donare pace e bene aprile 2010

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SOMMARIODONARE PACE E BENE N.4/2010

EDITORIALE

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Avviso ai lettori - Ai sensi dell’art. 11 del decreto le-gislativo 30/60/2003 n° 196 (Codice della Privacy) Lainformiamo che i suoi dati sono conservati presso l’ar-chivio della ASSOCIAZIONE “DONARE PACE E BE-NE”, quale titolare del trattamento. L’elenco di tutti iResponsabili del Trattamento è, altresì, a completa di-sposizione presso la sede dell’Associazione.I suoi dati saranno trattati in modo lecito e secondocorrettezza, raccolti e registrati per il solo scopo dellapresente pubblicazione, aggiornati, completi e non ec-cedenti rispetto alle presenti finalità, conservati per unperiodo di tempo non superiore a quello di durata dellapresente pubblicazione. Premesso che il conferimentodei dati ha natura facoltativa, ai sensi dell’art. 13 delD.lgs. 196/2003 Lei ha diritto di conoscere, aggiornare,cancellare ad opporsi all’utilizzo dei suoi dati mediantecomunicazione scritta a Associazione “Donare Pace eBene”, Piazza Gallo, 10 - 60027 OSIMO AN.L’Associazione fin d’ora garantisce e si obbliga ad assi-curare, nel rispetto dell’art. 31/196, quanto segue:“I dati personali oggetto di trattamento sono custoditie controllati, anche in relazione alle conoscenze acquisi-te in base al progresso tecnico, alla natura dei dati e allespecifiche caratteristiche del trattamento, in modo daridurre al minimo, mediante l’adozione di idonee e pre-ventive misure di sicurezza, i rischi di distruzione o per-dita, anche accidentale, dei dati stessi, di accesso nonconsentito o non conforme alle finalità della raccolta.”Accettando quanto sopra, ed in assenza di contraria co-municazione scritta, si autorizza l’Ente alla raccolta, co-municazione, trasferimento dei propri dati personali, aisoggetti, nei limiti e per le finalità indicate nella presen-te informativa.

«DONARE pace e bene», Santuarios. Giuseppe da Copertino, 60027 Osimo (An).Casella Postale n. 78 - Tel. (071) 71.67.26 - 71.45.23;e-mail: [email protected] � Pubblicazioneomaggio agli associati-devoti del santo, particolarmenteinvocato dagli studenti come loro protettore durante gli esa-mi. � Periodico mensile a carattere religioso, assisten-ziale, culturale � Sped. in abb. post. art. 2 comma 20 c.- Legge 662/96 - Divisione corrispondenza - DirezioneComm.le Imprese, Ancona - n. 4 Aprile 2010 - Dir.Resp. p. Fermino Giacometti - Redazione: p. RobertoBrunelli � Proprietà-Editrice: Associazione “Donare pace ebene” Sant. s. Giuseppe da Cop., piazza Gallo, 10, Osimo-An / Cod. F. 93029380420 � Stampa: Errebi Falconara(An) - Fotoservizio SIR/Siciliani - Approv. ecclesiastica -Autor. del Trib. di Ancona n. 17 del 20.06.92� ccp. 6601 Associazione “Donare pace e bene”,Santuario s. Giuseppe da Copertino / Osimo (An)� Quota associativa 15 € (sostenitore 30 €) �

3 Pulizie di Pasqua

CHIESA E SOCIETÀ

4 Il tesoro più prezioso

6 La terra trema... e Dio?

PELLEGRINI DELLA PAROLA

10 E cominciarono a far festa

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VITA DEL SANTUARIO

20 Pillole per lo spirito

23 Voci di preghiera

23 Operiamo il Bene insieme

SCUOLA E VITA

8 Le nuove generazioni

SAN GIUSEPPE DA COPERTINO

12 Giuseppe: tra desiderio di Dio eaffermazione di sé

14 Chi fa ben per negligenza...

AMICI DI DIO

16 Padre Benvenuto Bambozzi

L’OASI DELLA PREGHIERA

18 Una porta: la preghiera di domanda

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EDITORIALE DONARE PACE E BENE N. 4/2010

pulizie di pasqua pietroguerrieri

Scrive Paolo ai Corinzi 'togliete via il lie-vito vecchio, per essere una nuova pa-

sta, poiché siete azzimi. Infatti cristo no-stra Pasqua è stato immolato. Dunque ce-lebriamo la festa non con il lievito vec-chio, né con il lievito di malizia e di per-versità, ma con azzimi di sincerità e verità'(1 Cor 5,7-8)E' un'antica testimonianza della Pasquacristiana, la nostra Pasqua.L'Apostolo trae spunto dall'u-sanza ebraica di perlustrare lacasa la vigilia di Pasqua e farscomparire ogni traccia di pa-ne fermentato, per illustrare leimplicazioni morali della Pa-squa cristiana. Il credente deveperlustrare, anch'egli, la casainteriore del suo cuore, perdistruggere tutto ciò che ap-partiene al vecchio regime dipeccato e della corruzione.Lo sviluppo successivo della dottrina edella prassi della Chiesa ha precisato dovee come questa pulizia pasquale deve tro-vare la sua concreta attuazione, come si facioè a togliere il lievito vecchio: nel sacra-mento della riconciliazione.Allora un aspetto importante della Pa-squa è la purificazione dal peccato. E' que-sta la Pasqua che Gesù ci chiede di com-piere:uscire dal peccato e purificarci dalvecchio fermento, cioè dal fermento del-l'uomo vecchio. Tutti abbiamo bisogno dicompiere questo passaggio, perché tuttisiamo invischiati, in misura diversa, in que-sta triste realtà: 'se diciamo che siamosenza peccato, inganniamo noi stessi e la

verità non è in noi. Se riconosciamo i no-stri peccati, Egli che è fedele e giusto, ciperdonerà i nostri peccati e ci purificheràda ogni colpa (1Gv 1,8-9). C'è da compie-re un'operazione radicale riguardo al pec-cato che consiste nel rompere definitiva-mente con il peccato (1Pt 4,1), nel di-struggere il corpo del peccato (Rm 6,6).Non basta dunque attaccare i vari peccatiche commettiamo ogni giorno; sarebbe

come mettere la scure ai ramianziché alla radice: non risol-verebbe niente. Il corpo delpeccato è il fermento vecchioche non eliminato, inserisceun elemento di corruzione inogni nostra azione ed ostacolail cammino verso la santità.Che fare in questo stato? Conla nostra sola volontà non lopossiamo togliere, perchè è ilnostro cuore di pietra. Non ci

rimane che l'implorazione; implorare l'A-gnello di Dio che toglie il peccato delmondo, perché tolga anche il nostro pec-cato. 'Certo è che nel lavacro di rigenera-zione che nascono uomini nuovi, ma tuttihanno il dovere di rinnovarsi quotidia-namente: occorre liberarsi dalle incrosta-zioni proprie della nostra condizioneumana e mortale. E poiché nel camminodella perfezione non c'è nessuno che nondebba migliorare, dobbiamo tutti, senzaeccezione, sforzarci, perché nessuno, nelgiorno della redenzione, si trovi ancorainvischiato nei vizi dell'uomo vecchio'..(S.leone Magno). Pasqua dunque, pulizia inprofondità, senza se e senza ma.

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Il credente deveperlustrare

la casa interioredel suo cuore, perdistruggere tutto

ciò che appartieneal vecchio regime

di peccato

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CHIESA E SOCIETÀDONARE PACE E BENE N. 4/2010

il tesoro più preziosoil papa visita l’ostello caritas di roma

fabiozavattaro

Un “piccolo villaggio della carità”nel cuore di Roma, dove “i nostri

fratelli e sorelle meno fortunati” tro-vano “accoglienza, ascolto, aiuto alleloro necessità”. Nel saluto introdutti-vo per la visita di Benedetto XVI all’O-stello della Caritas di Roma, il card.Agostino Vallini, vicario del Santo Pa-dre per la diocesi di Roma, ha ricorda-to tutti coloro che “generosamente siprodigano ogni giorno per dimostrareconcretamente che l’emarginazionepuò essere contrastata e vinta dall’a-more, in nome della carità di Cristo edella dignità che va sempre riconosciu-ta e garantita ad ogni persona umana”.La comunità ecclesiale, ha aggiunto ilcardinale, “parla alla città con la vo-lontà di riparare in tanti casi alla giusti-zia negata e offre il primo contributoper una cultura in cui i poveri non so-no fonte di problemi, ma persone me-no provvedute e come noi titolari didiritti”. “L’uomo non ha soltanto biso-gno di essere nutrito materialmente oaiutato a superare i momenti di diffi-coltà, ma ha anche la necessità di sape-re chi egli sia e di conoscere la veritàsu se stesso, sulla sua dignità”. È ilmessaggio lanciato da Benedetto XVInei locali della Caritas di Roma. Per laterza volta un Pontefice si è recato inun luogo di accoglienza dell’organismopastorale della Conferenza episcopaleitaliana: il 20 dicembre 1992 GiovanniPaolo II fece visita alla mensa di ColleOppio, dove lo stesso Benedetto XVIè tornato il 4 gennaio 2007. Grazie alservizio di quanti si adoperano nella

Chiesa “a favore dei poveri”, ha sotto-lineato il Papa, “tante persone hannopotuto riscoprire, e tuttora riscopro-no, la propria dignità” e “ritrovano fi-ducia in se stessi e speranza nell’avve-nire”; attraverso “i gesti, gli sguardi e leparole” di coloro che operano per laCaritas diocesana, “numerosi uomini edonne toccano con mano che le lorovite sono custodite dall’Amore, che èDio, e grazie ad esso hanno un senso eun’importanza”. Una certezza che, haprecisato il Pontefice, “genera nel cuo-re dell’uomo una speranza forte, soli-da, luminosa, una speranza che dona ilcoraggio di proseguire nel camminodella vita nonostante i fallimenti, le dif-ficoltà e le prove che la accompagna-no”.A quanti sono impegnati nella Ca-ritas diocesana, ha proseguito il Papa,l’invito ad essere “gioiosi testimonidell’infinita carità di Dio” e considera-re “questi vostri amici uno dei tesoripiù preziosi della vostra vita”. Forzapropulsiva. La sollecitazione del SantoPadre, rivolta non solo ai cattolici maad “ogni uomo di buona volontà, inparticolare quanti hanno responsabilitànella pubblica amministrazione e nellediverse istituzioni”, è quella di “impe-gnarsi nella costruzione di un futurodegno dell’uomo, riscoprendo nella ca-rità la forza propulsiva per un autenti-co sviluppo e per la realizzazione diuna società più giusta e fraterna”. Tut-tavia, “per promuovere una pacificaconvivenza che aiuti gli uomini a rico-noscersi membri dell’unica famigliaumana è importante che le dimensioni

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del dono e della gratuità siano risco-perte come elementi costitutivi del vi-vere quotidiano e delle relazioni inter-personali”. L’Ostello dellaCaritas, dunque, “manifestaconcretamente che la comu-nità cristiana” collabora“utilmente con le istituzionicivili per la promozione delbene comune” in una “fe-conda sinergia”. Nel servizioalle persone in difficoltà, haaggiunto il Papa, “la Chiesa èmossa unicamente dal desi-derio di esprimere la pro-pria fede in quel Dio che è ildifensore dei poveri e cheama ogni uomo per quello che è e nonper quello che possiede o realizza”. LaCaritas diocesana, ha concluso Bene-detto XVI, è dunque “un luogo dove l’a-more non è solo una parola o un senti-mento, ma una realtà concreta, checonsente di far entrare la luce di Dionella vita degli uomini e dell’intera co-munità civile”. Nel corso della visita allaCaritas di Roma, il Santo Padre ha rice-vuto in dono un crocifisso restaurato,proveniente da Onna, il paese abruzze-

se distrutto dal terremoto del 6 aprile2009. La croce porta con sé “un doloreinspiegabile, lancinante, ma non dispera-

to”, ha spiegato GiovannaContaldo, ospite dell’Ostel-lo. Tuttavia, essa “non è l’im-magine della sofferenza mal’attesa dell’alba e del riscat-to” ed è per questo che,“nelviaggio di ritorno”, il Papanon deve portare il dolorema soltanto “la speranza”.Quello con il Pontefice èstato “un incontro emozio-nante”, ha commentato alSIR Roberta Molina, respon-sabile del’Ostello, la quale ha

guidato la visita. È il segnale che “unacittà può essere solidale e le personeche abitano questo posto sono perso-ne con voglia di rinascere, che noi dob-biamo aiutare”. L’arrivo di BenedettoXVI era atteso, fin dal mattino, da nu-merosi volontari fuori e dentro i localidel centro di accoglienza che ogni not-te ospita 188 senza fissa dimora e offre500 pasti a sera oltre ad un servizio sa-nitario, con poliambulatorio, una farma-cia e l’assistenza legale.

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L’uomo non hasoltanto bisognodi essere nutritomaterialmente,ma ha anche la

necessità di conoscere la

verità su se stesso,sulla sua dignità

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la terra trema... e Dio?robertotamanti

Nel giro di pochi mesi abbiamo "assisti-to" a due eventi molto tragici e capa-

ci di colpire la nostra coscienza, oltre che,forse, anche la nostra fede: il terremotodevastante ad Haiti, con centinaia di mi-gliaia di morti e distruzione,e poi un al-trettanto fortissimo terremoto in Cile. Difronte a tutto questo è possibile che pos-sano sorgere dal nostro cuore domandeantiche e sempre nuove: perché accadonoqueste cose? Come mai Dio permettequesto? Sono forse "segni" che vengonoda Dio? E come interpretarli? Cosa possia-mo fare noi? Intanto diciamo, per eliminareogni allarmismo o catastrofismo, che nonsiamo in presenza di fatti nuovi o che av-vengono con frequenza maggiore che inpassato: i terremoti ci sono sempre stati esempre si verificano, ogni giorno, anchefortissimi; grazie a Dio la maggior parte simanifesta lontano da luoghi abitati e quindi

non causano vittime; anche altre sciagure,come pestilenze, disastri ambientali, inci-denti vari di qualsiasi tipo, ecc, non sonocerto cose nuove, anzi in passato ne avve-nivano e ne sono avvenute di peggiori.Quindi lasciamo a chi vuole speculare leinterpretazioni di tipo apocalittico, oppureil pensiero che questi fatti siano come se-gni che si sta avvicinando la fine del mon-do (pensiero sempre ricorrente nella sto-ria dell'umanità e, chissà perché, sempreaffascinante! ogni volta che qualcuno mil-lanta di sapere quando sarà la fine riscuotesempre successo e discepoli!). Dunque,siamo in presenza di fenomeni che, possia-mo dire, fanno parte della storia del piane-ta terra e della sua fragilità e imprevedibi-lità, come il peccato fa parte della storiadell'essere umano: d'altronde anche s. Pao-lo, nella lettera ai Romani (cap 8) afferma-va come la stessa creazione attende con

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impazienza la manifestazione della salvez-za, in qualche modo anche la terra "desi-dera" essere liberata dalla sua imperfezio-ne. Perché dunque, se questi eventi nonrientrano nell'ambito di qualcosa di straor-dinario, perché accadono proprio dovespesso c'è già miseria, povertà, sofferenza,perché colpiscono i più poveri, come è ilcaso di Haiti? Dobbiamo dire che proba-bilmente non esiste una rispo-sta soddisfacente a questa do-manda e forse non è lecitonemmeno cercarla: i fenomeninaturali si manifestano in mo-do "libero" nel mondo, noncerto in relazione con il teno-re di vita di coloro che abitanouna certa zona della terra. Èun po' come il vecchio (e sem-pre nuovo) problema che giàsi ponevano gli Israeliti e checertamente anche ciascuno dinoi tante volte si è posto: per-ché gli "empi" sembrano pro-sperare, mentre i "giusti" sembrano spessopatire e vivere nella sofferenza? Perchéuna grave malattia colpisce una personaonesta, mentre chi vive nel peccato, nellaricchezza disonesta, sembra spesso averetante fortune dalla vita? Queste domandee altre simili e i tentativi di risposta sonoanche alla base di testi biblici, soprattuttodell'AT, che appunto affrontano il problemadella "retribuzione" da parte di Dio: puòessere utile andare a rileggersi il grande li-bro di Giobbe per vedere come anzituttoDio non disprezza e non condanna il la-mento e l'accusa che gli vengono rivolteda Giobbe, anzi rimprovera i (falsi) amici,che volevano difendere l'operato di Dio(attenzione a quando anche noi, di frontealla sofferenza, più che ascoltare e condivi-dere il dolore di chi soffre, ci preoccupia-mo di difendere Dio, probabilmente perpacificare la nostra coscienza e non senti-re anche noi le domande che il dolore cipone…); inoltre Dio risponde a Giobbemostrandogli la sua opera creatrice e aiu-tandolo a riconoscersi sempre creatura,mai come qualcuno che possa disputarealla pari con Lui. Ma allora, se non possia-

mo certamente attribuire a Dio alcuna vo-lontà di "colpire" qualcuno, attraverso glieventi naturali, né possiamo trovare unaqualche forma di logica razionale neglisconvolgimenti della natura, è lecito cerca-re in questi eventi un qualche "segno" daparte di Dio? Questo è possibile, certa-mente, sempre però con cautela e senzainterpretazioni troppo forzate o del tipo

causa- effetto: occorre dire, in-fatti, che tutto ciò che accadenel mondo, tutto ciò che acca-de anche nella nostra vita, puòessere letto come parola diDio, cioè realtà attraverso laquale possiamo cogliere unmessaggio da parte del Signore,ma non necessariamente vo-lontà di Dio, come a volte si af-ferma e si pensa.Anche la vec-chia frase "non si muove fogliache Dio non voglia", sebbenefaccia rima (!) non è corretta,perché lascia pensare che ogni

minimo evento sulla faccia della terra si ve-rifica perché Dio lo vuole. Se così fosse, co-me spiegare il male? La cattiveria? Le violen-ze? Le vittime innocenti? In realtà Dio per-mette l'accadere di tanti eventi, ma non tut-ti li vuole, ovviamente (anche per questonoi chiediamo nel Padre nostro che si facciala Sua volontà, perché evidentemente nonsempre essa si compie). Oltre che rimane-re, dunque, attenti a non attribuire falsi si-gnificati alla tragedie che colpiscono l'uma-nità, quello che, primariamente, resta a tutticome compito nobilissimo e umanissimo èla solidarietà e la compassione verso tuttele vittime di qualsiasi evento luttuoso: nellapreghiera, nell'aiuto economico, nel lasciareche il proprio cuore venga smosso dall'in-differenza. Al di là delle (giuste) domande edelle sempre parziali risposte, vale sempre,e in questi casi soprattutto, il primato dell'a-more, come tantissime persone, credenti enon, dimostrano in questi casi: in effetti lastoria delle disgrazie che colpiscono l'uma-nità è, per grazia di Dio, anche la storia deltanto bene e amore che molte personeusano in modo generoso e commoventeverso i loro fratelli e sorelle nel bisogno.

La storia delle disgrazie che

colpiscono l'uma-nità è, per graziadi Dio, anche lastoria del tanto

amore che moltepersone usano inmodo generoso e

commovente

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DONARE PACE E BENE N. 2/2006

le nuove generazionila sfida educativa/4

giancarlogaleazzi

Dopo aver accennato alla crisi dell'e-ducazione e dei modelli dominanti,

per cui la sfida educativa porta a elabo-rare un nuovo modello educativo, e allacrisi degli educatori e della loro fiducianell'educazione, per cui la sfida educativaporta a scommettere sull'educazione,accenniamo ora alla crisi degli educandie alle aperture che si aprono con la sfidaeducativa. Per sintetizzarel'attuale crisi della condizio-ne infantile e adolescenzialeoggi, si potrebbe dire che citroviamo di fronte a un du-plice fenomeno: la scomparsasociale dell'infanzia e il disa-gio culturale dell'adolescen-za. Si parla di "scomparsa del-l'infanzia" (N. Postman), nelsenso che sembra essersieclissato quel rispetto versol'infanzia conseguente al riconoscimentodella dignità dell'infanzia che aveva carat-terizzato la modernità eche aveva porta-to alla "scoperta del bambino" (M. Mon-tessori). Oggi, invece, dietro l'appari-scente interesse per l'infanzia, si assistead una società che la trascura bellamen-te nella sua specificità, per cui si è ancheparlato di "bambini senza infanzia" (M.Winn), per denunciare l'uso (quandonon è l'abuso) dell'infanzia. Da qui la de-nuncia che da più parti è stata avanzataaffinché si giunga a "riscoprire l'infanzia":il che reclama riconoscere il bambinoquale persona non in potenza ma in at-to, cioè persona a pieno titolo che, inquanto tale, è fine e non può esserestrumentalizzato; reclama riconoscere il

bambino nella sua specifica condizioneche richiede particolari attenzioni e cu-re, ma avendo pur sempre chiaro che laminorità non una minorazione; reclamainfine riconoscere il minorenne soggettodi diritti, prima che oggetto di diritto. Siparla poi di disagio adolescenziale e gio-vanile, e lo si caratterizza non solo intermini individuali, psicologici, ma in ter-

mini propriamente sociali,culturali. Come è stato re-centemente puntualizzato(U. Galimberti), il nichilismo,che si aggira tra i giovani,"penetra nei loro sentimenti,confonde i loro pensieri, can-cella prospettive e orizzonti,fiacca la loro anima, intristi-sce le passioni rendendoleesangui". Così i giovani, neltempo del nichilismo, si in-

terrogano sul "significato stesso della lo-ro esistenza, che non appare loro privadi senso perché costellata dalla sofferen-za, ma al contrario appare insopportabi-le perché priva di senso". Si tratta, dun-que, di una situazione diversa da quellache, nella modernità, aveva portato aconcepire l'adolescenza come una "se-conda nascita" (J. J. Rousseau) all'insegnadi quella che è stata chiamata la crisi dioriginalità giovanile (M. Debesse) e di-versa dalla invenzione dei giovani (J. Sa-vage) e dalla loro centralità nella societàcontemporanea. L'attuale disagio cultu-rale porta invece alla emarginazione del-la giovinezza, ad un misconoscimentodei bisogni adolescenziali, tanto che si èparlato di "generazione invisibile". Di

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Il futuro deve tornare

a configurarsi come una promessa,

anziché come una minaccia

SCUOLA E VITADONARE PACE E BENE N.4/2010

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SCUOLA E VITA DONARE PACE E BENE N. 4/2010

fronte a questa situazione alcuni pro-spettano come rimedio il superamentodella interrogazione di senso, che peròappare incompatibile con il fatto che l'uo-mo è "un essere volto alla costruzione disenso" (W. Goethe); altri, invece, ritengo-no a ragione che la vera questione consi-sta non nel rinunciare alla domanda disenso, ma di riappropriarsi della ricercadi senso, e di esercitarla oltre che a livel-lo individuale, anche a livello comunitario.Se, nella "desertificazione di senso" ope-rata dal nichilismo, l'interrogazione disenso esercitata dall'individuo da solo ri-schia di essere vanificata, bisogna non la-sciare da sola la persona a interrogarsisul senso della vita, ma occorre coinvol-gervi anche la società. Allora le diversecomunità dovranno farlo secondo le lo-ro specifiche modalità ma con la stessaconvinzione, valida per tutti, in particola-re per i giovani, vale a dire che la sensa-tezza comporta senso della "provenien-za" e della "appartenenza", e quindi con-tribuisce alla costruzione della identità,mentre la insensatezza produce "le pato-logie del cinismo carrierista o delconformismo gregario". Dunque, è nelcontesto di una condivisa istanza di sen-

satezza che l'adolescenza può superare ilsuo disagio. Pertanto, a quarant'anni dallaDichiarazione internazionale dei dirittidell'infanzia e a venti dalla Convenzioneinternazionale dei diritti dell'infanzia siripropone la necessità di una societàche sappia essere all'altezza dei ragazzi:certo senza infantilismi o giovanilismi, macon la consapevolezza che i ragazzi sonoil futuro e che bisogna aiutarli a costruir-lo, cioè a porre le condizioni perché adesso possano guardare con fiducia. In-somma, il futuro deve tornare a configu-rarsi come una promessa, anziché comeuna minaccia. E' questa la sfida educativa,che è anche una sfida sociale, con cui laChiesa italiana invita a misurarsi senza ti-midezze di sorta, invitando tutti a impe-gnarsi per superare tanto la mancanza dirispetto nei confronti dell'infanzia, quan-to la sottrazione di senso a livello diadolescenza. Da qui l'imperativo che ogniadulto dovrebbe far suo: abbi "il coraggiodi educare" ovvero sappi "costruire ildialogo educativo con le nuove genera-zioni" (A. Briguglia e G. Savagnone): tuttisono chiamati a questo, ciascuno secon-do il proprio ruolo.

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PELLEGRINI DELLA PAROLADONARE PACE E BENE N. 4/2010

e cominciarono a far festale sorelle

clarisse delmonastero

santa speranza

Ho spesso provato ad immaginare lagioia, la contentezza, l'allegria che

inondano quei versetti del vangelo di Lu-ca in cui l'evangelista ci propone le treparabole della misericordia: la pecorasmarrita, la moneta perduta, il padre mi-sericordioso. Immaginare il pastore che,con gioia, si carica la pecora appena ritro-vata sulle spalle, va a casa e chiama gliamici ed i vicini per far festa;immaginare la donna che, tro-vata la moneta che aveva per-duta, invita le amiche e le vici-ne per rallegrarsi insieme econdividere la felicità del ri-trovamento; raffigurarmi quelpadre che si getta al collo delfiglio appena tornato a casa,quel padre che non sta piùnella pelle e non sa cosa in-ventare per far festa: ordina ditirar fuori il vestito di lusso,l'anello di famiglia, di uccidereil vitello grasso e dice a tutti, servi com-presi, "mangiamo e facciamo festa perchéquesto mio figlio era morto ed è tornatoin vita, era perduto ed è stato ritrovato".Di certo è una gioia che non si riesce fa-cilmente a concretizzare, che non si rie-sce facilmente ad afferrare perché è lagioia indicibile di Dio, un Dio che ci amaveramente, che non è lasciato indifferen-te da tutto quello che ci riguarda e cisuccede, un Dio per il quale ogni nostracosa ha un'eco nel suo cuore fino a pro-vocare in Lui ansia, speranza, dolore,gioia! Smarrendosi, perdendosi quella pe-cora così come la moneta, come pure ilfiglio minore, hanno fatto tremare il cuo-re di Dio. Dio ha temuto di perderli per

sempre, di doversene privare in eterno.Questa paura ha fatto sbocciare la spe-ranza in Dio e la speranza, una volte rea-lizzatasi, ha provocato la gioia e la festa. E'bello questo Dio che lascia tutto per ve-nirmi a cercare, che lascia tutto per cari-carmi sulle sue spalle come un padrequando gioca con il suo bimbo piccolo,che mi riconduce a casa; questo Dio che

spazza ogni angolo della miavita spostando mobili, tavoli,sedie e tirando via polvere,ragnatele e qualsiasi altra cosapur di ritrovarmi e pur dipermettere che io possa ri-trovarmi; questo Dio che,ogni giorno, ogni istante, guar-da fisso fino all'orizzonte pernon perdersi il momento delmio ritorno sulla strada di ca-sa, che mi corre incontro, miabbraccia forte quasi a soffo-carmi, che smuove le monta-

gne per farmi festa ogni volta che ricono-sco il suo essermi Padre e il mio esserefiglio. E' significativo, a questo proposito, ilmovimento, l'andare e il venire, il darsi dafare del pastore, della donna, del padre.La donna che ha perduto la moneta nonesita un istante: accende la lampada, spaz-za la casa, cerca accuratamente, trova lamoneta…ma non si ferma qui: chiama vi-cine ed amiche affinché possano ralle-grarsi e far festa insieme a lei. E' quel Dioche allontana da noi l'ombra di qualsiasinotte, che ci mostra, ogni volta, la lucedel nuovo giorno che mai tarda ad arriva-re, ce la fa assaporare, la fa risplenderecome faro che ci riconduce in strada, nelcammino verso casa, che illumina il no-

È bello questo Dio che lascia

tutto per venirmia cercare, che

lascia tutto percaricarmi sullesue spalle come

un padre quandogioca con il suobimbo piccolo

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PELLEGRINI DELLA PAROLA DONARE PACE E BENE N. 4/2010

stro cuore, la nostra anima, il nostro in-telletto perché, come la moneta d'argen-to, alla luce, scintilla e si fa trovare, cosìanche noi possiamo afferrarla, sentirla,goderne e lasciarci afferrare da lei. Manon basta! Non basta a Dio che vediamola sua luce! Ci aiuta ad incamminarci ver-so di essa, verso di Lui. Egli comincia aspazzare la casa, comincia a far spazionella nostra vita, a raccogliere e buttarvia il nostro non credere, non sperare,non amare, la nostra capacità (sì! E' pro-prio capacità!) quotidiana di dire no allafede, alla speranza, all'amore, a Lui, le no-stre povertà, la nostra tristezza, le nostredebolezze, la ragione di chi non è e nonsi fa piccolo di cuore, di chi vorrebbe co-noscere tutto e subito, di chi non è capa-ce di dare confidenza, di affidarsi, di cre-dere a chi è più grande di lui e lo prece-de, la ragione di chi ragiona troppo o perniente, di chi non sa accettare il propriolimite, di chi non sa riconoscere l'amoreaccanto a lui, dentro di lui, di chi non èmai soddisfatto, di chi non dona ma tuttovuole e pretende per se. E una volta checi ha trovati? Non tiene la moneta tuttaper se, non la nasconde in un luogo bensicuro per paura di perderla nuovamen-

te, non la chiude nel fondo di un casset-to, non la spolvera o la tira a lucida ognigiorno per rimetterla, poi, sottochiave!No! Addirittura neanche aspetta che lanotizia del ritrovamento si diffonda ca-sualmente ma chiama, grida, urla di gioiaaffinché tutta la creazione, tutti gli uominipossano rallegrarsi con Lui! E' un Diopazzo di gioia ogni volta che torniamo aLui, ogni volta che può riabbracciarci,stringerci a sé, guardarci negli occhi, scal-darci l'anima! Sì! Il cuore di Dio è total-mente ed irreversibilmente paterno! Pos-so sbagliare, posso smarrirmi, posso pec-care ma mi è concesso di contare sullasolidità di questa roccia: Dio resta Padree continua a volermi bene! Ed è un benetalmente grande che gli provoca dentrouna gioia incontenibile, contagiosa, impe-tuosa, che gli fa compiere pazzie per me,per ogni Suo figlio. Una gioia che fa brilla-re i Suoi occhi al solo vedermi, che lo facorrere, che lo fa saltare per abbracciar-mi, baciarmi, che lo fa danzare e cantare,che lo fa preparare banchetti ricchi di vi-vande perché, insieme, possiamo gustarela pienezza di Lui, del Padre essenzial-mente amore, fedelmente amore, inesau-ribilmente amore!

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SAN GIUSEPPE DA COPERTINODONARE PACE E BENE N. 4/2010

Giuseppe: tra desiderio diDio e affermazione di séla vita di san Giuseppe da Copertino/ 4

vincenzogiannelli

La leggenda narrava di un giocatoreche, nell'impeto di un diabolico fu-

rore per i rimproveri di un amico, ave-va scagliato una pietra contro l'immagi-ne della Madonna. Non per questo legrazie erano diminuite. I miracolati anziavevano pian piano accumulato cospi-cue offerte, sufficienti per edificare unacappella. I vescovi di Nardò vi avevanoaffiancato una dimora estiva, lasciandoad un sacrestano - che si chiamava l'e-remita - l'incombenza della pulizia e delbuon ordine. Quando il brav'uomo livide, non volle perdersi d'animo dinan-zi al fallimento, fidandosi nell'interventodivino, versò sulla piaga l'olio della lam-pada che ardeva davanti all'immaginedella Madonna. La fede fece il miracolo:Giuseppe si alzò guarito. Come ringra-ziamento volle ritornare a Copertino -distante nove miglia - a piedi, aiutando-si solo con un bastone. Finalmente, do-po cinque anni di immobilità, poteva ri-gustare l'odore della natura, gli alberid'olivo, gli odori della campagna salenti-na, nel cuore saliva il fremito della gioiae gli occhi si puntavano al cielo per rin-graziare la Vergine che lo aveva salvatoe san Francesco a cui s'era rivolto congrida disperate. Giuseppe aveva ormaiquasi quindici anni e rimandarlo ascuola non era più il caso. Iniziò colmestiere di venditore di crine vegetale,per imbottire cuscini e materassi, daiconiugi Francesco Jaco Della Porta eFenizia Alemanno, nobili di Copertino.Fu un mestiere in cui, o per il pocoguadagno o per la sua poca attitudine,durò ben poco. Nonostante il contra-

rio parere di Franceschina, per imposi-zione di Felice suo padre, finì nella bot-tega di un mastro calzolaio: l'arte dellascarpa avrebbe dovuto procurargli ilpane quotidiano per tutta la vita. Ilnuovo lavoro non doveva essere diffici-le: battere le scarpe sul marmotto,spianare il corame, lisciare le suole oportare a domicilio le ciabatte, mentreil maestro col suo grembiale sporco dipece, chino sul trespolo lavorava di le-sina e di spago. Ma, anche nella "botte-ga di scarparo", quel maledetto vizio didistrarsi fece ben presto concludereche Giuseppe non vi riusciva "né conattitudine né con genio", diventandooggetto di derisione da parte dei clien-ti e dei coetanei. Ma non era colpa sua.Gli succedeva di pensare e di perdersidietro i propri pensieri colorati di pa-radiso, restando con le mani inerti sullavoro, mentre al padrone passava latentazione di svegliarlo in malo modo,se non fosse stato per quel bravo gio-vane che era. Un ragazzo semplice; co-me molti lo ricorderanno, di preghiera.A dimostrazione di questo, in casa diFranceschina si era fatto un altare e vidiceva il rosario e le Litanie. Neppure isuoi compagni, come Diego Galasso ePier Paolo Schifeo, sapevano quantecappelle visitasse Giuseppe Maria. Dellasua devozione molti ne daranno testi-monianza. Donato Antonio Buono, undiciottenne di belle speranze, già avvia-to per l'ideale del sacerdozio, ne avevavoluto far le conoscenze perché incu-riosito dalle continue lodi che si face-vano di lui. Quando poté sincerarsene,

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SAN GIUSEPPE DA COPERTINO DONARE PACE E BENE N. 4/2010

non rimase deluso.Il Reverendo Don Angelo Liuzzi che selo sentiva lodare come un giovanetto"di buona vita", aveva voluto controllar-lo, personalmente e a lungo, con i suoiesperti occhi da prete e lo aveva trova-to - riferisce egli stesso - "sempre de-voto". Di questi buoni segni - come lichiamava la sorella Livia - Giuseppe nediede sempre. Non conosceva ancorail male delle lusinghe delle compagnie.Significative, del resto, sono certe me-raviglie dei compagni, un amico devotoricorderà: "Dalla puerizia fu sempre ri-tirato e devoto, frequentando le chie-se, li Sacramenti et ancora la conversa-zione di persone ritirate. Era castissi-mo, tanto che li figlioli che conversava-no con lui dicevano che era vergine, ethaveva sempre desiderio di farsi reli-gioso".Ma buona parte di questa calma erasolo apparente. La vivacità che ne ave-va caratterizzato l'infanzia - come lamadre amava spesso ricordargli - erastata sopita dalla lunga infermità. Le ra-gazzate non mancarono, anche se il

temperamento focoso, fu tenuto a fre-no e domato dalla mamma Franceschi-na, ma un fatto creò scalpore nel pae-se. Un giorno Giuseppe uscì di casaun po' in ghingheri, con una spada chegli batteva al fianco: uno strumentonon difficile da procurarsi per l'am-biente che frequentava e che rappre-sentava allora una parte indispensabiledi un abito signorile. Con i suoi sedicio diciassette anni, con tanto di cappel-lo e di peluria sotto il naso, camminan-do un po' impettito si avviò verso lapiazza. In piazza, Giuseppe trovò l'im-previsto. Qualcuno fece volare una pa-rola pungente all'indirizzo del disgra-ziato Felice o del suo modo arrogantedi andare in giro.Volò uno schiaffo im-provviso e bene assestato di Giusep-pe. Passato lo stupore e la sorpresa,l'uomo si avventò deciso di rivalersiper non diventar la favola del paese,ma si trovò puntata al petto la spadache il giovane aveva sguainato di scat-to, in posa da eroe. Il fatto tra i duefinì lì ma l'accaduto arrivò agli orecchidi mamma Franceschina.

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SAN GIUSEPPE DA COPERTINODONARE PACE E BENE N. 4/2010

“Chi fa ben per negligenzaperde il frutto e la semenza”giancarlo

corsini

Fare le cose con negligenza: un'espe-rienza che tutti conosciamo molto

bene. Molte volte iniziando un'attivitào un cammino spirituale siamo partiticon entusiasmo e animati da tanto ze-lo ma poi strada facendo abbiamosperimentato un calo di entusiasmo odi interesse per l'opera intrapresa eabbiamo sentito crescere nell'animauna sorta di disgusto o di svogliatezzafino a che questo sentimento è diven-tato così invadente da bloccarci e datoglierci completamente la voglia di fa-re chicchessia. Cerchiamo di entrarenel sentimento che il nostro santo

chiama negligenza e che più propria-mente dovremo chiamare accidia. Pri-ma di tutto l'accidia è uno dei sette vi-zi capitali e raramente è un peccatoche riconosciamo e accusiamo nellenostre confessioni: ci sembra poco im-portante o addirittura irrilevante con-frontato con altri peccati capitali co-me la lussuria e l'invidia o la stessa su-perbia. In realtà l'accidia è un maleoscuro che pian piano conduce l'animaad un totale disgusto verso le cose diDio e dello Spirito e ce se ne accorgequando il campo è già invaso e solocon fatica e con l'aiuto della grazia di

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SAN GIUSEPPE DA COPERTINO DONARE PACE E BENE N. 4/2010

Dio possiamo estirparla. "L'accidia èvista dagli autori spirituali come unanoia e uno scoraggiamento che ab-braccia l'anima rendendola incapace dicompiere i doveri per i quali dovrebbeinvece essere libera" (Nuova Enciclo-pedia Cattolica). Assomiglia in campofisico ad una sorta di grande inappe-tenza, che nemmeno i cibi più "leccor-niosi" riescono a scalfire. Questo di-sgusto per lo spirituale a causo del-l'impegno che questo richiede bloccal'agire. Si vorrebbe, se ne comprendeintellettualmente la neces-sità e la bontà ma non siriesce a sbloccarsi… tuttocosta tanta fatica. A lungoandare all'accidia e alla ne-gligenza si accompagna lanoia, la tristezza: è come seuna patina di malinconia co-prisse ogni realtà interioreed esteriore. Sul versanteumano l 'accidia è moltopresente nella nostra cultu-ra e nelle nostre case: è ladepressione che colora digrigio l'esistenza, spegne ogni entusia-smo e demotiva l'agire. Nell'antichitàassumeva qualche volta i tratti dellatrascuratezza e dell'indifferenza ed eraanche usata per significare una certaindolenza nei rapporti con Dio.Il pensiero corre al nostro S. Giusep-pe, alla lunga solitudine che sentiva co-me un peso; l'accidia avrebbe trovatofacile terreno per attecchire nella suaanima, ma il rapporto con Dio, la rela-zione orante lo ha messo al riparo daquesto demone.Ho conosciuto nella mia esperienzaun fratello che forse era frenato daquesto atteggiamento: faceva le cosedi ogni giorno ma con grande fatica esvogliatezza, le faceva con il minimodell'impegno e questo gli ha impeditodi mettere a frutto i tanti doni di in-

telligenza che aveva in dono dal Signo-re. Solo una qualità alta di vita spiri-tuale ci può mettere al riparo da que-sto demone.Il primo che ha descritto l'accidia èEvagrio Pontico che scrive nel 383 ba-sandosi sulla sua esperienza. Nell'elen-co delle otto tentazioni principali deimonaci, l'accidia occupa il posto tratristezza e vanagloria.Un altro autore spirituale, GiovanniCassiano, la definisce come un'ansia, oun tedio del cuore che rende l'uomo

inabile a qualsiasi opera e lotrasforma in ozioso e vacuoper ogni attività spirituale.In tal modo l'uomo accidio-so non è mai soddisfatto nédelle sue occupazioni, nédei suoi fratelli; i suoi lavorilo annoiano, per cui risultauna persona inquieta chenon sta bene con nessuno ein nessun luogo.La relazione con il tempo èsegnata da questo atteggia-mento; il tempo non è vis-

suto ma subito e perso in cose inutiliche non danno gusto né senso alle co-se. Ma l'accidia non è il male dei mo-naci né dei consacrati: è il male di tut-ti; è il malessere interiore che si espri-me con l'indolenza. S.Tommaso defini-sce la negligenza o accidia come "il te-dio di operare bene e la tristezza pro-dotta dalle cose spirituali". L'accidia sioppone alla gioia e alla carità fino adarrivare ad impedire alla bontà di se-gnare la vita. L'accidia genera poi altripeccati come la malizia, il rancore, lapusillanimità, la disperazione e il tor-pore. E' davvero un male oscuro comelo definisce Gabriel Bunge nel suo li-bro che porta proprio questo titolo eche ci aiuterà nella prossima riflessio-ne che insieme faremo ancora sullostesso tema.

All'accidia si accompagna la

noia e la tristezza:è come se una

patina di malinconia

coprisse ogni realtà

interiore ed esteriore.

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AMICI DI DIODONARE PACE E BENE N. 4/2010

padre benvenuto bambozziun uomo strardinariamente ordinario

robertobrunelli

Il Venerabile Benvenuto Bambozzi nascenella frazione dell’Abbadia di Osimo il 23

marzo 1809. Riceve dai genitori contadiniuna catechesi quotidiana fatta di gesti umilima sentiti, come la recita del Rosario nellastalla, la sosta nei campi per la recita del-l’Angelus, il condividere il poco pane con imendicanti che bussano alla porta. Il giova-ne Benvenuto ha dalla sua un carattere ir-ruento e narcisista. E’ appassionato di cac-cia e passa lunghe ore a puntare le sueprede, fino a che non capisce che lui stes-so è divenuto preda del Signore, che lo at-tira a sé e lo chiama alla vita religiosa. Hagià 19 anni, e a quel tempo chi vuole di-ventare sacerdote entra in seminario giàda piccolo. Decide di iscriversi nella scuolapubblica, in mezzo a ragazzini molto piùgiovani di lui e vestiti molto più elegante-mente. Le canzonature dei più piccoli pro-vano in lui ferite d’orgoglio, ma l’ideale chelo spinge è così forte che lo aiuta a in-ghiottire umilmente questi bocconi amari.Nel 1822 i Frati Minori Conventuali ri-prendono possesso della Basilica di SanGiuseppe da Copertino, dopo i sei anni disoppressione subiti sotto l’Impero Napo-leonico. Benvento matura l’idea di seguireanche lui le orme del Santo di Assisi e il 3dicembre 1832 viene vestito del nero abi-to dei francescani conventuali. Al terminedel noviziato viene mandato ad Urbinoper completare gli studi. Diverrà sacerdo-te il 9 novembre 1834. In questo periodoleggerà avidamente le opere di Santa Tere-sa d’Avila, la cui spiritualità lo influenzeràmolto. Pochi mesi dopo viene trasferitonel convento di Pesaro. I frati, anche se lodileggiano per le sue interminabili devozio-

ni, gli vogliono bene: celebra in manieraimpeccabile, lavora instancabilmente, si ab-basa ai lavori più umili, prega costantemen-te. E’ un esempio per tutti.Nel 1837 è nel convento di Camerano.Qui vi regnava indisturbato un solo fratel-lo laico, il cui carattere scontroso era notoa tutto il paese. Il Provinciale pensò beneche l’unico frate che avesse la santità ne-cessaria per sopportarlo fosse proprio P.Benvenuto. Da parte sua l’anziano frate,che non ha nessuna intenzione di averesopra di sé dei superiori, fa di tutto perrendere difficile la vita a P. Bambozzi: nongli parla mai, lo insulta e trama alle suespalle con calunnie e discredito. Arriva adurlargli minacce perfino durante la S. Mes-sa e a minacciarlo di morte. Racconta P.Benvenuto di quel periodo: "Al di fuori micomportavo con santa indifferenza, madentro soffrivo non poco; questo dolore siripercuoteva nel fisico nonostante cercassidi essere felice perché così imitavo il Re-dentore". Questa luce che attingeva collo-quiando in preghiera con il Crocifisso epartecipando alle sue sofferenze a causa delvecchio frate la trasmetterà in tutto il suosplendore nel confessionale ed al capezzaledei numerosi malati che lo facevano chia-mare per un conforto,magari l'ultimo.Il 13 luglio 1838 Padre Benvenuto vienetrasferito nel convento di Fratterosa inprovincia di Pesaro.Anche qui verrà prestonominato Guardiano, cioè responsabile delconvento. Nel progetto di Francesco d'As-sisi essere guardiano, provinciale o genera-le significava essere servo e suddito di tuttii frati, lavare loro i piedi come Gesù avevafatto con gli apostoli. E' quanto farà Benve-

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AMICI DI DIO DONARE PACE E BENE N. 4/2010

nuto con i suoi confratelli. Un Oblato diquesta comunità è sempre ubriaco. Benve-nuto lo soccorre e lo aiuta a rialzarsiquando cade per la strada, attirando lesimpatie e l'ammirazione di molti. Ma nondi tutti. Un uomo che aveva come hobbymolto coltivato la bestemmia viene ripre-so da padre Bambozzi. Questi si vendica elo bastona alla prima occasione. Benvenu-to attende in ginocchio che questi finiscae, rientrato in convento, non parla a nessu-no dell'episodio. Il povero diavolo subiscecome un colpo quell'esempio di mitezza esi decide a chiedergli perdono e a farsi da-re l'assoluzione di tutti i peccati. I parenti,che lo conoscevano come "allergico" allareligione, si stupiscono di questa conver-sione e, saputo il motivo, fanno crescereancora di più l’ammirazione degli abitantidi Fratterosa nei confronti dell’umile frate.Nel 1844 l’obbedianza chiama Padre Bam-bozzi ad Osimo per svolgere il delicatissi-mo e difficile compito di Maestro dei No-vizi: formare i giovani che desideravano es-sere frati francescani. Il suo metodo peda-gogico si basa soprattutto sull'esempio, ele occasioni per dimostrare cosa significhi

essere fratello ed essere minore non glimancano davvero. Agli occhi dei novizi edelle persone al di fuori del convento que-sto Maestro rifulge come un grandissimoesempio di umiltà e di mansuetudine. Lagente lo chiamava "Bambozzetto"e lui sidefiniva un "Bamboccio". Ma intanto que-sto povero frate era ritenuto da tutti unsanto e moltissime persone ricorrevano alui per sgravare il cuore dalle angosce oper guarire il corpo malato. Era in conti-nua preghiera. Sapeva leggere nel segretodel cuore, levitava qualche volta durante lapreghiera, come san Giuseppe da Coperti-no. Il 18 settembre 1860 cade lo StatoPontificio nelle Marche.Vengono soppressigli istituti religiosi e nel convento - adibitoa caserma militare - rimangono solo trefrati: padre Bambozzi - col titolo di "sacre-stano e custode del Santuario", un anzianoconfratello ed un fratello converso. Conti-nua il suo apostolato tra i malati, e proprioa motivo di queste spedizioni di caritàcontrae una grave polmonite. Soffre molto,ma ripete: “Fiat semper bona voluntastua”. Il 24 marzo 1875 la volantà di Cristoè di averlo con Lui nella casa del Padre.

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OASI DELLA PREGHIERADONARE PACE E BENE N. 4/2010

una porta: la preghiera di domanda

suor annachiara

Nel Nuovo Testamento, nel parlarcidella preghiera, Gesù usa spesso il

simbolo di una porta. Comincia invitando-ci a chiudere una porta: "…entra nella tuacamera, chiudi la porta e prega il Padretuo, che è nel segreto…" (Mt6,6). Leggendo il contesto necomprendiamo meglio il signi-ficato. Non è tanto un invitoall'isolamento, a tenere gli altrie "tutto il mondo fuori" comeaffermava una nota canzone didiversi anni fa, ma ad evitarel'ostentazione e l'ipocrisia:mettersi in mostra ed essereammirati nelle proprie presta-zioni religiose. Se ciò che con-tamina l'uomo non viene dal difuori, ma dal cuore (cfr. Mc7,14) la porta da chiudere sarà allora al-l'interno del cuore.In Israele la preghiera era uno dei princi-pali doveri religiosi, e la preghiera privatarecitata in pubblico (es. agli angoli dellestrade) era del tutto normale, anzi richie-sta, dato che i tempi della preghiera coin-cidevano con quelli dei due sacrifici che sicompivano al tempio al mattino e al po-meriggio. Ciò che Gesù rimprovera è lapreghiera quando è fatta per ostentazio-ne, raccomanda di non essere "simili agliipocriti... In verità vi dico: hanno già rice-vuto la loro ricompensa", e denuncia il pe-ricolo dell'ipocrisia. Se pregando sarò ten-tato di sbirciare gli altri se mi vedono, ilmio interlocutore non sarà più Dio, e i ve-ri destinatari della mia "preghiera" saran-no gli altri, i potenziali ammiratori."Perché spendete denaro per ciò che nonè pane, il vostro patrimonio per ciò che

non sazia?" (Is 55,2) Tu invece quando pre-ghi "chiudi la porta": non cercare negli al-tri, che pure hanno sete come te, la rispo-sta alla tua sete; il tuo cuore pone tantedomande, orientale a Colui che solo può

darti una risposta vera, "e ilPadre tuo, che vede nel segre-to, ti ricompenserà". Ma in checosa consiste, ci chiediamo,questa ricompensa? Forse nel-l'esaudire la nostra preghiera?Poco dopo Gesù ritorna a in-segnare: "Chiedete e vi saràdato; cercate e troverete; bus-sate e vi sarà aperto" (Mt 7,7).Il chiedere, cercare e bussaresono immagini dell'esperienzaquotidiana e descrivono situa-zioni di bisogno: se si chiede,

qualcosa si riceve (è la saggezza del men-dicante); chi cerca ha perso qualcosa, op-pure desidera o sente la mancanza diqualcosa; chi bussa è chiuso fuori…Chiedete, cercate: l'uomo è di per se stes-so domanda, appello, bisogno, e questa di-mensione non può non manifestarsi nellapreghiera. Rivolgendosi a Dio con la do-manda, ognuno di noi esprime la necessitàdi ricevere da Dio e dalla relazione conLui il senso della propria vita e la propriaidentità. Dietro ad ogni particolare richie-sta che possiamo e dobbiamo fare a Dio,c'è sempre una domanda radicale di sen-so: "Chi sono io?". Bussate: è come se inquesta stanza "nel segreto" ci fosse un'al-tra porta, e ci è stato raccomandato dichiudere la prima proprio perché possia-mo essere liberi e presenti con tutto noistessi nel bussare alla seconda.La porta è un luogo di passaggio fra due

L'uomo è di per se stesso domanda,

appello, bisogno, e questa

dimensione non può non manifestarsi

nella preghiera.

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OASI DELLA PREGHIERA DONARE PACE E BENE N. 4/2010

ambienti, due stati, due mondi: il conosciu-to e l'incognito. Non un limite insuperabi-le (come, ad esempio, un muro) ma per ilquale ci è impedito di vedere al di là; indi-ca un passaggio e invita a superarlo, ad an-dare oltre, ad entrare ed uscire. Gesùstesso paragona se stesso e la sua missio-ne a una porta per la quale si entra nellavita: "Io sono la porta, se qualcuno entraattraverso di me sarà salvato" (Gv 10,9)Quando preghiamo ci sentiamo come da-vanti ad una porta chiusa, come il velo chenel tempio separava il Santo dei Santi. Pre-ghiamo "Padre" un Dio che non possiamotoccare, il totalmente Altro, che vive "neicieli" della sua trascendenza, un Dio chenessuno hai mai visto e può vedere: i no-stri sensi falliscono. Il limite che, ad esem-pio, impediva perfino ai discepoli di rico-noscere il Risorto che appariva fra loro.Un velo che non era dal principio. quandoDio passeggiava nel giardino (Gen 3,8).Adrienne Von Speyr spiega che "in paradi-so Adamo non pone domande a Dio, mavive semplicemente al suo cospetto, nellafede e nella felicità, e tutto ciò che eglicompie corrisponde alle intenzioni di Dio.Solamente dopo il peccato originale c'è la

domanda di Dio: "Adamo dove sei!".Ades-so soltanto comincia il dialogo come tradue soggetti tra loro lontani e, perciò, sol-tanto adesso, incomincia ciò che noi oggichiamiamo preghiera". Il limite che ci se-para da Dio è solo una "porta" (e non co-me le porte blindate dei nostri giorni), unvelo, dunque sottilissimo, ma presente, esembra che Dio stia sempre lì, al di là del-la porta con l'orecchio teso per intendereil nostro bussare. Se al significato imme-diato di "vi sarà aperto" comprendiamoche allora la nostra preghiera sarà esaudi-ta, è bello pensare che, una volta aperta laporta, Dio stesso la attraversa entrandoda noi, e con i suoi doni, è lui stesso che sidona. La situazione però si potrebbe ca-povolgere: "Ecco, sto alla porta e busso. Sequalcuno ascolta la mia voce e mi apre laporta, io verrò da lui, cenerò con lui edegli con me" (Ap 3,20) Allora è vero chepiù che su un trono nei cieli, Dio abitadietro quella porta, col desiderio di veder-la finalmente aperta, ma questa volta solonoi possiamo aprire. Ciò che ci spinge abussare sarà allora il nostro bisogno, maanche la nostalgia di una cena e di una co-munione indicibile!

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PILLOLE PER LO SPIRITODONARE PACE E BENE N. 4/2010

quando escono le Badesse...robertobrunelli

Mettetevi la maglia di lana! Date ascoltoal consiglio più diffuso e ripetuto dalle

madri italiche. Cercate anche un cappellinoper coprire la testa, anche se questo vi faràpassare minuti preziosi. Perderete del tem-po, ma conserverete il bene prezioso dellasalute. Perchè quando escono le Badessesarà una giornata fortemente fresca. Noncredete al calendario, che proclama chemancano solo 10 giorni alla Primavera.Ve-drete che in questo giorno il mese di mar-zo darà sfogo a tutta la sua follia. Non fida-tevi della bestia invernale che sembra or-mai morta: potrebbe farvi assaggiare la fru-sta del suo ultimo colpo di coda. Infatti ilgiorno venturato in cui il Provinciale deifrati chiamerà a raccolta tutte le Badessedella regione, aprendo al mattino presto lapersiana della finestra troverete per lestrade un manto di neve: probabilmenteperché il Signore vuole stendere un velobianco sul cammino delle sue spose e co-prire ai loro occhi le brutture del mondo.Non importa se per andare a prendere laBadessa del più sperduto monastero dimontagna delle Marche avete in dotazioneuna piccola scatoletta a quattro ruote sen-za gomme termiche o catene. Arriveretepiù o meno lo stesso, doveste rischiare lavita anche cinque volte. Trasportando lamite suora, vi stupirete del suo stupore:“Bella questa strada grande”. In realtà èuna superstrada che stà lì già da 30 anni...“Non passo per Ancona da quando sonostata operata da bambina (77 anni prima...).Giungiamo rapidamente ad Osimo, sededell’incontro. Nel pomeriggio dovrò passa-re a riprendere Madre Giuseppina intonoalle 16.00.Arrivo all’appuntamento puntua-le, ma eccomi pronto uno scherzo da Pro-

vinciale: “Oltre che la Badessa di Apiro, ac-compagna anche quella di Jesi, di Arcevia edi Serra de’ Conti. Nel corso della giornatanon ho acquistato una nuova macchina eho ancora la 600 che avevo al mattino. Far-le entrare tutte è poco più agevole chemettere 4 elefanti in una 500, non perchéle suore siano grasse, ma perchè è propriola macchina ad essere minima. La Badessadi Serra è la più alta, ma è anche la più ma-gra, quindi si sacrificherà al centro nel sedi-le posteriore. Tutte queste manovre sottouna pioggia battente che si trasforma benpresto, appena partiti, in soffice neve. Comeal mattino, non ho nè ruote adatte, né lecatene, ma solo la virtù dell’obbedienza...Scendiamo verso la frazione di Passatempo,e il tempo è ancora passabile, ma ad uncerto punto la neve comincia ad essere fit-ta. Naturalmente l’impianto di riscaldamen-to funziona male e il nostro fiato appannarapidamente il piccolo abitacolo. La Badessadi Jesi, che mi fa da navigatore, con un pic-colo straccio agisce da tergicristallo inter-no, e rende il cammino un pò più visibile.Ma ora risaliamo nuovamente verso l’alto ela neve per strada diventa sempre più do-minante. Arriviamo ad un bivio, che ci se-gnala che ci siamo allontanati 20 km daOsimo e mancano ancora 15 km per arri-vare a Jesi. Nel frattempo però, molte mac-chine poco attrezzate come la nostra si so-no arenate nella neve. La strada per Jesi èbloccata e tornare ad Osimo potrebbe ri-sultare ancora più pericoloso. Mi escono leprime espressioni di sconforto:“Che faccia-mo, ora!” “Non riusciamo nemmeno a tor-nare indietro!”. Tra le altre frasi sconnessene esce una stranamente provvidenziale:“Ma non è che c’è un monastero qui vici-

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PILLOLE PER LO SPIRITO DONARE PACE E BENE N. 4/2010

no”. Passano pochi secondi e la mia naviga-trice scorge un cartello che indica Filottra-no a soli 7 km. Il destino è ormai segnato:nessuna Badessa tornerà questa sera al suomonastero, ma si recheranno tutte insiemecome ospite e pellegrine al Monastero ami-co. Se ci arriviamo! Non è cosa facile...Ad 1 Km dal Monastero la macchina nonsente ragione: anche se frustata a dovere siferma slittante e riluttante a salire l’erta fi-nale. Devo passare 10 minuti sotto la piog-gia prima di trovare una persona che abbiauna macchina robusta, 4 posti liberi e uncuore generoso. Un tipo con la Multipla sifa in 4 per aiutarmi e trasporta lentamen-te, dietro una fila interminabile, le suoreverso il Monastero. Io cammino al lorofianco, sotto la neve che ridiventa pioggia: enon ho il cappellino che ho dimenticato almattino. Le Suore di Filottrano ci accolgo-no festose. Premurose mi portano unasciugamano e un fono per asciugare i ca-pelli. Poso gli occhiali appannati sul tavolo equando vado a riprenderli sono spariti.Passiamo 20 minuti a cercarli. Le Suore midicono: “Ma non è che li hai lasciati in mac-china”. Io rispondo sicuro di no!”. Inizio a

cercare con gli occhi una possibile clepto-mane. Una anziana su di giri che avevoguardato con sospetto risulta chiaramenteinnocente: gli occhiali infatti li ha presi lasuora che in teoria dovrebbe essere la piùnormale, cioè la superiora. La sorpresa diavere tanti ospiti all’improvviso l’avevacomprensibilmente mandata in tilt. Dopoaver pregato insieme, ci rechiamo in quelloche, a causa di una finestra colabrodo, èprobabilmente il refettorio monastico piùfreddo d’Europa: 11° gradi (qualche gene-roso lettore non potrebbe comprarglielanuova?!). Ma la minestra calda, un Verdic-chio gustoso e la calda accoglienza dellemonache ci fanno dimenticare tutto. Dopoaver dormito sotto 4 coperte ci aspettauna colazione da re con dei biscotti preli-bati, specialità del Monastero elaborata dauna suora diabetica. La storia sta per ter-minare.Accompagno per ultima la Badessadi Serra de’ Conti che, prima di andar via,mi regala una cassetta di vino di quellobuono. Sì, perché quando escono le Bades-se le avventure finiscono in gioia, e se pro-prio devono finire in lacrime, sono quelledolci del vino di Morro d’Alba!

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VITA DEL SANTUARIODONARE PACE E BENE N. 4/2010

Sopra: Immagini dal Convegnodedicato a P. Benvenu-to Bambozzi e S. Messacelebrata dal Postula-tore Generale nella ca-sa del Venerabile

A fianco: Animatori del Conve-gno GiovanissimiDue allegre Apostoledella Vita InterioreGruppo di pellegriniabruzzesi

gli amicidi

san Giuseppe

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VITA DEL SANTUARIO DONARE PACE E BENE N. 4/2010

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drea Garzillo Carmela, Canu Giuseppina,Raile Carlo, Gay Adriana, Fam. RuggieroPerrino, Papa Paola...

� Per le MEDICINE NECESSARIE AL-LA CURA DI UN LEBBROSO assistitonel lebbrosario di S. Francesco aSolwezi e per i MINIAPPARTAMENTIdestinati ai lebbrosi guariti nel villag-gio di Chibote (oasi di pace) in Zam-bia, hanno contribuito con € 11,00:De Mercato M.Gabriella, Fadda Umbertoe Antonio, Vittoria Verolin o, Raco Rita eVincenzo, Carbone Ladaga Rachele, Tri-scari Giuliano, Braidotti M.Pia, Rizzo Cal-vosa Amelia, Fam. Baldanzi...

� Per i BAMBINI handicappati, per iPOVERI senzatetto e i denutriti, per i

MALATI abbandonati.... assistiti nel-le nostre missioni hanno inviato il lo-ro contributo assistenziale di € 11,00:Arrighi Marcella, Costantino Francesco, DeLella Giovanni, Guarino Franca, CzinegeSidonia Maziana, Gragali Grazia, FrolaComoglio Margherita, Cipriani Paolino eFidalma, Papa Falcone Teresa, Rivoli Alfre-do, Allegri Daniele, Franceschini Paolo,Polisiero Amelia ...� Illuminati dall’esempio del santo,gli STUDENTI, uniti con i loro paren-ti, pregano SAN GIUSEPPE da CO-PERTINO per la sua protezione neglistudi e negli esami:Izzo Trojsi Giulia, Balletta Ugo, PanunziAdriano, Zoroddu Miriam e Daniele, Ma-lattia Ofelia, Binucci Alessandro e Filippo,Montanaro Michelangelo, Gennari Paola,Bevilacqua Alma, Fam. Pupillo, CadaumGiuseppe, Sirci Rita Ivonne, Seno Ema-nuele, Rusticali Elena, Falcicchia M.Con-cetta, Gloria Graziella, Farina Santina,Spitale Mario Anfora Cristini Elvira, Ar-gentati Giulio, Rossi Maria, La Spina Ni-colò, Miglioranzi Enrico, Salvadori MariaTeresa, Barone Maria, Girometti A.Ma-ria.......

� Per onorare la vitalità della testimonian-za di voi associati nel nome del Santo, tra-scriviamo i nominativi di alcuni che sisono uniti alle “opere di bene” collegatealla nostra Associazione.

� Associati-devoti che inviano unaloro libera offerta per essere iscrittialla S. MESSA QUOTIDIANA che noireligiosi celebriamo alle ore 7.00 sulla tom-ba del Santo. Con tale iscrizione partecipa-no al “bene spirituale” dell’Eucaristia a be-neficio � di se stessi � di persone care �in suffragio delle anime dei loro defunti.

� DIPLOMI d’iscrizione sono stati ri-lasciati a coloro che hanno inviatoun’offerta non inferiore a € 20,00: Camattini Maddalena e Caterina, Mastan-

Grazie per il vostro buon cuore!Il Signore vi benedica per la vostra generosità. Attraverso il bene che fate, molti fratellisono sollevati dalle sofferenze e dall’abbandono sperimentando la solidarietà e l’amoredi Dio. San Giuseppe vi ottenga le più grandi benedizioni.

Voci di preghieraRiportiamo in questa rubrica alcune preghiere che i giova-ni, dopo la visita a san Giuseppe da Copertino, lascianoscritte presso la sua tomba.

� Amatissimo san Giuiseppe da Copertino, tu mi haiconcesso le grazie che questo padre ha chiesto per ilfiglio quando era universitario.Adesso che è laureatonon riesce a trovare lavoro, tante promesse fatte so-

no svanite, allora ti chiedo con tutto il cuore di aiutarlo a realizzarsi nel mon-do del lavoro.

� Carrissimo san Giuseppe ti prego di intervenire con la tua potente interces-sione per la promozione di mio nipote. E’ in seriissima difficoltà e rischia dinon farcela.Ti chiedo un miracolo, aiutalo come solo tu sai fare in queste occa-sioni. Grazie per ciò che farai.

� Ti prego san Giuseppe mio, aiutami a superare questi momenti così difficilinei quali non so mai quale sia la giusta decisione da prendere. Dammi la forzadi guardare avanti senza paura, indicami la strada giusta e io la percorrerò sen-za tentennamenti. Grazie.

� Caro san Giuseppe, ti prego affinché i controlli medici che ho appena fattosiano tutti negativi e che tutto sia risolvibile, ti voglio bene....

Operiamo il Bene insieme

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