Dispense Primo Modulo - Povertà Sviluppo e Cooperazione

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Dispense del percorso Sviluppo e Cooperazione realizzato dalla coop LAMA d.c.a.

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“Voiperprimidoveteessereil

cambiamentochedesideratevederein

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(MahatmaGandhi)

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Sommario

ABBREVIAZIONI .................................................................................................... 2

POVERTÀ SVILUPPO E COOPERAZIONE ........................................................ 3

LEZIONE 1 – LA CARTOGRAFIA ........................................................................ 3

1. Cenni di cartografia: Gerard de Krämer e Arno Peters ........................................................................ 3

Mercatore ..................................................................................................................................................... 3

Peters ............................................................................................................................................................ 5

Qual è la carta giusta? ................................................................................................................................... 6

2. Il problema dello sviluppo e la cooperazione internazionale .............................................................. 8

Che cos’è la cooperazione? ........................................................................................................................... 8

Gli attori della cooperazione internazionale ................................................................................................. 9

La Dichiarazione del Millennio e gli MDGs .................................................................................................. 10

LEZIONE 2 – I RAPPORTI NORD-SUD .......................................................... 12 1. Colonialismo e decolonizzazione .......................................................................................................12

I concetti fondamentali ............................................................................................................................... 12

Le forme di politica coloniale ...................................................................................................................... 12

Le fasi della colonizzazione ......................................................................................................................... 13

1870-1914: l’epoca d’oro dell’Imperialismo e la corsa all’Africa ................................................................ 14

Il tramonto del colonialismo ....................................................................................................................... 16

L’evoluzione geografica della decolonizzazione ......................................................................................... 17

La nuova indipendenza e i problemi dello sviluppo .................................................................................... 19

Il caso studio Algeria ................................................................................................................................... 19

2. Il fenomeno della globalizzazione .....................................................................................................20

Rapporti Nord-Sud: teorie a confronto ....................................................................................................... 20

La globalizzazione ........................................................................................................................................ 22

Le fasi della globalizzazione ........................................................................................................................ 23

LEZIONE 3 – POVERTÀ E DISUGUAGLIANZE .............................................. 25

1. La povertà .........................................................................................................................................25

Povertà assoluta .......................................................................................................................................... 25

Povertà relativa ........................................................................................................................................... 25

L'approccio delle capabilities ...................................................................................................................... 26

2. La disuguaglianza ..............................................................................................................................27

Diversità (le diseguaglianze naturali) .......................................................................................................... 27

Diseguaglianza come concetto globale ....................................................................................................... 28

BIBLIOGRAFIA .................................................................................................... 30

SITOGRAFIA ........................................................................................................ 32

FILM, VIDEO, DOCUMENTARI ........................................................................ 33

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Abbreviazioni

COE Council of Europe / Consiglio d’Europa: www.coe.int

HDI / ISU Human Development Index / Indice di sviluppo Umano

IMF / FMI International Monetary Found / Fondo Monetario Internazionale: www.imf.org

IDPs Internally Displaced Peoples / Sfollati

IOM International Organization for Migration / Organizzazione Internazionale per le

Migrazioni www.iom.int

LDCs Less Developed Countries / Paesi meno sviluppati

MDGs Millennium Development Goals / Obiettivi di sviluppo del millennio

NATO North Atlantic Treaty Organization: www.nato.int

OUA / UA Organizzazione dell’Unione Africana, Unione Africana: www.africa-union.org

PS Paesi sviluppati / Developed Countries

PVS Paesi in via di sviluppo / Developing Countries

UE Unione Europea: http://europa.eu/index_it.htm

UN / ONU United Nations / Organizzazione delle Nazioni Unite: www.un.org

UNDP United Nations Development Programme / Programma delle Nazioni Unite per lo

sviluppo: www.undp.org

UNHCR Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati / United Nations High

Commissioner for Refugees: www.unhcr.org

WB / BM World Bank / Banca Mondiale: www.worldbank.org

WHO /OMS World Health Organization / Organizzazione mondiale della salute: www.who.int

WTO / OMC World Trade Organization / Organizzazione mondiale del commercio: www.wto.org

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POVERTÀ SVILUPPO E COOPERAZIONE

LEZIONE 1 – La cartografia

1. Cenni di cartografia: Gerard de Krämer e Arno Peters

Parlare di cartografia significa parlare di come viene rappresentato il nostro pianeta. Ripercorrerne

la storia dalle prime incisioni e rappresentazioni del mondo alle mappe che oggi sono disponibili e

possono includere informazioni molto approfondite di ogni parte della terra è interessante perché

spiega quali erano e quali sono i dati, le conoscenze e le tecnologie di rappresentazioni che l’uomo ha

avuto a disposizione nel tempo.

Ogni mappa geografica è costruita per rispondere a precise esigenze di chi la disegna. Quali sono

gli elementi che possono influenzare un cartografo nella scelta di metodi, aree e informazioni da

inserire? Quali sono i benefici e i poteri che ottiene chi è in grado di controllare il disegno del mondo?

Su chi ha influenza la visione del mondo che una carta geografica rappresenta? La risposta a queste

domande può essere cercata a partire dal confronto tra due personaggi storici di spicco nel dibattito

cartografico, attraverso il racconto della loro storia, dei loro intenti e della loro fortuna. In seguito

saranno analizzati gli sviluppi attuali della questione.

Mercatore

Gerard de Krämer, (Rupelmonde, 1512 – Duisburg, 1594) è stato un matematico, astronomo e

cartografo fiammingo. I suoi lavori di cartografia lo portarono a contrasti con le autorità religiose

cattoliche, fino alla condanna di eresia. È passato alla storia per aver inventato un sistema di

proiezione cartografica che porta il suo nome, la proiezione di Mercatore.

Il suo intento era quello di costruire una carta utile per la navigazione delle numerose compagnie

commerciali del tempo. A tale scopo disegnò una proiezione cartografica isogonica (cioè una mappa

nella quale il rapporto tra gli angoli rimane inalterato), che permette la navigazione con il solo uso di

tale carta e di una bussola. L’obiettivo era quello di disegnare una carta per i mercanti, categoria

particolarmente prospera nella seconda metà del Cinquecento: la scelta di Mercatore è dunque

anche di tipo economico, egli individua un bisogno (quello di mappe adatte alla navigazione) e cerca

di rispondervi (creando tale mappa).

La Figura I.1 riporta la carta disegnata da Mercatore. Dall’immagine appare evidente che

Mercatore compie due operazioni importanti: per prima cosa decide di porre al centro della carta la

Germania (se si prova a tracciare una linea verticale e una orizzontale partendo dai punti medi di due

La cartografia è l’insieme di conoscenze scientifiche, tecniche e artistiche per la rappresentazione simbolica ma veritiera di informazioni geografiche, statistiche, demografiche, economiche, politiche o culturali in relazione ad un luogo geografico. Queste rappresentazioni sono realizzate su supporti piani (carte) o sferici (globi). Tutte le proiezioni cartografiche nascono da un processo di deformazione, attraverso tecniche geometriche o matematiche, della superficie terrestre (sferica, anzi ellissoidale), altrimenti impossibile da rappresentare su un piano. Lo sviluppo dei sistemi informativi territoriali (GIS, in inglese) ha rivoluzionato gli studi cartografici, poiché questi permettono l’acquisizione e l’elaborazione computerizzata di informazioni da dati geo-referenziati.

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lati contigui, il punto di intersezione si trova sulla Germania); in secondo luogo egli sacrifica la fedeltà

alle dimensioni per restare fedele agli angoli e quindi mantenere inalterati i rapporti nord-sud ed est-

ovest.

Fig. 1 – Planisfero di Mercatore

La prima delle due scelte è facilmente giustificabile. A quel tempo infatti il centro del mondo era il

continente europeo: dai porti di Amburgo, Brema e Lubecca partivano ed arrivavano i maggiori traffici

commerciali con tutto il globo. La scelta esprime una visione del mondo del tutto soggettiva e

risponde alla cultura fortemente eurocentrica del periodo coloniale. La seconda scelta era invece

dettata dai problemi che le carte piane fino ad allora in circolazione presentavano: Mercatore fece il

primo tentativo empirico di costruire una carta sulla quale le rotte navali si potevano rappresentare

tracciando semplici linee rette.

Nonostante sia la carta più famosa e rappresentata nel mondo, questa proiezione è stata bersaglio

di numerose critiche, specialmente a partire dagli anni ’50, perché presenta numerosi problemi

teorici e distorsioni anomale della superficie terrestre. In primo luogo (vedi Fig.1) il Nord e il Sud del

mondo occupano la metà dello spazio disponibile ciascuno. Le cifre riportate sulla figura però

indicano che nella realtà il Nord occupa una superficie di 49.3 milioni di Km2 mentre il Sud ben

100.26 milioni di Km2: in una carta geografica rispettosa delle superfici, al Nord spetterebbe circa un

terzo dello spazio disponibile e al Sud due terzi.

Fig.2 Fig.3

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Altre anomalie della carta sono facilmente osservabili nelle figure qui presentate. Europa e Sud

America, che nella carta sembrano occupare lo stesso spazio, hanno superfici reali molto diverse tra

loro. Il territorio russo appare più grande del continente africano nonostante sia inferiore di 7.5

milioni di Km2. La sproporzione più visibile poi è quella che riguarda la Groenlandia. Il “caso

Groenlandia“ (uno dei più famosi nell’ambiente della cartografia) è diventato sinonimo di errata

rappresentazione delle aree: non solo la regione artica risulta più grande della Cina (4 volte più

estesa), ma anche del Sud America (7.74 volte più estesa) e dell’Africa (ben 13 volte).

Le critiche alle rappresentazione basate sul metodo di Mercatore iniziano a farsi più significative

nel corso del XX secolo: all’immagine deformata dei paesi del Sud del mondo sulla carta geografica

sembra corrispondere nella storia un’immagine dell’Europa che pone se stessa e i propri bisogni al

centro del mondo, in un rapporto di conquista e dominio coloniale con gli altri continenti.

Peters

Arno Peters (Berlino, 1916 – Brema, 2002) è stato uno storico e cartografo tedesco interessato alle

problematiche dell'equità economica e politica per tutte le popolazioni mondiali. Nel 1973 Peters ha

disegnato una mappa che rispetta le proporzioni tra le superfici dei continenti (“fedeltà alla

superficie”) e deve quindi allo stesso tempo operare una distorsione sugli angoli in senso

longitudinale. Peters affermava che la sua mappa per aree equivalenti rendeva giustizia a tutti i paesi

del mondo, e in particolare a quelli del continente africano, poiché affermava implicitamente l’uguale

dignità e importanza di tutte le culture e di tutti i popoli:

L’immagine eurocentrica del mondo si è dimostrata funzionale anche allo sfruttamento del terzo mondo da parte dei paesi industrializzati nell’epoca post-coloniale. La lotta per sostituire la vecchia carta geografica si trasforma così nella lotta contro l‛ideologia dello sfruttamento. […] Ora dopo secoli di egocentrismo possiamo vedere il nostro paese dal punto di vista del mondo e non viceversa. Poiché si è sempre pensato che le carte geografiche riproducessero il mondo in modo obiettivo, scoprendone ora il valore ideologico, siamo esortati a verificare tutta la nostra concezione del mondo.

La Carta di Peters è realizzata attraverso una scomposizione del mondo in 100 parti orizzontali e

100 verticali non tenendo conto dei gradi (questione cara a Mercatore perché determinante per la

navigazione) e spostando il meridiano zero sullo Stretto di Bering (anziché su Greenwich). Molte sono

le caratteristiche che distinguono la Carta di Peters, che vuole essere fedele a:

- Superficie: ogni area (paese, continente, mare) è rappresentata secondo le sue reali

dimensioni;

- Asse: tutte le linee Nord-Sud sono verticali. La posizione di ciascun punto è immediatamente

verificabile in termini di meridiano o fuso orario;

- Posizione: tutte le linee Est-Ovest sono parallele e orizzontali. Il rapporto di qualsiasi punto

della carta con la sua distanza dall'equatore è subito identificabile;

- Scala: rende numericamente l'esatto rapporto tra la rappresentazione (sufficientemente

Fig.4 Fig.5

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piccola della carta) e l'originale;

- Proporzionalità: il grado di deformazione longitudinale lungo il margine superiore della carta

è uguale a quello lungo il suo margine inferiore, il che significa rendere regolare la

distribuzione degli errori, che così non vengono concentrati tutti nelle aree più lontane

dall'Europa;

- Universalità: permette di costruire reticoli cartografici per ogni parte della superficie terrestre

e per l'intera superficie, permettendo di rappresentare qualunque contenuto cartografico;

- Totalità: la terra è completamente rappresentata, senza "tagli" o doppie rappresentazioni (la

Carta di Mercatore non poteva rappresentare le zone polari);

- Integrabilità: permette di separare intere sezioni terrestri dal margine sinistro e di riunirle alla

carta sul margine destro (e viceversa); questo significa che la forma dei continenti e dei mari

rimane invariata qualunque sia l'area del globo rappresentata nella zona centrale;

- Chiarezza: la forma rettangolare del reticolo riesce a evitare deformazioni oblique, cioè le

proporzioni sono armoniche e ben comprensibili;

- Adattabilità: la carta si può adeguare a particolari esigenze di contenuti cartografici generali.

Fig. 6 – Planisfero di Peters

Un’ulteriore innovazione introdotta da Peters è quella riguardante la colorazione. Fino a quel

momento nelle carte politiche le colonie venivano rappresentate dello stesso colore della

madrepatria. Peters utilizza invece una scala cromatica diversa per ciascun continente,

indipendentemente dalle relazioni coloniali.

A quattrocento anni di distanza dall’atlante pubblicato da Mercatore, Peters propone una

rappresentazione differente, basata su diversi presupposti, e mostra un nuovo mondo, più esatto, più

equo … oppure no?

Qual è la carta giusta?

Nel 1980 la Carta Peters viene inserita nella copertina del Rapporto Brandt sui rapporti Nord-Sud e

diventa uno dei simboli della solidarietà internazionale, in contrapposizione alla visione eurocentrica

presentata con la Carta di Mercatore.

La contrapposizione Peters-Mercatore non tiene però conto della storia recente della cartografia,

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ricca di molti altri esempi di carte che non hanno né l’una né l’altra come modello. Nessuna delle due

proiezioni può essere considerata “giusta” o “sbagliata”: poiché il globo terrestre è ellissoidale, tutte

le proiezioni cartografiche nascono da un processo di deformazione della superficie che altrimenti

sarebbe impossibile da rappresentare su un piano. È possibile costruire molte altre carte fedeli alla

superficie, che sacrificano altre caratteristiche relative all’asse e alla posizione per ottenere una

maggiore aderenza alle forme reali dei continenti, e altre che adottano un reticolo arrotondato e non

rettangolare. Qui di seguito vengono sono presentati alcuni esempi di carte con specifiche e ben

visibili intenzioni da parte dei cartografi che le hanno ideate :

Fig. 7: Eckert, 1906.

Fig.8: Goode, 1923 (terra). Fig.9: Goode, 1923 (oceani)

Tra le proiezioni proposte recentemente meritano di essere ricordate quella di Robinson e

quella di Canters. Mentre la prima sta assumendo un ruolo di primo piano a livello

internazionale, la Carta di Canters è relativamente poco conosciuta. Per la proiezione che ha

realizzato nel 1989, Canters ha inserito a computer oltre 5000 distanze per confrontare i valori

reali delle distanze con quelli che appaiono sulla carta. L’approssimazione cartografica che ottiene

è la migliore che attualmente si conosce: la Carta di Canters si discosta in media dai dati reali del

15%, quella di Peters del 24%, quella di Mercatore del 31%. Con le parole di Canters:

Nessuna carta è giusta. L’unica rappresentazione corretta della terra è il mappamondo. Ma un globo diventa spesso scomodo e in un solo colpo d’occhio ci offre solo la metà della superficie terrestre. […] La nostra ricerca cartografica si inserisce in un progetto più ampio che riguarda la messa a punto di un atlante elettronico. Inseriamo in un computer tutte le coordinate dei punti che si trovano sulle linee di costa. Il software che utilizziamo da la possibilità di produrre velocemente e con affidabilità il tipo di carta che l’utente desidera. Per sviluppare un simile sistema abbiamo dovuto confrontarci di nuovo con il tradizionale problema del tipo di proiezione cartografica, ma questa volta con nuove tecniche numeriche […].

Anche questa proiezione cartografica è stata promossa dal mondo della solidarietà internazionale

e rispetta alcuni semplici principi: restituisce al primo colpo d’occhio l’idea che la terra ha una

superficie sferica (reticolo arrotondato) e rispetta il più possibile le aree e le forme dei continenti.

Anche per Canters l’uso del colore ha un ruolo particolare: è possibile creare versioni della carta che

colorano i diversi paesi secondo l’Indice di Sviluppo Umano1. I singoli paesi sono divisi in tre categorie

principali: alto indice di sviluppo (verde), medio (giallo), basso (arancione); alcune categorie

intermedie sono rappresentate con sfumature più chiare di queste tinte base.

1 Per una definizione e spiegazione dell’Indice di Sviluppo Umano dell’UNDP si rimanda al Modulo III.

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Per concludere, la Carta di Peters continua ancora oggi ad essere al centro del dibattito. Insieme

alle altre rappresentazioni proposte, essa ha senz’altro il merito di aver ribadito per prima al pubblico

dei non geografi che ogni carta geografica è un oggetto politico, frutto di scelte e compromessi. Molte

mappe sono state disegnate nella storia, ognuna di queste è stata ideata per rispondere ad esigenze

particolari ed è il frutto di un luogo e di un periodo determinati. Quando si osserva una mappa

geografica è quindi sempre importante porsi alcune domande che ne facilitino la comprensione: chi

l’ha disegnata? quando? a quale scopo?

2. Il problema dello sviluppo e la cooperazione internazionale

Che cos’è la cooperazione?

Secondo questa definizione è possibile considerare rapporti cooperativi una relazione amorosa di

una coppia, la partecipazione ad una squadra di basket o l'instaurazione e la partecipazione ad un

gruppo di acquisto solidale; questo perché due, dieci o mille partecipanti avranno scelto

volontariamente di prenderne parte, e godranno rispettivamente del beneficio dell'amore, del fare

sport o di prezzi più bassi e qualità migliore nell'acquisto di beni di consumo. I rapporti cooperativi

possono instaurarsi non solo tra singoli individui, ma anche tra gruppi, più o meno grandi e complessi,

organizzati a loro volta da individui. La cooperazione può infatti avvenire tra organizzazioni di

rappresentanza con uno scopo comune (si pensi alle trattative per trovare un accordo sui salari che

hanno luogo periodicamente tra la Confindustria ed i Sindacati), le quali possono essere private

(gruppi industriali, società, organizzazioni no profit, ecc.) o pubbliche (Regioni, Comuni, Stati,

organizzazioni internazionali, ecc).

Quale che sia il modello di riferimento scelto per spiegare le relazioni tra Stati a livello

internazionale, la cooperazione trova spazio e giustificazione anche a livello sovranazionale, come

uno dei possibili strumenti nei rapporti tra gli attori internazionali. Esistono infatti situazioni nelle

quali il comportamento cooperativo di due o più soggetti internazionali porta a risultati migliori di

quelli che si avrebbero se ognuno cercasse unicamente il proprio guadagno, indipendentemente dalle

mosse degli altri.

La cooperazione può essere attuata in tutti i settori. Questo paragrafo si concentra sulla

cooperazione internazionale allo sviluppo, cioè sulla cooperazione internazionale che ha come scopo

la promozione dello sviluppo, in termini sociali ed economici, dei Paesi in via di sviluppo (PVS). La

cooperazione allo sviluppo è messa in atto in vari modi: si può trattare di trasferimenti monetari o in

natura, di fornitura di assistenza tecnica o di appoggio politico, di trasferimento di informazioni o di

altri beni immateriali. È necessario sottolineare che le attività di soccorso umanitario d'emergenza

costituiscono solo una parte molto specifica delle pratiche di cooperazione allo sviluppo. Ma se la

cooperazione allo sviluppo consiste in diverse modalità di aiuto indirizzate dai paesi più sviluppati (in

termini economici e sociali) a quelli meno sviluppati, dove sta il rapporto reciproco e di mutuo

vantaggio? Anche se si ammette che entrambi i gruppi di paesi partecipano volontariamente alle

attività di cooperazione, e che sia presente un obiettivo comune (lo sviluppo economico e sociale di

una delle due parti), quali sono i benefici che i paesi sviluppati (PS) traggono da queste azioni

cooperative?

Cooperazione: un rapporto cooperativo si ha ogni volta che due o più persone si associano liberamente per perseguire un fine comune, un’azione i cui risultati siano di beneficio a tutti i partecipanti.

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Vi sono molteplici risposte a questa domanda. I PS hanno infatti motivazioni legate all'obbligo

morale ed alla soddisfazione etica generata dal gesto di aiutare: come all’interno di uno stesso paese

si attuano misure di solidarietà tra cittadini con diversi livelli di reddito attraverso la progressività

delle imposte e delle spese sociali, allo stesso modo queste misure possono essere sostenute tra

paesi diversi. Ciò presuppone come fondamento etico l’idea di una società “giusta” verso la quale

tendere e di relazioni internazionali dove l’interesse dei singoli Stati è subordinato all’interesse

generale della comunità mondiale. A queste motivazioni altruistiche si aggiungono però anche una

serie di interessi egoistici, economici e politici, che rispondono in particolare agli interessi dei paesi

più ricchi. Contribuire allo sviluppo dei paesi più poveri porta alla crescita di nuovi mercati di sbocco

per le merci e i servizi che i PS producono. Inoltre l’aiuto allo sviluppo continua ad essere un forte

veicolo di influenza e controllo politico dei paesi più sviluppati sulle loro ex colonie. Sebbene le

motivazioni politiche e economiche non possano essere trascurate, il ruolo delle ideologie e di un

sentimento morale non può essere ignorato. Soprattutto in occasione di calamità naturali o conflitti

armati che creano emergenze umanitarie e problemi di sicurezza nazionale, queste motivazioni

altruistiche risultano più evidenti e sono accolte da un maggiore sostegno dell’opinione pubblica

internazionale.

Per comprendere meglio quale sia il peso di ciascuna motivazione nelle diverse situazioni in cui la

cooperazione allo sviluppo viene messa in atto, è necessario scomporre il processo di cooperazione,

descrivendolo non come un insieme di rapporti tra PS e PVS, ma piuttosto tra attori organizzati

appartenenti a questi due gruppi di paesi. Nel paragrafo successivo sono dunque presentati i

principali attori della cooperazione internazionale.

Gli attori della cooperazione internazionale

Gli attori attivi nella cooperazione internazionale possono essere divisi in quattro gruppi principali:

• Gli Stati nazionali: indirizzano una parte delle entrate fiscali derivanti dalla tassazione alla

cooperazione. Questo aiuto viene in parte indirizzato a:

- programmi di aiuto intergovernativo, come ad esempio la cancellazione del debito per i paesi più poveri o il finanziamento di opere pubbliche statali nei PVS;

- trasferimento di fondi alle regioni ed agli enti locali per la cooperazione decentrata tra realtà locali di PS e PVS;

- trasferimento di fondi a ONG e associazioni filantropiche che portano avanti progetti di cooperazione allo sviluppo;

- finanziamento di organizzazioni internazionali impegnate nello sviluppo. Grazie al loro ruolo di finanziatori, gli Stati possono stabilire le linee guida delle azioni di

cooperazione di tutti gli attori che ricevono finanziamenti pubblici. Gli orientamenti di

cooperazione ufficiale (pubblica) sono spesso legati alla visione di politica estera dello Stato in

questione.

• Le organizzazioni internazionali: nascono da accordi internazionali tra Stati e da essi ricevono

finanziamento, legittimità e potere di azione. Le più importanti organizzazioni internazionali

operanti nella cooperazione allo sviluppo sono:

- l’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), che agiscono attraverso numerosi organi

(l’Assemblea Generale e il Consiglio di Sicurezza in primo luogo) e agenzie collegate

(come l'UNDP, l’UNICEF e molte altre, suddivise per settore). Quasi tutti gli Stati del

mondo ne sono membri.

- l'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) che raggruppa i

27 paesi più ricchi del mondo;

- il Fondo Monetario Internazionale (FMI), che si occupa della situazione

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macroeconomica dei paesi, concedendo crediti ai paesi in crisi;

- la Banca Mondiale e le Banche di sviluppo regionali come quelle di Asia, Americhe ed

Africa, costituite dai paesi appartenenti alle regioni.

Se è vero che tutte queste organizzazioni traggono origine (e vengono influenzate) più o

meno direttamente dagli Stati che ne fanno parte, è anche vero che esse coordinano l'azione

internazionale di questi, definendo le priorità e le modalità di intervento della cooperazione

internazionale.

• Le amministrazioni pubbliche locali: il principio di sussidiarietà (ogni azione deve essere

compiuta dal livello amministrativo più vicino possibile al cittadino su cui vuole avere un

impatto), il principio di decentramento, della partecipazione e della concertazione e il

concetto di sviluppo locale guidano da circa venti anni nuove esperienze di cooperazione che

coinvolgono a livello locale (e non solo nazionale) le popolazioni dei paesi riceventi e

donatori.

• I soggetti privati:

- ONG (Organizzazioni non governative) e Associazioni e Istituti di carità: sono

costituite da privati cittadini per perseguire scopi caritatevoli, per attuare interventi

d'aiuto, per sensibilizzare sulle problematiche connesse alla povertà e al

sottosviluppo. Sono organizzazioni non a scopo di lucro che agiscono su tematiche di

rilievo generale (ad es., la riduzione della povertà, della disuguaglianza, etc.) o molto

specifiche (ad es., assistenza ai malati di HIV, fornitura di materiale scolastico per un

villaggio, etc.). Possono impiegare personale volontario o dipendente, avere origini

laiche o di ispirazione religiosa, finanziare i propri progetti attraverso la raccolta fondi

da privati o la partecipazioni a bandi di finanziamento sia pubblici che privati

(fondazioni). La scelta del veicolo di finanziamento può senz’altro influenzare la

visione e la missione che l’organizzazione porta avanti;

- Cittadini: sono la base del sistema di cooperazione allo sviluppo in quanto eleggono i

governanti e quindi influenzano indirettamente gli orientamenti di tutti gli organi

pubblici, nazionali e internazionali, legati allo sviluppo. Partecipando alle attività

associative, i cittadini ne controllano, essendone almeno in parte finanziatori, le

scelte e le azioni. Inoltre possono impegnarsi in azioni di pressione sul sistema

pubblico e sulle aziende private (lobbying). Tanto più forte sarà la partecipazione,

tanto più incisiva e organizzata nelle sue azioni risulterà essere la società civile.

La Dichiarazione del Millennio e gli MDGs

Nel settembre del 2000, in occasione del Vertice del Millennio convocato dalle Nazioni Unite, 189

Capi di Stato e di Governo hanno adottato la Dichiarazione del Millennio, impegnandosi a liberare

ogni essere umano dalla “condizione abietta e disumana della povertà estrema” ed a “rendere il

diritto allo sviluppo una realtà per ogni individuo”. Si tratta di un patto globale tra paesi ricchi e paesi

poveri, fondato sul reciproco impegno a fare ciò che è necessario per costruire un mondo più sicuro,

It is not in the United Nations that

the Millennium Development Goals will be achieved.

They have to be achieved in each country

by the joint efforts of the Governments and the people.

Kofi Hannan, ex Segretario Generale ONU

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più prospero e più equo per tutti. In particolare si sono impegnati a raggiungere 8 Obiettivi concreti

entro il 2015: gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio (MDGs – Millennium Development Goals)

includono l’accesso all’ istruzione primaria, all’assistenza medica ed all’acqua potabile, la protezione

dell’ambiente, la lotta alle diseguaglianze di genere e alle malattie infettive, tra le quali l’HIV/AIDS.

Per la prima volta paesi poveri e ricchi hanno deciso di lavorare insieme non solo identificando le

azioni da compiere ma anche e soprattutto identificando in modo chiaro ruoli e responsabilità dei vari

attori e paesi coinvolti. I paesi più poveri si sono impegnati a promuovere riforme a livello nazionale

che mettano al centro la lotta contro la povertà e il raggiungimento degli Obiettivi del Millennio,

realizzando politiche che incentivino l’attivazione di servizi di base accessibili ai più poveri tra i poveri,

che migliorino la governance ed eliminino la corruzione.

I paesi ricchi si sono impegnati a:

• incrementare l’aiuto pubblico allo sviluppo (APS) fino a portarlo allo 0.7% del PIL;

• migliorare la qualità degli aiuti, allineandosi con le raccomandazioni e i principi stabiliti in

seno all’ONU ed eliminando distorsioni come l’aiuto legato, che favorisce le imprese del paese

donatore anziché aiutare a far crescere le strutture locali;

• promuovere la cancellazione del debito,

• giocare un ruolo di leadership per la realizzazione di nuove regole del commercio

internazionale più eque, fondate su principi di giustizia che sostengano le economie dei paesi

più poveri.

La Campagna del Millennio è stata lanciata per coordinare le azioni di tutti i paesi del mondo per il

raggiungimento degli MDGs ma soprattutto per supportare individui e società civili nel fare lobbying

(pressione) suoi governanti perché rispettino gli impegni presi e agiscano per tutelare i diritti umani di

ogni individuo. Per raggiungere gli MDGs entro 2015, ogni cittadino deve essere informato sugli

impegni sottoscritti dal proprio governo e deve quindi pretendere che siano mantenuti. In Italia

l’interesse dell’opinione pubblica su questi temi è forte, ma non si sono registrate fino ad oggi misure

significative da parte dei governi che si sono succeduti.

I compiti della Campagna del Millennio sono:

• informare tramite campagne di sensibilizzazione sui mezzi di informazione, co-organizzando

eventi e incontri;

• raccogliere le opinioni e le proposte dei cittadini per azioni contro la povertà;

• portare queste proposte nelle sedi istituzionali e ampliare le richieste dell’opinione pubblica.

Nel corso di questo volume la trattazione dei grandi temi globali, quali povertà e disuguaglianza,

salute globale, sostenibilità ambientale e migrazioni internazionali, sarà legata in modo specifico alla

presentazione degli Obiettivi del Millennio. Gli MDGs rappresentano infatti un impegno concreto,

misurabile e con una scadenza precisa da parte di tutti gli Stati del mondo e prevedono la

collaborazione e la cooperazione di tutti gli attori interessati, dalle grandi organizzazioni internazionali

alle realtà amministrative e associative locali in ogni parte del pianeta.

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LEZIONE 2 – I rapporti Nord-Sud

1. Colonialismo e decolonizzazione Per comprendere le relazioni tra i paesi occidentali e i PVS a partire dalla seconda guerra mondiale

è necessario affrontare il tema dell’esperienza coloniale dei paesi europei nei confronti del resto del

mondo, iniziata nel XV secolo con l’epoca delle grandi scoperte geografiche. Da allora fino allo

scoppio della prima guerra mondiale si sono succedute numerose fasi di scoperta, conquista e

colonizzazione nei confronti di America, Asia, Oceania e Africa che hanno fortemente influenzato lo

sviluppo di questi territori nel momento in cui, con modi e tempi diversi, hanno raggiunto

l’indipendenza. Nelle prossime pagine saranno presentati i caratteri salienti del fenomeno della

colonizzazione, il processo di decolonizzazione del secondo dopoguerra e un caso studio sulle vicende

dell’esperienza francese in Algeria.

I concetti fondamentali

Nella terminologia corrente si tende spesso a confondere i concetti di colonizzazione, colonialismo

e imperialismo. Qui di seguito vengono presentate alcune definizioni sintetiche per introdurne i tratti

essenziali.

Le forme di politica coloniale

I paesi europei che hanno avuto possedimenti coloniali nel corso dei secoli hanno adottato diverse

strategie di governo delle colonie, che possono essere riassunte in tre modalità principali:

Colonia: termine derivato dal latino che in origine indicava lo stanziarsi di un gruppo di cittadini in un luogo esterno ai confini del loro Stato, pur mantenendo un collegamento politico con il centro (a differenza di un movimento migratorio). Alla colonizzazione demografica si è affiancata ben presto quella economica: le colonie fornivano materie prime al centro e da questo acquistavano prodotti finiti. Nella storia moderna, il termine colonia viene usato per indicare un territorio conquistato da uno Stato: gli abitanti della colonia non sono cittadini, ma sudditi della madrepatria. Colonizzazione: opera colonizzatrice di uno Stato dopo la conquista o l’acquisto di una colonia e lo sfruttamento economico di tutto il suo territorio. Colonialismo: in origine questo termine era usato per indicare il fenomeno coloniale e definiva la volontà di creare un sistema di assoggettamento di una popolazione che si riteneva ad uno stadio di sviluppo (sociale, economico, tecnico, ecc.) inferiore. Dall’inizio del XX secolo il termine colonialismo è usato con una connotazione peggiorativa. Impero: in latino imperium è il comando e l’autorità suprema. L’impero non ha quindi base demografica, ma militare e di conquista. Si presuppone che un popolo forte ne sottometta un altro, fino ad arrivare ad un completo assorbimento o ad una simbiosi imposta. L’impero raggiunge quindi un equilibrio più o meno stabile, che si fonda sullo sfruttamento degli uomini e del territorio in funzione degli interessi della madrepatria. L’impero può anche essere fattore di unità, di pacificazione e di circolazione di scambi e informazioni. Imperialismo: termine coniato dal primo ministro inglese Disraeli nel 1875 con il quale si intende un fenomeno di espansione nazionalistica, che punta ad affermare valori morali, spirituali, tecnologici, politici e economici di uno Stato su altri. È stato interpretato come manifestazione di una civiltà altamente progredita e veicolo di trasmissione di tale civiltà a popoli arretrati. Il possesso di alcune colonie non è quindi sufficiente per attribuire la qualifica di “imperialistico” ad uno Stato.

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13

1) Politica di assoggettamento: è concepita nell’interesse esclusivo della madrepatria. La

popolazione autoctona è considerata primitiva e senza diritti. La colonizzazione di popoli e

territori accresce la potenza dello Stato. È il criterio prevalente nei due secoli successivi alla

scoperta dell’America, ma tramonta nel corso del XVIII secolo.

2) Politica di autonomia: aveva lo scopo di promuovere la formazione di società che avrebbero

dovuto costituirsi nel tempo in Stati indipendenti. La madrepatria adotta il cosiddetto indirect

rule: la maggior parte delle funzioni di governo sono esercitate da autorità coloniali indigene

e i funzionari della madrepatria sono affiancati da organi rappresentativi, giudiziari e esecutivi

locali. L’Inghilterra adottò questa strategia che si basava sul riconoscimento dell’autorità dei

capi nativi, prima in India e successivamente anche con il resto dei suoi possedimenti in Africa

e Asia. Secondo la politica britannica, le autorità locali avrebbero dovuto governare il loro

popolo come dipendenti della Corona. In questo modo la società preesistente con le sue

istituzioni, leggi e autorità era accettata e progressivamente spinta a modernizzarsi. La critica

più forte a questa strategia di dominio sottolinea che questa non è riuscita a sviluppare e

democratizzare le istituzioni locali. I fallimenti più grandi nella costruzione di un local

government autonomo si sono avuti in Africa, con conseguenze ancora oggi visibili.

3) Politica di assimilazione: persegue l’unione sempre più stretta tra il territorio coloniale e la

madrepatria. Il concetto di assimilazione, rappresentato dal caso paradigmatico della politica

coloniale francese, indica un’integrazione da compiere gradualmente. Le colonie sono

considerate “province d’oltremare” alle quali si applica la stessa legislazione del centro. Gli

indigeni sono considerati francesi potenziali e a loro sono attribuiti, almeno nominalmente,

gli stessi diritti dei cittadini francesi. La critica più forte all’approccio dell’assimilazione ha

riguardato la possibilità di esportare e impiantare senza sostanziali aggiustamenti il modello

giuridico, istituzionale e di governo francese in territori così diversi come l’Indocina, l’Africa

del Nord e l’Africa Sub Sahariana.

Le fasi della colonizzazione

Dalla seconda metà del ‘400 ha inizio la prima fase della colonizzazione, caratterizzata dalle

esplorazioni geografiche lungo le direttrici americana e asiatica. I protagonisti sono il Portogallo, la

Spagna, l’Olanda, la Francia e l’Inghilterra. Le coste di tutto il mondo vengono colonizzate. Il sistema si

fonda sul ricorso alla manodopera indigena a basso costo (gli schiavi), da inserire nelle piantagioni

che assicurano il benessere dei colonizzatori. La tratta degli schiavi attraverso l’Atlantico raggiunge

l’apice nel Seicento, ma prosegue anche nei secoli successivi. Fino alla Rivoluzione delle 13 colonie

americane (1776-1783), le colonie vengono viste esclusivamente in funzione del vantaggio economico

degli Stati europei.

Tra la fine del XVI e gli inizi del XVIII secolo l’espansione coloniale subisce una forte accelerazione

attraverso le Compagnie commerciali istituite da privati cittadini o sotto impulso delle

amministrazioni pubbliche. Alle Compagnie viene concesso il monopolio dei traffici con i territori

d’oltremare. Spesso si attribuiscono loro anche responsabilità amministrative e politiche per il

governo delle colonie e per tenere sotto controllo la concorrenza delle Compagnie di altre nazionalità.

La prima ad essere creata è la Compagnia Portoghese delle Indie Orientali nel 1587, alla quale

seguono, tra le altre, la Compagnia delle Indie Orientali, fondata in Inghilterra il 31 dicembre 1600, e

la Compagnia Unita delle Indie Orientali costituita in Olanda nel 1602. Mentre l’Inghilterra segue

parallelamente due strategie distinte (la fondazione di vere e proprie colonie nell’America del Nord

per motivazione soprattutto religiose, e l’istituzione di Compagnie commerciali promosse dai

mercanti), l’Olanda è l’unico paese europeo a muoversi per motivi esclusivamente economici. Già

all’inizio del ‘700 le Compagnie si trovano sotto un crescente controllo degli Stati, che iniziano a

Page 17: Dispense Primo Modulo - Povertà Sviluppo e Cooperazione

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disporre di marine da guerra; professionali, equipaggiate e organizzate queste hanno il compito di

impedire il commercio altrui a favore del proprio, sorvegliando le rotte e imponendo blocchi

marittimi. Non si combatte più per difendere la compagnia commerciale, ma per il prestigio e la

ricchezza della patria.

Il 1815 rappresenta l’inizio di una nuova fase. Con il progressivo indebolimento delle compagnie

commerciali, la messa al bando della tratta degli schiavi (ma non della schiavitù) e l’inizio della

restaurazione in Francia, l’inizio dell’‘800 è segnato dalla perdita del controllo formale sull’America

Latina di Spagna e Portogallo, ma vede crescere il dominio economico europeo nel mondo. La Gran

Bretagna rimane l’unica grande potenza coloniale e si concentra su nuovi territori dell’America del

Nord, dell’Australia e della Nuova Zelanda. Non avendo concorrenti alla supremazia imperiale fino al

1870, la Gran Bretagna istaura un sistema internazionale aperto di Stati e regioni indipendenti sotto la

sua egemonia indiretta. Solo verso il 1880, quando altri stati europei rivendicano questi territori, la

strategia deve cambiare. Sempre nel corso dell’‘800 la Francia, lanciandosi alla conquista dell’Algeria

(1830), indica al resto d’Europa la caratteristica di conquista della nuova era coloniale: il regno di

Carlo X si lancia nella campagna algerina per nascondere agli occhi dei cittadini i problemi di ordine

interno. Le facili vittorie e l’ampiezza del territorio (desertico) conquistato erano presentate come la

prova della forza e solidità del governo. Inoltre la conquista dell’Algeria segna una nuova strategia di

colonizzazione che prevede la penetrazione all’interno, con forti modifiche alle condizioni delle

popolazioni autoctone. Anche la Cina viene obbligata ad una certa apertura da parte dei britannici,

attraverso quelle che sono note come le “guerre dell’oppio” (1839-1842 e 1856-1860).

Le nuove esplorazioni in Asia e Africa, presentate al Congresso geografico internazionale di Parigi

del 1875, mostrano le possibilità future dell’Europa nel resto del mondo. La traversata del continente

africano di Cameron (1873) e il viaggio in Congo di Stanley (1875) attirano l’attenzione generale sul

continente africano, rimasto fino ad allora inesplorato se non sulla costa. Da allora non solo

aumentano i territori colonizzati (nel 1878 il 67% delle terre emerse mondiali era controllato da Stati

europei), ma anche il numero delle potenze europee impegnate nelle conquiste coloniali.

1870-1914: l’epoca d’oro dell’Imperialismo e la corsa all’Africa

La seconda metà del XIX secolo vede il passaggio al nuovo Imperialismo europeo, che passa da un

tipo di controllo basato sull’influenza militare ed economica ad un governo più diretto del territorio.

In particolare si assiste alla cosiddetta corsa all’Africa (scramble for Africa, in inglese) con il proliferare

delle rivendicazioni europee sui territori africani a partire dal 1880. Tra i fattori che permettono

l’occupazione delle zone più interne del continente africano vi sono la riduzione della mortalità degli

occidentali in Africa grazie alla scoperta del chinino come antimalarico, l’aumento del vantaggio

militare occidentale (con i fucili al posto dei moschetti), le esplorazioni europee che forniscono nuove

conoscenze geografiche e culturali di regioni remote2 e una nuova giustificazione intellettuale alla

missione civilizzatrice fornita dal crescente razzismo pseudoscientifico, portato avanti dagli studi di

biologia, genetica e antropologia.

Inoltre l’Europa è attraversata da nuovi movimenti nazionalisti e dalla prima grande crisi

economica del capitalismo (la depressione del 1873-1895). Il periodo di pace porta gli europei a

percepirsi come superiori e a sentire il dovere di condurre i popoli lontani verso la civiltà, la cultura e,

spesso, la redenzione. I nuovi nazionalismi influenzano inizialmente i ceti più elevati della società

europea, gli stessi che faranno parte della forza economica che partirà alle volte dei nuovi mondi.

L’esperienza coloniale fornisce poi agli Stati europei una valvola di sfogo e la soluzione a numerosi

2 Leggendari sono alcuni degli esploratori del tempo, come David Livingstone, Richard Francis Burton, Henry

Morton Stanley e Pietro Paolo Savorgnan di Brazzà.

Page 18: Dispense Primo Modulo - Povertà Sviluppo e Cooperazione

15

problemi:

• la sovrapproduzione industriale (le colonie per contratto devono acquistare dalla madrepatria

molte delle merci in sovrappiù);

• la necessità di materie prime (scarse in Europa e abbondanti in molti territori colonizzati);

• la stagnazione economica (superata grazie al circolo virtuoso messo in atto dalla nuova

disponibilità di risorse, quindi di investimenti e nuovi profitti);

• la necessità di un’estensione geografica considerevole per aumentare il prestigio dello Stato

coloniale.

Figura 10 – Africa, 18853

Con la Conferenza di Berlino (die Kongokonferenz in tedesco) del 1884-1885, viene stabilita

internazionalmente la spartizione dell’Africa ed entro il 1902, il 90% dell’Africa si trova sotto il

controllo europeo. Gran parte del Sahara diviene francese, mentre il Sudan rimane sotto il controllo

congiunto di Gran Bretagna ed Egitto. Il re del Belgio Leopoldo II ottiene la proprietà, prima personale

e poi del suo Regno, del Congo. Gli stati boeri vengono conquistati dalla Gran Bretagna. Francesi e

spagnoli si dividono i territori all'estremo Nord-Ovest: ai primi il Marocco ed ai secondi l'attuale

Sahara Occidentale. Il Portogallo conquista Angola e Mozambico, la Germania entra in Camerun,

Namibia e Togo. La Libia viene conquistata dagli italiani nel 1912. Nel 1914 l'annessione ufficiale

dell'Egitto da parte della Gran Bretagna conclude la spartizione coloniale dell'Africa. Ad eccezione

della Liberia e dell'Etiopia (che riesce a respingere l’attacco italiano), l'intero continente si trova sotto

la dominazione europea.

Con l’inizio della prima guerra mondiale, termina ufficialmente il periodo d’oro di espansione

3 In Figura 8 è rappresentata, su una proiezione cartografica di Eckert, la spartizione del continente africano tra

le maggiori potenze europee.

Page 19: Dispense Primo Modulo - Povertà Sviluppo e Cooperazione

16

coloniale europea e l’Europa sparisce di fatto come superpotenza sostituita negli anni successivi dagli

Stati Uniti.

Il tramonto del colonialismo

Evitando di soffermarsi sul periodo compreso tra le due guerre mondiali, è possibile individuare

nel secondo dopoguerra l’inizio del processo che va sotto il nome di decolonizzazione: dal 1945 al

1999 (anno di indipendenza dal Portogallo di Macao) più di 60 paesi ottengono l’indipendenza. Il

processo di decolonizzazione è fortemente legato alla nascita delle Nazioni Unite, alla Guerra Fredda,

agli shock petroliferi e a tutti gli altri eventi che hanno visto le ex potenze coloniali coinvolte. Inoltre

esso ha dirette conseguenze su tutte le caratteristiche che si rivelano ancora oggi problematiche per i

PVS: la mancanza di apparati statali efficienti, di sistemi economici autosufficienti, l’instabilità politica

dovuta a scontri tra etnie diverse che convivono all’interno dello stesso territorio.

La politica dei due blocchi giocata da Stati Uniti e Unione Sovietica dagli anni ’50 in poi ha

fortemente influenza sullo smantellamento degli imperi coloniali: gli Stati Uniti cercano di estendere

le loro zone d’influenza e fanno pesare il loro potere economico e politico, sostenendo numerosi

movimenti di liberazione in Africa e Asia. Il principio di autodeterminazione dei popoli ispira poi

l’azione dell’ONU, che non riesce a imporre ovunque il rispetto dei principi di uguaglianza dei diritti,

ma ricopre comunque un ruolo importante nella lotta al colonialismo.

Per quanto riguarda l’Africa possono essere fatte alcune considerazioni di carattere generale.

L’opposizione al colonialismo è spesso guidata da élites locali che, avendo studiato in Europa o negli

Stati Uniti, ne assorbono cultura, valori e aspirazioni. Di frequente la ribellione viene guidata da partiti

politici che si ispirano ai principi di un "socialismo africano", distinto dalle ideologie socialiste di

matrice occidentale per il suo focus sul recupero dei valori tradizionali africani, come il senso di

comunità e di famiglia o la dignità del lavoro agricolo. In alcuni casi, la concessione dell’indipendenza

avviene in modo pacifico, con trattative tra la madrepatria e i gruppi dirigenti locali: la Gran Bretagna

ad esempio avvia gradualmente l’indipendenza delle sue colonie, trasformando l’impero nel

Commonwealth of Nations. In altri casi il processo è violento e non sono pochi i casi di lunghe e

sanguinose guerre di liberazione (la Francia si oppone con forza ai movimenti di liberazione che

investono i suoi possedimenti in Africa).

Page 20: Dispense Primo Modulo - Povertà Sviluppo e Cooperazione

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L’evoluzione geografica della decolonizzazione

Page 21: Dispense Primo Modulo - Povertà Sviluppo e Cooperazione

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La nuova indipendenza e i problemi dello sviluppo

Gli Stati di nuova indipendenza, che ereditano strutture economiche e politiche europee, devono

subito affrontare numerosi problemi interni, spesso generati dallo sfruttamento coloniale subito. La

colonizzazione aveva infatti quasi ovunque generato forti disuguaglianze sociali e una grave

arretratezza economica. Accanto ad una classe dirigente ricca ed europeizzata, c’era una popolazione

in condizioni di estrema povertà, soggiogata dalla fame, dalle malattie e dal sovraffollamento delle

zone metropolitane, senza adeguate strutture sanitarie e scolastiche. L’economia resta debole e

basata sullo sfruttamento delle risorse agricole e minerarie per l’ esportazione (come durante il

colonialismo); inoltre i profitti di piantagioni, miniere e imprese industriali vengono spesso

appropriati dalle élites locali e dalle grandi imprese straniere ancora presenti sul territorio. Un altro

grande problema che continua ad avere effetti devastanti è quello generato dall’arbitrarietà dei

confini coloniali ereditati. La mancanza di unità etnica e politica dei nuovi stati ha portato ad un

numero elevato di conflitti più o meno violenti tra etnie diverse, divise per cultura, valori e religione.

In questo scenario, soprattutto in Africa, i governi riescono a mantenersi al potere grazie all’appoggio

delle imprese straniere (appartenenti agli ex colonizzatori o ad una delle due superpotenze, USA e

URSS), che ricevono in cambio dai governi le concessioni per continuare a sfruttare le risorse naturali

dei loro paesi.

Il tentativo delle prossime pagine e dei moduli successivi è quello di costruire un quadro sintetico

e chiaro di alcune delle maggiori tematiche globali del mondo contemporaneo, con una particolare

attenzione ai paesi del Sud del mondo che, usciti dall’esperienza coloniale, si trovano ad affrontare

nuove forme di dipendenza economica, culturale, sociale e politica nei confronti dei paesi occidentali,

dipendenza che si dimostra spesso un ostacolo insormontabile al raggiungimento di migliori

condizioni di vita e benessere per le loro popolazioni.

Il caso studio Algeria4

Nel secondo dopoguerra, in Algeria come altrove, iniziò a consolidarsi un sentimento nazionalista

e indipendentista: i primi moti in Cabilia nel 1945 furono repressi duramente dai francesi. Nel 1954

venne fondato il Comitato rivoluzionario di unione e di azione (CRUA), la prima organizzazione

indipendentista i cui membri (tra i quali Ait Ahmed, Ahmed Ben Bella e Khidder) operavano

dall'estero per importare clandestinamente armi sul suolo algerino.

La guerra civile esplose il primo di novembre dello stesso 1954, allargandosi a macchia d'olio dalla

Cabilia a tutto il paese. L'esercito prese il nome di Fronte di Liberazione Nazionale (FLN) e basò la

propria azione su azioni di guerriglia e di terrorismo. Nel settembre del 1955, l'Onu iniziò a occuparsi

della situazione algerina. L'anno successivo si tenne un Congresso per porre le basi di un Algeria

indipendente. Le divergenze tra i membri dell’FLN portarono all’uccisione del promotore del

Congresso, Abada Ramdame. Nel 1956 furono arrestati numerosi capi dell'FLN (tra cui Ben Bella, Ait

Ahmed, Khidder, Bitat e Boudiaf). Nel 1957, una nuova azione di polizia (passata alla storia come

“Battaglia di Algeri”) fu intrapresa dai francesi per privare la ribellione dei suoi leader. La resistenza

tuttavia rimase attiva sulle montagne.

Nel 1958, con il crollo della IV Repubblica francese e l'ascesa al potere di Charles de Gaulle, la

questione algerina giunse a una svolta. De Gaulle riconobbe pubblicamente il diritto

all'autodeterminazione degli algerini, provocando tra l'altro gravissimi disordini e proteste da parte

dei cittadini francesi in Algeria (le cosiddette "giornate delle barricate" del gennaio 1960). Ulteriori

disordini fecero seguito agli incontri franco algerini di Evian del 1961. Un movimento clandestino di

4 Nel corso di questo modulo si prevede di dedicare parte di un incontro alla visione di alcune scene tratte dal

film La battaglia di Algeri diretto nel 1966 di Gillo Pontecorvo.

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20

chiamato Organizzazione dell'Armata Segreta (OAS) si oppose al Governo Provvisorio della Repubblica

Algerina (GPRA) di Ferhat Abbas, mettendo in atto diverse azioni terroristiche. Il conflitto fra queste

due formazioni si concluse il 19 marzo 1962 con un trattato firmato nuovamente a Evian. In seguito a

un referendum per l'autodeterminazione, tenutosi il 1 luglio 1962 con esito positivo, il 3 luglio la

Francia dichiarò l'Algeria indipendente.

Il caso algerino presenta alcune caratteristiche peculiari che possono però essere a molte altre

esperienze di decolonizzazione.

• Capi della rivolta istruiti nella madrepatria: le prestigiose università europee, inglesi e francesi

soprattutto, accolsero moltissimi giovani studenti provenienti dalle élites di tutti i territori

coloniali. Le università erano però il centro dei movimenti rivoluzionari europei e gli studenti

d’oltremare poterono apprendere l’arte della rivolta, della propaganda e dell’organizzazione

rivoluzionaria.

• Utilizzo del linguaggio della madrepatria: gli uomini del FLN conoscevano perfettamente

l’evoluzione del linguaggio europeo e l’influenza che la Carta dell’ONU aveva avuto sui

governi. I comunicati del Fronte contengono termini come piattaforma comune, evitare

scontro sanguinoso, autodeterminazione del popolo algerino, tipiche del periodo post

seconda Guerra Mondiale.

• Onu come possibile strumento di giustizia per la colonia: valori e concetti portati avanti dalle

Nazioni Unite, come il diritto all’autodeterminazione, vengono ripetuti e sottolineati dalle

forze di liberazione, che chiedono insistentemente l’appoggio internazionale alla loro lotta.

• Riluttanza dell’opinione pubblica all’uso dell’esercito: l’esperienza della seconda guerra

mondiale rendeva impossibile per i governi europei l’impiego dell’esercito in azioni di

repressione nelle colonie. Il consenso dell’opinione pubblica europeo andava mantenuto e

difficilmente i governi occidentali potevano permettersi costose spedizioni all’estero.

• Mancanza di strutture istituzionali di governo: una volta ottenuta l’indipendenza, quando gli

apparati burocratici dei colonizzatori si ritirano, costruire dal nulla uno Stato è difficilissimo.

La creazione di un’amministrazione stabile ed efficiente è uno delle maggiori sfide che i paesi

di nuova indipendenza hanno dovuto affrontare.

2. Il fenomeno della globalizzazione

Rapporti Nord-Sud: teorie a confronto

La suddivisione del mondo in Nord e Sud in relazione al grado di sviluppo dei paesi fu usata per la

prima volta nel rapporto della Commissione Brandt sullo sviluppo internazionale, istituita nel 1977

dall’ONU per studiare le cause del sottosviluppo e fornire suggerimenti sulle strategie per

combatterlo5. Il concetto di sviluppo che sta alla base di una visione del mondo diviso tra il Nord ricco

e avanzato e il Sud povero e marginale viene però formulato venti anni prima, in un discorso del

presidente Harry Truman al Congresso degli Stati Uniti nel 1949. Dopo aver definito sottosviluppati un

numero enorme di paesi, affida ai paesi occidentali il compito di operare a favore dello sviluppo.

L’idea di sviluppo è dunque relativamente recente. Le prime teorie organiche nascono a partire

dagli anni ’50, con l’analisi delle enormi disuguaglianze economiche tra PVS e paesi occidentali e della 5 La Commissione Brandt, dal nome del politico tedesco che la presiedeva, stilò i cosiddetti “Rapporti

Brandt” che esortavano i paesi industrializzati a impegnarsi nel sostenere lo sviluppo dei PVS con misure fiscali e tariffarie e, soprattutto, con un contributo da parte di ogni paese industrializzato equivalente allo 0.7% del proprio PIL. Tranne i paesi scandinavi, che da allora hanno raggiunto e in alcuni casi superato i livelli suggeriti, la gran parte dei paesi industrializzati ha destinato all’aiuto allo sviluppo cifre molto inferiori a quelle per le quali si erano impegnati.

Page 24: Dispense Primo Modulo - Povertà Sviluppo e Cooperazione

21

profonde differenze tra paesi appartenenti ai due blocchi allora contrapposti. Furono quindi disegnati

possibili percorsi che i paesi del Sud dovevano adottare per replicare il modello occidentale. Sono qui

presentate le quattro principali teorie dello sviluppo, che mostrano l’evoluzione nel tempo dei

rapporti Nord-Sud e dei principali approcci economici adottati.

Capofila è la teoria degli stadi di Rostow (1962) secondo il quale lo sviluppo si può realizzare in

ogni Paese con un processo attraverso cinque stadi. Dalla cosiddetta società tradizionale, per

motivazioni economiche, sociali o politiche, o per impulso esterno, nasce in un gruppo sociale

dominante o subordinato l’idea che il progresso e il guadagno sono vantaggiosi e possibili. Tale

gruppo intraprende nuove attività, accettando il rischio dell’investimento. Il secondo stadio è

caratterizzato da forte industrializzazione: si inizia a risparmiare e a investire i risparmi nei trasporti e

nelle comunicazioni creando in questo modo le premesse per la terza fase: la fase del decollo.

I valori della società cambiano in modo da cogliere in questa fase le nuove possibilità produttive.

Lo stimolo al decollo può derivare da una rivoluzione politica, da innovazioni tecniche o dall’apertura

di nuovi mercati. Si diversifica la struttura produttiva e alcuni settori assumono un ruolo

determinante. Nel quarto stadio l’economia può definirsi matura attraverso uno sviluppo che si

autoalimenta. Nel quinto stadio il processo di modernizzazione raggiunge il suo apice con il consumo

di massa e con una continua crescita del reddito.

Le critiche a questa teoria si riferiscono soprattutto al fatto che Rostow ha preso come modello

solamente le esperienze delle regioni più avanzate dei paesi occidentali, senza considerare le altre

tipologie di sviluppo che invece si sono verificate in altre aree del mondo e che non hanno rispettato

queste tappe. Questa visione lineare della crescita è altamente eurocentrica e nella realtà non si è

realizzata: i pochi paesi del Sud che si sono industrializzati (nel Sud Est asiatico) infatti non hanno

seguito questo percorso.

In contrapposizione ai teorici della modernizzazione, la teoria della dipendenza rileva che

l’integrazione dei paesi e delle aree arretrate nel sistema economico internazionale impedisce il loro

sviluppo ed anzi acuisce la loro arretratezza. Questa teoria si sviluppa negli anni ‘70 grazie al

contributo di due economisti argentini, Raoul Prebish e Celso Furtado. La periferia è schiacciata dal

centro (i paesi ricchi) e questo avviene attraverso vari meccanismi tra cui:

• lo scambio ineguale, cioè lo scambio fra prodotti primari a basso costo fabbricati nel Sud e

prodotti industriali a prezzi elevati realizzati nel Nord;

• la penetrazione degli investimenti stranieri attratti dal minor costo dei fattori produttivi e

destinati alla produzione di beni primari;

• il ricorso ai prestiti ed agli aiuti internazionali che sono alla base della crisi debitoria e

dell’aggravamento strutturale.

In alternativa alle politiche di aiuto ed al modello occidentale di sviluppo, vengono proposte

alcune politiche, tra cui quella di sostituzione delle importazioni. Invece di importare i prodotti

dall’estero, questi vengono fabbricati direttamente nel proprio Paese. Incentivando alimentando il

mercato interno, riducendo i costi dei prodotti, aumentando l’occupazione con nuove possibilità di

lavoro nelle nuove aziende nazionali.

Nella seconda metà degli anni ’70 nasce la teoria sistema mondo centro-periferia grazie al

significativo contributo di Immanuel Wallerstein (ma anche di G. Myrdal). Si definisce il concetto di

sistema sociale, entità economico-materiale la cui autonomia poggia sull’esistenza al proprio interno

di un’unica divisione del lavoro. Nell’approccio di Wallerstein, che raccoglie il retaggio positivo della

teoria della dipendenza, il sistema mondo moderno coincide con l’economia-mondo capitalistica,

articolata in tre cerchi concentrici: il centro, la semi-periferia e la periferia, tra loro correlate

Page 25: Dispense Primo Modulo - Povertà Sviluppo e Cooperazione

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funzionalmente e ciascuna caratterizzata da specifici tipi di produzione, modi di controllo del lavoro e

regimi di proprietà. Il centro rappresenta i Paesi del Nord e la periferia i Paesi del Sud, mentre la semi-

periferia è formata da quei Paesi che sono in una condizione intermedia tra questi due poli. Tutto

parte dal centro e si trasmette fino ad arrivare alla periferia. Al centro sono collocati i nodi decisionali

e la produzione ad alto contenuto tecnologico. In periferia il settore più sviluppato è quello primario e

il surplus prodotto confluisce verso centro.

Negli anni la divisione centro periferia disegnata da Wallerstein si è rivelata superata, poiché i

centri non sono più rappresentati da un piccolo gruppo di Stati, ma sono localizzati in singole città e

non più in nazioni o addirittura in emisferi. Si è venuta a creare una rete mondiale multipolare, con

numerosi nodi che cambiano a seconda del filtro con cui si analizzano (turismo, informazione,

finanza, produzione ecc). I centri della rete sono tra loro collegati e avvolgono la periferia che oggi si

colloca geograficamente intorno al centro e ne subisce l’influenza non essendo più identificabile in

uno Stato ma, ad esempio, nel territorio circostante una grande città. Quest’ultima teoria è stata

proposta in particolare dallo storico francese Fernand Braudel (1902-1985).

La globalizzazione

Il termine globalization6 appare per la prima volta in Inghilterra nel 1980, descrive un fenomeno

non nuovo. Anche se è entrato a far parte del lessico comune e i mass media ne fanno larghissimo

uso, il concetto è tutt'altro che consolidato a livello scientifico.

Questa definizione sintetica e per molti versi imprecisa è un tentativo di unificare le molte

definizioni proposte da sociologi, economisti e politologi di tutto il mondo. Nell'immaginario

collettivo la globalizzazione è spesso percepita come un fenomeno di crescita progressiva, che si è

andato sviluppando nel tempo in modo naturale, e che vede la condizione attuale come una fase

intermedia tra il passato ed il futuro. I flussi sono molteplici e non riguardano solo l’economia. La

globalizzazione coinvolge e condiziona anche il diritto, la cultura, l’informazione, l’ambiente, la

criminalità. Questi ambiti sono tra loro collegati e si influenzano reciprocamente.

Secondo Fernand Braudel, nel corso del tempo si sono succeduti vari Mondi creati da alcuni centri

(città, nazioni e imperi) che attraverso scambi commerciali, la diffusione della propria lingua e cultura,

imponendo spesso anche un potere politico, hanno creato imperi che si estendevano a tutto il mondo

allora conosciuto (per esempio quello greco, romano, bizantino, il mondo arabo musulmano, quello

turco e quello cinese).

Per parlare oggi di globalizzazione, è necessario considerare il contesto storico da cui questa

deriva. Esiste infatti una linea di continuità tra colonialismo, post colonialismo (di cui si è parlato nelle

pagine precedenti) e globalizzazione. Le scoperte geografiche nel corso del Rinascimento europeo,

con il conseguente sviluppo dei commerci intercontinentali e la conquista spagnola e portoghese del

Nuovo Mondo, sono da considerarsi, secondo molti studiosi, all’origine della Globalizzazione. La

6 Il termine usato in francese per tradurre globalization è mondialisation; in questo caso si fa riferimento alla

parola mondo (con riferimenti sociali) piuttosto che al globo (concetto strettamente geografico). In Italia

vengono usati entrambi i vocaboli tradotti rispettivamente globalizzazione e mondializzazione.

La globalizzazione è un processo continuo ed in evoluzione che si sviluppa dal 1890 circa fino ai giorni nostri e a che fare con la sempre maggiore velocità di circolazione dei flussi (di persone, merci, informazioni).

Page 26: Dispense Primo Modulo - Povertà Sviluppo e Cooperazione

23

tendenza all’unificazione geografica, economica e politica del globo avrebbe poi trovato sviluppo

prima nell’Impero britannico e poi, tra Ottocento e Novecento, nella dominazione coloniale europea.

Per quanto riguarda gli sviluppi più recenti della globalizzazione, si ritiene che essi assumano

particolare consistenza negli ultimi tre decenni del Novecento.

L'errore di percezione che identifica la globalizzazione con la fine del ventesimo secolo è invece

dovuto al periodo storico a cui si fa riferimento. Il confronto tra il 2000 e il 1950, per esempio, tende a

favorire l'affermazione che la globalizzazione sia un fenomeno esclusivo della fine del ventesimo

secolo, ma andando indietro nel tempo fino al 1870 tale affermazione perde validità.

Non si tratta di un processo continuo, ma di un andamento ciclico, che alterna periodi di grande

sviluppo in cui crescono i processi globali, sostenuti da un’economia trainante, e periodi in cui questa

tendenza si blocca a causa di recessioni e crisi economiche, per poi riprende terreno in fasi

successive. Limitandoci a quattro variabili - forza lavoro, merci, investimenti e informazioni - possiamo

identificare il susseguirsi di quattro fasi di globalizzazione. La prima coincidente con la fine del XIX

secolo, la seconda nel periodo che va dal 1945 al 1978, la terza dal 1979 al 1989, infine la quarta va

dalla caduta del muro di Berlino ai nostri giorni. Ciascuna di queste fasi, analizzate nel paragrafo

successivo, si distingue dalle altre per la preponderanza, nel commercio internazionale, di uno

specifico fattore produttivo. Ogni fase inizia e finisce con un momento di crisi.

Le fasi della globalizzazione

Fase I (1890-1945) Questo periodo, che va dalla fine del XIX secolo all’inizio della prima

Guerra Mondiale (1914), vede crescere a livelli mai visti i flussi migratori7. Uno studio della Banca

Mondiale (Collier & Dollar, 2003) stima che tra il 1870 e il 1914 il 10% della popolazione mondiale

migrò dal suo paese di origine verso una nuova destinazione. La rivoluzione nei trasporti, in

particolare con l’uso del treno e della nave, aveva abbassato notevolmente i costi rendendo

raggiungibili le terre più lontane anche ai poveri. Sessanta milioni di persone partirono da Italia,

Irlanda, Spagna, Svezia, Portogallo verso il Canada, gli Stati Uniti, l'Australia, la Nuova Zelanda, il

Brasile, l'Argentina. E l'emigrazione non interessò solo l'Europa. Flussi analoghi, anche se forse meno

conosciuti e studiati, si alimentarono dalla Cina e dall'India verso paesi asiatici meno densamente

popolati come Sri Lanka, Malaysia, Thailandia, Filippine.

Fase di recessione (1914-1945) L'insorgere del nazionalismo economico, la prima guerra

mondiale, la successiva depressione ridussero radicalmente i flussi migratori, ma non furono solo le

migrazioni a risentire del periodo difficile. Ci fu infatti una progressiva chiusura del commercio

internazionale, delle esportazioni e degli investimenti. Ogni volta che l’economia cresce, le nazioni

aprono le frontiere a merci, capitali e flussi migratori; quando si attraversa un periodo di recessione,

invece, che vengono innalzate barriere doganali, si bloccano i flussi migratori e si creano norme per

regolare il movimento dei capitali. Dopo la seconda guerra mondiale, passato il forte momento di

crisi, i flussi ripresero.

II fase (1945-1978) In questa seconda fase si sperimenta a livello internazionale una ripresa

degli scambi commerciali mai vista che riesce a recuperare la contrazione registrata tra il 1914 e il

1945. Come evidenziato da Krugman8, il commercio mondiale cresce ad un tasso medio del 6% (più

del doppio rispetto al tasso di crescita del reddito9). Con gli accordi di Bretton Woods (1944) nascono

7 Per una trattazione più completa dei fenomeni migratori si veda il Modulo IV.

8 Premio Nobel per l’economia nel 2008, è professore all’Università di Princeton e si occupa principalmente di

economia internazionale. 9 L'indicatore con cui generalmente si misura la globalizzazione è il grado di apertura reale di un’economia,

calcolato come la somma delle esportazioni e delle importazioni rispetto al prodotto nazionale lordo (la

Page 27: Dispense Primo Modulo - Povertà Sviluppo e Cooperazione

24

le principali istituzioni finanziarie internazionali e il dollaro diventa il mezzo di pagamento

universalmente accettato, la cui solidità assicura un periodo di stabilità anche ai flussi di merci e di

capitali. Le grandi aziende, soprattutto occidentali, iniziano a vendere i propri prodotti in tutto il

mondo, per diventare soggetti multinazionali in grado di influenzare economia e politica di molti

Stati. Le nuove organizzazioni internazionali vengono chiamate ad assicurare la stabilità monetaria, la

ricostruzione dell’Europa e lo sviluppo dei paesi chiamati “in via di sviluppo”, e la liberalizzazione del

commercio. La crescita è assicurata da bassi costi di trasporto dovuti all’impiego commerciale di

aerei, tir e container e al contenimento dei prezzi delle materie prime tra cui il petrolio. L’aumento di

questi prezzi nel corso degli anni ’70 spezza l’equilibrio, inaugurando un periodo di recessione e di

crisi.

III fase (1978-1989) La percezione che la globalizzazione sia un fenomeno contemporaneo è

sicuramente legata ai recenti sviluppi dei mercati finanziari internazionali. Grazie alla distribuzione

geografica dei centri nevralgici (Londra, Francoforte, New York, Tokyo sono le borse a livello

mondiale) l’esercizio del mercato finanziario è oggi possibile 24 ore su 24. In questa fase le

multinazionali iniziano a spostare massicciamente la produzione nei PVS. Le imprese delocalizzano

dove non ci sono norme a tutela dei lavoratori e dell’ambiente e dove le tasse da pagare sono

minime, abbattendo così i costi di produzione e la concorrenza.

A partire dal 1985 il flusso di Investimenti Diretti all'Estero (IDE) si è moltiplicato per otto e la

capacità delle imprese di produrre in più mercati nazionali si è estesa dalle imprese di grande

dimensione alle medie e alle piccole imprese. Si assiste inoltre ad una generalizzata liberalizzazione

dei flussi di denaro, pressoché totale nei paesi industrializzati e particolarmente rilevante nei paesi

asiatici e in America Latina. I flussi sono composti da capitali a breve termine e capitali a lungo

termine10

. Quelli a breve termine non finanziano attività di produzione di merci, e possono essere

lette come speculazioni effettuate sui mercati finanziari. Gli investimenti a medio lungo periodo

invece finanziano attività commerciali. La prevalenza degli investimenti speculativi rispetto a quelli

produttivi aumenta l’instabilità del sistema economico mondiale. Se prima ogni spostamento di

capitale era accompagnato da uno spostamento di merci, dalla terza fase questo non avviene più: il

denaro si sposta più velocemente delle merci e si crea un crescente squilibrio tra l’economia

finanziaria e quella reale.

IV fase (1989-oggi?) Nella quarta fase sono le informazioni ad acquistare rilevanza, tanto da

essere oggetto di transazioni commerciali a livello mondiale. Grazie ai nuovi strumenti telematici

accessibili a tutti, comunicare tra punti diversi del globo diventa molto semplice ed economico grazie

alla rete (Internet). Tramite massicci investimenti sono state potenziate le reti di circolazione delle

informazioni sulle vie dello spazio telematico, che è caratterizzato da tanti centri quante sono le

possibilità di connessione.

Non si tratta solo di informazione per le imprese, ma anche della diffusione e dell’utilizzo sempre

maggiore dei mass media e della televisione soprattutto. La trasmissione di informazioni visive

(immagini) riesce poi a superare almeno in parte le barriere linguistiche, mettendo in relazione i

luoghi e popoli lontani. La trasmissione satellitare consente sguardi in diretta in tutto il mondo e

provoca influenze culturali ed economiche che aumentano l’interdipendenza e favoriscono

l’uniformazione mondiale degli stili di vita, dell’abbigliamento, dell’alimentazione e della gestione del

tempo libero.

somma del valore aggiunto prodotto sul territorio nazionale in un anno). 10 Convenzionalmente un investimento a breve ha un arco di vita non superiore a 12 mesi, entro i quali il

denaro impiegato torna nel portafoglio dell’investitore; di lungo periodo sono classificati gli investimenti

che superano questa soglia.

Page 28: Dispense Primo Modulo - Povertà Sviluppo e Cooperazione

25

L’omologazione che si può osservare a livello superficiale non sembra comunque essere in grado di

cancellare il mosaico degli spazi politici, sociali e culturali di cui le società mondiali sono fatte. Le

comunità locali e regionali continuano ad essere le cellule di base dell’organizzazione territoriale e

dello spazio vissuto degli uomini.

LEZIONE 3 – Povertà e disuguaglianze

Il problema dello sviluppo può essere affrontato a partire da un’analisi della povertà e delle sue

determinanti nel mondo. La povertà può essere spiegata in differenti modi e, a seconda di come si

sceglie di definirla, cambia anche il modo di affrontarla e di cercare vie di uscita da essa.

È innanzitutto necessario fare una distinzione tra il concetto di povertà e quello di disuguaglianza.

La disuguaglianza riguarda la relazione tra i mezzi (monetari e non) a disposizione degli individui, o

meglio la differenza che può esistere tra quanto un individuo possiede rispetto ad un altro. La

disuguaglianza è dunque un concetto altamente relativo, che sarà affrontato nel prossimo paragrafo.

Per contro, il concetto di povertà può essere assoluto o relativo, a seconda dell’approccio che si

adotta.

1. La povertà

Povertà assoluta

Si definisce povero in termini assoluti un individuo il cui reddito giornaliero sia inferiore ad una

data soglia stabilita convenzionalmente. La soglia di povertà assoluta più utilizzata per fare confronti a

livello internazionale è quella di un dollaro statunitense al giorno; al di sotto di tale soglia si trovano,

nei PVS e nei Paesi in transizione, quasi un miliardo e mezzo di persone. Sebbene fornisca

un’informazione sintetica e immediatamente utilizzabile nella comunicazione dei mass media,

descrivere la povertà solo attraverso questo indicatore non è sufficiente. Verosimilmente neanche le

persone che nel mondo vivono con un reddito compreso tra uno e due dollari al giorno riescono a

soddisfare il fabbisogno calorico minimo necessario, o ad avere accesso ai beni e servizi di base

necessari ad un'esistenza accettabile e degna. Non si tratta di un problema puramente teorico: se si

stabilisce la linea di povertà assoluta a due dollari, infatti, il numero dei poveri rilevati negli stessi

paesi arriva quasi a raddoppiare.

Povertà relativa

Parlare di povertà relativa vuol dire riconoscere che la qualità della vita dipende non solo da elementi che consentono la mera sopravvivenza, come una nutrizione adeguata, una casa e cure mediche, ma anche dal non dover subire le privazioni che derivano da una posizione di reddito relativo troppo basso nella società. La povertà relativa viene dunque definita come la metà del livello di reddito di una famiglia mediana (ovvero il reddito della famiglia che divide in due gruppi ugualmente numerosi il totale delle famiglie di un Paese). La linea di povertà relativa così costruita è utilizzata in molti paesi a medio e alto reddito. Per quanto riguarda l’Italia, se si utilizza una misura assoluta della povertà, i poveri nel 2008 erano 2 milioni e 893 mila individui (4,9% della popolazione), ma la cifra aumenta fino a 8 milioni e 78 mila individui (13,6% della popolazione) se si utilizza una linea di povertà relativa (dati Istat, 2009)

Nonostante il concetto di povertà relativa faccia riferimento allo squilibrio distributivo, non è

possibile far coincidere questa misura con quella della disuguaglianza. Infatti, anche se mobile, la

soglia di povertà relativa resta una linea, superata la quale non si è più considerati (quantomeno nelle

statistiche) poveri. La disuguaglianza, affrontata più avanti, è un concetto assai più fluido, percepibile

ma non ben definibile, che può venir ridotta attraverso politiche per la riduzione della povertà in

Page 29: Dispense Primo Modulo - Povertà Sviluppo e Cooperazione

26

termini assoluti e relativi, ma mai del tutto eliminata.

In termini di accesso ai beni e servizi essenziali, la povertà può essere ridotta non solo attraverso

una redistribuzione di reddito, ma anche attraverso la garanzia statale, o da parte di enti caritatevoli,

di tale accesso. Il sistema scolastico e il sistema sanitario pubblico sono due grandi esempi di come lo

Stato possa incaricarsi di fornire un servizio di base uguale per tutta la popolazione e in questo modo

garantirne l’accesso anche alle fasce che non potrebbero permettersi di pagarlo se fosse a

pagamento. La povertà non è dunque esclusivamente un problema di reddito, ma anche di

esclusione: si pensi ad un gruppo della popolazione che venga escluso e stigmatizzato, ad esempio

attraverso la negazione dell'accesso a date cure mediche o all'istruzione scolastica. Gli individui

appartenenti a quel gruppo, indipendentemente dal reddito, non potranno avere accesso a questi

servizi di base, e dunque potranno esser considerati “poveri”. Oppure si consideri la situazione di

zone nelle quali non sono offerti tali servizi di base. Anche in quel caso, quale che sia il loro reddito,

gli autoctoni sono effettivamente poveri di tali servizi, sebbene non vi sia apertamente

discriminazione.

Anche gli interventi pubblici, prevalentemente nel settore sanitario ed educativo, sono dunque da

considerarsi come interventi di lotta alla povertà. Ciò è tanto più vero se si pensa che una adeguata

istruzione ed una buona salute costituiscono il prerequisito per migliorare le condizioni di vita future

degli individui, anche (ma non solo) in termini monetari. Questa riflessione implica un approccio

dinamico alla povertà, ovvero relativo ad un processo che si svolge nel tempo; le linee di povertà non

possono dunque essere soddisfacenti perché fotografano la situazione di “adesso”, cioè di un punto

statico nel tempo.

L'approccio delle capabilities

Per rendere dinamico l’approccio al tema della povertà è necessario un nuovo insieme di

strumenti teorici, che permettono come lenti tridimensionali di dare profondità alle nostre

percezioni. Dal filosofo e premio Nobel per l'economia Amartya Sen deriva un grande contributo che

è possibile riduttivamente chiamare capabilities approach. Sen immagina che tutti gli individui

abbiano a propria disposizione un insieme di beni sui quali hanno il controllo (entitlements), ed un

insieme di capacità (capabilities) di convertirli in attività funzionali al raggiungimento dei propri fini

(functionings). L'insieme delle capabilities of functionings rappresenta dunque la libertà dell'individuo

di scegliere, tra gli stili di vita che gli sono possibili, quello a cui egli conferisce maggior valore. La

povertà non è solo data dalla mancanza, pur importante, di entitlements, cioè di mezzi per

raggiungere fini, ma anche da quella di capabilities, cioè di capacità/possibilità di fare che hanno un

valore in sé, oltre a permettere di raggiungere dati “funzionamenti”.

Il reddito non è il solo elemento ad incidere sulla mancanza di capacità, ma contano altri fattori

come l’esclusione sociale, l’istruzione e l’assistenza sanitaria di base. Un miglioramento delle capacità

può portare ad un avanzamento in termini di guadagno o in termini di ulteriori capabilities, così come

la ricchezza monetaria può permettere di acquisire ulteriore ricchezza, ma anche nuove capacità.

Queste sono opportunità, possibilità che si svilupperanno a seconda dei functionings scelti

dall'individuo secondo le proprie credenze e preferenze.

Con tale approccio è possibile rendere almeno in parte indipendente il concetto di povertà dalla

moneta. Esiste comunque un forte problema di misurazione: come indicare sinteticamente il grado di

povertà di una popolazione secondo un tale approccio? Una parziale risposta è stata trovata

dall'UNDP, il cui Indice di Sviluppo Umano è un indicatore sintetico ispirato alla teoria di Sen11.

11

Per una trattazione dettagliata dell’Indice di Sviluppo Umano si veda il Modulo III.

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27

2. La disuguaglianza

Diversità (le diseguaglianze naturali)

Si deve al testo pubblicato da Jean-Jacques Rousseau nel 1755 la fondamentale distinzione fra

disuguaglianze naturali e morali. Il Discorso sull'ineguaglianza fu scritto per rispondere ad una

questione posta dall’Accademia di Digione: "Qual è l'origine dell'ineguaglianza tra gli uomini e se essa

sia autorizzata dalla legge naturale". Rousseau sostiene con decisione che la disuguaglianza non ha

origine nello stato di natura originario, ma che sia scaturita insieme alla formazione della società. Essa

è illegittima e dannosa per la moralità e per il benessere dell'umanità:

Il primo che, avendo cintato un terreno, pensò di dire questo è mio e trovò delle persone abbastanza stupide da credergli fu il vero fondatore della società civile. Quanti delitti, quanti assassini, quante miserie ed errori avrebbe risparmiato al genere umano chi, strappando i pioli o colmando il fossato, avesse gridato ai suoi simili: guardatevi dal dare ascolto a questo impostore! Se dimenticate che i frutti sono di tutti e la terra non è di nessuno, siete perduti! (Rousseau, 1997)

MDG 1 – SRADICARE LA FAME E LA POVERTÀ ESTREMA

I target fissati per il 2015 in tema di povertà sono: 1.1 Dimezzare, rispetto al 1990, la percentuale di persone che vivono in condizione di

povertà estrema (meno di un dollaro al giorno); 1.2 Garantire piena occupazione e un lavoro per tutti, compresi donne e giovani; 1.3 Dimezzare, rispetto al 1990, la proporzione di persone che soffre la fame. Le persone hanno abbastanza denaro per soddisfare i propri bisogni essenziali? Hanno

abbastanza cibo per raggiungere il loro fabbisogno calorico giornaliero? Più di un miliardo di persone nel mondo vive con meno di un dollaro al giorno, 238

milioni di questi sono giovani. Se si alza la soglia a due dollari al giorno, il numero di coloro che vivono al di sotto sale circa 2,8 miliardi,

Quali progressi?

Globalmente la percentuale di persone che vivono con meno di un dollaro al giorno è scesa dal 30% nel 1990 al 23% nel 1999, ma alcuni paesi hanno peggiorato la loro situazione negli ultimi quindici anni. Mentre in molte aree del mondo si registrano lenti ma continui progressi, non si è avuto alcun miglioramento significativo in Africa Sub Sahariana, America Latina e i Caraibi. In Asia Occidentale, la povertà è aumentata. Nel 2001 circa la metà della popolazione in Africa Sub Sahariana si trovava al di sotto della linea di povertà.

Cosa fare?

Alcuni paesi si trovano in quella che viene chiamata la “trappola della povertà”: almeno 31 paesi sono così poveri che hanno bisogno dell’assistenza internazionale per raggiungere gli Obiettivi del Millennio. Le politiche da intraprendere per uscire dalla trappola di povertà riguardano lo sviluppo del sistema economico e produttivo, lo sviluppo delle aree rurali, il miglioramento dei sistemi di istruzione e di salute, la costruzione di infrastrutture, la promozione dei diritti umani e dello sviluppo sostenibile.

Bisogna poi ricordare che spesso povertà e fame, sia nel Nord che nel Sud del mondo, non sono determinate da un problema di assenza assoluta di risorse, ma di una loro diseguale distribuzione che ne impedisce la fruizione da parte di ampie fasce di popolazione.

Page 31: Dispense Primo Modulo - Povertà Sviluppo e Cooperazione

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Per comprendere il senso della diseguaglianza tra gli uomini è essenziale comprendere la natura

originaria dell'uomo, perché l'ineguaglianza si è sviluppata man mano che l'uomo si è allontanato

dalla sua condizione naturale. Per Rousseau l’uomo naturale è guidato da due principi che precedono

la ragione: il principio dell'autoconservazione e l'incapacità di veder soffrire i propri simili. Ciò che lo

differenzia dagli animali sono il libero arbitrio (come capacità di volere) e la capacità di perfezionarsi.

La tendenza a migliorare è la causa del progresso, ma anche l’origine delle disuguaglianze della

società civile. Rousseau distingue poi tra due tipi di diseguaglianze tra gli uomini:

• Diseguaglianza naturale, che riguarda sole le differenze fisiche;

• Diseguaglianza morale, che deriva dalla società e si manifesta con i privilegi.

È la società a produrre le diseguaglianze o ad ampliare quelle minime esistenti in natura. L’uso

degli strumenti, la necessità di intessere relazioni per lavorare insieme (necessario con l’avvento

dell’agricoltura e della metallurgia) e quindi abitare insieme, portano ad una costante frequentazione

reciproca tra gli uomini: nascono la stima e l'apprezzamento, il desiderio di essere stimati dagli altri,

l'orgoglio, la vanità, il senso dell'oltraggio e la necessità di vendetta. Le differenze individuali, di

capacità e ingegno, che permettono ad alcuni di produrre di più e ad altri di meno, generano tensioni.

Nascono i poveri e i ricchi. I conflitti che la diversità produce generano uno stato di insicurezza

permanente. I ricchi, che hanno più da perdere, propongono l'istituzione del diritto per avere

sicurezza. I poveri sono ingannati perché il diritto legalizza uno stato di fatto di disuguaglianza. I

passaggi dalla proprietà privata alle leggi, dalle leggi alle cariche elettive, e infine a quelle ereditarie

dovrebbero essere una soluzione contro gli abusi di potere, ma in realtà si confermano come nuove

occasioni per ulteriori abusi. Le distinzioni politiche aumentano le ineguaglianze.

In conclusione, Rousseau tenta quindi di dimostrare che qualunque diseguaglianza di origine

morale, non può essere considerata legittima quanto più si allontana dalla diseguaglianza fisica

naturale e auspica che si possa costruire uno stato civile giusto che ponga rimedio ai danni morali e

materiali in cui l'uomo si dibatte, senza dover necessariamente tornare allo stato di natura. Questo

progetto sarà concretamente analizzato ed esposto nel Contratto sociale, che Rousseau pubblica nel

1762.

Diseguaglianza come concetto globale

Le scienze sociali, economiche e antropologiche hanno affrontato il tema della disuguaglianza da

Rousseau ai giorni nostri. Il problema della definizione e della valutazione economica e sociale della

disuguaglianza è sempre stata al centro del dibatto, portando gli studiosi ad avanzare numerosi

interrogativi ed importanti conclusioni. In gioco ci sono considerazioni etiche che influiscono

inevitabilmente sulla scelta dei termini di rilevazione, valutazione e confronto delle diseguaglianze

socio-economiche. Per introdurre i molteplici significati che oggi la parola può assumere, sono qui

riportate le parole di Ralf Darhendorf12:

Io penso che la disuguaglianza sia un elemento della libertà. Una società libera lascia molto spazio alle differenze tra gli uomini, e non solo a quelle di carattere, ma anche a quelle di grado. La disuguaglianza, però, non è più compatibile con la libertà quando i privilegiati possono negare i diritti di partecipazione degli svantaggiati, ovvero quando gli svantaggiati restano nei fatti del tutto esclusi dalla partecipazione al processo sociale, economico e politico.

Le disuguaglianze tra gli individui, tra differenti gruppi di popolazione e tra diverse aree

geografiche sono spesso inevitabili perché dipendono, ad esempio, da fattori legati al patrimonio

12 Ralf Dahrendorf (1929-2009) è stato un filosofo e un sociologo tedesco. Oltre che per la sua produzione

saggistica, è conosciuto al pubblico italiano anche per i suoi editoriali sul quotidiano la Repubblica. La citazione è tratta da: Libertà attiva. Sei lezioni su un mondo instabile, Laterza, 2003, pp. 19-20.

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genetico o alla presenza casuale ad un determinato agente patogeno, oppure a diversità necessarie

come quelle dipendenti dal sesso o dall’età. Non tutte le disuguaglianze sono uguale o ugualmente

giustificabili. Il tema che questo testo cerca di affrontare sotto vari punti di vista è la distinzione

ancora valida tra le diversità (o disuguaglianze naturali) e le disuguaglianze riconosciute come

evitabili, eticamente e moralmente ingiuste.

Utilizzando le categorie proposte dall’approccio delle capabilities di Sen, se lo sviluppo è un

processo di promozione e garanzia delle libertà sostanziali dell’individuo all’interno del gruppo

sociale di riferimento, piuttosto che un accrescimento della capacità di creare reddito, allora le

disuguaglianze devono essere pensate come iniquità socio-economiche tra individui, comunità o

fasce di popolazione. L’analisi delle disuguaglianze in termini di sviluppo e benessere tra Paesi e

popolazioni sarà dunque il filo conduttore dei prossimi moduli nell’affrontare grandi temi globali,

quali l’ambiente, la salute, le migrazioni.

MDG 4 – RIDURRE LA MORTALITÀ INFANTILE

4.1 Ridurre di due terzi, fra il 1990 e il 2015, la mortalità tra i bambini con meno di cinque anni di età.

Ridurre la mortalità infantile gioca un ruolo chiave nel determinare i tassi di crescita di

una popolazione: più figli sopravvivono, minore sarà il numero di figli per ogni famiglia. Ci si concentra dunque sui problemi che i bambini incontrano nei loro primi cinque anni di vita. Più di 10 milioni di bambini muoiono ogni anno nei PVS a causa di malattie prevenibili. Se nei PVS un bambino su 10 muore prima di arrivare a cinque anni, nei PS accade ad un bambino su 143. Le cause principali sono l’HIV/AIDS, la malaria, la diarrea e le infezioni respiratorie acute.

- Nelle aree più colpite, ci si aspetta che la mortalità sotto i 5 anni dovuta all’HIV/AIDS raddoppierà entro il 2010.

- La malaria uccide oltre 400000 bambini all’anno. - Il 20% delle morti è causato da problemi respiratori gravi; solo un quarto dei bambini

con queste patologie riceve cure sanitarie. - Il tasso di vaccinazioni, dopo un incremento negli anni ’80, è rimasto costante negli

anni ’90 e in Africa Sub Sahariana è diminuito. Quali progressi?

America Latina, Caraibi e Stati arabi hanno registrato alcuni miglioramenti; l’Africa Sub Sahariana non ha avuto sostanziali cambiamenti. È però cresciuto il divario tra PS e PVS: se nei primi anni ’90 un bambino in Africa Sub Sahariana aveva una possibilità di morte19 volte superiore che nei paesi sviluppati, oggi le probabilità sono 26 volte maggiori.

Cosa fare?

Devono migliorare l’accesso alla sanità riproduttiva, aumentare la distribuzione di vitamine e integratori dove non è presente un sistema sanitario funzionante, la disponibilità di acqua pulita, la distribuzione di zanzariere insetticide, il numero di personale sanitario occupato nelle aree rurali.

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