Disturbo non verbale di apprendimento

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9 Caratteristiche del disturbo non verbale dell’apprendimento “Le parole della lingua, siano scritte o pronunciate, sembra non abbiano alcun ruolo nel mio meccanismo di pensiero. Le entità psicologiche che sembrano fungere da elementi nel pensiero sono certi segni e immagini, più o meno chiari, che possono essere volontariamente riprodotti o combinati…. Gli elementi menzionati sopra sono, nel mio caso, di tipo visivo e alcuni di tipo muscolare”. A. Einstein. 1. Introduzione Se consultiamo la quarta revisione del “Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali” (DSM IV), alla sezione intitolata “Disturbi solitamente diagnosticati nell’infanzia, nella fanciullezza o nell’adolescenza” troviamo un capitolo dedicato ai disturbi dell’apprendimento. I disturbi specifici inclusi in questa sezione sono “Disturbo della Lettura”, “Disturbo del Calcolo”, “Disturbo dell'Espressione Scritta” e “Disturbo dell'Apprendimento Non Altrimenti Specificato”. La classificazione del DSM IV non fa quindi alcun riferimento specifico al tipo di disturbo che sarà esaminato, almeno parzialmente, in questa prima parte: il “Disturbo Non-verbale dell’Apprendimento”. Questo disturbo presenta caratteristiche che il DSM IV cita, ma che non raccoglie in quanto tipiche di un particolare disturbo. Credo

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Caratteristiche del disturbo non verbale

dell’apprendimento

“Le parole della lingua, siano scritte o pronunciate,

sembra non abbiano alcun ruolo nel mio meccanismo di

pensiero. Le entità psicologiche che sembrano fungere da

elementi nel pensiero sono certi segni e immagini, più o

meno chiari, che possono essere volontariamente riprodotti o

combinati…. Gli elementi menzionati sopra sono, nel mio

caso, di tipo visivo e alcuni di tipo muscolare”.

A. Einstein.

1. Introduzione

Se consultiamo la quarta revisione del “Manuale diagnostico e statistico

dei disturbi mentali” (DSM IV), alla sezione intitolata “Disturbi solitamente

diagnosticati nell’infanzia, nella fanciullezza o nell’adolescenza” troviamo un

capitolo dedicato ai disturbi dell’apprendimento. I disturbi specifici inclusi in

questa sezione sono “Disturbo della Lettura”, “Disturbo del Calcolo”,

“Disturbo dell'Espressione Scritta” e “Disturbo dell'Apprendimento Non

Altrimenti Specificato”. La classificazione del DSM IV non fa quindi alcun

riferimento specifico al tipo di disturbo che sarà esaminato, almeno

parzialmente, in questa prima parte: il “Disturbo Non-verbale

dell’Apprendimento”. Questo disturbo presenta caratteristiche che il DSM IV

cita, ma che non raccoglie in quanto tipiche di un particolare disturbo. Credo

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che questo sia dovuto al fatto che le problematiche legate ad un ambito più

specifico, come può essere la matematica o la lettura, sono più facilmente

identificabili.

Nella decima revisione della “Classificazione delle sindromi e dei

disturbi psichici e comportamentali” (ICD-10), oltre alla sezione dedicata ai

“Disturbi evolutivi specifici delle abilità scolastiche”, ne è stata inserita una

dedicata al “Disturbo evolutivo specifico della funzione motoria” . Questo

disturbo, che non è quindi incluso tra i disturbi dell’apprendimento, presenta

molte caratteristiche del “Disturbo Non-verbale dell’Apprendimento”, ma

l’ICD-10 pone l’accento sulle compromissioni motorie piuttosto che su quelle

cognitive.

Il quadro che sto cercando di delineare si complica fin dalle prime

battute:

• Non è del tutto chiaro se si tratti effettivamente di un disturbo

specifico dell’apprendimento o se invece il problema sia di carattere

principalmente motorio;

• Nonostante si tratti di un disturbo che interessa, secondo l’ICD-10, gli

aspetti motori e visuo-spaziali, vi è la tendenza a chiamarlo disturbo

non verbale dell’apprendimento, ponendo l’accento sul linguaggio.

Sicuramente la seconda complicazione deriva da un retaggio culturale

che attribuiva al linguaggio un’importanza centrale, ma credo non si possa

negare che la componente visuo-spaziale riveste un ruolo molto importante

nell’ambito scolastico e nella vita di tutti i giorni. In questo senso ritengo

importante una miglior comprensione di queste problematiche legate

all’apprendimento per ottenere una maggior efficacia nell’intervento volto alla

riduzione delle stesse.

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In questa parte introduttiva descriverò le caratteristiche principali del

disturbo non verbale dell’apprendimento (da ora in avanti NLD) basandomi

sulle osservazioni di Rourke (1995).

2. Abilità non intaccate dal NLD

Nonostante l’alto grado di compromissione, pressoché generalizzata, che

caratterizza i bambini con NLD, alcune abilità cognitive e motorie risultano

preservate e ben sviluppate; è mia intenzione descriverle, sotto forma di

elenco, in questo paragrafo:

• Le abilità motorie semplici e ripetitive sono ben sviluppate,

specialmente in età adulta.

• La percezione uditiva, dopo una prima fase di ritardo nello sviluppo

rispetto alla media, è molto buona. Questi bambini sembrano, infatti,

prediligere la modalità uditiva per raccogliere informazioni

dall’ambiente. Bisogna notare in ogni modo che nell’infanzia i

soggetti NLD sembrano un po’ “duri d’orecchio”; quest’impressione

è rinforzata da un ritardo nell’acquisizione del linguaggio.

• L’acquisizione del linguaggio, dopo il suddetto ritardo, è molto

rapida, più del normale, tanto da consentire un relativo recupero

rispetto ai coetanei. In particolare, alcune abilità linguistiche si

sviluppano in modo molto rapido privilegiando la percezione, la

segmentazione, la fusione e la ripetizione dei fonemi. Sono tipiche

alcune forme ripetitive e/o stereotipate del linguaggio che vengono

memorizzate e tendono ad accumularsi con gli anni.

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• La lettura della singola parola, dopo gli iniziali problemi con l’analisi

visuo-spaziale delle caratteristiche peculiari della parola scritta, è

decifrata in modo eccellente ma la comprensione del testo risulta

deficitaria. Questa lacuna risulta molto evidente all’età di 10 o 12

anni, periodo in cui le attività scolastiche richiedono abilità tipiche

del pensiero ipotetico-deduttivo.

• Le abilità di scrittura, e più in generale la coordinazione oculo-

manuale, raggiungono con la pratica un buon livello. Le capacità di

spelling o di scrittura sotto dettatura sono acquisite ad un’età

mediamente adeguata o un po’ in ritardo.

• L’ attenzione selettiva e sostenuta, in particolare per alcuni materiali

uditivi e verbali semplici, diventa molto ben sviluppata. Questa

differenza spicca quando messa a confronto con le prestazioni

ottenute con materiali visivi.

• La memoria, per materiali di tipo ripetitivo, o d’altro genere,

codificati attraverso modalità verbali e uditive, è molto ben sviluppata

mentre, la memorizzazione del materiale scritto, può risultare

difficile.

In generale si osserva che, nei primi mesi e anni di vita, tutte le

fondamentali tappe evolutive vengono raggiunte in ritardo.

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3. Deficit peculiari del NLD

Ritengo che, esaminando deficit peculiari del NLD riportati di seguito, si

evidenzino due fattori caratteristici:

1. Molti deficit lamentati dai soggetti NLD tendono a peggiorare in

funzione del tempo.

2. Alcune componenti generali (attenzione, memoria, ecc.) che in

precedenza mostravano degli aspetti preservati (elencati quindi tra le

abilità), sono compromesse per altri versanti.

Seguendo la trattazione offerta da Rourke (1995) descriverò

sinteticamente i deficit in questione; il lettore potrà facilmente rendersi conto

che i due fattori appena citati rivestono un ruolo molto importante rispetto alla

difficoltà legata alla singola modalità.

La percezione tattile presenta una compromissione a livello bilaterale

(più evidente a sinistra), anche se normalmente vi è una recessione parziale

spontanea con l’andare degli anni.

Sono evidenti deficit psicomotori e di coordinazione spesso più marcati

nella parte sinistra del corpo. Questi deficit, ad eccezione di abilità molto

esercitate (come la scrittura) peggiorano col tempo.

Il comportamento esplorativo è poco sviluppato a tutti i livelli; sia nei

confronti di oggetti situati nelle immediate vicinanze, che possono essere

esplorati mediante il tatto (spazio di prensione), sia per quelli più lontani che

possono essere esplorati mediante la vista (spazio distale). La spiccata

tendenza alla sedentarietà di questi bambini, fa in modo che essi si procurino

comunque alcune occasioni per manipolare oggetti, purché si trovino nelle

immediate vicinanze. La manipolazione, o un certo tipo di manipolazione,

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finisce quindi per rientrare in quelle attività ripetitive che a lungo andare

diventano ben padroneggiate dal bambino. Questa limitazione

comportamentale, unita alla tendenza alla sedentarietà, tende ad aggravarsi

con gli anni.

Il linguaggio è caratterizzato da deficienze medie nelle prassie orali-

motorie1, scarsa o assente prosodia, verbosità e ripetitività. Sono inoltre

presenti alcuni errori parafasici di tipo fonemico2. Il linguaggio viene

utilizzato come principale mezzo per instaurare relazioni sociali, per

raccogliere le informazioni e per alleviare l’ansia. Tutte queste caratteristiche

tendono a diventare – tranne le difficoltà prassiche orali-motorie – più

evidenti negli anni.

L’apprendimento della lettura, come accennavo in precedenza, ha un

esordio lento e tardivo ma successivamente vi è un notevole recupero,

soprattutto per la lettura di parole singole. Ad esempio un bambino di terza

elementare riesce a decodificare parole tipiche del “vocabolario” di un

bambino di prima media, di terza media quando è in quarta elementare e

addirittura delle superiori quando è in quinta elementare (Rourke, 1995). In

generale dopo la terza elementare grado l’abilità verbale di un bambino NLD

eccede quella di un suo coetaneo. Nonostante ciò, esiste un alto rischio di

sviluppare disabilità nella lettura perché per leggere sono necessarie due

abilità:

1. Le abilità naturali del linguaggio proprie di bambini di cinque o sei

anni;

1 Queste sono da considerarsi analoghe alla disartria. La disartria consiste in una difficoltà nell’articolare le parole che dipende da problematiche di tipo motorio. Le componenti linguistiche della formulazione del linguaggio sono intatte: ad esempio, la scelta dei fonemi e la sequenza con cui vengono prodotti sono corrette. 2 La parafasia fonemica è rappresentata da sostituzioni, omissioni, ripetizioni o aggiunte di fonemi all’interno della stessa parola.

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2. La capacità di analisi visuo-spaziale delle caratteristiche delle parole,

tipiche di quest’età (Rourke, 1995).

In particolare la seconda abilità viene padroneggiata dai bambini NLD

non prima dei sette anni e questo rappresenta una delle cause del ritardo

dell’apprendimento della lettura. La loro difficoltà maggiore comunque non

consiste nella decodifica del testo quanto piuttosto nella comprensione del

contenuto di quanto hanno letto.

La scrittura, agli esordi, è fonte di difficoltà: sia con lo stampatello che

con il corsivo i bambini NLD incontrano parecchi problemi; con molta pratica

comunque, la scrittura diventa abbastanza buona.

L’ attenzione di tipo selettivo e sostenuto, per stimoli di tipo visivo o

tattile, è povera e tende a diminuire col tempo (ad eccezione degli stimoli ben

noti). La “forza” dell’attenzione è maggiore, e permette prestazioni molto

migliori, in presenza di materiali verbali semplici e ripetitivi (specialmente se

si presentato sotto forma uditiva) rispetto a stimoli non verbali nuovi e

complessi (specialmente se presentati con modalità visiva o tattile). La

differenza nelle prestazioni attentive tende a aumentare col tempo.

Per quanto riguarda la memoria, si riscontra uno scarso ricordo degli

stimoli visivi e tattili se il materiale non viene codificato verbalmente, e i

deficit tendono ad aumentare col tempo. Quanto detto è vero in generale ad

esclusione dei materiali che sono super appresi.

E’ tipico uno scarso riconoscimento e un’inadeguata discriminazione dei

dettagli e delle relazioni visive; in generale queste abilità d’organizzazione

visuo-spaziale peggiorano con il tempo. Qualunque materiale, per quanto

risulta non familiare, è trattato in modo povero e non appropriato a causa di

una spiccata tendenza all’assimilazione che aumenta col passare degli anni.

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I soggetti NLD mostrano difficoltà molto evidenti nell’acquisizione dei

concetti, nella soluzione dei problemi, nella generazione di strategie e nella

verifica delle ipotesi. L’uso dei feedback è scarso; si riscontrano inoltre

marcati problemi nello stabilire il nesso tra causa ed effetto.

L’acquisizione delle competenze matematiche appare costantemente in

ritardo se lo si mette in relazione con le competenze linguistiche e con la

lettura (riconoscimento di parole e spelling). Col passare degli anni il divario

tra buone capacità di lettura di una singola parola e cattive “performances” in

matematica diventa sempre più grande. In particolare è il ragionamento

matematico, in contrasto con il calcolo aritmetico meccanico, a rimanere

molto povero.

La matematica pone dei problemi per questi bambini che riflettono i loro

limiti in relazione alle abilità visuo-spaziali, all’apprezzamento dei dati nuovi,

alla formazione dei concetti, alla generazione di strategie e alla verifica delle

ipotesi. Raramente essi riescono a risolvere problemi tipicamente proposti in

quinta elementare o in prima media, ma fino all’età di sette o otto anni non è

facile rendersi conto del deficit. Il loro principale problema riguarda la

difficoltà nel riconoscere quando e come applicare le regole semplici

dell’aritmetica (riporto, somma ecc.): Rourke (1995) definisce questa

caratteristica “forget to remember” che mette in contrapposizione al concetto

di “learning to learn”.

Per quanto riguarda le scienze si evidenziano difficoltà persistenti nello

svolgere e risolvere problemi, e nella acquisizione dei concetti complessi tipici

di materie come la fisica.

Quando hanno quattro o cinque anni questi bambini sembrano disinibiti,

invadenti e persistenti. Queste manifestazioni sono spesso considerate

indicatori di iperattività e di un sottostante deficit d’attenzione. I compagni di

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scuola e i bidelli reagiscono male alle loro “gaffe” comportamentali e

relazionali; ciò tende a renderli sempre meno intraprendenti nei confronti degli

altri trasformando la loro tendenza all’iperattività in una sostanziale

ipoattività, nel tentativo di evitare la frustrazione derivante dal fallimento e dal

rifiuto operato dai compagni. Per queste ragioni viene spesso prescritto a

questi soggetti del metilfeidato. Questo, in concomitanza con l’aumento delle

capacità di lettura, viene interpretato come la remissione anche dei problemi

attentivi.

Sono frequenti in questi soggetti disordini della condotta, forme d’ansia

eccessiva e depressione, tanto che alcuni sono a rischio di sviluppare forme di

psicopatologia.

4. Adattamento e abilità sociali

Che cosa è necessario per avere successo nelle relazioni sociali? E’

risaputo che i bambini popolari sono predisposti a comunicare efficientemente,

sanno come iniziare una conversazione, hanno consapevolezza dello stato

emotivo altrui e sono capaci di empatia, ma soprattutto, sono in grado di

adattare le loro abilità sociali alle richieste della situazione; in altre parole

hanno successo in tutti quegli ambiti che si mostrano difficili ai soggetti NLD.

L’accuratezza del riconoscimento e della classificazione del comportamento

emotivo aumentano in diretta relazione con l’età. I Soggetti normali

riconoscono le emozioni non appena sono in grado di definirle in modo

appropriato. Studi effettuati in età prescolare hanno rivelato che, il

riconoscimento e la qualificazione delle emozioni, sono positivamente e

significativamente correlati con gli indici d’intelligenza e con le abilità

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percettive e motorie, sia nei soggetti normali sia nei “disabili”. Queste abilità

si sono rivelate, tra l’altro, affidabili predittori della rapidità nell’acquisizione

della lettura e di alcune abilità di calcolo (Izard, 1977).

In situazioni nuove o complesse i bambini con NLD mostrano

un’estrema difficoltà di adattamento ed un eccessivo affidamento a forme di

comunicazione e di comportamento banali, semplici o ripetitive (e perciò,

spesso inappropriate). La scarsa competenza sociale, e i deficit nella

percezione, nella interazione e nel giudizio sociale, tendono a divenire più

gravi con l’aumentare dell’età; spesso sfociano in una marcata tendenza al

ritiro sociale.

Il quadro fin qui delineato risulta preoccupante soprattutto in funzione

alla tendenza di molti deficit ad aggravarsi progressivamente. Rourke, Young

& Leenaars (1989) sostennero che l’isolamento sociale e difficoltà nel trovare

e mantenere un buon impiego in età adulta (a causa delle limitazioni

cognitive, dell’impaccio motorio e delle difficoltà nei rapporti con i colleghi)

inducessero uno stato depressivo ed aumentassero il rischio di comportamento

suicida. Questa ipotesi di Rourke et al. (1989) suscitò alcune critiche

(Fletcher, 1989; Kowalchuk & King, 1989; Bigler, 1989) che indussero

Rourke (1989b) a rivedere i parte la sua posizione.

5. Esempio

Desidero, a questo, punto riportare un esempio, citato da Rourke (1995),

in quanto mi sembra in grado di chiarire concretamente quali differenze

intercorrano tra esperienze conoscitive che caratterizzano un bambino normale

e quelle che sono tipiche per un bambino affetto da NLD:

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“…Consideriamo cosa fa una normale bambina ai primi passi in una sala piena di

oggetti antichi o comunque vistosi. La seguente scena può essere una conseguenza molto

plausibile della distrazione dei genitori: ella punta con lo sguardo un interessante vaso

sopra il tavolo al centro della stanza, si alza in piedi e cammina verso il tavolo, tocca il

vaso per un attimo, lo afferra e lo butta per aria. Appena il vaso si rompe sul pavimento

sente il suo genitore gridare, “Mio Dio! E’ un vaso di zia Gertrude!” Ciò è seguito

immediatamente da uno sculaccione e dall’ammonizione di non toccare più i vasi di zia

Gertrude (o cose simili) in futuro.

In contrasto con questo evento, quello che probabilmente succede a un bambino NLD

nella stessa situazione può essere descritto nel modo seguente: mollemente seduto nella

sala con i suoi genitori, egli vede il vaso, ma non cerca di raggiungerlo in alcun modo;

chiede piuttosto che cosa sia. La risposta giunge immediata “E’ un vaso di zia Gertrude.”

Probabilmente non chiede più nulla su quel vaso e procede ponendo altre domande su

altri oggetti e i genitori continuano a rispondere, con indicazioni verbali, alle sue

domande.

Confrontiamo cosa i due bambini hanno imparato durante questo processo. La

bambina “normale” punta la sua attenzione su un interessante oggetto, quindi aziona le

sue risorse motorie per raggiungerlo. Durante il tragitto continua a fissarlo, e appena è

abbastanza vicino, lo tocca. A ciò segue il trascinamento, il lancio, il rumore del vaso che

si frantuma, dei cocci che si sparpagliano ai quattro angoli della stanza e il lamento dei

genitori che gridano disperati. Tutto ciò è seguito da una sensazione dolorosa e da

ulteriori espressioni dei genitori stessi.

E’ possibile che questa sequenza di eventi abbia permesso alla bambina di formarsi

una elementare, ma cruciale, relazione tra mezzi e fini, un senso di efficacia e confidenza

nel utilizzare le proprie risorse per raggiungere uno scopo, la nozione che un oggetto

rimane costante nonostante la grandezza dell’immagine retinica e la luce riflessa

dall’oggetto vari, l’esperienza che l’oggetto in questione ha una superficie liscia e una

massa che le permette di trascinarlo, alcune elementari interazioni tra l’aerodinamica e la

gravità quando l’oggetto volteggia nell’aria, la nozione che il peso e le qualità della

superficie si perdono quando l’oggetto si rompe contro una superficie inamovibile come

un pavimento di legno, il nome dell’oggetto, le conseguenze a cui si può andare incontro

quando si intraprendono azioni di questo tipo e ulteriori etichette verbali e qualificatori

per questa attività e per l’oggetto in questione. Per la bambina normale l’oggetto

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acquisisce un nome solo dopo che alcune caratteristiche fisiche sono state incontrate, se

non esplorate, in alcuni dettagli.

Bisogna ammettere che per un bambino ai primi passi o durante l’infanzia questo non

è soltanto il modo più usuale per assegnare i nomi agli oggetti, ma anche la maniera

preferita per la manifestazione dell’attività denominativa in questo periodo. I prerequisiti

per questa sequenza di eventi, naturalmente, sono le abilità neuropsicologiche della

percezione tattile e visiva, le abilità psicomotorie complesse e la capacità di interagire con

le novità. Deficit in tutti questi ambiti costituiscono la base della sindrome NLD.

Ora, tornando alle considerazioni sull’apprendimento che è derivato, per il bambino

NLD riguardo al vaso di zia Gertrude, siamo di fronte a una semplice risposta: egli ha

probabilmente imparato che quell’oggetto è un “vaso” e che ha qualcosa a che fare con

zia Gertrude. Nulla di più” [Rourke, 1995, pp. 8-9 ].

La citazione di Einstein (McKim, 1972), inserita all’inizio voleva essere

una specie di provocazione. Non credo la si possa investire di una, pur

minima, rilevanza scientifica ma al tempo stesso ritengo che offra un ottimo

spunto di riflessione.

Come spero sia emerso da quanto scritto finora i soggetti affetti (e

afflitti) da questo disturbo si trovano a dover affrontare una situazione molto

pesante avendo a disposizione ben poche armi. Scambiati per iperattivi,

“rifiutati” dai compagni e messi in difficoltà da praticamente ogni compito che

l’ambiente scolastico chiede loro (neppure le abilità linguistiche costituiscono

una stampella efficace), necessitano, a mio parere, di una particolare

attenzione.

Nella parte che seguirà ho inquadrato la situazione in oggetto da un

punto di vista neuropsicologico.

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Disturbo non verbale dell’apprendimento?

Ciò di cui abbiamo bisogno non è la volontà di

credere bensì il desiderio di scoprire.

B. Russell

In letteratura vi sono molte ricerche effettuate con soggetti che

presentano disturbi dell’apprendimento simili, per alcuni aspetti, a quella che

Rourke chiama NLD. Si tratta dello stesso disturbo dell’apprendimento?

Non è certamente semplice dare una risposta definitiva a questa

domanda. Nel 1990 Semrud-Clikeman & Hynd hanno raccolto in un unico

articolo un insieme di questi disturbi dell’apprendimento. In questo lavoro

panoramico emerge con chiarezza una caratteristica comune: il

coinvolgimento dell’emisfero cerebrale destro.

E’ mia intenzione riproporre, nel primo paragrafo di questa seconda

parte, le caratteristiche principali dei disturbi elencati da Semrud-Clikeman &

Hynd (1990) per accennare, in seguito, ad alcuni studi relativi alle

caratteristiche del nostro cervello e in particolare dell’emisfero destro. In

questo modo sarà possibile comprendere più chiaramente alcune spiegazioni

offerte dagli esperti del settore e, in particolare, ciò mi permetterà in seguito

(cap. terzo pp. 51-52) di collegarmi con il “Modello della memoria di lavoro

visuo-spaziale” proposto da Cornoldi (1995).

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1. I sottotipi del “Disturbo non verbale dell’apprendimento.

“Nonverbal Perceptual Organization Output Disabled Classification

(NPOOD)”: Rourke & Finlayson (1978) identificarono con questo acronimo

dei bambini le cui abilità di lettura e di spelling erano nella media, o sopra di

essa, ed evidenziavano particolari abilità nella percezione uditiva. Le abilità

aritmetiche invece erano relativamente compromesse ed ulteriori problemi

furono riscontrati nei compiti che richiedevano abilità spaziali. Rourke &

Finlayson conclusero che questi bambini fossero caratterizzati da disfunzioni

relative all’emisfero destro.

Strang e Rourke (1983, 1985) trovarono che gli errori aritmetici di questi

soggetti, in base al “Wide Range Achievement Test”, riguardavano

l’organizzazione spaziale, erano causati dalla mancata attenzione nei confronti

degli aspetti visivi, e da errori procedurali e di perseverazione. Altre difficoltà

riguardavano l’utilizzo di operazioni apprese in precedenza in contesti nuovi.

Strang e Rourke riscontrarono ulteriori problematiche psicomotorie e della

percezione tattile (più pronunciate a sinistra).

Ozols & Rourke (1985) osservano che i Soggetti NPOOD avevano

difficoltà nell’utilizzare e nell’interpretare i suggerimenti comunicativi non

verbali come le posture e le espressioni facciali, abilità tipicamente correlate

all’emisfero destro.

A scanso di equivoci, bisogna dire che Rourke ha usato l’indicazione

NPOOD approssimativamente fino al 1988; dal 1989 (vedi Rourke, 1989a) è

scomparso l’acronimo NPOOD in favore di NLD (che esattamente starebbe

per nonverbal learning disability) ma il disturbo dell’apprendimento a cui

l’autore si riferisce è lo stesso.

Page 15: Disturbo non verbale di apprendimento

23

La “Sindrome di Asperger” è caratterizzata da una grave e perdurante

compromissione dell’interazione sociale e dallo sviluppo di modalità di

comportamento, interessi, e attività ristretti e ripetitivi. Contrariamente al

disturbo autistico, non vi sono ritardi clinicamente significativi

nell’acquisizione del linguaggio (per es., singole parole sono usate all'età di

due anni, frasi comunicative sono usate all'età di tre anni), né nello sviluppo

cognitivo, nelle capacità di autoaccudimento adeguate all'età, nel

comportamento adattivo (tranne che nell'interazione sociale), e nella curiosità

riguardo all'ambiente.

Secondo Semrud-Clikeman & Hynd (1990) ci sono molte similitudini tra

i bambini NPOOD e quelli a cui era stata diagnosticata la sindrome di

Asperger anche se alcuni autori hanno riscontrato in questi ultimi buone

capacità in ambito matematico e scientifico (Wing, 1981; Wolff & Chick,

1980; Wolff & Barlow,1979),capacità che risultano carenti nei bambini NLD.

La “Sindrome di Gerstmann evolutiva”. Nel 1924 e negli anni seguenti,

Gerstmann descrisse l’associazione di alcuni sintomi neuropsicologici che da

allora ha preso il suo nome. Disgrafia, discalculia, agnosia digitale,

disorientamento destra-sinistra sono tipici mentre l’aprassia costruttiva3 è

spesso presente ed è stata aggiunta in un secondo tempo (Gerstmann, 1927).

Gerstmann sosteneva che responsabile di questa sintomatologia fosse

una lesione del lobo parietale dominante, in articolare del giro angolare (area

39 di Brodmann, vedi fig.1). La specificità di questa sindrome è molto

controversa ed è tuttora oggetto di discussione tra i neuropsicologi (Benton,

1977; 1992).

3 L’aprassia costruttiva consiste nell’incapacità di costruire strutture complesse ponendo gli elementi costituenti nei corretti rapporti spaziali reciproci. Essa comprende, tra l’altro, attività di costruzione, composizione e disegno.

Page 16: Disturbo non verbale di apprendimento

24

Figura 1: Rappresentazione schematica dell’emisfero sinistro. In grigio è stato evidenziato il giro angolare (area 39 di Brodmann) che risulta leso negli adulti con Sindrome di Gerstmann.

Ancora più incerta ed opinabile è l’esistenza di una sindrome di

Gerstmann evolutiva, in altre parole della presenza dei classici sintomi di

Gerstmann in infanzia, in assenza di lesioni cerebrali acquisite (Calzolari,

Paris & Ramponi, 1998). Rourke & Strang (1978) sostennero che questa

sindrome è analoga alla NPOOD.

Il punto di maggior disaccordo tra i diversi autori è rappresentato dal

fatto che nell’adulto la sindrome di Gerstmann si manifesta, come già detto, in

conseguenza a lesioni parietali sinistre mentre la NLD è normalmente

attribuita all’emisfero destro.

“Left Hemisyndrome Classification”. Denckla (1978) suggerì un modo

addizionale per classificare i bambini con specifici deficit relativi ai compiti

visuo-spaziali, all’aritmetica ed alle abilità di comunicazione non verbale.

Ella rilevò che questi bambini presentavano una serie di problematiche a

carico dell’emisoma sinistro le quali supponevano una disfunzione

dell’emisfero destro. I bambini cui Denckla faceva riferimento mostravano

almeno tre indicatori a carico del sistema motorio che presupponevano un

Page 17: Disturbo non verbale di apprendimento

25

coinvolgimento dell’emisfero destro. Questi indicatori includevano disordini

dei riflessi, debolezza del tono muscolare, tremori, scoordinazione motoria,

nistagmo, strabismo e disartria4.

I soggetti in questione mostravano un profilo neuropsicologico che

documentava un ritardo medio, nell’acquisizione del linguaggio e della lettura,

che comunque in seguito si normalizzavano. Rimanevano invece evidenti delle

difficoltà nel ragionamento verbale, deficit nel pensiero inferenziale, difficoltà

in matematica, deficit d’orientamento (che si evidenziavano in particolare

nella vita di tutti i giorni e con le piantine geografiche) e difficoltà nel

comprendere i segnali tipici della comunicazione non verbale come la

gestualità e l’intonazione vocale.

Secondo Denckla la Sindrome di Asperger costituisce il grado più severo

di compromissione lungo un continuum che colloca la NPOOD ad un estremo,

la “Left hemisyndrome” nel mezzo e la sindrome di Asperger all’altro

estremo.

“Sindrome dell’emisfero destro”. Voeller (1986) descrisse 15 Bambini

che mostravano strette similitudini con quelli segnalati da Rourke & Finlayson

(1978) e da Denckla (1978). Esaminando i risultati delle batterie di test

neuropsicologici, la CT scans e i tracciati EEG, Voeller trovò indicazioni di

deficit a carico dell’emisfero destro in tutti loro.

I soggetti studiati da questa autrice mostravano un’estrema difficoltà

nella comprensione degli stati emotivi altrui. I punteggi ottenuti nei test QI

mostravano prestazioni migliori per quanto riguardava la “Scala Verbale”

rispetto a quella di “Performance”. Per quanto riguardava invece alcune

attività scolastiche tipiche, i bambini esaminati da Voeller si rivelavano abili

lettori ma erano messi in difficoltà da compiti aritmetici. Dalle osservazioni di

4 Vedi nota 1.

Page 18: Disturbo non verbale di apprendimento

26

Voeller emerse inoltre un’alta percentuale di ADD5 (con e senza iperattività);

particolare che non è menzionato da Denckla (1978) né da Rourke & Strang

(1978).

In un lavoro successivo Voeller & Heilman (1988) evidenziarono che i

bambini cui era stata diagnosticata questa sindrome soddisfacevano i criteri

diagnostici per l’ADDH, e, prendendo spunto dall’ipotesi che l’instabilità

motoria fosse relata a danni all’emisfero destro negli adulti (Kertesz,

Nicholson, Cancelliere, Kassa & Black 1985), ipotizzarono che L’ADDH

potesse essere collegato alla sindrome dell’emisfero destro nei bambini,

ipotesi parzialmente confermata da Sandson, Bachna & Morin (2000).

“Right Parietal Lobe Classification”. Weinberg & McLean (1986)

identificarono due diversi tipi di disturbi dell’apprendimento nei bambini con

difficoltà aritmetiche e sociali.

Tipo R 1: detta anche sindrome evolutiva dell’emisfero parietale destro

(developmental right parietal lobe syndrome), è fortemente caratterizzata da

eloquio cantilenante, scarsa consapevolezza sia nel comprendere che

nell’utilizzare gli aspetti non verbali della comunicazione e altri indizi come il

tono del linguaggio. Weinberg & McLean osservarono inoltre come prove

ripetitive si rivelassero difficili per i bambini R1: ad esempio, spesso essi

cominciavano la prova ma non la concludevano.

In relazione alle principali attività scolastiche questi autori facevano

notare inoltre come, per questi bambini, la lettura fosse lenta e laboriosa ma

non presentasse altre problematiche rispetto ai compagni, mentre l’aritmetica

si rivelasse fonte di difficoltà e la scrittura fosse pasticciata.

5 ADD è un’abbreviazione usata per indicare il disturbo dell’attenzione che spesso è associato all’iperattività (ADDH). La caratteristica fondamentale del Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività è una persistente modalità di disattenzione, e/o di iperattività-impulsività, che è più frequente e più grave di quanto si osserva, tipicamente, nei soggetti allo stesso livello di sviluppo.

Page 19: Disturbo non verbale di apprendimento

27

Tipo R 2: è identica a R1 con la differenza che in questi bambini le

compromissioni sono meno evidenti.

Secondo Weinberg & McLean (1986) entrambe queste tipologie sono da

imputare al lobo parietale destro. Sfortunatamente questa classificazione

sembra non essere supportata da dati o da altri campioni di casi clinici con

queste caratteristiche. I dati precedenti, infatti, si dimostrano non concordi con

questa formulazione, nel senso che, i processi cognitivi associati alle abilità

aritmetiche sono probabilmente frutto di attivazioni bilaterali, con

coinvolgimenti delle aree sottocorticali. In aggiunta, Ross (1981) dimostrò che

la prosodia del linguaggio, non dipende solo dall’emisfero parietale destro, ma

anche da diverse zone, anteriori e posteriori, dello stesso. Secondo questo

autore le regioni anteriori contribuiscono alla espressione della prosodia e

quelle posteriori contribuiscono al riconoscimento della stessa. Sembra quindi

che Weinberg & McLean abbiano grossolanamente semplificato le cose

nell’indicare le localizzazioni cerebrali correlate ai deficit osservati.

Più recentemente, Nichelli & Venneri (1995), hanno descritto il caso di

un giovane che presentava un quadro cognitivo-comportamentale

sovrapponibile a quello dei casi fin qui descritti. Gli autori si riferiscono a

questo quadro sintomatologico col nome “Right hemisphere developmental

learning disability” e fanno notare come, a dispetto di esami CT scan e MRI

normali, l’EEG e la PET evidenzino una cospicua asimmetria tra i due

emisferi. In particolare l’asimmetria metabolica mostrata dalla PET indica

un’attivazione inferiore in una larga porzione dell’emisfero destro.

Page 20: Disturbo non verbale di apprendimento

28

2. Considerazioni neuropsicologiche

Lo studio dei disturbi cognitivi, associati a lesioni emisferiche sinistre,

portò Jackson, nel lontano 18686, alla definizione della nozione di “dominanza

emisferica”, secondo la quale, l’emisfero sinistro riveste un ruolo

fondamentale per qualunque attività comportamentale e di pensiero dell’uomo.

Questa definizione era motivata dall’importanza assegnata al linguaggio. In

seguito si osservò che mentre l’emisfero sinistro è specialmente deputato alle

funzioni linguistiche, il destro gioca un ruolo prevalente in altre funzioni

superiori che non coinvolgono il linguaggio, particolarmente funzioni di tipo

visivo-spaziale.

Alla nozione classica di dominanza venne quindi sostituita quella di

“specializzazione emisferica”, secondo la quale, entrambi gli emisferi

prevalgono a turno a seconda della funzione coinvolta. Per quanto riguarda

invece le attività elementari di senso e di moto i due emisferi cerebrali sono

considerati attualmente del tutto equivalenti.

Anche questo modello è stato contraddetto da alcune ricerche dalle quali

è emersa una specializzazione destra per stimoli apparentemente verbali e una

specializzazione sinistra per stimoli apparentemente non verbali (Umiltà et al.

1980; Umiltà et al. 1978). I risultati di tali ricerche hanno portato a due nuove

versioni del “modello Verbale/Spaziale”. La prima sostiene che il dato della

specializzazione emisferica dipende dal modo in cui l’informazione è

rappresentata internamente. In altre parole, è il formato o il codice della

rappresentazione interna, e non lo stimolo in quanto tale, a determinare la

prevalenza dell’uno o dell’altro emisfero (Umiltà 1982; Moscovitch, Scullion

& Cristie 1976).

6 Citato in C. Umiltà (a cura di): “Manuale di neuroscienze” (1995) a p. 479.

Page 21: Disturbo non verbale di apprendimento

29

La seconda versione del modello sostiene invece che, la specializzazione

emisferica, dipenda dal modo in cui viene elaborata l’informazione

(Moscovitch 1979; Berlucchi 1982). Il tipo di compito non ha importanza: tutti

i compiti che richiedono, o ammettono, una mediazione linguistica, portano ad

una superiorità dell’emisfero sinistro. Se invece i problemi da affrontare sono

di tipo spaziale, o più genericamente non linguistico, anche stimoli linguistici

producono una superiorità dell’emisfero destro. Questa versione del modello

risolve in parte il problema presentato da compiti né linguistici né spaziali che

pur dimostrano una chiara lateralizzazione funzionale. Ad esempio, non vi è

nulla di spaziale nell’emozione in sé, tuttavia, essendo l’emozione espressa

attraverso le caratteristiche fisionomiche e le loro reciproche relazioni spaziali,

è possibile che il riconoscimento delle emozioni richieda un tipo di

elaborazione spaziale non diverso da quello richiesto dal riconoscimento di un

volto (Moscovitch 1979; Berlucchi 1982).

Osservando dati clinici che dimostrano come le conseguenze e i

fenomeni di recupero funzionale di una lesione siano diversi a seconda dell’età

del paziente, Segalowitz & Gruber (1977) hanno introdotto il concetto di

plasticità dei due emisferi.

I dati clinici possono essere così riassunti:

• A parità di altre condizioni il danno funzionale è meno grave nei

bambini che negli adulti. I deficit cognitivi conseguenti a lesioni nei

bambini sono più lievi e transitori di quelli dell’adulto.

• Il recupero della funzione compromessa avviene più rapidamente nei

bambini. Da questo punto di vista sono molto importanti le

osservazioni su pazienti che hanno subito una emisferectomia

sinistra nei primissimi anni di vita. Tali pazienti sviluppano

competenze linguistiche praticamente indistinguibili da quelle dei

Page 22: Disturbo non verbale di apprendimento

30

soggetti normali fatta eccezione per un deficit di tipo sintattico

(Dennis & Whitekar 1977; Springer & Deutsch 1981). Al contrario

se l’emisferectomia ha avuto luogo in età adulta tutte le funzioni

linguistiche rimangono seriamente compromesse.

• Lesioni dell’emisfero destro nei Bambini possono produrre disturbi

linguistici, mentre negli adulti i disturbi afasici dopo lesioni destre

sono rarissimi, con eccezioni per alcuni mancini.

In conclusione, appare evidente che il cervello infantile è già

specializzato ma a dispetto di ciò presenta un alto grado di plasticità.

Per quanto riguarda il caso in esame, se è vero che il NLD è dovuto a una

disfunzione dell’emisfero destro, data la plasticità, i soggetti con questa

patologia dovrebbero supplire alle loro carenze attraverso il ruolo vicario

dell’altro emisfero ma ciò non sembra avvenire, perché?

3. Goldberg & Costa: “The right to left shift”

Alcuni studi dedicati alla definizione delle differenze anatomiche

cerebrali condussero LeMay (1976) alla conclusione che, nell’uomo, si

riscontra usualmente un maggior volume del ventricolo laterale sinistro e un

maggior peso dell’emisfero destro rispetto a quello sinistro (vedi figura 2).

Nello stesso ambito, sulla base di una serie di tomografie computerizzate, Gur,

Packer, Hungerbuhler, Reivich, Obrist, Amarnek e Sackeim (1980)

dimostrarono che la quantità media di sostanza grigia è maggiore

nell’emisfero sinistro rispetto a quello destro, il quale risulta, a sua volta,

caratterizzato da una prevalenza di sostanza bianca rispetto all’altro. Gli stessi

Page 23: Disturbo non verbale di apprendimento

31

autori osservarono inoltre che le aree associative (temporoparietale e

prefrontale) sono più estese nell’emisfero destro.

Figura 2: Sezione orizzontale. Nella figura si può notare chiaramente come i corni frontale e posteriore del ventricolo laterale sinistro siano più estesi rispetto a quelli del ventricolo destro. Nella stessa si può osservare anche la classica torsione in senso antiorario dovuta al maggior volume del polo frontale destro e del polo occipitale sinistro.

Se considerato alla luce dei risultati di LeMay questi indici possono

riflettere una maggior presenza, in media, di fibre mielinizzate lunghe

(sostanza bianca) rispetto alla massa neuronale e alle fibre corte non

mielinizzate (sostanza grigia) nell’emisfero destro.

Secondo Goldberg & Costa (1981), emerge, in seguito a queste

osservazioni, una caratteristica molto particolare del nostro cervello:

l’emisfero sinistro mostra una predominante connettività di tipo intraregionale

mentre in quello destro le connessioni sono prevalentemente interregionali.

Page 24: Disturbo non verbale di apprendimento

32

Partendo dai risultati di svariati esperimenti che utilizzavano differenti

metodologie sperimentali come le rilevazioni EEG, esperimenti di percezione

visiva, di ascolto dicotico o di riconoscimento di lettere o di volti, e

considerando inoltre le differenze neuroanatomiche dei due emisferi, Goldberg

& Costa (1981) ritennero plausibili due conseguenze a livello funzionale:

1. L’emisfero destro possiede una grande capacità di affrontare la

complessità informazionale.

2. L’emisfero destro ha una grande abilità nel processare più modelli

d’informazione in una singola esposizione, mentre l’emisfero sinistro

si mostra più adatto a compiti che richiedono una singola modalità di

rappresentazione o d’esecuzione.

Ulteriori conseguenze si possono riscontrare nell’acquisizione e

nell’utilizzo delle strategie cognitive.

La comprensione delle conseguenze a questo livello necessita

l’introduzione del concetto di sistema descrittivo. Un sistema descrittivo

consiste di un insieme di unità discrete di codifica o di regole di

trasformazione che possono essere utilizzate durante l’elaborazione di alcune

classi di stimoli. Un sistema descrittivo è quindi una “super-struttura” imposta

sui semplici meccanismi di detenzione degli stimoli. Il linguaggio naturale

costituisce, per i membri di uno stesso dominio culturale, un sistema

descrittivo fisso. All’interno del dominio culturale però si possono individuare

determinate sottoclassi del linguaggio contenenti dei termini o dei concetti

non utilizzati da tutti (ad esempio alcuni termini e/o concetti specialistici).

E’ ovvio che i concetti espressi attraverso termini specifici possono

essere comunicati utilizzando altri termini padroneggiati da tutti i membri di

quel dominio ma ciò, spesso, richiede delle circonlocuzioni.

Page 25: Disturbo non verbale di apprendimento

33

Altri sistemi descrittivi, non necessariamente linguistici, rintracciabili

all’interno della nostra cultura, sono i linguaggi formali della matematica, il

codice Morse, le notazioni musicali o quelle utilizzate per indicare la

posizione dei pezzi su una scacchiera. Questi sistemi vengono utilizzati da un

piccolo sottoinsieme di parlanti la stessa lingua ma sono simili al linguaggio

in quanto determinati culturalmente e acquisiti attraverso la comunicazione

(quindi legati al linguaggio).

Un terzo insieme di sistemi descrittivi è costituito da quelli

intraindividuali che si sviluppano, durante l’acquisizione di una nuova abilità

(o l’elaborazione di classi di stimoli precedentemente sconosciute), in un

modo “caratteristico”, più che attraverso l’utilizzo un codice preesistente (in

processi di questo tipo il ruolo svolto dal linguaggio non è facilmente

definibile).

Una delle conseguenze più evidenti di questo stato di cose emerge

considerando il “comportamento” di due individui, alle prese con lo stesso

compito, immaginando che uno dei due (professionista) possieda il sistema

descrittivo appropriato alle richieste del compito, e l’altro (principiante) ne sia

sprovvisto. Il professionista può individuare le componenti che costituiscono il

problema, ridurre la sua complessità e il conseguente carico cognitivo che il

compito comporta.

Goldberg & Costa (1981) sostengono che, nella costituzione di un

sistema descrittivo, in generale vi sia un iniziale coinvolgimento dell’emisfero

destro, il quale, grazie alla prevalenza di connessioni “interregionali” (fibre

mielinizzate lunghe), permette di cogliere le caratteristiche essenziali del

compito, le sue regolarità e le eventuali relazioni tra le sue componenti,

promuovendo un’analisi multifocale. Dopo le prime interazioni con qualunque

“materiale sconosciuto” vi è un progressivo aumento della confidenza nel

Page 26: Disturbo non verbale di apprendimento

34

trattarlo; ciò coincide con un coinvolgimento dell’emisfero sinistro, il quale,

grazie alle sue connessioni “intraregionali” (fibre corte non mielinizzate),

favorisce un’elaborazione di tipo analitico attraverso il sistema descrittivo che

si va progressivamente costituendo.

E’ in questo senso che Goldberg & Costa identificano uno “shift” di

attivazione progressivo dall’emisfero di destra a quello di sinistra (The right to

left shift).

4. Il modello di Rourke

Il modello di Golberg & Costa (1981) deriva da investigazioni sul

cervello umano adulto; nonostante la cautela da usare quando si trasportano

osservazioni fatte sull’adulto a livello infantile, le osservazioni e le idee di

Golberg & Costa (1981) sono state utilizzate per interpretare il NLD.

L’apporto principale portato da questa teoria risiede nell’ipotesi che ci sia una

progressiva lateralizzazione di funzioni verso l’emisfero sinistro nel corso

della vita. Secondo questa prospettiva Rourke (1982) predispose un modello

(“The right-left model”), nel tentativo di interpretare le deficienze espresse dei

soggetti NLD. In quel modello Rourke sottolineò come i bambini NLD

manifestino deficienze a livello dell’emisfero destro in presenza di ben

consolidate, stereotipate e rigide abilità dell’emisfero sinistro (ad esempio

certe abilità linguistiche). In particolare egli pensava che i problemi nello

stabilire saldamente le relazioni di causa ed effetto (che stanno alla base

Page 27: Disturbo non verbale di apprendimento

35

dell’apprendimento per prove ed errori) nell’infanzia e nella fanciullezza

avrebbero limitato la loro capacità di sviluppare livelli più astratti di pensiero7.

Indipendentemente dal fatto che i problemi manifestati dai bambini NLD

avessero direttamente origine da un deficit dell’emisfero destro o da problemi

di accesso delle informazioni verso un sistema inizialmente integro, Rourke

fondò le sue argomentazioni su tre principi.

1. In generale, quanta più materia bianca (in relazione alla massa

cerebrale totale) è lesa, rimossa o disfunzionale, tanto più probabile è

la presenza di una NLD.

2. Il periodo in cui il danno occorre e il tipo di materia bianca che ne è

interessato ha grande importanza ai fini della manifestazione della

NLD.

3. La materia bianca dell’emisfero destro è cruciale per lo sviluppo e il

mantenimento delle sue prerogative (l’integrazione intermodale,

soprattutto di fronte a situazioni nuove).

Proseguendo in questa direzione Rourke (1987, 1988, 1989a, 1995)

ampliò il suo modello (“The right-left, down-up, back-front model”)

osservando che vi potevano essere differenti conseguenze a seconda del tipo di

fibre danneggiate. Partendo dal fatto che nel nostro cervello si possono

individuare principalmente tre tipi di fibre lunghe mielinizzate: le fibre

commessurali (right-left), le fibre associative (back-front) e le fibre di

proiezione (down-up); e puntualizzandone la maggior presenza nell’emisfero

destro, Rourke (1995) ipotizzò che alcune patologie avrebbero intaccato in

modo peculiare alcuni (o tutti) i tipi di fibre causando la sindrome NLD. Ad

esempio:

7 Lo stesso Rourke (1982) suggerì che, la formazione dei concetti, dipenda dall’emisfero destro e che

Page 28: Disturbo non verbale di apprendimento

36

…. “condizioni come l’idrocefalo avranno il loro principale effetto sulle fibre

commessurali (right-left) e di proiezione (down-up), lasciando le fibre associative (back-

front) relativamente intatte.” [Rourke, 1995, p. 22].

In questo modo, Rourke si spinge molto al di là rispetto agli argomenti

trattati in questo lavoro, andando a registrare comportamenti caratteristici della

sindrome NLD associati ad altri disturbi primari come l’idrocefalo, la

sindrome di Turner, la leucemia ed altre forme tumorali infantili trattate con

radioterapia, le forme congenite di agenesia del corpo calloso, eccetera. (si

veda Rourke, 1995 per una rassegna).

All’inizio di questa seconda parte mi sono posto due domande, una delle

quali era presente fin dal titolo: si tratta di un disturbo non verbale

dell’apprendimento?

Secondo l’ipotesi avanzata da Goldberg & Costa (1981) definire il

problema secondo il dualismo verbale/spaziale è una scelta quantomeno

affrettata. In base alla loro teoria, i deficit che si osservano a livello visuo-

spaziale, e che preservano alcune capacità linguistiche nei soggetti NLD, sono

la conseguenza di uno stato di cose molto più complesso.

Il loro modello teorico consente di spiegare i deficit caratteristici del

NLD sostenendo che la principale carenza di questi soggetti, rappresentata da

un malfunzionamento dell’emisfero destro, complica il normale costituirsi dei

sistemi descrittivi necessari ad affrontare i diversi compiti. In questa

prospettiva solamente alcune abilità fortemente sollecitate, come il linguaggio,

che riveste un ruolo molto importante in tutte le società umane, e alcune altre

abilità molto esercitate riescono ad emergere; prospettiva che viene sostenuta

in particolar modo da Rourke.

si stabilisca durante il periodo sensomotorio definito dalla teoria piagetiana.

Page 29: Disturbo non verbale di apprendimento

37

I diversi lavori descrivono lo stesso disturbo dell’apprendimento?

Questa domanda mi era sorta spontanea nel momento in cui mi sono reso

conto di quante sigle ed etichette fossero state utilizzate per riferirsi a problemi

che, tutto sommato, presentavano molti punti in comune. Secondo Rourke

(1989a, 1995), il filo conduttore che lega tutti questi disturbi è rappresentato

da un coinvolgimento della materia cerebrale bianca che, come facevano

notare Gur et al. (1980), è presente in maggiore quantità nell’emisfero destro.

La proposta offerta da Rourke, ma soprattutto il modello di Goldberg &

Costa (1981), permettono quindi di inquadrare praticamente tutte le

caratteristiche del NLD e di spiegarle nell’ottica dello shift da destra verso

sinistra, offrendo in questo modo una spiegazione molto economica. Vorrei

comunque sottolineare che, anche se questa soluzione è molto utile da un

punto di vista esplicativo, questo modello non ha riscosso molto successo tra i

nueropsicologi e gli studiosi delle asimmetrie cerebrali. Per questa ragione

sono andato alla ricerca di alcuni lavori più o meno recenti che potessero

offrire sostegno a questa “originale teoria”.

Una conferma all’ipotesi dello shift proviene da una ricerca realizzata da

Baciu, Koening, Vernier, Bedoin, Rubin e Sergebart (1999).

Utilizzando la risonanza magnetica funzionale (fMRI) questi autori

hanno osservato l’andamento dell’attivazione emisferica durante lo

svolgimento di compiti spaziali. I compiti in questione erano due, uno di tipo

categorico (decidere se un punto si trovasse sopra o sotto una linea di

riferimento), e uno di tipo coordinato8 (decidere se il punto fosse più o meno

lontano dalla linea rispetto a distanza di riferimento). Gli effetti della pratica

8 Kosslyn, Koeing, Barret, Cave, Tang & Gabrielli (1989) hanno proposto che il cervello computi due differenti tipi di rappresentazione delle relazioni visuo-spaziali. Un tipo di rappresentazione (categorico) è utilizzato per assegnare ad una relazione spaziale una categoria, ad esempio “dentro”, “fuori da”, “sopra”, “sotto”, ecc. L’altro tipo di rappresentazione (coordinato) utilizza il sistema metrico con il quale le distanze sono definite in maniera effettiva.

Page 30: Disturbo non verbale di apprendimento

38

nello svolgimento delle prove sono stati quantificati attraverso due differenti

modalità. In base alla prima modalità, veniva confrontato il numero di pixel

(che indicavano aree cerebrali attive) rilevati durante il processo nelle prime

due prove e nelle ultime due prove di una serie. La seconda modalità di

rilevazione consisteva nell’osservazione del cambiamento dell’attivazione col

passare del tempo.

I risultati si rivelano interessanti in quanto emergeva che, durante la

prima parte del compito coordinato, l’emisfero destro era significativamente

più attivato di quello sinistro. La seconda osservazione mostrava che non vi

era differenza nell’attivazione dei due emisferi e, in particolare, che vi era

stato un incremento significativo dell’attivazione del giro angolare sinistro.

Un altro esperimento, compiuto utilizzando la fMRI, che ha ottenuto

risultati simili a sostegno dell’ipotesi di Goldberg & Costa è rappresentato dal

lavoro di Seger, Poldrack, Prabhakaran, Zhao, Glover & Gabrieli (2000).

A una più attenta lettura di questi lavori, si può obiettare loro che, sia la

ricerca di Baciu et al., sia quella di Seger et al. non riguardano apprendimenti

consolidati e che quindi non si sia stabilito alcun sistema descrittivo.

In un altro lavoro Jeupter, Stephan, Frith, Brooks, Frackowiak &

Passingham (1997) hanno osservato un fenomeno analogo a quello teorizzato

da Goldberg & Costa in contesti di apprendimento consolidato e l’hanno

documentato utilizzando la PET.

E’ chiaro che i risultati dei lavori a cui ho accennato non possono

comunque, ritenersi sufficienti per chiarire definitivamente il problema. La

spiegazione di Goldberg & Costa è molto efficace nell’inquadrare il NLD ma

non ostante le conferme che l’ipotesi avrebbe recentemente ricevuto necessita

a mio parere di ulteriori, e più stringenti conferme.

Page 31: Disturbo non verbale di apprendimento

39

Il sistema della memoria di lavoro

Entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem

Guglielmo di Ockham

1. Introduzione

Tra le prime descrizioni del “Disturbo non verbale dell’apprendimento”

vi è quella proposta da Johnson & Myklebust (1971), i quali definivano questo

disordine come caratteristico di bambini …. “incapaci di comprendere il

significato di molti aspetti dell’ambiente in cui vivono”, aspetti….. “ che non

riescono ad immaginare e prevedere” (Johnson & Myklebust 1971).

Sembrava inoltre che questi stessi fallissero nell’apprendere e nell’interpretare

le implicazioni di posture ed espressioni facciali.

L’inabilità “non verbale” di questi soggetti pregiudicava, secondo

Johnson & Myklebust, la percezione, l’immaginazione visiva (imagery) e

costituiva una distorsione fondamentale dell’esperienza percettiva totale.

In seguito Myklebust (1975) suggerì che tali difficoltà non fossero dovute a

problemi percettivi in se, quanto piuttosto a problematiche legate alla

memoria, al richiamo delle informazioni e alle capacità d’immaginazione

visiva.

Page 32: Disturbo non verbale di apprendimento

40

Del tutto indipendentemente dalle idee di Myklebust (1975), Cornoldi,

Friso, Giordano, Molin, Poli, Rigoni & Tressoldi (1997), hanno realizzato un

programma volto a sviluppare le abilità visuo-spaziali, pensando a tutti quei

bambini e ragazzi che si trovano in difficoltà nel momento in cui devono

ricorrere a tali abilità per risolvere un problema. Il punto di continuità tra le

idee di Myklebust e quelle di Cornoldi et al. è rappresentato dal fatto che, in

entrambi i casi, si è ritenuto centrale il ruolo della memoria e delle immagini

mentali. In particolare, nel progetto di Cornoldi et al. (1997) ci si riferiva ad

un precedente lavoro di Cornoldi (1995), nel quale lo stesso autore aveva

proposto il modello della “Memoria di lavoro visuo-spaziale” (MLVS).

Questa terza parte è dedicata all’approfondimento dei contributi apportati

dallo studio della memoria di lavoro alla comprensione del NLD e dei disturbi

visuo-spaziali.

Se, come sostiene Baddeley, la memoria di lavoro costituisce un

…“sistema per il mantenimento temporaneo per la manipolazione

dell’informazione durante l’esecuzione di differenti compiti, come la

comprensione, l’apprendimento, e il ragionamento [Baddeley, 1990, trad. it. p.

46]”… è ragionevole ipotizzare che i soggetti con disturbi o difficoltà

nell’area visuo-spaziale mostrino una compromissione della memoria di

lavoro e in particolare degli aspetti visuo-spaziali della stessa. In questo

contesto, notando alcune analogie, proporrò un tentativo di collegamento tra il

modello MLVS di Cornoldi (1995) e la teoria proposta da Goldberg & Costa

(1981).

Page 33: Disturbo non verbale di apprendimento

41

2. La memoria di lavoro

Probabilmente la prima persona che tentò misurare la memoria a breve

termine fu un maestro di Londra, Joseph Jacobs (1887), il quale voleva

valutare le capacità mentali dei suoi alunni. E’ a lui che si deve la tecnica

divenuta famosa col nome di “span di memoria9”.

Nel suo ormai celebre articolo, Miller (1956) mostrò che lo span di

memoria immediata era quantificabile intorno a sette elementi

(indipendentemente dal fatto che si trattasse di elementi singoli o di

raggruppamenti).

Era in questo periodo che nasceva la diatriba tra i sostenitori della teoria

secondo la quale la memoria era costituita da un unico sistema (Melton, 1963)

e quelli che invece ritenevano che la stessa fosse composta da più sistemi

(Broadbent, 1958; Atkinson & Schiffrin, 1968).

Uno dei più famosi modelli che prevedono più magazzini di memoria è

sicuramente il “modello modale” di Atkinson & Schiffrin (1968), ma a

dispetto dell’iniziale entusiasmo suscitato da questo modello, si andarono

accumulando numerose evidenze ad esso contrarie10. In ogni caso, nonostante

le idee di Atkinson & Shiffrin siano state attualmente accantonate, va dato loro

il merito di aver introdotto l’idea di “memoria a breve termine” che interviene

nello svolgimento di molti compiti cognitivi. Secondo Atkinson & Shiffrin il

magazzino a breve termine, previsto dal loro modello, è un sistema di

mantenimento attivo delle informazioni sulla base delle quali ci è possibile

pensare, comprendere, agire, ragionare, decidere ecc.

9 Prova nella quale si richiede al soggetto di ripetere una sequenza di stimoli, solitamente numeri, immediatamente dopo la presentazione. 10 In particolare viene spesso citato in letteratura il paziente K. F. studiato da Shallice & Warrington (1970).

Page 34: Disturbo non verbale di apprendimento

42

Una formulazione più chiara ed articolata fu proposta da Baddeley &

Hitch (1974), il cui modello della memoria di lavoro distingueva una serie di

componenti all’interno della memoria a breve termine (vedi figura 3). Al posto

di un magazzino unitario ne fu proposto uno a più dimensioni, controllato da

un sistema attentivo: l’esecutivo centrale. Questo sistema di controllo opera

sui dati provenienti dai servosistemi; in particolare Baddeley & Hitch (1974)

ne identificarono due: uno adibito all’elaborazione e al mantenimento

dell’informazione linguistica (il ciclo fonologico), l’altro implicato

nell’elaborazione e nel mantenimento dell’informazione visuo-spaziale (il

taccuino visuo-spaziale).

Figura 3: Versione modificata del modello della memoria di lavoro proposto da

Baddeley & Hitch (1974).

Il sistema del ciclo fonologico si avvaleva di un magazzino di memoria,

che manteneva le tracce di materiale acustico e verbale per tempi brevissimi (il

magazzino fonologico), e di un processo di articolazione sub-vocale, che

Ciclo Fonologico

Esecutivo Centrale Taccuino Visuo-Spaziale

Page 35: Disturbo non verbale di apprendimento

43

consentiva il consolidamento della traccia (attraverso la reiterazione

[Baddeley, 1990]).

Più recentemente è stato proposto anche per il taccuino visuo-spaziale

un’ipotesi che prevede l’esistenza di un magazzino di memoria passivo (il

visual cache), e di un sistema che permette una reiterazione visiva (l’inner

scribe [Logie & Reisberg, 1992]).

In particolare Logie & Reisberg hanno ipotizzato che l’inner scribe sia di

natura spaziale osservando un effetto analogo alla soppressione articolatoria11

ottenuto attraverso compiti tattilo-motori: la soppressione motoria-spaziale. In

realtà resta ancora da dimostrare che questa soppressione abbia effetti più

evidenti di altre (semplice attività visiva, esplorazione visiva, ecc.). Tuttavia è

stato mostrato che, quando l’attività motoria sottende in qualche modo, anche

generico, una rappresentazione spaziale (evento molto frequente, considerando

il fatto che ci si muove nello spazio) essa presenta processi simili a quelli

implicati nell’uso di immagini mentali (Brooks, 1968; Baddeley & Lieberman,

1980; Johnson, 1982).

Un parere critico rispetto all’idea multicomponenziale di Baddeley è stato

espresso da Cornoldi (1995) il quale, propendendo per una soluzione unitaria

della memoria di lavoro, ha ipotizzato che il ciclo fonologico e il taccuino

visuo-spaziale abbiano, sia una corrispondenza funzionale, sia una parziale

sovrapposizione di strutture interessate. Questa prospettiva, in particolare,

permette in molti casi, di parlare di coincidenza dei principi implicati piuttosto

che di analogia.

11 Si tratta di una prova nella quale si richiede al soggetto di ripetere una sequenza di stimoli immediatamente dopo la presentazione. Sebbene l’articolazione esplicita non sia necessaria per il funzionamento del linguaggio interno, l’operazione del ciclo fonologico è disturbata da un’articolazione esplicita o implicita concomitante. Quindi se a un soggetto si richiede di pronunciare una serie di suoni irrilevanti durante un compito standard di span, lo span stesso subisce una riduzione.

Page 36: Disturbo non verbale di apprendimento

44

Riconoscendo i pregi del modello di Baddeley, quali la semplicità, la

chiarezza e la scomponibilità, Cornoldi (1995) ha proposto un suo modello nel

quale le diverse componenti si collocano secondo un rapporto di continuità.

Figura 4: Rappresentazione grafica del “Modello a Scivolo” della memoria di

lavoro visuo-spaziale e uditivo-articolatoria di Cornoldi (1995).

A seconda delle richieste imposte dal compito vi sarà una maggiore o

minore impegno di risorse attentive; vi potrà inoltre risultare implicato uno o

più servosistemi nelle rispettive aree, e questi potranno contribuire in modo

differente a seconda dei casi. La figura 4 mostra come Cornoldi ha concepito il

continuum dell’impegno attentivo, che va dall’estremo di attività controllate,

quando si eseguono compiti estremamente impegnativi, all’estremo opposto,

quando si svolgono processi passivi che richiedono un impegno attentivo quasi

nullo. Nel primo caso, per lo svolgimento del compito, si fa riferimento al

sistema di controllo attivo (SAC), negli altri casi si ricorre ai sistemi di

memoria temporanei o sistemi passivi. Lungo questo continuum, di tipo

Attivazione costo attentivo

Sistema attivo centrale

Sistemi attivi meno specifici

Sistemi attivi specifici di routine

Sistemi passivi altamente specifici

Aree del loop articolatorio (LA)

Aree della memoria di lavoro visuo-spaziale (MLVS)

+

Page 37: Disturbo non verbale di apprendimento

45

verticale, l’informazione specifica ha una probabilità sempre maggiore di

perdersi, risalendo lungo lo “scivolo”, dal sistema passivo al SAC. Ai livelli

intermedi di questo continuum si collocano dei processi attivi di diversa

complessità, ognuno dei quali esercita una diversa richiesta attentiva.

Un secondo continuum, di tipo orizzontale, è stato ipotizzato tra le diverse

modalità di elaborazione previste dai sistemi passivi. A seconda del compito

da svolgere possono intervenire contemporaneamente, o in successione, più

sistemi passivi assicurando un certo grado di interscambio tra le diverse

modalità.

3. Aspetti neuropsicologici

Al fine di sostenere la distinzione tra i diversi sistemi che compongono la

memoria di lavoro, Baddeley (1990) riporta i risultati di svariati esperimenti,

dati ottenuti da studi di tipo psicofisiologico e osservazioni neuropsicologiche

(questi studi sono descritti in alcuni dettagli in Baddeley, 1995: Cap.4, 5 e 6

[trad. it. del lavoro del 1990]).

Ulteriori riscontri in questo senso sono stati evidenziati, nel volume

“Cognitive Neuropsychology”, da McCarthy & Warrington12 (1990). Le due

autrici, in un capitolo specificamente dedicato alla memoria a breve termine,

fanno notare come le compromissioni dell’area uditiva-verbale siano spesso

associate a lesioni del lobo parietale dell’emisfero sinistro (De Renzi &

Nichelli, 1975; Warrington, James, Maciejewski, 1986). Nel caso in cui si

riscontrino deficit alla memoria a breve termine visiva, McCarthy &

Warrington, fanno una distinzione tra visivo-verbale e visivo-spaziale. Nel

Page 38: Disturbo non verbale di apprendimento

46

caso in cui il deficit sia di tipo visivo-verbale la lesione associata è occipitale

sinistra (Kinsbourne & Warington, 1963; Warrington & Rabin, 1971; Shallice

& Saffran, 1986), se invece il deficit è visuo-spaziale la lesione è parietale

destra (Warrington & James, 1967; De Renzi & Nichelli, 1975; De Renzi,

Faglioni & Previdi, 1977; ecc.).

Il quadro fin qui delineato si presenta coerente con l’idea generale che, in

ogni caso, i deficit d’ordine linguistico siano associati all’emisfero sinistro e

quelli visuo-spaziali al destro (vedi figura 5).

Figura 5: Nella figura sono indicate le localizzazioni approssimative delle lesioni in

conseguenza alle quali si manifesta un disturbo della memoria a breve termine (fonte McCarthy & Warrington 1992).

Come ho fatto notare nella precedente sezione molti autori, confermando

questa teoria, riscontrano un interessamento dell’emisfero destro anche nei

disturbi non verbali dell’apprendimento. Sembrerebbe in questo modo che

l’ipotesi di Goldberg & Costa (1981), e le conseguenti speculazioni teoriche di

Rourke (1989a, 1995), ricevano poco sostegno di fronte a tutto ciò.

Con tutta la cautela imposta dalla situazione devo dire che, nonostante tutto,

l’ipotesi di Goldberg & Costa non è ancora da scartare.

12 Per un approfondimento consiglio al lettore di consultare McCarthy & Warrington (1992) cap.13 pp.283- 304 [trad. it. del lavoro del 1990].

Page 39: Disturbo non verbale di apprendimento

47

In un lavoro abbastanza recente, Fastenau, Conant & Lauer (1998), hanno

riconsiderato le conclusioni di McCarthy & Warrington (1990) mettendole in

discussione. Questi autori hanno fatto notare come nello studio di Warrington

& James (1967) i deficit riscontrati possano essere attributi a deficit percettivi

più che di span visuo-spaziale; la stessa obiezione è stata fatta allo studio di

De Renzi & Nichelli (1975). Nello stesso studio di De Renzi & Nichelli e in

un terzo lavoro (De Renzi, Faglioni & Previdi, 1977), Fastenau e col.

osservarono come, secondo i risultati, gli stessi deficit di prestazione (visuo-

spaziale) si mostrassero, sia in presenza di lesioni destre, sia in presenza di

lesioni controlaterali. Fastenau et al. conclusero che molte evidenze per la

correlazione tra, tipo di servosistema della memoria di lavoro e substrato

anatomico, in particolare per il taccuino visuo-spaziale, risultavano

quantomeno confuse se si consideravano gli studi su individui adulti.

Quando invece Fastenau et al. presero in considerazione lavori con soggetti

in età evolutiva la situazione cambiò aspetto. Secondo i risultati di Baddeley &

Wilson (1993), Hitch, Halliday, Shaafstal & Shraagen (1988) e Hitch, Woodin

& Baker (1989), e in base alle osservazioni degli stessi Fastenau e col. (1998),

sembrava che l’identificazione dei servosistemi previsti dal modello di

Baddeley fossero possibili o meno a seconda dell’età dei soggetti che

partecipavano allo studio. Più precisamente, fino all’età di 7/8 anni si poteva

notare una netta distinzione tra compiti che richiedevano l’intervento specifico

del taccuino visuo-spaziale e compiti che necessitavano invece del ciclo

fonologico; dai nove anni in avanti questa distinzione diventava sempre meno

netta. Fastenau e col. (1998) interpretarono questo fenomeno ipotizzando che i

processi visuo-spaziali fossero supportati sempre più da processi di

verbalizzazione con l’aumentare dell’abilità di lettura.

Page 40: Disturbo non verbale di apprendimento

48

Questa ipotesi è sostenuta anche da Adams & Sheslow (1990) i quali

notarono come tra i bambini di 6/8 anni la memoria visuo-spaziale correli con

le abilità di lettura e di spelling mentre la memoria uditivo-verbale non lo

faccia. Per ragazzi di 16/17 anni la situazione s’inverte: la memoria uditivo-

verbale correla significativamente con la lettura e lo spelling mentre la

memoria visuo-spaziale non correla affatto.

Tutti questi risultati suggeriscono che l’elaborazione puramente visuo-

spaziale passa progressivamente ad un ruolo subordinato nel periodo che va

dai cinque agli undici anni.

Ulteriori conferme provengono da uno studio fatto su bambini che stavano

imparando a leggere, utilizzando i potenziali evocati. In questo esperimento la

N36013 mostrò cambiamenti asimmetrici all’aumentare delle abilità di lettura.

In particolare la corteccia temporale destra sembrava avere un ruolo molto

importante nelle prime fasi di acquisizione della lettura; questo “focus” si

spostava alla corteccia temporale sinistra all’aumentare dell’abilità da parte

dei bambini (Licht, Bakker, Kok & Bouma, 1992).

Da ultimo per rinforzare l’ipotesi che questo fenomeno fosse dovuto

all’alfabetizzazione, e non ad un effetto di maturazione, Fastenau et al. (1998)

riferirono di uno studio fatto su popolazioni non alfabetizzate dello Zaire e del

Laos. In tale studio emerse come le componenti visuo-spaziale e uditivo-

verbale rimanessero ben distinte sia all’età di sei che a quella di tredici anni

(Conant, Fastenau, Giordani, Boivin, Opel & Nseyilia, 1997).

13Gli autori di questo studio hanno interpretato la N360 come un indice dell’attivazione di un “processo cerebrale” deputato al riconoscimento delle parole. Le ricerche di Kutas e Hillyard (1980) evidenziarono la comparsa di una componente negativa tra i 300 e i 600 msec (N400) durante la lettura di una frase. La N400 riflette, secondo Kutas e Hillyard, un processo di analisi della relazione semantica tra una parola e il suo contesto unitamente ad alcune caratteristiche di congruenza fonologica tra gli stimoli. La N360 è da considerarsi omologa alla N400.

Page 41: Disturbo non verbale di apprendimento

49

Tornando al modello espresso da Cornoldi (1995), vorrei tentare a questo

punto di costruire un parallelismo con il modello di Goldberg & Costa (1981).

Nel modello di Cornoldi (1995) è previsto un sistema attivo centrale, nel

quale le informazioni perdono la loro specificità, vi è un’elaborazione di tipo

attivo ed un’elevata richiesta attentiva. Senza ombra di dubbio quando ognuno

di noi si trova di fronte a uno stimolo o ad un compito nuovo l’attenzione che

questo compito richiede è massima, risulta senz’altro opportuno un

atteggiamento di tipo attivo e, in quanto novità, risulta privo di specificità.

Potrebbe sembrare che il sistema attivo centrale coincida con l’esecutivo

centrale di Baddeley, ma come sostiene lo stesso, l’esecutivo centrale

“ …..funziona più come un sistema attentivo che come un magazzino di

memoria…”[Baddeley, 1990, trad. it. p. 139]. A questo sistema l’autore fa

corrispondere attività come la vigilanza, la selezione percettiva, la

suddivisione delle risorse attentive durante l’esecuzione di più compiti, ecc.

Ancora, a detta di Baddeley (1990), vi sarebbe una corrispondenza del suo

esecutivo centrale con il Sistema attentivo supervisore di Norman & Shallice

(1986) e un ulteriore parallelismo in questo senso può essere notato con il

Sistema operativo teorizzato da Johnson-Laird (1983). In un sistema di questo

tipo non avvengono elaborazioni (più o meno specifiche), esso sembra

piuttosto, votato alla coordinazione dei sistemi in cui le elaborazioni stesse

hanno luogo. Il sistema attivo centrale nel modello di Cornoldi, a me, sembra

svolgere un ruolo analogo a quello che Goldberg & Costa (1981) hanno

proposto per l’emisfero destro e, in questo senso, i sistemi intermedi proposti

da Cornoldi (1995) potrebbero rappresentare situazioni in cui alcuni compiti

cognitivi non hanno ancora acquisito un proprio sistema descrittivo. In questi

casi quindi, lo shift verso l’emisfero sinistro non è ancora stabile. I sistemi

passivi altamente specifici costituirebbero, a questo punto, i vari sistemi

Page 42: Disturbo non verbale di apprendimento

50

descrittivi che permettono un’elaborazione molto meno costosa da un punto di

vista delle risorse attentive.

5. Conclusioni

Esaminando la letteratura riguardante il disturbo non verbale

dell’apprendimento, e più in generale, alcune caratteristiche dei compiti visuo-

spaziali, vi ho potuto riscontrare due ipotesi che vanno per la maggiore:

1. In base a risultati di test neuropsicologici, a indici di carattere

motorio unilaterali e a tecniche come l’EEG, la PET e la CT scans,

una prima conclusione è che il disturbo non verbale

dell’apprendimento è causato da una disfunzione, a qualche livello,

dell’emisfero destro;

2. Sfruttando il concetto di memoria di lavoro, altri studiosi hanno

sostenuto che, in ogni caso, il disturbo oggetto d’esame è da

imputare a un ridotto funzionamento della memoria di lavoro, e in

particolare alle componenti visuo-spaziali della stessa.

Essendo i due punti di vista non reciprocamente escludentisi, ho cercato di

costruire un quadro coerente nel quale fosse possibile conciliare, in qualche

modo, le due prospettive. E’ certo che, trattandosi di due alternative che

vogliono spiegare il medesimo problema, dovrebbero, in linea di massima,

esistere dei punti di convergenza ed è stato questo pensiero che ha animato i

miei studi a livello teorico.

Onde non correre il rischio di generare confusioni, credo sia opportuno

riprendere e chiarire alcuni aspetti teorici fin qui discussi.

Page 43: Disturbo non verbale di apprendimento

51

In primo luogo, le argomentazioni proposte da Fastenau et al (1998) non

vogliono, né possono, mettere in crisi il modello di Baddeley, al contrario,

offrono un completamento e un chiarimento rispetto a certi dati contraddittori.

In secondo luogo, il modello “a scivolo” proposto da Cornoldi (1995) deve

ottenere delle conferme a livello teorico, clinico e neuroanatomico prima di

essere preso in seria considerazione.

Page 44: Disturbo non verbale di apprendimento

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