DISTRIBUIRE IL LAVORO - Cap 13 "Futuro sostenibile" p 279-301

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13. distribuire equamente il lavoro: verso una società delle molteplici attività Non c’è ecologia senza equità. Questa massima non vale solo a livello mon- diale, ma anche nella società locale. Quindi, il passaggio alla sostenibilità deve essere affiancato da una revisione della politica so- ciale e del lavoro. Questa revisione mira a un’equa distribuzione del lavoro e ad aumentare le possibilità che sia gli uomini sia le donne pos- sano prender parte al mondo del lavoro retribuito in base alle loro esigen- ze. Inoltre questa revisione tutelerà il riconoscimento sociale e finanziario di attività utili alla vita quotidiana e al bene comune, anche se al di fuori della sfera del lavoro retribuito. A ciò si aggiunge anche l’allentamento dello stretto legame tra la previdenza sociale e il lavoro retribuito e, in una prospettiva a più lungo termine, l’apertura di nuovi spazi d’azione, grazie a un reddito minimo di base attribuito a tutti i cittadini. Ormai da decenni la piena occupazione è un’illusione. All’insegna di quest’illusione si sono tentate molte politiche, spesso inefficaci. Si è pe- rò mancato di favorire reali alternative a una società della piena occupa- zione. In questa situazione di falsità strutturale, le esperienze di disoc- cupazione e precariato hanno suscitato in molti sentimenti di sfiducia e insicurezza. Quando però i processi di desolidarizzazione all’interno del- la società aumentano eccessivamente, l’ecologia e le politiche di coope- razione allo sviluppo falliscono. Per questo – anche a prescindere dai di- ritti dei cittadini interessati – una politica della sostenibilità non può fa- re a meno di una trasformazione socio-politica. Futuro sostenibile-SACHS.indb 279 09/05/11 12.30

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13. distribuire equamente il lavoro: verso una società delle molteplici attività

Non c’è ecologia senza equità. Questa massima non vale solo a livello mon-diale, ma anche nella società locale. Quindi, il passaggio

alla sostenibilità deve essere affiancato da una revisione della politica so-ciale e del lavoro. Questa revisione mira a un’equa distribuzione

del lavoro e ad aumentare le possibilità che sia gli uomini sia le donne pos-sano prender parte al mondo del lavoro retribuito in base alle loro esigen-

ze. Inoltre questa revisione tutelerà il riconoscimento sociale e finanziario di attività utili alla vita quotidiana e al bene comune, anche

se al di fuori della sfera del lavoro retribuito. A ciò si aggiunge anche l’allentamento dello stretto legame tra la previdenza sociale

e il lavoro retribuito e, in una prospettiva a più lungo termine, l’apertura di nuovi spazi d’azione, grazie a un reddito minimo

di base attribuito a tutti i cittadini.

Ormai da decenni la piena occupazione è un’illusione. All’insegna di quest’illusione si sono tentate molte politiche, spesso inefficaci. Si è pe-rò mancato di favorire reali alternative a una società della piena occupa-zione. In questa situazione di falsità strutturale, le esperienze di disoc-cupazione e precariato hanno suscitato in molti sentimenti di sfiducia e insicurezza. Quando però i processi di desolidarizzazione all’interno del-la società aumentano eccessivamente, l’ecologia e le politiche di coope-razione allo sviluppo falliscono. Per questo – anche a prescindere dai di-ritti dei cittadini interessati – una politica della sostenibilità non può fa-re a meno di una trasformazione socio-politica.

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Ad aggravare la situazione contribuiscono sia il problema della scarsità ecologica sia la maggior concorrenza dei paesi del Sud che porta spesso a un aumento del costo della vita nei paesi del Nord del mondo. I prezzi di petrolio, gas, trasporti, cereali e carne crescono. Dato però che l’aumen-to dei prezzi tocca specialmente i più poveri, con l’attuale distribuzione del reddito ciò crea ulteriori tensioni sociali. La lotta per la sostenibilità aumenta così la necessità di una politica di riforma dell’ordine sociale.1

declino del lavoro convenzionale

elevata disoccupazioneIn Europa dalla metà degli anni Settanta un alto tasso di disoccupazione e una vasta sottoccupazione sono una realtà sociale con conseguenze fa-tali per milioni di persone.2 Per molti l’ammontare dell’indennità di di-soccupazione o dei trasferimenti statali è troppo basso e i disoccupati so-no ad alto rischio di povertà. Ma la disoccupazione ha gravi conseguen-ze anche sulla psiche. In una “società del lavoro”, la maggior parte delle persone s’identifica principalmente col proprio lavoro. Quando ci si co-nosce, la prima domanda è sempre: “Cosa fai nella vita?”. A chi non ri-esce a trovare un lavoro mancano spesso non solo un reddito sufficien-te e la sicurezza materiale, ma anche quell’identificazione e quel colloca-mento sociale irrinunciabili per il benessere psichico.Due cause favoriscono la disoccupazione. Primo: il numero dei posti di lavoro dipende da quanto lavoro retribuito è necessario per produrre beni e servizi. Grazie a tecniche più efficienti, a maggior qualificazione e all’aumento dell’intensità lavorativa, negli scorsi decenni si è prodot-to sempre di più con sempre meno ore di lavoro. Tra il 1970 e il 2005 in Germania la produttività del lavoro è aumentata di 2,5 volte e il Pil è più che raddoppiato, ma il totale delle ore di lavoro è sceso all’86% rispetto al 1970. Il raddoppio della produzione è stato quindi raggiun-to con un numero molto inferiore d’ore di lavoro. Secondo: da oltre tre decenni il numero di uomini e donne che possono e vogliono lavorare è in costante aumento.

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precarizzazioneNegli anni del “miracolo economico” (1950-1970) i rapporti di lavoro a tempo indeterminato, a tempo pieno e retribuiti in base a un contratto erano la norma. Oggi non è più così. Contratti di lavoro a tempo determi-nato, lavoro a tempo e interinale o lavori minimi, senza previdenza socia-le, sono molto aumentati negli ultimi anni.3 Ormai anche nel ceto medio dilaga il timore di passare da lavoratore fisso a precario o a disoccupato.4

orari di lavoro più breviGrazie alle graduali riduzioni del tempo di lavoro ottenute in Germania dai sindacati negli anni Novanta, fu possibile compensare in parte l’in-cremento della produttività del lavoro e contenere i livelli di disoccupa-zione. Se così non fosse stato, ci sarebbero molti più disoccupati e non sarebbe stato possibile ridurre il monte ore medio annuale dei lavorato-ri a tempo pieno in Germania Ovest da 1.935 ore nel 1970 a 1.665 nel 1990.5 Dopo una fase di relativa costanza negli anni Novanta, il mon-te ore è aumentato leggermente, toccando le 1.676 ore nel 2006 come conseguenza di una politica economica neoliberista e del contempora-neo calo d’influenza dei sindacati. Allo stesso tempo è aumentato il numero di persone che, volontariamen-te o meno, sono passati al lavoro part-time. Nella metà degli anni Settan-ta, in Germania ovest solo il 7% degli occupati avevano un lavoro part-time, mentre fino al 2005 questa percentuale ha raggiunto il 17%.6 A quanto ammonterebbe il livello di disoccupazione se tutte queste perso-ne cercassero un lavoro a tempo pieno? Già questa domanda evidenzia come l’attuale disoccupazione sia il risultato di una ripartizione infelice del tempo di lavoro: ai molti che in effetti preferirebbero tempi di lavo-ro più corti, questa opzione è infatti negata.

distribuire equamente il lavoro retribuito

Lavoro retribuito e benessere per la gran maggioranza della popolazione furono una conquista fondamentale del XX secolo. Se ora però sempre

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più persone sono escluse dal tradizionale lavoro retribuito e non han-no più un reddito sufficiente, viene messa in pericolo anche la parteci-pazione democratica. In Europa è ormai chiaro che non è più possibile risolvere il problema della disoccupazione solo con la crescita economica. Neppure qualche anno di ottima congiuntura eliminerà la disoccupazione. Per questo la semplice riduzione della disoccupazione è venduta come un successo ed è usata per non impegnarsi in una risoluta politica dei tempi di lavoro. La chiave per eliminare in modo efficace la disoccupazione sta infatti in un’equa distribuzione del lavoro retribuito disponibile. In Olanda e Da-nimarca ci sono ottimi esempi di uno sviluppo positivo dell’occupazio-ne grazie a orari di lavoro più brevi. Le modifiche apportate all’orario di lavoro contrattuale e al lavoro part-time dimostrano che è iniziata una ridistribuzione del lavoro retribuito e che una nuova ed equa divisione è possibile. Tanto più perché viviamo in una società la cui ricchezza è uni-ca nella storia. Con sempre meno forza lavoro e in sempre meno tempo si producono sempre più beni e servizi. Nel 1960, in Germania, si lavo-rava in media 20 minuti per poter comprare un chilo di pane, mentre oggi lo si può fare lavorando la metà del tempo. Per altri beni essenzia-li il tempo di lavoro necessario si è ridotto ancora di più (tabella 13.1). In effetti, con una più equa ripartizione le capacità produttive della no-stra società potrebbero dare sufficiente reddito da lavoro stabile, sicurez-za materiale e maggior equità a tutti i cittadini europei.

cosa sarebbe successo se...?Con uno sguardo alla storia si può calcolare cosa sarebbe successo se fos-sero state prese decisioni differenti. Se per ipotesi stabilissimo che dal 1970 il volume di lavoro allora presente in Germania fosse stato distri-buito equamente tra tutti i lavoratori, si può vedere quanto tempo ognu-no avrebbe dovuto lavorare. Il risultato è chiaro: la media delle ore di la-voro individuali avrebbe potuto e dovuto essere ridotta per evitare la di-soccupazione.

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tabella 13.1 potere d’acquisto dei minuti salariali nel 1960, 1991 e 2006 in germania Unità 1960 1991 2006 Ore di lavoro Ore di lavoro Ore di lavoro Ore Min Ore Min Ore Min Pane di farine miste 1 kg 0 20 0 11 0 10 Burro di qualità 250 g 0 39 0 6 0 4 Zucchero 1 kg 0 30 0 6 0 5 Latte intero 1 l 0 11 0 4 0 3 Patate 2,5 kg 0 17 0 10 0 10 Birra in bottiglia 0,5 l 0 15 0 3 0 3 Televisore 351 38 79 4 29 50 Frigorifero 156 30 30 27 24 8 Lavastoviglie 224 30 53 27 37 29

Nota: con sempre meno forza lavoro e in sempre meno tempo è possibile produrre sempre più beni e fornire più servizi. Fonte: Istituto dell’economia tedesca.

figura 13.1 ore annue di lavoro, se equamente distribuite

1970 1975 1980 1985 1990 1995 2000 2005

2.000

1.900

1.800

1.700

1.600

1.500

1.400

1.300

1.200

Ore reali di Ore reali di Ore di lavoro lavoro medie lavoro medie all’anno redistribuite all’anno (tempo all’anno (tempo (tempo pieno pieno, dipendente) pieno e part-time/ e part-time/ dipendenti e autonomi) dipendenti e autonomi)

Un calcolo teorico: ore annue di lavoro pro capite, se fossero state equamente distri-buite tra tutti i lavoratori potenziali (Germania, 1970-2005). In tal caso sarebbe stato possibile ridurre sensibilmente le ore di lavoro medie pro capite, anche con un Pil costantemente in crescita. Fonte: Iab, Ocse, calcoli dell’autore.

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Grazie all’aumento della produttività del lavoro e del numero dei sala-riati, una redistribuzione del lavoro avrebbe permesso di ridurre la me-dia delle ore di lavoro in un anno da 1.943 (1970) a 1.300 ore (2000). Con la ridistribuzione del lavoro ipotizzata, nel 2005 sarebbero state ne-cessarie solo 1.250 ore di lavoro annue a persona, che corrispondono a tre quarti delle ore considerate adesso normali per un lavoratore a tem-po pieno. Pur senza limitare la produzione, oggi ogni lavoratore dovreb-be dedicare al lavoro solo 30 ore la settimana.7

orario di lavoro e cambiamenti demograficiIl nostro calcolo ipotetico si basava sul potenziale di lavoratori effettiva-mente registrato in passato. Ma anche prendendo i dati degli anni suc-cessivi,8 si osserva come le principali tendenze del passato restino inva-riate. La produttività del lavoro e il rendimento economico continue-rebbero a crescere e le ore di lavoro totali necessarie diminuirebbero. C’è però una differenza sostanziale tra i decenni passati e quelli futuri. Men-tre negli ultimi decenni il numero di uomini e donne disponibili per il lavoro retribuito è aumentato costantemente, in futuro il potenziale dei lavoratori calerà per motivi demografici, a meno che si voglia maggio-re immigrazione. Rispetto al passato, la riduzione del volume di lavoro non sarà più distribuita su un numero crescente di lavoratori, ma su un numero decrescente. Concludere però che ciò comporterebbe un allun-gamento dell’orario di lavoro è al momento prematuro. Infatti, anche in caso di un incremento previsto del Pil tra il 2000 e il 2040 del 77%, nei prossimi decenni le ore medie annue di un occupato aumenterebbero in modo minimo. Due sviluppi avranno effetti contra-ri: l’aumento della produttività e la riduzione del potenziale di forza la-voro. Calcolando anche i probabili sviluppi di questi due fattori – e ipo-tizzando un’equa distribuzione del volume di lavoro – il lavoro medio individuale annuo aumenterebbe solo da 1.300 ore (2000) a 1.380 nel 2040 (circa 32 ore di lavoro alla settimana).9 Il nostro calcolo teorico lo dimostra: anche nel caso di una forte crescita economica l’attuale monte ore a tempo pieno di 1.700 ore all’anno (40 ore la settimana) non sarà mai raggiunto da tutte le persone di cerca di lavoro.

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tempo pieno breve per tuttiUna nuova politica del lavoro orientata a un’equa distribuzione del lavo-ro mira a permettere a uomini e donne di avere un carico di lavoro indi-viduale che sia generalizzabile per tutti. Un monte ore annuo medio di 1.300 ore (30 ore la settimana) rappresenta quindi per tutti un obiettivo di massima che può essere un punto di riferimento per la politica, i part-ner sociali, le aziende e i singoli. Grazie al “tempo pieno breve per tutti” le perdite di reddito dei lavoratori andranno a favore degli attuali disoc-cupati e delle persone senza attività retribuita. Si dovrebbe prevedere an-che una compensazione in base ai bisogni per i gruppi a basso reddito. Una settimana lavorativa media di 30 ore, o un corrispondente monte ore annuo o vitalizio,10 non deve essere una regola rigida, ma neanche un’ec-cezione, né una sorta di lavoro part-time, spesso valutato in modo nega-tivo, ma semplicemente l’idea dominante per un “nuovo tempo pieno”.

figura 13.2 produttività, quantità e orario del lavoro in caso di ridistribuzione fino al 2040

1990 1995 2000 2005 2010 2015 2020 2025 2030 2035 2040

260

240

220

200

180

160

140

120

100

80

Produttività Pil Potenziale Volume di Ore di lavoro oraria Indice di forza lavoro lavoro medie Indice 1991=100 Indice Indice redistribuite 1991=100 1991=100 1991=100 Indice 1991=100

Nota: anche in caso di riduzione della popolazione, le ore di lavoro medie necessarie di un lavoratore subirebbero solo un lieve calo nei prossimi decenni.

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Il “tempo pieno breve per tutti” mira anche a distribuire nel modo più equo possibile sia il reddito da lavoro, sia il volume di lavoro retribui-to, che non può essere ampliato a piacere.11 Questa distribuzione può es-sere effettuata in modo flessibile con la gestione di un conto-lavoro. Se un’azienda in un periodo di prosperità economica deve aumentare tem-poraneamente gli orari di lavoro oltre il nuovo limite fissato, questo la-voro supplementare può essere messo in un conto del tempo che potrà essere compensato con del tempo libero in una fase di calo della doman-da. Inoltre si potrà tenere conto più che in passato delle richieste d’ora-rio individuali. Quando i bambini sono piccoli o gli anziani hanno bi-sogno di cure, sarà possibile lavorare temporaneamente meno, lavoran-do di più in altre fasi della vita. Se è necessario prendersi una pausa più lunga per trovare nuovi orientamenti o per realizzare progetti personali che richiedono molto tempo, è possibile prendersi un “periodo sabbati-co”,12 usufruendo delle ore del proprio conto-lavoro.In futuro gli orari di lavoro saranno molto più fluttuanti nel corso del-la vita rispetto al passato e potranno essere scelti in modo flessibile da ognuno in base alle mutate esigenze nelle varie fasi della vita.13 In que-sto modo i lavoratori potranno avere diritto a esenzioni retribuite o me-no, suddivise nell’arco della loro vita, senza alcuno scopo specifico, op-pure dedicate alla formazione, alla cura dei figli e degli anziani o al vo-lontariato. È in questa direzione che va la legge sul part-time in vigore in Germania dal 2001 che prevede il diritto individuale di ridurre l’orario di lavoro, con relativa riduzione del reddito, scegliendone liberamente la portata, per esempio riducendolo a 32, 28 o anche a meno ore la setti-mana, o al corrispondente monte ore annuo. L’adozione di questa legge si è dimostrata effettivamente poco problematica nella pratica.14 È pos-sibile che l’attuale legge sul part-time diventi poi un’efficace legge sulla scelta del proprio orario di lavoro, rafforzando ulteriormente le possibi-lità di scelta delle persone.

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box 13.1

società a mezza giornata

Il concetto di “società a mezza giornata”, così come quello del tempo pieno bre-ve, parte dal presupposto che la disoccupazione non possa essere ridotta in mo-do decisivo aggrappandosi inutilmente alle speranze di crescita, ma solo sud-dividendo meglio il lavoro retribuito.Il concetto di società a mezza giornata va oltre quello di tempo pieno breve per due motivi. Il primo: oltre ai disoccupati e alle riserve occulte, vengono coinvolte anche le “riserve più occulte”, ovvero persone che non dispongono di un reddito ma che hanno smesso di cercare un posto di lavoro. Secondo, in base al concet-to di società a mezza giornata, il lavoro retribuito e quello non retribuito devono avere lo stesso valore. Questo vale in particolare per tutte le attività d’impegno sociale, come per esempio la cura dei bambini, degli anziani e il volontariato.La riduzione dell’orario di lavoro medio annuo interesserebbe soprattutto il la-voro maschile. Mentre in Germania gli uomini che lavorano dovrebbero ridur-re il loro orario da 1.700 a 1.000 ore di lavoro all’anno (dati per il 2000), per le donne questo significherebbe passare da 1.150 a 1.000 ore di lavoro. Dato che il numero di donne che attualmente non hanno un lavoro retribuito ma so-no abili al lavoro è particolarmente elevato, l’intero volume di lavoro retribu-ito da parte delle donne aumenterebbe di un sesto, mentre quello degli uo-mini si ridurrebbe di un terzo. Gli uomini potrebbero utilizzare il tempo gua-dagnato soprattutto per impegnarsi maggiormente nei lavori non retribuiti. Il concetto di società a mezza giornata mira a far partecipare nella stessa mi-sura uomini e donne a entrambe le sfere del lavoro, quella retribuita e quel-la non retribuita.15

vantaggi del tempo pieno breve

Il tempo pieno breve è sostenuto non solo da argomentazioni di poli-tica occupazionale. Orari di lavoro più brevi contribuiscono a ridurre la pressione fisica e psichica salvaguardando così anche la salute. Co-me dimostrano le ricerche empiriche, le persone con lunghi orari di la-voro soffrono più spesso di mal di schiena e mal di testa, nervosismo, esaurimento psichico, disturbi del sonno, gastropatie, disturbi circola-tori.16 Un orario di lavoro più breve è quindi consigliabile anche come politica della salute.

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miglior equilibrio tra lavoro e vita privataIl tempo pieno breve cambia la tradizionale divisione dei ruoli tra i ses-si. Alle attività non retribuite svolte dalle donne si dà ora meno rispet-to che al lavoro retribuito. Inoltre, anche il lavoro part-time svolto prin-cipalmente dalle donne è meno stimato sul posto di lavoro e pregiudica spesso la crescita professionale. Le donne hanno così diritto a pensioni minori e questa tendenza è nettamente contraria a una reale parità tra uomo e donna. Il modello familiare dominante in Germania è quello formato da un uo-mo con un lavoro a tempo pieno e da una donna che lavora, soprattut-to part-time, e che contemporaneamente si occupa dei figli e della casa come attore principale o unico. Attualmente la partecipazione degli uo-mini ai lavori non retribuiti è pari a un terzo, se si calcola in termini di tempo. Il “tempo pieno breve per tutti” può modificare la divisione dei ruoli tra uomini e donne e promuovere la parità tra i sessi. Un futuro orario di lavoro medio di 30 ore la settimana (o il corrispon-dente monte ore annuo) per uomini e donne permetterebbe una nuova

box 13.2

aumento del lavoro retribuito della famiglia

A differenza di quanto supposto più volte, negli ultimi anni il totale del lavoro retribuito svolto da uomini e donne in molti casi non si è ridotto, anzi è aumen-tato. Un esempio: quando in Germania nel 1950 l’uomo lavorava 44 ore la set-timana e la donna lavorava principalmente per la casa e i figli, la somma delle ore di lavoro retribuito di uomo e donna erano di 44 la settimana. Nella gene-razione successiva i sindacati hanno imposto una riduzione dell’orario di lavo-ro contrattuale a una media di 38 ore la settimana. Allo stesso tempo molte donne, oltre a occuparsi della casa e dei figli, hanno iniziato a lavorare, princi-palmente part-time. L’orario di lavoro retribuito contrattuale di una tipica cop-pia di oggi è pari a 38 + 19 = 57 ore la settimana. La somma delle ore di lavoro di uomo e donna è quindi ben superiore che nel passato. Se entrambi lavora-no a tempo pieno si arriva a 76 ore la settimana. Aggiungendo le ore di viag-gio per recarsi al lavoro, spesso il lavoro retribuito richiede da una coppia 100 o più ore la settimana.

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distribuzione dei compiti familiari. Se entrambi lavorano 30 ore la set-timana, tutti e due hanno più tempo libero. In questo modo anche gli uomini sono più liberi dalla pressione di sostenere finanziariamente il nucleo familiare e hanno quindi tempo di dedicarsi alla famiglia e ad al-tri interessi.Una regola di questo tipo risponde pienamente a esigenze spesso mani-festate. Sono molte le persone che lamentano una cronica mancanza di tempo nelle attuali condizioni di vita e di lavoro. Molti vogliono lavora-re meno. A differenza di quanto si crede, non pochi di loro sono dispo-sti a farlo anche con riduzione di reddito. Un sondaggio rappresentati-vo condotto in tutta Europa ha chiesto: “Quante ore la settimana vor-reste lavorare, premesso che voi (e il vostro partner) poteste scegliere il vostro orario di lavoro? Quante ore dovreste lavorare per guadagnarvi da vivere?”. Il risultato è stato che il 35% degli intervistati è soddisfatto del suo attuale orario di lavoro e che l’11% lavorerebbe anche più a lungo. Ma il 49% vorrebbe ridurre il proprio orario, anche con una riduzione del reddito. In definitiva, si aspira a un orario di lavoro che sia in media cinque ore più breve.17 Coloro che hanno figli o anziani bisognosi di cu-re possono farsi pionieri di un orario di lavoro più breve. Studi empirici indicano che costoro lavorerebbero volentieri 28-30 ore la settimana.18

rendere la crescita meno necessariaDa tre decenni i politici cercano inutilmente di combattere la disoccu-pazione attraverso una crescita economica forzata. Ma se la produttività del lavoro aumenterà, come ha fatto finora, dell’1,5-2% all’anno, il Pil dovrebbe aumentare del 3 o 4% all’anno o anche di più nel lungo perio-do per eliminare davvero la disoccupazione. Puntare su tassi di crescita del genere è vano. Se un’equa distribuzione del lavoro retribuito riuscisse ad attenuare il problema della disoccupazione, ecco che un argomento a favore della crescita economica si relativizzerebbe. Per esempio, gli inve-stimenti per discutibili centri commerciali su aree verdi ai margini delle città e la realizzazione di strade problematiche non potrebbero più esse-re giustificati con la necessità di “creare nuovi posti di lavoro”, né impo-sti a scapito di qualsiasi ragione ecologica.

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Diverse analisi, come quella sulla “società a mezza giornata”, indicano che la riduzione dell’orario di lavoro può modificare anche il compor-tamento dei consumatori e ridurre il consumo delle risorse. Nel model-lo di “società a mezza giornata”, che va ben oltre il tempo pieno breve, l’orario di lavoro potrebbe per esempio essere ridotto del 9%. Parallela-mente si potrebbe ridurre della stessa percentuale anche la produzione ottenuta con il lavoro retribuito e conseguentemente anche la quantità delle sostanze tossiche. Grazie a una riduzione dei viaggi verso il posto di lavoro si ridurrebbero anche le emissioni di CO2 dovute al traffico.19

Un ulteriore segnale arriva dal confronto tra l’impronta ecologica e le ore di lavoro medie per ogni lavoratore negli stati Ocse. Secondo le ri-flessioni di Juliet Schor, l’impronta ecologica è tendenzialmente mi-nore quante meno ore si lavorano.20 Anche altri autori si sono chiesti se meno ore di lavoro fanno bene all’ambiente e sono arrivati alla con-clusione che più ore si lavora, più energia si consuma e più danni si causano all’ambiente.21

Queste supposizioni sono naturalmente una semplificazione, perché non è possibile sapere se maggiore tempo libero, unito a un reddito più basso, possa davvero ridurre l’impronta ecologica.22 Probabilmente gli acqui-sti compensatori diminuiscono se, lavorando meno, aumentano le espe-rienze di benessere. Si può anche immaginare che l’acquisto di un nuovo televisore venga prorogato di qualche anno o che si acquistino prodot-ti particolarmente durevoli, perché le merci a basso costo e di vita breve sono alla fine quelle più care (capitolo 18).

cultura dell’orario di lavoro flessibileSembra che la maggior parte delle aziende non abbia ancora scoperto le possibilità di organizzazione e le opportunità che si aprono con un nu-mero maggiore di collaboratori e orari di lavoro più brevi, mantenendo invariati il monte ore di lavoro e le spese salariali. Una pianificazione in-novativa del personale può seguire una nuova direzione. Con collabo-ratori che lavorano meno si può migliorare la produttività e le aziende possono acquisire più margine di manovra nella politica del personale. La divisione equa del lavoro quindi fa parte anche di una nuova cultu-

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ra aziendale. Certo, l’ego dei dirigenti è lusingato quando pensano di es-sere indispensabili o quando sono altri a dirglielo. Ma è altrettanto ve-ro che ogni posto di lavoro è il risultato di una divisione del lavoro e che di conseguenza può essere ulteriormente diviso. I processi di ristruttu-razione che si verificano regolarmente in ogni azienda mostrano in mo-do evidente che la divisione delle funzioni e la ripartizione dei compiti possono benissimo essere modificate. Se i dirigenti sfrutteranno in mo-do creativo queste possibilità di organizzazione e seguiranno il modello del “tempo pieno breve”, scopriranno che anche i compiti dirigenziali possono essere diversamente suddivisi e spesso delegati.Con la riforma del congedo parentale in Germania è nata una nuova cul-tura dell’orario di lavoro. Se per i padri sarà sempre più naturale pren-dere il congedo parentale, gli uomini potranno fare nuove esperienze in sfere private a loro sconosciute e occuparsi di attività extralavorative. Da questa esperienza potrebbe poi nascere il desiderio di limitare il lavoro retribuito per trascorrere più tempo con i figli e la famiglia, oppure per avere altri obiettivi di vita.

il lavoro intero

In Germania e nel resto d’Europa più di metà del lavoro svolto non è a scopo di lucro e non è retribuito. La sua importanza come economia del-la vita è trattata nel capitolo 8.Per le prospettive future di una comunità è quindi decisivo tenere conto non solo del lavoro retribuito, ma anche dell’“intero lavoro” e promuo-vere così una buona miscela delle diverse forme di lavoro sia a livello in-dividuale che sociale.23

lavoro di assistenzaLa maggior parte delle persone considera una vita con famiglia e figli auspicabile e determinante per la propria felicità. Ma la divisione tra-dizionale del lavoro è sempre meno adatta ai moderni progetti di vi-ta e all’equità tra donne e uomini. In molti paesi il maggior livello d’i-

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struzione delle donne e la loro insoddisfazione nel ritrovarsi nel ruolo di “solo casalinga”, così come la necessità di contribuire a un reddito familiare sufficiente, aumentano la propensione delle donne per il la-voro retribuito.Allo stesso tempo, aumenta anche il numero di uomini che non sono soddisfatti del loro ruolo di “colui che porta a casa il pane”, e che sono alla ricerca di nuove forme di vita in famiglia e vogliono condividere con la propria compagna il lavoro retribuito e quello in famiglia.24 In futuro, inoltre, anche l’assistenza agli anziani acquisterà maggiore importanza e richiederà più attenzione e tempo. Se non sarà possibile delegare com-pletamente l’assistenza agli anziani a operatori professionisti, il che non è né sostenibile né auspicabile, gli uomini e le donne hanno bisogno di tempo e di sostegno materiale per svolgere anche questo compito.

figura 13.3 il lavoro intero: retribuito e non retribuito (2001 in % di ore)

Lavoro retribuito 35%

Nota: in Germania gran parte del lavoro eseguito giornalmente e necessario per la società viene fornito gratuitamente sotto forma di servizio sociale, lavoro in proprio o attività per il bene comune.Fonte: Statistisches Bundesamt 2003.

Tempo per recarsi al lavoro retribuito

6%

Lavoro non retribuito59%

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lavoro per sé Con lavoro per sé s’intendono quelle attività scelte autonomamente, non mediate dal mercato e svolte per se stessi, per la famiglia, i vicini e gli amici. Il lavoro per sé è “un’attività di sostentamento al di là del la-voro salariato”25 che cela un grandissimo potenziale dimenticato o tut-to da scoprire. Queste attività possono includere la creazione di oggetti o servizi insoliti, che non possono essere comprati sul mercato per de-naro. I beni e i servizi realizzati da sé e inconfondibili non di rado dan-no maggior soddisfazione rispetto al consumo di prodotti di massa (ca-pitolo 18). Produrre, riparare o migliorare qualcosa da soli o insieme a persone scelte a questo scopo permette di fare esperienze particolari e sviluppare capacità che resterebbero altrimenti nascoste in un lavoro dipendente retribuito.

lavoro per il bene comune Nella nostra società si riscontra una grande disponibilità a impegnarsi nel e per il sociale, anche senza compenso. C’è chi lavora come attivi-sta per i diritti umani, nei sindacati, per la tutela dell’ambiente, come volontario per il vicinato, come volontario in organizzazioni di pub-blica utilità, nelle chiese, in gruppi d’auto-aiuto per malattie partico-lari, racconta storie a gruppi di bambini, fa l’allenatore in associazioni sportive, il direttore nei piccoli cori cittadini o organizza feste di stra-da. Lo fanno perché desiderano contribuire al bene comune e anche per crescita personale. Questo impegno civile e sociale contribuisce in modo fondamentale alla varietà e alla stabilità della società e crea una ricchezza sociale e culturale di cui una società vitale non può fare a meno. Questo lavoro va tutelato e protetto con un maggior riconosci-mento da parte della società rispetto al passato, garantendo che le per-sone che vi s’impegnano abbiano tempo a sufficienza per farlo e assi-curandosi che il lavoro per il bene comune offra loro una sicurezza fi-nanziaria di base.

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per una nuova politica delle molteplici attività,retribuite e non

L’orario di lavoro non dipende solo dalle decisioni personali. La strut-tura e la divisione tra lavoro formale e informale dipendono da modelli e regole sociali. Il futuro del lavoro sta nel concetto di “lavoro misto”,26 ovvero nell’idea che il normale lavoro comprenda entrambe le attività: il lavoro retribuito e quello assistenziale e per la comunità. Per riusci-re a dare vita a questa nuova architettura del lavoro, le condizioni qua-dro della politica devono seguire due direzioni ben precise. Da un lato, occorre garantire un’equa distribuzione e un equo compenso del lavoro retribuito e un sistema di previdenza sociale stabile. Dall’altro, un’atti-va politica delle molteplici attività (retribuite e non) deve creare le pre-messe sociali e finanziari per far sviluppare il lavoro d’assistenza e quel-lo per la comunità.

formazione e qualificazioneNon tutti sono adatti e qualificati per ogni tipo di lavoro. I disoccupati o coloro che fanno parte delle “riserve occulte” spesso non dispongono delle qualifiche richieste dalle aziende in un determinato momento o in un determinato luogo. Ma dato che le persone possono imparare, è ne-cessario far coincidere le competenze cercate e le capacità disponibili at-traverso un’intensa offerta di formazione e qualificazione. Tutti gli atto-ri del dibattito sulla crescita si sono già concentrati su una nuova offen-siva a livello di formazione. Se il lavoro è distribuito equamente, allora la formazione e il perfezionamento diventano davvero un compito chia-ve a livello aziendale, sindacale e statale. Se ci sono buone possibilità di trovare un posto di lavoro, aumentano anche la motivazione e la dispo-nibilità di chi lo sta cercando a prendere parte a un processo di forma-zione e qualificazione. Molti hanno già questa volontà e disponibilità.

politica salariale innovativaCon la loro posizione in difesa di una riduzione dell’orario di lavoro i sindacati perseguono due obiettivi. Da un lato, con la riduzione dell’o-

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rario di lavoro desiderano ridurre l’eccessiva offerta di forza lavoro, co-sì da diminuire o evitare la disoccupazione. Dall’altro, mirano a ridur-re la nocività per la salute e all’aumento del tempo libero. Una strategia per la riduzione dell’orario di lavoro d’altronde si scontra con l’obietti-vo di ottenere maggiori retribuzioni. In passato si poteva ottenere una riduzione media dell’orario di lavoro solo se i lavoratori rinunciavano a una parte del possibile aumento di reddito che avrebbero invece otte-nuto. La politica della riduzione dell’orario di lavoro vedrà l’ampio so-stegno delle aziende e della politica solo se si riuscirà a rendere eviden-ti i suoi effetti positivi e se ciò potrà essere vissuto in concreto. È il caso, per esempio, in cui la riduzione dell’orario di lavoro è l’unica soluzione per garantire il proprio posto o quello dei colleghi e per bloccare immi-nenti licenziamenti.27

box 13.3

politica salariale innovativa: lavoro suddiviso tra più persone

Partendo dal modello della “settimana di 4 giorni” (con 29 ore di lavoro, ndT) adottato nel 1994 da Volkswagen, la riduzione dell’orario di lavoro si è con-solidata come soluzione per evitare i licenziamenti. Come dimostrato da uno studio pubblicato dall’associazione degli imprenditori, oltre il 20% delle azien-de metallurgiche ed elettroniche tedesche hanno già fatto ricorso a questa soluzione per garantire l’occupazione. La maggioranza delle direzioni azien-dali e dei consigli di fabbrica hanno valutato quest’esperienza come estre-mamente positiva.28

La riduzione dell’orario di lavoro può essere utilizzata non solo nelle situazioni d’emergenza per garantire i posti di lavoro, ma anche per le nuove assunzio-ni. In un contratto collettivo di lavoro per la promozione dell’occupazione, sot-toscritto in Bassa Sassonia nel 1998, è stato concordato il sostegno finanziario alla riduzione dell’orario di lavoro. Per la prima volta nella storia salariale tede-sca, i lavoratori che riducevano volontariamente il proprio orario di lavoro rice-vevano un conguaglio salariale parziale preso da un fondo creato a tale scopo. Il presupposto per tale azione era che le ore di lavoro rimaste così libere doves-sero essere utilizzate per la creazione di nuovi posti di lavoro.29

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Un altro aspetto importante è che gli orari di lavoro ridotti non venga-no considerati eccezioni o part-time e per questo sottovalutati. Questa scelta deve diventare la nuova norma. L’alta accettazione della “settima-na di 4 giorni” presso Volkswagen fu fondata sul fatto che fondamental-mente questa valeva per tutti. Molti lavoratori avrebbero accettato solo a fatica un lavoro part-time che non si conciliava con la loro tradiziona-le immagine di sé. L’orario di lavoro temporaneamente ridotto a 29 ore la settimana è stato invece considerato come un normale orario di lavo-ro a tempo pieno (ridotto).30

una retribuzione sufficienteUn’equa divisione del lavoro comporta minore disoccupazione. Il ri-sultato sarebbe che già oggi più persone contribuirebbero al finanzia-mento dell’assicurazione contro la disoccupazione, della previdenza sociale, dell’assicurazione sanitaria e della previdenza per gli anziani inabili. Allo stesso tempo, una parte delle spese sociali per la disoccu-pazione e per il sussidio di disoccupazione sparirebbe. Inoltre si ridur-rebbero le assenze e le spese per malattia dovute a orari di lavoro lun-ghi e molto lunghi.È quindi giustificato che anche le politiche sociali e finanziarie favorisca-no una distribuzione equa del lavoro. Di solito, per i single senza obbli-ghi familiari o per le coppie con due redditi interi uno scambio di denaro contro tempo libero è fattibile, se non addirittura interessante. Almeno nelle fasce di reddito più alte un’ottima qualità della vita con abbondan-te tempo libero è possibile anche con un reddito ridotto. Per chi ha un reddito basso, per i genitori single, per chi ha obblighi familiari, è inve-ce assolutamente necessario offrire una compensazione finanziaria. Con una riduzione della disoccupazione lo stato può sfruttare i fondi così li-berati per garantire a chi guadagna poco un complemento di reddito. Lo stesso vale anche per le persone che, anche in caso di equa distribu-zione del lavoro, non trovano collocazione o non sono in grado di lavo-rare. Anche loro hanno bisogno di un reddito sufficiente, indipenden-te dal lavoro retribuito.

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salario minimoAnche in Europa non tutti i salari attualmente percepiti garantiscono l’e-sistenza. Persino all’interno dei contratti collettivi di lavoro ci sono setto-ri in cui gli stipendi sono così bassi che non bastano per vivere. In molti casi le parrucchiere, i fiorai, le assistenti presso gli studi medici, le guar-die o le commesse che lavorano 40 ore la settimana sono costretti a chie-dere aiuto ai servizi sociali. Questo scandalo può essere risolto fissando per legge salari minimi. Da tempo la maggior parte degli stati membri dell’Ue ha introdotto con successo il salario minimo per legge. Una com-missione sul salario minimo potrebbe partecipare in modo determinante alla definizione del minimo salariale. Si tratterebbe di una commissione indipendente, composta, come in Gran Bretagna, da tre rappresentanti dell’economia, della scienza e dei sindacati.

imposta negativa sul reddito e reddito di cittadinanzaPer promuovere la distribuzione equa del lavoro e contemporaneamen-te rafforzare il lavoro non retribuito di assistenza e quello a favore della comunità è necessario ampliare la previdenza sociale. Una soluzione lo-gica sarebbe quella di un’imposta negativa sul reddito. In base a questo modello lo stato riscuote dai contribuenti un’imposta solo una volta su-perato un reddito minimo prefissato e uguale per tutti. Finché i reddi-ti di un contribuente sono al di sotto di questo minimo, l’imposta resta negativa, ossia lo stato versa al contribuente l’importo mancante fino al raggiungimento del reddito minimo. Salario minimo e imposta negativa sul reddito devono essere collegati, per-ché se il salario minimo è inferiore al minimo esistenziale, non basta a tu-telare contro rapporti di lavoro inumani. E l’imposta negativa sul reddito, senza il minimo salariale, potrebbe stimolare i datori di lavoro ad abbassa-re i salari. La combinazione tra salario minimo e imposta negativa sul red-dito pone dei limiti all’aumento dei redditi bassi con trasferimenti statali. Esperimenti condotti negli Stati Uniti, a Seattle e Denver, hanno dimo-strato che l’imposta negativa sul reddito crea stimoli a lavorare nella fascia più bassa di reddito, dove così cominciano a essere impiegate persone che prima non lo erano. Al contrario, per le persone che hanno già un impie-

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go senza bisogno d’aiuti sociali, l’imposta negativa sul reddito comporta un aumento del reddito che permette loro di ridurre il volume di lavoro. Chi non ha un lavoro retribuito o lavora meno di un certo monte ore set-timanale dovrebbe avere un’assistenza previdenziale di base che garanti-sca il minimo vitale,31 ben superiore ai sussidi attuali e tempestivamente adeguata al costo della vita. Allo stesso tempo, la previdenza di base do-vrebbe toccare anche a chi beneficia di misure occupazionali o di quali-ficazione o svolge lavoro volontario.32

bene comune e lavoro di assistenza non retribuitoIl modello del “tempo pieno breve” ha due obiettivi. Da un lato vorrebbe distribuire equamente il lavoro retribuito tra tutti gli uomini e le donne attraverso una riduzione dell’orario di lavoro. Dall’altro vorrebbe mettere a disposizione del tempo per l’“economia della vita” (capitolo 8), offren-do la possibilità d’impiegare più intensamente il tempo così conquistato in attività non retribuite di assistenza e per il bene comune. Se, in una pro-spettiva a lungo termine, come nell’idea affine della “società a mezza gior-nata”,33 il lavoro retribuito e quello non retribuito fossero equiparati in termini di diritti, allora anche l’organizzazione sociale del tempo dovreb-be corrispondere a questo equilibrio modificato tra vita lavorativa e vita privata. Per questo è arrivato il momento di garantire al lavoro non retri-buito d’assistenza e per la comunità non solo un riconoscimento sociale, ma anche un riconoscimento finanziario.34 Chi s’impegna oltre un certo livello per il bene comune o per i bisognosi d’assistenza, potrebbe ricevere il reddito di cittadinanza senza dover essere sottoposto a ulteriori control-li sul suo fabbisogno. Inoltre, questa regola potrebbe prevedere che, gra-zie al lavoro d’assistenza o quello per il bene comune, siano aumentati il reddito di cittadinanza oppure il salario da lavoro retribuito.

box 13.4

borse di studio per il lavoro civile: 20.000 per 20.000

Perché si promuovono solo le innovazioni tecnologiche e non quelle sociali? Un

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programma, che in una fase sperimentale permette a 20.000 persone in tutta la Germania di impegnarsi in attività di lavoro civile con una garanzia materia-le modesta ma sufficiente, potrebbe svelare un potenziale nascosto e portare anche innovazioni sociali. In un test dapprima limitato si potrebbe assegnare un numero relativo di “borse di studio per il lavoro civile” per le quali possono candidarsi presentando le proprie idee e progetti sia persone senza lavoro che lavoratori che decidono di prendersi una pausa parziale o totale dal loro lavo-ro per un determinato periodo di tempo. Partendo da un fabbisogno finanzia-rio medio di 20.000 euro per borsa di studio, sarebbe necessario un budget di circa 400 milioni d’euro.

Naturalmente sarà necessario differenziare il lavoro d’assistenza e per il bene comune da quello retribuito. Proprio perché per l’organizzazione del lavoro civile35 vale il principio della sussidiarietà locale, è ovvio che vanno previste a tal fine commissioni comunali che stabiliscono la por-tata del rimborso specifica a livello locale. Inoltre queste commissioni si occupano dei possibili punti d’attrito tra lavoro civile e lavoro retribu-ito. Il lavoro civile può anche essere gestito da agenzie per organizzare i volontari, su incarico per esempio del ministero del lavoro, che infor-mano e forniscono consulenza a chi è disposto a impegnarsi e l’aiutano a trovare il proprio campo e luogo di attività. Queste agenzie potrebbe-ro inoltre supportare le organizzazioni d’interesse collettivo quando of-frono questi campi d’attività ad attivisti volontari.

reddito di cittadinanzaAnche se si riconosce al “tempo pieno breve” di essere il progetto di po-litica del mercato del lavoro più promettente, le riflessioni sul diritto a partecipare alla società e ad avere una vita sicura senza che ciò dipenda dal lavoro salariato sono più che giustificate. Più si riuscirà a mettere lo sviluppo della produttività al servizio di una società integrata socialmente e con un’economia sostenibile, più ci si avvicinerà al traguardo di creare una società delle molteplici attività, nella quale anche il lavoro retribui-to è sempre più intrinsecamente motivato. Ma l’attività autodetermina-ta, sia quella retribuita, sia quella nella vita quotidiana, necessita però di una sicurezza di base. Occorre quindi pensare seriamente all’idea che nei

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prossimi decenni lo sviluppo dei sistemi sociali si dirigerà verso un red-dito di base garantito o reddito di cittadinanza.36 Sarebbe meno rivolu-zionario di quanto molti credono: in fondo sarebbe una misura equiva-lente all’attuale esenzione fiscale per i redditi più bassi.Nella sua concezione più ampia, un reddito di base di questo tipo è una garanzia minima per tutti i cittadini, pagata dallo stato e che viene for-nita in misura diversa dalla nascita fino alla morte, senza previa valuta-zione dell’effettiva necessità, né obbligo di lavoro. Secondo un’altra in-terpretazione invece, il reddito di base è destinato alle famiglie e non alle singole persone, è collegato all’obbligo di svolgere un lavoro di pubblica utilità oppure retribuito, si riduce o viene tolto in caso di guadagno ele-vato ed è limitato all’età adulta o pensionabile. Il reddito di base è pen-sato per assicurare a tutti la soddisfazione dei bisogni elementari. Ci sono buoni motivi per considerare il reddito di base come una sicurezza sul-la quale poi strutturare una multiforme vita di lavoro e di attività. Ipo-tesi che vadano al di là di queste possibili prestazioni di base invece non sono finanziabili; inoltre potrebbero indebolire la responsabilità indivi-duale e l’iniziativa delle persone. Lo scopo non deve essere quello di ot-tenere il massimo reddito di base possibile. Decisivo invece è che il red-dito di base sia sancito come un indiscutibile diritto di ogni cittadino.37

Nonostante ci siano ottime argomentazioni a favore dell’introduzione di un reddito di base garantito, svincolato da condizioni, sembra che a li-vello politico i tempi non siano ancora maturi. Molti dibattiti politici e scientifici saranno necessari. Fino a quel momento le migliori opportu-nità sono rappresentate da una combinazione di lavoro retribuito equa-mente distribuito, salario minimo, imposta negativa sul reddito, promo-zione del volontariato e diritto al minimo vitale.

nuovi equilibri nella società delle molteplici attivitàIn una società delle molteplici attività il lavoro retribuito non divente-rà superfluo. Sarà però diversamente distribuito e sarà limitato a un vo-lume che possa essere generalizzato a tutti. Chi per decenni è vissuto in un mondo che ruotava intorno al lavoro retribuito deve rivedere modi di pensare, abitudini e sistemi di valori. Una politica orientata all’equa

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distribuzione del lavoro retribuito e alla promozione del “lavoro intero” mira alla giustizia sociale, a superare la cesura tra occupati e disoccupati, alla uguaglianza tra i sessi e alla sicurezza sociale. In questo modo, uomi-ni e donne possono scegliere meglio tra i diversi campi d’attività e com-binare diverse forme di lavoro all’interno dei loro progetti di vita. La ri-duzione del lavoro retribuito personale crea un nuovo “benessere del tempo”: tutti possono disporne liberamente e possono usarlo per scopi familiari, per l’impegno civile e per molto altro. Introducendo una suf-ficiente sicurezza finanziaria per tutti, una politica dell’equa distribuzio-ne del lavoro va oltre la vecchia politica della crescita, l’ingiustizia socia-le e la disgregazione. Questa visione può essere la base per una prospet-tiva ecologica e sociale capace di futuro.

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