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I L M A R G I N Emensile dell'associazione culturaleOscar A. Remerò

Direttore resp.: LUCIANO AZZOLINIDirettore: PAOLO GHEZZIGrafico: PAOLO FAES

Una copia, L. 1.000 - un arretralo,L. 2.000 - abbonamento annuo,L. 10.000 - abbonamento sosteni-tore, da L. 20.000 in su - prezziper l'estero: una copia, L. 2.000abbonamento annuo, L. 20.000.I versamenti vanno effettuati sulc.c.p. n. 14/9339 intestato a « IIMargine », Trento.

Autorizzazione Tribunale di Trenton. 326 del 10.1.1981.

Redazione e amministrazione:« I I Margine», via Suffragio 39,38100 Trento

Stampa: Tipografia Argentarium,'via Giardini 36, 38100 Trento.

Il Margine n. 9 - novembre 1981

« Generazione bruciata » p. 3

23 novembre, un anno dupo p. 7

Futuro della parola, anti-chità del silenzio p. 10

C'era una volta Io Stato... p. 14

Ma che sueede al vecchioHeinrich? p. 16

Un applauso di troppo p. 22

Dalla « Rerum novarum » al-la « Laborem exerccns » p. 26

Taccuino culturale trentino p. 32

PRIMA DI LEGGERE QUESTO NUMERO

L'appello per un rinnovo sollecito degli abbonamenti, pubblicato nel-lo scorso numero, ha già dato i primi frutti. Ringraziamo tutti co-loro che già ci hanno riconfermato la loro solidarietà, e speriamoche tanti, tanti altri si precipitino alla posta con il conto correnteche troverete anche in questo numero. Voi lettori siete l'unica nostrafonte di finanziamento, rìcordatevelo.All'interno della rivista troverete anche il modulo per l'adesione al-l'associazione « Oscar Romero »: chi volesse in questo modo parte-cipare in prima persona alla nostra at t iv i tà e condividere il nostroimpegno è il benvenuto. Abbiamo bisogno dì gente, dì entusiasmo edi idee.

Il n. 9 è stato chiuso in tipografìa il 20 novembre 1981.

Tra nichilismo pratico, disperazione e volontà dì resistere, la nostra.

« Generazione bruciata »di SILVANO ZUCAL

E' sempre un po' presuntuoso e un po' sfacciato guardarsi allo spec-chio, raccontare se stessi agli altri e al mondo, e ciò anche quando la« narrazione » non riguarda il proprio « io » singolare ma piuttostoun « io » collettivo o in altri termini la propria generazione.Eppure credo non sia male « indulgere » a questa tentazione, è unmodo arrischiato di cercare, di vedere, di intuire, di portar -fuori idiscorsi che pure si fanno in colloqui e comunicazioni sotto voce,tra amici, confidandosi paure e timori... Si, siamo una generazione« bruciata », perduta e vinta su molti terreni, in cerca disperata diun senso da offrire alle proprie giornate e al proprio operare. Ne-gli anni '60 si parlava di gioventù bruciata, ma era tutt'altro discor-so! Sotto quelle giacche nere di pelle e quei primi bue jeans giuntidall'America vivevano i giovani del boom economico, la generazioneinvestita dal primo consumismo e proprio perciò « bruciata », ri-dotta a consumare ideali un poco fatui ed a pensare un proprio -fu-turo più arrivista che solidale. Il mito detta macchina, del denaroe fors'anche del sesso che conosceva una prima, timida liberazionedai forti moralismi della prima generazione post-bellica costituivanoin fondo l'orizzonte dei valori e degli interessi più vivi.Nei limiti gravi di questo periodo, qualcosa però girava a pienoritmo: uno sviluppo economico che sembrava perennemente in asce-sa e senza freni e assorbiva progressivamente i tassi drammaticidella disoccupazione del dopo-guerra. I giovani non mettevano cer-to in discussione né il valore- del lavoro né quello della produzione,né tanto meno la sostanziale legittimità della scalata sociale e in ciòli compensava una macchina economica che funzionava a pienoregime.Ma poi venne, improvviso nello scoppio, non certo nell'incubazione,il '68. Dall'America al maggio francese a Trento, gli anni caldi dellacontestazione, del no all'imperialismo americano in Vietnam, deisit-in, della scoperta della « politica » come dimensione onnicompren-

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siva e carica di senso, dei miti del Che e delta Citta... Anche i tardi,anche i più sonnolenti, forse non marciarono dietro le bandiere ros-se, forse non tirarono bolognini, forse non cambiarono né il linguag-gio abituale né la vita, ma certo ne furono investiti. Un'altra gene-razione saliva prepotentemente alla ribalta: alta generazione del de-collo economico si sostituiva la generazione dell'utopia politica.Inutile discettare dei pregi e dei limiti di quella rivoluzione e diquella generazione... E' certo ormai che anch'esse sono al tramontoe come la natura ci mostra al calar del sole le ultime luci e le pro-spettive oscure, così noi già possiamo tentarne uno sguardo... E al-lora scopriremo da una parte i frutti amari del terrorismo, cioè diuna idealità così tesa e così acritica che è inevitabilmente sfociatain violenza, dall'altra il riflusso, questo tirar malinconicamente insecca le vele amiziose della politica, e dall'altra ancora un'esplo-sione di volontariato, di impegni generosi e gratuiti nel sociale, nelsindacato, nella cultura che mostrano lutt'ora la faccia luminosa diquel'esperienza... E' sempre e comunque triste vedere e incontrarequesti « reduci » del '68, per i quali varrebbe il verso del Cardarellidei Prologhi: «A trent'anni la vita è come un gran vento che si vacalmando... ».E infine dopo la metà degli anni '70 viene avanti quella che ho de-finito come la generazione « bruciata », senza voler perciò calcare lamano con toni emotivi e partecipi-ma dichiarando piuttosto la per-cezione di una realtà. Bruciata, perché?

Terreni deserti

Le due generazioni precedenti avevano due grossi punti di forza,accanto agli evidenti limiti: la prima godeva una fase di espansioneeconomica, la seconda un'esplosione progettuale e politica. Per en-trambe erano forti le motivazioni all'impegno sia pure in modi di-versi: nel lavoro per i giovani degli anni '50, nella politica per la ge-nerazione del '68. Ora entrambi i terreni sono, per così dire, de-serti. Sul piano economico siamo in piena recessione e sembranoquasi sadici i dotti economisti alla Prodi, alla Andreatta, che scio-rinano le cifre dei due milioni di disoccupati e et dicono che sì,per noi, le prospettive non ci sono. Il sindacato rinserra le magliedella cittadella degli occupati e il mercato del lavoro diventa im-penetrabile. Intanto continua la fabbrica delle illusioni, si affollanouniversità di medici che non si rassegnano a non avere un futuro,di professori che non metteranno mai piede in una scuola, di in-gegneri, di avvocati, ma si affollano anche le strade del Nord come

e soprattutto del Sud, di disoccupati generici e disperati... E' unagenerazione paziente questa che sente ogni giorno il mare dei bla-blae che pure non cede e non s'arrende e continua tra frustrazione esenso di inutilità.Lo stesso vale per l'utopismo politico. Caduti i miti e le grandi ten-sioni ideologiche, avvolti tra le spire di una questione morale chedenuda i malaffati dei potenti, ci troviamo dinanzi al parere auto-revole dell'esperto che, come il sociologo Ardigò, ci conforta conl'affermazione che per vent'anni ci troveremo di fronte ad un « plu-ralismo squallido »: partiti che giocano sulla nostra pelle e sullenostre attese, fingendo alternanze, alternative, opposizioni, ma che inrealtà non meritano né fiducia né impegni né credibilità.Il deserto è quindi ampio sull'uno come sull'altro terreno.Generazione bruciata, perché studia senza cogliere né il senso né ilfuturo del proprio studio; perché lotta senza un progetto ed unaeffettiva aspettativa di cambiamento e spesso trova logico rinun-ciare, ripiegarsi, rifluire appunto-

La via della pazienza intellettuale

Perché meravigliarsi allora se in America è già nato un nuovo movi-mento generazionale di auto-difesa, di arroccamento. Il suo mottoè significativo: « Io, io, io, ». Politica? Non sanno nemmeno cosa sia...Un sano individualismo che tanto tutti fanno i loro comodi: questigli obiettivi della « me generation », io, io, io, e molto denaro (pos-sibilmente) per essere meglio io. Forse il tutto condito dal prezzodi un po' di alienazione, non troppa: droga e sesso... Vn « movimen-to » americano, mollo diffuso nei campus universitari e che rischia,al solito, di contagiare il mercato europeo dei valori come per le.magliette e per i jeans.La « generazione bruciata » è il terreno fertile per un nichilismosostanziale che non viene certo scalfito dal culto effimero dell'eso-terismo e dal ritorno di un sacro commestibile e commerciabile.Terreno fertile, perché privo di memoria storica. Il '68 ha comuni-cato, quasi irreversibilmente, alla generazione successiva una me-moria critica, un pathos rivendicativo, ma senza canali, senza pro-getti, senza itinerari autenticamente percorribili. Perciò il rischio èmortale. Solo la via della pazienza intellettuale, del recupero dellastoria, del ritorno ad una fede che per il credente sarà il saporedella storia e per chi non crede sarà per lo meno il sapore intuitoe assaggiato di un'umanità piena e carica di senso, può ridonaresperanza a una generazione così orfana e di speranze e di prospet-

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tive. Un lento cammino che si opponga alla cultura imperante del-l'immediatezza, che sappia « spegnere il televisore » per pensare,che sappia guardare dentro sé e fuori di sé in ogni sguardo umanoe in ogni tappa dolorante della storia: questa è la traccia delta re-sistenza che non vuole la resa e l'abbandono... Forse, in quest'ipo-tesi, proprio questa generazione che non conoscerà prospettive al-lettanti né di lavoro, né di mercato produttivo, né di politica chegarantisce da subito il cambiamento, potrà ritrovare attraverso lasua povertà ricchezze perdute. Ricchezze etiche ormai illanguiditee di cui pure ha bisogno un mondo esposto giorno dopo giorno alrischio della catastrofe, della guerra e della disperazioneM

ABBONAMENTI AL MARGINE1982

Nel suo primo anno di vita, « 11 Margine » è diventato un punto di riferimentoimportante per molti. Non solo per i nostri oltre 500 abbonati.A tutti quelli che si riconoscono nel nostro impegno per una presenza culturaleseria, critica, non bendata dai paraocchi delle ideologie né avvelenata dal set-tarismi,

a tutti voi che state leggendo dovrebbe dunque stare a cuore la sorte diquesta rivista.

SE VOLETE CHE IL MARGINE CONTINUI A VIVERE ANCHE NEL 1982:SOTTOSCRIVETE IL PIÙ' PRESTO POSSIBILE UN ABBONAMENTO.COSTA COME L'ANNO SCORSO: DIECIMILA LIRE.(Da ventimila in su per i sostenitori)i nuovi abbonati riceveranno in omaggio anche gli ultimi due numeri del 1981.I versamenti vanno eseguiti sul c.c.p. n. 14/9339 intestato a:s i i Margine», vie Suffragio 39 - 38100 TRENTO.

TESTIMONIANZA

Lettera dal Sud: il terremoto, i volontari e la gente

23 novembre, un anno dopodi GIOVANNI KESSLER *

Ora che è passato un anno, dopo mesi di dimenticatoio, puntuali stampae tv ci riparleranno del terremoto. Chissà se fra celebrazioni, polemichee retorica si ricorderanno o avranno voglia di parlare di tante cose chein questo anno noi quaggiù abbiamo visto e provato.Chissà se qualcuno ricorderà ancora l'impotenza e l'umiliazione dì chinei primi giorni era venuto per soccorrere, alle prese con l'inadeguatezzadei mezzi, l'inesistenza di un'organizzazione efficiente e collaudata. Perchéterremoto ha significato anche questo, che non esiste una ProtezioneCivile, che non si fa in Italia tutto quanto sarebbe possibile per es-sere pronti a intervenire e a difendersi dì fronte a catastrofi come que-ste. Ma ci sono voluti tremila morti per capirlo, e chissà se è servito.Quale immagine ci riproporranno della gente del Sud, un anno dopo?Non sarà ancora, spero, quella di chi è capace di approfittare anche delladisgrazia, degli aiuti che vengono da fuori, di chi, nel migliore dei casi,sta a guardare con le mani in mano. Spero di non sentirmi più dire:« Come ci avete fatti brutti, voi del Nord, in televisione! ». Della gentedel Sud non si può parlare se non si è mai almeno provato a condivìdernevita, frustrazioni e speranze. Non ne sappiamo niente ancora se non neabbiamo provato l'accoglienza che non conosce condizioni, la capacitàdi condividere anche la propria miseria con l'ospite, Io sconosciuto. Senon abbiamo visto anche i bambini che usciti dalla scuola, quaderni sot-to il braccio e bastone in mano, vanno a pascolare le pecore, perché lamadre è nei campi e il padre è hi Germania a fare i lavori che ai tede-schi non vanno più.Ci è voluto il terremoto per farci scoprire questo Meridione di monta-gna, dove lavorare si chiama ed è « faticare », dove il destino di un gio-vane si divide nell'alternativa tra campagna e emigrazione. La povertàeconomica, culturale, l'analfabetismo diffuso costringono alla dipendenzae all'attesa di fronte a chi può e a chi sa, il medico, il sindaco, il parroco.E' ingiusto e presuntuoso perciò qualsiasì giudiizo che pretendessimo didare su quel poco che abbiamo visto e sentito di quest'altra Italia checi siamo scoperti in casa. Sarebbe meglio tacere, allora saremmo capacianche di ascoltare, di capire dolori e responsabilità.

chi scrive ha lavorato per un anno, come obiettore di coscienza in servizio civile,presso il Centro Carìtas di Salvano (Potenza}.

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Una solidarietà che va al di là della gratificazione...

Sarebbe meglio parlare di noi del Nord, scesi in un Sud sconosciuto per« fare qualcosa ». Cercare di capire il nostro intervento, di conoscernerealizzazioni, errori e delusioni e verificare come tutto questo abbia in-ciso nella coscienza del Paese e nelle nostre. Non si è parlato abbastan-za della mobilitazione spontanea di migliaia di giovani, di operai, dì ma-dri e padri di famiglia, del significato morale, sociale e politico di questoevento, che va ben al di là della semplice gratificazione collettiva. Lungidall'essere stato un alibi all'intervento pubblico, il volontariato, organiz-zato e non, ne è stato anzi spesso una provocazione, ponendosi come uni-co valido punto di riferimento per tutti i cittadini che, secondo le loropossibilità, hanno voluto partecipare alle operazioni di soccorso.Significativa a questo riguardo è l'esperienza trentina. Il lavoro di unamassa inaspettata di volontari organizzati dalla Provincia e dalla Caritasha permesso di fare ciò che lo Stato avrebbe potuto fare solo mesi dopo,parzialmente, e con un costo almeno triplo. Ma questo potenziale dilavoro, di solidarietà, di rapporti umani, questa voglia di parteciparenon può essere affidata al caso, all'intuito tempestivo di qualche respon-sabile politico più o meno illuminato. Esige un'organizzazione sociale, unmondo politico che lo sappiano riconoscere e capire, che gli offrano spa-zi anche istituzionali attraverso cui possa esprimersi, che sappiano anziessere essi stessi fondati su servizio e solidarietà. Altrimenti, come an-cora Trento insegna, un intero patrimonio rischia di andare perduto perscarsa sensibilità, per mancanza di volontà politica. E' una nuova re-sponsabilità che ci viene dall'esperienza di questo terremoto.

...Ma anche il pericolo di un nuovo potere

Ma volontariato al Sud è anche la somma delle storie, delle esperienzevissute e maturate nelle coscienze dei singoli che quaggiù hanno lavorato.Può essere un'altra occasione di riflessione e di autocritica. Per molti,troppi, l'intervento al Sud è stato un momento di protagonismo, di ricer-ca di gratificazioni, piuttosto che di autentico servizio in casa d'altri.Troppo spesso si è preteso di capire e dì determinare a tavolino quelliche erano i veri bisogni delle comunità terremotate. Non di rado si ègiunti a imporre soluzioni, a condizionare il proprio soccorso a unadeterminata forma o luogo d'intervento. Quanti « centri sociali », « caseper anziani » sorgono ora nel Meridione terremotato dove la gente hasempre avuto altri luoghi e altri momenti di incontro, dove gli anzianihanno ancora i campi da lavorare. E la gente del Sud tace e guarda que-sti nuovi frutti del terremoto, vuoti monumenti alla beneficenza (e allacattiva coscienza) del Nord; c'è un altro potere, si convince. Come glialtri, come Io Stato, la Chiesa, estraneo, con una logica e con i suoiinteressi incomprensibili. Anche questo perciò da assecondare, magarida farsi amico per ottenere qualcosa.E1 un'esperienza cui non si sono sottratti diversi volontari che spesso sisono trovati ad essere, loro malgrado, un nuovo potere portato dal ter-

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remoto. E' successo a chi non è riuscito a sfuggire al ruolo del « salva-tore » senza dare alla gente la possibilità di partecipare e di essere pròtagonista della propria rinascita. E' stata l'esperienza di chi si aspettavariconoscimenti per il proprio lavoro o per i propri doni senza cercareun rapporto vero con la gente, senza stare ad ascoltare, cercare di capiree leggere anche i gesti più semplici. E i meridionali, che non hanno maisperimentato un aiuto esterno che non sia stato interessato, che hannomodi diversi e più ricchi dei nostri per esprimersi, assistono diffidenti,attendono, sanno già che passato il momento dell'attenzione saranno di-menticati come prima. Così i giornali del Nord potranno parlare dì « in-gratitudine », possono fare i confronti tra i « laboriosi friulani » e gli« sfaticati meridionali ».Non diverse, purtroppo, sono state la esperienza sindacale quando ha pre-teso di trasferire la mentalità della fabbrica nel Sud contadino, o leiniziative politiche di chi è venuto a « liberare » il Meridione, sapendogià da quale parte stavano i « buoni » e dove i « cattivi ». Le disillusionianche cocenti non sono mancate. Le cause, gli intrecci di responsabilitànella questioni meridionale non si affrontano con gli schematismi ideo-logici, per di più d'importazione.

Unica strada: la condivisione

Ma accanto a tutto questo, anche attraverso i limiti, le delusioni chetutti hanno subito, è nato un ricchissimo e sconosciuto patrimonio di que-sto terremoto. Migliaia di rapporti, di discorsi sono incominciati un an-no fa. L'esperienza diretta del Sud, e del Sud terremotato, ha fatto ca-dere tante barriere culturali, psicologiche, ha provocato tante « conver-sioni ». Migliaia di uomini che sono stati in mezzo a questa gente senzaaspettarsi niente hanno capito che non esiste vero aiuto e servizio senon c'è anche autentica volontà dì condivisione. Si fa strada da questaesperienza una nuova consapevolezza nei propri rapporti umani, socialie nell'impegno politico fondata sul servizio, la solidarietà, la partecipa-zione. E' nata, dal basso, una nuova coscienza della « questione meridio-nale », vìssuta come questione nazionale, che coinvolge tutta la comu-nità nelle responsabilità e nella ricerca di soluzioni. E per i cristianiquest'anno di lavoro al Sud è stato un'occasione storica per vivere etestimoniare una Chiesa povera che sta con i poveri, per coniugare nelmodo più fecondo « lotta e contemplazione ». E molti, laici e religiosi,hanno ritrovato qui la loro fede o la loro vocazione, annebbiata nelle« sicurezze » del Nord.Quanto e quando queste esperienze diventeranno patrimonio comune ditutta la comunità è la sfida di questo terremoto. Quanto riuscirannoad incidere sul modello di ricostruzione, sulle scelte che sono semprepassate sulla testa di questa gente; come cambierà la Chiesa per il Me-ridione. Sono queste le risposte che contano adesso, altri discorsi nonservono più.Bisogna sapere se il 23 novembre è un segno di responsabilità per tuttio una data di morte e dolore, per alcuni. •

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Verso l'orizzonte post-industrìale

Futuro della parolae antichità del silenzio

di MICHELE NICOLETTI

E' difficile prevedere quanto a lungo durerà questo periodo di com-plessiva incertezza. Quella che veniva definita crisi di « transizione »,cioè momento di passaggio da un certo modello di organizzazionesociale a uno nuovo, già si è trasformata in crisi di « latenza », cioèin momento di caduta dei modelli di riferimento e di assenza diistanze capaci di governare il presente.Mentre nella transizione è forte il senso del cambiamento, anche setestimoniato dalla crisi del « vecchio » più che dall 'affacciarsi del« nuovo », nella latenza il tempo e la storia non vengono concepiticome in movimento, ma sembrano in stallo: prima la forma di esi-stenza delle cose era quella del « deperimento », della « vecchiaia »(quanto si è scritto sulla società « occidentale » la cui essenza è pro-prio quella di essere in perenne « tramonto » — appunto da « occi-dente »!), ora invece ciò che ci sta di fronte è il « non-apparire », il« non-nascere », il « non-accadere ». ti prodotto finale del nihilismonon è la distruzione dell'essere, ma la negazione del divenire, cioèdel cambiamento che appartiene alla struttura della realtà e dellavita stessa. E' la bestemmia contro il tempo, contro la possibilitàdel cambiamento, non solo delle strutture storielle e sociali ma delcuore stesso dell'uomo.Questa crisi di latenza e questa cultura delia negazione del diveni-re (cioè della possibilità che nasca qualche cosa di nuovo) hannocreato quello che, nel primo numero del « Margine » era stato de-finito il « mercato del nulla », cioè il deserto di prospettive storichein cui sopravvive solo lo scambio mercantile, il rapporto di com-pravendita in ogni sfera della vita personale.Eppure oggi, mentre piano gii anni '80 assumono corpo e densità,c'è qualcosa che stride in questa analisi in cui per la centesimavolta ci esercitiamo. Mentre riproviamo a dipingere con tinte fosche

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il niente, il vuoto che ci circonda, mentre di nuovo, ancora, daccapolasciamo libero sfogo alla nostra cultura ormai apocalittica che siscaglia violenta contro i « corrotti costumi del secolo », avvertiamoun sapore di niente nel nostro denunciare questa crisi totale e per-petua. Eppure niente è cambiato. Né la situazione politica italiana,né il quadro internazionale, né il panorama culturale, né le condi-zioni dell'economia, né le possibilità della pace, né la vita della gente.

Oltre la crisi

Niente è cambiato ma forte è il disagio nel ripetere la litania, sto-nata, del « tutto è in crisi ». E questo disagio non è solo perché ciè sopravvissuta qualche illusione, o perché volontaristicamente con-tinuiamo l'impegno, o perché fideisticamente non possiamo abban-donare la speranza, o perché intellettualisticamente e « politicamen-te » non possiamo esagerare in questa « condanna del mondo » chetroppo spesso nella storia della cultura ha portato a posizioni didestra.Non è solo questo. E' che questo magma che rappresenta il tempopresente non appare più come un tutto indifferenziato in cui ognielemento si perde dentro l'inesorabile corrosione. Qualcosa cominciaa prendere forma, assume di nuovo un centro, condanna a nuovimargini.Il fatto che un nuovo ordine si disegni lentamente non implica cheil caos sia scomparso, anzi proprio in questo momento il movimen-to (se così si può definire il ritmo uguale della ripetizione) si ac-celera e la crisi sembra travolgere tutto. Ma intanto sì operano sal-dature destinate a reggere, si organizzano strutture capaci di fun-zionare, si compongono forme che producono immagini.Ciò che si forma può non piacerci, possiamo esorcizzarlo, condan-narlo, sputargli addosso, ma occorre avere il senso storico per di-stinguere ciò che apparterrà al domani e ciò che scompare inghiot-tito e consumato dalla crisi.L'ipotesi insomma di questa riflessione è che in qualche modo cistiamo avviando oltre la crisi, la vecchia formazione sociale tramon-ta e una nuova affiora alla superficie. Parlare del futuro oggi è an-cora scommettere, ma forse qualcosa è possibile dire. E' antipaticorinchiudere i decenni nelle etichette o negli slogans, ma se si doves-se azzardare una parola d'ordine per gli anni '80 (dopo che per glianni '50 è stata « sviluppo », per gli anni '60 « programmazione »,per gli anni 70 « partecipazione ») si potrebbe indicare qualcosa co-me « comunicazione » oppure « informazioni ».

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Verso la civiltà dell'informazione

II centro di potere attorno a cui sembra organizzarsi fin d'ora lasocietà post-industriale è il mondo della comunicazione, il mondocioè dell'elaborazione, della trasmissione, del controllo delie « infor-mazioni ». Non si tratta di prendere banalmente atto della progres-siva importanza che i mezzi di comunicazione (la stampa, la tele-visione) hanno assunto, oppure riconoscere i grandi passi avanti com-piuti dall'informatica o dalla telematica. E' più profondamente l'e-mergere del nuovo centro di controllo sociale e di organizzazionefunzionale della società.Con il declino dell'industria che ha costruito la civiltà del petrolio(chimica, automobilistica, ecc.) emerge il nuovo potere dell'intelli-genza applicata e dell'industria della comunicazione, e non per nien-te a livello internazionale sta avvenendo uno spostamento delle in-dustrie tradizionali dai paesi dell'Occidente al Terzo Mondo doveminore è il costo della manodopera, mentre nei paesi avanzati siè aperta la corsa al nuovo potere.La moneta del nuovo mercato non è più l'oro, né il petrolio, mal'informazione e, parafrasando un po' don Milani, si potrebbe direche un domani la differenza tra il padrone e l'operaio sarà che ilpadrone avrà duemila « informazioni,» in più. Ma il potere non èsolo avere delle informazioni su tutti e su tutto, consiste soprattut-to nel poter disporre in qualsiasi momento e immediatamente diun'informazione. Ciò significa che essenziale è l'elaborazione dei da-ti secondo alcuni codici che consentono un utilizzo efficace, ma chesono a disposizione di una casta ristretta; l'immagazzinamento deidati nelle cosiddette banche-dati che sono immense fonti di sapere,ma anche paurosi centri di potere di nuovo a disposizione di po-chi; la trasmissione a distanza dell'informazione che apre incredibi-li e rivoluzionarie possibilità di comunicazione, ma che nascondeil rischio già presente e operante dell'omologazione di massa e del-la manipolazione delle coscienze.

Il pericolo della « seduzione »

E* facile capire come tutto questo possa servire e già serva ad unalogica di controllo sociale « totale » e quali problemi ponga per lagaranzia delie libertà personali (e il dibattito ormai vivace su que-sto aspetto dimostra l'importanza della posta in gioco). Per gover-nare serviranno sempre di meno i milioni di voti e sempre di piùalcuni selezionati operatori dell'informazione. Anche questo è un mo-

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do di uscire dalla crisi e probabilmente quello più facilmente pra-ticabile; e non è senza significato la lotta politica violenta che siè verificata quando si è aperta la questione del Corriere della Sera,il maggior quotidiano italiano; e non è senza significato che il realepotere viscido della P2 fosse proprio l'avere « informazioni » su tut-ti e in tutti i settori della vita pubblica.Dal magma delia « latenza » attuale sta uscendo e sta coagulandosiquesto nuovo mostro del Grande Fratello, oppure più tranquilla-mente il sistema sta trovando una sua nuova governabilità fuoridalla sfera politica intesa in senso stretto e tradizionale e si appre-sta a riprendere a funzionare come si deve attorno a questo nuovosettore trainante e in espansione.La possibilità che questo tipo di ipotesi sia un'uscita « forte » dallacrisi è notevole, perché essa sembra poter inglobare e comprenderein essa la soggettività umana non perché in grado di rispondere al-le sue domande, ma perché capace dì predeterminarne le aspetta-tive. In concreto: mentre le ipotesi di restaurazione neoliberista(cioè di soluzione della crisi con un ritorno all'indìetro), se nonaccompagnate da altre strategie, segnano il passo perché la gentenon è disposta a ridurre la « quantità » delia propria vita, altre ipo-tesi che cavalcano questo nuovo settore a livello economico oltre chedi organizzazione sociale (lasciando andare al suo destino con qual-che riadattamento il vecchio Welfare State), sembrano poter averemaggior fortuna per le nuove possibilità di soddisfacimento di bi-sogni che questo sviluppo offre.

Il tramonto dell'esperienza?

I problemi che questo tipo di cambiamento pone sono facilmenteimmaginabili e forse varrà la pena di analizzarli con più preci-sione settore per settore, là dove la svolta è già in atto. Però fin daadesso è possibile sollecitare l'attenzione sul mutamento culturaleche questa civiltà dell'informazione porta con sé: non c'è solo lamanipolazione delle coscienze, la dissoluzione del soggetto, la sosti-tuzione della comunicazione elettronica a quella interpersonale, c'èil trionfo di ciò che è « dato » rispetto a ciò che è « cercato ». Nonesiste la ricerca personale della verità, l'acquisizione attraverso laesperienza e la pratica manuale di una conoscenza o di una com-petenza, c'è già l'informazione data preconfezionata da richiedere eda ricevere secondo formule standardizzate, anch'esse predetermi-nate.Se è vero che la verità autentica non è il semplice risultato di un'in-

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dagine, ma è l'intera stona della ricerca esistenziale, storica e so*ciale di una risposta, la civiltà dell'informazione riserva la ricercadel nuovo ai laboratori specializzati, terrestri e spaziali, e cancellala possibilità del ritrovamento personale e originale dei significati.In questo nuovo panorama di ordine ricostituito, « al margine » nonc'è solo chi rifiuta la mercificazione dei rapporti, il dominio degliinteressi, lo sfruttamento della natura, l'ipocrisia piccolo-borghese,ma anche chi ricerca nuove strade di comunicazione contro gli im-perialismi dei « codici », nuove-antiche vie verso la sapienza controle informazioni già sempre date.

* * *E già c'è chi dice che non è sufficiente obiettare, rifiutare, occorrecercare di governare.Ma la nostra risposta di oggi, non di domani, è la pazienza, la de-nuncia, la critica, e il lasciar parlare il silenzio. •

Notizie dell'Associazione Oscar A. Romero

C'ERA UNA VOLTA LO STATO.-.

Villa Tambosì, 24 ottobre: i professori Paolo Prodi, docente di storia moderna al-l'università di Bologna, e Pierangelo Schiera, preside della facoltà di sociologia edocente di storia delle dottrine politiche a Trento, si confrontano sul problemi ine-renti la trasformazione dello Stato.Parlare dello Stato — esordisce Prodi —> e delle soluzioni possibili alla sua crisiistituzionale, senza una analisi storica delle sue origini e del suo affermarsi, è quan-tomai velleitario e pericoloso; cosa che l'inerte mondo politico italiano non sembraancora avere capito.Lo Stato moderno, spiega Prodi, nasce sulle ceneri del mondo medioevale: la fram-mentazione policentrica del potere e la guida universale della chiesa sono gradual-mente sostituite da un sistema sociale con apparato unitario centralizzato. Esso èsostenuto da una solida burocrazia e da un ordinamento legislativo efficiente. Attra-verso l'uso delle prime « nazionalizzazioni » lo Stalo allarga le sue competenze; ri-vendica e detiene il « monopalio della violenza e della forza », con il quale si pos-sono svolgere i compiti interni di controllo e di organizzazione della vita civile erisolvere conflitti esterni per l'ampliamento dei confini nazionali. Questo allargamen-to del potere, dice Schiera, esercitato dal Principe o dal Parlamento eletto democra-ticamente, è legittimata dai cittadini stessi; essi vedono in ciò la realizzazione di unmodello statale razionale, utilitaristico, calcolato sulle nuove necessità degli uomini,quindi laico.L'uomo rinascimentale, prototipo di quello moderno, crea da solo la sua fortunadominando le forze della natura attraverso la scienza e la tecnica. Egli sfrutta leproprie capacità e i suoi capitali. Nel mondo medioevale i limiti entro cai una per-sona poteva espandere la propria vita erano stabiliti prima della sua nascita, secon-do il ceto d'appartenenza; ora il successo o il fallimento sono completamente affar suo.Dì per se stessa l'attività economica e la volontà dì guadagno apparivano irrazionali

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al pensatore medioevale in cai fine spirituale, politico ed economico coincidevano.Prodi osserva còme la cospicua disponibilità di capitale insieme all'inarrestabile svi-luppo del mercato mobiliare frantumi questo perfetto equilibrio. Si crea una sferadi individualismo economico, autoregolantesi attraverso le leggi del mercato. Restanoal di fuori di questa gli interessi sociali e politici della comunità.A questo elemento di rottura sono connessi i numerosi problemi di rapporto frùpubblico e privato. Secondo Schiera, a questo proposito, due sono i flussi recìproci:il pubblico cerca di conquistare il privato e il privato strumentalizza il pubblico nel-la pretesa di vedere attuati i suoi interessi.Lo Stata, conclude Schiera, è comunque un'entità così fondamentale da non lasciarsi«usare» da una sola parte o classe sociale, nemmeno nelle forme di liberalismo piùesasperate. Una affermazione che ci consola solo in parte di fronte all'attuale crisiistituzionale in cui versa l'Italia. Proprio coloro che per definizione avrebbero il com-pito di mediare le esigenze del singolo con quelle dello Stato, i nostri parlili poli-tici, mancano atte attese. Il loro interesse si rivolge ad allargare un proprio poteredecisionale a danno di Parlamento e Governo. Intanto il povero cittadino rimaneabbandonato in un kafkiano « castello » sènza sapere se le sue ragioni verrannoascoltate e da chi. Questa mancanza di punti di riferimento precisi determina unadebolezza strutturale prontamente sfrattata da coloro i quali, privi di qualsiasi sensodello Stato, mirano a trarre il massimo interesse individuale attraverso i mille rivoltdella corruzione, della truffa o della rivendicazione selvaggia, anche a costo della com-pleta estinzione delle istituzioni democratice.Così l'immagine di uno Stato moderno, razionale, calcolato per le necessità di tutti,sì sgretola; la paralisi dell'esecutivo, aggravata dalla sua cronica instabilità, crea unaderesponsabilizzazione a catena. Gli stessi ministri, o per veti reciproci fra partiti alGoverno o perché già in odore di sostituzione dopo pochi mesi dal toro insediamento,a cause di una crisi della maggioranza, non decidono più; le scelte importanti incampo energetico ed economico sono rimandate regolarmente o sostituite con prov-vedimenti-tampone.Prodi ha ricordato come una coscienza personale capace di afferrare le dinamichestorichc sottese a questa crisi istituzionale, è indispensabile. Convenire con Ini è fa-cile, prò difficile è afferrarne l'invito implicito, quella cioè di una ricerca non super-ficiale o ideologica. Una « moda culturale » venduta in carta patinata e ricca d'illu-strazioni, è pronta anche su questo tema specifico ad invadere il mercato. Essa ser-virà tuttalpiù a vuotare ulteriormente le nostre tasche, non certamente a suscitarequella « forza della memoria » capace di far cambiare realmente le cose,

(Paolo Mattivi)

ANCORA SULLA CRISI DELLE ISTITUZIONI...

Dopo l'incontro con Prodi e Schiera, seconda tappa del nostro Itinerario distudio con il prof. Ruffllli dell'Università di Bologna, che affronterà più approfonditamente il tema dell'evoluzione dello Stato Italiano dal dopoguerra ad oggi.L'appuntamento e fissato perSABATO 5 DICEMBRE ALLE ORE 15, A VILLA TAMBOSÌ (Vtltezzano di Trento).

E QUELLA DEI PARTITIe La crisi dei partiti come istituzione »: questo II toma dell'Incontro organizzatodal Movimento per l'alternativa democratica • per venerdì 27 novembre, alle20.30, presso la Sala della Tromba a Trento. Il tema sarà introdotto dal prof.Paolo Pombeni dell'Università di Sassari, notista polìtico di «Vita Trentina».

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Una riflessione sulle ultime opere di Boi!, premio Nobel in disgrazia

Ma che succede al vecchio Heinrich?di PAOLO GHEZZI

Tempi duri per Heinrich Boll, 64 anni, tedesco di Colonia, di profes-sione scrittore e saggista: dopo il suo ultimo romanzo, « Assediapreventivo » (uscito nel 79), la critica internazionale l'aveva datoper « spacciato ». Letterariamente, s'intende. Il libro era stato defi-nito dai più gentili « un totale fallimento », « una catastrofe ».D'altro canto « Vai troppo spesso a Heidelberg », volumetto di rac-conti uscito quasi contemporaneamente al romanzo (e pubblicatodi recente anche in Italia), non aveva entusiasmato proprio nessuno.Anche i « bolliani » di ferro, i critici che fino ad allora Io avevanoesaltato, si erano affrettati a pronunciare sentenze di « morte arti-stica » per il premio Nobel del 72.La fama mondiale conquistata con « Opinioni di un clown » e « Fotodi gruppo con signora » (per citare i capolavori) pareva d'un trattocancellata da quell'« insopportabile lagna » di « Assedio preventivo ».E il buon successo di pubblico incontrato dal romanzo non facevache incattivire i critici: « gli ingredienti sono ben mescolati, c'è tut-to quello che il borghesuccio informato si aspetta da un nuovoBoll », scriveva Gunther Zehm sulla « Welt ». « Devo confessarlo, perquanto mi riguarda: tutto questo lamento di confessionali e perpetuecomincia ad annoiarmi », rincarava Rudolf Augstein, direttore dello« Spiegel »).A scoraggiare i lettori italiani che avessero voluto avventurarsi nellanuova fatica di Boll, ci pensava dal canto suo Italo Alighiero Chiù-sano, germanista di fama nonché traduttore e commentatore delloscrittore tedesco. A sentir lui, il libro brillava (si fa per dire) perla sua « modesta qualità letteraria », il premio Nobel mai « avevatoccato una punta così bassa ».Sentenza, oltre che ingiusta (come vedremo in seguito), anche fret-tolosa; tanto che Io stesso Chiusane, un mesetto fa, ha solennemen-te « riabilitato », sulle colonne di « Repubblica », Io scrittore di Co-lonia. Motivi del ripensamento: un paio di racconti contenuti nel-

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l'ultima raccolta (« Vai troppo spesso a Heidelberg ») nonché unabreve autobiografia (« Was soli aus dem Jungen bloss werden? »),recentemente pubblicata in Germania e non ancora tradotta in ita-liano. Scrive Chiusano: « Chi sapeva mettere in carta due racconticome quelli (« Vai troppo spesso a Heidelberg » e « Appuntamentocon Margret », n.d.r.} poteva sembrare un autore fallito solo a chinon avesse orecchio per i valori letterali o avesse già deciso di giu-bilare una voce che dava terribilmente sui nervi ».Che Boll sia già stato « perdonato » dalla critica?« Condanne » e « riassoluzioni », nel nostro caso, non hanno comun-que altra giustificazione che quella di dare qualche scossone al mer-cato librario, accendere gustose polemiche, offrire pretesti per bril-lanti esercizi di « critica distruttiva ». Dopo tanti anni, tra l'altro, dielogi quasi incondizionati.Un fatto però è certo, al di là dell'« effimero » delle baruffe lettera-rie: l'ultimo Boll sconcerta un po' tutti, disorienta critici e lettori,ammiratori entusiasti e denigratori accaniti. Cerchiamo di capireil perché.

Cronologia di un impegno

1975: in una Germania assillata daU'incubo del terrorismo, vieneapprovato il famoso « Radikalenerlass », il « decreto anti-estremisti »,che tante polemiche ha suscitato anche al di fuori della Germania.Legge giustificata dall'emergenza oppure svolta verso uno Stato dipolizia che può calpestare il diritto alla libertà di opinione? Secon-do non pochi intellettuali, è una legge che da il via ad una vera epropria « caccia alle streghe » nei confronti di chi professa idee po-liticamente eterodosse.Boll, comunque, non sta con le mani in mano, e pubblica una cin-quantina di paginette intitolate « Rapporti sui sentimenti politici del-la nazione — Una satira dello spionaggio totale »: gustosissima pa-rodia della psicosi di persecuzione e di sospetto creata in Germaniadal decreto anti-estremisti. L'ironia non è sguaiata, ma sempre cor-rosiva; il tradizionale gusto (che Boll definirebbe « renano », in omag-gio alle sue origini) per il paradosso e la presa in giro del poteree dell'efficienza, si abbina all'uso abilissimo del « nonsenso ».1977: la Rote Arniee Fraktion sequestra ed uccide il presidente de-gli industriali tedeschi, Schleyer. Gli ambienti di destra prendonola palla al balzo per rinfacciare a Boll una presunta simpatia neiconfronti dei terroristi (gli si rimprovera, in particolare, un atteg-giamento « morbido » verso la banda Baader-Meinhof, intravisto in

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alcune dichiarazioni del 1972). Ma non è finita: quaranta poliziottiirrompono nella casa del figlio di Baii, sospetto d'estremismo, mes-si in allarme da una telefonata anonima. Boll, indignato, prima pro-testa, poi annuncia di non voler più fare dichiarazioni politiche.1979: la «dichiarazione» di Boll sul terrorismo arriva invece dueanni dopo la tragedia Schleyer. E' una « dichiarazione » che escesotto forma di romanzo, appunto l'« Assedio preventivo » di cui ab-biamo parlato all'inizio. E' la « cronaca psicologica » di tre giornatevissute da Fritz Tolm, neoeletto presidente della Federazione deglieditori tedeschi, dalla sua famiglia e dai responsabili dei servizi disicurezza, in un'atmosfera stagnante di paura e sospetto.

Un « assedio » kafkiano

Dire che il libro è pervaso di suggestioni « kafkiane » magari è unpo' eccessivo, ma rende l'idea. Il vero protagonista del libro in ef-fetti, è un misterioso ma palpabile « processo » incombente sullasorte dei personaggi; e tutta la Germania anni 70 diventa così un'im-mensa, tetra prigione. Le presunte vittime e i presunti carnefici han-no le stesse facce, portano gli stessi vestiti, parlano la stessa lingua;non c'è più differenza tra sorvegliati-e protetti. Sono tutti sottopostiall'ossessivo, penetrante controllo dei servizi segreti di sicurezza, deimicrofoni nascosti, dei telefoni sotto controllo, delle guardie delcorpo con le ricetrasmittenti e le mitragliene. Una incontrollabile,strisciante paura si insinua nei personaggi e nel lettore del libro,che diventa così la grande metafora di un assurdo « assedio pre-ventivo ». Assurdo perché, alla fine, non succede proprio niente (aparte un terrorista saltato in aria con la sua bomba, ma nella lon-tana Turchia; e le dimissioni di Tolm dalla carica appena assunta).La maggior parte dei critici ha trovato questo romanzo « inverosi-mile ». Il fatto che Fritz Tolm, per esempio, sia minacciato di morteda una banda armata guidata dall'ex nuora, Veronica, è parsa a mol-ti una grossolana esagerazione. Ma viene subito in mente il casoDonat-Cattin, che smentisce in modo tragico l'improbabilità di unconflitto radicale tra padri e figli, tra politica pragmatica e utopiasanguinaria, tra generazione della ricostruzione e generazione delbenessere.E comunque non sono certo il realismo e la verosimiglianza i cri-teri adatti per giudicare la riuscita di un romanzo come questo,realistico nell'impalcatura narrativa, ma metafisico, quasi, negli in-tenti allegorici.Un altro aspetto che ha provocato valanghe di critiche è il fatto che

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tutti i personaggi del romanzo siano sostanzialmente « nett »: sim-patia, positivi. Industriali e terroristi, guardie del corpo e filosov-versiri: nei confronti di tutti Boll sembra nutrire un'affettuosa com-prensione. Curiosa, se si considera che le sue opere immediatamen-te precedenti avevano evidenziato l'anima più cinica dello scrittore.In «Assedio preventivo », è vero, non ci sono « cattivi »: i personag-gi, magari scavati dalla paura o dalla violenza, magari induriti dallatensione o dall'indifferenza della disperazione, sono, in fondo, « buo-ni ». Il « cattivo », al contrario, è il Sistema: che però non è soltantoil Neocapitalismo socialdemocratico di marca tedesca. E' un Molochinsanabile che sventra foreste e distrugge antichi villaggi per farposto a nuove miniere di carbone. E' un Mostro che ha mille voltima non si lascia afferrare: chi controlla chi? Qual è la differenzatra il protetto e il sorvegliato? Chi non è spiato? E chi non spia?Tutto il romanzo è dominato dalla presenza di questo sistema dia-bolico che trasforma le persone in burattini terrorizzati, impotenti.E', verrebbe da dire, la personificazione del Principio del Male.Questo modo di affrontare il tema del terrorismo è certamente di-scutìbile: da molti è stato visto probabilmente come un comodoespediente per non affrontare il nocciolo del problema, un'« assolu-zione generale » dei personaggi per non prendere posizione, un en-nesimo atto d'accusa generico nei confronti del Sistema. Non cre-do però che Boll l'abbia fatto per vigliaccheria: semplicemente, nonha voluto pronunciare condanne irrevocabili. Ha messo in luce ilvolto disumano della violenza e della paura; ma ci ha ricordato chei violenti hanno ancora voce, bocca, mani umane. E ci ha voluto di-re che nessuno è innocente. Nessuno.Di questo non possiamo non essere consapevoli: quando una so-cietà genera terroristi, dobbiamo riconoscere che il frutto, terribilee imprevedibile, della violenza, nasce dalla stessa pianta da cui ven-gono fuori i comportamenti socialmente accettati. Non si tratta ditrovare « giustificazioni » al terrorismo: ma di comprendere i mec-canismi che fanno scattare quella molla. La logica della paura nonpiove da pianeti lontani, ma cresce e prolifera nelle nostre case,dentro i muri delle nostre città. « Boll è un moralista sempre per-plesso nel giudicare », ha scritto Mittner.

Il rischio di sporcarsi le mani con la cronaca

Ma non si vuole, in questa sede, contribuire alla « riabilitazione »di « Assedio preventivo ». Ai critici di professione lasciamo volentie-ri l'ultima parola. Il problema è un altro: perché questo romanzo

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ha suscitato reazioni così feroci? Non ci si venga a dire che dipen-de soltanto dalla sua « modestia letteraria » (peraltro opinabile).Il guaio è che « Assedio preventivo », ancor più degli altri romanzi,è stato scritto usando « materiali di cronaca », prendendo spuntoda avvenimenti e situazioni inequivocabilmente contemporanee. Equelli « d'attualità » (per così dire), sono certamente i romanzi piùdifficili da scrivere. Òggi il Boll dei racconti post- bellici, delle sa-tire e dei romanzi « classici », è senz'altro più leggibile, più poetico,più efficace dello scrittore di « Assedio preventivo ». Ma qui si trat-ta di sporcarsi le mani col presente, di accettare il rischio di sba-gliare e di venire attaccato da tutte le parti, di correre il pericolodi offrire in pasto a pubblico e critica mercé « altamente strumen-talizzabile ».L'ultimo Boll lascia perplessi e disorientati perché è un Boll che ri-schia sempre di più. « L'intromissione, il coinvolgimento — ha det-to lo scrittore — sono l'unica possibilità di rimanere realisti ». Tut-to andava liscio finché il premio Nobel esprimeva le sue opinionidai palchi della Spd (il partito socialdemocratico tedesco) durantela campagna elettorale del 72, nei discorsi in occasione dei numerosiconferimenti di premi, nelle interviste ai giornali, nelle pubblichedichiarazioni (una delle più clamorose, nel '79, quella di non volerpiù far parte della «corporazione-cattolica» tedesca, pur ritenendosiancora membro della Chiesa universale).Finché Boll continuava a scrivere toccando solo « di striscio » l'at-tualità, trasfigurando, simbolizzando, tutto (o quasi) gli era perdo-nato. Quando ha iniziato a pubblicare libri che erano — in forma diromanzo, satira, racconto — « dichiarazioni sui fatti di cronaca », ilcompito di giudicare i suoi scritti non è stato più, soltanto, un eser-cizio di critica letteraria; ma piuttosto una presa di posizione ideo-logica. Boll stesso, d'altra parte, si è lasciato coinvolgere nei gioco,uscendo con poco meditate dichiarazioni, in cui rivendicava meritipolitici e verginità ideologiche, cadendo così nella trappola alle-stita dai suoi denigratori. E d'altronde, anche il « bolliano » più ac-canito deve ammetterlo, quando scade nella polemica spicciola,pure Boll finisce per rassomigliare a Fortebraccio, diventa l'ombradel grande e coraggioso scrittore che è stato, e che rimane. Bastaleggere le due « Utopie tedesche » del suo ultimo volume di raccontiper averne la prova: la satira è pesante, diretta, brutale. I bersagliscontati, lo stile discontinuo e nervoso.Non è il Boll che amiamo, e che ritroviamo — ai contrario — intante pagine dell'« Assedio ». Lo scrittore dell'ironia pungente maaffettuosa, acida mai; il narratore di tante « vite vere » (o quasi),con i loro piccoli fallimenti e i loro grandi eroismi, di tanta «alie-nazione », vite avvelenate dallo squallore della Germania post-bellica

(e post-industriale), corrose,dall'ipocrisia, eppure capaci ancora digenerosità, di amori sofferti e conquistati, di inattese solidarietà.Ha scritto Chiusane: « Fa paura, alle volte, affacciarsi allo specchiodeformante del satirico Boll. Uno specchio deformante che, a tuttaprima, sembra un divertimento farsesco, ma che all'ultimo rivelail vero, non consolante, non umano volto della nostra civiltà ».Ed è uno specchio che, per fortuna, non si è ancora incrinato. Cipossiamo vedere ancora la nostra faccia, con stampato sopra il sor-riso amaro del Ventesimo secolo. Il sorriso triste di un clown. •

BIBLIOGRAFIA MINIMA

Ecco un elenco delle traduzioni italiane delle fondamentali opere di Helnrlch BSD,La lista non ha alcuna pretesa di completezza. Tra parentesi è riportato Connodella prima edizione tedesca.

— * 11 treno era in orario (1949)— Dov'eri, Adamo? (1951)— Tutti i giorni Natele - racconto (1952)— * E non disse nemmeno una parola (1953)— * Casa senza custode (1954)— La raccolta di silenzi del dottor Murke e altre satire (1958 - cdiz. It. In

« Racconti umorìstici e satirici »}— Biliardo alle nove e mezzo (1959)—• Lettera a un giovane cattolico - saggio (1961)— * Opinioni di un clown (1963)— Termine di un viaggio di servizio (1966)— Foto di gruppo con signora (1971)— L'onore perduto di Katharina Slum (1974)— Rapporti sul sentimenti politici della nazione (1975)— Assedio preventivo (1979)

Le opere segnate con l'asterisco sono state di recente raccolte In un cofa-netto per la collana Oscar Mondadorl.

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RECENSIONE

Film/ « I predatori dell'arca perduta » di Spìelberg

Un applauso di troppodi FABRIZIO MATTEVI

Appunti per una riflessione:— L'arabo, bardato di turbante nero, vibra la sua scimitarra e fendel'aria con maestria. Di fronte a lui, con un cappellaccio rubato dal guar-daroba di Bogart, il nostro eroe, il protagonista del film, con un sol col-po di pistola elimina il pittoresco ostacolo che gli si era parato Dinanzi.— La platea, che, nell'oscurità del cinema, nasconde per lo più studen-ti delle superiori e dell'università, esplode, a questa scena, in un ap-plauso convinto.— Una delle gazzette nazionali annota questo film — I predatori del-l'arca perduta — tra quelli « da vedere » (due stelle), definendolo come« un trionfo dell'effimero ».— I cartelloni promettono una proiezione con effetti straordinari e ri-marcano la regia di Spielberg (Duci, Lo Squalo) e la produzione di G.Lucas (Guerre stellari). Le migliori teste d'uovo di Hollywood vi hannodato il loro contributo.— La Paramount, casa produttrice e distributrice americana, incassafin qui centotrentacinque milioni di dollari, per quello che si sta rivelan-do il successo cinematografico dell'anno (anche in Italia è ai primi po-sti nelle classifiche degli incassi). E' la conferma della forza del nuovostile, crudemente imprenditoriale, che nella patria adottiva del cinemasi è intrapresa ed è riassunta in questa frase di uno dei suoi sostenitori:« II film è un puro prodotto. Gli azionisti non amano l'arte ».E' facile a questo punto continuare e concludere il discorso; la logicache collega queste annotazioni è fin troppo, tremendamente, evidente.Per carità, non si vuoi fare alcun moralismo, che ormai riuscirebbe ba-nale, visto che i meccanismi dell'industria culturale li conoscono anchei ragazzini. Pure c'è un fatto che mi spinge a proporre queste alcuneconsiderazioni: quell'applauso liberatorio davanti ad una scena tanto ba-nale, che ricorda i films visti da bambini al cinema dell'oratorio. Ancheallora si applaudivano Robin Hood, Zorro, Ben Hur e via eroicizzando.Quell'applauso conferma che, malgrado la pretesa diffusione di coscienzacritica, le strategie dei produttori di divertimenti « culturali » funziona-no in pieno: gli spettatori, dopo la proiezione, escono dalla sala soddi-sfatti. Solo qualche « noioso e fastidioso » critico cinematografico ha con-

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fessato dalle pagine dei quotidiani una sua certa amara delusione difronte a tanta pochezza, ma sono le solite vituperate idiosincrasie degliintellettuali.Cerchiamo allora di scoprire il trucco con cui i prestigiatori del mercatocinematografico riescono a far strabiliare il loro pubblico.

Le mirabolanti imprese di un archeoIogo-007

II film narra le imprese di un archeologo, quasi fanatico, che per incaricodel governo britannico deve cercare il luogo in cui, da secoli, è sepoltal'arca santa del popolo d'Israele, che per la sua natura soprannaturaleè considerata un'arma micidiale. Siamo infatti al tempo della secondaguerra mondiale ed inevitabilmente anche i nazisti sono particolarmenteinteressati a quello strumento di vittoria.Non serve rivelare chi la spunterà hi questa corsa alla supremazia. Na-turalmente il nostro archeologo si trasforma, da topo di biblioteca, insplendido 007, accompagnato da una immancabilmente bellissima don-na, dalla pistola facile. La trama, come in ogni film d'avventura, è, nel-la sua assurdità, inesistente o quantomeno inessenziale. Le varie situa-zioni sono legate assieme da un filo di casualità, un rosario d'immaginiche scandisce la medesima litania: un pericolo incombe minaccioso suinostri eroi, che all'estremo riescono a sventarlo. L'attenzione è tuttaconcentrata sulle singole scene, a mostrare il non plus-ultra degli effettispeciali e ad ottenere il massimo dell'effetto. Ed allora imprese mirabo-lanti si susseguono senza soluzioni di continuità, formando quasi unbreviario delle più classiche invarianti del film d'avventura: il nazistaaguzzino, le sconfinate piste sabbiose del deserto, le casbe misteriose del-le città medioorientali, gli antichi templi ingombri di trabocchetti e pas-saggi segreti, montagne di scheletri scricchiolanti, antri rigonfi di viscidiserpenti neri. E ancora: tempeste di pallottole ad ogni dove, che sempresfiorano i buoni, mentre irrimediabilmente centrano i cattivi; l'eroe chepassa con disinvoltura dalla piroga primitiva al sottomarino, dai camionsai bombardieri, che lui, ovviamente, sa pilotare con abilità. Lo vediamoavvinghiato ad una camionetta tedesca, che lo trascina e lo sbatte sudi una mulattiera dissestata, ma pure riesce ancora ad issarsi fino allacabina di guida e, mentre la macchina continua la sua corsa, ad elimi-nare cinque o sei soldati armati sino ai denti, che non riescono a reg-gere la sua forza.Mi si potrebbe obiettare che questi sono gli ingredienti comuni dei filmsd'avventura, in cui la bontà (morale) dei protagonisti è confermata dalbuon esito delle loro azioni. Tuttavia qui compare qualcosa di nuovo edi diverso: non ci si preoccupa più che la rappresentazione risulti cre-dibile, anzi, nel suo « eroismo » esasperato, il film pare a tratti quasiuna parodia del film tradizionale e porta ad esclamare — è impossibileed assurdo tutto ciò —. Il principio aristotelico della verosimiglianzaormai non importa più, importante è solo offrire spettacolo, costruire

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scene dense dì movimenti, quasi caotiche, curate in ogni particolare, ca-paci di procurare, con la loro spettacolarità, un attimo di brivido. Lacinematografia si fa funambolismo, Io schermo di proiezione si trasfor-ma in pista da circo, la cinepresa diventa acrobata. Saltano le leggidella gravita quotidiana e per un attimo ecco realizzata l'ebbrezza del-l'onnipotenza; il film, per mezzo del suo grosso bagaglio tecnico, inventaquei salti mortali, quei volteggi nel vuoto che la realtà non permettené conosce.Si potrebbe sostenere che questo schema può essere valido per ogni film,in quanto è sempre finzione, ma mi pare che in questi ultimi film adeffetto (si pensi a « Guerre stellari ») la finzione sia divenuta fine a sestessa, prescindendo da ogni realtà e quindi finzione di nulla, una pureinvenzione senza termine di confronto.

Non più illusioni ma allucinazioni

Per Aristotele (la cui poetica, secondo Barth, costituisce il manuale fon-damentale dell'industria culturale) l'emozione poetica è finalizzata allacatarsi, cioè alla purificazione dell'animo dalle passioni: partecipandoalla tragedia rappresentata sul palcoscenico si da sfogo alle proprie pau-re, in quanto si scoprono comuni a tutti gli uomini e quindi con lorosi condividono. E' il principio che ispira i film drammatici, passionali,d'avventura, di cui, a causa della Televisione, siamo ormai nauseati. Maquei « drammi » (azioni), in cui ci s'immedesimava come nell'immagineriflessa dallo specchio, ci avvincevano perché riuscivano convincenti, qua-si veri. E' proprio questa illusione che oggi è venuta meno. Il principiodel « come se » è caduto. Il film non si preoccupa più di consolare, didare sfogo a frustrazioni e delusioni, di offrire nuovi miti e speranze, dilasciar intravvedere per un attimo una dimensione diversa da quellausuale. Ora il film elargisce ebbrezza a piene mani e riempie il vuotopauroso della propria inutilità con la sua struttura ad effetto. Non piùillusioni ma allucinazioni. E1 solo un'invenzione fantastica che nulla haa che vedere con la realtà del mondo, al di là dello schermo perde ognisuo senso. Chi guarda non s'identifica più con ciò che vede, ma sologode di quell'universo incredibile dove per un attimo si verifica l'impos-sibile e lo straordinario: un vertiginoso castello di carta, ogni volta piùalto, che, sempre di nuovo, accese le luci della sala, crolla inesorabil-mente e si riduce ad un misero ammasso di cartoni sbiaditi ed insi-gnificanti.Già negli anni '30 Adorno sottolineava il carattere alienante di certa pro-duzione filmica, basata sul piacere del « lieto fine » che sembrava spez-zare l'inesorabilità della vita sociale. Ma oggi quella critica ci pare po-vera cosa di fronte ad opere che più nulla concedono al sogno e sanci-scono invece la disperazione assoluta, in quanto proclamano che la realtànon è più degna della fantasia, non offre più nulla da rappresentare esolo l'invenzione totale ed arbitraria è possibile. Il film si riduce ad unoslogan pubblicitario: godi queste immagini assolutamente incredibili, che

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la realtà altro non può offrire. Si riproduce qui lo stesso meccanismoambiguo della pubblicità: raccoglie impulsi e stati d'animo inconsape-voli, li conferma e li diffonde, li trasforma in beni di consumo. Oggi sisfrutta la disperata impotenza ormai diffusa.

Trionfo dell'effimero?

Il trionfo dell'effimero è dunque questo? Rifiuto di credere in qualsiasiinvenzione di realtà, sia essa sogno o utopìa o visione? Adesione al mon-do nella sua prosaicità, incapace ormai di un minimo sussurro poetico,di un'immagine degna di essere contemplata? Un grandioso festival delnulla, oniato di strabilianti effetti tecnici, freddi e muti di significati?Una fuga verso allucinazioni dì suoni e di colori, che riescono con abi-lità ad emozionare ma subito sfumano nel vuoto? Non è dunque possi-bile ricostruire nell'assurdità del quotidiano una trama di senso? La no-stra vita non offre più alcuno spunto per qualche considerazione?Paradossalmente queste invenzioni iperboliche, che nulla spartiscono conla realtà in quanto ostentano il proprio carattere di finzione, si fannoriconoscimento e accettazione della realtà così com'è e le conseguenzeideologiche di tali filosofie sono solari.II cinema si fa caleidoscopio: fantasmagoria d'immagini colorate semprenuove e sempre hi movimento, a costruire composizioni ogni volta di-verse e pure ogni volta ottenute con i medesimi pezzettini di vetro lucci-cante. Figure piacevoli ma astratte, che possono essere viste solo chiu-dendo gli occhi sulle cose del mondo, che dentro quel tubo di ferro essenon hanno posto alcuno. Il film è ormai « solo per i tuoi occhi ».Non voglio negare che il film debba essere anche spettacolo, occasionedi divertimento e distensione, ma non voglio credere che esso debbaridursi ad illusione ottica, arabesco di figure che dichiarano la propriainutilità, visto che nulla più ormai vale la pena. Si può accettare checon i nuovi slogans della filosofia dell'effimero si offra una patina cultu-rale a queste operazioni? Non è forse tragicamente ridicolo che i critici,lungo le noiose giornate estive, si siano consumati a dissertare sui « film-spazzatura »? Sembra quasi che con queste pratiche la Ragione affili icoltelli con cui darsi la morte.« Sono convinto che l'uso o abuso del futile deve restare un'operazioneprivatissima da celebrare in solitudine. Se diventa un'operazione di mas-sa, premeditata in sede politica, programmata su vasta scala, filosofatadai massmediologi, è una cosa orrenda. Si è proprio sicuri che il filmdi Spielberg sia tanto divertente o non piuttosto una di quelle occasioniin cui la decisione di divertirsi precede e determina il divertimentostesso? » (Tullio Kezich).Tutto questo mentre l'ultimo film di Antonioni sembra si sia perso neimeandri occulti dei canali di distribuzione.Niente di nuovo sotto il sole del deserto, ma sempre, ogni volta, unniente più deprimente, nello scoprire che il re è ancora più nudo. •

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Dalla c<Rerum novarum»alla «Laborem exercens»una breve storia dei mutamenti all'interno dell'insegnamento socialedella Chiesa cattolica

di MARCELLO FARINA

Un proverbio greco ripetuto ancor oggi dagli amatori delle reminiscenzeclassiche, afferma che è superfluo portar vasi a Samo o nottole ad Atene.Così mi sembra sia impresa un po' inutile e presuntuosa aggiungere qual-cosa di nuovo e originale all'ampio materiale dì indagine e dì criticache ha accompagnato il novantesimo anniversario della « Rerum Nova-rum» e la contemporanea presentazione della nuova enciclica papalesul lavoro. Si tratta se mai di raccogliere in alcune indicazioni, il piùpossibile organiche, il molto materiale apparso, così da render chiaro,in brevi schemi, quel lungo cammino di elaborazione teorica e di impegnopratico della Chiesa in campo sociale, che è iniziato nella seconda metàdell'800 e che ha avuto la sua consacrazione ufficiale con la « RerumNovarum », ed è stato sviluppato, in momenti successivi, nella « Qua-dragesimo anno » di Pio XI nel 1931, in molti interventi di Pio XII, nel-la « Mater et Magistra » di Giovanni XXIII, nella Costituzione pastorale« Gaudium et Spes » del Concilio Vaticano II, nell'Enciclica « PopulorumProgressio » di Paolo VI ed infine nella « Laborem exercens » dei nostrigiorni.Mi si permetta di dividere questo lungo periodo, per comodità, in tremomenti:

1. il primo, delle origini e dello sviluppo, riconducibile all'elaborazioneteorico-pratica della dottrina sociale della Chiesa dalla Rerum novarumagli interventi di Pio XII: 1891 -1958;

2. un secondo, molto breve, di transizione, corrispondente al pontificatodi Giovanni XXIII, che con l'enciclica Mater et Magistra inizia un nuovotipo di dottrina sociale della Chiesa: 1958-1963;

3. il terzo, fino ai nostri giorni, che trova il suo caposaldo nella Gau-dium et Spes (1965) e viene sviluppandosi nella Populorum Progressiodi Paolo VI, fino all'odierna enciclica papale del 1981: 1965-1981.

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Le tre tappe sovradescritte (riconducibili a due, se si congloba il periodogiovamiÉO a quello postconciliare) mi permetto ulteriormente di carat-terizzarle attraverso due punti di vista, o categorie esplicative, che cosìesprimo:

a) una categorìa filosofico-culturale, che ci permetta di cogliere un mu-tamento profondo intorno al modo di intendere la tematica in questione.Si passa cioè da una cultura neotomistico-ìndividualistica (non trovo al-tro modo di esprimermi e, forse, più avanti tutto diventerà più chiaro)ad un approccio personalistico all'uomo e alla società.

b) una categoria storica, che tiene conto dell'accelerazione avvenuta inquesti novant'anni, soprattutto riguardo alle prospettive di riuscita deisistemi economico-sociali capitalista e socialista: se alla fine del secoloscorso sembravano ingaggiare una lotta aU'ultimo sangue per una pre-ventivata vittoria sul rivale, oggi sembrano chiusi in se stessi a rimar-ginare, ciascuno, le proprie ferite, in una condizione di impotenza prò-positiva e di rinnovamento, che chiude molti uomini nel pessimismopiù radicale. E' questa stessa categoria storica, ad esempio, che ci per-mette di cogliere il divario tra il primo momento sopradescritto e glialtri due, anche nei confronti dell'ampiezza dei problemi trattati, cherestano europei e legati alla questione industriale e operaia nel primomomento e diventano invece mondiali e più generali nel secondo e nelterzo, conglobando anche i problemi del sottosviluppo, della pace, delrapporto Nord-Sud, come si dice oggi.

Caratteristiche specifiche dei singoli periodi

A) L'inizio di un magistero sociale sistematico della Chiesa va posto,come si è già detto, nell'opera di Leone XIII. La Rerum novarum ne èl'espressione più, famosa e organica, ma le basi di esso si trovano già,come nota il Chiavacci,1 nella precedente enciclica Immortale Dei.Questa dottrina sociale della Chiesa viene presentata, in questo primoperiodo, come fondata sul Vangelo e sulla ragione. Ma, per quanto ri-guarda il contenuto, essa è fondata sul diritto naturale.II nucleo centrale di questa dottrina si può riassumere nei seguenti pun-ti, come ricorda il Mulder: 2

a) la proprietà privata, anche dei beni produttivi, è il fondamento naturale dellaattività economica e della sicurezza sociale delle famiglie;b) il diritto di proprietà privata così concepito implica due ulteriori esigenze:— la funzione sociale come qualità integrante della proprietà— una larga diffusione della proprietà privata;

1 Enrico Chiavacci, Teologia Morale, voi. 2°, pg. 25-28, Cittadella Ed., Assisi 1980.Theodore Mulder, L'insegnamento sociale della Chiesa nel Concilio Vaticano II

e dopo ti Concilio.

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e) l'ordinamento economico fondato sulla separazione del lavoro e del capitale (cioèil sistema del salariato) di per sé non è condannabile. Questo sistema deve però es-sere disciplinato secondo le esigenze della giustizia sociale;

d) la giustizia esige prima di tutto che il prodotto nazionale, frutto dei comunisforzi, sìa equamente distribuito fra tutte le parti che hanno contribuito a formarlo(Giovanni XXIII: «adeguazione tra sviluppo economico e progresso sociale»). Gòsignifica l'esclusione di ogni forma di sfruttamento, il controllo del potere econo-mico privato e il diritto dei lavoratori di associarsi in sindacati liberali;

e) ìl miglior modo di evitare conflitti sociali per superare la divisione della societàin classi e per garantire i diritti e i vantaggi di tutte le parti consiste nel creareorganizzazioni professionali o « corporazioni ». Queste però, non dovrebbero essereconcepite come organi dello stato, ma come organizzazioni autonome degli impren-ditori e degli operai nei vari settori economici, che — sotto il controllo supremodello stato — cerchino di promuovere gli interessi comuni e di risolvere conflittie controversie tra le varie categorie;

f) principio regolatore di tutto questo sistema sociale è il principio di sussidìarietàche determina la competenza dei vari organismi nella gerarchla sociale.

Un primo commento a questo periodo, che tenga conto delle categorieinterpretative sovraespresse, non può non mettere in evidenza un « li-mite » del pensiero sociale cristiano (« si noti, dice Chiavacci: limite, nonerrore »). Per il noto moralista fiorentino « il limite è questo: nel qua-dro logico sovraesposto, il fatto di unirsi agli altri è strumentale rispet-to al proprio perfezionamento. La società stesso è uno strumento di cuil'individuo si serve per perfezionarsi. CJè uno sfondo culturale individua-listico, allo stato germinale ma indubitabile, ...che trova le sue origininelle tesi contrattualistiche di John Locke ».3 E da Leone XIII, « l'ideadi una società come bene strumentale rispetto ai singoli individui chela compongono, era destinata ad essere sempre più accentuata nel pen-siero sociale cristiano ».4

Un secondo commento riguarda « il principio di sussidiarietà », che ab-biamo presentato all'interno del nucleo della dottrina sociale sovraespo-sta. Il principio, enunciato da Pio XI nella Quadragesima anno, e poiripreso da successivi documenti fino al Vaticano II, è davero irrinun-ciabile, come scrive Chiavacci,5 se è inteso nel senso che ogni societàreale non ha fini propri al di là del fine del bene dei singoli membriche la compongono; ma è fortemente questionabile se con esso si in-tende che il singolo individuo — e le società intermedie — hanno il do-vere di ^essere parte della società solo per il proprio tornaconto o leproprie necessità.Per riassumere si può ritenere allora che questo primo periodo delladottrina sociale della Chiesa sia caratterizzabile con categorie filosoficc-culturali, che sono l'eco del quadro generale della moderna cultura po-litica europea che ha la sua matrice nel giusnaturalismo e nelle tesi

3 E. Chiavacci, op. cit., voi. 2°, pg. 28.4 E. Chiavacci, op. cit., pg. 28.5 E. Chiavacci, op. cit., pg. 31.

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contrattualistiche già citate. Dal punto di vista storico invece la preoc-cupazione di fondo della Chiesa sembra essere quella di difendere sestessa e l'umanità nei confronti dei vari assolutismi di Bismarck primae poi di Mussolini, Hitler, Stalin, affermando la supremazia dei dirittidell'individuo, su quelli della società e dello Stato onnipotente.

B) II periodo giovanneo segna certo una svolta anche per la dottrinasociale della Chiesa. La posizione generale di Giovanni XXIII e dell'ulte-riore sviluppo dell'insegnamento della Chiesa viene ben compendiatonelle seguenti parole della Pacem in ferrisi « L'ordine tra gli esseri uma-ni nella convivenza è di natura morale. Infatti, è un ordine che si fondasulla verità; che va attuato secondo giustizia; domanda di essere vivi-ILcato ed integrato dall'amore; egli esige di essere ricomposto nella li-bertà in equilibri sempre nuovi e più umani ».6Si nota subito nella dottrina sociale di Giovanni XXIII, espressa sia nel-la Mater et Magistra che nella Pacem in terris, la perdita della sicurezzaquasi dogmatica che nel passato ci dava un corpus doctrinae ben siste-matico. Magari il quadro culturale di riferimento non è del tutto mutatodal precedente; vi si respira d'altra parte un'aria nuova, che si mani-festa in un atteggiamento meno dogmatico, più storico, più coraggiosodi fronte ai nuovi problemi emergenti nel mondo.

C) E siamo giunti così al periodo, che partendo dalla « rivoluzione »conciliare arriva fino alla Laborem exercens. « Ricomporre la societàumana nella libertà in equilibri sempre nuovi e più umani, ecco le pro-spettive sociali della Chiesa conciliare e post-conciliare ».7Due elementi diventano caratteristici del nuovo insegnamento sociale del-la Chiesa:

1. La chiesa si limita ad indicare i grandi princìpi della morale socialeed è molto cauta nell'applicazione.

2) La nuova dottrina è meno sistematica, meno statica e più dinamica.

II principio fondamentale della concezione cristiana dell'uomo viene chiacamente for-mulato da Giovanni XXIII e dal Concilio Vaticano II: «Principio, soggetto e finedi tutte le istituzioni sociali è e deve essere la persona umana, come quella chedi sua natura ha sommamente bisogno di socialità ».8

Per quanto riguarda la vita socio-economica, questa formulazione significa che:a) ogni forma organizzativa nella convivenza umana deve contribuire positivamentead una ulteriore evoluzione della dignità della persona umana e della solidarietà de-gli uomini. Ogni strutturazione sociale che vuole esaltare la dignità della personaa spese della solidarietà o viceversa deve essere rigettata. Gli equilibri sempre nuovi

ù T. Mulder, articolo citalo, pg. 7.? T. Mulder, art. cit., pg. 8.8 Gaudium et Spes, n. 25.

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e più umani di cui parla papa Giovanni significano, nella maggior parte dei casi,ricevere e ristabilire l'equilibrio tra la dignità della persona e la solidarietà di tuttiin circostanze sempre nuove. La dignità dell'uomo esige non solo dignitose condizionidi vita, ma anche una certa misura dì partecipazione e di iniziativa. Mano a manoche lo sviluppo sociale, economico e tecnico progredisce, si amplia anche l'area incui la solidarietà diventa operativa. Oggi questo spazio diventa sempre più l'uma-nità intera.

b) da questa posizione centrale della persona umana nella sua solidarietà segue im-mediatamente U concetto del bene comune, inteso come « l'insieme di quelle con-dizioni della vita sociale che permettono ai gruppi come ai sìngoli membri, di rag-giungere la propria perfezione ».

e) per quanto riguarda la proprietà dei beni materiali, il principio fondamentalee la concezione del bene comune richiedono non solo la possibilità per tutti di ac-cedere a certe forme di proprietà privata, ma anche die l'uso dei beni materiali siaregolato in maniera che ne sia garantita l'utilità a vantaggio di tutti.

d) « II lavoro umano... è di valore superiore agli altri elementi della vita econo-mica, poiché questi hanno solo natura di mezzi ».

e) come già indicato nella prima parte di questa riflessione, il princìpio che regolaun sano ordinamento della convivenza umana è ancora quella della sussidiamela, ilquale stabilisce i Umili delle competenze dei vari organi della società. Tale prin-cipio non è soltanto un principio eminentemente pratico — riconosciuto come taleanche da molti non cattolici — ma si fonda, in ultima analisi, sul concetto cristianodella dignità e della solidarietà umana.

Questi principi generali dell'attività sociale non derivano semplicemente dal con-cetto « umano », ma lì scopriamo gradualmente nella riflessione cristiana sulla realtà(sociale, economica, tecnica, culturale, politicai come si presenta a noi nei suoi svi-luppi e cambiamenti contìnui, cioè li scopriamo nel processo stesso della loro ap-plicazione.

Da qui emerge chiaramente il carattere dinamico del nuovo insegnamen-to sociale della Chiesa.Il metodo della dottrina sociale della Chiesa preconciliare era in certosenso astorico. Era compito dell'attività sociale degli uomini restaurarenel mondo l'ordine armonico distratto dal peccato, secondo il disegnooriginale del creatore. Lo aveva già detto Bacone all'inizio dell'epocamoderna, per .giustificare l'individualistica presa di possesso della realtà,in un disegno di arricchimento dell'uomo che si annunciava come unprocesso indefinito.La Costituzione pastorale Gaudìum et Spes introduce invece con i « se-gni dei tempi » non soltanto un nuovo concetto, ma anche un nuovometodo. « Per svolgere questo compito (cioè salvare la persona umana,edificare l'umana società), è dovere permanente della Chiesa di scrutarei segni dei tempi e di interpretarli alla luce del vangelo cosicché, in unmodo adatto a ciascuna generazione, possa rispondere ai perenni inter-rogativi degli uomini sul senso della vita presente e futura e sul lororeciproco rapporto ».9

9 Gaadium ci Spes, n. 19.

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In questo modo penso che dobbiamo interpretare Paolo VI allorchéparla « delle speranze fondate in un mondo migliore », caratterizzato daun umanesimo sempre più completo: « Cerumi giudicheranno utopisti-che siffatte speranze. Potrebbe darsi che il loro realismo pecchi per di-fetto, e ch'essi non abbiano percepito il dinamismo di un mondo chevuoi vivere più fraternamente, e che, malgrado le sue ignoranze, i suoierrori, e anche i suoi peccati, le sue ricadute nelle barbarie e le suelunghe divagazioni fuori della via della salvezza, sì avvicina lentamente,anche senza rendersene conto, al suo Creatore ».I0

E introducendo il concetto dei « segni dei tempi » il Concilio richiama, misembra anche, un altro concetto non menzionato esplicitamente e cioèil Kairos, il momento di grazia, il tempo stabilito da Dìo in cui devonoaver luogo determinati fatti e in cui sono necessari determinati inter-venti e comportamenti, affinchè si realizzi il piano dì Dio.

Da qui possiamo ricavare alcune indicazioni che ci aiutano a leggereanche l'ultima enciclica sulla dottrina sociale:

a) Come abbiamo accennato sopra, l'insegnamento sociale post-concilìareè meno dottrinale e più pastorale. Potremmo forse dire che è più pro-fetico. Certamente è pia sulla linea del pensiero biblico che su quelladella filosofia greca. Sotto l'aspetto metodologico ha qualche somiglianzàcon la teoria marxista.Il punto cruciale è che negli avvenimenti, nelle aspirazioni, nelle aspet-tative degli uomini del nostro tempo dobbiamo discernere in quale di-rezione dobbiamo spingere l'evoluzione sociale. Il discernimento dei se-gni dei tempi in cui si manifesti il disegno di Dio è diventato parte inte-grante dell'insegnamento sociale della Chiesa.

b) L'insegnamento sociale post-conciliare trova le categorie filosofia)-culturali con cui esprimersi nel personalismo cristiano, attraverso il qua-le un nuovo concetto di uomo si impone all'attenzione del momentopresente: per dirla con Mounier ma anche con il Tommaso originale,un uomo per il quale la direzione orizzontale e sociale non è meno ra-dicata nella sua natura di quella verticale e individuale.

e) L'insegnamento sociale post-conciliare scarta una visione ideologicadella realtà, per affidarsi di più alla storia, non solo per la sua capacitàdescrittiva della situazione, ma anche perché in essa si opera continua-mente l'incarnazione di Dio, che, agli occhi del credente, trasforma lastoria stessa dell'uomo e del suo vivere in società in salvezza, cioè ingiustizia, pace, solidarietà, mete cui tendono tutti gli uomini, credenti enon-credenti. •

10 Poptilorutn Progressio, n. 79.

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TACCUINO CULTURALE TRENTINO

(a cura di MARIA TERESA PONTARA)

STORIA, FILOSOFIA e SCIENZE UMANE

26 novembre, ore 18: II Dizionario del movimento cattolico, rei. prof. Za-ninellì dell'Università di Trento e prof. Tramontin del-l'Università di Milanoe/o Centro A. Rosmini - Trento, largo Carducci 24

27 novembre, ore 18: II Dizionario del movimento cattolico, rei. prof. Za-ninelli dell'Università di Trento e prof. Tramontin del-l'Università di Milanoe/o Centro Clesio-Rosmini - Rovereto, via Stopparti 1

28 novembre, ore 17: Linee essenziali della storia trentina dalla venuta di Napo-leone in poi, rei. prof. U. Corsi ni dell'Università di Veneziae/o Cinema Teatro - Trento, via R. da Sanseverìno 87

3 dicembre, ore 18: La persona di S. Agostino, rei. prof. T. Manferdìnidell'Università dì Bolongae/o Centro Clesio-Rosmini - Rovereto, via Stoppani 1

4 dicembre, ore 18: IDEM a Trento, Centro Bernardo Clesio, via Barbacovi 4

dalle ore 17 del 9 dicembre alle ore 13 del 12 dicembre: Seminario di studioita Io-germanico sul tema « II passaggio dall'economia di guerra all'economiadi pece in Italia e in Germania dopo la la guerre mondiale», organizzatodall'Istituto storico ita Io-germanico di Vi Mezzano

e/o Sala del Palazzo della Regione - Trento, piazza Dante

FEDE e CULTURA RELIGIOSA

24 novembre, ore 18:

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Corso biblico « Gesù Ubera e trasforma l'uomo » (Me 5, 1-20 j,rei. d. L. Zanie/o Centro Bernardo Clesio - Trento, via Barbacovi 4

24 novembre, ore 20.30:

1 dicembre, ore 18:

1 dicembre, ore 20.30:

9 dicembre, ore 20.30:

15 dicembre, ore 18:

15 dicembre, ore 20.30:

Corso biblico « Quando II Signore fece il ciclo e la terra »(Gen 2,4b-25), rei. d. P. RattinC/o Centro Clesio-Rosmini - Rovereto, via Stoppani 1

Corso biblico «L'inizio del nuovo popolo di Dìo» (Me 8,27-33), rei. d. L. Zanie/o Centro Bernardo Clesio - Trento, via Barbacovi 4

Corso biblico «In principio» (Gen l,2-4a), rei. d. P. Rattine/o Centro Clesio-Rosmini - Rovereto, via Stopparli 1

Corso biblico «Che hai fatto?» (Gen 3-4), rei. d. P. Rattine/o Centro Clesio-Rosmini - Rovereto, via Stoppani 1

Corso biblico «II discepolo segue Gesù» (Me 10,46-52),rei. d. L. Zanie/o Centro Bernardo Clesio - Trento, via Barbacovi 4

Corso biblico «Dio guardò la terra» (Gen 5-8), rei. d. P.Rattine/o Centro Clesio-Rosmrni - Rovereto, via Stoppanl 1

18 dicembre, ore 18: Un libro che scotta da 150 anni: Delle cinque piaghedella Santa Chiesa di A. Rosmini, rei. prof. A. Valledì Torinoe/o Centro Clesio-Rosmini - Rovereto, vìa Stoppani 1

22 dicembre, ore 18:

22 dicembre, ore 20.30:

Corso biblico «Gesù è il vero tempio» (Me 11,15-19),rei. d. L Zanie/o Centro Bernardo Clesio - Trento, via Bartaacovl 4

Corco bìblico «lo stabilirò la mia alleanza con voi» (Gen9-11), rei. d. P. Rattine/o Centro Ciesio-Rosmini - Rovereto, via Stoppanl 1

ogni martedì dal 3 novembre al 22 dicembre Lettura dell'Apocalisse, a cura dip. G. A. Butterìni, ore 20.30e/o Villa S. Ignazio - Trento, via Laste 22

ogni martedì ore 15 lezioni del Corso di GRECO BÌBLICO organizzato dall'Istitutodi Scienze Religiose e dall'Istituto Trentino di culturae/o Villa Tambosi - Villazzano di Trento

ogni venerdì ore 17 lezioni del Corso di EBRAICO BIBLICO organizzato dall'Istitutodi Scienze Religiose e dall'Istituto Trentino di culturae/o Villa Tambosi - Villazzano di Trento

CINEFORUM

29 novembre, ore 16.30:

2 dicembre, ore 20.30:

6 dicembre, ore 16.30:

Gli ultimi, di V. Pandolfie/o Sala del SS. Sacramento - Trento, corso 3 novembre 26

Elettra amore mio, dì M. Jancsò - Ungheria 1975e/o Cinema Dolomiti - Trento, via Borsieri 5

U classe operaia va In Paradiso, dì E. Petrie/o Sala del SS. Sacramento - Trento, corso 3 novembre 26

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9 dicembre, ore 20.30:

13 dicembre, ore 16.30:

16 dicembre, ore 20.30:

COMUNICAZIONI SOCIALI

9 dicembre, ore 18:

MUSICA

26 novembre, ore 21 :

1 dicembre, ore 21:

3 dicembre, ore 21 :

3 dicembre, ore 21 :

10 dicembre, ore 21:

11 dicembre, ore 21:

18 dicembre, ore 21:

TEATRO

Ifìgenla, di M. Cacoyannts • Grecia 1979e/o Cinema Dolomiti - Trento, via Borsleri 5

FantozzI, di L. Salcee/o Sala del SS. Sacramento - Trento, corso 3 novembre 26

Perdi n mi do 11 duro, di A. Klugo - RFT 1979e/o Cinema Dolomiti - Trento, via Borsleri 5

II eruttano oggi di fronte al mass media, organizzato dal-l'Ai ART e dal Centro B. Clesioe/o Centro Bernardo Clesio - Trento, vìa Barbacovi 4

Musica di Bela Bartbk • Sonata per due pianoforti e percus-sioni, esecutori : Cenino, - Ballista, Catini, Pestalozza; Sulteper due pianoforti, esecutori: Cenino, BallistaConferenza di L. Nono: Bartòk e II suo tempoe/o Università - Trento, via Verdi 26

Orchestra HAYDN, dir. Luciano Serioe/o Sala della Filarmonica - Trento, via Verdi

Musica di Bela Bartòk - Cinque canti op. 16, Cinque cantiop. 15, Scene di villeggio, esecutori Salvetta e Ballistae/o Università - Trento, via Verdi 26

Quartetto Orlando, musiche di Beethoven, Mozart e Schuberte/o Sala della Filarmonica - Trento, via Verdi

Musica ài Bela Bartòk - Composizioni vacali per due e trevoci. Coro «Minipolifonici» (dir. N. Conci)

Conferenza di E. Rubini: La valutazone ideologice dell'operadi Bartok nel norlro secolo tra Scho'itberg e Strawlnskye/o Università - Trento, via Verdi 26

Orchestra HAYDN, dir. e violino solista Angelo Stefanatoe/o Sala della Filarmonica - Trento, vìa Verdi

Pianista Elsa Triangt, musiche di Badi, Schubert, Menotti,Prokoflev, Khachaturiane/o Sala della Filarmonica - Trento, vìa Verdi

2 dicembre, ore 21:3 dicembre, ore 21:

Coltelli di J. Cassavetes. regia di M. Bernardie/o Teatro Sociale - Trento, via Oss Mazzurana 17

21-22 dicembre, ore 21:

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II malato Immaginarlo di Molleràe/o Teatro Sociale - Trento, via Oss Mazzurana 17

23 dicembre, ore 18:

MOSTRE

Recita di poesie e prose sul tema della violenza con la par-tecipazione di Orlando Mezzabotte, a cura dei Teatro stabiledi Bolzano con la regia di M. Bernardie/o Centro A. Rosmini - Trento, largo Carducci 24

dal 12 dicembre al 10 gennaio ARTE NATALE 1981, rassegna del presepee delle tradizioni natalizie italiane e dell'arco alpinoe/o gli antichi palazzi de! Centro storico di Trento

nel mese di dicembre Rassegna di pittura, scultura e grafica sul tema « La Violenza »e/o Centro A. Rosmini - Trento, largo Carducci 24 — orario: 9-12, 16-19

ARTE

5 dicembre, ore 17:

SEMINAR! DI STUDIO

27 novembre, ore 16:

L'arte nel Trentina, rei. prog Nicolo Rasmoe/o Cinema Teatro - Trento, via R. da Sanseverino 87

1° seminario di studio del ciclo «Programma uomo» (l'evo-luzione dell'informazione biologica)

4-11-18 dicembre, ore 16: 2° seminario di studio del ciclo «Programma uomo» (sen-sorialitè e lateralità)

I seminar! sono organizzati dal Provveditorato agli Studi di Trento in collaborazione conl'Assessorato all'Istruzione della Provincia Autonoma di Trento; gli incontri si terrannopresso il Museo Tridentino di Scienze Naturali - Trento, Palazzo Sardegna, via Calepina 14

VARIE

5 dicembre, ore 16:

6 dicembre, ore 9:

SCUOLA

I metodi naturali par la regolazione delle nascite, rei. prof.Bonomi di Pavia, organizzato dal Centro Bernardo Clesioe/o Teatro del Collegio Arcivescovile - Trento, via Endrici 23

IDEM

14 dicembre, ore 15: La programmazione nella scuola media, rei. prof .saRosa Calzecchì Onesti del Consiglio Nazionale P.l.a cura dell'UCIIMe/o Centro A. Rosmini - Trento, largo Carducci 24

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« E' anche inutile che ci preoccupiamo perché siamo ri-dicoli, non è vero? Sì, siamo ridicoli, leggeri, abbiamodelle bruite abitudini, ci annoiamo facilmente, non sap-piamo guardare, non sappiamo capire...

Non vi offendete se vi dico in faccia che siete ridicoli?Così sono io, così siamo tutti...

Secondo me è utile, qualche volta, essere ridicoli: è piùfacile perdonarsi a vicenda e riconciliarsi! E' impossi-bile capire lutto subito... non si arriva di colpo alla per-fezione! Prima è necessario capire molte cose... Se sicapisce troppo presto, non si capisce bene,

E' a voi che dico questo, a voi che avete già sapulo tantocapire... e non capire ».

(FF.OL'OR DoSTOJEVSKIJ, L'idiota)

Spedizione in abbonamento postale gruppo 111/70 - Rivista mensile - Redazione

e Amministraz.: via Suffragio 39, 38100 Trento - N. 9 novembre 1981 - L. 1.000

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