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DIREZIONE S.E. MONS. JAVIER LOZANO BARRAG N, Direttore S.E. MONS. JOS L. REDRADO, O.H., Redattore Capo P. FELICE RUFFINI, M.I., Segretario COMITATO DI REDAZIONE BENEDETTINI P. CIRO BOLIS DR.A LILIANA CUADRON SR.AURELIA DERCOLE DON GIOVANNI EL-HACHEM DR.A MAYA GRIECO P. GIANFRANCO HONINGS P. BONIFACIO IRIGOYEN MONS.JES S JOBLIN P. JOSEPH MAGNO DON VITO NEROZZI-FRAJESE DR.A DINA PLACIDI ING.FRANCO SANDRIN P. LUCIANO T ADDEI MONS.ITALO CORRISPONDENTI BAUTISTA P. MATEO, Argentina CASSIDY MONS. J. JAMES, U.S.A. DELGADO DON RUDE, Spagna FERRERO P. RAMON, Mozambico GOUDOTE P. BENOIT , Costa d Avorio LEONE PROF . SALVINO, Italia P ALENCIA P. JORGE, Messico PEREIRA DON GEORGE, India VERLINDE SIG.A AN, Belgio W ALLEY PROF .ROBERT , Canada TRADUTTORI CHALON DR.A COLETTE F ARINA SIG.A ANTONELLA FFORDE PROF .MATTHEW GRASSER P. BERNARD, M.I. QWISTGAARD SIG.GUILLERMO DOLENTIUM HOMINUM N. 48 — anno XVI — N. 3, 2001 RIVISTA DEL PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA PASTORALE DELLA SALUTE Direzione, Redazione, Amministrazione: PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA P ASTORALE DELLA SALUTE CITT¸ DEL V ATICANO; Tel. 06.698.83138, 06.698.84720, 06.698.84799, Fax: 06.698.83139 - www.healthpastoral.org - E-MAIL: [email protected] Pubblicazione quadrimestrale. Abbonamento: 60.000 Lire (o importo equivalente in valuta locale), compresa spedizione Realizzazione a cura della Editrice VELAR S.p.A., Gorle (BG) In copertina: Vetrata di P. Costantino Ruggeri Spedizione in abbonamento postale - art. 2, comma 20/c, legge 662/96 - Roma

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DIREZIONE

S.E. MONS. JAVIER LOZANO BARRAG N, Direttore

S.E. MONS. JO S L. REDRADO, O.H., Redattore Capo

P. FELICE RUFFINI, M.I., Segretario

COMITATO DI REDAZIONE

BENEDETTINI P. CIRO

BOLIS DR.A LILIANA

CUADRON SR. AURELIA

D ERCOLE DON GIOVANNI

EL-HACHEM DR.A MAYA

GRIECO P. GIANFRANCO

HONINGS P. BONIFACIO

IRIGOYEN MONS. JE S S

JOBLIN P. JOSEPH

MAGNO DON VITO

NEROZZI-FRAJESE DR.A DINA

PLACIDI ING. FRANCO

SANDRIN P. LUCIANO

TADDEI MONS. ITALO

CORRISPONDENTI

BAUTISTA P. MATEO, Argentina

CASSIDY MONS. J. JAMES, U.S.A.

DELGADO DON RUDE, Spagna

FERRERO P. RAMON, Mozambico

GOUDOTE P. BENOIT, Costa d Avorio

LEONE PROF. SALVINO, Italia

PALENCIA P. JORGE, Messico

PEREIRA DON GEORGE, India

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WALLEY PROF. ROBERT, Canada

TRADUTTORI

CHALON DR.A COLETTE

FARINA SIG.A ANTONELLA

FFORDE PROF. MATTHEW

GRASSER P. BERNARD, M.I.

QWISTGAARD SIG. GUILLERMO

DOLENTIUM HOMINUMN. 48 — anno XVI — N. 3, 2001

RIVISTA DEL PONTIFICIO CONSIGLIO

PER LA PASTORALE DELLA SALUTE

Direzione, Redazione, Amministrazione: PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA PASTORALE DELLA SALUTE

CITT¸ DEL VATICANO; Tel. 06.698.83138, 06.698.84720, 06.698.84799,

Fax: 06.698.83139 - www.healthpastoral.org - E-MAIL: [email protected]

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DOLENTIUM HOMINUM N. 48-2001

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Sommario4 Preghiera a Maria Santissima

Giovanni Paolo II

4 Nomine Pontificie

ARGOMENTI

6 La percezione del dolore nel mondo buddhistaProf.ssa Elena De Rossi Filibeck

10 Evangelizzazione nel mondo della salute mentale.Fondamenti e linee d’azioneP. José Antonio Pagola

17 Antropologia ed etica del morireProf. José Garcia Ferez

20 Il morire nella nostra società: aspetti filosofici ed eticiProf. Franco Davide Pilotto

TESTIMONIANZE

44 Problemi della salute nel Burkina FasoP. Renato Di Menna, M.I.

49 Il Beato Luigi Tezza,fondatore delle Figlie di San CamilloP. Angelo Brusco, M.I.

55 La Pastorale della Salutenell’Arcidiocesi di Managua

60 Spagna: Dipartimento di Pastorale della SaluteGiornata Mondiale del Malato«Pregare nella malattia»11 febbraio 2002

CONGRESSO INTERNAZIONALE DEGLIOSTETRICI E DEI GINECOLOGI CATTOLICIROMA, 17-20 GIUGNO 2001

64 Indirizzo d’omaggioDott. Gian Luigi Gigli

65 Di fronte a tensioni e pressioni sociali, ai sanitari cattolici si apre la via dell’obiezione di coscienza che dovrebbe essere rispettata da tutti,in particolare dai legislatoriGiovanni Paolo II

67 Il Meeting Internazionale degli Ostetrici-Ginecologi Cattolici. Cronaca di un eventoDott. Gian Luigi Gigli

69 Proteggere la vita umana in un mondo che cambia: la responsabilità degli ostetrici cattoliciS.E. Mons. Javier Lozano Barragán

74 Una questione di coscienzaProf. Robert Walley

78 L’importanza del ginecologo-ostetricodavanti alle sfide in ambito biomedicoDott. Gian Luigi Gigli

81 Anno 2001, Attività del Pontificio Consiglio per la Pastorale della SaluteMons. Krzysztof Nykiel

Le illustrazioni di questo numero sono tratte dal libro:“Omaggio a San Marco, Tesori dall’Europa”a cura di Hermann Fillitz, Giovanni Morello

Electa

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DOLENTIUM HOMINUM N. 48-2001

Preghiera a Maria Santissima“Salute degli infermi”

O Vergine Maria, “Salute degli infermi”,che hai accompagnato Gesù sulla via del Calvario,

e sei restata accanto alla croce su cui moriva tuo Figliopartecipando intimamente ai suoi dolori,

accogli le nostre sofferenze e uniscile a quelle di Lui,perché i semi gettati durante il Giubileo

continuino a produrre frutti abbondanti negli anni che verranno.Madre tenerissima, con fiducia ci rivolgiamo a Te.

Ottienici dal tuo Figlio di poter presto tornare,pienamente ristabiliti, alle nostre occupazioni,per renderci utili al prossimo col nostro lavoro.

Resta intanto accanto a noi nel Momento della provae aiutaci a ripetere ogni giorno con Te il nostro sì,

sicuri che Dio sa trarre da ogni male un bene più grande.Vergine Immacolata, fa’che i frutti dell’Anno Giubilare

siano per noi e per quanti ci sono caripegno di rinnovato slancio nella vita cristiana,

perché nella contemplazione del Volto di Cristo Risortotroviamo l’abbondanza della misericordia di Dio

e la gioia di una comunione più piena con i fratelli,primizia della gioia senza fine del Cielo. Amen!

Dal Vaticano, 11 Febbraio 2001

Nomine PontificieIl Santo Padre ha confermato, per un altro quinquennio,

Presidente del Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute,L’Eccellentissimo Monsignor Javier Lozano Barragán

Il Santo Padre ha confermato, per un altro quinquennio, Segretario dello stesso Pontificio Consiglio,

L’Eccellentissimo Monsignor José Luis Redrado Marchite, O.H.

Il Santo Padre ha confermato, fino al compimento del 70º anno di età, Sotto-Segretario del medesimo Pontificio Consiglio,

il Reverendo P. Felice Ruffini, M.I.

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DOLENTIUM HOMINUM N. 48-2001

Argomenti

La percezione del dolorenel mondo buddhista

Evangelizzazione nel mondo della salute mentale.Fondamenti e linee d’azione

Antropologia ed etica del morire

Il morire nella nostra società:

aspetti filosofici ed etici

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pur sempre tentate attraversola visione del dolore come diuna occasione di prova e digiudizio per l’intero senso del-la propria esistenza.

La letteratura sull’argomen-to è assai vasta. Basterà qui,come esempio, per capire conquali temi ci stiamo confron-tando, citare il filosofo Salva-tore Natoli, secondo il qualevi sono sostanzialmente duegrandi forme culturali median-te cui l’Occidente ha interpre-tato il patire: la tradizione delmondo greco, caratterizzatadal significato della tragedia,da cui scaturisce la visionedell’eroe che sfida il dolore, ela tradizione ebraico-cristiana,secondo la quale l’uomo deveresistere al dolore aspettandola salvezza.

Nel mondo contemporaneo,egli nota, le visioni ideali sonostate sostituite dalla fede nellatecnica.

Un atteggiamento tipico del-la nostra società occidentale,sempre più lontana dalle pro-prie radici religiose, è quelloche vede nei mezzi della tecni-ca la soluzione del dolore, con-siderando soltanto la parte ma-lata di una persona sofferente.

Il dolore tende così ad esse-re rimosso, ad essere sottrattoalla vista e affidato ai compe-tenti, a volte anche negato. Loscenario in cui campeggianola scienza e la tecnica si ispiraal dominio e all’annientamen-to del dolore. Grazie alla pos-sibilità dei moderni mezzi te-rapeutici, la scienza e la tecni-ca hanno il potere di far varia-re la soglia del dolore e perciòdi decidere dei livelli di perce-zione della sofferenza. Se-guendo fino in fondo l’ideadel dominio sulla sofferenza sipuò addirittura giungere adipotizzare un mondo senza do-lore: la tecnica potrà darciquanto Dio ci ha negato. Anti-camente non si poteva variareil corso naturale della vita de-gli uomini, mentre proprio

Per introdurre l’argomentodel nostro incontro mi saràconsentita una riflessione for-se ovvia ma basilare, secondola quale il dolore, nell’acce-zione più ampia del termine, èsperimentato in diversi gradida tutti gli esseri umani, senzadistinzione alcuna. La perce-zione del dolore e la rispostaindividuale o collettiva che visi dà varia invece da persona apersona, da popolo a popolo,tanto che a ragione si parla diuna antropologia del dolore.Facendo mie le riflessioni deifilosofi su tale termine, diròche il dolore è quanto di piùproprio, individuale e intrasfe-ribile possa darsi nella vita de-gli uomini. Al tempo stessoperò, essendo una esperienzache induce inevitabilmente chisoffre a porsi l’interrogativodel perché la sofferenza colpi-sca proprio lui e non altri, ildolore diventa oggetto di ri-flessione, spingendo chi soffrea dire del proprio dolore e adevadere dalla prigione dellasolitudine a cui il dolore con-danna per effetto della sua in-trinseca natura. Nella testimo-nianza del dolore, s’intreccia-no in modo indissolubile l’in-dividuale e l’universale sensodel soffrire, perché chi parladel proprio dolore ne parla inun mondo in cui sono già pre-senti categorie mentali e ver-bali predisposte ad essere inte-se dagli altri. La dimensioneuniversale, che è presente inogni esperienza individuale didolore, permette a chi soffre dicomunicarlo in uno scenariogià preesistente. Si tratta discenari di senso che rendono ilpatire più sopportabile, perchéall’interno di essi il dolore vie-ne giustificato e compreso.

Ciò vale per tutti gli uomini,siano essi figli della culturaoccidentale o di quelle orien-tali. L’umanità in tutta la suastoria, provata dall’esperienzadel dolore, si cimenta con essocercando risposte diverse, ma

quest’ultima eventualità si èdischiusa nel mondo attuale.

Sia ben chiaro che qui nonsi vuole affatto sminuire ilgrande valore benefico deglialti livelli scientifici raggiuntidalla medicina occidentale,ma soltanto cercare di indivi-duare le ragioni per cui oggimolti si interrogano sulla vali-dità di una fede riposta esclu-sivamente nei mezzi della tec-nica.

Non è quindi un caso che iosia stata invitata a parlare qui enon è certo perché il Buddhi-smo o il Tibet siano di moda,ma perché nelle persone piùsensibili e attente alla proble-matica del dolore cresce l’inte-resse verso possibili alternati-ve interagenti con la modernatecnica in aiuto di chi soffre everso il mondo culturale da cuitali alternative provengono.

Parlando di percezione deldolore nel mondo buddhistasono obbligata ad una precisa-zione che determini megliociò che qui si intende con taleespressione.

Il Buddhismo è una religio-ne ricca di 25 secoli di storiache, sorta in India approssima-tivamente nel quinto secoloprima di Cristo, si sparse in tut-ta l’Asia, conoscendo adatta-menti molteplici a seconda deiluoghi di diffusione. Gli adatta-menti furono possibili poiché ilBuddhismo non predicavaprincipi teologici, ma anzi pro-poneva la superiorità dellaprassi sulla teoria, lasciandoche uomini di diverse culture etradizioni religiose s’incontras-sero sul piano dell’esperienza.È sufficiente soffermarci sulnucleo della predicazione piùantica del Buddha storico, checonsiste nelle cosiddette Quat-tro Nobili Verità, fondamentodi tutte le varie scuole delBuddhismo, per comprendereimmediatamente come il dolo-re sia considerato fatto centraledell’esistenza. L’ordine con cuiil Buddha, chiamato anche

La percezione del dolore nel mondo buddhista

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«Medico di tutte le genti»,enuncia le sue verità, ricordanon a caso lo schema diagno-stico dell’antica medicina in-diana, secondo cui occorrevain primo luogo identificare ilmale e la sua eziologia, poi ac-certarne la curabilità ed infineprescrivere quanto era necessa-rio alla guarigione.

Per analogia a questo sche-ma, il male è qui inteso comepena e dolore esistenziale: laprima nobile verità dice infattiche tutto è dolore. La secondanobile verità individua nel de-siderio, nell’attaccamento al-l’esistenza la causa del male.La terza nobile verità conside-ra la soppressione o la cessa-zione del desiderio come lacura ai mali dell’esistenza. In-

fine, riguardo alla prescrizionenecessaria alla guarigione, laquarta nobile verità indica lavia che conduce alla cessazio-ne del desiderio e quindi deldolore.

Questa via consiste in un’ar-ticolata prassi ascetica deno-minata «Nobile Ottuplice Sen-tiero», che ha come base ini-ziale e fondamentale il regola-re la propria vita su saldi prin-cipi morali (non uccidere, nonrubare, non mentire, non com-mettere adulterio...). Ricordoche il Buddhismo è stato defi-nito anche una filosofia etica.

Nella speculazione buddhi-sta è importante la distinzionetra il dolore per i dolori, im-mediatamente percettibile esperimentato da tutti, anche selimitato ad alcuni eventi qualila malattia, la vecchiaia e lamorte, e il più sottile e univer-

sale dolore per tutti i possibilimutamenti.

Se si segue la via indicatadal Nobile Ottuplice Sentierol’agire, che per i buddhisti èconsiderato corporale, vocalee mentale (si agisce cioè beneo male con il corpo, con la pa-rola, con la mente), non saràmosso dai tre impulsi negativiquali l’odio, l’avidità e l’igno-ranza, e non produrrà conse-guenze negative, ma al contra-rio genererà compassione pertutti gli esseri viventi, capacedi suscitare in chi la sperimen-ta un grande desiderio di rag-giungere la salvezza o illumi-nazione. Per i buddhisti, i no-stri atti ci seguono sia in que-sta che nella vita futura, percui la meta è quella di sfuggire

ad un convulso giro di esisten-ze, arrestando il movimento egustando la pace della libera-zione. Liberazione dal ciclodelle nascite e delle morti perconseguire il Nirvana, che èuno stato indicibile.

Quando mi riferisco al mon-do buddhista intendo tuttoquel mondo culturale cheidentifica la propria visione difede e di vita con i principi«grosso modo» sopra esposti.Il Buddhismo percepisce quin-di tutta la realtà dell’esistenzaumana indissolubilmente lega-ta al dolore. In una simile vi-sione la malattia, la vecchiaiae la morte sono accettate inquanto fatti ineluttabili, comeineluttabile è il dolore. Questoperò non vuol dire affatto cheavendo coscienza della inelut-tabilità di tali eventi si rinuncialla cura o non si tema la mor-

te. Anzi, in tutto il mondoorientale antico la medicina èconsiderata una tra le scienzepiù importanti, insieme all’a-strologia, alla grammatica, al-la logica.

Tuttavia la prospettiva tera-peutica e il modo di prepararsialla morte tengono profonda-mente conto della visione reli-giosa della vita, tanto che lamedicina non è consideratauna disciplina con una propriaautonomia culturale, ma è par-te del vasto sistema concettua-le nato dalla predicazione delBuddha.

Il punto centrale di riferi-mento è il concetto di mondo,inteso come mentale e fisicoal tempo stesso. La vita non èappannaggio esclusivo degliindividui ma è un fenomenoglobale, che accomuna tutte leforme esistenti in un unicoprogetto che è mentale nellasua essenza ultima: la naturadella mente è la natura di tuttele cose. È soprattutto il puntodi vista tibetano sul dolore e irimedi ad esso predisposti chequi sarà illustrato, nella consa-pevolezza di non tradire il te-ma dell’argomento iniziale,poiché la tradizione medica ti-betana è parte integrante delBuddhismo tibetano. In taletradizione confluiscono anchele conoscenze derivanti dallamedicina indiana e cinese.Inoltre, penso sia interessantericordare che dopo la conqui-sta araba della Persia anche unremoto influsso della medici-na greca giunse in Tibet du-rante il periodo della monar-chia, la cui cronologia va dalsettimo al nono secolo. Fontistoriche parlano di un Ga lenos alla corte di un re tibetanoinsieme ad un medico indianoe a un altro cinese. Il nome ri-corda chiaramente il Galenodi Pergamo vissuto nel secon-do secolo dopo Cristo: non èimprobabile ritenere che unmedico persiano appartenentealla scuola medica di ispira-zione greca, e quindi indicatocome Galeno, sia giunto finoa Lhasa.

La medicina tibetana consi-dera il paziente nell’interezzadella sua persona, i cui aspettifisici, emotivi e spirituali so-no inseparabilmente unificatinell’essere individuale. Inol-tre, l’uomo è visto come parte

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organica dell’universo biolo-gico e cosmico, soggetto atutte le immutabili e irrevoca-bili leggi di natura: il micro-cosmo di un individuo è l’e-satta replica del macrocosmodell’universo. Un essere uma-no è il prodotto della congiun-zione temporanea di cinqueordini di fenomeni in costantemutamento: corpo, sensazioni,percezioni, impulsi e coscien-za. La coscienza è il principioche accentra tutte le informa-zioni sensoriali, ed è quindi lasede del pensiero discorsivo.Sostenuta da un subconsciocondizionato dalle azioni pas-sate, è proprio questa coscien-za che trasmigra da una esi-stenza a un’altra, quando, nelmomento della morte, gli ele-menti che costituiscono il cor-po si disintegrano. In tutti isuoi aspetti, dal più grossolanoal più sottile, sostanzialmenteil corpo non è altro che un ag-gregato complesso e diversifi-cato dei cinque elementi checompongono tutto l’universo:terra, acqua, fuoco, vento espazio. Cercando di precisaremeglio, per i tibetani il corpofunziona grazie alla presenzadi sette costituenti: essenzanutritiva, sangue, carne, tessu-to adiposo, ossa, midollo efluido rigeneratore; di tre fun-zioni secretive: feci, sudore eurina; e di tre cosiddetti umori:vento, bile e flemma. Gli umo-ri sono intesi sia fisicamente,come soffio del respiro, bileaccumulata nella cistifellea esecrezioni mucose nello sto-maco, sia come una derivazio-ne degli elementi cosmici inrapporto alle loro qualità: ven-to è espressione dell’elementoaria con caratteristiche di leg-gerezza mobilità, ecc.; bile èespressione dell’elemento fuo-co, con caratteristiche di calo-re, fluidità, ecc.; la flemma èespressione degli elementi ter-ra e acqua con caratteristichedi pesantezza, lentezza, mor-bidezza, ecc. I tre umori rego-lano con la loro armonica coe-sione la salute dell’organismoinfluenzando i sette costituentie le tre funzioni secretive. Lamedicina tibetana studia e cu-ra in primo luogo l’atteggia-mento mentale del pazientenel suo rapporto con i tre umo-ri del corpo, poiché la salutementale e corporale dipendo-

no dallo stato di armonia edall’equilibrio dei cinque ele-menti, che possono essere tur-bati da cause esterne o interne,come pensieri o azioni malva-gie. I Tibetani credono chequando l’odio, l’avidità o l’i-gnoranza disturbano i tre umo-ri (vento, bile e flemma) si de-termina l’insorgere di una ma-lattia. Perciò la medicina tibe-tana è stata definita a ragioneuna delle più antiche medicineolistiche e psicosomatiche chesi conoscono e che vengonoancora praticate.

La diagnosi si basa in primoluogo sulle informazioni rac-colte interrogando il pazientea proposito dei sintomi, tastan-dogli il polso, esaminando lalingua e l’urina. Per quanto ri-guarda il metodo di cura, nonesiste un trattamento che pos-sa considerarsi strettamenteorganico; la terapia consistenell’intervenire sul pazientecon la prescrizione di una die-ta adeguata, con consigli dicomportamento, con la som-ministrazione di medicine econ un trattamento medicoesterno. È interessante sapereche prima di qualsiasi cura oc-corre praticare il rito religiosoappropriato. Esiste una vastis-sima letteratura al riguardo,nella quale è corretto include-re tutti quei testi tibetani chia-mati «Rituali di lunga vita» edanche «Preghiere e riti per ilmantenimento della buona sa-lute»: al di là di un aspetto chea noi può sembrare magico-re-ligioso, fanno ben comprende-re come la prevenzione sia ilprimo scopo della medicina ti-betana.

Le sostanze base della me-dicina tibetana (se ne contano2294) sono erbe, pietre prezio-se, minerali, succhi e secrezio-ni di piante e di animali. Lemedicine preparate con questesostanze vengono poi prescrit-te come decotti, polveri, pillo-le, sciroppi, oli minerali, cene-ri. I testi tibetani di medicinacontengono le spiegazioni percombattere ben 1616 malattie,con l’indicazione di oltre millemedicinali. La somministra-zione dei medicinali è consi-derato un metodo leggeromentre il salasso, l’incisione,la moxibustione e la praticadell’ago d’oro sono considera-ti un metodo forte di cura.

Esiste poi il metodo consi-derato violento, che consistein operazioni di piccola chi-rurgia, quali la rimozione dicorpi estranei, la cauterizza-zione da ascessi, il raschia-mento di tessuti gravementedanneggiati.

Secondo testimonianze dichi ha vissuto nel centro medi-co di Dharamsala in India, re-sidenza del Dalai Lama e dimolti profughi, i Tibetani con-siderano una virtù la capacitàdi sopportare il dolore fisico eaffrontano queste operazionichirurgiche senza anestetici.Sarebbe però riduttivo non ac-cennare a quell’aspetto delBuddhismo tibetano che trovanella pratica meditativa il suopunto più elevato e che irradiatanto fascino e suggestione nelnostro Occidente.

Mi riferisco in particolare alTantrismo, intendendo con ciòtutto quel complesso di istru-zioni e metodi sulla concentra-

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zione spirituale che potenzia-no al massimo le possibilitàdella mente umana e che sonodi grande importanza ancheper la visione medica di cuicaratterizzano la parte più spi-rituale e mentale. Con la tecni-ca meditativa tantrica si arrivaa generare, ad esempio, quelloche i Tibetani chiamano ilgTum mo, ovvero la pratica delcalore psichico che è in gradodi far aumentare anche la tem-peratura corporea, rendendopossibile la sopravvivenza, perchi sa praticarlo, in situazioniestreme; ed ancora la praticachiamata bCud len che per-mette di vivere senza cibo perun determinato periodo, assu-mendo soltanto delle pillolefatte con minerali polverizzatio petali di fiori. Sempre graziealla meditazione tantrica sipossono produrre i cosiddettisemi di beatitudine, forse assi-milabili a quelle sostanze chenoi chiamiamo endorfine eche garantiscono una sponta-nea protezione nei confrontidel dolore sia psichico che fi-sico.

Attraverso le tecniche medi-tative inoltre si giunge a visua-lizzare ciò che i Tibetani chia-mano la Luce Chiara. Con taleespressione si intende il livellopiù raffinato della mente, chediventa manifesto solo quandotutti gli elementi grossolaniche compongono il corpo han-no cessato le loro funzioni atti-ve: una condizione che si rag-giunge normalmente al mo-mento della morte, ma chepuò essere indotta intenzional-mente con la tecnica meditati-va. La più profonda distanzache separa il mondo buddhistatibetano da quello occidentalecontemporaneo è sicuramentela visione della morte. Nonsoltanto per la credenza nel ci-clo samsarico, ma soprattuttoper l’atteggiamento che i Tibe-tani hanno nei confronti dellamorte.

In Tibet si è sviluppato nelcorso del tempo quella che po-tremmo definire una vera epropria ars moriendi. In Occi-dente è molto noto il Bar dothos grol ovvero il Libro tibe-tano dei morti, testo che la tra-dizione tibetana fa risalire al-l’ottavo secolo della nostraera. La traduzione del titolo si-gnifica: «Autoliberazione nel-

l’udire durante il periodo in-termedio». Il periodo interme-dio si riferisce a quel tempoche per i Tibetani intercorre trala morte fisica e la rinascitasuccessiva e che può essereparagonato a quelle esperienzepre-morte che in Occidentesono oggetto di ricerca scienti-fica. Chi muore conserva unprincipio cosciente sul quale illama che lo assiste può inter-venire con la recitazione deltesto. Mediante la lettura, chimuore, se si è adeguatamentepreparato in vita, può essereguidato verso una conoscenzaliberatoria che gli permette direalizzare una rinascita ade-guata, se non addirittura lacompleta liberazione dal cicloesistenziale. Per concludere ri-corderò quanto scritto in pro-posito dal XIV Dalai Lama delTibet: «La meditazione sullamorte e sull’impermanenzadovrebbe essere ispirata da ungrande piacere. È molto im-portante avere la consapevo-lezza della morte: se una per-sona è preparata da lungo tem-po, non sarà sconvolta dal suoarrivo, mentre se una personaevita la questione della mortecercando di dimenticarla, allo-ra ne sarà colta impreparata ene sarà spaventata quando ar-riverà il momento».

Non sarà sfuggito ai presen-ti come, per alcuni aspetti, lavisione cristiana e la visionebuddhista della vita, dellamorte e del dolore, seppureprofondamente diverse, abbia-no dei punti di contatto. Nonsarà fuor di luogo evocare ilgrave pericolo di estinzioneche minaccia le tradizioni reli-giose, culturali e mediche dei

Tibetani come anche lo stessopopolo tibetano in quest’oratragica della sua storia. Sottoun altro profilo, oserei ricorda-re come pure l’annuncio cri-stiano, che nel campo dell’as-sistenza ai malati è stato capa-ce di suscitare esempi sublimidi umanità, rischia sempre piùdi essere emarginato nel mon-do attuale. Vorrei citare a con-clusione del mio interventoquanto scritto da CristinaCampo nella prefazione al li-bro Nato in Tibet di ChogyanTrungpa, in cui ravvisava nel-l’oblio della dimensione verti-cale del pensiero la responsa-bilità di tanti mali nella nostracultura contemporanea.

Prof.ssa ELENA DE ROSSI FILIBECK

Docente di TibetologiaUniversità La Sapienza di Roma

Relazione presentata al Convegno or-ganizzato dall’Ospedale S. Pietro di Ro-ma sul tema «Dolore cronico maligno ebenigno»; Roma, 14 marzo 1998.

Bibliografia

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Per i seguaci di Cristo, lasua opera è il modello ispira-tore e il criterio decisivo perconfigurare l’azione evange-lizzatrice e per captare lo spi-rito che deve animarla. Soloalla luce del suo operato po-tremo fondare l’evangelizza-zione nel mondo della salutementale e suggerire alcune li-nee d’azione.

I. L’opera di Gesù nel mondodell’infermità mentale

Gesù annuncia e offre la sal-vezza di Dio, non in un modoqualunque, ma generando sa-lute e facendo il bene nel mon-do della malattia e della soffe-renza. Gesù si fa presente làdove la vita appare più dete-riorata, tormentata e sciupata,e solo a partire da un’azione li-beratrice e benefattrice a que-sti uomini e a queste donneegli annuncia a tutti che Dio èSalvatore, Amico della vita edella felicità ultima di ogni es-sere umano.

In concreto, indicherò quat-tro aspetti dell’opera di Gesùnel mondo dell’infermità men-tale: 1) «Fare posto». Gesù ac-coglie questi malati e fa loroposto nella sua vita; 2) «Salva-re il perduto». Gesù si sforzadi salvare colui che sembraperduto; 3) «Difendere il de-bole». Gesù difende il derelit-to, vittima del male; 4) «Co-municare con l’escluso». Gesùincorpora nella convivenza imalati esclusi dalla società.

1. La cura del malato mentale di Gerasa

Prima di studiare l’opera diGesù, ci soffermeremo su unepisodio conosciuto: «la curadel posseduto di Gerasa», cheappare nella tradizione sinotti-ca (Mc 5, 1-20; Mt 8, 28-34;Lc 8, 26-39). Si tratta di unascena sorprendente in cui simanifesta, con tratti nitidi, l’a-

zione evangelizzatrice di Gesùnel mondo misterioso e tor-mentato della malattia mentale(gli «indemoniati» secondo lamentalità dell’epoca).

La situazione del malato ètragica. Egli è vittima di uno«spirito immondo», cioè lon-tano dal Dio Santo, privo diDio; «correva per i monti», inuno stato di solitudine totale eselvaggia; «aveva la sua dimo-ra nelle tombe», escluso dalmondo dei viventi; «legatocon ceppi e catene» da una so-cietà che pensava soltanto adifendersi da lui; un malato ir-recuperabile, «nessuno era riu-scito a domarlo»; viveva «ur-lando» discorsi insensati, inca-pace di comunicare con gli al-tri; «percuotendosi con pie-tre», vittima della propria vio-lenza.

Gesù lo incontra, e il malatogli grida a gran voce: «Che c’èfra me e te, Gesù, Figlio delDio Altissimo?». Cosa ha ache vedere Gesù, il Figlio diDio, con questo mondo oscuroe doloroso della malattia men-tale? Gli evangelisti descrivo-no dettagliatamente l’opera diGesù: gli chiede il nome, vuo-le aiutarlo a recuperare la pro-pria identità: «Qual è il tuo no-me?». Il malato risponde: «Le-gione è il mio nome, poichésiamo molti». È un uomo divi-so, frammentato dalla malat-tia; dentro di lui c’è un mondoconfuso di divisione e di dolo-re. Gesù gli dice: «Esci daquest’uomo, spirito immon-do». Fai posto allo Spirito diDio, fai posto alla riconcilia-zione, alla pace, alla liberazio-ne interiore, alla crescita diquesta persona.

Luca ci descrive bene la tra-sformazione del malato. Quan-do la gente arriva, trova l’uo-mo «seduto ai piedi di Gesù»,«vestito e sano di mente».Quelli che lo avevano visto ri-ferirono «come l’indemoniatoera stato guarito». Gesù intro-duce in quella vita un nuovo

equilibrio, lo toglie da uno sta-to infraumano, gli fornisce unanuova qualità di vita. Ma, inol-tre, gli comunica la sua Parola,gli regala la fede. L’indemo-niato non solo è curato, è unuomo «salvato». È un discepo-lo di Gesù.

Infine, Gesù lo incorporanuovamente nella società. Lostrappa dalla solitudine dellemontagne e dalle tombe oveprima trascinava la sua esi-stenza; lo toglie dall’isola-mento e dalla segregazione elo riporta alla vita, alla casa,alla convivenza. «Va’ a casatua dai tuoi e annuncia loroquanto il Signore ha fatto e co-me ha avuto pietà di te» (Mc 5,19). Ed egli se ne andò per laDecapoli proclamando «quan-to Gesù gli aveva fatto» (Mc 5,20). Quell’uomo si trasformain Vangelo, in Buona Novelladi Dio. In lui si manifesta la«misericordia» di Dio per l’es-sere umano.

2. Gesù si avvicina al mondo dell’infermità mentale

È la prima cosa che dobbia-mo annotare. Gesù si avvicinaai malati, ma, più concreta-mente, si avvicina ai malati dimente. Nella lunga lista di ma-lati di cui Gesù si prende cura,si parla costantemente di que-sti malati, considerati in quel-l’epoca come posseduti da Sa-tana e da spiriti cattivi. Gesùcurava i malati, ma cacciavaanche i demoni. Percorreva laGalilea «annunciando il van-gelo del Regno e guarendo frail popolo ogni malattia e infer-mità... Condussero a lui malatidi ogni genere: sofferenti diinfermità e dolori vari, inde-moniati e paralitici ed egli liguarì» (Mt 4, 23-24. Cfr Mc 1,34 e Lc 6, 18-19).

Per comprendere bene que-sto gesto di Gesù, dobbiamoricordare come era consideratala malattia mentale nella so-cietà del tempo. Nella menta-

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Evangelizzazione nel mondo della salute mentale.Fondamenti e linee d’azione

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lità semitica, ogni malato è unuomo che è stato abbandonatodallo Spirito di Dio, quel sof-fio vitale con il quale Dio so-stiene ogni persona. Per que-sto, il malato è sempre unapersona minacciata nel suostesso essere, una persona checammina verso la morte, che

va cadendo nell’oblio di Dio.Perciò, l’ebreo ammalato vivela propria malattia come un’e-sperienza di impotenza e diabbandono e, cosa più terribi-le, di abbandono e rifiuto daparte di Dio. In qualche modo,ogni malattia è un castigo ouna maledizione di Dio, e ilmalato un uomo «ferito daYahveh».

La situazione del malato dimente è ancor più tragica. Co-stui è rimasto tanto vuoto delloSpirito di Dio, tanto abbando-nato, che la sua persona è statainvasa da Satana e dagli spiritimaligni. Satana è il Male perantonomasia, la personifica-zione di tutto ciò che distruggei piani salvifici di Dio, coluiche distrugge l’essere umano eche lo tormenta. Gli ebrei par-lano di Satana quando si riferi-scono a una persona sottomes-

sa a un male inspiegabile e mi-sterioso, che genera paura e ri-sulta minaccioso. Pertanto, ilmalato di mente è un uomo ab-bandonato da Dio e possedutodal male, qualcuno da cui biso-gna difendersi e fuggire.

In questo contesto socio-re-ligioso, Gesù «fa posto» nella

propria vita a questi uomini e aqueste donne che non hannoposto nella società e, apparen-temente, neanche nel cuore diDio. È questo il dato fonda-mentale. Il malato di mente è ilprototipo dell’«abbandonato».Gesù accoglie e fa posto pro-prio a questi malati che vivononel mondo, senza che il mondosia per loro una casa, a coloroche non hanno posto da nessu-na parte, i malati rifiutati, chenon sanno a chi ricorrere, chesi scontrano giorno dopo gior-no con le barriere alzate da co-loro che sono sani, che sono si-curi. Gesù mostra loro che nonsono soli e abbandonati.

3. Gesù salva la vita perduta del malato di mente

Salvare ciò che è perduto èun altro aspetto di Gesù, quasi

un’ossessione. Gesù parla nel-le sue parabole della «pecorel-la smarrita», del «figliol prodi-go», della «dramma perduta»(Lc 15). Egli si sente inviatoalle «pecore disperse della ca-sa di Israele» (Mt 15, 24) eproclama che «il Figlio del-l’uomo è venuto a cercare e asalvare ciò che era perduto»(Lc 19, 10). Gesù, l’amico del-la vita, si avvicina al mondodel malato per salvare ciò cheè perduto, la salute deteriorata,la vita sciupata. Egli è la spe-ranza dei perduti.

Per questo incontriamo Ge-sù tra i malati di mente, tra glialienati, tra coloro che si sonotraviati, che hanno perduto ilsenso della loro vita e anche laloro identità, tra i possedutidal male, i condannati all’insi-curezza e alla paura, tra coloroche sperimentano il propriomale come qualcosa di irrime-diabile. Tra coloro che studia-no «la tendenza verso il bas-so» propria di Gesù, C.H.Dodd segnala l’«inedito inte-resse per il perduto», L. Boffnota che Gesù si dirige di pre-ferenza verso «i non uomini».Se Gesù si avvicina ai malatidi mente è solo perché è mos-so dal suo amore svisceratoper questi esseri perduti e dallasua passione per strapparli dalpotere disintegratore del male.La prima comunità cristiana èrimasta con questo ricordo:«Dio ha consacrato in SpiritoSanto e potenza Gesù di Naza-ret, che passò facendo del be-ne e sanando tutti quelli cheerano sotto il potere del diavo-lo, perché Dio era con lui» (At10, 38). Questo è Gesù: pienodello Spirito di Dio, va libe-rando e sanando gli oppressidal male e dalla divisione inte-riore («diavolo» = «colui chesepara»).

Vorrei ricordare che, neivangeli, gli indemoniati (infer-mi psichici, epilettici, ecc.)non sono mai descritti comepeccatori, uomini moralmentecattivi, bensì come vittime in-difese del male. Per questo, lalotta di Gesù non è contro ilpeccato di questi uomini, macontro il male che li tormentae li distrugge.

Gesù li libera dalla solitudi-ne e dall’isolamento. Li liberadalla confusione interiore,dalla divisione e dall’aliena-

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zione. Li libera dal tormentodella malattia, dalla paura diDio. Infonde nella loro vita«pace», «shalom», cioè bene-dizione, grazia, benessere, si-curezza, fiducia nel futuro. Èciò che Gesù poneva in ognimalato: «va’ in pace e sii sana-to dal tuo male» (Mc 5, 34).Gesù, pieno di Dio, trasmettevita, salute e benedizione nelmalato di mente: «Ora il Fi-glio di Dio è apparso per di-struggere le opere del diavo-lo» (1 Gv 3, 8).

4. Gesù difende il malato debole

Altro aspetto fondamentaledi Gesù: difendere sempre ildebole, l’indifeso, colui chenon può farsi valere. Gesù par-la molte volte dei «piccoli», dicoloro che non sono grandi innessuna cosa, che non hannopotere né forza per difendersi.«Guardatevi dal disprezzareuno di questi piccoli» (Mt 18,10); «Proprio questo è il vole-re del Padre vostro che è neicieli: che neanche uno di que-sti piccoli si perda» (Mt 18,14); «In verità vi dico: tuttoquello che avete fatto a unodei più piccoli di questi mieifratelli, l’avete fatto a me» (Mt25, 40).

Per questo, vediamo Gesùdifendere i malati di mente,che non hanno prestigio né po-tere alcuno, senza immagine esenza identità, poveri non solonell’avere, ma poveri della po-vertà dell’essere, poveri di unavita cosciente e affettiva, sen-za il potere di un discorso coe-rente, isolati e divisi dal male.

Gesù li difende di fronte aquella società che li esclude eli condanna a vivere in luoghisolitari; li difende dalle leggi edai tabù che li disprezzano co-me impuri. Non ha paura ditoccarli e di liberarli dall’im-purità e dal disprezzo. Si impe-gna tanto nella loro difesa chepresto identificano anche luicon gli indemoniati: «È posse-duto da Belzebù e scaccia i de-moni nel nome del principe deidemoni» (Mc 3, 22). Vienepreso per pazzo e indemonia-to: «È posseduto da uno spiritoimmondo» (Mc 3, 30).

Però Gesù difende questiuomini e queste donne debolidalla forza del male. Vede

questi malati come vittime diqualcosa di «forte» che è en-trato in loro e li ha schiavizza-ti. Egli si sente «più forte» perliberarli dal male. «Nessunoche sia penetrato nella casa diun uomo forte può depredare isuoi beni, se prima non abbialegato quel forte» (Mc 3, 27).Gesù impiega tutta la sua au-torità e la sua forza per libera-re questi malati dal loro male:«comanda agli spiriti immondie questi gli ubbidiscono» (Mc1, 27).

5. Gesù introduce il malato nella società

In Israele il malato di menteè il prototipo dell’escluso.Posseduto da Satana, egli vie-ne considerato impuro. Nonappartiene alla comunità san-ta, al popolo di Dio. Non co-nosce la Legge né la compie.Non può entrare nel Tempio. Èescluso dalla società, condan-nato a vivere in luoghi solitari,lontano dalle città abitate, èmarchiato socialmente e reli-giosamente.

I vangeli segnalano ripetuta-mente lo sforzo di Gesù perreintegrare i malati nella so-cietà. Così dice al paraliticoguarito: «Sorgi, prendi il tuolettuccio e vattene a casa» (Mc2, 11). La stessa cosa succedecon l’indemoniato di Gerasa.Gesù lo fa uscire dalla solitu-dine delle montagne, lo fauscire dall’isolamento e dallasegregazione e lo riporta allavita.

Il malato manifesta il suodesiderio di restare con Gesùma questo preferisce che eglitorni a casa. Ha sofferto abba-stanza lontano dai suoi. Biso-gna che torni a casa e raccontiche il Signore ha avuto pietàdi lui. Il ritorno alla vita nor-male è considerato come unagrazia di Dio. «Va a casa tuadai tuoi e annuncia loro quan-to il Signore ha fatto e comeha avuto pietà di te» (Mc 5,19).

6. L’annuncio di salvezza di Dio

L’opera di Gesù nel mondodel malato di mente non èun’azione medica tra le tante.Non viene riprodotta un’atti-vità curativa. Gesù le dà un si-

gnificato più profondo edevangelizzatore. «Se io scac-cio i demoni in virtù dello Spi-rito (Lc = il dito) di Dio vuoldire che realmente è giunto avoi il Regno di Dio» (Mt 12,28).

Con la sua azione sanante eumanizzatrice, Gesù è segnoche Dio non abbandona questimalati. Non sono perduti e ab-bandonati. Dio è vicino. Defi-nitivamente, il Dio del bene enon del male, il Dio della crea-zione, della salute, della vita,non il Dio della distruzione,della malattia, della morte.L’obiettivo ultimo dell’azionesanante di Gesù è mostrareche anche in questo mondooscuro e doloroso dell’infer-mità mentale Dio regna comeamico dell’essere umano.

II. Grandi linee d’azione

L’opera di Gesù permette ditracciare alcune linee basilaridell’azione evangelizzatrice nelmondo della salute mentale.

1. Avvicinarsi al malato di mente

La prima è, senza dubbio,suscitare all’interno della Chie-sa una maggiore sensibilità eun cambiamento di mentalità,che ci avvicinino al mondo delmalato di mente e della sua fa-miglia.

1.1. Sconosciuti e temutiOggi le comunità cristiane

stanno facendo uno sforzomolto significativo nel mondodei malati più bisognosi e me-no assistiti. Tuttavia, se si fa

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eccezione per la dedizione ge-nerosa di alcuni ordini e con-gregazioni religiose e di alcu-ni gruppi più sensibilizzati, imalati di mente sono i grandiassenti dalla preoccupazioneevangelizzatrice della Chiesae delle comunità cristiane.

Senza dubbio è cresciuta lasensibilità nei confronti di chisoffre di depressione, di de-menza senile, dell’alcolizzatoo del tossicodipendente colpi-to nella sua personalità, manon si osserva, almeno nonnella stessa misura, un cam-biamento di atteggiamento euna maggiore vicinanza al ma-lato di mente. Essi sono i piùbisognosi, ma anche i più sco-nosciuti e temuti. Tra questomondo di sofferenza, di oscu-rità, di solitudine e distruzio-ne, e la vita delle comunità cri-stiane sembra alzarsi una spe-cie di muro invisibile che im-pedisce di avvicinarsi al mala-to di mente e di comprendereil suo dolore, che ostacola lacomunicazione evangelica, lapresenza evangelizzatrice.

1.2. Superare connotazioni negative

Alla radice di questo distan-ziamento dal malato di menteopera un insieme di connota-zioni negative che è necessa-rio affrontare in maniera piùpositiva e cristiana.

C’è, in primo luogo e datempo immemorabile, l’imma-gine di pericolosità, associataall’infermità mentale, che spin-ge rapidamente all’isolamentoe alla custodia del malato perdifendere la società dalla suaminaccia. Una conoscenza piùrigorosa e uno spirito più vici-no a quello di Gesù dovrebbe-ro portare le comunità cristianead adottare una posizione piùrealistica e differenziata, e unatteggiamento di maggiore ac-coglienza.

In secondo luogo, la mani-festazione più importante del-l’infermità mentale sono leturbe comportamentali. Ed èproprio questa alterazione delcomportamento, deviato daciò che si considera «norma-le», a creare insicurezza e adimpedirci o a renderci difficilel’avvicinarci alla realtà dolo-rosa del malato di mente, in-tenti come siamo a difenderela nostra «normalità». Una sa-

na conoscenza delle nostre de-bolezze e un’accettazione piùrealistica dei nostri limiti, in-sieme ad un amore radicaleper questo essere umano, cipermetterebbe di avvicinarci alui in una maniera più acco-gliente e comprensiva.

D’altra parte, è facile consi-derare il malato di mente co-me una persona incapace diogni comunicazione vera ecrescita personale. Ciò chepuò essere vero in alcune dellediverse varietà o fasi della ma-lattia mentale, esteso, tuttavia,in forma globale ed erronea adogni malato e a tutti i campidell’esperienza umana, si tra-sforma in un ostacolo per unavvicinamento maggiormenteumano e costruttivo. L’atteg-giamento di Gesù, di «cercare

e salvare colui che si è perdu-to», darebbe vita a un atteggia-mento molto diverso.

Infine, a tutto ciò si sommal’idea generalizzata che la ma-lattia mentale sia incurabile,che poco o nulla si possa fare.Indipendentemente da ciò chegli esperti e gli specialisti pos-sono dire e fare nei singoli ca-si, occorre ricordare che, quan-do non si può curare, si può esi deve accompagnare, allevia-re, difendere, amare.

1.3. Dare impulso all’avvicinamento

Animare nella Chiesa unprocesso di avvicinamento almondo del malato di mente ab-braccia diversi aspetti. Ne se-gnalo alcuni. In primo luogorivedere il posto che occupanel ricordo e nell’attenzionedelle comunità cristiane; pro-

muovere una campagna di sen-sibilizzazione e di cambiamen-to di atteggiamento di fronte almalato di mente; un avvicina-mento più reale al mondo dellasalute mentale (ospedali psi-chiatrici, unità psichiatrichedell’Ospedale generale, modu-li di salute mentale, ecc.); unamigliore conoscenza dei mala-ti che appartengono alla pro-pria comunità cristiana; uncontatto più stretto con le fa-miglie che soffrono con un es-sere amato malato, ecc. Si trat-ta, in definitiva, di «fare po-sto» al malato di mente nelcuore della Chiesa e in seno al-la comunità cristiana.

1.4. Necessità di formazioneUn sano avvicinamento al

mondo dell’infermità mentale

richiede un minimo di rigore edi competenza; apprendere larelazione più sana e beneficaper il malato; sapersi collocarealla giusta distanza; sviluppareuno stile di comunicazione po-sitiva; collaborare in una tera-pia di sostegno.

Tutto ciò richiede abilitazio-ne. La buona volontà non ba-sta. Con la migliore delle in-tenzioni, si può interferire oostacolare il lavoro terapeuti-co. I collaboratori nella Pasto-rale della Salute Mentale de-vono acquisire una minimaformazione specifica per co-noscere le possibili reazioni edatteggiamenti del malato, e ilmodo più adeguato per acce-dere a una relazione positiva.Di qui la necessità di una col-laborazione stretta ed efficacetra psichiatri ed esperti dellasalute mentale, con gruppi e

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persone che si avvicinano almalato da una prospettiva dif-ferente e non specializzata, diamicizia umana e cristiana.Tale collaborazione o «allean-za» al servizio del malato, incui ciascuno conserva la pro-pria identità e responsabilità,costituirebbe, a mio parere,uno dei segni più positivi divero interesse per l’attenzioneintegrale al malato psichico.

Per quanto riguarda i cristia-ni, medici o personale curante,che lavorano nel campo psi-chiatrico, oltre a tutto ciò chepossono insegnarci, e che èmolto, hanno anche il diritto ditrovarci al loro fianco di frontead altri credenti, per cercareinsieme il senso evangelizza-tore del loro lavoro e per illu-minare i problemi che la salutementale pone a una visionecristiana dell’esistenza.

2. Introdurre la benedizione di Dio

Non basta essere più presen-ti nel mondo dell’infermitàmentale. È necessario chieder-ci come deve essere questapresenza e cosa bisogna adot-tare perché sia evangelizzatri-ce, come quella di Gesù.

2.1. Verso un atteggiamento evangelizzatore

L’avvicinamento al malatodi mente può avere accenti di-versi. Se il malato provoca sfi-ducia e timore a causa dellasua pericolosità, si svilupperàsoprattutto un atteggiamentodi vigilanza e cautela. Se si de-sidera contrastare la sua con-dotta deviata, si svilupperannomisure di carattere correttivo,dirette a diminuire e ad atte-nuare la malattia. Se si cerca

di recuperare aspetti sani delmalato e dare impulso alla suacrescita e al suo sviluppo, sipromuoverà un trattamento te-rapeutico. Senza negare la per-tinenza di queste azioni inogni caso, e rispettando lacompetenza degli esperti inassistenza psichiatrica, l’atteg-giamento evangelizzatore tie-ne presente, prima di tutto, unessere umano povero e dolen-te, bisognoso di amore e di be-nedizione. Senza negare lestrade dell’assistenza psichia-trica o della saggezza psicolo-gica, bensì includendole, esi-ste un cammino per giungerealla vita spezzata del malato dimente: la compassione attiva,l’amore paziente, la comuni-cazione che trasmette benedi-zione.

2.2. Imporre la benedizione di Dio

Benedire (dal latino «bene-dicere») significa letteralmente«parlare bene», dire cose buo-ne a qualcuno e, soprattutto,dirgli il nostro amore, espri-mergli il nostro desiderio di be-ne. Secondo la psichiatra e psi-coanalista francese FrançoiseDolto, «benedire» è fare bene.È come dire: «Desidero per teil bene. Penserò a te, non pen-serò altro che al bene per te».Questo è ciò che è importante:la certezza che un essere uma-no riceva benedizione (Conci-lium, 198 – marzo 1985, 254).Si tratta quindi di essere insie-me ai malati di mente in un at-teggiamento di benedizione,che significa lasciare lo stigmadi essere malnati, malfatti, ma-ledetti; segnare con la benevo-lenza quanti sembrano segnatisolo dalla maledizione; segna-re con amore quanti sembranosegnati dal male.

E «benedire in nome diDio». Comunicare con gesti,parole e atteggiamenti l’amoredi Dio che non abbandonaqueste vite rotte e stigmatizza-te. Dirgli che è benedetto, cheDio si accorge di lui, lo distin-gue e lo ama infinitamente.Restituirgli la sicurezza che èun essere amato da Dio conamore insondabile e gratuito.

Per questo, benedire è far sìche il malato sia avvolto dal-l’amore, pur se non è in gradodi captarlo in maniera coscien-te. Porre in questa vita un

amore silenzioso, riconosciutosolo da Dio; porre amore gra-tuito che illumini questa vita avolte tanto cupa e impenetra-bile; porre pace e grazia doveappare solo male in eccesso.

Naturalmente, la benedizio-ne non è un gesto isolato. Essaha bisogno di essere mantenu-ta. Il malato necessita di provecostanti che è accettato e ama-to. Necessita di parole e di ge-sti benefattori, di comunica-zione, compagnia, cure, acco-glienza e tranquillità. Il malatoha bisogno di sapere in qual-che modo che, qualunque cosafaccia e dica, ci saranno sem-pre per lui grazia e misericor-dia, ci sarà sempre qualcunoche si curerà di lui e cercheràil suo bene.

2.3. Lo stile della benedizioneLa benedizione esige uno

stile di attuazione. In primoluogo, come sostegno di tuttal’attenzione e la cura al mala-to, l’amore gratuito. Un amoreche non si può basare sulla re-ciprocità né esigerla. Chi curaquesti malati e vive con lorobenedicendo, non agisce perinteresse personale, e nemme-no per risentimento o timore.Colui che benedice non hapaura. Ha solo amore per la ri-cerca del bene del benedetto.

Questo amore è fatto di ri-spetto totale per la personamalata, non per la sua maturitàumana né per la sua dignitàmorale, ma semplicementeperché è persona, immaginedel Dio vivo, figlio amato delPadre. Chi benedice, sta atten-to al mistero profondo di cui èportatore ogni essere umano eancor più questo malato, a vol-te senza libertà interiore, tra-sformato in qualcosa di estra-neo e oscuro per se stesso.

Chi benedice, agisce ascol-tando con compassione la sof-ferenza del malato, questa vitatrasformata in tormento. Chiama questo malato, cerca diraccogliere il messaggio glo-bale di questa persona malata,ciò che vuole dirci (benché ilsuo discorso non sia articola-to), ciò che vuole e ciò di cuiha bisogno.

D’altra parte, l’avvicina-mento al malato di mente, co-me ad ogni essere radicalmen-te bisognoso, ci rende umili.Non sono possibili né un esito

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sicuro né dei risultati spettaco-lari. Non possiamo estirpare ilmale alla radice. Non possia-mo salvare. Chi benedice innome di Dio, lavora con umiltàe pazienza, a partire dalla fedee dalla speranza in Dio, unicoSalvatore definitivo dell’essereumano.

3. Difendere il malato di mente

L’opera evangelizzatrice nelmondo del malato di mentepuò concretizzarsi nel compitodi difendere il malato di mentedandogli un posto più umano edegno nella Chiesa e nella so-cietà.

3.1. La difesa dei dirittiUna Chiesa fedele allo spiri-

to di Gesù, e alcune comunitàcristiane ispirate dalla sua ope-ra, devono saper difendere ladignità e la primazia della per-sona ammalata di fronte a tut-to ciò che può essere dimenti-canza, emarginazione, abuso oinsensibilità.

Ciò significa, in concreto,difendere il diritto del malato aun’assistenza sanitaria ade-guata; il diritto alla migliorequalità di vita possibile; il di-ritto a un’attenzione terapeuti-ca individualizzata; il diritto auna cura integrale delle sue di-verse necessità familiari, so-ciali, religiose; il diritto a ve-dere rispettati i suoi valori eti-ci e religiosi.

Non si tratta di difendere ilmalato in maniera teorica, co-me dal di fuori, bensì di colla-borare in tutto ciò che possa si-gnificare un miglioramentonella prevenzione, nel tratta-mento, nella riabilitazione, nel-l’attenzione integrale e nell’in-tegrazione sociale dei malati. Ilruolo del volontariato è risulta-to decisivo in molti paesi euro-pei per ottenere miglioramentiche non sarebbero stati possibi-li senza questa collaborazione.

3.2. L’integrazione socialeUn’azione evangelizzatrice

ispirata a Gesù implica di pro-muovere la comunione conquesti malati discriminati edemarginati in molti modi.Non basta difendere «la dei-stituzionalizzazione della psi-chiatria» per reinserire e inte-grare i malati nella società. È

necessario tutto un lavoro disensibilizzazione e di menta-lizzazione per cambiare l’at-teggiamento sociale di fronteal malato di mente. È necessa-rio accogliere e stare vicino aquesti malati, senza emargi-narli; sostenere la famiglia eoffrirle le risorse e l’aiuto ne-cessari, come primo sostegnoall’integrazione; prendersi cu-ra dei malati psichici senzacasa, che transitano da unaparte all’altra.

Le comunità cristiane e icollaboratori della Pastoraledella Salute hanno qui ungrande compito da realizzarenell’ordine della sensibilizza-zione, dell’aiuto alle famiglie,della collaborazione con leAssociazioni di familiari dimalati psichici, ecc. Senzadubbio, una delle forme mi-gliori per contribuire all’inte-grazione sociale dei malati dimente è quella di fargli postonella comunità cristiana, di re-stituire loro il «diritto di mem-bri della comunità», aprendoloro le porte delle parrocchie,invitandoli a partecipare allavita della comunità e agevo-landone la presenza nelle cele-brazioni, negli incontri o nelleattività dalle quali non c’è ra-gione per cui debbano essereesclusi.

3.3. L’attenzione religiosaUno dei luoghi ove la Chie-

sa può meglio mostrare il vol-to evangelico ed evangelizza-tore nei confronti di questimalati è nell’accoglienza reli-giosa. Senza dubbio le situa-zioni sono differenti. Gliesperti parlano di malati in cuila vita religiosa appare pratica-mente intatta, malati in cui ilreligioso è un’ossessione, ma-

lati dalla condotta religiosafuorviata o estinta. Bisogneràpoter contare sull’assistenza diquanti si sforzano di aiutare ilmalato a recuperare la sua sa-lute. Bisognerà collaborarecon loro per agire nel modopiù sicuro e benefico per ilmalato. Però non bisogneràmai dimenticare che dall’azio-ne di Gesù spicca un criteriogenerale: bisogna superare tut-to ciò che significa emargina-re, isolare, distanziare, proibi-re, e promuovere, invece, ciòche riguarda il convivere, l’av-vicinare, l’accogliere, l’inte-grare.

Da una prospettiva credente,quel che conta in tutto questo èrimuovere gli ostacoli e aiutareumilmente affinché anche inquesta persona avvenga l’in-contro del mistero di Dio con ilmistero dell’uomo. Questa è lacosa primaria e decisiva. Ri-spetto a tutte le impostazioniche si possono fare sul fattoche ci sia soggetto di vita reli-giosa, e in concreto soggettocapace di ricevere i sacramenti,leggerò soltanto le parole delsacerdote e psichiatra MarianoGalve, con cui mi identifico to-talmente: «rimango sbigottitoquando sento che vengono ne-gati i sacramenti per “mancan-za di soggetto”. E vi dirò per-ché... In psichiatria, il soggettoè qui, di fronte, ossessivamentepresente, con una realtà chenon si può mascherare né ela-borare, in modo crudele esfrontato. Certamente nellamaggior parte dei casi, quandonon è un soggetto schivo e ir-raggiungibile, inintelligibile eevanescente, è un soggetto me-schino, vuoto e ritorto. È unsoggetto ambiguo, sconclusio-nato e distrutto. Però c’è sog-getto, e un soggetto evangeli-co... “Non sono venuto per cu-rare i sani, ma i malati... Sonovenuto per raccogliere ciò cheera perduto”» (in Objetivos yactividades del quehacer pa-storal en psichiatría, noviem-bre 1986).

Tre campi meriterebberoqui una riflessione più profon-da: 1) il Sacramento della ri-conciliazione come luogo diaccoglienza e di pacificazione,luogo per la benedizione e lagrazia, campo propizio per larestaurazione profonda dellapersona (autostima, amicizia

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con Dio); 2) la celebrazionedell’Eucaristia con i suoi di-versi aspetti: accoglienza epartecipazione dei malati co-me membri dell’assemblea;azione di grazie a un Dio ami-co; ascolto della Buona No-vella di Gesù; avvicinamentoa comunicare con Cristo; rice-vimento della benedizione diDio; 3) la preghiera con i ma-lati e per i malati. L’aiuto atrovare la giusta preghiera, ac-compagnare nell’orazione, in-vocare e ringraziare insieme aDio. Ascoltare insieme la suaParola.

4. Sostenere la famiglia

Si parla di reinserimento edi riabilitazione sociale deimalati di mente, ma questo èdifficile se non si sostiene dipiù la famiglia, primo e princi-pale ambito di riferimento, ingenere, per il reinserimento.Le famiglie hanno bisogno dimaggiori risorse e di maggioresostegno per essere un suppor-to efficace nella riabilitazionedel malato.

4.1. La situazione delle famiglie

Senza dubbio, la situazionedelle famiglie è molto diversacosì come i suoi atteggiamentidi fronte al familiare ammala-to. Però è possibile segnalarealcuni aspetti abbastanza co-muni.

Molte famiglie si sentonosole o con poco sostegno perfar fronte ai problemi che sor-gono con la malattia di unodei suoi membri (genitore, fi-glio, ecc.).

Dall’altra parte, la famigliasi sente spesso «contrassegna-ta» di fronte agli altri. Si teme«cosa diranno» e si cerca di na-scondere la malattia come unacosa disonorevole per tutti.

Possono anche suscitare unsentimento di colpevolezza.La malattia può essere un fe-nomeno ereditario; si possonorimproverare di non averla in-dividuata prima o di non aver-la curata seriamente, ecc.

In alcuni casi, può apparireanche la paura del malato perla sua pericolosità e per i pro-blemi che crea nell’ambientefamiliare e in quello che lo cir-conda.

Nascono anche difficoltà di

tipo economico, problemi la-vorativi e amministrativi, con-sulte con i medici, ecc.

Il Dott. V. Beramendi de-scrive bene l’impotenza o lapaura che nascono, spesso, intutta questa dinamica familia-re: 1) paura per l’ammissione(il malato rovina la famiglia,bisogna nasconderlo, cosasuccederà?); 2) paura durantel’ammissione (paura che nonvenga curato, paura per la di-missione dall’ospedale, per lereazioni del malato, visite nondesiderate, ecc.); 3) paura do-po la dimissione (rischi diconvivenza, paura per le con-seguenze impreviste dellacondotta del malato, paura chenon sia ben curato, ecc.).

In questa situazione, ci sonofamiglie che curano bene ilproprio malato, con amore,pazienza, competenza, colla-borando positivamente con imedici. Ma ci sono anche fa-miglie in cui il malato è un pe-so insopportabile, che non rie-scono a trattarlo, i cui membrivengono colpiti negativamen-te e, a loro volta, favorisconoil peggioramento del malato.

4.2. Il sostegno alle famiglieLe comunità cristiane devo-

no stare molto vicino a questefamiglie. Questo è, a volte,uno dei campi d’azione piùimportanti per la comunitàparrocchiale.

Per prima cosa conoscere lefamiglie, avvicinarsi e ascolta-re i loro problemi. Cercare lemisure e i canali per stare lorovicino e per accompagnarle

per risolvere i diversi proble-mi o, almeno, per alleviare lasituazione.

Le forme e i modi di aiutosono molteplici. Non ci sonoricette. È necessario vedere inogni caso i bisogni a cui ri-spondere. Può essere necessa-rio liberarle dall’isolamento efornire loro sicurezza; infor-marle dei loro diritti e difen-derle concretamente; aiutarlenella cura del malato e nellarealizzazione delle diverse in-combenze; metterle in relazio-ne con le Associazioni di Fa-migliari di Malati Psichici.

Desidero ricordare anche imalati psichici senza tetto, ilcui numero è in costante au-mento e che necessitano di so-stegno terapeutico e di essereseguiti da vicino. L’aiuto ma-teriale della Caritas non è suf-ficiente, ma è necessario unintervento più specializzato.

Concludo con la testimo-nianza del marxista LucioLombardo Radice, che descri-ve nel seguente modo uno de-gli aspetti più caratteristici delcristianesimo: «Da un punto divista cristiano è importantededicarsi a una creatura uma-na, curarla ed amarla, perquanto questa nostra dedizio-ne sia improduttiva. Per il cri-stiano è importante dare tuttoil suo tempo con gioia e alle-gria al malato incurabile, edarglielo “gratuitamente”, peril cristiano è importante ac-compagnare con amore e pa-zienza l’anziano, già “inutile”,nel suo cammino verso lamorte, è importante curare conbontà gli esseri umani “ulti-mi”, i più infelici e imperfetti,incluso quelli in cui risultaquasi impossibile discernere itratti umani» (I marxisti e lacausa di Gesù, 26-27).

P. JOSÉ ANTONIO PAGOLA Diocesi di San Sebastián

Spagna

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I. La morte e il morire umani

1. L’essere umano di fronte alla morte

Che l’uomo sia un esseremortale è chiaro. Si tratta di unfatto naturale di fronte al qualenon possiamo fare nulla, ben-ché alcuni, come Walt Disney,preferiscano essere ibernati a–196°, nella speranza che inqualche decennio o qualchesecolo la scienza medica potràriportarli in vita.

Heidegger diceva che l’uo-mo è un essere-per-la-morte eche non solo muore, ma sa an-che di dover morire. Alcuniadagi che figurano in certe an-tiche meridiane come: «tempusfugit» (il tempo è breve), o an-che «carpe diem» (cogli l’atti-mo) o «memento mori» (ricor-da che devi morire), ci ricorda-no che prima o poi ci toccheràmorire, che come siamo venutial mondo così ce ne andremo.A ragione Quevedo diceva che«l’uomo è l’essere che vive trala culla e il lenzuolo funebre».

2. Malattia e morte nella cultura attuale

Parlare della malattia e dellamorte non piace a nessuno, co-me se fossero temi tabù e in-toccabili. Tuttavia parleremoproprio della malattia e dellamorte.

Il mondo della malattia è unmondo difficile ma appassio-nante. Difficile perché è unmondo in cui ci muoviamo al-le soglie dei dualismi (speran-za/disperazione, senso/senza-senso), ma appassionante per-ché entriamo nelle viscerestesse dell’essere umano. Conil mondo della morte avvieneun po’ lo stesso. La morte èsempre qualcosa che ci cogliedi sorpresa. È prematura, nonsappiamo quando giungerà esta proprio qui il suo caratteredi angoscia. La morte, pertan-to, si impone su di noi, dispo-

ne di noi. Ed è ugualmenteuna realtà che ci incute paura:della solitudine, del dolore,dell’insoddisfazione di una vi-ta mal condotta e senza possi-bilità di ricomporla, della col-pevolezza di aver agito malecontro qualcuno, ecc.

La morte è qualcosa di sco-modo, fa paura pensarci, pen-siamo che tocchi gli altri e mainoi, ma è una realtà inevitabi-le, qualcosa di naturale nell’e-sistenza di tutti gli esseri vi-venti. C’è inoltre un dato cu-rioso e ambivalente in moltiesseri umani di fronte allamorte: da un lato c’è il deside-rio di sapere e, dall’altro, il ti-more di sapere, cioè la pauradi conoscere, ma anche la pau-ra dell’ignoto.

3. Il malato terminale

Oggi si calcola che l’87%dei decessi nel mondo, princi-palmente nei paesi più indu-strializzati, dipenda da malat-tie croniche o terminali. Tutta-via, e nonostante il fatto che alivello medico non ci sia una-nimità di criteri per identifica-re un paziente come «termina-le», possiamo dire che una si-tuazione terminale è quella incui la vita di una persona giun-ge al termine principalmenteperché presenta uno stato clini-co irreversibile, cioè non esiste

nessuna azione terapeutica chepossa evitare il progressivo de-terioramento organico fino allamorte. Tra i criteri che servonoa diagnosticare la sindrome dimalattia terminale si possonoelencare i seguenti:

a) malattia incurabile adevoluzione progressiva

b) previsione di sopravvi-venza inferiore a un mese (o a6 mesi al massimo)

c) inefficacia comprovatadei trattamenti

d) perdita della speranza direcupero.

II. Vivere il morire

Platone diceva ai suoi disce-poli: «esercita la tua morte»,«pratica il morire». Quotidia-namente sperimentiamo pic-cole morti, piccoli segnali (adesempio la morte di una perso-na cara, la perdita del nostrolavoro abituale, la rottura o laseparazione affettiva, ecc.), fi-no al punto che si può parlaredi un morire quotidiano, da unlato, e di un morire finale, dal-l’altro.

Sul morire finale possiamodire molto, ma sulla mortequasi nulla, salvo ciò che alcu-ni traggono dalla parapsicolo-gia e altri dalla fede. DicevaUnamuno che non gli importa-va morire, ma l’angoscia di

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Antropologia ed etica del morire

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«non esistere», di smettere diesistere per sempre; di qui lasua sete di immortalità, di nonscomparire eternamente.

Con tutto ciò, è necessarioaccettare la finitudine umana eaffrontare la morte come qual-cosa di inevitabile. Però se bi-sogna scegliere tra l’assurdodi non credere in nulla e quel-lo di credere in qualcosa, ri-tengo sia preferibile la secon-da cosa, perché dall’assurdonon nasce nulla, mentre dallacredenza nasce qualcosa di va-lido: il mistero.

1. Spiritualità e trascendenza

In tutte le epoche e culturel’essere umano ha avuto la ne-cessità di credere in qualcosache andasse al di là della vitaquotidiana. Di qui i culti, i ritifunebri, ecc. Ogni uomo si èchiesto, si chiede e si chiederàquale sia il significato della vi-ta, ma anche il significato del-la morte. Inoltre, nella misurain cui invecchiano, le personesi afferrano maggiormente alleproprie «credenze» e si inter-rogano sull’esistenza di un’al-tra vita. Nell’età adulta o, me-glio ancora, nella maturità del-l’anzianità avviene una rina-scita della spiritualità.

Tale spiritualità non è altroche la ricerca del significatodella propria esistenza, un mo-do di collegare il nostro «iosuperiore» al nostro «io inte-riore», o a ciò che alcuni chia-mano Dio. La spiritualità puòessere un impulso verso que-sta trascendenza, ma in molticasi non è altro che un meroaiuto e una mera consolazionenei momenti difficili, soprat-tutto quando si vive la morte

da vicino (ad esempio la mortedi qualcuno per un incidentestradale, la malattia terminaledi un familiare o quando sisente, a causa dell’età avanza-ta, che manca poco per lascia-re questo mondo).

Dobbiamo anche dire che lamorte è buona maestra di vita.Quando la si guarda in faccia,la vita si trasforma in un’espe-rienza unica. In questo sensopossiamo affermare che lamorte può dare significato allavita. La morte ci rimette allavita, ci ricorda che il nostrotempo è limitato, caduco e,pertanto, bisogna approfittar-ne. Di qui l’importanza di go-dere della vita.

Dobbiamo dire qui che è piùimportante saper vivere il tem-po che abbiamo, che voler vi-vere il maggior tempo possibi-le (è più importante la qualitàdella quantità). Uno può mori-re a 30 anni e aver vissutomolto o a 90 e non aver assa-porato nella vita le cose im-portanti. Per questo bisognaaspirare a ciò che disse Neru-da alla sua morte: «confesso diaver vissuto».

2. Affrontare la sofferenza

La sofferenza è un’altrarealtà umana inevitabile. Se-gnaliamo alcune chiavi percercare di viverla in manierasana.

– Eliminare per quanto pos-sibile la sofferenza. La primacosa che bisogna fare con lasofferenza è sopprimerla, lad-dove è possibile. E molto piùse si tratta di una sofferenzainutile.

– Assumere la sofferenzainevitabile. Nella vita c’è untipo di sofferenza che risulta diper sé inevitabile: malattia,vecchiaia, disgrazia, perdita dipersone care, ecc. Questi mo-menti svelano il lato oscuro edoloroso della vita. Tale soffe-renza si può alleviare o atte-nuare, ma non si può soppri-mere, perché è parte della stes-sa esistenza.

– Affrontare la sofferenzacon realismo. Di fronte allasofferenza, invece di fare beidiscorsi o teorie, bisogna agirecontro di essa. Invece dellapassività o della rassegnazio-ne, bisogna adottare un atteg-giamento realistico: lottare

contro di essa, mediante l’otti-mismo e la speranza (ad esem-pio, il malato che si rassegna esi deprime, trascorrerà la pro-pria malattia peggio di quelloche assume un atteggiamentocontrario).

– Non chiudersi nel dolore.Se il malato si chiude nel pro-prio dolore, si deprime di più.Di fronte al rischio di restareoffuscato dalla sua sofferenza,deve lottare per spezzare il cir-colo che l’imprigiona.

– Aiutare a cercare un sensoal dolore. Aiutare il malato atrovare un senso alla sua soffe-renza lo mette in grado di af-frontare e di vivere in manierapiù sana la propria malattia.Però il problema non è, comedirà Viktor Frankl, soffrire, masoffrire senza senso. Forse nonsarà facile cercarlo e, menoancora, trovarlo, ma vale lapena di provare.

3. Attenzione al moribondo

L’ultima dimostrazione dirispetto e di affetto nei con-fronti del moribondo è «resta-re con lui», condividere i suoimomenti, permettergli di mo-strarsi così come è e di morirea modo suo (non secondo ilnostro). Ma è necessario av-vertire che il moribondo hadue necessità fondamentali:primo, la necessità di sentire lavicinanza di qualcuno nel mo-mento della morte (benché cisia chi dice che chi appartienealla cultura latina preferiscamorire solo e raccolto) e, se-condo, la necessità di poterelaborare la sintesi definitivadella propria vita. Quali ele-menti configurano questa at-tenzione al moribondo?

– Comunicazione con lui.Verbale: dargli serenità e mo-strare affetto. Non verbale:espressione corporale, sguar-do. Come dice l’adagio spa-gnolo: «un gesto vale più dimille parole».

– Silenzio. Restare in silen-zio al suo fianco può essereun’esperienza preziosa.

– Tatto. Il contatto corporaleè importante per i bambini ap-pena nati, per lo sviluppo men-tale ed emotivo della persona eanche per chi si trova al termi-ne della propria vita. L’espe-rienza ci insegna che quasi tutti

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si afferrano alle mani e ciò per-ché la carezza è il modo più di-retto per condividere l’amore.

– Speranza. Conserva sem-pre la speranza di recuperarela salute, di vivere un po’ dipiù o di fare una morte tran-quilla.

4. L’esperienza del lutto

Il lutto è la reazione naturaledi un essere umano di frontealla morte di una persona cara.Tale reazione può essere unlungo viaggio, di due giorni,di due anni, o anche di tutta lavita. Vale la pena di segnalarequali potrebbero essere le fasiprincipali per le quali suolepassare una persona che speri-menta il lutto.

– Shock (commozione): sen-timento di incredulità: «non èvero», «non ci credo», «non èpossibile che stia succedendoa me».

– Tappa di rabbia: aggressi-vità, angoscia, confusione, au-torimproveri, ecc. (si producela solitudine e l’isolamento).

– Tappa di disperazione: siva prendendo coscienza delfatto che il defunto non tor-nerà più (tristezza profonda epianto incontrollato).

– Tappa di riorganizzazio-ne: si tratta di ricomporre pez-zi e adottare nuovi modelli divita senza il defunto (si riallac-cia la vita sociale).

Anche il lutto per qualcunorappresenta un atto d’amore.Condividere ed aiutare unapersona nel suo lutto è fonda-mentale per far sì che accetti eassimili il fatto che il defunto-non starà più fisicamente conlei, anche se sarà presente spi-ritualmente (chiaramente nonè come Patrick Swayze nelfilm «Ghost»), dentro il suocuore.

III. Verso una morte dignitosa

1. Considerazioni etiche

Esiste una concezione popo-lare di cosa sia la buona e lacattiva morte. La buona mortesarebbe la morte senza dolore,morire di ciò che si intende vol-garmente per morte naturale, di

vecchiaia. La cattiva morte si-gnificherebbe morire soffrendoo di morte non desiderata.

Ci sono molti autori chehanno studiato il tema e hannodato una serie di criteri, più omeno personali, alla questio-ne. Però, malgrado questa di-sparità di impostazioni, pos-siamo sintetizzare quelli cheper molti sono i diritti fonda-mentali per una morte degna.

– Diritto a sapere che si staper morire (diritto a conoscerela verità).

– Diritto ad esprimere lapropria fede (rispetto per i va-lori e i credo).

– Diritto a mantenere la co-scienza chiara (morire co-scienti, con gli occhi aperti),anche se c’è chi preferisce nonsapere nulla e morire tranquil-lo.

– Diritto a non soffrire sen-za giustificazione o senza ne-cessità.

– Diritto a morire «natural-mente», senza prolungare lavita né abbreviarla.

– Morire mantenendo uncontatto umano con le personevicine (calore umano).

2. Prepararsi a morire: credere, sperare, amare

È difficile dire «addio»,però dobbiamo imparare a se-pararci dai nostri cari. Per ladottoressa svizzera, residentenell’Unione Europea, E. Ku-bler-Ross, morire significa ab-bandonare il corpo fisico, co-me una farfalla abbandona ilsuo bozzolo di seta. Si tratta dipassare a un nuovo stadio dicoscienza in cui lo spirito con-tinua ad esistere. La stessa au-

trice afferma anche che le per-sone, quando sono alle sogliedella morte, vedono una luceabbagliante e in essa i propricari che sono morti, in un at-teggiamento che sembra volerdare il benvenuto a colui chesi congeda dalla vita. Di frontea questa descrizione, bisognatenere ben presente che la fedenon è, in nessun modo, fanta-scienza.

La morte fa parte della no-stra esistenza. Ci sono personeche la mascherano, che la truc-cano o l’occultano e altre chela accettano e basta. Però peraccettare il morire è necessario«acclimatarsi», comprendereciò che ci succederà, e questoa partire dalla fede, dalla spe-ranza e dall’amore, ingredientiche non solo rendono più faci-le accettare questa realtà, main definitiva la colmano di si-gnificato e di realizzazionepersonale. Però cosa credere?Cosa sperare? Cosa amare?Sono tre verbi che interpellanoe preoccupano tutti coloro chevogliono affrontare personal-mente questo tema. Il primadi... e il dopo... saranno forte-mente impregnati di senso sesi tiene conto di queste tre ca-tegorie. Il «prima di» perchépreoccupa il quotidiano in tut-te le dimensioni della persona(biologica-funzionale, psico-logica, sociale e spirituale) e il«dopo» perché a priori non sisa nulla e la persona si incam-mina irrimediabilmente versoil momento finale.

Questa integrazione del quie ora, e del lì e poi, passa, co-me abbiamo detto, per il cre-dere, lo sperare e l’amare.Avere fede nel fatto che lamorte non è il termine di tutto,sperare che qualcosa di buonouscirà da tutto ciò e amare per-ché è la cosa più importantedella vita. Inoltre, quando sipronuncia l’ultimo addio, l’a-more è realmente l’unica cosache resta.

Prof. JOSÉ GARCIA FEREZAiuto Professore nella Facoltà

di Teologia dell’Università Pontificia Comillas,

Segretario della Cattedra di Bioeticae del Master di Bioeticadella stessa Università,Professore di Bioetica

presso il Centro di Umanizzazione della Salute

Spagna

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1. Il morire nella storia

La morte non è solo un fattobiologico, ma anche un even-to culturale che viene vissutoe trasmesso nell’ambito del-l’immaginario collettivo, oltread essere un problema politi-co, in quanto provoca la fun-zione dello Stato in una so-cietà democratica e pluralisti-ca nella quale, sul piano giuri-dico, vengono a confrontar-si/scontrarsi le diverse conce-zioni. Ma il problema dellamorte, sia sul piano definito-rio che su quello rivendicato alivello personale quale dirittosu commissione, trova un si-gnificato dalla domanda filo-sofica che cerca di compren-dere la complessità della con-dizione umana, il senso delsuo esistere e del suo morirenell’ambiguità propria di unasocietà dove valori e disvalorisi intrecciano e si contrastanodrammaticamente: per esem-pio il senso della potenzialitàoggettuale, l’efficienza tecno-logica, il progresso scientificoe la distruttività, la necrofilia,la programmazione ed il de-creto della vita e della propriaed altrui fine1.

La morte rappresenta unevento incomprensibile e inde-finibile per l’uomo contempo-raneo, soprattutto alla luce del-la pretesa onnipotenza dellatecnologia biomedica. Nel me-dioevo veniva infatti suggeritosia agli operatori sanitari che aifamiliari e allo stesso morentedi evitare la corsa sfrenata allecure per ristabilire la salute fi-sica, ma piuttosto preparare ilmorente ad entrare cosciente-mente nella dimensione spiri-tuale. In altri termini la morterappresentava l’epifenomenodi un processo esistenziale, omeglio processo di morire gra-duale. Il morire era una veraars vivendi, nel senso che ogniattimo di vita andava vissutoglobalmente nella sua pienez-za e nella preparazione ad una

nuova modalità di vivere in unorizzonte metafisico: la vitaspazio-temporale era un carpediem per e rispetto alla vitaspirituale. A questo propositogli anglosassoni distinguono ilmorire come processo (dying)rispetto alla morte come even-to (death). La vita umana fisi-ca è caratterizzata da un teleo-logismo: la morte, e da un lo-cus epistemologicus quale mo-mento di riflessione ontologi-ca, cioè dell’essere che si rea-lizza attraverso il vivere. Infat-ti la morte rappresenta l’ele-mento caratteristico di questarealizzazione umana, oltre chedi un’apertura trascendentale.Infatti sia in ambito psicologi-co, che in quello filosofico lamorte è il destino imperscruta-bile dell’umanità: rappresentala fine della biografia terrenama anche l’espressione poten-ziale della libertà metafisica.La morte secondo la legge po-sitiva fa perdere ogni diritto edovere, ma non il diritto sep-pur inconscio di vedere rispet-tato il proprio cadavere; inol-tre può diventare momento dimassima espressione di libertàdi dono di sé per gli altri, co-me avviene nella donazione diorgani. Con la morte finisce lostesso processo percettivo edesperienziale, almeno nel sen-

so positivistico dell’accezione,mentre la morte rappresenta latrasfigurazione del morire invivere storico (cioè vivere èmorire, e morire è vivere) o inuna dimensione escatologica.L’uomo in ogni epoca storicanon ha mai temuto la mortecome evento, ma il processodel morire sia sul piano fisico(paura del dolore, della soffe-renza), sia sul piano psicologi-co e sociale (senso di privazio-ne degli affetti familiari, deibeni economici, ecc.). Talipaure vengono umanamenterimosse dall’uomo, e concen-trate nell’evento morte, ancheperché questo limite esisten-ziale è stato sempre più modi-ficato e programmato dallatecnica medica (vedi l’evolu-zione della rianimazione me-dica).

Philip Ariès2 ha individuatoquattro modalità di vivere l’e-vento della morte nella storiadell’umanità:

1) Morte addomesticata pro-pria dell’uomo dell’epoca me-dioevale. L’uomo è consape-vole della sua finitudine e de-stino di morte, anzi lo vive co-me un evento naturale, legatoall’età cronologica di ognipersona da un andamento sta-gionale: c’è l’età della nascita(primavera), della vigoria psi-cofisica (estate), del declinosenile (autunno) e della finedel percorso esistenziale terre-no (inverno). L’uomo consciodi questa ciclicità della vita at-tendeva la morte con tranquil-lità, sostenuto e circondatodall’affetto dei suoi familiari econoscenti. È una morte addo-mesticata, nel senso che non èsubita ciecamente ma nemme-no un evento esistenziale irri-levante.

2) Morte di sé o propriamorte: l’uomo del XII-XVIIsecolo scopre la morte comelimitazione di sé rispetto aigrandi ideali e progetti. Questacoscienza di se stesso avvieneperché viene meno il processo

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Il morire nella nostra società: aspetti filosofici ed etici

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di socializzazione della mortestessa: l’uomo lasciato solo al-la sua fredda razionalità, a vol-te senza nessun sostegno dellafede, scopre il suo limite esi-stenziale, avvertendo che iltrapasso è personale e non puòessere trasformato dalla ragio-ne stessa. Il XVII secolo è l’e-poca del razionalismo, dellescoperte scientifiche, della fi-ducia nel progresso, che tutta-via è impotente nel distanziareforze naturali opposte: eros ethanatos, vita e morte. Quan-do quest’ultima prende il so-pravvento, lascia il soggettonella disperazione e nella pau-ra. Paura soprattutto di esseresepolti vivi; ne è la prova il ri-to della «conclamatio»: per la-scito testamentario, il cadave-re veniva chiamato tre volteprima di procedere alla sepol-tura.

3) Morte dell’altro: propriadel XVIII secolo, in pienaepoca romantica, la morte eravissuta come perdita dell’al-tro, assumendo un caratterereificato dai riflessi sociali.Coloro che circondavano ilmorente, piangevano ed esor-cizzavano la morte con prati-che religiose (preghiere, voti)in quanto veniva meno il loropossesso affettivo, relazionale.Era una forma di socializza-zione della morte come rea-zione al depotenziamento per-sonale dei congiunti, una spe-cie di intolleranza per la sepa-razione.

4) Morte proibita propriadel ’900, tipica dell’era positi-vistica e delle scoperte scienti-fiche della medicina speri-mentale e della biotecnologia,in grado di fare diagnosi preci-se, a volte fatali e con un note-vole valore prognostico. Lamorte prevista preoccupa, fapaura, pertanto è meglio nonparlarne, tenerla nascosta oquanto meno velarla non soloal malato ma a volte anche aifamiliari più stretti. La mortealla luce della medicina è di-venuta sinonimo di sconfitta,che va mascherata dietro unlenzuolo bianco, una sala didegenza per il transito, dovenon spaventa gli altri e nellasolitudine e isolamento quasinon ci si accorge dell’accadu-to. La morte è diventata un fat-to personale, dove anche este-riormente ogni manifestazione

sociale e partecipata è stata re-legata alle cosidette «pompe»delle imprese funebri. Lo stes-so processo del morire è sem-pre meno partecipato, affidan-do il morente a strutture al-l’uopo istituite, quali gli ho-spice, le residenze per termi-nali, per anziani.

A queste quattro modalità,oggi assistiamo ad una nuovatendenza:

5) Il ritorno della morte, evi-denziato a due livelli:

a) interesse speculativo.L’interesse per la morte coin-volge diversi ambiti speculati-vi: storico, antropologico, psi-cologico, sociologico, ecc.,quale reazione all’inversionetanatologica della rimozione,della negazione o della ideolo-gizzazione della morte. L’ana-lisi storiografica di P. Ariès,che sopra abbiamo accennato,è significativa dell’interesseper il vissuto del morire e dellamorte, quale evento fenome-nologico personale, sociale edescatologico. L’autore ha tra-dotto le riflessioni degli autoriamericani sull’argomento nel-la realtà europea, sottolinean-do l’atteggiamento della ta-buizzazione della morte propridella nostra epoca. Alle stesseconclusioni arrivarono altridue storici J. McManners3 eM. Vovelle4. In ambito psico-logico, in Italia F. Campioneha organizzato un centro uni-versitario, a Bologna, di studisulla morte e problematicheconnesse (es. lutto, suicidio,eutanasia), da cui è nata la Ri-vista di Tanatologia (Zeta).L’autore si propone di risco-prire la morte, contrastandol’inversione tanatologica pro-pria dell’uomo moderno, checerca di rimuovere e negarerazionalisticamente la morte,traducendo il morire comemodalità di vivere: la morte èuna realtà umana, che pur nel-la sua difficoltà di compren-sione, appartiene all’esistenzae all’essere-nel-mondo. In am-bito sociologico, N. Elias5,partendo dal binomio invec-chiare-morte tipico della no-stra società industrializzata, ri-marca come la morte sia di-ventata un fatto personale, unevento solitario che seppurprotetto dalle istituzioni del«welfare state» e anestetizzatodai progressi della scienza me-

dica, sia l’espressione di unprocesso di controllo delleemozioni e delle affettività checaratterizza la fase attuale del-la civiltà: «La rimozione so-ciale, l’atmosfera di malessereche spesso oggigiorno circon-da gli ultimi istanti della vita,non sono certamente d’aiutoper gli uomini. Forse dovrem-mo parlare con più franchezzadella morte, smettendo di con-siderarla un mistero. La mortenon cela alcun mistero, nonapre alcuna porta: è la fine diuna creatura umana. Ciò chedi essa sopravvive è quantoessa ha dato agli altri uomini eciò sarà conservato nella loromemoria. L’etica dell’homoclausus, dell’uomo che si sen-te solo, decadrà rapidamentese cesseremo di rimuovere lamorte accettandola invece co-me parte integrante della vi-ta»6.

b) Curiosità esistenziale. Al-la tendenza della rimozione enegazione della morte fannospecie alcuni fenomeni tipicidei nostri tempi. Assistiamo aduna crescente domanda circa ildopo la morte: consulti di veg-genti, di medium, riviste di pa-rapsicologia, movimenti reli-giosi che predicano la reincar-nazione, studi di pre-morte,ecc. A questo proposito sononote le ricerche di A. Moodyjr7 sull’esperienza di pre-morte«ideale» o «completa». Que-ste ricerche sono interessanti eindicative del nuovo interesseper l’evento morte, seppur sia-no discutibili i suoi risultati siadal punto di vista scientificoche filosofico. Infatti, i pazien-ti in preda al dolore e alla sof-

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ferenza insopportabili, posso-no alterare temporaneamentele loro facoltà percettive-co-scienziali dei messaggi ester-ni, che durante i processi ela-borativi interiori portano aderrori di decodificazione. Inquesti casi, non siamo di fron-te a persone morte nel sensobio-funzionale del termine,trattasi di morti cliniche, mol-to simili ad altre situazioni fi-siologiche o patologiche dellapsiche, quali il sogno, la schi-zofrenia, l’isteria, la sugge-stione. Quanto riferito dai «pa-zienti morti» di Moody, inrealtà è esperienza del morire,cioè di attimi anticipatori dellamorte, ma non della morte rea-le. Quindi i risultati pubblicatidall’autore sono situazioni li-mite di esperienze del morire,che a nulla contribuiscono adapportare informazioni sull’al-dilà. In sintesi il risveglio perla morte rappresenta l’altroaspetto negativo della rimo-zione, e cioè il parlarne con fi-nalità esorcizzanti, anziché vi-verla nella propria coscienzacome fatto naturale dell’esi-stenza umana.

La nostra società invece ne-cessita di una euristica dellamorte e del morire: proprioquesto processo ed evento bio-logico e biografico permette dicapire il senso del vivere, ilvalore della vita, della malattiae della sofferenza, quale ten-sione dell’essere alla realizza-zione globale di sé, alla re-sponsabilizzazione del proprioagire, delle proprie scelte edelle conseguenze non soloper sé ma anche per ogni uo-mo. Cicerone sosteneva che«Tota philosophorum vitacommemoratio mortis est»,cioè la morte dovrà diventaremomento di riflessione e diconsapevolezza del limite del-la propria condizione umana,delle proprie azioni e riscoper-ta del valore della vita.

Tanatologia filosofica e coscienza dell’uomo contemporaneo

Nella nostra società secola-rizzata non c’è più spazio perriflettere e parlare della morte,in quanto la cultura mondanadella bellezza esteriore, delbenessere fisico ed economi-

co, delle scoperte della chirur-gia estetica e della cosmetolo-gia sono in grado di maschera-re ogni realtà ultima. Il nostromondo culturale ha lasciatospazio all’incertezza e agli ar-tifizi anziché valorizzare la na-turalità e certezza dei processivitali umani. Lo stesso lin-guaggio dell’incontro dram-matico con la morte è stato ta-buizzato, sempre più nei ne-crologi si evita di usare il so-stantivo morte, con frasi piùaddolcenti quali «si è addor-mentato», «se n’è andato», «ciha lasciato», «è scomparso»:c’è una tendenza ad annuncia-re la morte della morte. Invecei filosofi sono meno preoccu-pati dei tabù linguistici, e han-no riservato alla loro specula-zione razionale molto spazioal problema della morte, allasua comprensione e giustifica-zione. In particolare si sonopreoccupati dell’argomento

Martin Heidegger (secondo ilquale il «vivere-per-la-morte»costituisce il senso autenticodell’esistenza), ma soprattuttoSøren Kierkegaard (1813-1855). Le opere in cui Kierke-gaard si sofferma su questa te-matica sono molte, e vannodal Concetto dell’angoscia, alDiario sino a uno dei Tre di-scorsi per occasioni immagi-narie, che pubblicò nell’apriledel 1845. Questi vede nelmondo moderno una diffusasuperficialità e un diffuso in-differentismo nei confronti delsenso della vita, dei valori cri-stiani, e intravede nella morte(anzi nel pensiero della morte)l’elemento propulsore in gra-do di scuotere l’uomo dal suotorpore mondano della quoti-dianità. Nell’opera Accanto aduna tomba8, il filosofo non in-tende proporre un invito a im-

parare a morire, né suggerireelementi consolatori per lamorte, ma suscitare nel lettorequelle riflessioni che lo porti-no a una vita più autentica, chegli facciano capire come lamorte possa essere la sua veraed unica maestra. La sua im-postazione metodologica èuna vera maieutica per impa-rare a vivere, per cogliere nel-l’orizzonte della morte il verosenso della vita e della respon-sabilità verso di sé e verso glialtri. È il «pensiero della mor-te» che fa sì che l’uomo vivaun’esistenza che porti i carat-teri della serietà e non quelledella vacua fatuità. Il filosofosostiene che «la serietà dellamorte non inganna, perchénon è la morte la cosa seria,ma il pensiero della morte. Sedunque tu, mio caro uditore,terrai fermo a questo pensieroe, nel pensarlo, non ti preoccu-perai d’altro che di pensare ate stesso, allora grazie a tequesto discorso senza autoritàdiventerà una cosa seria. Pen-sarsi morti in prima persona èla serietà, essere testimoni del-la morte di un altro è stato d’a-nimo»9. La morte, sostiene, èserietà, non tanto per il fattoesteriore della morte di qual-cuno, ma piuttosto perché«può insegnare che la serietàsta nell’intimo, nel pensiero;può insegnare che è solo un’il-lusione guardare con malinco-nia o indifferenza a ciò che èesteriore... la serietà dellamorte è diversa dalla serietàdella vita, che trae così facil-mente in inganno»10, quali glistati d’animo, i sentimenti dipietismo, i ricordi, che con iltempo svaniscono e fanno di-menticare la serietà della mor-te e non incidono nella propriavita se non immergendola ecelarla nello spersonalismodella quotidianità. La morte,afferma ancora Kierkegaard, èmaestra di serietà ed è il pen-siero della morte ad indicare«la giusta direzione nella vitae la giusta meta verso cui indi-rizzare il viaggio. E nessun ar-co si lascia tendere così tanto,nessun arco sa imprimere tan-ta forza alla freccia, come ilpensiero della morte sa solle-citare il vivente, sempre chesia la serietà a tenderlo»11. Ilpensiero della morte non devedistrarre l’uomo ai piaceri sen-

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suali della vita sperdendosinella quotidianità, così purenon dovrà coltivare l’idea ro-mantica di morte, come unicoluogo di felicità, ma motivarload impegnarsi nella vita senzasprecare il tempo a disposizio-ne. La morte per chi vive se-riamente non è un narcotico,che inibisce, ma una «fonte dienergia come nient’altro e ren-de vigili come nient’altro»12.L’educazione alla vita d’al-tronde deve fondarsi sullarealtà e serietà esistenziali pro-pri del pensiero della morte,usando gli strumenti limitati efiniti propri dell’incertezza of-ferti dalle contingenze umanee storiche. Kierkegaard affer-ma «l’uomo serio è colui cheviene educato dall’incertezzaalla serietà in forza della cer-tezza... il discente si preoccu-pa, infatti chi non si preoccupanon può imparare, di questo odi quell’oggetto con tutta l’a-nima, e in realtà anche la cer-tezza della morte è un oggettodi cui preoccuparsi. Ora il di-scente che se ne preoccupa sirivolge al maestro della se-rietà, e di conseguenza la mor-te non è niente di spaventosose non per l’immaginazione».La morte infine è la cosa piùcerta, ma nello stesso tempo èl’unica cosa in cui non c’è nul-la di certo: nessun uomo infat-ti, conosce il momento esattoin cui l’incontrerà. «La certez-za della morte determina unavolta per tutte il discente nellaserietà, ma l’incertezza dellamorte: è il sorvegliante quoti-diano... Serietà diventa quindivivere ogni giorno come sefosse l’ultimo e al contempocome se fosse il primo di unalunga vita»13. Puntuale è anchela critica di Kierkegaard versocoloro che tendono a spiegaree in qualche modo giustificarela morte: «per quanto concer-ne la morte, non ci si deve af-frettare ad avere un’opinione.L’incertezza della morte siprende costantemente e in tut-ta serietà la libertà di verifica-re se chi ha un’opinione abbiaveramente questa opinione,ovvero se la sua vita ne siaespressione»14, in altri terminidistingue tra ciò che è la mortenell’opinione degli intellettua-li, e come vivono la morte,proprio in modo analogo alleaspre critiche che Kierkegaard

rivolge al cristianesimo: di-stingue nettamente «il saperecos’è il cristianesimo» (la cosapiù facile) dall’«essere cristia-ni» (la cosa più difficile).D’altronde già nella sua operaIl concetto dell’angoscia15, in-dividuava la morte come pro-gettazione verso la Trascen-denza, verso l’«Altro» che co-stituisce la fine delle possibi-lità (della vaghezza delle in-certezze). La morte è il prezzodel peccato, e rappresenta l’in-contro del singolo con il tem-po e con l’eternità. L’angosciadella morte viene finalizzataalla trascendenza.

In Martin Heidegger, comegià accennato, la vita ha sensosolo se è finalizzata alla morte.Nella sua opera Essere e Tem-po, Heidegger tratta della fe-nomenologia dell’uomo. L’es-sere non si rivela mai diretta-mente, in modo immediato,ma attraverso l’essere di un

qualsiasi ente (uomo, cane, ca-sa, ecc.). Possiamo compren-dere la natura dell’essere par-tendo dall’essere di un partico-lare ente, spogliandolo diquanto non gli appartiene, e sischiuderà l’essere in se stesso.«Ma noi diamo il nome di “en-te” a molte cose e in senso di-verso. Ente è tutto ciò di cuiparliamo, ciò a cui pensiamo,ciò nei cui riguardi ci compor-tiamo in un modo o nell’altro;ente è anche ciò che noi siamoe come noi siamo. L’essere sitrova nel che-è, nell’esser-così,nella realtà, nella semplicepresenza, nella sussistenza,nella validità, nell’Esserci, nel“c’è”. In quale ente si dovràcogliere il senso dell’essere?Da quale ente prenderà le mos-se l’aprimento dell’essere? Ilpunto di partenza è indifferen-te o un determinato ente pos-

siede un primato per quantoconcerne l’elaborazione delproblema dell’essere?»16. L’en-te privilegiato per comprende-re il senso dell’essere spetta al-l’uomo, in grado di porsi la do-manda dell’essere, in quantoha con l’essere un rapportoparticolare. L’uomo pertanto èla porta di accesso all’essere, apatto che la nostra conoscenzadell’uomo sia priva di ogni er-rore. Il filosofo nella sua anali-si antropologica individua nel-l’uomo alcuni elementi fonda-mentali e tipici del suo essere,che chiama «esistenziali»17:

– Essere-nel-mondo: inten-dendo per mondo l’insieme de-gli interessi, di preoccupazioni,di affetti, di desideri, di cono-scenze in cui l’uomo è immer-so. L’uomo inserito sempre insituazioni, l’autore lo chiamaDasein, esserci, cioè la condi-zione di situazionalità in cuil’uomo si trova quotidiana-mente;

– Esistenza: l’uomo nella si-tuazionalità non si trova inmodo statico, ma è proiettatoal futuro, cioè aperto a diven-tare qualcos’altro. Ogni azioneè finalizzata a quanto l’uomovuole essere domani. Quindil’esistenza rappresenta le pos-sibilità dell’essere dell’uomo,è l’uomo fuori di sé: questa èl’essenza o natura dell’uomo;

– Temporalità: l’uomo è unesistente perché legato essen-zialmente al tempo. È la tem-poralità dell’esserci che generail tempo e non viceversa iltempo a rendere l’esserci tem-porale. L’uomo non si arenanell’essere, ma nel suo veroessere egli si trova già ora oltrese stesso, proiettato nelle suefuture possibilità. In questosenso l’uomo è esistente, inquanto le situazionalità presen-ti con il bagaglio di esperienzepassate, vengono proiettate nelfuturo: l’uomo è futuro. Nelrealizzare queste possibilità,l’uomo quindi parte da una si-tuazione di fatto cui è inseritogià ora, e in questo senso è sta-to: il passato si presenta qualecontingenza statica al presentedell’uomo, che proietta nel fu-turo delle possibilità realizza-bili. La temporalità quindi uni-fica l’esistenza (possibilità delfuturo), essere di fatto (presen-te) ed essere decaduto (passa-to), che costituiscono i tre ele-

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menti della totalità strutturaledell’uomo.

Ad ognuna di queste tre sta-si temporali corrispondono tremodalità di conoscere dell’uo-mo:

– passato attraverso il sentire– presente attraverso il di-

scorrere– futuro attraverso l’inten-

dere.

Tra l’Essere-nel-mondo (pri-mo esistenziale) e l’Esistenza(secondo esistenziale) esiste unclivus di contrasti con possibilicondizionamenti nella manife-stazione dell’essere. Fissarsinell’Essere-nel-mondo portal’uomo ad arrestarsi nel passa-to; invece polarizzandosi nel-l’esistenza, il tutto viene proiet-tato nel futuro. In base a qualetendenza condizionante (dire-mo al senso che vorrà dare allasua vita) prevarrà nella vita del-l’uomo, questi condurrà una vi-ta rispettivamente inautentica oautentica. Heidegger considerauna vita inautentica quella vitache si lascia gestire dalla situa-zionalità, dalla «chiacchiera»,dall’essere-nel-mondo, dallacura per le cose e dai rapportianonimi della massa. L’inau-tenticità della vita è dominatadai rapporti anonimi della mas-sa, che appiattiscono l’espres-sione della vita stessa e l’aspi-razione al sapere. Dall’altraparte, la vita autentica il sog-getto se la determina gradual-mente secondo un definito pia-no attivo, che sente la respon-sabilità dell’incessante appellodel futuro, unico luogo di rea-lizzazione delle sue possibilità.

Pianificare e costruire con-

sapevolmente un senso alla vi-ta può renderla autentica, puòschiudere le sue possibilità,sottraendola dalla quotidianitàdella situazione e dall’indeter-minatezza.

L’uomo è un pro-getto esi-stenziale, attuazione di possi-bilità: se l’Esserci vuole con-quistare la sua autenticità do-vrà assumere la sua possibilitàpiù propria che è la morte. Èautentica la vita di colui cheorienta la sua esistenza versola morte. L’essere-per-la-mor-te costituisce l’esistenziale ol-tre al quale non esistono altrepossibilità. La morte è, ancheper Heidegger, un fatto perso-nale, come è mia la vita cosìpure anche la morte mi appar-tiene, in quanto possibilità ul-time dell’esistenza. Essa è iltraguardo della propria esi-stenza. L’uomo nel suo «esse-re-nel-mondo», nel suo «es-serci», nel suo essere «getta-to» nel mondo e nel suo «esse-re in situazione», è alla sco-perta dell’«Essere» che si na-sconde dietro la «cura» quoti-diana nell’uso delle cose.L’uomo tende, allora, alla ve-rità come rivelazione di ciòche si nasconde. In questa ri-cerca, l’uomo ritrova l’autenti-cità dell’«esserci», se finalizzala sua progettualità alla morte,il cui fine implicito non signi-fica un «essere-alla-fine» del-l’esserci, ma un essere «per lafine»18. Heidegger prima dispecificare l’Esserci come es-sere per la morte, ribadisceche è nella morte dell’altro,che mi è prossimo, che si rea-lizza la prima tappa di com-prensione del fenomeno cen-trale dell’esistere, ossia il pas-saggio dall’impersonale «simuore» al morire in quanto ta-le. Però per Heidegger «nessu-no può assumere il morire del-l’altro», siamo vicini all’altroche muore, ma è lui a morire.

In Essere e Tempo, Heideg-ger afferma che la morte è una«possibilità», anzi è la possibi-lità estrema, la possibilità del-l’assoluta impossibilità, che faparte integrante della costitu-zione dell’«esserci» stesso del-l’uomo. L’Esserci autentico an-ticipa emotivamente la suapossibilità ultima divenendoun «essere per la morte».

Come in Kierkegaard, la se-rietà del pensiero della morte

può determinare angoscia, an-che se questa non deve impedi-re alla persona di costruire unavita responsabile, consapevolee realizzata; così per Heideggerl’uomo diventa consapevoledella sua possibilità ultimadella morte, e gli procura an-goscia in virtù della «nullitàpossibile delle possibilità del-l’uomo e dell’intera formadell’uomo». A tale possibilitàl’uomo non può sottrarsi, penala negazione del carattere delsuo essere. La morte per l’uo-mo significa il raggiungimen-to della Totalità della sua vita.La morte è la possibilità stessarispetto alla quale si definisco-no l’autenticità dell’esistenzaumana. L’esistenza autentica èquella che si anticipa nellamorte, quella che assume lamorte come la possibilità piùpropria del vivere. Per Hei-degger, l’esserci non può esse-re considerato come una tota-lità perché è affetto da una po-tenzialità, la cui effettualitàappartiene al modo stesso diessere nell’esistenza umana.Questa diventa «autentica»,solo se mantiene lo sguardofisso alla morte che la sovra-sta, sulla propria finitudine.L’esistenza autentica richiede,dunque, la progettazione el’anticipazione della morte. Lavita umana diventa totalitàmediante la morte che la limi-ta, la informa, la preserva dal-lo snaturarsi e dallo sfigurar-si19. La morte secondo Heideg-ger, non è più, come nella tra-dizione cattolica, l’inizio di undiscorso circa l’aldilà, ma di-venta l’occasione per un di-scorso circa la vita, e precisa-mente per caratterizzarla nellasua radicale finitudine.

In questa ottica radicalmen-te laica, Heidegger rifiuta ilsuicidio, considerandolo fugadall’impegno e dalla progetta-zione. Senz’altro, la concezio-ne heideggeriana della morte èessenzialmente individualisti-ca. Essa, tuttavia, supera l’an-goscia non mediante artificidialettici, ma attraverso l’usci-ta dalla chiacchiera, dall’inau-tentico, dall’artificiosità pro-pria della società tecnologica.

L’alternativa agli esiti nichi-listi di Heidegger è la propostadella filosofia cristiana, chenon si limita alla semplice in-dagine sulla morte, attraverso

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la ragione, sulle vie della fedeoffre pure degli orientamentiall’uomo, che lo liberano dalleangosce noetiche, migliorandola qualità del suo esistere. Lafede proposta dai filosofi, nonè un oblio nelle rappresenta-zioni teologiche, ma una aper-tura alla verità che trascende lapura istanza veritativa della ra-gione.

Gabriel Marcel ha espressocon estrema chiarezza la cor-rettezza filosofica della im-mortalità individuando nell’a-more e nella fedeltà fra due es-seri umani il segno della resi-stenza ontologica della mortee l’inclinazione alla durata.«Lo spirito di verità, porta an-che un altro nome, ancora piùrivelatore: esso è spirito di fe-deltà, e sempre più mi convin-co che quello che questo spiri-to esige da noi è un rifiutoesplicito, una negazione preci-sa della morte... Amare un es-sere, significa dire: “tu nonmorrai”. Per me questa... èun’affermazione assoluta»20.

Credere che vi sia un oltre aldivenire incerto del mondo èun rischio, ma rifiutare questorischio preparerebbe una stra-da che conduce al nulla e allaperdita totale di sé. La mortenon è più un enigma ma unmistero, una verità più grandedi noi ma non a noi del tuttosconosciuta, una verità che siinnesta nel cuore della vita cheè destinata all’eternità. Propriodi fronte alla morte dell’altro,la fede può porre domande al-la capacità di pensare filosofi-camente. «La fede non teme legrandi domande della ragione;teme soltanto le domande pic-cole, coltivate sotto la dittaturamortificante della banalità. Èdi domande grandi, invece,che a questo punto abbiamodisperato bisogno, anche a co-sto di trovare, alla periferiadella fede, abitata dalla ragio-ne, solo risposte piccole. Sonole domande grandi, in ultimaanalisi, che rendono grandi an-che le risposte piccole»21.

2. La morte: problema neurofilosofico

La definizione della morte èun argomento che non coin-volge solo conoscenze scienti-fiche neurofisiologiche, ma

che provoca anche domandefilosofiche: è un tema che ve-de coinvolta a pieno titolo lariflessione bioetica: chi è l’uo-mo o meglio la persona?Quando l’uomo muore? Qualisono i parametri per definire lapersona e di conseguenza lasua non-persona propria delcadavere? La persona va ricer-cata nella sostanzialità ontolo-gica oppure nel sostanzialismoqualitativo di una sua funzionequale la coscienza? L’antropo-logia di fondo per definire lavita di una persona si rifà alprincipio della sacralità dellavita oppure al principio utilita-ristico della qualità della vita?Ovviamente il riferimento uti-litaristico avrebbe il vantaggiodi considerare morto e quindida eliminare ogni soggetto chenon solo ha perso la ragione(comatoso, anziano demente)ma anche chi possiede questafunzione solo a livello poten-ziale (embrione, anencefalo,handicappato). Considerandoche l’uomo è un sinolo di ma-teria (corpo) e forma (animarazionale), cioè la dimensionefisica è congiunta e sostiene ladimensione psichica, nell’e-vento morte quando il corpocessa di esistere come tale,vengono meno pure le attivitàpsichiche. Questa definizionedi morte salvaguarda la defini-zione psico-fisica dell’uomo ela rilevazione del dato fisicodella morte risulta determi-nante per definire la morte co-me sistema integrato22.

In campo bioetico sono trele definizioni di morte cheprevalgono23:

a) morte cerebrale inizial-mente descritta come comadepassé secondo la celebrepubblicazione della Commis-sione di Harvard24 (1968).Successivamente il dibattito sifece più acceso, e studiosi co-me il filosofo tedesco HansJonas rivendicava la definizio-ne di morte con il criterio car-diologico, intravedendo lamorte dell’organismo comemorte di un tutto, cioè non so-lo la necrosi dell’encefalo mala scomparsa della triade diBichat, cioè la funzione car-diaca, respiratoria e cerebrale.Si sostiene che

– nella morte cerebrale a ve-nire meno non sono questefunzioni, ma la loro capacità

di esprimersi spontaneamente,quindi non si avrebbe la scom-parsa del tutt’uno,

– inoltre riproporrebbe laclassica distinzione cartesianacorpo-cervello, res extensa-rescogitans, anziché considerarel’identità dell’intero organi-smo,

– la definizione di morte ce-rebrale non sottostà ad una in-terpretazione filosofica ma adun orientamento utilitaristico,di reclutamento di organi datrapiantare, velando di una fal-sa tranquillità la coscienza de-gli operatori sanitari che lapersona dichiarata morta lo èrealmente.

b) morte corticale: questadefinizione, pur fondandosi sudati empirici, presenta un ca-rattere prettamente filosofico,e viene sostenuta soprattuttoda vari studiosi come Veatch,Engelhardt, Defanti. Questiautori definiscono la mortedella persona come la scom-parsa delle funzioni cerebralisuperiori, quali l’attività di co-scienza, le funzioni razionaliquali il pensiero, la relaziona-lità sociale e la sua articolazio-ne attraverso il linguaggio. Lamorte corticale comporta laincapacità di realizzare attipersonali e quindi non sarebbepiù persona. Naturalmentequesti atti sono espressione diattività della persona, cioè co-

stituiscono la personalità, enon sono costitutivi della per-sona stessa. Questa definizio-ne di morte è molto pericolosaperché rischia di dichiararemorta una persona quando nonlo è.

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c) morte cerebrale: il princi-pio di unificazione e di inte-grazione dell’organismo uma-no è da ritrovarsi nel cervelloglobalmente. Quindi la morteè identificata nella morte nonsolo della corteccia (deputataalle funzioni superiori qualil’attività di coscienza) o deltronco encefalico (deputato al-le funzioni omeostatiche car-diorespiratorie, metaboliche,ecc.25) ma di tutto il cervello. Ilconcetto di morte basato sullamorte del tronco, è un concet-to metafisico (capacità di inte-grazione), sottostante al corri-spondente principio secondo ilquale il tutto è più della merasomma delle parti costitutive(perciò morte non è cessazio-ne di una attività o di una fun-zione del corpo umano, ma ilvenir meno della persona, cioèla perdita di quell’elementoche conferisce unitarietà al-l’organismo, cioè del sistemanervoso)26. Il giudizio medicosi propone invece di verificarel’assenza delle funzioni vitali,cioè il decesso di una persona.Tale definizione è stata pureaccolta in Italia dal ComitatoNazionale per la Bioetica(1991) che definì la morte co-me la perdita totale ed irrever-sibile della capacità dell’orga-nismo di mantenere autono-mamente la propria unità fun-zionale individuabile nel cer-vello, determinato da un «dan-no cerebrale organico, irrepa-rabile, dove il supporto artifi-ciale è avvenuto in tempo aprevenire o trattare l’arrestocardiaco anossico».

Criteri di accertamento della morte

Mentre la definizione dimorte della persona spetta allafilosofia, l’accertamento delvenir meno dell’unità delcomplesso integrato della per-sona spetta alla medicina. Car-rasco De Paula afferma che«Non può essere oggetto didiagnosi l’attimo della morte,poiché essa non è evidente néverificabile. Di conseguenza,si deve mantenere l’asincroniafra l’istante drammatico dellaseparazione dell’anima (intesacome momento di separazionedella forma razionale o formaintegrante e integrata della ra-zionalità) dal corpo e il mo-

mento nel quale risulta mani-festo l’avvenuto decesso (statodi disintegrazione). Lo svilup-po tecnologico potrà accorcia-re il lasso di tempo che dividei due episodi, ma difficilmentequesto sparirà completamente.Diagnosticare la morte signifi-ca verificare non il distaccodell’anima bensì l’assenza disegni di vita organizzata»27. Lanostra legislazione italianaconsidera morta una personaquando viene accertata la mor-te cerebrale (stato di morte): ilcervello è il principio di unifi-cazione e di integrazione del-l’organismo umano che è daritrovarsi nel cervello global-mente. Per evitare manipola-zioni e abusi su cadaveri instati particolari di vita, cercan-do di normare dati scientificiinerenti la confusione esisten-te tra morte cerebrale, mortecardiaca, comi, S.V.P., la leggen. 578 del 29/12/1993 «normeper l’accertamento e la certifi-cazione della morte», all’art. 1definisce la morte come «lacessazione irreversibile di tut-te le funzioni cerebrali» dovu-ta a danneggiamento irreversi-bile primitivo del cervello osecondario ad arresto cardio-circolatorio e mancato afflussodi sangue all’encefalo con ar-resto di tutte le sue attività:una persona è morta quando ilsuo cervello è morto. La mor-te, precisa C. Manni, non è unevento istantaneo, ma un pro-cesso evolutivo, che può pre-cedere anche di molto la com-pleta necrosi dell’organismo; èil momento in cui si registra laperdita irreversibile di integra-re e coordinare le funzioni fisi-che e mentali del corpo, mo-mento generalmente definitocol termine di «morte cerebra-le», idoneo all’espianto di or-gani. Per evitare equivoci le-gati a tale dizione, è più esattoparlare di «morte encefalica»,cioè di quella condizione incui la necrosi cellulare è estesaa tutto il cervello. Altre morticerebrali, come quella tron-coencefalica (criterio assuntodal Regno Unito per la dia-gnosi di morte su base neuro-logica) o quella corticale sonodel tutto equivoche, sobillandopericolosi astensionismi tera-peutici nei confronti di perso-ne ancora vive28. Questa preci-sazione può contrastare con

quelle correnti di pensiero chevorrebbero equiparare la mor-te fisica alla perdita solo di al-cune pur importanti capacitàdel paziente come quella dellamorte troncocerebrale o diquella corticale, favorendo ar-gomenti a sostegno dei movi-menti proeutanasici. Va distin-ta quindi la morte cerebraledal coma irreversibile, poichéin quest’ultima situazione cli-nica esistono ancora dei neu-roni che continuano a funzio-nare e il soggetto non è quindimorto. Nella morte cerebraleinvece tutte le cellule del cer-vello sono distrutte.

Coerentemente con il con-cetto di morte encefalica, sonostati elaborati alcuni criteri peraccertarla. Questi criteri sonostati poi recepiti dalle legisla-zioni per regolare una materiacosì rilevante.

Le concrete modalità dia-gnostiche con cui documenta-re l’irreversibile cessazionedelle funzioni encefaliche so-no specificate nel Decreto ap-plicativo della legge del 14aprile 1994.

In caso di arresto cardiacobasta l’accertamento effettuatomediante elettrocardiogrammaper almeno venti minuti. Dopoquesto periodo possiamo in-fatti esser certi che l’anossiaha prodotto alterazioni irrever-sibili e totali a livello del siste-ma nervoso centrale.

Nei soggetti affetti da lesio-ni encefaliche e sottoposti amisure rianimatorie, la dia-gnosi certa di morte richiede ilrilievo simultaneo e protrattoper almeno 6 ore di alcuni spe-cifici segni clinico-strumenta-li, che il Comitato Nazionaledi Bioetica ha così enunciato:uno stato di coma non rispon-dente agli stimoli esogeni, ari-flessia tendinea dei muscolischeletrici innervati dai nervicranici e quindi assenza dei ri-flessi troncoencefalici (foto-motore, corneale, oculoence-falici e oculovestibolari, farin-geo e tracheale), atonia mu-scolare, assenza di attivitàelettrica cerebrale attraverso laregistrazione EEG, assenza direspirazione spontanea.

Devono essere escluse con-dizioni che potrebbero indurrein errore (ipotermia artificiale,sostanze deprimenti il SNC,patologie endocrine...). Nei

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bambini sotto i 5 anni si ri-chiedono 12 ore di osservazio-ne e 24 ore nei bambini al disotto di un anno.

Attualmente alcuni sofisti-cati esami strumentali sono ingrado di confermare la dia-gnosi di morte cerebrale intempi anche più brevi, dimo-strando in modo inequivocabi-le l’assenza della circolazionecerebrale e quindi l’impossibi-lità che il sangue possa rag-giungere il parenchima cere-brale: angiografia cerebrale (incondizioni normali il flussoematico è pari a 50 ml/100 gr.

di tessuto/min.; quando questovalore si abbassa a meno di 15ml/100 gr di tessuto/min. assi-stiamo alla morte di tutta lapopolazione neuronale), flus-simetria Doppler, scintigrafiacerebrale con Tecnezio 99m,SPECT (tomografia compute-rizzata ad emissione di singolifotoni).

Il preciso rapporto fra mortedell’organismo, morte encefa-lica e morte della persona èben lungi dall’essere chiaritoin tutti i suoi aspetti: se da unaparte bisogna evitare accurata-mente di ribaltare in verità

metafisiche le affermazionidella scienza, d’altra parte inuna gnoseologia realista lacomprensione del compostoumano non può prescinderedagli apporti forniti dallescienze empiriche. Dal puntodi vista strettamente praticopossiamo tuttavia far nostre leosservazioni contenute a que-sto proposito nella Carta degliOperatori Sanitari: la fede e lamorale fanno proprie questeconclusioni della scienza.

Si esige però, dagli operato-ri sanitari, l’impiego più accu-rato dei diversi metodi clinici

e strumentali per una diagnosicerta di morte, al fine di nondichiarare morta e trattare co-me tale una persona che non losia29.

Considerato che dal puntodi vista fisiologico l’encefalosvolge due attività importanti,ossia l’elaborazione dei conte-nuti di coscienza (area cortica-le), cioè consapevolezza delproprio essere ed esistere inrelazione con l’ambiente cir-costante (fisico, relazionale), el’attività omeostatica (troncoencefalico) che oltre a regolarelo stato di veglia svolge una

funzione di relazione e diadattamento con l’ambientedella persona (temperatura,pressione arteriosa, attivitàmetabolica), la diagnosi dimorte, secondo la normativaitaliana, consiste nel rilevareuna lesione irreversibile di tut-to l’encefalo, che deve risulta-re danneggiato al fine di elimi-nare ogni dubbio circa la pos-sibilità di vita. La diagnosi dimorte viene effettuata dal me-dico curante, che generalmen-te è il rianimatore, e consistenella definizione eziopatoge-netica della lesione, e cioè sul-la diagnosi esatta della malat-tia che ha causato la morte ce-rebrale. Effettuata la diagnosidi morte, il medico rianimato-re comunica alla direzione sa-nitaria il potenziale donatoreaffinché venga nominato ilcollegio medico per l’accerta-mento di morte. Tali sanitaridovranno essere dipendenti distruttura pubblica, non do-vranno appartenere né all’é-quipe deputata al prelievo né aquella deputata al trapianto esono: un medico legale o unmedico della direzione sanita-ria o un anatomopatologo,cioè conoscitore delle norma-tive in merito ai trapianti; inol-tre sarà presente un medicoanestesista, un neurofisiopato-logo o un neurologo o neuro-chirurgo in grado di interpreta-re correttamente un tracciatoelettroencefalografico. La du-rata del periodo di osservazio-ne ai fini dell’accertamentodella morte è di 6 ore per gliadulti ed i bambini di età supe-riore a 5 anni, di 12 ore per ibambini di età compresa tra 1e 5 anni e si protrae a 24 orenei bambini di età inferiore adun anno. La presenza simulta-nea dello stato di incoscienza,di assenza di riflessi del troncoe di silenzio elettrico cerebraledocumentato da EEG, all’ini-zio, a metà e alla fine del pe-riodo di osservazione, permet-terà di certificare la morte. Lacommissione medica nomina-ta per l’accertamento dellamorte, dopo il periodo di os-servazione dovrà confermarela diagnosi di morte formulatadal curante e comunque coin-ciderà cronologicamente conl’inizio dell’osservazione: ilprincipio della collegialità edell’unanimità permetteranno

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la formulazione della morteclinica e giuridica. Quindi lamorte è identificata nella mor-te non solo della corteccia (de-putata alle funzioni superioriquali l’attività di coscienza) odel tronco encefalico (deputa-to alle funzioni omeostatichecardiorespiratorie, metaboli-che, ecc.) ma di tutto il cervel-lo. Tale definizione è in sinto-nia con quanto stabilito dalComitato Nazionale per laBioetica (1991) che definivala morte come la perdita totaleed irreversibile della capacitàdell’organismo di mantenereautonomamente la propriaunità funzionale individuabilenel cervello, determinata da un«danno cerebrale organico, ir-reparabile, dove il supporto ar-tificiale è avvenuto in tempo aprevenire o trattare l’arrestocardiaco anossico».

3. Problemi definitori della morte

Prenderemo in considera-zione alcuni tentativi di ridefi-nizione della morte basati sufondamenti ontologici; cioè,in termini di perdita della per-sonalità o dell’identità perso-nale, secondari alla perditadelle strutture neuropsicologi-che deputate alla coscienza ealla cognizione. Le formula-zioni ontologiche sono teori-camente insoddisfacenti, co-me pure le formulazioni onto-logiche e biologiche non sonoin competizione tra loro, lamorte del tronco cerebrale in-fatti implica anche la perditadella coscienza e della cogni-zione.

Interpretazioni ontologiche e biologiche

La consapevolezza dei pro-blemi filosofici implicati dalladefinizione di morte cerebraleha portato a discutere i criteriper la perdita della personalitàe a proporre la perdita dellapersonalità, o della identitàpersonale, quale parametro va-lido per la determinazione del-la morte. Le definizioni chefanno appello alla perdita del-la personalità sono state de-scritte come definizioni onto-logiche30 e contrapposte alledefinizioni biologiche espres-se in formulazioni che fannoriferimento al cervello nel suocomplesso o al tronco cerebra-le. I sostenitori della definizio-ne e determinazione dellamorte basata su criteri ontolo-gici fa riferimento alla perdita

delle funzioni cerebrali supe-riori proprie dei soggetti instato vegetativo persistente edi varie forme di anencefalia.Talvolta vengono usati in que-sto contesto sinonimi ambiguie fuorvianti come «morte neo-corticale» o «sindrome palli-ca». Smith, nel 1988, sostene-va la definizione ontologica dimorte e descriveva i beneficidi una tale ridefinizione per ilreperimento di organi per tra-pianti.

Il criterio della morte neo-corticale, avrebbe il vantaggiodi aumentare in modo signifi-cativo la disponibilità e l’ac-cesso ai trapianti, poiché i pa-zienti (inclusi gli anencefalici)dichiarati morti in base alladefinizione neocorticale pos-

sono essere conservati biolo-gicamente per anni, invece dipoche ore o giorni come nelcaso della morte cerebrale to-tale... ciò offrirebbe la possibi-lità che parti o corpi di mortineocorticali possano esseredonati e conservati per ricer-che a lungo termine, in banchedi organi, o per altri fini cometest farmacologici o produzio-ni di composti biologici31. I so-stenitori delle tesi ontologichehanno pure cercato di descri-vere le qualità minime neces-sarie in termini di facoltà psi-cologiche per definire la per-sonalità di un soggetto. Laperdita delle funzioni cerebralisuperiori implica la perditadella continuità dei processipsichici, allora una ridefinizio-ne della morte cerebrale deveporre l’accento sulla perditadell’identità personale. Le de-finizioni ontologiche non dan-no alcuna importanza alla per-sistenza di funzioni diversequali la respirazione sponta-nea o il battito cardiaco. I neu-rologi e i filosofi sostenitoridella tesi della morte cerebraletrovano riferimenti alle partisuperiori o inferiori del cervel-lo, responsabili, rispettiva-mente, delle funzioni cogniti-ve e integrative. Le definizioniontologiche si concentranoprincipalmente sulle prime,mentre le definizioni biologi-che si indirizzano sulle secon-de. Tra i neuroscienziati vi èaccordo sul fatto che tali fun-zioni “cerebrali superiori” co-me la coscienza o la cognizio-ne possono non essere mediatea rigore dalla corteccia cere-brale, ma è probabile che esserappresentino l’esito di com-plesse interrelazioni tra il tron-co cerebrale e la corteccia. Ilcervello superiore controlla ilmovimento ed il linguaggio.La sua azione coinvolge ilcontenuto della coscienza(comprendendo in senso am-pio la somma totale della dota-zione cognitiva e affettiva del-l’individuo). Il contenuto dellacoscienza deve essere distintodalla capacità di coscienza,determinata dalle strutture deltronco cerebrale. Le parti su-periori del tronco cerebrale at-tivano gli emisferi cerebrali esono responsabili della gene-razione della facoltà della co-scienza psicologica. Nono-

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stante la capacità di coscienza(una funzione del tronco cere-brale) non corrisponda al con-tenuto della coscienza (unafunzione del cervello superio-re), è fondamentale precondi-zione di quest’ultimo. Se nonesistesse la funzione del tron-co cerebrale, non ci sarebbevita affettiva, cognitiva, atti-vità di pensiero o sentimenti einterazione sociale.

La Gervais afferma come«l’assenza permanente dellacoscienza» sia la «misura del-la morte nell’uomo»32, cioè de-finisce la morte basata sullacessazione delle funzioni neo-corticali, comprendendo pure ineonati anencefalici e i pa-zienti in stato vegetativo persi-stente. L’autrice identifica lamorte neocorticale (un concet-to neuropatologico) e stato ve-getativo persistente (un con-cetto clinico), quantunque ilprimo non venga mai definitoin modo chiaro. Infatti i para-metri che soddisfano il concet-to di morte neocorticale ri-chiedono un elettroencefalo-gramma piatto, mentre sonoben pochi i pazienti in statovegetativo persistente che sod-disfano questo requisito. Lamorte neocorticale è una va-riante molto rara di stato vege-tativo persistente, dato che lagrande maggioranza di que-st’ultimo tipo di pazienti nonha subito insulti ipossici oischemici di gravità tale darendere piatto l’elettroencefa-logramma. L’autrice critica laformulazione centrata sul tron-co encefalico perché presunti-vamente fondata su considera-zioni biologiche.

La formulazione centratasul tronco cerebrale è stata pu-re criticata anche da altri so-stenitori della posizione onto-logica: Green e Wikler33 so-stengono che la continuità psi-cologica, determinata dallafunzione del cervello superio-re, è necessaria per la conser-vazione dell’identità persona-le. Quindi per questi autori lacontinuità dell’identità perso-nale sarebbe il parametro defi-nitorio della vita nell’uomo.Pertanto la morte rappresente-rebbe la perdita della funzionepsichica. La perdita della ca-pacità di attività psichica,quando la morte cerebrale pri-verebbe il corpo dei suoi tratti

psicologici allora si verifiche-rebbe la morte, non in virtù diragioni morali né biologiche,ma per semplici considerazio-ni ontologiche. Va notato chenon c’è nulla, nell’appello aconsiderazioni ontologiche,che possa invalidare la formu-lazione della morte centratasul tronco cerebrale.

Il concetto di morte centratosul tronco cerebrale, comportanecessariamente la perdita ditutte le funzioni cognitive, edè compatibile con i criteri dipersonalità propri della defini-zione ontologica: con la mortedel tronco cerebrale non c’è néla capacità né il contenuto del-la coscienza. Le divergenze traformulazioni ontologiche ebiologiche consistono nellostatus delle funzioni residuali,quando cioè il danno sia limi-tato alle regioni superiori e lamaggior parte del tronco cere-brale sia invece intatto. La di-versità tra le due formulazioniè stata acutamente descritta daA. Earl Walker34:

“È stato affermato da partedi alcuni che una persona conmancanza completa di reatti-vità intenzionale, ma ancora ingrado di respirare e di mante-nere alcuni riflessi spinali o deltronco cerebrale, dovrebbe es-sere considerata legalmentemorta. Eppure, questi indivi-dui, che vegetano senza mo-strare alcun segno di riconosci-mento o risposta all’ambiente,ovviamente non hanno un cer-vello morto. È una pura con-gettura che il grado di attivitàfunzionale mediata dal troncocerebrale e dal midollo spinalesia sufficiente per la capacitàdi riconoscimento e reazioneall’ambiente da parte dell’indi-viduo. I bambini anencefalici,nati privi di sostanza cerebraleal di sopra del tronco cerebra-le, sono capaci di muoversi, dicompiere certi movimenti del-le braccia e delle gambe cheappaiono intenzionali e di rea-gire con risposte motorie ela-borate; tuttavia, la vita di cuisono dotati per breve tempoquesti bambini è di qualitàcompletamente diversa dallavita degli esseri umani adulti,ma resta aperta la domanda sesia molto diversa da quella diun neonato normale.

L’esistenza di differenze nel-la qualità della vita, non sono

in grado di ridefinire la morte:variazioni di qualità della vitasi manifestano come formedell’essere in vita, con una fun-zione continuativa del troncocerebrale possono esservi rea-zioni osservabili e registrabiliseppur non intenzionali”.

Indeterminatezza del concetto di identità personale

Gli argomenti assunti a defi-nizione della morte in terminidi identità personale spessoevidenziano una «essenza», lacui perdita determina la perdi-ta dell’identità. La personalitàè la manifestazione delle po-tenzialità proprie della perso-na, quindi la personalità è unacategoria o predicazione, an-che se la più importante, dellasostanza personale ma nonl’unica. Le argomentazioni

sull’identità personale sonovaghe e per quanto riguarda lamorte cerebrale hanno deter-minato indubbie confusioni trala morte di una persona e lamorte del corpo di quella per-sona.

L’identità personale, cioè lapersonalità è una qualità, affi-ne ad altre come spirito, co-raggio, volontà, cuore e ani-ma, tutte attribuite a un essereumano tramite convenzionisociali, non tramite il riferi-mento alla struttura fisica diun soggetto. È proprio perchéla personalità è connessa conil complesso dei rapporti e de-gli atteggiamenti giuridici epolitici espressi nella vita so-ciale che vige un disaccordosulla determinazione del mo-

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mento in cui un essere può di-ventare una persona o cessaredi esserlo. I teologi cattoliciindividuano le origini dell’i-dentità personale nel concepi-mento in quanto potenzial-mente presente, mentre alcunifilosofi pongono il suo emer-gere in uno stadio molto po-steriore di sviluppo nell’infan-zia. Secondo Kushner35: la per-sonalità si acquisisce e si svi-luppa solo gradualmente nelcorso dello sviluppo fetale einfantile. Il processo del dive-nire una persona è lungo e an-che alla nascita il neonato hasolo alcuni tratti caratteristicidella personalità adulta, qualidesideri, voleri, frustrazioni esentimenti. Occorrerà tempoper sviluppare le facoltà più

complesse nel corso dell’inte-razione del bambino con il suoambiente psico-socio-relazio-nale.

In una critica del rapportodella Commissione di Harvard(Ad Hoc Committee of theHarvard Medical School,1968), Hans Jonas36 ha indivi-duato nel documento la ripro-posta del dualismo cervello-corpo laddove viene adottatoil coma irreversibile comeconcetto di morte. Ma le os-servazioni di Jonas sono anco-ra più efficaci se applicate adalcune delle attuali teorie del-l’identità personale.

Mi pare che dietro la defini-zione proposta della morte, in-dipendentemente dalla sua evi-dente motivazione pragmati-ca, si celi un curioso revenantdel vecchio dualismo anima-corpo. Esso riappare ora comedualismo di cervello e corpo.In analogia col precedente es-so sostiene che la vera personaumana è costituita (o è rappre-sentata) dal cervello, di cui il

resto del corpo è un semplicestrumento. Pertanto, quando ilcervello muore è come quandosi rende l’anima: ciò che rima-ne sono «spoglie mortali».Ora, nessuno vorrà negare chel’aspetto cerebrale è decisivoper definire la qualità umanadella vita di quell’organismoche è l’uomo. Questo era ilsenso della mia posizione,quando insistevo sul fatto chela perdita irreversibile e com-pleta delle funzioni cerebralinon dovrebbe autorizzarci a ri-tardare la morte del resto del-l’organismo, che di tale perdi-ta è la conseguenza naturale.Ma negare che il corpo extra-cerebrale sia una componenteessenziale dell’identità dellapersona non è meno esageratoper il cervello di quanto lo fos-se per l’anima cosciente. Ilcorpo è unicamente il corpo diquesto cervello, e di nessun al-tro. Ciò che è soggetto al con-trollo centrale del cervello,l’organismo corporeo, è tantocaratteristico della mia perso-na, «mio», unico per la miaidentità (si pensi alle improntedigitali), impossibile da scam-biare, quanto lo stesso cervelloche controlla (e che è a suavolta controllato). La miaidentità è l’identità dell’interoorganismo, anche se le funzio-ni più elevate della mia perso-na risiedono nel cervello...Perciò, per quanto il corpo delcomatoso – anche se con l’aiu-to della tecnologia – ancorarespira, pulsa e funziona,dev’essere considerato comeciò che perdura del soggetto...e come tale ha ancora dirittoall’inviolabilità che le leggi diDio e degli uomini hanno ac-cordato a tali soggetti. Questainviolabilità impone che nonlo si usi come mero strumento.

Una delle più evidenti ano-malie nei concetti di morteorientati sulla persona è che iloro sostenitori non considera-no la distinzione tra l’assenzadi risposte all’ambiente propridella morte del tronco cerebra-le e i casi in cui il danno è con-finato alle regioni superiori delcervello. La maggior partedelle versioni orientate sullapersona si riferiscono alla me-ra assenza di esperienza, allamancanza della coscienza edelle capacità cognitive. Manon è chiaro se, nel determina-

re la morte, questa perdita direattività psichica all’ambienteabbia un’importanza maggioredi altre deprivazioni. Si assu-me semplicemente che tuttociò che conta è l’interruzionedella continuità psichica.

Alcune società attribuisconoalla continuità psichica piùimportanza di altre. Inoltre,anche ciò che vale come per-dita della continuità psichicaappare culturalmente relativo.L’importanza data alla conti-nuità psichica (capacità diesperire) è la risultante delcontesto culturale di apparte-nenza, e come tale presentauna relatività spazio-tempora-le. Se quest’ultima fosse ele-vata a criterio esclusivo, unmedico che eserciti in un con-testo sociale multiculturale,abituale al giorno d’oggi, sitroverà di fronte problemiquasi insormontabili al mo-mento di decidere se procede-re alla rianimazione o meno.Ma anche se si riuscisse a de-terminare, con un grado diprecisione soddisfacente, chel’identità personale è perduta,che «X non è più tra noi», que-sta non sarebbe ancora unabuona ragione per formulareuna diagnosi di morte. Signifi-cherebbe al massimo «X non èpiù tra noi nel senso che non èpiù quello che una volta cono-scevamo».

La definizione di morte cen-trata sull’identità personale in-contra difficoltà nei casi limi-te, come gli anencefalici o gliaffetti da demenza grave. Lesomiglianze tra stato vegetati-vo persistente e demenza gra-ve sono molto più strette diquelle tra perdita della funzio-ne del tronco cerebrale e statovegetativo persistente. Vi sonoinoltre obiezioni cliniche auna diagnosi di morte in pre-senza di un persistente funzio-namento del tronco cerebrale.Non è ancora chiaro se fram-menti di coscienza o di consa-pevolezza possano essere me-diati dalle strutture subcortica-li. In particolare, è difficile di-mostrare la totale assenza disensibilità con una perdurantefunzionalità del tronco cere-brale.

Mentre la morte del troncocerebrale è relativamente sem-plice da diagnosticare, lo stes-so non può dirsi per la morte

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concepita in termini di perditadelle funzioni superiori. Dia-gnosticare uno stato vegetati-vo persistente può presentaredelle difficoltà, e non dovreb-be essere sottovalutato il pro-blema della diagnosi di assen-za di autoconsapevolezza. Adifferenza dei test clinici per lamorte del tronco cerebrale,che è un fenomeno univoco, itest per l’autoconsapevolezzapossono portare a risultati dif-ferenziati. Alcuni pazienti instato vegetativo persistentemostrano una considerevolemole di attività comportamen-tale organizzata in risposta astimoli improvvisi o nocivi.Quasi tutti riacquistano i ciclisonno/veglia; molti mostranomanifestazioni facciali di inte-resse e alcuni mostrano perfi-no fluttuazioni emotive conoccasionali lacrimazioni o sor-risi di tipo infantile in rispostaa stimoli non verbali. Altrisbattono le palpebre regolar-mente di fronte a una minacciavisiva, sbarrano o chiudono gliocchi in risposta a rumori im-provvisi o dimostrano riflessidi brancolamento o suzione.

Per gli operatori sanitari e ifamiliari di questi pazienti,queste manifestazioni com-portamentali sono indicativedella persistenza della vita esuggeriscono che non possonoescludersi con certezza livelliresiduali di autoconsapevolez-za. I parametri clinico-stru-mentali per stabilire la perditairreversibile della coscienza ri-chiedono definizioni più accu-rate. Nonostante il recupero dastati vegetativi persistenti siararo, le possibilità residualiconseguenti a danni confinatialle regioni superiori del cer-vello, impongono una ricercaclinica e una riflessione filoso-fica per poter sentenziare ladiagnosi di assenza irreversi-bile dell’autoconsapevolezza.

Stanley37 ha affermato che«non c’è al momento alcunsemplice test operativamentevalido per lo stato vegetativopersistente», ma che «vi è cer-tezza circa la non reversibilitàdella morte del tronco cerebra-le, certezza che invece mancanel caso della decorticazione».

Le prognosi di morte deltronco cerebrale e di stato ve-getativo persistente, rispettiva-mente, presentano analogie

solo nel periodo iniziale. Lamorte del tronco cerebrale puòessere determinata con assolu-ta precisione entro poche ore opochi giorni al massimo. Maper lo stato vegetativo persi-stente la prognosi di irrecupe-rabilità della cognizione e del-le altre funzioni intellettualinon può essere determinatacon un sia pur minimo gradodi certezza se non molto piùavanti nel decorso della malat-tia del paziente.

Non c’è disaccordo insana-bile tra la formulazione onto-logica della morte da partedella Gervais e la formulazio-ne centrata sul tronco cerebra-le, nel senso che entrambepongono l’accento sulla perdi-

ta irreversibile della coscien-za. Ma a differenza della Ger-vais, i sostenitori della formu-lazione centrata sul tronco ce-rebrale pongono un eguale ac-cento sulla perdita delle capa-cità omeostatiche, quali la re-spirazione e il battito cardiaco,cioè di tutte le funzioni organi-smiche. La tesi della Gervais38,sulla morte umana, quale statodi «incoscienza permanente»,implica l’inclusione tra i mortianche i soggetti in stati vegeta-tivi persistenti e gli anencefali.

Problemi della morte neocorticale

Tre sono le posizioni etichee filosofiche che vanno consi-derate, se vogliamo valutare imeriti rispettivi della formula-zione della morte centrata sultronco cerebrale e di quella

centrata sul cervello superiore,e le loro conseguenze in termi-ni di prelievo degli organi.

La prima posizione consistenella tesi che la morte del tron-co cerebrale è la morte dellapersona. I sostenitori di questatesi affermano che, una voltasoddisfatti i criteri per la mortedel tronco cerebrale, non visono ulteriori obblighi etici deltipo che sarebbe appropriatoavere nei confronti di una per-sona ancora viva.

La seconda posizione so-stiene che la morte del troncocerebrale è la morte della per-sona ma non necessariamentequella del corpo, che potrebbecontinuare a «vivere» conl’aiuto di sofisticate tecnologie

mediche. In questo senso, unadiagnosi di morte del troncocerebrale non determina lamorte, ma indica semplice-mente l’appartenenza a unacategoria di esseri cui si con-sente di morire. Questa posi-zione viene respinta in quantola morte del tronco cerebralesoddisfa tutte le condizioni ne-cessarie e sufficienti per unadiagnosi di morte.

La terza posizione equiparala morte del tronco cerebrale elo stato vegetativo persistentedi conseguenza: non vi sonoproblemi etici di classificazio-ne delle due condizioni dimorte in questione. Questi so-stenitori affermano che la ca-pacità di agire morale è legataall’integrità e alla continuitàdell’identità personale, che asua volta dipende dal substratobiologico responsabile della

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conservazione delle funzionicognitive. Pertanto, né un ca-davere né un paziente in statovegetativo persistente sono ca-paci di azioni morali rilevanti.Peraltro, andrebbe osservatoche l’incapacità di dare inizioa un agire moralmente signifi-

cativo, o anche di reagire o es-sere consapevoli di tale agire,non è motivo per escludere unsoggetto dall’appartenenza al-la comunità morale e negare ildiritto ad un’attenzione moral-mente significativa. SecondoGillett39 la capacità di esprime-re e sviluppare la personalitàdipende in modo cruciale dalfunzionamento integro delcervello (in particolare diquelle aree che risultano piùgravemente danneggiate neicasi di trauma o ischemiaanossica), che permette all’in-dividuo di interagire con glialtri e con il mondo circostan-te in modo ricco e complesso.Una volta che questa condi-zione cruciale sia venuta me-no, siamo giustificati a pensa-re che il corpo non possa piùessere considerato come illuogo di quella attività chechiamiamo «espressione del-l’identità personale». Se il cer-vello ha smesso di funzionaree non vi sono prospettive ditornare a un livello di funzio-namento adeguato a sosteneretale attività, allora la libertà dipersona dotata di un corpo èstata distrutta.

Questo comporta la rivendi-cazione del diritto dell’euta-nasia, e l’estensione della de-finizione di morte agli stativegetativi persistenti e a tuttigli altri casi in cui non si repu-

tano più sussistere le condi-zioni per una vita eticamenterilevante. Lamb40 sostiene che,mentre c’è una chiara distin-zione tra criteri di eutanasia ela proposta di criteri per ladiagnosi di morte, c’è un sen-so in cui questa distinzionepuò perdere la sua rilevanza.Se i criteri, in entrambi i casi,vengono basati sulla perdita disignificato e della capacità diapprezzare la vita – perditadella personalità –, allora, unavolta che si affermi che questicriteri sono stati soddisfatti,poco importa quale descrizio-ne venga data di fatto per l’in-sieme di azioni (o omissioni)che conducono alla estinzionedelle funzioni vitali residuali.In tali casi, infatti, la linea diconfine cruciale verrebbe at-traversata nel momento in cuisi giudicasse che una vita haperduto il suo significato.

Secondo Rachels41 occorrefare una netta distinzione traessere vivi in senso biologicoe avere una vita nel senso so-ciale e morale. Secondo luil’essere vivi in senso biologi-co è relativamente poco im-portante. La vita, al contrario,è significativa per le sue aspi-razioni, decisioni, attività, pro-getti e relazioni umane. Unavolta persa la propria vita, percosì dire, l’essere vivi (comeun paziente affetto da morbodi Alzheimer) è di scarsa im-portanza morale. L’imposta-zione di Rachels è di chiaroorientamento eutanasico euge-nistico. Solleva dei dubbi: co-sa è significativo e per chi?Secondo quali regole sociali?Il significato è tale perché rife-rito ad un’essenza fondamen-tale: la vita. Il significato dellavita non può essere motivo divalutazione né personale, nésociale; la vita può semplice-mente essere valorizzata per lasua essenzialità. Ma controquesta tesi va sottolineato chei criteri che soddisfano il con-cetto biologico (morte deltronco cerebrale) sono precisie oggettivi; mentre i criteridell’avere una vita sono inde-terminati e soggetti a una va-rietà di interpretazioni socialie personali. Gillett distinguel’essere vivi in senso «etica-mente interessante».

Scrive Gillett42:«Quando il corpo di una

persona è piombato in uno sta-to incapace di sostenere piùoltre la sua vita come persona,abbiamo tutte le ragioni perdire che la sua anima si è di-staccata, qualsiasi siano le no-stre convinzioni metafisiche...Senza “impegolarsi” con ladefinizione di morte, possia-mo decidere che questa perso-na non sia più viva in sensoeticamente interessante. Unavolta presa questa decisione,non abbiamo più tra le maniuna persona come paziente dacurare, ma un corpo nei cuiconfronti il nostro ex pazientenon ha più ulteriore interesse.È un atteggiamento disimpe-gnato utilitarista sociale...».

Gillett si muove chiaramen-te in un quadro concettualedualistico cartesiano nell’ac-coglimento della perdita dicerte strutture connesse con lacoscienza come definizione dimorte, ossia non-senso di vi-vere. Ma la specificazioneesatta delle strutture interessa-te e dell’entità del danno chedevono subire è estremamentedifficile da formulare. Inoltre,non è chiara la ragione per cuisi dovrebbe dare alla coscien-za un simile primato etico.Benché connessa a interazionieticamente significative, comeil comportamento intenzionalee la responsabilità, essa nonrappresenta la totalità di ciòche ha importanza etica. Chi èdebole e privo di aiuto suscitanegli altri esseri morali un bi-sogno di rispetto e di assisten-za.

Nelle sue riflessioni Lambosserva come siano molti icontesti sociali in cui si po-trebbe invocare un criterio chesoddisfi il concetto di «non es-sere più vivo in un senso etica-mente interessante», ma non sipuò raggiungere un livello diprecisione e di certezza tale dagiustificare l’impiego di questicriteri in situazioni in cui sitratta di decidere se autorizza-re la sospensione della terapiao l’espianto degli organi a finidi trapianto. Estendere la defi-nizione di morte fino a inclu-dere la decorticazione (o laperdita di personalità in questosenso) esige che ci confrontia-mo con un gran numero di im-plicazioni che appaiono con-trarie alla pratica clinica cor-rente e ai modi di sentire pub-

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blici più diffusi, inclusa l’im-plicazione secondo cui tuttiquei pazienti che versano instato vegetativo persistente so-no eticamente indistinguibilidai cadaveri. Le componentiaffettive e cognitive della co-scienza possono essere essen-ziali per una vita significativae piacevole, ma non sono con-dizioni necessarie e sufficientiper una diagnosi di morte.

In sintesi, la nozione dimorte cerebrale è tutt’altro cheaccettata universalmente, ben-sì sottoposta a molte definizio-ni e diversi criteri di accerta-mento: ricordiamo soprattutto,per l’influenza che hanno avu-to, il Report of Ad Hoc Com-mittee dell’Harvard MedicalSchool del 1968 e A ProposedUniform of Death Act dellaPresident’s Commission del1981.

La scuola neurologica ingle-se ritiene che, per avere mortecerebrale, sia sufficiente lamorte anche del solo troncodell’encefalo. Tuttavia, nel co-ma da lesione primitiva deltronco, spesso si dimostra lapersistenza di potenziali evo-cati visivi e di attività elettricacorticale spontanea: l’assenzadi funzione del resto dell’en-cefalo dipende dalla mancanzadi input dal tronco e non da undeficit funzionale intrinseco.

In una rara situazione pato-logica, la sindrome locked in,si ha lesione parziale del tron-co: la persona, pur non poten-do comunicare con il mondoesterno, resta in qualche modocosciente ed è veramente co-me prigioniera, chiusa dentrose stessa.

La morte del solo tronco en-cefalico è dunque insufficienteper poter dichiarare morto tut-to l’organismo.

Altri Autori, soprattutto ame-ricani, identificano la morte ce-rebrale con la morte corticale,anche in presenza di strutturetroncoencefaliche integre efunzionanti. In questa condi-zione clinica, detta stato vege-tativo persistente, o coma apal-lico o coma vigile, permangonoattive le capacità di regolazione(centrale) omeostatica dell’or-ganismo e la capacità di esple-tare in modo integrato le fun-zioni vitali, inclusa la respira-zione autonoma: non si ha dun-que la perdita totale e irreversi-

bile dell’unitarietà funzionaledell’organismo43. Va inoltre sot-tolineato il fatto che questo sta-to non è sempre irreversibile esi segnalano casi di recuperoparziale della vita di relazione.

L’idea sottesa in questa po-sizione è che un individuo siauna persona soltanto se puòsvolgere alcune funzioni rite-nute caratteristiche dell’uomo,come l’essere autocosciente oresponsabile. Questa discrimi-nazione fra gli esseri umani inbase alle loro prestazioni, ben-ché prestazioni tipicamenteumane, è inaccettabile.

La posizione che esige laperdita irreversibile di tutte lestrutture encefaliche sembrapiù persuasiva e si armonizzacon una visione globale del-l’uomo come unità psicofisica,nella quale le funzioni fisichee mentali sono espressioni di-stinte, ma interconnesse dellapersona. Perciò sarebbe prefe-ribile tradurre l’inglese braindeath non «morte cerebrale»,ma «morte encefalica», conpreciso riferimento a tutte lestrutture encefaliche e non alsolo cervello.

Considerazioni conclusive: la posizione personalista

La persona umana è sinolodi materia e forma44, perciò vaconsiderata nella sua compo-nente materiale (essere biolo-gico) e nella sua forma spiri-tuale (relazionale-razionale oessere essente). A ragionel’uomo vive questa condizionedi esistenza incarnata: l’uomoè uno spirito incarnato.

La morte non può essere de-scritta solo in termini di de-composizione organismica del-la materia vivente, ma anche esoprattutto in termini di distru-zione dell’esistenza umana,cioè di eclissamento di ognimanifestazione della sua pre-senza personale nel mondo.

La morte è umana proprioper il suo carattere spirituale-formale, altrimenti sarebbe unprocesso di corruzione mate-riale. Solo l’uomo è un esseremortale, mentre qualsiasi altroente, in virtù della mancanzadella forma razionale, è desti-nato a perire (pianta, animale).Heidegger sostiene che «mor-tali sono gli uomini. Si chia-mano mortali perché possono

morire. Morire significa esserecapaci della morte in quantomorte. Solo l’uomo muore.L’animale perisce. Esso nonha la morte in quanto morte nédavanti a sé né dietro di sé. Lamorte è lo scrigno del nulla... Imortali ora li chiamano morta-li non perché la loro vita terre-na finisce, ma perché essi sonocapaci della morte in quantomorte»45.

Ramon allora conclude che«ogni ente sostanziale materia-le, in quanto composto di ma-teria prima e forma sostanzia-le, è soggetto alla corruzione,cioè alla mutazione sostanzia-le: separazione della forma so-stanziale (di natura razionale)dalla materia prima. Le causemateriali, modificando le pro-prietà accidentali oltre il limi-te, le rendono incompatibilicon la forma sostanziale connuove forme sostanziali. L’uo-mo è uomo per la forma so-stanziale umana: l’anima spiri-tuale; il cadavere non è uomoperché informato da un’altraforma sostanziale (non razio-nale) che non è quella dell’uo-mo; la forma sostanziale si èseparata dalla materia prima.La morte è crisi dell’unionesostanziale che è ogni uomo,dolorosa perché il corpo è con-naturato allo spirito»46.

La morte è quindi un eventoprocessuante sostanziale, cioèuna mutazione sostanziale chelimita due stati: l’ente sostan-ziale precedente e il successi-vo. Ecco perché la morte nonpuò configurarsi né con il pro-cesso del morire, né con lo sta-to di cadavere, ma è un evento-istantaneo, dove le cause mate-

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riali modificando le proprietàaccidentali rendono incompati-bile il sinolo sostanziale, deter-minando l’insorgenza di unnuovo ente con nuove formesostanziali. Il corpo umano nonè una oggettivazione materialeconnessa ad una forma spiri-tuale, ma un corpo soggettuale,cioè avente un carattere psichi-co che lo lega al mondo in unrapporto particolare propriodella soggettività umana. Anzi,la funzione soggettuale del cor-po, attraverso la sua formaesprime la condizione esisten-ziale e umana. La morte di-strugge non solo la componen-te biologica (corpo) ma anchequella formale, cioè la sua esi-stenza personale e relazionale.Il corpo è la soggettualità delladimensione razionale, cioè lamediazione di qualsiasi espres-sione e realizzazione dell’uo-mo nel mondo. Da queste pre-messe si comprende la dram-maticità della morte, in quantorappresenta la fine drammaticadell’esistenza umana, in quan-to separazione-distacco dalmondo umano (= corpo) dellasua forma psichica. La dram-maticità della separazione dellaforma dal suo corpo, però, apreun varco dell’immortalità: a li-vello fenomenologico la razio-nalità si inserisce nella tempo-ralità della storia e si immorta-la; a livello teologico si schiu-de la dimensione escatologicadella trasfigurazione e della re-surrezione. Quindi l’anima

umana (la sostanza umana)presenta il carattere dell’im-mortalità. Le finalità della ta-natologia non sono quelle divalutare che il corpo sia morto,ma che tutto l’uomo è morto,cioè l’essere umano nella suaintegrità o tensione unitiva co-me spirito nel mondo. Pertan-to, accertare e certificare lamorte in questa ottica significaaffermare questa separazioneirreversibile e totale della for-ma spirituale dalla materia bio-logica, e conseguentementenon possono equipararsi allastessa stregua i pazienti in statodi coma o in stato vegetativopersistente, dove pur sempreconservano la forma umana (osostanzialità umana). La di-mensione corporea non è re-sponsabile solo dell’essere nelmondo con la sua forma perso-nale, ma è pure soggetta all’es-sere-per-la-morte, in quantocause materiali determinanoquel limite di incompatibilitàcon la forma sostanziale e per-ciò la scomparsa/comparsa diun nuovo ente sostanziale: ilcorpo cadaverico.

4. Problemi etico-filosofici legati al fine vita

Abbiamo già sottolineatocome nella società odierna siacambiato il significato dell’e-vento morte, non solo a livellodi vissuto ma anche a livellodi argomentazione epistemo-

logica. Questo è dovuto al mu-tamento del paradigma all’in-terno del quale viene interpre-tata la morte e alle difficoltàconnesse alla definizione dimorte nell’ambito medico-le-gale (morte cardiaca, morte ce-rebrale, morte corticale). Con-testi culturali e modelli episte-mologici hanno favorito com-portamenti sociali divergenti,dalla rimozione del problema,al riduzionismo scientista irri-spettoso della componente spi-rituale o non biologica dell’uo-mo, alle espressioni ideologi-che e pseudoreligiose celanti larealtà, approfittando della de-bolezza degli stati psichici deiloro aderenti. Questi atteggia-menti, diffusi attraverso i mez-zi di informazione, hanno con-tribuito a diffondere stati di in-certezza e di insicurezza neimetodi e nei mezzi di accerta-mento della morte, riflessi nel-la scarsa adesione alla dona-zione d’organi, la rivendica-zione dell’eutanasia come di-ritto. L’alterazione del paradig-ma di riferimento del significa-to e vissuto della morte è ri-scontrabile, anzi accreditabile,a tre livelli47:

1. socio-culturale: l’imporsidel razional-secolarismo e lasoppressione della dimensioneescatologica propria della fedecristiana. La morte, da mo-mento di transito da una vitaad un’altra, viene vissuta co-me conclusiva della vita. Laquotidianità empirica intra-mondana si impone come uni-co orizzonte ontologico del-l’uomo: non esiste speranzaper la trascendenza;

2. disponibilità della vita: si-nora la vita rivestiva un carat-tere sacrale, che vedeva l’uo-mo come gestore della sua vitaaffidata, mentre Dio era l’uni-co che poteva disporre della vi-ta. La negazione di Dio, l’indi-vidualismo negante ogni formadi relazione sociale, il soggetti-vismo imperante hanno favori-to un solipsismo esperienzialecon conseguente rivendicazio-ne di un diritto personale anzi-ché un diritto sociale proprio diuno Stato di diritto;

3. orizzonte ontologico: l’uo-mo, quale essere nel mondo o«esserci», ha coscienza dellasua finitudine e della sua mor-talità o «essere per la morte».Tale consapevolezza costitui-

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sce l’esperienza autentica pro-pria dell’essere umano, mentreè assente in ogni altro vivente.L’uomo è consapevole dellasua morte non tanto come tra-sformazione biologica, quantocome morte umana. L’autenti-cità viene assunta a norma si-gnificante questa consapevo-lezza umana. L’autenticità è laconsapevolezza della limita-zione propria dell’uomo, chenon ha altri significati se nonquelli intrinsecamente propri.La morte, conseguentemente,rappresenta il limite esperien-ziale possibile dell’umano, ol-tre il quale esiste una vacuitàdi senso e di significato possi-bili. Essa rappresenta un anni-chilimento di significato e del-le realtà simboliche sinora va-lidate, quali la morte comepassaggio, l’ultramondanità,l’eternità. In questo orizzonteassiologico, non può trovarespazio la buona morte, perchél’attributo di senso è sempre ri-ferito a qualcosa che ha una di-mensione temporale e spazia-le, cioè che ha una certa conti-nuità di significato. Con lamorte non esisterebbe il temponé lo spazio, per cui suo unicoriferimento è il non-essere pro-prio dell’annichilimento, del-l’inautenticità. Quindi il nonsenso delle espressioni buo-na/cattiva morte, in quantoinautentiche secondo la visionedel secolarista, non potevanoche lasciare spazio alla dignitàdel morire.

Ovviamente l’attribuire di-gnità ad un’azione implica un

riferimento etico che com-prende responsabilità, capacitàe consapevolezza di gestione.Le conseguenze di questo ap-prodo argomentativo non po-tevano che essere di chiarostampo utilitarista, come le lo-ro rivendicazioni secondarie:non degne vengono considera-te le vite prenatali, gli handi-capati mentali, ecc. Pertantogli stessi significati eutanasia,malattia/salute, cambiando illoro paradigma interpretativo,si presentano all’uomo conforme incisive e sempre menoscandalose rispetto al passato.

Quale significato di eutanasia

L’originario significato eti-mologico dell’eutanasia, dalgreco eu-thànatos, morte buo-na, ha virato di contenuti e si-gnificati diversi in questi ulti-mi anni.

Oggi, grazie alle novità del-le tecnologie mediche, è possi-bile sia prolungare artificial-mente la vita di un pazienteterminale (accanimento tera-peutico), sia procurare la suamorte anticipatamente (euta-nasia).

L’eutanasia, infatti, è procu-rare deliberatamente in mododiretto o indiretto la morte,cioè porre fine alla vita di unapersona con ogni azione com-missiva od ommissiva com-piuta

– per compassione– per alleviare la sofferenza– per assecondare la volontà

del malato.

Addirittura la cultura occi-dentale, enfatizzando il dirittoall’autodeterminazione del pa-ziente e il dovere dei sanitari,soprattutto i medici, al rispettodel principio di beneficialità,reclama il diritto all’eutanasia.

Il voler porre fine ad una vi-ta o realizzare la richiesta diporre fine alla vita, seppur in-degna agli occhi dell’utilitari-smo odierno, non può essereaccolta né dal diritto né dalpietismo psicologico.

Un diritto è umano in quan-to appartenente all’essere, equesti, in virtù del paradigmaontologico dell’esserci-per-l’altro, costituisce la coesi-stenzialità che sola può legitti-mare una scelta. Se nell’ambi-to del rapporto contrattualemedico-malato il principio diautodeterminazione può giu-stificare la richiesta eutanasi-ca, nell’ambito dell’alleanzaterapeutica la condivisione co-stitutiva di esperienze dell’es-sere non può pretendere di da-re risposte a tale richiesta.Questo vale sia per l’eutanasiaprocurata che per il suicidioassistito, e ancor più per quellecondizioni nelle quali i sanitariritengono la vita del loro pa-ziente indegna di essere vissu-ta secondo il paradigma utili-tarista: il telos intrinseco dellanatura e la coesistenzialità ri-chiedono l’essere-accanto e lecure psico-assistenziali e pal-liative. Il secolarismo postmo-derno, proteso a valutare la vi-ta da un punto di vista effi-cientistico e in termini di di-

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VOCABOLARIO DELLA DOLCE MORTE

Eutanasia attiva o positiva o diretta L operatore sanitario interviene direttamente

per procurare la morte di un paziente

Eutanasia passiva o negativa o indiretta Consiste nell astensione da interventi sanitari

che potrebbero mantenere in vita un paziente

Eutanasia volontaria o voluntary Quella richiesta a volte ripetutamente dal malato

Eutanasia non volontaria o non-voluntary Il paziente non pu formulare la richiesta

perch persona incapace

Involuntary L intervento sanitario finalizzato a sopprimere la vita

nonostante l espresso dissenso del paziente

Distanasia Astensione da interventi sanitari di prolungamento della vita

non rispettosi della dignit del paziente

Suicidio medicalmente assistito La soppressione della vita del paziente conseguenza diretta

o physician assisted suicide (p.a.s.) di un atto suicida del paziente, ma consigliato e/o aiutato

da un operatore sanitario

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gnità di essere vissuta, cioègestita in modo responsabile,ha influenzato il concetto stes-so di prestazione sanitaria. Ta-le prestazione deve essereorientata a tutelare la qualitàdelle espressioni categorialidella vita, più che la stessaquale valore fondamentale.Qualità della vita, significauna vita declinata secondo ilparametro del benessere sceltoconsapevolmente dal soggettostesso.

La scelta consapevole impo-ne al personale sanitario di ri-spettare la volontà del malato,sfuggendo ad ogni tentativo dipaternalismo.

Ogni trattamento deve esse-re accompagnato dal consensoinformato del paziente, ma lavolontà dello stesso non puòreprimere il diritto del medicoche dovrà sempre realizzareun intervento terapeutico, enon una mera applicazionetecnologica finalizzata al puroprolungamento di funzionibiologiche o alla cessazioneanticipata delle stesse. Il con-senso informato del paziente ele finalità sananti proprie del-l’atto medico devono guidare isanitari anche nel caso del pa-ziente incapace di intendere evolere (per età, per patologia).

L’incapacità di intendere evolere non deve essere assuntaa criterio per procurare la mor-te del paziente, ma il principioetico e deontologico del fare-il-bene ad un malato, quale con-divisione di esperienze, dovràrifiutare ogni tentativo proeuta-nasico.

Lecaldano48 ribadisce come«ciascuno dispone completa-mente, e solo lui può disporne,della propria vita. Per ciascunessere umano vale il principio:la mia vita è del tutto mia e so-no l’unico a poterne disporre».

Questa libertà, legata all’au-tonomia di potersi togliere lavita, è del tutto infondata, inquanto la libertà è realizzazio-ne di uno stato esistenziale enon la sua soppressione. Conla morte non esprimiamo lanostra libertà, anzi la neghia-mo, nel senso che la morte po-ne fine ad ogni diritto. Spessoviene confuso il significato diautarchia e autonomia. L’au-tarchia consiste nel disporre disé in modo totale, pertanto unsoggetto non deve rendere

conto a nessuno di ciò che fa: èun vero suicidio sociale, nelsenso che chiude quella di-mensione relazionale-socialeche è iniziata dal giorno delsuo concepimento. Mentre ac-cettare la dimensione relazio-nale significa legarsi, ma an-che raggiungere la vera auto-nomia, libertà. D’altronde lacondizione di libertà non esi-sterebbe se non nella misura incui un soggetto si confrontacon gli altri. Questa è una li-bertà costruita e realizzante49.Inoltre la nostra vita è indispo-nibile, ci viene solo affidataperché venga realizzata nelvissuto corporeo di ogni uomo.Le scienze umane (antropolo-gia, sociologia) hanno sempre

riconosciuto l’uomo come unbene non solo per sé ma in unaprospettiva relazionale. La for-za sociale, il prestigio politico-economico rappresentano laqualità di coesione e di colla-borazione tra i membri di ungruppo. La stessa teologia cat-tolica ha da sempre proclama-to questa apertura bidimensio-nale: uomo-uomo, uomo-Dio.Con l’avvento del soggettivi-smo estremo l’uomo ha tra-sformato l’orizzonte esperien-ziale in un solipsismo esisten-ziale. L’esistenza umana, cioèl’essere-nel-mondo, implicaun superamento di sé per aprir-si all’altro-da-sé. Questa pre-messa a giustificazione dell’at-teggiamento di rifiuto per ogniforma di autolesionismo, neicasi estremi intenzionale a por-re fine alla propria vita, comeavviene nel suicidio. La tradi-zione culturale premoderna hasempre proclamato l’indispo-nibilità della vita e di conse-guenza la sua fine programma-ta. Questo a conferma del ca-rattere non solipsistico dell’esi-

stenza umana. L’esistere uma-no, cioè la sua apertura all’al-tro-da-noi, comporta una re-sponsabilità, se non di ordinereligioso, sicuramente di ordi-ne socio-giuridico. Infatti è unimperativo per l’uomo impe-gnarsi a mantenere e rispettarequesta rete relazionale per ilbene-essere dell’umanità, cioètutelare la vita quale condivi-sione di esperienze.

Lo stesso Codice Civile Ita-liano all’art. 5 prevede e vietaogni attività medica che possadeterminare una menomazionepermanente, cioè che possa al-terare la vita umana nella suaintegrità e dignità. Lo stessoprincipio di beneficialità nonpuò interpretarsi nel fare aglialtri ciò che chiedono, nellafattispecie procurare la morteoppure aiutare a morire. La be-neficialità obbliga intrinseca-mente l’operatore sanitario afare del bene al paziente, nelsenso di procurargli dei benefi-ci a difesa della sua vita e dellasua dignità, qualunque sia lostato esistenziale. La stessaCostituzione Italiana è pro-life,quando riconosce come dirittofondamentale la tutela e la di-gnità della vita umana. Infattil’art. 2 «...riconosce e garanti-sce i diritti inviolabili dell’uo-mo, sia come singolo sia nelleformazioni sociali ove si svol-ge la sua personalità...»; in ba-se all’art. 3 «tutti i cittadinihanno pari dignità sociale e so-no eguali davanti alla legge,senza distinzione di sesso, dirazza, di lingua, di religione, diopinioni politiche, di condizio-ni personali e sociali. È compi-to della Repubblica rimuoveregli ostacoli... che... impedisco-no il pieno sviluppo della per-sona umana...»; secondo l’art.27 «la responsabilità penale èpersonale... le pene non posso-no consistere in trattamenticontrari al senso di umanità...non è ammessa la pena di mor-te...»; con l’art. 32 «la Repub-blica tutela la salute come fon-damentale diritto dell’indivi-duo... Nessuno può essere ob-bligato a un determinato tratta-mento sanitario se non per di-sposizione di legge. La leggenon può in nessun caso violarei limiti imposti dal rispetto del-la persona umana».

Gli stessi codici di compor-tamento professionale degli

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L EUTANASIA NEL MONDO

CALIFORNIA (1976) Depenalizzazione dell eutanasia, riconoscimento del Natural Death

Act e dei Living Will (testamenti biologici).

ZURIGO CANTONE SVIZZERO (1977) Approvazione di una legge sull eutanasia.

STATO DI WASHINGTON (1990) Dopo il caso Cruzan, veniva approvato il Patient Self Determination

Act, che per veniva respinto con un referendum del 1991.

OLANDA (1993) Depenalizzazione dell eutanasia. Nel 2001 stata legalizzata

l eutanasia praticata da un medico su richiesta del paziente,

affrancando l operatore sanitario dalla responsabilit penale.

La richiesta del paziente deve essere volontaria, ben ponderata,

lucida, ripetuta e durevole; le sue sofferenze devono essere

insopportabili e senza alcuna prospettiva di miglioramento.

Il medico di fiducia deve esaminare il problema con un altro collega,

segnalando poi l intervento ad un apposita commissione di esperti,

che valuter se sono state seguite le procedure previste dalla legge.

AUSTRALIA TERRITORI DEL NORD Legalizzazione dell eutanasia, considerandola un diritto sub

(1995) conditione, ma veniva abrogata con una legge federale del 1997.

STATI UNITI CORTE SUPREMA (1997) Una sentenza escludeva l inserimento nella costituzione del diritto

a scegliere modi e tempi della propria morte. Restava la discrezionalit

di ogni singolo Stato a legiferare in merito all eutanasia e al suicidio

assistito. L Oregon ha autorizzato il suicidio assistito dallo stesso

anno: i farmaci letali vengono prescritti dal medico ma non

somministrati.

GIAPPONE L eutanasia permessa se ci sono quattro circostanze:

— il paziente soffre di un dolore fisico insopportabile

— la morte inevitabile e imminente

— tutte le misure possibili sono state approntate per eliminare il dolore

— il paziente ha espresso chiaramente il suo consenso.

ITALIA Non esiste una legge che depenalizzi o legalizzi l eutanasia.

Nel 1984 l on. Fontana present una proposta di legge ˙sulla dignit

della vita e la disciplina dell eutanasia passiva¨, priva di sviluppi

a tutt oggi. Unici elementi di regolamentazione della materia sono gli

artt. 579 e 580 del Codice Penale e il Codice di deontologia medica.

FRANCIA Il 3 marzo 2000, il Comitato Etico Nazionale Francese per la prima

volta parla di ˙eccezione d eutanasia¨, cio una possibile

depenalizzazione del reato in casi particolari. Secondo il Comitato,

la proposta di un eccezione di eutanasia sarebbe ˙in grado di dare

ragione alle giuste convinzioni degli uni e degli altri, togliendo il velo

d ipocrisia e di clandestinit che copre certe pratiche attuali¨.

Le confessioni religiose esistenti, a parte quella protestante, hanno

espresso parere negativo a questa posizione. La chiesa cattolica

francese non condivide l eccezione di eutanasia ˙un eccezione

giuridicamente riconosciuta condurrebbe rapidamente all oblio

progressivo di un principio giudicato tuttavia come fondamentale¨.

Nonostante tutto, l eutanasia illegale, ma il Codice Penale distingue

tra eutanasia attiva (provocare direttamente la morte un omicidio)

ed eutanasia passiva (l assenza dell azione terapeutica).

GERMANIA Nel 1998 la corte d appello di Francoforte ha stabilito che l eutanasia

pu essere, in linea di principio, autorizzata solo se corrisponde alla

volont del paziente e dovr comunque essere approvata dai tribunali

tutori.

GRAN BRETAGNA L eutanasia illegale, ma in certi casi la giustizia ha autorizzato

ad abbreviare la vita di malati tenuti in vita artificialmente. Per la prima

volta, nel 1996, un paziente stato autorizzato a morire.

DANIMARCA Il malato inguaribile pu fermare il trattamento medico. Dal 1992

i danesi possono fare un testamento medico che i medici devono

rispettare.

SVEZIA L assistenza al suicidio un delitto non punibile. Il medico pu ,

in casi estremi, spegnere le macchine che aiutano la respirazione.

CINA Nel 1998 il governo ha autorizzato gli ospedali a praticare l eutanasia

per i pazienti in fase terminale di una malattia inguaribile50.

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operatori sanitari, ribadendo ilnoto imperativo etico di Ippo-crate «non darò a nessuno al-cun farmaco mortale neppurese richiestone...», obbligano iloro aderenti all’astensione daogni pratica eutanasica. Il co-dice deontolologico dei medi-ci del 1998 mentre ribadisceall’art.14 che «Il medico deve

astenersi dall’ostinazione intrattamenti, da cui non si possafondatamente attendere un be-neficio per la salute del malatoe/o un miglioramento dellaqualità della vita», all’art. 36insiste che «il medico, anchese richiesto dal malato, nondeve effettuare né favoriretrattamenti diretti a provocar-ne la morte». Molto categoricoè pure il codice deontologicodegli infermieri del 1999, cheall’art. 4.17 afferma che «L’in-fermiere non partecipa a tratta-menti finalizzati a provocarela morte dell’assistito, sia chela richiesta provenga dall’inte-ressato, dai familiari o da al-tri».

Aspetti morali dell’eutanasia

Il manifesto sull’eutanasia(The Humanist, luglio/74) èstato sottoscritto da importantiscienziati e nobel, tra cui JackMonod. Quest’ultimo, convin-to che l’universo e lo stessouomo sono sorti per caso edalla necessità, afferma chel’uomo è arbitro di se stesso,solo in questo mondo senza al-cun riferimento etico e norma-tivo, pertanto «ha diritto a mo-rire con dignità... libero di de-cidere ragionevolmente dellapropria sorte... bisogna fornireil mezzo di morire dolcementee facilmente... quando la vita

ha perduto ogni dignità, signi-ficato, prospettiva d’avveni-re». Melina51 definisce tale af-fermazione una «retorica dellamorte», che si può articolarein retorica sulla morte, qualeoggetto di un discorso formalee vuoto, o un tipico discorsopersuasivo, proprio della reto-rica platonica, che la morte sipropone per convincerci adaccettarla senza impegnarciintellettualmente e filosofica-mente ma puntando sull’emo-tivismo del momento. È untentativo di addomesticare lamorte, mentre occorre precisa-re che la morte è prima di tuttoun fatto e non un diritto: l’uo-mo ha diritto a tutelare e difen-dere la vita che gli è stata do-nata, la morte non è dell’uomoe non deve essere nell’uomo,ma rappresenta qualcosa chesopraggiunge quando meno sel’aspetta.

Il vecchio motto litanico la-tino «A subitanea et improvisamorte libera nos, Domine» in-vece ci chiarisce il significatodi morire con dignità e conse-guentemente il valore e il si-gnificato del «diritto alla buo-na morte», cioè una morte inserenità con se stessi, con glialtri e, se credenti, con Dio, al-leviati da dolori e sofferenze.

Su questa linea si trovano idocumenti del magistero eccle-siale Iura et bona (1980), la re-cente enciclica Evangelium vi-tae (1995) e la Carta deglioperatori sanitari (1995), cheribadisce che il sanitario ha ilcompito di «essere al serviziodella vita e assisterla sino allafine» (n. 148), e che praticandoo ammettendo l’eutanasia «nonè più assoluto garante della vi-ta: da lui l’ammalato deve te-mere la morte» rappresentandoper la ricerca scientifica e perla medicina in particolare «unmomento di regresso e di abdi-cazione, oltreché un’offesa alladignità del morente e alla suapersona» (n.150).

L’uomo contemporaneo con-sidera il dolore e la sofferenzauna realtà misteriosa e difficileda accettare e da vivere.

Di fronte alle sofferenze fi-siche, psichiche o morali,l’uomo tende ad assumere at-teggiamenti disparati:

a) di rifiuto (rifugiandosi nelpiacere, nelle fughe e nelleevasioni)

b) di sopportazione fatalisti-ca (rinuncia alle cure)

c) di lotta contro la sofferen-za, utilizzando ogni soluzionetecnico-medica disponibile

d) valorizzazione, quale stru-mento di crescita personale, dicomprensione del senso dellavita e di accettazione consape-vole come evento biograficopersonale.

Le diverse modalità di af-frontare la sofferenza, il pro-cesso del morire e l’eventomorte dipendono dai riferi-menti:

– antropologici: il signifi-cato assunto dal sostantivopersona, il concetto e la defini-zione di vita e della malattia(malattia come castigo, lamorte come disgrazia e male-dizione), il bagaglio culturaledel soggetto (la morte comegesto eroico, oppure la mortecome fallimento dell’uomo);

– psicologici (approccio co-gnitivo-psicologico): la tragi-cità del distacco da una perso-na cara, favorisce sentimenti dipaura dell’ignoto, l’insorgenzadi meccanismi reattivi di nega-zione e proiezione (il mio pa-rente non è poi così grave co-me un altro, e poi quello è piùanziano, oppure non si è sotto-posto ad una data terapia). Lamorte come evento misteriosoe doloroso viene vissuta comescomoda, ingenerando pure in-capacità di accettazione reali-stica e cioè la sua elaborazione(lutto);

– teologici: in particolare lateologia cattolica considera lamorte come passaggio-nascitaad una vita migliore e momen-to di incontro con la divinità.

Conseguentemente occorreal paziente sofferente o in faseterminale della sua malattiafavorire momenti di sostegno,e di accoglienza della soffe-renza e della morte, in quantola salute, la malattia e la mortesono elementi costitutivi dellafinitudine umana, cioè sonoparte della nostra vita. Occorreconoscerli e comprenderli, ac-cettarli-accoglierli, anzi ren-derli più umani attraverso unapresenza umana attenta e pre-murosa sia dei familiari chedegli operatori sanitari che siadoperano con le loro presta-zioni assistenziali e terapeuti-

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che (cure palliative) ad alle-viare la sofferenza (la presen-za dei familiari e degli opera-tori sanitari diventa ascolto eterapia); il che è essenziale perrendere l’evento morte il me-no doloroso possibile e il piùnaturale.

Quindi una morte meno iso-lata, ma un evento che siacompresenza e compartecipa-zione dei familiari, di un pa-store di anime se il malato èun credente, dei professionistidella salute (medici e infer-mieri), in un ambiente acco-gliente presso il proprio domi-cilio o in strutture adeguate(per es. ospedale o hospice).

Sofferenza e richiesta eutanasica

La malattia comporta soffe-renza e rappresenta una sfidaper la persona, alterando il suovissuto esistenziale: affetti, la-voro, relazioni sociali quali se-gni di travaglio interiore. Ilprimo mutamento, alla com-parsa della malattia, riguardalo status del paziente: da sanodiventa malato ed è spinto adadattarsi ad una condizionenuova che lo porta ad affronta-re problemi interni di tipo psi-cologico e spirituale, ed ester-ni di tipo comportamentale.

Con il sopraggiungere dellamalattia il soggetto deve ripie-garsi sul proprio corpo, deveascoltarlo, controllarlo e co-gliere i messaggi che gli man-da.

La persona di fronte alla sof-ferenza si struttura (o destrut-tura) in una serie di fasi reatti-ve cronobiologiche, con riferi-mento ai meccanismi di difesache caratterizzano ognuna diesse.

Per Kübler-Ross l’approssi-marsi dell’exitus finale è carat-terizzato da una serie evoluti-va di reazioni emotive, nonsempre sequenziali e obbliga-torie:

– un primo momento carat-terizzato dalla fuga nella nega-zione e nell’isolamento, adesempio il malato gira di me-dico in medico nella vana ri-cerca di qualcuno che possafare una diagnosi più favore-vole;

– un secondo momento ca-ratterizzato da una rabbia chesi sfoga contro tutti e dall’in-

terrogativo: perché proprio ame?

– un terzo momento carat-terizzato dal «venir a patti»,cioè dalla negoziazione con ildestino o con Dio;

– un quarto momento carat-terizzato dalla depressione incui la rabbia è sostituita da unsentimento di perdita e di se-parazione;

– infine, se il malato haavuto la fortuna di trovarequalcuno che lo abbia aiutato,è possibile raggiungere l’ac-cettazione della morte.

Così per la Kübler-Rossl’angoscia della morte non èindominabile, ma l’uomo è ingrado di dare un senso anche aquesta esperienza52. A questoproposito risulta interessanteuno studio riportato da Tam-bone e condotto dall’Univer-sità Campus Biomedico circala relazione tra malattia-mortee richiesta eutanasica53. Tuttele richieste eutanasiche risulta-rono motivate dallo stato disalute del paziente: nessuno ri-chiedeva l’eutanasia solo peril desiderio di morire, ma lapratica eutanasica veniva lettacome soluzione al proprio sta-to di sofferenza. In particolarela richiesta di eutanasia eraconnessa a tre fattori: il dolorefisico, lo stato di depressione,la paura di essere di peso allafamiglia, che contribuiscono adiventare dolore totale. Questifattori impongono agli opera-tori sanitari e agli esperti dipolitiche sanitarie tre ordini diriflessioni.

a) Avere la pretesa di riven-dicare il diritto all’eutanasianon può essere considerato ta-le. Infatti le motivazioni alle ri-chieste eutanasiche sono ri-chiami dei pazienti ad essere

ascoltati, sono grida di aiuto.Un desiderio non può conver-tirsi in diritto, così da ottenerela legittimazione pubblica delleazioni e dei mezzi adottati perrealizzarli. Tale tendenza è fa-vorita dall’atteggiamento per-missivo del potere politico che,manipolando gli spazi mas-smediologici, alla ricerca diconsenso popolare, è dispostoa ratificare esigenze personalisupportate dall’emotivismo so-ciale proprio di certe situazioniesistenziali, quali la sofferenza,la paura dell’ignoto e del mi-stero che accompagna la mor-te, piuttosto che farsi promoto-re di norme a difesa di valoriquali la vita. Invece è legittimoil diritto di morire dignitosa-mente, inteso come processoumano naturale che giunge allafine dell’esistenza umana,mentre non può essere consi-derato un diritto il desideriodella morte: un diritto l’abbia-mo nei confronti di una cosa odi un’idea o di una professionedi fede, ma non su un eventoriferito a un’entità indisponibi-le come è la nostra vita.

b) L’ammissione dell’euta-nasia rappresenta la capitola-zione della finalità della medi-cina, che se non proprio a gua-rire almeno deve mirare a cu-rare una persona malata. Lamorte non previene, né cura lamalattia, ma elimina la perso-na: questo rappresenta il depo-tenziamento della presunta on-nipotenza della medicina. Aragione Spagnolo sostiene che«...l’essenza della professionemedica è quella di curare, didare la vita, non distribuire lamorte... la morte... non si con-figura mai come gesto medi-co»54.

c) La richiesta di eutanasiainvece è provocazione per tut-ta l’umanità a rispondere alladomanda di aiuto nei confrontidi dolori insopportabili, dell’i-solamento, dell’indifferenzaaltrui, alla inconsapevolezzadei limiti terapeutici ed assi-stenziali degenerando in for-me eutanasiche o di accani-mento terapeutico. Occorre sa-per affrontare non solo i biso-gni fisici e psichici, attraversoun’adeguata terapia antalgica,ma anche i bisogni spiritualidel paziente favorendo l’ester-nazione a qualsiasi forma diapertura al trascendente55.

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Stato Vegetativo Persistente

A sollevare la questione eu-tanasia o accanimento terapeu-tico è soprattutto lo Stato Vege-tativo Persistente (SVP)56 con-seguente ad un grave insultotraumatico o ad un incidentevascolare del cervello. Il sog-getto, dopo una fase di comapiù o meno prolungato, entrain uno stato clinico che si ca-ratterizza per l’assenza com-pleta delle funzioni degli emi-sferi cerebrali (la corteccia de-putata alla funzione della co-scienza psicologica), mentrerisulta risparmiato il troncoencefalico (che controlla lafunzione respiratoria, cardia-ca, termoregolatrice). Questasituazione può essere transito-ria (entro 30 giorni) con ritor-no dello stato di coscienza;oppure, superati i 30 giorni, siparla di SVP. Quest’ultimopuò essere l’anticamera di unaripresa tardiva della coscienza,con restituzione di solito in-completa delle funzioni, oppu-re l’approdo definitivo del pa-ziente allo Stato VegetativoPermanente, praticamente ir-reversibile quando lo SVP per-dura oltre dodici mesi dopouna lesione traumatica o tremesi dopo una lesione nontraumatica. Il paziente in SVPrespira, deglutisce, reagisce al-la luce e al dolore, ha un ritmosonno-veglia, anche se è instato completo di incoscienza.Quindi si tratta di un individuovivo e non ancora morto. Inquesta situazione clinica, men-tre c’è accordo a non ricorrerea particolari trattamenti, persi-stono divergenze circa le cureassistenziali da apportare inquesti stati per assicurare lasopravvivenza e un certo gra-do di decoro e rispetto del pa-ziente. Faggioni57 sostiene chead oggi non sarebbe possibilel’assoluta irreversibilità trasemplice persistenza e perma-nenza, pertanto interventi assi-stenziali in termini di cura nondovrebbero mai essere inter-rotti. La Pontificia Accademiadelle Scienze58, 59 a tal proposi-to distingue:

– trattamento (treatment): siintende qualunque interventomedico (chemioterapia, radio-terapia) o chirurgico, di diver-sa complessità tecnica e di co-sti economici e umani, dispo-

nibile ed appropriato per trat-tare un dato caso clinico, fina-lizzato alla guarigione, al mi-glioramento o alla stabilizza-zione delle condizioni psico-fisiche di un paziente: nel casodi coma persistente c’è accor-do di non intervenire con trat-tamenti particolari;

– cura (care), cioè ogni in-tervento medico, psicologicoed assistenziale finalizzato amantenere le condizioni psico-fisiche del paziente nel mi-gliore stato fino al momentodella morte. Tra le cure ricor-diamo l’idratazione, l’alimen-tazione, la sedazione del dolo-re e la prevenzione della for-mazione delle piaghe da decu-bito che vanno sempre attua-

te60. D’altronde il magisteroecclesiale si era espresso in talsenso nel 1981, quando defini-va i mezzi minimali obbligato-ri61 quali appunto alimentazio-ne, e ribadiva l’obbligo strettodi proseguire ad ogni costol’applicazione di tali mezzi.

La medicina ippocratica, chespesso gli operatori sanitari di-menticano, sosteneva «medi-cus curat, natura sanat». L’in-tervento terapeutico trova lesue limitazioni proprio quandoil paziente si trova in stato ter-minale e deve lasciare spazio alteleologismo intrinseco dellanatura dell’essere. Nell’otticadel rapporto medico-malato,fondato sull’alleanza dei dueattori, nessuno può predomina-re sull’altro, ma, in virtù delprincipio costitutivo e direttivodella natura umana, il mediconon può prendere iniziative néper accorciare né per allungareinutilmente la vita del paziente,

ormai arrivato alla fine dellasua esistenza. Ma per lo stessoprincipio della coesistenzialitàumana, un paziente non può ri-vendicare il diritto all’eutana-sia, né all’accanimento tera-peutico, ma vige il dovere dellatutela di questa coesistenzialitàsu cui si fonda la società. Lastessa medicina riveste il suocarattere terapeutico nel mo-mento in cui procura salus almalato secondo la legge dellanatura. Nei confronti di unamalattia incurabile, la medici-na offre le sue competenze, e lesue limitazioni non si configu-rano come sconfitte ma ricono-scimento dei suoi limiti costi-tutivi. In questo senso si collo-cano le cure assistenziali pro-

porzionali e le cure palliative.Queste prestazioni sanitarie,pur non apportando la guari-gione, alleviano le sofferenze ea livello simbolico realizzanoquell’essere con gli altri, attra-verso l’essere-accanto, supe-rando il clima solipsistico dif-fuso nel malato terminale, rea-lizzando la coesistenzialità co-stitutiva dell’essere. La mortecosì diventa compartecipazio-ne, cioè esperienza umana rela-zionale.

La citata Dichiarazione sul-l’Eutanasia, Iura et Bona62

(1980) affermava come «nel-l’imminenza di una morte ine-vitabile, nonostante i mezziusati, è lecito in coscienzaprendere la decisione di rinun-ciare a trattamenti che procu-rerebbero soltanto un prolun-gamento precario e penosodella vita, senza tuttavia inter-rompere le cure normali dovu-te all’ammalato in simili casi.Perciò il medico non ha moti-

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vo di angustiarsi, quasi chenon avesse prestato assistenzaad una persona in pericolo».La Carta degli Operatori Sa-nitari del Pontificio Consigliodella Pastorale per gli Opera-tori Sanitari al n. 120 ribadisceche «l’alimentazione e l’idra-tazione, anche artificialmenteamministrate, rientrano tra lecure normali dovute sempreall’ammalato, quando non ri-sultino gravose per lui: la loroindebita sospensione può ave-re il significato di una vera epropria eutanasia».

I sostenitori della qualitàdella vita63, quale parametro disensatezza e di diritto a tratta-menti ad una persona malata,criticano i difensori dell’eticadella sacralità della vita, inquanto intravederebbero nel ri-fiuto all’accanimento terapeu-tico l’assunzione della qualitàdella vita come elemento di-scriminante nelle opzioni tera-peutiche. Però l’errore dellaloro logica interpretativa sta-rebbe nel considerare la sacra-lità della vita in un’ottica ma-terialistica. In realtà i sosteni-tori della sacralità della vitaconsiderano la vita del sogget-to umano come un valore tra-scendentale, che si manifestanella quotidianità in virtù diquella coesistenzialità costitu-tiva di ogni uomo, mentre lacomponente biologica rappre-senterebbe una categoria em-pirica della vita stessa. Così in-teso, il valore vita è distintodal mero rilievo biologico, an-zi lo supera e gli conferisce unorizzonte di senso, e nei con-fronti del malato terminale au-torizza la coscienza moraledell’operatore sanitario ad ab-bandonare le cure sproporzio-nate.

Per quanto riguarda le curesproporzionate, riporto peresteso il n. 120, già preceden-temente citato, della Carta de-gli Operatori Sanitari delPontificio Consiglio della Pa-storale per gli Operatori Sani-tari, che dice:

«Consapevole di non essere“né il signore della vita, né ilconquistatore della morte”,l’operatore sanitario, nella va-lutazione dei mezzi, “deve fa-re le opportune scelte, cioèrapportarsi al paziente e la-sciarsi determinare dalle suereali condizioni”64.

Egli applica qui il principio– già enunciato – della “pro-porzionalità nelle cure”, ilquale viene così a precisarsi:“Nell’imminenza di una morteinevitabile nonostante i mezziusati, è lecito in coscienzaprendere la decisione di rinun-ciare a trattamenti che procu-rerebbero soltanto un prolun-gamento precario e penosodella vita, senza tuttavia inter-rompere le cure normali dovu-te all’ammalato in simili casi.Perciò il medico non ha moti-vo di angustiarsi, quasi chenon avesse prestato assistenzaad una persona in pericolo”65.

L’alimentazione e l’idrata-zione, anche artificialmenteamministrate, rientrano tra lecure normali dovute sempreall’ammalato quando non ri-sultino gravose per lui: la loroindebita sospensione può ave-re il significato di vera e pro-pria eutanasia».

Prof. FRANCO DAVIDE PILOTTO

Dirigente Medico Az. USL 15 Regione Veneto,

laureato in Filosofia e licenziato in Teologia,

Professore a contratto di Bioetica alla Facoltà di Medicina e Chirurgia

Università di Padova e Verona

Note1 E. FROMM, Anatomia della distrutti-

vità umana, trad. it., Milano, 1975.2 P. ARIÈS, Storia della morte in occi-

dente, BUR, Milano, 1998.3 J. MCMANNERS, Morte e illumini-

smo. Il senso della morte nella Franciadel XVIII secolo, Il Mulino, Bologna,1984.

4 M. VOVELLE, La morte e l’occiden-te. Dal 1300 ai giorni nostri, Laterza,Bari, 1986.

5 N. ELIAS, La solitudine del morente,Il Mulino intersezioni, Bologna, 1999.

6 Op. cit., p. 82.7 R. A. MOODY, La vita oltre la vita.

Studi e rivelazioni sul fenomeno dellasopravvivenza, Mondadori, Milano,1977.

8 S. KIERKEGAARD, Accanto ad unatomba, Il Melangolo, Genova, 1999.

9 Op. cit., p. 41.10 Op. cit., pp. 38-40.11 Op. cit., p. 53.12 Op. cit., p. 52.13 Op. cit., pp. 70-71.14 Op. cit., p. 76.15 S. KIERKEGAARD, Il concetto di an-

goscia, Sansoni, Firenze, 1966, p. 9.

16 M. HEIDEGGER, Essere e tempo,Longanesi & C., Milano, 1976, p. 22.

17 Nella filosofia heideggeriana la no-zione di esistenza definisce l’essenzasingolare dell’uomo, che ex-siste standofuori nell’essere. Di questa essenza inda-ga gli esistentivi (i modi in cui l’uomodecide in rapporto alle possibilità alter-native dell’esistenza) e gli esistenziali(le strutture che qualificano l’esistenzastessa, come la situazione affettiva, lacomprensione, l’angoscia), da cui la di-stinzione tra ontico: concreto, contenuti-stico, esistentivo; e ontologico: struttura-le, formale, esistenziale. L’esistenza puòperciò venire intesa come fatticità o da-tità di fatto, come fenomenalità onticaesteriore: l’ente, che è in forza dell’esse-re, esiste in quanto appare e si dà deter-minatamente, nella sua determinatezza econcretezza. Cfr. Essere e Tempo § 4.

18 M. HEIDEGGER, Essere e tempo,Longanesi & C., Milano, 1976 (§§ 45-53).

19 Nel suo libro M. HEIDEGGER, Ilconcetto di tempo, Adelphi, Milano,1998, ribadiva: «Nel mio esistere, infat-ti, io sono sempre “ancora in cammino”.Rimane sempre qualcosa che non è an-cora arrivato alla fine... Prima di questafine, esso non è mai propriamente ciòche può essere; e se lo è, allora non èpiù... La fine del mio esserci, la miamorte, non è qualcosa per cui a un certomomento un decorso continuo di colposi arresta, bensì una possibilità in cuil’esserci comunque sa: è l’estrema pos-sibilità di se stesso, che egli può coglieree fare propria come imminente. L’esser-ci ha in sé la possibilità di incontrare lapropria morte come l’estrema possibilitàdi se stesso. Questa estrema possibilitàd’essere ha il carattere di essere immi-nente come certezza, e tale certezza è asua volta caratterizzata da una completaindeterminatezza... Che cos’è l’avereognora la propria morte? È un precorri-mento dell’esserci che va al suo non-più,come possibilità estrema di essere sestesso che è imminente nella sua certez-za e completa indeterminatezza. L’esser-ci in quanto vita umana è primariamenteun essere-possibile, è l’essere della pos-sibilità del non-più, certo eppure indeter-minato... Questo precorrere non è altroche il futuro unico e autentico del pro-prio esserci» (pp. 48-49).

20 G. MARCEL, Homo viator, Roma,1967, p. 170.

21 L. ALICI, Filosofia della morte, p.92, in AA.VV., La dignità degli ultimigiorni, Cinisello Balsamo, 1998.

22 I. CARRASCO DE PAULA, Morte ce-rebrale: aspetti etico-filosofici, in Medi-cina e Morale, 1993, 5, 892.

23 P. CATTORINI, Sotto scacco. Bioeti-ca di fine vita, Liviana Medicina, Napo-li, 1993.

24 La Commissione Harvard delinea-va pure i criteri di identificazione dellamorte: assenza di ricettività e di respon-sività, assenza dei movimenti spontanei,apnea, assenza di riflessi (cefalici ed ar-tuali), EEG piatto (Ad Hoc Comittee ofthe Harvard Medical School, A defini-tion of Irreversible Coma, in «JAMA» 6(1968), pp. 337-338.

25 A questo proposito è riconosciutal’entità nosografica quale troancoence-falite edematosa, peraltro in alcuni casireversibile con le cure mediche. Questoa conferma della sicurezza dell’assun-zione del criterio di morte cerebrale tota-le, quale parametro per dichiarare mortoun organismo umano.

26 F. D’AGOSTINO, Morte, in F. COM-PAGNONI (ed.), Etica della vita, San Pao-lo, Cinisello Balsamo (Milano), 1996.

27 I. CARRASCO DE PAULA, Op. cit. p.894.

28 G. PERICO, La nuova legge sull’ac-

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certamento di morte, in «Aggiornamentisociali» 45 (1994), pp. 405-416.

29 Carta cit., n. 129.30 K.G. GERVAIS, Redefining Death,

New Haven, Yale University Press,1987.

31 D.R. SMITH, Legal issues leading tothe notion of neocortical death, inDeath: Beyond Whole Brain Criteria, (acura di) Richard M. Zaner, Dordrecht,Kluwer, 1988, p. 129.

32 K.G. GERVAIS, Redefining Death,New Haven, Yale University Press,1987, p. 11.

33 M.B. GREEN – D. WIKLER, BrainDeath and personal identity in Medicineand Moral Philosophy, a cura di Mar-shall Cohen, Thomas Nagel e ThomasScanlon, New Jersey, Princeton Univer-sity Press, 1981.

34 A.E. WALKER – D.M. FENNY –D.A. HOVDA, The electroencephalo-graphic characteristics of the rhomben-cephalectomized cat, in «Electroen-cephalography and Clinical Neurophy-siology», 57 (1984), pp. 158-165.

35 T. KUSHNER, Having a life versusbeing alive, in «Journal of MedicalEthics», 10 (1984), pp. 5-8.

36 H. JONAS, Dalla fede antica all’uo-mo tecnologico, Il Mulino, Bologna,1991, p. 218.

37 J.M. STANLEY, More fiddling withthe definition of death?, in «Journal ofMedical Ethics», 13 (1987), p. 22.

38 K.G. GERVAIS, Redefining Death,New Haven, Yale University Press,1987, p. 175.

39 G.R. GILLET, Why let people die?,in «Journal of Medical Ethics», 12(1986), p. 84.

40 D. LAMB, I confini della vita. Mortecerebrale ed etica dei trapianti, Il Muli-no, Bologna, 1987.

41 J. RACHELS, La fine della vita, Son-da, Milano, 1989, pp. 11-12.

42 G.R. GILLETT, Why let people die?,in «Journal of Medical Ethics», 12(1986), p. 85.

43 Sullo stato vegetativo persistente(SVP) e in particolare sul caso clamoro-so di Nancy Cruzan, che divise l’opinio-ne pubblica USA alla fine degli anni’80: C. MANNI, Sindrome apallica, in S.LEONE, S. PRIVITERA, Dizionario diBioetica, Acireale-Bologna, 1994, pp.904-907; A. PUCA, Il caso di Nancy BethCruzan, in «Medicina e Morale» 42(1992), pp. 911-931.

44 Secondo la dottrina aristotelica l’a-nima (o forma sostanziale) rappresentala forma del corpo, inseparabile ed in-concepibile senza il suo rapporto conl’organismo. D’altronde Boezio defini-sce persona ogni sostanza individuale dinatura razionale, per cui la natura razio-nale non comporta solo ciò che è accer-tabile funzionalmente o empiricamente,ma ciò che è argomentabile razional-mente entro una concezione dell’esseree dei suoi gradi di perfezione. F. Compa-gnoni a tal proposito riprende la teoriaileomorfica e propone una lettura feno-menologica: «Considerato nella sua ma-nifestazione, il corpo dell’uomo non puòessere distinto in contrapposizione all’a-nima. Quello che l’uomo sperimenta nelcorpo umano vivo è l’unità operativadelle sue componenti le quali non sussi-stono, né possno nemmeno esistere nellaloro distinzione. Nel corpo organico citroviamo di fronte non a dei componentichimici o a sistemi parziali, ma a un or-ganismo vivente, che non sussiste se nondurante l’unione integrata dei vari ele-menti e organizzazioni parziali. Ciò per-mette di parlare di una teleologia internaal corpo umano nel senso che ogni partesemplice o complessa è organizzata fi-nalisticamente alla sopravvivenza e albenessere, alla costanza nell’esistenza di

questo corpo. Il principio organizzatore(morphé, entelécheia di Aristotele) èquello che viene chiamato anima nel-l’uomo, e che in questo senso almeno hasì una prevalenza di finalità rispetto alcorpo, ma non certo temporale né spa-ziale. Il corpo umano (Leib) è il risultatodell’azione dell’anima sulla materia;questa mantiene molti aspetti di materia-lità, di corporeità (Korper), ma quelloche esso ha di vivente, e di vivente uma-no, è l’effetto di due concausalità, cheseparate sono pensabili e quindi defini-bili e descrivibili con grande difficoltà...Il fatto stesso che un organismo umanoricambi continuamente attraverso il me-tabolismo le componenti chimico/fisichee rinnovi la maggior parte delle propriecellule senza che con questo si tratti pro-priamente del suo nuovo corpo, è un in-dizio che è la psyché che si produce e simantiene il proprio corpo. Quest’ultimoè lo stesso... in quanto è unito e organiz-zato sempre dalla medesima anima, cheè umana e personalmente individuale...L’anima può quindi divenire termine perindicare quell’aspetto della sostanza-vi-vente-umana cui attribuire la causalitàdell’attività del soggetto: la conoscenzaastrattiva e la volizione di oggetti nonimmediati le si possono attribuire. Il cor-po fisico, invece, può essere termine diattribuzione dell’estensione e quindi del-la possibilità di essere percepito, primasensorialmente, ma in seguito anche co-nosciuto in modo intellettuale»; vedereF. COMPAGNONI (ed.), Etica della vita,San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano),1996, pp. 33-56. Quindi la morte va in-tesa nella sua totalità di sistema integra-to, quale viene considerata in diverse le-gislazioni internazionali: la morte del si-stema nervoso-corpo.

45 M. HEIDEGGER, La cosa, in Saggi ediscorsi, Mursia, Milano, 1976, p. 119.

46 R. LUCAS LUCAS, Antropologia eproblemi bioetici, San Paolo, CiniselloBalsamo (Milano), 2001, pp. 147-148.

47 L’impostazione metodologica delleriflessioni che seguono, hanno presospunto dall’accurata analisi condotta daF. D’AGOSTINO, Bioetica, G. Giappi-chelli Editore, Torino, 1996, a cui si ri-manda per un maggiore approfondimen-to.

48 E. LECALDANO, Questioni etiche suiconfini della vita, in A. DI MEO, C.MANCINA, Bioetica, Laterza, Roma-Ba-ri, 1986.

49 X. THÉVENOT, La bioetica, Queri-niana, Brescia, 1990.

50 Dati ricavati e integrati da L’Anco-ra 6-2001.

51 L. MELINA, Bioetica, Piemme, Ca-sale Monferrato, 1998.

52 F. PILOTTO, Come affrontare la sof-ferenza umana: problemi psicologici edetici, in «Impegno Ospedaliero», XXII,7 (2001), pp. 3-8.

53 V. TAMBONE, Problemi di bioeticae deontologia medica, Società EditriceUniverso, Roma, 2000.

54 A. SPAGNOLO, Perché non condivi-do l’eutanasia, «Le Scienze», 88 (1996),pp. 52-53.

55 M. PORTIGLIATTI BARBOS, Eutana-sia, in «Professione», 7 (2000), pp. 5-9.

56 C. DEFANTI, Stato Vegetativo Persi-stente e Morte Corticale, «Le Scienze»,88 (1996), pp. 40-44.

57 M. FAGGIONI, Stato vegetativo per-sistente, «Studia Moralia», XXXVI/2(1998), pp. 523-552.

58 PONTIFICIA ACADEMIA SCIENTIA-RUM, CHAGAS C. (ed.), Working Groupon the Artificial Prolongation of Life theDetermination of Exact Moment ofDeath, Città del Vaticano, 1985, trad.M. Morgante, L’eutanasia è un crimine,editrice elle di ci, Leumann (Torino),1986, pp. 46-47.

59 Pio XII nel 1950, a proposito delleprestazioni sanitarie da garantire ai ma-lati terminali, prendendo come riferi-mento solo il mezzo distingueva:

– mezzi ordinari (obbligatori): idrata-zione, alimentazione, cure igieniche;

– mezzi straordinari (facoltativi): in-terventi chirurgici, chemioradioterapici,che contribuiscono a determinare dolo-re, rischio e costi eccessivi. Oggi prefe-riamo distinguere:

– mezzi proporzionati– mezzi sproporzionatiprendendo in considerazione non so-

lo il mezzo, ma anche lo stato clinico e ireali benefici che concretamente appor-tano al paziente. Nel caso del paziente inSVP l’idratazione, l’alimentazione e l’i-giene personale costituiscono cure ordi-narie proporzionate, finalizzate ad evita-re l’anticipazione della morte, lasciandoil naturale decorso della malattia di base.

60 S. LEONE, Il malato terminale, SanPaolo, 1996.

61 Pontificio Consiglio «Cor Unum»,Alcune questioni etiche relative ai mala-ti gravi e ai morenti, 27 maggio 1981,Edizioni Dehoniane Bologna, 1982, p.19.

62 Congregazione per la dottrina dellafede, Dichiarazione sull’eutanasia, 5maggio 1980, cap. 4, Edizioni Dehonia-ne, Bologna, 1982, p. 11.

63 M. MORI, Il filosofo e l’etica dellavita, in A. DI MEO, C. MANCINA, Bioeti-ca, Laterza, Bari, 1989, p. 95.

64 Cf. GIOVANNI PAOLO II, A duegruppi di lavoro promossi dalla Pontifi-cia Accademia delle Scienze, 21 ott.1985, in «Insegnamenti» VIII/2 (1985)1082, n. 5.

65 SCongr.DotFede, Dichiarazione sul-l’eutanasia, 5 maggio 1980, in «AAS» 72(1980), p. 551. Cf. EV, 65.

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Testimonianze

Problemi della salutenel Burkina Faso

Il Beato Luigi Tezza,fondatore delle Figlie

di San Camillo

La Pastorale della Salutenell’Arcidiocesi di Managua

Spagna:Dipartimento di Pastorale

della Salute

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Conosco il Burkina Fasodal 1974. L’ho frequentato fi-no al 1980 come superioreprovinciale dei religiosi ca-milliani e successivamente viho vissuto come residente dalsettembre del 1981 al dicem-bre del 1996. Vi ho vissuto co-me sacerdote, ma attento aiproblemi e alle necessità delPaese e delle popolazioni chevi abitano.

Nell’esposizione dell’argo-mento mi limiterò a parlare diquattro aspetti della salute nelBurkina Faso: innanzi tuttodarò alcune informazioni perdeterminare il contesto sanita-rio, in secondo luogo rileveròle influenze del territorio e deldeterioramento ambientalesulle malattie del Paese e infi-ne parlerò della prevenzione edelle cure delle malattie e del-le difficoltà economiche dasuperare per attuare una pro-grammazione globale e siste-matica di lotta contro le ma-lattie.

1. Alcune informazioni per determinare il contesto sanitario del Burkina Faso

Agli inizi degli anni ’90,l’Organizzazione Mondialedella Sanità (O.M.S.) sottoli-neava i seguenti punti preoc-cupanti della situazione sani-taria del momento: il ritornodel paludismo e più general-mente la recrudescenza di di-verse malattie tropicali che sicredevano sradicate; la cecitàendemica di adulti e di bambi-ni in molte zone rurali deiPaesi in via di sviluppo; l’as-senza di una politica farma-ceutica a dimensione mondia-le e una demografia non re-sponsabile con i due aspetticontraddittori dell’invecchia-mento nel Nord e della cresci-ta spontanea nel Sud.

È opinione comune chequesti punti rimangono ancora

preoccupanti. Essi riguardanotutto il mondo; ma non credodi sbagliare affermando che ri-guardano il continente africa-no in modo particolare. LaQuarta Conferenza dei Mini-stri della Sanità dell’OUA, ce-lebrata a Swaziland agli inizidel 1991, ha descritto con vi-gore la «supermortalità africa-na». In tutti i Paesi in via disviluppo, si affermava, le ma-lattie infettive e parassitariesono all’origine di una granparte dei decessi prematuri:l’opinione comune ritiene chein Africa la quota di tali deces-si raggiunga senz’altro la metàdel totale.

Oltre le malattie infettive eparassitarie e il ritorno del pa-ludismo, si deve sottolineareanche il ritorno del colera, cheoltre l’America Latina interes-sa alcuni Paesi dell’Africa, ela dracunlosi o verme di Gui-nea che interessa una ventinadi Paesi dell’Africa.

A questo quadro devo ag-giungere altre malattie chehanno la reputazione di esseremoderne o importate dal Nord.Mi riferisco alla tubercolosi,alla poliomielite, alla meningi-te, al tetano, alla pertosse, alladifterite, al morbillo. Alcune diqueste malattie nei Paesi euro-pei non costituiscono più ungrave problema, mentre nelcontinente africano sono anco-ra mortali (per esempio la me-ningite e il morbillo). Spessosi dice che gli africani nonhanno malattie di cuore perchénon sono sottoposti agli stressdella vita europea. Questaconvinzione è falsa. Sfortuna-tamente le malattie di cuorehanno in Africa una presenza eun avvenire: accanto ai casi dicardiopatie dovute soprattuttoal sottosviluppo, come quelledelle valvole e del muscolocardiaco, si incontrano anchemalattie attribuite allo svilup-po, come l’angina pectoris el’infarto del miocardio. Ricor-do inoltre l’ipertensione arte-

riosa, che interessa dal 10 al15% dell’insieme delle popo-lazioni africane.

Non posso non parlare dellapresenza della malattia del se-colo, l’AIDS. Secondo le indi-cazioni divulgate dalla NonaConferenza Internazionale sul-l’AIDS celebrata a Kampala(Uganda), nei Paesi subsaha-riani questa malattia è in fasedi crescita.

– Oggi nei Paesi subsaharia-ni su 560 milioni di abitanti sicontano 11 milioni di personecon il virus dell’HIV, dei quali7 milioni sono malati concla-mati di AIDS. Ciò corrispondeal 60% dei casi mondiali. Nel-l’anno 1994 sono stati contati2 milioni di nuovi casi, quasisempre per trasmissione etero-sessuale. I più colpiti sono igiovani. La grande differenzafra zone urbane e zone ruralitende a ridursi a causa deglispostamenti crescenti dellepersone. L’aumento della ma-lattia si traduce in sovraccari-co di ricoveri ospedalieri: inalcune città i malati di AIDSoccupano la metà dei posti let-to a disposizione.

– Si possono individuare tregruppi di Paesi nei quali l’in-fezione da HIV infierisce conparticolare intensità. Essi tota-lizzano il 90% dei casi di sie-ropositività africana. Il primogruppo è quello costituito daiPaesi dell’Africa Centrale edell’Est (Uganda, Etiopia,Kenya, Ruanda, Sudan e Zai-re). Sono Paesi dove l’infezio-ne è stata notata già dagli anni’70 e ora vi si rileva più di unterzo dei casi. Il secondogruppo è costituito da Paesisituati ad ovest del continente(Costa d’Avorio, Burkina Fa-so, Ghana e Togo). In questiPaesi si rileva circa il 15% deisieropositivi africani. I Paesidell’Africa Australe (Botswa-na, Malawi, Mozambico,Africa del Sud, Tanzania,Zambia, Zimbabwe) ne conta-no circa il 40%.

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Problemi della salute nel Burkina Faso

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Un punto di riferimento si-gnificativo per indicare lo sta-to di salute di un popolo è l’in-dice della «speranza di vita»,ossia la durata media della vitadi un popolo. A tale propositosono indicativi i seguenti dati:nel 1994, nei Paesi industria-lizzati, la speranza di vita era

di 77 anni; nell’America Lati-na di 68 anni; nell’Asia del-l’Est e Pacifico di 66 anni; nel-l’Africa del Nord e nel MedioOriente di 64 anni; nell’AfricaSubsahariana di 51 anni, manel Burkina Faso di 47 anni.Le differenze della mortalitàinfantile sono ancora più si-gnificative: mentre nei Paesiindustrializzati si deplorano 7decessi per ogni mille bambininati vivi, se ne piangono 38 inAmerica Latina, 84 nell’Asiadel Sud e 107 nell’Africa asud del Sahara. Per quanto ri-guarda la mortalità infantile, lasituazione nel Burkina Faso èmigliore che negli altri Paesisubsahariani: essa è di 89 de-cessi su mille. Questa situazio-ne permane anche se si consi-dera la mortalità dei bambiniinferiori ai cinque anni: men-tre nei Paesi subsahariani con-siderati globalmente il tasso ditale mortalità è di 177 su mil-le, nel Burkina Faso resta a169 su mille.

Gli studiosi delle cause del-le malattie e dello stato di sa-lute dei diversi popoli hannofatto ricerche e confronti suuna trentina di fattori ritenutitradizionalmente indici di sa-lute. Per questa mia relazione,

ossia per comprendere il qua-dro sanitario nel quale è situa-to il Burkina Faso, ritengo suf-ficiente quanto ho esposto.Passo ora a trattare il secondoaspetto, quello delle relazioniche intercorrono tra territorio,deterioramento ambientale emalattie.

2. Territorio, deterioramento ambientale e malattie

In questo secondo punto mipropongo di rilevare alcunerelazioni causali tra territorio emalattie. Secondo una infor-mazione dell’O.M.S., l’80%della morbosità mondiale ècausata da carenza in materiad’acqua e da insalubrità am-bientale. Relativamente daròqualche informazione su terri-torio, acqua e malattie, e sudeterioramento ambientale esalute.

a. Territorio, acqua e malattie

Nella zona equatoriale e tro-picale, il clima caldo e umidofavorisce la pullulazione di al-cune specie di insetti e l’insor-gere delle malattie di cui essisono vettori: la tripanosomia-si, il paludismo e la febbregialla. Nella stessa zona, laproduzione alimentare, benchéregolare, è composta soprat-tutto da farinacei. Ne conse-gue la carenza proteica chepredispone gli abitanti del luo-go alle malattie endemiche.

Nella zona tropicale a sta-gioni alterne la diffusione del-le malattie vettoriali è causata

dalla qualità dell’acqua. Du-rante la stagione secca i postid’acqua divengono rari e l’ac-qua diviene stagnante, trasfor-mandosi in focolai di malattie.Durante il periodo delle piog-ge le erbe crescono e favori-scono lo spostamento dei vet-tori di malattie. Si assiste allo-ra alla recrudescenza del palu-dismo e di diverse altre affe-zioni: la bilharziosi l’oncho-cercosi e la salmonellosi.

Nella zona arida o semiaridasi riproducono gli stessi feno-meni delle zone a stagioni al-terne. Tuttavia questa è caratte-rizzata da una stagione seccapiù lunga e rigorosa e da un pe-riodo più corto di piogge conanni di siccità. Se gli anni disiccità si succedono, la scarsitàdel raccolto produce la malnu-trizione proteico-calorica cheimpoverisce l’organismo edaccresce la ricettività delle di-verse malattie locali, in parti-colare quelle che mettono ingioco l’immunità a mediazionecellulare come il morbillo, legastroenteriti, la tubercolosi ela lebbra. In questa zona, inol-tre, gli sbalzi di temperaturasono responsabili di numeroseaffezioni dell’apparato respira-torio e i venti di sabbia costi-tuiscono un’aggravante per lecongiuntiviti e il tracoma.

La situazione ambientaledel Burkina Faso partecipadelle caratteristiche di questedue ultime zone, particolar-mente al Centro e al Nord delPaese.

C’è chi afferma che l’acquasporca può contenere i germidi oltre venti malattie conta-giose. A questo proposito milimito ad un esempio: le ma-lattie diarroiche.

Le malattie diarroiche – co-me la dissenteria da ameba ebacillare, o la gastroenterite –sono soprattutto malattie in-fantili, molto comuni in questiPaesi. Ogni anno per mancan-za di acqua pulita, esse cause-rebbero la morte a circa 6 mi-lioni di bambini di età inferio-re ai 5 anni. Nelle zone aride osemiaride, la grande concen-trazione umana attorno ai rariposti d’acqua moltiplica i ri-schi delle malattie diarroiche:questi posti d’acqua infatti ser-vono per tutti gli usi.

È in questo contesto che bi-sogna inquadrare la situazione

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sanitaria del Burkina Faso.Nonostante gli sforzi fatti sulpiano dell’igiene e della curadelle malattie, nel Burkina Fa-so il fattore predominante del-l’alta mortalità prematura restala prevalenza delle malattie in-fettive e parassitarie connessecon gli ambienti insalubri el’acqua inquinata; cioè in rela-zione con le malattie diarroi-che, l’ameba e i parassiti inte-stinali. A ciò bisogna aggiun-gere le epidemie di morbillo,di meningite e di paludismo (lapercentuale totale dei decessine attribuisce il 16,42% al pa-ludismo). A queste cause, oggibisogna aggiungere i decessidovuti all’AIDS. Precedente-mente ho situato il Burkina trai Paesi che contengono il 15%dei sieropositivi africani.

Dopo queste considerazionisi può dire che la lotta controle grandi endemie o epidemieche minacciano i Paesi sub-sahariani comincia dalla cono-scenza delle relazioni intercor-renti tra l’uomo, l’ambiente ela malattia. Lo studio di queste«ecologie mediche» permettedi comprendere le differenzedelle prevalenze di una ende-mia e di studiarne la preven-zione e la lotta, anche attraver-so modifiche delle condizioniambientali.

b. Deterioramento ambientale e salute

Il deterioramento ambientalecostituisce un fenomeno che ri-guarda direttamente il BurkinaFaso. Il Burkina Faso, infatti, èun Paese del Sahel, un Paeseperciò minacciato dalla deserti-ficazione. Le cause principali acui si attribuisce la desertifica-zione sono: il supersfruttamen-to delle terre coltivate, il pasco-lo libero, il disboscamento nonpianificato e le erosioni dellepiogge torrenziali o dell’irriga-zione mal fatta.

Tra le cause nominate, il di-sboscamento merita un’atten-zione particolare. Esso dipen-de dallo sfruttamento indu-striale del legno a scopo d’e-sportazione, dal bisogno ener-getico delle popolazioni urba-ne e rurali, dal dissodamentoper bisogno di nuove terre col-tivabili; ma esso implica an-che modificazioni imprevedi-bili dell’ecosistema a livello

locale, regionale e mondiale.Nei riguardi degli effetti

particolari del disboscamentoosserviamo che le modificheche esso produce nell’ecologiaforestale incidono a loro voltasui comportamenti dei vettoridelle malattie. La gente nuovache arriva nelle terre disbosca-te vi introduce nuove malattie.Queste infetteranno facilmen-te gli autoctoni non immuniz-

zati, e viceversa gli autoctonitrasmetteranno le loro malattieai nuovi arrivati. Un esempiodi febbre gialla dovuta al di-sboscamento è stata l’epide-mia che colpì la Nigeria nel1986-87. Morirono 12.000persone e si calcola che i col-piti furono almeno 50.000.

In conclusione posso direche la degradazione del terri-torio influisce direttamentesulla salute quando provocal’apparire di un nuovo fattorepatogeno; vi influisce indiret-tamente quando, provocandol’abbassamento delle disponi-bilità alimentari, un prolunga-mento del tempo lavorativo ola rarefazione di beni essen-ziali, come l’acqua potabile o imateriali da costruzione, causaconseguentemente la debilita-zione delle persone e le predi-spone così a tutte le malattie dicui abbiamo parlato.

3. Prevenzione e cure delle malattie

Quando nel 1958 il dottorCarrol Berohorst lasciò gliStati Uniti per andare a curaregli indiani del Guatemala, siispirava al semplice principioche «le malattie si vincono cu-

rando le malattie». Ma unaquindicina d’anni più tardiesprimeva la sua disillusioneconstatando che i malati, unavolta curati e guariti, tornava-no alla loro povertà e alla loromalattia; bisognava perciò as-sumere una mentalità più largae considerare che la salute esi-ge che la persona abiti in uncontesto ambientale favorevo-le alla salute.

Oggi, per rendere un am-biente favorevole alla salute,si considerano prioritarie le se-guenti condizioni: l’educazio-ne sanitaria, e in particolarequella della donna; l’accessoall’acqua potabile, la bonificadel territorio e la diffusionedelle «cure sanitarie prima-rie». A queste tre condizioniprioritarie si devono aggiun-gere l’igiene alimentare e ilsenso di responsabilità in ma-teria demografica, o meglio inmateria di densità delle popo-lazioni.

Ho nominato per prima l’e-ducazione sanitaria e in parti-colare quella della donna.

Sono le donne, infatti, cheriproducono biologicamente eculturalmente la società. Essesono mamme e allo stessotempo educatrici e infermieredella loro famiglia. Se educatesanitariamente bene, esse mi-glioreranno positivamente icomportamenti sanitari di tuttala famiglia. L’esperienza di-mostra che l’educazione sani-taria delle mamme costituisceun elemento decisivo per lasalute del bambino: nella mi-sura in cui la loro formazionesanitaria cresce, si abbassa im-mancabilmente il tasso dellamortalità infantile in qualun-que situazione socioeconomi-ca la loro famiglia si trovi.

Una condizione ugualmenteprioritaria per la vittoria sullemalattie è la bonifica del terri-torio e l’accesso all’acqua po-tabile. Oltre cento relazioni suquesto tema (Esrey, 1991) di-mostrano che una bonifica diambiente ha ridotto spesso del50% la mortalità infantile do-vuta a malattie diarroiche. Al-cune volte questa percentuale,con il concorso di altre condi-zioni positive, ha raggiuntol’80%. Allo stesso modo unmigliore approvvigionamentod’acqua nelle campagne ha da-to luogo ad una riduzione di

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casi di infestazione di verme diGuinea. In Nigeria, per esem-pio, nel 1989 ne furono dichia-rati 640.000 casi; nel 1991, do-po un miglioramento dell’ap-provvigionamento d’acqua, co-niugato con la cura del male euno sforzo di educazione sani-taria, ne furono dichiarati sol-tanto 282.000 casi.

Il concetto di «cure sanitarieprimarie» è stato definito adAlma-Ata (Russia) nel corsodi una conferenza internazio-nale alla quale partecipavano134 Stati membri dell’O.M.S.Le «cure sanitarie primarie»propongono due tipi di inter-venti: le attività relative allosviluppo economico e sociale,come la promozione di miglio-ri condizioni ambientali, ali-mentari e igieniche; e la diffu-sione di servizi sanitari scienti-ficamente validi e socialmenteaccessibili a tutte le famigliedella comunità. In tale conte-sto la dichiarazione di Alma-Ata raccomandò di favorire lapartecipazione degli abitantidei villaggi sia attraverso lapromozione dell’educazionesanitaria, sia con il ricorso adausiliari sanitari localmente di-sponibili.

Nella stessa occasione furo-no istituite campagne genera-lizzate di vaccinazione controle malattie più frequenti neiPaesi dell’Africa Subsahariana.

Concludo questo punto conuna nota sul problema dellademografia.

In relazione a tale argomentol’Africa si presenta con straneparticolarità: a differenza deglialtri continenti, in essa non sirileva nessuna correlazioneevidente tra l’abbassamentodella mortalità infantile (1960:183; 1994: 89) e l’abbassa-mento della natalità (1960: 49;1994: 47). Ancora più strana èla constatazione che neppurel’istruzione della donna incidein modo significativo sull’ab-bassamento della natalità. Enon è tutto: il tasso attuale del-la crescita delle popolazioniafricane è il più alto del mondoe, allo stesso tempo, la densitàdi popolazione è tra le più de-boli.

Ciò significa che non si puòtrattare della demografia afri-cana limitandosi al problemadella natalità: è necessario do-mandarsi anche se l’Africa è

sufficientemente abitata. Ladensità di popolazione infattiincide sullo sviluppo: senza unminimo di densità, special-mente in agricoltura, non siproduce nessuna pressione in-novatrice.

4. Programmazione sanitaria e limiti economici

Le considerazioni fatte finqui ci danno allo stesso tempoun quadro della situazione egli orientamenti su ciò che sidovrebbe fare per migliorarela situazione sanitaria burki-nabè sia a livello curativo sia alivello preventivo. A livellocurativo essa è stata determi-nata con precisione nelle di-chiarazioni di Alma-Ata e diBamako. Queste raccomanda-vano la divulgazione delle«cure sanitarie primarie» e ladivulgazione delle medicineessenziali con denominazioneoriginaria. Aggiungo che nelBurkina Faso è in atto un pia-no di riorganizzazione sanita-ria attraverso una decentraliz-zazione che intende coinvol-gere direttamente i cittadininella tutela della propria salu-te. Questa riorganizzazioneprevede l’istituzione di regionisanitarie articolate in distrettisanitari.

Un distretto sanitario è co-stituito da un certo numero didispensari e di centri sanitariche fanno riferimento ad uncentro medico, detto «miglio-rato», fornito di poliambulato-ri, sale di degenza, maternità eS.M.I., deposito farmaceuticoe un’antenna chirurgica per icasi urgenti. Questo centromedico «migliorato» è situatonormalmente in un luogo difacile accesso per i dispensarie i centri sanitari periferici. Alivello preventivo, come è sta-to detto nelle pagine preceden-ti, gli esperti in materia pro-pongono come prioritari l’e-ducazione sanitaria, l’accessoall’acqua potabile, la bonificadel territorio, dell’ambiente ele vaccinazioni generalizzate.Tutto ciò rivela che gli africaniconoscono bene la loro situa-zione sanitaria e i rimedi ne-cessari per migliorarla.

Come si spiega allora che«la speranza di vita» resta an-cora intorno ai cinquant’anni?

In altre parole, come si spiegache delle popolazioni africanerimangono ancora deboli? C’èun nostro proverbio che ci dàuna risposta: «La salute nonha prezzo, ma ha un costo», emalauguratamente questo co-sto della salute è superiore alledisponibilità economiche delPaese di cui sto parlando, co-me di tutti gli altri Paesi situatia sud del Sahara. Alcune con-siderazioni ce ne daranno laconferma: il paludismo peresempio costituisce ancora unproblema serio per la salutenel Burkina Faso. Esso è all’o-rigine del 40% delle febbri dicoloro che accedono ai di-spensari. Alcune ricerche sulpaludismo fatte in questo Pae-se ci rivelano che i casi di pa-ludismo diminuirono del 15%negli anni tra il 1973 e il 1981,ma a partire da quella data au-mentarono di nuovo in manie-ra molto rilevante. Le stessericerche ci dicono che un casotipico di paludismo, conside-rando le spese dirette e quelleindirette, viene a costare ilprodotto di 12 giorni lavorati-vi. Se si considera che il sala-rio mensile medio nel Burkinanon arriva a 200.000 lire ita-liane e che i burkinabè salaria-ti non arrivano ad un quintodella popolazione, si ha giàun’indicazione sufficiente perfarsi un’idea delle difficoltàeconomiche che ogni cittadinoburkinabè incontra nella tuteladella propria salute.

Non esamino il costo di al-tre malattie perché le valuta-zioni in questo campo restanosempre poco precise, tuttaviaaggiungo una valutazione ge-

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nerale che feci nel 1993, e cheritengo ancora valida per ilsuo contenuto globale se vieneconsiderata nel nuovo conte-sto. Nel frattempo infatti gliabitanti del Burkina sono au-mentati e la moneta locale haavuto una forte svalutazione.

Situavo la mia valutazionenell’ambito della gestione1991. Il budget nazionale diquell’anno nel Burkina Fasoammontava a 176 miliardi 535milioni di franchi locali. Lapopolazione era di circa 9 mi-lioni. Supponendo per ogniburkinabè una ricetta medicadi 5.000 franchi locali, la som-ma necessaria per pagare lesole medicine ammonterebbeoggi a 45 miliardi di franchi.Questa somma equivale a unquarto della spesa totale delPaese e a 7 volte e mezzo ilbudget totale per la sanità del1991. Evidentemente si è mol-to distanti non soltanto dallesomme necessarie per realiz-zare un progetto globale di bo-nifica, ma anche dai costi dellemedicine quotidiane. Questasituazione del Burkina riguar-da anche altri Paesi subsaha-riani; infatti un’analisi deibudget degli stati africani met-te in evidenza la scarsità deglistanziamenti che i governiafricani riservano per la salute.Il rapporto della Banca Mon-diale del 1985 presenta lastruttura in percentuale dellespese pubbliche totali di 19Paesi africani come segue:

Servizi sanitari 5,6%Servizi collettivi e sicurezza sociale 4,7%Educazione 16%Difesa 11,4%Servizi economici ed altri 62,3%

È evidente che le difficoltàche il Burkina Faso deve af-frontare per la propria situazio-ne sanitaria sono effettive. Enon soltanto i suoi mezzi finan-ziari sono veramente scarsi; sideve aggiungere che niente enessuno incoraggia questoPaese ad assumere i problemisanitari come veramente priori-tari. Alla ricerca di una sua au-tonomia economica, il Burkinaè costretto ad orientarsi piutto-sto verso attività produttive; lebanche infatti concedono le lo-ro facilitazioni solo in relazio-

ne alla capacità di restituzionee alla garanzia che i prestiti sa-ranno adoperati secondo le lo-ro indicazioni.

Si tratta di una situazionedifficile, di fronte alla qualepoco possono realizzare la la-boriosità e la creatività burki-nabè senza un sostegno effi-ciente e importante della soli-darietà dei popoli fratelli. Ènecessario che i Paesi indu-strializzati prendano coscienzache i problemi della bonificadel territorio con l’accesso ditutti all’acqua potabile e l’arre-sto della desertificazione esi-gono l’impegno di tutti gli abi-tanti della Terra, non soltantodegli africani. Se essi non sidecideranno a seguire con de-terminazione la via di un’au-tentica e solidale condivisione,lo stato di salute del continenteafricano resterà debole e vul-nerabile. Ma non si deve di-menticare che tale situazione ele cause che la producono, peresempio la desertificazione,possono avere delle risonanzenegative per tutto il nostro pia-neta.

Concludo con due citazioni,una di un laico e l’altra del Pa-pa: «Nell’economia mondiale– lamenta Bernard Hours, expresidente di Medicus Mundi –vige una gestione planetariadei sistemi sanitari patrocinatadalla Banca Mondiale. Secon-do tale gestione saranno adot-tati sempre più spesso criteri diprofitto. La politica dei donato-ri multilaterali si orienterà ver-so collaboratori ritenuti di fidu-cia e sicuri. Presto una O.N.G.si vedrà concedere la gestionesanitaria di interi distretti e ciò– conclude Hours – non man-

cherà di provocare cambia-menti negli atteggiamenti delleassociazioni che si occupanodello sviluppo sanitario».

Ma i cristiani non possono enon devono condividere que-sta mentalità che sacrifica i di-ritti della persona umana difronte all’utile per l’utile. A lo-ro il Papa ricorda che: «Esistequalche cosa che è dovuto al-l’uomo perché è uomo, a cau-sa della sua dignità e somi-glianza di Dio, indipendente-mente dalla sua presenza omeno sul mercato, da ciò chepossiede, e quindi può vende-re, e dai mezzi di acquisto dicui dispone. Questo qualcosanon deve essere mai disatteso,ma esige piuttosto rispetto esolidarietà (espressione socia-le dell’amore) che è l’unico at-teggiamento adeguato davantialla persona». «I poveri – con-tinua il Papa nell’EnciclicaCentesimus annus – chiedonoil diritto (...) di mettere a fruttola loro capacità di lavoro,creando così un mondo piùgiusto e per tutti più prospero.L’elevazione dei poveri è unagrande occasione della cresci-ta morale, culturale ed ancheeconomica dell’intera uma-nità».

P. RENATO DI MENNA, M.I.

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Il giorno 4 novembre Gio-vanni Paolo II ha elevato al-l’onore degli altari il sacerdotecamilliano Luigi Tezza, fonda-tore delle Figlie di San Camil-lo. Unito alla serie gloriosa de-gli uomini e delle donne che,lungo i secoli, hanno raggiun-to la santità attraverso l’eserci-zio della misericordia versogli ammalati, il nuovo beato sipresenta al Popolo di Dio co-me un interprete originale delcarisma della carità verso chisoffre nel corpo e nello spirito.

Nato a Conegliano (Treviso)il 1º novembre 1842, LuigiTezza morì a Lima il 26 settem-bre 1923. La sua esistenza èstata un lungo, movimentato,autentico pellegrinaggio per lamissione. Dei suoi 82 anni divita, infatti, 42 li trascorse inItalia, 19 in Francia e 23 inPerù. Svariate le attività da luicompiute nell’Ordine dei Mini-stri degli Infermi (Camilliani):fu educatore, responsabile dicomunità, fondatore d’un Isti-tuto religioso, ministro dell’a-more misericordioso verso gliammalati, direttore d’anime eriformatore della vita religiosa.

A Verona e a Roma: il ministero della formazione

Entrato all’età di 15 anni nelseminario camilliano di Vero-

na, ebbe la fortuna di formarsiin un contesto dove la vita re-ligiosa era ritornata allo spiritooriginario del Fondatore SanCamillo, con l’osservanza del-la vita comune perfetta e l’e-sercizio del ministero negliospedali.

Ordinato sacerdote nel 1864,trascorse i primi anni del suoministero presbiterale a Veronae a Roma, impegnato nella for-mazione dei candidati alla vitaconsacrata e sacerdotale.

In Francia: fedeltà e creatività

Inviato in Francia, nel 1871,contribuì in maniera determi-nante allo sviluppo di quellafondazione, iniziata due anniprima. Durante il suo mandatodi superiore provinciale, laprovincia camilliana francesedalla diocesi di Autun si estesea Lione, Lille, Cannes, Théou-le-sur-Mer, Tournai (Belgio).

Allo sviluppo geograficocorrispose anche creatività eampiezza di visione nellescelte pastorali. Fedele al ca-risma camilliano, infatti, ilTezza non esitò a prenderedecisioni che si allontanavanodalla lettera della tradizione,rimanendo però aderenti alsuo spirito. Egli concordavacon l’opinione di uno dei suoimaestri, secondo il quale “daSan Camillo potremo e dovre-mo dedurre la carità, ma imezzi per esercitarla nelle cir-costanze nostre, converrebbeche li apprendessimo dal par-ticolare spirito che il Signorepotrebbe voler infondere neinostri cuori per sovvenire aibisogni presenti”1. Esempiosignificativo di tale discerni-mento dei segni dei tempi èstata la decisione di creare egestire opere socio-sanitarieproprie. Tale modalità, cheera contraria alla tradizionedell’Istituto e alla volontà diSan Camillo, avrebbe avutoun seguito in tutto l’Ordinecamilliano.

Ai vertici dell’Ordine camilliano

Nel 1889 il Tezza venneeletto Vicario, Procuratore eConsigliere generale dell’Or-dine camilliano. Quel ruolo glipermise di influire positiva-mente affinché venisse estesaa tutto l’Istituto la riforma del-la vita religiosa già attuata aVerona e in Francia. Infatti, lavita comune perfetta vennesancita dal Capitolo generaledel 1898 e la cura dei malatinegli ospedali riprese vigorein tutto l’Ordine.

Durante il periodo romano,durato fino al 1898, egli ab-binò alle sue responsabilità diVicario generale una intensaattività pastorale e diede origi-ne alla Congregazione delleFiglie di San Camillo.

L’ospedale: mio vero paradiso in terra

Al Padre Tezza fu chiesto dirisiedere nell’ospedale di SanGiovanni in Laterano, svol-gendo anche, a tempo parzia-le, il ministero di cappellano. ICamilliani vi avevano assuntol’assistenza spirituale nel18362, svolgendo il ministeroin forma esemplare.

In quell’ospedale, il Tezzaebbe modo di esercitare concontinuità il carisma propriodell’Ordine. Negli anni prece-denti, infatti, non gli era statopossibile consacrare moltotempo al ministero diretto coni malati, a causa degli impegninell’attività formativa e di go-verno.

Lo spirito e le linee metodo-logiche che guidavano l’ac-compagnamento spirituale deimalati in quel tempo sono de-ducibili da alcuni manualiscritti da religiosi camilliani.Uno di essi, Practica visitandiinfirmos, pubblicato nel 1630da P. Giacomo Mancini – cheaveva conosciuto personal-mente San Camillo, traman-

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Il Beato Luigi Tezza,fondatore delle Figlie di San Camillo

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dandone lo spirito nel suo vo-lume –, non solo costituiva lasintesi della teoria e prassi del-l’Ordine camilliano in queltempo, ma rimaneva anche“un punto fermo di riferimen-to per gli scritti successivi cheriguardano l’assistenza deimalati”3. Infatti, altri autori ca-milliani del ’600, la cui operaebbe un influsso sull’agire pa-storale fino agli inizi del ’900,erano chiaramente dipendentidal Mancini.

Nel libro del Mancini, ac-canto a tante indicazioni da luisuggerite ai lettori, ormai su-perate, si trovano numerosielementi originali e innovativi.

Molto appropriatamente, eglisottolinea la necessità di unapreparazione specifica all’eser-cizio dell’assistenza spiritualedei malati. Si tratta, infatti, diun ministero che domanda unabuona preparazione non soloteologico-morale ma anchepratica.

Se l’accentuazione della di-mensione sacramentale, pre-sente nell’opera, è rilevante,essa però non toglie spazio néalla necessaria conoscenzadella persona e dei suoi biso-gni né alla considerazione de-gli atteggiamenti interpersona-li e dialogici del sacerdote.L’autore invita l’operatore pa-storale ad armarsi di prudenzae di soavità e a impegnarsi astabilire una buona relazionecon il malato prima di propor-gli la preghiera e i sacramenti.Anche il tono della voce e lostile della conversazione han-no la loro importanza.

Per accompagnare il malatonon occorrono prediche né di-scorsi altamente teologici,bensì suggerimenti veicolaticon tono placido e soave. Puòcontribuire all’efficacia del-l’accompagnamento spiritualeanche il creare un’atmosferaappropriata con musiche ecanti scelti allo scopo e la ripe-tizione di frasi bibliche centra-te sull’amore del Signore.

La relazione pastorale nondeve terminare con la celebra-zione dei sacramenti, bensì ènecessario che continui adopera dello stesso sacerdote odi altre persone.

La visione del Mancini, incui l’assistenza del malato èchiamata ad essere un ministe-ro di consolazione diretto a

tutta la persona, in vista dellasua salvezza, trovava certa-mente un’eco positiva nellospirito del Tezza, sia per la suapersonalità sia per l’educazio-ne che aveva ricevuto. Il suoincontro con i malati era arric-chito da quella sensibilità e af-fettività che dava colore e sa-pore al suo rapporto con lepersone care.

I malati del San Giovannierano diventati poco a poco ibeneficiari della sua caritàpastorale, impregnata di affet-to. Interrogato perché al matti-no, aprendo la finestra dellasua stanza, inspirasse profon-damente, egli rispose che vo-leva riempire il petto del pro-fumo di carità che saliva a luidalle finestre della corsia sot-tostante. Tale reazione echeg-gia quella di San Camillo che,passando vicino all’ospedaledi Santo Spirito, si fermavaper sentirne la fragranza. Inuna lettera scritta alcuni annidopo il Tezza esprimeva ilrammarico di “aver lasciatol’Ospedale, mio vero paradisoin terra”.

Le Figlie di San Camillo

Il progetto, però, in cui ilTezza ha investito le maggiorienergie durante il periodo ro-mano, e che si è mantenuto piùvisibile nel tempo, è stata lafondazione della Congregazio-ne delle Figlie di San Camillo.

Coltivata per lunghi anni, ta-le iniziativa prese l’avvio daun incontro con Giuditta Van-nini (Giuseppina, dopo la pro-fessione), una giovane donnaalla ricerca della propria voca-zione. Insieme a lei, il Tezzatrasmise il carisma camillianodella carità misericordiosa ver-so gli infermi ad altre persone,che lo avrebbero arricchito edampliato. Infatti, dal “troncofecondo e benedetto” dell’Or-dine camilliano prendeva vita,

sviluppandosi poi autonoma-mente, il germoglio di unanuova Famiglia religiosa.

Lo stretto legame tra l’Ordi-ne camilliano e la Congrega-zione delle Figlie di San Ca-millo non vuole però signifi-care che il Tezza e la Vanniniabbiano compiuto una sempli-ce trasposizione del carisma diSan Camillo, travasandolo,per così dire, da un istituto al-l’altro.

Certamente, il carisma diSan Camillo costituisce lagrande riserva di energia spiri-tuale, da cui i due Fondatoriattingono generosamente l’i-spirazione e la particolare mo-dalità di fare esperienza del Si-gnore. Ma, come un fiume chetrae la sua origine da un lago,s’incammina per percorsi pro-pri e originali, così il carismacamilliano, assimilato dal Tez-za e dalla Vannini, assume ca-ratteristiche originali, grazieall’influsso di molteplici fatto-ri di ordine personale, storicoe culturale.

Limitando la sottolineaturaad uno dei tratti di tale origina-

lità, potremmo dire che, attra-verso l’Istituto fondato dalTezza, il carisma camilliano èvissuto al femminile, con tuttociò che questo comporta di si-gnificativo4.

Già San Camillo, invitandoi suoi religiosi a servire i mala-ti con cuore di madre, avevaavuto l’intuizione che la curadegli infermi deve fare appelloa quelle qualità e a quegli at-teggiamenti che sono tipici delgenio femminile: la ricettività,la disponibilità, la tenerezza,l’accoglienza, la capacità diascolto, l’intuizione, la sensi-bilità nel cogliere le situazioni,l’attitudine a farsi carico deiproblemi altrui, l’inclinazionea offrire il proprio aiuto...

Significativa resta una rego-la da lui redatta: “Prima ognu-

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no domandi grazia al Signoreche gli dia un affetto maternoal suo prossimo, acciò possia-mo servirlo con ogni carità co-sì dell’anima come del corpo,perché desideriamo con la gra-zia di Dio servire a tutti gli in-fermi con quell’affetto chesuole un’amorevole madre alsuo unico figlio infermo”.

Nella Congregazione fonda-ta dal Tezza, questo aspettodel carisma camilliano vieneapprofondito e dilatato. Allesue Figlie, egli domanda d’in-contrare nel malato lo Sposo – l’infermo, non è forse iconadi Cristo? – e di servirlo concuore di madre.

Alcune espressioni dellaMulieris Dignitatem di Gio-vanni Paolo II consentono dicomprendere la profondità el’attualità del messaggio delTezza. Se “Dio affida ogni uo-mo a tutti e a ciascuno”, affer-ma il Papa, “questo affida-mento riguarda in modo spe-ciale la donna – proprio a mo-tivo della sua femminilità – edesso decide in particolare dellasua vocazione” (n. 30). Questovale soprattutto in un contestosocio-culturale in cui i succes-si della scienza e della tecnica,favorendo un progresso diso-mogeneo, possono “comporta-re anche una graduale scom-parsa della sensibilità per l’uo-mo, per ciò che è essenzial-mente umano. In questo senso– continua il Pontefice – so-prattutto i nostri giorni atten-dono la manifestazione di quel‘genio’ della donna che assicu-ri la sensibilità per l’uomo inogni circostanza: per il fattoche è uomo!” (ibid).

Dando vita ad un nuovo Isti-tuto religioso, il Tezza ha of-ferto alla Chiesa un forte ri-chiamo a rendere più viva esensibile l’attenzione alle per-sone nelle quali il Cristo conti-nua a vivere, nel tempo, la suapassione.

È quanto ha espresso in unilluminato discorso alle Figliedi San Camillo Giovanni Pao-lo II: “Il vostro carisma delservizio ai malati che vi distin-gue nella Chiesa, anche in for-za di un quarto voto, è un donoe un compito che vi colloca alcuore della vita e della missio-ne della Chiesa, che è Sacra-mento, segno e strumento cioèdell’amore di Dio verso tutto

l’uomo e tutti gli uomini, conparticolare attenzione ai picco-li, ai malati, ai peccatori”5.

La Chiesa non ha forse biso-gno di sviluppare in misurasempre più intensa e significa-tiva la dimensione mariana,fatta di “silente vicinanza neldolore”, di grandezza che si faaccoglienza e servizio verso ipoveri, i deboli, le vittime del-la malattia e della morte?

L’impegno di donne consa-crate è tra i più idonei a rispon-dere a tale necessità. “La Figliadi San Camillo, infatti, rappre-senta quella Madre Chiesa cheaccoglie e circonda di attenzio-ni gli afflitti e i deboli, che cer-ca con ogni premura di solle-vare gli indigenti, servendo inloro lo stesso Cristo. In tal mo-do contribuisce ‘al bene e allapromozione di tutta la famigliaumana le cui gioie e speranze,tristezze e angosce trovano econel suo cuore’6.”

Attraverso la presenza e l’o-pera delle sue amate Figlie, ilcarisma del Tezza, e dellacofondatrice Giuseppina Van-nini (proclamata Beata nel1995), ha raggiunto 17 paesi inquattro continenti.

Affrontando le sfide delmondo della salute e della sof-ferenza attraverso una varietàdi ministeri, sulla scia dei loroFondatori, le mille Figlie diSan Camillo offrono un effica-ce contributo all’evangelizza-zione attraverso la via dellacarità misericordiosa e sonoun richiamo costante alla pre-senza di Cristo in chi soffre.

La missione a Lima

Terminato il suo mandato diConsigliere generale, nel 1898il Tezza torna in Francia. Sitratterà di un breve soggiorno,perché due anni dopo saràchiamato ad andare in Perù inqualità di visitatore generaledella comunità camilliana diLima.

Nella capitale peruviana icamilliani, presenti da pocopiù di due secoli, avevano in-tessuto una storia ricca di lucie di ombre. Sempre fedeli alcarisma camilliano, si eranodedicati con grande ardore alservizio dei malati gravi e mo-ribondi, impegnandosi anche alivello accademico nell’uni-versità cittadina. Purtroppo le

travagliate vicende politichedel continente sudamericano eil distacco da Roma, volutodalla monarchia spagnola, nonmancarono di suscitare nume-rose crisi e un certo degradonell’osservanza della vita reli-giosa.

Quando nel 1897 la fonda-zione peruviana si unì nuova-mente a Roma, era necessariala presenza e l’azione di qual-cuno che indicasse i passi dacompiere per il ritorno ad unostile di vita conforme alle esi-genze religiose. Il Padre Tezzafu scelto per questa missione.

Nello svolgere questo com-pito egli mise a frutto le ricchedoti della sua personalità, chela lunga esperienza di forma-zione e di governo avevano af-finato, armonizzando felice-mente dolcezza e fermezza,comprensione e confronto. Ilprogetto di riforma ebbe unesito felice, riportando la co-munità camilliana al suo pri-mitivo spirito.

Il progetto di riforma delTezza, infatti, non era solo ri-volto all’interno della comu-nità. Egli puntava anche a ri-conquistare quel prestigio mo-rale di cui la comunità avevagoduto nel passato presso lapopolazione.

Forte dell’esperienza vissu-ta in Italia e in Francia, il Tez-za si impegna quindi a poten-ziare il già lodevole servizioprestato dai religiosi nell’assi-stenza dei malati nelle caseprivate, promuovendo anchequello esercitato negli ospeda-li. Si era, infatti, reso contoche in nessun luogo d’Europa“il nostro ministero era cosìben compreso ed apprezzato”come a Lima.

Osservando il vasto campodi lavoro nel mondo della sof-ferenza e della salute, egli ela-bora un piano ambizioso, con-sistente nella istituzione di unacappellania in grado di rispon-dere alle necessità pastoralidei cinque ospedali e ospizidella città. Ciò avrebbe con-sentito di ripristinare il presti-gio dell’Ordine in Lima. L’i-dea piace alle autorità eccle-siastiche e l’invio, nel 1902, disei confratelli dall’Europa lorende fattibile.

Le domande di avere i ca-milliani come assistenti spiri-tuali negli ospedali non si fan-

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no attendere: l’ospedale mili-tare nel 1901, gli ospedalifrancese e italiano nel 1902;nel 1903 è la volta del Dos deMayo con 600 letti, nel 1905del S. Anna con 500 letti, nel1904 del Rifugio degli incura-bili con 200 letti. Dalla casadella Buenamuerte la caritàcamilliana raggiunge i princi-pali luoghi del dolore per por-tarvi sollievo e garantire l’ac-compagnamento spirituale.

L’assistenza negli ospedaliera accompagnata da quellanelle case private. San Camil-lo chiamava questo ambito delministero il mare magnum,campo sterminato d’azione. InEuropa i camilliani eranochiamati i padri del bel mori-re. Anche il titolo dato alla ca-sa di Lima – il convento dellaBuenamuerte – sottolineaval’importanza data all’assisten-za dei morenti, soprattutto adomicilio. Si trattava di un la-voro apostolico molto esigen-te, tenendo conto del numerolimitato dei religiosi. I parrocilasciavano volentieri questoministero ai camilliani, per cuile chiamate erano numerose eprovenienti dalle “quattroestremità della città”.

Il Tezza non si è limitato apotenziare l’assistenza spiri-tuale dei malati della città, rea-lizzando un progetto intelli-gente ed efficace che consenti-va di raggiungere molte istitu-zioni sanitarie e innumerevolidomicili, ma si è anche coin-volto direttamente nel serviziodegli infermi, dimostrando ditrovarsi a casa sua in questo ti-po di apostolato, anche se essonon è stato il ministero da luipiù esercitato.

Già nel 1901 è documentatoil suo ministero in un Lazza-retto della città, che raccoglie-va le vittime del vaiolo e dellafebbre gialla. Vi andava tutti igiorni, mettendo in pratica ilquarto voto con il quale si eraobbligato a servire i malati an-che con rischio della vita. Lasua carità trasformava quelluogo rifuggito dai più in unsuo “giardino di riserva”, dovepoteva trovare sollievo.

Più tardi si occupò dell’assi-stenza dell’ospedale italiano edi un carcere. Dai registri deibattesimi è documentata la suapresenza anche nell’ospedaleDos de Mayo.

A questo ministero nelleistituzioni sanitarie aggiunge-va la visita nelle case private.Dal registro delle visite deglianni 1908-1914 risulta cheegli incontrò 1192 malati nellecase private. Qualche volta ar-rivava a visitare fino a 11 ma-lati al giorno in diverse partidella città.

Non esitava ad entrare neicosiddetti callejones, che co-stituivano l’habitat comune agran parte della popolazione.Si trattava di agglomerati diabitazioni intorno ad un corri-doio comune, al termine delquale vi era un solo distributo-re d’acqua e un solo servizioigienico per tutte le famiglie.Molto spesso, in questi luoghifunestati dalla povertà prospe-ravano l’alcolismo, l’ignoran-za, la promiscuità, i conflitti.Le abbondanti elemosine chericeveva dai suoi penitenti an-davano abitualmente a termi-nare in quelle famiglie abban-donate, trasformandosi in ci-bo, vestiti e medicine.

Direttore spirituale

All’assistenza ai malati, aLima egli abbinò anche un’in-tensa attività d’accompagna-mento delle persone attraversoil sacramento della riconcilia-zione e la direzione spirituale.

Accanto alle confessioninella Chiesa del convento enegli ospedali, che lo occupa-vano per molte ore, egli disim-pegnava il compito di confes-sore di molti Istituti religiosifemminili e di collegi. L’arci-vescovo Mons. Tovar lo vollepadre spirituale dei candidatial sacerdozio nel SeminarioConciliar di S. Toribio.

Molti religiosi e laici lo cer-cavano per la direzione spiri-tuale. Allo svolgimento diquesto ministero lo abilitava-no sia le sue qualità personaliche la preparazione dottrinale.Il suo carattere dolce e affabi-le, unitamente alla sicurezzadei principi e alla prudenza deiconsigli, gli guadagnava la sti-ma e la fiducia della gente. Amolti testimoni del processo diLima, la figura e il modo di in-teragire del Tezza ricordavanoSan Francesco di Sales.

Non mancavano, infatti, af-finità con il santo vescovo diGinevra. In ambedue vi era la

convinzione che l’efficaciadella grazia di Dio, trasmessaattraverso il sacramento dellariconciliazione e l’accompa-gnamento spirituale, dipende,seppure in maniera non deter-minante, anche dalle qualitàumane del confessore o diret-tore di spirito. L’accettazione,il rispetto, la comprensione ela compassione, infatti, si tra-sformano in veicoli dell’amo-re misericordioso del Signore,rendendolo più credibile agliocchi del penitente.

Nella Chiesa locale

Anche a livello di Chiesa lo-cale, l’azione del Tezza è statarilevante. Il prestigio acquista-to presso le autorità ecclesia-stiche è documentato da unaserie di incarichi importantiassegnatigli: membro del Con-siglio di Amministrazione del-la diocesi nel 1902; Consulto-re del Concilio provinciale diLima nel 1909; membro delConsiglio di Vigilanza delladiocesi nel 1910; infine, Con-sultore teologo dell’Assem-blea episcopale nel 1919,quando stava per raggiungeregli 80 anni.

Il passaggio all’altra riva

L’itinerario esistenziale delTezza terminò il 26 settembre1923. Egli si spense dolcemen-te dopo una lunga malattia.

La morte del Tezza ebbeuna risonanza in tutta la cittàdi Lima. Anche se da alcunianni egli viveva nell’isola-mento dell’infermità, la parte-cipazione ai funerali superòogni attesa. Erano presenti au-torità religiose e civili e i rap-presentanti di tutti gli Istitutireligiosi.

La scomparsa del Tezza ful’occasione per dare vocepubblica al riconoscimentodel valore della sua persona edella santità della sua vita. Trale espressioni più ricorrentiemergeva quella che lo pro-clamava “l’apostolo di Lima”.Coloro che lo avevano cono-sciuto più da vicino, comeconsigliere o direttore spiri-tuale, non esitarono a esaltar-ne la santità. Il convincimentoche il Tezza avesse raggiuntola perfezione della carità siestese poco a poco anche nel-

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l’opinione pubblica, resisten-do all’usura del tempo.

In viaggio... anche dopo la morte

Le spoglie mortali del Tezzafurono trasportate dal cimiterodi Lima a Buenos Aires, nellacappella della comunità delleFiglie di San Camillo di quellacittà. Il convoglio partito dallacapitale peruviana giunse aBuenos Aires il 24 gennaio1947, accolto con gli onori ci-vili e militari.

Il 15 dicembre 1999, ebbeluogo un’ulteriore traslazionedella salma, da Buenos Aires aGrottaferrata (Roma), nellaCasa generalizia delle Figliedi San Camillo, dove già ripo-sano le spoglie mortali dellaBeata Giuseppina Vannini.

Tale vicinanza è simbolosuggestivo di quell’amore tan-to ricco umanamente e tantospiritualmente profondo cheaveva mantenute unite questedue persone nella realizzazio-ne di un comune progetto: ilservizio all’uomo sofferente,icona di Cristo.

Il filo d’oro: la spiritualità

La vita del Beato Tezza èstata movimentata e segnatada avvenimenti sconvolgenti.A Verona (1866), a Roma(1870), in Francia (1880) egliha conosciuto i drammaticimomenti della soppressionedegli Istituti religiosi. Più tar-di, a Roma, ingiuste accuse lohanno separato dalle Figlie diSan Camillo. Inoltre, l’attivitàlavorativa era talmente intensada causare dispersione.

In mezzo a questo turbiniodi esperienze e di lavoro egli èriuscito a unificare la sua vitagrazie al filo d’oro di una riccaspiritualità.

Solo a Gesù crocifisso

Lo sfondo su cui si disegnatutta la sua vita spirituale è co-stituito dall’abbandono al Si-gnore e alla sua volontà. Su ta-le sfondo emerge la croce, at-traverso cui il Cristo realizzò ilpiano di salvezza voluto dalPadre. Essa occupa uno spaziorilevante nella vita spiritualedel Tezza, come l’aveva occu-pato in quella di San Camillo.Il fondatore dell’Ordine ca-milliano aveva fissato nel vo-ler vivere “solo a Gesù croci-fisso” l’obiettivo fondamenta-le della sua esistenza.

Ciò che lega la personaumana alla croce è la soffe-renza nelle sue moltepliciespressioni. Nell’esperienzadel dolore, il Tezza ha vistouna delle strade maestre perunirsi al Cristo e imitarlo nelsuo amore7.

Anche in questo egli si ponesulla scia del suo Fondatore. Ilcontatto con il francescanesi-mo aveva indicato a Camillola strada dell’adeguamento aCristo attraverso una vita dipenitenza, per cui i patimenti

personali – non solo quelli im-plicati nella morte a se stessi,ma anche quelli fisici – costi-tuiscono un mezzo efficaceper imitare Gesù sofferente.Camillo non abbandonerà maitale percorso, ma lo approfon-dirà progressivamente.

Seguendo l’esempio delFondatore, il Tezza rapportacostantemente alla croce gliaspetti negativi della propriavita – lutti, momenti di depres-sione, conflitti fuori e dentro lacomunità... –, nella convinzio-ne che, uniti alle sofferenze diCristo, essi non mancherannodi produrre frutti. È questo unmotivo ricorrente nelle sue let-tere. Un motivo appreso anco-

ra da giovane e sempre rimastovivo nella sua coscienza.

Il soffrire non solo unisce aGesù, ma diventa anche sor-gente di atteggiamenti di com-passione, comprensione e par-tecipazione alla sofferenza de-gli altri, trasformando la per-sona in un buon samaritano.In questa prospettiva, il feritodiventa anche guaritore.

Anche nel Tezza sono pre-senti i frutti di una integrazio-ne riuscita del proprio soffrire,per cui a ragione egli può es-sere definito un guaritore feri-to, cioè una persona capace ditrasformare l’esperienza per-sonale del dolore in fonte diguarigione per gli altri. E taleintegrazione delle proprie feri-te è da considerarsi come unodei fattori più importanti checoncorrono a spiegare la suasensibilità verso i sofferenti.

Un “Cuore” ardente di amore

Unendosi al Cristo crocifis-so, il Tezza incontra la fontedell’amore, simboleggiata dal-l’immagine del cuore. La de-vozione al Cuore di Gesù, che

nell’800 si era affermata vigo-rosamente, diventa così unelemento importante per vive-re ed esprimere la sua spiritua-lità.

Egli avvertì subito che taledevozione trovava una riso-nanza positiva nel suo spirito.Infatti, ben ancorata su solidebasi teologiche, essa facevaappello anche alla dimensioneaffettiva, tanto sviluppata nel-la sua personalità.

Il Cuore di Gesù diventa illuogo dove egli vuole abitare ecrescere, trovando rifugio econsolazione nei momenti didifficoltà, e dove avviene l’in-contro con gli altri, in modoparticolare con le sue Figlie. Il

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suo amore per esse, infatti, “hacome unica sorgente” il Cuoredi Gesù e “per unico alimentoil suo inesauribile amore”8.

Se vari sono i modi che con-sentono di entrare nel cuore diGesù, quello che il Tezza pri-vilegia è l’Eucaristia. Attra-verso quel sacramento le ric-chezze dell’amore di Dio ven-gono trasmesse alla creaturaumana, trasformandola.

Amore soprannaturale

La devozione al Cuore diGesù consente al Tezza di svi-luppare, anche se in modoframmentario, una ricca spiri-tualità delle relazioni interper-sonali e dell’amicizia, colle-gandosi così con grandi figuredi santi e sante del passato, tracui Francesco di Sales. “Nelcuore adorabile del DivinMaestro, egli scrive alle Fi-glie, sia il nostro continuo ri-trovo dove fin d’ora possiamopregustare un saggio dolcissi-mo dell’amore che beatifica edove sono e sarò sempre”9.

Il Tezza avvertiva che, vis-sute nel Cuore di Gesù, le rela-zioni interpersonali e l’amici-zia vengono impregnate diamore soprannaturale o aga-pe, che non distrugge l’affetti-vità, bensì la purifica e la su-blima.

Viste in questa luce, acqui-stano un significato tutto parti-colare le qualità che caratteriz-zavano il Tezza nei suoi rap-porti interpersonali. L’esorta-zione del Cristo: “Imparate dame che sono mite ed umile dicuore”, è forza trasformantedel suo carattere e del suo vi-vere le relazioni con gli altri.

Anche la fraternità, vissutadalle sorelle nelle comunità,deve abbeverarsi alla fontedell’amore di Cristo: “Siate uncuor solo ed un’anima sola nelCuore Sacratissimo di Gesù.In questa unione troveretesempre, con l’abbondanza del-le consolazioni, forza e corag-gio10.

Contemplativo nell’azione

L’unione con il Signore,mediata da una profonda de-vozione alla Vergine, raggiun-ta attraverso la preghiera e fa-vorita da una sana ascesi, spin-geva il Tezza a volgersi verso

il prossimo con amore genero-so. Il ministero da lui compiu-to è quindi da vedersi comeuna espressione significativadella sua spiritualità.

Nel servire i malati, nell’ac-compagnare spiritualmente iconfratelli e le persone che alui si rivolgevano, egli facevaesperienza di Dio. In questoegli trovava un sommo mae-stro in San Camillo, per il qua-le il servizio prestato al malatosi trasformava in un atto diculto reso a Dio. Nella visionedi fede del Santo, il malato di-ventava sacramento della pre-senza di Cristo. In lui, Camillovedeva riaperte e doloranti lepiaghe del suo Crocifisso Si-gnore.

Questa dimensione misticadel servizio al malato facevadel Tezza un contemplativonell’azione.

“Additare la santità”

All’inizio del nuovo millen-nio, emerge discreto e corag-gioso l’invito di GiovanniPaolo II a programmare la pre-senza e l’azione della Chiesanel mondo “nel segno dellasantità”11.

Ideale di perfezione a cuitutti sono chiamati, la santitànon comporta uno stile di vitaeccezionale, bensì la capacitàdi vivere la propria vita ordi-naria, penetrandola intensa-mente dei valori evangelicidella giustizia, della pace, del-la riconciliazione, dell’amore.

Insieme agli altri beati esanti, Luigi Tezza, con la suavita e la sua testimonianzapresenta “una misura alta del-la vita cristiana ordinaria”12. In

questo risiede l’aspetto piùprezioso della sua eredità spi-rituale.

Se per la sua scelta di vita ilTezza parla in modo particola-re alle persone consacrate, ilsuo messaggio però riesceugualmente significativo pertutti i cristiani e gli uomini dibuona volontà, soprattutto perquanti tra di loro sono impe-gnati nel mondo della soffe-renza e della salute.

Dalla sua testimonianza divita, infatti, giungono messag-gi semplici e profondi che ri-suonano positivamente nelcuore e nello spirito di chi vi-ve a contatto con la sofferenzae lavora per la promozionedella salute.

Sono inviti a mantenere vi-va e calda la propria umanità,ad amare la vita e a rispettarela persona umana resa fragiledalla malattia, a trovare neldono generoso di sé la ricom-pensa del proprio agire. A di-ventare consapevoli che unasola è la risposta all’amore diDio: l’amore.

P. ANGELO BRUSCO, M.I.Professore all’Istituto Internazionale

di Teologia Pastorale Sanitaria “Camillianum”

Note1 APL, 280/274.2 Cfr. M. VANTI, Cento anni dei CC.

RR. Ministri degli Infermi nell’Arcispe-dale del SS. Salvatore a S. Giovanni inLaterano, 1836-1936, Roma, 1936.

3 E. SAPORI, L’opera “Practica visi-tandi infirmos” del Padre Mancini Gia-como M.I. – Una proposta di pastoralesanitaria nell’Italia del seicento, in “Ca-millianum”, 22 (2000), p. 311.

4 Cfr. C. PETRETTO, Il femminile delcarisma camilliano, in “La vita consa-crata nel mondo della salute, gesto e an-nuncio del vangelo della misericordia”,Quaderni del “Camillianum”, n. 4, Ro-ma, 1992.

5 Gli insegnamenti di Giovanni PaoloII, Vol. XIII,1 (1990), 1991, p. 815.

6 R. PESCE, Le Figlie di San Camillo,in A. BRUSCO, F. ALVAREZ, La spiritua-lità camilliana. Itinerari e prospettive,Camilliane, Torino, 2001, p. 422.

7 Cfr. G. TERENGHI, La croce di Cristonell’esperienza spirituale di San Camillode Lellis, Camillianum, Roma, 1996.

8 AFSC 1A 087.9 AFSC 1A 082.10 AFSC 1A 064.11 Novo millennio ineunte, Lettera

Apostolica al termine del Grande Giubi-leo dell’Anno 2000, n. 30.

12 Ibid., n. 31.

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Per Pastorale della Saluteintendiamo l’azione evange-lizzatrice di tutto il popolo diDio, impegnato nel promuo-vere, curare, difendere e cele-brare la vita, rendendo presen-te la missione liberatrice e sal-vifica di Gesù.

Per realizzare questa mis-sione, nell’Arcidiocesi di Ma-nagua ci sono due commissio-ni che lavorano in modo parti-colare nel campo della salute.La prima è la CommissioneArcidiocesana di PromozioneSociale (COPESA), che haprogrammi di salute, di abili-tazione per agenti comunitari,levatrici od ostetriche, di at-tenzione medica, donazione dimedicinali, attenzione alle vit-time di fenomeni naturali, ecc.

La seconda è la commissio-ne di pastorale dei malati e de-gli ospedali che ha un pro-gramma pastorale per gli anni2001-2003.

Nella prima parte riferiremosui lavori realizzati dalla com-missione di promozione socia-le dal 1996 al 2001. Nella se-conda presenteremo il pro-gramma pastorale 2001-2003della commissione di pastora-le dei malati e degli ospedali.

I. RAPPORTO DELLAVORO REALIZZATO NEGLI ANNI 1996-2001

Caratteristiche generali

Il Nicaragua è situato nell’A-merica Centrale. La sua popo-lazione è stimata in 4.806.700abitanti ed è composta mag-giormente da bambini (il 45%della popolazione ha meno di15 anni).

Il 59% del territorio nazio-nale è occupato principalmen-te da insediamenti urbani (lo-calità con oltre mille abitanti equalche infrastruttura di svi-luppo sociale).

La casa è l’unità familiare incui i nicaraguensi si organiz-

zano per supplire alle proprienecessità morali, spirituali emateriali. Il 31% dei capi fa-miglia sono donne le qualiprendono le principali decisio-ni nella casa, i cui membri so-no in media 5,5 persone.

Non tutte le case sono dota-te di servizi igienici e sanitari;il 64% dispone di acqua pota-bile attraverso la rete pubbli-ca; poco meno di un quartodelle abitazioni eliminano gliescrementi in condizioni ac-cettabili.

Negli ultimi anni, la morta-lità dei bambini al di sotto deicinque anni è diminuita del60%; ciò nonostante, nell’arearurale il 32 per mille dei nativivi muore per malattie infetto-contagiose. L’attenzione prena-tale e al momento del parto èprestata da personale profes-sionale soltanto al 60% dellepartorienti.

Le malattie più comuni inquesta età sono le infezioni re-spiratorie acute, la diarrea, ladenutrizione, i problemi dellapelle. Esse costituiscono unadelle priorità del Ministerodella Sanità.

La media nazionale del tas-so di analfabetismo, nella po-polazione di 10 e più anni dietà, è di 24,6% e raggiunge il24,8% nella popolazione rura-le, fattore questo fortementeassociato alle cause principalidi malattia e di morte.

L’analfabetismo o l’istruzio-ne insufficiente sono fattoricondizionanti della mortalità edella morbilità in generale,perché pregiudicano la perce-zione delle malattia, l’efficaciadelle misure terapeutiche, il ri-conoscimento per tempo dellecomplicazioni, la comprensio-ne delle istruzioni e la possibi-lità di leggere indicazioni eraccomandazioni.

Secondo gli indici di po-vertà, il 48% dei nicaraguensisono poveri e una parte di que-sti, equivalente al 17% dellapopolazione del paese, sono al

di sotto della soglia di povertà.Le politiche pubbliche mes-

se in atto negli anni ’90 hannoavuto come obiettivo la dimi-nuzione della spesa pubblica,per ridurre il deficit fiscale. Atali condizioni, la partecipa-zione di diversi organismi nelcampo sociale ha dato prioritàsoprattutto all’educazione ba-silare con diverse alternativeformali e non formali, il con-trollo epidemiologico, la salu-te preventiva e la nutrizione;l’obiettivo dell’infrastrutturasociale, che contempla l’abita-zione, l’acqua, il risanamentorurale e urbano marginale e larete di protezione sociale, èquello di ridurre l’impoveri-mento umano, in quanto assi-cura un’assistenza temporaneafocalizzata sull’estrema po-vertà.

La Commissione Arcidioce-sana di Promozione Sociale hacome finalità la promozione diopere sociali nell’Arcidiocesidi Managua per rafforzarel’auto-sostegno e lottare con-tro la povertà.

Tra i suoi obiettivi specificitroviamo:

– migliorare il livello di vitadei settori più bisognosi;

– promuovere e organizzarele comunità affinché siano ca-paci di partecipare responsa-bilmente al proprio sviluppo;

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La Pastorale della Salute nell’Arcidiocesi di Managua

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– abilitare leader del mag-gior numero possibile di co-munità;

– promuovere la salute at-traverso l’abilitazione di agen-ti comunitari, di levatrici, l’at-tenzione medica e la donazio-ne di medicinali a dispensariparrocchiali e rurali;

– promuovere lo svilupposocio-economico delle comu-nità povere attraverso progettisociali a beneficio della mag-gioranza realizzati sotto la re-sponsabilità delle organizza-zioni comunitarie.

Programma di salute

Ha tre assi principali di atti-vità: abilitazione, attenzionemedica e donazione di medici-nali.

Abilitazione di agenti comunitari

Dopo un’analisi della situa-zione sociale del nostro pae-se, l’abilitazione rappresentaun’attività prioritaria del pro-gramma. Essa è diretta agliabitanti delle comunità ruralie semi-rurali dell’Arcidioce-si. Negli ultimi anni sono sta-ti abilitati 3.500 operatori sa-nitari, i quali hanno seguitolezioni sulla salute preventi-va, le malattie infetto-conta-giose, come prevenirle e pre-stare le prime cure prima chele persone si rechino al centrosanitario, vaccinazioni, salutee ambiente, primi ausili, me-todi naturali per una paternitàresponsabile, cura dei bambi-ni, nutrizione (alimentazionialternative).

Tali lezioni sono state im-partite da personale medicodella COPROSA, del Ministe-ro della Sanità e della CroceRossa Nicaraguense.

Per ottenere il certificato diagente comunitario, bisognaseguire un corso di 165 ore, altermine del quale ci sono pro-ve scritte e pratiche presso leunità sanitarie più vicine.

Questa iniziativa si è rivela-ta un successo, giacché questogruppo di persone presta lapropria opera in giornate diprevenzione promosse dal Mi-nistero della Sanità lavorandodirettamente in attività di pro-mozione, controllo di malattietrasmesse da vettori e atten-

zione primaria in materia disanità.

Alcuni di questi agenti co-munitari, grazie al lavoro cherealizzano volontariamente,hanno potuto accrescere ilproprio sviluppo personale,per il bene della comunità.

Abilitazione di levatrici od ostetriche

Nell’area rurale esse atten-dono al 65% dei parti, costi-tuendo un gruppo di rilevanteimportanza nel campo dellasalute, poiché le donne in etàfertile ricorrono a loro perun’attenzione prenatale, per ilparto e la cura dei neonati;l’80% di queste levatrici odostetriche hanno oltre 65 annie praticano la medicina natu-rale.

Data la loro importanzanella comunità, sono stati for-mati 3 gruppi nei diversi di-partimenti dell’Arcidiocesi:Managua, Masaya e Carazo.Essi si occupano della dota-zione di materiali di sostitu-zione periodica per l’attenzio-ne del parto, impartiscono le-zioni sullo sviluppo embrio-nale, la gravidanza normale,le malattie durante la gravi-danza e i segnali di rischio,l’attenzione del parto e delneonato, la promozione del-l’allattamento materno esclu-sivo, l’importanza della vac-cinazione, i cambiamenti diquegli atteggiamenti e costumiche mettono a rischio la salutedella donna e del bambino; so-no stati stabiliti con le unitàsanitarie indici di riferimento econtro-riferimento, la parteci-pazione nell’analisi della mor-talità materna e dei bambininel campo della salute che liriguarda, e attività di preven-zione.

Vengono realizzate con lorovisite a domicilio di donne congravidanze a rischio che nondesiderano ricorrere al sistemasanitario. In questo modo è di-minuita la mortalità materna einfantile nelle comunità in cuivivono.

Attenzione medica e donazione di medicinalia dispensari parrocchiali

L’attenzione medica si attuain 56 dispensari parrocchiali,

in maggior parte diretti da sa-cerdoti, religiose, comitati par-rocchiali e movimenti eccle-siali. Ognuno di questi dispen-sari dispone di servizi di labo-ratorio, odontologia, cure, spe-cializzazioni. Tale lavoro vie-ne realizzato da medici che la-vorano volontariamente o die-tro compenso da parte di alcu-ni pazienti. La quota di talicompensi è equivalente a 1dollaro USA.

Viene prestata attenzionemedica, forniti i medicinali, sifanno conversazioni educativee vengono distribuiti comple-menti alimentari alle personecon problemi di denutrizione,agli anziani e principalmenteai bambini.

Con alcuni di loro si realiz-za un programma di dispensa-riato per persone affette damalattie croniche come asma,artrite, epilessia, ipertensionearteriosa, diabete. In questiprogrammi educativi le perso-ne vengono divise per patolo-gie, ricevono informazioni ba-silari sulla loro malattia, su co-me conviverci ed evitare lecomplicazioni.

Il programma include mate-riale educativo, conversazioni,alternative nutrizionali, consu-lenze mediche, medicinali,prove di laboratorio.

Donazione di medicinali

Riceviamo medicinali daparte di AmeriCares, una fon-dazione americana senza finidi lucro, la cui attività princi-pale è la donazione di medici-nali a 130 paesi del mondo.Oltre ai medicinali, tale orga-nismo ci fornisce anche mate-riale di sostituzione periodicae supplementi alimentari.

Riceviamo aiuti anche daAction Medeor, organismo te-desco che dona medicinali emateriale di sostituzione pe-riodica, come avvenuto duran-te l’uragano Mitch e il terre-moto di Masaya nel luglio2000.

Attenzione di COPROSAalle vittime di fenomeni naturali

COPROSA, a metà del1998, ha organizzato laborato-ri a livello delle parrocchieubicate lungo le coste del Lago

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di Managua. Tra i temi affron-tati, la difesa civile e l’organiz-zazione in caso di disastro na-turale; come risultato, quandol’uragano Mitch ha colpito ilpaese, la popolazione ha potu-to coordinare l’evacuazioneevitando così perdite umane.

A livello arcidiocesano, iluoghi colpiti sono stati le co-ste di Managua, Mateare, Tipi-tapa, San Francisco del Carni-cero; l’Asentamiento HumanoNueva Vida ha messo in attocon loro programmi integralidi sviluppo umano sostenibile.

Sono state fornite cure me-diche e medicinali direttamen-

te alle persone colpite nei 6mesi successivi all’uragano.Tra queste persone sono stateriscontrate malattie respirato-rie acute, diarrea, malattie del-la pelle (funghi, impetigine),disturbi nervosi, ecc.; sonostati distribuiti cibo, medicina-li e abiti a 3.340 famiglie.

Sono stati realizzati corsi dimedicina preventiva, durante iquali sono stati trattati temiquali la prevenzione delle ma-lattie trasmissibili, la gestionedella spazzatura, l’educazioneambientale, il rimboschimen-

to, le malattie per trasmissionesessuale, l’educazione nei me-todi naturali per la pianifica-zione della famiglia.

Sono stati formati gruppi dioperatori comunitari in ognu-no dei luoghi colpiti, che at-tualmente partecipano diretta-mente con le unità sanitariepiù vicine per quanto riguardale vaccinazioni, la pulizia e iltrasferimento dei pazienti ma-lati ai centri sanitari.

Sono stati richiesti a diversiorganismi internazionali (Ca-ritas) aiuti per la costruzionedi abitazioni degne, il rimbo-schimento, l’attenzione medi-

ca, l’educazione ambientale,corsi di abilitazione tecnica(cucito, bellezza, carpenteria).

Il meccanismo realizzatocon loro nella costruzione èstata la partecipazione dellacomunità con la manodopera.

COPROSA, a livello nazio-nale, ha portato aiuto con laconsegna di medicinali, abiti ealimenti ai principali diparti-menti colpiti dal fenomeno na-turale: Chinandega, Matagal-pa, Leon, Esteli, Boaco, Chon-tales, Jinotega e la CostaAtlantica.

II. PIANO PASTORALE 2001-2003

Introduzione

L’uomo è chiamato allagioia, ma fa quotidiana espe-rienza di tantissime forme disofferenza e di dolore. LaChiesa partecipa alle sofferen-ze dei fratelli ammalati, e invi-ta i suoi figli ad associare leloro malattie alla passione re-dentrice di Cristo. «La Chiesaconta su di voi per insegnareal mondo intero cos’è l’amore.Faremo tutto il possibile per-ché troviate il posto di cui ave-te diritto nella società e nellaChiesa» (CL, 53).

La Chiesa, «che nasce dalmistero della redenzione nellaCroce di Cristo, è tenuta a cer-care l’incontro con l’uomo inmodo particolare sulla via del-la sua sofferenza. In tale in-contro l’uomo diventa la viadella Chiesa ed è, questa, unadelle vie più importanti» (Sal-vifici Doloris 3). L’uomo chesoffre è la via della Chiesa,poiché prima di tutto è la viadello stesso Cristo, il buon sa-maritano, che «non passò ol-tre» ma ebbe compassione e,avvicinandosi, vide le sue feri-te (Lc 10, 32-39) e si prese cu-ra di lui.

È urgente e necessario chel’eredità che la Chiesa ha rice-vuto da Cristo, «medico delcorpo e dello spirito», sia va-lorizzata e arricchita semprepiù mediante un recupero euna azione pastorale diocesa-na decisa per e con i malati ecoloro che soffrono, tanto ne-gli ospedali quanto nei lettidelle loro case, mediante lapastorale dei malati a livellodella parrocchia.

In questa azione pastoralerinnovata, uno dei fondamen-tali obiettivi «è di considerareil malato, il portatore di handi-cap, il sofferente non sempli-cemente come termine dell’a-more e del servizio della Chie-sa, bensì come soggetto attivoe responsabile dell’opera dievangelizzazione e di salvez-za» (CL, 54)

Essere Chiesa diocesana, ol-tre ad un regalo di Dio, è an-che un bel compito da svolge-re. Per questo la nostra Chiesadeve essere servitrice costantedel Regno di Dio, proclaman-

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dolo e rendendolo presentenella nostra realtà, risponden-do a quanto c’è in ogni mo-mento di più urgente, opportu-no ed efficace come rispostasalvifica di Dio alla realtà durae in cambiamento degli uomi-ni e delle donne amati da lui,soprattutto di coloro che sof-frono nel corpo e nello spirito.

La Chiesa annuncia e offrela salvezza per mezzo dellapredicazione e della vita sa-cramentale, ma anche median-te l’efficacia invisibile dei suoidolori. Per questo, come ma-dre e maestra, non resta estra-nea alla sofferenza dei suoi fi-gli: «le gioie e le speranze, letristezze e le angosce degli uo-mini sono pure le gioie e lesperanze, le tristezze e le an-gosce della Chiesa» (GS, 1).

La pastorale dei malati e de-gli ospedali è una delle formedi presenza della Chiesa nel-l’opzione preferenziale per ipoveri. Sua Santità GiovanniPaolo II ha detto che gli ospe-dali sono luoghi privilegiatiper conoscere ed amare Gesùnel dolore e nella piccolezzadi ogni persona.

Nel nostro Sinodo Arcidio-cesano la pastorale dei malatie degli ospedali ha comeobiettivo generale:

– evangelizzare il mondoospedaliero dell’Arcidiocesialla luce del Vangelo, collabo-rando nella formazione dellecoscienze, nell’esperienza difede e nella promozione uma-na allo scopo di formare co-munità cristiane.

Ha invece come obiettivispecifici:

– annunciare negli ospedali

e tra i malati ricoverati il mes-saggio del Vangelo, mettendol’accento sull’amore di Dioper il malato;

– animare e coordinare nel-l’ambito parrocchiale e arci-diocesano le visite ai malatinegli ospedali;

– giungere al cuore dei ma-lati tanto della parrocchiaquanto degli ospedali median-te l’eucaristia, centro della no-stra fede e azione nella vita diogni malato.

Piano di lavoro della pastorale dei malati e degli ospedali

La pastorale ospedaliera de-ve essere animata da personeidonee con la vocazione e ladebita preparazione per pre-stare questi servizi negli ospe-dali, nei manicomi e nei leb-brosari.

La parrocchia, il luogo diincontro dove i cristiani vivo-no la loro comunione superan-do i limiti propri delle piccolecomunità, e dove si insegnaper mezzo dell’eucaristia apraticare nel sentimento e nel-la vita quotidiana la caritàsemplice delle opere buone efraterne, è chiamata a testimo-niare l’amore per i malati; perquesto la pastorale dei malati alivello parrocchiale ha comeobiettivo generale:

– integrare in modo affetti-vo ed effettivo i laici impegna-ti della parrocchia a vivere lasolidarietà cristiana con quantiprovano situazioni particolaridi sofferenza, e in particolarecon gli ammalati.Ha invece come obiettivo spe-cifico:

– promuovere programmiilluminati dal Magistero dellaDottrina Sociale della Chiesaper sensibilizzare e formarenei laici impegnati e in altrisettori della parrocchia unacoscienza di sostegno e solida-rietà verso i malati ricoverati.Ha infine le seguenti lineed’azione.

Promuovere e consolidare la pastorale dei malati nella parrocchia:

– organizzare équipe che vi-sitino tutti i malati della par-rocchia. A questo scopo la pa-storale per i malati della par-rocchia promuoverà tali équi-

pe di pastorale per le diversezone in cui è divisa la nostraarcidiocesi;

– elaborare una mappa perzone e settori delle case doveci sono ammalati, affinché sia-no facilmente identificabili dalsacerdote, dagli operatori pa-storali laici e dai ministri del-l’eucaristia.

Pianificare una strategia di attenzione ai malati:

– classificare i malati in ba-se al tipo di malattia e alle loronecessità basilari;

– promuovere la fede catto-lica e la conversione mediantela parola di Dio, affinché, at-traverso la preghiera e i sacra-menti, possano migliorare laloro salute o accettare la lorosituazione come partecipazio-ne alle sofferenze di Cristo, incomunione con tutti coloroche soffrono per varie cause;

– stabilire un calendario divisite ai malati per settori, incui siano stabiliti il giorno el’ora della visita;

– organizzare presso i mala-ti «la pastorale missionaria deimalati» e affidare loro compitispecifici di intercessione me-diante la preghiera per attivitàordinarie o straordinarie rea-lizzate nella parrocchia o perdiverse necessità nella vitadella Chiesa;

– organizzare una pastoraledi consolazione che possagiungere a tutti i parrocchianiche vivono situazioni di soffe-renza: invalidi, anziani abban-donati, famiglie angustiate perla malattia o la morte di unapersona cara.

Formare équipe di pastorale dei malati:

– formare laici impegnatiche visitino i malati, tanto a li-vello di parrocchia quanto a li-vello di zone; realizzare incon-tri di queste équipe pastoralidelle parrocchie mediante for-mazione catechetica, studi deidocumenti ecclesiali, organiz-zazione della pastorale, aspettiumanitari, ritiri, assemblee;

– formare ministri straordi-nari dell’eucaristia sulla cate-chesi e la celebrazione dellaparola diretta in particolare aimalati;

– accompagnare i malatinella loro solitudine, perchésentano la pace, la consolazio-

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ne e l’amore di Dio, mediantela solidarietà affettiva e carita-tiva della comunità parroc-chiale;

– promuovere e animare lapartecipazione dei laici nellapastorale ospedaliera dell’arci-diocesi (organizzata per zone).

Compiti specifici a livello delle parrocchie:

– coordinare l’attività conaltri ministeri pastorali: di-spensario parrocchiale, mini-stri dell’eucaristia, pastoralefamiliare, comunità giovanile,pastorale sociale;

– mantenere i contatti con ilparroco per l’amministrazionedel sacramento della riconci-liazione, l’unzione dei malati,l’eucaristia per coloro che lochiedono e ne hanno bisogno;

– evangelizzare, oltre al ma-lato, la sua famiglia perché an-che loro sentano la presenzaspeciale e la forza di Dio nellesituazioni più difficili della vi-ta e della morte;

– coordinare diverse attivitàcon i malati: celebrazione del-la Giornata Mondiale del Ma-lato l’11 febbraio, celebrazio-ne dell’eucaristia con i malatinella parrocchia, celebrazionidiverse che siano orientate al-l’attenzione pastorale del ma-lato;

– possedere le conoscenzebasilari delle malattie per po-ter prendere le necessarie pre-cauzioni con i fratelli ammala-ti, senza cadere nell’apatia enell’indifferenza;

– aiutare per quanto possibi-le il malato: stabilire nella par-rocchia una giornata specificadelle celebrazioni dell’eucari-stia, la giornata caritativa conil malato, per aiutarlo in talunenecessità basilari.

Pastorale ospedaliera

La Chiesa ha una buona no-vella da far risuonare all’inter-no del mondo ospedaliero,«luogo della sofferenza», so-prattutto in una società edoni-stica che, avendo smarrito ilsenso del soffrire umano, cen-sura ogni discorso su tale durarealtà della vita. «L’annunciodi questa buona novella diven-ta credibile allorquando nonrisuona semplicemente sullelabbra, ma passa attraverso latestimonianza della vita, sia di

tutti coloro che curano conamore i malati, gli handicap-pati e i sofferenti, sia di questistessi, resi sempre più coscien-ti e responsabili del loro postoe del loro compito nella Chie-sa e per la Chiesa» (CL, 54).

È urgente una pastorale benorganizzata negli ospedali; es-sa ha già iniziato a dare fruttinella vita di quanti vi lavora-no. Oggi nei nostri ospedalisono numerosi i fedeli laici,uomini e donne, che rendonopresente Gesù buon samarita-no negli ammalati e che sof-frono rivelando e comunican-do l’amore di cura e consola-zione di Gesù Cristo.

Obiettivo generale:– portare il Vangelo ai di-

versi ospedali della nostra Ar-cidiocesi, affinché alla lucedel Vangelo si manifesti l’a-more di Cristo e della Chiesaper gli ammalati e la solida-rietà cristiana per tutti gli uo-mini e le donne che soffrononel corpo e nello spirito.

Obiettivi specifici:– annunciare negli ospedali

il messaggio di amore e disperanza di Gesù a coloro chesoffrono;

– animare e coordinare il la-voro pastorale insieme ai sa-cerdoti e ai laici impegnati.

La pastorale ospedaliera dovràinoltre adottare le seguenti li-nee d’azione.

Promuovere la pastorale dei malati negli ospedali:

– organizzare attività reli-giose negli ospedali: visite set-timanali, attenzione del malatomediante la confessione, un-zione dei malati e celebrazio-ne dell’Eucaristia in ogniospedale;

– organizzare piccole équi-pe di laici che visitino insiemeal sacerdote i malati negliospedali, li animino e stianoloro vicini;

– integrare i fedeli laici del-le parrocchie vicine agli ospe-dali, come parte dell’impegnocon il Signore nell’apostolatoper i malati delle loro parroc-chie.

Pianificare una strategia di attenzione ai malati:

– promuovere la fede della

Chiesa e la conversione delmalato mediante la proclama-zione della Parola di Dio, af-finché con la preghiera e i sa-cramenti possa migliorare ilproprio stato di salute, o trova-re la forza per saper accettarela sofferenza come un mo-mento di incontro con il Si-gnore;

– redigere un calendario divisite negli ospedali, per zone,stabilendo il giorno e l’oraperché i sacerdoti e i laici pos-sano dedicare del tempo al-l’incontro con i malati;

– organizzare per la pastora-le dei malati e degli ospedaliun piccolo gruppo di laici cheabbiano il compito specificodi intercedere con la preghieraper tutti i malati degli ospedalie delle parrocchie.

Formare équipe di laici che visitino gli ospedali:

– accompagnare i ministridell’eucaristia mediante unaformazione permanente sulruolo che svolgono nel lavorocon i malati portando lorol’eucaristia;

– formare laici che visitino imalati mediante incontri perzone pastorali, affinché svol-gano un ruolo preponderantenella vita dei malati;

– lavorare con il personalemedico e ospedaliero attraver-so conferenze, ritiri, seminari,sermoni ed eucaristia.

Compiti specifici:– coordinare le attività pa-

storali a beneficio dei malaticon altri ministeri della dioce-si: apostolato dei malati, mini-steri di predicazione, pastoralefamiliare, pastorale dei giova-ni, pastorale sociale;

– mantenere un’assistenzaassidua ai malati mediantel’amministrazione del sacra-mento della riconciliazione,l’eucaristia e l’unzione deimalati che lo necessitano;

– possedere le conoscenzebasilari delle malattie per po-ter prendere le necessarie pre-cauzioni in occasione delle vi-site ai malati negli ospedali;

– aiutare i malati o l’ospeda-le in talune necessità basilaricome: pigiami, medicine, vi-veri, ecc.

ARCIDIOCESI DI MANAGUA Nicaragua

DOLENTIUM HOMINUM N. 48-2001

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Orientamenti

Perché è stato scelto questo tema?

1. La malattia è uno degli«avvenimenti fondamentali del-l’esistenza» (Dolentium Homi-num 2), un’esperienza comples-sa che contrasta il desiderio divivere, che mostra la fragilità ela caducità umana e che intro-duce quanti la vivono in unmondo carico di interrogativi,diverso ed estraneo.

2. Tutti ci possiamo amma-lare. Pertanto dobbiamo essereconsapevoli della realtà e farenostra la prospettiva della ma-lattia, sapendo che essa recla-ma libertà e significato, chepuò essere vissuta come op-portunità e sfida o come nega-tività, e che può anche essereignorata o negata come se nondovesse mai bussare alla no-stra porta.

3. Nell’esperienza della ma-lattia, allo stesso modo, è pos-sibile che la persona scopra, inmodo più contundente, la pro-pria radicale solitudine e i pro-pri limiti, la prorpia condizio-ne di essere unico e irripetibilee, pertanto, la sfida della no-stra responsabilità di fronte adessa. In questa situazione, chespesso presuppone una rotturacon la vita ordinaria e un certosradicamento, è frequente chesi pongano interrogativi diogni tipo: alcuni di questi allaricerca di significato; altri chereclamano una risposta; altriancora che guardano al passa-to; alcuni, al contrario, al futu-ro. Probabilmente in tutti si ri-specchia la condizione origi-nale e privilegiata dell’uomo:un essere cioè aperto alla tra-scendenza e, allo stesso tem-po, intessuto nella fragilità, in-digente e capace di pienezza.

4. Il tempo della malattia,che sia cronica o acuta, più omeno grave, è un tempo dipausa e di inquietudine, di om-bre e di speranza, in cui tutto è

sottoposto alla prova. Viven-dolo, l’uomo sperimenta il li-mite e, spesso, anche nuovepossibilità. È un tempo vissutoin altro modo. A volte, un tem-po di grazia, di incontro con lapropria verità e con quella diColui in cui viviamo, ci muo-viamo ed esistiamo.

5. Dio non ha voluto abban-donare l’uomo di fronte allasofferenza e alla malattia. LaSacra Scrittura ci mostra gran-di oranti che, nella loro vita,hanno sperimentato il passag-gio per i «deserti». In Gesù, inostri dolori sono stati atte-nuati e la nostra disperazionesi è trasformata in Buona No-vella. La croce gloriosa di Ge-sù Cristo ha supposto la vitto-ria di Dio sul dolore, sulla ma-lattia e sulla morte.

6. La storia della salvezza edella spiritualità cristiana di ie-ri e di oggi ci presenta uomini edonne che, nel realismo dellavita, hanno preso consapevo-lezza del proprio essere, la-sciando che Dio fosse il Diodelle loro vite. Nella pedagogiaocculta, nelle esperienze delleavversità, Dio ha rivelato loroil suo volto e il suo disegno disalvezza. Non hanno chiesto diessere salvati dalla sofferenza edalla malattia, ma di essere sal-vati in esse, trovando così gra-zia nella disgrazia.

7. Pregare nella malattia èstata una costante della fedeproclamata e celebrata dallaChiesa. Questa è stata semprepresente nel momento dellamalattia. Così è impensabileuna tradizione liturgica dellaChiesa al margine di questa si-tuazione esistenziale, intornoalla quale è stata elaborata evissuta tutta una spiritualità eprivilegiate le diverse dimen-sioni e forme di preghiera. Permolti credenti questo tempo èstato, malgrado tutto, un’op-portunità per ridestare la fedeassopita e accogliere nuova-mente l’offerta ecclesiale disalvezza.

8. Pregare nella malattiapone certamente nuove sfidedi ogni tipo, però non invanola preghiera è condizionata damolteplici fattori. Il mondodella salute e della malattia èun buon campionario di questicondizionamenti. Per molti, lapreghiera ha smesso di essere«interessante» perché non è«utile»; per altri continua adessere una questione privata eintima. Bisogna evangelizzaree purificare la preghiera, affin-ché accompagni, desti e aprastrade alla sete di Dio, all’an-sia di pienezza e di salvezzache abita, a volte in incognito,nel cuore di molti.

9. Pregare oggi nel mondodella malattia riveste un’im-portanza particolare all’inter-no della missione evangelizza-trice della Chiesa. La sua im-mensa ricchezza salvifica, sa-lutare e terapeutica si esprimeproprio nella carità e nella pre-ghiera, nella testimonianza enella celebrazione. I malati ele loro famiglie, i professioni-sti della salute e i volontari, gliagenti pastorali e la comunitàcristiana sono chiamati a sco-prire, una volta ancora – emalgrado tutto –, che il Diodella Vita è un Dio che sana eche salva, che conduce l’uomoalla sua pienezza, e che anchequello della malattia è un tem-po di salvezza.

10. La campagna dellaGiornata del Malato dovrà es-

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Spagna: Dipartimento di Pastorale della SaluteGiornata Mondiale del Malato«Pregare nella malattia»11 febbraio 2002

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sere vissuta, quindi, come op-portunità di grazia, affinché laPastorale della Salute rinnoviin tutti i suoi membri la fedenell’efficacia salvifica e salu-tare della preghiera e, allostesso tempo, potenzi la lorocapacità di accompagnare conla preghiera la malattia.

Obiettivi

– Riflettere, a partire da di-verse prospettive, sul significa-to, il valore e la problematicadella preghiera nella malattia

– Raccogliere e fare un ap-profondimento delle diverseesperienze di preghiera nellamalattia, vedendole alla lucedei grandi oranti della Bibbiae della spiritualità cristiana

– Illuminare e motivare, allaLuce del Vangelo, della prassiliturgica della Chiesa e dellaesperienza credente, la dimen-sione terapeutica e salutaredella vita di preghiera del cre-dente e della Chiesa

– Analizzare e rivedere lapastorale liturgica e sacramen-tale nel mondo della salute edella malattia, prestando parti-colare attenzione alla sua in-trinseca dimensione orante

– Offrire i mezzi atti a favo-rire la crescita nella vita delloSpirito e ad aiutare ad accom-pagnare gli altri a «Pregarenella malattia».

Materiale della campagna

– Dépliant e slogan: «Pre-gare nella malattia»

– Stampa/preghiera– Messaggio dei Vescovi

della Commissione Episcopa-le di Pastorale

– Materiale per l’educazio-ne nella fede e Temi di forma-zione

– Guida della Liturgia delGiorno

– Libro «Pregare nellamalattia»

– Numero monografico diLabor Hospitalaria.

Destinatari

– I malati– La comunità cristiana e le

équipe di pastorale della salute– Le congregazioni religio-

se– Le istituzioni sanitarie e

socio-sanitarie

– I/le volontari/e e i grup-pi/associazioni di volontariato

– Il personale sanitario ingenerale

– Le facoltà di Teologia egli Istituti di Pastorale

– I centri di formazione deifuturi professionisti cristiani

– La società in generale– Le comunità di vita con-

templativa.

Attività nell’ambito nazionale

– Dedicare la parte centraledelle Giornate Nazionali diPastorale della Salute (Ma-drid, settembre 2001) al tema«Pregare nella malattia», insintonia con i principali conte-nuti di questi Orientamenti

– Organizzare tavole roton-de o altro tipo di interventi neimezzi di comunicazione (dellaChiesa o altri) a cui siano pre-senti esperti sul tema.

– Pubblicare un numeromonografico sul tema nella ri-vista Labor Hospitalaria.

Pregare nella malattia

Il Dipartimento di Pastoraledella Salute ha riflettuto con iDelegati diocesani sul tema«Pregare nella malattia», tito-lo centrale della GiornataMondiale del Malato in Spa-gna. I lavori sono stati apertidal Vescovo responsabile del-la Pastorale della Salute, S.E.Mons. Rafael Palmento, conquesto breve ma sostanzialeintervento.

Perché soffriamo? Per cosasoffriamo? Ha qualche signifi-cato che le persone soffrano?... chiedeva il Papa nel 1979durante il suo viaggio in Mes-sico, stando accanto alla Ver-gine di Guadalupe. Ed eglistesso rispondeva ad alta voce:il dolore è un mistero, moltevolte imperscrutabile per la ra-gione. Fa parte del misterodella persona umana, e si chia-risce soltanto in Gesù Cristo...

Effettivamente, più che unadomanda, che in tante occasio-ni formuliamo al Signore, ciòche dobbiamo offrire sono ri-sposte. E risposte chiare, per-ché il dolore è un mistero. Essocesserebbe di esserlo se lo ca-pissimo e potessimo spiegarlo.Di fronte al mistero, dobbiamoavere un atteggiamento di fede,

semplice e responsabile, mai inconflitto con la ragione. «Lafede e la ragione sono comedue ali con le quali lo spiritoumano si eleva fino alla con-templazione della verità».

Il mistero della sofferenza e della malattia deve essere illuminato a partire dalla fede

Nella sua prima enciclica(Redemptor Hominis), il SantoPadre ci ricorda che CristoGesù rivela all’uomo ciò che èproprio dell’uomo. E che l’in-tera vita di Gesù Cristo ha unalto valore pedagogico pernoi, in quanto ci insegna ad af-frontare ogni situazione a par-tire dal Vangelo.

Una costante nella vita degliuomini e delle donne di tutti itempi è stata e continuerà adessere la croce. Sempre pre-sente, cucita alla nostra esi-stenza terrena, finita e mortale.Come affrontare questa realtà?Dove imparare a «trattare conla croce»? Per coloro che sonoinseriti nel Mistero di Cristo eper tutti gli altri fratelli, chia-mati un giorno ad esserlo, larisposta è il Crocifisso. LaCroce di Gesù illumina il mi-stero della malattia e del dolo-re di tutti gli uomini.

La preghiera, abbraccio alla Croce di Cristo

Un mezzo privilegiato peralimentare la fede che profes-siamo è la preghiera fiduciosa.Preghiamo per stringere lega-mi di unione con il Signore,unione affettiva ed effettiva.Mediante la preghiera entria-mo più profondamente nel Mi-stero di Cristo, che è colui che,mediante lo Spirito del Padre edel Figlio, ci regala il donodella fede. La preghiera ci av-vicina alle tre Persone divine:al Padre, al Figlio e allo SpiritoSanto. In effetti, ci uniamo aDio per mezzo dell’amore, equesto amore ci aiuta a confi-gurarci pienamente con il mi-stero di Cristo, e specialmentecon il mistero della Croce. Pre-gare, pertanto, vuol dire ab-bracciare la croce. Vuol direimparare a farsene carico e acamminare con gagliardia in-sieme al Signore, cammino delCalvario, cioè del monte dellasalvezza, della fonte di vita.

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Il Beato Manuel Gonzalez,Vescovo dell’Eucaristia, senzaavere nulla né nessuno, cosìpregava nei momenti di avver-sità e di prova:

Prendi la tua croce...

Prendi... è un dolore, una malattia, un disprezzoumiliante, un’omissione, una calunnia, un’assenza, una cattiva interpretazionedelle mie intenzioni,un’ingratitudine...

Gesù, la mia natura èsconvolta; però la tuapresenza in me e la sicurezzache non mi peserà più di ciòche Tu hai deciso, mi dannocoraggio per rispondere inpace: io la ricevo.

Nelle ore di questo giornoallungate dalla croce, quando le mie labbra sischiudono per lasciar uscireun lamento, una protesta, mi ricorderò della voce chemi dice: Prendi, e delle maniche me la offrirono; e la pace, e a volte la gioia,continueranno ad esserecompagne della mia croce.

Cuore del mio Gesù, voglio ricevere con gioia epace le tue croci, perché soche vengono preparate per lamia misura dalle mani buonedi Dio mio Padre.

Di’alla mia anima: Io sono la salute1.

Nella malattia e nel dolore, orazione di supplica

Tutti coloro che si ricono-scono poveri e bisognosi han-no bisogno di stendere la ma-no. Gesù stesso lo raccomanda

vivamente nel Vangelo: «Chie-dete e vi sarà dato...». Spessoci sono uomini e donne afflittida diversi mali, che ricorronoal Messia per cercare rimedioalle loro malattie. Altre voltesono intermediari quelli cheintercedono perché il Maestrorisani un loro caro. E troviamosempre il Signore che soccorrele necessità: mosso, alcunevolte, da grida di soccorso, ealtre cercando «de oficio» chiha bisogno di lui. Gesù servesempre il malato. Sant’Agosti-no ce lo assicura: Anche il Si-gnore serve i suoi servi malatiper poter avere servi che loservano; serve i malati fino ache siano curati. Nostro Si-gnore serve i malati (Sermone265 F, 1).

Nel Vangelo di Matteo (15,21-28) troviamo un paradigmadell’orazione di supplica nellamalattia. Si tratta della donnacananea che si avvicina a Gesùper intercedere per la propriafiglia ammalata. Bella lezionela sua. Ella insiste senza sco-raggiarsi. E il Signore, chesembra non ascoltare, agisce.Qui, ci insegna – è il commen-to di Sant’Agostino – ad ascen-dere verso l’alto partendo dal-l’umiltà... Ella gridava ansiosadi ottenere il beneficio, e chia-mava con forza; egli dissimula-va, non per negare la miseri-cordia, ma per stimolare il de-siderio, e non solo per accre-scere il desiderio, bensì perraccomandare l’umiltà. Grida-va, quindi, ella al Signore chenon ascoltava, ma che proget-tava in silenzio ciò che avrebbefatto (Sermone 77, 1).

Non solo supplica, ma adorazione, azione di grazia e lode

Sant’Ignazio di Loyola, nel-la meditazione del «Principioe Fondamento» dei suoi Eser-cizi, precisa: «L’uomo è creatoper lodare, riverire e servireDio nostro Signore, e median-te ciò salvare la sua anima»(23). Il fine di ogni uomo, sa-no o malato, è pertanto la lodedi Dio.

La povertà che umanamentepuò supporre la malattia è,senza alcun dubbio, una ric-chezza che ci unisce a Dio.Così lo vediamo nei santi e intante persone che vivono la

vera gioia nei loro dolori,quando c’è una motivazioneche dà senso alla malattia e aldolore. «Sento una gioia im-mensa – scriveva il Beato Ra-fael, monaco trappista – di po-ter soffrire per Gesù come nonavrei potuto immaginare...».

Pregare anche nelle malattie dell’anima

Anche in questi momentiabbiamo bisogno di sostegno,di un aiuto dall’alto e dellaguarigione richiesta. Potrem-mo noi (curarci) per noi stes-si? – chiede Sant’Agostino. Erisponde: Tutti fummo capacidi ferirci, però chi di noi è ido-neo per curare la ferita che siè inferta? ... Nessuno si curacon il solo volerlo. Si faccial’anima pia, sia fedelmentecristiana e non sia ingrata conla grazia. Si riconosca il medi-co; mai il malato sana se stes-so (Sermone 170, 7).

Pregare e aiutare i malati e isani è, per i credenti che vo-gliono essere coerenti, il soste-gno fermo su cui si poggianogli obiettivi della Pastoraledella Salute, di recente formu-lati in questi termini:

– illuminare a partire dallafede il mistero della malattia edella sofferenza;

– evangelizzare il mondodella cultura della salute;

– accompagnare gli amma-lati;

– celebrare i sacramenti del-l’Infermità.

Sì, fratelli, preghiera fidu-ciosa e perseverante, mentreviviamo. Già sapevo dal Van-gelo – torniamo a Sant’Ago-stino – come la cananea conla sua perseveranza raggiunse(per la propria figlia) ciò chenon poté ottenere chiedendolouna sola volta... Più che la sa-lute di una figlia è l’immorta-lità della vita. È questo ciò checonviene chiedere sempre finoalla fine, mentre si vive qui,affinché si viva senza fine lìdove non c’è petizione, maesultanza (Sermone 7 B, 1).

Nota1 FRANCISCO CERRO CHAVES, Orar

con el Obispo de la Eucaristía, Burgos1998, pp. 162-163.

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Il futuro dell’Ostetricia e della

Ginecologia

Congresso Internazionaledegli Ostetrici

e dei Ginecologi Cattoliciorganizzato dalla

Federazione Mondiale delleAssociazioni dei Medici

Cattolici (FIAMC) e da MaterCare

International (MCI)

Roma, 17-20 giugno 2001

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hanno causato una sorta diostracismo sociale di queglispecialisti che intendono re-stare fedeli agli insegnamentidella Chiesa.

Di conseguenza, il numerodi ginecologi cattolici conti-nua a diminuire e c’è il timoreche il rispetto della vita uma-na, gli atteggiamenti moralidelle donne cattoliche, la pa-storale del matrimonio e dellefamiglie, l’insegnamento e laricerca futura nel campo dellariproduzione umana possanoesserne profondamente colpiti.

Il Congresso iniziato questamattina, affronterà il temaprincipale da differenti pro-spettive costituzionali, legali,professionali e morali; inter-venti autorevoli della SantaSede sul problema sottolinee-ranno le implicazioni per i di-versi aspetti della cura pasto-rale della Chiesa. Inoltre, le te-stimonianze descriveranno lasituazione in diversi paesi e inparticolare saranno presentatepenose esperienze personali.

Sappiamo, Santità, che ilproblema è particolarmentevicino al Suo cuore. Nell’E-vangelium Vitae (n. 74) Lei in-vita i legislatori a riconoscere

Beatissimo Padre,Il Congresso Internazionale

Il futuro dell’Ostetricia e dellaGinecologia, organizzato dallaFederazione Mondiale delleAssociazioni dei Medici Cat-tolici e da MaterCare Interna-tional su Il diritto umano fon-damentale alla formazione ealla pratica mediche secondocoscienza, ha visto riuniti aRoma specialisti di questa di-sciplina provenienti da 40 pae-si dei cinque continenti.

I medici giunti da tutto ilmondo, senza alcuna solidaorganizzazione, sono stati 140e abbiamo dovuto rifiutare al-tre richieste per mancanza dispazio.

Questo tipo di risposta spon-tanea è la testimonianza diquanto il problema sia profon-damente sentito dai ginecologi.In effetti, i cambiamenti so-praggiunti in questa disciplinanegli ultimi 40 anni, dopo lacontraccezione, l’aborto, la fer-tilizzazione in vitro e la mani-polazione degli embrioni, si so-no andati diffondendo, creandoun profondo disagio, mentrele pressioni ideologiche, poli-tiche e professionali per supe-rare ogni conflitto morale

e a proteggere il diritto umanobasilare dei medici di adem-piere al loro dovere morale dirifiutarsi di partecipare a com-mettere azioni intrinsecamenteincompatibili con la dignitàumana. Consapevole poi cheun riconoscimento formale deidiritti della coscienza può es-sere insufficiente e a volte pri-vo di significato, Lei ha chie-sto che «chi ricorre all’obie-zione di coscienza deve esseresalvaguardato non solo da san-zioni penali, ma anche daqualsiasi danno sul piano lega-le, disciplinare, economico eprofessionale» (Evangeliumvitae, n. 74).

Vorremmo ringraziarLa peril dono dell’Evangelium vitaeche consideriamo la Magnacharta dell’umano conviveree, per questo motivo, una gran-de Enciclica prima ancora diessere un grande insegnamen-to morale.

Vorremmo ringraziarLa an-che per il Suo sostegno allalotta di coloro che difendono epromuovono la vita umana. IlSuo apprezzamento è fonte dicoraggio, di forza e di dignitàumana per quanti sono sotto-posti a una sorta di ostracismosociale.

Grazie, Santo Padre, ancheper questa udienza particolareche ci ha voluto concedere eche rappresenta un ulterioresegno di attenzione per i pro-blemi particolari che speri-mentiamo nella nostra testi-monianza quotidiana.

Siamo ansiosi di sentirLasuggerire possibili azioni a di-fesa del diritto umano fonda-mentale degli ostetrici e dei gi-necologi a ricevere una forma-zione medica e a praticare lamedicina secondo coscienza.Le chiediamo, Santo Padre, dibenedire le nostre attività.

Dott. GIAN LUIGI GIGLIPresidente della FIAMC,

Membro del Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute

Indirizzo d’omaggio

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Signore e Signori,

1. Accolgo con calore la vostra visita in oc-casione del Congresso Internazionale degliOstetrici e dei Ginecologi cattolici, durante ilquale riflettete sul vostro futuro alla luce deldiritto fondamentale alla formazione e allapratica mediche secondo coscienza.

Attraverso di voi, saluto tutti gli operatorisanitari che, quali servitori e custodi della vi-ta, testimoniano incessantemente in tutto ilmondo la presenza della Chiesa di Cristo inquesto ambito vitale, in particolare quando lavita umana viene minacciata dalla crescentecultura della morte. In particolare, ringrazioil Professor Gian Luigi Gigli per le cordialiparole che mi ha rivolto a vostro nome e ilProfessor Robert Walley, co-organizzatoredel vostro incontro.

2. Gli ostetrici, i ginecologi e le infermiereostetriche cristiani sono sempre chiamati aessere servitori e custodi della vita, perché «ilVangelo della vita sta al cuore del messaggiodi Gesù. Accolto dalla Chiesa ogni giornocon amore, esso va annunciato con coraggio-sa fedeltà come buona novella agli uomini inogni epoca e cultura» (Evangelium vitae, n.1). Tuttavia la vostra professione è diventataancora più importante e la vostra responsabi-lità ancor più grande «nel contesto culturale esociale odierno, nel quale la scienza e l’artemedica rischiano di smarrire la loro nativa di-mensione etica, essi possono essere talvoltafortemente tentati di trasformarsi in arteficidi manipolazione della vita o addirittura inoperatori di morte» (Ibidem, n. 89).

Fino a poco tempo fa, l’etica medica in ge-nerale e la morale cattolica si trovavano rara-mente in disaccordo. Senza problemi di co-scienza, in generale i medici cattolici poteva-no offrire ai pazienti tutto ciò che la scienzapermetteva. Tuttavia ora le cose sono cam-biate profondamente. La disponibilità di so-stanze contraccettive e abortive, nuove mi-nacce alla vita contenute nella legislazione dialcuni Paesi, alcune utilizzazioni della dia-

gnosi prenatale, la diffusione delle tecnichedi fertilizzazione in vitro, la conseguente pro-duzione di embrioni per combattere la steri-lità, ma anche la loro destinazione alla ricer-ca scientifica, l’uso di cellule staminali em-brionali per lo sviluppo di tessuto per i tra-pianti allo scopo di guarire malattie degene-rative e progetti di clonazione parziale o tota-le, già realizzati sugli animali: tutto ciò hacambiato la situazione radicalmente.

Inoltre, il concepimento, la gravidanza e lanascita non vengono più intesi come modiper cooperare con il Creatore al compito me-raviglioso di donare la vita a un nuovo essereumano.

Sono spesso considerati un fardello e persi-no una malattia dalla quale guarire, piuttostoche dono di Dio.

3. È inevitabile che anche gli ostetrici, i gi-necologi e le infermiere cattolici vengano in-teressati da queste tensioni e da questi cam-biamenti. Sono esposti a un’ideologia socialeche chiede loro di essere agenti di una conce-zione di «salute riproduttiva» basata su nuo-

Di fronte a tensioni e pressioni sociali, ai sanitaricattolici si apre la via dell’obiezione di coscienza che dovrebbe essere rispettata da tutti, in particolare dai legislatoriDISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II AI PARTECIPANTI AL CONGRESSO INTERNAZIONALE DEGLI OSTETRICI E DEI GINECOLOGI CATTOLICI, RICEVUTIIN UDIENZA NELLA MATTINA DI LUNEDÌ 18 GIUGNO, NELLA SALA CLEMENTINA.

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ve tecnologie riproduttive. Tuttavia, nono-stante la pressione esercitata sulle loro co-scienze, molti riconoscono ancora la propriaresponsabilità di medici specialisti di pren-dersi cura degli esseri umani più piccoli e piùdeboli e di difendere quanti non hanno alcunpotere economico o sociale, né una voce dafar udire.

Il conflitto fra pressione sociale ed esigen-ze della retta coscienza può portare a doverscegliere fra l’abbandonare la professionemedica e il compromettere le proprie convin-zioni. Di fronte a tale tensione, dobbiamo ri-cordare che c’è una via di mezzo che si apreai sanitari cattolici che sono fedeli alla pro-pria coscienza. È la via dell’obiezione di co-scienza, che dovrebbe essere rispettata da tut-ti, in particolare dai legislatori.

4. Nello sforzarci di servire la vita, dobbia-mo operare per garantire nella legislazione enella pratica il diritto a una formazione e auna pratica professionali rispettose della co-scienza.

È chiaro, come ho osservato nella mia En-ciclica Evangelium vitae, che «i cristiani, co-me tutti gli uomini di buona volontà, sonochiamati, per un grave dovere di coscienza, anon prestare la loro collaborazione formale aquelle pratiche che, pur ammesse dalla legi-slazione civile, sono in contrasto con la Leg-ge di Dio. Infatti, dal punto di vista morale,non è mai lecito cooperare formalmente almale» (n. 74). Laddove viene violato il diritto

delle persone a ricevere una formazione me-dica e a praticare la medicina nel rispetto del-le loro convinzioni morali, i cattolici devonooperare coscienziosamente per porvi rimedio.

In particolare, le università e gli ospedalicattolici sono chiamati a seguire le direttivedel Magistero della Chiesa in ogni aspettodella pratica ostetrica e ginecologica, inclusala ricerca sugli embrioni. Dovrebbero ancheoffrire una rete di docenti qualificata e rico-nosciuta internazionalmente per aiutare i me-dici vittime di discriminazione, o le cui con-vinzioni morali sono sottoposte a pressioniinaccettabili, a specializzarsi in ostetricia eginecologia.

5. Spero con fervore che, all’inizio di que-sto nuovo millennio, tutto il personale medi-co e sanitario cattolico, sia nella ricerca sianella pratica, si impegni con tutto il cuore aservire la vita umana. Ho fiducia nel fatto chele Chiese locali presteranno la dovuta atten-zione alla professione medica, promuovendol’ideale di un servizio trasparente al grandemiracolo della vita, sostenendo gli ostetrici, iginecologi e gli operatori sanitari che rispet-tano il diritto alla vita, contribuendo ad unirlinel sostegno reciproco e nello scambio diidee e di esperienze.

Affidando voi e la vostra missione di cu-stodi e servitori della vita alla protezione del-la Beata Vergine Maria, impartisco di cuorela mia Benedizione Apostolica a voi e a tutticoloro che testimoniano il Vangelo della vita.

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Convocati dalla FederazioneMondiale delle Associazionidei Medici Cattolici (FIAMC)e da MaterCare International(MCI), 140 ostetrici ginecolo-gi cattolici, provenienti da ol-tre 40 Paesi dei cinque conti-nenti, si sono riuniti a Romaper quattro giorni, dal 17 al 20Giugno 2001, per discutere sulfuturo della loro professione. Ilfocus del Meeting, realizzatoin collaborazione con il Ponti-ficio Consiglio per la PastoraleSanitaria, ha riguardato il dirit-to umano fondamentale di pra-ticare la professione e di essereformati nel rispetto delle pro-prie convinzioni etiche.

La risposta all’appello è sta-ta entusiastica e tutti i parteci-panti hanno testimoniato quasiun senso di liberazione nel po-ter finalmente parlare delleproprie difficoltà e denunciarele pressioni (talvolta le oppres-sioni) subite.

Alcune frasi ascoltate nelcorso degli interventi testimo-niano con evidenza il clima didisagio e discriminazione incui gli ostetrici ginecologi cat-tolici si trovano ad operare.

“Ho iniziato il mio lavoropresso il Dipartimento di Gi-necologia e Ostetricia in unospedale governativo. Pensa-vo che avrei potuto realizzare imiei obiettivi e i miei desideriaiutando la gente e la vita da-taci da Dio: è questa la moti-vazione che mi aveva spinto ascegliere la ginecologia e l’o-stetricia come vocazione per-sonale. Ma non appena ho ini-ziato a lavorare ho scopertoche mettere in pratica i princi-pi cristiani e agire secondo lamia coscienza per me signifi-cava una guerra. Mi sono ri-fiutato di procurare aborti e ilrisultato è stato che mi hannocostretto non solo a lasciarel’ospedale dove lavoravo perandare in un altro ospedale,ma anche a lasciare la gineco-logia come sola possibilità dicontinuare ad esercitare la

professione”. (Marek Drab,Slovacchia)

“Nel 1998, dopo una fusio-ne tra ospedali, fui costretto adunirmi a quattro colleghi del-l’ospedale più grande condivi-dendo tutte le risorse finanzia-rie. Dato che un ammontarenotevole delle loro entrateproveniva dalla contraccezio-ne e dalla sterilizzazione chi-rurgica, mi sono rifiutato diunirmi, per ovvie ragioni diordine morale ed etico. Secon-do la mia coscienza, non pote-vo accettare nessuna parte diquelle entrate. Fui presto li-cenziato, perdendo così i pri-vilegi dell’ospedalizzazione edella pratica chirurgica”. (An-dré O. Devos, Belgio)

“In Lituania, l’aborto indot-to è un problema importanteper i ginecologi cattolici per-ché i ginecologi hanno il dirit-to ufficiale di rifiutare gliaborti solo negli ospedali uni-vesitari. In altri ospedali questispecialisti sono costretti a ese-guire tutte le operazioni, inclu-so l’aborto”. (Vilune Intaite,Lituania)

“Per il medico la cui co-scienza è turbata da queste im-plicazioni, è difficile, negliStati Uniti, ottenere la specia-lizzazione in medicina mater-no-fetale, data l’enfasi postasulla diagnosi prenatale e sulsuo correlato ‘terapeutico’,

l’interruzione della gravidan-za”. (John M. Thorp, Profes-sor of Obstetrics and Gyneco-logy, University of North Ca-rolina at Chapel Hill, USA)

“In Austria il curriculum ela formazione ufficiale legaleper l’ostetricia e la ginecologiaprevedono la partecipazionepratica in alcune tecniche, chedevono essere apprese e chesono immorali. Se un medicocattolico desidera specializzar-si in ostetricia e ginecologiadeve confrontarsi con un am-biente legale ed etico ostile.Ogni medico deve acquisireesperienza pratica nel counse-ling pre-concepimento, pre-scrivendo contraccettivi orali,inserendo spirali, legando tubee praticando altre forme di ste-rilizzazione, e praticando al-meno gli aborti al primo e se-condo trimestre previsti dallostato dell’arte. Se un medico sirifiuta in modo permanente diadattarsi alle pratiche dell’o-spedale, viene marginalizza-to”. (Tamás Csáky-Pallavicini,Austria)

“In Australia, la formazionedella sotto-specializzazione inRiproduzione chiede allo spe-cializzando di dedicarsi per uncerto periodo alla fecondazio-ne artificiale. Coloro che solle-vano obiezioni morali alla fe-condazione artificiale, di con-seguenza, perseguiranno que-sto campo con difficoltà, la-sciando l’area e la discussionedegli argomenti all’interno diessa, perloppiù a coloro la cuiposizione etica è spesso dia-metralmente opposta a coloroche rispettano la vita dal suoprimo inizio”. (Adrian Tho-mas, Australia)

“In Svizzera gli aborti do-vrebbero in realtà essere trat-tati come ‘ordine di servizio’(in tedesco: Leistungsauftrag).Quindi gli studi e il lavoroprofessionale di colleghi chenon desiderano interromperegravidanze o contribuire adaborti stanno diventando mol-

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Il Meeting Internazionale degli Ostetrici-Ginecologi Cattolici.Cronaca di un evento

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to difficile. Gli studi sono tut-tavia quasi impossibili, se ilcollega dovesse rifiutare di es-sere coinvolto con la contrac-cezione e la riproduzione tec-nicamente assistita e con ope-razioni di sterilizzazione”.(Rudolf Ehmann, Direttore delDipartimento di Ostetricia eGinecologia, Ospedale Go-vernativo, Stans, Svizzera).

“Nel 1996, il Consiglio perl’Accreditamento della Educa-zione Medica Superiore (Coun-cil for Graduate Medical Edu-cation) ha reso il training perl’aborto un requisito per lescuole di specializzazione, e,per questa ragione, un requisitoper la possibilità stessa di spe-cializzarsi in ostetricia e gine-cologia. Fortunatamente, a se-guito di numerose proteste, ilCongresso ha quindi varato unalegge che proibisce ai governifederali, statali e locali di rifiu-tare l’accreditamento, la licen-za o aiuti finanziari a scuole dimedicina o a ospedali che rifiu-tano l’insegnamento dell’abor-to”. (John W. Seeds, Professoree Presidente del Dipartimentodi Ostetricia e Ginecologia del-la Virginia CommonwealthUniversity/Medical College ofVirginia, USA).

“Gli ostetrici ginecologicattolici credono che oggi po-chi medici cattolici si stianospecializzando in ostetricia-ginecologia, a causa di unaauto-esclusione da un campopercepito come ostile. I medi-ci formati in medicina mater-no-fetale sentono una fortepressione ad accettare l’inter-ruzione di gravidanza comeopzione in caso di anomaliefetali”. (T. Murphy Goodwin,Direttore, Divisione di Medi-cina Materno-Fetale, Univer-sity of Southern California,USA)

La pressione è senza fine erecentemente Rachel Masch,direttore della divisione diScelta Riproduttiva al NewYork University Medical Cen-ter – Bellevue Hospital, ha di-chiarato che la pianificazionefamiliare diventerà una rota-zione a tempo pieno, dove glispecializzandi passeranno dal-le quattro alle otto settimanenel programma, che includel’aborto.

Il Convegno, oltre ad ascol-tare la denuncia delle discri-

minazioni, ha affrontato anchela situazione dal punto di vistadelle legislazioni, ed ha esami-nato le conseguenze, a breveed a lungo termine, che lapressione ideologica che si re-spira negli ospedali e nelleuniversità può produrre sulledonne cattoliche, sulla presen-za stessa della Chiesa e, più ingenerale, sulla cultura dellesocietà in cui gli ostetrici gine-cologi discriminati si trovanoad operare.

Al riguardo, è stato sottoli-neato che il continuo calo delnumero degli ostetrici cattoli-ci, provocato dall’ostracismosociale a cui essi sono sottopo-sti, solleva preoccupazioni inmolti ambiti. Innanzi tutto es-so pone problemi per il rispet-

to della vita umana, svilita nel-la considerazione dell’opinio-ne pubblica da pratiche chesembrano ormai accettate pas-sivamente dalla classe medica.In secondo luogo, per la con-dotta morale delle donne cat-toliche, incoraggiate da medicicompiacenti a scelte di dere-sponsabilizzazione in sintoniacon le spinte culturali e a com-portamenti di edonismo prati-co. Il calo degli ostetrici catto-lici crea preoccupazioni ancheper la Pastorale del Matrimo-nio e delle Famiglie, privatadel sostegno di medici convin-ti del Magistero della Chiesa edella possibilità di offrire pro-poste operative concrete, alter-native alla mentalità dominan-te, nel campo delle scelte ri-produttive. Infine, esso finiràper incidere negativamenteanche sull’insegnamento, pri-vato di ogni dibattito critico, esulla ricerca scientifica, cui stavenendo a mancare l’apporto

di scienziati aperti a indagininon condizionate dalla pres-sione ideologica e dalla con-venienza economica.

Il Convegno è stato arricchi-to dalla partecipazione dei re-sponsabili di tutti i dicasteridella Santa Sede interessati aitemi trattati. Sulla tribuna de-gli oratori si sono succeduti ilSegretario della Congregazio-ne per la Dottrina della Fede,S.E. Mons. Tarcisio Bertone, ilPresidente del Pontificio Con-siglio per la Famiglia, Card.Alfonso Lopez Trujillo, il Se-gretario della Congregazioneper l’Educazione Cattolica,S.E. Mons. Giuseppe Pittau, ilVice-Presidente della Pontifi-cia Accademia della Vita, S.E.Mons. Elio Sgreccia, l’ Assi-stente Ecclesiastico dell’Asso-ciazione Italiana dei MediciCattolici, Card. Dionigi Tetta-manzi. A fare gli onori di casaè stato ovviamente S.E. Mons.Javier Lozano Barragan, ilPresidente del Pontificio Con-siglio per la Pastorale Sanita-ria, l’organismo che, insiemealla FIAMC e a MCI, ha pa-trocinato l’iniziativa.

Oltre a delineare i fonda-menti morali dell’obiezione dicoscienza, gli illustri Ecclesia-stici hanno affrontato nei lorointerventi le relazioni tra l’atti-vità professionale degli oste-trici ginecologi e l’attività pa-storale della Chiesa, ed hannodelineato ai partecipanti lepossibilità di sostegno e colla-borazione che essi possono at-tendersi dagli Uffici della San-ta Sede.

Per i convegnisti si è trattatodi una importantissima occa-sione, di respiro veramenteuniversale, che ha consentitoloro di essere rafforzati nelleproprie convinzioni morali enella ragionevolezza della re-sistenza esercitata alla pressio-ne delle ideologie dominanti.

La dirompenza dei temi trat-tati nel corso del Meeting hapotuto facilmente essere rile-vata quando essi, ripresi nel-l’udienza concessa dal SantoPadre, hanno trovato eco lar-ghissima sulla stampa, sulletelevisioni e sui siti Internet ditutto il mondo. L’interventodel Santo Padre, applauditissi-mo dai partecipanti, è riportatointegralmente a parte.

Il Convegno, oltre ad essere

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occasione di informazione, de-nuncia, formazione ed inco-raggiamento, ha prodotto im-portanti conclusioni.

Innanzi tutto è stato stabilitodi arrivare a definire un regi-stro di tutte le istituzioni uni-versitarie ed ospedaliere ingrado di offrire programmi diformazione rispettosi dei valo-ri etici proposti dal Magisterodella Chiesa. Parallelamenteverrà attivato un circuito diborse di studio per offrire aspecializzandi, provenienti dasituazioni di discriminazione,opportunità formative rispet-tose delle loro convinzionimorali.

Su questo tema, i parteci-panti al Convegno hanno au-spicato una più profonda ade-renza alle proposte del Magi-stero da parte di alcuni ospe-dali cattolici ed università cat-toliche, lamentando una de-plorevole dicotomia tra la qua-lificazione cattolica di alcuneistituzioni ed i contenuti realidella loro proposta educativa ela condotta professionale inesse praticata. Opportune veri-fiche sono state richieste al ri-guardo alla Autorità ecclesia-stica.

In secondo luogo, è statodeciso di avviare la realizza-zione di un forum legale a ca-rattere internazionale, con re-

ferenti locali nei vari Paesi,capace di studiare le situazionidi discriminazione che verran-no segnalate, e di proporre,nelle opportune sedi giudizia-rie, azioni legali in favore de-gli ostetrici ginecologi discri-minati durante l’iter formativoo nella carriera, o comunquesottoposti a pressioni indebitea causa delle loro convinzioni.

Dal punto di vista scientifi-co, si è deciso di dar vita aduna rivista scientifica altamen-te qualificata, dotata di un co-mitato redazionale internazio-nale di alto profilo, in grado diaccogliere contributi su temiabitualmente negletti da moltealtre riviste (per esempio Na-tural Family Planning, conse-guenze fisiche e psicologichedell’aborto, studi sullo svilup-po embrionario nell’ottica del-la continuità dello sviluppo,ecc.). Tale rivista tuttavia, perevitare di cadere nell’indul-genza verso lavori di basso li-vello, benché nella linea delMagistero, dovrebbe dotarsi diun rigido ed inappellabile si-stema di revisione critica, ingrado di accogliere la pubbli-cazione soltanto di ricerche dialto profilo.

In considerazione dello svi-luppo dell’informatica e dellatelematica, i partecipanti alMeeting hanno deciso di dar

vita ad una commissione pre-paratoria in grado di sviluppa-re, grazie anche ad opportunecollaborazioni, sistemi di ap-prendimento a distanza e bi-blioteche informatiche sui te-mi della riproduzione, favo-rendo la circolazione di testi emateriale audiovisivo.

Infine, i partecipanti hannorichiesto una periodica convo-cazione di incontri simili aquello vissuto, per approfondi-re insieme gli sviluppi della ri-cerca scientifica e temi opera-tivi specifici, decidendo intan-to di ritrovarsi a Roma alla fi-ne del mese di Ottobre 2002.

MaterCare International, aconclusione del Convegno, hacomunicato di aver presentatola richiesta alla FIAMC peressere riconosciuta come or-ganismo affiliato, specializza-to per interventi sia culturaliche operativi, in campo oste-trico ginecologico.

Una particolare sottolinea-tura merita il clima di scambiorelazionale, di amicizia e difraternità respirato da tutti du-rante il Convegno, un climache lascia sperare ulteriori po-sitivi sviluppi in futuro.

Dott. GIANLUIGI GIGLIPresidente della FIAMC,

Membro del Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute

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Proteggere la vita umana in un mondo che cambia:la responsabilità degli ostetrici cattolici

La Chiesa cattolica è sem-pre stata a favore della vita el’ha difesa sempre ed in tuttele circostanze. È cosa ovvia,visto che la Chiesa è la Chiesadi Cristo il quale è venuto almondo con una missione benprecisa: «Perché abbiano la vi-ta e l’abbiano in abbondanza»(Gv 10, 10). Certamente Cri-sto è morto per i nostri peccati,ma è risuscitato per la nostrasalvezza (Ro 4, 25). La Chiesaprosegue la missione di Cristoe così facendo rende testimo-

nianza della risurrezione, dellapienezza della vita.

Noi sappiamo con certezzache tutti siamo parte dellaChiesa e che, quindi, tutti dob-biamo rendere testimonianzaforte e chiara che Cristo è risu-scitato ed è il Signore della vi-ta. Il mondo non è destinatoalla morte bensì alla vita, allapienezza della vita. E se c’èqualcuno a cui direttamentespetta dare questa testimo-nianza è proprio il professioni-sta della sanità, in quanto, es-

sendo professionista della sa-lute, è pure ministro della vita.Egli ha come missione quelladi rendere testimonianza dellarisurrezione di Gesù Cristonostro Signore. La sua scien-za, la sua tecnica, la sua abilitàtendono tutte a dare la vita ediventa perciò un controsenso,una contraddizione, se il pro-fessionista della salute si tra-sforma in professionista dellamorte. Ciò è valido per gliospedali nel loro insieme, esoprattutto per i medici, i para-

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medici, gli infermieri, i farma-cisti, i volontari, i gestori degliospedali, certamente per i sa-cerdoti che si dedicano al set-tore salute e, infine, per tutto ilpersonale che in qualche mo-do è coinvolto nella promozio-ne della salute.

La mia riflessione è artico-lata in tre parti: le minaccecontro la vita, la responsabilitàdel professionista della salutee qualche linea d’azione.

1. Le minacce contro la vita

a. Descrizione nell’Evangelium vitae

Dio non ha creato la morte,Egli ha creato la vita, ma peropera del Maligno la morte èstata introdotta nel mondo.Non soltanto è entrata, maviene continuamente introdot-ta. Lo ha fatto all’inizio dellastoria umana, lo ha fatto lun-go il suo percorso, in ognunadelle tappe della vita dell’u-manità, e continua a farlo og-gi. L’ha fatto in diversi modied oggi sono sopraggiuntenuove minacce. Guerre, ma-lattie, infortuni di ogni tipo,sempre sono esistiti e conti-nuano a presentarsi secondole vicissitudini della storia;ma quali sono in modo speci-fico le minacce alla vita, oggi,che esigono una speciale pro-tezione da parte dei professio-nisti della sanità? Il Santo Pa-dre Giovanni Paolo II parla diesse nella sua enciclica Evan-gelium vitae. Egli afferma che«ci sono minacce che proven-gono dalla natura stessa, masono aggravate dall’incuriacolpevole e dalla negligenzadegli uomini che non rara-mente potrebbero porvi rime-dio; altre invece sono il fruttodi situazioni di violenza, diodi, di contrapposti interessi,che inducono gli uomini adaggredire altri uomini conomicidi, guerre, stragi, geno-cidi». Ci parla pure della po-vertà, delle guerre, del disse-sto degli equilibri ecologici,dell’abuso della droga e delcattivo esercizio della sessua-lità. «È impossibile – prose-gue – registrare in modo com-pleto la vasta gamma delleminacce alla vita umana, tantesono le forme, aperte o sub-

dole, che esse rivestono nelnostro tempo»1. Si tratta, diceil Papa, di «una autenticastruttura di peccato caratteriz-zata dalla diffusione di unacultura contraria alla solida-rietà che in molti casi è confi-gurata come vera cultura dellamorte»2. Il valore della vitasoffre oggi di una specie di«eclissi»3. Si proclama l’anti-concepimento, l’aborto, lediagnosi prenatali rivolte al-l’eugenetica, la morte per imalati terminali, l’eutanasia,si ha il timore che l’aumentodemografico sia il massimopericolo, non si trova sensoalcuno alla sofferenza, si im-pone la sterilizzazione, e imezzi di comunicazione so-ciale vengono messi a dispo-sizione di queste proposte4.

b. Descrizione nelle Conferenze mondiali sulla popolazione

A conferma di quanto espo-sto e vedendo come si estendequesta problematica fino aigiorni nostri, vediamo ora co-sa dicono le recenti Conferen-ze mondiali riguardanti la sa-nità. In esse si è cercato di an-dare fino in fondo, fino a toc-care l’origine della vita per poiaggredirla. Possiamo sottoli-neare alcuni aspetti più signifi-cativi.

Cominciamo con la Confe-renza del Cairo (ONU/Cairo,1994). Durante il suo svolgi-mento la riproduzione sessualefu ritenuta pericolosa per ilmondo in quanto, si diceva, fa-voriva l’aumento demograficomentre il mondo non possiederisorse sufficienti per provve-dere ad alimentare l’eccesso dipopolazione. Si parlò, quindi,di rivoluzione sessuale nel sen-so che i diritti sessuali dovreb-bero disporre di uno statutogiuridico, senza che questi di-ritti implichino necessariamen-te la riproduzione umana. Siparlò pure del problema dell’a-borto, concepito come un dirit-to della donna. Si disse che bi-sognava allargare il concettotradizionale di famiglia. Si ar-rivò a dire che famiglia sonotutti quelli che abitano sotto lostesso tetto, a difesa così delleunioni di fatto, delle unioni traomosessuali e di qualsiasi altrotipo di convivenza. Il concetto

di famiglia che ha come base ilmatrimonio tra i due sessi uni-co e indissolubile viene allon-tanato sempre più dai consensimondiali. Si parlò anche dellapianificazione familiare, nonnel senso di una autentica rego-lamentazione della famiglia,bensì della soppressione dellafecondità, specialmente rivoltaai paesi del terzo mondo il cuiaumento di popolazione è am-piamente temuto dai paesi ric-chi.

Nella Conferenza di Pechi-no (ONU/Pechino, 1999) si èparlato dei diritti sessuali delleragazze e delle donne, con unamentalità anticoncezionale sog-giacente; in questo senso si èproclamato pure la fine dellaviolenza e della discriminazio-ne contro la donna. Si è dettoche i diritti della donna sono di-ritti umani – cosa ovviamentecerta – e che ciò comportava laproclamazione del diritto all’a-borto come diritto umano. Tut-to questo, in modo più o menoaperto, veniva sostenuto quan-do si parlava del diritto delleadolescenti all’informazionesulla salute sessuale e riprodut-tiva, e ad usufruire dei servizimedici senza l’interferenza deigenitori.

Nella riunione dell’ONUconosciuta come Cairo+5(1999), 5 anni dopo la Confe-renza del Cairo, fu lanciata laproposta sulla liceità della«pillola del giorno dopo», far-maco chiaramente abortivo,della cosiddetta contraccezio-ne d’emergenza e dell’abortoinsicuro. In quell’occasione sipresentò come qualcosa di di-verso il diritto alla «privacy»:si parlò del diritto degli adole-scenti alla privacy e all’educa-zione sessuale sin dalla scuolaelementare; tutto ciò nel sensodella libera pratica sessuale,ovviamente non in ordine allaprocreazione e meno ancoraalla formazione di una fami-glia. Nuovamente si parlò del-l’aborto come diritto umano edella formazione del personalesanitario alla pratica nel mi-glior modo possibile dell’a-borto, senza tener conto deidettami della sua coscienza.

L’ultimo anello delle Confe-renze mondiali che si occupa-no della vita è Pechino+5(ONU/Pechino+5, 2000), cin-que anni dopo la Conferenza

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di Pechino. Durante la sua pre-parazione, i paesi occidentali,Europa e Stati Uniti compresi,assieme ad un gruppo di dissi-denti del G77, attaccarono se-riamente lottando contro la fa-miglia ed in favore dell’abor-to; la loro formula fu «accessolibero e totale a tutti i servizisanitari», includendo in questomodo l’aborto, e non erano di-sposti ad accettare nessunaclausola a protezione del dirit-to d’obiezione di coscienzadel personale medico, infer-mieristico e ostetrico che, diconseguenza, sarebbe statoobbligato a praticare l’aborto.Un’altra formula apportata ful’«orientamento sessuale» e«la necessità» di modificare ilruolo e l’identità degli stereo-tipi di donne e uomini. Ci fuun attacco ai «ruoli tradiziona-li attribuiti ad un solo genere...che obbligano le donne ad as-sumere tutto il peso delle re-sponsabilità familiari». Fuconsiderato come violazionedei diritti umani il non ricono-scere l’«orientamento sessua-le» (omosessualità compresa).In questo modo si cercò diproclamare come diritti umanii diritti sessuali, aprendo lastrada al diritto alla pornogra-fia, alla prostituzione, all’a-borto e alla perversione ses-suale. Nella votazione finaletutte queste proposte non pas-sarono5.

c. Il panorama attuale

Non c’è dubbio che l’attualepanorama di minacce contro lavita è desolante, che esiste unamentalità totalmente maltusia-na, che si desidera sostituire lafamiglia fondata sul matrimo-nio con diversi tipi di unionecompresa quella degli omo-sessuali, la vita sessuale vienevista come banale, il figlio èricevuto come frutto di un de-siderio egoistico, non c’è una

protezione giuridica dell’em-brione, si legalizza l’aborto,viene autorizzata l’eutanasia,la vita viene valutata soltantodall’aspetto della sua produtti-vità, in tutto il mondo esisteuna situazione di fame, di ma-lattia e di miseria, di guerra egenocidio, dappertutto si ado-perano gli embrioni con finicommerciali, sperimentali oterapeutici, si pratica l’euge-netica prenatale, si delineanotentativi di clonazione umana,è stata inventata l’espressionepre-embrione per dare legitti-mità all’aborto, si moltiplica-no le banche genetiche, gliembrioni congelati, la fecon-dazione artificiale, l’impiegodi cellule staminali embriona-li, l’impiego di tessuti di em-brioni e di feti e prospera la ri-cerca sul genoma umano al fi-ne di manipolarlo in una euge-netica abortiva6.

A quanto sopra bisogna ag-giungere la pandemia del HIV-AIDS, l’intensificarsi della ma-laria e della tubercolosi, dellemalattie respiratorie, dell’iper-tensione, del diabete, del can-cro, delle malattie infettive, deltabagismo, della mortalità ma-terno-infantile, dell’ebola, del-l’alcolismo, dei traumi di ognitipo, ecc.

Come è ovvio, questo non èil panorama generalizzato del-la sanità nel mondo. Non dob-biamo cadere in un nero pessi-mismo, perché, allo stessotempo, ci troviamo di frontead un meraviglioso progressodel mondo della medicina e lasperanza di vita è cresciutanella maggior parte dei popoli.Le tracce che abbiamo descrit-to finora si riferiscono ad alcu-ne delle minacce più significa-tive alla vita esistenti nel mon-do che, proprio per la loro cru-dezza, fanno echeggiare fortel’interrogativo che poniamo aiprofessionisti della sanità af-finché diano una risposta.

2. La risposta dei professionisti della sanità

a. Le cause

Per delineare una rispostadobbiamo esaminare le causedi questa situazione. Lo fa ilSanto Padre in modo approfon-dito, nell’enciclica che abbia-mo menzionato, quando affer-ma che le minacce contro la vi-ta sono dovute soprattutto almodo di pensare che il dirittoappartiene soltanto a chi ha unaautonomia perlomeno incipien-te; che libertà è assoluta auto-nomia; al pensare in un pretesoaltruismo e pietà di fronte apossibili deformazioni di unanuova vita nel feto; che il dirit-to alla vita è qualcosa che ap-partiene soltanto alle decisioniparlamentari; che si è verificataun’eclissi del senso di Dio e,pertanto, dell’uomo; che la vitaè catalogata come una cosa damanipolare, assolutamente sog-getta al trattamento tecnologi-co; che la natura deve essereconsiderata non come qualcosadi sacro uscito dalle mani diDio, ma come una specie di mi-niera, di cantiere, di materialetotalmente da manipolare se-condo l’arbitrio umano; al cre-dere nel corpo e nel sesso comesemplice strumento di afferma-zione dell’Io e di soddisfaci-mento egoistico dei propri desi-deri e istinti; ad una deforma-zione della coscienza moraledella società, formata da «uo-mini che soffocano la veritànell’ingiustizia» (Ro 1, 18)7.

b. Responsabilità interna

Se riflettiamo su questo in-sieme di cause, vediamo che larisposta deve sorgere dall’inti-mo dell’uomo, di modo che,scoprendo se stesso, scopraanche Dio fonte di vita.

In effetti, la responsabilità èla capacità di rispondere. Equesta capacità è incentratanell’uomo stesso. L’uomo simette di fronte alla propriarealizzazione e comincia a co-struirla. La responsabilità con-siste in questa capacità di co-struire se stessi. La libertà en-tra come la possibilità di sce-gliere ciò che più conviene perquesta costruzione. Quando ciponiamo al livello del profes-sionista della sanità, ci accor-

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giamo che l’interrogativo sca-turito dalle minacce alla sanitàne suscita un altro ancor piùprofondo: quello sulla propriapersonalità come professioni-sta della salute. Si tratta di uninterrogativo che esige di alza-re lo sguardo verso la propriafinalità e il proprio modelloche, per il cristiano professio-nista della sanità, non sono al-tro che Cristo risuscitato.

Così dice il Papa nell’enci-clica sopra citata: «Israele im-para... che ogni qualvolta èminacciata nella sua esistenzaciò che deve fare è rivolgersi aDio con rinnovata fiducia pertrovare in Lui una efficace as-sistenza»... «Anche oggi, diri-gendo lo sguardo a Colui chehanno trafitto, ogni uomo mi-

nacciato nella propria esisten-za trova una speranza di sicuraliberazione»8.

c. Efficacia della risurrezione

Ancor più, per il professio-nista della salute, questa fina-lità e questo modello non sonoqualcosa di esteriore che agi-sce per imitazione o per unimpulso puramente volitivo inordine alla finalità percepita,ma un vero motore di efficien-za. È Cristo risuscitato coluiche spinge a dare una rispostaed è Egli stesso che offre la ri-sposta. Di fronte alla portatadei problemi incontrati nonc’è posto per lo scoraggiamen-to e per misurare le proprieforze trovandole sproporzio-nate a risolvere i problemi, maper l’accettazione umile e to-tale della capacità della suapersonalità assieme a tutta lascienza e la tecnica odierne, alservizio della forza vivificanteche realizza in concreto la vi-ta, e cioè Cristo morto e risu-scitato. In questo consiste la

redenzione che Cristo ci offrenelle situazioni concrete delmondo in cui viviamo. Possia-mo apprezzare in modo chiaroin queste circostanze la neces-sità di una redenzione che su-pera veramente tutte le nostreforze, ma che realizza la mera-viglia della sacralizzazionedella salute servendosi dellenostre scarse ma indispensabi-li capacità.

d. Il Papa all’Accademia per la Vita

Il Papa Giovanni Paolo II ètornato a parlare a questo ri-guardo quando di recente si èrivolto ai membri della Ponti-ficia Accademia per la Vita(16 marzo 2001), dicendo che

c’è bisogno di offrire contenu-ti solidi ed illuminanti alla cul-tura della vita per rigenerarecontinuamente il tessuto inte-riore della cultura contempo-ranea. La vita umana deve es-sere presentata come dono diDio e l’uomo come suo colla-boratore libero e responsabile,mettendo in risalto la dignitàdella persona umana e la fami-glia come comunità d’amore edi vita. La vita è perseguitatama riuscirà a vincere, questa èla nostra speranza certa perchédalla parte della vita sono la li-bertà, il bene, la gioia, il veroprogresso, Dio. Gesù Cristo hadato la sua vita per vincere lamorte e per associare l’uomoalla sua risurrezione. Il Vange-lo della vita è qualcosa di con-creto e di personale, perchévuol dire annuncio della per-sona stessa di Gesù che ci di-ce: «Io sono la via, la verità ela vita» (Gv 4, 6).

Il Papa prosegue dicendoche tutto ciò risiede nel più in-timo della persona, non è qual-cosa che conosciamo soltanto

mediante la Rivelazione. Sgor-ga dalla ragione stessa dellacreazione, della dignità dellapersona umana, della dignitàdel corpo come soggetto uma-no in una concezione unitaria.Bisogna incrementare il dialo-go tra la fede e la ragione unen-do nella persona umana dignitàe sacralità, libertà e responsabi-lità, ponendo in risalto la tuteladell’ambiente, il diritto alla vi-ta dal suo concepimento finoalla morte, la famiglia, il dise-gno primario di Dio per la ri-produzione della vita. Le gran-di sfide hanno luogo nell’am-bito dei progressi odierni e del-la laicizzazione della società.Sono urgenti sia il dialogo chel’ascolto. «Senza una culturache mantenga saldo il diritto

alla vita e promuova i valorifondamenti di ogni persona,non si può avere una societàsana né la garanzia della pace edella giustizia»9.

3. Linee d’azione

a. La preghiera

Quali sono le linee d’azioneper mettere in atto questagrande responsabilità di frontealla vita? In primo luogo, diceil Papa, «è urgente una grandepreghiera per la vita, che attra-versi il mondo intero. Con ini-ziative straordinarie e nellapreghiera abituale, da ogni co-munità cristiana, da ogni grup-po o associazione, da ogni fa-miglia e dal cuore di ogni cre-dente, si elevi una supplica ap-passionata a Dio, Creatore eamante della vita»10.

b. L’orientamento

Dobbiamo avere, inoltre,una chiara concezione cristia-

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na della vita, intesa come mis-sione, mistero e comunione. Ilpunto di partenza per costruireuna cultura della vita è il rico-noscimento della vita comemissione. Cristo dice: «Sonovenuto affinché abbiano la vitae l’abbiano in abbondanza»(Gv 10, 10) e la vita che Cristoci ha dato è la vita che Egli hanel Padre e che il Padre ha inLui (Gv 6, 57). La vita di Dio,la vita della Santissima Tri-nità, non può essere annichili-ta dalla morte. La missione diCristo è quella di offrirci que-sta vita della Santissima Tri-nità e la Sua missione non puòfallire. Pertanto, questa vita èuna vita frutto della comunio-ne e, ancor più, è la stessa co-munione del Padre con il Fi-glio nello Spirito Santo (2Co13, 13). La vita non può essereseparata dalla comunione, in-fatti la vita massima dell’uo-mo è quella ricevuta nel Batte-simo, la vita divina, e questavita è ricevuta in comunionecon tutta la Chiesa. Allo stessomodo, la riproduzione di que-sta vita viene data soltanto nel-la massima solidarietà e co-munione umana, cioè nel ma-trimonio, che è la vita battesi-male sdoppiata nell’amorematrimoniale, nell’unione pie-na e indissolubile dell’uomo edella donna.

La migliore protezione,quindi, della vita contro le mi-nacce è la preservazione delmatrimonio e della famigliache si costituisce, unica fontedalla quale procede quanto dipiù autentico c’è della vitastessa.

c. La Bioetica

Una forma pratica profondaper proteggere la vita da partedei professionisti della sanitàè conoscere e applicare in mo-do corretto la Bioetica, specienei complicati problemi delgenoma umano. Quando par-liamo della corretta applica-zione della Bioetica ci riferia-mo all’autentica Bioetica, cheparte dai principi precedente-mente enunciati riguardo allavita.

In effetti, il problema fonda-mentale della Bioetica oggi, ilsuo problema fondamentale dibase, è il problema dei suoiprincipi. La Bioetica è lo stu-

dio scientifico del comporta-mento umano nell’ambito dellescienze della vita e della salu-te, in conformità con i valori ei principi morali. Sorge spon-tanea la domanda: quali valori?quali principi morali? Non èdifficile trovare la risposta nel-l’ambito cattolico, sono i valoridi cui abbiamo accennato inprecedenza; ma la Biogeneticasi sviluppa in modo forte inambito non cattolico, special-mente di matrice protestante, ein questo campo non sonochiari né i valori né i principimorali. Ne è privo soprattuttoil positivismo etico, ove non èpossibile parlare razionalmentedi questi principi.

In effetti, nel pensiero cri-stiano tradizionale i principisono la legge di Dio, i coman-damenti della Legge di Dioche sono fondati nella stessalegge naturale, sublimati nellavita in Cristo di cui abbiamoparlato poco fa. Ma nel pen-siero protestante non appareaccettabile la legge naturale,in quanto si pensa che la natu-ra è semplicemente viziata, ècattiva e pertanto non può es-sere costituita quale normadell’agire. Nel desautorare lanatura come fonte di moralità,dobbiamo cercare altre formeesterne e molte volte arbitrarieche non hanno il loro fonda-mento in quella natura.

Come abbiamo riferito pri-ma, per il pensiero morale cri-stiano, incluso prescindendoper ora dalla Rivelazione, l’E-tica è una conseguenza dellaMetafisica: se la natura ha unafinalità, allora è fondata in unaantropologia nella quale l’uo-mo è presentato come esseredotato di finalità e come tale incammino verso di essa. L’Eti-ca ci descrive questo cammi-nare verso l’eternità. Ma sesmentiamo la natura e prescin-diamo dalla Metafisica, nonc’è più una finalità e nemme-no c’è una Antropologia meta-fisica né, di conseguenza, unavera Etica.

La Bioetica è vista così indue direzioni: l’una che accet-ta il pensiero metafisico e laRivelazione, l’Antropologia el’Etica fondate nella Metafisi-ca e nella Rivelazione, e l’altrache non accetterà questo pen-siero e cercherà di formularealtri fondamenti oppure sem-

plicemente nessuno. La primaverrà chiamata «Personali-smo» e la seconda «Bioeticapositivista». Spiegare i princi-pi del Personalismo etico aiu-terà in modo essenziale i pro-fessionisti della salute a pro-teggere la vita dalle minacceche incombono su di essa.

d. I principi del Personalismo in Bioetica

1. La persona umana è crea-ta da Dio, da Lui proviene e aLui deve tendere come allasua causa primaria e finale. Lapersona umana è capace di ri-flessione, è in se stessa fine emai può essere considerata co-me mezzo. È la sintesi dell’u-niverso e colei che dà ragionea tutto ciò che esiste. Qui tro-vano il loro fondamento l’An-tropologia e l’Etica.

2. Di conseguenza, la vitaumana è sacra perché viene daDio. Per la stessa ragione ladignità della persona umana èinviolabile.

3. La persona umana ha unapropria libertà e una propriaresponsabilità che deve eserci-tare per realizzare se stessa.Non c’è libertà senza respon-sabilità e ciò significa rispetta-re la libertà dell’altro.

4. Il tutto sta al di sopra del-la parte e a volte bisogna ri-nunciare alla parte in onoredella totalità.

5. La persona umana esistenella solidarietà e deve tende-re al bene comune.

6. In questo contesto si ac-cettano e si giustificano i treprincipi dell’autonomia, dellabeneficenza e della giustizia,che vengono addotti dallaBioetica positivista. Il princi-pio di autonomia sta a signifi-care la libertà dell’agente mo-rale, che a sua volta indiche-rebbe che un’azione è buonase rispetta la libertà dell’agen-te morale e degli altri. Il prin-cipio di beneficenza vuol direche bisogna fare sempre il be-ne ed evitare il male. Il princi-pio di giustizia, vuol dire chebisogna dare ad ognuno ciòche gli appartiene.

7. La persona è immagine diDio, membro del Corpo diCristo, cittadino del popolo diDio.

8. La sofferenza, se assuntain unione con quella di Cristo,

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è qualcosa di positivo ed èfonte di salvezza.

9. La vita è inviolabile dalsuo concepimento fino allasua fine naturale.

10. La vita umana deve ave-re la sua origine soltanto nelmatrimonio.

11. La vita umana deve ave-re la sua origine nel matrimo-nio, nell’atto coniugale.

12. Le scienze sono al servi-zio della vita umana e non vi-ceversa.

13. Quanto prima espostodeve essere tradotto nelle leg-gi civili degli Stati11.

e. Applicare alla casistica

Più che continuare ora conuna casistica nell’ambito dellaBiogenetica, sia sufficientequanto abbiamo enunciato co-me risposta ai problemi speci-fici che senz’altro si presente-ranno ai professionisti dellasanità oggi per proteggere lavita di fronte all’anticoncepi-mento, all’aborto, all’impiegodelle cellule staminali, allebanche di materiale genetico,alla fecondazione in vitro, allaclonazione umana, all’affittodi placente, alla produzione diembrioni, alla congelazione di

embrioni, all’impiego dei tes-suti fetali, all’eugenetica, allaarbitraria libertà sessuale, al-l’omosessualità, all’informa-zione sessuale senza una ade-guata formazione, al divorzio,all’eutanasia, ecc.

Abbiamo cercato di chiarireil panorama della vita di frontealla cultura della morte ed èresponsabilità di ogni profes-sionista della sanità portarequesta luce nelle situazioniquotidiane che gli tocca af-frontare per proteggere sem-pre la vita.

Concludiamo, come fa ilPapa nella sua enciclica, affer-mando che il modello di vitadella nuova cultura è la Vergi-ne Maria nella nascita del Fi-glio di Dio, come appare nelcapitolo dodici dell’Apocalis-se: la donna sta per partorire eil drago aspetta che nasca il fi-glio per divorarlo. Alla donnavengono date due ali per rifu-giarsi in un luogo sicuro neldeserto, dove partorirà e il dra-go non potrà fare più nullacontro di lei e la sua discen-denza. La vita è protetta dalleminacce della morte. Il trionfodella vita è la risurrezione.Maria è la fonte della vita, è ilnostro modello e la nostra si-

curezza per forgiare la nuovacultura della vita12.

S.E. Mons. JAVIER LOZANOBARRAGÁN

Arcivescovo-Vescovo emerito di Zacatecas,

Presidente del Pontificio Consiglioper la Pastorale della Salute

Note1 GIOVANNI PAOLO II, Lettera Encicli-

ca Evangelium vitae, 25 marzo 1995, 9-11.

2 EV 1, 12.3 EV 1, 11.4 EV 1, 13-17.5 MARTINO R., Cinque anni dopo Il

Cairo e Pechino, in Pontificio Consigliodella Famiglia, I figli, famiglia e societànel nuovo millennio, Vaticano, 2001,172-180.

6 MARTÍNEZ J.E I., Presentazione delCongresso europeo dei Movimenti perla Vita, in Pontificio Consiglio della Fa-miglia, I figli, famiglia e società nel nuo-vo millennio, Vaticano, 2001, 181-188.

7 EV 1, 19-23.8 EV 1, 22; 2, 50.9 GIOVANNI PAOLO II, Discorso alla

Pontificia Accademia per la Vita, L’Os-servatore Romano, ed. sett. (11) 16 mar-zo 2001, 2.

10 EV 4, 100.11 CICCONE LINO, Storia e problemati-

che oggi; SPAGNOLO ANTONIO, Bioetica,Fondamenti; in Camillianum, Diziona-rio di Teologia Pastorale Sanitaria, Edi-zioni Camilliane, 1997, 130-154.

12 EV, 103-104.

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Fui veramente sorpresoquando, nel lontano 1973, uneminente professore di ostetri-cia e ginecologia mi informò,dopo un mio colloquio per lanomina ad aiuto anziano, cheper uno specialista cattolico“non c’è posto per esercitareall’interno del Servizio Sanita-rio Nazionale, a meno che nonsi sia pronti a cambiare le pro-prie idee o a specializzarsi inun altro campo”. Avevo sem-pre pensato – alquanto inge-nuamente, sembra – che il “si-stema” britannico fosse basatosul fair play e, soprattutto, sulrispetto del diritto di ogni indi-viduo all’obiezione di co-scienza, ad esempio in tempodi guerra. Divenne presto evi-

dente che nel Regno Unito,per non abbandonare le miespecializzazioni, avrei dovutoscendere ad un compromessocon la mia salda ripulsione asopprimere personalmente lavita umana. Rifiutai e, di con-seguenza, mi trovai disoccu-pato con moglie e tre bambinie, per poter esercitare in pienalibertà la specializzazione cheavevo scelto, dovetti lasciare ilpaese, la casa e la famiglia.

Nel 1976 pubblicai un arti-colo su questa mia esperienzasul British Medical Journal,preannunciando che l’eserciziodell’ostetricia nel Regno Unitoavrebbe risentito del fatto cherifiutare l’obiezione di coscien-za nei confronti della pratica

dell’aborto avrebbe creato co-me principale conseguenza ciòche chiamai “uniformità dipratica”, che avrebbe ulterior-mente soffocato sia il pensieroche il progresso. Questa previ-sione riguardante l’ostetricianel Regno Unito si è avverata ela discriminazione verso i me-dici cattolici e altri medici a fa-vore della vita continua, sia lìche in altre parti del mondo.

La decisione di specializzar-mi in ostetricia/ginecologia sifece strada molto presto nellamia carriera di studente di me-dicina. Il fascino di questespecializzazioni era dato dalfatto che richiedevano, oltre aspecifiche abilità in ostetricia,anche capacità mediche e chi-

Una questione di coscienza

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rurgiche. Mi apparve evidenteche ostetrici e levatrici possie-dono una vocazione unica eprivilegiata al servizio dellavita, poiché essi sono gli assi-stenti dei co-creatori di unanuova vita. Noi siamo specia-lizzati in maternità.

All’inizio del mio periododi internato in ostetricia, nellontano 1968, agli interni fudetto che gli ostetrici avevanoun obiettivo che era quello difornire la miglior assistenzapossibile per garantire che tut-te le gravidanze si concludes-sero con una madre viva e sa-na ed un neonato vivo e sano.Ci fu spiegato che sin dall’ini-zio di ogni gravidanza avrem-mo dovuto prenderci cura didue pazienti, come precisa laseguente affermazione trattada Williams Obstetrics (16a

edizione):“Fortunatamente viviamo

e lavoriamo in un’epoca incui il feto viene identificatocome il nostro secondo pa-ziente, con altrettanti dirittie privilegi quanti prima neotteneva dopo la nascita”.

Tuttavia, all’inizio degli an-ni ’70, il grande pubblico epersino i vertici della Chiesanon prevedevano gli oscuricambiamenti che stavano perverificarsi e che avrebbero ca-povolto l’assistenza materna efatto sì che molti ostetriciprendessero serie decisioni ri-guardo la propria vita ed atti-vità professionale, decisioniche ebbero effetti profondi sul-la loro carriera. Quando stavoterminando il mio praticantato,si stava introducendo la con-traccezione orale e ricordo diaver presenziato ad una delleprime dimostrazioni del dispo-sitivo anticoncezionale intrau-terino. In quello stesso perio-do, nel Regno Unito venivaapprovata la legge che consen-tiva l’aborto. Come interni,eravamo esposti all’opinioneunilaterale, inesatta e precon-cetta di coloro che erano decisia cambiare il nostro modo dipensare ed esercitare. È indica-tivo il fatto che in edizioni suc-cessive del testo di Williamsquel riferimento al feto comesecondo paziente sia statoomesso. Un graduale processoimpercettibile incominciò aprovocare un sostanziale cam-biamento nel modo in cui gli

ostetrici consideravano se stes-si. La differenza tra l’ostetricia(assistenza sanitaria alle ma-dri) e la ginecologia (assisten-za sanitaria alle donne) diven-ne sfuocata. La maternità nonveniva più menzionata ed oggici troviamo ad essere sempli-cemente degli specialisti dellasalute delle donne.

All’incirca nello stesso pe-riodo venne promulgata l’En-ciclica Humanae Vitae. Ricor-do che, quando la lessi, la miaprima reazione fu di chiedermise avesse qualche rilevanzaper la mia professione. Inco-minciai a razionalizzare chec’era differenza tra contracce-

zione ed aborto – potevo ac-cettare la prima ma non il se-condo. La decisione era moltosemplice ed anche la maggiorparte dei miei amici e colleghiaccettarono quell’idea. Nonc’era nessuno cui rivolgersiper avere consigli ed essereguidati. Tuttavia, per una qual-che ragione – molto probabil-mente per ispirazione delloSpirito Santo – rilessi l’Enci-clica, ci riflettei ed incomin-ciai a comprendere la sua im-portanza per il matrimonio,per la vita umana e la famiglia.

Presto l’aborto e la contrac-cezione divennero la base del-l’assistenza sanitaria alle ma-dri. Malgrado le loro grandiconoscenze sul nascituro, gliostetrici divennero conniventinello sminuire il valore del-l’essere umano nel grembomaterno, rendendolo così tan-to più facile da distruggere. Lasocietà ha accettato l’abortocome una facile soluzione aproblemi di tipo sociale edeconomico, e ostetrici e gine-cologi hanno permesso che leloro capacità professionali ve-

nissero utilizzate a questo sco-po. Oggi molti dei nostri colle-ghi uccidono più bambini diquanti non ne facciano nasce-re, e ci si impegna molto pocoper ridurre il numero degliaborti. Sembra incredibile cheWilliam Jefferson Clinton, exPresidente degli Stati Uniti,abbia per due volte posto il ve-to ad un disegno di legge cheavrebbe vietato l’oscenità del-la nascita parziale dell’aborto.Il mondo ha accettato la cultu-ra della morte al costo di bam-bini non nati e di una profes-sione un tempo nobile. PapaGiovanni Paolo II ha com-mentato che oggi la professio-ne medica soffre fondamental-mente di una crisi d’identità;esiste un grave pericolo quan-do questa professione è chia-mata a sopprimere una vitaconcepita, quando è usata pereliminare il morente, quandopermette a se stessa di arrivaread intervenire contro il pianodel Creatore e la vita della fa-miglia o di cedere alla tenta-zione di manipolare la vitaumana; e, quando perde di vi-sta la sua direzione autentica,che è quella dell’essere umanoprofondamente sfortunato eammalato, essa perde la pro-pria etica, si ammala a sua vol-ta, perde e oscura la propriadignità e autonomia morale.

Questo ha avuto un profon-do significato etico, morale epratico per i medici cattolici,che stiano già esercitando oche siano in formazione. Nes-sun altro ramo della medicinaè stato così influenzato daquesti cambiamenti. Non si èsemplicemente tenuto contoche gli ostetrici della mia ge-nerazione hanno dovuto, sindall’inizio di questi cambia-menti, prendere una posizionebasilare in difesa della vitaumana. Ciò ha causato grandedolore sia a loro che alle lorofamiglie, poiché anche la lorocarriera veniva rovinata: alcu-ni furono costretti ad abbando-nare la specializzazione, altriscesero tristemente ad uncompromesso per sopravvive-re. In alcuni paesi molti furonocostretti a partecipare a pro-grammi di aborto e contracce-zione e molti purtroppo deci-sero di venire a patti e separareciò in cui credevano da ciò chefacevano.

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Gli specialisti cattolici e leloro famiglie sono stati sotto-posti ad una specie di totalita-rismo professionale in modimolto personali. Un ostetri-co/ginecologo cattolico rima-sto fedele all’insegnamentodel Magistero della Chiesa èstato ed è oggetto di ostraci-smo sul piano sociale e pro-fessionale. È doloroso chepersino negli ospedali cattoli-ci essi vengano considerati un“imbarazzo” a causa della lo-ro presa di posizione pubbli-ca, ultra conservatori, profes-sionalmente superati e forsepersino negligenti, e venganosottoposti alla disapprovazio-ne della categoria medica. Insenso generale, si riscontrauna crisi di reclutamento per-ché pochi studenti scelgono dispecializzarsi in ostetricia/gi-necologia, essenzialmente pertre motivi: lo stile di vita èmolto duro; c’è timore di ver-tenze giudiziarie, specialmen-te nel Nord America ed in Eu-ropa; e la maggior parte deimedici non vuole essere coin-volta nell’aborto – considera-to come un lavoro sgradevole.Non sorprende che pochissi-mi cattolici si iscrivano adostetricia/ginecologia, cosìora il concetto cattolico diqueste specializzazioni ri-schia di fare la stessa fine deidinosauri, eliminate dall’aste-roide dell’aborto/contracce-zione. Ciò dovrebbe esserefonte di seria preoccupazioneper la Chiesa, per le organiz-zazioni in favore della vita eper tutte le persone di buonavolontà.

Questo solleva importantiinterrogativi: che effetto hatutto questo sulle madri e sulledonne? dove riusciranno adavere consigli e cure consonialle proprie convinzioni mora-li per i problemi di natura sani-taria? Le donne sono ingiusta-mente influenzate dai medici odal personale infermieristicoche non comprende o non sicura delle loro convinzioni re-ligiose? In altre parole, chirenderà concreto in futurol’insegnamento della Chiesariguardo all’assistenza sanita-ria alle madri?

Nel 1995, un piccolo gruppointernazionale di ostetrici, gi-necologi e levatrici cattolici siè riunito al Life Health Centre

di Liverpool, in Inghilterra.Tutti si erano posti la stessadomanda: se non facciamoqualcosa noi, CHI LO FARÀ?Queste poche persone determi-nate ritenevano che, se avesse-ro mantenuti saldi i propriprincipi etici e morali, avreb-bero potuto assistere efficace-mente le madri ed i nascituri,così come erano convinte chenel mondo esistono madri chedesiderano ancora il tipo di as-sistenza che esse possono for-nire.

Anche Papa Giovanni PaoloII, nella sua Enciclica Evange-lium Vitae, ha lanciato un ap-pello a tutti, ma in modo parti-colare ai professionisti sanitaricattolici, affinché faccianoqualcosa in più per la vita.

“Al popolo della vita e perla vita”, “per dare a questonostro mondo nuovi segni disperanza, operando affinchécrescano giustizia e solida-rietà e si affermi una nuovacultura della vita umana,per l’edificazione di un’au-tentica civiltà della verità edell’amore” (EV, 6).

“Peculiare è la responsabi-lità affidata agli operatorisanitari... custodi e servitoridella vita umana” (EV, 89).

“Uno specifico apporto do-vrà venire anche dalle Uni-versità, in particolare daquelle cattoliche, e dai Cen-tri, Istituti e Comitati di bioe-tica” (EV, 98).

Quel gruppo ha fondato ilMaterCare International (MCI),che ha compiuto un’opzionepreferenziale in favore dellemadri e dei nascituri. L’inten-zione non era quella di mettersu una fabbrica di chiacchiere,ma un’organizzazione cheavrebbe nuovamente infuso lavita nell’assistenza alle madriattraverso nuove iniziative diservizi, addestramento, ricercae patrocinio secondo l’insegna-mento dell’Enciclica Evange-lium Vitae. Il MaterCare Inter-national intende mettersi:

“...a servizio di una nuovacultura della vita con la pro-duzione di contributi seri,documentati e capaci di im-porsi per i loro pregi al ri-spetto e all’interesse di tutti”(EV, 98).

Per il XXI secolo, MaterCa-re International sta sviluppan-do una struttura rivoluziona-

ria, cioè non fatta di grandiedifici con alti costi di riscal-damento, ma una piccolaagenzia centrale a livello inter-nazionale e gruppi nazionaliche sostengono piccoli centridi consultazione molto adatta-bili, distribuiti in tutto il mon-do e collegati tra loro attraver-so le moderne tecnologie dicomunicazione. MaterCare èlegalmente costituita in Cana-da, Irlanda e Regno Unito (epertanto nell’Unione Euro-pea), ed è in via di costituzio-ne negli Stati Uniti, in Austra-lia e nel Ghana. Ogni grupponazionale possiede un consi-glio direttivo interdisciplinare.Attraverso queste strutture na-zionali esso accede a finanzia-menti di fonte sia privata chestatale per portare a termine iprogetti e reclutare colleghiper eseguire il lavoro.

Il centro internazionale sitrova a St. John’s, nel New-foundland, ed il Canada forni-sce il sostegno specialistico aicentri nazionali. Il centro at-tualmente è formato da un oste-trico, un professore per l’assi-stenza infermieristica, una se-gretaria, un coordinatore perl’educazione pubblica ed uncomitato di volontari. Speria-mo di avere in futuro uno staffche rispecchi il carattere e l’e-sperienza professionali unici,internazionali ed interdiscipli-nari della nostra Chiesa e cheincluda un amministratore, di-rettori medici ed infermieristi-ci, un teologo/esperto di etica,un educatore sanitario, unesperto in comunicazione epersonale di sostegno. È il con-siglio direttivo di MaterCareInternational, costituito da duemembri di ciascun gruppo na-zionale, a stabilire la politica ea scegliere i progetti. Il comita-to internazionale si riunisce tri-mestralmente per mezzo diconferenze telefoniche interna-zionali che non sono molto co-stose; in futuro intendiamo or-ganizzare un sistema di tele-conferenze internazionali uti-lizzando Internet, che è gratui-to. Nei punti di interesse e sullabase delle necessità locali, ver-ranno costituiti centri di con-sultazione nazionali. Il primosarà in Ghana, nell’Africa Oc-cidentale. Questi centri di con-sultazione saranno propulsoridi attività locali, raccoglieranno

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informazioni, implementeran-no servizi e programmi didatti-ci, condurranno ricerche e for-niranno anche il gruppo di spe-cialisti.

MaterCare International hadimostrato, malgrado lo scetti-cismo e non senza notevolisforzi, di poter avere grandeimportanza. Nel 1998 ha svi-luppato il West African Mater-nal Health and Obstetric Fi-stula Project (Progetto sullefistole ostetriche e sulla salutematerna in Africa Occidenta-le), la cui prima fase, costituitada programmi di prevenzione,ricerca e patrocinio, è ora incorso nel Ghana. I programmidi prevenzione sono studiatiper ridurre mortalità e morbi-lità materna nelle aree rurali,migliorando la cura fornita al-le madri dai tradizionali assi-

stenti al parto (TAP) nei vil-laggi, usando una scheda pre-natale illustrata, addestrandoinfermiere e levatrici dei centriostetrici ad usare l’ecografia,uno strumento visivo per mo-nitorare la progressione deltravaglio, istituendo un siste-ma di trasporto d’emergenzaostetrica con possibilità di tra-sfusioni a bordo per far giun-gere sane e salve all’ospedaledi zona le puerpere che pre-sentano complicazioni.

È stato completato un pro-gramma di ricerca per la valu-tazione di un nuovo metodoorale, efficace ed economicoper tenere sotto controllo le ri-schiose emorragie post-par-tum, che potrebbe essere uti-lizzato in modo sicuro daiTAP quando non è disponibilealcun aiuto medico.

È allo studio anche un pro-gramma di patrocinio per por-tare all’attenzione internazio-nale la tragedia della morta-lità materna e le sofferenzedelle madri affette da fistolaostetrica.

MaterCare sta realizzandoun centro traumatologico con60 posti letto per fornire assi-stenza e cura alle madri affetteda fistola ostetrica; questocentro dedicherà anche parti-colare attenzione alla forma-zione di infermieri e mediciper il trattamento di queste pa-zienti. Tutti questi progettivengono messi in atto in asso-ciazione con la ConferenzaEpiscopale del Ghana. Mater-Care sta anche realizzando unCD sul trattamento della fisto-la ostetrica, che verrà messogratuitamente a disposizioneed il cui contenuto sarà anchedisponibile sul suo sito web.

Nel 1999, il Dott. Gigli edio ci siamo recati in Albaniaed abbiamo organizzato unaturnazione di ostetrici per unospedale da campo austriaco

per fornire assistenza a circa20.000 rifugiati. Il motivo percui questo progetto non è de-collato è che, una volta cessatii bombardamenti in Kosovo, irifugiati sono tornati a casa.L’anno scorso mi sono recatotre volte a Timor Est conAdrian Thomas, e poi con Lui-gi Gigli, per valutare i problemiche quelle madri devono af-frontare. MaterCare Internatio-nal, con l’aiuto del FIAMC, stasviluppando un programma perfornire assistenza ostetrica dibase dove, al momento, nonesistono ostetrici per una popo-lazione di 700.000 persone.Tuttavia attraverso queste espe-rienze abbiamo scoperto chenon esiste alcuna organizzazio-ne internazionale che fornisceassistenza specialistica alle ma-dri; né il CICR, né l’MSF stes-sa. A Timor Est si stanno ancheorganizzando servizi d’emer-genza.

A MaterCare è stato chiestodi reperire un ostetrico/ammi-nistratore per un ospedale cat-tolico a Betlemme, mentre

l’Arcivescovo di Freetown, inSierra Leone, ha chiesto il no-stro aiuto per organizzare unservizio di assistenza sanitariaalle madri.

MaterCare è particolarmentepreoccupato per il futuro diostetrici/ginecologi e per la lo-ro formazione. Tre anni fa ab-biamo cercato di organizzareun convegno internazionaleper discutere della formazionedei futuri specialisti, ma senzasuccesso. È nostro parere chenel mondo esistano ancoracompartimenti accademici eospedalieri di ostetricia e gine-cologia, che potrebbero offrirecorsi di qualità in internato outilizzando le nuove tecnichedi informazione e l’apprendi-mento a distanza. Tutto ciò chedobbiamo fare è organizzarci.

Conclusioni

Mentre entriamo nel XXIsecolo, milioni di madri in tut-ti i paesi in via di sviluppostanno morendo per complica-zioni da parto che erano fre-quenti nel medioevo. Nei pae-si in via di sviluppo milioni dibambini non nati vengono uc-cisi dalla professione medicacon procedure chirurgiche cheerano comuni nel periodo buiodell’ignoranza umana.

Ostetrici e levatrici condivi-dono una vocazione unica eprivilegiata al servizio della vi-ta. Un gruppo di professionistisanitari cattolici ha fatto lascelta preferenziale di fornirela propria assistenza alle madried ha creato un’organizzazioneinternazionale che sarà diversada qualsiasi altra organizzazio-ne professionale, poiché for-nirà alle madri la miglior assi-stenza ostetrica possibile, cheè saldamente basata sull’eccel-lente competenza medica, sul-la vita e sulla speranza. Noisappiamo COSA deve esserefatto e per CHI; questa propo-sta è un modo di rispondere al-la domanda COME?: noi, qua-li professionisti sanitari cattoli-ci, lo faremo.

Prof. ROBERT WALLEY FRCSC, FRCOG, MPH (Harvard)

Professore di Ostetricia e Ginecologia,Memorial University

del NewfoundlandDirettore esecutivo

MaterCare International

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La pastorale della Chiesa siavvale da sempre dell’apportodei laici, ancor più dopo ilConcilio Vaticano II. Oggil’apporto dei laici alla pastora-le è reso necessario anche dalcalo delle vocazioni sacerdo-tali e religiose.

In modo particolare, è la pa-storale della Chiesa nel mondodella Sanità ad aver bisognodei laici. Si tratta di adempiereil mandato di Cristo: annun-ciare il Vangelo e sanare gli in-fermi. Sanare gli infermi non èqualcosa di aggiuntivo, ma èquasi parte integrante dell’e-vangelizzazione, è ciò che larende credibile. Gesù stessocaratterizzò il suo annuncio«sanando gli infermi».

È per questo motivo che nelcorso dei secoli la Chiesa svi-luppò diaconie, ostelli per ipellegrini, infermerie monasti-che, ordini religiosi dedicatiall’assistenza ai malati. È perquesto motivo che la Chiesainventò il concetto stesso diOspedale e contribuì larga-mente a svilupparne la fisio-nomia che oggi conosciamo.Anche quando gli stati moder-ni, dopo la Rivoluzione Fran-cese, incominciarono ad inte-ressarsi di sanità, per mantene-re alto l’ideale della assistenzasanitaria, la Chiesa favorì lafondazione di istituzioni sani-tarie cattoliche in tutto il mon-do. Dai prestigiosi grandiospedali e dalle facoltà di me-dicina delle Università Catto-liche ai dispensari dei paesi dimissione. Ancora oggi laChiesa è il maggiore fornitoredi servizi sanitari non gover-nativo nel mondo.

Questo gigantesco sforzonon era e non è finalizzato so-lo a supplire al disinteresse deigoverni per alcune forme dipovertà e di emarginazione,ma è volto a testimoniare chel’attenzione alla persona uma-na non è vera se non si interes-sa di tutto l’uomo, anchequando è debole, fragile, deca-

duto, e di tutti gli uomini, an-che quando sono abbandonatie il loro peso sociale o la loroimportanza nella società dellaproduzione e della merce sonoormai nulli.

È per questo motivo chepossiamo dire con consapevo-le orgoglio che lo sforzo dellaChiesa nel mondo sanitario hacontribuito grandemente allosviluppo della civiltà umana,favorendo in tutto il mondo lacrescita di una cultura dell’ac-coglienza e della misericordia,dei diritti e del rispetto del-l’uomo in tutte le situazioni divita e in tutte le fasi della suaesistenza.

Ma la presenza della Chiesanel mondo della sanità era ed èdettata anche dalla consapevo-lezza che è proprio nel mo-mento in cui l’uomo esprimeun bisogno di salute che egli èportato ad interrogarsi sulledomande fondamentali dellavita: sul senso del nascere, delsoffrire, del morire. La Chiesaè consapevole che una correttarisposta a queste domande puòcondizionare anche la rispostaad altre domande sulle quali sifonda il senso religioso del-l’uomo. Chi sono? Dove va-do? Che senso ha la mia vita?Il bisogno di guarigione puòcioè portare ad una domandadi salvezza (salus).

È per questi motivi che, an-che negli ospedali non cattoli-ci, la Chiesa ha favorito sem-pre la presenza di cappellani,di suore infermiere, di medicie infermieri cristianamenteformati e ispirati, di associa-zioni di medici cattolici e in-fermieri cattolici, di volontariispirati dal modello del BuonSamaritano.

In questo senso il medicospecialista in Ostetricia-Gine-cologia e la infermiera ostetri-ca condividono la responsabi-lità di ogni operatore sanitariocattolico per la pastorale sani-taria della Chiesa.

Oggi però il loro ruolo è di-

ventato molto più importante ela loro responsabilità più gran-de. Fino a pochi decenni fa, in-fatti, la morale medica e la mo-rale cattolica raramente si tro-vavano in contrasto ed il medi-co cattolico non aveva diffi-coltà a mettere a disposizionedel suo paziente tutto quelloche la scienza medica offriva,senza soffrire per questo diconflitti di coscienza. È vero,sono sempre esistiti medici elevatrici che hanno praticatoaborti, ma essi lo facevano aldi fuori dei canoni di condottamorale riconosciuti dalla pro-fessione e di nascosto, perchébiasimati. Fino all’inizio deglianni ’70, i testi di medicina le-gale distinguevano solo quat-tro tipi di aborto: spontaneo,terapeutico (al solo fine di sal-vare la vita della madre), euge-netico e criminale. Sugli ultimidue tipi la riprovazione profes-sionale era chiarissima.

Le cose sono profondamen-te cambiate negli ultimi de-cenni. La disponibilità di mez-zi di contraccezione farmaco-logica, il movimento femmini-sta, l’introduzione dell’abortoin moltissime legislazioni, lecrescenti possibilità offertedalla genetica di individuaremalattie prima della nascita, losviluppo di tecniche di fertiliz-zazione in vitro, la conseguen-te produzione di embrioni a fi-ni di cura della sterilità, la lorodisponibilità a fini di ricercascientifica, la individuazionedelle potenzialità delle celluleembrionali per lo sviluppo ditessuti utili a fini di trapiantoper la cura di malattie degene-rative, le ipotesi di clonazionetotale o parziale già realizzatenegli animali, hanno radical-mente mutato lo scenario.

La gravidanza e il parto nonsono più visti come atti il piùdelle volte fisiologici, maspesso vissuti come una di-sgrazia e una malattia di cui ilmedico deve farsi carico.

Il figlio non è più visto co-

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L’importanza del ginecologo-ostetrico davanti alle sfide in ambito biomedico

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me un dono, ma come un og-getto del desiderio, da realiz-zare solo se uno vuole e quan-do vuole e da accettare solo seil dono è ben confezionato enon risulta danneggiato.

La medicina non ha più co-me obiettivo ultimo la difesadella vita, ma è più preoccupa-

ta della qualità della vita.Gli organismi internazionali

hanno rinunciato alla lotta per-ché a tutte le popolazioni ed atutte le fasce sociali siano assi-curati i diritti sanitari fonda-mentali, ma si preoccupanosoltanto di ridurre la richiestadi tali diritti, favorendo in tut-to il mondo la denatalità.

È stato creato perfino unambiguo termine di «salute ri-produttiva», dietro il quale, in-sieme alla prevenzione ed alcontrollo delle malattie gine-cologiche, vengono propagan-dati, offerti ed imposti a go-verni e operatori sanitari con-traccezione, aborto, sterilizza-zione, denatalità, mentre dellamortalità materna (ancoratroppo elevata in alcuni paesiin via di sviluppo ed in alcunefasce sociali svantaggiate deipaesi sviluppati) ci si preoccu-pa ancora molto poco.

Il medico e l’infermiera

ostetrica cattolica si trovanoinevitabilmente nel mezzo diqueste tensioni e di questicambiamenti. L’ostetrico gine-cologo, da sempre medico del-le donne, avverte su di sé lapressione di una ideologia so-ciale che vorrebbe farne lostrumento perché la salute ri-

produttiva, intesa nel senso cuisopra si accennava, possa rea-lizzarsi in modo sicuro ed effi-ciente e perché le nuove tec-nologie riproduttive possanosvilupparsi senza ostacoli.Mentre questa pressione siesercita sulla sua coscienza,egli avverte su di sé la respon-sabilità di essere anche il me-dico dei più piccoli e dei piùfragili tra gli uomini, il difen-sore di quelli che non hannovoce, che non esprimono al-cun voto, che non hanno pesoeconomico o sociale.

In alcune situazioni il con-flitto tra la pressione sociale ela responsabilità della coscien-za può diventare così insop-portabile da dare luogo alla ri-nuncia alla professione, pernon sottomettere la propria co-scienza, oppure al compro-messo e al conformismo, pernon dover rinunciare ad eser-citare la professione.

Questo conflitto si verificaogni volta che al giovane me-dico viene richiesto di applica-re infusioni endovenose abor-tive durante il periodo di inter-nato a rotazione; quando egliviene interrogato sulla sua in-dipendenza da «pregiudizi re-ligiosi», prima di poter acce-dere ai programmi di specia-lizzazione; quando durante ilperiodo di training per la spe-cializzazione viene obbligatoa partecipare a turni di attività,previsti dal curriculum di stu-di, che richiedono l’esecuzio-ne di aborti o la partecipazionea tecniche di fecondazione ar-tificiale; quando, dopo la spe-cializzazione, gli vengono ri-fiutati posti di lavoro perchériservati a personale che ga-rantisca tutte le attività del ser-vizio, inclusi gli aborti; quan-do gli vengono precluse possi-bilità di carriera perché privodella necessaria esperienza sututti gli ambiti della professio-ne che il ruolo di direzione ri-chiede; quando, infine, leagenzie delle Nazioni Unite oaltri centri di finanziamento ri-fiutano le richieste delle orga-nizzazioni non governativeche non includono, nei loroprogetti di cooperazione sani-taria internazionale, l’aborto ela sterilizzazione tra i metodiper assicurare la pianificazio-ne familiare nei paesi in via disviluppo.

Se a questo si aggiunge chein ogni caso l’ostetrico gine-cologo cattolico fedele al Ma-gistero della Chiesa è visto co-me un personaggio retrò, nonvi è da meravigliarsi se, dap-pertutto, gli ostetrici ginecolo-gi cattolici sono in via di dimi-nuzione e rischiano di scom-parire del tutto in alcune situa-zioni.

Eppure questa continua,progressiva diminuzione degliostetrici ginecologi cattolicisembra essersi prodotta senzadestare eccessivo allarme nel-la Chiesa.

Mentre giustamente si ècontinuato a condannare l’a-borto, a proporre i metodi na-turali di pianificazione, a de-nunciare i pericoli per il futurodelle civiltà umane insiti nellemanipolazioni degli embrioni(sia a fini scientifici che per lacura della sterilità, sia per laselezione dei portatori di ma-

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lattie genetiche che per la pro-duzione di cellule staminali),non ci si è resi forse conto suf-ficientemente che la difesacontro questi mali diventavasempre più debole man manoche sparivano gli ostetrici gi-necologi cattolici e che quellirestanti finivano quasi per sen-tirsi in colpa per le proprieconvinzioni.

A chi in effetti si rivolge ladonna per avere informazionisu come controllare la propriafertilità? A chi chiede consi-glio per risolvere difficoltànella vita sessuale della cop-pia? A chi si rivolge quandouna gravidanza non desiderataviene a sconvolgere i pianidella donna e della famiglia?A chi chiede di essere aiutata

per superare i casi sempre piùfrequenti di sterilità?

La donna si rivolge innanzitutto al medico specialista inostetricia e ginecologia, il me-dico delle donne. Egli è infattianche il loro confidente, il de-positario dei loro segreti piùintimi, forse ancora più delconfessore.

Solo un medico rispettosodelle esigenze della morale econvinto del Magistero dellaChiesa potrà aiutare la donnaa vivere i propri dubbi e leproprie difficoltà alla luce del-la fede. Solo un medico oste-trico convinto delle proprieresponsabilità di consigliere eguida della donna cristianapotrà contribuire al rafforza-mento della famiglia, alla cul-tura dell’accoglienza e del do-no. Solo un ostetrico gineco-logo cattolico potrà suggerirel’uso dei metodi naturali, po-trà far riflettere sulle conse-guenze di un aborto, potràconsigliare il ricorso all’ado-zione piuttosto che alla fecon-dazione in vitro. Solo un me-dico cattolico specialista inostetricia potrà dare un valido

contributo all’educazione ses-suale delle giovani e ai corsidi preparazione al matrimo-nio.

Solo un medico ostetrico gi-necologo cattolico potrà con-tribuire ad educare i futuri me-dici e le future ostetriche nelrispetto della vita.

Solo un medico amante del-la vita potrà promuovere ricer-che scientifiche rispettose del-l’uomo.

È per questi motivi che ilmedico ostetrico ginecologocattolico non deve sparire.

Perché ciò non accada oc-corre vigilare, affinché il dirit-to ad essere formati e ad eser-citare la professione secondocoscienza sia rispettato; occor-re protestare ogni volta che

questo diritto viene calpestato,occorre aiutare coloro chehanno subito torti e discrimi-nazioni per aver testimoniatola loro fedeltà agli insegna-menti della Chiesa.

È l’appello del Papa conte-nuto nella Evangelium Vitae(n. 74).

«Rifiutarsi di partecipare acommettere un’ingiustizia ènon solo un dovere morale,ma è anche un diritto umanobasilare. Se così non fosse, lapersona umana sarebbe co-stretta a compiere un’azioneintrinsecamente incompatibilecon la sua dignità e in tal mo-do la sua stessa libertà, il cuisenso e fine autentici risiedo-no nell’orientamento al vero eal bene, ne sarebbe radical-mente compromessa. Si tratta,dunque, di un diritto essenzia-le che, proprio perché tale, do-vrebbe essere previsto e pro-tetto dalla stessa legge civile.In tal senso, la possibilità dirifiutarsi di partecipare allafase consultiva, preparatoriaed esecutiva di simili atti con-tro la vita dovrebbe essere as-sicurata ai medici, agli opera-

tori sanitari e ai responsabilidelle istituzioni ospedaliere,delle cliniche e delle case dicura. Chi ricorre all’obiezionedi coscienza deve essere sal-vaguardato non solo da san-zioni penali, ma anche daqualsiasi danno sul piano le-gale, disciplinare, economicoe professionale.»

Occorre fare nostro questoappello e mettere in atto opereed iniziative che lo rendanoefficace. Alcune azioni sem-brano particolarmente neces-sarie.

Le Chiese locali devono ri-volgere la loro attenzione allaprofessione medica, propo-nendo l’ideale di una profes-sione rispettosa della vita, po-nendosi dalla parte di queglioperatori sanitari che rispetta-no il diritto alla vita, in parti-colare degli ostetrici ginecolo-gi, favorendo il loro ritrovarsie aggregarsi e la loro espres-sione culturale.

La denuncia dei casi di vio-lazione del diritto ad essereformati e a praticare la profes-sione secondo i propri convin-cimenti morali deve esserecoordinata e sistematica; deveraggiungere i tavoli dei media,delle associazioni professiona-li, delle organizzazioni nazio-nali e internazionali per la di-fesa dei diritti umani.

Le Università e gli Ospedalicattolici devono rispettare pie-namente le indicazioni delMagistero, sia per quanto ri-guarda la ricerca sugli embrio-ni che per tutti gli ambiti dellapratica ostetrico-ginecologica,mentre i Vescovi dovrebberosentirsi responsabili e vigilareal fine di prevenire i compor-tamenti scorretti che, nono-stante tutto, continuano a veri-ficarsi.

Queste stesse istituzioni do-vrebbero organizzare una retedi insegnamento qualificato,riconosciuto a livello interna-zionale, per permettere a queimedici che vengono discrimi-nati o che subiscono pressioniinaccettabili sui loro convinci-menti morali almeno la possi-bilità di specializzarsi in oste-tricia e ginecologia.

Dott. GIAN LUIGI GIGLIPresidente della FIAMC,

Membro del Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute

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Introduzione

La pianificazione del lavorodel Pontificio Consiglio per laPastorale della Salute, fattanell’Assemblea Plenaria del1998, successivamente appro-vata dal Santo Padre, abbrac-cia 50 programmi organizzatiintorno ai Ministeri della Pa-rola, della Santificazione edella Comunione ed affidatialle 18 persone componenti ilDicastero: superiori, officiali ecollaboratori. Con essa, ilPontificio Consiglio ha com-piuto anche nell’anno 2001 unintenso lavoro teso a “manife-stare la sollecitudine dellaChiesa per gli infermi aiutan-do coloro che svolgono il ser-vizio verso i malati e i soffe-renti, affinché l’apostolato del-la misericordia a cui attendonorisponda sempre meglio allenuove esigenze” (Pastor Bo-nus, art. 152).

Nel Ministero della Parola,contenente 11 programmi, sisono messe in atto le seguentiazioni: si è cercato di dare ilsenso della vita e della soffe-renza e il senso della natura ela sua manipolazione, spiegan-doli, diffondendoli e divulgan-doli a tutti, in particolare aiVescovi Incaricati per la Pa-storale della Salute nelle loroConferenze Episcopali. Al ri-guardo, ci sono state di grandeaiuto la celebrazione dellaXVI Conferenza internaziona-le, la pubblicazione della rivi-sta Dolentium hominum, lapartecipazione a vari congres-si, seminari e convegni da par-te dei Superiori ed Officialidel Dicastero, ecc.

Per quanto riguarda l’evan-gelizzazione delle facoltà dimedicina, il Pontificio Consi-glio ha cercato di tenersi incontatto con le più importantifacoltà cattoliche di medicina,di farmacia e di diritto, perpromuovere in futuro corsiadeguati; gli altri programmipromossi nel settore della Pa-

rola con doveroso impegno ri-guardano: le pubblicazioni,l’Organizzazione Mondialedella Salute, il manuale pasto-rale per i tossicodipendenti, laguida pastorale della salute, leconferenze, la conferenza in-ternazionale, le ricerche, i cen-tri di insegnamento, i dossier.

Nel Ministero della Santifi-cazione, attraverso i 7 pro-grammi di notevole importan-za: il battesimo, l’unzione de-gli infermi, altri sacramenti, ilmanuale di preghiera e di sa-cramenti, la Giornata Mondia-le del Malato, la preghiera, el’“Intenzione” dell’Apostolatodella Preghiera, si è cercato disantificare l’ammalato e in ge-nerale il mondo della salute.

Nel ministero di comunio-ne, che ha avuto 32 program-mi da sviluppare, l’obiettivo èstato: pervenire alla comunio-ne solidale dei malati e deglioperatori della salute in tutta laChiesa. Per questa ragione isuddetti 32 programmi tende-vano a rafforzare o conseguirequesta comunione solidale. Sitratta di programmi che ri-guardano l’unione dei Medici,Infermieri e Farmacisti cattoli-ci, sostenendo le loro associa-zioni nel mondo, soprattutto alivello mondiale. In questaprogrammazione verso l’unifi-cazione della pastorale sanita-ria in tutto il mondo è anchemolto importante la creazionedi una unione internazionaledi cappellani cattolici negliospedali e la stessa unione de-gli ospedali cattolici, come pu-re l’unione dei religiosi ospe-dalieri e dei vescovi incaricatidella Pastorale della Salutenelle CC.EE. Inoltre si è tenta-to di aumentare l’azione pa-storale del volontariato sanita-rio cattolico e di incrementarele associazioni dei malati. Trai vari programmi nel settorecomunione si possono men-zionare: i centri di bioetica, losforzo per la loro unificazione,l’organizzazione e la celebra-

zione della Giornata Mondialedel Malato, il diritto universa-le alla salute, la comunicazio-ne cristiana dei beni, le malat-tie emergenti (Aids, Lebbra,Droga), i rapporti interdicaste-riali, i Vescovi incaricati per lapastorale sanitaria, le nunzia-ture, le visite ad limina, la par-tecipazione e rappresentanzadel Dicastero a congressi econvegni fuori sede, visite e

viaggi pastorali, ecc. Nel Pia-no di lavoro si è tenuto ancheconto dei programmi ammini-strativi interni del Dicastero,che entrano nell’ambito delsettore comunione, cioè a dire:la segreteria, l’amministrazio-ne, l’archivio, il servizio didocumentazione, la cura e ildeposito di documenti e dipubblicazioni.

I summenzionati 50 pro-grammi sono stati portatiavanti, sotto la guida del Presi-dente del Dicastero S.E.

Anno 2001, Attività del Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute

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Mons. Javier Lozano Bar-ragán, con doveroso impegnoda parte di tutti i componentidel Dicastero. I risultati sonostati molto soddisfacenti.

Al riguardo, vogliamo elen-care in maniera più dettagliataalcuni punti salienti dell’atti-vità e della vita del Dicasteronell’arco dell’intero anno 2001.

1 . Nomine nel Dicastero

– In data 20 agosto 2001, ilSanto Padre ha rinnovato inaliud quinquennium la nomi-na a Presidente del PontificioConsiglio per la Pastorale del-la Salute a S.E. Mons. JavierLozano Barragán, Arcivesco-vo-Vescovo emerito di Zaca-tecas.

– Con biglietti della Segre-teria di Stato, il Santo Padre,in data 9 aprile 2001, ha con-fermato in aliud quinquen-nium S.E. Mons. José L. Re-drado, O.H., Segretario delPontificio Consiglio per la Pa-storale della Salute, e ilRev.mo P. Felice Ruffini,M.I., Sottosegretario del me-desimo Pontificio Consigliofino al compimento del 70°anno di età.

– Con biglietti della Segre-teria di Stato, in data 20 luglio2001, il Rev.do Krzysztof Jó-zef Nykiel, sacerdote della Ar-cidiocesi di Lodz (Polonia) eil Rev.do Antonio Soto Guer-rero, sacerdote della diocesi diZacatecas (Messico), Officialidel Dicastero, sono stati nomi-nati “Cappellano di Sua San-tità”.

2. Celebrazione della IX Giornata Mondiale del Malato

La IX Giornata Mondialedel Malato nell’anno 2001 èstata solennemente celebratanella Cattedrale di St. Mary aSydney in Australia. “La scel-ta del continente australianocon la sua ricchezza culturaleed etnica – come ha ricordatoil Santo Padre nel Messaggioper questa Giornata – pone inluce lo stretto vincolo della co-munione ecclesiale: essa supe-ra le distanze, favorendo l’in-contro tra identità culturali di-verse, fecondate dall’unico an-

nuncio della salvezza”. Lanuova evangelizzazione e ladignità dell’uomo sofferente èstato il tema di questa IXGiornata Mondiale del Mala-to, anche per porre l’accentosulla necessità di evangelizza-re in modo rinnovato questasfera dell’esperienza umana,per favorirne l’orientamento albenessere integrale della per-sona e al progresso di tutte lepersone in ogni parte del mon-do.

Della Missione pontificia alseguito dell’Em.mo Card.Edward Bede Clancy, InviatoSpeciale del Santo Padre allaIX Giornata Mondiale del Ma-lato, facevano parte il Rev.doKrzysztof Nykiel, Officialedel Pontificio Consiglio per laPastorale della Salute, il Dr.John Gallagher e il GiudiceJohn Slattery.

L’Arcivescovo Javier Loza-no Barragán, Presidente delPontificio Consiglio per la Pa-storale della salute, con il Ve-scovo Segretario Mons. JoséL. Redrado, O.H., ha guidatola Delegazione di un gruppo disedici persone: officiali delDicastero, prelati, sacerdoti,religiosi e laici da sempre im-pegnati nella pastorale dellasalute.

La caratteristica salientedella celebrazione della IXGiornata Mondiale del Malatoè stato l’impegno del Pontifi-cio Consiglio per la Pastoraledella Salute, della ConferenzaEpiscopale Australiana dei Ve-scovi Cattolici e della Com-missione Episcopale della Pa-storale sanitaria. Questa con-vergente collaborazione ha re-so possibile non soltanto un’i-donea preparazione e celebra-zione della Giornata, ma an-che una sua singolare forzasensibilizzatrice verso areesempre più vaste sia di fedeliche di istituzioni religiose elaiche impegnate nel campodella salute e della sofferenza.

I momenti salienti della ce-lebrazione che hanno contrad-distinto le giornate dell’8, 9,10 febbraio, culminando nellacelebrazione solenne conclusi-va della IX Giornata Mondialedel Malato dell’11 febbraio,sono stati: le visite ad alcuniospedali e cliniche (8-9 feb-braio), l’incontro con il Sinda-co di Sydney e con le autorità

civili ed ecclesiastiche (9 feb-braio), la Conferenza su Lanuova evangelizzazione e ladignità della persona sofferen-te (10 febbraio) e la celebra-zione solenne del giorno 11febbraio.

Una ampia informazione diquesta celebrazione il lettorela potrà trovare sulla nostra ri-vista Dolentium Hominum, n.47/2001.

3. Partecipazione alla X Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi

Il Presidente del DicasteroS.E. Mons. Javier LozanoBarragán ha preso parte, qualemembro ex officio, alla sud-detta Assemblea che si è svol-ta in Vaticano dal 30 settembreal 27 ottobre, e ha avuto comeargomento Episcopus ministerEvangelii Iesu Christi propterspem mundi.

Il Pontificio Consiglio hacontribuito sia nella fase pre-paratoria che in quella dellacelebrazione sinodale. I sussi-di elaborati e gli interventi delPresidente, sia in Aula che neilavori dei circuli minores, cir-ca gli specifici argomenti han-no incontrato il consenso deiPadri sinodali sull’importanzadella Pastorale sanitaria e diincrementare l’annunzio delVangelo della speranza nelcampo della salute e della sof-ferenza da parte dei Pastoridella Chiesa.

4. Riunioni interdicasteriali

Nell’ambito del Ministerodella Comunione, il PontificioConsiglio ha mantenuto vivi irapporti con gli altri Dicasteridella Curia Romana, parteci-pando alle diverse riunioni in-terdicasteriali

– presso il Pontificio Consi-glio “Giustizia e Pace”. IlRev.do Krzysztof Nykiel, Of-ficiale del Dicastero, ha parte-cipato il 31 marzo alla riunio-ne interdicasteriale in vistadella preparazione della Gior-nata Mondiale della Pace(2002);

– presso il Pontificio Consi-glio della Cultura. Il 10 mag-gio, il Rev.do Antonio Soto,

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Officiale del Dicastero, hapreso parte all’incontro inter-dicasteriale sul tema: “L’iden-tità culturale nell’era della glo-balizzazione: tentazione no-stalgica o sfida per la Chie-sa?”;

– presso il Pontificio Consi-glio per il Dialogo Inter-Reli-gioso. L’Officiale del Dicaste-ro, il Rev.do Krzysztof Nykiel,ha partecipato la mattina del1° giugno all’Incontro interdi-casteriale, presentando alcuneosservazioni relative alla boz-za del Documento dal titolo:“A Christian Spirituality of In-terreligious Dialogue”;

– presso il Pontificio Consi-glio per la Famiglia. Dal 27 al28 giugno, il Segretario del Di-castero S.E. Mons. José L. Re-drado ha partecipato alla Riu-nione interdicasteriale con ungruppo di parlamentari d’Eu-ropa al fine di approfondire al-cuni temi in relazione alla fa-miglia e alle questioni etichecollegate, e di esaminare i temiriguardanti la vita umana.

5. Partecipazione e rappresentanza a Convegni, Congressi e Celebrazioni

Un altro programma del Mi-nistero della Parola è stata lapartecipazione e rappresentan-za a vari congressi, convegni ecelebrazioni. Questi hanno vi-sto impegnati i Superiori e gliOfficiali del Dicastero per tut-to l’anno 2001.

MARZO– Il giorno 13, a Roma, il

Rev.do Krzysztof Nykiel hapartecipato, in rappresentanzadel Dicastero, al “Colloquio”sulla figura del Prof. Gesual-do Nosengo, organizzato dal-la Pontificia Università Urba-niana.

– Il giorno 14, a Roma, inoccasione degli Incontri Pa-storali durante il periodo dellaQuaresima, il Segretario delDicastero S.E. Mons. José L.Redrado ha tenuto una relazio-ne sul tema: “Accompagnarela vita nella debolezza: malat-tia e morte”.

– Dal 20 al 23, in Vaticano,S.E. Mons. Javier Lozano,Presidente del Dicastero, hapartecipato alla Riunione Ple-naria della Pontificia Commis-sione per l’America Latina eha tenuto una relazione sul te-ma: “La Teologia India”.

APRILE– Dal 2 al 4, a Hammamet

(Tunisia), il Dott. Renzo Pac-cini, collaboratore del Dicaste-ro, ha partecipato in rappre-sentanza del Pontificio Consi-glio al I Congresso Mediterra-neo sulla Disabilità, organiz-zato dall’Opera Don Guanellain collaborazione con il Mini-stero degli Affari Sociali diTunisi, la Chiesa di Tunisia el’Associazione SolidarietàRiabilitazione Studi “Oasi Fe-derico” di Calabria, Regione-cerniera del Mediterraneo. IlDott. Paccini è intervenutocon una relazione sul tema:“Dignità umana nelle personedisabili: punto di partenza del-la solidarietà verso di loro”.

– Il giorno 26, a Roma, ilRev.do Krzysztof Nykiel, Of-ficiale del Dicastero, ha parte-cipato in rappresentanza delDicastero al Convegno Nazio-nale di Ortodonzia prechirur-gica, organizzato dalla SocietàItaliana di Odontostomatolo-gia e Chirurgia Maxillo-Fac-ciale (S.I.O.C.M.F) col Patro-cinio del “Collegio dei Docen-ti di Odontoiatria” sotto la Pre-sidenza del Prof. GiovanniDolci, ed ha rivolto ai parteci-panti un indirizzo di saluto.

MAGGIO– Dal 7 all’11, a Barcellona,

il Presidente del DicasteroS.E. Mons. Lozano e il Segre-

tario S.E. Mons. Redrado han-no partecipato al XII Congres-so Nazionale degli Ospedalisul tema: “El hospital y la sa-lud, más allá de la gestión”,organizzato dalla FederaciónEspañola de Gestión Sanitaria.Il Presidente ha presentato unarelazione sul tema: “Aportespara la identidad de un hospi-tal católico”.

– Dal 10 al 12, a Fiuggi, ilRev.do P. Felice Ruffini, M.I.,Sottosegretario del Dicastero,ha partecipato al Convegnonazionale su: La Chiesa italia-na nel mondo della salute, or-ganizzato dall’Ufficio Nazio-nale di Pastorale Sanitaria del-la Conferenza Episcopale Ita-liana e ha rivolto ai parteci-panti un indirizzo di saluto.

– Dal 14 al 16, a Parigi,l’Officiale del Dicastero, ilRev.do Mons. Jean-MarieMpendawatu, ha preso partein qualità di Osservatore dellaSanta Sede alla II Sessione delComitato Intergovernativo diBioetica dell’UNESCO (CIB).

– Dal 15 al 22, a Ginevra, ilPresidente del Dicastero S.E.Mons. Javier Lozano ha parte-cipato, quale Capo della Dele-gazione della Santa Sede, alla54ª sessione dell’AssembleaMondiale della Sanità ed hapresentato nel suo Interventoun position paper della SantaSede circa l’accesso ai medici-nali di base per le popolazionipiù povere e le strutture giuri-diche ed economiche che pos-sono ostacolarlo, tra cui laproprietà intellettuale. Facevaanche parte della delegazioneil Rev.do Mons. Jean-MarieMpendawatu, Officiale delmedesimo Dicastero.

GIUGNO– Dal 1º al 4, a Lodz e Cra-

covia, accompagnato dalRev.do Krzysztof Nykiel, Of-ficiale del Dicastero, S.E.Mons. José L. Redrado, su in-vito di Frà Ambrozy Pie-trzkiewicz, Provinciale dellaProvincia Polacca dei Fatebe-nefratelli, ha presieduto la so-lenne concelebrazione eucari-stica di chiusura del IV Cente-nario del San Giovanni Gran-de con un’Omelia di circo-stanza e ha partecipato al Sim-posio di Pastorale sanitaria sultema: “Il malato terminalepresente in mezzo a noi”. Sia a

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Lodz che a Cracovia ha visita-to le strutture ospedaliere del-l’Ordine, ha incontrato il per-sonale medico, malati e comu-nità dei Fatebenefratelli. S.E.Redrado ha tenuto tre confe-renze sui seguenti temi: “L’o-spitalità dei Fatebenefratelliall’inizio del nuovo millen-nio”, “I volti della sofferenza edella morte”, “Consacrazione– Koinonia – Missione”.

– Dal 5 al 7, a Puebla de losÁngeles (Messico), S.E.Mons. Javier Lozano ha presoparte alla Riunione dei Mem-bri e Consultori del PontificioConsiglio della Cultura, non-ché al I Incontro ContinentaleAmericano dei Presidenti del-le Commissioni Episcopalidella Cultura delle Conferenze

Episcopali d’America, e ha te-nuto una relazione sul tema:“Globalización de la salud enla sociedad secularizada: retospara Evangelización de la cul-tura”.

– Il giorno 7, in occasionedella Festa patronale di SanCamillo de Lellis, S.E. Redra-do ha presieduto, nell’Ospeda-le di San Camillo a Roma, unacelebrazione eucaristica conuna omelia, mettendo in risal-to la straordinaria figura diSan Camillo de Lellis e diSanta Giovanna Antida Thou-ret.

– Dal 25 al 27, a New York,il Presidente del DicasteroS.E. Mons. J. Lozano ha parte-cipato, quale Capo della Dele-

gazione della Santa Sede, allaSessione Speciale dell’Assem-blea Generale delle NazioniUnite, dedicata all’esame dellequestioni relative al virusHIV/AIDS ed ha presentato laposizione della Santa Sede alriguardo. Faceva anche partedella delegazione il Rev.do P.Felice Ruffini, M.I, Sottose-gretario del medesimo Dica-stero.

LUGLIO– Il giorno 7, a Roma, S.E.

Mons. Javier Lozano ha parte-cipato ai Lavori della VI As-semblea Generale della Ponti-ficia Accademia, che ha trat-tato il tema: “Natura umana elegge naturale a fondamentodel diritto alla vita”, ed ha ri-volto ai partecipanti un indi-rizzo di saluto.

AGOSTO– Dal 26 al 29, a Seoul (Co-

rea del Sud), accompagnatodal Rev.do Antonio Soto, Offi-ciale del Dicastero, S.E.Mons. Javier Lozano ha parte-cipato alla VIII ConferenzaRegionale del ContinenteAsiatico del Comitato Interna-zionale Cattolico delle Infer-miere e degli Assistenti Medi-co-Sociali (CICIAMS) sul te-ma: “Protection of Human Li-fe in a Changing World:Catholic Health Worker’s Re-sponsability”, ed è intervenutocon una relazione sul tema: “Protection of Human Life in aChanging World: the Respon-sability of Catholic Obstetri-cians”.

SETTEMBRE– Dal 1º all’8, a Taipei

(Taiwan), accompagnato dalRev.do Antonio Soto, Officia-le del Dicastero, S.E. Mons.Lozano ha partecipato all’In-contro dei Medici Cattolici,Infermieri, e Studenti di Medi-cina, organizzato dalla Dire-zione dell’Ospedale St.Mary’sdi Lotung dei Padri Camillia-ni, in occasione del 50° Anni-versario della presenza mis-sionaria dei Camilliani a For-mosa. Il Presidente ha tenutouna relazione sul tema: “Pro-tezione della vita umana in unmondo che cambia: la respon-sabilità dei professionisti dellasalute”. Inoltre ha visitato leopere camilliane, ha incontra-

to il personale medico dell’O-spedale di Lotung, i malati etutta la comunità camilliana.

– Dal 10 all’11, a Rosario(Argentina), il Presidente delDicastero S.E. Mons. Lozanoha preso parte al I Incontro deiCappellani Ospedalieri, orga-nizzato dalla CommissioneEpiscopale della Pastorale Sa-nitaria Argentina ed ha foca-lizzato i seguenti temi: “LosProfesionales de la Salud, Ser-vidores de la Vida”, “El Ca-pellán: su perfil y presencia enel Centro de Salud”, “Ejerci-cio de la Capitalidad de Cristoen la acción pastoral del Ca-pellán”, “La formación especi-fica del Capellán a través delas Asociaciones y Fraternida-des”.

– Dal 13 al 15, a Rio de Ja-neiro (Brasile), accompagnatodal Dr. Renzo Paccini, colla-boratore del Dicastero, S.E.Mons. Lozano ha partecipatoal III Congresso Brasiliano deiMedici Cattolici sul tema:“Vida Humana, Ciencia y Eti-ca”, organizzato dalla Federa-zione delle Associazioni deiMedici Cattolici Latinoameri-cane (FAMCLAM), ed ha te-nuto una conferenza sul tema:“Identidad y Ministerio delMédico Católico”.

– Dal 24 al 27, a Madrid,S.E. Mons. Redrado ha parte-cipato alle XXVI GiornateNazionali della Pastorale dellaSalute sul tema: “Orar en laEnfermedad”, organizzate dal-la Commissione Episcopale diPastorale Sanitaria della Con-ferenza Episcopale Spagnola,e ha tenuto una relazione su:“Signore insegnaci a pregare(Lc 11, 1-4)”.

– Dal 27 al 1º ottobre, S.E.Mons. José L. Redrado, Se-gretario del Dicastero, si è re-cato a Città del Messico e hapartecipato alle Cerimoniecommemorative del “Centena-rio della restaurazione dell’Or-dine di S. Giovanni di Dio inMessico dal San BenedettoMenni”. Ha presieduto nelSantuario di Nostra Signora diGuadalupe la solenne concele-brazione eucaristica di chiusu-ra con un’Omelia di circostan-za e inoltre ha tenuto due con-ferenze sui seguenti temi: “Vi-ta – Malattia – Morte”, “Con-sacrazione – Koinonia – Mis-sione”.

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OTTOBRE– Dal 9 al 13, in preparazio-

ne alla celebrazione della XGiornata Mondiale del Mala-to, accompagnati dal Rev.doVincent Arackal, collaboratoredel Dicastero, S.E. Mons. Lo-zano e S.E. Mons. Redrado sisono recati al Santuario dellaMadonna della Salute a Vai-lankanny (India). Si sono te-nuti una serie di incontri conla Commissione Episcopale diPastorale sanitaria e con il Co-mitato organizzatore.

NOVEMBRE– Dal 10 al 13, a Roma, il

Rev.do Krzysztof Nykiel, Of-ficiale del Dicastero, ha parte-cipato in rappresentanza delDicastero al Colloquio sul te-ma: “Preghiera di Guarigionee Rinnovamento Carismaticonella Chiesa Cattolica”, orga-nizzato dal Pontificio Consi-glio per i Laici in collabora-zione con l’InternationalCatholic Charismatic RenewalServices (ICCRS).

– Il giorno 13, a Roma, ilPresidente S.E. Mons. JavierLozano ha inaugurato i Lavoridella Tavola Rotonda su: “Co-munità e Salute”, organizzatadall’Istituto Internazionale diTeologia Pastorale Sanitaria“Camillianum”.

– Dal 22 al 24, in Vaticano,il Rev.do Krzysztof Nykiel,Officiale del Dicastero, hapartecipato, in rappresentanzadel Pontificio Consiglio, alCongresso teologico-pastoralesul tema: “La Familiaris Con-sortio ieri ed oggi, nel suoventesimo. Dimensione antro-pologica e pastorale”, organiz-zato dal Pontificio Consiglioper la Famiglia.

– Il giorno 23, a Roma, ilDott. Renzo Paccini, collabo-ratore del Dicastero, ha parte-cipato in rappresentanza delDicastero al I Convegno dellaFederazione degli Organismiper l’Assistenza alle PersoneDisabili.

DICEMBRE– Il giorno 15, a Roma, il

Segretario del Dicastero S.E.Mons. José L. Redrado hapresieduto una celebrazioneeucaristica di inaugurazionescolastica della scuola infer-mieristica “Beato Luigi Tez-za” e ha tenuto un’Omelia dicircostanza.

– Il giorno 21, in prepara-zione alle Feste natalizie, S.E.Mons. Redrado ha presieduto,nella Basilica Liberiana diSanta Maria Maggiore, unacelebrazione eucaristica per imembri dell’Accademia Nor-manna ed i loro famigliari.

6. XVI Conferenza Internazionale

Si è tenuta in Vaticano (Au-la Nuova del Sinodo), dal 15al 17 novembre, la XVI Con-ferenza Internazionale, pro-mossa e organizzata dal Ponti-ficio Consiglio, sul tema: “Sa-lute e Potere”.

Sotto la guida di S.E. Mons.Javier Lozano Barragán, Pre-sidente del Dicastero, sonoconvenuti cardinali, arcivesco-vi, vescovi, religiosi(e), laiciprovenienti da 60 paesi, impe-gnati nel mondo della salute edella sofferenza e/o specializ-zati nelle diverse disciplinedelle scienze umanistiche, so-ciali, biomediche e teologico-pastorali.

Hanno partecipato ai lavoridella conferenza un numerocospicuo di ambasciatori e mi-nistri della sanità, numerosistudenti delle scuole di medi-cina, di scienze infermieristi-che e di teologia della Pastora-le della Salute.

Tra gli illustri relatori: car-dinali, vescovi, nonché autore-voli ricercatori, scienziati estudiosi delle scienze umani-stiche, sociali, biomediche eteologico-pastorali.

Il Presidente del DicasteroS.E. Mons. Javier Lozano haintrodotto i Lavori, e S.Em.zail Card. Fiorenzo Angelini,Presidente emerito del mede-simo Dicastero, ha aperto que-sta importante Conferenza an-nuale con la Prolusione sulrapporto Salute e potere allaluce della parola di Dio.

La tematica generale “Sa-nità e Potere” è stata trattata davari relatori alla luce della Pa-rola di Dio e della teologia, inmodo da evidenziare le attualisfide biomediche per la salutee la sanità provenienti dal po-tere dell’economia, della poli-tica, delle scienze, della tecno-logia, della cultura e della so-cietà, nonché l’istanza moraledi un potere che, nel rispetto

della verità sull’uomo e Dio enel suo esercizio come caritàverso il prossimo bisognoso,serva la salute dell’uomo e deipopoli nella loro tensione ar-moniosa verso la pienezza divita.

Durante i Lavori della Con-ferenza, gli illustri relatorihanno messo a fuoco i seguen-ti temi: il potere dell’econo-mia nel mondo della salute; ilpotere e la politica sanitaria; ilpotere, la salute e la società; ilpotere dei mass media; il pote-re degli operatori sanitari; ilpotere delle industrie farma-ceutiche; il potere degli orga-nismi internazionali; il poterereligioso e la salute; il potere ela salute nel contesto del dialo-go interreligioso con l’ebrai-smo, l’islam, l’induismo e ilbuddhismo; il potere e la salu-te nella storia e nella teologia.

I partecipanti alla Conferen-za sono stati ricevuti in Udien-za nell’Aula Paolo VI dal San-to Padre, che con un Suo auto-revole discorso ha ribadito tral’altro che nel mondo della sa-lute, l’esercizio del potere nonsi ispiri al desiderio di domi-nio o di profitto, ma sia ani-mato da sincero spirito di ser-vizio alla dignità della perso-na umana e al bene comune.

Il Santo Padre ha sottolinea-to anche che la salute, intesacome salute fisica, psichica espirituale e come sanità, costi-tuisce il primo, più autenticoed universale, nonché il piùvasto, potere, in quanto forzaorientata alla pienezza di vita;e per comprendere e viverecorrettamente ogni forma di“potere” nel mondo della salu-te, è indispensabile tenere fis-so lo sguardo su Cristo che èvenuto non per essere servito,ma per servire insegnandocicosì ad esercitare ogni formadi potere come servizio alprossimo.

7. Simposio Internazionale sul Volontariato Cattolico in Sanità, sul tema:“Vade et tu fac similiter”

Nell’intento di giungere al-l’unificazione della Pastoraledella Salute in tutto il mondo,è stato promosso e organizzatodal Pontificio Consiglio per laPastorale della Salute il Sim-

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posio Internazionale sul Vo-lontariato Cattolico in Sanità,che si è svolto in Vaticano neigiorni 30 novembre – 1º di-cembre 2001.

La celebrazione di questoimportante Simposio, forte-mente pensato proprio in que-sto anno 2001, che le NazioniUnite hanno ufficialmenteproclamato Anno Internazio-nale del Volontariato, è statauna occasione preziosa peruna nuova e più coinvolgenteriflessione su di un aspetto delservizio alla vita che, nellaChiesa, sull’esempio di Cristo,ha trovato, sin dalle origini, unimpulso nuovo ed esemplare.

Sotto la guida del Presidentedel Dicastero S.E. Mons. Ja-vier Lozano Barragán, si è cer-cato di fare una attenta rifles-sione sul ruolo del Volontaria-to Cattolico nel mondo dellasalute e della sofferenza oggi;individuare le future strategieper aumentare l’azione pasto-rale; e soprattutto offrire alSanto Padre l’opportunità disottolineare i principi fonda-mentali per illuminare questaforma evangelica di partecipa-zione alle sofferenze del pros-simo, proprio nell’anno dedi-cato dall’ONU al Volontariato.

Tra gli illustri relatori chesono intervenuti durante ledue giornate di riflessione e ditestimonianze di vita, c’è statoil Segretario di Stato S. Em.zail Card. Angelo Sodano, cheha aperto questo importanteevento con la Prolusione sultema: “Il Volontariato Cattoli-co in Sanità”. Hanno parteci-pato ai Lavori del Simposioanche i rappresentanti di Statie di Governi, nonché numero-se Associazioni di Volontaria-to.

La tematica generale “Vo-lontariato Cattolico in Sanità”è stata trattata da vari relatorialla luce della parola di Dio,della teologia e del Magisterodella Chiesa, in modo da evi-denziare le maggiori sfide peri volontari, specialmente quel-li che operano nel campo dellasalute. Non sono mancate letestimonianze e le esperienzedi vita da parte di alcuni vo-lontari che, impegnati in mol-teplici forme di solidarietà,operano in nome della Chiesaaccanto ai poveri e ai sofferen-ti.

Gli illustri relatori del Sim-posio hanno messo a fuoco iseguenti temi:

• Il Magistero di GiovanniPaolo II sul Volontariato;

• I Fondamenti Biblici eTeologici del Volontariato;

• Dal Buon Samaritano allaComunità Ecclesiale del TerzoMillennio.

Nella “Tavola rotonda” so-no seguite alcune significativetestimonianze di vita da partedi un malato, di un medico, diun volontario, di un rappresen-tante delle Misericordie, dellaCroce Rossa, ecc.

Nella giornata del 1° dicem-bre, che ha coinciso con laGiornata mondiale dell’AIDS,si è riflettuto sull’assistenzasanitaria data ai malati diAIDS; alle persone che vivononel degrado della città – bar-boni, tossicodipendenti... –;agli emigrati e ai profughi; allepersone vittime dei conflittipolitici e delle guerre; alle per-sone colpite dalle catastrofi,come terremoti e alluvioni;agli anziani, ai malati termina-li, ai bambini, siano essi ospitidi Istituzioni pubbliche o pri-vate o vivano nelle proprieabitazioni.

I numerosi partecipanti alSimposio sono stati ricevuti inUdienza nell’Aula Paolo VIdal Santo Padre, che con unSuo autorevole discorso ha ri-badito tra l’altro che nella no-stra società, che risente del-l’influenza del materialismo edell’edonismo, la vitalità delVolontariato costituisce unpromettente segno di speran-za. La presenza del Volonta-riato deve essere più che maianimata e vissuta nella sua ve-rità di servizio disinteressatoal bene delle persone, special-mente le più bisognose e le piùdimenticate dagli stessi servizisociali. Il Volontariato si ca-ratterizza proprio per la suacapacità di testimoniare amoregratuito al prossimo.

Il Santo Padre ha sottolinea-to anche che per comprendere,promuovere e vivere ogni for-ma di azione volontaria è indi-spensabile tenere fisso losguardo sul Volto di Cristo, ilmodello per eccellenza del Vo-lontariato cristiano. Egli, cheè venuto per servire, non peressere servito (cf. Mt 20, 28),ci insegna che il servizio dei

volontari è un servizio dell’a-more gratuito alla persona,specie se debole e fragile. Èlui che ha assunto l’umanitàdolorante per restituirle il vol-to trasfigurato della risurrezio-ne. Con lo sguardo su Cristo, ivolontari cristiani sono porta-tori della speranza anche nel-l’esperienza amara del soffriree della precarietà, rispettandopienamente la dignità di ogniessere umano. Il VolontariatoCattolico è chiamato a scom-mettere sulla carità delle ope-re, vero punto d’incontro delservizio della carità e strumen-to efficace di credibilità delVangelo di Cristo. Il serviziodel Volontariato è servizio allavita, e come tale si presentacome spazio provvidenzialeper il dialogo e la collabora-zione interculturale con i vo-lontari di altre religioni o noncredenti, perché la difesa epromozione della vita è affida-ta a tutti.

8. Attività editoriale

L’attività editoriale fa partedei programmi del ministerodella Parola. Vogliamo segna-lare prima di tutto la Rivistadel Dicastero “Dolentium Ho-minum. Chiesa e salute nelmondo”, che è uscita regolar-mente; essa viene offerta ailettori in quattro versioni lin-guistiche (italiano, spagnolo,francese e inglese). Un nume-ro di essa contiene gli Atti in-tegrali della XV Conferenzainternazionale organizzata epromossa dal Pontificio Con-siglio sul tema: “Salute e So-cietà”.

La Carta degli OperatoriSanitari, che è stata pubblica-ta nel 1994 in lingua italiana,su iniziativa del Dicastero, èstata finora tradotta e pubbli-cata da diversi Paesi nelle se-guenti lingue: spagnola, ingle-se, francese, tedesca, olandese,polacca, portoghese, russa, ce-ca, slovena, rumena, ed è incorso, con il nulla osta delPontificio Consiglio, la pub-blicazione della Carta in lin-gua ungherese e lituana è in-vece in fase di traduzione nel-la lingua malgascia, albanese e“thai”.

Sono uscite quattro edizioniin lingua spagnola (due in

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Messico, una in Perù e una inColombia) del libro del Presi-dente del Dicastero S.E.Mons. Javier Lozano “Teolo-gia e Medicina”, ed una edi-zione italiana (Edizioni Deho-niane, Bologna);

Inoltre è stato pubblicato inlingua italiana, spagnola efrancese il Manuale di Pasto-rale: Chiesa, droga e tossico-mania, elaborato dal Dicaste-ro, indirizzato, come desidera-to dal Santo Padre, ai Vescovi,sacerdoti, religiosi(e), laici im-pegnati nella Pastorale con idrogati. L’edizione inglese è inpreparazione.

9. Varie

L’anno 2001 è stato ancheun anno di alto riconoscimen-to per il Pontificio Consiglioper la Pastorale della Salute:

– Il giorno 5 settembre, alPresidente del Dicastero S.E.Mons. Javier Lozano Bar-ragán, è stato conferito il Dot-torato honoris causa in Teolo-gia all’Università Cattolica“Fu Jen” di Taiwan.

– Il giorno 6 ottobre, il Se-gretario del Dicastero S.E.Mons. José L. Redrado è stato

annoverato tra i membri del-l’Accademia Normanna inqualità di Gran Priore Spiri-tuale.

Conclusione

I summenzionati program-mi del Piano di lavoro di que-sto Pontificio Consiglio hannocoinvolto in prima linea i Su-periori, gli Officiali ed i colla-boratori interni ed esterni delDicastero. L’attività è statamolto intensa in sede. Hannoavuto luogo incontri al fine dipreparare Congressi e Conve-gni, raduni interdicasteriali edi esperti in seno ai diversigruppi di studio per esaminarei problemi della Droga, l’Aids,l’AISAC, la Guida pastoraledella salute, il Manuale di pre-ghiera e di sacramenti, ecc.

Durante quest’anno 2001 ècontinuata anche la corrispon-denza epistolare con le Chieselocali, con i RappresentantiPontifici, in particolare conquelli di nuova nomina, con iVescovi, i Sacerdoti e i Reli-giosi, Autorità politiche sani-tarie e civili, Ambasciatori,Responsabili di Organizzazio-ni ed Associazioni del mondo

della salute e con tutti coloroche operano nel vasto campodella Pastorale della Salute.

Gli incontri con i Vescovivenuti in visita ad limina sonostati di grande aiuto, perchéhanno permesso al PontificioConsiglio di conoscere più di-rettamente i vari problemi dipastorale sanitaria delle Chie-se locali, condizione sine quanon per poter offrire una perti-nente collaborazione alle esi-genze delle diocesi e delleConferenze Episcopali.

La collaborazione con iRappresentanti Pontifici si èrivelata ancora una volta pre-ziosa, sia per l’opera di sensi-bilizzazione circa i problemisanitari nelle rispettive lega-zioni sia per la funzione di tra-mite delle disposizioni, con-sultazioni ed iniziative delPontificio Consiglio con leConferenze Episcopali.

Grazie a questo comune im-pegno, molte iniziative sonostate portate a termine, altreinvece continueranno nell’an-no 2002.

Mons. KRZYSZTOF NYKIELOfficiale del Pontificio Consiglio

per la Pastorale della Salute

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Per l’acquisto del presente volume (€ 9) rivolgersi alla Libreria Editrice Vaticana 00120 Città del Vaticano