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L’OSSERVATORE ROMANO giugno 2015 numero 36 Sua madre confrontava tutte queste cose nel suo cuore donne chiesa mondo Donne e vecchiaia Biblioteca vivente Intervista con suor Emidia Bergamaschini, missionaria nata nel 1920 Suor Emidia Bergamaschini è nata il 3 dicembre 1920 in un piccolo villaggio che a quel tempo si chiamava San Bernardino ma che ora è unito alla città di Crema (lo chiamavano “cremino”). È entrata nell’Istituto delle Missionarie del Sacro Cuore di Gesù di Francesca Cabrini nel 1939. Laureatasi in lettere classiche all’Università Cattolica del Sacro Cuore — padre Agostino Gemelli è stato suo professore — è stata docente e preside nelle scuole superiori. Inviata in Africa, si è occupata della scuola della missione. Tornata in Italia dopo sei anni, è stata segretaria generale della congregazione a Roma. Nel 2005, colpita da vari problemi di salute, è stata inviata a Codogno presso la casa delle Suore anziane. È impegnata nella Cappella dell’Adorazione dove trascorre varie ore del mattino e del pomeriggio. donne chiesa mondo Due famose pittrici alle prese con la vecchiaia al femminile: Frida Kahlo, «Ritratto di Donna Rosita Morillo» (1944, sopra) e Tamara de Lempicka, «La nonna» (1953, accanto). di MARIA BARBAGALLO «T utti conosciamo esempi eloquenti di anziani con una sorprendente giovi- nezza e vigoria dello spirito. Per chi li avvici- na, essi sono di stimolo con le loro parole e di conforto con l’esempio. Possa la società valorizzare appieno gli anziani, che in alcu- ne regioni del mondo — penso in particola- re all’Africa — sono stimati giustamente co- me “biblioteche viventi” di saggezza, custo- di di un patrimonio inestimabile di testi- monianze umane e spirituali». Così scrive- va nella Lettera agli anziani Giovanni Paolo II, e così riteniamo anche noi che abbiamo avuto la fortuna di vivere con persone an- ziane o molto anziane, capaci di insegnare ancora come vivere, come affrontare gli an- ni della decadenza fisica e psichica, come assumere l’attesa dell’ultimo passaggio, quello nella vita eterna. Suor Emidia è nata 95 anni fa. Nel 2004 ha avuto un grave ictus, è rimasta colpita nelle gambe e costretta sulla sedia a rotelle. La mente, per fortuna, è rimasta lucida. Qualche anno prima di ammalarsi, era ancora responsabile di una comunità e una scuola: con un po’ di ironia, a una consorella che le insinuava che era ormai troppo vecchia per fare la superiora aveva risposto che Papa Wojtyła e Carlo Azeglio Ciampi avevano la sua stessa età: uno diri- geva la Chiesa, l’altro l’Italia. Non credo ci sia stato orgoglio nella ri- sposta di Emidia, era invece la dimostra- zione che per lei la vecchiaia era una sta- gione della vita da vivere serenamente co- me se niente fosse. Era stata professoressa per molti anni, missionaria in Africa, se- gretaria generale, responsabile di un cen- tro di spiritualità e tante altre cose: per questo le ho chiesto come ha vissuto que- sto cammino verso la vecchiaia, e come è coinciso con la malattia. «Non ho mai avuto la sensazione di diventare vecchia» ha risposto e riferendosi alla malattia ha aggiunto: «Tutto è stato un dono del Si- gnore che è venuto improvvisamente; sen- tivo che veniva qualcosa di nuovo, avverti- vo che la memoria non era più la stessa. Ma non sentivo fastidio, perché io ho do- nato tutto a Gesù per questo momento storico per la Chiesa, ma è un passaggio che sentivo venire lentamente». Poi suor Emidia ha raccontato di quel giorno quando è arrivato l’ictus: «Era il 31 maggio 2005, stavamo pregando il Vespro, avevo preparato tutto, ma durante le pre- ghiere finali, a un tratto, non potevo più parlare, la bocca non si apriva più... la preghiera l’ha portata avanti un’altra suo- ra. Ho sentito un primo impatto, ma non mi sentivo vecchia, non pensavo alla vec- chiaia; pensavo piuttosto che Dio aveva bisogno di me, voleva da me qualche altra cosa. Infatti qualche tempo prima, la ma- dre generale era stata in Africa e venendo a trovarci nella nostra comunità, ci aveva comunicato che avrebbe voluto aprire la Cappella dell’Adorazione quotidiana. Ho sentito come una voce: “Ti voglio là”, e quando abbiamo finito la nostra riunione mi sono avvicinata alla madre generale e le ho detto: “Desidero essere presente nel- la Cappella dell’Adorazione”. Ho passato tre mesi all’ospedale per la mia situazione e poi sono stata trasferita a Codogno dove ho iniziato la mia presenza quotidiana nella Cappella dell’Adorazione». Ho chiesto a suor Emidia come mai si sente dire tra la gente che la vecchiaia è un peso. «La vecchiaia è un grande valore — sì, qualcuno pensa che è uno scarto — ed è un dono prezioso; ci fa stare uniti al Signore, fa crescere l’amore con Dio e fa pensare tanto a quello che succede nel mondo; se molti sapessero cosa significa stare su una sedia a rotelle; solo il Signore sa i benefici che in questo stato si portano alla Chiesa e alle persone. Poi, l’adorazio- ne: è un bene prezioso, stare con Gesù ore e ore, ascoltare la sua voce, chiedere a lui quello che altri vengono a chiedere». Nel- la Cappella dell’Adorazione entrano ed escono molte persone, a volte solo per un momento e per chiedere a suor Emidia di pregare per una intenzione specifica. Sono persone che si fanno mediatrici di altre che non hanno il coraggio di chiedere. Suor Emidia legge molto: libri, articoli, riviste, non solamente cose religiose, anche articoli culturali e storici. Ma ciò che la occupa completamente è la lettura dell’Osservatore Romano che riceve con devozione, come fosse lo stesso Papa che glielo manda. «Leggendo l’Osservatore, sto nel cuore della Chiesa, ora faccio un po’ più fatica e per me è un sacrificio leg- gere poco, qualche mese fa leggevo tanto, anche i paragrafi più piccoli. Ma mi tengo informata e vivo con la Chiesa, le sue spe- ranze e le sue angosce». Cosa ha imparato in questi ultimi anni? «Ho dato un senso alle piccole cose che prima mi sembravano inutili; ho capito che non vale la pena fare questioni: vivo quello che il Signore vuole, lui se ne serve per un bene maggiore. Oggi il Signore vuole questo. Mi ricordo come desideravo andare in Africa, anche quella chiamata è stata improvvisa. Ma adesso il presente è questo». Suor Emidia è persona di grandi e pro- fonde relazioni umane. Ha sempre avuto ottimi rapporti con tutti, e spesso non è capita. È proverbiale il numero di biglietti d’auguri che spedisce a Pasqua e a Natale, per onomastici e compleanni, per ricorren- ze matrimoniali, battesimi, condoglianze e lauree: non dimentica nessuno. «I miei rapporti sono con le persone che si incon- trano e con quelle che sono lontane; molte persone mi vengono a trovare, anche ex alunne di trenta e quarant’anni fa, sono nonne e bisnonne: vengono per salutarmi, ma soprattutto per chiedermi preghiera, per raccontarmi i loro problemi». A questo punto suor Emidia mi raccon- ta tante storie di ex-alunne, romanzi che potrebbero essere sceneggiati come fiction tv. Storie drammatiche che le sono rimaste nel cuore. Per quelle persone Emidia con- tinua a pregare, giorno e notte; sì, perché la notte quando si sveglia — e si sveglia spesso — prega intensamente per le inten- zioni che le sono state raccomandate. La memoria di suor Emidia non è più molto fresca, ma solo l’anno scorso ci ha scritto i suoi ricordi come segretaria gene- rale della congregazione: il periodo del concilio Vaticano II, il rinnovamento della vita religiosa, l’aggiornamento delle costi- tuzioni, le celebrazioni della congregazio- ne, e lo ha fatto con dettagli molto preci- si. Quando non era sicura di qualcosa, scriveva all’archivio generale di Roma per chiarimenti. Sì, anche lei è una “biblioteca vivente”, i giovani preti le vengono a chiedere di tradurre gli articoli in latino, le suore più giovani le domandano notizie del passato della congregazione, le persone che l’han- no conosciuta le chiedono di scrivere que- sta o quella lettera. Oltre alle preghiere, molte persone vanno da lei per un po’ di conforto: non si può dire quante lacrime ha asciugato suor Emidia! Quando legge una lettera e le raccontano cose tristi, ri- mane fortemente turbata, e prega. I paren- ti le portano a conoscere i pronipotini ai quali lei spiega il valore dei sacramenti, dello studio, dell’importanza di imparare le lingue. Quando si ammala gravemente una suora o sta per morire, Emidia cerca di starle vicino, la tiene per mano, deve ac- compagnarla ad andare incontro allo Spo- so. Alle ragazze del servizio fa una sorta di catechesi, dà da leggere libri e giornali: quando ha finito di leggere l’Osservatore, lo passa al marito di una delle ragazze. Adesso suor Emidia parla con difficoltà, la malattia le dà sempre più fastidio, ma il suo sguardo è sereno e, anche se qualche volta si avverte in modo molto chiaro il disappunto su quello su cui non è d’accor- do, è sempre molto presente. Vuole sapere cosa accade nella congregazione, quante novizie ci sono, quanti cardinali ha fatto il Papa, come si è risolta quella tale questio- ne e quando ci saranno le votazioni. Suor Emidia è anche una grande e buon’amica. A volte vengono dall’estero persone — sia religiosi sia laici che l’hanno conosciuta molti anni fa. Nel rive- derla scoppiano a piangere ricordando il momento dell’incontro avuto con lei. Ri- cordano soprattutto lo stile dell’accoglien- za, la sua straordinaria gentilezza, il suo farsi in quattro per soddisfare i loro bisogni. Tanto per ricordare un caso, voglio rac- contare quello che fece Emidia nel Due- mila, quando la casa di Roma dove lei era responsabile si riempì di giovani per la giornata mondiale della gioventù. Erano giovani polacchi, dormivano con il sacco a pelo nei vari spazi ricavati per loro. Una giovane coppia appena sposata si era timi- damente avvicinata a lei e aveva chiesto se per loro poteva esserci un piccolo spazio per stare da soli; era il loro viaggio di nozze e avevano scelto l’occasione della gmg per non avere spese. Suor Emidia preparò una cameretta con il letto matri- moniale, i fiori, dei dolci, un biglietto di auguri e tante altre piccole attenzioni. Na- turalmente i ragazzi ne furono felici. La sua giovinezza di spirito è sempre più vigorosa anche se non la può manife- stare come prima. Così dice ancora Gio- vanni Paolo II nella Lettera agli anziani: «Quanti trovano comprensione e conforto in persone anziane, sole o ammalate, ma capaci di infondere coraggio mediante il consiglio amorevole, la silenziosa preghie- ra, la testimonianza della sofferenza accol- ta con paziente abbandono! Proprio men- tre vengono meno le energie e si riducono le capacità operative, questi nostri fratelli e sorelle diventano più preziosi nel dise- gno misterioso della Provvidenza». È l’identikit di suor Emidia, una suora mis- sionaria. In ogni circostanza della vita. Nel corso dell’ultimo secolo la durata della vita si è talmente allungata da arrivare quasi a raddoppiare quello che era il dato medio all’inizio dell’Ottocento, almeno per quanto riguarda i paesi cosiddetti avanzati. E in questa gara a chi vive più a lungo le donne mantengono ovunque il primato, anche se sono quelle che si curano di meno; quando poi prendono medicine, si tratta di farmaci testati solo sugli uomini. Qualcuno dice che è perché non lavorano, ma si tratta di una ipotesi facilmente smentita dalla realtà: le donne lavorano in media molto più degli uomini perché aggiungono ai ruoli familiari quelli professionali. La risposta vera sta forse nella maggiore capacità delle donne di affrontare la vecchiaia: non avendo puntato tutto sulla realizzazione nel lavoro — come fanno gli uomini, che entrano spesso in depressione quando vanno in pensione — accettano più facilmente una fase della vita in cui la realizzazione di sé è limitata ai rapporti personali, alle soddisfazioni affettive e all’esercizio della solidarietà. Proprio per questo — da quando è quasi scomparsa la mortalità per parto, che ha segnato per secoli il loro destino — le donne anziane si sono moltiplicate, assumendo anche ruoli nuovi ed esplorando spesso impensate possibilità. Che non sono solo fare ginnastica o curarsi di più di se stesse, come suggeriscono i media, ma anche, forse soprattutto, approfondire la loro vita spirituale. Quell’aspetto che era forzatamente trascurato negli anni del doppio se non triplo impegno lavorativo, nel tempo della vecchiaia è finalmente accessibile anche a loro. È come se l’allungamento della vita offrisse a molte donne la possibilità non solo di aiutare gli altri, allargando il raggio degli affetti e dei legami, ma anche di approfondire il senso della loro vita, del loro impegno religioso, con letture e incontri, con pellegrinaggi e ritiri spirituali, trovando in questa dimensione un nutrimento dell’anima di tipo nuovo. I primi a beneficiare di questo impegno sono i familiari, accompagnati nella preghiera con maggiore attenzione, ma anche tutte le persone che appartengono al loro gruppo sociale, che ne riconoscono la capacità rinnovata di aiuto e di ascolto. Se ci guardiamo intorno, vediamo che le donne anziane tengono in piedi il mondo: non solo come nonne che aiutano spesso in maniera insostituibile ad allevare i nipoti, ma anche come assistenti dei poveri e dei più anziani, come aiuto dei parroci nella vita di parrocchia, dove spesso impegnano il loro tempo improvvisamente libero. Ma anche, e non secondariamente, nella preghiera: le anziane sono capaci di sostenere per questa via la vita delle persone care, che spesso non ne sono neppure consapevoli. Ed è risaputo, come conferma suor Emidia, intervistata in prima pagina, che le donne sanno sopportare meglio la sofferenza fisica, e trasformare anche le crescenti sofferenze in nuove opportunità per lo spirito. La vecchiaia femminile quindi è potenzialmente carica di doni, tanto che gli uomini dovrebbero imparare da questo modello, come fa Simeone nel prendere in braccio il piccolo Gesù, rivelando una tenerezza materna. (lucetta scaraffia)

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L’OSSERVATORE ROMANO giugno 2015 numero 36

Sua madre confrontavatutte queste cose nel suo cuoredonne chiesa mondo

Donne e vecchiaia

Biblioteca viventeIntervista con suor Emidia Bergamaschini, missionaria nata nel 1920

Suor Emidia Bergamaschini è nata il 3dicembre 1920 in un piccolo villaggioche a quel tempo si chiamava SanBernardino ma che ora è unito allacittà di Crema (lo chiamavano“c re m i n o ”). È entrata nell’Istituto delleMissionarie del Sacro Cuore di Gesù diFrancesca Cabrini nel 1939. Laureatasiin lettere classiche all’UniversitàCattolica del Sacro Cuore — p a d reAgostino Gemelli è stato suo professore— è stata docente e preside nelle scuolesuperiori. Inviata in Africa, si èoccupata della scuola della missione.Tornata in Italia dopo sei anni, è statasegretaria generale della congregazionea Roma. Nel 2005, colpita da variproblemi di salute, è stata inviata aCodogno presso la casa delle Suoreanziane. È impegnata nella Cappelladell’Adorazione dove trascorre varie oredel mattino e del pomeriggio.do

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Due famose pittrici alle presecon la vecchiaia al femminile:Frida Kahlo, «Ritratto di Donna RositaMorillo» (1944, sopra) e Tamara de Lempicka,«La nonna» (1953, accanto).

di MARIA BARBAGALLO

«T utti conosciamo esempieloquenti di anziani conuna sorprendente giovi-nezza e vigoria dellospirito. Per chi li avvici-

na, essi sono di stimolo con le loro parole edi conforto con l’esempio. Possa la societàvalorizzare appieno gli anziani, che in alcu-ne regioni del mondo — penso in particola-re all’Africa — sono stimati giustamente co-me “biblioteche viventi” di saggezza, custo-di di un patrimonio inestimabile di testi-monianze umane e spirituali». Così scrive-va nella Lettera agli anziani Giovanni PaoloII, e così riteniamo anche noi che abbiamoavuto la fortuna di vivere con persone an-ziane o molto anziane, capaci di insegnareancora come vivere, come affrontare gli an-ni della decadenza fisica e psichica, comeassumere l’attesa dell’ultimo passaggio,quello nella vita eterna.

Suor Emidia è nata 95 anni fa. Nel2004 ha avuto un grave ictus, è rimastacolpita nelle gambe e costretta sulla sediaa rotelle. La mente, per fortuna, è rimastalucida. Qualche anno prima di ammalarsi,era ancora responsabile di una comunità euna scuola: con un po’ di ironia, a unaconsorella che le insinuava che era ormaitroppo vecchia per fare la superiora avevarisposto che Papa Wojtyła e Carlo AzeglioCiampi avevano la sua stessa età: uno diri-geva la Chiesa, l’altro l’Italia.

Non credo ci sia stato orgoglio nella ri-sposta di Emidia, era invece la dimostra-zione che per lei la vecchiaia era una sta-gione della vita da vivere serenamente co-me se niente fosse. Era stata professoressaper molti anni, missionaria in Africa, se-gretaria generale, responsabile di un cen-tro di spiritualità e tante altre cose: perquesto le ho chiesto come ha vissuto que-sto cammino verso la vecchiaia, e come ècoinciso con la malattia. «Non ho maiavuto la sensazione di diventare vecchia»ha risposto e riferendosi alla malattia haaggiunto: «Tutto è stato un dono del Si-gnore che è venuto improvvisamente; sen-tivo che veniva qualcosa di nuovo, avverti-vo che la memoria non era più la stessa.Ma non sentivo fastidio, perché io ho do-nato tutto a Gesù per questo momentostorico per la Chiesa, ma è un passaggioche sentivo venire lentamente».

Poi suor Emidia ha raccontato di quelgiorno quando è arrivato l’ictus: «Era il 31maggio 2005, stavamo pregando il Vespro,avevo preparato tutto, ma durante le pre-ghiere finali, a un tratto, non potevo piùparlare, la bocca non si apriva più... lapreghiera l’ha portata avanti un’altra suo-ra. Ho sentito un primo impatto, ma nonmi sentivo vecchia, non pensavo alla vec-chiaia; pensavo piuttosto che Dio avevabisogno di me, voleva da me qualche altracosa. Infatti qualche tempo prima, la ma-dre generale era stata in Africa e venendoa trovarci nella nostra comunità, ci avevacomunicato che avrebbe voluto aprire laCappella dell’Adorazione quotidiana. Hosentito come una voce: “Ti voglio là”, equando abbiamo finito la nostra riunionemi sono avvicinata alla madre generale ele ho detto: “Desidero essere presente nel-la Cappella dell’Adorazione”. Ho passatotre mesi all’ospedale per la mia situazionee poi sono stata trasferita a Codogno dove

ho iniziato la mia presenza quotidiananella Cappella dell’Adorazione».

Ho chiesto a suor Emidia come mai sisente dire tra la gente che la vecchiaia èun peso. «La vecchiaia è un grande valore— sì, qualcuno pensa che è uno scarto —ed è un dono prezioso; ci fa stare uniti alSignore, fa crescere l’amore con Dio e fapensare tanto a quello che succede nelmondo; se molti sapessero cosa significastare su una sedia a rotelle; solo il Signoresa i benefici che in questo stato si portanoalla Chiesa e alle persone. Poi, l’adorazio-ne: è un bene prezioso, stare con Gesù oree ore, ascoltare la sua voce, chiedere a luiquello che altri vengono a chiedere». Nel-la Cappella dell’Adorazione entrano edescono molte persone, a volte solo per unmomento e per chiedere a suor Emidia dipregare per una intenzione specifica. Sonopersone che si fanno mediatrici di altreche non hanno il coraggio di chiedere.

Suor Emidia legge molto: libri, articoli,riviste, non solamente cose religiose, anchearticoli culturali e storici. Ma ciò che laoccupa completamente è la letturadell’Osservatore Romano che riceve condevozione, come fosse lo stesso Papa cheglielo manda. «Leggendo l’O sservatore,sto nel cuore della Chiesa, ora faccio unp o’ più fatica e per me è un sacrificio leg-gere poco, qualche mese fa leggevo tanto,anche i paragrafi più piccoli. Ma mi tengoinformata e vivo con la Chiesa, le sue spe-ranze e le sue angosce».

Cosa ha imparato in questi ultimi anni?«Ho dato un senso alle piccole cose cheprima mi sembravano inutili; ho capitoche non vale la pena fare questioni: vivoquello che il Signore vuole, lui se ne serveper un bene maggiore. Oggi il Signorevuole questo. Mi ricordo come desideravoandare in Africa, anche quella chiamata èstata improvvisa. Ma adesso il presente èquesto».

Suor Emidia è persona di grandi e pro-fonde relazioni umane. Ha sempre avutoottimi rapporti con tutti, e spesso non ècapita. È proverbiale il numero di bigliettid’auguri che spedisce a Pasqua e a Natale,per onomastici e compleanni, per ricorren-ze matrimoniali, battesimi, condoglianze elauree: non dimentica nessuno. «I mieirapporti sono con le persone che si incon-trano e con quelle che sono lontane; moltepersone mi vengono a trovare, anche exalunne di trenta e quarant’anni fa, sonononne e bisnonne: vengono per salutarmi,ma soprattutto per chiedermi preghiera,per raccontarmi i loro problemi».

A questo punto suor Emidia mi raccon-ta tante storie di ex-alunne, romanzi che

potrebbero essere sceneggiati come fictiontv. Storie drammatiche che le sono rimastenel cuore. Per quelle persone Emidia con-tinua a pregare, giorno e notte; sì, perchéla notte quando si sveglia — e si svegliaspesso — prega intensamente per le inten-zioni che le sono state raccomandate.

La memoria di suor Emidia non è piùmolto fresca, ma solo l’anno scorso ci hascritto i suoi ricordi come segretaria gene-rale della congregazione: il periodo delconcilio Vaticano II, il rinnovamento dellavita religiosa, l’aggiornamento delle costi-tuzioni, le celebrazioni della congregazio-ne, e lo ha fatto con dettagli molto preci-si. Quando non era sicura di qualcosa,

scriveva all’archivio generale di Roma perchiarimenti.

Sì, anche lei è una “biblioteca vivente”,i giovani preti le vengono a chiedere ditradurre gli articoli in latino, le suore piùgiovani le domandano notizie del passatodella congregazione, le persone che l’han-no conosciuta le chiedono di scrivere que-sta o quella lettera. Oltre alle preghiere,molte persone vanno da lei per un po’ diconforto: non si può dire quante lacrimeha asciugato suor Emidia! Quando leggeuna lettera e le raccontano cose tristi, ri-mane fortemente turbata, e prega. I paren-ti le portano a conoscere i pronipotini aiquali lei spiega il valore dei sacramenti,dello studio, dell’importanza di impararele lingue.

Quando si ammala gravemente unasuora o sta per morire, Emidia cerca distarle vicino, la tiene per mano, deve ac-compagnarla ad andare incontro allo Spo-so. Alle ragazze del servizio fa una sortadi catechesi, dà da leggere libri e giornali:quando ha finito di leggere l’O sservatore,lo passa al marito di una delle ragazze.

Adesso suor Emidia parla con difficoltà,la malattia le dà sempre più fastidio, ma ilsuo sguardo è sereno e, anche se qualchevolta si avverte in modo molto chiaro ildisappunto su quello su cui non è d’accor-do, è sempre molto presente. Vuole saperecosa accade nella congregazione, quantenovizie ci sono, quanti cardinali ha fatto ilPapa, come si è risolta quella tale questio-ne e quando ci saranno le votazioni.

Suor Emidia è anche una grande ebuon’amica. A volte vengono dall’e s t e ropersone — sia religiosi sia laici — chel’hanno conosciuta molti anni fa. Nel rive-derla scoppiano a piangere ricordando ilmomento dell’incontro avuto con lei. Ri-cordano soprattutto lo stile dell’accoglien-za, la sua straordinaria gentilezza, il suofarsi in quattro per soddisfare i lorobisogni.

Tanto per ricordare un caso, voglio rac-contare quello che fece Emidia nel Due-mila, quando la casa di Roma dove lei eraresponsabile si riempì di giovani per lagiornata mondiale della gioventù. Eranogiovani polacchi, dormivano con il sacco apelo nei vari spazi ricavati per loro. Unagiovane coppia appena sposata si era timi-damente avvicinata a lei e aveva chiesto seper loro poteva esserci un piccolo spazioper stare da soli; era il loro viaggio dinozze e avevano scelto l’occasione dellagmg per non avere spese. Suor Emidiapreparò una cameretta con il letto matri-moniale, i fiori, dei dolci, un biglietto diauguri e tante altre piccole attenzioni. Na-turalmente i ragazzi ne furono felici.

La sua giovinezza di spirito è semprepiù vigorosa anche se non la può manife-stare come prima. Così dice ancora Gio-vanni Paolo II nella Lettera agli anziani:«Quanti trovano comprensione e confortoin persone anziane, sole o ammalate, macapaci di infondere coraggio mediante ilconsiglio amorevole, la silenziosa preghie-ra, la testimonianza della sofferenza accol-ta con paziente abbandono! Proprio men-tre vengono meno le energie e si riduconole capacità operative, questi nostri fratellie sorelle diventano più preziosi nel dise-gno misterioso della Provvidenza». Èl’identikit di suor Emidia, una suora mis-sionaria. In ogni circostanza della vita.

Nel corso dell’ultimo secolo la durata della vita si è talmenteallungata da arrivare quasi a raddoppiare quello che era ildato medio all’inizio dell’Ottocento, almeno per quantoriguarda i paesi cosiddetti avanzati. E in questa gara a chivive più a lungo le donne mantengono ovunque il primato,anche se sono quelle che si curano di meno; quando poiprendono medicine, si tratta di farmaci testati solo sugliuomini. Qualcuno dice che è perché non lavorano, ma sitratta di una ipotesi facilmente smentita dalla realtà: le donnelavorano in media molto più degli uomini perchéaggiungono ai ruoli familiari quelli professionali. La rispostavera sta forse nella maggiore capacità delle donne diaffrontare la vecchiaia: non avendo puntato tutto sullarealizzazione nel lavoro — come fanno gli uomini, cheentrano spesso in depressione quando vanno in pensione —accettano più facilmente una fase della vita in cui larealizzazione di sé è limitata ai rapporti personali, allesoddisfazioni affettive e all’esercizio della solidarietà. Proprioper questo — da quando è quasi scomparsa la mortalità perparto, che ha segnato per secoli il loro destino — le donneanziane si sono moltiplicate, assumendo anche ruoli nuovi edesplorando spesso impensate possibilità. Che non sono solofare ginnastica o curarsi di più di se stesse, comesuggeriscono i media, ma anche, forse soprattutto,approfondire la loro vita spirituale. Quell’aspetto che eraforzatamente trascurato negli anni del doppio se non triploimpegno lavorativo, nel tempo della vecchiaia è finalmente

accessibile anche a loro. È come se l’allungamento della vitaoffrisse a molte donne la possibilità non solo di aiutare glialtri, allargando il raggio degli affetti e dei legami, ma anchedi approfondire il senso della loro vita, del loro impegnoreligioso, con letture e incontri, con pellegrinaggi e ritirispirituali, trovando in questa dimensione un nutrimentodell’anima di tipo nuovo. I primi a beneficiare di questoimpegno sono i familiari, accompagnati nella preghiera conmaggiore attenzione, ma anche tutte le persone cheappartengono al loro gruppo sociale, che ne riconoscono lacapacità rinnovata di aiuto e di ascolto. Se ci guardiamointorno, vediamo che le donne anziane tengono in piedi ilmondo: non solo come nonne che aiutano spesso in manierainsostituibile ad allevare i nipoti, ma anche come assistentidei poveri e dei più anziani, come aiuto dei parroci nella vitadi parrocchia, dove spesso impegnano il loro tempoimprovvisamente libero. Ma anche, e non secondariamente,nella preghiera: le anziane sono capaci di sostenere perquesta via la vita delle persone care, che spesso non ne sononeppure consapevoli. Ed è risaputo, come conferma suorEmidia, intervistata in prima pagina, che le donne sannosopportare meglio la sofferenza fisica, e trasformare anche lecrescenti sofferenze in nuove opportunità per lo spirito. Lavecchiaia femminile quindi è potenzialmente carica di doni,tanto che gli uomini dovrebbero imparare da questo modello,come fa Simeone nel prendere in braccio il piccolo Gesù,rivelando una tenerezza materna. (lucetta scaraffia)

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Mensile dell’Osservatore Romanogiugno 2015 numero 36

A cura di LU C E T TA SCARAFFIA (coordinatrice) e GIULIA GALEOTTIRedazione: RI TA N N A ARMENI, CAT H E R I N E AUBIN, RI TA MBOSHU KO N G O, SI LV I N A PÉREZ

(www.osservatoreromano.va, per abbonamenti: ufficiodiffusione@ossrom .v a )

La nonna di GesùStoria di un culto antico

di GIULIANO ZANCHI

Q uando ai resoconti sociologicisull’habitat ecclesiale si obietta cheper avere una visione reale di unaparrocchia bisogna osservarla dal

di dentro, lo si può fare per una reazioneapologetica e istinto difensivo. Eppure si diceuna cosa vera. Le contabilità scientifichedell’umano fanno il loro mestiere. Proiettanosui fenomeni lo sguardo dei loro criteri disci-plinari. Come tutti i punti di vista selettivisono costrette ad astrarre, generalizzare, cata-logare. Producono naturalmente risultati uti-li. In qualche caso persino necessari. Nondi-meno non è il loro metodo che può circoscri-vere l’essenziale. Perché esso resta accessibilesoltanto guardando le cose con la perspicaciadello sguardo partecipe e può essere restitui-to soltanto nella forma del racconto che testi-monia.

mente severa, ma che ha modellato in lorouna identità. Questa solida formattazionedottrinale, che noi saremmo tentati di giudi-care con profondo senso critico, sta proprioalla base della loro capacità di comprenderee accompagnare con cordiale disponibilità letransizioni del concilio Vaticano II e la rifor-ma liturgica, con molto più senso ecclesialedi generazioni più recenti, rimaste più sguar-nite di una reale formazione credente.

Ho conosciuto Angelina appena diventatoparroco. Assieme a molte altre come lei, eral’anima delle liturgie quotidiane, semplici eu-caristie fatte di niente, nelle quali la preva-lente presenza di donne anziane garantiva atutta la comunità impegnata altrove il cari-sma dell’ascolto. In una comunità deve sem-pre esserci qualcuno che resta in ascolto delSignore che parla. Chi le immagina comepassive e ignare ascoltatrici di ogni razza dipredica si sbaglia di grosso. Comprendonocon materno silenzio l’annaspare dell’omiletainesperto o inabile. Ma sanno perfettamenteche la parola deve mirare più in alto. Equando la sentono, lo capiscono.

Sono anche donne assai preoccupate dellafrenesia e della libertà con cui le loro figlieaffrontano la vita, ma non rimpiangono affat-to il tempo in cui è toccato a loro essere gio-vani, raccontando con perfetta coscienza cri-tica i tempi in cui venivano mortificate inpubblico dal parroco per essere state a balla-re o per una manica appena troppo corta.

Gabriella ha 83 anni, ma ne dimostra al-meno dieci di meno. Siamo in una parroc-chia periferica della città. Con lei scambiodue parole sull’articolo che devo scrivere.Quando le dico che voglio scrivere il suo no-me, ride di gusto. Poi scambia con me qual-che idea. Ci tiene soprattutto a dirmi che ledonne anziane, detto senza retorica, sonoportatrici di una saggezza attinta dalla lungaobbedienza riservata alla vita, che non va in-tesa come passività agli eventi, ma come co-

no per la catechesi comunitaria. Non si fini-sce mai di imparare.

Parla di questo suo impegno con la passio-ne di chi ha piena coscienza di esercitare unministero prezioso all’interno della comunità.Ricorda i tempi della riforma conciliare,quando l’impazienza di molti preti era porta-ta ad archiviare disinvoltamente anche moltecose essenziali, come l’esercizio della cateche-si, che allora si chiamava dottrina.

A quel tempo, come è stata preziosa la co-scienza di molte donne che hanno chiestonovità e autonomia, è servita anche la pru-denza di molte altre che hanno aiutato aconservare quello che bisognava conservare.Gabriella mi butta lì alla fine una cosa chepuò sorprendere. Dice che sarebbe utile an-che sentire quello che hanno da dire le don-ne anziane che negli ultimi decenni si sonoallontanate dalla Chiesa. Forse, dice lei, per-ché non hanno trovato un loro posto, nonsono state sentite come una risorsa.

Flora ha quasi 78 anni. Vive in una mediaparrocchia vicino al lago d’Iseo. La sua è lastoria di una donna semplice, senza partico-

scienti risposte alla realtà. Gabriella è statainsegnante per molto tempo. In comunità èministro straordinario dell’eucaristia, fa partedel gruppo dei lettori, ma soprattutto siprende cura di un percorso di formazioneper altri anziani della comunità che si trova-

lari studi alle spalle, ma con l’acuminato sen-so critico della gente di paese, una intelligen-za istintiva che progredisce anche senza par-ticolari strumenti intellettuali. Come tante al-tre donne della sua generazione, è cresciutatra le fila di Azione cattolica, di cui per di-versi anni è stata presidente locale, un’appar-tenenza che ha tirato fuori nel migliore deimodi la sua passione e la sua attitudine perun cosciente sguardo sul mondo, sulla realtà,sui problemi della gente. I suoi figli hannoappreso da lei questa sorta di passione civileispirata da una spiccata coscienza ecclesiale.Hanno tutti mantenuto un forte legame conla comunità e si sono tutti buttati in attivitàso ciali.

Flora si è fatta una cultura attraverso lasua formazione cristiana. Per molte è statocosì. Hanno la quinta elementare ma hannoimparato la disciplina di uno studio dalla ne-cessità di acquisire strumenti di formazionespirituale. Lungo la sua vita ha visto passareun sacco di preti e si è misurata con una infi-nità di varianti pastorali. Ha attraversato tut-to con medesima disponibilità e rispetto, non

senza la capacità di vedere oltre le mode delmomento, padrona di un attento senso criti-co, di una distaccata prudenza, sempreespressa con un garbo, una gentilezza e unsorriso che potrebbe fare di lei un personag-gio femminile di Jane Austin. In questo mo-mento il suo carisma personale si spende nelservizio alla cura pastorale dei malati.

Angelina, Gabriella, Flora, non sono bril-lanti eccezioni. Fanno parte, al contrario, diuna schiera di donne che l’età non ha affattosottratto a un ruolo di decisivo sostegno diuna comunità. Non sono certamente quel de-trito di una morta tradizione che il luogo co-mune vorrebbe vedere in loro. Quando si at-tenuerà l’ipnosi collettiva per l’effimero idea-le di una perenne giovinezza il peso della lo-ro presenza sarà più facile da riconoscere. In-tanto voglio solo aggiungere che tutte loro,Angelina, Gabriella, Flora, e tutte le altre,non servono il Vangelo solo perché esercita-no un servizio o un ministero nella Chiesa.Hanno servito il Vangelo anzitutto vivendoda donne, amando qualcuno, lavorando so-do, mettendo al mondo dei figli, prestandola propria carne al rinnovarsi dell’enigmaumano. Hanno servito la Chiesa dando allaloro vita la forma del Vangelo. Hanno messoa disposizione il loro corpo e la loro vita perpermettere al Vangelo di prendere forma nel-la storia. Hanno onorato il ministero fonda-mentale del battezzato. Il ministero di fondodella Chiesa, senza il quale la via evangelicaresta invisibile e il tempo del Regno indesi-derabile.

Il saggio

La terza età«Per la società — diceva Simone deBeauvoir — la vecchiaia appare come unasorta di segreto vergognoso, di cui non stabene parlare». Per rompere quel silenzionel 1970 scrisse La terza età, in cui lavecchiaia è esaminata con profondità emeticolosità in tutti i suoi aspetti (storici,medici, filosofici, sociologici) in uncompendio che è ormai diventato unclassico. Come molti classici, dopo quasicinquant’anni, è da rileggere per scoprirecon qualche amarezza che, come diceva lascrittrice francese, ancora oggi «lacondizione dei vecchi è scandalosa».Anche oggi «essi non hanno le stesseesigenze e gli stessi diritti degli altrimembri della collettività: a loro si rifiutaanche il minimo necessario». Ma oggil’autrice — che nell’altro suo famoso libroIl secondo sesso aveva attaccato con unaveemenza inusuale per l’epoca (il librouscì in Francia nel 1949) i ruoli che ilpensiero maschile aveva attribuito alledonne — sarebbe consolata nel constatarela nuova dignità che le donne hannosaputo dare alla vecchiaia.(@ritannarmeni)

Il film

Ombre biancheUomo contro natura. E, soprattutto,donna contro natura. È una lotta impariquella raccontata dalla pellicola diNicholas Ray e ambientata al Polo Nord,Ombre bianche (1959). Una lotta in cui siinseriscono, con esiti disastrosi, la civiltà ele leggi occidentali. In un universoselvaggio e quasi disabitato, il cacciatoreInuk (Anthony Quinn) sceglie Asiak comecompagna di vita e, con generosità,prende a vivere con loro anche sua madre,«una vecchia inutile». Pauti, senza forze e

senza denti — lafiglia devemasticare per leiogni boccone —, èsolo un peso equando Asiak staper partorire, il suodestino diventainesorabile: come èusanza della suagente, vieneabbandonata tra ighiacci. Nel libroda cui è tratto ilfilm – Il Paese delleombre lunghe diHans Ruesch –

l’episodio ha una conclusione diversa.Asiak e il marito, che non hanno maiconosciuto un neonato, alla vista del lorobimbo senza denti restano atterriti epensano di ucciderlo. La vecchia Pauti,allora, ricorre a uno stratagemma che larenda nuovamente utile: promette allacoppia che in poche stagioni, con l’aiutodelle Potenze delle Nevi, lei lo avrebbeguarito. E così salva la vita al nipote eallunga la propria. Poi, tutto va comedeve. Nel bene e nel male: spuntano identi e Pauti diventa preda degli orsi.Tutto secondo una logica abominevole(ma, a ben vedere, non del tutto superata)per i lettori di altre latitudini e altri tempi.(@silviagusmano)

MIRIAM E MAŁG O R Z ATA

Mentre i governi europei discutono l’agendasull’emigrazione, la Fondazione Estera — creata inPolonia da Miriam Shaded, figlia di una polacca e di unpastore presbiteriano siriano — mantiene i contatti congruppi di cristiani a Damasco, Homs e Aleppo, dove sivanno intensificando gli attacchi dei jihadisti dell’Is. Lafondazione ha raccolto i mezzi necessari per ospitare inPolonia 300 famiglie cristiane cattoliche, ortodosse eprotestanti, per un totale di 1500 persone, di cui metàbambini e, molti, orfani. Tuttavia per farli venire inPolonia occorrono i visti, difficili da ottenere ancheperché l’ambasciata a Damasco è chiusa. Sostenuta dalsettimanale «Tygodnik Powszechny» di Cracovia, suorMałgorzata Chmielewska, fondatrice della comunità Panedella vita (che «donne chiesa mondo» ha intervistato loscorso gennaio), ha diffuso una lettera aperta al governoe al primo ministro Ewa Kopacz, chiedendo di accelerarele pratiche amministrative al fine di concedere ai siriani idocumenti necessari per il viaggio. «Fra un anno — scrivesuor Małgorzata — potrebbe essere troppo tardi. Noipolacchi, così duramente provati durante la secondaguerra mondiale e nel periodo comunista, abbiamo unastraordinaria tradizione di proteste contro le ingiustizie».

LE D ONNE DEL NE PA L

Con i mariti che lavorano all’estero — gran parte deglioltre 2,2 milioni di nepalesi oltremare sono uomini lecui entrate rappresentano oltre il venti per cento delprodotto interno lordo — sono migliaia le donne nepalesiche stanno affrontando da sole l’emergenza delterremoto, sommerse dai debiti, senza casa né aiuti. Lasituazione è particolarmente difficile nel villaggio diThailchok a Sindhupalchok, uno dei distretti più colpiticon 2500 morti e oltre il novanta percento delle case distrutte. Prive di qualsiasi supportopsicologico o morale, esposte ad abusi e malattie, sole aoccuparsi, nella tragedia, di figli e familiari anziani, ledonne dei lavoratori migranti sono ulteriormentesvantaggiate. Ad esempio, all’ora di pranzo in un campodi fortuna a Kathmandu, i sopravvissuti, in fila peravere gratuitamente cibo, rispettano un preciso ordine:prima gli uomini, poi i bambini, infine le donne. È lacultura del Paese. In un comunicato della ong localeWo m e n ’s Rehabilitation Centre si legge: «Le donnemangiano alla fine, di solito gli avanzi degli uominie dei bambini. C’è discriminazione, anche in tempi dicrisi». Ulteriori difficoltà le donne incontrano neltrasporto dei generi di soccorso, come i sacchi di risomandati dalle agenzie umanitarie. Vivono una sfida

dietro l’altra, ma non vogliono che i mariti rientrino inNepal per aiutarle, altrimenti la famiglia perderebbel’unica fonte di reddito.

INGEBORG, D OTTORATA A 102 ANNI

È probabilmente la più anziana dottorata della storia: a102 anni, infatti, la neonatologa tedesca IngeborgSyllm-Rapoport ha ricevuto il PhD dall’università diAmburgo settantasette anni dopo aver finito la sua tesi didottorato sulla difteria. Essendo infatti figlia di unaebrea — la madre era la celebre pianista Maria Syllm —nel 1938 non poté sostenere l’esame orale a causa delregime nazista. Ingeborg Syllm-Rapoport fuggì pocodopo dalla Germania, riparando negli Stati Uniti dovenon fu affatto facile affermarsi professionalmentesenza il documento che provasse i suoi studi. Ma lavoglia e la forza di lottare non hanno mai abbandonatoquesta donna, che non solo scelse poi di tornare inpatria — dove è diventata una stimata docente dineonatologia — ma decise che non avrebbe rinunciato aciò che ingiustamente le era stato tolto. «È unaquestione di principio» ha commentato ora finalmentesoddisfatta, «non una questione personale».

Il romanzo

Suor Giovannadella Croce

«Non aveva specchio per vedere il suoviso, ma sapeva che i solchi del tempo vierano impressi profondamente: eranocorti, sotto le bende, i suoi capelli, ma leisapeva che erano tutti bianchi. Adessocerte fatiche, certe astinenze, la trovavanodebole e scoraggiata. Adesso nellapreghiera, non trovava che dolcezza mollee quieta, mai più entusiasmo. Si sentivaed era vecchia». Così Matilde Serao inSuor Giovanna della Croce descrive la«sepolta viva» che per una improrogabilelegge dello Stato è costretta a lasciareinsieme alle sue consorelle il convento incui aveva vissuto fino ad allora. Tristezza,terrore, incertezza: sono questi isentimenti che si impadroniscono dellavecchia suora costretta a tornare nelmondo che ha lasciato. Povertà,privazioni, umiliazioni sarà quello che vitroverà. Matilde Serao con Suor Giovannaha scritto uno dei suoi romanzi più bellied emozionanti malgrado le critiche chelo accolsero quando iniziò a pubblicarlo apuntate nel 1901 su un quotidianonapoletano. Nella edizione della Bur ilsaggio introduttivo di Henry James neconferma un valore che per anni non le èstato riconosciuto. (@ritannarmeni)

Anna non è menzionataneppure una volta nei vangeli canoniciNe parla molto peròil Protovangelo di Giacomol’apostolo più volte citatocome “f ra t e l l o ” di Gesù

Con Maria e Gesùella forma la trinità “femminile”E ciò sottolinea ancora una voltail contributo delle donneall’Incarnazione

Sant’Anna trinitariadi Masaccio e Masolino

Un decisivo sostegnoDonne anziane raccontano il loro contributo alla comunità parrocchiale di appartenenza

Per annipresidente dell’Azione cattolica localeFlora vive in una parrocchia vicinoal lago d’IseoSin da giovane è stata animatada passione civileispirata dalla forte coscienza cristiana

Guidata da un senso giansenistadella disciplinae formatasi alla lucedi una severa cultura tridentinaAngelina era l’animadella liturgia quotidiana

Lin Delija, «Donne in preghiera»(1968-1975)

Va perciò imboccato l’indispensabile sen-tiero del racconto quando si vuole entrarecon qualche verosimiglianza in quella partedi Chiesa abitata da donne anziane, dalla lo-ro placida presenza, segnata, in quanto don-ne e in quanto anziane, da un duplice stigmadi minorità e soggezione. La convenzioneletteraria, quella delle sociologie come quelladelle antropologie, ha assestato la sua rap-presentazione nel ritratto oleografico che an-che la cinematografia continua a perpetuarecon più o meno involontarie derive caricatu-rali: la donna anziana col velo nero, preferi-bilmente del sud, preferibilmente illetterata,avvolta nella nube del dialetto, scontato so-prammobile del rito religioso, compulsivaconsumatrice dei più arcaici prodotti del sa-cro. Insomma materia base della documenta-ristica etnologica che si esercita sui costumidi un’antica civiltà rurale con lo stesso sguar-do alieno e compiaciuto con cui un etologosi occuperebbe dei riti di corteggiamento diuna curiosa specie animale.

Per uscire da queste sabbie mobili dellanon conoscenza bisogna invece raccontarestorie di persone vive, che si incontrano nellacomplessa alchimia della vita reale delle no-stre comunità, esperienze uniche e irripetibili,vite straordinarie, insospettabilmente avvin-centi.

Mi piacerebbe per esempio che il lettoreavesse conosciuto Angelina, morta pochi me-si fa all’età di 96 anni, donna di raro tempe-ramento e con una voce subissante. Ho co-nosciuto Angelina facendo il parroco in unapiccolissima comunità ai lembi estremi delladiocesi di Bergamo. Appartiene a quella ge-nerazione di donne che hanno tirato su i figlinel primo dopoguerra, quasi con niente, gui-date da un senso quasi giansenista della di-sciplina che si respira ancora da queste parti,formate nella loro infanzia e nella loro giovi-nezza da una cultura tridentina indubbia-

Gabriella ha 83 anniMinistro straordinario dell’eucaristiafa parte del gruppo dei lettorie cura un percorso di formazioneper suoi coetanei

Innocente Salvini, «Mia madreaccanto al fuoco» (1925)

di LU C E T TA SCARAFFIA

L’arte sacra non ha maidato spazio alle donneanziane: Maria e le san-te sono sempre giovanis-sime, o ritratte in un’im-

mobile bellezza regale senza età. Solola raffigurazione di Anna, madre diMaria, fa eccezione a questa regola, eanche questa non sempre: Leonardo,ad esempio, nella meravigliosa operaconservata al Louvre in cui ritrae Annacon la Vergine e il Bambino, la dipingegiovane e bellissima come la figlia. Mala sua resta una delle poche eccezioni.

Nella serie imponente di opere nellequali Anna è raffigurata, la troviamonettamente differenziata dalla figlia,giovane o giovanissima, sia per i trattidel volto che per i colori e la foggiadei vestiti, la statura e vari altri segni,che ci permettono di ricostruire, attra-verso il suo esempio, l’immagine delladonna anziana nella società e nella tra-dizione cristiana per un lunghissimo

arco di tempo. Più raramente il suovolto è solcato da rughe, per daremaggiore verosimiglianza alla sua età:la donna vecchia era percepita come fi-gura inquietante, invidiosa delle donnegiovani e belle, che potevano ancoragenerare. Non per nulla, per alcuni se-coli, ogni donna anziana era considera-ta potenzialmente una strega.

Il numero delle opere dedicate rivelal’importanza della madre di Maria: lanonna di Gesù è oggetto di un cultoantico e fiorente, anche se non è men-zionata neppure una volta nei vangelicanonici. Ne parla molto, però, il P ro -tovangelo di Giacomo, cioè il testo attri-buito all’apostolo che è stato citato piùvolte come “fratello” di Gesù e quindiconsiderato suo parente stretto, chepoteva essere al corrente delle storie difamiglia. Ad Anna, nata in una fami-glia della tribù di Giuda — anch’essaquindi di stirpe reale come Giuseppe —era anche attribuita una sorella, poimadre di Elisabetta, che partorisce asua volta Giovanni Battista. Il suo ma-

come santa dei minatori — veste nellaquale la conobbe Lutero, figlio di unminatore, e in gioventù a lei devotissi-mo — che alcuni interpretano come«colei che conserva nelle viscere ungioiello». Altri invece preferiscono at-tribuire questa qualifica all’assonanzadel suo nome con quello della dea cel-tica della montagna, Ana.

Su queste notizie, per un certo versoanche inquietanti, si costruisce il cultoalla nonna di Gesù, confermato poidalle visioni di santa Coletta — all’ini-zio irritata dalla complessa vita matri-moniale di Anna, poi sua grande soste-nitrice — in base alle quali si costruisceanche un nuovo modello iconografico,quello della Santa parentela.

A parte questo testo, la storia di An-na è soprattutto una storia di immagi-ni, che sono particolarmente eloquentie aprono scenari insospettati. Annaviene ritratta da sola molto raramente,di solito è con la Vergine e il nipotino,ma in molti casi, specialmente nel norddell’Europa, accanto a lei si accalcano inumerosi discendenti che, uniti ai ma-riti e alle sorelle, possono far arrivare ipersonaggi ritratti addirittura a 29.

Ma il numero a lei più spesso colle-gato è il 3: anche se, nella sua primaimmagine, un affresco a Santa MariaAntiqua, accanto a lei sono dipinte al-tre due madri, Maria ed Elisabetta, il

trio più diffuso è quello con la figlia eil nipotino, tanto che queste operevengono abitualmente chiamateSant’Anna trinitaria. Questo trio puòessere raffigurato in orizzontale, mapiù spesso è su scala verticale, e Annalo domina, per statura e imponenzaprotettiva. In una società patriarcalequesta immagine, dalla quale sonoespunti sia Gioacchino che Giuseppe,offre un esempio di potere matriarcale.È evidente — e lo si deduce già dal no-me — che le tre figure sembrano ripro-porre, in dimensione umana e femmi-nile, la Trinità. In alcune opere, comela Sant’Anna trinitaria di Masaccio eMasolino conservata agli Uffizi, questasomiglianza con il modello trinitario èevidente, e sicuramente ricercatadall’artista stesso, e del resto ci sonoalmeno due chiese — una a Firenze euna a Como — nelle quali alla trinità“femminile” viene affiancata quella“maschile”, con il Padre che tiene sulleginocchia il Figlio crocifisso mentre sudi loro vola la colomba che raffigura loSpirito santo. La parentela umana, cor-porea, di Gesù, costituisce una trinitàfemminile e umana che si affianca aquella divina, sottolineando una voltadi più il contributo femminile all’In-carnazione.

La Santa parentela, invece, che offrel’occasione di raffigurare tante persone

di età diverse e che allude chiaramenteall’importanza della famiglia e del li-gnaggio, con il suo ricondurre anchel’adesione degli apostoli principali aun legame di famiglia si distacca visto-samente dall’universalità del messaggiodi Gesù.

Anna può anche essere inquietante:nella xilografia di Hans Baldung del1511, in cui, seduta accanto alla Vergi-ne, tiene tra le mani l’organo sessualedel Bambino, il suo volto non è certobenevolo. E capiamo allora perché pa-re così allarmato Giuseppe, che con-trolla la scena dall’alto di un muretto.Forse si tratta solo di una delle tanteopere in cui la sessualità di Gesù Bam-bino viene esibita per rafforzare il dog-ma dell’Incarnazione, ma uno storicodel Rinascimento, Jean Wirth, sospettainvece che quest’opera riveli come An-na, in quanto donna anziana, fosseconsiderata una strega. E vede in que-sto la prova di quanto fossero conside-rate inquietanti e sospette queste don-ne, che del resto — data la brevità della

munque avuto un riflesso sociale posi-tivo nel favorire l’alfabetizzazione delledonne, e più in generale la loro dime-stichezza con il mondo della lettura.

Anna viene così privata del suo po-tere — sia positivo che negativo — ma

trimonio con Gioacchino è se-gnato da vent’anni di sterilità,per la quale l’uomo viene

schernito al tempio. In ri-sposta alle preghiere di

Anna, arriva una gra-vidanza insperata: na-sce Maria, che vienedonata al tempioall’età di tre anni. Mala storia di Anna nonfinisce qui: mortoGioacchino, sarebbeandata in sposa suc-cessivamente ai suoidue cognati, dai qualiavrebbe avuto altredue figlie, tutte dinome Maria, a lorovolta madri di figlimaschi che sarebberodiventati apostoli diGesù. Questa storiaviene ripresa — e resacelebre — dalla Legen-da aurea di Jacopoda Varagine, nella Vi-ta della Vergine.

Non ci dobbiamostupire, allora, chequesta improvvisa einsperata fertilità diAnna l’abbia fatta di-ventare la protettricedelle donne sterili edelle partorienti. Me-no evidente inveceappare la sua carriera

acquista il ruolo di educatrice, di coleiche trasmette la tradizione della fede,che sarà poi proposto a tutte le donnenell’Ottocento. Ed è l’ennesima provache i simboli femminili, nella tradizio-ne cattolica, sono sempre stati moltoimportanti e ricchi di significato.

vita umana, e soprattutto di quellafemminile, decimata dai parti — nondovevano essere numerose.

Dopo la spaccatura di Lutero, sulleimmagini di Anna pesarono molto lecritiche dei protestanti, così che dopoTrento vediamo che la sua raffigura-zione subisce un profondo restyling:scompare definitivamente come sog-getto la Santa parentela (di impian-to decisamente matriarcale), cheviene sostituita dalla Sacra fa-miglia, dove un posto im-portante occupa Giu-seppe. Anna può es-sere aggiunta, ma lapresenza di Giusep-pe diventa obbliga-toria — talvolta ri-compare perfinoGioacchino — e la fi-gura della nonna,dipinta ormai deci-samente come anzia-na, diventa margina-le. Oppure può ave-re ancora un postoper sé, accanto allafiglia, mentre le in-segna a leggere.Quest’ultimo tipo diraffigurazione — an-che se si può consi-derare una diminu-zione rispetto alruolo dominante diprotettrice che svol-geva prima — ha co-Hans Baldung (1511)

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Invecchiare bene

Quell’abbraccioquasi materno

Una versione più ampia di questo articolo esce su «La Rivista delClero italiano».

di LUCIANO MANICARDI

Il Nunc dimittis è il breve inno che la Chiesa fa pregare acompieta, alla fine del giorno, come ultime parole di fedeprima di entrare in quel sonno che è simbolo della morte.È anche il canto della sera della vita, pronunciato da unSimeone ormai prossimo alla morte, ed è per noi memo-

ria dell’«ora della nostra morte», come recita l’Ave Maria. Sitratta dunque di un atto, pregare il Nunc dimittis, che rientranell’ormai scomparsa arte di prepararsi a morire. E prepararsi, semai ci si può preparare a quell’evento della morte che sempre cicontraddice e sorprende, nella fede.

La grandezza di Simeone è nella sua umiltà. Nella semplicitàdei suoi occhi che vedono la salvezza nella carne di un neonato,di una nuova vita da poco sbocciata, nella tenerezza del suo ab-braccio al piccolo, nella disponibilità a fare spazio ad altri, nellaprontezza a farsi da parte, a cedere il passo, a lasciare il posto, adiminuire perché altri cresca. Contento che altri cresca. Propriocome Giovanni Battista: «Lo sposo è colui al quale appartiene lasposa; ma l’amico dello sposo, che è presente e l’ascolta, esultadi gioia alla voce dello sposo. Ora questa mia gioia è piena. Luideve crescere; io, invece, diminuire» (Giovanni, 3, 30).

Nessuna traccia di quella gelosia spesso tipica degli anziani neiconfronti di chi viene dopo di loro, nessun sospetto e diffidenza,nessuna invidia, ma la gratitudine, la gioia serena e pacata. Si-meone è invecchiato bene.

«C’era un uomo a Gerusalemme di nome Simeone». Così ini-zia il nostro breve racconto. Anzi, il testo inizia con quell’«ed ec-co» che nel terzo vangelo introduce spesso una rivelazione,esprimendo l’invito a fare attenzione, a guardare con attenzioneper vedere nell’opacità del quotidiano lo straordinario di Dio.Ovvero, per fare ciò che sa fare Simeone, il quale riconosce nelbambino il messia di Israele, la salvezza di Dio. «C’era un uomoa Gerusalemme». Chi era quest’uomo? Il suo nome, Simeone,rinvia all’ascolto, shamà in ebraico. E l’ascolto di cui Simeone siè mostrato capace per tutta la vita è stato senz’altro anzituttol’ascolto delle Scritture. Le profezie di Isaia echeggiano nelle pa-role dell’anziano: «Tutti i confini della terra vedranno la salvezzadel nostro Dio» (Isaia, 52, 10); «Si rivelerà la gloria del Signoree ogni carne la vedrà» (Isaia, 40, 5); «Io ti renderò luce dellegenti perché tu porti la mia salvezza fino all’estremità della ter-ra» (Isaia, 49, 6). Questi, ma anche diversi altri testi veterotesta-mentari stanno dietro le parole di Simeone e dicono di una fedeforgiata negli anni sulle Scritture fino a scolpire nel cuore di Si-meone una speranza salda, una fede solida. Che non si lasciamettere in scacco nemmeno dalla morte.

L’ascolto delle Scritture poi per Simeone è stato ascolto che hacreato un ponte con la vita, con la sua vita, è stato un ascoltoche gli ha consentito di sentire la promessa profetica delle Scrit-ture, la promessa di Dio come rivolta a sé: lui stesso vedrà la sal-vezza di Dio. Isaia diceva che ogni carne vedrà la salvezza diDio, ma perché la veda ogni carne, la deve vedere quella carneche io stesso sono. E Simeone vede, vede perché ha ascoltato. Si-meone ascolta, ma ascolta con fiducia, egli crede che ciò che laScrittura dice è parola di Dio rivolta a sé: egli crede alla promes-sa di Dio. Ecco l’ascolto efficace: l’ascolto che crede. E suscitan-do fede, crea un corpo e una mente aperti, accoglienti, ospitali.Ciò che ha consentito a Simeone di invecchiare bene è stato an-zitutto l’ascolto, la capacità di fare spazio alla parola e alla pre-senza di un Altro, ma anche di altri. Tanto che alla fine della vitaegli riesce ad accogliere anche fisicamente, nelle sue braccia, ilbambino in cui riconosce la salvezza di Dio. La capacità diascolto si manifesta in capacità di accoglienza. E così è l’i n t e rosuo corpo che viene scolpito dall’ascolto e diviene non geloso,non timoroso, non angosciato, non ripiegato su di sé, ma acco-gliente, capace di ospitalità. Non sulla difensiva, ma apertoall’a l t ro .

Di Simeone si sottolineano gli occhi e le braccia: i suoi occhianziani sono ancora capaci dello stupore di chi guardando vedenell’altro non un rivale, non una minaccia, non uno che prende ilsuo posto e gli toglie spazio e libertà, non un nemico, ma un sa-cramento della salvezza. Noi siamo salvati attraverso gli altri,grazie agli altri. Spesso gli altri sono per noi motivo di lamento edi stanchezza e di frustrazione, ma in verità, la salvezza ci rag-giunge attraverso gli altri. Noi vediamo la salvezza grazie agli al-tri. Il suo sguardo di anziano non è sospettoso, diffidente, pau-roso, ma tenero. Ha saputo sviluppare quella dote di tenerezzache è così preziosa e rara. Soprattutto nei maschi. E questo simanifesta anche in quell’abbraccio quasi materno con cui egli ac-coglie il bambino, quasi cullandolo, con dolcezza.

Il corpo di Simeone non è rigido, chiuso, respingente, ma lu-minoso, caldo, accogliente. Cercando di immaginare Simeonevien da pensare alla figura del k a l ó g h e ro s della tradizione orienta-le, l’anziano “b ello”, scavato e plasmato da una vita di obbedien-za, di fede. Un corpo che è Vangelo, che è narrazione evangeli-ca. Non è un evangelizzatore, ma un uomo divenuto Vangelo.Un po’ come Francesco di Assisi, di cui si dice che era non tam-quam orans, sed oratio factus («non come uno che prega, ma dive-nuto preghiera»).

Il quarto votoCarola Susani racconta la santa del mese, Paola Frassinetti

Paola Frassinetti nacque il 3 mar-zo 1809, a Genova, nel quartie-re di Portoria. Come scrive Ro-sa Rosetto, Portoria era quasicampagna allora, con villette e

case contadine. Suo padre, Giovanni Bat-tista, aveva un negozio di stoffe. Sua ma-dre, Angela Viale, aveva messo al mondodieci figli. Di questi ne erano sopravvissuticinque.

Alla morte della mamma, Paola — unicafemmina tra quattro fratelli — aveva noveanni. Di sicuro è stata proprio Angela afare della religiosità l’aria della casa, il pa-ne quotidiano dei suoi figli. Giuseppe,Francesco e Paola che erano più grandiraccolsero il testimone direttamente da lei,gli altri dai fratelli: i quattro maschi furo-no sacerdoti e Paola fondò una congrega-zione.

Finché Angela era viva, Paola stava conlei, l’aiutava, cuciva, lavorava a maglia; sidilettava già in piccole tenzoni con sestessa, come vincere la paura del buio oalmeno attraversarlo senza che nessuno siaccorgesse di quanto per lei era duro. Iprogetti di un’educazione fuori casa non siconcretizzarono, e Paola ebbe come inse-gnanti madre, padre e fratelli, fu capace diconcentrarsi tanto da imparare il più pos-sibile da ognuno. Era ostinata, quando letoccava un lavoro nuovo pensava: «Chi hafatto questo lavoro aveva due mani, dueocchi come me».

Alla morte di Angela, la zia Anna, cheabitava in casa con loro, la manda a con-trollare la donna che deve vestire la salma:per Paola, come per tanti scrittori dell’O t-tocento, stare davanti al corpo morto diuna persona amata è un’esperienza scon-volgente e atroce. Paola impegna un’interavita per capovolgerla, perché la morte nonvinca. A nove anni accudisce il padre e ifratelli. Comincia il suo ciclo di capovolgi-menti, del suo destino fa una scelta: sisveglia prima di tutti e sveglia i fratelli,ma per essere sicura di riuscirci dorme ve-stita, con il bustino stretto. Del sacrificio,fa la sua forza; della sua fragilità, unoslancio.

Paola desidera farsi suora, e la tensionecon il padre che non le accorda il permes-so dura a lungo, fra irrigidimenti e con-cessioni. Quando suo fratello Giuseppeprende la cura di San Pietro di Quinto al

mare, chiede al padre di mandargli Paolacome aiuto. Lei ha ventidue anni, una vitainteriore vivacissima e ora scopre tutt’in-sieme lo slancio attivo — che sarà per leisempre verso l’educazione — e l’amicizia:dev’essere stata un’euforia.

Sono le ragazze a cercarla, figlie di con-tadini e marinai. Marianna Danero, chesarà sua amica e consorella, dice che a in-contrarla provò un «contento che non sipuò spiegare». Insieme passeggiavano fraulivi e vigne. Un gruppo di ragazze pove-re si raccoglie attorno a Paola e attraversosuccessi e fallimenti, rinunce e ricostruzio-ni, con l’aiuto di don Giuseppe e di donLuigi Sturla mette su un istituto per l’edu-cazione delle ragazze povere.

Erano senza soldi, in molte, Paola com-presa, fragili fisicamente e, a parte Paola,senza formazione. Era il 1834, presero inaffitto “la casina”, padre Bresciani pagòl’affitto. Nel 1835, don Luca Passi — p ro -motore dell’Opera di santa Dorotea e sanRaffaele, che aveva per scopo l’educazionedei ragazzi e delle ragazze — coinvolsePaola, e così le sorelle insieme ai voti dipovertà, castità e obbedienza, fecero votoanche di sostenere l’Opera di santa Doro-tea. Dopo il colera, la crisi di sfiducia del-le compagne e del paese, il padre che da-vanti all’istituto cacciava le ragazze gri-dando «Paolina è pazza», la pace rinnova-ta e approfondita con lui, il rifioriredell’opera, nel 1841 Paola parte per Roma.

All’inizio — sono in tre, lei e due com-pagne — alloggiano in un locale piccolo esporco sopra le scuderie dei principi Tor-lonia. La povertà, l’incertezza della sussi-stenza sono vissute da Paola come unosprone, una provocazione a immaginare.Nel 1842 fonda la prima scuola a SantaMaria Maggiore, poi ne nascono in altreparrocchie e a Macerata. Ha il sostegno diGregorio XVI, il sostegno e l’amicizia diPio IX . Prende in carico il conservatorio aSant’Onofrio al Gianicolo.

Nel 1849, a conclusione della breve vitadella Repubblica romana, mentre il Papa èfuggito a Gaeta, le truppe francesi e i vo-lontari della Repubblica si scontrano aRoma. Uno dei campi di battaglia è pro-prio lì, vicino a Sant’Onofrio. I repubbli-cani malconci e assetati chiedono aiuto, lesuore prendono l’acqua dal pozzo per lo-ro, nutrono i combattenti, curano i feriti. Irepubblicani riconoscono a Paola e allesue suore un’ampiezza, una generosità chenon avevano previsto, così le rispettano in

modo anche po’ teatrale: fanno loro il sa-luto militare.

Mentre Paola era ancora in vita, ci fu lafondazione di case di Santa Dorotea inBrasile e in Portogallo. Nel 1876 vennecolpita da una paralisi. Ci mise un meseper riprendersi e, recuperate in parte le ca-pacità motorie, ricominciò a darsi da fare,spendendosi senza tregua, e di se stessadiceva: «Io sono il Giona dell’istituto».Morì nel 1882, e nel 1984 è stata canoniz-zata da Giovanni Paolo II.

Carola Susani ènata nel 1965 inVeneto e a quattroanni si è trasferitacon la famiglia inSicilia. Ora vive aRoma. Nel 1995 èuscito il suo primoromanzo Il libro diTe re s a (Giunti). Hascritto per adulti eper ragazzi,romanzi e raccoltedi racconti. Fra glialtri: L’infanzia è unt e r re m o t o (Laterza2008), a metà traautobiografia ereportage narrativo,il romanzo E ra v a m obambini abbastanza(Minimum Fax2012), il libro perragazzi Susan laP i ra t e s s a (Laterza2014). È redattricedi «Nuovia rg o m e n t i » .

Nel 1849 i repubblicanisono colpitissimi dall’enorme generositàdi Paola e delle sue suoreAl punto da far loro il saluto militare

È

donne chiesa mondo giugno 2015

Elena Buia Rutt, classe 1971,vive a Roma. Collabora allepagine culturali di quotidiani eriviste. Ha scritto saggi suPier Vittorio Tondelli e Flan-nery O’Connor e tradotto opereinedite di Mary Oliver, Flan-nery O’Connor e Rowan Wil-liams. La sua prima raccoltadi poesie Ti stringo la manomentre dormi ( Fu o r i l i n e a2012) è entrata nella terzinafinale del premio Fogazzaro. Èin uscita a giugno Il mio cuo-re è un asino, secondo volumedi poesie, per la casa editriceNottetempo.

In famiglianon si getta mai la spugna

di ELENA BUIA RUTT

NOTTE E ALLORA SCRIVO: i nostriquattro bambini si sono appenaaddormentati nei loro letti; lemagliette con le macchie di sugo,cioccolato e fango riposanoinvece in candeggina. Mio marito,dopo averli fatti capitolare conminacce, promesse e l’ennesimalettura dell’Isola del Tesoro,corregge i compiti dei suoistudenti, su una sedia chescricchiola ogni volta che cercauna posizione più comoda. Manon c’è niente di comodo in

famiglia: né sedie, né letti, né relazioni. Lafamiglia piacevole, pacifica e armoniosa è unatrovata pubblicitaria, un’etichetta devota ouna sovrastruttura ideologica, cavalcata daquei suoi detrattori, che la dipingono comeun rifugio meschino e claustrofobico. Eppure,la famiglia è un ambiente ampio e convulso,che richiede risorse ed energia, che abbisognadi passione e pazienza: che richiama una vitaa dispiegarsi con pienezza. In famiglia, laparola “distacco” è bandita, i legami sonoravvicinati: si è tutti coinvolti in un grovigliodi relazioni, a cui è impossibile sottrarsi e chebisogna, volenti o nolenti, affrontare. Se gliamici li scegliamo, se i nemici ce li facciamo, icosiddetti parenti li troviamo già fatti: se traconoscenti esiste un limite, definibile come“risp etto” o forse “sana ipocrisia”, in casa ledistanze si accorciano e gli spazi sisovrappongono. La famiglia diviene il ringdove le libertà dei suoi membri si incontranoe si scontrano, più o meno sportivamente. Ilmatch è infinito e il kappaò è un lusso chenessuno può concedersi: in famiglia le siprende e le si dà, ma non si getta mai laspugna. Eppure, proprio questo pomeriggio,mentre aspettavo nel corridoio della Asl miofiglio Thomas che faceva logopedia, hosentito una madre convenire con un’altra sucome la vita familiare fosse noiosa, ripetitiva,limitata e frustrante. Ecco, io allora mi sonoguardata e mi sono vergognata della macchiadi crema di riso in evidenza sulla manica

della mia maglietta, dei gioielli che non hopiù tempo (e forse neanche più voglia) dimettere, delle scarpe da ginnastica dalla telaormai logora, del cellulare con il displayappannato dalle ditate dei miei figli. Madopo quell’iniziale stordimento, un rombosordo, procedendo dalle viscere, ha iniziato asuonare le trombe della controffensiva. Eallora avrei voluto chiedere a quelle madriannoiate e disincantate, che cosa hannoprovato, ad esempio, quando hanno sentitoper la prima volta nel ventre un battito d’alidi farfalla, a chi hanno tenuto stretta la manomentre i loro figli nascevano, a quale santo sisono raccomandate quando, giovani einesperte, sono arrivate a casa dall’osp edalecon la carrozzina ultimo modello e un bebèurlante che da lì in poi avrebbe pretesomolto, se non tutto. Vorrei sapere poi dellaloro preoccupazione per il primo vaccino,della trepidazione per la recita di Natale ascuola, della loro rabbia per l’imperitura seriedi liti sul come vestirsi, cosa mangiare equando spegnere, a sera, la televisione o ilcomputer. E poi ho alzato, o dovuto alzare,gli occhi su Miriam, che mi balbettava lalezione di storia sugli Achei, mentre Angelicanon mollava la presa del mio collo, cercandodi ottenere almeno un giro di «sedia sediola»sulle ginocchia. Il tutto nel corridoio grigio esporco di una Asl, dove un’ora di attesa inquelle condizioni corrisponde alla tredicesimafatica di Ercole, tanto per rimanere in ambitogreco. Ma le fatiche di Ercole sono tuttofuorché noia: sono avventure. Sonolimitazioni e prove che l’eroe della storia devesuperare e vincere, con il corpo e con lamente, e il vero eroe, anche se a volte esseresemidio non guasterebbe, non è onnipotente,altrimenti la storia si concluderebbe sulnascere. L’eroe autentico è umile: è uncomune mortale, che accetta di immergersicompletamente nella verità dell’esp erienza,mettendosene al servizio. La vita familiare èproprio ciò che ci inserisce quotidianamentein situazioni inaspettate, imprevedibili: comeper i protagonisti di un romanzo, il nonaverne il controllo è il prerequisitofondamentale del potervi prendere parte. Ecosì, nonostante il mio smartphone mitentasse all’oblio dell’isolamento, non gli hoceduto, e la partenza degli Achei per Troia èdiventata l’occasione per discutere di unpadre che sacrifica la figlia per propiziare iventi, di una donna che scappa per amore,del valore della bellezza interiore ed esteriore.Miriam, che ha nove anni, ha mostrato ideemolto chiare sull’importanza che il cuore, piùche la chioma bionda, debba essere «al postogiusto», mentre Angelica, pur capendo itermini della tenzone, non ha mollato laposizione di predominio in braccio a me e harincarato la dose, iniziando a recitare una

poesia imparata la mattina stessa all’asilo.Miriam, infine, ha stabilito che quest’estatesaremmo andati in Grecia, a vedere la portadei leoni di Micene e io, nonostante ilpensiero di quattro bambini sotto il sole apicco d’agosto, ho detto «perché no?».Eppure, il pensiero dominante imporrebbe,per un’estate che si rispetti, spiaggia eombrellone con contorno di madri snelle,padri possibilmente tatuati, figlie ballerine dibaby-dance e figli campioncini di calcetto.Ma al “godimento convenzionale”, la famigliaè in grado di opporre un “godimento libero”,dando prova, in un inaspettato ribaltamentodi prospettiva, della sua intrinseca naturaanarchica, irriducibile a ogniirreggimentazione sociale. È solo nell’ambitodi quell’ambiente domestico, foriero dicomprensione e umorismo, infatti, cheThomas, vestito da Zorro, mangia i calamari,con i guanti di raso nero o che Miriaminterpreta appassionatamente in salotto LucyIn The Sky With Diamonds, incurantedell’ennesima boy-band alla moda, di cuiparlano le sue amiche a ricreazione. Nelmondo esterno si va in divisa, anche se fattadi giacca e cravatta, si intona tutti la stessacanzone, perché è lì, più che in famiglia, chevige una rigida disciplina e un’a l t re t t a n t origida routine, imparagonabili con

l’indipendenza vissuta in casa. La famiglia èl’alveo che protegge la libertà personaledall’aggressiva standardizzazione (scambiataper stimolante dinamismo) che ringhia nelmondo esterno. Le pareti domestiche, inoltre,racchiudono una quotidianità ricca diaffettività e rimandi spirituali, dove,nonostante la fatica e la ripetitività, l’opacitàdei giorni si apre a una bellezza inspiegabile eimprovvisa, a una dimensione vitale e sorgivadell’esistenza. Per quel che mi riguarda, hoiniziato a scrivere poesie perché spinta daquesta eccedenza di vita, da una meravigliainaspettata e radiante che non poteva esserepenetrata dal pensiero logico, ma solamentebalbettata, rappresentata e contemplata dalverso lirico. La vita familiare, sommersa nellanostra società da una retorica sentimentale eda stereotipi commerciali, si è rivelata essereuna palestra dello spirito, un modo perintuire la trascendenza che irrompe nellarealtà di tutti i giorni. La morte di un pescerosso, poiché seguita dallo sgomento deibambini, richiede risorse per rispondere adomande fondamentali di senso; le vasche, inuna piscina di periferia, si attraversano solocon l’incoraggiamento dello sguardo dellapropria madre, in trepidazione dietro al vetro;la lotta quotidiana non concede tregua allastanchezza dei genitori, che combattono comeleoni per ciò che di più caro hanno al mondo.E di queste cose ho scritto. Le prove concrete,che l’esperienza della famiglia comporta,stimolano la creatività e affinano una vitadello spirito che intraprende con Dio undialogo personale, dalle modalità nonconvenzionali. Si tratta per lo più di unaconversazione costante, non codificata, cheavviene in qualsiasi luogo e in qualsiasimomento: che nasce dall’urgenza di chiedereaiuto e dall’impellenza di rendere grazie. Làdove c’è tanto amore, complesso,aggrovigliato, straripante, si invoca laprotezione di Dio, a lui si chiede consiglio;come pure a lui si rende grazie quando si è“o rd i n a r i a m e n t e ” inondati da una bellezza percui un cuore solo non sembra bastare. Così,quando siamo tutti a tavola e penso che, perl’incidente che mio marito ha avuto mesi fa,avremmo potuto non essere mai più sedutiinsieme, ringrazio Dio, come pure quando,esausta, vedo Emily spalancarsi in un sorrisofurbetto appena la sollevo dalla carrozzinadove si disperava. Insomma, la famiglia èun’esperienza che va vissuta fino in fondo esenza compromessi perché diventi una realeopportunità di crescita e maturazione eperché il nostro amore imperfetto,recalcitrante, contraddittorio si corrobori, sifortifichi e infine si dispieghinell’imprevedibile e sorprendente avventuradella vita.l’a

utric

e

Andrea Mantegna, «Incontro»(1465-1474, Camera degli Sposi,Mantova, particolare)

Il pesce rosso e i due leoni

IL PESCE ROSSOTutti fanno cose.E al termine del giornosuggellanola paginacon la parola fine.Io invece passo il temposotto al tavoloraccogliendo i tappi dei pennarellicadutiai miei bambini.E ancorae ancora.Ma oggi pomeriggioseppelliremo il pesce rossonel vaso del rosmarinosul balcone.Io e voiinsiemeper la prima volta— per mano —nel gravido ventredella morte.

AT T R AV E R S A R E L’AT T E S ANon è questione di tecnicama una vaga intuizione di gioiail vostro attraversare sorridendola linea retta di quest’acquaincrespata appenadal tran-trandi piccoli nuotatoriche — al contrario di voi —faticano ciechiverso un bordo qualunque.E io — schiacciata al vetrodi questa piscina di periferiadove i suoni rimbombanoe il vapore confonde —capisco che esser madresignifica questo:guardare voi che guardate me

dai blocchi di partenzadi un altro mondo:un attimo prima chevi tuffiatescomposti e trionfantiper attraversare l’attesa.

I DUE LEONIDue vecchi leoniabbandonatial primo sole di marzonella savana posticciadello zoo di Roma.Io e testaremmo benefinalmente distesiuno accanto all’a l t roincurantidell’adrenalina sbruffonadella genteche ci fischiae batte i pugnisul vetro del recintore c l a m a n d ouna posa adeguataper i suoi scattida cellulariultimo modello.E p p u reun ruggitotremendo e improvvisopotrebbe ghermirlifin nel parcheggio all’uscitarestituendo loroanche solo per un attimoun cuore selvaggioche lottacon gli artigli e con i dentiper ciò chedi più carohanno al mondo.