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1 EMATOLOGIA direttori della collana Franco Mandelli, Giuseppe Avvisati DIAGNOSI E CLASSIFICAZIONE DELLE MALATTIE LINFOPROLIFERATIVE CRONICHE Anna Guarini, Francesca R. Mauro, Alessandro Pulsoni Dipartimento di Biotecnologie Cellulari ed Ematologia, Università degli Studi “La Sapienza” - Roma 13

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1EMATOLOGIAdirettori della collanaFranco Mandelli, Giuseppe Avvisati

DIAGNOSI E CLASSIFICAZIONEDELLE MALATTIE LINFOPROLIFERATIVECRONICHE

Anna Guarini , Francesca R. Mauro, Alessandro Pulsoni

Dipart imento di Biotecnologie Cel lu lar i ed Ematologia,Università degl i Studi “La Sapienza” - Roma

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EMATOLOGIADIRETTORI DELLA COLLANAFranco Mandelli, Giuseppe AvvisatiDipartimento di Biotecnologie Cellulari ed EmatologiaUniversità “La Sapienza”, Roma

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L’APPROCCIO DIAGNOSTICO 1

LEUCEMIA LINFATICA CRONICA 2

LEUCEMIA PROLINFOCITICA CRONICA 3

LEUCEMIA A CELLULE CAPELLUTE 4

LINFOMA SPLENICO A LINFOCITI VILLOSI 5

LEUCEMIA A LINFOCITI GRANULARI 6

LEUCEMIA LINFATICA CRONICA T 7

SINDROME DI SÉZARY 8

LINFOMI INDOLENTI 9

MIELOMA MULTIPLO 10

MACROGLOBULINEMIA DI WALDENSTRÖM 11

BIBLIOGRAFIA 12

LE DIAPOSITIVE

INDICE

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ATLL adult T-cell leukemia lymphomaBCR B-cell receptorB-LPC leucemia prolinfocitica cronica a cellule BEORTC European Organization for Research and Treatment of CancerFAB French-American-BritishFICTION Fluorescence immunophenotyping and Interphase

Cytogenetics as a Tool for Investigation Of NeoplasmsFISH fluorescence in situ hybridizationFL linfoma follicolare (follicular lymphoma)HCL leucemia a cellule capellute (hairy cell leukemia)Ig immunoglobulineIL interleuchinaLDH lattico deidrogenasiLGL linfociti granulariLLA leucemia linfoide acutaLLC leucemia linfoide cronicaLPC leucemia prolinfociticaMALT mucosa associated lymphoid tissueMCL linfoma mantellare (mantle cell lymphoma)MF micosi fungoideMIF median intensity fluorescenceNCI-WG-CLL National Cancer Institute-Sponsored Working Group

Guidelines for Chronic Lymphocytic LeukemiaNK natural killerPCR polymerase chain reactionPHA fitoemagglutininaRMN risonanza magnetica nucleareSLVL linfoma splenico a linfociti villosiSS sindrome di SézaryTC tomografia computerizzataTCR T-cell receptorTdT terminal deossinucleotidil transferasiT-LPC leucemia prolinfocitica cronica a cellule TTNF tumor necrosis factorTRAP fosfatasi acida resistente all’acido tartarico

ABBREVIAZIONI

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D I A G N O S I E C L A S S I F I C A Z I O N E D E L L E M A L A T T I E L I N F O P R O L I F E R A T I V E C R O N I C H E

L’APPROCCIODIAGNOSTICO

L’ampliamento delle conoscenze sui l infociti ha permesso in questiultimi anni di caratterizzare in modo più specifico le patologie neopla-stiche che originano da queste popolazioni cellulari e di classificare piùaccuratamente questi disordini (Catovsky et al., 1990). In particolare,un corretto inquadramento nosologico dei diversi disordini linfoprolife-rativi cronici non riveste solo un interesse accademico, ma ha impor-tanti implicazioni sia prognostiche che terapeutiche. Infatti, a una cor-retta diagnosi differenziale tra i vari disordini linfoproliferativi cronici acellule B e T segue oggigiorno un iter terapeutico differenziato per lediverse patologie. Va in questo senso ricordato come fino a non moltianni addietro sotto la stessa definizione di “malattia linfoproliferativacronica” venivano raggruppate patologie molto differenti per caratteri-stiche biologiche, andamento clinico, risposta alla terapia e, in ultimo,prognosi, che venivano, però, trattate nello stesso modo.Le diverse patologie neoplastiche linfoidi che riconosciamo attual-mente rispecchiano l’eterogeneità del sistema linfoide e tutti idisordini linfoproliferativi, sia acuti sia cronici, originano da cellu-le bloccate nei vari stadi di differenziazione linfocitaria B e T.La definizione diagnostica dei disordini linfoproliferativi cronici si avvaledi diverse metodiche che permettono una più precisa caratterizzazionedelle cellule neoplastiche. Possiamo dire che alcune di queste metodo-logie sono indispensabili alla definizione diagnostica, come ad esempiol’osservazione morfologica e la caratterizzazione immunofenotipica conanticorpi monoclonali di superficie e intracitoplasmatici valutati al cito-fluorimetro, mentre altre metodologie, come ad esempio l’analisi deigeni che codificano per le immunoglobuline (Ig) e per il T-cell receptor(TCR), si rivelano utili quando la malattia è in uno stadio iniziale e lamassa neoplastica non è ancora significativamente espansa, oppureancora quando vi è un dubbio tra una patologia maligna e un'espan-sione reattiva. Altre metodologie aggiungono utili informazioni per uninquadramento più accurato, come ad esempio studi di citogenetica odi genetica molecolare e l’osservazione al microscopio elettronico dellecellule neoplastiche.Nella Figura 1 è riportato un algoritmo che suggerisce la sequenzialitàdell’utilizzo delle varie metodologie per l’inquadramento delle diversemalattie linfoproliferative croniche.

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1.1 L’EMOCROMO

Nell’iter diagnostico la valutazione dell’emocromo svolge un importan-te ruolo perché nei disordini linfoproliferativi cronici accanto a pazientiche mostrano una sintomatologia cl inica vi è un numero elevato dipazienti in cui il reperto è del tutto occasionale, e assai spesso l’unicodato alterato è rappresentato dalla presenza di una linfocitosi assolutae persistente. Il valore del numero assoluto di linfociti al di sopra delquale è legittimo porre i l sospetto di una patologia l infoproliferativacronica leucemica è oggetto di dibattito, anche se la maggior partedegli autori fissa questo limite tra i 3–5000 linfociti/ml. La stessa cosasi può dire per i l tempo di persistenza della l infocitosi f issato al disopra dei 2–6 mesi (Catovsky et al., 1990; Catovsky 1997). Tuttavia ladisponibil ità di metodiche di biologia molecolare rende possibi le ladimostrazione della clonalità di una popolazione linfoide, sia B che T,anche quando è presente in quant i tà numer icamente contenuta.Bisogna anche ricordare che i disordini linfoproliferativi cronici nonsono sempre accompagnati da un aumentato numero circolante dicellule linfoidi. In questi casi, l’osservazione morfologica, lo studio del

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Figura 1 • Proposta di un percorso diagnostico razionale nelle malattielinfoproliferative croniche leucemizzate

• Emocromo

• Osservazione microscopicasangue periferico

• Immunofenotipo sangueperiferico

Biopsialinfonodale

Biopsia osseaBiologia molecolare

LLCLPCHCLHCL varianteSézary Microscopia

elettronicaWaldenstrom Ricerca

componentesierica

Biopsia ossea

Sospetto diagnostico

Piccolonumerocellule

LGL(CD3+) HCLLNH

Diagnosi

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fenotipo immunologico, le caratteristiche della biopsia ossea e/o dellabiopsia linfonodale, nel caso dei linfomi, indirizzano la diagnosi.Un esempio paradigmatico è rappresentato dalla leucemia a cellulecapellute (HCL) (vedi oltre).

1.2 L’ASPIRATO MIDOLLARE E LA BIOPSIA OSSEA

L’aspirato midollare è la procedura consigliata per la valutazione del-l’infiltrazione da parte delle cellule neoplastiche del tessuto midollarenella maggior parte dei disordini linfoproliferativi cronici, in particolarenella HCL, nel mieloma multiplo, nei linfomi, patologie in cui le celluledel la malat t ia spesso non sono c i rcolant i . Ol t re a l l ’osservaz ionemorfologica delle cellule dopo colorazione con May-Grünwald/Giemsao con colorazioni citochimiche, è possibile procedere alla tipizzazionefenotipica con anticorpi monoclonali delle cellule neoplastiche. Ancorapiù importante per la definizione diagnostica, indispensabile per alcunidisordini, è la biopsia ossea con la quale è possibile anche valutare ladistribuzione delle cellule neoplastiche nel tessuto osseo che è spessopatognomonica delle singole patologie. Di nuovo caratteristica è laHCL, patologia in cui l’aspirato midollare è spesso infruttuoso (“puntiosicca”), così pure nei linfomi per definire lo stadio di malattia. Oggi sipossono util izzare su preparati freschi di biopsie ossee, tecniche dit ipizzazione fenotipica e molecolare che consentono una accuratadefinizione diagnostica.

1.3 LA BIOPSIA LINFONODALE

La biopsia l in fonodale è una procedura che s i impone quando i lpaziente presenta una massa linfonodale persistente da oltre quattrosettimane e nel sangue periferico non si osserva un numero aumenta-to di linfociti con un fenotipo anomalo oppure quando nel sangue peri-ferico o nel midollo osseo si osserva un numero aumentato di linfocitiche presentano un fenotipo suggestivo per la diagnosi di l infoma.Oggi è suggerito di processare il linfonodo a fresco o dopo con-gelamento in azoto liquido, senza che il preparato venga fissato informalina, per favorire la tipizzazione con anticorpi monoclonali disuperficie che permettono di identificare le cellule mantenendol’architettura del tessuto. È anche possibile tipizzare e criopreserva-re le cellule ottenute dal linfonodo dopo averle messe meccanicamen-te in sospensione unicel lulare. In ogni caso, è possibi le anche sullinfonodo eseguire tecniche di colorazione citochimica, caratterizza-zione immunofenotipica e molecolare (Harris et al.).

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1.4 LA MORFOLOGIA

La valutazione al microscopio ottico dello striscio di sangue perifericoo, nel caso di infiltrazione, del midollo osseo dopo colorazione May-Grünwald/Giemsa può dare suggerimenti assai utili alla classificazionediagnostica per la presenza di alcune caratteristiche cellulari tipiche,sia citoplasmatiche sia nucleari (Catovsky et al., 1990; Matutes et al.).L’osservazione della taglia cellulare, della forma del nucleo, la presen-za di incisure, la distribuzione della cromatina, l’evidenza dei nucleoli,così pure la quantità e la basofilia del citoplasma, la presenza o menodi granulazioni, la presenza di vi l l i o estroflessioni citoplasmatiche,sono tutt i e lement i ut i l i . Vanno, inoltre, segnalat i : la percentuale,rispetto ai linfociti, dei prolinfociti, cellule di media-grande taglia, concitoplasma basofilo e nucleolo evidente e la presenza o assenza delleombre di Gumprecht, macchie cellulari tipiche della leucemia linfaticacronica. Nella Tabella 1 sono riportate le caratteristiche morfologichedi alcuni disordini linfoproliferativi cronici.

È assai importante la buona esecuzione dello striscio, possibilmentecon sangue appena prelevato, e della colorazione stessa. La valutazione

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Taglia Nucleo Cromatina Citoplasma

LLC* piccola regolare a zolle scarso regolare

LPC media regolare addensata medio regolarenucleolo

HCL media regolare mediamente abbondanteindentato addensata “capelluto”

HCL media regolare addensata abbondantevariante nucleolo “capelluto”

SLVL piccola regolare addensata medio villoso

FL piccola clivato addensata molto scarsoindentata

MCL media irregolare addensata medioindentato irregolarmente

Tabella 1 Caratteristiche morfologiche dei disordinilinfoproliferativi B leucemizzati (TdT–)

* Esistono forme con fenotipo classico e morfologia atipica, connumerosi prolinfociti.

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di un vetrino non adeguatamente allestito può essere causa di artefattimorfologici.È possibile anche utilizzare colorazioni citochimiche per la definizionedi alcune patologie, anche se questi metodi sono stati superati dalladisponibilità di una vasta gamma di anticorpi monoclonali coniugati aopportuni agenti rivelatori. È quindi possibile osservare al microscopioottico o a fluorescenza, la reazione specifica in piccole quote cellulariosservando anche la morfologia. È corretto sottolineare che l’introdu-zione di citofluorimetri più sofisticati e, soprattutto, la possibil ità dielaborare i risultati mediante programmi computeristici più appropriatie capaci di identificare anche piccole popolazioni, ha ridotto moltissi-mo ai fini diagnostici l’utilizzo della caratterizzazione ottica, soprattut-to del sangue periferico, e della biopsia midollare.

1.5 GLI ANTICORPI MONOCLONALI

Nella caratterizzazione dei disordini linfoproliferativi cronici l’ele-mento più utile alla definizione diagnostica è sicuramente l’analisidel fenotipo eseguita con gli anticorpi monoclonali che possonoreagire sia contro gli antigeni esposti sulla membrana cellulare checontro quell i espressi a l ivello citoplasmatico e nucleare (Catovsky,1997; Jennings et al., 1997; Knuutila, 1997; Matutes et al., 2000).La disponibilità degli anticorpi monoclonali ha offerto un vantaggio siaper la velocità di esecuzione che per l’accuratezza della valutazione diun notevole numero di cellule. Il citofluorimetro permette di quantizza-re l’intensità, come MIF (median intensity fluorescence), e la densità,utilizzando biglie coniugate con quantità note di fluorescina, di espres-sione degli antigeni.È possibile la caratterizzazione degli antigeni espressi in membrana sucellule ottenute da sangue intero o dopo separazione su gradiente didensità; inoltre, la disponibil ità di anticorpi coniugati con differentifluorocromi permette la valutazione contemporanea di più antigeni conuna maggiore accuratezza nella definizione delle popolazioni. È cosìpossibile fissare e lisare delicatamente le cellule mononucleate e mar-carle per gl i antigeni citoplasmatici e nucleari uti l izzando anticorpifluorescinati e anche combinarli con quelli che marcano gli antigeni disuperficie. La contemporanea marcatura di più antigeni si rivela utilenel follow-up del paziente per il monitoraggio della malattia residua.Considerando l’elevato numero di anticorpi monoclonali a disposizio-ne, è necessario operare una scelta per definire il pannello di reagentiminimo ma sufficiente per garantire una accurata diagnosi differenzialesenza ricorrere a un uso esagerato di anticorpi, che devono essereutilizzati solo nel contesto di programmi di ricerca intesi a valutare l’e-spressione e l’utilità di un numero più allargato di antigeni.

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Un approccio metodologico corretto in presenza di un sospetto clinicodi disordine linfoproliferativo cronico è quello di una tipizzazione in duefasi: inizialmente un pannello di orientamento diagnostico (B, T, clona-lità B) che in un secondo tempo potrà essere ampliato per arrivare auna diagnosi definitiva e a un corretto inquadramento etiopatogenetico.Nel primo approccio devono essere compresi gli antigeni che defini-scono la filiera di appartenenza delle cellule esaminate, ad esempio ilCD22 di membrana o citoplasmatico per la filiera B, e il CD3 di mem-brana o citoplasmatico per la filiera T; devono, inoltre, essere valutati ilCD19 o il CD20, le catene leggere delle Ig, espresse in membrana onel citoplasma, che possono definire la clonal ità del la patologia eorientano la definizione diagnostica a seconda della loro densità diespressione sul la membrana cel lulare. Così pure vanno valutat i inprima battuta gli antigeni CD2, indicativo dei precursori T e NK, e CD5che caratterizza i linfociti T come pure una piccola quota, nel normale,di linfociti B ed è caratteristicamente positivo nelle cellule di leucemialinfatica cronica a cellule B (LLC), il disordine linfoproliferativo (cronicoe non) più frequente. Nella diagnosi differenziale si può rivelare utile, ina lcuni cas i , l ’ant icorpo contro l ’ant igene nucleare TdT, terminaldesossinucleotidil transferasi, che evidenzia una cellula linfoideimmatura. La TdT è infatti presente nelle cellule di leucemia linfoblasti-ca acuta (LLA) mentre è sempre negativa in tutti i disordini linfopro-liferativi cronici. Un’altra informazione utile per la scelta terapeutica,può essere l’indice dello stato proliferativo cellulare che può esserevalutato con l’anticorpo monoclonale che riconosce l’antigene nucleareKi-67 e suggerisce indirettamente lo stato di aggressività della malattia.Dopo aver esaminato i risultati della marcatura di questi antigeni, iden-tificando l’origine della popolazione si proseguirà nella sua caratteriz-zazione ampliando il numero di anticorpi.

1.5.1 I MARCATORI DELLE CELLULE B

Sono numerosi gli anticorpi che riconoscono le cellule B e caratterizza-no antigeni che si esprimono a stadi differenziativi diversi e poiché leneoplasie B derivano da cellule congelate in un certo stadio maturativoè possibile definire le patologie e il momento della loro espansione.Come precedentemente riportato, tra gli anticorpi che reagiscono conla maggior parte delle cellule B devono essere ricordati il CD22 checaratterizza la linea linfoide B nei suoi diversi momenti maturativi. IlCD22 si trova nel citoplasma delle cellule B più indifferenziate e suc-cessivamente durante la maturazione cel lulare viene esposto sul lamembrana. L’antigene CD79b rappresenta una delle due catene poli-peptidiche, l'altra è il CD79a, unite sulla superficie delle cellule alle Igdi membrana a formare il complesso recettoriale B (B-cell receptor,

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BCR). Sia il CD22 sia il CD79b sono presenti nel citoplasma a testimo-niare l'origine B della malattia, ma sono poco espressi sulla membranadi cellule di LLC, mentre al contrario sono generalmente espressi neil infomi leucemizzati e molto intensamente espressi in alcuni l infomicome ad esempio il linfoma mantellare. Altra caratteristica delle neo-plasie croniche B è la positività nel citoplasma e sulla membrana cellu-lare delle Ig. La densità di espressione di membrana si rivela assai utilenella diagnostica differenziale tra la LLC e gli altri disordini linfoprolife-rativi cronici a cellule B. Infatti, nelle cellule di LLC vi è caratteristica-mente una bassa espressione di Ig di superficie che contrasta conquanto osservato nelle altre patologie croniche B.Normalmente presenti sulla cellula B sono gli antigeni CD19 e il CD20;quest'ultimo antigene ha un diverso livello di espressione nelle diversepatologie, basso nella LLC ed elevato in alcuni linfomi, particolarmentenel linfoma follicolare, e nella HCL.Un altro antigene molto studiato per la definizione del la cel lula B,soprattutto in passato, è l'HLA-DR, così come l’FMC7 che è di solitoassente nella LLC mentre è fortemente espresso nella leucemia pro-linfocitica cronica B (B-LPC) e nella HCL. Molto utile nell’iter diagnosti-co è il CD23, essendo sempre positivo nella LLC. Altro antigene checaratterizza lo stadio della cellula è il CD10, essendo espresso in cel-lule B immature, e risultando tipicamente presente sulle cellule dellinfoma follicolare.Molta rilevanza è da attribuire a un altro antigene il CD5 che non ècaratteristico della cellula B, ma ne evidenzia, nell'individuo normale,una piccola popolazione in associazione con gl i ant igeni CD19 oCD20; considerando che la LLC è tipicamente CD5 positiva, è intuitivol'importante impatto diagnostico di questo antigene, che tra le diversepatologie B risulta positivo solamente nelle cellule del linfoma mantel-lare, che però sono CD23 negative.Vi sono poi alcuni antigeni caratteristici e quindi diagnostici di determi-nate patologie, quali il DB44 e il CD103, positivi nelle cellule di HCL, eil CD11c che è però anche positivo nel linfoma splenico a linfociti villo-si (SLVL). Va altresì ricordato l’antigene CD25 (catena a del recettoredell’interleuchina 2, IL-2) che è tipicamente positivo, con un’elevatadensità di espressione, nella HCL classica, mentre la forma variante èCD25 negativa.L’antigene CD38 pur non essendo un antigene di linea ed esprimendolo stato di attivazione cellulare si è rivelato assai prezioso nella diagno-stica in quanto caratterizza la cellula plasmocitoide anche in assenzadi altri marcatori della cellula B. Inoltre, nella LLC l’espressione delCD38 è stata associata a un decorso clinico più aggressivo e a unaconfigurazione non mutata delle catene variabili delle Ig.Alla luce di quanto qui sinteticamente riassunto, nella Tabella 2 èriportata la risposta a un numero selezionato di antigeni caratterizzanti

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alcune patologie B. Alcuni autori hanno anche proposto uno “score”,cioè un sistema con cui viene dato un punteggio, che può essere posi-t ivo o negat ivo sul la base del l ’espressione/non-espressione di unnumero relativamente limitato di antigeni, per arrivare a un più precisoinquadramento dei disordini linfoproliferativi cronici B, soprattutto perla LLC e per i casi in cui la definizione diagnostica si presenta com-plessa (vedi oltre).

1.5.2 I MARCATORI DELLE CELLULE T E NK

L’analisi dell’immunofenotipo dei disordini T non può avvalersi di anti-corpi monoclonali capaci di discriminare le differenti patologie né dimarcatori immunologici in grado di definirne la monoclonalità come larestrizione delle catene leggere delle Ig per i disordini linfoproliferativicronici B. Le patologie croniche T sono sempre CD3 positive e TdTnegative. Gli altri antigeni più frequentemente studiati sono il CD2,quasi sempre espresso, e il CD7, spesso negativo nei disordini linfo-proliferativi cronici T. Fatta eccezione per le espansioni di linfociti gra-nulari (LGL) CD3+, il CD4 è espresso in tutti i disordini linfoproliferativicronici T, leucemia prolinfocitica cronica a cellule T (T-LPC), sindromedi Sézary, linfomi cutanei a cellule T e la adult T-cell leukemia lympho-ma (ATLL) non presente nel nostro paese. In alcuni casi di T-LPC le

CD22 CD79b CD23 FMC7 CD5 slg

LLC – – ++ ± ++ –

LPC + ++ – ++ ± ++

HCL ++ + – ++ – ++

HCL ++ + – ++ – +variante

SLVL ++ ++ ± ++ ± ++

FL ++ ++ ± ++ ± ++

MCL ++ ++ – ++ ++ ++

Tabella 2 Marcatori immunologici nei disordinilinfoproliferativi B leucemizzati (TdT– )

– negativo o posit ivo in meno del 10% dei casi ; ± posit ivo nel10–25% dei casi, + positivo nel 25–75% dei casi; ++ positivo in oltreil 75% dei casi.

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ce l l u l e pa to l og i che mos t r ano l a coesp ress i one deg l i an t i gen iCD4/CD8, come osservato nelle ultime fasi della differenziazione intra-timica. Le espansioni LGL CD3+ sono normalmente CD8+. Va ancoraricordato che è possibile valutare l’espressione delle catene ab, piùfrequentemente espresse, oppure gd del TCR.Oltre alle più frequenti forme CD3+/CD8+, possono essere diagnostica-te patologie LGL a fenotipo (e spesso funzione) NK. Queste proliferazio-ni sono caratterizzate dall’espansione di linfociti granulari CD3 negativi,di solito CD2 positivi, e che esprimono gli antigeni CD16, CD56, CD57.

1.6 LA BIOLOGIA MOLECOLARE

Le tecniche di biologia molecolare hanno rappresentato un salto diqualità nello studio delle malattie l infoproliferative, non solo perchéhanno spesso chiarito la fi l iera di origine della neoplasia, ma ancheperché hanno evidenziato l’origine clonale di alcuni disordini linfoproli-ferativi (Langerak et al., 1997). L’utilizzazione delle tecniche di biologiamolecolare non può essere definito necessario alla diagnosi dei disor-d in i l in foprol i ferat iv i , ma è s icuramente d i supporto in molt i cas i(Tabella 3). Lo studio del riarrangiamento dei geni delle Ig per le cellu-le B e del TCR per le cellule T permette di chiarire un dubbio diagno-stico in casi incerti, quando per esempio il numero delle cellule da esa-minare è piccolo. L’indicazione è certamente più frequente per i disor-dini cronici T dove il fenotipo non è sempre suggestivo per la diagnosi.

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• Conferma della filiera cellulare di appartenenza(cellule B o T)

• Dimostrazione di espansione monoclonale

• Dimostrazione di un clone neoplastico nonostantela presenza di un piccolo numero di cellule

• Possibil ità di identificare e sequenziare i l riarrangiamentodel singolo paziente

Tabella 3 Indicazioni diagnostiche dello studio molecolaredel riarrangiamento delle Ig e del TCR

nei disordini linfoproliferativi cronici

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Le molecole delle Ig consistono di due catene pesanti (IgH) unite daun ponte disolfuro e da due catene leggere ( Igk o Igl ) ; i l dominiovariabile di IgH è codificato da un singolo esone che origina dai seg-menti riarrangiati V (variable), D (diversity) e J (joining), mentre unacombinazione di segmenti genici V e J codifica i domini variabili di Igke Igl; il dominio costante è codificato da segmenti genici della regioneC (constant). Nei disordini linfoproliferativi cronici B è sempre pos-sibile documentare un riarrangiamento clonale sia delle catenepesanti sia delle catene leggere delle Ig, a conferma che le patolo-gie sono caratterizzate dall’espansione di cellule B bloccate a un livel-lo relativamente maturo di differenziazione. Negli anni passati lo studiodella configurazione dei geni delle Ig ha permesso di dimostrare ine-quivocabilmente l’origine B delle cellule di HCL, fino ad allora motivodi dibattito scientifico.Lo studio del riarrangiamento dei geni del TCR è un poco più com-plesso. Per la cellula T sono infatti conosciuti due tipi di recettore,TCRab e TCRgd, differenti per i due tipi di catene codificate in diversisegmenti genici (V, D J, C) che riarrangiano durante il processo di dif-ferenziazione cellulare. Le catene gd riarrangiano più precocementedei segmenti genici che governano le catene ab durante l’ontoge-nesi cellulare. In tutti i casi di disordini linfoproliferativi cronici T CD4+

si osserva i l r iarrangiamento delle catene b e g del TCR. Le analisimolecolari sono state di primaria importanza per dimostrare che moltedelle espansioni a LGL CD3+/CD8+ sono in realtà patologie neoplasti-che caratterizzate dalla proliferazione abnorme di elementi granularimonoclonali. Contestualmente, sono state altresì documentate patolo-gie con un fenotipo quasi sovrapponibile ma con una configurazionepoliclonale o, in alcuni casi, oligoclonale dei geni del TCR, a dimostra-re la natura reatt iva, probabi lmente secondar ia, del l ’espansione.Accurate indagini clinico-laboratoristiche spesso permettono di identi-ficare patologie autoimmuni, infettive o neoplastiche alla base dellaproliferazione di elementi granulari reattivi. Fino all’avvento delle analisimolecolari del TCR vi erano persino dei dubbi che le espansioni di LGLpotessero essere tutte di natura benigna. Queste indagini non sonoestensibi l i al le rare espansioni granulari a fenotipo NK, cioè CD3–,CD16+, CD56+, che essendo appunto CD3– non presentano riarran-giamenti molecolari. Questo da un lato conferma che le cellule NKhanno un’origine cellulare diversa e dall’altro comporta l’assenza di unmarcatore molecolare che permetta di definire la clonalità delle espan-sioni LGL a fenotipo NK.Vi sono, inoltre, alterazioni molecolari che accompagnano più specificata-mente alcuni disordini linfoproliferativi cronici. Questo è per esempio il casodel riarrangiamento del gene Bcl-1 nelle cellule del linfoma man-tellare oppure del riarrangiamento del gene Bcl-2 nelle cellule dellinfoma follicolare.

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Le tecniche di analisi molecolare, util izzabili nella diagnostica, sonorappresentate dal metodo del Southern blot e della PCR (polymerasechain reaction). Il primo ha una sensibilità fino a circa l’1% della popo-lazione studiata, si dimostra estremamente affidabile e se corretta-mente eseguita non conosce falsi positivi. Deve però essere testato supopolazioni cellulari numericamente consistenti (> 3x106) e necessitadi alcuni giorni per ottenere una risposta. Le analisi in PCR sono piùrapide, hanno una sensibilità molto maggiore (1–100 cellule per milio-ne), possono essere effettuate su quote cellulari ridotte e, oggigiorno,possono essere anche quantitative, cioè possono misurare la quantitàdi espressione di un determinato gene. La metodica ha il limite di pos-sibili false positività (Tabella 4).Oltre che utile per un accurato inquadramento diagnostico, va infinericordato come la presenza di un marcatore molecolare possa essereutilizzato per il monitoraggio della malattia minima residua nell’ambitodei sempre più frequenti programmi terapeutici che mirano all’eradica-zione del clone neoplastico. Per un monitoraggio più specifico dellapatologia, può essere altresì sequenziato il riarrangiamento genico diogni singolo paziente utilizzando quindi sonde individualizzate.

1.7 LO STUDIO CITOGENETICO

Le alterazioni citogenetiche sono oggetto di studio e di valorizzazionenelle malattie l infoproliferative croniche sia per i l miglioramento dei

Southern blot PCR

Campione cellulare Campioni freschi Campioni freschi,o congelati congelati, fissati

Quantità di DNA 10–15 mg/reazione 0.1 mg/reazione

Tempi di esecuzione 1–2 settimane 1–3 giorni

Limiti di sensibilità > 5% della popolazione 1–5% della popolazione(10–3–10–6)

Falsa negatività Rara Frequente per i geni Ig

Falsa positività Rara Frequente per problemidi standardizzazione

Tabella 4 Confronto tra le tecniche Southern blot e PCR per ladiagnosi del riarrangiamento dei geni Ig e del TCR

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risultati ottenibili con le tecniche di citogenetica convenzionale che perla disponibilità di nuove tecniche, come la FISH (fluorescence in situhybridization), e di numerose sonde specifiche (Popescu et al., 1997).A un miglioramento delle conoscenze ha anche contribuito l’ottimizza-zione delle tecniche di coltura che utilizzano stimoli più specifici checonsentono la messa in ciclo del la cel lula l infoide neoplast ica, adesempio per le cellule di leucemia linfatica cronica il CD40 ligando el’IL4. Precedentemente, la possibilità di mettere in ciclo le cellule neo-plastiche delle malattie linfoproliferative era particolarmente difficile el’uso di stimoli aspecifici come la fitoemoagglutinina (PHA) o l’IL2 finivaper stimolare i linfociti T e B normali riducendo di molto la possibilità diottenere informazioni sulle cellule patologiche. In questi ult imi annisono state acquisite numerose nuove conoscenze sulle alterazioni cro-mosomiche in corso di diversi disordini linfoproliferativi cronici, parti-colarmente a carico delle LLC (Dohner H et al., 1993). Tra le anomaliecromosomiche che si presentano con una elevata frequenza nei disordi-ni linfoproliferativi cronici e caratterizzano determinate patologie si pos-sono ricordare la trisomia del cromosoma 12 e le aberrazioni del brac-cio lungo del cromosoma 13 nella LLC, la traslocazione t(14;18) in circal’85% dei linfomi follicolari che porta all’eccessiva espressione dell’on-cogene Bcl-2, e aberrazioni a carico del cromosoma 14 nelle cellulemielomatose. Oltre ad aprire importanti interrogativi biologici, alcune diqueste informazioni hanno anche rilevanti implicazioni prognostiche.La FISH può essere applicata non solo sui cromosomi in metafase esui nuclei in interfase, ma anche su preparazioni citologiche e susezioni di tessuto criopreservate o fissate in paraffina. Naturalmente,questo ha permesso di ottenere informazioni in un numero maggior dicasi. Per esempio nella LLC, la trisomia del cromosoma 12 è stata evi-denziata nel 30% dei casi analizzati, contro il 10–15% segnalato con letecniche di studio del cariotipo precedentemente utilizzate (Kobayashiet al., 1994). Util izzando tecniche di FISH, anomalie cromosomichesono riscontrabili nel 60–70% dei casi di LLC.Una modificazione ulteriore di questa tecnica ha portato alla cosiddet-ta F ICT ION (F l uo rescence immunopheno typ ing and I n te rphaseCytogenetics as a Tool for Investigation Of Neoplasms) che consiste inuna FISH associata a tecniche di riconoscimento immunofenotipicodelle cellule esaminate e consente di comprendere in quale cellula èpresente una determinata alterazione (Weber-Matthiesen et al., 1993)(Tabella 5). È stato così possibile dimostrare che la trisomia del cro-mosoma 12 è caratteristica delle cellule neoplastiche e non di linfocitiB o T normali nella LLC.Le indagini citogenetiche non sono strettamente necessarie per unacorretta diagnosi di un disordine linfoproliferativo cronico, ma posso-no risolvere casi in cui vi siano dubbi diagnostici ed esistano altera-zioni citogenetiche caratteristiche di una determinata patologia.

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1.8 LA MICROSCOPIA ELETTRONICA

Lo studio morfologico con tecniche di microscopia elettronica può for-nire ulteriori conferme di un sospetto diagnostico di alcuni disordinilinfoproliferativi cronici. La microscopia elettronica permette, infatti, dimettere in evidenza caratter ist iche del la cel lu la patologica che lamicroscopia ottica può solo suggerire, oppure che l’immunofenotipopuò far ipotizzare. Ad esempio, permette di dimostrare l’esistenza deivil l i sulle cellule neoplastiche nella diagnosi di un SLVL oppure puòconfermare le protrusioni filamentose citoplasmatiche delle cellule dellaHCL, come pure evidenziare il nucleo cerebriforme delle cellule dellasindrome di Sézary. In microscopia elettronica possono essere altresìutil izzate anche tecniche di citochimica o di immunocitochimica peruna migliore caratterizzazione delle cellule patologiche.Certamente, le indagini in microscopia elettronica di un preparato cel-lulare non sono necessarie per un corretto inquadramento etiopatoge-netico di un disordine linfoproliferativo cronico, ma possono, in alcunicasi, offrire una più precisa documentazione per la diagnosi.

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• Caratterizzazione immunofenotipica di cloni cellularitumorali con definite aberrazioni cromosomiche

• Definizione degli stadi di differenziazione delle celluletumorali

• Identificazione dei precursori cellulari da cui si origina la popolazione neoplastica

• Caratterizzazione immunofenotipica delle cellule checircondano il tumore e hanno cariotipo normale

• Caratterizzazione di piccole masse tumorali all’interno di un tessuto normale

Tabella 5 Tecnica FICTION, una nuova tecnologia diagnosticaper lo studio delle anomalie citogenetiche:

scopi di utilizzo

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LEUCEMIA LINFATICACRONICA

La leucemia linfatica cronica (LLC) rappresenta la forma di leucemiadi più frequente riscontro nell'adulto rappresentando da sola il 30%c i r ca d i t u t t e l e l eucem ie de l l ' adu l t o ne l l ’ Eu ropa o r i en t a l e enell'America del nord.

2.1 QUADRO CLINICO

La maggioranza dei pazienti ha più di 55 anni mentre circa un quintodei pazienti ha < 55 anni. La LLC è più frequente tra i soggetti disesso maschile essendo il rapporto maschi/femmine di 2:1.Nella maggior parte dei casi la LLC è asintomatica e la diagnosi è deltutto occasionale, posta quindi in pieno benessere in presenza di unesame emocromocitometrico che mostra la presenza di una linfocitosi.Solo nelle forme più avanzate il quadro clinico è caratterizzato dallapresenza di sintomi sistemici quali l'astenia, il dimagramento, la sudo-razione notturna e la febbre.Anche l'esame clinico è estremamente variabile potendo comprenderequadri del tutto negativi e quadri in cui sono apprezzabili organome-galie anche importanti. L'obiettività clinica è l'espressione del progres-sivo accumulo dei linfociti leucemici nelle linfoghiandole, nella milza enel fegato. Pertanto nei pazienti affetti da LLC è possibile osservareadenomegalie superficiali e profonde, splenomegalia ed epatomegalia.Gli stadi avanzati di malattia sono frequentemente caratterizzati daquadri di pancitopenia dovuti a un'insufficiente attività mielopoieticacorrelata direttamente alla infiltrazione leucemica o a meccanismi ditipo autoimmune.

2.2 CARATTERISTICHE MORFOLOGICHEE IMMUNOFENOTIPICHE

La diagnosi di LLC è piuttosto semplice poiché si basa essenzialmentesulla valutazione citomorfologica e immunologica dei linfociti presentinel sangue periferico. I criteri per la definizione di diagnosi di LLC cui sifarà r i fer imento sono quel l i stabi l i t i nel 1996 dal Nat ional Cancer

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Institute-Sponsored Working Group Guidelines for Chronic LymphocyticLeukemia (NCI-WG-CLL) (Cheson et al., 1996). Il primo criterio su cui sibasa la diagnosi di LLC è un incremento del numero dei linfociti nelsangue periferico e che questo sia persistente nel tempo.I linfociti hanno l'aspetto prevalente dei linfociti piccoli e maturi, pre-sentano scarso citoplasma e cromatina nucleare addensata a zolle. Unaspetto caratteristico degli strisci di sangue di pazienti affetti da LLC èla presenza di ombre nucleari dette ombre di Gumprecht (Figura 2).Accanto ai piccoli linfociti, possono essere osservati linfociti più grandinucleolati, i prolinfociti, l infociti a citoplasma più ampio, linfociti connucleo clivato, linfociti con le caratteristiche degli immunoblasti e dei

l infoblasti (Catovskyet al., 1990). Secon-do la classif icazioneproposta dal French-A m e r i c a n - B r i t i s h( FAB ) Coope ra t i v eG roup (Benne t t e tal., 1989) la diagnosic i t omo r f o l og i ca d iLLC "tipica" si ponein presenza del 90%o più di piccoli linfo-citi. Secondo questaclassi f icazione qua-dri citomorfologici incui sono rappresen-ta t i p iù de l 10% d il in foc i t i con aspett id i ve r s i da l p i cco lol i n f oc i t o non sonocompa t i b i l i con l a

diagnosi di LLC “tipica”. Dal punto di vista morfologico risulta ben defi-nita la leucemia prolinfocitica (LPC) (Melo et al., II , III, 1986) in cui l'a-spetto dei linfociti periferici è quello del prolinfocito e che si identificaanche con un proprio quadro immunofenotipico e clinico. Accanto aquesta forma, ve ne sono altre in cui è possibile osservare una quotasuperiore al 10% di linfociti con aspetti diversi dal piccolo linfocito. Inqueste condizioni è appropriata la diagnosi di LLC a citomorfologia"atipica". In rapporto alle caratteristiche citomorfologiche dei linfocitidel sangue periferico sono state definite da alcuni autori delle variantidella LLC, le cosiddette forme “atipiche”: la LLC/LPC, la LLC di tipomisto a “large lymphocytes” o a “cleaved lymphocytes” (Criel et al.,1997). La presenza di un quadro citomorfologico "atipico" sembra cor-relarsi generalmente a una prognosi più sfavorevole (Oscier et al.,1997).

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Figura 2 • LLC

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La popolazione dei l infocit i coinvolt i nel la LLC esprime antigeni dimembrana propri della linea B: CD19, CD20 e CD23. Pur appartenen-do alla linea B, i linfociti leucemici esprimono sulla loro membrana unantigene espresso dai linfociti T, il CD5. La popolazione coinvolta nellaLLC è monoclonale, esprime infatti catene leggere di un solo tipo, koppure l. Un altro aspetto importante che contraddistingue i linfocitileucemici è la bassa densità di espressione del le Ig di superf icie.Questa caratteristica, così come la infrequente espressione degli anti-geni FMC7 (Catovsky et al., 1991) e CD79b (Zomas et al., 1996) di piùcomune osservazione in altre malattie linfoproliferative come la LPC ele fasi leucemiche di linfomi non-Hodgkin, è importante e va conside-rata quando si poneun problema di d ia-gnos i d i f f e r enz i a l e(Tabel la 1) . Per unacorretta identificazio-ne de l l e d i v e r semalattie linfoprolifera-tive è stata propostauna va lu taz ione de lfenotipo immunologi-co dei linfociti secon-do uno “ sco re ” .Questo sistema attri-buisce un punteggiodi uno in presenza diuna de l l e seguen t icondizioni: CD5 posi-t i v i t à , CD23 pos i t i -vità, FMC7 negatività,CD79b nega t i v i t à ,debo l e i n t ens i t à d ie sp ress i one de l l eSm Ig ( Tabe l l a 6 )(Matutes et al., 1994). Recentemente, è stata segnalato il significatoprognostico sfavorevole della espressione dell’antigene CD38, markerdi attivazione linfocitaria (Damle et al., 1998).

2.3 BIOPSIA OSTEOMIDOLLARE E LINFONODALE

Il midollo presenta costantemente un'infiltrazione di piccoli linfociti, lacui entità è variabile in rapporto all'entità della malattia. La biopsiaosteomidollare è un esame che permette, sulla base del tipo di modalitàdi infiltrazione linfocitaria, una valutazione diagnostica differenziale nei

Marker LLC

CD5 +

CD23 +

CD79b –

FMC7 –

k o l ±

Tabella 6 LLC: sistema scoredell’immunofenotipo

Punteggio: 5/5 = LLC classica;4/5 = quadro compatibile con LLC.Mod i f i ca to da : Ma tu tes e t a l . ,Leukemia, 1994, 8: 1640.

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confronti di altri disordini l infoproliferativi anch'essi caratterizzati dalinfocitosi periferica. Inoltre, la biopsia osteomidollare offre informazioniprognostiche poiché ai diversi tipi di modalità di infiltrazione linfocitariadel midollo, diffuso e non diffuso (Rozman et al., 1984), si correlano nonsolo stadi diversi di malattia ma anche differenti probabilità di sopravvi-venza. La biopsia linfonodale non è necessaria nell’iter diagnostico dellaLLC qualora siano già chiaramente diagnostiche le indagini citomorfolo-giche e immunologiche condotte sulla popolazione dei linfociti presentinel sangue periferico. La biopsia linfonodale è necessaria nei casi in cuinon è possibile un chiaro inquadramento diagnostico sulla base dell’e-same del sangue periferico e quando nel decorso della malattia si pre-senti un quadro clinico suggestivo per trasformazione in linfoma ad altogrado di malignità (sindrome di Richter) (Giles et al., 1998).Il quadro istologico che appare alla biopsia di un linfonodo in corso diLLC non è sostanzialmente differente da quello che viene osservato incaso di linfoma linfocitico.

2.4 DIAGNOSI DIFFERENZIALE

Un problema di diagnosi differenziale si pone nei confronti di altre sin-dromi linfoproliferative leucemiche quali la LPC, il SLVL, la fase leuce-mica di alcuni linfomi non-Hodgkin: il linfoma linfocitico, il linfoma folli-colare, il linfoma mantellare. Ognuna di queste differenti malattie linfo-proliferative è caratterizzata da un proprio quadro clinico e da propriecaratteristiche citomorfologiche e immunofenotipiche che consentonoagevo lmente d i d is t inguere queste forme leucemiche da l la LLC.Quando possibile è sempre indicata per un corretto inquadramentodiagnostico la valutazione istologica su tessuto infiltrato da malattia.La biopsia linfonodale e quella osteomidollare consentono generalmen-te la definizione della diagnosi. Nella tabella 2 sono riportate le carat-teristiche immunofenotipiche che caratterizzano alcune malattie linfo-proliferative croniche con cui può porsi il problema di una diagnosi dif-ferenziale.

2.5 CARATTERISTICHE CITOGENETICHEE MOLECOLARI

Lo studio citogenetico e quello molecolare, per l'impegno e il costoche comportano non costituiscono attualmente esami di routine darichiedere nella valutazione dei pazienti affetti da LLC. Questi esamisolitamente eseguiti nell'ambito di programmi di ricerca, hanno datofinora contributi importanti di ordine patogenetico ed hanno anche offertoinformazioni di utilità prognostica. L'analisi citogenetica rivela una altera-

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zione del cariotipo in circa la metà dei pazienti affetti da LLC (Juliussonet al., 1990). La presenza di alcune alterazioni del cariotipo identificainfatti sottogruppi di pazienti a diversa prognosi (Dohner et al., 1995).Osservando il decorso clinico e la sopravvivenza dei pazienti in rapportoalle caratteristiche citogenetiche è stato infatti attribuito un significatoprognostico sfavorevole alla presenza di alterazioni quali la 17q– e la17p–, mentre pazienti con 13q– e +12q possono essere considerati aprognosi più favorevole. Non è stato finora identificato un marker mole-colare specifico per la LLC. Benché nella LLC non vi siano alterazionistrutturali del gene Bcl-2 la proteina Bcl-2 risulta eccessivamente espres-sa nell’ 85% dei casi (Hanada et al., 1993) e questo potrebbe avere unruolo nell’alterare i meccanismi che regolano il processo di apoptosi.Il gene del retinoblastoma, il c-myc, l'espressione della proteina p-53,l'eccessiva espressione della p27 sono state osservati in pazienti conprognosi sfavorevole (Cordone et al., 1998; Vrhovac et al., 1998). Datirecentissimi di due studi concordano nell’ indicare che pazienti conconfigurazione germline dei geni per la sintesi delle catene pesantidel le Ig (geni IgV) hanno una prognosi signif icativamente peggiorerispetto a quelli che presentano invece la presenza di mutazioni soma-tiche (Damle et al., 1998; Hamblin et al., 1998). In uno dei due studi èstata, inoltre, riportata una correlazione tra l’espressione dell’antigeneCD38 e la configurazione germline non mutata dei geni IgV.

2.6 ALTRE INDAGINI DA CONSIDERAREALLA DIAGNOSI

In una piccola percentuale dei casi di LLC la linfocitosi si associa adanemia e/o piastrinopenia. Queste possono essere espressione di unainsufficiente attività mielopoietica secondaria all'infiltrazione leucemicadel midollo o anche essere su base autoimmune. Nel caso che l’ane-mia sia associata a segni di emolisi quali un incremento dei valori dellabil irubina indiretta, della lattico deidrogenasi (LDH), della conta deireticolociti, è importante la esecuzione del test di Coombs, affinchésia possibile identificare la eventuale presenza di autoanticorpi anti-eritrocitari che quasi sempre sono delle IgG e molto più raramentedelle IgM. Un’altra condizione da considerare in presenza di citopeniaè l’ipersplenismo che può essere presente nelle forme di LLC caratte-rizzate da importante splenomegalia.L’elettroforesi proteica con l'ausilio dell'immunofissazione permette didimostrare in una piccola percentuale dei casi la presenza di unaparaproteina che può essere di tipo IgG o IgM. Una ipogammaglobuli-nemia è frequente soprattutto nei pazienti con malattia più estesa etende a essere più spiccata nel decorso della malattia. Utili alla dia-gnosi, per il significato prognostico ad esse correlato, sono la deter-

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minazione del valore della LDH e della b2-microglobulinemia.Una corretta valutazione dell'entità dell'estensione della malattia nonpuò prescindere da una valutazione di tipo radiologico. Per una valuta-zione di base possono essere sufficienti anche la sola radiografia deltorace e un'ecografia dell'addome, tuttavia, una valutazione medianteesame TC offre informazioni di maggiore dettaglio sulle dimensionidelle adenomegalie profonde.

2.7 VALUTAZIONE DELLO STADIO

La definizione dello stadio di malattia si propone di dare una misuradell'entità della massa leucemica. Questa viene "misurata" tenendoconto non solo della linfocitosi, ma soprattutto dell'eventuale presenzadi adenomegalie, di splenomegalia, di epatomegalia, di anemia, ditrombocitopenia. Nella pratica attuale sono due i sistemi di stadiazionecomunemente impiegati: quello proposto da Rai e collaboratori nel1975 (Tabella 7) e quello proposto da Binet e collaboratori nel 1977(Tabella 8).

Stadio Stadiazione secondo Rai

0 Aumento dei linfociti nel sangue (> 5000/mL)e nel midollo (> 40%)

I Come stadio 0 associato a linfoadenomegalia

II Come stadio 0 associato a splenomegalia ± epatomegalia con o senza linfoadenomegalia

III Come stadio 0 + anemia (Hb < 11 g/dL) con o senza epato-spleno-adenomegalia

IV Come stadio 0 + trombocitopenia (Plt < 100000/mL)con o senza anemia (Hb < 11 g/dL) edepato-spleno-adenomegalia

Tabella 7 Classificazione della LLC in stadi secondo Rai

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Stadio Stadiazione secondo Binet

A Linfocitosi (> 5000/mL) e < 3 aree linfonodali coinvolte

B Linfocitosi (> 5000/mL) e ³ 3 aree linfonodali coinvolte

C Linfocitosi (> 5000/mL) + anemia (Hb < 10 g/dL) e/o trombocitopenia (Plt < 100000/mL) indipendentemente dal numero di aree linfonodali coinvolte

Tabella 8 Classificazione della LLC in stadi secondo Binet

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LEUCEMIAPROLINFOCITICACRONICA

La leucemia prolinfocitica cronica (LPC) è una malattia linfoproliferati-va che nel 80% dei casi è sostenuta dalla proliferazione monoclonaledi linfociti B e nel 20% dei casi di linfociti T aventi le caratteristichemorfologiche del prolinfocita. Per la diagnosi morfologica di LPC vienerichiesto che almeno il 55% dei linfociti abbiano le caratteristiche delprolinfocita (Bennett et al., 1989).

3.1 QUADRO CLINICO

L’età mediana dei pazienti è più elevata che per la LLC essendo di 70anni; i pazienti sono più frequentemente di sesso maschile, essendoanche per la LPC il rapporto maschi:femmine di 2:1. La LPC si pre-senta di solito con le caratteristiche di una malattia in fase avanzatasin dalla diagnosi (Melo et al., I, 1986; IV, 1987). Nella maggior partedei pazienti, è presente una splenomegalia importante spesso asso-ciata a epatomegalia, mentre è più rara l'osservazione di linfoadeno-megalie. Nelle forme di T-LPC è possibile osservare la presenza diinfiltrati cutanei di tipo papuloso.

3.2 CARATTERISTICHE MORFOLOGICHE,IMMUNOFENOTIPICHE E CITOGENETICHE

Il quadro ematologico è caratterizzato da una linfocitosi periferica ingenere importante con valori anche superiori a 200000/ml che si asso-cia ad anemia e piastr inopenia di entità variabi le. Nella Tabella 9sono confrontate le caratteristiche cliniche e biologiche della LLC edella B-LPC.Nella B-LPC i linfociti sono di taglia maggiore del piccolo linfocito checaratterizza la LLC, hanno un citoplasma relativamente più abbondan-te e tenuemente basofilo, e all’interno del nucleo presentano cromati-na meno addensata e un nucleolo ben evidente (Bennett et al., 1989;Melo et al., II–III, 1986; Catovsky et al., 1990). I l infociti esprimono

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elevata densità di Ig di superficie ed esprimono fortemente gli antigeniCD20, CD22 e FMC7, mentre il CD5 risulta espresso in circa un terzodei casi e gli antigeni CD23, CD11c, CD103 risultano negativi (Melo etal., 1986). In circa i l 60% dei casi di B-LPC lo studio citogeneticomostra una trisomia del cromosoma 14 (Pitmann et al., 1983).Nella T-LPC i prolinfociti hanno meno citoplasma e quindi maggior rap-porto nucleo/citoplasma. Il nucleolo può essere più facilmente messoin evidenza alla microscopia elettronica e in alcuni casi il nucleo assu-me aspetto convoluto. I linfociti risultano essere CD2 positivi con feno-tipo CD4 positivo nel 75% dei casi, mentre più rara è la espressionedel CD8 o l’espressione combinata del CD4 e CD8. Di solito è espres-so il CD7 mentre sono negativi CD1, HLA-DR e la TdT.

B-LLC B-LPC

Caratteristiche Piccoli linfociti con scarso Linfociti con abbondantemorfologiche citoplasma e nucleo a citoplasma, nucleo con

cromatina addensata cromatina fine e nucleolato

Caratteristiche SmIg + SmIg ++++immunologiche CD5 + 95% CD5 –

CD20 + CD20 ++++CD23 + CD23 –FMC7 ± FMC7 ++++

Caratteristiche Età mediana 65 Età mediana 70cliniche Rapporto maschi/femmine 2:1 Rapporto maschi/femmine 2:1

Splenomegalia ± Splenomegalia ++++Linfocitosi < 100000/ml Linfocitosi > 100000/mlAnemia e Anemia etrombocitopenia < 15% trombocitopenia > 80%

Tabella 9 Caratteristiche cliniche e biologichedella B-LLC e della B-LPC

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LEUCEMIA A CELLULECAPELLUTE

La leucemia a cellulecapellute o tricoleu-cem ia , conosc i u t acon l’acronimo HCL(hairy cell leukemia)è una entità clinico-patologica ben defi-n i t a ca ra t t e r i z za tada l la pro l i fe raz ionedi ce l lu le B maturecon lunghe prot ru-s ion i c i top lasmat i -che r iconosc ib i l i a lmicroscopio ott ico,ma mo l t o p i ù e v i -denti al microscopioa contrasto di fase eal microscopio elettronico (Catovsky et al . , 1990, Matutes et al . ,1994a) (Figura 3).

4.1 QUADRO CLINICO

La HCL è una patologia che colpisce l’adulto e il sesso maschile inproporzione maggiore (4:1). Presenta sintomi non-specifici, quali aste-nia, in alcuni casi emorragie o infezioni; quasi sempre è presente sple-nomegalia, alcune volte accompagnata da epatomegalia.

4.2 CARATTERISTICHE MORFOLOGICHE,IMMUNOFENOTIPICHE E MOLECOLARI

L’emocromo evidenzia sempre una citopenia, molto spesso a carico ditutte le fi l iere cellulari, causata sia dall’invasione midollare da partedelle cellule neoplastiche che soprattutto dalla fibrosi midollare dovu-ta, probabilmente, anche a fattori rilasciati dalle cellule stesse, qualicitochine con attività mielotossica.

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Figura 3 • HCL

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La diagnosi, sospettata alla luce del quadro clinico-ematologico, deveessere posta sulla base della biopsia ossea. Questa mostra una diffu-sa infi ltrazione da parte delle cellule capellute con un caratteristicoaspetto lasso e un ben definito anello citoplasmatico che determinanouna zona chiara attorno al le cellule. All’osservazione microscopicaquesta immagine risulta patognomonica della malattia e permette ladiagnosi differenziale. Nella maggior parte dei casi, è presente un limi-tato numero di cellule capellute circolanti; mentre una linfocitosi è diriscontro poco frequente. Anche l’aspirato midollare non è sufficienteper la diagnosi, soprattutto perché può risultare spesso in una “puntiosicca”, dovuta oltre che all'infiltrazione leucemica, alle fibre di reticoli-na che derivano dalla fibronectina prodotta dalle cellule stesse cheinvadono il midollo. Un aspetto caratteristico della distribuzione dellecellule può essere spiegato dalla presenza dei recettori di adesionesulla membrana che possono interagire con le cellule dell’endotelio econdizionare la disseminazione. Infatti, il numero delle cellule circolantiè di regola basso e anche il coinvolgimento dei linfonodi è molto raro.Morfologicamente, le cellule presentano dimensioni medio-grandi conun diametro compreso tra 10 e 20 mm, citoplasma abbondante e icaratteristici villi. Il nucleo è eccentrico con una forma rotondeggianteo indentata, il citoplasma è basofilo con rare granulazioni azzurrofile;raramente è presente un nucleolo.Le cellule di HCL hanno la proprietà di reagire in modo specifico a unareazione citochimica, denominata fosfatasi acida resistente all’acidotartarico (TRAP), che visualizza piccoli granuli irregolari distribuiti inmodo diffuso nel citoplasma cellulare.La tipizzazione immunofenotipica mostra una positività agli antigenidella cellula B, CD22, CD19 e CD20, CD79a. Inoltre, le cellule sonopositive per le Ig, ristrette per le catene leggere, espresse in superficiead alta densità, e per l’FMC7. Ma gli antigeni che possono esseredefiniti specifici sono il CD11c, il CD25, il DB44 e il CD103. Le cellulesono ovviamente negative per la TdT, ma anche per CD10, CD23 enormalmente per il CD5 (Matutes et al., 1994a; Robbins et al., 1993;de Totero et al., 1993).Morfologicamente, si può porre il quesito di una diagnosi differenzialecon il SLVL, ma in quest’ultimo le cellule sono negative per gli antigeniCD25, DB44 e CD103, anche se sono positive per l’antigene CD11c(Matutes et al., 1994b).Non ci sono molti dati di citogenetica che riguardano l’HCL, anche sesono segnalate alcune alterazioni tra cui il coinvolgimento del cromo-soma 5 descritto in circa il 30% dei pazienti (Cuneo et al., 1994).Lo studio molecolare non ha un’indicazione diagnostica nella HCL; inogni caso, è evidente che le cellule hairy mostrano un riarrangiamentoclonale dei geni delle Ig (Hagland et al., 1994).Esiste una rara forma variante di HCL che rappresenta circa il 10%

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delle HCL (Cawley et al., 1980; Dunphy et al., 1996; Zinzani et al.,1990). Le caratteristiche generali sono simili, anche se frequentementei pazienti sono più anziani ed è meno marcata l’incidenza nei maschi. Ipazienti presentano una importante splenomegalia che dà spesso sin-tomi clinici, hanno alla diagnosi un numero di globuli bianchi circolantinella maggioranza dei casi >10000/ml. È sempre possibile aspirare ilmidollo osseo, che presenta un’infiltrazione variabile tra il 5–80%. Labiopsia ossea mostra sempre la presenza di un’infiltrazione nella mag-gior parte dei casi interstiziale.La diagnosi differenziale con la classica HCL è basata fondamental-mente sull'osservazione morfologica e sulle differenze di positività aimarcatori di membrana. Infatti, le cellule neoplastiche si presentanocon una morfologia simile a quella dei prolinfociti, un nucleo rotondocon nucleolo evidente e un citoplasma abbondante con numerosi villi.L’immunofenotipo ricalca quello della HCL classica, eccetto che per lanegatività per il CD25.Lo studio della biologia molecolare mostra l’espressione del trascrittodel gene c-myc, che qualcuno mette in relazione con la resistenzadella HCL variante alla terapia con IFNa (Sainati et al., 1990; Lehn etal., 1986).Le conoscenze sulla citogenetica di questa patologia sono scarse;sono state segnalate anomalie numeriche e strutturali, anche se è raroil coinvolgimento del cromosoma 5 a differenza di quanto osservatonella HCL classica.

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LINFOMA SPLENICOA LINFOCITI VILLOSI

Il linfoma splenico a linfociti villosi (SLVL) rappresenta una patologial infoprol i ferat iva la cui ident i tà è stata def in i ta solo recentemente(Catovsky et al., 1990; Melo et al., 1987). Ha un’incidenza che è statavalutata essere il 10% delle malattie linfoproliferative B leucemiche edè classificato tra i linfomi non-Hodgkin a basso grado di malignità.

5.1 QUADRO CLINICO

Sono interessati dal SLVL soggetti adulti di età generalmente superiorea 60 anni (Mulligan et al., 1991). Il quadro clinico è dominato da unasplenomegalia associata ad alterazioni dell’emocromo. La splenome-galia di solito è piuttosto importante, ma in rari casi può essere anchemodesta e apprezzabile solo ecograficamente. Se presenti, l’epatome-galia e le adenomegalie non sono comunque di entità rilevante.A l l a l i n foc i tos i , d i so l i to non mo l to impor tan te , e che va r i a t ra10–40000/ml, può associarsi frequentemente anemia e trombocitope-nia talvolta su base anche autoimmune. Circa la metà dei pazientimostra la presenza di una componente monoclonale di tipo IgG o IgM.

5.2 CARATTERISTICHE MORFOLOGICHE,IMMUNOFENOTIPICHE E CITOGENETICHE

Una quota dei l infocit i periferici, generalmente superiore al 25%, ècaratterizzata dalla presenza ai poli cellulari di estroflessioni citopla-smatiche che danno a questi elementi un aspetto vi l loso. I l infocit isono di media taglia, presentano citoplasma basofilo, hanno un nucleotondo con cromatina addensata e frequentemente è apprezzabile unpiccolo nucleolo.All’esame dell’immunofenotipo il quadro è quello di una popolazionemonoclonale di tipo B che nella maggioranza dei casi risulta esserefortemente CD22 positiva, ma CD5 e CD23 negativa, con positività delCD79b e del FMC7 (Tabella 2). In casi meno frequenti con positivitàdel CD5 o del CD23 (20–30%) si può porre il problema di una diagnosidifferenziale con la LLC, mentre in quelli con positività del CD25 (25%)

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si pone un problema di diagnosi differenziale con la HCL.Finora non è stato dimostrato un quadro specifico di alterazioni citoge-netiche. In una minoranza di casi è stata documentata la presenza dialterazioni citogenetiche osservate in altri tipi di patologia linfoprolife-rativa, quali la trisomia 3 (17%), la t(11;14) (15%) e la trisomia 12 (3%).

5.3 ISTOLOGIA SPLENICA E BIOPSIAOSTEOMIDOLLARE

È tipico il quadro di un interessamento splenico, prevalentemente acarico della polpa bianca, di tipo nodulare con componente a piccolecellule al centro e cellule più grandi nella periferia del nodulo. Nellapolpa rossa è possibile osservare un interessamento nodulare simile dientità variabile. La biopsia osteomidollare rivela un'infiltrazione linfoci-taria non molto importante, di solito di tipo nodulare e intrasinusoidalecon aspetti talvolta di tipo paratrabecolare.

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LEUCEMIE A LINFOCITIGRANULARI

Secondo quanto suggerito da Loughran (Loughran et al . , 1993) eanche recentemente dalla "Revised European-American LymphomaClassification" (Harris et al., 1994) delle leucemie a linfociti granulari,anche denominate come “large granular lymphocyte (LGL) leukemias”,vanno considerate due diverse entità in rapporto al tipo di derivazionecellulare: LGL a fenotipo T CD3+ e LGL a fenotipo NK.

6.1 ESPANSIONI LGL CD3+

6.1.1 QUADRO CLINICO

È la forma più comune di espansione LGL (Lamy et al., 1998) e siosserva in soggetti non giovani, essendo l'età media di 60 anni. I ldecorso è solitamente indolente e la diagnosi del tutto occasionale,anche se in alcuni pazienti viene posta in occasione di infezioni secon-da r i e a l l a g ranu loc i topen ia p resen te i n c i r ca un te r zo de i cas i(Dhodapkar et al., 1994). Può essere presente epatomegalia e/o sple-nomegalia. È possibile documentare la presenza di un’altra patologiain circa i l 40% dei casi: frequentemente un'artr ite reumatoide, maanche altre patologie di t ipo autoimmune come l'anemia emolit icaautoimmune. Un'espansione LGL può anche essere associata a pato-logie d iverse di t ipo ematologico: mie loma mult ip lo, gammopat iamonoclonale, mielodisplasia e malattie linfoproliferative. Infine, espan-sioni LGL possono essere osservate anche in corso di tumori solidi.

6.1.2 CARATTERISTICHE MORFOLOGICHE E IMMUNOFENOTIPICHE

La diagnosi di queste patologie si basa sull'osservazione di una linfoci-tosi persistente, sostenuta dalla presenza di linfociti con nucleo roton-do o reni forme e ampio c i toplasma contenente granul i azzurrof i l i(Figura 4). Il numero assoluto di queste cellule si attesta di solito suvalori superiori a 2000/ml, ma sono descritti anche casi caratterizzatida un numero inferiore di linfociti granulari (Semenzato et al., 1997).I l fenotipo immunologico del le LGL più comunemente osservato è

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ca ra t te r i z za to da l l apositività per gli anti-gen i CD3 , CD8 ,CD16, CD57, TCRab.In alcuni casi, è stataosservata la positivitàper l'antigene CD4 inassenza o in presen-za della positività perl 'an t igene CD8 e incas i ancora p iù rar isono state osservatef o rme a f eno t i poCD3+, CD8–, CD4–.La na tu r a c l ona l edelle LGL è dimostra-

bile mediante analisi molecolare (Southern blot o PCR) che mette inevidenza la presenza del riarrangiamento dei geni TCRb o TCRg.I l quadro ematologico può essere caratterizzato frequentemente dagranulocitopenia grave (45%), piastrinopenia (20%), anemia (48%). Inalcuni casi, anemia e piastrinopenia possono riconoscere un'eziologiadi tipo autoimmune. Granulocitopenia e piastrinopenia possono essereanche l’espressione di una condizione di mielodisplasia. Quote variabilid'infiltrazione midollare da parte di LGL sono documentabili all'aspira-to midollare e alla biopsia osteomidollare. Lo studio proteico può rile-vare la presenza di una proteina monoclonale o anche di una ipergam-maglobulinemia di tipo policlonale.

6.1.3 DIAGNOSI DIFFERENZIALE

Espansioni di linfociti granulari di tipo non clonale, e quindi con confi-gurazione germinale dei geni del TCR, sono state descritte in associa-zione a patologie di tipo diverso; tra queste, soprattutto le infezioni ditipo virale, in particolare le infezioni da virus dell'epatite B e C. Noninfrequenti le forme non clonali secondarie a malattie autoimmuni, amalattie linfoproliferative e di tipo neoplastico.

6.2 ESPANSIONI LGL A FENOTIPO NK

Sono state descritte due condizioni diverse aventi fenotipo NK, la linfo-citosi cronica a fenotipo NK e la leucemia a linfociti granulari a fenotipoNK.

Figura 4 • LGL

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6.2A LINFOCITOSI CRONICA A FENOTIPO NK

6.2A.1 QUADRO CLINICOÈ piuttosto rara e interessa prevalentemente i soggetti non giovaniessendo l'età mediana di 60 anni (Tefferi et al., 1994). È una malattia adecorso indolente in cui è rara la presenza di organomegalia. Talvoltaè stata osservata in corso di vasculiti (poliarterite nodosa, glomerulo-nefrite, vasculiti orticarioidi) di aplasia eritroide pura, di granulocitope-nia e piastrinopenia.Anche per questa forma è stata postulata una possibile eziologia ditipo virale (Zambello et al., 1995).

6.2A.2 CARATTERISTICHE IMMUNOFENOTIPICHEIl numero mediano di cellule granulose non è generalmente elevatoattestandosi su valori di 2000/ml. Il fenotipo immunologico più comu-nemente osservato è CD2+, CD16+, CD56+, CD3–, CD4–, CD8– condebole espressione del CD57. Nella maggior parte dei casi studiati, èstata suggerita la clonalità della popolazione NK poiché questa espri-meva un solo tipo dei recettori espressi dalle cellule a fenotipo NK(Moretta et al., 1994).

6.2B LEUCEMIA A LINFOCITI GRANULARIA FENOTIPO NK

6.2B.1 QUADRO CLINICOQuesto tipo di leucemia interessa i pazienti più giovani essendo l'etàmediana di 39 anni. Si presenta in forma di una malattia linfoproliferati-va aggressiva con linfocitosi di solito superiore a 10000/ml associataad anemia e piastrinopenia gravi, sintomatologia emorragica da coagu-lopatia intravascolare disseminata, epatosplenomegalia, ascite, inte-ressamento gastroenterico e talvolta anche del sistema nervoso cen-trale (Fernandez et al., 1986).

6.2B.2 CARATTERISTICHE IMMUNOFENOTIPICHEGeneralmente, il fenotipo immunologico delle cellule granulose è CD3–,TCRab–, TCRgd–, CD4–, CD8+, CD16+, CD56+ e CD57 variabilmenteespresso.Nella metà dei casi studiati è stato possibile documentare la presenzadi un'infezione da EBV, ed è stata postulata una responsabilità eziolo-gica diretta del virus poiché mediante analisi di tipo molecolare all’in-terno delle cellule granulose sono stati documentati EBV-RNA e anti-geni nucleari EBV correlati (Kawa-Ha et al., 1989).

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LEUCEMIA LINFATICACRONICA T

La leucemia linfatica cronica a T linfociti (T-LLC) è una forma estrema-mente rara di cui si è solo recentemente ammessa l'esistenza (Hoyeret al., 1995; Wong et al., 1996). Rappresenta l’1% delle leucemie lin-fatiche croniche a linfociti piccoli e maturi.

7.1 QUADRO CLINICO

Il quadro clinico è frequentemente caratterizzato da organomegalie,talvolta anche importanti, associate a linfocitosi il cui valore medianosi attesta su valori di 45000/ml. In alcuni pazienti è stato osservato uninteressamento cutaneo sotto forma di lesioni di tipo eritematoso.

7.2 CARATTERISTICHE MORFOLOGICHE, IMMUNOFENOTIPICHE E MOLECOLARI

Nella T-LLC vi sono nel sangue periferico l infocit i apparentementematuri di piccola taglia, nucleo tondo od ovale con modeste irregola-rità del suo contorno del tipo di una piccola incisura. La cromatinanucleare è addensata e talvolta può essere riconoscibile un piccolonucleolo. Il citoplasma è scarso, leggermente basofilo e soprattuttoprivo di granulazioni. La percentuale di infiltrazione linfocitaria a livellomidollare è risultata variabile dal 15 al 90%. L’immunofenotipo deil infociti corrisponde a quello di l infociti maturi CD3+, CD4+ talvoltaanche CD8+ con negatività del CD16, CD56 e CD57.Indagini molecolari hanno mostrato la costante presenza del riarran-giamento del gene TCRb. Dal punto di v ista ci togenet ico è stataosservata in alcuni casi un'alterazione a livello del 14q32.

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LA SINDROME DISÉZARY

La sindrome di Sézary (SS) descritta per la prima volta nel 1948 daSézary e da Bouvrain (Sézary et al., 1948) rappresenta una condizioneclinica che si riassume nella triade: eritrodermia, adenomegalie, linfoci-tosi. È una malattia sistemica dovuta alla compromissione da parte dilinfociti neoplastici a immunofenotipo T dell’epidermide, dei linfonodi,del sangue. Questa sindrome è classificata tra i linfomi a derivazionedai T linfociti (Willemze et al., 1997; Harris et al., 1994) ed è inquadratacome un linfoma cutaneo di stadio avanzato in considerazione dell'e-stesa compromissione cutanea e leucemica avente caratteristiche bio-logiche e cliniche comuni con la micosi fungoide (MF) essendo dovuteentrambe alla proliferazione neoplastica di linfociti a fenotipo T helper.

8.1 QUADRO CLINICO

La SS è una patologia rara che interessa soggetti prevalentemente disesso maschile e di età adulta. Il quadro clinico è dominato dall'eritro-dermia dif fusa, intensamente pruriginosa con esfol iazione cutaneaimportante a cui possono aggiungersi gradi variabili di ipercheratosipalmare e plantare, distrofia ungueale, alopecia. Frequentemente èpossibile documentare anche adenomegalie ed epatosplenomegalia(Wieselthier et al., 1990).

8.2 CARATTERISTICHE CITOMORFOLOGICHE, IMMUNOFENOTIPICHE E MOLECOLARI

È possibile osservare nel sangue periferico due tipi di cellule leucemi-che: cellule più grandi denominate cellule di Sézary e cellule di dimen-sioni più piccole dette cellule di Lutzner (Catovsky et al., 1990). Le cel-lule mostrano scarso citoplasma e nucleo indentato spesso convolutocon aspetto cerebriforme soprattutto nella variante cellulare di dimen-sioni maggiori. Questi aspetti della morfologia nucleare possono esse-re più facilmente documentabili alla microscopia elettronica.L'infi ltrazione midollare è di solito l imitata. L’esame istologico dellelesioni cutanee rivela la presenza di infiltrati linfocitari tipicamente epi-

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dermotropi sotto forma di clusters che sono denominati microascessidi Pautrier.I linfociti mostrano fenotipo di tipo T helper: CD2+; CD3+, CD5+, CD4+

CD8–. Solo in rarissimi casi la popolazione leucemica esprime il CD8.È poss ib i le d imost ra re la c lona l i tà de l la popo laz ione leucemicamediante analisi molecolare che permette di documentare il riarrangia-mento dei geni del TCR.Secondo i criteri EORTC, per la diagnosi di SS è richiesta la presenzanel sangue periferico di una popolazione T clonale con incrementosignificativo del rapporto CD4/CD8 (>10) (Willemze et al., 1983).Non sono state identificate finora alterazioni specifiche del cariotipo dacorrelare alla SS.

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LINFOMI INDOLENTI

I linfomi a piccole cellule, solitamente caratterizzati da un decorso cli-n ico indolente, rappresentano c i rca i l 40% di tut t i i l in fomi non-Hodgkin. Comprendono un gruppo eterogeneo di entità clinico-patolo-giche sempre meglio definite negli ultimi anni grazie al miglioramentodelle tecniche immunologiche, citogenetiche e molecolari.

9.1 QUADRO CLINICO

Nella maggior parte dei casi il sintomo di presentazione è la comparsadi tumefazioni linfonodali non dolenti, prevalentemente nelle stazionidel collo. Sintomi sistemici della malattia (febbre, dimagrimento, sudo-razione profusa) sono presenti in meno del 25% dei casi; quando pre-senti, sono solitamente associati con stadi avanzati di malattia. Menofrequentemente la malattia si presenta con sintomi legati a specifichesedi di localizzazione: nelle localizzazioni al tratto gastroenterico vipuò essere dolore addominale, nel 30% dei casi un sanguinamentofranco, più raramente ostruzione o perforazione intestinale. Citopeniesignificative si manifestano solo in caso di infiltrazione midollare este-sa. La leucemizzazione non è infrequente (40–70%) e può costituire ilprimo segno della malattia.

9.2 PROCEDURE DIAGNOSTICHE

La biopsia linfonodale rappresenta la procedura diagnostica prin-cipale. Agobiopsie e agoaspirati delle tumefazioni l infonodalisono da scoraggiare in quanto il campione limitato può non com-prendere lesioni focal i , non consente l ’esame del l 'architettura dellinfonodo e limita la possibilità di utilizzare procedure diagnostiche piùelaborate. Nel caso di malattie caratterizzate all’esordio da infiltrazio-ne midollare o del sangue periferico, utili indicazioni diagnostiche pos-sono venire dall’esame citomorfologico, immunofenotipico e molecola-re su campioni ottenuti in queste sedi.L’estensione del la malatt ia deve essere valutata con un accuratoesame fisico, con l’uso di una diagnostica per immagini (ecografia,TC, RMN, ecc.) e con una biopsia osteomidollare. Un'accurata stadia-zione della malattia è di importanza fondamentale in quanto l’atteggia-mento terapeutico e la prognosi sono differenti negli stadi localizzatirispetto agli stadi più avanzati. Nella Tabella 10 sono elencate le pro-

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cedure di stadiazione indicate nei linfomi a basso grado di malignità;nella Tabella 11 sono indicati i criteri di stadiazione dei linfomi secon-do Ann-Arbor, tuttora comunemente utilizzati (Carbone et al., 1971).

• Anamnesi accurata ed esame obiettivo con particolare attenzione alla pre-senza o meno di sintomi B, fattori di rischio per HIV, infezioni, terapia immu-nosoppressiva, malattie autoimmuni

• Emocromo con piastrine e formula leucocitaria• Esami ematochimici di routine, comprendenti LDH, acido urico, creatinina,

VES, b2-microglobulina, ecc.• Ecografia delle stazioni linfonodali superficiali e dell’addome, TC total body• Esame citologico, immunofenotipo, citogenetica, ricerca di specifici riarran-

giamenti genici sul materiale patologico ove indicato• Agoaspirato e biopsia osteomidollare• Esofagogastroduodenoscopia nei pazienti con interessamento dell’anello del

Waldayer o sintomi addominali• Esame citologico e immunofenotipico su eventuali liquidi del terzo spazio

(pleura, peritoneo)• Procedure radiologiche specifiche se indicate (scintigrafia con gallio, Rx o

RM di segmenti scheletrici, ecc.)

Tabella 10 Accertamenti indicati per la stadiazionedei linfomi indolenti

Stadio DefinizioneI Interessamento di una singola stazione linfonodale o di una singola

sede extranodale (IE)

II Interessamento di due o più stazioni linfonodali dalla stessa parte del diaframma o di una sede extranodale (IIE) e una o più stazioni linfonodali dalla stessa parte del diaframma

III Interessamento di stazioni linfonodali sia sopra chesottodiaframmatiche, che possono essere accompagnateda localizzazioni extranodali (IIIE), da interessamento splenico (IIIS),o da ambedue (IIIES)

IV Interessamento diffuso o disseminato di uno o più organi extralinfonodali, con o senza interessamento linfonodale associato

Sintomi sistemici (B): Febbre > 38°, sudorazione notturna, perdita di peso del 10%

negli ultimi 6 mesi

Tabella 11 Criteri di stadiazione dei linfomi non-Hodgkinsecondo Ann Arbor

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9.3 CLASSIFICAZIONE

La recente c lassi f icazione WHO (Harr is et a l . , 1999) (Tabel la 12)agg i o r na l e c l a ss i f i c a z i on i p r eceden temen te e l abo ra t e (REALClassification-1994; Updated Kiel Classification-1992; Working Formu-lation-1982) (Harris et al., 1994; Lennert et al., 1992) tenendo contodel progressivo affinamento delle tecniche diagnostiche e della corre-lazione con la clinica.Nei l infomi maligni è possibile riconoscere stretti rapporti con i varicompartimenti e stati funzionali del sistema immunitario.

9.4 LINFOMA B A PICCOLI LINFOCITI

È la variante linfonodale, non leucemica, della LLC. Dal punto di vistaclinico interessa l’età avanzata, è caratterizzata da un decorso indo-lente e può co invo lgere l in fonod i , mi lza , fegato, mido l lo osseo.Istologicamente è costituito da piccoli linfociti con cromatina adden-sata, anche se è possibile incontrare clusters di cellule di più grandidimensioni (prolinfociti e paraimmunoblasti). Lo studio dell’immunofe-notipo (debole sIgM+, IgD±, marker pan B+, CD5+, CD23+, CD43+,FMC7–) è molto utile nei casi con morfologia atipica, e per la confermadella diagnosi. Dal punto di vista molecolare le cellule sono caratte-r i z za t e da l r i a r r ang i amen to de i gen i pe r l e immunog lobu l i n e .Alterazioni citogenetiche sono incostanti e generalmente coinvolgo-

• Leucemia linfoide cronica/Linfoma a piccoli linfociti• Leucemia prolinfocitica B• Linfoma linfoplasmocitoide• Linfoma splenico della zona marginale (con o senza linfociti villosi)• Leucemia a cellule capellute• Mieloma/Plasmocitoma• Linfoma della zona marginale extranodale (MALT)• Linfoma della zona marginale nodale (con o senza cellule B mono-

citoidi)• Linfoma follicolare (gradi I–III)

Linfoma follicolare cutaneoLinfoma centrofollicolare diffuso

• Linfoma mantellare

Tabella 12 Classificazione WHO dei linfomi indolenti

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no i cromosomi 11, 12 e 13 con delezioni e traslocazioni.La progressione della malattia si può verificare per l’incremento dellaquota prol infocitaria, o per la trasformazione in un l infoma ad altogrado di malignità (sindrome di Richter).

9.5 LINFOMA LINFOPLASMOCITICO/IMMUNOCITOMA

Dal punto di vista clinico è poco frequente (1–2% dei linfomi nodali),caratterist ico del l’età avanzata, può coinvolgere i l midollo osseo, ilinfonodi, la milza e talvolta il sangue periferico. Può essere associatoa produzione di una paraproteina IgM nel siero e in tal caso possonoessere presenti le manifestazioni cliniche della macroglobulinemia diWaldenström (s indrome da iperv iscos i tà, vedi o l t re ) . Può essereaccompagnato da anemia emolitica autoimmune o crioglobulinemia.Soprattutto in alcune regioni italiane è stata riportata una frequenteassociazione con l’infezione da virus dell’epatite C, tanto da far ipotiz-zare un possibile ruolo patogenetico del virus in questa varietà di linfo-ma (Mazzaro et al., 1996).Il quadro istologico è caratterizzato da un'infiltrazione di tipo diffuso,senza pseudofollicoli, o talvolta proliferazione nell’area interfollicolare.Gli elementi patologici sono rappresentati da linfociti linfoplasmocitoidi(con abbondante citoplasma basofilo), ma sono presenti anche piccolilinfociti e plasmacellule. Talvolta possono essere osservati anche rariimmunoblasti, cellule epitelioidi e mastociti.L’immunofenotipo si caratterizza per la forte espressione citoplasmicae di membrana delle Ig (usualmente IgM, raramente IgA o IgD), positivitàdei marker pan-B, negatività del CD5, CD10 e CD23, CD43±. Lo studiodell’ immunofenotipo è importante per distinguerlo da altre forme dilinfoma a piccole cellule che possono talvolta presentare una maturazio-ne in senso plasmocitico (linfoma a piccoli linfociti, linfoma follicolare).Dal punto di vista molecolare sono presenti i l riarrangiamento deigeni per le Ig e mutazioni somatiche. Nel LLP è stata descritta lat(9;14) (p13;q32) coinvolgente il fattore di trascrizione specifico dellecellule B, PAX-5 e il locus delle catene pesanti delle Ig.Nel corso della malattia si può raramente osservare una trasformazio-ne in linfoma a grandi cellule B (solitamente immunoblastico).

9.6 LINFOMA MANTELLARE

Clinicamente il linfoma mantellare si presenta soprattutto nel pazienteanziano, prevalentemente nei maschi. Rappresenta il 5–6% di tutti ilinfomi. Nella classificazione di Kiel veniva compreso nella categoria dellinfoma centrocitico. L'identificazione del linfoma mantellare è tanto più

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rilevante in quanto caratterizzato da una prognosi che si discosta, perla maggiore aggressività, da quella delle altre varietà di linfomi indolenti.La maggior parte dei pazienti si presenta infatti con una malattia disse-minata (stadio III o IV): l infoadenopatie multiple, con coinvolgimentodell’anello del Waldayer, frequente interessamento midollare e dellamilza. Non sono rare localizzazioni extranodali, in particolare a livellodel tratto gastroenterico.Dal punto di vista istologico vi è sovvertimento della normale archi-tettura linfonodale con infiltrazione di tipo diffuso o vagamente nodula-re da parte di elementi cel lulari di piccola-media taglia con nucleoindentato, cromatina moderatamente dispersa, rari nucleoli. L’indicemitotico è variabile, abitualmente basso, talvolta elevato. Possono essere distinte diverse varianti istologiche (Zucca E et al.,1994):• variante blastica: cellule simili a centroblasti con cromatina finemente

dispersa e alto indice mitotico, frequente aspetto a “cielo stellato”• variante pleiomorfa: predominanza di cellule di taglia medio-grande

talvolta con nucleo inciso, di aspetto centroblastico• variante a piccole cellule: predominanza di cellule di piccola-media

taglia con nucleo tondo e cromatina più addensata.L’ immunofenot ipo s i carat ter izza per pos i t i v i tà de l le s IgM (conespressione intensa), generalmente IgD+, CD5+, CD10–, CD23–, solita-mente CD43+, CD11c–, ciclina D1+. Nei casi con immunofenotipo ati-pico (CD5– o CD23+), oltre alla tipica morfologia occorre ricorrere alladimostrazione dell’espressione della ciclina D1 (Zucca E et al., 1994).Dal punto di vista molecolare e citogenetico nel linfoma mantellaresi osserva il riarrangiamento dei geni delle Ig e l’assenza di mutazionirelative alla zona variabile delle Ig; nella maggior parte dei casi è pre-sente la t(11;14)(q13;q32) coinvolgente il locus per le catene pesantidelle Ig e il locus Bcl-1. Questa traslocazione risulta nell'aumentataespressione del gene CCND1/PRAD1, che codifica per la ciclina D1:una proteina che interviene nella regolazione del ciclo cellulare, nonespressa nelle cellule linfoidi normali. La possibilità di identificare que-st'alterazione dipende dalla metodica impiegata: impiegando tecnichequali PCR, Southern blot o citogenetica classica, la possibilità di iden-tif icarla va dal 35 al 70%, mentre viene ri levata nel 100% dei casiusando la FISH. A livello proteico o dell’RNA, l’espressione della cicli-na D1 viene rilevata nel 90% dei casi.È difficile fare diagnosi di linfoma mantellare con il solo criterio morfo-logico: nelle forme tipiche la diagnosi differenziale va posta con il linfo-ma a piccoli linfociti e con il linfoma follicolare, nella variante blasticacon il linfoma linfoblastico, nella variante pleiomorfa con i linfomi diffusio foll icolari a grandi cellule B, nella variante a piccole cellule con illinfoma della zona marginale.Da queste considerazioni emerge la fondamentale importanza di uti-

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l izzare tecniche quali lo studio dell’ immunofenotipo, analisi dicitogenetica e biologia molecolare per una corretta diagnosi.

9.7 LINFOMI FOLLICOLARI

Rappresenano la varietà più frequente fra i linfomi indolenti e compren-dono circa il 30% di tutti i linfomi non-Hodgkin. Clinicamente si pre-sentano soprattutto in individui anziani, ma non sono infrequenti anchenel giovane adulto. Nella maggior parte dei casi alla diagnosi la malat-tia si presenta già in stadio avanzato, con interessamento linfonodale,della milza, del midollo osseo; raramente coinvolge sedi extranodali. Ildecorso è estremamente indolente, ma, con le strategie terapeuticheattualmente a disposizione, tuttora incurabili. La mediana di sopravvi-venza è di 7–9 anni. Nel corso della malattia la trasformazione in linfo-ma B a grandi cellule è frequente (fino al 60% dei casi).La diagnosi morfologica è relativamente semplice per il tipico aspettofollicolare (nodulare). Gli elementi cellulari possono essere di piccola-media taglia con nucleo inciso e scarso citoplasma (centrociti) o digrandi dimensioni con nucleo rotondo, nucleoli, e citoplasma basofilo(centroblasti). Gli elementi di piccole dimensioni sono di solito predo-minanti. In base alla percentuale di cellule di grandi dimensioni i linfomifollicolari (FL) possono essere suddivisi in 3 gradi; pur essendo talesuddivisione discutibile per la scarsa riproducibilità fra diversi osserva-tori (sarebbe probabilmente più opportuna una suddivisione in 2 soligradi), nella recente classificazione WHO è stata conservata così comeera stata introdotta nella precedente REAL classification per non intro-durre elementi di confusione:

• Grado I: 0–5 centroblasti per campo, ad alto ingrandimento • Grado II: 6–15 centroblasti per campo, ad alto ingrandimento• Grado III: > 15 centroblasti per campo, ad alto ingrandimento.

Lo studio dell’immunofenotipo mostra: positività per le Ig di superfi-cie, positività per i marker pan-B, CD5–, CD10+, CD23±, CD43–, posi-tività per la proteina espressa dal Bcl-2 e dal Bcl-6. La proteina Bcl-2può essere presente in altre varietà di linfomi indolenti, ma non nelleforme reattive.Dal punto di vista citogenetico e molecolare la t(8;14)(q32;q21) èpresente nel 70–95% dei casi di linfomi follicolari; in questa trasloca-zione il locus Bcl-2 viene a trovarsi giustapposto al gene che codificaper le catene pesanti delle Ig. Ne consegue l' iperespressione dellaproteina Bcl-2, che verosimilmente gioca un ruolo nella trasformazioneneoplastica del clone cellulare in quanto dotata di azione anti-apopto-tica. Altri eventi genetici sono comunque necessari per la trasformazio-ne neoplastica.Oltre alla t(8;14) si osserva il riarrangiamento dei geni per le Ig, con

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mutazione del le regioni var iabi l i . Possono essere osservate anchemutazioni della p53, e riarrangiamento o iperespressione del c-myc incaso di trasformazione in varietà più aggressive.

Il linfoma follicolare primitivo della cute presenta caratteristiche cli-niche e biologiche che lo distinguono dalle forme nodali. Si presentaspesso come unica lesione a livello del dorso anche se sono possibililesioni cutanee multiple e in altre sedi. La prognosi è migliore con undecorso più lento rispetto alle forme nodali, e una buona risposta aterapie local i . L’aspetto isto logico è s imi le ma non è presente lat(14;18) né il riarrangiamento del Bcl-2.

9.8 LINFOMA DELLA ZONA MARGINALE

La definizione di questa varietà di l infoma è relativamente recente.Inizialmente è stato considerato nella varietà associata alle mucose("mucosa associated lymphoid tissue", MALT type) identificata neglianni 80 da Isaacson (Isaacson et al., 1983). Successivamente sonostate identif icate le varietà nodali (Sheibani et al., 1988) e splenica(Schimdt et al., 1992). Queste ultime, considerate entità provvisorienella REAL classification, figurano come entità riconosciute nella clas-sificazione WHO.I linfomi tipo MALT sono relativamente frequenti (7% di tutti i linfomi),mentre più rare sono le altre varietà.Dal punto di vista clinico i l linfoma della zona marginale extranodaletipo MALT può originare dal tratto gastroenterico (stomaco, più rara-mente intestino) dalle ghiandole salivari, dalle vie respiratorie, dallatiroide, dagli annessi oculari, dalle ghiandole mammarie, dal fegato,dalle vie urinarie, dal timo e dalla cute.Vi è spesso una preesistente patologia infiammatoria cronica con com-ponente autoimmune (gastr i te da Hel icobacter pi lor i , s indrome diSjögren, tiroidite di Hashimoto, borreliosi). I linfomi tipo MALT origina-no solitamente in sedi normalmente prive di tessuto linfoide, in cui uninfiltrato linfoide è stato indotto dalle patologie suddette. Almeno inuna fase iniziale il processo linfomatoso è sostenuto dalla patologia dibase e può regredire con la risoluzione di quest’ultima.La malattia è tipicamente indolente e spesso localizzata. Tuttavia nonè raro un aspetto disseminato già alla diagnosi e l’infiltrazione midolla-re (presente nel 17% dei casi) (Thieblemont et al., 2000).Dal punto di vista istologico, l’aspetto citologico è eterogeneo conelementi cellulari diversi associati in proporzioni variabili: piccole cellu-le con nucleo irregolare tipo centrociti (più frequenti nelle forme MALT),piccole cellule con nucleo più regolare e citoplasma chiaro (cellule Bmonocitoidi), cellule simili a piccoli linfociti, piccole cellule con diffe-

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renziazione plasmocitoide, plasmacellule, una variabile proporzione dicellule di dimensioni medio-grandi tipo centroblasti o immunoblasti;sono i no l t r e sempre p r esen t i c e l l u l e dend r i t i c he f o l l i c o l a r i .L’infi ltrazione inizia nella zona marginale per poi estendersi al l'areainterfollicolare o ai follicoli.L’immunofenotipo si caratterizza per la positività per le Ig di membra-na ristrette per le catene leggere. La catena pesante è IgM con osenza coespressione delle IgD o IgG, mostra marker pan-B+, CD5–,CD10–, CD23–, CD43±, Bcl-2+, ciclina D1–. Lo studio dell’immunofe-notipo è essenziale per la diagnosi differenziale con altri tipi di linfomanon-Hodgkin indolenti.Dal punto di vista citogenetico e molecolare sono presenti il riarran-giamento dei geni per le Ig, nonché mutazioni somatiche. Le più fre-quenti alterazioni citogenetiche comprendono la trisomia 3 (60% deicasi), la trisomia 18 e anomalie strutturali di 1q.

Il linfoma della zona marginale nodale, con o senza cellule B monoci-toidi è stato inizialmente descritto in donne anziane, spesso affette dasindrome di Sjögren, come malattia localizzata, verosimilmente origina-ta dalle ghiandole salivari. Nella forma nodale tuttavia la malattia è piùspesso disseminata e la prognosi è meno buona che nelle forme MALTo splenica.

Il linfoma splenico a linfociti villosi è stato precedentemente descritto.

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MIELOMA MULTIPLO

Il mieloma multiplo è una patologia relativamente frequente: rappre-senta l’1–2% di tutte le malattie tumorali e circa il 15% delle emopatiemaligne. L’incidenza in Ital ia è di 5.7 casi ogni 100000 abitanti neimaschi e 5.0 nelle femmine. È una malattia dell’anziano, con una etàmediana alla diagnosi riportata fra i 65–70 anni. Origina dalla trasfor-mazione neoplastica di una cellula B attraverso una serie di eventi soloin parte noti, fra cui l’attivazione di oncogeni o l’inattivazione di genioncosoppressori.

10.1 QUADRO CLINICO

La presentazione della malattia all’esordio è estremamente variabile: incirca il 30% dei casi la diagnosi è casuale, mentre negli altri casi lamalattia viene rivelata dalla presenza di dolori ossei con fratture pato-logiche, dalla comparsa di anemia, meno frequentemente da una insuf-ficienza renale acuta, infezioni, ipercalcemia (Tabella 13).La sintomatologia cl in ica del mieloma or igina sostanzialmente daiseguent i e lement i che possono assumere un ruolo estremamentevariabile nei diversi pazienti: sintomi legati all’ infi ltrazione midollare,alla componente monoclonale, al riassorbimento osseo.L’infiltrazione midollare da parte delle cellule mielomatose può com-portare: anemia, leucopenia, piastrinopenia.La componente monoclonale può essere responsabile di emodiluizionee di aumento della viscosità ematica e della sintomatologia che neconsegue: cefalea, vert igini, sindrome emorragica, microemorragieretiniche, sonnolenza, obnubilamento.I l r iassorbimento osseo, dovuto all' infi ltrazione da parte del tessuto

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• Riscontro casuale in paziente asintomatico 30 %• Dolori ossei, fratture patologiche 35 %• Anemia 20 %• Insufficienza renale acuta

Infezioni 15 %Sindrome ipercalcemicaAltro

Tabella 13 Sintomi di esordio nel mieloma multiplo

}

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tumorale e alla produzione di fattori umorali capaci di stimolare l’atti-v ità osteoclast ica ( IL-1b, l infotossina, TNFa ) , è responsabi le del lecaratteristiche lesioni osteolitiche visibili con la radiologia convenziona-le. Possono essere isolate, multiple, talora disseminate a tutte le sediossee contenenti midollo rosso. L’impiego della RMN rende inoltrevisibili lesioni più fini, con aspetti tipo sale e pepe, e rimaneggiamentodiffuso della matrice ossea. La demineralizzazione ossea diffusa e lelesioni osteolitiche possono essere complicate da fratture patologichecon conseguente dolore osseo, deformità, limitazioni funzionali taloranotevolissime. Conseguenza del riassorbimento osseo è anche l’iper-calcemia: se lieve (<12 mg/dl), è generalmente asintomatica; se mode-rata (12–15 mg/dl), comporta astenia, adinamia, nausea; se grave (>15mg/dl), l’ipercalciuria provoca insufficienza renale acuta e disidratazio-ne potenzialmente fatali se non trattate prontamente.Altri sintomi possono essere conseguenza di complicanze diverse: sin-tomi neurologici possono derivare da compressioni sul midollo spinaleo altre strutture nervose a seguito di crolli vertebrali; una neuropatiapuò presentarsi in caso di amiloidosi secondaria a mieloma: la sindro-me del tunnel carpale è generalmente legata ad amiloidosi del retina-colo fibroso dei flessori del polso con compressione del nervo media-mo. È descritta anche una polineuropatia sensitivo-motoria progressi-va nel 3–5% dei pazienti con mieloma.Nella Tabella 14 sono riportate le indagini necessarie per un correttoinquadramento diagnostico del mieloma. I criteri diagnostici propostidal South Western Oncology Group nel 1975 sono tuttora uti l izzati(Tabella 15).

10.2 CARATTERISTICHE MORFOLOGICHEE IMMUNOFENOTIPICHE

Gli elementi cellulari possono variare da forme anaplastiche altamenteimmature a elementi di aspetto identico alle plasmacellule mature. Ilgrado di differenziazione cellulare sembra essere correlato con la pro-gnosi.Dal punto di vista immunofenotipico sia le plasmacellule normali chequelle mielomatose sono caratterizzate dalla intensa espressione del-l’antigene CD38 (il più tipico antigene plasmacellulare). Oltre al CD38le cellule mielomatose esprimono in modo variabile altri antigeni legatialla differenziazione B cellulare (Ig di superficie e intracitoplasmatiche,CD10, CD19, CD20, CD23), possono esprimere in modo variabile alcu-ni antigeni mieloidi o cellulari T (CD33, CD14, CD2, CD4), molecole disuperficie legate ai meccanismi di adesione delle cellule fra loro e allestrutture stromali (integrine e selectine, fra cui CD56, CD54, CD49e,

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• Anamnesi ed esame obiettivo Ricerca precedente MGUS,valutazione del “performancestatus”

• Studio proteico Valutazione qualitativa eElettroforesi sierica quantitativa della componenteImmunofissazione monoclonaleDosaggio IgElettroforesi e immunofissazioneurine

• Emocromo Ricerca citopenie periferiche• Chimica clinica Valutazione della funzionalità

Albumina renale, della calcemia,Creatinina dell’attività della malattiaCalcemiab2 microglobulinaLDHProteina C reattiva

• Agoaspirato e biopsia Valutazione della plasmocitosiosteomidollare midollare

• Diagnostica per immagini Ricerca lesioni osteoliticheRx dello scheletroRMN

Tabella 14 Procedure diagnostiche nel mieloma multiplo

Criteri maggiori

Diagnosi istologica di plasmocitomaPlasmocitosi midollare > 30%Componente monoclonale

IgG > 3.5 g/dlIgA > 2.0 g/dlCM urinaria k o l > 1.0 g/24 ore

Criteri minori

Plasmocitosi midollare 10–30 %Componente monoclonale (livelli inferiori)Lesioni osteoliticheRiduzione delle Ig normali

IgM < 50 mg/dlIgA < 100 mg/dlIgG < 600 mg/dl

Tabella 15 Criteri diagnostici nel mieloma multiplo

La diagnosi richiede la combinazione di un criterio maggiore e unominore (nel caso che l’unico criterio maggiore sia la diagnosi istolo-gica il criterio minore deve essere diverso dal primo), o la combina-zione di tre criteri minori che debbono includere sia la plasmocitosimidollare sia la presenza della componente monoclonale.

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CD49d), e antigeni coinvolti nei segnali fra cellula e cellula (HLA-DR,CD28, CD40, CD80, CD100, B7, ecc). Nella Tabella 16 sono elencati ipiù tipici antigeni espressi sulle plasmacellule normali e mielomatose.A scopo diagnostico, al fine di differenziare le plasmacellule maligneda quelle normali è utile valutare alcune specifiche associazioni antige-niche: l’analisi contemporanea del CD19 e del CD56 sembra in gradodi dif ferenziare le plasmacel lule normali (CD19+, CD56–) da quel lepatologiche (CD19–, CD56+) (Harada et al., 1993).

10.3 ANOMALIE PROTEICHE

Una componente monoclonale (proteina M) e/o la presenza di cateneleggere libere (proteina di Bence-Jones) è presente virtualmente nellatotalità dei casi di mieloma. Raramente la componente M è costituitada frammenti di Ig o da mezze molecole. La distribuzione delle varieclassi di Ig nelle varie forme di mieloma riflette più o meno la concen-trazione delle Ig normali nel siero (Tabella 17). Nell’11–25% dei casinon è possibile evidenziare un picco all’elettroforesi proteica: nelleforme a catene leggere un piccolo picco è raramente identif icabile,mentre è frequente una ipogammaglobulinemia. Nelle forme IgG, IgA emicromolecolari (Bence-Jones) le catene leggere k e l sono omoge-

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Antigene Plasmacellule normali Mieloma

sIg – ±cIg + +CD10 – ±CD19 + –CD20 – ±CD23 ± ±CD38 + +B-B4 + +CD56 – +CD54 + +CD49e (VLA5) + ±CD49d (VLA4) + +HLA-DR – ±CD44 + +Han PC1 + +

Tabella 16 Antigeni espressi sulle plasmacellule normali e sulle cellule di mieloma

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neamente distribuite, mentre nel più raro mieloma IgD sono prevalentile forme a catena leggera l. Nelle forme micromolecolari l’escrezioneurinaria delle catene leggere è influenzata da una serie di fattori legatianche alla funzionalità renale e può variare da pochi milligrammi fino a30–40 grammi nelle 24 ore.Nell’1% circa dei pazienti con mieloma non è possibile identificare unacomponente M serica né urinaria. Generalmente in questi casi studi diimmunofluorescenza consentono di dimostrare la capacità di produrreIg o parti di esse da parte delle cellule, ma l’incapacità di secernerle(mieloma non secernente) (Ameis et al., 1976).

10.4 CARATTERISTICHE CITOGENETICHE

Un cariotipo anormale si osserva nel 30–50% dei casi (Luc Lai et al.1995). Tuttavia l’analisi della aneuploidia effettuata con tecniche cito-fluorimetriche e la ricerca di anomalie citogenetiche effettuata median-te FISH rivelano la presenza di anomalie citogenetiche nell’80–90% deipazienti (Tabernero et al., 1996). Feinman et al., hanno riportato lapresenza di anomalie cromosomiche nel 27% dei casi, un cariotiponormale nel 31%, mentre i l 42% non era valutabile (Feinman et al.1997). Tra le anomalie cromosomiche numeriche o strutturali riportate,particolare interesse rivestono quelle che coinvolgono il cromosoma 13(presenti nel 43% dei pazienti con anomalie citogenetiche). La comple-ta o parziale delezione del 13 è infatti più comunemente osservata inpazienti con malattia in stadio avanzato ed è associata a prognosi sfa-vorevole (Facon et al. 1999).

10.5 DIAGNOSI DIFFERENZIALE

Una componente monoclonale può essere presente in altre condizionipatologiche come la gammopatia monoclonale di significato incerto

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Mieloma Ig normali nel siero

IgG 61 % 52 %IgA 19 % 37 %IgD 2 % 0.6 %IgE – 0.03 %Catene leggere 17 % –

Tabella 17 Distribuzione delle varie classi di Ig in 632 pazienticon mieloma e confronto con la concentrazione

delle Ig normali nel siero

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(MGUS), la macroglobulinemia di Waldenström e la malattia delle cate-ne pesanti.Plasmocitosi reattive si possono osservare in patologie infettive o flogi-stiche croniche, situazioni allergiche, epatopatie croniche, patologieautoimmuni.Lesioni osteolitiche possono essere osservate in tumori ossei primitivi,linfomi, metastasi ossee di neoplasie solide (mammella, prostata, pol-mone, ecc.).

10.6 STADIAZIONE

Tuttora utilizzata è la stadiazione di Durie e Salmon (Durie et al., 1975)che si propone di calcolare la massa tumorale in base a semplici para-metri clinici (Tabella 18) identif icando 3 stadi di diverso significatoprognostico.

Stadio Criteri Massa cellularestimata (x 1012/m2)

I tutti i seguenti: < 0.6• Emoglobina > 10.5 mg/dl• Calcemia < 12 mg/dl• Assenza di lesioni osteolitiche

o unica lesione• CM ridotta:

IgG < 5.0 g/dlIgA < 3.0 g/dlBence–Jones < 4g/24 ore

II casi che non rientrano in I e III 0.6–1.2

III almeno 1 dei seguenti: > 1.2• Emoglobina < 8.5 mg/dl• Calcemia > 12mg/dl• Presenza di 3 o più lesioni litiche• CM elevata:

IgG > 7.0 g/dlIgA > 5.0 g/dlBence–Jones > 12g/24 ore

A Creatinina < 2 mg/dl

B Creatinina > 2 mg/dl

Tabella 18 Stadiazione secondo Durie e Salmon

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10.7 FORME SOLITARIE(PLASMOCITOMA LOCALIZZATO)

Forme local izzate di plasmocitoma si possono presentare a l ivel loosseo (plasmocitoma solitario dell’osso) o a l ivello dei tessuti moll i(plasmocitoma extramidollare). Per definizione non è presente in que-ste forme plasmocitosi midollare; una modesta componente monoclo-nale prodotta dalle cellule tumorali può invece essere presente. In unostudio su 54 pazienti con plasmocitoma localizzato, la CM era presen-te nel 47% delle forme ossee e soltanto nel 9% di quelle extraossee(Galieni et al., 1995).Nelle forme ossee la lesione è più spesso localizzata a livello del rachi-de, delle coste o del bacino, anche se è possibile a qualunque livelloscheletrico. L’età di insorgenza è più giovanile rispetto al mieloma e viè un più frequente interessamento del sesso maschile. La sintomatolo-gia di esordio è solitamente legata al dolore osseo o a sintomi com-pressivi. La diagnosi è necessariamente istologica, su biopsia dellalesione. È importante escludere con certezza altre lesioni osteolitiche adistanza mediante RMN. La prognosi è migliore rispetto al le formesistemiche, anche se nel corso della malattia una evoluzione in mielo-ma multiplo si verifica nel 60–70% dei casi.Le forme extraossee, anch’esse più frequenti nei maschi e in età piùgiovanile rispetto al mieloma, si presentano soprattutto a livello dellevie aeree superiori (seni paranasali o mascellari, rinofaringe, laringe),ma si possono osservare anche a livello linfonodale, tonsillare, gastricoe cutaneo.La sintomatologia è legata all’effetto di massa e a compressione sullestrutture circostanti. La prognosi è migliore rispetto alle forme ossee el’evoluzione in mieloma multiplo più rara (10–15%).

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MACROGLOBULINEMIADI WALDENSTRÖM

La macroglobulinemia di Waldenström (MW) deriva dalla proliferazioneclonale di un elemento cellulare B con maturazione in senso plasma-cel lulare capace di sintetizzare IgM, le cui att ività biologiche sonoresponsabil i della maggior parte dei caratteristici sintomi clinici. Lamacroglobulinemia di Waldenström corrisponde a livello linfonodale allinfoma linfoplasmocitico/immunocitoma della REAL classification e allinfoma linfoplasmocitico della classificazione WHO (vedi sopra).L’ incidenza del la malatt ia è circa un sesto di quel la del mieloma.L’incidenza aumenta progressivamente con l’età (Groves et al., 1998).Sono stat i descr i t t i numerosi casi d i aggregazione fami l iare del lamalattia, o associazione con altre malattie linfoproliferative (Linet et al.,1993) tanto da far ipotizzare una qualche forma di predisposizionegenetica. Tuttavia legami con specif iche alterazioni genetiche nonsono a tutt’oggi noti.

11.1 QUADRO CLINICO

I principali sintomi e segni alla diagnosi sono indicati nella Tabella 19(Mc Callister et al., 1967). Le manifestazioni cliniche della macroglobu-linemia di Waldenström sono dovute a due componenti: l’infiltrazionedei tessuti da parte delle cellule tumorali e gli effetti della paraproteinaIgM (Tabella 20).L’infiltrazione midollare da parte delle cellule neoplastiche è responsa-bile dell'anemia e della possibile pancitopenia. A livello di altri organiproduce effetti assimilabili a quelli di altre forme di linfoma indolente.Le lesioni osteolit iche caratteristiche del mieloma sono eccezionalinella MW.Le manifestazioni cliniche più tipiche della MW sono quelle deri-vanti dalle proprietà fisico-chimiche e immunologiche delle IgMmonoclonali che inducono:• una sindrome da iperviscosità (astenia, cefalea, disturbi visivi, san-

guinamento, disturbi mentali fino al coma, alterazioni dei vasi retinici)• una sindrome emorragica legata all’interferenza con fattori coagula-

tivi (V, VII, VIII) (Farhangi et al., 1986) e all’interferenza con le funzionipiastriniche

• una sindrome di tipo autoimmune tra cui la più frequente è la neu-

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ropatia periferica (presente nel 17% circa dei casi) dovuta in circa lametà dei casi a una attività anticorpale diretta contro una glicoprotei-na associata alla mielina (MAG) (Ropper et al., 1998)

• crioglobulinemia di tipo I: si riscontra nel 7–29% dei pazienti, ma èsintomatica solo nel 50% di essi. La precipitazione nei piccoli vasisoprattutto in seguito all’esposizione al freddo produce il fenomeno

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Sintomi % Segni %

Astenia 44 Epatomegalia 38Emorragie 44 Splenomegalia 37Dimagrimento 23 Anomalie del fundus oculi 37Sintomi neurologici 11 Adenopatie 30Disturbi visivi 8 Anomalie neurologiche 17Fenomeno di Raynaud 3 Porpora 15

Tabella 19 Frequenza di sintomi e segni presenti alla diagnosiin pazienti affetti da macroglobulinemia

di Waldenström

Infiltrazione di organi e tessuti da parte delle cellule tumorali

• Midollo osseo• Fegato• Milza• Linfonodi• Polmoni• Tratto gastroenterico• Reni • Cute • CNS• Fundus oculi

Effetti legati alle caratteristiche fisico-chimiche e immunologichedella componente monoclonale IgM

• Sindrome da iperviscosità• Crioglobulinemia tipo I• Sindrome emorragica• Polineuropatia• Anemia da crioagglutinine• Amiloidosi AL• Deposizione tissutale di IgM

Tabella 20 Manifestazioni clinichedella macroglobulinemia di Waldenström

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di Raynaud, acrocianosi, porpora, ulcere malleolari, f ino a lesioninecrotiche delle estremità

• crioglobulinemia di tipo II dovuta all'attività anticorpale anti-Ig (fat-tore reumatoide) della componente monoclonale. È spesso associataa infezione da HCV; la precipitazione degli immunocomplessi a bassatemperatura produce effetti che vanno dalla semplice porpora beni-gna alle vasculiti sistemiche gravi complicate da artralgie, fenomenodi Raynaud, glomerulonefrite membrano-proliferativa e insufficienzarenale (Brouet JC et al., 1974)

• crioagglutininemia: si verifica quando la componente monoclonaleha att iv i tà diretta contro ant igeni er i trocitar i ( f requentemente I/ i )(Pruzanski et al., 1977) producendo una anemia emolitica cronicaprevalentemente extravascolare che può esacerbarsi con l’esposizio-ne alle basse temperature

• deposizione in organi e tessuti: la deposizione di aggregati amorfia livello della membrana basale cutanea produce una patologia bollo-sa, a livello della lamina propria o sottomucosa della cute producelesioni cutanee papulo-nodulari. A livello dell’intestino può provocarediarrea, malassorbimento, emorragie. L’amiloidosi è rara nella MW,ma se presente può manifestarsi con miocardiopatia, epatomegalia,sindrome nefrosica, neuropatia periferica, ecc.

Nella Tabella 21 sono sintetizzate le procedure diagnostiche utili perl’inquadramento diagnostico della MW.

11.2 CARATTERISTICHE MORFOLOGICHEE IMMUNOFENOTIPICHE

L’infiltrazione midollare comprende piccoli linfociti, cellule linfoplasma-citoidi e una proporzione variabile di plasmacellule mature. Il clone cel-lulare B implicato nella MW presenta la possibilità di maturazione intra-clonale fino allo stadio di plasmacellula. Tutti questi elementi cellulariesprimono le stesse IgM di superficie o intracitoplasmatiche; una por-zione variabile esprime anche sIgD. La maggior parte di esse esprimeCD19 e CD20; una intensa espressione del CD38 è presente sugli ele-menti a morfologia plasmacellulare e sugli elementi intermedi. Il CD23e il CD43 sono solitamente assenti. Il CD5 è espresso in circa la metàdei casi (Jensen et al., 1991).

11.3 CARATTERISTICHE CITOGENETICHEE MOLECOLARI

A causa della rarità della malattia i dati disponibili sono limitati. La fre-

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quenza di anomalie citogenetiche varia fra il 15 e il 90% dei casi. Sonostate riportate anomalie cromosomiche diverse, ma nessuna specifica( Pa l ka e t a l . 1987 ) . I n s i ngo l i c as i è s t a t a osse r va t a l at(14;18)(q32;q21) coinvolgente i l gene Bcl-2 e la t(8;14)(q24.1;q32)coinvolgente il gene c-myc. La t(9;14)(p13;q32) si riscontra nel 50%dei casi di l infoma linfoplasmocitico, soprattutto nei casi associati aMW; ne può conseguire la deregolazione del gene PAX-5, che svolgeun ruolo importante nel controllo della proliferazione e differenziazionecellulare B (Iida et al., 1986).

11.4 DIAGNOSI DIFFERENZIALE

Una paraproteinemia IgM può essere r iscontrata in altre situazionipatologiche quali MGUS IgM, linfomi e altre malattie linfoproliferative,LLC, amiloidosi primaria, crioagglutininemia, mieloma IgM.I confini fra MGUS IgM e macroglobulinemia di Waldenström non sonodefiniti in modo univoco: sono stati proposti livelli variabili tra i diversiautori sulla concentrazione della componente monoclonale e sull'infil-trazione linfoplasmocitoide midollare come soglia tra una forma e l’altra.

• Emocromo Anemia, piastrinopenia• Esame microscopico Rouleaux, elementi patologici circolanti

del sangue periferico• Elettroforesi serica e urinaria Ricerca CM• Immunofissazione serica TipizzazioneCM• Viscosimetria Ricerca iperviscosità• Fondo dell’occhio Alterazioni microcircolatorie• Ricerca e tipizzazione Ricerca crioglobuline tipo I e II

crioglobuline• Fattore reumatoide Frequente nella crioglobulinemia tipo II• PT, PTT Ricerca anomalie coagulative• Agoaspirato e biopsia Ricerca infiltrazione midollare

osteomidollare• Immunofenotipo su midollo Ricerca/tipizzazione cellule neoplastiche

o sangue• TC total body Ricerca organomegalie, linfomegalie• Biopsia linfonodale Diagnosi istologica• RMN del rachide / Ricerca lesioni osteolitiche

segmenti scheletrici• PCR (primer specifici per Monitorizzazione della malattia

la regione variabile)

Tabella 21 Procedure diagnostiche utili nellamacroglobulinemia di Waldenström

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Di fatto la distinzione fra MGUS e macroglobulinemia di Waldenström èaffidata alla presenza o meno di sintomi clinici e alla evolutività delquadro laboratoristico e clinico nel tempo.

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BIBLIOGRAFIA

Cap. 1 - L’approccio diagnostico

Catovsky D et al., The Lymphoid Leukaemias, Butterworths, London, 1990Catovsky D, Rev Clin Exp Hematol, 1: 3, 1997Dohner H et al., Leukemia 7: 516, 1993Jennings D et al., Blood 90: 2863, 1997Harris NL et al., Blood 84: 1361, 1994Knuutila S, Br J Haematol 96: 2, 1997Kobayashi H et al., Blood 84: 3473, 1994Langerak AW et al., Rev Clin Exp Hematol 3: 3, 1997Matutes E et al., Rev Clin Exp Hematol 4: 22, 2000Popescu NC et al., Cancer Genet Cytogenet 97: 73, 1997Weber–Matthiesen K et al., Cytogenet Cell Genet 63: 123, 1993

Cap. 2 - Leucemia linfatica cronica

Bennett JM et al., J Clin Path 42: 567, 1989Binet JL et al., Cancer 48: 198, 1981Catovsky D et al., The Lymphoid Leukaemias, London, Butterworths, 1990Catovsky D et al., Blood 58: 406, 1991Cheson B et al., Blood 87: 4990, 1996Criel A et al., Br J Haematol 97: 383, 1997Cordone I et al., Blood 91: 4342, 1998Damle RN et al., Blood 92: 431a, 1998Dohner H et al., Blood 89: 2516, 1995Giles FJ et al., Sem Oncol 25: 117, 1998Hamblin TJ et al., Blood 92: 515a, 1998Hanada M et al., Blood 82: 1820, 1993Juliusson G et al., N Engl J Med 323: 720, 1990Matutes E et al., Leukemia 8: 1640, 1994Matutes E et al., Blood 535a (abstr. 2394), 1997Mauro FR et al., Blood 94: 448, 1999Melo JV et al., (I) Br J Haematol 63: 377, 1986 Oscier DG et al., Br J Haematol 98: 934, 1997Rai KR et al., Blood 46: 219, 1975Rozman C et al., Blood 64: 642, 1984Vrhovac R et al., Blood 91: 4694, 1998Zomas AP et al., Leukemia 10: 1966, 1996

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Cap. 3 - Leucemia prolinfocitica cronica

Catovsky D et al., Lancet 2: 232, 1973Melo JV et al., (I) Br J Haematol, 63: 377, 1986Melo JV et al., (II) Br J Haematol, 64: 77, 1986Melo JV et al., (III) Br J Haematol, 64: 469, 1986Melo JV et al., (IV) Br J Haematol, 65: 23, 1987Pittman S et al., Cancer Genet Cytogenet 9: 355, 1983Tsai LM et al., Cancer 54: 463, 1984

Cap. 4 - Leucemia a cellule capellute

Catovsky D et al., “The Lymphoid Leukaemias”, Butterworths, London, 1990Cawley JC et al., Leuk Res 4: 547, 1980Cuneo A et al., Leuk Lymphoma 15: 167, 1994de Totero D et al., Blood 82: 528, 1993Dunphy CH et al., Am J Hematol 53: 121, 1996Hagland U et al., Blood 83: 2637, 1994Lehn P et al., Blood 68: 967, 1986Matutes E et al., Blood 83, 1558, 1994aMatutes E et al., Leuk Lymphoma 14 (suppl1): 57, 1994b Robbins BA et al., Blood 82: 1277, 1993Sainati L et al., Blood 76: 157, 1990Zinzani PL et al., Haematologica 75, 54, 1990

Cap. 5 - Linfoma splenico a linfociti villosi

Catovsky D et al., Semin Hematol 36: 148, 1999Melo JV et al., Leukemia 1: 294, 1987Mulligan SP et al., Br J Haematol 78: 206, 1991

Cap. 6 - Leucemia a linfociti granulari

Dhodapkar MV et al., Blood 84: 1620, 1994Fernandez LA et al., Blood 67: 925, 1986Harris NL et al., Blood 84: 1361, 1994Kawa–Ha K et al., J Clin Invest 84: 51, 1989Lamy T et al., Cancer Control 5: 25, 1998Loughran TP et al., Blood 82: 1, 1993Moretta L et al., Adv Immunol 55: 341, 1994Semenzato G et al., Blood 89: 256, 1997Tefferi A et al., Blood 84: 2721, 1994. Zambello R et al., Leukemia 9: 1207, 1995

Cap. 7 - Leucemia linfatica cronica T

Hoyer JD et al., Blood 86: 1163, 1995Wong KF et al., Br J Haematol 93: 157, 1996

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Cap. 8 - Sindrome di Sézary

Catovsky D et al., The Lymphoid Leukaemias, Butterworths, London, 1990Harris NL et al., Blood, 84: 1361, 1994Sezary A et al., Bull Soc Fr Dermatol Syph, 45: 254, 1948Wieselthier JS et al., J Am Acad Dermatol 22: 381, 1990Willemze R et al., Blood 90: 354, 1997Willemze R et al., J Invest Dermatol 81: 392, 1983

Cap. 9 - Linfomi indolenti

Carbone PP et al., Cancer Res 31: 1860, 1971Harris NL et al., J Clin Oncol 17: 3835, 1999Harris NL et al., Blood 84: 1361, 1994Iacsson P et al., Cancer 52: 1410, 1983Lennert K et al., Histopathology of NHL. New York: Springer–Verlag, 1992Mazzaro C et al., Cancer 77: 2604, 1996Sheibani K et al., Cancer 62: 1531, 1988Schmid C et al., Am J Surg Pathol 16: 455, 1992Thieblemont C et al., Blood 95: 802, 2000Zucca E et al., Ann Oncol 5: 507, 1994

Cap. 10 - Mieloma multiplo

Ameis A et al., Can Med Assoc J 114: 889, 1976Durie BGM et al., Cancer 36: 842, 1975Feinman et al., Hematol Oncol Cl N Am 11: 1, 1997Facon T et al., VII Int. Multiple Myeloma Workshop Abst. 17, 1999Harada H et al., Blood, 81: 2658, 1993Galieni P et al., Ann Oncol 6: 687, 1995Luc Lai J et al., Blood 85: 2490, 1995Tabernero D et al., Am J Pathol 149: 153, 1996Teoh G et al., Hematol Oncol Cl N Am 11: 27, 1997

Cap. 11 - Macroglobulinemia di Waldenström

Brouet JC Am J Med 57: 775, 1974Farhangi M et al., Semin Oncol 13: 366, 1986Groves FD et al., Cancer 82: 1078, 1998Iida S et al., Blood 88: 4110, 1996Jensen JS et al., Am J Hematol 37: 20, 1991Linet MS et al., Leukemia 7: 1363, 1993McCallister BD et al., Am J Med 43: 394, 1967Palka G et al., Cancer Genet Cytogenet 29: 261, 1987Pruzanski W et al., N Engl J Med 297: 538, 1977Ropper AH et al., N Engl J Med 338: 1601, 1998

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Si ringrazia Schering-Plough S. p. A.Divisione di Biologia Molecolare

per il sostegno offerto per la realizzazione del volume

Depositato Min. San. 24/10/2000

MATERIALE PROMOZIONALEVIETATA LA VENDITA

Finito di stampare nel mese di dicembre 2000Servizio Stampa

EFFE di Ugo Fraccaroli - Verona