Dov'è Alice? - Stefania Siano

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Primi due capitoli del romanzo fantasy. Per maggiori informazioni andate su http://doveealice-stefaniasiano.blogspot.it/

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Stefania SianoDov’è Alice?

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Copyright dell’immagine di copertina e dell’illustrazione dell’artista Paola Siano.

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A mia sorella Paola,perché questa storia un po' ci appartiene.

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I. Una sorellina tutta per me

«Buongionno Sinol Bianconillio, vuoi altla limonata?» chiese una bambina di tre anni che giocava da sola nel giardino di casa.Era seduta su una coperta a scacchi dove aveva posato un servizio da tè in plastica e il suo unico compagno di giochi: un coniglio di peluche, candido con gli occhi rossi. Arianna era molto introversa e timida, non si trovava con i bambini del vicinato e quindi giocava sempre da sola.Il faccino era tondo e paffuto, i capelli corti le valorizzavano la delicata rotondità da bambolina e aveva un paio di grandi occhi azzurri. Poco distante riecheggiavano le risate dei vicini che si divertivano a nascondino e Arianna li guardava con la coda dell’occhio, ma era troppo orgogliosa per unirsi loro.La sua attenzione venne interrotta dalla porta di casa che si aprì e le scarpe da ginnastica consumate del padre occuparono la sua visuale.«Arianna, cosa stai facendo qui da sola?»La bambina alzò lo sguardo per fissare il suo volto e le apparve come una maschera nera perché era in contro luce.«Gioco» borbottò in modo infantile senza troppi giri di parole e si sistemò il vestito giallo canarino che le aveva cucito la madre.L’uomo, vestito con abiti sporchi da lavoro, si inginocchiò a terra e spostò lo sguardo dal coniglio al viso della figlia.«Perché da sola? Ci sono i figli dei vicini che stanno giocando a nascondino.»Lei alzò le spalle e prese una nuova tazzina nel cestino di vimini per versarvi la limonata immaginaria e offrirla al genitore.«A te» disse con tono di comando, proprio delle piccole principesse viziate.Il padre l’accettò con un sorriso e fece finta di sorseggiare la bevanda dissetante.«Come è fresca! Potresti offrirla anche ai tuoi amichetti» la incitò.«No, è finita» disse seccata e iniziò a riordinare il servizio di tazzine nel contenitore.Il padre la osservò con sguardo assorto.«Vuoi che ti accompagni a parlare con loro?»«No.»«Non ti senti sola Arianna? Non vorresti un po’ di compagnia?»La bambina smise di mettere a posto e rimase inginocchiata a terra, stringendo le manine piccole e paffute. Le iniziarono a bruciare gli occhi e il

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naso cominciò a pizzicare, si morse internamente le guance per trattenere il pianto e ciò non sfuggì al genitore attento. Il padre posò la tazza di plastica a terra, si arcuò con la schiena e sporse il viso verso il suo, tentando di guardarla negli occhi, ma la bambina si rinchiuse sempre più a riccio, evitando il suo sguardo.«Vorresti una sorellina?»Quella parola bastò a farle alzare il viso, rivelando iridi colme di stupore e gioia.«Velamente?»«Rispondimi prima» disse con un sorriso accennato.«Vorresti una sorellina? Una compagna di giochi per la vita? Una persona che dovrai accudire e proteggere dai bambini cattivi?»«Sì!» esclamò contenta. Desiderava tanto una sorellina tutta per sé e a quella prospettiva la mente iniziò a fantasticare: avrebbe riso con lei nei momenti felici, sarebbe sgattaiolata nel suo letto per abbracciarla nelle notti di temporale, sussurrandole che presto sarebbe tutto finito, le avrebbe letto le favole per farla addormentare e avrebbero giocato nei momenti di noia. Non vedeva l’ora di stare con lei, di crescere con la sua sorellina e di vivere insieme tante avventure.Passarono i mesi e, ogni tanto, Arianna si avvicinava alla madre, le alzava la maglia e controllava se la pancia stava crescendo, ma la vedeva sempre piatta e stava perdendo le speranze. La vecchia nonnina della casa affianco le aveva spiegato come nascevano i bambini: i genitori inviavano una lettera alla cicogna, la quale poi andava nel suo laboratorio e preparava una pozione viola che versava dentro una piccola boccetta di vetro. Quando era tutto pronto, sarebbe arrivata nel cuore della notte, avrebbe fatto scivolare l’acqua magica nell’ombelico della madre e da lì a poco la pancia sarebbe cresciuta.Era il mese di agosto e quella giornata era molto afosa e umida.Arianna vedeva il padre che entrava e usciva freneticamente dal suo laboratorio e la moglie lo rincorreva con sguardo arcigno, rimproverandolo su qualcosa che aveva fatto. La bambina era seduta sul divano beige e giocherellava con il Signor Bianconiglio facendolo danzare sulle sue ginocchia. «Arianna vieni qui!» esclamò il padre, invitandola con la mano ad entrare nel laboratorio. La madre rimase in disparte sullo stipite della porta, con le braccia conserte e in atteggiamento ostile. La bambina entrò nella stanza colma di attrezzi artigianali, sacchi di argilla, gesso e taniche di acqua. Il padre la esortò ad avvicinarsi al tavolo di lavoro dove c’era una splendida bambola, la più bella che avesse mai creato. Sembrava una vera bambina di

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dieci anni, aveva il visino tondo dall’incarnato eburneo e le gote rosate, sulle spalle scendevano lunghi boccoli biondi, come quelli della madre, gli occhi erano gradi e color castano, come quelli del padre. Indossava un vestito merlettato rosa confetto che, ricordava bene, aveva visto cucire dalla madre pochi giorni prima. Ai piedi aveva dei calzini candidi con delle scarpe di vernice nera. «Arianna ti presento Alice. Tua sorella.»

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II. Benvenuti a Città dei Sogni

Il cinguettio degli uccelli accompagna il mio cammino, mentre fisso le nuove scarpe di vernice blu che indosso. Sono le otto e trenta del mattino e sto per andare a scuola, qui le lezioni iniziano sempre alle nove.Mi chiamo Arianna e ho tredici anni, frequento il terzo anno della scuola media Rose, la quale prende il nome della preside Rosa Rose e vivo a Città dei Sogni considerata al mondo la più grande metropoli mai esistita. Qui le persone hanno sempre un’aria sorridente e serena, ma è tutto anche molto frenetico, diverso da Distretto Risveglio in cui vivevo prima con la mia famiglia.Papà è stato sempre un bravissimo artigiano di bambole di porcellana, ma da quando ha creato altre bambole come Alice è tutto cambiato. Si è trasferito in questa meravigliosa città dove ha aperto la Alice Corporation e ha insistito affinché lo seguissi. Mi guardo intorno e i capelli castani e lisci, che incorniciano il volto fino alla mascella, mi vanno davanti agli occhi. Osservo altre persone, bambini della mia età che camminano con accanto un’Alice. Sono bambole che dimostrano dai dieci ai quattordici anni e il compratore medio è il genitore che vuole trovare un compagno di giochi per il figlio o la figlia. L’Alice sembra in tutto e per tutto un essere umano, fatta a eccezione per la pelle di porcellana: parla, gioca, mangia, dorme… il suo obiettivo è quello di fare compagnia al suo “padrone”, ma la mia Alice non è così, a differenza di queste bambole, ha dei propri pensieri, sa cosa le piace e cosa no e uno dei suoi sogni è quello di conoscere il mondo.È la sorellina che ho sempre desiderato fin quando, qualche anno fa, Alice è scomparsa misteriosamente. Non ha lasciato una lettera, un biglietto, un indizio, nulla e i miei genitori non si sono tanto scomodati nel cercarla.Perché? Non ne ho idea.«Ciao Arianna!» dicono all’unisono i gemelli Lion. Sono due ragazzini che frequentano la mia stessa classe e nonostante i battibecchi continui sono inseparabili. Loro non hanno bisogno di alcuna Alice.«Ciao Lea, ciao Leo» faccio un cenno con la mano.«Ehi!» esclama la ragazza puntando il dito verso i miei piedi. «Quelle?! Se ti vedesse la preside sarebbero guai» abbasso lo sguardo per fissare le mie scarpette di vernice blu. Una delle regole della scuola Rose è che ogni studente deve indossare la divisa composta da camicia bianca,

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giacca e pantaloni rossi, per i maschi, e una gonna che arriva fin sotto al ginocchio, per le femmine, il tutto corredato da scarpe nere.«Me le ha mandate mia madre per il compleanno, sono molto belle. Le ha fatte lei.»«Secondo me, appena vedranno la preside, si sfileranno dai tuoi piedi e se la daranno a gambe» ride divertito della propria battuta Leo, ma la sua ilarità viene interrotta da un poderoso pugno da parte della gemella.«Sei uno stupido!»«Grazie Lea, almeno una persona che è dalla mia parte» le sono grata.«Non possono darsela a gambe se NON hanno le gambe» corregge il fratello con tono serioso, come se avesse proferito una frase in modo totalmente sgrammaticato.«Era un modo di dire.»«Non esistono modi di dire a Città dei Sogni, dovresti averlo imparato ormai.»«Sei una rompiscatole, non capisco come sia possibile che siamo nati insieme.»«Se non ti sta bene fai un reclamo all’ufficio nascite della cicogna.»«Non fare la bambina, non esistono le cicogne.»«Certo che esistono.»«No» Leo si gratta nervosamente i capelli biondi a spazzolino. «Non intendo dire che non esistono le cicogne, intendo dire che…»Non sento la sua risposta perché Lea mi prende sotto braccio e mi trascina camminando con tutta calma. I suoi occhi vispi da gatta, mi scrutano con curiosità e so che non vede l’ora di arrivare a scuola per vedere come reagirà la preside riguardo le mie scarpe.Se Lea potesse trasformarsi in un animale sarebbe sicuramente un felino, è molto furba e scaltra, ma è ancor più curiosa. Leo invece è un credulone. Sono identici fisicamente, capelli biondi, pelle chiara, occhi azzurri, sembrano due tedeschi e sono le uniche persone che posso definire “amici”. Mi sono dovuta adeguare da quando Alice è sparita dalla mia vita, ma devo ammettere che la loro compagnia non mi disturba.Attraversiamo la grande piazza sferica dove ci sono alti palazzi costituiti da più di mille piani, dai colori sgargianti e variopinti. A causa della loro altezza tendono a curvarsi un po’, alcuni a destra e altri a sinistra, ma c’è un equilibrio perfetto dato che gli edifici sono tutti addossati.Davanti a noi, una moltitudine di gente aspetta il turno per andare al piano superiore della città, pieno di uffici e scuole. È una grande zolla di terra sospesa in aria, al di sotto della quale vi è un manto di pietre preziose

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ambrate. Unica via che unisce i due piani della città è una lunga scala mobile a chiocciola.Nell’attesa, i gemelli continuano a battibeccare e accenno a un sorriso ricordando che facevo lo stesso con mia sorella.

***«E invece no!»«E invece ti dico di sì.»«Smettila di raccontarmi sempre storie stupide.»«Ti dico che esistono le fate, io le ho viste» insisto guardando male mia sorella.La mamma ci ha mandato a comprare il latte e siamo appena uscite dal supermercato. Stringo la busta di plastica, mentre lei tiene tra le dita lo scontrino.«Io non le ho mai viste e sono sicurissima che non esistono. Se lo dici in giro ti prenderanno per pazza, ti chiuderanno in un manicomio e sarai un caso talmente disperato da non ricevere nessuna visita per mille e mille anni.»Mi volto verso un angolo della strada un po’ buio. «Ah davvero?! E allora quello cos’è?»Alice si sporge per guardare nella stessa direzione e nota che, nel vicolo cieco della stradina, compare una luce brillante che si sposta velocemente in alto, in basso, a destra e a sinistra e di nuovo a destra, a sinistra, in alto e in basso per poi sparire all’improvviso.Guardo mia sorella con fare trionfante.«Visto?»Per un momento boccheggia, non dando voce ad alcun pensiero e rimane in silenzio fin quando torniamo a casa.«C’è sicuramente una spiegazione, forse era una lampadina.»«Certo, tu dammi la tua spiegazione scientifica e poi ne riparliamo. Quella era una fata!»

***I miei ricordi vengono interrotti da uno spintone che ricevo alle spalle e in un secondo momento mi accorgo che sono Leo e Lea che mi sono caduti addosso perché una ragazzina, con la sua Alice, ci sorpassa per salire prima di noi sulle scale.La Lion inizia a imprecare ad alta voce, mentre il fratello le tappa la bocca con la mano.«Smettila, ci manca solo che viene qui e ti fai pestare dalla sua bambola.»

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A quel commento mi acciglio visibilmente e lo guardo male.«Le bambole di mio padre non fanno cose del genere» lo rimprovero e senza aspettare una loro reazione salgo sulla scala mobile.Le Alice sono bambole da compagnia, non si è mai sentito che una di loro ha picchiato un essere umano solo perché gliel’ha ordinato il “padrone”, a questo punto sarebbero macchine da guerra e non compagne di giochi.Avverto i gemelli che confabulano alle mie spalle e Lea riprende il fratello per la gaffe, ma poco mi importa. Non considero il pensiero di persone che non mi sono care, loro sono compagni di scuola e ogni tanto ci divertiamo, ma questo non basta a far sì che ci rimanga male per dei loro giudizi errati. Tempo di cantare mentalmente “giro giro tondo” per cinque volte e arriviamo al piano superiore della città, dove gli edifici sono più bassi e dritti rispetto alle abitazioni.Pochi passi ed entriamo nel cancello della scuola dove ci accoglie un bellissimo giardino colmo di rose rosse, con poltroncine di stoffa bianca e il terriccio è coperto da pietre di fiume.La scuola è un edificio di tre piani con le classi numerate, l’arredamento è in legno, i banchi e le pareti sono color della neve e i pavimenti neri. Questi sono i colori della scuola media Rose e il suo simbolo è la rosa.Prendiamo posto in aula per seguire la lezione di musica con il professore Fracasso, un uomo dall’età indefinibile dai capelli arancioni, con due ciuffi laterali che sembrano sbucare dalle orecchie esageratamente grandi e a sventola, ha un occhio verde e uno azzurro e indossa sempre il frac. Alcuni pensano che si illuda di essere il maestro di una grande orchestra, altri che sia solo un tipo molto stravagante, altri ancora dicono che sia semplicemente pazzo.«Buongiorno signori» parla con un accento francese, ma che io sappia non ha alcun legame con la Francia. «Prendete i vostri strumenti e aprite lo spartito. Iniziamo daccapo.»Prendo il mio flauto, comincio a suonare le note di Moon River e la melodia non fa altro che portarmi alla mente altri ricordi.

***È un sabato pomeriggio e la stanza buia è illuminata solo dalla luce della televisione che trasmette il film Colazione da Tiffany.Mia madre ha il volto tirato e contratto, tenta di non dar voce a singhiozzi dati dalla commozione per la storia, ha gli occhi colmi di lacrime che tampona repentinamente con un fazzolettino di carta.

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Sono seduta sul divano al suo fianco, mentre Alice è stesa a pancia in giù sul tappeto blu notte con fantasie geometriche e guarda la tv facendo dondolare le gambe.Quando parte la canzone, Moon River, mia sorella la inizia a canticchiare a bocca chiusa, poi socchiude le labbra dando voce a suoni che accompagnano la melodia per poi arrivare a proferire parole in inglese inventate, ma che dal suono assomigliano a quelle originali.«Che bella, devo impararla a suonare con il flauto» dice facendo ciondolare il capo a destra e sinistra al ritmo della melodia.«Oh per favore! Evita di suonare in casa» la supplico. È una bambina molto tenace e costante, quando prende un impegno lo porta a termine, non come me che spesso mi blocco o per le difficoltà o per noia. Ha iniziato da poco a seguire le lezioni di musica a scuola e arriva ad esercitarsi con il flauto fino a tarda notte, danneggiando i nostri poveri timpani, ma alla fine l’allenamento dà i suoi frutti.

***Sbaglio delle note e il professore picchietta la cattedra con la bacchetta da maestro d’orchestra.«Signorina! SIGNORINA! Sente a cosa sta dando vita? Ad un obbrobrio. Sta facendo uscire da quel flauto note false che hanno suoni assordanti, fastidiosi e striduli» si tappa le orecchie e stringe forte le palpebre, sembra un bambino che fa i capricci.I miei compagni smettono di suonare e io poso il flauto sul banco.«Mi scusi professore, mi sono distratta.»«Non esistono DISTRAZIONI nelle mie ore. E ora signorina,» sbatte di nuovo la bacchetta sulla cattedra con fare stizzoso «dato che la mia lezione è talmente noiosa da distrarla, vada pure fuori dalla classe.»Sgrano gli occhi e arrossisco vergognandomi per il rimprovero, non mi è mai successo, sono una brava studentessa.«Ma… professore mi…»«Niente ma, niente me, niente mi, niente mo e niente mu. Esca immediatamente dall’aula, anzi le metto subito una nota.»Faccio per interromperlo, ma Leo alza la mano rimanendo sempre al suo posto.«Mi scusi professore.»L’uomo prende il registro, prima di scrivere guarda Lion e con un cenno del capo gli dà il permesso di parlare.«Cosa c’è?»

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«Mi scusi professore: ci sta il ma, anche il mi, il me e possiamo far passare anche il mo, ma il mu lo dicono solo le mucche.»Lea sgrana gli occhi e si porta lentamente tre dita alla fronte con fare sconfortato. Nella classe si avverte un’ilarità trattenuta da guance gonfie e labbra strette talmente forti da diventare violacee.Il professor Fracasso diventa rosso, verde e viola dalla rabbia e ordina a me e al mio compagno di classe di uscire fuori dall’aula. Questa volta rimango in silenzio ed esco a capo chino e Leo mi segue con un atteggiamento indignato come se l’insegnante l’avesse offeso.Una volta nel corridoio, poggio la schiena contro il muro tenendo le mani dietro ai reni e fisso le mie scarpette di vernice, lui fa lo stesso di fronte a me e bofonchia innervosito.«Quell’uomo dovrebbe darsi una regolata, mica è colpa mia se dice baggianate.»«Almeno ci hai fatto fare una bella risata» sorrido divertita.«Certo, perché l’ho messo in ridicolo di fronte a tutta la classe» si esalta gonfiando il petto e reclinando indietro il capo portando il naso all’insù. «Ad ogni modo vado a fare un giro per la scuola, figurati se “Signor Stonato” esce fuori per controllare se ci siamo. Vieni con me?»«No, grazie, ma per questa volta passo. A quanto pare oggi non è la mia giornata fortunata.»Leo fa spallucce e infila le mani nelle tasche dei pantaloni. «Come preferisci. Ci vediamo dopo» cammina con passo lento girando l’angolo e sparendo dalla mia visuale.Poggio il capo contro il muro e faccio un respiro profondo, pensando a come raccontare dell’accaduto a mio padre.Potrei dire “Papà, sappi che non è colpa mia, evidentemente il professore Fracasso si è alzato con la luna storta e se l’è presa con me” oppure “Papà, ho preso una nota, ma si tratta di un errore” oppure “Papà c’è una prima volta in tutto, sai?”.Sento il rumore assordante di tacchi a spillo che battono sul pavimento nero e spalanco gli occhi perché quel rumore è riconoscibile tanto quanto la campanella della fine dell’ora. Avverto il bisbigliare dei bidelli, che prima poltrivano, rimettersi a lavorare freneticamente. Inizia a salirmi il panico e mi guardo intorno: mi lancio nel bagno o mi butto dalla finestra? Purtroppo i pensieri sono troppo lunghi e mi trovo davanti la preside della scuola, Rosa Rose.È una donna allo stesso tempo bella e terrificante, ha il volto spigoloso, i capelli neri e lucenti sono alzati in un’acconciatura che simula una rosa, ha gli occhi grandi e le iridi color dell’autunno, ma se si guardano attentamente

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si posso notare delle pagliuzze ramate che sono enfatizzate dalle ciglia nere, talmente lunghe da toccarle la fronte. Non usa truccarsi, fatta eccezione per il rossetto cremisi che copre le labbra sottili. L’uniforme che indossa è simile a quella femminile, solo molto più glamour ed elegante. Si nota la raffinatezza del tessuto pregiato che è fatto apposta per aderirle alle curve, il tutto impreziosito da una spilla d’oro posizionata all’altezza del cuore che rappresenta il simbolo della scuola, la rosa.«Dunque, dunque, cosa abbiamo qui?» domanda sospettosa fissandomi dall’alto verso il basso.«Buongiorno preside» la saluto titubante e mentalmente penso “non guardare le mie scarpe”.«Cosa ci fa qui fuori?»«Sono stata cacciata dalla classe dal professor Fracasso, anche se a parer mio è un’ingiustizia, preside.»Socchiude gli occhi e l’ombra che creano le ciglia danno l’illusione che abbia i bulbi completamente color pece.«Si spieghi.» Le racconto quello che è successo e lei pare cambiare completamente umore. «Venga con me signorina» scuote il capo picchiettando due dita sulla fronte.Quando entriamo in classe tutti smettono di suonare, i ragazzi immediatamente posano gli strumenti musicali e si alzano dalla sedia in segno di saluto alla donna. Il professore diventa paonazzo, tutti dicono che abbia un debole per la preside e ogni volta che la vede diventa insicuro e comincia a balbettare.«Buong-g-g-gio…»«Buongiorno anche a lei professore» dice sbrigativa con un sorriso falso e calcolatore. «Ho visto questa studentessa fuori la sua aula e mi ha spiegato cosa ha fatto per meritarsi questa punizione.»Fracasso giochicchia nervosamente con le bretelle dei pantaloni, senza guardarla negli occhi.«I-i-io.»La donna sorride, questa volta in modo affabile e mi posa le mani sulle spalle. «Le ho spiegato che sicuramente c’è stato un fraintendimento e che può tornare a seguire la lezione.»Sorrido vittoriosa mentalmente, non solo per la felicità di scansarmi la ramanzina di mio padre, ma anche per godermi la messa in ridicolo del professore strampalato.Lui non riesce più a parlare e annuisce semplicemente, la donna mi dà una pacca sulla schiena e mi fa segno di tornare al posto.

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La giornata prosegue tranquillamente fino alle sedici e trenta, ora in cui terminano le lezioni, esco dalla struttura con i gemelli Lion e chiacchieriamo, mentre scendiamo per le scale mobili a chioccia.«È stato incredibile Leo» dice Lea che racconta per l’ennesima volta l’episodio della preside. «Ti rendi conto Arianna?! Tra pochi giorni sarai un personaggio famoso per le classi della scuola Rose. Nessuno ha mai visto comportarsi in questo modo quella donna.»«La solita fortuna del principiante» brontola Leo con le braccia conserte.«Cosa c’entra?» chiedo.«È la prima volta che sei stata in punizione e ti è andata bene» fa spallucce con aria da veterano. «Non sarà così la prossima volta, credimi» aggiunge.Lea gli dà uno scappellotto.«E per quale motivo dovrebbe esserci una prossima volta? Idiota!»«Sei sempre la solita delicata» mugugna, massaggiandosi la zona colpita che diventa rossa.«Tra i due TU sei quello meno delicato.»«Scherzi? Io non riuscirei mai a darle certe sberle!»La giovane Lion porta una mano sulla fronte sospirando rassegnata.«Niente da fare, sei proprio stupido.»«Ehi! Come ti permetti?!» e quello è solo l’inizio del loro battibeccare che mi accompagna fin quando arrivo a casa.

Abito in un villino dai colori pastello e, rispetto alle altre abitazioni, la mia sembra quella più normale e noiosa. Entro in casa e passo dallo studio, dove trovo mio padre di spalle che parla a telefono, cosa rara dato che di solito termina di lavorare più tardi. Meglio non disturbarlo.

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