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Marco Benini 22 aprile 2014 · Lettera alla "Compagna Luna" Scrivo questa nota dopo aver letto "Compagna Luna" di Barbara Balzerani, edito da Derive & Approdi. Ci ho dovuto riflettere per un po' di tempo. Ma alla fine ho trovato il tempo e il modo di scriverne. E' un libro che mi ha colpito molto, non solo per l'ottima qualità della scrittura, ma per il suo contenuto che ho sentito come "mio". Ed è strano, visto che l'autrice ha militato nelle Brigate Rosse ed è nota alle cronache per il rapimento Moro. Cosa posso aver in comune con una "terrorista"?Per spiegare, più a me stesso, e a qualche mio lettore che fosse interessato, ho deciso di scrivere questa nota, in forma di una ideale lettera all'autrice che, probabilmente, mai la leggerà. Invece, spero che qualcuno voglia leggere il libro. * * * Cara Barbara, ho letto il tuo libro, dopo qualche esitazione. Prima di prenderlo in mano, mi aspettavo qualcosa di diverso: un resoconto dei fatti, una difesa delle tue scelte, una sorta di saggio su un momento complesso nella storia di tutti noi che in quelli anni c'eravamo. Invece, mi hai sorpreso. Con un libro che parla della tua persona, della storia interiore, quella che conta davvero e che può essere traslata su altre vite, su altre esperienze, per analogia, generando quell'empatia che unisce tutti gli esseri umani che osino mostrarsi. Dei fatti, ci sono le tracce essenziali, come le boe che segnano un percorso nel tempo. Ma il tempo che segui è

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Marco Benini22 aprile 2014 ·

Lettera alla "Compagna Luna"Scrivo questa nota dopo aver letto "Compagna Luna" di Barbara Balzerani, edito da Derive & Approdi. Ci ho dovuto riflettere per un po' di tempo. Ma alla fine ho trovato il tempo e il modo di scriverne. E' un libro che mi ha colpito molto, non solo per l'ottima qualità della scrittura, ma per il suo contenuto che ho sentito come "mio". Ed è strano, visto che l'autrice ha militato nelle Brigate Rosse ed è nota alle cronache per il rapimento Moro. Cosa posso aver in comune con una "terrorista"?Per spiegare, più a me stesso, e a qualche mio lettore che fosse interessato, ho deciso di scrivere questa nota, in forma di una ideale lettera all'autrice che, probabilmente, mai la leggerà. Invece, spero che qualcuno voglia leggere il libro.

* * *

Cara Barbara,ho letto il tuo libro, dopo qualche esitazione. Prima di prenderlo in mano, mi aspettavo qualcosa di diverso: un resoconto dei fatti, una difesa delle tue scelte, una sorta di saggio su un momento complesso nella storia di tutti noi che in quelli anni c'eravamo. Invece, mi hai sorpreso. Con un libro che parla della tua persona, della storia interiore, quella che conta davvero e che può essere traslata su altre vite, su altre esperienze, per analogia, generando quell'empatia che unisce tutti gli esseri umani che osino mostrarsi.

Dei fatti, ci sono le tracce essenziali, come le boe che segnano un percorso nel tempo. Ma il tempo che segui è agostiniano, modulato sull'anima, che lo fa dilatare quando un momento brevissimo diviene fondamentale, e che lo fa magicamente restringere quando l'orologio scandisce momenti monotoni, che non lasciano il segno. Mi hai fatto scorrere le punte delle dita sulle cicatrici del tuo spirito, mi hai fatto entrare nelle stanze oscure delle tue paure, mi hai lasciato intravedere il tuo mondo.

Come puoi immaginare, il mio universo è differente. Sono nato quando incominciavi a muovere i passi nella politica. Negli "anni di piombo" facevo le elementari e poi le medie. E per me, come per molti

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altri della mia generazione, quel periodo è avvolto nel mistero. Noi eravamo troppo piccoli per capire, ma abbastanza grandi per sentire. Come i bambini nati nella seconda guerra mondiale non davano grande importanza ai bombardamenti, tanto da considerarli la normalità, così io sono figlio di quell'altra guerra, e non sento quel senso di "anomalia" perché tu sei esistita - per fortuna, la nostra è una corrispondenza privata, altrimenti riesci ad immaginare l'effetto scandaloso di queste parole sui miei colleghi benpensanti? Ma allora non avevo davvero capito quello che stava succedendo, avvolto nella cronaca e nelle distorsioni del presente, oltre che impedito dall'età. E neppure dopo ho capito quando, incensato nella "vittoria dello Stato", quel periodo vede narrati i fatti da un solo punto di vista, quello del vincitore ed omettendo tutte le parti sgradevoli, che mettono in cattiva luce quelli che avrebbero dovuto risultare come gli "eroi". Forse è per questo che ho preso in mano il tuo libro. Per cercare l'altra voce, quella di chi aveva perso, quella del "mostro". 

E non ho trovato il mostro. Ma questo non mi ha deluso. Anzi, mi hai aiutato a capire di più. Anche oltre la tua storia, dentro la mia. Ho rivisto gli anni dell'università, con le proteste della Pantera. Ho rivisto il 2010, quando con i miei colleghi ricercatori abbiamo occupato i tetti. E mi sono trovato a capire profondamente cosa intendi quando dici che agli sconfitti viene tolto il diritto di parola. Noi eravamo a protestare immaginando un'università diversa, proponendo una visione differente del modo di concepire la ricerca, l'insegnamento, il nostro ruolo di accademici. E, come è noto, abbiamo perso. Anzi, ci hanno sconfitto. E, nonostante quasi tutto quello che allora avevamo previsto come esiti negativi dell'ennesima riforma malfatta, sia puntualmente accaduto, oggi veniamo ancora considerati come quelli che "non capiscono", che "hanno sbagliato". Ci hanno congelato in una visione stantia del tempo, rinchiusi in un ruolo prefissato, da cui non è concesso parlare. E il nostro racconto si è perso: ci hanno narrato come quelli che non volevano il cambiamento, nei difensori dei baroni e dei privilegi di una casta. Immagino che capirai perché senta affinità con la tua storia, nonostante l'enorme differenza nella forma e nella sostanza delle nostre azioni e delle conseguenti reazioni.Nelle tue parole, ho anche sentito risuonare il senso di fratellanza per coloro con i quali ho condiviso quell'esperienza: solo chi ha combattuto profondamente una battaglia può capire come i nostri

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compagni siano sorelle e fratelli, più che se avessimo lo stesso sangue. E' vero che nessuno di noi è morto. Ma molti sono stati resi inoffensivi. Screditati, emarginati, scaricati. Ma le cicatrici che porto da quell'esperienza sono molto meno profonde e dolorose delle tue, e ne ho parlato fin troppo a lungo.

E, naturalmente, non posso comprendere davvero l'esperienza del carcere. Per me, quelle pagine sono più difficili da decifrare delle altre: non ho un termine di paragone, un modo per ricollegarle alla mia esperienza e alla mia persona. Trovo difficile farle risuonare nel mio essere, oltre l'emozione del momento e la razionalità. Spero mi perdonerai per questa mancanza di sensibilità.

Dopo aver letto il tuo libro, capisco finalmente e accetto la tua scelta. Se fossi stato al tuo posto, senza il senno di poi, non saprei se avrei compiuto qualcosa di diverso; forse sarebbe stato il caso, l'occasione, l'accidente a decidere in vece mia; o forse avrebbero vinto i principii in cui sono convinto di credere (ma ne ho dolorosamente visto cadere molti alla prova dei fatti) - e anche solo per questa considerazione che devo per onestà a me stesso, non penso di avere il diritto di giudicarti. Soprattutto adesso, a posteriori, dove tutti siamo bravi. E, soprattutto, scontata la pena - che, in un vero Stato di Diritto, dovrebbe chiudere i conti in pareggio. In ogni caso, per chi è morto per mano tua, sei tu a portarne il peso. Ed è duro a dirsi, ma è giusto così, come per tutti i mali che causiamo agli altri - ognuno di noi ha il suo fardello, e deve conviverci - ma, dalle pagine del tuo libro, è chiaro quanto ti sia pesante il tuo, e come ti costi continuare a testimoniare. Ho un grande e profondo rispetto per il tuo modo di mostrarlo, che non lo riduce di un solo grammo - è un modo molto "delicato", seppur possa solo intuire la fatica e il dolore che costi.

Oggi sei una scrittrice. E, senza complimenti, sei davvero brava. Ho acquistato ma non ancora letto il tuo "Lascia che il mare entri". Ma, semmai, ti dirò dopo averlo letto - mi aspetto qualcosa di diverso, magari più simile alla prima parte del libro che ho finito da poco. 

Potrei continuare a lungo questa lettera, ma sono stato anche fin troppo prolisso, contrariamente alla mia natura e professione di matematico. E, in fondo, scrivere non è il mio mestiere...

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Un grande abbraccio,M