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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA ANNO ACCADEMICO 2010-2011 MASTER IN COMUNICAZIONE DELLE SCIENZE DONAZIONE E TRAPIANTI: UN MANUALE PER GIORNALISTI Come comunicare la morte determinata con criteri neurologici Tesi di Fabio Cian

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Una telefonata, all’improvviso: un familiare è ricoverato in ospedale in gravi condizioni. Lo shock emotivo è tremendo. Di corsa all’ospedale. La ricerca del reparto di rianimazione sul tabellone d’ingresso. E si attende. Ore ed ore nell’attesa di un miglioramento. La tensione cresce con l’alternarsi di disperazione e speranza, di aspettative e rassegnazione. I medici stanno facendo tutto il possibile per salvarlo. Ma dopo un po’ escono per avvisare che sono iniziate le procedure di osservazione per poter constatare la morte con criteri neurologici. Eppure il cuore batte ancora. Il respiratore fa entrare l’aria nei polmoni. “Cosa vorrà dire morte con criteri neurologici?”. Dopo sei ore la conferma: l’encefalo ha cessato tutte le sue funzioni. In un salottino viene quindi chiesto se il congiunto avesse mai espresso il desiderio di donare gli organi e se gli stessi familiari vogliano acconsentire al prelievo. Una richiesta difficile, in un momento drammatico, arrivato all’improvviso, in una giornata qualunque. In questo momento riaffiorano tutte le domande e le angosce dell’uomo: “Sarà davvero morto? E se poi succede come quel tizio che in America si è svegliato? Sul giornale della settimana scorsa ho letto proprio così!”. Uno dopo l’altro vengono a galla i ricordi di notizie lette al bar sorseggiando il caffè, sentite superficialmente alla televisione durante la cena (“Possibile che debbano sempre parlare di cose tristi mentre stiamo mangiando?”), o di quel discorso fatto in prima serata dal mattatore di turno che tiene incollato allo schermo milioni di telespettatori. E nella mente si crea un minestrone di informazioni sconnesse ma ben presenti che, una dopo l’altra, rischiano di annebbiare e rendere questa scelta sempre più difficile. Si cerca disperatamente qualcosa che possa fornire un appiglio, ridare un briciolo di speranza, per dire ai medici che forse si stanno sbagliando. A questo punto le parole del medico servono a poco. “Con tutti i casi di malasanità, come posso fidarmi?”. Anche se ci fossero il tempo, la calma e la serenità per spiegare dettagliatamente le conoscenze che stanno alla base della determinazione di morte con criteri neurologici, in questi momenti prevalgono i ricordi legati a storie, interviste, fatti di cronaca letti sul giornale, ascoltati alla radio o alla televisione. In questi momenti emerge tragicamente il ruolo della comunicazione e la necessità di fornire sempre informazioni corrette e documentate. Termini ambigui o inesatti, definizioni improprie, dichiarazioni inopportune, titoli ad effetto, accostamenti con immagini scelte in tutta fretta rischiano, nel breve e nel lungo termine, di influenzare negativamente queste scelte, che andrebbero sempre prese alla luce delle conoscenze mediche e scientifiche, condivise a livello internazionale e previste dalla legge. L’obiettivo di questo lavoro, disponibile gratuitamente, è proprio quello di fornire ai giornalisti ed operatori della comunicazione uno strumento, un manuale di istruzioni, un vademecum che possa aiutare a scrivere le notizie in modo corretto, esaustivo e lontano da ogni ambiguità. Con l’aiuto di numerosi esempi tratti dai quotidiani italiani vengono suggerite alcune strategie da adottare ed evidenziati gli errori più comuni da evitare.

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA

ANNO ACCADEMICO 2010-2011

MASTER IN COMUNICAZIONE DELLE SCIENZE

DONAZIONE E TRAPIANTI: UN MANUALE PER GIORNALISTI

Come comunicare la morte

determinata con criteri neurologici

Tesi di Fabio Cian

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA

MASTER IN COMUNICAZIONE DELLE SCIENZE

DONAZIONE E TRAPIANTI: UN MANUALE PER GIORNALISTI

Come comunicare la morte

determinata con criteri neurologici

RELATORE: Prof.ssa Daniela Boresi

STUDENTE CORSISTA: FABIO CIAN MATRICOLA N. 1020843

ANNO ACCADEMICO 2010-2011

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Indice

1. Introduzione……………………………………………………………………………… 1 2. L’inizio da due fatti di cronaca……………………………………………… 3 2.1. La morte del Beato don Carlo Gnocchi (1956)…………………… 3 2.2. Il caso Nicholas Green (1994)……………………………………………… 15 3. Alcuni concetti chiave……………………………………………………………… 25 3.1. Il coma………………………………………………………………………………… 25 3.1.1. Il “risveglio” dal coma……………………………………………… 26 3.2. Lo stato vegetativo……………………………………………………………… 26 3.3. La morte………………………………………………………………………………… 29 3.4. La morte determinata con criteri neurologici……………………… 29 3.4.1. Come si determina la morte con criteri neurologici… 32 4. Dopo la morte…………………………………………………………………………… 35 4.1. La donazione degli organi…………………………………………………… 35 4.1.1. Quali parole usare nella donazione e nel trapianto… 36 4.2. Un’ulteriore possibilità: donare il corpo alla scienza…………… 37 5. La morte tra speranze e illusioni…………………………………………… 39 6. La donazione e il trapianto di organi al cinema………………… 61 7. Conclusioni………………………………………………………………………………… 63 8. Bibliografia………………………………………………………………………………… 67 9. Appendice…………………………………………………………………………………… 69 9.1. Discorso del Santo Padre Giovanni Paolo II al 18°

Congresso Internazionale della Società dei Trapianti……… 69 9.2. Note di legislazione…………………………………………………………… 73 Ringraziamenti……………………………………………………………………………… 79

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1. Introduzione

Una telefonata, all’improvviso: un familiare è ricoverato in ospedale in

gravi condizioni. Lo shock emotivo è tremendo.

Di corsa all’ospedale. La ricerca del reparto di rianimazione sul

tabellone d’ingresso. E si attende. Ore ed ore nell’attesa di un

miglioramento. La tensione cresce con l’alternarsi di disperazione e

speranza, di aspettative e rassegnazione. I medici stanno facendo tutto

il possibile per salvarlo. Ma dopo un po’ escono per avvisare che sono

iniziate le procedure di osservazione per poter constatare la morte con

criteri neurologici.

Eppure il cuore batte ancora. Il respiratore fa entrare l’aria nei

polmoni. “Cosa vorrà dire morte con criteri neurologici?”. Dopo sei ore la

conferma: l’encefalo ha cessato tutte le sue funzioni. In un salottino

viene quindi chiesto se il congiunto avesse mai espresso il desiderio di

donare gli organi e se gli stessi familiari vogliano acconsentire al

prelievo.

Una richiesta difficile, in un momento drammatico, arrivato

all’improvviso, in una giornata qualunque. In questo momento

riaffiorano tutte le domande e le angosce dell’uomo: “Sarà davvero

morto? E se poi succede come quel tizio che in America si è svegliato?

Sul giornale della settimana scorsa ho letto proprio così!”. Uno dopo

l’altro vengono a galla i ricordi di notizie lette al bar sorseggiando il

caffè, sentite superficialmente alla televisione durante la cena (“Possibile

che debbano sempre parlare di cose tristi mentre stiamo mangiando?”),

o di quel discorso fatto in prima serata dal mattatore di turno che tiene

incollato allo schermo milioni di telespettatori. E nella mente si crea un

minestrone di informazioni sconnesse ma ben presenti che, una dopo

l’altra, rischiano di annebbiare e rendere questa scelta sempre più

difficile. Si cerca disperatamente qualcosa che possa fornire un appiglio,

ridare un briciolo di speranza, per dire ai medici che forse si stanno

sbagliando.

A questo punto le parole del medico servono a poco. “Con tutti i

casi di malasanità, come posso fidarmi?”. Anche se ci fossero il tempo,

la calma e la serenità per spiegare dettagliatamente le conoscenze che

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stanno alla base della determinazione di morte con criteri neurologici, in

questi momenti prevalgono i ricordi legati a storie, interviste, fatti di

cronaca letti sul giornale, ascoltati alla radio o alla televisione.

In questi momenti emerge tragicamente il ruolo della

comunicazione e la necessità di fornire sempre informazioni corrette e

documentate. Termini ambigui o inesatti, definizioni improprie,

dichiarazioni inopportune, titoli ad effetto, accostamenti con immagini

scelte in tutta fretta rischiano, nel breve e nel lungo termine, di

influenzare negativamente queste scelte, che andrebbero sempre prese

alla luce delle conoscenze mediche e scientifiche, condivise a livello

internazionale e previste dalla legge.

L’obiettivo di questo lavoro è proprio quello di fornire ai giornalisti

ed operatori della comunicazione uno strumento, un manuale di

istruzioni, un vademecum che possa aiutare a scrivere le notizie in modo

corretto, esaustivo e lontano da ogni ambiguità. Con l’aiuto di numerosi

esempi tratti dai quotidiani italiani vengono suggerite alcune strategie

da adottare ed evidenziati gli errori più comuni da evitare.

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2. L’inizio da due fatti di cronaca

2.1. La morte del Beato don Carlo Gnocchi (1956)

I mezzi di comunicazione hanno sempre giocato un ruolo fondamentale

nella storia della donazione e del trapianto di tessuti e organi in Italia,

fin dalle prime fasi.

Il 28 febbraio 1956 a Milano moriva don Carlo Gnocchi, prete

educatore che aveva speso buona parte della sua vita ad alleviare le

sofferenze e la miseria create dalla Seconda Guerra Mondiale,

specialmente tra i bambini rimasti invalidi, i “mutilatini”. Poco prima di

morire espresse il desiderio di donare le cornee per ridare la vista a due

giovani ciechi che aveva conosciuto qualche anno prima.

A quel tempo in Italia non era ancora stata emanata una legge

che consentisse la donazione e il trapianto. Da un punto di vista

strettamente giuridico quindi tutto avvenne “illegalmente”, anche se alla

luce del sole. Lo stesso don Gnocchi ne era ben consapevole. Quattro

giorni prima di morire di tumore, si rivolse al suo esecutore

testamentario, don Giovanni Barbareschi, chiedendogli: “Sei pronto a

rischiare la prigione per me? Io voglio dare la cornea. Se ti senti, vai a

cercare un oculista, che si tenga a disposizione. Se ti va male, sappi che

andrai in galera per me”.

L’oculista prescelto fu il celebre prof. Cesare Galeazzi, direttore

del Pio Ospedale Oftalmico di Milano, oggi Fatebenefratelli. Il prelievo

dei bulbi fu fatto dal suo aiuto, il dott. Mario Celotti, che ebbe delle

difficoltà con la Polizia, dato che la legge italiana non lo consentiva1.

All’uscita della clinica la sua auto fu seguita da quella della Polizia, che

poi fece volutamente finta di perderla.

Le cornee furono innestate su due giovanissimi ragazzi di cui la

stampa riportò nomi e fotografie: Silvio Colagrande di 12 anni e Amabile

Battistello di 17 anni. Il fatto stesso di conoscere il nome di coloro che

ricevettero il dono delle cornee di don Carlo Gnocchi fa capire quanto

1 Il codice Zanardelli prima e il codice Rocco poi prevedevano pene severe per qualsiasi forma di utilizzazione del cadavere, al di fuori di poche eccezioni: studi anatomici e autopsie. Il primo tentativo di affrontare il prelievo di parti da cadavere fu fatto al 38° Congresso della Società Italiana di Oftalmologia (1951) per il prelievo della cornea.

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fosse ancora lontana l’odierna disposizione sull’anonimato reciproco tra

donatore e ricevente. I giornalisti di cronaca si scoprirono del tutto

impreparati a raccontare una vicenda innovativa non solo dal punto di

vista legale ma anche scientifico. Consultando l’archivio storico de “La

Stampa” appaiono subito evidenti alcuni errori grossolani, fin dalle

titolazioni. Il giorno stesso della morte, 28 febbraio 1956, l’articolo che

descrive l’agonia di don Gnocchi titola: “Non v’è più nessuna speranza di

salvare il papà dei mutilatini – Don Gnocchi morente ha deciso di

lasciare le sue pupille a un bambino – Già scelto il piccolo cieco che

vedrà con gli occhi del suo benefattore – Il prof. Galeazzi si prepara a

compiere l’intervento appena sarà avvenuto il trapasso”. Nelle ore

concitate della morte si confondono quindi le cornee con le pupille:

“Trapiantata la cornea all’abruzzese e a una ragazza – Essi rivedranno il

mondo attraverso le pupille di don Gnocchi”. Dello stesso tenore un

articolo del giorno seguente, “Già scelti i due ragazzi ciechi ai quali

andranno gli occhi di don Gnocchi”, dove, tra l’altro, si specifica che “in

giornata i due fanciulli, prescelti a ricevere l’ultimo grande dono, si

recheranno al capezzale del loro benefattore”: un gesto oggi non solo

impossibile ma addirittura inimmaginabile. Impensabili oggi anche le

fotografie dei due giovani, scattate anche in sala operatoria e in reparto,

prima, durante e dopo l’intervento, e pubblicate su tutti i giornali.

Tuttavia sarebbe ingiusto evidenziare solamente i nei di un modo

di fare cronaca sicuramente figlio di quel tempo, quando erano ancora

ben lontane le rigide normative sulla privacy e la riservatezza. È

sicuramente più opportuno sottolineare i meriti della comunicazione

giornalistica di questa vicenda. Fin dal giorno seguente la morte di don

Gnocchi furono pubblicati contributi che approfondivano l’aspetto

legislativo della vicenda con argomentazioni basate sulle leggi del

tempo. Non mancarono nemmeno le esposizioni dettagliate

dell’intervento di cheratoplastica eseguito dal prof. Galeazzi sui due

giovani, con una valutazione medica dei rischi e delle probabilità di

riuscita. Gli approfondimenti, in qualche caso, vennero scritti

direttamente dai direttori delle cliniche oculistiche. A poche ore

dall’intervento di trapianto, il 1 marzo, si iniziò a parlare di “Banche degli

Occhi” per la conservazione delle cornee da trapiantare. Nel giro di una

settimana si diede la notizia della costituzione di un’associazione di

“donatori della cornea”, a Roma. Tutta la vicenda ebbe un enorme rilievo

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sull’opinione pubblica anche grazie al discorso che Papa Pio XII rivolse ai

fedeli in Piazza San Pietro, in occasione della recita dell’Angelus, la

domenica seguente, 4 marzo 1956.

Alla stampa e agli operatori della comunicazione va quindi il

grande merito di aver informato in modo approfondito l’argomento della

donazione e trapianto, partendo da un fatto di cronaca: la morte di un

sacerdote dalla chiara fama di santità e i conseguenti innesti pionieristici

su due giovani. Il successo comunicativo fu straordinario se si pensa che

in poco più di un anno il parlamento riuscì a varare la legge n. 235 del 3

aprile 1957 sul “prelievo di parti del cadavere a scopo di trapianto

terapeutico”.

Il quotidiano “La Notte” di Milano, quando morì don Carlo

Gnocchi, titolò a tutta pagina: “Per il gesto di don Gnocchi molti altri

ciechi vedranno”. A distanza di anni, più che un titolo, sembra quasi una

profezia.

Don Carlo Gnocchi è stato proclamato Beato dalla Chiesa

Cattolica nel 2009.

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2.2. Il caso Nicholas Green (1994)

La donazione delle cornee di don Carlo Gnocchi, da un punto di vista

medico e anatomico, si configura come una donazione di tessuto. Per

trovare un caso analogo per quanto riguarda l’impatto mediatico, ma

riferito alla donazione di organi, bisogna aspettare quasi quarant’anni.

Il 29 settembre 1994 l’auto di una famiglia americana in vacanza

in Italia fu scambiata per quella di un gioielliere da una banda di

rapinatori. Il tentativo di furto sull’autostrada A3 Salerno – Reggio

Calabria degenerò in un omicidio. Una pallottola colpì infatti il bambino

di sette anni seduto sul sedile posteriore, che fu ricoverato a Messina,

dove morì qualche giorno dopo. Il suo nome era Nicholas Green. Alla

sua morte i genitori, Margaret e Reginald, autorizzarono il prelievo degli

organi, di cui beneficiarono sette italiani, di cui quattro adolescenti e un

adulto, mentre altri due riceventi riacquistarono la vista grazie

all’innesto delle cornee.

Nel 1994 in Italia la donazione degli organi era una prassi ancora

poco comune e questo gesto di grande generosità contribuì a fare

aumentare le donazioni in tutto il Paese. Si parlò di “Effetto Nicholas”

per descrivere il coinvolgimento della popolazione italiana, di cui si

stupirono gli stessi Green, dato che in America la donazione di organi

era una pratica molto comune e consolidata.

In questo caso furono resi noti i nomi dei riceventi e pubblicate le

foto del piccolo ricoverato in rianimazione, attaccato alle macchine. Da

questi dettagli comprendiamo che nel 1994 da un punto di vista

legislativo erano stati fatti molti passi avanti, ma per quanto riguarda il

rispetto della riservatezza si era ancora piuttosto indietro.

I genitori di Nicholas ricevettero la medaglia d’oro al merito civile

dalle mani del Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro con

questa motivazione: “Cittadini statunitensi, in Italia per una vacanza,

con generoso slancio ed altissimo senso di solidarietà disponevano che

gli organi del proprio figliolo, vittima di un barbaro agguato

sull'autostrada Salerno – Reggio Calabria, venissero donati a giovani

italiani in attesa di trapianto. Nobile esempio di umanità, di amore e di

grande civiltà. Messina, 1 ottobre 1994".

A Nicholas Green furono in seguito dedicati parchi, giardini,

scuole, strade e piazze in tutte le regioni d’Italia.

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3. Alcuni concetti chiave

3.1. Il coma

Con la parola “coma”, da un punto di vista giornalistico, vengono spesso

definite varie situazioni: dalla semplice perdita della coscienza alla morte

cerebrale, con tutti gli stadi intermedi. Sicuramente per un certo periodo

il significato di questa parola è rimasto poco definito anche nell’ambiente

medico, ma da parecchi anni è stata fatta chiarezza, perciò va usata con

l’obbligo di fare distinzioni abbastanza precise.

Si definisce coma uno stato potenzialmente reversibile di

completa perdita della coscienza, della motilità volontaria e della

sensibilità, con conservazione totale o parziale delle funzioni vegetative

(circolazione, respirazione, digestione, termogenesi, ecc…). Il coma può

essere provocato da intossicazioni (stupefacenti, alcool, tossine),

alterazioni del metabolismo (ipoglicemia, iperglicemia, chetoacidosi) o

danni e malattie del sistema nervoso centrale (ictus, traumi cranici,

emorragie, ischemie, ipossia, infezioni, tumori): fra tutte, le più comuni

cause di coma sono le alterazioni del metabolismo.

Il coma può anche essere indotto farmacologicamente. In questo

caso viene definito, appunto, coma farmacologico, o coma indotto e

viene utilizzato per proteggere il cervello. Alcuni medicinali infatti

riducono il flusso di sangue cerebrale, così i vasi sanguigni nell’encefalo

diminuiscono di volume e, di conseguenza, fanno decrescere il volume

occupato dall’organo e la pressione intra-cranica. In rianimazione quindi

a volte può essere necessario indurre un coma “artificiale” temporaneo

per evitare o cercare di contenere alcuni danni causati, ad esempio, da

un edema cerebrale.

Il coma è una condizione complessa, che comprende un numero

di stadi diversi. La gravità e la profondità dello stato di coma si misurano

mediante alcuni parametri che, in base alle risposte a vari stimoli,

stabiliscono il “grado” di coma.

La condizione di coma non è statica, ma dinamica: una persona

resta in coma finché le cause che lo hanno indotto non sono risolte o

superate. I possibili esiti di uno stato di coma possono variare dalla

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completa guarigione alla morte, a seconda della posizione, della gravità

e dell'estensione del danno cerebrale che ha causato il coma stesso. In

molti casi, spontaneamente o con l’aiuto di terapie, si ottiene il

superamento del danno e si torna alla condizione normale. Oppure la

ripresa può essere parziale, ed allora si recupera la coscienza, ma

possono restare danni più o meno estesi con la perdita di alcune facoltà

o movimenti (paralisi, amnesie, difficoltà nel parlare, ecc…). Un paziente

può uscire dal coma con una serie di difficoltà motorie, intellettive e

psichiche che possono richiedere particolari trattamenti: di solito il

recupero avviene gradualmente e un po’ per volta il paziente riacquista

la sua capacità di risposta. Alcuni recuperano solo poche abilità di base,

ma nella maggioranza dei casi il recupero è completo e il paziente

ritorna alla piena coscienza.

3.1.1. Il “risveglio” dal coma

A volte si definisce “risveglio” l'uscita dal coma o dallo stato vegetativo.

In realtà se dal coma (2-4 settimane dall'evento acuto) si recupera lo

stato di coscienza abbastanza rapidamente, in modo simile al risveglio

dal sonno, il recupero della coscienza da uno stato vegetativo avviene in

modo lento e graduale, mai con le caratteristiche del risveglio.

3.2. Lo stato vegetativo

Il coma vero e proprio dura di solito da 2 a 4 settimane, raramente di

più. Dopo questo periodo si può trasformare in stato vegetativo. In

questa condizione sono conservate le funzioni del tronco encefalico

(respiro spontaneo, battito cardiaco e mantenimento della temperatura

corporea), e in particolare la capacità di veglia, che è prerequisito

inviolabile della possibilità di coscienza.

I pazienti in stato vegetativo possono recuperare in modo

variabile. Possono riacquisire un certo grado di consapevolezza

mantenendo gravi difficoltà motorie. In alcuni casi possono avere un

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recupero più importante con un ritorno ad una vita quasi normale, alcuni

invece possono restare in tale stato per anni o per decenni.

In passato questa condizione era denominata “stato di non

consapevolezza post traumatica”, “sindrome apallica” e “coma vigile” ma

sono tutti termini sbagliati, ormai caduti in disuso e superati. Oggi

l’espressione che meglio descrive questa condizione è “stato vegetativo

persistente”. È del tutto scorretto utilizzare l’avverbio “permanente” per

definire uno stato vegetativo prolungato, dato che la scienza medica non

è in grado di predirne l’evoluzione. Per lo stesso motivo è sbagliato

usare l’aggettivo “irreversibile”, anche perché in letteratura si trovano

casi di pazienti che hanno presentato un recupero più o meno completo.

È infine un errore gravissimo parlare di “morte cerebrale”, “morte della

persona” o “coma irreversibile” riferendosi a pazienti in stato vegetativo

persistente. Purtroppo questo errore è molto comune e vi sono molti

esempi riferiti ai recenti casi di Terri Schiavo (1963-2005) e di Eluana

Englaro (1970-2009). A questo proposito occorre ricordare che la causa

di morte più comune per i pazienti in stato vegetativo non è la morte

cerebrale ma le infezioni, come ad esempio la polmonite.

Nella pagina seguente un articolo, tratto da La Stampa del 5

ottobre 2005, racconta di un paziente risvegliatosi dallo stato vegetativo

persistente. Le informazioni sono corrette e si può considerare un buon

esempio di comunicazione.

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3.3. La morte

Se si fa eccezione per i casi di devastazione fisica come la decapitazione,

la morte non si verifica mai in modo istantaneo ma è un processo

graduale.

La morte ha inizio con la cessazione irreversibile di tre funzioni:

• cardiocircolatoria: morte clinica

• respiratoria: morte reale

• nervosa: morte legale

Prosegue con le trasformazioni e il degrado del cadavere e termina con

la distruzione completa di ogni cellula dell'organismo (la morte biologica

propriamente detta).

La morte va comunque considerata un evento unitario, da

qualsiasi punto di vista la si veda, ed è quindi più corretto parlare di

criteri cardiologici, respiratori e neurologici per l’accertamento2.

3.4. La morte determinata con criteri neurologici

Dalla fine degli anni Cinquanta la medicina di emergenza ha fatto enormi

passi avanti grazie all’uso di macchine in grado di sostituire

temporaneamente le funzioni vitali bloccate dalle più svariate cause. È

possibile mantenere la ventilazione polmonare se cessa il respiro

spontaneo, tenere la temperatura corporea a 37°C anche se la

termoregolazione è inefficiente, purificare il sangue con i reni bloccati o

distrutti. In questo modo l’organismo resta vitale, per il tempo che serve

ai processi di riparazione spontanea o alle varie pratiche terapeutiche, in

attesa del ripristino della piena funzionalità. Risulta quindi evidente che

in questi decenni innumerevoli vite, altrimenti perse, hanno potuto

essere salvate. Grazie anche alla medicina intensiva e alle migliori

possibilità diagnostiche e chirurgiche, la mortalità si è notevolmente

ridotta da quando negli anni Sessanta numerosi soggetti con lesioni

cerebrali devastanti venivano mantenuti in rianimazione con supporto

ventilatorio e circolatorio.

2 Canuto G., Tovo S., Medicina legale e delle assicurazioni, Cap. III, Ed. Piccin, Padova, 1999.

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L’introduzione di queste tecnologie ha portato anche ad un’altra

possibilità completamente nuova: la separazione temporanea (alcune

ore) della morte dell’encefalo da quella del resto dell’organismo. In

alcune situazioni particolari, traumi cranici, ictus o altro, questo organo

muore, per cui naturalmente cessano il respiro, la capacità di

termoregolazione ed altri riflessi fondamentali. In particolare è l’assenza

di ossigeno a determinare i processi che portano alla distruzione delle

cellule che compongono i vari tessuti. Mantenendo con le macchine la

funzione respiratoria il cuore può continuare a battere spontaneamente

per alcune ore e prolungare la vitalità di tutti gli organi: l’encefalo è

morto, ma gli altri organi mantengono per un certo tempo la loro

funzionalità.

Nel 1959 i neurologi francesi Mollaret e Goulon3 per primi

identificarono e capirono questa nuova situazione e la definirono “coma

dépassé” che vuol dire “coma superato” o “condizione oltre il coma”. Nei

pazienti in coma dépassé erano perduti, oltre alla coscienza, tutti i

riflessi del tronco dell’encefalo, la respirazione spontanea e l’attività

elettrica corticale. Tutti questi soggetti invariabilmente andavano

incontro in tempi più o meno brevi ad arresto cardiocircolatorio e

presentavano uno stato colliquativo dell’encefalo. Nel 1968 una

commissione creata ad hoc dell’Harvard Medical School4 definì il criterio

neurologico, basando le valutazioni su un’enorme quantità di

osservazioni cliniche, patologiche e strumentali (soprattutto

elettroencefalografiche). Per la prima volta il concetto di morte veniva

spostato dal cuore al cervello. I criteri di Harvard per l'accertamento

della morte cerebrale sono poi diventati la base di tutte le legislazioni

nazionali.

La definizione di “coma dépassé” seppur corretta, è oggi

superata. Contiene infatti una grossa ambiguità perché mescola due

condizioni completamente diverse: il coma e la morte. Pertanto si deve

evitare di usare questa definizione. La morte è sempre una diagnosi,

non un giudizio prognostico.

3 Mollaret P., Goulon M., Le Coma Dépassé. Rev Neurol 101:3-15, 1959. 4 Beecher, Henry K., A definition of irreversible coma: report of the Harvard Medical School Comm to examine the definition of brain death. Journal of the American Medical Association, 1968, 205:85-88.

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Per evitare dubbi o incertezze in seguito si è usato il termine

“morte cerebrale” per indicare lo stato irreversibile, ben conosciuto, che

identifica la scomparsa definitiva e completa della persona.

La legge n. 578 del 29 dicembre 19935 ha riconosciuto questa

definizione, ampliandola: quale sia l’organo che per primo viene

interessato, quale sia la causa, “la morte si identifica con la cessazione

irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo”. Da questa definizione è

derivato il concetto di “coma irreversibile”, spesso usato in ambito

giornalistico. Non si tratta di una definizione concettualmente sbagliata,

ma è sicuramente ambigua perché, come nel “coma dépassé” mette

insieme in modo indefinito i concetti di vita e di morte, lasciando quasi

intendere che nel paziente sussista ancora una qualche forma residua di

vita ma in uno stadio talmente remoto da non permettere più il ripristino

della coscienza. Questo tipo di fraintendimenti genera sempre

confusione e incomprensioni. Si dovrà quindi evitare di mescolare il

concetto di coma con la cessazione irreversibile delle funzioni

dell’encefalo e dire invece che la morte è stata accertata “con criteri

neurologici”.

Occorre a questo punto notare come nell’uso comune non si usi

quasi mai il termine “morte encefalica” e si continui invece parlare di

“morte cerebrale”. Da un punto di vista anatomico, encefalo e cervello

sono due cose diverse. L’encefalo è quella parte del sistema nervoso

centrale completamente contenuta nella scatola cranica6. Il cervello (o

prosencefalo) è una parte dell’encefalo7. Allo stato attuale, quando si

parla di “morte cerebrale” si intende la morte dell’encefalo, nella sua

interezza. Sarebbe forse auspicabile, al fine di fare maggior chiarezza,

introdurre anche nel linguaggio comune la dicitura “morte encefalica”,

dato che esiste la possibilità che qualcuno per “morte cerebrale” intenda

la morte del solo cervello e non di tutto l’encefalo. Va però ricordato che

il Centro Nazionale Trapianti in un position paper8 ha recentemente

5 Norme per l’accertamento e la certificazione di morte, in Gazzetta Ufficiale n. 5 dell’8 gennaio 1994. 6 Balboni G.C. et al., Encefalo, in Anatomia Umana, Vol. 3, Ed. Ermes, Milano 1976, Ristampa 2000 (in inglese), pag. 50.7 Le altre parti dell’encefalo sono il tronco encefalico (mesencefalo, ponte e bulbo) e il cervelletto. 8 Procaccio F., Donadio P.P., Bernasconi A.M., Gianelli Castiglione A., Nanni Costa A., Determinazione di morte con standard neurologico, elementi informativi essenziali, 2011, disponibile sul sito http://www.trapianti.salute.gov.it/

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proposto di abolire definitivamente anche il termine “morte encefalica”

per sostituirlo con l’espressione “morte determinata con criteri

neurologici”, sicuramente preferibile.

Va evitato inoltre di parlare di “morte clinica” con espressioni

come “il sig. X è stato dichiarato clinicamente morto” perché, come si è

visto in precedenza, da un punto di vista strettamente medico la “morte

clinica” corrisponde alla cessazione irreversibile della sola funzione

cardiocircolatoria.

Infine un errore lessicale infine molto comune è quello di usare i

termini “cerebrale” e “celebrale” come sinonimi. In realtà la parola

“celebrale” non esiste, è solamente un errore di ortografia dovuto

probabilmente alla difficoltà di pronuncia della parola “cerebrale”.

L’unico termine corretto è quindi “cerebrale” (dal latino cerebrum =

cervello, testa, intelletto, mente), anche se, come appena visto, è da

evitare per indicare la morte determinata con criteri neurologici.

3.4.1. Come si determina la morte con criteri neurologici

In Italia nessun singolo medico può dichiarare la morte di un individuo

con criteri neurologici. Quando un medico identifica i criteri neurologici

clinici e strumentali di morte è tenuto a richiedere alla Direzione

Sanitaria la convocazione di un Collegio Medico composto da tre

specialisti: un neurologo, un medico legale e un anestesista-rianimatore.

Questo collegio in modo unanime verifica che non ci siano fattori

potenzialmente in grado di far confondere la morte cerebrale con

qualcos’altro. È richiesto il test di assenza di flusso ematico cerebrale nei

casi in cui, ad esempio, l’eziologia del danno cerebrale è incerta, se si

riscontra la presenza di farmaci attivi sul sistema nervoso centrale, se è

impossibile fare un esame clinico completo o se l’età del paziente è

inferiore ad 1 anno. Sempre in modo unanime il Collegio deve accertare

per almeno 6 ore la persistenza dello stato di incoscienza, l’assenza di

respirazione spontanea, l’assenza di qualsiasi minima reattività dei nervi

cranici e l’assenza di attività elettrica cerebrale. Da quest’ultimo

accertamento deriva il concetto di “elettroencefalogramma piatto”,

utilizzato spesso per descrivere la cessazione di tutte le attività

dell’encefalo e quindi la morte. Questo periodo di osservazione ha un

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significato di garanzia più che una reale motivazione fisiopatologica. Al

termine il Collegio certifica all’unanimità la morte del paziente. L'ora del

decesso è quella in cui ha avuto inizio il periodo di osservazione. A

questo punto la morte del soggetto viene comunicata dal medico

curante ai familiari, i quali erano già stati informati della procedura di

osservazione da parte del Collegio Medico.

In sintesi, per constatare la morte cerebrale, si deve verificare

con test specifici che sussistano contemporaneamente tutte queste

condizioni:

• stato di incoscienza

• assenza di riflessi del tronco dell’encefalo (struttura deputata a

mantenere le funzioni fondamentali della vita)

• assenza di respiro spontaneo

• assenza di qualunque attività elettrica encefalica, verificata

tramite elettroencefalogramma

• assenza dell'irrorazione di sangue al cervello (nei casi in cui non

sia possibile verificare i riflessi del tronco cerebrale o effettuare

l'elettroencefalogramma, attraverso indagine radiologica con

valutazione del flusso ematico cerebrale)

Queste condizioni vengono verificate da una commissione di tre

specialisti (un esperto in neurofisiologia, un rianimatore e un medico

legale) per tre volte in un periodo di almeno 6 ore.

È evidente che la constatazione di morte con criteri neurologici

non è un evento caratterizzato dall’immediatezza, ma è un processo che

si svolge in un arco di tempo. È quindi scorretto usare espressioni come

“il ferito è stato portato in ospedale dove è stata subito accertata la

morte cerebrale”. L’avverbio “subito” non si presta a descrivere una

procedura che viene sempre svolta in modo accurato, attento e

soprattutto prolungato.

Non si è più in presenza di un “paziente”, ma si è di fronte ad un

“cadavere”. Il suo destino si differenzia solo in questo momento, dopo

l’accertamento di morte, a seconda che si tratti o meno di un potenziale

donatore di organi.

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4. Dopo la morte

4.1. La donazione degli organi

L’eventuale prelievo di organi e tessuti avviene solo dopo la verifica della

volontà espressa in vita o del non diniego dei familiari. Se non vi è

possibilità di donazione la salma, una volta staccata dalle macchine, si

invia in obitorio dove può essere immediatamente sottoposta ad

eventuale riscontro autoptico e sepoltura. In entrambi i casi deve essere

mantenuto il massimo di rispetto, di cura e di integrità del cadavere.

È di fondamentale importanza comunicare che la certificazione di

morte con criteri neurologici e la donazione degli organi sono due atti

del tutto indipendenti l’uno dall’altro. Questo è evidente anche dal punto

di vista legislativo, dato che la legge 578/93 non contiene norme

inerenti la donazione ma solamente riguardanti l’accertamento di morte.

Qualora non vi fosse l’autorizzazione al prelievo degli organi l’iter

previsto dalle leggi prevede comunque lo spegnimento delle macchine.

Non si tratta di una “punizione” o di un gesto insensibile: non c’è alcuna

motivazione medica o scientifica per mantenere l’alimentazione, il

battito cardiaco e la respirazione su un cadavere.

Se c’è il consenso, il prelievo degli organi avviene con la

ventilazione e l’irrorazione sanguigna mantenuta dalle macchine, usate

quindi esclusivamente come supporto funzionale; in seguito il corpo del

donatore viene staccato dal respiratore artificiale e dallo stimolatore del

battito cardiaco (cosa che, come si è detto, avviene comunque una volta

accertata la morte cerebrale, indipendentemente dal fatto che sia un

donatore o meno). Va evitata l’espressione “morte a cuore battente”,

“con il cuore battente” o simili perché genera confusione e può far

credere che il donatore sia ancora vivo.

La magistratura può bloccare il prelievo quando è necessaria

l'esecuzione di un'autopsia per accertare le cause della morte. L'esame

autoptico comunque non esclude la possibilità di un prelievo d'organi o

di tessuti. Sebbene avvenga in un secondo momento, dopo la

cessazione del battito cardiaco, l'autopsia deve essere eseguita in una

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Page 42: DONAZIONE E TRAPIANTI: UN MANUALE PER GIORNALISTI - Come comunicare la morte determinata con criteri neurologici

situazione del soggetto il più possibile simile allo stato precedente il

decesso, e può rendersi necessaria anche per gli organi prelevabili.

Di fatto, le persone che si trovano nello stato di poter donare gli

organi non sono molte, in quanto devono verificarsi tutte queste ben

precise condizioni perché il prelievo possa essere realizzato. Le persone

che in Italia e nel mondo sono iscritte ad un’associazione di donatori di

organi sono moltissime e in continuo aumento, tuttavia trovarsi nelle

condizioni per poter donare gli organi è un evento non così frequente.

Se infatti, ad esempio, la morte sopraggiunge per arresto

cardiocircolatorio improvviso, la donazione degli organi non è possibile9,

mentre è invece ancora possibile la donazione dei tessuti (motivo per cui

è molto più comune e presenta minori difficoltà).

Può essere utile sapere che sul piano morale tutte le principali

religioni sono favorevoli alla donazione di organi e tessuti in quanto

considerata un atto di grande solidarietà umana. È comunque

raccomandata la donazione come frutto di libera scelta.

Nuove recenti possibilità di prelievo anche degli organi in donatori

a cuore fermo ripropongono oggi nella sua complessità e criticità la

diagnosi di morte con criterio cardiologico, data la necessità di

abbreviare al massimo il periodo di “ischemia calda” degli organi. La

trattazione di questo aspetto richiederà sicuramente un

approfondimento in futuro, avendo una notevole importanza ed

attualità.

4.1.1. Quali parole usare nella donazione e nel trapianto

Per trapianto si intende la sostituzione di un organo ammalato e non

più funzionante in una persona, mediante un intervento chirurgico, con

un organo sano prelevato da un donatore. Il termine “trapianto” va

utilizzato solamente per gli organi. Per definire l’impianto di tessuti si

usa invece il termine innesto.

9 Un caso recente e tristemente noto riguarda la morte del pilota motociclistico

Marco Simoncelli, deceduto il 23 ottobre 2011 in seguito ad un incidente

verificatosi durante il Gran Premio della Malesia. Non è stato possibile esaudire il

suo desiderio di donare gli organi, più volte espresso durante la vita, poiché è

arrivato in ospedale già in arresto cardiocircolatorio.

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Un organo è una struttura organizzata dall’organismo umana

deputata ad una o più funzioni specifiche, mentre un tessuto è un

insieme di cellule che contribuiscono ad una funzione specifica. Esempi

di organo sono il cuore, il fegato, il rene, il polmone, il pancreas,

l’intestino. Le cornee, il sangue, le ossa, le valvole cardiache, le

cartilagini, i vasi sanguigni e la cute sono invece tessuti. Per gli insiemi

complessi, come la mano, si usa il termine trapianto. Per l’innesto di

sangue si usa il termine trasfusione.

Il soggetto che dona i propri organi o tessuti è definito donatore.

Colui che li riceve con un trapianto o innesto è detto ricevente.

Il termine per definire la rimozione di un organo o tessuto da un

donatore è prelievo. Il termine espianto va riservato al prelievo di un

organo precedentemente trapiantato e rimosso per motivi diversi, come

ad esempio un malfunzionamento o un rigetto. La differenza tra

prelievo ed espianto è notevole, pertanto, dopo la morte, non va mai

usato il termine espianto, perché l’espianto si esegue su persone in vita.

4.2. Un’ulteriore possibilità: donare il corpo alla scienza

Da alcuni anni in Italia si sta diffondendo un ulteriore gesto di

generosità dopo la morte: la donazione del corpo ad un centro

specializzato di anatomia per la formazione e l’aggiornamento di medici

chirurghi. In Francia ogni anno si registrano circa 2500 donazioni del

cadavere ed è una pratica diffusa anche in altri paesi europei e negli

Stati Uniti.

Uno dei centri di riferimento italiani per la donazione della salma

si trova a Padova, presso l’unità di anatomia clinica del dipartimento di

anatomia e fisiologia umana diretto dal prof. Raffaele De Caro. La

donazione viene espressa tramite un atto volontario, redatto di proprio

pugno dal donatore. Il donatore deve aver espresso in vita la propria

volontà, contattando personalmente il centro. Durante un incontro

vengono fornite informazioni riguardanti le finalità e le procedure della

donazione del corpo. La dichiarazione di donazione deve essere

compilata personalmente dal donatore, datata e firmata sui moduli

appositamente forniti dal centro. La donazione è un atto gratuito. In

ogni momento il donatore ha il diritto di ritirare il proprio consenso. Non

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Page 44: DONAZIONE E TRAPIANTI: UN MANUALE PER GIORNALISTI - Come comunicare la morte determinata con criteri neurologici

vengono prese in considerazione domande pervenute da parte di

familiari, minori o soggetti incapaci.

Dopo la morte, prima di eseguire il trasporto del corpo presso il

centro, può tenersi una cerimonia funebre secondo le indicazioni del

donatore e dei suoi cari. Il trasporto è gratuito, il centro si incarica di

organizzarlo e di gestire anche tutte le pratiche amministrative. Il

trasporto del corpo deve avvenire entro tre giorni dal decesso, previa

autorizzazione delle autorità sanitarie competenti.

Una volta che il corpo è stato preso in carico dal centro,

un’equipe specializzata si occupa della sua preservazione e viene

destinato all’insegnamento e alla ricerca. La donazione del corpo

permette agli studenti di medicina di conoscere realmente il corpo

umano, e ai medici e chirurghi di sperimentare nuove tecniche

chirurgiche. Ogni progetto di ricerca ed ogni utilizzo ai fini di

insegnamento deve essere autorizzato dal responsabile del centro il

quale vigila affinché, al termine delle attività di studio, vengano

realizzate le disposizioni di volontà del donatore (tumulazione o

cremazione).

La “donazione del corpo alla scienza” si distingue dalla

“donazione di organi”, che ha altra finalità e modalità. Le due donazioni

non solo incompatibili tra loro. Inoltre la donazione del corpo può

avvenire dopo l’accertamento del decesso verificato con qualsiasi criterio

previsto dalla legge.

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5. La morte tra speranze ed illusioni

Da un punto di vista strettamente antropologico, qualora i familiari non

fossero al corrente delle conoscenze tecniche, mediche e scientifiche che

stanno alla base dell’accertamento della morte con criteri neurologici, c’è

il forte rischio che permangano dubbi sulla certezza della morte. Queste

domande, che non sono mai banali, possono assumere tratti di intensa

drammaticità ed essere influenzate da tanti fattori che possono avere

effetti negativi, creare resistenze e barriere che possono porre limiti alla

donazione degli organi.

I familiari si trovano di fronte ad una situazione apparentemente

incomprensibile, in quanto vi è una parvenza di vita. La persona è

morta ma le apparecchiature tengono costante la temperatura corporea

e ossigenano il sangue. Il quadro è quindi particolarmente drammatico e

difficile da comprendere: l’encefalo è distrutto non solo sul piano della

funzionalità ma anche su quello anatomico perché le cellule morte

iniziano a decomporsi10. Il respiro tuttavia è mantenuto dalle macchine e

il cuore continua a battere spontaneamente, seppur con l’aiuto di

farmaci. La sua autonomia dall’encefalo è tale che, asportandolo, è

possibile mantenere la contrazione ritmica del muscolo cardiaco, se

viene perfuso ed ossigenato artificialmente.

È questa una condizione che genera false speranze ed illusioni in

quanto produce la sensazione che la persona cara non sia effettivamente

morta e che ci sia ancora una possibilità, seppur minima, di vederla

tornare in vita. Questa parvenza di vita illude i congiunti perché

psicologicamente allontana il momento definitivo della separazione.

È necessario quindi cercare di fare chiarezza su questo problema.

Vanno assolutamente evitate espressioni come “i medici hanno staccato

la spina alle macchine che tenevano in vita il sig. X”. Dopo

l’accertamento di morte cerebrale è del tutto scorretto parlare ancora di

“vita” ed è inoltre del tutto superfluo raccontare l’atto dello spegnimento

delle apparecchiature. La morte infatti è già avvenuta e l’arresto delle

macchine ne è una conseguenza. Il paziente del quale viene accertata la

10 Nelle autopsie si ha sempre questo referto. Dopo alcune ore dalla morte cerebrale infatti le cellule nervose si decompongono e si parla quindi di “stato colliquativo dell’encefalo”.

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morte con criteri neurologici non è un “morente”, ma è una “persona

morta”.

Allo stesso modo è del tutto inopportuno citare ipotetici

coinvolgimenti dei familiari nella scelta di spegnere i macchinari. Una

volta constatata la morte, lo spegnimento delle macchine è infatti un

atto dovuto, previsto dalla legge, che non necessita di alcuna

autorizzazione dei familiari. L’autorizzazione è invece necessaria per il

prelievo degli organi. Non si dovrà quindi mai dire “i familiari hanno

autorizzato i medici a spegnere le macchine”, ma si dovrà invece

eventualmente parlare di “autorizzazione al prelievo degli organi”.

Purtroppo la comunicazione non avviene sempre rispettando

queste semplici regole. Si ottiene quindi il risultato di alimentare i dubbi

e le incertezze, complicando ulteriormente la situazione già drammatica

di chi si sta valutando la possibilità di donare gli organi di un congiunto

appena deceduto. A tal proposito è necessario citare il caso di un celebre

monologo del cantante Adriano Celentano, tenuto in diretta televisiva in

prima serata su Raiuno, nel corso della trasmissione “125 milioni di

ca…ate”, nell’aprile 2001. Nel corso di un suo intervento sul tema della

donazione degli organi il cantante disse: “Una bella mattina mi alzo

senza un braccio. E allora il dottore dice: «Ma credavamo che fossi

morto!». Ma chi te la dà questa sicurezza? Solo perché il cefalogramma

[sic] (…), una macchina che misura le frequenze del cervello…”. In

poche battute Celentano riuscì a condensare una serie di errori molto

comuni che ebbero conseguenze disastrose sull’opinione pubblica. Mise

infatti in dubbio la validità dell’accertamento di morte con criteri

neurologici, lasciando quasi intendere che nei soggetti ai quali si

prelevano gli organi vi possa essere ancora una remota speranza di vita

e di risveglio. Mise inavvertitamente in dubbio l’operato dei medici,

facendo passare il messaggio che possono verificarsi errori nel

constatare la morte. Passò l’idea che la morte dell’encefalo viene

verificata con il solo uso dell’elettroencefalogramma, quando in realtà il

processo che porta alla certificazione di morte è estremamente rigoroso,

dettagliato e prudenziale. Infine, e forse questa è la conseguenza più

grave, s’insinuò nei telespettatori il dubbio che gli organi venissero

“predati” legalmente per soddisfare la grande richiesta da parte di

pazienti malati, di fronte alla quale la salute dei potenziali donatori

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passa in secondo piano. È quindi facile comprendere quali effetti provocò

questo intervento seguito in diretta da milioni di telespettatori.

Purtroppo errori di comunicazione si trovano anche in alcuni

filmati prodotti proprio per promuovere la donazione degli organi. È il

caso ad esempio di “The Nicholas Effect”, prodotto dalla Nicholas Green

Foundation e disponibile anche sul canale youtube. Un documentario

breve ma intenso, con filmati della famiglia Green e interviste ai genitori

del piccolo Nicholas. Nella sua testimonianza la madre Margaret ad un

certo punto racconta: “Prima sembrava un bambino addormentato, ed

ora era chiaro che le macchine respiravano per lui e gli forzavano l’aria

nei polmoni facendogli funzionare il cuore. Odiavo il pensiero di Nicholas

che veniva tenuto in vita dalle macchine dopo essere morto”11. Una

testimonianza senza dubbio sincera e commovente. Ma non si può

negare che la frase “Nicholas che veniva tenuto in vita dalle macchine

dopo essere morto” è piuttosto ambigua e rischia di generare

fraintendimenti.

A questo punto vale la pena analizzare alcuni esempi di

comunicazione su questo tema pubblicati sui giornali negli ultimi

decenni. In particolare risulta molto utile l’archivio storico del quotidiano

di Torino “La Stampa”, disponibile on-line a partire dal primo numero

pubblicato nel 1867.

Non si vuole in alcun modo mettere in cattiva luce il quotidiano

né tantomeno l’operato dei giornalisti. Tuttavia è utile fare riferimento a

qualche esempio concreto e reale da discutere in modo da poter

evidenziare gli errori più comuni e suggerire le strategie comunicative

migliori.

11 Dichiarazione originale (lingua inglese) della signora Margaret Green: “Before he looked like a sleeping child, it was clear that the machines was breathing for him, enforcing air into his lungs and keeping his hearth going, and so I hated the thought of him kept alive on those machines, after he was dead”.

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Questo esempio è tratto da La Stampa del 10 giugno 2001.

L’argomento dell’articolo è lo stato vegetativo persistente, ma già

nel titolo c’è un grave errore: “Coma irreversibile? No all’accanimento”.

Il coma irreversibile e lo stato vegetativo persistente sono due cose

completamente diverse come si è già spiegato in precedenza. L’errore si

ripresenta più volte anche nel testo dell’articolo.

Parlare poi di accanimento in caso di coma irreversibile non ha

alcun senso. L’accanimento infatti si riferisce ad una persona

gravemente malata ma viva12. Il “coma irreversibile” è invece sinonimo

12 L’accanimento terapeutico consiste nell’esecuzione di trattamenti di documentata inefficacia in relazione all'obiettivo, a cui si aggiunga la presenza di un rischio elevato e/o una particolare gravosità per il paziente con un’ulteriore sofferenza, in cui l’eccezionalità dei mezzi adoperati risulti chiaramente sproporzionata agli obiettivi della condizione specifica (Comitato Nazionale per la Bioetica, Questioni bioetiche relative alla fine della vita umana, 1996)

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di morte e l’accanimento terapeutico su un cadavere non esiste, semmai

la legislazione italiana contempla il reato di “vilipendio di cadavere”, ma

non è questo il caso.

Questo esempio dimostra che la dicitura “coma irreversibile”, qui

usata a sproposito, è comunque ambigua e va evitata.

È inoltre sbagliato parlare di stato vegetativo “permanente”

poiché la scienza medica non ha alcuna certezza sulla durata e

l’evoluzione di questo stato. Il termine corretto è quindi “persistente”.

Completamente sbagliata infine la dicitura “stato vegetativo

irreversibile” usata dal filosofo intervistato, perché il termine

“irreversibile” è riferibile solamente alla morte determinata con criteri

neurologici.

L’articolo successivo è tratto da La Stampa del 29 ottobre 1993 e

si riferisce alle ultime ore di vita del regista Premio Oscar Federico

Fellini.

L’occhiello informa che “il coma non è irreversibile”, ma il titolo

invece annuncia che “l’elettroencefalogramma è piatto” (sinonimo di

cessazione di tutte le attività dell’encefalo e quindi di morte): la

contraddizione è evidente ed è presente anche nel testo dell’articolo. Il

sommario invece riporta la “attività respiratoria autonoma”. Insomma,

una gran confusione. Ed è evidente l’errore commesso nel riportare le

parole del prof. Bufi: “quando ci sarà la morte clinica continueremo le

nostre terapie finché il cuore continuerà a battere”. È altamente

improbabile che il dottore abbia potuto pronunciare queste parole, dato

che in senso strettamente medico per “morte clinica” si intende la

cessazione irreversibile della funzione cardiocircolatoria. Ma quand’anche

con il termine “morte clinica” avesse voluto intendere la morte

certificata con criteri neurologici, la frase non avrebbe avuto comunque

senso, perché le macchine vengono sempre spente, dato che sono ormai

collegate ad un cadavere e non c’è alcuna terapia da continuare.

Fortunatamente il parere dell’esperto riporta informazioni corrette

e aggiusta un po’ il tiro, ma gli errori commessi nel testo principale sono

molto gravi.

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L’esempio precedente è tratto da La Stampa del 22 aprile 1999.

Racconta il caso di un giovane paziente risvegliatosi da un coma

profondo (non irreversibile), evento raro ma non impossibile. Purtroppo

nel sommario si dice che “il giovane era pronto per l’espianto”.

Prima di tutto notiamo l’errore nell’usare il termine “espianto”

anziché “prelievo”. Ma soprattutto questo articolo trasmette due concetti

profondamente sbagliati. Il primo è che ci sia il rischio che vengano

effettuati prelievi di organi da soggetti ancora in vita, a causa di

un’errata diagnosi di morte. Il secondo è che ci sia qualche possibilità di

risvegliarsi dalla morte, seppur in modo miracoloso.

In realtà, leggendo l’articolo, si nota che il giovane non era mai

stato dichiarato morto. Nelle ultime righe infatti si riporta: “non c’era

ancora l’idoneità all’espianto, perché è stata notata una debole attività

cerebrale”. Quindi l’elettroencefalogramma non era piatto e il giovane

non era candidato al prelievo degli organi.

Sempre su La Stampa del giorno seguente, 23 aprile 1999, un

altro articolo su questo fatto, stavolta per documentare la polemica

innescata dall’articolo precedente. Finalmente si specifica che “quel

ragazzo non è mai stato un potenziale donatore semplicemente perché

non è mai stata fatta la certificazione di morte cerebrale. Non c’è mai

stato un errore di diagnosi di morte cerebrale, semplicemente perché

non è mai stata posta la diagnosi”. Il responsabile del Centro Regionale

Trapianti aggiunge: “Abbiamo cominciato il periodo di osservazione di 6

ore previsto dalla legge per la dichiarazione di morte cerebrale. Abbiamo

visto che non c’erano tutti i requisiti; dei venti parametri, diciotto erano

però negativi. Questo episodio anzi dimostra come si proceda con la

massima cautela”. La comunicazione questa volta è corretta ma ormai il

danno è fatto. Il presidente del Comitato Nazionale di Bioetica esplicita

chiaramente il problema: “informazioni inadeguate possono scoraggiare

le donazioni d’organo, creando l’impressione che gli espianti avvengano

su soggetti ancora vitali”.

Esemplare la reazione del chirurgo Mauro Salizzoni che esprime

giustamente tutta la sua rabbia. Quando il giornalista gli fa notare che

qualcuno aveva accennato ai genitori la possibilità di donare gli organi

risponde: “Questo è possibile, qualcuno che ha anticipato forse un po’

troppo i tempi, o che semplicemente voleva che i genitori iniziassero a

pensarci, nell’eventualità che la situazione precipitasse. Ma raccontare

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questo al telegiornale e sui giornali come fosse un risveglio miracoloso a

espianto già programmato è stato un errore che non potete immaginare.

Se nei giorni scorsi le ultime volontà di Trussardi (il noto stilista morto in

seguito ad un incidente stradale) sono state quelle di donare gli organi,

e questo avrà convinto qualcuno a fare altrettanto, oggi, dopo il caso di

Modica, sono sicuro che decine di persone rifiuteranno quel consenso, e

decine di persone moriranno per una notizia sballata”. “Voglio solo dire

che certe parole devono essere misurate. Voi avete raccontato un fatto

vero, la storia di un ragazzo in coma ai cui famigliari sarà anche stato

chiesto di pensare all’espianto. Ma avete tratto una conclusione

sbagliata. E la gente ricorda più facilmente le conclusioni”.

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Il fatto che la gente ricordi più facilmente le conclusioni è

dimostrato da un articolo tratto sempre da La Stampa del 12 giugno

1994. Racconta il caso di un ragazzo di 16 anni dichiarato morto con

criteri neurologici. I genitori non danno l’assenso all’espianto degli

organi perché “ci sono stati casi di persone che sono tornate a vivere

dopo mesi, non può accadere anche a nostro figlio?”. Ecco che

sollecitano un consulto medico, parlano con il magistrato di turno e

vogliono tentare ogni terapia: “Tenetelo attaccato alla macchina che gli

consente di non morire”. La disperazione è condivisa da amici,

conoscenti, compagni di scuola del ragazzo: “non è morto, per noi vive e

deve essere curato. Se il cuore batte c’è speranza”.

La donazione degli organi senza dubbio è un gesto che deve

essere compiuto in piena libertà e consapevolezza. Ma qui appare

evidente che il problema non è la donazione in sé, quanto la

comprensione e l’accettazione della morte cerebrale come diagnosi certa

ed irreversibile. Tutto questo dimostra che anche per i medici

rappresenta una sfida comunicativa molto importante ed impegnativa:

“Solo ignoranza scientifica (…). La richiesta di donazione di un organo è

definita la domanda più difficile da porre nel momento peggiore alla più

infelice delle famiglie”.

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Un caso analogo, anche se molto più eclatante dal punto di vista

mediatico, si verificò nel 1997 a Napoli. Ce lo racconta un articolo de La

Stampa del 5 maggio 1997. Un giovane padre di famiglia è “in coma

irreversibile” (espressione usata come sinonimo di morte dichiarata con

criteri neurologici), in seguito ad un incidente domestico. Il titolo riporta

un virgolettato: “Non staccate la spina, quel cuore vive ancora”. Una

delle due immagini ritrae “la protesta per non far spegnere la macchina

che tiene in vita Giuseppe Mongiello durante la processione di San

Gennaro”. Una didascalia profondamente sbagliata, dato che è del tutto

scorretto usare l’espressione “tiene in vita” per descrivere la funzione

dei macchinari collegati ad un paziente al quale è stata accertata la

morte con criteri neurologici. Incredibile poi l’accostamento con un

fotogramma tratto dal film del 1990 “Risvegli”, con didascalia che parla

di una “storia di pazienti che si risvegliano da un coma decennale”.

Ancora una volta si seminano false speranze richiamando alla mente

situazioni completamente diverse dalla morte. Oltretutto il film

“Risvegli”, a voler essere pignoli, racconta la storia di un gruppo di

pazienti affetti da catatonia, una sindrome di tipo psichiatrico

completamente diversa dal coma.

L’inizio dell’articolo riporta le parole della gente gridate nel

duomo durante la celebrazione del “miracolo di San Gennaro”: “Anche

noi crediamo ai miracoli, perciò nessuno tolga la vita a Giuseppe. No alla

morte per legge”. Il cardinale Michele Giordano, arcivescovo di Napoli,

evidentemente non è informato sulla vicenda: “Voglio incontrarvi nei

prossimi giorni per parlare di questo: la Chiesa è contro l’eutanasia,

nessuno può staccare quel respiratore”. Si continua quindi a parlare di

miracoli, ma quel che è grave è che vengano usate parole come

“togliere la vita”, “morte per legge”, “eutanasia”, “staccare il

respiratore”. Il giornalista poi rincara la dose di ambiguità scrivendo che

“l’elettroencefalogramma è piatto, la vita in quel corpo dipende

esclusivamente dal ventilatore automatico, un congegno che pompa aria

nei polmoni: un’agonia apparentemente senza speranza, che si protrae

da cinque giorni. Ma il cuore funziona ancora e le deboli contrazioni

fedelmente registrate da un monitor accanto al letto stanno scatenando

un vespaio di polemiche”. Il fratello di Giuseppe, infermiere, dichiara

“legge barbara” quella che regolamenta “la cosiddetta morte encefalica”.

E aggiunge: “Sia ben chiaro che io non sono contro l’espianto degli

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organi, ce l’ho solo con una legge spietata che, in molti casi, può

equivalere a un omicidio. Per mio fratello, staccare la spina sarebbe un

vero delitto. Sono un infermiere, certi segnali li capisco come, se non

meglio, dei medici: lui è ancora vivo. Ho visto tanti pazienti come

Peppe: i migliori specialisti dicevano che ormai non c’era più nulla da

fare, invece si sono ripresi”. L’articolo termina anticipando interrogazioni

parlamentari sulla vicenda e con il ripetere che è necessario “bloccare

questa barbarie”.

È disarmante constatare questa lunga serie di errori e

fraintendimenti. Le parole del fratello dimostrano, ancora una volta, che

l’affetto e il dolore improvviso per la perdita di una persona cara

rendono difficile la separazione e l’accettazione della morte determinata

con criteri neurologici. Ci si aggrappa a tutto. Le speranze che si

possono nutrire in casi del genere, legittime sul piano soggettivo, sono

però false, semplici illusioni che non hanno alcun fondamento scientifico.

In questa situazione il giornalista ha svolto il suo lavoro correttamente

nel riportare le esatte parole dei familiari e dell’arcivescovo di Napoli. Ma

è totalmente assente qualsiasi spiegazione medica e scientifica della

vicenda. L’informazione è perciò parziale, fuorviante e ridondante.

Queste vicende così drammatiche, che sicuramente richiedono rispetto e

comprensione, rischiano di fare danni enormi se raccontate in questo

modo.

Addirittura il giorno seguente, 6 maggio 1997, sempre La Stampa

titola: “Giuseppe resta in vita. E il fratello esulta: abbiamo vinto noi”.

Viene dato ulteriore spazio alle dichiarazioni del fratello: “Se ci

rendessimo conto che non c’è più nulla da fare, daremmo il nostro

consenso a staccare il respiratore automatico. Ma lui è ancora vivo, il

suo cuore batte ancora”. Al primario del reparto di Rianimazione non

resta a questo punto che citare il miracolo di Cristo che risuscita Lazzaro

dalla morte.

Va anche detto che l’ordinario di medicina legale del Policlinico

Gemelli di Roma, intervistato, commette un errore di comunicazione non

da poco. Nel citare la legge 578/93 parla di “scelte dolorose ma

necessarie per salvare altre vite”, quando in realtà dal punto di vista

legislativo vi è una netta separazione tra l’accertamento di morte,

determinato con criteri neurologici o cardiaci come atto medico, etico e

giuridicamente sempre dovuto, e qualsiasi altra finalità quale l’eventuale

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possibilità di donazione di organi da cadavere a scopo di trapianto

terapeutico. Del tutto inopportuno inoltre citare la “necessità di rendere

maggiormente disponibili i pochi letti dei reparti di rianimazione”, quasi

che la constatazione di morte possa avvenire in modo affrettato per fare

posto ad altri.

Il Ministro della Sanità Rosy Bindi crede che “si possa chiedere un

atto di comprensione e di attenzione verso i familiari che non vogliono

rassegnarsi all’evento definitivo della morte cerebrale”. Sicuramente ai

familiari deve andare tutta la comprensione e la vicinanza umana in un

momento di estremo dolore, ma questo non può esimere i giornalisti ed

operatori della comunicazione dal fornire informazioni corrette sulla

morte determinata con criteri neurologici, sulla quale “si è sviluppato il

maggior consenso della storia recente della medicina”13.

Quando il giorno successivo, 7 maggio 1997, La Stampa riporta la

notizia che il cuore ha cessato di battere, nel sommario si fa l’ennesimo

errore dicendo che “l’uomo era tenuto in vita dal respiratore”. In tutto

l’articolo si trasmette l’idea che la morte sia sopraggiunta solamente nel

momento dell’arresto cardiocircolatorio, ignorando totalmente il concetto

di morte con criteri neurologici. La notizia viene inoltre inserita tra due

articoli riguardanti casi di “malasanità”, di cui uno francese, quasi a

voler veicolare un’opinione negativa sulla sanità italiana.

Nell’ultima dichiarazione il fratello del defunto dice: “Noi non

siamo contrari alla donazione di organi, all’espianto, ma vogliamo

batterci contro la disinformazione e l’approccio sbagliato dei medici

verso chi soffre”. Se le dichiarazioni degli intervistati non possono essere

modificate, sicuramente l’intera vicenda poteva e doveva essere trattata

in modo diverso. Da un punto di vista medico e scientifico queste pagine

infatti rappresentano uno dei momenti più bassi raggiunti dal

giornalismo in materia di morte dichiarata con criteri neurologici e

donazione degli organi.

13 Bernat J.L. Neurology 2008; 70: 252-253 Editorial

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In questo articolo de La Stampa del 3 marzo 1995, un altro

accostamento infelice con un fotogramma tratto da un film.

Questa volta è il turno di Michael Douglas e Geneviève Bujold in

“Coma prodondo”, medical-thriller del 1978 diretto e sceneggiato

Michael Crichton.

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Gli articoli riportati nella pagina precedente, pubblicati sul Corriere del

Veneto il 9 e 10 novembre 2011, si riferiscono all’approvazione di

disposizioni applicative della Regione Veneto in materia funeraria. In

questa delibera un punto stabilisce che “il locale destinato

all’accoglimento e osservazione del cadavere deve essere accessibile

direttamente dall’esterno e dotato di apparecchiature di rilevazione e

segnalazione a distanza per la sorveglianza del cadavere anche ai fini del

rilevamento di eventuali manifestazioni di vita”. Sicuramente si tratta di

una forma di precauzione aggiuntiva rispetto al già rigido protocollo

medico previsto dalla legge italiana per la certificazione della morte.

Ci si chiede se fosse davvero il caso di presentare l’argomento in

questo modo. Le conseguenze di questo tipo di comunicazione possono

infatti essere gravi, specialmente nell’ottica della donazione di organi e

tessuti a cuore fermo.

Il rischio è di risvegliare paure ancestrali prive di fondamento.

Articoli di questo tipo fanno tornare indietro al 1985 quando, a pochi

giorni dal primo trapianto d’organo eseguito in Italia dal prof. Gallucci di

Padova, su La Stampa del 29 novembre ci si chiedeva: “Ma quando si è

davvero morti?”.

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Gli ultimi articoli, tratti da La Stampa del 17 e 22 febbraio 1995,

si riferiscono al risveglio dal coma di un giovane statunitense. In questo

caso, i medici, nel momento in cui si sono accorti che il ragazzo era in

grado di respirare autonomamente, hanno deciso di staccare il

respiratore, perché ormai non era più indispensabile. Una scelta

terapeutica quindi, e non una resa di fronte ad una presunta morte

cerebrale come invece è stato raccontato.

Non è il caso di inoltrarsi in un’analisi dettagliata. Ma è bene

ricordare che ogni Stato ha leggi e normative diverse. L’Italia è tra i

Paesi che hanno adottato una normativa e un insieme di regole e linee

guida estremamente rigorose, dettagliate e prudenziali che hanno

instaurato una pratica omogenea. Questo patrimonio clinico-giuridico

mette al riparo da leggerezze, incompletezze ed errori che potrebbero

invece eventualmente verificarsi in un sistema relativamente

deregolamentato come quello statunitense14, giustificando una

preoccupazione “metodologica”. Il cittadino italiano può perciò sentirsi

estremamente garantito. La legge 578/93 tiene conto degli avanzamenti

tecnologici della medicina, in modo estremamente prudenziale, con

ridondanti garanzie procedurali clinico-strumentali e medico-legali. E

ancora una volta è bene ricordare che questa legge è assolutamente

indipendente dalle attività di prelievo e trapianto d’organi.

L’accertamento è obbligatorio in ogni caso identificato, a prescindere

dalla possibilità di prelievo di organi. In tutto il mondo non si è mai

verificato alcun recupero delle funzioni encefaliche nei soggetti ai quali è

stata determinata la morte con criteri neurologici.

Purtroppo, casi di “risveglio”

registrati all’estero rischiano di

mettere in dubbio i fondamenti

scientifici che stanno alla base

della dichiarazione di morte con

criteri neurologici. In questi casi

perciò vanno sempre sottolineate

le differenze tra la normativa

italiana e quella degli altri Paesi.

14 Greer D.M. et al., Variability of brain death determination guidelines inleading US neurologic institutions. Neurology 70:284-289, 2008

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6. La donazione e il trapianto di organi al cinema

La donazione ed il trapianto di organi

sono stati raccontati da molte pellicole

cinematografiche. Un motivo ricorrente è

quello del traffico illegale di organi15

basato sul prelievo di organi a soggetti

vivi non consenzienti. Ad esempio la

trama di “Coma profondo”, diretto e

sceneggiato da Michael Crichton nel

1978, si basa proprio su un commercio di

organi prelevati da soggetti comatosi, in

una clinica privata. Questo film, grazie

anche alla presenza di Michael Douglas

tra gli attori, e alla sceneggiatura di

Michael Crichton, ebbe uno straordinario successo, al punto da essere

considerato il capofila del genere medical-thriller.

In tempi più recenti il film

“Turistas”, diretto da John Stockwell nel

2006, racconta l’avventura di un gruppo

di giovani turisti in viaggio in Brasile.

Derubati di tutto dopo una festa,

finiscono in una casa al centro della

foresta tropicale. Qui capiscono di essere

entrati in un terribile meccanismo,

organizzato a danno dei malcapitati

turisti di passaggio da un medico locale,

capo di un’organizzazione di criminali

assassini che commercia in organi

umani, per poi portarli ai brasiliani

bisognosi di cure negli ospedali di Rio. Non mancano le scene con

squartamenti e altri particolari raccapriccianti. Il film ha causato reazioni

negative da parte del governo brasiliano, che lo ha accusato di usare lo

15 Sul traffico d’organi non vi sono dati certi a livello globale, nonostante diverse informazioni apparse sulla stampa. C’è il sospetto che il traffico illegale per il trapianto ed il commercio di organi possa avvenire all’interno di singoli paesi quali Cina, India, Nepal, Pakistan e in alcune regioni dell’Africa (Nancy Scheper-Hughes, Il traffico di organi nel mercato globale. Ed. ombre corte, Verona, 2002)

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stereotipo del traffico d’organi e altri pericoli cui sarebbero esposti gli

stranieri in vacanza in Brasile.

Ma attorno alle possibilità offerte

dalla medicina in tema di donazione e

trapianto d’organi sono stati girati anche

alcuni film a carattere comico. È il caso

ad esempio de Il senso della vita

interpretato nel 1983 dal gruppo comico

televisivo britannico dei Monty Python. Il

film, che si è aggiudicato il Grand Prix

Speciale della Giuria al 36° Festival del

Cinema di Cannes, consiste in una serie

di sketch comici sui diversi stadi della

vita. Uno di questi è intitolato “Trapianti

di organi vivi”. Due infermieri si

presentano alla porta di casa di Mr. Brown, iscritto alla lista di donatori

di organi, per prelevargli il fegato. Essendo ancora vivo, l’incredulo Mr.

Brown rifiuta. I due paramedici irrompono allora bruscamente nel

salotto. Mr Brown fa notare che sulla tessera di donatore “c’è scritto in

caso di morte!”. E uno dei due infermieri risponde placidamente:

“nessuno di quelli a cui abbiamo tolto il fegato è mai sopravvissuto!”.

Segue quindi la scena del prelievo “improvvisato”, tra il macabro ed il

grottesco, con tanto di tenaglie e attrezzi da lavoro. Vi assiste la moglie,

la quale non trova niente di meglio da dire che: “è perché ha firmato

una di quelle stupide schede? Tipico di lui, va giù alla biblioteca

comunale, legge dei manifesti e torna a casa tutto pieno di buone

intenzioni…”. Chiede quindi all’infermiere: “che cosa ne fate di tutta

quella roba poi?”. E lui: “serve tutto a salvare vite umane, che

domande!”. Successivamente, uno dei due cerca di convincere la moglie

a donare essa stessa il fegato, con un cantante vestito di rosa, uscito dal

frigorifero, che le mostra le meraviglie della galassia.

Anche il cinema dunque veicola dei messaggi che entrano

nell’ambito della donazione e del trapianto. Questo lavoro non ha come

obiettivo quello di individuare esempi di “buona” e “cattiva”

comunicazione nel linguaggio cinematografico. Sarebbe però

interessante una ricerca in tal senso, al fine anche di comprendere il

reale impatto di questi ed altri film sulla donazione di organi.

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7. Conclusioni

La comunicazione nell’ambito della donazione e del trapianto è sempre

stata considerata una sfida importante, fin da quando, nel 1956, don

Carlo Gnocchi desiderò donare le cornee, primo in Italia, per ridare la

gioia di vedere a due giovani.

Con gli anni le conoscenze scientifiche in ambito medico sono

aumentate al punto che è stato possibile individuare dei criteri sicuri e

condivisi per determinare la morte di una persona con standard

neurologici. Di pari passo la comunicazione giornalistica si è fatta

sempre più attenta e scrupolosa, ma ancor oggi le informazioni fornite

rimangono spesso ambigue, imprecise se non addirittura radicalmente

sbagliate. Queste informazioni possono rimanere nella memoria delle

persone per lungo tempo e riaffiorare all’improvviso, in modo confuso

ma ben presente, nei momenti più difficili della vita, come ad esempio la

morte di un familiare. L’effetto principale è spesso l’incapacità di

accettare la morte come evento definitivo ed irreversibile, specialmente

quando questa è determinata con criteri neurologici. Su questa difficoltà

si fondano tutti i dubbi e le domande che spesso ostacolano la donazione

degli organi.

A volte i giornalisti, magari involontariamente, rischiano di

aumentare le perplessità e i timori, anziché aiutare a dissiparli. Ed è

pertanto importante individuare alcuni punti fermi da seguire quando si

tratta l’argomento donazione e trapianto.

Cosa fare:

1) Verificare sempre le fonti e le informazioni, rivolgendosi

direttamente alle strutture ospedaliere. Mai dare nulla per

scontato. Cercare di tenersi il più possibile aggiornati, anche

partecipando a corsi e seminari sull’argomento.

2) Prestare attenzione alle parole. Se si usano termini medici

bisogna essere certi che siano corretti. Non usare mai espressioni

solitamente utilizzate per persone in vita se si deve descrivere la

condizione di una persona dichiarata morta con criteri

neurologici.

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3) Rispettare sempre la privacy del donatore, dei riceventi e dei

familiari. Non bisogna mai dimenticare che dietro ad un prelievo

e trapianto c’è sempre un grande dolore per la perdita di una

persona cara. La riservatezza va rispettata anche nei casi in cui

non ci sia il consenso al prelievo degli organi. La morte infatti è

un evento che richiede sempre e comunque rispetto e

delicatezza. Ricordare la netta separazione tra l’accertamento di

morte e qualsiasi altra finalità quale l’eventuale possibilità di

donazione degli organi.

4) Non aver paura di chiedere un parere ad un medico esperto in

rianimazione, donazione e trapianto. Oltre a confermare i singoli

dati, si possono ricevere ulteriori informazioni da organizzare in

forma di intervista. Questi approfondimenti sono indispensabili

quando nel testo principale sono contenute dichiarazioni

virgolettate che tradiscono la non conoscenza dei principi medici

e scientifici che stanno alla base della determinazione di morte

con criteri neurologici.

5) Ricordare, quando possibile, che cosa prevede la legge italiana

sia in ambito di donazione e trapianto, sia per quel che riguarda

l’accertamento di morte.

Cosa non fare:

1) Confondere la morte determinata con criteri neurologici con altri

stati comatosi più o meno profondi. Si tratta di condizioni

completamente diverse che devono rimanere sempre

chiaramente distinte.

2) Usare termini medici senza conoscerne il vero significato,

specialmente se abbinati ad aggettivi e avverbi propri della sfera

diagnostica e prognostica.

3) Abbinare immagini tratte da film e telefilm, perché c’è il rischio

concreto che possano veicolare informazioni non corrette.

4) Raccontare gli eventuali “risvegli” dal coma in modo

sensazionalistico, anche qualora questi riguardassero pazienti in

coma da molto tempo.

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5) Scrivere articoli su pazienti ricoverati in strutture all’estero, prima

di aver verificato dettagliatamente tutte le fonti. Spesso nei lanci

di agenzia sono contenute informazioni sbagliate, dovute magari

ad errori di traduzione o trascrizione. In questi casi va sempre

ricordato che la legge italiana è diversa da quella degli altri paesi,

specificando le singole peculiarità.

Queste semplici regole possono contribuire in modo decisivo a migliorare

la comunicazione sul tema donazione e trapianto.

Il primo beneficio che i giornalisti possono trarne è di vedere

riconosciuta la correttezza delle informazioni fornite e quindi fare

acquisire maggiore autorevolezza alla propria firma.

Il secondo beneficio è molto più importante perché riguarda

l’intera società. Una buona comunicazione permette il diffondersi delle

conoscenze mediche e scientifiche, attualmente relegate in ambito

ospedaliero. Tra queste vi sono quelle su cui si basa la determinazione di

morte con criteri neurologici. L’accettazione della morte con questo tipo

di accertamento non è facile da parte dei familiari, perché richiede un

livello di conoscenze ancora non comune tra la popolazione.

Probabilmente non è soltanto questione di conoscenze mediche, ma di

cultura medica. Troppo spesso dimentichiamo che il termine “cultura” è

correlato, se non derivato, da “coltura”. Non c’è cultura che non venga

ultimamente dalla coltura. Dalla coltura della conoscenza medica e

scientifica può diffondersi una cultura capace di aprirsi definitivamente

alla donazione degli organi.

La professione di giornalista prevede quindi una grande

responsabilità, da esercitare con cura ed attenzione, per far sì che la

donazione di organi e tessuti possa essere sempre più una scelta libera

e consapevole, un gesto di generosità capace di ridare la gioia di vivere.

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8. Bibliografia

Archivio storico on-line del quotidiano La Stampa di Torino:

http://www.lastampa.it/archivio-storico/

Balboni G.C. et al., Anatomia Umana. Ed. Ermes, Milano, 1976,

Ristampa 2000 (in lingua inglese)

Beecher, Henry K., A definition of irreversible coma: report of the

Harvard Medical School Comm to examine the definition of brain death.

Journal of the American Medical Association, 1968, 205:85-88

Bernat J.L., Neurology 2008; 70: 252-253 - Editorial

Cantoni G. (a cura di), Il trapianto degli organi. Stampa a cura

dell’Associazione Italiana Donatori Organi, 1998

Canuto G., Tovo G., Medicina legale e delle assicurazioni. Ed. Piccin,

Padova, 1999

Comitato Nazionale per la Bioetica, Questioni bioetiche relative alla

fine della vita umana, 1996

Greer D.M. et al., Variability of brain death determination guidelines

inleading US neurologic institutions. Neurology 2008; 70:284-289

Mollaret P., Goulon M., Le Coma Dépassé. Rev Neurol 101:3-15, 1959

Procaccio F., Donadio P.P., Bernasconi A.M., Gianelli Castiglione

A., Nanni Costa A., Determinazione di morte con standard neurologico,

elementi informativi essenziali, 2011 - disponibile sul sito

http://www.trapianti.salute.gov.it/

Scheper-Hughes N., Il traffico di organi nel mercato globale. Ed.Ombre

Corte, Verona, 2002

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9. Appendice

9.1. Discorso del Santo Padre Giovanni Paolo II al 18°

Congresso Internazionale della Società dei Trapianti

Martedì 29 Agosto 2000

Illustri Signori,

Gentili Signore!

1. Sono lieto di portarvi il mio saluto in occasione di questo Congresso

Internazionale, che vi vede raccolti ad approfondire la complessa e delicata

tematica dei trapianti. Ringrazio i Professori Raffaello Cortesini e Oscar

Salvatierra per le gentili parole che mi hanno rivolto. Un particolare saluto va

alle Autorità Italiane presenti.

A voi tutti esprimo la mia riconoscenza per l'invito a questo incontro,

apprezzando vivamente la disponibilità manifestata a confrontarvi con

l'insegnamento morale della Chiesa, la quale, nel rispetto della scienza e

soprattutto nell'ascolto della legge di Dio, a null'altro mira che al bene integrale

dell'uomo.

I trapianti sono una grande conquista della scienza a servizio dell'uomo e non

sono pochi coloro che ai nostri giorni sopravvivono grazie al trapianto di un

organo. La medicina dei trapianti si rivela, pertanto, strumento prezioso nel

raggiungimento della prima finalità dell'arte medica, il servizio alla vita umana.

Per questo, nella Lettera Enciclica Evangelium vitae ho ricordato che, tra i gesti

che concorrono ad alimentare un'autentica cultura della vita "merita un

particolare apprezzamento la donazione di organi compiuta in forme eticamente

accettabili, per offrire una possibilità di salute e perfino di vita a malati talvolta

privi di speranza" (n. 86).

2. Tuttavia, come accade in ogni conquista umana, anche questo settore della

scienza medica, mentre offre speranza di salute e di vita a tanti, non manca di

presentare alcuni punti critici, che richiedono di essere esaminati alla luce di

un'attenta riflessione antropologica ed etica.

Anche in questa materia, infatti, il criterio fondamentale di valutazione risiede

nella difesa e promozione del bene integrale della persona umana, secondo la

sua peculiare dignità. A tal proposito, vale la pena di ricordare che ogni

intervento medico sulla persona umana è sottoposto a dei limiti che non si

riducono all'eventuale impossibilità tecnica di realizzazione, ma sono legati al

rispetto della stessa natura umana intesa nel suo significato integrale: "Ciò che è

tecnicamente possibile, non è per ciò stesso moralmente ammissibile"

(Congregazione per la Dottrina della Fede, Donum vitae, 4).

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3. Un primo accento è da porre sul fatto che ogni intervento di trapianto

d'organo, come già in altra occasione ho avuto modo di sottolineare, ha

generalmente all'origine una decisione di grande valore etico: "la decisione di

offrire, senza ricompensa, una parte del proprio corpo, per la salute ed il

benessere di un'altra persona" (cfr Discorso Ai partecipanti ad un Congresso sui

trapianti di organi 20 giugno 1991). Proprio in questo risiede la nobiltà del gesto,

che si configura come un autentico atto d'amore. Non si dona semplicemente

qualcosa di proprio, si dona qualcosa di sé, dal momento che "in forza della sua

unione sostanziale con un'anima spirituale, il corpo umano non può essere

considerato solo come un complesso di tessuti, organi e funzioni..., ma è parte

costitutiva della persona, che attraverso di esso si manifesta e si esprime"

(Congregazione per la Dottrina della Fede, Donum vitae, 3).

Di conseguenza, ogni prassi tendente a commercializzare gli organi umani o a

considerarli come unità di scambio o di vendita, risulta moralmente

inaccettabile, poiché, attraverso un utilizzo "oggettuale" del corpo, viola la

stessa dignità della persona.

Questo primo punto ha un'immediata conseguenza di notevole rilevanza etica: la

necessità di un consenso informato. La verità umana di un gesto tanto

impegnativo richiede infatti che la persona sia adeguatamente informata sui

processi in esso implicati, così da esprimere in modo cosciente e libero il suo

consenso o diniego. L'eventuale consenso dei congiunti ha un suo valore etico

quando manchi la scelta del donatore. Naturalmente, un consenso con analoghe

caratteristiche dovrà essere espresso da chi riceve gli organi donati.

4. Il riconoscimento della dignità singolare della persona umana ha un'ulteriore

conseguenza di fondo: gli organi vitali singoli non possono essere prelevati che

ex cadavere, cioè dal corpo di un individuo certamente morto. Questa esigenza

è di immediata evidenza, giacché comportarsi altrimenti significherebbe causare

intenzionalmente la morte del donatore prelevando i suoi organi. Nasce da qui

una delle questioni che più ricorrono nei dibattiti bioetici attuali e, spesso, anche

nei dubbi della gente comune. Si tratta del problema dell'accertamento della

morte. Quando una persona è da considerare certamente morta?

Al riguardo, è opportuno ricordare che esiste una sola "morte della persona",

consistente nella totale dis-integrazione di quel complesso unitario ed integrato

che la persona in se stessa è, come conseguenza della separazione del principio

vitale, o anima, della persona dalla sua corporeità. La morte della persona,

intesa in questo senso radicale, è un evento che non può essere direttamente

individuato da nessuna tecnica scientifica o metodica empirica.

Ma l'esperienza umana insegna anche che l'avvenuta morte di un individuo

produce inevitabilmente dei segni biologici, che si è imparato a riconoscere in

maniera sempre più approfondita e dettagliata. I cosiddetti "criteri di

accertamento della morte", che la medicina oggi utilizza, non sono pertanto da

intendere come la percezione tecnico-scientifica del momento puntuale della

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morte della persona, ma come una modalità sicura, offerta dalla scienza, per

rilevare i segni biologici della già avvenuta morte della persona.

5. E' ben noto che, da qualche tempo, diverse motivazioni scientifiche per

l'accertamento della morte hanno spostato l'accento dai tradizionali segni cardio-

respiratori al cosiddetto criterio "neurologico", vale a dire alla rilevazione,

secondo parametri ben individuati e condivisi dalla comunità scientifica

internazionale, della cessazione totale ed irreversibile di ogni attività encefalica

(cervello, cervelletto e tronco encefalico), in quanto segno della perduta capacità

di integrazione dell'organismo individuale come tale.

Di fronte agli odierni parametri di accertamento della morte, - sia che ci si

riferisca ai segni "encefalici", sia che si faccia ricorso ai più tradizionali segni

cardio-respiratori -, la Chiesa non fa opzioni scientifiche, ma si limita ad

esercitare la responsabilità evangelica di confrontare i dati offerti dalla scienza

medica con una concezione unitaria della persona secondo la prospettiva

cristiana, evidenziando assonanze ed eventuali contraddizioni, che potrebbero

mettere a repentaglio il rispetto della dignità umana.

In questa prospettiva, si può affermare che il recente criterio di accertamento

della morte sopra menzionato, cioè la cessazione totale ed irreversibile di ogni

attività encefalica, se applicato scrupolosamente, non appare in contrasto con gli

elementi essenziali di una corretta concezione antropologica. Di conseguenza,

l'operatore sanitario, che abbia la responsabilità professionale di un tale

accertamento, può basarsi su di essi per raggiungere, caso per caso, quel grado

di sicurezza nel giudizio etico che la dottrina morale qualifica col termine di

"certezza morale", certezza necessaria e sufficiente per poter agire in maniera

eticamente corretta. Solo in presenza di tale certezza sarà, pertanto,

moralmente legittimo attivare le necessarie procedure tecniche per arrivare

all'espianto degli organi da trapiantare, previo consenso informato del donatore

o dei suoi legittimi rappresentanti.

6. Un altro aspetto di grande rilievo etico riguarda il problema dell'allocazione

degli organi donati, mediante la formazione delle liste di attesa o "triages".

Nonostante gli sforzi per promuovere una cultura della donazione degli organi, le

risorse attualmente disponibili in molti Paesi risultano ancora insufficienti al

fabbisogno sanitario. Nasce di qui l'esigenza di creare delle liste d'attesa per i

trapianti, secondo criteri certi e motivati.

Dal punto di vista morale, un ben inteso principio di giustizia esige che tali criteri

di assegnazione degli organi donati non derivino in alcun modo da logiche di tipo

"discriminatorio" (età, sesso, razza, religione, condizione sociale, ecc.) oppure di

stampo "utilitaristico" (capacità lavorative, utilità sociale, ecc.). Nella

determinazione delle priorità di accesso ai trapianti ci si dovrà, piuttosto,

attenere a valutazioni immunologiche e cliniche. Ogni altro criterio si rivelerebbe

arbitrario e soggettivistico, non riconoscendo il valore che ogni essere umano ha

in quanto tale, e non per le sue caratteristiche estrinseche.

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7. Un'ultima questione riguarda una possibilità ancora del tutto sperimentale di

risolvere il problema del reperimento di organi da trapiantare nell'uomo: si tratta

dei cosiddetti xenotrapianti, cioè del trapianto di organi provenienti da specie

animali diverse da quella umana.

Non intendo qui affrontare in dettaglio i problemi suscitati da tale procedura. Mi

limito a ricordare che già nel 1956 il Papa Pio XII si poneva l'interrogativo circa

la loro liceità: lo faceva commentando l'eventualità, allora prospettata dalla

scienza, del trapianto di una cornea di animale nell'uomo. La risposta che egli

dava rimane anche oggi illuminante: in linea di principio, egli diceva, la liceità di

uno xenotrapianto richiede, da una parte, che l'organo trapiantato non incida

sull'integrità dell'identità psicologica o genetica della persona che lo riceve;

dall'altra, che esista la provata possibilità biologica di effettuare con successo un

tale trapianto, senza esporre ad eccessivi rischi il ricevente (cfr Discorso

all'Associazione Italiana Donatori di cornea ed ai Clinici Oculisti e Medici legali,

14 Maggio 1956).

8. Nel concludere questo incontro, esprimo l'auspicio che la ricerca scientifico-

tecnologica nel settore dei trapianti, grazie all'opera di tante generose e

qualificate persone, progredisca ulteriormente, estendendosi anche alla

sperimentazione di nuove terapie alternative al trapianto d'organi, come

sembrano promettere alcuni recenti ritrovati protesici. Occorrerà comunque

evitare sempre quei sentieri che non rispettano la dignità ed il valore della

persona; penso in particolare ad eventuali progetti o tentativi di clonazione

umana, allo scopo di ottenere organi da trapiantare: tali procedure, in quanto

implicano la manipolazione e distruzione di embrioni umani, non sono

moralmente accettabili, neanche se finalizzate ad uno scopo in sé buono. La

scienza lascia intravedere altre vie di intervento terapeutico, che non

comportano né la clonazione né il prelievo di cellule embrionali, bastando a tale

scopo l'utilizzazione di cellule staminali prelevabili in organismi adulti. Su queste

vie dovrà avanzare la ricerca, se vuole essere rispettosa della dignità di ogni

essere umano, anche allo stadio embrionale.

E' importante, in tutta questa materia, l'apporto anche dei filosofi e dei teologi,

la cui riflessione sui problemi etici collegati con la terapia dei trapianti,

sviluppata con competenza ed attenzione, potrà portare a meglio precisare i

criteri di giudizio in base ai quali valutare quali tipi di trapianto possano

considerarsi moralmente ammissibili ed a quali condizioni, soprattutto per

quanto concerne i problemi di salvaguardia dell'identità personale.

Confido che non manchi, da parte di quanti hanno responsabilità sociali, politiche

ed educative, un rinnovato impegno nel promuovere un'autentica cultura del

dono e della solidarietà. Occorre seminare nei cuori di tutti, ed in particolare dei

giovani, motivazioni vere e profonde che spingano a vivere nella carità fraterna,

carità che si esprime anche attraverso la scelta di donare i propri organi.

II Signore illumini l'impegno di ciascuno e lo orienti a servire il vero progresso

umano. Accompagno questo auspicio con la mia Benedizione.

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9.2 Note di legislazione

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Ringraziamenti

Desidero ringraziare la prof.ssa Daniela Boresi per l’attenzione, la

disponibilità e i preziosi consigli.

Ringrazio Fondazione Banca degli Occhi del Veneto Onlus per avermi

accolto per svolgere il periodo di stage previsto dal Master. È stato bello

poter imparare tante cose in un ambiente dove professionalità e umanità

si sostengono e rafforzano a vicenda.

Ringrazio i miei colleghi di Master per aver creato insieme un clima di

collaborazione e arricchimento reciproco. Non ho trovato solo dei

compagni di classe, ma dei veri amici.

Ringrazio i miei genitori e la mia famiglia per avermi ancora una volta

sostenuto ed incoraggiato.

Infine ringrazio quel medico dell’AIDO che quando ero al liceo ha perso

una mattinata per spiegare a degli studenti l’importanza della donazione

degli organi. Parte della mia passione per la comunicazione delle scienze

e per questo argomento la devo anche a lui.

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