettura l’originalità che nel periodo romanico e in quello gotico,raggiunse tipici elementi e nel barocco grandiosità e fantasie decorative e gaie esu-beranze, e spigliate movenze quali potevano scaturire da quell’architetto Amico chenon ebbe pari nell’inventività bislacca e poetica. Tutta l’architettura del trapanesenelle sue forme auliche e nelle sue forme popolari e di assoluto interesse: a Marsala,a Mazara, a Erice, a Trapani per diversi periodi, per diversi secoli essa ebbe una tra-dizione ininterrotta, una voce propria inconfondibile ed alta. Da questa originalitàarchitettonica, che è tutta da studiare, scaturì una originalità decorativa che si mani-festa in una ricerca intelligentissima di effetti cromatici, sia con la decorazione amischio nel trapanese raffinatamente elegante, sia con la decorazione a stucco, adalabastro, in legno, minuta, fragile, scarsamente legata alla architettura, ma di per seraffinata e sontuosa. Architettura e piccola arte sono nel trapanese le forme vive edeterne: quella, manifestandosi in edifici rimasti incolumi intanto tramutare di even-ti, questa in una quantità di piccole opere sparse dovunque in Sicilia. Fondamentalesempre la tendenza al colore, come nell’architettura così nella piccola arte: nel coral-lo scalfito e bulinato per aumentare le possibilità cromatiche nelle gemme inclusenell’oro, nei legni intagliati e colorati nelle maioliche accese di giallo e di azzurro,nei ricami veramente polifonici. La diffusa tendenza a decorativismo policromofinisce coll’annullare la pittura vera e propria.Minima originalità ebbe invece, la pittura che non pervenne mai, né nel rinasci-mento, né nel barocco, ad una sicura intuizione e soltanto alla fine del settecentoraggiunse una certa fantasia ornamentale che mai si concretò in cicli d’affreschiparagonabili a quelli del Catanese o della vicina Sciacca.Chi è infatti quel Giuseppe Arnino, di Trapani, autore della tavola «Cristo Orante»nel Museo di Trapani se non un goffo imitatore di Tommaso De Vigilia che anco-ra nel 1578 continua a mescolare elementi fiamminghi, catalani e toscani con pigri-zia ritardataria e con sonnolenza provinciale? A interrogare la tavola, a indugiarsi davanti a quella duplice schiera di angeli molli ezazzeruti, con tunichelle bordate di oro in velluto controtagliato alla catalana, che sifanno avanti portando croci e simboli verso Cristo Orante posto a metà del quadro,a interrogare questa figura è la totalitaria iconografia del quadro, visibile risulta laparentela tra queste figure e quelle di Tommaso De Vigilia, parentela imbastarditaattuatasi per mediocri discendenti. La raffinatissima eleganza del maestro palermi-tano che nel segnare volumi ritmati nello spazio, non ebbe pari, si traduce in mono-tona maniera nel piccolo maestro trapanese. E chi sono quei pittori come Zichichidi Erice e Pompiano di Mazzara se non minuscoli pittorelli affogati nel manierismo

324

Page 325: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

locale? Manieristi furono sempre i pittori del Trapanese né alcuno può meritare ilvanto di «insorgere contro gli infecondi caudatari di Raffaello», perché nessuna ribel-lione vi fu, cosciente, ma soltanto un passaggio da un manierismo cinquecentesco diderivazione catalana, senese, umbra, ad un manierismo seicentesco di derivazionepalermitana. Neanco Vito Carrera o Giuseppe Carrera, o Andrea Carrera riesconoad intendere con attiva intelligenza pittorica quel tanto di veramente originale cheera riuscito a conquistare faticosamente Pietro Novelli, e se Giacomo Lo Verde rie-sce a passare qualche volta dall’ombre proiettata dal maestro ad un suo piccolo postoal sole, questo gli fu dato per la lunga permanenza in un centro, di maggiore cultu-ra, quale fu quella di Palermo durante il seicento. Più indipendente e ricca di inte-resse, si intuisce la pittura del settecento che ebbe per rappresentanti Domenico LaBruna, Tommaso Sciacca e Giuseppe Errante e che spinse oltre il settecento e oltreTrapani il barocchetto galante e festaiolo. Pittore interessante, l’Errante che, educa-tosi a Palermo, tra Padre Fedele da S. Biagio e Gioacchino Martorana e già per que-sta sua educazione incline a finalità edonistica, continuò a Roma a guardare e stu-diare le opere del Correggio e, giunto a Milano, egli, trapanese ancora entusiasta delbarocchetto gioioso, si fece largo fra il Trabalese, Benvenuto e l’Appiani. E gli fossesempre rimasta quella vivacità geniale, e alla sua pittura fosse rimasto quel chiaro-scuro, quel colore morbido e soffice così gradevole nella Leda col cigno (CasaNicodemi, Milano) e quella sua vivacità inventiva testimoniata dagli affreschi diPalazzo Altieri a Roma! Ma ingenuo, non capì che la predicazione dell’Appiani erain fondo, un recitativo scenico, e gli credette, e si pose tra i neoclassici napoleonici eprese turibolo e incenso, tocca e togo, e finì, con una pittura castigata, gelida, scola-stica, con quella «Morte di Antigone», (Museo di Trapani) che fu anche la mortedell’arte sua!Né più oltre nell’800, la pittura del trapanese riuscì a trovare qualche forma origi-nale come riuscì ad esempio, la pittura del Catanese, che fu tutta animata da un rea-lismo filosofico sociale di tipo verghiano, o del Palermitano, che fu tutta protesaverso la natura con lirico slancio, ma anche tutta provinciale e retrograda. E quan-to Gennaro Pardo, di Castelvetrano, allievo di Palizzi e di Morelli, riuscì a conqui-stare, con una diretta osservazione della campagna selinuntina, è paragonabile allaconquista di un Mirabella, di un Rocco Lentini, limitata, anche facile, se pur tenu-ta sempre con dignità di formaTuttavia, studiare questi pittori, interessarsi della loro sorte, esaminarne le possibi-lità, determinarne il valore sarebbe sempre opera utilissima, e tale è stata la lodevo-le intenzione di Francesco de Felice nel libro che si intitola «Arte del Trapanese» (I.R. E. S. Palermo).Il libro non tratta né dell’Architettura, così schietta e gagliarda, né della bellissima

325

Page 326: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

scultura del Rinascimento, ma soltanto delle arti minori e della Pittura, e non delTrapanese, ma di Trapani. Tuttavia, esso è interessante come sintesi diligente e intel-ligente di quelle notizie numerose già fornite da studiosi di arte trapanese come il DiFerro, il Fogalli, il Rocca dei quali è seguito anche il metodo, ma in una prosa chia-ra ed elegante da colto letterato. Aggiungere il frutto di una ricerca più diretta edestesa alle altre fiorentissime città del Trapanese, a Mazzara per esempio, ricca diopere d’arte, spingersi più oltre nel cinquecento, in quel periodo gotico di cui resta-no oltre che esemplari architettonici, alcuni esempi pittorici di estremo interesse,come la decorazione lignea della chiesa di S. Agostino che, riattaccandosi al soffittodella Cappella Palatina da una parte e dall’altra al soffitto del PalazzoChiaramontano, della cattedrale di Nicosia, del Palazzo di Carini, costituisce unanello indispensabile nello svolgimento della più schietta pittura locale; non è statopossibile all’autore, che pur avrebbe trovato anche per le arti minori copiosa messi dioggetti. Ma si tratta di un primo apporto, che è interessante, anche per quantoriguarda la storia dell’oreficeria trapanese sulla quale, oltre i richiami del Sorrentino,dell’Accascina – che scoprendo il marchio trapanese è venuta ha documentare l’in-digena tradizione locale – di Emilio Lavagnino, studiosi tutti che hanno anche illu-strato le opere di oreficeria del Trapanese non esiste ancora un saggio totalitario chepuò essere scritto solo quando saranno frugati tutti i tesori di Sicilia, visti i moltiesemplari di quest’arte, esaminati gli inventari, comprese le diverse influenze. Lavoroda compiere anche per la scultura in legno, già osservata da studiosi tedeschi e che èinteressante e dilettevole pel suo realismo popolare e drammatico.Piccola e grande arte quella del Trapanese, che merita studio e ricerca non trascu-rando quei centri che, in apparenza borghesi e insignificanti presentano inveceopere egregie, come Alcamo, o quegli altri come Mazzara, Marsala, Castelvetranonel passato e nell’oggi fiorentissimi.

23 Dicembre 1936 – LA CAPPELLA PALATINA. PERICOLI E RESTAURI

Dalla navata centrale al santuario si eleva oggi, nella Cappella Palatina, una trincealignea dura e inesorabile dalla quale a stento è consentito occhieggiare gli splenden-ti mosaici della cappella absidale; trincea non di offesa ma di difesa sollecitamentecostruita dal Provveditorato alle Opere Pubbliche di Sicilia appena laSoprintendenza dei monumenti porse gli allarmi di una deficienza statica nell’arcotrionfale.Colmo di ogni responsabilità è in ogni chiesa l’arco che immette nel transetto: pren-de sopra di se il peso vivo del soffitto della navata, vi aggiunge quello della cupola,

326

Page 327: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

sostiene in parte il peso delle arcate laterali; cedere a tanta responsabilità costituiscela rovina della costruzione. Alcune tessere staccatesi dall’arco trionfale della CappellaPalatina preoccuparono, giustamente il comm. Fogolari e l’ing. Lo Jacono che delprezioso imparagonabile monumento sono la vigile guardia. Esteso l’esame con ognidiligenza a tutta la chiesa sono stati identificati alcuni mali e sono stati osservatenumerose insidie.Pericoli ed insidieChiaramente osservabili a chiunque voglia esaminarli sono i due pericoli dellaCappella Palatina: l’arco trionfale si mostra enormemente schiacciato nella sua partecentrale e si è distaccato dalle murature di rinfianco; la parte sinistra delle navate, pro-prio sull’arcate, si presenta aggettante verso l’esterno. Accanto a questi mali una fittatrama di insidie: sulla cupola, a riguardarla dalle intemperie fu posto un soffitto didifesa che costruito con pesanti travature scarica il suo peso su pilastri impostati pro-prio sulla parete della cupola stessa, in punti che non ricevono alcuna controspinta equindi propaganti il peso a tutta la parete; sull’arcatelle laterali sostenute da due agilicolonne grava l’enorme peso di una scala che conduce al Gabinetto di astronomia: sulsoffitto in legno dipinto, esempio di eccezionale valore di pittura araba, era dispostol’archivio e, per quanto oggi svuotato dalle carte, resta sempre con il suo pesantissimosoffitto sostenuto da pilastri che poggiano sul pavimento ma che scaricano il pesoanch’essi sull’arcate della parete sinistra della Cappella; infine metà del muro sopra altrono reale è stata totalmente smezzata per allargare il corridoio.Elogio all’anonimo architettoGirando intorno alla Cappella Palatina, salendo sul soffitto, scendendo a trovarenell’imo del suolo le radici profonde, misurando pesi e responsabilità di membratu-re architettoniche, il primo risultato si è di dare elogio a quel lontano, ignoto archi-tetto che a metà del dodicesimo secolo eresse quest’opera di inarrivabile perfezio-ne. Osservando in quale orribile modo è stata imprigionata, serrata, ingabbiata que-sta costruzione che par fatta non di pietra ma di lamella d’oro come quelle prezio-sissime cassettine reliquiarie carolinge o bizantine che servivano a custodire restimortali dei Santi, l’elogio sempre si conferma a quell’architetto che misurò resisten-ze, spinte e controspinte con tale accorta esperienza da riuscire non soltanto a soste-nere per tanti secoli la Cappella stessa ma a far resistere con tanta fermezza tutti glielementi del suo organismo architettonico alla affaticante sovrapposizione di cari-chi enormi.Chi, entrando nella chiesa, osservava l’audace slancio delle arcatelle ogivali sullecolonne ornate di piccoli capitelli e la disinvoltura con cui esse sorreggono la pareted’oro sulle quali sostano le pallide figure dei Santi, ed osserva l’altezza a cui giungel’arco trionfale che ha già tutta la spiritualità del gotico nell’elevato slancio e come la

327

Page 328: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

cupola lieve si accorcia e riposa sul quadrato di base – si che pare un ombrello d’orosostenuto dagli angioli in ronda - e l’incurvarsi tutto facile del soffitto ad alveoli nellacui ombra compiacente si annidano ninfe odalische e sirene, congiungimenti di civil-tà stupende, ad osservare il concatenarsi semplice, agile, dei vari membri del corpo cheha tutta la schietta duttilità di un efebo, non sembra assolutamente possibile che tantaelasticità, tanta grazia costruttiva sia stata congiunta ad una così grande potenzialitàdi resistenza.Ed è a questa resistenza architettonica che si deve tutta la conservazione degli splen-denti mosaici fra i più belli dell’arte bizantina, così cromatici, pittoreschi e umani –o rievochino l’ingresso di Gesù a Gerusalemme tra bimbetti festanti con sicilianavivacità distendendo ai piedi del Cristo un tappeto lunare, o la predicazione di S.Giovanni nel deserto colmo di oro, infinito euritmico come una nenia africana – e laconservazione di quegli altri musaici pavimentali a marmi policromi, che mai riusci-rono i Cosmati ad imitare nel loro accordo complesso, nel loro sofistico lineareintreccio, nella loro gessile eleganza, quando si distendono a galloni dorati sui gradi-ni o nell’ambone gemmato, e la conservazione di quel soffitto ligneo, esempio dieccezione di pittura araba siciliana che non disdegna accogliere tra gli arabeschi sot-tili, classiche seduzioni di sirene. Di questa cappella che unisce le esperienze di treciviltà magnifiche e le accorda con tale misure e tale slancio, tutto l’elogio va dato aquell’anonimo architetto che seppe pure unire fantasie e tecnica in classico equili-brio!I restauriIn questa struttura solidissima della Cappella Palatina, è già tutta la speranza di sal-vezza: da altri non esige che il tonico, la liberazione di tutte le sovrastrutture cheaffaticano enormemente il suo giovane corpo. I piloni su cui poggiano le colonnedell’arco trionfale sono solidissimi, le fondamenta inalterate; l’arco trionfale puòessere restaurato o rifatto, il peso della copertura della cupoletta, il peso del vanodell’ex archivio e della scala annullato, lavori tutti che saranno iniziati sollecitamen-te perché Palermo non venga a lungo privata anche di un richiamo turistico di ecce-zionale interesse.Lavori delicatissimi, senza dubbio, che potranno essere sottoposti all’approvazionedel Consiglio superiore, lavori che esigono un controllo continuo, una vigilanzaassidua ed amorevole, ma che saranno compiuti con la massima diligenza data laeccezionale importanza del monumento.

328

Page 329: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione
Page 330: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione
Page 331: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

1937

9 Gennaio 1937 – INDICAZIONI URBANISTICHE PIAZZA ABBATELLIS

Se non fosse per quella torretta che sbuca fuori dietro la parte della Chiesa dellaGancia, e si eleva più alta della navata, col suo blocco pietrigno incorniciato a festadalla ricca merlatura, con la sua finestrella triforata e incorniciata, se non fosse perprepotenza, nessuno si accorgerebbe del Palazzo Abbatellis, percorrendo la viaAlloro, verso il mare. Per sé, e per la bellissima moglie Eleonora, lo fece costruireFrancesco Abbatellis, gran Siniscalco di Re Ferdinando nel 1495 dall’architettoMatteo Carnelivari. Per suo testamento lo ebbe poi la seconda moglie Maria diTocco, e per suo volere alla morte di questa, nel 1526 si fondò un monastero diBenedettine dedicato a S. Maria della Pietà. Da allora le monache tennero il palaz-zo; alla fine del seicento e per tutto il settecento lo ingrandirono ampliamente affi-dando i lavori della chiesa a Giacomo Amato architetto del senato, che insieme adAntonino Grano pittore, compì la sontuosa e splendente opera.Si formò così un blocco monumentale di grande estensione che dal vicolo dellaGancia giunge fino alla via Torremuzza, in se unendo forme architettoniche e deco-rative che dalla fine del quattrocento giungono all’ottocento.Dalle belle sale del palazzo con volta stellata, al superbo cortile, tra i più rari delquattrocento rimasti in Sicilia, alle stanze settecentesche con soffitte a travatedipinte, ai saloni con scenografie e architetture dipinte, del primo ottocento, allaChiesa, capolavoro di Fra’ Giacomo Amato, tutto il Palazzo Abbatellis – Monasterodella Pietà – è opera di grandissimo interesse.A non parlare dell’interno del palazzo, con il suo magnifico cortile a doppio ordinedi arcate, l’esterno è di tanta nobiltà e di tanta bellezza da attirare il più vivo inte-resse da parte degli studiosi e dei turisti. Che, a parte l’equilibrato rapporto tra i suoimembri che sostiene e favorisce il più equilibrato rapporto di ombra e luce, a partedi quell’alternanza tra severità medioevale e grazia umanistica che gli conferisce ilvalore storico più alto, a parte dell’accentuazione del tutto originale che prendonovecchi motivi dell’esaurito mondo gotico, sì che essi sembrano totalitariamentecreati dalla fantasia dell’architetto e a parte della novità di alcune soluzioni costrut-tive ornamentali, il palazzo riesce ad avere un chiaro linguaggio espressivo ancheper il popolo a cui non sfugge né la bellezza di quelle finestre elegantissime, né ilmistero di quel portale, con fusti, con funi e con serpi. Questo è, ed è stato sempreoggetto di interpretazione varia come un verso dantesco: e chi vede nella quadru-plice cornice «quattro forche concentriche, per dimostrare le diverse signorie, dove

331

Page 332: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

il barone esercitava il diritto di vita e di morte» (Di Marzo) e chi nella corda e nelleserpi motivi allegorici ai sistemi spagnoli di dominio, e chi più giustamente una«pura espressione fantastica» (Cardella). Espressione di grande fantasia vivida eaccesa in cui acquista vitalità naturale ogni spento motivo: dalle basette delle colon-nine che diventano bulbi, dalle cornici che diventano fusti di alberi, dai capitellisuggeriti dai corpi vischiosi dei serpi e in cui acquista rilievo e valore ogni elemen-to, anche i rombi reggi scudo.Né esiste, altro palazzo a Palermo, che possa mettersi a paragone nella sua conser-vazione oltre che nel suo interesse, a questo: né Palazzo Aiutamicristo, né il palaz-zotto Marchese; né sono molti gli edifici che possono testimoniare il magnificorigoglio dell’architettura siciliana nella seconda metà del quattrocento, ragioni tutteper puntualizzare l’attenzione – in una prossima sistemazione urbanistica – su queltratto di via Alloro in cui sono compresi questi due monumenti della Chiesa dellaPietà, tratto in cui sboccano luridi vicoli e precisamente, dinanzi al Palazzo, Vicolodelle Travi e Vicolo della Rosa.A chi oggi ammirarne la facciata e non sono pochi i forestieri che sostano a guar-dare l’originalissimo portale, tocca entrare nel vicolo delle Travi, là dove in estate unacquivendolo apre bottega e un fruttivendolo dispone su cesti traballanti, fichidin-dia di scarto, oppure addossandosi alla parete presso il negozio di frutta, oppure cer-care salvezza vicino alla merceria che incornicia la sua porta d’ingresso con una zup-piera colma di sapone, sicché nell’ammirazione dimentichi, ben si potrà avere allespalle l’avvincente carezza attaccaticcia di un grumo di sapone, o se a questa si sfug-ge, l’altra, più rude, di un fasto di saggine se Iddio provvede e salva dal muletto odall’asinello inquieto del carretto di passaggio aizzato dai clacson delle automobilie se salva dall’improvviso staccarsi dal vano della predetta merceria di un fiaschet-to d’olio che sia sospeso accanto alla provoletta odorante a fare altalena. Se nelVicolo delle Travi perennemente ornato da stracci e festoni, disposti tra l’una e l’al-tra parete sghemba e malconcia si è accesa una disputa tra popolana, lanci di stovi-glie o di parole più gravi delle stoviglie, meglio sarà allontanarsi e ripassare a tardasera, quando le botteghe sono tutte spente, anche la più tardiva, quella che vende leultime e flaccide panelle! Gran Siniscalco del Re Francesco Abbatellis, maestroportulano del regno, quale mediocrissimo spettacolo tu avresti osservato, affaccian-do dalle finestre oggi ben coperte da grate su cui bibliche famiglie di ragni hannoaperto bottega!Progetti per il Palazzo AbbatellisNon si può non tener conto dei progetti che già da parecchi anni sono in corso diesame per la utilizzazione del Palazzo Abbatellis e del Monastero della Pietà. Ilprimo che ha il maggior numero di sostenitori è quello di adibire le sale del Palazzo

332

Page 333: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

convenientemente restaurato, a sede del Museo delle Arti decorative e dellaPinacoteca consentendo in tal modo uno sviluppo maggiore anche al MuseoArcheologico. A Catania, ciò è stato già fatto e il Castello Ursino che aveva subitole trasformazioni più inopportune, è stato restaurato ed è divenuto sede del Museo,a Siracusa ciò è stato fatto, passando tutti gli oggetti di Arte Medieovale e Modernanel Palazzo Bellomo; a Firenze c’è il Bargello; a Venezia la Ca’ d’oro; a Milano ilCastello Sforzesco; a Verona il castello degli Scaligeri; a Ferrara il Palazzo dei dia-manti; a Palermo potrebbe esserci il Palazzo Abbatellis. Se si pensa che proprio inSicilia, la patria del decorativismo, non esiste un museo di arti decorative e che maio-liche, ricami, legni, mobili, ferri battuti, oreficerie, incisioni, disegni e stampe sono oracchiusi eternamente negli armadi o esposti in modo serrato e male, ospiti ma sop-portati dal Museo che ha necessità di espansione, e che nessuno Sovrintendentepotrà pensare all’acquisto di altri oggetti sol per riporli nei magazzini dove è perfet-tamente inutile, se non sono visibili, che vi siano, e si pensa al valore dell’arte deco-rativa in Sicilia, originalissima e in tutti i secoli stupenda, per trovate, per gusto, peresecuzione, non sarà da riporre questo progetto, fra quelli oziosi, che non risponda-no alle esigenze culturali di una capitale.L’altro progetto è di trasportare a Palazzo Abbatellis la sede della R. Accademia diBelle Arti.Comunque una bella piazza, dinanzi al magnifico Palazzo per qualunque scopovenga restaurato, potrebbe servire a valorizzare un monumento fra i più belli dellanostra bellissima Palermo.

19 Gennaio 1937 – OTTOCENTO SICILIANO. PITTORI CATANESI NOTI E IGNOTI

Tutta la pittura catanesi nella seconda metà dell’800, forma un blocco compattonella storia della pittura siciliana; è pittura tragica, austera, dominata più da finali-tà didascaliche, da presupposti sociali, piuttosto che da intenti edonistici; pitturasconsolata e grigia. A Palermo, i pittori avevano trovato nello studio del paesaggio,un mezzo di evasione, e nel colore, nella luce, nello spazio, nella pittura insomma,un mezzo lirico. A Catania, niente paesaggio, quel paesaggio tutto verde trapuntodi fiori d’oro, lambito dagli azzurri del mare e dai candori dell’Etna, niente ingan-nevoli ozi nella contemplazione incantata della natura, come i pittori di Posillipoinsegnavano: a Catania si pensa alla società e al popolo. Domenico Morelli impe-rava con una pittura ricca di contenuto, insegnava a interessarsi del contenuto, etutti i pittori catanesi furono morelliani. Vittima fu Calcedonio Reina (1841-1911),che lavorò per venti anni a Napoli col Morelli, partecipò a tutte le mostre, dipinse

333

Page 334: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

moltissimi quadri, e non riuscì a venderne che quattro: si credette allora un incom-preso perchè egli non lusingava il popolo, ma esprimeva idee filosofiche e morali esu quella preoccupazione dell’«Amore e Morte» tesseva i suoi quadri, dove schele-tri, catacombe, ciechi, morenti, derelitti, vi facevano la loro tragica apparizione. Ma,se egli, pur preferendo questi argomenti li avesse trattati con quella giocosità cro-matica di un Michetti e quella polposa cromia di Morelli, o con quel soavissimointonare di un Toma, se egli avesse avuto qualità di pittore, avrebbe potuto benavere consenso. Ma pittore egli non era e pittori non furono i catanesi del secondoottocento come se il parossismo cromatico del settecento li avesse lasciato stanchied inerti; pittore non fu quel Pasquale Liotta (1850-1909) altro allievo di Dome-nico Morelli, infelicissimo allievo che sarebbe riuscito bene se avesse fatto soltantol’illustratore per Giovanni Grasso, tanto egli è sordo ad ogni valore di schietta pit-tura!Natale AttanasioL’unico pittore di colore fu Natale Attanasio. Lo divenne dopo un primo soggior-no a Napoli, col Morelli dal 1874 al 1877 ed a Portici, e dopo molti suggerimentidel Palizzi; lo divenne per volontà perché, per istinto, egli era soltanto un disegna-tore. Disegnava benissimo, non per semplice annotazione della realtà ma per intui-zioni compiute, con linee forti che riescono come per magia a fermare nella folla itipi: «Il dormiente», «Il vecchio che riposa», la «Fanciulla che cuce», lo «Scugnizzo»:disegni che possono mettersi alla pari con le più schiette pagine di Giovanni Verga.Ma i buoni insegnamenti lo persuasero a distendere il colore tra linee con qualchepiacevolezza cromatica (come nel Ritratto del Padre, Ritratto di Siciliana – Collez.,Attanasio Roma) – poi, a poco a poco senza piegare a abbreviature impressionisti-che ma restando ben attento all’insegnamento morelliano, giunse ad un sereno equi-librio di forma e colore e quando trovò un motivo felice di interesse sociale («Lepazze al manicomio») ebbe il momento di grazia. Quel quadro esposto allaNazionale di Torino nell’84 e poi nel ’91 a Palermo (oggi al castello Ursino a Cata-nia), destò interesse, plauso totalitario e, se riusciamo pur noi ad additarlo come lapiù alta conquista nell’arte di Natale Attanasio, è perché alla nostra estetica, interes-sata soltanto a valori di pura visibilità non è di tutto gradimento un quadro in cuil’espressione di un contenuto sentimentale, patetico, drammatico, sopravanzi e gridipiù alto degli altri valori. Ragione per cui preferiamo al quadro il bozzetto (CasaAttanasio) in cui appare più intuita la colorazione tessuta con ogni trepidazione, sutoni di argento come a trasfigurar le pazze in fantasmi lunari.E più ci piace quel «Ritratto di donna» (Collezione Libertini), che è una delizia,così essendo dipinto a colori morbidi di roseo e di bianco, molli e languidi nel corpoabbandonato, più consistenti e sodi nel volto della siciliana, languoroso ed ardente!

334

Page 335: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

e che suggerimento di tepore carnale in quella massa cromatica, distesa sulla diago-nale del quadro!Procedendo nel tempo, egli si interessa ad una pittura tonale e con un colore di gri-gio ora acceso ora spento, costruisce una «Cucina» (Casa Attanasio) tutta accorta esapiente oppure con fine eleganza dipinge ritratti e pastelli (Casa Minutilla LauriaPalermo).Nel momento buono, per giungere ad un’affermazione di stile, ecco che il pittorecatanese, che già da tempo si era trasferito a Roma, comincia a cedere ad inviti dipittura commerciale ed illustrativa ora patetica o simbolica, e spesso tutta (…) elustra, come facevano i primi romantici di buona memoria! «Le tentazioni di S.Girolamo», «I Martiri Cristiani», che pitture affaticate in confronto dei quadri ese-guiti verso l’85.Questione vecchia: difficile è nella vita, procedere in ascesa e questa difficoltàconobbero molti altri pittori di Sicilia, specialmente quelli che vissero in provinciaconsumando giornalmente quelle fiaccolette di intelligenza pittorica che naturaaveva loro largita. A ricordarli, sarebbero troppi, e, lì, nei pressi come si spenserotutte le speranze suscitate da quell’Enrico Maltese da Modica (1862-1920) che aventidue anni, nel 1884 vinceva una medaglia d’oro per il quadro «La Festa delPatrono di Modica», e sapeva dipingere con un malinconico impressionismo fran-cesizzante, quella «Veduta di Modica» (Collezione Libertini Catania) come si spen-se pure, la fantasia di quel Sebastiano Guzzone di Militello (1856-1896) internistanon senza sapienza, ricordato a Roma per via di quel quadro rappresentante «I pre-parativi di una Processione» rimasto nella Galleria Nazionale, un po’ opaco, ma conbuone qualità di colore!Antonino GandolfoAppunto per questo fa maraviglia vedere come un altro pittore catanese: AntoninoGandolfo, che visse solitario a Catania, senza maestri e senza scuola, tra studi efamiglia, potè mantenere fino alla fine della sua modesta e buona vita, così ferma laluce della sua arte. Nella sua giovinezza aveva avuto, si due maestri: quel GiuseppeGandolfo, catanese, ritrattista, completo, raffinato, il migliore fra i catanesi dellaprima metà del secolo, e Stefano Ussi che aveva conosciuto a Firenze, quando adiciannove anni, nel ’60 si recò a Firenze per studiare. Erano stati l’uno e l’altro,maestri diligentissimi e forse, quando egli giunse a Firenze, dovette assistere allamostra del ’61 nella quale i giovani artisti, i tredici, tra i quali l’Ussi, protestavanocontro le regole accademiche, affermando il valore della macchia. E con i macchia-ioli dovette stringere rapporti e comunque, di questo più immediato e fresco, modopittorico egli dovette avere conoscenza, sicché quando ritorna in patria e cominciaa dipingere avviene in lui, fin sul principio, una naturale indecisione tra uno stile di

335

Page 336: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

derivazione neoclassica che doveva essere il più radicato per gli esempi dello zioanche per al prima pittura di Stefano Ussi, pur sempre legata al romanticismo sto-rico sociale, e al nuovo consiglio dei macchiaioli! E, intanto, l’ambiente era poeti-camente e letteralmente intriso di simpatie social demografiche, era Rapisardi, ilVerga, Capuana, tutti letterati, poeti, artisti credevano alla finalità didascalicadell’Arte. Ed il compiacimento politico doveva pure esprimersi in pittura ed ilGandolfo volle esprimerlo in «Trionfo d’Italia», che, lodato dal Carducci, dovetteessere, è da supporre, un inno, non pittura! E si mette, anch’egli, il Gandolfo a direcon la parola pacata e onesta dei poveri, dei derelitti, non con la spietata angosciadi Reina, ma con una tristezza intima, raccolta che, a poco a poco diventa canto,piccolo, corto come i canti siciliani, all’alba. Un canto elegiaco in cui la macchia,non di colore, ma di ombra, assume tutta la responsabilità di esprimere la commo-zione e l’angoscia. E l’assume troppo, sì da soffocare il colore, sì da rendere offu-scante, non chiaroscurante, le pitture e dà il senso di una intuizione pittorica rima-sta nel primo lampeggiare, di immagini non poste del tutto a fuoco.In quel primo gruppo di opere, indecise tra il levigare e il toccheggiare una cosa ècostante: la sua possibilità di esprimere la più sincera solidarietà con gli infelici, lasua considerazione, il suo rispetto per i poveri. Nel presentarli sui fondi neri diombre, egli sa aggrupparli e disporli con tanta sapienza di schemi, da conferire aigruppi una monumentalità eroica. Il gruppo dei «Proletari», in cui è ripreso il clas-sico schema piramidale per includervi i derelitti, segnandone il vertice con la testadella vecchia madre, l’altro della «Musica forzata» hanno una dignità, una nobiltàdi atteggiamenti, che è segno di una trasfigurazione fantastica. La quale intervieneanche nel colore che si libra dalla linea e si espande in modo incerto fra macchia-iuoli e impressionistico. Ma, anch’egli, ad un abbandono edonistico al colore, nongiunge mai, come potè il Mancini, e non giunse mai a dare alle ombre, dense o flui-de, un giusto valore. A volte, l’ombreggiatura diventa allucinata, tormentata ed èevidente che essa vuole aderire al contenuto. «I ciechi» sono fasciati di ombre neris-sime, come il buio che li circonda, nel quadro. Ne «Il dolore» tutta la figura è inombra, sommersa, quasi e nel «Ritratto di Monaco» l’austerità della vita si fa defi-nizione spietata di volumi, cristallizzazione di impasto cromatico. Così avviene che,nel «Ritratto della moglie» tutto il colore si libera dalle ombre e diventa luminoso,con una gaiezza che è di amore!

336

Page 337: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

29 Gennaio 1937 – SCULTORI ITALIANI DEL CINQUECENTO

Tra scultura e pittura nel secolo d’oro, a Venezia, fu grande rivalità perché la scul-tura desiderava trasportare nel marmo tutti gli effetti luministici, policromi, tessili,decorativi che i sapienti pittori come Tiziano, Tintoretto, Paolo Veronese riusciva-no ad ottenere con i colori. Gli orafi più fortunati, per mezzo di perle e di pietredure potevano ben gareggiare con gli splendori delle pitture, come quel Valerio Bellivicentino, che fu espertissimo nel trarre dalle materie i più delicati effetti pittorici;gli scultori invece erano costretti a tormentare il marmo in ogni guisa, a levigarlo,inciderlo, bulinarlo per potere ottenere quegli effetti di colore e di luce che eranocosì lontani dal candido e gelido marmo.Uno scultore pittoreFu, tra tutti, Alessandro Vittoria, trentino, che riuscì a fondere i prodigi della pittu-ra tizianesca con il più sapiente modellato plastico, in un ritratto del Doge Niccolòda Ponte, che è talmente luminoso da far pensare che un fascio di luce policroma siarimasto imprigionato fra le pieghe del manto. Non si parlava ancora di impressioni-smo, e Rodin era ancora ben lontano, ma quante esperienze si preparavano aVenezia, anche nella scrittura, quanti germi di nuove tecniche! Questo AlessandroVittoria – di cui a lungo scrive Adolfo Venturi nel volume decimo, parte terza, dellastoria dell’arte italiana pubblicata con il solito magnifico corredo di fotografie dellacasa Hoepli – fu certamente un colorista egregio pur essendo uno scultore eccellen-te di ritratti, nei quali riusciva a mantenere ferma, nel tempo, tutta quella luce di pen-siero, di volontà, di meditazione, di grazia che nella vita raggiò sui volti dei modelli.Egli passa in rassegna tutta Venezia superba della fine del cinquecento: canonici epievani come Benedetto Mansini, dotti come Tommaso Rangone, medici illustricome Apollonio Massa, letterati come Pietro Aretino, capitani generali procuratoridi S. Marco, oratori come Vincenzo Morosini, il doge Sebastiano Veniero e il suosuccessore Niccolò da Ponte. «non vede i suoi ritratti nella luce di un emozione pas-seggera, ma v’incide con sintetica forza i tratti del carattere, la finezza politica delpatrizio, il fascino imperioso del condottiero, la silenziosa concentrazione del pensa-tore, la accortezza del mercante veneziano. Tutta l’ultima energia della repubblica,spira dalle teste forti, audaci, imperiose dei condottieri dei vincitori di Lepanto».Ma quando era incaricato di ornare il soffitto della Scala d’oro al Palazzo Ducaledi Venezia, allora, come sapeva, questo intelligente ritrattista, abbandonarsi tuttoall’impeto (…) lasciando spazio senza seminare un fiore, un frutto, un cherubo, apiene mani spargendo l’ornato in onore della Serenissima! Scultura, decorazione,pittura, architettura erano sorelle, e nello Olimpo non era sorto litigio, né si era fattacrociata contro la decorazione.

337

Page 338: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Arte era fatta di tecnica e di fantasia, di esperienze e di slancio, che educava, entu-siasmava gli spiriti, li infiammava, li rendeva incandescenti sì che all’esempio, tutti,anche i piccoli scalpellini, i piccoli maestri, rispondevano con l’opera (…) gente e delsecolo. Un Girolamo Campagna, era pur capace di architettare e ornare, con insupe-rabile grazia il Candelabro di Casa Bachstitz un piccolo maestro come FrancescoSegala, riusciva a creare quel delizioso gruppo della Vergine Gesù e S. Giovannino,tutti assortiti alla dolcezza del canto (Museo Metropolitano), opera perfetta!C’era un atmosfera rovente, vivida, colma di preannunci di arte nuova: la pittura diPaolo Veronese preparava il settecento, delizioso di chiare vesti di fruscianti sete, dicieli, di sorrisi di bimbi; tutta la scultura, massimo la veneziana del cinquecento,preparava, con questa ricerca del colore, con questa ricerca di effetti decorativi, pre-parava l’avvento del barocco.Quel Camillo Mariani, vicentino, che ora trae vita dalle pagine di Adolfo Venturie fu scultore, pittore, architetto, ritrattista, come si mette alla pari dei più grandiscultori barocchi, con quella decorazione della Cappella Paolina in S. MariaMaggiore e quel Nicola Rocca com’è pieno di spiritosa inventività deliziosamentesettecentesca, in quel gruppo Madonna col Bambino fra cherubi, che si trova nelMuseo di Berlino.Qua e là, sfogliando il bel libro, è sempre possibile la scoperte di opere d’arte, com-pletamente ignote di piccoli maestri: vengono alla ribalta come evocati da quellaricerca assidua ininterrotta per decenni di vita, da quel scuro occhio, da quella sen-sibilità continuamente vibrante che sono le qualità immanenti di Adolfo Venturiche, tante e tante opere d’arte italiana cercando e ritrovando nel mondo ha compiu-to opera altissima d’italianità.Stranieri in ItaliaMentre i maestri italiani venivano disputati dai re e dai principi d’Europa, gli stra-nieri venivano a studiare, a lavorare a Roma, in quel clima artistico, dolcissimo, dovetutti trovavano ispirazioni ed esempi. Pittori, scultori, orafi, affascinati dallo splen-dore della corte papale, si stabilivano a Roma, intenti, soprattutto a restaurare sta-tue antiche. Dalle Fiandre vennero Egidio della Rivera, Niccolò Pippi d’Arras,ambedue intenti ad erigere il gran monumento al Duca di Cléves nella Chiesa di S.Maria dell’Anima, a Roma. Nicola Cordier, detto il Fransiosino, autore di quelmonumento a Virginia Pucci, che è «uno dei tributi più belli che l’arte stranieraabbia donato a Roma», Guglielmo Bertelo, francese, che sulla colonna «cavata dal-l’antico tempio della Pace in Campo Vaccino e posta avanti la Basilica di S. MariaMaggiore, pose la statua della Madonna del Gesù fusa da due maestri romani.Divenivano italiani di stile, cercando di imitare le altissime qualità di arte che tuttigli italiani ebbero, in quel secolo magnifico».

338

Page 339: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Per due anni, Giambologna, fiammingo, rimase a Roma, modellando «quanto di bellogli poté venire sotto l’occhio» ed a Firenze trova protezione ed aiuto da Francesco deiMedici, a Bologna compie il suo capolavoro: La fonte del Nettuno, disegnata da un pit-tore palermitano,Tommaso Laurenti.Tutta la sua parte pare continui la tradizione elle-nistica romana, pare ne riprenda, con eguale insistenza, la ricerca del moto, della velo-cità, dello slancio, nell’aria, della materia inerte.Quando giunge a scolpire la bellissima «Venere» del giardino Boboli, morbida, lan-guida, tiepida di sangue e di vita o l’audace «Mercurio Volante» del MuseoNazionale, egli dà il più grande tributo di amore nell’arte.Anche agli orafi. Non soltanto a Benvenuto Cellini e a Leone Leoni, suo granderivale, ma anche agli altri, moltissimi, lombardi, fiamminghi, tedeschi, toscani, chelavoravano alla corte papale. Orefice in Roma fu quel Manno, orafo elogiatissimo,miracoloso ideatore ed esecutore di quel cofano commesso da Pier Luigi Farneseoggi al Museo Nazionale di Napoli, rispetto al quale anche povere ci appaiono lemagnifiche argenterie di Boscoreale. Tutta la cultura, l’esperienza, la fantasia, l’artedel secolo paiono chiuse serrate in quel cofano, come tutto lo splendore papale, siaduna in quei candelabri di Antonio Gentili di Faenza, nella Basilica Vaticana,come tutto lo sfarzo della Serenissima si adunava tra i marmi del Vittoria e gli stuc-chi del Cambi. La materia era mezzo, la fantasia tutto trasfigurava. E proprio congli stucchi della sala del Senato a Palazzo Ducale di Venezia, si chiude, il bel volu-me di Adolfo Venturi tutto dedicato alla scultura italiana del cinquecento che nonsi esaurisce nell’opera del genio di Michelangelo, ma trova, in tutta Italia, dallaLombardia alla Sicilia, espressioni diverse e vive, tutte nobili ed alte.

31 Gennaio 1937 – MOSTRA D’ARTE DI SACHA ROBB CUCCHETTI

Come nella immagine platonica, l’arte di Sacha Robb Cucchetti sembra un carrotrascinato da cavalli discordi nel cammino, ma nell’impeto e nell’audacia concordi.La trascinano nello spazio e nel tempo per tutti i mondi dello spirito e per tutte lematerie, per la siderea zona dell’ideale e per l’oscura terra, per il sogno e per la real-tà: paesaggi nordici tuffati nell’immota nebbia cinerea e ulivi siciliani imbevuti diluce, danzatrici ungheresi e fauni greci, Madonne e Santi, maschere e clown, gatti,cani, scimmie, serpenti; per tutti gli stili, da una linea precisa e calligrafica allo sfu-mato, da un colore disprezzato a un colore adorato, da un particolarismo descritti-vo ad un a spezzatura audace: tutto di ieri, tutto di oggi.Impossibile la sosta in una plaga; impossibile legare tanti frammenti di mondidiversi e cementarli insieme. Appena che due combaciano, il terzo sembra troppo e

339

Page 340: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

il quarto ribelle ad ogni costo. Se si tenta un raggruppamento di stile non si può,come se ogni contenuto abbia imposto la propria forma all’artista, ubbidiente nonpadrona. Si vorrebbe indagare, precisare quale fra tanti stili sia veramente il suo, fratanti mondi il preferito, fra tante voci la sua voce e non si riesce mai: i gatti guar-dano con umano sguardo, il clown sorride con felino occhio, la danzatrice ondulanella danza lieve mentre i gufi buffi guardano attoniti, il lottatore impaura tra ver-miglie violenze e la vecchietta sgomenta nel tremore del corpo, la vergine sorride,la mondana si attrista. Il faunetto stesso che sta a mezzo e canta a gola spietataaccompagnandosi allo strumento e pare allegro e gioioso, non è vero: si intitola«Mai d’amore ». Canta per tristezza. Gioia che si fa pianto.Forse è lì, in quel faunetto che canta per non morire il segreto di tante voci, di tantocammino, di tale convulso girare per mondi diversi, e cento vie prese e cento abban-donate e mille sentieri avanti e mille indietro. Non già nel patetico o nell’ironico,nel religioso o nel beffardo, nell’ideale o nel reale, nell’ottocento o nel novecento,nell’uno o nell’altro, è da ricercare l’anima dell’artista, ma nell’uno e nell’altro, intutto questo anelare e non raggiungere e non persistere, persistere senza gioire, peraltro tentare, altro volere, altro creare. Tutto e nulla, nulla e tutto. Sofferenza eter-na della fantasia che non trova ancora il valico nella rete ferrigna che l’imprigiona.Inquietudine, acuita dalla cultura letteraria, moltiplicata dalla sensibilità, più com-muovente, perché più contenuta, più triste, perché più sorridente, più paurosa, per-ché più audace.Inquietudine eterna, che non ha di certo il pasciuto spirito borghese e il pittorelloalchimista, malinconia di cielo che conoscono i santi e gli artisti.E per avere sicuro il segno e abili le mani ed esperienze di tutte le arti e di tutte lematerie, Ella chiede a tutte le materie mezzo di espressione, e a tutte le forme, dallascultura al disegno, dalla maiolica al quadro. Brevi soste, e non vi è nulla che nonpiaccia, in parte o in tutto: qui il disegno, qui il ritmo decorativo, qui l’invenzione,qui l’espressività, il mite accordo di un colore, il molle modellato o rude, là il sim-bolo, l’idea. Brevi soste, argute trovate, parole dette, o bisbigliate, o lanciate in fret-ta, ma che fanno pensare; una rima, un sonetto, piccoli canti, brevi come i canti delmattino, all’alba. Un disegno, una incisione, una maschera, un monile, un gatto euna stella.Via ad altro, via di corsa. I cavalli sono lanciati di galoppo; così piccole e bianchemani, riusciranno a domarli?Il faunetto canta, e non muore.

340

Page 341: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

10 Febbraio 1937 – STAMPE SICILIANE NEL CASTELLO SFORZESCO

Fortunato sempre quel Giuseppe Patania! In vita, onori e glorie, un amico semprepronto a batter la grancassa, come Agostino Gallo, quadri e quadretti, grandi e pic-cini, da Carini ad Acireale, da Trapani a Ragusa; dopo morto, un collezionista intel-ligente delle sue opere come Empedocle Restivo, qualche antiquario intelligente,qualche buon artista: insomma, alla resa dei conti, un fortunato.Anche a Milano, nelle vacanze passate, ricercando fra stampe e disegni dal gabi-netto annesso al Castello Sforzesco, già in via di ordinamento accanto allaBiblioteca, al Museo del Risorgimento e alle altre istituzioni culturali che ilMunicipio di Milano ordina e alimenta, il primo a farsi avanti, senza essere ricer-cato, è stato proprio lui, Giuseppe Patania, per mezzo di una bella incisione chePietro Vaincher eseguì da un suo disegno rappresentante Ignazio Scimonelli. Unritratto, ma uno di quelli in cui il neoclassico pittore, amicissimo della corte olim-pica, improvvisamente attratto dal modello umano, e intuito il carattere e la forma,con immediata spontaneità, precisa sulla tela e ferma vita e respiro. Un disegno-ritratto che si può paragonare, anche attraverso l’incisione a quel disegno veramen-te eccezionale che il pittore eseguì per ricordare Vincenzo Bellini e che si custodi-sce al Museo Belliniano di Catania, così equilibrato nei chiaroscuri, così sapiente,da superare e di tanto, il ritratto ad olio che il Patania stesso eseguì qualche annopiù tardi, gelido e verde, da far paura. Anche di questo ritratto di Scimonelli ne ècopia nella Biblioteca Comunale e per quanto mantenga, qualche vivacità di colo-re, non arriva, in efficacia e bellezza, al disegno giuntoci attraverso l’incisione diPietro Vaincher, siciliano.La ricerca nel Gabinetto di disegni e stampe, era fatta in verità per GiuseppeErrante trapanese che visse a Milano nel 1795 al 1814 con un’attività straordinaria,documentata dal suo biografo diligentissimo, il Cancelliere, di cui però tranne il belquadro in Casa Niccodemi e la miniatura eseguita su disegno nella GalleriaMunicipale di Milano, altro non conoscevano.Il piccolo ritrovamento di cinque stampe ritratte dalle sue opere costituì quindi unaimpensata fortuna. Tre incisioni rappresentano ritratti dipinti, o disegni delloErrante: il ritratto di Pitro Napoli Signorelli inciso da Radoe, di Francesco LoMonaco inciso da Antonio Sasso, e infine il ritratto di Nicola Spedalieri inciso daPietro Bombelli.Sono, però, ritratti scialbi, senza vita, ancora legati ai moduli settecenteschi, e nonsi possono paragonare al ritratto di Scimonelli del Patania, così plastico e vitale.Pure anche Giusepe Errante, fu in grande fama a Milano e venne concordamentesalutato come egregio ritrattista. Il generale Massena che essendo militare, era

341

Page 342: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

intendente di opere d’arte, tanto ammirò l’Errante da offrirgli sinanco una borsa didenaro (che l’Errante rifiutò, regalandola al cameriere) e finì con commettergli ilproprio ritratto che, eseguito con tutta cura, era – a giudizio degli altri ufficiali –somigliantissimo. Questo narra il Cancelliere, ma del ritratto Gen. Massena nessu-na notizia a Milano. Ritrattista non fu l’Errante ma fu ricco di inventività e di unasua «invenzione» lì nel Gabinetto «Disegni e Stampe» v’è il ricordo. È un disegnoin cui il commento precisa chiaramente il contenuto «Napoleone comunica gli altrisuoi divisamenti a Giove. Addita Nettuno e Cibale abbracciati mostrando in uncoll’ulivo lo scopo dei suoi desideri. Giove vi applaude, lo lascia arbitro dei grandisegni e con lui divide il potere. Il Genio promulga il trattato dell’eroe con il Nume.Il tempo costituisce la tavola dei fasti del Grande».Tutto va bene nel disegno, tranne le gambe di Napoleone e l’aquila di Giove chesembra un corvo di malagurio, e l’Errante va perdonato se anch’egli, come l’Appianie il Monti, andò a disturbare signori dell’Olimpo per rendere omaggio aNapoleone. Di tutte le altre invenzioni centocinquanta e più, non abbiamo altroesempio; l’autore se ne vanta perché «buone o cattive sono però uscite tutte dallamia sola meditazione ed hanno convinto chiunque che può farsi il pittore senzatanti esemplari» convinzione questa che non implica però un giudizio benevolo sulpittore stesso. Era il compromesso tra pittura e letteratura che fu il vizio del secoloin omaggio a Winkelmann e a Raffaello Mengs.Un’altra piccola invenzione si trova, pur questa nello stesso luogo e rappresentaEros e Psiche o Angelica e Medoro, o Selene e Endimione: una insomma di quel-le coppie, predilette dagli artisti neoclassici, è un disegno garbato, settecentesco,gradevole a guardare e in cui appare almeno una maggiore sincerità di spirito. Valeinoltre a farci intendere come mai avvenne che la pittura dell’Errante sia statadisputata dai miniaturisti.Si tratta insomma, della bellezza di centoncinquanta invenzioni che già al tempo delCancelliere erano disperse tranne una sola «Io sorpresa da Giove» e di cui invece ilGabinetto stampe e disegni di Milano è riuscito a conservarne due, oltre le tre stam-pe che ricordano i ritratti eseguiti dall’Errante. Questo basta naturalmente a far rim-piangere che Palermo non possegga un Gabinetto di disegni e stampe mentre i dise-gni e le stampe restano chiusi e serrati nei tiretti degli armadi al Museo, e qualchegiorno passeranno, zitti zitti in qualche altra sede come quatti quatti sono uscitimolti quadri ed i ricami mandati in pensione al Museo Etnografico. Ma in Siciliaquando si parla soltanto di arte greca e con ogni sforzo si parla anzi di una siciliani-tà dell’arte greca. Ma dell’arte vera e propria siciliana, romanica, gotica, rinascimen-tale, barocca, settecento, ottocento, non si parla. Diciannove secoli di arte schietta,vivace, originalissima, fiorita a dispetto di cento padroni con architettura, scultura,

342

Page 343: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

pittura, ceramiche, vetri, ori, argenti, legni, ferri, stampe, disegni, incisioni, con unatradizione ininterrotta di artisti e di artigiani, tutto questo non vale.Elencare e custodire le incisioni di Filippo Aloisio Iuvara del Di Bartolo, delPanebianco, del Tresca, i disegni di Fra’ Giacomo Amato, di Pietro della Aquila, diPietro Novelli, di Olivio Sozzi, le piante topografiche di Palermo, delle città diSicilia, le stampe commemorative dei fasti e nefasti di questa nostra storia di Siciliaramata filo per filo con il sacrificio e l’ardore dei nostri padri? Riunirli tutti, comelo sono come nel Museo Archeologico anche tutte le «quartarelle» dei bisavi greci?Un Museo Civico a Palermo? Un gabinetto disegno e stampe a Palermo?Cose che si domandano senza ottenere risposta.

19 Febbraio 1937 – ITINERARI TURISTICI. NARO ALLA RICERCA DI MASTRU CICU

Che «Mastro Chicu» il famoso pittore trecentesco del Palazzo Chiaramonte diPalermo avesse dovuto per debito di amore alla sua patria terra lavorare nellaCattedrale Vecchia di Naro, come un po’ tutti affermavano, lo credevo e lo speravoanch’io. Cosicché, seppur la Cattedrale si presentava sull’altissima gradinata dirutacol suo grande oculo murato come occhio accecato per lo strazio di un tempo, e sepur il vento ghiaccio batteva furiosamente alle mura, ostile e rabbioso, ciò nono-stante, Eolo auspicando, faticosamente raggiungemmo la chiesa e vi entrammo. Apochi metri dalla porta di ingresso una parete si eleva con uno squarcio al centro eda questo, spingendo dentro lo sguardo, una romantica e candida visione di rovinesi stagliava sull’azzurro violetto del cielo. Il soffitto era crollato, restava l’abside,coperta di candidi e delicatissimi stucchi e qualche arco tra parete e parete comeponte fiorito per il riposo delle bianche colombe, e, al posto del pavimento un altis-simo tappeto pungente di erba smeraldina. Ma pur così squarciata, la vecchia cat-tedrale appariva bellissima come scenario preparato dal Bibbiena per gaudio sette-centesco. E certo fu la sua anima orgogliosa e fiera a farci ritrovare nella Bibliotecadel Comune un vecchio manoscritto del Padre Saverio, Cappuccino, in cui eranorimasti glorificati tutti i nomi dei costruttori e decoratori: l’avevano costruitoGaetano e Giuseppe Bennica, i maestri palermitani Emanuele e Domenico Ruisil’avevano decorata di stucchi, i naritani Ignazio Cittillo e Amedeo Vella di arabe-schi, Domenico Provenzano da Palma Montechiaro aveva eseguito gli affreschi e imaestri Cordelicchia e Terranova avevano intagliato per la sagrestia stupendi arma-di. Ma un secolo dopo, tutto era stato abbandonato e distrutto. Solo il vecchio pro-spetto trecentesco con le insegne chiaramontane restava incolume, e sulla pareteinterna un affresco, quello attribuito, per orale tradizione, a Chicu da Naro.

343

Page 344: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Un prezioso affresco del secolo XVAppena l’occhio si educava all’ombra, percepiva subito una delicatissima cromia digrigi, azzurri e rossi, conclusi da linee precise ferme, le quali evocano nella tradizio-nale iconografia bizantina la morte della Vergine. Distesa su un lettino funebre,coperto da un lenzuolo piegheggiato la Vergine posa le mani sul petto e la testa suun candido cuscino sostenuto da altro guanciale in velluto nero bordato di argen-teo gallone. I discepoli sono disposti tutti intorno, in dolore, in rassegnazione men-tre in alto in una aureola ellittica, Cristo appare portando dinanzi a se l’anima dellaVergine in forma di bambina, mentre angioli in alto suonano le viole ed altri gioi-scono portando una benda inscritta. Volti dolci e sereni, gesti pacati nella grandecommozione, austerità religiosa bizantina, congiunta a bellezza formale, solennitàieratica di rito, congiunta ad eterna umanità di sentimento. Proprio il rispetto allatradizione bizantina, il disegno finissimo, il colore a tinte magiche e delicate, la gra-zia degli atteggiamenti spingevano lontano dalla pittura di Mastro Chicu da Naroquale si conosce a palazzo Chiaramontano, lontano da quel suo modo pittoricosenza variazioni tonali, a tinte unite e forti ad espressività gagliarda e popolare,spingeva verso un pittore ancora a noi ignoto, esperto in iconografia bizantina, maanche di grazie senesi e catalane. Valore alto, pittura accorta e raffinata.Pur così guasto e mutilato, l’affresco si ricongiunge e va studiato con l’altro dellaChiesetta di S. Caterina, oggi restaurato, per volontà anche del Federale, ConteGaetani animato e animatore, con gli altri della Cattedrale Agrigentina, con quelliquasi devastati della Chiesa di S. Nicola, con la «Deposizione» di quel Mascarella(fra qualche giorno cadente nella chiesa di S. Nicola) e gli altri più remoti della bellaChiesa di S. Maria dei Greci che aspetta da troppo tempo il suo momento di gra-zia dagli agrigentini fieri della loro arte greca ma dimentichi del loro medioevo.Catene di affreschi tutti mutilati, ma tutti di estremo interesse sui quali l’occhio siposa con indicibile gioia a rilevarne le esperienze accorte e le ingenuità deliziose, lasensibile e austera religiosità.Ultime speranzeMa di Chicu da Naro nessuna traccia.Lo ricercammo allora al vecchio castello che sorge sulla rocca, signore incontrasta-to della vallata tutta bianca e grigia di mandorli fioriti, in quella sala regia della torreChiaramontana in cui, per antica testimonianza, il famoso pittore aveva certamen-te lavorato. La severa sala gotica appariva in parte ricoperta di stucco nero e sudi-cio, per il resto era visibile la pietra. I carcerati, custoditi nella sala terrena del castel-lo, spiavano dietro le grate, e certo non pensavano che ad immagini carcerate dallostucco e dalle fuliggini era protesa la nostra ricerca. Ma c’erano poi queste immagi-ni? Qualche segno nero improvvisamente accendeva le speranze, ma ad osservarlo

344

Page 345: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

da presso, la speranza si dileguava; qualche ombra colorata sull’arco gotico suscita-va l’entusiasmo che si spegneva subito nell’arguto commento di qualche popolanonarense nel gioco assai divertito. Chicu da Naro non appariva.E non apparve. Ma quando ritornammo nella chiesetta di S. Barbara, o per dare ilnostro saluto a quella immagine della Vergine delle Grazie che Giorgio da Milanoal 1497 scolpì, gareggiando con Domenico Gagini in genuità deliziosa di atteggia-mento e in fine modellato e a quell’altra vergine, S. Barbara, estatica e sospesa nelsogno, tutta bionda nell’oro dei capelli lunghi alle spalle, e divisi a ciocche, comenelle statuette eburnee catalane, quando ritornammo ad ambedue, gentilissimecustodi della vecchia chiesa, l’attenzione venne richiamata ad uno stucco in partescrostato che lasciava apparire, sull’arco gotico, tracce di pittura antica, probabil-mente trecentesca.Un’altra speranza si riaccendeva.Ma, per quel giorno, l’affresco della Madrice vecchia, e la Vergine delle Grazie, e laVergine Barbara non vollero rivali.E Naro rimase Chicu.

3 Marzo 1937 – ARCHITETTI, PITTORI, SCULTORI, SCENOGRAFI ALLA QUARTA

MOSTRA PRELITTORALE

Nelle mostre è sempre questione di quantità e di qualità; la prima esige la severitàe il gusto di chi sceglie, la seconda il gusto e la severità di chi espone.Questa mostra dei prelittorali è minima; per le opere di pittura e di scultura elogia-bilissima, per quelle di architettura non può dirsi lo stesso. Tre progetti per chiesacoloniale, messi su in fretta e in furia dai poveri giovani affannati, per le veglieinsonnoliti; e Dio solo sa se piante, spaccati, acquarelli, sono cose che si possonofare con la tecnica del quattro e quattrotto. Ci si domanda perché dopo la Mostradell’anno scorso preparata con zelo e ricca di vivaci progetti, proprio oggi, in segui-to alla soppressione della scuola di architettura – i giovani abbiano pensato di pre-sentare un numero talmente scarso di opere e scarsamente mediate.Ma a chi daremo la colpa? In quale scuola gli allievi oggi, a Palermo, capitale del-l’isola, potranno apprendere come si disegna, come si acquarella come si fa uno spac-cato, una scenografia? E in quale scuola i giovani potranno studiare la tradizione del-l’architettura latina, italiana e dove qui in Sicilia, si potrà studiare l’architettura sici-liana, mirabilmente continuativa nel suo sviluppo, logicamente funzionale per loadattamento al clima e alla terra e quindi diversa da quella delle altre regioni di Italiama pur sempre stupendamente espressiva nella vita e nello spirito del popolo?

345

Page 346: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Dal tempo di Giove Olimpico, alla Cattedrale di Monreale, ai magnifici castellifedericiani, ai palazzi chiaramontani, a S. Maria della Catena, a S. Giorgio, allaPietà al Teatro Massimo, uno per secolo per non citarne altri: questa sfilata di capo-lavori che rappresentano la trasformazione continua della genialità architettonica,chi la fa studiare ai giovani siciliani? E chi fa studiare la tecnica, il disegno, in modoche essi diventino i più abili alla soluzione dei problemi di architettura coloniale,come essi dovrebbero per la tradizione, per il clima, per il posto stesso che la Siciliaoccupa tra Roma e l’Impero?Proprio in Sicilia la scuola di architettura doveva essere soppressa?Le qualità di ispirazione e di tecnica, evase dalla mostra di architettura, appaionoinvece nelle pitture di un giovane allievo della R. Accademia di Belle Arti diPalermo, Gian Lorenzo Becchina. Si afferma un disegno sicuro che, pur nella seriedegli studi, mostra le possibilità di una indagine precisata, non ridotta ad annota-zione grafica della realtà, ma guidata da un gusto di selezione e di valutazione; siafferma nei quadri una società pensosa, quasi religiosa per rendere il colore tra sestesso e il pubblico, di quella visione che per un attimo fu felicemente intuita. È laprima volta che ci capita, in questi ultimi anni magri della pittura siciliana, vederel’opera di un giovane che sappia ascoltare se stesso e le cose con tale raccoglimentoe tale dominio. Nel quadro «Il grano» egli non afferma soltanto buonissime quali-tà di composizione, ma in quel comporre il declivio spartito a zone cromatiche el’ampia ondulazione della terra e quei contadini che vagliano il grano, separati dalcrivello che prende la dignità di un’ara, non c’è soltanto la tecnica ma anche il mododi esprimere uno stato d’animo di pacata e serena contemplazione davanti alla bel-lezza religiosa della terra. Isolato dalle figure il paesaggio avrebbe sempre lo stessovalore perché esso è il protagonista del quadro. Spirito riflessivo, studioso, accorto,il giovane non si abbandona ad inquietudini, ad agitati espressionismi ma con equi-librio raro tra la tecnica e la fantasia, guarda con giovanili occhi il mondo e l’espri-me. Gian Becchina farà certamente alto volo.Gagliardamente ha anche proceduto in un solo anno il giovane De Caro, altro allie-vo della R. Accademia di Palermo e lo mostra nel rilievo «Fecondità» così felicenelle invenzioni e felice nell’architettura, suscettibile soltanto di qualche ultima eli-minazione di prolissità descrittive.Più maturo di esperienze ma anche di età e di studi è l’opera di Giovanni Rosone,rappresentante, «La testa del Duce»: modellata a larghissimi e fermi piani con unrilievo che ha in sé tutte le possibilità di conclusione volumetrica, mobilissima nellasintesi espressiva di pensiero-comando. Anch’egli fuori la scuola, è Renato Guttuso,già ben noto nelle mostre nazionali, che qui presenta opere intense di colori conbrani cromatici di grande bellezza: opere però riportate di nuovo in quel mondo di

346

Page 347: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

fiaba, di scherzo e di ironia che egli pareva disposto ad abbandonare per una sostalirica; e meglio sarebbe infatti che egli ora legasse le vele alla cerula plaga predilet-ta e cancellando i troppi ricordi di una pittura che ebbe facile ma ormai tramonta-to successo, affermasse soltanto ed unicamente la propria voce e il proprio canto.Nelle opere di Lonardo c’è una strana indecisione che è indice di ancora immaturavisione pittorica: da una parte la gelidità del quadro voluto composto, dall’altro ilcalore del quadretto felicemente intuito, composto con pennellate rapidissime evibranti. Tutto bene si deve dire della miniaturistica mostra scenografica. Le realiz-zazioni di Piero Bevilacqua e di Gaetano Peralta bastano per augurare il massimosviluppo all’insegnamento della scenografia nella R. Accademia delle Belle Arti.C’è tanto spirito di gaiezza e di estrosità in quelle scene per «la pazzia di Isabella»e tanta genialità di interpretazione nei disegni per costumi, da farci sempre addita-re con ottime speranze, come campi fecondissimi di risultati per gli artisti siciliani,la pura decorazione e la illustrazione.Scultori, pittori, scenografi, pauci sed electi. Ma gli architetti e quando?

10 Marzo 1937 – LA MOSTRA DI NINO GERACI

Alla buon’epoca, in quel di Firenze, Nino Geraci, giovinetto, sarebbe stato un gar-zone disputato, in qualcuna delle botteghe d’arte, dove tutto veniva eseguito: dalgrande monumento al piccolo bronzo, alla fontanella, al picchione per la porta, allastatua sacra, grande e piccina. Ché una qualità è certa ed indiscutibile in lui, ed è latecnica, quella che si chiamava, senza alcuna offesa, il mestiere, è quella che gli anti-chi ponevano a indispensabile base dell’arte e, in sommo grado, chiamavano «sofia»sapienza ed era la conoscenza scaltrita della materia per trarne ispirazione e confor-to, l’energia modellativa, che dà alle mani la felicità di plasmare, senza soste, comu-nicando subito ad ogni opera quel tanto di animazione vitale che disimpegna lamateria nel mondo e le dà continuità di vita, facilità sicura di equilibriarla, nello spa-zio, in giusta armonia. Tanta felicità ed energia, che gli dà una certa spavalderia difar bravate, di eseguire in poche ore un ritratto, di lanciare nello spazio Icaro e l’alacompagna e stretta unità diagonale, come freccia in moto, di sospendere tutto uncorpo ad arco nel vuoto sopra pochi centimetri di base, di ricercare posizioni com-plicate da far arrossire lo stesso Mirone, di rappresentare lotte di centauri e di uomi-ni, nel modo più energetico di uno scultore romanico lombardo.Possibilità di far tutto, il bronzetto e la grande statua monumentale, ma in tutti glistili, dal rinascimento all’ottocento; uno scultore pericoloso se non fosse assistito daun grande orgoglio di sé, che gli fa preferire la propria invenzione all’altrui. Il tipo

347

Page 348: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

dello scultore italiano quattrocentesco, agile, fecondo, schietto, spontaneo, senzasofismi e sofferenza che in cinque anni riesce a modellare opere che basterebberoper una vita, nell’inventività non stanco, convinto soprattutto che l’opera deve avereun solo grandissimo compito quello di piacer agli occhi, al cuore, di dar un granel-lo di gioia, a chi la contempla. Scultura ed intento edonistico, che non portanodeformazioni, arcaismi falsi o simbolismi astrusi, piacevoli sempre, nell’eroico e nelgrazioso nel mistico e nel bacchico, sempre arte lieta ed utile, nel significato di unautilità edonistica. Ha lavorato moltissimo in America, a Nuova York, a Brooklyn,dove andò giovanissimo e dove la sua scultura così meridionale, calda, espressiva,comunicativa, così eclettica doveva trovare e trovò clima confacente ed entusiasticoconsenso. Tante opere che Egli oggi espone al Circolo Artistico, sono lavori di cin-que anni soltanto. E sono una parte della sua produzione. Opere decorative in mas-sima, cioè viste in funzione architettonica oppure ornamentale. È naturale che glipiacciono le fontane: Enigma, la Fontanina, quest’ultima – un fanciullo che stringefra le mani grappoli di uva, gioiosamente incurvandosi, come arco, nello spazio: hala vivacità dilettevole e la grazia, delle sculture toscane verrocchesche; naturale chegli piaccia la piccola scultura salottiera, il bronzetto, facili e di facile vendita, nelgusto parigino dell’ottocento: naturale che egli affronti il ritratto con tanta facilitàdi intuizione ed è anche naturale per questo, che egli non riesca ad imporre sempre,sulle molte opere eseguite, il marchio inconfondibile del proprio stile. La sua stes-sa bravura tecnica e la rapidità delle intuizioni, non gli consentono di rendere laforma espressione della sua individualistica visione del mondo, di renderla unicaconfidente del suo spirito vivacissimo. Ma pochissimi in Italia posseggono, comeNino Geraci, l’ereditarietà delle tradizioni e il dominio di tutte le tecniche, pochis-simi, il suo entusiasmo per le opere di bellezza. Ragione per cui egli potrebbe anco-ra procedere sulla via maestra e creare la vera opera d’arte, quella per cui non occor-re soltanto virtù di tecnica e felicità di intuizione, l’opera d’arte, di valore universa-le, e pur legata all’uomo e al suo tempo. Che egli possa far questo, lo dichiarano, inquesta mostra, molte opere, tra le quali Deposizione opera suggerita da una realeemozione religiosa, da una sua intima concezione e della deposizione, che non è ladiscesa alla terra dell’Uomo Dio, ma è la vera resurrezione dalla materia e dall’an-gustia. Ma sentimento e concetto si sono fusi insieme, trovando il proprio linguag-gio espressivo, equilibrando i tre volumi in ritmo diverso, due, con ritmo discenden-te, l’altro con ritmo ascendente: il dolore umano che sprofonda nella terra e pietri-fica il cuore, il dolore divino che scende nel cielo e rende lieve il corpo. Ritmo dimasse, equilibrio sapientissimo di linee suggerite da una volontà bizantina di astra-zione, commentata dal ritmo di colore bianco che nero. Opera dinanzi alla quale sipuò pregare e che può essere degna di un altare.

348

Page 349: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Nino Geraci scultore sacro? Introdotto nella scultura simbolica astratta perfetta-mente moderna, anzi turistica? Così è, ed egli può farla. E può fare anche il belnudo della fanciulla seduta, scultura carnosa, schietta, spontanea, e può fare anchel’arciere, audace nell’equilibrio. Sa tutto Nino Geraci, e può far tutto. Ma una voltasola egli dovrebbe dimostrare agli altri e a se stesso, di saper far meno, ecco, ma disapersi ascoltare di più.

13 Marzo 1937 – ITINERARI TURISTICI. A NARO TRA MANDORLI E MADONNE

A ben frugare, ritrovavo nella memoria di Naro, soltanto un ricordo di polvere e divecchio e anche un altro; il ricordo di una sala colma di paramenti sacri, pianete,piviali, manopole, stole, sul pavimento, o stesi sulla corda: uno splendore di setevariopinte, tra broccatelli e damaschi.Scomparve subito il primo ricordo quando tornai a Naro, dopo una spruzzatina dipioggia, verso il tramonto; l’immensa valle di mandorli era tutta fresca e odorosa,ogni albero, portava, appuntati ai rami grigi, fiocchi bianchi e rosa, come una pre-miazione di comunicande, fiocchi lievi e quattro punte, eguali, accorti, con una sfu-matura di vermiglio, al centro. Tanti, tanti che una nuvoletta si formava bassa a stra-ti e i rami divenivano una arabesco sottile, troppo linearii, fra tanti veli di grigio.Al ciglio estremo, Naro appare, tutta fiammante coi grandi falò alle vetrate che viaccendeva il sole, tramontando. Fulgentissima, come la chiamò Federico. Stradenuove, piazze nuove lassù fino al Castello, a metà duecento, a metà trecento, con lecortine di conci, tutte piatte, interrotte dalle torri circolari, come Castel del Monte,come Castello Ursino, di Gherardo da Lentini, e dall’altra parte la torre merlata atrifore chiaramontane. Anche lì, sopra un groviglio di casupole, una piazza nuova,fra gli alberi in fiore. Vicino la chiesa di S. Caterina, si è ringiovanita, ora, al restau-ro, da vecchia cadente come era: si è trasformata in una chiesa, stretta, ad arcate ogi-vali, dove le ultime tracce di affreschi trecenteschi, stanno a ricordare la sontuosaveste antica. Se Dio la libera dalla voglia di pararsi di scene di carta, o da oleogra-fie, e la farà mantenere, in semplice umiltà, sarà pure una bella chiesa, da aggiunge-re alle moltissime di Italia.Piazza S. Calogero è divenuta belvedere, e lo è, di nome e di fatto; la vecchiaMatrice, avrà, tra poco, la scalinata di accesso e sarà sempre un conforto dopo tantesciagure subite, poter mostrare, all’ospite, l’unica bellezza che serba, sul muro, l’af-fresco della Morte della Vergine, quattrocentesco, siciliano, dipinto a colori dipesca, di cielo e di mandorli.Entro la biblioteca, annessa al Municipio, solenne, si discute di libri e di manoscrit-

349

Page 350: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

ti e si sente l’angustia dello spazio, la necessità di custodire meglio manoscritti ericordi, se non fosse altro, per custodire un breviario ornato di miniature delicatis-sime, del trecento, così belle, da non far resistere alla tentazione e qualcuno infattiportò via, in altri tempi, la prima pagina, che era «un pezzu d’oru» a detta di tutti.Ora si troverà forse al Museo Britannico o altrove, e chi sa con quale battesimo:come Antonello da Messina, battezzato veneziano, al Louvre, proprio lui sicilianis-simo.I paramenti, sono rimasti, ancora, s’intende, in minima parte, rispetto a quella cheè stata portata via sui carri, come a Palma Montechiaro, a Troina, nei mali tempipassati; quando nella Cattedrale il Rettore, te li fa vedere, e apre le pianete chiuse –a pagine di libro, trapunte d’oro, filate in seta con un trama perfetta o gira a ronda,il piviale, splendente di oro, o quando sul grande tavolo centrale, si sovrappongonoa catasta, morbida, frusciante, odorosa d’incenso, mentre in un angolo due promes-si sposi si raccomandano che alla Messa ci sia il canto e che il Sacerdote non man-chi al trattamento, e il sagrista si dà da fare a levar d’intorno i bimbetti che voglio-no toccare, anche loro, si riprende coraggio, e si pensa che di arte e di bimbi non visarà mai penuria in Sicilia. Ma l’entusiasmo di tutti, è per le Madonne.La Madonna della Badia, l’ha vista? E l’altra, la Madonna della Catena?E quella di S. Barbara? Ma come si fa a vederla quella Madonna della Badia, che per ogni conto l’hannoposta, lassù, in alto, in soffitta, sopra il cornicione, dove non si può accedere e nonbasterebbe neanche l’argano a tirarci come ci capitò a Polizzi Generosa. Il binoco-lo però ce la porta immediata agli occhi, con un fresco sorriso e una letizia umana,diffusa al volto e con drappeggi e movenze simili a quelli della Madonna di Trapani,modello a tante madonne gaginesche o no. Bella, sì, umana, tenerissima, ma lonta-na, troppo lontana e le sculture vanno studiate al tatto come la seta.L’altra, invece, nella Chiesetta di S. Barbara, appena che sali sull’altare, ed entrianche tu nella nicchia che la ospita, puoi vederla viso a viso, superbietta, con gliocchi socchiusi, come se la luce improvvisa la sgomenti, con un cumulo di capellid’oro, alle spalle, e fiori d’oro sulla veste, un po duretta, e acerba, ma incantevole conquel suo bimbo amoroso al collo.Questa è opera di Giorgio da Milano, compagno e rivale di Domenico Gagini vis-suto alla fine del quattrocento, in fama ai suoi tempi e poi rimasto dimenticato,come tanti altri scultori che lavorarono accanto a Francesco Laurana e DomenicoGagini e soffrirono di questa illustre compagnia che attirò tutta la memoria deiposteri, senza lasciarne per loro.E nessuno guardava, nella cappella a destra. La Vergine Barbara, che stava lì, nellanicchia, tutta impettita, composta, con le sue treccie d’oro sul petto, la cuffietta bor-

350

Page 351: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

data di fiorellini d’oro, portando sulla palma della mano la torretta, con paura diromperla, quasi fosse vetro muranese; e nessuno le faceva festa, pur così bella, tuttain legno dorato, col viso di fanciulla siciliana, dalle palpebre un po’ appesantite equell’espressione più triste che lieta. Una bella opera di scultura in legno, siciliana,del cinquecento, anche se ridipinta più tardi. Nel legno, i siciliani eseguirono capo-lavori, massime nel settecento e a Naro stessa vi erano maestranze espertissime, ric-che di esperienza e di fantasia. Bisogna guardare, nella sagrestia della Cattedrale,tutta la suppellettile: rilievi, statue, fregi, ghirigori, e tutto intagliato, scolpito con unasicurezza di mano, un brio, un gusto inesauribile. Si chiamavano, questi scultori,Gabriele Terranova e Giuseppe Cordelicchia e l’avevano eseguita per la MatriceVecchia, nel 1725; altri due naritani e tre trapanasi, celeberrimi intagliatori, avevanofatto nel 1636 l’altro casserizio con 30 statue, per la Chiesa di San Francesco distrut-to dal fuoco nel 1707 e dopo un anno, rifatto. Scultori, «stucchiatori», decoratori,scenografi e financo esecutori di magnifici organi vivevano a Naro o nell’agrigenta-do. Fino alla metà dell’ottocento non vi fu opera a cui non partecipassero, per ladecorazione o per l’arredamento, le maestranze locali. Altri tempi. Ora, purtroppo,l’artigianato siciliano è cosa morta.Ma intanto S. Barbara, a poco a poco, si faceva guardare ed ammirare e tutto pia-ceva, il portamento da statuetta di terracotta arcaica, i bei capelli d’oro, l’espressio-ne. Alla fine, in un impeto di entusiasmo popolare, la statua fu scesa a braccia dal-l’altare spolverata, posta dinanzi alla porta, girata e rigirata davanti all’obiettivo.Una scoperta. E tutti contenti, come se la Santa avesse obbligo a tutti noi, di esse-re così bella opera d’arte. Tra quelli del popolo, forse, poteva anche esserci qualcheaiuto antiquario che in altri tempi favorì la vendita degli oggetti d’arte o gente pigranella custodia del patrimonio di bellezza, ma tutti, in quel momento avrebbero giu-rato di no, che la loro terra, l’hanno sempre amata, la loro arte sempre custodita. Esarebbero stati anche sinceri perché questo è vero, oggi a Naro, rinnovata.Fiorisce anch’essa, come i mille alberi di mandorlo, al sorriso delle sue Madonne.

24 Marzo 1937 – ARTE E TURISMO. I SOLLAZZI DEI RE NORMANNI E… DEL

TURISTA

Sollazzi erano chiamati i palazzetti di svago e di frescura sorti per i re normanni nellavalle fiorita di Palermo, e, così come erano, circondati di piscine o da laghetti, tra altie compiacenti palmizi, tra fruscii di acque e gorgheggi di uccelli, dovevano esserlo dinome e di fatto. Dovevano, perché oggi tranne la Zisa, risparmiata dal tempo e dagliuomini, non restano che malinconiche rovine di questi splendenti sollazzi cantati da

351

Page 352: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

poeti arabi come la maraviglia più grande di Palermo. Ma anche questi avanzi costi-tuiscono per lo studioso e per il turista richiami di grande interesse ove si pensi cheessi consentono chiare deduzioni sul magnifico sviluppo dell’architettura civile aPalermo nel secolo XII. Architettura originalissima che ebbe propri moduli e li dif-fuse per tutta la costa amalfitana e li continuò fino al trecento, diversi completamen-te, da quelli in uso a Venezia o a Roma o in Toscana. Architettura funzionale, direm-mo oggi, perfettamente adatta all’uso e all’ambiente, chiusa, ermetica, con scarsefinestrelle in riguardo al caldo o ai venti, semplice all’esterno e doviziosamente riccaall’interno, ma di una ricchezza decorativa perfettamente aderente alle mura stessecon una utilizzazione intelligentissima degli effetti ornamentali della acqua intro-dotta nelle stanze a piano terreno a disegni di meandri o di stelle oppure raccolta alloesterno in laghetti sulle cui acque si rinfrancavano, creando effetti fantasmagorici, lepareti sottili o gli ondulanti palmizi.A paragonare le case-torri di San Gimignano o la casa di Cola di Rienzo, con laZisa si nota risolutamente il distacco non soltanto tra due tipi di architettura ma didue tipi di civiltà. La civiltà romanica d’Italia era in una mirabile ascesa verso rag-giungimenti ideali, la civiltà di Sicilia era già pervenuta al massimo dei valori.Accogliendo ed elaborando tradizionali forme costruttive classiche arabe bizantine,la scuola siciliana di architettura, si affermava mirabilmente organica e sapiente nel-l’edilizia sacra e militare.Cuba, Scibene, Zisa, Favara, palazzetti reali del dodicesimo secolo appunto perchéesempi di architettura civile è perché non vi è guida che non ne parli, storia dell’ar-te che non li esamini, antica poesia che non li canti, descrizione di viaggio in Siciliache non li ricordi, saranno indubbiamente meta del turista spinto a visitarli ancheda un ricordo incerto di giardini, di palmizi, di splendori orientali, di fiabeschiincantesimi. Per la Cuba non sarà facile penetrare dentro la caserma di artiglieria,ma alla fine il turista vedrà apparire nel cortile il bel palazzetto, reggia di GuglielmoII (1180) con le sue mura sottili, appena increspate da archeggiature concentrichee sarà subito tratto a compiere il giro intorno. Ma non gli sarà facile perché sullaparete di destra egli troverà un abbeveratoio con i cavalli a sorseggiare e se, corag-giosamente, vorrà avanzare troverà qualcosa di peggio per le sue narici. Così capi-tato tra scalpitanti cavalli e potenti mura gli sarà difficile ricostruire anche ideal-mente la bella palazzina circondata dal laghetto colmo di grossi pesci, da fruscian-ti palmizi e splendente di musaici d’oro, di marmi preziosi.Con rimpianto andrà via e cercherà di raggiungere allora nel fondo De Cara le rovi-ne del castello dello Scibene, alla ricerca di quella bella esedra disegnata dal GoldSchmidt e di quella chiesetta pur essa di epoca normanna recentemente restaurata.Se non sono cadute pioggie abbondanti ed il giardino non è allagato, se i cani da

352

Page 353: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

guardia sono un po’ distratti, egli potrà senza dubbio pervenire dentro l’esedra epotrà ammirare qualche elemento architettonico raro e raffinato, anche se i ragni,la muffa, il muschio cerchino coprirli di velluti smeraldini. Ma se si vorrà visitare lapredetta chiesa – anche in memoria di una singolar tenzone svoltasi recentemente,egli si vedrà costretto, ospite come egli è, di disturbare i proprietari che, alla fine,cortesemente, tra sollecite raccomandazioni, lo introdurranno nel sacro, un dì,recinto dove oggi vive una onesta famiglia di porci. Un po’ mortificato il turista perqualche continuato grugnito che segnala un deciso malcontento, esce sollecitamen-te dalla chiesa e si avvia, risolutamente, verso il terzo palazzo dei Re Normanni aPalermo, la Zisa «il più bel palazzo del più splendido tra i reami del mondo». Trova,sulla Piazza, una novità: la antica piscina o meglio il fondo della piscina dove nonnuotano, no, i grassi pesci che le odalische contemplavano con languidi occhi, bensìuno strato di formazione di quella sostanza in cui Dante vide immerso l’adulatoreAlessio Interminelli di Lucca. Via di corsa, dunque per l’alito di giù che vi si appe-sta che con gli occhi e col naso facea zuffa.Entra nell’esedra del palazzo, sempre che quella sorgiva non allaghi delle sue acqueil pavimento – come a tacita protesta per le immondizie che vi si adunano o perqualche defunto topo rimasto senza esequie – e finalmente egli si interesserà mol-tissimo all’architettura e si divertirà a contare, come la guida suggerisce, i famosidiavoli. Anche le ragnatele potrebbe contare distese con arabo languore tra glialveoli della volta e li troverebbe sempre in numero maggiore con rinnovato com-piacimento. Ma di queste ce ne sono tante che nel chiostro della Magione e nellaprima cappella a sinistra, nella chiesa di S. Francesco che, giusto, non vi è piacere acontarle. Meglio sarà passare alla visita della chiesetta annessa al Real Palazzo chenon è stata liberata ancora dalla tarda sovrastruttura di stucco e costituisce quindiun’autentica meraviglia, essendo ancora tutta schietta nella sua struttura senza queiriferimenti consueti o quelle colonnine di porfido fatte con legno stuccato che sonoun prodigio di cattivo gusto nella chiesa di S. Giovanni dei Lebbrosi! Una chieset-ta ancora non stuccata, è proprio una gioia a vederla, ed è anche bene poter dire unaparola di compiacimento a quello oratorio che la fiancheggia, un buon oratorio digusto marvugliesco che stava per essere distrutto!Qui giunto sarebbe meglio che il turista non procedesse a guardare l’ultimo deipalazzi reali, il più splendente, il più celebrato dai turisti dell’epoca, il Palazzo dellaFavara.Evviva la trionfante reggia che splende di incantevole bellezza.Col suo castello egregiamente edificato, dalle forme eleganti, dalle eccelse loggie.Ecco i giardini cui la vegetazione riveste di vaghissimi pallii ricoprendo il suoloolezzante con drappi, di seta del Sind.

353

Page 354: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Ahimè! Che i drappi di seta del Sind sono diventati drappi di moda e le belve sonomiti asinelli e gallinelle che non susciterebbero equivoco neanco al più furioso DonChisciotte della Mancia e la trionfante reggia non è che un cumulo di case sudiceaddossate alla chiesetta incolume dopo tante sciagure! Che dirà il turista dopo una visita a tali monumenti, anche dimenticando le affan-nose ricerche per trovare gli edifici, per superare i fanghi delle vie di accesso, pertrovare le chiavi delle chiesette, attraverso il petulante assalto dei bambini questuan-ti in un linguaggio di tipo inglesizzante, attraverso i litigi coi carrettieri, la curiosi-tà beffarda delle popolane e tutte le altre inattese avventure.Vi sono programmi massimi e programmi minimi; i primi, spesse volte costituiti darestauri o ricostruzioni romantiche dei monumenti sono perfettamente inopportu-ni in questo momento, né sono sempre utili; ma i secondi, consistenti in quel mini-mo restauro, in quel minimo decoro, di nettezza, di pulizia, sono attuabili sempre esono indispensabili in una città che senta il rispetto delle proprie memorie e vogliapotenziare le proprie risorse turistiche.Perché il Ponte dell’Ammiraglio, sacro al cuore dei Siciliani, non si trasformi inpubblica latrina, perché non sia ricovero di immondizie l’angolo di PalazzoAbbatellis, perché i predetti monumenti non siano in tale vergognose condizioninon occorrono alte cifre ma la collaborazione sollecita e l’educazione del popolo alrispetto delle tradizioni.

1 Aprile 1937 – “IL POEMA AFRICANO” DI F. T. MARINETTI

Si resta indecisi se il «Poema Africano della Divisione 18 Ottobre» di F. T.Marinetti (Mondadori) debba annoverarsi tra le opere di pittura o di letteratura,tanto esso riesce a portare subito, cromaticamente perfetta, dinanzi agli occhi laterra africana, nella sua complessità veemente, caotica, torrida, lunare, stellare. Unsusseguirsi di quadri dipinti con quel neorealismo futurista tessuto oggi da corren-ti sacre e mistiche con zaffate di colore, con arruffi di grumi, con un impressioni-smo di antichissima e di modernissima lega.Tutto che si muove, si pensi, si sogni, prende consistenza pittoresca, diventa imma-gine che ha il suo corpo cromatico e subito organismo vivo, con le sue nuove neces-sità di vita, che dalla cellula iniziale subitamente ingrandisce, e si completa, e l’altraincalza aggiungendosi come a maroso e la seppellisce in un fragore di molecolevariopinte, mentre una terza si incresta vermiglia, e schianta e si schianta.Né si tratta di vivacità inventiva di immagini come in una prosa di un seicentescoBartoli, nè si tratta di una immaginazione resa colma per detriti innumerevoli di

354

Page 355: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

culture diverse, tipo D’Annunzio o Valery, non è l’immagine accaparrata per chia-rire una intuizione che col pretesto di raggiungere maggiore chiarimento altra necerchi per gusto di bravata immaginifica; esse, le immagini hanno rotto qualsiasilegame colla realtà; ogni filo ancor lieve che le univa è stato spezzato; sono esse stes-se realtà, come le illustrazioni di una lunga fiaba di cui siasi smarrito il testo.Evocate in una prosa, senza punti, senza virgole, senza alcuna cesura, il risultatofinale è di ammirazione, di meraviglia e di stordimento: si ha l’impressione di esse-re caduti in guerra anche noi, senza possibilità di pace, fra tante e tante immaginiche rotolano strepitose, torbide, ora fragorose come squarci di mitraglie, ora fru-scianti come fiori al vento.A volte, la realtà vi resta, acre e dura, non elaborata, atterraggi improvvisi, dellaprosa, allentamenti di potenzialità costruttive, bamboleggiamenti di parole e liber-tà, dispersioni, scappamenti, ma poi, l’improvviso e rapido a scendere, gli audacicapovolgimenti, le eroiche immagini fanno intendere il valore di quelle soste per lequali nel contrasto, la vita si aizza. Non ti è concesso nulla né la contemplazione, nél’odio, né l’amore, mentre una pagina ti riporta alla dolcezza del sentimento, all’at-tesa angosciosa della posta, al ricordo, alla tenerezza improvvisa, un’altra ti scara-venta alla visione più macabra di un realismo che non trova precedenti. L’uno dopol’altro sono periodi così fatti. «In alto non si trattava più di una colorata sera africa-na era il cielo d’Italia che rapidamente si avanzava regata a mille gote di vele d’in-daco gonfie di fiati d’angeli o corteo di gonfaloni… la profonda pietrosa cavità delPasso Abarò e il suo dislivello di mille metri quasi a picco».Non in pagine diverse, ma nello stesso periodo, nella stessa frase repentinamentesali e scendi in tutti i mondi dello spirito e della materia, senza soste, senza riposi.Questo è veramente il poema dell’azione africana italiana, il poema dello spiritofascista, che guarda senza requie, la terra e il cielo, il bimbo e la mitraglia, la caro-gna e il fiore.Tutto diventa corpo e materia; un incalzante panteismo cosmico consente ogni tra-sformazione e trasfigurazione, infernale e paradisiaca, ma che nella sua nuova formae colore riprende una intensità vitale, così prepotente che, al loro confronto, la real-tà naturale sembra del tutto inefficace e inerte. La vicenda storica scompare, la vitaguerresca non è che una trama ferrigna in una fantastica architettura gotica, le avan-zate, le soste, le audaci temibili e terribili di questa nostra guerra epica non hannopiù già nulla di cronaca, di narrativo, di storico: sono quadri in cui la vita si è coa-gulata in rosso, in azzurro, in giallo, in verde, in tutti i colori come negli affreschitrecenteschi tutta la vita di un Santo appare ricostruita solo per alcuni quadri direaltà miracolata.C’è anche qui in questo poema una realtà miracolata: è la terra africana la sua vege-

355

Page 356: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

tazione, il calore, la roccia, la frescura, la sete, l’ardore, la luna, le ombre, non laggiùlontana e descritta ma staccata e fragrante qui tra righi bianchi e neri, più visibileodorosa tattile di questa pagina e di questa realtà. In tal modo e in tal misura chein questa africana vi si vive dentro, si respira, si gode, si teme e si soffre. Se il pre-gio di questa poetica prosa non fosse già alto, sarebbe da segnalare ad onore delSansepolcrista Marinetti aver dato il dono più grande di amore alla terra africana,per amore voluta, per ardore vinta. Oltre la poesia e la vita.

9 Aprile 1937 – PER UNA FACOLTÀ D’ARCHITETTURA A PALERMO.L’ARCHITETTURA SICILIANA E LA TRADIZIONE

Col metro e con la fantasia, gli archeologi sono pervenuti finalmente all’accordo sulriguardo dell’architettura antica di Sicilia: originale si è detta, anche se importatadalla Grecia, anche se legata a quella di Atene e di Olimpia. Qui, ad Agrigento, iltempio di Giove Olimpico che si offre ornato da certi Telamoni alti e pianati, strin-gati e potenti ingemmati nel muro, come altrove non si ebbe lì a Selinunte del tuttooriginale, dappertutto ricca, vivace stupendamente avviluppante, la decorazione fit-tile originale e policroma; qui dunque, parallelamente all’arte di Grecia, un’arte inSicilia docile ribelle all’imitazione, pronta e intelligente nell’accettare e nell’elabo-rare. Deduzioni suggerite da studi, da controlli prudenti, da visione diretta delmateriale da paragoni precisi, da un complesso di studi – ultimi quelli di EttoreGabrici – completamente liberi da preconcette idee.Oltrepassato il periodo romano e il periodo bizantino ancora scarsamente sottopo-sti a critica d’arte, ecco la famigerata architettura detta arabo-normanna e che noidiciamo siciliana, anzi sicilianissima tanto l’eclettica sua formazione valorizza labontà del cemento e la geniale creatività aggiuntasi e tanto fu l’eredità latina che siinterpose fra la grassa inerzia dell’architettura normanna e la sofistica fragilità arabaa determinare quel miracolo equilibrio che è l’incanto d’ogni costruzione di Sicilia.Da dove si partì, per giungere fino alle porte di Roma, e penetrare fino aGerusalemme, con se portando questa architettura siciliana, anche la decorazionescintillante guaina multicolore mentre intanto Federico II faceva alleanza conRiccardo Lentini «praefectus aedificator» per costruire i castelli stupendamenteagguerriti di insidie, pur nel loro corpo così armonioso e saldo.Di tanta eredità avvalendosi, l’architettura gotica in Sicilia non riuscì mai a perde-re l’amore per la pietra salda e per la solidità costruttiva, se mai traforandola soltan-to a disegni di funi contorte e salde - buone per agganciare le ancore al porto o perimpiccare i ribelli – piuttosto che di trafori gareggianti con le civetterie buranesi.

356

Page 357: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Architettura magnifica anche quella chiaromontana, allo scopo di difesa e di offe-sa ma anche di gaudio per quella austerità costruttiva tutta riconfermata dalla poli-cromia fiabesca dei soffitti.E quando, osservando l’architettura quattrocentesca, pare vederla inchinata dinan-zi alla Catalogna, ecco sorgere l’architetto netense Matteo Carnalivari per dimo-strare in qual modo si rispetta la tradizione pur guardando straniere conquiste ecome l’eclettismo culturale non ostacoli, al buon momento, la creatività.Poi sarà la vampata del barocco e barocchetto a scoppiettare per tutta l’isola in ognipaese diversa: qui a Palermo, classica austera; lì a Trapani, fantasiosa, scenografica;a Catania, magniloquente, retorica, ma dappertutto costantemente ardente e since-ra, legata alla decorazione multicolore marmorea, prodigioso vagabondaggio dimaestranze vivaci; e quando furono stanchi di colore, come dei campi di sulla, ten-tarono riposare col banco dello stucco che modellarono con ogni civetteria e galan-teria come a svagarsi dell’inutile sogno del Regno di Amedeo di Savoia.Barocco siciliano e barocchetto siciliano, con propri moduli, e propri ornati, conpropria inconfondibile scenografia pittoresca aderente alla teatrale natura. In tantamisura calda e appassionata che poté di quel calore molto passarne nell’architettu-ra neoclassica, consigliata non dalla fragilità nordica ed intellettualistica; ma dalconsiglio diretto dei ruderi selinuntini o agrigentini che gli aristocratici sicilianiandavano liberando dalla terra, così come liberavano il concetto di patria dalle pre-potenze borboniche. Non spazi e non censure in questa continuità di tradizione chesegue, cuore a cuore, il travaglio politico sicchè quando la liberazione giunse, siaffermò stupendamente anche l’architettura, con quel teatro Massimo che conclu-de in modo inequivocabile la storia di un popolo civilissimo. Si sente in questaopera che hanno concorso tradizioni lontanissime ed immediate, esperienze mille-narie rinnovate da una vitalità prepotente che non si spegne passando all’altra gene-razione, ma anzi riesce vivacemente e gagliardamente a continuarsi pur in quel tor-bido e fiacco periodo umbertino.Allora divenne la Sicilia come all’epoca romana, il buon granaio di riserva.Non partì certo dalla Sicilia il grido di rivolta di Sant’Elia o non poteva da qui par-tirsi, tanto la pariata elegante persuasiva di Ernesto Basile spingeva più alla com-piacente adesione che alla sgarbata rivolta e tanto potere esercitava quella grafiadecorativa pittoresca che era ancora una eredità inobliabile del passato. Né, quandosi vollero edifici moderni e furono chiamati a costruirli gli architetti fautori di razio-nalismo e modernismo, essi riuscirono, come Ulisse tra Sicilia e Cariddi a nonascoltare il magico richiamo delle sirene cioè la voce della tradizione locale ed ancheessi cedettero all’incanto l’uno e l’altro -Piacentini e Mazzoni- lasciando immuta-to l’ambiente e immutate le idee.

357

Page 358: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Pure in Sicilia, vi furono i ribelli i quali pagarono di propria persona il contrattem-po oppure furono costretti a partire per cercare altrove risorse che le condizioni eco-nomiche dell’isola non hanno favorito sviluppi edilizi ed è pieno di significato ilfatto che alla Triennale di Milano, in quella larga rassegna dell’architettura italiananell’ultimo triennio di vita era del tutto assente la Sicilia (si arrivava sino al «Palazzodelle Poste» a Napoli). In tale crisi creativa architettonica che fu un fenomeno tota-litario e non parziale, gli architetti locali siciliani invece che piegarsi all’eclettismointernazionale, che poteva anche riuscire antifunzionale rispetto alle esigenze cli-matiche della regione, preferirono il mite riposo, usando l’eclettismo su elementitradizionali. Non furono, né i soli né i più indegni.Ma come se l’attaccamento alla tradizione e la scarsa possibilità costruttiva fosseroindici di negatività architettonica, come se la tradizione fosse più tenace e più fio-rente che altrove, fosse esaurita, e non piuttosto capace di inattesi sviluppi, vennedecretata la fine degli studi di architettura in Sicilia, con la soppressione del bien-nio di architettura annesso alla R. Accademia di Belle Arti di Palermo. Era, indub-biamente, di scarsa efficienza ma il rimedio era da apporsi in forma costruttiva nonin forma demolitrice e sopprimere per crearne altro più adatto organismo la facol-tà di Architettura, con la sua salda struttura di insegnamenti teorici, storici, artisti-ci e scientifici. Tanta sperequazione; sette facoltà di architettura da Napoli in su, enessuna da Napoli in giù, non può essere compresa tenendo conto delle attuali con-dizioni della Sicilia protesa al suo futuro e al suo passato con tanto ardore.Già da un cinquantennio, per un complesso di collettive indolenze, i monumenti diSicilia, abbandonati si sgranano ad uno ad uno e non abbiamo, né rilievi, né pian-te, né fotografie scientifiche, mentre gli archivi giacciono in desolato abbandonosolo in compagnia dei ragni e della muffa, senza che mai si possa compiere una seriaricerca, e non sarà meglio, ma peggio quando da nessuna cattedra, in Sicilia, saràfatto un completo corso di scienza del restauro, di studio del monumento.Questo per il passato e per la storia per il futuro, noi abbiamo bisogno di rinnova-re architettonicamente tutta la Sicilia rurale dove assai spesso la madre, la sicilianaprolifica, operosa, paziente, è costretta a mettere figli a dormire con l’asino e il muloe le bimbe in promiscuità dolorosa.In tutta la Sicilia feconda, alacre il popolo ha bisogno di case, di bagni, di stadi, discuole, di biblioteche, di ospedali. Architettura, dunque, di stile fascista, che deveessere per forza studiata in rapporto alla terra, qui di zona in zona mutevole: terrache ha il mare e la roccia, la vallata colma di aranci e l’altipiano nevoso; ma i boschidi castagne, di sughero, di frassini, e la zolfara e la cava, il bassopiano assolato e arsoe la valletta colma di acque; venti africani e le sabbie brucianti, terra magnifica einesauribile pronta sempre a dare a chi per amore e con amore la voglia. Mai tante

358

Page 359: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

necessità essa ha sentito perché mai come oggi la Sicilia sente la grande responsa-bilità di essere la vedetta del Mediterraneo, posta come in antico tra Africa e Roma.Ma in antico, quando la potenza africana fu fiaccata ad Himera e i cittadini imposeroai vinti di costruire un tempio, quel tempio eretto da architetti siciliani.

28 Aprile 1937 – PER L’ARTE E PER IL TURISMO IN SICILIA.IL CHIOSTRINO DERELITTO*

È il più derelitto dei quattro di epoca normanna, quel Chiostrino della Magione,mutilato per due lati e per il terzo e il quarto imprigionato in un muro che appenalascia intravedere qua e là qualche colonnina esile, spaurita, timorosa di apparire fratutti quegli sterpi e rovi, calcine e pietre!A raffrontarlo idealmente col Chiostro della Cattedrale di Cefalù anch’esso mano-messo dal tempo e dagli uomini, lo si trova ancor più miserello e infelice, che inquello di Cefalù pulizia c’è almeno, e le colonne sono state liberate dal muro e sal-tella su di esse il ritmo lieve delle arcate per nulla atterrito dalla macigna rupe cheincombe, grigia e rosa, precipitata pare, dall’azzurro del cielo.Là si afferma nel chiostro della superba cattedrale di Cefalù – l’unica di chiarainfluenza normanna in Sicilia – l’eclettismo vivace degli scultori siciliani che piega-vano a ritmi decorativi i motivi offerti dalle splendide stoffe siciliane, dai mosaicibizantini, dalla sculture francesi ancora non pervase da quella passione di classicitàche esplose decenni più tardi nel chiostro di Monreale.Questo è veramente il re dei Chiostri, l’enciclopedia illustrata nella pietra, il librod’oro della cultura siciliana. Ché lì vengono a tessere danze sull’alto della coppadella montanina le morbide fanciulle dei rilievi ellenistici; lì nei capitelli giungonoa fermarsi in posa orientale le odalische ritratte dalle miniature orientali e i cavalie-ri persiani vi ingaggiano lotte disperate ed Eracle vi atterra tori e leoni, lì tra vigne-ti colmi di uva si nascondono bimbi ed uccelli, lì angioli e santi con bizantino rigo-re, ricordano i fatti della Bibbia e dei Vangeli, il sogno delle messi fiorite, la tavolaricca dell’Epulone, le storie di Giuseppe e la vita del Battista, tutto lì nella vegeta-zione più ricca, nella fauna più misteriosa, sotto quel grande cielo, in quella grandeluce.Ma anche accanto a tale magnifica e lussureggiante opera il terzo, il chiostro di S.Giovanni degli Eremiti, è riuscito a farsi posto, pur così piccolo, con i capitelli asemplici foglie di acanto striate e inaridite e si è fatto posto per la sua civetteria, fratante rose ed arance, mentre il sole fiammeggia sulla cupola rossa.E invece quello, il Chiostrino della nobilissima Chiesa della SS. Trinità detta la

359

Page 360: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Magione, è rimasto proprio derelitto, imprigionato, abbandonato, chiuso, letamaio!Ed è così bella e armoniosa e nitida la Chiesa a cui è annessa, e così visitata da turi-sti!Armoniosa questa chiesetta della SS. Trinità, costruita – per volontà di MatteoAiello salernitano nel 1150 prima della Cattedrale di Monreale a cui offrì forse lasua pianta. Ricca anche di belle pitture – dalla Madonna del Rosario, di PietroNovelli fusa e morbida di colore, alla Crocifissione di Antonio Manno – ricca anchedi sculture di primo ordine e di schietto Rinascimento. Una ve ne è pittura, postain gran pompa dallo zelo del Reverendo Rettore sulla parete sinistra della Cappellaa sinistra dell’altare maggiore, che è rara e preziosa. Dietro la grata, appaiono,imprigionate come tonacelle sulla tavola d’oro ornata da complicate grafie vegetali,tre figure di angeli con occhi socchiusi e languidi, come chi tema la luce, con egua-li gesti, con eguali volti, sedute a tavola coperta da candido drappo e Abramo, ingi-nocchiato, offre vivanda mentre un fraticello prega adorando. Una preziosa tavolet-ta di scuola senese del trecento è questa, importata o eseguita in Sicilia in quelperiodo in cui l’arte della Toscana si diffondeva in mille guise nell’isola qua e làlasciando traccia: ora l’ostensorio di Pino S. Martino a Geraci Siculo, ora il reliqua-rio di Giovanni di Bartolo nella Cattedrale di Agrigento; una preziosa tavoletta incui risuona, un po’ stanca ma pur sempre persuasiva, la dolce voce di SimoneMartini.«Tres vidit et unum adoravit». Così era scritto nella immagine che si trova sopra laporta maggiore della chiesa e di cui forse la tavoletta trecentesca ripete l’iconogra-fia.Insieme alla chiesa, anche l’abbazia era stata preparata ai monaci Cistercensi ed eraricca per le offerte del re Guglielmo I; poi fu tolta ai cistercensi e connessa aiTeutonici che la ebbero confermata da Federico e la tennero per circa tre secoli, finoa quando Innocenzo VIII elesse precettore il Cardinale Borgia che a sua volta, dive-nuto pontefice, finì col passarla a Ferdinando Re di Aragona e di Sicilia. Ma quan-do fu eretto il chiostro? I raffronti col chiostro di Monreale, di un trentennio piùtardi, sono stringenti, anche per la presenza di quelle grosse cordonature che resta-no sospese, all’uso arabo, sotto ogni singola arcata; sul fianco della chiesa le archeg-giature multiple ripetono, ma in modo più risentito e chiaroscurato quelle del pro-spetto; i capitelli, almeno quelli visibili, sono a foglie di acanto inaridite e magre,come alcuni tra i più incerti del duomo di Monreale o gli altri del Chiostrino di S.Giovanni degli Eremiti; un solo capitello all’angolo, ha un motivo di uccelli ed èmodellato con maggiore energia solido. Tutta la chiesa del resto, sembra, il prototi-po della Cattedrale di Monreale che ne ha superbamente sviluppato ed arricchito isingoli elementi costruttivi e decorativi. Nella serie delle costruzioni romaniche

360

Page 361: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

siciliane, essa è una delle pagine più interessanti per raffronti e deduzioni. Ed èanche nitida e bella e, ove si ponesse sul fondo dell’abside quell’altare barocco dedi-cato all’Immacolata, in modo da lasciare visibile la curva absidale, ove si frenasse unpoco l’amore ai prodotti non sempre artistici delle botteghe moderne, inclini aipatetici gusti del popolo e ove all’esterno, si tutelasse con maggiore decoro l’edifi-zio, là dove è visibile il lieve gioco delle archeggiature, la chiesa può ben essere indi-cata orgogliosamente agli studiosi e ai turisti, il che proprio non si può fare per ilchiostrino derelitto accanto ai fratelli di Monreale, Cefalù e Palermo, condannatoalla morte nel pozzo delle immondizie, come il piccolo Giuseppe, ove non si attuiil sogno di un restauro, come si attuò per Giuseppe il sogno delle sette vacche gras-se, dopo le sette vacche magre.

2 Maggio 1937 – I RESTAURI ALLA CAPPELLA PALATINA. INTERVISTA CON

L’ARCHITETTO MARANGONI

L’architetto Marangoni ha voluto concedere un’intervista al Giornale di Sicilia sul-l’argomento che attualmente interessa tutti gli studiosi: i restauri alla CappellaPalatina, minacciata per l’indebolimento all’arco trionfale. L’Architetto Marangoni,Proto della Basilica di San Marco, consulente per i lavori della Chiesa di S. Sofia inCostantinopoli, e per i lavori al SS. Sepolcro in Gerusalemme, è competenza asso-luta negli studi e nella esperienza nei monumenti di architettura bizantina.L’averlo prescelto per dare il suo illuminato parere sulla delicata questione, indicacome S. E. Bottai, Ministro dell’educazione Nazionale, intenda vigilare sulla splen-dida Cappella, gemma della città di Palermo.Rievocata dall’ansia, riappare, nell’ombra mite dell’Hotel des Palmes, la CappellaPalatina, come oggi è, fasciata inferma, tra legni e puntelli e l’ansia non consenteindugio per esprimere il grato animo, non può disperdersi in parole vane. La nostraprima domanda vuole ottenere subito la liberazione dell’uomo:— È in grave pericolo la Cappella Palatina?— Grave, ma non gravissimo, e potrei anche dire non grave se non dovessimo stareaccorti per l’imprevisto e se qualche volta non si reputi meglio non essere ottimisti:non grave, ma è urgente provvedere per doppio motivo perché non è opportuno perlo stesso monumento un’armatura che duri soverchio tempo, e perché non è giustoprivare al culto la magnifica Cappella per poi continuare con assidua vigilanza arisolvere altri eventuali problemi. Ma i lavori, una volta cominciati debbono conti-nuare sollecitamente e, se Le interessa, come vedo, una parola di conforto, possosenz’altro dirle che i lavori sono affidati assai bene all’Ufficio tecnico della R.

361

Page 362: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Soprintendenza ed all’Ufficio del Genio Civile. La concordia è stata assoluta suogni singola questione. Voi avete nell’ingegno il fuoco dell’isola.— Ma da dove si comincerà il lavoro? Dalle fondamenta? Bisognerà ancora armar-la e bisognerà cominciare proprio dal cuore?— No si assicuri. Estendere l’armatura sarà indispensabile, ma soltanto agli altridue archi che cadono, con l’arco trionfale sullo stesso supporto, è sarà necessarioperché i lavori avranno inizio proprio dall’arco trionfale non dalla fondamenta. Ilpubblico, in genere, ritiene che si debba procedere dalla base io invece ritengo chesi può procedere dal cappello. Ma le basi saranno vigilate come già è stato fatto,opportunamente, dall’Ing. Lo Iacono e dall’Ing. Martelli, saranno vigilate anchedopo e, se occorrerà, saranno solidificate ma non ora. Per ora bisogna procedere allaricostruzione dell’arco.— Ma le sovrastrutture, Commendatore? Tutta quelle trame di insidie, tutti queipericoli, la scala che conduce all’archivio, al Gabinetto di Astronomia, la stanza del-l’ex Archivio, il padiglione della cupola, le sovrastrutture sulle pareti, tutti quei pesiche affaticano i poveri cappelli che sono stati causa della rotazione delle pareti, tuttiquesti pericoli, commendatore, questi incubi, resteranno ancora?— Mi accorgo, di essere costretto a parlare più di quanto contavo di fare, dichiarasorridendo l’illustre Architetto di cui la cortese severità comincia a trasformarsi inbenevolenza indulgente. Le dirò che la liberazione della sovrastrutture è il primolavoro da eseguire, prima, naturalmente di rifare l’arco, ma si dovrà procedere concautela, non perché possa costituire un pericolo ma perché si tratta di spesa nonlieve dovendo ricostruire qualche elemento indispensabile. Si comincia dai pesi piùgravi e pericolosi, la scala che introduce nel gabinetto di astronomia e per il resto siprocederà in un secondo momento. Senza dubbio, prima di rifare l’arco trionfale sidebbono sopprimere le cause che hanno determinato lo schiacciamento dell’arcostesso.— E in quale materia sarà rifatto l’arco trionfale?— Sono rimasto veramente perplesso – dichiara l’illustre Architetto – nell’osserva-re questa pietra così usata a Palermo. Essa mi pare friabile e crederei preferibile l’usodella malta di cemento, la malta dico, non il cemento armato - rassicura il Comm.Marangoni ad un lieve sussulto di paura che l’equivoco ci aveva suscitato - la maltadi cemento che ha potere coesivo e potere di resistenza.— Per quanto riguarda i mosaici poi c’è da temere.— Non c’è proprio da temere, anzitutto perché saranno limitatissime le zone in cuiavverrà il distacco, quasi tutte parti ornamentali e non figure, secondariamente per-ché ho potuto constatare come all’ufficio della soprintendenza appartengono duevalorosi mosaici, il Prof. Campisi e Prestipino che potranno compiere i lavori con

362

Page 363: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

estrema diligenza. Quando verrà a S. Marco le farò vedere mosaici staccati e ripor-tati e sarà brava se potrà indovinare in quali zone sono stati fatti i lavori.— Ma è proprio indispensabile procedere al distacco dei mosaici? E non sarà sem-pre un pericolo? E non perderanno parte della loro bellezza?— No – continua a rassicurare il Comm. Marangoni, orami rassegnato e rassicura-to, – lei immagini il mosaicista come un pittore che io plasticamente amo raffigu-rarmi con mille tessere in grembo dinanzi alla fresca superfice preparata per acco-gliere le minute paste vitree; egli le guarda a secondo del suo spirito e forse anche– chissà – del suo stato di salute e fors’anche, chissà, del buon pranzetto – non credache neanche questo influisca sull’opera d’arte – sovraggiunge sorridendo, ad unamia superficiale protesta, – poi il tempo genera bozze sulla superficie ed i mosaicivengono ad acquistare centri di luce diversi da quelli inizialmente stabiliti.— E quindi una bellezza di rifrangenze luminose che verrebbe ad essere tolta, stac-candoli. Ed impossibile sarebbe restituire a quelle stesure dorate della CappellaPalatina il loro mirabile cromatismo.— Giusto, ma saranno presi dei calchi, anche delle variazioni di superfici, sarannoconservati anche gli eventuali interstizi formatisi tra le tessere e tutto sarà perfetta-mente ricostruito come oggi. Vedrà a San Marco.— Ma, abbia ancora pazienza, comm. Marangoni, si penserà anche a costruire deicontrafforti sulle pareti esterne della Cappella Palatina? E se si attuasse la liberazio-ne della superficie vicino la porta di ingresso dai mosaici ottocenteschi, e se si potes-se compiere il giro intorno al prezioso scrigno, i contrafforti non sarebbero un’ag-giunta scarsamente estetica?— Niente contrafforti, non sarebbe opportuno in un costruzione del dodicesimosecolo servirsi di questo elemento architettonico, né del resto occorre. Né io pensoche possa per ora essere opportuno liberare il prospetto dai mosaici moderni e tantomeno poi sostituirli.— Bisogna per ora affrontare i lavori più urgenti; liberazione delle sovrastrutture,ricostruzione dell’arco trionfale, lavori su cui la mia opinione coincide in tutto conquella manifestata dall’Architetto Lo Iacono, diligentissimo ed attento e con quel-la dell’Ing. Martelli Capo del Genio di Civile. La Cappella Palatina è affidata inottime mani sulle quali vigila l’alacre spirito del commendatore Fogolari. Si piòattendere con serenità e fiducia.— E la parola del comm. Marangoni riesce infatti a darla questa serenità e questafiducia e la sua esperienza è tanta – per essere il medico curante della Basilica di SanMarco e la sua indagine sulla Cappella Palatina, è stata così assidua e amorevole, danon lasciare ombra lieve di dubbio. E se, inoltre, vigila sulla Cappella la volontà diS. E. Bottai del mostro Prefetto, la certezza di bene si fa grande. Ma, a stabilizzar-

363

Page 364: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

la questa serenità e questa certezza noi dovremmo udire una sola parola, una paro-la che ci venisse proprio dal Duce, e fosse la promessa di un finanziamento perl’opera di restauro. Iniziare i lavori e sospenderli, procrastinarli in attesa di fondi,non si può, per tanta e così bella opera di valore universale.Come già l’ebbe la basilica di San Marco, giunga anche alla Cappella Palatina diPalermo, questa parola auspicata.

2 Giugno 1937 – ITINERARI ARTISTICI. PREZIOSITÀ DI SCIACCA*

Avvolge in ogni chiesa, in ogni andito, in ogni sacrestia, un odore di giglio che stor-disce, e par smorzi la vita, impalpabile, e pur lo senti al gusto, con un sapore disoverchio dolce. Lo trovi per terra, sugli altari, sulle finestre, giardini, ovunque, e loriconosci subito come una preziosità femminile ed amorosa, come giusto si convie-ne ad una città che ebbe nell’insegna S. Maria di Magdala, bella ed amorosa. In unbassorilievo quasi nascosto nella sacrestia della Chiesa Madre, murato al muro, conaltri resti di distrutte icone, erette e fiere, tra le fauci aperte dei leoni, scolpita forseda Antonello Gagini, la ritrovi, la santa del profumo, degli unguenti, in un nimbodi capelli biondi, a piedi della croce in una rara opera di pittura quattrocentescamirabilmente dipinta e ben conservata nell’Ospedale, la ritrovi, e in tutte le storiedella vita in una serie di affreschi nel soffitto della Chiesa Madre. Gran bellaChiesa, che offre l’incanto di molte sorprese, e, prima fra tutte, la sorpresa di rico-noscere in quel Michele Blasco (1628-1645), veemente decorate del soffitto del-l’abside di Agrigento, con tinte accese, fra stucchi dorati, un architetto di classicogusto e di buona esperienza tecnica. Che non era facile dare alla vecchia Cattedralefatta erigere da Giulietta Normanna, e già quasi cadente, nuove e limpide formequali Michele Blasco le diede a metà del seicento. Poi, dopo il 1829, fu tutta orna-ta, non senza gusto, alla moda dell’epoca, e Tommaso Rossi dipinse, con largoimpeto decorativo tutto il soffitto, e superò il padre togliendo al cromatismo dellepitture paterne quel che di soverchio rosso acceso, spesso sgradevole vi era e le tintetroppo torbide, tutto il colore riportando a settecenteschi accordi tipo Manno. Diquesto Tommaso Rossi, ottocentista ancora legato alle grazie del settecento nelleforme tutte ondulanti, nei giardini ornamentali, nel colore tutto cangiante, era inso-spettata una così audace virtù decorativa quale appare nel grande affresco centrale,rappresentante l’Apocalisse di S. Giovanni, denso di figure e pur equilibrato, riccodi colori, e pur armonioso. Ove non gli si dovesse rimproverare di essere un ritar-datario nell’ottocento, altro non si potrebbe, perché non gli mancò gusto ed espe-rienza e quella siciliana grandiosità nell’affresco che aveva reso ben famoso il Padre,

364

Page 365: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Mariano, anch’egli di Sciacca, il più noto, forse, tra tutti i pittori siciliani del sette-cento dopo Vito D’Anna.Ma tante cose non si attendono e si trovano, girando la Sicilia, né mai ci si attendead esempio, di trovare nei paramenti della Chiesa, una cappella dove così chiara-mente fosse scritta la storia dell’oreficeria siciliana, nelle sue più originali conqui-ste: una cappella di velluto rosso del 700 sulla quale vennero fermati motti e ricamidi epoche normanne, smalti di colore limpidissimo, ad alveoli formati, di cui solo iltesoro della Cattedrale di Palermo e quello del Kunsthistorisches Museum diVienna posseggono esemplari e ricami di perle, quali ricorda Ugo Falcando.Alcuni di questi piccoli smalti, sono stati asportati perché non sempre MadonnaIgnoranza protegge le opere d’arte dalle mani degli antiquari e le salva insieme aMadonna Pigrizia, come dice B. Berenson. Madonna Ignoranza, più spessodistrugge e ben possono dichiararlo, ovunque in Sicilia, in modo particolare, le scul-ture.Ovunque vi furono magnifici complessi marmorei, e ovunque, è avvenuta una granrissa: basette di una statua scambiata con quella di un’altra, icone marmoree fran-tumate così che un pezzo lo trovi sull’altare e un pezzo in una stalla, un pezzo almare e un pezzo al monte e se vuoi, per caso, ricostruire tutta un’icona è un bel dafare a girare sotto e sopra. E, a Sciacca, la volontà viene per la sicura presenza, frale sue mura di due grandi scultori del 400: Francesco Laurana e Giorgio da Milanoe, nel cinquecento per la presenza di Giuliano Mancino, il Berrettaro e GianDomenico Gagini.Le navi scaricavano marmi e marmi nella rada di Sciacca e gli scultori scalpellava-no statue di Santi per le sue 59 chiese: più le lotte fervevano tra i Luna e i Perolloe più la pietà cresceva, perché benevoli fossero i santi sugli odi e sugli amori.Giungevano marmi, giungevano opere preziose. Dalla Catalogna giunse di certouna delle rarità di Sciacca esistente nella Chiesa di S. Michele: una grande croce inlegno a rami e foglie, ornata di testine di angioli chiomati e di statuette, lavoratacome una immensa opera di oreficeria con la stessa pazientissima diligenza nell’in-tagliare la materia, nel renderla preziosa con l’arte, scalpellando ogni foglia con pre-ciso contorno, ogni figura con minuta gentilezza di forma. Una grande croce, delpiù schietto gotico catalano a cui il tempo ha accresciuto bellezza dando opacitàall’oro, che la ricopre, tinte smorzate alle vernici. Un prodigio, nell’ombra dell’absi-de tra steli di giglio.Altra preziosità di Sciacca, e non ultima.

365

Page 366: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

9 Giugno 1937 – PER LA CASA DEL POPOLO. SUGGERIMENTI ERICINI

Casa da spiaggia o da montagna, povera e incomoda è la casa nelle terre mediter-ranee: in spiaggia, incatenata a fila, con porta e finestre sulla strada; senza ombra seun tralcio di vite non ascende a far tettoia di verde che il sole trafora nell’ora meri-diana; senza acqua, se non germoglia la fontanella nei pressi; semplice e disadornanel suo biancore di calcina, se un colore non fu dato nella tinta prediletta dai cloro-plasti agrigentini; in montagna, invece, incatenate l’una sull’altra, lungo il pendiodel colle, più povere e incerte, sbigottite di se stesse, se arrivano a bulicarsi più alte,occheggiando paurose, il castello feudale. Un talamo, unico, per tutta la figliolanza,una stalla che il figlio divide con l’asino, una tavola per il desco, e poi una strada,continuazione indispensabile dell’ambiente.Case ridotte al minimo, dalle quali il contadino scappa all’alba, e ritorna la sera,abbacinato. Fondachi notturni, più che case.Stupisce, chi giunge ad Erice, nel ritrovare vie solitarie che procedono in misterio-si meandri, senza donne alla porta, bimbi e galline; stupisce nel trovare case chiuse,ermetiche, isolate nello spazio, costruite di pietra nuda, senza intonaco, grigie, senzacolore, tranne il ciuffo di verde agli interstizi, case quadrate e precise nel taglio deglispigoli, con terrazza alta e soffitto a pendenti, con porta architravata, finestre qua-dre, rare.Necessità e fantasia hanno provveduto a generare, nella città silenziosa l’incantodell’imprevisto: la parete traversa, tagliata ad arco in basso, l’arco che si affonda nelmuro, l’ermetica chiusura di una piazza, una gara di volumi avanti e retro, la prepo-tenza di uno spigolo, una feritoia sull’azzurro, generano, in questa architetturapopolare di una logica assoluta, il contrappunto lirico, il romantico scenografico.Porte quadrate, architravate, con piccole mensole agli angoli, qualche prospetto dinegozio, in marmo, alla maniera romana, con l’insegna scolpita in alto, finestre qua-dre: il dominio ovunque, della rettilinea, del preciso. Sei indeciso, fra Roma e Firenzein risonanza semplicissima, elementare, popolare.Né sono, soltanto, i negozi e le insegne a suggerire il ricordo dell’architettura roma-na: suggeriscono tale ricordo anche i concetti che presiedono alla distribuzione deivani della casa. La quale, non concede una vita all’esterno come tutte le case neiclimi mediterranei, ma chiude le forme, ermeticamente, dentro le sue mura la fami-glia, separandola dalle altre in un geloso e ansioso isolamento, sicché un organismoarchitettonico corrisponde ad un organismo familiare e il suo isolamento nella spa-zialità corrisponde al suo orgoglio di solitudine. Quando dalla cellula iniziale fami-liare si sviluppano le altre ed i figli si sposano e la famiglia si accresce, la casa stes-sa è soggetta ad ulteriore ingrandimenti senza mutare radicalmente la sua costru-

366

Page 367: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

zione. La quale, entro di sé, racchiudendo la famiglia e custodendo gelosamente ledonne, non condanna al chiuso ed al buio: la casa ericina trova il suo respiro, la sualuce, la sua spazialità nel cortile, piccoletto, e verdeggiante dove la pila in muratu-ra, il pozzo, qualche volta il forno, indicano che quello è il dominio della donna edei bimbi a cui un geranio, un fico, un tiglio danno l’ombra ed il verde. Cortile pic-colo, non rassomigliante all’ampio recinto delle case sarde e neanco al patio dellacasa araba – cortile che trova il suo fascino nella verdeggiante gaiezza di cui ledonne ericine lo adornano.Una scala a pochi gradini, esterna, conduce al secondo ordine dove è la stanza o lestanze da letto, con porta e finestra nel cortile, e spesso con terrazzina. La porta diingresso, si apre sulla strada, ma solo al bisogno – la famiglia vive, nella luce, nel-l’aria e in una incontaminata solitudine.Questa è la caratteristica della casa ericina rispetto a tutte le case di Sicilia edell’Italia meridionale: questo suo serrarsi in recinti, questo suo isolamento che sitraduce liricamente in architettura di volumi nitidi stagliati nell’azzurro, ermetici,intransigenti, impenetrabili.Ovunque, sempre, nei climi meridionali, la casa trova il suo sussidio nella strada, ela casa è tutta all’esterno, con balconcini e terrazze coperte, scale esterne, come aCapri, o in Grecia; qui ad Erice un modello del tutto originale e razionale adatto alclima, ai venti, alle nebbie, che spesso, da un momento all’altro, salgono, invadono,lottano, si inseguono, corrono, giocano, fuggono, nell’aria lasciando qualche veloimmemore.Clima, elevazione, venti. Condizioni identiche sono a S. Mauro, a Geraci, a Polizzi,nei paesi ancora più alti e ad Enna, più alta ancora; ma in questi luoghi le case siaddossano paurosamente e sono superficie, non volumi; e hanno un chiaro argo-mento della solitudine, né mai scala esterna, mai tettoia fiorita, ma semplice portasulla strada e scaletta interna.Erice è unica in Sicilia. La cittadella ebbe il suo secolo d’oro nel rinascimento, edallora dovette formarsi la pianta ed il tipo della casa con elementi gotici e rinasci-mentali.La parete che chiude il cortile, non si abbatte mai, se non quando valse a riunire duecase: allora si formò un cortile stretto e lungo con due scalette ma la recinsioneesterna, rimase sempre ad Erice mentre altrove si è tolta e le case sono rimaste congradini e verandine sulla strada.A ricercare nei vecchi manoscritti del quattrocento, negli atti di compra e venditadelle case, si ritrovano, coi verbali dell’epoca gli stessi elementi, il cortile o xirba, lascaletta interna, i vani al cortile adiacenti. Il modello rimase e per quanto, nel baroc-co giungessero lassù maestranze trapanesi, la casa ericina, non trasformò mai il suo

367

Page 368: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

schema popolare e rinascimentale; rimase, legata a certe sopravvivenze di romanitàsia nella decorazione essenziale delle porte e delle finestre, sia nel gusto ai volumidefiniti.Razionale, perché unisce utilità a decoro, consente separare il popolo dalla strada, enon esclude dalla luce, dall’aria libera; è raccolto, guardingo, ma nel tempo stessopiacevole.Se vi è da trarre, per l’architettura popolare, suggerimenti dal passato, dalla tradi-zione, dal costume di un popolo, questa architettura ericina è l’unica, in Sicilia chemerita di essere studiata. Essa è rimasta per quattro secoli, immutata: significa cheessa risponde realmente ad una necessità, ad un gusto. E la ritroviamo modernaoggi, dopo l’esperienza cubista, razionale, adatta al clima, bella secondo il concettosocratico della bellezza che era quello dell’utile e del comodo.

18 Giugno 1937 – PER LA XXI BIENNALE DI VENEZIA. IL PAESAGGIO SICILIANO

Si vedrà qualche paesaggio siciliano alla XXI Biennale di Venezia?Forse di si, perché il nome di Francesco Lo Jacono è giunto ad oltrepassare quel cer-chio ferrigno di indifferenza o di dimenticanza che chiude in abbandonato recintoi pittori dell’ottocento siciliano; ed essendo egli rimasto legato nell’ispirazione allasua terra e avendo costantemente guardato ulivi, valli assolate e marine, è divenutoalla fine l’esponente, unico, del paesaggio siciliano così come le tre colonne e ilframmento di trabeazione del tempio di Castore e Polluce sono diventati, merito oimmerito, l’emblema di tutta la terra agrigentina.Certo, ci sarebbe da decidersi a fare buona scelta nei quadri di Francesco Lo Jacono,fra le opere note del periodo giovanile, accorte, insistenti ed amorose nella ricercadella materia cromatica nelle cose come «A monte S. Giuliano» (GalleriaMunicipale, Palermo) e il «Paesaggio Agrigentino» (in Casa Restivo); e decidersi afare uno scarto nelle opere del periodo maturo ha quelle di replica e di scarsa ela-borazione e quelle che sono veri capolavori di pittura di paesaggio, quali «VillaNiscemi fra Casa Titone» o «Campagna Siciliana (Casa Mulè)», in cui la naturaappare colta nella sua complessività di valori con una felicità assoluta di gaudio cro-matico, e scegliere tra le opere in cui l’intendimento illustrativo, vedutistico fusoverchiamente preponderante e quelle lasciate quasi incompiute come «Campagnapresso Corleone» (raccolta Sinatra, Museo Agrigentino) di cui è felicissimo il tagliodella montagna, arsa di giallo sul cielo inerte in una azzurrità immutabile ed eter-na. Certo, egli fu gran pittore, ed il primo, che si accorse della bellezza del paesag-gio siciliano avendo nel tempo stesso elaborato le sue possibilità pittoriche ed aven-

368

Page 369: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

do anche quello spirito riposato e borghese che gli consentiva una giusta ubbidien-za al verismo di moda.Ma al paesaggio siciliano molti pittori si erano dedicati nella prima metà dell’otto-cento e stretti erano stati i rapporti tra i vedutisti napoletani ed i siciliani: l’Hachertviaggiò lungamente in Sicilia occupandosi di paesaggi; nel 1823 Salvatore Fergolaviaggiò e lavorò in Sicilia; dal 29 al 35 vennero Achille Viannelli e Giacinto Giganteal seguito di Ferdinando per fornire le illustrazioni per il «Viaggio pittoresco nelreame delle due Sicilie»; nel ’40 Francesco Verwloet dipingeva la «Piazza della cat-tedrale a Palermo» (Reggia di Napoli) e alla mostra del ’41 presentava un «Internodella Cappella Palatina»; nel 1845 Giacinto Gigante ritorna in Sicilia al seguitodell’Imperatrice per dipingere un album di vedute; nel ’48 Massimo D’Azeglio viag-gia in Sicilia e dipinge paesaggi ispirati a Taormina, Siracusa, Segesta.Naturalmente anche i pittori siciliani se ne interessavano, massimamente quelli diPalermo: c’era ad esempio Giuseppe Tripi, premiato nel 1843 con medaglia d’ar-gento e nel 1846 attivo ancora ed elogiato, il quale componeva paesaggini con fiam-minga precisione (Paesaggio, Casa Restivo), fino a quando non gli apparve la pit-tura di Giacinto Gigante che riuscì a trasformare la sua gelidità di imitazione nor-dica in una calda espansività meridionale (Paesaggio, Casa Avellone).E lavorò accanto al Tripi, Vincenzo Riolo, figlio di Tommaso Riolo, pittore interes-sato ad illustrare, con un amore che gli fa conquistare a poco a poco i mezzi di colo-re e di prospettiva, le vedute di Palermo, nei luoghi più caratteristici, come S. Lucia,il Molo, spesso raggiungendo piacevole festività, quando si diverte a sciorinare labiancheria al sole facendone pennellate vivide disposte a catenella tra un vecchiomuro e l’altro e sempre un gran valore storico illustrativo per il ricordo di questavecchia Palermo scomparsa.Lavorò anche, con garbo, Andrea Sottile di Termini, che si ispirò alla campagnabellissima di Termini ma non volle mai cambiare né ora, né stagione e tutto vide erese sempre in luce rosata, in atmosfera quieta senza che mai un frullo di aria giun-gesse a scompigliare le frappe degli alberi incollati come i colletti inamidati deigiorni domenicali!A guardare i quadri di Tripi, di Riolo, si finisce con l’essere grati a Luigi Lo Iacono,il quale, se pur non ebbe grandi meriti di paesaggista, ebbe il grandissimo merito,di avere avviato i pittori palermitani, il figlio Francesco e Antonino Leto, a Napoli,alla scuola di Palizzi.Che il vantaggio, non era soltanto nel buon insegnamento, ma era anche nella com-pagnia di artisti, volti alle stesse esperienze, era nelle discussioni d’arte, era nel calo-re di gioiosa amicizia, era nei rapporti con i macchiaioli, era insomma, l’uscir dalchiuso, dal serrato, dall’isolato e dall’isolano.

369

Page 370: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Si pensi che cosa sarebbe divenuto Antonino Leto se fosse rimasto sempre aMonreale, e quel che egli divenne quando andò passando da Monreale a Palermo,da Palermo a Napoli, da Napoli a Roma, da Roma a Firenze, da Firenze a Parigiacquistando sempre un maggiore respiro e una maggiore possibilità di trasfigura-zione del reale fino a rendere la natura non quale essa veramente appare ma fatta diuna materia cromatica solida e preziosa quale può essere sognata nella bottega di unorafo fatta cioè tutta di lapislazzuli ed agate, porfidi e madreperle, zaffiri e rubini.Ma in Antonio Leto c’è soprattutto da guardare quella sua inarrivabile intelligenzadi cogliere di ogni terra il caratteristico pulsare di sentimenti, il gesto, l’attitudine,lo spirito del popolo che a quella natura è legato.Si ricordi «Il bosco di portici» (Casa Cenni, Palermo) in cui l’artista riesce a legareil boschetto dai fusti tortuosi e barcollanti ai gaudenti spensierati che vanno a scam-pagnare, in modo così estroso e vivace da comunicare a chi vede il gaudio frizzan-te di una anacreontica saporosa; si ricordi la «Passeggiata a S. Trinità» e come cam-biando ambiente, si mutano in damine fiorentine chiacchierine e galanti che pas-seggiano sul Lungarno, quelle gioiose partenopee sdraiate in languoroso abbando-no sull’erba tenerella del «Bosco di Portici!...».Ma si ricordi soprattutto la dignità veramente mitica dei «Funari di Torre del Greco»(Palazzo dei deputati) che nella chiarità solare alzano i fusi come ostensori in uno sfa-villio luminoso, quasi in una ebbrezza solare che soltanto il lavoro dell’uomo risparmiae si ritorni ad esaminare il quadro, ben apprezzato ai suoi tempi: «La Pesca del Tonnoin Sicilia» (Banco di Sicilia) a Palermo. Compiuto verso l’84, avendo già superatal’esperienza impressionistica ed essendo ritornato al perfetto equilibrio fra forma ecolore, il quadro sembra racconti un dramma oscuro e primordiale tra l’uomo e labestia complice il mare. Dramma e rito nella gravità dei gesti e nei volti di chi assistecon implacabile animo, intervenendo a giustizia in quello scompiglio di acque battutedai corpi guizzanti dei pesci per dare l’ultimo colpo. E che magnifica consapevolezzadelle difficoltà per tale scenario non comune, e quale virtù cromatiche in quelle gammedi azzurri lividi, torbidi, limpidi, spumosi controbattuti dai neri dei dorsi guizzanti deipesci e che solidità plastica nelle figure erette sulla barca contro luce tra bianchi dispume e bianchi di nuvole, come divinità uscite dal corteo marino.Una natura che si lega sempre all’uomo nei quadri di Antonino Leto e, si trattimagari di scugnizzi che sbucano fuori dalle acque del mare, con certi visi anneriti ebucati dall’ombra come bronzi rovesciati da una fucina sottomarina o si tratti divecchi assorti al tiraggio delle reti, passandosi dall’una mano all’altra il filo attortoo si tratti di contadina che da il becchime ai polli o della vecchia che l’ultimo rag-gio si gode nella terrazza di Ischia: sempre Antonino Leto ricorda il rapporto del-l’uomo con la natura e non fu assorto nella astrazione, né si perdette in estremi rea-

370

Page 371: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

lismi, ma con meridionale espansività gioiosa, guardò l’uomo e la terra il mare e ilcielo e la fatica dell’uomo.Vi fu dunque, una pittura di paesaggio siciliano, paesaggio, fra i più difficili, per laeccezionale cromia e la eccezionale limpidità della luce, fra i più difficili per la gran-de varietà della natura del suolo e della vegetazione. Dalla prima metà alla fine del-l’ottocento, dal Tripi al Pardo nella Sicilia occidentale furono tutti paesaggisti e certiacquarelli di Michele Catti e certe sue giovanili pitture dei giardini della Concad’Oro non pare siano un miracolo per la freschezza mattinale e splendente di luce?

23 Luglio 1937 – TESORI D’ARTE IN SICILIA. LA MOSTRA DELL’ARTE SACRA

DELLE MADONIE 15 AGOSTO-15 OTTOBRE*

Un allegro picchetto di martelline batte alle vecchie mura del Convento sito a metàdella via che da Petralia Soprana ascende a Petralia Sottana; lo accompagna uncanto di operai alacri e lo commenta il passetto zoppicante e affrettato delle ultimegallinelle che fanno e disfanno rapidi colloqui, ogni volta che una macchina soprag-giunge a dar scompiglio sulla rampa dove si schiudono le ultime bocche gialle delleginestre.Petralia è bassa, acquattata nelle mura grige, come pronta ad uno scatto e l’altra, sulciglio, pare anch’essa persuasa al volo, riunitasi, con tutte le sue chiese, proprio sullaroccia, all’estremo.La valle, oramai tosata di spighe, ha la felicità del riposo senza ansie o il sole l’ac-cenda, la spenga l’ombra e non ha un sussulto cos’inerte, che ti pare lastricata diagata gialla e occhiuta per i cerchi di scuro che vi fanno gli alberi. Contro luce, leMadonie si profilano sul cielo così scure di un nero azzurrognolo che vi par notte.Ancora, in qualche posto ancora si ara con quei muli che girano girano rabbiosi,storditi e costanti, mentre la pula sfarfalla nell’aria.Petralia, Convento dei RiformatiQuassù, al convento, si lavora per trasformare celle e corridoi in sede della mostra,lontanissima ambizione che ora si matura in realtà per il concorde volere dell’EntePro Petralia e dell’Ente Turistico, una mostra di ori, di argenti, di stoffe preziose, dimarmi, di quadri, di tutti i tesori ignoti, mal noti delle chiese di tutti quanti i pae-selli delle Madonie, dodici: Collesano, Isnello, Castelbuono, Castellana, PetraliaSottana, Petralia Soprana, Polizzi Generosa, Gangi, Geraci Siculo, S. MauroCastelverde, Alimena.Pochi di essi ti si presentano miti allo sguardo: tutti, in generale, stanno su rupi, ese non fosse per i loro campanili non li distingueresti, nel grigio della roccia, e se

371

Page 372: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

non fosse per quei vecchi castelli che li sovrastano, non ti butterebbero, subito, allamente, tanti ricordi di guerre, di contese, di amicizie, cose pazienti ed umili ti sem-brano, fatti della stessa sostanza umile ed eterna e del colore eterno della terra. Poise vi giri dentro, la loro origine feudale, i loro conti normanni ed angioini, le lorodonne audaci ed amorose, ti si richiamano alla mente, con uno scudo, con una lapi-de, con un sarcofago, con una finestrella di un palazzotto sdrucito e, a sera, riposa-no tranquilli.Mistico pellegrinaggioProprio per quelle vie delle Madonie, che un tempo si percorrevano in diligenzacalcolando il tempo per il passaggio del convoglio, facendo il segno della SantaCroce ad ogni colpo di fucile che risuonava vicino o lontano, stringendosi paurosiper ogni imprevisto, sbattuti dalle tempeste in inverno, arsi di sole, in estate: perquelle vie oggi ridotte in nastri snodati, ben chiare agli occhi, senza muretti e senzasiepi che non siano di gerani e di ginestre, si muoveranno, rapidamente e sicura-mente tutti i tesori che per cento e per cento anni sono rimasti reitti polverosi onascosti paurosamente allo sguardo dello «straniero» che era anche il vicino delpaese più vicino; si muoveranno Santi, in legno, acerbi, maestosi, con quelle lorovesti policrome, splendenti e audaci, le statue di marmo che faticosamente puoiguardare nella loro sede, tanto sono coperte di carte e di fiori, i bei trittici ricchi diornati, quelli che ancora restano, dopo tanto tempo e diverso pedaggio.Aprirà questo mistico pellegrinaggio, il trittico di Polizzi Generosa, celeberrimocapolavoro di arte fiamminga che è riuscito, esso solo, a richiamare nelle Madoniequalche studioso e qualche turista, e gli farà da araldo, il superbo ostensorio diargento, fatica di Nibilio Gagini, e orgoglio dell’Ospedale, seguirà il trittico diS. Francesco, che da venti anni è stato murato alla parete per evitare litigi di appar-tenenza: un bel trittico, in marmo gaginesco, che vedemmo calandosi da un bucotra muro e muro, tra cortine di ragnatele; verranno poi i magnifici velluti, le argen-terie, i legni, di Petralia Sottana, tutta lieta e festosa di offrire il meglio; là, dovetutti, a proporre, a discutere, a suggerire.Da Petralia Soprana, scenderà il calice più bello delle Madonie, con smalti rossi everdi sulle foglie di cardo che avvinghiano la coppa, opera di quel rinascimento iso-lano, fedele all’ornato gotico che è originalissimo in Sicilia. Verrà pure, fra altrestoffe, la bella pianeta quattrocentesca, che non ha eguali in Sicilia per la rarità delricamo.Scintillìo di oriIl corto diventerà un po’ lungo quando si aggiungeranno tutti i capolavori di SanMauro e quella Madonna di Domenico Gagini, dolce, morbida, paurosa, mai usci-ta dalla chiesetta di S. Maria dei Frecchi, così bianca e pallida, che si trema a toc-

372

Page 373: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

carla di Castelbuono, dove tra quadri, stoffe oreficerie, portantine, difficile sarà lascelta, di Collesano, quieta e colma di opere d’arte, di Isnello gioiosa di verde. Chelungo corteo, e quanti ricordi sono legati ad ogni oggetto offerto alla chiesa percelebrare una pace, per offrire un voto, per calmare una contesa, per dimenticare unodio, calice o quadro offerto, da patrizi e da popoli da corporazioni o da confrater-nite; e che scintillìo di ori, nell’oro della vallata!Quando si troveranno insieme, questi oggetti, dono di patrizi ribelli e fra di loronemici, di chiesette rivali, di paesi ostili, quando si troveranno riuniti nelle salettemonacali del vecchio convento, nella mite ombra e nel silenzio montanino, sarà unbel chiacchierio, se la materia riuscirà ad avere parola. E concordi saranno, final-mente, nell’ambiente di mostrarsi ai visitatori dei quali, molti, anche se vicinissimi,li hanno trascurati, agli studiosi, che forse non pensano, tanta varietà pittoresca,tanto gusto persistente nell’artigianato locale massime nel settecento – il gran seco-lo, per i paeselli madoniti – tanta varietà di oggetti buona anche a dimostrare comela Sicilia fu sempre legata all’Italia, se pur la separano spesso tante violenze.E basterebbe guardarla, questa terra madonita anche nella sua architettura pervedere quanti contatti vi furono con l’architettura di Napoli e di Roma, quante riso-nanze d’arte borrominiana, e nella pittura quante ve ne furono della scuolaVeneziana e Napoletana e nella scultura quante della Lombardia. Paeselli cosìumili, e così interessanti, dove anche la vegetazione è così varia e ricca e tanti ediversi sono gli uccelli, che uno studioso, c’è stato, a Castelbuono, che tutta la lungavita trascorrere a disegnare, e a colorare, con un disegno così fine ed accordo conuna diligenza così grande, che, a vedere tutta quella serie di libri miniati si ripensaai restauri medioevali aggiornati da uno spirito moderno.Zona di terra ricca d’arte, e di leggende, viva oggi, tra le più vive di Sicilia. Di questasua vitalità diversa nel passato, questa mostra è l’indice: testimonia la comprensionedi molte parole, l’adeguazione a molti esempi, l’ubbidienza a molte esortazioni.Si prepara in silenzio, con ardore, e con una segretissima ansia che non osa farsiparola. Ma ogni contadino che passa e fa solecchio per guardare l’opera che si com-pie grida: Festa granni, signurinedda!Festa grande, nel cuore e nelle cose.

12 Agosto 1937 – ALLA MOSTRA D’ARTE SACRA DELLE MADONIE.I MERLETTI E I RICAMI*

C’è una preghiera che non conosce altari e luci di candele e si compie in silenzio senzacanti liturgici, nell’ombra mite di una cameretta. Ricami su broccati e su sete, su

373

Page 374: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

damaschi e su tele ricami vistosi e pazientissimi, se adornano una pianeta, un piviale,un camice, se adornano una tovaglia o un velo omerale, hanno sempre la pazienza, peril trepido amore per la volontà del perfetto, il valore di una preghiera a Dio.Sacro è pur sempre il ricamo anche se adorna il camicino di un bimbo o il velo di unasposa, per l’animo di chi lo compie filtrato di amore. Nel convento dei Riformati, dovegiungono da tutti i paesi delle Madonie, tesori di rara bellezza la preghiera più alta èrecitata dai ricami in tutti i punti e in tutti gli stili, in tutte le stoffe e in tutti i nodi.E per chi volesse scrivere la storia del ricamo siciliano, sono pronte pagine moltepli-ci, per chi ricercasse stoffe preziose per quella gioia che dà la fusione di tinte, forma-ta da secoli, per chi ama quei veli tessuti di rugiada, fatica del telaio per chi riesce adintendere il valore di bellezza di queste opere che non hanno bisogno dell’audacia delgenio, ma della mite dolcezza intelligente di una donna, la «Mostra dell’arte sacradelle Madonie» prepara elementi di studio e di ammirazione.La pianeta di Petralia SopranaPer antichità e pregio non ha rivali la pianeta di Petralia Soprana, né qui, né inSicilia, per quanto fino ad oggi ci è noto, preziosissima nella stoffa, nel ricamo e neldisegno. Di broccato, essa è adorna sul davanti e sul retro di una fascia con figurein parte eseguite a ricamo in filo d’oro e di seta, in parte formate da stoffe ricama-te e sovrapposte. Ma la mano femminile è stata guidata da un grande pittore di edu-cazione catalana, per il realismo raggiunto in alcuni particolari di educazione anto-nelliana per la plastica forza raggiunta in certi angioli inginocchiati con ali arcuate.Figure di Santi e la rappresentazione della Vergine, in totale dieci, cinque per parte,formano sul davanti e sul retro due croci; dipinte sembrano, tanto è perfetta lafusione delle sete e dei fili che compongono edicole di tipo orientale, vesti fiam-manti, volti assortiti in preghiera. Poche opere a Firenze e a Londra possono met-tersi alla pari della magnifica pianeta che dalla Chiesa Madre di Petralia Sopranapasserà alla Mostra insieme ad una quantità di stoffe, tutte di pregio a cominciareda quelle di S. Maria di Loreto dominatrice dell’immensa vallata bionda, immanecoppa dall’orlo di zaffiro, a finire con quelle della chiesetta dei Riformati, sperdutatra romantici ciuffi di verde. Borromiana l’architettura di S. Maria di Loreto, pian-tata lì a colloquio col cielo, nel movimento ondulato della facciata, nella pianta lie-vemente ellittica, nell’ornato fantasioso, negli affreschi del pittore Manzo, seguacedi Vito D’Anna, nel concorde ritmo ornamentale del soffitto e del pavimento, degliarmadi e delle panche. Essa è tutta integra e perfetta come sbalzata in un attimodalla roccia: Minerva dal cervello di Giove.Stoffe, parati e broccati, se li vedi al tramonto mentre la luce batte sulla Salinella el’inargenta, sembrano staccati dall’oro di quella terra, trapunte dal verde di quell’er-ba ad accordarsi in tutto, magnificamente alla pittura, alla decorazione.

374

Page 375: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Sfilati e merlettiNon vi è angioletto di tarlato armadio che non abbia conservato qualche anticocamice a punto siciliano, non vi è collezione signorile che non conservi un giraletto,un tramezzo eseguito a fuselli. Ma la «Mostra» presenterà due collezioni di sfilati emerletti veramente eccezionali e per il numero e per la qualità: la collezione di coper-te appartenenti al Barone Li Destri di Equila: dieci coperte a sfilato siciliano ad agoe a fuselli in un complesso di rara eleganza e la collezione del Barone Carpinelloricca anche di velluti, superbamente ricamati con fasto secentesco in oro ed argenti.L’oro e l’argento hanno ornato il paliotto, le pianete, i piviali, le funicelle che compon-gono il tesoro della chiesa Madre di Geraci che gareggia con quello di Enna per lararità dei suoi pezzi; l’oro e l’argento ridotti a fili hanno formato merletti preziosi.Solo una parte di tante ricchezze passerà alla Mostra e sarà documentazione dellatradizione superba di questi paeselli che ora appaiono grigi, sul grigio della roccia,che sembrano dalla terra sorgere e nella terra celarsi, così umili, che tanta ricchezzasembra una fiaba. Ricami e ricami, in tutti i colori sfarzosi, sgargianti, di gusto secen-tescamente pomposo, a riporti sapienti di stoffe, su velluti cinquecenteschi, con tene-ri accordi di celeste e rosa, su trame floreali settecentesche con rigidi ornati di sobrie-tà ottocentesca. Ricami e ricami eseguiti tutti nei conventi nelle Madonie da genti-lissime sorelle lontane che la giovinezza offrirono all’ago, attorcigliando ad ogni agu-glia il pensiero di pena e di rinuncia, da tonacelle sospirose che alternarono la pre-ghiera al lavoro senza accorgersi dei solchi e del trapunto che il tempo ricamava sulleguancie, dimenticate artiste che cercavano umilmente tra le sete, il filo più serico, trai colori, il colore più dolce. E tra ricami e sfilati, seguendo via via il corso dei secolipassando dalla stilizzazione lineare di tradizione orientale alle pompose e turgidefioriture barocche, dalle flessuose ornamentazioni del barocchetto alla rigida elegan-za neoclassica si ricostruisce a poco a poco nella sala dei ricami e altrove la storiaininterrotta e superba dell’artigianato siciliano.

1 Ottobre 1937 – ALLA MOSTRA D’ARTE SACRA DELLE MADONIE.TAPPETI DI ISNELLO E CERAMICHE DI COLLESANO*

A vederli, questi antichi tappeti di Isnello esposti nella celletta prima della mostradell’arte Sacra delle Madonie, a vederli con quella decorazione sballata più checomposta, accennata più che composta, vien fatto di pensare ai tappeti copti: leimmagini decorative appaiono sul campo giallo alto e morbido come poggianosenza regola e misura foglie fuselli sul campo arato: aquilotti e fagiani, gallinelle epavoni, vi furono incollati per gioco e incipriati e ingemmati con bianchi, rossi e

375

Page 376: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

smeraldi che hanno tutto il nitore delle cose naturali. Vecchi tappeti, di lana tosatadalle agnellette che pascolano nell’orto attiguo al convento, e tinta con le erbe chenello stesso orto crescevano; vecchi tappeti tessuti con lunghissima fatica dalle maniesangui di monachelle ora stanno in questa celletta in colloquio con le maiolichet-te di Collesano poche, ma sceltissime, quasi tutte datate e firmate, sicchè, se, avederle con smalti piacevolissimi e con decorazioni simili a quelle uscite dalle bot-teghe di Palermo, l’iscrizione non lascia dubbio e gli autori si sono firmati con orgo-glio ben chiaro: Filippo Rizzuto e Giovanni Saldo.Tappeti ad Isnello e ceramiche a Collesano: due industrie fiorenti nei paesellimadoniti i primi che si addossano alle Madonie grandi e violacee.Paeselli quieti e dormienti in cui il ricordo del passato è dolce e senza rimpianti,Isnello, sì, dovette ben essere ambizioso, con tutti quei campanili che a gara alzanoil loro berrettino verde, come a farsi conoscere e distinguere in un festoso saluto, ele sue chiese ricche e pompose in cui l’ornato gorgoglia ininterrottamente comel’acqua delle sue fontanelle e come il suo nome che è tutto un fresco zampillìo.Ora vanno scomparendo i ricordi della sua ambizione e di quell’Armadio SantaColomba che da Re Martino ebbe «Capitaniam et regimen terrae de Asinelle cumejus castro» e che fu capostipite di quell’Armadio III primo conte di Isnello; vannoscomparendo i bei palazzi e le belle antiche chiese della Rinascita, per restare inprima linea il barocco il barocchetto. Fu quell’epoca della Giuseppa Valguarnera,ultima dei Santacolomba, potente e munifica che donò una pianeta esposta nellasala dei quadri splendidamente ricamata in corallo e oro e di cui l’effige è ricorda-ta in un ritratto delicatissimo, così studiato nei passaggi tonali, così trasparente neibianchi, così guidato di colore in colore da essere uno degli esemplari più belli delritratto italiano del settecento.Vecchie glorie, ad Isnello, di arte e di cultura e di industria. Ora, di industrie nonne rimane che una e vive grama vita, poco nota com’è. L’industria dei tappeti e deiricami, tutta in mano alle suore del Collegio e del Rosario ma esigua, anche se certitappetini siano piacevolissimi per il forte colore, ottenuto con la macerazione delleerbe come si fa nel siracusano e decorati con motivi a zig-zag arabi. Tappetini ebisacce, belle, quest’ultime, morbide e felpate che pare accolgano tutti i detriti deco-rativi del mondo tanto vi si trovano gli spunti più diversi, dal meandro greco aifagiani orientali dalle aquile ai cammelli alle conchiglie all’anfora, come sul fondodi un vecchio fiume si trovano ciottoli diversi che il tempo ha confitto nel limo.In quelle botteghe di Collesano, invece, esperte nell’industria ceramica, il processoè stato inverso: dalle ceramiche d’arte, alcune esposte nella Mostra, ricche di orna-ti del repertorio secentesco palermitano, con smalti gialli e verdi si è procedutoverso prodotti dozzinali, dove l’ornato è del tutto scomparso e dove resta, unica bel-

376

Page 377: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

lezza ornamentale una tinta di smalto verde, piacevolissima. A rinforzare e a ripren-dere le vecchie industrie, ad incoraggiare, a rinnovare repertori ormai consumati,provvederà l’Artigiano e l’E.N.A.P.I. ma utile è in questa mostra passare dalCorridoio degli Arredi dove ricami splendenti e fiabeschi, merletti finissimi diIsnello, di Petralia Sottana e Soprana, stanno a testimoniare la fantasia eccitata,ardente di queste antiche artigiane, alla stanza della mostra delle massaie rurali.Utile e malinconico: utile per vedere la nobiltà della tradizione decorativa siciliana,malinconico riconoscere l’impoverimento; utile per osservare quali siano le costan-ti tendenze dello spirito siciliano e favorirle, malinconiche se dal raffronto non sitragga volontà di superamenti. Se dal raffronto tra gli antichi legni intagliati e dora-ti sparsi dappertutto nelle chiese di Sicilia, – di cui esempio stupendo è il bellissi-mo pulpito di S. Francesco di Petralia Sottana – e ai legni lavorati oggi dai pochis-simi ebanisti locali, non si traesse la buona volontà di sviluppare coltivando germirimasti infecondi da parecchio tempo.Artigianato, magnifico, questo italiano che ha costituito e costituisce l’altipiano dacui il genio prende volo, e la civiltà artistica che segnala nel tempo la razza: artigia-nato magnifico questo siciliano se si fruga e se si osserva in questi paesini la bellez-za di certi cori intagliati, come quello, superbo e in distruzione di Geraci Siculo, gliarmadi della Chiesa del Salvatore di Petralia Soprana, le ceramiche di Collesano, iricami di Isnello, di Castelbuono, i legni dell’Agrigentado, gli stucchi, i ferri capo-lavori che il tempo distrugge e che ardentemente si spera vedere, una volta o l’altra,esposti in una superba mostra d’arte decorativa siciliana, desiderio di S. E. Benigniche speriamo diventi un comando.

15 Ottobre 1937 – LA MOSTRA D’ARTE SICILIANA A PALAZZO ABBATELLIS

A domandare perché mai, in tanto fervore di mostre in tutte le regioni d’Italia nonsia mai stata organizzata in Sicilia, terra di arte retrospettiva con quella grandiositàe quella serietà di intenti che distinguono tutte le mostre italiane, si rispondeimmancabilmente accusando le inerzie locali o riversando la colpa su presunti favo-ritismi. Ma, forse, la causa reale è da trovarsi in una opinione tenace, immutabileostinata che in Sicilia stessa ha la più salda radice e in tutta Italia estende tutti i suoirami: l’opinione che in Sicilia, al di fuori del teatro greco di Siracusa e di CastelloEurialo, dei templi di Agrigento e di Segesta, delle rovine di Selinunte, all’infuoridei musei archeologici dove ordinariamente frammenti e ceramichette monete esculture sono egregiamente esposte all’infuori di tutto quanto ricordi l’antico diepoca greca, altro non occorra di vedere, di studiare, di salvare, di fotografare.

377

Page 378: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Un filellenismo acuto è stato il male che ha roso la classe culturale siciliana spin-gendo a trascurare quanto nel campo dell’architettura, della pittura e della scultura,delle arti decorative si ebbe in Sicilia dal periodo romano fino al periodo neoclassi-co rendendo chiusi, sordi, inerti alla italianità di Sicilia, alla sicilianità di Sicilia. Inqualunque paese si giunga, si troverà animata e costante una discussione sull’origi-ne greca o sicula del paese, si troverà esposta in una qualsiasi vetrina polverosa, lamonetina, la ceramichetta greca, ma si troverà la più completa ignoranza sui pitto-ri, sugli architetti, sugli scultori, sugli artigiani italiani che hanno lavorato a farponti, chiese, strade, porti, ad affrescare, ornare, intagliare, dorare, a rendere fanta-stico e pittoresco, adatto al luogo, al clima, al gusto, arte locale.Esempio da citare fra i mille, Agrigento, stazione turistica di primo ordine, doveesiste un museo archeologico, che è il migliore fra quelli di provincia, dove esisto-no per i templi, recinti e custodi, fotografie e gabinetti fotografici, ma dove tutto ilresto, da S. Maria dei Greci a S. Nicola, a S. Spirito tutto che sia Agrigento medioe-vale, rinascimentale, barocca, giace nella più desolante trascuratezza: affreschi inte-ressantissimi in luoghi ridotti ovili, opere restaurate ieri, ridotte a cucine oggi,archivi che si macerano nella polvere e nell’umido, nessuna fotografia per opere ese-guite da artisti siciliani, per mille che se ne fanno delle tre colonne del tempio diCastore e Polluce, impossibile lo studio, impossibile la ricerca. E, in chiesa, vi è untesoro di primo ordine.Si adora la grecità Siciliana e non l’italianità di Sicilia, e non la sicilianità di Sicilia.Non ritorniamo ad insistere sulla magnificenza della tradizione architettonica inSicilia sulla quale abbiamo sempre insistito, ma segnaliamo ancora la bellezza, l’ori-ginalità, l’interesse di un patrimonio di arte sicilianissima, sparso per tutte le chie-se di Sicilia, abbandonato all’umido, al tarlo, all’ignoranza, al pedaggio, a tutte leforme malefiche della natura e degli uomini e la cui distruzione, abbandono, igno-ranza, toglie alla Sicilia una possibilità di potenziamento turistico di prim’ordine eil vanto di avere partecipato con le altre sorelle regioni allo sviluppo di quell’arte chenelle sue molteplici forme e continuità di sviluppi è la gloria eterna d’Italia.Vorremmo, a dimostrare questo, che tutti gli enti turistici provinciali, in accordodisciplinato dalla Primavera Siciliana, provvedessero, ottenessero una grande esuperba Mostra d’arte siciliana. Bisogna farla non limitandosi a quelle pochissimeopere ripetute in tutti i manuali ma frugando, con ricerca vigile e attenta in tutte lechiese della Sicilia, nei paesi più sperduti e desolati, nelle zone più impervie, là doveil turista non è mai giunto.Se la ricerca effettuandosi in appena dieci paesi delle Madonie per coraggiosa ini-ziativa dell’ente turistico di Palermo ha consentito di radunare in questo conventoben seicento opere d’arte, quale magnificenza di ori, di broccati, di legni si potreb-

378

Page 379: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

be riunire se da Monreale, da San Martino, da Naro, da Randazzo, da Agira, daSutera, da Sciacca e poi da Marsala, da Mazzara, da Trapani, da Enna, da tutte lecittà e dai paesi di Sicilia si richiamassero le opere più splendide che non i Greci,ma i Siciliani hanno eseguito, i toscani, i lombardi, i genovesi, i romani.Ed ancora: se con un piccolo sforzo economico richiamasse dallo Schatzkammer diVienna il magnifico manto imperiale, eseguito a Palermo, se da Bruxelles si ritiras-sero alcune di quelle magnifiche stoffe siciliane che il nome di Sicilia portavanonelle lontane terre d’oriente, e i ricami siciliani etnei della Collezione Guicciardini,se le tante opere riconosciute e non riconosciute siciliane dell’America venisserorichiamate in Sicilia, per due mesi, quale vantaggio immenso, per la storia, per laconservazione e la conoscenza del nostro patrimonio d’arte e, turisticamente, qualerichiamo affascinante per tedeschi, austriaci, francesi, inglesi, americani che laSicilia adorano e conoscono assai più di quanto noi stessi siciliani conosciamo.Ma la prima ed immancabile difficoltà che si mette avanti solo per nascondere iner-zie e pigrizie, è la difficoltà del locale. Ma non sarebbe tempo di superare questaeterna scusa che vieta di fare una mostra d’arte, vieta di creare un ambiente di stu-dio, vieta ogni possibilità di richiami turistico culturali?E non sarebbe tempo di risolvere, in stile fascista, cioè rapidamente e bene, la vec-chia, trentenne questione di Palazzo Abatelis e la questione della Pinacoteca diPalermo, la questione del Museo delle arti decorative siciliane che in Sicilia non viè mentre nel tarlo, nell’umido si distruggono capolavori di arte nostra, la questionedella mancanza assoluta di fotografie, di mezzi di studio e di ricerca e degli archiviche si macerano nel fango?E sono state del tutto esaminate le varie soluzioni che possono essere offerte dalPalazzo Abbatellis e da tutti i locali che lo fiancheggiano sia per ospitare laPinacoteca e il Museo delle arti decorative, sia per ospitare una mostra d’arte sici-liana?Un concorde sforzo da parte del Ministero dell’Educazione Nazionale, delProvveditorato delle Opere Pubbliche, di tutti gli enti turistici di Sicilia, la volontàdi pochissimi e attivi studiosi non potrebbe consentire, nella primavera del ’39 unamagnifica rassegna d’arte siciliana nel Palazzo Abbatellis, capolavoro delRinascimento siciliano?

19 Novembre 1937 – MUSEI VIVI E MUSEI MORTI

Che il sole avvampi, o la pioggia ti ammolli se giungi alla porta del Museo diTermini, devi attendere che il cane, unico vigilante custode finisca la ronda e ti dia

379

Page 380: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

il permesso di entrata dopo avere fiutato le tue caviglie e tratto dai suoi odori la giu-sta deduzione sulla tua rispettabilità; e solo quando vorrà, tu entrerai nella galleriaper vedervi tutto mummificato e polveroso: pitture, tavole, affreschi l’uno sull’altro,incollati al muro, gomito a gomito, con il numerello di matricola, galeotti in eternaattesa di condanna.E se continui a Cefalù, fasciata di sole e di azzurro, per rendere omaggio oltre chealla Cattedrale fierissima, anche a quel gentiluomo di Antonello di Messina, non timeraviglierai di vedergli strizzare gli occhi di compiacimento, che da poco, se èvero, gli hanno levato le cataste di legna sotto ai piedi; e se giungi a Messina, chie-di a Scilla che ti protegga nel lungo viaggio fino a quel museo abbandonato dove leopere d’arte stanno con un’aria di sopravvissute ad un cataclisma immane.Se appena ti consola Palazzo Ursino a Catania, troverai subito a Taormina, imbel-lettata di romanticismo, quadri e opere d’arte nel più assoluto abbandono, e se con-tinui per Trapani, per Castelvetrano, per Erice, per Palermo non troverai mai inSicilia, grande o piccino un museo di arte medioevale e moderna, che sia un orga-nismo vivo, non soltanto per le ragnatele dondolanti tra una guglietta gotica e unfregio rococò!Mai un museo di arte medioevale e moderno che sia centro di studi di ricerche, maiuna galleria ordinata ridente, lieta e gioiosa sosta della vita affaristica e dinamica,mai una classificazione esatta, una data certa, un commento sicuro. «Non chiederee non credere» dovrebbe affiggersi ad ogni ingresso di Museo perché mai verrà fattodi trovare un direttore edotto della materia di arte medievale e moderna ma saràcontabile, economo, medico, veterinario, ingegnere, possidente, tutto, tranne chestorico dell’arte, più facilmente, incline ad offrire una tazza di caffè che non unanotizia, uno schieramento, un commento. Diffusione di cultura, movimento esteti-co, rievocazione di forme di bellezza che per un momento valgano a riposarci dellapreoccupante vita quotidiana, offerta di elementi per la rievocazione di un passatodi studi e di civiltà, indicazioni generali e particolari di un determinato momentostorico, tutto questo esorbita il compito dei musei di Sicilia che ad altro non valgo-no che a dare la qualifica pomposa di museo a dei mediocrissimi ambienti colmi dimediocrissime cose.E, dall’altra parte, nelle chiese, altari senza quadri o con oleografie luccicanti e ver-niciate arriffate all’asta o comprate in serie dai venditori ambulanti, e dall’altraparte, altari senza statue o con quelle orribili immagini di stucco colorato prove-niente a serie dai negozi dove l’arte sacra si fa a stampo, per adattarsi soltanto ad unpatetismo pietistico popolareggiante, encomiabile soltanto se riesce a trarre il soldi-no dalle tasche smagrite dall’ultima beghina biascicante litanie nell’ombra.Quando capita di trovare finalmente una bella opera d’arte che ti consoli l’anima e

380

Page 381: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

gli occhi e sia esposta in pompa magna sulla parete di una chiesa come il tritticodella Generosa Polizzi, allora bisogna stare ben attento che non caschi la cupoladella chiesa lesionata e cadente o se la statua di marmo c’è, bella raffinatissimaopera cinquecentesca, te la seppelliscono fra muro per la pigrizia e la indolenza dichiamare due operai e farla trasportare su di un altare. E se insisti, ingenuo studio-so, per vederla bisognerà far fare un buco alla parete e calarsi dentro con le corde(trittico di S. Francesco a Polizzi). Se un paliotto è rimasto elegantissimo nel suoricamo seicentesco lo trovi in una grotta che si chiama armadio nella sacrestia delconvento dei Riformati a Soprana sotto un lento gocciolare di acque; se una scul-tura lignea di quest’arte spagnola che oggi il furore bolscevico devasta, ritrovi in unachiesa di Sciacca la vedrai avvolta in cuscinetti di polvere rosa dai tarli. Se un affre-sco rimane in chiesa medievale agrigentino, il dolce sorriso delle Madonne non illu-mina che stanze dove le gallinelle starnazzavano insieme alle pecore acquattate.Quando giunge il gesto di liberazione e salva finalmente un quadro ed una statua,un ricamo, un legno, ed essi passano finalmente nel museo civico e nel museo nazio-nale, ecco che la serie improvvisamente benevola ritorna ad essere malefica e da uncovo di polvere si passa all’altro, da una parete muffita all’altra, da un abbandonoall’altro abbandono, da un convalescenziario ad un penitenziario.Giusto è salvare le opere d’arte e ritirarle dalle chiese cadenti, staccare gli affreschidalle pareti umide, ma inutile fatica diventa ed spesa richiesta allo stato se l’opera cheè stata acquistata o donata, se l’affresco staccato con tanta spesa restano conservati instanze umide, polverose grigie, nefaste agli occhi e allo spirito a noi e agli altri, ai turi-sti che vengono in questa Sicilia colma di arte lasciando nelle loro regioni, Germania,Inghilterra e America, musei limpidissimi con cataloghi scientifici, con temperaturacorretta di ora in ora, con gabinetti di restauri con fotografie, con ordine, con zelo.Quale cultura, quale compiacimento potranno offrire questi musei di arte medioeva-le e moderna? Meglio sarebbe distruggere tutti i musei come il mite Marinetti ai beitempi futuristi predicava anziché deludere in modo siffatto. Meglio restituire le pochee belle opere agli altari, restaurando le chiese anziché affastellarli in questi indecorosilocali. Da ricordare in modo speciale Palermo e il suo museo a Palazzo Abbatellis:trent’anni di discussioni e discussioni, di chiacchiere e chiacchiere e intanto le piùbelle collezioni di ceramiche, di ricami, di intagli, di stampe, di monete, di francobol-li, assicurate dai Direttori passati, Salinas, Gabrici, Brunelli, comprate a spese delloStato, tutte giacciono affastellate alla polvere, all’umidità, ai tarli.A migliorare tale situazione, non occorrono grandi mezzi e comunque invece diperdere un patrimonio di un milione, sarà sempre meglio spendere mille lire per sal-varlo. Occorre quel tanto di amore, di vigilanza, di interesse animatore che è indi-spensabile alla base di ogni istituzione, se si vuole che essa viva e prosperi. I musei

381

Page 382: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

civici, senza alcun controllo di funzionari affidati a direttori onorari potrebbero oessere soppressi o costretti ad un miglior funzionamento; i musei nazionali, affida-ti sempre ad archeologi potrebbero, almeno di tanto in tanto, essere affidati amedioevalisti perché non avvenga che siano sempre catalogate, studiate, fotografa-te, ben disposte le collezioni di arte greca, e trascuratissime, anzi, condannate allaprigione, le collezioni di ceramiche, ricami, quadri, sculture dell’arte nostra. Centoterrecotte esposte, tutte di un tipo tutte di una fabbrica, le stampe no, i disegni no,le statue no, i quadri no. Due pesi e due misure. La competenza si chiede soltantoper l’arte antica, per l’arte medioevale e moderna, no; bastano gli orecchini e quel-li che una sola volta, in viaggio di nozze, hanno girato la Galleria Borghese.L’amore, dice buonanima di Leonardo, è frutto di conoscenza: come possiamo, noie gli altri, amare l’arte di Sicilia, se nessuno la conosce e se nessuno la fa conosce-re?Allora, direi, meglio un solo museo, vivo, che venti musei tutti morti.

24 Novembre 1937 – AI MARGINI DELLA “MOSTRA NAZIONALE DEL TESSILE.LA RESURREZIONE DI PENELOPE*

Penelope, vecchissima non è morta in Sicilia ma si è rifugiata ad attendere nei paesipiù intimi e rupestri la dove la vita continua a scorrere con la clessidra, misurata conlentezza attimo per attimo e in mille parti frammentata; Penelope è rimasta al suotelaio tessendo lino e lana per le lenzuola dei talami giovanetti o per le tovaglie dialtare. Pazientissima nell’attesa, lenta nel gesto, alacre nell’opera, Penelope sicilianacontinua a tessere, a Belmonte, a Naro, a Enna, a Petralia erede solitario di quellesiciliane che alla corte dei re normanni scelte per merito, andavano a tessere sete efili d’oro e di argento eseguendo su disegno di artisti stoffe inarrivabili per pregio eper bellezza, che si diffondevano nelle lontane terre di Francia e di oriente. Vi siaccanivano in quelle stoffe magnifiche, espertissime le lotte incruenti di fiere, cam-melli e leoni, vi si affrontavano agli alberi del bene e del male i pavoni e i cerviimmobili, vi stavano chiusi, in cerchi concentrici, uccelli strani dalle ali espanse. Mal’oro e l’argento e la pallida perla trasportavano in modo di fiaba uccelli e leoni. Itragici motivi orientali pervenuti in Sicilia oasi del Mediterraneo, divenivano sinfo-nie cromatiche d’inarrivabile bellezza. Uniche in Europa le stoffe siciliane dal 1000al 1200, tenero il campo la tessitura in Sicilia prima che, altrove in Italia fosse orga-nizzata, guidata e sostenuta da artisti.Come si spense questa magnifica produzione? Ma si spense realmente?Si suol dire che Lucca ereditò esperienza siciliana e quando i telai siciliani si ferma-

382

Page 383: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

rono allora cominciarono a lavorare i telai di Lucca modificando il repertorio deco-rativo dei tiraz di Palermo. Ma fu così?Se vero è, nel trecento, un rallentamento totalitario di tutte le attività artistiche edindustriali dell’isola causate dalle guerriglie private e pubbliche delle famiglie baro-nali, se vero è che l’importazione della Toscana e della Spagna venne superandol’esportazione siciliana nella grande e nella piccola arte, tranne che nell’architettu-ra la quale procedette continuamente elaborando la tradizione, non si può pensareperò che improvvisamente come per una paralisi, tutti i telai di Sicilia abbiano arre-stato il loro moto.Dovrebbe istituirsi l’indagine storica documentaria e dall’altra la ricerca di stoffe neivari tesori di Sicilia per potere giustificare affermazioni positive e negative. Maquelli, gli archivi sono diventati la provvista di vitamine per topi, questi, i tesori diSicilia, sono la provvista degli antiquari. Voler seguire lo sviluppo delle arti tessili inSicilia è cosa di difficoltà enorme. Le belle, le famose stoffe siciliane, bisogna andar-le a studiare a Brusselle, a Londra, a Vienna, a Roma perché in Sicilia non sonorimasti che due o tre frammentini imporriti e sarà miracoloso se una mostra di artedecorativa siciliana riuscirà a farci vedere una sola volta a meno quei prodigi di artetessile, altrove conservati, studiati, ambiziosamente riuniti.Ma nei tesori esistono ancora ad Agrigento, a Monreale, a Naro, a Noto, ovunque,stoffe, velluti, damaschi, broccati, broccatelli che a vederli, poggiati sopra i vecchitavoli di sacrestia, sembrano nuvole di un cielo di fiaba. Ma per queste stoffe chevanno dal quattrocento all’ottocento, il nome di Sicilia non si pronunzia più purnon potendo in molti casi affermare di che fabbrica siano se veneziane o genovesio napolitane.E allora si ripensa al costantissimo lusso di Sicilia, nel viceregno e nelle pitture deimaestri siciliani, da quelle dell’anonimo della lunetta di S. Spirito ad Agrigento, aTommaso de Vigilia, all’Albina, al Vazzano – al grande sfarzo delle vesti a fiori e astelle evidentemente suggerito dalla realtà; e ci si ritorna a chiedere con insistenzase tutta la produzione tessile sia stata importata da altre regioni di Italia o se inSicilia, dove prima o meglio che altrove si erano avute le prime corporazioni tessi-li, la produzione non sia rimasta immanente anche se diminuita di pregio.Nel trecento, ci appare testimoniata ancora una produzione di belle e morbide lanenel messinese; in un inventario dei beni della nobile Antonia Graffeo del secolo XV,sono elencati «Fazzolia duo, de cuotono agrigentino» e certe coltri «ad felli di milu-ni» e «ad undas» (ancora oggi usate), mentre in altro inventario della cattedrale diPalermo è ricordata una mitra siciliana de auro filato che fa ripensare ai broccati delduecento:e sempre in tutti gli inventari sono citati rocchi di filo d’oro filato, di coto-ne, di argento, il che fa giustamente dedurre che non tutte le stoffe dovevano esse-

383

Page 384: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

re importate ma molte dovevano essere eseguite in Sicilia.E pur si ripensi a quel magnifico tappeto di Isnello che vedemmo nella mostra dellearti sacre delle Madonie, si ripensi all’industria di Monte S. Giuliano, di Ragusa,all’uso popolare di utilizzare pezzetti di stracci per fare coperte da letto, all’usocostantissimo di filare e tessere la lana rimasta nell’interno dell’isola là dove le tra-dizioni e le costumanze si mantengono con maggiore persistenza. Nel ricordo allo-ra si uniscono pezzetti di stoffa trovati per caso qua e la in Sicilia, pezzetti sfilaccia-ti, frugati spesso contro volontà dei preti e delle monache, nel fondo di certi casset-ti rosicchiati; là un motivo geometrico, là un fregio floreale, là pavoni incoronati.Vennero recentemente studiosi del nord e chiesero indicazioni e notizie, ma,raschia, raschia, erano antiquari e avrebbero comprato e disperso.La storia della tessitura in Sicilia andrebbe studiata e ripresa. Ma, intanto, Penelopeè contenta perché ha mandato tessuti di cotone e di lana alla Mostra Nazionale eTessile e li ha dati di buon cuore, la vecchia Penelope orgogliosa – chissà? – di aversaputo attendere un comando che è nel tempo stesso promessa di lavoro e di benes-sere.

4 Dicembre 1937 – ISPIRAZIONI DANTESCHE ANDREA D’ANTONI PITTORE,PATRIOTA E COSPIRATORE

Ad ascoltare F. P. Perez, in quella sua lettura ardente della Divina Commedia, c’eraun giovane sognante malinconico: Andrea D’Antoni.Il Perez leggeva e commentava, ma la finalità letteraria subordinava alla finalitàpolitica che si andava precisando, nella sua mente, nella necessità indomabile dipersuadere i concittadini alla unità d’Italia, alla coesione di tutte le forze, di tutte leregioni. «L’Italia sarà lacera, cadente, battuta, misera, gemente nel fango, chiedentevita ai suoi figli, fino a che a Siciliani, a Romani, a Lombardi, a Toscani, a Piemon-tesi, scordando i municipi, non arda nel petto il nome italiano, finché non vedran-no chi sono chi furono e chi potranno divenire, volendo».Così parlava il Perez, ed Andrea d’Antoni applaudiva e s’infiammava: i fantasmidantesci si ricomponevano in lui come altrettante voci di libertà e di vendetta.Disegnatore espertissimo, con un disegno che aveva fatto le sue prime prove neglistudi di anatomia, guidato dall’ardore dantesco, sostenuto dal Perez, egli divennel’illustratore della Divina Commedia e l’illustrò fermando il contenuto più dram-matico, la scena più didascalica. Non era una rievocazione suggerita da finalità raf-finatamente edonistica come quella fatta nei suoi cento disegni da SandroBotticelli, né da compiacimenti plastici come quella affrescata da Luca Signorelli ad

384

Page 385: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Orvieto, né da finalità caricaturali come quelle nella biblioteca di Oxford, ma unarievocazione ad intento etico, didascalico, tale quale era stato l’intento dantesco.Combaciavano, nel fine, Dante e d’Antoni.Nell’arte, da bravo romantico, egli, il d’Antoni, non vedeva che questo: la finalitàmorale e politica, i fatti illustri, e le forti passioni purché ci sproni a virtù o sma-scheri infamia e vendichi i danni di noi stessi e dell’intera umanità. La DivinaCommedia gli offriva, quindi, larghissima messe di soggetti: l’inferno, il Purgatorio,il Paradiso, canto per canto, offrivano sempre i soggetti desiderati: virtù premiata,vizio punito, scene terrificanti di odio e di amore. Disegni e disegni, quanti, ne ven-nero fuori dalla sua espertissima mano, così precisi e taglienti, che par siano da pas-sare nel rame o nel cristallo di rocca, minuti e precisi, che danno tutto, corpo emuscoli, spirito e cuore, con un calore di vita che mai il d’Antoni raggiunse nellepitture di soggetto dantesco o storico e con una perfezione che lo stesso Lo Forte,pur allievo del Camuccini, mai eguagliò o vinse.Cospiratore con i fratelli Gaetano e Salvatore, perseguitato dai poliziotti borboniciper l’aperta professione di idee liberali, costretto a nascondere negli scandinati leopere più compromettenti, questo giovane serissimo ardente, adoratore della Patriae di Dante concepì la pittura come una missione politica ed etica.Spirito attanagliato dall’angustia politica e dall’ardore di una patria libera, disegna-tore impeccabile, razionale intellettualistico, egli nella sua pittura mostrò di nonpotere mai in un abbandono al gaudio cromatico dimenticare le preoccupazioni dipropaganda politica sociale. Rievoca i manieristi fiorentini nella levigata intarsiatu-ra dei colori e nel disegno serrato, incoercibile, ma senza alcun abbandono edoni-stico né a quella né a questo. Oratore convinto che l’arte deve parlare al cuore esuscitare sentimenti patriottici, parla sempre con parola seria ed onestissima, paca-ta e sobria, ma alcunché di arido di melanconico viene riflesso nella sua pittura incerti toni verdi chiari, lividi, in certa gelidità di ambiente. Il presupposto teoreticodi una pittura didascalica si impone al suo spirito sicché la pittura diventa l’illustra-zione delle sue stesse teorie. Si scinde in lui il pittore e l’uomo, l’uomo detta, il pit-tore ubbidisce. Per questo la pittura sua è tutta intrisa di umanità, di nobili ricordi,di nobile volontà, ma non ha per se stessa valore e non suscita interesse oggi. Èl’espressione della figura che esiste, è il verismo storico di ambiente che vale ed ilcolore si subordina, mezzo non scopo, strumento non meta. Ove si guardi il quadro«Luigia S. Felice nelle carceri politiche», «Il Vespro Siciliano», «Lo scoppio di unabomba nel 60», «La morte di Ludovico Martelli» si può riconoscere nel D’Antoniuna forza plastica costruttiva e logica, un impegno così potente di riuscita, di serie-tà assoluta; ma il risultato del quadro esula dal campo di compiacimento estetico inquello morale. Né si libera della gelidità di purismo nei quadri religiosi. Equilibrato,

385

Page 386: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

ad esempio con garbo veramente toscano è la «Discesa di Gesù dalla Santa Croce»nella chiesa di Petralia Soprana ma l’azione drammatica e solenne, preparata in ate-lier senza luce, senza vibrazioni di colore, senza passione anche se disegnata bene,colorata bene, non ha mezzi di comunicazione espressiva. Solo l’entusiasmo per laDivina Commedia, riuscì ad effondersi in qualche disegno vibrante ed originale, manessuna fra le varie tele di argomento dantesco riesce a superare il compromessocostante tra valore espressivo e valore illustrativo. Per i ritratti, invece, per quelli incui c’erano la familiarità, l’amore al modello avviene il solito miracolo del fustoarido che improvvisamente si ingemma. Non si intende, infatti, se per visione diquadri chiaroscurati lombardi o per individuale conquista egli sia riuscito a raggiun-gere nel «Ritratto di fratello» (Casa d’Antoni) tanto lirismo chiaroscurale. Tutto ilcolore, marrone di giubbetto e bianco di camicia diviene soffice, morbido ed il chia-roscuro concilia la figura nell’ambiente non disperdendone la salda plasticità maavvolgendola in una carezzevole tonalità ambrata, quasi di tipo premanzoniano.Sorprende nel pittore passato dall’anatonia al disegno, dalla politica all’arte questainattesa rivelazione di sensibilità chiaroscurale, se pur non si voglia pensare a spie-garla a quel che avveniva nella pittura di Salvatore Lo Forte dopo il ’60. Neanco nelritratto della famosa cantatrice «Hallè» difeso dagli esteti e dalla «Ruota» classi-cheggiante, in cui l’impegno è evidente, gli riuscì toccare tanta nobiltà di pittura.Qui si intende il consenso di lode che egli ebbe dai teorizzatori sul Bello Ideale esul Vero perché l’opera riesce ad un equilibrio preciso tra realtà ed ideale.Valore diverso, ad ogni diverso quadro, una inquietudine spirituale e politica chenon arriva mai a farsi vincere, e, a volte, si palesa in un rigore lineare eccessivo chesa di prigione, altre volte, in un michelangiolesco fervore che gonfia tendini emuscoli, altre volte in un chiaroscuro avolgente e malinconico. Là, invece, nei dise-gni della Divina Commedia, fu sempre eguale a se stesso, perché eguale era sempreil suo entusiasmo, eguale la sua passione per Dante, primo assertore di Italianità.

25 Dicembre 1937 – IL PRESEPE DI VITO D’ANNA

Lo conoscono pochi e neanco il dotto Berliner, che da dieci anni va ricercando pertutta Europa Presepi, di legno, di terracotta, di fil di ferro, di carta, di avorio, dicorallo, di mollica pane, di sughero, di cartapesta con una pazienza inarrivabile, pas-sando da Monaco ad Altamura, da Scicli a Trapani, da Palermo a Napoli per tesse-re la storia di questa rappresentazione legata al ricordo più dolce della vita di Cristo,neanco lui, il Berliner, cappello largo, occhiali, sguardo acuto, aveva saputo di que-sto Presepe di Vito D’Anna.

386

Page 387: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Trionfo della NativitàDieci anni di lavoro, non sono molti, perché il Presepe è la drammatizzazione plasti-ca della figurazione della Natività, antichissima nella iconografia cristiana e tanto aimosaicisti e ai pittori da ripeterla spesso con opere d’arte rimaste fra le più famose.Nel quattrocento era già passata nella scultura, e quei Gagini nostri sono stati instan-cabili nel rappresentarli in alto-rilievi e in scultura di marmo: Maria da una parte,Giuseppe dall’altra, il Bambino Gesù a terra, steso su di un pagliericcio in marmoanch’esso, come a Pollina, come Petralia Sottana. Ma poi il marmo si fece raro e sisostituì il legno e la terracotta, ma anche le persone vive, religiosi, fanciulli in chiesa afar le parti di Maria e di Giuseppe; i buoi e gli asini sono facili a trovarsi.A Naro, non so più per quale ricorrenza, per il corso c’era una gran folla, precedu-ta da persone in costume strano, c’erano – e chi poteva immaginarselo! – Maria,Giuseppe, il Bambino Gesù che procedevano con molta modestia, alla cadenzadelle aureole, che segnavano il passo così bilicato sulle parrucche di stoppa.Procedevano per raggiungere un palco e là mangiavano sontuosamente. Era però lafine della funzione e non so se incominciassero dalla rappresentazione dellaNatività.Tra le pitture, sculture e drammi e rappresentazione folkloristiche credo che diecianni di ricerche del dotto Berliner saranno passati assai fugacemente e le novitàcapitano sempre, come questo Presepe di Vito D’Anna, ancora inedito e ignoto.Non che il Conte di Mazzarino ne sia geloso proprietario e non dia il consenso divisitarlo; solo che quarantanni fa il Presepe fu pazientemente preparato in una saladel Palazzo Mazzarino e fu tale la fatica per la sua sistemazione che il presepe èrimasto conservato diligentemente in una cassa con tutte le figurine racchiuse inbuste a suggerire soltanto il rimpianto ed il desiderio che avvenga un miracolo etutto quel mondo si animi e splendi.A servizio del cuorePerché si tratta veramente di un mondo tutto di cartone dipinto, circa quattrocen-to cartoni, grandi e piccini, che riuniti e posti l’uno dietro l’altro, scenograficamen-te rappresenterebbero un grande giardino con templi a destra e fontane, gentildon-ne, pastori, Magi, asini, buoi, alberi, fiori. Ritagliati tutti in cartone e il cartone èdipinto, ma come dipinto!Tutte le certezze di colore, tutte le dolcezze cromatiche, furono scelte per que-st’opera e la fantasia fu messa a servizio del cuore e la mano a servizio della fanta-sia. Ogni figura ha il suo incanto cromatico, la sua vivacità, la sua naturalezza, comese fosse fine a se stessa, come se fosse particolare di una miniatura. Alcune figure didieci centimetri, altre di ottanta, più piccole alcune, altre più grandi, in tutte le pose,in tutti gli atteggiamenti. Ma è soprattutto un Presepe aristocratico dove a festeg-

387

Page 388: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

giare il Bambino, corrono dame in vesti eleganti con riccioletti impicciati, languidee vezzose, cavalieri di gran nome e di gran pompa ed i cittadini sono in costumepopolare, sì ma azzimati e agghindati ed anche l’asino, a guardarlo bene, tuttodipinto a tono di grigio sfumato, pare esca dalle scuderie di casa Mazzarino. Presepedi palazzo, da ricostruirsi in una di quelle sale magnifiche in cui il settecento sici-liano, galante, pittoresco, vivacissimo, prodigò tutte le sue grazie e tutte le sue espe-rienze in cui stuccatori, intagliatori, pittori, arazzieri, di accordo composero eterniscenari dove la bellezza passava sfolgorando. Presepe da inaugurarsi tra lo scintillìodei vetri muranesi, lo splendore delle auree cornici, tra musiche di clavicembali, esfolgorii di gioielli, tra fruscii di broccatelli, adatto in tutto, per quel mondo e persecolo.Il pittore preferito Vito D’Anna era di quel mondo raffinato ed aristocratico, il pittore preferito perquella sua pittura serenamente equilibrata tra forme e colore, tra idealismo, perquella vivacità cromatica che mai trasmodava – come avveniva a GioacchinoMartorana suo competitore acerrimo – e per quella sua sapienza scenografica chenon la vinceva sulla pittura ben definita, conclusa nelle sue parti. Scenografi eranoun po’ tutti nel ‘700, in tutta Italia, e la scenografia ebbe in quel secolo il più gran-de sviluppo, legata anche alla pittura, fin nel tardo ottocento, secolo in cui tutti esor-dirono con la scenografia; Patania e Riolo, e il Carta ed Velasquez.Altissimo valoreIl distacco fu proprio nella seconda metà dell’ottocento: pittori da una parte sceno-grafi dall’altra e questi divennero sempre più trascurati e trascurabili e a dipingere lescene, ora, in certi paeselli, ci pensa il sagrista ma qualche volta con più gusto e conpiù esattezza storica di altri, di quelli di professione. Ma allora, nel settecento, era labella epoca bisogna vedere oltre che i disegni di Filippo Juvara, dei Bibbiena, anchei disegni del nostro Giacomo Amato, disegni, perché a rintracciare le antiche scene,è fatica perduta, chè la loro gloria è temporanea, come quella degli attori; vivononella luce della ribalta due, tre giorni, un mese e poi la polvere, la distruzione.Ora duca si pensi quale valore acquisti, anche per quest’apporto alla scenografia set-tecentesca, il Presepe di Vito D’Anna, ben diverso da tutti gli altri presepi diMatera, eseguito con una tecnica che se non è nuova è rara, per i Presepi, ed esem-pio, fino ad oggi unico, di scenografia settecentesca.

Page 389: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Indice degli articoli

1934

21 Febbraio Ritorno a Masaccio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 35

3 Marzo Classico e anticlassico nel chiostro di Monreale . . . . . . » 37

7 Aprile Per l’Ottocento siciliano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 40

27 Aprile Il trionfo di Cesare di Andrea Mantegna . . . . . . . . . . » 43

13 Maggio La pittura moderna alla XIX Biennale Veneziana . . . . » 46

18 Maggio Alla XIX Biennale Veneziana. La scultura italianaafferma il primato di bellezza e di grazia . . . . . . . . . . . » 53

27 Maggio Alla Quinta Mostra del Sindacato Belle Arti di Sicilia . » 57

8 Giugno Arte decorativa siciliana.La Prima Mostra dei prodotti artigiani . . . . . . . . . . . » 62

23 Giugno G.B. Vaccarini e l’architettura del settecento in Sicilia . . » 66

30 Giugno Alla XIX Biennale di Venezia. Le arti decorative . . . . . » 70

19 Luglio Oreficeria barocca in Sicilia. L’urna di S. Rosalia . . . . . » 73

27 Luglio Alla XIX Biennale. Periplo pittorico internazionale . . . » 76

3 Agosto Giacinto Gigante . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 83

30 Agosto Arte d’oggi. Le porte della Basilica di San Paolo . . . . . » 85

23 Settembre Pittura di guerra alla Kunstlerahus di Vienna . . . . . . . » 88

389

Page 390: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

29 Settembre Inedito di Benvenuto Cellini al Museodelle Arti industriali di Vienna . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 90

21 Ottobre Alla II Mostra regionale di Napoli.Pittura coloniale italiana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 92

28 Ottobre Arti figurative . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 95

7 Novembre Antonio Allegri detto il Correggio . . . . . . . . . . . . . . » 97

13 Novembre Attualità pittorica di Francesco Camarda . . . . . . . . . . » 99

20 Novembre I cinquant’anni d’arte di Antonio Ugo . . . . . . . . . . . . » 102

1 Dicembre Note d’arte. Aggiunte a Giorgione . . . . . . . . . . . . . . » 104

8 Dicembre Note d’arte siciliana.Quadri, argenti e stoffe a Petralia Sottana . . . . . . . . . . » 107

19 Dicembre Note d’arte.I quadri di Pietro Longhi assicurati all’Italia . . . . . . . . » 110

25 Dicembre Il Natale nell’arte. La natività di Mattia Stomer . . . . . » 112

1935

9 Gennaio Mostra d’arte al circolodella Stampa “Umberto Valentino” . . . . . . . . . . . . . . » 117

12 Gennaio Ottocento siciliano.Celebrazione di Salvatore Lo Forte . . . . . . . . . . . . . . » 118

19 Gennaio Mostre d’arte. Giuseppe Casciaro . . . . . . . . . . . . . . . » 122

6 Febbraio La II Quadriennale d’Arte Nazionale . . . . . . . . . . . . » 124

15 Febbraio La II Quadriennale d’Arte: La pittura . . . . . . . . . . . . » 126

390

Page 391: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

22 Febbraio La II Quadriennale d’Arte: La Scultura . . . . . . . . . . pag. 131

28 Febbraio Arti orientali. La scultura e la pittura cinesi . . . . . . . . » 135

7 Marzo La II Quadriennale d’arte: I Siciliani . . . . . . . . . . . . . » 138

14 Marzo L’Introduzione allo studio dell’archeologia . . . . . . . . . » 143

20 Marzo Mostra d’arte futurista. Aeropittura . . . . . . . . . . . . . . » 146

9 Aprile Bartolomeo Pinelli e la Roma del tempo suo . . . . . . . . » 150

20 Aprile La Mostra delle opere del Correggio a Parma . . . . . . . » 152

28 Aprile Rievocazione di un artista immortale: Tiziano Vecellio . » 155

9 Maggio Libri d’arte . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 159

12 Maggio La VI Mostra Siciliana d’arte. Prime segnalazioni . . . . » 162

17 Maggio La VI Mostra regionale di Belle Arti . . . . . . . . . . . . . » 166

22 Maggio Iniziative del regime.La Seconda Mostra dell’Artigianato siciliano . . . . . . . » 169

6 Giugno Il Museo agrigentino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 172

16 Giugno Arte sarda . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 175

21 Giugno Postilla alla sindacale regionale siciliana.La Mostra retrospettiva di Salvatore Cottone . . . . . . . » 178

27 Giugno “Un Giudizio Finale” in tono minore . . . . . . . . . . . . . » 181

6 Luglio Cinque bozzetti e un’opera d’arte . . . . . . . . . . . . . . . » 183

17 Luglio Nei paesi delle Madonie:Giacomo Li Varco il pittore di Collesano . . . . . . . . . . » 186

391

Page 392: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

25 Luglio Nei paesi delle Madonie. Barocchetto Madonita . . . . pag. 189

1 Agosto Nei paesi delle Madonie. Nove autori in cerca di statue » 192

8 Agosto Nei paesi delle Madonie. Cose maurine viste e non viste » 196

17 Agosto La Prima Mostra agonale d’Arte . . . . . . . . . . . . . . . . » 199

22 Agosto Nei paesi delle Madonie. Due “Antonelli” in castigo . . » 201

31 Agosto Nei paesi delle Madonie.Chiesette al corso di Petralia Sottana . . . . . . . . . . . . . » 204

21 Settembre Elogio all’antico: artigianato trapanese . . . . . . . . . . . . » 207

28 Settembre Originalità dell’architettura ericina . . . . . . . . . . . . . . » 210

12 Ottobre Manifestazioni siciliane.La Mostra d’Arte Sacra delle Madonie . . . . . . . . . . . » 212

19 Ottobre Il Barocco in Palermo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 215

20 Dicembre Pittura e pittori in Abissinia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 218

28 Dicembre Ottocento siciliano.Un garibaldino pittore: Filippo Liardo . . . . . . . . . . . . » 221

1936

4 Gennaio Opere d’arte nella chiesa di S. Cita . . . . . . . . . . . . . . » 227

10 Gennaio In tema di mostre . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 230

24 Gennaio La III Mostra dei prelittoriali dell’arte . . . . . . . . . . . . » 232

31 Gennaio Filippo Juvara. L’Architetto dei re e il re degli architetti » 235

392

Page 393: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

7 Febbraio Libri d’arte. Vita d’artista di Enrico Sacchetti . . . . . . pag. 238

26 Febbraio Tesori in SiciliaIl capolavoro di Giovanni Di Bartolo a Catania . . . . . . » 241

13 Marzo Ottocento siciliano: i tre allievi di Giuseppe Patania . . . » 243

26 Marzo Libri d’Arte. Michelangioleschi siciliani . . . . . . . . . . . » 246

2 Aprile Nella volontà del Regime.L’architettura minima siciliana alla triennale di Milano . » 249

24 Aprile La primavera dell’arte a Siracusa.Le mostre d’arte. Arte e popolo . . . . . . . . . . . . . . . . . » 251

29 Aprile La pittura di paesaggio e la crisi di fantasia . . . . . . . . . » 253

8 Maggio La I Mostra artigiana a Siracusa . . . . . . . . . . . . . . . . » 257

14 Maggio Alla Prima Mostra Artigiana di Siracusa.Intervistiamo il papiro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 259

22 Maggio Concorso per la decorazione plasticadell’ingresso monumentale di Palermo . . . . . . . . . . . . » 262

31 Maggio Le grandi manifestazioni d’arte nel ritmo intenso della vitaitaliana. La XX Biennale di Venezia. La pittura . . . . . . » 265

4 Giugno Alla XX Biennale di Venezia.Sculture ed opere d’arte italiana . . . . . . . . . . . . . . . . » 268

11 Giugno Alla XX Biennale di Venezia.In Carlinga sui padiglioni stranieri . . . . . . . . . . . . . . » 272

14 Giugno Alla Triennale di Milano. Tra ori e splendori . . . . . . . . » 278

21 Giugno Una importante raccolta di disegniassicurata alla città di Palermo . . . . . . . . . . . . . . . . . » 283

393

Page 394: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

25 Giugno Alla VI Triennale di Milano.I passatisti in crociera. Come si architetta nel mondo . pag. 285

8 Luglio Un quadro di Raffaello a Palermo? . . . . . . . . . . . . . . » 290

21 Luglio L’architettura italiana alla VI Triennale di Milano . . . . » 293

30 Luglio Alla XX Biennale di Venezia.Il futurismo e la pittura di guerra . . . . . . . . . . . . . . . . » 297

13 Agosto Alla Triennale di Milano.La Sala della Vittoria e la Sala di Aprilia . . . . . . . . . . » 301

23 Agosto Alla XX Biennale di Venezia. Le arti decorative . . . . . » 303

1 Settembre Alla VI Triennale di Milano. La casa in festa . . . . . . . » 306

17 Settembre Itinerari Cadorini. Tiziano in casa . . . . . . . . . . . . . . . » 309

2 Ottobre Il Museo del Risorgimento a Venezia . . . . . . . . . . . . . » 311

29 Ottobre Alla Mostra della pittura napoletana dell’ottocento.Pittura Mediterranea . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 313

4 Novembre Ottocento siciliano.Pittori dimenticati: Cumbo e Coffa . . . . . . . . . . . . . . » 316

14 Novembre Antico artigianato siciliano.Coralli e corallari trapanesi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 318

4 Dicembre Ottocento siciliano. I miniaturisti . . . . . . . . . . . . . . . » 321

19 Dicembre Arte del trapanese . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 323

23 Dicembre La Cappella Palatina. Pericoli e restauri . . . . . . . . . . . » 326

394

Page 395: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

395

1937

9 Gennaio Indicazioni urbanistiche. Piazza Abbatellis . . . . . . . . pag. 331

19 Gennaio Ottocento siciliano. Pittori catanesi noti e ignoti . . . . . » 333

29 Gennaio Scultori italiani del cinquecento . . . . . . . . . . . . . . . . . » 337

31 Gennaio Mostra d’arte di Sacha Robb Cucchetti . . . . . . . . . . . » 339

10 Febbraio Stampe siciliane nel Castello Sforzesco . . . . . . . . . . . » 341

19 Febbraio Itinerari turistici. Naro alla ricerca di Mastru Cicu . . . . » 343

3 Marzo Architetti, Pittori, Scultori, Scenografialla IV Mostra prelittoriale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 345

10 Marzo La Mostra di Nino Geraci . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 347

13 Marzo Itinerari turistici. A Naro tra mandorli e madonne . . . . » 349

24 Marzo Arte e Turismo.I sollazzi dei re normanni e… del turista . . . . . . . . . . » 351

1 Aprile Il poema africano di F. T. Marinetti . . . . . . . . . . . . . . » 354

9 Aprile Per una facoltà di architettura a Palermo.L’architettura siciliana e la tradizione . . . . . . . . . . . . . » 356

28 Aprile Per l’arte e per il turismo in Sicilia. Il chiostrino derelitto . » 359

2 Maggio I restauri alla Cappella Palatina.Intervista con l’architetto Marangoni . . . . . . . . . . . . . » 361

2 Giugno Itinerari artistici. Preziosità di Sciacca . . . . . . . . . . . . . » 364

9 Giugno Per la casa del popolo. Suggerimenti ericini . . . . . . . . . » 366

Page 396: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

396

18 Giugno Per la XXI Biennale di Venezia. Il paesaggio siciliano . pag. 368

23 Luglio Tesori d’arte in Sicilia. La Mostra dell’Arte sacradelle Madonie 15 Agosto-15 Ottobre . . . . . . . . . . . . . » 371

12 Agosto Alla Mostra d’arte sacra delle Madonie.I merletti e i ricami . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 373

1 Ottobre Alla Mostra d’arte sacra delle Madonie.Tappeti d’Isnello e ceramiche di Collesano . . . . . . . . . » 375

15 Ottobre La Mostra d’arte siciliana a Palazzo Abbatellis . . . . . . » 377

19 Novembre Musei vivi e musei morti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 379

24 Novembre Ai margini della “Mostra Nazionale del tessile”.La resurrezione di Penelope . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 382

4 Dicembre Ispirazioni dantesche. Andrea D’Antoni pittore,patriota e cospiratore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 384

25 Dicembre Il presepe di Vito D’Anna . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 386

Page 397: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

AAbbatellis Eleonora 9-1-37Abbatellis Francesco 9-1-37Abissinia 20-12-35Abony Eugenio 11-6-36Accascina Maria 19-12-36Achillino 27-6-35Acireale 6-7-35, 13-3-36, 10-2-37Africa 21-10-34, 19-1-35, 22-5-35, 9-

4-37Ageerhol Eva 11-6-36Agenhu Ingida 20-12-35Agira 15-10-37Agricola Filippo 7-4-34, 12-1-35Agrigento 7-4-34, 19-7-34, 17-5-35, 6-

6-35, 9-4-37, 28-4-37, 15-10-37,24-11-37

Aiello Matteo 28-4-37Airoldi 24-1-36, 2-4-36Albania 23-9-34Alberti Leon Battista 24-1-36, 25-6-36Albina (Alvino) Giuseppe detto il

Sozzo 24-11-37Albini Franco, architetto 1-9-36Alcamo 12-1-35, 19-12-36Alemanni Luigi 9-5-35Alessandro del Magno 8-7-36Alfano Eduardo 19-7-34, 13-3-36, 21-

6-36, 6-7-35Alimena 12-10-35, 23-7-37Alinari 8-6-34

Alliata Topazia 29-4-36Altamura 25-12-37Amalfi 30-8-34Amante Paolo 8-6-34Amari Michele 3-3-34Amati Orazio 13-5-34Amato Andrea 23-6-34Amato Giacomo 7-4-34, 8-6-34, 23-6-

34, 19-10-35, 4-1-36, 9-1-37, 10-2-37, 25-12-37

Amato Paolo 23-6-34, 19-10-35Ambrosi 30-7-36, 13-8-36Amedeo di Savoia 9-4-37Amenophis 28-10-34, 22-2-35America 7-11-34, 13-11-34, 9-1-35,

13-3-36, 10-3-37, 19-11-37 Amico Giovan Biagio 23-6-34, 19-10-

35, 14-11-36, 19-12-36Amiet Cuno 27-7-34Amorelli Alfonso 27-5-34, 7-3-35, 29-

4-36, 4-6-36Anacapri 19-1-35Andersen 8-6-34Andreoni 13-8-36Andreotti Libero 18-5-34, 12-1-35, 7-

3-35, 10-1-36, 7-2-36Androunet du Cerceau Jacques (il

Vecchio) 29-9-34Anselmi Giorgio 20-4-35Anselmi Michelangiolo 7-11-34Antoci Gaetano 22-2-35

397

Indice dei nomi e dei luoghi

Salvatore Anselmo – Rosalia Francesca Margiotta

Page 398: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Antonello Crescenzio 1-8-35Antonello da Messina 3-3-34, 7-4-34,

16-6-35, 22-8-35, 13-3-37, 19-11-37Antonio da San Marino 30-6-34, 29-9-

34, 21-9-35Antonio di Peny 28-4-35Appiani 7-4-34, 19-12-36, 10-2-37Aprilia 21-7-36, 13-8-36Apuleio 9-4-35, 4-12-36Arata C. U. 16-6-35Ardara 16-6-35Ardizzone Girolamo 25-12-34Aretino Pietro 27-6-35, 17-7-36, 29-1-37Arezzo 21-2-34, 7-11-34, 15-2-35, 26-

3-36Argo 1-12-34Ariosto 28-4-35Aristogitone 18-5-34Armodio 18-5-34Arnino Giuseppe 19-12-36Arno, fiume 26-3-36Arnolfo da Cambio 25-6-36Artale Patti Giovanni 19-7-34 Asburgo 28-4-35Ascheri Pietro 12-1-35, 15-2-35, 21-7-36Asolo 30-6-34Aspromonte 7-4-34, 28-12-35, 13-3-36Assenza Enzo 7-3-35, 12-5-35, 4-6-36Assisi 12-10-35Asta Olga 23-8-36Atene 11-6-36, 9-4-37Attanasio Natale 4-11-36, 19-1-37Augusto 28-10-34Australia 7-2-36Austria 27-7-34, 23-9-34, 22-5-36, 11-

6-36Axum 20-12-35Avellone 18-6-37

Averna 22-5-35Avignone 26-2-36Azecki Stanislao 27-7-34

BBaccarat 30-6-34Bacchilide 14-5-36Bacci A. Baccio 15-2-35Bachstitz 29-1-37Backl 23-9-34Bagheria 20-12-35Bagnasco Giuseppe 13-3-36Baldassari Luciano 30-7-36Balla Giacomo 30-7-36Ballarò 29-4-36Ballester Augusto 27-7-34Bancale Michele 21-10-34Bandiera Emilio 2-10-36Bandinelli 26-3-36Banti Domenico 2-10-36Barbera 27-5-34, 12-5-35Barberi Giovanni 27-5-34Barbero Giuseppina 27-5-34Barbisan 31-5-36Barcellona 14-11-36Barella 21-7-36Barillà Pietro 15-2-35Barici Ettore 9-4-37Barisano 30-8-34Barone 22-5-35Barovier 30-6-34, 23-8-36Barozzi Jacopo 23-6-34Barraja 8-6-34Barrera Antonio 15-2-35Barresi 18-8-35Bartoli 1-4-37Bartolini 20-11-34, 21-9-35, 22-5-36Bartolini Luigi 15-2-35

398

Page 399: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Bartolino Tommaso 7-3-35, 4-6-36Bartolo Antonio 20-12-35Bartolomeo della Porta 8-7-36Basile Ernesto 9-4-37Basile Nino 4-1-36Basile Peppino 24-1-36Bassano Jacopo 8-12-34Batoli Americo 15-2-35Battaglia Carlo 9-1-35Battaglia 23-6-34Baudelaire Charles 23-8-36Bavastrelli 27-5-34Beato Guglielmo Gnoffi da Polizzi

Generosa 22-8-35Beaumont 6-7-35Beghini Giovanni 24-1-36Belaschu Ato 20-12-35Belgio 27-7-34, 11-6-36Bella Gabriele 19-12-34Bellamano Franceschina 1-12-34Belli Gioacchino 9-4-35Belli Valerio 14-6-36, 29-1-37Bellini 13-5-34, 11-6-36Bellini Giovanni 28-4-35, 22-8-35Bellini Iacopo 27- 4- 34Bellini Vincenzo 10-2-37Bellonia 29-4-36Belpasso 13-3-36Beltrami 23-9-34Bembo Pietro 28-4-35Benedetto Baldassare da Forlì 4-1-36Benliure Mariano 27-7-34, 11-6-36Bennica Gaetano 19-2-37Bennica Giuseppe 19-2-37Benozzo 9-5-35Benvenuti 7-4-34Benvenuto 19-12-36Beraudus Odrisius 30-8-34

Berberi Giuseppe 9-4-35Berenson Bernard 2-6-37Berg Claus 11-6-36Bergamin RafaelBergamo 7-2-36Beriam 13-3-36Berliner 25-12-37Berlino 29-9-34, 11-6-36, 8-7-36, 29-

1-37Berna Pietro 8-8-35Bernard Filippo 27-734Bernheimer 30-6-34Bernini Gian Lorenzo 7-4-34, 19-10-

35, 31-1-36 Berrettaro Bartolomeo 25-12-34, 1-8-

35, 12-10-35, 2-6-37Berteaux Émile 3-3-34Bertelo Guglielmo 29-1-37Berti Antonio 4-6-36Bertocchi Nino 15-2-35Bertolini Albano 18-5-34Bertolini Tommaso 22-5-35Besnard Philippe 27-7-34Bevilacqua Alberto 13-5-34, 27-5-34,

8-6-34, 7-3-35Bevilacqua Paolo 27-5-34, 8-6-34, 17-

5-35Bevilacqua Pietro 8-6-34, 24-1-36, 1-

9-36, 3-3-37,Bezecca 28-12-35 Bezzi 30-7-36Biancale 3-8-34Bianch 4-11-36Bianchini Ferier 30-6-34Bianco Pieretto 21-10-34Bianco Rosso Mario 17-5-35Biasi G. 16-6-35Bibbiena 19-2-37, 25-12-37

399

Page 400: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Bigini Alfredo 18-5-34, 4-6-36Billini 31-8-35Bin Guido 23-8-36Bisanzio 3-3-34, 30-6-34, 30-8-34, 28-

4-35, 22-8-35Biseo 21-10-34Bistolfi Leonardo 20-11-34Bjerg Iohannes 11-6-36Blasco Michele 2-6-37Blascolancia 4-1-36Boccaccini Boccaccio 1-12-34Bocchetti 21-10-34Bockl 11-6-36Bodker Maria 11-6-36Bogoroski 27-7-34Bologna 30-6-34, 22-2-35, 9-4-35, 29-

1-37Bolsani Osvaldo 1-9-36Boltenstern 25-6-36Bombelli Pietro 10-2-37Bona Emma 8-5-35Bonanno Antonino 13-3-36Bonanno Pisano 30-8-34Bonaparte Napoleone 2-10-36, 10-3-37Bonfiglio 4-6-36Bonfiglio Antonio 18-5-34, 27-5-34,

7-3-35, 29-4-36Bonghi Antonio 15-2-35 Bonichi Gino (Scipione) 15-2-35Bonomi 22-5-35Borberhei 11-6-36Bordeaux 25-6-36Borghese 28-12-35Borghi 30-6-34Borgia 28-4-37Borgnone 30-7-36Borgognone 23-9-34Borra Pompeo 13-5-34

Borromini Francesco 19-10-34, 25-7-35, 31-1-36

Borselli 21-10-34Boscoreale 27-4-34, 29-1-37Bossi 7-4-34Boston 28-2-35Bosznay Stefano 27-7-34Bottai Giuseppe 2-5-37Botticelli, Sandro Filipepi detto il, 27-

4-34, 7-11-34, 20-4-35, 14-6-36, 4-12-37

Bottoni 1-9-36Boucher Desnoyers 7-11-34Bovastelli 17-5-35Bozzetti Gaetano 21-10-34Bozzoli Benozzo 7-11-34, 13-11-34Bracchi Luigi 13-5-34Bracciante 24-1-36Bracco 12-1-35Braciante Mario 18-8-35Bragadino 20-12-35Brancaleone Francesco 20-12-35Branciforti Frisina 4-1-36Brera 27-4-34Brescia 28-4-35, 14-6-36Briggman Erich 25-6-36Brini Giovanni 18-5-34Brinkmann J.A. 27-7-34Brodsky 27-7-43Broglio Mario 15-2-35Brondi Gigi 21-10-34Bronte 13-3-36Brooklyn 10-3-37Brugier 30-6-34Brunelleschi Filippo 21-2-34, 12-5-35,

31-5-36, 21-7-36Brunelli Enrico 8-12-34,19-11-37Brunetti Mario 2-10-36

400

Page 401: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Bruschetti Alessandro 20-3-35, 30-7-36Bruxelles 7-3-35, 12-5-35, 17-5-35, 22-

5-35, 15-10-37, 24-11-37,Bubbolo Maria 8-6-34Bucarest 25-6-36Bucci Anselmo 13-5-34, 2-10-36Budapest 11-6-36, 25-6-36Buenos Aires 20-11-34, 25-6-36Bugiardini 8-7-36Bulgaria 23-9-34Buonfiglio 12-5-35Buschetto, architetto 6-7-35Buscio Ezio 27-5-34, 4-6-36, 31-5-36Busseret Luis 27-7-34

CCabianca Vincenzo 7-4-34Cabras Cesare 21-10-34Caccamo 19-7-34, 25-12-34Caceme 6-2-35Cadore 28-4-35Cadorin Livia 30-6-34, 31-5-36Caffi Ippolito 2-10-36Cafiero Tuti 29-4-36, 31-5-36Cagli Corrado 6-2-35, 15-2-35, 10-1-

36, 29-4-36, 31-5-36Cagliari 16-6-35Cagliostro, conte 9-4-35Calamecca Andrea 26-3-36Calamecca Domenico 26-3-36Calascibetta Paolo 21-6-36Calcarelli 12-10-35Calì Pina 17-5-35Caltagirone 23-6-34, 22-5-35, 6-6-35,

13-3-36Calza Bini 21-7-36Camaldoli 19-1-35Camarda Francesco 7-11-34, 13-11-34

Cambi 29-1-37Camilliani Camillo 26-3-36Camilliani Francesco 26-3-36Cammarano Giuseppe 7-4-34, 29-10-36Cammarano Michele 21-10-34Campagna Girolamo 29-1-37Campanella Angiolo 18-8-35Campanella Ida 29-4-36Campidoglio 27-4-34Campigli Massimo 13-5-34, 15-2-35,

31-5-36Campini Archimede 7-3-35Campisi 29-4-36, 2-5-37Campliani 29-10-36Camuccini Vincenzo 7-4-34, 12-1-35,

13-3-36, 4-12-37Canal Grande 2-10-36Canaletto, Antonio Canal detto il, 19-

12-34Canceliere 10-2-37Canonica Pietro 20-11-34 Canova Antonio 2-10-36Cantacuzene Matteo Giorgio 25-6-36Cante Anto 11-6-36Capogrossi 15-2-35Cappellani 8-6-34, 22-5-35Cappello Vincenzo 28-4-35Capri 29-10-36, 9-6-37Caprino 21-10-34Caprotta Guido 11-6-36Capua 30-6-34Capuana Luigi 19-1-37Caracciolo, ingegnere 2-4-36Caradosso Caradossi 21-9-35Carapezza 12-10-35Caravaggio, Michelangelo Merisi detto

il, 25-12-35, 17-7-35Cardella 9-1-37

401

Page 402: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Carducci Giosuè 19-1-37Carelli Consalvo 29-10-36Carena Felice, 13-5-34, 15-2-35, 31-5-

36, 30-7-36Cariddi 27-6-35Carini 19-10-35,10-2-37Carlo dalla Zozza 13-5-34Carlo Emanuele III 31-1-36Carlo V 28-4-35, 17-7-36Carnelivari (Carnilivari) Matteo 16-6-

35, 9-1-37, 9-4-37Carodin Pietro 17-7-36Caronia 9-1-35, 19-10-35Carpaccio Vittorio 21-10-34, 15-2-35,

28-4-35Carpanetti Arnaldo 15-2-35Carpentieri Elsa 18-8-35Carpi Aldo 13-5-34Carpise 12-8-37Carrà Carlo 13-5-34, 6-2-35, 10-1-36,

31-5-36, 13-8-36Carracci Annibale 25-12-35Carrera 20-3-35Carrera Andrea 19-12-36 Carrera Giuseppe 19-12-36Carrera Vito 19-12-36Carrubba 29-4-36Carta 28-12-35, 25-12-37Carta Natale 7-4-34, 12-1-35, 28-12-35Caruso 24-1-36Cascella 21-10-34, 21-10-34Casciaro 15-2-35Casciaro Giuseppe 19-1-35,Casorati Felice 13-5-34, 6-2-35, 15-2-35Castagna S. 29-4-36Castagna Salvatore 27-5-34Castel Durantino 27-7-34Castelbuono 22-8-35, 21-9-35, 12-10-

35, 19-10-35, 23-7-37, 10-8-37Castelfranco 1-12-34Castellana Sicula 23-7-37Castellani Michele 19-7-34Castelvetrano 6-6-35, 19-12-36, 19-11-37Castiglioni 21-10-34Casorati Felice 13-5-34, 6-2-35, 15-2-35Castro Leo 7-3-35, 13-5-34, 24-5-34,

17-5-35, 29-4-36, 31-5-36, 4-6-36Castrofilippo 13-3-36Castronovo 27-5-34Catalano Eustachio 27-5-34, 17-5-35,

29-4-36Catalogna 9-4-37Cataluzio da Todi 14-6-36Catania 8-6-34, 23-6-34, 19-7-34, 25-

12-34, 12-5-35, 17-5-35, 25-7-35,21-9-35, 19-10-35, 28-12-35, 26-2-36, 24-4-36, 4-6-36, 14-6-36, 9-1-37, 19-1-37, 9-4-37, 19-11-37

Catti Michele 18-6-37Cavalcanti Guido 2-10-36Cavalieri 27-5-34Cavallini Pietro 21-2-34, 28-10-34, 15-

2-35Cavarretta Mazzoleni Dorotea 27-5-

34, 29-4-36Cavazioni Jenne 22-2-35Cecchi 3-8-34Cecchini 6-2-35Cecco di Naro 8-5-35, 19-2-37Cecoslovacchia 27-7-34, 11-6-36, 25-6-36Cefalù 8-6-34, 6-6-35, 31-8-35, 12-10-

35, 28-4-37, 19-11-37Celesia 20-11-34Cellini Benvenuto 30-6-34, 29-9-34, 8-

8-35, 31-1-36, 26-2-36, 26-3-36, 14-6-36, 23-8-36, 14-11-36, 29-1-37

402

Page 403: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Celon Pietro 19-10-35Cenni 18-6-37Cento Salvatore 4-12-36Ceracchini Gisberto 15-2-35, 31-5-36Cercone 21-10-34Cerniglia 24-1-36Cervelloni Alessandro 15-2-35Cesare 27-4-34,Chagall Marc 23-8-36Chapelain 11-6-36Chartres 3-3-34Chavasien Adele 4-12-36Chen-Iung 28-2-35Chiaramonici Francesco 4-1-36Chiarandà 29-10-36Chiari Chiaro 4-11-36Chicarro Eduardo 27-7-34Chiesa Pietro 30-6-34Chiglia Oscar 15-2-35Ciardi 4-11-36Cigoli 4-12-36Cimabue 21-2-34, 18-5-34, 7-11-34,

13-11-34Cina 22-2-35, 28-2-35Cinturino 29-4-36Cipro 1-12-34Ciriaco d’Ancona 28-10-34Cirillo Mario 23-8-36Città di Castello 14-6-36Cittillo Ignazio 19-2-37Ciuni 19-10-35Civiletti Benedetto 7-4-34, 20-11-34Civitavecchia 9-4-35Clara Josè 27-7-34, 11-6-36Cléves 29-1-37Cocchia Carlo 13-5-34Cocchiari Rosita 18-5-34Coffa Antonio 4-11-36

Colao 15-2-35, 6-2-35Collesano 17-7-35, 22-8-35, 31-8-35,

12-10-35, 4-1-36, 23-7-37, 1-8-37Colliva Lea 15-2-35Colucci 21-10-34Comanducci 3-8-34Comes Camino 29-4-36Comes Carmelo 17-5-35Comiso 23-6-34, 22-5-35,Como 30-6-34Comodopulos Giorgio 11-6-36Conca Sebastiano 6-7-35Condall 27-7-34Congo Belga 21-10-34Conques 8-6-34, 21-9-35Constablee 27-7-34Contarini Catarina 19-12-34 Contarini Taddeo 1-12-34Conti Primo 15-2-35Coppa G. B. 4-12-36Coppolino 21-6-36Cordelicchia Giuseppe 19-2-37, 13-3-37Correggio, Allegri Antonio detto il, 20-

4-34, 7-11-34, 13-11-34, 25-12-34,19-12-36, 24-11-37

Corona Vittorio 27-5-34Corot 3-8-34, 1-12-34Corsi Antonio 22-2-35Corsini 30-6-34Cosenza 30-6-34Cosmati 19-7-34Cosomati Ettore 13-5-34Costa 3-8-34, 20-3-35, 4-1-36Costantino 27-4-34Costantinopoli 30-8-34Costanza 25-6-36Costanzo Angelici 27-4-34Costanzo Muzio 1-12-34

403

Page 404: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Costanzo Silvestro 24-1-36Costanzo Tullio 1-12-34Costetti Giovanni 13-5-34Cottone Salvatore 27-5-34, 7-3-35, 12-

5-35, 21-6-35Covo 28-4-35Cowschi Niesio 27-7-34Cozzo Salvatore 22-2-35Crali 13-5-34, 30-7-36Crestadoro Giuseppe 6-7-35Creta, isola 14-5-36Criselli Italo 22-2-35Cristobal Ruiz 11-6-36Cristofaro Moro 14-6-36Crita Vito 29-4-36Crocetti 4-6-36Crocetti Venanzio 22-2-35Croff Livio 30-6-34Cucchetti Sacha Robb 31-1-37Cuffaro 22-5-36Cuffaro Antonio 12-5-35Cuffaro Silvestre 27-5-34, 29-4-36, 4-6-36Cumbo Ettore 4-11-36

DD’Agostino Piero 8-6-34, 22-5-35D’Ali Staiti 14-11-36D’Amato Ferdinando 23-8-36D’Amico Gemma 27-5-34D’Amore Salvatore 7-3-35D’Anna Giulio 29-4-36D’Anna Vito 13-05-34, 8-12-34, 25-12-

34, 17-5-35, 6-7-35, 17-7-35, 4-1-36,21-6-36, 2-6-37, 12-8-37, 25-12-37

D’Annunzio Gabriele 1-4-37D’Antoni Andrea 12-1-35, 4-12-37D’Antoni Gaetano 4-12-37D’Antoni Savatore 4-12-37

D’Azeglio Massimo 18-6-37D’Este Alfonso 28-4-35D’Este Isabella 20-4-35, 28-4-25D’Ondes Regio Andrea 12-1-35Da Milano Giorgio 1-8-35, 22-8-35,

31-8-35, 12-10-35, 19-2-37, 13-3-37, 2-6-37

Da Vinci Pierino 26-3-36Dainieri Carlo 21-7-36Dal Bianco A. 20-3-35Dal Bon Ferruccio 30-6-34 Dalbono 19-1-35Dallechine Bartolomeo 4-1-36Damasco 30-8-34Daniele da Volterra 27-6-35Danimarca 27-7-34, 11-6-36Dante Alighieri 27-6-35, 8-7-36, 2-10-

36, 14-11-36, 4-12-37Daubigny Diaz 3-8-34 Davalos Del Vasto 28-4-35Davit I, negus 20-12-35Dazzi Arturo 15-2-35, 22-2-35Dazzi Romano 21-10-34De Arizzi Lucio 19-7-34De Arphè Juan 19-7-34De Bacci 22-8-35De Bernardi 13-5-34, 21-10-34De Bruyer 11-6-36De Callia Nina 27-7-34De Canal Bernardo 2-10-36De Cara 24-3-37De Caro Giovanni 17-5-35, 27-5-34,

24-1-36, 29-4-36, 22-5-36De Chirico Giorgio 15-2-35, 23-8-36De Felice Francesco 19-12-36De Fossis Pietro 1-12-34De Giovanni Francesco 1-9-36De Gradi 15-2-35

404

Page 405: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

De Maria Federico 9-1-35De Marinis Tamarro 23-8-36De Matteis 30-6-34, 23-8-36De Medici Francesco 29-1-37De Medici Lorenzo 14-6-36De Meester 27-7-24De Mura 6-7-35De Nittis Giuseppe 29-10-36De Pace Guido 29-4-36De Pini 31-5-36De Pisis Filippo 13-5-34, 15-2-35De Poli Paolo 30-6-34 De Rocchi 6-2-35,15-2-35De Saliba Antonello 22-8-35De Vecchi 2-10-36 De Vigilia Tommaso 13-5-34, 17-5-35,

1-8-35, 19-12-36, 24-11-37De Vos Leon 27-7-34Debat Ponzan 25-6-36Debbra Brahan 20-12-35Debonnaires Ferdinand 27-7-34Degas Edgar 11-6-36Dejean Louis 27-7-34Del Duca Jacopo 26-3-36Del Debbio Enrico 13-3-36Del Giudice Benedetto 8-6-34Del Mastro Francesco 1-8-35, 31-8-35Del Nassaro Matteo 30-6-34Del Vaga Perin (Pierino Del Vaga e

Pierino da Vinci) 27-4-34, 29-9-34,26-3-36, 21-6-36

Delacroix Eugène 21-10-34, 30-7-36Deleu Arthur 11-6-36Delfi 6-6-35Delianova 16-6-35Delisi Benedetto 8-5-34, 27-5-34, 8-6-

34, 7-3-35, 12-5-35, 17-5-35, 29-4-36, 22-5-36, 4-6-36

Dell’Aquila Marco 1-12-34Dell’Aquila Pietro 13-5-34, 8-6-34, 21-

6-36, 10-2-37Delle Rose Donà 1-12-34Delleani Lorenzo 21-10-34Delstanche Albert 11-6-36Desenzano 28-12-35Desilo 16-6-35Despiau Denis 11-6-36, 23-8-36Devos 11-6-36Deyneka 27-7-34Di Bartolo 10-2-37Di Bartolo Giovanni 26-2-36, 14-6-36,

28-4-37Di Bartolo Salvatore 28-12-35Di Battista Pier Paolo 1-8-35Di Benedetto Alfonzo 23-6-34Di Benedetto Salvatore 8-6-34, 22-5-35Dibotto 13-5-34, 30-7-36, 13-8-36Di Castrone Benedetto 23-6-34Di Chiara Giuseppe 18-8-35Di Faenza Agnolo 21-9-35Di Ferro Giuseppe Maria 19-12-36Di Giorgi 29-4-36Di Giovanni 8-6-34Di Giovanni Gioacchino 1-8-35Di Giovanni 22-5-35Di Lando Agostino 28-4-35Di Leo 22-5-35Di Lorenzo 8-5-35Di Marzo Gioacchino 3-3-34, 1-8-35,

22-8-35, 4-12-36, 9-1-37Di Sant’Elia Antonio 7-4-34Di Stefano Carlo 18-8-35Di Tocco Maria 9-1-37Diego di Mendozza 28-4-35Dijstria 11-6-36Dimas Demetrio 27-7-34

405

Page 406: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Dimitriadis Costantin 11-6-36Diulgheroff Nicolag 30-7-36Dogali 21-10-34, 31-5-36Dollfus Cancelliere 11-6-36Donatello 21-2-34, 27-4-34, 18-5-34,

28-10-34,Donato Fisini 13-5-34Donghi 31-5-36Doni Paolo 6-2-35Dorè 15-2-35Doria Giannettino 19-7-34Dosza 11-6-36Dottori Gerardo 13-5-34, 15-2-35, 20-

3-35Doubigny 1-12-34Drancy 25-6-36Dresda 28-4-35, 25-12-35, 4-12-36Duca d’Alba 28-4-35Duca de la Vieifel 23-6-34Duccio di Boninsegna 27-5-34Duclère Teodoro 29-10-36Dudok 23-6-34, 27-7-34Dunlop 27-7-34Dunoyer de Segonzac 27-7-34Durand Jean 30-6-34Durazzo Giuseppe Maria 8-7-36Dvorak Karel 27-7-34

EEcher 11-6-36Efimov Ivan 27-7-34Egidio della Rovere 29-1-37Egitto 22-2-35, 14-5-36Elia 26-2-36Emanuele Filiberto di Savoia 28-4-35Empedocle Restivo 10-2-37Engadina 7-4-34,Enna 19-7-34, 8-12-34, 6-6-35, 1-8-

35, 14-11-36, 9-6-37, 12-8-37, 24-11-37

Enrico VII 14-6-36Epifanio 24-1-36Epifanio Luigi 27-5-34Eraclito 23-9-34Ercolano 14-5-36Erice 9-5-35, 22-5-35, 28-9-35, 2-4-

36, 29-10-36, 19-12-36, 9-6-37, 19-11-37

Erlich 11-6-36Eroli Pio 30-6-34Eroli Silvio 30-6-34Errante Giuseppe 7-4-34, 4-12-36, 19-

12-36, 10-2-37Ervino VBL 27-7-34Evrieux Louise 27-7-34Eschilo 14-3-35Essers Bernard 11-6-36Estensi 29-9-34Etiopia 20-12-35Euclide 1-12-34Eugenio di Beauharnais 2-10-36Euripide 24-4-36Europa 7-11-34, 24-11-37Eusebio 8-7-36Evreux 19-7-34

FFabbricatore Nicola 15-2-35Faenza 29-1-37Fahringer Karl 23-9-34Faia Guglielmo 4-12-36Falca Pietro detto il Longhi 19-12-34 Falcando Ugo 14-5-36, 2-6-37Farnese Pier Luigi 29-1-37Farpi Vignoli 22-2-35Fasella Gaspare 3-8-34

406

Page 407: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Fasulo 21-7-36Fattore 8-7-36Fattori Giovanni 3-8-34Faulhammer Richard 23-9-34Favara 14-5-36Favretto 19-12-34Fazzello Tommaso 14-5-36Fazzini Pericle 22-2-35Fecarotta Eugenio 8-6-34Fedele da San Biagio 25-12-34, 19-12-36Federico di Sassonia 28-4-35Federico II 28-4-35, 14-11-36, 9-4-37Fegarotti 22-5-35Ferdinando, re 3-8-34, 28-4-35, 9-1-

37, 28-4-37 Fergola Salvatore 18-6-37Ferrara 7-4-34, 28-4-35, 9-1-37Ferrari Bianchi, 20-4-35Ferrari Ettore 20-11-34Ferro 23-8-36Ferro Cesare 7-2-36Festos 28-10-34Fichera Francesco 23-6-34Fidia 25-6-36Fiduccia 28-12-35Fieri 13-3-36Figgini 1-9-36Filippo d’Assia 28-4-35Filippo II 28-4-35Filippo IV 8-7-36Filippo V 31-1-36Finlandia 25-6-36Fillia (Filla) 13-5-34, 27-7-34, 20-3-

35, 30-7-36Filodemo 14-5-36Fini Leonora 31-5-36Finocchiaro 25-12-34, 29-4-36Finocchiaro Lucio 24-1-36

Fiocco 19-12-34Fiorini Guido 21-7-36Firenze 21-2-34, 7-4-34, 27-5-34, 8-6-

34, 30-6-34, 3-8-34, 30-8-34, 29-9-34, 28-4-35, 21-6-35, 6-7-35, 28-12-35, 7-2-36, 13-3-36, 26-3-36,14-6-36, 8-7-36, 21-7-36, 30-7-36,4-11-36, 9-1-37, 19-1-37, 29-1-37,18-6-37, 12-8-37

Fiume 13-3-36Fiumefreddo 14-5-36Fleissner 11-6-36Florestano di Fausto 21-10-34, 7-3-35Florio 8-12-34Focolari 23-12-36, 2-5-37Fogalli Gaspare 19-12-36Foligno 4-11-36Folisi Mario 29-4-36Fonni 16-6-35Fontana Fredda 4-1-36Forestier 25-6-36Formisani Eugenio 28-12-35Foschini 21-7-36Fra Liberato 23-6-34Franceschini Alessandro 8-6-34Francesco I 29-9-34, 21-9-35Francesco II 3-8-34Franchina 12-5-35, 29-4-36Francia 27-7-34, 7-11-34, 15-2-35, 14-

5-36, 11-6-36, 25-6-36, 24-11-37 Francia Francesco 21-9-35, 14-6-36Francofonte 23-6-34Fransiosinio, Nicola Codier detto il, 29-

1-37Franzò 24-1-36Frattani Gino 8-6-34, 22-5-35Frette Guido 1-9-36Friderich 11-6-36

407

Page 408: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Fuga Ferdinando 23-6-34Fulla 27-7-34Funi Leonor 15-2-35

GGabor 25-6-36Gabrici Ettore 19-11-37Gaetani 19-2-37Gagini Antonello 17-7-35, 1-8-35, 31-

8-35, 4-1-36, 2-6-37Gagini Domenico 1-8-35, 8-8-35, 22-

8-35, 31-8-35, 12-10-35, 4-1-36,19-2-37, 13-3-37, 23-7-37

Gagini Fazio 1-8-35Gagini Giacomo 1-8-35Gagini Giandomenico 1-8-35, 31-8-

35, 2-6-37Gagini Nibilio 1-8-35, 23-7-37Gagini Vincenzo 1-8-35Gagini 26-3-36, 25-12-37Gagliardo 31-5-36Gagliardo Umberto 1-8-35Galeotti Melchiorre 12-1-35Galilei Alessandro 7-4-34Galletti Guido 18-5-34, 22-2-35Gallo Agostino 12-1-35, 6-7-35, 13-3-

36, 21-6-36, 4-12-36, 10-2-37Gambara Veronica 20-4-35Gamberini Italo 21-7-36Gambini 30-7-36Gambino 27-5-34Gandolfo Antonino 4-11-36, 19-1-37Gandolfo Giuseppe 12-1-35, 19-1-37Gangi 8-12-34, 27-6-35, 12-10-35, 23-7-37Garibaldi 28-12-35Garnier 25-6-36Gaspare Vazzano (Bazzano) 17-7-35,

31-8-35, 24-11-37

Gattamelata Erasmo 27-4-34Gaudenti Enrico 15-2-35Gaudenzi Pietro 15-2-35Gauguin Paul 21-10-34Gelli Lelio 18-5-34, 4-6-36Gelozzi 29-9-34Gemito Vincenzo 20-11-34Genova 27-4-34, 7-11-34, 15-2-35, 26-

3-36, 21-7-36Gentile Angelo 4-12-36Gentili Antonio 29-1-37Gentilini Franco 15-2-35Georgiadis Andrea 27-7-34Geraci Nino 27-5-34, 22-5-36, 10-3-37Geraci Siculo 19-7-34, 8-8-35, 12-10-

35, 14-6-36, 28-4-37, 9-6-37, 23-7-37, 10-8-37, 12-8-37

Gerardi Alberto 15-2-35Gerbino 22-5-35Gerevich Tiberio 11-6-36Germania 27-7-34, 11-6-36, 4-12-36,

19-11-37Gerolamo delle Croci 14-6-36Gherardo da Lentini 13-3-37Gherassimov 27-7-34Giacalone Mario 24-1-36Giacometti Arturo 27-7-34, 11-6-36Giambecchina (Becchina Gian Lorenzo)

29-4-36, 3-3-37Giambologna, Jean Boulogne detto il,

29-1-37Giaquinto Corrado 6-7-35, 21-6-36Giarrizzo 4-6-36Giarrizzo Adele 17-5-35, 29-4-36Giarrizzo Maria 17-5-35Giarrizzo Manlio 13-5-34, 27-5-34, 7-

3-35, 17-5-35, 10-1-36, 29-4-36,31-5-36

408

Page 409: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Giarrizzo Michele 21-6-36Gibelli 1-9-36Gidding 27-7-34Giel 27-7-34Giersing Arald 27-7-34Gigante Giacinto 7-4-34, 3-8-34, 19-

1-35, 29-10-36, 18-6-37Gili Paolo 19-7-34Giordani Giorgio 18-5-34Giordani Giulio 18-5-34Giordano 12-5-35, 21-7-36Giordano Luca 6-7-35Giorgi Italo 31-5-36Giorgio da Milano 1-8-35Giorgione 1-12-34, 19-12-34, 28-4-35,

22-8-35, 4-6-36Giotto 21-2-34, 27-5-34, 6-2-35, 20-

3-35, 31-1-36, 22-5-36Giovanna 26-2-36Giovanni d’Austria 26-3-36Giovanni da Udine 8-7-36Giovanni Di Bartolo 30-6-34Giovanni di Castel Bolognese 14-6-36Giovanni V 31-1-36Giovannoni Gustavo 19-10-35Girelli Franco 22-2-35Giudici Paolo 12-1-35Giuffrida 29-4-36Giuffrida Pippo 17-5-35, 29-4-36Giulietta Normanna 2-6-37Giusti Guglielmo 29-10-36Gloria Adele 12-5-35Gold Schmidt 24-3-37Goldoni 19-12-34Gondar Eugene 20-12-35Gonzaga Susanna 17-7-35Gonzales 11-6-36Gotard Jan 27-7-34

Graffeo Anna 19-7-64 Graffeo Antonio 1-8-35, 24-11-37Gramignani 4-12-36Gran Bretagna 11-6-36, 14-11-36, 30-

6-34, 19-11-37Granata Gregorio Raimondo 6-7-35Grano Antonino 8-6-34, 19-10-35, 4-

1-36, 9-1-37Granvella 28-4-35 Grassi 8-6-34Grasso Giovanni 19-1-37Graziani Alfio Paolo 13-5-34Greber 25-6-36Grecia 27-7-34, 19-12-34, 22-2-35, 11-

6-36, 9-4-37, 9-6-37Gregorietti Guido 29-4-36Gregorio XI 26-2-36Grei Ercole 18-5-34Grifocy Alberto 7-2-36Grigioni 7-4-34Grita 27-5-34Gritti Andreina 7-2-36Gromaire 11-6-36Gruz Federico 23-9-34Guardi 11-6-36Guardi Francesco 19-12-34Guardi Giacomo 2-10-36Guarini Guarino 31-1-36Guarino 29-4-36, 4-6-36Guarino Antonio 27-5-32, 7-3-35Guarna Paolo 26-2-36Guccio da Mannaia 30-6-34, 26-2-36Guerasi M. 4-6-36Guerra Camillo 12-1-35Guglielmo I 28-4-37Guglielmo II 24-3-37Guicciardini 15-10-37Guidi Virgilio 15-2-35, 31-5-36

409

Page 410: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Guidobaldo da Urbino 28-4-35Gutierez Solana Josè 27-7-34Gutierez di Spagna 11-6-36Guttuso Renato 27-5-34, 7-3-35, 17-5-

35, 31-5-36, 4-6-36, 3-3-37Guzzi Tommaso 8-6-34Guzzone Sebastiano 19-1-37Gyelmia Luca 11-6-36

HHachert 18-6-37Haftaengl 27-7-34Haida 30-6-34Haller Hermann 27-7-34, 11-6-36Hals Fraz 27-7-34Hampton Court 27-4-34, 29-9-34,Hanfstangl Eberhard 11-6-36Hautecor Signore 11-6-36Hayez Francesco 12-1-35Heerlen 25-6-36Herj Arnold 11-6-36Hildesheim 3-3-34, 8-6-34, 21-9-35Hilversum 23-6-34Himera 9-4-37Hoepli Ulrico 26-3-36, 29-1-37Hofmman 25-6-36Holbein Hans (il Vecchio) 29-9-34Holzmeister Clemens 25-6-36Hontorst Gerrit van 25-12-34 Huang-Kuag 28-2-35

IIadwga 11-6-36Ianneret 25-6-36Ibn Hawqal 14-5-36Imperia 7-2-36Incorpora 22-5-35Indovina Lanza 2-4-36

Inghilterra vedi Gran Bretagna Iglesias 16-6-35Ingrassia 14-5-36Inners 27-7-34Innocenti Bruno 4-6-36Innocenzo VIII 27-4-34, 28-4-37Interguglielmi Elia 8-6-34, 31-1-36,

21-6-36Interminelli Alessio 24-3-37Invidiata Casimiro 1-8-35Irolli 11-6-36Isnello 8-12-34, 21-9-35, 12-10-35, 23-

7-37, 10-8-37, 24-11-37Israels 27-7-34Issupof Alessio 21-10-34 Italia passimIuvara Filippo Aloiso 10-2-37Ives Alix 27-7-34

JJamnitzer Cristoforo (Christoph) 29-9-34Juvarra Filippo 7-4-34, 23-6-34, 31-1-

36, 25-12-37Juvarra Pietro 8-6-34, 31-1-36

KKaisermann 9-4-35Kanopa Rudolf 23-9-34Karantinos Patroclos 25-6-36Karny Alfons 27-7-34Kassian 21-6-35Kàssmann Carl 23-9-34Khalon Samo 27-7-34König 11-6-36Koos 27-7-34Korompay 30-7-36Kotrva Karel 27-7-34Kramreither Robert 27-7-34

410

Page 411: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Kreuzer (Cruzer) Ettore 17-7-35Kubrach Josef 11-6-36Kurt Peiser 27-7-34

LLa Bruna Pietro 21-6-36, 19-12-36La Cavera 24-1-36La Farina Giuseppe 21-6-36La Parola Pietro 8-6-34La Spina 22-5-35La Valle Antonio 4-1-36La Villa 8-6-34La Volpe Alessandro 29-10-36Labò Mario 21-7-36Landi Gaspare 7-4-34Landowski 11-6-36Landolina Francesco Saverio 14-5-36Lanza Branciforte Giuseppe 25-12-34Lanza Pietro 25-12-34Lapuczana da Piazza 17-7-35Larsen Oskar 23-9-34Latour 23-8-36Lattanzio 7-4-34Lauda Jan 27-7-34Laudicina Giuseppe 21-9-35Laudicina Michele 14-11-36 Laurana Francesco 1-8-35, 12-10-35,

4-1-36, 13-3-37, 2-6-37Laurencin Marie 11-6-36Laurenziani 27-7-34Laureti Tommaso 29-1-37Lavagnino Emilio 19-12-36Lazzari Bice 30-6-34Lazzaro 27-5-34, 12-5-35, 22-5-36Lazzaro M. 7-3-35, 29-4-36, 4-6-36Le Bob Charles 11-6-36Le Corbousier, Charles-Edourad Jean-

neret detto il, 25-6-36, 21-7-36

Lecconi Mote 4-6-36Lentini 8-5-35Lentini Riccardo 9-4-37Lentini Rocco 19-12-36Leoffler Bertold 23-9-34Leonardo da Vinci 8-6-34, 7-11-34, 1-

12-34, 22-2-35, 28-2-35, 20-4-35,28-4-35, 8-7-36, 3-3-37, 19-11-37

Leone 30-8-34Leone X 28-4-35Leonforte 28-12-35Leoni Leone 29-1-37Leopardi Giacomo 20-11-34Lenzi Luigi 21-7-36Lepanto 14-11-36Leto 29-10-36Leto Antonino 10-1-36, 4-11-36, 18-

6-37Leto Francesco 18-6-37Levanzo, isola 14-11-36Levia Alice 30-6-34Levizzari 9-4-35Li Destri 12-8-37Li Muli 27-5-34Li Pira, reverendo 17-7-35Li Varchi (Lo Varchi) Giacomo 17-7-

35, 31-8-35Liardo Filippo 28-12-35Libermann Alexander 23-8-36Liberti 28-12-35Libertini 19-1-37Licari da Taormina 12-5-35Licata 19-7-34Liegi 27-7-34Ligozzi Jacopo 13-3-36Limoges 3-3-34, 30-8-34Limona Rafael 11-6-36Limoncelli Mattia 3-8-34

411

Page 412: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Liotta Pasquale 19-1-37Lipsia 23-9-34Lis Giovanni 13-3-36Lisbona 31-1-36Lo Castro Matteo 19-7-34Lo Coco 17-5-35Lo Faso 25-12-34Lo Forte 4-12-37Lo Forte B. 12-1-35Lo Forte Salvatore 7-4-34, 12-1-35, 28-

12-35, 10-1-36, 13-3-36, 4-12-36Lo Iacono 29-10-36, 23-12-36, 2-5-37Lo Jacono Francesco 18-6-37Lo Jacono Luigi 12-1-35, 10-1-36, 13-

3-36, 18-6-37Lojacono Rosa 27-5-34, 8-6-34, 17-5-

35, 1-9-36Lo Monaco Francesco 10-2-37Lo Monaco Sgadari 21-6-36 Lo Verde Giacomo 25-12-34, 21-6-36,

19-12-36Lodi 14-6-36Lodigiani Alberto 15-2-35Logelain Hery 11-6-36Lombardo Antonio e Tullio 1-12-34 Lombardo Piera 27-5-34Londra 27-4-34, 8-6-34, 29-9-34, 20-

11-34, 14-3-35, 12-10-35, 28-12-35, 14-6-36, 21-6-36, 4-11-36, 12-8-37, 24-11-37

Lorenzetti Ambrogio 17-5-34, 18-5-34, 7-11-34, 13-11-34, 26-2-36, 2-10-36

Lorenzo di Credi 8-7-36Lorenzo il Magnifico 28-10-34Losler Bertold 23-9-34Lotto Lorenzo 6-7-35Luca di Leida 27-7-34

Lucarda Antonio 4-6-36Lucca 24-3-37, 24-11-37 Lucchetti Sachi 29-4-36Luciano 14-3-35Ludovico il Moro 8-8-35Lugaro Ernesto 7-2-36Luigi di Battista 1-8-35Luigi di Toledo 26-3-36Luigi XV 8-6-34Luigi XVI 8-6-34Luna 2-6-37Lydis Mariette 23-8-36

MMacedonia 23-9-34Madame de Pompadour 25-7-35, 31-1-36Madeline Louis 25-6-36Maderno Carlo 19-10-35Madonie 27-6-35, 17-7-35, 25-7-35, 8-

8-35, 31-8-35, 12-10-35, 2-4-36,14-11-36, 23-7-37, 10-8-37, 12-8-37

Madrid 7-11-34, 31-1-36Mafai 6-2-35,15-2-35Maggi Luigi 8-6-34Maggiore G. 4-12-36Magnasco Alessandro 3-8-34Magni Perin 27-7-34Maillon Aristide 27-7-34, 6-6-35, 23-

8-36Maitani Lorenzo 25-6-36Maldarelli Federico 27-4-34Malerba 8-5-35, 14-5-36Mallarmé 23-8-36Mallet-Stevens 25-6-36Malta 15-2-35, 21-6-36 Maltese Enrico 19-1-37Mamertino 27-4-34,

412

Page 413: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Mamoiada 16-6-35Mancini 19-1-37Mancini Antonio 29-10-36Mancini Giuliano 25-12-34, 1-8-35,

12-10-35, 4-1-36, 2-6-37Manet Edouard 27-7-34Manfrè 22-5-35Mangerua Andrea 4-12-36Manin 2-10-36Manin Emilia 2-10-36Manin Giorgio 2-10-36Manno Antonio 4-1-34, 14-6-36, 21-

6-36, 28-4-37Manno Candido 4-1-36Manno Francesco 7-4-34, 21-6-36Manno Vincenzo 21-6-36Manno 29-1-37, 2-6-37Mansini Benedetto 29-1-37Mantegna Andrea 27- 4- 34, 29-9-34,

7-11-34, 1-12-34, 20-3-35Mantova 20-4-34, 28-10-34, 28-4-35Manuzio Aldo 1-12-34, 23-8-36Manziù 4-6-36Manzo Domenico 17-7-35, 24-1-36Manzutti 13-3-36Marabitti Ignazio 21-6-36Maraini Antonio 13-5-34, 27-7-34, 18-

5-34, 30-8-34, 22-2-35, 4-6-36, 11-6-36

Marangoni 2-5-37Marcantonio Michiel 1-12-34Marchig Giannino 13-5-34, 15-2-35,

31-5-36Marco Aurelio 27-4-34Marcu Duilio 25-6-36Marescalchi Bernardi 18-5-34Marettimo 14-11-36Màrffy Edmondo 27-7-34

Margotti Anacleto 13-5-34Maria d’Ungheria 28-4-35Mariani Camillo 29-1-37Marinetti Filippo Tommaso 13-5-34,

20-3-35, 30-7-36, 1-4-37Marini 2-4-36Marini Maria Luisa 21-9-35Marini Marino 30-6-34, 18-5-34, 22-

2-35, 4-6-36Marinuzi Olga 23-8-36Marowski Tadeus 11-6-36 Marozzi Dante 18-5-34Marsala 23-6-34, 19-12-36, 15-10-37Marsich Pietro 2-10-36Martelli 2-5-37Martinez Gaetano 18-5-34Martini Arturo 22-2-35, 4-6-36Martini Quinto 4-6-36Martini Simone 28-10-34, 26-2-36,

28-4-37Martini Vitaliano 18-5-34Martino 1-10-37Martinuzzi Napoleone 18-5-34, 22-2-35Martorana Gioacchino 31-1-36, 19-

12-36, 25-12-37Martorana Pietro 17-5-35Marvuglia Venanzio 7-4-34Marziale 26-2-36Masaccio 21-2-34, 28-10-34, 20-3-35,

31-1-36, 21-7-36Mascarella 19-2-37Mascherini 18-5-34Masolino da Panicale 21-2-34Massena 10-2-37Massenzio 28-10-34Masso Apollonio 29-1-37Matera Giovanni 21-9-35Matera 25-12-37

413

Page 414: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Matinez Alejo 25-6-36Matisse Henri 23-8-36Matranga 24-1-36Maurizio di Sassonia 28-4-35Mazzara del Vallo 19-7-34, 16-6-35, 8-

8-35, 19-12-36, 15-10-37Mazzarino 13-3-36, 4-12-36Mazzoni 25-6-36, 9-4-37Mazzulla Peppino 7-3-35Mazzullo 29-4-36Medgyessy Francesco (Franz) 27-7-34Medici 29-9-34Medici Giuliano 9-1-35Medici Ippolito 28-4-35Meli Giuseppe 4-12-36Melilli 8-5-35, 14-5-36Melli Roberto 15-2-35Menandro 14-6-36Mengs Raffaello (Raphael) 10-2-37Menin 30-7-36Mercante 18-5-34Mercurio Gaetano 8-12-34Messina 7-4-34, 8-6-34, 23-6-34, 16-6-

35, 21-6-35, 22-8-35, 31-1-36, 26-3-36, 25-6-36, 4-11-36, 19-11-37

Messina Francesco 18-5-34, 22-2-35,7-3-35, 10-1-36, 4-6-36

Mészàros Ladislao 27-7-34Meztènes Filippo 20-12-35Miceli Giuseppe 1-9-36Michalek 27-7-34Michelangelo 21-2-34, 7-4-34, 27-7-

34, 23-9-34, 29-9-34, 7-11-34, 1-12-34, 8-12-34, 28-3-35, 28-4-35,27-6-35, 26-3-36, 14-6-36, 25-6-36, 8-7-36

Micheli Pietro 30-6-34Michelucci 21-7-36

Michellon Gorge 3-8-34Michetti 19-1-37Migliaro 21-10-34Milano 21-2-34, 13-5-34, 8-6-34, 15-

2-35, 7-2-36, 2-4-36, 14-6-36, 25-6-36, 21-7-36,13-8-36, 1-9-36, 4-12-36, 19-12-36, 9-1-37, 10-2-37,9-4-37

Milazzo Manuela 8-6-34Militello 19-1-37Milizia Francesco 7-4-34, 31-1-36Minardi Tommaso 7-4-34Mineo 13-3-36Mineo Nicolò 21-9-35Minuccio 21-7-36Minutella Lauria 19-1-37 Mirabella 19-12-36Mirada Filippo 1-9-36Mirone 27-7-34, 10-3-37Mistretta 4-12-36Modena 20-4-35Modica 23-6-34, 19-1-37Molnar Farkas 25-6-36 Monaco 30-6-34, 21-9-35, 4-11-36, 25-

12-37Moncada Caterina 12-1-35Moncada Elvira 17-7-35Monelli 8-7-36Mongitore Antonio 9-5-35, 4-1-36Monreale 3-3-34, 30-8-34, 25-12-34,

12-5-35, 22-5-35, 10-1-36, 14-6-36, 25-6-36, 3-3-37, 28-4-37, 18-6-37, 24-11-37

Monreale 4-12-36, 15-10-37Montalbano Leonardo 19-7-34Montalcini Levi 21-7-36Montanari Dante 13-5-34, 15-2-35Montaperto Giovanni 8-8-35

414

Page 415: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Monte 10-2-37Monte San Giuliano 23-6-34, 24-11-37Montecassino 3-3-34, 30-8-34Montenegro 23-9-34Monti Cesare 15-2-35, 31-5-36Montoro 8-8-35Montorsoli Giovanni Antonio 26-3-36Monza 17-5-35, 14-6-36Morbiducci 18-5-34Morelli Domenico 21-10-34, 28-12-

35, 19-12-36, 19-1-37Moretti 30-6-34Morgant Pierponi 8-7-36Morosini Vincenzo 29-1-37Morozzi 9-5-35, 22-2-35Morozzi Ferdinando 9-5-35Mosca 15-2-35Moser 30-6-34Moses Levy 12-2-35Mouchine Vera 27-7-34Mucchi Gabriel 15-2-35Mulè 18-6-37Murano 30-6-34Murato Paolo 28-12-35Muratori 21-7-36Mussolini Benito 27-5-34, 20-11-34,

15-2-35, 24-1-36

NNapoli 19-1-34, 7-4-34, 3-8-34, 21-10-

34, 28-10-34, 7-11-34, 12-1-35, 14-3-35, 20-4-35, 6-7-35, 28-12-35,31-1-36, 13-3-36, 26-3-36, 21-6-36, 25-6-36, 21-7-36, 30-7-36, 23-8-36, 4-11-36, 4-12-36, 19-1-37,29-1-37, 9-4-37, 18-6-37, 23-7-37,25-12-37

Napoli Tommaso 23-6-34

Naro 14-5-36, 19-2-37, 13-3-37, 15-10-37, 24-11-37

Nauclia 25-6-36Navez Leon 11-6-36Nebrodi 2-4-36Nervi 21-7-36New York 29-9-34,10-3-37 Niccolò da Ponte, doge 29-1-37Niclansse François Paul 27-7-34Nicodemi, famiglia 19-12-36Nicola di Guardiagrele 14-6-36Nicoloso Giovanni 23-6-34Nicosia 14-6-36, 19-12-36Nievo Ippolito 22-2-35Nivelles 19-7-34Nizzola Giovanni 28-12-35, 4-12-36Nomellini 21-10-34Nono 19-12-34Noracum 7-2-36Nordio Umberto 30-6-34Norimberg 23-6-34Normandia 22-5-36Noto 23-6-34, 19-7-34, 12-1-35, 24-

11-37Novak 23-8-36Novelli Pietro 12-1-34, 13-5-34, 8-6-

34, 19-7-34, 8-12-34, 25-12-34, 17-5-35, 4-1-36, 13-3-36, 21-6-36, 19-12-36, 10-2-37, 28-4-37

Novellini 11-6-36Nowark 27-7-34

OObici Giuseppe 25-12-34Odetti 7-3-35Ofmann Josef 27-7-34Offmeister Adolf 27-7-34Ognibene Francesco 21-6-36

415

Page 416: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Ognina 22-5-35Oietti Ugo 3-8-34, 25-6-36, 29-10-36Olanda 27-7-34, 11-6-36Oliena 16-6-35Olimpia 9-4-37Oliveri Giuseppe 19-7-34Onirico, 14-5-36Oppo 13-5-34, 6-2-35, 6-7-35Oprandi 21-10-34Opsomer Isidoro (Isidore) 11-6-36Orazio 14-3-35Orazio Orazi 15-2-35Orgosolo 16-6-35Oriani Pippo 20-3-35, 30-7-36Oristano 16-6-35Orlando, famiglia 21-9-35Orovida 27-7-34Orrefors 30-6-34Orseolo 28-4-35Ortolani 29-10-36Ortolani Beatrice 22-5-35Ortolani Sergio 3-8-34Orvieto 22-5-36, 25-6-36, 4-12-37Ottoboni 31-1-36Oud 27-7-34Ovidio 14-5-36, 23-8-36, 14-11-36Oxford 6-7-35, 4-12-37

PPacco Giovanni Francesco 19-10-35Pace Biagio 14-3-35Pacini Renato 9-4-35Pacioli Luca 1-12-34Pagano 21-7-36Padova 27-4-34Paestum 3-8-34, 28-10-34Paglieri 29-4-36Paladino Filippo 8-12-34, 25-12-34

Palamara Lina 18-8-35Palazzotto 23-6-34Palizzi 19-12-36, 19-1-37Palizzi Filippo 7-4-34, 19-1-35, 29-10-36Palizzi Giuseppe 29-10-36Palizzi Nicola 29-10-36Palladio Andrea 23-6-34, 19-10-35Palma di Montechiaro 19-2-37, 13-3-37Panebianco 10-2-37Papandreu 27-7-34Pantaleone 30-8-34Paolo III Farnese 28-4-35Paolo IV 27-6-35Paolo De Paoli 30-6-34Paolucci Enrico 15-2-35Papi 18-5-34Papini Roberto 13-5-34Paradosso 30-6-34, 29-9-34Pardo 18-6-37Pardo Gennaro 19-12-36Paresce Renato 15-2-35Parigi 30-6-34, 3-8-34, 15-2-35, 7-3-

35, 22-5-35, 20-12-35, 28-12-35, 7-2-36, 13-3-36, 11-6-36, 14-6-36,25-6-36, 2-10-36, 29-10-36, 4-12-36, 18-6-37

Parini 22-5-36Parini Andrea 12-5-35, 27-5-34, 17-5-

35, 29-4-36, 29-4-36,Parini Piero 27-5-34Parma 13-5-34, 7-11-34, 20-4-35Parmigianino 7-11-34Pasqualino Noto Lia 7-3-35, 27-5-34,

17-5-35, 29-4-36Pasqualino 4-12-36Pasqua Rosa 15-2-35Passalacqua 21-9-35Patania Giuseppe 7-4-34, 12-1-35, 8-

416

Page 417: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

8-35, 28-12-35, 13-3-36, 21-6-36,4-12-36, 10-2-37, 25-12-37

Paternò 21-6-36Paulucci 31-5-36Pausania 14-3-35Pausar Sergio 11-6-36Pausch Friderich 11-6-36Pawel Dadles 27-7-34Pelleriti da Bagheria 12-5-35Pelleriti Vincenzo 22-5-35Pellico Silvio 2-10-36Peloritani 2-4-36Penagini Siro 15-2-35Penicaud 30-6-34Peralta Gaetano 24-1-36, 3-3-37Perez Francesco Paolo 4-12-36, 4-12-37Perez Francisco 27-7-34Pericle 28-10-34Perollo 2-6-37 Perotta 18-5-34, 27-5-34Perrazzi 31-5-36Perrotta Tino 29-4-36Perugino, Pietro Vannucci detto il, 8-7-36 Petralia Soprana 17-7-35, 23-7-37, 12-

8-37, 10-8-37, 4-12-37Petralia Sottana 8-12-34, 25-7-35, 1-8-

35, 8-8-35, 31-8-35, 12-10-35, 23-7-37, 10-8-37

Petrarca Francesco 28-10-34,Petri Elettra 9-1-35Peutz 25-6-36Piacentini 8-6-34, 22-5-35, 9-4-37Piacentini Marcello 21-7-36Piaggi Antonio 14-5-36Pianneli Vincenzo 22-5-35Piazza Giuseppe 22-5-35Piazzetta Giovanni Battista 13-5-34,

21-6-36

Pica Agnol Domenico 13-3-36, 25-6-36Pica 1-9-36Picasso Pablo 11-6-36, 23-8-36 Piccini Pirro 23-8-36Piccio 3-8-34Piccolini Giovanni 7-3-35Piccolo Peppina 27-5-32Picconati, architetto 21-10-34Piemonte 31-1-36Pier Paolo di Paolo Romano 1-8-35Pierino Del Vaga vedi Perin dal VagaPiero della Francesca 21-2-34, 20-3-35,

20-4-35, 21-7-36, 30-7-36Pietrogrado 20-11-34Pieve di Cadore 17-7-36Pigato Orazio 13-5-34, 31-5-36Pignato Guido 24-1-36Pinelli Bartolomeo 9-4-35Pinguisson 25-6-36Pino da San Martino 28-4-37Pinturicchio, Bernardino Betti detto il,

8-7-36Pio VII 9-4-35, 2-10-36Pio X 21-6-35Piombo 21-9-35Pippi Niccolò d’Arras 29-1-37Piquato Guido 18-8-35Pirandello 15-2-35, 31-5-36Pirandello Fausto 10-1-36, 31-5-36Pirandello Luigi 13-5-34, 6-2-35Pirrone Giarrizzo Maria 27-5-34Pirrotta 12-5-35, 8-8-35Pisa 30-8-34, 28-10-34, 16-6-35, 6-7-

35, 21-6-36, 25-6-36Pisanello Antonio 11-6-36Pistone Francesco 4-12-36Pittori Anita 30-6-34Planat de le Fey Federica Elisabetta 2-

417

Page 418: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

10-36Planiscig 19-12-34Plischke Ernest 25-6-36Podesti 12-1-35Podoski Zamouski 27-7-34Poggio Bracciolini 28-10-34,Poisson 11-6-36Polidoro Caldara da Caravaggio 29-9-

34, 21-6-36Polizzi 18-6-37Polizzi Generosa 17-7-35, 25-7-35, 1-8-

35, 8-8-35, 22-8-35, 31-8-35, 12-10-35, 13-3-37, 9-6-37, 23-7-37,19-11-37

Pollaiolo Antonio 8-6-34, 14-6-36Pollichino Francesco 22-8-35Pollina 25-12-37Pollini 1-9-36Polonia 27-7-34, 11-6-36Pomi Alessandro13-5-34Pomier 11-6-36Pompiano 19-12-36Ponte Rita 17-5-35Ponti 13-5-34 , 21-7-36Ponzi Domenico 22-2-35Porta Carmentalis 27-4-34Portici 29-10-36Porto Torres 16-6-35Portogallo 31-1-36Posillipo 19-1-37Post Nicola 11-6-36Pozzi 1-9-36Pozzo Ugo 20-3-35Pozzuoli 3-8-34Pipich Carl 23-9-34Prada Carlo 13-5-34Prampolini Enrico 13-5-34, 21-7-36,

13-8-36

Prassitele 2-7-34, 20-4-35Prestipino 2-5-37Prilla 9-5-35Prini Giovanni 22-2-35, 4-6-36Prinz 23-9-34Procetti Venanzio 18-5-34Proudhon 7-11-34Provenza 30-6-34Provenzano Domenico 19-2-37Ptiloo Antonio (Antonie) 27-7-34, 3-

8-34, 29-10-36Pucci di Gabras Silvio 15-2-35Puarello Anna Maria 9-5-35Pucci Silvio 15-2-35Pucci Virginia 29-1-37Pucci, architetto 1-9-36Puccio 18-8-35Pulitzer Gustavo 30-6-34Punto 29-10-36Puppo Ernesto 8-6-34Puzzo Ernesto 8-5-35

QQuarena 7-4-34Quinziano 26-2-36Quirini Elisabetta 28-4-35

RRachaner Wichelm 23-9-34Rada Vlastimil 27-7-34Radoe 10-2-37Raffaello Sanzio 7-11-34, 13-11-34, 1-

12-34, 20-3-35, 20-4-35, 28-4-35,14-6-36, 8-7-36, 19-12-36

Raimondi Marcantonio 9-4-35Rainaldi Carlo 31-1-36Ramo Francesca di Catania 12-5-35Randazzo 15-10-37

418

Page 419: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Randazzo Filippo 21-6-36Rangone Tommaso 29-1-37Rapisardi 18-8-35, 21-7-36, 19-1-37Rava Beppe 30-6-34, 23-8-36Ravallo 14-6-36Ravasco Alfredo 23-8-36, 14-11-36Ravasi Guido 30-6-34Ravenna 30-8-34Reina Calcedonio 4-11-36, 19-1-37Rembrant 27-7-34, 25-12-34, 11-6-36Renè Depauw 27-7-34Renna Giuseppe 21-6-36Restivo 12-1-35,4-11-36,4-12-36,18-6-37Riccardo Cuor di leone 26-2-36Ricci Corrado 23-6-34, 6-7-35Riccio 1-12-34Ricciardi Riccardo 14-3-35Ridolfo del Ghirlandaio 8-7-36Rigetti Angelo 18-5-34Rigotti, architetto 7-2-36Rimanocz Cyla 25-6-36Rimi 2-4-36Rimmaudo 12-5-35Rioda Andrea 30-6-34Riolo 28-12-35, 25-12-37Riolo Tommaso 18-6-37Riolo Vincenzo 12-1-35, 21-6-36, 4-

12-36,18-6-37Riso 12-1-35Rivalta Carlo 18-5-34, 4-6-36Rivela (Ruvolo) Francesco 19-7-34Rizzato Filippo 1-10-37Rizzo 4-6-36Rizzo Antonio 1-12-34Rizzo Pippo 13-5-34, 7-3-35, 29-4-36,

31-5-36Roberto di Angiò 28-10-34Rocca Nicola 19-12-36, 29-1-37

Rocchi 14-6-36Rodier 30-6-34Rodin 29-1-37Roggiero di Melfi 30-8-34Roling 27-7-34Roma 7-4-34, 27-4-34, 8-6-34, 19-7-

34, 3-8-34, 28-10-34, 7-11-34, 8-12-34, 12-1-35, 6-2-35, 15-2-35,28-2-35, 7-3-35, 20-3-35, 22-3-35,9-4-35, 28-4-35, 12-5-35, 6-6-35,21-6-35, 6-7-35, 12-10-35, 19-10-35, 31-1-36, 26-2-36, 31-5-36, 11-6-36, 8-7-36, 21-7-36, 13-8-36, 4-11-36, 19-12-36, 19-1-37, 29-1-37,24-3-37, 9-4-37, 18-6-37, 23-7-37,24-11-37

Romabaux 27-7-34Romagnoli 18-5-34, 15-2-35, 11-6-36Romagnoli Giovanni 22-2-35Romanelli Romano 18-5-34, 6-2-35,

22-2-35Romania 23-9-34, 25-6-36Romano Elio 7-3-35Romano Giulio 8-7-36, 30-7-36Romano Leonardo da Messina 12-5-35Romanus Ugo 3-3-34Rondani Francesco 7-11-34, 20-4-35Rosa Salvator 3-8-34, 23-9-34, 27-6-

35, 30-7-36, 29-10-36Rosai Ottone 13-5-34, 9-5-35, 28-9-35Rosi Mino 15-2-35Rosone Giovanni 12-5-35, 24-1-36,

29-4-36, 22-5-36, 3-3-37Rospigliosi 29-9-34Rossano Federico 29-10-36Rosselli 9-1-35Rossi Mariano 2-6-37Rossi Tommaso 2-6-37

419

Page 420: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Rosso Giuseppe 21-7-36Rosso Nino 20-3-35, 30-7-36, 13-8-36Rotivall 25-6-36Rotschild 14-6-36Rottler Pauli 11-6-36Rubelli 30-6-34Rudiny 13-3-36Ruggieri Quirino 22-2-35Ruisdael Salamon van 27-7-34Ruisi Domenico 19-2-37Ruisi Emanuele 19-2-37Rumbolo Maria 22-5-35Rushbury Henry 27-7-34Russeau (Rousseau) 27-7-34, 3-8-34Russia 23-9-34, 7-11-34, 13-11-34, 27-

7-34, 21-6-35Rutelli Mario 7-4-34, 20-11-34

SSabaudia 21-7-36Sacchetti Enrico 7-2-36Sacchi Bartolo 4-6-36Sacco Francesco 4-12-36Saffo 14-5-36Sagata Maria 23-8-36Sagredo 19-12-34Saladino 20-3-35Salagnac 25-6-36Salaparuta 13-3-36, 4-11-36Salaroli Francesca 8-6-34, 22-5-35, 1-

9-36Saldo Giovanni 1-10-37Salerno 30-8-34Salerno Giuseppe detto lo Zoppo di

Gangi 7-4-34, 8-12-34, 17-5-35,27-6-35, 17-7-35, 25-7-35, 31-8-35, 12-10-35,

Salietti 31-5-36

Salinas Antonio 8-8-35, 19-11-37Salviati Francesco 29-9-34, 23-8-36Samonà 13-3-36San Gimignano 24-3-37San Gregorio Magno 14-5-36San Martino delle Scale 15-10-37San Mauro Castelverde 8-8-35, 31-8-35,

12-10-35, 9-6-37, 23-7-37San Michele al Gargano 30-8-34San Pietro al Tanaro 19-1-35San Stae 2-10-36Sandron Remo 7-2-36Sangavino 16-6-35Sangiorgi Giorgio 8-6-34, 1-12-34Sansovino Jacopo 1-12-34, 26-3-36,

31-5-36, 11-6-36Santa Maria di Tergu 16-6-35Santa Teresa di Gallura 16-6-35Santacolomba 1-10-37Santagata 15-2-35 Santo Stefano di Camastra 22-5-35, 1-9-36Sanz Gargia 28-4-35Sardegna 16-6-35, 14-6-36Sarfatti Americo 4-6-36Sarocchi Milanese 29-9-34Sartorio 7-4-34Sasso Antonio 10-2-37Saverio 19-2-37Scaglione Giuseppe 21-6-36, 4-12-36Scalia Giovanni Fazio 17-5-35Scamozzi Vincenzo 23-6-34Scandurra Nino 29-4-36Scattareggia 27-5-34Schamponiet 9-4-35Scheibe Richard 11-6-36Schiemietz 27-5-34, 17-5-35Schiliro 29-4-36Schimdt 25-6-36

420

Page 421: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Sciacca 22-5-35, 19-12-36, 2-6-37, 15-10-37, 19-11-37

Sciacca Tommaso 19-12-36Scibezzi 13-5-34Scicli 25-12-37Scimonelli Ignazio 10-2-37Scirotta Antonio 25-12-34Sciuti Giuseppe 17-5-35, 10-1-36Scognamiglio 23-8-36Scuderi Alfio 22-5-35Sedlacek Vojteckh 27-7-34, 11-6-36Seffer 8-6-34Segala Francesco 29-1-37Segantini 7-4-34, 3-8-34Segesta 25-6-36, 18-6-37, 15-10-37Seguso 30-6-34, 23-8-36,Selinunte 22-2-35, 24-4-36, 9-4-37, 15-

10-37Serbia 23-9-34Serenario Gaspare 21-6-36Seroux D’Angicourt 30-8-34 Serpotta 7-11-34, 20-11-34Serpotta Giacomo 8-6-34, 4-1-36, 22-

5-36Settala Giorgio 15-2-35Sever Verterh 18-5-34Severini Gino 15-2-35, 23-8-36Sforza 29-9-34Sgarbi Antonio 22-5-35Sgarlata Filippo 18-5-34, 7-3-35, 12-5-

35, 17-5-35, 29-4-36, 22-5-36, 4-6-36Siam 7-2-36Sicilia passimSiena 27-5-34, 8-6-34, 28-10-34, 27-6-

35, 26-2-36, 13-8-36Signorelli Luca 4-12-37Signorelli Napoli Pietro 10-2-37Signorini Telemaco 7-4-34, 28-12-35

Simone da Corleone 8-5-35Sinatra 18-6-37Sind 24-3-37Siracusa 8-6-34, 6-6-35, 13-3-36, 24-4-

36, 29-4-36, 8-5-35, 21-6-36, 9-1-37, 15-10-37

Sirennè Osvald 28-2-35Sironi Mario 15-2-35, 13-8-36Sluter Klaus 27-7-34Smargiassi Gabriele 29-10-36Smithe 29-4-36Socrate Carlo 15-2-35Soffici Ardengo 13-5-34Sofocle 24-4-36, 8-5-35Sogliari 8-7-36Solimena Francesco 6-7-35, 21-6-36Solis Virgilio 29-9-34Somarè 3-8-34Sorolla Ioaquin 27-7-34Sorrentino Francesco 23-8-36, 19-12-36Sorrento 3-8-34Sortino 8-5-35Sottile Andrea 28-12-35, 18-6-37Sozzi Agatino 21-6-36Sozzi Francesco 21-6-36Sozzi Olivio 6-7-35, 4-1-36, 21-6-36,

10-2-37Spadini Andrea 22-2-35Spagna 16-6-35, 30-6-34, 28-9-35, 31-

1-36, 11-6-36, 25-6-36, 24-11-37Spanò Maria 8-6-34Spanò Salvatore 22-5-35Spatrisano 22-5-35, 24-1-36Spazzapan Luigi 15-2-35, 31-5-36Spedalieri Nicola 10-2-37 Spinola 8-7-36Spoleto 14-6-36Squarcione 27-4-34

421

Page 422: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Ssok Stefano 27-7-34Staronossof 27-7-34Stati Uniti 27-7-34Staurachios 30-8-34Stefferi Bartolomeo 11-6-36Stomer Mattia 25-11-34Sturt Cecilia 11-6-36Superga 7-4-34Surdi Luigi 21-10-34Sutera 19-7-34, 12-5-35, 15-10-37Svetonio 27-4-34Svizzera 27-7-34, 11-6-36, 25-6-36Szönyi Stefano 27-7-34

TTafanari Silvio 18-5-34, 4-6-36Tafari 20-12-35Tallone Filippo 22-2-35Tamagna Mario 7-2-36Tamburi 15-2-35Tang 28-2-35Tantillo Bartolomeo 22-8-35Taormina 22-5-35, 25-6-36, 29-10-36,

18-6-37, 19-11-37Tasca Pietro 3-3-34Tasca 12-1-35, 7-2-36Tato 13-5-34, 21-10-34, 20-3-35, 30-

7-36Temple Hans 23-9-34Templier Rajmond 30-6-34Tennoso Pasquale 30-6-34Teocrito 14-5-36Termini Imerese 25-12-34, 6-6-35, 31-

8-35, 28-12-35, 4-6-36, 18-6-37,19-11-37

Terragni Giuseppe 21-7-36Terrazzi Ferruccio 13-5-34Terranova Gabriele 19-2-37, 13-3-37,

Tessoria 30-6-34Thayaht Ernesto 30-7-36Thomopulos Epaminonda 27-7-34Tiepolo Gian Domenico 13-5-34, 3-8-

34, 19-12-34, 20-3-35, 20-4-35, 6-7-35, 31-1-36, 11-6-36

Tinti Marco 9-5-35Tintoretto, Robusti Iacopo detto il, 18-

5-34, 28-4-35, 29-1-37Tipa Andrea 21-9-35Tirolo 23-9-34Tito 11-6-36Tiziano Vecellio 13-5-34, 3-8-34, 7-

11-34, 21-10-34, 20-4-35, 28-4-35,6-7-35, 29-4-36, 11-6-36, 17-7-36,29-1-37

Todaro 24-1-36Toesca Pietro 3-3-34Tofanari Sirio 22-2-35Toma 4-11-36, 19-1-37Tomaselli Antonino 1-9-36Tomba Cleto 22-2-35Torcello 7-3-35Torino 7-4-34, 15-2-35, 6-7-35, 31-1-

36, 7-2-36, 19-1-37Torre del Greco 14-11-36Torresino Attilio 22-2-35Tortorici 27-5-34, 24-1-36Toscana 18-5-34, 15-2-35, 9-5-35, 24-

3-37, 24-11-37 Tosi Arturo 13-5-34, 23-8-36Toso Frero 30-6-34Tournal 19-7-34Tozzi Mario 6-2-35, 15-2-35Trabalesi 19-12-36Tradeletto Antonio 27-5-34Tramprolini Enrico 20-3-35Trani 30-8-34

422

Page 423: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Trapani 8-6-34, 23-6-34, 19-7-34, 8-5-35, 21-9-35, 31-1-36, 22-5-35, 21-6-36, 14-11-36, 19-12-36, 10-2-37, 9-4-37, 15-10-37, 19-11-37, 25-12-37

Trentacoste Domenico 7-4-34, 20-11-34Tresca 10-2-37Tresca Pasquale 4-12-36Tresca Salvatore 4-12-36Treves 9-4-35, 16-6-35, 7-2-36Trieste 13-3-36Trifogli 31-5-36Trifoglio Luigi 15-2-35Trigona Romualdo 12-1-35Tripi Giuseppe 28-12-35, 10-1-36, 18-

6-37Tripoli 21-10-34Troia 30-8-34Troina 13-3-37Trombadori Francesco 13-5-34, 7-3-

35, 10-1-36, 31-5-36Tropia 8-5-35Trovarelli Goffredo 31-5-36Turchia 23-9-34Turkestan 21-10-34Turner 29-10-36Turriti 12-1-35Tygate 11-6-36Tzù-Wen 28-2-35

UUccello Paolo 20-3-35, 30-7-36 Ugo Antonio 7- 4- 34, 20-11-34Ugolino Da Vieri 30-6-34Umbria 14-6-36Ungheria 30-6-34, 11-6-36, 25-6-36Urbano V 26-2-36Urbino 28-4-35Usseglio 7-2-36

Ussi Stefano 21-10-34, 19-1-37Utech Joachim 11-6-36

VVaccarini Giovan Battista 23-6-34, 19-

10-35, 31-1-36Vaccaro Francesco 13-3-36 Vaccaro Giuseppe 21-7-36Vaccaro Mario 21-6-36Vagaggini Memo 13-5-34Vagnetti Gianni 15-2-35, 31-5-36Vaicher Pietro 10-2-37Valentino Umberto 9-1-35Valla Giorgio 1-12-34Valle 21-7-36Valere 1-4-37Valguarnera Giuseppina 1-10-37Valmarena Pia 8-6-34, 30-6-34Van Den Eckhoundt Jan 27-7-34Van Der Hem 27-7-34Van Dyck Antonio 25-12-34Van Leidas Luca 11-6-36Vannetti Angelo 21-10-34Vanvitelli Luigi 23-6-34Varloo 6-7-35Varo Lucio 22-2-35Varrica Enzo 18-8-35Varvaro 27-5-34, 29-4-36Vasari Giorgio 1-12-34, 26-3-36Vasta Pietro 17-5-35, 6-7-35, 29-4-36Velasques Giuseppe 7-4-34, 17-5-35,

13-3-36, 21-6-36, 25-12-37Vella Amedeo 19-2-37Venezia 19-1-34, 7-4-34, 13-5-34, 18-

5-34, 27-5-34, 8-6-34, 30-6-34, 27-7-34, 3-8-34, 28-10-34, 1-12-34,19-12-34, 15-2-35, 7-3-35, 28-4-35, 12-5-35, 6-6-35, 21-6-35, 31-5-

423

Page 424: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

36, 4-6-36, 11-6-36, 14-6-36, 30-7-36, 23-8-36, 2-10-36, 29-1-37, 24-3-37, 18-6-37

Veniero Sebastiano 29-1-37 Ventimiglia Antonino 22-8-35Ventimiglia Simone, marchese 22-8-35Venturi Adolfo 1-12-34, 3-3-34, 26-3-

36, 29-1-37Verbanck 11-6-36Verburgh 27-7-34Verga Giovanni 19-1-37Vergara 12-1-35Verni Arturo 10-1-36Verona 9-1-37Veronese Paolo 20-4-35, 11-6-36, 29-

1-37Verrocchio Andrea 18-5-34, 14-6-36Verwloet Francesco 18-6-37Viannelli Achille 18-6-37Vicari 27-5-34Vicentino Valerio 30-6-34, 23-8-36Vienna 8-6-34, 30-6-34, 23-9-34, 29-

9-34, 20-11-34, 1-12-34, 15-2-35,9-4-35, 21-9-35, 12-10-35, 14-6-36, 21-6-36, 2-6-37, 15-10-37, 24-11-37

Vietti 13-3-36Viladense Antonio11-6-36Villani Antonino 7-3-35Villareale Valerio 4-12-36Villarosa 4-12-36Villoni Umberto 13-5-34Vincenzo Da Pavia 13-5-34, 8-12-34Vincenzo Notarbartolo 1-8-35Virgilio 28-10-34, 7-2-36, 14-11-36Visalli Raffaele 17-7-35Vitalano Giacomo 4-1-36Vitale Pietro 19-10-35

Vitruvio 19-10-35Vittoria Alessandro 29-1-37Vittorio Amedeo II 31-1-36Viviano Giancola 19-7-34Vodkine Petrov 27-7-34Voermann Jean 11-6-36Volpe Guglielmo 29-4-36Volpes 4-12-36Volpi 11-6-36Volterra 26-3-36Vottero E. 20-3-35

WWallace 22-8-35 Wansart Adolphe 11-6-36Washington Giorgio 18-5-34Wickenburg Alfredo 11-6-36 Wildt Francesco 18-5-34, 10-1-36 Wildt Tiberio 11-6-36Winkelmann Johan Joachin 7-4-34,

10-2-37Withe Ethelbert 27-7-34Witting 27-7-34Wlerick Robert 27-7-34

XXimenes Ettore 20-11-34

YYung-Ang 28-2-35

ZZaffai Mario 13-5-34Zais Francesco 19-12-34Zappetta Francesco 4-1-36Zazvorka Ian 25-6-36Zecchini Vittorio 30-6-34Zennaro Mario 23-8-36

424

Page 425: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

425

Zerritsch 11-6-36Zichichi 19-12-36Ziino 8-6-34, 24-1-36Zirretta 6-6-35Ziviero 15-2-35Zizzoli 13-8-36

Zoppo di Gangi vedi Giuseppe Salernoe Gaspare Bazzano o Vazzano

Zorzi 1-12-34Zuccarelli Francesco 19-12-34Zulow 11-6-36Zurigo 13-5-34

Page 426: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione
Page 427: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

427

Indice

005 Maria Accascina e l’Associazione degli Orafi e Argentieridi PalermoSilvano Barraja

009 Dalle pagine del Giornale di Sicilia:l’osservatorio culturale di Maria AccascinaMaria Concetta Di Natale

Gli articoli035 1934117 1935227 1936331 1937

389 Indice degli articoli

397 Indice dei nomi e dei luoghiSalvatore Anselmo - Rosalia Francesca Margiotta

Page 428: e il giornale di sicilia - unipa.itliana in generale e siciliana nello specifico,possono rilevarsi di vitale importanza per ribaltare la situazione, anche attraverso l’attenzione

Finito di stampare nel mese di giugno 2006

dalle Officine Tipografiche Aiello & Provenzano, Bagheria (Palermo)