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Roberto Crippa Mozzo, 27/2/2008-7/3/2008 E' FACILE CAPIRE L'ECONOMIA 1. Che cos'è l'economia L'economia è l'attività umana volta al soddisfacimento dei bisogni umani attraverso l'uso di risorse. L'economia è il mezzo attraverso il quale l'uomo realizza il proprio benessere materiale. L'uomo ha da sempre prodotto tutto ciò che gli necessitava per la propria sopravvivenza, all'inizio provvedendo da sé e poi attraverso lo scambio, acquistando beni o prestazioni di lavoro offerte da altri. Con lo sviluppo del commercio si passa dal semplice baratto allo scambio di beni e lavoro dietro il pagamento di un corrispettivo: il denaro. Questo, inizialmente rappresentato da una merce di valore intrinseco elevato (l'oro o l'argento), facilmente trasportabile, e il cui valore era riconosciuto uniformemente in tutti i mercati dell'antichità, col tempo assunse valore convenzionale, fissato dalle autorità monetarie (le banche centrali, o istituti di emissione che fanno capo ai rispettivi governi nazionali), e svincolato dal suo valore intrinseco. Per un certo periodo di tempo le monete furono però ancora direttamente convertibili in oro. Con il sorgere dei primi scambi entra in scena la prima regola fondamentale dell'economia: la legge della domanda e dell'offerta. Più raro è il bene offerto, minore è il numero degli offerenti e maggiore il numero dei compratori, più alto sarà il prezzo che questi ultimi saranno disposti a pagare per ottenerlo. Con il denaro nasce anche il credito: chi presta chiede un corrispettivo, anch'esso in denaro (una specie di canone d'affitto), che viene chiamato interesse. La proporzione, cioè il rapporto tra l'interesse e il 1

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Roberto Crippa

Mozzo, 27/2/2008-7/3/2008

E' FACILE CAPIRE L'ECONOMIA

1. Che cos'è l'economiaL'economia è l'attività umana volta al soddisfacimento dei bisogni umani attraverso l'uso di risorse. L'economia è il mezzo attraverso il quale l'uomo realizza il proprio benessere materiale. L'uomo ha da sempre prodotto tutto ciò che gli necessitava per la propria sopravvivenza, all'inizio provvedendo da sé e poi attraverso lo scambio, acquistando beni o prestazioni di lavoro offerte da altri.

Con lo sviluppo del commercio si passa dal semplice baratto allo scambio di beni e lavoro dietro il pagamento di un corrispettivo: il denaro. Questo, inizialmente rappresentato da una merce di valore intrinseco elevato (l'oro o l'argento), facilmente trasportabile, e il cui valore era riconosciuto uniformemente in tutti i mercati dell'antichità, col tempo assunse valore convenzionale, fissato dalle autorità monetarie (le banche centrali, o istituti di emissione che fanno capo ai rispettivi governi nazionali), e svincolato dal suo valore intrinseco. Per un certo periodo di tempo le monete furono però ancora direttamente convertibili in oro.

Con il sorgere dei primi scambi entra in scena la prima regola fondamentale dell'economia: la legge della domanda e dell'offerta. Più raro è il bene offerto, minore è il numero degli offerenti e maggiore il numero dei compratori, più alto sarà il prezzo che questi ultimi saranno disposti a pagare per ottenerlo.

Con il denaro nasce anche il credito: chi presta chiede un corrispettivo, anch'esso in denaro (una specie di canone d'affitto), che viene chiamato interesse. La proporzione, cioè il rapporto tra l'interesse e il

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capitale dato a prestito, per un dato periodo di tempo, è il tasso di interesse.Con la stessa parola Economia (per convenzione la individuiamo con la “E” maiuscola) chiameremo invece la Scienza che si occupa dei fenomeni economici. L'economia è infatti un sistema complesso, dove non sempre l'uomo conosce a priori le conseguenze delle proprie azioni. L'Economia ha il compito di analizzare i fatti e di individuare le regole del gioco, indicando le azioni più corrette volte a massimizzare il benessere sociale: l'Economia è la scienza delle scelte. I Governi tengono in certa misura conto di queste indicazioni attraverso l'emanazione di leggi che disciplinano i rapporti tra le parti (i contratti, le leggi antitrust) e le decisioni di politica fiscale e monetaria.

2. Le risorse sono limitateLe risorse utilizzate nell'attività economica sono immediatamente più o meno scarse: minore è la loro disponibilità immediata rispetto alla richiesta, maggiore sarà il prezzo che il richiedente sarà disposto a pagare per ottenerle. Le risorse possono essere materiali (le materie prime) o immateriali (il lavoro, le conoscenze professionali, le tecnologie). L'economia considera tutte le risorse come fattori produttivi, ai quali attribuisce un valore in funzione del loro impiego e in funzione della legge della domanda e dell'offerta. Questa però non è in grado di dare un valore alle risorse quando esse appaiono indefinitamente disponibili e attingibili dall'ambiente ad un costo inferiore a quello della loro rigenerazione. Lo sfruttamento indiscriminato delle risorse del pianeta, se non pone problemi nel breve periodo, li pone invece alle generazioni successive, poiché impoverisce la terra ad una velocità superiore a quella che le servirebbe naturalmente per rigenerarle.

La storia dell'uomo è costellata, fin dall'antichità, di disastri economici e sociali legati all'abuso delle risorse; molte civiltà del passato sono scomparse in conseguenza della loro scarsa lungimiranza.

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L'esempio della civiltà dell'Isola di Pasqua: lo sfruttamento intensivo del suolo, la crescita incontrollata della popolazione, la distruzione irreversibile della totalità delle foreste, l'inaridimento conseguente della terra, l'esaurimento del legname, ha determinato il tracollo del sistema. Le lotte per la disponibilità delle risorse tra le tribù che popolavano l'isola divennero sempre più aspre. Guerre, malattie, fame, ridussero la popolazione ai minimi termini e determinò la scomparsa di quella cultura. Questo esempio, sebbene inasprito dall'isolamento e dalla limitatezza dello scenario (un'isola di modesta superficie e priva di contatti con altre popolazioni), non è l'unico della storia dell'umanità, e mostra quello che un giorno potrebbe capitare all'intero pianeta.

L'economia tuttavia presenta anche un altro limite, di carattere culturale: considera l'uomo e la società come un fattore produttivo e perde di vista lo scopo che persegue: il benessere dell'uomo e della società in generale. Questo corto circuito finisce per potenziare indefinitamente l'economia stessa, attraverso la cultura che esalta acriticamente la Crescita Economica ad ogni costo.

Esistono beni, in realtà i beni più importanti per l'umanità, ai quali l'economia non è autonomamente in grado di dare un valore: l'ambiente in cui viviamo e il benessere collettivo, che non è solo materiale. Questo è l'obbiettivo che la società civile, e prima di tutto la politica, devono darsi: fissare le regole e farle rigorosamente rispettare, pena la distruzione del sistema.

3. La tecnologia: acceleratore dell'economiaE' stato grazie alla tecnologia che l'uomo, nel corso di secoli e millenni, ha saputo affrancarsi dalla lotta quotidiana contro la fame, la sete, il freddo e le malattie, fino a garantirsi il godimento di beni non essenziali, e a diffondere una certa agiatezza in fasce sempre più estese della popolazione.

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La tecnologia è l'insieme delle conoscenze applicate al lavoro e al suo prodotto. Dal punto di vista dell'economia essa può riguardare il modo di produrre un certo bene, l'organizzazione dell'impresa, le tecniche di vendita (il marketing), il prodotto finale.

L'insieme di queste conoscenze pone un limite alla quantità di beni offerti, dato un certo quantitativo di risorse. L'efficienza dei processi produttivi e distributivi consentono oggi di fornire molti più beni e ad un prezzo notevolmente inferiore che in passato. Si pensi agli effetti generati durante la Rivoluzione Industriale dall'introduzione delle macchine a vapore nei processi produttivi, della ferrovia, dell'energia elettrica e dei motori a scoppio.La produzione industriale è passata nel giro di alcune generazioni da piccole serie di oggetti relativamente semplici, ottenute in gran parte con metodi non meccanizzati, a grandi lotti di beni estremamente complessi (i computer) che utilizzano il principio del lavoro parcellizzato. Esso è caratterizzato dal frazionamento dell'intero processo produttivo in stazioni di lavoro, dove un piccolo gruppo di operai svolge una parte infinitesima dell'intero processo, eseguendo un limitato numero di operazioni, infinite volte, nel più breve tempo possibile. Si pensi, ad esempio, alla prima produzione in serie di automobili con il cosiddetto metodo Ford: la catena di montaggio. Questa innovazione mise a disposizione di masse di consumatori un prodotto, l'automobile, fino a pochi anni prima considerato un bene di lusso. Lo stesso processo fu utilizzato di lì a poco per la produzione in grandi serie di elettrodomestici. Anche in agricoltura la meccanizzazione prima, con l'introduzione del mietitrebbia, e la chimica poi, con i fertilizzanti, permise un incremento della produttività, che ebbe come conseguenza il fenomeno della migrazione di masse crescenti di lavoratori dai campi alle zone suburbane, dove si concentrava la nascente industria.

4. L'inflazione, febbre dell'economiaL'inflazione è il costo della vita. Ipotizziamo, ad esempio: che la mia famiglia abitualmente acquisti nel

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corso dell'anno un certo paniere di beni e servizi; che queste abitudini non varino nel corso dell'anno, e che esborsi per questo una somma complessiva pari a 10,000 euro. Supponiamo quindi che l'anno successivo questa famiglia desideri ancora lo stesso paniere, ma che per procurarselo debba ora sborsare 10.500 euro, diremo che il suo costo della vita (su base annua) è pari a 500 euro, e che conseguentemente, in termini relativi, avrà subito una inflazione del 5% (=500/10,000). In termini un po' più scientifici diremo che l'inflazione è il costo che garantisce al consumatore un livello costante di soddisfazione. Il benessere della collettività (intesa nell'accezione di insieme di consumatori) è fortemente condizionato da questo fattore.I governi e i sindacati hanno bisogno di conoscere costantemente il livello di inflazione, al fine di sapere se i salari dei lavoratori mantengono o meno il passo con la crescita dei prezzi.

Un effetto nascosto provocato dall'inflazione è dato dal Fiscal Drag (in italiano: drenaggio fiscale): la tassazione dei redditi è progressiva a scaglioni (più alto è il reddito, maggiore è la percentuale - l'aliquota, o parte di reddito – che si deve versare come imposta); supponiamo che i salari crescano nella stessa misura dell'inflazione del periodo precedente, il lavoratore percepirà un reddito più alto ma non sarà più ricco di prima; supponiamo poi che per accidente il suo maggior reddito confluisca in uno scaglione superiore, dove l'aliquota fiscale è più alta; di conseguenza il lavoratore pagherà una imposta superiore, ma in maniera più che proporzionale, vale a dire avrà rinunciato, a favore dello Stato, ad una parte del reddito che prima poteva disporre per sé. Questo effetto distorsivo è sentito maggiormente dalle fasce di reddito più basse, che hanno meno capacità di adeguare le proprie entrate al mutare dell'inflazione (normalmente i redditi da lavoro dipendente, i pensionati). Inoltre, i redditi più elevati percepiranno meno il progredire dell'inflazione, dal momento che la parte più consistente dei loro redditi è destinata al consumo voluttuario o al risparmio, mentre i redditi più bassi bastano a mala pena alle spese di sostentamento essenziali (alimentazione, salute, istruzione, affitti, mutui, bollette). Infatti, i redditi

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alti possono far fronte alla maggiore imposta e al maggiore costo della vita diminuendo però il risparmio. Questo sistema permette ai governi di aumentare la pressione fiscale in maniera non evidente, e contemporaneamente far crescere la spesa pubblica senza dar conto al contribuente.

La stagflazione invece è la combinazione di due eventi negativi: l'inflazione e la stagnazione (cioè l'assenza di crescita economica), che se dura per almeno sei mesi consecutivi viene definita recessione.

5. Il comportamento dell'impresaGli economisti ipotizzano che generalmente le imprese cerchino di massimizzare i propri profitti almeno nel lungo periodo, vale a dire che le aziende massimizzano gli obiettivi degli azionisti, cioè i detentori del capitale. Questo può valere generalmente nelle piccole e medie imprese dove l'imprenditore svolge il duplice ruolo di manager e proprietario della azienda.

Nelle grandi aziende a capitale diffuso (quelle quotate in borsa per intenderci), le quote azionarie sono molto frazionate. Nei sistemi capitalisti più avanzati, le aziende attingono il capitale necessario alla loro attività dai mercati finanziari (azioni e obbligazioni). In questi casi, in genere, non v'è coincidenza fra chi dirige l'impresa e chi detiene il capitale di controllo, e un'altra forza viene a contendere il potere degli azionisti: la tecnostruttura. Essa è costituita da alti dirigenti e tecnici che mirano alla propria sopravvivenza, e faranno di tutto per conservare il proprio posto di lavoro, estendere il proprio potere, e massimizzare il proprio stipendio, anche ai danni degli stessi azionisti, senza farsi troppo notare. E' per questo che da tempo le grandi aziende tendono a controllare meglio i propri manager, obbligandoli a detenere, più o meno volontariamente, una parte anche considerevole del capitale delle società che dirigono, così da far loro condividere gli interessi degli azionisti.

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6. Il comportamento dei consumatoriE' compito della scienza che si chiama marketing conoscere il comportamento del consumatore, influenzarlo, prevederne i desideri.

Ciascun consumatore determina, più o meno coscientemente, un paniere di beni, definito dai suoi bisogni, dal suo reddito e dai prezzi ai quali questi beni sono offerti sul mercato. Per certi beni il consumatore sarà molto sensibile al prezzo, per cui un aumento di questo determinerà una diminuzione della quantità domandata. Per altri beni, in genere i beni di lusso, il consumatore sarà meno sensibile ad una variazione del prezzo e tenderà a consumare la stessa quantità di beni, indipendentemente dal prezzo.

In un mercato di consumatori e investitori razionali (intelligenti), del marketing, della pubblicità, e della moda, non saprebbero cosa farsene: al massimo queste avrebbero un semplice ruolo informativo. E' solo quando le alternative di consumo sono quasi indifferenti, o i prodotti legano la loro appetibilità ad una immagine propria (emozionale, non reale), o di chi ne fa uso (lo “status symbol”, l'emulazione), che si innesca la corsa agli “armamenti” pubblicitari. Il valore del bene diviene prevalentemente emotivo, legato alla immagine evocata dalla pubblicità. Il prezzo del bene allora incorpora il costo dell'”emozione” che dovrebbe far provare a chi lo consuma o lo esibisce.

E' conseguenza diretta del comportamento dei consumatori l'impiego dei fattori produttivi e dei relativi prezzi. Se cresce l'acquisto di automobili, crescerà la domanda di acciaio da parte dell'industria automobilistica che spinge la crescita del prezzo di questo fattore produttivo a parità del quantitativo offerto. Tuttavia una crescita eccessiva del prezzo di un fattore spinge le imprese alla ricerca di altri fattori produttivi, buoni sostituti del primo, ma a più buon mercato. Se il gasolio e la benzina diventano troppo costosi posso acquistare un auto a GPL o a metano. Ma quando gran parte dei consumatori faranno la stessa

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scelta, per la legge della domanda e dell'offerta, anche il gas diventerà meno conveniente fino ad azzerarne il vantaggio.

7. La libera concorrenza: una ricetta sicuraIn un mercato dove: nessun produttore e nessun consumatore è abbastanza grande da influenzare con il proprio comportamento individuale il prezzo di un determinato prodotto; questo è sufficientemente omogeneo, cioè le caratteristiche non differiscono troppo dal prodotto offerto dai concorrenti; dove le risorse impiegate per la produzione sono liberamente disponibili per chiunque ne faccia richiesta; e dove ogni produttore e consumatore sono perfettamente informati di quello che accade sul mercato, per cui nessuno dispone di informazioni privilegiate; la competizione fra le imprese farà si che il prezzo del bene offerto sarà il più conveniente possibile, i profitti delle imprese saranno minimi, la soddisfazione del consumatore massima. E' questo il regime di concorrenza perfetta.Ogni qualvolta però anche una sola di queste condizioni viene meno, è in atto una distorsione: il prezzo cioè non è il più basso possibile; il consumatore paga al produttore (o al commerciante) un profitto ingiusto. E' il caso dell'oligopolio: sul mercato vi sono poche imprese legate da un rapporto di interdipendenza, di collusione. Esse concordano di non farsi concorrenza, di dividersi le quote di mercato, di fissare il prezzo, la quantità e le caratteristiche del bene da offrire, controllando anche il processo di innovazione, e di impedire l'ingresso nel mercato di nuovi competitori. L'oligopolio genera profitti ingiusti, rende il sistema meno efficiente e quindi più oneroso per la società nel suo complesso: l'oligopolio genera costi al benessere collettivo.

In Italia la collusione delle grandi imprese costituisce la regola del sistema. Inevitabilmente questo pesa fortemente sulla competitività del paese. Alcuni esempi: il settore dell'energia (luce, gas, carburanti); il settore bancario e assicurativo; il settore telefonico;

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il settore della trasformazione e distribuzione alimentare.

Anche il mercato del lavoro presenta dei difetti: il mercato del lavoro è opaco. I fattori distorsivi sono rappresentati dal sistema delle raccomandazioni clientelari, e dalle pressioni sindacali, le quali, tendono a tutelare eccessivamente certe categorie di lavoratori a scapito di altre. L'eccesso di garantismo infatti favorisce i lavoratori scorretti: gli assenteisti, i malati cronici, quelli con un secondo lavoro, i corrotti, a danno di quelli più laboriosi e corretti. D'altro canto il sistema delle raccomandazioni clientelari privilegia le conoscenze personali rispetto al merito e alla competenza. Questo è un problema particolarmente grave in quanto riguarda i manager delle grandi imprese italiane. Tutto questo rappresenta un costo al benessere collettivo e alla competitività del paese, in quanto ostacola la meritocrazia e l'efficienza.

8. L'economia del benessere: costi privati contro costi socialiL'economia del benessere si occupa delle indicazioni di politica economica che gli economisti possono formulare per massimizzare il benessere della società.

L'unica indicazione universalmente condivisa è che solo un sistema perfettamente concorrenziale massimizza il benessere collettivo, a condizione che non vi siano differenze fra costi privati e costi sociali.

Il prezzo fissato dalla legge della domanda e dell'offerta per un bene, che chiameremo costo privato, in quanto grava sul singolo consumatore, differisce dal costo sociale. Il costo privato infatti non incorpora la spesa che la collettività nel suo insieme dovrà affrontare in un momento successivo per smaltire il rifiuto o per rigenerare i fattori produttivi impiegati, materia o energia. Anche il costo dell'inquinamento, attuale o futuro, incluso il costo della dismissione degli impianti e della bonifica dei sottosuoli, grava

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interamente sulla collettività, Comuni e Regioni, non già sull'impresa o sul consumatore finale del prodotto. Questo fatto genera un profitto ingiusto all'impresa che, per legge, deve farsi carico di ogni costo inerente la propria attività. Qualora infatti l'impresa fosse costretta dall'autorità a sostenere questi costi, venderà ad un prezzo maggiore il prodotto, per poter coprire il maggior costo sostenuto, e, per la stessa legge della domanda e dell'offerta, il consumatore finale deciderà di consumarne di meno. L'impresa vedrà ridursi il proprio margine di profitto, fino anche a perderlo del tutto, e quindi decidere di non produrre affatto quel prodotto. Solo in questo modo il costo privato e il costo sociale possono coincidere, e l'utilizzo dei fattori produttivi, fra i quali rientra così di buon diritto anche il fattore ambiente, potrà essere ottimale, e massimizzare il benessere sociale.

Il problema della globalizzazione dei mercati implica necessariamente il problema della globalizzazione delle politiche di gestione delle risorse del pianeta (energia, materie prime e ambiente).

9. Lo sviluppo tecnologico e il sistema dei brevettiOsservando la storia dell'economia ci accorgiamo che grazie allo sviluppo tecnologico i consumi totali sono costantemente aumentati nonostante le risorse disponibili siano rimaste più o meno le stesse. Grazie alla tecnologia posso produrre di più consumando meno energia e materia, e incrementando il benessere di una popolazione crescente. Ma la sfida diventa sempre più difficile dal momento che paesi che fino ad ora erano rimasti ai margini del sistema industriale, ora s'affacciano con le loro notevolissime popolazioni: Cina e India. E' evidente che, agli attuali livelli di consumo, il pianeta non è abbastanza grande per tutti.

Lo sviluppo tecnologico dipende dalla quantità di risorse impegnate dalle imprese e dallo stato, dall'efficienza dei laboratori di ricerca, dal grado di integrazione tra produzione industriale, spese per la difesa e per la sanità, e ogni altra necessità che una società

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organizzata necessita, e che lo Stato ha la responsabilità di fornire. E' opinione diffusa tra gli economisti che un mercato perfettamente concorrenziale non garantisce un ritmo abbastanza intenso di progresso tecnologico: infatti i profitti generati sono modesti, e le imprese non sono in grado di mettere da parte soldi a sufficienza per l'investimento in ricerca, dopo aver remunerato il capitale investito. E' necessario, in questo caso, che lo Stato garantisca, attraverso sgravi fiscali alle imprese, o direttamente attraverso la ricerca universitaria, un sufficiente livello di spesa.

Il sistema dei brevetti garantisce alle aziende che investono nella ricerca, l'esclusivo impiego di una data tecnologia (processo produttivo, o prodotto) frutto del loro impegno, e il diritto di rivenderla sul mercato ad un prezzo che incorpori il costo sostenuto, ed un adeguato margine di profitto: all'impresa sarà garantito di vendere in esclusiva per un certo periodo di tempo il frutto del proprio sforzo innovativo.

Il sistema dei brevetti costituisce al tempo stesso anche un ostacolo allo sviluppo tecnologico, poiché impedisce a chiunque altro di accedere alla tecnologia e darle un ulteriore sviluppo: più ricercatori se ne occupano e maggiore è la possibilità di ottenere nuovi risultati e applicazioni. Chiunque dovrebbe accedere a queste conoscenze per poter dare il proprio contributo e accelerare il processo.

10. I beni pubblici: un valore da tutelareUn bene pubblico può essere usato da chiunque senza un pregiudizio per gli altri, a differenza del bene privato che si caratterizza per l'esclusività, cioè il cui godimento è legato al possesso esclusivo.

Un bene pubblico è l'ambiente in generale e alcuni beni in particolare, quali: lidi, fiumi, laghi etc. Sono beni pubblici le infrastrutture, quali: le strade, i ponti, i parchi, le scuole, gli ospedali, i monumenti nazionali, le pinacoteche pubbliche, i musei, le biblioteche, le caserme, i beni demaniali in generale e tutti i beni

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patrimoniali detenuti dallo Stato, dalle Regioni, dalle Province, dai Comuni. Sono infine beni pubblici più in generale: la salute; la sicurezza l'istruzione; la cultura.

Questi beni, per il loro carattere non economico, sono forniti dallo Stato; ma non necessariamente saranno da lui direttamente prodotti. Lo Stato può infatti procurarseli anche ricorrendo al libero mercato, cioè richiedendo le prestazioni o i beni necessari alle imprese private dietro il corrispettivo di un prezzo. Lo Stato si approvvigiona attraverso gare ad evidenza pubblica, dove il miglior offerente, sia in termini di prezzo che di qualità delle prestazioni, effettuerà la prestazione, o fornirà il bene. L'efficienza di queste procedure è determinante per il benessere della società, sia in termini di economicità della spesa, che di qualità dei prodotti e dei servizi resi. Tutto dipende dalla efficacia con la quale il sistema riesce a combattere i tentativi di collusione delle imprese partecipanti, o di corruzione dei funzionari pubblici che gestiscono la spesa pubblica.

Il bene pubblico si caratterizza dunque per il fatto che tutti vorrebbero disporne, ma nessuno individualmente se ne farebbe carico del relativo onere di produrlo e metterlo a disposizione, dal momento che, se se ne facesse carico, non ne potrebbe ricavare uno sfruttamento esclusivo e quindi vantaggioso economicamente: i ricavi non coprirebbero la spesa. Una eccezione è costituita dalla sponsorizzazione delle imprese private di specifici interventi di carattere formativo o culturale.

Il sistema liberistico puro considera i beni pubblici dei costi da minimizzare, e la conseguenza di questo atteggiamento è il loro deterioramento.

11. Il prodotto interno lordo (P.I.L.)Il P.I.L. è il valore di tutti i beni e servizi prodotti da una economia in un dato periodo di tempo (l'anno solare e le relative frazioni trimestrali). Normalmente si intende espresso in termini reali, vale a dire già

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“depurato” (al netto) dell'inflazione verificatasi nello stesso periodo. Esso misura tutte le transazioni rilevate contabilmente: non tiene cioè conto della cosiddetta economia sommersa, fiscalmente invisibile (“il nero”).

Il concetto di P.I.L. è stato giustamente criticato per il fatto di non essere in grado di misurare l'effettivo benessere di una società: salute fisica e psichica, sicurezza, cultura, tempo libero; bensì di misurare esclusivamente l'attività economica. IL P.I.L. inoltre non tiene conto di ciò che si distrugge in conseguenza di guerre, terremoti, incidenti, atti criminali, a volte anche collegati all'attività produttiva (i disastri ambientali, i rifiuti e l'inquinamento).Il benessere della società si misura con lo sviluppo umano, non con la sola crescita economica (o del P.I.L.).

La crescita sostenibile dipende da: la stabilizzazione della popolazione (il pianeta non può ospitare una popolazione illimitata); il riorientamento energetico (gas e petrolio non sono illimitati); la smaterializzazione dei processi produttivi (dall'energia alla informazione); il riorientamento dal consumismo distruttivo di risorse, spazio, tempo, intelligenza, alle attività costruttive di cooperazione e cultura.

12. La domanda aggregataUna crescita economica sostenuta è vista come un segno di buona salute dell'economia. Un tasso di disoccupazione alto e crescente è considerato segno di debolezza.Gli economisti pensano che è possibile ridurre la disoccupazione purché si accetti una maggiore inflazione. Tuttavia la relazione inflazione/disoccupazione vale per il breve periodo ma non per il lungo.Esistono orientamenti politici che considerano preferibile un livello più alto di occupazione a costo di una inflazione più elevata e viceversa. E' attuale questo confronto di visioni: la Banca Centrale Europea teme maggiormente l'inflazione; quella americana la recessione (e la bassa occupazione).

La domanda aggregata è il totale della domanda di beni e 13

servizi prodotti nel sistema economico e rappresenta una delle principali determinanti della domanda di fattori produttivi. Approssimativamente è data dalla sommatoria di: esportazioni; investimenti; spesa pubblica; consumi (pubblici e privati). E' il totale del P.I.L. il cui valore determina il reddito netto (delle imprese e delle famiglie) e le imposte pagate. Le imposte (oltre al Debito Pubblico) coprono la Spesa Pubblica. Il reddito netto è destinato in parte ai consumi (di famiglie e imprese) e in parte agli investimenti.

Per ridurre la disoccupazione occorre accrescere la domanda aggregata. Ma, come fare per accrescerla? Cosa determina la domanda aggregata? Queste sono le questioni fondamentali dell'Economia.

13. Il ruolo dei governi: le politiche economicheGli strumenti nelle mani dei governi sono sostanzialmente di tre tipi: la politica fiscale; la politica monetaria; le politiche di gestione dell'offerta.

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CONSUMI

SPESA PUBBLICA

INVESTIMENTIESPORTAZIONI

P.I.L.REDDITO

NETTO

TASSE TASSE

RISPARMI

CONSUMI

La politica monetaria è espansiva quando riduce il costo del denaro (cioè il tasso di interesse che si paga sui prestiti), e quando aumenta la quantità di denaro circolante attraverso la fissazione della cosiddetta riserva frazionaria (il rapporto tra depositi bancari, e i prestiti erogati dalle banche): l'obiettivo è favorire l'indebitamento, e conseguentemente spingere i consumi e gli investimenti.

La politica fiscale si dice invece espansiva se diminuisce le tasse oppure aumenta la spesa pubblica.Se diminuisco le tasse favorisco consumi e investimenti perché, metto a disposizione delle famiglie e delle imprese una maggiore quantità di denaro.

Le politica monetaria espansiva genera inflazione nel breve periodo, ma è neutra nel lungo periodo. Diversamente, la politica fiscale espansiva genera un effetto inflattivo permanente. Questo spiega l'inflazione più elevata nei paesi con spesa pubblica crescente (come il nostro).

Viceversa, se si vuole contenere l'inflazione si dovrà praticare una politica fiscale e monetaria restrittiva: meno denaro circola, e più costoso è il ricorso all'indebitamento, minore sarà la propensione al consumo e all'investimento.

Politiche espansive aumentano la domanda di beni. L'offerta tuttavia rimane pressoché fissa nel breve periodo, poiché le imprese potranno aumentare la produzione ma solo fino alla saturazione degli impianti, e non avranno il tempo di investire in nuove linee di produzione e assumere nuovo personale. Per la legge della domanda e dell'offerta, il bene offerto diventa più raro e chi lo offre, il produttore, pretenderà per esso un prezzo più elevato. La crescita dei prezzi genera inflazione.

La domanda aggregata fa crescere la domanda di fattori produttivi, che, ferma restando l'offerta nel breve periodo, infiamma i prezzi. Infatti i fattori produttivi diventano più rari e quindi più costosi. Se l'aumento dei

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prezzi è sensibile, e perdura nel tempo, può generare uno shock dell'offerta, che si ripercuote sui prezzi finali dei beni, e ne fa diminuire la domanda: la crescita della domanda rallenta, e così la crescita dell'economia.

Occorre allora intervenire con politiche di gestione dell'offerta che agiscono nel breve periodo sul costo dei fattori produttivi, diminuendo ad esempio gli oneri sociali sul lavoro (diminuzione del costo del lavoro), oppure diminuendo le imposte indirette (accise sul petrolio, IVA, IRAP).

L'insieme di queste politiche, quando mirano a controllare i rischi legati ai fenomeni economici (inflazione, disoccupazione, instabilità monetaria ...) si definiscono politiche di stabilizzazione.Ogni politica al momento giusto: in caso di perturbazione della domanda i governi devono agire con politiche di gestione della domanda (politiche monetarie o fiscali espansive o restrittive); in caso di perturbazioni dell'offerta occorrono politiche di gestione dell'offerta.

14. La spesa pubblica e il debito pubblicoLa spesa pubblica è costituita da: spesa per acquisto di beni e prestazioni di servizi; spese per il personale; trasferimenti (alle famiglie – comprese le pensioni, alle imprese e altre organizzazioni sociali).

La spesa pubblica è finanziata con: imposte; debito pubblico; inflazione.

Il ricorso all'inflazione è una forma subdola e rozza di tassazione. La ricchezza viene erosa dallo Stato nella forma di perdita del potere di acquisto della moneta. Lo Stato preleva maggiori imposte attraverso il “fiscal drag”; rimborsa i propri debiti a valori reali decrescenti.

Quando non si può aumentare l'imposizione fiscale per finanziare la crescente spesa pubblica si ricorre

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all'indebitamento.

Il deficit pubblico, o disavanzo pubblico, è la circostanza in cui le spese dello Stato superano le entrate. Il disavanzo primario non tiene conto del pagamento degli interessi sul debito. Il fabbisogno comprende tutte le voci, incluso la restituzione dei prestiti.

Tuttavia una crescita della spesa pubblica con un P.I.L. costante non è praticabile: l'esborso per interessi crescerebbe continuamente determinando un disavanzo crescente e quindi ulteriore ricorso all'indebitamento (com'è successo negli ultimi sette anni in Italia).

15. L'economia aperta: la mobilità dei capitali e i cambiI conti della bilancia dei pagamenti sono le registrazioni delle transazioni del sistema economico nazionale con l'estero. Le partite correnti registrano il commercio in beni e servizi (detta bilancia commerciale) e i pagamenti e le riscossioni per trasferimenti. Le partite in conto capitale registrano gli acquisti e le vendite di attività (azioni, obbligazioni, terra ...). Qualsiasi pagamento di cittadini residenti verso l'estero costituisce una passività. La valuta necessaria per i regolamenti è fornita dalla banca centrale: il saldo della bilancia dei pagamenti determina la domanda e l'offerta di moneta nazionale rispetto alle altre valute. I cambi si aggiustano in modo da mantenere l'equilibrio della bilancia dei pagamenti. Per la legge della domanda e dell'offerta i tassi di cambio variano: se il saldo è positivo la moneta nazionale aumenta, viceversa se negativo. Talvolta le banche centrali intervengo comprando o vendendo monete nazionali contro altre divise al fine di stabilizzare le oscillazioni dei cambi, magari legate a tensioni speculative.

Un aumento del tasso di cambio (la svalutazione) incrementa le esportazioni, e diminuisce le importazioni. Infatti i beni prodotti nel paese saranno diventati più a buon mercato; viceversa i beni che quello stesso paese importa. Tuttavia, se il paese importa le materie prime

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e l'energia per far funzionare le proprie fabbriche, subirà l'effetto di uno shock dell'offerta: i fattori produttivi costeranno di più poiché sono pagati con la divisa estera che si è rivalutata. E' questo il caso dell'Italia, che dipende dall'estero sia per le materie prime che per l'energia.

In una economia aperta i capitali sono estremamente mobili: entrano ed escono dal paese in base alle opportunità di investimento. Una espansione monetaria spinge la domanda aggregata diminuendo i tassi di interesse. Questa riduzione dei tassi rende immediatamente meno conveniente investire nella moneta del paese: i capitali emigrano all'estero dove i tassi sono invariati generando una svalutazione del cambio (offro sul mercato la moneta del mio paese per ottenere quella di un altro per investirvi a tassi più favorevoli). La svalutazione però favorisce le esportazioni e la domanda interna.

Non così favorevoli sono i risultati di una politica fiscale espansiva: essa spinge la domanda aggregata, che induce un incremento dei tassi di interesse. Infatti la domanda di denaro è più alta dell'offerta e chi ha capitali pretende una remunerazione più alta. L'aumento dei tassi di interesse attrae gli investitori esteri che comprano la divisa del paese per potervi fare degli investimenti: la domanda di valuta spinge al rialzo il cambio della moneta nazionale, favorendo le importazioni che, per via della rivalutazione, sono diventate più convenienti, a scapito però delle esportazioni. I beni prodotti nel paese sono diventati più costosi. La domanda interna si contrae e l'effetto espansivo della politica fiscale finisce per annullarsi.

Nonostante ciò i tassi di interesse interni non coincidono mai con quelli internazionali. I cambi sono infatti condizionati anche dalle aspettative di inflazione. Un paese con aspettative di inflazione più alta rispetto ai tassi interni, subirà una svalutazione del cambio.

Un altro fattore di instabilità dei cambi è dato dalle speculazioni. I mercati finanziari sono di frequente 18

sottoposti a pressioni speculative di soggetti che, in grado di mobilitare masse di liquidità notevoli, comprano e vendono nell'aspettativa di ottenere dei guadagni legati proprio alle conseguenze indotte dal loro comportamento. Queste perturbazioni pesano sull'equilibrio economico e giocano a svantaggio dell'economia nel suo complesso. La speculazione, sebbene tollerata, è un comportamento criminale nei confronti dell'intera collettività economica.L'incertezza riduce la fiducia degli operatori e condiziona negativamente lo sviluppo degli scambi, e di conseguenza diminuisce la domanda aggregata. L'abuso della fiducia del mercato, la mancata sorveglianza della criminalità e della corruzione da parte dello Stato (reati finanziari, bancarotte comprese) sono minacce gravi contro l'intero sistema economico, e anche dell'intera società.

La fiducia, la stabilità, il progresso tecnologico e la libera concorrenza, sono essenziali all'economia.

16. Le decisioni finanziarie: l'interesseLa disponibilità di denaro permette a chi lo detiene di darlo a prestito dietro il pagamento di un compenso, regolato a scadenza: l'interesse. Per contro, la possibilità di prendere a prestito denaro, consente a chi non ne dispone di ottenerlo. Le decisioni che riguardano l'opportunità o meno di prendere o dare a prestito costituiscono la materia di una disciplina scientifica denominata Finanza.

L'esercizio del credito è esercitato legalmente da banche e finanziarie abilitate. Le banche intermediano fra chi detiene denaro e lo vuole far fruttare, il risparmiatore, e chi invece sa come impiegarlo (o pensa di saperlo), le imprese. Le banche dispongono di ingenti quantità di denaro ed esercitano un potere considerevole sulla società: i governi devono vigilare attentamente sull'attività delle banche. Ogni decisione finanziaria, che sia di investimento (in azioni, depositi, obbligazioni), oppure di impiego diretto (prendo a prestito per investirlo nell'impresa, o

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anche in una attività speculativa; colloco sul mercato le azioni della mia azienda) dipende: dal calcolo del valore attuale netto; dalla valutazione corretta del rischio; dall'efficienza dei mercati.

Un euro oggi vale di più di un euro domani: l'euro investito oggi inizia a fruttare interessi immediatamente (l'interesse è il costo del fattore produttivo denaro).

Il calcolo dell'interesse:

“C”: il capitale investito;

“I”: l'interesse maturato sul capitale in un dato periodo di tempo (il riferimento è convenzionalmente l'anno solare). Nei prestiti obbligazionari (debito pubblico o aziendale) l'interesse è denominato: cedola. Le azioni maturano invece il dividendo;

“i”: è il tasso di interesse (espresso in percentuale), cioè la frazione di capitale che viene riconosciuto periodicamente (annualmente) dal debitore al creditore.

“M”: denominato montante, è il “valore del capitale a scadenza dopo un anno”, cioè la sommmatoria di capitale iniziale e interesse (“M2” dopo due anni, “M3” dopo tre anni). All'inverso, il “valore attuale” di “M” è “C”.Da queste definizioni otteniamo le seguenti uguaglianze fondamentali:

I = C x i per calcolare l'interesse (I) maturato dopo un anno sul capitale investito (C), sulla base di un tasso (i);

M = C + I per calcolare il valore dopo un anno del capitale investito (C) ad un certo interesse (i);

e sostituendo:

M = C + I = C + C x i = C x (1 + i)

vale perciò anche:

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C = M / (1 + i) per calcolare il capitale investito un anno prima (C = “valore attuale”) conoscendo il capitale a scadenza (M) e dato un certo tasso (i);

ma anche:

i = (M – C) / C per calcolare il tasso di interesse (i) dato il capitale iniziale (C) e quello a scadenza (M);

ed infine (derivando dalla formula di “M”):

M2 = C x (1 + i) x (1 + i)

M3 = C x (1 + i) x (1 + i) x (1 + i)

e così via.

Il grafico rappresenta schematicamente le nostre scelte di consumo e risparmio nel tempo (detto anche grafico de

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DOMANIDOMANI

OGGI

X

Y

a

b

“il prodigo e l'avaro”).Data la formula per il calcolo dell'interesse, stabilito il mio livello di reddito, fissato il tasso di interesse al quale posso investire il mio risparmio, posso costruire il grafico rappresentato sopra, il quale mi dice in “X” quanto reddito disporrò in futuro, se fisso il mio livello di spesa oggi in “Y”, e risparmio la restante parte investendola. Alzando il livello di reddito disponibile oggi, disporrò in futuro di un reddito inferiore, che mi sarà dato tracciando la perpendicolare dal nuovo punto “Y” fino all'incontro con il segmento “ab” e tracciando da esso la perpendicolare all'asse delle “x” fino al nuovo punto “X”.

17. Il valore attuale nettoL'unica tecnica efficiente per valutare un investimento è il calcolo del Valore Attuale Netto (V.A.N.). Esso consiste nell'individuare, prima di tutto, i flussi di cassa (le entrate e le uscite) di un investimento, secondo il loro ordine temporale (oggi, tra un anno ... tra venti anni). Poi, secondo la legge dell'interesse, applico a ciascun flusso (positivo o negativo) la formula del valore attuale, quella cioè che mi dice quanto vale oggi quel flusso futuro: C = M / (1 + i), quando M è il flusso tra un anno; C = M2 / (1 + i) x (1 + i), quando M2 è il flusso tra due anni, e così via. La sommatoria di tutti questi flussi di cassa “attualizzati” (positivi, quando sono entrate, negativi, quando sono uscite) mi darà un certo valore. Questo valore, se è positivo mi dirà che avrò investito bene, cioè ad un tasso di interesse superiore a quello del mercato (i). Viceversa, se è negativo, avrò fatto un cattivo investimento, cioè avrò impiegato il mio denaro ad un tasso di interesse inferiore al mercato.

18. Il rischioLa storia del mercato dei capitali ci insegna che i rendimenti ottenuti dagli investitori variano in proporzione al rischio che si sono accollati: maggiore è il rischio di una perdita, maggiore sarà il rendimento in

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caso di esito positivo dell'investimento. L'investimento più rischioso è quello in azioni, ma anche il più redditizio. In una serie storica di 50 anni (la seconda metà del secolo scorso), negli Stati Uniti, il rendimento annuo delle azioni è stato del 12%; quello dei titoli di stato (le obbligazioni emesse dallo stato americano), che rappresentano l'investimento più sicuro, è stato del 3,5%.

Il rischio è di due tipi: il rischio specifico, è il rischio di insolvenza di quello specifico investimento (una certa obbligazione emessa da una certa banca, o una certa azione); il rischio sistematico, legato alla fluttuazione dei prezzi dei mercati finanziari in generale.

Il rischio specifico è riducibile attuando un certo livello di diversificazione degli investimenti. Ad esempio se voglio investire in azioni, potrò scegliere un certo numero di azioni di diverse società, settori o nazioni. Tuttavia è controproducente frazionare troppo l'investimento: è statisticamente provato che basterà avere almeno dieci titoli azionari per minimizzare questo tipo di rischio. Diversamente, non esistono strategie efficaci contro il rischio sistematico.

Ciascun investitore dovrà decidere la propria propensione al rischio e per quanto tempo è disposto a rinunciare alla disponibilità del proprio denaro. Maggiore è la propensione al rischio, e il profilo temporale scelto (almeno cinque anni), maggiore sarà la quantità di azioni che entreranno nel portafogli. Viceversa, più breve è il tempo che si è disposti a “vincolare” il proprio denaro, e più bassa è la propensione al rischio, maggiore sarà la quota di obbligazioni.

19. L'efficienza del mercato finanziarioL'esperienza insegna che le variazioni dei prezzi nei mercati finanziari sono casuali. Il prezzo comprende tutte le informazioni a disposizione degli investitori in quel dato momento: questa è l'efficienza dei mercati. Il prezzo varierà non appena arriveranno nuove notizie.

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Queste non possono essere previste in anticipo. Tuttavia il prezzo di mercato comprende anche le aspettative degli investitori e le “scommesse” che essi fanno sui valori futuri dei tassi e dei dividendi delle imprese quotate.

Gli strumenti a disposizione degli investitori professionali del mercato mobiliare (il mercato delle azioni) sono: l'analisi fondamentale, e l'analisi tecnica.L'analisi fondamentale è lo studio dell'andamento delle imprese, delle informazioni circa la loro redditività e le prospettive future. Si fonda in gran parte su dati storici: i bilanci, e i piani di investimento dei manager. L'analisi tecnica studia invece l'andamento dei prezzi del mercato mobiliare nel passato, cercando di dedurne i cicli.La concorrenza tra gli analisti tenderà ad assicurare che i prezzi riflettano tutte le informazioni disponibili. Questo porterà a rendere i prezzi futuri assolutamente imprevedibili, e a rendere il mercato finanziario efficiente. I mercati di conseguenza non avranno memoria: i prezzi passati non conterranno informazioni sul futuro e il prezzo di mercato sarà quello giusto, anche se domani potrà essere completamente diverso.

Il mercato obbligazionario punta invece gli occhi sulla curva dei tassi: essa è una rappresentazione grafica, una linea che unisce i punti di un piano, dove l'asse verticale rappresenta il tasso (i), e l'asse orizzontale il tempo (t) espresso in mesi (tassi a breve) o anni (tassi a medio e lungo termine).Questa linea generalmente è inclinata, guardando da sinistra a destra, verso l'alto: i tassi a lunga scadenza sono cioè più alti di quelli a breve, per premiare chi è disposto a concedere il proprio denaro per un tempo più lungo. Tuttavia, talvolta la linea potrebbe tendere verso il basso, quando gli investitori prevedono per il futuro un tasso di inflazione più basso e rendimenti sul capitale meno sostenuti. Come per i prezzi delle azioni, anche la curva dei tassi incorpora le aspettative degli investitori sull'andamento futuro dei tassi di interesse. I prezzi delle obbligazioni rifletteranno l'andamento delle curve dei tassi.

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Se, per esempio, detengo un obbligazione a lungo termine con tasso di interesse fisso (cedola fissa), e i tassi oggi scendono, troverò sul mercato obbligazionario qualcuno disposto a sborsare un prezzo più alto rispetto al quale ho ieri acquistato il titolo, poiché questo garantisce un interesse più alto di quello di mercato. Ogni giorno i prezzi delle obbligazioni fluttuano sulla base delle aspettative espresse dalla curva dei tassi.

20. Conclusione. L'economia: un ecosistema in evoluzione.Il potenziale corto circuito della moderna economia consumista è determinato del principale motore della competizione economica: l'egoismo. L'uomo economico quando pensa a se stesso si vede contrapposto a tutti gli

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i

t

a

b

La curva dei tassi si muove ogni giorno che viene quotata: oggi è in “a”, domani potrebbe essere in “b”

altri: ognuno compete nella corsa al primato materiale del possesso o del potere (solo materiale, mai morale). Il successo economico è il risultato di una guerra vinta: è l'esercizio di una forza, a volte di una violenza esercitata più o meno esplicitamente. Non a caso nell'antichità gli scambi commerciali assomigliavano più ad atti di pirateria che non ad accordi commerciali tra gentiluomini: solo più tardi sorse un'etica degli affari. Il più abile vince. Ma il predatore, colui che esercita attivamente l'attività economica, sopravvive finché esiste una preda: non può permettersi il lusso di distruggere ciò di cui si alimenta. Così come l'ecologia ha trovato un delicato equilibrio tra prede e predatori nel corso di milioni di anni di evoluzione, così il sistema economico, che è un sistema ancora giovanissimo - la natura infatti lo conosce solo da pochi millenni - ancora deve trovare un suo equilibrio “ecologico”. Essendo un sistema di tipo culturale, può trovare il suo equilibrio solamente con una soluzione di tipo culturale, di regole e stile di vita. La soluzione è nell'uomo, che deve riconoscere se stesso negli altri e nel mondo dal quale trae le condizioni della propria esistenza. Un sistema economico troppo sbilanciato, con pochi ricchissimi e masse di poveri, con lo sfruttamento troppo rapido delle risorse, è destinato a fallire. L'imprenditore ha bisogno di consumatori abbastanza ricchi che acquistino i suoi prodotti. Il consumatore, che è prima di tutto un membro della società, deve frenare il proprio istinto materialista e nutrire anche il proprio spirito: consumare meno risorse, produrre meno rifiuti, tenersi più tempo per vivere. Occorre una economia meno distruttiva: più società e meno cattiva economia. La cattiva economia è data dalla pirateria economica, politica e finanziaria, che specula sulle disfunzioni del sistema, grazie alla mobilitazione di ingenti quantità di denaro e connivenze politiche. La cattiva economia fa leva sulla concentrazione dei poteri che generano gli oligopoli. La cattiva economia odia la libera concorrenza e detesta la società.

fine

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