E' colpa mia

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… e’ colpa mia …

2 gennaio, ore 10:45

Non è il suono della campanella dell’inizio della pausa, ma la sirena dell’ambulanza che arrivava per salvare in mio bambino. Ero lì, immobile con lo sguardo rivolto al soffitto. Non capivo cosa mi stesse succedendo, sentivo un dolore allucinante alla pancia, e poi all’improvviso … il buio. Mia madre lo diceva sempre di lasciare tutto e ricominciare, quando andava male. Avrei dovuto lasciare il mio posto fisso e la mia relazione con Leo? No, cosa avrei fatto? Mentre ci penso.. corro nel suo ufficio. “Tesoro, sono incinta .” L’espressione cambia, la porta è chiusa da un pezzo, potrebbe mollarmi uno schiaffo, anche ora. Ho paura, l’attesa come compagna. Sento un dolore alla spalla. Un pugno sulla clavicola, dà inizio alle botte. Si ferma giusto prima di uccidermi. “Tu non abortirai, ma nessuno deve sapere che è mio! Chiaro? Comportati normalmente e terrai il tuo posto.” Mi siedo alla sedia, l’odore della vernice mi dà la nausea. Devo continuare, ne inscatolo più che posso, le braccia mi fanno male. Ora ne stanno portando via un’altra, spero riesca a farcela almeno lei. Apro gli occhi. Tutto bianco. Sono morta? No! L’odore del disinfettante. Mi sento vuota. Ma dov’è, il mio bambino dov’è? Scivolano via le lacrime dagli occhi. Mamma, papà, dove siete? Sono passati dieci anni dalla morte del mio papà: era su un albero, come tutte le mattine. Il mastro non aveva fatto attenzione alla scala rotta. Mio padre come ultima cosa ha visto il cielo immenso, leggero. Io vedo solo il bianco. Monotono, bianco vuoto. Un urlo lontano mi ha svegliata, qualcuno s’accorge che sono sveglia. “La paziente accanto a te è morta, morirai anche tu “. E ride! Bianco di nuovo. In tante uscivano dalla fabbrica per non tornarci più: chi rossa in volto, chi ricoperta di chiazze, chi pallidissima senza fiato, chi piegata in due vomitando a più non posso. Diceva sempre che nessuno l’avrebbe cercato. Lui aveva i suoi “amici”.

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Leo, non aveva pensato a lui dall’incidente in fabbrica. Cos’ avrebbe detto ora che sono in ospedale? Si sarebbe infuriato. 14 gennaio Riesco finalmente a sedermi con l’aiuto di un infermiere. Lui è diverso dal primo che è entrato: non sorride mai. Il letto è scomodo, sono stanca. Guardo fuori dalla finestra e non sento la porta aprirsi.

-Signora.

-Non riesco a parlare, ma volgo lo sguardo.

-Ha perso il bambino.

Bene, io non farò più storie, avrò il mio nuovo lavoro ancora. Ha ragione lui, chi prenderebbe una ragazza del genere? Sono solo una stupida illusa, lui mi dà tutto: lavoro, una relazione. Senza di lui non sarei nulla. -Dottore, quando potrò tornare al mio lavoro? -Anche subito, ma lei dovrebbe sapere… -Cosa? -…Leonardo Tabucchi, il proprietario è scappato. Dopo il suo svenimento, degli ispettori hanno indagato e lui è latitante. Sono sola. L’unico che mi amasse: il mio bambino, è andato. Anche lui.

16 gennaio

Mi sveglio, sempre nella stessa camera, sempre la solita finestra a guardarmi, credo mi ami.

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Si, la finestra mi ama. È così bella, potremmo sposarci un giorno. Leo non l’avrebbe permesso. Ma ora è morto, si è impiccato. Puzzle. Mi ricompongono come fossi un puzzle. Qualcuno passa a controllarmi, nessuno che mi dica perché sono ancora qui. 17 gennaio Bianco.

18 gennaio

Nessuno viene a trovarmi, non ho amici. Una volta ne avevo una e passavamo ore insieme, l’una accanto all’altra. Non c’era bisogno di parlare, ci capivamo con un solo sguardo. In verità non potevamo parlare, Leo ci avrebbe licenziate … aveva ragione, dovevamo lavorare sodo. Avevo un’amica. Non riuscivamo mai a vedere insieme un giorno di sole. Eravamo sempre immerse nel grigio e potevamo solo immaginare l’azzurro del cielo. Lei mi ha lasciata, l’ho vista solo un’altra volta vicino casa mia, ferma, composta. E’ così bianca in quella foto sul necrologio. Non le rende giustizia nemmeno la foto da morta. 21 gennaio Leo e il mio bambino sono morti a causa mia.

- Posso tornare a casa?.. Di nuovo il buio…