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Università Roma Tre ‐ Ingegneria Civile – Progetto d’adeguamento e allargamento viadotto “Italia” rispetto agli effetti locali e fatica
Capitolo: A
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cementizie a pressione non superiore di 2‐3 kg/cmq attraverso fori disposti secondo una
maglia quadrata di 2m di lato interessanti una profondità di 10‐15 m.
Per quanto riguarda le questioni principali riguardanti le fondazioni della parte centrale
dell’opera in corrispondenza del baratro, si può affermare che esse sono connesse ai due
seguenti problemi:
‐ Stabilità delle due pile centrali adiacenti alle pareti della gola
‐ Cedimento differenziale tra le pile poggianti sul calcare e quelle poggianti
nella dolomia
Quest’ultimo problema è particolarmente sentito per la travata metallica, in quanto le due
campate laterali vengono a trovarsi con le pile a cavallo delle due principali linee di faglia.
Comunque, dagli elementi raccolti durante le indagini effettuate, non sono state rilevate
prove sull’esistenza di movimenti differenziati tra le sponde del baratro nei tempi geologici
in corso, anzi, tutto permette di ritenere non attive le faglie indicate fra calcari e dolomie.
Tale deduzione viene, d’altra parte, confermata anche dall’impostazione stessa dello schema
statico predisposto dall’amministrazione A.N.A.S. (travata continua su quattro appoggi).
Inoltre, la forma a forra del Vallone, che non è limitata alla zona di imposta del viadotto ma
si estende anche più a valle, è titolo di garanzia di stabilità in quanto tale fatto è senz’altro
legato alla natura, ma soprattutto alla positiva conservazione della roccia che la costituisce.
Pertanto in corrispondenza delle due pile centrali si è asportato il flysch ed incassato
decisamente il piano di fondazione nella formazione di calcare; inoltre è prevista una
controllata serie di iniezioni di boiacca di cemento per mezzo di fori disposti a maglia
quadrata di 2 m di lato, interessanti uno spessore pari a 10 – 20 m.
Con questo provvedimento dell’iniezione al culmine, esiste la certezza di fare un lavoro
altamente positivo per la stabilità della forra.
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Infatti l’iniezione agisce da “cappello” protettivo di grandi dimensioni e la sua presenza ha un
duplice benefico effetto di allargare ed approfondire la zona di scarico delle sollecitazioni
trasmesse dalla pila oltre a proteggere e consolidare la testata del baratro.”
Le categorie topografiche sono indicate di seguito:
Tabella 12: 3.2.IV ‐ NTC2008
In questo caso si ha un pendio con inclinazione media molto forte, quindi la categoria è la T2.
FATTORE DI STRUTTURA
(7.9.2.1 – NTC2008)
Quando si utilizza l’analisi lineare per sistemi dissipativi, come avviene per gli stati limite
ultimi, gli effetti delle azioni sismiche sono calcolati, quale che sia la modellazione per esse
utilizzata, riferendosi allo spettro di progetto ottenuto assumendo un fattore di struttura q
maggiore dell’unità (§ 3.2.3.5 – NTC2008).
Il valore del fattore di struttura q da utilizzare per ciascuna direzione della azione sismica,
dipende dalla tipologia strutturale, dal suo grado di iperstaticità e dai criteri di progettazione
adottati e prende in conto le non linearità di materiale.
I valori massimi del fattore di struttura q0 per le due componenti orizzontali dell’azione
sismica sono riportati in Tabella 13 nella quale =1 se ≥3 e =(/3)0,5 per 3 > ≥ 1,
essendo = L/H dove L è la distanza della sezione di cerniera plastica dalla sezione di
momento nullo ed H è la dimensione della sezione nel piano di inflessione della cerniera
plastica.
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I valori massimi q0 del fattore di struttura sono da applicare alle singole pile, per ciascuna
delle due direzioni principali, nei casi di ponti isostatici e all’intera opera, ma ancora
separatamente per le due direzioni, nei casi di ponti a travata continua.
Tabella 13: 7.9.I ‐ NTC2008, determinazione fattore di struttura
Ipotizzando una progettazione in classe di duttilità “B” e avendo pile verticali inflesse in
cemento armato, il fattore di struttura di progetto è 1,5 .
Per la componente verticale dell’azione sismica il valore di q utilizzato, a meno di adeguate
analisi giustificative, è q = 1,5 per qualunque tipologia strutturale e di materiale, tranne che
per i ponti per i quali è q = 1.
DETERMINAZIONE DEGLI SPETTRI DI RISPOSTA
La determinazione degli spettri di risposta è stata effettuata utilizzando il foglio di calcolo
messo a disposizione dal Consiglio superiore dei lavori pubblici (Spettri‐NTCver1.0.3.xls)
andando a determinare direttamente lo spettro inelastico di progetto allo SLV per la
componente orizzontale e verticale.
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Figura 42: Determinazione spettro ‐ step 1
Figura 43: Determinazione spettro ‐ step 2
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Figura 44: Determinazione spettro ‐ step 3
I parametri di spettro determinati sono i seguenti:
Parametri indipendenti Parametri dipendenti
STATO LIMITE SLV S 1.092
ag 0.439 g 0.833
Fo 2.440 TB 0.140 s
TC* 0.421 s TC 0.421 s
SS 1.000 TD 3.355 s
CC 1.000
ST 1.092
q 1.200
Tabella 14: Punti dello spettro di risposta adimensionalizzato orizzontale e verticale
T [s] Se [g] ‐ ORIZZONTALE T [s] Se ‐ VERTICALE [g] 0.000 0.479 0.000 0.428
0.140 0.974 0.050 1.045
0.421 0.974 0.150 1.045
0.560 0.731 0.235 0.667
0.700 0.585 0.320 0.490
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0.840 0.488 0.405 0.387
0.979 0.418 0.490 0.320
1.119 0.366 0.575 0.273
1.259 0.325 0.660 0.237
1.399 0.293 0.745 0.210
1.538 0.266 0.830 0.189
1.678 0.244 0.915 0.171
1.818 0.225 1.000 0.157
1.957 0.209 1.094 0.131
2.097 0.195 1.188 0.111
2.237 0.183 1.281 0.095
2.377 0.172 1.375 0.083
2.516 0.163 1.469 0.073
2.656 0.154 1.563 0.064
2.796 0.147 1.656 0.057
2.935 0.140 1.750 0.051
3.075 0.133 1.844 0.046
3.215 0.127 1.938 0.042
3.355 0.122 2.031 0.038
3.385 0.120 2.125 0.035
3.416 0.118 2.219 0.032
3.447 0.116 2.313 0.029
3.477 0.114 2.406 0.027
3.508 0.112 2.500 0.025
3.539 0.110 2.594 0.023
3.570 0.108 2.688 0.022
3.600 0.106 2.781 0.020
3.631 0.104 2.875 0.019
3.662 0.102 2.969 0.018
3.693 0.101 3.063 0.017
3.723 0.099 3.156 0.016
3.754 0.097 3.250 0.015
3.785 0.096 3.344 0.014
3.816 0.094 3.438 0.013
3.846 0.093 3.531 0.013
3.877 0.091 3.625 0.012
3.908 0.090 3.719 0.011
3.939 0.089 3.813 0.011
3.969 0.088 3.906 0.010
4.000 0.088 4.000 0.010
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Figura 45: Grafico spettri di risposta inelastici di progetto
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EFFETTI LOCALI
Gli elementi strutturali che sono di supporto alla pavimentazione stradale devono essere
dimensionati e verificati per resistere all’azione diretta dei carichi dovuti alle ruote dei
veicoli.
In passato questi elementi erano indipendenti dalla struttura principale del ponte su cui
gravavano come sovraccarico permanente; nel dopoguerra però la necessità di ricostruire un
gran numero di ponti e il forte aumento dei carichi accidentali hanno spinto verso una
migliore utilizzazione dei materiali. La lamiera o la soletta di impalcato sono state rese
solidali con le travi principali sostituendone il corrente superiore e venendo quindi ad
assolvere alla duplice funzione di sopportare localmente i carichi trasferendoli alle strutture
principali per poi collaborare con le travi stesse per riportare i carichi sugli appoggi:
Figura 46: Distribuzione dei carichi applicati
La soletta molto spesso funge da corrente superiore per i trasversi.
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E’ evidente che l’individuazione di questi due compiti da parte della soletta corrisponde ad
una schematizzazione forse troppo elementare, funzionando il ponte nel suo complesso
come una struttura spaziale.
Il calcolo è condotto in generale supponendo dapprima nulli gli spostamenti verticali delle
travi e quindi la soletta può essere trattata come una piastra orizzontale vincolata
elasticamente alle anime delle travi che risultanto impegnate flessionalmente in un piano
ortogonale al loro asse.
Figura 47: Schema di calcolo effetti locali soletta
Di seguito verrà illustrata una trattazione dettagliata sulla caratterizzazione, il
comportamento ed il calcolo delle lastre ortrotrope propedeutica al calcolo numerico
effettuato per la valutazione degli effetti locali agenti sulla soletta e gli irrigidimenti.
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INTRODUZIONE ALLE PIASTRE ORTROTROPE
La necessità di ridurre i carichi permanenti nei ponti metallici di grande luce ha portato,
dopo l’ultima Guerra mondiale, al perfezionamento di impalcati interamente metallici in cui
il piano viario è costituito da una lastra di acciaio che sopporta una pavimentazione in
genere molto sottile.
Si è arrivati così ad un peso, per la sola piastra, di 0,8 ‐1,2 KN/m2 (contro I 5 KN/m2 di una
soletta in c.a. di 20 cm di spessore) e ciò può giustificare a volte l’impiego di queste strutture
che di per sè sono molto costose, richiedendo tecnologie e mano d’opera specializzate.
Va ricordato che queste piastre svolgono anche funzione di corrente (superiore od inferiore)
della struttura principale contribuendo a ridurre ulteriormente il peso complessivo
dell’impalcato.
Cospicui esempi di ponti con piastra ortotropa sono il ponte sulla Sava a Belgrado, il viadotto
Europa nei pressi di Innsbruck (Austria) a trave continua con luce centrale di 198 m, del
1963, e praticamente tutti i ponti con luce superiore a 100 m costruiti dopo questa data. In
Italia i primi esempi di piastre ortotrope si hanno nel viadotto Lao dell'autostrada SA‐RC del
1969‐71 (oggetto di questa tesi) ed in quello sulla fiumara dello Sfalassa', della stessa
autostrada, a portale con luce complessiva di 376 m, progettato da S. Zorzi.
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STORIA EVOLUTIVA DEGLI IMPALCATI IN LASTRA ORTOTROPA
Questo sistema costruttivo può considerarsi il risultato di un processo evolutivo iniziatosi
circa quarant’anni fa allorchè, nel 1930, negli Stati Uniti d’America l’A.I.S.C. (American
Institute of Steel Construction) proponeva un nuovo tipo di impalcato leggero
completamente in acciaio: il “battledeck floor” :
Figura 48: Schema "battledeck floor"
Si trattava di una lamiera disposta su una serie di nervature longitudinali portate da travi
trasversali che a loro volta scaricavano sulle travi principali; un lontano progenitore di tali
strutture lo si può riconoscere nell’impalcato del ponte di Worms sul Reno, realizzato negli
ultimi anni dell’800.
Il calcolo della struttura era condotto pensandola costituita da una serie di tre elmenti
indipendenti atraverso i quali, con successivi effetti trave, i carichi venivano trasmessi alle
travi principali.
Le prove sperimentali condotte dall’A.I.S.C. mostrarono invece grandi riserve di resistenza
rispetto ai risultati ottenuti col calcolo a trave dei singoli elementi (cosa di cui si teneva
parzialmente conto con formule semiempiriche).
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Una notevole evoluzione strutturale fu segnata con la comparsa degli impalcati a graticolo di
travi :
Figura 49: Schema a graticolo di travi
Pur non disancorandosi dal campo delle strutture lineari si intuiva e si sfruttava il naturale
contributo offerto alla resistenza dalle azioni mutue flesso‐torsionali dei due ordini di
nervature disposti sotto la lamiera.
Negli anni immediatamente precedente la seconda guerra mondiale, con il perfezionarsi e
l’affermarsi delle tecniche di saldatura, apparvero in Germania gli impalcati ultraleggeri a
struttura cellulare:
Figura 50: Schema di impalcato ultraleggero a struttura cellulare
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Si è abbandonata quindi la vecchia concezione strutturale ad elementi indipendenti
realizzando l’impalcato con un doppio ordine di nervature ortogonali di pressoché uguale
rigidezza, notevolmente ravvicinate e collaboranti con la lamiera sovrastante. In tal modo il
problema della ripartizione dei carichi fra le strutture orizzontali e della loro diffusione verso
le travi principali poteva dirsi risolto in maniera pressoché ottimale con l’utilizzazione della
piastra a celle la quale, avendo rigidezza pressoché costante secondo tutte le direzioni
uscenti da un punto, garantiva una diffusione a raggiera dei carichi concentrati e di coltello.
Non ebbe tuttavia successo a causa delle difficoltà di calcolo e per il notevole costo e la
delicatezza della lavorazione in officina. Essendo infatti la struttura completamente saldata,
a causa del piccolo interasse delle nervature, non si poteva che far ricorso alla saldatura
manuale; si esaltavano, inoltre, tutti i problemi relativi a deformazioni e tensioni indotte dal
ritiro dei cordoni di saldatura.
L’ultimo atto del processo evolutivo che si sta tratteggiando può ancora localizzarsi in
Germania, negli anni dell’immediato dopoguerra, allorché gli ingenti danni prodotti dal
conflitto alle opere di attraversamento sui grandi fiumi e l’impellente necessità di una
grandiosa opera di ricostruzione imponevano la soluzione del problema in termini di validità
sia tecnica che economica.
Prendendo lo spunto dalle strutture cellulari, distanziando ed irrigidendo maggiormente le
nervature trasversali, nasceva l’impalcato in lamiera irrigidita, a piastra ortotropa.
Contenendo entro limiti opportuni l’interasse delle traverse non si perdeva l’effetto piastra,
messo in evidenza negli impalcati a celle, mentre si semplificavano le operazioni ed i
problemi connessi alle saldature, eseguibili con processi automatici o semiautomatici,
ottenendosi di conseguenza sensibili vantaggi economici che risultavano decisivi per
l’affermazione del nuovo sistema costruttivo. A ciò va aggiunto che, nel contempo, una larga
messe di studi e di ricerche contribuivano a mettere in luce gli aspetti teorici del problema
fornendo vari strumenti per il calcolo e la progettazione.
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CARATTERIZZAZIONE DEGLI IMPALCATI
Un impalcato a piastra ortotropa di tipo tradizionale è formato da una lamiera piana
superiore sottile (lamiera) irrigidita da costole longitudinali (ribs) e da travi trasversali ad
essa saldate (floor beams) ad interassi molto maggiori.
L’insieme che si ottiene è caratterizzato dall’avere rigidezze diverse secondo due direzioni
ortogonali tra loro; da ciò è derivato il nome di piastre ortogonali ‐ anisotrope, poi contratto
in piastre ortrotrope. Tale denominazione comune è da intendersi impropria poiché nel caso
in questione si tratta di una lamiera o piastra isotropa, solidale ad un grigliato discontinuo di
travi, e non di una piastra continua formata da materiale anisotropo.
Figura 51: Schematizzazione impalcato in lastra ortotropa
La differenziazione principale nel campo delle piastre ortrotrope attuali è costituita dalla
forma degli irrigidimenti longitudinali e si possono distinguere due categorie:
a) Piastre con costole di tipo “aperto”
b) Piastre con costole del tipo “chiuso”
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Figura 52: Differenziazione costole aperte e chiuse
Nel primo tipo le costole longitudinali sono praticamente prive di rigidezza torsionale.
Inizialmente esse erano dei semplici piatti, poi si sono cercate forme con una migliore
distribuzione del materiale, quale T inverso, L, o recentemente i piatti con bulbo (utilizzati in
questo impalcato).
Le costole del tipo chiuso sono caratterizzate invece dall’avere un’elevata rigidezza
torsionale e possono avere forma trapezoidale, a V, a U, a Y, ecc. La conseguenza è anche
una più efficace ripartizione dei carichi e quindi un alleggerimento della struttura; gli
interassi variano generalmente fra i 60 ed i 70 cm:
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Figura 53: Confronto tra costole di tipo aperto e chiuso
Un confronto tra i due tipi di piastre ortotrope è oltremodo difficile non risultando, da un’
analisi comparativa di vari ponti eseguiti con caratteristiche simili tra loro, una sostanziale
diversità di pesi a m2 di impalcato a seconda della forma delle costole. Tuttavia facendo
considerazioni relative alla fabbricazione ed al montaggio, un confronto fra gli stessi segna a
favore del primo il vantaggio rilevante della maggiore semplicità esecutiva (i giunti di
montaggio – specie se realizzati con bulloni ‐ sono molto più complessi nel caso di costole
chiuse) mentre il secondo si fa d’altra parte preferire per una serie di indiscutibili pregi quali:
Una più efficace ripartizione dei carichi
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Una maggiore distanza tra le traverse che porta ad un minor numero di intersezioni
che richiedono lavorazioni costose e delicate
La riduzione delle saldature e dei conseguenti stati di tensione e deformazione;
infatti la quantità di saldature richieste sono circa la metà per quelle di tipo b) sia per
il minor numero di trasversi, sia perché sono necessari due cordoni di saldatura per
ogni costola
La superficie da pitturare è inferiore nel caso delle costole chiuse; per queste d’altro
canto è necessario fornire la perfetta stagnazione, anche in corrispondenza dei giunti
di montaggio; una eventuale corrosione dell’interno sarebbe dannosissima in quanto
non controllabile
Il conseguente alleggerimento della struttura
Si esamina ora nel dettaglio la migliore ripartizione dei carichi offerta:
DISTRIBUZIONE LATERALE DELLE IMPRONTE DI CARICO NEGLI IMPALCATI CON COSTOLE
CHIUSE
Una delle proprietà caratteristiche delle lastre ortotrope con costole chiuse è la loro capacità
di distribuzione delle impronte di carico dei pneumatici nella direzione perpendicolare
dell’impalcato.
Un carico posizionato sopra ad un irrigidimento non è sopportato solo da quello
direttamente caricato ma anche da quelli adiacenti e quindi il rib principale porta solo una
frazione del peso imposto. La distribuzione laterale del carico dipende dalle proprietà
geometriche d’impalcato: lo spessore della soletta, l’interasse tra le costole, la larghezza
della campata e la loro rigidezza torsionale e flessionale.
Il parametro caratteristico che governa la distribuzione laterale dei carichi è il rapporto tra
l’effettiva rigidezza torsionale del rib e la sua rigidezza flessionale con la capacità di
distribuzione laterale direttamente proporzionale ad esso.
L’effettiva rigidezza torsionale H è funzione dell’area, della profondità, dello spessore del
pannello e della rigidezza flessionale della soletta con gli irrigidimenti. A parità di area il
valore di H aumenta con la larghezza in campata.
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Il valore di Dy, indipendente dalla larghezza in campata, è ottenuto considerando la larghezza
collaborante di soletta.
Per impalcati con campate nel range di 6 – 7,5 m il carico di progetto su una singola costola è
generalmente più grande del 60% del carico direttamente applicato e la proporzione
aumenta rapidamente con il diminuire della larghezza dell’impalcato. Al contrario, per
campate più larghe, il carico per rib diminuisce e il momento flettente risultante e le
deformazioni aumentano solo leggermente con l’aumentare della larghezza in campata per
un’assegnata impronta di carico:
Figura 54: Momenti negativi massimi nell'impalcato in funzione della larghezza della campata
Nell’immagine seguente è descritto l’andamento tipico degli effetti dei sovraccarichi
nell’impalcato di larghezza circa 9 m:
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Figura 55: Distribuzione del momento longitudinale My in impalcato con campata larga
E’ evidente che il rib direttamente caricato porta solo metà dell’impronta imposta, mentre il
resto è trasferito agli elementi adiacenti. Tuttavia, con autocarri transitanti simultaneamente
in corsie adiacenti, si ha una distribuzione per cui l’effetto va a sommarsi anche sul rib in
considerazione per un’aliquota non superiore del 10% al carico imposto singolarmente.
Esaminando i ponti costruiti in Europa con impalcati a piastra ortotropa, si trovano in egual
misura esempi di impiego di costole chiuse ed aperte . In Italia c’è una certa preferenza per
l’impiego di costole aperte (come questo impalcato ed il ponte sull’Oglio lungo l’autostrada
Milano – Venezia).
I trasversi hanno in ogni caso forma di T inverso, realizzati con un mezzo profilato o in
esecuzione saldata. Essi vengono posti ad un interasse di 1,5 – 2 m nel caso di costole aperte
(Pietrangeli, oppure 1,5 – 3 m secondo Matildi – Mele), circa il doppio nel caso di costole
chiuse (Pietrangeli, oppure 2 – 4,5 m secondo Matildi – Mele), la cui rigidezza torsionale
permette una migliore ripartizione dei carichi tra costole stesse. Il valore prescelto dipende
inoltre dalla distanza frale travi principali portanti, crescendo di norma al crescere di
quest’ultima al fine di realizzare la massima economia d’acciaio.
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La lastra superiore ha spessori variabili in relazione alle esigenze di calcolo; normalmente,
comunque, non si scende al di sotto di 10 mm per evitare eccessive deformazioni locali che
potrebbero danneggiare la pavimentazione. Le DIN 1079 prescrivono uno spessore minimo
di 12 mm con interasse delle costole di 300 mm (14 mm con interasse di 350 mm).
COMPORTAMENTO STRUTTURALE
Il comportamento strutturale degli impalcati in lamiera nervata può caratterizzarsi
individuando per la struttura una triplice funzione resistente cui corrispondono altrettante
fasi di calcolo e sistemi tensionali e deformativi.
1) Prima di tutto la lamiera ha il compito di riportare sul graticcio sottostante i carichi
insistenti su di essa (schema 1)
2) Va poi verificato l’impalcato sotto l’azione dei carichi locali; in questa fase la struttura
in esame va considerata come una piastra ortrotropa tramite la quale i carichi
suddetti si riportano sulle travi principali; le tensioni risultanti nei diversi elementi
componenti la piastra (lamiera, rinforzi longitudinali, traverse) costituiscono lo
schema 2 di tensioni
3) Va poi tenuto conto che l’impalcato, solidale con le travi principali, partecipa con
queste alla resistenza globale, assorbendo un’aliquota delle sollecitazioni indotte dai
carichi sulla struttura principale; le tensioni indotte in questa fase danno luogo allo
schema 3
LE PAVIMENTAZIONI
Le lamiere nervate vanno completate con uno strato di rivestimento avente il duplice scopo
di proteggere la struttura sottostante dall’azione corrosiva degli agenti atmosferici e
sottrarla a quella diretta del traffico.
I requisiti cui, in generale, tali pavimentazioni devono soddisfare possono riconoscersi nei
seguenti:
leggerezza, per evitare inutili appesantimenti su una struttura di per se stessa
ultraleggera
resistenza allo scorrimento
buona aderenza alla lamiera d’impalcato
resistenza all’usura per gli strati a diretto contatto col traffico
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presentare una superficie esterna liscia
stabilità alle alte temperature
resistenza alla fessurazione a bassa temperatura e per gli improvvisi abbassamenti di
essa
costruire una valida protezione per la corrosione
essere di semplice e rapida applicazione e manutenzione
Fatta eccezione per alcuni tipi speciali, le pavimentazioni attualmente adoperate possono
dividersi in due categorie:
a) pavimentazioni di grosso spessore (2,5 cm < s ≤ 7 cm) a base di materiali bituminosi;
b) pavimentazioni sottili (s ≤ 2,5 cm) a base di materie plastiche
LE PAVIMENTAZIONI BITUMINOSE
Sono probabilmente quelle che offrono le maggiori garanzie soprattutto per l’estesa e varia
applicazione che se ne è fatta. Basti infatti pensare che nella sola Germania sono state
proposte, dal 1950 ad oggi, circa 40 diverse composizioni di esse.
In generale tali pavimentazioni sono costituite da una serie di strati destinati ciascuno ad
assolvere una specifica funzione. Partendo dalla lamiera d’impalcato e procedendo verso
l’esterno si incontrano:
a) uno strato di base, destinato a proteggere la lamiera dalla corrosione e ad assicurare
un’efficace aderenza della pavimentazione ad essa;
b) uno o più strati intermedi con funzione isolante o di livellamento, oltre che di
ripartizione dei carichi
c) uno strato esterno di usura
Per quanto riguardo lo strato protettivo e adesivo di base sono state proposte diverse
soluzioni: vernici bituminose, allo zinco o a base di resine epossidiche, mastici di asfalto, fogli
di alluminio o rame increspati, ecc . Essenziale è che, in ogni caso, si abbia un elevato valore
del coefficiente d’aderenza con la base sia a secco che in condizioni di umidità.
Talora per migliorare tale aderenza si ricorre a dispositivi meccanici, saldando sulla lamiera
delle reti di tondini o barre d’acciaio a zig‐zag.
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Capitolo: Effetti locali
97
Gli strati intermedi e quello di usura sono costituiti invece da mastici o conglomerati
bituminosi dello spessore di circa 2 – 3 cm ciascuno.
Lo spessore totale va da un minimo di 2,5 a 7 cm a seconda della composizione degli strati,
con un valore prevalente di 5,5 – 5 cm:
Figura 56: Schema tipo pavimentazione bituminosa
I danni principali che si riscontrano in tal genere di pavimentazioni sono diversi.
Anzitutto una serie di fessurazioni parallele ai rinforzi longitudinali. La causa di tale
danneggiamento sta però non tanto nella deformabilità della lamiera sottostante quanto
invece in una inadeguata scelta della composizione del rivestimento.
In proposito infatti un’indagine sperimentale condotta in Giappone sulle pavimentazioni
bituminose di 21 ponti e successivi studi in Germania non hanno mostrato alcuna
correlazione tra il fenomeno accennato, lo spessore della lamiera e l’interasse fra i rinforzi
longitudinali. Le fessurazioni sono, invece, fortemente dipendenti dal volume del traffico e
dal tipo di pavimentazione.
Un bitume molto soffice o in quantità eccessive può dar luogo ad ondulazioni trasversali che,
pur non essendo preoccupanti come le precedenti fessurazioni agli effetti della corrosione,
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Capitolo: Effetti locali
98
sono assolutamente da evitarsi perché esaltano gli effetti dinamici e sono oltremodo
fastidiose dal punto di vista del confort del transito.
Altro deterioramento tipico delle pavimentazioni bituminose è la formazione di bolle che,
pressate dai carichi in transito, danno luogo a fessure ad andamento circolare. La formazione
di bolle è provocata dal riscaldamento d’aria, gas vari o vapore acqueo contenuti negli strati.
Per tal motivo è necessario assicurare la massima densità del rivestimento.
Alcuni inconvenienti, infine, possono nascere dall’applicazione di dispositivi meccanici
d’ancoraggio (reti saldate, barre a zig‐zag) a causa del diverso coefficiente di dilatazione
termica dell’acciaio e dell’asfalto. In particolare nel caso di reti saldate la superficie della
pavimentazione si presenta come trapuntata, con maglie delle stesse dimensioni della rete
sottostante.
LE PAVIMENTAZIONI A BASE DI RESINE
Sono pavimentazioni molto leggere con spessore variabile fra 1 e 2,5 cm e possono essere
costituite:
da calcestruzzi di resine
da uno strato di resina applicato allo stato liquido sul quale, prima dell’indurimento,
viene cosparsa della graniglia
Le resine impiegate sono di tipo epossidico. Le applicazioni sono state tuttavia piuttosto
limitate finora a causa dei numerosi inconvenienti riscontrati.
Primo fra tutti è proprio lo spessore minimo che è dello stesso ordine di grandezza delle
irregolarità presentate dalla superficie dell’impalcato (spesso dell’ordine di 1 – 1,5 cm).
A ciò va aggiunta una scarsa resistenza all’usura ed una fragilità che non permettono al
rivestimento di seguire le deformazioni della sottostante lamiera.
Lo spessore modesto, inoltre, impone una più accurata protezione dalla corrosione della
lamiera d’acciaio.
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Capitolo: Effetti locali
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In definitiva quindi il campo di applicazione più idoneo per tali rivestimenti può individuarsi
nei ponti provvisori o soggetti a traffico leggero e di modesto volume, con l’adozione, in tutti
i casi, di spessori pari ai maggiori valori dell’intervallo considerato (s = 2 – 2,5 cm) .
CONSIDERAZIONI FINALI
Il campo di applicazione più congeniale alle lamiere irrigidite è d’altronde quello degli
impalcati da ponte (per quanto riguarda l’ingegneria civile).
Sotto l’aspetto economico sono interessanti alcune considerazioni.
E’ evidente innanzitutto l’economia di peso realizzabile per le strutture d’impalcato, dovuta:
da una parte, al funzionamento dei vari elementi costituenti l’impalcato come una
sola unità strutturale
dall’altra, a fattori quali l’impiego della saldatura (per lo meno negli assemblaggi
d’officina) e degli acciai ad elevato limite di snervamento, dimostratisi decisivi per lo
sviluppo della costruzione metallica in generale
infine, ai sistemi di pavimentazione leggera adoperati sulle lamiere nervate
Ovviamente non va sottovalutato il fatto che a tale economia si aggiunge quella che, per
l’alleggerimento dell’impalcato, si rende possibile nelle strutture principali.
La notevole messe di dati fornita dall’esperienza acquisita in Germania nell’imponente opera
di ricostruzione post‐bellica è la migliore conferma di quanto si va dicendo.
Si faccia riferimento alla figura seguente:
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Capitolo: Effetti locali
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Figura 57: Riduzione percentuali dei pesi con l'adozione di impalcati in lastra ortotropa
Nei ponti di Kurpfalz e Düsseldorf si registrano economie di peso che si aggirano tra il 15 ed il
25 per cento. Nel caso del ponte di Colonia il sostanziale mantenimento dello schema statico
e costruttivo consente un più significativo confronto: il risparmio di acciaio è del 55%. In
quello del ponte sulla Sava a Belgrado il peso si è ridotto del 44% pur avendo sostituito una
travata sospesa con una autoportante.
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Capitolo: Effetti locali
101
Deve inoltre tenersi conto della riduzione dei costi delle sottostrutture, dovuta al notevole
alleggerimento delle sovrastrutture, nonché delle sensibili economie ottenibili nei costi di
montaggio per la possibilità di realizzare una integrale prefabbricazione della struttura.
Si può quindi obiettivamente parlare di riduzioni in peso mediamente dell’ordine del 40 – 60
% , rese possibili in primo luogo dal suaccennato alleggerimento degli impalcati, oltre che da
tutti gli altri fattori che hanno favorito l’evoluzione delle strutture in acciaio negli ultimi anni.
E’ peraltro evidente che non tutta l’economia di peso si traduce in economia dei costi di
produzione in quanto sistemi più complessi richiedono lavorazioni più onerose; pur tuttavia
può ritenersi conseguibile un’economia del 10 – 15% naturalmente riferita al solo costo di
fabbricazione (con esclusione quindi di trasporto e montaggio).
COSTO DEI MATERIALI RISPETTO ALLA MANODOPERA
Il primo ponte con impalcato in lastra ortotropa fu costruito nel 1950 in Germania dove il
ponte sul Reno, distrutto durante la seconda guerra mondiale, doveva essere ricostruito
velocemente ed economicamente. In quel tempo l’acciaio in Europa era scarso e costoso
mentre la manodopera relativamente economica. Di conseguenza gli ingegneri strutturisti
mirarono principalmente a minimizzare il peso dell’acciaio e progettarono i ponti con questo
criterio. Negli Stati Uniti, dove questa tipologia di progettazione fu introdotta nel ’60 , il
rapporto di costo tra l’acciaio e il lavoro di costruzione e fabbricazione era inverso, e il
risparmio sul peso in acciaio non fu il primo aspetto affrontato in fase progettuale.
Attualmente, poiché sia il costo dell’acciaio che della lavorazione si sono moltiplicati, il costo
di produzione è diventato molto più significativo del costo dell’acciaio. Questa
considerazione è valida sia per gli Stati Uniti che per i paesi Europei dove i salari protetti da
sindacati prevalgono e determinano il costo delle costruzioni in acciaio.
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Figura 58: Ripartizione dei costi di costruzione di ponti con impalcati in lastra ortrotropa
L’elevato rapporto lavorazione/materiale è significativo specialmente nella fase costruttiva.
E’ evidente che il costo di lavorazione, inclusa la fabbricazione e le fase costruttiva abbraccia
almeno i ¾ del costo totale mentre il costo dell’acciaio è relativamente basso. Ne consegue
che il costo delle lastre ortotrope può essere ridotto in maniera significativa solo riducendo
drasticamente i costi costruttivi. Si può ottenere questo obiettivo diminuendo il numero
delle costole aumentando lo spessore di soletta e distribuendo ribs più profondi più lontani.
CENNI SULLE METODOLOGIE CLASSICHE DI CALCOLO
Nel tempo si sono codificate in letteratura delle schematizzazioni utili a semplificare il
difficile calcolo rigoroso di queste strutture.
Si è individuato un triplice aspetto nella funzione resistente della lamiera, la quale riporta
sulle nervature di rinforzo i carichi ad essa direttamente applicati, collabora con esse
creando una struttura ortotropa attivamente resistente ai carichi concentrati sull’impalcato
e, infine, costituisce, assieme ai rinforzi longitudinali, parte della sezione resistente delle
membrature portanti principali.
Qualora il carattere di ortrotropia dell’impalcato derivasse dalle proprietà del materiale
costituente o nel caso di rinforzi infinitamente vicini tra loro, il sistema 1 di tensioni
risulterebbe evidentemente nullo.
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Capitolo: Effetti locali
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Nei casi pratici di ortotropia strutturale, invece, i carichi locali sono applicati fra i rinforzi, a
loro volta disposti ad interasse non trascurabile rispetto alle superfici d’impronta dei carichi
stessi. Nasce pertanto nella struttura uno stato tensionale ben distinto da quelli 2 e 3 grazie
al quale le azioni concentrate possono intendersi agenti su un sistema strutturale a piastra
ortrotropa.
SISTEMA 1: ANALISI DELLA LAMIERA D’IMPALCATO
Per comprendere meglio le metodologie è utile studiare il comportamento della lamiera
d’impalcato sotto l’azione di carichi crescenti:
Figura 59: Risultati delle prove eseguite
1) In una prima fase, sotto carichi di entità paragonabile a quella dei carichi in esercizio
normalmente ammessi sugli impalcati da ponte, la lamiera lavora in campo elastico
funzionando come piastra isotropa continua su rinforzi longitudinali; le tensioni son
prevalentemente di natura flessionale con irrilevante effetto di membrana
2) Facendo crescere i carichi si accentua il comportamento a membrana per l’insorgere
di notevoli reazioni orizzontali, sicché il conseguente stato tensionale non è più
trascurabile; tale effetto si esalta inoltre per la contemporanea presenza di
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Capitolo: Effetti locali
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deformazioni iniziali e tensioni indotte dal ritiro dei cordoni longitudinali di saldatura;
a causa di ciò la struttura continua a rimanere in campo elastico anche per valori dei
carichi notevolmente maggiori di quelli prevedibili in base alla teoria elastica delle
piastre sottili
3) Superato il limite di elasticità (terza fase) la struttura entra in regime elasto –
plastico: le tensioni di membrana continuano a crescere e diventano confrontabili
con quelle flessionali
4) Infine (quarta fase) nelle zone di massimo momento, e cioè, nel caso specifico, lungo
i rinforzi longitudinali, si formano delle cerniere plastiche. Da questo momento il
comportamento preponderante è quello di una membrana tesa fra cerniere
cilindriche e tale si conserva fino al collasso
Le conclusioni che si possono trarre sono:
l’elevata capacità portante della lamiera d’impalcato dovuta all’effetto benefico,
combinato, della plasticizzazione del materiale e del funzionamento a membrana
la netta distinzione fra il comportamento sotto carichi modesti, quali quelli di
esercizio, nella fase 1 e quello sotto carichi eccezionali (fase 4)
L’analisi della lamiera come piastra sottile elastica continua sui rinforzi longitudinali e
soggetta ai carichi di esercizio ha pertanto scarso interesse: le tensioni conseguenti non
danno alcuna misura dell’effettivo grado di sicurezza e potranno di conseguenza trascurarsi
nei calcoli.
SISTEMA 2: ANALISI STATICA DELLA LAMIERA IRRIGIDITA
L’analisi statica di una lamiera irrigidita da uno o più ordini di rinforzi può affrontarsi
partendo da due impostazioni concettuali sostanzialmente molto diverse fra loro.
1) La via più diretta è quella di pensare alla struttura reale, costituita cioè da una piastra
isotropa vincolata a uno o più complessi sistemi di nervature; in questo caso il
sistema si risolve come un grigliato operando al discreto una separazione degli
elementi strutturali e giungendo alla soluzione tramite l’imposizione delle condizioni
di equilibrio ed il rispetto della congruenza
2) Si può invece pensare di sostituire l’effettiva struttura, costituita da una lamiera
variamente irrigidita nelle diverse direzioni secondo cui sono disposte le nervature,
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Capitolo: Effetti locali
105
con una piastra anisotropa equivalente, ovvero con una piastra avente la stessa
forma in pianta della struttura di partenza ed ugualmente vincolata, costituita da un
materiale anisotropo fittizio tale da garantire un analogo comportamento strutturale
e quindi avente le stesse caratteristiche di rigidezza.
Nel caso di una lamiera irrigidita in due direzioni ortogonali la struttura equivalente è
quindi una piastra ortotropa con rigidezze pari a quelle della struttura nervata
supposte ripartite lungo le direzioni delle nervature (rinforzi longitudinali e
trasverse).
Operando in tal modo si passa da un sistema discreto al continuo riducendo la
soluzione di un problema ad altissimo grado di iperstaticità a quella di una piastra.
In realtà i valori correnti degli interassi fra le nervature sono tali da assicurare un
notevole grado di esattezza nei risultati; ciò vale in modo particolare per i rinforzi
longitudinali che sono molto ravvicinati.
3) Intermedio tra i precedenti: schematizzare la struttura come una piastra ortotropa
formata dalla lamiera e dai rinforzi longitudinali, continua su appoggi elastici
costituiti dalle traverse.
A tal fine è utile un approfondimento sulla teoria delle piastre ortotrope elaborata da Huber
tra il 1914 ed il 1929.
TEORIA DELLA PIASTRA ORTOTROPA
Si consideri una piastra ortotropa riferita alla terna cartesiana ortogonale x,y,z:
Figura 60: Terna cartesiana di riferimento per lo studio della piastra
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Capitolo: Effetti locali
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Si assuma il piano coordinato x,y coincidente con quello medio della struttura.
Sul materiale costituente la piastra si fa l’ipotesi che il legame tensioni – deformazioni sia
lineare, e che in ogni punto esista un piano di simmetria elastica coincidente con il piano x,y.
Se l’ortotropia, come nel caso specifico delle strutture piane nervate, è di tipo strutturale,
ciò equivale ad ipotizzare l’esistenza di un piano di simmetria strutturale (rinforzi
simmetrici).
Si estendono inoltre le ipotesi note della teoria classica delle piastre sottili, ammettendo cioè
che:
La piastra abbia spessore piccolo rispetto alle dimensioni in pianta, per cui un
segmento rettilineo e normale al piano medio della piastra a deformazione avvenuta
resta ancora rettilineo e normale alla superficie elastica
Gli spostamenti verticali w siano trascurabili rispetto allo spessore della piastra
La piastra sia vincolata in modo da non impedire gli spostamenti orizzontali dei punti
lungo il contorno
Le tensioni σ, normali al piano medio, siano trascurabili
Lo studio viene condotto con riferimento ad un elemento infinitesimo di piastra,
considerando soltanto le tensioni σ , σ , τ :
Figura 61: Elemento infinitesimo di studio
I legami tensioni – deformazioni a livello z assumono la forma:
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Capitolo: Effetti locali
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12
12
12
dove:
12 1
12 1
sono le rigidezze flessionali della piastra lungo le direzioni degli assi x e y rispettivamente e:
sono costanti che definiscono il fenomeno di contrazione laterale nelle direzioni x e y.
12
ha il significato di una rigidezza torsionale sempre rispetto agli stessi assi.
Ex, Ey, Gxy, t sono i moduli di elasticità longitudinale lungo x e y, quello tangenziale e lo
spessore della piastra.
Dette inoltre u, v, w le componenti dello spostamento lungo i tre assi coordinati del generico
punto P appartenente alla superficie media, può dimostrarsi che le prime due sono
esprimibili in funzione della terza e si giunge alle seguenti espressioni delle tensioni in
funzione dell’abbassamento w:
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Capitolo: Effetti locali
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12
12
122
Integrandole opportunamente lungo lo spessore si giunge ai valori delle caratteristiche
flessionali:
2
mentre nel rispetto delle condizioni di equilibrio alla rotazione attorno agli assi x e y si
deducono i valori delle caratteristiche taglianti:
avendo posto 2 4 e quindi:
2 2
essendo .
L’unica incognita del problema, w, si ottiene integrando l’equazione differenziale di Huber:
2 ,
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Capitolo: Effetti locali
109
e fissando per volta le condizioni al contorno che interessano.
La valutazione delle rigidezze flessionali Kx e Ky è effettuata calcolando la rigidezza di un
tratto di struttura pari agli interassi tra i rinforzi secondo x e y e dividendoli per questi ultimi,
ottenendo quindi dei valori unitari per Kx e Ky.
E’ invece più opportuno soffermarsi sulla valutazione della rigidezza torsionale H.
Nel 1923 Huber fornì un primo valore approssimato di tale coefficiente.
Nel caso di piastra isotropa l’espressione del momento torcente è:
6
e quindi, poiché:
2 1
si ha 1
essendo ν il coefficiente di Poisson e
12 1
la rigidezza flessionale.
Le espressioni di Mxy e Myx si possono supporre ancora valide per piastre ortotrope purchè
ai valori di ν e K si sostituiscano i seguenti:
che mediamente mettono in conto le diverse caratteristiche di elasticità e di rigidezza della
struttura nelle due direzioni di ortotropia.
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Capitolo: Effetti locali
110
Con tali posizioni il momento torcente assume l’espressione:
1
che lega tale caratteristica della sollecitazione alle rigidezze torsionali nelle direzioni x e y.
Confrontando questa espressione con quella ottenuta in precedenza tramite integrazione
sullo spessore, si ha:
2 1
per cui:
2 2 1 2
Poiché per il teorema della reciprocità risulta
si ottiene infine:
Il valore così ottenuto è però molto spesso notevolmente discosto da quello effettivo, con
scarti generalmente compresi fra il 50% ed il 70%.
Ciò è dovuto principalmente ai seguenti motivi:
Nel caso delle lamiere irrigidite il comportamento ortotropo discende dalle diverse
caratteristiche degli irrigidimenti e non dalla differenza delle costanti elastiche; ne
consegue che la valutazione della rigidezza torsionale non può ottenersi operando
così semplicisticamente ma deve tenersi conto delle diverse caratteristiche torsionali
dei vari ordini di rinforzo e della loro influenza sulle caratteristiche torsionali del
complesso strutturale
Gli irrigidimenti non sono simmetrici rispetto al piano medio della lamiera, come
invece si è supposto
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Capitolo: Effetti locali
111
L’ipotesi di piastra sottile e spostamenti piccoli rispetto al suo spessore può in alcuni
casi risultare poco aderente alla realtà
La struttura lavora sovente al di là dei limiti di elasticità
Anche l’ipotesi di costanza dei valori dello spessore e delle caratteristiche di rigidezza
può essere talvolta discosta dal vero
Valori più attendibili del coefficiente H possono ottenersi basandosi su prove sperimentali: si
assoggetta la piastra in esame a condizioni di carico solo lungo il bordo, deducendo dai valori
misurati degli sforzi e delle deformazioni quelle delle rigidezze.
Ne consegue che molto spesso nei problemi reali la rigidezza torsionale viene data come
frazione della rigidezza flessionale media ponendo:
con α compreso tra 0 (piastra totalmente priva di rigidezza torsionale) e 1 (piastra isotropa).
Generalmente il valore di α è compreso tra 0,3 e 0,5.
IL CALCOLO DELLE LAMIERE IRRIGIDITE
Come detto, per ricondurre il calcolo delle lamiere irrigidite a quello di una piastra ortotropa
equivalente si può procedere sostanzialmente in due modi:
Considerare sia i rinforzi longitudinali che le traverse come facenti parte della piastra
ortotropa, diffondendone le rigidezze in entrambe le direzioni
Limitare alla sola lamiera e rinforzi longitudinali le considerazioni di equivalenza
elastica, riducendo l’effettiva struttura ad una piastra ortotropa allungata, continua
su appoggi elastici costituiti dalle traverse; questo metodo evita di ridurre al continuo
le traverse che di solito sono notevolmente distanziate tra loro (1,5 – 5 m) e quindi
schematizza più da vicino il funzionamento reale di una lamiera irrigidita.
Per ogni via prescelta, la riduzione ad una piastra ortotropa equivalente è possibile solo se si
assumono due ipotesi fondamentali:
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Capitolo: Effetti locali
112
La continuità
La simmetria della struttura rispetto al piano medio della lamiera
IPOTESI DI CONTINUITÀ
Il considerare la rigidezza delle nervature “spalmata” sul loro interasse di per se non
comporta grossi errori nel caso di carichi uniformemente ripartiti sull’intera piastra, mentre
va osservato meglio il comportamento per i carichi concentrati.
Infatti mentre per lamiere con rinforzi rigidi a torsione, in virtù della loro elevata capacità di
ripartizione trasversale dei carichi, l’ipotesi suddetta può ancora ritenersi sufficientemente
valida, non sempre può dirsi altrettanto con rinforzi a sezione aperta.
In questo caso, poiché i rinforzi sono caricati molto diversamente fra loro, l’effettiva
larghezza di piastra collaborante è molto più estesa di quella teorica relativa alla piastra
equivalente; i momenti calcolati sono quindi maggiori di quelli realmente presenti nella
struttura.
Figura 62: Andamento dei momenti con irrigidimenti aperti
IPOTESI DI SIMMETRIA
Solo nel caso che i rinforzi siano simmetrici rispetto al piano medio della lamiera, ammessa
l’ipotesi di continuità, è possibile identificare nell’equazione di Huber il modello matematico
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Capitolo: Effetti locali
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di una piastra nervata. Si tratterebbe quindi di un materiale isotropo ma organizzato in
modo diverso secondo due direzioni ortogonali tra loro.
L’equazione di Huber è ancora valida con buona approssimazione purchè si ponga:
1
2
con Kyx e Kxy rigidezze torsionali, per unità di lunghezza, dei due ordini di costole.
Poiché invece, come nella quasi totalità dei casi pratici, i rinforzi sono asimmetrici in quanto
disposti tutti da una parte della lamiera, il comportamento della struttura differisce
sensibilmente da quello di piastra sottile finora ipotizzato.
Proprio la mancanza di un piano di simmetria strutturale fa si che il legame differenziale cui
si giunge con una trattazione analitica del problema sia profondamente diverso da quello di
Huber.
Nel caso più generale di anisotropia e di obliquità, senza alcuna ipotesi restrittiva sul numero
degli ordini di rinforzo, eliminando u e v si giunge ad un legame differenziale del tipo:
dove è un operatore differenziale lineare di ordine ottavo ed A un termine di carico
che dipende da p e dalle sue derivate.
Una piastra nervata a rinforzi asimmetrici non può, quindi, in nessun caso assimilarsi
rigorosamente ad una piastra anisotropa per la diversità fra questa e l’equazione
differenziale di Huber .
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Capitolo: Effetti locali
114
Solo in via approssimata, introducendo opportune semplificazioni nelle equazioni
fondamentali, si può tentare di giungere ad un’equazione differenziale del quart’ordine,
determinando i valori dei coefficienti di rigidezza che consentono tale riduzione.
La non coincidenza dei piani di flessione porta ad un aumento apparente della rigidezza
torsionale della piastra talchè alcuni autori suggeriscono di assumere nel calcolo di H α = 0,3
anche nel caso di costole aperte, di per sé prive di rigdezza torsionale.
RIEPILOGO DEI METODI DI CALCOLO DELLE LAMIERE IRRIGIDITE
Tutti i metodi di calcolo delle lamiere irrigidite si fondano sulla teoria della piastra ortotropa
equivalente di Huber, ammettendo quindi implicitamente le ipotesi precedenti e quidi
possono classificarsi in cinque gruppi:
a) Metodi che studiano l’impalcato con la teoria di Huber assimilandolo ad un grigliato a
maglie infinitesime
b) Procedimenti che presuppongono le rigidezze dei rinforzi diffuse nelle direzioni ad
esse ortogonali
a. Tale diffusione interessa entrambi gli ordini di rinforzi
b. Si limita i soli rinforzi longitudinali considerando le traverse alla stregua di
appoggi elastici privi di rigidezza torsionale
c) Metodi che si avvalgono di superfici o linee d’influenza
a. di travi o di piastre isotrope (con l’introduzione di opportuni artifici)
b. di piastre ortotrope
d) procedimenti che, ammessa una delle due approssimazioni del gruppo b), si
avvalgono degli algoritmi del calcolo numerico
a. alle differenze finite
b. variazionali
c. elementi finiti
e) metodi semiempirici basati sull’analisi di modelli strutturali
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Capitolo: Effetti locali
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Con la diffusione di software di calcolo e il notevole aumento della potenza computazionale
a disposizione è possibile risolvere il problema direttamente utilizzando gli elementi finiti
modellando adeguatamente il telaio.
SISTEMA 3: ANALISI STATICA DELLA LAMIERA IRRIGIDITA COME ELEMENTO COSTITUENTE LE
STRUTTURE PRINCIPALI PORTANTI
Come ulteriore compito la lamiera irrigidita collabora alla resistenza delle strutture principali
portanti l’impalcato come elemento componente delle stesse.
Nel caso di travate autoportanti essa costituisce la piattabanda superiore delle travi
principali.
Il calcolo di tali strutture e quindi del sistema 3 di tensioni indotte nella lamiera nervata si
conduce con i noti metodi della scienza delle costruzioni una volta che:
si siano stabilite le larghezze di lamiera nervata collaboranti con le singole travi
sia stata effettuata fra queste ultime la ripartizione trasversale dei carichi
Per la prima, gli studi di Von Kàrmàn, Chwalla et Alii hanno chiarito che essa dipende dalle
condizioni di carico oltre che dall’interasse e dalla luce delle travi. Per carico uniformemente
ripartito essa varia generalmente fra 1/3 e 1/5 della luce risultando, per una trave
semplicemente appoggiata, minima sugli appoggi e massima in mezzeria ed invece all’incirca
uguale sugli appoggi intermedi e nelle mezzerie delle campate nel caso di travi continue.
Di conseguenza, per i valori correnti degli interassi fra le travi principali portanti con
impalcato in lamiera irrigidita, quest’ultima può ritenersi interamente collaborante.
Se si ha a che fare con sezioni a cassone semplice o multiplo occorre tener conto della
notevole rigidezza torsionale del complesso e degli effetti, talora notevoli, di torsione non
uniforme dovuta all’ingobbamento impedito ed alla perdita di forma della sezione.
Stabilite le caratteristiche delle sezioni trasversali e le aliquote di carico relative alle diverse
travi, possono calcolarsi le tensioni. In particolare, essendo il baricentro delle sezioni
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Capitolo: Effetti locali
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resistenti molto spostato verso l’alto a causa della forte diversità fra le aree delle
piattabande, il diagramma delle tensioni normali segue l’andamento in figura:
Figura 63: Andamento tensioni globali sulla sezione
Il valore modesto delle tensioni del sistema 3 nella lamiera irrigidita consente la
sovrapposizione ad esse di quelle del sistema 2 prodotte dai carichi locali senza superare i
valori limite.
Appare inoltre evidente che, per il modesto valore del rapporto fra altezza dell’impalcato ed
altezza totale, nelle zone di momento flettente positivo la lamiera irrigidita è, in pratica,
compressa uniformemente ed occorre pertanto garantirne la stabilità.
Il complesso lamiera – rinforzi orizzontali possiede però caratteristiche di rigidezze tali da
poter essere considerato praticamente immune da pericoli di instabilità di tipo globale. Ciò è
stato verificato sperimentalmente, ma può anche agevolmente accertarsi per via analitica.
Non altrettanto può dirsi per gli eventuali fenomeni di instabilità locale che possono
insorgere nei singoli pannelli di lamiera; questi ultimi, pertanto, andranno verificati facendo
particolare attenzione per le anime dei rinforzi longitudinali che sono soggette a più precarie
condizioni di vincolo ed hanno, di frequente, minore spessore.
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Capitolo: Effetti locali
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MODELLAZIONE DELL’IMPALCATO
Sono state effettuate quattro tipologie di modellazione degli effetti locali:
1. Allo schema del ponte originale sono stati applicati i carichi indicati nella norma del
1962 per il calcolo della soletta.
2. Allo schema del ponte originale sono stati poi applicati i carichi dell’attuale norma
NTC – 2008 per il calcolo allo SLU della soletta
3. Allo schema del ponte allargato sono stati applicati i carichi indicati dalla normativa
attuale per il calcolo allo SLU della soletta
4. Infine sempre allo schema finale di ponte allargato sono state effettuate le verifiche
dei tratti con marciapiede e dei tratti con sicurvia contro l’urto del veicolo in svio
Una quinta modellazione è stata effettuata per gli effetti della fatica che saranno discussi in
seguito.
I modelli 1) e 2) e 3) sono stati utilizzati per aggiungere agli effetti globali calcolati nel lavoro
[16] le tensioni agenti sul livello superiore dovute alle impronte di carico e valutare quindi lo
stato tensionale agente sul ponte nelle seguenti condizioni:
Ponte allo stato originale – norma 1962
Ponte allo stato attuale (ammalorato) – norma NTC2008
Ponte con allargamento – norma NTC2008; su questo schema è stato basato
l’intervento di rinforzo
Il modello 4) è stato utilizzato per una verifica diretta della trave ripartitrice scatolare e per
l’estremità della soletta.
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Capitolo: Effetti locali
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CRITERI DI MODELLAZIONE IN SAP2000
Le modellazioni sono state effettuate utilizzando il programma agli elementi finiti SAP2000
v.14.1.0. Sono stati realizzati due modelli per le verifiche allo SLU sui quali poi sono stati
applicati i diversi schemi di carico di interesse.
Gli elementi in acciaio sono quasi tutti caratterizzati da comportamento a “piastra sottile”
essendo fondamentalmente delle lastre molto allungate con spessori relativamente piccoli
(inferiori a 1/20 della dimensione minore).
La soletta è infatti costituita da una lastra con degli irrigidimenti longitudinali a loro volta
costituiti da piattabande rinforzate inferiormente con bulbi, mentre i traversi sono costituiti
da piatti saldati e i controventi sono rappresentati da profilati convenzionali.
Ciò ha portato ad una modellazione agli elementi finiti molto accurata, avendo la possibilità
di utilizzare elementi bidimensionali a 4 nodi detti “shell” per gli elementi principali e
semplici elementi di tipo “frame” per gli irrigidimenti terminali.
L’ELEMENTO SHELL IN SAP2000 [15]
L'elemento Shell ha una formulazione a tre o quattro nodi che combina il comportamento
separato a membrana e quello a piastra flettente. L'elemento a quattro nodi non deve
necessariamente essere piano.
Il comportamento a membrana usa una formulazione isoparametrica che comprende le
componenti di rigidezza traslazionali nel piano e una componente di rigidezza rotazionale
nella direzione normale al piano dell'elemento.
Il comportamento a piastra flettente comprende due componenti di rigidezza rotazionali
della piastra, fuori dal piano, e una componente di rigidezza traslazionale nella direzione
normale al piano dell'elemento. Per default viene usata una formulazione a piastra spessa
(Mindlin/Reissner) che comprende gli effetti della deformazione di taglio trasversale. A
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Capitolo: Effetti locali
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scelta, è possibile scegliere una formulazione a piastra sottile (Kirchoff) che trascuri la
deformazione di taglio trasversale.
Ciascun elemento Shell ha il suo proprio sistema di coordinate locale per la definizione delle
proprietà del materiale e dei carichi e per l'interpretazione dell'output. A ciascun elemento
può essere applicato un carico gravitazionale oppure uniforme in ogni direzione.
Per la rigidezza dell'elemento Shell viene usata una formulazione variabile, con integrazione
numerica da quattro a otto punti. Le tensioni, le forze interne ed i momenti, nel sistema di
coordinate locale dell'elemento, sono valutate ai punti di integrazione di Gauss 2 per 2 ed
estrapolati ai nodi dell'elemento. Una stima approssimata dell'errore nelle tensioni o nelle
forze interne dell'elemento può essere ricavata dalla differenza dei valori calcolati da
elementi diversi connessi ad un nodo comune. Ciò fornisce un'indicazione dell'accuratezza di
una data mesh di elementi finiti e può essere usata in seguito come base per selezionare una
maglia nuova e più accurata.
Figura 64: Elemento shell quadrilatero a quattro nodi
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Capitolo: Effetti locali
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Ciascun elemento Shell ha un proprio sistema di coordinate locale usato per definire le
proprietà del materiale, i carichi e l'output. Gli assi di questo sistema locale sono indicati con
i numeri 1, 2 e 3. I primi due assi giacciono nel piano dell'elemento con orientamento
specificato dall'utente; il terzo asse è normale.
E' importante comprendere bene la definizione del sistema di coordinate locale 1‐2‐3 e la
sua relazione con il sistema di coordinate globale X‐Y e Z, essendo entrambi sono sistemi di
coordinate destrorsi. L'asse locale 3 è sempre normale al piano dell'elemento Shell.
L'orientamento di default degli assi locali 1 e 2 è determinato dalla relazione fra l'asse locale
3 e l'asse globale Z:
Il piano locale 3‐2 viene preso verticale, cioè parallelo all'asse Z,
L'asse locale 2 viene preso in direzione positiva verso l'alto (+Z) a meno che
l'elemento non sia orizzontale, nel qual caso l'asse locale 2 è preso orizzontale diretto
lungo la direzione globale +Y,
L'asse locale 1 è sempre orizzontale cioè giace nel piano X‐Y.
Un elemento viene considerato orizzontale se il seno dell'angolo fra l'asse locale 3 e l'asse Z
è minore di 10‐3.
Le deformazioni di taglio diventano importanti quando lo spessore è maggiore di circa da un
decimo a un quinto della campata. Tali deformazioni possono essere piuttosto significative
anche in vicinanza di tensioni flessionali concentrate, come in prossimità di brusche
variazioni dello spessore o di appoggi o in prossimità di fori o angoli rientranti.
Anche per problemi flessionali a piastra sottile, dove le deformazioni di taglio sono davvero
trascurabili, la formulazione a piastra spessa tende ad essere più accurata, sebbene talvolta
più rigida, della formulazione a piastra sottile. Tuttavia, l'accuratezza della formulazione a
piastra spessa è più sensibile a valori elevati di rapporti di forma e di distorsioni della maglia
di quanto non lo sia la formulazione a piastra sottile.
Il carico dovuto al peso proprio può essere applicato ad ogni condizione di carico per attivare
il peso proprio di tutti gli elementi nel modello. Per un elemento Shell, il peso proprio è una
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Capitolo: Effetti locali
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forza uniformemente distribuita sul piano dell'elemento. L'entità del peso proprio è pari al
peso specifico, w, moltiplicato per lo spessore, th.
Il carico uniforme viene usato per applicare forze uniformemente distribuite alle superfici
mediane degli elementi Shell. La direzione di applicazione del carico può essere specificata
nel sistema di coordinate globale o in quello locale.
Le intensità di carico sono date come forza per unità di superficie. Le intensità di carico
specificate in sistemi di coordinate diverse vengono convertite nel sistema di coordinate
globale e sommate insieme. La forza totale che agisce sull'elemento in ciascuna direzione
locale è data dall'intensità di carico totale in quella direzione moltiplicata per l'area della
superficie mediana. Questa forza è ripartita sui nodi dell'elemento.
Le tensioni dell'elemento Shell sono le forze per unità di superficie che agiscono entro il
volume dell'elemento per resistere all'applicazione del carico. Queste tensioni sono:
Tensioni assiali nel piano: S11 e S22
Tensione di taglio nel piano: S12
Tensioni di taglio trasversali: S13 e S23
Tensione assiale normale al piano: S33 (considerata sempre nulla)
Le tre tensioni nel piano sono assunte costanti o variabili linearmente entro lo spessore
dell'elemento.
Le due tensioni di taglio trasversali sono considerate costanti lungo lo spessore.
La vera distribuzione della tensione di taglio è parabolica, con valore nullo sulle superfici in
alto e in basso e con valore massimo o minimo alla superficie mediana dell'elemento.
Le forze interne dell'elemento Shell (chiamate anche risultanti delle tensioni) sono le forze
ed i momenti che risultano dall'integrazione delle tensioni sullo spessore dell'elemento.
Queste forze interne sono:
Forze membranali assiali: F11 e F22
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Forza membranale di taglio: F12
Momenti flettenti a piastra: M11 e M22
Momento di svergolamento a piastra: M12
Forze di taglio trasversali a piastra: V13 e V23
E' molto importante notare che queste risultanti della tensione sono forze e momenti per
unità di lunghezza nel piano. Sono presenti in ciascun punto sulla superficie mediana
dell'elemento.
Le convenzioni dei segni per le tensioni e le forze interne sono illustrate in Figura 65.
Figura 65: Convenzione dei segni delle sollecitazioni elemento shell in SAP2000
Le tensioni agenti su una superficie positiva sono orientate nella direzione positiva degli assi
locali dell'elemento. Una superficie positiva è quella superficie la cui normale verso l'esterno
(uscente dall'elemento) si trova lungo la direzione positiva locale 1 o 2.
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Le forze interne positive corrispondono ad uno stato di tensione positiva costante lungo lo
spessore. I momenti interni positivi corrispondono ad uno stato di tensione che varia
linearmente lungo lo spessore ed è positivo sul fondo.
Le tensioni e le forze interne sono valutate ai punti standard di Gauss di integrazione 2 per 2
dell'elemento ed estrapolate ai nodi. Sebbene siano riportate ai nodi, le tensioni e le forze
interne si trovano su tutto l'elemento.
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MODELLO 1: SCHEMA PONTE ATTUALE
DETERMINAZIONE DEGLI ELEMENTI
Si è cercato di operare in modo da rendere il reticolo di calcolo e gli elementi il più possibile
verosimili alla struttura reale in base alle ispezioni visive e ai dati forniti dal bando di gara.
Un elemento di difficoltà aggiuntivo rispetto ad una modellazione ex‐novo si è riscontrata
nella definizione degli elementi strutturali resistenti che costituiscono l’impalcato, a causa
della non disponibilità dei progetti originali e della non massima chiarezza delle ispezioni
visive.
Si è preso come schema di riferimento la sezione corrente in corrispondenza del tratto di
rettilineo nella campata maggiore, ma prossima agli appoggi descritta da Figura 66:
Figura 66: Sezione corrente ponte originale ‐ bando di gara
Ci si è quindi basati anche su rilievi fotografici all’interno dell’impalcato:
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PIATTABANDE
Figura 67: Vista inferiore sbalzi
Figura 68: Dettaglio piattabanda inferiore
Si può notare anche l’evidente stato di degrado e corrosione che ha colpito le lamiere inferiori e superiori, elemento tenuto debitamente in
conto per quanto concerne la modellazione degli effetti globali.
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La piattabanda superiore ha uno spessore convenzionale di 12 mm in mezzeria e di 14 mm in
prossimità degli appoggi (dove si ha la massimizzazione degli effetti globali e dove si è
ritenuto più importante effettuare la modellazione degli effetti locali).
Si è considerato un fattore di riduzione per corrosione della piattabanda per cui lo spessore
di calcolo di queste è stato ridotto del 20% portandolo a 11,2 mm .
La piattabanda inferiore ha uno spessore di 12 mm.
Gli irrigidimenti della contro‐soletta sono gli stessi di quelli delle travi principali analizzate
successivamente.
Figura 69: Definizione elementi shell per le piattabande
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Gli irrigidimenti (ribs) della soletta superiore sono costituiti da piatti bulbati posti ad
interasse di circa 30 cm. Sono complessivamente lunghi 20 cm (17 cm la lunghezza del
piatto) e spessi 10 mm .
Figura 70: Modellazione degli irrigidimenti superiori in SAP2000