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MUSEOLOGIA e ARCHEOLOGIA Docente Patrizia Gioia [email protected] L’Umanesimo : il recupero dell’antichità, le collezioni umanistiche tra riuso e conservazione Tra Umanesimo e Rinascimento : lo studiolo Tra tardo 400 e 600 : le Wunderkamer e le Schatzkammer I grandi viaggi del 500 e l’amore per l’esotico Naturalia e Artificialia : storia di una separazione Gli archetipi rinascimentali delle collezioni pubbliche : Brescia e le sue epigrafi, I Musei Capitolini, Il Laocoonte e i Musei Vaticani Il 600 - 700 : le gallerie e le grandi collezioni aristocratiche

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MUSEOLOGIA e ARCHEOLOGIA

Docente Patrizia [email protected]

− L’Umanesimo: il recupero dell’antichità, le collezioni umanistiche tra riuso e conservazione

− Tra Umanesimo e Rinascimento: lo studiolo

− Tra tardo 400 e 600: le Wunderkamer e le Schatzkammer

− I grandi viaggi del 500 e l’amore per l’esotico

− Naturalia e Artificialia: storia di una separazione

− Gli archetipi rinascimentali delle collezioni pubbliche: Brescia e le sue epigrafi, I Musei Capitolini, Il Laocoonte e i Musei Vaticani

− Il 600 -700: le gallerie e le grandi collezioni aristocratiche

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L’UMANESIMO

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Il Collezionismo, nelle sue manifestazioni più alte, di oggetti artistici e storici, ritrovò visibilità in età umanistica. Ciò sia in ambito privato che in ambito pubblico. Se si ebbero le prime collezioni private organizzate razionalmente e non giustificate da funzionalità liturgiche, o da esigenze di immagine, o da volontà di tesaurizzazione e di speculazione, si ebbero anche i primi fenomeni di conservazione di documenti, artistici e storici in spazi pubblici.

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L’interesse del nuovo collezionismo, attento nuovamente all’uomo, sembra aver avuto carattere soprattutto storico. Interessava, più che l’oggetto esteticamente valido, ildocumento utile alla conoscenza del passato e del mondo classico al quale sempre si faceva riferimento.

Il rapporto con l’antico era quindi essenziale, nella nascita dell’esigenza di ricercare, raccogliere, ordinare, quanto si era salvato dal naufragio della classicità. Lo sviluppo delcollezionismo fu quindi parallelo alla rinascita delle biblioteche, della lettura filologica dei testi, della nascita della ricerca storica moderna, del ritorno progressivo al naturalismo nell’espressione artistica.

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Si spiega così anche l’immediata propensione al collezionismo della moneta antica nell’Europa umanistica. Il monumento moneta, oltre ad assicurare una eccezionale stabilità dell’immagine, che è ufficiale e prodotta in multiplo, forniva precisi dati fisionomici su personaggi indicati, al di là di ogni dubbio, dalla leggenda. Quindi nella moneta l’umanista era certo di conoscere, senza intermediari e senza sforzi ricostruttivi, i volti del mondo classico. Egli poteva utilizzare la moneta per dare un nome a figure in altre classi di materiali che pure vengono collezionate, come i ritratti (procedimento ancora oggi privilegiato dagli archeologi), o riconoscere e divenire familiare con le figure imperiali citate nelle migliaia di epigrafi che poco per volta gli permettevano di ricostruire un mondo al quale anelava ricollegarsi.Non solo: la moneta proponeva in sé tutti gli elementi necessari per un allineamento in coerenti serie cronologiche, desumendo i dati da una tradizione letteraria che pure veniva contestualmente recuperata, chiosata, ripubblicata.

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Esemplare ed anticipatrice appare per tutto ciò, la vicenda di Francesco Petrarca. Il poeta (1304-1374) poté collegarsi ad un mercato dell’arte e di cimeli storici già fiorente nel Veneto al suo tempo, anche grazie a quanto veniva, a vario titolo, portato dall’oriente a Venezia. Ebbe così la possibilità di formare una sua collezione di monete, affiancandosi già ad un nucleo di collezionisti, dei quali talvolta conosciamo nomi e vicende, a Verona, a Treviso, a Venezia, con interessi antiquari talvolta anche più ampi. Per il Petrarca le immagini degli imperatori sulle monete sono da collegare alla sua opera De viris illustris: la collezione era funzionale quindi a supportare un discorso celebrativo, didattico, per esaltare la virtù e spronare all’emulazione dell’antico. Con questa intenzione di sprone alla virtù egli donò anche alcune monete, nel 1355, all’Imperatore Carlo IV.

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Le immagini tratte dalle monete e dai medaglioni antichi, con tutto il patrimonio figurativo classico superstite, agirono per un lunghissimo periodo come modelli, studiati e interpretati dal Pisanello al Mantegna, a Piero della Francesca, fino all’arte “accademica”, alle soglie dei giorni nostri.

Pisanello

Mantegna

Piero della Francesca

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L’umanista, dal cui lavoro prendeva avvio la moderna cultura occidentale, rimaneva però, soprattutto alle origini, figlio del medioevo. Il principio del riuso sembra infatti ancorasostanzialmente valido anche in età umanistica, anche se è da intendere in senso “alto”. Il documento antico, qualsiasi documento, veniva utilizzato per quanto raccontava e insegnava, e raramente veniva conservato per se stesso. Mancava ancora, anche se si percepisce la formazione di una sensibilità nuova, la valutazione dell’oggetto da conservare di per sé, al di fuori della funzionalità che assumeva nel processo di ricostruzione dell’antico.

studio

abbandono o riuso

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Così, come già avvenne alla corte dell’Imperatore Federico II (1194-1250), appariva vivissimo l’interesse per le manifestazioni artistiche classiche, che venivano studiate e che erano premessa ineliminabile della produzione artistica del tempo, tanto da rendere talvolta alcuni prodotti nuovi indistinguibili da quelli antichi. Ma, se l’oggetto antico veniva analizzato tecnicamente e stilisticamente,tanto da servire da modello per la nuova immagine, non per questo se ne giustificava la conservazione e l’integrità, se non in termini di riuso e rilavorazione. Sembrano mancare, in questa fase, quasi sempre ancora i presupposti sistematici per organizzare la “collezione”.

Policleto

Michelangelo

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TRA UMANESIMO E

RINASCIMENTO: LO STUDIOLO

Studiolo di Federico da Montefeltro, Palazzo Ducale, Urbino

Studiolo di Isabella d'Este, Museo del Palazzo

ducale, Corte Vecchia, Mantova

DE BENEDICTIS C. 1998. Per la storia del collezionismo italiano. Fonti e documenti, Firenze, Editore Ponte alle Grazie.

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Nel Trecento si assiste al nascere

dei cosiddetti studioli, piccole

stanze appartate nel palazzo

dove i sovrani, i nobili o i ricchi

borghesi, si ritiravano, nei

momenti liberi, non solo per

meditare, ma anche per ammirare

oggetti interessanti collezionati

nel corso degli anni.

Erano studio-oratorio-laboratorio

così che Comenio nel 1654 ebbe

a dare questa definizione:

“Museum est locus ubi studiosus,

secretus ab hominibus, solus

sedet, studiis deditus, dum lectitat

libros”.

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Questi piccoli ambienti appartati, dove il

padrone di casa raccoglieva, spesso in

maniera caotica, oggetti rari come

simbolo di prestigio culturale erano molto

amati.

Ricordiamo quello di Lionello d’Este nel

Palazzo di Belfiore a Ferrara, quello di

Federico di Montefeltro nel Palazzo

Ducale ad Urbino, quello di Isabella

d’Este nel Palazzo Ducale di Mantova e

quello di Alfonso d’Este, fratello di

Isabella, nel castello di Ferrara quello

sicuramente più famoso è quello di

Francesco I de’ Medici in Palazzo

Vecchio a Firenze, ambiente

strettamente privato ricavato tra la sua

camera e l’immenso salone dei

Cinquecento, che diverrà poco più tardi il

nucleo del Museo degli Uffizi.

Francesco I de’ Medici

Isabella d’Este

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Dal trecento in poi divengono rilevanti anche le

collezioni degli studiosi:

Oliviero Forzetta, vissuto a cavalo del ‘300 a Treviso

(manoscritti classici, medaglie, bronzi, sculture in

marmo)

Cardinale Pietro Barbo (poi Papa Paolo II) in Veneto

Niccolò Niccoli a Firenze Quest’ultimo possedeva una

ricchissima biblioteca che lasciò per testamento

destinata al servizio pubblico: trasportata da Cosimo dei

Medici nel Convento di San Marco, fu la prima del

mondo a concedere libri in prestito.

Poggio Bracciolini a Firenze (in marmo cui era

dedicata una sala della sua villa: la Valdoriniana)

Cosimo, Piero e Lorenzo dei Medici a Firenze; in

particolare Lorenzo riunì la parte esclusivamente

artistica delle sue collezioni nel giardino di via Larga e

negli edifici adiacenti, perché potesse essere utilizzata a

scopo di studio dai giovani artisti.

Poggio Bracciolini

Papa Paolo II

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Famose sono rimaste alcune importanti collezioni private in

Europa.

Rilevanti quelle della nobiltà francese come quella di

Giovanni, Duca di Berry (1340-1416) figlio del re Giovanni il

Buono. Al suo amore per i libri dobbiamo la realizzazione delle

Très Riches Heures, famoso libro di preghiera miniato dai

fratelli Limbourg ora conservato presso il Museo Condé di

Chantilly. Si tratta di uno dei più importanti tesori artistici della

Francia, poiché rappresenta uno dei culmini dell'arte della

miniatura tardogotica. I libri d'ore erano libri per la devozione

privata, contenenti preghiere adatte alle ore liturgiche del

giorno (da cui il nome) ma anche a giorni della settimana, mesi

o stagioni. Nella stessa collezione la “Gemma

Augustea”.risalente al 10-20 d.C., un cammeo di 15x23 cm, in

onice su sfondo bianco e bruno.

Tra i suoi tesori: una collezione di monete romane, preziosi solitari e perle pregiate,

lavori di oreficeria, orologi meccanici. Accanto a questi oggetti, molti esempi dei

cosiddetti curiosa: quattro denti di narvalo che Papa Giovanni XXII gli aveva donato

perchè si riteneva che consentissero di scoprire i veleni, uova di struzzo, mascelle di

serpente, aculei di porcospino, zanne di cinghiale, denti di balena, pelli di orsi polari,

“ossa di giganti” forse appartenenti ad un mammut della Francia preistorica, pesci e

conchiglie persino alcune reliquie: la camicia di Nostra Signora di Chartres, il calice

usato da Gesù alle nozze di Cana, l’anello di fidanzamento di San Giuseppe, ossa

degli innocenti trucidati da Erode

Très Riches Heures

Gemma Augustea

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FRA IL TARDO QUATTROCENTO E LA FINE DEL SEICENTOle Wunderkamer e le Schatzkammer

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Dal tardo Quattrocento dominano in campo museale e soprattutto in Europa, le cosiddette Wunderkammer (camere delle meraviglie) accanto alle Schatzkammer (camere del tesoro). Anche se queste ultime erano riservate ai potenti, regnanti o famiglie molto facoltose, le prime potevano essere costituite anche da studiosi e appassionati.

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Le Schatzkammer, inizialmente limitate solo a pietre e metalli preziosi, gradualmente passarono ad ospitare opere d’arte, come statue e quadri, soprattutto ad opera di sovrani illuminati come i Medici, i Gonzaga, gli Este, i Savoia e le corti di Spagna, Francia e Inghilterra, gettando le basi per i futuri grandi musei artistici.

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Le camere delle meraviglie (Wunderkammer ) avevano come filo conduttore appunto la curiosità indipendente dal tipo di oggetti raccolti, naturalia ma anche artificialia purché fossero mirabilia. Potevano essere esemplari di storia naturale, strumenti, invenzioni meccaniche, carte geografiche, monete, cammei, armi, riproduzioni di animali fantastici (basilisco, unicorno, chimere e simili).

Una congerie di oggetti, stipati in scaffali, attaccati alle pareti e al soffitto, dispostitalvolta caoticamente più spesso in maniera abbastanza ordinata e simmetrica con lo scopo precipuo di stupire il visitatore. Questo senso di meraviglia lo si poteva avere non solo in queste sale private, ma anche in luoghi pubblici come le chiese che talvolta mostravano, accanto alle immagini sacre e alle reliquie, coccodrilli imbalsamati o grandi ossa fossili.

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Questi oggetti atti a suscitare

stupore aumentarono a

dismisura a partire dal primo

Cinquecento a seguito dei

grandi viaggi oceanici. America

e, più tardi Oceania, fornivano

esemplari di animali e piante

spesso diversi da quelli

europei, per una diversa

evoluzione determinata dalla

separazione geografica, e si

riprodusse quindi, ma in

maniera molto più marcata, lo

stesso fenomeno avvenuto

secoli prima con le Crociate per

l’Africa e l’Asia, esemplari

naturali nuovi, diversi e quindi

strani, nel senso etimologico

del termine, e tali da suscitare

stupore e meraviglia.

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Alcune di queste Wunderkammer divennero presto famose, come quella

allestita nel castello di Ambras, presso Innsbruck nel 1563 dal duca del Tirolo

Ferdinando e ancor oggi, almeno in parte, conservata.

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E’ in questo periodo che si comincia a prospettare una divisione tra:

raccolta di tipo naturalistico e raccolta di oggetti d’arte.

Naturalia e Artificialia: storia di una separazione

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La scienza moderna iniziò in Europa in un periodo di grandi cambiamenti. La riforma protestante, la scoperta dell'America, la caduta di Costantinopoli, l'Inquisizione spagnola diedero spazio a grandi cambiamenti sociali e politici. Era forse possibile mettere in discussione la dottrina scientifica tradizionale, come Lutero e Calvino avevano messo in discussione la dottrina religiosa ? Gli antichi lavori scientifici di Tolomeo in astronomia, Galeno in medicina e Aristotele in fisica non sempre erano in accordo con osservazioni sperimentali.

Lutero

Calvino

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Fu un periodo di grandi progressi scientifici,

noto come “rivoluzione scientifica”, il

cui inizio è posto convenzionalmente da molti storici al 1543, quando fu stampato il De Revolutionibus Orbium Coelestium di Niccolò Copernico. La rivoluzione culminò con la pubblicazione di PhilosophiaeNaturalis Principia Mathematica di Isaac Newton nel 1687.Altre scoperte scientifiche importanti furono fatte durante questo periodo da Galileo Galilei, Johannes Kepler e BlaisePascal. Nella filosofia della scienza furono invece attivi Francis Bacon, Sir Thomas Browne, René Descartes e Thomas Hobbes. Si svilupparono le basi del metodo scientifico: il nuovo modo di pensare metteva l'accento sulla sperimentazione e sulla ragione.

Copernico

Newton

Galileo

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La conoscenza veniva dal riconoscimento e dall’osservazione dei prodotti naturali, unendo quelli simili e separandoli dai diversi, ma anche sperimentando nei laboratori alchimistici, affinando tecniche metallurgiche e minerarie, ottenendo nuovi materiali, pietre artificiali, profumi, armi, tentando tagli di pietre preziose e cercando impasti per porcellane che si rompessero col veleno. Gradualmente le Wunderkammer si evolsero in senso naturalistico cercando la ricostruzione dell’universo in una stanza e “La meraviglia fu sacrificata alla ragione”. Nel Seicento si istituiscono le Accademie scientifiche, come quelle dei Lincei a Roma e del Cimento a Firenze .Nascono raccolte specializzate come gli erbariNel periodo di sviluppo in senso naturalistico delle Wunderkammer nascono anche nelle Università gli Orti Botanici, spesso chiamati “Giardini dei Semplici”

Michele Mercati (1541 – 1593)

Ferdinando Cospi (1606 – 1686)

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Molte raccolte importanti per gli aspetti naturalistici, sono quelle formate da studiosi in città italiane. Nel 1566 dal farmacista-botanico Francesco Calzolari a Verona, nel 1568 dal medico – naturalista Ulisse Aldrovandi a Bologna dove insegnava nello Studio, nel 1589da Michele Mercati con la “Metallotheca “ a Roma, nel 1590 da Ferrante Imperato farmacista a Napoli, nel 1651 dal fisico tedesco Atanasio Kircher gesuita a Roma, nel 1666 dal medico Manfredo Settala a Milano. Un risultato che si ottenne mediante raccolte sul terreno, soprattutto le piante, con gli scambi con studiosi o con gli acquisti da mercanti nei porti di Genova, Livorno, Napoli o Venezia. Importanti furono gli scambi di lettere con allegati cataloghi che testimoniavano la ricchezza delle collezioni attivando cambi di oggetti. Ai suddetti studiosi (morti tutti alla veneranda – soprattutto all’epoca – età di oltre ottant’anni) non solo la museologia ma le scienze naturali devono molto per aver contribuito ad iniziare uno studio sistematico di animali e piante proprio dall’esame dei reperti conservati nei loro musei.

Museo Kircheriano

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Fra queste camere delle meraviglie un posto

di assoluto rilievo era quella dell’Aldrovandi a

Bologna (1568) con 14.000 pezzi e 16 volumi

di erbari, così che il suo proprietario poteva

giustamente affermare di possedere “un

microcosmo [nel quale] con uno sguardo si

vede l’Asia, l’Africa, l’Europa e il Nuovo

Mondo”. Una collezione riunita grazie a doni

non solo di studiosi ma di molti potenti

(cardinali, vescovi, nobili), fra i quali

spiccavano i Medici ben noti come mecenati

anche fuori di Toscana a sottolineare una

supremazia culturale fiorentina.

Ulisse Aldovrandi

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Dall’iniziale distribuzione caotica degli oggetti, si arrivò per gradi alla elencazione di

questi in cataloghi disposti in ordine alfabetico, poi a tentativi di ordinare i materiali

mediante classificazioni via via più logiche riunendo gli oggetti naturali secondo loro

aspetto e il loro comportamento. Il tutto seguendo il percorso che dal disordine passa alla catalogazione e poi alla classificazione per giungere poi ad una sperimentazione per la conoscenza.

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Contestualmente alla formazione di collezioni private, in ambito umanistico e rinascimentale, ma con primi interessi accesi anche nelle corti più illuminate del tempo, si hanno le prime indicazioni sulla definizione di un collezionismo pubblico, che nasce fondamentalmente dal medesimo presupposto: la necessità di conoscere e documentare il proprio passato da parte delle comunità, con la conservazione e l’ostensione dei documenti superstiti. Ciò naturalmente implicava una forte selezione e tendeva a porre l’accento sui significati storici (veri o presunti) degli oggetti, sulla loro carica simbolica, con forme di sacralizzazione laica. Anche in questo caso il riferimento era sempre all’antichità classica, che veniva posta a modello per il presente e per il futuro.

GLI ARCHETIPI RINASCIMENTALI DELLE COLLEZIONI PUBBLICHE

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E’ nel Rinascimento che si colloca la nascita dei primi Musei o esposizioni pubbliche.

Esemplare appare il caso di Brescia, tesa a riconoscersi erede di Brixia romana: sulla facciata del Monte di Pietà, nell’attuale Piazza della Loggia, furono murate per volere della città, nel 1485, le più significative epigrafi romane scoperte nel territorio, per essere lette e dare dimostrazione dell’antichità e della nobiltà di città. Si tratta di uno dei primi musei epigrafici d’Europa.

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MUSEI CAPITOLINI

Un altro esempio, di “sacralizzazione laica” addirittura precedente, è a Roma, con i Musei Capitolini. Ad essi venne destinato nel 1471 il Palazzo dei Conservatori, sul Campidoglio, dove nel 1143 era stata posta l’autorità civile cittadina, per accogliere il primo nucleo dei Musei Capitolini. La costruzione del Palazzo e la sua destinazione fu voluta da un papa, Sisto IV, che volle il Museo aperto al pubblico una volta all’anno, la collezione aveva carattere laico, non ecclesiastico, con l’unica funzione della celebrazione della storia millenaria di Roma: vero e proprio “museo della città”. Significativamente alla statua di Carlo d’Angiò (1246-1285), sul trono con due leoni, di Arnolfo di Cambio, che ben indicava il rapporto privilegiato della città con il potere imperiale rinato, proprio Sisto IV aggiunse, donandola al Museo, nel 1471, il simbolo laico di Roma, la Lupa in bronzo, che conosciamo come “Capitolina”, oggi esposta accanto ai più impressionanti simboli del passato della città: i bronzi cosiddetti Capitolini, con la testa colossale di Costantino (con la mano e il globo), lo Spinario, il Camillo.

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Il Museo si sviluppò successivamente con doni e acquisti: la Collezione Albanigiunse nel 1733, la Collezione Sacchetti nel 1749, fino alle acquisizioni recenti per gli scavi della Sovrintendenza Archeologica Comunale per Roma, ma rimane motivata, sin dalla lontana fase di formazione, dalle necessità documentarie celebrative della città antica.Significativamente nel 1538 Papa Paolo III volle che la statua equestre di Marco Aurelio, altro simbolo non religioso di Roma, venisse trasferita da piazza di San Giovanni in Laterano alla Piazza del Campidoglio. Oggi il monumento è conservato all’interno del Museo.

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Il Museo quindi, nelle sue prime manifestazioni rinascimentali, si proponeva come collezione simbolica dei documenti della comunità. Come tale, indipendentemente dall’evoluzione che ebbe successivamente ogni istituto, richiedeva una pesante selezione dei materiali da raccogliere, conservare ed esporre, perché fossero in grado di proporre il discorso di ricostruzione storica e di celebrazione nei termini più efficaci e impressionanti possibile. Talvolta ciò escludeva la valutazione estetica del “monumento”, considerato valido e da conservare solo per il racconto che poteva trasmettere (come per le epigrafi di Brescia), o per la carica sacrale e simbolica di cui era portatore (come i materiali Capitolini).

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Non sembra, in queste prime manifestazioni, ancora presente l’interesse per la documentazione che oggi definiamo di “cultura materiale”, mentre invece si moltiplicavano le collezioni riferite a classi di materiali in qualsiasi modo prestigiosi (delle monete già si è detto, ma la lista può essere infinita, con le gemme, i vetri, gli argenti, i gioielli, i libri e le rilegature, ecc.).

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Il Rinascimento continuava ad utilizzare l’oggetto antico in termini funzionali, senza talvolta curarne la conservazione. Totale era il disinteresse per il frammento, l’oggetto di fattura modesta o di difficile interpretazione (tutto ciò che non era bello veniva gettato o distrutto, ad eccezione di quando suscitava meraviglia). Si avevano forme di selezione basate sulla qualità estetica, con forme di riuso in termini sia didattici che di mutamento di funzione (quasi costante quella decorativa). Gli artisti del Rinascimento dalla statua anticaimparavano i principi della scultura e con il suo tramite accedevano al concetto di bellezzaclassica. Costante, in caso di conservazione, era il restauro di integrazione, sempre peròfinalizzato al riutilizzo, spesso in contesti incongrui, spesso con soluzioni di fantasia, permancata conoscenza delle tipologie originali o per adattare il prodotto alle nuove funzioni.Ma molto spesso, quando la statua o il frammento erano stati studiati ed analizzatidall’artista, venivano avviati alla calchera.

Necropoli Romana di Bologna : La calcina, fornace per la

produzione di calce

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Roma, Museo della Crypta Balbi. Illustrazione composita dell’attività della calcara medievale che è stata identificata nell’area dell’esedra della Crypta Balbi, dedicata alla trasformazione in calce dei frammenti marmorei provenienti dall’area del Teatro e Crypta di Balbo e dalla vicina Porticus Minucia Frumentaria

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Fondamentale appare la scelta di Michelangelo che rinunciò al restauro di integrazione (che avrebbe significato riutilizzo) del cd. Torso del Belvedere, statua mutila ellenistica acquistata da papa Clemente VII (1523-1534): il grande scultore, creatore del “non finito”, dava così la prima indicazione corretta e moderna per la conservazione, la lettura el’esposizione delle opere d’arte antica. Prima (e anche dopo) di lui esse erano integrate, spesso per un riutilizzo decorativo. Il messaggio michelangiolesco era chiaro: i materiali andavano conservati di per sé, con interventi solo conservativi e limitando al massimo quelli ricostruttivi, aprendo un dibattito tuttora aperto.

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UN CASO ESEMPLARE DI GRANDE MUSEO ECCLESIASTICOI MUSEI VATICANI

Il 14.1.1506, la scoperta del gruppo marmoreo del Laocoonte, copia romana di un originale ellenistico, segnò a Roma l’inizio della formazione delle collezioni vaticane. Si era ancora in un clima fortemente umanistico-rinascimentale, con una forte laicizzazione dell’autorità papale.

Il papato aveva vissuto un vivissimo interesse umanistico, fino a formulazioni esoteriche ed antiquarie nelle decorazione degli appartamenti, come con il papa Alessandro VI Borgia (1492 -1503).

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La conoscenza del mondo classico – anche in ambiente papale – veniva considerato strumento ineliminabile per la costruzione del mondo moderno, soprattutto per l’arte. Il recupero di tecniche, iconografie, percorsi narrativi, parallelo a quello letterario, presupponeva operazioni di ricerca e recupero di materiali antichi ed era utile anche per la creazione di opere d’arte funzionali al mondo ecclesiastico. Esemplare fu la decorazione michelangiolesca della CAPPELLA SISTINA, nella quale si manifestava una matura ed approfondita ricezione dell’universo dei modelli classici.

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Nonostante non si avesse ancora una vera sensibilità verso la conservazione, che è premessa ineliminabile del collezionismo, e quindi del Museo, e nonostante, come già è stato detto, tali modelli, soprattutto statue, ma anche affreschi, gemme incise, ecc. venissero utilizzati in termini pratici, come modelli da studiare che successivamente potevano anche essere distrutti, eppure venne organizzata una raccolta all’interno del Vaticano, primo nucleo degli attuali Musei Vaticani.

Subito dopo il Concilio di Trento (1545-1563) si ebbe poi una reazione moralistica: Pio V allontanò le statue dal Vaticano nel 1566.

Concilio di Trento Pio V

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Poco prima, nel 1564, erano state “moralizzate”, con panni svolazzanti (furono detti “le brache”, tolte solo col restauro degli anni ‘90), le figure nude del Giudizio Universale nella Cappella Sistina al Vaticano, che rischiò anche di venir distrutto, come avrebbe voluto papa Paolo IV Carafa(1555-1559).

Si dovrà attendere a lungo prima della rifondazione del Museo in Vaticano: solo nel 1703 il Museo, con Clemente XI, trovava ospitalità nel CORTILE OTTAGONO. Ma, come istituzione ufficiale, ebbe vita breve, anche se continuarono le acquisizioni.

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Fu solo con il Cardinale Lambertini, papa Benedetto XIV, bolognese, che il Museo

rinacque: nel 1757 veniva riordinato, all’interno del Vaticano, e riaperto, con la cura di Bartolomeo Cavaceppi e Francesco Vettori.Ma il Museo rinasceva grazie ad una soluzione di compromesso che rifinalizzava le opere destinate all’esposizione, superando l’ostracismo ai prodotti della cultura classica precristiana, in precedenza rifiutata in nome dell’ortodossia. Ai materiali veniva, talvolta faticosamente, attribuito un significato in qualche modo cristiano e una funzione accademica per gli artisti.Ciò permetteva di recuperare un primordiale concetto di Museo, nel quale anche la sistemazione tendeva ad essere importante, ma con un utilizzo di mezzi e apparati decorativi talvolta difficilmente accettabili in una interpretazione cristiana rigorosa.

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PANNINI GIOVANNI PAOLO : LA GALLERIA DEL CARDINALE SILVIO VALENTI GONZAGA”Hartford, Wadsworth Atheneum Museum of Arts, tela di oltre due metri e mezzo per due, che Pannini terminò nel 1749, su incarico del cardinale mantovano Silvio Valenti Gonzaga , Segretario di stato di Benedetto XIV Lambertini. Quando, nel 1948, la tela venne acquisita dal Museo Hartford, gli studiosi pensavano rappresentasse una galleria immaginaria, tratti in inganno dalla presenza di quadri come il ritratto di Giulio II o Leone X. Ma poi fu capito che solo la galleria era immaginaria , ma i quadri erano veramente appartenuti al cardinale e ben 144 sono leggibili

IL 600 -700: LE GALLERIE E LE GRANDI COLLEZIONI ARISTOCRATICHE

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Alla fine del Cinquecento quindi il termine “Museo” è ormai in uso per indicare un luogo destinato a conservare opere d'arte. Come abbiamo visto, l’Italia del Rinascimento, dove il collezionismo assunse le forme più aggiornate, è il contesto che maggiormente interessa le origini del museo soprattutto per l'aspetto della raccolta di pezzi antichi: essi non solo adornavano le sale dei palazzi delle corti italiane o venivano raccolti in raffinati «studioli», ma spesso erano disposti in giardini o cortili, offrendosi così naturalmente, per il valore stesso di modello loro attribuito, all'ammirazione e allo studio da parte di artisti e viaggiatori.

Bramante: Cortile del Belvedere

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Gli studioli e le Wunderkammer, luoghi ormai tradizionali delle raccolte private, erano spazi espositivi di limitata estensione. Pian piano si ebbe l’esigenza di esporre in ambienti più ampi le proprie raccolte. Vengono perciò allestiti luoghi che si possono definire come “musei privati” proprio perché ad ogni raccolta viene ormai associato uno spazio proprio.

Nel corso del ‘600 e del ‘700 nascono quindi le gallerie. Il termine indica un lungo ambiente di collegamento tra due parti di un edificio, L’utilizzo di questi luoghi per conservare opere d'arte si diffonde a partire dalla fine del Cinquecento e conosce un larghissimo sviluppo nei secoli successivi. Esempio precoce è la sistemazione delle collezioni medicee nei lunghi corridoi al primo piano del Palazzo degli Uffizi (1581), con la creazione dell'elegante Tribuna di B. Buontalenti(1585), progettata e arredata in funzione delle opere esposte. Esempi delle sontuose gallerie sei e settecentesche di famiglie aristocratiche di Roma, gallerie Doria-Pamphili, Colonna, Borgheseo di più modeste ma raffinate raccolte della nobiltà inglese sono giunti fino a noi.

Uffizi: Tribuna di B. Buontalenti

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Il collezionismo di questo periodo (tra XVIe XVII secolo) era però soprattutto collezionismo d’arte. L’amore del bello spingeva, ovunque in Europa, le corti, le classi mercantili, il mondo ecclesiastico (soprattutto in età precedente al concilio di Trento [1545-1563], che frenò la laicizzazione delle gerarchie ecclesiastiche, senza riuscirci sempre), il papato stesso, a raccogliere talvolta vastissime collezioni di “opere d’arte”, di ogni genere, spesso trasformate nel tempo in Musei aperti al pubblico.

Un esempio di tale percorso è il Palazzo Spada a Roma è La maggior parte delle opere esposte proviene dalla collezione di Bernardino Spada (1594-1661) successivamente accresciuta di nuove acquisizioni ad opera del suo pronipote il cardinale Fabrizio Spada (1643-1717). Un contributo minore ma di una certa rilevanza si deve alla passione collezionistica di Virginio Spada (1596-1662), mentre in seguito al matrimonio di Orazio Spada con l'ereditiera Maria Veralli nel 1636, entrarono a far parte della collezione numerose opere antiche e moderne di notevole importanza.

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Nello studiolo, luogo minuto di impronta umanistica, vi potevano accedere pochissime persone.

La Galleria, più ampia sia da un punto di vista spaziale che concettuale, è un ambiente grande atto a contenere una grande quantità di opere, al quale potevano accedere molte più persone. Ciò ovviamente è un elemento di maggiore prestigio per la famiglia che ha allestito la galleria.

Galleria Doria-Pamphili

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La galleria aveva impronta classica anche se a quel tempo era vista come un luogo per esporre oggetti celebrativi. Nel Cinquecento essa ebbe il suo slancio in Francia dove venne concepita come luogo di passaggio e passeggio al coperto. Diversa fu invece la sua funzione in Italia dove serviva in primo luogo a far risaltare i gusti e il prestigio del proprietario.

A Roma la galleria acquista un assetto più scenografico e celebrativo che doveva ospitare opere di tutti i generi. La villa realizzata per Scipione Borghese non serviva da dimora per quest’ultimo ma solo per il piacere degli amici e degli ospiti. Le pareti a differenza di quelle in Francia rivestite di stucchi qui venivano lasciate lisce per far risaltare gli arredi e i quadri.

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Nella stessa fase storica si formarono le imponenti gallerie delle dinastie regnanti europee, nuclei formativi, attraverso complesse vicende di acquisizioni e trapassi dinastici, dei futuri musei nazionali. Si trattava sempre di strutture private, anche se certamente visibili a categorie selezionate di visitatori. Erano infatti ancora rari i casi di collezioni aperte al pubblico. Tra esse sono da ricordare nel Seicento, la prima pinacoteca pubblica d'Europa a Basilea, creata tramite la donazione della raccolta del giurista Basilius Amerbach, e a Milano la Pinacoteca Ambrosiana, fondata (1618) dal cardinal Federico Borromeo con la donazione delle proprie raccolte d'arte, a complemento della Biblioteca (1607).

Pinacoteca Ambrosiana

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MUSEOLOGIA e ARCHEOLOGIA

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− L’Umanesimo: il recupero dell’antichità, le collezioni umanistiche tra riuso e conservazione

− Tra Umanesimo e Rinascimento: lo studiolo

− Tra tardo 400 e 600: le Wunderkamer e le Schatzkammer

− I grandi viaggi del 500 e l’amore per l’esotico

− Naturalia e Artificialia: storia di una separazione

− Gli archetipi rinascimentali delle collezioni pubbliche: Brescia e le sue epigrafi, I Musei Capitolini, Il Laocoonte e i Musei Vaticani

− Il 600 -700: le gallerie e le grandi collezioni aristocratiche