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Distruggere la “finestra di Overton”!
Roberto Dal Bosco
www.effedieffe.com, 4 ottobre 2015
Come promesso in un precedente articolo, vorrei scrivere qualche riga sulla Overton Window, la
«finestra di Overton». Ritengo la conoscenza di tale meccanismo una necessità stringente. Se non
altro perché mi pare che il suo utilizzo abbia ora raggiunto vette assolute, sia su un piano nazionale
che mondiale.
La finestra di Overton è niente più che una tecnologia di persuasione delle masse, che fa ricadere –
e fa evolvere – idee in un semplice «quadro di possibilità politiche» dentro al quale si muove
l’opinione pubblica e il legislatore. L’oggetto di questa tecnica di manipolazione politica, sia ben
chiaro, siamo noi.
Mai come negli ultimi anni appaiono evidenti gli effetti dell’adulterazione della realtà e della legge
naturale. L’ingegneria sociale, tramite il potere di chi fa le leggi e l’amplificazione di chi controlla i
media, è un fatto compiuto, visibile ad occhio nudo ogni giorno.
La Russia reagisce
Sotto il dogma dell’evoluzione della società (il cui riflesso teologico è l’evoluzione sociale del dogma: basta
leggere i fondi di Mancuso su Repubblica per capire che la cosa è spacciata in modo massivo) l’umanità può accettare
qualsiasi pensiero, anche il più anti-umano, nocivo, folle, suicida. Il lettore di EFFEDIEFFE avrà
con buona probabilità già decine di esempi per la mente. Gli Stati Uniti d’America, la Superpotenza
atomica e finanziaria più grande che il pianeta abbia mai conosciuto, hanno dichiarato guerra alla
realtà: ecco l’ultima offensiva intrapresa dalla democrazia sanguinaria. I suoi politici, i suoi
giornalisti, artisti, e valanghe di povere masse dipendenti dalla TV o da Facebook applaudono – e
attuano – la perversione e l’aberrazione, e tutto questo, fino a pochi anni fa, non era nemmeno
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vagamente concepibile. Ne abbiamo parlato di recente, cercando di analizzare le standing ovation
ricevute da Bruce Jenner, il ricco olimpionico divenuto, a sessant’anni suonati e con un discreto
numero di mogli e figli, un transessuale pubblico. Tuttavia, vi è un’altra nazione (pure dotata di
migliaia di testate atomiche, deo gratias) che pare non voler giocare a questo gioco distruttivo.
«Possiamo vedere come i Paesi euro-atlantici stanno ripudiando le loro radici – disse Vladimir
Vladimirovič Putin nel leggendario discorso di Valdaj 2013 – persino le radici cristiane che
costituiscono la base della civiltà occidentale. Essi rinnegano i principi morali e tutte le identità
tradizionali: nazionali, culturali, religiose e financo sessuali. Stanno applicando direttive che
parificano le famiglie a convivenze di partners dello stesso sesso, la fede in Dio con la credenza in
Satana. La “political correctness” ha raggiunto tali eccessi, che ci sono persone che discutono
seriamente di registrare partiti politici che promuovono la pedofilia. In molti Paesi europei la gente
ha ritegno o ha paura di manifestare la sua religione. Le festività sono abolite o chiamate con altri
nomi; la loro essenza (religiosa) viene nascosta, così come il loro fondamento morale. Sono convinto
che questo apre una strada diretta verso il degrado e il regresso, che sbocca in una profondissima
crisi demografica e morale».
E proprio dalla Russia pare venire oggi l’interesse per la finestra di Overton.
Ad aprire le danze fu il premiato regista Nikita Sergeevič Mikhalkov, che dedicò al tema la 71a
puntata del suo videoblog Besogon.tv, dando un titolo piuttosto diretto: «Kak sdelat’ iz čeloveka
“nečeloveka”. Okno Overtona –– amerikanskaja tekhnologija manipuljatsii massovym soznanijem i
priucheniya ljudej k neprijemlemomu», che tradotto significa: «Come creare uomini “non umani”.
La finestra Overton –– una tecnologia americana per manipolare la coscienza delle masse e per
abituare la gente all’inaccettabile» (1).
Overton e la manipolazione del sentire politico
Mikhalkov non è uno qualsiasi: l’intera sua famiglia appartiene alla parte più elitaria
dell’establishment culturale russo da più di un secolo. Il padre è il poeta che scrisse l’inno sovietico
per poi riscriverlo per la “nuova Russia”. Il fratello Andrej Končalovskij (che assunse il nome della
madre per sfuggire al senso di nepotismo della famiglia) è regista acclamato di film para-hollywodiani
e di opere liriche. Il nipote Yegor è il maestro dei poliziotteschi moscoviti (film come Antikiller sono
blockbuser in patria); tramite la madre Natalja Petrovna Konchalovskaja Nikita è imparentato con
dinastie di pittori. Ha vinto un leone d’oro a Venezia (con il film Urga - territorio d’amore) e pure,
nel 1995, un Oscar per il miglior film straniero (Il Sole ingannatore). Insomma, Mikhalkov parla da
uno scranno che immaginiamo piuttosto contiguo al potere moscovita.
Credo vi sia un senso – politico e geopolitico, e metafisico – se dalle eleganti rifiniture del suo studio
il cineasta sviscera questo schema di condizionamento sociale studiato da Joseph P. Overton.
Joseph Overton, già Senior Vice-President del Mackinac Center for Public Policy, un think tank
del Michigan che si occupa di politiche liberiste e che è percepito come «conservatore», definì la sua
teoria a metà degli anni novanta. Morì piuttosto giovane (nacque nel 1960) in un incidente aero: si
schiantò con un ultraleggero, dicono le cronache. La teoria che lo rese famoso, quindi, uscì postuma.
Overton, a cui i suoi colleghi ancora si riferiscono con un misto di simpatia e deferenza, voleva
semplicemente studiare gli effetti sulla popolazione dei think tank e delle centrali di influenza del
processo politico.
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Secondo lo schema che formulò, ogni idea concepibile in politica
(ma non solo) ricade giocoforza in un intervallo di possibilità che
la rende più o meno recepibile dalla società. L’uomo politico lo
sa, e a meno che non voglia effettuare un suicidio passando per
estremista, si attiene alle idee che la Finestra di Overton ritiene
accettabili.
Seguendo lo schema, ogni idea evolve secondo sei diversi stadi:
Unthinkable («impensabile», cioè inaccettabile, vietato);
Radical («radicale», cioè ancora vietato ma con delle eccezioni);
Acceptable («accettabile», cioè non in dissonanza cognitiva
totale con il pensiero del soggetto); Sensible («sensata», cioè
razionale, dotata di spiegazioni); Popular («popolare»,
«diffusa», cioè accettata da larga parte della società, rinforzata dai
media); Policy («legislazione», «legalizzata», cioè l’idea è
divenuta parte concreta della politica statale). Joseph Overton
Conoscendo questo diagramma di evoluzione del sentire politico, si rende facile la comprensione di
come qualsiasi tabù possa essere infranto e «liberato» nella società grazie alla tecnica di graduale
cambiamento (la vecchia tecnica della rana bollita (*) , se alzi la temperatura di colpo salta fuori
dalla pentola, se aumenti di un grado alla volta resta immobile sino a farsi lessare), utilizzando magari
anche tecniche di shock: all’apparire degli estremisti (coloro che vorrebbero qualcosa che dapprima
ci pare «impensabile»), una soluzione di compromesso pare sempre più accettabile, sensata, pronta
per essere diffusa e quindi legalizzata.
Si avanza per gradi. Dalla terra incognita di quanto la società può trovare disgustoso e deplorevole,
piano piano verso ciò che è da ritenersi giusto, anzi più che giusto: da proteggersi con le leggi dello
Stato. Saltano alla mente, ovviamente, gli esempi della sodomia ora resa fatto naturale, e del relativo
matrimonio per i sodomiti invocato ora a gran voce dall’Occidente, ovvero ciò era totalmente fuori
dallo spettro del possibile per la società di solo pochi anni fa. Poi, gradualmente, ecco che
l’omosessualità – che era malattia per l’OMS sino al 1990 e reato in molti Paesi occidentali – si è
fatta largo sino al cuore dello Stato.
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Riflettiamoci: la stessa parola «omosessuale», termine
pseudo-scientifico, è stata introdotta nella fase in cui
l’idea da impensabile e radicale doveva divenire
accettabile, sensata. La razionalizzazione della
sodomia, lo sappiamo, passò attraverso l’occupazione
materiale dei Convegni delle Associazioni
Psichiatriche (come l’American Psichiatric
Association) da parte degli attivisti LGBT, con
successiva cancellazione dell’omofilia dalla lista delle
malattie sessuali del Manuale Diagnostico-Statistico
dei disordini mentali (1973).
Tuttavia, l’uranismo è oramai penetrato come
«possibilità» anche nella mente del più bigotto
conservatore (vuoi essere più cattolico del Papa? Chi
sei tu per giudicare) per cui non si tratta dell’esempio
adeguato. Mikhalkov prova a simulare una finestra di
Overton per aberrazione dalla quale ora, in teoria, la
società dovrebbe essere immune. Le cose, come
vedremo, non stanno esattamente così.
Unthinkable
Allo stato attuale, il tema del cannibalismo pertiene al
regno dell’impensabile è nella fase «totalmente
inaccettabile», non è discutibile sulla stampa e non si
ammette in alcun modo tra gli esseri umani.
Apparizioni mediatiche del fenomeno – come nel caso del ribelle anti-Assad che divorava il cuore
del suo nemico o gli innumeri episodi di «cannibalismo militare» nei conflitti africani – sono mostrati
con terrore e disgusto, a volte perfino – per opportunità politica – celati al grande pubblico.
Radical
L’idea passa dunque da totalmente inaccettabile alla fase «vietato, ma con deroghe». Diviene
insomma una realtà pur radicalmente lontana, tuttavia esistente. Entrano qui in gioco la tendenza,
tutta illuminista, a dichiarare che i tabù vanno discussi, analizzati. È in questo fase che fanno
solitamente la loro comparsa “gli scienziati”: nel nostro caso, saranno gli antropologi, gli psicologi,
perfino i nutrizionisti. Si organizza un bel convegno sul tema, poi un secondo, poi un terzo. Si parla
delle tribù della Papuasia. In TV a notte fonda e nei Cineclub cominciano a riprogrammare capisaldi
del genere come pellicole trash tipo Cannibal Holocaust o il più elegante Il Profumo della Signora
in nero. In questo momento della finestra, assieme al dibattito «scientifico», emergono
immediatamente gruppi oltranzisti, chiassosi estremisti le cui posizioni stanno in fondo allo spettro:
immaginate una «Associazione di Liberi Cannibali» che chiede di poter mangiare chi vuole senza
essere giudicata dalla morale e dalla legge. Nonostante l’idea pare essere ancora lontana dalla società,
questa fase permette la sua penetrazione nella membrana del pensiero collettivo. Non esistono tabù,
e questo fenomeno, per quanto tremendo, esiste – lo dice la scienza! –, e bisogna farsene una ragione.
L’emersione di gruppi di cannibali dichiarati ci fa capire che – elemento importante, conosciuto da
sempre dal potere che alleva i suoi estremismi domestici – l’idea ha delle sue sfumature, si può
scegliere comodamente un’opzione “moderata”.
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Acceptable
Nella fase successiva, il concetto del cannibalismo passa da «vietato ma con eccezioni» alla
dimensione dell’«accettabile». La scienza continua a spingere, e al fenomeno viene fatto un
rebranding: non si parla più di cannibalismo, si usa la parola scientifica «antropofagia». Anche questa
parola, tuttavia, nel corso di questo momento della finestra, è suscettibile di essere cambiata
nuovamente: ecco a voi introdotta la parola «antropofilia» –– pensate al sodomismo, ad un certo
punto studiato come «omofilia» (termine che è però troppo contiguo a «parafilia», cioè perversione)
e divenuto quindi «omosessualità», un termine scientifico che è di per sé una contradictio in adiecto,
in quanto il sexus è etimologicamente «ciò che fabbrica, che tesse» (Dizionario Pianigiani) oppure
«ciò che separa, ciò che distingue l’uomo dalla donna» (così la pensavano gli etimologi Benfrey,
Corrsen, Pott). Il sesso, quindi non può essere omos, cioè «lo stesso». Eppure, la parola oramai è
entrata nel vocabolario comune, come fosse sempre esistita (nel citato dizionario etimologico di
Ottorino Pianigiani, del 1907, proprio non esiste), e ogni altra parola è ritenuta offensiva: provate a
dire, come si poteva fare neanche trenta anni fa, «invertito», «sodomita», «pederasta».
Queste parole scientifiche, inoltre, hanno la possibilità di creare infiniti derivati: omosessualità
diviene «omosessuale», «gli omosessuali», «l’omosessualismo», «omosex», fino alla contrazione
«omo» (o all’inglese «homo»). In fondo, il significato «che si accoppia con lo stesso» non suona male,
non vi sono echi di punizioni bibliche, di dark room o di virus HIV, è un puro concetto.
Così anche gli antropofili non evocano, con questo bel nome, il sacrificio umano, la carne squarciata,
le interiora consumate avidamente: no, è etimologicamente la «passione per gli umani» a definirli.
L’aberrazione viene qui disincarnata, concettualizzata, neutralizzata nel suo disgusto organolettico.
È in questa fase che subentra il richiamo al «precedente storico», ad un fatto mitico (reale o inventato,
o tutt’e due pettinati alla meglio) che legittimi sub specie aeternitatis l’idea un tempo proibita. Ecco
che, in ambiente di retaggio cattolico, vi potranno essere mille riferimenti alla Messa come atto di
antropofagia. Il cannibalismo non può che essere accettato, perché in fondo viene celebrato ogni
settimana dalla popolazione più pia. L’illegittimità dell’idea, quindi, è indebolita per sempre: pur non
essendo ancora libera di correre per la società, essa viene ritenuta legittima in un determinato recinto
storico-antropologico.
Sensible
Si passa quindi allo step successivo, quello che dall’idea lava per sempre la patina di inaccettabilità:
il concetto viene trasformato in «sensato», «ponderato», «razionale», legato ad una necessità
«fisiologica», «naturale», «biologica». Ecco nuovi studi che affermano che il desiderio di mangiare
carne umana può essere dovuto ad una predisposizione genetica dell’individuo: esistono già studi, del
resto, che abbinano la dieta carnivora a determinati gruppi sanguigni. Qui si introduce il tema
d’attualità, quello che spinge l’individuo a fantasticare delle «insuperabili circostanze» nelle quali il
destino potrebbe piazzarlo. Immaginate la carestia, o una situazione in cui un essere umano «deve
avere il diritto di fare la scelta». Pro-choice: pensate al famoso disastro aereo delle Ande (1972),
quando 16 sopravvissuti, dispersi nelle altitudini della Cordigliera, decisero, per sopravvivere, di
cibarsi dei morti. Ecco pronta la programmazione TV del film tratto da questo episodio di cronaca,
Alive, con il giovane Ethan Hawke: la pellicola ti porta inevitabilmente a vedere il cannibalismo come
fatto di pura razionalità, mostrato dal regista anche con una certa pudicizia, al punto che potrebbe
anche non capirsi cosa sta accadendo, e il tutto comunque si dimentica facilmente grazie al luminoso
finale di salvezza. Il cannibalismo (pardon, «antropofilia») salva le vite umane. Altro che cosa orrida
e inconcepibile.
Popular
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Quinta fase: da «sensato» a «diffuso», e cioè pubblicamente accettato. Qui intervengono,
pesantemente, i dibattiti sui media. Gli intellettuali disquisiscono del cannibalismo come fatto mitico
e come tendenza. I talk show intervistano un ragazza di buona famiglia che dichiara di essere
cannibale, magari anche con una certa moderazione: «mangio solo cadaveri o persone consenzienti».
Nei film e (soprattutto oggi) nelle serie TV tra i personaggi positivi (se non tra i protagonisti) spunta
un cannibale, con relativa storia di discriminazione alle spalle. Immagini di cannibalismo compaiono
nei video dei cantanti del momento, sui cui gusti alimentari un po’ si chiacchiera. Viene rivelato che
sono «antropofili» numerosi musicisti, attori, politici, VIP di ogni sorta. La serie Hannibal viene
rifatta con finalmente il protagonista, il brutale ma raffinato assassino antropofago Hannibal Lecter,
reso protagonista senza più comprimari, un eroe positivo e basta.
Poi si delinea la strategia della “pistola puntata”: quanti ragazzi si suicidano perché sono cannibali e
la famiglia, la società, non possono capire? È la minaccia che non è mancata nel discorso di Bruce
Jenner (che ora si dovrebbe chiamare Caytlin) alla cerimonia della TV sportiva ESPN che lo premiò
per il suo coraggio. Molti maschi che vorrebbero andare in giro vestiti da donna, assumere ormoni e
mutilarsi gli organi sessuali, oggi stesso sono costretti ad ammazzarsi ha dichiarato l’olimpionico
mutante. E la colpa è solo nostra, della società, dei «cosiddetti sani». La storia dei suicidi è tutt’ora
probabilmente l’unico – fallace – argomento messo in campo dalle sigle LGBT per giustificare
l’«emergenza omofobia». La rivoltella della discriminazione è pronta a tirare sull’innocente
incompreso: più tempo attendiamo, più aumenta il numero dei morti.
Così, un’emergenza per i cannibali suicidi comincia a monopolizzare il discorso pubblico. A questo
punto gruppi antropofagi (un tempo ritenuti oltranzisti) ora sono entrati appieno nello spettro delle
possibilità politica, sia pure con le loro sfumature. L’idea di base è che una grossa parte della
popolazione sia cannibale, un’altra, ancora più vasta, lo è in modo latente, sino all’apparizione di una
teoria per cui tutti gli uomini nascono in potenza antropofagi, devono solo decidere se esserlo o meno
(esattamente come la sessualità per la teoria del gender).
Qui si scatenano gli attivisti. Parafrasando un recente slogan della propaganda di Sodoma, «Il
cannibalismo esiste, fattene una ragione». In fondo, si tratta solo di persone culinariamente creative,
spesso più raffinate della media. Si sparge la voce che chi odia i cannibali sotto sotto lo è anche lui.
E poi ribadiamo ancora una volta la suprema saggezza relativista: «chi siamo noi per giudicare?».
Si comprende che il cannibalismo, a questo punto, è divenuto una variante naturale dell’umanità.
Discriminarne i portatori diviene cosa odiosa e ingiusta. Chi disprezza gli «antropofili» è per logica
dell’etimo «antropofobo». Ovvero, chi odia il cannibalismo odia l’uomo. L’amore per il prossimo
passa attraverso la consunzione della sua carne: ecco che anche la Chiesa «in dialogo con il mondo»
recepisce il portato di giustizia umanitaria di questo fenomeno.
È a questo punto che cominciano a programmarsi leggi a protezione del fenomeno: una legge dovrà
punire l’«antropofobia», un’altra insegnare il cannibalismo sin dall’asilo, un’altra ancora dovrà
sancire il diritto alla «libertà di alimentazione» degli «antropofili».
È davanti a questa ebollizione della massa desiderante, convinta vi sia un bisogno civile «non più
rinviabile» che entra in scena il corpo politico, che tenta di cavalcare come deve la novità, fedele a
quell’imperativo di «imprenditoria dell’opinione» che forma lo Stato democratico. Nelle fasi
precedenti i protagonisti erano gli attivisti e think tank, fondazioni transnazionali, ONG, media: gli
evocatori delle «potenze dell’aria» di cui si parla nel Vangelo. Con i politici l’idea comincia ad
incarnarsi, ad assumere un sostrato materiale. Vi erano, forse, nei previ momenti del processo, delle
figure politiche, ma si tratta di early adopters, precursori, una minoranza rispetto alla massa umana
che costituisce il legislatore, la quale, come tutte le masse è pigra, poco fantasiosa, passiva,
specialistica quanto vuota, altisonante quanto volubile ed inetta. Il politico medio che vuol stare a
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galla capisce che in qualche modo con il cannibalismo ci deve avere a che fare. E quindi, ecco
realizzate le leggi che trasformeranno il tabù in fenomeno mainstream protetto dalla giurisprudenza
e dalle forze dell’ordine.
Policy
Nell’ultima fase assistiamo alla trasformazione definitiva dell’idea, da diffusa a legalizzata. La
propagazione sui media è virale, così come i dibattiti in sede parlamentare: l’idea riceve piena
importanza politica. I cannibali sono oramai totalmente umanizzati, quindi fatti oggetto di diritti
inalienabili.
Qui entrano in campo direttamente le lobby; le ricerche scientifiche storico-antropologiche lasciano
il passo a statistiche sociologiche riguardanti il presente più stretto. I sondaggi tastano l’umore del
popolo democratico: legalizzare il cannibalismo, sì o no?
Con il giusto clima socio-politico, magari pure con una bella spintarella dall’ONU o da Bruxelles,
arriva la prima legge. Vietato discriminare i cannibali, mai più l’«antropofobia» che fa suicidare tanti
poveri «antropofili». Poi le scuole, con libri per bambini ricchi di disegni di grande chiarezza
illustrativa. Infine la libertà di mangiare carne umana quandunque il cittadino lo desideri, certo con
alcuni «paletti» tipici della civiltà del compromesso (come la Democrazia Cristiana): il consumato
deve essere morto, o aver redatto una richiesta di eutanasia almeno una settimana prima; il consumato
può essere anche sano e vivente purché si compili un contratto con il consumatore che autorizzi a
quest’ultimo di cibarsi delle carni del contraente, come pare succedere spesso in Germania, patria del
cannibalismo consenziente: il primo caso fu quello di Armin Meiwes; di recente abbiamo visto anche
la storia di Detlev Guentzel, poliziotto antropofago che si mangiò, non senza il permesso
dell’interessato, Wojciech Stempniewicz, un consigliere comunale della CDU (appunto, la DC
tedesca…).
Finestra sull’ecosistema del Male
Ora, il lettore capirà a quante realtà lo schema di Overton sia stato già applicato. Per il sodomismo
mondialista, e le relative nozze, siamo già vicini a chiudere la finestra. Abbiamo assistito, nel giro di
pochi anni, a tutta la trafila. Da idea reietta è divenuta oggetto di studio (lo studio psichiatrico
dell’omosessualità, prima incoraggiato poi militarizzato dai militanti LGBT), poi fenomeno
chiacchierato («sai che anche quello…» «Come Giulio Cesare!»), poi ancora fatto razionale («se uno
nasce così...»), quindi tema popolare (gli omosessuali al Cinema e in TV, da “In&Out” a “Un Posto
al sole”; gli stilisti invertiti innalzati ad esempio perfino per i cattolici, come nel caso di CL e
Dolce&Gabbana), infine legge di Stato: ddl Scalfarotto, ddl Fedeli (ora riassorbito e già votato nel
decreto «Buona Scuola»), ddl Cirinnà.
Per l’aborto fu lo stesso: un omicidio che va contro lo spirito di una Nazione Cattolica viene fatto
oggetto di conferenze e studi sociali; compaiono i gruppi estremisti (i radicali di Pannella e Bonino e
gruppi pragmatici come la squadra di mammane capitanata da Eugenia Roccella, ora deputato dei
vescovi in Parlamento), quindi viene discusso («si dice che Grace Kelly...»), poi razionalizzato (si
deve procedere in certi frangenti: ecco che esplode il caso Seveso, con Susanna Agnelli che a
Montecitorio chiede una deroga per far abortire le donne della cittadina che si supponeva intossicata),
quindi idea popolare («l’utero è mio e me lo gestisco io», è un ritornello che dalle studentesse si
sposta verso qualsiasi donna si senta infine «liberata»), infine legalizzato pienamente dalle stesse
forze che in teoria lo tenevano fuori dal discorso pubblico: la DC crea la 194, pensando che sia un
buon compromesso tra il divieto di aborto – ritenuto, dopo tante fasi della finestra, «impossibile da
mantenere» – e i cannibali oltranzisti Pannella e Bonino, che vorrebbero l’aborto senza freni.
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I democristiani, fieri degli stupidi «paletti» posti, non si rendono conto che accettando l’aborto nel
discorso pubblico hanno permesso al pensiero radicale di dilagare sino ad affogare ogni resistenza.
Così, l’aborto totale chiesto da Pannella – che ora, infatti, difende alla grande la 194 – si ottiene
tramite la resistenza simbolica dei cattolici: i colloqui in consultorio sono fittizi, il periodo prima
dell’esecuzione del feticidio diviene un dettaglio trascurabile.
In più, con lo sdoganamento di questo vero e proprio cannibalismo infanticida a spese del
contribuente, il potere radicale ha caricato i colpi successivi, che ne sono la diligente conseguenza.
La produzione di umani in vitro, presupposta dal libero aborto, presuppone a sua volta i matrimoni
tra invertiti, che hanno così possibilità di prodursi i figli biotecnologicamente, fecondazione eterologa
in vitro e impianto in utero surrogato, quindi eliminazione del bambino difettato, se necessario.
È sempre così: Il buco nella diga, grande come il dito di un bimbo olandese, la fa crollare tutta.
Ad essere normalizzato fino alla legalizzazione non è più il singolo fatto – come l’aborto – ma un
ecosistema del Male in sé. Un clima, un ambiente complesso.
Così, la legalizzazione dei matrimoni omofili, è solo il cavallo di Troia per far entrare nel discorso
pubblico – legittimamente e con la protezione armata di Polizia, Carabinieri, Esercito – la congerie
di perversioni associate all’omosessualismo: la rinuncia definitiva a pensare all’amore fisico come
atto procreativo (love is love, e niente questo ha più a che fare con la fertilità), la voracità sessuale
senza limiti (tipica delle dark room e dei pisciatoi pubblici), le pulsioni esibizioniste tradotte in pura
pornografia (come ai gay Pride), la necessità della produzione in vitro delle creature umane (con
eugenetica borghese come sopramercato), l’inevitabilità del mercato dei gameti (con casi di incesto
genetico in arrivo), lo schiavismo terzomondiale degli uteri in affitto (che prima o poi, come
preconizzato dall’avanguardia gay, sarà sostituito da xeno-gestazioni – ossia bambini incubati dentro
a scrofe – o uteri artificiali veri e propri).
Come nelle storie, il vampiro ti entra in casa solo se invitato. E tu credi di invitarlo a cena, e poi ti
ritrovi con tutta la famiglia azzannata. Per quanto incredibile, i democristiani non lo hanno ancora
capito.
Non si pensi che la pedofilia non stia già avviandosi a fase avanzate della “finestra”. Abbiamo scritto
su questo sito di un Convegno presso l’Università di Cambridge (luglio 2014), dove si sostenne che
«la pedofilia sia cosa normale tra maschi adulti», poiché «una certa porzione di maschi adulti normali
vuole fare sesso con i bambini» e «i maschi normali sono eccitati dai bambini».
Poi lo scorso settembre, ecco che spunta d’un bleu un articolo del New York Times: lo si spiega sin
dal titolo, «Pedophilia, a disorder, not a crime» («pedofilia, un disordine, non un crimine»). Ecco poi
il manuale psichiatrico più seguito al mondo, il DSM, uscito incredibilmente nella sua quinta edizione
con il declassamento della pedofilia a «orientamento sessuale» (dopo le proteste, i compilatori
dell’“American Psychiatric Association” provano a ricucire sostenendo che si tratta di un typo, un
refuso...).
Abbiamo visto come i radicali – veri pionieri assoluti, la cui prescienza ha un che di preternaturale –
già nel 1998 organizzavano convegni per normalizzare politicamente l’inclinazione pedofila: ad
organizzare, Pannella e l’ora berlusconiano Daniele Capezzone, con il coinvolgimento di una ressa
di deputati e senatori che vanno da Taradash a Vittorio Sgarbi a serque di carneadi del PD (allora DS)
o della Lista Pannella o di Forza Italia, più psicanalisti di grido, filosofi, sociologi, imprenditori,
giornalisti, uomini di apparato ministeriale, etc. Alla lista, oggi, si aggiungerebbe anche qualche
vescovo... (2)
Non so: forse Pannella, che è vecchio e malato, vuole davvero provare a vedere se in vita riuscirà a
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vedere overtonizzata anche questa immonda aberrazione, e per questo ci parla dei suoi ninfetti.
Distruggete la finestra di Overton
Terminata questa discesa negli inferi dello Stato moderno, allo scrivente risulta chiara quindi una
cosa: per nessuna ragione dev’essere consentito l’uso di questo sistema disumanizzante, in grado di
trasformare i carnefici in vittime, i mostri in santi, i cannibali in minoranze discriminate. Si tratta,
purtroppo, di un tratto ineliminabile di una struttura politica basata sul consenso, dove chi governa
subisce le pressioni di chi è governato, anche quando quest’ultimo è con evidenza turlupinato,
sopraffatto da forze altre.
La democrazia e il Male, purtroppo, sembrano essere termini legati da una forza magnetica. La
democrazia, che si vuole sposa del «progresso», non può che soggiacere a questa spirale perversa che
porta il legislatore, e il popolo tutto, verso l’abisso più suicida.
La democrazia è permeabile ad una tale follia perché essa è ormai la sola irradiazione statuale, peraltro
sempre più trascurabile, dell’umanità schiava del relativismo. Un mondo senza più punti fermi, un
mondo senza Verità, può solo produrre uno Stato che tenta di adattarsi al gorgo, invece che nuotare
lontano. Anzi, lo Stato relativista non percepisce nemmeno il gorgo, perché gli è stato insegnato che
panta rei, tutto scorre.
La Fede Cattolica presuppone l’esatto opposto: esiste una Verità, e il mondo – e lo Stato – vi si devono
adeguare. Questa verità è fissa, immutabile, è una sola, perché materialmente creatrice del mondo,
materialmente rivelata all’umanità in forma umana, materialmente vivificante; ogni aspetto
dell’Essere è rivolto ad essa.
Vi è una sola legge naturale, scritta una volta per tutte, scritta sin dentro il nostro cuore, i nostri geni,
la nostra esistenza. Lo Stato Cristiano protegge la legge naturale e solo quella; non cambia i suoi
codici per venire incontro ai popoli drogati dalla demagogia. Lo Stato Cristiano è esecutore di una
dimensione divina che è eterna, non negoziabile, irreversibile, non discutibile.
Per questo ritengo che ogni forza voglia richiamarsi ad una politica cristiana debba con ogni energia
rifiutare la trappola della tirannia del consenso.
Il compito di ogni cristiano è di procedere, con la preghiera o con la propria energia politica, alla
distruzione della finestra di Overton. E di creare le basi per l’instaurazione di un unico processo
politico: restaurare omnia in Christo!
Roberto Dal Bosco
(articolo pubblicato il 16 agosto)
Note:
1) Il primo a portare al grande pubblico la finestra di Overton è stato, nel 2010, il conduttore radiotelevisivo vicino al Tea
Party Glenn Beck. Lo strambo e sanguigno opinionista mormone-libertario (ed ex cattolico) dedicò al fenomeno diverse
trasmissioni televisive, vedendone però solo le possibilità manipolative in ambito del dibattito interno statunitense (Obamacare
sì, Obamacare no). Beck ha anche pubblicato un thriller (con probabilità scritto da uno dei suoi collaboratori) chiamato appunto
The Overton Window.
2) Alcuni nomi dei partecipanti al Convegno radicale sulla pedofilia sono riportati qui di seguito. Trattandosi spesso di persone
centrali per il discorso politico ed intellettuale del Paese, leggerli vengono le vertigini ancora ora. La bipartizanship sulla
questione pedofila, in un Paese che per venti anni si è diviso su qualsiasi quisquilia, è davvero encomiabile. «Barbara ALBERTI
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(scrittrice), Marco BARBUTI (Presidente Associazione Italiana Internet Providers), Giorgio Maria BRESSA (Psichiatra),
Ernesto CACCAVALE (Eurodeputato Forza Italia), Manlio CAMMARATA (Direttore di Interlex), Cinzia CAPORALE
(Bioeticista), Aldo CAROTENUTO (Docente della Psicologia della Personalità all’Università di Roma), Elena COCCIA
(Avvocato), Pasquale COSTANZO (Docente di Diritto costituzionale all’Università di Genova), Stefano CRISPINO (Presidente
Ordine psicologi del Lazio), Luigi DE MARCHI (Psichiatra), Giuseppe DE RITA (Presidente CNEL), Ruggero GUARINI
(Giornalista e scrittore), Sebastiano MAFFETTONE (Docente di Filosofia politica all’Università di Palermo), Claudio
MANGANELLI (Componente dell’Autorità per la tutela dei dati personali), Adelmo MANNA (Docente di Diritto penale
all’Università di Bari), Armando MASSARENTI (Responsabile della pagina "scienza e filosofia" del supplemento culturale de
"Il Sole 24 Ore"), Mauro MELLINI (Avvocato), Piero MILIO (Senatore Lista Pannella), Paolo NUTI (Direttore MC-Link),
Anna OLIVERIO FERRARIS (Psicologa), Angelo Maria PETRONI (Docente di Filosofia della Scienza all’Università di
Bologna), Lorenzo PICOTTI (Docente di Diritto penale all’Università di Friburgo), Antonio PILATI (membro Autorità Garante
per le Telecomunicazioni), Iuri Maria PRADO (Avvocato), Piero ROCCHINI (Psichiatra), Stefano RODOTA' (Presidente
dell’Autorità per la tutela dei dati personali), Rosario SAPIENZA (Ricercatore CENSIS), Luigi SARACENI (Deputato DS),
Sergio SEMINARA (Docente di Diritto penale commerciale all’Università di Pavia), Vittorio SGARBI (Deputato Gruppo
Misto), Vincenzo SINISCALCHI (Deputato DS), Marco TARADASH (Deputato di FI), Vittorio ZAMBARDINO
(Responsabile editoriale di Repubblica Internet)».
(*) Il principio della rana bollita Il principio della rana bollita, utilizzato dal filosofo americano Noam Chomsky, fa riferimento alla Società,
ai Popoli che accettando passivamente, il degrado, le vessazioni, la scomparsa dei valori, dell’etica, ne
accettano di fatto la deriva. Questo principio può essere usato anche per il comportamento delle Persone inerti,
immobili, remissive, rinunciatarie, noncuranti, che si deresponsabilizzano di fronte alle scelte.
Immaginate un pentolone pieno d’acqua fredda nel quale nuota tranquillamente una rana. Il fuoco è acceso
sotto la pentola, l’acqua si riscalda pian piano. Presto diventa tiepida. La rana la trova piuttosto gradevole e
continua a nuotare. La temperatura sale. Adesso l’acqua è calda. Un po’ più di quanto la rana non apprezzi. Si
stanca un po’, tuttavia non si spaventa. L’acqua adesso è davvero troppo calda. La rana la trova molto
sgradevole, ma si è indebolita, non ha la forza di reagire. Allora sopporta e non fa nulla. Intanto la temperatura
sale ancora, fino al momento in cui la rana finisce – semplicemente – morta bollita.
Se la stessa rana fosse stata immersa direttamente nell’acqua a 50° avrebbe dato un forte colpo di zampa,
sarebbe balzata subito fuori dal pentolone.
Questa esperienza mostra che – quando un cambiamento si
effettua in maniera sufficientemente lenta – sfugge alla
coscienza e non suscita – per la maggior parte del tempo –
nessuna reazione, nessuna opposizione, nessuna rivolta.
Se guardiamo ciò che succede nella nostra società da alcuni
decenni, ci accorgiamo che stiamo subiamo una lenta deriva
alla quale ci abituiamo. Un sacco di cose, che ci avrebbero
fatto orrore 20, 30 o 40 anni fa, a poco a poco sono diventate
banali, edulcorate e – oggi – ci disturbano solo leggermente o
lasciano decisamente indifferenti la gran parte delle persone.
In nome del progresso e della scienza, i peggiori attentati alle
libertà individuali, alla dignità della persona, all’integrità della
natura, alla bellezza ed alla felicità di vivere, si effettuano
lentamente ed inesorabilmente con la complicità costante delle
vittime, ignoranti o sprovvedute.
I foschi presagi annunciati per il futuro, anziché suscitare delle
reazioni e delle misure preventive, non fanno altro che
preparare psicologicamente il popolo ad accettare le
condizioni di vita decadenti, perfino drammatiche.
Il permanente ingozzamento di informazioni da parte dei
media satura i cervelli che non riescono più a discernere, a
pensare con la loro testa.
Allora se non siete come la rana, già mezzo bolliti, date il colpo
di zampa salutare, prima che sia troppo tardi!
Oliver Clerc
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Le 10 regole per il controllo sociale (Noam Chomsky)
Avram Noam Chomsky (Filadelfia, 7 dicembre 1928) è un linguista, filosofo
e teorico della comunicazione statunitense. Professore emerito di linguistica
al Massachusetts Institute of Technology è riconosciuto come il fondatore
della grammatica generativo-trasformazionale, spesso indicata come il
più rilevante contributo alla linguistica teorica del XX secolo. A partire
dagli anni sessanta, grazie alla sua forte presa di posizione contro la guerra
del Vietnam e al suo notevole impegno politico e sociale, Chomsky si è
affermato anche come intellettuale anarchico e socialista libertario.
La costante e acuta critica nei confronti della politica estera di diversi paesi e,
in particolar modo, degli Stati Uniti, così come l’analisi del ruolo dei mass
media nelle democrazie occidentali, lo hanno reso uno degli intellettuali più
celebri e seguiti della sinistra radicale americana e mondiale.
Noam Chomsky nel 2005
A partire dalle proteste per la guerra in Vietnam, l’attivismo di Chomsky lo ha portato a prendere parte attiva a numerosi
incontri e dibattiti sui più disparati temi sociali, da problematiche di politica internazionale alla critica al neoliberismo
(tema centrale dei suoi incontri e dei suoi scritti), inteso come dottrina economica basata sulla radicalizzazione della
centralità del mercato che, secondo Chomsky, ha portato a vari disastri sociali, come il crescente divario tra ricchi e poveri
(in particolar modo nei paesi dell’America latina) e la perdita di controllo sul potere statale da parte dei cittadini.
La posizione di Chomsky nel campo della linguistica è tuttora quella di un innovatore radicale che ha fatto scuola in tutto
il mondo, ma il suo pensiero non si è limitato alla linguistica. Chomsky è anche molto noto per le sue prese di posizione
politiche, nelle quali ha duramente denunciato l’ingiustizia e la profonda immoralità su cui si fondano i sistemi di
potere americani ed internazionali, la strumentalizzazione della totalità dei mezzi d’informazione statunitensi, da
parte delle potenti lobby economiche esistenti in quel Paese, e la politica imperialista e militarista delle
amministrazioni USA, da Roosevelt in poi (American power and the new mandarins 1969, At war with Asia 1970,
Human rights and american foreign policy 1978).
Chomsky ha affermato di essere riuscito, grazie ad un minuzioso lavoro di studio e interpretazione di un’immensa mole
di ogni tipo di documenti, a smascherare numerosi casi di utilizzo fraudolento delle informazioni, nonché a evidenziare
la piattezza conformistica dei media.
Il meccanismo attraverso cui si attua questo livellamento, è costituito dalla “fissazione delle priorità”: esiste un certo
numero di mezzi di informazione che determinano una sorta di struttura prioritaria delle notizie, alla quale i media
minori devono più o meno adattarsi a causa della scarsità delle risorse a disposizione. Le fonti primarie che fissano
le priorità, sono grandi società commerciali a redditività molto alta, e nella grande maggioranza sono collegate a gruppi
economici ancora più grandi. L’obiettivo è quello che Chomsky definisce come la “fabbrica del consenso“, ossia un
sistema di propaganda estremamente efficace per il controllo e la manipolazione dell’opinione pubblica (Manufacturing
consent: the political economy of the mass media 1988, Understanding power: the indispensable Chomsky 2002).
Noam Chomsky ha elaborato la lista delle 10 strategie della manipolazione
attraverso i mass media.
L’elemento principale del controllo sociale è la strategia della distrazione
che consiste nel distogliere l’attenzione del pubblico dai problemi importanti
e dai cambiamenti decisi dalle élites politiche ed economiche.
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1 – La strategia della distrazione. L’elemento principale del controllo sociale è la strategia della distrazione che
consiste nel distogliere l’attenzione del pubblico dai problemi importanti e dai cambiamenti decisi dalle élites politiche
ed economiche utilizzando la tecnica del diluvio o dell’inondazione di distrazioni continue e di informazioni
insignificanti.La strategia della distrazione è anche indispensabile per evitare l’interesse del pubblico verso le conoscenze
essenziali nel campo della scienza, dell’economia, della psicologia, della neurobiologia e della cibernetica. “Sviare
l’attenzione del pubblico dai veri problemi sociali, tenerla imprigionata da temi senza vera importanza. Tenere il pubblico
occupato, occupato, occupato, senza dargli tempo per pensare, sempre di ritorno verso la fattoria come gli altri animali
(citato nel testo “Armi silenziose per guerre tranquille”).
2 – Creare il problema e poi offrire la soluzione. Questo metodo è anche chiamato “problema – reazione –
soluzione”. Si crea un problema, una “situazione” che produrrà una determinata reazione nel pubblico in modo che sia
questa la ragione delle misure che si desiderano far accettare. Ad esempio: lasciare che dilaghi o si intensifichi la violenza
urbana, oppure organizzare attentati sanguinosi per fare in modo che sia il pubblico a pretendere le leggi sulla sicurezza
e le politiche a discapito delle libertà. Oppure: creare una crisi economica per far accettare come male necessario la
diminuzione dei diritti sociali e lo smantellamento dei servizi pubblici.
3 – La strategia della gradualità. Per far accettare una misura inaccettabile, basta applicarla gradualmente, col
contagocce, per un po’ di anni consecutivi. Questo è il modo in cui condizioni socioeconomiche radicalmente nuove
(neoliberismo) furono imposte negli anni ‘80 e ‘90: uno Stato al minimo, privatizzazioni, precarietà, flessibilità,
disoccupazione di massa, salari che non garantivano più redditi dignitosi, tanti cambiamenti che avrebbero provocato una
rivoluzione se fossero stati applicati in una sola volta.
4 – La strategia del differire. Un altro modo per far accettare una decisione impopolare è quella di presentarla come
“dolorosa e necessaria” guadagnando in quel momento il consenso della gente per un’applicazione futura. E’ più facile
accettare un sacrificio futuro di quello immediato. Per prima cosa, perché lo sforzo non deve essere fatto immediatamente.
Secondo, perché la gente, la massa, ha sempre la tendenza a sperare ingenuamente che “tutto andrà meglio domani” e che
il sacrificio richiesto potrebbe essere evitato. In questo modo si dà più tempo alla gente di abituarsi all’idea del
cambiamento e di accettarlo con rassegnazione quando arriverà il momento.
5 – Rivolgersi alla gente come a dei bambini. La maggior parte della pubblicità diretta al grande pubblico usa
discorsi, argomenti, personaggi e una intonazione particolarmente infantile, spesso con voce flebile, come se lo spettatore
fosse una creatura di pochi anni o un deficiente. Quanto più si cerca di ingannare lo spettatore, tanto più si tende ad usare
un tono infantile. Perché? “Se qualcuno si rivolge ad una persona come se questa avesse 12 anni o meno, allora, a causa
della suggestionabilità, questa probabilmente tenderà ad una risposta o ad una reazione priva di senso critico come quella
di una persona di 12 anni o meno (vedi “Armi silenziose per guerre tranquille”).
6 – Usare l’aspetto emozionale molto più della riflessione. Sfruttare l’emotività è una tecnica classica per
provocare un corto circuito dell’analisi razionale e, infine, del senso critico dell’individuo. Inoltre, l’uso del tono emotivo
permette di aprire la porta verso l’inconscio per impiantare o iniettare idee, desideri, paure e timori, compulsioni, o per
indurre comportamenti…
7 – Mantenere la gente nell’ignoranza e nella mediocrità. Far si che la gente sia incapace di comprendere le
tecniche ed i metodi usati per il suo controllo e la sua schiavitù. “La qualità dell’educazione data alle classi sociali inferiori
deve essere la più povera e mediocre possibile, in modo che la distanza creata dall’ignoranza tra le classi inferiori e le
classi superiori sia e rimanga impossibile da colmare da parte delle inferiori” (vedi “Armi silenziose per guerre
tranquille”).
8 – Stimolare il pubblico ad essere favorevole alla mediocrità. Spingere il pubblico a ritenere che sia di moda
essere stupidi, volgari e ignoranti…
9 – Rafforzare il senso di colpa. Far credere all’individuo di essere esclusivamente lui il responsabile della proprie
disgrazie a causa di insufficiente intelligenza, capacità o sforzo. In tal modo, anziché ribellarsi contro il sistema
economico, l’individuo si auto svaluta e si sente in colpa, cosa che crea a sua volta uno stato di repressione di cui uno
degli effetti è l’inibizione ad agire. E senza azione non c’è rivoluzione!
10 – Conoscere la gente meglio di quanto essa si conosca. Negli ultimi 50 anni, i rapidi progressi della scienza
hanno creato un crescente divario tra le conoscenze della gente e quelle di cui dispongono e che utilizzano le élites
dominanti. Grazie alla biologia, alla neurobiologia e alla psicologia applicata, il “sistema” ha potuto fruire di una
conoscenza avanzata dell’essere umano, sia fisicamente che psichicamente. Il sistema è riuscito a conoscere l’individuo
comune molto meglio di quanto egli conosca sé stesso. Ciò comporta che, nella maggior parte dei casi, il sistema esercita
un più ampio controllo ed un maggior potere sulla gente, ben maggiore di quello che la gente esercita su sé stessa.
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La prolusione
La citazione di Bagnasco: cos’è la “finestra di Overton”
Redazione
www.avvenire.it, 30 settembre 2015
Il cardinale Angelo Bagnasco, nella Prolusione di oggi al Consiglio permanente della Cei, nelle sue
riflessioni sulla famiglia ha citato una tecnica di persuasione delle masse, la cosidetta “finestra di
Overton”, per dimostrare come con vere e proprie strategie di comunicazioni si riescono a fare
accettare “l’introduzione e la successiva legelizzazione di qualsiasi idea o fatto sociale”.
La finestra di Overton (The Overton Window) è uno schema di comunicazione-persuasione ideato da
Joseph P. Overton (1960-2003), già vice-presidente del centro studi statunitense Mackinac Center for
Public Policy. In estrema sintesi, si tratta di uno spazio concettuale graduato all’interno del quale si
individuano alcune fasi, sei per la precisione, in cui si può descrivere lo spostamento
dell’atteggiamento dell’opinione pubblica rispetto a una certa idea.
Si tratta quindi di una spiegazione di uno dei modi in cui avviene la persuasione politica e dei
meccanismi che possono essere utilizzati. Sulla base della finestra di Overton, si possono costruire (e
sono state probabilmente costruite) campagne a favore di alcune idee non ancora accettate dalla
società.
Le idee passano dalle seguenti fasi:
1 impensabili (inaccettabile, vietato);
2 radicali (vietato ma con eccezioni);
3 accettabili; 4 sensate (razionalmente difendibili);
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5 diffuse (socialmente accettabili);
6 legalizzate (introdotte a pieno titolo).
Il concetto di base è capire in quale finestra si trovi attualmente un’idea (ad esempio, la legalizzazione
delle droghe leggere) e farla progressivamente slittare verso quella successiva, in una serie di passi.
Ovviamente, avere questo schema non consente molto di più di una fotografia della situazione, se
non si è in grado effettivamente di influenzare l’opinione pubblica con esempi, testimonial,
propaganda mirata, capacità di persuasione, narrazioni di episodi specifici…
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