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il Ducato Periodico dell’Istituto per la formazione al giornalismo di Urbino Quindicinale - 13 marzo 2009 - Anno 18 - Numero 5 il Ducato online: www.uniurb.it/giornalismo Distribuzione gratuita Poste Italiane Spa-Spedizione in a.p. - 70% - DCB Pesaro Incontro con Beja, rifugiato po- litico iraniano che vive a Fermi- gnano da oltre vent’anni. Non- ostante la laurea in Scienze poli- tiche presa a Urbino, è costretto a fare il cameriere perchè non ha mai ottenuto la cittadinanza. Anche i suoi connazionali vivo- no la stessa condizione. Sono circa trenta le famiglie persiane a Fermignano. a pagina 5 “Resto da 30 anni un non-cittadino” Personaggi Sono tante le aziende agricole del territorio comunale che non utilizzano concimi o mangimi chimici e vendono direttamente in azienda. La "catena corta" aiuta i consumatori e salva i contadini dalla grande distribu- zione. E con la crisi i clienti au- mentano: i prodotti sono di maggiore qualità e costano me- no. a pagina 6 Seicentomila volumi che diver- ranno oltre 1 milione fra qual- che anno. Nonostante queste ci- fre, una grave carenza di perso- nale: le assunzioni all’università sono bloccate dal 2003. I direttori delle singole bibliote- che però si sforzano di farsi ba- stare gli scarsi fondi: cifre molto più basse di quelle di strutture analoghe in altre università ita- liane. a pagina 13 Molti libri pochi impiegati Biblioteche I nuovi padroni della città Due terzi dei palazzi sono attualmente nelle mani di privati e investitori Il Comune, l’Ateneo, la Curia non più soli nella gestione del centro storico L’EDITORIALE O gni volta che tirate su una copia del “Ducato” a Urbino, a Fermignano o dove riusciamo ad arrivare nel Montefeltro, succede una cosa abbastanza bella. Trenta giovani allievi giornalisti entrano nelle vostre vite portandovi delle infor- mazioni, ponendovi talvolta dei problemi, unendovi, gli uni agli altri. E’ un fatto un po’ speciale, ce lo possiamo anche dire. Questo giornale e questi giornalisti sono acerbi, freschi e liberi, per come sanno essere i ragazzi insieme con i loro maestri. Alle soglie del grande mondo dei media, tracimante inte- ressi economici, politici e pubblici- tari, qui intanto portano per intero il giornalismo come deve essere. Senza condizionamenti, senza ragioni diverse che non siano quel- le della comunità, della città. Domani, poi si vedrà, dove il gior- nalismo stenta a farsi spazio, quan- to sogno resterà. Ora, l’urbinate che, dentro e fuori le mura, sta con il suo giornale, la sera accende la tv. E che gli succede? Senza che se ne accorga, viene por- tato lontano. Le informazioni sono incanalate quasi prima che avven- gano, destra-sinistra-centro, gover- no-opposizione, notizie-diverti- mento. Le inchieste in contenitori per risate e veline. Se “Parla con me” dà la parola ad Alexander Stille (che apre uno spiraglio sul giornali- smo internazionale dei fatti), fini- sce però con Vergassola che butta tutto in ridere. Perfino i fatti più gravi non si sot- traggono all’informazione schiera- ta. 350 bambini uccisi a Gaza dovrebbero parlare al 100 per cento dei cittadini. Invece no. Perché Santoro è la tv di sinistra, consola chi è già con il cuore da una parte e non parla a tutti. Non si forma opi- nione pubblica. Mai. Giorni fa Ferruccio de Bortoli ha rinunciato alla presidenza Rai per la quale pure aveva dato una dispo- nibilità. L’ha fatto esattamente per questa stessa ragione che muove oggi noi. La mancanza di indipen- denza, di conseguenza la mancan- za del giornalismo. E’ possibile che nessuno muova un passo verso una tv servizio pubblico che appar- tenga alla comunità, ma non sia spartita dai partiti tra governo e opposizione? E in edicola le cose non sono molto diverse. De Bortoli ha cercato di conciliare i diritti dell’imprenditore, dell’edito- re con i doveri del giornalismo. Al momento in Italia non è possibile. Nel 2003, nella sala dell’Angelicum, a Milano, i rappresentanti del “patto di sindacato” che governava il “Corriere della Sera”, una bella crema dei potentati economici ita- liani (dalla Fiat a Mediobanca, da Tronchetti Provera a Banca Intesa), abbassarono in silenzio la testa, a uno a uno, davanti a de Bortoli che chiedeva se doveva dimettersi. Contro il giornale, c’erano state pressioni da ambienti governativi e ogni centro di potere economico aveva buone ragioni per non opporsi a una volontà governativa più o meno espressa che ci fosse il cambio di direttore al “Corriere della sera”. Non solo Berlusconi dunque. In America Time Magazine scrisse allora che in Italia era morto il cana- rino della libertà di stampa, un segnale come l’uccellino in gabbia che i minatori si portano sottoterra per capire quando la loro vita è in pericolo. E’ esattamente per questi motivi che la Scuola di giornalismo avvia il “Progetto Einaudi-Albertini per l’indipendenza dei media” con due giornate di lavori all’Università il 16 e il 17 marzo. Per non far mori- re quel canarino. Prima che il canarino muoia in gabbia La Curia e il Comune, i proprie- tari storici di Urbino, oggi pos- siedono, insieme all’Università, un terzo dei palazzi della città. Dal dopoguerra la popolazione del centro è cambiata comple- tamente: ormai sono solo mille gli urbinati che risiedono den- tro le mura. Sono gli imprendi- tori immobiliari oggi ad acqui- stare gli edifici dai privati. I costi per restauri e manuten- zione sono proibitivi: gli enti faticano a curare i loro edifici e sperano in nuovi fondi statali. I piccoli proprietari si trasferi- scono in periferia e affittano le vecchie case agli studenti. Acquirenti scoraggiati dai vin- coli comunali e della sovrinten- denza. Le grandi famiglie che dal Rinascimento hanno fatto la storia di Urbino, hanno quasi tutte venduto le proprie dimore all’Università ai tempi del ret- torato di Carlo Bo. Lo storico Ermanno Torrico spiega il pro- cesso iniziato negli anni ‘60. Quale assetto in futuro? Dopo l’invito espresso dal Ducato, filosofi, sociologi e urbanisti parlano dei futuri equilibri della città. Occorre rianimare i luoghi e creare un rapporto migliore fra studenti e abitanti. L’opinione di Paolo Ercolani, Enrico Mascilli Migliorini e Monica Mazzolani. alle pagine 2, 3, 8 e 9 C i siamo quasi. Il 30 marzo dovrebbe finalmente inaugurarsi la bretella. La data è ancora prov- visoria: alcune autorità devono confermare la loro presenza. I lavori alla galleria e alla roton- da delle Conce sono però oramai completati, annuncia Ernesto Tedeschi, direttore dei lavori. Mancano solo piccoli interventi di rifinitura richiesti dall’Anas. 30 marzo, il gran giorno della Bretella La prestigiosa azienda di fucili, pistole e carabine sta subendo un grave calo della produzione. Per ora la Benelli non ha richie- sto alcun tipo di cassa integra- zione e si impegna a tutelare il lavoro. “Quando la necessità aguzza l’ingegno si trovano delle soluzioni incredibili”, dice il di- rettore commerciale dell’azien- da. a pagina 7 Anche le armi Benelli sono in crisi Economia Ormai sono più di 80 le biofattorie Agricoltura

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il DucatoP e r i o d i c o d e l l ’ I s t i t u t o p e r l a f o r m a z i o n e a l g i o r n a l i s m o d i U r b i n o

Quindicinale - 13 marzo 2009 - Anno 18 - Numero 5 il Ducato online: www.uniurb.it/giornalismo

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Incontro con Beja, rifugiato po-litico iraniano che vive a Fermi-gnano da oltre vent’anni. Non-ostante la laurea in Scienze poli-tiche presa a Urbino, è costrettoa fare il cameriere perchè non hamai ottenuto la cittadinanza.Anche i suoi connazionali vivo-no la stessa condizione. Sonocirca trenta le famiglie persianea Fermignano.

a pagina 5

“Resto da 30 anniun non-cittadino”

Personaggi

Sono tante le aziende agricoledel territorio comunale che nonutilizzano concimi o mangimichimici e vendono direttamentein azienda. La "catena corta"aiuta i consumatori e salva icontadini dalla grande distribu-zione. E con la crisi i clienti au-mentano: i prodotti sono dimaggiore qualità e costano me-no.

a pagina 6

Seicentomila volumi che diver-ranno oltre 1 milione fra qual-che anno. Nonostante queste ci-fre, una grave carenza di perso-nale: le assunzioni all’universitàsono bloccate dal 2003.I direttori delle singole bibliote-che però si sforzano di farsi ba-stare gli scarsi fondi: cifre moltopiù basse di quelle di struttureanaloghe in altre università ita-liane.

a pagina 13

Molti libripochi impiegati

Biblioteche

I nuovi padroni della cittàDue terzi dei palazzi sono attualmente nelle mani di privati e investitori

Il Comune, l’Ateneo, la Curia non più soli nella gestione del centro storico

L’EDITORIALE

Ogni volta che tirate su unacopia del “Ducato” aUrbino, a Fermignano o

dove riusciamo ad arrivare nelMontefeltro, succede una cosaabbastanza bella. Trenta giovaniallievi giornalisti entrano nellevostre vite portandovi delle infor-mazioni, ponendovi talvolta deiproblemi, unendovi, gli uni aglialtri. E’ un fatto un po’ speciale, celo possiamo anche dire. Questogiornale e questi giornalisti sonoacerbi, freschi e liberi, per comesanno essere i ragazzi insieme con iloro maestri. Alle soglie del grandemondo dei media, tracimante inte-ressi economici, politici e pubblici-tari, qui intanto portano per interoil giornalismo come deve essere.Senza condizionamenti, senzaragioni diverse che non siano quel-le della comunità, della città.Domani, poi si vedrà, dove il gior-nalismo stenta a farsi spazio, quan-to sogno resterà.Ora, l’urbinate che, dentro e fuori lemura, sta con il suo giornale, la sera

accende la tv. E che gli succede?Senza che se ne accorga, viene por-tato lontano. Le informazioni sonoincanalate quasi prima che avven-gano, destra-sinistra-centro, gover-no-opposizione, notizie-diverti-mento. Le inchieste in contenitoriper risate e veline. Se “Parla conme” dà la parola ad Alexander Stille(che apre uno spiraglio sul giornali-smo internazionale dei fatti), fini-sce però con Vergassola che buttatutto in ridere. Perfino i fatti più gravi non si sot-traggono all’informazione schiera-ta. 350 bambini uccisi a Gazadovrebbero parlare al 100 per centodei cittadini. Invece no. PerchéSantoro è la tv di sinistra, consolachi è già con il cuore da una parte enon parla a tutti. Non si forma opi-nione pubblica. Mai.

Giorni fa Ferruccio de Bortoli harinunciato alla presidenza Rai perla quale pure aveva dato una dispo-nibilità. L’ha fatto esattamente perquesta stessa ragione che muoveoggi noi. La mancanza di indipen-denza, di conseguenza la mancan-za del giornalismo. E’ possibile chenessuno muova un passo versouna tv servizio pubblico che appar-tenga alla comunità, ma non siaspartita dai partiti tra governo eopposizione? E in edicola le cosenon sono molto diverse.De Bortoli ha cercato di conciliare idiritti dell’imprenditore, dell’edito-re con i doveri del giornalismo. Almomento in Italia non è possibile.Nel 2003, nella sala dell’Angelicum,a Milano, i rappresentanti del“patto di sindacato” che governavail “Corriere della Sera”, una bella

crema dei potentati economici ita-liani (dalla Fiat a Mediobanca, daTronchetti Provera a Banca Intesa),abbassarono in silenzio la testa, auno a uno, davanti a de Bortoli chechiedeva se doveva dimettersi.Contro il giornale, c’erano statepressioni da ambienti governativi eogni centro di potere economicoaveva buone ragioni per nonopporsi a una volontà governativapiù o meno espressa che ci fosse ilcambio di direttore al “Corrieredella sera”. Non solo Berlusconidunque.In America Time Magazine scrisseallora che in Italia era morto il cana-rino della libertà di stampa, unsegnale come l’uccellino in gabbiache i minatori si portano sottoterraper capire quando la loro vita è inpericolo. E’ esattamente per questimotivi che la Scuola di giornalismoavvia il “Progetto Einaudi-Albertiniper l’indipendenza dei media” condue giornate di lavori all’Universitàil 16 e il 17 marzo. Per non far mori-re quel canarino.

Prima che il canarinomuoia in gabbia

La Curia e il Comune, i proprie-tari storici di Urbino, oggi pos-siedono, insieme all’Università,un terzo dei palazzi della città.Dal dopoguerra la popolazionedel centro è cambiata comple-tamente: ormai sono solo millegli urbinati che risiedono den-tro le mura. Sono gli imprendi-tori immobiliari oggi ad acqui-stare gli edifici dai privati.

I costi per restauri e manuten-zione sono proibitivi: gli entifaticano a curare i loro edifici esperano in nuovi fondi statali. Ipiccoli proprietari si trasferi-scono in periferia e affittano levecchie case agli studenti.Acquirenti scoraggiati dai vin-coli comunali e della sovrinten-denza.

Le grandi famiglie che dalRinascimento hanno fatto lastoria di Urbino, hanno quasitutte venduto le proprie dimoreall’Università ai tempi del ret-torato di Carlo Bo. Lo storicoErmanno Torrico spiega il pro-cesso iniziato negli anni ‘60.

Quale assetto in futuro? Dopol’invito espresso dal Ducato,filosofi, sociologi e urbanistiparlano dei futuri equilibridella città. Occorre rianimare iluoghi e creare un rapportomigliore fra studenti e abitanti.L’opinione di Paolo Ercolani,Enrico Mascilli Migliorini eMonica Mazzolani.

alle pagine 2, 3, 8 e 9

Ci siamo quasi. Il 30 marzo dovrebbe finalmente inaugurarsi la bretella. La data è ancora prov-visoria: alcune autorità devono confermare la loro presenza. I lavori alla galleria e alla roton-

da delle Conce sono però oramai completati, annuncia Ernesto Tedeschi, direttore dei lavori.Mancano solo piccoli interventi di rifinitura richiesti dall’Anas.

30 marzo, il gran giorno della Bretella

La prestigiosa azienda di fucili,pistole e carabine sta subendoun grave calo della produzione.Per ora la Benelli non ha richie-sto alcun tipo di cassa integra-zione e si impegna a tutelare illavoro. “Quando la necessitàaguzza l’ingegno si trovano dellesoluzioni incredibili”, dice il di-rettore commerciale dell’azien-da.

a pagina 7

Anche le armiBenellisono in crisi

Economia

Ormai sonopiù di 80le biofattorie

Agricoltura

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il Ducato

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Due terzi della cittàin mano ai privati

Alla ricerca dei nuovi padroni di Urbino

Chiesa, Ateneo e Comune restano proprietari con poche risorse

ri, spesso scoraggiati dai troppivincoli edilizi”. In effetti i costi della ristruttu-razione e della manutenzionenon sono trascurabili. A parte ivincoli, che preservano il patri-monio architettonico, ma im-pongono accorgimenti parti-colari (e costosi), la città, spie-ga Vagnerini, “ha grossi proble-mi di umidità: a causa del catti-vo stato delle fogne, della circo-l a z i o n e p e s a n t e e d e l l apendenza delle strade, l’acquarisale dal sottosuolo e rovina inparticolare le facciate. Sarebbenecessario che lo stato finan-

ziasse una bonifica idrogeolo-gica del sottosuolo”. È d’accordo Mara Mandolini,del servizio progettazione delComune: “Le difficoltà nellamanutenzione nascono pro-prio dall’umidità di risalita, edalla pioggia, che intacca legrondaie e i tetti: in alcuni edi-fici sono crollati i controsoffit-ti”. Ma il Comune non ha fondiper intervenire sistematica-mente e deve limitarsi a picco-le operazioni “di emergenza”,in attesa di nuovi contributistatali: “Cerchiamo di non farcrollare i palazzi”, si lamenta la

ALICE CASON

Urbino città di uf-fici e di studenti.G e l o s a m e n t econservata nel-le sue bellezzerinascimentali,

rischia però di diventare un“guscio vuoto”: magnifichefacciate e stanze abbandonatela sera. Ma di chi sono i palazzidella città? Oggi nel centro sto-rico risiedono meno di millepersone, nel dopoguerra erano7000. Le grandi famiglie si sonoestinte o trasferite. Hanno ven-duto le loro dimore all’Univer-sità, durante il rettorato di Car-lo Bo, oppure a imprenditoriche ne hanno ricavato appar-tamenti, per lo più nei vicoli.“La speculazione immobiliareè stata contenuta - racconta ilgeometra Giuseppe Vagnerini,coordinatore dei tecnici urbi-nati - per motivi economici: lamiseria della guerra ha protet-to i palazzi, perché non sonostati molti i finanzieri in gradodi investire nella trasformazio-ne”. Le ristrettezze economi-che, quindi, e l’Università: “Boha salvato molti edifici che al-trimenti sarebbero decaduti osarebbero stati snaturati”. Da qualche anno però le iscri-zioni calano, e l’Università datempo non acquista più. Spen-de per conservare le proprie se-di e per adeguarle ai corsi chesi moltiplicano. E spende pergli immobili che affitta, pro-prietà per lo più di enti religio-si. “Ogni anno paghiamo un mi-lione di euro di affitti - spiegaEnzo Fragapane, direttore am-ministrativo dell’Università -che recuperiamo affittando icollegi. E stiamo lavorando perridurre l’utilizzo di sedi non di

nostra proprietà”. Del resto c’èanche chi, come Carlo Giovan-nini, dell’ufficio urbanisticadel Comune, ritiene che “forseè un bene che l’Università noncomperi più: con la Curia, è giàla maggiore proprietaria di Ur-bino”. In effetti, stando ai rilevamenticatastali, quasi un terzo delleproprietà del centro (tra le qua-li gli edifici più grandi e prezio-si) sono divise tra Università,Chiesa, Comune e demanio.Gli altri due terzi della città so-no per lo più piccoli lotti priva-ti, tra cui 249 negozi. Solo 9 abi-tazioni sono classificate come“signorili”, nella categoria A/1,la più pregiata. Le altre sonoabitazioni di tipo civile o popo-lare. La maggior parte è affitta-ta agli studenti, spesso da urbi-nati che si sono trasferiti in pe-riferia. Ci sono però anche apparta-menti sfitti: i proprietari se nesono andati, ma preferisconotenere la casa vuota piuttostoche rischiare di affittarla a ungruppo di ragazzi poco civili.Accanto a questa proprietà fra-zionata, sono comparsi nuovisoggetti che comprano palazziper farne appartamenti da af-fittare: “Imprenditori come iBruscoli - spiega Vagnerini - re-staurano edifici che altrimentirischierebbero il degrado”. Eche per ora non si espongonorivelando i propri progetti perla città.“Con il calo degli iscritti all’u-niversità e la crisi economica -raccontano in un’agenzia im-mobiliare - da quattro anni ilmercato immobiliare è quasifermo. Compra qualche fami-glia, o genitori di studenti fuorisede. Per lo più imprenditori oaziende, comunque. Mancanoperò palazzi che rispondanoalle esigenze degli imprendito-

Mandolini. Anche lo storicoCarlo Inzerillo è preoccupato:“Ormai solo i grandi capitalisticomperano e mantengono gliedifici, ma li trasformano,spesso in maniera inopportu-na. E Urbino nel frattempo sispopola. La crisi economicanon facilita le cose. Vedremo: lasituazione per ora non è tragi-ca, ma è allarmante che ormaimeno di mille urbinati vivanoall’interno delle mura. Per ilnostro futuro, dovremmo chie-derci: che tipo di città vogliamoessere?”

[email protected]

Nelle foto:alcune sale di palazzi

pubblici e privatidel centro storico

CASTRACANE

PASSIONEI

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PRIMO PIANO

“E’ troppo costosovivere nei palazzi”

Molte le famiglie che hanno già venduto

Tempi duri per le resi-denze signorili delcentro storico urbi-nate. Le stanze deipalazzi che apparte-nevano alle antiche

famiglie si sono svuotate da an-ni. La nobiltà è decaduta e lanuova generazione è costretta afare lavori borghesi che non per-mettono il mantenimento degliedifici storici. Tra gli ultimi eredidelle antiche casate, molti han-no deciso di vendere, alcuni dirimanere, in pochi di comprare.A partire dagli anni ‘80 buonaparte dei palazzi che hanno con-tribuito al fascino incantato del-la città sono stati venduti all’U-niversità: i palazzi Passionei, Pe-trangolini e Albani, tanto per ci-tarne alcuni. Da quando Palazzo Albani è sta-to comprato dall’Università, acamminare sopra al sontuosostemma della casata di PapaClemente XI, non sono più sol-tanto i componenti della fami-glia Renzetti, ma flotte di univer-sitari . “I miei nonni compraro-no Palazzo Albani nel 1929 –spiega Stefania Renzetti - ma ne-gli anni novanta abbiamo decisodi venderlo all’università che giàda tempo aveva in affitto alcunilocali della struttura”. Preservare dal tempo affreschi,stucchi, cortili interni, pavi-mentazione, tetti, facciate e si-stemi idrici, di una struttura cheha secoli di vita, diventa una spe-sa sempre maggiore; per questoin molti hanno venduto. Mentrenegli anni ottanta e novanta i fi-gli di alcune casate antiche si so-no affrettati a vendere, pochi in-vece hanno tenuto i loro palazzi.Ci sono poi famiglie, come i Pe-ruzzi che acquistarono trentaanni fa il palazzo Pinzoni (poi di-ventato Peruzzi) di origine cin-quecentesca, in via Raffaello.“La casa è vincolata dalla soprin-tendenza – dice Massimo Peruz-zi – ma non è ancora arrivato ilrimborso della facciata che ab-biamo ristrutturato sei anni fa”.Ad andare controtendenza negli

anni novanta è stata anche la fa-miglia Bruscoli. Originari di Bor-go Massano, i Bruscoli, proprie-tari della Imabgroup, aziendache produce mobili, hannocomprato ben quattro palazzi:Giusti, Bellucci,Fusti CastriottiFoschieri Veterani e Habitat Al-ma.“La nostra famiglia abita indue palazzi, gli altri sono stati af-fittati a studenti – spiega AlbertoBruscoli – e per quanto riguardala manutenzione, da quattro an-ni abbiamo finito i lavori alla fac-ciata e all’interno del palazzoFusti Castriotti Foschieri Vetera-ni”. Secondo il Codice dei beniculturali e del paesaggio, decre-to legislativo 42 del 2002 (cosid-detto Codice Urbani) “sia i priva-ti che gli enti pubblici hanno di-ritto ad un rimborso, da parte delMinistero dei Beni Culturali, peri lavori svolti all’interno di edifi-ci tutelati dallo stesso codice”,afferma Biagio De Martinis dellasoprintendenza per i beni archi-tettonici delle Marche.Gli urbinati che abitano nelle ca-se del centro sono sempre di me-no, l’era d’oro dell’università èfinita, e gli studenti vanno adabitare fuori dalle mura perchégli affitti sono più bassi “Questoè il frutto di una politica sbaglia-ta, che ha basato l’economiadella città solo sull’Università”,osserva Antonio Baldeschi, pro-prietario di palazzo Castracane,tra i più antichi e maestosi edifi-ci del centro, comprato dalla suafamiglia all’inizio del ‘900.Al di là del portone gotico di pa-lazzo Pasqualini abita ancoraoggi una discendente dell’omo-nima famiglia, la professoressaGabriella Morisco: “Siamo rima-sti con grande fatica ad abitarequi mantenendo lo stabile inbuono stato. La parte superioreè stata venduta. Le agevolazionisulle tasse per i monumenti sto-rici nazionali, come sgravi sull’I-ci e su passaggi di proprietà,hanno permesso a molte fami-glie di non vendere”.

[email protected]

CLAUDIA BANCHELLI

L’opinione dell’esperto Ermanno Torrico

Recuperare il centro storico Urbino è la città di chi non ci vive più. Le ca-

se del centro storico hanno smarrito i lo-ro proprietari. Ma d’altronde si sa, ormai

da tempo gli urbinati hanno scelto di vivere fuo-ri dalle mura. L’università ha determinato la cre-scita economica, ma questo non ripaga gli abi-tanti della mancanza del senso di appartenenzaalla città. Scene di vita quotidiana che sono an-date perdute. Cosa manca, cosa si è perso den-tro le mura del centro? Ermanno Torrico, docen-te a contratto di storia moderna presso la facol-tà di Sociologia, ha spiegato: “Contemporanea-mente allo sviluppo della nostra università, levie del centro si sono popolate di studenti. Que-sto sia perché servivano spazi per le sedi delle fa-coltà, che per gli studenti venuti ad abitare a Ur-bino”.Cosa ne pensa della politica degli acquisti chel’università ha messo in atto a partire dalla me-tà degli anni ‘60?“Forse è stato un errore cercare tutti gli spazi al-l’interno delle mura, ma questa era la politica diDe Carlo e di Carlo Bo. Buona parte dei palazzistorici sono stati comprati dall’università a par-tire dal ‘68 fino ai primi anni ‘80. La crescita del-l’università ha portato benessere alle famiglie,ed è per questo che anche le Istituzioni non han-no mai cercato di frenare il processo. Urbino sidistingue dalle altre città perché ha saltato ilprocesso di industrializzazione, passando daun’economia fondata sulla mezzadria ad un si-stema basato sul lavoro terziario, portato dal-l’incremento delle facoltà universitarie ”. Perché le famiglie hanno scelto di vendere i pa-

lazzi? “Le dimore delle antiche famiglie sono diventa-te sempre più costose da mantenere; basti pen-sare al restauro di affreschi, mobili e facciate.Inoltre oggi c’è una maggiore sensibilità da par-te della soprintendenza e delle istituzioni pertutelare gli interventi, mentre trent’anni fa le fa-miglie trovavano maggiori difficoltà, e menoaiuti”.Di cosa ha bisogno la città?“Di recente il sindaco ha parlato di un distrettoculturale, anche se l’idea è ancora in fase di stu-dio. Creare un distretto culturale significa pro-muovere un ambiente, ma non solo dal punto divista turistico. La città ha bisogno di recuperareil centro storico, ma occorrono risorse e tempo”.Cosa c’è da cambiare?“E’ necessario attivare un percorso che porti alsuperamento della monocultura, intendendocome unica fonte economica l’università. Le fa-coltà non dovrebbero indebolirsi ma fare unacura ‘dimagrante’ diminuendo nel numero e mi-gliorando l’offerta formativa, così da attiraremeno studenti che però prolungheranno la loropermanenza nella città. Questo avrà delle riper-cussioni economiche per gli urbinati che vivonodi rendita affittando le case del centro. E’ un dis-corso difficile che ha bisogno di una grande vo-lontà politica e culturale. L’idea di Paolo Volpo-ni era proprio quella di creare un indotto di mi-croimpresa ad alta tecnologia collegato con gliistituti di ricerca dell’università; ma per questoci sarebbe bisogno di più fondi destinati alla ri-cerca”. (c.b.)

PERUZZI ALBANI

Stefania Renzetti: una degli ex proprietari di palazzo Albani

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Un giorno per 162 km Trasporti: da Urbino a Fermo con tre diversi mezzi pubblici

L’Adriabus sotto accusa risponde:“Abbiamo velocizzato e potenziato i collegamenti”

Il paradosso di una cittàuniversitaria irraggiungi-bile. A vent’anni dallachiusura della ferrovia, ilproblema dei collega-menti con Urbino non è

ancora risolto. Gli studenti fuori sede sono iprimi a lamentarsi. Elena Mer-curi, laureata in Psicologia, rac-conta: “Abito a Fermignano, pertornare a casa, a Fermo, devo ve-nire a Urbino e da qui arrivare aPesaro, dove prendo il treno perla mia città”. Tre mezzi diversiper spostarsi nella stessa regio-ne. Figuriamoci l’odissea dei ra-gazzi che abitano lontano, co-me quelli che arrivano da Sarde-gna, Calabria e Sicilia: il viaggiodura anche due giorni e si faticaa trovare le coincidenze tra i va-ri mezzi. Impossibile pensare ditornare a casa nel fine settima-na. Giovanna Corraine, al primoanno di Tecnologie per la con-servazione e il restauro dei beniculturali, spiega: “Essendo sar-da, non posso tornare a casaperché la domenica il pullmanRoma-Urbino non c’è”. In effet-ti, è questo uno dei problemiprincipali. Ma Vito Rampino, di-rigente della Autolinee Bucci,azienda che gestisce il collega-mento in questione, risponde:“La linea è in perdita per il calodei passeggeri. Sovvenzionatasolo con il costo del biglietto, ri-schia di essere soppressa”. Eccoperché ci sono solo due corse algiorno, a esclusione dei festivi.Tanto più che il personale deveavere il riposo settimanale. “Al-trimenti bisognerebbe assume-re nuovi conducenti e ciò avreb-be un costo insostenibile perl’azienda”.Non parliamo, poi, dei collega-menti inesistenti per il Nord Ita-lia. “Le corse a lungo raggio – di-ce Rampino – hanno costi ec-cessivi, non conviene attivarle”.Già la chiusura della ferrovia erastata causata da problemi eco-nomici. L’assessore comunaleai Trasporti Donato Demeli ri-corda: “La Fano-Urbino vennechiusa nel 1987 nell’ambito diun programma di taglio dei co-

siddetti rami secchi, decretatodal Ministro dei TrasportiClaudio Signorile. La linea eraimproduttiva. L’amministra-zione comunale di allora si li-mitò a recepire la decisione”.Gli altri rami secchi, nel frat-tempo, sono stati riaperti.Quello urbinate no. “Credo chela chiusura – ammette l’asses-sore Demeli – sia stata un erro-re. Circa sei anni fa ho incarica-to l’azienda Sviluppo Marchedi valutare quanto sarebbe co-stato riattivare i treni: si sareb-be trattato di un investimentoinsostenibile, perché le risorsesono limitate. In ogni caso, sidovrebbe collegare la linea aRoma, attraverso Pergola, al-trimenti non avrebbe senso”. Eliminati i treni, il trasportopubblico è finito nelle manidelle compagnie private, chegestivano i collegamenti conUrbino già da tempo. La Bucci,

la più affermata, aveva ottenu-to una concessione regionale.Con la chiusura della ferrovia,la Regione ha aumentato i con-tributi alle aziende private e laBucci ha potenziato i collega-menti. Massimo Benedetti, direttoregenerale di Adriabus, spiega:“Le linee statali, che attraversa-no più di due regioni, non rice-vono sovvenzioni, si sostentanosolo con gli introiti dei biglietti.I collegamenti provinciali, inve-ce, sono sostenuti per il 60% dacontributi pubblici regionali.Diversamente, le linee poco af-follate verrebbero soppresse”. Le statali lavorano a regime diconcessione, ma dal 2010 vi sa-rà una totale liberalizzazione.Per i collegamenti provinciali,nel 2007, è stata indetta una ga-ra europea, vinta da Adriabus,consorzio marchigiano pub-blico-privato che riunisce tutti

i vettori storici del trasportopubblico su gomma, compresala Bucci. Adriabus ha, fino al2013, l’esclusiva dei collega-menti provinciali.“Il punto di forza del nostroprogetto – dichiara Benedetti –è aver creato un servizio di retecadenzato, mnemonico, con lecorse che si ripetono ogni gior-no alla stessa ora. Fino a sei me-si fa il collegamento per Fanoera sporadico. Ora esistono 14coppie di corse giornaliere. Si-no al 2003 c’erano solo 10 cop-pie di corse che collegavanoquotidianamente Pesaro a Ur-bino. Oggi ne esistono 24, di cui10 rapide con una percorrenzadi 45 minuti. Abbiamo, co-munque, intenzione di velo-cizzare ulteriormente questocollegamento”.Ma, per i fuori sede, il ritorno acasa resta un tabù.

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L’aveva detto un mese fa:«Sono uno che dà fasti-dio. Se abitassimo in una

regione infestata dalla mafia,sarebbero guai». Andrea Bu-setto ora sospetta che sia statoun atto intimidatorio a causareun incendio in un capannonedella sua azienda, che ha bru-ciato quasi mille quintali di pa-glia, per un danno di 40mila eu-ro, forse più. Era mercoledì 4marzo. «Ero fuori per lavoro -racconta l’allevatore - alle17.10 mi telefona molto trafe-lato un dipendente, stava an-dando a fuoco il pagliaio. Io so-no certo che non sia stato un in-cidente. Non ne ho le prove, mapenso che si tratti di qualchescheggia impazzita a livello deiCobas». L’unico dubbio è chel’incendio è scoppiato di gior-no. Di solito, un atto mafioso losi compie di notte. Però «c’è uncollegamento temporale trop-po sospetto - prosegue Busetto- dato che venerdì ho parlato a“Zapping”, lunedì al Tg1 delle13, martedì è uscita una mia in-tervista su la Repubblica, emercoledì è andato a fuoco ilpagliaio». L’allevatore avevadetto la sua sul decreto del Mi-nistro all’agricoltura Zaia. Se-condo Busetto, il decreto «pre-mia gli allevatori che hannosempre sforato le quote latte,dandogliene altre. Si premianoquei personaggi che hannocontribuito a generare multeallo Stato per un miliardo e 600milioni di euro, e il decreto nonvincola l’assegnazione dellenuove quote al pagamento del-le multe pregresse». Indaga laDigos. (d.f.)

ANNALICE FURFARI

La famiglia di GiuseppeRuggeri, scomparso dopodue anni di dolorosamalattia, desidera ringra-ziare il primario e l’équipedel reparto Dialisi dell’o-spedale che, con umanitàe affetto, hanno assistitoil loro congiunto.

BUONA SANITA’

Pullman del consorzio Adriabus parcheggiati a Borgo Mercatale

Capannoneincendiatonell’aziendadi Busetto:“Intimidazione”

Quote latte

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CITTÀ

Quando il primo feb-braio 1979 l’ayatol-lah Khomeini sbar-cò da un volo di li-nea Parigi-Teherane si mise a capo del-

la rivoluzione islamica, Bejaaveva 19 anni, abbastanza percapire che era arrivato il mo-mento di lasciare l’Iran. Ades-so, a trent’anni di distanza,racconta quei giorni come fos-se ieri. Parla con passione, e inun italiano ricercato, del suoimpegno politico con l’Orga-nizzazione dei Mujahidin delPopolo Iraniano (PMOI) men-tre sorseggia un cappuccino inun bar di Fermignano, doveabita da oltre 20 anni.“Ho fatto quattro volte do-manda per avere la nazionalitàitaliana, ma me l’hanno sem-pre negata. Così resto un rifu-giato politico. Quando ho la-sciato l’Iran ero diretto in Ame-rica, l’Italia era solo una tappadi passaggio. Poi, sempre nel’79, un gruppo di studenti en-trò nell’ambasciata americanadi Teheran sequestrando 50ostaggi e gli Stati Uniti blocca-rono il rilascio dei visti a tutti gliiraniani.Ho iniziato a studiare italianoall’università per stranieri di

Perugia, poi mi sono iscritto aUrbino, a Scienze Politiche, e misono laureato nel 1988. A Fer-mignano noi iraniani eravamo iprimi stranieri, poi con gli anni’90 è cominciata l’immigrazio-ne di massa. Adesso siamo unatrentina e abbiamo messo su fa-miglia quasi tutti quanti. Io hodue figlie, una di 19 anni e l’altradi 12. La più grande finirà le su-periori quest’anno e dopo faràmedicina. Loro sono nate in Ita-lia e si sentono italiane, ma an-che mia moglie ed io abbiamopassato i due terzi della nostravita in questo paese. Frequen-tiamo i nostri connazionali maabbiamo anche molti amici diqui; insomma, ci sentiamo to-talmente integrati. Noi e gli altriiraniani di Fermignano, ci sia-mo quasi tutti laureati all’uni-versità di Urbino, ma nessunodi noi è riuscito a fare un me-stiere col proprio titolo di stu-dio. Non ce n’è stata la possibi-lità. Per un concorso pubblicoci vuole la nazionalità, e nel pri-vato ci vogliono le conoscenze.Io faccio il cameriere in un ri-storante, un mestiere onestoper carità, ma avrei voluto lapossibilità di mettermi alla pro-va. “Quello di cui vado fiero però, èche siamo venuti in questopaese con l’orgoglio di resiste-re al regime degli ayatollah.Mio padre aveva un albergo aKermanshah, la mia città nata-le, e all’inizio venivano a mi-nacciarlo per il fatto che, dal-l’estero, militavo contro il regi-me di Khomeini. In verità i Mu-jahidin del Popolo combatte-vano già prima della rivoluzio-ne, contro il regime dello scià.Noi lottiamo per la democraziae per un Islam di pace e tolle-ranza. L’Islam dei talebani equello del regime iraniano, in-vece, è uguale al cristianesimodi mille anni fa, quello dei cro-ciati che ammazzavano gli ara-bi in nome di Dio.“Ma dopo l’11 settembre, ilPMOI era stato inserito nelle li-sta nera delle organizzazioniterroristiche, e la nostra presi-dente Maryan Rajavi venne ar-restata. Anche se la rilasciaro-no dopo una decina di giorni, cisiamo dovuti battere diversianni per ottenere la cancella-zione da quella lista. Abbiamogirato l’Europ a, raccolto firme,denunciato questo sopru so al-la Corte Internazionale e alla fi-ne, nel 2008, ci hanno dato ra-gione. Ma non ce l’avremmomai fatta senza il sostegno delmondo politico italiano ed eu-ropeo. Anche il sindaco di Fer-mignano e quello di Urbino cihanno sostenuto firmando lanostra petizione. Mostra unopuscolo a colori dove c’è unadonna in chador, la presidenteRajavi, che stringe la mano a Fi-ni. Poi lo richiude e dice: “Del-l’Iran mi manca la lingua, mimanca sentirla quando escoper strada e magari prendo uncaffè. Se cadesse il regime degliayatollah in Iran ci tornerei an-che domani. A giugno ci sono leelezioni presidenziali, ma, aprescindere da chi vincerà, allafine non cambierà niente”.

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Verso le amministrative di giugno. Prosegue la danza dei partiti

Una lista civica sfida CorbucciPer ora, due contendenti. C’è un primo

sfidante di Franco Corbucci alla pol-trona di sindaco di Urbino: è Alfredo

Bonelli, un indipendente, che sta cercandodi costruire una lista civica “fuori dalle tra-dizionali logiche di partito, per risollevarela città dal suo torpore”. In mezzo l’Udc, cheammicca al Partito Democratico e gli chie-de di abbandonare la sinistra per una “nuo-va fase” della politica urbinate. Corbucci eil Pd mirano a una continuità delle allean-ze e dei programmi, e puntano sulle operegià in cantiere, come il parcheggio di SantaLucia e la zona dell’ex consorzio. Ma Rifon-dazione Comunista e Pdci sembrano sem-pre più avviati verso una lista unica e uncandidato autonomo in antitesi al Pd, ac-cusato di amministrare in maniera “autore-ferenziale e senza una precisa programma-zione”.La politica a Urbino continua il suo freneti-co balletto per le amministrative del 6 e 7giugno, quando i cittadini saranno con-temporaneamente chiamati a scegliere perla Provincia e per le elezioni europee. Nien-te è finora chiaro. Alfredo Bonelli - il nuovocandidato ex dirigente pubblico di Megasin pensione - è un punto di riferimento peril centrodestra. “Il Pdl è disposto a rinun-ciare al suo simbolo per confluire nella listaguidata da Bonelli se servisse per il bene diUrbino” ha detto il coordinatore WilmerZanghirati. Sacrificando il simbolo, lascommessa sarebbe quella di attrarrescontenti del centrosinistra che non vote-rebbero mai a destra.L’Udc si è mosso. Domenico Campogiani,referente del partito, ha invitato Corbucci a

un’alleanza riformista per il governo dellacittà. E ha presentato un programma nellemani del Pd. Con una richiesta precisa: sel’Udc sarà il secondo partito gli dovrà spet-tare il vicesindaco. Naturalmente, Campo-giani non vuole sul suo carro Verdi e comu-nisti, “ideologici e contrari allo sviluppo”. Il Prc è spaccato in due. Da una parte chivorrebbe proseguire insieme al Pd. Dall’al-tra il direttivo che si è espresso per una listaautonoma insieme al Pdci, e che attende ilconsenso degli iscritti. A quel punto il can-didato sindaco potrebbe essere AntonioSantini, l’assessore licenziato da Corbuccia legislatura in corso, uscito dai Verdi e orain Sinistra Democratica.“Il Pd vuole proseguire così, ma ci guardia-mo intorno” spiega il coordinatore Loren-zo Ceccarini. Tradotto: aspettiamo la sini-stra, ma non chiudiamo all’Udc. Sempre,però, “sulla base del programma”. L’ammi-

nistrazione Corbucci si fa forte dei cantieriavviati. In primo luogo il parcheggio di San-ta Lucia, che prevede locali per attivitàcommerciali. Costerà 22 milioni di euro, 7dei quali del Comune: un mutuo da saldarecon i parcheggi a pagamento. Il centrode-stra, che pure ha votato a favore con la solaeccezione di Forza Italia che si è astenuta,ritiene che non ci siano le garanzie di bilan-cio. Per il Pd, Santa Lucia migliorerà la via-bilità, favorendo la chiusura del centro sto-rico che diventerebbe “centro commercia-le naturale”.Ma per i democratici c’è la tegola MaurizioGambini. L’uomo di punta del Pd, dimesso-si da consigliere in polemica con l’ammini-strazione, ha assicurato: “Sono di sinistra enon andrò mai con il centrodestra. Ma l’al-leanza con l’Udc sarebbe controproducen-te per il Pd”.

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LORENZO ALLEGRINI

“Con la laurea faccio il cameriere”

Personaggi/Beja, iraniano di Fermignano

ERNESTO PAGANO

Beja vive da trent’anni in Italia. E’ membro dei Mujahidin del Popolo Iraniano, un’organizzazio-ne che si batte per rendere il suo paese democratico e libero dal fondamentalismo.

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il Ducato

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Pane, latte, ortaggi,carne, salumi. Tuttobiologico. A Urbino,produrre e consuma-re in sintonia con lanatura si può. Nell’ul-

timo periodo, con la crisi econo-mica che avanza, è aumentato ilnumero di coloro che compranodirettamente nelle numerosefattorie del territorio comunale:erano 84 nel 2007 le aziende agri-cole biologiche registrate neglielenchi della Regione. Quellecioè che hanno richiesto il mar-chio biologico: una garanzia diqualità, certo, ma anche una spe-sa, perché la certificazione del-l’ente deve essere pagata dall’a-zienda. Luigia Minnetti gestisce insiemeal marito Carlo Comandini la fat-toria “Cal Bianchino”: la sua è unafiliera chiusa che va dal maiale aisalumi. “Ho deciso di mantenereil marchio solo sulla produzionevegetale - spiega - per eliminarecosti e burocrazia”. Luca Alberga-ti ha un’azienda e una fattoria di-dattica alle Cesane. Produce or-taggi che vende direttamente inazienda e ai mercati rionali di Ur-bino. Per lui il marchio è impor-tantissimo: “Le persone voglionosapere chi certifica i prodotti checomprano”. Dal 1992 la Comunità europeaha istituito aiuti economici per iproduttori biologici: rispetto agliagricoltori tradizionali che uti-lizzano concimi e mangimi chi-mici, hanno maggiori spese eproduzioni meno abbondanti.Stefano Saporiti, un ragazzone di30 anni innamorato della cam-pagna, gestisce i 15 ettari di noc-cioli biologici all’agriturismo “Lefontane”. Per lui gli incentivi so-no fondamentali: “solo con il rac-colto non si riuscirebbe ad anda-re avanti”. Gli aiuti comunitari,andando in base all’estensionedel terreno, “finiscono - spiegaRoberto Podgornik della “Fatto-ria dei cantori” - per aiutare igrandi proprietari”. Il signorPodgornik gestisce l’azienda conla moglie e le figlie e riceve conti-nuamente visite alla sua fattoriadidattica. Produce farina, pane,

VERONICA ULIVIERI

Nella foto grande: mucchee oche mangiano insiemenella fattoria di CalBianchino; in quella piccola:una varietà rara di pomodo-ri nell’orto di Luca Albergati

A proposito dell’articolo “Il mercatino muore? No è vivo e rilan-cia” pubblicato sul Ducato del 27/02/09, Egidio Cecchini, segre-tario della Confcommercio di Urbino, osserva che: “Vengonoriportate le affermazioni di un ambulante ortofrutticolo che comu-nica che i nostri prodotti sono buoni e che i prezzi sono inferioridel 30% rispetto a quelli dei negozi di ortofrutta. Affermazione cheritengo assolutamente fuori della realtà. Infatti per poter davverovendere al consumatore finale con prezzi inferiori del 30% sullastessa tipologia e qualità di prodotto, l’ambulante dovrebbeavere un ricarico sulla merce almeno cinque volte inferiore rispet-to a quello mediamente praticato dagli altri negozi al dettaglio.Cosa assolutamente fuori linea rispetto a tutti i parametri econo-mici relativi al settore del dettaglio di frutta e verdura”. Nello stesso articolo Mario Pellegrini è definito “responsabile del-l’ufficio della polizia amministrativa”. Nel sito del comune, inve-ce, è indicato come responsabile del servizio Roberto Matassoni.

MERCATINI E PREZZImiele, ortaggi e vende diretta-mente in azienda. A motivare ibioagricoltori urbinati nonsembrano tanto gli aiuti econo-mici. Molti di loro vengono dal-la terra e hanno per la campagnaun grande rispetto. Questoamore per la natura si traduceanche nella conservazione del-la biodiversità: nell’orto di LucaAlbergati ci sono solo varietà diverdure impossibili da trovarenei supermercati; lo stesso ac-cade nel frutteto e nei campi delsignor Podgornik: mele dai no-mi misteriosi (Abbondanza,Parmena dorata), e un tipo digrano, il Gentilrosso, coltivatonelle Marche più di un secolo fa. Alla base delle aziende biologi-che c’è spesso un’idea di auto-sufficienza: a “Cal Bianchino”,così come alla “Fattoria dei can-tori”, si cerca di produrre il piùpossibile in autonomia, com-

presi mobili, canestri, strumen-ti per il lavoro. Per i contadini urbinati contamolto anche il rapporto umanocon i clienti. Tutti vendono di-rettamente in azienda e chiedo-no alle persone di andare a ve-dere come si alleva un maiale,come si prepara il pane, come siprende il miele dalle arnie. Al dilà degli organismi di certifica-zione, vogliono che i primi a darloro fiducia siano i consumato-ri. E i clienti apprezzano: posso-no comprare prodotti di mag-giore qualità rispetto a quelli delsupermercato e risparmiare. “Ilcontadino oggi per sopravvivere- dice Roberto Podgronik - deveriuscire a crearsi un mercato dasolo”: la catena corta, il rappor-to diretto produttore-consuma-tore può essere oggi la salvezzadegli agricoltori biologici.

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Terra fertile per il biologicoNel 2007 le fattorie erano 84. Producono ortaggi, farina, pane, carne, salumi

Con la recessione più vendite dirette in azienda: per i consumatori maggiore qualità a prezzi più bassi

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ECONOMIA

La crisi inceppa le armi della Benelli

Brusca frenata della produzione: calo del 30%

Parla il direttore commerciale: la tutela del lavoro innanzitutto

Il leone imbalsamato cheaccoglie il visitatore incima alle scale, prima dientrare nella saletta ri-unioni, è maestoso mainnocuo. La crisi econo-

mica, invece, morde la BenelliArmi, eccome: «Stiamo lavo-rando con un calo di oltre il 30per cento - dice Lucio Porreca,direttore commerciale dell’a-zienda - la produzione è cre-sciuta negli anni scorsi, ma hasubito una brusca frenata ne-gli ultimi sei mesi del 2008 e neiprimi due del 2009». Anche icacciatori e i fan del tiro a se-gno tirano la cinghia, in questocaso pure quella dei fucili. La Benelli è un buon esempioper comprendere la globaliz-zazione della crisi: il mercatomondiale delle armi è secondosolo a quello della droga, ed èall’estero che l’azienda affac-cia la sua produzione di fucili,pistole e carabine, per unaquota complessiva dell’80 percento, mentre solo il 20 percento è diretta al mercato ita-liano. «Noi esportiamo in 76Paesi del mondo - proseguePorreca - in pratica in tuttiquelli in cui è lecito esportaresecondo le autorizzazioni del-la questura». Il primo clientein assoluto sono gli Stati Uniti,verso cui si dirige oltre la metàdella produzione della Benelli,sia nel settore “civile” (armi peruso venatorio e sportivo) chedella “difesa” (armi destinateai corpi di polizia ed esercito).Il mercato statunitense è cosìimportante che la Benelli hauna filiale di vendita diretta a100 chilometri da Washington.Oltreoceano, con i suoi 16 mi-lioni di cacciatori, il mercato èenorme. Ma ci sono anche isoldati: ai Marines arriva unaproduzione di eccellenza dellaBenelli, il fucile M4. Il diretto-re commerciale precisa: «Noinon produciamo materialed’armamento: le nostre nonsono armi militari, non abbia-mo niente che sia al di fuoridella normativa civile. Se i Ma-rines scelgono per alcuni sco-pi di adottare non il fucile d’as-salto ma un fucile come l’M4,che non ha la potenzialità diun’arma letale, comunquel’arma rimane non militare».Sul significato di “letale” è tut-tavia legittimo porsi delle do-mande: un documento del-l’Assemblea Generale dell’O-NU, adottato l’8 dicembre2005, definisce arma leggera edi piccolo calibro «ogni armaletale portatile che espelle olancia […] un colpo, pallottolao proiettile per effetto dell’a-zione di un esplosivo». La produzione ad uso “difensi-

vo” della Benelli riguarda soloil 10 per cento del totale. NeiPaesi caratterizzati da instabi-lità politica e sociale, però, lacriminalità recupera attraver-so il traffico illegale le armi aduso “civile”. Negli ultimi tempii narcotrafficanti messicani sistanno distinguendo alla fron-tiera con gli Usa per le uccisio-ni massicce di poliziotti. IlMessico è uno dei Paesi verso iquali, seppur in minima parte,la Benelli esporta armi. Un altro Paese che non può farvanto della tutela dei diritti

umani è la Russia, che «è ungrosso mercato - sostiene Por-reca - in prospettiva forse avràle dimensioni di quello ameri-cano».Benelli ha fatturato nell’ulti-mo anno poco meno di 100 mi-lioni di euro, ed occupa tra le250 e le 260 persone. Per colpadella crisi, come racconta Lu-ca Pierucci, della Rappresen-tanza Sindacale Unitaria Cgil,«a dicembre una ventina di la-voratori con contratto a tem-po determinato, mandati dal-l’Adecco, non sono stati con-

fermati». Comunque «l’azien-da si sta muovendo in manierapositiva - prosegue Pierucci -ad esempio ha dimezzato leconsulenze». «È nostro fermoimpegno cercare di preservarel’occupazione a tutti i livelli»,sostiene Lucio Porreca. Come?«Recuperando tutte le aree diinefficienza, puntando sullaqualità, svolgendo interna-mente quelle funzioni che pri-ma appaltavamo all’esterno.Ora stiamo più attenti ai mer-cati che offrono maggiore con-tribuzione». Quanto la crisi

stringerà nella morsa la Benel-li lo si scoprirà solo a fine anno,quando le cifre della bilanciacommerciale indicheranno segli sforzi dell’azienda sarannoandati a buon fine. Intanto, ilavori per ampliare il settore incui si svolgono i test dei fucili -iniziati due anni fa - non si fer-mano. Di giorno, dai piedi delcolle su cui si erge il borgo du-cale, s’alza il rimbombo deglispari. La crisi economica, lag-giù, morde, ma per ora i bottipossono continuare.

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DANIELE FERRO

Viaggio tra le botteghe di restauratori e artigiani del libro

Legatore, mestiere senza tempo

Cassetti pieni di caratteri mobili,bottiglie di inchiostro, taglierine,presse e rotoli di carta: tra i vicoli di

Urbino c’è ancora chi svolge l’antico me-stiere di legatore.Un’attività che ha radici che risalgono alI secolo d.C e che oggi, nonostante lenuove tecniche usate per la rilegatura deilibri, non risente della crisi economicagenerale.A mantenere in vita que-sto vecchio mestiere so-no sia i lavori di rilegatu-ra dei libri commissiona-ti dalle biblioteche e daqualche privato, sia la si-stemazione degli atticonservati negli archividegli uffici pubblici. Tra i maggiori clienti del-le legatorie di Urbino cisono, però, anche moltistudenti universitari chepreferiscono far rilegarea mano le loro tesi e chesono disposti a pagare trai trenta e i quaranta euroa copia in cambio di unlavoro un po’ più accura-to, realizzato seguendo letecniche di una volta. Al numero 16 di via SantaMargherita c’è la legato-ria più antica della città. Ilsignor Paolo Mariotti faquesto mestiere da qua-rantacinque anni, cometestimoniano i vecchimacchinari utilizzati perla stampa, i numerosi ritagli di carta ac-cumulati negli anni e i tanti libri che han-no invaso ogni spazio del suo laborato-rio.“Ho imparato questo mestiere in unabottega che stava in via Mazzini. A queltempo – racconta Mariotti - lavoravamosolo con gli atti degli uffici e poi dal 1970abbiamo iniziato a rilegare le prime tesi

degli studenti che si laureavano qui all’u-niversità. Durante questi anni mi sonocapitati episodi particolari. Mi ricordoquando ho dovuto rilegare completa-mente a mano una tesi di una ragazza perevitare che si schiacciassero sotto lapressa i cereali veri che erano stati incol-lati tra le pagine. Qualche anno fa, inve-ce, un notaio mi ha commissionato la si-stemazione di un testamento che era sta-to scritto in punto di morte sulla cartaigienica. Non è mancato neanche chi mi

ha chiesto di rilegare degli album foto-grafici, dei quaderni di quando era bam-bino e delle lettere d’amore cui era parti-colarmente affezionato”.Quando il signor Mariotti ha iniziato a fa-re questo mestiere, a Urbino c’era solo unrilegatore. Oggi se ne contano una quin-dicina e negli anni diverse legatorie han-no aperto anche fuori dalle mura cittadi-

ne. Ce ne sono alcune a Pallino, Mazza-ferro e Piantata e, a differenza di quellepresenti nel centro storico di Urbino,hanno un’attività legata soprattutto alrestauro dei libri provenienti dagli archi-vi di stato, da gallerie e da archivi privati. All’attività di legatore si affianca, quindi,anche quella del restauro dei libri, comeha spiegato Massimiliano Berretta cheha aperto la sua attività da poco più di unanno. “Le spese sono tante, però il lavoroc’è e non mi lamento. Mi capita di pren-

dere anche qualche tesi,ma lavoro sopratutto conil restauro di volumi e li-bri del novecento e del-l’ottocento, le riviste, gliatti civili che mi commis-sionano l’accademia diRaffaello, la biblioteca, lacuria arcivescovile e il tri-bunale di Urbino”. Gli studenti si trovanospesso a frequentare que-ste botteghe e alcuni diloro restano affascinatidal lavoro del legatore, ilquale richiede tanta pra-tica, una buona dose dipazienza e un po’ d’inge-gno. È quanto è accaduto a Si-monetta e Francesca Bu-ratti, che dodici anni fahanno rilevato la vecchialegatoria di via Bramante.“Ci siamo appassionateper caso a questo mestie-re. Passavo lungo la via –spiega Simonetta – e mifermavo a guardare il la-voro che faceva qui un si-

gnore. Quando lui ha messo in vendital’attività ho convinto mia sorella a pren-derla. Siamo state un anno con lui per im-parare il mestiere, per acquisire sicurez-za e farci l’occhio. Lavoriamo molto conle tesi che ci portano i ragazzi e la crisi perfortuna non la sentiamo; finché ci sonogli studenti va tutto bene!”.

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GIULIA AGOSTINELLI

La catena di montaggio Benelli negli ultimi mesi va a rilento

Paolo Mariotti al lavoro con la taglierina d’epoca nella sua legatoria

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Pensare una cosa si-gnifica un po’crear-la. Con questo spiri-to, il direttore del Du-cato, aveva invitato ifilosofi a ripensare

Urbino perché immaginare unacittà e i suoi spazi, le possibilidestinazioni, vuol dire crederedi poter cambiare la situazione.“Ho letto l’editoriale di RaffaeleFiengo sul vostro giornale e cre-do che Urbino potrebbe rappre-sentare davvero un ideale se so-lo si fosse disposti a compierecerte trasformazioni. Per ora lacittà si sta suicidando perché èimmobile. Dieci anni fa vivere direndita poteva anche fruttare,ma oggi non è più così. Se ne ac-corgono gli abitanti che riman-gono con le case vuote, i com-mercianti che chiudono, l’uni-versità che è in crisi”. Paolo Er-colani, docente di filosofia allafacoltà di Scienze della Forma-zione, si ferma per un attimo da-vanti alla realtà e poi prova a de-scrivere la foto che ha in mente,l’immagine di come le cose do-vrebbero essere. Ripensare unacittà è come disegnare ideal-mente luoghi che conosciamo,ma che vorremmo sentire piùnostri, più vivi.“Urbino è una città con un po-tenziale enorme in termini diricchezze, ma c’è poca consape-volezza e poca integrazione trarealtà diverse. I cittadini perce-piscono l’Università come uncorpo estraneo e alle 5 del po-meriggio si chiudono in casa“perché sembra che gli studentisiano dei lupi mannari”. Il risul-tato è una realtà frammentata incompartimenti stagni che noncomunicano. “L’Università èsolo sfruttata, così come lo sonogli studenti, costretti in spaziangusti venduti spesso e volen-tieri a prezzi esorbitanti e incondizioni igieniche assoluta-mente non adeguate”.Bisogna modificare l’offerta. Uncampus all’interno dell’univer-sità potrebbe essere una solu-zione come già avviene in altrerealtà. La piccola città di Bam-berg in Germania ne è un esem-pio. Edifici preesistenti sonostati riadattati a residenze uni-versitarie permettendo agli stu-denti di partecipare in pieno al-la vita cittadina. “Urbino ha bi-sogno di creare più comunità.Per ora dalle 8 della mattina alle6 della sera è degli urbinati chein genere sono pochi, vecchiot-ti e conservatori; dall’ora degliaperitivi diventa la città deglistudenti che a volte fanno casi-no, a volte sporcano, fanno ru-mori. Se si riuscisse a fare di Ur-bino un campus dove chi studiae chi vive la città sono la stessacosa, ci sarebbe da guadagnare.Nel quartiere san Lorenzo di Ro-

ma funziona così”.Secondo Ercolani il paradosso èche con un patrimonio cultura-le come quello di Urbino, se og-gi si spostasse l’università inqualsiasi altro posto, non cam-bierebbe nulla. Non c’è sinergiatra territorio e ricchezze. “Urbi-no andrebbe rivitalizzata sottotutti i punti di vista. Forse man-cano anche le grandi figure diuna volta”. Ercolani pensa a Ita-lo Mancini, docente, filosofo deldiritto che girava per le strade diUrbino circondato da venti,trenta studenti con cui finiva inqualche bar a parlare. “Ripensa-re la città significa coinvolgercitutti perché non è più come unavolta che si avevano le cosepronte. Oggi tocca inventarsitutto. Se non si capisce questo,sono i cittadini a rimetterci. SeUrbino muore agli studenti im-porta poco. Loro sono di pas-saggio”.Continuare a pensare per com-partimenti stagni significa perde-re ricchezza. La stessa logica esclu-siva vale per gli immigrati che ven-gono emarginati senza capirequanto si potrebbe guadagnaredall’integrazione. “Oggi bisognaessere filosoficamante inclusivi.Possiamo anche rifiutare la multi-culturalità, però c’è”. Gli anni settanta erano diversi.Enrico Mascilli Migliorini, expreside della facoltà di Sociolo-gia, lo racconta bene. Urbino eral’unico polo universitario e c’e-ra sinergia tra gli attori della vitacittadina. I divertimenti eranopochi, si poteva solo studiare e

lasciarsi affascinare dalla cultu-ra. Gli studenti erano piena-mente integrati. I college predi-sposti da De Carlo facevano diUrbino un campus all’avan-guardia preso a modello in tuttaEuropa.“Sapere che oggi Urbino non ri-esce più a trattenere studenti eprofessori mi avvilisce e addo-lora perché una volta era diver-so” spiega Migliorini. Gli studio-si si riunivano al Circolo Cittadi-no sotto i portici per discutere epotevi veder passeggiare perstrada personaggi illustri. I caffèerano pieni di gente, c’era ilmercato a Porta Santa Lucia e lapiazza la domenica era un fo-rum in cui si incontravano tutti.“Ho preparato più tesi di laureaper la strada che altrove. La real-tà oggi è che la gente non si fidapiù del prossimo e non è piùaperta al confronto e all’incon-tro. Ma questo è un problemagenerale. La città ha sofferto an-che per il decentramento dellesedi che l’ ha spopolata. Io ricor-do la città di Urbino ai tempi diBo, quando il rettore ricevette latelefonata di Andreotti che gliproponeva di fare il ministrodell’Istruzione. Era il 1976 e lui,sprofondato nella sua poltronacome il re del Montenegro, ri-spose di si, ma a una condizio-ne. Che la sede del ministerofosse a Urbino. Erano altri tem-pi e oggi le cose sono molto di-verse. Forse è anche per questoche non torno nei posti in cui so-no stato felice ”.

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“Il segreto è rispettare gli equilibri”Gli urbanisti: rianimare luoghi e comunicare con gli abitanti

Architettura partecipativa. Progettareuna città e immaginarla con la gente, dis-cuterla, provare a viverla sulla pelle desti-nandola a persone concrete, realmenteimmerse nel tessuto urbano. GiancarloDe Carlo ha lasciato questa eredità a Urbi-no.Del famoso architetto, scomparso nel2005, parla Monica Mazzolani che dal2000 fa parte dello studio De Carlo Asso-ciati. “Con i suoi due piani regolatori e i nu-merosi interventi è stato un padre per lacittà ducale. Il 1964 era un periodo di gran-di ideali e l’architetto, in sinergia con sin-daco e rettore ha impostato linee guidaprecise per la ricostruzione, rispettando ilpatrimonio naturalistico e culturale e co-involgendo le persone”. Poi il secondo pia-no nel 1994 con la città in espansione. Iconcetti erano gli stessi, ma questa volta loslogan era “guardare con un cannocchia-le rovesciato”. Se prima bisognava preser-vare l’integrità e la ricchezza del centrostorico, in seguito l’obiettivo è stato quel-lo di rinvigorire la corrispondenza fra cit-

tà e territorio progettando anche l’am-biente, la cornice.“Urbino è stato un modello e De Carlo è ri-uscito a dare risposte generali a problemiparticolari. Le sue idee però non erano difacile lettura, né immediatamente tradu-cibili”. Il piano regolatore è uno strumen-to arretrato per pensare una città perchépone solo vincoli. Quello che serve è l’in-tesa con l’amministrazione per realizzarei progetti. Molte idee sono rimaste chiusenei cassetti. “Per ripensare Urbino oggi bisogna capirele dinamiche e i processi che determina-no le costruzioni” spiega l’architetto Maz-zolani. “Il concetto è quello di urbanisticanegoziata con gli abitanti, il territorio e gliattori locali. Serve procedere per gradi enon con interventi dall’alto.”. L’architet-tura deve cercare di favorire l’integrazio-ne e la comunicazione. Se le piazze ogginon sono più un punto di ritrovo occorreinventare altro. Biblioteche, caffè, spaziper mettere in pratica quello che si studia,mercati. “L’importante è trovare luoghi in

cui far cortocircuitare le differenze”.La Mazzolani ha lavorato dall’88 con DeCarlo e ora si sta occupando del restaurodella Data, le vecchie stalle del duca Fede-rico da Montefeltro. “Sarà un esempio dipartecipazione, un punto di ritrovo e unavetrina culturale, un laboratorio per pro-muovere il territorio con iniziative, mo-stre, eventi. Non si tratta solo di recupera-re la forma, ma di rivitalizzare il contenu-to adattandolo a nuove esigenze”.De Carlo era convinto che bisognasse co-noscere il codice genetico degli edifici edel territorio per dialogarci in modo effi-cace senza agire mai contro, ma seguendole linee guida.Dello stesso parere è l’architetto Leonar-do Benevolo, incaricato nel 1982 di redi-gere un piano regolatore per Urbino. “Il se-greto è dosare vecchio e nuovo. Urbino èuna città illustre con equilibri interni da ri-spettare”. Non servono forti rotture, ma laconsapevolezza e la valorizzazione dellepeculiarità.

(s.s.)

Il Ducato chiamail filosofo risponde

Ripensare la città per non lasciarla morire

Opinioni e ricordi di Paolo Ercolani ed Enrico Mascilli Migliorini

SILVIA SACCOMANNO

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CULTURA

“Persa l’identità,cercare l’Europa”

Dalla Francia uno studio su Urbino

Spopolata, isolata esenza più un’identità:è Urbino vista dallaFrancia, in particolareda un’équipe di stu-denti di tre facoltà di

Architettura transalpine che dacinque anni monitorano la cittàsul piano urbanistico e architet-tonico ma anche economico esociale. A coordinare il gruppoPatrice Ceccarini, docente allaScuola nazionale superiore diarchitettura (Ensa) di Lille e ori-ginario proprio del Montefeltro.Il quadro che emerge è quello diuna città che dal dopoguerra aoggi ha perso la sua anima e lasua popolazione: se qualche an-no fa gli abitanti non erano mol-ti di meno rispetto a Pesaro, oggiil centro si è svuotato. Quanto al-le strategie per uscirne, i france-si sono chiari: Urbino deve darsiuna dimensione europea.“Questa città - commenta Cec-carini - è un piccolo esempio lo-cale dei problemi urbanistici,economici e sociali italiani. So-no certo che se si fosse trovata inFrancia avrebbe avuto uno svi-luppo diverso. Nel dopoguerraaveva un alto potenziale, con unnumero di abitanti non lontanoda quello di Pesaro, ma poi haavuto un decremento spiegabilesolo con una mancanza di lungi-miranza triste e pericolosa deigovernanti, che ha portato allaspeculazione edilizia per affitta-re le case agli studenti. Il centrosi è svuotato e gli urbinati si sonotrasferiti nei comuni vicini, cau-sando una perdita di identità”.Sincero ma spietato, il quadro èvenuto fuori dagli studi che i ra-gazzi francesi guidati da Cecca-rini fanno due volte ogni annosul territorio. Questa trasferta èdiventata sempre più popolaretra gli aspiranti architetti d’Ol-tralpe: se nel 2005 furono in cin-que a scendere nel Montefeletro,alla fine dello scorso febbraioquaranta ragazzi sono venuti astudiare Urbino dalle facoltà diParigi, Lille e Nantes; e l’annoprossimo il gruppo potrebbeampliarsi accogliendo altre na-zionalità, con l’aggiunta di ra-gazzi tedeschi (di Aquisgrana) ebelgi (di Gand).Lo scopo di questi studi non con-siste solo nel puntare l’indice suiproblemi dell’urbinate, ma an-che nello studiare soluzioni ur-banistiche per uscire dalla stasi.Tra un anno, a conclusione delprogetto, le elaborazioni verran-no proposte al Comune in unrapporto finale dettagliato, at-tualmente in preparazione. Cec-

carini comunque ha già chiaroquale dovrebbe essere la strate-gia generale. “Si deve far diven-tare Urbino - spiega convinto -una città “leggibile” a livello in-ternazionale: l’Italia se ne fregaperché ha tante belle città e quel-la ducale non costituisce un casooriginalissimo, perciò bisognapuntare all’estero. Deve caratte-rizzarsi certo come città del Ri-nascimento, intesa però non so-lo come città dei pittori, ma an-che degli scienziati e perché no,dei militari. Urbino era una cit-tà-fortezza in cui ci si occupavadi scienze sperimentali belliche:in fondo, fu questo a renderepossibile Raffaello”.Per recuperare l’identità di cittàfortificata in concreto “andreb-bero tolti tutti gli alberi e il verdedavanti alle mura, ricostituendola forma di fortezza che Urbinoha avuto fino agli anni Venti.Mettere le piante in quella posi-zione - continua - è stato un er-rore storico, perché non c’eranomai state prima. Va sconfittaquesta “mitologia” del verde atutti i costi: sarebbe semmai pre-feribile puntare a valorizzare ilverde interno alle mura, vistoche Urbino è anche una città-giardino”. Lo studio evidenziaanche qualche errore nella de-stinazione d’uso degli edificistorici del centro. “Qualchestruttura edilizia - propone an-cora il docente - dovrebbe cam-biare funzione: l’Ateneo occupatroppi spazi dentro palazzi chenon sono adatti a un uso scola-stico ma vanno considerati con-tenitori strategici per il turismo.Un esempio di questo è palazzoGherardi, un vero e proprio “bal-cone” della città, che inveceospita un archivio. Oppure le au-le: perché non recuperare i colle-gi, utilizzandoli come struttureabitative ma anche come spazidi insegnamento?”.Tra le proposte più importanti,anche quella di dare un nuovo,grande valore alla zona dellavecchia ferrovia. “Un’area im-portante - spiega Ceccarini - chepotrebbe costituire l’ingressodella città moderna. Ha capacitàenormi di realizzazione di par-cheggi e attività commerciali.Creare per esempio duemila po-sti auto e il bus terminal lì con-sentirebbe di liberare piazzaMercatale dalla funzione di par-cheggio, facendola diventare unluogo di grande prestigio e visi-bilità internazionale. Senza di-menticare la vicinanza con laData”.

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Nella foto grande,alcune zone ripen-sate da De Carlo:la Data, le facoltà

di Economia edi Giurisprudenza

e il Magistero.Nella foto latera-le, la stanza “Lacittà e il deside-rio” del Museo

della città in cuisono esposti alcu-

ni progetti suUrbino mai

realizzati.In basso, la Città

ideale del WaltersArt Gallery di

Baltimora. In altoa destra il proget-

to francese per S. Chiara

ALBERTO ORSINI

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il Ducato

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Cinema

LA MATASSAdi Ficarrae Picone.CinemaDucaledal 13al 19 marzo

Feriali: 20.00/22.00Festivi16.00/18.00 20.00/22.00Terza prova cinematograficaper il duo palermitano diFicarra e Picone. Stavolta icomici sono due cugini che siriavvicineranno dopo essersiritrovati ad un funerale.Continuano a provocare le

risate del pubblico e si lascia-no andare a una denunciacontro la mafia.

THE WRESTLERdi DarrenAronofskyCinemaDucale dal 13al 19 marzo

Feriali: 20.30/22.30Festivi:16.30/18.30/ 20.30/22.30Dopo un attacco cardia-co, un lottatore di wrest-ling di successo deve riti-rarsi dai combattimenti.Cercherà di costruire una

nuova vita recuperando ilrapporto perso da annicon il figlio. In parallelo,porta avanti una relazio-ne sentimentale con unaspoglierellista, anche leialla ricerca di una stradadiversa.

DUE PARTITEdi EnzoMonteleone.CinemaNuova Lucedal 13

al 17 marzo Feriali 21.30 Festivi 17.30/21.30

Scritto da CristinaComencini e interpretatoda otto fra le miglioriattrici italiane, è un filmin cui gli uomini, pureargomento centraledei dialoghi, non compaiono nè esistonomai in campo. Per la rassegna cinemato-grafica, il Cinema NuovaLuce propone il 18 e il 19marzo alle 21,30 il film Ilgiardino dei limoni, delregista israeliano EranRiklis, che racconta lastoria di una donna chedifende dalla politica ipropri alberi di limoni.

tellone

Con i portoni serratiEsplorando i luoghi di culto dimenticati dalla città

Molte le chiese dentro le mura che il clero non riesce a mantenere aperte

Lontano dalla faccia-ta del Duomo c’èun’altra Urbino reli-giosa. Chiese picco-le che gli urbinatihanno dimenticato,

che rimangono a testimoniareuna religiosità antica ma au-tentica. Contarle è difficile.Molte sono state demolite, al-tre soppresse. Quelle di cui ri-mane ancora traccia visibilesono 40, forse di più. Senza cal-colare quelle inglobate nel tes-suto cittadino e che oggi sonobar, sedi universitarie o labora-tori di restauro. Nessun cartel-lo indica questi edifici ai turistie, anche se si avesse la curiosi-tà di cercarli, si troverebberosolo portoni serrati. Così, men-tre le prime scolaresche, comeogni primavera, arrivano in cit-tà ad affollare le scalinate delDuomo, questi luoghi riman-gono avvolti nel silenzio. Lungo via Saffi, sulla sinistra, siincontra la chiesa di Sant’Ago-stino. Fondata dai padri Ago-stiniani nel 1258, oggi è un de-posito che raccoglie opered’arti provenienti dalle altrechiese chiuse. Attraversando ilcentro cittadino alle spalle dipalazzo Corboli, si incontra unaltro portone con un arco an-nerito a fargli da contorno. E’l’ingresso di Santa Maria dellaTorre, non più di proprietà del-

FRANCESCO CIARAFFO la Curia ma del Comune. Qui ilportone è semichiuso. A curarel’apertura è una signora anzia-na, lo fa gratuitamente dal1995. Quando i turisti affollanola città, qualcuno passa anchedi qui, si ferma, entra, dà un’oc-chiata. La signora fa un po’ daguida. “Ma quando i turisti so-no tanti io mi allontano”, e cosìdicendo sparisce nella portici-na che conduce a quella che untempo era la canonica. Qual-che passo più in là, sulla sini-stra, comincia una discesa. Lavista del campanile annunciala chiesa di San Bartolomeo,che tutti chiamano San Barto-lo. Alla sinistra del portone re-sta una solitaria statuetta delsanto. Girando a sinistra e co-steggiando le mura si sbuca invia Battisti. Adiacente agli ar-chi di una delle tante porte,quella di Lavagine, c’è un altrotempietto: santa Maria degliAngeli. Fino a pochi anni faapriva nel giorno di sant’Annaper una Messa a cui partecipa-vano le donne incinte, di cui lasanta è protettrice. Oggi rima-ne solo la scritta latina a far dacornice. Risalendo verso piaz-za della Repubblica, sulla de-stra, c’è via di sant’Andrea. Fat-ti pochi passi si vede la chiesache dà il nome alla strada. Mol-ti urbinati non la ricordanonemmeno, altri invece non l’-hanno mai conosciuta. Da qui,salendo le scalette di Santo Spi-rito e attraversando via Bra-

mante, si sbuca su via Raffael-lo. Raggiunta la “vetta” e svol-tando a sinistra ci si trova da-vanti alla chiesa dei Carmelita-ni Scalzi. Fino a pochi giorni faarrivava quassù don MarsilioGalli per celebrare la messa. Ve-nivano tutte le vecchine di viadei Maceri e di Giro del Casse-ro. Dopo la scomparsa di donMarsilio, avvenuta di recente,probabilmente anche il porto-ne di questa chiesa, fondata nel1389, rimarrà chiuso. Per il clero urbinate curare tut-te le chiese tra le mura è impos-sibile. I sacerdoti sono quattroe riescono a gestire come par-rocchie solo il Duomo e SanDomenico. Più San Francescocurata dai francescani. Moltealtre vengono aperte solo per lacelebrazione eucaristica. Urbi-no è anche città di oratori. Cene sono decine e vengono ge-stiti dalle confraternite. Comequello della Morte, dietro viaVittorio Veneto. All’interno èconservata una magnifica cro-cifissione dipinta dal Baroccitra il 1597 e il 1603. In vicolo delRifugio, c’è il piccolo oratoriodelle Cinque Piaghe, frutto didevozione popolare. Da qual-che anno, su iniziativa di Giu-seppe Cucco e Giuliano Santi-ni, si cerca di far conoscerequesti luoghi di arte e di cultoanche ai turisti rendendoli visi-tabili su prenotazione.

[email protected]

Gli oratori urbinati sempre visitabili sono due, quello diSan Giovanni e di San Giuseppe. Grazie all’iniziativa diGiuseppe Cucco e Giuliano Santini è possibile visitarnesu prenotazione altri cinque: la chiesa del CorpusDomini, l’oratorio della Morte, di sant’Andrea Avellino,delle Cinque Piaghe, della Santa Croce. Gli organizzato-ri si avvalgono delle collaborazione degli studenti direstauro.

GLI ORATORI

La chiesadegli Scalzi

rischia diaggiungersi

alle altrechiesechiuse

dopo lamortedi don

MarsilioGalli,il

sacerdoteche vi

celebravala Messa

S. MARIA DELLA TORRE ORATORIO DELLA MORTE S. ANDREA APOSTOLOS. AGOSTINO

car

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CULTURA E SPETTACOLI

Teatro

L’INTERVISTATeatro Sanzio 18 marzoOre 21,00

Ultima dellenove operescritte da

Natalia Ginzburg per il teatro,l’Intervista comunica in pienola visione negativa che l’autri-ce aveva della vita. Un rac-conto in tre atti che mette inluce la debolezza, la fragilità el’insicurezza dell’uomo. Unuomo che sembra non potermai dominare la propria vita e

che solo quando cresce ediventa più saggio scopre chei sogni molto spesso non sirealizzano.

LE REGOLE DEL SAPERVIVERE NELLA SOCIETÀ

Teatro Sanzio24 marzoOre 21,00

Il galateo non èpiù adeguato aitempi. E allora

eccone uno nuovo e dissa-crante. Perchè nascere non ècomplicato, e anche morire èmolto semplice. Vivere perciònon è necessariamente impos-

sibile. Morto prematuramentenel 1995, a soli 38 anni,Lagarce è tra gli autori france-si contemporanei il più rappre-sentato, nonchè tradotto inmolti paesi.

Mostre

A R N O R L OCIARROCCHIA c q u a r e l l idegli anni SessantaCasa natale di Raffaello

dal 4 al 28 marzoDal lunedì al sabato

ore 9-13/15-19. Domenica ore 10-13

L’Accademia Raffaello, in col-laborazione con l’Università diFerrara, propone una mostracon alcuni degli acquarelli piùfamosi di Arnaldo Ciarrocchi.L’artista, che ha compiuto glistudi all’Istituto d’arte diUrbino, è considerato uno deimigliori incisori contempora-nei. “E’ luce adriatica quellache scorre liquida negliacquarelli e nelle incisioni delCiarrocchi”, scrive il giornali-sta Valerio Volpini, sottolinean-do la componente luminosadel suo segno grafico.

LA NUOVA ICONAPalazzoDucale, saledel Castellaredal 21 marzoDalle ore16,00 alle 19,00.

A cura di Bruno Bandini,la mostra raccoglie operedi artisti come Basile, Cascella, Cavina, Colognose,Donzelli, Lodola, Montesano,Ontani, Petrosillo, Salvoe Santoli. Bandini è docente all’ISIA diUrbino, dove insegna Storiadelle comunicazioni visive.

La nuova manodi Celestino V

Il restauro della statua danneggiata

Intervista spettroL’opera della Ginzburg il 18 marzo al Sanzio

L’attrice Maria Paiato delusa: “Dal 1975 ci governa la televisione”

Da largo Clemente XI lastatua del “Papa del granrifiuto” saluta di nuovo

gli urbinati, i turisti e gli stu-denti. Tre anni fa la scultura raf-figurante Papa Celestino V hasubito atti vandalici e la manodestra era andata perduta. I la-vori di restauro diretti dall’arti-sta urbinate, Arnaldo Balsami-ni, hanno restituito integritàall’opera scolpita da Bartolo-meo Pincellotti nel 1793: “Hostudiato a lungo il calco dellamano sinistra per ricostruire ladestra. In base alla posizionedel braccio, la mano è stata ri-fatta in una posizione non be-nedicente ma di saluto”.All’inaugurazione della statuaristrutturata è intervenuto an-che il sindaco di Urbino, Fran-co Corbucci, e il presidentedella provincia di Pesaro e Ur-bino, Palmiro Ucchielli. Da-vanti alla scolaresca dell’istitu-to comprensivo Giovanni Pa-scoli hanno entrambi sottoli-neato l’importanza della tuteladel patrimonio artistico citta-dino. “Il rispetto della storia edel passato è importantissimo.

E quello di Urbino è un glorio-so passato. Se questa manoreggerà sarà un buon segnaleper la città" ha commentatoCorbucci. Per Ucchielli “Non sitratta solo di educazione civicama anche di evitare lo spreco dirisorse pubbliche. E poi questacittà è un gioiellino e i gioiellininon vanno sciupati”.Celestino V, patrono di Urbino(insieme a San Crescentino), fuil 192esimo Papa della ChiesaCattolica. Fu eletto Pontefice aPerugia il 5 luglio 1294 in virtùdella sua fama di santo. Fu con-sacrato il 29 agosto 1294 all’A-quila. Troppo anziano e inca-pace di liberarsi dalle continuerichieste di favori da parte deisuoi monaci e di Carlo II d'An-giò (che lo indusse a nominarevari cardinali francesi), doposoli cinque mesi di pontificatoabdicò. Il fatto di essere il pri-mo ed unico Papa a rinunciarealla guida della Chiesa gli valsela citazione di Dante Alighierinella Divina Commedia come"colui che fece per viltà il granrifiuto".

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FABIO GOBBI

FEDERICO DELL’AQUILA

Ultima delle noveopere teatraliscritte da Nata-lia Ginzburg,l’Intervista an-novera tra i suoi

più importanti allestimentiquello di Luchino Visconti e diLaurence Olivier. Il 18 marzo, ilregista e attore Valerio Binascola porterà al teatro Sanzio diUrbino.Con un’intervista “fantasma”mai compiuta, la Ginzburg rac-conta anche unpezzo di storia delnostro Paese. So-no due i livelli dilettura dell’ope-ra: uno “privato”,che riguarda lestorie dei perso-naggi , e uno“pubblico”, cheallude a dieci im-portanti anni del-la storia italiana.L’opera è infattiambientata fra il1978, anno dell'o-micidio Moro, e il1988, anno primadella caduta delMuro di Berlino.Maria Paiato, co-p r o t a g o n i s t adello spettacolonel ruolo di Ila-ria, dice al Duca-to: “Il personag-gio di Gianni Ti-raboschi ci con-segna questa Ita-lia dove i politicisono visti tutti come personag-gi che predicano bene ma raz-zolano malissimo. Non ci sisente più rappresentati da nul-la”. La Paiato si sbilancia quan-do parla di un vero e proprio“disegno di abbassamento cul-turale voluto da parte di chi ge-stisce la cultura che si è attuatoe che è oggi ai minimi storici.Dal ‘75, dall’avvento delle tvprivate, ci governa la televisio-ne”. Poi, una nota di merito alla

Altro aspetto interessante è laconcezione che la Ginzburg hadel tempo, che vola e che appa-rentemente non apporta so-stanziali mutamenti. Fra esta-te, stagione in cui Marco e Ila-ria si vedono la prima volta, in-verno e primavera, ambienta-zioni dei successivi incontri,sembra non cambiare nulla. Lacasa è sempre uguale così co-me la vita sciatta di Ilaria e diStella. Cambia però la saggezzadi Marco che afferma: “con lavecchiaia si vede tutto più chia-ramente”. Ma il senso dell’opera sembra

essere tutto nel-l’ultima battutadi Ilaria, quan-do, rivolgendosia Marco dice:“Non lo sapeviche le cose suc-cedono semprequando non levogliamo più?”.Questa frase perla Paiato è “lamorale dell’ope-ra ed è anch’essamolto cechovia-na. Passiamo lavita ad amare chinon ci ama e adessere amati dachi non amiamo.È il senso dellavita, ma al tempostesso il suo mo-tore: non esseremai al passo conquello che acca-de e desiderareinvece cose cheprobabilmentenon accadranno

mai. Ma il desiderio è il grandemotore del mondo. Perciò que-sta affermazione da un lato ètriste, dall’altro no”. Rimaneuna visione caduca della vita,sempre priva di soddisfazioni.Peggio, quando queste arriva-no non sono più tali per coluiche le aveva tanto bramate eche intanto si è stufato di inse-guirle.

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Ginzburg che, nel 1988, avevagià intuito tutto questo proces-so di degenerazione. Da quest’opera traspare la con-cezione che la Ginzburg avevadell’uomo, una visione un po’catastrofica della vita. I tre per-sonaggi de “L’intervista” sem-brano non aver mai pienamen-te sotto controllo la propria esi-stenza. Ilaria è completamenteisolata nella sua stanza dovenon sente nulla, né il campa-nello della porta né il telefono.Non fa nulla dalla mattina allasera e dimostra di essere com-pletamente astratta dal mon-

do, quando dice di non capirenulla di politica e delle cose dicui parla il suo compagnoGianni. Né Ilaria né Stella sipreoccupano di fare la spesa edi tenere in ordine la casa. LaPaiato vede un’influenza ce-choviana sulla caratterizzazio-ne dei personaggi che “sono in-concludenti, sbagliano e noncolgono le opportunità giuste”come spesso accade nella vitareale.

La statua del Pontefice dopo il restauro: la mano destraera stata distrutta tre anni fa da alcuni vandali

Valerio Binasco, Azzurra Antonacci e Maria Paiato

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il Ducato

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Elezioni, forse scontro a dueNuovo rettore, finora sono ufficializzate le candidature di Magnani e Pivato

Per il dopo Bogliolo alle urne il 20 e 21 maggio. C’è tempo fino al 20 aprile per presentarsi. Dibattito acceso

Sfida a due nella corsaper la nomina a nuovoRettore della “CarloBo”. Almeno per il mo-mento. I candidati uf-ficiali sono Mauro

Magnani, prorettore vicario dal2001 e Stefano Pivato, presidedella Facoltà di Lingue e Lette-rature Straniere dal 2000. En-trambi si sono laureati all’Uni-versità di Urbino: Magnani, 55anni, in Scienze Biologiche nel1976; Pivato, 58 anni, in MaterieLetterarie nel 1973.Franca Perusino, decano dell’a-teneo urbinate, con il decretofirmato il 6 marzo ha ufficializ-zato la campagna elettorale perl’elezione del Rettore. “Il termi-ne per candidarsi - avverte la Pe-rusino - è il 20 aprile, data entrola quale le candidature dovran-no essere presentate in formascritta, corredate da un sinteticodocumento programmatico”.Numerosi gli aspetti che i duecandidati affrontano nei rispet-tivi documenti, frutto di un la-voro di squadra. “In questi giorni - puntualizzaMagnani - stiamo rifinendo ilprogramma. Tutte le attivitàche impianteremo nell’ateneosaranno basate sulla qualità,parametro sulla base del qualeprendere decisioni, fare valuta-zioni e attraverso il quale attiva-re una politica che riguardi il re-clutamento, la scelta dei corsi distudio, l’organizzazione dei di-partimenti, le attività di ricerca.Stiamo sistematizzando i con-tenuti del programma e, appe-na finito, li renderemo pubbliciattraverso un blog. È probabileche l’apriremo in settimana”. “Stiamo costruendo il pro-gramma - spiega Pivato - con lamassima partecipazione. Èquello che sto facendo con ilblog «Cambio di passo», apertouna decina di giorni fa. Insistia-mo sull’internazionalizzazionee sulla comunicazione. Concet-ti come quelli di spirito d’ap-partenenza e identità sono vuo-ti se non si ripristinano due fat-tori: la fiducia e la trasparenza.Vogliamo infondere uno spiritopiù collettivo e partecipativo aquesta università. Credo moltoalla figura dello studente-citta-dino, più integrato nel tessutolocale”. Ampio e acceso è il dibattitosulle elezioni del Rettore. Indi-screzioni lasciavano pensare auna possibile candidatura diGuido Maggioni, professore or-dinario di Sociologia del dirittoalla Facoltà di Sociologia e pro-rettore alla didattica. Ma sonostate smentite al Ducato dal di-retto interessato.Giancarlo Scoditti, professoreordinario di Etnologia, che asua volta ha smentito, preferi-sce fornire idee al futuro Retto-re: “La trama su cui si dovrebbearticolare la fisionomia dell’U-niversità dovrebbe distinguerladalle altre tre università delleMarche. Credo che sia correttofocalizzare l’attenzione su unastruttura-cellula, inserita nelpiù ampio contesto europeo e

internazionale”. Il nuovo statuto prevede che ilsuccessore di Giovanni Boglio-lo assuma l’incarico tre mesidopo la nomina da parte del Mi-nistro e che resti in carica fino alterzo anno accademico succes-sivo. A scegliere il Rettore saran-no i professori di ruolo, il perso-nale tecnico-amministrativo, iricercatori e gli studenti. Il metodo di votazione prevedeil “voto pesato”: a ogni categoriaè assegnata una percentualecon la quale influirà sul risulta-to finale (48% professori; 24%ricercatori e assistenti; 18%personale tecnico-ammini-strativo; 10% Consiglio deglistudenti). Nel caso in cui i vo-tanti di una componente do-vessero essere meno della metàdegli aventi diritto, il peso corri-spondente sarà dimezzato edistribuito in proporzione allealtre componenti. Le prime vo-tazioni si terranno il 20 e 21maggio.

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Più iscritti a Pesaro e Fano. Forte il legame con il territorio

Le sedi distaccate fanno bene all’ate-neo. E’ unanime il coro di coordina-tori e addetti ai lavori secondo i

quali i centri universitari di Pesaro e Fa-no non rappresentano un limite ma unvalore aggiunto.Lo dicono loro e lo dice il numero degliiscritti. Pesaro Studi, l’associazione natanell’aprile del ’97 per fare datramite tra l’università du-cale e la città da cui prendeil nome, registra la presenzadi circa 1300 studenti sud-divisi tra cinque corsi di lau-rea (tre per Urbino e due perAncona). Trecento in più ri-spetto a quattro anni fa. Eben 850 ragazzi sono lì inviale Trieste per seguire ipercorsi di studio propostidall’università montefeltri-na. Molti più della metà.Anche Fano fa la sua parte. Ilcorso di laurea triennale inbiotecnologie e la speciali-stica in biotecnologie indu-striali contano 144 studen-ti. Più del doppio, se si pen-sa ai 71 di tre anni fa. E’ co-stante, invece, il numerodelle immatricolazioni: 46,esattamente come lo scorsoanno. Meno entusiasmo perle discipline economiche. Ilprofessor Massimo Ciam-botti, responsabile della se-de fanese di economia, parla di una par-tecipazione non superiore alla quindici-na di studenti l’anno per il curriculum ininternazionalizzazione delle imprese.Proprio in questi giorni, si sta valutandol’ipotesi di sostituire questo corso conuno potenzialmente più appetibile, vali-do per l’abilitazione all’esercizio della

professione di commercialista.Ma a parte le eccezioni, non si può direche le sedi distaccate non piacciano aigiovani. Forse per una questione geogra-fica e logistica, data la vicinanza alla Ro-magna e i vantaggi che una grande cittàcomporta. Una posizione strategica nonda poco, se si pensa ai perenni problemidi collegamento che penalizzano Urbi-no.Il maggiore punto di forza sta nel legame

tra didattica e territorio. Giovanni Boc-cia Artieri, presidente del corso di laureain Scienze della comunicazione, spiegache quando si lavora per dare ascolto a“vocazioni territoriali” si arriva a un pro-dotto condiviso. E, possibilmente, a unosbocco occupazionale. L’obiettivo ècreare professionisti che possano ri-

spondere a una domanda di mercato at-traverso un percorso formativo ad hoc.Come il master sulla nautica (“Home,building and marine automation”) che sitiene a Fano, città di mare dove la cantie-ristica navale ha da sempre un ruolo pri-mario. “Con la crisi mondiale – affermal’assessore ai rapporti con l’universitàGianluca Lomartire - le cose sono un po’precipitate, ma fino a oggi il progetto hasempre funzionato bene”.

Il rettore uscente GiovanniBogliolo ricorda che “sitratta di corsi che primanon esistevano e che a Ur-bino non sarebbero potutinascere”. Corsi diversi daquelli della sede centrale.“Niente doppioni – precisaBoccia Artieri – ma è soloquestione di concreto lavo-ro. Il decentramento nonha fatto altro che potenzia-re l’offerta formativa dell’a-teneo sulla base di precisespecificità, senza orientaregli studenti verso l’una ol’altra sede”.Sulle sedi distaccate Bo-gliolo fa un bilancio più chepositivo, ma chiarisce chenon è l’inizio di espansioniulteriori. “L’importante ègarantire i servizi. E i servi-zi, così come il marchio, so-no quelli di Urbino”.Le cose funzionano ma conqualche neo. Marzia Bian-chi, presidente del corso di

laurea in biotecnologie, nota che a volte ildistaccamento è causa di lievi ritardi. “AFano c’è una segreteria per le esigenze im-mediate, ma gli uffici centrali, così comequelli dell’Ersu, hanno sede a Urbino. An-che se alla fine non è mai stato un limite peri nostri studenti”.

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SIMONE CELLI

Il 25 e 26 marzo gli stu-denti avranno 6 schedeper votare i rappresentan-ti di facoltà, i consiglieridi amministrazione di uni-versità ed Ersu, i delegatidel comitato per le pariopportunità, i rappresen-tanti al senato e al Cus. Irappresentanti da elegge-re sono passati da 27 a34.I principali gruppi studen-teschi sono: Le Formiche,Azione Universitaria,Confederazione degliStudenti, Student Office.

(l.f)

STUDENTI AL VOTOGIOVANNI PASIMENI

L’ingresso della nuova sede distaccata di Fano

Mauro Magnani Stefano Pivato

Il decentramento funziona

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Viaggiando per la strada Rossa, è fa-cile incrociare alcuni autostoppi-sti; in genere si tratta di studenti

della Sogesta, il campus scientifico del-l’ateneo di Urbino. Da anni questa strut-tura è al centro di una serie di polemichesu trasporti e servizio mensa. Polemicheche non accennano a placarsi.Lo scorso aprile il Ducato pubblicava unarticolo che dava voce alle lamentele deglistudenti e dei loro rappresentanti; undicimesi dopo, poco o niente è cambiato. Ilcampus, un tempo centro di ricerca del-l’Eni, dista 4 km da borgo Mercatale: siscende lungo una serie di tornanti dapercorrere a marce basse, di sera com-pletamente al buio. “L’autostop - fa nota-re Maria Luisa, foggiana iscritta al corso

di biologia cellulare molecolare - è all’or-dine del giorno. Grossomodo c’è un busall’ora, ma spesso perdi le coincidenze conle partenze da borgo Mercatale”. Nel week-end le corse diminuiscono: “L’ultima è al-l’una di notte. Se non c’è qualche amicoche mi porta, o resto qua o il taxi mi spilla8-10 euro”. La fermata dell’autobus è al-l’incrocio tra la strada Rossa e la deviazio-ne per san Battista in Crocicchia. “Finite lelezioni - racconta Sara, iscritta a scienzebiologiche - spesso non si riesce a salire sulbus perché si riempie subito”. Non solo:senza una pensilina, d’inverno i ragazzi siprendono pioggia e neve. Mattia Fadda,presidente del Consiglio degli studenti, ri-dacchia amaramente: “Abbiamo mandatouna lettera all’Ami e ai comuni di Urbino eFermignano. Un anno fa il sindaco Cor-bucci e un dirigente dell’Ami ci hanno det-to che avrebbero montato la pensilina di lì

a pochi giorni. Lei l’ha vista?”.I ragazzi del campus sono scontenti anchedi quello che mangiano. “La pasta - si ras-segna Sara - è sempre scotta e le vivandesono trasportate in contenitori termicidalle mense del Tridente e del Duca, dovesi paga come alla Sogesta”. Luigina Valdar-chi, responsabile della mensa, si difende:“Al momento la cucina della Sogesta non èa norma, e c’è carenza di organico per rea-lizzare una mensa vera e propria; il servi-zio è nato solo come distribuzione pasti”.Invariato anche il sistema delle prenota-zioni: si ordina pranzo e cena con una car-ta prepagata dell’Ersu, da cui è subito sca-lato l’importo del pasto. “Il problema -spiega Sara - è che se entro le 11 non si rag-giungono almeno 10 prenotazioni, lamensa rimane chiusa la sera; e allora omangi in centro, o ti tieni la fame”.

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UNIVERSITÀ

Quando entro nel suoufficio, al secondopiano della biblio-teca centrale uma-nistica di via Saffi, ildottor Marangoni è

al computer. La sua scrivania èpiena di libri disposti uno sul-l’altro. Altri libri sono sui tavolie sulle sedie. Dopo qualche at-timo di perplessità, mi fa acco-modare. Peccato che, una voltaseduto, faccia fatica a vederlo. Ilibri lasciano poco spazio: so-no le nuove acquisizioni che il di-rigente dell’Area Umanistica delsistema bibliotecario d’Ateneosta catalogando. “Però io questolavoro non dovrei neanche farlo.Ci vorrebbe una persona che sioccupasse solamente della cata-logazione, ma non c’è!”.E’ questo il problema più gravedelle biblioteche a Urbino: ilpersonale. Nel giro di cinqueanni si è passati da 48 a 38 uni-tà. Oltre ai pensionamenti,qualche trasferimento e unpaio di decessi. Chi se ne è an-dato non è stato sostituito. An-che perché le assunzioni sonobloccate dal 2003 per il piano dirientro post-statalizzazione.Eppure il patrimonio comples-sivo delle biblioteche universi-tarie è di quasi 600.000 titoli.Un tesoro non indifferente, checrescerà fino alla cifra di un mi-lione di volumi, grazie alla con-venzione stipulata nel 2001con la provincia, che permette-rà di catalogare l’intera raccol-ta libraria provinciale.E invece si va avanti come sipuò, alla meno peggio.“Siamo al livello minimale, maancora la situazione non è taleda causare disservizi”, dice Ste-fano Miccoli, che dirige la bi-blioteca di Giurisprudenza e

Scienze Politiche. “Il problemadel personale però c’è: pochicome siamo, le sostituzioni so-no un problema”.E’ quanto è accaduto alla bi-blioteca di Scienze Motorie.L’anno scorso il personale èsceso da tre a due persone.Quando una di queste è andatain aspettativa sindacale, spessola biblioteca è rimasta chiusa dipomeriggio.Ancora più eclatante il caso del-l’Emeroteca, dove si possonoconsultare quotidiani e riviste, inun archivio ricco di decenni dipubblicazioni. Da anni rimaneaperta solo la mattina.Altro problema, gli spazi, soprat-tutto nel centro storico. Non si sapiù dove depositare i nuovi titoli.

“L’edilizia bibliotecaria non èpiù gestita da anni” dice Ma-rangoni. “Si era pensato di uni-ficare l’intera sezione umani-stica, ma è difficile.” La conse-guenza è la frammentazione.Varie sezioni sono nei singoliistituti, come quello di Filoso-fia. Nella sede ristrutturata diPalazzo Albani, un signore è in-tento ad esaminare un vecchiovolume: “Sono solo un volon-tario”. La sua presenza è ciono-nostante fondamentale, vistoche l’istituto è aperto una man-ciata di ore alla settimana.La sezione umanistica soffre diun altro handicap. La gestionedel pregresso è ferma. I libri fi-no agli anni ’50 non sono regi-strati nell’Opac, il registro in-

formatico che si può consulta-re dal sito dell’ateneo. Per la ca-talogazione occorre infattipersonale specializzato.Secondo Tiziano Mancini, di-rettore della biblioteca di Eco-nomia-Sociologia, gli investi-menti non sono mai abbastan-za. L’anno scorso in totale i fon-di destinati alle biblioteche,che servono anche agli acquistidei nuovi volumi, sono stati perun totale di 1.115.000 euro. Perfar fronte alle necessità, la diri-gente della sezione scientifica,Marcella Peruzzi, ha deciso dipuntare sugli abbonamenti al-le banche dati e alle riviste on-line, anche perché “i prezzi del-l’editoria scientifica cresconoin media dell’8% all’anno”.

Però la voglia di fare non man-ca, fra i bibliotecari.“Nonostante tutte le difficoltàsiamo riusciti a portare a ter-mine molti progetti” dice la Pe-ruzzi. “Siamo sottodimensio-nati, ma si riesce anche a farecose interessanti”, confermaMiccoli. E mostra olympus,frutto della collaborazione conInail e Regione: una banca datitotalmente open, che raccoglietutti i documenti sulla sicurez-za nel lavoro.A dimostrazione che la qualitàc’è. E che l’arte di arrangiarsicolma le lacune di una scarsasensibilità che si incontra inchi è responsabile di gestire ilsapere.

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Sogesta, bocciati bus e mensaContinuano i disagi. Gli universitari del campus protestano

MATTEO FINCO

E nelle bibliotechenon si sa piùdove mettere i libri

Personale al minimo, assunzioni bloccate

LUCA FABBRI

La biblioteca di Economia e Sociologia a palazzo Battiferri

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il Ducato

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Il Futsal Makkia sogna la BCalcio a cinque, dopo la vittoria con la Numana i playoff sono più vicini

Parla il presidente Giovanni Pagnoni: “Per noi questa disciplina ha soprattutto un compito di natura sociale”

Squadra

Acli Montegranarese* Acli S. Giuseppe Calcetto Numana Nuova Morrovalle Sporting Lucrezia Futsal Urbino Real Monturano*Leopardi FalconaraSan SeverinoCastelbellino Ca5Bocastrum UnitedFutsal FanoH.R. Recanati*Ca5 Corinaldo*Porto S. Giorgio

LA CLASSIFICA

Ducali versogli spareggiP

rogetto Ambizioso.O Pagnoni Amaran-ti, i cognomi dei fon-datori: questi i duesignificati del P.A.che precede il nome

Futsal Makkia Urbino. Lo svelaGiovanni Pagnoni, il presiden-te-ragazzo che con Marco Ama-ranti fondò la so-cietà. Giovanni al2-0 dei suoi inter-rompe la -chiacchierata edesulta come In-zaghi sotto lacurva sud, la fac-cia paonazza. Poisi risiede e dice“Scusa, sai...”. Cimancherebbe:ora il progetto èambizioso vera-mente.“Il Futsal nascenel 2001 per hobby, quasi perscherzo”, racconta Giovanni, esubito ottiene la promozionenella serie C2 di calcio a cinque:“Vincere il campionato al primotentativo è stato forse il mo-mento più bello di questi ottoanni”. Nel 2006, un anno dopoaver perso il campionato all’ul-

tima giornata, il salto il C1 graziea un ripescaggio. Il 2007 è duris-simo: salvezza grazie alla VigorFabriano che non retrocede dal-la B. Lo scorso anno ancora sal-vi all’ultimo secondo. Ora, conla vittoria contro il Numana dilunedì, la terza consecutiva, lasquadra sfiora la zona playoffper la serie B: “E’ bellissimo e unpo’ inaspettato, anche perché

quest’anno lastagione è inizia-ta con cinquesconfitte conse-cutive”, a finepartita è sudato efelice il capitanoFi l ippo Pier i .L’anno scorso Fi-lippo giocava inB, all’Alma Ju-ventus. Ci rac-conta che “L’im-pegno era totale,mi allenavo tutti igiorni: in quel

campionato o giochi o lavori”.Ma se arrivasse la promozione?“Inutile dire che lo spero ugual-mente, l’appetito vien man-giando. Chissà, se non avessimoavuto tutti quegli infortuni ainizio stagione…”.E allora quando la serie B, signorpresidente? “Ci stiamo pensan-

do, non nascondo che in qual-che anno la vorremmo raggiun-gere”. Dalla fila dietro, quella deitifosi veraci che stanno ascol-tando, gridano: “Questo non loscrivere, per piacere! Noi ci toc-chiamo!”. Giovanni sorride econtinua: “In C1 o B che sia, ilproblema sono gli utili che nonci sono e gli sponsor che latita-no: a dicembre ne sono saltatidue. Per fortuna –continua – grazie almio lavoro, per orariesco a trovare nuo-vi finanziatori”.Il Progetto Ambizio-so non è solo C1. Frastaff e giocatori un-der 21, juniores esquadra femminilecoinvolge un centi-naio di persone. Bi-sogna pagare divise,attrezzature, assicu-razioni, visite medi-che e il rimborsospese per chi viene da più lonta-no: molte pedine della primasquadra sono di Fano e Cagli. Esoprattutto c’è da pagare l’affit-to del palazzetto. Qualche soldoarriva da Tele 2000 che trasmet-te tutte le partite casalinghe. Sicerca anche di risparmiare unpo’ scoprendo i giocatori, senza

comprarli altrove. Da quattroanni la società organizza un tor-neo estivo e dalla scorsa setti-mana è iniziato il progetto “Fut-sal che passione”: se ne occupaLudovico Giosuè, allenatoredella squadra under, che cercadi avvicinare al calcetto i ragaz-zi delle terze classi dell’Itis Enri-co Mattei. “Ma il nostro è princi-palmente un compito sociale,

per avvicina-re i ragazzi almondo dellosport – spiegaPagnoni – etenerli lonta-ni dalla play-station. L’an-no prossimocercheremodi coinvolge-re altre scuolee altre classi”.Ma ora man-cano due mi-nuti al termi-

ne dell’incontro di C1. Il bom-ber Giommi segna in mezza ro-vesciata il 4-1 che mette inghiacciaia il match con il Numa-na, quarto in classifica. Il FutsalMakkia vola alto. Il presidentesussura: “Questa può essere lasvolta”. Il Progetto è [email protected]

Il capitano:“Promozionein serie B?Lo spero,l’appetito

vien mangiando”

“Futsal chepassione”: un progetto

per avvicinarei giovaniallo sport

In magliagialla, i giocatoridel Futsalprima dell’incontroconla NumanaCalcettovintoper 4 a 1

ANDREA TEMPESTINI

Punti

59494440383837353128262626242321

*Una partita in menoLa prima promossadirettamente in Serie B.Playoff dal 2° al 5° posto

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SPORT

Una sedia d’arbi-tro arrugginita,sterpaglie e se-die rotte intor-no agli spoglia-toi, muschio

sui campetti: così si presenta-no oggi i campi da tennis vicinoai collegi della Vela. Se tutto vabene, però, riapriranno alla fi-ne dell’estate. A dirlo è il diret-tore amministrativo dell’uni-versità di Urbino Enzo Fraga-pane.Tra fine marzo e metà apriledovrebbe essere indetto il ban-do che inviterà a presentare i progetti di ristrutturazione.Poi se ne sceglierà uno e i lavo-ri potranno cominciare.I campi sono di proprietà del-l'Università, che ne aveva affi-dato la gestione al Centro uni-versitario sportivo (Cus) findalla loro apertura. Alla finedegli anni novanta sono cadutiin disuso e più volte gli studen-ti ne avevano sollecitato la ri-apertura. Ma nel 2008 qualcosaha cominciato a muoversi: ilCus e il Comitato per lo sporthanno presentato all'universi-tà la proposta di rinnovare icampi; proposta che il consi-glio d'amministrazione ha ap-provato lo scorso settembre,dando così il suo benestare al-l'assegnazione dei lavori.L’inverno, poi, è stato un frenoper procedere all’assegnazio-ne: “Sarebbe stato complicatocompiere la ristrutturazionecon freddo e neve; con la bellastagione invece - spiega Vilber-to Stocchi, presidente del Co-mitato per lo sport - tutto andràpiù speditamente”.“I lavori non dovrebbero dura-re molto - dice il dottor Fraga-pane - ma naturalmente di-penderà dal progetto".Tra le ipotesi in cantiere c'è an-che quella di non limitarsi arinnovare i campetti, ma di tra-sformarli in un centro polifun-zionale in cui sarà possibilegiocare anche a calcetto. Inquesto caso sarebbe necessa-rio ampliare gli spogliatoi: senei due campi si dovesse prati-care anche il calcio a cinqueservirebbero delle docce inpiù.Per la ristrutturazione verran-no messi a disposizione circa120 mila euro. Nelle casse del-l'università ci sono infatti 160mila euro da destinare esclusi-vamente alle strutture sportiveper gli studenti, ma 35 mila diquesti verranno sicuramenteusati per rimettere in sesto letensostrutture della facoltà discienze motorie, padiglioni cli-matizzati ormai in pessimecondizioni.Si tratta di finanziamenti che ilCus aveva ricevuto dal ministe-ro alla fine degli anni ottanta,quando l'ateneo non era anco-ra una "università statale"."Per anni - spiega il presidentedel Comitato per lo sport, Vil-berto Stocchi - tutti i fondi so-no rimasti congelati per viadelle difficoltà finanziarie chegravavano sull'università di

Urbino". Quest’anno invece,con la vendita dei collegi allaregione Marche, l’ateneo haquasi ottenuto il pareggio delbilancio. E la situazione sembra final-mente sbloccata.Lo scorso Febbraio, tra l’altro, èstata rinnovata la convenzionefra Cus e università, una sortadi accordo quadro a scadenzaquinquennale per l’ammini-strazione degli impianti spor-tivi: “Se i campi verranno final-mente rinnovati – dice il presi-dente del Cus Gaetano Partipi-lo – saremo dunque già prontiad affrontarne la gestione”.“Il Cus avrebbe ogni interesse ache i campi si riaprissero - spie-ga il presidente Partipilo. E an-che gli studenti.Circa due mesi fa il consigliodegli studenti aveva deliberatoproprio a favore della ristruttu-razione dei campi da tennisdella Vela. "Aspettiamo con an-sia che qualcosa si muova inquesta direzione" affermaMattia Fadda, il presidente delconsiglio degli studenti.E adesso pare che la macchinaburocratica si sia finalmentemessa in moto.

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I tanti ciclisti della domenica

Ritornano i campi da tennis L’università stanzierà circa 120mila euro per rinnovare l’impianto della Vela

Si parla di una nuova struttura polifunzionale gestita dal Cus pronta a ospitare anche il calcetto

Nella sonnolenta domenica urbi-nate percorrono le strade di Urbi-no, Fano, Pesaro, le campagne del

Montefeltro, i borghi medievali di cottorosso che popolano il territorio marchi-giano. Sono i ciclisti dell’ asso-ciazione A.S.D. Ciclo Ducale,nata nel 1999 nell’ambito delciclismo amatoriale da un’ideadi Eugenio Carlotti e Gianfran-co Fedrigucci, con l’intento dicondividere la passione del ci-clismo e la voglia di valorizzarela propria terra.L’associazione conta trentottotesserati e si è distinta negli an-ni per l’organizzazione di dueeventi: la Straducale e la crono-scalata “I Muri di Urbino”. LaStraducale è una granfondo(una gara impegnativa da 130 –150 chilometri) internazionaleche da quest’anno fa parte delcircuito europeo “Prestigio”,che annovera al suo interno lemigliori nove granfondo d’Eu-ropa. Apprezzata dagli espertiper la bellezza paesaggistica e laqualità tecnica del percorso, la Straduca-le, nata nel 2001, quest’anno partirà il 26luglio. La gara si snoderà sulle salite del-la tappa appenninica che probabilmen-te sarà inserita nell’ultima settimana delGiro d’Italia 2009 (toccando i monti Ne-rone, Catria e Petrano), portando con sénuovi asfalti e lavori a prova di professio-nista. “Puntiamo a far arrivare Urbino –ha dichiarato Alessandro Gualazzi, pre-sidente della Ciclo Ducale - tra le 4000 e

le 5000 persone, di cui 3000 concorrenti.Già 200 camere d’albergo sono state pre-notate, e vi saranno molte attività ricrea-tive che renderanno la gara un eventopiù completo e appetibile”. Musica dalvivo, esibizioni di bike trial, un’osteria al-l’aperto in piazza delle Erbe, aree esposi-tive di prodotti tipici e sportivi e un trek-

king urbano per le vie di Urbino sarannoil corredo urbano che l’associazione staorganizzando a partire dal 23 luglio.“I Muri di Urbino” è una cronoscalata in-dividuale che parte dal piazzale dell’exstazione ferroviaria di Urbino e terminavicino al monumento di Raffaello, inpiazzale Roma. Primo evento organizza-to dall’associazione nel 1999, la scalata,riproposta ogni estate, è lunga tre chilo-metri e mezzo e ha una pendenza massi-

ma del 18%. Ma la Ciclo Ducale non si occupa soltan-to di attività sportive: in collaborazionecon il comune di Urbino e la facoltà discienze motorie, organizza seminari eincontri. Il 28 marzo al collegio Raffaellosi terrà un convegno su sport e salute cheaffronterà il tema del rapporto tra diabe-

te e ciclismo, mettendo in lucecome la bici sia salutare sia comeprevenzione che come guarigio-ne di questa malattia. L’associa-zione Onlus Ciclismo e Diabeteparteciperà all’incontro, eviden-ziando come molti ciclisti ama-toriali diabetici siano ottimi atle-ti, al pari degli altri ciclisti ama-toriali.Membri della Ciclo Ducale sonogli innamorati del ciclismo, maanche della buona cucina, comespiega Lidiano Balducci: “Non-ostante i mille chilometri percor-si la settimana scorsa, io e i mieicompagni siamo ingrassati inmedia di 2 kg”. In partenza per ungiro della Sicilia in bici, il signorBalducci parla della sua storiasportiva: “La bici fa parte della

mia vita. Correvo da amatore finda giovane. Poi sono diventato il

presidente della cicloamatori di Urbinodal 1982 al ’90. Ed ora sono un membrostabile della Ciclo Ducale”. E aggiunge:“Sono contrario a un ciclismo esaspera-to, dove anche il singolo amatore dispo-ne di un preparatore atletico. Sono lega-to alla vecchia idea della bici, ad un cicli-smo che sappia godere della vita, a unagonismo che non rinunci mai a un buonpiatto di pasta”.

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Le attività della Ciclo Ducale, tra gare, scalate e convegni

LUCA ROSSI

CHIARA BATTAGLIA

La Straducale in via Cesare Battisti, nell’edizione 2008

I campi da tennis indisuso, vicino ai collegidella Vela, di proprietàdell’università diUrbino

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il Ducato

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MASS MEDIA

L’informazione ita-liana non è indi-pendente. E’ per-cezione condivi-sa, parere degliaddetti ai lavori e

sentenza dei lettori. Che com-prano sempre meno quotidia-ni. Gli assetti delle proprietà, ilruolo dell’opinione pubblica eil comportamento dei giornali-sti sono le variabili necessarieper capire se e come sia possi-bile scavalcare gli ostacoli checonducono all’indipendenza ecomprendere gli orizzonti delgiornalismo italiano. Il progetto “Einaudi-Albertiniper l’indipendenza dei media”raccoglie anche questa sfida,quella di far luce - attraversoesperienze e dibattiti - sullecondizioni di salute del giorna-lismo, sulle possibilità diun’autonomia che appareancora lontana. Si comincialunedì con una serie di appun-tamenti che si terranno alNuovo Magistero dell’ateneourbinate.“I giornali - spiega il professorAlberto Papuzzi - continuanoad appartenere a gruppi indu-striali e banche”. E questo pareessere il primo serio problema.Se il modello italiano assegnala proprietà dei gruppi edito-riali ad un patto di sindacatoformato da banche ed indu-striali è più probabile che taligruppi si occupino di venderepubblicità agli inserzionistipiuttosto che notizie ai lettori.L’influenza degli interessi eco-nomici degli assetti proprietariha un peso eccessivo sull’ela-borazione del giornale comesulla scelta del direttore. Il professor Papuzzi è giornali-sta e autore di uno tra i libri ditesto più utilizzati negli ateneiitaliani: “Professione giornali-sta”. Il suo è lo sguardo dellostorico che non può fare ameno di osservare che nelnostro Paese non esiste quelvallo che le redazioni anglosas-soni riescono a mettere fra sé ela proprietà. Non c’è insommal’indispensabile barriera chedovrebbe separare la new-sroom, la fabbrica delle notizie,dall’editore, o comunque dachi mette il denaro.“Da questo punto di vista -chiarisce Papuzzi - ci sonodiversi modelli a cui tendereper evitare la contaminazionetra proprietà e giornalisti.L’esempio più suggestivo èsenza dubbio quello dellacooperativa adottato a LeMonde. Si tratta di una realtàche presenta alcune problema-tiche di carattere economico,

L’orizzonte dell’indipendenzaAssetti proprietari, opinione pubblica e ruolo dei giornalisti: l’analisi di Alberto Papuzzi

Il 16 e il 17 marzo parte il progetto “Einaudi-Albertini”, incontro-dibattito organizzato da Ifg e Università

GIORGIO BERNARDINI

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ma senza dubbio resta l’ipotesipiù affascinante dal punto divista dell’indipendenza di chiscrive”. Del resto i numeri indicanouna forte sfiducia nell’informa-zione da parte dei cittadini,soprattutto nel settore dellacarta stampata che continua aperdere lettori. L’impressioneche l’opinione pubblica nonriesca a formarsi è solo la con-seguenza di un clima di gene-rale distacco che non dipendeunicamente dalle ingerenzedelle varie proprietà nei gior-nali. I primi a soccombere sonoinfatti i quotidiani di partito:“La fine dell’idea di apparte-nenza nella politica è la causadella crisi di questi giornali,che sono diventati per primil’anello debole del sistema edi-toriale”.Dal dopoguerra ad oggi ci sonostati fenomeni che hannomutato diverse volte il quadrodelle proprietà. Dalla politicaagli industriali sino al mondodella finanza. “Il periodo più felice per l’indi-pendenza dei giornalisti èsostanzialmente coinciso con icicli di espansione dei giornali.In una fase di contrazione,come quella odierna, è più dif-ficile che i giornalisti afferminoil proprio ruolo”. Anche lenuove tecnologie, secondoPapuzzi, giocano a sfavore del-l’indipendenza, perché “nonsono ancora padroneggiate”dalla maggior parte dei redat-tori.Quella della proprietà non ècomunque l’unica variabile datenere in considerazione: “Nelgiornalismo anglo-americanoc’è una grande tradizione diautonomia che proviene pro-prio da parte della stessa cate-goria dei giornalisti. La chiave èproprio questa: deve essere ilgiornalista a difendere la suaindipendenza. In Italia siamochiaramente molto lontani daquesta prospettiva”. Papuzzi opera una sorta dirivoluzione copernicana dellaproblematica, ribaltando difatto il ruolo del giornalista: daoggetto che subisce l’azionedella proprietà a soggetto chepropone la linea: “La capacitàdei giornali di fare informazio-ne secondo la logica dell’arti-colo 21 va riportata alla volontàdel singolo giornalista di nontradire il suo ruolo e la sua mis-sione. Questo rimane anchel’aspetto più affascinante delmestiere. Ciò che conta è lacapacità del giornalista di esse-re fedele alla sua missione e disaper creare competizione frale pubbliche opinioni”.

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