Divina Commedia Purgatorio Canto Secondoe diedi ’l viso mio incontr’al poggio che ’nverso ’l...

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Divina Commedia Purgatorio Canto Terzo Unitrè Arquata Grondona Anno Accademico 2018/19 Corso Divina Commedia a Cura di Benito Ciarlo

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Divina Commedia

Purgatorio

Canto Terzo

Unitrè Arquata Grondona

Anno Accademico 2018/19 Corso Divina Commedia a Cura di Benito Ciarlo

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Vv. 1-6

Avvegna che la subitana fuga

dispergesse color per la campagna,

rivolti al monte ove ragion ne fruga, 3

Sebbene l'improvvisa fuga

sparpagliasse quelle anime per la pianura,

verso il monte dove la giustizia divina ci tormenta (per purificarci),

i’ mi ristrinsi a la fida compagna:

e come sare’ io sanza lui corso?

chi m’avria tratto su per la montagna? 6

io mi accostai alla fedele compagnia:

e come avrei potuto allontanarmi senza di lui?

chi mi avrebbe guidato su per il monte?

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V v.7-12 El mi parea da sé stesso rimorso:

o dignitosa coscïenza e netta,

come t'è picciol fallo amaro morso! 9

Egli mi sembrava tormentato dalla sua stessa coscienza:

o spirito retto e puro,

come un piccolo errore è per te causa di crudele dolore!

Quando li piedi suoi lasciar la fretta,

che l’onestade ad ogn’atto dismaga,

la mente mia, che prima era ristretta, 12

Quando i passi di Virgilio non procedettero più con la fretta.

che toglie decoro ad ogni azione,

La mia mente, che prima era raccolta (in un solo pensiero),

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Vv. 13 - 18

lo ’ntento rallargò, sì come vaga,

e diedi ’l viso mio incontr’al poggio

che ’nverso ’l ciel più alto si dislaga. 15

allargò la sua attenzione, come desiderosa di altre cose,

e alzai gli occhi in direzione del monte

che più alto (di tutti gli altri) si erge dalle acque verso il cielo.

Lo sol, che dietro fiammeggiava roggio,

rotto m’era dinanzi a la figura,

ch’avëa in me de’ suoi raggi l’appoggio. 18

Il sole, che rosso ardeva alle nostre spalle,

era interrotto davanti al mio corpo,

che faceva da impedimento ai suoi raggi.

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Vv. 19 - 24

Io mi volsi dallato con paura

d’essere abbandonato, quand’io vidi

solo dinanzi a me la terra oscura; 21

Mi girai di fianco temendo

d'essere abbandonato,

quando scorsi che la terra era scura

solo davanti a me;

e ’l mio conforto: "Perché pur diffidi?",

a dir mi cominciò tutto rivolto;

"non credi tu me teco e ch’io ti guidi? 24

e Virgilio: « Perché dubiti ancora ?»

prese a dirmi volgendosi interamente verso di me:

«non credi che io sia, con te e che ti guidi?

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Vv. 25 - 30

Vespero è già colà dov’è sepolto

lo corpo dentro al quale io facea ombra;

Napoli l’ ha, e da Brandizio è tolto. 27

E' già l'ora del vespro là dove è sepolto

il mio corpo col quale facevo ombra:

si trova a Napoli, e fu trasportato da Brindisi.

Ora, se innanzi a me nulla s’aombra,

non ti maravigliar più che d’i cieli

che l’uno a l’altro raggio non ingombra. 30

Adesso, se davanti a me non si forma alcuna ombra,

ciò non deve stupirti più del fatto che i cieli

non impediscono che i raggi passino dall'uno all'altro.

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Vv. 31 - 36

A sofferir tormenti, caldi e geli

simili corpi la Virtù dispone

che, come fa, non vuol ch’a noi si sveli. 33

Per sopportare pene, caldo e freddo,

Dio onnipotente crea tali corpi, ma come faccia ciò, non vuole che sia rivelato agli uomini.

Matto è chi spera che nostra ragione

possa trascorrer la infinita via

che tiene una sustanza in tre persone. 36

Stolto è colui il quale spera che la ragione umana

possa percorrere la via infinita che Dio,

uno nella sostanza e trino nelle persone.

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Vv. 37 - 42

State contenti, umana gente, al quia;

ché, se potuto aveste veder tutto,

mestier non era parturir Maria; 39

Limitatevi a considerare, o uomini, le cose come sono:

giacché se aveste potuto capire tutte le cose,

non sarebbe stato necessario che Maria partorisse;

e disïar vedeste sanza frutto

tai che sarebbe lor disio quetato,

ch’etternalmente è dato lor per lutto: 42

e vedeste bramare invano

uomini siffatti che (meglio di altri) avrebbero potuto soddisfare (se fosse stato possibile con la sola ragione umana) la loro ansia di conoscenza, mentre invece (tale desiderio) è motivo per loro di pena eterna:

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Vv. 43 - 48

io dico d’Aristotile e di Plato

e di molt’altri"; e qui chinò la fronte,

e più non disse, e rimase turbato. 45

parlo di Aristotile e di Platone e di molti altri ». E qui chinò il capo, e non aggiunse parola, e ristette turbato.

Noi divenimmo intanto a piè del monte;

quivi trovammo la roccia sì erta,

che ’ndarno vi sarien le gambe pronte. 48

Giungemmo frattanto alla base del monte: qui trovammo la roccia talmente ripida, che invano le gambe lì sarebbero volonterose di salire.

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Vv. 49 - 54

Tra Lerice e Turbìa la più diserta,

la più rotta ruina è una scala,

verso di quella, agevole e aperta. 51

Tra Lerici (un castello sulla riviera ligure, alla foce del fiume Magra) e Turbia (un borgo nizzardo) la roccia più inaccessibile e impraticabile è, al confronto di quella, una scala comoda e ampia.

"Or chi sa da qual man la costa cala",

disse ’l maestro mio fermando ’l passo,

"sì che possa salir chi va sanz’ala?". 54

« Adesso chissà da quale parte la costa è meno ripida » disse, il mio maestro arrestandosi, « in modo da consentire la salita anche a chi non ha ali?

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Vv. 55 - 60

E mentre ch’e’ tenendo ’l viso basso

essaminava del cammin la mente,

e io mirava suso intorno al sasso, 57

E mentre egli, con gli occhi rivolti a terra, rifletteva sul cammino da tenere, e io guardavo in alto tutt’intorno alla roccia,

da man sinistra m’apparì una gente

d’anime, che movieno i piè ver’ noi,

e non pareva, sì venïan lente. 60

da sinistra vidi comparire una schiera di anime, che procedevano verso dì noi, e quasi non sembrava che ciò avvenisse, tanto lentamente si avvicinavano.

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Vv. 61 66

"Leva", diss’io, "maestro, li occhi tuoi:

ecco di qua chi ne darà consiglio,

se tu da te medesmo aver nol puoi". 63

« Alza, o maestro », dissi, « il tuo sguardo: ecco da questa parte chi ci darà consiglio, se tu non riesci a trovarlo in te stesso. »

Guardò allora, e con libero piglio

rispuose: "Andiamo in là, ch’ei vegnon piano;

e tu ferma la spene, dolce figlio". 66

Allora guardò, e con viso rasserenato, rispose: « Avviciniamoci a loro, poiché essi avanzano lentamente; e tu, figlio caro, rafforza la tua speranza ».

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Vv. 67 - 72

Ancora era quel popol di lontano,

i’ dico dopo i nostri mille passi,

quanto un buon gittator trarria con mano, 69

Quella schiera era ancora così lontana, dico dopo aver noi fatto un migliaio di passi, quanta può essere la distanza cui un buon lanciatore scaglierebbe una pietra,

quando si strinser tutti ai duri massi

de l’alta ripa, e stetter fermi e stretti

com’a guardar, chi va dubbiando, stassi. 72

quando tutti si addossarono alle dure rocce dell'alta costa, e stettero fermi e raccolti come, chi va, si ferma a guardare quando è colto da un dubbio.

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Vv. 73 - 78

"O ben finiti, o già spiriti eletti",

Virgilio incominciò, "per quella pace

ch’i’ credo che per voi tutti s’aspetti, 75

« O voi che siete morti in grazia di Dio, o spiriti già destinati alla salvezza eterna », prese a dire Virgilio, « in nome di quella pace che io credo sia attesa da voi tutti,

ditene dove la montagna giace,

sì che possibil sia l’andare in suso;

ché perder tempo a chi più sa più spiace". 78

diteci in qual punto la montagna è più agevole, sì da poterla salire, perché perder tempo dispiace a chi ne conosce il valore. »

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Vv. 79 - 84

Come le pecorelle escon del chiuso

a una, a due, a tre, e l'altre stanno

timidette atterrando l'occhio e 'l muso; 81

Come le pecore escono dal recinto da sole, o a gruppi di due e di tre, e le altre sostano timide abbassando il muso e lo sguardo,

e ciò che fa la prima, e l’altre fanno,

addossandosi a lei, s’ella s’arresta,

semplici e quete, e lo ’mperché non sanno; 84

e quello che fa la prima, fanno anche le altre, raggruppandosi dietro a lei, se si ferma, obbedienti e mansuete, senza conoscerne il motivo,

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Vv 85 -90

sì vid’io muovere a venir la testa

di quella mandra fortunata allotta,

pudica in faccia e ne l’andare onesta. 87

così io vidi allora avvicinarsi le prime anime di quella felice moltitudine, umile nei volti e dignitosa nel procedere,

Come color dinanzi vider rotta

la luce in terra dal mio destro canto,

sì che l’ombra era da me a la grotta, 90

Non appena quelle anime videro in terra, alla mia destra, la luce interrotta, poiché la mia ombra stava fra me e la roccia,

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Vv. 91 -96

restaro, e trasser sé in dietro alquanto,

e tutti li altri che venieno appresso,

non sappiendo ’l perché, fenno altrettanto. 93

si arrestarono, e indietreggiarono un poco, e tutte le altre che venivano dietro, pur non conoscendone il motivo, fecero altrettanto.

"Sanza vostra domanda io vi confesso

che questo è corpo uman che voi vedete;

per che ’l lume del sole in terra è fesso. 96

« Senza attendere che voi me lo domandiate, vi dichiaro che questo che voi vedete è un corpo umano, per questo la luce del sole è, in terra, interrotta.

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Vv. 96 . 102

Non vi maravigliate, ma credete

che non sanza virtù che da ciel vegna

cerchi di soverchiar questa parete". 99

Non stupitevi; ma credete che non è senza

l'aiuto del cielo che io cerco di superare

questa roccia. »

Così ’l maestro; e quella gente degna

"Tornate", disse, "intrate innanzi dunque",

coi dossi de le man faccendo insegna. 102

Così parlò Virgilio; e quegli spiriti eletti. «Tornate

indietro e camminate dunque davanti a noi»,

dissero, facendoci segno col dorso delle mani.

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Vv. 103 - 108

E un di loro incominciò: "Chiunque

tu se’, così andando, volgi ’l viso:

pon mente se di là mi vedesti unque". 105

E uno di loro prese a dire: « Chiunque tu sia, mentre cammini volgi gli occhi: cerca di ricordare se in terra tu mi abbia mai veduto ».

Io mi volsi ver’ lui e guardail fiso:

biondo era e bello e di gentile aspetto,

ma l'un de' cigli un colpo avea diviso. 108

Io mi girai verso di lui e lo guardai attentamente:

era biondo, bello e di nobile aspetto,

ma aveva un sopracciglio diviso in due da una ferita.

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Vv. 109 - 114

Quand’io mi fui umilmente disdetto

d’averlo visto mai, el disse: "Or vedi";

e mostrommi una piaga a sommo ’l petto. 111

Quand'ebbi con cortesia negato d'averlo mai conosciuto, egli dìsse: « Adesso guarda»; e mi mostrò una ferita vicino al cuore.

Poi sorridendo disse: "Io son Manfredi,

nepote di Costanza imperadrice;

ond’io ti priego che, quando tu riedi, 114

Poi aggiunse sorridendo: « Sono Manfredi, nipote dell'imperatrice Costanza; perciò ti prego, quando ritornerai in terra,

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Vv. 115 - 120

vadi a mia bella figlia, genitrice

de l’onor di Cicilia e d’Aragona,

e dichi ’l vero a lei, s’altro si dice. 117

di andare dalla mia bella figlia, madre di coloro che sono i sovrani di Sicilia e d'Aragona, per dirle la verità su di me, se si raccontano altre cose.

Poscia ch’io ebbi rotta la persona

di due punte mortali, io mi rendei,

piangendo, a quei che volontier perdona. 120

Quand'ebbi il corpo trafitto da due colpi mortali, io mi rivolsi, piangendo (per il pentimento dei peccati), a Colui che è sempre pronto a concedere il suo perdono.

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Vv. 121 - 126

Orribil furon li peccati miei;

ma la bontà infinita ha sì gran braccia,

che prende ciò che si rivolge a lei. 123

I miei peccati furono orribili; ma la infinita

misericordia ha braccia tanto ampie da

accogliere tutti coloro che a Lei si rivolgono.

Se ’l pastor di Cosenza, che a la caccia

di me fu messo per Clemente allora,

avesse in Dio ben letta questa faccia, 126

Se il vescovo di Cosenza, che da papa Clemente

fu indotto allora a perseguitarmi, avesse

potuto penetrare questo aspetto di Dio,

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Vv. 127 - 132

l’ossa del corpo mio sarieno ancora

in co del ponte presso a Benevento,

sotto la guardia de la grave mora. 129

le mie ossa sarebbero ancora in capo a un ponte vicìno a Benevento, custodite da un mucchio di pietre.

Or le bagna la pioggia e move il vento

di fuor dal regno, quasi lungo ’l Verde,

dov’e’ le trasmutò a lume spento. 132

Adesso la pioggia le bagna e il vento le agita; fuori del regno (di Napoli e di Sicilia), quasi sul Garigliano, dove egli le trasportò a ceri spenti (come si usava per i cadaveri degli scomunicati e degli eretici).

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Vv. 133 - 138

Per lor maladizion sì non si perde,

che non possa tornar, l'etterno amore,

mentre che la speranza ha fior del verde. 135

In seguito alle loro scomuniche (maladizion: la scomunica infatti non comporta di necessità la dannazione spirituale) la grazia di Dio non si perde a tal punto che non si possa recuperare, finché la speranza non è del tutto inaridita.

Vero è che quale in contumacia more

di Santa Chiesa, ancor ch’al fin si penta,

star li convien da questa ripa in fore, 138

Tuttavia chi muore scomunicato, anche se si pente in punto di morte, deve restare fuori di questo monte,

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Vv. 139 - 145

per ognun tempo ch’elli è stato, trenta,

in sua presunzïon, se tal decreto

più corto per buon prieghi non diventa. 141

per un periodo di tempo trenta volte più lungo di quello che da vivo ha nella sua ostinazione orgogliosa, a meno che tale decreto non venga abbreviato dalle preghiere dei buoni.

Vedi oggimai se tu mi puoi far lieto,

revelando a la mia buona Costanza

come m’ hai visto, e anco esto divieto; 144

ché qui per quei di là molto s’avanza".

Vedi dunque se puoi farmi contento, rivelando, ala mia buona Costanza dove e in che modo mi hai visto, e anche questo divieto, poiché noi molto

progrediamo nella purificazione grazie, ai suffragi dei vivi ».