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Università Roma Tre Ingegneria Civile – Progetto d’adeguamento e allargamento viadotto “Italia” rispetto agli effetti locali e fatica Capitolo: Analisi dei carichi 76 cementizie a pressione non superiore di 23 kg/cmq attraverso fori disposti secondo una maglia quadrata di 2m di lato interessanti una profondità di 1015 m. Per quanto riguarda le questioni principali riguardanti le fondazioni della parte centrale dell’opera in corrispondenza del baratro, si può affermare che esse sono connesse ai due seguenti problemi: Stabilità delle due pile centrali adiacenti alle pareti della gola Cedimento differenziale tra le pile poggianti sul calcare e quelle poggianti nella dolomia Quest’ultimo problema è particolarmente sentito per la travata metallica, in quanto le due campate laterali vengono a trovarsi con le pile a cavallo delle due principali linee di faglia. Comunque, dagli elementi raccolti durante le indagini effettuate, non sono state rilevate prove sull’esistenza di movimenti differenziati tra le sponde del baratro nei tempi geologici in corso, anzi, tutto permette di ritenere non attive le faglie indicate fra calcari e dolomie. Tale deduzione viene, d’altra parte, confermata anche dall’impostazione stessa dello schema statico predisposto dall’amministrazione A.N.A.S. (travata continua su quattro appoggi). Inoltre, la forma a forra del Vallone, che non è limitata alla zona di imposta del viadotto ma si estende anche più a valle, è titolo di garanzia di stabilità in quanto tale fatto è senz’altro legato alla natura, ma soprattutto alla positiva conservazione della roccia che la costituisce. Pertanto in corrispondenza delle due pile centrali si è asportato il flysch ed incassato decisamente il piano di fondazione nella formazione di calcare; inoltre è prevista una controllata serie di iniezioni di boiacca di cemento per mezzo di fori disposti a maglia quadrata di 2 m di lato, interessanti uno spessore pari a 10 – 20 m. Con questo provvedimento dell’iniezione al culmine, esiste la certezza di fare un lavoro altamente positivo per la stabilità della forra.

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cementizie  a  pressione  non  superiore  di  2‐3  kg/cmq  attraverso  fori  disposti  secondo  una 

maglia quadrata di 2m di lato interessanti una profondità di 10‐15 m. 

Per  quanto  riguarda  le  questioni  principali  riguardanti  le  fondazioni  della  parte  centrale 

dell’opera  in  corrispondenza del baratro,  si può affermare  che esse  sono  connesse ai due 

seguenti problemi: 

‐ Stabilità delle due pile centrali adiacenti alle pareti della gola 

‐ Cedimento  differenziale  tra  le  pile  poggianti  sul  calcare  e  quelle  poggianti 

nella dolomia 

Quest’ultimo problema è particolarmente sentito per  la travata metallica,  in quanto  le due 

campate laterali vengono a trovarsi con le pile a cavallo delle due principali linee di faglia. 

Comunque,  dagli  elementi  raccolti  durante  le  indagini  effettuate,  non  sono  state  rilevate 

prove sull’esistenza di movimenti differenziati tra  le sponde del baratro nei tempi geologici 

in corso, anzi, tutto permette di ritenere non attive le faglie indicate fra calcari e dolomie. 

Tale deduzione viene, d’altra parte, confermata anche dall’impostazione stessa dello schema 

statico predisposto dall’amministrazione A.N.A.S. (travata continua su quattro appoggi). 

Inoltre, la forma a forra del Vallone, che non è limitata alla zona di imposta del viadotto ma 

si estende anche più a valle, è titolo di garanzia di stabilità  in quanto tale fatto è senz’altro 

legato alla natura, ma soprattutto alla positiva conservazione della roccia che la costituisce. 

Pertanto  in  corrispondenza  delle  due  pile  centrali  si  è  asportato  il  flysch  ed  incassato 

decisamente  il  piano  di  fondazione  nella  formazione  di  calcare;  inoltre  è  prevista  una 

controllata  serie  di  iniezioni  di  boiacca  di  cemento  per  mezzo  di  fori  disposti  a  maglia 

quadrata di 2 m di lato, interessanti uno spessore pari a 10 – 20 m. 

Con  questo  provvedimento  dell’iniezione  al  culmine,  esiste  la  certezza  di  fare  un  lavoro 

altamente positivo per la stabilità della forra. 

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Infatti l’iniezione agisce da “cappello” protettivo di grandi dimensioni e la sua presenza ha un 

duplice benefico effetto di allargare ed approfondire  la  zona di  scarico delle  sollecitazioni 

trasmesse dalla pila oltre a proteggere e consolidare la testata del baratro.” 

Le categorie topografiche sono indicate di seguito: 

Tabella 12: 3.2.IV ‐ NTC2008 

 

In questo caso si ha un pendio con inclinazione media molto forte, quindi la categoria è la T2. 

FATTORE DI STRUTTURA 

(7.9.2.1 – NTC2008) 

Quando  si  utilizza  l’analisi  lineare per  sistemi dissipativi,  come  avviene per  gli  stati  limite 

ultimi, gli effetti delle azioni sismiche sono calcolati, quale che sia  la modellazione per esse 

utilizzata, riferendosi allo spettro di progetto ottenuto assumendo un fattore di struttura q 

maggiore dell’unità (§ 3.2.3.5 – NTC2008).  

Il valore del  fattore di struttura q da utilizzare per ciascuna direzione della azione sismica, 

dipende dalla tipologia strutturale, dal suo grado di iperstaticità e dai criteri di progettazione 

adottati e prende in conto le non linearità di materiale. 

I  valori massimi  del  fattore  di  struttura  q0 per  le  due  componenti  orizzontali  dell’azione 

sismica sono riportati in Tabella 13 nella quale =1 se ≥3 e =(/3)0,5 per 3 > ≥ 1, 

essendo  =  L/H  dove  L  è  la  distanza  della  sezione  di  cerniera  plastica  dalla  sezione  di 

momento nullo ed H è  la dimensione della  sezione nel piano di  inflessione della  cerniera 

plastica. 

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I valori massimi q0 del  fattore di  struttura  sono da applicare alle  singole pile, per ciascuna 

delle  due  direzioni  principali,  nei  casi  di  ponti  isostatici  e  all’intera  opera,  ma  ancora 

separatamente per le due direzioni, nei casi di ponti a travata continua. 

Tabella 13: 7.9.I ‐ NTC2008, determinazione fattore di struttura 

 

Ipotizzando una progettazione  in  classe di duttilità  “B”   e  avendo pile  verticali  inflesse  in 

cemento armato, il fattore di struttura di progetto è 1,5 . 

Per  la componente verticale dell’azione sismica il valore di q utilizzato, a meno di adeguate 

analisi giustificative, è q = 1,5 per qualunque tipologia strutturale e di materiale, tranne che 

per i ponti per i quali è q = 1. 

DETERMINAZIONE DEGLI SPETTRI DI RISPOSTA 

La determinazione degli  spettri di  risposta è  stata effettuata utilizzando  il  foglio di calcolo 

messo  a  disposizione  dal  Consiglio  superiore  dei  lavori  pubblici  (Spettri‐NTCver1.0.3.xls) 

andando  a  determinare  direttamente  lo  spettro  inelastico  di  progetto  allo  SLV  per  la 

componente orizzontale e verticale. 

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Figura 42: Determinazione spettro ‐ step 1 

 

Figura 43: Determinazione spettro ‐ step 2 

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Figura 44: Determinazione spettro ‐ step 3 

I parametri di spettro determinati sono i seguenti: 

Parametri indipendenti Parametri dipendenti

STATO LIMITE SLV S 1.092

ag 0.439 g 0.833

Fo 2.440 TB 0.140 s

TC* 0.421 s TC 0.421 s

SS 1.000 TD 3.355 s

CC 1.000

ST 1.092

q 1.200

 

Tabella 14: Punti dello spettro di risposta adimensionalizzato orizzontale e verticale 

T [s]  Se [g] ‐ ORIZZONTALE  T [s]  Se ‐ VERTICALE [g] 0.000  0.479  0.000  0.428 

0.140  0.974  0.050  1.045 

0.421  0.974  0.150  1.045 

0.560  0.731  0.235  0.667 

0.700  0.585  0.320  0.490 

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0.840  0.488  0.405  0.387 

0.979  0.418  0.490  0.320 

1.119  0.366  0.575  0.273 

1.259  0.325  0.660  0.237 

1.399  0.293  0.745  0.210 

1.538  0.266  0.830  0.189 

1.678  0.244  0.915  0.171 

1.818  0.225  1.000  0.157 

1.957  0.209  1.094  0.131 

2.097  0.195  1.188  0.111 

2.237  0.183  1.281  0.095 

2.377  0.172  1.375  0.083 

2.516  0.163  1.469  0.073 

2.656  0.154  1.563  0.064 

2.796  0.147  1.656  0.057 

2.935  0.140  1.750  0.051 

3.075  0.133  1.844  0.046 

3.215  0.127  1.938  0.042 

3.355  0.122  2.031  0.038 

3.385  0.120  2.125  0.035 

3.416  0.118  2.219  0.032 

3.447  0.116  2.313  0.029 

3.477  0.114  2.406  0.027 

3.508  0.112  2.500  0.025 

3.539  0.110  2.594  0.023 

3.570  0.108  2.688  0.022 

3.600  0.106  2.781  0.020 

3.631  0.104  2.875  0.019 

3.662  0.102  2.969  0.018 

3.693  0.101  3.063  0.017 

3.723  0.099  3.156  0.016 

3.754  0.097  3.250  0.015 

3.785  0.096  3.344  0.014 

3.816  0.094  3.438  0.013 

3.846  0.093  3.531  0.013 

3.877  0.091  3.625  0.012 

3.908  0.090  3.719  0.011 

3.939  0.089  3.813  0.011 

3.969  0.088  3.906  0.010 

4.000  0.088  4.000  0.010 

 

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Capitolo: A

nalisi dei carichi 

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Figura 45: Grafico spettri di risposta inelastici di progetto 

 

 

 

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Capitolo: Effetti locali 

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EFFETTI LOCALI 

Gli  elementi  strutturali  che  sono  di  supporto  alla  pavimentazione  stradale  devono  essere 

dimensionati  e  verificati  per  resistere  all’azione  diretta  dei  carichi  dovuti  alle  ruote  dei 

veicoli. 

In  passato  questi  elementi  erano  indipendenti  dalla  struttura  principale  del  ponte  su  cui 

gravavano come sovraccarico permanente; nel dopoguerra però la necessità di ricostruire un 

gran  numero  di  ponti  e  il  forte  aumento  dei  carichi  accidentali  hanno  spinto  verso  una 

migliore  utilizzazione  dei materiali.  La  lamiera  o  la  soletta  di  impalcato  sono  state  rese 

solidali  con  le  travi  principali  sostituendone  il  corrente  superiore  e  venendo  quindi  ad 

assolvere alla duplice funzione di sopportare localmente i carichi trasferendoli alle strutture 

principali per poi collaborare con le travi stesse per riportare i carichi sugli appoggi: 

 

Figura 46: Distribuzione dei carichi applicati 

La soletta molto spesso funge da corrente superiore per i trasversi. 

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Capitolo: Effetti locali 

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E’ evidente che  l’individuazione di questi due compiti da parte della soletta corrisponde ad 

una  schematizzazione  forse  troppo  elementare,  funzionando  il  ponte  nel  suo  complesso 

come una struttura spaziale. 

Il calcolo è condotto  in generale supponendo dapprima nulli gli spostamenti verticali delle 

travi  e  quindi  la  soletta  può  essere  trattata  come  una  piastra  orizzontale  vincolata 

elasticamente alle anime delle  travi  che  risultanto  impegnate  flessionalmente  in un piano 

ortogonale al loro asse. 

 

Figura 47: Schema di calcolo effetti locali soletta 

Di  seguito  verrà  illustrata  una  trattazione  dettagliata  sulla  caratterizzazione,  il 

comportamento  ed  il  calcolo  delle  lastre  ortrotrope  propedeutica  al  calcolo  numerico 

effettuato per la valutazione degli effetti locali agenti sulla soletta e gli irrigidimenti. 

 

 

 

 

 

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Capitolo: Effetti locali 

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INTRODUZIONE ALLE PIASTRE ORTROTROPE 

La  necessità  di  ridurre  i  carichi  permanenti  nei  ponti metallici  di  grande  luce  ha  portato, 

dopo l’ultima Guerra mondiale, al perfezionamento di impalcati interamente metallici in cui 

il  piano  viario  è  costituito  da  una  lastra  di  acciaio  che  sopporta  una  pavimentazione  in 

genere molto sottile. 

Si è arrivati così ad un peso, per  la sola piastra, di 0,8 ‐1,2 KN/m2 (contro  I 5 KN/m2 di una 

soletta in c.a. di 20 cm di spessore) e ciò può giustificare a volte l’impiego di queste strutture 

che di per sè sono molto costose, richiedendo tecnologie e mano d’opera specializzate. 

Va ricordato che queste piastre svolgono anche funzione di corrente (superiore od inferiore) 

della  struttura  principale  contribuendo  a  ridurre  ulteriormente  il  peso  complessivo 

dell’impalcato. 

Cospicui esempi di ponti con piastra ortotropa sono il ponte sulla Sava a Belgrado, il viadotto 

Europa  nei  pressi  di  Innsbruck  (Austria)  a  trave  continua  con  luce  centrale  di  198 m,  del 

1963, e praticamente tutti i ponti con luce superiore a 100 m costruiti dopo questa data. In 

Italia i primi esempi di piastre ortotrope si hanno nel viadotto Lao dell'autostrada SA‐RC del 

1969‐71  (oggetto  di  questa  tesi)  ed  in  quello  sulla  fiumara  dello  Sfalassa',  della  stessa 

autostrada, a portale con luce complessiva di 376 m, progettato da S. Zorzi. 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo: Effetti locali 

86 

 

STORIA EVOLUTIVA DEGLI IMPALCATI IN LASTRA ORTOTROPA 

Questo  sistema  costruttivo può  considerarsi  il  risultato di un processo evolutivo  iniziatosi 

circa  quarant’anni  fa  allorchè,  nel  1930,  negli  Stati  Uniti  d’America  l’A.I.S.C.  (American 

Institute  of  Steel  Construction)  proponeva  un  nuovo  tipo  di  impalcato  leggero 

completamente in acciaio: il “battledeck floor” : 

 

Figura 48: Schema "battledeck floor" 

Si  trattava di una  lamiera disposta  su una  serie di nervature  longitudinali portate da  travi 

trasversali che a  loro volta  scaricavano  sulle  travi principali; un  lontano progenitore di  tali 

strutture  lo si può riconoscere nell’impalcato del ponte di Worms sul Reno, realizzato negli 

ultimi anni dell’800.  

Il  calcolo  della  struttura  era  condotto  pensandola  costituita  da  una  serie  di  tre  elmenti 

indipendenti atraverso  i quali, con successivi effetti  trave,  i carichi venivano  trasmessi alle 

travi principali. 

Le prove  sperimentali  condotte dall’A.I.S.C. mostrarono  invece grandi  riserve di  resistenza 

rispetto  ai  risultati  ottenuti  col  calcolo  a  trave  dei  singoli  elementi  (cosa  di  cui  si  teneva 

parzialmente conto con formule semiempiriche). 

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Capitolo: Effetti locali 

87 

 

Una notevole evoluzione strutturale fu segnata con la comparsa degli impalcati a graticolo di 

travi : 

 

Figura 49: Schema a graticolo di travi 

Pur non disancorandosi dal campo delle strutture  lineari si  intuiva e si sfruttava  il naturale 

contributo  offerto  alla  resistenza  dalle  azioni  mutue  flesso‐torsionali  dei  due  ordini  di 

nervature disposti sotto la lamiera.   

Negli anni  immediatamente precedente  la seconda guerra mondiale, con  il perfezionarsi e 

l’affermarsi delle  tecniche di  saldatura, apparvero  in Germania gli  impalcati ultraleggeri a 

struttura cellulare: 

 

Figura 50: Schema di impalcato ultraleggero a struttura cellulare 

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Capitolo: Effetti locali 

88 

 

Si  è  abbandonata  quindi  la  vecchia  concezione  strutturale  ad  elementi  indipendenti 

realizzando  l’impalcato  con un doppio ordine di nervature ortogonali di pressoché uguale 

rigidezza, notevolmente ravvicinate e collaboranti con la lamiera sovrastante. In tal modo il 

problema della ripartizione dei carichi fra le strutture orizzontali e della loro diffusione verso 

le travi principali poteva dirsi risolto  in maniera pressoché ottimale con  l’utilizzazione della 

piastra  a  celle  la  quale,  avendo  rigidezza  pressoché  costante  secondo  tutte  le  direzioni 

uscenti da un punto, garantiva una diffusione a raggiera dei carichi concentrati e di coltello. 

Non ebbe  tuttavia  successo  a  causa delle difficoltà di  calcolo e per  il notevole  costo e  la 

delicatezza della lavorazione in officina. Essendo infatti la struttura completamente saldata, 

a  causa del piccolo  interasse delle nervature, non  si poteva  che  far  ricorso  alla  saldatura 

manuale; si esaltavano, inoltre, tutti i problemi relativi a deformazioni e tensioni indotte dal 

ritiro dei cordoni di saldatura. 

L’ultimo  atto  del  processo  evolutivo  che  si  sta  tratteggiando  può  ancora  localizzarsi  in 

Germania,  negli  anni  dell’immediato  dopoguerra,  allorché  gli  ingenti  danni  prodotti  dal 

conflitto  alle  opere  di  attraversamento  sui  grandi  fiumi  e  l’impellente  necessità  di  una 

grandiosa opera di ricostruzione imponevano la soluzione del problema in termini di validità 

sia tecnica che economica. 

Prendendo  lo spunto dalle strutture cellulari, distanziando ed  irrigidendo maggiormente  le 

nervature  trasversali,  nasceva  l’impalcato  in  lamiera  irrigidita,  a  piastra  ortotropa. 

Contenendo entro limiti opportuni l’interasse delle traverse non si perdeva l’effetto piastra, 

messo  in  evidenza  negli  impalcati  a  celle,  mentre  si  semplificavano  le  operazioni  ed  i 

problemi  connessi  alle  saldature,  eseguibili  con  processi  automatici  o  semiautomatici, 

ottenendosi  di  conseguenza  sensibili  vantaggi  economici  che  risultavano  decisivi  per 

l’affermazione del nuovo sistema costruttivo. A ciò va aggiunto che, nel contempo, una larga 

messe di studi e di ricerche contribuivano a mettere  in  luce gli aspetti teorici del problema 

fornendo vari strumenti per il calcolo e la progettazione.  

 

 

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Capitolo: Effetti locali 

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CARATTERIZZAZIONE DEGLI IMPALCATI 

Un  impalcato  a  piastra  ortotropa  di  tipo  tradizionale  è  formato  da  una  lamiera  piana 

superiore  sottile  (lamiera)  irrigidita  da  costole  longitudinali  (ribs)  e  da  travi  trasversali  ad 

essa saldate (floor beams) ad interassi molto maggiori. 

L’insieme che  si ottiene è caratterizzato dall’avere  rigidezze diverse  secondo due direzioni 

ortogonali tra loro; da ciò è derivato il nome di piastre ortogonali ‐ anisotrope, poi contratto 

in piastre ortrotrope. Tale denominazione comune è da intendersi impropria poiché nel caso 

in questione si tratta di una lamiera o piastra isotropa, solidale ad un grigliato discontinuo di 

travi, e non di una piastra continua formata da materiale anisotropo. 

 

Figura 51: Schematizzazione impalcato in lastra ortotropa 

La  differenziazione  principale  nel  campo  delle  piastre  ortrotrope  attuali  è  costituita  dalla 

forma degli irrigidimenti longitudinali e si possono distinguere due categorie: 

a) Piastre con costole di tipo “aperto” 

b) Piastre con costole del tipo “chiuso” 

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Capitolo: Effetti locali 

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Figura 52: Differenziazione costole aperte e chiuse 

Nel  primo  tipo  le  costole  longitudinali  sono  praticamente  prive  di  rigidezza  torsionale. 

Inizialmente  esse  erano  dei  semplici  piatti,  poi  si  sono  cercate  forme  con  una migliore 

distribuzione del materiale, quale T inverso, L, o recentemente i piatti con bulbo (utilizzati in 

questo impalcato). 

Le  costole  del  tipo  chiuso  sono  caratterizzate  invece  dall’avere  un’elevata  rigidezza 

torsionale e possono avere  forma trapezoidale, a V, a U, a Y, ecc. La conseguenza è anche 

una  più  efficace  ripartizione  dei  carichi  e  quindi  un  alleggerimento  della  struttura;  gli 

interassi variano generalmente fra i 60 ed i 70 cm: 

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Figura 53: Confronto tra costole di tipo aperto e chiuso 

Un confronto tra  i due tipi di piastre ortotrope è oltremodo difficile non risultando, da un’ 

analisi comparativa di vari ponti eseguiti con caratteristiche simili  tra  loro, una sostanziale 

diversità  di  pesi  a m2  di  impalcato  a  seconda  della  forma  delle  costole.  Tuttavia  facendo 

considerazioni relative alla fabbricazione ed al montaggio, un confronto fra gli stessi segna a 

favore  del  primo  il  vantaggio  rilevante  della  maggiore  semplicità  esecutiva  (i  giunti  di 

montaggio – specie se realizzati con bulloni   ‐ sono molto più complessi nel caso di costole 

chiuse) mentre il secondo si fa d’altra parte preferire per una serie di indiscutibili pregi quali:  

Una più efficace ripartizione dei carichi 

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Capitolo: Effetti locali 

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Una maggiore distanza tra le traverse che porta ad un minor numero di intersezioni 

che richiedono lavorazioni costose e delicate 

La riduzione delle saldature e dei conseguenti stati di tensione e deformazione; 

infatti la quantità di saldature richieste sono circa la metà per quelle di tipo b) sia per 

il minor numero di trasversi, sia perché sono necessari due cordoni di saldatura per 

ogni costola 

La superficie da pitturare è inferiore nel caso delle costole chiuse; per queste d’altro 

canto è necessario fornire la perfetta stagnazione, anche in corrispondenza dei giunti 

di montaggio; una eventuale corrosione dell’interno sarebbe dannosissima in quanto 

non controllabile 

Il conseguente alleggerimento della struttura 

Si esamina ora nel dettaglio la migliore ripartizione dei carichi offerta: 

DISTRIBUZIONE  LATERALE  DELLE  IMPRONTE  DI  CARICO  NEGLI  IMPALCATI  CON  COSTOLE 

CHIUSE 

Una delle proprietà caratteristiche delle lastre ortotrope con costole chiuse è la loro capacità 

di  distribuzione  delle  impronte  di  carico  dei  pneumatici  nella  direzione  perpendicolare 

dell’impalcato. 

Un  carico  posizionato  sopra  ad  un  irrigidimento  non  è  sopportato  solo  da  quello 

direttamente caricato ma anche da quelli adiacenti e quindi  il rib principale porta solo una 

frazione  del  peso  imposto.  La  distribuzione  laterale  del  carico  dipende  dalle  proprietà 

geometriche  d’impalcato:  lo  spessore  della  soletta,  l’interasse  tra  le  costole,  la  larghezza 

della  campata e la loro rigidezza torsionale e flessionale.  

Il parametro caratteristico che governa  la distribuzione  laterale dei carichi è  il rapporto tra 

l’effettiva  rigidezza  torsionale  del  rib  e  la  sua  rigidezza  flessionale   con  la  capacità  di 

distribuzione laterale direttamente proporzionale ad esso. 

L’effettiva  rigidezza  torsionale H  è  funzione dell’area, della profondità,  dello  spessore del 

pannello  e  della  rigidezza  flessionale  della  soletta  con  gli  irrigidimenti. A  parità  di  area  il 

valore di H aumenta con la larghezza in campata.  

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Il valore di Dy, indipendente dalla larghezza in campata, è ottenuto considerando la larghezza 

collaborante di soletta. 

Per impalcati con campate nel range di 6 – 7,5 m il carico di progetto su una singola costola è 

generalmente  più  grande  del  60%  del  carico  direttamente  applicato  e  la  proporzione 

aumenta  rapidamente  con  il  diminuire  della  larghezza  dell’impalcato.  Al  contrario,  per 

campate  più  larghe,  il  carico  per  rib  diminuisce  e  il  momento  flettente  risultante  e  le 

deformazioni aumentano solo  leggermente con  l’aumentare della  larghezza  in campata per 

un’assegnata impronta di carico: 

 

Figura 54: Momenti negativi massimi nell'impalcato in funzione della larghezza della campata 

Nell’immagine  seguente  è  descritto  l’andamento  tipico  degli  effetti  dei  sovraccarichi 

nell’impalcato di larghezza circa 9 m: 

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Figura 55: Distribuzione del momento longitudinale My in impalcato con campata larga 

E’ evidente che il rib direttamente caricato porta solo metà dell’impronta imposta, mentre il 

resto è trasferito agli elementi adiacenti. Tuttavia, con autocarri transitanti simultaneamente 

in corsie adiacenti,  si ha una distribuzione per cui  l’effetto va a  sommarsi anche  sul  rib  in 

considerazione per un’aliquota non superiore del 10% al carico imposto singolarmente. 

Esaminando i ponti costruiti in Europa con impalcati a piastra ortotropa, si trovano in egual 

misura esempi di impiego di costole chiuse ed aperte . In Italia c’è una certa preferenza per 

l’impiego di costole aperte (come questo impalcato ed il ponte sull’Oglio lungo l’autostrada 

Milano – Venezia). 

I  trasversi  hanno  in  ogni  caso  forma  di  T  inverso,  realizzati  con  un mezzo  profilato  o  in 

esecuzione saldata. Essi vengono posti ad un interasse di 1,5 – 2 m nel caso di costole aperte 

(Pietrangeli, oppure 1,5 – 3 m secondo Matildi – Mele), circa  il doppio nel caso di costole 

chiuse  (Pietrangeli, oppure 2 –  4,5 m  secondo Matildi – Mele),  la  cui  rigidezza  torsionale 

permette una migliore ripartizione dei carichi tra costole stesse. Il valore prescelto dipende 

inoltre  dalla  distanza  frale  travi  principali  portanti,  crescendo  di  norma  al  crescere  di 

quest’ultima al fine di realizzare la massima economia d’acciaio. 

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Capitolo: Effetti locali 

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La  lastra  superiore ha  spessori variabili  in  relazione alle esigenze di calcolo; normalmente, 

comunque, non si scende al di sotto di 10 mm per evitare eccessive deformazioni locali che 

potrebbero danneggiare  la pavimentazione. Le DIN 1079 prescrivono uno spessore minimo 

di 12 mm con interasse delle costole di 300 mm (14 mm con interasse di 350 mm).  

COMPORTAMENTO STRUTTURALE 

Il  comportamento  strutturale  degli  impalcati  in  lamiera  nervata  può  caratterizzarsi 

individuando per  la struttura una  triplice  funzione  resistente cui corrispondono altrettante 

fasi di calcolo e sistemi tensionali e deformativi. 

1) Prima di tutto la lamiera ha il compito di riportare sul graticcio sottostante i carichi 

insistenti su di essa (schema 1) 

2) Va poi verificato l’impalcato sotto l’azione dei carichi locali; in questa fase la struttura 

in esame va considerata come una piastra ortrotropa tramite la quale i carichi 

suddetti si riportano sulle travi principali; le tensioni risultanti nei diversi elementi 

componenti la piastra (lamiera, rinforzi longitudinali, traverse) costituiscono lo 

schema 2 di tensioni 

3) Va poi tenuto conto che l’impalcato, solidale con le travi principali, partecipa con 

queste alla resistenza globale, assorbendo un’aliquota delle sollecitazioni indotte dai 

carichi sulla struttura principale; le tensioni indotte in questa fase danno luogo allo 

schema 3 

LE PAVIMENTAZIONI 

Le lamiere nervate vanno completate con uno strato di rivestimento avente il duplice scopo 

di  proteggere  la  struttura  sottostante  dall’azione  corrosiva  degli  agenti  atmosferici  e 

sottrarla a quella diretta del traffico. 

I  requisiti  cui,  in generale,  tali pavimentazioni devono  soddisfare possono  riconoscersi nei 

seguenti: 

leggerezza, per evitare inutili appesantimenti su una struttura di per se stessa 

ultraleggera 

resistenza allo scorrimento 

buona aderenza alla lamiera d’impalcato 

resistenza all’usura per gli strati a diretto contatto col traffico 

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presentare una superficie esterna liscia 

stabilità alle alte temperature 

resistenza alla fessurazione a bassa temperatura e per gli improvvisi abbassamenti di 

essa 

costruire una valida protezione per la corrosione 

essere di semplice e rapida applicazione e manutenzione 

Fatta eccezione per  alcuni  tipi  speciali,  le pavimentazioni  attualmente  adoperate possono 

dividersi in due categorie: 

a) pavimentazioni di grosso spessore (2,5 cm < s ≤ 7 cm) a base di materiali bituminosi; 

b) pavimentazioni sottili (s ≤ 2,5 cm) a base di materie plastiche 

LE PAVIMENTAZIONI BITUMINOSE 

Sono probabilmente quelle che offrono le maggiori garanzie soprattutto per l’estesa e varia 

applicazione  che  se  ne  è  fatta.  Basti  infatti  pensare  che  nella  sola  Germania  sono  state 

proposte, dal 1950 ad oggi, circa 40 diverse composizioni di esse. 

In generale  tali pavimentazioni  sono  costituite da una  serie di  strati destinati  ciascuno ad 

assolvere  una  specifica  funzione.  Partendo  dalla  lamiera  d’impalcato  e  procedendo  verso 

l’esterno si incontrano: 

a) uno strato di base, destinato a proteggere la lamiera dalla corrosione e ad assicurare 

un’efficace aderenza della pavimentazione ad essa; 

b) uno o più strati intermedi con funzione isolante o di livellamento, oltre che di 

ripartizione dei carichi 

c) uno strato esterno di usura 

Per  quanto  riguardo  lo  strato  protettivo  e  adesivo  di  base  sono  state  proposte  diverse 

soluzioni: vernici bituminose, allo zinco o a base di resine epossidiche, mastici di asfalto, fogli 

di alluminio o rame increspati, ecc . Essenziale è che, in ogni caso, si abbia un elevato valore 

del coefficiente d’aderenza con la base sia a secco che in condizioni di umidità. 

Talora per migliorare tale aderenza si ricorre a dispositivi meccanici, saldando sulla  lamiera 

delle reti di tondini o barre d’acciaio a zig‐zag. 

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Capitolo: Effetti locali 

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Gli  strati  intermedi  e  quello  di  usura  sono  costituiti  invece  da  mastici  o  conglomerati 

bituminosi dello spessore di circa 2 – 3 cm ciascuno. 

Lo spessore totale va da un minimo di 2,5 a 7 cm a seconda della composizione degli strati, 

con un valore prevalente di 5,5 – 5 cm: 

 

Figura 56: Schema tipo pavimentazione bituminosa 

I danni principali che si riscontrano in tal genere di pavimentazioni sono diversi. 

Anzitutto  una  serie  di  fessurazioni  parallele  ai  rinforzi  longitudinali.    La  causa  di  tale 

danneggiamento  sta  però  non  tanto  nella  deformabilità  della  lamiera  sottostante  quanto 

invece in una inadeguata scelta della composizione del rivestimento. 

In  proposito  infatti  un’indagine  sperimentale  condotta  in  Giappone  sulle  pavimentazioni 

bituminose  di  21  ponti  e  successivi  studi  in  Germania  non  hanno  mostrato  alcuna 

correlazione tra  il  fenomeno accennato,  lo spessore della  lamiera e  l’interasse  fra  i rinforzi 

longitudinali. Le  fessurazioni sono,  invece,  fortemente dipendenti dal volume del traffico e 

dal tipo di pavimentazione. 

Un bitume molto soffice o in quantità eccessive può dar luogo ad ondulazioni trasversali che, 

pur non essendo preoccupanti come  le precedenti fessurazioni agli effetti della corrosione, 

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Capitolo: Effetti locali 

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sono  assolutamente  da  evitarsi  perché  esaltano  gli  effetti  dinamici  e  sono  oltremodo 

fastidiose dal punto di vista del confort del transito. 

Altro deterioramento  tipico delle pavimentazioni bituminose è  la  formazione di bolle  che, 

pressate dai carichi in transito, danno luogo a fessure ad andamento circolare. La formazione 

di bolle è provocata dal riscaldamento d’aria, gas vari o vapore acqueo contenuti negli strati. 

Per tal motivo è necessario assicurare la massima densità del rivestimento. 

Alcuni  inconvenienti,  infine,  possono  nascere  dall’applicazione  di  dispositivi  meccanici 

d’ancoraggio  (reti  saldate,  barre  a  zig‐zag)  a  causa  del  diverso  coefficiente  di  dilatazione 

termica dell’acciaio e dell’asfalto.  In particolare nel  caso di  reti  saldate  la  superficie della 

pavimentazione si presenta come trapuntata, con maglie delle stesse dimensioni della rete 

sottostante. 

LE PAVIMENTAZIONI A BASE DI RESINE 

Sono pavimentazioni molto  leggere con spessore variabile fra 1 e 2,5 cm e possono essere 

costituite: 

da calcestruzzi di resine 

da uno strato di resina applicato allo stato liquido sul quale, prima dell’indurimento, 

viene cosparsa della graniglia 

Le  resine  impiegate  sono  di  tipo  epossidico.  Le  applicazioni  sono  state  tuttavia  piuttosto 

limitate finora a causa dei numerosi inconvenienti riscontrati. 

Primo  fra  tutti è proprio  lo  spessore minimo  che è dello  stesso ordine di grandezza delle 

irregolarità presentate dalla superficie dell’impalcato (spesso dell’ordine di 1 – 1,5 cm).  

A  ciò  va  aggiunta  una  scarsa  resistenza  all’usura  ed  una  fragilità  che  non  permettono  al 

rivestimento di seguire le deformazioni della sottostante lamiera.  

Lo  spessore modesto,  inoltre,  impone  una  più  accurata  protezione  dalla  corrosione  della 

lamiera d’acciaio. 

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Capitolo: Effetti locali 

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In definitiva quindi il campo di applicazione più idoneo per tali rivestimenti può individuarsi 

nei ponti provvisori o soggetti a traffico leggero e di modesto volume, con l’adozione, in tutti 

i casi, di spessori pari ai maggiori valori dell’intervallo considerato (s = 2 – 2,5 cm) . 

CONSIDERAZIONI FINALI 

Il  campo  di  applicazione  più  congeniale  alle  lamiere  irrigidite  è  d’altronde  quello  degli 

impalcati da ponte (per quanto riguarda l’ingegneria civile).  

Sotto l’aspetto economico sono interessanti alcune considerazioni.  

E’ evidente innanzitutto l’economia di peso realizzabile per le strutture d’impalcato, dovuta: 

da una parte, al funzionamento dei vari elementi costituenti l’impalcato come una 

sola unità strutturale 

dall’altra, a fattori quali l’impiego della saldatura (per lo meno negli assemblaggi 

d’officina) e degli acciai ad elevato limite di snervamento, dimostratisi decisivi per lo 

sviluppo della costruzione metallica in generale 

infine, ai sistemi di pavimentazione leggera adoperati sulle lamiere nervate 

Ovviamente non  va  sottovalutato  il  fatto  che a  tale economia  si aggiunge quella  che, per 

l’alleggerimento dell’impalcato, si rende possibile nelle strutture principali. 

La notevole messe di dati fornita dall’esperienza acquisita in Germania nell’imponente opera 

di ricostruzione post‐bellica è la migliore conferma di quanto si va dicendo. 

Si faccia riferimento alla figura seguente: 

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Capitolo: Effetti locali 

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Figura 57: Riduzione percentuali dei pesi con l'adozione di impalcati in lastra ortotropa 

Nei ponti di Kurpfalz e Düsseldorf si registrano economie di peso che si aggirano tra il 15 ed il 

25 per cento. Nel caso del ponte di Colonia il sostanziale mantenimento dello schema statico 

e  costruttivo  consente un più  significativo  confronto:  il  risparmio di  acciaio è del 55%.  In 

quello del ponte sulla Sava a Belgrado il peso si è ridotto del 44% pur avendo sostituito una 

travata sospesa con una autoportante.  

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Capitolo: Effetti locali 

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Deve  inoltre tenersi conto della riduzione dei costi delle sottostrutture, dovuta al notevole 

alleggerimento delle  sovrastrutture, nonché delle  sensibili economie ottenibili nei  costi di 

montaggio per la possibilità di realizzare una integrale prefabbricazione della struttura. 

Si può quindi obiettivamente parlare di riduzioni in peso mediamente dell’ordine del 40 – 60 

% , rese possibili in primo luogo dal suaccennato alleggerimento degli impalcati, oltre che da 

tutti gli altri fattori che hanno favorito l’evoluzione delle strutture in acciaio negli ultimi anni. 

E’ peraltro evidente  che non  tutta  l’economia di peso  si  traduce  in economia dei  costi di 

produzione in quanto sistemi più complessi richiedono lavorazioni più onerose; pur tuttavia 

può ritenersi conseguibile un’economia del 10 – 15% naturalmente riferita al solo costo di 

fabbricazione (con esclusione quindi di trasporto e montaggio). 

COSTO DEI MATERIALI RISPETTO ALLA MANODOPERA 

Il primo ponte con  impalcato  in  lastra ortotropa  fu costruito nel 1950  in Germania dove  il 

ponte  sul  Reno,  distrutto  durante  la  seconda  guerra mondiale,  doveva  essere  ricostruito 

velocemente ed economicamente.  In quel  tempo  l’acciaio  in  Europa era  scarso e  costoso 

mentre  la manodopera  relativamente economica. Di  conseguenza gli  ingegneri  strutturisti 

mirarono principalmente a minimizzare il peso dell’acciaio e progettarono i ponti con questo 

criterio. Negli  Stati Uniti,  dove  questa  tipologia  di  progettazione  fu  introdotta  nel  ’60  ,  il 

rapporto  di  costo  tra  l’acciaio  e  il  lavoro  di  costruzione  e  fabbricazione  era  inverso,  e  il 

risparmio  sul  peso  in  acciaio  non  fu  il  primo  aspetto  affrontato  in  fase  progettuale. 

Attualmente, poiché sia il costo dell’acciaio che della lavorazione si sono moltiplicati, il costo 

di  produzione  è  diventato  molto  più  significativo  del  costo  dell’acciaio.  Questa 

considerazione è valida sia per gli Stati Uniti che per i paesi Europei dove i salari protetti da 

sindacati prevalgono e determinano il costo delle costruzioni in acciaio. 

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Capitolo: Effetti locali 

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Figura 58: Ripartizione dei costi di costruzione di ponti con impalcati in lastra ortrotropa 

L’elevato rapporto  lavorazione/materiale è significativo specialmente nella fase costruttiva. 

E’ evidente che il costo di lavorazione, inclusa la fabbricazione e le fase costruttiva abbraccia 

almeno i ¾ del costo totale mentre il costo dell’acciaio è relativamente basso. Ne consegue 

che il costo delle lastre ortotrope può essere ridotto in maniera significativa solo riducendo 

drasticamente  i  costi  costruttivi.  Si  può  ottenere  questo  obiettivo  diminuendo  il  numero 

delle costole aumentando lo spessore di soletta e distribuendo ribs più profondi più lontani. 

CENNI SULLE METODOLOGIE CLASSICHE DI CALCOLO 

Nel  tempo  si  sono  codificate  in  letteratura  delle  schematizzazioni  utili  a  semplificare  il 

difficile calcolo rigoroso di queste strutture. 

Si è  individuato un  triplice aspetto nella  funzione  resistente della  lamiera,  la quale  riporta 

sulle  nervature  di  rinforzo  i  carichi  ad  essa  direttamente  applicati,  collabora  con  esse 

creando una struttura ortotropa attivamente resistente ai carichi concentrati sull’impalcato 

e,  infine,  costituisce,  assieme  ai  rinforzi  longitudinali,  parte  della  sezione  resistente  delle 

membrature portanti principali. 

Qualora  il  carattere  di  ortrotropia  dell’impalcato  derivasse  dalle  proprietà  del materiale 

costituente  o  nel  caso  di  rinforzi  infinitamente  vicini  tra  loro,  il  sistema  1  di  tensioni 

risulterebbe evidentemente nullo.  

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Capitolo: Effetti locali 

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Nei casi pratici di ortotropia strutturale,  invece,  i carichi  locali sono applicati fra  i rinforzi, a 

loro volta disposti ad interasse non trascurabile rispetto alle superfici d’impronta dei carichi 

stessi. Nasce pertanto nella struttura uno stato tensionale ben distinto da quelli 2 e 3 grazie 

al quale  le azioni concentrate possono  intendersi agenti su un sistema strutturale a piastra 

ortrotropa. 

SISTEMA 1: ANALISI DELLA LAMIERA D’IMPALCATO 

Per  comprendere meglio  le metodologie  è  utile  studiare  il  comportamento  della  lamiera 

d’impalcato sotto l’azione di carichi crescenti: 

 

Figura 59: Risultati delle prove eseguite 

1) In una prima fase, sotto carichi di entità paragonabile a quella dei carichi in esercizio 

normalmente ammessi sugli impalcati da ponte, la lamiera lavora in campo elastico 

funzionando come piastra isotropa continua su rinforzi longitudinali; le tensioni son 

prevalentemente di natura flessionale con irrilevante effetto di membrana 

2) Facendo crescere i carichi si accentua il comportamento a membrana per l’insorgere 

di notevoli reazioni orizzontali, sicché il conseguente stato tensionale non è più 

trascurabile; tale effetto si esalta inoltre per la contemporanea presenza di 

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Capitolo: Effetti locali 

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deformazioni iniziali e tensioni indotte dal ritiro dei cordoni longitudinali di saldatura; 

a causa di ciò la struttura continua a rimanere in campo elastico anche per valori dei 

carichi notevolmente maggiori di quelli prevedibili in base alla teoria elastica delle 

piastre sottili 

3) Superato il limite di elasticità (terza fase) la struttura entra in regime elasto – 

plastico: le tensioni di membrana continuano a crescere e diventano confrontabili 

con quelle flessionali 

4) Infine (quarta fase) nelle zone di massimo momento, e cioè, nel caso specifico, lungo 

i rinforzi longitudinali, si formano delle cerniere plastiche. Da questo momento il 

comportamento preponderante è quello di una membrana tesa fra cerniere 

cilindriche e tale si conserva fino al collasso 

Le conclusioni che si possono trarre sono: 

l’elevata capacità portante della lamiera d’impalcato dovuta all’effetto benefico, 

combinato, della plasticizzazione del materiale e del funzionamento a membrana 

la netta distinzione fra il comportamento sotto carichi modesti, quali quelli di 

esercizio, nella fase 1 e quello sotto carichi eccezionali (fase 4) 

L’analisi  della  lamiera  come  piastra  sottile  elastica  continua  sui  rinforzi  longitudinali  e 

soggetta  ai  carichi  di  esercizio  ha  pertanto  scarso  interesse:  le  tensioni  conseguenti  non 

danno alcuna misura dell’effettivo grado di sicurezza e potranno di conseguenza trascurarsi 

nei calcoli. 

SISTEMA 2: ANALISI STATICA DELLA LAMIERA IRRIGIDITA 

L’analisi  statica  di  una  lamiera  irrigidita  da  uno  o  più  ordini  di  rinforzi  può  affrontarsi 

partendo da due impostazioni concettuali sostanzialmente molto diverse fra loro. 

1) La via più diretta è quella di pensare alla struttura reale, costituita cioè da una piastra 

isotropa  vincolata  a  uno  o  più  complessi  sistemi  di  nervature;  in  questo  caso  il 

sistema  si  risolve  come  un  grigliato  operando  al  discreto  una  separazione  degli 

elementi strutturali e giungendo alla soluzione tramite l’imposizione delle condizioni 

di equilibrio ed il rispetto della congruenza 

2) Si  può  invece  pensare  di  sostituire  l’effettiva  struttura,  costituita  da  una  lamiera 

variamente  irrigidita nelle diverse direzioni secondo cui sono disposte  le nervature, 

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Capitolo: Effetti locali 

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con  una  piastra  anisotropa  equivalente,  ovvero  con  una  piastra  avente  la  stessa 

forma in pianta della struttura di partenza ed ugualmente vincolata, costituita da un 

materiale anisotropo fittizio tale da garantire un analogo comportamento strutturale 

e quindi avente le stesse caratteristiche di rigidezza. 

Nel caso di una lamiera irrigidita in due direzioni ortogonali la struttura equivalente è 

quindi  una  piastra  ortotropa  con  rigidezze  pari  a  quelle  della  struttura  nervata 

supposte  ripartite  lungo  le  direzioni  delle  nervature  (rinforzi  longitudinali  e 

trasverse). 

Operando  in  tal modo  si  passa  da  un  sistema  discreto  al  continuo  riducendo  la 

soluzione di un problema ad altissimo grado di iperstaticità a quella di una piastra. 

In  realtà  i  valori  correnti degli  interassi  fra  le nervature  sono  tali da  assicurare un 

notevole grado di esattezza nei  risultati;  ciò  vale  in modo particolare per  i  rinforzi 

longitudinali che sono molto ravvicinati. 

3) Intermedio  tra  i precedenti:  schematizzare  la  struttura  come una piastra ortotropa 

formata  dalla  lamiera  e  dai  rinforzi  longitudinali,  continua  su  appoggi  elastici 

costituiti dalle traverse. 

A tal fine è utile un approfondimento sulla teoria delle piastre ortotrope elaborata da Huber 

tra il 1914 ed il 1929. 

TEORIA DELLA PIASTRA ORTOTROPA 

Si consideri una piastra ortotropa riferita alla terna cartesiana ortogonale x,y,z: 

 

Figura 60: Terna cartesiana di riferimento per lo studio della piastra 

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Capitolo: Effetti locali 

106 

 

Si assuma il piano coordinato x,y coincidente con quello medio della struttura. 

Sul materiale costituente  la piastra si  fa  l’ipotesi che  il  legame  tensioni – deformazioni  sia 

lineare, e che in ogni punto esista un piano di simmetria elastica coincidente con il piano x,y. 

Se  l’ortotropia, come nel caso specifico delle strutture piane nervate, è di  tipo strutturale, 

ciò  equivale  ad  ipotizzare  l’esistenza  di  un  piano  di  simmetria  strutturale  (rinforzi 

simmetrici). 

Si estendono inoltre le ipotesi note della teoria classica delle piastre sottili, ammettendo cioè 

che: 

La  piastra  abbia  spessore  piccolo  rispetto  alle  dimensioni  in  pianta,  per  cui  un 

segmento rettilineo e normale al piano medio della piastra a deformazione avvenuta 

resta ancora rettilineo e normale alla superficie elastica 

Gli spostamenti verticali w siano trascurabili rispetto allo spessore della piastra 

La piastra sia vincolata in modo da non impedire gli spostamenti orizzontali dei punti 

lungo il contorno 

Le tensioni σ, normali al piano medio, siano trascurabili 

Lo  studio  viene  condotto  con  riferimento  ad  un  elemento  infinitesimo  di  piastra, 

considerando soltanto le tensioni σ , σ , τ  : 

 

Figura 61: Elemento infinitesimo di studio 

 

I legami tensioni – deformazioni a livello z assumono la forma: 

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Capitolo: Effetti locali 

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12   

12   

12   

dove: 

12 1   

12 1   

sono le rigidezze flessionali della piastra lungo le direzioni degli assi x e y rispettivamente e: 

 

 

sono costanti che definiscono il fenomeno di contrazione laterale nelle direzioni x e y. 

 12

 

ha il significato di una rigidezza torsionale sempre rispetto agli stessi assi. 

Ex, Ey, Gxy,  t  sono  i moduli di elasticità  longitudinale  lungo  x e  y, quello  tangenziale e  lo 

spessore della piastra. 

Dette inoltre u, v, w le componenti dello spostamento lungo i tre assi coordinati del generico 

punto  P  appartenente  alla  superficie  media,  può  dimostrarsi  che  le  prime  due  sono 

esprimibili  in  funzione  della  terza  e  si  giunge  alle  seguenti  espressioni  delle  tensioni  in 

funzione dell’abbassamento w: 

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Capitolo: Effetti locali 

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12 

12 

122  

Integrandole  opportunamente  lungo  lo  spessore  si  giunge  ai  valori  delle  caratteristiche 

flessionali: 

 

 

 

mentre  nel  rispetto  delle  condizioni  di  equilibrio  alla  rotazione  attorno  agli  assi  x  e  y  si 

deducono i valori delle caratteristiche taglianti: 

  

  

avendo posto 2   4   e quindi: 

  2    2  

essendo  . 

L’unica incognita del problema, w, si ottiene integrando l’equazione differenziale di Huber: 

2 ,  

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Capitolo: Effetti locali 

109 

 

e fissando per volta le condizioni al contorno che interessano. 

La  valutazione  delle  rigidezze  flessionali  Kx  e  Ky  è  effettuata  calcolando  la  rigidezza  di  un 

tratto di struttura pari agli interassi tra i rinforzi secondo x e y e dividendoli per questi ultimi, 

ottenendo quindi dei valori unitari per Kx e Ky. 

E’ invece più opportuno soffermarsi sulla valutazione della rigidezza torsionale H. 

Nel 1923 Huber fornì un primo valore approssimato di tale coefficiente.  

Nel caso di piastra isotropa l’espressione del momento torcente è: 

6   

e quindi, poiché: 

2 1 

si ha  1   

essendo ν il coefficiente di Poisson e  

12 1   

la rigidezza flessionale. 

Le espressioni di Mxy e Myx si possono supporre ancora valide per piastre ortotrope purchè 

ai valori di ν e K si sostituiscano i seguenti: 

   

   

che mediamente mettono in conto le diverse caratteristiche di elasticità e di rigidezza della 

struttura nelle due direzioni di ortotropia. 

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Capitolo: Effetti locali 

110 

 

Con tali posizioni il momento torcente assume l’espressione: 

1       

 

che lega tale caratteristica della sollecitazione alle rigidezze torsionali nelle direzioni x e y. 

Confrontando questa espressione con quella ottenuta in precedenza tramite integrazione 

sullo spessore, si ha: 

2   1      

per cui: 

2     2  1     2         

Poiché per il teorema della reciprocità risulta 

     

si ottiene infine: 

   

Il valore così ottenuto è però molto spesso notevolmente discosto da quello effettivo, con 

scarti generalmente compresi fra il 50% ed il 70%. 

Ciò è dovuto principalmente ai seguenti motivi: 

Nel caso delle lamiere irrigidite il comportamento ortotropo discende dalle diverse 

caratteristiche degli irrigidimenti e non dalla differenza delle costanti elastiche; ne 

consegue che la valutazione della rigidezza torsionale non può ottenersi operando 

così semplicisticamente ma deve tenersi conto delle diverse caratteristiche torsionali 

dei vari ordini di rinforzo e della loro influenza sulle caratteristiche torsionali del 

complesso strutturale 

Gli irrigidimenti non sono simmetrici rispetto al piano medio della lamiera, come 

invece si è supposto  

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Capitolo: Effetti locali 

111 

 

L’ipotesi di piastra sottile e spostamenti piccoli rispetto al suo spessore può in alcuni 

casi risultare poco aderente alla realtà 

La struttura lavora sovente al di là dei limiti di elasticità 

Anche l’ipotesi di costanza dei valori dello spessore e delle caratteristiche di rigidezza 

può essere talvolta discosta dal vero 

Valori più attendibili del coefficiente H possono ottenersi basandosi su prove sperimentali: si 

assoggetta la piastra in esame a condizioni di carico solo lungo il bordo, deducendo dai valori 

misurati degli sforzi e delle deformazioni quelle delle rigidezze. 

Ne consegue che molto spesso nei problemi reali la rigidezza torsionale viene data come 

frazione della rigidezza flessionale media ponendo: 

   

con α compreso tra 0 (piastra totalmente priva di rigidezza torsionale) e 1 (piastra isotropa). 

Generalmente il valore di α è compreso tra 0,3 e 0,5. 

IL CALCOLO DELLE LAMIERE IRRIGIDITE 

Come detto, per ricondurre il calcolo delle lamiere irrigidite a quello di una piastra ortotropa 

equivalente si può procedere sostanzialmente in due modi: 

Considerare sia i rinforzi longitudinali che le traverse come facenti parte della piastra 

ortotropa, diffondendone le rigidezze in entrambe le direzioni 

Limitare  alla  sola  lamiera  e  rinforzi  longitudinali  le  considerazioni  di  equivalenza 

elastica, riducendo  l’effettiva struttura ad una piastra ortotropa allungata, continua 

su appoggi elastici costituiti dalle traverse; questo metodo evita di ridurre al continuo 

le traverse che di solito sono notevolmente distanziate tra  loro (1,5 – 5 m) e quindi 

schematizza più da vicino il funzionamento reale di una lamiera irrigidita. 

Per ogni via prescelta, la riduzione ad una piastra ortotropa equivalente è possibile solo se si 

assumono due ipotesi fondamentali: 

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Capitolo: Effetti locali 

112 

 

La continuità 

La simmetria della struttura rispetto al piano medio della lamiera 

IPOTESI DI CONTINUITÀ 

Il  considerare  la  rigidezza  delle  nervature  “spalmata”  sul  loro  interasse  di  per  se  non 

comporta grossi errori nel caso di carichi uniformemente ripartiti sull’intera piastra, mentre 

va osservato meglio il comportamento per i carichi concentrati. 

Infatti mentre per lamiere con rinforzi rigidi a torsione, in virtù della loro elevata capacità di 

ripartizione  trasversale dei carichi,  l’ipotesi suddetta può ancora  ritenersi sufficientemente 

valida, non sempre può dirsi altrettanto con rinforzi a sezione aperta. 

In  questo  caso,  poiché  i  rinforzi  sono  caricati  molto  diversamente  fra  loro,  l’effettiva 

larghezza  di  piastra  collaborante  è molto  più  estesa  di  quella  teorica  relativa  alla  piastra 

equivalente;  i momenti  calcolati  sono  quindi maggiori  di  quelli  realmente  presenti  nella 

struttura. 

 

Figura 62: Andamento dei momenti con irrigidimenti aperti 

IPOTESI DI SIMMETRIA 

Solo nel caso che i rinforzi siano simmetrici rispetto al piano medio della lamiera, ammessa 

l’ipotesi di continuità, è possibile identificare nell’equazione di Huber il modello matematico 

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Capitolo: Effetti locali 

113 

 

di  una  piastra  nervata.  Si  tratterebbe  quindi  di  un materiale  isotropo ma  organizzato  in 

modo diverso secondo due direzioni ortogonali tra loro. 

L’equazione di Huber è ancora valida con buona approssimazione purchè si ponga: 

   

   

1

con Kyx e Kxy rigidezze torsionali, per unità di lunghezza, dei due ordini di costole. 

Poiché invece, come nella quasi totalità dei casi pratici, i rinforzi sono asimmetrici in quanto 

disposti  tutti  da  una  parte  della  lamiera,  il  comportamento  della  struttura  differisce 

sensibilmente da quello di piastra sottile finora ipotizzato. 

Proprio la mancanza di un piano di simmetria strutturale fa si che il legame differenziale cui 

si giunge con una trattazione analitica del problema sia profondamente diverso da quello di 

Huber. 

Nel caso più generale di anisotropia e di obliquità, senza alcuna ipotesi restrittiva sul numero 

degli ordini di rinforzo, eliminando u e v si giunge ad un legame differenziale del tipo: 

 

dove   è un operatore differenziale lineare di ordine ottavo ed A un termine di carico 

che dipende da p e dalle sue derivate. 

Una  piastra  nervata  a  rinforzi  asimmetrici  non  può,  quindi,  in  nessun  caso  assimilarsi 

rigorosamente  ad  una  piastra  anisotropa  per  la  diversità  fra  questa  e  l’equazione 

differenziale di Huber . 

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Capitolo: Effetti locali 

114 

 

Solo  in  via  approssimata,  introducendo  opportune  semplificazioni  nelle  equazioni 

fondamentali,  si  può  tentare  di  giungere  ad  un’equazione  differenziale  del  quart’ordine, 

determinando i valori dei coefficienti di rigidezza che consentono tale riduzione. 

La  non  coincidenza  dei  piani  di  flessione  porta  ad  un  aumento  apparente  della  rigidezza 

torsionale della piastra talchè alcuni autori suggeriscono di assumere nel calcolo di H α = 0,3 

anche nel caso di costole aperte, di per sé prive di rigdezza torsionale. 

RIEPILOGO DEI METODI DI CALCOLO DELLE LAMIERE IRRIGIDITE 

Tutti i metodi di calcolo delle lamiere irrigidite si fondano sulla teoria della piastra ortotropa 

equivalente  di  Huber,  ammettendo  quindi  implicitamente  le  ipotesi  precedenti  e  quidi 

possono classificarsi in cinque gruppi: 

a) Metodi che studiano l’impalcato con la teoria di Huber assimilandolo ad un grigliato a 

maglie infinitesime 

b) Procedimenti  che presuppongono  le  rigidezze dei  rinforzi diffuse nelle direzioni ad 

esse ortogonali 

a. Tale diffusione interessa entrambi gli ordini di rinforzi 

b. Si  limita  i  soli  rinforzi  longitudinali  considerando  le  traverse  alla  stregua  di 

appoggi elastici privi di rigidezza torsionale 

c) Metodi che si avvalgono di superfici o linee d’influenza 

a. di travi o di piastre isotrope (con l’introduzione di opportuni artifici) 

b. di piastre ortotrope 

d) procedimenti  che,  ammessa  una  delle  due  approssimazioni  del  gruppo  b),  si 

avvalgono degli algoritmi del calcolo numerico 

a. alle differenze finite 

b. variazionali 

c. elementi finiti 

e) metodi semiempirici basati sull’analisi di modelli strutturali 

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Capitolo: Effetti locali 

115 

 

Con la diffusione di software di calcolo e il notevole aumento della potenza computazionale 

a disposizione  è possibile  risolvere  il problema direttamente utilizzando  gli  elementi  finiti 

modellando adeguatamente il telaio.  

SISTEMA 3: ANALISI STATICA DELLA LAMIERA IRRIGIDITA COME ELEMENTO COSTITUENTE LE 

STRUTTURE PRINCIPALI PORTANTI 

Come ulteriore compito la lamiera irrigidita collabora alla resistenza delle strutture principali 

portanti l’impalcato come elemento componente delle stesse. 

Nel  caso  di  travate  autoportanti  essa  costituisce  la  piattabanda  superiore  delle  travi 

principali. 

Il calcolo di tali strutture e quindi del sistema 3 di tensioni  indotte nella  lamiera nervata si 

conduce con i noti metodi della scienza delle costruzioni una volta che: 

si siano stabilite le larghezze di lamiera nervata collaboranti con le singole travi 

sia stata effettuata fra queste ultime la ripartizione trasversale dei carichi 

Per  la prima, gli studi di Von Kàrmàn, Chwalla et Alii hanno chiarito che essa dipende dalle 

condizioni di carico oltre che dall’interasse e dalla luce delle travi. Per carico uniformemente 

ripartito  essa  varia  generalmente  fra  1/3  e  1/5  della  luce  risultando,  per  una  trave 

semplicemente appoggiata, minima sugli appoggi e massima in mezzeria ed invece all’incirca 

uguale sugli appoggi intermedi e nelle mezzerie delle campate nel caso di travi continue. 

Di  conseguenza,  per  i  valori  correnti  degli  interassi  fra  le  travi  principali  portanti  con 

impalcato in lamiera irrigidita, quest’ultima può ritenersi interamente collaborante. 

Se  si  ha  a  che  fare  con  sezioni  a  cassone  semplice  o multiplo  occorre  tener  conto  della 

notevole  rigidezza  torsionale del complesso e degli effetti,  talora notevoli, di  torsione non 

uniforme dovuta all’ingobbamento impedito ed alla perdita di forma della sezione. 

Stabilite le caratteristiche delle sezioni trasversali e le aliquote di carico relative alle diverse 

travi,  possono  calcolarsi  le  tensioni.  In  particolare,  essendo  il  baricentro  delle  sezioni 

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Capitolo: Effetti locali 

116 

 

resistenti  molto  spostato  verso  l’alto  a  causa  della  forte  diversità  fra  le  aree  delle 

piattabande, il diagramma delle tensioni normali segue l’andamento in figura: 

 

Figura 63: Andamento tensioni globali sulla sezione 

Il  valore  modesto  delle  tensioni  del  sistema  3  nella  lamiera  irrigidita  consente  la 

sovrapposizione ad esse di quelle del sistema 2 prodotte dai carichi  locali senza superare  i 

valori limite. 

Appare inoltre evidente che, per il modesto valore del rapporto fra altezza dell’impalcato ed 

altezza  totale,  nelle  zone  di momento  flettente  positivo  la  lamiera  irrigidita  è,  in  pratica, 

compressa uniformemente ed occorre pertanto garantirne la stabilità. 

Il  complesso  lamiera –  rinforzi orizzontali possiede però  caratteristiche di  rigidezze  tali da 

poter essere considerato praticamente immune da pericoli di instabilità di tipo globale. Ciò è 

stato verificato sperimentalmente, ma può anche agevolmente accertarsi per via analitica. 

Non  altrettanto  può  dirsi  per  gli  eventuali  fenomeni  di  instabilità  locale  che  possono 

insorgere nei singoli pannelli di lamiera; questi ultimi, pertanto, andranno verificati facendo 

particolare attenzione per le anime dei rinforzi longitudinali che sono soggette a più precarie 

condizioni di vincolo ed hanno, di frequente, minore spessore.  

 

 

 

 

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Capitolo: Effetti locali 

117 

 

MODELLAZIONE DELL’IMPALCATO 

Sono state effettuate quattro tipologie di modellazione degli effetti locali: 

1. Allo schema del ponte originale sono stati applicati  i carichi  indicati nella norma del 

1962 per il calcolo della soletta.  

2. Allo  schema del ponte originale  sono  stati poi applicati  i carichi dell’attuale norma 

NTC – 2008 per il calcolo allo SLU della soletta 

3. Allo schema del ponte allargato sono stati applicati  i carichi  indicati dalla normativa 

attuale per il calcolo allo SLU della soletta 

4. Infine sempre allo schema finale di ponte allargato sono state effettuate le verifiche 

dei tratti con marciapiede e dei tratti con sicurvia contro l’urto del veicolo in svio 

Una quinta modellazione è stata effettuata per gli effetti della fatica che saranno discussi in 

seguito. 

I modelli 1) e 2) e 3) sono stati utilizzati per aggiungere agli effetti globali calcolati nel lavoro 

[16] le tensioni agenti sul livello superiore dovute alle impronte di carico e valutare quindi lo 

stato tensionale agente sul ponte nelle seguenti condizioni:  

Ponte allo stato originale – norma 1962 

Ponte allo stato attuale (ammalorato) – norma NTC2008 

Ponte  con  allargamento  –  norma  NTC2008;  su  questo  schema  è  stato  basato 

l’intervento di rinforzo 

Il modello 4) è stato utilizzato per una verifica diretta della trave ripartitrice scatolare e per 

l’estremità della soletta.  

 

 

 

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Capitolo: Effetti locali 

118 

 

CRITERI DI MODELLAZIONE IN SAP2000 

Le modellazioni sono state effettuate utilizzando  il programma agli elementi finiti SAP2000 

v.14.1.0.  Sono  stati  realizzati due modelli per  le  verifiche  allo  SLU  sui quali poi  sono  stati 

applicati i diversi schemi di carico di interesse. 

Gli elementi  in acciaio sono quasi  tutti caratterizzati da comportamento a “piastra sottile” 

essendo  fondamentalmente delle  lastre molto allungate con spessori  relativamente piccoli 

(inferiori a 1/20 della dimensione minore). 

La  soletta è  infatti costituita da una  lastra con degli  irrigidimenti  longitudinali a  loro volta 

costituiti da piattabande rinforzate inferiormente con bulbi, mentre i traversi sono costituiti 

da piatti saldati e i controventi sono rappresentati da profilati convenzionali.  

Ciò ha portato ad una modellazione agli elementi finiti molto accurata, avendo la possibilità 

di  utilizzare  elementi  bidimensionali  a  4  nodi  detti  “shell”  per  gli  elementi  principali  e 

semplici elementi di tipo “frame” per gli irrigidimenti terminali.  

L’ELEMENTO SHELL IN SAP2000 [15] 

L'elemento Shell ha una  formulazione a tre o quattro nodi che combina  il comportamento 

separato  a membrana  e  quello  a  piastra  flettente.  L'elemento  a  quattro  nodi  non  deve 

necessariamente essere piano. 

Il  comportamento  a membrana  usa  una  formulazione  isoparametrica  che  comprende  le 

componenti di  rigidezza  traslazionali nel piano e una  componente di  rigidezza  rotazionale 

nella direzione normale al piano dell'elemento.  

Il  comportamento  a  piastra  flettente  comprende  due  componenti  di  rigidezza  rotazionali 

della  piastra,  fuori  dal  piano,  e  una  componente  di  rigidezza  traslazionale  nella  direzione 

normale al piano dell'elemento. Per default viene usata una  formulazione a piastra spessa 

(Mindlin/Reissner)  che  comprende  gli  effetti  della  deformazione  di  taglio  trasversale.  A 

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Capitolo: Effetti locali 

119 

 

scelta,  è  possibile  scegliere  una  formulazione  a  piastra  sottile  (Kirchoff)  che  trascuri  la 

deformazione di taglio trasversale. 

Ciascun elemento Shell ha il suo proprio sistema di coordinate locale per la definizione delle 

proprietà del materiale e dei carichi e per  l'interpretazione dell'output. A ciascun elemento 

può essere applicato un carico gravitazionale oppure uniforme in ogni direzione. 

Per la rigidezza dell'elemento Shell viene usata una formulazione variabile, con integrazione 

numerica da quattro a otto punti. Le tensioni,  le forze  interne ed  i momenti, nel sistema di 

coordinate  locale dell'elemento, sono valutate ai punti di  integrazione di Gauss 2 per 2 ed 

estrapolati ai nodi dell'elemento. Una stima approssimata dell'errore nelle  tensioni o nelle 

forze  interne  dell'elemento  può  essere  ricavata  dalla  differenza  dei  valori  calcolati  da 

elementi diversi connessi ad un nodo comune. Ciò fornisce un'indicazione dell'accuratezza di 

una data mesh di elementi finiti e può essere usata in seguito come base per selezionare una 

maglia nuova e più accurata. 

 

Figura 64: Elemento shell quadrilatero a quattro nodi 

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Capitolo: Effetti locali 

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Ciascun  elemento  Shell  ha  un  proprio  sistema  di  coordinate  locale usato  per  definire  le 

proprietà del materiale, i carichi e l'output. Gli assi di questo sistema locale sono indicati con 

i  numeri  1,  2  e  3.  I  primi  due  assi  giacciono  nel  piano  dell'elemento  con  orientamento 

specificato dall'utente; il terzo asse è normale. 

E'  importante comprendere bene  la definizione del sistema di coordinate  locale 1‐2‐3 e  la 

sua relazione con il sistema di coordinate globale X‐Y e Z, essendo entrambi sono sistemi di 

coordinate destrorsi.  L'asse locale 3 è sempre normale al piano dell'elemento Shell. 

L'orientamento di default degli assi locali 1 e 2 è determinato dalla relazione fra l'asse locale 

3 e l'asse globale Z: 

Il piano locale 3‐2 viene preso verticale, cioè parallelo all'asse Z, 

L'asse  locale  2  viene  preso  in  direzione  positiva  verso  l'alto  (+Z)  a  meno  che 

l'elemento non sia orizzontale, nel qual caso l'asse locale 2 è preso orizzontale diretto 

lungo la direzione globale +Y, 

L'asse locale 1 è sempre orizzontale cioè giace nel piano X‐Y. 

Un elemento viene considerato orizzontale se il seno dell'angolo fra l'asse locale 3 e l'asse Z 

è minore di 10‐3. 

Le deformazioni di taglio diventano importanti quando lo spessore è maggiore di circa da un 

decimo a un quinto della campata. Tali deformazioni possono essere piuttosto significative 

anche  in  vicinanza  di  tensioni  flessionali  concentrate,  come  in  prossimità  di  brusche 

variazioni dello spessore o di appoggi o in prossimità di fori o angoli rientranti. 

Anche per problemi flessionali a piastra sottile, dove le deformazioni di taglio sono davvero 

trascurabili, la formulazione a piastra spessa tende ad essere più accurata, sebbene talvolta 

più  rigida, della  formulazione a piastra  sottile. Tuttavia,  l'accuratezza della  formulazione a 

piastra spessa è più sensibile a valori elevati di rapporti di forma e di distorsioni della maglia 

di quanto non lo sia la formulazione a piastra sottile. 

Il carico dovuto al peso proprio può essere applicato ad ogni condizione di carico per attivare 

il peso proprio di tutti gli elementi nel modello. Per un elemento Shell, il peso proprio è una 

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Capitolo: Effetti locali 

121 

 

forza uniformemente distribuita sul piano dell'elemento. L'entità del peso proprio è pari al 

peso specifico, w, moltiplicato per lo spessore, th. 

Il  carico uniforme viene usato per applicare  forze uniformemente distribuite alle  superfici 

mediane degli elementi Shell. La direzione di applicazione del carico può essere specificata 

nel sistema di coordinate globale o in quello locale. 

Le  intensità  di  carico  sono  date  come  forza  per  unità  di  superficie.  Le  intensità  di  carico 

specificate  in  sistemi  di  coordinate  diverse  vengono  convertite  nel  sistema  di  coordinate 

globale e  sommate  insieme.  La  forza  totale  che agisce  sull'elemento  in  ciascuna direzione 

locale è data dall'intensità di  carico  totale  in quella direzione moltiplicata per  l'area della 

superficie mediana. Questa forza è ripartita sui nodi dell'elemento. 

Le  tensioni dell'elemento  Shell  sono  le  forze  per  unità  di  superficie  che  agiscono  entro  il 

volume dell'elemento per resistere all'applicazione del carico. Queste tensioni sono: 

Tensioni assiali nel piano: S11 e S22 

Tensione di taglio nel piano: S12 

Tensioni di taglio trasversali: S13 e S23 

Tensione assiale normale al piano: S33 (considerata sempre nulla) 

Le  tre  tensioni  nel  piano  sono  assunte  costanti  o  variabili  linearmente  entro  lo  spessore 

dell'elemento. 

Le due tensioni di taglio trasversali sono considerate costanti lungo lo spessore. 

La vera distribuzione della tensione di taglio è parabolica, con valore nullo sulle superfici  in 

alto e in basso e con valore massimo o minimo alla superficie mediana dell'elemento. 

Le  forze  interne dell'elemento Shell  (chiamate anche risultanti delle tensioni) sono  le  forze 

ed i momenti che risultano dall'integrazione delle tensioni sullo spessore dell'elemento.  

Queste forze interne sono: 

Forze membranali assiali: F11 e F22 

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Capitolo: Effetti locali 

122 

 

Forza membranale di taglio: F12 

Momenti flettenti a piastra: M11 e M22 

Momento di svergolamento a piastra: M12 

Forze di taglio trasversali a piastra: V13 e V23 

E' molto  importante notare che queste  risultanti della  tensione sono  forze e momenti per

unità  di  lunghezza nel piano.  Sono  presenti  in  ciascun  punto  sulla  superficie  mediana 

dell'elemento. 

Le convenzioni dei segni per le tensioni e le forze interne sono illustrate in Figura 65. 

 

Figura 65: Convenzione dei segni delle sollecitazioni elemento shell in SAP2000 

Le tensioni agenti su una superficie positiva sono orientate nella direzione positiva degli assi 

locali dell'elemento. Una superficie positiva è quella superficie la cui normale verso l'esterno 

(uscente dall'elemento) si trova lungo la direzione positiva locale 1 o 2. 

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Capitolo: Effetti locali 

123 

 

Le forze  interne positive corrispondono ad uno stato di tensione positiva costante  lungo  lo 

spessore.  I  momenti  interni  positivi  corrispondono  ad  uno  stato  di  tensione  che  varia 

linearmente lungo lo spessore ed è positivo sul fondo. 

Le tensioni e le forze interne sono valutate ai punti standard di Gauss di integrazione 2 per 2 

dell'elemento ed estrapolate ai nodi. Sebbene siano riportate ai nodi,  le tensioni e  le forze 

interne si trovano su tutto l'elemento. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo: Effetti locali 

124 

 

MODELLO 1: SCHEMA PONTE ATTUALE 

DETERMINAZIONE DEGLI ELEMENTI 

Si è cercato di operare in modo da rendere il reticolo di calcolo e gli elementi il più possibile 

verosimili alla struttura reale in base alle ispezioni visive e ai dati forniti dal bando di gara. 

Un elemento di difficoltà aggiuntivo  rispetto ad una modellazione ex‐novo  si è  riscontrata 

nella definizione degli elementi  strutturali  resistenti  che costituiscono  l’impalcato, a  causa 

della non disponibilità  dei progetti originali  e della non massima  chiarezza delle  ispezioni 

visive.  

Si è preso come  schema di  riferimento  la  sezione corrente  in corrispondenza del  tratto di 

rettilineo nella campata maggiore, ma prossima agli appoggi descritta da Figura 66: 

 

Figura 66: Sezione corrente ponte originale ‐ bando di gara 

 

Ci si è quindi basati anche su rilievi fotografici all’interno dell’impalcato: 

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Capitolo: Effetti locali 

125 

 

PIATTABANDE 

 

Figura 67: Vista inferiore sbalzi 

 

Figura 68: Dettaglio piattabanda inferiore 

Si può notare anche  l’evidente stato di degrado e corrosione che ha colpito  le  lamiere  inferiori e superiori, elemento tenuto debitamente  in 

conto per quanto concerne la modellazione degli effetti globali. 

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Capitolo: Effetti locali 

126 

 

La piattabanda superiore ha uno spessore convenzionale di 12 mm in mezzeria e di 14 mm in 

prossimità  degli  appoggi  (dove  si  ha  la massimizzazione  degli  effetti  globali  e  dove  si  è 

ritenuto più importante effettuare la modellazione degli effetti locali). 

Si è considerato un fattore di riduzione per corrosione della piattabanda per cui lo spessore 

di calcolo di queste è stato ridotto del 20% portandolo a 11,2 mm . 

La piattabanda inferiore ha uno spessore di 12 mm.  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Gli  irrigidimenti della contro‐soletta  sono gli  stessi di quelli delle  travi principali analizzate 

successivamente. 

Figura 69: Definizione elementi shell per le piattabande 

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Capitolo: Effetti locali 

127 

 

Gli  irrigidimenti  (ribs)  della  soletta  superiore  sono  costituiti  da  piatti  bulbati  posti  ad 

interasse  di  circa  30  cm.  Sono  complessivamente  lunghi  20  cm  (17  cm  la  lunghezza  del 

piatto) e spessi 10 mm . 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Figura 70: Modellazione degli irrigidimenti superiori in SAP2000