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LETIZIA ALLEGRI DUE AMORI EDIZIONI DIGITALI LETIZIA

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LETIZIA ALLEGRI  

  

 

   

DUE

AMORI  

 EDIZIONI  DIGITALI  LETIZIA 

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LETIZIA ALLEGRI 

DUE AMORI     

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Luca ama profondamente due donne. Ma solo una è il grande amore della sua vita. Unico e vero amore. E un giorno succede qualcosa che gli cambia profondamente la vita. E la cambia a tutte le persone più vicine a lui.  

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Un sincero ringraziamento a tutti gli amici che mi hanno dato una mano, 

che poi sono gli stessi che hanno contribuito (in realtà hanno fatto tutto loro) 

alla realizzazione della biblioteca di Pecos Bill cui si può accedere 

(per prelevare tutti gli albi dell'eroe del Texas e del simpatico indiano Oklahoma) 

visitando il mio sito: 

http://pecosbill.altervista.org/pecosbill.php 

   

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Alla persona che amo di più in tutti 

gli universi che ho attraversato 

   

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1. Parigi, sabato 3 maggio, ore 17:12 

 

Parigi... 

Parigi è una città meravigliosa e in primavera è qualcosa di sublime. 

Sarà... 

Ma da quando siamo qui non ha fatto altro che piovere. 

E non si è trattato della pioggerellina primaverile che magari contribuisce a creare quell'atmosfera 

un po' magica tipica di Parigi, ma di una pioggia  forte e  fastidiosa che non era certo prevedibile 

quando abbiamo prenotato questa settimana di vacanza. 

E domani ce ne andremo. 

Una noia mortale: o rintanati in albergo o in giro con l'ombrello sempre aperto. 

E ciliegina sulla torta, da ieri sera ho un mal di denti che mi rende molto nervoso. 

Devo decidermi a prendere qualche porcheria che mi faccia almeno passare il dolore e poi lunedì, 

rientrati in Italia, andrò, ahimè, dal mio dentista che, scommetto, mi accoglierà a braccia aperte. 

"Luca, che hai? Una bella carie?" mi dirà quella canaglia (che gli si possano bucare contemporane‐

amente tutte e quattro le gomme, anzi tutte e cinque, anche quella di scorta, tanto le pagherà con 

la mia parcella). 

Siamo in un negozietto di chincaglierie nel Marais dove mia moglie ha visto un ninnolo che le piace 

"da morire" e io, annoiato, guardo dalla vetrina la via con il suo andirivieni e noto con piacere che 

almeno non piove più. 

Mi giro per vedere se Lara ha finito, ma non la vedo. 

E non vedo neppure  la ragazzina che  le ha  fatto vedere praticamente tutti gli articoli che ha nel 

negozio. 

Vedo  invece una vecchia signora che sta parlando con una ragazza molto giovane e anche molto 

carina, almeno nel lato B, e una bambina che gironzola tra gli scaffali. 

Ma da dove e quando sono entrate? 

E più di mezz'ora che siamo qui e mi è parso che non ci fosse quando siamo arrivati. 

E non c'era neanche la vecchia signora. 

E Lara dove si è cacciata? 

Cerco dietro gli scaffali e torno per chiedere se qualcuna l'ha vista. 

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La giovane si gira verso di me e... che mi venga un colpo. 

Non può essere lei. 

Questa giovane non ha più di trent'anni e non può essere Letizia. 

Mi sta guardando e mi dice: «Luca vieni qui un attimo, per favore». 

Ommamma! 

Mi ha chiamato per nome come se fosse la cosa più naturale del mondo, mi conosce. 

E' proprio lei. 

E' Letizia. 

Sono quasi dieci anni che non  la vedo e  i nostri rapporti ultimamente non sono stati proprio dei 

migliori. 

E ora mi sta guardando con quello sguardo che aveva quando era innamorata di me. 

E' bellissima. 

«Allora Luca, vuoi venire? Devo farti vedere una cosa. Dimmi se ti piace» dice mostrandomi un o‐

recchino che appoggia sulla guancia. 

Ha sempre chiesto a me di metterle gli orecchini, quasi che lei non ci riuscisse da sola, ma in realtà 

era soltanto un vezzo e non ne metteva mai un paio se non ero io ad aiutarla. 

Letizia. 

Ma come ha fatto a mantenersi così giovane dopo tanti anni? 

 E perché ora è qui a Parigi, nello stesso posto dove sono io? 

E come ha fatto a entrare senza che io la vedessi? 

E, soprattutto, dov'è Lara? 

«Papà, mi compri questo braccialetto? Dai, ti prego, compramelo. Ti prego ti prego ti prego.» 

La voce della bambina mi distoglie dai miei pensieri. 

Papà? 

Istintivamente mi volto per vedere a chi si sta rivolgendo. 

«Lascia stare papà, Licia. Dopo vedremo, eh? Allora Luca, come mi stanno? Vieni a mettermeli, per 

favore.» 

Io sto uscendo pazzo. 

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Una bambina che non conosco mi chiama papà, Letizia che si comporta come se fossi suo marito e 

Lara che è sparita. 

Inoltre Letizia sembra più giovane di trent'anni, anzi è più giovane di trent'anni. 

Per non parlare poi della ragazza che stava servendo Lara e che è sparita anche lei e la vecchia si‐

gnora che è apparsa come in un miracolo. 

Mi do un pizzicotto per controllare se sono sveglio anche se non serve a niente perché non ho mai 

sentito di qualcuno che abbia sognato di sognare. 

Ma che cavolo sta succedendo? 

Lara, dove sei? 

Ora le do un colpo di telefono, penso mettendo la mano in tasca per prendere lo smartphone. 

Ommamma! 

Frugo in entrambe le tasche e non lo trovo, eppure mezz'ora fa l'avevo e l'ho anche usato per con‐

sultare le previsioni meteo. 

E non ho neppure il portafoglio che sono sicurissimo di aver avuto quando siamo entrati. 

Il portafoglio che mi ha regalato Lara, con  le carte di credito,  i documenti,  la patente e  il denaro, 

quattro soldi in verità. 

Tutto sparito. 

L'ho persi? 

Ma come è stato possibile? 

Ma come diavolo... 

La bambina mi corre incontro e mi abbraccia. 

Mi chino istintivamente e l'abbraccio a mia volta. 

«Papà, dai, non  fare  l'avaro, comprami questo braccialettino. Guarda com'è bello e come mi sta 

bene.» 

La guardo senza rispondere, non saprei cosa dire, e osservandola meglio noto che somiglia tantis‐

simo a me quando avevo la sua età. 

E abbracciandola provo una strana sensazione di tenerezza, la stessa che provavo quando stringe‐

vo tra le mie braccia i miei due figli quando erano piccoli. 

Dio, ma è davvero mia figlia? 

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La figlia di Letizia? 

E Letizia è davvero mia moglie? 

Ma non ha alcun senso, la cosa è priva di ogni logica. 

Mi viene  il sospetto che sia tutto uno scherzo ben congegnato, anche troppo, ma  in un attimo  il 

dubbio si rivela assolutamente infondato. 

Mi alzo e il mio sguardo incontra casualmente uno specchio. 

E quello che vedo mi lascia secco. 

Immobile e  senza parlare  ‐  se  lo avessi  fatto,  l'unica  cosa uscita dalle mie  labbra  sarebbe  stata 

un'imprecazione ‐ guardo a lungo la mia immagine riflessa allo specchio. 

E solo allora mi accorgo che non ho più il mal di denti. 

La persona che vedo riflessa nello specchio non sono io. 

O meglio, sono io ma con "qualche" anno di meno, senza una ruga e con i capelli senza un filo di 

bianco. 

Sono io, ringiovanito di... di quanto? 

Sembrerebbe che io non abbia più di... di trent'anni. 

Trent'anni, come... come Letizia... 

E anche gli abiti sono diversi. 

Porto i jeans, sì, ma non sono i miei. 

E poi io porto sempre i jeans. 

Lara mi dice sempre che ci manca solo che li porti anche a letto. 

E poi il maglione è di un altro colore e... 

«Letizia, hai tu  il mio portafoglio?»,  le chiedo  inseguendo un pensiero, «me  lo dai un attimo, per 

favore?» 

«Che ci devi fare? Perché me lo chiedi?» risponde frugando nella borsetta. 

«Devo vedere una cosa» replico prendendo il portafoglio che mi sta porgendo. 

Lo apro. 

Qualche biglietto da 100 e da 50 franchi, qualcuno da diecimila lire, una "vecchia" carta di credito, 

la "mia" carta d'identità con la foto del ragazzo che ho appena visto allo specchio e la "mia" paten‐

te, in carta telata, scaduta nel 1989. 

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«Ha  il giornale di oggi, per cortesia?» chiedo alla vecchia  signora esprimendomi nel mio miglior 

francese possibile subito tradotto da Letizia che deve aver notato la faccia stralunata della signora. 

Lei risponde con un sorriso e io riesco solo a capire due cose: "madame" e che il giornale ce l'ha, 

anche perché ho visto  la sua mano sparire sotto  il banco e riapparire subito dopo con una copia 

che non deve essere ancora stata letta, visto il suo buono stato. 

Lo prendo sparando un grazie tante in perfetto francese ‐ è una delle piccole frasi imparate a me‐

moria ‐ e non guardo neanche di quale testata si tratti. 

L'unica cosa che mi interessa è la data: sabato 3 maggio 1986. 

Li mortacci! 

Se mi avessero coperto di bastonate starei molto meglio di come mi sento adesso. 

Sono talmente fuori di testa che non riesco neanche a fare un semplice calcolo. 

Ma poi ci arrivo: sono esattamente 28 anni fa ed è proprio sabato come... come quando? 

Come sarà tra 28 anni? 

Ommamma. 

Ma come ci sono finito nel '86? 

E perché non sono con Lara? 

Lei dov'è ora, o meglio dov'era, cioè no... insomma dov'è nel 1986? 

L'unica cosa positiva in tutta questa maledetta faccenda è che adesso ho 35 anni. 

Restituisco il giornale alla signora che mi guarda con due occhi severi chiedendosi probabilmente 

cosa le ho chiesto a fare il giornale se poi non l'ho neanche aperto. 

«Sai che  fine ha  fatto Lara?» chiedo a mia... a Letizia con noncuranza, quasi distrattamente cer‐

cando di essere il più normale possibile. 

Anche se tra me e una persona normale ora c'è un abisso. 

«Lara? E chi è Lara?», risponde un po' infastidita Letizia, «ma che diavolo ti prende oggi? Mi sem‐

bri un fantasma che si aggira nelle sale di un vecchio castello scozzese.» 

Non sa chi è Lara. 

La conosciamo dai tempi del liceo, da quando avevamo 17 anni, e lei non sa chi è. 

Ma come è possibile? 

Ma oggi pare che tutto sia possibile. 

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«Sarà un'amica di papà» esordisce la bambina guardandomi con i suoi occhietti furbi. 

«Licia, a cosa stai pensando? Vuoi che ti molli una sberla?» 

Ma poi mi pento subito di averlo detto anche prima che Letizia replichi. 

«Luca, ma che ti prende? Non hai mai nemmeno sfiorato tua figlia, neanche quando  lo meritava 

ampiamente. E ora... non sei più tu. Sembri un altro uomo, non sembri lo stesso di questa matti‐

na.» 

Non sai quanto hai ragione Letizia, vorrei dirle, io non sono la stessa persona di stamattina. 

Sono un altro, non sono tuo marito né il padre di tua figlia, tu non ti sei mai sposata e non hai figli. 

Sono stato l'unico amore della tua vita e, dopo che ho sposato Lara, non sei nemmeno mai uscita 

con un altro uomo. 

Sei come un fiore che nessuno ha mai colto, uno splendido fiore che è appassito piano piano. 

Ti sei tutta buttata sul lavoro e ti sei dimenticata di vivere. 

E la colpa è tutta mia. 

Tu eri la mia fidanzata e io ti ho giurato amore eterno, ma poi mi sono innamorato di un'altra. 

Ma è colpa mia, non dovevo. 

Lara non ha alcuna colpa, non mi ha mai cercato perché sapeva che tu mi amavi ed eravate diven‐

tate amiche. 

Sono io che ho perso la testa e l'ho cercata e per questo ti ho chiesto perdono, e non una volta so‐

la. 

L'unico pensiero che avrebbe potuto farmi sentire un po' meno in colpa era il fatto che non ti ave‐

vo mai toccata. 

Questo vorrei dirti, ma come potrei? 

E poi forse non è nemmeno la verità. 

A questo punto non so più nemmeno io quello che è vero e quello che non lo è. 

Ma quando torneremo in Italia, ti cercherò, Lara e ti troverò, Dio se ti troverò. 

Devo trovarti. 

Poi ritorno alla realtà: «Va bene, ragazze. Oggi facciamo spese pazze. Alla mia piccola peste il brac‐

cialetto e alla mamma i suoi orecchini. Vieni, tesoro, ti aiuto a metterli.» 

Dio, da quanto tempo non chiamo più tesoro Letizia? 

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Mia figlia ‐ sì diamine, mia figlia ‐ mi salta addosso con una foga che mi quasi fa cadere. 

E' proprio vero che si trova più soddisfazione a dare che a ricevere. 

Non sta nella pelle dalla contentezza ed è bastato così poco, un ninnolo da pochi euro. 

Euro... franchi volevo dire. 

Ommamma, ho perso la cognizione del valore del denaro. 

Quanto valeva un franco nel '86? 

Duecento lire? 

E quant'erano duecento lire nel '86? 

Ma chi se ne frega. 

Soprattutto perché ho strappato un sorriso a Letizia che quando ride è ancora più bella, se mai è 

possibile. 

E soprattutto perché ora mi sta baciando sulla guancia e io ho una voglia matta di baciarla sul se‐

rio. 

   

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2. Parigi, sabato 3 maggio, ore 17:12 

 

Parigi... 

Parigi è una città meravigliosa e in primavera è qualcosa di sublime. 

Sarà... 

Ma da quando siamo qui non ha fatto altro che piovere. 

E non si è trattato della pioggerellina primaverile che magari contribuisce a creare quell'atmosfera 

un po' magica tipica di Parigi, ma di una pioggia  forte e  fastidiosa che non era certo prevedibile 

quando abbiamo prenotato questa settimana di vacanza. 

E domani ce ne andiamo. 

Una noia mortale: o rintanati in albergo o in giro con l'ombrello sempre aperto. 

Siamo in un negozietto di chincaglierie nel Marais dove mia moglie ha visto un ninnolo che le piace 

"da morire" e io, annoiato, guardo dalla vetrina la via con il suo andirivieni e noto con piacere che 

almeno non piove più. 

Mi giro per vedere se Letizia ha finito, ma non vedo né lei né Licia. 

E non vedo neppure la vecchia signora con quell'assurdo vestito rosso che le ha fatto vedere prati‐

camente tutti gli articoli che ha nel negozio. 

Vedo invece una ragazza che sta parlando con una signora mentre stanno guardando qualcosa. 

Ma da dove e quando sono entrate? 

E più di mezz'ora che siamo qui e mi è parso che non ci fossero quando siamo arrivati. 

E Letizia e Licia dove si sono cacciate? 

Cerco dietro gli scaffali e torno per chiedere se qualcuna l'ha vista. 

E c'è un dente che inizia a farmi male e, mannaggia, ci mancava solo quello. 

«Scusate...» accenno. 

La signora si gira verso di me. 

Doveva essere una donna molto bella quando era più giovane: alta, slanciata, capelli biondi di un 

biondo proprio come piace a me. 

Ma adesso naturalmente saranno tinti, ma è sempre una bella donna e porta molto bene gli anni 

che ha, qualunque sia la sua età. 

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«Cosa c'è, Luca? Ti stai annoiando? Ho quasi finito, pago e ce ne andiamo. Guarda cosa ho preso.» 

Luca? 

«Mi conosce, signora?» domando meravigliato. 

Che mi ricordi, non l'ho mai incontrata in vita mia. 

Non la conosco. 

«Luca, che ti prende? Se tu hai mal di denti, a me duole la testa e non ho affatto voglia di scherza‐

re.» 

Mal di denti? 

Come fa a sapere che ho mal di denti? 

Fino a cinque minuti fa non lo sapevo nemmeno io. 

«Mi scusi, signora, ma deve avermi preso per qualcun altro, io non la conosco. Ero solo venuto da 

voi per chiedervi se avevate visto mia moglie e...» 

«Tua moglie? Ah, cerchi tua moglie? Hai gli occhi  foderati di prosciutto? E poi perché continui a 

darmi del  lei?  Tesoro,  ti ho detto  che non ne ho  voglia. Adesso  cerchiamo una bella  farmacia, 

prendiamo qualcosa per il tuo mal di denti e per il mio dannato mal di testa. Poi ce ne torniamo un 

po' in albergo a riposare.» 

«Temo ci sia un malinteso. Io stavo solo cercando mia moglie Letizia e mia...» 

«Ti sta dando di volta  il cervello? Sono più di dieci anni che non vediamo Letizia. E cos'è questa 

storia che sarebbe tua moglie? Sei diventato bigamo?» 

«Lei conosce anche Letizia?» 

«Luca, mi stai facendo preoccupare. Ti conosco troppo bene per pensare che stai scherzando. Mi 

dici che diavolo sta succedendo?» 

Il tono della sua voce è decisamente cambiato. 

Pare che sia convinta che io sia suo marito ed è sinceramente preoccupata del mio comportamen‐

to. 

Certo che, se fosse vero, avrebbe pienamente ragione, il mio comportamento sarebbe inspiegabi‐

le. 

Ma io non sono suo marito. 

Ho almeno vent'anni meno di lei. 

Ma è possibile che suo marito mi assomigli così tanto e che si chiami Luca come me? 

Page 19: Due Amoripecosbill.altervista.org/Romanzi/DueAmori.pdfA questo punto non so più nemmeno io quello che è vero e quello che non lo è. Ma quando torneremo in Italia, ti cercherò,

13  

E poi conosce una Letizia, che non è certo mia moglie. 

Possibile così tante coincidenze? 

E Letizia dove diavolo si è ficcata? 

E mia figlia Licia, possibile che non mi sia ancora capitata tra  i piedi per convincermi a comprarle 

qualche chincaglieria? 

Dov'è anche lei? 

«Senta, cerchiamo di chiarire  la situazione, da persone adulte: sono entrato mezz'ora  fa, o poco 

più, in questo negozio con mia moglie Letizia e mia figlia Licia, mentre la proprietaria, un'anziana 

signora vestita di rosso, stava servendo mia moglie e io me ne stavo a guardare, attraverso la ve‐

trina, la gente che passava nella via. Poi...» 

«Ma  la proprietaria sono  io» mi  interrompe  la ragazza parlando un ottimo  italiano, velato da un 

leggero accento francese: «la signora vestita di rosso è mia nonna che è morta dieci anni fa.» 

«Ma io l'ho vista, proprio qui, ora.» 

«E adesso dove sarebbe?» insiste. 

«Non lo so, è sparita, così come sono sparite mia moglie e mia figlia, cavolo.» 

«Lei è matto» l'ha detto in francese ma ho capito ugualmente, il significato era più o meno quello. 

«Ah sì? E come mai conosco sua nonna e so che indossava un vestito rosso? E non era neanche un 

semplice vestito, era tutto... insomma era qualcosa di particolare. Come spiega tutto questo?» 

«Semplice. Lei è già stato qui e ha visto mia nonna. E  il suo vestito? Ha sempre  indossato vestiti 

rossi. E tutti particolari, come dice lei.» 

L'ultima frase l'ha detta con un tono un po' seccato. 

Sto per ribattere ma la signora mi precede. 

Strano, non so neppure come si chiama. 

«Impossibile. Siamo  stati a Parigi  in passato, ma è  la prima volta che visitiamo  il Marais ed è  la 

prima volta che mettiamo piede in questo negozio.» 

«Oh, meno male. Questo vuol dire che non sono matto e che...» 

«Alt. Questo non vuol dire che tu non sei mio marito. E, nel caso tu non sia del tutto convinto, cer‐

chiamo di dimostrarlo. Così la faremo finita. Prendi il tuo smartphone, per favore.» 

«Il mio che? Ora ci sono anche i telefoni intelligenti?» 

«Prendi il tuo smartphone. Ce l'hai nella tasca destra.» 

Page 20: Due Amoripecosbill.altervista.org/Romanzi/DueAmori.pdfA questo punto non so più nemmeno io quello che è vero e quello che non lo è. Ma quando torneremo in Italia, ti cercherò,

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Infilo meccanicamente la mano in tasca: c'è davvero qualcosa. 

E tastandomi anche la sinistra sento che c'è qualcosa anche lì. 

Prendo i due oggetti: uno è un portafoglio e l'altro è un coso strano e lucido che non ho la più pal‐

lida idea di cosa sia. 

Ma non avevo niente in tasca, troppo pigro e jeans troppo stretti, tiene tutto Letizia nella sua bor‐

setta. 

Osservo quello che dovrebbe essere uno smartphone e noto solo allora che il maglione che indos‐

so non è quello con cui sono uscito. 

Allora, ricapitoliamo: in tasca mi ritrovo due cose che non avevo e indosso dei vestiti che non sono 

i miei, neanche i jeans che, guardandoli, sono simili ai miei ma non lo sono. 

Conclusione: sto sognando. 

Oppure sono rimbecillito del tutto. 

Delle due l'una. 

«Ora guarda le ultime foto che hai scattato e, in particolare guarda il selfie che ci siamo fatti.» 

«Il che?» 

«Oh basta.» 

Mi prende il "coso" dalle mani, lo tocca due o tre volte e poi me lo fa vedere. 

Ommamma. 

Sulla superficie lucida ora c'è un'immagine che la ritrae insieme a... a me, sembrerebbe. 

Ma molto più vecchio, con tutti i capelli bianchi e qualche ruga sul viso. 

E la tiene stretta in atteggiamento più che affettuoso. 

Ed entrambi ridono spensierati. 

Ma sono veramente io? 

Cerco il portafoglio e lo apro. 

Ci sono delle strane banconote che non ho mai visto  ‐ non sono né franchi né  lire  ‐ due carte di 

credito intestate a me e due tessere di plastica con foto, la stessa persona che ho visto nel, come si 

chiama?, nello smartphone. 

Una si direbbe una carta d'identità e l'altra una patente. 

Guardo la data di scadenza della patente e mi viene un colpo: 12 agosto 2019. 

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E poi, poiché un colpo evidentemente era poco, me ne viene un altro quando per caso ‐ o  inten‐

zionalmente? ‐ il mio sguardo incontra uno specchio. 

Sono un vecchio, come nelle foto, con gli stessi capelli bianchi ‐ beh, diciamo grigi ‐ e tutto il resto. 

E poiché sono masochista e, lo dice anche il proverbio: non c'è due senza tre, vado in cerca del ter‐

zo colpo, sperando di non finire all'ospedale con un bell'infarto, visto che non sono un giovanotto. 

Com'ero... un'ora fa. 

«Signorina, ha per caso un giornale di oggi?» chiedo. 

«Ma certamente» risponde la ragazza mentre prende un quotidiano da sotto il banco. 

Lo prendo sparando un grazie tante e non guardo neanche di quale testata si tratti. 

L'unica cosa che mi interessa è la data: sabato 3 maggio 2014. 

Li mortacci! 

Se mi avessero coperto di bastonate starei stato molto meglio di come mi sento adesso. 

Sono talmente fuori di testa che non riesco neanche a fare un semplice calcolo. 

Ma poi ci arrivo: sono passati  in un attimo esattamente 28 anni e oggi è proprio sabato come... 

come quando? 

Come 28 anni fa? 

Ommamma. 

Ho 63 anni, beh quasi, visto che sono nato il 7 settembre. 

Ma sono sempre 62 e rotti. 

Ma come ci sono finito nel 2014? 

E perché non sono con Letizia? 

Lei dov'è ora, o meglio dove sarà, cioè no... insomma dov'è nel 2014? 

«Mi dai un attimo la tua carta d'identità» chiedo a... a mia moglie, perché quella donna di cui non 

so neanche il nome è sicuramente mia moglie. 

Mi secca che lei sappia che non conosco neanche il suo nome, anche se probabilmente lo sa già. 

«Cos'è», dice lei leggendomi nel pensiero, «non sai neanche come mi chiamo? Ecco: qui, Lara Len‐

tini, nata il 16 ottobre 1951 ad Arezzo» e mi porge il documento. 

Lo guardo appena, guardo in realtà solo la foto: è ancora una donna molto bella. 

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Chissà com'era quando era giovane. 

Doveva essere bellissima. 

E poi è bionda e io ho sempre avuto un debole per le bionde e Letizia invece ha i capelli neri. 

Letizia, la mia Letizia. 

E Licia, la mia piccolina. 

La voce di Lara interrompe i miei pensieri rivolti alle due donne della mia vita. 

Chissà se le rivedrò. 

«Quando saremo a Roma potrai richiedere un bel certificato di matrimonio così sarai contento.» 

A Roma? 

E così andrò ad abitare a Roma? 

O meglio, abito a Roma, sì insomma, nel 2014 abito a Roma. 

«No, Lara. Non ce n'è bisogno. Ho solo una gran confusione nella testa e non ricordo un gran che 

del mio passato. Amnesia? Demenza senile? Non lo so. So solo che ho bisogno del tuo aiuto.» 

«E Letizia? Hai detto che era tua moglie. E che hai una figlia, come hai detto che si chiama? Ah sì, 

Licia. Quella cos'è? Amnesia a rovescio? Non ricordi  la tua vita con me, non ricordi magari nem‐

meno i nostri due figli e ricordi invece cose mai successe? Eh? Che mi dici in proposito?» 

Lo dice arrabbiata e una lacrima le scende su una guancia. 

Ommamma. 

Ho due figli che non ho mai visto. 

E lei sta piangendo. 

«Lara...» le dico stringendola fra le mie braccia. 

E lei si stringe a me scoppiando a piangere come una bambina. 

Non sopporto di vederla piangere. 

«Lara, mio Dio, Lara» e la stringo a me ancora più forte. 

   

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3. Parigi, ultima sera 

 

Siamo ritornati in albergo. 

Letizia, naturalmente, si deve cambiare, non può tenere lo stesso abito tutto il giorno. 

E poi, che diamine, un abito indossato per il giorno non è assolutamente adatto per la sera. 

Ma quanto guardaroba si è portata appresso? 

Lascio che sia lei a chiedere la chiave alla reception perché io non ho la più pallida idea di quale sia 

la nostra camera e se il portiere me l'avesse chiesto sarebbe stato un po' imbarazzante. 

Ma avevo già pronto un "piano difensivo": l'avrei chiesto nel mio francese che credo capiscano so‐

lo  in Lapponia e sarebbe sicuramente  intervenuta Letizia con un sorriso dall'evidente significato 

"ma perché non impari quattro parole di francese che non è poi così difficile". 

Saliamo in camera e mi accorgo subito della consistenza del suo guardaroba: vedo infatti due gros‐

se valigie e non oso credere ai miei occhi quando lei apre l'armadio. 

Senza contare quello che ha portato per la bambina che, per fortuna, è alloggiata in un'altra came‐

ra, che naturalmente è comunicante. 

Non avrò così l'imbarazzo di dormire nello stesso letto con una bambina che, se anche è mia figlia, 

l'ho vista oggi per la prima volta. 

Già sarò abbastanza imbarazzato a dormire con Letizia e penso già alle pene dell'inferno che dovrò 

sopportare per non toccarla. 

Speriamo che non le vengano brutte idee e che sia troppo stanca per fare certe cose perché io... 

Non ho mai tradito Lara né ho mai avuto altre donne in tutta la mia lunga (purtroppo) vita e non 

mi sembra proprio il caso di cominciare proprio ora e proprio con la mia ex fidanzata. 

Fidanzata. 

Ma adesso è mia moglie. 

Cerco di ragionare su quello che è accaduto e rispolvero tutte  le mie "conoscenze" sui viaggi nel 

tempo e su tutta la materia fantascientifica in generale. 

Non sono un gran esperto e non ho neanche creduto, neppure da  lontano, all'esistenza di alieni 

vari o ai  fenomeni paranormali, ma  la materia mi ha sempre appassionato e non mi sono perso 

neanche uno dei film di fantascienza. 

Sono sempre stato una persona molto razionale, con  i piedi ben piantati per terra, direbbe Lara, 

ma quello che mi è successo va ben oltre i limiti della razionalità. 

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Vediamo. 

Sono stato catapultato indietro nel tempo di ben 28 anni esatti, ma non nel "mio" tempo, ma in un 

"altro" dove sono sposato non con Lara, ma con Letizia. 

Bene, anzi male, malissimo. 

Si direbbe che sono capitato in un universo parallelo, ma non tanto parallelo se ci sono 28 anni di 

differenza. 

Ma che sciocchezze. 

Però sono tornato indietro nel tempo, ma perché non sono rimasto com'ero? 

Perché sono ringiovanito? 

Non che mi dispiaccia, anzi, ma Lara non è insieme a me, non è ringiovanita con me. 

Sarebbe stato troppo bello: rivivere una seconda giovinezza con lei, ricominciare tutto da capo... 

Di nuovo giovani e innamorati... mio Dio. 

Lara, dove sei? 

Spero solo una cosa: di essermi sdoppiato in due e, mentre io sono tornato al 1986 e sono con Le‐

tizia, un altro me sia rimasto nel 2014 con Lara e che lei continui la sua vita con lui... cioè con me, 

come sarebbe stato se non fosse successo questo terribile impiccio. 

Mi accorgo che tutte queste considerazioni sono talmente assurde che, se qualcuno me le raccon‐

tasse, gli suggerirei un bravo strizzacervelli, ma temo che non ce ne siano di così bravi da curare un 

tizio che racconta simili panzane. 

Ommamma. 

E poi mi chiedo anche un'altra cosa, ma la domanda resterà purtroppo senza risposta: perché? 

«Luca, il bagno è libero, vai a darti una rinfrescata.» 

E' la voce di Letizia che sta uscendo dal bagno. 

E' in sottoveste, una sottoveste trasparente e non porta il reggiseno. 

L'esclamazione che sta per uscirmi dalla bocca è una parolaccia, ma c'è Licia che sta giocando con i 

vestiti della madre e mi trattengo. 

E non riesco a distogliere lo sguardo dai seni di Letizia. 

«Allora Luca? Non vai in bagno? Ma che ti prende? Che è quella faccia da pirla? E tu ragazzina vai 

in camera tua e preparati. Fra un quarto d'ora ti voglio pronta per uscire.» 

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«Vado, vado. Faccia? Quale faccia?» accenno timidamente. 

E dopo un quarto d'ora esatto siamo per strada. 

«Papà, papà, andiamo in quel ristorante greco che abbiamo visto ieri, quello dove spaccavano tutti 

i piatti?» 

Sto per ribattere: sei proprio sicura di voler andare lì? E se poi la cucina greca non ti piace? 

Ma mi trattengo. 

Solo ora mi viene  in mente che non so nulla sulle  loro abitudini, e anche delle mie  in fondo, che 

non so neanche se sono un architetto come nel 2014 e se Letizia ha la sua casa di moda che però, 

ricordo, ha aperto solo nel 1987. 

E Licia, che classe fa? 

E' ancora alle elementari o è già alle medie? 

Non so neanche quanti anni ha. 

Devo assolutamente "documentarmi". 

Le farò "parlare", ma devo stare attento a non fare domande. 

Devo farle parlare degli argomenti che mi  interessano e farle rispondere a domande che  io però 

non farò. 

Semplice, no? 

Sono molto bravo a portare il discorso dove voglio io e a convincere il mio interlocutore che invece 

è stato lui ad affrontare l'argomento. 

E, con indifferenza, rispondo: «Devi chiederlo alla mamma e non a me. Oggi è l'ultima serata a Pa‐

rigi e comanda lei.» 

«A me pare che comandi sempre  lei e non solo oggi» replica Licia con un pizzico di malizia e poi, 

rivolgendosi a Letizia: «Mamma, ci andiamo? Dai, andiamoci.» 

«E va bene. Ma non  ti sembra di essere stata un po'  impertinente con  tuo padre? Lo sai che  fa 

sempre quello che voglio solo perché mi vuole bene. Su, avanti, chiedigli scusa.» 

Licia mi allunga un bacio sulla guancia e mi dice: «Scusa papà. Ma lo sai che ti voglio bene quanto 

tu ne vuoi a me e alla mamma.» 

Ma che mi succede? 

Possibile che un frugolo di bimbetta sia capace di scuotere un metro e novanta di ultrasessanten‐

ne come me? 

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20  

Sì, ultrasessantenne, perché il mio fisico avrà anche 35 anni, ma il mio cervello ne ha 63. 

Beh, quasi 63. 

Eppure quel bacino e soprattutto quelle parole sono riuscite a grattare in profondità quella spessa 

crosta che mi ricopre il cuore. 

E così ci incamminiamo verso quel ristorantino greco che hanno visto solo loro perché io non c'ero. 

O meglio, se c'ero, non ero io. 

Che considerazione stupida. 

   

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21  

4. Parigi, ultima sera 

 

Siamo ritornati in albergo. 

Siamo prima passati in farmacia dove Lara ha preso un analgesico per il mio mal di denti e qualco‐

sa per il suo mal di testa. 

Io mi sento come uno straccio e lei non è da meno. 

Quel sorriso che aveva quando l'ho vista per la prima volta è sparito. 

Dal suo viso traspare tutta quella tristezza che io ho provocato. 

E appare ancora più bello. 

Chissà perché due sentimenti così contrastanti come gioia e  tristezza, sorriso e dolore,  rendano 

entrambi più bello il volto di una donna. 

Non so cosa fare. 

Darei l'anima per non vederla più soffrire così. 

Mi avvicino a lei per stringerla e dirle qualche parola che possa almeno a consolarla un po', anche 

se non servirà certo a farle tornare il sorriso sulle labbra. 

Ma lei mi respinge. 

«Per favore, Luca.» 

«Lara, non fare così, non peggiorare le cose...» 

«Peggiorare? Peggio di così? Ah no, non è possibile. Mio marito non mi riconosce, non sa di avere 

due figli, i miei figli, dice che è sposato con la sua ex fidanzata, dalla quale avrebbe avuto una figlia, 

sembra non abbia mai visto un cellulare... c'è dell'altro? No, peggio di così non si può. Abbiamo 

toccato il fondo.» 

«Io sono qui con te.» 

«Capirai che soddisfazione. Che bell'acquisto.» 

«Sei ingiusta. Io... io ti voglio bene.» 

E non è una bugia, sento davvero di volerle bene. 

La prendo tra le braccia e lei questa volta non mi respinge. 

«Sai che facciamo? Adesso mi racconti tutto di te, come se non ci conoscessimo.» 

Il che, tra l'altro corrisponde al vero, ma lo penso senza dirlo. 

Page 28: Due Amoripecosbill.altervista.org/Romanzi/DueAmori.pdfA questo punto non so più nemmeno io quello che è vero e quello che non lo è. Ma quando torneremo in Italia, ti cercherò,

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«Sono sicuro che sentirti raccontare i fatti della nostra vita non potrà che farmi bene e che qualco‐

sa riuscirò a ricordare. Comincia da quando ci siamo conosciuti.» 

E' una menzogna, ma cosa avrei dovuto dire? 

E io devo sapere. 

«Ci siamo conosciuti nel '68. Abitavo ad Arezzo allora. Poi mio padre è stato trasferito a Cremona. 

E' stata una vera fatalità perché mio padre non doveva essere trasferito. E' stato per caso.» 

Suo padre è stato trasferito "per caso". 

E se non fosse stato trasferito? 

Non avrei mai conosciuto Lara. 

I conti quadrano: suo padre NON è mai stato trasferito,  io NON ho conosciuto Lara e ho sposato 

Letizia, la mia fidanzata, che conosco da quando avevamo... due anni? 

Da sempre. 

Eppure ora sono, chissà come, qui e Lara è mia moglie. 

«Ci siamo incontrati al liceo, tu, io... e Letizia. Erano gli anni della contestazione giovanile e tu avevi 

i capelli lunghi. E mi sei subito piaciuto. E anche tu... non ti ero del tutto indifferente. Ma eri fidan‐

zato e Letizia è diventata  la mia migliore amica. Eravamo sempre  insieme, tutti e tre, si studiava 

insieme, si andava a ballare insieme... Letizia non era gelosa, era troppo sicura di te, del tuo amore 

e, quando ci vedeva ballare insieme, anche i lenti, rideva perché tu sei una frana e non si immagi‐

nava certo quello che ci stava succedendo. Ci stavamo innamorando piano piano.» 

«Io ho sempre avuto un debole per le bionde e Letizia ha i capelli neri» la interrompo. 

«E quando ne abbiamo avuto la certezza, quando non si poteva più tornare indietro, non sapeva‐

mo come dirglielo. Ma non ce n'è stato bisogno. Lei lo ha capito da sola. Ed è stato terribile per lei. 

Letizia ti ha sempre amato,  fin da quando eravate dei ragazzini, ti conosceva praticamente dalla 

nascita. Io mi sentivo uno straccio, la femmina maliarda che ruba i ragazzi alle altre, per poi magari 

buttarli via. Ma io ti amavo. Ti amo. E ti ho sposato. Nella mia vita non c'è mai stato nessun altro 

che te. E non ci sarà mai. Lei lo ha capito. Ha capito quanto ti volevo bene e quanto mi dispiaceva 

di averle causato tutta quella sofferenza e, dimostrando di essere  la ragazza  intelligente che è, ci 

ha perdonato e se ne è fatta una ragione. Ma ha continuato ad amarti e non ha mai frequentato 

altri ragazzi, anche se ce n'erano parecchi che le ronzavano intorno dopo che tu... dopo che tu l'hai 

lasciata. Prima nessuno aveva mai neanche osato, sapevano che c'eri tu, ma dopo... ma anche do‐

po non c'è stato niente da fare per nessuno. Non si è mai sposata.» 

Non si è mai sposata, mi ha sempre amato. 

Ma come ho potuto farle questo? 

Page 29: Due Amoripecosbill.altervista.org/Romanzi/DueAmori.pdfA questo punto non so più nemmeno io quello che è vero e quello che non lo è. Ma quando torneremo in Italia, ti cercherò,

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Anche se Lara era sicuramente bellissima a 17 anni,  io ero... sono profondamente  innamorato di 

Letizia. 

Pazzo. Pazzo. 

Come ho potuto? 

«Dopo il liceo ci siamo iscritti all'università, tu hai scelto la facoltà di architettura, io quella di legge 

e Letizia economia e commercio. Ci siamo dati da fare tutti e tre e, tra un esame e  l'altro, tu hai 

trovato un'occupazione part‐time nello studio di un architetto,  io  in uno studio  legale e Letizia  in 

un atelier di moda.» 

Per quanto riguarda me e Letizia è stato tutto come ha raccontato Lara: io ho proprio iniziato a la‐

vorare nello studio di architettura che poi ho rilevato insieme al mio socio Guerrini. 

Socio per modo di dire, perché in realtà faccio tutto io. 

I suoi progetti sono una frana e devo sempre intervenire per qualche modifica, ma almeno mi fa il 

lavoro più "sporco". 

E Lara continua: «Nel 1974, il 14 settembre, ci siamo sposati e Letizia ha trovato la forza di venire 

al nostro matrimonio. Lei...» 

«Ci siamo sposati il 14 settembre del '74? Ci volevamo sposare il sabato precedente, ma abbiamo 

prorogato di una settimana il matrimonio per non farlo coincidere con il mio compleanno che è il 7 

settembre.» 

Naturalmente sto parlando del mio matrimonio con Letizia. 

Dio  il matrimonio con Letizia è stato  lo stesso giorno, mese e anno di quello che Lara sta raccon‐

tando di aver celebrato con me. 

Pazzesco. 

«Stai cominciando a ricordare? Bene. Andiamo avanti allora» continua lei. 

«Dopo la laurea tu hai rilevato lo studio dove hai fatto praticantato, insieme con l'architetto Guer‐

rini...» 

«Paolo Guerrini» la interrompo. 

«Sì, tesoro. Stai davvero ricordando. Non sai quanto mi fai felice.» 

Povera cara. 

Non sto ricordando proprio niente. 

Mi sta solo dicendo che tutto quello che, per una serie straordinaria di coincidenze, è esattamente 

quello che è successo nella mia vita con Letizia. 

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L'unica differenza è proprio lei, sono proprio loro: Letizia e Lara. 

«Io ho continuato a lavorare per lo stesso studio legale, finché ho aperto uno studio mio. Mi sono 

specializzata nel penale. Letizia invece ha aperto una sua casa di moda a Cremona e ora è una stili‐

sta affermata a Milano, proprio nel quadrilatero della moda.» 

Continua parlandomi dei nostri due  figli, Matteo e Andrea, che ormai sono grandi e si sono fatti 

una loro famiglia e di tutto quello che è successo dopo il 1986, tutte cose che naturalmente mi so‐

no completamente nuove. 

E lei se ne deve essere accorta perché il suo viso, che si era illuminato quando le ho detto il nome 

di battesimo del mio socio, ora ha ritrovato quell'alone di tristezza che aveva quando ha iniziato a 

raccontarmi la nostra vita insieme. 

Maledizione. 

E ora? 

Che faccio, le dico tutta la verità? 

E poi cosa le dico, che vengo dal passato e in un attimo mi sono ritrovato con 28 anni di più in un 

mondo che non è il mio? 

Ma andiamo, non mi crederebbe mai. 

Non ci crederei neppure io e forse non ci credo neanche adesso. 

Figuriamoci. 

E poi la farei sicuramente soffrire di più. 

E non voglio. 

Eppoi, gliel'ho già detto, le voglio davvero bene. 

«E se tuo padre non fosse mai stato trasferito a Cremona, cosa sarebbe successo?» le chiedo senza 

pensare. 

E mi pento subito di averglielo detto. 

   

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5. Ancora Parigi, ultima sera 

 

La cena al ristorante greco è stata fantastica e Licia si è divertita da matti a vedere con quale disin‐

voltura e menefreghismo il cameriere gettava i piatti per terra mandandoli in mille pezzi. 

Un modo molto originale per attirare i clienti che, incuriositi dal fatto un po' insolito, hanno riem‐

pito il locale in un baleno. 

Sono pieno da far schifo. 

Non mangio così tanto da... non me lo ricordo neanche più. 

Con la gioventù mi è tornato anche l'appetito. 

Ma Letizia non si è meravigliata per niente perché evidentemente mangio sempre così tanto. 

Almeno è così quando siamo in vacanza. 

Ma anche lei non ha certo digiunato, ci ha dato dentro anche lei, non certo come me, ma ci ha da‐

to dentro. 

E Licia? 

Quel frugoletto tutto ossa, quanto ha mangiato anche lei. 

Ma che siamo, una famiglia di lupi famelici? 

Mah! 

Adesso però ci vuole una bella passeggiata per smaltire un po'. 

L'aria si è  intiepidita, ormai non piove più da qualche ora e  il sole ha fatto timidamente capolino 

tra le nuvole prima di tramontare. 

Ed è ancora presto, anche se forse non  lo è per Licia, che però è sveglia e vispa più di me e pare 

che non abbia alcuna voglia di andare a dormire. 

Eppoi è primavera, diamine, ed è l'ultima sera, domani ce ne andremo. 

Torniamo a Cremona e non a Roma dove... dove abito con Lara. 

A Cremona, la mia città natale. 

Ho scoperto anche dove abito, dalla mia carta di identità, naturalmente. 

Ci ho dato un'occhiata senza farmene accorgere, Letizia era in bagno. 

Abitiamo in un quartiere diverso da quello in cui sono nato io e anche da quello in cui è nata Leti‐

zia. 

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Ed è anche diverso da quello in cui siamo andati ad abitare io e Lara. 

Lara. 

La prima cosa che farò quando saremo a casa sarà proprio cercarla. 

Dovrebbe essere rimasta ad Arezzo. 

Se suo padre, come immagino, non è stato trasferito, dovrebbe abitare ancora nella sua città nata‐

le. 

Lara mi ha più volte parlato di come suo padre, che doveva continuare ad Arezzo  la sua carriera, 

per una serie di circostanze fortuite, direi fortunate per noi due, era stato invece trasferito a Cre‐

mona. 

Ma se questo non è avvenuto, lei ora abita ancora ad Arezzo e lì la cercherò. 

A meno che non si sia trasferita lei, magari per lavoro, in un'altra città. 

E allora trovarla sarà molto più complicato. 

Beh, staremo a vedere, è inutile crearsi dei problemi, ne ho già fin troppi. 

Sono riuscito a far "cantare" Letizia e mia figlia e ne ho tirato fuori un sacco di informazioni utilis‐

sime. 

Specialmente Licia che, quando non era occupata a masticare, non teneva mai la bocca chiusa e ha 

spifferato praticamente tutto sulla nostra vita. 

E ho così scoperto che praticamente fino al 1986 non è cambiato praticamente nulla, tranne il fat‐

to che ho sposato Letizia e non Lara e di conseguenza non ho figli maschi, ma solo una femmina, 

avuta naturalmente da Letizia. 

Solo in studio la mia segretaria non è la ragazza che, a dire il vero, mi era stata suggerita da Lara, 

ma un'anziana signora Tina che non ho mai sentito nominare. 

Non ne conosco il cognome perché non sono riuscito a far cantare Licia e non ho potuto insistere 

perché Letizia stava cominciando a insospettirsi. 

Non potevo tirare la corda. 

E comunque quello che ho saputo mi basta. 

Stiamo passeggiando tutti e tre per le stradine del quartiere latino. 

Il cielo stellato e l'aria frizzantina ci fanno sentire che è primavera e che Parigi è famosa per la sua 

primavera. 

Letizia mi ha passato il braccio intorno alla vita e ha appoggiato dolcemente il capo sulla mia spalla 

destra. 

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Ommamma. 

Se mi sento così adesso, figuriamoci quando saremo in albergo, in camera, soli. 

Mi vengono i brividi solo a pensarci, ma probabilmente è l'aria della sera che ha cominciato a farsi 

un po' pungente. 

Un cavolo. 

Sono io che ho la pelle d'oca e la colpa è tutta di Letizia, mannaggia. 

«E' ora di tornare in albergo» dice Letizia inconsapevole di aver piantato il coltello nella piaga. 

«Ancora un pochino, mamma. Passeggiamo ancora un pochino. Non è tardi. E poi non ho sonno e 

non sono neppure stanca.» 

Meno male che interviene Licia in mio aiuto. 

Ma posso solo ottenere un rinvio, come un condannato a morte che ottiene di essere accoppato 

un po' più tardi. 

«E' inutile che insisti, signorina. Quindi non ci provare nemmeno. E' ora di andare a letto. Punto e 

basta.» 

Il tono della voce di Letizia è di quelli che non ammettono repliche. 

Ma in fondo è meglio così. 

Se devo togliere un dente non serve a niente rimandare. 

Spero solo che Letizia non mi provochi. 

E il bello è che non ho sonno, sono appena le dieci e mezza. 

Farò finta di essere stanco. 

Io amo Lara e non voglio che...  insomma, non voglio e basta e saprò essere forte e resistere alle 

tentazioni. 

Devo. 

Per Lara. 

Certo è che ho amato Letizia per tanti anni e lei è rimasta sempre nel mio cuore. 

Non si può amare una persona per tanto tempo e poi dire "mi dispiace, non ti amo più, arriveder‐

ci". 

Ti ho sempre voluto bene, Letizia. 

Anche quando mi sono innamorato di Lara. 

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Ommamma, siamo già arrivati in albergo. 

Vado a prendere la chiave. 

Stavolta mi faccio bello e sfoggio tutto il mio francese con il portiere, che non è lo stesso di prima, 

e lui per fortuna mi capisce. 

Saliamo e Licia si butta sul nostro letto, evidentemente non vuole andare a dormire ma vuole stare 

ancora un po' con noi. 

Letizia va in bagno e ritorna dopo pochissimo con la stessa sottoveste trasparente. 

E naturalmente non ha il reggiseno. 

Ma vuol farmi morire? 

Non ho mai desiderato una donna così tanto come ora desidero Letizia. 

Al diavolo tutti gli scrupoli. 

Lei ora è mia moglie, è qui con me e io non sono un santo. 

Lo sapevo che andava a finire così. 

Lo sapevo. 

Tutte le mie intenzioni di resistere a ogni costo erano soltanto ipocrisia. 

A chi volevi darla a intendere, Luca? 

Non ci avevi mai creduto. 

«Licia, vai a letto ché io e la mamma dobbiamo parlare.» 

La bambina, che aveva certamente notato come  io guardavo Letizia, non mi  lascia quasi finire  la 

frase. 

«Lo so io di cosa dovete "parlare" tu e la mamma.» 

«Ma... Letizia, lo senti cosa dice questo demonietto?» 

«Credi forse che sia stupida? Che creda ancora di esser nata sotto un cavolo? O che l'abbia portata 

la cicogna?» 

«Ma ha solo dieci anni» replico. 

«Quasi undici» borbotta Licia. 

«Un cavolo, undici anni li farai a novembre» dico arrabbiandomi. 

«Vai a letto in camera tua, Licia» aggiunge Letizia. 

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E Licia le obbedisce. 

Si avvicina alla madre e la bacia sulla guancia. 

«Buonanotte, mamma. E buonanotte anche a te, papà» dice mollandomi sulla guancia un bacino 

con lo schiocco. 

E andandosene in camera sua, mi strizza l'occhio. 

E, prima che io possa aggiungere qualcosa, è già sparita nella sua camera chiudendo la porta. 

«Non essere severo con lei, quando avevamo la sua età noi eravamo già praticamente fidanzati.» 

«E' vero, ma l'hai mai detto a tuo padre che amavi un bimbetto della tua età?» 

«Certo che no. Ma sapevo già tutto sul sesso. E tu no? E poi non eri un bimbetto.» 

Si avvicina a me, mi stringe e mi bacia. 

A lungo. 

E' il bacio che desideravo dal primo momento che l'ho vista in quel negozietto nel Marais. 

Mi sembra che sia passato un secolo invece che poche ore. 

Poi si toglie la sottoveste e si stende sul letto. 

Dio, com'è bella. 

   

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6. Ancora Parigi, ultima sera 

 

«Se mio padre non fosse stato trasferito a Cremona, ti avrei conosciuto in qualche altro modo, che 

so, una gita scolastica del tuo liceo ad Arezzo. Sai Arezzo è una bellissima città d'arte. Non si sfugge 

al proprio destino. E il mio destino eri tu. Sei tu e lo sarai sempre.» 

«Già.» 

E' l'unica cosa che riesco a dire. 

«Sai che ti dico? Non ho voglia di uscire. Che ne pensi di farci portare qualcosa in camera? Qualco‐

sa di leggero perché non ho molta fame. E tu? Tu hai fame?» 

Non avrei voglia di mangiare niente, ma il mio stomaco non è d'accordo. 

«Un po'. Ma va bene così. Facciamoci portare qualcosa in camera. Ma è meglio che ordini tu per‐

ché se lo faccio io chissà cosa ci portano.» 

Lei sorride e non sa quanto mi faccia bene quel sorriso. 

Si è fatta portare un paio di pizze e un po' di frutta. 

E un paio di bottiglie, una di acqua minerale frizzante e una di vino rosso. 

Il vino è rimasto quasi tutto. 

E forse ho fatto male. 

Dovevo farla bere un po', sarebbe stato più facile confidarle tutto quello che ho intenzione di dire. 

Ma poi penso che sono uno stupido e che invece è meglio così. 

«E se  tuo padre non  fosse mai stato  trasferito a Cremona, cosa sarebbe successo?»  le  ripeto  la 

domanda e aggiungo: «E non parliamo di destino, per favore.  Il destino potrebbe aver deciso al‐

trimenti. Prova a immaginare come sarebbe stata la nostra vita se non ci fossimo mai incontrati.» 

Mi guarda con due occhi che sembrano chiedermi dove voglio andare a parare. 

Come se volessero dirmi che non ha alcuna intenzione di ascoltare altre assurdità. 

«Non riesco a immaginare la mia vita senza di te. Sei l'unico uomo della mia vita, lo sai. E ora ba‐

sta, ti prego. Credo proprio di aver sopportato abbastanza.» 

Ma io ho deciso di andare fino in fondo. 

«Ti saresti fatta una vita con qualcun altro, con qualche bravo ragazzo. Non c'era qualcuno che ti 

piaceva ad Arezzo?» 

Page 38: Due Amoripecosbill.altervista.org/Romanzi/DueAmori.pdfA questo punto non so più nemmeno io quello che è vero e quello che non lo è. Ma quando torneremo in Italia, ti cercherò,

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«No. Non c'era. E se tu non avessi dimenticato tutto, lo sapresti.» 

«Io avrei sposato Letizia», continuo freddamente, «lei era la mia fidanzata. Se non avessi conosciu‐

to te, se non mi fossi quindi innamorato di te, il mio destino sarebbe stato quello.» 

Mi prendo una pausa per osservare la sua reazione, ma lei si è ammutolita e non riesco a trovare 

nel suo viso alcun cambiamento di espressione. 

Vedo solo malinconia e tristezza. 

Insisto. 

«Tu avresti avuto dei figli tuoi. E io... io magari avrei avuto una figlia...» 

«Licia.» 

Lo dice quasi assente, con un filo di voce. 

«Ora basta, Lara. I casi sono due: o sono impazzito oppure quello che ti ho detto e quello che sto 

per dirti, per quanto assurdo possa sembrare, è la verità.» 

Lei tace. 

«E non penso proprio che tu creda che io sia pazzo. Forse malato, ma non pazzo. Ma non sono né 

pazzo né malato. Sto benissimo, o meglio  sto malissimo, ma non  fisicamente. Qualche acciacco 

dovuto all'età forse, ma tutto sommato sono sano come un pesce. E non ho 63 anni, maledizione, 

ne ho solo 35. Sono com'ero nel 1986. E invecchiato in un attimo di 28 anni.» 

Sta per controbattere. 

Ora ha un atteggiamento più bellicoso, direi che si sta arrabbiando davvero. 

«No» la prevengo. 

«Ora mi stai a sentire. Questo pomeriggio, alle cinque, ero con mia moglie Letizia e mia figlia Licia 

nel quartiere di Marais,  in una botteguccia di chincaglierie. E' sabato 3 maggio 1986. Tuo padre 

non è mai stato trasferito a Cremona e noi due non ci siamo mai  incontrati. Non ti ho mai cono‐

sciuta.» 

Prendo fiato un attimo. 

«Poi, non so come e non so perché, mi ritrovo nel 2014. Ma non ho viaggiato nel tempo, come in 

un vecchio film di fantascienza da quattro soldi. Sono invecchiato. Indosso altri vestiti che non so‐

no i miei. Mi ritrovo con un mal di denti che un attimo prima non avevo. E che ora mi è anche pas‐

sato. Ho in tasca oggetti mai visti, un portafoglio che non avevo, con banconote sconosciute e do‐

cumenti con il mio nome e la mia foto. Sono io ma sono molto invecchiato. Per non parlare poi di 

quel telefono tascabile, tecnologia che nel '86 non esisteva.» 

Lei ha ascoltato ma sicuramente non ha creduto a una sola parola di quello che ho detto. 

Page 39: Due Amoripecosbill.altervista.org/Romanzi/DueAmori.pdfA questo punto non so più nemmeno io quello che è vero e quello che non lo è. Ma quando torneremo in Italia, ti cercherò,

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E il bello è che la cosa non mi stupisce affatto. 

Non avrei creduto a una parola neanche io se fosse stato qualcun altro a raccontarmelo. 

«Vengo da un'altra realtà, da un'altra dimensione, da un altro universo, fai tu, io non lo so. So però 

che tutto questo corrisponde a verità, per quanto possa sembrare assurdamente impossibile.» 

Poi mi viene in mente una cosa. 

Letizia andava spesso in palestra, ci teneva al suo fisico. 

E naturalmente faceva una doccia prima di uscire. 

Se Lara, in questa realtà, è diventata la sua migliore amica è molto probabile che siano andate in 

palestra insieme. 

«Sei mai stata in palestra con Letizia?» le chiedo a bruciapelo. 

«Beh sì. Ma cosa c'entra questo. E poi...» 

«L'hai mai vista nuda?» le chiedo interrompendola. 

«Ma Luca, cosa ti salta...» 

«L'hai mai vista nuda?» le ripeto bruscamente. 

«Beh si. E' naturale. Sotto la doccia. Ma...» 

«Bene. Benissimo» la interrompo di nuovo. 

«Hai mai visto quella curiosa voglia che ha in un punto che non si vede nemmeno indossando un 

bikini ridottissimo?» termino con un'aria trionfale simile a quella che doveva avere Achille quando 

trascinò nella polvere il cadavere di Ettore legato alla sua biga. 

Cavolo, ma che razza di paragone mi è venuto in mente. 

«Come... come fai a saperlo? Te lo ha detto Letizia?» 

«Eh beh, certo. Me la immagino proprio Letizia che mi dice: "lo sai Luca che ho una voglia proprio 

lì? Beh, non proprio  lì, un pochino più a sinistra." No Lara, non me  l'ha detto nessuno. L'ho vista 

con questi occhi, l'ho toccata...» 

«Tu... tu... porco... traditore...» 

Questa volta è lei che mi interrompe. 

«Lara...» 

«Non osare dire una parola. Siete tutti uguali, voi uomini. Tutti. Ma da Letizia... non me  lo sarei 

mai aspettato.» 

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«Perché non la chiami al telefono, ora, con quell'aggeggio? Perché non le dici quello che pensi di 

lei?» la sfido. 

«Ma attenta. Se quello che ho detto è vero, lei non è la stessa Letizia alla quale ho visto e toccato 

mille e mille volte quella voglia.» 

Rafforzo il concetto della continuità e del reiterarsi del "reato" per convincerla che non si è tratta‐

to, come lei pensa, di un tradimento occasionale. 

«Lei non è la donna che io ho sposato. Qui io ho sposato te. E lei non si è mai spogliata davanti a 

me. Qui io non ti ho mai tradito. Non sono il tipo. Quindi attenta. Potresti fare una figuraccia e lei, 

diciamo, non la prenderebbe certo bene. Ti manderebbe come minimo a quel paese.» 

L'ho disorientata. 

E' confusa. 

Non sa più cosa pensare. 

«Ebbene, perché non la chiami?» incalzo affondando il coltello nella piaga. 

Ah, ora mi sento meglio. 

Sto cominciando a credere anch'io a quel che ho detto. 

Non che non ne fossi convinto. 

Ma, che diavolo, quello che mi è successo è difficile da digerire, anche per me. 

E Lara scoppia a piangere come una bambina. 

Chissà perché le donne piangono sempre. 

E allora la prendo ancora tra le braccia e la stringo teneramente. 

E, al diavolo, scende una lacrima anche a me. 

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7. Il ritorno a Cremona 

 

Il ritorno in Italia è stato lungo e noioso, specialmente il tratto in macchina fino a Cremona. 

All'andata abbiamo lasciato l'auto in aeroporto e così mi sono sciroppato io tutto il tragitto, come 

sarà sicuramente stato quando siamo partiti. 

Letizia, come sospettavo, non ha la patente e l'auto non è ovviamente la mia Jaguar nuova di zec‐

ca, ma una vecchia Lancia che però sa fare il suo dovere. 

Beh, vecchia. 

Non è poi così tanto vecchia. 

Ma non ha il navigatore e neanche il cambio automatico. 

Insomma, nessuna comodità. 

E ho dovuto riprenderci la mano, o meglio il piede, non più abituato alla frizione. 

Mi si è anche spento il motore in una partenza in leggera salita, come a un imbranato principiante. 

Che vergogna! 

E dulcis in fundo, Licia mi ha pure ripreso un paio di volte dicendomi: «Ma che fai, papa? Hai sba‐

gliato strada» ma per fortuna Letizia sonnecchiava e non se n'è accorta. 

Arrivati all'estrema periferia della città, non ho più avuto problemi di orientamento. 

Conosco Cremona come le mie tasche, ci sono nato. 

Ed è esattamente com'era quando mi sono trasferito a Roma. 

E non c'è da meravigliarsi perché è successo proprio nel settembre del 1986. 

E mannaggia, siamo nel '86. 

Mi ci devo ancora abituare. 

Naturalmente è la prima volta che vedo la casa in cui abito. 

Ho visto l'esterno, è ovvio, ci sono passato davanti chissà quante volte, ma non ci avevo mai pre‐

stato attenzione. 

Non ne avevo motivo. 

L'appartamento non è piccolo, ma non è neanche un castello, perciò mi ci orizzonto abbastanza 

facilmente. 

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Trovo subito la posizione degli interruttori della luce e individuo il bagno immediatamente. 

Forse perché Licia ci si è catapultata ancor prima che riuscissi a mettere un piede oltre la soglia. 

Sembra quasi che abbia sempre abitato lì. 

Inoltre, a parte Licia che è sparita come un razzo, anche Letizia non presta troppa attenzione a me 

e a quello che faccio. 

Ha troppe cose da fare. 

Quindi ho tutto il tempo di familiarizzare con l'ambiente. 

Accendo il televisore più per curiosità che per altro, ma mi accorgo, sprofondato in una comodis‐

sima poltrona, che non ascolto una parola. 

Penso a Lara, dannazione. 

E' il mio unico pensiero. 

E' inutile che cerchi nell'elenco telefonico, ma ci provo ugualmente. 

Non si sa mai. 

E naturalmente il suo nome non c'è. 

Nell'elenco neanche un Lentini. 

E non è neanche il caso di chiamare la Telecom per avere il suo numero. 

Troppo pericoloso. 

Letizia non deve sospettare nulla. 

Chiudo l'elenco e noto che la Telecom ora si chiama Sip. 

Dopo un'oretta usciamo tutti e tre per andare a cena. 

Non abbiamo un granché in casa ma anche se avessimo avuto il frigo pieno, Letizia non aveva vo‐

glia di cucinare. 

Curioso, non so neanche se sa cucinare o no. 

E' una bella serata, ma le mie due ragazze hanno un muso lungo così. 

Licia perché domattina deve tornare a scuola e non credo che ne abbia molta voglia. 

Le vacanze hanno di brutto il fatto che finiscono troppo presto. 

E Letizia deve ritornare al suo solito trantran in negozio e io vorrei tanto dirle che deve pazientare 

ancora qualche mese. 

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Poi aprirà una sua casa di moda e avrà un successo strepitoso. 

Le sue creazioni saranno richiestissime da tutta l'alta società femminile. 

Ma non posso. 

Tra l'altro non sono neanche sicuro di questo perché ha aperto l'atelier a Milano dove si era trasfe‐

rita un paio di mesi prima. 

Ma era single allora, io ero il marito di Lara. 

Cosa succederà qui? 

Andrò a Milano con lei? 

E Licia? 

Andremo tutti a Milano e cambierà scuola? 

Sono cambiate un po' di cose rispetto a quello che è successo nel "mio" mondo. 

Mah, vedremo. 

Non so neanche se dovrò rimanere qui per sempre o se è solo un fatto temporaneo. 

E non so cosa succederà quando e se troverò Lara. 

E se fosse sposata? 

Ommamma, la cosa mi fa impazzire. 

Non sono mai stato geloso di lei. 

Mi amava. 

Ma qui? 

Qui non sa neppure che esisto. 

«Andiamo da Guido o hai qualche altra preferenza?» 

Guido? 

Poi mi viene in mente che potrebbe essere un ristorante nei dintorni. 

«No, Guido va benissimo, tesoro.» 

Cinque minuti dopo siamo seduti al tavolo di un ristorantino dove non ero ma stato. 

Quando si ritorna a casa, Letizia mette a letto Licia che, stranamente è stanca morta. 

Sono molto stanco anch'io e mi butto subito sul letto. 

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Ma Letizia... 

Se mai tornerò dalla mia Lara, avrò troppe cose da farmi perdonare. 

   

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8. Il ritorno a Roma 

 

Il ritorno in Italia è stato penoso. 

Lara e io ci siamo scambiati sì e no una dozzina di parole in tutta la giornata. 

Ho cercato di farmi perdonare la brutalità con cui le ho parlato. 

Ma in fondo le ho detto la verità. 

Avrebbe voluto che le mentissi continuando con la storia dell'amnesia? 

No di certo. 

Lo ha anche ammesso. 

Ma sta di fatto che mi sta trattando come se fossi un estraneo. 

E in fondo ha ragione. 

Sono un estraneo per lei. 

A Fiumicino Lara mi conduce letteralmente al parcheggio dell'aeroporto. 

Non ho la più pallida idea di quale sia la nostra auto. 

Prende dalla borsetta un mazzo di chiavi. 

Insieme a quelle che sono evidentemente della nostra casa, ce n'è una che è quella dell'auto. 

E dal marchio vedo che è di una Jaguar. 

Le Jaguar mi sono sempre state qui. 

Quando  avremo  un  po'  più  di  denaro  e  potremo  permetterci  qualche  spesa  superflua, me  ne 

prendo una. 

E' sempre stato il mio pensiero. 

Da ragazzino sognavo la "Jaguar E" nera. 

Chi non ha mai sognato la famigerata "Jaguar E"? 

Lara  preme  un  telecomando  e  una  splendida  Jaguar  di  color  grigio metallizzato  accende  i  suoi 

quattro lampeggiatori. 

In condizioni normali avrei passato almeno mezz'ora a guardarmela e riguardarmela. 

Ma adesso... 

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Lara, senza dire una parola, mi porge le chiavi. 

Come dire "guida tu che io non ne ho voglia". 

Non so nemmeno se abbia la patente o no. 

Il ragazzo che ci seguiva con un carrello sistema le nostre valigie nel bagagliaio. 

Gli allungo una banconota e lui, con un sorriso così, esclama: «Grazie mille signore.» 

Chissà quanto gli ho dato. 

Entriamo in auto e a niente è servito l'averle aperto la portiera per farla accomodare prima di en‐

trare a mia volta. 

E' ancora nera e taciturna. 

Non so dove abitiamo e mi trovo in "leggera" difficoltà. 

Ma lei mi aiuterà indicandomi la strada, se vuole arrivare a casa entro la fine del mese. 

La Jaguar è favolosa. 

Cambio automatico , autoradio con un visore luminoso che assomiglia a quello del telefono porta‐

tile che mi ritrovo in tasca. 

E con mia enorme sorpresa noto che su quel visore è apparsa una mappa. 

E' la mappa della zona di Fiumicino. 

E c'è una punto luminoso che dovrebbe essere, a quanto ho capito, la nostra posizione attuale. 

Smanetto un po' con i pulsanti di questo coso e, dopo un po' vedo un elenco di indirizzi tra i quali 

ce n'è uno che dice: casa. 

Smanetto ancora un po' e riesco a evidenziare "casa". 

Poi premo qualcosa e sento una voce  femminile che dice: "Proseguire per duecento metri e poi 

svoltare a sinistra". 

Oh cavolo. 

La tecnologia del 2014 mi stupisce sempre di più. 

Faccio per rivolgermi a Lara che mi previene: «Si chiama navigatore satellitare. Ti dice quali strade 

devi prendere per andare a casa. Non lo sapevi? Hai dimenticato pure questo?» 

Il suo tono è sarcastico. 

Ma ha ragione, almeno in parte. 

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Non sapevo cosa fosse, ma non l'ho dimenticato. 

Non l'ho mai saputo. 

E forse anche lei comincia a convincersi che sia davvero così. 

Arrivare a casa è facilissimo. 

Ha fatto tutto il navigatore. 

Vai di qua, svolta di là, alla rotonda prendere la seconda uscita. 

Comodo, perbacco. 

Arriviamo a una palazzina in un quartiere molto elegante, dove non sono mai stato. 

Sono stato naturalmente molte volte a Roma, ma qui mai. 

E' un quartiere residenziale. 

Non ci vai se non ci abiti o se non ci abita qualcuno che conosci. 

Lara apre il portaoggetti della Jaguar e prende una specie di telecomando con il quale apre il por‐

tellone di un box. 

Nel frattempo si avvicina un signore in divisa. 

Deve essere il custode dello stabile perché l'ho visto uscire da una guardiola al piano terra che de‐

ve avere un suo appartamento annesso. 

«Buon giorno, madame.» 

Si rivolge a mia moglie con un leggero inchino. 

Con il motore ancora acceso, scendo e mi accingo a prendere i bagagli. 

«Lasci, architetto, faccio io» mi previene il custode. 

«I signori salgano pure. Porterò su i loro bagagli appena avrò sistemato la Jaguar nel box.» 

«Grazie, signor Martini» gli risponde Lara mentre si avvia verso il portone che il custode ha lasciato 

aperto. 

«Grazie» ripeto io. 

Raggiungo Lara che ha già chiamato l'ascensore. 

Saliamo fino al quarto piano, l'ultimo, e arriviamo al pianerottolo. 

Ci sono solo due porte. 

Una è la nostra e l'altra di un certo Carli. 

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Sulla targhetta in ottone cromato del campanello c'è scritto "Lorenzi ‐ Lentini". 

Lei apre la porta. 

Ha un altro mazzo di chiavi, il suo. 

Evidentemente quello rimasto nel quadro della Jaguar è il mio. 

Cavolo, la porta è blindata. 

Sarà' spessa dieci centimetri ed è  interamente d'acciaio rivestito con dei pannelli di  legno,  forse 

noce. 

L'appartamento è splendido. 

Ma io non sono in vena di ammirarlo. 

«Datti una rinfrescata mentre io ti chiamo un taxi. Nel portafoglio hai un po' di euro e due carte di 

credito. Roma è piena di alberghi. Trovatene uno di tuo gusto.» 

   

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9. Cremona, lunedì 5 maggio 

 

Sono nel mio studio di architetto. 

L'ho trovato subito perché sono andato a colpo sicuro. 

E' lo stesso che avevamo io e Guerrini negli anni '80. 

E ora siamo nel 1986. 

Quindi. 

Quando entro, incontro la signora Tina, la segretaria, quella che non conosco. 

«Buongiorno architetto Lorenzi» mi saluta appena mi vede. 

«Buongiorno» rispondo un po' asetticamente. 

Non so come chiamarla. 

Non so il suo cognome, non so se l'altro me si rivolge a lei dandole del tu o del lei e non so se lo fa 

confidenzialmente oppure no. 

"Buongiorno" mi è parso più appropriato di un "ciao Tina". 

«E' arrivato l'architetto Guerrini?» 

«Non ancora, architetto» risponde. 

E te pareva. 

Quello è sempre in ritardo. 

Puntualità è una parola che non esiste nel suo vocabolario. 

Vado nel mio ufficio e comincio a scartabellare tutti i documenti che trovo sul tavolo. 

Li riconosco tutti, qualcuno più, altri meno. 

Ma è tutta roba "déjà vu". 

Sbrigo qualcosa che so essere urgente e poi mi attacco al telefono. 

Chiamo la Sip. 

E inizia il calvario. 

Nessuna Lara Lentini ad Arezzo. 

Ho provato anche qualche altra città lì vicino e non solo in Toscana ma anche in Umbria. 

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Niente 

Mi interrompe due o tre volte la segretaria e poi non poteva mancare il mio "socio". 

Mi assilla con le mille stupide domande scontate che si fanno a chi è appena ritornato da una va‐

canza. 

Come sei stato, vi siete divertiti, com'era il tempo, scommetto che Letizia ha speso un patrimonio 

in abbigliamento, e la bambina... 

Mamma mia, che due marroni. 

Poi mi porta un po' di scartoffie. 

«Dacci un'occhiata, per favore. Se c'è qualche miglioramento che ritieni opportuno, fai pure. Non 

ti fare scrupoli. Lo sai che io non sono geloso dei miei progetti.» 

Che tradotto suona così: "Vedi un po' di correggere tutte le cappelle che ho fatto." 

Meno male che è tutta roba già vista perciò so dove mettere le mani e quali correzioni devo fare. 

Così non ci perdo troppo tempo. 

Ma l'ora di pranzo arriva in fretta. 

Troppo in fretta. 

E io non ho combinato niente. 

Voglio dire, le miei ricerche su Lara non hanno dato alcun risultato. 

Non so dove sbattere la testa. 

Vado a pranzo nel solito ristorantino dove niente è cambiato. 

I soliti camerieri, il proprietario che è diventato un amico e persino i clienti sono praticamente gli 

stessi. 

Comincio ad averne le tasche piene. 

Nel pomeriggio non cambia niente. 

Continuo inutilmente le ricerche. 

Letizia mi telefona un paio di volte per dirmi praticamente nulla. 

Trovo solo un numero che probabilmente è quello di suo padre. 

A dire il vero ne ho trovati tre. 

Tre omonimi. 

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Sarà un problema. 

I suoi genitori non mi conoscono, è ovvio. 

Senza contare gli altri due che sono io a non conoscere. 

E poi che gli dico? 

Sono un amico di sua figlia Lara? 

Se fosse sposata, come probabilmente sarà, non sarebbe certo una buona idea. 

E allora? 

E all'improvviso mi viene in mente una cosa. 

Dio, che stupido sono stato. 

Ma dove ho il cervello? 

Esco dal mio ufficio come una freccia. 

«Tina, io esco. Ho un impegno urgente. Se telefona mia moglie, le dica che la chiamo io. Ci vedia‐

mo domattina.» 

Non prendo l'ascensore. 

Troppo lento. 

Scendo gli scalini a quattro a quattro. 

E sono in strada in dieci secondi. 

Maledizione, mi hanno fregato la Jaguar. 

L'avevo messa proprio qui, dove ora c'è questa... 

Questa Lancia. 

Mi sono proprio bevuto il cervello. 

E' la mia Lancia. 

Sono troppo agitato. 

Mi devo calmare. 

Non voglio provocare un incidente proprio ora. 

In cinque minuti sono lì. 

Sono passato con un rosso e devo aver superato tutti i limiti di velocità. 

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Alla faccia di essere calmo. 

E poi, se dovesse arrivare qualche multa, chissenefrega. 

Non me ne po' fregà de meno, come ho imparato a dire a Roma. 

Il portone è aperto, sta uscendo una signora che mi pare di aver già visto. 

L'ascensore non è al piano. 

Ho ancora il fiatone perché il mio ufficio sta al quinto piano. 

Ma non m'importa. 

Salgo gli scalini a tre a tre. 

Lei abita appena al secondo piano, ma non ce la faccio più svelto di così. 

Suono il campanello. 

Una volta, due, tre. 

Anzi non tolgo il dito dal pulsante. 

Sento la sua voce: «Arrivo, arrivo. Un attimo.» 

Apre e io la vedo, come un'apparizione celestiale. 

Quasi la aggredisco. 

La stringo tra le mie braccia, sollevandola. 

E la bacio. 

La bacio e non smetto più di farlo. 

La bacerei per ore. 

«Luca. Che sorpresa.» 

   

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10. Roma, lunedì 5 maggio 

 

Non riesco a chiudere occhio. 

Mi sono buttato sul letto senza neanche spogliarmi. 

Non ho voglia di nulla. 

Mi sono trovato un alberguccio nella zona di Termini. 

E' un albergo dove sono già stato altre volte. 

Non è più lo stesso. 

Il personale non è più lo stesso. 

Ma sono passati trent'anni, è naturale che sia così. 

Sono le quattro quando squilla il telefono. 

E' Lara. 

«Vieni a casa» mi dice con un filo di voce. 

E aggiunge: «Ti prego, vieni a casa.» 

La tristezza nella sua voce mi fa stare peggio. 

Peggio di così non credevo fosse possibile. 

Quasi mi vergogno quando le dico: «Non ricordo neanche l'indirizzo di casa tua.» 

Casa tua. 

Avrei dovuto dire "casa nostra". 

Ma non me la sono sentita. 

Mi aveva scacciato. 

In fondo è vero, è casa sua. 

Non è mai stata casa mia. 

Mi dice l'indirizzo che mi segno subito perché, con la testa che mi ritrovo, lo dimenticherei senza 

alcun dubbio. 

Arrivo in meno di venti minuti. 

Per fortuna ho trovato subito un taxi nonostante l'ora. 

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L'unica luce accesa è la sua. 

La vedo alla finestra, mi sta aspettando. 

Sento lo scatto del portone che si apre. 

L'ascensore naturalmente non è al piano e avrei voglia di fare le scale a piedi. 

Ho troppa fretta. 

Ma sono quattro piani e ci ripenso. 

Lei è sull'ingresso che mi sta aspettando. 

Mi getta le braccia al collo con le lacrime agli occhi. 

«Perdonami» mi dice con la sua bellissima voce. 

«Perdonami, ma ero fuori di me.» 

«Non hai niente da farti perdonare. Sono io che sono un idiota.» 

La stringo teneramente e mi rendo conto che un po' l'amo davvero. 

Letizia non c'è, non esiste. 

O meglio, non esiste la Letizia che ho sposato e che mi ha dato una figlia. 

Qui c'è un'altra persona che però non è lei. 

E, mio Dio, Licia non è mai nata. 

Licia, la mia piccola Licia, quanto mi manca. 

Sono in un altro mondo. 

Con Lara. 

E la stringo ancora di più. 

«Ti amo» le sussurro. 

Lei si stringe a me ancora di più. 

«E' ancora presto, andiamo a letto.» 

Lo ha detto con una voce dolce, rilassata. 

Le lacrime sono scomparse dal suo bel viso. 

«Posso dormire sul divano, se vuoi» rispondo. 

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«Non voglio. Lo sai che non ho mai dormito sola in questo letto?» dice con determinazione. 

«Anche quando ti sei operato. Ho preso una camera in quell'hotel, vicino all'ospedale.» 

Da come lo dice, credo che Luca, il "suo" Luca, non lo sapesse. 

Non deve averglielo mai detto prima. 

«Sai, un po' per poterti essere più vicina. E poi perché non mi andava proprio dormire da sola nel 

nostro letto.» 

Credo che mi ami di più di quanto mi amava Letizia, che pur mi amava tantissimo. 

Mi accorgo di aver pensato a lei "al passato". 

"Mi amava". 

Lara ha ancora un bel fisico ed è già in sottoveste. 

Apre un cassetto e mi porge un pigiama. 

Non posso fare a meno di pensare che... che potrei... 

Non devo assolutamente. 

E poi non sono più un giovanotto, purtroppo. 

Non so neanche da quale parte del letto dorme lei. 

Quindi aspetto che vada per prima e poi mi corico accanto a lei. 

«Domani  faremo un po'  tardi al  lavoro, ma non m'importa. Torniamo da una vacanza da Parigi 

perdiana» aggiunge. 

«Veramente dovrei dire oggi. Sono ormai le cinque.» 

Si gira nel letto verso di me e mi abbraccia dolcemente. 

Mi giro dall'altra parte ma le prendo la mano e gliela stringo. 

Si addormenta quasi subito, ma io non chiudo occhio per tutta la notte. 

   

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11. Cremona, lunedì pomeriggio 

 

La stringo e la faccio roteare come se fosse una bambina. 

«Luca, mettimi giù. Mi fai girare la testa.» 

«Mamma, oh mamma.» 

Mia madre. 

Mi ero completamente scordato di lei. 

Siamo nel 1986 e lei è ancora viva. 

E' viva. 

Mio Dio. 

E anche mio padre. 

«Papa? Dov'è papà, mamma?» 

«Luca, ma che ti prende? Lo sai che prima delle sei non torna a casa. Lui lavora, sai. Non è come te 

che ti trastulli tutto il giorno e fai fare tutto a quel poveraccio di Guerrini.» 

«Guerrini. Se non ci fossi io, chissà cosa farebbe.» 

Quel soggetto di Paolo è sempre stato simpatico alla mamma. 

«Com'è che ora sei venuto a trovarmi? Ti sei ricordato di avere una madre? Sai quando è stata l'ul‐

tima volta che mi hai telefonato?» 

Non me lo ricordo infatti. 

Ma è passato troppo tempo. 

Come potrei ricordarmi? 

In realtà non sono mai stato attaccato alla gonnella di mia madre. 

Da quando mi sono sposato non l'ho frequentata molto. 

Ma anche prima, quando abitavo con lei e papà, non è che fosse meglio. 

Praticamente stavo a casa solo per dormire. 

«Mamma, lo sai che ti voglio un bene dell'anima. Anche se non mi faccio mai vivo.» 

«Solo a Pasqua e a Natale.» 

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«Ma non è vero mamma. Sì, non sarò...» 

«Scherzavo Luca. Possibile che non te ne sei accorto? Di solito sei tu quello che prende in giro gli 

altri. E' per questo che non capisci quando sono gli altri che prendono in giro te.» 

«Oh mamma.» 

E la stringo e la bacio ancora. 

«Ma che ti prende Luca? Sei così smanceroso.» 

«Oh mamma. Ti prometto che ti verrò a trovare più spesso, magari tutti i giorni.» 

Lo dico con sincerità. 

Sono stato così poco con lei. E con papà. Me ne sono reso conto solo quando li ho perduti. 

Ma mi è stata data la possibilità di rimediare. 

E le cose cambieranno. 

«Ah no, eh! Non ti voglio tra i piedi tutti i santi giorni» ride lei, come se fosse sicura che non man‐

terrò la promessa. 

Forse non verrò tutti i giorni, forse lo farò solo i primi giorni, ma telefonarle, quello sì. 

Non farò passare un solo giorno senza chiamarla al telefono. 

E due o tre giorni alla settimana sarò da lei. 

Sicuramente un salto lo farò tutte le domeniche. 

E anche a Letizia farà piacere. 

Ha sempre avuto una gran simpatia per mia madre quando eravamo fidanzati. 

E anche per mio padre, per la verità. 

E scommetto che alla mamma farà piacere vedere la sua nipotina. 

Rimango a parlare con lei per più di un'ora. 

Di piccole e insignificanti cose. 

Cose che però sono le più importanti e che ti fanno capire quanto lei ti ama e quanto tu ami lei. 

Il tempo passa velocemente, troppo velocemente. 

Quando sento la porta che si apre, mi sembra siano passati solo cinque minuti. 

E' mio padre, mio Dio, è mio padre. 

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Mi alzo e gli vado incontro. 

Faccio per abbracciarlo ma poi mi trattengo. 

Mio padre non ha mai gradito le smancerie. 

Ma poi, chissenefrega, gli butto le braccia al collo. 

E' alto quanto me e mi viene un po' scomodo abbracciarlo. 

L'ho sempre fatto con persone più basse di me e ora la cosa mi riesce un po' "strana". 

A parte il fatto che, da quando ho superato il metro e ottanta, non ho più abbracciato papà. 

Avevo, credo, quattordici anni. 

«Che c'è Luca? Cosa sono queste smancerie? E com'è che sei qui? Hai forse bisogno di denaro?» 

«Papà, ma cosa vai a pensare! Non ho per niente bisogno di denaro. Ho solo sentito il bisogno di 

venire a trovarvi. Era da un pezzo che non ci si vedeva.» 

Lui non sa e non può immaginare quanto sia vero. 

Non lo vedevo da più di quindici anni. 

Da quando... 

Ommamma. 

E ora è qui vivo e davanti a me. 

Lo abbraccio di nuovo e gli dico: «Ti voglio bene papà» ricacciando indietro una lacrima che fa di 

tutto per uscire. 

«Non  te  l'ho detto da quando ero un bimbetto. Ma  tu  lo  sai  che  ti ho  sempre  voluto un bene 

dell'anima.» 

Mi stacco da lui e vedo la sua faccia un po' stupita. 

E anche quella di mia madre non lo è di meno. 

«Ti voglio bene, papà» gli ripeto. 

«Lo so» risponde lui perdendo il suo tono un po' burbero. 

«E voglio bene anche a te mamma.» 

Sono le sette passate da un pezzo. 

E non ho chiamato Letizia. 

Saluto la mamma e l'abbraccio. 

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Papà mi stringe la mano, con la sua stretta così forte che sembra me la voglia stritolare. 

«Ciao mamma, ciao papà. Ci vediamo domani.» 

«Domani?» fa mio padre un po' sorpreso. 

«Sembra che Luca abbia intenzione di mettere le tende qui» sorride mia madre. 

La bacio di nuovo e poi corro giù per le scale. 

Non voglio far stare in pensiero Letizia. 

   

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12. Roma, lunedì pomeriggio 

 

Sono nel mio studio romano. 

Non è stato difficile trovarlo. 

Nel navigatore c'è memorizzato l'indirizzo dell'ufficio. 

Così come c'è l'indirizzo del Palazzaccio. 

So dov'è naturalmente, ma arrivarci sarebbe stato più complicato. 

Quindi ho accompagnato Lara e poi sono arrivato qui senza fatica. 

Lo studio, è grandissimo. 

Ci lavorano tre architetti e due geometri. 

Oltre a me naturalmente. 

E due segretarie. 

E' una perfetta macchina di efficienza. 

Non ho ancora capito se gli architetti  lavorano alle mie dipendenze o se sono soci  junior o come 

diavolo si dice. 

L'ufficio è pieno di computer che fanno impallidire il mio vecchio e mastodontico PC con il monitor 

a tubo catodico. 

E avevo solo quello. 

Qui invece non si contano. 

Ho passato la mattinata a curiosare un po' sui progetti, e non solo i miei, ma anche quelli dei miei 

collaboratori. 

Geniali. 

Ci sono un paio di idee, un po' azzardate, che mi attizzano un sacco. 

Ma forse "erano" azzardate solo nel 1986. 

E poi, quanto mi sono divertito a usare il mio smartphone. 

Ma quello che mi ha tolto il fiato è stato internet. 

Mamma mia quante cose si possono venire a sapere in un attimo. 

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E' un'intera biblioteca e ci puoi trovare qualsiasi cosa, dai pettegolezzi alla scienza. 

Ho guardato un po' di tutto, ne avevo bisogno. 

Le mie cognizioni si fermano al '86. 

Tutto quello che è successo dopo, buio completo. 

Ho ripercorso, un po' a spizzichi e bocconi, la storia di questi ultimi trent'anni. 

Ogni volta che leggevo qualcosa, incontravo dei riferimenti che meritavano assolutamente di esse‐

re approfonditi. 

Bastava un clic. 

E saltavo di palo in frasca, perdendo poi il filo conduttore. 

Ho fatto una gran fatica, ma ne è valsa la pena. 

E più scorrevo le pagine, più scoprivo di essere ignorante. 

So di non sapere. 

Quanto aveva ragione Socrate! 

Ma la mia non è "docta ignorantia" è proprio ignoranza allo stato puro. 

Mi sembra di essere ridiventato un bambino che va a scuola. 

Ma così è molto più divertente. 

Comincia a piacermi questo secolo XXI. 

A parte naturalmente la mia perduta gioventù. 

Che non è una frase fatta e nostalgia della gioventù che se n'è andata con il tempo. 

Io l'ho proprio persa, maledizione. 

Non l'ho proprio vissuta. 

Almeno la seconda gioventù. 

La prima, per fortuna l'ho avuta, almeno la prima fatemela fare. 

E poi il cibo. 

Mamma mia, quanto si mangiava meglio ai miei tempi. 

Sono già le quattro. 

Magari do un colpo di telefono a Lara. 

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Lei però non è reperibile. 

Al Palazzaccio mi dicono che non è nella sua stanza e che è molto occupata con un caso. 

Stamattina me lo aveva accennato. 

Un tizio che ha menato la moglie fino a mandarla in ospedale, poveraccia. 

Un vero delinquente. 

Istintivamente penso a me stesso. 

Non ho mai messo le mani su nessuno, è vero. 

Ma ci sono tanti modi per far del male a una donna senza coprirla di lividi. 

E io, a quanto pare, ci sono riuscito alla perfezione. 

E non con una, ma con ben due donne. 

Due donne meravigliose che non meritavano affatto di incontrare un tipo come me. 

Ero fidanzato con Letizia e l'ho mollata per Lara. 

E, sì, all'amore non si comanda. 

Ma Letizia? 

Quanto ha sofferto per causa mia? 

Sicuramente non poco. 

Non si è mai sposata e credo sia ancora innamorata di me. 

Ma praticamente non vuole più vedermi, così mi ha detto Lara. 

La mia Letizia. 

Possibile che possa essere diventato un simile mascalzone? 

E poi Lara. 

L'ho fatta piangere come una fontana. 

Certo non deve essere piacevole sentirsi dire dal marito con il quale è sposata da ormai quaranta 

anni: "Non ti conosco e sono innamorato di un'altra". 

Bella situazione. 

Ma che ci posso fare? 

Almeno del primo "crimine" sono innocente. 

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Non sono stato io a far soffrire Letizia, ma il mio "doppio". 

E il secondo?  

Cosa avrei dovuto fare? 

Certo che mi fa un certo effetto avere un "doppio". 

Ma sono proprio sicuro che sia così? 

Non ho mai creduto a tutte quelle panzane degli universi paralleli. 

Ho paura di esser colpevole anche di aver lasciato Letizia. 

Sono io. 

Sono sempre io. 

Altro che "doppio". 

Mi sento malissimo. 

E non ho nessuna voglia di andare dal dentista. 

Per ora vado avanti a forza di pillole e poi si vedrà. 

Ho un dannato bisogno di parlare con qualcuno, di sfogarmi un po'. 

Ma non conosco nessuno. 

Non ho amici, i colleghi sono degli sconosciuti e mia moglie è occupata. 

Non mi sono mai sentito così solo. 

   

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13. Cremona, lunedì sera 

 

Sto tornando a casa. 

Letizia sarà in pensiero? 

Ma poi mi viene in mente una cosa. 

E' una stupidaggine, lo so, ma è più forte di me. 

Giro a sinistra e mi dirigo verso quella che è stata l'abitazione dei genitori di Lara quando si sono 

trasferiti da Arezzo. 

Non trovo parcheggio naturalmente e quindi lascio un attimo l'auto in seconda fila. 

Il portone è quello, non è cambiato. 

Vado a leggere i nominativi nella pulsantiera. 

Il nome Lentini naturalmente non c'è. 

Cosa speravo? 

Ritorno alla macchina e ci trovo il solito vigile dispettoso che sta guardando la targa con il suo bel 

libretto in mano. 

Ma va' a quel paese tu e la multa. 

E non ho intenzione neanche di trovare le solite scuse tipo "sono arrivato un attimo fa", anche se è 

la verità. 

Mi faccia pure la sua maledetta multa. 

Basta che faccia presto. 

«Luca, ma sei tu?» mi apostrofa il vigile. 

Per la miseria. 

E' quel soggetto di Giulio, un compagno delle scuole medie che è sempre stato innamorato di Leti‐

zia. 

Ora fa il vigile urbano a quanto pare. 

«Giulio!», esclamo, «quant'è che non ci si vede!» 

«Che fai da queste parti? Chi ci abita in quel portone? Hai per caso un'amante?» 

Ci mancava anche questo con le sue passate stupide. 

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Ce l'ha con me perché, secondo lui, gli ho fregato la ragazza. 

Letizia non lo ha mai potuto sopportare ma lui non ci ha mai creduto. 

Quando le capitava di dargli la mano per salutarlo, non vedeva l'ora di andare a lavarsela. 

E quando l'ho lasciata, è tornato alla carica più di una volta. 

Letizia, che secondo me è troppo educata, non lo ha mai mandato a spigolare come avrebbe dovu‐

to. 

Almeno finché non ha perso la pazienza e gli ha praticamente detto che le faceva schifo. 

Ma lui, duro come l'acciaio, diceva che lei era sconvolta perché io l'avevo lasciata e che non pen‐

sava realmente quello cose che gli aveva detto. 

«Certo che ho un'amante. Indaga pure e poi vai a riferire a Letizia. Sai che le fa sempre piacere ri‐

vederti.» 

E' talmente suonato che magari ci crede pure. 

Affari suoi. 

«Senti, ho piuttosto fretta. Letizia mi sta aspettando. Fammi pure la multa e mandamela a casa.» 

«Multa? Niente multa. Sei arrivato da pochissimo. Almeno potevi lasciare il motore acceso.» 

Te possino... 

Ora me lo dice. 

Eh già, devo aver pronunciato la parolina magica, quando sente il nome di mia moglie non capisce 

più niente. 

Ma qualche appunto lo doveva fare. 

Il motore acceso. 

Che differenza c'era? 

Ero in doppia fila, sosta o fermata che siano state. 

«Bene, allora ciao. Speriamo di rivederci presto.» 

Spero proprio invece di non rivederlo più, magari che lo trasferiscano in un paesino, il più lontano 

possibile da Cremona. 

Magari nel sud della Sicilia. 

Ci sono dei posti bellissimi. 

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«Se vuoi ti accompagno fino a casa. Così magari saluto Letizia. Pensa, avrai  la scorta della polizia 

municipale.» 

Per carità, ci mancherebbe solo questo. 

Se le porto Giulio a casa Letizia mi uccide. 

«Letizia non è ancora a casa. Non so quando tornerà.» 

«Ma se hai appena detto che ti sta aspettando a casa.» 

Potevo trovare un'altra scusa, ma lì per lì non mi è venuto in mente niente di meglio. 

«Ho detto che Letizia mi sta aspettando, non che mi sta aspettando a casa.» 

Ho buona memoria e comunque lui è troppo imbranato per ricordarsi dei particolari. 

«Vado ad aspettarla a casa. Non mi piace che non mi trovi quando arriva.» 

E poi ho un lampo di genio. 

«A casa c'è sicuramente Licia e mia suocera che sta badando a lei.» 

Non gli è mai andata a genio la madre di Letizia e non ha mai avuto in simpatia neanche mia figlia 

che, secondo la sua testa bacata, poteva essere sua figlia ma non lo è. 

Ma soprattutto mia suocera l'ha sempre trattato come uno straccio e lui non l'ha presa certo be‐

ne. 

Praticamente la odia. 

«Ah, fa nulla. Sarà per un'altra volta.» 

Ha funzionato. 

Chissà ora Letizia quante me ne canterà. 

«Ciao tesoro.» 

Lo dice senza neanche guardarmi. 

Sta per arrivare la suonata. 

«Come mai sei andato dai tuoi?» aggiunge. 

Mia madre deve averle telefonato. 

Ah, la mamma. 

Sapeva che Letizia sarebbe stata in pensiero e le ha telefonato. 

Perché tutte e due evidentemente sapevano che avrei potuto essere dovunque, tranne che lì. 

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«Mah!», rispondo io con una bella faccia tosta, «era un po' che non vedevo mia madre e sono an‐

dato un po' a trovarla.» 

«Ma se ci sei stato il giorno prima di partire per Parigi. Di solito lasci passare anche un mese, tanto 

che tua madre mi telefona ogni tanto per sapere se sei ancora vivo.» 

Che figlio degenere. 

Ma ha ragione. 

«Inoltre mi ha anche detto che ti sei comportato  in maniera un po' sospetta. Hai addirittura ab‐

bracciato tuo padre e io naturalmente in un primo momento ho creduto che la sua fosse solo iro‐

nia. Che ti succede?» 

«Hai mai pensato che stiamo molto poco con  i nostri genitori e che, quando non ci saranno più, 

rimpiangeremo tutto il tempo che non abbiamo dedicato a loro?» 

«A parte il fatto che mia madre è di là con Licia e che sei tu che sei latitante con i tuoi, ti accorgi so‐

lo ora di essere un figlio egoista?» 

«Non dire così Letizia. Io sono sempre stato una persona, diciamo,  indipendente. Ma questo non 

vuol dire che non voglio bene a mia madre e a mio padre.» 

«Non ho detto questo. Ma certe volte fa piacere sentirselo dire. Sono contenta, devo dire, che tu 

sia cambiato riguardo a questo. Ma cos'è che ti ha aperto gli occhi?» 

«Mah, non lo so.» 

Devo trovare una ragione plausibile, Letizia non è stupida. 

Ma devo anche rimanere nel vago. 

Proprio perché non è stupida. 

«Forse è la primavera. Forse l'aver visto tutte quelle mamme a Parigi a spasso con le carrozzine. Mi 

hanno fatto tenerezza e mi hanno fatto sembrare un verme. Ho pensato alla mia di mamma e ho 

cercato di immaginarla quando portava a spasso me con la carrozzina.» 

«Uhm... sarà. Mi piacerebbe però sapere dove l'hai vista la primavera a Parigi. Non ha fatto altro 

che piovere. Ma cambiamo discorso che è meglio. Cosa vuoi per cena?» 

«Cos'hai preparato di buono?» 

«Preparato? Ma per chi mi hai preso? Ho ordinato le solite cose in rosticceria. Se hai la memoria 

corta, apri il frigo, guarda cosa c'è e dimmi cosa vuoi che ti scaldi.» 

Ommamma. 

«A meno che tu non voglia uscire e andare da Luigi». 

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Luigi? 

C'è ancora il ristorante di quel farabutto? 

«No no, va bene qualsiasi cosa. Scegli tu.» 

Mi secca andare a vedere che diavolo c'è in frigo. 

Poi, un po' di televisione, due coccole a Licia che non vuol andare a letto e ci ritiriamo in camera 

anche noi. 

Che giornata. 

Se saranno tutte così... 

Domani riprenderò le ricerche e spero che vadano meglio di oggi. 

A letto mi avvicino teneramente a Letizia che però si gira dall'altra parte dicendo di essere troppo 

stanca. 

Peccato. 

Ci avevo fatto l'abitudine. 

   

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14. Roma, lunedì sera 

 

Sta cominciando a imbrunire. 

Non so cosa fare. 

Lara non mi ha detto niente e io non so se andare a prenderla al Palazzo di Giustizia o se andare 

direttamente a casa e aspettarla là. 

Potrei telefonarle, ma sono sicuro di non trovarla. 

Nel pomeriggio ci ho provato tre volte senza successo. 

Sento bussare alla porta e non faccio neanche tempo a dire "avanti" che la porta del mio ufficio si 

apre e appare Lara. 

«Lara, tesoro.» 

Mi alzo e vado velocemente incontro a lei. 

La stringo fra le braccia. 

«Quanto mi sei mancata Lara.» 

«Ehi ehi ehi. Cosa ti succede? Siamo stati separati solo per poche ore.» 

«Poche? Sono state dieci lunghissime ore.» 

«Ah, bene. Vedo che hai avuto tantissime cose da fare. Il tempo deve esserti volato.» 

Sono talmente contento che lei è qui con me, che non colgo il senso ironico della sua frase. 

Non mi lascia il tempo di replicare. 

«Preparati alla svelta. Andiamo in un posticino delizioso. Hai fame?» 

«Sono pronto, prontissimo. Sono nato pronto.» 

Lei ride. 

«Inoltre ho una fame da lupi. Ieri non ho praticamente mangiato. E oggi a pranzo... lasciamo stare, 

va'.» 

La prendo sottobraccio e usciamo. 

Saluto il geometra che è rimasto. 

I tre architetti se ne sono già andati da un pezzo. 

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Le segretarie sono rimaste ancora un po' e poi se ne sono andate anche loro con uno dei due ge‐

ometri. 

Scommetto che hanno tirato a sorte la "penitenza" di rimanere in ufficio. 

E scommetto anche che lo sfortunato geometra che è rimasto se ne andrà dieci secondi dopo che 

avrà visto scomparire la mia Jaguar. 

«Dammi le chiavi. Guido io» mi dice. 

Meno male perché se mi dà un indirizzo e mi chiede di andarci non so proprio come cavarmela. 

Non ho ancora imparato a usare bene il navigatore e non voglio fare la figura di non sapere nean‐

che dov'è una via di Roma. 

A parte che Roma è una città enorme e vorrei conoscere il tassista che sa dove stanno tutte le sue 

vie. 

E poi il navigatore. 

Non ho avuto certo il tempo di vedere bene come funziona. 

Ma non confesserò mai che l'ho cercato col computer in ufficio e, a grandi linee, so come funziona. 

Ma guida lei e quindi niente problemi. 

Scommetto però che ha voluto guidare lei per non mettermi in imbarazzo. 

Lara è una donna molto intelligente. 

E mi vuole molto bene. 

«Hai mandato qualcuno sulla sedia elettrica oggi?» le chiedo sorridendo. 

«Non fare lo sciocco. E' una cosa seria. Dovevi vedere come quel delinquente ha ridotto quella di‐

sgraziata della moglie.» 

«Spero non come io ho ridotto te» replico scherzando ancora. 

«Oh Luca, sei impossibile. Hai sempre voglia di scherzare.» 

«Ne vale la pena se riesco a strapparti un sorriso. Tu sei bellissima, ma quando sorridi lo sei ancora 

di più, se è mai possibile. Te l'avevo mai detto?» 

«Sì» risponde lei. 

E sorride. 

Il ristorantino è davvero delizioso e si mangia davvero bene. 

Chissà se lo ha scoperto lei oppure io. 

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Ma non glielo chiedo davvero. 

Ho mangiato davvero bene. 

E anche tanto. 

E anche Lara ha fatto onore alla tavola. 

Prima di tornare a casa passeggiamo un po' mano nella mano come due fidanzatini per  i vicoli di 

Trastevere. 

La serata è bellissima e io mi sento come un ragazzino al primo appuntamento con la sua compa‐

gna di scuola. 

Cerco  la  luna  in  cielo  che,  se  ci  fosse,  completerebbe  l'atmosfera magica  che  ci avvolge e  sono 

piuttosto fortunato. 

La luna non è piena ma lo sarà fra pochi giorni. 

E' bella grossa in cielo, però, e non c'è neanche una nuvola a coprirla. 

«Guarda che bella luna» le sussurro all'orecchio, avvicinandola a me. 

Le ho passato il braccio intorno alla vita e la stringo come se fosse la prima volta. 

E' strano, sembriamo due ragazzini ma abbiamo entrambi 62 anni e rotti. 

Ma io mi sento come se ne avessi venti. 

In realtà ne ho quasi 35, anche se non nel fisico, purtroppo. 

Mi accorgo che siamo arrivati alla macchina. 

Lara forse vuol andare a casa. 

E infatti prende dalla borsetta le chiavi della Jaguar, me le porge ed esclama: «Guida tu e andiamo 

a casa. Ormai lo sai dove abitiamo. E se non sai come arrivarci, hai il navigatore.» 

Se mi avesse dato una coltellata, avrei sofferto di meno. 

Ma faccio finta di niente. 

Lei però ha notato il mio disagio e mi stringe la mano. 

Arriviamo a casa e Lara, come ieri, apre il box con il telecomando che sta nel portaoggetti. 

Il custode non si è fatto vivo, ma è molto tardi ed è logico che si sia già ritirato. 

Parcheggio l'auto nel box mentre Lara va ad aprire il portone della palazzina. 

In camera da letto troviamo la sua sottoveste e il mio pigiama ben piegati sul letto. 

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Evidentemente viene una donna di servizio a riordinare la casa. 

Lara si toglie il tailleur con disinvoltura, indossa la sottoveste e va in bagno. 

Meno male perché ho una certa soggezione a spogliarmi di fronte a lei. 

Indosso il pigiama in dieci secondi netti e ripongo i miei abiti dove ho visto che Lara li ha messi ieri 

notte. 

Anzi stamattina. 

Ha ancora un bel fisico che quando era giovane era da mozzafiato. 

Ho visto delle sue fotografie, anzi delle nostre fotografie, nel mio computer in ufficio. 

Ce n'era una in particolare dove lei indossava un bikini rosa ridottissimo. 

E ho capito subito perché mi sono innamorato di lei. 

Ma ho capito anche che non è stato solo per quello. 

Lara è una donna meravigliosa. 

Lara è già a letto quando io esco dal bagno. 

Entro nel letto anch'io e... succede. 

Come si fa a resistere quando una donna ti dimostra chiaramente che ti vuole? 

Se non fosse mia moglie, ovvio che non ci sarebbe niente da fare. 

Ma lei è mia moglie, perbacco! 

Ma lo è per davvero? 

Penso a Letizia. 

Ma è solo un attimo. 

Poi stringo Lara tra le mie braccia e la bacio con passione. 

   

Page 75: Due Amoripecosbill.altervista.org/Romanzi/DueAmori.pdfA questo punto non so più nemmeno io quello che è vero e quello che non lo è. Ma quando torneremo in Italia, ti cercherò,

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15. Cremona, martedì 

 

Oggi avevo intenzione di continuare con le telefonate e stavo già pensando che alla fine sarei stato 

costretto a chiamare i tre Lentini di cui la Sip mi ha dato i numeri. 

Ma, dannazione, non è giornata. 

Sembra che tutto il lavoro si sia concentrato per farmi perdere tempo. 

Ma poi penso che questo è il mio lavoro e che non si tratta per nulla di perdita di tempo. 

Anzi, direi che ne ho risparmiato perché la mia maggior esperienza mi ha avvantaggiato e ho risol‐

to facilmente tutti i problemi e molto in fretta. 

Un cliente poi se ne è andato particolarmente soddisfatto. 

E' venuto perché il progetto che gli era stato presentato non gli piaceva e chiedeva delle variazioni, 

che in realtà erano del tutto improponibili. 

In realtà il progetto originale non era poi il massimo. 

Non ricordo assolutamente di aver fatto qualcosa del genere e quindi deve essere farina del sacco 

di Guerrini. 

Le modifiche "futuristiche" che ho suggerito sono molto piaciute al cliente che ha sgranato gli oc‐

chi come se avesse visto  il progetto della piramide di Cheope con  i particolari dei cunicoli e delle 

camere segrete. 

Futuristiche per modo di dire perché ho realizzato qualcosa di simile già una decina d'anni fa, nel 

2004 (o era il 2003?). 

Ma poi penso che siamo nel 1986 e quindi l'aggettivo ci sta, è appropriato. 

Si fa ora di pranzo che non me ne accorgo neanche. 

Rimpiango quello che ho mangiato ieri sera e butto giù due spaghi al pomodoro con una bistecca 

che deve essere cuoio in graticola. 

Il pomeriggio le cose sono un po' più tranquille e le cose che ci sono da fare posso comodamente 

passarle a quell'impiastro del mio collega e al geometra. 

Dopo qualche tentativo a vuoto, mi rassegno a telefonare al primo dei tre Lentini. 

Non so cosa diavolo dirgli e sto facendo mente locale per trovare un motivo abbastanza plausibile 

per evitare che mi butti il telefono in faccia senza che io riesca a capire se è il padre di Lara o no. 

Ma poi mi viene in mente una cosa. 

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Come si chiamava quel sacerdote di cui mi ha parlato Lara? 

Don Guarino? 

O don Martino? 

Ah no, don Marino, si chiamava don Marino. 

Speriamo che sia ancora vivo. 

Chiamo la Sip per avere il numero e, dopo un po' di tentativi, l'impiegata, gentilissima e fin troppo 

paziente, riesce a trovare il numero. 

E' stata veramente in gamba perché le informazioni che le ho fornito erano molto scarse, non sa‐

pevo neanche la parrocchia. 

Comunque ora ho questo benedetto numero. 

Agguanto il telefono, faccio il prefisso di Arezzo, che ormai conosco a memoria, e il numero della 

parrocchia dove posso trovare questo don Marino. 

Mi risponde un altro sacerdote che gentilmente lo va a chiamare. 

Mentre aspetto al telefono, il silenzio assoluto viene interrotto dall'eco di un suono di campane. 

Guardo istintivamente l'orologio: sono le cinque. 

«Pronto?» 

La voce al telefono è calma e profonda e ha un bel timbro. 

Se si fosse dato alla lirica, sarebbe un ottimo basso. 

«Buon giorno, don Marino. Mi chiamo Luca Lorenzi e telefono da Cremona. Lei non mi conosce ma 

io conosco lei. Avrei bisogno di parlarle con urgenza.» 

«Va bene, figliolo. Dimmi.» 

«Non al  telefono, padre. Vorrei venire  lì da  lei e parlarle di persona. Possibilmente  il più presto 

possibile.» 

«Di cosa si tratta, figliolo?» 

«Preferirei parlarne con lei di persona, padre. E' una cosa molto delicata.» 

«Va bene. Vieni pure quando vuoi. Io sono sempre qui in parrocchia.» 

«Se per lei va bene, verrei domani.» 

«Benissimo. Ma sei sicuro che non ti conosco? Il tuo nome non mi giunge nuovo.» 

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«Non credo, padre. Non sono mai stato ad Arezzo.» 

«Forse ti confondo con qualcun altro. A domani allora.» 

«Arrivederci, padre.» 

Il più è fatto. 

Ora devo trovare una scusa per Letizia. 

Povera ragazza. Le sto mentendo in continuazione. 

Per la verità non le ho mai detto una bugia. 

Ma nasconderle la verità non è come mentire? 

Ma se le dicessi la verità... come la prenderebbe? 

Ma prima o poi dovrò pur farlo. 

Deciderò quando tornerò da Arezzo. 

Ma ora, che scusa posso trovare per andarmene? 

E poi, quanto starò via? 

Se tutto va storto starò via solo un giorno. 

Ma tutto dipende da Lara e da come si comporterà. 

E poi cosa le dirò. 

Che pasticcio. 

La scusa con Letizia penso di averla trovata. 

Non posso certo dirle che vado ad Arezzo. 

Che ci andrei a fare? 

Le dirò invece che andrò a Roma per parlare con un architetto famoso che è interessato ai miei la‐

vori e che vorrebbe prendermi come socio. 

Che tra l'altro è proprio quello che avverrà. 

Le dirò che starò via due o tre giorni. 

Naturalmente la chiamerò io perché non sarò certo nell'albergo di Roma che le dirò di aver preno‐

tato. 

Ed è la prima volta che sento la mancanza del mio cellulare. 

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Lei non fa obiezioni, anzi è contenta perché ha sempre desiderato vivere a Roma e ha già contatta‐

to un atelier che sarebbe disposto ad averla come collaboratrice. 

Credo che sia in via Frattina o giù di lì. 

Povera Letizia. 

Mi sento veramente una carogna e ho una paura tremenda che, quando verrà a sapere la verità, la 

prenderà molto male. 

Ma la mia paura più grande è che lei non voglia più saperne di me. 

Ne morirei. 

Ommamma. 

Non ho chiuso occhio tutta la notte e il viaggio in treno è stato interminabile. 

In sacrestia don Marino mi accoglie cortesemente. 

Non è poi così vecchio, deve avere più o meno la mia età. 

O meglio deve avere l'età che avevo... oh insomma, deve avere poco più di 60 anni. 

Gli dico il motivo della mia visita, omettendo naturalmente le circostanze assurde in cui mi trovo. 

Non mi crederebbe e mi manderebbe via. 

Gli dico solo che sto cercando una persona che lui conosce molto bene. 

«Si chiama Lara Lentini, padre. Lei l'ha battezzata e cresimata e forse l'ha anche sposata.» 

«Lara?», risponde lui, «sì, è vero. La conosco da quando è nata. Perche la cerchi figliolo?» 

Bella domanda. 

«Padre, Lara non mi conosce, ma io conosco molto bene lei. Mi sono innamorato di lei appena l'ho 

vista. Ma, le assicuro, non sono venuto qui per sconvolgerle la vita. Le voglio troppo bene per far‐

lo. Non le farò del male. Voglio solo vederla e parlarle. Potrà anche parlarne al marito senza timo‐

ri.» 

«Al marito?» 

«Non è sposata, padre? Lei mi ha detto...» 

«Ho celebrato io le sue nozze, certo.» 

Per un attimo ho pensato, e ho sperato, che fosse ancora nubile. 

«Non credo di poterti aiutare, figliolo. Lei potrebbe non voler parlare con te.» 

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«Le dia un colpo di telefono, padre. Le dica che c'è una persona che  le vuole parlare. Le spieghi 

tutto quello che vuole, ma mi ci faccia almeno parlare al telefono. Se Lara lo vorrà, naturalmente.» 

Mi guarda un po' perplesso. 

«Mi scusi» mi dice sollevando la cornetta. 

Mi allontano un po' mentre lui fa il numero. 

Lo sento parlare, ma parla sottovoce e non capisco cosa le sta dicendo. 

«Venga» mi dice porgendomi il telefono. 

Prendo il telefono e lentamente lo avvicino all'orecchio. 

Sto tremando. 

Tra poco sentirò la sua voce, una voce che conosco da ben 46 anni. 

«Lara, sono io, Luca. Ciao.» 

«Non credo di conoscerla, signore. Non crede che possa avermi confuso con qualcun'altra?» 

Capisco che, se voglio vederla, devo "scuoterla" un po'. 

«No Lara. Cerco proprio te. Ti ricordi quello che è successo il 12 dicembre del 1963? Era il giorno 

prima di santa Lucia. Tu avevi 12 anni e tornavi da scuola. Era da poco passata  l'una. E' una cosa 

che non hai detto a nessuno. Nemmeno ai tuoi genitori.» 

Segue un lungo silenzio che mi fa dubitare che voglia buttare giù il telefono. 

«A... a cosa si sta riferendo? Io... io...» 

«Tu non l'hai mai detto a nessuno. L'hai detto solo a me. E neanche io l'ho mai detto a nessuno. E 

non voglio parlarne proprio ora. C'è don Marino qui con me. Te  lo dirò di persona, se vorrai ve‐

dermi. E ti dirò anche come e quando me lo hai detto.» 

«Ma io non la conosco e non le ho mai detto niente.» 

«Sì invece. E so anche molte altre cose di te. Praticamente tutto. E magari so anche delle cose di te 

che nemmeno tu sai. Ti conosco forse meglio di quanto tu conosca te stessa.» 

L'ho impaurita e l'ho incuriosita. 

«Vuole proprio incontrarmi?» 

«Sì» rispondo senza esitare. 

«Dove ci possiamo vedere?» 

«Dove vuoi tu. Non conosco Arezzo. Vengo da Cremona. E sono venuto solo per te.» 

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«Io ora sto lavorando. Ho molto da fare e tra poco andrò a pranzo con un cliente. Ci possiamo ve‐

dere verso le cinque, qui nel mio ufficio.» 

«Dammi l'indirizzo e alle cinque sarò lì. E anche prima.» 

Mi dà l'indirizzo e lo scrivo su un foglietto che don Marino mi porge con una penna. 

«Ciao allora.» 

«Ciao» mi risponde lei. 

Non ha detto "buongiorno". 

E questa sera la vedrò. 

Non sto più nella pelle. 

   

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16. Roma, martedì 

 

Mi sveglio e non trovo Lara accanto a me. 

Mi prende subito un ingiustificato senso di panico. 

Poi la vedo entrare nella stanza completamente vestita. 

E' pronta per uscire. 

«Pigrone, alzati. Lo sai che ore sono?» 

Prendo l'orologio dal comodino. 

Sono le dieci. 

Ommamma. 

«Lara, ma sono le dieci. Perché non mi hai svegliato? E tu, come mai sei ancora qui? Il tuo lavoro? 

E il mio?» 

Non credo di aver mai fatto tante domande tutte in una volta. 

«Buono, buono. Oggi io non ho impegni e mi sono presa la giornata libera. Veramente ne ho prese 

due. E ho telefonato al tuo studio avvisandoli che per un paio di giorni non ci andrai. Credo abbia‐

no fatto salti di gioia. Scommetto che sei un gran rompitasche e anche un po' negriero.» 

Ommamma. 

Che intenzione avrà Lara? 

Non avrà mica l'intenzione di rimanere a casa due giorni? 

Io non credo di farcela. 

Ommamma, ho più di 60 anni e, a dire il vero, abbiamo 125 anni in due, mannaggia. 

Ma è proprio vero che... 

Mi viene  in mente  solo ora che non ho mai  tradito Letizia e che è  la prima volta che vado con 

un'altra donna. 

Che situazione pazzesca. 

Ho avuto solo due donne in tutta la mia vita, sono tutte e due mia moglie (o dovrei dire mie mo‐

gli?) e il bello è che non sono bigamo. 

E neanche vedovo. 

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«Allora, sei pronto?» 

E' Lara che mi chiama. 

«Che intenzioni hai?» accenno timidamente. 

«Ce ne andiamo un paio di giorni in luna di miele. Lo so, due giorni sono un po' pochi, ma è tutto 

quello che posso permettermi. Tu potresti stare anche di più, ma io giovedì, caschi il mondo, devo 

essere in tribunale.» 

«Luna di miele?» le domando un po' stupito. 

«Certo. Non siamo sposati che da tre giorni, non ricordi? Esattamente da sabato pomeriggio. E non 

abbiamo ancora avuto la nostra luna di miele. E abbiamo "consumato" solo ieri sera.» 

Che mi venga un colpo. 

Sta dicendo sul serio. 

E il bello è che è la verità. 

Il colpo non mi è venuto, ma ci è mancato poco. 

Crede a tutto quello che le ho detto. 

E' per questo che non ha chiamato uno strizzacervelli per darmi una trapanata nel cranio per ac‐

certarsi se il cervello c'è ancora. 

Si è accorta del mio stupore. 

«Cosa credevi? Che io pensassi che eri impazzito? La tua storia era talmente assurda che non po‐

teva che essere vera. Un pazzo non avrebbe mai saputo inventarsi qualcosa del genere. E poi, Leti‐

zia...»  

«Letizia?» la interrompo io. 

«Letizia non sarebbe mai stata capace di venire a  letto con te, neanche quando eravamo solo fi‐

danzati.» 

Tace per un attimo. 

«Letizia non avrebbe nemmeno mai pensato di cercare di riconquistarti. La conosco troppo bene. 

Era la mia migliore amica.» 

Tace ancora, ma solo per un attimo. 

«E poi tu, Luca. Ti conosco da 46 anni. Non saresti mai stato capace di una cosa del genere. Ti sare‐

sti ucciso piuttosto che farmi del male. Solo una persona che viene... che viene da dove dici di ve‐

nir tu... potrebbe averlo fatto. Ma non sarebbe mai stato un tradimento. Tu eri sposato con Leti‐

zia.» 

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Mio Dio. 

Si è rassegnata e mi deve amare davvero tanto se si accontenta di una "copia" di me. 

Ama anche me, la "brutta copia" di me stesso. 

E ora vuol festeggiare l'inizio del suo "secondo" amore. 

Due amori. 

«Dove andiamo?» 

«Non ti preoccupare. Decido io. Tu non ti ricordi. Non puoi ricordare.» 

Usciamo. 

Ha deciso di guidare lei. 

Io non saprei dove andare. 

E non mi interessa dove stiamo andando. 

Mi interessa solo il fatto che Lara è con me. 

Mi interessa solo sapere che mi ama. 

Come io so di amare lei. 

E sto bene. 

Sto molto bene. 

Sento dentro di me una gran pace, una serenità assoluta. 

Abbiamo appena lasciato Roma e credo che stiamo percorrendo l'Appia antica. 

Verso l'una arriviamo a una stupenda trattoria immersa nel verde. 

Credo proprio che ci siamo già stati anche se io, è ovvio, non lo posso sapere. 

Ommamma. 

Ho quasi 63 anni e sono in luna di miele. 

   

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17. Arezzo, mercoledì pomeriggio 

 

L'ufficio dove lavora Lara è imponente. 

L'atrio spazioso rivela tre porte in legno pregiato. 

Dietro una di queste c'è lei. 

La segretaria mi accoglie gentilmente. 

Evidentemente Lara le ha già annunciato la mia visita. 

Chissà cosa le avrà detto. 

Un amico, un conoscente? 

Ma è più probabile che le abbia detto che sono un cliente. 

Si apre una porta e vedo uscire una bambina. 

Ommamma. 

E' la copia esatta di Lara quando era bambina. 

Sua figlia, è sua figlia. 

«Lucia.» 

Lo dico quasi istintivamente. 

Non so nemmeno io perché l'ho chiamata così. 

«Mamma!», esclama lei, «c'è il signore che aspettavi.» 

Forse si domanda come faccio a sapere il suo nome. 

Ma poi si chiama veramente Lucia? 

Se però avesse un altro nome mi avrebbe corretto. 

E quindi penserà che sua madre mi ha parlato di lei. 

Lara  deve  aver  sentito  la mia  esclamazione  perché  la  prima  cosa  che mi  dice  quando  entro  è: 

«Come fa a sapere che mia figlia si chiama Lucia?» 

«Non lo sapevo. Non sapevo neanche che avevi una figlia. E' una bellissima bambina, sai? E imma‐

ginavo che si chiamasse Lucia perché è il nome che tu desideravi per una figlia tua. E lei è sicura‐

mente tua figlia perché è esattamente come eri tu alla sua età.» 

Page 86: Due Amoripecosbill.altervista.org/Romanzi/DueAmori.pdfA questo punto non so più nemmeno io quello che è vero e quello che non lo è. Ma quando torneremo in Italia, ti cercherò,

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L'espressione di meraviglia, che doveva avere quando le ho parlato al telefono, scommetto che ora 

si è moltiplicata. 

Credo si stia domandando: "ma chi è questo sconosciuto e come sa queste cose?". 

«Lara, so a cosa stai pensando. Non mi conosci e sembra invece che io ti conosca bene.» 

Lei mi osserva e forse vorrebbe farmi mille domande. Ma io la prevengo. 

«Io non ti conosco bene. Ti conosco molto di più. Io so tutto di te. Te l'ho già detto stamattina al 

telefono. Ricordi?  Il giorno prima di santa Lucia so esattamente quello che è successo. Me  lo hai 

detto tu.» 

«Io non le ho detto un bel niente. E' la prima volta che la vedo.» 

«Oh sì, invece. Avevi dodici anni. Tornavi da scuola ed era da poco passata l'una. Tu non l'hai mai 

saputa trattenere. Era molto freddo e questo ha contribuito. Hai bagnato  le mutandine. Eri rossa 

dalla vergogna. Avevi paura dei tuoi, specialmente di tuo padre. Non tanto perché temevi un rim‐

provero, ma solo per la vergogna.» 

Lei mi sta guardando come se venissi da Marte. 

E io incalzo. 

«A casa sei corsa in bagno accennando appena un "ciao mamma, ciao papà". E le hai nascoste tra 

la biancheria sporca da lavare. Non ne hai prese un paio pulite perché tua madre se ne sarebbe ac‐

corta. Lo hai fatto dopo, quando tuo padre è ritornato al lavoro e tua madre era occupata in cuci‐

na. Non lo hai mai detto a nessuno. Solo a me e dopo che...» 

Stavo per dirle "dopo che ci siamo sposati", ma capisco che non è il caso. 

Non ancora, almeno. 

«Tu... tu non puoi sapere queste cose. Non le ho mai dette a nessuno. A nessuno. Neanche a mio 

marito.» 

Suo marito. 

Sentirlo è stato come ricevere una coltellata nel petto. 

La mia Lara sposata con qualcun altro. 

Lo sapevo già, è vero, ma sentirlo dalla sua voce... mi ha fatto molto male. 

Mi riprendo. 

«Tuo marito è una persona molto fortunata.» 

«Mio marito? Ma... non lo sai?» 

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«Cosa non so?» 

«Mio marito... non c'è più... un incidente d'auto. Sei anni fa. Sono vedova...» 

Sento nella sua voce un groppo che le sta salendo. 

E' vedova. 

«Scusami. Non lo sapevo... mi dispiace...» balbetto. 

Sono rimasto senza parole. 

E quello che è più terribile e che mi fa vergognare di me stesso... è che sto pensando che, stando 

così le cose, cambia tutto. 

Lei è vedova. 

Non avrei nemmeno pensato di strapparla a suo marito. 

Ma così... 

E' terribile, sto giocando con la vita di una persona. 

E non solo con la sua, ma anche con quella di Letizia e di Licia. 

Maledizione. 

Non sarei mai dovuto venire. 

«Non lo sapevi. E poi ormai l'ho superato. Almeno credo.» 

Un velo di tristezza compare nel suo viso bellissimo. 

«Ma ora credo che tu debba spiegarmi un po' di cose. Chi sei e come fai a sapere...» 

«Mi chiamo Luca Lorenzi e sono un architetto. Vivo a Cremona. Ricordi che tuo padre, quando a‐

vevi 17 anni doveva trasferirsi proprio là per lavoro e poi invece, per una serie di circostanze for‐

tuite, è rimasto ad Arezzo? Non credi che se lui si fosse trasferito avremmo potuto incontrarci?» 

«Non lo so, forse.» 

Non mi chiede neanche come so di suo padre, ma credo che ormai si sia rassegnata al fatto che 

uno sconosciuto sappia di lei praticamente tutto. 

E' solo impaziente di sapere come e perché. 

«No, non forse. Certamente, Abbiamo la stessa età, io andavo al classico a quei tempi e tu lo stes‐

so. Ci saremmo incontrati per forza. Era il '68, ricordi? Il famigerato '68. Tu eri bellissima allora. E lo 

sei ancora adesso. E io mi sarei sicuramente innamorato di te.» 

L'espressione del suo viso è indecifrabile anche per me che la conosco molto bene. 

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Ma so che è turbata perché sa che la cosa è probabile. 

E c'è di più. 

Io le piaccio molto, lo so, mi ha sposato. 

Gli occhi però le brillano dalla curiosità. 

E io infierisco. 

Senza dirle niente di me, del nostro matrimonio e del fatto che io mi trovi in un mondo non mio, le 

snocciolo tutto quello che so di lei. 

I suoi gusti, i suoi desideri, le cose che non sopporta, tralasciando per ora solo i particolari, dicia‐

mo, un po' "piccanti". 

Lei sgrana sempre più gli occhi. 

Scommetto che molte delle cose che dico non le conosceva neanche il marito. 

Non so che rapporti avesse con lui e fino a quale punto lo amasse, ma so che noi due eravamo una 

cosa sola. 

Non c'era una cosa che facessi senza farla partecipe e così lei mi raccontava tutto. 

«Va bene. Sai tutto di me. Mi conosci meglio di quanto  io non conosca me stessa. Ma adesso mi 

devi spiegare come sai tutto questo e perché.  Inoltre  io non so niente di te e  finora hai sempre 

parlato di me e mai di te.» 

«Se tu fossi venuta a Cremona a 17 anni, cosa sarebbe successo?» 

Adesso viene il bello. 

«Proviamo un po' a immaginarlo. Così, come per gioco.» 

Ma non è un gioco, penso. 

«Ora. Tu vieni a Cremona e ti iscrivi al mio stesso liceo. Ci incontriamo. Io ho già una ragazza che, 

ammettiamo, si chiama Letizia. Lei è molto bella, ma tu lo sei di più e c'è qualcosa in te che non mi 

fa dormire la notte. Sei simpatica, dolce e il tuo sorriso... Dio come mi piace quando sorridi!.» 

Lei non capisce. 

Non può capire, almeno non ancora. 

«Mi innamoro di te come una pera cotta. E anche tu ti innamori di me. Io ti piaccio e non solo fisi‐

camente. Vedi in me le stesse cose che io vedo in te. E cadi anche tu come una pera cotta.» 

Il suo volto diventa sempre più serio. 

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Starà sicuramente pensando: "Dove vuole andare a parare, questo?" 

«Ci fidanziamo. Finito il liceo io mi iscrivo alla facoltà di architettura e tu a quella di legge. Inizio a 

lavorare subito nello studio di un architetto e tu in uno studio legale. Nel 1974, il 14 settembre, ci 

sposiamo. E abbiamo due figli maschi, Matteo e Andrea. Letizia non ha preso molto bene il nostro 

matrimonio e si è buttata tutta sul  lavoro. Ha  iniziato a  lavorare  in un atelier di moda e non si è 

mai sposata.» 

«Il 14 settembre del 1974 è la data in cui ho sposato Alberto. Ma tu sicuramente lo sai già. Sai tut‐

to di me.» 

No, non lo sapevo. 

Che strana coincidenza. 

Ma ho imparato a non stupirmi più di niente. 

E così suo marito si chiama Alberto. 

Proseguo il mio "racconto" e questa volta lo arricchisco con mille particolari. 

Ho sempre raccontato tutto a Lara e questa volta voglio superare me stesso. 

Le racconto anche quante volte vado dal barbiere a farmi i capelli. 

«Tu... tu stai raccontando queste cose come se le avessi vissute veramente. Vissute con me... ma è 

assurdo. Tu non puoi... Io non ho... non sono...» 

«E' vero, Lara. Questa non è una storiella. E' la verità. Tu sei mia moglie.» 

Aspetto una sua reazione, aspetto che mi dica qualcosa. 

Ma lei tace, incapace di aprire bocca. 

E allora proseguo e le racconto tutto, a partire da quel maledetto sabato a Parigi. 

E questa volta le assicuro che si tratta della realtà, che è tutto vero. 

«Non so cosa sia successo in realtà. So solo che mi trovo in un mondo che non è il mio. Dove tutto 

coincide perfettamente fino al giorno in cui ti ho conosciuta. Da quel giorno in poi, qui non ci sia‐

mo mai incontrati e tutto è cambiato nella nostra vita, tranne l'università, il lavoro e qualche picco‐

la coincidenza come quella della data dei nostri matrimoni che è la stessa.» 

Lei è impallidita. 

Non ha creduto una parola di quello che le ho detto e forse ora ha paura di me. 

Pensa forse che sono un folle scappato da chissà quale manicomio. 

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Ma sa certamente che, se fosse vero, tutto avrebbe un senso, un senso che altrimenti sarebbe in‐

spiegabile. 

Ha dei dubbi. 

Chi non li avrebbe? 

«Non aver paura di me, Lara. Non ti farei mai del male. Non te ne farò. Morirei piuttosto.» 

Ma mi sto accorgendo che invece le sto già facendo del male. 

«Ci sono altre cose che so di te e di cui non ho ancora parlato. Conosco tutti i tuoi punti erogeni. E 

in particolare hai un punto nella schiena che, quando lo accarezzo, ti provoca addirittura delle fitte 

che non riesci a sopportare. Sono contrazioni simili ai crampi, ma assolutamente indolori. Ma a te 

danno fastidio.» 

«Ma non è assolutamente vero. Io non ho mai avuto crampi. E poi alla schiena. Ma dai!» 

«Sicura?» 

«Sicurissima.» 

«Vogliamo provare?» 

«Stai lontano da me. Non mettermi le mani addosso.» 

«Non temere, non voglio certo approfittare di te. Hai la mia parola che mi limiterò al minimo indi‐

spensabile. Sarà come se fosse una visita medica.» 

«Ma neanche per sogno. Te lo scordi.» 

Mi avvicino a lei lentamente. 

Lei non indietreggia e non dice nulla. 

Le prendo le spalle con le mani e la tiro verso di me. 

Poi la stringo e la bacio. 

A lungo. 

E, mentre lei si abbandona completamente, le infilo la mano su per la schiena, sotto la camicetta 

che sono riuscito a sfilare dalla gonna. 

Le accarezzo, con le dita leggerissime, un punto in mezzo alla schiena, un po' a sinistra e lei si stac‐

ca immediatamente da me. 

«Scusa, non volevo baciarti. Non dovevo.» 

Lei si accomoda la camicetta e si sistema i suoi meravigliosi capelli biondi. 

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E' turbata e ha sentito le contrazioni. 

«Io... tu...» balbetta. 

Io la prendo di nuovo tra le braccia e la bacio di nuovo, a lungo. 

Il telefono squilla e ci interrompe. 

E' un classico, ma forse è meglio così. 

E' l'interfono. 

Deve essere la segretaria che, indovino, le chiede se può andarsene. 

Lara infatti risponde: «Sì, non si preoccupi, chiudo io l'ufficio.» 

Poi preme un pulsante per avere una linea esterna e chiama casa. 

«Ho molto lavoro da fare, mamma. Bada tu a Lucia. Io non so a che ora verrò a casa. Può darsi che 

debba rimanere in ufficio anche tutta la notte.» 

Ommamma. 

Poi viene verso di me e mi chiede: «Davvero tu, in un'altra vita, sei mio marito?» 

«Sì, Lara» rispondo. 

Lei si alza in punta di piedi, mi butta le braccia al collo e mi bacia. 

   

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18. Roma, mercoledì sera 

 

Stiamo tornando a casa. 

Con Lara ho passato due giorni d'incanto nei dintorni di Roma, in posti stupendi immersi in più di 

venti secoli di storia. 

Se dovessi fare un elenco delle cose che abbiamo visto e che per me erano un'assoluta novità, ne 

dimenticherei almeno la metà. 

E tutto mi sembrava ancora più bello perché ero con lei. 

Non sento neanche il bisogno di vedere i miei figli perché mi basta lei. 

Lara riempie tutta la mia vita e credo che senza di lei non saprei più vivere. 

Ormai un'idea del XXI secolo me la sono fatta, non sono più imbranato come quattro giorni fa. 

Quattro giorni. 

Mi sembra che sia passato un secolo. 

Teoricamente sarebbero passati 28 anni, ma in realtà sono solo quattro giorni. 

Che però mi sembrano un'eternità. 

Sono cambiato. 

Perbacco, sono cambiato moltissimo. 

Letizia sembra quasi il ricordo di un tempo che non c'è più. 

In realtà non c'è mai stato. 

E mia figlia Licia, che è sempre nel mio cuore, in realtà non è mai nata. 

Dio, quanto mi manca. 

Lara è una persona fantastica, dolce e soprattutto molto intelligente. 

In questi due giorni abbiamo anche parlato di Letizia ed è stata  lei a convincermi che vederla di 

persona sarebbe stato meglio per tutti. 

Io non ne ero così convinto. 

Avevo paura di rivederla così, invecchiata e inacidita. 

Preferivo ricordarla com'era e preferivo associare la sua immagine a quella di Licia. 

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Lei non mi hai mai perdonato, ha del risentimento verso di me. 

Non credo proprio che sia arrivata a odiarmi, Letizia non ha mai odiato nessuno. 

Ma sono dieci anni che non ci vediamo. 

O meglio, così ha detto Lara, perché veramente non la vedo da solo quattro giorni. 

E questo la dice lunga sui sentimenti che ora prova per me. 

Anche se in fondo io credo che mi ami ancora. 

Vederla mi farà sicuramente molto male e ne farà anche a lei. 

«Stai pensando a Letizia?» 

Lara sta leggendomi nel pensiero, a quanto pare. 

«Beh, a dire il vero, sì.» 

«E hai il terrore di incontrarla.» 

Cavolo, è proprio in simbiosi con me. 

«Mi conosci molto bene, vedo. Ma ce la farò.» 

Ce la farò certamente. 

Sarà dura, ma ce la farò. 

«Sei stanca? Vuoi che ti dia il cambio nella guida?» 

«No, non c'è bisogno. Fra meno di un'ora saremo a casa. Non c'è molto traffico stasera. Devi vede‐

re com'è invece la domenica sera.» 

Sonnecchio un po', sono davvero stanco. 

Non so come faccia Lara. 

E' davvero di ferro. 

Se qualcuno mi viene a dire che il sesso forte siamo noi... 

Oh, sicuramente abbiamo più muscoli ma, per quanto riguarda  la resistenza alla fatica, arriviamo 

sicuramente secondi. 

Però, ricordando una vecchia freddura, le donne arrivano penultime. 

Rido dentro di me come uno sciocco. 

Lara ha notato il mio timido sorriso. 

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«Vedo con piacere che è sparita quella tua faccia da funerale.» 

«Tutto merito tuo. Sei un angelo.» 

Arriviamo a casa, come previsto, in poco più di tre quarti d'ora. 

Mi schiaffo sul letto, distrutto. 

Lara invece è fresca come una Rosa. 

Ma come diavolo fa? 

«Ah no, poltrone. Via dal letto. Non hai una telefonata da fare?» 

«Adesso? Non è meglio domani mattina?» 

«No. Letizia Lavora fino a tardi e non la troveresti fino a domani sera. Quindi la chiami ora.» 

Il suo è un tono che non ammette repliche. 

E pensare che sabato sera avrei pagato non so cosa per chiamare Letizia e sentire la sua voce. 

Ora invece... 

Pare che io sia un altro uomo e, sotto certi aspetti, lo sono davvero. 

«Hai il suo numero?» 

«No davvero. E neanche tu. Dovrai cercarlo sul cellulare.» 

I rapporti fra noi tre si sono davvero raffreddati se non abbiamo neanche il suo numero. 

Roba da era glaciale. 

«Sul cellulare?», domando un po' stupito, «ma non ho il suo numero in elenco.» 

«Guarda nelle Pagine Bianche. E' una App che ti permette di trovare tutti i numeri fissi di tutta Ita‐

lia. Lo sai.» 

Già, avevo dimenticato che con il cellulare si fa quasi tutto, tranne il caffè. 

Cerco il numero. 

Letizia Larini, Milano. 

Eccolo qui. 

La chiamo. 

Il telefono squilla cinque o sei volte e infine sento la sua voce. 

E' lei. 

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Ommamma. 

«Pronto?» 

«Letizia, sono io, Luca.» 

Un lungo silenzio. 

«Luca, cosa vuoi?» 

Il suo tono è freddo e distaccato e suona come "stai rompendo le scatole". 

«Letizia, ho bisogno di vederti. Ti devo parlare.» 

«Non abbiamo più niente da dirci, non trovi? Sono dieci anni e due mesi che non ci vediamo.» 

Si ricorda con precisione quando ci siamo visti l'ultima volta. 

«Senti,  lo so. Sono  inopportuno. Ma ti devo parlare, devo vederti. E' una cosa della massima  im‐

portanza.» 

«Luca, sono molto impegnata. E poi, se lo vuoi proprio sapere, non ho affatto voglia di parlare con 

te né tantomeno di vederti.» 

«Non riattaccare, ti prego. Lo sai che sono duro come la roccia. Non ti mollerò finché non mi dirai 

di sì.» 

«Lo so. Ma sai che io sono più dura di te. Non voglio vederti. E' chiaro?» 

«Tu mi ami, Letizia. Io lo so. E anche tu sei sempre nel mio cuore.» 

«Ti prego, Luca, lasciami stare.» 

«Sai cosa sarebbe successo se io non avessi mai incontrato Lara?» 

Gioco la mia ultima carta. 

Una carta pericolosa perché, se riattacca ora, è tutto finito. 

«Ti avrei sposato. Saremmo stati insieme per tutta la vita. Avremmo avuto dei figli. Tu desideravi 

tantissimo una femminuccia. E l'avremmo chiamata Licia...» 

«Ti prego, Luca, smettila. E poi che ti viene in mente? Licia è un nome che non mi piace per nien‐

te.» 

«Non è vero. Tu adori quel nome. Ti è sempre piaciuto. Ora dici così perché ce l'hai con me. Vuoi 

cancellare tutto quello che ti ha legato a me. Perfino tutti i tuoi desideri che in qualche modo ti ri‐

conducono a noi due.» 

Lei tace come se pensasse a come sarebbe stata la sua vita con me. 

Page 97: Due Amoripecosbill.altervista.org/Romanzi/DueAmori.pdfA questo punto non so più nemmeno io quello che è vero e quello che non lo è. Ma quando torneremo in Italia, ti cercherò,

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«Sarebbe stata bella come te. E sarebbe stata identica a te. Ricordi quanto eri bella quando eri una 

bimbetta che mi tirava i sassi? E io l'avrei amata come ho amato te.» 

Mi scende una lacrima su una guancia. 

«Luca, ti prego...» 

«Devo parlarti, Letizia. Devo. Devo vederti. Almeno una volta. Poi ti lascerò in pace per sempre. Ti 

prego. Solo un'ultima volta.» 

Un altro lungo silenzio. 

«E va bene, Luca. Ci vediamo sabato mattina. Prima non posso.» 

«Va benissimo.» 

Il cuore mi batte così forte che lo sento nelle tempie. 

«Sarò a Termini sabato mattina. Ti chiamerò per dirti l'orario del treno.» 

«Il treno? Perché non prendi l'aereo? Faresti molto prima. Ti verrei a prendere all'aeroporto e...» 

«Sai che ho paura di volare. Ti richiamo. Ciao e salutami Lara.» 

«Sì, certo. Ciao Letizia.» 

Paura di volare? 

Ma se abbiamo preso l'aereo da Parigi proprio quattro giorni fa. 

Dimentico sempre che è un'altra Letizia. 

«Verrà. Ci vedremo alla stazione Termini sabato mattina» dico a Lara timidamente. 

«Benissimo. Sabato non è una giornata lavorativa per noi» risponde lei. 

«E' tutto a posto, Luca?» 

«Sì certo, Lara.» 

«Sicuro?» 

«Sì.» 

Mi conosce troppo bene e sa che non è vero. 

Sto malissimo. 

Non riesco a credere che un incontro con Letizia mi provochi tanta angoscia. 

   

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19. Vacanze romane 

 

Incredibile. 

Ho passato tutta la notte con Lara, nel suo ufficio. 

Non lo avrei mai immaginato. 

Se qualcuno me lo avesse detto, come minimo gli avrei riso in faccia. 

Oppure avrei chiamato la neurodeliri. 

Ho passato tutta la notte con una Lara che non è mai stata mia moglie e che mi conosce da meno 

di un giorno. 

E' vero che io la conosco da 46 anni e che sono sposato con lei da quasi 40. 

Ma lei no. 

Io però ho giocato sporco. 

Ma non erano quelle le mie intenzioni. 

Nemmeno quando ho saputo che è vedova, ragione di più per non approfittare di lei. 

E' una donna che ha sofferto molto e che è rimasta senza l'affetto di un uomo per troppo tempo. 

E sono una carogna anche perché sapevo che lei si sarebbe innamorata subito di me. 

Per lei era già stato amore a prima vista e non c'era motivo di pensare che non sarebbe successo di 

nuovo. 

E non mi giustifica neanche il fatto che è stata lei a volerlo, perché in fondo sono stato io a comin‐

ciare. 

L'ho baciata e non dovevo. 

Letizia. 

E' la prima volta che tradisco mia moglie. 

E il fatto curioso che ho tradito mia moglie, che non è mia moglie, con una donna che non è mia 

moglie, ma che invece è mia moglie. 

Che cosa complicata. 

A pensarci bene, non ci capisco niente neanche io. 

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Ho avuto per fortuna la presenza di spirito di telefonare a Letizia per dirle, mentendo, che ero arri‐

vato a Roma e che ero già in albergo. 

Fortuna? 

Chissà se veramente è stata fortuna. 

Che devo fare adesso? 

Non posso certo continuare con il piede in due staffe. 

Non mi piace per niente avere un'amante. 

E devo scegliere tra il grande amore della mia vita e una donna, che mi ha sposato e che ha una fi‐

glia mia. 

In entrambi i casi farò soffrire qualcuno. 

Nell'altra vita ho già fatto soffrire Letizia. 

E adesso? 

Continuo a infierire su di lei o cambio bersaglio? 

Solo una cinica carogna come me poteva partorire simili pensieri. 

«Luca, tesoro. E' ora che io torni a casa. Poi mi prenderò un po' di giorni di riposo. Sono anni che 

non faccio una pausa, a parte le tre settimane estive in cui porto Lucia al mare.» 

«Mare? Hai sempre odiato il mare.» 

«E' vero, ma lo faccio per mia figlia. Datti una rinfrescata in bagno ed esci per primo. Poi uscirò io. 

La segretaria viene ad aprire l'ufficio tra meno di un'ora. Bisogna sbrigarci.» 

«Ma poi dove ci ritroviamo?» 

«Scrivimi  in un biglietto  il nome e  l'indirizzo del tuo albergo. Mi metterò  io  in contatto con te. Ci 

vediamo lì appena posso.» 

«Va bene.» 

Poi mi viene in mente una cosa. 

«Perché non ce ne andiamo qualche giorno a Roma? Io e te da soli. Una seconda luna di miele.» 

Poi mi accorgo che il termine "seconda" assume per lei un significato molto diverso da quello che è 

per me. 

«Già. Tu dovresti essere là adesso. I classici due piccioni con una fava.» 

C'è un velo di amarezza nelle sue parole. 

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«Stai pensando a Letizia?» 

Naturalmente ieri sera le ho raccontato che qui ho una moglie e una figlia. 

«Già. Che cosa pensi di fare?» 

«Non lo so. Lo decideremo insieme.» 

«Ti raggiungo al tuo albergo con le valigie. Ma ora vai. Ciao.» 

«Ciao.» 

Poco dopo sono in strada. 

Il mio albergo è vicino e lo raggiungo a piedi. 

Ho bisogno di prendere un po' d'aria. 

Salgo in camera, mi faccio una velocissima doccia, mi rado e sono giù in strada in meno di mezzo‐

ra. 

Ciondolo davanti all'albergo come un cretino e il tempo non passa mai. 

Lei non arriva. 

Poi penso che Lara possa aver telefonato e mi precipito alla reception per chiedere se qualcuno 

aveva chiesto di me. 

«No, nessuna telefonata» mi dice gentilmente il portiere. 

Dopo un "grazie mille" torno in strada a ciondolare. 

Ommamma. 

Stai a vedere che ci ha ripensato e non viene più. 

E' stata fuori tutta la notte. 

Avrà probabilmente delle cose da spiegare alla madre che deve essere stata insieme a Lucia. 

Non so neanche se la madre abita con Lara. 

Guardo l'orologio, è passata poco più di un'ora da quando ci siamo lasciati. 

Dalle tempo, perbacco. 

Sono troppo nervoso. 

Il tempo sembra essersi fermato e lei non si vede ancora. 

Ormai non viene più. 

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Sta arrivando un taxi. E' lei. 

L'amore della mia vita, la donna con la quale ho passato così tanti anni. 

O solo poche ore? 

«Ciao. Attendi qui un attimo con il taxi. Arrivo subito.» 

Corro nella hall a prendere la mia valigia, saluto e torno in fretta da Lara. 

Non vedo l'ora di essere a Roma con lei e dimenticare tutto il mondo. 

Solo io e lei, come se fossimo gli unici abitanti della terra. 

Senza passato, senza pensare al futuro. 

Solo il presente. 

Solo noi due. 

Ma i giorni felici passano in fretta e il ritorno alla realtà è duro. 

Ho deciso di dire tutto a Letizia. 

Lara non era d'accordo. 

Le sarebbero bastati quei pochi giorni di felicità passati con me. 

Poi sarebbe sparita portandosi un pezzo di me chiuso nel suo cuore. 

Non voleva assolutamente mettersi tra me e Letizia. 

E Licia. 

Ma io sono irremovibile. 

Non so quello che succederà e non so nemmeno cosa sperare che succeda. 

So solo che Letizia deve sapere. 

Ha il diritto di sapere. 

Le dirò tutto, a partire da quel maledetto sabato che ha completamente sconvolto la mia vita. 

Non mi crederà, ovviamente. 

Penserà che è una storia assurda per spiegare in qualche modo questo tradimento. 

Ma mi conosce  troppo bene per sapere che non  inventerei una storia così  inverosimile solo per 

dirle che amo un'altra. 

Che amo anche un'altra, a dire il vero. 

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Perché amo anche lei. 

L'ho amata fin da quando avevo i pantaloni corti e l'ho amata anche adesso, qui, in questo assurdo 

presente. 

E poi, che sia quel che deve essere. 

Che si decida della mia vita. 

Ormai ci ho fatto l'abitudine. 

Non sono più io a decidere della mia vita. 

Sono stato scaraventato da un futuro, che per me era il presente, a un presente, che per me è sta‐

to un passato. 

Da un mondo a un altro, da una vita a un'altra. 

Ora basta. 

Sono stanco. 

Scopriamo le carte e stiamo a vedere. 

Temo però che non ci saranno vincitori, ma solo vinti. 

E ora Lara e io siamo a Termini ad aspettare Letizia. 

Le ho chiesto di venire perché ho una grande notizia da darle. 

E lei, carogna che sono, pensa che ho trovato un accordo con quell'architetto e che presto ci tra‐

sferiremo a Roma. 

E non starà nella pelle per la contentezza. 

Non credo che ce la farò a sopportare il suo sguardo quando mi vedrà con Lara. 

Anche se, in un primo momento, penserà che lei è la segretaria o l'assistente dell'architetto che mi 

vuole come socio. 

Letizia metterebbe la mano sul fuoco per me. 

Sa che non l'ho mai tradita e che non lo farei mai. 

Ma io non sono il Luca che lei crede che io sia. 

Ommamma. 

E ora mi vengono in mente i miei genitori. 

La mamma, papà. 

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Cosa penseranno quando verranno a sapere di questa maledetta storia? 

Il loro figlio adorato, il loro unico figlio, che combina questa mascalzonata. 

Abbandona la moglie e una figlia piccola per correre dietro a una sottana. 

E cosa penseranno di Lara? 

Mi sento male solo a immaginarlo. 

E mi sento ancora peggio quando vedo Letizia scendere dal treno. 

Un portabagagli la aiuta con la valigia e lei corre verso di me. 

Lara è accanto a me. 

   

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20. Due amori 

 

Incredibile come tre giorni possano passare così in fretta. 

Mi sembra ieri quando ho sentito Letizia per telefono. 

E tra pochi minuti la vedrò. 

Non so se ce la farò. 

E lei? 

Cosa dirà? 

Come mi tratterà? 

E devo dirle veramente tutto quello che è successo? 

Non lo so, non lo so. 

Lara è accanto a me e io le stringo la mano come se fosse un'ancora di salvezza. 

Lei, come se fosse dentro  la mia testa, dice: «Coraggio, Luca. Vedrai, sarà più facile di quanto tu 

creda.» 

Sarà, ma io sto malissimo. 

E lei peggiora le cose aggiungendo: «Credi che io non mi senta a disagio a vedere Letizia dopo così 

tanto tempo e in questa circostanza?» 

Eccoti servito, Luca. 

Un bel modo il suo per farmi coraggio. 

«Se credi che te  lo abbia detto per metterti più paura di quella che hai già, ti sbagli di grosso. Ti 

devi svegliare, Luca. Non stai andando verso la sedia elettrica, perdiana.» 

«Lo so bene, Lara. Ma il punto è un altro. Io non ho paura di Letizia. Lei, che è stata il mio grande e 

unico amore in un altro tempo, qui è soltanto una cara e vecchia persona a cui, è vero, io ho fatto 

del male...» 

«Noi abbiamo fatto del male...» mi interrompe Lara. 

«Ma è passato molto tempo. E il tempo cura tutte le ferite. E, strano a dirsi, non mi sento per nien‐

te in colpa, perché non le ho realmente fatto del male io, ma l'altro Luca, tuo marito.» 

Mi pento subito di averlo detto. 

L'altro Luca. 

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Questo  le ricorda che  io non sono veramente  il Luca che  lei ha sposato e con  il quale ha vissuto 

quasi mezzo secolo. 

E ora sì che sto facendo del male. 

Ma non a Letizia. 

A Lara, dannazione. 

Sono proprio un cretino e ho la sensibilità di un elefante. 

Faccio finta di niente e proseguo. 

«Ho invece paura di me. Mi è già capitato di rivedere una persona dopo tanti anni. Non è più lei. E' 

cambiata, come sono cambiato io. Ma io sono cambiato lentamente, giorno per giorno, senza ac‐

corgermene. Lei no. E' invecchiata in un attimo rispetto a com'era nei miei ricordi.» 

«Già. E' capitato anche a me.» 

«Ho paura di rivedere Letizia. Lei nei miei ricordi non ha neanche 35 anni. E ora la vedrò che ne ha 

quasi 63. Non è mai piacevole uccidere così i propri ricordi.» 

Mi vengono i brividi. 

«E poi non credo che lei sarà molto contenta quando le racconterò tutto. Se lo farò.» 

Non ho ancora deciso, non so cosa fare. 

«Credo che lei abbia il diritto di sapere la verità, anche se questo potrebbe farla soffrire» mi sug‐

gerisce Lara con un tono per la verità non molto convinto. 

«Ne soffrirà certamente. La conosco troppo bene. Sapere che da qualche parte c'è un'altra Letizia 

che è diventata mia moglie... e che ha avuto una figlia da me...  la farà sicuramente star male. E' 

come far vedere una bella torta a un bimbo e poi dirgli che non potrà mangiarla perché lo ha già 

fatto in sogno.» 

E' una similitudine un po' colorita e altrettanto assurda, ma rende l'idea. 

E siamo punto e a capo. 

Non ho ancora deciso cosa le dirò. 

E, a un tratto la vedo scendere dal treno. 

Un portabagagli la aiuta con la valigia e lei avanza verso di noi. 

Lara è accanto a me. 

Ommamma. 

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Immaginavo quello che avrei provato, ma non credevo che il colpo sarebbe stato così tremendo. 

Letizia è un'altra persona. 

Invecchiata e più magra. 

Sempre elegante, indossa un vestito che, sarà anche bello, ma è nero. 

Il nero non è mai stato il suo colore preferito. 

Ha sempre amato abiti più vivaci. 

La sua ultima collezione è un'esplosione di colori che ricordano l'estate, il suo sole e il suo cielo, il 

mare e la schiuma bianca delle onde che si rifrangono sugli scogli. 

Così ha detto lei quando li ha presentati. 

Ma quella era la "mia" Letizia. 

Questa invece è un'altra persona. 

La malinconica tristezza del suo viso che, man mano che si avvicina a noi si fa sempre più evidente, 

contribuisce a rendere il suo aspetto ancora più... più... 

Ommamma, come sto male. 

Sembra il fantasma di quella che era 28 anni fa. 

Possibile che si sia sciupata così tanto? 

A Lara non è successo. 

Ho visto le fotografie di quando era ragazza e vedo com'è adesso. 

Certo non è bellissima com'era quando era giovane, ma è ancora una bella donna. 

Tra la Letizia che conoscevo io e l'anziana signora che sta venendo verso di me c'è veramente un 

abisso. 

Ma io l'ho amata. 

E l'amo ancora, dannazione. 

Ho amato solo lei. 

Lara è con me da soli quattro giorni. 

Amo anche lei però. 

Come è possibile amare contemporaneamente due donne? 

Eppure è così. 

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Nonostante Letizia sia molto cambiata e invecchiata, io l'amo ancora. 

E vado verso di lei con il desiderio incontenibile di stringerla tra le braccia. 

   

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21. Roma, stazione Termini, sabato 10 maggio 

 

Mi allontano da lei per correre incontro a Letizia. 

La raggiungo e la stringo a me. 

La sollevo da terra e la faccio roteare come ho fatto spesso con Licia. 

«Luca, mettimi giù. Mi fai girare la testa.» 

«Oh Letizia, quanto mi sei mancata.» 

«Ma sono stati appena tre giorni.» 

«Lo so. Ma mi sono sembrati tre anni. Ho una sorpresa per te.» 

«Stiamo per trasferirci a Roma? Hai raggiunto un accordo con quell'architetto? Ti prende in studio 

come socio?» 

«Birbantella. Non ti si può nascondere nulla.» 

La bacio teneramente mentre i passanti si girano a guardarci. 

«Lunedì 6 ottobre 1986. Segnati questa data. E'il giorno in cui inizierò a lavorare qui a Roma con il 

mio nuovo socio. Socio alla pari. Sono riuscito a ottenere quello che volevo. Lui ha ceduto perché 

sa che sono in gamba e ha bisogno di uno come me.» 

«Oh caro, come sono felice. Vedrò di far coincidere la data in cui aprirò l'atelier a Roma. Ho già un 

paio di occasioni e ho tutto il tempo di organizzarmi.» 

«E per Licia non ci saranno dei problemi con  la scuola. Certo sarà tutta un'altra vita per  lei. Avrà 

nuove amicizie e non risentirà troppo di quelle che perderà. E' ancora molto giovane e avrà tutto il 

tempo anche di farsi qualche amichetto.» 

«Luca, ma cosa dici? Non ha ancora undici anni.» 

«Tu alla sua età eri già innamorata pazzamente di me. Dovrai tenerla d'occhio, temo.» 

«Dovresti tenerla d'occhio tu invece. Tu sei il padre.» 

Ridiamo insieme. 

Ci avviamo verso l'uscita per cercare un taxi. 

Sono troppo felice. 

Ma c'è qualcuno che non lo è, purtroppo. 

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Passando accanto a una bella ragazza bionda, non posso fare a meno di notare una lacrima che le 

scende su una guancia. 

   

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22. Roma, stazione Termini, sabato 10 maggio 

 

«Letizia, sei sempre più bella.» 

Mi avvicino a lei, la stringo tra le braccia e la bacio sulla guancia. 

«E' vero. Luca ha ragione. Sei proprio uno splendore. E questo delizioso abito nero...» 

«E' l'ultima mia creazione, sai. Non ha ancora sfilato e volevo che voi foste i primi a vederlo.» 

Letizia è proprio radiosa. 

Ed è sempre la solita mia cara e vecchia Letizia. 

Vecchia. 

Mica poi tanto vecchia. 

Se potesse leggermi nel pensiero, sarei un uomo morto. 

E' una donna straordinaria. 

Dopo che io e Lara ci siamo sposati, un'altra si sarebbe lasciata andare. 

Lei no. 

Non so come abbia fatto. 

Siamo rimasti ottimi amici. 

Peccato però che non si sia mai sposata. 

Ha sempre detto che uno come me non l'avrebbe mai trovato. 

Credo che in fondo non abbia mai smesso di amarmi. 

Poi prende una busta dalla sua borsetta e la porge a Lara. 

«E' l'invito per la mia prossima sfilata qui a Roma. Questo è il primo invito che do e naturalmente è 

riservato a voi.» 

Lara lo apre e lo legge. 

E ride. 

Che diavolo c'è scritto nell'invito? 

«La sfilata sarà fra una decina di giorni. Naturalmente vi ho riservato i posti migliori.» 

Poi prende Lara a braccetto e si allontana con lei. 

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Prendo l'invito dalle mani di Lara e lo leggo: "Signora Lara Lentini e Consorte". 

Letizia non perde occasione per prendermi in giro. 

Ma in fondo ha ragione. 

Letizia presenta solo abiti femminili e quindi l'invitata è lei. 

Io sono solo il "Consorte". 

Poi leggo la data. 

Martedì 20 maggio 2003. 

Fra dieci giorni esatti. 

   

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23. Lieto fine 

 

E così questa storia ha avuto il suo lieto fine. 

Ma cosa è successo? 

Tutto ha avuto inizio quando due universi, dimensioni spazio temporali, realtà, mondi, chiamateli 

un po' come volete, si sono incontrati coinvolgendo una persona, Luca, che si trovava in entrambe 

le parti, nello stesso spazio, la botteguccia nel Marais parigino, nello stesso giorno della settimana, 

sabato, lo stesso giorno e lo stesso mese, 3 maggio e alla stessa ora, le 17 e rotti. 

Qualche maligno superstizioso potrebbe dire le 17 e 17 minuti e magari anche 17 secondi. 

Ma giuro che il fatto non era affatto intenzionale. 

Ma può anche essere che io menta spudoratamente. 

Solo gli anni erano diversi. 

Ma non si può certo pretendere che simili eventi cosmici avvengano a piacer nostro. 

E così è successo che il Luca del 1986 e quello del 2014 si siano "scambiati di posto". 

Ma non nel corpo, ovvio. 

Non vorrete mica farmi intendere che credete a tutte quelle panzane sul teletrasporto, vero? 

Per trasportare una persona da una parte all'altra ci vuole un bel mezzo di trasporto, bicicletta o 

aereo che sia. 

O magari le gambe, comodissime per trasporti brevi. 

E non sono per niente ingombranti. 

Ve le potete portare dappertutto, anche a letto. 

E soprattutto ci vuole del tempo. 

Ci sono anche delle belle formule che regolano tempo, spazio e velocità. 

Quindi niente scambi di corpi. 

Non è possibile se non nelle avventure di fantascienza. 

La realtà è ben diversa. 

Lo spirito, l'anima, la mente, dategli il nome che volete, quello sì che può spaziare qua e là, sì che 

può vagare nel tempo e nello spazio. 

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Provate anche voi, e facilissimo. 

Chiudete gli occhi e, voilà, siete sulla luna. 

Ed è quello che è successo a Luca, poverino: la sua mente è passata in un attimo da un corpo a un 

altro, da un tempo a un altro, ma nello stesso spazio. 

Ma come è potuto succedere e perché? 

E io che ne so? 

Se lo sapessi ve lo direi, non vi pare? 

E successo. 

E sono cominciati i guai. 

Ma poi il fatto si è ripetuto in grande stile. 

Luca, Lara e Letizia si sono ritrovati nelle stesse circostanze. 

Tutti e sei, quelli del 1986 e quelli del 2014, si sono ritrovati nello stesso spazio, la stazione Termini 

a Roma, nello stesso giorno della settimana, sabato, lo stesso giorno e lo stesso mese, 10 maggio e 

alla stessa ora, le 10 circa. 

Non facciamo i pignoli. 

E c'è stato un movimento di spiriti che sembrava di essere a Chicago in una distilleria clandestina al 

tempo del proibizionismo. 

E le cose sono ritornate com'erano. 

Beh, non proprio. 

Luca e Letizia, i giovani sposini si ritrovano insieme nel 1986. 

Luca non ricorda di essere stato nel 2014 e di aver conosciuto Lara. 

Letizia non ricorda le stranezze di suo marito, e così pure Licia. 

Tutto a posto, no? 

Gli anziani sposi Luca e Lara si sono ritrovati, un po' meno anziani, anzi direi due ragazzi, nel 2003. 

Invece che nel 2014, con undici anni di meno. 

Non sono poi così tanti, ma tutti ci metterebbero la firma di sicuro. 

Chissà, forse non erano in sei ma in nove a Termini, in quel momento. 

Forse c'erano anche Luca, Lara e Letizia del 2003. 

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Resta inspiegabile però che fine abbiano fatto quelli del 2014. 

Sono spariti, si sono volatilizzati? 

Si sono fusi con gli altri tre e ha avuto la prevalenza il 2003 sul 2014? 

Ma allora non avete proprio capito. 

Non lo so, non ne ho la più pallida idea, non ho mica la sfera di cristallo. 

Eppoi, anche se lo sapessi, perché dovrei dirvelo? 

Non è che vi divertirete di più a fare congetture vostre? 

Dunque le coppie di sposini si sono sistemate. 

Ma l'altro amore di Luca? 

Letizia nel 2003 non è l'amore abbandonato e un po' depresso che si è buttato nel lavoro, ancora 

innamorata del suo Luca fedifrago e traditore. 

L'abbiamo tutti immaginata sempre con il suo vestito nero, con una faccia che non l'avrebbero vo‐

luta neanche ai funerali per non peggiorare le cose e per evitare suicidi di massa. 

No. 

Letizia non è così. 

E' una persona simpatica e stravagante, ironica e divertente. 

Conoscete già, per caso, una persona così? 

Beh, magari non di persona, ma scommetto di sì. 

E Lara? 

La dolce Lara, rimasta vedova ancora troppo giovane con la sua dolcissima Lucia, che fine ha fatto 

Lara? 

L'abbiamo lasciata alla stazione, dove è rimasta attonita nel vedere il suo nuovo amore abbraccia‐

re teneramente e baciare la moglie Letizia. 

Cosa è successo a Lara? 

Ma questa è un'altra storia. 

 

FINE

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a) Lara, Roma, stazione Termini 

 

[N.d.A.: Ma no, era tutta una finta. Non vi posso lasciare con l'amaro in bocca] 

 

Luca sta venendo verso di me con quella che deve essere sua moglie Letizia. 

La tiene stretta e la bacia. 

Sembra che si sia completamente dimenticato di me. 

Luca, ma cosa ti prende? 

Io sono qui, dove vai, perché ti comporti così? 

Luca. 

Mi sento uno straccio. 

E non riesco a trattenere una lacrima. 

Quando arriva a un metro da me, non mi degna neanche di uno sguardo e prosegue parlando e ri‐

dendo con sua moglie. 

Sono qui a Roma, da sola, innamorata di un uomo che conosco da soli tre giorni. 

E che se ne sta andando con un'altra donna dopo avermi detto che mi ama e avermi convinta che, 

in un'altra vita, era stato mio marito. 

«Luca.» 

Mi accorgo di aver pensato ad alta voce. 

Lui si gira verso di me e si gira anche sua moglie. 

«Dice a me signorina?» 

Poi si corregge, ha visto la fede che ancora porto di mio marito. 

«Ci conosciamo, signora?» 

Mio Dio. 

Cosa sta succedendo? 

«No, mi scusi. L'avevo scambiato per una persona a me molto cara. Ma ora che la osservo meglio, 

vedo che mi sono sbagliata. E mi scusi anche lei, signora. Non volevo disturbare.» 

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«Nessun disturbo, ma le pare? La cosa strana è che mi chiamo Luca anch'io. E' per questo che mi 

sono girato. Luca è il nome di suo marito?» 

«No. Io... io sono vedova...» 

Mi trema la voce e lui se ne accorge. 

«Mi spiace, non sapevo. Ma si sente bene, signora? La vedo molto pallida. Venga, si sieda un atti‐

mo» mi dice prendendomi dolcemente sottobraccio. 

E ci dirigiamo tutti e tre a un bar lì vicino. 

«No, sto bene. Glielo assicuro. E' stata solo un po' di stanchezza. Oggi è una giornata tremenda.» 

«Venga, cara. Si sieda qui.» 

E' Letizia che, mentre Luca chiama un cameriere, mi avvicina una sedia. 

Luca non sa chi sono ed è sincero, ho imparato a conoscerlo in questi pochi giorni. 

Ma come è possibile? 

Meno di mezz'ora fa lui era accanto a me, innamorato. 

Doveva parlare di me a sua moglie e io mi sentivo male al solo pensiero di sfasciare una famiglia. 

Lui mi aveva detto di avere una moglie e una figlia della stessa età della mia Lucia. 

E io avevo combattuto a lungo con lui perché non volevo distruggere la vita di due persone inno‐

centi. 

Ma era riuscito a convincermi che non c'era altra soluzione. 

E gli è stato fin troppo facile perché io lo amo, lo amo da impazzire. 

E stavo per commetterla, questa pazzia. 

Ma il destino, il maledetto destino che mi ha tolto mio marito quando non avevo ancora trent'anni 

lasciandomi con una figlia ancora troppo piccola, adesso mi toglie di nuovo l'uomo che amo. 

Dopo solo tre giorni. 

Perché allora me lo ha fatto incontrare? 

Perché mi ha fatto innamorare di lui? 

E perché lo devo perdere così? 

Lui non ricorderà i tre giorni meravigliosi che abbiamo passato insieme. 

Perché... perché? 

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«Le ho ordinato un tè, l'ho chiesto molto caldo. Ma se vuole qualcos'altro... vuole mangiare qual‐

cosa?» 

«No, Luca. Grazie. Non c'era bisogno. Ora sto molto meglio.» 

Mi accorgo che l'ho chiamato per nome. 

«L'ho chiamato Luca, mi perdoni. Ma non so altro di lei.» 

Mento. 

So benissimo come si chiama. 

So praticamente tutto di lui. 

«Non c'è niente da perdonare. Anzi, mi perdoni lei. Non mi sono neanche presentato. Mi chiamo 

Luca Lorenzi e lei è mia moglie Letizia.» 

«Io mi chiamo Lara. Lara Roncati. Veramente questo è il nome di mio marito, io mi chiamo Lenti‐

ni.» 

«Lara. Bellissimo nome. Come la persona che lo porta. Ma non facciamoci sentire da mia moglie. E' 

molto gelosa.» 

Ride e ride anche Letizia. 

Se non avessi il cuore in pezzi, riderei anch'io. 

Ma il riso è contagioso e poi... lui è così bello quando ride. 

E allora rido timidamente anch'io. 

«Avrei voluto incontrarvi in circostanze migliori. Siete veramente una bellissima coppia.» 

Sono sincera, stanno veramente bene insieme. 

E Letizia è veramente una bella donna. 

Sono contenta in fondo che sia andata a finire così. 

Mi sarebbe dispiaciuto moltissimo farle del male, non se lo merita. 

E in fondo avrei fatto del male anche a lui. 

Si sarebbe sentito in colpa per tutta la vita e ne avrebbe sofferto. 

E non lo merita neanche lui. 

Senza contare sua figlia che, per colpa mia, sarebbe cresciuta senza un papà. 

E io sarei stata la persona che avrebbe sofferto più di tutte. 

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Quattro esistenze rovinate. 

Meglio così. 

Loro sono felici e io in fondo ho avuto tantissimo. 

Ho conosciuto l'amore e mi sono stati donati tre giorni che rimarranno nel mio cuore per sempre. 

Stiamo ancora un po' a chiacchierare e ci raccontiamo quali sono le nostre occupazioni, i nostri cari 

e infine ci salutiamo. 

«Vuoi che ti accompagnamo da qualche parte?» 

Siamo passati dal lei al tu senza quasi accorgercene. 

«No grazie, Luca. Il mio albergo è qui dietro, a due passi. E' stato bello chiacchierare con voi. Ciao. 

E grazie per il tè.» 

Mi avvicino a lui per stringergli la mano, ma lui mi bacia sulla guancia. 

«Ciao, Lara.» 

Poi mi bacia anche Letizia. 

«Allora ciao.» 

«Ciao» rispondo io mentre un groppo mi sale in gola. 

   

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b) Lara, Roma, albergo 

 

Il mio albergo è veramente dietro l'angolo. 

Ci arrivo in cinque minuti, immersa nei miei pensieri che hanno un solo nome: Luca. 

Alla reception c'è un portiere che non ho mai visto. 

«Mi dà la tre zero sette?» domando. 

«La tre zero sette?» ripete lui con stupore. 

«E' proprio sicura? La tre zero sette è occupata da una coppia in viaggio di nozze. Sono appena sa‐

liti.» 

«Prego? Temo di non aver capito. La 307 è la mia camera. Sono qui da tre giorni con...» mi inter‐

rompo. 

A parte che non sono affari suoi, non so neanche più se Luca era veramente qui con me, in questo 

albergo. 

«Vuol dirmi il suo nome, per cortesia? Controllo subito il registro.» 

«Lara Lentini» rispondo. 

Sto cominciando a spazientirmi. 

«Mi dispiace, signora. Il suo nome non risulta. Lei non è cliente di questo albergo.» 

«Come sarebbe a dire? Non sono cliente dell'albergo? Ma che storia è questa?» 

Ho alzato involontariamente la voce e i clienti nella hall si sono girati tutti. 

«Cosa succede qui?» 

E' la voce di uno che deve essere il direttore o qualcosa di simile, visto la deferenza con cui gli si ri‐

volge il portiere. 

«La signora insiste nel dire che è una nostra cliente e...» 

Lo interrompo. 

«Io vorrei tanto non essere una vostra cliente e state certi che questa è la prima e ultima volta. Ma 

purtroppo alloggio qui ora, la mia camera è la 307.» 

Oggi non è giornata e, se vogliono farmi incavolare, non chiedo di meglio per sfogarmi un po'. 

«Vediamo.» 

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Il direttore, molto compassato, sembra un manichino mentre consulta il registro. 

«Dunque, vediamo. Come si chiama la signora?» 

«Lara Lentini.» 

Io e quell'altro manichino del portiere pronunciamo il mio nome all'unisono. 

«Signora, lo confermo. Lei non è cliente del nostro albergo. E, a conferma di quello che dico, le as‐

sicuro che non l'ho mai vista nell'hotel.» 

Adesso urlo. 

Ma poi mi trattengo. 

Sono successe troppe cose impossibili oggi. 

E non solo oggi, se devo credere a quello che mi ha raccontato Luca. 

E questi due pinguini potrebbero aver ragione. 

Potrei essere stata qui, ma non in questo tempo. 

Oh Dio, che assurdità. 

E allora, al diavolo l'albergo, al diavolo i due pinguini, al diavolo la mia valigia che è rimasta nella 

307 insieme a quella di Luca. 

Al diavolo anche quell'abito azzurro che mi piaceva un sacco. 

Al diavolo tutti quanti. 

Me ne vado senza dire neanche una parola. 

Senza salutare. 

Al diavolo, che pensino pure che sono matta. 

Tanto l'avranno già sicuramente pensato. 

Al diavolo loro e questo stramaledetto albergo che mi ha regalato i tre più bei giorni della mia vita. 

Al diavolo. 

Me ne torno ad Arezzo. 

   

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c) Lara, Arezzo, ufficio 

 

Sono finalmente arrivata. 

Appena metto piede fuori dalla stazione chiamo un taxi. 

Per fortuna ce ne sono un paio liberi. 

Sto per dare all'autista l'indirizzo di casa, ma poi ci ripenso. 

E' meglio che faccia prima un salto in ufficio, nello studio del capo per darmi una rassettata. 

Non voglio che mia figlia mi veda in questo stato. 

Né tantomeno mia madre. 

Sono orribile e sono anche molto stanca. 

Nel cassetto della mia scrivania c'è tutto il necessario per darmi una sistemata e per rifarmi un po' 

il trucco. 

Non è un vezzo. 

Devo essere presentabile. 

Non voglio far stare in pena le persone che amo di più al mondo. 

Lucia è tutta la mia vita. 

Oggi più che mai. 

Arrivo allo studio e cerco le chiavi nella borsetta. 

Meno male che questa almeno non si è materializzata da qualche altra parte. 

E penso a quell'abito che mi piaceva tanto e che ora non ho più. 

Chissà dov'è ora. 

Apro il portone e mi dirigo verso l'ascensore. 

Sono solo due piani ma non me la sento di fare le scale a piedi. 

Strano, la porta dello studio è aperta e la luce all'interno è accesa. 

Ma chi c'è nello studio il sabato sera? 

Entro. 

La segretaria è alla sua scrivania, intenta a lavorare. 

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«Berta, che ci fa in ufficio il sabato sera?» 

«Oh, buongiorno, avvocato. Sabato? Ma oggi è mercoledì.» 

Mercoledì? 

Oggi è mercoledì? 

Eh no. 

No, no, non ora. 

Non sono nelle condizioni ideali per sopportare altri colpi di scena. 

Ora basta. 

Faccio buon viso a cattivo gioco e vado nel mio ufficio. 

«Mamma, finalmente sei arrivata. Ma dove sei stata?» 

E' mia figlia Lucia. 

Che ci fa qui? 

A quest'ora tarda poi. 

Oh Dio, volevo evitare che mi vedesse in questo stato. 

La frittata è fatta. 

«Scusa  se  sono un po'  in disordine  Lucia, ma è  stata una  giornataccia. Ma  tu,  cosa  ci  fai qui  a 

quest'ora?» 

«Ma tu non sei in disordine, mamma. Sei bellissima. E poi quest'abitino azzurro ti sta benissimo.» 

No, no, no. 

Ho davvero l'abito azzurro addosso, quello che credevo di aver perso insieme alla valigia. 

Non ce la faccio più. 

Che altro mi può capitare oggi? 

«Dai preparati, mamma. Papà sarà a casa tra mezz'ora e ti vuole "pronta e in ghingheri". Ha detto 

proprio così. Andiamo a cena fuori stasera.» 

«Papà? Ma cosa dici, Lucia? Lo sai che papà... che papà non c'è più.» 

Mi sta venendo da piangere. 

Mia figlia, la mia bambina, la mia piccola Lucia. 

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Sta... sta diventando come sua madre. 

Sta diventando... 

No, mi rifiuto di accettare una simile realtà. 

Tutto, posso accettare tutto, ma non questo. 

Dio mio, non la mia creatura, no, ti prego. 

Credo stia suonando il telefono, ma non me ne importa niente. 

Lucia afferra il telefono: «Sì, papà. Sì, è qui. Ora te la passo.» 

Mi passa la cornetta e io la prendo come un automa. 

La appoggio all'orecchio e non credo a quello che sento. 

«Amore, sei pronta allora? Ma dove sei stata? Sei sparita per due ore.» 

E' la voce di Alberto. 

E questo è troppo. 

Perdo i sensi e cado come una pera cotta. 

   

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d) Lara, Arezzo, casa 

 

Quando riprendo i sensi sono a casa, a letto. 

Alberto è vicino a me e mi sta auscultando. 

Mio marito. 

E' vivo. 

E' vivo ed è qui con me, si sta prendendo cura di me. 

Mi guarda negli occhi e noto che la sua non è un'espressione preoccupata. 

Si è accertato delle mie condizioni con una visita, scommetto, molto accurata e ha evidentemente 

accertato che sto bene. 

E infatti io sto bene. 

Almeno fisicamente. 

Ma non riesco a capire. 

Non capisco cosa succede, non capisco come mio marito, che ho perso sei anni fa, sia ancora vivo. 

Non capisco. 

«Che giorno è oggi?» 

L'ho chiesto ma ho paura di sentire la risposta. 

Ho paura che mi dicano che siamo nel 1980, o anche prima. 

Ma scarto subito l'idea perché Lucia allora aveva cinque anni e ora ne ha senz'altro di più. 

Siamo sicuramente nel 1986. 

«Mercoledì» risponde Alberto. 

Sintetico, come sempre. 

Mi è sempre piaciuto anche per questo. 

Ma io voglio sapere anche giorno, mese e anno. 

Voglio sapere dove sono finita, dove mi sono "materializzata". 

Mi stupisco di pensare parole o concetti simili. 

Ma, cavolo, mi sto trovando in situazioni un po' troppo inverosimili. 

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E un po' troppo spesso, aricavolo. 

«Mi prendi il giornale di oggi, Lucia?» 

«Che hai stasera, Lara? Mi sembri un po' strana. E come ti senti ora?» 

«Sto bene, caro. Sto bene. Un po' di stanchezza dovuta allo stress, penso.» 

«L'ho sempre detto che lavori troppo. Lo sai che ho sempre pensato che si potrebbe vivere benis‐

simo anche se lavorassi solo io. E non te l'ho mai chiesto, ma non potresti valutare la possibilità di 

lasciare il tuo impiego?» 

«Lo sai che il mio lavoro mi piace e che non lo faccio certo per aumentare le nostre entrate.» 

«Lo so, Lara. Ma almeno rallenta un po'. E adesso riposati.» 

Arriva Lucia e porta con sé un giornale. 

«E' di oggi?» 

«Sì, mamma» risponde lei mentre me lo porge. 

Mercoledì 7 maggio 1986. 

Il giorno in cui Luca è venuto nel mio ufficio. 

Luca. 

Ma esisti davvero? 

Oppure è stato tutto un sogno? 

Perché quello che mi è successo potrebbe essere spiegato solo così. 

Solo un sogno. 

Un bellissimo sogno. 

Ma che comunque non spiegherebbe il fatto che mio marito, che Alberto è vivo. 

E' vivo nel 1986. 

L'unica spiegazione, la meno stramba che trovo perché tutte le altre sono inconcepibili, è che sono 

stata catapultata, non so come, in un'altra realtà. 

Una realtà che non è né quella in cui ho amato profondamente Luca, anche se solo per tre giorni, 

né quella in cui ho chiacchierato amabilmente con lui e con sua moglie Letizia al bar, alla stazione 

Termini di Roma. 

E neanche quella in cui stavo mandando a quel paese il direttore e il portiere dell'albergo in cui ho 

lasciato la mia valigia con il mio abito preferito, quello azzurro. 

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Lo stesso vestito che mi sono trovata addosso in questa realtà. 

E non sono passati tre giorni, ma solo due ore. 

Scommetto che qui Luca non esiste, oppure è chissà dove. 

E scommetto anche che, se andassi a Roma nell'albergo dove sono stata felice con Luca, i due pin‐

guini mi direbbero che è la prima volta che mi vedono. 

O magari quei due non lavorerebbero lì, ma chissà dove. 

Questo è un mondo dove io sono felice con mio marito, che amo, che è il padre di mia figlia e che 

è sempre stato vicino a me, un mondo in cui quel terribile incidente non è mai avvenuto. 

Ha continuato  il suo  lavoro,  la sua missione,  in ospedale e chissà  in questi ultimi sei anni quante 

vite ha salvato. 

Luca è stato solo un bel sogno, un sogno molto vivo nei miei ricordi, in verità. 

Ma io sono la moglie di Alberto. 

E Alberto è vivo. 

E io lo amo. 

Solo questo conta. 

Nient'altro. 

Noto solo ora mia madre. 

Esce dalla cucina, evidentemente sta preparando qualcosa per cena. 

«Non avevi detto che mi avresti portata a cena fuori?» chiedo a mio marito che non mi ha lasciata 

un attimo. 

«Stasera te lo scordi. Te ne stai qui buona a letto. Sarà per un'altra volta. E domani, lo sai, sono di 

turno. Dopodomani forse.» 

Mi stringe la mano e io provo un'intensa sensazione di benessere. 

Sono qui con mio marito, che mi sta coccolando come faceva... come faceva sempre prima di... 

Ma cosa vado a pensare. 

Sono qui con lui. 

Luca non esiste più. 

Sono con Alberto. 

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Non sono mai stata così felice in vita mia. 

Chiudo gli occhi e mi rilasso. 

Ascolto con poca attenzione le parole che mi rivolge Lucia e che mi sembrano musica celestiale. 

Almeno finché non capisco in pieno quello che mi sta chiedendo. 

«Mamma, chi era quel bel signore che è venuto a trovarti oggi nel tuo ufficio?» 

  

 

  

 

 

 

 

 

FINE    

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I. Luca, Roma, sabato 10 maggio 2014, pomeriggio 

 

[N.d.A.: Sembra proprio che la storia sia finita. E invece no. Il più bello deve ancora venire.] 

 

«Ciao mamma. Ciao Lucia. Entrate. Delia, ti prego, vuoi preparare del tè?» 

«Ciao tesoro» dice mia madre baciandomi. 

«Ciao architetto» aggiunge mia sorella con la sua solita aria strafottente. 

«Non c'è bisogno che ti disturbi» dice mia madre rivolgendosi a Delia. 

«Luca, Lucia e io usciamo a fare un po' di shopping, ma ti prometto di non spendere troppo.» 

«Ma tesoro, vuoi uscire proprio oggi? Mia madre...» 

«Lasciale andare, Luca. Non vuoi stare un po' con me? Ci vediamo così poco» ribatte  la mamma 

prendendomi la mano. 

Non capisco cosa sta succedendo. 

La mamma che viene a trovarmi e si porta con sé Lucia che sarà stata in casa mia non più di due 

volte. 

Delia, che adora mia madre, invece di starsene qui  a chiacchierare con lei, se ne va a far spese con 

mia sorella. 

E che mia sorella abbia fatto una fugace apparizione non mi sorprende affatto. 

Anzi, sono rimasto sorpreso quando la mamma mi ha chiesto se poteva fare un salto da me insie‐

me a lei. 

Ma Delia avrebbe fatto carte false per ciacolare un po' con la mamma. 

Si vedono così poco. 

Mia madre lavora spesso anche il sabato pomeriggio, purtroppo. 

Sembra quasi che al Palazzaccio sia l'unica a lavorare. 

La mamma interrompe i miei pensieri. 

«Sono stata io a chiedere a Delia e a tua sorella di lasciarci un po' da soli. Ti devo parlare.» 

«Ah, ecco. Lucia è venuta solo per andare per negozi con Delia. Ma tu cosa devi dirmi di così im‐

portante? E perché hai praticamente mandato via Delia? Lo sai che non ho segreti con lei.» 

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«Lo so. Ma quello che ho da dirti lo devo dire a te solo. Sarai poi tu a dirlo a lei.» 

Ha assunto un'espressione seria. 

Ma non severa. 

Cosa mai avrà da dirmi di così segreto? 

Mia madre ha dei segreti con me? 

«Ora siediti e ascoltami bene. Ma non  interrompermi. Ti racconterò una storia. Fa conto che sia 

una favola, come quelle che ti raccontavo da bambino. Alla fine, ti dirò perché te l'ho raccontata.» 

Mi incuriosisce. 

Una favola? 

Come sarebbe a dire una favola? 

Non ho più quattro anni. 

«La storia comincia tanti anni fa. Tu non sei ancora nato. La protagonista è una principessa giova‐

ne, bellissima e molto triste. Ha perduto tutte le persone che ama ed è rimasta sola, con una figlia. 

Poi un giorno arriva nella sua vita uno sconosciuto, un bellissimo principe che viene dal futuro.» 

Un breve silenzio come se volesse prendere fiato e prosegue raccontandomi di viaggi nel tempo e 

di altre stranezze varie. 

Devo dire che è una storia molto originale e mi chiedo da dove la mamma l'avrà tirata fuori. 

Chissà chi mai gliel'avrà raccontata. 

O dove diavolo l'avrà mai letta. 

Non se l'è certo inventata. 

E' una strana storia fantascientifica dove mancano solo mostri intergalattici. 

Il principe che viene dal futuro, la principessa che ritorna in un altro passato, sostituzioni di perso‐

na, universi paralleli, roba del genere. 

Ma è anche una storia d'amore. 

E la principessa mi fa molta tenerezza. 

Ne ha passate davvero tante, poverina. 

Prima perde il marito in un terribile incidente, poi trova il grande amore della sua vita. 

Che in un'altra vita è stato il suo consorte. 

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Ma dopo tre soli giorni lo perde. 

Svanisce letteralmente e al suo posto si ritrova un altro. 

Che è lui ma non è lui. 

E' una storia stranissima. 

Sono molto curioso di sapere come va a finire. 

E sono anche curioso, molto curioso, di sapere perché la mamma me l'ha voluta raccontare. 

E soprattutto perché l'ha voluta raccontare solo a me. 

Perché si è portata dietro Lucia che ha praticamente sequestrato Delia? 

Perché Delia non poteva ascoltare questa storia? 

«Alla principessa nasce poi un bimbo» prosegue mia madre. 

«Lei all'inizio crede che sia il figlio di suo marito. Del suo marito ritrovato. Ma non è così. Assomi‐

glia troppo al principe sconosciuto. Il bambino è suo figlio. Il frutto di un amore durato pochissimo. 

Man mano che cresceva, il bambino assomigliava sempre più a lui.» 

Si interrompe. 

«E oggi, quando  lo guarda,  rivede  lui.  Il suo bellissimo principe che ha continuato ad amare per 

tutta la vita.» 

«Che storia bellissima. Ma dove l'hai presa? Non credo che...» 

Mi interrompe. 

«Quel figlio sei tu Luca. E porti il suo nome. Ti ho chiamato Luca come lui.» 

Mi sento come se il cuore avesse smesso di battere. 

Non riesco a muovere un muscolo né a dire una parola. 

«Mio marito non è tuo padre, Luca.» 

Un attimo di silenzio. 

E lei incalza. 

«Tuo padre è l'architetto Luca Lorenzi. E tu devi assolutamente disdire l'appuntamento che hai con 

lui dopodomani.» 

 

 

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II. Luca Lorenzi Jr. 

 

Tutto il mondo mi è crollato addosso. 

Avrei creduto a qualsiasi cosa mi avesse detto la mamma, anche alla più inverosimile. 

Ma questa... questa non è inverosimile. 

E' impossibile. 

E mi stupisco della mamma. 

Avrebbe potuto  trovare mille storie più plausibili per cercare di spiegarmi  i motivi del suo  tradi‐

mento. 

Ha tradito papà. 

Non posso crederci. 

E io non sono il figlio di colui che ho sempre creduto mio padre. 

Sono il figlio di... di uno dei migliori architetti di Roma. 

Quello che stimo di più e che penso sia il più in gamba di tutti. 

E io questa mattina ho un appuntamento con lui e spero che mi prenda a lavorare con lui. 

O meglio speravo, perché ora non so più quello che voglio. 

Ho un appuntamento con mio padre. 

E lui non sa che sono suo figlio. 

Ma perché? 

E mio padre, cioè il marito della mamma, non lo sa neanche lui. 

Lei non glielo ha mai detto. 

Ma perché? 

Tutto questo è assurdo. 

Mia madre è sempre stata come un angelo. 

Non riesco proprio a vederla tra le braccia di qualcuno che non sia papà. 

Non ha neanche mai accettato di ballare con qualcun altro che non fosse lui. 

Figuriamoci... figuriamoci... 

Page 136: Due Amoripecosbill.altervista.org/Romanzi/DueAmori.pdfA questo punto non so più nemmeno io quello che è vero e quello che non lo è. Ma quando torneremo in Italia, ti cercherò,

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Non riesco neanche a pensarlo. 

E poi, una persona mai vista prima e con la quale è stata solo tre giorni. 

Se è vero almeno quello in tutte le panzane che mi ha raccontato. 

Che storia pazzesca. 

Non riesco a credere che la mamma possa essersi inventata una storia simile. 

E' uno dei migliori magistrati della capitale. 

Intelligente e razionale, insomma con i piedi per terra. 

E' talmente assurdo  il fatto che mi abbia raccontato quella favola, che mi viene quasi da pensare 

che sia vera. 

Ma no, non è possibile. 

Eppure non è da lei comportarsi così. 

Non è da lei né il tradimento né raccontare panzane e, nell'ipotesi remota che possa raccontarne 

qualcuna, saprebbe certamente trovare una storia migliore. 

Una storia che potesse in qualche modo giustificarla e che fosse credibile. 

Chissà quante ne ha sentite in tribunale di menzogne plausibili e scagionatrici. 

E' una vera esperta in materia. 

Ma allora perché inventarsi una... una storia del tipo "ai confini della realtà"? 

L'unica spiegazione,  la più  logica, sarebbe che non ha mentito e che quello che ha  raccontato è 

tutto vero. 

Ma le avrei creduto di più se mi avesse detto di aver visto un marziano. 

A dire il vero, non le avrei creduto lo stesso, però non sarebbe stata una fandonia così grossa. 

Sono arrivato. 

In questo palazzo c'è lo studio dell'architetto Lorenzi. 

Giro dieci minuti buoni in cerca di un parcheggio e alla fine lo trovo. 

Prendo la mia "faretra" che contiene il mio prezioso progetto, quello che avevo intenzione di mo‐

strare a Lorenzi, e mi avvio verso il portone. 

Lo studio dell'architetto è stratosferico. 

Ci sono due segretarie che sembrano entrambe indaffaratissime. 

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Non so a quale delle due rivolgermi. 

Veramente non so proprio cosa fare. 

Per  fortuna una delle due, appena mi vede, si  rivolge a me: "«Lei è  l'architetto Roncati? Venga, 

l'accompagno dall'architetto Lorenzi. La sta aspettando.» 

Sto per conoscere mio padre. 

Ommamma. 

Mi tremano le gambe. 

Fino a tre giorni fa il motivo sarebbe stato un altro. 

L'emozione, l'insicurezza, la soggezione. 

Anche se in realtà sono molto sicuro di me, trovarmi di fronte al mio idolo mi avrebbe sicuramente 

fatto perdere un pochino della mia spavalderia. 

Ma ora il motivo è ben altro. 

Ho il terrore di trovarmi di fronte a un perfetto sconosciuto che ho scoperto da poco si tratti in re‐

altà di mio padre. 

Non so neanche se avrò il coraggio di dirglielo. 

E' la prima volta, da quando avevo i calzoni corti, che non so cosa voglio. 

Penso alla mamma e a quello che mi ha fatto. 

Penso a papà che non sa niente. 

E penso anche a questo mio padre naturale che, anche lui, non sa niente. 

E' una situazione che non augurerei neanche al mio peggior nemico, se ne avessi qualcuno. 

Ed è capitata proprio a me. 

La segretaria bussa a una delle porte nell'atrio, la più imponente. 

«Avanti.» 

La voce che sento è calda e profonda. 

Se si fosse dato alla lirica, sarebbe un ottimo basso. 

La segretaria apre la porta, mi fa entrare e mi annuncia: «E' l'architetto Roncati...» 

«Sì, sì, lo faccia accomodare. Sono subito da lui.» 

Sta guardando dei documenti e, anche se è di profilo, noto una somiglianza incredibile. 

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Sono io con una ventina d'anni di più. 

Avevo già visto qualche sua immagine nelle riviste di architettura e su qualche quotidiano. 

Ma vederlo di persona è tutta un'altra cosa. 

Appoggia i documenti che stava leggendo sulla sua scrivania e alza lo sguardo su di me. 

Non posso non notare la sua espressione di stupore. 

E noto anche che è impallidito. 

Devo essere proprio identico a lui quando aveva la mia età. 

«Ciao papà.» 

Credo di averlo steso perché è impallidito ancora di più. 

   

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III. Ma chi sono io? 

 

La porta si è aperta dietro di me. 

O almeno così mi è sembrato perché quando mi volto istintivamente la vedo chiusa e non c'è nes‐

suno nella stanza tranne mio padre e me. 

«Allora Luca, mi hai portato il tuo progetto, vedo. A meno che la tua "faretra" non sia vuota e tu 

l'abbia portata solo perché ci sei affezionato.» 

Ma... ma... che diavolo... 

Sembra un altro. 

Non è per nulla pallido e ha un'espressione normalissima nel viso. 

Si comporta come se vedermi qui, nel suo studio, sia la cosa più normale del mondo. 

Vedere me, cioè suo figlio, un figlio che non sapeva di avere. 

Cribbio. 

I suoi occhi dovrebbero essere per terra dallo stupore. 

E poi come fa a sapere della "faretra"? 

«Come fa a sapere che chiamo "faretra" il mio portadocumenti cilindrico? Lo sanno solo i miei ge‐

nitori e mia sorella Lucia.» 

«No no. Lo sanno tutti. Gli architetti miei collaboratori, i geometri, le segretarie. Lo sa anche qual‐

cuno dei clienti. E tu sai anche che ti chiamiamo "l'indiano" per questo. E cos'è questa novità di 

darmi del lei?» 

Non ho parole. 

«Piuttosto, perché parli di me in terza persona? Sono o non sono tuo padre?» 

«Certo che lo è. Ma io credevo che... che lei non lo sapesse.» 

«Ma che ti prende, Luca? Dove pensavi che fossi quando sei nato? Chi credi che ti abbia ninnato 

quando la notte frignavi come una rock star? Credi che avrei lasciato tua madre da sola alle prese 

con la piccola peste che eri?» 

Ma che mi sta succedendo? 

Dove sono finito? 

Questa è una gabbia di matti. 

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«Su, piantala e fammi vedere questo benedetto progetto.» 

Sento la porta che si apre dietro di me. 

«Ciao, indiano.» 

E' mia sorella Lucia. 

«E tu cosa diavolo ci fai qui?» 

«Luca, che hai, la febbre? Io ci lavoro qui. E da molto più tempo di te.» 

Ora ci si mette anche lei? 

«Ma tu lavori in una casa di moda e stai per aprire un atelier tutto tuo. Stavi pensando anche alla 

possibilità di andare a vivere a Milano.» 

«Papà, cosa gli hai dato? Lo sai che l'alcool la mattina presto gli fa male. E' quasi astemio e tu lo fai 

bere così, a quest'ora, poi.» 

Mi viene voglia di strozzarla. 

«Come l'hai chiamato? Papà? Lui non è tuo padre. Lui è mio padre.» 

Sottolineo "mio" quasi gridando. 

«Cosa vuoi, l'esclusiva? Lui è tuo padre, io sono tua sorella, ergo io sono sua figlia. Si chiama sillo‐

gismo. Mai sentito parlare? E poi quando tu sei nato, lui era mio padre da quasi dodici anni.» 

«Un corno. Tu sei Lucia Roncati. Io sono Luca Roncati. Ma Roncati non è il cognome del mio padre 

naturale. Mio padre è Lorenzi. E' lui. Ma che vi prende a tutti quanti?» 

«Senti, Luca. Ora basta. Se è uno scherzo è di pessimo gusto e quindi smettila. Se invece fai sul se‐

rio, dillo subito perché hai urgente bisogno di uno strizzacervelli. E ora fammi vedere il tuo proget‐

to.» 

La voce dell'architetto Lorenzi è dura e perentoria. 

Ha quasi urlato. 

Non ho più né la voglia né la forza di continuare. 

Il mio padre naturale, che non dovrebbe conoscermi, dice che mi ha cullato quando ero piccolo e 

mia sorella, che ha intrapreso la carriera di stilista di moda, dice invece di lavorare qui. 

Dice di essere figlia di Lorenzi e quindi sarebbe mia sorella e non la mia sorellastra. 

Quindi anche lei è figlia illegittima? 

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Perché è la fotocopia di mia madre Lara e non può essere figlia della moglie di Lorenzi che, come si 

chiama? ah sì, Letizia. 

Ma cosa mi viene in mente? 

Sto davvero diventando pazzo. 

Gli porgo meccanicamente la mia "faretra". 

Lui la prende, la apre, e sfila il rotolo dei documenti. 

Gli getta un'occhiata ed esclama: «Ah, bene. Mi piace. Specialmente questa scala interna concepi‐

ta come se fosse...» 

«Scala interna? Quale scala interna?» 

Gli strappo quasi i miei disegni dalle mani. 

«Ma questi non sono i miei. Questo non è il mio progetto. Questo...» 

Poi noto la mia sigla in basso a destra su ogni foglio. 

E' la mia. E' inconfondibile. E anche lo stile dei disegni è identico al mio. 

Se non fossi assolutamente sicuro del contrario, direi che è tutta roba mia. 

Ma che succede? 

«Luca, che vuoi dire? Che il progetto non è tuo? Che te l'ha passato qualcun altro? Lo stile è il tuo, 

ma se l'idea è di qualcun altro...» 

E' talmente furioso che non termina neanche la frase. 

Ommamma. 

All'improvviso vedo sulla scrivania dell'architetto, chiunque egli sia, una cornice con il ritratto della 

mamma. 

«Cosa ci fa la foto di mia madre sulla sua scrivania?» 

«Luca, ti ho già detto di smetterla. Il ritratto della mamma è lì da vent'anni e tu l'hai visto mille vol‐

te.» 

Si fa ancora più nero. 

«La mamma? Che vuol dire? Sta parlando come se mia madre fosse sua moglie.» 

«E cosa dovrebbe essere, la mia amante?» 

Sento che sta proprio perdendo la pazienza. 

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Allora siamo in due. 

Io l'ho già persa da un pezzo. 

«Sua moglie si chiama Letizia. Quella è mia madre, si chiama Lara, Lara Roncati, Lentini da nubile. E 

lavora al Palazzaccio. E' un magistrato, lo sapeva?» 

«Ma va'?» risponde mia sorella con sarcasmo. 

Stavo per dirle "non parlavo con te", quando mio padre mi precede. 

«Letizia era la mia fidanzatina al liceo. Lo sa tutta la famiglia. Tra me e lei non c'è mai stato nulla di 

serio. Tua madre si chiama Roncati da sposata? Perché non le telefoni al Palazzaccio e non chiedi a 

lei come si chiama?» 

Mi infilo una mano in tasca per prendere il cellulare, ma non lo trovo. 

Possibile che l'abbia dimenticato a casa? 

Oppure che l'abbia perso? 

Non me ne frega niente. 

Prendo il telefono dalla scrivania e chiamo il centralino del Palazzo di Giustizia. 

«Buon giorno. Sono il figlio di Lara Lentini. Può passarmi mia madre, per cortesia? Il suo interno è il 

3277.» 

«Lei è Luca, l'architetto?» 

«Si» rispondo. 

«Ora gliela passo. Ma l'interno di sua madre non è quello, è il 3795.» 

«Come sarebbe a dire...» 

Ma sento che non è più in linea e sta trasferendo la chiamata. 

«Luca, cosa c'è, tesoro? Stai bene?» 

La voce dolce di mia madre ha sempre avuto un effetto rassicurante su di me. 

Potrebbe anche cascarmi il mondo addosso che non mi importerebbe. 

Ma da un paio di giorni ce l'ho con lei. 

E mi sembra naturale. 

«Sono nello studio di... di papà e...» 

«Come tutti i giorni, lo so. Mi vuoi dire cosa è successo e perché mi hai chiamato, tesoro?» 

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Ommamma, che poi è lei. 

«Come sarebbe a dire "come tutti i giorni"? E' la prima volta che metto piede qui.» 

«Senti, Luca.  Io ho molto da fare e non ho tempo da perdere con  i tuoi scherzi. Passami papà, ti 

prego.» 

«Come sarebbe a dire "papà"? Vuoi dire...» 

«Voglio dire papà. L'architetto Luca Lorenzi. Il padre di tua sorella. Mio marito. Hai capito ora?» 

Mi sento male e sento che mi mancano i sensi. 

L'ultima cosa che sento è la voce della mamma che ripete più volte il mio nome. 

   

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IV. La famiglia Lorenzi 

 

Cribbio, sono svenuto. 

Quando rinvengo sono tutti attorno a me. 

La mamma, Lucia, mio padre. 

C'è anche Delia, la mia fidanzata che prima o poi devo decidermi a sposare. 

Sono già tre anni che viviamo insieme. 

Sono su un divano nello studio di papà. 

E ricordo. 

Ricordo tutto. 

Anche troppo. 

E capisco. 

Capisco tutto. 

Mi è successo quello che è successo alla mamma. 

Sono passato da un mondo all'altro. 

La mamma non mentiva. 

Non mentiva e non era pazza. 

E la sua storia, per quanto assurda e impossibile, era la verità. 

Ora lo so. 

Lo so perché ci sono passato anch'io. 

Anch'io ho viaggiato attraverso dimensioni diverse. 

Ma per me è differente. 

Io ricordo tutto. 

Ricordo la mamma che sabato mi ha fatto quell'incredibile rivelazione. 

Ricordo mia sorella, mio padre Alberto, Letizia, la moglie dell'architetto Lorenzi. 

Ricordo Delia, "sequestrata" da Lucia per permettere alla mamma di parlarmi con comodo. 

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Ricordo tutta la mia vita, a partire da Arezzo, dove sono nato, e successivamente il trasferimento 

di tutta la famiglia a Roma dove mio padre era primario in ospedale, nel reparto "Chirurgia Uno", 

mia madre magistrato al Palazzaccio e mia sorella collaboratrice in una casa di moda, in attesa di 

aprire un atelier tutto suo, cosa che era in procinto di fare. 

Ma ricordo anche un'altra mia vita. 

Ricordo di essere nato a Roma, ricordo mio padre, l'architetto più in gamba del mondo, mia madre 

e Lucia, architetto pure lei nello studio di papà. 

E Letizia che era solo la fidanzatina di papà che, era vero, non ha mai avuto una relazione "piena" 

con lei perché si è innamorato della mamma, che non ha mai tradito. 

E la mamma che non ha mai tradito papà. 

E che io non sono un figlio illegittimo e che sono tre anni che lavoro con papà. 

Mamma, perdonami. 

Perdonami di aver dubitato di te. 

Non avrei dovuto. 

Non avrei dovuto neanche se tu mi avessi detto di aver visto un elefante volare. 

Il bene che ti voglio avrebbe dovuto fugare ogni dubbio, anche il più legittimo. 

Non ti voglio bene abbastanza, mamma. 

Almeno non quanto meriti. 

Perdonami. 

Ma sai che ti voglio bene, mamma, e ora te ne voglio sicuramente di più. 

Ora che so cosa hai dovuto sopportare nelle due vite che hai vissuto. 

Ma ora, in questa terza tua vita, hai tutto quello che meriti. 

E io non vorrei ricordare la mia vita precedente, quella in cui ho dubitato di te, mamma. 

Vorrei ricordare solo questa. 

Ricordo il progetto di cui andavo tanto orgoglioso, quello che mi aveva commissionato papà e che 

io gli ho fatto un po' sospirare, per la verità. 

Quello che era pronto da giovedì sera e che, scommetto, papà lo sapeva. 

Ma faceva finta di essere impaziente perché lui è così. 

Ricordo due vite e so che sono vere tutte e due. 

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So che né l'una né l'altra non sono state un sogno. 

Ho attraversato due dimensioni, come papà e come la mamma. 

Solo che io ricordo tutto. 

Loro no. 

Solo la mamma ricordava il suo amore con l'architetto sconosciuto, ma non ricordava nulla di papà 

e dei sei anni passati con lui, quelli dopo l'incidente, che non c'era mai stato, in cui lui perse la vita. 

Io ricordo tutto. 

Io ho vissuto due volte i miei 27 anni. 

Ricordo anche il momento preciso del "passaggio". 

Sono arrivato nello studio di papà e ho salutato le due segretarie. 

Ho aperto la porta dell'ufficio e sono entrato richiudendo la porta alle mie spalle. 

L'altro me era già lì e papà, vedendo che era la copia di sé stesso e sentendosi chiamare "papà" da 

uno sconosciuto uguale a lui, era impallidito come uno straccio bianco. 

Ma in realtà non l'ho visto io, l'ha visto l'altro me. 

Che poi sono sempre io. 

Ma ora mi trovo nella realtà  in cui mio padre si chiama come me e mia madre,  il magistrato più 

bello di Roma, è sua moglie. 

O dovrei dire più bella. 

«Luca, tesoro, come ti senti?» 

E' la mamma. 

«Come vuoi che si senta, è brillo da far paura.» 

Mia sorella è sempre la stessa. 

Ma mi vuole un bene dell'anima e guai a chi le tocca il fratellino. 

«Amore, che ti è successo?» 

Delia mi adora nel vero senso della parola. 

Mio padre mi guarda taciturno, ma il suo viso denota tutta la sua preoccupazione. 

«Come volete che mi senta, ho avuto solo un mancamento. La colpa è di papà che mi fa lavorare 

troppo. Sono giorni che mi assilla con quel suo progetto.» 

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142  

Sto scherzando naturalmente e papà se n'è accorto. 

E forse anche la mamma. 

Delia poi sa che ho finito da un pezzo il progetto. 

Forse l'unica che ci casca davvero è Lucia. 

«Canaglia che non sei altro. So benissimo che l'hai già pronto da almeno tre giorni.» 

Papà sta per aggiungere qualcos'altro. 

«Beh, io ci ho provato.» 

«Ma cosa ti è successo, tesoro? Papà mi ha raccontato che gli hai detto un sacco di cose strane, 

che gli hai detto di chiamarti Ronaldo...» 

«Ronaldo? Magari, mamma. Sarei ricco sfondato.» 

Rido. 

La mamma non capisce niente di calcio. 

«Roncati, mamma. Ha detto Roncati.» 

E' quell'impicciona di mia sorella. 

«Roncati? E chi è? Sei sicura che non ho detto Messi?» 

La prendo un po' in giro. 

Lo faccio sempre. 

«Ridi, ridi. Ci hai fatto prendere un bello spavento.» 

Poi c'è Delia che chiude in bellezza. 

«Roncati? Io conosco un Roncati. Il professor Alberto Roncati. E' il primario del reparto "Chirurgia 

Uno" nell'ospedale dove lavoro io!» 

 

 

FINE  

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Personaggi

Luca Lorenzi architetto

Letizia Larini stilista di moda, moglie di Luca

stilista di moda, nubile

Lara Lentini magistrato, moglie di Luca

avvocato, moglie di Alberto

Alberto Roncati medico, marito di Lara

primario del reparto "Chirurgia Uno"

Licia Lorenzi figlia di Letizia e Luca

Lucia Roncati figlia di Lara e Alberto

Lucia Lorenzi architetto, figlia di Lara e Luca

Matteo Lorenzi figlio di Lara e Luca

Andrea Lorenzi figlio di Lara e Luca

Luca Roncati architetto, figlio di Lara e Alberto

Luca Lorenzi Jr. architetto, figlio di Lara e Luca

Delia fidanzata di Luca Roncati/Lorenzi

Madame proprietaria del negozietto nel Marais

Mademoiselle proprietaria del negozietto nel Marais

Paolo Guerrini architetto, socio di Luca

Signora Tina segretaria di Luca e Paolo

Signora Lorenzi madre di Luca

Signor Lorenzi padre di Luca

Giulio vigile urbano

Don Marino sacerdote

Signor Martini portiere della palazzina romana

Primo pinguino portiere d'albergo

Secondo pinguino direttore d'albergo

Berta segretaria di Lara

Altri personaggi minori:

madre di Letizia, avvocati, geometri, segretarie, ristoratori, ecc.

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Sintesi cronologia avvenimenti

7 settembre 1951 nasce a Cremona Luca Lorenzi

autunno 1951 nasce a Cremona Letizia Larini

16 ottobre 1951 nasce ad Arezzo Lara Lentini

12 dicembre 1963 la dodicenne Lara torna da scuola

settembre 1968 Luca e Letizia sono fidanzati

settembre 1968 la famiglia di Lara si trasferisce a Cremona (*)

ottobre Luca e Letizia conoscono Lara al liceo

luglio 1970 Luca, Letizia e Lara conseguono la maturità classica

autunno 1970 Luca si iscrive alla facoltà di architettura

Letizia si iscrive a economia e commercio

Lara si iscrive a legge

Luca, Letizia e Lara trovano un'occupazione part-time

nello studio di un architetto, in un atelier e in uno studio legale

14 settembre 1974 Luca e Lara si sposano

Luca e Letizia si sposano

negli anni seguenti Luca, Letizia e Lara si laureano

novembre 1975 nasce Licia

autunno 1975 nasce Lucia

negli anni seguenti nascono Matteo e Andrea

Luca rileva lo studio insieme con il suo socio Paolo Guerrini

3 maggio 1986 Luca, Letizia e Licia sono nel Marais

10 maggio 1986 Luca incontra Lara

Lara ritrova Alberto

settembre 1986 Luca si trasferisce a Roma

1987 Letizia apre un suo atelier a Cremona

successivamente Letizia apre un atelier a Milano

3 maggio 2014 Luca e Lara sono nel Marais

10 maggio 2014 rivelazioni di Lara Roncati

12 maggio 2015 Luca Jr.

(*) caratteri in corsivo: eventi relativi alla prima realtà

caratteri normali: eventi in comune e relativi alla realtà alternativa

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Indice

1. Parigi, sabato 3 maggio, ore 17:12 3 2. Parigi, sabato 3 maggio, ore 17:12 11 3. Parigi, ultima sera 17 4. Parigi, ultima sera 21 5. Ancora Parigi, ultima sera 25 6. Ancora Parigi, ultima sera 31 7. Il ritorno a Cremona 35 8. Il ritorno a Roma 39 9. Cremona, lunedì 5 maggio 43

10. Roma, lunedì 5 maggio 47 11. Cremona, lunedì pomeriggio 51 12. Roma, lunedì pomeriggio 55 13. Cremona, lunedì sera 59 14. Roma, lunedì sera 65 15. Cremona, martedì 69 16. Roma, martedì 75 17. Arezzo, mercoledì pomeriggio 79 18. Roma, mercoledì sera 87 19. Vacanze romane 93 20. Due amori 99 21. Roma, stazione Termini, sabato 10 maggio 103 22. Roma, stazione Termini, sabato 10 maggio 105 23. Lieto fine 107

a) Lara, Roma, stazione Termini 111 b) Lara, Roma, albergo 115 c) Lara, Arezzo, ufficio 117 d) Lara, Arezzo, casa 121

I. Luca, Roma, sabato 10 maggio 2014, pomeriggio 125

II. Luca Lorenzi Jr. 129 III. Ma chi sono io? 133 IV. La famiglia Lorenzi 139

Personaggi 145 Sintesi cronologia avvenimenti 147

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